Minaccia senza volto (/viewuser.php?uid=53775) Lista capitoli: Capitolo 1: *** Il dubbio di Roxy *** Capitolo 2: *** Paura invisibile *** Capitolo 3: *** Il misterioso Zephiro *** Capitolo 4: *** Le Furie dei Sentimenti Negativi *** Capitolo 5: *** L'angoscia di Bloom *** Capitolo 6: *** L'ascoltatore imprevisto *** Capitolo 7: *** Il Vortice dei Venti *** Capitolo 8: *** Gelosia *** Capitolo 9: *** L'Esercito del Vento *** Capitolo 10: *** Furioso contagio *** Capitolo 11: *** Un aiuto inaspettato *** Capitolo 12: *** Bruschi risvegli *** Capitolo 13: *** Rivalità *** Capitolo 14: *** Un colloquio con Faragonda *** Capitolo 15: *** Soli *** Capitolo 16: *** Lunga vita al re *** Capitolo 17: *** L'assedio *** Capitolo 18: *** Lo Scettro di Domino *** Capitolo 19: *** Nella biblioteca proibita *** Capitolo 20: *** L'eredità *** Capitolo 21: *** Tracix *** Capitolo 22: *** Rosso, blu, oro *** Capitolo 23: *** Il Dono *** Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
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Capitolo 8
*** Gelosia ***
Capitolo 8. Gelosia
«Mi raccomando, ragazzi, fate molta attenzione.» esclamò Sky, risoluto, guardando prima Timmy, poi Aisha e Nabu, Flora e Helia, infine, Musa e Riven. Quei due erano ancora ai ferri corti, pareva, e non sembravano proprio avere alcuna intenzione di perdonarsi quel loro nuovo motivo di screzio con così tanta facilità. Solo che, adesso, non aveva il tempo per occuparsene, anche se sperava che quei due la smettessero di litigare in vista della grande crisi che aveva già colpito Magix e che stava per incombere sulla Terra: doveva partire, insieme a Brandon e Klaus per Alfea e la cosa lo preoccupava, si sentiva come se stesse per succedere qualcosa di molto spiacevole. Avevano fatto arrivare una navetta da Fonterossa sulla stessa collina dove Roxy aveva portato le ragazze per la gara di aquiloni: quel giorno era deserta e nessuno si sarebbe accorto del portale che la navetta aveva aperto per entrare nel mondo degli Terrestri. Quando si era aperto il portellone, si erano aspettati una squadra di giovani Specialisti, invece, avevano accolto il professor Codatorta in persona. Brandon aveva sussultato, quando l'aveva visto. «Ma guarda chi si rivede!» aveva esclamato, contento. «Non avevo molti Specialisti da mandare.» aveva replicato il professore, alla muta domanda che lesse negli occhi di tutti i ragazzi. «Come avrete saputo, ci sono dei grossi problemi a Magix. Ma... esattamente... qual è il nostro ospite speciale?» Klaus aveva fatto un passo avanti e tutti quanti si erano quasi aspettati di vedere la barba di Codatorta cominciare a ruotare intorno alla sua bocca. Per un attimo, un mezzo sorriso aveva increspato le labbra di tutti, tranne quelle di Klaus che, naturalmente, non sapeva niente di Specialisti e dei loro professori. Il burbero Codatorta, inoltre, poteva ispirare soggezione e poca fiducia in coloro che non lo conoscevano. «Sono Klaus.» disse, allungandogli una mano che Codatorta, non capendo il gesto, non afferrò. Questo creò un po' di imbarazzo e le parole gli morirono in gola. Sky gli pose una mano sulla spalla in segno di incoraggiamento. «Professore, il padre di Roxy, l'ultima fata della Terra, ha bisogno di vedere sua figlia. Inoltre, vogliamo partire con lui e, oltre a proteggerlo, desideriamo raggiungere le nostre ragazze. Sembra che siano in missione su Domino e che sia una faccenda piuttosto delicata.» «Sì, una faccenda da Specialisti!» aveva annuito Brandon, convinto. Codatorta non aveva chiesto troppe spiegazioni e, anzi, sembrava aver fretta di tornare indietro. «Se non me l'avesse chiesto Faragonda in persona, non l'avrei fatto, ma a quanto sembra sono costretto a portarlo su ad Alfea. Andiamo.» disse e nessuno di loro capì bene quel discorso. «Il tempo stringe.» «Perché non dovrebbe andare ad Alfea?» chiese Brandon, ma nessuno gli rispose. Sky non lo sapeva e Codatorta non era prodigo di spiegazioni, in quel momento soprattutto che stava usando per squadrare il mingherlino Klaus. Aveva borbottato qualcosa che nessuno aveva capito, prima di voltarsi indietro, verso la navetta. «Credo di non stargli molto simpatico...» mormorò il padre di Roxy, all'orecchio di Sky che sorrise. «Ah, non ti preoccupare. Codatorta è fatto così, ma è una brava persona e ci aiuterà con ogni mezzo possibile!» l'aveva fatto salire sulla navetta, seguito da Brandon e Timmy. Lui, invece, era rimasto un altro po' a terra, a guardare i suoi amici e Musa e Riven lontani l'uno dall'altra. «Fate attenzione e, se dovesse succedere qualcosa, inviateci un messaggio e saremo da voi... con o senza lo Scettro di Domino.» disse. «Non preoccupatevi per noi!» chiese Flora, pallida in volto. «Ce la caveremo. State attenti voi, piuttosto. E buona fortuna.» mormorò Aisha, quasi avesse avuto paura a dirlo a voce un po' più alta. Sky annuì. Voleva essere rassicurante per infondere negli altri un po' di coraggio, ma vedeva dagli occhi di tutti che quella era la situazione più disperata che potessero affrontare: dovevano combattere contro i loro stessi sentimenti negativi e sarebbe stata molto dura. Salì a bordo della navetta e, anche allora, non smise di guardare a terra le sei persone che aveva lasciato, non senza provare ancora una volta una strana sensazione di imminente pericolo. Pensò a Bloom e, chissà perché, sentiva un nodo alla bocca dello stomaco che non voleva saperne di sciogliersi. Brandon gli posò una mano sulla spalla, lo guardava come se avesse capito il suo stesso stato d'animo e lo provasse a sua volta. «Arriveremo in tempo.» lo rassicurò, anche per convincere se stesso. Sky annuì, guardando in basso gli Specialisti e le Winx rimasti sulla Terra che rimpicciolivano sempre di più. Poi ci fu un bagliore accecante e la Terra scomparve, lasciando spazio ad un universo immenso e punteggiato di stelle lontane. Erano tornati nella Dimensione Magica e, adesso, dovevano solo dirigersi ad Alfea. Bloom, pensava Sky, i pugni stretti e l'espressione risoluta, sto arrivando!
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Mentre la navetta spariva oltre il cielo, le tre Winx continuavano a tenere lo sguardo puntato su di esso, come se potessero bucarlo e vedere oltre di esso, Alfea e le loro amiche, magari corredate di uno scettro che si sarebbe rivelato la soluzione di tutti i loro problemi. Aisha fu la prima a distogliere lo sguardo. Ormai le loro amiche dovevano già essere arrivate su Domino: come mai non avevano chiamato? Forse c'era stato qualche imprevisto? Le si contorse lo stomaco per la tensione e non osò andare oltre con le apprensioni. Guardò, però, l'ora all'orologio da polso che aveva regalato a Nabu per l'anniversario del loro primo incontro, e vide che mancava poco più di un'ora alle tre. Un pensiero attraversò la sua mente e la fece sussultare. «Musa! La tua canzone!» le ricordò, concitata. Musa annuì, con aria assente, i suoi occhi, come quelli di tutti gli altri, erano posati sul cielo, là dove la navetta era sparita. «Devi andare!» la ammonì la fata dei fluidi, con cipiglio severo, afferrandola per la spalla. «Ricorda cosa abbiamo detto: tenere alto l'umore dei terrestri!» «Sì, è vero!» esclamò Flora. «Con la tua voce e le tue bellissime canzoni ci riuscirai sicuramente!» Musa si girò e rivolse loro un sorriso di stanca gratitudine. «Grazie, amiche mie!» «E mentre tu inciderai il tuo singolo, noi andremo al Love & Pet! Ci sono molte persone che aspettano che ci occupiamo dei loro cuccioli e ormai sono due giorni che siamo chiuse.» continuò Aisha, con un'allegria che non provava, ma che riuscì ad essere contagiosa anche per gli altri. «Giusto!» annuì Timmy, prendendo per le spalle Riven e Helia, rivolgendo alle ragazze un sorriso a trentadue denti. «E visto che anche il Frutti Music Bar sarà chiuso, vi daremo una mano!» «Davvero?» esclamò Flora, aggrappandosi al collo del suo ragazzo. «Oh, Helia, sarebbe meraviglioso!» Riven distolse lo sguardo, scettico. «Bah.» fu il suo unico commento. Helia gli diede una gomitata nello stomaco. «Ci divertiremo molto, vero amico?» esclamò, scoccandogli un'occhiata di rimprovero. Lo Specialista arricciò le labbra, poi guardò Musa che, in quel momento, lo stava guardando come per valutarlo; distolse il suo, irritato. «Sì, certo... tantissimo.» mentì, a malincuore e ancora molto scettico in proposito. «Andiamo, allora.» li esortò di nuovo Aisha. Lasciarono la collina a piedi, cercando di trovare argomenti divertenti di cui parlare, Aisha punzecchiò Musa a proposito della cottarella che Jason Queen aveva per lei. Lei arrossì lusingata, ma, anche in imbarazzo, le chiese di smetterla. Riven, però, non trovò la cosa divertente allo stesso modo: divenne ancora più torvo e non partecipò alla conversazione, anche se Helia e Nabu cercavano in tutti i modi di tirarlo in ballo e di farlo almeno sorridere. Quello era l'unico modo che conoscevano per allontanare le Furie, ma si sentivano un po' stupidi a ridere come dei matti, quasi volessero affermare: «siamo troppo felici, Furie pussate via!», cosa che non avrebbe convinto neanche un vecchio rimbambito e soprattutto Riven che si stava rodendo di gelosia e riusciva solo a pensare a Musa e alle sue guance che diventavano rosse al solo sentir parlare di quel produttore da strapazzo. Per Riven, poi, far parte di quella comitiva di sciocchi, così come li definì lui, non fu facile e lo divenne ancora meno, quando, arrivati al Love & Pet, videro che c'era già una coda che non finiva mai. Si accorse che c'era più lavoro di quanto si aspettava di dover fare: venne sistemato al lavaggio dei cuccioli e, armato di spugna, shampoo e asciugacapelli speciale, si maledisse di aver accettato per amore di Musa: lei neanche aveva apprezzato lo sforzo, non un grazie, non un sorriso. Era andata di sopra, a casa, per cambiarsi ed era scesa giù vestita di rosso, i capelli appuntati sulla nuca.. Riven aveva sentito il sangue ribollirgli in testa. Avrebbe volentieri scagliato lontano la spazzola che teneva in mano e che stava usando sulla schiena di uno di quei piccoli essere pulciosi, mentre lei era circondata dalle sue amiche che le dicevano quanto stesse bene. Le avrebbe imposto di non andare e poi sarebbe andato a spaccare la faccia a Jason per il solo fatto che pensava di potergli rubare la ragazza. «Jason ti cadrà ai piedi, vedrai!» rise Aisha. Riven avrebbe tanto voluto gridarle di smetterla, invece, abbassò lo sguardo stringendo tanto forte la spazzola da arrivare a frantumarla. Arrabbiato, decise di ignorare Musa e quelle galline delle sue amiche e di continuare a fare il suo lavoro. Continuava a ripetersi che non importava, che andava tutto bene, ma nessuna delle due cose era vera: non poteva fare a meno di pensare che la sua ragazza si fosse agghindata in quel modo per Jason Queen, che l'espressione emozionata e il rossore sulle sue guance fossero dovuti all'impazienza di vederlo. Riven non aveva mai sofferto tanto in tutta la sua vita: si era fidato di una donna e lei gli aveva dato un due di picche che riteneva di non meritare. Rabbioso, spazzò via le lacrime con la mano che sorreggeva la spazzola; nella foga, rovesciò la vasca e si versò addosso tutta la schiuma. Molti cuccioli magici, compresi quelli delle Winx, andarono a sguazzare in mezzo alle bolle, ridendo spensierati; le clienti li seguirono presto, divertite dal buffo spettacolo di lui, con una paperella in testa e l'acqua e il sapone che gli grondavano da ogni dove. Persino Musa rideva, ma la cosa non gli fece piacere: umiliato come non mai, si alzò e se ne andò, sotto lo sguardo e le risate generali. Si rifugiò nel bagno attiguo al negozio, prese un asciugamano e si strofinò per bene, ottenendo solo di spalmarsi il sapone addosso. Rabbioso, scagliò l'asciugamano contro il muro e diede un calcio al muro. Avrebbe tanto voluto avere qualcosa da rompere, ma non fece in tempo a raccogliere il portasapone che qualcuno, con un tempismo da manuale, andò a bussare alla porta. «Riven?» era la voce di quella scocciatrice di Flora. «Che cavolo vuoi?» abbaiò, in risposta. «Vattene!» «Pensavo che... forse... ti farebbe piacere farti una doccia... qui ci pensiamo noi! Dico davvero, puoi usare il bagno in camera di Bloom e Stella.» Riven non rispose, guardò la propria patetica immagine riflessa che gli restituiva uno sguardo spento. «Sì.» borbottò. Non si sentiva più tanto arrabbiato, adesso, o sicuro di sé. Aveva voglia di essere lasciato solo o di sprofondare. «Ah, Riven?» «Che altro c'è?» sbottò, infastidito. «Sei stato molto carino, poco fa.» rispose Flora. «A fare quello spettacolo, intendo... hai fatto ridere tutti.» «Lo so da me, grazie!» gridò lo Specialista, aggressivo. «No... io... io intendevo...» «Sparisci, Flora!» «I-io... non volevo dire...» «Vai via!» Flora esitò. «O-okay.» borbottò, dopo un po', e fece come le aveva chiesto, ma Riven non si sentì meglio come aveva sperato. Anzi, si sentiva anche peggio: il pensiero di Musa con un altro, da sola, in una sala di registrazione, gli dava i brividi e lo faceva impazzire di gelosia. E allora corri a prenderla, no? Riven alzò la testa di scatto e guardò attraverso lo specchio l'angusto spazio del bagno. Girò la testa da una parte all'altra, cercando il proprietario della voce che era sibilante, fredda; Riven si ritrovò a pensare che, semmai un serpente avesse parlato, avrebbe avuto quella voce. Pensò di esserselo immaginato, o che fosse stata la sua stessa testa a parlare, ma non ci credeva davvero. Proveniva da qualche parte intorno a lui, ma non sapeva bene dove. Non pensi alla tua ragazza, che è tra le braccia di un altro? Ricordi come si è messa in ghingheri per lui? Come si chiama? Jason Queen? Ah, che nome banale... e poi è un terrestre... tu e lei, invece, appartenete allo stesso mondo, avete respirato follia e condiviso tanti momenti, belli e brutti per tanto tempo. Lei dovrebbe ricordarlo, invece cosa fa? Ti molla per il primo biondino con i baffi che passa per strada e che le vende sogni come se fosse un bel vestito. Così lei dimentica quello che avete passato, dimentica quanto la ami. Non senti il bisogno di picchiarlo a morte per averti portato via tutto? Sì, Riven sentiva quel bisogno, solo che si frenava perché era sbagliato: capiva che Musa non avrebbe apprezzato il gesto, non lo avrebbe capito. È così, amico mio, rispose la voce. Lei non capirebbe. Non ci si può fidare delle fate. Sempre così buone, dolci e poi si dimostrano peggio di chiunque altro: sono pronte a voltarti le spalle non appena capita loro l'occasione. Riven abbassò il capo, come esausto, e guardò dentro il lavandino, senza davvero vederlo: che cosa significano quelle parole? Chi era che parlava? Capiva di non doversi fidare di quella voce disincarnata e, anzi, di doverla combattere, ma non riusciva a non ascoltarla: diceva cose giuste, cose che aveva sempre pensato, ma che si era sempre vergognato di formulare persino con se stesso, nel buio della sua camera, in quello squallido appartamento che era costretto a condividere con altri cinque idioti che scodinzolavano dietro le loro ragazze e non si accorgevano di comportarsi come patetici cani. Già, ti vogliono far credere che l'amore sia quella ragazza, i tuoi cari amici, ma quella ragazza non ti desidera. Si è annoiata, vuole uomini più maturi, che possono offrirle la realizzazione dei suoi sogni. Questa donna non ti ama. Questa donna si comporta così perché non sei come gli altri, perché tu non scodinzoli. Merita di morire. Morire? No... nessuno meritava di morire per così poco, ma Riven voleva che Musa soffrisse almeno un po'. Lui stava soffrendo come un cane e gli sarebbe piaciuto che lei provasse almeno un quarto delle emozioni che lo stavano spaccando in due e rischiavano di ucciderlo. Qualcosa doveva farla. Ma cosa? Oh, è molto semplice: se non vuoi che muoia lei, prenditela con lui. È lui che te l'ha portata via, è a causa sua che stai soffrendo. È a causa sua che la tua ragazza non ti vuole più. Quando lui sarà sparito dalla vostra vita, lei sarà tutta per te! Riven scosse la testa, si portò le mani sulla testa, convinto che stesse per scoppiargli. No, c'era qualcosa di sbagliato in quelle parole sussurrate da un serpente, c'era qualcosa di malvagio e spaventoso. «Ora basta!» esclamò, a voce alta, e si odiò per il tono piagnucoloso che sentì uscire dalla propria bocca. «Vattene! Non tormentarmi più.» Mi spieghi come la tua stessa coscienza potrebbe smettere di tormentarti? Dovresti non avere più una coscienza, per poterla far tacere... devi fare qualcosa per riprenderti la tua Musa. Devi schiacciare l'insetto che vi divide, devi fargliela pagare. Non vuoi ucciderlo? Fagli capire chi è che comanda, chi è il ragazzo di Musa, chi è che la ama davvero. Riven cadde in ginocchio. Le forze gli mancavano senza che lui ne capisse il motivo; tremava e non per il freddo. La voce diceva la cosa giusta: Musa doveva capire chi era l'uomo giusto per lei, doveva capire che non era Jason Queen, che faceva l'interessante solo perché lei aveva una bella voce e voleva vendere i suoi dischi per fare tanti quattrini. Non gli importava proprio di Musa come persona. Bravo, vedo che hai capito. Vai subito agli studi di registrazione. È bene battere il ferro finché è caldo, finché lei è ancora confusa e indecisa! Va' e non voltarti. Va'. Riprenditi ciò che è tuo e non permettere a nessuno di portartelo via. Spazza via coloro che vogliono sbarrarti la strada.
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Musa aveva finito di incidere l'ultima delle canzoni del suo singolo e si sentiva sfinita. Jason, quando era uscita dalla sala, l'aveva invitata a prendere un caffè, per parlare d'affari, così aveva detto. Ma il parlare degli affari si era presto tramutato in una chiacchierata tra amici, avevano riso e scherzato, parlato del più e del meno e Musa non si era mai sentita tanto a suo agio. Non riusciva a non pensare che Jason Queen fosse una persona davvero interessante e piacevole, una persona adulta, matura, con la quale potersi confrontare senza avere paura di una reazione negativa o di una scenata di gelosia immotivata. Sembrava un tipo capace di fidarsi e di amare in modo sano, dando ad una ragazza ciò di cui ha più bisogno: sicurezza e tenerezza, cose che Riven non riusciva più a darle da tempo. Mentre parlava, rideva e mangiava con lui, Musa aveva continuato a fare confronti tra lui e il suo ragazzo – si poteva considerare ancora il suo ragazzo? Era inutile: su qualunque fronte provasse a metterli a confronti, Riven andava sempre in perdita. «Allora brindiamo, Musa.» esclamò ad un tratto Jason, prendendo il proprio bicchiere ricolmo. Arrossendo, lei lo imitò. «A cosa brindiamo, Jason?» «A te, e al tuo straordinario talento.» Ancora più rossa, Musa annuì e, dopo aver fatto tintinnare il bicchiere contro quello di lui, bevve un lungo sorso. Si sentiva bene davvero, quella sera. Nessuna Furia avrebbe potuto attaccare lei o il suo compagno. Nessuno avrebbe potuto intaccare la perfezione di quel momento. Tranne, forse... «Riven!» esclamò, balzando in piedi. Lui era fuori del locale e stava fissando, attraverso il vetro, proprio lei e con un'espressione omicida. Non era uno sguardo che lei avrebbe saputo associare a Riven. Lui non era capace di poter esprimere un odio così potente. Musa aveva anche dei seri dubbi che si trattasse davvero di lui. Guardò Jason che, curioso, aveva seguito il suo sguardo fino a Riven il quale, immobile, la guardava fisso senza accennare a volersene andare o a smettere. «Non è il tuo ragazzo, quello?» domandò, quasi incurante. «I-io... torno subito, aspettami qui, Jason.» gli chiese Musa, cercando di modulare nel miglior modo possibile il tono di voce. Ma lei si sentì tremare ugualmente e, mentre si avvicinava all'uscita e a Riven, si chiese di tenere gli occhi bene aperti: c'era qualcosa che non quadrava e aveva una pessima sensazione. Uscì all'aria della sera che, stranamente, sembrava essersi fatta ancora più gelida. «Riven!» esclamò, per attirare la sua attenzione, ma non ce ne sarebbe stato bisogno, perché lui la stava fissando già da un po', come un animale che abbia puntato la sua preda. Musa sentì di avere una certa paura e che le stava correndo un lungo brivido lunga la spina dorsale. «Riven, perché mi guardi così? Cos'è successo?» «Hai anche il coraggio di chiederlo.» la sua voce sembrava più il sibilo di un serpente che non la voce di una persona. «Stai facendo la smorfiosa con quello, ecco cosa è successo!» Musa si accigliò. Ora capiva il motivo di quello sguardo, capiva molte cose. «Non hai il diritto di...» «Non ho il diritto?» sibilò Riven, con malignità. «Te lo faccio vedere cosa ho o non ho il diritto di fare!» afferrò la propria spada. Musa si irrigidì e fece un passo indietro, ancora più spaventata. «Riven... che cosa?» «L'hai voluto tu. Ciò che succederà d'ora in poi, sarà colpa tua!» La fata non capì quelle parole finché lui, con la spada, non colpì con tutta la propria forza il vetro del locale. Urla e terrore che avrebbero alimentato le Furie squarciarono l'aria calma della sera; Musa sentì la paura sfiorarla e un vento gelido penetrarle la pelle, facendola rabbrividire. Per un attimo, rimase paralizzata a guardare, incapace di prendere in mano la situazione, cercando di raccapezzarsi e di capire chi fosse il pazzo con la faccia di Riven che stava facendo tutto quello. Intanto lui entrò nel locale, inesorabile, con un ghigno maligno stampato in faccia. Puntava verso Jason Queen che lo fissava con un'aria smarrita ed incredula, timoroso e desideroso di scappare. Musa sapeva di dover far qualcosa per salvarlo, ma non fu lui a darle la forza di reagire. Non riusciva a fare altro che pensare a Riven, a ciò che gli era successo, alle tante volte che era stato raggirato da qualcuno e usato per i suoi scopi; in quel momento si sentì in colpa per quello che aveva fatto: mentre lei si divertiva e provava piacevoli emozioni in compagnia di Jason Queen, Riven si rodeva di gelosia, facendo sì che diventasse un perfetto bersaglio per le malvagie Furie. Come aveva potuto essere così superficiale? Ci aveva anche pensato, quella mattina, ad Alfea! Aveva preso la cosa sotto gamba: non riusciva a credere che la sua gelosia l'avesse portato a compiere da solo quell'atrocità, a portare il terrore in così tante persone che, adesso, se ne stavano abbracciate tra loro sotto i tavolini o al bancone. No. C'entravano le Furie e lei ne era alquanto sicura, anche se si erano manifestate in modo diverso che con Bloom e Roxy. Le parole di Faragonda le attraversarono la mente e capì cosa era successo: quello che tanto tempo prima era successo su Domino, qualunque cosa fosse, stava capitando di nuovo e proprio di fronte ai suoi occhi. «Fermati!» gridò con quanto fiato aveva in corpo. Ma Riven non la ascoltava: era arrivato di fronte a Jason e l'aveva sollevato da terra prendendolo per il bavero. Musa cominciò a correre verso di lui, attraverso il vetro del bar. «Riven! Riven, ascoltami! Ti sta controllando una Furia, devi combattere contro di lei! Riven!» Lui sogghignò malvagio di fronte all'espressione confusa di Jason. «Che cosa vuoi da me?» gli chiese l'uomo, divenuto cianotico per via della stretta poderosa di Riven. «Voglio che tu sparisca dalla faccia della terra!» Musa non pensò più, terrorizzata com'era: si trasformò in fata Believix. Era combattuta, però: non poteva usare i suoi poteri per fermare Riven. Avrebbe potuto fare del male a lui o a tutti gli altri. Doveva agire in fretta e il modo migliore che trovò fu quello di addormentare tutti. Pure Jason. Allargò le braccia e, con i suoi poteri, intonò un canto che ebbe il potere di far crollare tutti in un sonno profondo. Riven, però, non cadde addormentato e neanche Jason che gli sferrò un pugno e lo fece barcollare all'indietro; stupefatto, Riven si girò verso di lei con uno sguardo assassino che la fece indietreggiare di nuovo, mentre anche Jason, con uno sguardo maniacale e un sorriso a dir poco spaventoso, la fissava come se volesse farle del male, quando, fino a poco prima, aveva brindato a lei e alla sua splendida voce. Sembrava passata un'eternità da allora, sembrava appartenere ad un'altra vita. «J-Jason?» Musa fece un passo indietro; guardò Riven che cominciò a ridere sguaiatamente. «Hai paura, vero, fatina?» la schernì. «No, ti sbagli!» si impose di non avere paura, farlo avrebbe voluto dire venire sconfitta o farsi catturare a sua volta: quello non era il vero Riven, era solo una Furia che si era impossessato del suo corpo e che, adesso, voleva vendetta contro di lei, qualunque fosse il motivo. Si rivolse a Jason. Cosa gli era successo? Perché aveva quello sguardo e stava accanto a Riven con quell'aria servile e con quello strano sorriso, dopo che l'aveva colpito con violenza? Il cuore le batteva e la sua testa non trovava risposte. Di quello, Faragonda non aveva parlato. Fu lui il primo ad attaccare e Musa lo scansò volando via e rimanendo ferma sulle loro teste. Riven si riprese stranamente in fretta e con un agile balzo con capriola, cercò di colpirla all'altezza dell'addome per farla cadere. Musa usò uno scudo magico per proteggersi. Riven cadde, producendo uno schianto fragoroso e frantumando un tavolo e ciò che c'era sopra. «Coraggio, fatti avanti!» lo sfidò, atterrando di fronte a lui e fissandolo con risolutezza. «Non ho paura di te! So che non sei lui!» Riven, disteso sui resti rise di gusto e in modo agghiacciante, una risata che ebbe il potere di farle rizzare i capelli in testa e farle venire la pelle d'oca. «Non dimentichi qualcosa, fatina?» le chiese. Musa corrugò la fronte. Il suo primo impulso fu quello di usare la magia per colpirlo: ma non voleva fare del male a nessuno, soprattutto a Jason che doveva essere stato preso da un incantesimo di cui neanche Faragonda sapeva niente. Il pensiero la colpì come un fulmine. Jason. Ecco cosa dimenticava! Si voltò, ma era già troppo tardi: l'uomo affascinante e maturo con il quale aveva passato dei momenti piacevoli, adesso si era gettato su di lei per colpirla. Musa saltò in alto e lo usò come perno per saltare più in alto, facendogli così perdere l'equilibrio e cadere in avanti. Si voltò di nuovo e tornò a fissare Riven che si era rialzato e che si stava pulendo di dosso i frammenti delle stoviglie che aveva frantumato cadendo. «Riven, ribellati alla Furia! So che puoi farlo e so anche che mi senti!» gridò, volando in picchiata su di lui, con una mano tesa. «Lo so che sei un musone e so anche che tra noi le cose non vanno bene, ma tu sei più forte di una Furia! Ribellati, Riven, se sei tu! Non puoi lasciare che ti controlli! Tu non sei un burattino, non lo sei mai stato! R... ah!» Lui afferrò quel braccio e la costrinse ad avvicinarsi al suo viso così tanto che Musa ne sentì il fiato, freddo come la morte. «Che svenevole!» le sbuffò sul viso, con disprezzo; l'attimo dopo, come se lei fosse stata una piuma, riuscì a scaraventarla dietro le spalle. Il mondo di Musa ruotò su se stesso e lei si sentì sbalzare all'indietro a grande velocità contro il muro. Andò a sbattere contro un quadro che le cadde addosso e la costrinse a gridare di nuovo di dolore, quando entrambi caracollarono al suolo. Tremando per la tensione e per il dolore, la fata si puntellò sulle mani e sulle ginocchia, cercando di rialzarsi, lo sguardo rivolto verso Riven sul cui volto vi era un'espressione folle; sotto i suoi occhi si erano formate occhiate scure che gli davano un'aria ancora più inquietante. Musa si sentì rabbrividire ancora una volta. Provò ancora a parlare, ma Riven, ovunque era, non la sentiva. Forse era addormentato, nascosto da qualche parte nel proprio corpo e la Furia, per qualche strana ragione, lo stava controllando. Dopo Mandragora e le Trix, adesso la Furia. Musa sentiva una grande angoscia invaderla e un forte senso di gelo avvolgerla, le lacrime lottavano per cadere sulle sue guance, ma le ricacciò indietro. Si rifiutò di cedere, o di ascoltare la voce che, come un'eco, la richiamava irresistibilmente. Avrebbe salvato Riven, come era giusto che facesse e solo poi si sarebbe occupata dei suoi demoni personali. Era quello che doveva fare e l'avrebbe fatto a qualunque costo. «Riven!» lo chiamò ancora e Jason, apparso dal nulla, come se avesse usato quello come segnale, le prese le braccia, bloccandogliele dietro la schiena e la costrinse a sollevarsi e a mettersi in ginocchio. La Furia, con gli occhi di Riven, la guardò e un lampo attraversò gli occhi del ragazzo così brutalmente trasformato e le parve di veder tornare il suo ragazzo che la guardava a così breve distanza da lei. «Non dici più niente, ragazzina?» sibilò con una voce fredda e sibilante Jason, dietro di lei. In quel momento, Riven strinse la spada e se la portò dietro la testa, pronto alla carica. Cominciò a correre verso di lei che, sgranando gli occhi, capì cosa voleva fare. «Riven, no!» gridò. Non è più lui, non è più lui, disse una voce nella sua testa, ma non quella di Musa, un'altra, una voce melodiosa eppure infinitamente triste e anche molto familiare. La Furia della Gelosia l'ha preso con sé. Ormai non c'è più niente da fare. Non si fermerà e non lo lascerà finché non avrà distrutto il motivo della sua gelosia. Musa si ritrovò improvvisamente sola, in un universo buio e senza pareti, sconfinato e capì dov'era finita: Bloom l'aveva descritto, la sera prima, quando avevano vegliato su Roxy. Non c'era nessuno. Non c'era Riven e neanche Jason. E lei si rialzò velocemente, come se avesse avuto paura di poterli ritrovare. «Dov'è Riven?» chiese, impaziente. «Non qui.» La voce, adesso, non era più nella sua testa, ma fuori da lei, da qualche parte lì intorno. La cercò con gli occhi, voltandosi da una parte all'altra e ruotando su se stessa lentamente. E poi, dopo il terzo giro, vide la Furia che era con lei, quella dolce e triste voce apparteneva ad una ragazza seduta su una sedia di fumo; un mantello informe la ricopriva e Musa non riusciva a vederla in faccia. «E dove?» «In un limbo, proprio come te.» «Lo devo trovare!» Musa scattò verso un punto lontano dalla Furia, ma, ben presto si accorse di non essersi allontanata, o se l'aveva fatto, la Furia l'aveva seguita. Ma allora perché era sempre così vicina e immobile, come se non si fosse mossa, senza un filo di fiatone come, invece, era accaduto a lei? «Ma tu chi sei? Bloom mi ha detto che le Furie sono crudeli e malvagie!» «Alcune lo sono.» rispose quella, affranta. Musa non capì. «E... e tu no? Con chi credi di parlare? Io non ti credo!» «Io ho bisogno di nutrirmi. Faccio questo solo per nutrirmi, non perché sono malvagia. Tu mi hai chiamata e ora sono qui. Sei una fata e quindi i tuoi sentimenti negativi sono più facili da sentire rispetto a quelli degli altri. La Gelosia, ogni tanto, mi accompagna, oppure lo fa la Morte, il Dolore e anche l'Ira. Ma oggi è stata la Gelosia a voler venire con me. È tutto il pomeriggio che vi seguiamo e, sebbene non mi sia piaciuto, ho dovuto. E poi... poi sei diventata così trasparente ai miei occhi che ho dovuto portarti con me.» la Furia sospirò. Musa non capiva come potesse provare pena per quella Furia, quando sapeva che era malvagia e che voleva solo farle del male, eppure, i dubbi la assalivano: dato che era così disperata, era davvero possibile che lo fossero solo alcune e non altre? Era stata convinta che fossero tutte malvagie come quella che aveva attaccato Bloom e ora scopriva che ne esisteva una capace di provare sentimenti tanto quanto un essere umano. Era vero? O era solo l'ennesima bugia? «Qual è il tuo nome?» si ritrovò a chiedere contro ogni logica. La Furia non si mosse, ma sospirò ancora con quel suo fare strappacuore. «Non lo sai?» «Posso immaginarlo.» «Allora riconosci di provare una sensazione negativa?» «I-io...» Musa era più confusa, adesso, che altro: provava pietà per una Furia che l'aveva catturata. Che cosa stava succedendo? Era reale ciò che vedeva o sentiva? Non doveva fidarsi, era chiaro solo questo. Doveva andarci cauta, ma fece comunque un passo verso di lei, come se il suo corpo non le appartenesse più. La Furia compì un gesto della mano e la invitò a sedersi. «Parla un po' con me. Non mi piace la solitudine.» Musa non si mosse. Quella era la richiesta più bizzarra che le fosse capitato di ascoltare. E se fosse stato tutto un trucco? «Devo tornare indietro! Il mio ragazzo è stato preso da una delle tue sorelle e io devo salvarlo!» non capì perché tentava di giustificarsi. Non ne aveva bisogno. Doveva subito tornare indietro. Il problema era che non sapeva come fare. «Ti prego.» il tono della Furia si fece implorante e Musa sentì disagio; qualcosa nel suo cuore le chiese di prestare attenzione a quei modi gentili, ma la sua testa le chiedeva di prestare attenzione: le Furie erano malvagie, volevano distruggere i sentimenti positivi e cioè le fate, era il loro unico scopo. «Non te ne andare! Non lasciami sola!» Musa sentì lo stomaco contrarsi in modo doloroso: perché le sembrava di capire perfettamente i sentimenti di quella Furia? Forse ora lo capiva: il suo tono di voce le ricordava qualcosa che aveva provato mentre Riven e Jason combattevano contro di lei come se fosse un nemico di cui liberarsi. Abbassò lo sguardo e non seppe cosa fare. «Non posso...» mormorò, indecisa. «Ti prego.» Musa sospirò: che cosa ci sarebbe stato di male a dire di sì, almeno per un po'? Quella creatura era così sola, proprio come lei che aveva perso Jason e Riven. Ma anche le sue amiche avevano bisogno di lei, e anche Roxy. Il pensiero di quella povera ragazza, riversa in un alone di magia, da sola, a combattere contro qualche entità malvagia di cui non conoscevano la natura le diede nuova forza. E anche Bloom, che era andata fino a Domino per prendere lo Scettro che avrebbe aiutato l'ultima fata della Terra. «Non...» Non concluse la frase, non ci riuscì. La Furia si girò verso di lei e Musa si era aspettata di vedere un volto, ma non vide altro che una cavità scura attorno al cappuccio senza forma e da cui emanava una strana sensazione di paura e morte, qualcosa che la bloccò all'istante e le spezzò il respiro. Capì subito cosa era successo, capì di essere stata ingannata e che non sarebbero stati cinque minuti, il tempo che avrebbe passato con lei. «Tu!» esclamò, debole, mentre le gambe cominciavano a tremare, incapaci di reggerla in piedi. Crollò a terra, mentre una risata lamentosa e senza gioia usciva da quella cavità. Poi si sollevò dalla sua sedia invisibile e camminò verso di lei con flemma, come se avesse saputo che la sua preda non si sarebbe mai spostata o cercato di reagire. Ma anche volendo, Musa non avrebbe potuto: era paralizzata sul posto, resa del tutto incapace di fare qualcosa per via della disperazione che la schiacciava come un macigno. Ed era la Furia a permettere tutto questo. Solo con uno sguardo. Non riusciva a capire. Doveva andarsene... Roxy e Bloom contavano su di lei. Si inginocchiò di fronte a lei e le sfiorò il viso con le sue mani putride. Roxy e Bloom... «Ora,» sussurrò, dolente, la Furia. … contavano su... «sei preda della Disperazione.» … di lei.
Donne! Era da un po' che non ci si sentiva, vero? Tanto immagino che tornerò presto in letargo. In questi ultimi mesi i miei ritmi sono stati serrati e alla prima occasione di vacanza non mi sono lasciata sfuggire l'opportunità di fare quello che mi riesce meglio: niente. XD Insomma, per farla breve, sono stata una vera mucca con tutti: non ho risposto alle recensioni, non ne ho lasciate, non ho pubblicato... la mia era una presenza evanescente e muta, fino a che non ho pensato di tornare alla vita (ho già ripreso a pubblicare e recensire, con calma e parsimonia, ma a farlo, quindi ho anche risposto alle recensioni a cui non ho risposto da giugno o anche prima). Il capitolo precedente non ha riscosso successo (e, come spesso accade, era quello che a me piaceva di più, ahahha), speriamo di rifarci coi prossimi, va'. Vi lascio, con tanto di scuse e ringraziamenti per chi ha preferito la storia, commentato, ricordato e deciso di seguire. Alla prossima, quando sarà. Luine. |
Capitolo 9
*** L'Esercito del Vento ***
Capitolo 9. L'Esercito del Vento
Quando si fermarono e tolsero loro i cappucci, le due fate e Tony furono accecati da una fonte di luce molto forte. Stella cominciò a gridare, Tecna scosse la testa, cercando di mettere a fuoco forme e colori, mentre il giovane Specialista gemeva ed emetteva suoni sconclusionati. «La mia messa in piega!» stava gemendo, invece, Stella. «Lo sapete quanto ci ho messo per farmi venire i capelli così? Dannazione, spero proprio che abbiate i soldi per rimborsarmi, perché se no... ahi!» «Silenzio.» le intimò una voce profonda, sconosciuta, così calma da essere fredda. Tecna vide, ancora infastidita dalla luce, la forma indistinta della sua amica al suo fianco che si muoveva a disagio e lanciare un altro gridolino, senza che nessuno la toccasse. Ci mise un po', ma alla fine la vide e la sua messa in piega stava benissimo. Quello che interessava alla fata della tecnologia, però, era il luogo in cui erano state portate da... da chi? Ben presto, la luce smise di essere così forte, o forse fu lei ad abituarsi, non riuscì a capirlo. Erano in una stanza circolare, bianca, sormontata da un soffitto di foglie, dalle quali pendevano molte lampade, il pavimento era lucido e di marmo bianco, le pareti alternavano tronchi d'albero ad altro marmo, costruendo così un solido muro compatto. C'erano alcuni uomini con loro, tutti vestiti di un mantello bianco e di stivali lucidi, e ognuno di loro era ugualmente impettito; i due di fronte a loro, davanti alla porta e due dietro, a protezione di quella alle loro spalle sembravano i più severi di tutti. La sicurezza di Tecna sul fatto che fosse stato Zephiro ad attaccarla vacillò all'istante: quando aveva visto quell'uomo vestito esattamente come lui, con un cappuccio sulla testa, aveva immediatamente pensato al principe di Flabrum. Ora veniva smentita dalla presenza di quei tanti uomini. «Chi diavolo siete?» chiese, ma si rese conto che era una domanda sciocca: quello che l'aveva colpita era stato un soldato di Flabrum e, adesso, erano circondate dai maghi guerrieri di quel paese. Quindi, dedusse, erano andati a rifugiarsi in una base militare o comunque in un luogo controllato dall'Esercito. Restava solo da stabilire se quelli erano amici o nemici. «Silenzio.» ripeté lo stesso uomo che l'aveva imposto a Stella, che le stava alla sinistra e che le tratteneva il braccio incatenato all'altro da una gabbia di energia magica che dava una leggera scossa, se si provava a muoversi. Era inconsistente, ma molto resistente e le ricordò il vento che l'aveva investita quando era arrivata su quel pianeta infido. Tecna trattenne sulla punta della lingua un'imprecazione e capì cosa rendeva la sua amica così nervosa. Faragonda l'aveva detto loro: erano maghi davvero molto potenti e ben addestrati. «Silenzio un corno!» strillò Stella. «Sono la principessa di Solaria e intendo avere un trattamento di riguardo! Come vi permettete di prenderci prigioniere e di ammanettarci? Non siamo criminali, siamo fate!» cominciò a dimenarsi, incurante delle scosse. «Mio padre non sarà per niente contento! E non provate a toccarmi! Se osate disfarmi pure lo smalto, non so come potrei reagire! Il Regno di Solaria potrebbe davvero trovare molto offensivo questo vostro trattamento!» Tecna guardò i due soldati di fronte a loro che, poco più che ragazzi, sorridevano appena, unico segno della loro simpatia per Stella. La fata della tecnologia provò a chiamarla per chiederle di smetterla di rendersi ridicola, ma apparve un altro uomo dalla porta di fronte che scorse verso l'interno della parete con uno scatto secco, riuscendo magicamente con la sua sola rigida presenza, a far tacere Stella che deglutì, in soggezione; anche i due soldati che si paralizzarono. Quello, capì Tecna, doveva essere un personaggio importante. Il nuovo arrivato era alto, il mantello bianco che gli copriva le spalle metteva in mostra un abito blu scuro – lo stesso che aveva avuto Zephiro, in effetti – e sulla casacca erano appuntate diverse medaglie lunghe, sottili e d'argento. I suoi capelli corti di un azzurro così chiaro da risultare bianco alle forti luci delle lampade erano leggermente spettinati e gli conferivano una certa aria sbarazzina che spariva immediatamente quando lo si guardava camminare, così rigido e preciso. Era uno dei soldati di Flabrum, addestrato fin da giovane ad essere tale. «Sono queste le spie?» chiese, fermandosi di fronte a loro e rivolgendosi a quello che tratteneva Stella. «Spie? Noi non siamo spie!» gridò lei, indignata, al fianco di Tecna. Poi ripeté, in tono offeso, ma decisamente più basso: «Non potete trattarci così! Sono la principessa di...» «Silenzio!» ordinò il nuovo arrivato, con la stessa intonazione di quello che aveva parlato prima. «Parlerete quando vi verrà chiesto.» Stella accolse l'ordine con un certo disappunto. «Questo si chiama essere dei veri barbari! Guardate cos'avete fatto al mio completino! Ah, non vorrei avere uno specchio per tutto l'oro del mondo! E voi! Voi... quelle divise dove le avete prese? Sono così... così... uhmpf...» un bavaglio magico comparve sulla sua bocca non appena l'uomo con le medaglie fece schioccare le dita fasciate in guanti bianchi. Tony ridacchiò, mentre sul volto dei due ragazzi che prima avevano sorriso scappò uno sbuffo divertito. Solo l'uomo con le medaglie non tradiva la minima emozione. Guardò l'imbavagliata Stella che aveva cominciato a dimenarsi e a strillare suoni sconnessi e incomprensibili, prima di scoccare un'occhiata a Tecna, a Tony e, infine, a Bloom che era distesa su una barella fatta di vento, ancora avvolta dall'incantesimo di contenimento. Non erano stati così barbari come dichiarava Stella, dopotutto. «Seguitemi.» tagliò corto l'uomo con le medaglie. Seguiti dagli strilli di Stella, lasciarono la stanza e si diressero oltre un'apertura ad arco che li portò in un'armeria. C'erano una decina di altri soldati lì, anche loro vestiti di blu, ma nessun mantello e neanche il comportamento marziale che contraddistingueva gli altri. Alcuni stavano spolverando le armi, altri, invece, si erano fermati per guardare passare il gruppo che venne condotto fino alla stanza successiva, ma erano seduti o appoggiati alle pareti e si alzavano solo per fare un cenno di rispettoso saluto al loro superiore. La stanza in cui erano dirette era un salone circolare, dentro cui aleggiava uno strano bagliore azzurro che infondeva una strana sensazione di pace e sicurezza, forse dato dal pavimento lucido. Le pareti bianche, costituite di uno strano materiale plastico simile a quello del pavimento, erano ricoperte di quadri, alcuni dei quali raffiguravano paesaggi di mondi lontani, altri ancora membri di una famiglia, uomini e donne dall'aria fiera e nobile. Si fermarono solo quanto furono arrivati al centro della sala in cui, oltre a loro, era presente solo un uomo girato di spalle, ricoperto da una veste bianca, nascondendo alla loro vista il ritratto che sembrava osservare con tanta attenzione. «Comandante? Gli esploratori sono tornati e hanno portato con loro le spie.» gli fece sapere il soldato con i capelli scompigliati. Stella sbuffò da dietro il suo bavaglio. «N-non siamo spie!» borbottò Tecna. Tony tremava al suo fianco. Quell'atmosfera era resa tesa da quella presenza silenziosa girata di spalle e anche Tecna dovette dire di sentirsi in soggezione e di condividere appieno il tremore dello Specialista. Fu lei, ancora prima dei soldati, che gli diede una gomitata per farlo stare più tranquillo: non potevano aggravare la loro posizione e lei doveva anche trovare un modo per liberarli da quella situazione spinosa, tutto il suo essere concentrato su Bloom, priva di sensi e distesa sulla barella galleggiante dietro di loro. Non avevano tanto tempo per salvarla. Provò a parlare, ma il soldato voltato di spalle girò appena la testa e distolse la sua attenzione. «Molto bene, Terchibald.» la voce dell'uomo era bassa, molto calda, ma abbastanza forte perché vibrasse in tutta la stanza. Da lui emanava una certa aura di potere, tanta, in effetti, che anche Stella smise di strillare. Allora l'uomo si voltò, rivelando bei lineamenti forti, due severi occhi blu cobalto e una lunga capigliatura corvina. Quella che, da dietro era sembrata una veste, era in realtà un lungo mantello bianco, appuntato alla spalla sinistra da una spilla d'argento scintillante. Con un gesto della mano, liberò Stella del suo bavaglio, mentre si rivolgeva ai due soldati che, insieme a quello chiamato Terchibald, li avevano accompagnati fin lì. «Voialtri potete andare.» «Oh, finalmente!» sbraitò la fata del sole e della luna, mentre i due soldati univano i tacchi e si allontanavano. «Vi sembra il modo di comportarsi con una fata del mio calibro?» «Avete violato almeno sei o sette leggi vigenti nel Vecchio Regno e forse tutte quelle del Nuovo. Il trattamento che vi è stato riservato è stato decisamente cordiale.» rispose il comandante, squadrandoli uno alla volta, facendoli trovare tutti in una spiacevole posizione di imbarazzo. «Recate con voi uno degli Specialisti di Fonterossa. Ciò mi fa supporre che voi siete...» corrugò la fronte, cercando di valutare le due ragazze legate e in piedi di fronte a lui. «fate di Alfea?» «Sono la principessa di Solaria!» strillò Stella, perdendo tutto l'imbarazzo e facendosi travolgere, invece, dalla rabbia e dal disappunto. Li stavano trattando come criminali. Stavano trattando lei come una criminale ed era un atto davvero troppo grave per poter essere ignorato, taciuto o perdonato. «Avreste dovuto mandare cori di benvenuto, invece che queste rozze guardie! Mi hanno rovinato tutto il vestito!» «Siamo le Winx.» concluse Tecna, parlando a voce più alta per farsi sentire al di sopra delle proteste della sua amica. Fissava il comandante, cercando in lui un qualcosa che le permettesse di far breccia nella sua espressione granitica e le desse la possibilità di essere ascoltata. Aveva come l'impressione che qualunque cosa avesse fatto e detto, però, sarebbe stata inutile per ottenere la sua fiducia: i suoi occhi blu erano carichi di ostilità e sembravano averli già condannati tutti, pure Bloom, che era così vulnerabile, distesa su quella barella galleggiante che si erano portati dietro per tutto il viaggio e che adesso giaceva ai loro piedi. «Le Winx.» ripeté il comandante e inspirò a fondo. «Dunque, io dovrei credere» riprese con voce imperiosa e da cui trasudava un leggero, ma tagliente, sarcasmo, sistemandosi le mani dietro la schiena e avvicinandosi a loro con passo rigido ed elegante. «che le Winx e la principessa di Solaria siano state tanto stupide da venire fin dentro la tana del lupo? Non sarebbe più credibile supporre vi siete vendute a lui?» «E' stato un errore.» chiarì Tecna, chiedendosi solo vagamente chi fosse questo “lui” a cui avrebbero dovuto “vendersi”. «Non ci siamo vendute a nessuno.» «E, se sapessi davvero chi siamo, non sputeresti tutte queste sentenze!» esclamò Stella. «Sentimi bene, secondo te, dovremmo avere paura di te o di quei tuoi modi da manichino inamidato? Posso darti un consiglio? Perché non cambiate quelle brutte divise, che sono così fuori moda? Quelle di Solaria le ho disegnate personalmente e, se mi fate parlare con uno stilista di corte vi assicuro che la smetterete di andare in giro conciati in questo modo! Allora, chi mi passa un metro?» Tecna avrebbe voluto sprofondare. «Sono sicura che è per questo che avete tutti un pessimo carattere, da queste parti!» continuò imperterrita Stella. Il comandante la fissò con i suoi occhi penetranti per un lungo istante, al termine del quale si rivolse prima a Tecna e poi a Tony e stavolta un'altra emozione attraversò i suoi occhi: ilarità, mista a disprezzo, confermando i sospetti della fata della Tecnologia. «Maestral ha mandato davvero voi tre per spiarmi? E la ragazza svenuta perché? Per farmi impietosire?» «Impietosire?» gridò Stella, stringendo i pugni. «Non vogliamo impietosire nessuno! La nostra amica è stata presa dalle Furie e dobbiamo andare immediatamente su Domino per...» Tecna le diede una leggera spallata. «Che cosa c'è?» gridò Stella, indignata, voltandosi battagliera verso la compagna. «Questo bellimbusto crede che siamo delle spie e che Bloom stia solo fingendo!» Tecna si fermò a guardare il comandante che aveva lo sguardo fisso sul Bloom e sembrava non volerle staccare gli occhi di dosso. Era pensieroso e un sentimento nuovo attraversò di nuovo i suoi occhi, un sentimento che rimase indecifrabile perché veloce arrivò e veloce passò, lasciando perplessa e indecisa Tecna su quali sentimenti provare nei suoi confronti. Scosse la testa per dire a Stella di aspettare, ma senza mai togliere gli occhi da lui. Aveva bisogno di diplomazia per trattare; l'unica cosa che aveva capito era che aveva a che fare con un pragmatico, cosa che giocava sicuramente a suo favore. Ma doveva giocare bene le sue carte. «Mi chiamo Tecna e sono la principessa di Zenith, mentre lui è Tony, uno Specialista di Fonterossa, proprio come hai intuito, mentre lei, la ragazza addormentata, è Bloom, la figlia di re Oritel di Domino. È stata attaccata da una delle Furie dei Sentimenti Negativi e adesso è sottoposta ad un incantesimo di contenimento. Come diceva Stella, dobbiamo andare subito su Domino per trovare un modo per salvarla. Pare che Re Oritel abbia... ehm... un metodo per riuscire a scacciare la Furia dal suo corpo. C'è anche un'altra nostra amica nelle stesse condizioni: Roxy, l'ultima fata della Terra. Siamo partite stamattina da Alfea con un Owl di Fonterossa che si è schiantato contro il Vortice, Tony ci stava scortando, quando la navetta è andata in avaria. Non siamo spie, siamo davvero capitati per un caso fortuito.» Lui parve soppesare quelle parole. L'aveva guardata per tutto il tempo in cui Tecna aveva parlato e non aveva fatto capire cosa stava pensando neanche per un istante. «E come posso crederti, dato che Flabrum non è nella traiettoria di Domino?» chiese, alla fine. «C'è stata un'avaria nel motore, come ti ho spiegato...» Tecna fissò con disappunto Tony che stava guardando da lui a lei con terrore e pareva volerla pregare di non dire niente di più. Le fece pena, quel ragazzino, e decide di evitare di dargli la colpa perché, in fondo, a quell'uomo così sospettoso non avrebbe cambiato niente. «Così siamo finiti fuori rotta, il carburante era scarso e non c'è stato più niente da fare. Ho dovuto tentare un atterraggio di fortuna.» L'uomo non replicò, ma si soffermò a guardare Bloom e a Tecna parve che stesse soppesando tutte le possibilità; si sarebbe servito della logica, come sperava, e per questo lei era fiduciosa. Quando lo sentì sospirare, sentì di aver fatto breccia. «Un gruppo di fate che lascia le zone protette di Magix e si reca nel pericolo di Flabrum per un errore.» fece un mezzo sorriso amaro e sarcastico al tempo stesso. «E una fata colpita dalla Furie. Evidentemente, quel maledetto mi crede tanto sentimentale da dimenticare i miei doveri verso il mio paese e i miei uomini. Eppure dovrebbe conoscermi.» scosse la testa, quasi rammaricato. «Come l'ha catturata?» Tecna non ci capiva più niente. «Che intendi?» «Dice cose senza senso, questo qui, lascialo perdere!» le spiegò Stella, facendo un cenno verso di lui e squadrandolo in cagnesco. «Senti, amico, l'unica cosa di cui abbiamo bisogno è una navetta per lasciare questo pianeta e salvare la nostra amica, se hai sentito qualcosa di tutto quello che ha detto Tecna. Hai capito o preferisci un disegnino?» «La Furia. Come ha catturato questa giovane?» Lo sguardo del comandante tornò su Bloom e calò il silenzio. Nessuna delle due poteva rispondere a quella domanda. «Non è importante il come.» dichiarò improvvisamente Stella, facendo un cenno della testa come per scacciare una mosca. «L'importante è che possiamo salvarla! Devi lasciarci andare!» Ci volle un minuto, ma il comandante sollevò lo sguardo da Bloom e lo posò su di loro, ritrovando tutto il contegno militare che aveva perso con quell'interessenei confronti della principessa di Domino, distesa e svenuta. «Questo è impossibile, mi dispiace.» Un grosso nodo si formò nello stomaco di entrambe. Tony fece solo un sospiro affranto, ma per il resto avrebbe preferito non esistere. «Ci deve essere un sistema perché tu ci creda!» esclamò Tecna, facendo un passo avanti. Il suo tono si era fatto disperato, i suoi occhi imploranti: non poteva credere che quell'uomo che aveva cominciato a sembrare così empatico nei confronti di Bloom, adesso dicesse che non era possibile. «Siamo amici di Flabrum e della sua Regina!» «Non tentare questa via, giovane fata!» ringhiò lui. Aveva visibilmente perso la pazienza. Persino l'uomo con la casacca piena di medaglie sottili e argentee alle loro spalle trattenne il respiro: evidentemente, quello non era il solito modo di fare del comandante e se lo ricordò anche lui che, dopo un sospiro, continuò, a voce bassa: «Gli unici amici che le sono rimasti sono dispersi, stanchi, del tutto sfiduciati. Ed essere suoi amici significa venire condannati a morte. Non è più un vanto, da queste parti, l'essere fedeli ad Auster. Ma ho sentito abbastanza.» il comandante non volle ascoltare le proteste; alzò semplicemente una mano, segno che li stava congedando. Guardò Terchibald, che era rimasto impettito dietro di loro e non si era mosso di un millimetro. «Conducili in cella. Voglio che stiano lì fino a che non avrò maggiori informazioni su di loro.» Stella non gradì quel trattamento e ringhiò, rabbiosa. «Come sarebbe a dire? Siamo in ritardo sulla tabella di marcia, due nostre amiche rischiano la vita e dobbiamo ripulire la Terra dalle Furie! Non puoi metterci in prigione! Devi lasciarci andare via! Domani sarà già troppo tardi!» «Terchibald, portali via, ma lascia qui la giovane dormiente.» «Sissignore.» «Non puoi farlo!» gridò ancora Stella; quando Terchibald la afferrò per un braccio, lei si divincolò e fece qualche passo verso il comandante. Lo fissò negli occhi, il cuore che batteva, gli occhi che scintillavano, lucidi di lacrime di disperazione. «La mia amica Bloom sta per morire e tu... cosa vuoi farle? Non ti permetterò di separarmi da lei, è chiaro? Qualunque cosa tu voglia farle, non lo farai senza il mio permesso!» Il comandante sbatté le palpebre, mostrando una leggera curiosità. «Non voglio farle del male.» «Ah, no?» sbottò Stella, scettica. «Tu non ti fidi di noi e noi dovremmo fidarci di te?» Lui alzò una mano. «I miei soldati hanno l'ordine di uccidere chiunque si addentri in una delle nostre Isole, ma dato che eravate delle donne e il ragazzo che era con voi nient'altro che questo, il mio capitano vi ha concesso di vivere e di lasciare a me l'ultima parola. Ora, la mia ultima parola è semplice: vi terrò in gabbia fino a che non deciderò se siete spie o meno. La guerra in corso nel mio paese mi impone di essere prudente e di non fidarmi di nessuno di cui non posso avere notizie certe, ma di questo potete andare sicure: cercheremo di non farvi mancare ciò di cui avete bisogno.» «Cercheremo di non farvi mancare ciò di cui avete bisogno.» gli fece il verso Stella, isterica. «Bel modo di dimostrarlo! I miei polsi sono tutti bruciacchiati dalle vostre magie da quattro soldi! Se mi rimarrà una sola cicatrice...» Il comandante, come risposta, la liberò con un gesto della mano. Tony barcollò e cadde a terra per la sorpresa, quando toccò a lui. «Oh, cavolo!» boccheggiò. Il comandante, intanto, alzò lo sguardo su Tecna che si ritrovò libera e si massaggiò i polsi per togliersi la sensazione di avervi qualcosa intorno e del dolore. «Che cosa vuoi fare a Bloom?» chiese. «Voglio rafforzare la magia di contenimento.» rispose lui, pensieroso, distogliendo lo sguardo. «Anche se non so a cosa potrebbe servire. Terchibald? Vai a chiamare una squadra. Se proprio queste giovani non si fidano, voglio che vedano.» Il capitano Terchibald, dopo aver unito i piedi, uscì e si chiuse la porta alle spalle. Sulla sala cadde un pesante silenzio, interrotto solo dagli acuti di Stella che, blaterando di creme, pelle e capelli sciupati, si era chinata su Bloom che dormiva placidamente nella sua magia contenitiva. Tecna, invece, osservava il comandante, che si stava allontanando di nuovo da loro, con aria critica, cercando di capire cosa gli passasse davvero per la testa; cominciava a pensare che non fosse cattivo e che non doveva essere malvagio e che, anzi, dovesse essere uno di quelli che aveva organizzato una resistenza contro l'agitatore Maestral. Avrebbe voluto che Stella la smettesse di parlare per darle modo di riuscire a trovare un modo per ottenere un mezzo di trasporto e per capire quali punti deboli avesse quell'uomo così rigido e severo. Per adesso, aveva dimostrato gentilezza, forse solo per la presenza di Bloom, ma non avrebbe fatto niente, a parte rafforzare la magia. Guardò Tony che, ancora a terra, sembrava voler abbracciare il pavimento per trovare un po' di consolazione e si chiese perché Codatorta avesse loro affiancato un tipo così poco coraggioso come lui, quando avevano bisogno di un personaggio più deciso come Sky. Ma anche quella testa calda di Riven non sarebbe andata male, in quel momento critico. «E dovremmo anche fidarci di lui!» stava dicendo Stella, senza preoccuparsi di abbassare la voce. Accarezzava i capelli di Bloom. «Non sappiamo neanche come si chiama! Su questo pianeta sono tutti un branco di maleducati. Ma cosa ci potevamo aspettare, dato che il principe stesso è un gran cafone? Ha condannato a morte Roxy e anche te, amica mia, per la sua ottusità! Maledetto Zephiro! Se non lo avessimo incontrato, a quest'ora saremmo tutti più felici!» Il comandante si girò verso di lei, i suoi occhi blu la fissarono con intensità. «Che hai detto?» Stella fece scattare la testa verso di lui e dai suoi occhi cadevano dolorose lacrime di rancore. «Ho detto che il tuo principe ci ha creato problemi! Perché è anche colpa sua se siamo in questa situazione! Se lui non fosse stato lì... se Roxy non fosse scappata... e se non avessi proposto quell'abbraccio di gruppo... io... io...» Tecna si avvicinò a lei e, inginocchiatasi, la strinse a sé e Stella le si aggrappò al collo e nascose lì il suo viso, singhiozzando rumorosamente. Tecna sentiva dentro di sé tutta l'angoscia che Stella stava esternando: doveva essere forte anche per lei; i suoi occhi incrociarono quelli del comandante e fu lui a parlare, leggendo forse l'accusa nello sguardo della fata. «Mi dispiace per la vostra amica.» disse lui. «Se ti dispiacesse davvero, allora ci permetteresti di andare via e di raggiungere Domino.» replicò Tecna, dura. Lui distolse lo sguardo e lo rivolse al ritratto alla parete. Raffigurava una donna, una bellissima fata dai lunghi capelli scuri con un'espressione dolce e comprensiva che Tecna si ritrovò a notare solo in quell'istante. Il suo sguardo rasserenava e quel suo vago sorriso riusciva a portare quella tranquillità che non possedeva e che, anche contro la propria volontà, si ritrovò a provare. «Devo pensare all'incolumità dei miei uomini. La guerra miete delle vittime e io... io non posso farci niente.» disse piano il comandante, con voce spenta. «E'... è la Regina Auster?» chiese Tecna, riferendosi al quadro, ignorando il tono dolente con cui aveva parlato. Lui fece solo un cenno affermativo. Non c'era bisogno di parlare, il suo dolore era palpabile. «L'amavi molto.» mormorò lei e non fu una domanda. «Ha importanza?» «Ha sempre importanza.» disse Tecna, solenne, alzandosi per rendere il suo discorso ancora più d'impatto. «So cosa è successo al tuo pianeta e so anche che la Regina non ce l'ha fatta e che c'è un tizio che vuole prendere il potere. Credo che tu sia uno di quelli ancora fedeli ad Auster e che quel quadro ne sia la prova concreta e sento di potermi fidare di te. Ascolta: le Furie dei Sentimenti Negativi stanno infestando la Dimensione Magica e la Terra. Le mie amiche sono solo due delle tante vittime. Non si tratta solo del tuo pianeta! È una crisi globale, che ci riguarda tutti, chi più chi meno! E so che anche la Regina Auster è stata colpita da una Furia e che è per questo che è morta, per questo mi chiedo come tu possa rimanere indifferente alla sorte di due persone che stanno per condividere quella della tua Regina! Chiediamo il potere di salvarle. Possiamo farlo, ma non possiamo riuscirci, se non ci lasci libere di andare!» Stella, tirando su col naso, aveva alzato gli occhi su di loro e Tony si era alzato da terra, come se questa l'avesse spinto via, non desiderando le sue lacrime e le sue braccia o forse, più probabilmente, sorpreso dalla forza dimostrata dalla fata, dal suo coraggio e dalle sue parole che le nascevano direttamente dal cuore. «Non faresti qualunque cosa, se potessi ancora salvarla?» lo incalzò Tecna, quando vide che lui non si decideva a dire o fare niente. A quella domanda, però, il comandante sbuffò aria dal naso, la sua bocca si piegò in un mezzo sorriso amareggiato. «Anche se vi lasciassi andare, non potreste lasciare comunque il pianeta.» Le due fate trattennero il respiro e Tony gemette come un animale ferito. Dopo aver preso un grosso respiro, riprese: «Se anche voi lasciaste la base e vi dessi le coordinate per raggiungere uno dei gruppi ancora sotto il mio comando, potreste trovare degli Esploratori Reali, venire catturate o, nel peggiore dei casi, far scoprire il gruppo e provocare la strage di quelli che ancora si oppongono allo strapotere di Maestral. Così non solo voi non lascereste il pianeta, ma compromettereste la resistenza e tutti i nostri sforzi. Anche se riusciste a prendere la navetta, verreste comunque intercettati: tutti i nostri velivoli sono registrati e questo rende irrimediabilmente facile intercettarvi. Non c'è modo di lasciare Flabrum.» fece una pausa. «Mi dispiace.» «Ma Tecna è la fata della Tecnologia!» saltò su Stella. «Questo varrà pure a qualcosa! Non è un problema l'intercettazione!» «Un problema in meno, forse.» replicò lui, senza battere ciglio. «Ma ne rimangono molti altri.» «Non ha importanza! Ne abbiamo affrontati tanti, in passato, di problemi, non vedo perché questo dovrebbe essere diverso! È solo più difficile, ma questo non ci impedirà di andare avanti e di fare qualunque cosa sia possibile per salvare Bloom e Roxy!» «Siete coraggiose, non lo nego. E so che arriverete lontano, ma i fattori di rischio sono troppi. La mia risposta è sempre la stessa: no.» «Sei... sei un... un...» Stella si avventò su di lui e Tecna dovette afferrarla per impedirle di saltargli addosso e ucciderlo seduta stante. Cercava di calmarla e di blandirla senza risultati: la fata del Sole e della Luna era sicura di poterlo convincere con le maniere forti, ma la porta della sala che si apriva di nuovo le impedì di continuare la sua invettiva contro l'insensibile soldato: arrivò un gruppetto di uomini al seguito di Terchibald che si pose intorno a Bloom camminandole intorno. Ognuno di loro aveva un passo marziale e lo sguardo fisso su un punto lontano posto di fronte a loro. Erano gli esseri più inquietanti che Stella avesse mai visto, i soldati di Flabrum, il pericoloso Esercito del Vento tanto decantato in tutta la Dimensione Magica. Piangendo ancora, si aggrappò alla manica dell'abito di Tecna. «E se la uccidessero invece di salvarla?» chiese, in tono lamentoso. «Dato che lui è così crudele, perché dovremmo fidarci di loro?» Tecna le strinse la mano che Stella teneva puntata su di lui e cercò di mettere su un tono rassicurante. «Dicono che i soldati dell'Esercito dei Venti siano i maghi più abili di tutta la Dimensione Magica.» «E se fossero tutte voci senza fondamento?» «Lo stiamo per scoprire, credo.» sussurrò Tecna. Guardò quei soldati che come un solo, ad un comando di Terchibald, allungarono le mani sopra Bloom formando intorno a lei una corolla di mani in guanti bianchi. Un attimo dopo la stanza cominciò a farsi più fredda, come se invece di invocare i loro poteri, fosse arrivata la strega Icy. Le Winx si accorsero ben presto che il freddo derivava dall'uso della magia di quei nove uomini che avevano circondato Bloom. Dalle loro mani sprigionava un bagliore azzurro e sulla fata del fuoco del drago si stava formando una patina argentata dal colore intenso che andava a fondersi con la precedente. Terchibald, invece, si piegò sull'addormentata Bloom. «Che vuoi farle?» gridò Stella. Il soldato, invece di ignorarla, alzò lo sguardo e le fece cenno di avvicinarsi con l'aiuto di due dita unite. Tecna e Stella lo fecero insieme, facendosi spazio tra i soldati che, molto gentilmente, si spostarono per farle passare. «Puoi controllare tu stessa, se vuoi.» offrì Terchibald. “Dieci soldati contro due fate. Anche se provassero ad attaccarci, non credo avrebbero molte speranze.” “Dimentichi me!” lo rimbeccò Tony, mettendosi impettito. Il soldato aveva notato il tremore delle sue mani e si limitò a lanciargli uno sguardo di biasimo. Tony abbassò lo sguardo, contrito e disperato. Terchibald si alzò in piedi e si fece da parte per permettere alle due ragazze di fermarsi dietro Bloom. Tecna e Stella guardarono da lui a lei senza sapere come comportarsi. Terchibald parve a disagio e, con un'espressione perplessa, strinse le mani dietro la schiena. «Non l'avete mai fatto?» Entrambe scossero la testa e il soldato calò la sua. «Che cosa insegnano nelle scuole di magia, al giorno d'oggi?» lo sentirono borbottare. «La qualità delle fate di Alfea è calata negli ultimi tempi, o sbaglio?» «Senti un po', bellimbusto fuori moda, come ti permetti?» sbottò Stella, scattando in piedi, furibonda. Gli puntò un dito addosso. «Alfea è la miglior scuola per fate di tutta la Dimensione Magica e non me ne frega niente se su questo strambo pianeta vi sentite tanto superiori a noi. Basta guardare le vostre facce per vedere quanto siete antiquati e noiosi! Anzi, siete così barbari che non trattate neanche con il dovuto rispetto le povere damigelle in difficoltà! I veri uomini sono gentili come i nostri Specialisti! Escluso questo qui con noi, ovviamente!» e, per dar maggior credito alle proprie parole, indicò il povero Tony che era immobilizzato in mezzo alla sala. «Ehi!» si lamentò, ma la sua protesta cadde nel vuoto. Stella stava per continuare, quando Tecna le chiese, mettendole di nuovo la mano sulla spalla, di mantenere la calma. «Appoggia la tua mano sulla patina grigia.» le ordinò Terchibald. «Senza toccare la tua amica, o l'incantesimo si spezzerà.» Stella gli scoccò un'occhiataccia, ma si affrettò a fare quel che diceva. Si immaginava che avrebbe visto o sentito qualcosa, ma l'unica cosa che riusciva a sentire era il calore emanato dalla magia. «E allora?» chiese, impaziente. «E allora dovresti essere in grado di capirlo dal calore. È caldo?» «Sì.» «Allora concentrati. Saprai cos'è una convergenza.» «Certo che lo so!» sbottò Stella, acida. «Molto bene, allora dovrai usare la convergenza con questi otto soldati. Pensi di poterlo fare?» Stella si morse il labbro inferiore: non aveva mai fatto niente del genere con gli sconosciuti. La convergenza era qualcosa che univa lei e le sue amiche, era come un gioco di squadra con persone di cui si fidava. E lei non si fidava minimamente di loro. «Posso farlo io.» si offrì Tecna. «No!» esclamò Stella, decisa. «Voglio farlo io!» inspirò un paio di volte, guardando Bloom. «Devo farlo io, Tecna. Per Bloom. Perché, se fossi stata più brava, la mia migliore amica sarebbe ancora tra noi! E poi devo risollevare un po' il buon nome di Alfea! Questi qui si credono tanto bravi, ma farò vedere loro cosa sa fare una Fata Guardiana!» La fata della Tecnologia annuì: capiva che era anche una questione di orgoglio. Uscì dal cerchio, al che i soldati si compattarono di nuovo. Stella, però, a dispetto delle sue parole, non si sentiva sicura di ciò che stava facendo, di fare una convergenza con otto gelidi sconosciuti con divise fuori moda con la fama di appartenere all'Esercito più forte della Dimensione Magica. Guardò Terchibald, attraverso uno squarcio tra due soldati, quindi il comandante al suo fianco e infine Tecna, in mezzo ai due che le stava facendo un cenno di assenso e le dava coraggio con lo sguardo. Annuì anche lei. «Sei pronta?» chiese la voce di Terchibald. «Sì.» lo disse, ma non si sentiva più rincuorata, anche se la sua voce fu spavalda. Chiuse gli occhi per concentrarsi e allora sentì un forte calore avvolgere lei e la mano che teneva ferma su Bloom senza toccarla. Vento e luce si fondevano e lei percepì la forza di quegli otto uomini unita alla sua. Erano davvero chi dicevano di essere. Ma non era la stessa cosa, unire i suoi poteri ai loro e fare la stessa cosa con le sue amiche, esattamente come aveva pensato. Una convergenza Winx era diversa. In quella che, invece, faceva con loro, non c'era complicità, non li univa un'amicizia spassionata; e solo tra loro, tra i soldati, c'era solo un obiettivo comune e una sorta di reciproco rispetto che niente aveva a che vedere con il profondo affetto che univa loro sei. Freddezza era ciò che Stella sentiva. E stanchezza, nessuna fiducia, nessun amore per la magia. Fu sentendo tutto questo che Stella capì di dover far qualcosa non solo per loro, ma anche per sé e per Bloom, altrimenti la magia non sarebbe servita. Il suo potere Believix poteva fare qualcosa, le era stato dato perché la gente della Terra credesse nella magia e, ora, si rendeva conto che anche coloro che la usavano non credevano più in lei; era un credo diverso, ma il Believix avrebbe fatto qualcosa. Si librò in volo e sprigionò il suo potere. Accadde qualcosa che tutti sentirono e che li fece rimanere sgomenti e allo stesso tempo affascinati. Persino coloro che erano fuori dal cerchio ne rimasero toccati, anche se Stella era ancora in convergenza con gli otto soldati. Poi la convergenza si spezzò e l'incantesimo su Bloom e su di loro fu concluso. Tutti ripresero il contatto con la realtà e si guardarono l'un con l'altro, chiedendosi cosa fosse successo e cosa fosse stato quel fiotto di luce che li aveva attraversati. Stella, invece, rimase dov'era e, guardando Bloom, vide una patina dura e verde come quella che, molto lontano, ad Alfea, avvolgeva ancora Roxy. La magia era completa, adesso, e ne era sicura. Atterrò vicino a Tecna e la abbracciò. «Che tipo di magia hai compiuto?» le chiese il comandante, trafelato. Stella sciolse l'abbraccio e guardò verso l'uomo ammantato dall'altro lato della sala. «Parli con me?» «E con chi altri? Che tipo di magia...» Non completò la frase. Il suono insistente e stridulo di un allarme coprì la sua voce; la stanza, avvolta in un bagliore azzurro divenne cupa e una intensa luce rossa intermittente si sostituì ad essa. Tutti i presenti, sulle prime, si guardarono intorno confusi. Il comandante fu il primo a riprendersi e cominciò a gridare ordini che Stella non capì per via del rumore troppo forte; tenendosi le mani premute contro le orecchie, si strinse a Tecna esattamente come Tony, che le si era aggrappato di nuovo al collo strillando per lo stupore e la paura. I soldati, intanto, erano usciti e un mega schermo venne calato giù dal soffitto. Da lì apparvero le immagini di un corridoio simile a quello che le Winx avevano percorso per scendere fino laggiù, ma stavolta non c'erano fate e non erano neanche Specialisti in cerca delle loro ragazze come, sulle prima, aveva sperato Stella, quando aveva capito che c'era stata un'intrusione: era un gruppo di soldati, i cui membri erano vestiti come quelli della base, ma avevano, a differenza di questi, un fazzoletto rosso legato al braccio. L'allarme venne disattivato, ma il bagliore non lasciò la stanza. «Chi diavolo sono?» chiese Tecna, avvicinandosi al mega schermo seguiti in punta di piedi da Tony e da Stella. «Gli Esploratori Reali.» rispose il comandante. «Ci hanno localizzato?» gridò Stella. Tony si strinse di nuovo alla fata della Tecnologia, tremando. «Ci cattureranno e ci friggeranno!» «Non dire sciocchezze, Tony!» sbottò Tecna, spingendolo via. «Forse è una normale ispezione: ce ne sono state diverse, ultimamente.» propose il capitano Terchibald, rivolgendosi al comandante. «Ordino di chiudere gli accessi alla base e di attuare la procedura di camuffamento.» «No. Se sono qui per noi, ci metteremmo in trappola da soli. Ordina di mantenere le posizioni, ma di stare all'erta e pronti per un eventuale scontro.» le ragazze, dietro di lui, notarono che stringeva le mani le une nelle altre davvero troppo convulsamente. «Tu, invece, scorterai queste ragazze fuori dalla base, attraverso il Corridoio. Dovreste essere abbastanza al sicuro.» Terchibald si girò verso di lui. «Ma... signore...» «I miei uomini hanno bisogno di me e tu sei l'unico di cui mi fidi davvero. Una volta, sapevamo bene per cosa combattevamo. La sfiducia e la mancanza di speranze e la nostra posizione ci fa vedere tutto più nero di quello che è, la nostra magia è una maledizione e questo ci rende aridi, pessimi servitori della magia stessa. Ma ora ho capito che dobbiamo darci una mossa. Il tuo incantesimo, principessa di Solaria,» disse, voltandosi verso di lei. «mi ha ricordato qualcosa che avevo dimenticato e ha fugato ogni dubbio sulla vostra reale identità: solo una Fata Guardiana avrebbe potuto usare una magia simile. Perciò voglio sdebitarmi e l'unico modo che conosco è darvi la possibilità di salvare le vostre amiche, anche se sarà rischioso.» «Vuoi dire che...» Terchibald era senza fiato e, per qualche istante, lo furono anche le Winx e Tony. Persino Stella era senza parole e guardava il comandante come se l'avesse visto per la prima volta. Poi, riprendendosi, si posò una mano sulla nuca e strizzò l'occhio. «Lo so, sono una fata illuminante!» ammiccò, portandosi una mano dietro la nuca. «Io voglio combattere, non voglio andarmene come il peggiore vigliacco!» sbottò improvvisamente Terchibald. «Sono un soldato di sua maestà esattamente quanto te e io non sono Zephiro. Non puoi mandare via anche me!» «Ora basta con le polemiche, Terchibald. Va'.» fece un gesto con la mano, mentre il capitano, squadrandolo pieno di biasimo, si affrettava a lasciare la sala. Lui, invece, si voltò verso i tre ragazzi. «Venite con me. In fretta.» Li superò e seguì Terchibald con passi veloci, tanto che le Winx dovettero correre per tenergli dietro, una volta che si furono riprese dallo stupore. Bloom le seguiva placidamente distesa sulla sua barella di vento. Tornarono nell'armeria, adesso molto più affollata di quanto fosse stata inizialmente e anche molto più rumorosa. Solo che c'era un'atmosfera diversa da quella di prima; ogni soldato prendeva un'arma e se ne andava, con passo veloce seguendo gli altri in corridoi che Tecna, Stella e Tony non avevano notato passando la prima volta, gli ordini che venivano urlati e che volevano sopra le loro teste con violenza inaudita, facendo battere forte il cuore per lo spavento delle due fate e dello Specialista; nessuno badava al comandante che passava in mezzo a loro con passo spedito, seguito da due ragazze e un ragazzo che stringeva la mano di Tecna così forte da volergliela stritolare. Non proseguirono dritto verso la sala in cui erano state portate ammanettate e incappucciate, ma svoltarono verso uno stretto corridoio laterale, buio e umido, il cui forte odore di muffa fece partire le rimostranze di una disgustata Stella. Si fermarono davanti all'apertura e, da lì, non riuscivano a vedere il fondo. «Non ci entro là dentro: puzza terribilmente!» dichiarò, stringendosi nelle spalle. «Non c'è un'uscita un po' meno... meno fetida?» Il comandante, però, guardò Terchibald che si avvicinava, da solo, con il cappuccio bianco calato sui capelli chiari e con altri tre ripiegati che porse ai ragazzi. «E cosa ci dovremmo fare con quello? Non posso mettermene uno più colorato? Sono un'ottima stilista e potrei farne apparire di più alla moda con un solo schiocco di dita.» «Non dire sciocchezze!» sbottò Terchibald, prima di scoccare un'occhiata piena di accuse al comandante. «Solo un mantello bianco, simbolo dell'appartenenza all'Esercito, ci darà una speranza. Purtroppo, non possiamo fare altro, saremo comunque abbastanza vulnerabili, senza fascia rossa. Voi fate dovrete fare a meno delle vostre ali e, tutti e tre, indossare questi.» porse una divisa perfettamente ripiegata sotto ai mantelli a tutti e tre e Stella la guardò quasi schifata. «Avevo capito solo il mantello!» esclamò. «Avevi capito male.» replicò Terchibald, ostile. Provò a protestare ancora, ma dopo una spintarella da parte di Tecna si costrinse ad ubbidire. Con l'aiuto della magia cambiò se stessa e l'amica, mentre Tony era andato a nascondersi dietro un muro di lunghe lance magiche senza punta, mentre loro si infilavano il mantello e nascondevano il viso sotto di esso. «Non c'è niente di peggio di indossare un vestito fuori moda come questo sotto un mantello ancora peggio! E poi il bianco mi smuore! Devo essere orribile.» Terchibald sbatté le palpebre e guardò il comandante, stavolta senza rancore, quasi con stupore. Lui, invece, tenne d'occhio Tony che tornava vestito, ma con i bottoni della giacca sfasati. I due uomini non se ne accorsero, Stella ridacchiò e Tecna volle limitarsi ad un leggero sorriso: quel ragazzino, dopotutto, era un paperotto che le faceva tenerezza. Quando gli passò il mantello, lui la ricompensò con uno sguardo ammirato e quasi ammaliato. Stella ridacchiò. «Lo sai, Tecna?» le disse piano, piegandosi verso il suo orecchio. «Credo che Tony si sia preso una bella cotta per te!» «Bene,» disse il comandante, impedendo a Tecna di rispondere indignata e schifata e distogliendo Stella dalle sue malignità. «le nostre strade qui si dividono. Seguite le istruzioni di Terchibald e che possiate arrivare sane e salve a destinazione, su Domino. Date questo messaggio al principe Zephiro: il suo popolo lotta ancora per lui e il suo ritorno e ci sono molti soldati che aspettano il suo ritorno, di avere fiducia e di fidarsi delle Winx e di suo padre. Pensate di poterlo fare?» «Il re di Flabrum, intendi? Non credevo che ci fosse un Re di Flabrum, altrimenti... non ci sarebbe tutto questo caos, dico bene?» Tecna diede una gomitata a Stella che protestò e si posò una mano sul gomito. «Facevo una domanda legittima: ci chiede di dare un messaggio da parte del padre di Zephiro! Perché Faragonda non ci ha parlato di lui? Forse potremmo trovarlo e... ehi, scusami, tu, non possiamo andare da lui?» Tecna mise su un sorriso tirato e ridacchiò, tesa. «Lascia stare Stella...” si voltò verso i due soldati. “scusatela, a volte è proprio ottusa. Comunque non ti preoccupare, il tuo messaggio arriverà a destinazione. Vero, Stella?» Lei si strinse nelle spalle. «Oh, sì, questo è certo, ma...» Tecna le impedì di continuare dandole un'altra gomitata. «Vi ringrazio.» il comandante si voltò verso Terchibald. «Fa' attenzione.» «Anche tu. E non farti ammazzare.» I due si fissarono per un attimo, poi Terchibald fece una cosa che le fece sussultare entrambe: abbracciò il comandante. Fu solo un secondo, ma bastò perché rimanessero sgomente: nessuna delle due si sarebbe mai aspettata che quegli uomini così rigidi fossero capaci di simili dimostrazioni d'affetto. Stella, che si massaggiava il braccio per via della gomitata di Tecna, aveva la bocca aperta, ma la richiuse subito, quando Terchibald indicò l'interno del corridoio. «Ma dobbiamo proprio entrarci?» chiese, disgustata. «Proseguite fino all'Isola di Tramontana. Lì, giovani fate, se tutto andrà per il verso giusto, troverete la navetta. Terchibald è il nostro miglior pilota. Buona fortuna.» «Se è bravo come Tony, allora possiamo proprio stare tranquille!» ironizzò Stella, ma intanto Terchibald l'aveva spinta dentro il corridoio e l'aveva spinta a seguire Tecna e Tony che erano già un po' avanti. Rabbrividendo per l'odore fetido della muffa che ammorbava il grosso tubo che era quello scuro corridoio, avanzavano passo passo, verso la più completa oscurità. Voltandosi indietro, Stella vide la sagoma del comandante Adalhard farsi sempre più lontana fino a scomparire del tutto e l'apertura non divenne che un punto luminoso in lontananza. Poi, quando ormai furono avvolti dall'oscurità più completa e non ci fu che oscurità intorno a loro, tornò a guardare avanti, dove si era messo Terchibald. Il bianco dei mantelli li aiutava a non perdersi e a vedersi l'un l'altro; Tecna le si mise a fianco e Tony rimase alla retroguardia insieme a Bloom, distesa e ignara, nel suo alone verde, di loro che viaggiavano verso l'ignoto per salvarla.
Ehilà, gente! Come va? Spero tutto bene. Avevo detto che avrei aggiornato ad ottobre, giusto? Sì, ho fatto le cose per tempo, ovviamente. XD Questo capitolo è per non farvi dimenticare che la storia esiste e per augurarvi un buon Natale e un felicissimo Anno Nuovo, ma soprattutto per informarvi (non ve ne fregherà niente, ma vi informo ugualmente) che ho quasi finito di scrivere la storia. Mi mancano circa tre capitoli, poi gli aggiornamenti si faranno più serrati. In caso, vi avvertirò, in questo periodo non ci sto molto con questa fic, ma conto di finirla in tempi relativamente brevi (sempre più brevi di quelli che ho messo finora comunque). XD Grazie come sempre a chi preferisce, segue, ricorda, legge e recensisce. Sappiate che vi adoro, a qualunque categoria apparteniate. Al prossimo aggiornamento. |
Capitolo 10
*** Furioso contagio ***
Incredibile ma vero! Il capitolo 10 è finalmente online e, a dispetto di quel che ricordavo, non mi pare poi così malvagio. Rileggendolo, mi sono resa conto di essere praticamente un pezzo avanti e che mancano all'incirca otto capitoli alla conclusione (per cui forse in otto/nove anni ce la faccio XD ). I capitoli successivi sono tutti da riscrivere o scrivere da zero, ma questo decimo mi dà un ottimo punto di partenza. Capitolo 10 Furioso contagio
Sky, Brandon, Codatorta e Klaus arrivarono in prossimità di Alfea che ormai era il tramonto. La Foresta di Selvafosca era tranquilla e sulle chiome degli alberi scivolava una leggera brezza, le foglie tremavano incerte, il lago era calmo e, in lontananza, Alfea, macchiata di rosso e oro, pareva disabitata. Sembrava tutto normale, tranne per il fatto che c'era qualcosa di spettrale e teso nell'aria che fece trattenere il respiro a tutti. Sky sentiva dentro di sé che era successo qualcosa, ma non riusciva a capire cosa e il pensiero di dover parlare a tu per tu con Faragonda lo agitava. Guardò la foresta che si stendeva sotto di loro, mentre Codatorta governava la navetta in modo che potesse entrare nella scuola ad una velocità che non producesse distorsioni sula barriera che la preside aveva eretto per proteggere la sua scuola dalla Furie. Klaus guardava il paesaggio, ma in realtà non lo vedeva; i suoi occhi erano spenti, la sua pelle grigia e tirata e le sue mani strette a pugno. Aveva un po' sofferto quel viaggio, ma era così preoccupato per sua figlia che il resto contava poco, nel suo animo tormentato: dopo quello che aveva sentito, Sky poteva dire di capire le sue sensazioni. Pure lui aveva un cattivo presentimento, ma non riusciva a dargli forma, non riusciva a capire che cosa potesse causarlo. Pensava a Bloom, ma Bloom era su Domino e, presto, sarebbe tornata per salvare Roxy e portare un po' di speranza nella Dimensione Magica. Allora perché sentiva di averne così poca, di speranza? «Professore, è così grave la minaccia?» chiese, guardando Alfea che si avvicinava fin troppo lentamente. «Abbastanza per tenerci tutti in agitazione.» rispose Codatorta, annuendo. «Se Flabrum ci attacca come ha promesso, non credo che ce la faremo.» «Flabrum? Flabrum attacca?» domandò Brandon, stupefatto. «Perché? Aspetta, Sky... quando è che mi hai detto che erano pacifici? Già questa storia dell'Esercito mi aveva messo dei dubbi, ma qui andiamo ben oltre!» Uno scossone impedì a Sky di replicare ed entrambi si tennero forte ai loro sedili, Klaus si era tenuto le cinture di sicurezza per tutto il viaggio; il suo sguardo era puntato su Alfea e le sue dita tamburellavano sulle sue ginocchia, come segno della sua grande impazienza di scendere e di vedere sua figlia. Atterrarono nel parco di Alfea senza altri problemi e trovarono Faragonda e Grizelda, sotto al portico, che aspettavano che le operazioni di sbarco fossero completate. Anche da così lontano si vedeva che entrambe erano pallide, stanche e molto provate. A Sky quello parve il peggiore dei presagi che avesse avuto fino ad allora. Non disse niente. Codatorta era impegnato nelle ultime operazioni e non sarebbe stato comunque prodigo di spiegazioni. Quando il portellone si fu aperto, non fu Sky il primo a scendere, anche se avrebbe voluto esserlo per interrogare subito la preside su cosa fosse successo per renderle così inquiete. Anche Codatorta era teso e le sue parole non facevano che incrementare i suoi timori che, ora, non gli sembravano così ingiustificati. Klaus si fiondò fuori correndo e chiamando sua figlia come se lei avesse potuto sentirlo. Ma non c'era traccia di Roxy, né di nessun'altra fata nel parco; l'uomo, però, non dette segno di voler lasciar perdere e continuò a chiamare disperatamente la figlia: guardava in alto, come se si aspettasse di vederla affacciarsi da una delle grandi finestre della scuola. Era un'immagine che fece male a tutti, persino a Grizelda che lo afferrò per una spalla e con un gentile «venga, la accompagno da lei», lo condusse fino all'interno della scuola. Klaus annuì senza fare storie. «Quando Saladin me l'ha detto non ci potevo credere!» esclamò, invece, Faragonda, facendo qualche passo verso di loro. Aveva un'espressione dura eppure molto stanca. Forse Riven aveva avuto ragione a dire che stava perdendo colpi. «Mi chiedo ancora perché non vi abbia fermato! Lo sa che siamo in stato di allarme! Anche a lei, Codatorta, cosa le è saltato in mente di portarli qui?» Codatorta sospirò. «Mi dispiace, preside Faragonda.» disse. «Ma sono del parere, come Saladin, che tenerli all'oscuro di tutto non sia una mossa saggia.» «E' troppo pericoloso.» tagliò corto Faragonda. Sky sentiva di non capirci niente e passava, come Brandon, lo sguardo da uno all'altro. «Un momento.» chiese, mettendosi in mezzo e allungando un braccio per dividerli. «Che sta succedendo? Che significa?» Faragonda si torse le mani. «Avete fatto male a venire qui, ragazzi, con la grande crisi che stiamo per affrontare.» «Le ragazze ci hanno raccontato delle Furie. Non abbiamo paura.» dichiarò Brandon, gonfiando il petto come se questo bastasse per rendere meglio l'idea. Codatorta guardava Faragonda da sopra il braccio teso di Sky e lei, invece, stringeva le mani ossute tra loro; i suoi capelli sembravano molto più bianchi del solito e anche molto più sciupati. «Lo so, ragazzi, ma non si tratta solo delle Furie.» «Che significa?» chiese Sky, sgomento. «Le ragazze ci hanno detto solo questo e che c'è una spia ad Alfea.» Faragonda guardò verso l'interno, su una delle torri di Alfea e riabbassò lo sguardo. «Meglio parlarne dentro. Codatorta, lei non dovrebbe andare?» Il professore annuì, con aria grave. «Sì, stavo giusto per congedarmi.» disse, guardando un orologio da polso. «Per quel nostro Owl uscito dai radar interspaziali.» Sky si sentì mancare l'aria come se gli fosse stato dato un pugno nello stomaco: un Owl che usciva dai radar interspaziali, la sua ragazza che andava su Domino... che ci fosse un collegamento era evidente e le parole gravi di Faragonda non fecero che confermarglielo: «Vada, la prego. E anzi, dica a Saladin di tenermi aggiornata.» «Certo, preside, tornerò non appena saprò qualcosa di più.» Codatorta fece un cenno di saluto e cercò di andarsene, quando Sky fece un passo verso di lui e allungò il braccio per fermarlo. «Veniamo con lei.» «Sky.» lo richiamò Faragonda, con gentilezza. «Vorrei che tu e Brandon rimaneste ad Alfea, questa notte.» «Cosa?» Sky si voltò di scatto, incredulo. Brandon aveva un'aria quasi schifata. «E... e perché mai?» chiese. «E Stella e Bloom e Tecna?» «Non voglio che lasciate le protezioni della scuola, per questa notte. Purtroppo, le Furie sono molto più persuasive durante le ore notturne, quando i pensieri delle persone mutano. La Dimensione Magica non è un posto sicuro, in questo periodo, e vorrei sapervi al sicuro dentro queste mura, con me. Tuo padre, Erendor, sarebbe d'accordo con me, Sky.» «Preside,» Sky non tentò nemmeno di mascherare il fastidio. «le nostre ragazze sono andate su Domino questa mattina e non hanno ancora chiamato nessuno per dire che sono arrivate. Crede che non capiamo che l'Owl sparito dai radar è il loro?.» Faragonda sospirò. «Purtroppo non posso fare altrimenti: è possibile che le ragazze siano state catturate.» «Ma allora a maggior ragione dovremmo andare ad aiutarle!» replicò Brandon, indignato dal comportamento di Faragonda. «Che cosa aspettiamo? Codatorta, ci porti subito su Domino!» Codatorta parve a disagio e, grattandosi il mento, guardò Faragonda. Lei riprese: «Anche se arrivaste sani e salvi, non abbiamo garanzie che le troverete. Una navetta che esce dai radar interspaziali non è cosa da poco: potreste anche trovare emissari di Flabrum e alcuni dei suoi soldati. Sono disposti a tutto e, se sapessero che appartenete alla Compagnia della Luce, che siete il Re di Eraklyon e il suo scudiero, potrebbe non finire bene, per voi. Vi voglio proteggere. E pensate che le Furie potrebbero colpirvi! Di che utilità potreste essere alle vostre ragazze, in quel caso? Saladin e Codatorta ci terranno informati.» «E' così.» promise il professore. «Dobbiamo fare qualcosa! Non può...» protestò ancora Sky. «Non un'altra parola, Sky.» il tono di Faragonda fu duro e la risolutezza dei suoi occhi riuscì a far desistere il Re di Eraklyon dal protestare ancora. Non avrebbero lasciato Alfea quella notte, ma se la preside pensava che avrebbe chiuso occhio si sbagliava di grosso: una navetta era finita fuori dai radar interspaziali, Bloom doveva andare a Domino e non c'era arrivata. C'erano poche possibilità che non fosse stata catturata o non fosse in pericolo o entrambe le cose. Strinse i pugni, per la frustrazione. Purtroppo sapeva che Faragonda aveva ragione: non avevano garanzie di ritrovarle, senza contare che non sapevano neanche dove andare a cercarle. E se le Furie fossero state in agguato e loro non avessero potuto difendersi dal loro micidiale potere, la loro ricerca sarebbe stata comunque inutile. Era bloccato lì, ad Alfea, quando il suo compito principale sarebbe stato quello di proteggere la sua ragazza. Si sentiva un inetto. Brandon stava avendo il suo stesso conflitto interiore e si dava pugni sul palmo della mano, gli occhi puntati di fronte a sé, mentre seguivano Faragonda all'interno della scuola. Alfea era deserta, le luci attenuate e quell'atmosfera cupa non faceva altro che aumentare l'inquietudine nell'intimo di Sky e non poteva fare a meno di ricordare le parole di Riven di quella mattina. No, Faragonda non stava perdendo colpi. Era semplicemente molto preoccupata per qualcosa e, chissà come, pensava che non c'entrassero le Furie. Non del tutto. «Cosa c'entra Flabrum, in tutta questa storia?» chiese e la sua voce riecheggiò nel largo corridoio. Faragonda si fermò all'istante, ma ci mise un po' per girarsi. Quando lo fece, lo guardò dritto negli occhi. «Venite nel mio ufficio, ne parleremo lì.» disse, nel suo solito tono pacato, ma risoluto che usava solo nelle occasioni veramente importanti. Una volta nel suo ufficio, i due ragazzi furono invitati a sedersi. Brandon si sentiva a disagio: era la prima volta che entrava in quell'ufficio senza le ragazze e, mentre il sole moriva definitivamente, lasciando spazio ad un cielo cupo e punteggiato di stelle stanche e opache, anche lui avvertì netta la sensazione che aveva stretto le viscere di Sky. «Allora, che c'entra l'Esercito di Flabrum?» incalzò lo scudiero, spezzando così il silenzio. Faragonda accese le luci muovendo appena le dita di una mano e il grande ufficio venne illuminato a giorno. Ma anche così la sensazione di disagio rimase in entrambi i ragazzi. «E che se ne fanno, se sono tanto pacifici?» Faragonda giunse le mani sulla scrivania, prima di cominciare a parlare. «È uno dei residui del vecchio regno di Flabrum, quando ancora c'erano guerre per il predominio dell'Universo Magico da parte delle Antenate. Parlo di molto prima della guerra che vide Domino distrutta e i sovrani Oritel e Marion fatti prigionieri. L'Esercito di Flabrum era il più rispettato e temuto, nel mondo di Magix, ed era formato dai migliori maghi che esistessero. Saladin, prima di diventare preside di Fonterossa e prima ancora di combattere la guerra di Domino, servì nell'Esercito dei Venti e conobbe il duro addestramento cui vengono sottoposti i giovani dell'età del principe Zephiro.» «Sta... sta scherzando!» gridò Brandon, saltando sulla sedia. «Saladin... nell'Esercito dei Venti?» Faragonda annuì. «Proprio così.» Brandon fischiò la propria sorpresa. «Col tempo la popolazione di Flabrum si è chiusa nel suo mondo e ha smesso di scambiare rapporti con gli altri mondi. I piloti che si spingono fin sul pianeta sono pochi, per via del Vortice dei Venti che non perdona. È così gli scambi di Flabrum con gli altri pianeti sono spariti pian piano e l'Esercito del Vento ha smesso di essere il più importante della Dimensione Magica... adesso ha più una funzione cerimoniale ed è preposto alla protezione della famiglia reale.» Faragonda prese un attimo di pausa per passarsi una mano sulla fronte. «La popolazione è pacifica e schiva di natura e si occupa solo dei propri affari. Almeno era così, finché era in vita Auster.» «Come l'ha conosciuta, preside?» domandò Sky. «Era una fata e, come tale, ha frequentato Alfea, a suo tempo.» Brandon sussultò. «Ha lasciato il suo pianeta per venire fin qui a studiare? Quando?» «Oh, è stato tempo fa. Era una donna straordinaria: è stata lei a voler venire qui, contro il parere dei suoi genitori e ha sempre cercato, con scarso successo, purtroppo, di ripristinare i collegamenti tra il suo pianeta e gli altri. Sapeva che il suo popolo poteva aver bisogno di noi e non si è mai fatta scrupolo di nasconderlo. Ha impiegato molto tempo a raggiungere il livello Enchantix e le Winx mi ricordano molto lei. Lei è... era la fata di tutti i venti e, ogni tanto, quando poteva, lasciava il suo pianeta per venire qui, a chiedermi consiglio. Siamo diventate molto amiche.» «Quindi, se eravate così amiche, perché adesso dovrebbero catturarci?» insistette Brandon. «Hanno dimenticato di essere pacifici con la morte di Auster?» «C'entra Zephiro, immagino, e il fatto che Faragonda lo tenga nascosto nel castello di Alfea.» suppose Sky. «Con un usurpatore al potere, l'Esercito tornerà a fare quello che faceva in passato: combattere.». «E' così.» annuì lei. «Ma ancora la miccia non si è accesa. Ho paura che lo farà, non appena Maestral avrà consolidato il suo potere sul pianeta. Alcuni dei soldati di Flabrum hanno lasciato il loro regno, all'incirca pochi giorno dopo la notizia della morte della Regina Auster. Mandarono dei messaggi a Fonterossa e Alfea, da parte del comandante Adalhard. Dicevano che Zephiro era in grave pericolo di vita e che Maestral, il fratello di Auster, si era arrogato il diritto al trono, che non gli spettava. Inoltre, aveva creato delle squadre di soldati impegnati giorno e notte nella ricerca dei ribelli e dei fuggitivi; l'incolumità del principe era a rischio e Adalhard mi chiese di tenere al sicuro Zephiro e di prestare fede alla promessa che feci ad Auster. Successivi messaggi mi hanno riferito che Zephiro era diventato il nemico numero uno del regno e che, semmai si fosse presentato su Flabrum sarebbe stato processato e condannato come un traditore. Da allora, il comandante non ha più mandato messaggi, fino a due giorni fa. È passato da Alfea e da Fonterossa, portava un fazzoletto rosso legato sulla spalla. Non era per niente cordiale, come potrete immaginare. Ha consegnato dei messaggi a me e Saladin, alcuni dei quali per Zephiro e sono quelli che Bloom ha visto in camera sua. Capisco solo ora di aver sbagliato a consegnarglieli... quei messaggi dicevano che, se noi lo nascondessimo, l'Esercito del Vento prenderà possesso di Magix. Sono disposti a mettere tutto a ferro e fuoco pur di ritrovare il loro principe. Per ucciderlo, ma questo non l'hanno specificato.» la donna si voltò per nascondere il viso e mascherare la disperazione. «E' per questo che Zephiro è andato sulla Terra alla ricerca delle Winx. È per questo che, ora, la Terra è infestata dalle Furie... è stato inseguito, come era normale che succedesse con un ragazzo che prova un dolore grande come il suo.» Sky strinse i pugni sui braccioli della sedia. «Parla sul serio? Pensavo che le Furie fossero l'unico problema. Le Winx non ci hanno parlato di Flabrum... ed è gravissimo! Che cosa pensano di fare gli altri regni?» «Ma non era solo un esercito cerimoniale?» insistette Brandon, coprendo la voce di Sky. «Sì.» sospirò Faragonda, tornando a fissarli. «Ma non c'entra: hanno mantenuto le loro tradizioni e abitudini. La loro Accademia di magia è un misto tra Alfea e Fonterossa.» poi si rivolse a Sky. «Non so cosa intendano fare i regni di Magix, ma immagino che, per adesso, non possano fare niente, a parte custodire Zephiro. Il suo momento non è ancora arrivato. Dovrà essere al massimo delle sue forze per riconquistare quella parte della popolazione che gli ha voltato le spalle.» «Non hanno perso tempo, eh?» domandò Brandon, stringendosi nelle spalle, a metà tra lo scontento e il sarcastico. Sky guardava accigliato la preside, però. Aveva notato qualcosa che al suo scudiero era sfuggito del tutto. «Perché le ragazze non ci hanno detto niente? Erano turbate, ma non credevo fino a questo punto!» Faragonda si limitò a scuotere la testa. «Non capisco: non c'era motivo perché Musa e Aisha ci nascondessero la più grave crisi esistente in tutta la Dimensione Magica!» insistette il Re di Eraklyon. «Le Winx non sanno niente di questo.» spiegò la preside, in un tono flebile, ma incredibilmente deciso. «Non gliene ho parlato, in effetti.» I due Specialisti sussultarono. Sky si lanciò contro la scrivania e picchiò le mani sulla scrivania. «Alfea e Fonterossa sono minacciate da Flabrum e non vuole che le Winx lo sappiano? Ma è folle! Quindi è per questo che ha mentito anche sulla morte di Auster?» «Non ho mentito sulla morte di Auster. Ho omesso dei particolari, Sky. L'ho fatto per il loro bene.» dichiarò Faragonda, alzando gli occhi su di lui, in tono solenne, il busto impettito. Sky, però, non era d'accordo. Diede un altro pugno sulla scrivania. «Non ha senso quel che dice, se ne rende conto?» guardò Brandon che gli lanciava un'occhiata apprensiva. Il Re di Eraklyon cominciava a credere di aver capito cosa avesse spinto Zephiro a lasciare la protezione di Alfea per cercare le Winx o le Furie, secondo quanto aveva detto a Bloom: voleva i rinforzi che i presidi sembravano non voler prendere neanche in considerazione. C'era una guerra in corso e le ragazze avrebbero dovuto fare finta di niente, anche con tutto quello che succedeva per via delle Furie? «E' solo una questione di tempo! Non vorrà davvero aspettare e rimanere a guardare!» «Certo che no, Sky. Ma mi rendo anche conto che ci sono troppe cose in ballo e che le Winx sono impegnate in una missione importante, sulla Terra. C'è l'ultima fata del pianeta da proteggere dagli Stregoni del Cerchio Nero e riportare indietro dalla loro prigionia tutte le altre. È successo il peggio che poteva succedere: Roxy, l'unica che può aprire il portale per la Dimensione in cui sono tenute prigioniere le sue sorelle, è stata ghermita da una Furia. Dimmi, Sky, se Bloom dovesse fallire, quale sarà il destino di queste fate?» «Ma...» «Pensa se le Winx venissero catturate dalle Furie, o se tu e gli Specialisti sconfitti dall'Esercito. Pensate, forse, che Maestral sarebbe contento di liberarvi? Lui è disposto a tutto, a tutto, pur di prendere Zephiro, di soggiogare interi pianeti, di uccidere voi, le Winx, se solo pensasse che siete coinvolti nella sua sparizione! Cercavo solo di proteggere le mie ragazze da un pericolo in cui si getterebbero a capofitto, e ci sarei anche riuscita, se solo Zephiro non avesse deciso di fare di testa sua e fosse andato a cercarle! Glielo avevo proibito, almeno per il momento, finché la crisi terrestre non si fosse risolta. Ma ho sbagliato io a dargli quelle lettere e a fargli sapere quello che stava accadendo.» «E quando pensavate di chiederci aiuto?» sbottò Sky. «Quando ormai Alfea e Magix fossero state rase al suolo dall'Esercito del Vento o dalle Furie o magari da entrambi insieme? Quando Magix fosse stata sotto il controllo di Flabrum e fosse appartenuta ad un uomo solo?» Faragonda abbassò la testa. «Lo so di aver fatto delle scelte discutibili, Sky. Me ne rendo conto, ma abbiamo diversi problemi e ci attaccano da più fronti: le Furie e anche Maestral, per non parlare degli Stregoni del Cerchio Nero. Da quando sono ricomparse quegli Spettri, gli eventi sono andati precipitando sempre di più.» Sky serrò la mascella. «Adesso Bloom e le altre potrebbero essere su Flabrum, lo sa?» «Sì, ci ho pensato.» ammise la preside. «E spero di no. Purtroppo non riesco a mettermi in contatto con Adalhard.» Sospirando, si buttò contro lo schienale, distrutta, e anche Sky sentì di non essere più arrabbiato come prima. Anche lui tornò a sedere e si massaggiò la fronte e gli occhi, pensando di nuovo al racconto di Musa e Aisha su Obsidian e sulla liberazione delle Furie da parte sua e di Bloom. «Almeno Roxy sta bene?» chiese. Si sentiva in colpa come se l'avesse messa in pericolo lui stesso e, in effetti, era un po' così. «E' stazionaria.» gli occhi di Faragonda si abbassarono. «Reggerà, ma solo altre ventiquattro ore. Se entro allora Bloom e le altre non torneranno, manderò voi ragazzi a prendere lo Scettro: il tempo stringe. E voglio che restiate sulla Terra, dopo averla ripulita, e che vi teniate lontani da tutto questo. Sono gli Stregoni i vostri nemici e la vostra priorità!» «E le ragazze?» insistette il re di Eraklyon. Faragonda si passò una mano sulla bocca e poi la posò di nuovo sull'altra. «Farò tutto il possibile per aiutarle e anche l'impossibile, Sky. Tu sai che tengo a Bloom come se fosse una figlia.» I ragazzi si consultarono con uno sguardo. Cosa fare? Dare retta a Faragonda o al cuore che diceva loro di partire subito? «E se fossero in pericolo di vita?» domandò Brandon. «Sky ha ragione: non possiamo rimanere qui e guardare.» «So cosa pensate, ragazzi, sono perfettamente consapevole del grande pericolo a cui le Winx vanno incontro e sono molto preoccupata anche io. Sapete bene che vi manderei a cercarle subito, partirei io stessa, se potessi, ma questa volta i rischi sono grandi: potreste essere catturati e uccisi!» «Non ci importa! Non le lasceremo sole ad affrontare chissà che cosa!» esclamò Brandon, indignato. «È ciò che dobbiamo fare per il bene delle ragazze che amiamo! Siamo disposti a correre il rischio.» dichiarò imperterrito il Re di Eraklyon. «Non possiamo rimanere qui con le mani in mano, ad aspettare che le nostre ragazze tornino in fin di vita o non tornino affatto! Non ce lo perdoneremmo mai!» «Non sareste di nessun aiuto alle Winx, se le Furie vi prendessero: diventereste i loro nemici e cerchereste di ucciderle. Volete essere voi stessi a finirle?» I due tornarono a squadrarsi, inorriditi; fu Sky il primo a riprendersi e a parlare per tutti e due. «Ma che cosa dice? Le Furie non ci faranno quello che hanno fatto a Roxy, mi sta dicendo questo, Preside?» «Le Furie.» disse Faragonda, sospirando ancora una volta. «Le Furie posseggono un corpo, ma addormentano solo le fate fino a consumarle. Chiunque altro venga posseduto da una Furia diventa suo schiavo, vi aizzerebbe contro di loro e finirebbe come durante la battaglia per la conquista di Domino.» «Non faremmo mai del male alle nostre...» Faragonda si alzò e il suo sguardo era duro, la sua espressione corrucciata. «Non è detto che riuscireste ad avere la meglio. Volete correre questo rischio? Volete unirvi alle fila dell'esercito delle Furie che imperverseranno nel mondo distruggendo tutto e tutti prima ancora di Maestral? Volete questo, ragazzi? Mandare a monte la missione, il vostro cuore e tutto quello per cui abbiamo lavorato finora? Pensateci bene. Non è questo che Bloom vorrebbe.» Brandon e Sky si guardarono di nuovo e trovarono negli occhi dell'altro la reciproca stupidità e la stessa risposta a quelle domande retoriche; abbassarono il capo, guardandosi ognuno le proprie scarpe. «No, ha ragione.» dissero, piano e si sedettero di nuovo, sconfitti e improvvisamente troppo stanchi per combattere, vergognandosi della loro impulsività. «Mi sembra impossibile.» sussurrò Sky. «Non potrei neanche immaginare di fare del male a Bloom.» «E io a Stella.» «Purtroppo neanche i legami di sangue sono una garanzia, ragazzi. Sapete che ho molta fiducia in voi e sono sicura che tentereste di resistere, ma niente e nessuno può fermarle.» Faragonda si sedette e si posò la mano sulla bocca per evitare che le uscisse dalla bocca dell'altro, ma tanto i due Specialisti capirono perfettamente la conclusione del discorso. «Aspetti un attimo.» esclamò Brandon, d'un tratto. «Che significa che neanche i legami di sangue sono una garanzia?» Faragonda prese un po' di tempo, mentre Sky si sentiva come se gli avessero afferrato le viscere e gliele stessero tirando via. Aveva fatto anche quello. Oh, era davvero troppo da sopportare. Era stato lui ad aver portato la Dimensione Magica alla più grande crisi di tutti i tempi, dopo le Antenate? Guardò la preside, i cui occhi lo stavano scrutando attraverso gli occhiali. «So cosa stai pensando.» gli disse. «E non lo devi credere. Il tradimento di Maestral, come ho detto, ha radici profonde. Nell'intervento delle Furie, ha solo trovato un pretesto per rovesciare il potere. Era pronto già da tempo. Parlavo di questo, Brandon. Le Furie sono così forti da permettere ad un fratello di accanirsi contro la propria sorella.» Brandon la guardò confuso. «Maestral e Auster sono fratelli, te l'avevo già detto.» spiegò Sky, con voce spenta. «Gliel'ho dato io, il pretesto per attaccare: usare le debolezze delle fate! Come fa a dire che non è colpa mia?» Faragonda scosse la testa. «Credo che avrebbe trovato altri modi. Ho il sospetto che lui sia stato catturato dalla Furia più potente di tutte.» dichiarò. «E' un ottimo soggetto.» «E quale sarebbe la Furia più potente?» volle sapere Brandon. «L'Odio. La Furia dell'Odio è la più forte ed è la padrona di tutte le altre. Se possiede un corpo, lo userà come un burattino per i suoi scopi. È la Furia intorno alla quale tutte le altre si stringono per fare fronte comune. È stata l'unica a non essere stata imprigionata su Obsidian dallo Scettro di Domino, che non può contenerla. Si dice che si sia addormentata, e che il suo risveglio sia avvenuto solo quando le Furie sono state liberate. La leggenda dice che solo un enorme concentrato di Sentimenti Positivi possa distruggerlo, ma nessuno ha mai trovato un tale potere e questa rimane una teoria, per adesso, e una convergenza non basta: le fate non sono così potenti, le Furie possono essere davvero molto persuasive, se lo desiderano. Re Oritel sta facendo ricerche, ma per adesso ha fatto solo buchi nell'acqua. Da sola, la Furia dell'Odio può fare ben poco: può solo ospitare un corpo ed avvelenare la sua mente, tanto da spingerla a fare ciò che dice.» «Lei crede che Maestral sia controllato dalla Furia dell'Odio e che stia comandando le altre per soggiogare la Dimensione Magica al suo volere?» domandò Brandon. «E che sia stato lui ad aizzarne una contro Auster, sì. È esattamente ciò penso. Era l'unico che poteva farlo.» Sky si piegò in avanti. «Ma per attecchire, così mi hanno spiegato Aisha e Musa, il soggetto deve essere... predisposto.» «E' così. Maestral era più che predisposto: lui è il fratello maggiore di Auster e sarebbe stato l'erede al trono, se non fosse nata lei. Su Flabrum c'è una legge che impone che solo una fata può salire al trono e che il fratello maggiore prenda il posto di comandante dell'Esercito. Se, però, nasce solo un erede maschio, allora prenderà il posto di Reggente, finché non nascerà una fata che possa prenderne il posto.» Brandon era confuso. «Ma... non ha detto che si chiama Adalhard il comandante dell'Esercito?» Faragonda annuì. «Maestral era uno scapestrato, non ha mai avuto la stoffa del comandante ed è sempre stato molto arrogante. Non rispettava i suoi superiori, durante l'addestramento. Si sentiva in una botte di ferro perché il posto di comandante gli sarebbe spettato per legge, una volta che Auster fosse stata incoronata. Ma lei mi confidò di non fidarsi di lui e del suo giudizio: Maestral è sempre collerico, viziato e indisponente, non è mai stato disposto ad ascoltare le opinioni altrui ed era insicuro, un mix che lo avrebbe reso una bomba pronta ad esplodere. Auster aveva paura che, non solo potesse combinare qualche disastro, ma che potesse spingere se stesso ad atti estremi che lo avrebbero condotto al suicidio. Così decise che non sarebbe stato lui a ricoprire quel ruolo, a meno che non dimostrasse di meritarlo. Così, quando salì al trono, indisse un torneo in cui i soldati che si erano distinti durante l'addestramento si sarebbero sfidati in gare di intelligenza e di abilità. Maestral perse contro Adalhard e la Regina scelte di dare a lui la spilla d'argento, simbolo della carica più alta dell'Esercito dei Venti.» Sky annuì. «D'accordo. Ma ciò non toglie che siamo stati noi io e Bloom a...» «Avrebbero trovato un altro modo, Sky, per tornare, prima o dopo. Non dare la colpa di questo a te stesso. Magari sarebbe stata la Furia dell'Odio stessa a trovare un modo per liberarle. E, per quel che riguarda Maestral, lui ha sempre desiderato il trono e lo avrebbe preso in qualunque modo e a qualunque costo.» Il ragazzo scosse la testa, non del tutto convinto di quel che sentiva. «Mi dica un'altra cosa: se noi riuscissimo ad estirpare dal corpo di Maestral la Furia... poi le altre che farebbero?» «Sarebbero divise, come un Esercito che non abbia più il suo capo: i soldati non saprebbero a chi rispondere e diverrebbero vulnerabili. Sarà a quel punto che le Furie dovranno essere spazzate via e Zephiro dovrà entrare in scena. Non prima. Prima sarebbe troppo presto.» «Allora dobbiamo estirpare l'Odio dal corpo di Maestral!» esclamò Sky, alzandosi di nuovo, impettito e con sguardo risoluto. «E disperdere le Furie. Allora tutto tornerà a posto.» «Ma... dove le cerchiamo?» La domanda di Brandon rimase sospesa nell'aria. Faragonda abbassò lo sguardo. «Vorrei che fosse così semplice. Dovremmo distruggere le Furie per impedir loro di fare ancora del male, ma lo Scettro le imprigiona soltanto. Dobbiamo solo sperare in Re Oritel e nelle sue ricerche, per il momento.» Sky sospirò e abbassò di nuovo la testa. «Le Winx si arrabbieranno molto, quando sapranno tutta la storia, lo sa questo, vero, preside?» Lei sospirò. «Preferisco che siano arrabbiate con me, piuttosto che doverle seppellire.»
§
Aver seguito Riven che era uscito in gran fretta dal Love & Pet era stata una grande idea, soprattutto quando avevano visto che non era solo il solito burbero scontroso che conoscevano e che c'era qualcosa che non andava nel suo sguardo. Il primo pensiero di tutti si era rivolto alla Furie e non avevano sbagliato. Aisha e Flora non avevano dovuto discutere più di tanto: uno sguardo e poche parole e avevano lasciato Nabu e Timmy in negozio ad espletare le ultime formalità, chiudere il negozio e allontanare le clienti ritardatarie. Le avrebbe raggiunte non appena finito e, in quel momento, Flora pensò che avevano davvero bisogno di aiuto, di tutto quello possibile, in effetti, e si chiedeva perché Bloom e le altre non fossero già di ritorno con la soluzione ai loro problemi. «Sono preoccupata.» confidò ad Aisha, mentre volavano per tenere dietro a Riven che camminava per le vie della città con passo spedito, senza badare a niente e nessuno. Sembrava un proiettile in cerca del suo obiettivo, un cacciatore pronto a stanare la preda. Metteva i brividi. «Non vorrei che fosse accaduto loro qualcosa!» «Non ti preoccupare!» rispose Aisha, mantenendo un tono risoluto. «Sono in gamba e se la caveranno. Poi Sky e Brandon sono sicuramente con loro e le stanno aiutando.» Eppure Flora aveva una strana sensazione e così Aisha, anche se voleva mostrarsi ottimista per non dare un pretesto alle Furie per prendersela con lei o con la sua amica. Riven sparì dalla loro visuale; Helia, poco dietro di loro, alzò lo sguardo per cercarle e scosse la testa, per dire che anche lui non lo vedeva più. «Andiamo alla sala di registrazione.» propose Aisha. «E intercettiamo Musa prima di lui! Se è diretto da qualche parte, abbiamo buone probabilità che stia andando lì.» Flora si disse d'accordo, l'aveva visto molto scosso, dopo che Musa era uscita per andare da Jason Queen e questo non faceva che avvalorare la tesi di Aisha; si scambiarono un cenno di assenso e, insieme, decisero di utilizzare le ali dello Zoomix, che le avrebbe portate istantaneamente nel luogo desiderato. Quando arrivarono non si erano aspettate il gran caos che, invece, trovarono: dentro il locale fuori dalla sala, Musa stava combattendo contro Riven e Jason che reggeva un mucchietto di lustrini. Non videro la loro amica, ma in compenso notarono lo Specialista che brandiva la spada, pronto alla carica. Ma come poteva essere stato colpito anche Jason e, soprattutto da quale Furia? Poi all'improvviso capirono: quel mucchietto tenuto insieme da Jason era la fata della musica! «Oh, no, Musa!» gridò Flora, atterrita. La loro amica era a terra, inginocchiata e trattenuta da Jason e Riven stava prendendo la rincorsa, la spada posata contro la sua spalla, pronto a tagliarla in due, completamente impazzito. Ma perché Musa non reagiva? Flora, d'istinto, lanciò un incantesimo, che si infranse contro una barriera sonora che proteggeva il locale; l'unica cosa che ottenne fu quella di distrarre Riven e di fermarlo a metà della strada che lo divideva da Musa. «Ma che cosa...» Aisha atterrò accanto a Flora, sul marciapiede. Riven rivolse loro un sorriso cattivo e astuto, un sorriso di quelli che lui non avrebbe mai fatto, non rivolto a loro. Entrambe sentirono rimescolarsi il sangue nelle vene. «Che stai facendo, Riven?» chiese Flora, oltrepassando la barriera, ma camminando cauta verso di lui. Una volta all'interno del locale, la sensazione di disagio si acuì; l'aria era quasi irrespirabile, pesante, ed entrambe le fate si sentirono più deboli. Desiderarono di essere di nuovo fuori, all'aria aperta e di potersi togliere di dosso l'inadeguatezza, la paura e la preoccupazione. «Questo posto deve essere pieno di Furie.» azzardò Aisha, guardandosi intorno con sospetto come se si aspettasse di vederne spuntare una da sotto un tavolo. «Teniamo gli occhi aperti e non facciamoci abbindolare da quello che dirà Riven. Sono quasi sicura che sia stato posseduto da una Furia... ricorda cosa ha detto Faragonda, riguardo alla prima battaglia di Domino.» Flora annuì, ma si sentì rabbrividire comunque. Riven posseduto dalle Furie... non poteva crederci. Lo guardava mentre lui, indolente, si appoggiava la spada alla spalla e continuava a fissarle con spavalderia, come se sapesse che loro due non avevano nessuna speranza di vittoria. Ed era così che si sentivano, anche se sapevano che era sbagliato, che stavano solo dando del vantaggio alle Furie. «Che cosa volete, fatine? Non ditemi che volete morire pure voi!» disse Riven, con una voce che non somigliava per niente alla sua. Era fredda, agghiacciante, sembrava provenire da un altro mondo. «Non abbiamo nessuna paura di te, quindi vedi di lasciare in pace i nostri amici!» Aisha lo indicò con fare minaccioso. «Altrimenti te la dovrai vedere con noi!» Riven alzò le spalle. «Sciocche ragazzine. Tipico di voi fate, farvi tante illusioni.» «Sicuro di non fartele tu, le illusioni?» Aisha scattò a mezz'aria e tese le braccia, per scagliare un incantesimo su di lui, che, con un gesto pigro, fece roteare la spada di fronte a sé. Non spezzò i fili di Morphix che si erano abbattuti su di lui: fu solo l'arma a venire imprigionata e lui se ne staccò sibilando come un gatto contro il nemico. Poi la Furia fece schioccare la lingua di Riven. «Povere ingenue.» Fece un cenno verso Jason, cui erano apparse delle grosse occhiaie nere che gli davano un'aria spettrale; questi lasciò subito andare Musa e lei cadde sul pavimento, tra i frammenti di vetro e i tavoli rovesciati come un sacco vuoto. «È stata presa da uno di quegli Spettri!» capì Flora. Tremando, posò le mani davanti alla bocca, inorridita e ancora più spaventata. Jason si alzò e, scrocchiandosi le dita, si avvicinò a lei barcollando appena, lo sguardo maniacale rivolto nella sua direzione. Solo dopo, quando si scagliò contro Flora, la fata si accorse del grosso pezzo di vetro che aveva in mano quando, alla luce del neon, scintillò, rivelando una punta acuminata che avrebbe potuto ferirla a morte. Lanciando un gridolino, volò via appena in tempo. Aisha si scagliò, invece contro Riven, ingaggiò un corpo a corpo con lui e lanciava incantesimi che spesso e volentieri non andavano a segno, ma ricoprivano di Morphix qualche bottiglia o una tazzina o su una delle persone addormentate. Riven era agile, veloce, neanche i calci più poderosi di Aisha o i suoi destri furiosi riuscivano a fare niente contro di lui. «Dobbiamo andarcene di qui! Colpiremo qualcuno!» esclamò Flora, rivolta alla sua amica. «E... ah!» Qualcuno l'aveva afferrata per la caviglia e l'aveva tirata giù verso di sé. Solo dopo si accorse che era di nuovo Jason e con lo stesso pezzo di vetro; glielo avvicinò alla faccia pronto a sfigurarla. Sgranando gli occhi, d'istinto, Flora alzò una mano e lo schiaffeggiò. La cosa colpì profondamente Jason, tanto da lasciarla andare; la fata sfrecciò via, verso il corpo di Musa che, esanime, sembrava essere diventato anche più leggero. Aisha continuava a combattere contro Riven ed era riuscita a mandarlo a tappeto con una finta. «Ora ti imprigionerò e...» Ma non aveva potuto farlo: Jason, persa la sua prima vittima, si era gettato su di lei e l'aveva fatta crollare a terra, in mezzo a due persone distese a terra, addormentate dall'incantesimo di Musa. Lottarono per un po', la mano di Jason si chiuse intorno al collo della fata che aprì la bocca per chiedere aiuto. Il panico la travolse. Riven si stava rialzando e si era diretto anche lui verso Aisha, deciso ad aiutare il suo strano alleato, forse a tenere ferma la ragazza che si muoveva spasmodicamente, cercando uno spiraglio di speranza in tanta disperazione. Flora sentiva la stessa sensazione di paura e pericolo provata dalla sua amica farsi strada dentro di lei, tanto da soffocarla; le pareva di sentire anche lei una mano intorno al collo e una voce che, lontana, sussurrava parole di resa. Cercò di ignorarla e di mettersi in piedi; allungò una mano per scagliare un incantesimo. Lasciò Musa, mentre volava verso Jason per fermarlo. In quel momento un lampo di luce verde attraversò il suo campo visivo e si tramutò in tre fili che bloccarono il braccio di Jason che si ritrovò strattonato lontano da Aisha, come un sacco vecchio. Nel frattempo delle liane rampicanti si frapposero tra Riven e Aisha e lo Specialista, stupefatto, cadde a gambe all'aria. «Helia!» gridò Flora. Lui le rivolse un sorriso rassicurante. «Scusatemi per il ritardo, ragazze! Ho fatto più veloce che potevo!» «Per fortuna sei arrivato.» sospirò Aisha che ancora stava tossendo, stringendosi una mano intorno alla gola, finalmente libera. Flora volò verso di lei e le atterrò vicino; la prese per le spalle e la sorresse, mentre l'amica cercava di riprendere fiato. Guardò verso Riven che, barcollando, aveva scalato le liane rampicanti di Flora e adesso si muoveva verso di loro con quel suo ghigno malefico, mentre Jason lottava con i fili di Helia che faceva sempre più fatica a tenerlo. «Questo... non è il... il produttore di Musaaa...» lo Specialista cadde, quando Jason, afferrati i fili di Helia, li unì nella mano e tirò con tutta la forza che aveva verso di sé. «Helia!» gridò Flora, in preda al panico; fece per volargli incontro, ma fu distratta da Aisha che continuava a sussultare. La sua amica aveva bisogno di lei, mentre il suo ragazzo... non si alzava più e la cosa la preoccupava tanto da farla tremare: la caduta non era stata poi così brutta, ma allora perché... «Vai da lui.» mormorò Aisha. Si girò verso di lei per guardarla negli occhi; sembrava che avesse intuito o letto nei pensieri di Flora tutte le sue preoccupazioni. «Vai a vedere come sta, presto!» «Ma...» «Non discutere, vai!» Aisha le diede uno spintone e cadde di nuovo, priva di forze. Flora vide Riven che stava scendendo dalle piante rampicanti e puntava verso di lei; volando a mezz'aria, cercò di nuovo il controllo delle piante e alcuni di quei rampicanti risposero, muovendo appena le loro punte. A quel punto, Flora comandò loro di prendere Riven e di immobilizzarlo al muro. Le liane che si erano mosse, si intrecciarono di fronte allo Specialista che stava per saltare e, quando lo fece, loro fecero in modo che atterrasse su di loro, come se fossero braccia che accogliessero un bambino piccolo, poi, ad una grande velocità, si spostarono indietro, verso il muro e vi schiacciarono Riven, la cui ultima protesta fu un basso ringhio. La sua testa ciondolò su di un lato, così come i suoi piedi e le sue mani che spuntavano da sopra i rampicanti. Flora lo lasciò lì, lanciò un'occhiata ad Aisha e si gettò in picchiata su Helia che, invece, era rimasto a terra. Jason non sembrava più interessato a lui: aveva strappato i fili verdi dal suo braccio, li aveva gettati a terra come una cosa senza alcuna utilità e aveva provato di nuovo ad attaccare Aisha. Flora non ci pensò più di tanto: richiamò una liana e fece in modo che lo afferrasse per una caviglia e lo tirasse verso l'alto, a testa in giù, così che potesse smetterla di nuocere a chiunque. Poi atterrò vicino al suo ragazzo e lo tirò a sé; stava dormendo, così pareva almeno, ma il suo viso era contratto e sembrava che stesse avendo un incubo; scuoteva la testa, gli occhi si muovevano da sotto le palpebre con molta frenesia, ma non li apriva. A Flora batteva il cuore, capiva che stava succedendo qualcosa di sbagliato. «Helia, ti prego, svegliati! Non lasciarti contagiare dalle Furie! Helia!» Lo chiamava, ma Helia non la ascoltava. Aveva digrignato i denti e gemeva come se stesse combattendo una furiosa battaglia inferiore. «Helia... reagisci! So che puoi farlo! Ti prego!» Strinse più forte le sue spalle. Pensò al potere del Believix e di usarlo, ma anche quando lui fu avvolto dall'alone verde brillante del suo potere di fata, non accadde niente; era come se su di lui il Believix non potesse avere effetto. Si arrischiò a guardare Aisha che, barcollando, era riuscita a rialzarsi, mentre Jason, dietro di lei, era riuscito a conservare quel pezzo di vetro con cui aveva minacciato entrambe. E allora, non visto, lo fece: affondò la sua arma improvvisata nel rampicante di Flora che, stupefatta, si sentì mozzare il fiato. L'alone verde intorno a Helia scomparve, mentre lei cominciò a gridare di dolore: era come se qualcuno le avesse conficcato una lama fredda e affilatissima nel cuore. Senza fiato, cadde a terra e, senza volerlo, lasciò andare il suo ragazzo, ma non solo: anche il rampicante lasciò andare Jason che, cadendo, fece una capriola su se stesso con un'abilità che nessuna di loro avrebbe pensato che avesse e atterrò in piedi, come i gatti. Caricò su Flora che fu salvata da una di nuovo scattante Aisha e depositata sopra ad un tavolo intatto e vuoto. «Ma...» provò a protestare Flora. «Ora tocca a me salvarti, principessina.» replicò Aisha, con una strizzatina d'occhio. Caricò lei stessa su Jason, tenendo le mani tese di fronte a sé, muovendo le ali molto velocemente, pronta a tutto. «E ora... Gabbia Morphix!» Sfiorò le spalle di Jason, sulle quali si tese e, dopo essere rimasta in equilibrio sulle mani, fece una capriola su se stessa e atterrò sulle gambe. Intanto, il Morphix aveva avvolto Jason e lo aveva intrappolato, facendo in modo che non ne potesse uscire; Jason vi si scagliò contro, cercando un varco, ma il Morphix era come gomma e lo rispediva indietro, impedendogli ogni via di fuga. «E questo dimostra che niente e nessuno ferma le Winx!» dichiarò la fata dei fluidi, strizzandogli l'occhio a nessuno in particolare. Helia cominciò a riprendersi. Si era risvegliato e si era rimesso in piedi, lamentandosi, mentre si posava una mano tra i capelli, sulla nuca. Flora sospirò, rincuorata. «Stai...» Helia si girò verso di lei e la guardò con una strana espressione. Non era più quella dolce e innamorata che era stata fino ad un momento prima che cadesse... adesso era diversa e somigliava a quella folle di Riven. Flora gridò per la sorpresa e, incredula e spaventata, si alzò in piedi. «He-Helia...» si ritrovò a balbettare, confusa, mentre gli occhi cominciavano a pizzicarle per le lacrime di dolore. Che cosa gli era successo? Dov'era finito il suo adorabile fidanzato? «Ehi, che cosa sta...» la voce di Aisha era lontana, da qualche parte alla sua sinistra. Le lacrime le impedivano di mettere a fuoco la stanza come si conveniva, ma qualcosa che la attrasse più di tutto il resto: la frusta di Helia che si attorcigliava attorno alla vita sottile di Aisha e la scagliava via come un oggetto senza valore. Inorridita e spaventata, Flora si posò le mani sulla bocca, per trattenere un urlo che le stava nascendo spontaneo. Le tornò in mente il racconto che le sue amiche, tornate da Alfea, le avevano fatto sulle Furie e su Domino e stavolta in tutta la loro forza e brutalità: gli uomini coraggiosi che avevano seguito le fate sul pianeta e che avevano cominciato a combattere contro di loro, uccidendosi a vicenda. Era quello che stava accadendo: stavano combattendo gli uni contro gli altri! Amici contro amici. Ed era la cosa più orribile che le Furie erano riuscite a combinare. «E ora tocca a te!» sibilò la voce di Helia, ma era una voce diversa, non quella del suo poeta. Era una voce fredda, vendicativa, aspra che non gli riconosceva. Scacciò le lacrime e, sebbene tremante, trovò la forza di alzarsi in piedi. «Helia, ascolt...» la frusta partì senza che quasi se ne rendesse conto. La schivò all'ultimo, lanciandosi di lato e facendo una capriola che finì malamente, quando, con la testa, colpì la gamba di un tavolo. «No!» la voce di Aisha la riscosse e le fece guardare nella sua direzione, alla sua sinistra. Helia fece fischiare nuovamente la sua frusta e lei volò in alto, schivandola un'altra volta. La fata dei fluidi scagliò il suo Morphix, ma anche quello parve inutile perché il ragazzo si gettò di lato, facendo sì che il Morphix avvolgesse un tavolino invece che lui. Helia finì tra Aisha e Flora che, ancora a terra, era ancora troppo scossa per reagire. Non poteva combattere contro il suo stesso ragazzo: aveva già combattuto contro Riven e l'aveva imprigionato nei suoi rampicanti. Era rimasto coinvolto anche il produttore di Musa che si stava ancora muovendo forsennatamente dall'interno del Morphix di Aisha; le Furie le costringevano a soffrire. Era questo il loro scopo: far colpire loro le persone che amavano di più, facendo sì che le loro sorelle potessero afferrarle. Una forte rabbia si fece strada in lei, ma non sapeva a chi rivolgerla e non voleva di certo farlo contro Helia. «Siete orribili!» gridò all'aria. «Orribili! Non combatterò contro il mio ragazzo! Non potete costringermi a farlo!» Helia si voltò e i suoi occhi si strinsero di nuovo, il suo ghigno si fece ancora più largo; il suo braccio si tese verso di lei, mentre Aisha gridava qualcosa oltre le spalle dello Specialista, ma di nuovo Flora non riusciva a sentirla perché si sentiva in un mondo a parte, in un mondo dove non c'era nessuno, a parte lei e Helia. Erano soli, da qualche parte, un luogo vuoto e nero, senza confini. «Non combatterò.» dichiarò lei; la sua voce rimbombava ed era rabbiosa, rispecchiava molto il modo in cui si sentiva e le sue mani strette a pugno, tremanti, ne davano un'idea a chiunque si trovasse di fronte a lei. Non c'era più Helia, si rese conto; era qualcun altro di cui non riusciva a distinguere il volto, ma era quasi sicura che fosse lui. Non sapeva chi le desse questa consapevolezza. Voleva che fosse lui. Non voleva essere sola in quel mondo. Flora non era forte come Bloom, ne era consapevole. «Non combatterò contro di te, Helia. Ovunque tu sia e qualunque cosa tu faccia... so che sei buono e che sei stato controllato da una Furia. Non è colpa tua e io ti perdono, per qualunque cosa tu stia facendo.» Abbassò lo sguardo e chiuse gli occhi; la rabbia pian piano passò e Flora attese che Helia si muovesse e che la finisse. Era inutile arrabbiarsi con qualcosa che non si poteva vedere e che si comportava in modo così meschino. Provava pietà, non rabbia. Attese, sì. Ma attese invano. Un tonfo sordo di un qualcosa di pesante che cadeva la fece sussultare e riaprire gli occhi. Il mondo nero era sparito e, al suo posto, c'era il bar in cui avevano combattuto contro Riven e Jason Queen. Era distrutto, pieno di piante rampicanti e vetri, corpi di persone distese e dormienti, del tutto ignare di quello che era capitato. E, di fronte a lei, ai suoi piedi, il corpo di Helia, le cui braccia erano distese sopra la sua testa, il volto girato verso la destra, gli occhi chiusi. Flora sentiva di non capirci più niente. Sollevò una mano per toccarlo, scuoterlo e chiedergli cosa fosse successo, ma il grido di Aisha glielo impedì. «Non lo fare!» le diceva, lasciando andare un tubo di ferro. «Dove l'hai preso quello?» Aisha gettò il tubo e allungò una mano su Helia. Lo imprigionò dentro un budino di Morphix. «L'ho preso da lassù.» indicò il tetto, con una leggera aria preoccupata. Aisha si avvicinò a lei e, dopo essersi inginocchiata, la prese per le spalle per costringerla a rimettersi in piedi con lei. «Ma cosa è successo?» domandò confusa Flora. «Non c'è tempo, adesso.» nella voce di Aisha si sentiva tutta l'urgenza del momento. «Dobbiamo tornare subito a casa: Musa ha bisogno di aiuto: credo che sia stata catturata da una Furia.» |
Capitolo 11
*** Un aiuto inaspettato ***
Capitolo 11 Un aiuto inaspettato
A Stella sembrava che camminassero da ore. Aveva perso il conto di quante svolte avevano fatto e il freddo e l'odore di umidità e di muffa non faceva altro che aumentare il suo malumore. Terchibald continuava a camminare in perfetto silenzio, sicuro come se fosse all'aperto; neanche Tecna sembrava molto intenzionata a parlare, Bloom era svenuta e Tony... lei voleva proprio lasciarlo perdere. Era tutta colpa sua se si trovavano in quella situazione, se erano arrivate su Flabrum, se la vita di Roxy era appesa ad un filo in modo sempre più incalzante, e se dovevano essere aiutate dall'uomo più silenzioso che la Dimensione Magica avesse mai partorito. Era colpa sua se, invece che su Domino, erano su un pianeta fatto di maleducati che non permetteva loro di muoversi come meglio credevano, travestite da soldati in scomodissime divise di un colore che la faceva sembrare smorta. «Ehi, Terchi?» chiamò. La sua voce rimbombò nell'oscurità e la cosa la spaventò al punto che si coprì la bocca con la mano, come se questo avesse potuto in qualche modo negare il fatto che avesse parlato a voce troppo alta. Tony gridò, mentre il resto sveglio della compagnia, che le camminava davanti, si voltava di scatto. «S-scusate.» balbettò lo Specialista, rivolto al capitano che gli rivolgeva la stessa occhiata omicida che era apparsa sul volto di Tecna, benché la fata della Tecnologia fosse rivolta a Stella. «Mi ha... spaventato.» «Non vi avevo chiesto di tacere?» sibilò Terchibald e la sua voce risuonò nel vuoto di quel corridoio oscuro tanto quanto quelle di Stella e Tony. «La segretezza, ora, è tutto ciò che ci divide dalla morte.» «Oh, non farla tanto lunga!» sbottò la fata del sole e della luna, di malumore. «Piuttosto, quanto manca alla destinazione?» Terchibald si girò nella direzione che stavano seguendo. «Abbastanza perché usiate tutta la cautela possibile. Entreremo in un tunnel sospeso fino all'Isola di Tramontana e, anche se non potranno vederci, saremo comunque all'aperto e ciò significa che potranno facilmente sentire le nostre voci.» Stella si piegò su Tecna. «Secondo te,» borbottò, sperando di non farsi sentire, senza però rendersi conto che il tunnel in cui si trovavano amplificava magicamente tutte le voci, anche le più basse. «è normale che su questo pianeta si parli un linguaggio così... antiquato?» Tecna alzò lo sguardo sul soffitto nero. «Stella, Flabrum è un pianeta molto lontano dal resto della Dimensione Magica. È normale che il loro linguaggio si sia sviluppato in modo differente, non risentendo dell'influenza degli altri.» Stella, confusa, si limitò ad osservarla. Tecna sospirò e guardò Terchibald per dirgli che erano pronti a ripartire, ma Terchibald guardava nel buio da dove provenivano con una strana forma di nostalgia. Entrambe le Winx capirono che il soldato di Flabrum sentiva il desiderio di tornare indietro e di aiutare i suoi compagni rimasti a fronteggiare il nemico, composto da soldati che, come gli altri, avevano servito Auster al suo fianco. Stella trovava che fosse crudele. Il solo pensiero che, un giorno, avrebbe potuto trovarsi a combattere contro le Winx o gli Specialisti le dava il voltastomaco. Odiava le guerre ed era felicissima che suo padre fosse figlio unico e di esserlo lei stessa: non le sarebbe piaciuto affatto dover avere un fratello assetato di sangue che non si sarebbe fatto scrupolo ad ucciderla per prendere il suo posto. «Cosa starà succedendo, nella base?» domandò. Terchibald abbassò lo sguardo. Aprì la bocca e, quando parlò, la sua voce fu ferma e dura: «I miei compagni stanno morendo per dare a me la possibilità di aiutarvi. Vi conviene seguirmi senza fare altre storie o perdere altro tempo.» Stella guardò Tecna e infine Bloom, ignorò Tony e si fece forza. Doveva andare avanti anche per quell'uomo di cui capiva i sentimenti. Perciò gli diede una pacca sulla spalla coperta dal mantello bianco gemello del suo. «Ce la faremo, vedrai. In fondo, siamo le fate guardiane della Dimensione Magica, di noi puoi fidarti. Sei in una botte di ferro!» Terchibald la osservò per un secondo, come chiedendosi se stesse parlando seriamente, poi, senza dire un'altra parola, riprese a camminare. Stella sentì la furia montarle dentro. «Non ci posso credere!» sibilò, ma ottenendo comunque l'effetto di un ululato. «E' maleducato proprio come quel Zephiro!» Tony le passò davanti e affiancò Tecna passandosi una mano tra i capelli. Con l'altra giocherellava con la spada. «Signorina Tecna!» esclamò. «Anche tu sei in una botte di ferro! So che sei preoccupata, ma non temere, io ti proteggerò!» Quando Tecna si voltò a guardarlo, lo Specialista arrossì e abbassò lo sguardo. La fata della Tecnologia si voltò allarmata verso Stella che, invece, era in vena di sogghigni. «Non parlavi sul serio, prima, vero?» domandò. «Non crederai davvero che...» fece una smorfia inequivocabile. La risata di Stella, che era più che altro una sghignazzata, trillò nell'aria. «E' vero come il bellissimo abito che ho comprato l'altro giorno. Anche se, adesso, mi sembra più un sogno.» Tecna scosse la testa e la fata del sole non ebbe difficoltà a capire la ragione: alla sua amica non piaceva per niente che le si parlasse di abiti, soprattutto se era un momento critico. Ma era proprio per questo che Stella lo faceva: per non pensare sempre e solo a quello, per non farsi sopraffare dal panico e dalla voglia di strillare. Si accorse in quel momento di quanto Bloom le mancasse. Non avrebbe mai alzato gli occhi al cielo o scosso la testa, ma avrebbe sorriso come solo lei sapeva fare e l'avrebbe ascoltata. Con Tecna non c'era proprio gusto a descrivere un abito, anche se era bello come quello che aveva trovato in un'occasione imperdibile al centro commerciale di Gardenia. Sconsolata, si guardò alle spalle, dove c'era Bloom distesa sulla sua barella che si spostava placidamente sollevata da terra di soli pochi centimetri. Sembrava che dovesse svegliarsi da un momento all'altro, che dovesse stropicciarsi gli occhi e chiedere che cosa fosse tutto quel trambusto. Ma Stella sapeva che non l'avrebbe fatto e la cosa la faceva sentire sempre peggio. Il fatto di essere stata lei la responsabile della liberazione delle Furie doveva averla resa molto vulnerabile e, di conseguenza, era diventata un bersaglio molto facile. Stella credeva che fosse tutta colpa sua, se erano arrivati a quel punto: Bloom era la sua migliore amica e pertanto avrebbe dovuto starle molto più vicino di come aveva fatto. Invece, era andato tutto storto, non era stata attenta ai suoi sentimenti. Si sentiva egoista. Ricacciò indietro la lacrime, anche se con difficoltà. Cercò di concentrarsi su Tony che si muoveva davanti a lei e allungava un braccio, e poi l'altro al ritmo dei suoi passi, con la schiena dritta al punto che si era anche un po' arcuata all'indietro, come se sul petto avesse una specie di peso. Anche in mezzo alle sue sensazioni e al suo sempre più acuto senso di colpa, non riuscì a non notare che lo Specialista stava tentando di imitare la camminata cadenzata e marziale del capitano Terchibald. L'incedere di quest'ultimo, però, era elegante e gli conferiva qualcosa di affascinante che catturava l'attenzione. Tony non avrebbe potuto mai raggiungere quell'aura di potere ed eleganza, neanche se fosse stato addestrato alla stessa dura vita dei soldati di Flabrum: era un perfetto imbranato anche con le armi. E poi aveva le gambe storte. Stella non riuscì a non ridacchiare. «Che c'è?» domandò Tecna. «Niente... è che pensavo a...» non lo disse, ma ridacchiò di nuovo. Tecna rinunciò a capirci qualcosa. Sospirò ancora, poi alzò di nuovo lo sguardo verso Terchibald. «Capitano, come mai questo tunnel ha questa curiosa acustica?» «E' stata concepita come un'arma difensiva.» raccontò l'interpellato, dopo un'evidente attimo di esitazione. A Stella cominciava a stare davvero stretto, quel tunnel polveroso e odoroso di muffa. «Se qualcuno penetrasse nella base, anche per sbaglio, e emettesse un suono qualunque, allora verrebbe sentito all'istante. Questo permette di anticipare le mosse di un possibile avversario.» Stella sussultò dall'orrore: non doveva essere un genio come Tecna per capire che, se era così, allora loro avevano emesso un suono di troppo. «E allora perché non stiamo correndo come se avessimo le Trix alle calcagna?» «Credo che sarebbe inutile: portiamo una barella che ci rallenta e il tunnel che stiamo per affrontare è troppo pericoloso per essere percorso correndo. Meglio mantenere quest'andatura, oltre che la calma, principessa.» «Beh,» commentò Tecna. «almeno sapremo se qualcuno ci è alle calcagna.» Terchibald annuì. «Deve essere una magia davvero fantastica.» incalzò la fata della tecnologia, ammirata. «Nella Dimensione Magica non abbiamo mai visto incantesimi di questo genere. Sono sicura che Musa l'apprezzerebbe.» «Già.» rispose Stella, ma non entusiasta come la sua amica. «Per me, invece, è una noia. Questo posto puzza!» «Questo è un condotto antico, talmente tanto che è difficile stabilire quando fu effettivamente creato. E la magia di cui è permeato è davvero prodigiosa.» dichiarò Terchibald, nella cui voce era comparsa una sfumatura d'orgoglio. «Si sa solo che nessuno è stato in grado di riprodurlo. Gli antichi maghi guerrieri di Flabrum erano potenti, molto più di quanto lo siamo noi adesso. Se vedrete incantesimi così, in futuro, saprete che provengono da qui.» «Ne avevo sentito parlare, in effetti.» riferì Tecna, entusiasmata. «Ma non avrei mai creduto di poterne vedere uno così da vicino. È un vero peccato che sia nell'ordine naturale delle cose: alcune parti della nostra cultura vengono distrutte dal tempo o dall'incuria. Le civiltà, come tutto quanto, sono costrette a morire prima o dopo.» Stella cominciò a sbuffare in modo vistoso: stavano parlando di cose che, per lei, erano completamente fuori da ogni pensiero razionale. Troppe parole difficili, troppi concetti che le si confondevano in testa e non prendevano mai forma. «Non farebbe male poter contare su quelle antiche civiltà, a volte.» commentò Terchibald, in tono impotente. «Dobbiamo fare con quello che abbiamo. E usare la logica.» rispose – ovviamente, pensò Stella – Tecna. «E la logica mi suggerisce una domanda: non potrebbero anche aver deciso di aspettarci all'uscita?» La risposta di Terchibald, inizialmente, fu una risatina. «Sei una fata davvero in gamba, principessa di Zenith. Saresti un ottimo soldato di Flabrum.» «Preferiamo chiamarci fate, grazie.» replicò Stella. Tecna le posò una mano sulla spalla, mentre continuavano a camminare l'una di fianco all'altra, con Tony alle calcagna. «Stella, credo che volesse farci davvero un complimento. Su questo pianeta, è un grande onore essere dei soldati dell'Esercito dei Venti! Anche l'ultimo dei soldati di Flabrum viene ritenuto degno della più alta considerazione e, dicendo a chiunque, di essere degno di lui, non è sminuirlo, ma attribuirgli valore, un grande valore.» «Beh, sarà, ma non mi azzarderei mai ad arruolarmi, sapendo che non mi permetterebbero di indossare altro che un abito del tutto fuori moda!» Tecna le rivolse un'occhiata esasperata. «Non si tratta di questo, Stella. È semplicemente parte della cultura di questo pianeta. È come chiedere ad uno di Flabrum di indossare un abito sgargiante perché è fa parte della cultura del tuo paese. È una cosa che, forse, li farebbe rabbrividire.» L'espressione di Stella divenne disgustata. «Come può far rabbrividire un po' di colore, dopo tutto questo mortorio di blu e di bianco?» Tecna lasciò ricadere la mano lungo il fianco, sconsolata. «A volte è impossibile ragionare con te, Stella.» «Parlo seriamente!» protestò lei. «E' proprio questo che mi preoccupa.» «Ehi, come ti...» il ringhio di Stella si perse nel vuoto: la voce di Terchibald riecheggiò nel vuoto del tunnel e il suo tono aveva perso tutta la sua leggerezza. «Ora statemi molto vicine:» disse, asciutto. «non ci potranno vedere, ma la strada che stiamo per percorrere è invisibile.» «Cosa?» sbraitò Stella. «Invisibile? E come facciamo a camminarci sopra?» Se Terchibald trovò irritante il tono stridulo della fata non lo diede a vedere. «Il corridoio finisce dentro una corrente ventosa che è una strada fatta di vento e magia che collega questa Isola, con quella di Tramontana. Il problema è che non rimane fermo. Provate a pensare a una corda tesa in balia del vento: vibra. In un certo senso, quella strada fa la stessa cosa, solo che invece di limitarsi a scuotersi cambia forma e si contorce, proprio come un serpente. Dovrete starmi molto vicine, o potreste cadere nel vuoto e venire inghiottite nella nebbia che ricopre il pianeta.» «S-serpente? Io odio i serpenti.» balbettò Tony, interrompendolo, ma si accorse presto dell'occhiata delle due fate e allora si mise impettito di fronte a Tecna. «Non temere, signorina! Non devi avere paura dei serpenti se ci sono io con te! Quelle brutte bestiacce viscide non ti toccheranno! Non permetterò che ti mettano gli occhi addosso!» «Ehm... ti ringrazio, Tony... anche se... il capitano Terchibald non parlava di un serpente vero.» sospirò Tecna, trovando stupefacente come si fosse aggrappato ad una parola piuttosto che alle grosse implicazioni che avrebbero potuto esserci, nel caso in cui avessero sbagliato strada. Il ragazzo la guardò e gli occhi cominciarono a brillargli. «Seguimi, signorina Tecna!» «Ehm... okay, Tony.» fu la risposta imbarazzata di Tecna. Stella si chiese cosa sarebbe successo se Timmy fosse stato lì con loro ad osservare quello strano quadretto. «Dimmi un'altra cosa, capitano:» continuò la fata della tecnologia, per scacciare l'imbarazzo. «anche se questo sentiero vibra, la sua lunghezza rimane la stessa... giusto?» Lui sospirò, ma anche se nel suo tono sentì rammarico, Stella non poté non notare che Tony si era molto rabbuiato per essere stato subito messo in secondo piano, in favore di Terchibald. Tutta quella situazione, con Timmy presente, sarebbe stata davvero uno spasso. «Sì.» fu la risposta del capitano. «Ma a volte, ci vogliono dei giorni per arrivare dall'altra parte. Perché non è facile intuire l'esatta posizione della strada ventosa.» «Dei giorni?» gridò Stella e la sua voce parve arrivare oltre il soffitto puzzolente di quel tunnel oscuro. Lo aveva seguito appena, con tutto quello che le passava per la testa, ma le era bastato sentire le ultime parole del capitano per farle tornare tutta intera la preoccupazione, aggressiva come non mai. «Non abbiamo dei giorni, caro il mio bellimbusto! Bloom e Roxy sono in bilico tra la vita e la morte! Non capisci che non abbiamo un minuto da perdere? Domani potrebbero essere già morte!» L'uomo si voltò a guardarla. «Lo so, e mi dispiace. Ma è l'unico modo di raggiungere l'Isola di Tramontana in sicurezza. Forse dovremo pensare di lasciare qui...» «Mai!» gridò Stella isterica, stringendo i pugni. Sentiva gli occhi pungerle e un singhiozzo sfuggì dalle sue labbra. «Non lascerò mai la mia amica qui, a marcire per l'eternità, neanche se fosse davvero tutta una questione di vita e di morte! Te lo puoi scordare, capitano! La verità è che non ti stai impegnando abbastanza! Tu vorresti solo essere lì a morire come tutti gli altri soldati! Non me ne importa niente della sicurezza! Voglio solo salvare Bloom e Roxy e tu non me lo impedirai con la tua inettitudine!» «Stella...» Tecna non riuscì a completare la frase, la mano che voleva posare sulla spalla della sua amica si fermò a mezz'aria: un'altra voce di materializzò come da un altoparlante, una voce autoritaria, sconosciuta, ma che ebbe il potere di far irrigidire non solo le due Winx e lo Specialista, nascosti nelle divise dei soldati di Flabrum. «Arrendetevi,» diceva una voce che sembrava provenire da appena dietro di loro. «non potete sfuggirci ancora per molto. L'Isola è caduta e Tramontana sarà presto in mano nostra. Non avete nessuna possibilità di scappare. Arrendetevi e non vi verrà fatto alcun male.» Terchibald aveva lanciato uno sguardo penetrante dietro di sé, poi si era fermato del tutto. Nessuno parlava, neanche Tony che, divenuto paonazzo, aveva stretto forte l'impugnatura della sua spada rosa shocking e la rivolgeva contro gli invisibili nemici, una volta verso il punto da cui era arrivata la voce e una volta dall'altra parte, quella dove una volta avrebbe potuto esserci una possibilità di salvezza. Erano in trappola, Stella cominciava a sentire il cappio del boia intorno al collo. Guardò Tecna che, immobile al fianco di Terchibald, stava esaminando le loro opzioni. Ormai non c'era altra speranza se non quella di affidarsi ai propri poteri. Guardò la sua amica e non poté fare a meno di voler prendere la sua mano per ricevere un po' di conforto. Era più forte di lei: la paura, mista all'impotenza rendeva l'attesa ancora più terribile. Una parte di lei le urlava di scappare, ma lei non l'ascoltava, rimaneva ferma e risoluta a guardare il buio lontano. Non potevano uscire: c'erano tre pesi da trasportare e le fate ancora in grado di volare erano solo due. E scappare usando lo Zoomix... per andare dove? Il pianeta di Flabrum era inospitale, era diverso da qualunque altro loro avessero conosciuto, più diverso perfino della Terra. Usarlo avrebbe potuto rivelarsi fatale e allora chi avrebbe salvato Bloom e Roxy? Chi avrebbe sconfitto le Furie? Tony continuava a brandire quell'arma. Stella dubitava che sapesse come usarla e, comunque, aveva ragione di credere che non sarebbe servito a molto, anche se fosse stato un maestro di spada. Tecna strinse la presa e guardò la fata del sole. Non si erano mai sentite così vicine come in quel momento. Stella lo sentiva. Stavano pensando alla stessa cosa: combattere fino all'ultimo per la salvezza delle loro amiche. Annuì e Tecna lo fece a sua volta. Erano pronte a tutto, adesso. Non potevano scappare, sapendo ciò che c'era in gioco. Lo stomaco le si contrasse, quando pensò a Brandon e al bisogno che lui fosse lì a darle una mano, al fatto che fosse lui a tenerle la mano nei loro ultimi istanti di libertà, prima che i soldati dell'esercito divenuti nemici li catturassero... o li uccidessero. E pensò anche a Bloom che, col suo carattere deciso, avrebbe fatto forza a lei e Tecna e deciso un piano di battaglia folle, ma sicuramente vincente. Invece non c'erano nessuno dei due. Brandon era sulla Terra, Bloom a terra svenuta, incapace di reagire. Una voce lontana cominciò a sussurrare qualcosa nel suo orecchio, era una voce incorporea, che non aveva consistenza. Le sue parole erano così lontane che era difficile udirle, ma tentò di scacciarle via scuotendo la testa, senza alcun successo. Decise di ignorarle. «Winx.» la voce di Terchibald le fece sussultare. «Le nostre strade qui si dividono.» «Non fare mosse avventate, Terchibald.» la voce proveniva dal fondo del tunnel oscuro, ma Stella dubitava che fossero rimasti fermi come loro. «Consegnaci le ragazze e verrà risparmiata loro la vita.» «Andate in fondo al tunnel e seguitelo. Non dovrebbe essere difficile per la fata della tecnologia trovare la via, anche senza di me. Trovate una navetta. Sono sicuro che ce la farete ad uscire: siete sopravvissute entrando, lo farete uscendo.» «Terchibald, hai forse deciso di morire?» Terchibald ignorò la voce carica di rabbia così vicina, il cui proprietario era ancora invisibile. «Andate. Non possono trovarvi finché sarete nel tunnel.» «Ti darò una mano.» si offrì Tony, spada alla mano, affiancandolo dall'altro lato rispetto a Tecna. «I-io... farò qualunque cosa per aiutare le signorine Winx a salvarsi!» «Uccideresti dei ragazzini solo per la tua testardaggine, Terchibald?» Il capitano sorrise verso il tunnel nero. «Andate, anche tu, Specialista. Andate e salvate le vostre amiche.» «Verrai condannato a morte, Terchibald.» «Allora morirò da uomo libero.» la voce di Terchibald non avrebbe potuto essere più risoluta. La voce nella testa di Stella riprese a parlare, stavolta con più convinzione, ma non sapeva cosa fosse, ancora non riusciva a distinguere le sue parole. Non si era mai sentita così sola, così inutile. Non poteva lasciare che quell'uomo, per quanto cafone, si sacrificasse per lei... voleva fare qualcosa, ma non poteva. E le lancette dell'orologio scorrevano in fretta. «Ma... sei sicuro?» domandò Tecna, dando voce ai suoi pensieri. «Andate.» le esortò di nuovo il soldato e fece un cenno verso il punto che avrebbero già dovuto raggiungere. «Non rallentate. Seguite sempre il sentiero e, se incontrerete alcuni dei soldati con una banda rossa al braccio...» sul suo viso si formò un sorriso che aveva qualcosa di letale che fece rabbrividire entrambe. «usate la vostra immaginazione, mie giovani fate.» Stella avrebbe preferito che non lo dicesse. Non credeva di poter porre fine ad una vita così a cuor leggero, neanche per tutto l'oro del mondo: era una Fata Guardiana, lei. «Conto su di te, Specialista, per la loro incolumità.» «Questi bellimbusti dovranno passare sul mio cadavere!» promise Tony sollevando la spada in alto, ma facendole fare un giro così pericoloso che, per poco, non avrebbe tagliato il naso di Terchibald, se questi non si fosse spostato in tempo. Meno male, pensò Tecna, che i soldati di Flabrum avevano anche i riflessi pronti. La voce sconosciuta proruppe in una risata che riecheggiò sul soffitto basso del tunnel, facendo rizzare i capelli in testa a Stella. «Cosa speri di ottenere, Terchibald?» domandò, in tono canzonatorio. «Diventeranno una facile preda molto presto.» Terchibald non colse la provocazione, fece solo un altro cenno. Tecna fu la prima a riprendersi e ne fece uno a sua volta, di commiato e a Stella parve tanto un addio. Era inutile, e questo lo confermava una volta di più. La fata più luminosa della Dimensione Magica era perfettamente inutile. Si sentì trascinare via da Tecna, mentre alcune lacrime le rigavano il viso. Camminavano a passo spedito verso l'esterno che si faceva sempre più vicino. Bloom le seguiva da vicino, mentre Tony, per una volta, apriva la strada con la spada sguainata e la sua camminata da paperotto. Un'apertura, in fondo al tunnel, mostrava un cielo chiaro e rosato, segno che l'alba era vicina, anche l'aria si era raffreddata e i loro capelli cominciarono ad essere scompigliati da una leggera brezza. Il buio, ormai, era alle spalle. Dovevano averci messo tutta la notte, ma ormai erano arrivati in fondo, ce l'avevano fatta, anche se a Stella sembrava che l'oscurità fosse appena arrivata, dentro di lei. Non c'era sollievo. Perché non c'era garanzia di riuscire a raggiungere l'Isola di Tramontana e la navetta che il comandante Adalhard aveva loro promesso. Stella sentiva sempre meglio la voce nella sua testa. Ad ogni passo che faceva verso l'uscita, riusciva a distinguere sempre meglio le parole, a dare loro un significato preciso, un significato invitante. Era come se le sussurrassero un bisogno di qualcosa che non aveva, sicurezza, desiderio di allontanarsi dal mondo per cui era inutile. Le diceva di arrendersi, perché non c'era più niente da fare. Eppure lei cercava di lottare, di dirsi che c'era ancora qualcosa, che, finché fossero state libere ci sarebbe stata speranza, avrebbero combattuto contro cento uomini, prima di dichiararsi sconfitte. Era così che avrebbe fatto Bloom. Ma la voce era comunque forte, continuava a ribattere, a dirle che non era il caso di farlo, perché sarebbero state comunque sconfitte. Lascia perdere, Stella, lascia perdere, non ne vale la pena. Bloom morirà ugualmente. Roxy morirà, e anche Tecna, quello sciocco di Tony e persino Terchibald, che si sta sacrificando per voi... se non foste scappate, forse ci sarebbe ancora una possibilità per lui, ma ormai è fatta. Arrenditi, Stella, non c'è motivo per combattere, non puoi fare niente. Sei inutile. Stella si fermò, impossibilitata a proseguire. Era come se le gambe non le ubbidissero più. Chiedeva loro di andare avanti, ma non potevano, non ci riuscivano, perché era come diceva la voce: era inutile. Era la sua impotenza, la sua sfiducia, quella che aveva criticato tanto ai soldati di Flabrum e che aveva curato con il suo potere, a ridurla in quello stato. La voce aveva ragione. Stella sapeva che era una Furia, e che era venuta a prenderla. L'aveva sentita avvicinarsi e, pian piano, senza volerlo, si era lasciata sedurre dalle sue parole senza fare altro che aspettare che gli eventi prendessero forma. Non aveva fretta, la Furia. «Stella!» la voce di Tecna era così lontana... Non valeva neanche la pena di starla a sentire, perché non avrebbe potuto fare niente per lei. Nessuno poteva. La Furia era lì per lei, così come era arrivata per Bloom e per Roxy. Non opporre resistenza, Stella. Arrenditi. Stella chiuse gli occhi, la voce di Tecna proveniva da un baratro e la chiamava a squarciagola, da qualche parte, in un mondo che non le apparteneva più. Quando li riaprì, il mondo era cambiato, era nero proprio come il tunnel, ma non c'era nessuna luce, lì in fondo, non c'era vento, in quello spazio sconfinato, fatto di disperazione e resa. C'era solo lei, che ne era il centro, e una figura fumosa che la guardava da sotto un cappuccio. Cercò di guardarvi attraverso, ma non ci riuscì; era tutto nero, un vuoto senza fine dentro di esso, proprio come al di fuori. Capì che la Furia non aveva volto. Stella, Stella, ti prego, reagisci, non farti prendere dalla Furia! «Tecna è proprio sciocca. Non si è ancora arresa.» disse la Furia, in tono dolente. «Ma tu sì.» Stella non parlò. Riusciva solo a guardare dentro quel cappuccio. Aveva pensato che avrebbe visto qualcosa, dentro di esso, dal quale usciva quella voce così triste, la voce di chi, ormai, non aveva più alcuna utilità nella vita. Era proprio come lei. Anzi, no, era diverso, la Furia era lei, era stata lei a crearla, a chiamarla. Ora capiva cosa aveva voluto dire Bloom, quando aveva parlato di quello che le era successo, quando aveva detto che era stata lei a chiamarla e di averla sempre conosciuta. Sapeva tutto ed era tutto vero. Quella che aveva davanti, quella minaccia senza volto, era reale tanto quanto quello che provava dentro di sé. Stella, Stella, ti prego, non arrenderti alla Furia! Non farlo, Stella! Stella! La voce di Tecna somigliava sempre di più ad un'eco. «Lasciala stare, Stella. Vieni con me.» Stella non si mosse. «Dove?» chiese. Le parve quasi di percepire un sorriso su una bocca che non esisteva. Era una cosa che non aveva senso, ma allo stesso tempo, non avrebbe potuto essere diversa. «Nel mio mondo.» Stella, Stella! La fata del sole e della luna scacciò la voce della fata della tecnologia con un gesto impaziente. «E quale sarebbe il tuo mondo? Troverei anche Bloom?» La domanda aleggiò nel teso silenzio che seguì. «Sì.» «E anche Roxy?» «Sì.» «E allora portami lì.» Stella! Non puoi lasciarmi, non puoi farmi questo, non puoi fare questo a Bloom e Roxy! Ti prego, torna in te, torna in te, piccola testarda! Sei la fata del sole e della luna, una Fata Guardiana, non puoi abbandonare tutto senza combattere! Quelle parole la toccarono fino in fondo al cuore. Strinse i pugni e le lacrime cominciarono a scendere copiose sulle guance. Tecna aveva ragione, lei era una Fata Guardiana, lei doveva proteggere il suo mondo, aveva delle responsabilità nei confronti della sua gente e della vita; e voleva salvare le sue amiche. Ma non poteva, non ne aveva la forza. Non ne aveva i mezzi. Era inutile. «Abbandonerai la tua amica?» domandò la Furia della Debolezza, allora, curiosa e paziente, come se non le importasse molto di perderla in quel momento oppure in un altro. Sarebbe tornata, era questa la verità e Stella lo sapeva. Anche se l'avesse lasciata – e sapeva di poterlo fare, di essere ancora abbastanza forte per farlo – quella sarebbe tornata, prima o poi. La fata si guardò intorno cercando di sondare quel vuoto impenetrabile, naturalmente senza riuscirci. Abbassò lo sguardo, vergognandosi molto di quel che stava facendo a Tecna che ancora la chiamava da quel mondo lontano che lei aveva lasciato. Ma non poteva tornare in un mondo dove non aveva nessun potere. «Portami dove devi. Andiamo.» La Furia annuì. La voce di Tecna raggiunse livelli tali da rompere l'immobilità. Stella cominciò a sentirsi debilitata e quasi perse l'equilibrio. Fu quello l'attimo in cui vide che la Furia stava avventando su di lei famelica e brutale. E Stella capì che non avrebbe potuto fare niente, una volta che la Furia l'avesse presa. Ormai non c'era più niente da fare. Non aveva senso resistere. Aveva scelto. Era stata ingannata. Stella urlò. Una luce misteriosa si frappose tra lei e la Furia, ma non era Stella, non era lei quella che emanava quel calore, quella voglia di vivere, quel bisogno di combattere che lei aveva perso. Era una sensazione che aveva dimenticato da quando aveva cominciato a correre in quel tunnel, una sensazione che la riscaldava fino in fondo al cuore. La Furia cominciò a gridare e a contorcersi in quel mare di luce, in cui lei era una macchia indistinta del nero della morte stessa. Stella la guardava ipnotizzata, incapace di distogliere lo sguardo, sapendo che era lei che permetteva tutto questo, con la sua rinnovata voglia di combattere. Lei non era inutile, lei poteva fare la differenza, lei era la fata del sole e della luna, proprio come aveva detto Tecna. Lei era la persona più vicina a Bloom, quella che avrebbe potuto salvarla e ora lo sapeva. Ne era convinta più che mai. Si concentrò al massimo e respinse via gli ultimi rimasugli di quel sentimento così nefasto che aveva permesso alla Furia di nutrirsi. Con un ultimo urlo, la Furia della Debolezza esplose in milioni di frammenti; la luce fu talmente forte che Stella dovette coprirsi gli occhi. Un boato seguì la distruzione della Furia e, quando cessò, credette di essere tornata con Tecna in quel tunnel fatto d'aria di cui aveva parlato loro Terchibald. Ma non fu così. Era dentro un alone di luce calda e confortante. Eppure non era sola. C'era una figura con lei, la figura di una donna alta, vestita di abiti antiquati, forse, ma che conferivano al suo viso pallido un aspetto regale. I suoi capelli corvini cadevano giù in una chioma dal taglio scalato, ma le conferivano comunque una certa austerità. Con tutto questo, persino Stella, con la sua fissazione per la moda, dovette ammettere che era bellissima. Sapeva di essere al cospetto di una Regina, e non di una Regina qualunque. Sgranò gli occhi, capendo. «T-tu... tu sei...» La Regina sorrise, l'unico segno con cui Stella seppe di essere nel giusto. «Ma non dovresti essere...» «Salva le tue amiche.» rispose la Regina. «Hai questa unica possibilità. Porta loro il conforto di cui hanno bisogno. Porta loro la cura ai loro sentimenti negativi.» Stella la vide aprire le mani e porgerle qualcosa di inconsistente quanto pieno di calore. «Sicurezza nelle proprie capacità, serenità e perdono. Va', giovane fata. Salva le tue amiche. Proteggi Zephiro.» Stella non era sicura di aver capito cosa intendesse. Aprì la bocca per chiederglielo, ma la Regina aprì le braccia e un vento persino più forte di quello che avevano dovuto superare una volta a Linphea la colpì con tutta la propria forza. Stella si ritrovò sbalzata lontano da quel mondo di luce, sopraffatta dal potere di una fata in tutto e per tutto uguale a lei, ma con anni e anni di esperienza in più. La luce scomparve, la Regina pure. Stella si ritrovò nel mondo oscuro in cui aveva combattuto la Furia. Fu sicura di essere appena stata al cospetto della defunta Regina Auster, la madre di Zephiro, la Fata Guardiana di Flabrum, che era stata uccisa dal suo stesso fratello per il trono. Rabbrividì, ma non si fermò: aveva visto il suo spirito, che le aveva dato la forza per continuare a combattere e le era molto grata. La Regina aveva fatto un lungo viaggio dal mondo dei morti solo per farle avere la fiducia che le serviva per non farsi sopraffare dalla Debolezza. Stella strinse a sé quello che le era stato dato: la serenità e la fiducia in sé stessi, i rimedi per i problemi di Roxy e Bloom, come lo era stato per lei il coraggio che aveva perso. Era così bello sentirsi così, forti, pronte a tutto, utili a qualcosa, con delle armi a propria disposizione. E lei lo era, era pronta a tutto, era utile. Era degna di salvare le sue amiche, avrebbe potuto smuovere mari e monti per riuscirci. Non le fu difficile scegliere una strada da percorrere in quel vuoto nero, furono i sentimenti positivi che portava con sé a trovare la strada per lei, era come se sentissero dove si trovasse la loro controparte negativa e volessero fondersi con esse per eliminarle. Stella seguì quelle sensazioni. Camminò a lungo e per molto tempo, forse più di quello che le sarebbe servito perché quei sentimenti fossero efficaci. Ma poi trovò Bloom e Roxy, le trovò, vicine eppure così lontane, prive di coscienza, tra le braccia di alcune Furie che, non appena videro Stella, le sibilarono contro con i loro cappucci privi di volto. Avevano capito che era una minaccia. Stella strinse i luminosi sentimenti positivi e poi vide anche un'altra figura, poco più lontana. «Musa!» gridò. «Cosa ci fai anche tu...» Guardò le essenze luminose dei sentimenti che aveva tra le braccia: erano solo due. E servivano per Bloom e Roxy. Come poteva salvare anche Musa, se i sentimenti positivi erano solo due? Stava di nuovo per cadere in quel vortice dal quale era stata strappata, quando una voce nella sua testa, la voce del sentimento positivo che ancora albergava in lei, fece in modo che non perdesse la calma, le diede la forza necessaria per fare quello che doveva. Non lasciare che gli sforzi di Auster siano vani. No, Stella sapeva di non poterlo fare, sapeva di non poter tradire la fiducia che quello spirito aveva riposto in lei. Decise di provare. Decise che doveva riuscirci, per Bloom, Roxy e Musa. Per il Winx Club. Sollevò le braccia al cielo e liberò quei sentimenti insieme ai suoi poteri del sole e della luna. Per un attimo, riuscì a sentirli mentre si fondevano gli uni con gli altri e le Furie si dibattevano, gridavano, lontano, oltre quel muro di sole che era riusciva a creare nel vasto vuoto nero che era il regno delle Furie, quello dove imprigionavano le loro vittime. Il potere Believix esplose dentro di lei, permettendole di trasformarsi. Si librò a mezz'aria, divenendo un tutt'uno con quei poteri. Sentì una connessione particolare con Bloom, e Roxy e anche con Musa. Sentiva i loro sentimenti, l'angoscia di Bloom per essere stata la causa della liberazione delle Furie, l'Inadeguatezza di Roxy nei loro confronti, e la Disperazione di Musa a causa di Riven. «Svegliatevi, amiche mie!» esclamò, nel tono più autoritario che conoscesse. «Svegliatevi. Sono qui con voi, e non me ne andrò. Svegliatevi!» La luce che sprigionava divenne ancora più forte, la serenità si spezzò in due e colpì i petti di Bloom e Musa, la fiducia in sé stessi andò a posarsi su quello di Roxy. Tutte e tre li assorbirono, mentre le Furie, che si contorcevano, divenivano sempre più piccole ed evanescenti, al contrario delle loro urla che si facevano sempre più stridule e acute, chiedevano aiuto, chiedevano di essere risparmiate. «No, mai!» gridò Stella e sprigionò ciò che rimaneva del suo potere, spezzò il legame che aveva con i sentimenti positivi che andarono ad inglobare del tutto quelle Furie. Quelle si spensero come le fiammelle sulle candele di cera, una volta che il vento ci avesse soffiato troppo forte. Ma non fu un vento piacevole quello che investì Stella che, esausta, si lasciò scivolare giù, tra le nuove tenebre. Fu un vento di odio, di un odio così puro e viscerale da strapparle un gemito di dolore che la colpì al diaframma così forte da spezzarle il respiro. Le lacrime le rigarono il volto, mentre guardava nell'unica macchia dorata che illuminava una creatura visibile solo a metà, fumosa e terribile. Stella guardò attraverso di essa e sgranò gli occhi, capendo una terribile verità. Nel tunnel magico dell'Isola di Flabrum, intanto, Bloom apriva gli occhi, e molto più lontano, ad Alfea, Roxy cominciava a rendersi conto di non essere più nel bosco sulle colline di Gardenia. A Gardenia, Musa cominciava a muoversi nel sonno. |
Capitolo 12
*** Bruschi risvegli ***
Capitolo 12 Bruschi risvegli
Quello che Roxy percepì non appena fu completamente sveglia fu l'odore di disinfettante tipico degli ospedali. Il fatto che suo padre fosse accanto a lei e che dormisse con le braccia incrociate sul morbido materasso di quel lettino di ferro, le faceva capire che doveva essere davvero finita in ospedale. Solo non riusciva a spiegarsi la presenza di quello strano ragazzo vestito di una casacca blu, di un paio di pantaloni dello stesso colore, con ai piedi un paio di stivali neri di cuoio lucido, gli occhi di colori diversi e i capelli corvini, che se ne stava impettito di fronte al suo letto. Era molto alto e il suo fisico era asciutto e ben proporzionato. Roxy si sentì arrossire, non solo perché lo trovava molto bello, anzi, era probabilmente il problema minore: era il modo in cui lui la guardava, con quella curiosità puramente accademica, come se lei fosse una specie di fenomeno da baraccone, a metterla a disagio. “S-sei un infermiere?” si costrinse a chiedere, per rompere il silenzio e quello scambio di sguardi davvero troppo imbarazzante. Si maledisse per quanto era sciocca quella domanda e per quanto dovesse esserlo sembrata a lui: era troppo giovane, per essere un infermiere. Lui sbatté le palpebre. Il suo occhio destro era blu, di un colore che ricordava molto quelli di Roxy, mentre l'altro era dorato ed era, secondo lei, quello più inquietante, forse proprio perché era così particolare. Ma oltre alla bellezza, il ragazzo non sembrava avere il dono della parola. O almeno quello dell'educazione. Si voltò e afferrò la tenda tirata intorno al letto di Roxy senza degnarla di una risposta. Klaus, ancora, dormiva accanto a lei, non si era accorto di niente e forse era meglio così: non era detto che avrebbe preso così bene la presenza di quel ragazzo sconosciuto. “Ehi!” esclamò Roxy, per richiamare indietro lo sconosciuto. Lui si fermò e si girò quel tanto che bastava perché lei potesse vedere solo l'occhio dorato. Deglutì. Visto da quell'angolazione, sembrava non solo bello, ma anche regale. Tutto in lui, anche il più piccolo movimento, lo sembrava. E lei si sentì molto goffa, su quel letto, coperta solo da una misera coperta e da una camicia da notte rosa che, di sicuro, non era sua. “Dove stai andando, adesso?” “A chiamare Faragonda.” rispose solo lui. Aveva un timbro profondo, e il suo tono era gentile. Era un genere di voce che non aveva mai sentito e le venne da pensare che quel tipo dovesse venire di un altro pianeta. “No, aspetta!” gridò, ancora. Klaus si mosse nel sonno, ma non si svegliò. Il ragazzo si fermò e attese, senza parlare, che lo facesse lei. “Sai che fine ha fatto Artù?” Lui la valutò per un istante con il suo sguardo penetrante e non rispose. Roxy si sentì molto a disagio e cominciò a tormentare la coperta con le mani. “E' il mio cane.” si sentì in dovere di spiegare, per spingerlo a parlare. “Non vorrei che gli fosse successo qualcosa di male... io... io ci tengo molto e anche lui tiene molto a me. Non potrei mai perdonarmelo, se gli fosse successo qualcosa!” Quando alzò lo sguardo, credette che lui se ne fosse andato via senza ascoltarla e fu stupita di vederselo davanti, accanto all'apertura della tenda che aveva lasciato di nuovo andare. “Mi dispiace.” le disse soltanto. “Non l'ho visto. Non era con noi, quando... quando siamo partiti.” Il cuore di Roxy sprofondò e gli occhi le si riempirono di lacrime. Quel ragazzo le sembrava così freddo e insensibile, alla faccia della sua bellezza; non riusciva neanche a guardarlo negli occhi mentre stringeva più forte la coperta e singhiozzava, sperando che il suo adorato cagnolino stesse davvero bene. Non ricordava cosa era successo esattamente, sapeva solo che era stata con lui nel boschetto sopra Gardenia, lì dove ci sarebbe stata una gara di aquiloni, e che poi aveva avuto una strana sensazione. Era svenuta, quindi, e aveva perso ogni traccia di Artù. Ma dov'erano le Winx, adesso? E perché lei era sola con un ragazzo gelido e suo padre? “Che cosa mi è successo?” chiese, anche se non era sicura di voler ricevere una risposta. “Partiti per dove?” “Ti spiegherà tutto Faragonda.” rispose il ragazzo. Roxy credette di non capire. Scosse la testa. “L-la preside di Alfea?” Il ragazzo inarcò un sopracciglio. “Ovvio.” “Ovvio un cavolo!” sbottò in risposta lei, fissandolo in cagnesco, ma non ci riuscì per molto tempo, perché qualcosa nell'espressione smarrita sul volto di lui le fece perdere il cipiglio severo, in favore di una risatina, cosa che riuscì a mandarlo ancora più in confusione. Era il ragazzo più strambo che le fosse mai capitato di incontrare. “Comunque, io mi chiamo Roxy. E tu?” “Zephiro.” la risposta di lui sembrò arrivare ancora prima che avesse il tempo di comprendere cosa stava facendo. L'espressione stupita di lui pareva dare credito a questa teoria. E forse Roxy non era del tutto in torto. Decise di prendere la cosa a proprio vantaggio. Si mosse leggermente sul letto e lo fissò, cercando di assumere un tono quantomeno risoluto. “Dove siamo? E dove sono le mie amiche?” “Siamo ad Alfea.” lui sospirò. “E le tue amiche... le tue amiche sono partite.” “Partite? E per dove? E perché mi hanno portato ad Alfea? Cosa ci fa qui mio padre? E...” “Senti,” lui agitò le mani in aria, con l'intento di farla smettere di porre domande. “ti spiegherà tutto meglio la preside... io... io non ci capisco niente.” scosse la testa e sparì così velocemente che Roxy credette che volesse scappare da lei e dalle sue domande. L'ultima fata della Terra rimase immobile a guardare il paravento nel punto in cui era sparito Zephiro – così aveva detto di chiamarsi quello strano ragazzo – e a finire di porre quesiti sempre più ingarbugliati alla propria testa. Ogni volta che rifletteva su quello che era successo, incapace di capirci più di lui, tornava a pensare a lui e al suo strano nome, al suo portamento e alla sua scarsa loquacità. Si chiedeva chi fosse e come mai fosse stato con lei, nel momento in cui si era risvegliata. E, se era davvero ad Alfea, come poteva essere che ci fosse anche suo padre? Non riusciva a spiegarsi questa cosa. Forse era tutto uno scherzo della sua mente, magari era ancora addormentata e quel ragazzo era solo un parto della sua immaginazione. Decise di no, però: era difficile riuscire a sognare un tipo così poco attraente, lasciando perdere un punto di vista più puramente fisico. Perché era uno schianto, molto simile agli Specialisti, non possente come Sky o Riven, ma quello di Zephiro era un fisico che comunque si lasciava guardare con grande piacere. Arrossì, rendendosi conto di quali pensieri le stavano attraversando la mente. “Ma che cosa vado a pensare!” sbottò. Le era capitato altre volte di guardare dei bei ragazzi, ma mai come allora le sue emozioni erano state così forti. Il solo fatto di essere ad Alfea avrebbe dovuto farle un effetto maggiore, avrebbe dovuto occupare gran parte delle sue preoccupazioni e sogni. Era nella scuola per fate, la stessa che anche le Winx avevano frequentato prima di diventare le meravigliose paladine della gente di Gardenia, le coraggiose ragazze che l'avevano protetta dalla minaccia degli Stregoni del Cerchio Nero. Era in quel luogo che l'aveva messa in soggezione dal primo momento in cui ne aveva sentito parlare! Il solo nome, Alfea, che dava, in chi lo ascoltava, un senso di fiabesco e magico, per lei era sempre stato motivo di timore: un giorno, anche lei – così aveva detto Bloom – avrebbe studiato lì, sarebbe diventata una fata, avrebbe incontrato ragazze che volevano imparare la magia buona, come lei. Ma Roxy sapeva che non era così, che non erano come lei. Perché le altre ragazze che avrebbe conosciuto in quel futuro ipotetico, avrebbero saputo così tante cose sulla magia che lei neanche immaginava perché erano cresciute a stretto contatto con essa, fin dalla più tenera età. Lei aveva scoperto solo da pochi mesi di essere una fata, figuriamoci se poteva conoscere qualcosa del mondo magico. Sarebbe stata lo zimbello di tutta la scuola. Il nome di Alfea era terribile come il Cerchio Bianco che portava al dito e che, una volta, era stato il tramite che aveva permesso a Nebula di possedere il suo corpo. Era ancora lì, quel dannatissimo costrutto magico, e sembrava scintillare più che mai, forse per via dell'aria che lei stava respirando. Non era più densa, non sapeva di magia. Era semplicemente aria. Chissà perché, si era immaginata che Magix sarebbe stato un luogo dove niente avrebbe assomigliato alla sua adorata Gardenia. Invece, l'aria era identica. Senza svegliare suo padre, decise che voleva dare un'occhiata in giro. Non voleva svegliarlo per una semplice ragione: voleva affrontare da sola quella piccola battaglia, era una cosa che riguardava solo lei e nessun altro, neanche il suo adorato genitore che l'aveva seguita fino ad Alfea. Chissà cosa ci faceva lì e come ci era arrivato. Uscì dal suo piccolo rifugio e capì subito di essere in un'infermeria. Le sfuggì uno sbuffo divertito: era un'infermeria così come ce n'erano tante, anzi, c'era da dire che persino quella della sua scuola a Gardenia era infinitamente più fornita di quella, che pareva contenere solo due letti e un armadietto dei medicinali con dentro roba colorata che sembrava chiedere a chiunque fosse malato di starvi lontano. Forse quella scuola, in fin dei conti, non era poi tutto questo granché e le Winx erano solo la proverbiale eccezione che confermava la regola. Andò alla finestra. Non era preparata alla vista mozzafiato che aveva di fronte. Si era aspettata un luogo buio e pieno di fulmini, pipistrelli alati e strade putrescenti piene di gente bieca, magari di qualche troll e di streghe con le verruche sul naso. Le scuole di magia, nei libri, non avevano niente di così lontanamente bello come il parco smisurato che si stendeva sotto i suoi occhi, neanche le mura rosa del castello luminoso e pieno di vetrate, le alte torri con i tetti azzurri. E che dire di quel cancello a ventaglio, che pareva fatto di vetro? O la rigogliosa foresta che si perdeva al di là del muro di cinta? Roxy rimase semplicemente a bocca aperta nel vedere degli strani mezzi di trasporto volanti che si fermavano nel parco e ne facevano scendere alcune ragazze. “Vedo che sei già in piedi, Roxy.” la voce dolce di una donna anziana ruppe quel momento di meravigliata contemplazione. La ragazza si voltò, sgranando gli occhi, quando vide la preside Faragonda in persona che le sorrideva bonariamente. Era proprio come la ricordava, dall'ultima volta che l'aveva vista dal computer di Tecna: con i capelli bianchi e gli occhiali a mezzaluna, il sorriso dolce e comprensivo di una nonna. In lei, però, c'era anche una certa aura di potere che, dal vivo, era molto più presente che attraverso uno schermo. Anche Zephiro era tornato, stava a debita distanza dietro la preside e osservava la scena con una compostezza militare, le mani intrecciate dietro la schiena. Se aveva pensato che era strano, Roxy adesso credeva di poterlo confermare al duecento percento. “Sono felice di poterti conoscere di persona, mia cara.” continuò Faragonda. “Zephiro ha detto che, non appena sveglia, hai cominciato a fare un mucchio di domande!” ridacchiò. Roxy arrossì. Ho fatto un'altra volta la figura della stupida, pensò. Faragonda rise di nuovo. “Non ti preoccupare, mia cara.” disse, come se si fosse resa conto di cosa passava nella mente della ragazza. E Roxy pensò che potesse davvero essere così. “E' normale che tu abbia delle domande e io sarò più che felice di risponderti, però, non adesso. Vorrei che tu ti riprendessi ancora un po'.” “Ma io sto benissimo!” protestò Roxy. “La prego, mi dica che cosa ci faccio qui!” Faragonda scosse la testa. “E' ancora presto e devo sbrigare alcuni affari urgenti, prima di poterti ricevere adeguatamente. Vorrei parlare con Grizelda, prima di tutto. Volevo vedere se stavi bene come Zephiro mi ha detto e mi sembra che non abbia affatto esagerato.” si voltò verso di lui che, invece, non stava facendo una piega. Sembrava addirittura essersi fossilizzato sul posto. Roxy si chiedeva che cosa mai potesse aver detto, oltre al fatto di essere stato mitragliato di domande. “Ma io...” provò di nuovo. “Beh, dato che sembri così impaziente di fare qualcosa,” continuò Faragonda. “mi sembrerebbe un'ottima idea farti visitare la scuola. Che cosa ne pensi?” “Ma...” Faragonda alzò una mano e questo ebbe il potere di porre fine a tutte le sue obiezioni. Roxy si chiese se non fosse stata opera di una magia, ma no: era solo il senso di rispetto che scaturiva da quella donna. La preside si voltò verso il ragazzo alle sue spalle. “Zephiro, vorresti essere tu a farle vedere la scuola?” Gli occhi vuoti di Zephiro si riempirono della luce della sua ritrovata presenza mentale. Si girò a guardare Faragonda, ma Roxy non avrebbe saputo dire se era più incredulo o terrorizzato. “Io?” domandò. “Perché io?” “Sarebbe molto carino da parte tua, visto che sei rimasto con lei fino al suo risveglio.” Roxy, stupefatta, non riuscì a non guardare lui che, invece, era diventato rosso fin sopra le orecchie. “Ma, preside... sono in punizione!” “Oh, lascia perdere, parlerò io con Grizelda. Roxy ha bisogno di svagarsi.” concluse Faragonda, rivolgendogli un sorriso. “E mi farebbe piacere se fossi tu, caro Zephiro, a fare gli onori di casa.” L'espressione incredula sul volto di lui si trasformò in una smorfia risoluta. Si impalò di nuovo in quella postura rigida in cui sembrava trovarsi tanto a suo agio. Roxy non sarebbe stata stupita se avesse fatto cozzare i tacchi degli stivali. “Come...” Zephiro deglutì. “Come comanda, preside.” Roxy alzò gli occhi al cielo.
La visita guidata di Alfea fu una vera noia. Il suo anfitrione era l'essere più noioso esistesse al mondo; non aveva detto che qualche parola e solo per dire: “questa è l'aula di questo, questa è l'aula di quest'altro, questa è la biblioteca e di là ci sono i bagni e gli appartamenti delle studentesse”. Quando lei faceva qualche domanda, lui si limitava a rispondere con un grugnito o un monosillabo. Roxy lo trovava irritante, tanto che, già dopo la prima rampa di scale che avevano sceso per arrivare al più ampio e bel corridoio che avesse mai visto, aveva deciso che Zephiro le stava molto antipatico e che, con lui, non avrebbe più voluto averci niente a che fare. Aveva deciso, inoltre, che invece di dedicarsi a lui, doveva guardare le bellezze di Alfea, i marmi pregiati, la luminosità dei corridoi e la magnificenza di ogni atrio e delle decorazioni e delle rifiniture di quel castello maestoso e colorato, che dava un vero senso di pace. Ricordava molto la bontà e l'amore che le fate avrebbero dovuto portare nel mondo. E la vista dalle ampie vetrate che lasciavano entrare la brillante luce mattutina la rilassava. Le sarebbe molto piaciuto andare un po' all'aperto, annusare l'aria della Dimensione Magica, perché, adesso, era convinta che avrebbe avuto un altro sapore, che avrebbe sentito un profumo intenso e diversissimo da quello che aveva potuto percepire sulla Terra. Anche gli animali fatati che, ogni tanto, svolazzavano di qua e di là nel castello, per lei, erano motivo di meraviglia, perché erano completamente diversi da quelli che avevano creato le Winx, quelli che curavano nel loro Love & Pet e che lei aveva prelevato a migliaia. “Possiamo andare nel cortile?” domandò, rivolta a Zephiro che si era fermato in mezzo al corridoio come se fosse stato una specie di automa. Faceva sempre così: ogni volta che Roxy si fermava ad ammirare qualcosa, lui si fermava e riprendeva a muoversi solo quando lei gli si posizionava a fianco. “Se vuoi.” le rispose. Roxy gli si affiancò di nuovo e allora Zephiro riprese a camminare. Per lei, quel ragazzo con gli occhi dal colore diverso, era davvero un mistero. “Tu parli sempre così poco?” gli domandò, incapace di trattenersi. Lui si voltò a guardarla, aveva un'aria curiosa, come se la domanda gli risultasse strana. Indicò una porta aperta sulla loro destra. “Questa è l'aula del professor Palladium.” lo disse come per smentire il fatto che parlasse poco. Roxy non avrebbe potuto sentirsi più sconcertata, se le avesse sputato addosso. L'attimo dopo avevano già ripreso a camminare lungo i corridoi. Ancora non c'era nessuno, neanche una studentessa. “Ma come mai Alfea è così vuota?” La sua voce rimbombava nel silenzio dei corridoi e le pareva quasi di aver svegliato l'intero castello. “Non è vuota.” Roxy si sentiva sempre più frustrata e arrabbiata. Avrebbe voluto colpirlo con un pugno e chiedergli quale fosse il suo problema. Non sapeva neanche lei perché si trattenesse. “Quanti ragazzi ci sono, nella scuola?” insistette. “Ragazzi?” fu la sua unica risposta. Intanto erano arrivati nell'atrio deserto come il resto della scuola. Un'ampia scalinata che si allargava mano a mano che si scendeva si stendeva di fronte a loro e portava verso le porte principali di Alfea. Roxy non aveva mai visto niente di più magnifico, ma non bastò per sanare la sua voglia di uccidere quel bamboccione. “Sì! Ragazzi! Quanti altri stupidi come te ci sono, in questa scuola?” sbottò, acida, squadrandolo in cagnesco. Lo stupore sul volto di lui si acuì. “Stupidi come me?” “Esatto.” ringhiò Roxy, a denti e pugni stretti. “Stupidi come te.” Zephiro sbatté le palpebre. “Intendi studenti... studenti maschi?” “No! Intendo proprio stupidi imbranati!” gridò Roxy e stavolta non lo aspettò. Non voleva più vederlo in tutta la sua vita, non avrebbe risposto delle sue azioni, altrimenti. Si avviò a grandi passi giù per le scale; voleva mettere più distanza tra loro possibile, pur di non vedere più la sua faccia da fesso che la guardava come se stesse parlando una lingua straniera o avesse una lingua forcuta o cose del genere. Lei non li sopportava proprio, i maschi, se erano tutti così. Sperava che gli altri non fossero come lui e che, anzi, conoscessero un po' di buone maniere. L'aria esterna era più fresca e l'odore era davvero diverso da quello della Terra: la brezza leggera portava le fragranze degli alberi oltre le mura e il cielo era splendente e privo di nuvole. Ce n'erano solo un gruppo molto lontano e scuro, quasi non riusciva a scorgerle, tanto erano lontane. Da quelle parti, doveva esserci un brutto temporale. Ma aveva comunque una brutta sensazione che la fece rabbrividire e che la fece stringere nelle spalle. Non era il freddo della mattina che, anzi, era anche piuttosto calda anche per la primavera, erano proprio quelle nuvole a metterle quella sensazione di gelo addosso. “Ehi, tu! Roxy. Roxy, aspetta! Non puoi allontanarti!” Zephiro le corse dietro, fin nel porticato che precedeva il giardino dove la ragazza si era fermata. Avrebbe voluto non aspettarlo, ma la sua presenza, scoprì, era rassicurante: quel mondo sconosciuto e sconfinato, era meglio affrontarlo con qualcuno che ci era vissuto. “Che cosa c'è laggiù?” lei indicò le nuvole scure e sperò che Zephiro potesse risponderle senza dire qualcosa di stupido. Lui guardò nella direzione del suo dito puntato e tacque, come se anche lui fosse stato colpito dalla stessa sensazione di gelo. “Allora?” Zephiro distolse lo sguardo. “Torrenuvola.” “Torrecosa?” “Torrenuvola.” ripeté lui. “La scuola delle streghe.” Roxy sgranò gli occhi, stupefatta. “C'è una scuola anche per le streghe? Quelle con le verruche al naso e i cappelli a punta?” Zephiro girò la testa per nasconderle un sorriso divertito. “Sì, alcune sono così.” Roxy fu stupefatta più di quello che gli aveva visto fare che del fatto che esistessero davvero streghe con le verruche. Guardò il ragazzo, i cui occhi si erano spostati nel parco della scuola e lo sondavano silenziosamente. Roxy si chiedeva cosa gli passasse per la testa e chi fosse in realtà quel misterioso ragazzo. “Posso farti una domanda?” Lui sembrò risvegliarsi da un sogno agli occhi aperti e si voltò di nuovo verso di lei. Si limitò a fissarla, e Roxy pensò che fosse il suo modo per dirle di andare avanti. Allora si fece coraggio e prese un lungo respiro. “Perché sono stata portata ad Alfea?” “Per salvarti.” Roxy sbatté le palpebre. “Dagli Stregoni del Cerchio Nero?” Lui la squadrò come se si stesse chiedendo se venisse preso in giro. “No.” disse, infine. “E allora da cosa?” Roxy si stava di nuovo alterando. “Oh, insomma,” sbottò, infatti, stufa di ricevere solo monosillabi in risposta. “non sai fare un discorso senza venire imboccato ogni due per tre? Voglio sapere cosa è successo! Per quanto tempo sono rimasta addormentata? Prima di svegliarmi ero nella mia città, a Gardenia, e ora sono qui ad Alfea, nella scuola per fate, c'è mio padre e le Winx non sono qui! Che cosa sta succedendo?” Zephiro aprì la bocca per rispondere e Roxy non ci poteva credere, stava quasi per mettersi a ballare di gioia perché finalmente avrebbe ricevuto le risposte che neanche Faragonda aveva voluto darle, dicendole che doveva parlare con una certa Grizelda. Però dalla sua bocca non uscì alcun suono: i suoi occhi di colore diverso si spostarono oltre la sua spalla, e allora il suo viso pallido, se possibile, divenne ancora più bianco. Quando Roxy si voltò per guardare che cosa gli avesse fatto avere quella reazione, si accorse che era un gruppetto di ragazze, guidato da una ragazza con i capelli biondi legati in due code. Sembravano molto allegre e affiatate. Roxy capì che erano delle studentesse, dato che non erano poi molto più vecchie di lei, anzi, la più piccola tra di loro sembrava non avere più di quindici anni ed era come se seguisse le altre da lontano; tentava di tenersi al passo con loro ed era la più goffa del gruppo. Immaginava che lei, una volta entrata a scuola, non sarebbe stata da meno e che, forse, sarebbe stata addirittura presa in giro. Non voleva entrare ad Alfea, non aveva intenzione di fare la fine di quella povera ragazza. Zephiro, dietro di lei, gemette. “Vieni via.” le sussurrò. “Cosa?” Le afferrò la mano. “Non parlare! Vieni via!” e così dicendo la strattonò di nuovo dentro la scuola.
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Musa scosse la testa, confusa e non del tutto sicura di dove si trovasse. Sapeva solo di avere addosso le facce preoccupate di Aisha, Flora e Nabu. Le immagini, però, che ricordava erano ancora molto confuse. C'era una Furia, con lei, una Furia che si fingeva disperata, e c'era Stella... che usava un potere benefico e magnifico. Era stato un sogno davvero strano; non credeva che, potendo scegliere, avrebbe scelto lei per sconfiggere la Furia, anche se Stella era di certo una delle sue migliori amiche. “Che... che succede?” domandò, con la voce impastata dal sonno. Poi, come un lampo, ricordò tutto: il suo incontro con Jason al bar, la faccia spiritata di Riven, la sua lotta contro di lui, e anche la trasformazione dello stesso Jason che, per motivi inspiegabili, si era alleato con Riven come se, anche lui, fosse stato contagiato dal potere di una Furia. L'ultima cosa che ricordava era che una di quelle creature maligne aveva raggirato e catturato anche lei. Si alzò a sedere di scatto, facendo gridare le sue amiche per lo spavento. Ricordava tutto, e si sentiva il cuore rimbombare nelle orecchie. “Riven!” gridò, improvvisamente del tutto sveglia. “Dov'è Riven?” Flora e Aisha si scambiarono un'occhiata, stavano esitando e la cosa non fece che allarmarla ancora di più. Il cuore le era arrivato letteralmente in gola. “Ragazze?” le chiamò. “Ragazze... non fate scherzi, che sta succedendo?” “Ecco...” balbettò Aisha, ma fu Nabu a parlare e aveva l'aria contrita proprio come le due Winx: . “Riven è scappato.” La fata della musica sgranò gli occhi. “Che... che cosa?” Aisha distolse lo sguardo. “E' colpa mia, avrei dovuto imprigionare anche lui nel Morphix!” “Pensavo che le liane avrebbero retto!” raccontò Flora, posandosi le mani sulle guance, evidentemente mortificata. “Non è stata colpa tua, Flora. Non potevamo sapere che avrebbe usato quell'attimo di distrazione per strappare le liane!” la consolò Aisha, mettendole una mano sulla spalla. “Con tutto quel vetro non era certo difficile.” disse, rabbuiata. “Se c'è qualcuno da biasimare, quella sono io che non ho agito in fretta!” sospirò e si rivolse a Musa con un sorriso rassicurante. “La cosa più importante, però, è che sei riuscita a liberarti della Furia, Musa.” “Siamo così sollevate!” esclamò Flora, con trasporto. “Stavamo per contattare Faragonda. Timmy è al computer da un'ora, che cerca di mettersi in contatto con la preside, ma non risponde nessuno...” “E' successo qualcosa?” Musa non immaginava cos'altro avrebbe potuto accadere oltre quello. Riven era scappato. Era sotto il controllo di una Furia ed era scappato chissà dove, a combinare chissà che cosa. Si posò una mano sulla fronte. “Sta andando tutto a rotoli!” Aisha scosse la testa. “Non avere notizie è così frustrante!” esclamò, stringendo i pugni, tremante. “Ma piuttosto... come hai fatto a ristabilirti? Credevamo che ti avesse presa una Furia! Sei riuscita a liberartene?” Musa sbatté le palpebre. “Beh...” si fermò, impensierita. “In realtà, non capisco.” ammise. Gli sguardi si posarono su di lei, confusi e lei alzò il proprio verso di loro, come cercando in loro una spiegazione. “Non credo di essere stata io a liberarmi della Furia.” “Che stai dicendo, Musa?” domandò Aisha, per tutti. “Che intendi?” “Non lo so.” ammise la fata della musica, guardandosi i palmi delle mani. C'erano piccoli tagli e ferite che si era procurata durante la battaglia con Riven. “Non ne sono sicura. Penso che sia stata Stella.” “Stella?” ripeté Flora. “Ma come... ha usato lo Scettro?” il suo tono si era fatto urgente e speranzoso. “Vuoi dire che... oh, ma è magnifico!” Musa scosse la testa. “Non so cosa fosse, ma da come Faragonda ha descritto i suoi effetti non mi pare. È stato come se una sferzata di sentimenti positivi fosse entrato dentro di me e avesse distrutto la Furia che mi stava corrodendo. Non è qualcosa che è partito da me... veniva da Stella. Forse ho sognato tutto. Non so spiegarvelo meglio di così, ragazze, scusatemi.” Non appena ebbe finito di parlare, il silenzio cadde pesante. Poi la fata dei fluidi scosse la testa e si aggrappò al collo di Musa, stringendola forte. “Qualunque cosa sia stata, sono felice che tu sia ancora con noi!” Musa si sentì commossa dal gesto di Aisha e non poté fare altro che abbracciarla a sua volta, felice di poter sentire il contatto amorevole di una delle sue migliori amiche. Rimasero così per un po', e quando si separarono lo fecero perché Musa aveva bisogno di risposte. “Dov'è arrivato Riven?” si guardò intorno. ”L'avete preso?” Flora abbassò lo sguardo e si rabbuiò, anche Aisha distolse lo sguardo. La loro reazione fu preoccupante. “E Jason?” Musa sentiva sempre più la tensione crescere, soprattutto perché le sue amiche sembravano così reticenti. “Ragazze... cos'è successo? Parlate! Non preoccupatevi di dirmi qualcosa di male... sto bene! E devo sapere se è successo qualcosa ai nostri ragazzi!” Fu di nuovo Nabu a prendere in mano la situazione: “Sono scappati anche loro.” borbottò, così piano che Musa ebbe un po' di difficoltà a sentirlo, era come se il mago avesse parlato in quel modo come per negare anche a se stesso che fosse successo. “Loro chi?” “Helia.” ammise Floria. I suoi occhi, già colmi di lacrime, dissero alla fata della musica che la sua amica stava compiendo uno sforzo enorme per non mettersi a piangere. “Anche lui è stato... preso. È stato... è stato terribile.” “E come è potuto accadere?” Aisha si strinse nelle spalle e si passò le mani sulle braccia come se avesse avuto un improvviso brivido di freddo e fu Flora di nuovo a parlare. “Stava combattendo contro gli altri... un attimo prima era il mio Helia e l'attimo dopo...” Flora singhiozzò e Aisha proseguì nel racconto, come se questo potesse bastare per scacciare il dolore della sua amica. “Ti stavamo soccorrendo, quando Riven è riuscito a scappare. Abbiamo lasciato a Nabu il compito di riportarti indietro e Aisha ed io siamo corse dietro a Riven... Jason e Helia” deglutì, nel dire il nome dello Specialista. “erano nel Morphix, non avrebbero creato problemi... o almeno così credevo. Che stupida a pensare una cosa del genere!” scosse la testa, contrariata. “Insomma, quando siete tornate non c'erano più?” capì Musa, fissando prima l'una e poi l'altra, allarmata. “E ora dove sono?” Aisha si rabbuiò. “Abbiamo perso di vista Riven e, quando siamo tornate indietro, anche gli altri due erano spariti.” “Ma... il Morphix...” “Lo hanno distrutto.” nella voce di Aisha c'era un fremito di rabbia e il suo pugno tremante lo confermò. “Non so come hanno fatto. Deve essere una specie di potere delle Furie. Se il loro potere è forte, allora il nostro si indebolisce, come quello che succede se le persone non credono in noi. Solo che, stavolta, sono i sentimenti negativi che ci indeboliscono.” “Perché non siamo abbastanza pronte e piene di sentimenti positivi che possano contrastarli.” capì Musa. Guardò Flora che era andata ad affacciarsi alla finestra, guardando fuori con aria malinconica. Era mortalmente pallida e poteva capire benissimo quanta paura provasse per la sorte del suo fidanzato. Anche lei era molto tesa, pensava a Riven che l'aveva attaccata, a Jason che era impazzito con lui... poteva benissimo capire come si sentisse la sua amica e avrebbe voluto chiederle di andare pure a cercare il suo ragazzo, piuttosto che rimanere lì. E il fatto che il Morphix fosse stato distrutto era particolarmente preoccupante, oltre al fatto che tre persone contagiate dalle Furie erano scappate. “Forse è meglio se torniamo ad Alfea” propose. “e chiediamo l'aiuto di Faragonda. Ma dove è finita Bloom? Non è ancora...” Aisha scosse la testa e la fata della musica, per quel suo gesto così definitivo, si sentì raggelare. “E'... è successo qualcosa? Non è che...” il pensiero la faceva terrorizzare. “Non è che Timmy non riesce a mettersi in contatto perché è successo qualcosa alle nostre amiche o ad Alfea?” “Musa, calmati!” esclamò Aisha, posandole un braccio sulla spalla. “Ti sei appena svegliata e non sappiamo...” La fata della musica scacciò la mano con un gesto e gettò le gambe oltre il letto. “Senti, Aisha, Riven, Helia e Jason sono stati attaccati da una Furia e sono scappati, e gli altri sono tutti spariti e non danno notizie di loro! Non c'è tempo davvero per pensare a me! Dobbiamo trovare i nostri ragazzi e Jason e impedir loro di nuocere finché Bloom non tornerà da Domino! Che cosa sta facendo? Vi ha detto niente? Perché non è ancora qui?” Di nuovo, gli sguardi lontani dei suoi amici che non riuscivano neanche a guardarla negli occhi parlarono molto più di quanto avrebbero potuto usando la voce. “Sta succedendo di nuovo,” le parole di Flora le riscossero e fecero distogliere tutti e tre dalla discussione per dare attenzione a lei. “proprio come accadde ai guerrieri che seguirono le fate su Domino, proprio come allora. Amici che combattevano contro gli amici e che uccidevano, prima di venire uccisi..” gli occhi le si riempirono di nuove lacrime. “Flora....” chiamò Aisha sollevando una mano verso di lei, come se volesse toccarla e non potesse. La fata dei fiori alzò lo sguardo e nei suoi occhi brillava la più assoluta risolutezza; per quel che la riguardava, aveva deciso che cosa voleva fare. “Ha ragione Musa: dobbiamo cercarli e catturarli prima che sia troppo tardi. Helia... Helia rischia la vita, così come Riven e Jason. Non possiamo rimanere qui con le mani in mano!” “Sì, abbiamo perso fin troppo tempo.” disse Musa. “E potremmo non averne altrettanto.” Aisha non trovò come controbattere, guardò Nabu che le restituì uno sguardo pieno del suo appoggio. Poteva benissimo immaginare come si sentissero le sue amiche: senza di lui, si sarebbe sentita persa e distrutta e il fatto che Flora fosse rimasta lì fino ad allora, doveva esserle costato uno sforzo immane. Capì di non poterla trattenere ancora e che se lei l'aveva fatto era stato per la preoccupazione per la sua migliore amica e, forse, anche perché covava la speranza che lui tornasse indietro, al Love & Pet, da lei, dalla ragazza che amava. Non potevano più aspettare, le sue amiche avevano ragione. Annuì. “Avete ragione. Dobbiamo pensare a Helia, Riven e Jason.” “Contate su di me.” Nabu fece un passo avanti. “Se ci divideremo, avremo più possibilità.” “Timmy,” Aisha si rivolse al ragazzo che, incitato dal suo tono autoritario, si era messo sull'attenti, da dietro lo schermo del computer dal quale non si era alzato mai, febbrilmente impegnato sullo schermo del computer. Anche lui, come gli altri, voleva disperatamente ritrovare le altre e i suoi amici Specialisti. “tu, allora, cerca anche di scoprire a che punto sono Bloom e le altre a proposito dello Scettro. E mettiti in contatto con Faragonda. Dobbiamo sapere che cosa è successo. Non possiamo continuare così. Quando saremo di ritorno, i ragazzi dovranno essere con noi, imprigionati oppure liberi dalle Furie.” “Contate su di me, ragazze!” Le ragazze si scambiarono delle occhiate, poi si presero per mano. “Siamo le Winx.” disse Musa, sorridendo in modo rassicurante a Flora, che si costrinse a fare lo stesso. “Ce la faremo!” “Winx Believix!” |
Capitolo 13
*** Rivalità ***
Chiedo perdono per il ritardo mostruoso con cui aggiorno e se non ho risposto alle recensioni, prometto che non accadrà più. Ringrazio Tressa che è sempre così carina da lasciarmi una recensione e tutti quelli che hanno inserito la storia in preferiti/seguite/ricordate. Ecco il nuovo capitolo, con la promessa di finire entro breve di scrivere i tre capitoli che mancano da una vita (ancora). Buona (spero) lettura!
Capitolo 13 Rivalità
Re Oritel si grattò il naso, subito dopo aver starnutito per quella che credeva essere la centesima volta da quando era entrato nella Biblioteca di Domino, sulla Montagna del Rock, diverse settimane prima. Quella Biblioteca aveva davvero bisogno di una spolveratina, dopo vent'anni passati a marcire in mezzo al niente che era stato Domino. E, mentre pensava a questo, si accorse di essere stanco morto. Aveva letto per tutto il giorno senza concedersi neanche un'ora di sonno, e cominciava a non capirci più niente. Sospirando, sollevò un'altra nuvola di polvere. Quell'ala della Biblioteca era una delle più antiche, e risaliva ai tempi in cui era stato fondato il regno di cui ora era sovrano e non ci entrava qualcuno da quei tempi, a giudicare da come tutto sembrava opaco e invisibile sotto quelle coltri spesse come piumoni. Era stato proprio lì, quasi per un colpo di fortuna, che aveva trovato resoconti molto dettagliati sulle Furie dei Sentimenti Negativi e aveva permesso a lui, Faragonda, Griffin e Saladin di proteggere le loro scuole, per quanto possibile, dalla loro minaccia. Era stato sempre lì che aveva scoperto che il simbolo del potere del re era lo Scettro di Domino, un costrutto magico i cui poteri erano sconosciuti a tutti i maghi viventi. Aveva trovato la sua storia, i modi che avevano utilizzato per costruirlo e dargli il potere di sigillare quelle creature maligne. Aveva un'unica pecca: doveva essere «svuotato» – così come si esprimevano i testi – prima di essere riutilizzato. E il bello era che ancora non era riuscito a trovare un luogo adatto a svuotarlo. Durante le sue lunghe settimane di studi, Oritel aveva scoperto che solo una fata poteva attivarlo senza danneggiarsi e venire condizionata dalla Furie, meglio se una Fata Guardiana. Nel frattempo, aveva trovato racconti inquietanti di gente morta dopo essere stata posseduta che gli avevano lasciato dei brividi lungo la schiena, smorzati soltanto dai suoi frequenti starnuti. Giocherellò con lo Scettro rigirandoselo tra le mani e guardandolo con una certa aria disgustata. «Che porcheria!» Quel concentrato di pacchianeria era stato tramandato di regnante in regnante dal primo re di Domino fino a lui. Ancora non riusciva a credere che avesse trovato come impiegare quella grossa asta dorata incastonata di pietre preziose, sormontata da un grosso rubino sfaccettato che serviva per contenere la Furia catturata. Scuotendo la testa, lo pose sul tavolo a fianco del libro che aveva deciso di consultare per ultimo. L'unica cosa bella di quelle letture era che, ogni tanto, sua figlia Dafne andava a trovarlo e a chiedergli come stavano andando le cose, dandogli qualche consiglio, o trovando i libri che avrebbero potuto interessargli. La ninfa era una compagnia molto utile e preziosa, oltre che una compagnia e basta. Scoprire sempre nuove cose sulle Furie riusciva a rovinargli anche il sonno. Oritel non riusciva a non essere grato alle donne della sua famiglia. Ma ora l'avevano lasciato solo: Dafne era andata a scoprire dove fosse Bloom che doveva essere arrivata su Domino da tempo, ormai. Marion era rimasta a palazzo, nel caso la loro ritrovata secondogenita potesse arrivare da un momento all'altro. Oritel aveva capito che era successo qualcosa a sua figlia, se non era già arrivata e non aveva fatto sapere niente sulle sue intenzioni. Sperava che le Furie non c'entrassero. E neanche quel pazzo di Maestral. Da quando avevano smesso di ricevere informazioni da Flabrum era divenuta tutta una questione di attesa e lui sapeva di non poter indugiare. Avrebbe dovuto lasciare che Dafne si occupasse delle ricerche per organizzare il suo piccolo esercito, ma adesso c'era anche questo grosso problema e Dafne aveva voluto andare a cercare la sorella. «Devi rimanere qui: qualunque informazione tu possa estrapolare dai libri potrebbe essere vitale», gli aveva detto, con un tono così convincente che lui non aveva potuto dire di no. «Anche Bloom potrebbe ricevere beneficio da queste informazioni. Tornerò non appena saprò cosa è successo, tu non lasciarti distrarre da niente. Io posso passare inosservata, tu no». Proprio mentre ripensava alle parole della figlia, un leggero bip dal suo trasmettitore portatile lo fece voltare verso di esso. Subito dopo, apparve la miniatura di Faragonda resa instabile per via della poca ricezione sulla Montagna del Rock. «Oritel, spero che tu stia bene.» esordì lei. Era sempre stata molto educata, la sua vecchia amica preside. «Benissimo.» grugnì lui e, come se sapesse che era una bugia, la polvere lo costrinse a starnutire. Oritel agitò la mano. «Lascia perdere. Questo è un postaccio!» Sul viso della preside apparve un'espressione di bonario rimprovero. Lo faceva sempre sentire come se fosse l'ultimo discolo della classe. «Come vanno le tue ricerche, Oritel?» «Ho trovato altri resoconti, ma sono piuttosto confusi. Notizie di Bloom?» Si aspettava un cenno affermativo, ma Faragonda scosse la testa. «L'ultima fata della Terra si è risvegliata.» gli disse soltanto. Sulle prime, Oritel fu sul punto di dire «Benone, benone», ma senza nessun entusiasmo, poi si rese conto di cosa gli era stato effettivamente detto. Si alzò di scatto dalla sedia e, mentre il terreno gli tremava sotto i piedi, l'immagine di Faragonda scomparve e riapparve come se si fosse spaventata. «Oh, Rock sta' fermo!» imprecò lui. «Si è svegliata, dici, da sola, così?» «Questo ancora non lo so, prima di parlare con lei ho bisogno di tempo.» «E di Bloom non hai proprio notizie?» La preside scosse la testa. «Purtroppo no.» Oritel grugnì di nuovo. «E allora che facciamo?» «Per adesso aspettiamo. Ho chiesto a Codatorta di raggiungere Alfea perché mi dica che cosa è successo alla navetta scomparsa. Sono preoccupata, Oritel.» «Bloom è in gamba. Sono certo che sta bene.» Faragonda non sembrava convinta della cosa. Si costrinse a dire: «Una volta che le Winx avranno debellato il problema, dovremo trovare le altre e poi studieremo tutti insieme un piano d'attacco per prendere la Furia che alberga nel corpo di Maestral. Dobbiamo agire in fretta, ma non senza pensare. Questo improvviso risveglio di Roxy potrebbe essere un piano architettato dalle Furie e, finché non avrò capito che cosa succede, voglio tenerla d'occhio. Avrei tanto voluto tenere Bloom e le ragazze lontano da tutto questo, ma Zephiro... quel ragazzo è troppo impetuoso, alle volte. Altre non riesco proprio a capirlo. Mi preoccupa molto.» sembrò sul punto di dire qualcos'altro, ma si fermò. Guardò re Oritel dritto negli occhi. «Pensi di poter aspettare ancora un po'?» «Oh, io posso aspettare quanto vuoi, non so se lo faranno anche Maestral o le Furie.» Faragonda chiuse gli occhi. «Grazie, Oritel. Posso sempre contare su di te.» Il re di Domino fece un gesto con la mano, come per dire che non doveva neanche pensarci. Chiusero la comunicazione e allora lui si rese conto di non aver detto una cosa molto importante a Faragonda. Trovò il manoscritto proprio sotto le dita, dove le aveva appoggiate quando la preside aveva parlato di attendere. Le rilesse ancora una volta, ma era quasi inutile, dato che le conosceva a memoria.
Lo Scettro da solo non può aiutarci. Solo Flabrum potrebbe, ma nessuno può raggiungerlo. Forse non esiste. Siamo perduti. Le Furie vinceranno e il mondo cadrà nella distruzione totale.
Era stato uno dei paragrafi più agghiaccianti di tutti quelli che aveva letto durante la notte, ma era stato un piccolo passo avanti: nessuno degli altri aveva parlato del lontano pianeta dei Venti. Aveva creduto di aver fatto una scoperta importante, invece, aveva cercato in altri libri e i riferimenti a Flabrum erano finiti, o almeno lui non ne aveva più trovati. Quello era l'ultimo volume tra quelli a disposizione. «Flabrum...» sussurrò. «Lì dove è cominciato tutto questo. È come un cerchio che si chiude.»
Tra le Furie, una è la più importante e la più crudele. È l'Odio, che tutte comanda allo scopo di distruggere il mondo. Abbiamo ucciso colui che ospitava la Furia. Le altre, senza la loro guida, sono state bersagli facili. Abbiamo subito molte perdite, tra cui quella della nostra adorata Fata Guardiana che ha dato la sua vita per riuscire a portare le creature fin dentro l'inferno di Obsidian, dove poi noi abbiamo apposto i sigilli magici che impediranno loro di tornare. La Furia dell'Odio è andata distrutta con il corpo ospite. Non c'è motivo di non pensarlo: le altre Furie sono diventate vulnerabili. Se la loro guida fosse sopravvissuta, sarebbero rimaste intatte e potenti. Ma c'è la possibilità che sia addormentata da qualche parte e che aspetti solo il momento giusto per attaccare di nuovo. Nessuno può saperlo. Bisogna diffidare di tutti coloro il cui cuore è stato corrotto da rabbia e disperazione: saranno i candidati ideali per ospitare la Furia dell'Odio.
Oritel era stato particolarmente frustrato. Rabbia e disperazione. In quanti potevano dire di corrispondere a quella descrizione? Anche lui era un candidato ideale, in quel momento.
I corpi maschili sono gli unici che possono venire condizionati: sono le Fate i veri obiettivi delle Furie. Non esiste corpo maschile che non possa venire contagiato dal contatto con un altro già abitato da una Furia. La Furia si divide e intacca il cuore del nuovo contagiato e poi, quando raggiunge la fata, uccide il suo ospite e si ciba del potere della fata e della sua vita.
Sperava per questo che gli Specialisti fossero tutti al sicuro. Il cuore batteva anche a lui, pensando di poter diventare un bersaglio e di non potersi ribellare in alcun modo; solo il fatto di possedere la sua prodigiosa spada gli dava una qualche garanzia: Hagen gli aveva detto di averla imbevuta di una magia tale per cui coloro che erano armati di cattive intenzioni non avrebbero osato avvicinarsi a lui. Ma non era quello il problema. Il problema era la Furia dell'Odio: se anche avessero trovato il modo di strapparla dal corpo di Maestral, come avrebbero potuto intrappolarla prima che scomparisse come aveva fatto nel passato? Oritel starnutì di nuovo e si grattò il naso. Flabrum... quel nome continuava a martellare nella sua testa. C'era qualcosa in quel pianeta che lo aveva sempre affascinato, a partire dai loro territori fluttuanti, quel vortice impossibile da fermare, la nebbia che ricopriva la superficie del pianeta... perché abitare un posto così inospitale? Tamburellò le dita sullo Scettro di Domino. C'erano ancora diverse ricerche che voleva fare, ma stavolta doveva andare nelle biblioteche superiori: doveva trovare qualche informazione sul misterioso pianeta dei Venti.
§
Zephiro rientrò nella scuola correndo. Reggeva la mano di Roxy così forte che la ragazza la sentì perdere velocemente sensibilità. Quando provò a riprendersela, non ce la fece, lui era troppo forte e troppo impegnato a correre per rendersene conto. «Ma che stai facendo?» gridò d'un tratto. Intanto avevano cominciato a salire la grande scalinata dell'atrio. Lui non si fermava, non le rispondeva e sembrava non ragionare neanche sulla strada da prendere. Svoltò d'improvviso a destra e riprese a salire due scale per volta, costringendola a fare lo stesso per non inciampare in avanti e sbattere i denti contro il marmo e si accorse solo vagamente che erano tornati al piano da cui erano appena scesi. Roxy non ci capiva niente. Correva e basta, i corridoi di Alfea cominciarono a scorrerle e ben presto perse il senso dell'orientamento e anche quello della realtà. Era tutto così assurdo! Che cosa era successo di così terribile da costringerlo a scappare come se ci fossero i diavoli che lo inseguivano? A parte quella domanda, l'unica cosa che rimbombava nelle sue orecchie era il rumore sordo delle loro scarpe che colpiva il pavimento con inaudita violenza. Non riusciva a capire perché quello strano ragazzo avesse cominciato a correre come un forsennato. Portandosi dietro lei, per giunta! Il suo orgoglio ebbe la meglio sulla confusione. «Ehi!» ringhiò. E un attimo dopo puntava i piedi. Sentendo una forza che lo tirava indietro, Zephiro si fermò, facendo un passo indietro per evitare di sbilanciarsi e cadere. Si voltò di scatto, stupefatto, quando lei gridò: «Ti ha dato di volta il cervello?» Lui, però, non era attento, non la calcolava nemmeno. Ma che strano!, pensò Roxy, furibonda. Zephiro era troppo impegnato a guardare dietro di lei, per accorgersi che esisteva. «Non ci ha seguito!» e sospirando, si accasciò contro la parete. Passò una mano sulla fronte e rimase lì, a farsi passare il fiatone. «Meno male!» Roxy, però, non condivideva il suo sollievo. Puntò le mani sui fianchi. «Si può sapere di che stai parlando?» sbottò, acida. E allora lui si accorse che esisteva. Zephiro la fissò, così intensamente che Roxy si sentì immediatamente a disagio. Arrossì, distolse lo sguardo e la sua rabbia diventò cocente solo per il fatto di averla messa in imbarazzo. «Tu sei tutto matto.» borbottò. «Scusa.» rispose lui e non aggiunse nient'altro, nessuna spiegazione, niente di niente. Poi si spostò dal muro. «Beh, si è fatto tardi.» Allibita, Roxy fece scattare la testa verso di lui. «Che cosa?» sbottò. «E dove te ne vai?» Lui inarcò un sopracciglio. «A lezione.» rispose. «Non vorrei beccarmi un'altra punizione per colpa tua.» Roxy sperava di non aver capito bene. «Colpa mia?» si accigliò. «E cosa avrei fatto per farti meritare una punizione? Io non ti conoscevo nemmeno prima di stamattina! E, se proprio vuoi saperlo, il mio bellimbusto, stavo molto meglio senza conoscerti!» la sua voce era salita di un'ottava con ogni esclamazione, la sua rabbia con ogni parola. E lui, che dapprima era stupefatto si arrabbiò quanto lei. Come se avesse avuto di che essere arrabbiato! «Beh, cara signorina, se proprio vuoi saperlo, per me è lo stesso! Sei così chiassosa! Chiacchieri troppo, mi fai venire il mal di testa!» «E tu sei uno scemo e un villano!» «Meglio che essere una piagnucolona!» «Io non sono una piagnucolona!» ma a dispetto delle parole, i suoi occhi stavano già riempiendosi di lacrime di rabbia. «Ti odio!» Gli voltò le spalle e fece per imboccare il corridoio che lui aveva corso a velocità forsennata per chissà quale motivo. Lui non la fermò, anzi le disse: «Ma sì, vattene.» «Lo sto facendo!» replicò lei. «Non provare a fermarmi, stavolta, hai capito?» «Ma sei ancora qui?» «Ehi, che succede, ragazzi?» la voce piccola fece trasalire i due litiganti. Roxy si voltò per vedere chi era che aveva parlato, ma non vide nessuno, fece un giro intorno a se stessa e solo quando vide la direzione dello sguardo puntato di Zephiro anche lei capì di dover guardare verso il basso. E allora lo vide. Quello che vedeva era un mezzo tra un elfo e un lepricano, con grandi orecchie a punta, un naso piccolo e lungo, i capelli ricci castani e un completo verde con appuntato un quadrifoglio rosso, il tutto completato da un cappello a punta e le falde a mezzaluna le cui punte ricadevano verso il basso. Era l'essere più strano che Roxy avesse mai visto. Almeno aveva l'aria bonaria. «Principe Zephiro, signorina, che cosa fate ancora fuori dalla classe? E perché state litigando? Su, su! È tardi!» e così dicendo trotterellò fino a Roxy e la prese per il gomito, spingendola di nuovo verso Zephiro che, pur di non guardarla, si fissava gli stivali. Lei non riusciva a smettere di fissarlo, un po' incredula, a dire il vero. Principe, pensava. Quella parola aveva avuto il potere di ammutolirla. Che significava che era un principe? Osservando il suo profilo, Roxy pensò che quel titolo non collimava per niente con il suo comportamento: lei aveva sempre creduto che i principi fossero tutti forti e valorosi come Sky, senza macchia e senza paura, non addormentati e di pochissime parole, pronti a scappare al primo segno di qualcosa che non andava, lasciando le ragazze che dovevano guidare a vedersela da sole. Sky era un vero gentiluomo, uno per il quale ogni ragazza romantica avrebbe perso la testa... Zephiro era uno scemo che lanciava insulti a destra e a manca senza pensare alle conseguenze. E poi le aveva detto che era una piagnucolona, che era rumorosa e chissà cos'altro sarebbe uscito dalla sua boccaccia, se non fosse intervenuto quel piccolo lepricano. Faragonda dovrebbe smetterla di fidarsi di questo qui. Mentre pensava questo, si accorse di non aver raggiunto un altro corridoio. Avevano camminato molto e neanche se n'era accorta. Erano di fronte alla porta di una classe, adesso, una porta aperta dietro cui riecheggiavano delle voci allegre di ragazze. Sporgendosi un po', Roxy poté vedere le loro teste colorate, gli scintillii prodotti da varie magie e il sole che entrava dalle vetrate. «Su, perché ti sei fermata?» domandò il lepricano. «Ecco... ecco io...» provò a protestare Roxy, quando vide che la spingendo in quella classe. «Signore... io...» «Su, su, mia cara. Non abbiamo molto tempo! Siamo già in ritardo!» «Professor Wizgiz...» lo chiamò Zephiro. «Ne parleremo dopo, ragazzo mio. Su, entrate, entrate.» e così dicendo spinse entrambi in classe con una forza che nessuno dei due credeva che un essere così piccolo possedesse. Poi saltellò anche lui, all'interno e si piazzò con un'acrobazia proprio sulla cattedra. «Buongiorno, signorine!» esclamò, nel suo tono più allegro. Le ragazze si voltarono, alcune stavano per rispondere, ma pian piano si spensero tutte le chiacchiere e le risate e i sorrisi. Una fata si voltava e c'era sempre un gomito che richiamava sull'attenti le altre ragazze ancora distratte. Ma non perché il professore lepricano le aveva richiamate col suo buongiorno. Tutti l'attenzione era su di lei, la sconosciuta. E le espressioni prima incuriosite, si fecero stupefatte e infine divennero torve. Ben presto, ognuna di quelle occhiate che aveva ricevuto, se avesse potuto ucciderla sul posto, l'avrebbe fatto. La più cattiva, poi, era della stessa ragazzina coi capelli biondi raccolti in due code che aveva visto nel parco, poco prima che Zephiro la prendesse per mano e la costringesse a correre come una forsennata in giro per la scuola. Roxy non si era mai sentita così a disagio in vita sua. E non poteva neanche scappare, perché tra lei e la porta c'era quell'odioso Zephiro. «Beh, che vi prende?» domandò il professore, come se non si fosse accorto di niente di tutta la tensione che aleggiava sulla classe. «Andate ai vostri posti!» «Ma io...» provò di nuovo Roxy. Ma si zittì, quando Zephiro la prese di nuovo per mano e la tirò verso un banco in fondo alla stanza. «Inutile discutere.» le spiegò. Quello fu più imbarazzante di tutto il resto. Le ragazze che li fissavano da quando erano entrati, adesso li seguivano con lo sguardo senza tentare nemmeno di nascondersi, il brusio si era sollevato insieme con il gesto del ragazzo e lei riuscì a sentire qualche sprazzo di conversazione. «Ma chi è quella lì?» «E perché Zephiro la tiene per mano?» «Ma sarà la sua ragazza?» «Impossibile!» la voce più alta fu quella della ragazza con le code bionde. «La sua ragazza sono io!» Anche Zephiro la sentì. Roxy vide l'espressione di pura rassegnazione che era comparsa sul suo viso. Incredibile ma vero, erano riusciti ad arrivare in fondo, lui le fece fare una giravolta – e ancora lei non sapeva dire come ci fosse riuscito – e le gambe non l'avevano retta. Si era ritrovata seduta ancor prima di rendersene conto, seguita da un coro di: «Ohh», invidiosi e ammirati. Wizgit non disse niente neanche una volta. Roxy era un po' confusa. Non poté impedire al suo cuore di battere più forte, né ebbe il tempo di negare a se stessa che quella prova di maestria non le avesse fatto almeno un po' piacere. Certo, lui era uno spaccone e le ragazze la fissavano con odio, ma quella sensazione non voleva sapere di andarsene. Poi una mano scattò verso l'alto. Quella della ragazza coi capelli biondi. «Professore!» chiamò. La sua voce era alta e querula, un po' acida, al momento. «Professore, chi è questa sconosciuta?» Wizgit vagò in cerca della proprietaria della voce e la individuò, non appena vide la mano alzata. «Ah, signorina Theril!» disse. «La sconosciuta chi?» «Quella.» Theril fece un cenno verso il banco dove era seduta Roxy. «Chi è? E perché ha preso il banco di Zephiro?» Un brusio, stavolta di assenso, seguì la domanda. Roxy si rese conto per la prima volta che non c'erano altri ragazzi, in classe. Il tutto mentre il professore si accorgeva che, effettivamente, lei non era una delle sue studentesse. Si grattò i capelli sotto il suo strano cappello verde e la fissò con aria dubbiosa. «Eh, già... accidenti.» borbottò. «Ancora non sono riuscito a memorizzarvi. Chi sei, signorina?» «Ehm... Roxy.» «L'ultima fata della Terra.» specificò Zephiro, prima che Roxy stessa potesse pensare di rispondere più adeguatamente di quel che aveva fatto lei stessa poco prima. Si sentiva tanto stupida, in quel momento, e le ragazze ridacchiavano di quel suo fallimento con evidente piacere, ma non quella bionda che si chiamava Theril e che, invece, la fissava con una invidia che aveva del morboso. «Abbiamo provato a dirglielo,» borbottò Roxy. «ma lei non ci ha dato il tempo di spiegarglielo.» «Oh.» fu l'unica risposta di Wizgit. «Beh, allora deve andarsene!» esclamò Theril. «Se non è una studentessa non può partecipare alle lezioni, le pare?» «Ma è una fata!» rispose un'altra ragazza, una mora con i capelli a caschetto. «Forse potrebbe...» «Non è stata ammessa!» replicò la bionda. «Quindi non può seguire!» «Professore?» la voce di Zephiro si levò alta tra quelle delle ragazze che avevano cominciato a discutere. Entrambe si zittirono, Theril lo guardò e sospirò mielosa. «In fondo, Roxy non sarà ammessa l'anno prossimo?» guardò Wizgit e Wizgit guardò da lui a Roxy per qualche secondo. «La preside Faragonda non ha detto che non può. Può seguire, finché non verrà detto diversamente.» Roxy si risvegliò con quelle parole. «Ehi!» esclamò, balzando in piedi. Anche così, però, era più bassa di lui di tutta la testa. Non le importò, piantò di nuovo le mani sui fianchi. «Chi ti ha detto che io voglio seguire le lezioni? Come ti permetti di prendere delle decisioni per me senza consultarmi?» «Beh, qualcosa dovrai pur fare!» ribatté lui, irritato. «Tanto vale che rimani qui. Faragonda ti ha affidata a me, quindi è meglio se mi rimani vicino e non combini disastri.» «Io non combino disa...» «Bene bene bene!» la voce del professore interruppe la loro discussione. «Non c'è bisogno di fare tanta confusione per nulla! Dato che non lo sai, Roxy, io sono il professore di incantesimi e oggi avevo in mente una lezione teorica, ma... dato che ci siamo... signorine, perché non facciamo vedere a Roxy quello che siamo capaci di fare in pratica? Così servirà a voi per affinare le vostre tecniche e per far vedere alla nostra ospite che cosa studierà l'anno prossimo!» Alcune applaudirono, Theril sbuffò e incrociò le braccia al petto. Subito dopo si voltò. Nel suo sguardo, Roxy percepì tutto il suo odio. Questo le fece capire che che sarebbe stata una lunga, lunghissima mattinata.
§
Roxy si guardò intorno, la piccola arena all'aperto dentro cui il professor Wizgit le aveva portate per quella «esercitazione pratica». Tutte le altre ragazze erano eccitatissime, ridevano tra di loro, erano in gruppo e già pensavano alle magie che avrebbero potuto fare per impressionare «la ragazza nuova». Per la maggior parte, dopo la tensione iniziale, avevano cominciato ad essere gentili, si erano presentate, ma tutti i nomi si erano confusi nella testa di Roxy che non li aveva tenuti a mente. Solo uno, ci rimaneva, quello di Theril che era l'unica che continuava a guardarla con astio, insieme al suo gruppetto di amiche, le stesse che aveva intravisto nel cortile. Zephiro se ne stava in disparte, anche se lei aveva notato che le altre non gli staccavano gli occhi di dosso, così come non smettevano di tartassare lei di domande: «Ma tu e lui come vi siete conosciuti?» «E perché ti tiene sempre per mano?» «Perché Faragonda ha chiesto a lui di farti fare il giro della scuola?» «Ma lui ti piace?» «È vero che è carino?» «Ha uno sguardo così penetrante!» «E i suoi capelli! Avete visto che capelli, che ha? Mi piacerebbe toccarglieli!» «Oh, a me piacerebbe dargli un bacio!» «Guarda che devi lasciarlo perdere! È il ragazzo di Theril!» «Macché! È lei che se l'è inventato. Zephiro non è il ragazzo di nessuna! E pensare che potrebbe averci tutte, se solo schioccasse le dita!» «Sì, è vero! Lo sai che non ha mai toccato nessuna di noi?» «Oh, tu sì che sei fortunata, Roxy!» Roxy taceva e annuiva. Tutte quelle chiacchiere cominciavano a darle il voltastomaco. Mentre erano impegnate a lodare l'eterocromia di Zephiro che si stava strofinando da un po' l'occhio dorato con foga eccessiva, lei lo raggiungeva sugli spalti più in alto. Lo sguardo di Theril era fisso su di lei, ma lei decise che non le importava niente, che Theril era una smorfiosa e che le fate di Alfea erano frivole e sciocche. «Ora capisco perché sei così scontroso.» gli rivelò, buttandosi a sedere accanto a lui. Zephiro continuò il suo strofinio dell'occhio. Sembrava che dovesse cavarselo. Si alzò senza dire una parola e, barcollando leggermente, si allontanò da lei e si avviò verso l'uscita. Il tutto senza dire nemmeno una parola. La fata degli animali lo odiava, lo odiava a morte. «Che antipatico.» sibilò, astiosa. «Poteva almeno salutare!» «Ehi, tu!» la voce di Theril le penetrò le orecchie come il sibilo di una frusta, la sua ombra la sovrastò e la costrinse ad alzarsi di scatto, spaventata da quell'improvvisa intrusione. Dietro la fata bionda, c'era tutto lo stuolo delle sue amiche, una piccola corte che, sembrava, non la lasciasse mai, ovunque andasse. «Lascia che mi presenti a dovere: io sono Theril, come avrai già avuto modo di capire. E loro sono le mie amiche.» le indicò una per una e tutte quante, sebbene non fossero bionde come Theril, erano comunque molto belle, tranne la ragazzina che stava dietro a tutte e che aveva fatto fatica a stare loro dietro, che era l'unica che risultò in qualche modo simpatica a Roxy, forse perché anche lei sembrava così persa in quel mondo sconosciuto. Ma non riuscì a finire il pensiero, che si ritrovò a fissare di nuovo l'ape regina che le rivolgeva un furioso sguardo omicida. «Dobbiamo chiarire un paio di cosette, noi due, carina.» «E che cosa?» «Stai lontana dal mio ragazzo.» «Non è il tuo ragazzo.» proruppe Roxy. «Non sono affari tuoi. E comunque sì, per tua informazione, lo è. Solo perché le altre sono invidiose, non vuol dire che non sia il mio ragazzo. Che cosa vuoi da lui?» Roxy cercò in giro il professor Wizgit e lo vide, mentre toccava la spalla di un provato Zephiro e lo accompagnava fuori dall'arena. «Niente! Mi stava facendo fare un giro della scuola!» replicò, tornando a guardare la fata bionda. «Puoi tenertelo, il tuo stupido ragazzo!» Lo sguardo di Theril si fece altezzoso e sul suo viso si formò un sorrisetto condiscendente. «Lo sapevo, sei solo una piccola sciocca invidiosa. Solo perché sei amica delle Winx credi di potermi intimidire? Magari non sei neanche una fata!» Roxy si accigliò, accantonando in un istante ciò che aveva detto la ragazza goffa riguardo alle Furie, qualunque cosa fossero. «Io sono una fata!» Il sorrisetto sulla bocca di Theril si estese anche al suo sguardo. «Ma davvero? Sei una fata ed è stato così facile farti catturare da una Furia?» rise di gusto, una risata argentina e bella tanto quanto era crudele. Le sue parole avevano fatto il giro dell'arena, le altre ragazze, chiuse in altri gruppetti, si girarono verso di loro. Anche loro, come Roxy, avevano sentito le cattiverie che aveva detto Theril. «L'ho scoperto da poco!» «Oh, lo immagino! Devi essere così incapace che nemmeno ti hanno voluto ammettere ai corsi!» Roxy si accigliò. Ma cosa voleva quella lì? Perché le diceva tutte quelle cattiverie gratuite se neanche si conoscevano? «Io non sono incapace!» dichiarò, rossa in viso per la frustrazione, i pugni stretti lungo i fianchi. Stava tremando. «So fare degli incantesimi! Le Winx mi hanno insegnato qualcosa, sai? E ho imparato da sola a far parlare gli animali.». «Sì? Dimostralo!» Roxy si sentì con le spalle al muro. Non le veniva in mente come fare, tanto più che Artù non era lì con lei e non poteva far vedere a quella smorfiosa cosa riusciva a fare. Le mancava tanto il suo amico a quattro zampe, lui sicuramente avrebbe saputo cosa fare per riportare a più miti consigli quella ragazza tanto cattiva. «Come immaginavo.» continuò Theril, con voce flautata, spostandosi i capelli anche se non c'era bisogno. Roxy si sentì solo molto più mortificata. «Non sai nemmeno trasformarti, suppongo!» «Certo che so farlo!» fu l'unica cosa che riuscì ad esclamare. Theril, però, sorrise, di nuovo condiscendente. «Certo, come no. Io so trasformarmi! Sono stata la prima a saperlo fare! E te lo dimostro subito!» non fece in tempo a finire di parlare che aveva già sprigionato una quantità di luce tale da costringere le altre a coprirsi gli occhi. Era una luce rosa e verde e gialla che, ben presto venne risucchiata dal corpo di Theril che si ritrovò cambiata, con un completino luccicante molto attillato nei colori delle luci, le scarpe alte, viola chiaro, un paio di leggins verde scuro e un top con una sola manica rosa e due coppie di alucce gialle che la lasciavano fluttuare a mezz'aria sopra Roxy. Completava il tutto un cerchietto verde e rosa, mentre le code rilucevano come se fossero stato di oro puro. Era bellissima, e Theril ne era così consapevole che guardava tutte le altre d'alto in basso. «Bene...» disse la fata bionda, fissando Roxy con aria di sfida, tronfia in un modo inaudito. «Io mi sono trasformata, tu che aspetti?» Roxy si accigliò e così facendo accettò tacitamente la sfida. Attinse al potere che c'era dentro di lei, lo trovò, proprio come le aveva sempre detto di fare Bloom. «Vuoi che mi trasformi? E va bene!» chiuse gli occhi, trovò il suo potere, lo afferrò con la forza di un leone e poco dopo fronteggiava Theril con la sua stessa arma. Le scappò un sorrisetto maligno. Un coro di «Ohhh» ammirati si levarono dalle ragazze rimaste più in basso. «Avete visto com'è bella Roxy?» «E le sue ali! Oh, avete visto come sono grandi! Sembrano quelle del livello Believix!» «Oh, come la invidio!» «Vorrei anche io delle ali belle così!» Theril tremava, sentendo tutto quello. Non riusciva a sopportare di essere stata messa in ombra da una perfetta signora nessuno, il completo disinteresse per lei, l'ammirazione per Roxy, l'attenzione dirottata da quella nuova arrivata che aveva provato a denigrare in tutti i modi. Anche le sue amiche, quelle che la seguivano ovunque e che la consideravano così brava e piena di poteri incredibili, nel vedere quella sciocca ragazzina nuova che si prendeva tutte le attenzioni, anche da parte loro. Che si faceva notare da Zephiro semplicemente rimanendo addormentata, che si faceva notare dalle altre semplicemente facendosi prendere per mano da lui, che poteva seguire le lezioni semplicemente perché era un'amica delle Winx, che poteva trasformarsi, avere le ali appena più grande del normale e tutte quante subito andavano in visibilio. Theril odiava Roxy. Come in sogno, allungò una mano contro di lei. Non sapeva che cosa avrebbe fatto. Voleva solo farlo, voleva vendicarsi, riprendersi solo il posto che le spettava di diritto, in cima alla piramide. Perché lei voleva essere bella e ammirata, perché se lo meritava. Era una principessa, in fondo, e nessuna sciocca ultima arrivata doveva soffiarle il posto che le spettava di diritto. La rabbia fu incanalata in quella mano tesa. «Ehi! Che stai facendo?» la apostrofò Roxy. Si era messa in posizione difensiva. Theril teneva i denti stretti per la collera. E poi improvvisamente apparve il globo di luce. «Ecco, prendi questo, piccola strega!» lo lanciò con tutte le forze che aveva. Quella sciocca non aveva modo di difendersi... sarebbe tornata tra le braccia delle Furie in un batter d'occhio. Roxy sgranò gli occhi, non ci capì più niente. Solo che un globo di luce stava andando dritto verso di lei e che non aveva modo di fermarlo. Incrociò le braccia sul volto, la palla la colpì al centro dello stomaco, si sentì sbalzare all'indietro, gridò. L'aria sembrava non esistere più, continuava a prendere velocità e le ali non le rispondevano neppure. «Aiuto!» gridò, ma ormai cominciava a volare a precipizio, giù, verso il suolo. Sentì le grida disperate di qualcuno sotto di lei, immagini confuse di persone che correvano da una parte all'altra. Theril che volava verso di lei come se volesse aiutarla a cadere più in fretta, le mani tese verso le sue gambe. Vide solo indistintamente una figura bianca e blu e un mulinello bianco intorno ad una mano, in basso, sotto di lei e poi vide fili di vento che la avvolgevano dolcemente, come nastri di uno dei vestiti particolari di Stella, cominciò a rallentare la sua caduta, si ritrovò sdraiata su un letto fatto d'aria. Theril, invece, si bloccò a mezz'aria, sbalzata indietro da due fruste ventose che volevano colpirla. Roxy d'improvviso si fermò, due mani le toccarono la schiena alata e quando guardò di lato, mentre il suo corpo, che non le ubbidiva più, crollava a terra spinto dalla forza di gravità e la fine della magia, vedeva il viso di Zephiro e il suo occhio arrossato per via dello strofinio selvaggio. Era inginocchiato al suo fianco e la sorreggeva con le braccia. «Z-Zephiro.» disse, con voce piccola. «Mi hai... mi hai salvato?» «Io...» il ragazzo sembrava smarrito quanto lei. «Io credo di sì.» E mentre loro tentavano di raccapezzarsi su quello che era appena successo, poco lontano, Theril scoppiava a piangere senza ritegno. Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
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