Step from the brink of Death.

di albaTH
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Ragazzo con gli Occhi di Cristallo. ***
Capitolo 2: *** Labbra rosse di sangue. ***
Capitolo 3: *** La cruda Realtà. ***
Capitolo 4: *** I can see but once I was Blind. ***
Capitolo 5: *** Una discoteca veramente Infernale. ***
Capitolo 6: *** Sindrome di Stendhal. ***
Capitolo 7: *** Another brick in the wall. ***
Capitolo 8: *** Fantasie arcane il venerdì. ***
Capitolo 9: *** Come il sole tramonterò... ***
Capitolo 10: *** L'amor che move il Sole e l'altre stelle. ***



Capitolo 1
*** Il Ragazzo con gli Occhi di Cristallo. ***


Mi guardavo le punte dei piedi con fare molto interessato, la sigaretta stretta in mano che emetteva sbuffi grigi di fumo. La noia dipinta probabilmente sul viso, mi tormentavo le ciocche blu con poco interesse e disinvoltura. Mai nulla di nuovo, in città: come al solito, la monotonia e la solitudine mi attanagliavano le viscere, la gente intorno a me era fredda e di ghiaccio come al consueto, o almeno così la faceva apparire la mia costante sociofobia. Non so, di preciso, cosa ci facessi in giro a quell’ora tarda, tutta sola a fumarmi una cicca, ma di sicuro non dimenticai mai ciò che quella notte mi fece conoscere. Ma forse, è meglio iniziare tutto dall’inizio. Mi chiamo Fire. Il mio nome spesso incuriosisce la maggior parte della gente, e non ne capisco il perché. In fondo, è solo un nome come un altro. La mia vita, fino ai diciotto anni, l’ho trascorsa infelicemente nel piccolo paesino in cui sono nata e ho trascorso la mia infanzia. Consiglio di starci alla larga, a chiunque tenga alla propria salute; gli assassinii erano all’ordine del giorno, ma non so per quale malsano motivo, camminavo tranquillamente per le vie buie e deserte, deridendo l’idea che qualcuno potesse uccidermi: tanto meglio, mi dicevo, mettere fine alla mia inutile e insignificante vita. La Morte mi circondava sempre, come un’aura malefica e inquietante, che mi dava una sicurezza insana e tetra. La Morte, mi dicevo, mi abbracciava, mi sussurrava maligna all’orecchio che lei era la soluzione a tutto, e che era così facile, così semplice, abbandonarmi fra le sue braccia… Non capisco proprio cosa mi abbia fermata e cosa mi fermi tutt’ora dall’ascoltare le sue tentazioni e i suoi bisbiglii, so solo che la sua presenza era confortante, ma non per questo le ho mai prestato davvero ascolto. Era come un piano B, un piano di riserva, da utilizzare come ultima chance, prima che il mio sipario si chiudesse e l’opera quale è stata la mia miserabile vita finisse senza applausi.
E quella notte, nella strada buia, aspettavo solo te, ignoto e anonimo assassino, in modo che tu rubassi la mia vita e la disintegrassi, ma tu, non sei mai arrivato. Ti ho aspettato a lungo, sotto le stelle morte, sotto il cielo nero e spento, ogni fottuta notte ero lì ad attendere il tuo caldo abbraccio.
E un giorno, tutt’un tratto, senza preavviso alcuno, iniziai a termerti, a temere il tuo terribile e magnifico operato, quando sulla strada, avanti a me, comparve lui. All’inizio era null’altro che un punto lontano, che mi veniva incontro. Scocciata, feci per andarmene, affinché la mia sociofobia si mettesse a tacere; poi, poi ho incrociato il suo sguardo di ghiaccio. Uno sguardo albino, bianchissimo e opalescente, con un infinitesimale parte di pigmento azzurro, che mi ha fatto tremare nel buio. Mi ha fissato, scrutandomi l’Anima con quelle finestre bianche che recava in viso, e mi sono sentita denudata, priva di vestiti, di corazza; mi guardava come si guarda un dolce bruciato. Non riuscivo a muovere un solo muscolo, ero ancorata a quella parete, la sigaretta vincolata alla mano, la cenere sul punto di cadere, come se qualcuno avesse bloccato il tempo. E così, smisi di inseguirti, mio ipotetico assassino, perché in quel momento, in quel preciso istante, capii che la mia morte sarebbe giunta solo per mano del Ragazzo con gli Occhi di Cristallo. Da nessun altro.
Rimasi a rimirarlo mentre mi sfiorava passandomi accanto, non degnandomi più di uno sguardo. Il suo tocco mi percorse la spina dorsale di gelo, di ghiaccio bollente, finché lui si allontanava a passo della grande falcata e scompariva dietro un angolo. E guardandolo andare via, il sapore dell’amaro in bocca mi colpì forte, la cenere mi cadde improvvisa addosso imbrattandomi le scarpe. Ero già completamente, totalmente, sua. E di nuovo sola nell’oscurità. Mi sfiorai lentamente il fianco, lì dove lui mi aveva accidentalmente sfiorato, e tremavo incontrollatamente.
”Rilassati, Fire.” Odiavo parlarmi da sola, mi faceva sentire una psicopatica più di quanto già non fossi, ma mi infondeva sicurezza e calma. Nessuna persona, che non fosse immaginaria, mi aveva mai shoccato tanto solo a guardarla, a toccarla inavvertitamente.
“Beh, sì, di solito faccio questo effetto sulle ragazze.”
Sentii il mio corpo diventare di marmo. Aveva parlato una voce profonda e suadente, giovane e ferma. Lentamente, voltai il capo dietro di me ed ebbi il secondo enorme shock della serata.
Il Ragazzo con gli occhi di Cristallo mi fissava, una mano appoggiata al muro, un angolo della bocca carnosa volto verso l’alto in una sorta di sorriso di leggero scherno. Per qualche sconosciuta ragione, era tornato indietro.
Rimasi zitta, stupefatta, bloccata dal terrore puro che mi assaliva, quando dovevo parlare con qualcuno che non fosse me stessa.
“Vieni con me, Fire” disse finché si incamminava, tornando da dove era venuto.
Mi aveva ascoltato finché parlavo da sola. Mi sentivo una stupida.
Sapeva il mio nome. Mi sentivo leggera come l’aria.
Lo seguii sognante, volando a un metro da terra.



"L'universo trova spazio dentro me, ma il coraggio di vivere, quello, ancora non c'è."


Angolo dell' "autrice".

Il primo capitolo finisce qui. Se state leggendo questo vuol dire che siete sopravvissuti alla mia stupida storia. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, lasciate un recensione se vi va, mi farebbe piacere. Grazie dell'attenzione, fra pochi giorni posterò il capitolo successivo. Ciao a tutti.

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Capitolo 2
*** Labbra rosse di sangue. ***





"T'immagini se con un salto si potesse, si potesse anche volare; se in un abbraccio si potesse scomparire... E se anche i baci si potessero mangiare ci sarebbe un po' più amore e meno fame. E non avremmo neanche il tempo di soffrire... Poi t'immagini se invece si potesse non Morire."

 
Dio, se esisti, ti ringrazio per avermi fatto smettere di tremare, mentre seguivo il ragazzo dai capelli corvini, a tre passi di distanza da lui.
Ero ancora scossa, ma riuscivo a controllare l’emozione. Osservando il mio guidatore da dietro, non potei fare a meno di notare le spalle larghe e la schiena dritta e scolpita come la statua di un dio greco. Era imponente, dominante, sicuro. Infondeva anche a me una curiosa sensazione di sicurezza, mescolata al terrore di dire qualcosa di stupido, di fare una figuraccia.
“Ehi, tranquilla, respira, per favore.” mi disse il ragazzo, senza voltarsi. Davvero la mia tensione era così palpabile? Ma non so davvero nemmeno io come, distesi i nervi e divenni quasi rilassata, come se colui che stavo seguendo fosse mio fratello, o comunque una persona che conoscevo da sempre.
‘Riesce a leggermi nei pensieri?’ pensai, e la mia stessa idea mi fece soffocare una risatina in gola.
Allungai il passo, per non perdere di vista il Ragazzo con gli Occhi di Cristallo. Ecco, pensai, forse erano quei suoi occhi a rendermi così vulnerabile e infantile, a parte naturalmente il suo fascino oscuro e misterioso.
“Comunque,” la sua voce profonda interruppe il filo dei miei pensieri, “sì.”
“Sì cosa?” borbottai confusa, fissandomi i piedi.
“Sì che riesco a leggere la tua mente. È così chiara, semplice, ovvia.”
Ammutolii, come chiunque altro avrebbe fatto ad un’affermazione del genere.
Lui, non udendo risposta, mi punzecchiò: “Beh, naturalmente non ci credi. Classico per una Cieca. Okay, prova a pensare a una cosa qualsiasi, e ti dimostrerò che non sono un bugiardo.”
Il suo tono era calmo e ridanciano, ma il viso non sorrideva, era serio e buio come conoscesse sulla propria pelle tutti gli orrori del mondo.
Feci quello che mi diceva. In fondo, se degli occhi come i suoi potevano essere reali, perché non la sua capacità di leggere i pensieri altrui?
Un secondo dopo, sul viso del giovane comparve una quasi impercettibile espressione di stupore, che subito scomparve.
“No,” disse poi, divertito, “i miei capelli non sono tinti.”
E rimasi a bocca aperta.
“Puoi insegnarmelo? Ti prego.” supplicai.
“Naturalmente no,” rispose vagamente ironico. “Non è una delle capacità che una Cieca potrebbe avere.”
Cieca. Che curiosa espressione.
“Scusa, perché mi chiami così?” domandai leggermente infastidita da quel soprannome bizzarro.
“Perché le cose vanno chiamate con il loro vero nome. Ed è quello che sei. Sei Cieca. Non vedi le cose intorno a te come realmente sono.”
Non potei evitare di domandargli come fossero veramente le cose.
“Oh,” sorrise, mostrando denti bianchissimi, più della sua pelle, “sono molto, molto diverse da come le vedi tu, puoi giurarci.”
Sollevò lentamente una mano davanti a se. Era una mano grande, con dita lunghe e flessuose da pianista. La cosa inquietante erano le sue unghie, affilate e ricurve, come fossero artigli.
Con fermezza portò l’unghia dell’indice sulla pelle scoperta della mia spalla. Sussultai visibilmente al suo tocco, ma egli fece finta di non averlo notato. E poi, con decisione, piantò con forza l’artiglio nella mia carne, per dopo ritrarlo immediatamente. Ero sconvolta, dal dolore, dal suo gesto, dalla sua mano mostruosa. Lui era calmo e tranquillo mentre piano avvicinava il volto alla mia spalla sanguinante e sfregiata. Ero troppo scombinata per scostarmi quando le sue labbra poggiarono dolci sulla mia ferita. Dopo che ebbe allontanato la bocca, il mio corpo, inspiegabilmente, non recava alcuno sfregio, era esattamente come cinque minuti prima dell’accaduto.
Lo guardai sorridere. Aveva le labbra rosse del mio sangue. Senza dire parola alcuna e senza pulirsi le labbra da quel liquido viscoso, si girò e continuò a camminare, sicuro che l’avrei seguito ancora.
E infatti, naturalmente fu quello che feci. Ero confusa e sconvolta, ma ammaliata e affascinata.
Chi era quel tipo dagli incredibili poteri sopranaturali?
“Ah,” disse il ragazzo accelerando il passo. “puoi chiamarmi Sean.”
 

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Capitolo 3
*** La cruda Realtà. ***


“’Cause you and I, we were born to die.” L.D.R.
 
“Dove mi stai portando?” chiesi alla fine, dopo dieci minuti che camminavamo immersi nel più completo silenzio.
“Stiamo andando a vedere la Realtà.” rispose Sean, guardandomi. Non lo stavo più seguendo, camminavamo fianco al fianco, sfiorandoci i gomiti a vicenda, come due amici di vecchia data. Ero a disagio, il cuore in gola, ghiacciato.
“Perché proprio io?” domandai, fissando il vuoto, “Perché hai scelto me? Sono solo una delle diecimila persone uguali a me, non ho nulla di speciale.”
Avevo la bocca amara e secca.
“Sei una Cieca, è vero, ma nella tua mente hai pensieri oscuri, diversi da quelli degli altri mortali… Hai un’anima anziana, anziana come il mondo. E come te non ce n’è affatto altri diecimila. Oserei definirti un’intelligenza unica. Non posso lasciartela sprecare vivendo nella finzione.
Ecco, siamo arrivati.”
Concluse la frase così, come se non mi avesse appena fatto il più grande e strano complimento che avessi mai ricevuto.
Mi guardai intorno, stordita e curiosa.
“Non è un semplice campo. Ciò che vedi è tutta finzione, pura illusione.” disse, leggendomi la mente.
Poi, con fare malizioso tanto quanto il sorriso che sfoggiava stampato sulle labbra (ancora incrostate del mio sangue), si avvicinò al mio viso.
Pallido come un cadavere.
Eravamo talmente vicini che le nostre labbra avrebbero potuto congiungersi. Rabbrividii al solo pensiero, per poi cancellarlo in fretta, ricordandomi che Sean avrebbe potuto leggerlo.
“Ecco,” sussurrò, fissandomi con gli occhi diafani e serpentini nelle iridi, “ammira la Realtà.”
E così dicendo, soffiò sui miei, spingendomi a chiuderli in un gesto involontario. Il suo fiato era gelido e sapeva di menta, e sangue.
Quando risollevai le palpebre, il campo non era più un campo. Ma, dopo quella notte, mi riusciva difficile stupirmi ancora di qualcosa. Davanti a me di distendeva, pareva all’infinito, una steppa bruciata, priva di vita e piante, costellata di erba morta.
“È così il vero mondo, così l’hanno ridotto.” mi raggiunse da dietro di me la voce amareggiata di Sean.
Mi girai a guardarlo, la bocca serrata e ridotta a una linea sottile, gli occhi dilatati e spalancati.
“Che cosa sei? Un mago?” lo apostrofai.
Sean rise. E sempre ridendo, rispose.
“So di essere sexy, ma basta fissarmi così.”
Poi, mi porse uno specchio. Aveva una forma antica, ovale, il classico specchio da principessa delle favole, solo che quello era reale; non capivo da dove l’avesse estratto. Lo guardai interrogativa e Sean mi invitò a guardarmi. Lo feci: ci misi qualche secondo a riconoscermi. I miei occhi, da sempre pozzi neri, ora erano verdi, verdi come il mare, verdi come gli smeraldi.
“Ora possono Vedere, si sono spalancati sulla Terra.” spiegò Sean, come fosse ovvio.
Gli occhi gli brillavano, poi tornò serio.
“Per rispondere alla tua domanda, no. Non sono un mago; non sono nemmeno sicuro che esistano veramente.” deglutì. “Sono uno spirito dannato. Un’anima a cui è stata negata perfino la Morte. Sono costretto a vivere per sempre, tutta l’Eternità… nemmeno il dolore posso provare, nemmeno quella futile sembianza umana mi è concessa. Il mio corpo non è sensibile al tatto; non posso soffrire, a parte che con il cuore.
Sono un Demone.”

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Capitolo 4
*** I can see but once I was Blind. ***


“In fin dei conti, per una mente ben organizzata, la Morte non è che una nuova, grande avventura.” A.S.
 
“Mi dispiace” gli dissi, guardandolo in viso.
“Di cosa? Che io sia un Demone?”
“Nah, non è la cosa più strana che abbia saputo oggi, in effetti…” lo canzonai, “Intendevo, mi spiace che tu non possa morire.”
Non riuscivo, a immaginare l’essere costretti a vivere per sempre, contro la propria volontà, non potersi uccidere…
Era quello, che mi spaventava e ancora mi spaventa: non riuscire a vedere la fine. Non vedere la fine di una città, come se essa fosse sconfinata per far sì che io non riesca mai a terminare il viaggio, non vedere la fine della mia vita.
Mi accorsi che Sean mi stava guardando; colsi una nota di ammirazione così sottile che pensai di averla immaginata.
“E mi chiedi come mai ho mostrato proprio a te tutto questo?” era radioso.
Un intero, interminabile e teso minuto di silenzio ci divise.
“Ehi,” disse finalmente Sean con dolcezza infinita, “ non hai ancora visto la parte bella della Realtà.”
Mi prese delicatamente per mano e mi allontanò, con mio grande sollievo da quella steppa brulla e, appunto, senza una fine tangibile.
“La parte bella?” domandai; mi aspettavo un ade senza fine a dir la verità, non che ci fosse una ‘parte bella’.
“Beh sai, noi Demoni dovremmo pure divertirci… In fondo, abbiamo tutta l’eternità libera.”
 
La notte sembrava più buia. Anzi, sicuramente i miei nuovi occhi Vedevano la notte come appunto era. Era così profonda, così densa, da sembrare un enorme buco nero.
La mia mano stringeva convulsamente quella di Sean, i suoi artigli che non più mi spaventavano conficcati nei palmi, facevano scorrere un rivolo di sangue. Ma chi se ne importava? Sean mi stringeva la mano.
“Siamo quasi arrivati.” mi rassicurò, ed ebbi la percezione che stesse sorridendo nell’Oscurità.
“Sean… Non è un nome da Demone. Mi ero sempre immaginata qualcosa tipo Gygrek o qualcosa di simile.”
‘E non avrei mai pensato che un Demone potesse essere così sensuale' pensai.
E Sean rise.
“Ti dimentichi che io leggo i tuoi pensieri, Fire.” disse con disinvoltura, e io divenni sicuramente scarlatta in volto.
In fondo, forse quel buio non era così male, se nascondeva il mio rossore.
“Sean me lo sono inventato, mi piaceva,” continuò poi, “odio il mio vero nome.”
“Che sarebbe?” ora, superato l’imbarazzo, ero curiosa.
“Cos’è, vuoi chiedermi l’amicizia su facebook? Mi chiamo Lucifero, ma ti prego, non usare mai questa informazione contro di me.”
“Lucifero?” quasi mi piegai a terra dal ridere, “Però, molto adatto, effettivamente hai proprio una faccia da LUCIFERO.” lo presi in giro.
“Beh sai, il nome ‘IlPiùSexyDiTutti’ era un po’ troppo lungo per i gusti di mia madre.”
La sua battuta mi fece ridere, fino a quando la risata non mi morì in gola.
Sean notò il mio cambio di espressione con superiorità: “Vedo che ci sei arrivata.”
“Lucifero…” mormorai, “Il Demone Lucifero.” ero sconvolta, nuovamente.
“Sì, sono piuttosto famoso, negli Inferi. Sono circondato da anime di paparazzi morti che mi assediano di fotografie.”
Non mi accorsi di essere andata a sbattere contro una porta di legno imponente, mentre camminavo. Sean si era fermato qualche passo indietro, così da evitare il mio stesso bernoccolo in fronte. Schioccò le dita, e la porta si aprì lentamente, cigolando un po’. Celava delle scale strette e antiche, in legno vecchio e tarlato, che conducevano verso il basso. Un bel po’ verso il basso. Sean mi invitò ad andare giù con un “prima le signore”, e io deglutendo avevo iniziato la discesa, finché lui mi seguiva. La porta dietro di noi si era richiusa, e camminavamo nel buio più totale; per qualche strana ragione ero sicura che non sarei andata a sbattere da nessuna parte.
“Fermati, ora.” disse Sean con voce cavernosa, “Benvenuta,” e fece una pausa più lunga del normale, “negli Inferi.”
 
 
 

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Capitolo 5
*** Una discoteca veramente Infernale. ***


“I’ll die happy tonight…” L.D.R.
 
E la porta in fondo alle scale si aprì. Non so cosa mi aspettassi, caldo, fuoco, fiamme guizzanti e anime dannate?
Il primo impatto era una discoteca molto affollata. O almeno, era ciò che pensavo avrebbe potuto essere una discoteca: non ero mai entrata in una, troppa gente, troppo rumore, e io sono fortemente asociale.
In poche parole, c’era un gran casino. Musica che sforava i timpani, gente scatenata che ballava senza sosta, altra seduta a dei tavoli a fare a gara a chi beveva più drink. Mi salì subito l’ansia; troppe persone, avrei dovuto parlare con tutta questa gente.
Mi fermai sull’uscio e guardai Sean, rabbiosa.
“Perché mi hai portato qui?” domandai seccata.
“Ovvio, per divertirci.” affermò lui; aveva già abbrancato un drink e lo stava bevendo come fosse acqua.
Mi scattò il nervo. Nera in volto, lo strattonai per il colletto della camicia: “Li leggi i miei pensieri o no, Lucifero?” sibilai, “Odio i posti del genere.”
Sean, di fronte al mio scatto d’ira, era perfettamente calmo. Sospirò.
“Ti avevo detto di non usare il mio nome contro di me… Stai tranquilla. Giusto un attimo per salutare i vecchi amici e ce ne andiamo, se è quello che vuoi.”
Si avviò in mezzo al marasma di gente indomita che danzava. All’inizio rimasi impietrita sulla soglia, poi lo seguii a passa svelto: aveva raggiunto un tavolino, e lì si era fermato, in piedi davanti a un gruppo di tre “persone” (più che altro, Demoni) che beveva e chiacchierava.
Mi fermai, un metro dietro di lui.
I tre individui avevano sollevato il capo, e fissavano Sean, dapprima accigliati, subito dopo raggianti, per poi alzarsi in piedi e stringerlo in un abbraccio.
“Lucifero! Vecchio mio! È da un secolo che non ci vediamo.” disse il primo; aveva capelli blu elettrici rasati ai lati, e la faccia coperta di piercing. Sembrava un cantante punk, piuttosto che una creatura demoniaca.
“Sempre esagerato tu.” borbottò Sean, “sono passati solo novantacinque anni. Ah, e non chiamarmi così.”
“Sì, lo odi e tante altre cose.” disse il tizio blu con noncuranza. Chi è la tua affascinante amica?” domandò poi.
Mi sentii il volto in fiamme.
“È solo Fire.” rispose Sean. Lo odiai per quella risposta.
Lo strano Demone punk mi si avvicinò, mentre lo stronzo responsabile a portarmi lì salutava gli altri due che erano seduti al tavolo.
“Piacere, Abbadon. Avrai senz’altro sentito parlare di me in qualcuna di quelle sciocchi libri religiosi che mi temono.” esordì.
“A dir la verità,” risposi, “non ho mai toccato la Bibbia in vita mia. Il tuo nome mi è sconosciuto.”
Il cuore mi batteva come quando parlavo in modo informale e forzato.
“Beh, sarà il caso che te lo ricordi allora.” disse Abbadon tendendomi la mano.
Stavo quasi per stendere il mio braccio e stringerla, quando lui la ritrasse di scatto e mi fissò negli occhi. Dopodichè di girò e guardò storto Sean.
“Una Cieca?!” gli gridò. “Tu, hai portato una Cieca negli Inferi?” era visibilmente disgustato.
Sean si avvicinò, seguito a ruota dagli altri due. Pensai che Sean fosse abituato a essere seguito da chiunque, e non senza una punta di invidia.
“Oh, rilassati Abby, è a posto. Garantisco io, e non solo per il suo straordinario fascino.” tranquillizzò il Demone.
Feci finta di non aver udito il suo ultimo commento.
“Grazie per l’infinita gentilezza che mi rivolgete, di cuore.” fiammeggiavo rabbia.
Dietro Sean, era rimasta solo una persona; l’altra evidentemente aveva deciso che la conversazione non era abbastanza interessante.
“Se lo dici tu.” replicò Abbadon guardandomi con superiorità, poi girò i tacchi e se ne andò aggiungendo solo un ‘ci vediamo nei prossimi novantacinque anni' cui Sean rispose con un cenno della mano.
Il terzo Demone era avanzato, fino a raggiungere Sean al fianco.
Era una donna di bellezza straordinaria: capelli fulvi e lunghi, il viso affilato e perfetto e le labbra spesse e carnose; indossava un lungo vestito rosso con lo spacco sulla coscia e tacchi neri vertiginosi.
Mi sentii sprofondare nella mia bruttezza: Sean se la divorava con gli occhi.
“Ciao.” mi disse semplicemente la ragazza, con voce sensuale ed elegante.
I miei occhi caddero sulle sue iridi. Mi guardava, ma non mi vedeva veramente: erano occhi vuoi e spenti.
“Tu sei…” iniziai, ma poi mi ricordai che i Demoni usavano la stessa parola per definire proprio me.
“Sì.” mi precedette lei (e io mi domandai se poter leggere il pensiero fosse un talento comune), “sono cieca; cieca, non Cieca. Io posso Vedere. Vedo in modo molto più dettagliato e vero di come lo fai tu, mortale.” sibilò, forse offesa.
“Fire, ti presento Azathoth, il Demone Cieco.” Poi si rivolse alla ragazza: “Sai, non ha molta familiarità con i nomi dei Demoni.”
“Capisco.” Sembrò sputare veleno lei, “Beh, ci si vede in giro Lucy.”
“Oh ti prego, sembra il nome di una fottuta Barbie.” disse Sean, salutandola con un bacio sulla guancia, dopodichè Azathoth si allontanò silenziosa e sinuosa sui tacchi a spillo.
Lei Vedeva, vedeva veramente. Non andava a sbattere in giro, non come capitava a me.
“Bene,” disse poi Sean, “usciamo da questo letterale caos Infernale.”
E si avviò alla porta, accompagnato da me e dalla musica incalzante.
 
Angolo dell’ “autrice”.
 
Grazie a  Howard Phillips Lovecraft per il nome del Demone Azathoth.
Grazie alla mia compagna di classe Venere per l’idea del Demone cieco.
Grazie a voi se vi piace la mia storia e la recensite.
 

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Capitolo 6
*** Sindrome di Stendhal. ***



“E l’occhio ride, ma ti piange il cuore… Sei così bella, ma vorresti Morire.” C.C.
 
Corsi su per le scale più veloce che potei e quando giunsi di nuovo nel nero profondo della notte avevo il fiato corto. Sean, invece, aveva il respiro perfettamente normale, come non avesse appena corso per una scala smisurata.
“Come fai…” gemetti, “…a non essere stanco?”
Mi guardò ilare e sospirò: prese la mia mano e se la portò al petto con delicatezza, attento a non ferirmi con gli artigli acuminati. Era freddo, ghiacciato; lo guardai interrogativa.
“Non noti niente di strano?” domandò.
“Sì.” risposi, “Sei gelato.”
“Non intendevo quello…” continuò Sean, “Ascolta.”
E così mi accorsi di cosa mancava. Il battito del suo cuore.
Ritrassi la mano di scatto.
“Io non sono umano, Fire. Non respiro. Non vivo.” disse lui tristemente e con rassegnazione.
Stemmo davanti alla porta dell’Inferno, uno di fianco all’altra per qualche minuto, in silenzio.
“Ora devi scegliere.” disse a un tratto Sean, "Devi decidere: tornare alla tua vita di sempre o restare nella Realtà. Sta sorgendo l’alba.” terminò, scrutando lo schiarire dell’orizzonte.
“Se torno,” chiesi, “ricorderò ancora tutto questo? Potrò rivederti?”
“Purtroppo, non è possibile.” disse Sean, “Se ti allontanerai da me, gli occhi che ti ho donato mi verranno restituiti. Ma se vuoi tornare a casa ugualmente, non posso biasimarti.”
Sembrava triste, pensai.
“Io non ho casa. Io non ho famiglia.” deglutii.
Vivevo con mio zio; nonostante fosse gentile con me, non riuscii mai a volergli bene, come non riuscivo a voler bene a nessuno.
“Vengo con te.”
Non era una decisione, era già chiaro nella mia testa prima ancora che Sean me lo chiedesse.
“Va bene.” Sean sembrava neutrale, notai delusa, “Ti accompagno a casa mia."
 
 
“Sean.” lo chiamai quando giungemmo davanti a un condominio e lì ci arrestammo.
“Non posso credere che tu abbia scritto ‘Potente Demone Lucifero’ sul campanello.”
Sean rise e alzò le spalle; poi con una piccola chiave aprì la porta e insieme entrammo nella palazzina. Salimmo un paio di piani di scale, fino a quando non arrivammo all’appartamento di Sean.
“Benvenuta nella mia piccola reggia.” sorrise lui.
Era uno spazio piccolo, e accogliente, di certo non la tipica casa da Demone.
‘I miei vestiti’ ricordai all’improvviso, ‘sono ancora a casa di mio zio’.
Sean intercettò i miei pensieri: “Tranquilla,” disse, “quelli erano vestiti da Cieca, senza offesa. Domani ne prenderemo di nuovi.”
“Che bello, il mio nuovo amichetto mi porta a fare shopping.” dissi ridendo.
 
 
Visitai l’appartamento; aveva solo tre stanze: una camera da letto, un bagno, e un salotto.
“Ma come?” domandai, “Non hai una cucina?”
“No. Io non cucino. Ordino al ristorante e mi faccio portare a casa il cibo.” disse con semplicità.
Se ne andò un attimo in camera a cambiarsi, lasciandomi sola.
Il salotto era una stanza da sogno, o almeno per me. Abbastanza grande, luminosa; un’ampia libreria la attraversava: il mio paradiso.
Nell’angolo, nascosto, c’era un pianoforte. Era meraviglioso: bianchissimo, immacolato e lucido, come una rosa appena sbocciata. Mi sedetti sul seggiolino, e d’istinto cominciai a suonare. Vivaldi, l’Inverno. E la musica cominciò a farmi perdere la cognizione del tempo, a farmi perdere in me stessa: mi entrò dentro, mi riempì il cuore di magia, di meraviglia.
Quando terminai di suonare, mi sentii completamente svuotata dal peso dell’Anima.
“Sai,” disse la voce di Sean dietro a me, “è sempre stato il mio sogno.”
 Aveva un tono fermo, ma stava piangendo.
“Saper suonare il pianoforte.” continuò, mentre una lacrima cadeva ai suoi piedi, infrangendosi. Mi alzai dal seggiolino, e lo risistemai al suo posto.
“Questi cosi,” e indicò gli artigli alzando entrambe le mani, “me lo impediscono.”
Era bellissimo: le labbra dischiuse e umide, i capelli d’inchiostro scarmigliati, gli occhi diafani colmi di lacrime.
 Se le asciugò con il dorso della mano.
“Scusa.” disse, “Ho la Sindrome di Stendhal. E non avevo mai sentito questa sinfonia.”
Lo guardai un’ultima volta, prima di chiudere gli occhi. Gli andai incontro e d’impulso, lo abbracciai, stringendolo forte, circondandolo con le braccia. Era freddo, privo di battito cardiaco, ma pieno di vita e d’amore.
“Grazie.” mi sussurrò all’orecchio, per poi staccarsi lentamente da me. Aveva nuovamente lo sguardo duro e fiero, non piangeva più.
“Puoi dormire in camera mia.” disse, “io userò il divano."
Mi addormentai, sommersa nel piumone del letto, inebriata dal profumo di Sean.
Il mio ultimo pensiero fu un: “Grazie a te.” sussurrato al buio.




Per chi non conoscesse la Sindrome di Stendhal: http://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Stendhal

 

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Capitolo 7
*** Another brick in the wall. ***


Perdonami amico ma io non scenderò da questa nave, non scenderò… Al massimo, posso scendere dalla mia vita.” D.B.T.D.L.N.
 
 
Una radio che suonava, profumo di cialde nell’aria e un sole caldo che entrava nella stanza. Mi alzai con calma, mi guardai nello specchio e rabbrividii, guardando la massa arruffata che avevo al posto dei capelli. Dopo averli sistemati, lisciandomi le ciocche nere e blu, andai in salotto. Sean era seduto sul divanetto, con un piatto enorme di cialde in mano.
“Ben svegliata, principessa. Ma lo sai che ore sono? Le 11.30.” mi prese in giro.
Sbuffai.
“Sai com’è, ieri siamo tornati a casa alle 5 di mattina…”
“Capisco.” rise Sean, “Beh, ti ci abituerai.”
 
 
Nel pomeriggio, come stabilito, ci recammo in uno di quei graziosi e tipici negozi di abbigliamento gestiti da Demoni. Sean insistette che mi comprassi un vestito, invece che i soliti jeans, e alla fine lo accontentai. Ne scelsi uno nero, agghiacciante, con le spalle scoperte e una modesta scollatura. Mi sentivo quasi nuda, e mentre Sean mi guardava provarlo, arrossii tantissimo.
“Niente male.” era stato il suo malizioso commento, prontamente ignorato dalla sottoscritta.
Pagò la proprietaria (un Demone dall’aspetto di una venticinquenne, dalle unghie laccate di blu elettrico) con delle strane monete d’argento molto antiche.
“Cosa sono?” domandai, guardandone la bellezza.
“Vulcani. La moneta dei Demoni.” rispose la commessa, squadrandomi. Ormai, ero abituata al comportamento che tutti riservavano a una Cieca.
 
I Demoni vivevano in una grande città, invisibile all’occhio dei Ciechi; tutto intorno era solo steppa bruciata, come quella che avevo visto, mi aveva detto Sean. Era una strana prospettiva: mi sentivo un po’ sperduta.
 
 
La sera scese velocemente.
“La notte dura molto più del giorno nella Realtà.” spiegò Sean.
Mi piaceva, come cosa. L’oscurità mi ha sempre infuso sicurezza, e protezione.
Tornati a casa, io e Sean ci sedemmo fuori, sulla sua terrazza, mangiando cibo giapponese e rimirando il sole mentre spariva dietro l’orizzonte.
Era un’atmosfera surreale, dorata, con il sole che periva che inondava il cielo aranciandolo, e le nuvole chiare che si muovevamo pigre.
“Qual è il tuo più grande desiderio?” chiesi a Sean, d’un tratto. Desideravo saperne di più sul mio nuovo e inquietante coinquilino.
Egli continuò a fissare l’orizzonte vacuo, con gli occhi di cristallo vuoti.
“Poter morire.” sussurrò più per se stesso che per me, “Semplicemente chiudere gli occhi e dormire per sempre. E il tuo, qual è?” domandò poi.
Ci pensai. La mia vita stava cambiando, in meglio. Soltanto poche ore prima, mi resi conto, la mia risposta sarebbe stata la stessa di Sean.
‘Poter morire.’
Ma ora… Ora non più.
“Aiutarti a realizzare il tuo desiderio.” risposi sincera, stupendomi di me stessa.
Sean si voltò di scatto e mi guardò prima con stupore, poi con grande serietà.
“Tu, che non riesci a sciogliere neanche la tua, di maledizione… Quella che non sai di avere, vorresti aiutare me? Non puoi farlo. Lasciami stare, posso ancora morire dentro.”
Si alzò. Il suo sguardo era pieno d’ira e rancore, inspiegabilmente; afferrò a caso un libro dalla libreria e si chiuse in camera, a leggere.
Rimasi sconvolta nella terrazza, le braccia penzoloni, morte, e il cuore in pezzi.
‘Cosa ho detto di male?’ pensavo affranta e avvilita.
Chiusi gli occhi, per pensare, mentre gli ultimi raggi di luce mi baciavano il volto.
Dalla stanza di Sean, mi giunse la sua voce. Stava cantando.
Aveva una voce bellissima, profonda e mielosa, bronzea. Mi penetrò nelle ossa, mi infiammò i polmoni.
“Angelo… Prenditi cura di lei. Lei, non, sa, vedere al di là, di quello che da…”
Era un canto triste, come una preghiera sussurrata al cielo, che parlava di disperazione e malinconia.
Quando ebbe terminato, il mio cuore era oro colato. Mi diressi verso la camera e ne spalancai l’uscio. Sean era sul letto, seduto, il libro aperto poggiato sulle coperte.
Mi avvicinai al suo viso. Ero emozionata, e tremavo per colpa della sua voce da brivido.
“Ce la faremo, vedrai.” Gli bisbigliai lentamente in un orecchio, e gli poggiai un bacio leggero sulla guancia ghiacciata. Ritraendomi, all’ultimo secondo Sean si scostò, involontariamente, e le nostre labbra si sfiorarono fragili, impercettibilmente.
Uscii in silenzio, senza dire più nulla. Chiudendo la porta alle mie spalle, mi toccai la bocca con le dita, e sorrisi.

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Capitolo 8
*** Fantasie arcane il venerdì. ***


“Quello che non ci chiediamo è: come posso Morire se in fondo sono già morto?” A.L.



Quella notte dormii io sul divano.
Da sveglia, corsi in camera di Sean.
“Buongiorno! Sai cosa faremo oggi?” quasi gli gridai, facendolo svegliare di soprassalto.
Mi guardò seccato, gli occhi socchiusi tipici di chi si è appena destato.
“Cos’è tutta questa allegria?” chiese mesto.
Lo guardai con una maschera di finta severità sul volto, e ignorai la domanda.
“A realizzare entrambi i nostri desideri.” continuai.
Durante la notte avevo setacciato la libreria di Sean, in cerca di informazioni sul mondo Reale. Ed era stata una buona idea.
“E come faremmo, scusa?” era molto poco fiducioso, rassegnato…
“Andremo da uno stregone.” annunciai.
Gli stregoni, erano umani al cento per cento, ma inspiegabilmente nascevano con enormi poteri innaturali e spaventosi: era scritto in un grosso tomo impolverato, sottratto allo scaffale.
“Ma sei pazza?” mi apostrofò.
“Non dirmi che il grande Demone ha paura di un essere umano che sa fare giochi di prestigio…” lo schernii allora.
“Tu non capisci.” disse, “Non hai idea di come siano gli stregoni. I Demoni, ne stanno alla larga.”
Si massaggiò gli occhi stanchi.
“Ascolta.” disse poi guardandomi negli occhi, “Ti è sempre stato detto chissà cosa, sui Demoni; che amano il sangue, che uccidono per gusto. Ma i veri malefici, non siamo noi; vogliamo solo divertirci… Sono tutte leggende quelle che squartiamo la gente, eccetera. I malvagi sono e sempre sono stati unicamente gli esseri umani.”
Pensai all’interminabile steppa morta.
“Sì,” disse Sean intercettandomi, “sempre gli umani hanno creato il campo bruciato, distruggendo, uccidendo i propri simili, odiando. La steppa è il male dei cuori che si riversa nel mondo. E noi, poveri Demoni innocenti, osserviamo nei secoli, rovinare il mondo che è anche nostro.”
“Anche io sono umana.” gli ricordai.
“Te l’ho detto.” sospirò, “Tu sei diversa.”
Avevo rinunciato ad obiettare.
“Beh, non importa.” sbottai. “Andremo da uno stregone, a qualsiasi costo. Voglio solo vederti felice…”
‘Quando mi ucciderai, sarà felice anche io.’
Silenzio. Di tomba.
“Va bene.” acconsentì alla fine. Sembrava gli desse sollievo farlo, ma anche enorme preoccupazione e nervosismo.
Dentro di me, esultai.
“Ma prima,” riprese, “torneremo negli Inferi, okay? Ho voglia di divertirmi un po’, prima di incontrare un essere così spaventoso.”
Accettai, di malavoglia; ancora mi ronzava nelle orecchie il baccano assordante di quella discoteca, e il pungente odore di alcool.
Sean sorrise, splendente.
E io, mi sentii felice. Forse, avrei potuto abituarmi ad esserlo.


Sean rimase in camera quasi tutto il pomeriggio, a fare cosa non ne avevo proprio idea.
Ne approfittai, per scoprire qualcosa di più sugli stregoni. Senza volerlo, trovai anche altre informazioni, a furia di sfogliare libri: per esempio, scoprii l’esistenza dei mezzosangue, nati dall’unione di umani e Demoni, anche chiamati “Vedenti”. A differenza dei Demoni però, i Vedenti erano mortali. Pensai a quanto Sean avrebbe potuto invidiarli, per la loro caratteristica di poter morire.
‘Per poter parlare con uno stregone, e necessario evocarlo.’ lessi poi; subito sotto era spiegato il rituale.
Era quasi buffo: un Demone che evocava un essere umano.


“Allora, sei pronta?” Sean uscì dalla stanza.
“A dir la verità, non ancora…” confessai farfugliando.
“Cosa?” sbottò. “Dai, veloce. Ci aspettano.”
‘Ci aspettano.’ Ovvero persone, pensai, mentre il panico mi assaliva.
Corsi nervosa a infilarmi il vestito nero e macabro e a sistemarmi i capelli.
Quando tornai in salotto, Sean mi guardò: “Bene.” disse, “Andiamo.”


Gli Inferi erano proprio come me li ricordavo: spiacevoli e rumorosi, pieni di Demoni scatenati e musica rombante.
Mi sentii subito a disagio, mentre Sean invece, sembrava essere a casa sua.
Salutava chiunque, camminava sicuro a passo di danza. Non sembrava più il ragazzo sensibile che aveva pianto sentendomi suonare il piano.
Presto, lo persi di vista, e rimasi inquieta e sola in piedi, a rifiutare ripetutamente i molteplici alcolici che mi venivano offerti.
Dopo quelle che mi sembrarono ore, sentivo la testa pulsare per l’insistente mal di testa che mi aveva colpito, a causa della musica demoniaca.
Alla fine, mi stufai di restare ad aspettare, e camminai in fretta per il locale per trovare Sean, e dirgli che con o senza di lui, io sarei uscita da quel luogo.
Poco dopo lo individuai, ma con un tuffo potente al cuore.
Era adagiato con le spalle contro un angolo.
E si stava baciando appassionatamente con un ragazzo.

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Capitolo 9
*** Come il sole tramonterò... ***


“Sono io la Morte, e porto corona. Io son di tutti voi, signora e padrona, e davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare, e dell’oscura Morte al passo andare.
…E così sono crudele, così forte sono e dura, che non mi fermeranno le tue mura.”
 
 
 
Sean aveva visto che lo stavo guardando sconvolta. Si staccò lentamente dal bacio e si diresse verso di me. Il ragazzo, rimasto all’angolo, aveva capelli castani, occhi neri come pozzi di cui nere erano anche le cornee: parevano occhi alieni, ma erano affascinanti in modo agghiacciante.
Gli lanciai un’occhiataccia; lui ammiccò e fece un’espressione da: ‘sei solo gelosa perché io me lo faccio e tu no’.
Riposai in fretta lo sguardo su Sean.
“Io… credevo…” balbettai.
“In effetti preferisco le ragazze,” disse lui sorridendo, “ma non fa differenza, quando puoi vivere per sempre.”
“Okay.” dissi, ma ero ancora shockata, “Comunque, io esco da questo caos.”
“Arrivo fra qualche minuto, aspettami.” rispose, per poi tornare a limonare con foga con il Ragazzo Alieno.
Ed eccomi di nuovo, al buio accanto all’ingresso dell’Inferno, a riflettere.
 
 
Cercai di non pensare all’immagine di Sean avvinghiato a un altro ragazzo, mentre disegnavamo un pentacolo per evocare lo stregone, ma avevo quell’immagine fissa in testa, inevitabilmente. Forse ero davvero gelosa?
“Stai indietro.” mi avvertì Sean ad un certo punto, prima di recitare una strana frase in una lingua a me sconosciuta, probabilmente latino.
E ci fu una sorta di esplosione, scarlatta e bollente, che schizzò scintille in ogni angolo dell’appartamento; una quasi mi colpì in viso.
Al centro del pentacolo, fra le fiamme danzanti e ardenti, comparve lo stregone. Era un tipo strano, vestito di rosso acceso e lucente, con i capelli lunghi raccolti in una coda. Mi guardò con superiorità, squadrandomi.
“Ecco, noi…” iniziò Sean, vagamente intimorito.
“Non scomodarti.” lo interruppe scocciato lo stregone, “So già cosa volete. Ed ho la risposta; avrai la mortalità, Demone, ma ad una di due condizioni: la ragazza morirà e tu ne succhierai la vita, o tu troverai il Fuoco. E non disturbatemi mai più.”
Velocemente come ci era apparso, sparì.
Sean mi guardò: “Assolutamente non lo faremo.” disse solo, risoluto.
“Troveremo il Fuoco, Sean, vedrai.” risposi, anche se non avevo proprio idea di cosa potesse essere, questo Fuoco. Ma gli stregoni parlavano sempre in modo così arcaico?
Mi ci volle un bel po’, per convincerlo, ma dopo ore di supplica finalmente accettò.
“Se il viaggio diventerà pericoloso torneremo subito indietro. Posso guarire qualsiasi ferita, non resuscitare i morti.” concluse.
Non avevo mai avuto paura di morire. Perché avrei dovuto averne ora che stavo per farlo per l’unica persona a cui volessi bene?
E così, il viaggio alla ricerca del Fuoco o della mia morte iniziò.
 
Prendemmo con noi solo il necessario: Sean sembrava convinto che il viaggio non sarebbe durato a lungo, ed era molto scettico che riuscissimo a raggiungere l’obiettivo. Io invece, ne ero assolutamente certa: se anche non avessimo trovato questo famigerato Fuoco, sarei morta per lui.
Portai con me solamente qualche provvista, e oltre ai vestiti che indossavo, un cappotto pesante nel caso facesse freddo.
Sean portò delle coperte nel suo zaino (non per sé, poiché non percepiva il tatto e quindi nemmeno il freddo) e un pugnale d’argento che posizionò alla vita.
“Per precauzione.” disse.
Mi piaceva il fatto che si preoccupasse per me; lo guardai con dolcezza e desiderio…
“Smettila di spogliarmi con gli occhi.” disse, e poi, iniziammo a camminare.
E camminammo per giorni, attraversando la steppa bruciata. Le notti, avrei voluto dormire abbracciata a Sean, ma sapevo che la sua pelle ghiacciata mi avrebbe solo fatto gelare di più.
Una sera, mi svegliai di soprassalto. Sean dormiva, ma aveva il viso contratto, come stesse facendo un brutto sogno: era inquieto e tormentato. Poggiai la testa al suo ventre, ma il suo cuore non batteva ancora. Era privo di Anima…
E allora decisi, in quel momento, che non avrei più aspettato a salvarlo. Non avremmo mai trovato il Fuoco, solo camminando.
Gli sfilai silenziosamente il pugnale dal fianco; la sua lama brillò nell’oscurità.
Pochi secondi dopo Sean si svegliò si svegliò di colpo, come avesse intuito cosa stavo per fare.
“Scusami.” gli sussurrai. Non ero sicura che l’avesse sentito, ma che importava ormai…
Il suo urlo fu sovraumano e terrificante, disperato e perso, quando mi conficcai con forza il pugnale al petto.
 
‘Prenditi la mia Anima, ti prego. E perdonami.’
 
 
 
 
 
 
 
 
“Angolo dell’autrice.”
 
Questo è il penultimo capitolo. Il prossimo è gia pronto, lo pubblicherò fra qualche giorno: aspetto di arrivare a cinquanta recensioni.
A presto.

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Capitolo 10
*** L'amor che move il Sole e l'altre stelle. ***


“Uno morì per il potere.
Uno morì per l’amore perduto.
Uno salutò la Morte come una vecchia amica.” J.K.R.




Ero riversa a terra, respiravo a malapena e in modo irregolare.
Il petto squarciato, da cui il sangue fluiva lento e scivoloso. Il dolore era lancinante, ma dolce: quello che ti fa sentire viva, così viva come ci si sente solo in punto di morte.
“Sean…” dissi dolcemente mentre lo vedevo chinarsi sopra il mio petto squartato, le mani in un unico spasmo, gli occhi grondanti d’acqua salata e le labbra contratte.
Era la seconda volta, che piangeva davanti a me: avrei voluto riuscire a farlo anch’io.
“Grazie per aver dato un senso alla mia vita… Aiutare te.” rantolai, annaspando.

‘Avrai la mortalità, Demone, ma ad una di due condizioni: la ragazza morirà e tu ne succhierai la vita, o tu troverai il Fuoco.’

Sarei morta. Sarei morta e Sean avrebbe aspirato la mia linfa vitale e la mia capacità di morire.
“Non curarmi.” gli ordinai.
‘Sii felice, morire è da sempre il mio sogno.’
“No.” disse Sean.
Si chinò sul mio ventre, per chiedere lo squarcio baciandolo, come aveva fatto al nostro primo incontro. Lo guardai impotente, ma lui sorrideva, piangendo.
“Sei tu il mio nuovo sogno.” disse, e posò le labbra sulla mia pelle martoriata.
E finalmente iniziai a piangere anch’io. Il dolore era passato e la ferita richiusa, ma non morendo, Sean non poteva avere la mia vita.
Ero guarita, ma ancora coperta di sangue.
“Sono innamorato di te.”
E in quel momento, morii sul serio.
Pensai a come mi ero sentita la prima volta che avevo visto i suoi occhi di ghiaccio. I brividi, solo il suo sguardo mi aveva sciolto il cuore. E la sua voce. La sua voce, surreale e mistica, mentre cantava quella strofa dedicata a me.
“È lo stesso per me, Sean.” dissi ancora piangendo, “Per questo, ti prego, prenditi la mia vita.”
“Non lo farò mai.”
Sean poggiò le sua labbra ghiacciate sulle mie, premendole forte, ma senza dischiuderle. Un bacio casto e dolce, leggero come uno sbuffo di vento. Ma quando si staccò, le sue labbra erano infuocate. Letteralmente fuoco puro, un piccolo globo incandescente.
“Fire.” dissi allora, pronunciando il mio nome a voce alta, “Fuoco. Hai trovato il Fuoco.”
Sean sfiorò la sfera vermiglia, che ne rimase incollata, e se la staccò dalla bocca, lasciandola a fior di dita.
“Sei tu il mio Fuoco, Fire.”
E dicendo così, spinse con leggerezza ma decisione il globo dentro il suo petto, che lo penetrò e ne sparì all’interno.
Piangeva ancora, ma dalla gioia, dalla felicità.
Mi si gettò contro, facendomi cadere nell’impeto della spinta.
Gli occhi gli ridevano; non erano più ghiaccio, ma semplice azzurro chiaro e magnifico.
Mi spinsi verso il suo viso, e lo baciai. Ma un bacio vero, questa volta, non un semplice incontro di labbra.
Era incandescente, come il Fuoco che portava in petto, e sentivo nelle mie orecchie il potente battito del suo cuore, ora che funzionava.
“Sei vivo.” gli sussurrai a fior di labbra.
E capii che il suo sogno era poter morire, sì, ma morire dopo aver vissuto.
Solo allora, compresi, che il mio desiderio era lo stesso. Morire, solamente dopo aver conosciuto e amato la vita…
Questa era la mia maledizione… Il bisogno disperato di morire.
Le mani di Sean mi scorrevano delicate fra i capelli, quasi avesse paura che io potessi spezzarmi, mentre ancora le nostre bocche si cercavano, quasi volessimo fonderci e diventare un solo individuo, un solo atomo; non avevano più artigli.
Era quella la vera gioia, amare ed essere amati. Solo allora, cominciai a vivere veramente, da quando il tocco di Sean mi aveva fatto rinascere. E per rinascere, bisogna prima morire: la vecchia Fire era morta.
“Ho realizzato entrambi i miei desideri.” disse Sean, accarezzandomi il volto.
“Ho capito una cosa.” lo guardai negli occhi, sentendomi liquefare dal calore che emanava, “La Realtà la inventiamo noi. La Realtà, è bella. Baciami ancora, ti prego.”
Era caldo e bollente, vivo. Sentivo in bocca il salato delle nostre lacrime mescolate…
E lui mi baciò ancora e ancora, e ogni bacio mi faceva venir voglia di riceverne un altro e altri mille.
Avevo avuto ragione. Solo Sean avrebbe potuto uccidermi; ma poi, riportarmi alla vita, riportare alla vita la mia Anima. Questa era la mia maledizione… Il bisogno disperato di morire.
“Ti insegnerò a suonare il pianoforte.” gli dissi.
“Ti ho scelto perché amo la tua Anima. Amo te.”
Dopo tanto tempo, aveva finalmente risposto alla mia domanda.
“Sai,” gli dissi, “ho sempre sognato il Principe azzurro. Ma un Demone nero, è anche meglio".

‘Anche io.’ pensai, e Sean lesse il mio pensiero.








15 anni dopo.


Guardo il sole che sta nascendo. È chiaro, neonato, come ogni mattina. La steppa bruciata, davanti a me, non mi inorridisce più: mi fa solo provare dispiacere verso coloro che non hanno ancora scoperto l’amore e sanno solo odiare.
“Ciao.” mi dice una piccola testa, facendo capolino dietro di me.
L’abitudine di rifugiarmi sul balcone a riflettere è rimasta.
“Ciao.” rispondo dolcemente al bambino che è spuntato e mi è venuto di fianco.
“Cosa fai?” chiede lui guardandomi allegro.
Cinque anni, un’aria innocente e fragile, come quella di tutti i bambini, e i capelli color petrolio che risaltavano gli occhi azzurri come il cielo.
“Assisto a un miracolo.” rispondo gentilmente, sorridendo.
“La nascita del sole.”
Mi guarda, un po’ confuso; poi torna a sorridere di nuovo, anche se non ha capito ciò che ho detto.
Era la cosa più dolce e meravigliosa che abbia mai visto.
Mi volto, e vedo Sean sulla porta. Mi guarda con immensa dolcezza: nei suoi occhi risplende l’infinito.
“Vai da lui, Fuoco.” Dico al bambino, accarezzandogli la chioma scura.
E Fuoco corre ad abbracciare Sean, in un incontro di capelli corvini e lucenti, dello stesso identico colore.
“Sì, mamma!” grida, gettandosi fra le sue braccia.

Che bella, può essere la Vita.







Angolo dell’autrice.


Non sapete quanto difficile è stato terminare questa storia. Spero che vi sia piaciuta e che vi abbia preso…
Devo ammettere, che Fire, sono io. Solo che la mia storia non ha ancora avuto un lieto fine.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno apprezzato e recensito la mia storia, significa molto per me.
A presto, ciao a tutti.




Grazie a Joanne K. Rowling che mi ha aperto gli occhi e mi ha insegnato a Vedere.

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