Un amore da favola

di Horse_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo -Essere una principessa ***
Capitolo 2: *** Il principe delle tenebre. ***
Capitolo 3: *** Damon ed Elena ***
Capitolo 4: *** Leonardo da Vinci. ***
Capitolo 5: *** Guai in arrivo ***
Capitolo 6: *** Thunder ***
Capitolo 7: *** Pioggia ***
Capitolo 8: *** La casa abbandonata ***
Capitolo 9: *** E' mia ***
Capitolo 10: *** Ora si spiega tutto. ***
Capitolo 11: *** Quello che realmente provo. ***
Capitolo 12: *** Il ballo -parte due. ***
Capitolo 13: *** Il ballo -parte uno. ***
Capitolo 14: *** K come Katherine. ***
Capitolo 15: *** Problemi. ***
Capitolo 16: *** La nave. ***
Capitolo 17: *** Quello che provo. ***
Capitolo 18: *** Amare. ***
Capitolo 19: *** Notizie inaspettate. ***
Capitolo 20: *** Sole e Luna. ***
Capitolo 21: *** Matrimonio. ***
Capitolo 22: *** La prima notte. ***
Capitolo 23: *** Nuova vita. ***
Capitolo 24: *** Essere migliori. ***
Capitolo 25: *** Iniziano i problemi. ***
Capitolo 26: *** Nascita. ***
Capitolo 27: *** I problemi sono ovunque. ***
Capitolo 28: *** La fine. ***
Capitolo 29: *** Verità o bugia? ***
Capitolo 30: *** La figlia di Damon. ***
Capitolo 31: *** Tempesta. ***
Capitolo 32: *** Verità svelate. ***
Capitolo 33: *** Fratelli. ***
Capitolo 34: *** Prenditi cura di loro. ***
Capitolo 35: *** Lontananza. ***
Capitolo 36: *** Francia. ***
Capitolo 37: *** Rivelazioni. ***
Capitolo 38: *** Morte. ***
Capitolo 39: *** Sei qui. ***
Capitolo 40: *** Ricongiungimento. ***
Capitolo 41: *** Lasciati aiutare. ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo -Essere una principessa ***




                                 
                                     Essere una principessa

                                                   1.


Pov Elena.

Quella mattina mi svegliai di buon umore. Sentivo gli uccelli cinguettare fuori dalla finestra del palazzo reale e il sole entrare timido attraverso le tende e colpirmi con i suoi raggi nella faccia.
Scostai le coperte candide dal mio corpo e mi alzai andando di fianco allo specchio, dove si trovava l’armadio in legno di alabastro per scegliere un vestito.
 

Mia madre la sera prima era stata chiara: “Domani dovrai scegliere uno dei tuoi migliori vestiti ed essere pronta prima di mezzogiorno, dobbiamo parlare.
Avevo provato ad estorcerle delle informazioni, ma si era rifiutata categoricamente di proferire parola e questo mi aveva irritata più del solito.
 

Era la regina lei, giusto, ma io ero la principessa e non mi piaceva quando certe cose mi venivano nascoste, soprattutto da mia madre –regina o no che fosse.
Scelsi un vestito sull’azzurro chiaro e sul bianco che mi arrivava fino ai piedi, ovviamente. Le ragazze devono portare enormi abiti che non devono lasciare scoperta neanche una minima parte delle gambe ed odio anche questo.
 

Perché gli uomini non indossano vestiti e le donne si?
A loro è concesso tutto, ovviamente. Comandano loro su tutto tutti e le donne non hanno importanza, escludendo la regina –ma anche lei ha ruoli marginali.
Dopo aver preso anche il bustino, rigorosamente bianco entrai in bagno dove trovai già la vasca riempita di acqua calda e da cui proveniva un buonissimo profumo.
 

Bonnie aveva fatto un ottimo lavoro, come sempre.
Tenevo a lei come ad una sorella e mi dispiaceva farla lavorare, ma purtroppo era una dei servitori di palazzo anche se era a quella che ero più affezionata e che veniva trattata meglio.
 

Mezz’ora dopo finii di vestirmi ed aspettai Bonnie seduta sul letto.
Mia madre aveva precisato anche di attendere la mia amica perché mi pettinasse i capelli, come se non lo sapessi fare. Volevo essere autonoma, ma a nessuno andava bene.
Mio fratello poteva fare tutto –perché era un ragazzo– ed io dovevo solo studiare ed imparare le buone maniere e tutte le cose che deve fare una futura regina.
 

Si, perché fra non molto sarei diventata regina d’Olanda.
Ho solo diciotto anni, ma mio padre ha deciso di ritirarsi e di lasciare il trono a me, la sua primogenita. Una cosa avrei voluto che facesse Jeremy e ovviamente chi deve fare l’unica cosa importante di questo mondo?
Ovviamente io.
 

“Principessa, vi siete svegliata.” mormorò Bonnie entrando all’interno della mia stanza.
“Bonnie, quando siamo da sole dammi del tu, ti prego. Non farmi sentire così attaccata alle regole o vecchia. Gli adulti si danno del voi…” le spiegai.
“Va bene Elena, anche se in questo mondo ci entrerai a far parte molto presto…” mormorò.
“Sai qualcosa che io non so, Bonnie?” le domandai.
 

Bonnie abbassò lo sguardo titubante.
Quando faceva così c’era qualcosa sotto, sempre.
La conosco fin da quando eravamo piccole e ci siamo sempre confidate tutto, non so perché ora dovrebbe andare diversamente.
 

“Io non so niente, so solo…” iniziò titubante.
“Cosa sai?” le domandai prendendo una sua mano tra le mie. “Dimmelo Bonnie, ti prego.”
“Il re e la regina stavano parlando dell’arrivo del re di Francia e da quello che ho capito ha a che fare con te, ma non so altro…” mi spiegò mentre iniziava a spazzolarmi i capelli.
“Re di Francia? Con me?” domandai guardando lo specchio di fronte a me. “Cosa centro io con il re di Francia?”
“Non lo so, mi dispiace…” si scusò.
“Non preoccuparti Bonnie, mia madre mi vuole parlare e ho l’impressione che possa centrare questo re…” mormorai.
 






 
                                               * * *
 






“Elena, finalmente siete arrivata!” esclamò mio padre venendomi incontro.
“Perdonatemi del ritardo, padre.” mi scusai notando alcuni sguardi su di me.
“Non preoccuparti bambina mia, nessun ritardo. Vieni!” mi invitò prendendomi per mano portandomi vicino al suo trono, dove c’erano altre due persone.
 

Un uomo sui cinquant’anni. Alto, capelli curati e occhi sul verde.
Accanto a lui c’era un ragazzo con i capelli biondi e con magnetici occhi verdi che mi stava osservando curioso.
Aveva sicuramente la mia età.
Come da buona educazione mi presi i lembi del vestito e feci un inchino sorridendo ad entrambi, sotto lo sguardo orgoglioso dei miei genitori.
 

“Questa è mia figlia, Elena. Piccola –mio padre si rivolse a me– loro sono Giuseppe Salvatore, re di Francia, e suo figlio Stefan.”
 

Il signor Salvatore mi strinse la mano, come in un gesto affettuoso, mentre il figlio, dopo aver mormorato un ‘Onorato’ mi baciò la mano coperta da un guanto di velluto bianco.
Sorrisi un segno di riconoscenza e mi sorrise anche lui.
Portai lo sguardo sui miei genitori curiosa: volevo sapere il motivo della presenza del re di Francia e di suo figlio.
 

“Figliola, andiamo a sederci.” disse mio padre e si andò a sedere sulla poltrona rossa dalla sala dei troni.
 

Io, mia padre ed i due ospiti andammo a sederci.
Io vicino a mia madre –che era seduta a sua volta di fianco a mio padre– ed i due ospiti erano di fronte a noi.
 

“Figlia mia, sicuramente ti starai chiedendo il perché sulla presenza del re e di suo figlio…” iniziò mio padre.
“Si, padre…” risposi annuendo.
“Come ben saprai in questo periodo difficili lotte si stanno creando per il potere e per il malcontento dei nobili che poco apprezzano certi miglioramenti fatti per agevolare i poveri ed anche in Francia sta accadendo la stessa cosa. Non dobbiamo avere la Francia come nostro alleato –il signor Salvatore annuì– sotto ogni punto di vista…”
“Ed io che cosa centro padre?” gli domandai.
“Il figlio maggiore del re ha chiesto la vostra mano.” mi rispose semplicemente.
 

Il figlio maggiore del re ha chiesto la vostra mano.
Mio padre stava realmente parlando sul serio?
Io, futura regina d’Olanda, mi sarei dovuta sposare con il futuro re di Francia per qualche futile motivo politico?
Tentai –forse– di ribattere, ma lo sguardo di mia madre fu eloquente. Il suo sguardo mi ordinava di stare zitta e di acconsentire solo.
 

Tante volte i miei genitori avevano affrontato l’argomento matrimonio che non equivaleva a nozze per amore, ma bensì per mantenere il potere politico e per dare degli eredi al trono di Olanda, ma non mi sarei aspettata che la faccenda si evolvesse fino a questo punto ed in modo così veloce; mi sarei aspettata una proposta di matrimonio fra qualche anno, non a diciotto anni appena compiuti.
 

Sapevo perfettamente però che una ragazza più o meno si doveva sposare a quell’età, ma io non mi sentivo ancora pronta.
Il mio compleanno era stato quasi un mese fa ed ero ancora soltanto una ragazzina che aveva voglia di scoprire le bellezze della vita –per quanto alle donne come me fosse permesso– e non in età da marito.
 

“Io…” mormorai incapace di proferire parola.
“Mia figlia è molto onorata da tutto ciò, re Giuseppe, -si rivolse a me- vero cara?”
“Io… -abbassai lo sguardo- Si…”
“Bene, -Giuseppe sorrise- mi sembra tutto perfetto. Mio figlio è ancora in Francia, arriverà alla nostra villa a breve,  è una questione di giorni oramai. Manderemo un messaggero non appena arriverà e verrete subito a farci visita, siete d’accordo?”
“Certamente. Mi auguro che possiate trovarvi bene nella mia terra. Quello che è mio è anche vostro!” gli rispose mio padre.
 

Dopo altri discorsi sulle visite dei giorni seguenti il signor Salvatore con il figlio –Stefan, forse– uscirono dal palazzo e si allontanarono con la loro carrozza, verso la villa di loro proprietà che avevano appena comprato.
Rimasi sola, con i miei genitori ed i mio fratello.
Il silenzio che aleggiava nella stanza era davvero frustrante.
 

“Fra tre giorni andremo alla villa del re. In questo lasso di tempo conoscerai tutte le informazioni a riguardo del tuo futuro marito e i modi di come dovrai comportarti.” mio padre si fermò di parlare e mi accarezzò una guancia con sguardo rassicurante, poi riprese. “Dovrai dare una bella impressione al tuo futuro marito, no figliola?”
“Ma io…” mi bloccai. Tentare di ribattere ormai non serviva a nulla, almeno per ora. “Io non lo conosco, io no…”
“Figlia mia –mia madre mi guardò– neanche io conoscevo tuo padre, sai? Il nostro è stato amore a prima vista poi. Imparerai ad amare il tuo futuro marito.”
“Io non sono pronta per questo, io non voglio sposarmi!” mormorai con gli occhi lucidi.
“Questa è l’età giusta figliola e non si discute.” mi rispose mio padre autoritario.
 

Avrei avuto una crisi isterica da lì a poco, quindi decisi di congedarmi per evitare punizioni.
Dopo aver salutato i miei con un inchino, mi diressi in camera mia più adirata che mai.
Mi richiusi la porta alle spalle sbattendola, in un modo poco signorile e mi gettai sul letto.
Non ero pronta per sposarmi e sicuramente quell’uomo era più vecchio di me di una decina d’anni, anche se il fratello non lo era.
 

Mi era sembrato una brava persona, Stefan, e suo fratello come sarebbe stato?
Mi sentivo ancora una ragazzina e pronta per il matrimonio non lo ero.
Mia madre almeno si era sposata due anni dopo di me ed in due anni una donna matura, mentre ai diciotto sei ancora una ragazzina pronta per diventare una donna, ma non ancora al punto giusto.
 

Sentii una mano dietro alle mie spalle e solo in un secondo momento mi accorsi di Bonnie che mi stava scrutando con uno sguardo tra il dispiaciuto e il compassionevole.
Bonnie si sedette accanto a me e mi abbracciò, forse aveva ascoltato la conversazione.
 

“Mi dispiace, Elena…” mormorò.
“Non voglio farlo, Bonnie, non con un uomo che non amo!” mormorai singhiozzando.
“Magari ti piacerà, suo fratello mi è sembrato gentile, magari lo è anche lui!” dissi provando a tirarmi su il morale.
“Secondo me sarà tutto l’incontrario… Brutto, vecchio, cattivo, acido…” mormorai.
 

La mia amica più fidata scoppiò a ridere e con la sua risata fece ridere anche me, facendomi scordare per un attimo tutti i problemi che avevo.
 

“Non sarà così, sii fiduciosa. Il regno avrà due ottimi sovrani.” mi incoraggiò Bonnie.
“Io avevo sempre sognato un matrimonio con un principe, l’uomo che amavo…” borbottai.
“Ma hai sempre saputo di non essere destinata a tutto ciò.” terminò per me Bonnie.
 

Non avrei voluto terminare la frase, ma la mia amica l’aveva fatto per me.
Fin da piccola avevo sempre sognato il principe azzurro che veniva a salvarmi con un cavallo bianco con il suo mantello azzurro e che mi portava lontana e che avrei vissuto il mio ‘e vissero tutti felici e contenti’, ma ero cresciuta con la consapevolezza che tutto ciò non si sarebbe mai realizzato.
 

Chiusa fin da piccolina in un castello aspettando la maggiore età. Non posso rimpiangere di certo la mia infanzia, in cui mi è stato dato tutto, tranne lo spazio.
Solo una volta avevo varcato la soglia del castello, ma ero stata subito riportata indietro.
Da allora conservo solo un ricordo, quello di un bambino dagli occhi color ghiaccio.
 
 
 
 
 
 
 
 


Avevo sei anni ed io e Jeremy stavamo giocando fuori nell’enorme giardino della villa.
Non trovavo Jeremy da nessuna parte, l’avevo cercato dappertutto per ore e ore. Aveva solo quattro anni ed avevo paura per lui, si era sicuramente perso.
Mi stavo già immaginando le varie urla di mia madre e forse di mio padre –il mio eroe– e tutti preoccupati –giustamente– della sua sparizione.
 
“Jer? Jeremy?” chiamai invano mio fratello.
 
Uscii fuori dai confini del castello addentrandomi nel bosco.
Mentalmente mi ripetei tutte le raccomandazioni dei miei genitori sul non andare fuori dal castello cercando di trovarci in mezzo qualche informazione per non perdere la strada di casa o su cosa fare per ritrovarla.
Niente di niente, ovviamente.
 
“Jeremy, dove sei? Abbiamo finito di giocare, hai vinto tu!” dissi provando a farlo venire fuori.
 
Camminavo da minuti che sembravano ore, ma di mio fratello nessuna traccia.
L’avevo perso per sempre.
Mi fermai in mezzo al bosco e mi sedetti su un tronco iniziando a singhiozzare sommessamente.
Le lacrime bagnarono il mio vestitino giallo, mentre le mie scarpette bianche erano tutte pieni di fango.
 
Oltre ad aver perso mio fratello e a prendermi una bella sgridata, mia madre si sarebbe arrabbiata anche per il vestito.
Ma un vestito si poteva sempre ricomprare, no? Anche un fratellino si poteva ricomprare, ma io non ne volevo uno nuovo, volevo Jeremy.
 
A pochi passi da me vidi un enorme cane bianco con la lingua fuori che mi osservava. Non sapevo dire se in modo curioso o famelico.
Mi misi la testa tra le gambe ed iniziai a tremare.
 
“Ti prego, non… Mangiarmi…” mormorai al cane, convinta che mi capisse.
 
Il cane si avvicinò a me e mi annusò.
Con la mano tentai di mandarlo via, ma questi mi leccò il braccio e si sedette di fronte a me, come ad aspettare qualcuno.
 
“Non ti vuole mangiare…” mormorò una voce di fronte a me.
 
Timidamente alzai la testa e mi scontrai con gli occhi azzurro ghiaccio di un bambino.
Era più alto di me –e sembrava anche più grande di età– ed aveva dei capelli neri, neri come le piume di un corvo.
 
“Dici così perché sicuramente adora mangiare carne di bambine…” mormorai.
“Non dire sciocchezze! –esclamò divertito– Butch, vieni.”
 
Il cane andò incontro al bambino e gli si sedette di fianco.
 
“Vedi, è buono.” mi rispose.
“Mi voleva mangiare, prima!” gli ricordai.
“Non voleva mangiarti, voleva conoscerti!” si impuntò.
 
Quel grosso cane mi voleva mangiare, punto.
 
“Non ci credi, vero?” mi domandò.
 
Scossi la testa.
Il bambino rise divertito, poi mi guardò.
 
“Vieni. –Mi guardò e mi invitò ad andare vicino a lui– Forza, vieni!”
 
Mia madre mi aveva sempre detto di stare lontano dagli sconosciuti, ma un bambino non mi avrebbe mai fatto del male.
Mi avvicinai al bambino e questo mi prese una mano e la mise sopra la testa del cane. Istintivamente chiusi gli occhi per paura che il cane i mangiasse, ma quando gli riaprii trovai la mia mano attaccata al resto del corpo.
 
“Visto? Non ti ha mangiato!” sorrise beffardo.
 
Incominciai ad accarezzare l’enorme testolona del cane e questo iniziò a scodinzolare felice.
 
“Ti sei perso anche tu?” gli domandai.
“No, non mi sono perso. Sono a caccia con mio padre.” mi rispose.
“A caccia?” gli domandai.
“Si.” annuì.
“Ma non potete uccidere gli animali!” gli urlai contro.
“E dopo cosa mangio io, scusa?” mi domandò beffardo.
“Della verdura…” mormorai.
“Nanerottola, noi uomini dobbiamo mangiare anche carne.” mi rispose ovvio.
 
Lo guardai dall’alto verso il basso.
 
“Ti credi un uomo?” gli domandai.
“Certo, principessa.” mi rispose.
“Non chiamarmi principessa!” gli risposi.
 
Odiavo essere chiamata così.
 
“Perché, non lo sei? –Mi guardò attentamente, scrutando il mio vestito.– Sei vestita molto bene per essere una semplice bambina.”
“Anche tu lo sei.” risposi.
 
Ed in effetti era vero: era vestito come un piccolo principe, con un mantello azzurro che metteva in risalto la camicetta bianca e la sua pelle diafana.
 
“Beh, diciamo che lo sono.”
“Elena, Elena! Principessa! Dove siete?” sentii delle voci urlare il mio nome.
“Devo andare.” risposi al bambino.
 
Feci per voltarmi, ma mi ricordai di non sapere nemmeno il suo nome.
 
“Come ti chiami?” gli domandai e non sentendo nessuna risposta mi voltai.
 
Non c’era più.
 
 
 
 
 
 

 
Non sarei rimasta al castello un giorno di più o, perlomeno, non questa notte.
Decisi di passare la notte fuori, nel bosco, ad osservare le stelle.
Conoscevo il bosco come il palmo della mia mano, non mi sarei persa.
Dopo aver preso lo stretto necessario ed essermi infilata un vestito vecchio –ma comodo– misi un piede fuori dalla finestra e, attraverso l’albero, toccai il terreno del giardino.
Mi guardai ancora attorno e senza ripensamenti mi diressi nel bosco.
 
 
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 Note dell'autrice:
Ehmmm... Prova, prova. *si schiarisce la voce*
Alcune di voi mi conoscono già con "Nessun ostacolo potrà distruggere il vero amore" e sanno anche che mi piace scrivere cose strambe.
Questa è una storia nuova e l'ho ambientata in un'epoca che mi affascina tantissimo -e in cui ho visto tantissimi film. Forse tantissimi è un eufemismo, ma ok...- e in due luoghi a cui sono particolarmente legata: la Francia e l'Olanda.
Sono due paesi estremamente affascinanti ed è stato difficile scegliere e spero che la mia scelta piaccia a tutti.


Farò una piccola sintesi del capitolo: Elena è giovane, bella e che vuole vivere la sua vita al meglio, ma come tutti sappiamo -penso- nel 1800 alle donne era permesso poco o niente e lei, ovviamente, non ci sta.
Il padre e la madre, come avrete capito, hanno programmato un incontro e un matrimonio con una persona che lei non conosce e la nostra protagonista ha paura.
Ovviamente avete già capito di chi sto parlando, no?
Ho intenzione di rappresentare un'Elena un po' diversa, ma non troppo. In lotta con tutto e tutti, una ribelle, ma dal cuore tenero.

Spero che questo inizio piaccia e spero anche di ricevere qualche parere, un po' per sapere se la storia piace.
A breve -questione di giorni- posterò anche l'ultimo capitolo dell'altra mia storia, così poi mi dedicherò a questa.
Grazie per l'attenzione, a presto:)

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Capitolo 2
*** Il principe delle tenebre. ***






                          Il principe delle tenebre

                                           2.    



 
Pov Elena.
Mi ero addentrata nel bosco già da parecchio tempo e dopo aver trovato un luogo, che secondo me era sicuro, mi fermai per riposare.
Ero veramente stanca, le scampagnate notturne non facevano per me, ma avevo bisogno di pensare.
Scappare non potevo, ero la futura regina, mi avrebbero ritrovato subito, ma non appena sarei ritornata avrei fatto valere i miei diritti di donna.
 

Ma chi volevo prendere in giro?
Ero destinata a sposare un uomo che non conoscevo, che non amavo e a cui avrei dato dei figli e, peggio ancora, avrei dovuto passare la mia vita con lui.
Scossi la testa e alzai lo sguardo sopra il cielo blu.
Mille stelle troneggiavano ed alcune spiccavano dalle altre per la loro grandezza –anche se era poco visibile.
 

Amavo le stelle, erano come le persone.
Tante persone, ma si differenziavano le une dalle altre per qualcosa. Ognuna era diversa, a modo suo.
Da piccola avevo provato anche a contarle, ma, ovviamente, dopo poco avevo smesso. Era sempre meglio di contare le pecorelle per addormentarsi, dopotutto.
 

Rimasi così per un’ora, forse, e venni riportata alla realtà da un nitrito di un cavallo. Alzai lo sguardo e di fronte a me vidi un cavallo nero, che si distingueva dal paesaggio scuro per la chiazza bianca che aveva sulla fronte, con in groppa un cavaliere con un mantello nero.
Ero nei guai, magari aveva cattive intenzioni.
 

“Cosa ci fa una donzella tutta sola nel bosco?” mi domandò l’uomo.
“Potrei domandarle la stessa cosa, signore.” gli risposi spavalda, con un atteggiamento poco femminile.
“Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda, signorina.” rispose lui.
“Ma ad una signora si da’ sempre una risposta.” lo rimbeccai.
 

L’uomo scese dal cavallo e notai il suo mantello: era nero.
Fece qualche passo verso di me stando sempre però nella penombra.
 

“Sono di passaggio, devo arrivare alla mia abitazione. E tu, cosa ci fai qui?” mi domandò.
 

Bene, era passato al tu.
Uomo scortese.
 

“Osservavo le stelle, signore.” gli risposi indicandogli il cielo con un cenno della testa.
“Le stelle sono molto belle –fece qualche altro passo in avanti– assomigliano agli uomini e alle donne, cosa ne pensi?”
“Giusta osservazione. Così diverse, ma così uguali!” dissi sospirando.
 

L’uomo fece ancora qualche altro passo fino ad arrivare sotto la luce del sole e lì lo vidi completamente.
Alto, di corporatura ben piazzata, capelli corvini e magnetici occhi azzurri.
Cavallo nero, occhi azzurri e mantello nero. Assomigliava ad un principe, il principe delle tenebre.
Il mio sogno si stava avverando? Oppure avevo solo sbattuto la testa?
Sgranai gli occhi incredula, eppure avevo la sensazione di conoscerlo.
 

“Sono troppo bello per fare qualche altro passo?” mi domandò ironico.
 

Sbuffai e non gli risposi.
Modesto.
 

“Siete davvero modesto, lo sapete?” gli domandai.
“Si, diciamo che la modestia è il mio forte. Me lo dicono tutti!” mi rispose sedendosi accanto a me. “Quella –indicò un punto nel cielo– è l’Orsa Maggiore.”
“Come lo sapete?” gli domandai.
“Viaggio da molto tempo, anche in mare. Le stelle servono ai marinai per orientarsi e sono nostre amiche diciamo.” mi rispose.
 

Quindi era un marinaio?
Non l’avrei mai detto.
 

“Siete un marinaio?” domandai.
“Si, tra le tante cose che faccio sono anche un marinaio.” mi rispose.
 

Un leggero venticello si alzò e quando l’aria toccò la mia schiena iniziai a tremare, ma continuai a guardare le stelle.
Poco dopo sentii qualcosa appoggiarsi sulle mie spalle e notai che era il mantello dell’uomo a me sconosciuto.
 

Lo guardai senza farmi notare ed era giovane. Aveva massimo ventiquattro anni, se non uno in meno ed era estremamente bello.
Dentro di me si fece strada una strana sensazione, come a conoscerlo da sempre o almeno di averlo già visto.
 

“Grazie.” risposi.
“Non volevo farti morire congelata o farti diventare un  pinguino.” mi rispose sorridendo.
“Un semplice prego sarebbe bastato!” gli feci notare.
“Allora prego!” terminò lui.
 

Non so quanto tempo passammo così ad osservare le stelle, ma mi sembrò infinito.
Mi trovavo bene con lui a fianco.
Il primo ad attaccare discorso fu ancora lui.
 

“Non mi hai detto il reale motivo della tua presenza qui sul bosco!” iniziò.
“Le ho detto che era per…” mormorai, ma mi interruppe.
“Si, per guardare le stelle, ma io voglio sapere il reale motivo.” mi anticipò.
“Sono scappata!” risposi di getto.
 

Mi tappai la bocca all’istante.
Stavo dicendo ad uno sconosciuto i miei affari e questo avrebbe potuto spifferarli in giro.
Poco mi importava.
 

“Perché?” mi domandò.
“I miei genitori vogliono farmi sposare con un uomo, che non conosco.” gli risposi.
“E’ un dramma così tanto grande?” mi domandò.
“Non sono pronta per un matrimonio!” gli confessai.
“In questo paese le donne si sposano molto giovani, è il ciclo della vita.” mi fece osservare lui.
“Ma io non voglio!” dissi.
“Chiamale coincidenze o meno, ma anche mio padre mi ha organizzato un matrimonio con una donna importante e che non ho mai visto. Non ne sono felice, ma devo farlo. Dopo il matrimonio partirò in giro per il mondo e tornerò quando capita. Sono un uomo libero io!” mi rispose.
 

Mi scostai indignata.
Si sarebbe sposato e poi avrebbe lasciato sua moglie da sola, magari ad accudire suo figlio.
 

“Siete cattivo. Non potete abbandonarla!” gli risposi.
“Voi starete con una persona che non amate?” mi domandò.
“No, ma… E’ pur sempre vostra moglie. Io non potrei mai abbandonare mio marito…” mormorai.
“Perché non vi è concesso. Non mi piace avere limiti e legarmi a qualcuno. La mia vita è il mare e magari anche il divertimento, ma mio padre crede che sia io a dover adempiere a dei doveri, mentre quello più adatto sarebbe mio fratello!” mi rispose.
 

Purtroppo ero nella sua stessa situazione.
 

“Capita anche a me.” risposi.
“Vedi? Siamo simili. Non vogliamo rimare in gabbia, ma per te questo è più difficile.” mi rispose, poi continuò. “Per fortuna sono nato uomo.”
“Grazie, siete molto di sostegno.” gli risposi irritata.
“Forse dovreste ritornata a casa.” mi rispose.
“Si, si è fatta notte fonda…” mormorai alzandomi e porgendogli il mantello.
“No, tienilo.” mi rispose.
“Allora, addio.” lo salutai.
 

Feci per incamminarmi e tentare di ritrovare la strada di casa, ma un braccio mi fermò.
Quando entrò in contatto con il mio polso mille scariche si propagarono per tutto il mio corpo e –quando mi girai– vidi che anche a lui aveva fatto uno strano effetto questo contatto.
 

“Non sarei un cavaliere se non ti accompagnassi a casa, non credi? Il bosco non è sicuro di notte.” mi disse.
“Ma…” provai a ribattere, ma lui scosse la testa.
“Sali, forza.” mi invitò a salire sul cavallo.
 

Agevolata dal vestito salii sopra al suo cavallo senza nessuna difficoltà e mi parve di vedere anche dello stupore attraversare gli occhi del mio ‘compagno di viaggio’.
L’uomo salì a cavallo e lo fece andare al trotto.
 

“Aggrappati, non vorrei perderti nel bosco.” mi ordinò.
 

Un po’ titubante allacciai le mie mani nella sua vita e lui ordinò –con un colpo di gambe– al cavallo di andare più veloce.
In poco tempo, grazie alle mie indicazioni, mi condusse sul retro del castello e mi aiutò a scendere dal cavallo.
 

“Niente male…” lo sentii mormorare.
“Grazie straniero. Io comunque sono Elena.” gli dissi.
“Io sono Damon, straniera.” disse prendendomi la mano e baciandola.
 

Salì a cavallo e sparì nel nulla.
Sospirai a mi avviai verso la finestra della mia camera e non so come riuscii ad arrampicarmi e ad arrivare sana e salva.
Nel mio letto però trovai ad attendermi Bonnie.
 
 







                                                         * * *
 







 
“Mi stai dicendo che hai trovato una sorta di principe azzurro nel bosco?” mi domandò incredula.
“Si e mi ha riaccompagnata fino a qui in groppa ad un cavallo nero!” esclamai.
“Mi stai prendendo in giro!” constatò lei.
“No, per quanto possa sembrare strano è la verità, lo giuro!” le spiegai.
“Ok, mi racconterai i dettagli domani, ora devi dormire.” mi rispose ed uscì dalla camera.
 

Rimasta sola mi spogliai e mi misi la camicia da notte poi, una volta essere entrata nel letto, sprofondai tra le braccia di Morfeo.
 
 
 


Pov Damon.
Avevo ancora tre giorni di tempo prima di rientrare alla villa di mio padre e conoscere la mia futura sposa.
Chissà chi aveva scelto. Una delle solite bionde e senza cervello che si credono dee del sesso oppure una mora?
Probabilmente la regina d’Olanda era mora, ma magari oca.
Ci mancava solo quella.
 

Avrei trovato un buon passatempo a letto, anche se ne avevo sperimentato altri.
Non amavo stare con la stessa donna per più di una notte, è una delle mie regole.
Io, futuro re, sono uno degli scapoli più ambiti di Francia e Olanda, per cui avere una donna fissa è impossibile.
Io, marito? Ma neanche per idea.
 

Sarei partito una settimana dopo il mio matrimonio e mi sarei fatto vedere il meno possibile a casa mia. Mio padre avrebbe governato, insieme alla famiglia di lei, l’Olanda e tutti vissero felici e contenti.
Quella sera sarei potuto andare direttamente alla villa, ma avevo bisogno di svago.
L’incontro notturno con quella ragazza –bella per giunta– mi aveva fatto riflettere e capire che io della mia vita potevo fare quello che voglio.
 

Non sarei stato succube di nessuno, nemmeno della regina d’Olanda.
Dopo aver sistemato i miei magagli ed essermi assicurato della sistemazione del mio cavallo scesi di sotto ed andai al bancone per bere.
Mezz’ora dopo ero già a letto con una bella bionda.
 
 
 
 
 
 
Pov Elena.
[Tre giorni dopo…]
 
Il gran giorno era arrivato. Avrei conosciuto mio marito dopo attimi di angoscia, puro terrore ed anche impazienza.
Non vedevo l’ora di finire questa messa in scena architettata dai miei genitori e dal re di Francia.
Unire due stati? Idea assurda, ma a quanto pare secondo alcuni davvero intelligente.
 

Quella mattina fui svegliata presto da Bonnie che, dopo avermi fatto alzare di buon ora ed avermi fatto fare una doccia, mi fece vestire con un abito sul giallo e delle scarpe bianche e mi acconciò i capelli tentando di farli venire mossi.
Aveva fatto un ottimo lavoro, come sempre.
 

Una volta scesa in sala i miei genitori mi accolsero con gioia e calore, seguiti anche da mio fratello e da alcuni della servitù.
La colazione fu molto tranquilla. Praticamente avevano parlato solo i mie genitori e mi avevano raccomandato di non tenere il mio muso lungo e di essere cordiale con tutti.
 

Gli promisi di comportarmi bene e di essere il più solare possibile, anche se era un’impresa ardua.
La carrozza venne preparata per le dieci e mezza del mattino, circa.
 

“Elena, da questo incontro ne dipenderà il tuo futuro. Si ragionevole bambina mia e comportati come ti è sempre stato insegnato.” si raccomandò mia madre, mentre saliva in carrozza.

      

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Note dell'autrice:
Buona domenica a tutte/i.
Scusatemi del ritardo con cui ho postato, ma in questo periodo ho realmente avuto poco tempo per stare al pc.
Sei giorni di scuola e otto verifiche non è il massimo, no?
Comunque... Finalmente entra in scenda Damon, il principe tenebroso. Elena e Damon si sono incontrati in un mod strano, ma questo non è il loro primo incontro strano -il resto lo scoprirete più avanti.
Elena e Damon si capiscono, si affrontono e hanno idee uguali e diverse.

Entrambi si devono sposare, ma con chi?
Chi dovrà sposare Elena? Chi dovrà sposare Damon?
Nel prossimo incontro vedremo l'incontro tra Elena e il suo futuro marit:)
Ringrazio chi ha recensito e chi ha inserito la storia nelle varie liste, grazie mille.
Spero di ricevere altri pareri =)
Alla prossima, Horse_




 

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Capitolo 3
*** Damon ed Elena ***






                                                                                                      Damon ed Elena

                                                                         3.



Pov Elena.

Dopo che mia madre fu salita Jasper, uno della servitù, aiutò anche me a salire in carrozza. Il vestito che indossavo era davvero ingombrante e mi impediva anche i movimenti più semplici. Per una buona volta avrei preferito essere un uomo e vestire comoda come loro, ma a quanto pare non mi era permesso neanche quello.
 

“Andrà tutto bene, vedrai…” mi sussurrò Jeremy all’orecchio, mentre mia madre ci guardò torva.
“Grazie… -Sospirai- Jeremy…”
“Elena, avete capito cosa dovrete fare?” mi domandò, ancora, mia madre.
“Si, madre. Dovrò essere educata e cercare di parlare il meno possibile, l’ho capito.” le risposi.
“Bene figliola, imparate molto in fretta!” mi rispose mio padre accarezzandomi una guancia.
 

Annuii in modo distratto, poi mi concentrai sulla vegetazione che ci avrebbe accompagnato per tutto il viaggio.
Era una giornata calda quella ed era anche presto. Il sole scaldava il terreno e le piante che contornavano le strada avevano bisogno di acqua.
Erano tutte secche.
Non pioveva da circa due settimane.
 
Adoravo il bel tempo, ma preferivo di gran lunga la pioggia. Durante le giornate piovose ero solita chiudermi nell’enorme biblioteca del castello a leggere o scrivere sul mio amato diario che mia madre non aveva ancora scoperto. Non vedeva di buon occhio tutto ciò, ma era più forte di me.
Il mio diario era qualcosa su cui dare libero sfogo ai miei pensieri e mi impediva di non impazzire.
 
Ce n’avevo uno da quando avevo imparato a leggere e a scrivere, anzi, ne avevo avuti tre.
Mia madre mi aveva sorpreso per ben due volte a scrivere e me li aveva presi.
Erano tutti regali di papà, lui sapeva tutto.
Era stato lui a trasmettermi la voglia di scrivere e mi appoggiava in questo, infatti, ogni qual volta mia madre mi prendeva il diario, il giorno dopo ne ritrovavo uno di più bello sopra la mia scrivania con una lettera di mio padre.
 
Ero affezionata a lui, non che non fossi affezionata anche a mia madre, ma mio padre era mio padre.
Io e lui avevamo sempre avuto un legame speciale e sono fermamente convinta che il matrimonio non l’abbia scelto lui o, perlomeno, che abbia un ruolo secondario in tutto ciò.
Era sempre lui a raccontarmi di principesse che si innamoravano di principi e che vivevano felici e una volta mi aveva anche detto una frase riguardante tutto ciò: “Troverai il tuo principe figlia mia, ti saprà amare come nessun altro e ti saprà rispettare. Questo è quello che conta!
 
Dovevo solo pregare in una buona scelta e fidarmi dei miei genitori, per una buona volta.
 
 
 
 




Pov Damon.
Quella mattina fui svegliato dalla mia cameriera personale. Come un buon sovrano ne avevo una mia, anche se non era tra le mie preferite.
Vecchia, acida e con una barba –insolito per una donna– bianca.
Molto poco delicatamente mi aveva fatto alzare e, dopo avermi preparato una doccia, mi aveva fatto filare in bagno e in mezz’ora mi ero dovuto preparare tutto in punto.
 
La mia testa girava, reduce della sbronza della sera prima con mio fratello e Alaric.
 
 
 
 
 
 



“Il grande Damon Salvatore si sposa con la principessa d’Olanda, bel colpo amico!” mi beffeggiò Rick.
“Grazie Rick –feci battere il mio bicchiere con il suogentilissimo, come sempre!”
“Non è un dramma, Dam!” mi consolò mio fratello.
“Ma chi le vuole le donne dico io! Sono solo passatempi. –Mi rivolsi a mio fratelloNon potresti sposarti tu, invece?”
“Sei ridicolo! –Stefan e Alaric scoppiarono a ridere di gustoAnche se non mi dispiacerebbe, fratello. E’ davvero una bellissima ragazza!”
 

Mio fratello aveva degli standard di donna pessimi, quindi, se per lui era bellissima ero rovinato davvero.
 

“E sentiamo… Quanti anni ha questa ragazzina?” gli domandai.
“Avrà la mia età, più o meno… Circa diciotto anni!” mi rispose.
 

Uhmm… Giovane.
 

“E com’è, fratellino?” gli domandai curioso.
 

Da quando ero ritornato non faceva altro che ripetermi che ero stato fortunato e che era davvero una bella donna, ma doveva ancora descrivermela.
Che Giuseppe avesse fatto un buon lavoro?
Improbabile.
 

“Alta, dalla pelle olivastra, lunghi capelli castani e occhi da cerbiatta. E’ intelligente, timida, pura…” mormorò mandando giù l’ennesimo bicchiere di bourbon.
“Vacci piano Stef –indicai con il capo la bottigliaè già il quinto bicchiere quello!”
“Posso sopportare a lungo l’alcool, io!” esclamò scoppiando a ridere.
 

Stefan si alzò e mi diede una pacca sulla spalla.
Lo vidi osservare una ragazza dietro alle mie spalle con uno sguardo ‘famelico’ che non gli avevo mai visto usare.
Quello era uno sguardo famelico e innamorato.
 

“E’ la sua ragazza…” mormorò Rick.
“Interessante…” mormorai mentre osservavo mio fratello andare verso la ragazza bionda.
 

La ragazza non appena lo vide lo abbraccio.
Si scambiarono qualche parola, poi lei arricciò il naso e scherzosamente tirò una pacca sulla nuca a mio fratello.
Mio fratello dondolò la testa ed indicò la bottiglia accanto a me.
La bionda rise, poi i due si allontanarono.
 

“Chi è?” domandai ad Alaric.
“Lexi. E’ una brava ragazza, ma è di una famiglia della media borghesia.” mi rispose malinconico.
“E con ciò?” gli domandai.
“Si amano, lo vedo da come Stefan la guarda, ma Giuseppe non vuole che si frequentino.” mi rispose.
 

Mio padre si metteva sempre in mezzo. Voleva rovinarci la vita, ad ogni costo.
 

“Mio fratello è grande, deciderà lui per la sua vita!” gli risposi sicuro.
“No, -Alaric scosse la testa- non fino a che tuo padre sarà il re e vi avrà sotto la vostra tutela.”
 

Sorrisi ad Alaric.
Presto il tempo sarebbe scaduto.
 
 
 


 


 
Scesi nella sala dove mi stavano aspettando mio padre e mio fratello.
 

“Cosa devo fare con te, Damon?” mi domandò. “Possibile che non sei mai puntuale per una buona volta? Neanche oggi…”
“Pazienza… Non mi importa se è quello che credi.” mormorai.
 

Sentii mio fratello irrigidirsi al mio fianco e Giuseppe fulminarmi con lo sguardo. Oltre ad avergli mancato di rispetto non avevo utilizzato il voi.
Poco importava.
 

“Comportati –cambiò tono– bene almeno con la tua futura sposa!”
“Come se lo volessi…” mormorai e stavo per continuare, ma venni distratto dall’arrivo di una carrozza.
“E’ arrivata!” disse mio fratello sorridendo.
 

Mio padre si recò fuori dalla porta dell’enorme villa dove stavamo soggiornando e sia io che mio fratello lo seguimmo e ci fermammo accanto a lui.
Il cocchiere fece svoltare la carrozza a destra ed entrò nell’enorme giardino della villa, poi fece fermare la carrozza a qualche metro da noi.
Il cocchiere scese dalla carrozza ed aprì la porta.
 
Per primo scese un uomo sui cinquant’anni ed era sicuramente il re d’Olanda.
Poco dopo scesero anche la regina ed un ragazzino.
Tutti e tre si spostarono per lasciare spazio al cocchiere che aiutò anche la quarta persona all’interno della carrozza.
Vidi sbucare prima una mano ricoperta da un guanto bianco, poi un piede con una scarpetta bianca ed infine uscì del tutto la ragazza.
 
Sbattei più volte le palpebre di fronte alla figura che avevo davanti a me.
Capelli castani, occhi da cerbiatta, era lei, la ragazza del bosco.
 
 
 
 
 
 


Pov Elena.
Non appena scesi riuscii a riconoscere la figura del re Salvatore con i suoi figli accanto.
Uno era Stefan e l’altro era… Lui, il ragazzo del bosco.
Mi bloccai sul posto, tanto da far voltare mio padre preoccupato e notai mia madre preoccupata per la mia espressione.
 
Era lui il mio futuro marito?
Ma che domande stupide… Si, o forse il re di Francia aveva un altro figlio.
Magari era questa la triste verità ed io per un solo secondo mi ero anche illusa di aver trovato un vero principe.
 
Mio padre si avvicinò al re ed ai suoi figli, mia madre e mio fratello lo seguirono e dopo aver guardato per l’ultima volta Damon affiancai mia madre, tenendo lo sguardo basso.
Sentivo il suo sguardo addosso, ma non avevo il coraggio di guardarlo, non dopo essermi comportata così nel bosco.
Ero stata educata, certo, ma non ero stata una principessa corretta.
 

“Benvenuto nella nostra umilissima dimora, sire.” iniziò Giuseppe, sorridendo a mio padre e a mia madre.
“Grazie dell’invito, duca Salvatore!” gli rispose cordialmente mio padre.
“Voglio presentarvi l’altro mio figlio, Damon!” ci avvisò Giuseppe.
 

Damon fece qualche passo in avanti e sorrise in modo sghembo.
Strinse la mano a mio padre e a mio fratello, baciò la mano di mia madre e quando arrivò a me, mi guardò negli occhi.
Prese delicatamente la mia mano coperta da un guanto bianco e se la portò alla bocca. Indugiò alcuni istanti e mi sembrò di andare letteralmente a fuoco.
 

“Non sapevo fossi la futura regina d’Olanda…” mormorò a voce bassa e lo sentii solo io. “Onorato, principessa!” terminò poi alzando la voce e guardandomi negli occhi.
“Quei due si piacciono…” sentii mormorare mia madre.
“Venite, –ci richiamò il signor Salvatore– entrate pure.”
 

Mio padre entrò e noi tutti lo seguimmo. La casa era veramente enorme, non per niente era una delle ville più belle di tutta Olanda, degna di un principe appunto.
Il signor Salvatore si accomodò sull’enorme divano che troneggiava nella sala principale ed accanto a lui si sedettero Stefan e Damon. Damon era di fronte a me e di tanto in tanto mi guardava divertito.
 
Sembrava diverso dall’ultima volta –e secondo me prima– che l’avevo visto. Era più sarcastico, meno educato e più sotto pressione.
Persa nei miei pensieri non mi accorsi neanche della piega che stava prendendo il discorso tra i miei genitori ed i re della Francia.
 

“Allora, Elena, che cosa ne pensate?” mi domandò il re.
 

Fregata.
 

“Io…” mormorai tentando di capire almeno di cosa stessero parlando.
“Dove volete sposarvi? Qui o a palazzo? Il re mi stava dicendo che l’opzione migliore sarebbe il palazzo, così il papa potrà consacrare il vostro matrimonio…” mi spiegò il re.
 

Salvata in extremis.
 

“Io…” mormorai ancora incapace di proferire parola.
“Penso che il castello vada bene, no? –Intervenne Damon– E’ bello, spazioso…”
“L’avete già visto?” gli domandò mia madre incredula.
 

Si che l’aveva già visto.
 

“No, ma mio fratello me ne ha parlato…” spiegò lui con nonchalance.
“E’ un ottima idea –acconsentì mio padre– vi sposerete a palazzo, tra due mesi esatti.”
 

Sobbalzai sul posto.
Due mesi?
Tra solo due mesi? Due mesi erano relativamente pochi, anzi, pochissimi.
Sospirai pesantemente e nessuno aggiunse altro poiché venimmo accompagnati nell’enorme sala da pranzo.
 
Mio padre –su insistenza del re di Francia– occupò il posto a capotavola con accanto mia madre.
Jeremy si sedette alla destra di mia madre ed io alla sinistra di mio padre.
Accanto a me –per volere di Giuseppe e dei miei genitori– si sedette Damon, il mio futuro marito.
 
Anche se sarebbe stato lui mio marito io comunque non volevo sposarmi.
Non lo voleva neanche lui, me l’aveva detto. Vedeva le donne come oggetti e mi avrebbe abbandonato alla prima occasione.
Me lo ricordavo bene il suo discorso di quella sera, era stato chiaro, cristallino.
Il destino ci aveva fatti incontrare prima, ma aveva subito messo le cose in chiaro.
 
 
 
 



Pov Damon.
Elena era seduta accanto a me ed era tesa come la corda di un violino.
Non aveva toccato quasi nulla ed ogni tanto sospirava.
Lei sarebbe diventata la mia futura moglie. Poteva andarmi peggio.
Negli ultimi giorni avevo pensato alla donna che sarebbe stata al mio fianco e per un nanosecondo avevo pensato anche a lei, ma avevo scacciato l’ipotesi.
 
Era una ragazzina con le idee in chiaro e che non voleva sposarmi, come me.
Era troppo ingenua, dolce e pura per rimanere con uno come me, io non ero adatto per lei. L’avrei fatta soffrire inutilmente e non le avrei dato nulla dalla vita –se non dispiaceri– e lei dalla vita pretendeva tanto. Voleva essere una donna libera, indipendente ed io tutto questo non potevo permetterglielo, perché nessuno avrebbe permesso a me di farglielo fare.
 
La ragazzina seduta di fianco a me era ancora una bambina che voleva vedere il mondo e non era ancora pronta a diventare donna a soli diciotto anni. Sapevo che le donne si sposavano anche prima –molte volte– ma nei suoi occhi vedevo tutta la paura per il matrimonio e il timore di compiacere gli altri.
 
Inconsapevolmente le sfiorai una mano e la vidi sobbalzare sul posto.
Quando la mia mano entrò in contatto con la sua provai una sensazione strana, come mille scariche che si irradiavano in tutto il mio corpo. Che strana sensazione era questa?
Perché mi sentivo terribilmente strano quando ero con lei?



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Note dell'autrice:

Buona domenica a tutte:)
Alcune di voi mi hanno chiesto quando aggiornerò e penso di aggiornare una volta a settimana, precisamente di domenica. Ciò non toglie magari alcuni aggiornamenti in settimana, visto che ho più di qualche capitolo già pronto.
Finalmente Damon ed Elena iniziano a conoscersi e saranno loro i due futuri sposi, tra il loro più grande stupore.
Elena non vuole sposarsi -e di conseguenza non vuole sposare Damon- e anche Damon è deciso a non sposarsi. Entrambi vogliono essere liberi e sono consapevoli che un matrimonio non realizzerà mai i loro desideri.

Qui abbiamo visto Elena molto legata al padre, ma è legata -anche se qui non si vede molto bene- alla madre, solo che questa è un po' più dura. Ne ha passate tante e presto capiremo cosa ha passato. Anche lei, la madre di Elena, ha avuto una situazione simile, solo che qui c'era già amore.
Credo di non dover aggiungere altro, visto che questi sono ancora i primi capitoli introduttivi =)

Ringrazio infinitivamente le carissime ragazze (miatersicore23, sere 99 e Celeste 98) che hanno commentato lo scorso capitolo invogliandomi ad andare avanti. Ci sono sempre ed è per questo che le rigrazio :)
Ora devo scappare, ci sentiamo al prossimo aggiornamento.
PS: Stavo per dimenticarmi una cosa... Chi come me sta ancora sbavando ed ha ancora gli occhi a cuoricino per l'ultima scena Delena? Damon ed Elena, Nina e Ian, E P I C I! Ma... Il mio cuore -come il vostro- sarà costretto a soffrire ancora visto il prossimo promo... *Vendetta contro la Plec mode on*
(Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate).



 

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Capitolo 4
*** Leonardo da Vinci. ***



                          Leonardo da Vinci.


                                        4.               




Pov Elena.

“I due futuri sposi dovrebbero rimanere da soli, siete d’accordo?” domandò a tutti il re di Francia.
 

Avrei voluto dire qualcosa sul fatto che potevo rimanere anche seduta a tavola, ma Damon mi precedette.
 

“Penso che sia davvero un’ottima idea.” rispose lui.
 

Mia madre e mio padre sorrisero compiaciuti, poi Damon si alzò porgendomi la sua mano.
La presi delicatamente e mi condusse fuori, lontano da tutto e tutti.
Uscimmo nell’enorme giardino della villa e fortunatamente il sole non era poi così caldo. Tirava una leggera aria che finalmente mi fece respirare a pieni polmoni. All’interno della villa stavo soffocando.
 

“Ti senti meglio?” mi domandò.
“Non mi sentivo male, prima…” mormorai.
“Eri irrequieta e stavi sudando!” mi punzecchiò.
“Ma io… -Lo osservai- Si, mi sento meglio.”
“Ne sono felice. Non amo molto i pranzi che si portano per le lunghe e neanche tu…” disse.
“Si. Perché l’avete fatto?” gli domandai.
“Cosa?” mi domandò fissandomi curioso.
“Ecco… Portarmi fuori.” gli risposi.
“Stavi per morire dalla noia lì dentro e vorrei una sposa viva, se permetti!” disse ironico.
“Capisco…” mormorai annuendo.
 

Il silenzio che cadde fra di noi non fu imbarazzante come credevo. Era piacevole. Sentivo solo il suo respiro e naturalmente lui sentiva il mio.
Camminammo per un po’ nel giardino dove potei vedere con piacere tantissimi fiori di tutti i tipi, uno diverso dall’altro.
Erano uno spettacolo emozionante.
Damon mi accompagnò all’enorme fontana del giardino.
 

Al centro della fontana c’era un cupido che faceva finta di sparare una freccia verso l’alto.
L’acqua era limpida e si potevano vedere alcuni pesci dalle mille tonalità. Dal rosso, al bianco e perfino alcuni sull’arancione.
 

“Ti piacciono?” mi domandò.
“Sono meravigliosi. Non ne avevo mia visti di così colorati…” mormorai affascinata.
“Alcuni di questi pesci –mi indicò quelli sul verde– vengono dalla Spagna, altri dall’Italia.”
“Non sono mai stata in Italia…” mormorai.
“Io sono di origini italiane, ma la mia famiglia è migrata in Francia alla corte di mio zio e tramite la successione mio padre è diventato l’erede al trono e con lui io…” mi spiegò sorridendo e questa volta in modo dolce.
“E’ bella l’Italia?” gli domandai.
“E’ bellissima, la terra più bella di tutte!” mi rispose sicuro di se.
“Anche più bella dell’Olanda?” gli domandai fintamente offesa.
“Si, -mi guardò- non fraintendermi, ma l’Italia è una terra stupenda, ogni cosa ti sorprende.”
“Mi piacerebbe andarci, un giorno…” mormorai.
 

Ed era vero.
Una delle nostre lavoratrici –odiavo chiamarle serve– proveniva dall’Italia e molte volte mi aveva raccontato della bellezza di quella terra, fin da bambina sognavo di andarci.
 

“Un giorno andremo a Firenze…” mi rispose.
 

Lo vidi irrigidirsi di fianco a me, poi riprese come se nulla fosse.
Continuai io il discorso, vedendo il suo disagio.
 

“Siete originario di Firenze?” gli domandai.
“Puoi darmi anche del tu, Elena. In fondo io e te passeremo molto tempo insieme, no?” mi domandò.
“Sembra che vi… Ti dispiaccia…” mormorai amareggiata.
 

Lui è uno spirito libero mi ripetevo come una mantra.
 

“Sono uno spirito libero, Elena, ma no… La tue compagnia non mi dispiace… -mi guardò sorridendo ironico, ancora- Comunque si, la mia famiglia è originaria proprio di Firenze.”
“Leonardo da Vinci…” mormorai affascinata.
 

L’arte mi aveva sempre affascinata e Leonardo da Vinci era sempre stato uno tra i miei pittori preferiti.
Uno dei suoi famosi quadri era al Louvre, in Francia –appunto.
 

“Sei un’intenditrice d’arte, mademoiselle?” mi domandò divertito.
“No, ma amo l’arte e tutto ciò che la riguarda.” gli risposi.
“Allora devi vedere assolutamente questo!” mi rispose e si alzò prendendomi per mano.
 

Con l’entusiasmo di un bambino mi condusse all’interno della villa e mi portò in un enorme stanza e, solo in un secondo momento, mi accorsi che era una biblioteca.
Mi portò di fronte ad un quadro che si trovava proprio sopra una poltrona rossa e con mio grande stupore notai di essere di fronte alla Gioconda.
 

“E’…” mormorai incapace di proferire parola.
“Si, è lei!” confermò entusiasta.
“E’ una copia…” mormorai incredula.
 

Damon scosse la testa divertito e la indicò.
 

“No, è l’originale!” disse convinto.
 

Stavo per ribattere, ma fortunatamente non lo feci ed evitai una brutta figura.
Lui era il futuro re di Francia, logicamente poteva avere tutto quello che voleva, anche l’opera originale di Leonardo da Vinci.
 

“E’ meravigliosa, non l’avevo mai vista dal vivo…” mormorai incantata mentre ne osservavo tutti i particolari.
 

Lo sguardo nel vuoto che sembra che ti osservi era la cosa che mi aveva sempre colpita e naturalmente era la prima cosa che avevo osservato non appena entrata.
Il suo sorriso da una sensazione di mistero che non verrà mai svelato; le mani raccolte in grembo, il paesaggio tipico di Leonardo da Vinci e l’atmosfera impeccabile data dal pittore sono elementi che colpiscono chiunque la veda per la prima volta o solamente nei libri, in forma sbiadita o riprodotta a mano.
 

“Ora si!” mi rispose sorridendo ed avvicinandosi di più al quadro.
“Dovrebbe rimanere in un museo…” risposi.
“Mi piace tenerla qui, lontano da occhi indiscreti.” mi rispose soltanto.
“Capisco…” risposi.
“Non l’avevi mai vista dal vivo, no?” mi domandò.
“Effettivamente no.” gli risposi in modo triste.
 

Sapevo perfettamente il mio futuro e, ovviamente, non sarei mai andata in Francia.
 

“C’è qualcosa che non va?” mi domandò avvicinandosi.
“No, davvero!” gli risposi cercando di sorridere, ma con scarsi risultati.
 
 
 
 

Pov Damon.
Di solito non ero mai stato per più di un’ora o due con una donna senza trovarmi oppresso, come in gabbia, ma con Elena era diverso.
Forse con la sua aria da ragazzina, spinta troppo presto a diventare donna, o con il suo sorriso l’atmosfera era diversa, quasi piacevole.
 

Lei si sorprendeva con poco, era felice con molto meno.
Ed era così bella mentre osservava incantata la Gioconda che avevo fatto prelevare personalmente dal Louvre per portarla direttamente alla villa.
E ricordo ancora i rimproveri da parte di mio padre per questo gesto, ma ero stato così affascinato da quel quadro da portarlo direttamente qui.
 

Elena sorrideva entusiasta di fronte al quadro e di tanto in tanto mi chiedeva qualche informazione –il più delle volte conferme di quello che sapeva già.
Era intelligente, colta, elegante –nel suo modo di fare anche impacciato– e pura.
Era immacolata nel suo essere, era una sorta di perfezione che le altre donne non avevano.
Ma cosa diavolo andavo a pensare?
 

Le donne per me erano solo passatempi e lo sarebbe stato anche lei.
Una delle tante, come le donne che mi ero portato a letto nell’ultimo periodo, come la donna di ieri.
Avevo un viaggio programmato due settimane dopo il mio matrimonio e non potevo disdirlo o rinviarlo, ma in qualche modo mi sentivo stranamente in colpa.
 

In colpa per cosa poi non lo capivo.
Mi ero prefissato l’idea di viaggiare un po’, con la mia nave per scoprire nuove terre, chissà.
Il mio sogno era quello di ampliare i confini della Francia e non mettere su famiglia o governare uno Stato, Olanda o Francia che fosse.
 

Io non ero pronto per questo e non lo sarei mai stato.
Neanche lei era pronta per questo, forse non lo sarebbe mai stata.
Questa –per ora– non era la vita che voleva vivere e privarla così di tutto mi faceva stare male.
Perché dovevo stare male per lei se non la conoscevo nemmeno?
 

Il grande Damon Salvatore, eterno stallone, si era rincitrullito o aveva preso una botta così forte da aver perso tutto il buon senso che aveva prima –se era buono.
Oramai convincere Giuseppe era impossibile, poiché c’era la pressione del re d’Olanda ed allora avrei fatto quello che avevo deciso: sposarmi e viaggiare, indipendentemente dalle volontà altrui.
 

“Stai bene?” mi domandò Elena risvegliandomi dai miei pensieri.
 

Il suo tono era dolce e forse preoccupato.
Mi scrutava con i suoi occhi da cerbiatta e per un attimo mi persi in quel colore simile alla cioccolata che avevo assaggiato qualche giorno prima direttamente dall’America.
No, quel colore era assolutamente meglio.
 

“Si, tutto bene.” gli risposi lapidario.
“Eri strano… Scuotevi la testa e-” mormorò, ma venne interrotta da mio padre che entrò all’interno della stanza.
“La principessa deve ritornare a palazzo, si sta facendo tardi.” disse mio padre.
“Grazie!” rispose Elena e non sapevo se si riferisse a me o a mio padre.
 

Mio padre fece strada ad Elena e io silenziosamente li seguii.
Il re e la regina stavano aspettando la figlia, con suo fratello, nell’entrata della villa.
Quando ci videro arrivare la madre di Elena andò incontro alla figlia.
 

“Cara, dobbiamo andare…” le disse.
“Certo…” mormorò lei guardando la madre.
 

Prima di andarsene mi rivolse un sorriso che mi scaldò il cuore.
Mi sorrise e vidi anche i suoi occhi sorridere ed ebbi la sensazione che anche il suo cuore mi stesse sorrise.
Sentii una sensazione strana, ma non ci badai.
Quando ebbero salutato e se ne furono andati tutti venni fermato da mio padre.

 
“Allora, come ti sembra la principessa?” mi domandò mio padre.
“Come tutte.” risposi e dentro di me sentii di aver detto una bugia enorme.
 

No, lei non era come tutte, ma doveva diventarlo.
Non dovevo affezionarmi a lei, ne sarei rimasto scottato. Io non ero adatto a lei, non ero adatto a quell’essere puro.
Avrei portato soltanto tenebre all’interno della sua vita e non lo volevo.
 

“Non ne sei convinto neanche tu di questo…” mormorò divertito mio padre, poi si diresse nella sua camera.
 

Sentii la mano di qualcuno appoggiarsi sulla mia spalla. Era Stefan.
 

“Cosa vuoi, fratellino?” gli domandai.
“Lei ti piace o, perlomeno, ti ha colpito!” mi disse divertito.
“Non dire stupidaggini, fratellino!” lo rimproverai.
 

Forse, in cuor mio, sapevo che mio fratello aveva ragione, ma non volevo dargliela vinta.
 

“Si, certo… Damon… Lei ti piace, non ti ho mai visto guardare una donna così…” mormorò.
“Pensa a Lexi, Stefan.” gli risposi duro.
“C-cosa s-sai tu di lei?” mi domandò irrigidendosi.
“Non preoccuparti, Giuseppe non lo verrà a sapere. Divertiti, Stef.” lo rassicurai e mi avviai verso la mia camera.
“Damon… -mi bloccai sulle scale- Grazie.”
“Di niente, Stef.” gli risposi e con un cenno della mano lo salutai.
 
 
 
 

Pov Elena.
“Com’è stato?” mi domandò Bonnie mentre mi pettinava delicatamente i capelli.
“Strano e… Bello…” gli risposi.
“Com’è?” mi domandò riferendosi a Damon.
“E’ lui, Bonnie.” gli risposi.
“Lui chi?” mi domandò.
“Lui, l’uomo del bosco!” gli risposi.
“L’uomo del bosco? L’uomo del bosco! Esiste davvero?” mi domandò.
 

Scoppiai a ridere per la faccia incredula della mia amica.
Eccome se esisteva!
Esisteva davvero e l’avevo incontrato per ben due volte.
 

“Si, Bonnie, esiste davvero!” le risposi.
“E io che pensavo fosse una bugia… Sarai felice Elena, te lo meriti!” mi disse lei.
 

Abbassai lo sguardo e guardai il pavimento, come se da un momento all’altro fosse diventato più interessante.
No, non sarei mai stata felice.
Lui aveva altri progetti per la sua vita, come andare alla ricerca di terre sconosciute e aggiungere nomi alla sua lista di altre donne, l’aveva detto esplicitamente.
Damon Salvatore era uno spirito libero, non era adatto a me.
 

Eravamo simili di carattere e forse questo non andava bene.
Sia a me sia a lui non piace stare in gabbia e per questo vogliamo tutto quello che non abbiamo. Essere spiriti liberi è bello, ma inevitabilmente deludi le persone intorno a te.
Mia madre e mio padre si aspettavano da Damon troppo e lui questo non l’avrebbe mai fatto. Damon non avrebbe mai governato un paese suo, mai.
 

Odiava l’Olanda, odiava la Francia –l’avevo capito dal suo modo di parlarne– e amava solo l’Italia, il suo paese d’origine.
Magari in futuro si sarebbe sposato con una donna in Italia e avrebbe vissuto lì, dimenticandosi di me.
 

“Ho detto qualcosa che non va?” mi domandò Bonnie.
“Nulla Bonnie, sono solo un po’ stanca.” gli risposi per cambiare discorso.
“A domani, buonanotte!” mi rispose uscendo dalla mia stanza.
 

Mi tolsi l’ingombrante vestito che avevo portato per tutto il giorno ed indossai la mia camicia da notte bianca, lavata questa mattina.
Mi persi nel profumo che emanava ed andai vicino alla finestra a guardare le stelle.
Il cielo era limpido, pieno di stelle, come quello di qualche giorno fa, come quello di quella notte –la notte in cui lo avevo conosciuto.
 

Non so quanto tempo passai ad osservare le stella, ma decisi di andare a letto sul tardi.
Scostai le coperte dall’enorme letto a baldacchino e, una volta essermi coperta, appoggiai la testa sul cuscino abbandonandomi a Morfeo.




__________________________________________________________________________________________________

Note dell'autrice:
Oggi mi sento soddisfatta. Sono riuscita a concludere una storia e a postare un capitolo di questo prima di andare in gita scolastica.
Come qualcuno aveva predetto -o sperato- abbiamo visto Damon ed Elena da soli e man mano stanno imparando a conoscersi, ma entrambi sono insicuri dell'altro.
Damon con la sua presenza non vuole rovinare Elena ed Elena pensa che a Damon non importi niente di lei o forse è proprio Damon che glielo fa pensare con il suo comportamento.

Ma Damon  cambiato già dal loro primo incontro, ma questo Elena non lo sa :33
Secondo me il capitolo è stato un po' noioso, ma sta a voi dirlo.
Ho voluto rendere Damon ed Elena amanti dell'arte e della natura, poi capiremo in seguito perchè.

Ringrazio le due persone che hanno recensito lo scorso capitolo e mi sembra di vedere che la storia non entusiasmi più di tanto, aspetterò con i prossimi capitoli.
Alla prossima <3

 

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Capitolo 5
*** Guai in arrivo ***



                                     
                                        G
uai in arrivo

                                                 5.




Pov Elena.

(Qualche giorno dopo…)
 
“Principessa, dovete stare ferma…” mi disse autoritaria la sarta del palazzo.
“Mi scusi…” mormorai abbassando il capo.
 

Era da tre ore che stavo facendo la bambola di pezza e non avevano ancora finito con me.
Cosa avevo fatto di male?
Mia madre mi aveva obbligato a provare il vestito per il matrimonio –che precedentemente era stato suo.
 

“Dovrete fare dei ritocchi all’altezza del busto…” mormorò mia madre squadrandomi rivolta alla sarta.
 

La sarta portò le sue mani sul mio busto ed annuendo prese alcune misure.
Si, il davanti mi era decisamente grande.
Avevo provato a ribattere qualche volta, ma mia madre aveva detto che era tradizione usare l’abito della propria madre e così ero obbligata ad indossare quello.
Il vestito mi era largo perché Miranda aspettava me, ma nessuno lo sapeva; i miei genitori si erano amati in segreto poiché mio padre avrebbe dovuto sposare un’altra donna, ma alla fine si era ribellato ai suoi genitori –i miei nonni– e dopo tante pressioni e qualche malalingua si erano felicemente sposati.
 

Ovviamente io non potevo fare niente di tutto ciò, ero una donna.
 

“Principessa, capisco che vi stiate annoiando, ma ho quasi finito, non si preoccupi!” mi informò.
“Va bene, grazie…” mormorai soltanto.
 

Quel ho quasi finito si trasformò in due ore, ma finalmente –con largo anticipo– il mio abito era pronto.
La sarta si congedò ed io rimasi sola con mia madre.
 

“Quel giorno sarai stupenda bambina mia…” mormorò mia madre commossa.
 
Quando eravamo in famiglia da soli –cosa che non accadeva praticamente mai– potevamo togliere alcune formalità.
 

“Si…” mormorai fissando il pavimento.
“C’è qualcosa che non va?” mi domandò lei.
“Io… Niente…” mormorai.
“Ti conosco bambina mia, per me sei un libro aperto e per questo non devi nascondermi nulla.” mi rassicurò guardandomi attentamente.
“Madre io… Non mi sento pronta per affrontare tutto questo…” mormorai sconfitta, per poi continuare. “Io non sono pronta per governare l’Olanda e nemmeno la Francia, non sono pronta per…”
“Elena, basta! –mi fermò– Sei una donna ora e non sei più quella bambina che aveva paura del buio una volta calata la notte. Sei cresciuta ormai ed è questo il destino che ti aspetta.”
“Perdonatemi…” mormorai.
 

Ma ero io che dovevo scusarmi alla fine?
Io avevo dato voce ai miei pensieri più nascosti e alle mie paure più grandi, ma a me non era permesso nulla e quello che potevo fare era solo scusarmi.
 

“Capisco quello che intendi, Elena, anche io non ero pronta anche se avevo due anni in più di te, ma il futuro che ti aspetta è questo. Era già scritto da qualche parte e nel giorno in cui sei venuta al mondo si è compiuto, proprio come è accaduto a me. Non avrei mai immaginato di innamorarmi di tuo padre, mai, eppure lui ha stravolto la mia vita…” mi spiegò.
“Ma voi eravate… Siete innamorati, madre. Io non…” mormorai e mi bloccai incapace di continuare.
 

Conoscevo Damon da poco tempo, mi trovavo bene in sua compagnia, ma questo di certo non era amore.
L’amore è a prima vista ed io lo riconoscerei subito e con lui… Quando lo vedo, quando lui mi guarda io non capisco più nulla, ma questo non è sicuramente amore.
L’amore è qualcosa di unico, speciale tra due persone. Quando vedi la persona che ami ti batte il cuore, arrossisci, vorresti passare il resto della tua vita con lui e…
 

Perché a te non capita questo, Elena?
Scossi la testa e mi ridestai dai miei pensieri più profondi.
 

“Abbiamo cercato di scegliere per te una delle famiglie più importanti e di cui abbiamo la massima fiducia, figliola. Non potevamo fare di meglio, ne sono sicura.” mi rispose soltanto.
“Ne sono certa…” borbottai.
“Devi capire di più le persone, Elena. Guardati attorno quando sei con gli altri e imparerai a capirle più a fondo di quello che tu non faccia già. Io e tuo padre conosciamo i Salvatore da anni ormai, io e la madre del tuo futuro sposo eravamo legate, in qualche modo, e ti assicuro che tuo padre non poteva trovare uomo migliore per te. Impara a capire Damon, guardalo a fondo. Ho visto come ti guarda cara e se quello non è amore…” mi spiegò, fermandosi sul più bello.
 

Cosa intendeva?
Come mi guardava realmente Damon?
Damon mi guardava normalmente, come una normale donna della mia età, senza pretese e senza nessuna attenzione, anche se era stato veramente dolce con me.
Damon non mi amava, no.
Mi conosceva soltanto da qualche giorno.
 

“Cosa intendete, madre?” le domandai cercando di capirci qualcosa.
“Questo devi capirlo da sola Elena…” mormorò lei uscendo dalla porta.
 

Cosa dovevo capire da sola?
Cosa intendeva mia madre?
Io non potevo capire nulla e non avevo neanche il dono di capire le persone.
Io ero complicata e non potevo certo capire le questioni complicate che ogni persona riteneva di avere.
 
 







                                                        * * *
 







 
 
“Cosa intende tua madre con tutto ciò?” mi domandò Caroline.
 

Caroline era la mia migliore amica –insieme a Bonnie– e faceva parte di una della famiglie più ricche di tutta l’Olanda.
Conoscevo Caroline da quando avevo tre anni, poiché mia madre con la signora Lizz si frequentavano spesso e volentieri.
Caroline era una forza della natura: un tornado biondo alta quasi quanto me e con due splendidi occhi azzurri.
 

Molti principi avevano chiesto la sua mano, ma lei si era categoricamente rifiutata di diventare moglie di qualcuno così presto e soprattutto di unirsi ad un uomo che non amava.
Lei credeva nell’amore ed era molto più fortunata di me.
 

“Dice che devo capire i suoi comportamenti, scavare a fondo nel suo animo…” mormorai terminando il discorso di mia madre.
“Come pensiero filosofico andrebbe bene, ma non credo di averci capito molto…” mi spiegò.
“Neanche io ho capito molto di quello che mi ha detto ed è per questo che ho chiesto a te…” le spiegai a mia volta.
“Mi sforzerò di capirci qualcosa… Ma allora –si voltò di scatto con un sorriso furbo ad incresparle le labbra– com’è?”
“Com’è chi?” le domandai.
“Il re di Francia…” borbottò lei.
“E’ bello…” mormorai arrossendo.
“Bello come?” mi domandò maliziosa.
“Bello… Ha i capelli corvini, la pelle chiara, due occhi azzurri…” mormorai.
 

Caroline mi sorrise ammiccante e questo mi fece arrossire ancora di più.
Dove voleva arrivare a tutti quei sorrisetti?
 

“Mmm… Ed è vecchio?” mi domandò.
“No –scossi la testa– no…”
“Allora è perfetto! Ho già pensato al tuo futuro, ascolt-” iniziò, ma la interruppi esasperata.
 

Adoravo Caroline, era come una sorella per me, ma se iniziava a parlare poi non finiva più.
 

“Raccontami di Klaus, piuttosto…” mormorai ammiccante.
“Klaus? Klaus! Klaus… Oh… Ehm… Non c’è niente da dire…” mormorò imbarazzata passandosi una mano sul vestito.
“E dell’incontro nel giardino di casa tua ne vogliamo parlare?” le domandai.
“Come… Fai a… Saperlo?” mi domandò.
“Ho i miei informatori segreti…” le mormorai sorridendo.
“E’ dolce, premuroso, è un ragazzo d’oro…” mormorò la mia amica con aria sognante, ma poi si rabbuiò. “Mia madre ci ha scoperti…”
“Che cosa?” le domandai voltandomi di scatto.
 

Questo era un bel guaio.
Klaus era del ceto medio e ovviamente non poteva stare con Caroline, anche se il loro amore superava tutto.
Da un po’ di tempo continuavano a vedersi di nascosto, ma prima o poi qualcuno li avrebbe scoperti.
 

“Mio padre non sa nulla, mia madre manterrà il segreto, ma mi ha proibito di vederlo…” mormorò con gli occhi lucidi.
“Mi dispiace, Caroline…” mormorai abbracciando la mia amica. “Mi dispiace davvero tanto…”
“Principessa! Principessa Elena!” urlò una voce alle mie spalle.
 

Era il segretario personale di mio padre, colui che lo affiancava in ogni cosa, qualsiasi cosa.
Lo guardai in faccia mentre si stava avvicinando a me e a Caroline era terribilmente preoccupato.
 

“Il re…” mormorò annaspando.
“Il re? –lo guardai e non rispose–Il re cosa, Gerard?”
“Sta male principessa…” mormorò infine.
“Portatemi da lui.” gli ordinai con il cuore in gola.
 

Cosa aveva mio padre?
Gerard mi fece strada, mentre dentro di me il panico, la paura e il terrore crescevano come le onde del mare in tempesta.
Passammo attraverso gli interminabili corridoi del palazzo, fino a quando non arrivammo davanti alla stanza dei miei genitori.
 

Davanti alla porta erano radunati alcuni servi e delle cameriere.
 

“Cos’è successo?” domandai.
“Il re ha avuto un mancamento principessa. Il medico lo sta visitando e con lui c’è anche la regina…” mi spiegò Greta, una serva.
“Ma come è accaduto? Perché?” domandai con la voce tremante.
 

Mio padre era sempre stato in ottima salute, non si era mai ammalato.
Non aveva mai avuto niente. Stavo traendo conclusioni troppo affrettate.
 

“Si è sentito male durante una riunione –mi spiegò Gerard– e abbiamo chiamato subito il medico.”
 

Stavo per domandare se potevo almeno entrare, per vederlo.
Avevo bisogno di vederlo e di vedere il suo sorriso, quello che riservava solo a me, ma dalla stanza uscì il dottore.
Tentai di iniziare un discorso, ma il dottore mi bloccò.
 

“Principessa, potete entrare. Ho detto alla regina le varie cure da eseguire, il re si rimetterà presto.” mi disse il dottore.
“Come sta?” domandai.
“Sta bene, principessa. Non dovete preoccuparvi!” mi rispose.
 

Con un cenno del capo salutai il medico che si allontanò con alcuni servi ed io entrai nella camera di mio padre chiudendomi la porta alle spalle.
Mio padre era sdraiato nel letto, con la schiena appoggiata allo schienale sostenuta da due cuscini; mia madre gli era accanto, seduta su una sedia, e gli stava accarezzando una mano.
 

“Padre…” mormorai andandogli incontro.
“Bambina mia…” mormorò sorridendomi e fece per alzarsi, ma lo bloccai.
“Padre, state giù, dovete riposare…” gli dissi.
“Piccola mia, sto bene, ho solo avuto un piccolo malore dovuto ai continui sforzi!” mi rassicurò lui.
“Dovete riposare di più padre, fatelo per me.” gli risposi.
“Ti preoccupi troppo per me. Miranda –si rivolse a mia madre– lasciaci un attimo da soli.”
 

Mia madre annuì e si alzò dalla sedia. Guardò un’ultima volta me e mio padre poi se ne andò chiudendo la porta.
Quando mio padre chiedeva di rimanere solo con me era solo per comunicarmi qualcosa di relativamente importante.
 

“Elena –iniziò serio– sai che ho molta fiducia in te, vero?”
“Si padre…” mormorai e rimasi in silenzio per lasciarlo continuare.
“Io non so cosa pensa il medico e non so cosa mi sta accadendo, ma con il passare degli anni mi sento sempre più debole… Ormai sto diventando vecchio…” mormorò.
“No padre, siete nel fiore degli anni…” lo rassicurai.
“Elena, ho quasi cinquantacinque anni ed è ora che mi ritiri, finché sono in tempo. In questo periodo mi sento strano, sempre stanco e so di non riuscire più a gestire tutto come una volta, oramai ne sono consapevole…” mi spiegò.

 
Stava girando attorno al discorso.
Voleva dirmi una cosa importantissima –ne ero sicura– ma tentava in qualche modo di aggirarla.
 

“E’ per questo che una volta sposata cederò a te tutto il mio potere, se arriverò al giorno del tuo matrimonio.” terminò.
“No, padre –lo bloccai– cosa state dicendo? Siete ancora giovane e capace di governare in modo autorevole un paese come l’Olanda mentre io non saprei come…”
 

Mio padre mi bloccò e mi prese una mano.
 

“Sarai capace di governare come nessun’altro piccola mia. Saprai farti amare dai tuoi sudditi, da tutti, come io non sono stato in grado. Risolverai qualsiasi cosa, perché tu ne sei capace. Con te avrai un uomo come Damon che ti aiuterà e ti porterà sulla retta via…” mi disse, ma questa volta fui io a bloccarlo.
“No –scossi la testa– Damon non vuole governare questo paese e non vuole neppure governare la Francia. Io non sono adatta, lui non è… Adatto…”
“Lo sarete entrambi bambina mia. Imparerete a conoscervi ed insieme governerete questo paese portandolo al suo massimo splendore. Ho fiducia in te, ho fiducia in voi. –Mio padre mi accarezzò una guancia.– Lo so a cosa stai pensando, ma Jeremy non è adatto. Lui sarà sempre un eterno ragazzino e non sarà mai in grado di governare, mentre tu… Tu sei matura, anche troppo per la tua età, sei compassionevole e vedi del buono in tutti ed è per questo che affido a te il controllo dell’Olanda e di tutti i suoi abitanti.”
“Io non so cosa dire…” mormorai a corto di parole.
 

Sapevo che prima o poi sarebbe accaduto, ma mi sarei immaginata sul trono fra una decina d’anni, non così presto, a soli diciotto anni.
Mio padre mi stava affidando un incarico più grande di me e io non ne sarei mai stata capace.
Non sarei mai stata capace di governare un paese in cui il popolo credeva nella libertà, io non potevo dare quello che loro chiedevano.
 

Mio padre era un re autoritario, ma amato da tutti.
Io non sarei mai stata in grado di ripercorrere le sue orme.
Né ora, né mai e essere da sola non aiutava affatto.
 
“Non sarai sola bambina mia, vedrai.” mi rassicurò.
 
 
 


Pov Damon.
“Chi stai aspettando con così tanta impazienza?” domandai a mio padre che stava aspettando –evidentemente– qualcuno sulla soglia della porta.
“Arriverà un membro importante della nostra famiglia, un  tuo cugino…” mormorò mio padre.
 

Alla parola cugino mi bloccai.
Con alcuni cugini andavo veramente d’accordo, ma uno in particolare non lo sopportavo proprio. Molte volte eravamo arrivati anche allo scontro fisico, rimediandoci entrambi un occhio nero e gli zigomi gonfi ed una volta pure il labbro rotto.
 

Mi aveva sempre provocato, in qualsiasi modo, poiché era geloso del mio ruolo all’interno del palazzo, ovvero futuro re di Francia e ovviamente sarebbe venuto a conoscenza anche del mio matrimonio e avrebbe fatto di tutto per sabotarlo, ne ero certo.
 

“E’ arrivato!” esclamò mio padre facendo qualche passo in avanti, mentre Clark, uno dei nostri servi, accoglieva la carrozza che era appena entrata all’interno della villa.
 

Dalla carrozza scese un uomo, sui trent’anni e con un sorriso che avevo voglia di far sparire da quel viso.
Parlando del diavolo… Quel diavolo si chiamava Erik.

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Note dell'autrice:
Buon inizio di settimana a tutte/i :)
Volevo avvisarvi che in questo periodo penso (e spero) di aggiornare più frequentemente, visto che in gita ci sono andata la scorsa settimana e i professori sembrano essersi calmati, più o meno.
Inizio con il ringraziare tutte le ragazze -ben otto- che hanno recensito lo scorso capitolo con parole meravigliose, che mi hanno fatto realmente commuovere.
Per uno scrittore è importante sapere i pareri dei propri lettori e come l'avete detto voi è stato meraviglioso, per cui vi ringrazio davvero tanto <3

Per quanto rigurda il capitolo, è molto importante.
Non è uno di quei capitoli di passaggio, ma bensì uno fondamentale.
Ci sono tre fatti importanti che avranno ripercorrenze in futuro, ma sta a voi capire quali!
Finalmente in questo capitolo si vede anche il rapporto che ha Elena con la madre, che non è affatto brutto come poteva sembrare. Miranda vuole soltanto del bene per Elena, per questo lei e Grayson hanno scelto Damon come futuro sposo, perchè prima c'era un altro pretendente.

Poi rivediamo il rapporto unico che lega Elena al padre e spero di aver trasmesso qualcosa con questo :)
Per ultimo, ma non meno importante, c'è Damon e l'arrivo di questo misterioso cugino che sicuramente porterà dei guai.
Con questo me ne vado, alla prossima <3


 

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Capitolo 6
*** Thunder ***


                                                         Thunder 

                                                   6.





Pov Damon.

“Zio Giuseppe!” disse mio cugino andando ad abbracciare mio padre.
 

Io e Stefan ci osservammo e vidi mio fratello lanciarmi una tacita richiesta, ovvero quella di non combinare danni irreparabili.
Mio fratello era stato spettatore delle nostre numerose liti e qualche volta ci era entrato anche lui, per fermarmi. Sapeva bene che non ero io dalla parte del torto, ma per mio padre, ovviamente, lo ero sempre.
 

Per Giuseppe –che difficilmente chiamavo padre– ero la pecora nera della famiglia, il ribelle in persona, il figlio maledetto che non aveva preso niente da lui.
Forse anche lui era stato come me, da giovane, ma poi era dovuto cambiare in fretta per guidare la Francia nelle sue importanti vittorie.
Era stato comandante della cavalleria, fino a quando il re, mio nonno, non era morto così è toccato a lui il compito di governare il Paese.
 

E mi ha detto –esplicitamente– che il suo successore sono io, anche se so che non è d’accordo con tutto ciò. L’ha fatto solo per non far comparire chiacchere inopportune che la gente si sarebbe posta: perché mai il primogenito del re non è il suo erede?
Domanda più che lecita e mio padre, volendo evitare tutto ciò, ha affidato a me il trono –fra pochi mesi verrà affidato a me.
 

Io so bene che Giuseppe voleva Stefan come re –ed anche io lo volevo– perché io fratello è un ragazzo con la testa sulle spalle, anche se è con il muso lungo perennemente o attaccato troppo al suo ciuffo, ma lui è l’uomo adatto, lui sarebbe un re perfetto, non io.
E ce lo vedrei bene anche con la mia futura sposa, ma anche questo è toccato a me.
 

Non che mi dispiaccia Elena, è una ragazza solare, intelligente e così ingenua, ma io in qualche modo so di non essere adatto a lei, né ora, né mai.
La farò soffrire –perché lo so già–, non sarò mai un marito e padre perfetto. Io con un figlio?
Non avevo mai pensato a questo, ma non so badare neppure a me, figuriamoci ad una donna o ad un figlio tutto mio.
 

Ho già organizzato un viaggio in Francia, esattamente una settimana dopo il mio matrimonio, ed ho intenzione di andarci, anche se dovrò lasciare Elena e l’Olanda e deluderò tantissime persone, ma infondo a me non importa di nessuno.
 

“Cosa c’è cugino, non mi salutate?” mi domandò Erik con un sorriso falso come quello di un brigante colto in fallo.
“Salve, cugino!” sputai al suo indirizzo.
“Ciao, Stefan!” disse mio cugino –se lo potevo definire tale– a mio fratello.
“Erik…” mormorò lui stringendogli la mano sotto lo sguardo incerto di mio padre.
“Come mai è qui?” mi rivolsi a mio padre duro.
“Suvvia, Damon, vostro cugino è venuto qui per assistere al vostro matrimonio…” mi disse mio padre lanciandomi un’occhiata ammonitrice.
“Con così tanto anticipo?” domandai duro.
“Sono venuto qui anche per conoscere la sposa, cugino. –mi lanciò uno sguardo di sfida– Voglio conoscere la principessa d’Olanda e futura regina…”
“Oppure vuoi boicottare il mio matrimonio…” mormorai e quella frase la sentì solo Erik, visto che mi rispose a tono e con lo stesso grado di voce.
“Può darsi, Damon…” mi rispose.
“Clark, accompagnate Erik nella sua stanza.” ordinò mio padre a Clark.
 

Il servo prese i bagagli di Erik e gli fece strada.
Non appena sparì dalla mia vista e una volta essermi accertato che non mi sentisse riversai la mia rabbia su mio padre.
 

“Perché l’hai invitato!?” ringhiai.
“Modera i toni, Damon!” disse alzando la voce di un’ottava.
“Perché?” ringhiai di nuovo.
“E’ tuo cugino e fa parte della tua famiglia e -che ti piaccia o no- parteciperà al tuo matrimonio!” mi rispose.
“Io non lo voglio qui, chiaro?” urlai.
“Peccato che sia già qui!” mi rispose Giuseppe in tono gelido, per poi andarsene.
“Damon –mio fratello mi appoggiò una mano sulla spalla– non combinerà nulla, lo terremo d’occhio.”
“Lo spero…” mormorai per poi uscire nel giardino.
 

Andai nella scuderia che era nel lato ovest della villa.
Aprii l’enorme portone in legno che la chiudeva ed una volta entrato mi richiusi la porta alle spalle.
Cercai con lo sguardo il mio cavallo Thunder e lo trovai tranquillo mentre stava mangiando del fieno. Adoravo quel cavallo, ero legato a lui in una maniera indissolubile.
Era l’unico regalo di mia madre, quello che mi rimaneva di lei.
 

Me l’aveva regalato quando avevo dieci anni, due anni prima della sua scomparsa.
 
 
 
 
 
 


“Damon, piccolo, vieni qui.” mi chiamò mia madre.
“Si, mamma?” le domandai innocentemente mentre guardavo i suoi occhi azzurri, così simili ai miei.
“Vieni qui, –mi indicò le sue gambe. Senza farmelo ripetere due volte mi sedetti sopra di leicome stai ometto?”
“Bene, mamma. Avete visto il mio disegno? –le indicai il disegno sopra il tavoloL’ho fatto per voi.”
 

Mia madre mi accarezzò la testa ricoperta da capelli corvini sorridendo soddisfatta.
Ero il suo piccolo ometto, neanche Stefan lo era.
Ero il suo cavaliere senza macchia e senza paura che la difendeva dai mostri cattivi o almeno era quello che credeva mio fratello.
L’avrei sempre protetta, anche se i mostri non esistevano.
 

“E’ stupendo, Damon. E’ il più bel disegno che io abbia mai visto mon fils, sei un piccolo artista!” mi disse orgogliosa.
“Lo pensate davvero, madre?” le domandai.
“Certo amour, lo penso davvero. Stefan è con tuo padre?” mi domandò.
“Si, è con lui…” mormorai un po’ amareggiato.
 

Sapevo benissimo che mio padre preferiva Stefan e me, me lo dimostrava continuamente, ogni secondo, ogni minuto, ogni giorno, ogni mese… Sempre.
 

“Non essere geloso, Damon. Tuo padre ti vuole bene, così come il tuo fratellino…” mi spiegò dolcemente.
“Anche io voglio bene a Stef…” le spiegai.
“Lo vedo, piccolo. Voi due siete fratelli e vi dovrete sempre volere bene. Capiterà qualche volta di inceppare nel cammino della vita e di litigare, ma dovrai sempre ricordarti che quello è tuo fratello. Dovrai sempre proteggerlo da tutti e così lui farà con te!” mi spiegò.
“Proteggerò sempre Stefan, è una promessa madre.” gli promisi.
“Sei un ometto di parola tu e mi fiderò sempre di te. Ora vieni –si alzò tenendomi fra le sue bracciavoglio farti vedere una cosa.”
“Che cosa?” le domandai curioso.
“E’ una sorpresa, chiudi gli occhi ora!” mi ordinò sorridendo.
 

Sbuffai –suscitando la risata di mia madre– e chiusi gli occhi.
Sentii mia madre uscire di casa ed andare verso un luogo a me ignoto.
Mi posò per terra e mi prese una mano in modo da condurmi dove voleva però sempre facendomi tenere gli occhi chiusi.
Capii che eravamo arrivati quando mia madre si fermò.
 

“Ecco, ora puoi aprire gli occhi.” mi avvisò.
 

Aprii gli occhi, prima uno, poi l’altro.
Davanti a me c’era un recinto bianco, con all’interno un cavallo, anzi, un puledro.
Stava trotterellando felice attorno alla sua mamma che lo stava spingendo con il muso incitandolo a correre.
Il puledro era nero, come la pece, come i miei capelli. Aveva una folta criniera anche per la sua tenera età e sulla fronte aveva una stellina bianca.
 

Spalancai la bocca e mi avvicinai subito al recinto.
Mi arrampicai sulla staccionata e mi sedetti sul bordo ad osservare meravigliato il puledro e la sua mamma. Lei era bianca, invece.
 

“E’ stupendo…” mormorai incantato.
“Ti piace così tanto?” mi domandò mia madre tenendomi per i fianchi.
“Si…” le risposi non riuscendo a staccare gli occhi dal cavallino che si stava avvicinando a me.
 

Sussultai per la sua vicinanza e in un primo istante sarei balzato giù dalla staccionata, ma decisi di rimanere lì.
Il cavallino si avvicinò ancora di più e mi scrutò attentamente, poi mi leccò una mano.
 

“Hey…” mormorai indignato, ma divertito allo stesso tempo.
“Vedi, ti vuole già bene!” mi rispose mia madre.
“E’ nostro?” domandai e sperai con tutto il cuore in una sua risposta affermativa.
“No –scosse la testa e mi rattristai subito, ma la vidi cambiare espressione–  è tuo, solo tuo.”
 

Mi girai di scatto ed abbracciai forte mia madre, mentre questa mi accarezzava i capelli e mi posava dei baci sul capo.
 
 
 



 
 
 
 
Quel giorno era stato il più bello di tutta la mia vita.
Mi avvicinai al box di Thunder e gli accarezzai il muso nero.
Questo mi toccò la mano per scoprire se vi era qualcosa.
 

“Lo so cosa vuoi, –mi frugai in tasca alla ricerca di zollette di zucchero– tieni.”
 

Portai la mano all’altezza della sua bocca e il cavallo iniziò a mangiucchiare le zollette, fino a quando non le finì tutte.
Spinse ancora la mia mano, alla ricerca di altro cibo, ma lo fermai.
 

“Ora usciamo un po’!” gli dissi e fu come se mi capì.
 

Il mio cavallo nitrì felice ed osservò l’attrezzatura da passeggio al di là della mia testa.
Presi la sella e la posizionai sopra il garrese del cavallo e dopo averla allacciata andai davanti a lui e gli misi le briglie.
 

“Ottimo…” mormorai accarezzando il muso di Thunder.
 

Lo condussi fuori nell’enorme giardino.
 

“Dove vai?” mi domandò mio fratello.
“A fare una passeggiata…” mormorai, poi ripresi. “Vuoi venire?”
“No, -scosse la testa imbarazzato- vado da Lexi.”
“Che scusa hai trovato con Giuseppe?” gli domandai.
“Che andavo in paese da Alaric. Visto che nessuno ci conosce, -mi guardò e si corresse- mi conosce ho una scusa in più.”
“Va bene –salii sopra al cavallo– a dopo.”
 

Diedi di gambe e il cavallo iniziò a trottare, poco dopo lo lanciai a passo spedito fuori dalla villa, all’interno del bosco.
 






 
                                                                                       * * *
 
 






Adoravo la solitudine ed adoravo anche la natura. Adoravo il silenzio che si creava all’interno di luoghi sperduti, il rumore dell’acqua, il cinguettio degli uccelli, il fruscio che provocava il vento tra le foglie.
Feci andare il cavallo più lento, frenandolo con le briglie in modo da godermi tutto il panorama.
 

Il paesaggio dell’Olanda era veramente splendido, almeno una cosa buona c’era qui.
Continuai a camminare –ovviamente era il cavallo che si muoveva– per mezz’ora circa, poi venni attratto dalle risate di tre fanciulle.
Ne distinguevo le voci ed ero riuscito a calcolarne il numero.
 

Curioso condussi il cavallo fino al fiume, che trovai in poco tempo grazie al forte rumore che faceva.
Attraversai dei cespugli non troppo fitti e finalmente arrivai.
Davanti a me vidi tre ragazze: una bionda e due more.
Sgranai gli occhi non appena riconobbi il volto di una delle due more.
Elena.
 

“Buon pomeriggio signore!” le salutai e queste si voltarono di scatto.
 

Scoppiai a ridere notando l’espressione della bionda e i suoi occhi che si sgranarono per lo spavento e la sorpresa di ritrovarsi un uomo di fronte.
Elena mi scrutava sorpresa, mentre l’altra mora –che aveva la pelle scura– mi guardava con la bocca aperta.
Con un agile scatto scesi dal cavallo e mi avvicinai in modo cauto, non volendo spaventare le altre due, mentre Elena non si decideva a proferire parole.
 

“Damon?” mi chiamò.
“Elena, signore.” le salutai inchinandomi.
“Damon? Damon! –la bionda si portò una mano sulla bocca– Siete Damon Salvatore?”
“Sono già diventato così famoso?” domandai ironico.
“Avevi ragione…” mormorò la mora ad Elena.
 

Elena annuì, poi mi guardò curiosa.
 

“Cosa ci fai qui?” mi domandò.
“Sono venuto a fare una passeggiata a cavallo –indicai Thunder– come puoi vedere. E cosa ci fanno tre giovani donzelle da sole?”
“Passeggiata a cavallo!” mi rispose Elena sorridendo.
 

La sua voce era qualcosa di melodioso e dolce allo stesso tempo.
Era musica per le mie orecchie. Avrei voluto ascoltarla per ore.
Damon, ma che razza di pensieri fai?
 

“Dovrei presentarmi educatamente… -mormorai a mi avvicinai alla bionda e alla mora- Damon Salvatore, signore.”
 

Baciai ad entrambe la mano. La bionda annuì, mentre la mora arrossì vistosamente.
 

“Caroline Forbes…” mormorò la bionda.
“Bonnie Bennett…” mormorò la mora, poi continuò a parlare. “Caroline, dovremo andare…”
 

La bambolina bionda alzò un sopracciglio, poi annuì capendo qualcosa, che io non avevo capito.
 

“Elena, noi andiamo, tu rimani qui. E’ stato un piacere conoscervi signor Salvatore!” disse la bionda salendo a cavallo aiutata dalla mora.
“Il piacere è tutto mio, signore.” le salutai.
 

Anche la mora salì a cavallo –senza alcun problema– ed entrambe partirono lasciandomi da solo con la mia futura moglie.
 

“Non sapevo fossi un’amazzone…” iniziai.
 

Elena sorrise e annuì.
 

“Non sai molte cose su di me…” mormorò e guardò l’erba sotto i nostri piedi.
 

Portai una mia mano sul suo mento e le alzai il viso, così da guardarla negli occhi.
Il contatto con la sua pelle mi mandava in estasi. Era fuoco puro.
Il mio cuore aumentò di qualche battito, mentre sentì un profondo desiderio invadere tutto il mio corpo.
In qualche modo riuscii a tenerlo a bada.
 

“Sentiamo… Che altre cose devo scoprire?” le domandai avvicinando il mio volto al suo.

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Note dell'autrice:
Buona Pasqua a tutti, anche se in ritardo di un giorno.
Mi scuso anche per l'enorme ritardo con cui ho postato, ma il computer ha avuto problemi -che tra l'altro ho causato io. Per tentare di guardare la puntata di The Originals di mercoledì (stupenda *-*) ho schiacciato qualcosa (?) e ho mandato in palla tutto xD Naturalmente io con la tecnologia non ci so fare, quindi...

Passando al capitolo... E' un capitolo di passaggio, come tutti quelli iniziali, ma vediamo subito che tra Damon ed Erik non scorre buon sangue ed ha ragione il nostro bel Salvatore ad odiare così tanto il cugino.
Non odiate Giuseppe, più avanti si scoprirà perchè l'ha invitato.
Il momento più bello è stato scrivere di mamma Salvatore e di Damon piccolino (carino e coccoloso <3) e spero che sia piaciuto anche a voi :33
Secondo me era Damon quello più affezionato alla madre, anche se nel film Stefan praticamente non l'ha vista o ha solo pochi -pochissimi- ricordi di lei.

Sinceramente non ho altro da dire, tranne che nel prossimo capitolo ci saranno Elena, Damon e il bosco -ancora xD
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e vi invito (senza pressione u.u) a passare a leggere 
The Daughter of damned una mia mini long che durerà circa tre capitoli :)
Alla prossima <3

 

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Capitolo 7
*** Pioggia ***




                                                          Pioggia
                                                               7.                                            




Pov Elena.

Damon avvicinò il suo viso pericolosamente al mio; sentii il suo respiro caldo sul mio viso. I suoi occhi azzurri posarsi sulle mie labbra. Una sua mano mi accarezzò una guancia –con una delicatezza disumana– e si soffermò sul mio zigomo.
Un suo polpastrello lo sfiorò e sentii la mia pelle bruciare sotto il suo tocco lento e delicato.
 

Deglutii a causa della vicinanza e mi sentii profondamente turbata da tutto quello che stava accadendo e di tutte le sensazioni che stavo provando. Il mio corpo non aveva mai reagito così: tutti i miei muscoli erano tesi e mi imploravano di avvicinarmi di più a lui.
Per un attimo mi abbandonai al suo tocco e sentii come una scarica, che mi invogliava a spezzare tutte le distanze e appoggiare le mie labbra sulle sue.
 

Ma cosa diavolo stavo pensando?
Ero diventata così sprovveduta da baciare uno sconosciuto?
No, mi dissi a mente, non è uno sconosciuto, è il tuo futuro marito.
Mi staccai da lui e spalancai ancora di più gli occhi e non proferii parola. Tutto questo mi aveva portato a non aprire bocca per fermarlo o per dire qualcosa di sensato.
 

“A dire la verità –deglutii– non sono proprio un’amazzone…”
 

Damon si ridestò dai suoi pensieri e mi guardò divertito, eliminando tutto l’imbarazzo creatosi prima.
Mi guardò ancora e si posò una mano sul mento.
 

“E allora cosa sei? Sai cavalcare?” mi domandò.
“Certo che si, ma non cavalco all’amazzone!” dissi gonfiando le guance.
 

Scoppiò a ridere in una risata che contagiò anche me, anche se risi in modo più moderato.
 

“Le donne cavalcano all’amazzone!” disse sottolineando le ultime due parole.
“Io no!” risposi utilizzando il suo stesso tono.
“Cavalca come un uomo, madame?” mi domandò divertito.
“Si, ha qualcosa in contrario monsieur?” gli domandai.
“Conosci il francese?” mi domandò sbigottito.
“Si. Te l’ho detto, hai tante cose da scoprire su di me!” gli risposi con uno sguardo di sfida.
“Iniziamo subito allora! –Damon montò a cavallo con grazia– Mostrami cosa sai fare!”
 

Lo guardai spalancando gli occhi.
Voleva fare una corsa?
Mia madre –e anche mio padre– mi avrebbe come minimo uccisa. Mi aveva ordinato di tenere un comportamento da signora con qualsiasi uomo e sicuramente gareggiare con uno di loro non era certamente un comportamento signorile.
 

“Hai paura di perdere?” mi domandò ancora guardandomi.
“No –salii a cavallo– certo che no!”
“Ottimo! –mi sorrise– Arriviamo fino alla Valle dei Lupi!”
“No, alla Valle dei Lupi no…” mormorai preoccupata.
“Perché no?” mi domandò.
 

La Valle dei Lupi era popolata da lupi per l’appunto.
I lupi –seppur fossero animali fantastici– erano pericolosi. Alcuni abitanti del paese andando a caccia erano stati brutalmente uccisi da un branco di lupi che popolava la valle.
Erano animali affamati ed ovviamente attaccavano chiunque entrasse nel loro territorio.
 

“Come perché? I lupi uccidono le persone!” gli risposi.
“Vedrai, non ci toccheranno. Hai paura di perdere, vero?” disse.
“No, andiamo allora!” gli risposi.
“Al mio tre… Uno, due… Tre!” disse per poi dare gambe al cavallo e partire al galoppo.
 

Diedi gambe a Xantos e partii anche io al galoppo.
Damon in sella al suo cavallo nero era veloce, molto veloce, e per il primo tratto rimasi indietro.
 

“Dai Xantos, su!” mormorai al mio cavallo bianco dando gambe ancora.
 

Finalmente iniziò a correre ancora più velocemente e raggiunsi Damon in curva.
 

“Finalmente principessa, ora mi diverto!” mi rispose aumentando l’andatura del cavallo.
“Non contarci, ora mi diverto anche io!” gli risposi con un sorrisetto di sfida voltando a sinistra.
“Hey, non valgono le scorciatoie!” mi rispose inseguendomi.
“Quando l’avevamo stabilito?” gli domandai ironica.
Ouch!” borbottò.
 

Pochi minuti dopo –e con grande distacco da Damon– arrivai alla Valle dei Lupi.
Scesi da cavallo ed aspettai Damon vittoriosa.
 

“Ho vinto!” lo beffeggiai.
“Solo perché Thunder non era in forma…” borbottò amareggiato scendendo da cavallo.
“Certo, come no…” borbottai facendogli la linguaccia.
 

Damon scoppiò a ridere.
 

“Cosa c’è da ridere?” gli domandai.
“Sei buffa!” mi rispose soltanto.
 

Ritornai seria all’istante e lo guardai truce, mentre lui continuava a ridere.
Damon era bello quando rideva. I suoi occhi, la sua bocca ridevano con lui.
Sulle sue guance si formavano delle fossette che lo rendevano ancora più bello.
E’ sempre bello… disse la voce all’interno della mia testa.
 

Come darle torto?
Era davvero bello.
Mi detti una pacca sulla testa tentando di cambiare pensieri. Perché ultimamente pensavo sempre e solo a lui? Cosa stava succedendo alla vecchia Elena?
Alla ragazzina di diciotto anni che non voleva sposarsi e che si era ripromessa di provare astio verso il suo futuro marito?
 Il problema è che io non potevo odiare Damon.
 

“Hey, bella addormentata! –mi disse Damon e mi accorsi di averlo davanti– Tutto bene?”
“Si, –annuii– va tutto bene!”
“Vieni –Damon mi prese per mano– ti porto a vedere una cosa!”
“E i cavalli?” gli domandai non volendo lasciare Xantos in pasto ai lupi.
“Rimarranno qui!” mi rispose semplicemente.
“E sei lupi li attaccassero?” gli domandai.
“Ok, portiamoli con noi!” sbuffò prendendo il suo cavallo e conducendolo tramite la briglia.
 

Presi Xantos con me e seguii Damon.
Legammo i cavalli ai rami di un albero e poi proseguimmo a piedi.
Dopo pochi minuti Damon si fermò e mi fece accucciare dietro un cespuglio. Lui stava comodamente abbassato, mentre io avevo più di qualche problema a causa del vestito…
Tentai di parlare, ma un suo dito si posò sulla mia bocca.
 

“Shhh…” mi intimò.
 

Poco dopo uscì dalla tana in grosso lupo bianco e grigio. Si annusò attorno e sembrò puntare il suo sguardo su di noi.
Deglutii a fatica. Il lupo –o lupa– si era accorto sicuramente di noi.
Fece per venirci incontro, ma poi cambiò idea notando che dei cuccioli uscivano dalla sua tana.
Erano i suoi cuccioli.
 

Erano cinque: due bianchi, uno nero e due dello stesso colore della madre ed erano… Stupendi.
 

“Sono…” mormorai affascinata.
“Stupendi, vero?” mi domandò.
 
 
 


Pov Damon.
“Sono…” mormorò affascinata.
“Stupendi, vero?” le domandai.
“Si…” annuì lei mentre osservava estasiata i cuccioli e il lupo di fronte a noi.
 

Un cucciolo si allontanò dal gruppetto e venne verso di noi.
Elena sussultò e mi cercò con lo sguardo in cerca di conforto.
Le sorrisi e non mi mossi.
Aveva paura, ma il lupo non ci avrebbe fatto niente una volta capite le nostre intenzioni.
 

Il cucciolo nero andò incontro ad Elena con la lingua fuori e le si catapultò addosso in cerca di coccole.
Elena per un attimo rimase ferma, poi iniziò ad accarezzarlo.
Le sue mani scorrevano sulla folta pelliccia del cucciolo e questo ogni tanto le mordeva le dita facendola ridere.
 

La sua risata era cristallina e lei era bellissima.
Era una visione divina. Così bella nella sua semplicità e così bella nel suo sorriso che avrebbe fatto sciogliere qualsiasi cosa.
Il cucciolo nero venne da me in cerca di altre coccole, mentre anche gli altri quattro ci vennero incontro.
 

Due vennero da me, quelli grigi, mentre quelli bianchi andarono da Elena.
La sentii ridere, mentre un cucciolo le tirava il vestito e l’altro le leccava il viso.
Guardai per un secondo il lupo –che era sicuramente la madre– e la vidi guardarci con le orecchie sollevate.
Guardava i suoi cuccioli e non aveva intenzione di farci del male.
 

Lo capii vedendola stendersi –con la pancia sull’erba– ed appoggiare la testa nelle sue zampe.
 

“Non credi che ci mangerà?” mi domandò Elena osservandola con preoccupazione.
“No –scossi la testa– non ci mangerà!”
 

La lupa si alzò ed andò incontro ad Elena.
Questa la guardava spaventata ed iniziò ad indietreggiare.
Seguii la lupa con preoccupazione, era pur sempre un animale.
L’animale si fermò di fronte ad Elena e con il muso le toccò una mano.
 

“Vedi, non vuole mangiarti, vuole conoscerti!” le risposi.
 

Lei mi guardò dubbiosa.
Non ci credeva.
 

“Non ci credi, vero?” le domandai.
 

Scosse la testa.
Mi alzai, sotto la disapprovazione dei cuccioli, ed andai vicino ad Elena.
Le presi la mano e la portai sulla testa del lupo.
Elena chiuse gli occhi impaurita.
Iniziai a muoverla piano.
 

“Vedi?” le domandai.
 

Aprii gli occhi e mi sorrise.
Poi spalancò ancora di più la bocca ed iniziò a balbettare.
 

“Stai bene?” le domandai.
“Sei tu!” mi disse.
“Chi?” la osservai confuso.
 

Cosa intendeva con quel sei tu?
 

“Il bambino… Il ragazzo… Quello del bosco! Eri tu quel giorno, con il tuo cane. –mi guardò e continuai a non capire– Il tuo cane, Butch!”
 

Come faceva a conoscere il mio buon e vecchio amico Butch?
Un flashback mi si presentò davanti.
Io nel bosco a caccia con mio padre.
Una bambina, così simile a lei.
Butch che le andava incontro e la bambina ne aveva paura.
Io che la tranquillizzavo e l’aiutavo a fidarsi di Butch.
Quella bambina era lei.
 

“Quella bambina sei tu…” mormorai incredulo.
 

Il destino ci aveva fatti incontrare già alla nostra giovane età.
Che cos’era il destino poi?
Quella cosa che ti condiziona la vita in bene o in male.
Io e lei ci eravamo già conosciuti ed in qualche modo eravamo già legati prima di compiere questo grande passo.
 

“E sei quella che ha paura degli animali…” mormorai canzonandola.
“Senti –gonfiò le guance indispettita– non è da tutti i giorni accarezzare dei lupi!”
“No –scossi la testa divertito– certo che no.”
 

Continuammo così ancora per qualche minuto, poi lei ritornò a giocare con i cuccioli.
Rimasi vicino a lei e gli altri tre decisero di unirsi ai loro fratellini e a giocare con noi.
Involontariamente accarezzai il cucciolo nello stesso istante in cui la sua mano fece lo stesso e ci bloccammo a mezz’aria, mano su mano.
 

Lei abbassò lo sguardo imbarazzata mentre io rimasi ancora sopra la sua mano.
Vidi le sue guance colorarsi di rosso e sorrisi per la sua ingenuità e per la sua purezza. Poteva sembrare ‘sfacciata’ a volte, ma era così dolce e pura.
 

Venni distratto dal lupo che si alzò in piedi ed annusò l’aria circostante.
Alzò la testa verso cielo e rimase per qualche attimo fisso, poi emise uno strano verso tanto da far radunare i cuccioli e li condusse all’interno della tana.
Li fece entrare uno ad uno e il grosso animale rimase per ultimo.
Quando l’ultimo cucciolo fu entrato –quello nero– entrò anche la lupa.
 

Elena mi guardò interrogativa e stavo per risponderle che non sapevo nulla dello strano comportamento dell’animale, quando iniziò a piovere.
Una goccia, due, tre, poi iniziò a piovere sempre più fitto, per arrivare al diluvio.
 

“Dobbiamo andarcene…” mormorai prendendola per mano.
 

La condussi –tenendola stretta– fino ai cavalli.
Legai Xantos, tramite una corda a Thunder.
 

“Cosa fai?” mi domandò.
“Sarebbe inutile ritornare al castello, ora. Conosco una fattoria abbandonata, andiamo. –la guardai e notai che era ancora perplessa– Sali su Thunder, non voglio perderti per strada.”
 

Elena, seppur titubante, salì sul mio cavallo ed io mi posizionai dietro di lei.
Feci andare il cavallo al galoppo ed in poco tempo arrivammo alla fattoria abbandonata di cui mi ricordavo.
Ci eravamo stati da piccoli io e Stefan, per riparaci proprio da una giornata di pioggia come questa.
 
 
 
 
 



“Dam, cosa facciamo?” mi domandò Stefan tirandomi per la camicetta.
 

Eravamo sotto un albero per ripararci dalla pioggia, ma con il temporale non era prudente nascondersi sotto una pianta –o albero.
Si rischiava di attirare fulmini e di rimanere folgorati.
 

“Andiamo Stef –lo presi per manodobbiamo cercare un rifugio!”
 

Stefan scosse la testa e rimase fermo.
 

“Hai idea di dove sia questo fantomatico rifugio?” mi domandò scrutandomi.
 

Per i suoi cinque anni era davvero intelligente e fin troppo testardo.
 

“Non fare il brontolone ora. Andiamo!” lo costrinsi a muoversi.
 

Stefan non fiatò e mi seguii, non staccandosi mai dalla mia mano.
Fortunatamente trovammo una fattoria abbandonata e ci entrammo.
Era buia, piena di polvere e con qualche insetto, ma sicuramente era meglio del bosco ed eravamo anche più protetti.
Controllai –sempre seguito da Stefanse in casa non ci fosse nessuno e, dopo essermi accertato che non ci fosse anima viva, bloccai la porta con una trave di legno.
 

“Così non entrerà nessuno…” spiegai a Stefan che mi guardava attentamente.
 

Studiava ogni mio piccolo movimento.
Quando finii di sistemare la casa trovai dei fiammiferi ed accesi il fuoco, con la poca legna che c’era.
Mi voltai verso mio fratello e lo trovai in lacrime.
 

“Hey Stef –andai vicino a luiche cosa ti prende?”
“Ho paura… Voglio la mamma…” mormorò lui.
 

Mi inginocchiai di fronte a lui e gli sorrisi in modo rassicurante.
 

“Ci sono io qui con te e mi prenderò cura di te. Staremo qui solo per stanotte, promesso. Domani mamma e papà ci verranno a prendere, va bene?” gli chiesi.
 

Annuì poco convinto.
 

“Ti fidi di me fratellino?”
 

Stefan mi guardò con i suoi occhioni verdi e mi sorrise asciugandosi gli occhi pieni di lacrime.
 

“Si, Dam!” mi disse convinto.
“Bene, allora alzati ed andiamo vicino al fuoco. Stai tremando, devi riscaldarti.” gli dissi.
 

Mio fratello annuì e lo accompagnai di fronte al camino.
Dopo averlo fatto accomodare andai alla ricerca di qualche coperta ed un asciugamano.
Ne trovai uno bianco e asciugai i capelli a mio fratello, poi mi tolsi la camicia che era meno bagnata della sua e gliela appoggiai sulle spalle.
 

Mio fratello scosse la testa e fece per restituirmela, ma lo fermai.
 

“Tienila, starai al caldo!” gli risposi.
“E tu?” mi domandò.
“Sono forte io, starò bene.” gli risposi.
 
 
 
 
 
 



Quel gesto –quello di dare la mia camicia a Stefan– mi costò una broncoqualcosa, ma almeno non l’aveva presa mio fratello, già carente di salute.
Una volta scesi da cavallo ed averli sistemati entrambi sulla stalla, aprii la porta con un calcio e feci entrare Elena.
Mi richiusi la porta alle spalle e la bloccai con una trave di legno, come avevo fatto quella volta.
 

Elena tremava ed era tutta bagnata.
Presi dalla mia borsa –che era stata precedentemente attaccata al cavallo– una camicia pulita e gliela sistemai sulle spalle.
 

“No, Damon, devi tenerla tu per cambiarti.” mi rispose porgendomela.
“No, serve a te. Stai tremando!” gli risposi e gliela feci infilare.
“Grazie…” mi disse.
 

Annuii e sorrisi, poi andai alla ricerca della legna e la trovai in uno stanzino.
Sarebbe stata una nottata lunga, ma non ero da solo.
Ero con lei.


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Angolo dell'autrice:

Happy TVD day a tutti:)
Vorrei spendere qualche parola sulla puntata, ma non vorrei spoilerare qualcosa a chi non l'ha vista, quindi mi astengo. Fatto sta che la Gilbert dovrebbe darsi una bella mossa e prendere lei l'iniziativa ogni tanto e non fare il pesce lesso e domandare "E questo per che cos'era?" se poi si mangia con gli occhi Damon -chi ha visto la puntata capirà.
E poi... Io ci scommetto un braccio che prima o poi Caroline bacerà Stefan... Ho visto gli sguardi che lanciava ad Elena del tipo: "Se lo tocchi ti impaletto, è mio!" u.u
Ultimissima cosa... Odio Markos, ma ovviamente tutti lo odiano, spero.

Detto questo ormai non riesco più a guardare The Originals senza sperare nella nascita della baby Mikaelson... Ma quanto ci fanno aspettare? La Plec -in un'intervista- ha detto che la vedremo prima della fine della stagione e mi auguro che sia così e che non si riferisse al mezzo sogno di Klaus, perchè io, personalmente, fino ad ottobre non resisto!
E poi awwwww *-* Hayley ed Elijahhhhhhhh! Finalmente, signore! Elijah però almeno poteva spupazzarsela un altro po', ma sappiamo com'è la Plec...

Ecco, dopo aver spoilerato mezzo The Originals e mezzo TVD, passo al capitolo.
I flashback, come ogni volta, sono la mia parte preferita! Ogni volta mi sciolgo a pensare un baby Damon capelli nerissimi occhi azzurri e quel faccino da carino e coccoloso *-* Meglio del mini lemure di Madagascar!
Quindi penso che ne inserirò altri, anche perchè non mi ricordo se l'ho già fatto visto che sono arrivata già al ventesimo capitolo u.u
Comunque... Elena finalmente ammette di essere attratta da Damon e lo reputa bello, era ora. Per quanto riguarda la corsa a cavallo spero di non essere stata ridicola, ma non vedo molto Elena che segue l'etichetta, sorry xD


Nel prossimo capitolo ci saranno Damon ed Elena soli e soletti in una casa abbandonata, quindi chissà...
Bene, ora mi ritiro perchè mi sembra di aver sclerato abbastanza, per cui ringrazio tutte le care ragazze che ogni volta recensiscono la storia e alla prossima <3

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Capitolo 8
*** La casa abbandonata ***



                                        La casa abbandonata 

                                                             8.





Pov Elena.

Misi le mani di fronte a me in modo da scaldarmi con il fuoco che Damon aveva precedentemente animato.
La casa era umida e fredda, ma la temperatura si era alzata –fortunatamente– di qualche grado ed in più la camicia di Damon mi teneva al caldo.
 

Mi voltai per cercarlo e notai che stava rovistando tra la dispensa.
Inclinai la testa leggermente per osservarlo meglio e per capire cosa stesse facendo, ma non risolvetti nulla.
 

“Cosa stai facendo?” gli domandai.
“Cerco altri fiammiferi… Fra poco gli abbiamo finiti…” mormorò e mise la testa dentro una sorta di credenza in legno rovinato.
 

Mi alzai da davanti al camino e decisi di darmi da fare.
Non poteva fare tutto lui, se io ero stanca lo era anche lui ed era giusto aiutarlo.
 

“Dove vai?” mi domandò dubbioso scendendo dalla sedia.
“Mi do da fare anche io…” mormorai.
“No, rimani lì. Può essere pericoloso muoversi al buio…” mi bloccò tenendomi delicatamente per un polso.
“Non preoccuparti, ho quella, –indicai con la testa una sorta di lampada. Ce n’erano due. Una a me e una a lui– me la caverò.”
“Stai attenta…” mormorò per poi lasciarmi.
 

Presi la lampada ad olio che era sul tavolo e mi incamminai su per le scale.
Ogni volta che toccavo un gradino questo iniziava a scricchiolare ed emetteva suoni macabri, ma mi feci coraggio e proseguii per la mia strada.
Cercai in qualche stanza e ci trovai pure delle coperte, meglio di niente.
 

Arrivai in fondo ad un corridoio ed entrai nella stanza.
Era enorme, ma era completamente in disordine.
Nel disordine di solito si trovava sempre qualcosa di utile e così mi misi a cercare attentamente.
 

Qualche minuto dopo finalmente trovai qualcosa di utile: una scatola di fiammiferi.
 

“Ce l’ho fatta…” mormorai a me stessa.
 

Presi la scatola dei fiammiferi e ci soffiai sopra, per togliere tutta la polvere.
Questa si staccò andando a creare una nube bianca che a tratti mi fece tossire.
Con la mano destra tolsi la polvere che mi era caduta nel vestito e, dopo aver preso la lampada, uscii dalla porta richiudendomela alle spalle.
 

Scesi i gradini uno ad uno, attentamente, e questi ripresero a scricchiolare.
Ero quasi arrivata all’ultimo scalino, me ne mancavano tre.
 

“Damon, ho trovato i-” iniziai, ma, proprio all’ultimo gradino, misi male un piede e i ritrovai con il sedere a terra.
“Elena!” urlò Damon venendomi incontro.
 

Io ero ancora ‘seduta’ nel gradino e mi tenevo il piede tra le mani.
Mi faceva male, sentivo fitte per tutta la lunghezza del piede.
 

“Cos’è successo?” mi domandò visibilmente preoccupato inginocchiandosi di fronte a me.
“Niente –mentii– sto b-bene…”
 

Non era affatto vero, ma non volevo farlo preoccupare.
Tentai di alzarmi, ma, appena appoggiai il piede a terra, una fitta mi colpì e stavo quasi per ricadere, ma le sue due braccia forti mi tennero strette a lui.
 

“Fammi dare un’occhiata…” mormorò.
 

Scossi la testa, ma lui mi lanciò un’occhiataccia.
 

“Non fare la bambina, forza!” mi rimbeccò.
 

Con nessun sforzo mi prese in braccio e camminò verso il divano.
Mi tenni stretta a lui, come per paura di cadere, ma sapevo benissimo che non mi avrebbe mai lasciato andare.
Tra le sue braccia mi sentivo al sicuro, protetta.
Ma perché avevo questa sensazione?
 

Damon mi appoggiò delicatamente sul divano e mi fece stendere per metà.
Appoggiai la schiena sullo scomodo bracciolo del divano, mentre lui mi prese la gamba e la distese sulle sue.
Scostò leggermente il mio vestito in modo da guardarmi la caviglia e delicatamente ci appoggiò sopra un dito.
 

Sentii dolore e feci una smorfia.
Damon la notò e scosse la testa.
 

“Non avevi niente, vero? –mi domandò, poi continuò– Si è già gonfiata!”
“Io…” mormorai incapace di continuare.
“Hai preso una bella storta, –mi sfiorò ancora la caviglia, facendo attenzione a non farmi male– devi tenerla a riposo e dobbiamo fasciarla…”
 

Damon appoggiò delicatamente la mia gamba sul divano, poi si alzò.
Si tolse la camicia rimanendo a petto nudo, poi con un gesto secco la divise a metà.
Osservai il suo petto marmoreo e riuscii a scorgervi un petto tutto ad un pezzo e tremendamente muscoloso.
Era qualcosa di meraviglioso.
 

Arrossii vistosamente e voltai la testa di lato, in modo da non fargli vedere il mio imbarazzo.
Damon non sembrò preoccuparsene, perché ritorno a studiare la mia caviglia.
La alzò delicatamente e l’appoggiò sopra il cuscino, poi, grazie alla sua camicia ormai distrutta, iniziò a fasciarla.
 

Era stato il più delicato possibile, anche se qualche volta avevo stretto i denti per non emettere dei gemiti di dolore.
 

“Ecco, così guarirai più in fretta…” mormorò sorridendo.
“Grazie…” mormorai appoggiandomi meglio al divano.
 

L’enorme vestito non aiutava affatto.
Il mio stomaco iniziò a brontolare, ma riuscii a non farlo notare a Damon.
Ero stanca e non avevo nemmeno la forza per mangiare.
Mi addormentai sul divano, accolta tra le braccia di Morfeo.
 
 
 
 


Pov Damon.
Elena si era addormentata con la testa appoggiata sul bracciolo –scomodo– del divano.
Avrei preferito farla dormire in qualcosa di più comodo, ma non avevo trovato nulla.
I letti erano senza i materassi ed erano anche rotti, per giunta.
La osservai ed era così innocente e bella.
 

I capelli le ricadevano delicatamente sul viso, gli occhi erano chiusi, le labbra socchiuse come a formare un sorriso.
Il suo petto si abbassava e si alzava lentamente. Ogni tanto faceva qualche smorfia buffa ed ogni tanto si muoveva in cerca di una posizione più comoda.
 

Volevo sfiorarla, sentire la sua pelle tra le mie dita e senza pensarci due volte mi avvicinai a lei.
Le accarezzai delicatamente una guancia con due dita e mi soffermai sul suo profilo delicato. Aveva le sembianze di un angelo, un angelo venuto per me.
 

Ma io ero il diavolo e non potevo stare con un angelo come lei.
Era troppo buona e perfetta per stare con me, invece io ero così tremendamente sbagliato per lei. Arrogante, menefreghista, insensibile e non ero affatto dolce. Sarei mai stato in grado di prendermi cura di lei?
 

Provai ad allontanarmi da lei, ma qualcosa mi tenne lì, inchiodato sul posto.
Non riuscivo più a staccarmi da lei, volevo starle vicino.
Mi sedetti accanto a lei, sul pavimento, ed appoggiai la testa sulla parte esterna del bracciolo, vicino alla sua. Potevo sentire distintamente il suo respiro caldo sui miei capelli ed era una sensazione piacevole infondo.
 

Sentii la sua mano scivolare lentamente fuori dal divano e la presi tra le mie.
Era così piccola in confronto alla mia, però con me si incastrava alla perfezione.
Le accarezzai il polso e sempre tenendo la sua mano stretta alla mia mi sistemai meglio, per poi cadere tra le braccia di Morfeo.
 
 









                                                           * * *
 







 

Le luci dell’alba mi svegliarono.
Aprii prima un occhio, poi l’altro e sbattei più volte le palpebre infastidito.
Era giorno, finalmente.
Qualcuno sarebbe venuto a cercarci ed Elena avrebbe potuto farsi vedere da un dottore che avrebbe guarito la sua distorsione. Con la notte si era sicuramente gonfiata.
 

“Buongiorno…” mormorò una voce alle mie spalle.
 

Girai la testa e mi scontrai con due occhi color cioccolato, quello dell’America.
Terra e ghiaccio, ghiaccio e terra.
 
“Buongiorno…” le risposi.
 

Lei mi sorrise imbarazzata osservando la mia mano sulla.
Osservai ancora le nostre mani, poi mi alzai e staccai la mia mano dalla sua. Evidentemente era imbarazzata per quello.
Sicuramente lo era. Elena non era come tutte le altre ragazze, voleva scoprire il mondo, anche se a lei non era permesso, purtroppo.

 
“Qualcuno ci verrà a cercare?” mi domandò, per poi continuare guardando il pavimento non facendo incontrare i suoi occhi con i miei. “Siamo qui da molto…”
“Ti dispiace stare da sola con me?” le domandai.
“No, io… Ecco…” balbettò arrossendo.
 

Risi divertito notando la sua espressione e tutto il suo imbarazzo.
Si morse il labbro inferiore tentando di parlare ancora, ma rimase bloccata e lì definitivamente scoppiai a ridere.
Era proprio una ragazzina.
 

“Cosa c’è da ridere?” mi domandò stizzita.
“Sei buffa!” le spiegai rimanendo seduto.
“Non  è vero…” mormorò offesa.
 

Mi sporsi per accarezzarle una guancia e avrei voluto dirle anche che era carina quando si offendeva, ma in quel momento la mia bocca non decideva di aprirsi.
Portai lo stesso una mia mano sulla sua guancia rosea e le accarezzai delicatamente il volto, soffermandomi all’altezza del naso.
 

Guardai tutti i suoi lineamenti perfetti. La sua bocca, il suo naso, i suoi occhi, i suoi capelli.
Era tutto così perfetto in lei.
Mi avvicinai ancora di più, spinto solo dall’istinto. Il mio corpo si muoveva da solo, il mio cuore lo faceva muovere, mentre il mio cervello si spense del tutto.
 

Avvicinai la mia bocca sulla sua, mentre vidi Elena avvicinarsi un po’ di più a me e abbandonarsi completamente.
Chiuse gli occhi ed ero pronto a spezzare lo spazio che ci separava con un bacio, per capire le mie emozioni, ma qualcuno bussò alla porta.
 

L’atmosfera che si era venuta a creare si ruppe rovinosamente.
Elena si ridestò come da un sogno ad occhi aperti e scosse la testa –molto probabilmente si stava domandando cosa stava per accadere– ed io mi portai una mano tra i capelli.
Cosa stavo per fare?
 

Stavo realmente per baciarla?
Damon Salvatore che prende l’iniziativa?
Mi ero rammollito del tutto. Io non provavo niente per lei, forse affetto visto i nostri tanti incontri, ma parlare di amore era eccessivo.
Mi incamminai verso la porta per scoprire chi fosse il visitatore.
 

Aprii la porta e mi trovai davanti una testa con i capelli color marrone chiaro e due occhi verdi che mi scrutavano sollevati.
 

“Damon!” disse la voce e in quell’istante riconobbi davanti a me mio fratello.
“Ciao Stef!” lo salutai fintamente allegro.
“Finalmente vi abbiamo trovati! –Stefan entrò e si assicurò anche della presenza di Elena– Vi abbiamo cercato per tutta la notte.”
 

Vidi scendere dalla carrozza alcune persone, tra cui Alaric e il re dell’Olanda, alias il padre di Elena accompagnato da Jeremy.
Alcune guardie avanzarono verso la porta e tra loro vidi anche una ragazza, Bonnie.
 

“Principessa, vi abbiamo trovato!” mormorarono delle voci.
 

Elena sorrise ai suoi ‘salvatori’ e fece per alzarsi, ma andai vicino a lei e le feci segno di rimanere giù.
Rischiava di dare troppo peso alla caviglia e la situazione si sarebbe aggravata.
 

“Bambina mia –il re entrò– cosa vi è successo?”
 

Il padre di Elena corse incontro alla figlia e l’abbracciò.
Quella scena mi strinse il cuore.
 

“Sto bene padre, sono solo… Caduta…” mormorò lei guardandomi da sopra la spalla del padre.
 

Caduta rovinosamente aggiunsi mentalmente.
Il re studiò la caviglia di Elena e la notò fasciata.
Fece segno ad alcune guardie di avvicinarsi.
 

“Prendetela e portatela dentro la carrozza!” ordinò.
 

Una guardia stava per prenderla, ma la bloccai.
 

“Ci penso io…” mormorai.
 

Vidi Stefan sorpreso alle mie spalle, Elena e Grayson spalancare gli occhi e Jeremy e Bonnie scambiarsi degli sguardi –divertiti– indecifrabili.
Mi avvicinai ancora di più ad Elena e portai un braccio dietro la sua schiene e uno dietro le sue gambe e senza sforzo la sollevai.
 

Era leggera come una piuma. Il re si alzò e le guardie si spostarono per farmi spazio ed avanzai verso la porta.
 

“Non dovevi…” mormorò.
 

Notai nei suoi occhi un ringraziamento, non un rifiuto.
Le sorrisi ed uscii fuori dalla porta, poi mi diressi verso la carrozza.
Il cocchiere aprì la porta e delicatamente appoggiai Elena tra i sedili, facendogliene occupare una buona parte di quello alla destra.
 

La misi distesa per metà, in modo che sollevasse la caviglia.
 

“Grazie, Damon…” mormorò.
 

Le sorrisi, poi vidi la sua bocca aprirsi ed intuii i suoi pensieri.
 

“Prenderò anche il tuo cavallo e lo porterò a palazzo, stai tranquilla.” la rassicurai.
 

Le diedi le spalle, mentre Grayson, Bonnie e Jeremy salivano nella carrozza dove c’era lei.
Stefan salì sul suo cavallo e si avvicinò a me.
 

“Tutto ok?” mi domandò.
“Tutto ok… Vado a prendere i cavalli!” gli risposi e gli feci segno di seguire la carrozza.
 

La carrozza partì e vidi come ultima cosa Elena sorridermi.
Un sorriso di quelli belli, che poche volte le avevo visto in viso.
Le sorrisi di rimando, poi la carrozza iniziò a muoversi.
In poco tempo sparì ed io provai un enorme senso di vuoto.



___________________________________________________________________________________________________________________________________________

Note dell'autrice:

Buon TVD a tutti, anche se proprio buono non è stato. Non so più che santi pregare affinchè la Plec si dia una svegliata e sistemi il macello che sta combindando.
Stefan? Seriusly? Ma dico io... Ma come si può? Il mio Steffy no... Sono Delena, è vero, ma Stefan è uno dei miei personaggi preferiti e non possono averlo trattato così.
Rovinare un momento come quello poi... Quando Elena con la faccia da pesce lesso si appiccica a Damon... Ripeto, non so più che santi pregare. [E poi ho già visto il promo... A quanto pare Elena e Damon fanno 'boooooom' come ha detto Damon...]

The Originals invece sta spaccando di brutto, letteralmente. Non so quanto ho pianto, riso nella puntata di mercoledì. Ma io... Come faccio ad arrivare a mercoledì prossimo? Come faccio? Se mi toccano la baby ibrida scorreranno fiumi di sangue a partire dalla crew di TO.
E poi Elijah che d'impulso bacia Hayley? 
Sono l'amore quei due, ma neanche Klaus con la lupacchiotta scherza *w*

Bene, dopo aver concluso il commento che oramai è diventato immancabile visto che pubblico sempre di venerdì (unico giorno libero per stare al computer in santa pace) passiamo al capitolo.
Non ne sono molto convinta sinceramente, forse ne ho scritti di meglio, ma boh...
Sicuramente sono più convinta di quelli che sto scrivendo adesso, sono già arrivata al numero venti *-*
Il capitolo si svolge in una casetta abbandonata e non succede niente di particolare, tranne il fatto che ad Elena piace la presenza di Damon e a Damon quella di Elena ed entrambi si stavano per baciare.
Ahimé dovrete aspettare ancora un po' per il bacio xD

Detto questo ringrazio le buone anime che ogni volta recensiscono e mi rendono la ragazza più felice della terra; ringrazio anche chi ha inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
Alla prossima (se non morirò guardando TO o se non sarò in America a progettare una vendetta epica u.u)


 

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Capitolo 9
*** E' mia ***


                                                          E' mia

                                                              9. 






Pov Elena.

Non appena entrai in palazzo fui travolta da una furia bionda che mi abbracciò, mentre ero ancora tra le braccia di mio padre.
Caroline mi guardò e sorrise nel vedermi, poi il suo sguardo si posò sul mio piede ancora fasciato.
 
Ora mi avrebbe fatto tantissime domande, fino allo sfinimento.
 

“Cosa vi siete fatta?” mi domandò rispettando l’uso formale che utilizzavamo quando non eravamo da sole.
“Nulla di grave…” risposi.
 

Dalla soglia della sala centrale comparve anche mia madre visibilmente preoccupata.
Si avvicinò e mi sorrise in modo caloroso, tirando un sospiro di sollievo vedendomi tutta intera, più o meno.
 

“Eravamo preoccupati per te bambina mia…” mormorò accarezzandomi una guancia.
“Sto bene, madre, non preoccupatevi…” la rassicurai.
“La porto in camera, -disse mio padre rivolto a mia madre, poi si rivolse a Mark, uno delle guardie- chiamate un dottore, subito.”
 

Mio padre si voltò e si diresse verso le scale, che portavano ai piani superiori, dove delle camere da letto.
Mia madre lo seguì rimanendo in silenzio.
Venni portata all’interno della mia stanza e quando toccai il letto morbido i miei muscoli si rilassarono.
 

Avevo dormito -più o meno- per una notte intera in un divano scomodissimo ed essendo abituata ad un materasso morbido i muscoli mi facevano male.
 

“Cos’è successo?” domandò mia madre a me a mio padre.
“E’ caduta, a quanto pare ha preso una storia, ora verrà il dottore…” mormorò guardando mia madre.
“Non era neces-” iniziai, ma mia madre mi bloccò.
“Hai idea di quello che abbiamo passato questa notte?” mi domandò.
“Miranda, non è colpa sua…” mi difese mio padre.
“Potevate ritornare indietro… Hai idea di quello che abbiamo pensato io e tuo padre o di quello che si dirà nel regno?” mi domandò.
 

Certo, il regno, a lei importava solo quello.
Non a sua figlia che sarebbe potuta anche morire nel bosco se si fosse trovata da sola, oppure non sarebbe più ritornata a casa, no, quello che pensa la gente.
 

“Certo, importa sempre cose pensano gli altri, vero?” le domandai con astio.
 

Mio padre scosse la testa e si sedette accanto a me accarezzandomi una guancia, quella che precedentemente era stata toccata da Damon.
 

“No, Elena, tua madre era soltanto preoccupata per te ed è per questo che ha reagito così…” tentò di tranquillizzarmi.
“Certo…” borbottai stringendo le coperte che erano sotto di me.
 

Mia madre provò a ribattere chissà per dirmi che cosa, ma venne interrotta dall’arrivo di un servo che annunciò la presenza del dottore.
 
 







 
 
                                                                               * * *
 







 
“Cos’è successo dopo che ce ne siamo andate?” mi domandò Caroline.
“Care… -Bonnie le prese delicatamente un braccio- Il dottore ha detto che dobbiamo lasciarla riposare, non l’hai sentito?”
 

Caroline scosse la testa e mi osservò alla ricerca di qualche oscura verità.
Tra me e Damon non era successo niente, o quasi.
Socchiusi gli occhi per alcuni secondi, poi sospirai.
Ero stanca, avevo solo bisogno di dormire.
Avevo male alle ossa e mi faceva male la caviglia.
 

Il dottore l’aveva sistemata in qualche modo e, dopo averci messo una strana crema fatta di erbe, me l’aveva fasciata e mi aveva raccomandato il massimo riposo, ma con Caroline qui era impossibile.
Le volevo bene, certo, ma alcune volte diventava asfissiante.
 

“Ha iniziato a piovere e ci siamo rifugiati in una vecchia casa abbandonata. Poi io sono caduta ed abbiamo passato la notte lì…” mormorai dando una risposta sbrigativa.
“E? –mi incalzò Caroline a continuare- Non è successo nient’altro?”
 

Scossi la testa e mi sistemai meglio sul letto.
Caroline si alzò e si portò le mani sui fianchi scrutandomi.
 

“Va bene, ho capito, me ne vado, ma non finisce qui!” mormorò per poi sorridermi ed andarsene accompagnata da Bonnie.
 

Finalmente ero sola.
Sistemai la testa sul cuscino e mi abbandonai tra le braccia di Morfeo.
 
 
 
 




Pov Damon.
Una volta arrivato a palazzo scesi da cavallo e consegnai entrambi gli animali al stalliere.
Vidi mio fratello all’entrata che mi stava aspettando e affrettai il passo. In poco tempo arrivai davanti a lui.
 

“Come sta?” gli domandai.
“Bene, il dottore se né appena andato…” mi spiegò.
“E? Tutto bene?” gli domandai leggermente preoccupato.
“Si, è solo una storta. In pochi giorni guarirà, non preoccuparti!” mi rassicurò posandomi una mano sulla spalla.
“Non sono preoccupato…” borbottai.
“No?” mi domandò divertito.
 

Cosa ci trovava di divertente non l’avevo ancora capito.
Scossi la testa deciso, anche se dentro di me sapevo di non star dicendo la verità.
Ero preoccupato eccome, anche ora che sapevo della sua buona salute.
 

“Si, certo… Non sei preoccupato…” disse divertito.
“Ti diverti?” gli domandai con astio.
“Non muore nessuno se ti preoccupi per qualcuno, Damon. A lei ci tieni e anche tanto!” concluse mio fratello.
 

Provai a ribattere, ma le parole mi morirono in gola.
Touche.
Si, tenevo alla ragazzina, vero, ma niente di più.
A me piacevano tutti i tipi di donne, non mi sarei mai legato a nessuna.
 

“Colpito e affondato…” disse mio fratello sorridendo beffardo.
 

Provai a ribattere, ma una voce ci interruppe.
 

“Principe Salvatore… Siete venuto per Elena?” mi domandò Bonnie, l’amica o dama da comagnia di Elena.
“Si, è venuto per lei!” mi anticipò Stefan.
 

A casa gli avrei fatto un bel discorso sul non interrompere o precedere Damon Salvatore.
 

“La principessa sta dormendo, ma se vuole l’accompagno nella sua stanza…” mi disse.
“No, non voglio disturb-” iniziai, ma venni interrotto ancora da mio fratello.
“Bonnie, portatelo pure con voi!” gli rispose.
 

Lo fulminai con lo sguardo, ma poi fui costretto a seguire la ragazza che mi condusse all’interno del palazzo.
Dire enorme era un eufemismo.
Lo sfarzo era qualcosa di meraviglioso. C’erano quadri antichissimi e costosissimi dappertutto, lampadari in cristallo, tappeti provenienti direttamente dalla Persia e tanti alti prodotti provenienti da altre parti del mondo.
 

“Principe Salvatore, -mi salutò il padre di Elena- siete venuto a trovare mia figlia?”
“Si, sire…” mormorai abbassando lo sguardo.
“Ora sta dormendo, si trova nella sua stanza. Potete passare a salutarla, ma prima vorrei parlarvi in privato. –si rivolse a Bonnie– Ci potete lasciare da soli?”
“Certo, sire.” rispose la ragazza per poi scomparire nel nulla.
“Seguitemi…” mormorò il re facendomi strada verso l’ignoto.
 

Il padre della mia futura sposa mi condusse all’interno della biblioteca del palazzo, ricca di libri.
Lessi alcuni titoli e notai alcuni dei miei autori preferiti di cui libri non sapevo neanche l’esistenza.
Ovviamente la biblioteca di palazzo era più fornita rispetto alla villa.
 

Quando sarei ritornato in Francia avrei fatto sicuramente rifornimenti.
 

“Vi devo dire una cosa importante, principe Salvatore…” iniziò.
“Chiamatemi pure Damon, sire…” gli dissi.
“Damon, sedetevi.” mi indicò con la testa una poltrona.
 

Mi accomodai sulla poltrona in pelle e il re si sedette di fronte a me.
 

“Inizio con il ringraziarvi per esservi preso cura di mia figlia…” iniziò.
“Non dovete ringraziarmi!” risposi lapidario.
“Invece si. Senza il vostro aiuto non oso immaginare cosa sarebbe successo… -mi guardò attentamente- Grazie, ancora. Mia figlia sarà sempre protetta da voi, non avrei potuto trovare un uomo migliore…”
 

Su questo ho qualche dubbio dissi mentalmente.
 

“Io…” mormorai, ma il re continuò.
“Mia figlia potrà sembrare forte, ma è estremamente fragile. Di salute e via dicendo. Si è ripresa soltanto nell’ultimo periodo e ogni giorno vedo in lei dei miglioramenti…” continuò.
 

Salute?
Elena è cagionevole di salute?
 

“E’ cagionevole di salute?” domandai.
 

Il re annuì guardandomi con aria triste.
 

“Si, lo è sempre stata, fin da bambina, ma ora è migliorata, con il tempo passerà... Ma non è questa la cosa importante.” terminò.
 

Lo guardai con il fiato sospeso, deciso a capire la ‘cosa importante’.
 

“Nell’ultimo periodo non sono stato troppo bene, per questo volevo chiedervi di rimanere per un periodo in Olanda dopo il matrimonio. So che avreste voluto tornare in Francia e governare da lì entrambi i paesi, me l’ha detto vostro padre, ma sarebbe meglio governare da qui, per un breve tempo…” terminò.
 

La mia idea era di viaggiare il mondo dopo il matrimonio, era quello che mi ero posto arrivando in Olanda.
Lasciare la mia futura moglie per viaggiare, ma nell’ultimo periodo le mie certezze erano crollate, almeno in parte.
 

Che uomo sarei se abbandonassi Elena da sola in Olanda?
E’ così fragile e non per la malattia intendo, in tutto.
E’ soltanto una ragazzina che deve affrontare un compito più grande di lei.
 

“Certo…” mormorai.
“Grazie, Damon. Non dite niente a mia figlia.” mi pregò.
“Non dovete preoccuparvi!” gli risposi.
 

Vidi il re portarsi una mano sul cuore e il suo viso assunse una smorfia di dolore.
 

“Tutto bene sire?” domandai.
“Certo, non vi preoccupate. Ora potete andare a trovare mia figlia…” mi liquidò.
 

Annuii e mi alzai dalla sedia.
 

“Con permesso…” mormorai prima di uscire.
 

Mi richiusi la porta alle spalle ed incontrai Bonnie per il corridoio.
Le chiesi gentilmente di accompagnarmi da Elena e lei mi condusse di fronte alla sua stanza.
 

“Sta riposando, non svegliatela…” mormorò apprensiva.
“Non preoccupatevi, Bonnie…” la rassicurai per poi entrare nella stanza di Elena.
 
 
 


Dormiva come una bambina, con la testa appoggiata sul cuscino e le mani distese lungo i fianchi.
Era solo in vestaglia da notte, la notavo perché era scoperta all’altezza delle ginocchia.
La finestra era aperta e filtrava dell’aria fredda.
 

Andai alla finestra e la chiusi, facendo meno rumore possibile.
Ritornai a guardare Elena che dormiva con le labbra increspate in un sorriso.
Chissà se mi stava pensando…
Cosa stavo pensando io invece?!
 

Scossi la testa per scacciare tutti questi pensieri e tentai di non ritornare a guardala, ma fu più forte di me.
Mi avvicinai a lei e le scostai alcune ciocche che le coprivano il viso.
Il rumore del suo respiro era l’unico all’interno della stanza e sarei rimasto ore ad ascoltarlo.
 

Le posai un bacio sulla fronte ed uscii dalla stanza.
 
 






 
                                                                           * * *
 
 







“Sei ritornato dopo aver passato la notte con la tua amata?” la domanda di mio cugino mi arrivò forte e chiara non appena entrai all’interno della villa.
 

Continuai ad ignorarlo, ma questo mi si parò di fronte.
 

“Non sono affari che ti riguardano, Erik!” intervenne duro mio fratello.
“Non ti è stata rivolta parola, Stefan. Allora, Damon, mi farai conoscere la tua futura moglie?” mi domandò.
“Può essere…” mormorai a denti stretti.
“Voglio conoscerla, magari è anche carina. Una nuova conquista da aggiungere alla lista, eh?” mi domandò.
 

Strinsi i pugni per non scaraventarmi su di lui e rovinare quel viso che si ritrovava.
Damon, calmati mi ripetevo mentalmente, ma era difficile.
 

“Non è come le altre…” ringhiai.
“Allora puoi lasciarla a me, no? Visto che non ci tieni e che di diritto mi spetta…” mi disse pungente.
 

Per un nanosecondo provai ad immaginare Elena, la mia futura moglie, tra le braccia di Erik e l’immagine mi parve così rivoltante che la scacciai subito.
 

“Lei è mia!” ringhiai tenuto da mio fratello.
“Allora questo si che è divertente. Damon Salvatore che tiene a qualcuno, davvero entusiasmante. Saprò come divertirmi allora, magari comincerò proprio dalla bella principessa d’Olanda…” ghignò maledico.
 

Da lì non ci vidi più. Scansai via mio fratello e mi lanciai addosso ad Erik che per la sorpresa cadde sotto di me.
Gli afferrai il colletto della camicia bianca e sollevai il suo viso vicino al mio.
 

“Non la toccherai…” soffiai, poi gli tirai un pugno dritto in faccia.
 

Mi sollevai dal suo corpo lasciandolo stordito, poi feci cenno a Stefan di rientrare.
Nessuno avrebbe mai toccato ciò che era mio.



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Angolo dell'autrice:
Chiedo venia per questo enorme ritardo, ma la scuola sta quasi per finire e i professori si sono inventati di mettere tutte le verifiche nelle ultime settimane -e anche le più difficili dell'anno per giunta u.u
Sono sparita anche a causa lutto nazionale, perchè ovviamente la morte di Damon non può non aver causato nulla, insomma...
A distanza di una settimana mi sento ancora distrutta e so che è solo un telefilm, ma quando guardi qualcosa che ti piace incominci ad apprezzare tutti i personaggi e inevitabilmente ti leghi a qualcuno...

Così è stato per Damon, amore a prima vista. Ovviamente hanno fatto morire nell' ultimo episodio uno dei personaggi più amati, come al solito. Sarò cattiva io, ma quando è morto Stefan non ho pianto. Forse ci sono rimasta male, è vero, ma non... Boh... Dentro di me sentivo che sarebbe ritornato vivo... E forse, proprio a causa della morte di Damon nell'ultimo episodio, ho accettato tutto nel peggiore dei modi. Adoro Stefan, comunque <3
Non ho mai pianto così in vita mia per un personaggio (tralasciamo gli animali dei film, perchè io (sono pazza u.u) quando muore qualcuno nei film... eh beh... Piango soltanto se è un animale...) e mi auguro che ritorni, perchè Damon deve assolutamente tornare.

Non mi sono nemmeno goduta il ritorno di Rick... Oddio, è stato qualcosa di piacevole, ma pensavo ad altro.
Piccola parentesi... Datemi dell'insensibile, ma sinceramente la morte-non morte di Bonnie non mi ha toccata, anche se nell'ultimo episodio si è data da fare... u.u'
Ok, mi scuso ancora per il ritardo e ringrazio le due ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo (Celeste98 e sere 99) e che recensiscono anche con costanza.
Tecnicamente non c'è molto da dire su questo capitolo, tranne che Damon sta cambiando opinione su Elena, finalmente, e del discorso con Grayson. 
Preciso una piccola cosa: questo non influenzerà le sue decisioni future, se Damon rimarrà sarà soltanto per Elena.

Grande importanza invece ha la parte finale, con lo scontro tra Damon ed Erik e le parole di quest'ultimo, fate attenzione.
Con questo me ne vado, alla prossima <3

 

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Capitolo 10
*** Ora si spiega tutto. ***


 
                                                    Ora si spiega tutto 

                                                               10.





Pov Damon.

(Il mattino dopo…)
 
“Si può sapere cose ti è preso?” mi domandò Giuseppe sbattendo con forza un pugno sul tavolo, mentre anche Stefan faceva il suo ingresso nella sala da pranzo.
 

Sicuramente si stava riferendo al pugno di mio cugino, ma ero intenzionato a fargli credere di non sapere nulla.
Non era ancora finita con Erik, no.
Cosa intendeva con un ‘lei mi spetta!’?
Erik non avrebbe mai toccato Elena, lei era mia.
 

Finalmente ti stai convincendo che è tua mi punzecchiò la vocina all’interno della mia testa.
Sbuffai a riportai l’attenzione su mio padre che era parecchio arrabbiato.
 

“Di cosa stai parlando?” domandai non interessato.
 

Stefan mi venne vicino e mi posò una mano sulla spalla guardandomi interrogativo.
Alzai le spalle in segno di risposta.
 

“Non fare l’ingenuo, Damon. Sto parlando della rissa, un’altra, con tuo cugino…” ringhiò stringendo la mano a pugno.
“Oh… Quella… Niente di che…” mormorai bevendo un sorso di latte dal bicchiere in vetro.
“Niente di che? Ha un livido, un livido, Damon! Possibile che non andiate mai d’accordo?” mi domandò.
“Padre, è stato Erik a provocare Damon e-” disse mio fratello tentando di difendermi, a Giuseppe lo interruppe.
“Non ti ho chiesto di intervenire! –disse duro verso Stefan. Non l’avevo mai visto così- Stai per diventare marito e ti comporti ancora così? Hai idea di quello che accadrà?”
“Erik non la toccherà!” urlai alzandomi in piedi e sbattendo un pugno sul tavolo in legno pregiato.
 

Guardai mio padre fisso negli occhi che spalancò gli occhi e mi guardò in cerca di una risposta, poi sospirò e scosse la testa.
Aprì la bocca, ma poi la richiuse. Stava cercando di dirmi qualcosa, ma non trovava le parole giuste.
 

“Cosa ti ha detto precisamente?” mi domandò nervoso, ma rivolgendomi un tono stranamente dolce.
“Che la mia futura moglie sarà sua…” risposi.
 

Giuseppe boccheggiò ancora, poi si lasciò cadere sulla sedia sotto lo sguardo preoccupato mio e di mio fratello.
Allentò il nodo che aveva all’altezza del collo, poi si portò un bicchiere d’acqua alla bocca e ne trangugiò tutto il contenuto.
Dopo attimi interminabili iniziò a parlare.
 

“Dobbiamo rispedire Erik in Francia!” decretò solo, poi si alzò.
 

Lo bloccai per un braccio deciso a farlo parlare ancora.
 

“Cosa c’è che non va?” gli domandai stranamente non alzando il tono della voce.
“Siediti…” indicò la sedia con il capo.
 

Mi sedetti e guardai mio padre di fronte a me. Sembrava così indifeso.
Mio padre si appoggiò al tavolo e si portò una mano sulla testa scompigliandosi i capelli. Quel gesto l’avevo ereditato da lui.
 

“Erik…” iniziò.
“Dov’è?” domandai guardandomi attorno.
“A caccia…” mormorò.
“Padre, continuate…” lo incalzò Stefan.
“Erik era il promesso sposo di Elena e-”
 

Lo bloccai con un gesto della mano incapace di ascoltare altro.
Che cosa mi stava nascondendo?
Come Erik era il futuro sposo della mia sposa?
 

“Continua…” mormorai fissandolo negli occhi, così simili a quelli di mio fratello.
“Ma il re l’ha rifiutato. Parlando in privato mi ha detto che quello non era l’uomo giusto per sua figlia e come dargli torto?” disse, poi continuò. “Ed è lì che ha scelto te. Ti aveva visto più di qualche volta e ha trovato in te qualcosa che non aveva trovato in nessun altro…”
“Fammi capire… Erik avrebbe dovuto sposare Elena?” domandai incredulo.
“Si, -annuì- è per questo che è furioso con te, arrabbiato…”
 

Mi alzai di scatto ed andai vicino a lui arrabbiato.
Se era arrabbiato con me perché l’aveva invitato al mio matrimonio?
 

“Perché è qui allora?!” ringhiai, mentre mio fratello mi tenne per un braccio.
“Credevo… -sospirò- Di far calmare le acque in qualche modo…”
“Certo, calmare le acque. E’ stato chiaro, vuole prendersi Elena!” urlai sbattendo un pugno –ancora– sul tavolo.
 
Erik era sadico con me ed anche con Stefan.
Sembrava buono con le altre persone, ma era maligno, cattivo, una persona orribile.
Era un maniaco ed era qui e voleva Elena. Era in pericolo.
L’avrei protetta a qualunque costo.
 

“Lui è un maniaco… E’… E’… -mi bloccai portandomi le mani tra i capelli- Devi rispedirlo subito in Francia, ora. Non deve rimanere qui un giorno di più!”
“Mi dispiace, Damon… Per quello che ho fatto…” mormorò mio padre.
 

Lui, forse, non ne aveva colpa.
Lui non poteva sapere.
 

“Me ne sono reso conto solo adesso…” mormorò ancora.
“Dobbiamo rispedirlo in Francia.” terminò Stefan.
“Buongiorno!” ci salutò una voce.
 

Era lui.
Sbuffai e mi voltai furente verso di lui e con mia grande sorpresa notai il suo bel livido sotto l’occhio destro.
Bravo Damon, ottimo lavoro.
 

“Erik, -mio padre si avvicinò a lui- devo parlarti!”
 

Erik annuì e dopo avermi lanciato un’occhiata di sfida sparì ai piani superiori con mio padre.
Finalmente se ne sarebbe andato.
 
 
 






                                                                                      * * *
 







 
Erik scese furente ed entrò nella biblioteca spalancando la porta.
Si portò di fronte a me nero dalla rabbia.
Mi alzai e gli sorrisi, in un sorriso beffardo.
Con uno scatto mi afferrò per il collo e mi portò attaccato alla parete, osservandomi con uno sguardo carico d’odio.
 

“Sei stato tu, vero?” urlò.
“Può essere, -lo spinsi via sentendo il suolo ai miei piedi- ora devi andartene!”

 
Erik si alzò e a passo di carica venne vicino a me.
Provò a sferrarmi un pugno, ma lo schivai liberamente.
Stefan arrivò di corsa con due guardie.
 

“Prendetelo!” decretò mio fratello.
 

Le guardie presero Erik che continuava a dimenarsi furibondo.
Subito dopo arrivò anche Giuseppe parecchio arrabbiato.

 
“Sei un disonore per questa famiglia, Erik. Sei esiliato dall’Olanda e dalla Francia. Ne parlerò anche con il re!” decretò mio padre.
“Non potete farlo!” urlò dimenandosi, mentre le guardie lo tenevano fermo.
“Sono il re, posso. –si rivolse alle guardie– Portatelo via e assicuratevi che non metta più piede in Francia e in Olanda.”
 

Le guardie portarono via Erik, mentre Stefan mi rivolse un sorriso trionfante.
Guardai Giuseppe in cerca di spiegazioni.
Perché non l’aveva fatto uccidere o ghigliottinare in Francia direttamente?
 

“Perché lo lasci fuggire così?” domandai arrabbiato.
“E’ meglio così, credetemi. E’ pur sempre mio nipote…” mormorò abbassando lo sguardo.
“E’ un bastardo, ecco cos’è!” urlai.
“Damon, non verrà più qui!” disse mio padre duro per poi abbandonare la biblioteca.
 

Stefan venne vicino a me e mi sorrise, poi mi porse il libro che mi era caduto all’arrivo di Erik.

 
“Ha ragione, è meglio così…” mormorò, poi continuò. “E’ arrivata questa dal re –mi porse una lettera– ti vuole vedere questa sera, a quanto pare c’è un ballo.”
“Ballo?” domandai aprendo la lettera.
“Si, per annunciare il fidanzamento, penso…” mormorò osservando la lettera tra le mie mani.
 
 

-Principe Salvatore,
è richiesto a palazzo dal re e dalla regina per questa sera.
                                                       Palazzo reale, Olanda.-
 


“A quanto pare è qualcosa di importante…” mormorai.
 

In questi giorni avevo sentito parlare di un ballo per il fidanzamento e sicuramente era per quello.
Avrei dovuto trovare un vestito –ovviamente nero–, ci sarebbero stati tutti i nobili d’Olanda.
Pensai ad Elena e a tutto il suo imbarazzo per un ballo e sorrisi inconsciamente.


 
Sicuramente non sarebbe stato il suo primo, era una principessa.
Io, all’età di diciotto anni, avevo partecipato a moltissimi balli.
 

“Sei felice?” mi domandò Stefan riscuotendomi dai miei pensieri.
“Stavo pensando…” mormorai, poi continuai. “Fai preparare Thunder, devo andare a palazzo!”
“Va bene…” mormorò uscendo.
 

Presi la camicia nera e la misi sopra la maglietta, poi infilai la lettera in tasca.
Richiusi il libro e lo appoggiai tra altri due libri, poi uscii dalla biblioteca chiudendomi la porta alle spalle.
Mentre camminavo per il corridoio un servo mi interruppe.
 

“Principe Salvatore, vostro fratello vi ha preparato il cavallo…” mi avvisò.
“Grazie Frederick…” lo ringraziai uscendo dalla casa.

 
Arrivai in giardino e trovai mio fratello che teneva Thunder tramite le redini.
 

“Grazie, fratello!” lo ringraziai mettendo il piede nella staffa.
 

Con un balzo e facendo leva sul piede destro–quello sulla staffa– salii a cavallo.
Infilai anche il piede sinistro all’interno della staffa e feci voltare il cavallo.

 
“A dopo…” mi salutò Stefan.
 

Con un cenno della mano salutai mio fratello ed uscii dalla villa a galoppo.
 
 






                                                                                                * * *
 






 
“L’invito è per un semplice ballo che si terrà qui, a palazzo. E’ un ballo in maschera…” mi spiegò il re sorprendendomi, poi continuò. “Sarà presente gran parte del regno, non potete mancare…”
“Certo, non mancherò sire…” lo assicurai.
“Perfetto. L’invito ovviamente è esteso anche a vostro padre e a vostro fratello…” terminò poi.
“Certo!” risposi.
 

Il re continuò ancora per un po’ elencandomi tutte le famiglie più importanti d’Olanda e lo seguii distrattamente.
Una strana voglia si impossessò di me, ovvero quella di vedere Elena, per assicurarmi che stesse bene, che si fosse ripresa almeno un po’.
 

L’indomani avrei chiesto a mio padre di farmi preparare un abito su misura per la festa. Ovviamente la mia futura moglie sarebbe stata la mia dama, per non mettere in giro cattive voci.
Ma a me importava realmente per quello?
 Forse non sarei mai riuscito a rispondere.
 

“Potete andare, non vi intratterrò ancora…” terminò il re osservandomi e mi parve di vedere anche del divertimento nei suoi occhi scuri.
“Si, certo, -mi alzai dalla poltrona- con permesso…”
 

Uscii dalla stanza lasciando il re a parlare con dei funzionari per gli accordi da prendere sulla festa e per altre questioni che riguardavano l’Olanda. Ovviamente a me non interessava niente di tutto ciò, volevo vederla.
Provavo un strano affetto per lei, volevo assicurarmi che stesse bene.
 

“Principessa, non può ancora muoversi…” sentì una donna parlare.
“Sto bene, non vi preoccupate, non sono invalida…” mormorò una voce dolce.
“Non dovete sforzare il piede principessa!” tuonò un’altra voce.
“Devo ringraziarlo!” esclamò sempre la voce dolce di prima.
 

Era lei.
La riconoscevo dal profumo, sapeva in qualche modo di frutta.
La vidi all’inizio del corridoio che camminava –meglio dire zoppicava– tenendosi attaccata al corrimano che correva lungo il corridoio.
Non appena mi vide sul suo volto apparve un sorriso.
 

Per non farla stancare decisi di avvicinarmi personalmente a lei.
Quando arrivai di fronte a lei le sorrisi.
 

“Principessa Elena…” la salutai guardando con la coda dell’occhio le due serve che si guardavano imbarazzate.
“Principe Salvatore, -mi salutò, poi si rivolse alle serve- potete andare ora, grazie…”
 

Le due donne annuirono poi scomparirono lungo il corridoio.
 

“Non resisti da sola senza di me, non è vero?” le domandai divertito.
 

Lei in tutta risposta gonfiò le guance e fece una smorfia buffa che mi fece sorridere apertamente.
Scossi la testa divertito e la feci appoggiare a me, in modo che non sforzasse il piede.
Presi la sua mano destra e la portai delicatamente al mio collo, mentre le mie andarono a sostenerla sulla vita.
 

“Io… Ce la faccio…” mormorò imbarazzata.
“Meglio non stancare troppo il piede per il ballo!” precisai.
 

Si fermò un attimo e mi guardò negli occhi stupita.
 

“Verrai?” mi domandò.
“Certo, -annuii- verrò e a quanto pare sarò il tuo cavaliere…”
“Sembra quasi che ti dispiaccia…” mormorò abbassando lo sguardo e riprese a camminare.
 

La bloccai delicatamente e la avvicinai a me, poi con due dita presi il suo mento e lo alzai, in modo da far scontrare i suoi occhi con i miei.
Terra e ghiaccio.
 

“No, non mi dispiace…” le spiegai.
“Sembrava… -sospirò ed indugiò per qualche attimo sui miei occhi- Sembrava che ti dispiacesse…”
“No, non mi dispiace…” le risposi di nuovo in tono dolce ed ammorbidendo lo sguardo.
“Magari avevi qualcun’altra prima di…” iniziò, poi si bloccò.
 

No, io non avevo nessun’altra.
 

“No, ci sei solo tu e ci sarai sempre tu!” le risposi accarezzandole una guancia.

 
Fu un gesto inaspettato anche per me.
Damon Salvatore che rispondeva così ad una donna?
Ero realmente fuso.
 

“Principessa Elena, vuole essere la mia dama al ballo che si terrà fra due giorni?” le domandai serio, in modo che comprendesse la serietà dell’invito.
 

Lei mi guardò sorpresa e cercò dentro i miei occhi un segno da farle capire che stavo scherzando, ma io non lo stavo facendo.
Glielo comunicai con gli occhi e finalmente capì.
 

“Accetto, principe Salvatore…” acconsentì sorridendo impacciata.
 

Le sorrisi e la presi come prima e la accompagnai nella sua stanza.

___________________________________________________________________________________________________________

Note dell'autrice:

Buon inizio di settimana a tutte e scusatemi per l'immenso ritardo con cui aggiorno, ma ho avuto da fare tra fine della scuola e torneo vari :)
Il ritardo è stato forse imperdonabile, ma da ora in poi cercherò di aggionare il prima possibile!
Questo, forse, è l'unico capitolo di cui non sono pienamente convinta, boh... Non lo so neanche io sinceramene, ma dovrebbe essere un capitolo importante invece a me proprio non piace :/
Finalmente si è scoperto come mai la figura di Erik sia scomparsa e un po' il suo ruolo, fatto sta che ormai è stato esiliato, ma non lascerà perdere Elena così facilmente e anche Damon lo sa. Nei prossimi capitoli avremo il ballo e beh... E' uno dei capitoli più belli che abbia mai scritto :')
Infine ringrazio tutte le persone che hanno recensito la storia, grazie mille :)
Ovviamente anche quelle che continuano a seguirla e chi l'ha inserita tra le preferite/ricordate/seguite.

Alla prossima <3

 

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Capitolo 11
*** Quello che realmente provo. ***


                                     Quello che realmente provo.

                                                          12.




Pov Elena.

Damon mi portò vicino al letto e mi fece sedere delicatamente.
Mi chinai per togliermi le ‘pantofole’, ma Damon mi bloccò. Si inginocchiò di fronte a me e mi sfilò la pantofola prima dalla gamba sana, poi delicatamente dalla caviglia slogata.
Non sentii dolore, aveva fatto tutto delicatamente.
 

“Dovresti riposare, -mi guardò- davvero…”
“E’ da tutto il giorno che sono a letto, io… Sono stufa di rimanere qui…” mormorai fissandolo.
 

Avevo passato tutta la giornata a letto tra un via vai di serve che in ogni attimo mi chiedevano come stavo e se avevo bisogno di qualcosa.
Ero stanca di tutta questa situazione, non ero invalida. Avevo solo una semplice slogatura, nulla di più.
 

“Capisco, non vuoi neanche la mia compagnia?” mi domandò sedendosi accanto a me.
 

La sua presenza mi faceva sentire bene, sicura.
Con Damon mi sentivo sicura, protetta. Lui mi aveva protetta, sempre. Ci conoscevamo da un mese poco più, ma mi sembrava di conoscerlo da una vita.
Chissà come si sentiva lui con me… Lui era diverso. A lui piacevano le donne e la libertà, tutto ciò che io non potevo dargli.
 

La libertà non potevo dargliela, l’avrei costretto a vivere in ‘gabbia’.
Bella non ero, ero una ragazza normale di diciotto anni che non sapeva fare niente.
Lui aveva tutti i tipi di esperienze nella vita, aveva viaggiato e raggiunto ogni limite, umano e non.
 

“A cosa stai pensando?” mi domandò sorridendomi dolce. “Vorrei saperlo…”
“Al futuro e a tutto il resto…” ammisi.
“Pensi ancora quello che pensavi un mese fa sul sposarti?” mi domandò.
 

Quella domanda mi colse alla sprovvista.
Cosa potevo rispondergli?
Non potevo dirgli che avevo cambiato idea perché il mio futuro marito era lui.
 

“Dimmi la verità, Elena…” mormorò.
“No, forse… Forse ho cambiato idea…” ammisi.
“E perché?” mi domandò facendosi ancora più vicino.
“Io… Non lo so… -ammisi- E tu, tu hai cambiato idea?”
 

Damon aggrottò le sopracciglia e spalancò la bocca per parlare, ma poi la richiuse incredulo.
L’avevo sorpreso. Per la prima volta l’avevo lasciato senza parole.
Avvicinò il suo viso al mio e con un dito mi accarezzò il profilo del viso.
 

“Posso aver cambiato idea…” soffiò sulle mie labbra.
 

Il mio cuore iniziò a galoppare impazzito.
Eravamo vicini, troppo vicini. Sentivo il suo respiro caldo sulla mia guancia e le sue mani sui miei fianchi. Sentivo i suoi occhi sulle mie labbra.
Il mio corpo venne scosso da un tremito di puro piacere, la sua vicinanza mi faceva sentire bene.
 

Sentivo una sorta di calore propagarsi all’interno di tutto il mio corpo, era una sensazione che non avevo mai provato prima d’ora, con nessuno.
Avvicinai la mia bocca alla sua e per un attimo vidi nei suoi occhi una decisione, la decisione di posare le sue labbra sulla mia bocca, ma forse mi stavo sbagliando.
 

Lo desideravo, lo desideravo con tutta me stessa.
Cosa mi stava succedendo? Perché provavo tutte queste emozioni?
Tu non provi un semplice affetto, Elena disse la voce all’interno della mia testa.
Si, provavo solo affetto, ma allora perché mi sentivo così?
 

Sentii le labbra di Damon appoggiarsi sulla mia guancia con mio grande disappunto.
Avrei voluto iniziare io, ma mi resi conto che forse era lui a non volerlo. Forse lui non mi vedeva come lo vedevo io.
 

“Sei stanca, è meglio che vada. Buonanotte, Elena…” mormorò alzandosi dal letto e sorridendomi a metà.
 

Aprì la porta e dopo avermi guardato un’ultima volta uscì dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle.
Mi lasciai cadere sul letto ancora in subbuglio per tutte le strane emozioni e sensazioni che avevo provato.
 

Avevo desiderato baciare Damon, avevo desiderato sentire le sue labbra sulle mie e le sue mani grandi su tutto il mio corpo.
Si, avrei voluto baciarlo, con tutta me stessa.
 
 
 
 
 


Pov Damon.
Mi ero comportato da stupido.
Cosa stavo per fare?
Stavo per baciarla, ma dopo l’avrei inevitabilmente ferita. Perché tutte le cose che tocco io le rompo. Non sono bravo a tenere le cose intatte, non lo sono mai stato.
 

Non appena mi ero avvicinato a lei ed avevo avvicinato le mie labbra sulle sue rosee il desiderio di baciarla si era fatto strada in me.
Avrei voluto baciarla, sentire il suo sapore, scendere lungo il collo e ritornare su e baciarla di nuovo.
Avrei voluto guardarla e dirle che mi stabilizzava completamente. Avrei voluto dirle che per me c’era lei e che non vedevo nessun’altra se non lei.
Vedevo solo lei.
Perché la ami, Damon mi rimbeccò la voce all’interno della mia testa.
 

Era questo l’amore?
L’amore era quella passione, quel desiderio di stare con lei, di stringerla tra le mie braccia, di sussurrarle parole dolci e di specchiarmi sui suoi occhi verdi? Era questo l’amore?
Avevo cambiato completamente tutte le mie idee su di lei e sul matrimonio.
Avrei buttato all’aria tutti i miei ideali.
 

Questo l’avevo capito la prima volta che l’avevo vista sul bosco, quando era venuta a casa mia e in tutti gli altri incontri, fino alla notte in quella casa abbandonata.
Quella notte avevo sentito un forte desiderio di stare con lei e di non lasciarla andare, ma avevo pensato solo ad un profondo affetto.
 

Ed ora cosa potevo pensare?
Si, amavo Elena Gilbert, amavo la principessa d’Olanda con tutto me stesso.
Dio se l’amavo. L’avevo capito anche con lo scontro con Erik, quando mi aveva detto che sarebbe stata sua. No, lei era solo mia e tra poco lo sarebbe stata in tutti i sensi.

 
Elena sarebbe stata mia moglie ed io non l’avrei abbandonata per nulla al mondo.
Lei mi migliorava, ma l’aveva detto anche mi fratello.
 
 
 
 
 
 





“Cosa stai facendo, Damon?” mi domandò Stefan sbucando dal nulla.
 

Sussultai per la sua presenza e gli rivolsi uno sguardo infastidito visto che mi aveva distolto dai miei pensieri.
Stavo pensando a lei cosa che accadeva spesso ultimamentee stavo ripensando al nostro dialogo sulla Monna Lisa.
Ad Elena piaceva e non aveva affatto brutti gusti.
 

Mi era sempre piaciuto quel quadro, il quadro del grande Leonardo da Vinci.
Quel quadro era stato capace di mettere in soggezione chiunque e quello sguardo rivolto contemporaneamente al tutto e al nulla.
 

“Osservavo il quadro…” mormorai portando l’attenzione su mio fratello.
“L’ho capito, è da molto tempo che lo stai osservando con lo sguardo perso nel vuoto…” mi punzecchiò.
 

Mi voltai verso di lui guardandolo di sottecchi.
 

“E tu come lo sai?” gli domandai.
“Stavo passando di qui e mi sono fermato, quando ti ho visto osservare il quadro e sono rimasto qui per un po’…” mormorò.
“Mi stavi spiando?” gli domandai tra il divertito e l’infastidito.
“No, -scosse la testa- no.”
 

Guardai ancora mio fratello e mi balenò in testa una strana domanda.
 

“Secondo te questo quadro sarebbe un bel regalo?” gli domandai.
 

Stefan guardò il quadro e poi annuì dubbioso e sorpreso.
Inclinò la testa in modo curioso e mi scrutò attentamente. Sembrava un coniglio.
 

“Si, sarebbe un bel regalo. Per chi è?” mi domandò.
 
 
Per Elena era, ovvio.
 

“Non ti interessa…” gli risposi prendendo un bicchiere.
 

Tenni il bicchiere di cristallo in mano ed afferrai la bottiglia di bourbon, un recente alcolico che non era niente male.
Stava rientrando nella lista dei miei preferiti.
 

“Prima mi chiedi un consiglio e poi non mi dici neanche per chi è?” mi domandò divertito Stefan.
“Per Elena…” mormorai.
 

Stefan spalancò gli occhi sorpreso, poi sorrise vittorioso.
Quel sorriso mi irritò particolarmente. Solo io potevo prenderlo in giro.
 

“Sapevo che quella ragazza ti avrebbe cambiato…” mormorò annuendo.
“Non è vero…” mormorai.
 

Lei non mi stava cambiando, volevo solo farle un regalo.
 

“Tu non te ne accorgi, ma stando con lei sei più sereno, più tu. Ti sta cambiando e in meglio…” mi rispose.
 

Ma Elena mi stava veramente cambiando?
In qualche modo le parole di mio fratello mi fecero riflettere e non aveva torto.
 

“Se lo dici tu…” mormorai sollevando le spalle ed uscii dalla stanza.
 




 
 
 
 

Come avevo fatto a resistere senza di lei in tutti questi anni?
Si, l’amavo e non potevo più stare senza di lei, non più.
Non c’era mattina che non pensassi a lei e ai suoi occhi color nocciola e al suo carattere così da ragazzina, ma con sfumature da donna, una grande donna.
 

“Andrai al ballo?” domandò una voce alla mie spalle.
 

Mi richiusi la porta alle spalle e posai lo sguardo su mi fratello che era in piedi davanti alla cassa degli alcolici.
 

“E’ il mio bourbon quello?” gli domandai indicando la bottiglia che teneva tra le mani.
“Si, -si versò il bicchiere- è tuo.”
“Grazie, ma questo –afferrai la bottiglia dalle mani di mio fratello– la prendo io.”
“Damon, volevo solo…” mormorò, ma lo interruppi.
“Sei ancora troppo piccolo, fratello!” gli risposi prendendo un altro bicchiere e versandomi il liquido ambrato contenuto nella bottiglia.
“Non hai risposto alla mia domanda…” mormorò scuotendo la testa e sfilandomi la bottiglia dalle mani.
 

Stefan si versò un altro po’ di bourbon ed iniziò a sorseggiarlo scrutandomi da sopra il bicchiere.
 

“Si, accompagnerò Elena…” gli spiegai mandando giù anche l’ultimo sorso di bourbon.
“Sarà una sorta di annunciazione di fidanzamento secondo me… -iniziò svuotando il bicchiere tutto in un sorso. Rimase un attimo stordito, poi riprese come nulla fosse- Sarà la vostra prima apparizione ufficiale…”
“Peccato che sia una festa in maschera…” mormorai posando il bicchiere sulla panca e togliendomi il copri-camicia.
 

Mio fratello abbassò lo sguardo e si fissò i piedi.
Alzò la testa verso di me, poi la riabbassò ed iniziò a dondolarsi da un piede all’altro.
 

“Stef, cosa c’è?” gli domandai.
 

Stefan voleva chiedermi qualcosa, ma non ne aveva il coraggio.
A me poteva dire tutto, ma c’era come qualcosa che lo frenava.
 

“Forza, Stefan…” lo incitai.
“Vorrei portare Lexi al ballo, Damon…” disse tutto ad un fiato.
 

Avevo sentito bene?
Stefan voleva portare realmente Lexi al ballo in maschera a palazzo?
 

“Stai dicendo sul serio?” gli domandai.
“Si, insomma… -si bloccò imbarazzato- vorrei portarla al ballo…”
“Stefan, sai cosa succederà se lo verrà scoprire Giuseppe?” gli domandai.
 

Stefan strinse una mano a pugno e con l’altra –la destra– diede un pugno al divano, poi si voltò verso di me guardandomi dritto negli occhi.
Era arrabbiato…
 

“Lo so, lo so! –mi guardò tristemente– Perché deve essere tutto così difficile?”
 

La vita è difficile, Stefan. Tutto è difficile, fratello.
La vita è una gran cavolata e solo se trovi le persone giuste potrai viverla al meglio.
 

“Non lo so, Stefan. –gli appoggiai una mano sulla spalla– Però… Se vuoi invitare Lexi, fallo… Ti coprirò io con Giuseppe!”
 

Mi stavo cacciando in un grosso –grossissimo– guaio, ma infondo Stefan era pur sempre mio fratello.
Quel bambino un po’ piagnucolone che di notte piangeva perché aveva paura del buio e, che per non svegliare mamma durante i suoi ultimi giorni di vita, si rifugiava nel mio letto.
Era soltanto un ragazzino il mio Stefan.
 

“Faresti questo per… Me?” mi domandò sorpreso e con un misto di eccitazione e felicità.
“Si, Stef. Non sono un mostro…” gli risposi sorridendo.
“No, Damon, -mio fratello mi abbracciò facendomi quasi soffocare- no che non lo sei! Grazie Damon, davvero! Grazie!”
“Si, Stef, –lo staccai– va bene. Corri dalla tua amata ora e trovate delle maschere per coprirvi per bene.”
 

Detto questo spintonai mio fratello fuori dalla porta che andò subito nella scuderia a farsi preparare il cavallo dallo stalliere.
Mi sedetti sul divano e curioso presi il libro che stava leggendo mio fratello.

«Una triste pace porta con sé questa mattina: il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto.
Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi. Alcuni avranno il perdono, altri un castigo.
Ché mai vi fu una storia così piena di dolore come questa di Giulietta e del suo Romeo.»

 

Richiusi il libro di scatto e lo appoggiai sul tavolino degli alcolici –qualcuno l’avrebbe sistemato, dopo.
William Shakespeare, uno degli autori preferiti di mio fratello.
Rivedeva la sua storia in quella di Romeo e Giulietta?


Possibile, lui era sempre stato un sentimentalista e drammatico, fin troppo.
Mi diressi verso la mia camera alla ricerca di un vestito e una maschera per la festa.
Sperai di avere qualcosa da indossare.

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Angolo dell'autrice:

Ok, dopo tante sofferenze Damon ha ammesso di amare Elena ed quest'ultima finalmente capisce che stare tra le braccia di Damon la rende sicura e viva, ma ha paura di costringere Damon ad una vita che non vuole anche se lui per Elena farebbe qualsiasi cosa.
Mi dispiace per chi sperava nel ballo, ma sarà nel prossimo capitolo e continuerà in quello successivo.
Godetevi i momenti di dolcezza, che saranno molti, perchè ci sarà qualche problema da affrontare...
Ringrazio le persone, in particolare Celste98, miatersicore23 e sere 99 che ogni volta spendono qualche minuto per lasciarmi qualche parere =)
Ovviamente ringrazio chi legge la storia e chi continua ad inserirla tra le preferite/ricordate/seguite.
Alla prossima <3

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Capitolo 12
*** Il ballo -parte due. ***


                                            Il ballo -parte due.
                                                           13.





Pov Elena.

Damon mi condusse all’esterno dal palazzo allontanandomi dall’atmosfera troppo chiassosa che si era venuta a creare all’interno del castello.
Avevo sempre odiato le feste a palazzo proprio per quel motivo: decisamente troppo chiassose e noiose.
 

“Grazie, mi hai salvato…” dissi attaccando discorso e ringraziandolo.
“Non c’è di che milady!” mi rispose ammiccando, mentre ci stavamo dirigendo verso la fontana nel giardino o almeno la direzione era quella.
 

Camminammo per alcuni minuti in silenzio. Io stavo seguendo Damon, che mi stava conducendo verso il luogo in cui avrebbe desiderato passare il resto della serata.
Come previsto mi portò vicino all’enorme fontana che si trovava nel giardino, il mio posto preferito.
 

La fontana era fatta interamente in marmo con all’interno dei pesci di vario genere che si potevano vedere benissimo di giorno a causa dell’acqua sempre pulita all’interno.
Al centro della fontana c’era un angelo fatto appositamente per mio padre da uno degli scultori più bravi e famosi di tutta l’Olanda.
 

Mi sedetti nello spazio –fatto di circa dieci centimetri– della fontana e Damon si sedette accanto a me. La cosa che più mi incuriosiva era il fatto che anche lui era a conoscenza di questo posto.
 

“Posso farti una domanda?” gli domandai.
“Certo, dimmi pure.” mi rispose sorridendo.
“Come mai sei a conoscenza di questo posto? Di solito non ci viene quasi nessuno…” domandai.
“Prima di entrare a palazzo mi sono perso. –sorrise divertito ripensando al momento prima– Mio padre e Stefan erano già dentro, mentre io mi ero perso ad osservare la natura e sono finito qui. Alla fine sono riuscito a trovare l’entrata, ma non domandarmi come perché non lo so neanche io!”
 

Terminò il tutto ridendo ed io risi con lui.
Era estremamente bello passare del tempo con lui. Quando ero con Damon mi dimenticavo di tutto il resto, ci chiudevamo in una sorta di bolla di cui era difficile uscirne.
Smisi di ridere e rivolsi uno sguardo imbarazzato a Damon quando lo vidi guardarmi… Estasiato?
 

Aveva una strana espressione in volto, che ben poche volte gli avevo visto o, perlomeno, aveva quando eravamo insieme.
Mi spaventai quasi, vedendo che non dava segni di vita.
 

“Damon, ti senti bene?” gli domandai.
“Mai stato meglio. Ti ho detto che questa sera sei incantevole?” mi domandò.
 

Abbassai subito lo sguardo imbarazzata, mentre le mie guance si tinsero di un rosso color porpora quasi.
 

“No, -scossi la testa- ma grazie…”
 
 
 
 
 


Pov Damon.
Mi diedi dello stupido per aver messo in imbarazzo Elena e per non aver frenato la mia lingua.
Cosa mi era preso? Ora non ero più in grado di controllare neanche il mio corpo.
Di male in peggio.
 

Certo, pensavo veramente che fosse bellissima, anzi, era una dea, ma quell’uscita non era certo di Damon Salvatore.
Io, Damon Salvatore, lo scapolo più ambito di tutta la Francia e a quanto pare anche di tutta Olanda visto che ogni volta che passavo per le strade gli sguardi di tutte le fanciulle si posavano su di me, che si riduceva a fare lo smielato in presenza di una donna.
 

Certo, se la donna in questione era la qui presente era anche capibile.
Dio, ma come stavo ragionando?
Il problema era che Elena mi destabilizzava. Quando stavo con lei il mondo attorno a me girava completamente su di lei.
 

“Mi dispiace di non avertelo detto prima…” continuai sfiorandole una guancia e portandole una ciocca di capelli sfuggita alla sua acconciatura dietro l’orecchio.
 

Mi sorrise timida e mormorò un: “Fa niente.”
Era incredibilmente bella quando sorrideva così, era incredibilmente dolce quando si imbarazzava per qualsiasi complimento ed era terribilmente bella in tutto quello che faceva.
Oramai l’avevo capito: volevo stare con lei e per mia fortuna –per uno strano scherzo del destino– avrei passato il resto della mia vita con lei.
 

Aggrottai le sopracciglia e mi bloccai all’istante, complice di una terribile paura che si fece strada in me.
E se lei non mi voleva?
E se lei non teneva a me quanto io tenevo a lei?
Avrei potuto chiederglielo, ma che figura ci avrei fatto?
 

“Sei sicuro di stare bene, Damon? Mi stai facendo preoccupare…” mormorò distogliendomi ancora dai miei pensieri.
“No, -scossi la testa- non sto bene. Non capisco cosa mi sta succedendo, è come una lotta interiore tra la mia testa e il mio cuore. Dannazione, non so cosa dire! Ho la testa in subbuglio…”
 

Elena mi guardò spaventata inclinando la testa non capendo.
La stavo spaventando con tutti i miei monologhi interiori.
Le accarezzai delicatamente una guancia e mi soffermai –forse un po’ troppo– al lato sinistro della sua bocca.
 

La sua pelle era liscia, morbida e mi provocava strani brividi che percorrevano il mio corpo dalla testa fino ai piedi.
La mia mano scese delicata lungo il suo collo, soffermandosi poco più sopra l’altezza della clavicola.
 

Elena mi guardava stranita, ma allo stesso tempo attenta. Aveva perfino smesso di respirare.
Preso da uno strano impulso, uno di quelli che capita una volta nella vita e di cui non ti capaciti neanche il perché, mi avvicinai di più a lei.
 

Sentivo il suo respiro caldo sul mio collo, la mia barba un po’ accennata –non troppo– solleticava la sua guancia.
I nostri nasi si sfioravano, la mia mano le accarezzava ritmicamente la spalla in una danza senza limiti.
 

Ormai c’erano pochi centimetri che ci separavano dal far scontrare le nostre labbra. Io volevo baciarla, volevo sentire le sue labbra sulle mie, volevo sentire il loro sapore, volevo in qualche modo farle capire i miei sentimenti per lei.
Elena si avvicinò a me, tanto che le nostre labbra si sfiorarono.
 

Portai le mie mani dietro di lei, a sorreggerle i fianchi, e la tirai più a me.
Posai delicatamente la mia bocca sulla sua e lei si abbandonò completamente a me.
Le sue labbra erano morbide e delicate mentre si appoggiavano sulle mie e sapevano di pesca. Si, decisamente la pesca. Elena portò le sue mani dietro la mia testa ed io approfondii il bacio con più foga perdendomi in quegli occhi color del cioccolato e così belli, ma un colpo di tosse bloccò entrambi.
 

“Scus…atemi io non volevo… Interrompervi…” balbettò una voce alle nostre spalle.
 

Mi voltai di scatto pronto a fulminare –e ad uccidere colei che ci aveva interrotto– ma trovai una Bonnie spaventata di fronte a me.
Tremava ed era visibilmente preoccupata.
 

“Bonnie, -Elena si staccò da me ancora accaldata e con mio grande disappunto- cos’è successo?”
“Il principe, Jeremy è… E’…” balbettò scoppiando in lacrime.
“Bonnie, ti prego, cos’è successo a Jeremy?” le domandò Elena.
“Qualcuno l’ha colpito… Li hanno sparato!” terminò lei ancora scossa dai singhiozzi.
 

CHE COSA?
 

“CHE COSA?” urlò Elena scuotendo la testa. “No, non è possibile.”
“Era a caccia con altre persone e all’improvviso… Qualcuno… Qualcuno h-ha sparato e lo h-ha col-pito…” terminò singhiozzando.
 

Elena si alzò scossa e abbandonò sia me che Bonnie nel giardino.
Mi alzai di scatto e la seguii. Non potevo lasciarla da sola in questo momento.
 
 
 




Pov Elena.
Corsi a perdifiato verso l’entrata del castello sotto lo sguardo sbigottito di alcuni aristocratici, ma poco mi importava.
Dovevo vedere mio fratello e dovevo sapere come stava.
Avevo capito solo che gli avevano sparato, ma perché?
 

Entrai velocemente all’interno del castello e dopo aver chiesto informazioni ad uno dei servi mi precipitai verso la camera di mio fratello, ma venni fermata da mio padre.
Tentai di divincolarmi dalla sua stretta, ma lui mi tenne bloccato.
 

“Padre, dov’è Jeremy?” gli domandai con le lacrime agli occhi.
“I medici lo stanno curando. Gli stanno estraendo la pallottola. Dagli ultimi riscontri non sembra nulla di grave…” mi spiegò.
 

Incrociai il suo guardo e lo vidi carico di angoscia e preoccupazione, come giusto che fosse.
Come io ero sua figlia, lui era suo figlio e in questo momento mio fratello stava rischiando di morire.
 

“Come… Com’è successo?” domandai scossa da tremiti incontrollabili.
“Qualcuno li ha sparato. Era a caccia, a tuo fratello non piacciono queste feste, e qualcuno è sbucato dal nulla e ha sparato.” terminò mia madre seduta su una delle sedie in legno del corridoio.
 

Era visibilmente scossa pure lei.
Mi staccai da mio padre e l’abbracciai.
Mia madre iniziò a singhiozzare ed io con lei.
Vidi dall’altra parte del corridoio Stefan e Giuseppe –visibilmente arrabbiato con quest’ultimo.
 

Ora sinceramente non mi importava, ero preoccupata per mio fratello.
Dopo non so quanto tempo arrivarono anche Damon –preoccupato– e Bonnie. Non appena Damon mi vide mi venne incontro e si sedette accanto a me. Mi accarezzò la guancia mormorando un: “Andrà tutto bene, vedrai.
 

 






                                                                                      * * *
 






 

Venni svegliata dall’aprirsi di una porta. Aprii gli occhi lentamente e solo in un secondo momento mi accorsi di essere nel mio letto, con una camicia da notte, avvolta nelle lenzuola bianche appena cambiate.
Non appena focalizzai interamente la mia stanza scorsi la figura di Damon appoggiata allo stipite della porta e Bonnie che teneva ancora la porta aperta con degli asciugamani puliti.
 

Balzai in piedi di scatto spaventata. L’ultima cosa che ricordavo era il corridoio nella stanza di mio fratello e Damon che mi sussurrava parole dolci e mi ricordo pure di essermi appoggiata a lui.
 

“Dov’è Jeremy?” domandai preoccupata.
“Calmati. –Damon si avvicinò a me– Sta bene, il dottore ha estratto la pallottola. Fortunatamente non ha danneggiato nessuna arteria della gamba e in qualche giorno guarirà.”
 

Sospirai e mi lasciai cadere sul letto esausta.
La testa scoppiava, forse a causa di tutta la preoccupazione accumulata.
 

“Dorme?” domandai.
 

Damon annuì: “Si, sta riposando.”
Abbassai lo sguardo delusa. Avrei voluto vederlo, ma capivo perfettamente che mio fratello aveva bisogno di riposo.
 

“Potrai vederlo domani, non preoccuparti.” mi rassicurò Damon, poi guardò Bonnie. “Ora è meglio che vada. Buonanotte fanciulle.”
 

Damon uscì salutandoci con un cenno del capo richiudendosi la porta alle spalle.
Mi abbandonai nel letto decisamente più sollevata e Bonnie appoggiò gli asciugamani nella scrivania alla destra del mio letto.
 

“Vai a riposare Bonnie, ci vediamo domani!” la congedai vedendo la sua stanchezza.
“Buonanotte, Elena.” mi salutò.
“Buonanotte.” la salutai sistemandomi meglio fra le coperte abbandonandomi tra le braccia di Morfeo.
 
 
 


 
 
Pov Damon.
Ero arrivato a casa più tardi rispetto a mio padre e a mio fratello, ma non mi era sfuggito un particolare.
Giuseppe era teso e guardava quasi in cagnesco mio fratello.
Chissà cosa aveva combinato il mio buon vecchio fratellino.
 

Scesi dalla carrozza e mi diressi verso le scale della reggia.
Una volta entrato notai mio padre seduto sulla sua poltrona con la testa abbassata e una bottiglia di bourbon –il mio bourbon!– sul tavolino accanto a lui.
 

“Dov’è Stefan?” domandai.
“Non lo so e non voglio saperlo.” mi rispose secco versandosi un altro bicchiere di bourbon.
 

Prima che mandasse giù quel liquido lo bloccai e gli tolsi il bicchiere dalle mani.
Lo appoggiai sul tavolo e mi posizionai davanti a lui.
 

“Dov’è?” domandai.
“Molto probabilmente con quella sgualdrina della bionda.” mi rispose posando il suo sguardo furente su di me.
 

Bionda?
Quale bionda? Ah… Quella bionda. Lexi.
 

“Uhm… Oh, si, Lexi!” risposi.
“Tu –si alzò di scatto– lo sapevi?”
“L’ho scoperto poco tempo fa. Cosa c’è di male?” gli domandai fronteggiandolo.
“Lui è il principe di Francia, secondo erede al trono. NON può stare con una come lei!” urlò.
“Ma che problema c’è? Lui la ama e lei ama lui.” risposi duro.
“Lei ama lui solo per i suoi soldi!” urlò sbattendo un pugno sul tavolo.
“No –scossi la testa ricordandomi lo sguardo adorante della biondina verso mio fratello. Quello era vero amore– Stefan la ama e lei ama lui. Niente soldi o titoli nobiliari, te l’assicuro. Stefan è stato fin troppo succube di questa vita, lascialo vivere con una donna che ama.”
 

Giuseppe non ribatté. Presi il bicchiere di bourbon che avevo appoggiato e lo bevvi fino all’ultimo sorso poi posai il bicchiere vuoto sul bracciolo della poltrona.
Salii nella mia camera ridendo sotto i baffi per la scappatella del mio fratellino soprannominato da me Santo Stefan, che poi santo non era.
 

Aprii la porta della mia camera e mi cambia per la notte.
Proprio quando decisi di andare a dormire trovai un biglietto scritto in una grafia elegante e non appena notai la scrittura mi venne un colpo al cuore.

 


Ciao Damon, è stato bello rivederti anche solo per una sera. Eri un incanto con quel vestito, uno di quelli che piacevano a me.
A presto.
                                                                                                                    K.



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Note dell'autrice:





Questa è la foto di cui mi sono innamorata e di cui vi parlavo dell'altra volta.
Adoro questa foto personalmente, non mi stanco mai di guardarla :)
Non so chi l'abbia fatta, ma ha tutta la mia stima ^^
Ora torno alla storia sennò non mi stacco più da questa foto.
Dopo anni luce, finalmente, Damon ed Elena si sono baciati ed ognuno ha sentito emozioni diverse, ma, ovviamente, qualcuno doveva pur interromperli, no?
Jeremy è stato ferito nel bosco, ma niente è accaduto per caso, ricordatevelo in seguito.
Lo so, sono perfida, ma ovviamente bisognava aggiungere qualcos'altro di piccante alla storia e ci pensano i due fatt finali: Stefan e Lexi e la misteriosa K ed anche quest'ultima porterà altri problemi, ma tutto è collegato.
Ringrazio di cuore le cinque bellissime persone che hanno recensito lo scorso capitolo, grazie davvero :)
Ringrazio ovviamente chi segue la storia e che l'ha inserita tra le preferite/ricordate/seguite.

Alla prossima <3

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Capitolo 13
*** Il ballo -parte uno. ***


                                                         Il ballo -parte uno.
                                                                      12.





Pov Elena.

“Mi dispiace, Bonnie…” mormorai, mentre la mia migliore amica finiva di sistemarmi i capelli acconciandoli in un modo strano.
 

Erano acconciati in una specie di chignon sopra la testa con qualche ciuffo lasciato cadere lungo la faccia.
Sul davanti era fermato da una coroncina.


“Non fa niente, Elena…” mormorò lei di rimando.
“Lo so che ci tenevi a partecipare a questo ballo, –precisai– forse possiamo fare qualcosa!”
“No, -Bonnie scosse la testa- io dovrò servire tutti i nobili presenti in questa serata.”
 

Bonnie abbassò il capo, poi si spostò da dietro di me per farmi alzare.
La guardai e l’abbracciai tentando di trasmetterle tutto il mio sostegno. A Bonnie erano sempre piaciuti i balli, davvero tutti.
Desiderava prenderne parte ad almeno uno, ma per il volere dei miei genitori –non che avessero qualcosa contro Bonnie, ma erano le regole– lei non vi avrebbe mai partecipato.
 

Bonnie mi allacciò il corsetto tramite dei fili che si intrecciavano dietro la schiena, poi mi aiutò ad infilare la sottogonna e poi il crinoline. Odiavo quell’arnese, da sempre. Mi impediva ogni movimento, ero imbranata persino a camminare, ma quella sera avrei dovuto usarlo, come tutte le volte che uscivo praticamente.
Alla fine mi infilai l’enorme vestito bianco tentando di non rovinare l’acconciatura e Bonnie lo chiuse con dei lacci color panna tentando di stringere il più possibile.
 

“Piano, Bonnie…” mormorai mentre la mia amica terminava di allacciare anche l’ultimo laccio.
“Scusa…” mi rispose sollevando le spalle. “Sei bellissima…”
 

Bonnie mi aiutò a camminare fino all’enorme specchio che si trovava alla sinistra dell’armadio in legno della mia stanza.
Osservai la mia esile figura perfettamente fasciata dall’abito bianco, fatto appositamente confezionare per me da mia madre, e notai con grande stupore di essere carina.
Non mi ero mai vantata di me stessa, poiché non ero una bellissima ragazza, ma quella sera Bonnie mi aveva resa come una principessa –anche se, parlando, lo ero nel vero senso della parola.
 

“Sono tesa…” mormorai rivelando a Bonnie i miei pensieri.
“Perché mai?” mi domandò venendomi accanto.
“Ci saranno tantissime persone e…” iniziai incapace di continuare.
 

Ero agitata, preoccupata, emozionata e tesa come una corda di violino.
Ero più tesa del mio debutto in società. Avevo soltanto quindici anni quella volta e ora ne avevo tre in più, diciotto, ma non ero mai stata così spaventata.
Ero diventata una donna ormai e tutti gli occhi sarebbero stati su di me e… Damon.
La futura coppia reale. La parola coppia non era niente male pronunciata accanto al mio nome e al suo. Scossi la testa e cercai di scacciare via quel pensiero.
Non saremo mai stati una coppia. Provavo un profondo sentimento per lui, un sentimento che non avevo mai provato prima.
 

Con Damon stavo bene, come non ero mai stata con nessun altro.
Mi sentivo libera, protetta, al sicuro da tutto e tutti. Il mio, forse, era più di un profondo sentimento, ma lui questo non l’avrebbe mai provato.
Chi può innamorarsi di una ragazzina come me? Piena di sogni irrealizzabili e a cui piace straparlare e sognare.
Forse siamo simili, ma lui certamente non è un ragazzino.
 

“Elena, –mi chiamò Bonnie mostrandomi una maschera bianca, quella che avrei dovuto indossare– questa la tengo io. Quando entrerete –parlava di me e Damon– non avrete la maschera, dovrete indossarla successivamente.”
“Si… Grazie…” mormorai.
“Non ti devi preoccupare di nulla, Elena. Sei bellissima, sei perfetta così. Non preoccuparti della gente, preoccupati solo di te stessa. Poi avrai Damon al tuo fianco…” mi disse strizzandomi l’occhio.
“Lui attirerà tutte le ragazze olandesi…” mormorai.
“Si, può darsi, ma i suoi occhi saranno solo ed esclusivamente per te!” precisò.
“No, –scossi la testa– non  è vero.”
“Elena, perdonami, ma non hai visto come ti guarda ogni volta che siete insieme? E’ stato un colpo di fulmine appena vi siete conosciuti. Ti guarda come adorerebbe un Dio…” mi assicurò.
 

No, Damon non mi avrebbe mai guardato così.
Era l’incontrario, forse.
Damon stava con me perché era costretto, ecco qual era il punto.
 

“No… E’ da più di un mese che ci conosciamo, è vero e tra poco dovremo sposarci, ma non penso che mi guardi in quel modo, lui-” iniziai, ma Bonnie mi interruppe arrabbiata.
“Fidati di me, Elena. Lui ti guarda come non guarderebbe mai nessun altra. Solo tu non te ne sei accorta, lui ti am-” continuò, ma sul più bello si interruppe grazie all’entrata di mia madre.
 

Interrompeva sempre i momenti meno opportuni.
 

“Siete bellissima figlia mia…” mormorò mia madre con gli occhi lucidi.
“Grazie, madre.” risposi abbassando lo sguardo.
“Vieni, –mi indicò la porta– è arrivato Damon.”
 

Mi voltai per l’ultima volta verso Bonnie che mimò con le labbra un: “Lui ti ama!”
Scossi la testa ed inarcai un sopracciglio, mentre la mia amica annuiva convinta. Forse avevo capito male –no, era certo.
Seguii mia madre lungo il corridoio che portava verso una delle sale principali del castello –per quanto riguardava quelle al piano superiore.
 

Mia madre si fermò davanti alla porta e uno della servitù l’apri, in modo da farci passare. Non appena entrai notai mio padre e mio fratello venirmi incontro, mentre alla loro destra c’erano dei volti familiari.
Damon, Stefan e Giuseppe.
Non badai né a mio padre né agli altri, mi concentrai solo su Damon.
 

Era vestito con una sorta di camicia bianca, da cui fuoriusciva un fazzoletto altrettanto bianco. Era coperto da una giacca blu aperta sul davanti con dei bottoni interamente d’argento.
I pantaloni erano dello stesso colore della giaccia, così come le scarpe.
Era bellissimo.
 


 
 
 
 
 
 
Pov Damon.
Mio padre ed il re stavano parlando della serata e concordavano sul fatto che questa festa sarebbe stata l’occasione per presentare la futura coppia reale.
Non era male la parola coppia accostata al mio nome e a quella di Elena.
Provavo un forte –fortissimo– sentimento per lei, ma sicuramente non ero ricambiato.
 

Lei era dolce, pura, di una bellezza fuori dal normale e non si sarebbe mai innamorata di uno come me. Quello adatto era senza dubbio Stefan.
Stefan era un bravo ragazzo, con la testa sulle spalle e con una strana passione per la medicina. Era intelligente ed era l’incontrario di me. Io avrei portato Elena alla rovina, mentre lui… Beh lui non l’avrebbe mai fatto.
 

Sarebbe stato un ottimo marito per lei –quello che io non sarei mai stato–, un bravo sovrano e un ottimo padre per futuri pargoli. Lui aveva il carattere forte di portare avanti una famiglia, non io.
Famiglia.
 

Era strano pensare a questo concetto. Non ci avevo mai pensato o, perlomeno, avevo iniziato a pensarci da quando avevo conosciuto lei.
Io, lei e dei bambini. Sorrisi inconsapevolmente a quel pensiero. Io volevo creare una famiglia con lei, era un passo enorme, ma prima o poi avremo dovuto farlo. Non mi ci vedevo assolutamente però con un bambino in braccio.
 

“Smettila di pensare per qualche volta e divertiti…” sussurrò mio fratello non facendosi notare da mio padre e dal re.
“Cosa?” domandai ritornando bruscamente alla realtà.
“Ti ho detto di pensare meno e divertirti di più…” terminò, poi continuò. “Eri così assorto che non ti sei accorto neanche di una domanda rivolta a te dal re –sorrise–, fortunatamente sei stato salvato dall’arrivo di un paggio con un avviso.”
“Io…” mormorai, ma poi mi interruppi notando l’aprirsi della porta principale della sala.
 

Dalla porta entrò per prima la regina, seguita da un’altra esile figura fasciata da un abito bianco.
Era perfetta, un angelo.
Elena era stupenda, una visione magnifica.
 

L’abito bianco –anche molto costoso– le fasciava perfettamente le curve. I capelli erano raccolti in una strana acconciatura, ma a lei donava molto.
Era solamente perfetta.
Elena alzò lo sguardo verso di me, poi mi sorrise imbarazzata, mentre seguiva la madre che stava venendo verso di noi.
 

“Vai da lei, su! E’ bellissima…” mormorò mio fratello.
 

Il re andò verso da lei e guardò incantato la figlia, come alcuni presenti –per lo più burocratici– all’interno della sala.
Tutti gli occhi erano puntati su di lei e non erano ancora arrivati i veri invitati.
Stefan mi spinse leggermente in avanti ed impacciato mi diressi verso Elena.
 

Arrivai davanti ad Elena e le presi la mano e gliela baciai, mormorando un ‘Sei meravigliosa’ mentre lei fece un piccolo inchino abbassando la testa.
Quando si rialzò portò i suoi occhi sui miei e mi persi un attimo in quelle iridi che sembravano del cioccolato fuso.
 

Le ripresi la mano e la condussi vicino al trono, dove c’erano mio padre, mio fratello, il re, il principe e la regina.
Il tocco con la sua mano mi provocava brividi inspiegabili, stavo bene con lei accanto. Io, il grande Damon Salvatore, non mi ero mai sentito così.
Sembravo un ragazzino al suo primo appuntamento importante.
 
 






 
                                                                                                                      * * *







 

Il grande momento era arrivato.
La sala sottostante era gremita di persone perlopiù le famiglie più importanti di tutta Olanda –addirittura c’era anche qualche famiglia francese venuta proprio per la nuova coppia.
 

Perché ero così tremendamente nervoso?
Non era la mia prima apparizione in pubblico questa, ma non ero certo in Francia. Qui era diverso, ero in una situazione diversa.
Accanto a me avevo la mia futura moglie tesa come una corda di un violino, ed ogni tanto tremava.
 

“Hey –presi il suo viso tra le mie mani– tutto bene?”
“Io… Sono solo un po’ nervosa…” mormorò cercando di sorridere, ma fallì.
“Non preoccuparti –le accarezzai una guancia– ci sono io qui con te. Andrà tutto bene. Non è il primo ballo a cui partecipi, no?”
“Si, ma è tutto così diverso…” rispose flebile mentre si torturava le mani.
“Andrà tutto bene, te lo prometto!” le promisi mettendo il braccio di fianco in modo che lo prendesse.
 

Elena arpionò il mio braccio ed iniziammo a camminare.
Una leggera musica proveniva dalla sala del ricevimento e si sentivano voci che sormontavano altre voci. Tipico di un ballo.
Camminando lentamente arrivammo di fronte all’enorme porta.
 

Il paggio abbassò il capo in segno di riconoscimento e, una volta entrato in sala, annunciò il nostro arrivo dicendo –o urlando: “La principessa Elena Gilbert e il principe Damon Salvatore!
Elena deglutì al mio fianco, poi seguì i miei passi ed entrammo.
Tutti gli sguardi dei presenti erano puntati su di noi e nessuno muoveva un muscolo.
 

Questo silenzio era davvero fastidioso, ma per fortuna avevo lei al mio fianco.
Elena si irrigidì, le accarezzai un braccio e parve farsi più tranquilla.
Avanzammo elegantemente fino al centro della sala e poco dopo partirono alcuni applausi, seguiti da altri infiniti.
 

Qualcuno urlò un: “Evviva la futura coppia reale!”, ma non ci badai molto.
Condussi Elena al centro della stanza e, come tradizione, aprimmo noi le danze.
Spostai le mie mani attorno alla sua vita, mentre lei portò le sue dietro al mio collo ed iniziammo a volteggiare con grazia al centro della stanza.
 

Elena si muoveva sinuosa di fronte a me, libera e con molta grazia, mentre io dettavo i ritmi. Non era per niente impacciata come più volte mi aveva detto, oppure era l’atmosfera magica a renderla così equilibrata.
L’avvicinai di più a me tenendola stretta, mentre il mio corpo pregava di avvicinarla ancora di più a me.
 

Le mie mani erano dietro di lei e per nessuna ragione al mondo avrei mai voluto staccarle. Erano come incollate, ma quella sensazione era piacevole.
Eravamo vicini, i nostri petti quasi si sfioravano provocandomi altre strane sensazioni.
 

“Sei bravissima, non sei per nulla impacciata.” dissi complimentandomi mettendo su il mio solito sorriso.
“Grazie –mi sorrise. Un sorriso dolce– di solito non sono così, faccio sempre brutte figure…”
“Non ci credo…” le assicurai.
 

Lei annuì sorridendo, poi alzò leggermente gli occhi per riflettere.
 

“A tutti i balli ho rischiato di finire a terra e questo è poco signorile…” mormorò imbarazzata, continuando a danzare.
 

L’attirai ancora di più a me, spostai una mia mano dalla sua schiena e presi una delle sue da dietro la mia testa, poi le feci fare una leggera giravolta, facendola ridere divertita.
Ormai attorno a noi non c’era più nessuno –anche se varie coppie ballavano–, c’eravamo solo noi, io e lei.
 

“Anche gareggiare a cavallo è poco signorile…” la punzecchiai facendole fare un’altra giravolta.
“Ammetti che ti brucia ancora la sconfitta…” mi punzecchiò lei lasciandomi senza parole.
 

Colpito.
Risi divertito, poi il tipo di musica cambiò così come il nostro ballo.
Il ritmo si fece più cadenzato, come in una sorta di valzer, uno dei miei balli preferiti.
Era difficile saperlo ballare, ma, con mio grande stupore, Elena lo sapeva praticare perfettamente.
 

Sorrisi e continuammo a volteggiare, mentre ormai la parte centrale della sala era piena di aristocratici danzanti.
Mi sembrò di vedere mio fratello con Lexi e, fortunatamente, entrambi indossavano una maschera. Io ed Elena eravamo una delle poche coppie a non indossarla.
Meglio così, volevo vederla negli occhi.
 








 
                                                                                            * * *
 








 
“Stai bene?” domandai ad Elena notando l’ennesima smorfia.
“Si, sto… Bene…” mormorò cercando di mascherare una smorfia, ma fallì.
 

Non era molto brava a nascondere le bugie.
Aveva affaticato troppo il piede, dovevamo fermarci.
Le presi una mano e la condussi fuori dalla pista, in uno dei luoghi della stanza più tranquillo.
 

“Dove andiamo?” mi domandò.
“A farti riposare la caviglia. Non la devi sforzare troppo. Hai ancora male, lo vedo!” le risposi ammonendola con lo sguardo.
“No –scosse la testa– ti stai sbagliando.”
“Io non sbaglio mai!” le risposi.
 

Elena sbuffò lasciandosi guidare fuori dalla stanza. Saremo stati più tranquilli.
 

“Ho bisogno di un po’ d’aria…” mormorò.
“Andiamo fuori…” dissi annuendo conducendola verso l’esterno del castello.

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Note dell'autrice:
Come promesso, ecco la prima parte del ballo. Sotto vi metterò anche la foto di Damon ed Elena e di come sono vestiti, entrambi. Sinceramente non so chi l'abbia fatta, perchè è sicuramente un fotomontaggio, visto che non ho mai sentito di un film tra Ian e Nina -perchè non ce ne sono- in cui sono conciati cosi :)
Ok, ormai amo questi Damon ed Elena e non mi stanco mai di scrivere su di loro. E pensare che ho già scritto tanti capitoli e sono quasi alla fine mi viene male.
Credo che questa storia durerà all'incirca trenta capitoli, forse un po' di più :')

Comunque... Finalmente troviamo, anzi leggiamo, cosa pensa Elena e lei prova realmente paura per Damon, ma ha paura di non essere ricambiata, così vale anche per Damon.
Vi avverto, nel prossimo capitolo sarò un po' cattiva -e chi segue le mie storie lo sa bene u.u'- ma è uno dei miei capitoli preferiti quello.
Ringrazio le quattro persone che hanno recensito la storia davvero di cuore, grazie mille <3
Magari anche chi legge silenziosamente si può far sentire, così, se non va bene qualcosa, cercherò di adeguarmi.
Alla prossima ^^

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Capitolo 14
*** K come Katherine. ***


                                                   K come Katherine.
                                                               14.



Pov Damon.

Mi portai le mani tra i capelli abbattuto, come non lo ero da molto tempo.
Perché lei doveva venire a rovinare la mia vita proprio ora?
Perché era ritornata adesso mettendo in dubbio tutte le mie certezze mentre stavo facendo chiarezza sul mio povero cuore destinato a prendere batoste su batoste?
 

Una sola lettera, una K, per far crollare il mio castello di sogni.
Lei era ritornata ed avrebbe fatto qualsiasi cosa per avermi e neanche contro la mia volontà, perché ero troppo succube di lei.
L’avevo dimenticata a fatica –ma l’avevo fatto– ed ora era ritornata a rovinare la mia vita.

 
Il mio grande amore, colei a cui avevo donato tutto me stesso era ritornata e non sapevo nemmeno cosa volesse da me.
Forse mi amava ancora, ma io l’amavo?
Avevo appena baciato la mia futura moglie ed ero stato felice nel farlo, non mi sentivo così da tanto tempo, forte non mi ero mai sentito così neanche con lei, eppure uno stupido bigliettino mi aveva fatto mettere in discussione tutto.

 
Forse –e lo speravo con tutto me stesso– era un brutto scherzo del destino.
Accartocciai il biglietto e lo lanciai sul fuoco del camino che animava la mia stanza, poi mi gettai sul letto abbandonandomi tra le braccia di Morfeo.
 
 






                                                                                             * * *







 
 
“Hey, Damon… Svegliati…” mi scosse una voce.
 

Aprii lentamente gli occhi mugugnando qualcosa in segno di dissenso.
Mi ero addormentato dopo chissà quanto tempo pensando ancora a lei ed ora qualcuno mi svegliava per chissà che cosa.
Attorno a me vidi ancora buio e pensai fosse tutto un sogno. Mi riappoggiai contro il cuscino, ma di nuovo due mani mi scossero.

 
“Damon…” mormorò ancora una voce che conoscevo bene.

 
Stefan.

 
“Cosa vuoi?” mormorai –parecchio infastidito– tentando di alzarmi.
“Sono venuto a prendere le mie cose.” rispose diretto.
“Come le tue cose?” domandai alzando il tono di voce e mettendomi a sedere del tutto.
“Non posso più rimanere qui, Damon. –mio fratello si alzò e lo vidi, seppur a fatica, andare vicino alla finestra– Giuseppe ormai non mi considera più come suo figlio…”
“Te l’ha detto?” gli domandai bloccandolo.
“No, -scosse la testa- no, però dal suo sguardo intendeva quello. Anche se rimango qui, peggiore delle ipotesi, non mi permetterà di vedere Lexi e questo lo sai.”
 

Annuii conoscendo bene il carattere di nostro padre. Avrebbe fatto di tutto pur di impedire a Stefan di vedere Lexi.
 

“Stefan, va’ a dormire. Ci parlerò io con lui domani…” mormorai stanco.
“No, Lexi mi sta aspettando. Devo andare Damon e mi serve il tuo aiuto.” mi rispose sicuro di se.

 
Se fossi stato sveglio o più lucido mentalmente avrei portato Stefan in camera sua e lo avrei anche legato al letto per impedirgli di andarsene, ma non riuscii a contraddirlo.
Questo nuovo Stefan mi piaceva, così sicuro di se e dell’amore per una donna.
Questo era il fratello che avevo sempre voluto.

 
“Va bene, fratellino, ma non metterti nei guai…” borbottai alzandomi.

 
Stefan fece per abbracciarmi, ma lo scostai. Afferrai la giacca e me la infilai, poi, cercando di fare meno rumore possibile, aprii la porta seguito da mio fratello.
Il buio padroneggiava su tutta la villa ed il silenzio faceva da sfondo.
Passo dopo passo arrivammo nella stanza di Stefan.
Lo aiutai, andando a tentoni, a raccogliere più vestiti possibili, vista la situazione. Se avessimo acceso la luce Giuseppe –o uno della servitù– si sarebbe svegliato e lì si che sarebbero stati guai.

 
“Damon, passami quella!” disse indicandomi una foto, forse.

 
Mi diressi verso la scrivania ed andai a sbattere contro lo spigolo del letto mugugnando dal dolore, ma tentai di non urlare o proferire parola.
Mi avvicinai alla scrivania ed afferrai la foto.
Riuscii ad intravvedere le quattro figure su di essa grazie alla luce della Luna: io, Stefan, mamma e papà.

 
Eravamo ancora una famiglia in quella foto.
La passai a mio fratello e lo vidi pensieroso, poi se la infilò in tasca.
Stefan si avvicinò alla finestra, ma lo bloccai.

 
“Ma per dove credi di uscire?” gli domandai tenendolo per un braccio.
“Per la finestra. Non posso uscire dalla porta, Damon.” mi spiegò e dopo un attimo di titubanza annuii.
“Stefan, sta’ attento. Non combinare guai…” mormorai.
“Non preoccuparti, Damon.” mi rispose e stava per saltare, ma lo bloccai di nuovo.
“Fatti sentire qualche volta e non mancare al mio matrimonio. Non mi interessa come, ma devi venire!” gli intimai.
“Verrò, è una promessa.” mi rispose osservandomi nel buio. “Ti voglio bene, Damon.”
“Anche io, Stefan.” gli risposi e lo abbracciai di slancio sorprendendomi di me stesso.

 
Quel gesto non me lo sarei mai aspettato. Volevo bene a mio fratello, era una delle persone più importanti nella mia vita, ma non ci eravamo quasi mai abbracciati.
Mi salì un groppo in gola e in qualche maniera lo ricacciai indietro.
Il mio fratellino era cresciuto ed ero così orgoglioso di lui.

 
Stefan saltò giù dalla finestra cadendo con grazia nell’erba, poi mi salutò con una mano e scomparì nel bosco.
Ormai non avevo più sonno e non potevo rimanere al buio per tutta la notte, così decisi di andare in città.
Scesi le scale silenziosamente e mi diressi verso le stalle, alla ricerca di Thunder, il mio cavallo.

 
Era lì, mentre mangiava del fieno.
In tutta fretta, cercando di fare meno rumore possibile, lo preparai e al galoppo mi diressi in città.
 
 
 
 
 
Era strana l’Olanda di notte. Forse era più viva del giorno, anche se la gente che c’era non era sicuramente dell’alta borghesia.
Mi diressi verso l’osteria, la nostra osteria. L’osteria mia e di Rick. Ero sicuro di trovarlo e così fu.
Vidi il suo cavallo legato vicino all’abbeveratoio e feci la stessa cosa con il mio, poi entrai all’interno.

 
Vidi Alaric seduto su uno sgabello e quello accanto a lui vuoto.

 
“Buonasera amico…” mormorai sedendomi accanto a lui.
“Damon, quale onore! Che fine avevi fatto?” mi domandò versandomi un bicchiere di liquore.
“Alcune questioni… Sai… Mi sposerò fra poco più di un mese…” mormorai mandando giù il liquore.
“Sei venuto qui per affogare i tuoi dispiaceri nell’alcool?” mi domandò dandomi una pacca sulla spalla.

 
Scossi la testa ed ordinai altro liquore.

 
“No, con Elena va’ tutto bene Rick. Il problema è un altro…” mormorai prendendo in mano il secondo bicchiere di cristallo.
“Illuminami, amico… E’ ritornato la serpe di tuo cugino?” mi domandò.
“No –scossi la testa– è molto peggio.”
“Cos’è peggio di Erik?” mi domandò.
Katherine.” sputai tra i denti, mentre Alaric sussultò al mio fianco.
“Ma non era in America?” mi domandò.
“A quanto pare è ritornata. Mi ha scritto un biglietto. Sono così confuso…” mormorai sconfitto mandando giù il quarto bicchiere.
“La ami ancora?” mi domandò Alaric.

 
Alzai le spalle. Amavo ancora Katherine?
Questo non lo sapevo neanche io.

 
“Non lo so, amico!” risposi.
“Avevi detto che non l’amavi più, ricordi?” mi domandò.

 
Feci finta di pensarci, poi risposi.
 

“Si, più o meno… Ma… Quella donna ha sempre avuto strani effetti su di me…” blaterai ormai completamente ubriaco arrivando al settimo bicchiere, forse. “L’ultima volta che l’ho vista è stato tre mesi fa… Sai… Avevamo fatto l’amore, poi ho scoperto che mi tradiva con… Non mi ricordo il nome…”
“Con Erik, Damon. Fermati –mi bloccò un braccio– sei ubriaco. Non ti ricordi neanche che è andata a letto con tuo cugino…”
“Già… Erik…” sbattei un pugno sul tavolo facendo girare alcuni dei presenti.
“Damon –Alaric si alzò tentando di scrollarmi dalla sedia– è meglio che ti riporti a casa. Chissà cosa direbbero quelli dell’alta società. Sei il futuro re, fa’ il bravo.”
“NO, voglio rimanere qui a ricordare i vecchi tempi…” blaterai iniziando a vedere tutto sfuocato.
“Damon, forza. Andiamo!” mi sussurrò Alaric all’orecchio riuscendo a trascinarmi fuori, ma non so come.

 
Alaric mi portò fuori, vicino all’abbeveratoio dei cavalli, per poi mollarmi, facendomi quasi cadere dritto nell’acqua.

 
“Andiamo, su!” mi ordinò.
“Sto bene, non sono ubriaco…” mormorai alterato.
“Se lo dici un’altra volta di non essere ubriaco ti getto nell’acqua gelata, amico!” mi minacciò con sguardo di sfida.

 
Alaric non l’avrebbe mai fatto.
Non mi avrebbe mai e poi mai gettato nell’acqua gelida in piena notte.

 
“Non sono ubriaco, Ri-” iniziai, ma non terminai la frase perché mi ritrovai con la testa sott’acqua.
 

Non so per quanto tempo rimasi lì sotto, fatto sta che Alaric mi tirò fuori quando ormai non riuscivo quasi più a respirare.
 

“Ma sei impazzito?” ringhiai alzandomi di scatto.
 

Alaric scoppiò a ridere soddisfatto.
 

“Ora hai ripreso il controllo, amico!” mi rispose soltanto continuando a ridere.
“Sei pazzo! Mi hai gettato nell’acqua!” risposi abbastanza alterato.
“L’ho fatto per farti svegliare, Damon. Stavi dando un brutto spettacolo della tua immagine, sappilo.” mi rispose salendo a cavallo.
“Dovrei ringraziarti?” gli domandai ironico riuscendo finalmente a ragionare.
“Si –annuì– dovresti farlo.”
“Scordatelo…” mormorai con un sorrisetto ironico.
“Sei sempre il solito, Damon. Va’ a casa ora!” mi ordinò girando il cavallo.
“Sicuro!” gli risposi salendo a cavallo. “Grazie.”
“Finalmente!” esclamò divertito per poi salutarmi scomparendo nel nulla.

 
Stavo per andarmene anche io, complice del fatto che la mia testa stava scoppiando, quando, di fronte a me, vidi una persona che conoscevo.
Era lei, Katherine.
Sbattei più volte le palpebre, assicurandomi del fatto che fosse lei e non un’illusione, ma siccome la figura che avevo davanti non scompariva con grande rammarico capii chi avevo difronte.

 
Ero ubriaco e la cosa non prometteva nulla di buono.
Damon, stai calmo, hai bevuto decisamente troppo. Katherine non può essere qui e ora.

 
“Damon, non mi salutate? O forse dovrei dire futuro re d’Olanda?” mi domandò la visione –o Katherine– di fronte a me, mentre sussultai.
“Non può essere vero, tu non puoi essere qui, Katherine…” mormorai ostinandomi a non vedere chi avevo realmente davanti.
“Sono qui, Damon. Dopo tanto tempo sono venuta qui per te…” disse guardandomi dritta negli occhi.

 
Una volta i suoi occhi verdi mi mandavano in confusione, non mi facevano capire nulla.
Effettivamente non era cambiata di una virgola: la pelle candida, la bocca carnosa, i suoi occhi verdi ed i capelli di un biondo quasi dorato e tutte le forme al posto giusto.
Però io non dovevo cadere in tentazione, in più l’alcool mi avrebbe portato a fare cose che non volevo.

 
“Bene, allora puoi anche andartene all’inferno, Katherine.” sibilai facendo girare il cavallo pronto per tornare a casa.
 

Era stata una brutta mossa uscire questa notte, davvero una brutta mossa.

 
“E’ così che mi tratti dopo tutto quello che c’è stato tra di noi, Damon?” mi domandò e sentii forse una nota d’ironia nel suo tono di voce.
“Io non me ne sono andato, l’hai fatto tu, Katherine. Sei scappata dopo essere andata a letto con… Erik e non ti ho più ritrovata!” risposi tagliente non volendo ascoltare nulla di più.
“Se l’ho fatto ci sono state buone ragioni, Damon…” mormorò. “Ti prego, Damon, sono venuta qui per te. Mi sei mancato!”

 
Forse era stato quel Mi sei mancato a far crollare tutto, fatto sta che scesi da cavallo, legandolo al solito posto.
Il mio buonsenso –se ne avevo uno– mi urlava a squarciagola di ritornarmene a casa e di non cadere di nuovo nella sua ragnatela, tutto il mio corpo mi urlava di farlo, ma volevo sapere la verità.

 
“Voglio sapere solo una cosa: perché hai fatto tutto questo? Perché hai fatto finta di amarmi per poi tradirmi con mio cugino, Katherine? Ti ricordi tutto quello che avevamo passato insieme, ti ricordi le nostre promesse? Hai rovinato tutto, come al solito!” le urlai.

 
In strada fortunatamente non c’era quasi nessuno, quindi potevo sfogarmi, ma il buonsenso mi tenne di nuovo all’ordine e decisi che questo discorso andava affrontato in un luogo più conoscono.
Io non avevo in mente nulla, ma chiunque mi avesse visto avrebbe potuto pensare il peggio. Non volevo far sentire tradita Elena, non potevo.

 
“L’ho dovuto fare, Damon. E’ meglio non parlarne qui, seguimi.” mormorò e nei suoi occhi potei notare forse una nota di dispiacere.

 
La seguii senza dire una parola.
Attraversammo alcune stradine, poi arrivammo vicino ad una casa abbandonata.

 
“Qui possiamo parlare senza interruzioni, Damon.” mi spiegò. “Mi dispiace per tutto quello che ti ho fatto –abbassò lo sguardo– ma sono pronta a ricominciare, Damon. Devi volerlo solo tu.”

 
Katherine si avvicinò a me e si fermò soltanto quando arrivò a due centimetri dal mio viso.
Sussurrò le ultime parole a poca distanza dalle mie labbra e le sue –di labbra– non mi erano sembrate mai tanto invitanti. Ma io dovevo resistere, dovevo combattere questo attimo di sbandamento e tutto l’alcool in corpo per Elena e per me.
Non potevo cedere un’altra volta a Katherine, non più.

 
“Non combattere contro te stesso, Damon. Mi ami ancora, non eliminare questo sentimento che ci lega. Ricominciamo, Damon, partiamo da zero…” mi sussurrò avvicinandosi alle mie labbra.
“No –tentai di allontanarmi, ma il mio corpo non si mosse– non posso…”
“Perché non puoi, Damon? –mi domandò posando una mano sul mio petto– E’ forse per la principessa? La ami, Damon?”

 
Si, Katherine, la amo. La amo più di te, forse.
Perché non riuscivo a proferire parola, però?
Katherine sorrise soddisfatta per la mia non risposta –confondendo tutto– e si appropriò delle mie labbra senza permesso.

 
Le sue mani finirono dietro al mio collo, mentre le mie mani –guidate da una forza propria– andarono sui suoi fianchi.
Cercai la sua lingua in un momento di delirio e lei mi diede libero accesso alla sua bocca, intrecciando la sua lingua con la mia.

 
I nostri nasi si sfioravano, mentre i nostri sospiri si mescolavano con l’aria del bosco.
In preda all’istinto –quasi animale– girai Katherine verso la porta della casa disabitata appoggiandola al muro di legno ed iniziai a baciarle il collo, lasciando una scia di baci lungo la giugulare.

 
Sentii Katherine aggrapparsi ai miei capelli e stringerli fra le sue dita delicate, mentre io continuavo a baciarla con passione.
La porta si aprii alle spalle di Katherine e questa mi tirò dentro prendendomi per la camicia bianca che avevo indossato frettolosamente prima di uscire.

 
Lo scenario non era dei migliori e volevo fermarmi, ma Katherine mi teneva stretto a se, non mollando la presa per nessuna ragione.
Tentai di divincolarmi, ma la sua presa era ferrea.

 
Katherine, in un momento di lucidità, mormorò: “Non vuoi fermarti, Damon, segui i tuoi istinti.”
La donna che avevo davanti inciampò nel letto ed io le caddi sopra. La spallina del vestito –decisamente troppo ingombrante– era scesa e le lasciava scoperta metà spalla, facendomi provare strane sensazioni.
In un attimo di lucidità, però, mi staccai da lei.
 

“NO!” urlai scostandomi completamente quasi scottato.



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Note dell'autrice:
Ok, non uccidetemi per la comparsa di Katherine, come qualcuno di voi aveva già intuito, ma... E' fondamentale per la storia.
[Beh leggendo il prossimo capitolo vorreste ammazzarmi di sicuro, ma passiamo oltre]
Ho aggiornato molto prima rispetto al solito perchè domani parto per due settimane per la Sardegna e non so se potrò aggiornare, ma mi auguro con tutto il cuore di si.
Il capitolo è decisamente incentrato su Damon e Katherine e abbiamo capito cosa centra lei e soprattutto Erik. Cioè, questa è una delle tante cattiverie che lui ha commesso contro Damon. Poi c'è uno sprazzo di Defan (cari loro *-*) e uno di Dalaric *w*
E' un capitolo importante, perchè apre il successivo e spero di non aggiornare troppo tardi.
Come sempre ringrazio le meravigliose ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e tutte quelle che seguono la storia.
A presto (spero)

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Capitolo 15
*** Problemi. ***


                                    Problemi
                                                         15.




Pov Damon.

Mi risvegliai a causa di una forte fitta alla testa e mi portai a sedere sul letto –alquanto scomodo–, ma quando un altro capogiro mi colpì dovetti stendermi di nuovo.
Solo allora mi accorsi di non essere nel mio letto e nella mia camera.
Le pareti erano decisamente spoglie per essere alla reggia e il letto tremendamente scomodo.
Dov’ero?
 

Provai ad alzarmi, ma mi bloccai non appena mi accorsi di essere completamente nudo e coperto da un misero lenzuolo bianco.
Perché ero nudo?
Dove diavolo ero finito?

 
Un ricordo mi ritornò alla mente: ricordavo la serata con Rick e il troppo –decisamente troppo– alcool, Katherine, i baci –forse passionali–, questo letto e poi nient’altro.
Mi portai una mano tra i capelli: non potevo essere andato a letto con Katherine sul serio.
No, io non l’avrei mai fatto, neanche con tutto il bourbon bevuto.

 
Venni distolto dai miei pensieri quando Katherine in vestaglia, fece il suo ingresso nella misera stanza.

 
“Ben svegliato, Damon…” mormorò sorridendo sorniona.
“Perché sono qui, Katherine?” domandai ringhiando, anche se pensavo di conoscere già la risposta.
“Sai… Non hai i vestiti addosso, siamo soli… Immagina tu!” mi rispose avvicinandosi.
“Stai lontana da me!” ringhiai.
“Così mi ferisci, Damon! Questa notte non mi volevi lontana da te.” mi rispose e nel suo sguardo notai una nota di malizia.
“Non posso averlo fatto, io…” mi portai le mani tra i capelli scuotendo la testa. “Non posso averlo fatto…”
“Fai come credi, Damon…” mi rispose alzandosi e lasciandomi solo.

 
Non potevo essere andato a letto con Katherine, non potevo aver tradito il mio orgoglio, ma, soprattutto, non potevo aver tradito Elena.
Non potevo averle fatto questo. Io… Cosa avevo fatto? Per di più a meno di un mese al mio matrimonio.
Non potevo averlo fatto dopo il nostro bacio e dopo tutto quello che avevamo trascorso insieme. Lei non lo meritava.

 
Cercai i miei vestiti con lo sguardo e li notai nel pavimento rovinato in legno. Mi alzai ed iniziai a vestirmi.
Mi sentivo male, tremendamente male.
E’ il senso di colpa.
Il senso di colpa mi attanagliava.

 
Dopo pochi secondi finii di prepararmi e andai nella stanza adiacente alla misera stanza da letto.
Non capivo perché avevo fatto tutto questo.
Era contro ogni dannata logica.

 
“Eccoti qui!” ghignò.
“Tutto quello che c’è stato tra di noi non ha importanza. Sei convinta di avere ancora il mio cuore? Ti sbagli, Katherine. Questa notte è stata un errore, anche se non ricordo quello che è successo, neanche un dettaglio. Non rovinerai ancora la mia vita, Katherine!” le dissi.
“Io ho solo iniziato, Damon. Sei stato tu a continuare, l’hai voluto anche tu, non negarlo!” mi rispose.
“No –scossi la testa– ero ubriaco, tanto ubriaco. Io non l’avrei mai fatto!”

 
Ero sicuro di quello che dicevo.

 
“Però l’hai fatto, Damon!” mi rispose tranquillamente seduta sulla sedia in legno.
“Non si ripeterà più!” ringhiai.
“Certo, nessun dubbio. Mi dispiace soltanto per la principessa. Come starà quando lo verrà a sapere?” mi domandò irritandomi.
“Lei non lo saprà!” le risposi duro.

 
Elena non doveva sapere nulla di tutto ciò.
Nessuno doveva sapere.

 
“Non potrai nasconderglielo per sempre…” mi rispose.
“E’ stato un errore!” ribadii fermo.
“Tu sostieni che sia stato un errore, ma è veramente così?” mi domandò.

 
Non le risposi.
Mi voltai e me ne andai da quella maledetta catapecchia con Katherine al suo interno.
Mi abbandonai alle spalle la notte appena passata e mi diressi verso l’osteria, per recuperare il mio cavallo.

 
 
 
 
Pov Elena.
Mi svegliai colpita da un raggio di sole che entrava dalla finestra. Sbadigliai tirandomi a sedere. Quella notte avevo dormito veramente poco, poiché ero in pena per mio fratello.
Volevo vederlo, o almeno sapere se stava bene.
I miei genitori mi avevano rassicurato per il suo stato di salute, ma io ancora non ci credevo.

 
Non credevo neanche alla storia che mio fratello è stato ferito per un ‘incidente’.
Era notte –notte fonda– ma a quanto dicevano tutti, quelli che erano con mio fratello, nessuno aveva fatto fuoco.
Avevo una strana sensazione ed io non sbagliavo mai.

 
Bonnie, puntuale come ogni mattina, entrò in camera mia.

 
“Buongiorno, Elena…” sorrise Bonnie.
“Buongiorno, Bonnie…” sbadigliai portandomi una mano alla bocca.
“Pronta per questa nuova giornata?” mi domandò.
“Non tanto… -borbottai per poi alzare lo sguardo su di lei- Bonnie, come sta Jeremy?”
“Sta molto meglio, -sorrise rassicurante- si è già svegliato ed ha fatto colazione. La gamba è apposto, il medico è andato via poco fa!”
“Sono molto più felice, adesso…” dissi alzandomi.

 
Bonnie mi aiutò a vestirmi, poi uscimmo entrambe dalla mia stanza.

 
“Posso… Vederlo?” le domandai.
“Penso di sì, devi sentire tuo padre…” mi rispose mentre camminavamo lungo il corridoio.
“Sai dov’è?” le domandai.

 
Bonnie scosse la testa, ma fortunatamente trovai una cameriera lungo il corridoio.

 
“Giovanna –la bloccai– sapete dov’è il re?”
“Principessa, buongiorno. –abbassò il capo in segno di rispetto– Il re si trova nella stanza di vostro fratello, se volete vado a riferirgli che vi siete alzata…”
“No Giovanna, grazie. Vado direttamente io dal re.” le risposi sorridendo.
“Certamente principessa. Se non vi dispiace ritornerei alle faccende, con permesso!” si congedò ritornando ai suoi lavori.
“Elena, devo andare anche io. Ci vediamo dopo…” disse Bonnie.
“Va bene, Bonnie, a dopo…” la salutai.

 
In poco tempo arrivai in camera di mio fratello.
Prima di entrare bussai e sentii la voce di mio padre domandare: “Chi è?

 
“Sono io, padre!” risposi.
Entra pure, figliola…” mi rispose.

 
Entrai all’interno della camera di Jeremy e con immenso piacere lo trovai sveglio e in pieno delle forze.
Era semisdraiato su letto, visto che la schiena appoggiava su un cuscino dello schienale. Mio padre era accanto a lui seduto su una sedia.

 
“Jeremy!” esclamai andandogli incontro.
“Elena, ciao!” esclamò felice.

 
Abbracciai forte mio fratello, come per paura di vederlo scomparire da un momento all’altro.

 
“Elena, così mi stai soffocando!” borbottò lui.

 
Mi staccai in fretta da mio fratello scusandomi con lo sguardo.

 
“Scusa Jeremy, ma ho avuto così tanta paura!” gli risposi. “Come stai?”
“Mai stato meglio! –esclamò– Tutto sommato avrò anche io una ferita da arma da guerra…”
“Jeremy! Non dire queste cose neanche per scherzo!” lo sgridai parecchio arrabbiata.

 
Mio fratello forse vedeva tutto questo come un gioco, ma aveva rischiato grosso.
Mio padre lo riprese perfettamente d’accordo con me.

 
“Tua sorella ha ragione, figliolo. Non devi scherzare su queste cose…” lo riprese.
“Scusatemi…” mormorò scusandosi con entrambi.
“Hai bisogno di qualcosa, Jeremy?” gli domandai.
“Non preoccuparti, sto bene così!” mi rispose.
“Figlioli –mio padre si alzò dalla sedia– devo andare, il lavoro mi chiama. Ci vediamo dopo. Elena, devi ancora fare colazione…”
“Non appena scenderò dirò a Carol di prepararmi qualcosa, ora non ho fame…” gli risposi.
“Bambina mia, ultimamente mangi sempre meno. Devi metterti in forze…” mi rispose mio padre accarezzandomi una guancia.
“Lo farò!” gli risposi sorridendo rassicurante.

 
Mio padre annuì, poi uscì chiudendo la porta.

 
“Nostro padre ha ragione, Elena. Dovresti mangiare di più, stai per scomparire quasi…” mi disse Jeremy serio.
“Davvero Jeremy, sto bene così…” gli risposi.
“Elena, non voglio che ti ammali ancora… -Jeremy mi guardò attentamente negli occhi- Ci hai fatto preoccupare tutti un anno fa…”
“Lo so, Jeremy –sospirai– me lo ricordo.”
“Proprio per questo, Elena. Ho avuto così tanta paura di perderti…” disse sospirando prendendo la mia mano tra le sue.
“Anche io, Jeremy, anche io!” gli risposi riferendomi alla sera precedente.
 








 
 
                                                                                          * * *







 
 
“Elena, Bonnie, dovete coprirmi!” disse Caroline a me e a Bonnie.


Caroline era arrivata qualche ora fa con i suoi genitori ed ora eravamo nella sala incontri del castello. Noi tre, da sole.
I miei genitori e quelli di Caroline stavano discutendo sulla situazione del paese, mentre noi tre stavamo conversando.

 
“Non possiamo, Caroline. Se i tuoi genitori lo verranno a sapere…” iniziai, ma la mia amica mi bloccò.
“Non lo verranno a sapere, Elena. Vi prego, dovete coprirmi. Questa è una delle poche occasioni in cui posso vedere Klaus, vi prego…” ci implorò Caroline.

 
Io e Bonnie ci guardammo consapevoli del guaio in cui ci stavamo cacciando, ma non potevamo resistere all’espressione di Caroline e ne tantomeno potevamo negarle questo incontro.
Caroline amava Klaus, Klaus amava Caroline e si potevano vedere solo poche volte al mese.
Chi eravamo noi per negarle questo incontro?

 
“Va bene, Caroline!” le risposi e anche Bonnie annuì.
“Grazie, grazie!” trillò lei abbracciando prima me e poi Bonnie.
“Dove dovete incontrarvi?” domandai.
“In città!” ci rispose Caroline.
“Elena –Bonnie mi guardò– non ci sarà mai permesso di andare in città…”

 
Annuì consapevole. I miei genitori non mi avrebbero mai mandata in città, nemmeno con Caroline e Bonnie. Secondo loro era troppo pericoloso.
Ma cosa ci poteva essere in città di così tanto pericoloso?
Questo avevo ancora da capirlo, purtroppo.
 

 
 
 
 
Io, Bonnie e Caroline andammo nella sala dei troni, dove si trovavano anche i miei genitori.

 
“Marcel, potresti annunciarci al re?” gli domandai.
“Certo, principessa!” annuì per poi entrare nella sala dei troni.

 
Poco dopo uscì e ci fece cenno di entrare.

 
“Figliola –intervenne mio padre– c’è qualcosa che non va?”
“No, padre. Vedete… Volevamo chiedervi se ci era concesso andare in paese…” parlai tenendo lo sguardo fisso nel pavimento.

 
Sentii Caroline e Bonnie irrigidirsi al mio fianco, così decisi di alzare la testa.
Mia madre mi fissava, mentre mio padre scosse il capo.

 
“E’ troppo pericoloso –anche i Forbes annuirono in risposta a mio padre– non potete andare.”
“Vi prego, noi abbiamo bisogno di-” iniziò Caroline, ma si interruppe a causa dello sguardo glaciale del padre.
“Le signore verranno con me in paese, se non avete alcun problema!” intervenne una voce.

 
Quella voce l’avrei riconosciuta anche in altre mille.
Damon.

 
“Saranno sotto la mia responsabilità –continuò avanzando nella sala– non le perderò di vista un attimo!”

 
Mi girai verso di Damon e questi mi rivolse un sorriso bellissimo.
Non avevamo parlato molto dopo il… bacio.
Forse non gli era piaciuto. Io non avevo mai baciato nessun altro prima di lui, lui sicuramente –da scapolo qual era– aveva baciato tantissime ragazze prima di me.

 
Abbassai lo sguardo imbarazzata, non riuscendo a sostenere il suo.
Per qualche attimo non sentii nessun rumore, poi mio padre sospirò.

 
“Le affido a voi, Damon!” acconsentì mio padre.

 
Vidi Caroline sorridere e trattenersi a stento dall’urlare, mentre io alzai la testa.

 
“Marcel –urlò mio padre– preparate una carrozza per le ragazze. Andranno in città. –si rivolse a Damon– Dovrete essere qui prima di questa sera.”
“Certamente, sire!” rispose Damon abbassando lo sguardo in segno di riconoscimento.

 
Mio padre annuì, mentre io, Caroline e Bonnie seguimmo Damon che si diresse all’esterno della villa.

 
“E’ arrivato giusto in tempo…” sussurrò Caroline.

 
Io e Bonnie annuimmo, continuando a camminare in silenzio.
Durante il tragitto non parlò nessuno.
 
 
 
“Grazie, Marcel!” lo ringraziai.

 
Marcel annuì, per poi incamminarsi all’interno del palazzo.
Wes, il cocchiere di corte, aiutò prima Caroline e poi Bonnie a salire.
Quando arrivò il mio turno, Damon –sotto lo sguardo sbigottito di tutti– lo bloccò e sorridendomi mi aiutò a salire per poi prendere posto accanto a me.

 
Wes chiuse la porta e fece partire la carrozza per il paese.



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Angolo dell'autrice:
Salve a tutti =)
Cioè... Non proprio salve, io, personalmente, dovrei nascondermi e anche bene.
Ritorno dopo tre settimane (ok, ero in vacanza xD) e con questo capitolo.
Non odiatemi, vi prego. So che lo farete, ma c'è un buon motivo e niente è come sembra.
Ecco, vi ho dato un indizio per farmi perdonare (?)
Sapete com'è Katherine, no? Damon è caduto nella sua ragnatela, ma è pentito ed ama Elena, come ha ammesso più e più volte, tanto che si è offerto ad accompagnarla in città -anche se ci saranno Caroline e Bonnie con loro.
Ringrazio tutte le ragazze per le belle recensioni e chi inserisce ancora la storia tra le preferite/ricordate/seguite :)
Alla prossima.

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Capitolo 16
*** La nave. ***


                                                           La nave
                                                               16.





Pov Damon.

Elena era seduta accanto a me in carrozza, nessuno fiatava.
Caroline guardava il paesaggio, Bonnie, di tanto in tanto, guardava me o guardava Elena, mentre lei aveva lo sguardo fisso di fronte a se.
La mia mano andò a toccare la sua e per qualche momento la sentii irrigidirsi, ma poi si abbandonò completamente al mio tocco.
 

Sorrisi, mentre mille scosse di irradiavano in tutto il mio corpo.
Ogni volta che stavo accanto a lei mi sentivo in pace con il resto del mondo. Il fatto era che io non la meritavo, non dopo quello che avevo fatto questa notte con… Katherine.
Ero troppo ubriaco, ma non mi ero fermato lo stesso.
Perché?

 
Ero sempre riuscito a controllare l’alcol, io. Perché ero andato a letto con Katherine, allora?
Io non amavo Katherine, non l’avrei mai amata, non dopo quello che mi aveva fatto.
Sentivo dei profondi sentimenti per Elena e dannazione, si, amavo la mia futura sposa.
Ma ero un mostro! L’avevo tradita!

 
“Vi sentite bene, Damon?” mi domandò la sua voce preoccupata.
“Certo, non è nulla…” mormorai accarezzandole il dorso della mano con il pollice.

 
La sentii sorridere ed Elena continuò a guardare il paesaggio, come Caroline.
Il silenzio era piacevole. Tutto era piacevole quando avevo Elena al mio fianco.

 







 
 
                                                                                                      * * *








 
Caroline era andata da Klaus.
Si, avevo scoperto della relazione ‘nascosta’ della biondina con uno dei miei amici. Caroline mi aveva fatto giurare di non dire nulla e ovviamente non avrei detto niente.
Stavo già difendendo mio fratello per la sua stessa situazione, avrei difeso anche lei e il mio amico. Maledette regole dell’alta società.
Bonnie, invece, aveva voluto lasciarci da soli. Non l’aveva reso esplicito, certo, ma aveva trovato la scusa di dover fare delle spese per la mensa del palazzo e lavorando lì avevo acconsentito.
Era una ragazza sveglia, non si sarebbe messa in pericolo.
 

Eravamo rimasti io ed Elena, da soli.
La giornata era lunga, ma non sarebbe stata sicuramente pesante. Pregai, però, tutti i Santi che conoscevo, affinché non sbucasse dal nulla Katherine. Non avrei mai detto ad Elena quello che era successo, non per mentirle, ma l’avrei sicuramente ferita e poi io non l’avevo voluto.

 
Potevo portare Elena a vedere il paese, era sicuramente una buona idea.
Nessuno, in paese, l’avrebbe riconosciuta. Elena aveva partecipato solamente a feste dell’alta società, per cui, visto che in paese abitavano persone del ceto medio-basso, non era conosciuta e non correva nessun pericolo.
Se si fosse avvicinato qualcuno e l’avesse tocca avrei potuto anche ucciderlo. Nessuno avrebbe toccato Elena.

 
“Ti andrebbe di vedere il paese?” le domandai prendendola per mano.
“Si –sorrise annuendo– va bene.”
“Hai qualche posto da voler visitare?” le domandai.
“Ecco –abbassò lo sguardo– io non conosco bene nessun posto…”
“Non c’è nessun problema, ti porterò a vedere quello che vorrai!” la rassicurai e finalmente la vidi sorridere.

 
 
 
 
“E questa… E’ la fontana del paese. E’ antichissima, risale, forse, ai tempi di Carlo Magno.” le spiegai.

 
Elena spalancò gli occhi dallo stupore e io le sorrisi felice di averle insegnato qualcosa di nuovo.

 
“Davvero? Così antica?” domandò, poi.
“Prima dell’invasione vichinga, i Paesi Bassi erano sotto il dominio del regno carolingio, guidato da Carlo Magno…” le raccontai.
“Questo me lo ricordo –annuì– non sapevo che questa fontana avesse origini così antiche, però!”
“Vedi, ogni tanto servo a qualcosa!” mi vantai.

 
Elena scosse la testa ridendo.
Era terribilmente bella quando rideva così. Era libera, fuori dalle regole di corte.

 
“Ho un’idea –mi alzai– vuoi vedere una cosa?”
“Certo!” annuì alzandosi. “Dove andiamo?”
“E’ una sorpresa!” le risposi prendendola per mano, assicurandomi che mi seguisse.

 
Iniziammo a camminare, mentre sentii Elena sbuffare.

 
“Cosa c’è?” le domandai.
“Non mi piacciono le sorprese, Damon. Voglio sapere dove mi stai portando!” mi rispose guardandomi truce.

 
Scoppiai a ridere, mentre mi beccai un’altra occhiataccia.

 
“E’ una sorpresa, quindi non dirò nulla!” le risposi.

 
Elena alzò gli occhi al cielo, mentre io continuai a camminare.
Arrivammo al porto dopo poco tempo ed entrambi sudati e sfiniti.

 
“Il porto?” domandò Elena spalancando la bocca.
“Si, il porto!” dissi annuendo.

 
La condussi al molo, tenendola stretta a me.
C’erano tantissime navi, ma con lo sguardo ne cercai una in particolare.
La mia.

 
“Ti piace, quella?” le domandai indicando la mia nave.
“E’ bellissima, la più bella di tutte…” mormorò incantata.
“Vieni!” dissi andando verso la nave.
“Damon, no! –mi bloccò– Non possiamo…”
“Perché?” le domandai stranito.
“Non è mia e nemmeno tua…” mormorò osservando la nave.
“Ed è qui che ti sbagli, principessa! Quella nave è mia!” le risposi.

 
Elena spalancò gli occhi per lo stupore e mi guardò con la bocca aperta.
Le sorrisi e la invitai a seguirmi.
Alla prua vidi Joseph che stava pulendo il pavimento in legno.

 
“Joseph!” lo chiamai.
Capitano Damon!” mi salutò smettendo di pulire e osservandomi dall’alto della nave.
“Ordina agli altri di mettere giù la scala!” gli ordinai.

 
Joseph annuì e lo sentii impartire ordini.

 
“Capitano Damon?” mi domandò Elena.
“Ti ricordi il nostro primo incontro? –le domandai e la vidi annuire– Ti dissi che ero un marinaio ed eccomi qui!”
“Sei un capitano –precisò– non uno qualunque!”
“Quando sei lì dentro, in mezzo agli uomini, non importa essere capitano o meno. L’importante è sentirsi tutt’uno con la nave e con chi ci abita…” le risposi, mentre vidi Gerard far scendere giù la scala. “Andiamo!”
“Ecco… Io…” mormorò Elena osservando la nave.
“Hai paura?” le domandai.
“Non sono mai stata in una nave e questa è… Enorme…” mormorò.
“Ci sono io qui con te!” la rassicurai e avrei voluto aggiungere per sempre.

 
Mi incamminai verso la scala, sempre tenendo stretta Elena.
Non appena arrivammo l’aiutai a salire e vidi Gerard lanciare uno sguardo malizioso ad Elena.

 
“Non provarci, Gerard!” ringhiai, ma facendo in modo che solo lui mi sentisse.

 
Gerard sbuffò, poi ritornò ai suoi lavori.

 
“E’ tutto enorme, qui dentro…” mormorò Elena guardandosi attorno.
“Non hai ancora visto la parte in alto…” le risposi conducendola di sopra.
“Comandante, chi è questa bella donzella?” mi domandò Fernand squadrando Elena.
“Damon, è una prigioniera?” scherzò Etienne mentre Elena si strinse ancora di più a me.
“No, è con me. Quindi allontanate i vostri sguardi da lei!” li liquidai in fretta.

 
Arrivammo nella parte superiore della barca, finalmente alla luce.

 
“Non devi avere paura, Elena. Sono uomini che vivono per mare e… Forse non sono ben educati, ma non farebbero del male neanche ad una mosca!” la rassicurai.

 
I miei marinai forse all’impatto non potevano essere considerati gentilissimi, ma non avrebbero mai fatto del male ad una fanciulla.
Se volevano andare a letto con una ragazza, potevano farlo liberamente –escludendo Elena, ovvio– ma mai e poi mai avrebbero dovuto usare violenza su quella o fare qualcosa contro la sua volontà, pena la morte.

 
“Capitano, non vi si vedeva da un sacco di tempo!” esclamò Joseph venendomi incontro.
“Diciamo che ho avuto un po’ da fare…” gli spiegai.
“Con la ragazza?” mi domandò mentre vidi Elena arrossire.
“Dipende dai punti di vista!” gli risposi. “Andiamo, Elena.”

 
Joseph annuì, mentre accompagnai Elena sul ponte di comando, dove c’era la vista migliore.
Anche se la nave era ancorata al porto la vista era da mozzare il fiato. Il mare era calmo, con solo qualche onda a disturbarlo. L’acqua andava dal verde più scuro all’azzurrino, mentre alcuni colli sbucavano dalla parte opposta.

 
Mi girai verso Elena notandola troppo silenziosa, ma vidi i suoi occhi brillare e la sua bocca spalancata per lo stupore.
Le piaceva lo spettacolo.

 
“Ti piace?” le domandai sicuro della risposta.
“E’ stupendo non… Avevo mai visto nulla di simile…” mormorò portandosi le mani al petto.

 
La guardai sorpreso.
Non era mai venuta qui?

 
“Non sei mai venuta qui?” le domandai.
“No, -scosse la testa- sin da piccola sono cresciuta nel palazzo, uscendo qualche volta in giardino o nel bosco…”

 
Terminò la frase con un senso di malinconia.
Elena conosceva poco il mondo che la circondava, io le avrei fatto esplorare tutto quello che non conosceva.
 







 
                                                                                          * * *








 
Non so come, ma mi ritrovai a stringere Elena da dietro, mentre un leggero venticello muoveva i nostri vestiti e i nostri capelli.
Elena era davanti a me che scrutava tutto affascinata, anche il più piccolo particolare, mentre le mie mani le cingevano la vita, in un gesto troppo intimo.

 
Forse ad Elena non dispiaceva, visto che non scacciava le mie mani su di lei.
A me sicuramente piaceva.

 
“Vuoi vedere un’ultima cosa prima di andare?” le domandai a malincuore, notando il Sole calare a vista d’occhio.
“Si –annuì– certo…”

 
Condussi Elena verso una porta e l’aprii, facendo passare prima lei.
La portai lungo un corridoio, poi svoltammo a sinistra, per poi proseguire ancora dritti. Poco dopo arrivammo alla meta, il mio ‘studio’.
Aprii senza difficoltà la porta e vi entrai all’interno.

 
Era tutto come ricordavo.

 
“Questo è…” iniziò, ma la interruppi.
“… il mio studio, si…” terminai per lei.

 
Elena si guardò attorno, iniziando a notare ogni più piccolo particolare.
Si soffermò sulla mia scrivania in legno di ciliegio, dove c’era qualche pergamena e qualche foglio con accanto una piuma immersa nell’inchiostro che mi serviva per scrivere.
Il suo sguardo poi scivolò nella mia libreria –strapiena di libri– sul mio letto e infine sul mio quadro.

 
Elena si avvicinò al quadro come incantata. Il suo sguardo era incatenato su ogni più piccolo particolare.
Sorrisi vedendola così presa da un mio ritratto, in qualche modo mi faceva sentire bene.

 
“Ti piace?” le domandai.

 
Elena abbassò il capo, mormorando poi un “si” che feci fatica ad udire.
Mi avvicinai a lei e con due dita le alzai il mento, incatenando il suo sguardo con il mio. Non capivo perché ogni volta che stavamo insieme era così imbarazzata. Qualche volta si lasciava andare, ma poi ritornava come prima.

 
Oggi avevo passato una giornata piacevolissima con lei, ma non era la solita Elena, la mia Elena.
Qualcuno le aveva detto qualcosa di Katherine?
No, era praticamente impossibile.

 
“Hey… -la guardai- Cosa c’è che non va?”
“Niente…” mormorò abbassando gli occhi.
“Guardami, Elena.” le ordinai dolce e non parlai fino a che non alzò lo sguardo. “Perché ti stai comportando così?”
“Così come?” mi domandò con i suoi occhi meravigliosi.
“Sei così… Schiva… Ho fatto qualcosa che non va?” le domandai.
“No, nulla… Ed è proprio per questo che-” iniziò, ma poi si bloccò.
“Per cosa, Elena?” le domandai accarezzandole la fronte. “Cosa ho fatto?”

 
Con gli occhi sembrava voler dire qualcosa, ma non riuscivo a capire.
Le sue gote si colorarono, mentre il suo cuore iniziò a battere più velocemente.
Le sfiorai la guancia con le dita e mi sembrò di andare letteralmente a fuoco.

 
“Cosa c’è che ti turba così?” le domandai di nuovo avvicinando la mia bocca alla sua.
“Non abbiamo più parlato di… Ecco…” iniziò, ma poi non continuò perché era impaurita da qualcosa.
“Di che cosa?” le domandai cercando di trasmetterle tranquillità.
“Di quello che è successo al… Ballo… Fuori, in giardino…” disse sospirando.

 
Ora avevo decisamente capito.
Intendeva il bacio.
Abbassò di nuovo lo sguardo e all’improvviso ebbi paura. Forse non le era piaciuto il mio bacio? Non l’aveva gradito?
Non lo voleva?
Eppure… Eppure mi era sembrato che anche lei avesse ricambiato con passione il bacio, anche se non era durato molto.

 
Stavo per appropriarmi di nuovo delle sue labbra, per scacciare via ogni paura che provava, per trasmetterle che a me, personalmente, era piaciuto e per capire se anche per lei era stato lo stesso, ma qualcuno ci interruppe –per la seconda volta.

 
“Capitano, è arrivata una carrozza. Vi sta aspettando. Ci sono altre due donne…” mi avvertì Joseph.

 
Volevo bene a Joseph, ma in quell’istante avrei voluto ucciderlo lentamente.
Perché ogni santissima volta c’era qualcuno ad interromperci?
Gli lanciai uno sguardo omicida e lo vidi deglutire, poi abbassò lo sguardo.
Infondo non era neanche colpa sua.

 
“Certo. –mi rivolsi ad Elena– Andiamo!”

 
Elena annuì forse ancora scossa e senza proferire parola mi seguì.
Avremo mai avuto la possibilità di chiarirci senza alcuna interruzione?



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Angolo dell'autrice:
Molte di voi credevano in qualcosa di brutto ed invece ho inserito un capitolo interamente Delena.
Infatti, pur essendo promessi sposi, stanno imparando a conoscersi e a capire i comportamenti dell'altro e cosa meglio di un'uscita può fare chiarezza?
Il loro è stato una sorta di appuntamento e lo so, non è galante portare una donna al porto, ma Damon ha mostrato ad Elena cosa fa e chi è. Portare una donna su una nave può sembrare barbaro, ma per Damon ha significato molto.
Lo so che volete uccidermi per il mancato bacio -per la seconda volta- ma prima o poi arriverà, non odiatemi il buon marinaio Joseph.

Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo. Le vostre recensioni sono importanti per me ^^
Come ultima cosa vi invito a passare nella mia nuova storia: Darkness.
E' diversa da questa, perchè all'interno troviamo un Damon vampiro ed un'Elena ancora tutta da svelare.
Se vi va passate e magari lasciatemi qualche parolina, mi farebbe davvero un gran piacere :)
Alla prossima <3

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Capitolo 17
*** Quello che provo. ***



                                                                      Quello che provo.
                                                                                          17.



Pov Elena.

Il silenzio ora era diventato insostenibile. Stavo per dire a Damon che a me, quel bacio, era piaciuto, ma un uomo –forse Joseph– era entrato per avvisarci dell’arrivo della nostra carrozza.
Guardai Damon con la coda nell’occhio e lo notai con la testa appoggiata allo schienale del sedile della carrozza.
Non sembrava stare molto bene in effetti, ma decisi di non domandare nulla.
 

Guardai Caroline che aveva un sorriso stampato in faccia –segno che l’incontro con Klaus era andato molto bene– e Bonnie che mi sorrideva.
Teneva tra le mani un libro, finalmente l’aveva trovato.
 
 
 
 
Arrivammo a palazzo dopo un tempo interminabile.
Il cocchiere aprì la porta e scendemmo tutte e tre, mentre Damon rimase dentro. Sarebbe andato direttamente a casa sua.
Lo guardai per l’ultima volta, lo vidi sorridere al mio indirizzo, poi la carrozza partì.

 
“Damon era strano…” sussurrò Bonnie mentre entravamo a palazzo scortate da alcune guardie.
“Strano come?” le domandai.
“Oltre ad essere pallido era perso nei suoi pensieri…” mormorò poi mentre entravamo all’interno della sala dove c’erano i miei genitori e quelli di Caroline.
 

Non feci in tempo a rispondere, perché mio padre ci venne incontro.
 

“Finalmente siete arrivate! Com’è andato il viaggio? E’ stato di vostro gradimento?” ci domandò.
 

Annuimmo tutte e tre.
 

“Caroline, cara, dobbiamo andare.” la richiamò Liz Forbes, sua madre.
“Certo.” annuì Caroline per poi salutare me e Bonnie con lo sguardo.
“Buona serata, Grayson, signore…” salutò Bill Forbes, il padre di Caroline.
 

Dopo i saluti la famiglia Forbes se ne andò, lasciando me e Bonnie con i miei genitori.
 

“Tra poco sarà pronta la cena, Elena, va’ a prepararti!” disse mia madre.
“Certo, madre…” annuii seguendo Bonnie che era diretta fuori dalla sala.
 
 
 
 






                                                                                          * * *
 







 
Il cibo non era certamente il mio pensiero quella sera. I miei pensieri erano fissi su di lui, Damon.
Mi capiva con un solo sguardo, aveva capito che c’era qualcosa che non andava in me, mentre io… Io non ho avuto il coraggio di dirgli cosa.
Quel momento magico, quello del bacio, era stato fantastico, ma eravamo stati interrotti sul più bello eppure… Quando lui aveva appoggiato le sue labbra sulle mie, in modo delicato, avevo sentito strane emozioni e avevo desiderato di più.
 

Avevo desiderato che continuasse all’infinito e non si fermasse più.
Non l’avevo mai desiderato prima –togliendo il fatto che quello era il mio primo bacio– con nessun uomo. Molti uomini e ragazzi erano venuti alla corte, per ‘studiarmi’, e molti volevano avermi in sposa, ma mio padre aveva sempre rifiutato –e gliene ero infinitamente grata– tranne che con Damon.
Non so cosa mio padre abbia visto in lui, ma si fida ciecamente di lui e di tutta la sua famiglia.
 

Ovviamente io posso dire lo stesso. Ogni uomo, vecchio o giovane, mi era sempre stato indifferente, ma lui no. Dalla prima volta che l’avevo visto –nel bosco– avevo provato strane emozioni a cui neanche ora saprei dare un nome, ma erano tutte emozioni positive.
Venni distolta dai miei pensieri dall’arrivo di Charles, un messaggero.
 

“Charles –parlò mio padre alzandosi– è successo qualcosa?”
 

La cena era un momento unico per la nostra famiglia –anche la colazione e il pranzo lo erano– e non doveva essere mai interrotta, tranne quando accadeva qualcosa di veramente grave.
 

“Ho un messaggio dal signor Salvatore, –il mio cuore perse un battito, ma poi Charles chiarì che Salvatore– Giuseppe Salvatore. Principessa –si rivolse a me– il signor Salvatore vuole che andiate subito alla reggia, è un fatto importante.”
“Sapete di che cosa si tratta?” domandai alzandomi allarmata.
“Il principe… Damon… Vuole vedervi…” mormorò.
 

Damon voleva vedermi? A quest’ora?
 

“Figliola, non-” iniziò mia madre, ma l’interruppi anche sgarbatamente.
“Devo andare, madre. Se Damon vuole vedermi vuol dire che è importante…” la supplicai.
“Verrò anche io con te, figliola. Charles, ordina di preparare la carrozza!” disse mio padre.
“Subito, sire.” mormorò Charles inchinandosi per poi uscire dalla porta.
 

Bonnie, una volta che fu avvisata, accorse in sala con uno scialle.
 

“Grazie, Bonnie…” la ringraziai.
“Vuoi che venga con te?” mi domandò a voce bassissima.
“Viene mio padre con me, non preoccuparti…” la rassicurai.
 

Bonnie annuì, poi io e mio padre uscimmo dalla sala per dirigerci alla carrozza.
Non appena salimmo questa partì.
 

“Figliola, non sarà nulla di grave, vedrai…” mi rassicurò mio padre accarezzandomi una guancia.
“Ho come… Una strana sensazione…” mormorai torturandomi le mani. “Non mi avrebbe mai fatta chiamare per…”
“Elena, vorrà vederti. Ormai non manca molto prima del matrimonio, non è vero?” disse.
 
Mancavano due settimane.
Solamente due settimane!
 

“Due settimane…” soffiai incredula.
 

Il tempo era passato velocemente, troppo velocemente.
Avevo paura, eccome se ne avevo.
 

“Andrà tutto bene, vedrai…” mi rassicurò.
 

Annuii.
 
 

 
 
Il cocchiere aprì la porta della carrozza. Prima scese mio padre, poi scesi io, aiutata da quest’ultimo.
All’ingresso trovammo Giuseppe con le braccia incrociate e con un’espressione poco rassicurante in viso. Quando ci vide lasciò cadere le braccia lungo il corpo e ci venne incontro.
 

“Giuseppe, è successo qualcosa?” domandò mio padre.
“Damon…” mormorò solo facendomi andare in panico.
“Cos’è successo?” domandai allarmata.
“Sta male…” ci spiegò.
“Non avete chiamato un dottore?” domandò mio padre sorpreso.
“Si, ma… -scosse la testa- Non vuole vedere nessuno, vuole solo te, Elena. Sta delirando e sta chiamando il tuo nome!”
“Devo… Posso vederlo?” domandai.
“Certo –Giuseppe annuì– entriamo!”
 

Entrai nella reggia con il cuore a mille, preoccupata per Damon.
Avevo notato che Damon stava male, ma non me n’ero preoccupata, troppo impegnata a pensare a stupidaggini.
Dovevo capirlo subito e aiutarlo.
Era tutta colpa mia! Damon stava male ed era soltanto colpa mia!
 

Giuseppe mi condusse nella camera di Damon.
Da fuori sentii la sua voce, simile ad un lamento.
 

Voglio Elena, solo Elena!” si lamentò.
Signorino, non fate il bambino. La principessa sarà qui a momenti, ma dovete farvi visitare!” lo rimbeccò la voce di una donna.
Voglio Elena!” si lamentò ancora.
 

Bussai alla porta, anche se forse non ce n’era bisogno.
Sentii la voce femminile mormorare un ‘Avanti’ ed entrai all’interno della stanza di Damon.
Non appena varcai la soglia –e mi richiusi la morta alle spalle– il mio sguardo volò su Damon mortalmente pallido disteso sul suo letto con le coperte bianche.
Era tutto sudato, con gli occhi semi-aperti.
 

“Elena?” mi chiamò con un filo di voce.
“Sono io –accorsi al suo letto– sono qui…”
“Vi lascio da… Soli…” mormorò la donna –molto probabilmente la cameriera– imbarazzata.
 

Damon alzò a fatica la testa, ma lo riadagiai delicatamente sul letto. Tutto il suo corpo era terribilmente bollente.
 

“Damon, ma come hai fatto a ridurti così?” gli domandai in ansia.
“Elena, sei qui…” mormorò.
“Si, sono qui… -mormorai- Non me ne vado.”
 

Accanto al comodino notai un catino con dell’acqua e accanto a questi dei panni.
Immersi un panno nell’acqua –fredda– e glielo appoggiai delicatamente sulla fronte, iniziando a tamponarla.
 

“Non mi lasciare Elena, ti prego…” mormorò ancora.
 

Sicuramente stava delirando.
 

“Non vado via, rimango qui, Damon…” gli sussurrai accarezzandogli al fronte. “Damon, devi farti visitare, hai la febbre e…”
“Non voglio…” borbottò mettendo su un’espressione alquanto tenera.
 

Sorrisi nel vederlo testardo fino alla fine, ma qui entrava in gioco la sua salute.
 

“Damon, che ti piaccia o no ti farai visitare!” gli intimai.
“Elena, non andare via… Rimani qui…” mormorò prendendomi la mano.
“Vado a chiamare il medico, sarò subito da te…” gli dissi alzandomi sciogliendo –malvolentieri– la stretta della sua mano sulla mia.
 

Gli accarezzai una guancia ed uscii a cercare un medico.
 

“Allora? Si farà visitare?” mi domandò Giuseppe.
“Si, dov’è il medico?” domandai.
“Sono io…” mormorò un signore sulla cinquantina sbucando dal nulla e facendomi sussultare.
 

Annuii e lo condussi all’interno della stanza di Damon preoccupata.
 






 
 
                                                                                      * * *
 







 
Damon aveva la febbre alta, ma in qualche giorno sarebbe passata.
Lui e la sua maledetta abitudine di girare con vestiti leggeri addosso anche quando le temperature erano glaciali. Non sapevo se in Francia facesse così caldo, ma l’Olanda era diversa.
Il medico aveva appoggiato sul tavolo alcune medicine e mi aveva spiegato quando dargliele e anche la dose.
 

Mi sedetti sul letto accanto a Damon e presi ad accarezzargli un braccio. Ero convinta che stesse dormendo, ma quando mi cinse la vita con un braccio e mi supplicò di sdraiarmi accanto a lui dovetti ricredermi.
Era una posizione strana quella, ma mi sentivo bene, protetta, al sicuro.
 

Mi sdraiai meglio accanto a lui e mi accoccolai al suo petto, cercando di dargli meno fastidio possibile, visto le sue condizioni.
Damon mi strinse ancora di più a se e sentii il suo respiro caldo sui miei capelli.
Aveva solo una camicia a coprirlo.
 

“Elena…” mi chiamò.
“Sono qui…” mormorai per fargli capire la mia presenza.
“Non te ne andare, ti prego…” mormorò ancora.
“Rimarrò qui…” lo rassicurai.
“Rimani qui questa notte, ti prego…” mi supplicò.
“Io…” cercai le parole giuste. Mio padre aveva deciso di fermarsi qui, visto le condizioni di Damon, ma nessuno avrebbe approvato la mia presenza della sua camera da letto. “Io…Si… Rimango qui…”
 

Non sapevo che altro dire, non potevo dirgli di no in queste condizioni e con quella faccia.
Damon annuì, sistemandosi meglio sul cuscino e stringendomi di più a se.
Era bello e strano essere qui, con lui.
Non ero mai stata così vicina ad un uomo in vita mia e non ero mai stata a letto con nessuno, ovviamente.
 

Mi sentivo in pace con me stessa stando così vicina a lui, volevo solo essere stretta da lui, tra le sue braccia. Damon era incosciente ora e sicuramente non si rendeva quasi conto della mia presenza. Una volta svegliato mi avrebbe reputato come tante altre. Lui non mi avrebbe mai visto diversamente, non come io vedevo lui.
 
 
 
 
Mi svegliai di soprassalto aprendo gli occhi ed incontrai buio, tranne per una piccola lucetta dovuta alla lampada.
Guardai l’orologio, erano passate circa quattro ore.
 

“Damon…” mormorai cercando di svegliarlo.
 

Mi dispiaceva disturbare il suo sonno, doveva riposare, ma doveva anche prendere le medicine.
 

“Mmm…” mugugnò.
“Devi –mi liberai dalla sua stretta ferrea– prendere le medicine…”
“Non ora…” mugugnò ancora.
“Si, ora…” mormorai stanca sporgendomi alla ricerca dello sciroppo.
 

Versai il liquido marroncino in un cucchiaio, poi, lentamente, lo portai alla bocca di Damon.
 

“Forza, solo uno. Apri la bocca… Forza…” lo incoraggiai.
 

Damon aprì la bocca e prese la medicina senza fare troppe storie.
Sembrava che dovessi accudire un bambino.
Mi rimisi nella posizione di prima, iniziando a fissare il soffitto. Ero stanca, ma dovevo vegliare su Damon.
 

“Grazie… Per essere qui…” mormorò aprendo gli occhi a fatica.
“Dovevo farlo…” sospirai.
“Ti senti in dovere?” mormorò con un tono quasi triste.
“No…” gli risposi tentando di trovare qualche parola.
“Mi dispiace di non essere quello che sono…” continuò poi.
 

Lo ascoltai accigliata.
 

“In che senso?” gli domandai.
“Non sono perfetto… Elena…” sospirò stanco, poi riprese. “Ho commesso così tanti errori in vita mia…”
“Tutti hanno fatto errori, Damon. Ora dormiamo…” lo incoraggiai.
“No, io… Ho commesso troppi errori grossi, mentre tu… “ si fermò. “Tu sei così pura per un essere oscuro come me, Elena…”
“Damon, stai-” mi bloccò.
“No, ascoltami… Io ti… Io ti amo, Elena, per quanto sbagliato che sia. Io ti amo dalla prima volta che ti ho vista e quando… Quando ho saputo che stavi per diventare mia moglie, io…” parlò.
 

Mi stava dicendo che mi amava?
Non poteva essere vero, no. Era sicuramente la febbre. La febbre fa dire sempre strane sciocchezze.
 

“Damon non… Sai quello che dici…” mormorai tentandomi di staccare da lui.
“No, Elena… Io ti amo, è questa è solo la verità!” ribatté per poi appoggiare le sue labbra sulle mie con una forza sconosciuta.




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Angolo dell'autrice:
Finalmente, dopo ben 17 capitoli, Damon ha detto ad Elena che la ama, anche se in preda al delirio più assoluto. Si sa però che i malati spesso e volentieri nei loro deliri dicono la verità e a fine capitolo c'è stato un bacio.
Elena, però è ancora piena di dubbi su quello che prova Damon per lei, ma nel prossimo capitolo ci sarà un chiarimento; Damon, intanto, stava per svelare ad Elena quello che era accaduto con Katherine, ma, inconsapevolmente, si è bloccato prima di spifferare tutto :)

Come al solito ringrazio voi meravigliose ragazze per le vostre magnifiche recensioni che mi hanno resa felicissima, davvero, grazie :')
Ringrazio anche chi continua ad aggiungere la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
Come sempre vi invito a seguire le altre mie storie:
-
Darkness una storia su Damon ed Elena diversa dalle altre che ho scritto fino ad ora, perchè all'interno ci sono creature soprannaturali;
-
Red eyes and Blue eyes one shot su Katherine Pierce e Derek Hale. E' una coppia insolita, ma se li pensate insieme (sempre se seguite anche Teen Wolf) sono bellissimi insieme *w*
-
A different world crossover con The Vampire Diaries/The Originals, Teen Wolf e Twilight.

Grazie ancora, alla prossima :)


 

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Capitolo 18
*** Amare. ***


                                                                  Amare.
                                                                       18.



Pov Elena.

Damon, con una forza inaspettata, posò le sue labbra sulle mie. I miei occhi si aprirono per lo stupore, incontrando i suoi, azzurri come il mare.
Dovevo fermarlo, non era in condizioni per… Baciare o fare altro, eppure… Eppure non volevo fermarlo. Ogni fibra del mio corpo mi ordinava di continuare e di lasciare perdere ogni pensiero.
 
Il cuore voleva prendere una strada, il cervello un’altra. Scelsi la prima, stranamente.
Damon si alzò leggermente con il busto e mi afferrò per la vita spingendomi di più contro di se, mentre la sua bocca baciava con passione la mia. Questo era il mio primo vero bacio. Quello che ci eravamo scambiati era stato solo un ‘toccare di labbra’ anche se mi aveva scombussolato pienamente, mentre questo era un bacio, il bacio.
 
Non avevo mai baciato un uomo prima, eppure… Eppure sembravo così esperta, forse perché decisi di abbandonarmi all’istinto o forse perché con lui tutto risultava più facile. Il mio corpo iniziò a fremere, mentre aprii leggermente la bocca lasciando spazio alla lingua di Damon che entrò dolcemente a contatto con la mia.
Portai le mie mani dietro ai suoi capelli sentendo maggiormente la vicinanza dei nostri corpi, mentre Damon con un colpo di reni mi sovrastò con il suo corpo.
 
Si bloccò e spostò la mano destra dal mio fianco per spostarmi alcune ciocche di capelli e le portò dietro il mio orecchio, poi proseguì disegnando una linea immaginaria sul mio volto. Mi guardava con amore, forse, e desiderio. Non l’avevo mai visto così. I suoi occhi brillavano di luce propria ed erano più azzurri rispetto alle altre volte.
 

“Sei bellissima…” mormorò appoggiandomi un bacio all’angolo della bocca ed il mio cuore aumentò la sua corsa.
 

Perché era sempre così. Quando Damon mi toccava ogni fibra del mio corpo era richiamata a lui, come sotto incantesimo.
Bastava solo un sfioramento e il mio corpo si muoveva da solo, non permettendo al cervello di comandarlo, come se fosse qualcun altro a farlo.
Non mi ero mai sentita così eppure in questo periodo –da quando avevo conosciuto Damon– mi sentivo diversa, più me stessa.
 
Con Damon potevo essere semplicemente io, senza nessuna barriera.
E lo amavo, amavo Damon per i suoi occhi, per il suo comportamento così protettivo con me, per il suo carattere, per la sua intelligenza e anche per il suo essere testardo.
Lo amavo in tutto per tutto ed ora finalmente me ne rendevo conto.
 
Damon tremò leggermente e chiuse per qualche attimo gli occhi e in quell’istante decisi di fermarlo. Molto probabilmente aveva ancora la febbre e non doveva muoversi, per niente.
 

“Damon è meglio se…” lo vidi rabbuiarsi. “Devi riposare, Damon, tutto questo non ti fa bene…”
 

Lo scostai leggermente facendolo stendere.
Mi distesi accanto a lui appoggiando la testa sul cuscino e ritornai alla cruda realtà. Molto probabilmente quel bacio era stato dettato dal suo stato –perché stava delirando– e domani sarebbe ritornato tutto alla normalità. Peccato che a me quel bacio era piaciuto.
Feci per chiudere gli occhi, ma Damon mi strinse a se.
 

“So a quello che stai pensando, ma…” si bloccò per riprendere fiato. “Io ti amo, Elena, e te lo farò capire con tutto me stesso!”
 

Le braccia forti di Damon mi cinsero i fianchi in una presa ferrea che non mi avrebbe permesso di scappare.
Sorrisi nel buio a causa di quelle poche parole che avevano cambiato tutto.
 
 







 
                                                                                     * * *
 







Un movimento alle mie spalle mi ridestò completamente dal sonno ristoratore che poche ore prima avevo intrapreso.
Girai lentamente la testa e trovai Damon ad osservarmi. Il suo volto era contornato da un sorriso, gli occhi più vivi e felici della sera precedente.
 
Sentendo il suo sguardo indugiare sulla mia figura arrossii di botto. Una mano di Damon mi accarezzò delicatamente la guancia solleticandola.
 

“Non devi imbarazzarti…” mormorò portando una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio. “Non più…”
“Io-” iniziai, ma Damon mi bloccò mettendosi su un fianco.
 

Avevo paura a voltarmi e a dovermi scontrare con il suo sguardo. Avevo paura ad affrontarlo, sicuramente voleva dire o smentire qualcosa su questa notte. Non volevo che tutto quello che aveva detto fosse un sogno.
Eppure sicuramente era così, ora mi avrebbe detto che stava delirando e che non mi amava.
 
Sentii le mani di Damon sul mio corpo e mi fece voltare, osservandomi a lungo. I suoi occhi mi trasmettevano emozioni strane, era come felice.
 

“So a cosa stai pensando…” mormorò osservandomi ed accarezzandomi una guancia. “No, questa notte non stavo delirando…”
 

Era impossibile, lui non poteva amare una come me.
 

“Elena –si mise a sedere e in quel momento vidi il suo petto scolpito a causa della chiusura ‘spartana’ della sua camicia– quello che ho detto questa notte non… Non è stato dettato dal mio stato di salute o da altro…”
“Damon, io…” mormorai.
“Tutto quello che ho detto questa notte è vero, anzi, non c’è niente di più vero di quello che provo per te, Elena!” mi spiegò con gli occhi che luccicavano.
“Damon… Forse… Tu… Stai ancora delirando…” mormorai incredula.
 

Damon sorrise e scosse energicamente la testa per poi avvicinarsi a me.
 

“Sto bene e tutto quello che ho detto è quello che sento, Elena. Io ti amo, ti ho sempre amata!” terminò e aspettò una mia reazione che non tardò ad arrivare.
 

Sorrisi e in modo poco signorile mi avventai sulle sue labbra.
Sentii Damon ridere sulle mie labbra e mi strinse ancora di più a se, come per paura di perdermi in qualsiasi momento.
Portò una mano dietro la mia schiena  ed io portai le mie mani sul suo petto intenzionata a non concludere mai quel bacio.
 

Ti amo, Elena, ti amo da sempre…” ripeté per la seconda volta e mi guardò con occhi carichi di speranza.
 

Non potevo più mentire né a me stessa né a lui, dovevo dire la verità.
 

Ti amo anche io, Damon…” mormorai e lo sentii sorridere, per poi accarezzarmi di nuovo la guancia con la mano libera.
 
 
 


 
Pov Damon.
Elena mi amava e me l’aveva appena detto.
Mi aveva detto che mi amava e per due volte aveva ricambiato il mio bacio con passione e anche con gusto.
Ora potevo toccare liberamente il cielo con un dito, niente e nessuno poteva impedirmi di essere felice, nemmeno Katherine.
 
Mi rabbuiai all’istante, ma non potevo farlo difronte  a lei.
Amavo Elena e mi aveva appena detto che il mio amore era ricambiato.
Come avrei voluto stenderla sul mio letto, iniziare a spogliarla lentamente ed amarla, magari fino a pranzo, ma non potevo farlo.
C’era suo padre di sotto ed in più lei… Non potevo rendere tutto occasionale o fare tutto di fretta. Lei era pura e avrei aspettato il momento giusto.
 

“C’è… -Elena si staccò da me turbata notando i miei occhi oscurarsi- Qualcosa che non va? Ho sbagliato qualcosa io?”
“Non c’è niente che non va! –le accarezzai una guancia– Sono io che sono così sbagliato…”
 

Elena inclinò la testa di lato non capendo le mie parole. I capelli le ricaddero davanti facendola sembrare ancora più bella.
 

“Damon, tu non sei sbagliato, sei così… giusto!” mi rispose.
 

Peccato che io non ero così giusto come credeva, ma era meglio non dirlo.
 

“Sei tu la persone giusta, Elena. –Elena sorrise– Vieni –la presi per mano– ti faccio vedere una cosa!”
“Damon, aspetta! –mi bloccò rifacendomi sedere sul letto– Sei ancora debole, non devi muoverti!”
“Sto benissimo!” mi alzai ed Elena scosse la testa seguendomi. “Andiamo!”
 

Elena mi guardò ancora titubante, le posai un bacio sulle labbra e la vidi sorridere, poi uscimmo fuori dalla mia stanza.
In poco tempo la condussi in biblioteca, dove eravamo rimasti da soli per la prima volta.
 

“Perché siamo qui?” mi domandò curiosa.
“Ti ricordi ancora il quadro che ti avevo mostrato?” le domandai accompagnandola per mano all’interno.
“Certo -annuì– la Monnalisa…”
 

La condussi per mano davanti al quadro e, come ogni volta, ne rimase affascinata.
 

“Ti piace ancora?” le domandai sorridendo.
“Certo, non posso cambiare idea da un giorno all’altro…” mi rispose ovvia.
“Bene, perché questo diventerà tuo!” le risposi.
 

La vidi sgranare gli occhi per la sorpresa e sbattere più volte le palpebre. Forse stava realizzando quello che le avevo detto.
 

“Ti stai prendendo gioco di me?” mi domandò.
 

Aggrottai le sopracciglia.
 

“No, non potrei mai farlo. Questo sarà tuo!” la rassicurai.
“Damon, non posso io… Questo è tuo, è tuo. E’ una delle più belle opere della Francia e già il fatto che sia qui… -scosse la testa- non posso…”
“Elena, sono il re di Francia e come futuro marito regalerò questo a mia moglie. Ergo, mia moglie sarai tu!” le risposi e la vidi sorridere apertamente.
“Grazie…” mormorò arrossendo.
“Mi merito un bacio?”  le domandai sorridendo sornione avvicinandomi a lei.
“Ora pretende che la baci ogni secondo signor Salvatore? Solo perché l’ho baciata una volta?” mi domandò sorridendo maliziosamente –quello sguardo le stava perfettamente bene.
“Mmm… Si dia il caso che mi abbia baciato più volte signorina Gilbert.” mi avvicinai a lei e la strinsi per i fianchi. “Potrebbe rifarlo ancora, no?”
“Se proprio insiste sarò costretta a farlo…” mormorò avvicinandosi alle mie labbra.
“Quanto dolore signorina Gilbert…” mormorai ironico mentre catturai le sue labbra.
 

Elena sorrise sulle mie labbra mentre portai una mia mano dietro di lei.
La piccola donna che avevo davanti a me portò le sue mani dietro al mio collo continuando a baciarmi –ci aveva preso gusto– ed ogni tanto interrompeva il bacio per guardarmi negli occhi, ma io puntualmente la stringevo di più a me rompendo del tutto la nostra distanza.
 
Ogni volta che toccavo le sue labbra era come sentirle per la prima volta, era tutto così meravigliosamente diverso. Ogni volta era un emozione diversa che mi faceva battere il cuore a mille e desideravo continuare all’infinito.
Ci staccammo solamente quando due colpi di tosse ci fecero voltare.
Di fronte a noi c’erano Giuseppe e il padre di Elena.
Beccati.
 

“Vedo che… Vi siete ripreso, Damon…” mormorò il padre di Elena.
 

Quest’ultima abbassò lo sguardo imbarazzata ma la sentii ridere –fortunatamente sentii la sua risata solo io e stavo facendo uno sforzo immenso per non scoppiare definitivamente.
Mi grattai la testa, mentre la mia mano non si decideva a lasciare quella di Elena.
 

“Si… Ecco… Sto molto meglio, grazie…” borbottai mentre mio padre mi scrutava divertito.
 

Era una situazione parecchio imbarazzante.
 

“Elena, dobbiamo ritornare al castello –sentii Elena sbuffare– dovete continuare a fare le prove dell’abito…”
“Certo, padre…” annuì lei staccandosi da me.
“Sarai bellissima…” le sussurrai all’orecchio.
 
Sorrise, poi seguì il padre.
 
 






 
                                                                                           * * *
 







“Vedo che la principessa non ti dispiace…” mormorò mio padre bevendo un bicchiere di vino.
“Diciamo che questa volta hai fatto un’ottima scelta…” gli risposi pulendomi la bocca.
“Non ti vedevo così da tanto tempo, Damon…” mormorò poi.
“Da quando?” gli domandai accigliato.
“Da Katherine…” mormorò pulendosi la bocca con un tovagliolo.
 

Sussultai al suo nome e inevitabilmente mi tornarono in mente amari ricordi.
 

“Non ricordo…” mormorai tentando di chiudere lì.
“Elena ti ha cambiato, ne avevi bisogno…” mormorò poi. Si alzò e mi venne vicino. “Ho sentito che… Katherine è arrivata in città…”
 

Mi appoggiò una mano sulla spalla scrutandomi con i suoi occhi verdi, come quelli di Stefan.
 

“Non mi importa!” lo liquidai alzandomi a mia volta.
“Non combinare danni Damon, ti dico solo questo!” si assicurò.
“Potrei infangare il nome dei Salvatore?” gli domandai con astio.
 

Mio padre scosse la testa e mi guardò in modo sincero.
 

“No, non voglio che Elena soffra, Damon. La conosco da tempo ormai, come conosco la sua famiglia e lei non merita questo, figliolo. Non commettere lo stesso errore che feci con tua madre…” mi rispose. “L’avevo fatta soffrire, Damon, e non mi sono potuto scusare perché è scomparsa prima che io potessi farlo. Me ne pento ancora oggi, non farlo anche tu…”
 

Annuii sorridendogli. Non era un sorriso ironico o cattivo, era consapevolezza.
 

“Non lo farò papà, io amo davvero Elena.” gli risposi e lo vidi annuire, per poi andarsene.
 

Quella era una promessa che non avrei più infranto, mai più.
 
 


 
 
Pov Elena.
“Elena, ti senti bene?” mi domandò una voce facendomi ritornare sulla ‘Terra’.
“Si papà…” mormorai sorridendogli.
“Ti vedo pensierosa, va tutto bene?” mi domandò poi.
“Si –annuii– anche troppo…”
 

Terminai il tutto con un sorriso che fece sorridere anche mio padre.
 

“Scommetto che con il tuo buon umore centra Damon, dico bene?” mi domandò.
 

Abbassai lo sguardo mentre le mie guance si tinsero di rosso.
Mio padre scoppiò in una fragorosa risata che mi fece sbuffare.
 

“Papà…” borbottai.
“Scusami, non dovrei ridere… -si ricompose- Sono felice che tu e Damon vi troviate bene insieme.” si sistemò il polsino della camicia. “Damon è adatto a te, lo vedo da come ti guarda…”
“Papà, ha detto che mi ama…” mormorai arrossendo.
“Questo lo sapevo già da tempo. Il ragazzo ha aspettato tanto per dirtelo, no?” mi accarezzò una guancia, poi si bloccò. “Non ti ha fatto piacere tutto ciò?”
“Certo, si… Ma… Ho paura di deluderlo, ho paura di non essere come lui si aspetta papà. Non so se riuscirò ad essere una buona moglie io… -sospirai- Non so nulla di questo.”
“Figliola, devi seguire quello che dice il tuo cuore e comportarti come meglio credi. Non devi importi un certo tipo di comportamento, devi essere te stessa. Continua per la tua strada bambina mia…” mi rispose sorridendo.
“Grazie, papà…” mormorai abbracciandolo.





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Note dell'autrice:
Come promesso ho ripreso dalla scena del capitolo precedente :)
Dopo lunghissime attese finalmente hanno ammesso entrambi
a voce alta quello che provano. In questo capitolo avrò fatto salire il diabete a qualcuno, ma ci voleva dopo ben 18 capitoli ^^
Da qui in poi -almeno per un po'- ci saranno attimi di pace, quindi preparatevi a degli esami del sangue perchè vi troverete sul serio con il diabete, ma preparatevi anche al peggio.

Katherine è sparita, ma comunque il suo fantasma aleggia ancora nei pensieri di Damon, come abbiamo visto ed anche grazie all'intervento di Giuseppe.

Ringrazio le fantastiche persone che hanno lasciato ben otto recensioni, grazie davvero :)
Ovviamente un ringraziamento va anche a chi continua ad inserire la storia tra le preferite/ricordate/seguite ^^
Ultima cosa... Cosa ne pensate dei vincitori dei TCA?
Nina e Ian hanno meritato assolutamente quel premio, così come Candice.
Mi dispiace per Paul, ma Silas non avrebbe mai potuto combattere contro il Nogitsune interpretato da Dylan O'Brien. Non c'è stata storia, ma comunque mi dispiace per lui, perchè almeno merita di vincere qualcosa. Come ha meritato anche Tyler Hoeclin, che era nella stessa categoria di Trevino, di vincere
La sorpresa è stata assolutamente The Vampire Diaries che ha battuto perfino Arrow e Teen Wolf... Speriamo bene per la sesta stagione :')
Ora vi lascio. Alla prossima <3

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Capitolo 19
*** Notizie inaspettate. ***


                                                  Notizie inaspettate.
                                                                19.



Pov Elena.

“Mi stai dicendo che tu e Damon vi siete baciati?” urlò Caroline in modo poco signorile buttando all’aria la buona etichetta di corte.
“Non urlare, Caroline.” la ripresi mentre Bonnie si portava una mano alla bocca.
“Io l’avevo detto! –riprese Bonnie– L’avevo detto!”
“Cosa?” le domandò Caroline.                           
“Che il signor Salvatore era innamorato di Elena. L’avevo detto fin dall’inizio…” spiegò Bonnie.
 

Annuii.
In effetti Bonnie l’aveva sempre detto.

 
“Anche io l’avevo detto, insomma!” ricordò Caroline. “Damon ti guardava in modo adorante… Me ne sono accorta quando ci ha sorprese al fiume…”
“L’unica che non l’aveva capito eri tu…” concluse Bonnie per Caroline.

 
Caroline annuì convinta, mentre io abbassai lo sguardo.
Non è facile sopravvivere ad un matrimonio combinato e capire di amare quella persona profondamente. Perché io amavo Damon, ormai lo avevo ammesso. Stare lontana da lui era un tuffo al cuore. Mi ero trovata così bene tra le sue braccia, nel suo letto, e sarei rimasta lì ancora.

 
“Vedi Bonnie? –Caroline mi riscosse dai miei pensieri– E’ proprio innamorata…”
“E’ un male questo, Caroline?” le domandai acida.
“No –scosse la testa– ma magari potresti partecipare al nostro dialogo, giusto?”

 
Aggrottai le sopracciglia tentando di capire di cosa avessero parlato fino a quel momento.
Non le avevo ascoltate troppo impegnata a pensare al mio futuro marito.
Faceva ancora uno strano effetto pensare a quella parola, ma ora suonava così bene.

 
“Manca una settimana, Elena…” mi ricordò Bonnie.
“Per cosa?” domandai.

 
Bonnie scosse la testa, mentre Caroline si portò una mano sulla fronte sospirando esasperata.

 
“Al tuo matrimonio, futura signora Salvatore!” terminò Caroline.

 
Mancava solo una settimana. Mancava solo una settimana… Mancava solo una settimana! Solamente una settimana.
Io non ero ancora pronta, non… Doveva mancare più tempo. Cominciai a respirare in modo affannato spalancando gli occhi.

 
“Tutto bene, Elena?” domandò Bonnie.
“No…” mormorai scuotendo la testa.
“Cosa c’è che ti turba?” mi domandò Caroline sorridendomi dolce.
“Non sono pronta, io… -sospirai- Ho paura…”

 
Caroline mi abbracciò e i suoi riccioli biondi mi coprirono interamente la faccia.

 
“Non devi avere paura, Elena… Lui ti ama…” mi sussurrò Caroline.
“Ho paura di non essere capace, io non so nulla, io… Ho paura per tutto. Paura per il mio matrimonio, paura di governare questo paese…” singhiozzai.
“Calmati, Elena. –Caroline si scostò da me– Il tuo futuro marito ti ama, lo sanno tutti ormai. Per quanto riguarda il matrimonio io non posso darti nessun consiglio e nemmeno Bonnie… Non ne sappiamo nulla, anche se tra poco toccherà a me… Quando uno si sposa è logico che non sa nulla, soprattutto per ragazze come noi. Si conosce poco del nostro marito e veniamo pensate come passatempi da portare a letto… Mi auguro che Damon non sia così… Magari Damon è anche bravo e…”

 
Scossi la testa ed abbassai lo sguardo mentre le mie guance divennero rosse.

 
“Non dirmi che non ci hai mai pensato!” disse Caroline.
“Ecco… Io…” balbettai imbarazzata.
“E’ la base di una coppia questo, Elena…” terminò Caroline sventolando le mani in aria.
“Caroline, un attimo…” tentò di fermarla Bonnie.
“No –Caroline scosse la testa e continuò a parlare– è logico che nella tua prima notte di nozze succederà qualcosa, no?”

 
Io non… Ci avevo mai pensato…

 
“Ecco… Io…” balbettai.
“Perché solo io devo sapere queste cose?” domandò Caroline forse più a se stessa che a me e a Bonnie.
“Forse perché non è tempo di pensarci ora, Caroline…” tentò di fermarla Bonnie.
“Cosa devo fare io con voi?” si domandò Caroline portandosi una mano sulla fronte.
“Niente, Caroline, niente… Questo non è il momento adatto per parlarne, no? –domandò Bonnie guardandomi dolcemente per poi rivolgere lo sguardo a Caroline– C’è ancora tempo.”

 
Decisi di cambiare discorso.

 
“Com’è andata con Klaus?” domandai a Caroline.

 
Caroline si rabbuiò all’istante e tornò a guardare l’erba sotto di noi che eravamo comodamente sedute sull’enorme prato del castello, come nostra abitudine.
Si sistemò le pieghe del vestito e deglutì, senza proferire nessuna parole.

 
“Noi non… -sospirò e vidi i suoi occhi farsi lucidi- Potremo mai funzionare insieme…”
“Caroline tu non… Sai quello che stai dicendo!” la ripresi non capendo il senso del suo discorso.

 
Conoscevo Klaus da quando era bambino, la sua famiglia aveva lavorato per la mia e tutt’ora continuava a farlo svolgendo alcune mansioni –soprattutto Elijah e Finn–, e avevo visto come guardava Caroline. Klaus amava Caroline, amava solo lei.
Il loro amore avrebbe dovuto affrontare tantissimi ostacoli, ma insieme ce l’avrebbero fatta.

 
“No, sono consapevole della mia decisione, non posso più tornare indietro…” mormorò.
“Cos’hai fatto, Caroline?” domandò Bonnie anticipandomi.
“Io l’ho lasciato…!” mormorò Caroline mentre lacrime amare le rigavano le guance.
“Non è possibile…” mormorai portandomi una mano alla bocca stupita.

 
Caroline iniziò a singhiozzare sempre più sommessamente, tanto che io e Bonnie arrivammo ad abbracciarla contemporaneamente.
Accarezzai la schiena della mia amica per un tempo infinito, quando finalmente si calmò e decisi di arrivare più a fondo.

 
“Perché, Caroline? Perché l’hai lasciato?” le domandai dolcemente.

 
Caroline si asciugò le lacrime con il lembo della manica dell’enorme vestito azzurrino che indossava quel pomeriggio, fece per parlare, ma le parole le morirono in gola.

 
“L’ho fatto per il suo… Bene…” mormorò.
“Che cosa stai dicendo? –spalancai gli occhi– Non ti seguo…”
“Se i miei sapessero… Se i miei lo sapessero… Verrei cacciata da mio padre… Klaus morirebbe….” singhiozzò.
“Ce l’avete sempre fatta, Caroline…” cercai di rassicurarla tentando anche di avere l’appoggio di Bonnie che abbassò lo sguardo.

 
Guardai Caroline che poco prima aveva guardato Bonnie e la prima abbassò lo sguardo come la seconda.
Mi stavano nascondendo qualcosa.

 
“C’è qualcosa che dovrei sapere?” domandai portando il mio sguardo su entrambe.
“Io… Io…” Caroline balbettò osservandomi scossa. Non l’avevo mai vista così. “Aspetto un bambino!”

 
Strabuzzai gli occhi più e più volte riformulando altrettante volte la frase appena pronunciata da Caroline che ora mi guardava spaventata.
Bonnie le strinse la mano, mentre la mia espressione si alternò dalla sorpresa alla rabbia. Ero stata tenuta all’oscuro di tutto per chissà quanto tempo.
 
Bonnie lo sapeva e non mi aveva detto niente. Lo capivo dalla sua espressione colpevole e dai suoi occhi che mi domandavano scusa, mentre Caroline non mi guardava nemmeno in faccia.

 
“Da quanto lo sai?” domandai distaccata per essere stata tenuta all’oscuro di tutto.
“Da un mese, circa.” mi rispose tenendo sempre lo sguardo fisso sull’erba.
“Di quanto sei?” domandai ancora.
“Tre mesi, circa…” mormorò Caroline tenendo lo sguardo basso.
“E me lo avete detto solo ora?” domandai fredda.
“Non volevo… Non volevo darti altri… Problemi, io… Non volevo…” singhiozzò Caroline e il suo viso si bagnò per la seconda volta in poco tempo.

 
Guardai Caroline piangere e mi sentii terribilmente in colpa per come mi ero comportata.
Ora capivo la sua scelta, il bambino era sicuramente di Klaus.

 
“Non –singhiozzò– te l’ho detto perché… Sei già occupata con il matrimonio e…”

 
Non la lasciai finire la frase che l’abbracciai per la seconda volta, mormorandole un ‘Non importa, va tutto bene’ tra i capelli biondi.
Rimanemmo così per un tempo indescrivibile, fino a quando non fu Caroline a parlare per prima.

 
Ho paura.” mormorò.
“Non ne devi avere, è una cosa bellissima…” mormorò Bonnie cercando di sorriderle rassicurante.
“Mi cacceranno di casa… -singhiozzò- Quando lo verranno a sapere mi ripudieranno e uccideranno Klaus, io non… voglio…”
Nessuno ti caccerà di casa Caroline, te lo prometto. Ci siamo noi con te…” le sussurrai.
“Daranno il mio bambino a qualcun altro e io non voglio questo…” mormorò scuotendo la testa facendo ondeggiare i suoi riccioli biondi.
“Non lo permetterò, Caroline. Giuro sul mio titolo che il tuo bambino non verrà dato a nessuno.” la rassicurai.
 






 
                                                                                                  * * *







 
 
“Klaus dovrebbe saperlo, Caroline…” le dissi mentre ci incamminavamo verso il palazzo.
“No, non… Se glielo dico uscirà fuori di testa, andrà subito dai miei e mi porterebbe via, io non… Verremo cercati da tutti e…” balbettò.
“Elena ha ragione, Caroline, ha diritto di saperlo. Oltre a noi due –Bonnie indicò anche me– chi lo sa?”
Anna… Non lo dirà a nessuno, mi fido di lei…” mormorò portandosi una mano al ventre.
 
 

Anna era la levatrice di casa Forbes, aveva fatto nascere Caroline, ci si poteva fidare.

 
“Andrà tutto bene, Caroline.” le dissi mentre tutte e tre entrammo per la porta principale all’interno del castello.
“Principessa…” Marcel si inchinò abbassando il capo. “Signorina Forbes… Il signore e la signora Forbes vi stanno aspettando in carrozza.”

 
Caroline annuì, ci salutò con lo sguardo e se ne andò, seguita da Bet che la accompagnò dai signori Forbes.
Io e Bonnie ci avviammo verso la sala principale, quando da essa uscirono Damon e il signor Salvatore. Quando Damon mi vide mi regalò uno dei suoi meravigliosi sorrisi e ricambiai mentre il mio cuore iniziò a battere.

 
“Principessa, buona serata.” mi salutò cordialmente Giuseppe.

 
Damon mi baciò semplicemente la mano, sorridendomi ancora e mimando un ‘ciao’ con la bocca.

 
“Signori Salvatore.” li salutai abbassando il capo. “Ve ne stavate andando?”
 
 
 


 
Pov Damon.

Uscimmo dalla sala dopo aver parlato a lungo della situazione politica ed economica dell’Olanda che a quanto pare era sul punto di entrare in crisi.
Sempre la solita storia e tutto a causa di maledetti rivoluzionari. Avevo uno strano presentimento, come se potesse centrare qualcuno di mia conoscenza, ma scacciai subito questa supposizione.
 
Volevo vedere la mia Elena, mi mancava terribilmente. Non la vedevo dalla scorsa notte e, anche se ero consapevole che la settimana prima del matrimonio gli sposi non si vedevano quasi mai, volevo stare con lei. Ero riuscito a rimandare il mio viaggio, anche se non di molto –visto che dovevo andare in Francia per affari politici–, e volevo comunicarglielo.
 
Mi ricordavo perfettamente il nostro dialogo di quella sera nel bosco ed avevo visto il suo stato d’animo nel parlare così sfacciatamente del mio futuro comportamento una volta presa moglie e, anche se non sapevo che Elena lo sarebbe diventata, mi ero pentito all’istante. Inoltre dovevo chiederle un piccolo favore.
 
Quando uscimmo finalmente dalla sala la vidi arrivare bellissima nel suo abito verde, accompagnata dalla sua amica-dama da compagnia Bonnie. Salutò la sua amica bionda che se ne andò e solo in un secondo momento si accorse di me. Le sorrisi e lei ricambiò, mentre vidi i suoi occhi colmi di gioia. Stare con lei mi infondeva calma e tranquillità, l’avrebbe sempre fatto.
 
Ero stato veramente fortunato a trovare una donna come lei, un vero angelo.
Mio padre salutò Elena e io la salutai baciandole la mano e sentii mille brividi attraversare il mio corpo, ma non ci badai. Mi capitava ogni volta.
Mio padre rispose in modo affermativo alla sua domanda, ma non me ne sarei andato via prima di comunicarla la notizia ed inoltre dovevo chiederle un piccolissimo favore.
 

“Sire, vorrei parlare con vostra figlia prima di andarmene, potrei?”  domandai.
“Certo, figliolo.” mi rispose.
 

Presi Elena per mano e senza darle il tempo di proferire parola la condussi fuori.
 

“Quanta fretta…” mormorò divertita.
“Diciamo che mi sei mancata…” mormorai sulle sue labbra avvicinandomi pericolosamente a lei mentre le sue guance si coloravano di rosso.
 

Si imbarazzava ancora ed era terribilmente bello.
 

“Sono riuscito a spostare il viaggio!” le spiegai.
 

Aggrottò le sopracciglia domandandomi, non in modo esplicito, che viaggio.
 

“Ti ricordi di cosa avevamo parlato al nostro primo incontro? –le domandai e la vidi annuire, poi sorrise– Quel viaggio…”
“E’ fantastico…” mormorò abbracciandomi, ma poi si staccò e si rabbuiò all’istante. “Perché l’hai fatto?”
“Come perché?” le domandai non capendo.
“Perché l’hai fatto? –mi ripeté ancora– Tu quella sera hai detto che… Lo volevi… Perché l’hai fatto!? Provi pena per me?”
 

Le accarezzai una guancia, mentre una mia mano portò le sue dietro la sua schiena. Feci un po’ di pressione con il mio bacino e la spinsi delicatamente sul muro incatenandola e feci in modo che non si potesse ribellare.
Prima avrei fatto tutto in modo più impulsivo, l’avrei anche sbattuta contro il muro, ma io non volevo farle del male.
 

“Ma che-” iniziò, ma le tappai la bocca con un bacio.
 

All’inizio doveva essere un bacio casto, ma mi lasciai prendere la mano allontanando tutte le mie buone premesse che mi ero fatto incatenandola al muro e quello di spiegarle realmente la verità.
L’avevo fatto perché l’amavo e non volevo lasciarla da sola in un periodo così difficile, in un periodo di crisi e guerra e da sola in questo matrimonio.
 
Non sarebbe riuscita ad affrontare tutto questo ed era proprio per questo che sarei rimasto in Olanda. Sarei andato in Francia in futuro e avrei portato anche lei. L’avrei portata a Parigi, finalmente.
Elena si staccò da me affannata con le labbra gonfie, mentre mi guardava non capendo quello che le era successo. Non voleva fermarsi, glielo leggevo negli occhi, e se n’era resa conto solo ora.
 

“L’ho fatto perché ti amo, ed è proprio perché ti amo che non posso comportarmi in questo modo con te. Non ti lascerò sola, non più!” le risposi, mentre la vidi addolcire lo sguardo.
“Io… mi… Dispiace…” balbettò affranta.
“Hey –le sollevai il viso– va tutto bene, stai tranquilla. Avevi ragione a dubitare, ma ora non lo faro più…”
 

Annuì, mentre le posai un bacio delicato sulla fronte.
 
 
 
 
 
Passammo del tempo abbracciati ad osservare il cielo stellato sopra le nostre teste, quando mi decisi a parlare.
 

“Domani non ci sarà per tutto il giorno…” iniziai. “Devi coprirmi…”
“Dove andrai?” mi domandò osservandomi.
“Devo parlare con Stefan, devo fargli cambiare idea.” le risposi.
“Con Stefan? Perché?” mi domandò. “Dov’è Stefan?”
“Giuseppe l’ha scacciato di casa…” risposi.
 

Elena si portò una mano alla bocca e mi guardò dispiaciuta.
 

“Perché?” domandò poi.
“Ha scoperto che ha una storia con Lexi… -le accarezzai un braccio e notai la sua pelle d’oca. Mi sfilai la giacca e gliela appoggiai sulle spalle. Stava per ribattere, ma continuai a parlare indisturbato- Una che proviene dalla campagna. Stefan si è rifiutato di interrompere la loro storia e così Giuseppe l’ha cacciato di casa…”
“Che cosa? –mi domandò ancora più preoccupata– Damon, potrebbe trovarsi chissà dove!”
“Sta bene… Mi ha inviato una lettera qualche giorno fa, ma voglio assicurarmi di persona la sua sistemazione. Starò via soltanto un giorno, non di più.” la rassicurai.
“Promettimi che starai attento…” mormorò.
“Te lo prometto!” le risposi assaporando ancora le sue labbra che mi infondevano tranquillità a sicurezza.

 
 
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Note dell'autrice:
Oggi piove, stranamente ç.ç
Vi auguro un buon ferragosto anche se sono leggermente in ritardo, ma ieri non ho avuto proprio tempo di aggiornare.
Voglio ringraziare subito le fantastiche recensioni dello scorso capitolo, ben 12. Vorrei ringraziare tutte quante per lo splendido supporto che continuare a darmi, visto che le recensioni aumentano sempre a vista d'occhio e mi auguro di continuare così, o per lo meno di mantenere lo stesso ritmo.
Quindi grazie, davvero <3
Questo è una sorta di capitolo di passaggio, come saranno anche gli altri, dove vediamo ancora i dubbi di Elena, ma Damon la rassicura su tutto.
L'unica nuova nota positiva è l'inaspettata gravidanza di Caroline. Si, Caroline aspetta un bambino da Klaus. (Il mio Klaroline <3) So che all'epoca se si aveva figli al di fuori del matrimonio era un problema e Caroline ne ha uno doppio: lei e Klaus appartengono a due classi troppo diverse, ecco perchè ci sono mille ostacoli.

Io, personalmente, adoro nel telefilm l'amicizia che lega Elena, Caroline e Bonnie, quindi ho voluto riportarla anche qui. Elena e Bonni faranno di tutto per aiutare Caroline :)
Niente, non ho nient'altro da dire, soltanto che il prossimo capitolo sarà Defan  allo stato puro.
Grazie ancora per le stupende recensioni, vi adoro tutte <3
Alla prossima.

 
 
 

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Capitolo 20
*** Sole e Luna. ***


                                                          Sole e Luna.
                                                                      20.





Pov Damon.

Ero stato in città tantissime volte, ma non sapevo dove cominciare. Il problema era che non sapevo dove lavorasse Lexi e dove si trovasse Stefan in quel momento.
Dovevo fare in fretta e parlare con mio fratello, obbligarlo a tornare a casa anche per poi obbligare anche Giuseppe ad accettare la sua relazione con Lexi.
 
Non vedevo mio fratello così da una vita, anzi, non l’avevo mai visto così vivo e non potevo permettere a Giuseppe di rovinargli la vita. Con me, anche se in modo fortunoso, aveva fatto un ottimo lavoro per trovare moglie, ma conoscevo bene mio fratello. Non si sarebbe mai sposato con una che non avrebbe mai amato.
 
Neanche io, ma la mia posizione era diversa ora. Ero stato obbligato –ancor prima di conoscere la mia futura sposa– ad accettare il matrimonio combinato a causa del mio obbligo e del mio potere, ma Stefan no. Lui avrebbe messo su famiglia con una persona amata, per suo volere, non per volere altrui.
 
Elena mi stava reggendo il gioco, ma non sapevo quanto a lungo potesse reggerlo. Aveva detto che usciva con me –una passeggiata per precisione– invece era andata con Bonnie e Caroline al lago, approfittando anche dell’assenza dei genitori di quest’ultima. Ecco, la biondina mi sembrava strana in quel periodo.
 
Era più pallida del solido e non faceva battutine acide, poco consone per una donna del suo rango –ma questo a lei non importava e stava iniziando ad entrare nelle mie simpatie, anche se remote.
 
 
 
 
 
Avevo controllato in ogni luogo possibile, l’unica soluzione era il mercato.
Mi addentrai all’interno del mercato mischiandomi subito tra la folla. Non dovevo farmi riconoscere, sarei stato nei guai. Quel giorno potevo essere anche fortunato visto che le persone della classe ‘benestante’ non frequentavano certamente quei luoghi, si sentivano superiori. Tutte bazzecole!
 
Nell’aria c’erano mille profumi che volteggiavano: dall’odore dei fiori dalle mille tonalità all’odore del pane appena sfornato. Avevo già fatto colazione, fortunatamente.
Il mercato mi aveva sempre attratto a causa di tutti i colori che spiccavano tra i vari banchi come quello della seta o anche i colori dei magnifici quadri dipinti da qualche ragazzo.
 
Alcuni erano veramente meravigliosi, da far invidia anche ai migliori dipinti della Francia –reputati i migliori dal mio popolo.
Venni attratto da una collana su un banco poco più avanti. Affrettai il passo e l’osservai meglio.
 
Il laccio della collana era di cuoio, mentre spiccava una sorta di sole in legno intagliato. Non era grande, era perfetto. Accanto ad essa c’era una collana uguale, ma come ciondolo aveva la luna. Non erano collane appariscenti, erano semplici, ma incredibilmente belle.
Elena era il mio Sole.
 
Sorrisi e mi avvicinai ad un’anziana signora, molto probabilmente la venditrice e padrona del banco.
Le indicai le due collane e chiesi il prezzo. La signora mi rispose, le diedi delle monete –intimandole di tenere il resto– e questa mi porse le collane.
Soddisfatto andai alla ricerca di mio fratello.
 
Dopo un tempo interminabile di ricerca finalmente lo trovai. Stava aiutando Lexi e scegliere una stoffa, molto probabilmente sarebbe stata utilizzata per la fabbricazione di qualche abito. Mi avvicinai di soppiatto, intenzionato a fargli prendere uno spavento.
 

“Buongiorno fratellino!” lo salutai, mentre vidi Stefan sussultare e voltarsi di scatto con la faccia traumatizzata.
 

Stefan mi squadrò da capo a piedi, come ad accertarsi della mia reale presenza, poi mi sorrise. Ricambiai il sorriso, visto che era terribilmente difficile vederlo sorridere.
 

“Damon, non credevo di trovarti… Qui…” disse sorridendomi.
“Sono venuto a trovarti, volevo sapere come stavi. E’ da settimane che non ho più notizie di te…” mormorai duro.
 

Ad Elena avevo detto che avevo sue notizie, ma non era vero. Non volevo trasmetterle la mia preoccupazione.
 

“Sto bene, Dam, non preoccuparti.” mi spiegò.
“Lo vedo… -mi voltai verso Lexi- Trovo bene anche te, Lexi…”
“La stessa cosa posso dire di voi, Salvatore…” mormorò lei sorridendomi, mentre Stefan le cingeva la vita e le indicava altri tipi di stoffa.
“Chiamami Damon… Allora, state facendo compere come coppia?” domandai curioso.
 

Stefan annuì sorridendomi. “Lexi deve preparare un vestito per una sua vecchia amica, si sposa tra qualche settimana…”
 

“Stefan, devo andare ad aiutare mia madre ora, non ce la farà mai da sola… Ti occupi tu della stoffa?” domandò.
“Certo, buon lavoro…” le rispose mio fratello posandole un bacio veloce sulle labbra.
“Passa la giornata con tuo fratello, ne avete bisogno entrambi…” mormorò a mio fratello e forse a me prima di sorridere ad entrambi e di andare via.
 







 
                                                                                               * * *
 
 






“Allora fratellino, com’è vivere in libertà?” gli domandai mentre un ragazzino ci versava da bere.
 

Diedi una lauta mancia anche a lui, oggi mi sentivo terribilmente buono.
 

“Decisamente meglio che vivere alla reggia, anche se non ho tutte quelle comodità, ma non mi importa…” mi spiegò bevendo un sorso del liquido all’interno del suo bicchiere.
“Cosa fai nella vita allora? Oltre a stare con Lexi, ovvio…” sottolineai malizioso.
 

Stefan scosse la testa, mentre terminò di bere qualunque cosa avesse ordinato.
 

“Lavoro…” mormorò.
 

Mi strozzai con il liquido ambrato che avevo all’interno del bicchiere rischiando di morire soffocato.
Sarei morto una settimana prima del matrimonio.
 

“Cosa c’è? Non posso?” domandò.
“No… -scossi la testa e chiamai ancora il ragazzino per farmi riempire il bicchiere sotto lo sguardo quasi disgustato di Stefan- solo che non si era mai visto un Salvatore al lavoro…”
“Ci si farà l’abitudine allora. –il ragazzino riempì il mio bicchiere e se ne andò– Come fai a bere così tanto già di prima mattina?”
“Abitudine. –alzai le spalle– Al mio matrimonio certamente non mancherà del buon bourbon.”
“A proposito del tuo matrimon-” lo bloccai ancor prima di farlo terminare.
“Esatto. Tu ci sarai, non intendo discutere su questo…” mormorai osservandolo negli occhi verdi come quelli di Giuseppe.
“Damon, io vorrei esserci, non voglio perdermi il tuo matrimonio, ma… Non posso ritornare da Giuseppe, non ora…” mormorò passandosi una mano tra i capelli.
“E’ è proprio per questo che sono qui, Stefan. Voglio sistemare le cose tra di voi. Ma ora lasciamo perdere, a questo ci penseremo a fine serata, ora passiamo una vera giornata tra fratelli!” dissi alzandomi ed obbligandolo a seguirmi.
“Cosa hai intenzione di fare?” mi domandò visibilmente preoccupato.
 

Scoppiai a ridere e non gli risposi.
Avrei passato una giornata con mio fratello, lo avrei portato a casa ed avrei fatto cambiare idea anche a Giuseppe.
 
 
 
 
 
“Non mi ero mai divertito così…” bofonchiò mio fratello.
“Diciamo che sei sempre stato una crocerossina, Stefan…” mormorai per poi salire a cavallo. “Forza –gli intimai– sali!”
“Che cosa?” mi domandò spaesato.
“Ti riporto a casa, forza…” gli spiegai.
“Damon, io non tornerò più da Giuseppe!” disse scrutandomi.
“Ho intenzione di far cambiare idea a quel vecchio, forza, sali! –gli intimai di nuovo– Andiamo…”
 

Mio fratello salì dietro di me seppur titubante e lanciai il cavallo a galoppo.
Per tutto il tragitto lo sentii sbuffare inesorabilmente e per fortuna arrivammo in fretta a casa.
Smontammo entrambi da cavallo e affidai quest’ultimo alle cure dello stalliere, poi entrammo nella reggia.
 

“Damon, sei ritornat-” iniziò Giuseppe scendendo dalla scale, ma poi si bloccò di colpo notando Stefan dietro di me.
 

I due si scrutarono per alcuni istanti, poi Giuseppe fissò Stefan con rabbia, stritolando quasi il corrimano in legno della scala.
 

“Cosa ci fai qui?” domandò.
“Voglio saperlo anche io!” rispose Stefan guardandomi.
“Cos’è questa storia, Damon?” domandò poi Giuseppe rivolgendosi a me in modo aspro.
“Ho portato Stefan a casa, ecco tutto…” spiegai ovvio.
“Quindi suppongo che tu abbia deciso di lasciare quella campagnola, non è vero Stefan?” domandò addolcendo lo sguardo.
“Questo mai!” rispose mio fratello guardando nostro padre negli occhi.
 

Sosteneva il suo sguardo in modo fiero, per questo ero così orgoglioso di lui.
 

“Allora non sei il benvenuto qui!” concluse Giuseppe e si voltò, ma lo bloccai con la mia voce.
“Stefan ha diritto di amare quella donna, e tu hai il diritto di accettare Stefan così com’è!” gli dissi.
“Questo non è il modo di rivolgerti a tuo padre, Damon!” ringhiò Giuseppe.
“Non dovete litigare per me, me ne vado…” mormorò Stefan.
“NO!” urlammo in coro –e di questo ne fui sorpreso– io e Giuseppe.
“Tu non ti muoverai più da questa casa Stefan, fosse l’ultima cosa che faccio!” urlò Giuseppe in direzione di Stefan.
“Decido io per la mia vita!” urlò a sua volta Stefan.
 

Stefan non si era mai rivolto così a Giuseppe, si era sempre rivolto con il massimo sospetto e soprattutto si era sempre rivolto utilizzando il voi, cosa che io non avevo mai fatto.
Forse avevo qualche cattiva influenza su Stefan, dopotutto.
 

“Io sono tuo padre, Stefan! Sei sotto la mia tutela!” urlò ancora Giuseppe.
“Non più! Tra poco compirò diciotto anni e fino ad allora il mio tutore sarà Damon!” urlò mio fratello per poi guardarmi cercando appoggio.
 

Cosa?
Io tutore di Stefan. Era una cosa inammissibile. Non potevo fare il tutore di mio fratello quando ancora io vivevo sotto lo stesso tetto di Giuseppe, anche se me ne sarei andato tra meno di una settimana.
Stefan mi cercò e con gli occhi mi chiedeva appoggio e non potevo certo negarlo a mio fratello.
Mi ero ripromesso di proteggerlo ed aiutarlo.
 

“Sarò io il tutore di Stefan!” accettai.
“Vi rendete conto di cosa state dicendo?” urlò Giuseppe. “Avete idea di cosa dirà poi la gente?”
Nessuno saprà nulla. Tra una settimana me ne andrò e Stefan verrà con me. Fino ad allora Stefan vivrà qui. Mi auguro che passiate una buona e civile settimana entrambi, buonanotte!” dissi ad entrambi dirigendomi nella mia stanza.
 

Quella sera, però, sarei andato da qualcun altro.
 
 
 
 
 
Pov Elena.
Quella sera non riuscivo a prendere sonno. Continuavo a rigirarmi tra le coperte di lino, senza trovare nessuna pace.
Avevo passato tutta la giornata con Caroline e Bonnie, mentendo ai miei genitori per tutelare Damon che era andato da Stefan.
 
In quei giorni avevo visto la sua inquietudine, ma non avrei mai immaginato che Stefan se ne fosse andato via di casa. L’amore non faceva ragionare a volte, ma al suo posto l’avrei fatto anche io.
Era stata una giornata terribilmente pesante: ero stata tutto il giorno in pensiero per Damon e Stefan, Caroline –a causa della gravidanza e dei suoi sentimenti– era intrattabile; infine mia madre sosteneva che stessi passando troppo tempo con Damon prima del matrimonio.
 
Secondo lei prima del matrimonio una sposa non doveva vedere il suo futuro marito e soprattutto non andare per i boschi da soli.
Ovviamente io avrei fatto di testa mia, come al solito.
Stavo per richiudere nuovamente gli occhi quando sentii qualcuno dire il mio nome. Pensai di aver sentito male o di sentire le voci, ma lo sentii più volte accompagnato anche a un rumore –come se qualcosa sbattesse sulla finestra. Decisi di affacciarmi dalla finestra e notai Damon.
 

“Finalmente!” esclamò.
“Che cosa ci fai qui, Damon?” gli domandai osservandolo mentre mi guardava divertito.
“Avevo voglia di vederti…” mi spiegò alzando le spalle. “Non posso venire a trovare la mia futura sposa?”
“Damon è tardi e…” balbettai passandomi una mano tra i capelli. “Non dovresti essere qui se qualcuno ci scopre, noi…”
“Non lo verrà a sapere nessuno, te lo prometto. Rimani lì, arrivo!” mi intimò.
“No, Damon… Che cosa hai intenzione di… Damon!” urlai.

 
Mi tappai subito la bocca, ma non potei nascondere la mia paura –e anche divertimento, per quanto assurdo potesse sembrare– nel vedere Damon arrampicarsi come un gatto agilmente nell’albero di fronte alla mia stanza.
In poco tempo, e senza alcun sforzo, arrivò e con un balzo entrò nella stanza.

 
“Non vi ho fatta aspettare molto signorina Gilbert, no?” mi domandò scrutandomi divertito.

 
Scossi la testa divertita e solo allora notai di avere una semplice camicia da notte. Damon mi stava guardando –anche in modo strano, come se non avesse mai visto nulla del genere– e questo non faceva altro che accrescere il mio imbarazzo.
Damon iniziò a parlare, forse per togliermi da questa situazione.

 
“Hai passato una buona giornata?” mi domandò.
“Diciamo che è stato abbastanza stancante, ma è andato tutto bene… Tu, invece? Stefan?” gli domandai.

 
Damon si sedette sul mio letto e i suoi occhi brillarono di gioia.

 
“L’ho riportato a casa!” concluse poi.
“Davvero?” domandai felice per lui.

 
Quando mi aveva spiegato cosa aveva fatto Stefan avevo visto in lui tanta tristezza e tanto rammarico. Damon era legato a suo fratello, era la persona più importante di tutta la sua vita.
C’era un rapporto unico tra di loro, così come quello tra me e Jeremy.

 
“Si, è stata dura, ma ce l’ho fatta!” annuì convinto.
“Sono così felice!” esclamai gettandogli le braccia al collo.

 
Mi sorpresi anche io di quel gesto e forse anche Damon, ma quest’ultimo mi strinse di più a se.
Mi accoccolai tra le sue gambe, mentre Damon mi posò un bacio sulla fronte.

 
“Tuo padre come l’ha presa?” domandai sentendo varie scariche propagarsi per tutto il mio corpo.
“Non l’ha presa affatto bene… -abbassò il capo- Stefan mi ha proclamato suo tutore!”
“Che cosa?” domandai guardandolo con la bocca leggermente spalancata.

Annuì, poi mi sorrise: “Tra poco passerà alla maggiore età e fin tanto che non la raggiungerà mi occuperò io di lui, l’ho promesso a mia madre.”
 

Guardai Damon e gli sorrisi.
 

“Non mi devi spiegazioni, Damon. Lui è tuo fratello e fin tanto che avrà bisogno del tuo aiuto ci sarò anche io…” gli spiegai.
 

Damon distolse un attimo lo sguardo dai miei occhi cercando qualcosa nella tasca della sua giacca. Sorrise vittorioso e tirò fuori un sacchettino di pelle.
Lo guardai accigliata, non capendo a cosa servisse. Damon tolse il laccio che lo chiudeva e tirò fuori due collane. In una era raffigurato un piccolo Sole e nell’altra una piccola Luna. Damon mi sorrise.
 

“Voltati…” soffiò sulle mia labbra.
 

Lo guardai stranita, mentre lui ridacchiò e mi fece segno di voltarmi.
Mi voltai per farlo felice e lo sentii spostarmi i capelli. Damon mi allacciò la collana con il Sole, poi  mi fece girare verso di lui.

 
“Ti piace?” mi domandò.
“Si… -sfiorai il Sole con la punta della dita- E’ molto bella… L’altra a cosa serve?”
“Questa la terrò io, almeno ti avrò sempre con me.” mi rispose baciandomi. “Ti amo.”
 “Ti amo anche io…” mormorai mentre Damon appoggiò le sue labbra sulle mie.
 
 
 
 
 
Pov Damon.
Baciai con impeto la meravigliosa donna che avevo di fronte a me, senza pensare a niente.
Non mi preoccupava il fatto di poter essere colto in fallo, mi importava solo di lei ora, e di me. Baciare Elena era come farlo per la prima volta, accadeva sempre ed erano le migliori sensazioni che un uomo poteva provare.
 
Elena ricambiò il bacio entusiasta; accarezzai la sua lingua dolcemente con la mia e la feci stendere delicatamente sul letto. Averla sotto di me, così terribilmente mia, mi faceva uscire di testa. Era l’essere più bello e più dolce che avessi mai visto.
Iniziai a posarle dei dolci baci lungo il collo, per poi andare alla ricerca della sua spalla destra coperta dal tessuto della sua camicia da notte di seta.
 
Esplorai ogni centimetro della sua pelle –quello che non era coperto– e la sentii sospirare, mentre il suo cuore aumentò il numero dei battiti.
Avrei continuato all’infinito, ma qualcuno bussò alla porta.

 
“Principessa, siete lì dentro?” domandò una voce.
 

Elena si risvegliò completamente ed uscì dallo stato di torpore in cui era caduta. Aveva le guance rosse e le labbra più gonfie rispetto a prima.
Mi cercò con gli occhi, le mimai qualche parola, in modo che rispondesse senza farsi scoprire.

 
“Devo andare…” le sussurrai all’orecchio.

 
Le sorrisi per l’ultima volta e mi diressi alla finestra per poi ripercorrere all’incontrario la strada che avevo percorso per salire. Prima di andarmene sentii la sua voce rispondere: “Va tutto bene, Claire…”

 
Risi e mi allontanai nel bosco, dove c’era Thunder pronto ad attendermi.




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Note dell'autrice:

Con mia grande meraviglia sono riuscita ad aggiornare questa settimana :')
Ho cominciato gli allenamenti, massacranti per giunta, ed ero convinta di non riuscire ad aggiornare, ma eccomi qui.
Voglio avvisarvi che il 26 Agosto parto per la montagna e ritorno a casa il 14 Settembre, quindi non so quando e quanto potrò aggiornare. Prima di partire penso di postare un altro capitolo e penso, appunto, di aggiornare lunedì, sperando che vada tutto bene, visto che sabato e domenica sono ad un parco divertimenti ^^

Dopo questo voglio ringraziare le splendide ragazze che ogni santa volta mi lasciano una recensione e nello scorso capitolo ne ho notate ben 10. Ora risponderò anche a chi non ho risposto. Grazie, comunque, per le parole meravigliose e per l'attaccamento che dimostrate alla storia <3
Questo capitolo, come promesso, è stato quasi interamente tutto Defan, che è quello che mi è mancato di più nella quinta stagione. Qui Damon, come nel telefilm, farebbe qualsiasi cosa per Stefan, anche andare contro suo padre. Abbiamo visto che Giuseppe non ha ancora accettato la sua storia con Lexi, ma Damon comunque lo appoggia accettando anche di diventare suo tutore.

Anche questo è un capitolo di passaggio e si vede che Damon ed Elena hanno consolidato il loro rapporto, scambiandosi anche le promesse. Ho trovato un gesto carino da aggiungere (quello delle collane) e spero che non sia risultato fin troppo banale.
Con questo non ho niente da aggiungere,
a lunedì.

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Capitolo 21
*** Matrimonio. ***


                                                              Matrimonio.
                                                                      21




Pov Damon.

Non ero mai stato così agitato in vita mia. Continuavo a rigirarmi nell’enorme letto a baldacchino della mia stanza, non riuscendo a dormire e trovando ogni posizione dannatamente scomoda.
La mia mente, il mio corpo e tutto il resto avevano deciso di non lasciarmi riposare questa notte.
In questa notte.
 
Domani sarebbe stato il giorno del mio matrimonio e solo la parola mi metteva terribilmente paura. Damon Salvatore non era assolutamente adatto per un matrimonio e in cuor mio sapevo che non lo sarei mai stato, ma oramai era fatta.
L’unica nota positiva era il mio vero amore per Elena.
 
All’inizio sembrava tutto un obbligo, me lo ricordo ancora il giorno in cui Giuseppe varcò la soglia del palazzo reale in Francia per annunciarmi la sua decisione e ricordo ancora persino le urla, ma da quando avevo visto Elena qualcosa in me era cambiato.
Ero terribilmente sbagliato per lei, ma la sentivo così mia, come non lo era mai stata nessun’altra. Nemmeno lei, Katherine.
 
Lei, ormai, era solamente un brutto ricordo.
Un bruttissimo ricordo.
Ero agitato, appunto.
Tra poche ore mi sarei sposato, avrei varcato la soglia del palazzo reale d’Olanda con gli occhi di tutti puntati addosso e avrei detto quel fatidico si che mi avrebbe legato ad Elena e all’intera Olanda.
 
 
“Damon?” mi chiamò una voce.
“Mmm…” mugugnai.
“Sei sveglio?” mi domandò di nuovo quella voce.
 
 
Stefan.
Era ovvio che fossi sveglio.
 
 
“Si, entra…” mormorai tirandomi a sedere.
 
 
Stefan entrò con una candela e l’appoggiò sopra al mio comodino, poi si sedette accanto a me.
 
 
“Non riesci a dormire?” mi domandò scrutandomi con i suoi occhi verdi.
“A quanto pare…” mormorai.
“Sei preoccupato?” domandò ancora.
“Cosa? –lo guardai, non potevo dirgli la verità– Assolutamente no.
“Non devi raccontarmi bugie, Damon. Sei mio fratello, ti conosco. Sei preoccupato, terribilmente preoccupato…” constatò Stefan.
 
 
Avevo sempre odiato la capacità di mio fratello di capirmi al volo.
Mi passai una mano tra i capelli, deciso a confidarmi con lui, come non avevo mai fatto.
 
 
“Va bene, sono preoccupato…” mormorai.
“Damon Salvatore non avrà mica paura di un innocente matrimonio, vero?” mi domandò ridendo, poi si fece serio notando la mia faccia.
“Damon Salvatore ha paura di un innocente matrimonio…” confermai annuendo.
“Damon, è solo un matrimonio, è…” mormorò cercando le parole giuste. “Tutti si sposano prima o poi…”
“Io non l’avevo previsto…” gli spiegai.
 
 
Lo vidi annuire per poi portarsi una mano al mento.
 
 
“Damon, capisco la difficoltà di questo grande passo, ma non devi avere paura…” disse l’uomo vissuto.
 
 
Ero ridotto male. Mio fratello minore –di neanche diciotto anni– mi stava facendo la morale e mi spiegava con filosofia la vita.
 
 
“Certo, domani ti sposi tu, no?” gli domandai retorico.
“Damon, sarò anche più giovane di te –appunto–  e forse non saprò niente del matrimonio, ma devi solo pensare al tuo bene e a quello di Elena…” mi sorrise debole, poi continuò. “So cosa vuol dire crescere troppo in fretta –mi sorrise– e lo sai anche tu. Anche Elena è dovuta crescere troppo in fretta, catapultata nel mondo degli adulti, così come noi due, Dam. E’ spaventata, sicuramente anche lei ora starà fissando il soffitto, è per questo che domani, e nei giorni a seguire, dovrete farvi forza entrambi.”
 
 
Guardai Stefan sbalordito per il suo discorso da vero adulto. Stefan, il mio fratellino, era cresciuto davanti ai miei occhi, maturando giorno per giorno senza che me ne accorgessi.
Stefan aveva ragione, anche Elena sarebbe stata spaventata. Domani e  questa stessa sera.
Per lei sarebbe stato tutto nuovo e tutto terribilmente difficile.
Avremo avuto una giornata piena, entrambi.
 
 
La amo Stefan e ho così paura di essere sbagliato per lei…” confessai le mie paure più assurde.
“Non sei sbagliato per lei, Damon. Non sarai l’uomo migliore al mondo –gli riservai uno sguardo truce e vidi mio fratello sorridere– ma la ami, come lei ti ama, e sono sicuro che non la tradiresti mai e la proteggerai sempre…”
 
 
Avrei voluto aggiungere qualcosa sul tradimento, ma decisi di tenere tutto per me.
Ancora una volta Stefan aveva ragione. L’avrei protetta a costo della mia stessa vita, lei, i nostri figli e tutto ciò che riguardava entrambi.
 
 
 
 
 
 
 

                                                                                         * * *
 
 
 
 
 
 
 
 
Sentii qualcuno chiamare il mio nome, non mi voltai, sapendo già a chi appartenesse quella voce.
Stefan.
Nell’ultima settimana Stefan si era deciso a non mollarmi un secondo e, per quanto mi fosse mancato, mi ero pentito di averlo riportato a casa.
Andava a trovare Lexi, si, ma averlo a casa, quando non aveva niente da fare, era come avere una palla al piede.
 
 
“E’ il gran giorno, Damon…” mormorò mio fratello.
 
 
Solo quando aprii gli occhi notai che era già vestito di tutto punto.
Mi alzai di scatto realizzando che forse ero io l’unico ancora con quasi niente addosso. Avevo il petto nudo e soltanto dei pantaloni, quelli della sera prima.
 
 
“Sono in ritardo?” domandai.
“In effetti si. Alzati, su.” mi incitò porgendomi un bicchiere di caffè.
 
 
Tutto sommato il giorno del matrimonio non era male, visto che mio fratello aveva trovato la sua vera vocazione: la cameriera.
Sorrisi a quel pensiero, poi buttai giù l’intero contenuto dell’intero bicchiere.
 
 
“Damon, or-” iniziò mio fratello, ma venne interrotto da una delle serve.
“Principe Salvatore, dobbiamo prepararvi, siete in ritardo!” esclamò seguita da altre donne.
 
 
Le due ore successive furono le più terribili della mia vita.
Ero rimasto con quelle arpie che mi fecero indossare il vestito e si misero in testa di ritoccarlo. Il risultato fu lo stesso, tranne che il mio corpo era stato punto più volte.
Mi guardai allo specchio e non mi riconobbi. Ero vestito di nero, tranne la camicia, e l’acconciatura era stata migliorata.
 
Mi sentivo in trappola con quel vestito, però.
Non vedevo l’ora di toglierlo e speravo che fosse Elena a prendere l’iniziativa, anche se sarebbe stato impossibile.
Non l’avrei costretta a fare nulla contro la sua volontà.
 
 
“Damon, andiamo. Ti stanno aspettando tutti…” disse Stefan entrando.
 
 
Sospirai e mi chiusi la porta alle spalle. Quella notte avevo dormito per l’ultima volta all’interno della mia camera.
 
 
 
 
 
 
Pov Elena.
Caroline continuava a parlare, straparlare.
Avevo in testa una confusione pazzesca. Quella notte non avevo dormito per niente, troppo impegnata a pensare al grande giorno, rimediando soltanto un terribile mal di testa.
Ero stata svegliata all’alba da mia madre e da altre donne che avevano deciso tutto per me. Mi avevano fatto indossare il mio vestito e mi avevano pettinata, mi sentivo in trappola.
 
Volevo solamente scappare, andarmene via. Cambiare paese e non essere più Elena Gilbert, anche solo per un po’.
Avevo paura, non… Non… Mi stavo per sposare…
 
 
“Elena, mi stai ascoltando?” mi domandò Caroline.
 
 
Alzai lo sguardo incontrando i suoi occhi azzurri. Il suo azzurro si scontrò con il marrone dei miei occhi terribilmente lucidi.
 
 
“Cosa ti prende, Elena?” mi domandò preoccupata ponendosi di fronte a me.
“N-niente…” borbottai.
“Classica paura del matrimonio, suppongo.” concluse Bonnie finendo di sistemarmi i capelli.
 
 
Annuì e iniziai a singhiozzare.
 
 
“Non devi avere paura, Elena, andrà tutto bene…” mi rassicurò Caroline accarezzandomi una guancia.
“Ho paura e… Non sono la donna giusta per lui…” mormorai.
“Stai farneticando, Elena!” esclamò quasi inorridita.
“Damon non merita una come me… Lui merita d-di più!” conclusi affranta.
“Damon non poteva trovare una donna migliore di te, Elena. Sei una ragazza dolce, sensibile, nessuna è come te. Damon è stato fortunato, entrambi lo siete stati…” mi spiegò Caroline, poi continuò. “Anche se è difficile ammetterlo… Damon è così giusto per te, anche se è una testa calda.”
“Caroline, non devi dire così.” la riprese Bonnie.
“Stavo cercando solo di sdrammatizzare la situazione, Bonnie. Guarda Elena –mi indicò– è tesa e ci vuole qualcosa per sdrammatizzare, tipo un bel bicchiere di bourbon.”
 
 
Caroline si avvicinò elegantemente alla riserva di bourbon di mio padre, aprì un’anta della credenza e ne tirò fuori una bottiglia. Mi alzai e con uno scatto, che mi fece quasi ruzzolare a terra, strappai la bottiglia dalle mani di Caroline. Quest’ultima sbuffò e mi guardo inorridita.
 
 
“Caroline, devo ricordarti che aspetti un bambino?” le domandai.
“Le donne che aspettano un bambino non possono bere liquori.” precisò Bonnie.
 
 
Caroline annuì a si passò una mano tra i riccioli biondi.
 
 
“Scusatemi… E’ che… Sono così nervosa!” sbuffò.
“Forse sei più nervosa tu di Elena…” la riprese scherzosamente Bonnie.
“Si! La mia migliore amica si sta per sposare ed io ho una vita così incasinata…” mormorò sull’orlo di una crisi.
 
 
Io e Bonnie, con uno solo sguardo, ci avvicinammo a Caroline e l’abbracciammo. Avevamo bisogno l’una dell’altra e ne avremo sempre avuto.
Qualcuno bussò alla porta ed entrò mia madre seguita da mio padre.
Mio padre spalancò la bocca e i suoi occhi divennero lucidi e mi venne ad abbracciare.
 
 
“Padre…” mormorai.
“Bambina mia, sei bellissima…” mi rispose accarezzandomi una guancia.
“Elena, è ora di andare.” mi avvisò mia madre.
 
 
Potei notare anche i suoi occhi lucidi e quando le passai accanto mi abbracciò mormorando un : “Ora sei una vera donna bambina mia.
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                          * * *
 
 
 
 
 
 
 
 
Il viaggio che mi portò all’interno della sala principale, dove si sarebbe svolta la messa, fu il più lungo e angoscioso di tutta la mia vita. Non appena avevo sceso il primo gradino, accompagnata da mio padre, avevo rischiato di cadere rovinosamente e la storia si era ripetuta quasi fino alla fine, quando avevo imparato ad utilizzare quelle scarpe maledette, volute da mia madre.
 
La parte più difficile era stato attraversare il lungo corridoio che portava alla sala centrale, sotto lo sguardo di tante persone, anche se erano relativamente poche rispetto a quelle all’interno della sala. Non appena arrivammo di fronte alla sala Derek, un uomo di fiducia di mio padre, aprì la porta, permettendo l’ingresso a me, a mio padre e a mia madre.
 
Quando varcai la soglia il cuore mi salì in gola e muovendo i primi passi percorsi qualche metro di strada, quella che mi stava conducendo all’altare. Tutti gli occhi erano puntati su di me e questo mi rendeva nervosa e agitata, anche mio padre se ne accorse.
 
 
“Tranquilla tesoro, andrà tutto bene…” sussurrò e solo io potei sentire.
 
 
Alzai la testa e guardai di fronte a me facendo tutto ciò che mi avevano insegnato: tenere la testa alta e camminare con eleganza tentando di non cadere.
Percorsi ancora qualche metro e quando sollevai la testa mi bloccai all’istante, riprendendo a camminare poco dopo.
 
Davanti a me c’era Damon più bello che mai, nel suo completo nero come la pece, dove risaltava soltanto la sua camicia bianca. Sembrava un cavaliere tenebroso, tranne per gli occhi i quali erano più luminosi che mai. Non appena mi vide spalancò leggermente la bocca e poi, tentando di darsi un contegno, mi sorrise in modo caldo. Quello era un suo classico sorriso, quello che riservava a me, me l’aveva detto.
 
Arrivai all’altare senza inciampare e mio padre mi lasciò tra le braccia di Damon, davanti a Papa Pio IX, venuto appositamente per celebrare l’unione tra la futura regina d’Olanda e il futuro re di Francia.
Damon mi sorrise ancora, poi ci inginocchiammo di fronte al papa, pronto per celebrare il nostro matrimonio.
Prima di cominciare Damon mimò con le labbra un: “Sei bellissima.
Sorrisi e poi portai l’attenzione al papa.
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                  * * *
 
 
 
 
 
 
 
Non appena pronunciai il fatidico si, preceduto da quello di Damon, il papa ci diede la sua benedizione ed esplose la gioia all’interno della sala.
Dopo che fummo proclamati regina e re d’Olanda –precedentemente ci era stata messa anche la corona in testa– l’entusiasmo salì alle stelle e il baccano ci fece sempre più grande.
Damon mi prese per mano e sentii subito la scossa familiare a contatto con la sua pelle calda.
 
 
“Ora sei mia moglie…” mormorò al mio orecchio.
“E ora sei mio marito…” sussurrai in cambio.
“Questa cosa mi piace…” continuò poi.
“Non dispiace neanche a me…” lo beffeggiai.
“Cambierai presto idea, signora Salvatore, ti piacerà avermi come marito…” continuò con voce suadente.
“Non vedo l’ora.” gli sorrisi.
 
 
Attraversammo tutto il corridoio, mentre la folla acclamava i nostri nomi, e venimmo condotti ad un’altra sala principale, che si teneva di sopra.
Le guardie aprirono la finestra, in modo da farci andare alla terrazza, per presentarci al resto del popolo.
 
 
“Dovrò parlare anche io?” mi domandò Damon visibilmente preoccupato.
“Sei il re, ora, quindi penso di si…” risposi.
“Non so cosa dire…” borbottò.
 
 
Mio padre gli andò incontro, per aiutarlo.
 
 
“Ora annunceranno la vostra presenza. Voi andrete fuori e mostratevi il più solari possibili, fa sempre colpo. Damon, dovrete seguire il vostro cuore e quando la folla smetterà di urlare direte quello che sentite, senza pressioni.” ci spiegò.
 
 
Annuimmo e dopo essere stati annunciati uscimmo tra la folla.
Rimasi sorpresa nel vedere tutta quella gente fuori per vedere il re e la regina, me e Damon, e non appena ci videro acclamarono i nostri nomi e qualcosa come: “Lunga vita al re e alla regina d’Olanda.”
Damon scrutava tutto attentamente e strinse ancora di più la mia mano. Strinsi anche io la sua, per fargli capire che non era solo, non l’avrei mai abbandonato.
Dopo qualche minuto la folla smise di urlare e dopo un lungo sospiro Damon aprì la bocca.
 
 
“Ringrazio tutti coloro che oggi sono qui riuniti, sotto il Sole, ad acclamare me e la mia sposa. Non sono nato in Olanda, sono nativo della Francia, ma anche se questo non è il mio Paese d’origine ora lo sento anche mio. Sono cresciuto qui, tra questi boschi e questi paesi, e mi impegnerò per riportare questa nazione alla sua antica luce e al suo splendore, così come mi impegnerò ad omaggiare ogni suo abitante. Ci saranno periodi difficili, ma niente è impossibile se va affrontato insieme; per questo mi rivolgo a tutti voi, a tutti i presenti, per rimanere uniti ed aiutarsi l’uno con l’altro, questo è il passo più importante per condurre l’Olanda agli antichi albori. Noi –Damon mi osservò dolcemente per qualche instante– non verremo a meno dei nostri diritti, rispetteremo e non violeremo nessuna regola e ci impegneremo, perché ce lo siamo promessi, a rendere tutto migliore. Grazie a tutti voi.”
 
 
Non appena Damon terminò l’ultima parola del suo fantastico discorso –perché aveva parlato in modo meraviglioso– l’intera popolazione incominciò ad applaudire, a complimentarsi e ad urlare il mio nome e quello di Damon.
 
 
“Hai fatto centro…” mormorai.
“Non avevo dubbi.” mi rispose, poi prendendomi per mano ritornammo dentro.
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                                                     * * *
 
 
 
 
 
 
 
La giornata era stata estremamente stancante. Nessuno aveva staccato gli occhi da noi per un attimo e avevamo dovuto ballare ininterrottamente. Io con alcuni parenti e Damon con altri. Non appena qualcuno chiedeva un ballo con la regina –cosa che potevano fare solamente uomini importanti– Damon li fulminava con lo sguardo e mi trascinava via con se.
 
Le donne dell’alta società non si avvicinavano a lui –anche se era costantemente osservato– perché lui non dava corda e loro e di questo ero estremamente felice.
Fui felice anche nel vedere Stefan e scorsi anche Lexi ballare con lui ed erano estremamente teneri mentre volteggiavano per la pista sotto lo sguardo attento e anche un po’ contrariato di Giuseppe. Damon mi aveva spiegato tutto ed avevo accettato di buon grado il trasferimento di Stefan a casa nostra e qualcosa mi faceva supporre anche quello imminente di Caroline.
 
Non appena avrebbe sganciato la bomba i signori Forbes l’avrebbero cacciata di casa e ovviamente la mia migliore amica non sarebbe andata in strada, si sarebbe stabilita a casa nostra.
Casa mia e di Damon.
Faceva ancora un certo effetto pensare a me e Damon come una coppia e ancor di più a me e Damon come re e regina.
 
Per una settimana potevano rimandare i nostri impegni, concessione fatta da mia madre e mio padre, e saremmo stati alla reggia, molto simile al castello. Sarebbe stata la nostra dimora fissa in futuro, ma prima c’era altro da sistemare.
Sentii Damon irrigidirsi e stringere di più la presa sui miei fianchi. Lo guardai turbata e lui scosse la testa.
 
 
“Damon, ti senti bene?” domandai.
“Si –annuì, anche se non parve convinto– mi è sembrato di vedere Erik…”
“Tuo cugino? Giusto… Non sarebbe dovuto venire anche lui?” gli domandai.
“No… Ha avuto dei problemi in Francia…” mi rispose.
 
 
Decisi di non domandare altro, lo vedevo piuttosto turbato.
 
 
“Quanto ancora durerà tutto questo?” domandai appoggiando la testa sul suo petto mentre stavamo ballando una danza lenta.
“Penso che sia quasi finito. –si fermò– Sei stanca?”
 
 
Damon iniziò ad accarezzarmi i capelli, incurante di tutta la gente presente, e questo mi faceva sentire bene.
Mi posò un bacio tra i capelli e questo non fece altro che aumentare il ritmo dei battiti del mio cuore.
 
“Un po’.” risposi.
“Allora andiamo…” mormorò.
“Damon, non possiamo andarcene. Non con tutta questa gente qui…” gli risposi osservandolo in cerca di qualche verità nascosta.
“Ho preparato una cosa, non molto lontana da qui. Ci andremo a cavallo, Stefan, Caroline,  Bonnie e Alaric ci copriranno. Li aiuterà anche tua zia Jenna, la vedo molto in sintonia con Rick –mi prese per mano– Ti fidi di me?”
 
 
Certo che mi fidavo di lui!
 
 
“Si.” risposi.
“Andiamo.” terminò lui.
 
 
Damon mi trascinò nel retro del castello, mentre Stefan, Caroline, Bonnie, Alaric e Jenna distraevano i miei genitori e suo padre.
Mi aiutò a salire nel suo cavallo, ormai diventato compagno di mille avventure, e dopo essere salito dietro di me partimmo per una meta sconosciuta.

 
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Buon inizio di settimana a tutti :’)
Come promesso eccomi qui con l’aggiornamento e non potevo lasciarvi capitolo migliore –non in quanto al modo di scrivere o alla sua bellezza, ma proprio per il matrimonio.
Finalmente Damon ed Elena sono marito e moglie ed era la cosa che, secondo me, aspettavate più di tutti. L’unica nota dolente è il prossimo capitolo: l’ho scritto ancora qualche mese fa e potrebbe sfiorare il rating rosso visto che ho descritto la prima notte di nozze e sinceramente non sono sicura se metterlo o no. Mi è sembrato giusto descrivere la loro notte di nozze, ma non ne sono così tanto sicura.
Ovviamente il capitolo è pronto, quindi se apprezzate tutto ciò sarò ben felice di metterlo così com’è, anche se non me la cavo benissimo :3
 
Ora passo direttamente al capitolo. In se non c’è molto da dire. Damon ed Elena ora sono marito e moglie e vogliono godersi appieno la propria esistenza con Damon che ha già preparato una piccola sorpresa per Elena. Una cosa importante, ovviamente, è appunto il loro essere stati proclamati re e regina d’Olanda, cosa che avevo già accennato. Su parecchi film quando la futura coppia reale si sposava e con l’accordanza dei genitori –in quanto Grayson aveva già dimostrato di cedere il trono alla figlia– i due componenti venivano proclamati re e regina e non sapendo come funzionano queste cose ho preferito fare così.
 
Ringrazio le magnifiche ragazze per le splendide recensioni e mi scuso immensamente per non aver risposto, ma ho passato due giorni a due parchi di divertimento ed ho appena il tempo di postare questo capitolo prima di finire di preparare la valigie.
Vi ringrazio dalla prima all’ultima e non appena avrò tempo risponderò a tutte, come ho sempre fatto.
Detto questo non so quando e quanto aggiornerò, ma se la fortuna vuole –e anche la connessione– aggiornerò la prossima settimana dalla montagna.
Alla prossima <3

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Capitolo 22
*** La prima notte. ***


                                                         La prima notte.
                                                                 22.





Pov Elena.

“Ti piace?” mi domandò Damon.
 

Mi guardai attorno estasiata. Era il posto migliore che avessi mai visto. Damon mi aveva portato in una radura, eravamo circondati dalla natura e di fronte a noi c’era un lago con una cascata. Il riflesso della Luna cadeva sull’acqua e illuminava tutto.
Il cielo, seppur era ormai buio, emetteva luce grazie alle stelle.
 
Di fronte a me notai qualche coperta con qualche lampada ad olio.
Damon seguì il mio sguardo e sorrise, per poi aiutarmi a scendere da cavallo e legarlo attraverso le redini ad un albero.

 
“E’ meglio non rimanere al buio ed affidarci solo alle stelle, non trovi?” domandò.
“Si, hai ragione. –lo presi per mano– Andiamo.”
“Cosa vuoi fare Elena?” mi domandò Damon preoccupato.

 
Senza dargli alcuna risposta lo condussi vicino al lago e gli mostrai l’effetto che aveva la Luna sull’acqua.

 
“Non lo trovi meraviglioso?” domandai osservando l’acqua che si muoveva lentamente a causa della quasi assenza del vento.
“Per quanto meraviglioso sia lo spettacolo che ho qui davanti quello migliore ce l’ho qui, al mio fianco.” rispose soltanto regalandomi un sorriso che mi fece tremare il cuore.

 
Arrossii al suo complimento e Damon, anche se era buio, parve accorgersene.
Rise piano, quasi divertito dal mio comportamento, poi mi strinse maggiormente a se, come per paura che potessi scappare da un momento all’altro.

 
“Arrossisci ancora quando ti faccio dei complimenti, come se fosse la prima volta…” mormorò al mio orecchio, poi appoggiò la testa sulla mia spalla.
“E’ più forte di me…” borbottai quasi stizzita.
“Mi piaci anche per questo…” mormorò ancora.

 
Mi sedetti sopra la coperta e Damon si sedette di fianco a me, tenendo sempre la sua testa sulla mia spalla. Inclinai di poco la testa e l’appoggiai vicino alla sua.

 
“Per che cos’altro ti piaccio?” domandai.

 
Damon fece finta di pensarci su, poi mi baciò una spalla.

 
“Hai tante buone qualità, ma quella che apprezzo di più forse è la testardaggine che ti distingue…” mi spiegò poi.
 

Allontanai la testa stizzita dalla sua e incrociai le braccia al petto.
Mi finsi offesa e Damon rise con gli occhi inclinando la bocca in modo seducente, forse.
 

“Mi stai dando della testarda?” domandai.

 
Damon tentò di avvicinarsi a me, ma per dispetto mi allontanai cadendo rovinosamente all’indietro.
Maledissi l’abito in tutte le lingue che conoscevo, mentre Damon divertito iniziò ad accarezzarmi la spalla.

 
“Ti ho solo detto quale qualità di te mi piace, non trarre conclusioni troppo affrettate…” mormorò piano al mio orecchio.

 
Damon lo mordicchiò leggermente, facendomi sussultare. Il mio cuore iniziò a galoppare veloce quando la bocca di Damon si spostò sulla mia spalla. Posò un bacio anche lì, indugiando più del dovuto, poi scese lungo il mio braccio. Mi lasciai scappare un gemito strozzato e sentii Damon sorridere sulla mia pelle.
 
Venni attraversata da tantissime scosse, cosa che mi capitava solo con Damon e sentii anche il mio corpo accendersi, come a voler rispondere agli stimoli che mio marito mi stava dando.
Non avevo mai provato queste sensazioni con qualcuno, anche perché un uomo non mi aveva mai toccata così, ma in cuor mio ero consapevole che nessun uomo mi avrebbe mai fatto sentire viva come lo stava facendo Damon adesso e come avrebbe sempre fatto.
 
Damon era mio marito, l’unico uomo della mia vita.
 
 
 
Pov Damon.
Non potevo più aspettare. Avevo resistito per tutto il giorno senza toccare la mia Elena e la sua pelle morbida mi era mancata terribilmente. Il suo tocco morbido sulla mia pelle anche.
Vedevo Elena accaldata sotto di me mentre continuavo lentamente a baciarle la parte superiore del braccio per poi risalire verso la sua spalla.
 
Se lei mi avesse chiesto di fermarmi mi sarei fermato all’istante, indipendentemente dal mio desiderio di fare l’amore con lei. Non mi interessava nulla se questa era la prima notte di nozze e, tecnicamente, era qui che iniziava una relazione di coppia, ma io non volevo basare tutto su questo. Amavo mia moglie e l’avrei aspettata all’infinito. Se lei non si sentiva pronta di affrontare questo grande passo io non avrei fatto nulla per obbligarla.
 
Sentivo il suo corpo fremere sotto il mio e potevo sentire anche il suo battito che stava aumentando sempre di più.
Le posai un delicato bacio sulle labbra, in modo dolce e tentai di infonderle tranquillità. Non le avrei fatto del male, avrei rispettato i suoi ritmi.
Osservai gli occhi di Elena e mi persi in quello sguardo. Mi guardava e cercava anch’essa i miei occhi e ci osservammo per attimi interminabili.
 
Sentii le sue piccole mani stringersi attorno ai miei fianchi e la sentii approfondire il bacio, anche se non in modo irruento. Era anche questo che mi piaceva di lei, il modo di essere delicata in tutto.

 
“Ti amo…” soffiai sulle sue labbra.
 

Per me era sempre stato difficile dire quelle due parole a qualcuno, forse perché non avevo mai trovato il vero amore, ma con lei era tutto più semplice.
Quando ero con Elena ero più io e potevo mostrarmi a lei come realmente ero e non il solito burbero che conoscevano un po’ tutti.

 
“Ti amo anche io, Damon…” mormorò.

 
Le baciai il collo tracciando una linea di fuoco su di esso, per poi risalire e mi soffermai sulla sua mandibola.
Ritornai di fronte a lei e la guardai di nuovo intensamente negli occhi.
Volevo solo che lei me lo chiedesse. Poteva chiedermi di fermarmi o di continuare, spettava solo a lei.

 
“Elena, se vuoi… Posso anche fermarm-”

 
Non terminai la frase perché Elena, seppur in modo quasi incerto, poggiò le sue labbra sulle mie impedendomi di parlare. Accarezzai la sua lingua delicatamente con la mia e feci scontrare i nostri nasi, mentre una sua mano si staccò da me per accarezzarmi i capelli. Adagiai meglio Elena sulle coperte, presi la sua mano per appoggiarci sopra la mia ed incatenarla sulla sua come a fonderci in una cosa sola.

 
“Damon, fa’ l’amore con me…” sussurrò poi guardandomi sicura negli occhi.

 
Spalancai gli occhi sorpreso e sorrisi. Non me lo sarei mai aspettato. Aveva paura, però voleva concedersi a me.

 
“Non devi sentirti obbligata, posso aspettare. Se non sei pronta io…” iniziai, ma mi interruppi vedendo Elena scuotere la testa.
“Non mi sento obbligata, Damon. –Elena staccò l’altra mano, quella che non era avvinghiata alla mia e mi accarezzò la fronte giocando con una ciocca dei miei capelli– E’ qualcosa che sento e voglio…”
“Ti amo ancora di più, non smetterò mai di dirtelo…” le dissi in modo dolce baciandole il naso.
“Anche io…” sussurrò.

 
Portai le mie dita delicatamente sotto la sua schiena e mentre continuavo a baciarle il collo alternandolo alla bocca iniziai a slacciarle i lacci dell’abito che ormai era diventata una dolorosa ostruzione alle nostre voglie.
Una ciocca un po’ troppo difficile da sciogliere mi fece sbuffare ed Elena rise piano notando la mia faccia corrucciata. Le sorrisi e la baciai sentendo i suoi muscoli rilassarsi un po’.
 
Continuai senza sosta il mio lavoro e finalmente le slegai l’abito. Continuai a baciarla per farle pensare ad altro mentre le toglievo delicatamente l’abito baciando ogni tanto la parte che mano a mano stavo scoprendo. Tolsi le spalline e di conseguenza le maniche, prima a destra e poi a sinistra, lasciandola così in bustino. Era ricamato ed era bianco, ma non c’era tempo di perdersi nei particolari o forse non ne avevo voglia.
 
Slacciai anche il bustino mentre Elena iniziò a slacciarmi, all’inizio con mani tremanti dopo sempre più sicura, i bottoni della camicia. Quando finalmente slacciai l’intero corsetto e glielo tolsi lei mi tolse la camicia. Io rimasi a petto nudo mentre lei aveva ancora  una sorta di camicia da notte che utilizzavano le donne sotto gli abiti. Elena si perse qualche secondo a guardare il mio petto e vidi le sua guance diventare leggermente rosse, anche se eravamo al buio potevo notare qualcosa grazie alla luce fioca delle lampade.
 
Non potevo biasimarla, l’imbarazzo ci stava tutto.
Posai di nuovo le mie labbra sulle sue rassicurandola. Elena tracciò con le sue mani le linee del mio petto e sorrise.

 
“Sono bello, vero?” le domandai in modo da rompere la tensione, cercando di rendere tutto perfetto.
 

Elena però non era tesa, era solo forse un po’ impaurita, ma il fatto comprendeva l’essere inesperta, ma a me non importava nulla.

 
“Sempre il solito anche in queste situazioni…” borbottò quasi seria.
“Già! –sorrisi– Ti piaccio anche per questo…”
“Può essere…” mormorò sorridendo e potei vedere in quegli occhi da cerbiatto una scintilla di malizia.

 
Assaporai di nuovo le sue labbra mentre le toglievo anche l’ultimo indumento rimasto. Ora era nuda sotto di me e non potei fare a meno di perdermi nella donna perfetta che avevo davanti e che avevo sposato soltanto poche ore prima.
Elena vedendo il mio sguardo indugiare sul suo corpo abbassò lo sguardo imbarazzata e cercò quasi di coprirsi. Con la mano destra le feci sollevare il mento e la guardai adorante. Era bellissima.

 
“Non devi vergognarti piccola, sei bellissima così. Sei la creatura più bella che abbia mai visto…” mormorai accarezzandole il naso e posando un bacio al lato sinistro della sua bocca.
“Tu hai avuto altre donne e io non…” iniziò, ma poi non seppe più continuare.
“Non deve importarti questo… -le accarezzai una guancia- Sei mia moglie e la prima volta che ti ho visto ho subito capito che tu eri mia, Elena. Le altre donne non mi interessano, amo solo te.”

 
Gli occhi di Elena si accesero e mi baciò d’impeto, poi fece scorrere le sue mani ed arrivò ai miei pantaloni. Titubante li tolse e si morse il labbro imbarazzata.
Ben presto fui nudo anche io sopra di lei, con le mani appoggiate rigorosamente ai lati della sua testa per non pesarle, e la sentii irrigidirsi al mio tocco.

 
“Se hai paura… Qualunque cosa tu senta devi dirmelo, non voglio farti del male…” mormorai.

 
Mi guardò e sorrise incerta, poi sospirò.

 
“Possiamo sempre rivestirci piccola, se hai paura rischierò di farti più male del dovuto…” mormorai con un tono di preoccupazione nella voce.
“Non ho paura, solo… Fa’ piano…” mormorò tentando di calmare il suo cuore.
“Se ti faccio male devi solo dirlo, non devi avere paura…” mormorai.

 
Elena annuì e io mi persi ancora nei suoi occhi. Scesi a baciarle piano la pancia, mentre lei si aggrappò alla mia schiena ed allacciò le gambe al mio bacino. I suoi muscoli erano ancora rigidi, ma forse era un riflesso involontario del suo corpo. Decisi di ritornare sulle sue labbra e dopo averla guardata ancora una volta e dopo che mi diede il suo consenso entrai delicatamente e il più piano possibile in lei, non andando fino in fondo, mentre sentii le sue gambe chiudersi sul mio bacino come in una morsa e il suo corpo tremare.
 
La vidi spalancare gli occhi mentre mi facevo lentamente strada in lei e rafforzare di più la presa delle sue mani sulle mie spalle, quasi a graffiarmi, mentre una lacrima solitaria le rigò il volto.
Era la sua prima volta, ne ero ben consapevole ed ero anche felice di questo, e sapevo anche che questo portava dolore a qualsiasi donna, ma vederla così sofferente mi fece rimpiangere ogni mio istinto.

 
“Tranquilla, tra poco sarà tutto finito…” mormorai per poi baciarla delicatamente e le accarezzai una guancia togliendole via quella lacrima solitaria che gliel’aveva rigata.

 
Rimasi per qualche istante fermo dentro di lei, in modo da farla abituare alla mia presenza mentre non smettevo di baciarla. Quando sentii i suoi muscoli sciogliersi la vidi anche aprire gli occhi e dopo essermi tirato leggermente indietro affondai ancora dentro di lei. Elena emise una smorfia, ma non era di dolore, era una sensazione nuova per lei. Elena mi baciò il petto poggiando le sue labbra sulla mia pelle bollente ed io mi spinsi ancora dentro di lei.
Mi guardava incerta, non sapendo cosa fare.

 
“Abbandonati al piacere Elena…” le sussurrai all’orecchio.

 
Decisi di aumentare il ritmo e questa volta affondai in lei ancora più velocemente mentre Elena mi venne incontro con il bacino. Aumentai la serie di spinte non abbandonando mai le sue labbra e ogni volta io e lei eravamo una cosa sola. Io mi perdevo dentro di lei e lei mi seguiva venendomi incontro ed abbandonandosi alle mie spinte mormorando il mio nome strozzato da alcuni gemiti. Era una sensazione nuova per me, non mi ero mai sentito così e non avevo mai provato nulla di simile. Mi sentivo in pace con il resto del mondo e non mi sarei mai voluto staccare da lei.
La creatura più bella al mondo era finalmente mia e lo sarebbe stata per sempre.
 
Sentii i suoi muscoli irrigidirsi prossimi all’amplesso ed anche dentro di me capii di essere arrivato quasi al limite. Iniziai a spingere in lei ancora più forte in modo da dare un ritmo diverso, ma senza esagerare per paura di farle del male, e raggiungemmo insieme il piacere più assoluto.
Rimasi alcuni attimi ancora dentro di lei, le baciai il naso e poi  uscii delicatamente e mi posizionai al suo fianco coprendo entrambi con una coperta trovata lì accanto –che avevo messo la sera prima.
Strinsi Elena e me e quest’ultima appoggiò la testa sul mio petto che ancora si stava alzando ed abbassando velocemente.

 
“Come ti senti?” le domandai premuroso mentre le accarezzavo i capelli.
“Non sono mai stata meglio, Damon… Ti amo” mormorò inclinando la testa e mi baciò in modo dolce.
Ti amo anche io, non sai quanto…” mormorai accarezzandole una spalla nuda e ricambiando il bacio.

 
Ci addormentammo così, stretti l’uno all’altro.
 
 







                                                                                                  * * *
 








Mi svegliai all’alba a causa della luce che provocava un enorme fastidio ai miei occhi. Aprii gli occhi lentamente e mi scontrai con l’azzurro limpido del cielo, così simile al colore dei miei occhi.
Me l’aveva detto una volta Elena e questa donna ora dormiva di fianco a me.
Mi girai e la trovai ancora nella stessa posizione di questa notte, con la testa appoggiata sul mio petto e con una mano aggrappata al mio braccio sinistro.
 
Le accarezzai i capelli con la mano non occupata e mi persi a guardarla. Era una visione divina. Lo era sempre stata, ma nell’ultimo periodo la vedevo con una luce diversa, più mia. Nessuno mi avrebbe portato via Elena, nemmeno Erik.
Una strana sensazione, forse di paura, invase il mio corpo e tentai di scacciarla velocemente.
 
Mio cugino non si era più fatto sentire e per qualche oscuro motivo avevo una strana sensazione; forse stava tramando qualcosa.
Decisi di non pensarci più, almeno per oggi e ritornai a guardare la mia splendida moglie che dormiva ancora beatamente.
 
Sarei rimasto ore a guardala, ma dovevamo tornare alla reggia dove sicuramente c’erano i suoi genitori e mio padre parecchio alterati.
Le sfiorai delicatamente il naso con la punta delle dita e poggiai le mie labbra sulle sue. Elena iniziò a muoversi ed aprì gli occhi confusa, poi sorrise trovandomi di fronte a lei.
 

“Buongiorno principessa…” mormorai mentre lei si portò una mano sulla bocca ancora mezza addormentata.
“Buongiorno…” borbottò tirandosi a sedere.

 
Il lenzuolo cadde, lasciando il suo busto completamente nudo.
Arrossì violentemente e io scoppiai a ridere. Elena mi guardò stizzita e mi fece una linguaccia.
 

“Non c’è niente lì che non abbia visto…” le dissi mentre non smettevo di ridere.

 
Elena si coprì con il lenzuolo e ancora palesemente arrabbiata sbuffò sonoramente.

 
“Che ore sono?” domandò poi scrutandomi.
“Non lo so. –mormorai avvicinandomi alle sue labbra– Non arrabbiarti con me, ti prego…”

 
La mia ultima frase uscì come una supplica ed Elena rise.
Piccola perfida traditrice.
Le posai un bacio sulle labbra assaporando ancora il suo profumo poi, a malavoglia, mi staccai.

 
“Dobbiamo andare, anche se rimarrei qui a vita. Saranno tutti preoccupati…” le spiegai.

 
Elena sollevò gli occhi al cielo portandosi una mano sulla testa ed annuì.
Poi si voltò verso di me scrutandomi ancora.

 
“Perché mi stai osservando? Sembri un pesce lesso…” borbottò.
“Sei bellissima…” le soffiai sulle labbra.
“Mmm… Potrei abituarmi a tutti questi complimenti signor Salvatore…” mormorò poi.
“Allora mi prodigherò a fargliene il più possibile signora Salvatore…” terminai baciandola, di nuovo.

 
Quella labbra erano invitanti, decisamente troppo invitanti.

 
 
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Salve a tutti :’)
Con molta (moltissima) fatica sono riuscita ad aggiornare. Internet va e viene ed ho la chiavetta di 1GB per tredici giorni, quindi non so quando potrò aggiornare, ma comunque penso di riuscirci entro fine settimana o al massimo nella prossima.
Per questo motivo, inoltre, non posso rispondere alle recensioni, perché sto cercando il più possibile di racimolare Internet e di conservarlo, ma le ho lette tutte e non appena torno rispondo con molto piacere. Come sempre siete tutte fantastiche e vi ringrazio di questo <3
Invogliata da queste, appunto, ho deciso di mettere il capitolo così come l’ho scritto, anche se non ne sono molto convinta. Si, insomma, non scrivo quasi mai di situazioni del genere, capitemi :’)
 
Ad alcune sembrerà tirata per le lunghe, ma ho voluto sottolineare il fatto del cambiamento di Damon –ovvero che avrebbe aspettato Elena per tutto il tempo necessario– e proprio perché non è stata una cosa forzata. Nei tempi antichi (ok, sembra mille anni fa detta così hahahahahah) le donne non venivano rispettate e venivano utilizzate come macchine per fare figli e per donare una sorta di piacere, mentre a Damon non interessa, lui ama realmente sua moglie (ora posso chiamarla così <3).
Qui, invece, è stata una cosa voluta da entrambi, anche da Elena che era terrorizzata (anche molto direi).
 
Spero soltanto di aver centrato il bersaglio e che in se il capitolo vi sia piaciuto, come è piaciuto a me scriverlo.
Vi ringrazio ancora per aver letto la storia e per le stupende recensioni a cui risponderò prestissimo. Ovviamente ringrazio chi segue la storia e la inserisce tra le varie liste. Auguro anche a voi buone vacanze (anche se sono quasi finite) e spero di aggiornare al più presto.

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Capitolo 23
*** Nuova vita. ***


                                                             Nuova vita.
                                                                     23.





Elena.

Cavalcammo spediti verso la reggia. Damon con una mano teneva le redini per guidare Thunder, mentre l’altra mano era impegnata a stringere la mia. Il mio corpo era proteso in avanti e la mia testa era appoggiata sulla schiena di Damon.
Arrivammo alla reggia in poco tempo, dove saremmo rimasti per circa una settimana, visto che poi eravamo costretti a ritornare a palazzo in quanto re e regina d’Olanda.
 

“Siamo arrivati…” sussurrò Damon fermando il cavallo proprio a pochi passi dall’ingresso della reggia.
“Credi che qualcuno ci noterà?” domandai scendendo con l’aiuto di Damon, visto che l’abito me lo impediva.
“Spero di no.” rispose.

 
Entrammo alla reggia mano nella mano. Damon legò Thunder ad un albero decisamente poco visibile e ci dirigemmo verso la porta tentando di fare meno rumore possibile. Era quasi impossibile entrare senza essere notati, ma dovevamo farcela.
Non osavo immaginare i miei genitori una volta saputa la nostra fuga o la faccia del padre di Damon.
 
Entrammo silenziosamente all’interno della reggia e tirammo un sospiro di sollievo contemporaneamente non notando nessuno.
Ma mai cantare vittoria troppo presto.
Infatti dalle scale scesero entrambi i miei genitori –e se erano insieme non era un buon segno– e Giuseppe.
 
Io e Damon ci guardammo alcuni attimi negli occhi, entrambi nel panico più totale, poi fu Damon a parlare.

 
“Buongiorno… Signori Gilbert, papà…” salutò tutti e tre.
Dove siete stati?” fu mia madre a parlare e il suo tono di voce mise i brividi a me e a Damon.
“Vi rendete conto di quello che avete fatto?” domandò poi Giuseppe.

 
Mio padre annuì, ma poi non proferì parola. Anzi, sorrise a me e a Damon.

 
“Sono giovani, è normale questo comportamento da parte loro…” intervenne poi proteggendo me e Damon.
“Grayson, sono il re e la regina ora, questo comportamento è così deplorevole!” esclamò mia madre nervosamente e questa volta fu Giuseppe ad annuire, evidentemente d’accordo con mia madre.
“Miranda ha ragione.” concluse poi il padre di mio marito.
“Invece io non sono d’accordo. –intervenne ancora mio padre– Volevano stare da soli ed è giusto così. Era la loro prima notte da sposati e hanno fatto bene.”
“Ma-” mia madre tentò di ribattere, ma mio padre scosse la testa.
“L’abbiamo fatto anche noi, Miranda, non dobbiamo incolparli per così poco. Non mi interessa il parere delle altre persone o cosa hanno pensato quando non li hanno più visti. Il loro comportamento non è stato sbagliato…” terminò mio padre.

 
Mia madre e Giuseppe annuirono alle parole di mio padre, poi si scusarono con me e con Damon.

 
“Tuo padre è fantastico.” mi sussurrò Damon all’orecchio.
“Damon, devo parlare un attimo con te.” mio padre non si rivolse a Damon con il voi. Forse perché ormai era uno di famiglia. “Elena, tesoro, Caroline ha dormito qui questa notte, vorrebbe parlarti. E’ nella degli ospiti, nell’ala ovest. E’ già sveglia, ti sta aspettando.”

 
Annuii  e mi allontanai diretta dalla mia migliore amica mentre mio marito andò con mio padre.
Raggiunsi la camera di Caroline in pochissimo tempo e prima di entrare la sentii singhiozzare. Sentii Bonnie consolarla, ma la mia amica bionda continuò a singhiozzare disperata.
Bussai, giustamente, anche se era casa mia.
 
Sentii mormorare un flebile avanti ed entrai, chiudendomi la porta alle spalle.

 
“Elena…” mormorarono Caroline e Bonnie sorprese.
“Ci hai fatto preoccupare!” rincarò la dose Bonnie.
“Credevamo che sareste tornati tardi, ma non alla mattina…” sottolineò Caroline asciugandosi gli occhi.
“Abbiamo fatto decisamente tardi…” dissi grattandomi la nuca imbarazzata. “Caroline, perché piangi?”
“Oh… -posò lo sguardo sulle coperte- Sai com’è… Sono molto emotiva…”
“Caroline Forbes, mio padre ha detto che devi parlarmi e anche con una certa urgenza, per cui non trovare scuse.” la rimbeccai.
“Piuttosto –sollevò lo sguardo dalle coperte e mi guardò maliziosa– com’è stato?”

 
Arrossii violentemente scrutandola con sguardo omicida. Non voleva dirmi cosa la stava affliggendo a tal punto da farla piangere.
Però voleva mettere in imbarazzo me, ma non avrei ceduto così facilmente.

 
“Dimmi la verità, Caroline!” esclamai esasperata portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“I miei genitori hanno scoperto le verità.”  disse abbassando gli occhi.
“Ti hanno cacciata di casa?” dedussi.
“Si, non mi vogliono più vedere, non… Non si capacitano di quello che ho fatto, hanno detto che –iniziò a singhiozzare di nuovo– sono un disonore per l’intera famiglia, capisci?”

 
Abbracciai la mia migliore amica mentre i suoi riccioli biondi coprivano il mio intero volto e la sua pancia si faceva sentire. Prima o poi i signori Forbes l’avrebbero scoperto e ormai quel giorno era arrivato.

 
“Caroline –mi staccai leggermente da lei per guardarla negli occhi– non mi importa di cosa pensano gli altri, ma rimarrai qui finché le cose non si sistemeranno.”
“Le cose non si sistemeranno mai, Elena…” mormorò sconfitta.
“Si che si sistemeranno, vedrai!” mi aiutò Bonnie.
“Hanno detto… -singhiozzò ancora e capì che si stava riferendo ai suoi genitori- Vogliono… Vogliono che io dia in adozione il bambino, ma non posso farlo, lui è mio figlio…”
“No Caroline, tu ti prenderai cura di tuo figlio e noi tutti ti aiuteremo!” le dissi mentre anche Bonnie annuì.
“Mi hanno obbligato di non dire niente a Klaus ed io… Io non so cosa fare, ho paura che… Ho paura che la colpa ricada tutta su di lui e-” interruppi Caroline.
“Caroline, se ti dico che andrà tutto bene andrà tutto bene. Sono la regina, posso emanare un’ordinanza ed impedire che qualcuno si avvicini a Niklaus se la situazione peggiorerà!” ipotizzai.

 
La situazione doveva essere drastica, ma questa lo stava diventando.
Avrei fatto di tutto per la mia amica, anche smuovere metà regno.

 
“Non voglio che tu faccia questo Elena, ma io ho bisogno di tempo, io… Come la prenderà Klaus?” mi domandò.
“Klaus ti ama, Caroline, non accadrà nulla. Amerà vostro figlio come ama te, andrà tutto bene…” la rassicurai di nuovo.
“Non sono più sicura di niente, né della mia vitae né del mio futuro…” mormorò affranta.
“Hai un bambino da crescere Caroline, devi ricordarlo. Devi sistemare la cosa con Klaus, poi andrà tutto bene. –Guardai meglio la mia amica– Caroline, è meglio che chiami un medico per farti visitare…”
“Non ne ho bisogno, davvero!” disse scuotendo la testa.
“Sei pallida, Caroline, sarà una visita di controllo!” dissi alzandomi dal letto.
“Sono le solite nausee…” borbottò.
“Almeno sapremo come procede. –sorrisi– Vado a chiamare il medico.”

 
Andai alla porta e stavo quasi per uscire, quando Caroline mi richiamò.

 
“Elena?” mi chiamò.
“Si?” dissi voltandomi.
“Grazie di tutto, davvero…” rispose.

 
Sorrisi ad entrambe le mie amiche poi uscì alla ricerca di Marcel per far chiamare un dottore per Caroline.







 
 
                                                                                                     * * *







 
Lo trovai dopo poco tempo.
 

“Marcel, potreste andare a chiamare la dottoressa Fell per la signorina Forbes?” domandai.
“Certo mia signora. –sorrise abbassando il capo in segno di rispetto– Devo dirvi una cosa, prima. Vostro marito e vostro padre vi attendono alla sala delle riunioni per discutere di qualcosa.”
“Grazie mille Marcel, ora andate pure.” dissi allontanandomi.

 
Mi diressi alla sala delle riunioni sorpresa e curiosa di scoprire di cosa volesse parlare mio padre. C’era anche Damon, ma non sapevo di cosa volesse parlare. Speravo non di quella notte, perché sarebbe stato tremendamente imbarazzante e soprattutto mi sarei sentita in colpa della nostra fuga.
Non appena entrai incontrai gli sguardi sorridenti di mio padre e mio marito, anche se quest’ultimo mi scaldò il cuore.

 

“Figliola, tu e Caroline avete chiarito?” domandò.
“Si padre, Caroline rimarrà qualche tempo a vivere qui…” spiegai.
 

Vidi Damon sorpreso, ma gli lanciai uno sguardo d’intesa. Gli avrei spiegato tutto dopo, con calma.
 

“Padre, di cosa volete parlarmi?” domandai.
“Accomodati pure. –indicò il posto accanto a Damon– Quello di cui dobbiamo parlare richiederà tempo.”
 

Annuì e mi sedetti accanto a Damon che mi prese la mano e l’accarezzò dolcemente. La sua vicinanza mi faceva ancora uno strano effetto perché ogni volta che mi toccava avvertivo ancora delle scosse, anche se più intense, e la cosa mi piaceva.
 

“E’ successo qualcosa di grave?” domandai.
“Non è niente di grave, ma si tratta della situazione in cui versa l’Olanda in questi tempi…” mormorò grattandosi per qualche secondo la barba, come in cerca di altre parole. “Come ben sapete la situazione non è delle migliori e i problemi partono soprattutto dalle campagne.”
 

Io e Damon annuimmo senza proferire parola, interessati entrambi al discorso di mio padre.
 

“Molta gente sente la mancanza di soldi e di cibo, per questo la situazione sta peggiorando. Il problema in se non è questo, ma la paura di una insurrezione…” spiegò poi.
“No, padre, il problema è proprio quello. –lo interruppi– La gente sta soffrendo ed è quello il problema, non la rivolta…”
“Elena, lasciamolo finire di parl-” intervenne Damon, ma lo bloccai di nuovo.
“Magari i miei pensieri sono diversi, ma il centro del problema sono appunto tutte le povere persone che non possono avere quello che abbiamo noi.” continuai mentre mio padre si fece più attento. “Tutte quelle famiglie senza cibo e quei poveri bambini costretti a lavorare per la loro tenera età…”
“Continua, ti ascolto.” mi invogliò mio padre.
“Già da tempo stavo pensando a qualcosa, e forse una soluzione c’è. Magari sarà temporanea oppure migliorerà tutto, ma c’è. La paga dell’esercito è decisamente troppo alta. Bisogna diminuire i costi e questo non vuol dire diminuire l’esercito, ma bensì il denaro con cui vengono pagati. Potrà sembrare uno svantaggio per i soldati, ma invece è positivo. Molti fratelli dei soldati o sorelle sono costrette a vivere come le persone delle campagne, quindi, se aiutiamo loro, aiuteremo anche i familiari dei soldati. Magari all’inizio quest’ultimi non saranno d’accordo, ma succederebbe il peggio con una guerra interna dove a combattere non saranno nemici, ma familiari, parenti ed amici e questo sarebbe troppo duro.” spiegai.
“I rischi sono tanti…” intervenne Damon pensieroso.
“Ovviamente –continuai– parleremo con l’esercito e si andrà a voti. Magari all’inizio sarà dura, ma poi andrà bene.”
“E con i soldi guadagnati?” domandò mio padre.
“Innanzitutto ogni settimana, per almeno due giorni, potremo distribuire del cibo alle famiglie più bisognose, potremo farlo in piazza, in modo da riunire una grande quantità di gente. Con i soldi ricavati dallo stipendio dei soldati, aggiungendocene altri, potremo costruire dei nuovi pozzi, visto che nelle campagne ce né solo uno ed è difficile da raggiungere. Potremo pensare anche alla costruzione di nuove case, ma questo richiederebbe più tempo…” proposi.
 

Damon e mio padre ne sembrarono entusiasti, ma poi il dubbio arrivò.
 

“Così daremo lavoro ad alcuni e va bene, ma agli altri?” domandò Damon.
“Potremo costruire una sorta di bagno pubblico, almeno anche chi è povero potrà lavarsi con acqua pulita, così ridurremo anche il numero di malattie. Così avvieremo altri lavori e più persone saranno impegnate. Jeremy, durante una sua escursione, mi ha avvertito di una specie di cava, magari potremmo ricavarne delle pietre preziose, così altre persone avranno lavoro. Per il momento andrebbe bene così, penso…” terminai il mio discorso.
“E’-è perfetto…” mormorarono Damon e mio padre.
“Sono così orgoglioso di te, bambina mia…” mormorò poi mio padre con gli occhi lucidi abbracciandomi.
 

Damon mi baciò in modo casto, visto che eravamo davanti a mio padre, ma mi trovai lo stesso in imbarazzo. Insomma, ero davanti a mio padre.
 

“Non devi essere in imbarazzo, figliola, non c’è nulla di male in questo…” borbottò ammiccante.
“Papà…” borbottai.
“Dovremo avvisare gli altri, ora. Dobbiamo riunire tutti i soldati…” disse Damon.
“Me ne occuperò io. –mio padre si alzò– Damon, avvisa anche il corpo di guardia, ci troviamo tra mezz’ora qui.”
 

Mio padre se ne andò ed io e Damon rimanemmo da soli.
 

“Hai avuto un’ottima idea. –Damon mi tirò a se prendendomi per  fianchi– Sono orgoglioso di te, questo migliorerà tutto.”
“Ho dato solo sfogo alle mie idee…” mormorai.
“No, così salverai molte famiglie, perché, costi quel che costi, porteremo questo progetto a buon fine. –Damon mi baciò– Sono così fiero di te, non mi stancherò mai di dirlo.”
 

Ricambiai il bacio e Damon mi abbracciò teneramente.
Una sua mano andò ad accarezzarmi la schiena e mi trovai in pace con me stessa.

 
“Damon?” dissi alzando il volto dalla sua spalla. “Per te va bene che Caroline stia qui con noi?”
“Non ho nulla in contrario, anche se la bambolina bionda non rientra nelle mie simpatie…” mormorò posandomi un bacio sulla spalla.
Bambolina bionda?” domandai accigliata.
“Che c’è? –mi guardò divertito– Assomiglia ad una bambola…”
“Damon!” lo ripresi bonariamente.

 
Damon mi fece fare una giravolta e finì con la schiena contro i fianchi. Le mani di Damon mi cinsero maggiormente i fianchi in una presa salda.

 
“Posso chiederti una cosa?” mi domandò poi.

 
Annuì, mentre mi posò un bacio sui capelli.
 

“Come mai la bambolina… -Gli tirai una gomitata e si corresse- Caroline, rimarrà qui con noi?”
“E’ un po’ complicato da spiegare… Aspetta un bambino…” spiegai.

 
Damon mi fece voltare di scatto e lo trovai praticamente sconvolto.
 

“Chi è cosi intelligente da fare un bambino con lei?” domandò ironico con un sorriso ad incurvargli le labbra.
“Niklaus Mikaelson, non so se lo conosci…” risposi.

 
A quel punto Damon non si trattenne più e scoppio a ridere.
Non capii il motivo di tutta quell’ilarità e lo guardai di sottecchi.

 
“E ora cosa c’è?” domandai.
“K…Klaus… -rise ancora di gusto- Non ce la faccio… E’ uno dei miei migliori amici, lo conosco da una vita e-”
“Conosci Niklaus?” domandai sconvolta.
“Si, lo conosco benissimo. Diciamo che quando venivo qui, da piccolo, ne combinavamo tante. Poi si è aggiunto anche Alaric, in seguito…” mi spiegò.
“Ora sono sconvolta io…” mi voltai verso Damon. “Damon, vero che non gli dirai niente?”

 
Damon si bloccò di colpo e mi fissò pensieroso, poi si passò una mano tra i capelli.

 
“Mi stai chiedendo di nascondere questo a Klaus?” domandò.
“Damon, lo so che è difficile, ma… Deve chiarire Caroline con lui…” tentai di spiegarmi.
“Hai ragione –mi baciò teneramente– non parlerò.”
“Grazie…” mormorai.

 
Fummo interrotti dall’arrivo di una guardia che richiamò Damon e lui, ovviamente, si era dimenticato del suo impegno.
Infondo era stata anche colpa mia. Ci salutammo con un altro bacio e mi diressi da Caroline. Sicuramente la dottoressa era già arrivata –forse se n’era anche andata– e volevo sapere come stava la mia amica.
 
Quando arrivai in camera dalla mia amica stava discutendo con la dottoressa su alcune cose di cui non capivo l’origine.
Non appena entrai salutai entrambe, poi la dottoressa si rivolse a me quasi timorosa.

 
“Non dovete avere paura, ditemi pure…” le sorrisi rassicurante.

 
Ora ero la regina, vero, ma non volevo sembrare così vecchia. Non avevo ancora vent’anni dopotutto.
La dottoressa era più vecchia di me (anche se di poco), per cui…

 
“La signorina Forbes sta bene, anche il bambino. La gravidanza procede bene, siamo attorno al quarto mese, settimana in più, settimana in meno. Dovrebbe mangiare un po’ di più, solo questo…” mi spiegò.
“Ma non voglio diventare enorme!” la contraddisse Caroline.
“Mangerà di più, ve lo assicuro. –Trucidai Caroline– Grazie mille per la visita…”

 
Salutammo la dottoressa, poi rimanemmo da sole io e Caroline.

 
“Caroline, devi capire che devi mangiare anche per il bambino, non solo per te.” tentai di spiegarle.
“Va bene, ho capito…” borbottò alzando gli occhi al cielo.
“Ho scoperto una cosa. –Caroline portò tutta la sua attenzione su di me– Damon conosce Klaus…”
“Che cosa?” quasi urlò.
“Si, a quanto pare si conoscono fin dalla tenera età.” Continuai.
“No –si portò una mano davanti alla bocca– è…”
“Caroline –cercai di tirare fuori un tono rassicurante– Damon non dirà nulla a Klaus, me l’ha promesso.”
“Grazie.” Sorrise.
“Però devi dirglielo prima o poi, ha diritto di sapere.” Continuai.
“Lo farò, promesso.” Si portò una mano sulla pancia leggermente rotonda. “Devo farlo per lui, almeno.”
 







 
                                                                                         * * *







 
“La bambolina bionda ti ha lasciato andare?” domandò una voce alle mie spalle.
 

Mi girai verso il letto e trovai Damon comodamente sdraiato a petto nudo ed indossava dei pantaloni blu scuro.
La testa era appoggiata sul cuscino e la gamba destra era sopra quella sinistra. Era terribilmente bello mentre sorrideva al mio indirizzo.
Mi chiusi la porta alle spalle ed annuii.
 

“Si, ora sta meglio.” Risposi togliendomi il nastro bianco terribilmente fastidioso che legava i miei capelli.
“Devo dirti una cosa.” Damon si tirò su a sedere e mi sorrise. “Hanno accettato.”
 

Gli rivolsi uno sguardo interrogativo e lui continuò.
 

“I soldati. Hanno apprezzato la proposta anche perché, come hai già detto, alcuni loro parenti vivono in condizioni poco dignitose. Ce l’hai fatta!” disse.
“Ce l’abbiamo fatta. –mi sedetti accanto a lui– Hai collaborato anche tu.”
“Si, diciamo che grazie alle mie abilità di oratore ce l’abbiamo fatta…” concluse vantandosi.
“Modesto, come sempre…” borbottai fintamente arrabbiata.
“Uhmm… Non avercela con me…” disse accarezzandomi la spalla lasciata leggermente scoperta dal vestito.
 

Ormai avevo capito che la mia pelle reagiva al suo tocco. Non appena la sua mano si appoggiò sulla mia spalla venni percorsa da brividi in tutto il corpo.
 

“Forse ho capito come farvi cambiare idea, signora Salvatore…” mormorò suadente al mio orecchio.
“Vediamo cosa avete capito signor Salvatore…” risposi di rimando mentre vidi gli occhi di Damon accendersi.
 

La mia schiena aderì al letto, mentre le mani di Damon correvano attraverso il vestito, veloci ed impazienti.
Gli sorrisi pronta a rivivere un’altra notte d’amore con mio marito.





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Note dell'autrice:
I'm back, decisamente.
Non so quanto io vi sia mancata, ma a me siete mancate molto. Mi scuso per non aver risposto a tutte le magnifiche, anzi, magnifiche è dir poco, recensioni che ho trovato allo scorso capitolo, ma non solo. Mi scuso anche per i precedenti capitoli e cercherò di rimediare o, per lo meno, risponderò più avanti, ma vi assicuro che, da ora in poi, risponderò a tutte le recensioni nei prossimi capitoli.
Quindi grazie di cuore ad ogni meravigliosa ragazza che ha speso del tempo per scrivere due parole sul capitolo, vi adoro tutte, dalla prima all'ultima <3

Sono tornata con un capitolo di passaggio, anche se accadono parecchie cose.
Innanzitutto amiamo Grayson per aver difeso la figlia dalla scappatella notturna con suo marito -cosa non apprezzata da Miranda e Giuseppe, ma vabbeh u.u- e per adorare Damon con la figlia, oltretutto.
Il primo problema che si presenta è senza dubbio Caroline con la sua gravidanza. I suoi genitori, infatti, a causa della gravidanza fuori dal matrimonio, e pr di più con un uomo di classe non nobile, l'hanno cacciata di casa, ma ovviamente Elena l'ha accolta nella sua, di casa.
Il secondo problema è senza dubbio la situazione in Olanda che non è tra le migliori, ma Elena sembra avere già le idee chiare al riguardo. Posso aver sparato delle innumerevoli cavolate (?), ma comunque erano questi i problemi di una volta e soprattutto per l'Olanda, per cui ha giovato tutto a mio favore. Questa è una storia che tenta di avvicinarsi sempre al vero, anche se il titolo considera tutto come una favola. Voglio rendere la storia realistica e spero di esserci riuscita e di riuscirsi ancora in futuro :')

La nota positiva di questo capitolo, ovviamente è il Delena allo stato puro. Elena e Damon si cercano, si vogliono, ma, soprattutto, si amano. Sono una coppia giovane e a quanto pare indistruttibile che sta vivendo bei momenti -bellissimi direi- quindi è giusta un po' di pace, anche se i problemi, quelli maggiori, sono dietro l'angolo pronti a sbucare da un momento all'altro.

Ho visto che Darkness, una mia storia Delena non ha molto successo, ed ho deciso di condividere con voi una mia nuova idea e Fan Fiction, Supernatural Death Games ispirato ad Hunger Games, ma a modo mio. Se vi va passateci e dateci pure un'occhiata, lasciandomi qualche vostro parere.
Vi ringrazio ancora per le recensioni, alla prossima.

PS: Ovviamente buon inizio di scuola a tutti coloro che, come me, sono entrati all'inferno.
Che la fortuna scolastica sia sempre con voi ^^
Horse_


 

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Capitolo 24
*** Essere migliori. ***


                                                           Essere migliori.

                                                                        24.



Pov Damon.

Mi svegliai grazie ai raggi del Sole che entravano dalla finestra lasciata leggermente aperta. Mi girai su un fianco ammirando mia moglie che dormiva ancora. Aveva la testa appoggiata sul cuscino, mentre i capelli le ricadevano lungo il volto, una mano sotto di esso e una vicino al mio petto, mentre le lenzuola le coprivano a malapena il seno.
 
Più passavo il mio tempo con lei più mi convincevo di aver sposato e di amare un essere bellissimo, troppo puro per me. Ma Elena mi ricambiava, quindi dovevo solo cercare di essere migliore per lei e basta.
Le accarezzai il profilo del viso e la vidi sorridere nel sonno, poi finalmente aprì i suoi meravigliosi occhi.
 
 
“Mmm… -si lamentò- Damon…”
 
 
Si portò una mano davanti agli occhi sbadigliando.
Ridacchiai per la sua faccia buffa, poi la baciai assaporando il suo profumo che sapeva tanto di tranquillità.
 
 
“Ho sonno…” terminò poco dopo.
“Non ti piace svegliarti così?” le domandai.
 
 
Ci pensò su, poi mi sorrise tirandosi a sedere, rimanendo gran parte scoperta.
La cosa buona era che non si imbarazzava più di fronte a me.
 
 
“No, non è questo… E’ che sto pensando a cosa dovremo fare oggi e… Non mi allieta per niente…” mormorò.
“Mmm… -le mordicchiai un orecchio- Saresti più felice se passassimo la giornata insieme?”
 
 
La vidi illuminarsi, poi annuì raggiante.
 
 
“Mi piacerebbe molto…” rispose poi.
“Allora muoviamoci, la giornata ci attende!” dissi alzandomi.
 
 
Iniziai a cercare qualcosa da mettermi, ma Elena mi richiamò.
 
 
“Damon?” mi chiamò.
“Mmm…” mugugnai.
“Copriti subito, ti prego…” mormorò.
 
 
Ridacchiai divertito, poi mi vestii con le prime cose che trovai.
Elena rimase seduta nel letto ad osservarmi, con il lenzuolo tirato leggermente sopra il seno.
 
 
“Devo far venire Bonnie qui…” mi disse indicando con il capo l’armadio.
“Perché?” domandai.
“Deve aiutarmi a vestirmi.” mi rispose.
“Per l’abito posso pensarci io…” risposi avvicinandomi all’armadio che avevano scelto i suoi genitori per lei.
 
 
Scelsi un abito verde acqua che le sarebbe calzato a pennello.
 
 
“Questo può andare bene?” domandai con l’abito tra le braccia.
 
 
Mia moglie annuì, poi iniziò a vestirsi con della biancheria, mentre io mi voltai dall’altra parte. Era decisamente mattina inoltrata e vedendola senza nulla addosso faceva risvegliare strani istinti in me. Quando finì la invitai ad avvicinarsi e l’aiutai ad infilarsi quell’abito decisamente troppo ingombrante anche per lei stessa.
Elena, poi, si sedette titubante, mentre osservai meglio la schiena di mia moglie piena di lacci. Ero bravo a slegarli, ma forse era troppo complicato legarli.
Mi grattai la testa, deciso sul da farsi.
 
 
“Ne sei sicuro?” mi domandò voltandosi appena.
“Si –annuii– devo farcela!”
 
 
Tirai verso di me i lacci del corpetto nel modo più delicato possibile, mentre sentii Elena sbuffare.
 
 
“Damon, devi tirarli più forte!” mi esortò.
“Ho paura di farti male!” le risposi accigliato.
“Damon, tirali più forte!” mi incitò di nuovo non ascoltandomi.
 
 
Sbuffai sonoramente e strinsi maggiormente i lacci e mi parve per qualche attimo vedere Elena trattenere il respiro.
Iniziai ad intrecciare i vari fili venendo a contatto di tanto in tanto con la pelle candida di Elena. Ogni volta che la toccavo la sentivo sussultare e sorrisi compiaciuto nel notare l’effetto che avevo su di lei.
Finalmente finii il mio operato e ne fui sicuramente soddisfatto.
 
 
“Grazie marito mio, ma spero che questa sia l’ultima volta!” mi disse.
“Perché?” dissi guardandola accigliata.
“Perché… -divenne rossa in viso- Lasciamo perdere…”
 
 
Mi avvicinai a lei e la baciai con trasporto, sentendo contro il mio corpo altri brividi. Forse avevo capito qualcosa.
 
 
“Mia moglie sta diventando intraprendente a quanto pare…” mormorai malizioso al suo orecchio.
“Damon!” mi richiamò lei ancora rossa in volto.
“L’hai voluto tu, non io…” risposi ancora per le rime.
“E’ meglio andare, fa caldo qui!” mormorò guardandosi attorno.
“Ai suoi ordini madame. –Elena aprì la porta– E i capelli?”
“Li ho spazzolati, credo possano andar bene. –Mi guardò– Andiamo.”
 
 
Seguii mia moglie ridacchiando, mentre ci avviammo verso la cucina centrale della reggia. C’era un grande via vai di persone e mi ricordai solo ora che era domenica ed oggi era una giornata importante. Sarebbe iniziata la distribuzione di cibo.
Mi portai una mano sulla fronte ed Elena sembrò accorgersene.
 
 
“Damon, c’è qualcosa che non va?” domandò.
“Mi sono appena ricordato che è domenica…” borbottai infastidito con me stesso.
 
 
Quando avevo voglia di passare una giornata da solo con la mia Elena, c’era sempre qualcosa in mezzo.
Elena non appena sentì la mia frase si bloccò di colpo e sospirò rassegnata scuotendo la testa.
 
 
“Addio giornata da soli…” mormorò.
“Hey –la presi tra le mie braccia baciandole una guancia– potremo restare insieme lo stesso.”
 
 
Mi venne in mente un’idea.
Le accarezzai una guancia e la feci voltare verso di me.
 
 
“Sta sera ho come l’impressione che ci sarà un bel cielo stellato. Non appena finiremo con i nostri doveri andremo nel bosco. –I suoi occhi brillarono– Va bene?”
“Nel bosco? Di notte?” domandò.
“Devo forse ricordarle, signora Salvatore, dove ci siamo incontrati e dove abbiamo passato la nostra prima notte di nozze? Non mi sembrava che avesse paura…” mormorai sorridendo sornione.
 
 
Elena mi guardò di sottecchi, poi rise.
Ci avviammo mano nella mano all’interno della sala da pranzo.
 
 
 
***
 
 
 
“Non preoccuparti, andrà tutto bene…” la rassicurai prendendole la mano, mentre la carrozza prese l’ennesima buca facendoci sobbalzare entrambi.
“La popolazione è stata avvertita, lo so… Però… Spero di aver fatto la scelta giusta…” mormorò afflitta.
“Elena –le presi il viso tra le mie mani– le tue idee sono fantastiche ed innovative ed è grazie a questo che l’Olanda migliorerà.”
 
 
Elena sorrise, poi appoggiò la testa sulla mia spalla.
 
 
“Credi che la gente apprezzerà il nostro gesto?” domandò.
“Certo piccola, certo…” mormorai accarezzandole una guancia.
 
 
Poco dopo entrammo all’interno della città dove c’era una via vai di persone. Gente che camminava con sacchi pesanti sulle spalle, gente che urlava per far accorrere altre persone al suo banco, bambini che correvano felici, ragazzi che giocavano allegri…
Tutto poteva sembrare felice, ma si poteva notare dagli sguardi delle persone infinita sofferenza.
 
La carrozza si fermò al centro della piazza dove una folla curiosa era accorsa al nostro capezzale. Le guardie scesero da cavallo ed iniziarono a sistemare i cesti pieni di cibo, mentre altre si disponevano accanto alla carrozza per la nostra sicurezza.
Scesi prima io, poi aiutai Elena a scendere, mentre la folla rimase di stucco.
 
La domanda più comune tra le persone era: ‘Il re e la regina? Cosa ci fanno qui?
Qualcuno rispondeva, perché si ricordava del vero motivo.
 
 
Per la distribuzione del cibo!” urlarono alcuni.
 
 
Elena mi sorrise, poi sorrise anche alle persone presenti, mentre la piazza si riempiva sempre di più.
L’avevo incoraggiata a parlare. All’inizio voleva che parlassi io, ma le idee erano le sue e non volevo prendermi meriti che non avevo.
 
 
“Alcuni di voi sanno perché siamo qui. –iniziò titubante, poi proseguì più calma– Sappiamo perfettamente la situazione in cui… In cui si trova l’Olanda e io, in qualità di regina, e mio marito, in qualità di re, ci impegneremo a migliorare le vostre condizioni. Due volte alla settimana ci sarà una distribuzione di cibo per tutti voi ed abbiamo già incominciato a fare alcuni progetti per dare lavoro a tutti voi.”
“Lavoro?” domandò una donna. “Davvero?”
 
 
Elena annuì sorridendo, poi continuò. “Sappiamo che per molti di voi raggiungere il pozzo è difficoltoso, quindi abbiamo progettato di costruire altri pozzi in modo che voi tutti possiate disporre di acqua potabile. Stiamo cercando di avviare anche la costruzione di un bagno pubblico, in modo che tutti possano usufruire di nuove comodità.”
 
 
“Quindi ci sarebbe lavoro ai bagni pubblici?” domandò un uomo.
“Si, oltre alle comodità ci sarebbe anche lavoro. –Continuò la donna che amavo– Inoltre fuori città, ma non troppo distante, ci sono delle miniere e ci serve manodopera. Ovviamente ognuno di voi avrà una paga, non c’è nessun dubbio.”
 
 
Molte delle persone presenti iniziarono ad applaudire e vidi Elena rilassarsi.
Alcune voci urlavano ‘Viva il re e la regina!’ oppure ‘Viva l’Olanda’ e ne fui sollevato.
 
 
Abbiamo risolto alcuni problemi –intervenne una voce– ma per quanto riguarda le spese dell’esercito? E le paghe?
Si–continuò una voce– sono decisamente troppo alte.
 
 
Si sentirono altri brusii di approvazione di sottofondo.
Decisi di intervenire io, visto che era una questione abbastanza delicata.
 
 
“Le paghe sono già state diminuite e dovreste ringraziare i soldati per il cibo e per il lavoro di protezione che svolgono ogni giorno. Hanno accettato quasi tutti di buon grado, quindi le spese sono diminuite di molto e con i soldi che rimangono abbiamo acquistato cibo e stiamo iniziando con i lavori…” spiegai.
 
 
La popolazione si convinse ed iniziò ad applaudire.
Elena mi sorrise e mimò un ‘Grazie’ con le labbra. La strinsi più a me, mentre i soldati iniziarono a distribuire il cibo alle varie persone.
Elena decise di aiutare e per non allontanarmi neanche un istante da lei decisi di contribuire anche io.
 
Tutto stava andando tranquillamente, quando sentimmo delle urla provenienti della panetteria.
 
 
“Non sai combinare niente! –urlò un uomo– Sei solo un buono a nulla! Dio maledica quella volta che ho scelto di mantenerti!”
 
 
Elena sussultò e si voltò un direzione della voce. Dalla panetteria vidi uscire un bambino, dall’età di nove anni circa, con a mano una bambina di all’incirca tre anni.
Avevano entrambi gli abiti logori ed erano sporchi. Quello che mi preoccupava però era l’occhio nero del bambino e il pianto della bambina.
 
Elena si staccò da me e corse dal bambino e dalla bambina, mentre la folla si apriva per lasciarle via libera. Le corsi dietro e la bloccai per un polso.
 
 
“Lasciami! –urlò– Damon, lasciami!”
“Elena, dove credi di andare?” le dissi duro abbassando la voce.
 
 
Non volevo che qualcuno le facesse del male.
 
 
“Guardali, Damon –indicò i due bambini– devo fare qualcosa.”
“Non puoi fare niente, Elena. Quello sarò loro padre e noi non abbiamo nessun diritto su di loro!” le risposi.
“Non mi interessa! Posso toglierli la tutela, sono la regina. Guarda quel povero bambino…” mormorò mentre si avvicinava.
“Elena…” tentai di bloccarla per l’ennesima volta.
“Hai intenzione di rimanere a guardare? –mi domandò– Io no.”
 
 
Sconsolato seguii mia moglie.
L’uomo urlò ancora verso i due bambini, mentre la più piccola si strinse maggiormente al fratello che tremava, ma teneva stretta a se la bambina più piccola. L’uomo aveva qualcosa in mano e la stava per scagliare contro il bambino. Elena si parò davanti al bambino e in mezzo secondo bloccai l’uomo.
 
 
“Cosa credete di fare?” domandai duro all’uomo, mentre questo tentava di staccarsi dalla mia presa.
“Lasciatemi andare! Quel dannato la deve pagare!” urlò ancora.
“Cosa avrà mai fatto di male un bambino?” domandai aspro, mentre Elena guardò i due bambini spaventati.
 
 
La piccola si nascose dietro il fratello, ma il bambino smise di tremare.
 
 
“Non abbiate paura, non vi farà più niente…” mormorò Elena ai due bambini.
 
 
Elena accarezzò una guancia della bambina che smise di piangere, mentre quando tentò di accarezzare il piccolo questo si scostò. Stava morendo di paura e non riusciva a fidarsi di nessuno.
 
 
“Rovina tutto, come ha sempre fatto! Se capiterà sotto le mie mani lo ucciderò!” urlò in preda all’ira.
“Osate solo toccare quel bambino o la bambina più piccola e vi farò rinchiudere nelle segrete e morirete nel modo più atroce possibile. –Lo guardai adirato, mentre l’uomo smise di dimenarsi– E’ solo un bambino e per quanto grave si sia comportato non deve essere toccato. Se vedrò un altro graffio su quel bambino giuro che vi ucciderò io stesso. Ho promesso di difendere questo paese e ogni suo abitante, compresi i bambini. Ora andatevene, prima che possa cambiare idea.”
“E’ solo uno stupido ragazzino. Non è neanche mio figlio e ora guardate cosa devo subire!” urlò.
“La cosa mi rincuora, per cui non avete nessun diritto su di lui. Ora andatevene!” ringhiai.
 
 
Il farabutto rientrò dentro la panetteria e mi girai verso Elena che stava facendo ridere la bambina, sotto lo sguardo attento del più grande.
 
 
“Quell’uomo non vi toccherà più, promesso. –Elena sorrise, poi si alzò– Avete mangiato qualcosa?”
 
 
Guardai i due bambini ed erano pelle e ossa.
Il bambino guardò la più piccola, poi scosse la testa timoroso. Elena fece una carezza alla testa del bambino che chiuse gli occhi per paura di essere colpito.
 
 
“Non voglio farvi del male. Venite, vi porto a mangiare qualcosa…” mormorò dolcemente ai due bambini.
 
 
Ordinai alle guardie di continuare con la distribuzione del cibo e mi allontanai con Elena e i due bambini, sotto lo sguardo meravigliato delle persone.
 
 
“Elena, dove…” iniziai, ma mi bloccai non appena lessi il cartello Tavola Calda.
“Facciamo mangiare questi due bambini, stanno morendo di fame…” mi disse ed io annuii soltanto.
 
 
Non appena entrammo tutte le persone rimasero in silenzio nel vederci. Ognuno ci scrutava attentamente, mentre Elena si avvicinò al bancone.
 
 
“Buongiorno, vorremmo far pranzare i due bambini…” iniziò.
“Sire, mia regina –l’uomo inchinò il capo– noi s-siamo così… Onorati di avervi qui… Prego, prendete posto.”
 
 
L’uomo ci accompagnò gentilmente a tavola, dove feci accomodare i bambini ed Elena.
Facemmo ordinare qualcosa ai due bambini che dopo mille dubbi ordinarono, mentre per noi non prendemmo niente. Io non avevo fame, lei neppure.
 
 
“Grazie signora –intervenne titubante il bambino– ma non ce n’era bisogno…”
“Piccolo, non preoccuparti. –Elena sorrise– Dovete mangiare, i bambini devono crescere.”
 
 
Il bambino annuì, poi guardò la sorellina che stava guardando Elena estasiata.
 
 
“Come vi chiamate?” domandò Elena.
“Io, m-mi chiamo… Edward, mentre lei… Lei si chiama Mary.” disse il piccolo.
“Sono proprio bei nomi!” disse mia moglie, per poi rivolgersi alla piccola. “Piccola Mary, quanti anni hai?”
 
 
La bambina mostrò la manina con due dita stringendosi al fratello.
Ecco, mi ero sbagliato di un anno. La bambina aveva i capelli castano scuro con gli occhi verdi, mentre il bambino aveva i capelli dello stesso colore, ma con gli occhi grigi.
 
 
“Due anni? Sei proprio una signorina. –Elena si voltò verso Edward– E tu Edward, quanti anni hai?”
“Nove, signora…” mormorò.
“Chiamami Elena. Lui invece –mi indicò– è Damon. Può sembrare burbero, però è buono!”
“Hey –intervenni punto nell’orgoglio– devo mantenere il mio aspetto da cattivo!”
 
 
La bambina rise ed era così bella, mentre il bambino sorrise soltanto.
Una ragazza portò i piatti ai due bambini. Guardarono me ed Elena imbarazzati.
 
 
“Forza, mangiate.” li esortò.
 
 
La bambina aveva qualche difficoltà ed ogni tanto le cadeva qualche pezzo di cibo. Elena si avvicinò cautamente a lei e le accarezzò una guancia, poi le sorrise.
 
 
“Vuoi che ti aiuti, piccola?” le domandò.
 
 
La bambina annuì titubante ed Elena prese la forchetta dalle manine di Mary. Iniziò ad imboccarla ed ogni tanto le diceva delle cose che facevano ridere alla bambina. Edward osservava il tutto pensieroso, ma ogni tanto vedevo anche sulle sue labbra spuntare un sorriso.
In poco tempo finirono tutto.
 
 
“Avete ancora fame?” domandò Elena.
 
 
I bambini scossero la testa. Aspettammo qualche minuto, in modo che i bambini almeno digerissero, poi ci avviammo verso il bancone.
Tirai fuori dei soldi, ma l’uomo scosse la testa.
 
 
“Offre la casa!” rispose.
 
 
Eravamo il re e la regina, ovvio.
 
 
“Buon uomo, tenga questa offerta. Potrebbe incartare due dolcetti per questi bambini?” domandò Elena.
“Certo, mia regina!” annuì l’uomo che ritornò subito dopo con dei dolcetti.
 
 
Uscimmo dal negozio e trovammo fuori tre guardie ad aspettarci. Ci avrebbero scortato fino alla carrozza.
 
 
“Questi sono per voi. –Elena diede un dolce a ciascuno– Abbiamo un’ultima cosa da fare.”
 
 
Con ultima Elena non intese proprio l’ultima. Comprò abbastanza vestiti ai due bambini, sotto lo sguardo contrariato di quello più grande. Era tremendamente orgoglioso e mi ricordava tanto me da piccolo. Aveva il mio stesso sguardo.
 
 
 
Ormai era pomeriggio inoltrato quando decidemmo di accompagnare i bambini a casa.
Ci facemmo indicare la via e li accompagnammo fino a casa. Il quartiere era abbastanza logoro e c’era gente che correva avanti e indietro in modo frenetico. Le case erano spoglie, così come gli abiti dei loro abitanti. Elena tremò leggermente e mi guardò triste, mentre anche io mi persi ad osservare quel mondo così diverso dal nostro.
 
Avremo fatto qualcosa per tutte le persone che lo meritavano.
Bussai alla porta e ci venne ad aprire una donna di circa quarant’anni. Aveva l’abito marrone macchiato da sugo e i capelli in disordine. Non appena i bambini videro la donna corsero ad abbracciarla e questa sorrise nel vederli.
Alzò lo sguardo su di noi e ci guardò imbarazzata, poi chinò il capo posando lo sguardo a terra.
 
 
“Mamma, questi signori ci hanno aiutato!” disse Edward indicando me ed Elena.
 
 
Sorridemmo entrambi, mentre anche la piccola annuì.
La donna alzò leggermente il capo sorpresa.
 
 
“Alzate pure il capo buona donna. –intervenne Elena– Siamo qui perché abbiamo accompagnato i vostri figli a casa. Sono figli vostri, vero?”
 
 
La donna annuì leggermente, mentre Mary tirò Elena per il vestito invitandola ad entrare in casa.
Elena sorrise leggermente, poi accarezzò la testolina bruna della bambina.
 
 
“Grazie per quello che avete fatto. Voi siete di buon animo.” disse la donna guardando me ed Elena negli occhi.
 
 
Notai solo allora un uomo sdraiato nel letto e sembrava ridotto parecchio male. Era coperto fino al busto ed era fasciato nella parte destra del torace.
 
 
“Cos’è successo?” domandai indicando con il capo l’uomo.
“Niente, si è solo ferito.” rispose la donna.
 
 
Lo sguardo della donna non mi convinceva per niente e prima che potessi proferire parola intervenne Elena.
 
 
“Non sembra che stia molto bene. Manderemo un dottore per curare la sua ferita.” rispose Elena risoluta.
 
 
Avremo mandato un dottore nel tardo pomeriggio, ora dovevamo andare in città a controllare di nuovo come procedeva la distribuzione del cibo.
 

 
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Scusatemi per l’immenso ritardo, ma la scuola è cominciata e sono già carica di compiti in più con lo sport non ho tempo neanche da dedicare a me stessa.
Cercherò di aggiornare una volta a settimana, tempo permettendo –come con l’altra storia, insomma.
Tra poco aggiornerò anche Supernatural Death Games, al massimo domenica.
Per quanto riguarda la mia nuova storia, Il Corvo di Sparta, impiegherò più tempo nella stesura e se vi va passateci a dare un’occhiata e a lasciare un commento, ci tengo molto :)
 
Ora passiamo al capitolo… Non ho molto da dire su questo, tranne che il Delena è sempre più unito che mai e per adesso i problemi sono solo nascosti e se ne stanno in disparte.
Elena e Damon con la loro unione stanno pensando al Paese, come un buon re e una buona regina devono fare.
 
Ora, chiudendo il discorso storia ho uno sclero da fare: manca una settimana, oddio, manca una settimana alla sesta stagioneee!!!
Ditemi che non sono l’unica a sclerare come minimo da due settimane, vi prego.
Sto assillando tutti in una maniera assurda, ma la mia migliore amica mi compensa sclerando per Once Upon A Time :’)

 
 




E poi... Non ditemi che sono l'unica, ma... Elena, perchè sorridi in quel modo mentre Damon è bloccato dall'Altra Parte?
Vi prego, ditemi che la Plec non rovinerà il Delena più di quanto non abbia già fatto?
Detto questo me ne vado, alla prossima ^^
(La Dobreva è sempre figa *-*)

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Capitolo 25
*** Iniziano i problemi. ***


                                                                Iniziano i problemi.
                                                                                25.






Pov Damon.

“Sono stanca…” mormorò Elena.
 

Mi sistemai meglio facendole spazio.

 
“Vieni, appoggiati a me…” le risposi.

 
Elena annuì e appoggiò la testa sulla mia spalla mentre i capelli le ricaddero lungo le spalle. Incominciai ad accarezzarle dolcemente un braccio, mentre Elena sospirò. C’era qualcosa che non andava. Ormai era da quasi tre mesi che stavamo insieme ed avevo imparato a conoscerla, così come lei conosceva me.

 
“C’è qualcosa che non va?” le domandai.
“No –si staccò leggermente scuotendo la testa– va tutto bene…”
“No –sorrisi leggermente– non va tutto bene. C’è qualcosa che ti preoccupa e forse ho capitolo cosa.”

 
Elena aggrottò le sopracciglia, poi si mise seduta osservandomi seria.
Sapevo di cosa, anzi, di chi era preoccupata. Stava pensando sicuramente a cosa era successo con quei due bambini e a tutte quelle povere famiglie che vivevano lì. Avevo visto il suo sguardo quando ce n’eravamo andati e forse non era sicura di cosa sarebbe accaduto in futuro.

 
“Damon, quelle persone, loro…” sospirò.
“Lo so Elena, abbiamo fatto quello che abbiamo potuto oggi e ti prometto che la situazione migliorerà.” le risposi.
“Si, ma… -si bloccò e le feci segno di continuare- e se le cose peggiorassero?”
“Elena, stiamo già migliorando la situazio-” mi interruppe.
“Non so, io… Ho come una brutta sensazione, come se… Se potesse accadere qualcosa di irreparabile per tutti…” mormorò.

 
Le accarezzai una guancia baciandole teneramente la fronte.

 
“Non preoccuparti, staranno tutti bene…” la rassicurai.
“Me lo auguro. Non ero mai andata lì…” mormorò.

 
Sorrisi per la sua ingenuità.
Si era presa cura benissimo di quei due bambini e quando l’avevo vista avvicinarsi, parlare con loro ed accarezzarli, davanti a me si era formata l’immagine di me ed Elena con un bambino, o bambina. Si era preoccupata non solo dei bambini, ma anche della loro situazione familiare e anche di tutte le persone che vivevano lì.
Con il tempo, forse…

 
“Sei stata bravissima e quei bambini si ricorderanno di come ti sei presa cura di loro, così come tutte le persone in piazza.” le risposi baciandola.

 
Annuì pensierosa, poi si appoggiò di nuovo contro la mia spalla.
Pochi minuti dopo sentii il suo respiro farsi più pesante, poi si addormentò del tutto.
 







 
***










 
Eravamo arrivati alla reggia e non sapevo se svegliare Elena.
Alla fine optai per non svegliarla e prenderla in braccio, ma non appena la sollevai si svegliò ancora assonnata.

 
“Ti sei svegliata…” mormorai sulle sue labbra.
“Ho dormito per tutto il viaggio?” mi domandò guardandomi negli occhi.
“A quanto pare. –La baciai– Ti porto a letto.”

 
Elena mi tirò la camicia stizzita.

 
“Spero che tu stia scherzando. –Mi guardò seria– Dobbiamo andare a vedere le stelle, me l’hai promesso.”
“Ne sei sicura? Ti vedo stanca…” le risposi.
“Se qualcuno non mi facesse fare le ore piccole di notte…” sospirò maliziosa.
“Perché –ricambiai il suo stesso sguardo malizioso– ti dispiace?”
“Mmm… Sinceramente non saprei…” mormorò sorridendo.
“Così mi offendete…” le risposi teatralmente.
“Ultimamente vi offendete troppo spesso…” Rise. “Con un bacio ritornereste felice?”
“Può essere…” le risposi sorridendo.

 
Elena mi baciò sorridendo sulle mie labbra, ma qualcuno ci interruppe con un colpo di tosse.

 
“Uh… Buonasera padre…” disse Elena e la feci scendere dalle mie braccia.
“Buonasera –sorrise ad entrambi– come è andata questa giornata? Ho sentito da certi informatori che ve la siete cavata benissimo…”
“E’ andato tutto per il meglio padre. Vi fermate a cena?” domandò Elena.
“No figliola, partirò questa sera stessa per andare in Italia.” spiegò.
“In Italia?” domandò Elena.
“Si –annuì– io e tua madre andremo per qualche settimana per stabilire un accordo con il re. A quanto pare ha richiesto il nostro aiuto per il fronte e visto che mi occupo delle guardie…”

 
Me l’aveva detto, ma me ne ero dimenticato.

 
“Si, giusto…” dissi mentre Elena mi guardò male.
“Lo sapevi?” mi domandò.
“Si, ma… Mi sono dimenticato di dirtelo, vedi…” tentai di spiegare.
“Ho capito –Elena scosse la testa–vi auguro un buon viaggio padre.”
“Damon, abbi cura di mia figlia. Lascio il Paese in buone mani.” mi disse, anche se l’ultima frase valeva per entrambi. “Ora vado, tua madre è ancora intenta a preparare le ultime cose.”

 
Elena abbracciò il padre che le disse ogni tanto di passare al castello per controllare Jeremy, poi se ne andò su una carrozza.

 
“Bene, allora questa sera siamo soli. –La presi per mano– Andiamo.”










 
 
***










 
Bonnie ed altre due signore avevano preparato tutto l’occorrente per la nostra nottata fuori. Fortunatamente potevamo vivere qui e passare di tanto in tanto al castello –per ora– così avevamo libero arbitrio sul nostro comportamento.
Elena era felice di questo e la sua felicità era anche la mia.
 
Wes sellò i cavalli di entrambi –infatti avevo fatto portare Thunder appositamente da casa mia– e partimmo per il bosco, mentre Caroline era con Bonnie e con mio fratello, anche se quest’ultimo a tarda serata si sarebbe trovato con Lexi.
Caroline stava aspettando ancora per dire la verità a Klaus, e questo mi feriva, perché non mi piaceva nascondere la verità al mio amico, ma forse era giusto così.
Spettava a Caroline dirglielo, non a me.
 
Cavalcammo per quasi quindici minuti e ci fermammo non appena trovammo un posto per passare la notte. Era una piccola radura e assomigliava molto al posto dove ci eravamo incontrati per la prima/seconda volta.
Mi piaceva e piaceva tanto anche a lei tanto che mi pregò di rimanere qui. Legammo i cavalli ad un albero, poi sistemammo le coperte per terra e tirai fuori qualcosa da mangiare.

 
“Questa sera il cielo è splendido!” disse mia moglie osservando incantata il cielo.

 
Mi trovai d’accordo con lei ed annuì, mentre le cinsi i fianchi.
Lo spettacolo era mozzafiato. Il cielo era ricoperto per intero da stelle ed entrambi eravamo incantati ad osservare la bellezza della natura.
 
Elena si sdraiò e feci lo stesso mettendomi accanto a lei, non abbandonando la sua mano. Le posai un bacio delicato sulla spalla e lei appoggiò la testa sul mio petto.
Ogni tanto serviva qualche attimo di tranquillità e finalmente eravamo da soli dopo il nostro matrimonio –togliendo la notte di nozze che era d’obbligo.

 
“Vorrei rimanere qui per l’eternità…” mormorò accarezzandomi un  braccio.
“Non dirlo a me… Rimarrei qui con te per tutta la vita.” le risposi posandole un bacio sulla nuca.
“Stavo pensando… -Elena si sollevò di poco guardandomi negli occhi- che non finirò mai di ringraziare mio padre per aver scelto te.”
“Io non smetterò mai di ringraziare Giuseppe. Una cosa buona l’ha fatta nella vita.” risposi.
“Perché sei così duro con lui, Damon?” mi domandò.
“Diciamo che non è un padre modello…” mormorai osservando la Luna.
“Molti genitori non sono come vorremmo, ma va bene così.” osservò.

 
Mi trovai d’accordo con lei anche qui. Forse mio padre non aveva tutta la colpa, era cambiato dalla morte di mia madre e perdere una persona cara è sempre brutto. Solo ora mi rendo conto di questo. Ero stato troppo concentrato per anni solo sul mio dolore, non capendo quello di mio padre che aveva perso sua moglie.
 
Non so se si fossero sposati per amore o per i beni, ma comunque nel tempo avevano imparato a volersi bene –se si erano sposati per la seconda opzione. Mio padre ha perso la sua compagna e ha dovuto convivere con un grande dolore e me ne rendo conto ora perché io non potrei mai vivere senza Elena.

 
“Damon?” mi chiamò.
“Si?” la guardai.
“Pensi che Caroline riuscirà a sopportare tutto questo?” mi domandò.

 
Aggrottai le sopracciglia e pensai a cosa rispondere. Non conoscevo bene la bamboline bionda, per cui non spettava a me dire si o no, però aveva un carattere forte quella ragazza e ce l’avrebbe sicuramente fatta egregiamente.

 
“Non la conosco molto bene, però… Ha un carattere forte, ce la farà…” risposi.
“Andrà tutto bene?” mi domandò con una voce tenerissima.
“Andrà tutto bene, vedrai.” la rassicurai.

 
Annuì poi alzò lo sguardo verso il cielo –che era diventato ormai quasi nero da un bel pezzo– proprio nel momento esatto in cui stava passando una stella cadente.

 
“Damon, guarda!” urlò felice indicando la stella.
“Si?” domandai.
“Forza, esprimi un desiderio!” mi incitò.

 
Un desiderio?

 
“Un desiderio?” domandai accigliato.
“Forza, fallo!” continuò.

 
Annuii.
Cosa potevo desiderare? La stella era quasi sparita, quindi dovevo fare in fretta.
Volevo soltanto passare una vita tranquilla con Elena, nient’altro. Come desiderio andava bene, quindi espressi quello.

 
“Che desiderio hai espresso?” le domandai curioso.
“Non posso dirtelo, sennò non si avvererà mai!” mi fece la lingua.
“Non fare la bambina! –la ripresi bonariamente– Vuoi sapere il mio?”
“No.” mi rispose ridendo con gli occhi.
“Anche perché non te l’avrei detto!” dissi posandole un bacio sul naso.

 
Elena mi dedicò un espressione imbronciata che mi fece scoppiare a ridere.

 
“Non fare il bambino!” mi scimmiottò.
“Posso dirlo solo io questo!” le dissi fintamente offeso.
“Ogni tanto posso rubarti qualche battuta.” Sollevò le spalle.

 
Appoggiai la testa sulla sua spalla e notai che stava tremando. Mi girai lentamente ed afferrai il mantello, poi lo appoggiai sopra le sue spalle coprendola. In effetti il vento si stava alzando e lei era vestita più leggera di me.

 
“Grazie.” mormorò dandomi un bacio.

 
Approfondii di più il bacio e quando vidi che anche lei ricambiava con il mio stesso ardore la feci appoggiare sulle coperte e presi a toglierle il vestito, mentre lei faceva lo stesso con la mia camicia.
Facemmo l’amore tutta la notte, diventando una cosa sola.
 
 



 
Qualche mese dopo.
 


 
“Dov’è Caroline?” mi domandò Elena.

 
Chiusi il libro che stavo leggendo alla ricerca di qualche informazione utile per dirigere la costruzione del bagno pubblico. Mi alzai dalla poltrona e la salutai con un bacio.

 
“Non lo so –la ribaciai ancora– forse è con Klaus. Da quando ha scoperto del bambino non la molla un attimo.”
“Vero. –sorrise– Sono felice per lei, se lo merita.”
“Già, almeno ora non l’avremo così spesso in casa.” risposi stuzzicandola.
“Damon! –mi riprese– Klaus sta cercando di accumulare dei soldi per il bene di Caroline e del bambino, visto che non accetta i nostri. Noi ospiteremo Caroline volentieri.”
“Si, certo. –le spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio– E tra poco ci sarà un bambino che scorrazzerà per casa.”
 
 


 
Pov Elena.
“Si, certo. –Damon mi spostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e io mi beai di quel tocco delicato– E tra poco ci sarà un bambino che scorrazzerà per casa.”
“Ti dispiace avere un bambino per casa?” gli domandai dubbiosa.
“Piangerà ad ogni ora della notte e non ci sarà più pace.” mi rispose quasi seccato.
“Quindi quando avremo un figlio nostro ti dispiacerà?” domandai ancora.
 

Damon mi guardò grattandosi la testa e non rispose.
Annuii e mi girai dandogli le spalle.
Avevo capito. Me ne andai dal suo studio chiudendo la porta.
Camminai lungo il corridoio decisa ad andare nella mia vecchia camera visto che ci eravamo stabiliti a palazzo a causa della mancanza dei miei genitori.
 
Damon non voleva una famiglia, ecco il punto.
 

“Elena, aspetta!” urlò e mi sentii stringere un polso.
“Lasciami!” gli intimai voltandomi e guardandolo con uno sguardo di fuoco.
“Non intendevo quello, ti prego, ascoltami!” mi implorò.
“Intendevi proprio quello!” urlai.
“No, non hai capito. –mi bloccò contro il muro– Io voglio una famiglia con te, Elena.”
 

Lo guardai titubante, mentre lui allentò un po’ la presa.
Prima aveva detto che… Insomma, mi aveva fatto intendere il contrario.
 

“Tu avevi detto che-” mi bloccò.
“Intendevo che ora è troppo presto… Con tutte le cose che stanno accadendo non è un buon momento… Cioè… Se capiterà andrà tutto bene, ma magari tra un po’ sarebbe meglio, almeno alcune situazioni saranno sistemate.” mi spiegò.
“Ne sei sicuro?” gli domandai.
“Mai stato più sicuro in tutta la mia vita. –mi baciò sfiorandomi una guancia– Voglio una famiglia con te perché sei la donna della mia vita.”
 

Mi abbracciò accarezzandomi i capelli. Purtroppo dovetti interrompere quel momento a causa di un mio dubbio. Alzai lo sguardo su Damon preoccupata.
 

“Damon, questa mattina mio padre mi ha inviato una lettera dall’Italia…” iniziai titubante.
 

Damon portò il suo sguardo su di me invitandomi a parlare.
 

“Ha parlato della situazione politica in Italia e a quanto pare ci sono continua lotte interne per l’unificazione di tutta la penisola italica.” spiegai.
 

Damon inclinò leggermente la testa rivolgendomi uno sguardo interrogativo.
Evidentemente non capiva da dove proveniva tutta la mia preoccupazione.
 

“L’Italia è nostro alleato, non vedo dove sta il problema…” mi spiegò i suoi dubbi.
“Il problema è un altro. –risposi abbassando lo sguardo– La Francia sta appoggiando la Prussia, quando ha sempre aiutato l’Italia.”
 

Damon sgranò completamente gli occhi e iniziò a camminare avanti e indietro per la stanza.
 

“Mio padre, il re, è qui ed inoltre non avrebbe mai dato aiuto alla Prussia.” rispose secco, mentre il dubbio si stava facendo strada in lui.
 


Sospirai e lo guardai negli occhi.
 

“Vuol dire che qualcun altro ha preso il comando ella Francia, Damon.” dissi solo, mentre lo vidi sgranare gli occhi.




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Mi scuso per l'immenso ritardo di quasi due settimane, ma non ho veramente tempo neanche per mangiare tra poco. I professori quest'anno rompono altamente le scatol (?) e ci danno cinquanta pagine da studiare da un giorno all'altro senza preavviso. Vi basta capire che ieri ho studiato dalle 9.00 di mattina fino alle 21.30 di sera .______.
Cercherò di aggiornare appena posso e che Dio me la mandi buona.

Finalmente entriamo nei capitoli che non sono più di passaggio. In se questo lo è, in quanto non accadono cose prettamente importanti, apparte nell'ultima parte.
Damon ed Elena vivono tranquillamente la loro vita matrimoniale, Caroline ha detto a Klaus del bambino e quest'ultimo l'ha presa più che bene, l'Olanda va a 'gonfie vele', ma i problemi giungono da un'altra parte: dalla Francia.
Mi sono basata un po' sulla storia per le informazioni tra Italia, Francia e Prussia nel 1860 circa adattandole ovviamente a mio interesse e mettendoci ovviamente in mezzo anche l'Olanda ehehehehehe
Nel prossimo capitolo si partirà appunto anche su questo problema che ne porterà altri.

Ringrazio le ragazze che mi hanno lasciato stupende recensioni allo scorso capitolo, ma mi sorge spontanea una domanda... Le recensioni sono calate di botto... Da 11/12 a 6 e poi a 4... La storia non vi piace più per caso?
C'è qualcosa che non va? Se trovate qualcosa fuori posto ditemelo pure, non mi offendo :') Mi sembra solo tanto strano...

Voglio ricordarvi le altre mie storie:
-Supernatural Death Games;
-Il corvo di Sparta;

Vi invito a leggerle e mi fareste felice se lasciaste qualche commento :)
Alla prossima <3

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Capitolo 26
*** Nascita. ***


                                                              Nascita.
                                                                    26.




Damon.

Fissai Elena per attimi interminabili, tentando di mettere a fuoco quello che aveva detto.
Tentai di capire quello che era successo.
La Francia stava aiutando la Prussia, quando mio padre aveva sempre contrastato quest’ultima.
Ma né io e né mio padre avevamo dato quell’ordine.
 
Eravamo entrambi in Olanda, così come Stefan che era il secondo erede al trono, quindi nessuno di noi avrebbe potuto emanare una legge in grado di aiutare la Prussia.
Mio padre non aveva mai voluto farlo. Quando abbiamo chiesto aiuto alla Prussia ci ha chiuso le porte in faccia ed ora, a quanto pare, non è neanche interessata ad aiutare l’Olanda, preoccupandosi solo dei propri problemi.
 
La Prussia era interessata soltanto al proprio potere, non preoccupandosi delle nazioni che la circondava, ecco perché Giuseppe aveva rifiutato, ma allora come mai di punto in bianco il mio Paese appoggiava la Prussia senza il consenso di nessuno? Ci eravamo dichiarati neutri nella guerra austro-prussiana, avendo così appoggio dall’Italia –che ci diede Nizza e Savoia– e della Germania, in modo da non appoggiare la Prussia.
Elena mi appoggiò una mano sulla spalla, ma io la scansai, pentendomene subito dopo.
 

“Scusami, io non dovevo…” mormorai prendendole il volto tra le miei mani. “Scusami…”
“Non devi scusarti, sei solo agitato ed arrabbiato.” mi sussurrò dolce accarezzandomi il volto.
“Che cos’altro ha detto tuo padre?” domandai.
“Tornerà tra pochi giorni. –mi rispose– Sa solo questo, il re d’Italia lo ha solo avvisato su quello che stava accadendo.”
Nessuno di noi avrebbe mai aiutato la Prussia.” risposi categorico. “Devo chiamare mio padre e mio fratello, subito.”

 
Elena annuì, mentre Bonnie entrò nella stanza preoccupata.
Tremava visibilmente e tentava di proferire parola.

 
“Bonnie, cos’è successo?” domandò Elena.
“Caroline ha dei forti dolori all’addome. –guardò Elena– Dobbiamo chiamare un dottore.”
“Chiamalo, Bonnie. Corri, non dovevi venire subito qui!” le intimò Elena avvicinandosi.
“Aspettavo il tuo consenso!” le rispose pacata, ma comunque preoccupata.
“Corri Bonnie, fa’ chiamare un dottore!” concluse Elena, mentre Bonnie annuì sparendo dietro la porta.
“Vado da Caroline, ha bisogno di me. Manda Marcel a chiamare tuo padre e dì a Stefan di far venire Klaus qui.” mi ordinò.
“Klaus?” domandai.
“Damon, ormai manca poco alla nascita del bambino e se il mio istinto ha ragione tra poche ore un bambino urlerà in braccio a sua madre!” mi rispose pacata, uscendo dalla porta.

 
Rimasi immobile per qualche attimo indeciso sul da farsi.
Stava per nascere un bambino in casa mia ed avevo una disputa da affrontare.
Scossi la testa e mi incamminai alla ricerca di Marcel.










 
 
                                                               * * *













 
Mio padre era fuori città e sarebbe arrivato a momenti, mentre Stefan era qui che si stava rigirando un bicchiere di bourbon in mano.
Jeremy era corso a chiamare Klaus che era nelle campagne, quindi sarebbe arrivato come minimo tra un’ora, mentre Elena e Bonnie attendevano la levatrice e il dottore nella stanza di Caroline.

 
“Damon, dimmi cosa c’è che ti turba. –Stefan mi posò una mano sulla spalla– Non ti ho mai visto così.”
“Stefan, abbiamo un problema,  e per problema intendo cause catastrofiche!” gli risposi riprendendo a camminare avanti e indietro.
“Di che cosa si tratta?” mi domandò.
“Qualcuno ha preso il comando della Francia.” risposi secco.

 
Stefan spalancò leggermente la bocca, mentre il bicchiere di bourbon gli cadde dalla mano rompendosi in tanti piccoli pezzettini. Elena mi avrebbe ucciso, dopo, perché quello era uno dei suoi divani preferiti, ma sapevo come farle cambiare idea.
I problemi, intanto, erano altri.

 
“Che cosa?” urlò.
“Qualcuno ha offerto aiuto alla Prussia, quando noi ci siamo sempre tenuti alla larga da quella nazione!” affermai.
“Ci siamo resi neutri appunto per non schierarci o con gli austriaci o con i prussiani… Damon, il re è nostro padre e non avrebbe mai fatto niente del genere!” mi rispose Stefan.
“Proprio per questo, Stefan. La lettera di Grayson è stata chiara: la Francia sta aiutando la Prussia. Qualcun altro sta governando al posto nostro.” risposi.
“Papà ha lasciato il comando a Frederick, uno dei suoi uomini più fidati, non ci tradirebbe mai!” mi disse Stefan convinto.
“Stefan, da quanto tempo Giuseppe non sente Frederick?” domandai.
“Non lo so, Damon, ma con l’ultima lettera sembrava andare tutto bene…” mormorò abbassando il capo.
“Siamo qui da otto mesi, Stefan, e devo sapere da quanto tempo Giuseppe non sente Frederick!” risposi categorico.

 
Se la mia sensazione era giusta mio padre non avrebbe mai sentito più Frederick. Qualcuno aveva ribaltato la situazione della Francia approfittandosi della nostra assenza.
La situazione era più grave del previsto.

 
“Dobbiamo solo scoprirlo quando ritornerà.” mi rispose Stefan.

 
Annuii, incapace di proferire parola.
 




 
Elena.
“Caroline, respirate lentamente…” provò ad aiutarla Bonnie usando appositamente il voi in quanto non eravamo sole.
“Non ci riesco!” urlò Caroline in preda ad una crisi isterica.
 

Mi portai una mano tra i capelli esausta, non tanto fisicamente, ma mentalmente.
Damon era rinchiuso un biblioteca con Stefan da un’ora, mentre io ero qua con Bonnie ed altre due donne che tenevano dei panni in mano, mentre una grande tinozza d’acqua calda era appoggiata sul comodino.

 
“Tra poco arriverà un dottore e vi aiuterà…” continuò Bonnie tentando di tranquillizzarla.

 
Era da un’ora che andavamo avanti così. Caroline era sempre più isterica, mentre Bonnie continuava a rassicurarla.
Caroline si lamentava ed aveva forti dolori all’addome, in quanto, molto probabilmente era entrata in travaglio. Io non sapevo nulla di questo, Bonnie forse di più, ma comunque eravamo tutte in esperte.
 
Inoltre avevo un terribile mal di testa che portavo avanti da giorni e di tanto in tanto sentivo dei dolori al petto, ma non avevo detto nulla a Damon, si sarebbe preoccupato per niente.
Il mal di testa, sicuramente, non mi faceva ragionare.
 
Caroline urlò per l’ennesima volta e vidi le lenzuola iniziare a bagnarsi.
Era ufficialmente entrata in travaglio.
Iniziò a respirare affannosamente e nel suo sguardo lessi puro terrore.

 
“Cosa dobbiamo fare?” mi domandò Bonnie preoccupata.
“E’ appena entrata in travaglio, decisamente. –Mi alzai dal letto e mi rivolsi alle due donne– Andate a cercare la levatrice al più presto, ora.”
“No, voglio Anna, la levatrice di  madre!” si impuntò ancora.
Sospirai. “Andate a chiamare la levatrice di casa Forbes.”

 
Le due donne annuirono per poi appoggiare i panni all’estremità dal letto ed andarsene.

 
“Caroline, guardami. –Caroline alzò lo sguardo verso di me non riuscendo a realizzare cos’era appena accaduto– Sei entrata in travaglio. Tra poche ore il tuo bambino nascerà, ma ora devi stare calma.”
“Non puoi dirmi di stare calma! –urlò di nuovo– Non sono pronta, sarebbe dovuto nascere tra un anno o due, non lo so!”
“Caroline, ormai la gravidanza è giunta al termine e sei in perfetto arrivo. Agitarsi non serve a nulla!” le risposi tirandole via le coperte.
“Ma fa male!” sbraitò ancora.
“Lo so, però è capitato ad ogni donna e ora sta succedendo anche a te!” le risposi.
“La fai facile tu! Tu non sei nei miei panni oooorraa…” urlò di nuovo in preda ad una contrazione.

 
Abbassai lo sguardo e mi guardai il ventre. Avevo ereditato dalla mia bisnonna i fianchi stretti, cosa che non era successa né a mia madre e né a mia nonna, ed avrei avuto difficoltà ad avere un bambino, se non nessuna possibilità.
La speranza era l’ultima a morire, la mia bisnonna ce l’aveva fatta, anche se poi era morta di parto.

 
“Lo so. Bonnie, aiuta Caroline ad alzarsi ed accompagnala in bagno. Dell’acqua calda le farà bene, mentre io cambio le lenzuola.” dissi a Bonnie.

 
Bonnie annuì poi aiutò Caroline ad alzarsi e l’accompagnò in bagno.
Presi delle lenzuola pulite dall’armadio ed iniziai a cambiarle, quando un forte giramento di testa mi fece fermare sul posto.
Mi aggrappai con entrambe le mani ai bordi delle lenzuola e rimasi qualche attimo ferma tentando di riprendermi.
 
Fortunatamente passò subito dopo pochi secondi e finii di sistemare tutto.
Uscii dalla camera alla ricerca della levatrice, che sarebbe dovuta arrivare a momenti, quando incontrai Damon.
Mi afferrò per la vita e mi posò un delicato bacio sulle labbra, ma potei vedere il suo sconforto per la questione lasciata in sospeso prima.

 
“C’è qualcosa che non va?” gli domandai.
“Stefan ha i miei stessi dubbi. Non appena arriverà Giuseppe faremo chiarezza. –mi accarezzò una guancia– Come va con la biondina?”
“Tutto nella norma. E’ entrata in travaglio, il bambino dovrebbe nascere a breve.” gli risposi sorridendo. “Ora vado a cercare la levatrice.”

 
Mi allontanai leggermente, ma mi sentii riafferrare per un polso. Sbattei contro il petto di Damon che non accennava a liberarmi.

 
“Stai bene? –mi domandò afferrando con due dita il mio mento– Ti vedo pallida.”
“Sto bene, non preoccuparti. Ora devo andare.” gli dissi posandogli un bacio sulle labbra.

 
Annuì poco convinto, poi andai alla ricerca della levatrice.
 











 
 
                                                           * * *










 
La signora Forbes aveva messo da parte tutte le dispute sulla figlia ed ora era qui a stringerle la mano. Erano passate tre ore e tutto stava procedendo per il meglio.
Caroline continuava a lamentarsi, ma comunque stava andando alla grande. Io le facevo forza –sarei dovuta uscire, ma Caroline non me l’aveva permesso–, mentre Bonnie stava aiutando la levatrice sostenendole gli asciugamani e di tanto in tanto passava l’acqua alla signora Forbes per bagnare la fronte di Caroline.
 
Niklaus era fuori con Damon, Alaric, Jenna, Jeremy, Stefan e il signor Forbes che aveva seguito lo stesso esempio della moglie.
Niklaus stava lontano dal padre di Caroline e il padre di Caroline stava lontano da Niklaus. Tutto nella norma.

 
“Non ce la faccio più…” mormorò Caroline dopo l’ennesima spinta.
“Vedo la testa signorina Forbes, non manca molto!” le rispose la levatrice facendo leggermente pressione sulle sue gambe.
“Tra poco sarà tutto finito Caroline, tra poco sarà tutto finito.” la rassicurò Liz amorevolmente.

 
A quanto pare Caroline le era mancata parecchio, ma comunque io non approvavo il suo comportamento.
Quando tutto questo sarebbe finito avrebbero parlato sicuramente.

 
“Forza Caroline, un’altra spinta verso il basso.” la incitò la levatrice.

 
Caroline diede un’altra spinta seguita da un urlo che sicuramente si sentì fino in sala dove c’erano tutti.
Doveva fare tremendamente male. Guardai la mia amica tremendamente sudata e mi venne un brivido. Le presi la mano e gliela accarezzai, per farle capire che io c’ero.
Caroline mi guardò di sfuggita e mi sorrise debolmente, poi continuò a spingere su ordine di Anna.

 
“La testa è fuori. Un’altra spinta ed è fatta!” la incitò di nuovo la levatrice.

 
In preda all’ennesima contrazione Caroline diede un’altra spinta e subito dopo la stanza venne inondata da un vagito.
Finalmente era nato.
Anna sorrise, poi afferrò un panno ed avvolse il bambino.

 
“E’ una bambina!” disse subito dopo porgendola a Caroline.

 
Caroline scostò leggermente il panno dal viso della bambina e potei notare tutta la sua bellezza. Era leggermente paffuta, con le guance rosse, gli occhi chiari e pochi capelli chiarissimi in testa.
Molto probabilmente avrebbe ereditato il biondo dal padre, dalla madre e dalla nonna.
Caroline sorrise raggiante e cullò la bambina in modo da farla calmare. Le posò un bacio sulla fronte e questa si calmò subito.

 
“E’ uguale e identica a te…” disse la signora Forbes alla figlia con la voce rotta dall’emozione.

 
Decisi di andare fuori per dare loro un attimo di intimità come madre e figlia e la mia stessa idea la ebbero anche Bonnie e la levatrice, ma la madre di Caroline ci fermò.

 
“Io devo parlare con mia figlia, ma Niklaus ha diritto di vedere sua figlia. Elena, prendetela e fategliela vedere.” mi disse la madre di Caroline.

 
Caroline annuì e mi passò la bambina. Tremai leggermente avendola tra le mie braccia per paura di farle del male. Era così piccola e così indifesa, sembrava fatta di cristallo.
Uscii dalla stanza con la bambina in braccio, seguita da Bonnie e Anna.
Non appena tutti mi videro uscire con qualcosa in braccio mi vennero incontro, ma io mi girai su un fianco.

 
“Piano, o la farete svegliare. Niklaus, venite qui perfavore, voglio presentarvi qualcuno.” risposi.

 
Tutti sembrarono capire ed indietreggiarono di qualche passo, in modo da far passare Niklaus.
Sorrisi al suo indirizzo.
 

“Vi presento vostra figlia!” dissi mentre scostavo il panno dal visetto della bambina.

 
Non appena gli occhi di Niklaus incontrarono la bambina brillarono dall’emozione e diventarono immediatamente lucidi. Sorrise emozionato, poi accarezzò delicatamente la testa della bambina.

 
“Sono diventato padre…” mormorò.
“Si, di una bellissima bambina. –sorrisi passandogli la bambina– Su, tenetela.”

 
Niklaus guardò titubante la bambina tra le sue braccia poi posò lo sguardo su di me.

 
“E se la faccio cadere?” mi domandò impaurito.
“Non lo farete.” gli risposi invitando gli altri a vedere la bambina.

 
Si avvicinarono tutti ad ammirare la piccola creatura che era venuta al mondo e ne rimasero incantati.
Era una bellissima bambina.
 
 
 
 
 
Io e Damon eravamo nella nostra camera. Giuseppe non era ancora tornato e ormai si era fatto buio. Damon sarebbe andato nella città vicina a cercarlo l’indomani.
Caroline aveva chiarito con i suoi genitori che sembravano accettare Niklaus ed era merito soprattutto della piccola bambina venuta al mondo soltanto poche ore prima.

 
“I signori Forbes hanno detto che Caroline tra un paio di giorni tornerà a casa con loro e che troveranno una sistemazione per Niklaus.” spiegai a Damon mentre lui stava giocando con i miei capelli.
“Mmm… -affondò la testa nelle mie ciocche brune- Sono felice per entrambi, se lo meritano.”
“Non trovi che la piccola Margaret sia bellissima?” gli domandai.
“Certo… -mi posò dei piccoli baci in modo sensuale per tutta la lunghezza del collo- Bellissima…”

 
La mano di Damon prese ad accarezzare la mia gamba lasciata scoperta dalla camicia da notte, mentre le sue labbra non smettevano di torturare il mio collo. Mi ritrovai a sospirare contro la sua spalla, mentre la sua mano risaliva sulla mia schiena iniziando a slegarmi i lacci della camicia da notte.
 
Iniziò a togliermi prima una spallina e poi l’altra, posando ovunque dei baci. Mi morse la spalla e dovetti reprimere un gemito premendo la bocca sul suo collo che sapeva di buono. Damon mi portò sotto di lui osservandomi con gli occhi carichi di amore. Mi posò un bacio sulle labbra togliendomi così la camicia e facendola cadere per terra.
Incominciò a stuzzicare il mio seno, mentre le miei mani gli tolsero i pantaloni in uno scatto preciso che lo fece sorridere divertito.
Mi aiutò a togliere anche il resto dei suoi vestiti e rimanemmo nudi entrambi e tremendamente accaldati.
 
Iniziai a baciargli il petto immergendo le mani tra i suoi setosi capelli corvini, mentre lui mi osservò estasiato. Gemette di nuovo assaporando le mie labbra ed entrò dentro di me facendomi mancare il fiato.
Ogni volta che facevamo l’amore tutte le cose cattive e i problemi passavano sempre in secondo piano.
 
Ci unimmo come una cosa sola anche quella notte, succubi del nostro amore e piacere arrivando al culmine insieme.
I problemi li avremo affrontati la mattina dopo.




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 Non sono molto in ritardo rispetto all'altra volta per fortuna ahahahahaha
L'importante è che abbia postato oggi, a quanto pare penso che posterò ogni venerdì, lo stesso giorno di The Vampire Diaries :)
Mi scuso per non aver risposto alle meravigliose recensioni che mi avete lasciato allo scorso capitolo, vedo, tra l'altro, che stanno aumentando e io non posso non esserne felice per questo.
Grazie ad ogni singola ragazza (Fefy94, PrincessOfDarkness90, melissaABATE, Vic_Stark4everHP, miatersicore23 e saretta98SS) davvero. Cercherò di rispondere il prima possibile, ma sappiate che le leggo tutte e ogni volta mi commuovo per le vostre belle parole <3
Ancora grazie <3

Passiamo al capitolo. Ebbene si, questo non è assolutamente un  capitolo di passaggio.
Abbiamo capito, a grandi linee, cos'è accaduto in Francia, anche se si scoprirà meglio nel prossimo capitolo, ma a quanto pare qualcuno ha preso il potere del regno di Damon ed è intenzionato a smantellare quello che i Salvatore hanno costruito u___u
Più avanti rivedremo vecchi personaggi che sembravano essere spariti... Anzi... Uno lo vedremo già dal prossimo capitolo :')
Importante è anche la nascita della piccola Margaret *--* Una piccola barbie ibrida (in termini soprannaturali) ahahahahaha Magari che accadesse realmente, ma ogni mio desiderio non accadrà mai. Ne ho troppi C':
Caroline finalmente ha chiarito con la madre. I bambini cabiano ogni cosa, come ha detto Caroline.
Damon ed Elena sono più uniti che mai, ma dal prossimo capitolo inizieranno i problemi :/

Corro a guardare la puntata, alla prossima ^^

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Capitolo 27
*** I problemi sono ovunque. ***


                                              I problemi sono ovunque.
                                                                       27.






Elena.

Nell’esatto momento in cui aprii gli occhi qualcuno entrò nella mia stanza aprendo le tende. Borbottai qualcosa di sconnesso, mentre vidi la chioma bruna di Bonnie avvicinarsi a me.
Mi stiracchiai leggermente, portandomi una mano davanti alla bocca a causa di uno sbadiglio facendo sorridere Bonnie.
 
Accanto a me il letto sembrava terribilmente vuoto e solo allora mi accorsi della mancanza di Damon.
Dov’era finito mio marito?
Bonnie parve leggermi nel pensiero e mi rispose. “Damon è alla ricerca di Giuseppe con suo fratello Stefan.”
 
Mi tirai su leggermente sedendomi sul letto –e mi rincuorai di avere la camicia da notte addosso dopo la notte d’amore passata con mio marito– mentre Bonnie rovistava nel mio armadio alla ricerca di un vestito, forse.
Bonnie tirò fuori un vestito color verde acqua e me lo mostrò.
 

“In mattinata arriveranno i tuoi genitori dall’Italia e ovviamente dovrai attenderli al castello.” mi rispose ponendo fine così ai miei dubbi.
“Non dovevano ritornare tra tre giorni?” domandai alzandomi.
“A quanto pare hanno anticipato l’arrivo, non so per quale motivo.” mi rispose aiutandomi ad infilarmi il vestito.

 
Mi aggrappai leggermente ad una sedia e Bonnie tirò i laccetti del corsetto con forza, facendomi mancare il respiro.
Provai un leggero dolore all’altezza del petto e mi portai una mano immediatamente nel punto che mi doleva.

 
“Elena, tutto bene?” mi domandò Bonnie preoccupata.
“Allenta un po’ il corsetto…” mormorai respirando a fatica.

 
Bonnie allentò leggermente i lacci ed iniziai a respirare piano e in modo profondo, riuscendo, anche se di poco, a far entrare aria nei miei polmoni. Rimasi immobile per alcuni istanti sentendomi leggermente meglio.

 
“Elena, è meglio che tu ti sieda…” mi disse Bonnie aiutandomi a sedere.

 
Mi sedetti nel letto mentre la mia amica mi guardò preoccupata.

 
“E’ tutta colpa mia, io non…” iniziò con voce tremante.
“Bonnie –respirai a fondo ancora– non è colpa tua e né del bustino. Mi è mancato solamente il respiro, tutto qui.”

 
Invitai Bonnie con un cenno del capo a continuare il suo lavoro. Mi strinse leggermente il busto e allacciò tutti i lacci.
Mi alzai ed andai davanti allo specchio per controllare i miei capelli.

 
“Bonnie, potresti sistemarmi i capelli per favore?” le domandai cercando di farla pensare ad altro.

 
Annuì ancora preoccupata, afferrò la spazzola ed iniziò a pettinarmi i capelli.

 
“Bonnie, davvero, non è colpa tua.” la rincuorai.
“Ho stretto troppo…” mormorò continuando a sistemarmi i capelli.
“Hai stretto come al solito, non preoccuparti…” la rassicurai sorridendo mentre terminò di sistemarmi i capelli. “Come sta Caroline?”
“I signori Forbes hanno deciso di portarla a casa con loro, visto che sembra tutto chiarito, e a quanto pare la verranno a prendere domani!” mi rispose.
“Anche perché la bambina è ancora troppo piccola. E’ meglio aspettare qualche giorno…” risposi alzandomi. “Vado da Caroline per passare a vedere la bambina.”
“Io devo continuare a sbrigare delle faccende. I tuoi genitori arriveranno per la tarda mattinata!” mi ricordò.

 
Salutai Bonnie e mi diressi verso la stanza di Caroline. Bussai in modo da avvisarla della mia presenza, anche per non disturbarla.
Caroline rispose ‘avanti’ ed entrai all’interno della stanza. La mia amica era sdraiata nel letto con la bambina tra le braccia che osservava interessata la sua mamma.

 
“Buongiorno Caroline, come ti senti?” le domandai avvicinandomi al letto.
“Bene, grazie. –mi invitò con un cenno del capo a sedermi sul letto– Devo ringraziarti, Elena. Per l’ospitalità e per tutto il resto.”
“Non mi devi ringraziare…” mormorai sorridendole ed accarezzando una guancia paffuta della bambina.
“Invece si. Hai fatto tanto, per me, per noi –guardò la bambina– non smetterò mai di ringraziarti.”
“Sei mia amica Caroline e ci siamo promesse aiuto e appoggio fin da quando eravamo bambine. E’ il minimo che potessi fare.” le rispondo.
“Grazie, Elena…” mormorò abbracciandomi –per quanto potesse, visto che aveva la bambina in braccio.
“Hai chiarito con i tuoi genitori?” le domandai.

 
Annuì felice e mi invitò a prendere la bambina tra le braccia. Me la passò delicatamente e cercai in ogni modo possibile di non farla cadere. La piccola Margaret –così l’avevano chiamata– non si accorse neanche del passaggio, anzi, mi scrutava attentamente.
Le posai un bacio sulla guanciotta e questa aprì la bocca senza denti.

 
“Si. Quando mia madre ha visto Margaret se ne è innamorata, così come mio padre. Hanno capito che amo veramente Klaus, indipendentemente dalla sua classe sociale, e l’hanno accettato. I bambini possono cambiare veramente tutto…” mormorò guardando orgogliosa sua figlia.
“Si, cambiano realmente tutto…” mormorai mentre Margaret chiuse gli occhietti.
“Le piaci. –Caroline mi sorrise– Ti ci vedo bene con un bambino in braccio…”

 
Abbassai lo sguardo non riuscendo a sostenere il suo carico di dolcezza. Caroline sapeva del mio problema, ma era comunque di ampie vedute.

 
“So a cosa stai pensando, Elena, ma la speranza è l’ultima a morire…” mormorò posandomi una mano sulla spalla.
“Ne abbiamo parlato con Damon e anche lui è d’accordo di provare più avanti. Siamo giovani, e lo so che questo è l’età giusta, ma con tutte le cose che si stanno venendo ad accumulare. –cullai leggermente Margaret che ormai era quasi completamente addormentata– La situazione del paese non è delle migliori e a quanto pare ci sono problemi anche in Francia e con la Prussia che è alla ricerca di continue guerre e non me la sento.”
“Ti capisco e se non ti senti pronta è una scelta tua…” mi disse dolce.
“Ho visto lo sguardo di Damon mentre per la prima volta ha visto Margaret ed era pieno di amore. Non lo vuole ammettere, ma a lui piacerebbe avere un bambino. Ho solo paura di non riuscire ad accontentarlo…” mormorai.
“I problemi non sono quelli, Elena. Con il tempo arriverà, devi crederci…” mi rassicurò.

 
Annuii e diedi Margaret a Caroline.










 
                                                                                 * * *











 
Accolsi mia madre e mio padre con il mio miglior sorriso. Accanto a me c’era Damon che mi cingeva la vita con le mani.
Eravamo davanti all’entrata principale del castello e i miei genitori erano appena scesi della carrozza aiutati dal paggio. Accanto a noi c’erano alcuni messaggeri di corte e altre persone importanti.

 
“Signori Gilbert, è un piacere avervi qui.” parlò Damon in modo cordiale.
“Siamo felicissimi di essere ritornati. –intervenne mia madre sorridendo– L’Italia è un paese bellissimo, ma niente può eguagliare la nostra Olanda.”

 
Mio padre annuì, poi si rivolse a me e a Damon.

 
“Come ve la siete cavata in nostra assenza?” domandò.
“Non ci sono stati pericoli, padre. –intervenni– Ma a quanto pare, come letto nella vostra lettera, ci sono dei seri problemi in Francia.”
“Qualcuno ha preso il comando della nazione. –mio padre guardò Damon– Non mi capacito del perché nessuno vi abbia avvertito, Damon.”
“Dalla corte di Francia non è arrivata nessuna missiva. Questa mattina siamo andati alla ricerca di mio padre e di lui non ho trovato nessuna traccia!” rispose Damon.

 
Mi voltai verso Damon parecchio perplessa. Non mi aveva detto niente di questo. Togliendo il fatto che era appena arrivato dalla sua missione, ma avrebbe potuto dirmelo.

 
“Damon, vi devo parlare. Figliola, accompagnate vostra madre nelle sue stanze!” si rivolse a me.

 
Annuii e stetti a guardare per qualche attimo la figura di mio padre e quella di mio marito sparire all’interno del palazzo.
Charles prese le valigie di mia madre ed entrammo a palazzo.

 
“Com’è stato il vostro soggiorno?” domandai mentre camminavamo per il corridoio.
“Non è stato dei migliori. –mia madre sorrise leggermente– A quanto pare la situazione è peggio del previsto.”
“Mi dispiace.” abbassai lo sguardo.
“Tesoro –mia madre mi accarezzò il braccio coperto dalla stoffa del vestito color verde acqua– ti senti bene?”
“Sto benissimo madre.” le risposi.
“Ne sei sicura? Ti vedo assente. E’ successo qualcosa con tuo marito?” mi domandò.
“Con Damon va tutto benissimo. Non mi sono mai sentita così bene.” le risposi.
“Allora c’è sicuramente dell’altro. –disse mentre Charles appoggiò le valigie all’interno della stanza dei miei genitori– Potete pure andare.”

 
Mia madre guardò Charles che annuì.

 
“Mia regina, signora Gilbert, con permesso.” terminò il tutto Charles andandosene.
“Cosa c’è che ti turba?” mi domandò.
“Non è nulla madre, davvero.” risposi giocando con la manica del vestito.
“Sei mia figlia, Elena, capisco quando c’è qualcosa che non va!” mi rispose sorridendo.

 
Stavo per rispondere che andava tutto bene, quando iniziai a tossire forte. Mi aggrappai al lembo delle coperte in cerca di un appiglio. Cominciai a tremare, mentre non riuscivo a calmare la tosse e mi stava salendo male al petto.
Mia madre mi guardava preoccupata, non riuscendo a capire cosa doveva fare. Mi guardava impotente, mentre io continuavo a tossire.
 
Sentii le sue braccia calde avvolgermi e spostare dalla mia fronte i capelli sudati, mentre mi stringeva a se.
Mi ricordai che lo faceva anche quando ero piccola, quando ero malata.
Mi calmai un po’ e riuscii a respirare a pieni polmoni. Mi lasciai cadere in ginocchio sul pavimento continuando a respirare.

 
“Figlia mia, come ti senti?” mi domandò inginocchiandosi di fronte a me e accarezzandomi una guancia.

 
Respirai ancora, alla ricerca d’aria e soprattutto alla ricerca di parole da pronunciare.
Il male al petto era scomparso, fortunatamente.

 
“Sto bene, non dovete preoccuparvi, è soltanto un po’ di tosse…” mormorai con la bocca leggermente impastata.
“Devo chiamare un medico per farti visitare, subito!” disse alzandosi.
“No. –la bloccai per un polso alzandomi. Mi bloccai leggermente sentendo la testa girare– Mi sento bene, non dovete chiamare un medico.”
“Devo forse ricordarti i tuoi precedenti problemi di salute?” mi domandò.

 
Abbassai lo sguardo colpita fino in fondo.

 
“No, ma vi prego, non fatelo. Non voglio far preoccupare ulteriormente Damon.” la pregai con la voce leggermente tremante.

 
Damon aveva così tanti pensieri ora.
Suo padre che non si trovava, la situazione politica in Francia e quant’altro. Non potevo aggravare di più la situazione.

 
“Sei mia figlia, decido io cos’è bene per te…” mormorò dura, ma non per ferirmi. Era preoccupata.
“Non fatemi ricorrere alla legge. Non chiamerete nessun dottore, vi prego.” la pregai ancora. “Mi sento bene, davvero.”
“Se accadrà ancora, non esiterò a chiamarlo e non mi importa della tua posizione ora! Lo faccio per il tuo bene.” rispose soltanto uscendo dalla stanza.
 
 
 


 
Damon.

“Damon, in quanto re di Francia, dovreste partire immediatamente.” mi fece notare Grayson.
 

Ero all’interno della sala delle udienze con lui, Stefan ed altre persone importanti che avevo visto una volta, se era già tanto.
Stavamo discutendo della situazione in Olanda e in Francia, in quanto alleati.
Secondo Grayson, che aveva pienamente ragione, se la Francia aveva accordato l’alleanza alla Prussia, non sarebbe passato molto tempo prima di un attacco in Italia e anche in Olanda, visto che quest’ultima aveva sempre dichiarato guerra alla Prussia.
 
Ma io non volevo abbandonare Elena ora e non avrei potuto portarla con me in Francia.
La situazione era troppo pericolosa e c’era sempre Erik in agguato.
Non potevo portarla con me.
Stefan mi posò una mano sulla spalla.

 
“Damon, dovete andare. –si era rivolto a me con il voi in quanto non eravamo soli– Verrò anche io con voi.”
“Non posso lasciarla da sola…” mormorai più a me che ai presenti.
“Mia figlia si trasferirà qui a palazzo, così come ogni persona presente alla villa. Terremo noi tutto sotto controllo!” mi rispose  Grayson.

 
Non era quello il problema! Le avevo promesso che sarebbe venuta con me in Francia.
Ora, però, c’era in gioco la sua sicurezza.
Annuii seppur controvoglia, mentre la folla della sala del consiglio si sciolse lentamente.

 
“Quando dovrò partire?” domandai.
“Partirete tra cinque giorni, nessuno deve sapere del vostro arrivo in Francia. Se le nostre supposizioni sono giuste vostro padre si trova lì. –Grayson guardò me e Stefan– Qualcuno deve averlo preso, non sarebbe mai sparito così.”

 
Strinsi le mani a pugno e serrai la mascella. Cinque giorni erano troppo pochi, ma dovevo difendere la mia patria.
Non potevo abbandonare la Francia in quelle condizioni. Si sarebbero creati dei problemi anche per le nazioni vicine, così come per l’Olanda.
Avrei dovuto lasciare Elena in Olanda, ma solo per il suo bene.
 
Uscii dalla stanza a testa bassa ed andai alla ricerca di mia moglie per dargli la notizia abbastanza sconvolgente.
La cercai per l’intero palazzo, chiedendo informazioni in giro, ma non la trovai da nessuna parte.
L’ultima spiaggia era Bonnie, nelle cucine.
Non appena entrai tutti gli sguardi si posarono su di me ed erano parecchio allibiti.

 
“Dov’è la signorina Bennett?” domandai.

 
Bonnie sbucò dal nulla e mi rivolse un sorriso timido.

 
“Bonnie, sapete dirmi dov’è mia moglie?” domandai.
“Visto la bella giornata è andata a passeggiare nei giardini con la signora Gilbert e la signorina Forbes!” mi rispose pacata.
“Grazie.” risposi.

 
Uscii dalle cucine diretto nei giardini, ma venni bloccato da Marcel.

 
“Sire –abbassò il capo– è arrivata questa missiva per voi.”

 
Mi porse la lettera tenendo sempre lo sguardo basso. La busta era bianca con un sigillo di cera rossa.
Giustamente non era stata aperta.

 
“Grazie, Marcel!” risposi.
“Con il vostro permesso io ritornerei ai miei lavori!”  mi rispose.
“Andate!” lo liquidai.

 
Girai la busta e c’era solo il mio nome dietro.
Di solito ricevevo lettere ed erano veri e propri affari di Stato e accanto al mio nome c’era anche quello di Elena, in quanto mia moglie.
Aprii la busta velocemente, senza mezze misure e tirai fuori la lettera.
Aprii la carta bianca e riconobbi subito quella scrittura.
Avrei voluto gettarla immediatamente sul fuoco, ma ero troppo curioso.
 
Perché mi stava cercando ancora?
Iniziai a leggere la lettera, anche se era più un telegramma.

 


 
Caro Damon, o forse dovrei chiamarti sire?
Non appena riceverai questa lettera mettiti in cammino e raggiungimi al vecchio negozio del signor Tolomeo. Una volta raggiunto gira dietro l’angolo e guarda di non farti seguire da nessuno. Ho una cosa da dirti che cambierà la tua vita.
 
 
Tua Katherine.



_____________________________________________________________________________________________________________________________________________--

Problemi, problemi e ancora problemi.
Ebbene si... Stiamo entrando nel vivo della storia, nella parte dell'azione.
La Francia è stata completamente sottomessa da qualcuno e, a quanto pare, Giuseppe è stato rapito.
Ora, chi può aver fatto tutto questo? Ho sentito alcune ipotesi interessanti, staremo a vedere.
I problemi, però, sono anche altri. Damon deve partire per la Francia, ma, ovviamente, non porterà Elena con se, e, come vedremo, non è molto intenzionato ad allarmarla con ulteriori problemi e questo sarà il punto di alcune discussioni.
Elena, inoltre, non sembra poi stare così bene, ma a che cos'è legato questo malessere?
Un altro fondamentale problema è la lettera di Katherine... Che cosa vorrà mai dire quella donna al nostro bel re?

Ok, questa non è stata una rivistazione del capitolo, ma bensì porgere tante -troppe ahhaahahhaha- domande :')
Non potevo fare diversamente, dopotutto ^^'
Ringrazio le splendide ragazza che mi hanno lasciato un commento a cui, finalmente, sono riuscita a rispondere. Mille grazie, davvero <3
Con molta calma cercherò rispondere anche alle altre, ma ho tipo 34567 recensioni a cui rispondere. Le ho lette tutte ed ho apprezzato ogni singola parola, anche se non ho risposto, quindi, grazie :)

Per quanto riguarda The Vampire Diaries... He's back! Oddio... *-*
Non voglio fare spoiler o altro, ma è... è... è ritornatooooooooo *-*
Ora, se entro mezza puntata, Elena non ricorderà tutto per merito di Rick andrò personalmente io a Mystic Falls (?) e sequestrerò ogni singola scorta di bourbon al professore e lo minaccerò con un paletto di quercia bianca (rupato a Santa Klaus *-*) per far ricordare tutto ad Elena anche se... Vedendo il prologo mi vedo costretta sul serio ad andare in America a minacciare la Plec, almeno...
Detto questo vado, alla prossima <3

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Capitolo 28
*** La fine. ***


                                                              La fine.
                                                                   28.





Damon.
Cosa voleva ancora Katherine da me? Perché non riuscivo a togliermela dai piedi? Avevo commesso uno sbaglio di una sola notte… E allora perché il suo fantasma mi stava perseguitando? Perché non mi lasciava in pace con mia moglie?
Avevo troppi perché nella testa e questo mi faceva scoppiare. Accartocciai la lettera e mi diressi velocemente nella nostra stanza, mia e di Elena.
 
Il camino era acceso, quindi gettai la lettera nel fuoco. Rimasi a guardare la carta che si stava dissolvendo a causa del fuoco e strinsi le mani a pugno.
Cosa dovevo fare? Andare da lei e vedere cosa voleva da me o ignorare tutto?
Scartai l’ultima ipotesi. Katherine odiava essere ignorata, poteva fare qualsiasi cosa. Poteva arrivare ad Elena e dirle cos’era successo. Mi portai una mano tra i capelli ed iniziai a camminare avanti e indietro per la stanza.
 Sentii qualcuno bussare, ma non proferii parola. La porta si aprì lo stesso e la testa di mio fratello fece capolino all’interno della mia stanza.
 

“Damon, non ti ho più visto. –si grattò i capelli– Non sei andato da Elena?”

 
Scossi la testa, poi fissai mio fratello intensamente negli occhi.

 
“Stefan, sellami il cavallo e portami una mantella.” gli dissi solo.
“Damon, sta per arrivare una bufera fuori. Il tempo è cambiato radicalmente in pochi minuti…” si fermò un attimo. “Non dovresti andartene.”
“Stefan, per favore, non fare domande o dire nient’altro. Sellami Thunder e preparami una mantella!” lo liquidai freddo.

 
Mio fratello annuì, poi uscì dalla porta. Mi dispiacqui subito del modo in cui lo avevo trattato e feci per richiamarlo, ma alla fine decisi di lasciarlo andare.
Ripresi a camminare avanti indietro per la stanza preoccupato.
Perché voleva vedermi ancora? Voleva reclamare qualche diritto su di me?
Ma perché dopo così tanti mesi? Era passato quasi un anno dall’ultima volta che eravamo stati insieme, letteralmente.
 
Uscii dalla porta della camera e mi diressi verso le scuderie impaziente. Mi guardai attorno e, sicuro di non essere visto, proseguii all’indirizzo delle stalle.
Speravo solo di non incontrare Elena, non avrei potuto mentirle così spudoratamente. Dopo aver incontrato Katherine le avrei detto tutto, non potevo mentirle ancora.
Le avrei detto tutta la verità: ero ubriaco e non me ne sono reso conto.
Si arrabbierà, non vorrà più vedermi, ma riuscirò a convincerla.
 
Arrivai alla stalla giusto in tempo. Stefan aveva appena finito ed era stato discretamente veloce. Mi passò la mantella che mi infilai con cura, coprendomi fino alla testa. Salii a cavallo e feci per uscire, ma la voce di mio fratello mi bloccò.

 
“Dove vai?” mi domandò.
“Non sono affari tuoi…” mormorai di rimando.
“Si che lo sono. –sospirò– In che guaio ti sei cacciato?”
“Devo andare in città, non posso e non voglio dirti il perché.” risposi freddo.
“Cosa dirò ad Elena?” mi domandò.
“Dille che sono andato in città e trovale una scusa.” risposi.
“Non mi crederà. Tu sei il re, non puoi uscire così. –mi rispose con tono altrettanto freddo– Mi auguro che tu non ti sia cacciato in guai più grossi di te.”

 
Sollevai leggermente le spalle e mi avviai verso il cancello.
Stava iniziando a piovere, ma fortunatamente non molto. Accanto al cancello c’erano delle guardie.

 
“Aprite i cancelli!” ordinai.
“Sire, voi non potete uscire con questo tempo…” intervenne una guardia.
“Aprite i cancelli, è un ordine. –risposi freddo– Non dite a nessuno della mia partenza.”

 
Le guardie annuirono serie, poi mi precipitai a galoppo nel bosco. La pioggia iniziò a farsi più fitta e feci correre il cavallo più veloce per arrivare prima in città.
Attraversai il bosco senza problemi, arrivando in città in poco tempo –in carrozza ci avrei messo sicuramente molto di più.
Mi diressi dove mi aveva detto Katherine, legando il cavallo ad un palo di legno.
Scesi, coprendomi bene con la mantella, ed entrai nel locale.
 
C’erano tantissime persone, ma fortunatamente erano del ceto medio-basso.
Mi coprii maggiormente, in modo da non farmi riconoscere, e mi sedetti su uno sgabello ordinando da bere.
Del bourbon, dovevo calmare assolutamente i nervi e la mia mente. Il signore al tavolo mi servì il bourbon e lo buttai giù tutto ad un fiato.
 
Sentii qualcuno toccarmi una spalla e notai un uomo abbastanza vecchio.
Lo scrutai attentamente in cerca di qualche risposta. Si avvicinò al mio orecchio.
 

“La signorina Pierce la sta aspettando…” mi disse solo per poi scomparire tra le persone all’interno del locale.

 
Mi alzai, lasciando alcune monete nel banco ed uscii dalla porta. Fuori piovigginava ancora, ma sempre meno di prima.
Feci quello che mi aveva detto Katherine e voltai l’angolo, assicurandomi che nessuno mi stesse seguendo.
La riconobbi dalla chioma castana, poiché era voltata di spalle.

 
“Sei arrivato…” mormorò solo, voltandosi verso di me.

 
Notai che teneva in mano qualcosa, una coperta avvolta, ma non ci badai più di tanto. Era un rosa chiaro.

 
“Cosa vuoi ancora da me, Katherine?” le domandai guardandola adirato negli occhi.

 
Katherine si avvicinò a me e vidi la coperta muoversi leggermente.
Com’era possibile?

 
“Io non voglio niente da te, Damon, non ora. –mi rispose e mi sembrò sincera. La guardai negli occhi e sembrava veramente dispiaciuta– Ma voglio solo che tu ti prenda le tue responsabilità, indipendentemente da chi o cosa sei ora.”

 
Aggrottai le sopracciglia non capendo dove volesse arrivare. Indicò con lo sguardo la coperta che teneva tra le braccia che aveva iniziato a muoversi.
Scostò leggermente la coperta e quando vidi cosa si celava dietro. Mi sentii svenire.
Che cosa diavolo significava questo?
Cosa voleva dire con ‘voglio solo che tu ti prenda le tue responsabilità’? Che responsabilità dovevo prendermi?
 
Incrociai lo sguardo del bambino che avevo di fronte a me. Era una bambina, per giunta. Aveva i capelli neri, quasi corvini, e due occhi chiari, un misto tra il verde e l’azzurro.
Cosa centrava questa bambina con me?

 
“Non l’hai ancora capito, vero?” mi domandò osservandomi, poi scosse leggermente la testa. “E’ tua figlia, Damon, nostra figlia, Charlotte.”

 
Sgranai gli occhi e spalancai la bocca.
Non riuscivo più a stare in piedi. Mi aggrappai ad un albero lì accanto per non ritrovarmi per terra a quella rivelazione.
Quella che teneva Katherine tra le braccia era mia figlia?
Quell’essere minuscolo che si stava agitando e muoveva convulsamente le mani era mia figlia?
No, non poteva essere.

 
“So che non mi credi, ma è così. E’ successo quella notte, quando tu…” non la lasciai finire.
“Quando ero ubriaco!” ringhiai colpendo con forza l’albero.

 
Katherine sussultò spaventata e non so se l’avevo spaventata veramente o faceva finta. La bambina iniziò a piagnucolare, ma non me ne preoccupai.
Non potevo aver fatto questo. Non potevo averlo fatto ad Elena!
Non potevo aver rovinato tutto così. Eppure qui, davanti a me, avevo mia figlia.
Come potevo trovare il coraggio di accudirla e di dire ad Elena la verità proprio ora?
Come potevo aver tradito così mia moglie quando avevo capito di amarla proprio in quella notte?
 Ero un mostro.
 

“Ha i tuoi stessi capelli. –accarezzò la guancia della bambina che si calmò subito– E la sfumatura dei tuoi occhi e dei miei.”
“Perché c’è una sfumatura di verde?” domandai ancora non essendomi ripresa del tutto.
“Mio padre aveva gli occhi verdi, così come il tuo. Anche io ne ho una piccola sfumatura…” mormorò guardandomi negli occhi.
“Come posso essere stato così stupido?” domandai più a me stesso che a lei. Le puntai un dito contro. “Mi hai incastrato.”
“Eri ubriaco, io non posso aver fatto niente. L’unico sbaglio che ho commesso è quello di averti desiderato e di averti amato!” mi rispose soltanto.

 
La guardai carico d’ira, ma poi il mio sguardo si posò sulla bambina tra le sue braccia. I suoi occhioni si posarono su di me e mosse una manina.

 
“Perché me l’hai detto solo ora?” le domando distaccato. “Avresti dovuto dirmelo prima.”
“Non volevo rovinare il tuo matrimonio!” mi rispose.

 
Invece voleva farlo e l’aveva fatto! Sarebbe rimasta zitta se non voleva! L’aveva fatto appositamente!
Ecco, mi stavo facendo prendere dall’ira.

 
“Non me l’avresti detto se non volevi rovinare il mio matrimonio!” ringhiai furibondo.
“Sarebbe dovuta crescere senza un padre? –mi domandò indicando la bambina con gli occhi– Mentre  i figli tuoi e di tua ‘moglie’ –nel pronunciare moglie assunse una faccia schifata– crescevano nel benessere assoluto?”

 
Aveva ragione. Non sapevo cosa voleva dire essere padre, ma non avrei fatto vivere quella bambina nella miseria, seppur fosse il frutto di un amore sbagliato.
Ero suo padre, non potevo infischiarmene così.

 
“Sei sempre stata solo un’approfittatrice.” risposi guardandola negli occhi. “Ti darò tutto il denaro che vorrai, solo ed esclusivamente per la bambina. Puoi spenderlo come meglio credi, ma solo per il suo bene. E’ mia figlia, non voglio negarle nulla.”

 
Accarezzai una guancia alla bambina che mi fissava quasi incantata. Non poteva capire chi ero, ma ogni volta che parlavo alzava gli occhi su di me.
Forzai Katherine a posarmi la bambina tra le braccia e provai un senso di inadeguatezza. Era mia figlia, sapevo di volerle bene, allora perché non ero felice almeno un po’?
La cullai un po’, mentre mi persi ad osservarla. Le accarezzai la piccola bocca e dovevo ammettere che era bella. Avevo combinato un disastro, ma non potevo odiare mia figlia.

 
“Vuoi non riconoscere ufficialmente tua figlia? –mi domandò con astio– Vuoi che venga considerata da tutti come una figlia illegittima di un uomo qualunque?”
“Sapevi a cosa andavi incontro, Katherine, venendo qui a dirmi la verità. Ora ne paghi le conseguenze. Ti darò denaro, che altro vuoi?” le dissi esasperato.
“Sai quello che voglio, Damon..” mi rispose soltanto.

 
Scossi la testa. Io non sarei mai andato con lei.

 
“Amo mia moglie incondizionatamente, non potrei mai abbandonarla per te!” le risposi duro.

 
Katherine abbassò lo sguardo quasi ferita, ma prima che potesse dire qualcosa la precedetti.

 
“Starò accanto a mia figlia e non le farò mancare nulla, ma non posso abbandonare lei per te.” le risposi.
“Se sei venuto a letto con me vuol dire che non l’amavi!” mi urlò contro.

 
La guardai truce e avrei voluto urlare, ma avrei disturbato e spaventato la bambina.

 
“Ero ubriaco. Io amo Elena, sarà sempre lei!” risposi restituendole la bambina. “Quando ti servirà qualcosa inviami una lettera e quando vorrò vedere la bambina saprò come farmi trovare da te. Mi auguro che nessuno venga a conoscenza di questo, perché le conseguenze saranno gravi!”
“Mi stai minacciando?” mi domandò adirata.
“Ti sto solo avvertendo!” le risposi a tono.

 
Accarezzai per l’ultima volta il visino di mia figlia, imprimendolo bene nella mia mente, poi sparii dietro l’angolo.
Presi Thunder e salii a cavallo, diretto verso il castello.
Potevo nascondere anche questo a mia moglie? Mi ero ripromesso di dirle tutto, ma come potevo dirle che avevo una figlia e che l’avevo appena scoperto?
L’avevo tradita fuori dal matrimonio, ma le stavo facendo la corte in quel periodo. Di quello che pensavano gli altri non mi importava, volevo solo il suo bene.
Cosa potevo fare?
 
 
 
Elena.
La pioggia aveva incominciato a scendere incessante. Non appena aveva iniziato a piovere io, mia madre e Caroline, con la bambina, eravamo rientrate.
Volevamo far prendere un po’ d’aria alla piccola, ma si sarebbe ammalata di questo passo.
Cercai Damon, perché avevo voglia di stare con lui, visto che non lo vedevo da questa mattina, ma non lo trovai. Dov’era andato?
 Incontrai Bonnie per il corridoio e decidi di chiederle informazioni.
 

“Bonnie, dov’è Damon?” le domandai.
“Non lo so. –scosse la testa– L’ultima volta che l’ho visto era con suo fratello.”
“Grazie, Bonnie…” la salutai.

 
Se volevo trovare Damon dovevo cercare Stefan, visto che mio marito sembrava essersi volatilizzato nel nulla.
Feci per andare a cercare Stefan, quando un capogiro mi fece aggrappare al corrimano per non cadere per terra. Mi toccai leggermente le tempie ed iniziai a vedere sfuocato.
Chiusi gli occhi ed iniziai a respirare a fondo e la vertigine sembrò scomparire.
Forse dovevo dare retta a mia madre e farmi visitare da un dottore, visto il mio passato, ma non volevo far preoccupare nessuno.
 
C’erano altri problemi ora ed io non ero uno di quelle.
Mi staccai dal corrimano e, seppur barcollante, andai alla ricerca di Stefan.
Lo trovai intento a sistemare delle carte nello studio di Damon –a cui solo io e Stefan avevamo libero accesso.

 
“Salve Stefan, vi disturbo?” domandai.
“Non preoccupatevi. –mi sorrise– Ditemi pure.”
“Sapete dov’è vostro fratello?” domandai.

 
Stefan sgranò leggermente gli occhi e si guardò attorno quasi imbarazzato.
Abbassò gli occhi per non incontrare il mio sguardo.

 
“Mi state nascondendo qualcosa?” gli domandai.

 
Mi avvicinai a lui.
Alzò gli occhi e mi guardò.

 
“No, io… Vi sentite bene?” mi domandò. “Siete così pallida.”
“Stefan, mi sento bene. –sorrisi incoraggiante– Non cambiate discorso.”

 
Si dondolò sui piedi imbarazzato.

 
“E’ andato in città.” mi rispose.
“Perché?” domandai.

 
Stefan ci pensò un attimo, poi alzò le spalle.

 
“Non me l’ha voluto dire, penso che dobbiate farvelo dire da lui…” mormorò Stefan.
“Avete ragione. –sorrisi– Scusatemi se vi ho arrecato disturbo.”
“Non preoccupatevi, voi non disturbate..” mi rispose sorridendo.

 
Lo salutai con lo sguardo ed uscii dallo studio di Damon.
Perché Damon era andato in città senza dirmi niente?
Cosa mi stava nascondendo? Scossi la testa scacciando via quei pensieri.
Era mio marito, lui mi avrebbe sempre detto tutto.



____________________________________________________________________________________________________________

Buon TVD day :')
Avete visto la puntata? Io ho appena finito di guardarla e beh... Vorrei strozzare Elena con le mie mani... Una cosa buona l'ha fatta, vero, ma nella scena finale è stata un completo disastro, completamente.
Mi dispiace non esprimermi di più, ma... Magari alcune di voi devono ancora vedere la puntata e come odio io gli spoiler li odiate voi ahahahahaha
Finalmente, però, ho aggiornato la storia. Vi sono mancata?
Sicuramente no .___.

Dopo questo capitolo, quasi sicuramente, troverò qualcuna sotto casa mia con forconi, paletti ed altri strumenti per torture varie. Non uccidetemi, vi prego <3
Diciamo che questo è uno dei miei capitoli quasi preferiti, cioè... Uno che non è scritto da schifo, per intenderci.
Finalmente abbiamo capito cosa vuole Katherine da Damon e non è una cosa da nulla... I due hanno una figlia e di questo, ovviamente, Elena non ne sa nulla e mi sa che non lo verrà a sapere...
Però lei, ovviamente, si sta ponendo dei dubbi riguardo al comportamento del marito e vedremo come andrà a finire...

Vi ringrazio per le splendide recensioni a cui risponderò entro domani visto che mi avanza un po' di tempo perchè non potrei mai lasciarle lì senza risposta, davvero <3 Vi ringrazio tanto per le belle parole, per il tempo che spendete e per tutto il resto.

Alla prossima :)

 

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Capitolo 29
*** Verità o bugia? ***


                                                                           Verità o bugia?
                                                                                      29.



Elena.

Ero seduta nel letto in camera mia mentre Bonnie mi stava sistemando i capelli.
Guardavo lo specchio assorta, mentre non mi capacitavo della sparizione di Damon. Magari era una cosa da nulla, magari aveva trovato delle informazioni su suo padre che era sparito.
 

“Tra poco sarà qui…” mi disse Bonnie cercando di rassicurarmi.
“C’è stato un forte temporale, è per questo che sono preoccupata!”  le risposi torturandomi le mani.
“Si sarà sicuramente riparato da qualche parte.” mi rispose appoggiando la spazzola sul comodino.
“Si, deve essere così.” annuii.

 
Sentii bussare alla porta e permisi a chi aveva bussato di entrare.
Il viso di Damon fece capolino all’interno della stanza ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle. Mi sorrise incerto, poi mi venne accanto. Notai subito che c’era qualcosa che non andava. Con uno sguardo eloquente feci uscire Bonnie della stanza, poi mi alzai dal letto portandomi di fronte a lui.

 
“Stefan mi ha detto che sei stato in città.” gli dissi.
“Si, avevo una faccenda da sbrigare.” mi disse accarezzandomi una guancia.

 
Mi scostai leggermente da lui guardandolo negli occhi. Capivo se stava mentendo o meno solo da uno sguardo.

 
“E’ successo qualcosa di grave?” gli domandai.
“No, nulla.” mi rispose cercando di nuovo un contatto.
“Poteva essere pericoloso!”- sbottai. –“Non potevi mandare qualcun altro?”

 
Mio maritò sospirò, poi si sedette sul letto. Mi sedetti accanto a lui e gli posai un bacio sulle labbra, visto che non ero capace di arrabbiarmi con lui.

 
“Mi sono preoccupata per te.” continuai.
“Sono qui.”- mi accarezzò delicatamente una guancia. –“Mi dispiace.”
“Per cosa?” gli domandai.
“Per tutto, per quello che sono e per quello che ho fatto.” mi rispose.

 
Aggrottai le sopracciglia non capendo.

 
“Damon, che cosa intendi?” gli domandai.
“Sono una persona orribile, in tutto.” mi rispose continuando ancora il suo monologo.
“Non è vero!”- gli risposi. –“Non devi pensare questo di te.”
“Invece sono una persona orribile!” terminò.
“Che cosa hai fatto, Damon?” gli domandai.
“Io…” poi non seppe più continuare.

 
C’era qualcosa che lo turbava, lo vedevo, ma non volevo sforzarlo.
Mi fidavo di lui, più di chiunque altra persona, quindi se c’era qualcosa me l’avrebbe sicuramente detto.

 
“Damon…”- gli accarezzai una guancia. –“Mi fido di te perché ti amo, quindi se non vuoi dirmi cosa ti turba lo capisco.”

 
Abbassò lo sguardo quasi dispiaciuto, poi mi guardò ancora.
C’era qualcosa che non andava, ma non capivo cosa. Ormai lo conoscevo troppo bene.
La testa iniziò a pulsarmi in modo atroce, mentre il respiro mi si mozzò sul colpo, non permettendomi di respirare. Cercai di mascherare il tutto, ma il dolore era troppo forte. Mi accasciai su Damon inerme, mentre iniziai a tossire.
 
Tossii forte, non riuscendo a fermarmi. Damon mi osservava carico di paura, poi mi strinse a se, posandomi le mani sui fianchi ed iniziò ad accarezzarmi la schiena, ma la mia tosse non si calmava. Ero scossa da fremiti incontrollabili e la testa continuava a pulsarmi. Mi fece alzare, in modo da far girare più aria nei  polmoni e mi sostenne permettendomi così di non cadere.

 
“Piccola, respira. Elena, va tutto bene…”- mormorò al mio indirizzo continuando ad accarezzarmi la schiena. –“Elena, cerca di respirare, ti prego… Amore, ti prego…”

 
La sua voce mi giungeva come una lontana supplica, ma io avevo male ai polmoni comunque. Finalmente l’attacco passò, ma non riuscivo a stare in piedi. Mi accasciai di nuovo su Damon, appoggiando la testa sull’incavo del suo collo.

 
“Brava, respira a fondo. Ci sono io con te, tranquilla…” mormorò sulle mie orecchie.

 
Iniziai a respirare a pieni polmoni, anche se continuava ad arrecarmi fastidio, ma avevo bisogno di aria. A poco a poco iniziai a sentirmi meglio e la testa non girava più.

 
“Va tutto bene…” disse accarezzandomi la schiena.

 
Chiusi per qualche istante gli occhi beandomi delle sue carezze che in qualche modo mi facevano sentire protetta. Mi accarezzò il dorso della  mano, per poi posarmi un bacio sulla fronte.

 
“Ti senti meglio?” mi domandò con la voce ancora piena di paura.

 
Annuii soltanto, troppo stanca per rispondere.

 
“E’ meglio che tu ti sdraia per un po’…” mormorò più a se stesso che a me.

 
Mi aiutò a stendermi nel letto e mi coprì con le coperte.

 
“Vado a chiamare il medico di corte.” disse accarezzandomi una guancia.
“No, Damon.”- lo bloccai stringendo debolmente il suo polso. –“Non ho bisogno di un dottore, davvero.”

 
Scosse la testa, poi mi guardò in modo serio.

 
“Anche la più piccola sciocchezza per te potrebbe risultare grave.”- si bloccò un attimo e mi osservò per qualche attimo. –“Hai avuto altri attacchi?”

 
Stavo bene ora, non avevo bisogno di nessuno. Volevo solo riposare, non avevo bisogno di un medico.
Dovevo mentire, assolutamente.

 
“No, io non… Sto bene Damon, davvero.”- lo pregai con gli occhi. –“Ti prego…”
“Ne parlerò con tua madre, su questo non si discute.” mi rispose perentorio.

 
Sbuffai infastidita e lo guardai in modo truce. Mi voltai dall’altra parte non riuscendo a sostenere il suo sguardo di accusa.

 
“Non mi interessa se tu non vuoi che io ne parli con tua madre. Ogni cosa che riguarda la tua salute sarà sempre più importante.” terminò scostando delicatamente la mia mano dal suo polso.

 
Non gli risposi. Appoggiai la testa sul cuscino non avendo la forza di ribattere.
 











 
 
                                                                                                      * * *
 










 
 
Non so dopo quanto tempo mi svegliai, ma mi sentivo comunque tanto stanca. Aprii gli occhi scontrandomi con la luce fioca delle candele all’interno della mia stanza. Fuori era buio e molto probabilmente erano già le sei passate. Guardai l’ora dall’orologio da taschino di Damon ed effettivamente avevo ragione.
 

“Ti sei svegliata…” mormorò una voce accanto a me. Quella di Damon.
“Mmm…” mugugnai in segno di assenso.
“Come ti senti?” mi domandò poi.
“Sto bene.”- mi stiracchiai leggermente. –“Davvero.”
“Tra poco arriverà il medico Harvey per visitarti. –mi sorrise incerto– La dottoressa Fell è fuori città.”
 

Non risposi e continuai a guardare davanti a me. Solo allora notai di non indossare più il vestito, ma la mia camicia da notte bianca ricamata.
Era un regalo di mia madre.
Damon si sedette accanto a me e mi prese le mani tra le sue, poi mi costrinse a guardarlo.
 

“Lo sto facendo per il tuo bene.” mi disse.
“Hai avuto l’appoggio da mia madre!” constatai.
“E’ preoccupata per te.”- mi accarezzò una guancia con due dita, poi mi guardò serio. –“Ha detto che non è la prima volta che avevi un attacco simile.”
 

Roteai gli occhi scuotendo leggermente la testa.
 

“Non è nulla di grave.”- sospirai. –“Conosco il mio corpo, sto bene.”
“Reputalo solo un controllo, va bene?” mi domandò.
 

Annuii controvoglia, mentre Damon sorrise appoggiandomi un bacio sulle labbra.
 

 
 
 
Damon.
Elena mi guardava titubante e potevo capire bene il suo stato d’animo. Odiava i medici, forse perché ne aveva visti fin troppi, ma era solo per il suo bene. Dovevo proteggerla da qualsiasi cosa, non avrei mai potuto permettere che le potesse accadere qualcosa di male.
Avevo fatto così tanti sbagli nella mia vita e le avevo fatto troppo male. Avevo fatto sbagli contro la donna che amavo di più al mondo, lei, Elena.
Qualcuno bussò alla porta e subito dopo entrò Bonnie.

 
“E’ arrivato il dottor Harvey per visitarvi. Posso farlo entrare?” domandò più a me che ad Elena.
“Si Bonnie, fatelo entrare.” risposi.

 
Bonnie si congedò ed entrò nella stanza il dottore. Era un uomo sulla sessantina, con i capelli grigi e di corporatura abbastanza robusta. Il dottore si inchinò leggermente, come da riverenza, poi prese posto accanto al letto.

 
“Come vi sentite mia regina?” domandò ad Elena.

 
Elena si posizionò meglio nel letto ed i capelli le ricaddero morbidi sulle spalle.

 
“Sto bene, grazie.”- sorrise incerta. –“Tutti si preoccupano per nulla.”
“So che voi siete sempre stata visitata dalla dottoressa Fell e che vi fidate di lei, ma comunque svolgerò il mio lavoro in modo ottimo.” continuò.
“Deve farlo!” lo minacciai quasi.
 










 
 
                                                                                                      * * *











 
 
Il dottore aveva appena finito di visitare Elena ed aveva riscontrato soltanto un semplice colpo d’aria. Si era raccomandato di tenerla al caldo e di farle mangiare altrettanti pasti caldi e, ovviamente, assoluto riposo. Elena mi sorrideva trionfante, come per confermare la sua tesi, e le sorrisi anche io, più sollevato di prima.
Non aveva niente di grave, per fortuna.
Subito dopo l’uscita del dottore Bonnie portò della minestra calda per me e la mia donna, uscendo subito dopo.

 
“Vuoi una mano?” le domandai.
“Damon, sto bene. –rise leggermente allegra. Risi anche io con lei, felice di vederla ridere– Non ho niente e mi sento bene. Non sono malata.”
“Lo vedo. –le baciai la punta del naso– Lo vedo.”

 
Mangiammo parlando del più e del meno. Aggiornai Elena sulle ultime novità dell’Olanda e anche della Francia.
Con quest’ultimo argomento avrei dovuto dirle della mia imminente partenza. Sarei partito tra una settimana, dovevo, per forza.
Mio padre molto probabilmente era lì, ma non avevo sue notizie in quanto il suo uomo più fidato era stato ucciso dai ribelli. Non sapevo chi aveva preso il controllo della Francia, ma la situazione era preoccupante.

 
“Devo dirti una cosa.”- iniziai titubante. Mia moglie si fece più attenta, smettendo di mangiare la sua minestra. –“La situazione in Francia, come sai, non è delle migliori… Mio padre molto probabilmente è lì, ma non ho sue notizie. Io devo… Ritornare a casa per un po’.”

 
Mia moglie mi osservò per qualche istante, senza dire nulla. Mi osservò a lungo, senza dire una parola. La stanza era diventata improvvisamente silenziosa e ogni tanto il silenzio veniva interrotto dai nostri respiri.

 
“Devi… Partire per la Francia?” mi domandò con voce tremante.

 
Sospirai affranto. “Devo.”
Annuì riportando lo sguardo sul suo piatto. Non disse nulla. Iniziò a ruotare a caso il cucchiaio nel piatto respirando a fondo.

 
“Elena, io-” mi bloccò.
“Lo so. So i tuoi motivi e li comprendo, Damon!”- sospirò. –“Ma è pericoloso.”

 
Le accarezzai una guancia teneramente.

 
“La situazione in Francia non è così grave.”- mentii. –“Ritornerò prima del previsto.”
“Permettimi di venire con te.” mi pregò.

 
Scossi energicamente la testa.
Non l’avrei portata con me per nulla al mondo. Era troppo pericoloso e poi non volevo rischiare di farla ammalare ancora di più.
Non potevo portare Elena in quella missione suicida, perché lo era. Se qualcuno aveva preso il controllo della Francia non si sarebbe fatto scrupoli ad uccidere persone innocenti e… Me.
Speravo con tutto il cuore di trovare mio padre vivo al mio arrivo, mi bastava solo quello.

 
“Non posso.” Risposi.
“Perché?”- mi domandò. –“Hai detto che non è pericoloso.”
“Lo sarebbe per te. Sei ancora troppo debole!” le risposi cercando in tutti i modi di farle cambiare idea.
“Posso riprendermi prima della tua partenza. Non voglio lasciarti da solo in una situazione così importante per te. Permettimi di starti accanto come solo una moglie può fare!” mi implorò aggrappandosi alla mia camicia.
“No, non puoi venire…” –le spiegai, ancora. –“Cerca di capire, è per il tuo bene.”

 
Le accarezzai una guancia, ma lei si scostò malamente.

 
“Ho capito.” Disse mentre mi dava le spalle. “Non posso.”

 
Le ultime parole uscirono tremanti. Le accarezzai una spalla e feci per farla voltare per incontrare ancora una volta i suoi occhi, ma si scostò da me e si mise sotto le coperte dandomi la schiena.

 
“Elena, io-” iniziai, ma mia moglie bloccò la mia protesta sul nascere.
“Ho sonno. Buonanotte.” Mi rispose freddamente per poi sporgersi leggermente e soffiare sulla candela che fino a poco prima illuminava la stanza.

 
Il buio cadde sulla stanza, così come il silenzio tra di noi.




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Buonasera a tutte/i :')
Scusatemi per l'immenso ritardo, ma come ben sapete la scuola porta via tanto -troppo- tempo e non ho matematicamente neanche uno spazio libero da ritagliarmi per postare.
Durante le vacanze di Natale cercherò di postare più spesso, promesso ^^
Finalmente eccomi qui, con un capitolo che dice tutto e niente.
Damon, come abbiamo visto, non accenna nulla ad Elena della sua recente scoperta, ma lei si è accorta che c'è qualcosa che non va in lui... Infondo è suo marito, la persona che ama di più al mondo.
Altro punto fulcro avviene all'incirca a metà... Finalmente Elena, dopo aver fatto spaventare a morte tutti -Damon più di tutti, si è fatta visitare e sembra che non ci sia nulla di grave e i nostri protagonisti qui hanno risolto un problema, ma se ne presenta subito un altro: la partenza di Damon.
Elena non ha accettato affatto bene la notizia e vedremo nei prossimi capitoli cosa accadrà, preparatevi al peggio :')

Colgo l'occasione per ringraziare le splendide ragazze che mi sostengono su ogni capitolo, siete sempre le stesse fantastiche ragazze, vi adoro <3 <3 <3
Ultima cosa, ma non meno importante...
Happy Birthday Ian!
Auguri al più sexy vampiro del mondo, ma soprattutto auguri alla splendida persona che è.
Magari al mondo ci fossero più persone come lui **
No, non parlo della bellezza, parlo per quello che realmente fa. Aiuta gli animali, si impegna a salvaguardare il nostro pianeta che sta andando a rotoli, aiuta i bambini e tutti coloro che hanno bisogno. Una grande persona si vede da questo, dall'amore che da agli altri <3


Alla prossima :)

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Capitolo 30
*** La figlia di Damon. ***


                                                        La figlia di Damon.
                                                                          30.




Elena.

(Tre giorni dopo)
 
Evitavo mio marito da tre giorni, ovvero dal nostro ultimo dibattito. Damon tentava in tutti i modi di parlarmi, ma io tentavo di schivarlo con qualsiasi scusa o facendo scena muta a qualsiasi sua domanda. Il mio comportamento poteva essere infantile, ma io ci tenevo davvero ad andare in Francia con lui.
Se non c’era niente di pericoloso, perché non potevo andare?
Damon, semplicemente, non mi aveva detto tutta la verità.
Lo sentivo e lo percepivo da qualsiasi cosa. Lui, però, non faceva niente per farmi cambiare idea sul suo comportamento.
 
Tutti a palazzo si erano accorti del nostro strano comportamento, ma nessuno faceva domande sul perché del nostro silenzio –più che nostro, era mio il silenzio.
Avevo evitato, letteralmente, Damon per tre giorni e alla sera, quando era ora di andare a letto, entravo sempre prima io nella stanza e facevo finta di dormire non appena entrava Damon. Ieri, a dir la verità, è stato più furbo di me.
 
 
 
 
 


 
Ho passato quasi tutto il giorno con Caroline e la piccola Margaret.
Finalmente i signori Forbes hanno accettato di buon grado Niklaus ed hanno permesso alla mia amica e alla mia quasi nipotina di andare a vivere con lui.
Le voci in città corrono, anche molto veloci, ma finalmente i genitori di Caroline hanno capito che non è importante la voce del popolo, ma quello che prova la figlia.
Anche oggi ho evitato per tutto il giorno mio marito.
 
Questa mattina ha tentato di parlarmi non appena mi sono svegliata, ma l’ho ignorato e l’ho fatto spedire fuori da Bonnie che mi aiutata a vestirmi.
Durante la colazione non gli ho parlato e mia madre mi ha lanciato sguardi di rimprovero per il mio comportamento, a detta sua, deplorevole, mentre mio padre ha tentato di capire il motivo della nostra discussione.
I preparativi per la partenza sono già iniziati e Damon non ha cambiato idea.
 
Entro all’interno della stanza e sto quasi per richiudermi la porta alle spalle quando sobbalzo leggermente notando la figura imponente di mio marito stesa sul letto. Ha la camicia sbottonata sul davanti e mi sta scrutando pensieroso, ma anche felice di vedermi.
Sto per ritornare sui miei passi ed uscire quando lui, decisamente più veloce di me, scatta dal letto e mi blocca sulla porta.

 
“Mi stai evitando come la peste.” Soffia sulle mie labbra.

 
Non rispondo e cerco di scansarmi da lui.
Stringe la presa sui miei polsi, non facendomi comunque male.
Mi scruta leggermente irritato per il mio comportamento, poi scuote leggermente la testa.

 
“Ti stai comportando da bambina!” esclama.

 
Da bambina, io?

 
“Io?”- domando indignata. –“Sei tu quello che non mi vuole attorno.”
“Tu non capisci…” –lascia la presa sui miei polsi. –“Andremo in Francia insieme, te l’ho promesso, ma non ora.”
“Perché non ora?” gli domando.
“Perché si!”- tuona. –“Non ti sei ancora ripresa del tutto!”
“Invece si!” sbuffo.

 
In realtà ha ragione, ma non lo ammetterei mai di fronte a lui.
Mi sento come tre giorni fa, se non peggio, e questa mattina ho faticato a respirare per cinque minuti buoni, ma fortunatamente ero da sola in stanza e non c’era Damon con me, altrimenti sarebbe andato su tutte le furie.

 
“Sei ancora terribilmente pallida, non lo vuoi capire?”- urla quasi mentre socchiude gli occhi. –“La tua salute viene prima di tutto, anche prima dei tuoi capricci!”
“Bene, dato che secondo mio marito sono una bambina, allora non vale la pena di discutere!” concludo infine scansandolo dal mio cammino per avvicinarmi al letto.
“Non credere che la discussione sia finita qui!” prosegue ancora adirato.

 
Non lo ascolto e mi avvicino al letto.
Sento un doloroso fastidio al petto e cerco in tutti i modi di non tossire.
Continuo ad ignorare Damon, mentre lo sento avvicinarsi al letto. Mi sfilo l’ingombrante vestito e mi infilo la camicia che Bonnie ha lasciato questa mattina nella sedia accanto al letto.
Mi volto per dirigermi verso il letto e noto, quasi con piacere, che Damon mi sta scrutando famelico.
Ignoro il suo sguardo e mi metto a letto.
 
Chiudo gli occhi e cerco di ignorare il senso di nausea che mi attanaglia la gola. Sento il peso del letto abbassarsi e Damon sdraiarsi accanto a me.

 
“Perché non vuoi capire?” sospira.
“Cosa c’è da capire?” domando fissando il vuoto davanti a me.
“Lo faccio per il tuo bene.” Mi risponde.
“Non credo che un piccolo viaggio possa farmi male, Damon.”- dico. –“O forse c’è qualcosa che non vuoi dirmi?”

 
Damon sgrana leggermente gli occhi e mi fissa incredulo.
Distoglie subito il suo sguardo da me e fissa le lenzuola.
Beccato.

 
“No, non c’è niente…” mormora.
“Non ti credo.”- mi sistemo meglio sotto le coperte. E’ inutile stare qui a discutere con lui. –“E’ inutile stare qui a discutere. Quando deciderai di dirmi cosa c’è che ti turba ti ascolterò e solo allora continuerò a parlarti. Buonanotte!”

 
Spengo la candela con un soffio e il silenzio cade gelido su di noi.
 


 
 
 
 
Questa mattina aveva tentato di nuovo di parlarmi, ma dopo poco ci aveva rinunciato. Odiavo stare arrabbiata con lui, ma non potevo semplicemente dargliela vinta così.
Stavo camminando per il giardino con Jeremy e notai con felicità la sua spensieratezza da ragazzino. Beato lui.
Un improvviso capogiro mi fece bloccare sul posto e se non fosse stato per Jeremy sarei crollata a terra.

 
“Elena… Elena guardami!” mi ordinò.

 
Tentai di alzare lo sguardo su mio fratello, ma sentivo gli occhi così pesanti.
Sentii Jeremy avvicinarsi ad una delle panchine in pietra del giardino e mi aiutò a sedermi.
Mi diede un leggero colpetto sulla guancia per farmi rimanere sveglia.
Riuscii in qualche modo a riprendere il controllo del mio corpo grazie anche a profondi respiri. Perché mi sentivo la testa così leggera?

 
“Come ti senti?” mi domandò mio fratello non appena ripresi colore.
“Meglio…” –biascicai. –“Grazie…”

 
Mi sfiorò una porzione di braccio scoperta dal vestito e sussultò.

 
“Il tuo corpo è bollente, è meglio andare dentro.” Disse mentre lo vidi alzarsi.
“Jeremy, sto bene… Ho bisogno solo di un po’ d’aria…” mormorai osservando il cielo limpido sopra la mia testa.
“Non mi sembra.”- scosse la testa. –“Devo avvertire Damon e chiamare un dottore.”

 
Stavo per ribattere, quando due guardie reali si avvicinarono a noi.
Si inchinarono come da riverenza, poi una di loro parlò.

 
“Mia regina, è arrivata una missiva per voi.” Mi disse porgendomi l’oggetto.

 
Presi la lettera tra le mani, poi congedai tutti con lo sguardo. La lettera non aveva nessun sigillo reale o di altra importanza. Era privata.
Mio fratello mi scrutava attento, studiando ogni mia mossa.
Aprii la lettera e subito mi meravigliai difronte alla calligrafia composta ed elegante.
Incominciai a leggerla e man mano che leggevo ogni riga crescevano anche i miei dubbi.
 
 



 
Ho qualcosa che tiene legato vostro marito a me.
Damon non è come lo immaginate, è soltanto un traditore.
Vi aspetto in città, accanto alla Taverna.
Non appena riceverete questa lettera partite subito.

 
 




Aggrottai le sopracciglia. Che cosa voleva dire la lettera?
 

“Va tutto bene, Elena?” mi domandò Jeremy parecchio turbato dalla mia espressione.
“Si certo… -piegai malamente la lettera- E’ meglio rientrare.”
 

Jeremy annuì pensieroso, poi mi seguì senza proferire parola.
Entrammo al castello che era semivuoto, visto che Damon era in città con mio padre e mia madre era con alcune amiche a prendere un te.
Congedai Jeremy con la scusa di andare nella mia stanza e, non appena svoltò l’angolo, mi recai alla ricerca di Charles, uno dei miei più fidati collaboratori.

 
“Mia regina –si inchinò– c’è qualcosa che possa fare per voi?”
“Si, una cosa c’è. Per favore, sellatemi un cavallo, devo andare in città.” Risposi.
“Ma mia regina… Voi non potete… Non vi siete ancora ripresa del tutto e devo avere l’ordine del re, ovvero vostro marito, e di vostro padre.” Tentò di ribattere.
“Mio padre e mio marito non sono presenti all’interno del palazzo, quindi la massima autorità sono io.”- risposi leggermente seccata, risultando più acida del previsto. –“O lo fate voi, o lo faccio io. Avete libera scelta.”
“Vado subito mia signora…” rispose leggermente titubante.
 

Lo congedai con il capo e questi andò dritto verso le stalle.
Rimasi per qualche istante a fissare il muro di fronte a me. Chi è che mi aveva scritto quella lettera?
Che cosa voleva realmente?
Come poteva essere mio marito un traditore? Io mi fidavo ciecamente di lui e non dubitavo di niente, anche se nell’ultimo periodo era molto più schivo.
Mi fidavo di Damon però…
 
Charles rientrò poco dopo porgendomi una mantella.

 
“Fuori fa freddo, questa vi aiuterà a coprirvi.” Mi disse solo.
“Grazie, Charles. –gli sorrisi mettendomi meglio la mantella sulle spalle– Un’ultima cosa… Non dite niente a nessuno. Tornerò prima del calare del sole.”
“State attenta, vi prego…” mormorò seriamente preoccupato.
“Non mi accadrà nulla…” risposi tranquilla.

 
Andai fuori e trovai il mio cavallo legato al palo. Con poca fatica saltai in sella e mi diressi velocemente fuori dal cancello, sperando con tutto il cuore di non essere vista da nessuno.
Cavalcai per delle strada solo a me conosciute, in modo di non incrociare la carrozza di mio padre e Damon, ed arrivai in città sana e salva.
Mi coprii meglio il volto con la mantella e sperai con tutto il cuore di non essere riconosciuta da nessuno –anche se era praticamente impossibile, visto il mio modo di cavalcare e perché, appunto, ero una donna.
 
Legai il mio cavallo ad un palo di fronte alla Taverna e rimasi imbambolata per qualche istante a guardare l’insegna.
Notai una donna con i capelli color mogano e degli occhi verdi scrutarmi quasi curiosa e portai la mia attenzione su di lei. Era forse lei la donna che mi aveva scritto? (Ero sicura che la scrittura fosse di una donna).
Mi osservò per qualche altro istante, poi si avvicinò a me. Ebbi un po’ di paura, non mi fidavo degli estranei, ma scacciai subito questo timore.
Perché avrebbe voluto farmi del male?

 
“Siete venuta.” esordì.
“Siete voi, quindi, ad aver scritto la lettera?” domandai.
“Si sono io.” Sorrise leggermente. “Non speravo in un vostro arrivo.”
“Sono qui solo per chiarire questa… Faccenda. Non ritengo che mio marito sia un traditore…” mormorai bene la parola marito  per mettere le cose in chiaro.

 
Era una bella donna, anzi, ragazza, visto che aveva più o meno la mia età, forse qualche anno in più.
Ero gelosa in qualche modo, perché sicuramente Damon l’aveva conosciuta.

 
“Vi ruberò soltanto qualche minuto…” mi rispose poco affabile. “Ora, se volete seguirmi… Vi devo mostrare una cosa…”

 
Sospirai pesantemente e seguii la ragazza.
Girammo l’angolo della taverna e arrivammo nel retro. Era un luogo isolato e non parecchio pericoloso.
Mi guardai attorno e tremai leggermente. Avevo freddo.
La donna mi guardò per l’ultima volta e si avvicinò ad un uomo che le porse qualcosa, poi ritornò da me con qualcosa tra le braccia.

 
“Voglio solo mostrarvi cosa mi tiene ancora legata a Damon.” mi disse. “E’ successo prima del vostro matrimonio, ma lui stava già con voi.”

 
Che cosa poteva tenere quella donna ancora legata a mio marito?
Mi avvicinai leggermente e la ragazza scostò di poco la coperta. Non appena vidi quello che conteneva sentii la terra mancarmi sotto i piedi.
Era un bambino, anzi, una bambina con due occhioni azzurro-verdi e i capelli scurissimi.
Cosa centrava quella bambina con mio marito?
Perché quella donna diceva che era ancora legata a Damon?
Mi portai le mani alla bocca reprimendo un urlo.
Quella era sua figlia, la loro bambina.

 
“E’… la figlia di Damon…” mormorai tremando mentre gli occhi divennero lucidi.

 
Damon era andato a letto con una donna anche se stava con me.
Quella, senza dubbio, era la bambina di Damon.
Damon aveva una figlia con un’altra donna, una donna che non ero io.
Mi aveva tradita.

 
“Si, mia e di vostro marito.” Rispose soltanto.

 
Damon aveva una bambina con un’altra donna.
Questa era sua figlia.




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*BUM*
Diciamo che sono ritornata con il botto e neanche tanto in ritardo dai ahahahahaha
Dovrei aggiornare più spesso visto che siamo sotto le feste di Natale e spero tanto di riuscirci sul serio, visto che sono piena di compiti e devo andare via anche cinque giorni u___u
Comunque... Smetto di parlare dei miei problemi e passiamo ai vostri.
Quante di voi sono arrabbiate con me per questo capitolo? Se c'è ancora qualcuna, s'intende :')
Prima di commentare l'intero capitolo vorrei chiedervi una cosa... Ma la storia non piace più come una volta? Perchè è precisamente da settembre che le recensioni sono calate di botto e anche le visite, ma fortunatamente alcune di voi sono rimaste e sono le uniche che commentano i capitoli... Se c'è qualcosa che non va dite pure, non mi offendo :')
Se la storia non vi interessa cercherò di modificarla, oppure boh... Ditemi voi :/
Ringrazio, ancora, le quattro ragazze che hanno commentanto lo scorso capitolo e colgo l'occasione di rifare gli auguri di buon compleanno a saretta98SS che per un giorno non è nata allo stesso giorno di quel figone di Ian. Il capitolo è dedicato a lei e a lillim92 che compie gli anni al 22 dicembre :') Non ti faccio gli auguri ora perchè si dice che porti sfortuna, per cui arriveranno al 22 giusti giusti (y)
Ora passiamo al capitolo... Questo è il capitolo, uno dei più importanti dell'intera storia. Elena ha finalmente scoperto che Damon ha una figlia ed è stata proprio Katherine a dirglielo >___< Non fatevi ingannare dai suoi modi 'dolci', è una serpe u.u
Elena è parecchio arrabbiata e molto molto delusa, ma ci sarà la sua reazione e i suoi pensieri nel prossimo capitolo in cui succederà anche dell'altro.
Veniamo ora alla salute di Elena... Nello scorso capitolo sembrava che stesse bene -l'ha confermato perfino un dottore!- ma a quanto pare non sta bene per niente... Secondo voi che cos'ha?
Detto questo me ne vado, ci sentiamo prima di Natale :)

--------------------------------------------------> Se vi va passate alla mia nuona Nian (quei due mi mancano troppo, non ci posso fare niente <3) che si trova sul mio profilo e si intitola: Una vita senza di te significa non vivere per niente.

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Capitolo 31
*** Tempesta. ***


                                                                          Tempesta.
                                                                                  31.






Elena.

“Come… Com’è possibile?” domandai con voce tremante. “Non può essere sua figlia…”
 
 
La donna davanti a me mi guardò dritta negli occhi mentre cullava la bambina che era tra le sue braccia.
 
 
“Come vedete, mia signora, la bambina non può essere altro che figlia sua… -accarezzò la guancia della bambina- Sua soltanto…”
 
 
Feci qualche passo indietro, mentre una sensazione di nausea continuava ad andare e venire, e non solo quello.
Disgusto, forse. Rabbia, anche. Umiliazione, soprattutto.
Credevo che Damon mi amasse, credevo mi amasse davvero. Ho dato tutto a mio marito, ma, a quanto pare, non ho concluso niente.
E’ sempre stato uno spirito libero e credevo… Credevo che in qualche modo ci completassimo a vicenda, che io avevo bisogno di lui e lui di me, ma a quanto pare mi sbagliavo.
Lui non mi aveva mai amato e aveva fatto solamente finta. Mi aveva fatto innamorare di lui e… Ci era riuscito perfettamente bene!
 
Per quanto ero arrabbiata in quel momento una parte del mio cuore riportava a galla l’amore vero che provavo per lui, un amore che mi consumava, un amore pieno di passione e perché no, un amore con qualche rischio e pericolo.
Mi ero annullata per lui, ma a quanto pare non ne era valsa la pena.
Cosa potevo fare ora?
Non potevo fare più niente qui.
Ormai il mondo mi era crollato addosso, non potevo rimanere qui un minuto di più.
Mi strinsi più forte nella mantella e in quel momento avrei voluto sparire dalla faccia della terra o semplicemente ritornare indietro… Però non potevo.
 
 
“Damon… -biascicai tentando di tirare fuori delle parole di senso compito- Damon sarà un buon padre per questa bambina…”
 
 
La mia voce terminò quasi brusca, raggelata.
 
 
“Se Damon vi ama potete prendervelo, io non sono nessuno per impedire la vostra felicità, benché meno quella di vostra figlia. Non priverò mai una bambina di suo padre…” terminai con lo sguardo spento.
 
 
Notai un luccichio di soddisfazione negli occhi della donna, ma non appena tentai di scorgervi altro riuscì a nascondere il tutto.
 
 
“Mi dispiace mia regina, voi meritate di meglio, io…” lasciò la frase in sospeso.
“Non è colpa vostra, è colpa mia… Mia soltanto…” dissi facendo qualche passo all’indietro.
 
 
Con un cenno del capo mi congedai, non riuscendo a proferire qualcosa.
Avevo gli occhi appannati e le lacrime lottavano per uscire, ma non dovevo dare libero sfogo al mio dolore qui, davanti a quella donna.
Iniziò a piovigginare quando salii a cavallo per dirigermi alla reggia. Ormai la mia faccia era bagnata da pioggia e lacrime, non riuscivo a distinguere nessuna delle due.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non so come arrivai alle reggia e, soprattutto, sana e salva.
Le guardie che sorvegliavano la reggia mi vennero incontro e non appena mi riconobbero si inchinarono al mio cospetto.
Scesi da cavallo e lo consegnai a una delle tante guardie, mentre una di esse mi scortò fino all’entrata della reggia riparandomi con un ombrello, anche se ormai ero bagnata fradicia.
 
 
“Mia regina, non potete stare così… Siete bagnata, dovete subito corrervi a cambiarvi. Volete che vi mandi la vostra dama?” mi domandò premuroso.
“Si –la mia voce uscì fredda e atona– fate anche preparare una carrozza e dite a Franklin di metterci dentro alcune valigie con dei miei vestiti. Mandate un messaggero al castello e avvisate i miei genitori del mio imminente ritorno. Non voglio domande.”
 
 
Mi diressi a grande falcate verso la mia stanza, mentre il mio corpo veniva scosso da mille brividi. La testa mi girava, avevo un costante senso di nausea addosso e la mia voglia di piangere non era ancora finita.
Mi stavo comportando solo da ragazzina, non dovevo stare così, non più.
Entrai all’interno della mia stanza e cercai qualcosa per cambiarmi, Bonnie mi avrebbe aiutato in seguito.
Presi un vestito azzurro e pesante e mi sfilai di dosso quello bagnato. Era da buttare. Oltre ad essere bagnato era anche sporco.
Iniziai ad infilarmi il vestito, quando qualcuno bussò alla porta.
 
 
“Chi è?” domandai flebilmente.
“Sono io, Elena…” rispose Bonnie.
“Entra, Bonnie…” risposi voltandomi verso lo specchio.
 
 
Sentii la porta aprirsi e richiudersi alle mie spalle, mentre i passi di Bonnie si facevano sempre più vicini.
 
 
“Potresti… Allacciarmi il vestito?” le domandai cercando di dare un tono alla mia voce spenta.
 
 
Le mani di Bonnie strinsero il vestito intorno alla mia schiena e dopo qualche minuto terminò il tutto.
Feci per allontanarmi da lei, ma mi fermò con una mano.
 
 
“Elena, cos’è successo?” mi domandò.
 
 
Non mi voltai a guardarla, altrimenti avrebbe capito tutto.
 
 
“Niente…” risposi guardando fisso davanti a me.
“Non è da te quello che hai fatto… Sei sparita per tutto il giorno e scopro che sei appena ritornata e sei stata tutto il pomeriggio sotto una pioggia di questo genere… Perché, Elena?” rincarò la dose.
“Non è successo niente, Bonnie. Aiutami a preparare le valigie!” le ordinai.
 
 
Si bloccò un attimo.
 
 
“Valigie? Perché?” domandò ancora.
“Ritorno dai miei genitori al castello. –alzai lo sguardo su di lei. La bloccai prima che dicesse qualcos’altro– Niente domande, ti prego.”
 
 
Passammo dieci minuti nel silenzi più totale, mentre Bonnie preparava le mie valigie e io finivo di sistemarmi.
Mi aveva impedito di aiutarla, quel compito aspettava a lei.
Feci per alzarmi dalla sedia, ma il mio corpo ritornò dov’era prima con un tonfo.
 
 
“Elena!” urlò Bonnie nell’esatto momento in cui mio fratello, parecchio adirato, entrava nella mia stanza.
“Dove sei stata?” ringhiò.
 
 
Non risposi perché non ne avevo la forza.
 
 
“Principe Jeremy, vi prego, correte a chiamare un dottore, la regina non si sente bene!” sentii Bonnie implorare mio fratello.
“Corro subito!” le rispose.
“No. –bloccai entrambi– Portatemi al castello, mi farò visitare lì, lì solanto.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                              ***
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Jeremy e Bonnie, come mia dama, mi avevano accompagnato al castello con la carrozza.
La pioggia finalmente si era tramutata in pioggierellina e l’aria si era fatta molto meno fredda.
Ero appoggiata con la testa sul braccio di mio fratello e ogni tanto lo sentivo sospirare.
 
 
“Stai tremando…” mormorò.
 
 
Alzai leggermente gli occhi verso di lui nello stesso istante in cui mi accorsi che si, stavo effettivamente tremando.
 
 
“Ho soltanto freddo…” sospirai.
“Perché vuoi ritornare al castello? Avevi detto che tu e Damon sareste rimasti lì e solo in caso di pericolo vi sareste stabiliti al castello… Perché stai evitando tuo marito?” mi domandò.
 
 
Mi stava facendo troppe domande a cui non volevo rispondere.
Avevo delle risposte, certo, ma non volevo certo darle a lui.
Fortunatamente arrivammo al castello subito dopo.
Jeremy scese e aiuto prima me e poi Bonnie a fare lo stesso.
Notai all’entrata mia madre e mio padre che ci, anzi mi, stavano aspettando e lo sguardo era parecchio confuso, ma anche felice di vederci.
 
Bonnie rimase vicino alla carrozza, mentre io e Jeremy, sempre protetti da un ombrello da una delle guardie venimmo scortati fino all’entrata.
 
 
“Figli miei, è un piacere avervi qui. Entriamo, il tempo non è dei migliori!” esordì mio padre mentre sorrise ad entrambi.
 
 
Entrammo all’interno del castello che non era cambiato di una virgola, fortunatamente. L’arredamento era sempre quello, come piaceva a me.
Mia madre non aspettò molto, e senza giri di parole mi domandò il perché della mia presenza qui, sottolineando il fatto che fossi sola.
 
 
“Perché sei qui da sola, figlia mia?”
 
 
La sua domanda risultò più indagatoria del previsto e mio padre le lanciò uno sguardo di fuoco.
 
 
“Elena ve lo dirà dopo madre, ora è meglio che vada nella sua stanza a riposare.” Intervenne Jeremy. “Fate chiamare subito un dottore.”
 
 
Non ribattei sulla decisione di Jeremy perché sapevo che era inevitabile ed inoltre dovevo essere visitata. Non mi sentivo bene, e non era legato solo a quello che era successo prima, ma a tutto.
Venni accompagnata all’interno della mia stanza e mia madre, in religioso silenzio, mi fece indossare una vestaglia.
Mi aiutò a mettermi a letto e mi sembrava tutto così tranquillo, ma in realtà sapevo che voleva una risposta.
 
 
“Pretendo delle risposte, Elena. Il messaggero che hai mandato mi ha riferito del tuo piccolo viaggio in città sotto la pioggia e soprattutto da sola. Che cosa ti è saltato in mente?” mi domandò.
“Ho fatto quello che doveva essere fatto madre. Vi prego, lasciatemi sola…” la implorai.
 
 
Mi sentivo stanca e senza forze. Volevo solo dormire, non chiedevo tanto.
 
 
“Questa discussione non finisce qui, ricordatelo.” Mi rispose soltanto chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
Feci per chiudere gli occhi, quando sentii una voce adirata in corridoio urlare il mio nome.
Era la sua voce.
Pregai con tutto il cuore che qualcuno lo fermasse, che se ne andasse, ma, ovviamente, era mio marito e il re –ancora– e aveva ogni diritto di irrompere nella mia stanza.
Non ero pronta per affrontarlo e per urlargli addosso tutta la mia rabbia, non ce la facevo.
 
 
 
 
 
Damon.
“Perché? Perché è stata così incosciente?” urlai contro mio fratello.
 
 
Stefan mi guardava sconsolato non sapendo cosa dire.
La carrozza correva veloce per stradine secondarie diretta al castello.
Stavo andando a riprendere mia moglie, lei, Elena!
Si stava comportando da bambina capricciosa! Solo perché non volevo portarla in Francia, oltretutto per il suo bene, se n’era andata dalla reggia.
La rabbia mi ribolliva nelle vene mentre tirai l’ennesimo pugno al legno della carrozza.
 
 
“Damon, datti una calmata!” mi disse mio fratello alzando finalmente lo sguardo. “Non capisco niente di donne, ma forse si è solo sentita rifiutata.”
“Rifiutata?” urlai. “Ma senti quello che dici? Non voglio portarla in Francia per il suo bene, non per farle un torto! Gliel’ho ripetuto fino allo sfinimento!”
 
 
Tremai di rabbia.
 
 
“E’ un’incosciente e capricciosa!” Tuonai. “Giuro su Dio che la striglierò a dovere. Qualcuno avrebbe potuto farle del male!”
 
 
Strinsi i pugni.
Sentii solo in un secondo momento la carrozza fermarsi perché era arrivata al castello. Scesi in fretta e mi diressi a grande falcate verso l’entrata non preoccupandomi dei richiami di mio fratello. Non appena le guardie mi riconobbero si inchinarono e una di loro mi domandò se volevo essere presentato.
Non risposi nemmeno, arrabbiato com’ero, ed entrai come una furia all’interno.
 
Vidi Jeremy parlare con Bonnie e la rabbia si moltiplicò. Loro avrebbero dovuto sorvegliarla, suo fratello soprattutto.
Non appena mi vide mi squadrò da capo a piedi, poi vidi i suoi lineamenti indurirsi.
 
 
“Dov’è?” domandai ad entrambi senza specificare il soggetto.
“Che cosa le avete fatto?” mi domandò lui senza rispondere.
 
 
Mi bloccai in mezzo al corridoio.
Che cosa le avevo fatto? Io, che cosa le avevo fatto?
Era lei che mi stava facendo dannare continuamente!
 
 
“Io che cosa le ho fatto? E’ lei che mi sta facendo dannare continuamente!” urlai e vidi Grayson uscire da una delle sale.
 
 
Jeremy mi puntò il dito contro.
 
 
“Non ho mai visto mia sorella così scossa, deve essere accaduto qualcosa!” ribadì.
“Vostra sorella è solamente arrabbiata perché non la voglio portare in Francia con me, ma come le ho più volte ripetuto, e lo ripeterò anche qui, lo faccio solo per il suo bene. La situazione è più grave del previsto e non la voglio esporre a pericoli!” risposi cercando di calmarmi.
“Mia figlia si è arrabbiata per questo?” domandò Grayson scuotendo la testa.
“Mia sorella, sire, non sarebbe in questo stato solo per questo. C’è qualcos’altro…” mi rispose.
“Allora fatemi andare da lei per chiederglielo…” ringhiai.
 
 
Jeremy annuì e mi fece cenno di seguirlo.




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Eccomi qui, dopo tanto tempo, a postare questo capitolo che in molte di voi aspettavano ancora un anno fa :')
Posso dirlo, no? Ok, battuta pessima.
Ho avuto qualche problema con il computer e purtroppo non è stato riparato così in fretta cause vacanze di Natale >_<
Ora però sono qui, anche se non so tra quanto aggiornerò. La scuola è riniziata, lo sport pure e credo che aggiornerò a ritmi alterni, mi spiace :/
Farò del mio meglio, promesso.
Passiamo al capitolo, dunque.
E' stato, forse, uno dei miei preferiti, anche se è davvero tanto triste. Sono cattivissima, lo so.
Elena è arrabbiata, delusa, ferita, Damon pure. Lei per un motivo, lui per un altro, e sono così irremediabilmente distanti.
Quello che preoccupa di più è la salute di Elena, ma Damon non sa ancora nulla.
Il capitolo ruota tutto attorno alla scoperta di Katherine e della bambina che non sta portando -e non porterà- nulla di buono :/
Nel prossimo capitolo vedremo Elena e Damon a confronto, ma accadrà qualcosa di brutto.
Detto questo ringrazio le fantastiche ragazze (ben 9 *-*) che hanno recensito lo scorso capitolo. Non potete capire quanto vi adoro :')
Ovviamente un ringraziamento va a chi inserisce la storia tra le preferite, seguite e ricordate.

Piccolo angolino:
Avete visto chi ha vinto il premio come la miglior coppia/best duo l'altro giorno?
Ebbene si, i nostri Ian e Nina per la coppia Delena. E sapete la cosa buffa?
Nessuno dei due si è presentato a ritirare il premio.
Ora, io non voglio accusare nessuno, però non è stato un bel comportamento, non me lo aspettavo. E' da un anno che aspettavo quell'evento ed ero convintissima che partecipassero, e ci speravo. Speravo di ricevere un bel regalo di compleanno vedendoli salire sopra il palco, insieme, per ritirare un premio frutto dell'amore dei fans per loro, ma il nulla.
Sono rimasta estrefatta da tutto ciò, e delusa, in parte. D'altronde io non posso sapere il perchè non si sono presentati, ed è per questo che non voglio accusarli come ho letto in tantissime pagine di Facebook. La mia è soltanto delusione, non tanto rabbia. Avranno avuto i loro motivi. Una cosa la posso dire? Iannuccio mio bello, però... Invece di andare a farti selfie a gogò con i cinesi, sopra il palco ci potevi andare. Eri lì, a due metri, cosa ti costava fare tre gradini in più?
Ecco, ho finito il mio monologo :')
E voi, cosa ne pensate?

Alla prossima <3

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Capitolo 32
*** Verità svelate. ***


                                                                Verità svelate.
                                                                          32.





Damon.

“Potete entrare. Se sta riposando non svegliatela, non si sente molto bene.” Mi avvisò Jeremy.
 
 
Le stava bene!
Muoversi dalla reggia con quella tempesta era stato da incoscienti.
Entrai senza bussare e mi richiusi la porta alle spalle. La vidi distesa sul letto con gli occhi aperti e mi scrutava.
Mi stava aspettando.
Aprii la bocca per urlare contro tutta la mia ansia, paura e frustrazione, ma la richiusi non trovando parole.
 
Era distesa sul letto, pallida e faticava a tenere gli occhi aperti.
Il mio cuore perse qualche battito nel vederla così.
Si era ammalata a causa della pioggia, sicuramente. Era cagionevole di salute e in più uscire alla tempesta non aveva giovato a nulla.
 
 
“Avevo preparato una ramanzina sul tuo comportamento, ma questo non mi sembra il momento adatto…” le dissi avvicinandomi al letto. “Una cosa la devo dire, però. Sei solo un’incosciente, dannazione! Ti rendi conto di quello che hai fatto? Di quello che poteva accadere? Tutto perché non voglio esaudire i tuoi capricci!”
 
 
Alzò la testa e mi fissò.
Era spenta e notavo freddezza nel suo comportamento.
Era davvero arrabbiata per questo?
 
 
“Vattene…” sibilò.
 
 
Che cosa?
Andarmene? Mi aveva sul serio detto vattene?
Aggrottai le sopracciglia confuso.
Era arrabbiata. Ma sei lei era arrabbiata io lo ero il doppio.
 
 
“Te lo dico un’ultima volta… Vattene!” sibilò ancora.
“Spero che tu stia scherzando!” ribattei.
“Voglio che tu te ne vada! Vattene da qui, torna da lei!” mi urlò contro.
 
 
Da chi dovevo ritornare?
 
 
“Da chi?” domandai accigliato.
“Vattene da lei, è lei che vuoi. Lasciami in pace, non rovinarmi la vita più di quanto tu non abbia già fatto!” urlò ancora.
 
 
Si alzò dal letto lentamente e mi parve di notare tanta fatica nei suoi movimenti. Fece qualche passo e si aggrappò al palo di legno che sorreggeva il baldacchino.
 
 
“Vattene… Via!” disse ancora.
 
 
Mi avvicinai a lei prendendole le mani e bloccandole i movimenti.
Stava forse delirando? Le mie mani fredde entrarono in contatto con la sua pelle terribilmente calda.
Stava male ed aveva sicuramente la febbre.
 
 
“Stai delirando, devi ritornare a letto.” Le risposi tentando di condurla di nuovo sotto le coperte.
 
 
Lei tentò di dimenarsi dalla mia presa e non so come riuscì a staccarsi da me.
 
 
“Non toccarmi, traditore. Hai finto di amarmi, perché?” urlò.
 
 
Fingere di amarla?
Ma era pazza?
L’amavo con tutto il mio cuore, avrei dato la vita per lei, solo per lei.
 
 
“Io ti amo Elena! Non mettere mai in dubbio questo!” ringhiai.
“Allora perché l’hai fatto? Perché mi hai tradito con lei? Mi ami davvero? Mi dispiace, ma non ti credo!” urlò mentre vidi le sue bianche guance bagnarsi di lacrime.
 
 
Traditore.
Mi hai tradito con lei.
Non mi hai mai amata.
No, non poteva aver scoperto quello che intendevo io.
No!
 
 
“Vattene!” urlò.
“Elena, io-” iniziai, ma mi bloccai non appena la vidi accasciarsi al pavimento tossendo.
 
 
Era come se fosse in preda a delle convulsioni.
 
 
“Jeremy! –urlai più forte che potevo sperando che il piccolo Gilbert fosse dietro la porta mentre Elena non accennava a smettere di tossire– Jeremy!”
 
 
La porta si aprì di scatto e vidi Jeremy, Bonnie e i genitori di Elena entrare come delle furie.
Io intanto stringevo impotente tra le mie braccia Elena.
 
 
“Correte a chiamare un dottore! Un dottore!” urlai.
 
 
Non capii chi andò a chiamare il dottore e quando, vidi solo Elena calmarsi un poco e mormorare un ‘hai una figlia, hai una bambina con un’altra donna’ prima di svenire tra le mie braccia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                    * * *
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non so da quanto tempo i dottori erano lì dentro, ma era passata sicuramente un’eternità.
Uno di loro, di cui non ricordo il nome, aveva detto che stava bene dannazione!
 
 
“Sapevo che c’era qualcosa che non andava…” singhiozzò Miranda abbracciata al marito.
 
 
Qualche giorno fa il medico l’aveva visitata e aveva detto che stava bene, ma a quanto pare non lo è mai stata realmente.
Se solo ci fosse stata la dottoressa Fell quel giorno… Ora, fortunatamente, era all’interno di quella maledetta stanza insieme ad altri fidati medici.
 
 
“Damon, andrà tutto bene, vedrete!” mi rassicurò Stefan appoggiandomi una mano sulla spalla.
“Stava male già da prima, lo sapevo! –ringhiai stringendo le mani a pugno– Non è mai stata effettivamente bene e l’uscita di oggi ha solo peggiorato la situazione!”
 
 
Mi portai le mani tra i capelli nell’esatto momento in cui la porta della stanza si aprì rivelando la dottoressa Fell con altri dottori al seguito.
Alzai lo sguardo sulla dottoressa e sugli altri cercando qualche segnale, qualcosa che mi dicesse che lei stava bene. Che la mia Elena aveva solo un piccolo malanno risolvibile in poco tempo, ma la faccia tetra di tutti fece cadere ogni mia difesa.
 
 
“Come sta mia figlia?” domandò Grayson, l’unico che era riuscito a parlare.
 
 
La dottoressa Fell sospirò torturandosi le mani, guardò per qualche istante gli altri medici che scossero la testa e lei abbassò il capo.
Mi alzai di scatto pronto a colpire qualcuno se necessario per fare loro aprire la bocca.
La mia principessa guerriera stava bene, doveva stare bene.
 
 
“La regina è… -la dottoressa si bloccò e vidi balenare negli occhi di tutti, compresi i miei, la peggiore delle ipotesi- E’ molto malata… La polmonite è peggiorata di giorno in giorno, non essendo stata curata con le dovute medicine, e l’uscita di oggi non le ha certo giovato e-”
 
 
Mi ridestai dai miei pensieri e con due falcate mi portai davanti alla dottoressa.
Polmonite?
Elena non poteva avere la polmonite, no. E’ una malattia che si sviluppa giorno dopo giorno e quel dottore aveva detto che… Aveva detto che lei stava bene. Non aveva parlato di polmonite, no!
La polmonite era grave sulle persone in salute, figuriamoci per lei.
No, non poteva essere.
 
 
“No, vi state sbagliando… -scossi la testa- Lei stava bene, lei… Il dottore non ha parlato di polmonite, no…”
“Mio signore –la dottoressa abbassò lo sguardo– tutti i medici hanno fatto la mia stessa diagnosi… Le cause ci sono tutte… Mi hanno informato che la regina ha avuto difficoltà respiratorie, di qualche mancamento, di costante dolore al petto e tosse costante… Le causa ci sono tutte, mi dispiace.”
“Starà bene, non è vero? Mia moglie deve stare bene!” le dissi.
 
 
Abbassò di nuovo il capo e il suo silenzio mi stava snervando.
 
 
“La febbre è aumentata e non si decide a scendere… Abbiamo provato di tutto, sembra che ogni cosa che facciamo risulti nulla…” mi rispose.
 
 
Tutti ormai avevano smesso di respirare.
Ci doveva essere qualcosa, qualsiasi cosa!
Avrei dato anche la mia vita per lei, ma doveva esserci assolutamente qualcosa! Un rimedio, una cura, una terapia… Qualsiasi cosa…
 
 
“Deve esserci qualcosa, qualsiasi cosa!” ringhiai.
“All’interno della stanza abbiamo lasciato dei medicinali e abbiamo spiegato alla dama che cosa bisogna fare. La cosa più importante è tenerla al caldo e tenerle costantemente un panno bagnato sulla fronte in modo da far abbassare la febbre. Ho lasciato degli antibiotici nel tavolino che vanno dati ogni tre ore. E’ molto difficile che si svegli da sola, per cui ci sarà bisogno di darle i farmaci attraverso il dormiveglia se necessario… L’importante è darle molta acqua… Passerò ogni due ore per controllare la situazione… -si bloccò un istante- L’importante è che passi la notte, solo questo. Bisogna avere fede…”
 
 
Non sentii nient’altro… Sentii solo dei ringraziamenti rivolti alla dottoressa perché mi precipitai all’interno della stanza.
Notai Bonnie seduta su una sedia che le teneva un panno bagnato sulla fronte e mi avvicinai subito a lei. Elena era pallida, le labbra avevano perso il loro bel colorito ed era diventata più pallida ancora di prima.
Il camino era stato acceso, per fortuna.
 
Volevo solo che si svegliasse, volevo rivedere i suoi bellissimi occhi. Volevo solo che stesse bene e non mi importava di quello che aveva scoperto –era importante, si, ma non ora.
Non sapevo come l’avesse scoperto e chi glielo avesse detto, anche se forse avevo già intuito chi, ma la mia Elena aveva solo il bisogno di svegliarsi.
 
 
“Starà bene Bonnie, vero?” domandai più a me che a lei.
“Mio signore io… -singhiozzò- Non lo so…”
“Elena è forte, lo è sempre stata, ce la farà…” mormorai accarezzando la guancia pallida di mia moglie.
 
 
Afferrai una sedia e mi misi accanto al letto, vicino a Bonnie, per vegliarla.
Non avrei mai lasciato Elena, figuriamoci adesso.
La donna che amavo era qui inerme su un letto, terribilmente pallida, e respirava a fatica. Le labbra erano serrate in una muta espressione di sofferenza e dolore –e io sapevo bene a cosa era dovuto quel dolore.
Perché? Perché avevo ferito anche lei?
Avevo distrutto l’unica persona a cui tenevo veramente sopra ogni cosa. Avevo ferito colei che si era annullata per me e mi aveva dato tutto.
Il suo amore, la sua vita e la sua anima. L’avevo ferita in un modo irreparabile.
 
 
“Posso… -alzai lo sguardo cercando le parole- Rimanere da solo con lei?
 
 
Bonnie annuì e si alzo, poi mi porse il panno bagnato.
 
 
“Dovete tenerlo sopra la fronte e ogni tanto bagnarlo con dell’acqua fredda. La trovate lì, su quel catino. –Indicò con la testa il catino sotto la finestra, lontano dal camino– Se si sveglia fatele bere quella medicina e un po’ d’acqua, altrimenti verrà dopo la dottoressa per farlo.”
“Grazie, Bonnie. –La guardai riconoscente– Grazie per prenderti cura sempre di lei, davvero.”
 
La ragazza mi sorrise quasi imbarazzata, poi si chiuse la porta alle spalle.
Continuai ad osservare mia moglie e le presi una mano tra le mie.
Era bollente.
Le tamponai un po’ lo straccio sulla fronte e parve rilassarsi un poco grazie a quel tocco freddo tanto che distese un po’ le labbra.
Elena doveva passare la notte, era forte, ce l’avrebbe fatta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                                 * * *
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non so quanto tempo era passato da quando Bonnie se n’era andata, ma la febbre sembrava essersi alzata.
Me ne accorsi quando Elena iniziò a tremare leggermente. Mi alzai ed andai a bagnare con dell’acqua fredda lo straccio e prima di posarglielo sulla fronte le rimboccai bene le coperte, lasciandole fuori solo la testa.
Le premetti il panno sulla fronte, ma niente sembrava sortire l’effetto desiderato.
Fortunatamente entrò la stessa Bonnie seguita dalla dottoressa.
Non appena la vidi mi alzai.
 
 
“Dottoressa Fell, mia moglie continua ad essere bollente… Anzi, la temperatura sembra essersi rialzata!” le dissi allarmato.
“Bonnie, passatemi quel bicchiere e riempitelo d’acqua, poi prendetene un altro e versateci la medicina. –Ordinò la dottoressa a Bonnie mentre tirava fuori alcuni strumenti dalla sua borsa– Il respiro è lento e in costante diminuzione, ma sta lottando con tutte le sue forze…”
 
 
Lo sapevo che stava lottando, lei era la mia piccola guerriera. Elena non mollava mai e non doveva mollare neanche adesso.
La dottoressa scoprì Elena e le mise uno strano strumento sul petto, forse per sentire il suo cuore. Scosse leggermente la testa e annotò qualcosa su un foglio, poi si fece passare il bicchiere con la medicina da Bonnie.
Mi avvicinai alle due donne per aiutarle.
 
 
“Posso aiutarvi?” domandai non volendo rimanere in disparte.
 
 
Volevo rendermi utile, dopotutto.
 
 
“Alzatele la testa e fate in modo che beva la medicina, poi datele un po’ d’acqua.” Mi spiegò la dottoressa.
 
 
Facendo più delicatamente possibile alzai la testa ad Elena e mi sedetti accanto a lei prendendola per metà tra le mie braccia.
Molto delicatamente le sollevai la testa e gliela inclinai, poi le appoggiai il bicchiere tra le labbra in modo da farle bere la medicina. Con tanta fatica riuscì a fargliela mandare giù tutta, poi le diedi un po’ d’acqua.
 
 
“Con questo la febbre dovrebbe iniziare a scendere almeno di un poco, tanto da farla riposare un po’. Io rimarrò qui a castello, se c’è qualsiasi tipo di problema venitemi a chiamare…” terminò la dottoressa.
“Starà bene, vero?” domandai alzando il capo ed incontrando gli occhi della dottoressa Fell.
“Lo spero mio sire.” disse solo per poi congedarsi.
 
 
Mi accorsi solo in un secondo momento che c’era ancora Bonnie all’interno della stanza.
Volevo rimanere da solo con Elena un po’. Mi era mancata e volevo riflettere.
 
 
“Bonnie, mi potresti lasciare da solo con Elena?” domandai.
“Certo, se avete bisogno di qualcosa sarò subito da voi…” mi rispose cordialmente.
“Grazie Bonnie, per tutto… ” le dissi.
 
 
Mi sorrise, poi se ne andò.


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Mi scuso per il ritardo con cui mi trovo ad aggiornare, avevo il capitolo pronto da un po', ma ho dovuto aggiornare/iniziare nuove storie trascurando questa.
Spero solo di aver compensato questo ritardo con il capitolo, che trovo abbastanza triste e doloroso.
Elena ha scoperto la verità e l'ha detta a Damon, anche se in circostanze non buone. Spero solo che il comportamento di Elena non risulti infantile perchè -almeno secondo me- non lo è affatto. E' brutto -terribilmente brutto- scoprire che l'uomo che ami ha una figlia da un'altra donna e si stava già frequentando con me, quindi è solo da capire.
C'è anche da spezzare una lancia a favore di Damon, ovvero era ubriaco, ma questo Elena non lo sa e messa com'è non lo verrà a sapere.
Veniamo ora alla malattia di Elena.
Molte all'inizio pensavano fosse una gravidanza, visto i giramente di testa e il senso di nausea, e invece no. Mi sono documentata personalmente su Internet e tutti i sintomi che ho descritto (nausea, giramenti, tosse e quant'altro) sono riconducibili anche a una polmonite. Ebbene si, come avrete capito Elena ha la polmonite e sappiamo bene che nell'Ottocento mieteva tantissime vittime a causa delle poche cure o perchè se ne si accorgeva tardi.
In effetti qui la dottoressa Fell l'ha scoperto a stadio avanzato, a causa di un dottore poco informato -ricordo che la dottoressa, quando il dottore ha visitato Elena, era fuori città.
Non tutto è perduto però :')
Oltre a tutto quello che è successo in questo capitolo ricordo che c'è anche il fattore Francia e la presa di potere di non si sa chi.

Ringrazio le meravigliose ragazze che mi lasciano sempre un parere, il capitolo è dedicato a tutte voi :)
Alla prossima ^^

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Capitolo 33
*** Fratelli. ***


Damon.
La notte si stava rivelando inspiegabilmente nulla. Le ore passavano lente, ma non accadeva nulla.
Nessun miglioramento e nessun peggioramento –per fortuna.
Mia moglie era distesa sul letto, immobile, pallida. Non aveva mai aperto gli occhi, nemmeno una volta e non ne capivo il perché.
Forse era troppo debole, forse era troppo stanca o forse… Forse non lo sapevo neanche io. Volevo parlarle, rassicurarla, dille che l’amavo nonostante tutto e che non avrebbe mai dovuto farmi prendere uno spavento del genere, arrabbiarmi anche, ma poi baciarla per fare la pace.
Quanto mi mancava. Mi mancava terribilmente tutto e non perché fosse in questa situazione, semplicemente perché era da quasi tre settimane che non ci parlavamo in modo quasi civile.
 
Ed era tutta colpa mia. Io ero troppo preso da Katherine… Troppo codardo per dirle la verità e per paura di ferirla. Forse… Forse non volevo portarla in Francia proprio per questo. Troppo codardo per guardarla in faccia.
Non mi avrebbe mai perdonato la mia Elena. Avevo tradito la sua fiducia, il suo amore, tutto per una terribile sbronza.
Perché l’avevo fatto?
Io amavo Elena, l’avrei sempre fatto, volevo costruire una famiglia con lei. Famiglia, che bella parola. Io, lei, nostro figlio o nostra figlia. Sorrisi leggermente nell’immaginare una piccola bambina paffuta –una sorta di Elena in miniatura– correre per tutto il castello, oppure un bambino dai capelli neri e sempre con gli occhi di Elena, così caldi.
Ora avrei perso tutto. Elena non mi avrebbe mai perdonato, l’avevo tradita. Ma io non avrei mai voluto farlo. Katherine, quella maledetta donna!
 
Non mi accorsi nemmeno che all’interno della stanza c’era mio fratello fino a quando non mi toccò una spalla.
Sussultai nel sentire il suo tocco e mi voltai lentamente.
 
“Damon?”- mi chiamò.
“Mmm…”- protestai.
“Damon, credo… Che tu abbia bisogno di riposo…”- indicò con il capo Elena. “Starò io qui, tra poco verrà Bonnie.”
“No, assolutamente no!”- dissi scostandomi leggermente da mio fratello.
 
Dovevo rimanere accanto a mia moglie, non potevo lasciarla, non di nuovo.
 
“Damon, sei stanco e-”
 
Mio fratello non terminò nemmeno di parlare notando il mio sguardo truce.
 
“Rimarrò qui finché non si sveglierà. Io devo parlarle.”- terminai poi.
“Potrai parlarle quando si sveglierà, ti farebbe bene un po’ di riposo.”- mi assicurò Stefan.
“Non posso lasciarla, non di nuovo.”- mormorai con voce rotta, tanto da far preoccupare Stefan. “Devo rimanerle accanto.”
 
Stefan si inginocchiò per guardarmi negli occhi. Era preoccupato, glielo leggevo in volto.
Notai solo allora il suo sguardo trasandato, reduce da notti insonne.
Era preoccupato, ma per cosa?
 
“Damon, cosa intendi dire?”- mi domandò.
Sono un mostro.”- mormorai portandomi le mani sul viso per coprirmi.
“Damon, non sei un mostro. Non è colpa tua se Elena si è ammalata!”- parlò a vanvera.
 
Mi alzai di scatto tanto da far stridere la sedia. Fu l’unico rumore per un paio di minuti, prima che io iniziassi a parlare.
 
“Elena non si sarebbe ammalata se io le avessi detto la verità!”- ringhiai.
 
Mio fratello aprì gli occhi spaesato non capendo. Mi si avvicinò e mi appoggiò una mano sulla spalla e per un attimo mi rilassai, ma poi mi ritornò in mente quello che avevo fatto e strinsi i denti.
 
“Di che cosa stai parlando?”- mi domandò accigliato. “Quale verità?”
“L’ho tradita Stefan.”- buttai fuori tutto. “Prima del matrimonio sono stato a letto con un’altra donna.”
“Che cosa?”- quasi urlò lui.
 
Si scostò da me come scottato e lessi stupore all’interno dei suoi occhi. Forse vidi anche una nota di rammarico e disgusto, ma si preoccupò subito di cancellarla.
Mi lasciai cadere a terra con le mani tra i capelli.
 
“L’ho tradita… Ho tradito mia moglie…”- ripetei come una cantilena.
“Damon…”- mio fratello si accasciò al mio fianco. “Ti prego, dimmi cos’è successo…”
 
Gli raccontai tutto, dalla prima all’ultima parola. Dalla sbronza con Rick, dall’incontro con Katherine, dai nostri baci infuocati, della casetta di legno fino alla mattina dopo quando mi ero ritrovato nudo nel letto con Katherine.
Gli lancia addosso tutta la mia disperazione, la mia frustrazione per aver commesso un gesto così deplorevole. Gli raccontai anche dell’altro giorno… Quando… Quando avevo scoperto di avere una figlia.
Stefan non commentò fino alla fine del mio discorso, nemmeno una parola. Quando finì mi tirò semplicemente un pugno che mi fece quasi sbattere la testa al suolo.
Si alzò arrabbiato, poi mi puntò il dito contro.
 
“Sei convinto di quello che hai fatto?”- mi domandò.
 
Quella domanda mi spiazzò leggermente.
Ero convinto di quello che avevo fatto?
Beh, assolutamente no. Io non sarei mai andato a letto con Katherine, amavo Elena, non l’avevo fatto assolutamente con convinzione, anche se… E se io non fossi mai andato a letto con Katherine?
Scacciai dalla testa quel pensiero. Quella bambina era uguale identica a me. Aveva i miei stessi occhi azzurri.
 
“Si. No. Non lo so.”- risposi.
“Bene, perché io, a differenza tua, ho capito tutto!”- mi disse.
“Hai capito che sono un traditore?”- gli domandai aspettandomi già la risposta.
“Ho capito che sei un perfetto imbecille che si è fatto abbindolare!”- mi inveì contro.
 
Questo lo sapevo già, non c’era bisogno di mio fratello per saperlo.
Mi alzai e leggermente tremante mi misi in piedi. Bene, anche mio fratello sapeva la verità. Ero solo uno sporco traditore.
Mio fratello vide il mio stato d’animo e continuò senza preoccuparsi di nulla.
 
“Un perfetto imbecille che non sa distinguere le bugie dalla verità.”- concluse poi.
 
Ma aveva forse sbattuto la testa?
 
“Stai dicendo che Katherine mi ha mentito?”- domandai accigliato.
 
Era impossibile.
Ma per mio fratello evidentemente no.
 
“Esatto.”- mi rispose gongolante. “E se Katherine ti avesse mentito? Se quella non fosse figlia tua?”
“Stefan, tu non l’hai vista!”- gli risposi tentando di frenare le sue fantasie. “Ha gli occhi come i miei. Identici.”
“Ci sono così tanti occhi azzurri in giro, non devi sentirti unico al mondo, fratello.”- ironizzò.
“Ironizzi su un momento del genere?”- ringhiai.
“Sono semplicemente realista. Io credo in te, Damon, e non ti reputo affatto un traditore. So quanto avete combattuto tu ed Elena per il vostro amore, so che non è stato programmato eppure… Eppure quando vi siete incontrati vi siete persi l’uno nell’altro. Per voi non c’era più nessuno, eravate voi due, soli contro tutti. So quanto la ami Damon e so quanto tu ci tenga a lei per andare a letto con una donna, con Katherine poi.”- mi disse pronunciando il nome di quella donna con astio.
 
Tutto quello che aveva detto era vero. Eppure… Eppure non riuscivo a convincermi della mia innocenza. Mi ricordavo troppo bene quel giorno.
 
“Stefan, sebbene tutto quello che tu hai detto è vero… Ero ubriaco…”- gli ricordai.
“Suvvia, Damon, per quanto tu fossi ubriaco so che hai un buon autocontrollo, più o meno.”- mi disse sorridendo sornione. “So, per certo, che tu non sei andato a letto con quella donnaccia, ci scommetto la vita.”
“Attento fratellino, potresti morire seduta stante.”- ci scherzai su, anche se non c’era niente su cui scherzare.
 
Stefan mi si avvicinò e mi sorrise, poi mi abbracciò.
Mio fratello. Colui che negava anche di fronte alla verità.
 
“Io credo in te, Damon. Bisogna solo farlo capire ad Elena.”- mi disse.
“Lei mi odia…”- mormorai osservandola lì sul letto.
 
Lei, il mio angelo, mi odiava.
Mio fratello scosse la testa.
 
“No, non ti odia.”- sorrise. “Si sente solo ferita da quello che è successo, ma capirà. Quando verrà a scoprire che è tutto falso capirà.”
“E se non lo fosse? E se fosse tutto vero?”- domandai.
“Ti fidi di me?”- mi domandò. Annuii. Mi fidavo di mio fratello, si. “Ecco, allora tu sei innocente, basta solo smascherare Katherine.”
“Come?”- domandai affranto.
 
Non avevamo nessuna speranza, non sapevo neanche se fosse vero.
Certo, l’idea di un possibile menzogna da parte di quella donna c’era, senza dubbio, ma io… Credevo davvero in me?
No. Ma avrei fatto di tutto per Elena. L’avrei anche implorata di perdonarmi. Non potevo perderla.
 
“Elena deve solo guarire, al resto ci penseremo dopo.”- mi rispose tranquillo. Come faceva ad essere tranquillo in un momento del genere. “Vi lascio da soli, tua moglie starà bene vedrai.”
 
Se ne andò sorridendo, lasciandomi di nuovo solo.
Ritornai di nuovo a sedermi sulla sedia accanto al letto di Elena.
Presi un cucchiaio e la bottiglietta di sciroppo per darla a mia moglie, quando la vidi muoversi leggermente ed emettere una smorfia. Mi bloccai un attimo, era la prima volta che si muoveva dopo ore.
Era quasi mattina.
 
“Elena?”- la chiamai.
 
Nessuna risposta.
In compenso la vidi aprire leggermente gli occhi. Li teneva semiaperti, forse le costava troppo sforzo, ma erano pur sempre aperti!
 
Damon…”
 
 
_________________________________________________________________________________________________
 
 
I’m here :)
Mi scuso per il ritardo, ma tra la scuola, lo sport e altre storie da portare avanti non ho avuto tempo per stare dietro a questa.
Mi sono tirata leggermente avanti con il prossimo capitolo, sperando di terminarlo per postarlo entro la prossima settimana.
La storia sta giungendo al termine, anche se abbiamo ancora una questione importante da risolvere.
Dov’è Giuseppe? Cosa c’è realmente in Francia?
E Katherine?
Non so ancora quanti capitoli mancano, ma tutto avrà un termine.
In questo capitolo non c’è stato molto Delena, ma tanto Defan. Visto che in questa stagione non ce n’è moltissimo ho pensato di aggiungerlo qui. Chi meglio di Stefan può consolare, ma, soprattutto, credere in Damon?
Nessuno.
Stefan ha la sua teoria, ha elaborato varie situazioni, ha analizzato il passato di Katherine –visto che anche lui la conosceva– ed è giunto ad una conclusione.
Sarà vera o no?
Termino con il ringraziare le fantastiche ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo. Alla prossima ^^

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Capitolo 34
*** Prenditi cura di loro. ***


                                                              Prenditi cura di loro.
                                                                                         34.





Damon.

Damon…”
 

Il mio nome venne sussurrato con una tonalità appena udibile da mia moglie, ma questo bastò per farmi scattare in avanti e per farmi spalancare gli occhi sorpreso e terribilmente felice.
Si era svegliata!
Dopo più di un giorno la mia Elena si era svegliata.

 
“Amore mio, ti sei svegliata!”- esclamai con la voce che tremava dalla gioia.

 
Elena mi osservò per qualche istante, poi socchiuse leggermente gli occhi. Ogni minimo movimento le costava una fatica immensa, ma era qui, con me.
Le presi la mano destra tra le mie e lei tentò di cacciarle via, ma non ci riuscì.
Perfetto, era ancora arrabbiata. Ma sinceramente ora non mi importava, era qui, sveglia ed era quello l’importante.

 
“Cosa… Ci fai… Tu… Qui?”- biascicò con la voce talmente bassa che feci fatica ad udirla.

 
Aprii la bocca per risponderle, ma iniziò a tossire. I classici colpi di tosse che l’avevano colpita per tutta la notte e che continuavano a non darle tregua.
Era esausta, priva di forze, e la tosse non la lasciava in pace.
Non mi curai della sua domanda. Presi lo sciroppo e lo versai su un cucchiaio d’argento, poi mi avvicinai di più a lei in modo da aiutarla a prenderlo.
Emise una smorfia contrariata, ma senza batter ciglio mi agevolò nel farle prendere la medicina. Parve rilassarsi un poco sotto l’effetto benefico dello sciroppo e questo mi sollevò non poco.
Si appoggiò di nuovo con la testa sul cuscino, scrutandomi ancora. Le appoggiai una mano sulla fronte e lei socchiuse gli occhi, forse traendo beneficio della mia mano fredda.
Scottava ancora terribilmente.
Afferrai il panno sulla bacinella di acqua fredda –che Bonnie aveva gentilmente cambiato prima dell’arrivo di mio fratello–, lo strizzai un po’ e glielo appoggiai sulla fronte.
Perché la febbre non le scendeva ancora?

 
“Perché… Stai facendo… Questo?”- mormorò.

 
Perché l’amavo.
Perché era mia moglie.
Perché era la mia donna.
Perché senza di lei io non ero niente.
Per sdebitarmi, forse.

 
“Perché ti amo, Elena.”- le dissi e la bloccai prima che potesse dire qualcosa. –“E non mi importa quello che è successo tra di noi, lo affronteremo dopo. Mi dispiace così tanto, io… Non mi ricordo perché mi sono ubriacato. Ero terribilmente ubriaco e… Non lo so cos’è successo dopo. Ti giuro che io non volevo farlo, non avrei mai voluto tradirti. Ti amo e non perché sei mia moglie. Ti amo dalla prima volta che ti ho vista e non mi arrenderò finché tutte le cose non saranno sistemate!”

 
Mi guardò con sguardo dubbioso, non capendo le mie ultime parole. Avrei voluto dirle quello che mi aveva detto Stefan, ma non aveva senso.
Lui era convinto di quello che diceva, ma io? Io no. C’erano troppe coincidenze e altre cose… Non potevo essere ‘innocente’ come mi aveva definito mio fratello.
Perché Katherine lo avrebbe fatto? Per legarsi a me, ovvio. Ma per soldi? Sapeva che amavo Elena e, come ho dimostrato, non avrei mai lasciato lei per mia moglie.
Che cosa c’era sotto, in realtà?

 
“Hai una… Bambina…”- biascicò e tremò leggermente.

 
Mi affrettai a rimboccarle leggermente le coperte. Erano brividi di freddo causati dalla febbre troppo alta.
Il camino era accesso, ma il corpo continuava ad avere sbalzi. Mi si straziava il cuore a vederla così.

 
“Si, ho una bambina.”- sospirai passandomi una mano tra i capelli. –“Ma questo non vuol dire niente. Io amo te, te soltanto. Non sarà un ostacolo tra di noi.”

 
Scosse leggermente la testa, emettendo subito dopo una smorfia. Evidentemente le doleva anche quella.

 
“Non posso… Tu non puoi… Abbandonare tua figlia… Per me…”- mormorò respirando a fatica.

 
Questo dialogo la stava facendo stancare troppo, ma doveva sentire quello che le avevo da dire –senza affaticarsi.

 
“Non abbandonerò mia figlia, Elena, ma non posso nemmeno abbandonare te. Possiamo vivere la nostra vita insieme, anche con la bambina. Potrà vivere qui, con noi.”- le sorrisi accarezzandole il dorso della mano.
“Non puoi… Non puoi separare una bambina da sua… Madre…”- continuò a fatica poi.
“Quella donna si stuferà della bambina prima o poi, questo lo so.”- inclinai la testa. –“Tu sarai una madre perfetta per lei, l’unica che voglio per i miei figli. Non posso rinunciare a te, io ti amo.”
“Voglio solo che tu sia… Felice…”- biascicò.
“La mia felicità sei tu, Elena.”- le dissi.

 
Le appoggiai un bacio sulla fronte e la sentii rilassarsi al mio tocco.
Non avevamo chiarito del tutto, ma non era rimasto tutto irrisolto.

 
“Dormi ora, ci sarà tempo per parlarne…”- sussurrai.

 
Elena chiuse gli occhi e il sonno la colse velocemente.
 















 
 
 

                                                        * * *
 
 
















Rimasi ad osservarla per attimi interminabili.
Nonostante tutto quello che le avevo fatto lei voleva che io fossi felice.
Ma come potevo essere felice se era lei la mia felicità? Mia moglie era colei che mi dava la forza per andare avanti, anche nei miei momenti più bui era lei quella che mi faceva uscire dalla mia oscurità. Non l’avrei mai abbandonata, mi sarei fatto perdonare da lei, dovevo farlo.
Appoggiai la testa accanto al suo braccio e mi lasciai andare tra le braccia di Morfeo.


Non so dopo quanto tempo mi svegliai –o meglio… dopo quanto tempo qualcuno mi svegliò.
Aprii gli occhi lentamente e mi ritrovai davanti la figura di mio fratello. La sua faccia era travolta dalla preoccupazione.
Scattai subito in piedi, cercando di captare ogni segnale dalla sua espressione.

 
“Fratello, dimmi subito quello che è successo.”- gli ordinai.
“Damon… Nostro padre… In Francia… Io”- balbettò frasi sconnesse.
“Così non capirò mai niente!”- esclamai passandomi una mano tra i capelli. –“Parla, dannazione.”
“Abbiamo mandato uno dei soldati olandesi in avanscoperta in Francia, alla ricerca degli uomini di fiducia di nostro padre. Sono tutti morti e nostro padre sarà il prossimo.”- continuò.

 
Cosa voleva dire questo?

 
“Spiegati meglio.”- gli ordinai, di nuovo, esasperato.
“Chi ha preso il controllo della Francia vuole uccidere tutti i membri reali. Il prossimo è nostro padre, poi arriveranno a noi. Vogliono sterminare l’intera famiglia Salvatore e tutti coloro che sono legati ad essa.”- terminò poi.

 
Elena.
La famiglia imperiale.
Erano in pericolo anche loro.
No, questo non stava accadendo davvero.
Guardai mio fratello e lui si aspettava qualcosa da me. Che cosa dovevo fare?
Non potevo lasciare Elena in queste condizioni, ma non potevo nemmeno non intervenire.
Dovevo recarmi subito in Francia, armato di un possente esercito. Una volta arrivato lì avrei contattato tutti i miei uomini di fiducia e avrei riunito le truppe che comandavo una volta –sempre che non fossero troppo codardi per mettersi contro colui che aveva preso il potete.
Chi poteva essere quella bestia?

 
“Devo andare in Francia, subito. Non devo perdere altro tempo, ogni momento è prezioso…”- borbottai tra me e me.
“Vado ad avvisare gli altri. Partiremo questa notte.”- concluse Stefan.
“Partirò questa notte. Tu non sei incluso nella spedizione, fratellino!”- dissi bloccandolo sull’uscio della porta.
“Che cosa?”- quasi urlò. –“Io vengo con te!”

 
Scossi la testa. Mio fratello non sarebbe venuto con me.
Volevano i Salvatore e offrirne due su un piatto d’argento non era una mossa astuta. Chi sarebbe rimasto in Olanda poi con Elena in queste condizioni?
Chi avrebbe governato questo paese? Avrei lasciato il comando a Stefan, come mio successore. Jeremy non era adatto, come più volte mi aveva confidato Grayson. Ecco il perché la scelta era ricaduta su Elena.
Il trono andava sempre al figlio maschio, ma Grayson aveva voluto Elena perché la riteneva capace, responsabile, quello che effettivamente era rispetto a suo fratello.
Era troppo ingenuo.
Stefan era giovane, ma sempre più esperto e coscienzioso. Mi fidavo di lui, poteva farcela.
Inoltre… Se non fossi ritornato vivo dalla Francia avrei lasciato Elena a mio fratello. Mi costava ammetterlo, ma non avrei mai lasciato mia moglie nelle mani di un altro uomo. Stefan si sarebbe preso cura di lei, l’avrebbe protetta. Avevano un bel rapporto di amicizia. Non c’era amore, certo, ma l’importante era sentirsi bene con l’altro.
Era una spedizione suicida questa, ma sarei partito più tranquillo sapendo a chi lasciavo mia moglie.

 
“Assolutamente no, Stefan.”- gli risposi a tono. –“Qui hanno bisogno di te. Fino a che non ritornerò l’Olanda sarà sotto il tuo controllo. Mi fido di te, Stefan, non farmene pentire.”
“Ma io…”- tentò di obiettare, ma lo bloccai.
“Promettimi una cosa, Stefan…”- appoggiai le mie mani sulle sue spalle con lo sguardo tremendamente serio. –“Se non dovessi uscire vivo da qui, promettimi… Promettimi di prenderti cura di Elena, facendola diventare tua moglie. Io… Non sopporterei mai che andasse in mani sbagliate. So che magari non l’amerai mai come l’ho amata io, ma con te starà bene. Potrete avere una famiglia, dei figli… Un’ultima cosa… Prenditi cura anche di mia figlia. Katherine… Katherine non è affidabile e io… Per quanto ritenga quella bambina un errore non potrei abbandonarla, è pur sempre mia figlia.”
“Damon, io non…”- la sua voce tremò appena.
Ti prego, Stefan, promettimelo. Prenditi cura di loro, sono le persone più importanti della mia vita.”- lo implorai, quasi.
“Te lo prometto, fratello.”- la sua voce tremò appena e i suoi occhi divennero improvvisamente lucidi.

 
Lo abbracciai così, d’impulso.
Non so cosa avrei fatto senza di lui in tutta la mia vita. Avevamo sempre avuto un rapporto fatto di alti e bassi, ma avrei sempre potuto contare su mio fratello, ora più che mai.
Gli affidavo la mia vita: Elena e mia figlia.
Le avrebbe protette, di questo ne ero certo.
 
















 

                                                               * * *

















 
I preparativi erano durati meno del previsto.
Grayson aveva proclamato uno stato di allerta generale e avevamo arruolato i migliori soldati di tutta Olanda in veramente poco tempo.
Avevamo promesso denaro, terre, ma molti di loro non agirono per questo. Agirono in favore della libertà, della loro libertà –della libertà di tutti. Sapevano perfettamente che se la Francia avesse distrutto la mia famiglia si sarebbero spostati anche qui, per radere tutto a ferro e fuoco.
Avevamo organizzato i carri per mettere il cibo e delle anfore di acqua e vino che ci sarebbero servite durante il viaggio. Avevamo sellato i cavalli e i muli per il trasporto, eravamo pronti.
Prima di uscire da palazzo ero corso al capezzale di Elena, assicurandomi che stesse bene.
Non l’avevo trovata sveglia, ma Bonnie mi aveva detto che la febbre era scesa, anche se di poco. Era pur sempre un passo in avanti.
Salii a cavallo, imitato anche dagli altri. Alaric era al mio fianco, pronto per la spedizione.
Grayson, Jeremy e Stefan erano davanti alla porta del palazzo, con volti tristi, ma carichi di aspettative.
Dovevamo farcela.
Lo dovevo alla mia famiglia e ad Elena.
 

“Se avrete bisogno di rifornimenti fatecelo sapere tramite una lettera. Provvederò a spedirvi quanto necessario.”- mi disse Grayson avanzando di qualche passo.
“Lo faremo.”- gli risposi. Guardai mio fratello per l’ultima volta e questi annuì. Era una tacita richiesta di mantenere quanto detto. “Dobbiamo andare.”
 

Voltai il cavallo e feci segno di partire.
Ci muovemmo veloci nel buio della notte diretti verso la Francia.
Avrei combattuto per la mia nazione e per lei, mia moglie.
L’avrei salvata, o da vivo, o da morto.




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Buon inizio di settimana a tutte :')
Mi dispiace di aver postato solo ora, ma come sapete, gli impegni che ho sono, effettivamente, più grandi di me e il tempo per entrare qui, su EFP è sempre troppo poco ._____.
Il capitolo effettivamente non è molto lungo, di solito è nove pagine di Word, questo di otto poco più, ma ci ho messo dentro tante cose, infondo.
Finalmente, dopo tanto tempo, abbiamo avuto un 'confronto' diretto tra Damon ed Elena. Lei è ancora moribonda (?) ma cerca comunque di opporsi a Damon, mentre lui... Lui si annulla completamente di fronte a lei. Ho voluto renderlo così dolce con Elena perchè effettivamente doveva andare così, spero di non aver rovinato la sua immagine. Elena aveva bisogno di sentire quelle parole, Damon di dirle. Anche se, effettivamente, quando la ragazza si sveglierà avrà le idee confuse, ancora di più quando verrà a sapere che Damon è andato in Francia e del perchè  ci è andato.
Aspettatevi di tutto :')
Per quanto riguarda il dialogo dei due fratelli, beh... Posso dire che mi è scesa qualche lacrima? Non sarà il miglior discorso di addio, ma ho cercato di scrivere tutto l'amore di Damon per Elena e la sua paura di perderla. Damon affida Elena e sua figlia -perchè lui è convinta che lo sia- a Stefan.
Fino a qualche secolo fa, soprattutto se si parla di re, la moglie, se rimaneva vedova, veniva data in sposa ad un altro uomo, molto spesso il fratello di quest'ultimo, ma dipendeva comunque dai casi. Ho voluto sottolineare che è stata una scelta di Damon, l'ha presa lui, nessun altro :')
Nel prossimo capitolo aprirò il panorama Francia e non sarà per nulla facile.
Ringrazio le meravigliosa ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo, vi adoro <3
Alla prossima C:

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Capitolo 35
*** Lontananza. ***


                                                          Lontananza.
                                                                            35.



Elena.
Sentii dei rumori attorno a me. C’era gente che andava e gente che veniva.
Mi sentii ancora indolenzita, forse troppo, e terribilmente stanca.
Aprii gli occhi solo quanto sentii di essere finalmente sola –o quasi. Accanto a me c’era Bonnie che teneva tra le mani un banno bagnato e che mi avrebbe messo sulla fronte se solo non avessi aperto gli occhi. Rimase per qualche secondo a fissarmi con la bocca spalancata poi di slancio mi abbracciò.
Lei, Bonnie, che non aveva mai dimostrato gesti così grandi di affetto mi stava abbracciando. Ci volevamo un gran bene, non era da mettere in dubbio, ma non era mai stata così espansiva. Mi aveva abbracciata pochissime volte –anche se per me c’era sempre– e mi aveva lasciata del tutto stupito.

 
“Elena…”- singhiozzò. –“Sei viva!”

 
Mi abbracciò ancora più forte ed iniziò a singhiozzare senza freno. Rimasi qualche istante sconcertata e un po’ impacciata, ma poi mi ricordai tutto. La febbre alta, i miei deliri, mia madre, mio padre, i dottori e… Damon.
Mi guardai attorno spaesata… Lui dov’era?
Dov’era Damon?
Mi ricordai anche le sue parole, forse il tutto un po’ sfocato, ma il senso c’era. Lui mi aveva detto che mi amava e non gli importava che avesse una bambina, lui voleva me.
Sorrisi al ricordo, ma poi mi rabbuiai. Se mi voleva, dov’era ora?

 
“Bonnie… Si, sono viva.”- biascicai scostandomi leggermente da lei. –“Lui dov’è?”

 
La mia amica aggrottò le sopracciglia forse non capendo chi intendevo e mi osservò stranita.

 
“Damon… Dov’è?”- le domandai ancora.

 
Mi passai una mano tra i capelli stanca. Ero ancora spossata, reduce dalla febbre, e avevo bisogno assolutamente di un bagno caldo. Sperai con tutto il cuore di poter arrivare con i miei piedi alla vasca.

 
“Elena, lui-”

 
Bonnie non finì la frase perché la porta si spalancò di colpo. Erano mia madre e mio padre che sgranarono gli occhi non appena mi videro. Perché erano tutti così sorpresi? Insomma, non avevo mica rischiato di morire. Mi ero svegliata ed avevo parlato anche con Damon. Non doveva essere passato molto dall’ultima volta che avevo aperto gli occhi.

 
“Figlia mia, ti sei svegliata!”- mio padre quasi urlò venendomi incontro.

 
Mia madre si avvicinò cauta, quasi timorosa, ma potei vedere anche nei suoi occhi grande sollevazione.
Era passato tutto per fortuna.

 
“Padre, madre, buongiorno.”- li salutai sorridendo leggermente.
“Come ti senti?”- mi domandò mia madre.
“Bene, penso…”- mormorai, poi mi rivolsi in generale. –“Dov’è Damon?”

 
Dovevamo finire il nostro discorso!
Perché non arrivava?
Qualcuno doveva andare ad avvisarlo!

 
“Tesoro, Damon purtroppo non si trova qui in Olanda al momento, ma non preoccuparti. L’importante è che ora tu stia bene.”- mi rispose pacata mia madre.

 
Come non era qui in Olanda?
Ci avevo parlato al massimo due giorni fa, me lo ricordo. Mi sono forse sognata tutto?
E’ impossibile, era troppo reale.

 
“E’ impossibile!”- arrancai. –“Lui qualche giorno fa era qui, me lo ricordo…”
“E’ partito cinque giorni fa, Elena.”- mi rispose mio padre risoluto.

 
Cinque giorni? Impossibile.
Ero rimasta incosciente per altri cinque giorni?
Mia madre mi rispose per chiudere tutti i miei dubbi.

 
“Dopo che ti sei svegliata la febbre è risalita. Sono stati giorni molto difficili, tesoro. Sei rimasta incosciente per ben cinque giorni, credevamo… Credevamo di averti persa per sempre…”- la sua voce tremò e risultò più incrinata del previsto.
“Ma ora stai bene, è tutto passato.”- mio padre mi accarezzò una guancia. –“Dobbiamo chiamare un medico per farti visitare, andrà tutto bene.”
“E’ andato in Francia, non è vero?”- domandai apatica.

 
Bonnie abbassò il capo, mortificata.
Quanto avevano aspettato per dirmelo? Dovevo saperlo, era mio diritto.
Perché tutti mi stavano nascondendo delle cose?

 
“Ci sono stati alcuni problemi. Se la caverà.”- mi rispose mio padre.

 
Con quella risposta mi ritornò in mente tutto.
I problemi che c’erano in Francia.
Il padre di Damon, Giuseppe, che si trovava quasi sicuramente lì.
Se era accorso in Francia vuol dire che la situazione era peggiorata e io avevo ritardato il tutto, ancora una volta. Prima per i miei capricci, poi con la malattia.
Mi sentivo terribilmente in colpa.
 













 
                                                                                            ***















Bonnie mi aveva appena aiutata con un bagno caldo, ne avevo bisogno. Per qualche minuto ero anche riuscita a rilassarmi e tutti i giorni di febbre erano scomparsi. Mi erano ritornate anche le forze ed ora ero anche più serena: la dottoressa Fell –l’unica di cui mi fidavo visto tutto quello che era successo e che mi era stato raccontato– aveva confermato che mi stavo riprendendo alla grande e che ormai non c’era più nessun pericolo per me. Certo, ci sarebbe voluto qualche giorno per riprendere completamente le forze e per eliminare la spossatezza, ma stavo bene.
Poi però tutta la calma che avevo acquistato era scemata in preoccupazione. Ero preoccupata per… Damon. Dopo tutto quello che era successo non riuscivo a non preoccuparmi. Era per sempre Damon e mi era entrato così tanto in profondità da non riuscire più ad uscirne. Quando avevo scoperto che lui fosse padre mi era crollato il mondo addosso, sarei voluta morire e poi… Poi Damon ha riacceso in me la speranza. E se l’avesse fatto solo perché ero malata e perché lui aveva dei compiti da rispettare verso il popolo?
Questa volta non mi lasciai prendere dal panico e riuscii a ragionare a mente fredda: dovevo assolutamente vederlo e chiederglielo di persona. Se mi avesse assicurato che il suo amore per me non era vero sarebbe potuto rimanere re e godersi la propria vita con sua figlia e la donna che amava. Io non gli sarei mai stata d’intralcio. Nessuno l’avrebbe saputo –almeno fuori da palazzo– e avrebbe potuto vivere felice, mentre io… Io avrei continuato ad essere la regina e mi sarei comportata come tale. Era anche vero che tutti si aspettavano un erede, le voci già circolavano, ma io avevo poche possibilità. Ne avrei discusso con Damon e se lui fosse stato d’accordo ci avremmo provato, in nome di quello che ci legava, e se non ci saremmo riusciti mi sarei fatta da parte per sua figlia.
In caso contrario, se Damon mi avesse confermato il suo amore per me e se avesse provato che era reale non avrei mai lasciato che abbandonasse sua figlia, lui… Doveva sapere i miei problemi e avrebbe preso la decisione più giusta.
 

 
Bonnie mi stava spazzolando i capelli quando qualcuno bussò alla porta.

 
“Avanti.”- dissi alzando la voce in modo da farmi sentire.

 
Entrò all’interno della mia stanza una guardia che annunciò la presenza di Caroline. Dissi alla guardia di farla entrare senza alcun problema.
Avevo voglia di vederla, mi era mancata così tanto.
Non appena mi vide mi corse in contro, per quanto poteva visto il fagotto rosa che teneva tra le braccia, e mi abbracciò tenendo stretta la piccola Margaret. Mi era mancata così tanto. Bonnie ci lasciò da sole –avevo insistito per farla rimanere, ma giustamente doveva tornare alle sue mansioni.

 
“Elena, non hai idea di quanto tu ci abbia fatti preoccupare!”- tuonò quasi in tono di rimprovero.

 
Potevo vedere anche in lei preoccupazione, ma tanta felicità. Feci accomodare Caroline su una delle tante poltrone e mi sedetti di fronte a lei.
Mi persi ad osservare per qualche attimo la piccola Margaret che era troppo impegnata a dormire e poi riportai lo sguardo su sua madre.

 
“Non volevo questo, davvero. Mi dispiace che voi tutti siate rimasti così in pena per me…”- mormorai giocando con una mia ciocca di capelli.
“Non ti devi dispiacere, Elena.”- Caroline mi sorrise. –“Solo non farlo più.”

 
Scoppiai a ridere di gusto, seguita dalla mia amica.

 
“Come se potessi.”- le risposi sorridendo. –“Certo, spero con tutto il cuore di non trovarmi più in una situazione simile.”

 
Rimanemmo per qualche attimo in silenzio, fino a quando Margaret non aprì i suoi meravigliosi occhi azzurri ereditati da entrambi i genitori.
Era una bambina bellissima, bionda e occhi azzurri.

 
“E’ cresciuta tantissimo…”- mormorai sbalordita.

 
Me la ricordavo più piccola, ma forse era soltanto un effetto ottico visto che era da tanto che non la vedevo. Le presi una manina e gliela accarezzai delicatamente tanto che la piccola sorrise, quasi, aprendo la bocca sdentata.

 
“Puoi prenderla in braccio, non morde.”- mi invitò Caroline sorridendo.

 
Con delicatezza Caroline mi passò la bambina e feci ben attenzione a non farla cadere e a sorreggerle la testa. I bambini erano così delicati e avevo sempre paura che qualcosa potesse andare storto. La piccola non si accorse nemmeno della differenza tra me e sua madre, anzi, mi scrutava attentamente.
Mi prese una ciocca di capelli, una di quelle sfuggite alla crocchia di Bonnie, e la tirò con le sue piccole manine.

 
“Margaret, no!”- la rimproverò Caroline tentando di farle mollare la ciocca.
“Non preoccuparti, non mi sta facendo male.”- le risposi sorridendo e dando un bacio alla guancia paffuta della bambina.

 
Oltre ad essere cresciuta era anche diventata parecchio pesante. Era una mescolanza perfetta di tenerezza e ciccia. Iniziai a cullarla e la bambina socchiuse leggermente gli occhi.

 
“Siete bellissime insieme.”- mi sorrise Caroline piena di tenerezza. –“Arriverà anche il tuo momento.”
“Lo spero.”- risposi solo non alzando gli occhi dalla bambina.

 
Rimanemmo in silenzio ancora per un po’, quando Caroline parlò.

 
“Ho saputo di Damon.”- mi disse solo.

 
Spalancai gli occhi terrorizzata.
Cosa aveva saputo esattamente di Damon?
La storia del ‘presunto tradimento’ o della Francia? Sperai di più la seconda, anche perché non mi sarei mai spiegata la prima. Sperai con tutto il cuore che la notizia non si fosse diffusa.

 
Entrambe le cose, Elena.”- mi rispose seria. –“Me l’ha detto Stefan, a me e Niklaus intendo.”

 
Si affrettò a precisare.
Stefan sapeva? Come ne era venuto a conoscenza?

 
“Come… Come fa Stefan a saperlo?”- domandai.
“Gliel’ha detto Damon. Mi dispiace Elena, davvero.”- mi disse.

 
Feci per parlare, ma mi interruppe.

 
“Voglio dirti una cosa, prima. Damon… Damon non mi è mai piaciuto. La prima volta che l’ho visto ho subito pensato che fosse un dongiovanni e la sua fama in Francia lo precedeva già di gran lunga. Ma poi, da quando si è messo con te, è cambiato. Dopo il matrimonio ancora di più. Aveva occhi solo per te, ti guardava come… Se al mondo esistessi solo tu ed è molto bello, perché ti fa sentire protetta. Conosco quella sensazione, è la stessa che provo quando sono con Niklaus, ed è per questo che posso confermarti di aver detto la verità. Lui… Ti ama, Elena. Forse ha sbagliato, ma sono sicura che si pente ogni giorno di quello che ha fatto e non se lo perdonerà mai.”- mi rispose.

 
Rimasi colpita dalle parole della mia amica, non l’avevo mai sentita fare un discorso del genere. Sapevo che non aveva mai visto di buon occhio Damon, ma per la mia felicità non me l’aveva mai detto e questo lo avevo apprezzato, ma ora lo stava difendendo.

 
“Caroline, io-”

 
Mi interruppe di nuovo ammonendomi con lo sguardo.

 
“Pensa a quello che ti ho detto, Elena. Lui ti ama e sicuramente non l’ha fatto apposta.”- terminò.
“Era ubriaco…”- le dissi.

 
Me l’aveva detto Damon, me lo ricordo fin troppo bene.

 
“Ed è per questo… Non lasciarlo andare per questo, è pentito e farebbe di tutto per te. Pensaci, Elena.”- continuò.
Ha una figlia, Caroline.”- le dissi esponendo le mie paure.
“Tu e la bambina siete sullo stesso piano, ne sono sicura. Potrete tenerla con voi e tu potresti farle da madre, non sarebbe meraviglioso?”- mi domandò felice.

 
Scossi la testa. Quella bambina aveva già una madre.

 
“Ha già una madre, Caroline.”- le risposi.
“Stefan mi ha anche detto che prima o poi quella donna”- sottolineò la parola facendo una smorfia. –“si stuferà della bambina e tu potresti prendertene cura. Sarebbe meraviglioso. E non contraddirmi, non questa volta.”

 
Mi puntò il dito contro alzandosi con la sedia.
Sembrava una minaccia.
Feci per risponderle, quando qualcuno entrò all’interno della stanza.
Stefan?

 
“Elena, vi devo parlare.”
 

 
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Mi scuso per l’enorme ritardo con cui mi trovo ad aggiornare, ma ho avuto alcuni problemi e non ho avuto tempo per stare al computer. Prometto che durante le vacanze di Pasqua cercherò di recuperare in ogni modo possibile.
Ringrazio tutti per le recensioni e voglio domandarvi una cosa… Le recensioni sono calate, la storia non vi piace più?
Se è così mi dispiace davvero tanto. Potete dirmi cosa non vi piace e cercherò di accontentarvi tutte, se posso. Io faccio del mio meglio, davvero :)

Mi dispiace di avervi lasciato poche righe, ma sono proprio di corsa :(
Alla prossima <3


 

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Capitolo 36
*** Francia. ***


                                                                           Francia.

                                                                                               36.


Elena.

Guardo Stefan sorpresa e un po’ intimorita per il tono di voce che ha usato. Perché dovrebbe parlarmi?
Un nome mi balza alla mentre e prego con tutto il mio cuore che non gli sia accaduto nulla di male.
Damon.
 

“Stefan, è successo qualcosa a Damon?”- domando, o urlo, con un nodo in gola.

 
Scuote piano la testa e mi sorride, cercando di rassicurarmi, poi si avvicina a me. Tiro un sospiro di sollievo, almeno non è successo nulla a Damon, per ora. Se sono rimasta incosciente per altri cinque giorni e l’ultima volta che ho visto mio marito è stata proprio prima di addormentarmi questo vuol dire che è in viaggio da cinque giorni, ancora troppo poco per essere già arrivato in Francia a cavallo.
Allora perché Stefan mi vuole parlare?

 
“Caroline, potreste… Lasciarci da soli?”- domanda piano Stefan, quasi in imbarazzo.
“Ma certamente principe Stefan, non dovete preoccuparvi.”- gli sorride Caroline.

 
Le ridai la piccola Margaret che si era persa a giocare con la mia collana –quella che mi aveva regalato Damon e che non avevo mai tolto. Quest’ultima mi sorrise rassicurante e poi se ne andò così come era arrivata.
Feci per alzarmi, per parlare con Stefan, ma il fratello di mio marito mi fece segno di rimanere seduta.

 
“Dovete riposarvi e io non sono qui per farvi affaticare.”- mi sorrise, poi si sedette di fronte a me. –“Non appena mi è giunta voce che vi siete svegliata sono venuto il prima possibile.”
“Stefan, quante volte vi ho detto che potete darmi del tu?”- gli domandai sorridendo.
“Tante quante io l’ho detto a voi.”- gli lanciai uno sguardo ammonitore. –“Va bene, tante quante l’ho detto a te.”
“Ecco, così va meglio.”- ridacchiai leggermente. –“Comunque sto bene, grazie dell’interessamento. Penso, però, che tu non sia venuto solo per questo, o sbaglio?”

 
Stefan abbassò il capo titubante e si passò una mano tra i capelli. Con quel gesto mi ricordò tremendamente Damon e i miei occhi divennero lucidi mentre il mio cuore mi fece male. Mi mancava terribilmente, anche dopo tutto quello che era successo mi mancava, perché lo amavo ancora, dopotutto.

 
“Hai ragione, non sono venuto solo per questo. Sono venuto per parlarti di mio fratello.”- mi disse solo.

 
Lo bloccai prima che potesse dire qualcos’altro. Ora qualcuno doveva ascoltarmi per una buona volta.

 
“Quando mi sono svegliata, la prima volta intendo, ho trovato Damon al mio fianco. Avrei pensato tutto, ma non di ritrovarmi lui accanto. E’ stata una sorpresa perché dopo quello che avevo appreso ero convinta che fosse scappato il più lontano possibile e non l’ha fatto.”- sorrisi leggermente al ricordo mentre Stefan non fiatava. –“E non è neanche stata fortuna, perché era lì da chissà quanto tempo, e questo me l’hanno potuto confermare i miei genitori poco fa. Era lì per me. Mi ha raccontato tutto e sebbene io abbia tentato più volte di cacciarlo, salute permettendo, lui si è annullato di fronte a me raccontandomi tutto quello che è realmente successo. Sono arrabbiata, questo è vero, ma non posso non perdonarlo, Stefan.”
“Sei troppo buona Elena e io… Ti devo ringraziare per questo. Tu hai cambiato mio fratello, in meglio.”- mi sorrise.
“Damon”- sospirai. –“poteva essere la miglior cosa o la peggiore per me, ma evidentemente, e fortunatamente, è stata la prima. Infondo gli sono grata per l’avventura che mi ha dato, gli ho dato tutta me stessa, non potevo fare altro. Ma sono disposta a lasciarlo libero.”

 
Mi mordo leggermente il labbro, mentre Stefan aggrotta le sopracciglia non capendo.

 
“Che cosa vuoi dire?”- mi domanda invitandomi a parlare.
“Voglio dire…”- mi presi un attimo di pausa e continuai a parlare guardandomi le mani. –“Se lui ama realmente quella donna, Katherine, non gli impedirò certo di stare con lei. E’ la madre di sua figlia, dopotutto.”

 
Stefan scosse la testa e mi guardò come se fossi pazza.
Lì per lì aggrottai le sopracciglia confusa, ma non feci in tempo a chiedere nulla perché iniziò a parlare.

 
“Lui non ama quella donna, Elena, davvero. Mi ha raccontato quello che è successo, ma mi ha anche detto di non amarla. Ama te, te soltanto. E’ disposto a tutto per te, ma non rinuncerà mai a te. Quando tornerà, perché tornerà, starà con te e con sua figlia. Siete entrambe troppo importanti per lui e di certo non rinuncerà a te.”- mi disse tutto ad un fiato.

 
Rimasi colpita da quelle parole e sorrisi inconsapevolmente. Stefan non stava mentendo, mi aveva fissato per tutto il tempo ed inoltre sapevo che non mi avrebbe mai mentito, non su questo.
Che senso avrebbe avuto altrimenti?

 
“Grazie, Stefan.”- gli sorrisi.
“Ho solo detto la verità.”- mi rispose solo, ma lo vidi sorridere.













 
 
                                                                                                   ***
 













Tre settimane dopo.
 

Erano passate quasi quattro settimane da quando Damon se n’era andato. Circa un mese.
Non avevamo sue notizie da circa tre settimane. Aveva inviato una lettera a Stefan, avvisandolo che era arrivato in Francia sano e salvo e aveva chiesto a suo fratello di informarlo sul mio stato di salute.
Quando Stefan mi aveva spiegato cosa c’era scritto sulla lettera e di coma Damon si preoccupasse per me avevo sorriso e il mio cuore si era scaldato. Quello voleva dire che gli importava ancora qualcosa di me, dopotutto.
Stefan si era prodigato ad inviargli la risposta e lo aveva esortato a scrivergli ancora sui nuovi sviluppi, ma da allora non era arrivata nessuna lettera e mi stavo preoccupando da morire.
E’ vero che c’era bisogno di tanto tempo per l’arrivo di una lettera, ma chiunque si fosse incaricato di portarla avrebbe già dovuto essere qui. Inoltre avevo un brutto presentimento, ma cercavo di non darlo a vedere.
Nel frattempo la mia salute era migliorata a vista d’occhio e ora stavo bene. Niente tosse, niente mal di testa, niente fiacchezza e niente vomito, niente. Stavo bene finalmente e non vedevo l’ora di vedere Damon. Per quante cose avessimo ancora da chiarire mi mancava tantissimo, mi mancava la sua voce, i suoi occhi e anche il suo fare così saccente. E perché no… Anche quanto litigavamo.
Mi mancava tutto di lui e forse era terribilmente sbagliato visto tutto quello che era successo, ma non potevo farci nulla.
 

“Ti vedo assorta…”- mi sorprese una voce alle mie spalle. Si sedette accanto a me. –“C’è qualcosa che non va? Stai male?”
“Perché sei qui Jer?”- domandai a mio fratello.
 

Non mi dava fastidio, certo, adoravo passare del tempo con mio fratello, ma ero veramente sorpresa di trovarlo qui, nel mio posto segreto.
Era il posto mio e di Damon, dove avevamo passato la nostra prima notte di nozze.
 

“E, soprattutto, come fai a conoscere questo posto?”- domandai pungente.
 

Jeremy abbassò lo sguardo e ridacchiò imbarazzato.
Mi aveva sicuramente seguita.
Devo dire però che è migliorato un sacco. Da piccolo tentava sempre di seguirmi e cercava di non farsi scoprire, ma inevitabilmente finiva allo scoperto da solo.
 

“Ti ho seguita. Mi dispiace, lo so che non dovevo farlo, ma ero preoccupato.”- mi rispose poggiandomi una mano sulla spalla. –“E’ da giorni che sei pensierosa. C’è qualcosa che non va?”
“Nulla Jeremy, non devi preoccuparti per me, sto bene.”- gli sorrisi cercando di essere il più convincente possibile.
 

Mio fratello scosse la testa e mi guardò serio.
Ho pessime qualità per mentire.
 

“Sei preoccupata, lo vedo.”- mi disse. –“Che cosa c’è che ti turba?”
Damon.”- sospirai. –“Non si fa sentire da settimane, ho paura che gli sia successo qualcosa.”
“Elena, sei troppo paranoica a volte, Damon se la sta cavando alla grande, ne sono sicuro.”- mi disse sorridendo.
 

Tentò di rassicurarmi con il suo sorriso e con le sue parole, ma non ci riuscì.
 

 

Damon.
La lontananza da mia moglie si faceva sentire e anche troppo. Mi mancava ogni cosa di lei e sapendo come ci eravamo lasciati –come io l’avevo lasciata– mi turbava ancora di più.
Certo, Elena era in buone mani, anzi, in ottime mani, ma stavo in apprensione lo stesso. Avevo inviato una lettera a mio fratello per sapere come stesse lei, la mia Elena, e lui mi aveva rincuorato sul fatto che si era ripresa alla grande, ma potevo credergli?
Dovevo, perché non potevo vedere con i miei occhi cosa stava effettivamente succedendo.
In Francia, intanto, la situazione si era rivelata peggio del previsto. Colui che era al potere –per me ancora senza volto– aveva fatto un disastro, c’era il caos più totale.
I paesi adiacenti a Parigi, una volta la gloriosa Parigi, erano distrutti, era stato portato via tutto e la gente viveva nel terrore.
Quello ovviamente mi era stato riferito dai miei uomini di fiducia perché io non potevo farmi vedere, non ancora, dovevo giocare sul fattore sorpresa e sperare che Giuseppe, mio padre, fosse ancora vivo.
Sebbene non fosse mai stato un padre modello non meritava assolutamente di morire così, per mano di un qualche pazzo egocentrico che bramava il potere, no… Lui era pur sempre mio padre e quel… Mostro che aveva il potere sarebbe morto con le mie mani.
Non avrei avuto rimorso, no… Stava rovinando la vita di un intero Paese.
Alaric aveva preparato un piano per fare irruzione al castello, era veramente impeccabile. Avevamo fatto alcune modifiche visto che il ‘nuovo re’ aveva apportato qualche modificazione al castello eliminando quasi completamente l’ala ovest.
Avremmo agito di notte, perché era meglio così e potevamo colpire da più punti.
 
 











                                                                                                  ***
 
 











Era notte fonda ormai quando io, insieme ai miei uomini migliori, ci avviamo verso il castello senza fare il minimo rumore. Dovevamo agire con discrezione e non dare nell’occhio, era una questione di vita o di morte.
Ci dividemmo in tre squadre: la mia e quella di Alaric sarebbero passate per i sotterranei mentre l’altra avrebbe tentato di intrufolarsi dal retro del castello, dove c’era il minor numero di guardie.
La mia squadra entrò per prima e ci dirigemmo verso la parte ovest, mentre quella di Alaric nella parte est. Io conoscevo meglio il castello del mio amico e l’ala ovest era quella più pericolosa, ma, soprattutto, era piena di trappole di ogni genere –che il nuovo re si era divertito a modificare a suo piacimento.
Il mio primo pensiero fu quello di dirigermi verso le prigioni: se mio padre era ancora vivo doveva essere per forza lì dentro –e sperai con tutto il cuore di non essermi sbagliato.
Arrivammo con non poca facilità in direzione delle prigioni, ma non si vedeva praticamente nulla. Da lontano potevo scorgere due guardie che parlottavano tra di loro al lume di una candela.
L’uomo al mio tentò di accendere un bastone, ma glielo impedii. Ci avrebbero sicuramente visto, avremmo dovuto agire nel buio.
Feci segno a Frederick di seguirmi e, appiattendomi contro il muro, tentai di arrivare il più vicino possibile alle due guardie che intanto non si erano accorte di nulla. Il mio amico scagliò un coltello tascabile nel petto della prima guardia che cadde a terra privo di vita mentre la seconda non fece nemmeno in tempo ad accorgersi del mio arrivo che cadde anch’essa a terra priva di vita grazie alla mia spada.
Mi spinsi poco più avanti, in direzione delle prigioni, ed è lì che lo vidi: mio padre.
Non appena mi vide i suoi occhi si illuminarono di gioia e anche un po’ di preoccupazione.
Era vivo, mio padre era vivo!
 

“Damon!”- esclamò.
“Abbassate la voce, ci sentiranno.”- gli feci segno di stare zitto. –“Frederick, cerca le chiavi per la prigione, muoviti.”
 

Frederick si mise alla ricerca delle chiavi della prigione frugando tra le tasche dei due uomini ai nostri piedi ormai morti, ma non trovò nulla.
Dove potevano essere quelle maledette chiavi?
Scassinare le sbarre era impossibile, come era impossibile aprire quelle celle. Le avevo fatte programmare io stesso e mi diedi mentalmente dello stupido per averle fatte così sicure.
 

“Dannazione!”- imprecai portandomi una mano sulla fronte. –“Dove sono quelle maledette chiavi?”
“Figliolo, dovete andarvene, subito! Non dovete rischiare la vostra vita per me!”- mi supplicò Giuseppe.
 

Per la prima volta, in tutta la mia vita, mi aveva supplicato. Mio padre che mi supplicava di scappare per mettere in salvo la mia vita?
Che cosa diamine gli avevano fatto?
Avrei riso se fossimo stati in un’altra situazione, ma non avevo assolutamente tempo per scherzare.
 

“Sono arrivato fin qui per riportarti in Olanda e non ho fatto tutta questa strada per niente Giuseppe.”- gli dissi. –“Ti tirerò fuori di qui! Prima devo andare alla ricerca di quelle stramaledettissime chiavi!”
 

Guardai mio padre negli occhi, ma notai che aveva la bocca spalancata e gli occhi spalancati.
 

“Non serve che tu le cerchi, cuginetto, le ho io.”
 

Mi girai di scatto per ritrovarmi di fronte la faccia di mio cugino con un sorriso sornione sulle labbra seguito da come minimo altre dieci guardie.

 
 
 _____________________________________________________________________________________________________________________________________
 
Non so da dove partire per scusarmi dell’immenso, e ennesimo ritardo, ma non ho avuto davvero tempo per scrivere.
Con il ‘quasi’ ultimo mese di scuola i professori ci hanno caricato di compiti in classe e ogni settimana ne ho come minimo due senza contare le interrogazioni, per giunta. Dalla prossima settimana dovrei avere un po’ più respiro, ma non assicuro nulla.
Ora non sto qui ad annoiarvi, passiamo al capitolo, meglio andare per ordine.
 
  1. Stefan ed Elena hanno un dialogo fondamentale ed Elena sembra convincersi di quello che prova Damon per lei –dell’amore vero che li lega entrambi– e il più piccolo dei Salvatore non le rivela la supposizione che hanno fatto lui e Damon riguardo Katherine. D'altronde non c’è ancora niente di sicuro, direi che Stefan ha fatto bene.
  2. Damon finalmente arriva in Francia gente e beh… La situazione è ancora più tragica del previsto. Il nuovo re ha messo completamente a ferro e fuoco il Paese, distruggendo tutto quello che i Salvatore avevano fatto.
  3. Chi poteva essere il colpevole se non Erik? Ebbene si… Non l’ho fatto sparire nel nulla, ve l’avevo detto u.u E’ il cugino maligno di Damon ad aver architettato tutto e ovviamente, ora che ha trovato Damon, non sarà tutto rose e fiori.
  4. Come ha fatto Erik ad accorgersi di Damon? Lo scoprirete nel prossimo capitolo :’)
 
Ringrazio le fantastiche ragazze che hanno recensito premurosamente anche lo scorso capitolo con bellissime, stupende, parole. Ora, visto che ho più tempo, mi metto subito a rispondere alle vostre recensioni, anche se mi devo riprendere ancora della puntata.
Voi l’avete già vista? Ma quanto può essere ODIOSA Lily? L’attrice che la interpreta mi piace un sacco, sia chiaro, ma il suo personaggio mi sta altamente sulle scatole. Ha rovinato tutto, anche se forse è stato meglio così…
E l’ultima parte della puntata? *---* Meravigliosa davvero, anche se presumo, anzi, ne sono certa, che qualcosa andrà storto nella prossima puntata.
Ho visto il promo questa mattina, rovinandomi anche parti dell’episodio, ma sono rimasta arrabbiata per parecchie ore, vedremo come andrà a finire. Ovviamente non sono scesa nel dettaglio per rispetto di chi non ha visto ancora la puntata :)
 
Avete saputo dell’addio di Nina Dobrev? Credetemi, ci sono rimasta male per giorni, non me lo aspettavo.
Ecco perché presumo che il finale possa andar male, ancora peggio di prima. Elena sicuramente morirà, o peggio… Damon –non mantenendo fede alla promessa che le ha fatto– la soggiogherà per dimenticare tutto e farla andare via… Personalmente non accetto quest’ultima parte, preferirei la prima e che morisse per salvare Damon, almeno secondo la mia opinione.
Ho già espresso il mio parere a riguardo nel commento dell’altra mia storia, la mia Nian <3 (per tutti quelli che la seguono… Aggiornerò a giorni, non preoccupatevi ^^), ma sono felice per Nina e se TVD non era il meglio per lei le auguro con tutto il cuore che possa trovarlo.
Alla prossima <3

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Capitolo 37
*** Rivelazioni. ***


                                                                Rivelazioni.
                                                                                                            37.



Damon.

Indietreggiai leggermente e mi andai a scontrare contro la corazza di una guardia. Dannazione, non avevo nessuna via di fuga, eravamo in trappola.
Tecnicamente non avrei dovuto sentirmi così, visto che quello che avevo davanti era il mio adorato cugino, ma il suo sguardo non mi sembrava per nulla rassicurante. Perché era dentro il castello reale –che mi avevano detto essere stato assediato dal nuovo re– con delle guardie a proprio comando?
Dentro di me volevo non sapere la risposta, anche se la verità mi si parò di fronte poco dopo.
 

“Vuoi scappare da me, cugino?”- mi domandò ghignando.

 
Avrei voluto tirargli un pugno, ma cercai di trattenermi.
Che cosa ci faceva qui? Che cosa voleva? Ma, soprattutto, perché sembrava così tranquillo e padrone del mondo?

 
“Come… Come sapevi che fossi qui?”- domandai con astio.
“Ho in miei informatori, ecco.”- sorrise ancora sadico indicando delle guardie dietro di loro.

 
Mi sporsi meglio per capire che fossero queste guardie e quando lo capii mi meravigliai.
Erano tutti i componenti della terza squadra! Erano tutti uomini di cui mi fidavo ciecamente. Ero stato tradito dai miei uomini.
Provai un moto di repulsione e rabbia, ma tutto quello che riuscivo a chiedermi era Perché. Perché l’avevano fatto?
Perché mi avevano tradito?
Questi, quasi come mi avessero letto nel pensiero, abbassarono tutti lo sguardo.

 
“Non avere quella faccia da cucciolo bastonato, Damon.”- ridacchio poi. –“Ti fidavi di loro? Mi è bastato promettere loro un po’ di terre, denaro e qualche carica politica importante. Dopotutto è questo a cui ogni uomo aspira, o mi sbaglio?”

 
Decisi di non rispondere, volevo fare chiarezza su altre questioni.
Ai traditori ci avrei pensato dopo –se sarei uscito vivo da lì.

 
“Quindi tutto questo…”- mi guardai attorno. –“E’ opera tua?”

 
La voce uscì quasi tremolante e sperai –pregai– che non avesse capito i miei tentennamenti. Sperai che rispondesse che lui non centrava nulla, che era tutto un gioco, che non sapeva niente, invece la sua espressione non mi piacque per niente.
Centrava in tutto questo, eccome se centrava.

 
“Sai perfettamente la risposta, Damon.”- mi rispose con un alzata di spalle. –“Buttateli tutti in cella, tranne lui.”- mi indicò e un brivido percorse tutto il mio corpo. –“Con lui mi divertirò personalmente.”












 
 
                                                                                                        ***
 













Ero stato legato come un salame, anche alle mani e ai piedi e gettato di fronte al trono della sala reale.
Delle guardie mi tenevano fermo, mentre Erik si sedette sul trono che una volta era stato di mio padre. La sala era cambiata completamente, il nero predominava ovunque.
Il nero era segno di distruzione e di morte, esattamente cos’era la Francia in quel periodo. In un altro momento sarei stato d’accordo con la scelta del colore, ma ora mi incuteva paura.
Dovevo dimostrarmi forte se volevo uscire vivo da qui e salvare il mio regno.

 
“Da dove posso cominciare?”- mi domandò, o forse lo domandò a se stesso. Si portò una mano sotto il mento, poi il suo sguardo si illuminò. –“Come sta la dolce e cara Elena?”

 
Il nome di mia moglie pronunciato dalle sue labbra mi innervosì ancora di più. Sapevo che Erik aveva posato lo sguardo su Elena e da quel momento difficilmente era riuscito a staccarsene, ma aveva dovuto farlo visto che lei era mia, mia soltanto.
Dallo sguardo che mi lanciò Erik era ancora un suo interesse ed era quello che mi preoccupava più di tutti. Non mi importava della mia vita, mi importava solo di quella di Elena.

 
“Ho sentito che si è ammalata, anche gravemente. Povera… Eppure era così bella. Così solare, così innocente. Dimmi Damon”- si alzò dal trono e si avvicinò a me. –“avete messo su famiglia?”
“Se sai tutto dovresti anche sapere la risposta.”- ringhiai.

 
Erik mi tirò un pugno in faccia che mi fece barcollare e quasi cadere a terra.
Le catene non aiutavano assolutamente e nemmeno la corda che portavo al collo. Sentivo la parte vicino all’occhio, precisamente la tempia, pulsare, ma non me ne importava.

 
“Certo che lo so, ma volevo che tu ti dimostrassi gentile.”- rise sguaiatamente. –“Sai vero che sono la massima potenza qui? Tu dovrai obbedirmi e non succederà nulla, almeno fino a quando non mi stuferò di te.”
“Non farò mai il tuo cagnolino, puoi scordartelo!”- gli risposi a denti stretti.

 
Questa volta una guardia strinse di più il laccio al collo non lasciando nemmeno uno spazio tra la mia pelle e la corda. Bastava un piccolo movimento e sarei morto strozzato.
Non mi importava, non gliel’avrei mai data vinta.

 
“La tua vita è nelle mie mani, Damon, vedi di ricordartelo.”- disse poi.
“Perché stai facendo tutto questo?”- domandai alzando gli occhi su di lui.
“Vedi, Damon, io e te abbiamo molte cose in comune. A cominciare dal fatto che abbiamo lo stesso sangue.”- proseguì.

 
Voleva davvero andare avanti ad indovinelli?
Era logico… Era mio cugino –anche se avrei preferito chiunque altro a lui– ed era un dato di fatto che avessimo lo stesso sangue eppure il suo sguardo mi diceva che c’era qualcos’altro dietro quegli occhi marroni, qualcosa che mi avrebbe sconvolto.

 
“Sei mio cugino…”- sputai acido.
“Oh, Damon. Voglio prendermi ciò che mi spetta e tu non sei molto sveglio.”- continuò a stuzzicarmi.
“E questo cosa centra?”- domandai io mentre una guardia dietro di me mi strattonò.
“Voglio solo che tu risponda a qualche domanda e io sarò clemente con te, va bene?”


 











 

                                                                           ***
 













“Non so dove si trova.”- gli risposi esasperato.
“Certo che lo sai, Damon.”- mi rispose ringhiando. –“Dimmi dove si trovano quella dannata carta e quel timbro.”

 
Stavo per aprire di nuovo la bocca e ribadire che non sapevo dov’era la carta che indicava l’albero genealogico reale e nemmeno il timbro reale.
Il timbro potevo capire a cosa servisse… Gli serviva per poter commerciare e svolgere qualsiasi attività passandosi per noi, anche se questo sarebbe durato poco. Quanto tempo ci sarebbe voluto prima che la notizia si diffondesse?
Per quanto riguardava la carta non ne avevo idea… Voleva per caso cambiare il posto dell’erede al trono che aspettava a me? Ma tutti ne erano a conoscenza e anche in caso di cambiamenti nessuno gli avrebbe creduto, o forse si.
I ministri legati alla corona erano stati tutti uccisi e lui ne aveva inseriti di nuovi, ovviamente suoi alleati.
Ma non aveva senso… Aveva la situazione in pugno, proprio ora voleva fare le cose in modo fiscale?
No, c’era qualcos’altro sotto.

 
“Non lo so.”- ripetei per l’ennesima volta. –“Non so a cosa ti servano, ma non ero nemmeno alla conoscenza di tutto ciò.”

 
Mentii al riguardo, anche se effettivamente non sapevo a cosa gli servissero quelle cose.
Che importanza avevano per lui?

 
“Vedo con piacere che vuoi essere torturato.”- disse passando dall’arrabbiato all’euforico.

 
Un brivido di terrore mi percorse la pelle, ma non lo lasciai vedere.
Anche se mi avesse torturato non avrebbe ottenuto nulla, io non sapevo veramente niente.

 
“Portatelo nella sala torture.”- dichiarò e in poco tempo fui strattonato in piedi. –“Quando sarà in punto di morte forse avrà meno voglia di scherzare. Dopo qualche colpo di frusta inizierà a parlare.”
 


 
Strinsi i denti all’ennesimo colpo di frusta mentre sentii la carne della schiena lacerarsi sotto il tocco della corda. I miei occhi bruciavano, mentre il sangue colava senza fermarsi. Se avessi avuto gli occhi dietro la testa molto probabilmente non mi sarei nemmeno più riconosciuto la schiena.
Dopo il ventesimo colpo di frusta persi il conto, mentre continuavo a stringere i pugni non emettendo nessun suono.

 
“Ancora!”- ordinò Erik.

 
O almeno mi sembrava lui. Non riuscivo nemmeno più a distinguere le voci. I bordi delle cose cominciavano a farsi sfuocati e di lì a poco avrei perso quasi sicuramente i sensi.
Continuavo a ripetere che non sapevo nulla di quello che mi stava chiedendo, ma evidentemente non mi credeva.
Avrebbe continuato ancora a lungo, me lo sentivo. Preferivo morire.
Stefan si sarebbe preso cura di Elena e avrebbe salvato la Francia, avevo massima fiducia su di lui mentre io… Io non sarei uscito di qui.
Mi accasciai al suolo boccheggiando e un altro colpo di frusta mi colpì facendomi gemere dal dolore.

 
“Dimmi quello che sai e sarà tutto finito.”- continuò ancora come in una cantilena.
“Io…”-gemetti di nuovo. –“Non lo so…”

 
Erik si spostò dalla mia visuale e mormorò qualcosa all’orecchio di una guardia.

 
“Portatelo in cella, riprenderemo da domani.”- ordinò e non seppi se essere sollevato o ancora più preoccupato. –“Niente cibo e ne acqua.”

 
Venni preso di forza e portato chissà dove.
Non mi accorsi nemmeno di essere arrivato perché persi i sensi e caddi nel buio.
 












 
                                                                          ***
 













Non so dopo quanto tempo mi svegliai, ma non riuscii nemmeno a tirarmi in piedi. Decisi di rimanere così com’ero e non so dove trovai le forze per alzarmi la testa.
Incontrai lo sguardo preoccupato di mio padre e la sua bocca serrata per la preoccupazione. Non l’avevo mai visto così preoccupato per me, ma in quel momento non ero nemmeno in grado di capire.
 

“Damon!”- quasi urlò. –“Ero così preoccupato! Ti hanno… Ti hanno… Frustato.”
“Torturato…”- respirai piano e sentii tutti i muscoli farmi male. –“Sarebbe il termine migliore.”
 

Non gli diedi il tempo di ribattere che ripartii all’attacco. Se mi aveva torturato fino allo stremo era alla ricerca di qualcosa di importante, ma peccato che io non ne sapessi nulla.
Giuseppe però forse si.
 

“E’ alla ricerca di una carta, quella dell’albero genealogico, e del timbro. Li vuole e li sta cercando con ogni mezzo.”- sospirai dolorante. –“Perché?”
“Non lo so.”- mi rispose solo abbassando lo sguardo.
 

E invece lo sapeva. Giuseppe era come la mamma e come Stefan… Quando dicevano le bugie non ti guardavano mai negli occhi ed era proprio quello che aveva appena fatto.
Lui sapeva. Ma perché doveva mentirmi?
Perché mentire a suo figlio, che era venuto per salvargli la vita?
 

“Si, lo sapete invece.”- gli risposi pacato. –“Non mi state guardando negli occhi perché volete nascondermi qualcosa. Conoscerò anche poco della vostra vita, ma qualcosa l’ho imparata.”
“Io… Non posso, Damon.”- mormorò quasi impaurito.
“Perché?”- domandai. –“Che cosa… Che cosa c’è di importante in quelle carte?”
“Lui… Lui è alla ricerca di sua madre.”- biascicò e la sua voce tremò leggermente.
 

Aggrottai le sopracciglia.
Se era alla ricerca di sua madre, mia zia… Doveva guardare nelle sue carte di famiglia, non nelle mie… Mia zia, almeno da quanto ne so, era morta tempo addietro e quel verme non l’aveva mai conosciuta.
Se era morta perché la stava cercando?
 

“Non capisco… Sebbene lui sia collegato a noi deve cercare nel suo albero genealogico, non nel nostro…”- mormorai dando voce ai miei pensieri.

 
Mio padre scosse la testa con rammarico e si passò una mano tra i capelli.
 

Deve cercare nel nostro, nel suo non troverà niente.”- mormorò e quasi feci fatica a sentirlo continuare. –“Lui è tuo fratello.



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Perdonatemi per il ritardo, ma da adesso in poi cercherò di essere più puntuale e di aggiornare un po' alla volta tutte le mie storie.
Mi dispiace per non aver risposto alle bellissime sei recensioni dello scorso capitolo, risponderò domani, promesso. Sono distrutta sia fisicamente e sia mentalmente dalla puntata (chi ha visto potrà perfettamente capire e sbattersi la testa contro il muro insieme a me u.u Non oso immaginare come sarà l'ultimo episodio a questo punto...)
Passo al capitolo e cercherò di lasciare un commento veloce, anche se è molto importante: ebbene si, come si era visto già dallo scorso capitolo, è stato Erik a combinare il disastro in Francia ed è del tutto intenzionato a fare peggio.
Ora... Le cose sembrano buttate un po' a caso (o almeno... a voi sembrano banali?) ma in realtà no. Tutto è importante, a cominciare dall'interessamento di Elena fino alla famosa carta.
Qualcosa sulla carta si è capito e... Ho fatto delle ricerche e ogni famiglia reale ovviamente aveva il proprio alberto genealogico che era connessa a quella degli altri membri... Ora... Erik ne è alla ricerca, ma perchè? Ovviamente è stato spiegato nell'ultima parte del capitolo e bang... Erik è un Salvatore, anche se solo per metà. Lo so, sono cattiva :')
Non uccidetemi perchè ho fatto torturare Damon (povero :/ ), ma tutto si ritorcerà contro a Erik! Detto questo penso di non aver altro da aggiungere se non rifugiarmi da qualche parte prima che qualcuno non mi uccida.

Commento della puntata di oggi?
E' un grande no comment.

Vi invito, sempre se vi va, a dare un'occhiata e a lasciare qualche commento sulle altre mie storie:
-I'll save them, Delena che ho appena iniziato. E' da un po' che ci lavoro su e spero che ne raccoglierò i frutti ^^
-Guerra d'amore, Delena ambientata nella seconda guerra punica. Scusate se l'ho lasciata in fase di stallo, ma tra pochissimo la continuerò.
-Una vita senza di te significa non vivere per niente, Nian ed è il mio gioiello più prezioso <3

Alla prossima <3

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Capitolo 38
*** Morte. ***


                                                              Morte.
                                                                  38.




Pov Damon.

Lui è tuo fratello.
Le parole di Giuseppe mi rimbombarono nella testa e dovetti ripetermele più volte prima di arrivare ad una dannata conclusione. Erik, quello che credevo mio cugino, lo stesso Erik che mi ha preso a frustate fino a poco fa in realtà era mio… Fratello. Era fratello mio e di Stefan.
No, non era possibile, questo era solo un brutto incubo. Lui… Lui non può essere legato così strettamente a me.
 

“Non ti credo!”- lo urlai quasi sbattendo un pugno contro le sbarre. –“Non può essere vero.”

 
Giuseppe non mi rispose, si limitò solo ad osservarmi per poi abbassare la testa colpevole. In quel momento avrei voluto prenderlo a pugni e distruggere tutto quello che mi capitava a tiro, ma non potevo, perché ero dentro una cella per colpa sua! Se io ero qui era solo colpa di Giuseppe. Ovviamente Erik voleva vendicarsi in qualche modo di me, su questo non avevo alcun dubbio.

 
“E’ la verità, Damon.”- Giuseppe parlò piano e stancamente. –“Lui è tuo fratello a tutti gli effetti. Non siete della stessa madre, ma il sangue dei Salvatore scorre nelle sue vene, così come sul tuo.”

 
Scuoto la testa come per rinnegare il fatto e mi stacco di scatto dalle sbarre. Il mio corpo tenta di cedere per la stanchezza e i muscoli mi fanno male, ma devo allontanarmi da lui. Ha tradito mia madre, colei che credevo amasse.
E’ solo un bastardo!

 
“L’hai tradita!”- sputo fuori con rabbia, mentre i miei occhi si fanno lucidi. –“Hai tradito mia madre!”

 
Ormai ho abbandonato ogni formalismo.
I lineamenti di mio padre si fanno duri e riduce gli occhi a due fessure, poi si porta davanti a me, almeno quanto le catene glielo permettono.
Mi scruta attento, indagatore, senza nessun rimorso.
Come può non pentirsi di quello che aveva fatto?

 
“Non ho tradito tua madre, ragazzo.”- mi risponde calmo, freddo. –“Non accusarmi di cose che non ho mai fatto.”
“I fatti parlano chiaro.”- ribatto acido.
“Erik è nato prima che io mi sposassi con tua madre.”- mi rispose passandosi una mano tra i capelli. Lì per lì rimasi sorpreso e gli feci cenno di continuare, volendo capire fino a fondo questa questione. –“Mi ero innamorato di quella donna, bionda, occhi azzurri. Era molto bella e gentile, non avevo mai visto nessuna come lei. Ma… Faceva la prostituta. Sai bene cosa vuol dire questo, Damon. Ogni membro della famiglia reale, per fare esperienza, viene portato lì, ma a me non bastava. Sentivo di amarla.”
 

Si fermò e mi guardo negli occhi, alla ricerca di comprensione, ma io rimasi fermo e freddo, sperando che gli occhi non mi tradissero.
Il suo racconto mi stava colpendo, ma non potevo sciogliermi di fronte a questo e lasciarmi abbindolare da questo ‘fantomatico amore’.
Proseguì dispiaciuto.

 
“Passarono i mesi e riuscii a darle una sistemazione migliore, impedendole così di andarsi a prostituire. Decisi allora sposarla, volevo farlo in gran segreto, ma ovviamente tuo nonno scoprì tutto. Mi frustò a sangue e mi lascio chiuso nelle segrete per giorni, visto che io non volevo incontrare tua madre per rimanere con quella donna. Mio padre andò su tutte le furie quando scoprì che fosse incinta. Lo pregai di rimanere con lei, ma lui fu irremovibile. Ero l’erede al trono e la regina non poteva essere una prostituta, così la spedì lontano da Parigi. Conobbi tua madre esattamente due mesi dopo e ci misi un po’ per innamorarmene, ma posso giurarti che l’amavo e non l’ho mai tradita con nessuno. Quando Erik nacque li venne portato via e fu spacciato per il figlio di Rosaline, tua zia, visto che non poteva averne con il marito. La madre di Eric morì poco tempo dopo, di peste. Non so come sia venuto a sapere di questo, Damon, ma vuole vendetta e l’avrà. Lui è di diritto l’erede al trono, solo che ufficialmente lo sei tu.”- mi raccontò.

 
Per la prima volta compatii mio padre. Ce l’avrei sempre avuta con lui in qualche modo per avermi nascosto tutto questo, ma non lo avevo mai visto così abbattuto, così sincero. Amava davvero quella donna e gli era stata portata via per quel dispotico di mio nonno –che io avevo sempre odiato– e non aveva potuto vivere con quella donna per sposarsi con mia madre. Sapevo che aveva amato tanto anche lei, magari alla fine l’aveva amata più di quella donna, ma pensare a quello che aveva vissuto mi faceva solo accapponare la pelle e compatire quell’uomo che aveva contribuito a farmi nascere.

 
“Come l’ha scoperto?”- domandai con un filo di voce.
“Non lo so.”- Giuseppe scosse la testa sconsolato. –“Ma sa tutto e vuole la conferma e risalire a chi era sua madre. Lui… Lui è convinto che sia viva, ma non oso immaginare cosa farà quando capirà che è morta quasi subito dopo la sua nascita.”
“Ci ucciderà entrambi.”- gli dico.
“Ha già progettato di farlo, Damon.”- mi informa Giuseppe sconsolato. –“Deve solo trovare l’albero genealogico e alcuni documenti su quello che è accaduto perché, fidati di me, ce ne sono ancora e poi ci ucciderà. Ucciderà me per vendicarsi e te perché sei l’erede al trono e perché hai avuto tutto quello che lui desiderava. Ha già programmato la data dell’esecuzione, tra tre giorni.

 
Mi sento mancare e cado definitivamente a terra. Esecuzione vuol dire ghigliottina e questo vuol dire che mi ritroverò senza testa tra tre giorni esatti.
No, non è possibile, deve esserci qualche scappatoia, qualcuno che ci venga a tirare fuori di qui.

 
“Deve esserci un modo, qualcosa… Qualcuno… Non possiamo morire così, non per mano di uno psicopatico almeno!”- ringhio coprendomi il volto con le mani.
“Sai anche tu quanto sia impossibile uscire da qui, Damon.”- mi risponde Giuseppe. –“Questo castello è una fortezza praticamente inespugnabile, l’unico modo per scappare è farlo una volta usciti. Ci faranno uscire tra tre giorni e quella sarà l’ultima volta che vedremo la luce del Sole.”

 
Sapevo quanto mio padre aveva ragione, ma non potevo arrendermi così, dovevo lottare per Elena e l’avrei fatto con le unghie e con i denti.
 
 















 

                                                                     * * *


 















Erik mi venne a riprendere il giorno dopo –questo significava che sarei morto tra due giorni– e mi riportò di nuovo nella sala centrale, per cercare di estorcermi delle informazioni che nemmeno sapevo.
Oltre a quello che mi aveva raccontato Giuseppe io non sapevo veramente nulla. Continuò a frustrarmi per ore, finché non caddi in ginocchio grondante di sangue e di sudore con le mani sulle ginocchia.
Per la prima volta lo implorai di smetterla, il mio corpo non ne poteva più.
 

“Siamo arrivati ad implorare?”- mi domandò schernendomi. –“E io che credevo fossi più intelligente.”
“Quante volte ti devo ripetere che io non so niente di quello che cerchi?”- gli domandai.
“Credevo che avresti aiutato ben volentieri tuo fratello, Damon.”- mi sorrise sghembo e io in quel momento avrei voluto prenderlo a schiaffi.
“Tu non sei mio fratello.”- sputai. –“Stefan lo è, non tu.”
 

Lui sembrò non curarsi delle mie parole e si avvicinò a me, facendomi alzare la testa.
 

“Sai quello che capiterà tra due giorni?”- mi domandò sadico. –“Potrei anche decidere di non ucciderti, di risparmiare la vita a mio fratello, ma tu devi aiutarmi.”
 

Cercai di scostare lo sguardo e di non guardarlo negli occhi. Sapevo che non appena avrebbe finito mi avrebbe ucciso senza pietà, ma non sarei mai caduto così in basso per aiutarlo. Non lo avrei mai fatto.
 

“Non ti ucciderò Damon, se è questo che pensi. Ovviamente”- si bloccò un attimo per poi continuare. –“Giuseppe non è incluso. Lui deve pagare le conseguenze di quello che ha fatto.”
“Era solo un ragazzino con nessun diritto di decidere!”- ringhiai e con la forza mi staccai da lui, anche se caddi ancora subito dopo. Non gli avrei mai dato comunque la soddisfazione di cedere. –“Non poteva fare nulla per fermarli e comunque sei cresciuto lo stesso nella famiglia reale.”
 

Erik mi guardò con sufficienza e poi scoppiò a ridere.
Tra tutti i comportamenti che mi aspettavo quello era … Quello che non mi sarei mai aspettato.
 

“Tu hai avuto la possibilità di vivere con i tuoi genitori, io no.”- mi rispose tagliente. –“Dovrei essere io il re di Francia e magari anche dell’Olanda, non tu! Tu non lo meriti!”
“Non è una mia colpa, Erik, così come non sei tu il colpevole!”- gli risposi cercando di farlo ragionare e sperando che qualcuno, lassù in alto, mi desse ascolto. –“Non fare gli stessi errori che hanno fatto quelli prima di noi. Vuoi la Francia? Ti lascerò la Francia a patto che tu non governa come un tiranno.”
 

Erik mi fissò impassibile e non sembrò neanche pensarci alla mia proposta.
Ritentai allora, aumentando la posta in palio.
 

“Vuoi anche l’Olanda?”- domandai, ancora. –“Ti darò anche quella. Non farlo Erik, ti prego.”
 

Per la seconda volta scoppiò a ridere, ma questa volta sembrò quasi pazzo, isterico.
 

“Che cosa me ne faccio dell’Olanda senza una regina?”- mi domandò fissandomi sadico.
 

Aggrottai le sopracciglia. Che cosa voleva dire con questo?
Non capii.
 

“Che cosa vuoi dire?”- gli domandai, anche se temevo la sua risposta.
“Dovrei farti le condoglianze, no? In questi casi si dovrebbe fare così, almeno.”- mi risponse tetro. –“Abbiamo attaccato l’Olanda, fratellino, e la povera Elena è morta. L’hanno uccisa senza pietà.”
 

Ogni mio muscolo non si mosse, rimasi fermo, paralizzato sul posto. Il mio cervello non riuscì ad elaborare quanto detto, forse perché mi rifiutavo di crederci.
Perché non dovevo crederci! Mia moglie non poteva essere morta, non potevano averla uccisa! Elena era sicuramente viva e vegeta in Olanda che aspettava il mio ritorno, non sotto terra.
 

“Non è vero!”- urlai e mi gettai addosso a lui non una forza che credevo di non avere. –“Mi stai mentendo bastardo! E’ questo quello che sei,  un bastardo!”
 

Le guardie mi staccarono da lui e mi arrivò un calcio nella pancia che mi fece piegare in due. Erik, non curante di quello che avevo detto, cerco qualcosa nella tasca dei suoi pantaloni e quando la trovò i suoi occhi si illuminarono.
Si voltò verso di me e mi mostrò quello che aveva in mano.
Una collana. Aguzzai la vista e mi cadde il mondo addosso, era quella collana*. La riconobbi subito, perché l’avevo scelta io personalmente per lei. Le gambe cedettero mentre gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Lei non c’era più, Elena era morta.
Il mio corpo non resse più il dolore e tutto si fece buio.
 
 

















                                                                        * * *
 

















Non so dopo quanto tempo aprii gli occhi, ma mi ritrovai sempre in prigione, questa volta legato alle mani e ai piedi, con un laccio anche intorno al collo.
Avevo male dappertutto, ma niente poteva paragonarsi a quello che provavo realmente. Elena, la donna che avevo amato più di me stesso, era morta, uccisa per colpa mia, per colpa di chi voleva vendicarsi contro di me.
L’avevano uccisa per annientarmi, e c’erano riusciti. Che senso aveva ora lottare per tentare di vivere quando colei che amavo se n’era andata?
Non volevo più rimanere su questa terra senza di lei, dopo averla conosciuta avevo capito che con lei mi sentivo completo, e ora non c’era più.
Volevo morire, non volevo più vivere. Solo con la morte avrei potuto ritrovarla e vivere con lei, senza nessun tipo di preoccupazioni. Lei, che era il mio angelo, il mio tutto.
Non ero riuscito nemmeno a mantenere la mia promessa, quella di lottare per lei, per la Francia e di ritornare in Olanda, per vivere finalmente felici. Ci avevo creduto fino in fondo, ci avrei messo tutto me stesso per farlo, ma ora non aveva più senso se lei non era più in questa terra e se n’era volata via, lasciandomi qui, da solo.
Avrei pregato chiunque per uccidermi, per accelerare il processo e per morire, volevo solo quello. Potevo esprimere un ultimo desiderio, no? Era concesso a tutti, anche ai peggiori dei criminali, avrei potuto anche io, non chiedevo molto infondo, volevo solo morire prima e tutti ne sarebbero stati felici.
 

“Damon, dobbiamo trovare un modo per uscire da qui!”
 

La voce di mio padre mi arrivò ovattata, non chiare e nemmeno limpida. Non mi importava di uscire da qui e non ne valeva nemmeno la pena, era impossibile. Mi dispiaceva solo per lui, ma il destino aveva pensato questo per noi e l’avremmo avuto.
Sperai solo che Stefan fosse vivo, anche se dubitavo perfino di quello. Quel bastardo aveva detto solo il nome di Elena però… Questo voleva dire che non l’avevano ucciso, ma l’avrebbero sicuramente fatto prima o poi.
 

“Moriremo, Giuseppe”- mi abbandonai contro il muro. –“è inutile lottare.”
 

Lo sentii muoversi irrequieto e anche mettersi seduto. Non volevo ascoltarlo, non mi importava quello che pensava, io volevo solo farla finita.
Volevo ricongiungermi ad Elena.

 
“Ma cosa stai dicendo?”- mi domando irritato. –“Dobbiamo lottare!”
“Per cosa?”- risi istericamente. –“Non ho più niente per cui lottare!”
“Hai tua moglie per cui lottare, Damon.”- mi rispose.

 
Scossi la testa, non poteva capire, la mia Elena non c’era più.

 
“Mia moglie?”- domandai. –“L’hanno uccisa senza pietà, ecco cos’è successo a mia moglie!”

 
Le lacrime cominciarono a scendere di nuovo sulle mie guance e non feci niente per fermarle; non mi importava di mostrarmi debole, ormai non avevo niente da perdere. Non vedevo l’ora di arrivare alla ghigliottina, così avrei trovato finalmente la pace.
 

“Non ci credo, io”- balbettò frasi sconnesse.
“Moriremo entrambi.”- gli risposi non alzando mai lo sguardo. –“Tra due giorni moriremo entrambi.”


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*parlo della collana con il Sole che Damon ha dato ad Elena prima di sposarla.
Se non ve lo ricordate basta solo che andate a leggere il capitolo 20 :) *

Mi scuso per l'immenso ritardo, ma finalmente da ora in avanti avrò più tempo per aggiornare e per tirarmi avanti con tutte le storie che ho lasciato in sospeso, per poi cominciarne di nuove.
Non uccidetemi con questo capitolo, è stato difficile per me scriverlo e davvero tanto triste, anche se io so come andrà a finire :') (ecco, adesso prevedo tante botte!)
Questa volta, a dispetto delle altre volte in cui vi lasciavo indizi, non posso dire nulla, anche se saprete nel prossimo capitolo che cos'è accaduto veramente, se in bene o in male!
Voglio ringraziare le due ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo Em_ e miatersicore23 (vi consiglio di leggere anche le loro storie perchè se ne trovano ben poche scritte bene e avvicenti come le loro!) non perchè io abbia preferenze, ma perchè sono le uniche ad aver recensito lo scorso capitolo e ci sono rimasta un po' male!  Ero convinta di aver aumentato la suspance e di aver incuriosito qualcuno con questa storia, ma evidentemente mi sbagliavo, e anche di brutto! So che non vi sto dando il Delena, ma sono separati ora, non posso fare nient'altro per darvelo, anche se ci sarà (?)
Se la storia non vi sta piacendo potete dirlo pure, non la interromperò perchè mi dispiace per quei pochi che la leggono, ma se nessuno la segue prima o poi mi stancherò anche di continuarla... Mi dispiace che non stia riscuotendo il successo di una volta, ma evidentemente è colpa mia perchè non so più intrattenervi e quindi la colpa non è vostra.
Cercherò di fare di meglio, anche se più di così so perfettamente di non potere :(
Alla prossima, sperando di trovarvi un po' più di due! <3

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Capitolo 39
*** Sei qui. ***


                                                                   Sei qui.
                                                                                                            39.


Pov Damon.

L’esecuzione era oggi pomeriggio e io, stranamente, non avevo paura e non vedevo l’ora che tutto finisse così io sarei finalmente morto.
Che senso aveva sopravvivere quando in questa Terra non c’era niente che mi teneva legato ad essa? Prima avrei cercato di lottare, ma ora non aveva più senso. Elena mi aveva cambiato, sotto ogni punto di vista, ed era per lei –e con lei– che andavo avanti, ma lei non c’era più. L’unica cosa che riusciva in qualche modo a farmi dispiacere era la situazione in cui versava la Francia e che, con la mia morte, sarebbe andata peggiorando, ma ormai non potevo fare più nulla per nessuno.
Mio padre negli ultimi giorni aveva cercato di rivolgermi in qualche modo la parola, ma quando aveva visto che non gli rispondevo in nessun modo –o in modo apatico– ci aveva rinunciato, ma potevo vedere nei suoi occhi che non voleva rinunciare alla sua vita senza combattere, ma purtroppo doveva andare così. Venni distolto dalle mie riflessioni da tre guardie che stavano scendendo per venire a controllare e subito, dietro di loro, comparire anche quel bastardo.
Si avvicinò alla mia prigione e vi si appoggiò con una spalla e mi squadrava dall’alto verso il basso. Io non avevo nemmeno la forza di alzarmi per il troppo dolore, sia fisico che psicologico, e anche perché non avevo le forze visto che quel bastardo di mio fratello aveva deciso di non portarci né cibo e né acqua. Non vedevo acqua da più di tre giorni e di questo passo sarei morto qui e non con la testa tagliata. Quello che mi colpì, però, era la figura esile che si trovava alla sue spalle e che mi sembrava così familiare –no, non era Elena, era qualcun altro, o meglio qualcun’altra.
Non poteva essere lei, era il mio cervello che mi stava facendo un orrido scherzo prima di farmi morire del tutto. Era illogico, eppure sembrava lei.
Ma che diavolo ci faceva qui?

 
“Ti sono mancata?”- domando quella voce avvicinandosi più a me e togliendosi dall’oscurità che faceva da padrone nei sotterranei.

 
A meno che quella donna non avesse una gemella era proprio lei, ma perché?

 
“Erik caro”- si avvicinò a lui e gli stampò un bacio sulle labbra facendomi strabuzzare di più gli occhi e quasi vomitare per quell’orribile spettacolino. –“l’hai conciato proprio male, non riesce più a parlare.”
“Ha avuto quello che si meritava, tesoro.”- gli rispose lui socchiudendo gli occhi.
“E’ così ridotto male che non mi riconosce nemmeno.”- sghignazzò la donna appoggiando una mano sulle sbarre.
 

Intanto mio padre, dietro di me, non spiccava parola, era fermo, immobile.
Non c’erano dubbi, era lei.
 

“Come potrei non riconoscere una come te?”- sputai quasi cercando di tirarmi in piedi aiutato dal muro dietro di me.
“Non ti hanno tagliato la lingua, vedo.”- rise. –“Peccato.
 

Erik le accarezzò le ciocche brune e mi guardò intensamente, poi scosse la testa.
 

“Per tua fortuna, o sfortuna, l’esecuzione è rimandata tra tre giorni.”- mi disse e strabuzzai gli occhi prima di ricadere in ginocchio a terra. –“Abbiamo qualche problemino.
“Che cercheremo di risolvere al più presto.”- rise l’altra. –“Morirai, Damon, com’è giusto che sia.”
“Che cosa ho fatto a te?”- ringhiai.
“Non a me, Damon.”- mi rispose scuotendo la testa. Poi indicò se stessa a il bastardo. –“A noi. Se tu non fossi qui e avessi abbandonato tutto a quest’ora sarei io la regina della Francia e non tu e quella sgualdrina. Oh, condoglianze, mi hanno avvisato di quello che è successo.”
 

Mi alzai di scatto, sebbene fossi ancora tutto dolorante, e quasi mi lancia contro le sbarre facendo sussultare tutti e Katherine, quella bastarda, si scansò via leggermente intimorita.
 

“Tu non sai niente!”- urlai.
“Va bene, hai ragione, forse sono fintamente dispiaciuta.”- mi sorrise furbamente. –“Doveva morire e così è stato.”
“E tu farai la sua stessa fine.”- le ringhiai contro. –“Ovunque andrò ti porterò con me, Katherine. Se non in questa vita in un’altra.”
“E vuoi rendere orfana tua figlia?”- mi domandò Erik.
 

Mio padre si agitò dietro di me e rammentai che lui non sapeva niente di tutta questa storia –solo Stefan ed Elena sapevano.
 

“Erik, amore, non pensi che sia ora di dirgli la verità?”- gli domandò dolcemente Katherine.
“Effettivamente hai ragione.”- Erik si avvicinò di più alle sbarre. –“Ti dico un segreto, fratello. Charlotte è mia figlia, non tua.”
 

CHE COSA?
Spalancai la bocca e tremai leggermente a quella rivelazione, non perché fossi scontento, ma perché tutto quello che avevo passato era solo un’infida bugia.
La bambina che credevo mia non era mia… Era di Eric, che era pure mio fratello –anche se non l’avrei mai considerato tale– e il periodo d’inferno che avevo vissuto non era servito a niente perché nulla non era vero.
E avrei scommesso sulla mia stessa vita che quella volta non ero nemmeno andato a letto con quel verme di donna che avevo davanti.
 

“Quindi, deduco, che non sono venuto nemmeno a letto con te.”- risposi tetro e distaccato.
“Eri così ubriaco quella notte che mi è bastato solo spogliarti per fartelo credere.”- sorrise trionfante. –“E sei così stupido che hai creduto a tutto. Anche da ubriaco continuavi a ripetere il nome di Elena.”
 

Mi portai le mani tra i capelli e in quel momento, se non fossi stato in prigione, avrei ucciso Katherine e Eric in un solo colpo. Lei… Lei era morta senza che potessi spiegarle o almeno chiarire con lei. Era morta senza di me e lontano da me e non avrebbe mai saputo la verità.
Sarei morto così mi sarei ricongiunto ad Elena, ma qualcuno avrebbe fatto pagare quei due, doveva farlo.
 

 
















                                                           * * *
 

















Quando andarono via mio padre pretese delle spiegazioni. Gli raccontai tutto, non tralasciando nulla, e lui non mi interruppe mai fino alla fine.
Quando terminai il mio racconto rimase per qualche istante in silenzio, poi mi guardò furente.
 

“Avreste dovuto dirmelo.”- urlò. –“Avremo fatto qualcosa per sapere la verità.”
“Non ne ero sicuro nemmeno io, padre.”- gli risposi appoggiando stancamente la testa sul muro. –“Sentivo dentro di me che non ero in torto, eppure… Eppure mi sono fidato.”
“Si sarebbero risolte molte cose, figlio mio.”- mi rispose.
Lo so.”
 
 
 

Tre giorni dopo.
Era tutto pronto per l’esecuzione, avevano organizzato tutto nei minimi dettagli. Ci vennero a prendere delle guardie rigorosamente coperte da non far vedere il volto e ci trascinarono fuori dalle prigioni e sempre poco gentilmente ci portarono fuori da un’entrata secondaria del palazzo in modo da non dare spettacolo –perché, da quello che avevo capito, praticamente nessuno sapeva niente di tutto ciò. Ci misero su una carrozza che aveva l’entrata nel retro con delle grate, poi partirono verso una destinazione sconosciuta. Era tutto buio all’interno della carrozza e non potevo vedere nemmeno il paesaggio che c’era fuori per capire dove ci stavano portando. Mio padre era silenzioso qui, accanto a me, e non parlava nemmeno.
Era triste e abbattuto, non l’avevo mai visto così. Si stava comportando come ogni persona si comporta quando va praticamente incontro alla morte.
Speravo solo che non facesse così tanto male e che sarei morto lì, sul colpo. Praticamente la ghigliottina era il miglior strumento che si potesse desiderare: veloce, preciso e indolore. Mi ricordo ancora quando mio padre parlava di abolirla e forse quella volta avrei dovuto ascoltarlo perché in qualche modo, con altri strumenti, avrei potuto ribellarmi –ma ora proprio non ce la facevo a far valere i miei diritti di uomo e un po’ mi vergognavo di ciò.
 

“Damon?”- mi chiamò Giuseppe.
 

Alzai lo sguardo su mio padre e lo guardai in attesa che dicesse qualcosa.
 

Mi dispiace, per tutto.”- mi disse.
 

 E sapevo a che cosa quel Mi dispiace si riferiva a tutto: si riferiva al suo comportamento estremamente severo che aveva avuto con me e Stefan, con me in particolare, per come si era comportato certe volte con la mamma, per come non mi aveva mai appoggiato nei miei progetti perché aveva le proprie idee e per avermi tenuto nascosto di avere un fratello –che io in nessuna vita avrei considerato come tale.
Si, quel mi dispiace valeva per tante cose, troppe.
Se questo era il momento delle scuse e delle confessioni tanto valeva farle subito.
 

“Anche a me.”- gli risposi. –“Per non essere stato un figlio modello come Stefan.”
“Ho preferito così, figliolo. Due figli troppo uguali non mi sarebbero mai piaciuti.”- mi rispose tentando di sorridere. –“Sono orgoglioso anche di voi, Damon. Siete maturato tanto ed è quello che volevo vedere.”
“Grazie.”- biascicai ed era la prima volta che ringraziavo davvero mio padre.
 

Passarono altri minuti di silenzio e il viaggio sembrava non finire mai.
 

“Vorrei che Stefan fosse qui.”- dissi con rammarico.
 

Non perché avrei voluto che gli fosse capitata la nostra stessa sorte, ma per il fatto che volevo vedere mio fratello per l’ultima volta.
E speravo, pregavo, che almeno lui fosse ancora vivo.
 

“Stefan non è mai stato forte come voi, è meglio così.”- mi rispose invece Giuseppe.
 

Sentii la carrozza arrestarsi di colpo e questo voleva dire solo una cosa: eravamo arrivati. Giuseppe tremò leggermente mentre io deglutii un paio di volte per cercare di ritrovare il controllo che era magicamente sparito.
Dovevo rimanere calmo –ma era difficile!
Poco dopo una delle tante guardie aprì la porta della carrozza e strattonarono malamente me e Giuseppe fuori. Il posto era isolato, non c’era nessuno. C’era solo una collina con due ghigliottine che erano colpite dai raggi brillanti del Sole che rendeva tutto ciò ancora più tetro.
Per la prima volta, realizzando veramente cosa sarebbe accaduto da lì a poco, ebbi paura ed Eric sembrò accorgersene perché mi sorrise trionfante. Avrei voluto ribattere, ma non feci nulla. Percorremmo lentamente la collina e ad ogni passo che facevo il mio corpo diventava sempre più pesante e facevo fatica a camminare, forse consapevole della mia imminente morte.
Io e Giuseppe fummo portati vicino alle ghigliottine e rimanemmo in piedi per qualche secondo.
 

“Vi concedo il diritto di esprimere il tuo ultimo desiderio.”- disse Eric quasi solennemente.
 

Ci stava bellamente prendendo in giro.
 

“Il mio unico desiderio è quello di vederti marcire all’inferno.”- ringhiai. –“Tu e lei.”
“Credo che questo non lo saprai mai, Damon.”- mi rispose Erik tranquillamente. –“Tra poco morirai e finalmente non ti vedrò più. Non puoi neanche immaginare che strazio è stato per me vederti ogni giorno.”
“Purtroppo la bellezza ha colpito me e Stefan.”- gli risposi. –“Anche se con Stefan avrei qualche dubbio.”
“E la simpatia sicuramente non ha colpito te.”- mi rispose acidamente.
 

Almeno prima di morire potevo divertirmi ancora un po’ con lui.
 

“Visto che non hai nulla di sensato da dire possiamo pure cominciare così la facciamo finita.”- terminò infine sorridendo sadico a me e a Giuseppe.
 

Ma proprio quando disse l’ultima parola accadde quello che non mi sarei mai aspettato. Dalla folta chioma degli alberi partirono tre frecce che andarono a colpire altrettante guardie facendole stramazzare al suolo –erano morte visto che le frecce erano arrivate dritte al cuore.
Che cosa stava succedendo?
Non feci nemmeno in tempo a capire qualcosa che altre due guardie caddero a terra con la gola tagliata. Mi voltai di colpo per trovarmi la faccia soddisfatta di Alaric. Alaric era qui?
Dio, sapevo che non mi avrebbe mai abbandonato!
 

“Ce ne hai messo di tempo!”- dissi solo.
 

Altri uomini sbucarono dal nulla e si gettarono contro le guardie ed iniziò uno scontro corpo a corpo –nel mentre Ric mi aveva lanciato una spada.
Mi era mancato combattere! Con la coda dell’occhio vidi Erik e Katherine che si stavano allontanando, ma il braccio forte di Alaric mi bloccò prima che potessi gettarmi al loro inseguimento.
 

“Avranno la fine che meritano, te lo prometto!”- mi rispose.
 

Uccidemmo praticamente tutte le guardie, tranne due che erano riuscite a scappare, ma prima o poi avremo trovato anche quelle.
 

“Come…”- inizia, ma Alaric mi bloccò prima che finissi la frase.
“Abbiamo fatto a trovarvi?”- mi domandò sorridendo. –“Amico, hai poca fiducia su di me.”
“Oggi l’ho recuperata.”- gli risposi con un mezzo sorriso.
“Vi salviamo la vita e non siete felici?”- ci domanda ancora Alaric inarcando un sopracciglio.
“Come potrei essere felice quando”- mi bloccai perché non credevo ai miei occhi.
 

Le persona che mi stava correndo incontro era Elena.
No, stavo sognando! Ero morto e queste erano solo visioni di un altro mondo. Elena era morta, non poteva essere qui.
Loro… Loro avevano detto che era morta!
 

“Damon, signor Giuseppe, avete visto un fantasma?”- domandò Alaric, ma la sua voce mi arrivò sconnessa.
 

Due braccia esili si gettarono al mio collo facendomi cadere quasi all’indietro e una piccola testa si nascose sul mio collo. Non dissi nulla, ero troppo sconvolto. Come… Come poteva essere viva? Eppure potevo sentirla sotto le mie mani. Era lei, non c’erano dubbi.
 

“Sei viva?”- domando sbalordito.
 

Elena si stacca da me con le lacrime agli occhi e mi guarda sconvolta.
 

“Che cosa ti prende?”- mi domanda sbalordita.
“Loro avevano detto che tu eri morta e io…”- balbetto, ma poi l’abbraccio di nuovo. –“Non importa, sei qui, con me.”
 

Mia moglie annuisce, poi si stringe ancora di più a me e la sento singhiozzare contro il mio petto. E dietro di lei vedo accorrere anche Stefan e capisco che è stata tutta una bugia –una delle tante.
Ma loro sono qui, con me e finalmente ho trovato di nuovo un motivo per lottare.
 

 
 
 
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Sono tornata, non uccidetemi, vi ho appena dato un capitolo in cui succede di tutto e di più :')
Sono stata brava, dai! E sono tornata anche con non troppo ritardo, questo perchè alla fine ho visto che c'è ancora qualcuno che tiene alla storia e non potrei non esserne più felice ragazze!
Damon e Giuseppe non sono morti e neanche Elena lo è, quindi dovete amarmi ahahahaha (ovviamente scherzo u.u)
Come molte di voi avevano intuito Erik si è preso gioco di Damon alla grande, inventando bugie su bugie, tra cui questa! E... Dulcis in fundo... Ecco Katherine e... Charlotte non è figlia di Damon, ma di Erik! Sono stata troppo buona e praticamente nessuno aveva creduto a questa farsa xD Credo che dovrò farmi più "cattiva" e far capitare più drammi :')
Cioè... Non so quante di voi avevano capito che il cugino-non cugino centrava qualcosa con Katherine ahahaha
E niente, non ho nulla da dire, a parte il fatto che sono tutti vivi e che Damon si vendicherà su Erik come non avrà mai fatto! Nel prossimo capitolo scopriremo cosa si diranno Damon ed Elena e come si riuniranno -prevedo tanti unicorni e arcobaleni-, come tenteranno di vendarsi è che fine ha fatto la bambina ^^
Ovviamente ringrazio chi ha recensito la storia, alla prossima <3

 

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Capitolo 40
*** Ricongiungimento. ***


                                                     Ricongiungimento.
                                                                                                      40.



Pov Damon.

Ed è come tornare a respirare averla qui, tra le mie braccia. Elena mi stringe forte e piange, incurante di tutta la gente che c’è accanto a noi.
Non mi importa di chi ci stia guardando e di chi ci stia ascoltando, siamo solo io e lei, siamo solamente noi; due persone che sono rimaste separate per così tanto tempo per colpa di altri che volevano distruggere il nostro amore, ma ora lei è qui e non andrà più via da me perché non glielo permetterò.
Questi due mesi di lontananza mi hanno fatto troppo male, non sentirla più così vicina a me e sentirla solo così distante mi hanno portato nell’orlo di un baratro e credevo di essere sprofondato del tutto, ma ora lei è qui, viva. Non è morta come mi ha detto quel bastardo di Eric, è qui, carne e ossa.
Mia moglie si stacca leggermente da me e invece di urlarmi contro di essere stato imprudente o cose del genere mi bacia. Elena, lei che si vergognava di lasciarsi andare a smancerie in pubblico, mi bacia. Questo bacio sa di nostalgia, di frustrazione, di lontananza, di amore e di scuse. Perché si… Penso che entrambi dobbiamo scusarci con l’altro, io per primo, per aver pensato cose che alla fine non sono accadute e per essermi allontanato da lei.
Le accarezzo piano la schiena mentre i nostri nasi si contrano ed Elena ride sulle mie labbra. Mi era mancata troppo! Questo momento magico viene interrotto da Stefan che mi tocca piano una spalla e mi sorride imbarazzato quando, per mia sfortuna, mi stacco da Elena.

 
“Dobbiamo andare via da qui prima che ritornino.”- mi informa Stefan ed effettivamente non posso dargli torto.

 
 
Annuisco piano, tenendo sempre stretta a me Elena, e mi dirigo verso il mio cavallo. Aiuto Elena a salire davanti e poi salgo anche io, posizionandomi dietro di lei. Con grande sorpresa noto che c’è anche Charlotte, ma comunque non provo nessun sentimento di odio nei suoi confronti, è pur sempre mia nipote e non deve pagare lei per i suoi genitori.
Ce ne andiamo velocemente da quel luogo e prima di sparire da lì getto l’ultimo sguardo verso la ghigliottina dove, se mio fratello e gli altri non fossero intervenuti in tempo, ci sarebbe stata la mia testa.
Seguo mio fratello tra i boschi della Francia –dove sono cresciuto fin da piccolo– mentre gli altri non sono molto distanti da noi. Non ho idea di dove voglia andare visto che siamo dei ricercati, una specie di fuori legge, ed ogni luogo non è sicuro. Né per Elena e né per Charlotte. Il sole sta tramontando ed è ormai buio quando ci fermiamo davanti ad un palazzo. Non lo riconosco subito, ma quando ci sono davanti i miei occhi brillano leggermente: è il palazzo estivo della famiglia reale, dove venivamo da bambini quando nostra madre era ancora vivo.
Non sembra in buone condizioni, ma quando entriamo mi devo ricredere.

 
“Come fa ad essere ancora tutto intero e…”- mi guardo attorno. –“Pulito?”
“Abbiamo avuto qualche piccolo aiuto.”- Stefan mi strizza l’occhio e si affretta a chiarire visto che gli lancio uno sguardo parecchio preoccupato. –“Sono persone di cui ci possiamo fidare, gente che non apprezza Eric ed è felicissima di aiutare noi.”
“Lo spero bene.”- sospiro rassegnato ricordando che non è troppo bene fidarsi delle persone.

 
Per colpa di chi mi fidavo ci ho quasi rimesso la vita. Mi volto di scatto non sentendo più la presenza di Elena accanto a me e mi allarmo subito. Faccio per correre fuori, alla sua ricerca, quando la vedo entrare dal portone principale con Charlotte che gorgoglia divertita mentre gioca con i capelli di mia moglie. Elena le sorride di rimando mentre le accarezza piano la schiena. Mi fermo qualche attimo a guardare entrambe e non posso fare a meno di perdermi verso mia moglie così matura e così materna.
Ho scoperto da poco che quella bambina in realtà non è mia figlia, è più mia nipote, ma dopo quello che ha combinato Eric e quello che gli aspetterà –visto che è un traditore– penso che la bambina rimarrà con noi, o comunque nel giro della famiglia reale. Non potrei mai dare mia nipote a qualcun altro, non deve pagare lei le conseguenze di quello che hanno fatto sua madre e suo padre e so, per certo, che Elena non me lo permetterebbe mai. Da quel poco che ho visto si è legata molto a quella bambina, come se fosse sua. E la cosa non mi dispiace, anche se mi preoccupa un po’. Se dovesse succedere qualcosa, se Eric dovesse avere la meglio e portargliela via, non so come reagirebbe.
Mi avvicino piano a loro mentre la bambina tende le braccia verso di me.
Osservo Elena un po’ impacciato e lei sembra accorgersi del mio imbarazzo verso la bambina. L’ho tenuta in braccio solo una volta, ancora mesi fa, e sebbene sia cresciuta, la reputo ancora troppo fragile.

 
“Non è fatta di cristallo.”- mi sorride comprensiva. –“Penso che abbia fame, non mangia da oggi pomeriggio ed è così piccola.”

 
L’ultima frase la sussurra con preoccupazione. Le bacio piano la fronte e accarezzo una guancia alla bambina che intanto mi afferra la mano e osserva rapita le mie dita.

 
“Andiamo a cercare qualcosa, va bene?”- le domando.
 
 













 

                                                              * * *
 
















 “Grazie per essere con noi e per credere che tutto questo andrà a buon fine.”- dico a Gretel.
 

Gretel, la mia dolce cara Gretel, l’unica donna a cui effettivamente ho voluto bene da piccolo oltre a mia madre. Era la mia balia, quella povera donna che non sapeva mai come tenermi fermo e buono, quella donna a cui ho fatto tantissimi dispetti, come quello di averle messo un topo, rigorosamente vivo, sotto le coperte. Ma era anche quella che mi consolava quando Giuseppe era troppo severo con me e fermava mia madre dal venirmi a consolare.
 

“Farei di tutto per voi, mio re.”- mi risponde. –“Siete diventato un uomo e meritate che la vostra famiglia, compreso voi, stia al sicuro.”
“Grazie, Gretel.”- le sorriso. –“Ma non sono molto fiducioso nella nostra impresa.”
“Perché dite così, mio sire?”- mi domanda turbata. –“La gente in Francia vi ama, non dimenticatelo.”
“No basta solo questo, Gretel. Eric si  fatto così tanti seguaci qui, mentre io… Sono con un pugno di mosche in mano.”- dico abbassando la testa sconsolato.
“Avete la vostra famiglia con voi, i vostri amici. Troverete anche altri rinforzi, bisogna solo essere prudenti.”- controbatte. –“Non potete perdere tutto così, avete una bellissima moglie e una bambina stupenda.”
“Charlotte… Lei non è mia figlia.”- le spiego passandomi una mano tra i capelli.
“Scusatemi, io”- abbassa il capo mortificata. –“ero convinta che fosse vostra, vostra e delle regina Elena intendo.”
“E’ come se lo fosse però.”- le sorrido. –“E’ una storia lunga che non vale la pena di raccontare.”
 

Annuisce e, dopo essersi leggermente inchinata, si dirige verso la cucina per finire di preparare la cena. Abbiamo bisogno di più aiuto possibile e visto che siamo in tanti c’è bisogno di preparare molto cibo.
Mi avvicino ad Elena che tiene tra le gambe la bambina che sta tentando di prendere un piccolo cubo di legno e di portarselo alla bocca. Lo afferro prima che entri a contatto con le sue gengive e questa mi guarda stranita, poi si sporge cercando di afferrarlo. Abbiamo lavato il gioco, ma non è comunque molto igienico che se lo porta alla bocca visto che è qui da chissà quanto tempo.
Mi siedo di fronte a loro e sorrido ad Elena che intanto mi sta osservando. Si sta mordendo il labbro inferiore e capisco perfettamente che c’è qualcosa che mi vuole dire, ma si sta comunque trattenendo. Decido di fare io la prima mossa.

 
“Dovremmo parlare, non credi?”- le domando.

 
Annuisce piano, abbassando lo sguardo intimorita. Che cosa le prende?

 
“Elena, che cosa c’è?”- le domando poi prendendole una mano.
“Io”- si blocca un attimo e mi guarda. Si sente in colpa. –“mi sono comportata malissimo con te.”
“Intendi quando avevi la febbre così tanto alta che hai rischiato di morire?”- le domando.

 
Per me lei non ha nessuna colpa, è venuta a sapere quella falsità in un brutto periodo ed era logico credere quello che la realtà mostrava.
In cuor mio so perfettamente che non ha mai creduto a questa storia fino in fondo.

 
“Damon, sai cosa intendo.”- sospira. –“Ti ho accusato di qualcosa che non hai commesso. Non me lo perdonerò mai.”

 
Mi sporgo leggermente, sempre facendo attenzione alla bambina, e le prendo il viso tra le mie mani, costringendola a guardarmi negli occhi. Le porto una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio e le sorrido.
Non voglio che si senta in colpa, voglio solo che tutto questo finisca e ritornare in Olanda il prima possibile, o, perlomeno, rendere la Francia un paese sicuro e libero.

 
“Elena, l’importante è che siamo qui, noi due, insieme.”- le bacio piano le labbra e per la seconda volta è come tornare a respirare. –“Mi importa solo quello.”
“Come puoi aver accettato il fatto che io non mi sia fidata di te?”- mi domanda.
“Semplicemente perché non era una bella situazione per nessuno e c’erano molte prove contro di me.”- le sorrido. –“E perché ti amo.”
Anche io ti amo.”- mi risponde con gli occhi che le brillano.

 
Non so da quanto tempo non glielo dicevo, ma queste parole sembrano risollevarle il morale tanto che mi bacia lei questa volta e in modo più passionale di quanto io sia abituato. L’attimo magico è interrotto da Stefan, di nuovo.

 
“Sc…Scusate”- balbetta. “Ma è… E’ pronta la cena.”

 
Mi giro di scatto e lo fulmino con lo sguardo mentre le guance di Elena si colorano di rosso.

 
“Stefan, ma la smetti di interromperci?”- gli domando con astio. –“Lì fuori c’è ancora una ghigliottina, ricordalo.”

 
Stefan se ne va velocemente, mentre Elena scuote la testa divertita. L’aiuto ad alzarsi e a prendere Charlotte, poi ci dirigiamo in sala.
 














 

                                                                * * *
 















Elena è già in camera, mentre io ho appena finito di discutere con mio fratello, Alaric e altri soldati su alcune questioni militari e di come muoversi contro Eric.
Attaccherà prima o poi, sarà costretto a farlo, ma prima di allora dobbiamo prepararci tatticamente e fisicamente –e trovare altri rinforzi.
Gretel si è offerta di tenere Charlotte per la notte, con la scusa di voler stare con la bambina e di aiutarci senza fare avanti e indietro per darle da mangiare, ma ha capito perfettamente che voglio rimanere da solo con mia moglie, almeno per questa notte. Ho bisogno di lei, con ogni fibra del mio essere, voglio che sia la nostra notte.
Salgo velocemente in camera e apro piano la porta. Elena è in piedi, davanti allo specchio, nell’atto di togliersi il vestito. Mi chiudo piano la porta alle spalle e la chiudo a chiave –per evitare che Stefan ci interrompa per la terza volta nell’arco di una giornata– e mi avvicino a mia moglie con passo felpato. Sembra non essersi accorta di me e ne approfitto per bloccarle una mano e baciarle piano il collo. Finalmente sorride notando la mia presenza dallo specchio e io le sorriso di rimando, per poi continuare a baciarle il collo continuando fino alla spalla nuda. La sento sospirare contro il mio tocco ed io continuo con il mio lavoro.
 

“Gretel terrà Charlotte con sé per questa notte.”- inizio a slacciarle il vestito lentamente, alternando qualche bacio sulla schiena. –“Avremo un po’ di tempo per noi, ne sei d’accordo?”
 

Finisco di slacciarle anche l’ultimo nastro lasciando in bella mostra la sua schiena nuda. E’ perfetta, ancora meglio di quanto ricordavo.
 

“Sono d’accordo.”- mormora mentre inizio a sfilarle il vestito.
 

Prima la manica a destra, poi quella a sinistra. Elena, trasportata dalla mia foga nello spogliarla, mi aiuta, in modo che non possa rompere il vestito e ben presto è davanti a me con solo una misera sottoveste che le arriva leggermente sotto le ginocchia a coprirla. Posso vedere il seno formoso al di là del tessuto e il mio corpo risponde a quel richiamo. Elena, intanto, approfittando della mia distrazione, mi sta slacciando i bottoni della camicia, uno per uno, in una dolce tortura.
Spazientita, quando ormai mancano solo quattro bottoni, li toglie tutti su un colpo, strappando la camicia. Ridacchio della sua sorpresa e la guardo con un misto di meraviglia e orgoglio per la sua intraprendenza.
Purtroppo canto vittoria troppo presto perché abbassa lo sguardo imbarazzata. Non le do nemmeno il tempo di controbattere che la bacio con foga, facendola indietreggiare fino al letto. Faccio una leggera pressione in modo che si distenda e continuo a baciarla, senza lasciarle un attimo di respiro.
I nostri respiri si mischiano, i nostri sapori anche. Le nostre lingue danzano tra di loro mentre le mie mani sono impegnate a toglierle anche la sottoveste. In poco tempo gliela levo ed Elena fa la stessa cosa con la mia camicia, lasciandomi a petto nudo.
Quanto mi era mancata, quanto l’avevo desiderata! Avevo bisogno di lei, di sentirla mia a tutti gli effetti. Elena si alza leggermente con il busto e si dedica al mio petto, lasciandomi una scia di baci bollenti che partono dal collo e arrivano fino all’ombelico, per poi risalire e scendere. Un gemito mi sfugge incontrollato ed Elena mi osserva, vittoriosa. Ora, però, è il mio turno. Questa è la nostra notte, ma voglio che sia anche la sua. Voglio amarla come non ho mai fatto –e se l’ho fatto mi impegnerò ancora di più.
La faccio distendere ancora e inizio a baciarle il collo, alternando questa dolce tortura a qualche piccolo morso, senza farle mai del male. Il respiro di mia moglie si fa sempre più veloce e affannoso, vuol dire che le sta piacendo. Arrivo piano al suo seno e lo venero con dolcezza e dedizione, cercando di trasmetterle tutto l’amore possibile che ho per lei e che non è mai scemato in questo ultimo periodo di lontananza. Elena stringe piano le lenzuola, mentre io continuo con il mio lavoro. Arrivo alla sua pancia piatta –e noto, con frustrazione, che è dimagrita ancora– e lascio alcuni baci anche li, alcuni leggeri, altri più premuti. Scendo verso le gambe, arrivando ad un ginocchio, per poi risalire piano, mentre Elena comincia a muoversi impaziente. Non resisto nemmeno più io e capisco che non ce la fa più nemmeno lei quando le esce dalle labbra il mio nome strozzato.
Il suo “Damon” pronunciato con così tanta eccitazione mi spinge ad iniziare la nostra danza di corpi, perché non posso più aspettare.
Arrivo all’altezza del suo viso e riprendo a baciarla, mentre lei allarga le gambe e le intreccia sul mio bacino. Appoggio le mani ai lati della sua testa, per non pesarle, e mi spingo dolcemente dentro di lei, sempre con paura di farle del male. E finalmente trovo il mio posto nel mondo, mi sento semplicemente a casa. Mi sento in pace con me stesso, mi sento me stesso. Elena mi osserva con dolcezza e mi bacia, muovendo leggermente i fianchi per invitarmi a proseguire. Mi muovo piano, con movimenti altalenanti, per godere appieno l’atmosfera carica di passione e il piacere che sta crescendo. Lei mi segue, assecondando i miei movimenti, rendendosi partecipe, e non ricordo nemmeno l’ultima volta che abbiamo fatto l’amore così –o se l’abbiamo mai fatto così. Siamo in preda l’uno ai sentimenti dell’altro, siamo fatti per stare insieme.
Sento che il piacere sta crescendo sempre di più, lo capisco dai nostri sguardi e dai nostri occhi che non si staccano mai, nemmeno quando aumento il movimento. Le bacio il naso, gli angoli della bocca ed infine le labbra. Quando stiamo per arrivare al limite Elena chiude gli occhi e serra le labbra, lasciandosi trasportare dal piacere intenso che ci stiamo procurando a vicenda. Arriviamo al limite insieme. Rimango immobile per qualche attimo, poi mi accascio sul suo petto nudo cercando di non pesarle troppo.
Rimaniamo entrambi fermi, immobili. Non parliamo, c’è solo Elena che mi accarezza piano i capelli e i nostri sospiri farci da sottofondo.
Sono con la donna che amo, non potrei chiedere niente di meglio e questa è appena stata la notte più bella di tutta la mia vita.
 

Mi sei mancato.”- mormora tra i miei capelli.
Anche tu.”- le rispondo. –“Non ti lascerò più andare via.”
“Me lo prometti?”- mi domanda piano, con voce insicura.
 

Alzo leggermente il capo e la bacio, accarezzandole dolcemente i capelli.
 

“Te lo prometto Elena, non ti lascerò mai più.”- le rispondo stringendola forte.
 

Passiamo non so quanto tempo a coccolarci, a baciarci e ad accarezzarci e a guardarci negli occhi. Dire che ci siamo mancati è poco. Senza di lei una parte di me era morta e ora averla qui, tra le mie braccia, mi fa sentire vivo.

 
“Chi ti ha detto che Charlotte non è mia figlia?”- le domando piano.

 
Elena si volta verso di me e si tira su a sedere, coprendosi comunque con la coperta che le arriva fin sopra il seno.

 
Katherine.”- mi risponde.
“E’ venuta da te?”- le domando preoccupato.
“A dir la verità è stata in prigione in Olanda per un po’, ma  fuggita con l’aiuto di qualche guardia francese. Ma non è riuscita a prendere la bambina visto che era con noi.”- mi racconta scuotendo la testa.
“Quindi è stata Katherine…”- mormoro pensieroso.
“A fare cosa?”- mi domanda, poi si fissa il collo nello stesso punto in cui sto guardando io e sembra capire. –“La collana? Si, l’ha presa lei.”

 
Elena abbassa lo sguardo dispiaciuta e so che teneva molto a quella collana, ma l’importante è che lei sia salva, il resto non conta.

 
“Mi dispiace.”- mormora.
“Non fa niente, era solo una collana.”- le rispondo baciandole dolcemente la fronte.
“Ma me l’avevi regalata tu.”- controbatte guardandomi negli occhi. –“Era un tuo regalo.”
“L’importante è che tu sia salva, il resto non conta.”- le sorrido portandole una ciocca di capelli dietro la fronte. –“E se ci tieni così tanto farò di tutto per riprenderla.”

 
Rimaniamo qualche istante in silenzio, poi decido di rivelarle alcuni particolari.

 
“Sai perché mia assomigliava?”- domando e vedo mia moglie aggrottare leggermente le sopracciglia. –“La bambina intendo.”

 
Elena scuote la testa.

 
“Ho scoperto che Eric è mio fratello, il primogenito di Giuseppe.”- le rispondo facendo una smorfia.
“Che cosa?”- lo urla quasi Elena portandosi le mani davanti alla bocca sconvolta.
“Si, ed è per questo che vuole prendere il potere e far valere i suoi diritti. Vuole governare la Francia al posto mio.”- le spiego.
“Non lo farà.”- mi risponde facendo una smorfia. –“Ma questo vuol dire che Charlotte è tua nipote? Povera bambina.”
“Stai dicendo che forse sono un cattivo zio?”- le domando inarcando un sopracciglio fintamente offeso.
“No.”- scuote la testa convinta. –“Mi preoccupo solo per quella povera bambina. Ha due genitori che sono dei traditori e… Come farà?”
“Ho già pensato a tutto, ovviamente prima però devi esserne d’accordo.”- le spiego e sorrido. –“Sappiamo bene entrambi che fine fanno i traditori e quella bambina rimarrebbe senza genitori, ma fa parte della nostra famiglia. Possiamo tenerla con noi.”

 
Vedo gli occhi di Elena brillare e un sorriso farsi strada nel suo volto.

 
“Adottarla?”- mi domanda volendo una conferma. –“La cresceremo come se fosse nostra?”
“La mia idea sarebbe questa.”- confermo.
“Ma è meraviglioso!”- esclama gettandomi le braccia al collo.

 
L’accolgo felicemente beandomi di tutta quella contentezza e in poco tempo ci ritroviamo per fare l’amore per la seconda volta in una notte –e che sarà il preludio di una terza e di una quarta.
Finalmente ogni cosa è al suo posto.



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Buon inizio di settimana a tutte :)
Non mi sono fatta attendere poi molto e credo di essermi fatta perdonare alla grande con questo capitolo. Vi svelo un segreto... Penso di non aver mai scritto un capitolo più dolce di questo *-*
Insomma, è il mio capitolo preferito, per ora! (e spero che sia anche per voi così)
Sinceramente non so il perchè di tutta questa dolcezza, forse perchè mi manca il Delena e so che non lo rivedrò più per tanto tempo (sto sperando che The Vampire Diaries a questo punto finisca con la settima stagione per rivederli insieme, ma da come ha parlato Julie durerà più di Beautiful tra poco e quindi mi sa che rivedrò Nina in TVD nei panni di Elena quando avrò il bastone...), forse perchè mi manca Elena, forse perchè mi manca il The Vampire Diaries di una volta... Boh, non lo so, ma quando ho scritto il capitolo mi sentivo parecchio malinconica tanto da aver iniziato una nuova serie Arrow e, per adesso, le coppie (anche se non ce ne sono) stanno andando più o meno bene... Parlo di Oliver e Felicity ragazze... Non stanno insieme, ma non sono nemmeno lontani u.u
Dunque, ritorniamo al capitolo. Sinceramente non ho molto da dire, a parte il fatto che c'è stato tanto Delena (come vi avevo promesso =') )e che Stefan è sempre in mezzo alle scatole. Damon vuole uccidere Erik e Katherine -e come dargli torto!- e insieme ad Elena vuole adottare sua nipote, ma sappiamo com'è Elena... Ora è felice, ma poi le verranno i rimorsi... Non sulla bambina, ma sul fatto di uccidere i suoi veri genitori...
Il mistero della collana è stato svelato e presto saprete anche cos'è successo a Katherine in Olanda :')
Grazie per le magnifiche recensioni e per il supporto, il capitolo è dedicato a tutte voi ragazze <3
Alla prossima! :)

PS: siamo arrivati a 40 capitoli, wow *-*

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Capitolo 41
*** Lasciati aiutare. ***


                           Lasciati aiutare.
                                       41.            




Pov Elena.

Sono stanca, ma non riesco a dormire, non potrei farlo. Dopo due mesi, contando la malattia e la partenza di Damon, ho finalmente mio marito vicino a me e penso di non essere mai stata così felice. Le braccia di Damon mi stringono forte al suo petto, in una presa difficile da slegare e ogni volta che tento di sciogliermi lui si agita nel sonno e sono costretta a mettermi come prima. Non che voglia staccarmi da lui, ma mi è mancato così tanto vederlo dormire e perdermi ad osservarlo. Piano piano mi volto lentamente e mi giro verso di lui e ce la faccio senza fare alcun rumore e svegliarlo. E’ a petto nudo e le coperte gli arrivano fino all’ombelico, ma non posso non notare le numerose cicatrici che ha per tutto il corpo –o almeno la parte davanti del busto. Ce ne sono alcune più piccole e altre più grandi e sembrano proprio segni di frusta. Che cosa gli hanno fatto?

Sicuramente l’hanno torturato visto com’è messo, ma non mi ha detto niente. Molto probabilmente l’ha fatto per non farmi preoccupare, ma ora lo sono per davvero. Avrei dovuto farlo dormire e riposare, non fare altro.

Anche se comunque lui è stato parecchio d’accordo sul farlo più volte ed io un po’ mi sento in colpa per questo, ma dall’altra parte ci eravamo mancati così tanto che ogni cosa era diventata futile in quel momento, ma comunque ho tutta l’intenzione di chiedergli che cosa gli hanno fatto e che cos’ha fatto in questo periodo. Una cosa mi torna in mente, il suo sei viva detto in modo quasi disperato e proprio non capisco a cosa sia legato… Che gli avessero detto di avermi uccisa? Probabile visto che quando ci siamo incontrati Damon mi osservava come se avesse appena visto un morto camminargli incontro.

 

“Che cosa ci fai sveglia?”- mi domanda la sua voce assonnata.

 

Ero così assorta nei miei pensieri che non mi sono nemmeno accorta che Damon si sia appena svegliato. Mi accarezza distrattamente una spalla e mi da un bacio sul naso.

 

“Ti ho svegliato?”- gli domando leggermente in colpa.

“No, non preoccuparti.”- mi sorride. –“Non avevo più sonno. Tu perché sei sveglia?”

“Non avevo sonno neanche io.”- gli rispondo appoggiando la testa sul suo petto. –“Siamo rimasti distanti così tanto tempo e non posso avere sonno.”

“Allora mi sento in colpa per essermi addormentato.”- borbotta.

“Hai passato giorni d’inferno…”- mormoro accarezzandogli un braccio. –“Ti ha fatto bene dormire un po’. Damon… Cosa ti hanno fatto?”

 

Damon mi fissa per un attimo spaesato e allora indico le numerose cicatrici che ha in tutto il corpo per capire cosa gli sia successo.

E mi fa male sapere che in qualche modo lo abbiano torturato e fatto del male. Il suo stesso fratello gli ha fatto del male.

 

“Non preoccuparti, non è nulla.”- mi dice.

“No.”- scuoto la testa. –“Dimmi la verità, che cosa ti hanno fatto?”

 

Damon sospira, poi mi cinge la vita sulle spalle e appoggia la testa sopra la mia.

 

“Mi hanno frustato. Erik… Lui voleva sapere delle cose, ma io non sapevo davvero niente. Lui non mi credeva e ha iniziato a torturarmi.”- mi spiega.

 

Rimango sbigottita dalle sue parole e improvvisamente sento la rabbia crescere in me. Il suo stesso fratello oltre ad averlo rapito l’ha perfino torturato. Come può essere diventato così cattivo?

 

“Tuo fratello ti ha torturato?”- domando tristemente.

“Un po’ lui e un po’ le guardie.”- mi spiega. –“Ma ormai è tutto passato, sono qui, con te. Non me ne andrò mai più.”

 

E ora lo sento tremendamente serio e so che lo dice per davvero. Ho imparato molte cose stando con lui, ma quella più importante è che quando fa una promessa la mantiene sempre e non importa quello che succede, è un uomo di parola.

 

“Lo so, e ti credo.”- gli sorrido. –“Damon… Che cosa ti ha detto Erik su di me? Quando mi hai visto ti sei comportato stranamente… Come se… Come se fossi un’allucinazione.”

“Mi ha detto che eri morta e io…”- sospira terrorizzato. –“E io ci avevo creduto. Avevo veramente creduto di averti persa per sempre ed ero disposto a morire per rivederti… Ero disperato.”

 

E sento tutta la sua disperazione sulla voce mentre mi dice quelle parole perché è lo stesso tono che utilizzavo io quando Stefan mi ha detto che molto probabilmente Damon era stato già ucciso, ma una parte di me non ha mai perso la speranza di rivederlo e ho lottato con tutta me stessa per farmi portare in Francia perché sapevo –speravo– che fosse ancora vivo e pronto a ritornare da me.

Perché dovevo vederlo almeno un ultima volta dopo aver scoperto che la piccola Charlotte era sua figlia e per avvertirlo che Katherine era in Francia alla ricerca di Erik, anche se comunque non avevo capito le sue intenzioni perché era riuscita ad evadere –non era riuscita a prendere Charlotte perché, una volta catturata, le era stata portata via la bambina e io, convinta che fosse ancora di Damon, me ne ero innamorata.

Mi volto e prendo il volto di Damon tra le mie mani e lo bacio dimostrandogli tutto l’amore che provo per lui e quanto mi sia mancato perché, seppur fossi stata arrabbiata con lui, mi era mancato come l’aria.

 

“Damon, ora sono qui, con te.”- gli dico dolcemente e lo vedo sorridere sulle mie labbra. –“Non devi preoccuparti più di niente, ora siamo insieme.”

“Lo so, ma ora la Francia è un posto pericoloso per te.”- mi dice serio.

“Finché ci sei tu con me niente è pericoloso.”- mormoro.

“E se dovesse succedermi qualcosa?”- mi domanda con tono preoccupato.

“Non ti succederà niente, ce la caveremo.”- gli rispondo cercando di tenere la voce ferma perché niente è sicuro, ma voglio crederlo. –“Ti riprenderai la Francia e dopo torneremo in Olanda. Oppure potremo rimanere qui.”

“La tua casa è l’Olanda.”- mi fa notare.

“Ma casa tua è qui.”- gli faccio notare, poi continuo. –“Casa per me è dove ci sei tu, non importa in quale Paese.”

“La stessa cosa vale per me.”- mi posa un bacio sulla fronte. –“Mi eri mancata così tanto…”

 

Mi stringe di più a se e io mi accoccolo contro il suo petto. Anche lui mi è mancato, mi è mancato troppo. 

 

“Anche tu mi sei mancato. Non averti accanto a me è stata… Una tortura.”- mormoro.

“Nessuno ci dividerà più. Erik e Katherine per prima cosa…”- mi assicura.

“Per quanto riguarda loro… Stavo pensando… Lo so quello che Erik ha fatto, e deve pagare…”- sospiro e Damon mi guarda confuso. –“Ma… Loro sono i genitori di Charlotte, Damon. Come possiamo privarla di loro?”

“Elena, ci hanno traditi. Tutti quanti. Mi stavano per uccidere e se… E se Katherine non fosse stata catturata molto probabilmente avrebbe ucciso anche te. Come possiamo lasciarli vivere? Uomini e donne sono stati uccisi per molto meno.”- mi dice perentorio.

 

So che meritano di pagare, dovranno farlo assolutamente, ma uccidere due persone… I genitori di Charlotte… Io mi prenderò cura di lei, ma non sono la sua vera madre, per lei non sono nessuno. Forse posso avvicinarmi come una sorta di zia, visto che è comunque la nipote di Damon, ma come potrò crescerla sapendo di essere in qualche modo responsabile della morte dei suoi genitori?

Ci odierà per tutta la vita ed è così piccola.

E poi Erik è il fratello di Damon. Sono fratelli.

 

“Ma lui è tuo fratello…”- mormoro.

“Un fratello che ha tentato di uccidermi. Lo chiamerei più fratellastro.”- mi dice e sento che si sta innervosendo.

“La bambina ci odierà…”- sussurro. –“Non possiamo uccidere i suoi genitori.”

“La colpa non è tua se sono così, Elena. Loro devono pagare per quello che hanno fatto, sono dei traditori e degli assassini. Chi pensi che abbia ucciso l’amico di mio padre? Ovviamente loro. Se li lasciamo liberi si vendicheranno ancora perché non avranno quello che vogliono. Della mia vita non mi interessa, è della tua che mi preoccupo. E di quella di Charlotte.”- continua perentorio. –“La bambina non ci odierà, con il passare del tempo capirà.”

“Promettimi…”- mi blocco un attimo. –“Che lo ucciderai soltanto se ti ritroverai costretto a farlo.”

 

Damon mi guarda per qualche istante e posso vederlo in contrasto con se stesso. Parlare di questo gli fa male, parlare della Francia in generale lo distrugge proprio perché il Paese sta cedendo per avidità di Erik. Da una parte vorrei vederlo morto, per quello che ha fatto a Damon, ma dall’altra no. Uccidere persone no è da lui, non è da noi.

 

“Te lo prometto.”- mi dice guardandomi negli occhi.

 

Gli credo, ma in cuor mio so che non sarà così.













 

 

                                                                                                               * * *













 

Scendiamo insieme le scale mano nella mano e sembra che Damon abbia rimosso completamente dalla sua testa la nostra piccola discussione riguardo il suo fratellastro e ho deciso che non tirerò più fuori il discorso perché non voglio innervosirlo ancora di più. La mia preoccupazione ora è rivolta a Charlotte e alla Francia, non a quell’uomo e a quella donna spregevoli.

 

“Elena, prima di andare a fare colazione devo parlare con Stefan.”- mi spiega dandomi un casto bacio sulle labbra. –“Se lo trovi puoi dirgli che lo aspetto nell’armeria? Lui sa dov’è.”

“Va bene, io vado alla ricerca di Charlotte.”- gli rispondo sorridendo.

 

Non faccio nemmeno in tempo a staccarmi da lui che mi riafferra e mi bacia con passione e poi, dopo aver sorriso, se ne va felice.

Ridacchio leggermente e mi avvio verso la sala da pranzo sperando di trovare la bambina, magari con Gretel. Mi piace quella donna e mi fido di lei, è per questo che le ho affidato la bambina, altrimenti non l’avrei fatto e penso che dovrei anche ringraziarla, dopotutto ha tenuto una bambina che nemmeno conosce.

Le trovo infatti nella sala da pranzo insieme a qualche altro soldato di cui non ricordo nemmeno il nome e di Alaric, il grande amico di Damon. L’avevo conosciuto al nostro matrimonio, ancora tempo fa, ma ho legato con lui soltanto in questo ultimo periodo e capisco perché Damon si fidi così ciecamente di lui, è un uomo fantastico. Accanto a Gretel trovo anche Stefan intento a fare facce buffe alla bambina che ogni tanto ridacchia divertita facendo strani suoni.

Non appena si accorgono di me mi salutano con un rispettoso buongiorno inchinando il capo e io mi affretto a chiarire che qui non sono la regina e non mi piacciono tutte queste forme di rispetto e che anche solo un semplice ciao possa andare bene.

 

“Stefan, vostro fratello vi deve parlare un attimo.”- gli dico. –“Vi aspetta nell’armeria, ha detto che sapete dov’è.”

“Certo, ci vado subito. Grazie ancora.”- mi dice.

 

Gli sorrido e poi se ne va seguito da Alaric.

Mi avvicino a Gretel e mi siedo di fronte a lei. Non appena Charlotte si accorge che sono io scalpita e allunga le braccia verso di me e non aspetto troppo prima di prenderla in braccio. Le sue mani paffutelle si avvicinano alla mia bocca e bacio prima una e poi l’altra, poi le accarezzo una guancia.

 

“Ha fatto la brava?”- domando a Gretel.

“Certamente mia signora, ha dormito tutta la notte.”- mi dice rispettosa.

“Chiamatemi pure Elena, tutte queste forme di rispetto mi mettono un po’ in soggezione, sono una persona normale come tutte.”- le sorrido. –“Ha già mangiato?”

“No.”- scuote la testa. –“Stavo giusto per andare a prendere il latte.”

“Perfetto, noi aspettiamo qui.”- le dico mentre Charlotte mi tira una ciocca di capelli divertita.

“Con permesso.”- si congeda.

 

 

Charlotte mi tocca una guancia con la mano paffutella e sorride sdentata facendomi ridacchiare. Continuo ad osservarla mentre lei si diverte con il mio vestito e noto che, effettivamente, è uguale a Katherine se non per gli occhi -quelli sono di Erik e simili a quelli di Damon. Ma gli occhi di Erik sono freddi e calcolatori, occhi di una persona che ha ucciso e continuerà a farlo, mentre quelli di Damon sono più caldi e più benevoli. E riemerge ancora una delle mie paure più grandi, ovvero un possibile cambiamento da parte di Damon. Lui non se ne rende conto, ma potrebbe cambiare una volta ucciso suo fratello e io non voglio questo per lui, non voglio che venga distrutto dai suoi sensi di colpa. Perché Erik, per quanto cattivo possa essere, è pur sempre suo fratello e conosco Damon più di me stessa per sapere che sicuramente se ne pentirà, ma so anche che è testardo -eccessivamente testardo- e che non cambierà idea per nessuna ragione.

I miei pensieri vengono interrotti da Gretel che ritorna con il latte per Charlotte e mi porge un biberon di vetro* con il liquido bianco-giallastro all’interno. La bambina, non appena vede il biberon, tende le braccia verso di esso, allora la sistemo bene e comincio a darle il latte che accetta molto volentieri visto il modo in cui succhia.

 

“Ho trovato solo questo, mi dispiace.”- mi dice Gretel. -“So che per la bambina sarebbe meglio una balia che la allattasse.”

“Non vi preoccupate, avete fatto anche troppo per noi.”- le dico tenendo lo sguardo fisso su Charlotte che continua a bere indisturbata e ogni tanto muove le gambe.

“Siete la moglie del re Damon e regina d’Olanda. E’ il mio dovere questo.”- mi risponde.

“Non deve essere un obbligo. Io qui sono una persona normale come tutte voi e poi non voglio avere tutto questo rispetto solo perché porto la corona.”- ribatto bonariamente.

“Siete buona, mia signora.”- mi dice e vorrei ricordale che le ho appena detto di chiamarmi Elena, ma evidentemente non può farne a meno. -“Mi dispiace che abbiate visto la Francia in questa situazione.”

“Sarebbe piaciuto anche a me vedere la Francia in pace, credetemi.”- le dico e appoggio Charlotte sulla mia spalla per fargli fare il ruttino. -“Ma siamo qui per aiutare e vi prometto che tutto tornerà come prima.”

“E come faremo con Erik?”- mi domanda.

“Questo non lo so.”- le rispondo sinceramente. -“Ma credo che non farà una bella fine.”

 

Sento qualcuno appoggiarmi una mano sulla spalla, quella dove non c’è appoggiata Charlotte, e mi volto scontrandomi con gli occhi di Damon che mi guardano pieni di amore. Accarezza con una mano la testa di Charlotte che alza gli occhi su di lui poi appoggia di nuovo la testa sulla mia spalla.

 

“Voglio farti vedere una cosa.”- mi dice prendendomi per mano.

 

Gli sorrido e con un cenno del capo ci congediamo da Gretel e da tutti gli altri, poi seguo Damon cercando di capire dove mi voglia portare. Percorriamo tutto il corridoio mano nella mano mentre Charlotte sembra volersi addormentare un’altra volta, poi svoltiamo a destra diretti al piano di sopra. 

Arriviamo ad una stanza e Damon, con un calcio, apre la porta facendo cadere un po’ di polvere che fa tossire entrambi. Mi fa cenno di entrare e lo seguo titubante nel buio della stanza e lui va a scostare le tende per far entrare dentro la luce.

Ci troviamo all’interno di una stanza da letto, ma non è una semplice stanza da letto, è quella di un bambino. C’è un piccolo lettino con delle sbarre e alcuni giocattoli sparsi qua e là pieni di polvere e il mio cuore si gonfia un po’ di gioia nel sapere che Damon mi sta mostrando parte della sua infanzia.

 

“Era camera tua?”- gli domando.

“Si, quando ero piccolo dormivo qui.”- mi risponde cingendomi la vita con le mani e posando un bacio sulla testa di Charlotte. -“Quando sono cresciuto mia madre ha voluto per forza far rimanere la stanza così e io dormivo da un’altra parte. Diceva che le ricordavo quando ero piccolo e le piaceva.”

“Credo che sia una cosa molto dolce.”- sorrido.

“Lo è.”- mi posa un bacio tra i capelli. -“Charlotte potrebbe dormire qui.”

“In questa stanza?”- domando titubante.

 

E’ distante dalla nostra camera da letto e bisognerebbe sistemarla da cima a fondo visto il disastro che regna sovrano e tutta la polvere che c’è.

Damon scuote la testa piano.

 

“Nel letto.”- mi dice. -“Pensavo di portarlo in camera nostra.”

“Credo che sia un’ottima idea.”- gli sorrido posandogli un casto bacio sulle labbra. Charlotte, che improvvisamente non ha più voglia di dormire tenta di toccare le sbarre di legno emettendo strani gridolini. -“Penso che piaccia anche a lei quest’idea.”

 

Scendiamo giù in sala da pranzo per fare colazione e mentre io presto attenzione a Charlotte, che ha tutta l’intenzione di mettere le sue piccole mani nella mia bocca, Damon ed altri uomini, compresi Stefan ed Alaric, discutono su come agire e su quante persone possono effettivamente contare.

Alla fine del discorso, almeno da quello che ho capito, decidono che non possono attaccare subito perché altrimenti sarebbe come andare incontro alla morte visto che loro sono molto pochi rispetto ad Erik e agli altri uomini quindi decidono di reclutare qualcuno di veramente fidato e si sono offerti Damon e Stefan di andare alla ricerca di quegli uomini visto che hanno parecchie conoscenze qui.

Più tardi, mentre sono nel giardino sul retro con Charlotte, Damon mi raggiunge e si siede accanto a me nella piccola panchina di pietra sotto un ulivo.

 

“Sei sicuro che quegli uomini siano dalla tua parte?”- gli domando. -“Quelli che volete cercare tu e Stefan intendo.”

“Lo sono, non preoccuparti.”- mi risponde posandomi un bacio sulla spalla.

“Potremmo chiedere aiuto in Olanda. Abbiamo un esercito numeroso, Damon.”- propongo.

“Si accorgerebbero subito dell’attacco.”- mi dice scuotendo il capo.

“Pensi che non stiano già sospettando qualcosa?”- gli domando retorica. -“Ti abbiamo salvato e lui è furbo, sa già che stiamo preparando qualcosa.”

“Potrebbero preparare imboscate ovunque.”- mi fa notare.

“Lo so, è per questo che possiamo inviare gruppi di soldati e non un’armata intera. Non possono preparare imboscate ovunque, ci devono essere dei posti adatti altrimenti sarebbero subito scoperti.”- gli rispondo convinta.

“Ho capito cosa intendi e so anche quali posti, ma è comunque troppo pericoloso.”- continua ancora.

“Sempre meno di quello che avete in mente di fare. Siete troppo pochi e non stiamo parlando di un semplice attacco per uccidere Erik. Scoppierà una guerra, Damon, lui governa come un re. E una guerra non si può combattere in pochi. Magari qualcuno morirà, e anche se non voglio, dobbiamo farlo, dobbiamo salvare la Francia e devi riprenderti il trono. Sarò egoista, ma la realtà è questa. Lasciati aiutare.”- gli dico.

“Ci vorrà tempo. Ci vogliono circa due settimane per arrivare in Olanda e altre due per tornare indietro. E’ circa un mese, se non di più. Non abbiamo tempo.”- mi risponde.

“Ne abbiamo e in tutto questo tempo potrete allenarvi e allenare chi vorrà far parte di tutto ciò. Molti cittadini non vogliono sottostare ad Erik ed è ora che tu dimostra quanto vali. Sei tu il re, non lui, ed è ora che ti comporti da tale. Salva il tuo popolo e il tuo Paese, Damon.”- finisco guardandolo negli occhi. -“E lasciati aiutare.”

 

Damon non dice niente e mi bacia facendomi capire che non servono parole per esprimersi. In questo modo qualche possibilità di vincere ce l’abbiamo.

 

 

 

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*è molto simile a quello che viene utilizzato ai giorni nostri, solo che nell’Ottocento era di vetro.

Questo tipo di biberon si diffuse soprattutto verso la seconda metà dell’Ottocento -dove questa storia è ambientata appunto- e mi sono informata prima di scrivere queste cose perché non ero sicura esistesse. So che esistono le balie, quelle adatte per allattare i bambini, ma nella situazione in cui si trovano Damon ed Elena è praticamente impossibile trovarle :’)



Buongiorno a tutte e scusatemi per il ritardo, ma ho cercato avanti di portare avanti anche altre storie e visto che questa è quasi finita me la sono presa un po' troppo comoda, ma non manca molto e avrete aggiornamenti un po' più rapidi.
Prima di passare al capitolo vorrei invitarvi a passare dalla mia nuova DelenaThe List, e magari lasciare qualche parere per sentire se vi piace o meno e mi fareste molto felice ^^
Detto questo passiamo al capitolo. Sostanzialmente non accade nulla di importante, a parte il fatto che c'è tanto -ma davvero tanto- Delena e ovviamente questa cosa non mi dispiace e credo che l'abbiate apprezzata anche voi xD
Elena, come avevo già accennato, viene colpita dai sensi di colpa -non sarebbe Elena altrimenti!- e cerca di far desistere Damon dalla sua furia omicida, ma lui ha motivi più che validi per compiere la sua vendetta. Fa bene o fa male?
Ormai c'è l'aria di guerra e, come ha detto Elena, bisogna fare solo una cosa e questo implica combattere!
Ringrazio le ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e mi dispiace che le recensioni siano così altalenanti proprio alla fine, soprattutto nello scorso capitolo dove c'è stato il ricongiungimento Delena :(
Alla prossima <3

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