In the suddenly shown past

di NamelessLiberty6Guns_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ryo Suzuki, 46 anni. ***
Capitolo 2: *** Sogni dal passato ***
Capitolo 3: *** Vicini o lontani? ***
Capitolo 4: *** Fotografie. ***
Capitolo 5: *** Rivelazioni. ***
Capitolo 6: *** Fine, inizio. ***
Capitolo 7: *** Scoperte. ***
Capitolo 8: *** Confidenze. ***
Capitolo 9: *** Nella rabbia e nella gioia. ***
Capitolo 10: *** Insieme. ***
Capitolo 11: *** Riscatto. ***
Capitolo 12: *** "Sono qui." ***
Capitolo 13: *** Dark, long night. ***
Capitolo 14: *** Nagoya. ***
Capitolo 15: *** Incertezze. ***
Capitolo 16: *** Amore. ***
Capitolo 17: *** Decisioni definitive. ***
Capitolo 18: *** Un cerchio si chiude. ***
Capitolo 19: *** Takanori. ***
Capitolo 20: *** Inizio. ***



Capitolo 1
*** Ryo Suzuki, 46 anni. ***




Una donna vestita con un elegante completo grigio perla camminava velocemente lungo il corridoio dell’ufficio dove lavorava. Tutti la consideravano troppo giovane per fare un lavoro così serio, ma quello era da sempre stato il suo sogno. Reggendo in mano una cartella piena di importanti documenti, si apprestava a raggiungere l’ufficio del capo; un uomo estremamente intelligente, affidabile, stimato e abile nei suoi affari. Da quando lui ricopriva quella mansione la ditta per cui lei era impiegata non aveva mai sbagliato un affare. Raggiunse una massiccia porta di legno alla fine di uno dei vari corridoi, e bussò gentilmente. Dall’interno arrivò un ‘Sì?’, e dunque lei aprì la porta.

“Con permesso.” disse.

“Prego, signora Imura.” 

Lei si sedette in una delle comode sedie di velluto messe a disposizione. Dall’altro lato della scrivania alla quale si era accomodata vi era lui, il capo. Sulla scrivania dell’uomo vi era scritto il suo nome, in un’elegante calligrafia. 

Suzuki Ryo.

L’uomo avrà avuto circa quarantacinque anni. Capelli scuri leggermente brizzolati, tenuti corti, occhi molto scuri e profondi, cipiglio serio ma non sgradevole. Quel giorno vestiva un elegante completo nero. Lei gli porse la cartella che reggeva in mano.

“Sono i documenti che mi aveva richiesto per la conclusione dell’affare con la società Nakatomi, signore.”

Lui prese gentilmente la cartella e sfogliò velocemente i documenti all’interno.

“La ringrazio, Imura san, gli analizzerò con calma.”

Lei dunque s’alzò e con un veloce inchino uscì dalla stanza, ancheggiando appena. La porta si chiuse e lui lanciò un lungo sospiro, ponendo la cartella sulla scrivania e tornando a girarsi verso l’ampia finestra dietro di lui. Da lì poteva vedere una grande porzione di Tokyo, a quell’ora già completamente illuminata. Erano quasi le 18 e fra poco i suoi colleghi se ne sarebbero tornati alle loro famiglie. Tokyo da lì era tremendamente bella. Ripensò a come quel giorno fosse stato incredibilmente strano da quando si era alzato fino a quel momento. 

Suzuki Ryo, 46 anni, sposato ma senza figli. Dirigeva un’azienda molto grande per la sua età, era soddisfatto dunque del suo lavoro e aveva ancora molti progetti da realizzare. Come tutti aveva avuto un passato, che però aveva deciso di rinchiudere in un cassetto remoto della sua mente. Quel strano giorno il suo passato era ritornato, con una lettera che aveva trovato nella posta personale quel mattino. Già quando si era alzato le cose non erano normali: la moglie non era in casa e non gli aveva lasciato nulla per avvisarlo, cosa che era usualmente abituale. Si preparò in fretta un caffè ed uscì di casa. Arrivato in ufficio aveva aperto la cartella dove la segretaria riponeva le lettere indirizzate a lui. Oltre alle solite bollette e alla lettera dalla società Nakatomi, che comunicava di voler accettare il contratto da lui proposto, trovò una strana lettera senza mittente. Curioso la aprì, ed estrasse subito la lettera. 

 

“Egr. Sig. Suzuki,

si ricorda di me? Sono Shiroyama Yuu.

 

Come poteva averlo dimenticato? Uno dei suoi più cari amici del passato che aveva voluto dimenticare. Con un debole sorriso continuò la lettura. 

 

Le scrivo per comunicarle che qui le cose non vanno bene. Il Suo amico Takashima Kouyou è gravemente malato, e nonostante le Sue richieste di chiuderci fuori dalla Sua vita, Takashima la rivorrebbe di nuovo accanto a lei. Confido nel suo buon cuore e nell’affetto che un tempo provava per noi. Può chiamarci a questo numero: 008136674511.

Cordiali saluti, 

Shiroyama Yuu.

 

P.s.-Perdoni la formalità della lettera, ma temevo che io stia scrivendo alla persona sbagliata. Se Lei è la persona sbagliata può pure cestinare questa lettera.

 

La lettera finiva lì, con un enorme spazio vuoto alla fine. Le sue mani tremarono leggermente. Kouyou era stato un tempo il suo migliore amico, la persona senza cui non poteva vivere. Dopo quella sua decisione non aveva sentito né lui, né Yuu. Ma ora con che coraggio avrebbe potuto chiamarli? si chiese, infilando la lettera nel taschino della giacca, e cercando di ritornare alle sue normali mansioni. Cosa che non riuscì assolutamente a fare. Davanti a quella finestra sentiva le voci dei colleghi salutarsi cordialmente, augurandosi una buona serata. Decise che una buona notte di riposo l’avrebbe aiutato a ritornare in forma, così prese la ventiquattrore riponendo all’interno la cartella che gli aveva portato la signora Imura e indossò il giaccone. Prese le chiavi ed uscì, chiudendo la porta a chiave e indirizzandosi verso il parcheggio. Non sapeva bene che fare, non sapeva se chiamare davvero i suoi vecchi amici o se far finta di nulla. Raggiunto il parcheggio, si sedette in macchina. Ma non partì. Rimase immobile, la mano appoggiata sul taschino del giaccone dove riponeva il cellulare, indeciso. Fu un attimo, nel quale estrasse la lettera dalla giacca e compose il numero senza nemmeno pensarci. Schiacciò il verde.

Appena sentì la chiamata partire, un dubbio s’insinuò nel suo petto. Che cosa avrebbe detto ai suoi amici? 

“Moshi moshi?” sentì dall’altra parte della linea.

“Ehm… Buonasera, sono Ryo… Suzuki, e…”

“Ommiodio.” Lo interruppe l’altro. “Hai davvero ricevuto la lettera?” Ryo riconobbe d’un tratto la voce di Yuu, come se il tempo non fosse mai passato.

“Ehm… Si…”

“Ryo, come stai??” disse l’altro non riuscendo a bloccare l’emozione. “Ommiodio io pensavo che quella lettera non ti sarebbe mai arrivata, o che l’avessi inviata alla persona sbagliata… Oh dio…”

“Io… Io sto bene, sì. E tu? E… Kou?” chiese. Forse aveva fatto una mossa azzardata ponendo quella domanda. 

“Io me la cavo, Kou invece un po' meno…”

“Ma che…”

L’altro lo interruppe di nuovo. “Vedi… Leucemia. Sono quasi 7 mesi ormai. Non abbiamo ancora trovato un donatore… Questo è il problema… Lui si è lasciato andare. E’ convinto che morirà.” E qui la sua voce si incrinò. “Per questo volevo provare a rintracciarti. Sono sicuro che la tua presenza lo farà stare meglio. Molto meglio.” e lasciò un lungo sospiro.

Ryo non sapeva che dire. Sospirò. “Dimmi dove siete. Vengo a trovarvi.” fu quello che riuscì a dire.

“…davvero?” rispose Yuu, con una leggera incredulità. 

“Sì.” 

“Ti toccherà tornare dove tu non vuoi tornare.” rispose freddamente Yuu.

Ryo ripensò al quartiere di Nakano, a tutto quelle memorie che quel posto gli riportava alla mente. 

“Non importa.” sapeva che sarebbe sicuramente stato oggetto di scherno di Yuu, aveva giurato che per tutta la vita non sarebbe tornato da loro né tantomeno a Nakano. Ma in gioco c’era la vita di uno dei suoi più cari amici. 

“Ne sei veramente sicuro?”

“Sì, Yuu. Non torno indietro sulle mie decisioni.”

“D’accordo. Ci troverai nell’appartamento attaccato al parco, al numero 32. Non puoi sbagliare.”

“Dammi 20 minuti.”

“A dopo.”

“Ciao.”

Lo stava per fare davvero? Rimase per un attimo immobile a fissare lo schermo del cellulare, mise subito dopo in moto e partì. Stava per farlo davvero? Era davvero pronto a tornare a quelle memorie che per quei 26 anni erano rimaste ermeticamente chiuse nella sua mente? Immergendosi nel traffico di Tokyo non faceva che ripetersi questa domanda. Avvicinandosi man mano a Nakano sentiva una punta di pentimento far capolino, forse aveva sbagliato. Appena rivide la sua vecchia casa una piccola lama s’infilò nel suo cuore; ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Raggiunse il parco, altro luogo che gli procurò varie fitte al cuore e vide l’appartamento di cui Yuu aveva parlato al telefono. Parcheggiò, cerco i cognomi di uno dei due e suonò, automaticamente. Troppo tardi per tornare indietro. Il portone si aprì con uno scatto metallico, Ryo entrò e salì dunque le scale. 

Al terzo piano trovò una porta semi aperta e una persona che lo attendeva sulla soglia.

Come se il tempo non fosse mai passato.

Yuu era sempre lo stesso. Lunghi capelli corvini però striati di bianco lasciati sciolti, gli occhi scuri, persino il piercing al labbro era ancora lì. Non si dissero nulla. Si abbracciarono. Anzi, fu Yuu ad abbracciare Ryo. E quest’ultimo, preso da una nostalgia che era sicuro di non avere mai provato prima, ricambiò la stretta. Si lasciarono.

“E’ un enorme piacere rivederti, Ryo.” disse Yuu sorridendo e con una punta di lacrime negli occhi. 

“Lo è anche per me.” rispose Ryo sorridendo di rimando. 

Yuu lo fece entrare in casa, un ordine che non era da lui regnava nell’abitazione. Da quello che lui ricordava Yuu era la persona più disordinata dell’universo. 

“Caffè?” chiese il padrone di casa.

“No, grazie, sono apposto.”

Si sedettero nella piccola ma confortevole cucina. Ryo aprì il giaccone e lo adagiò sulla sedia dove poco dopo si sedette.

“Kou sta dormendo,” disse Yuu “appena si sveglia ti porto da lui.” e si preparò un caffè.

“Va bene.” rispose Ryo in uno stato di notevole imbarazzo. Che poteva chiedere all’amico che aveva voluto dimenticare? Fortunatamente fu Yuu a parlare.

“Dai, Ryo, aggiornami. Cosa è successo in tutti questi anni?”
“Immagino tu sappia che dirigo un’azienda molto grande…”

“Sì, me l’ha detto mia sorella. “

“Poi… Bè, mi sono sposato.”

Per poco a Yuu non cadde la tazzina di mano. “COSA?!”

Ryo tirò un sospiro. Sapeva che avrebbe avuto quella reazione. “Già.”

“Ma com… Cosa…”

“L’ho dovuto fare. Diciamo che non ho avuto scelta.”

Yuu si sedette, non reggendo l’incredulità. 

Ryo ricominciò a spiegare. “La posizione che ricopro è troppo importante. Devo seguire una certa etichetta. Ho conosciuto Arisa e ci siamo sposati.”

Yuu lasciò andare l’espressione sorpresa e finì il caffè. “Avete figli?” chiese poi.

“No.” rispose Ryo. “Non abbiamo voluto averne.” 

“Ah. E…” -qui si lasciò sfuggire un sorriso- “Che fine hanno fatto i tuoi capelli biondi?”

Ryo ridacchiò passandosi imbarazzato una mano fra i radi capelli neri. “Gli ho dovuti far sparire.”

Si fecero una candida risata.

Ryo si fece forza e chiese: “Yutaka?”

“Yutaka è tornato a Tokushima, fa lo chef in un ristorante, si è sposato anche lui e ha una bella bimba.”
“Dai, davvero?” disse Ryo sorridendo contento.

“Sì, si chiama Masako.”

“Accidenti. E bravo Yutaka!” disse ridendo appena.

“Ogni tanto torna a trovarci.” disse Yuu riponendo la tazzina nel lavandino.

Alla lista mancava un nome da chiedere, ma Ryo decise che sarebbe stato troppo doloroso per se stesso riaprire l’argomento che aveva portato alla separazione fra lui e i suoi amici. Mentre pensava a questo una specie di campanello suonò, Yuu si girò verso Ryo. “Kou si è svegliato.” e sorrise appena. Yuu uscì dalla cucina, seguito da Ryo. Entrarono in un piccolo corridoio e si fermò davanti ad una porta. “Senti, vedo come sta, gli spiego un po' di cose poi ti faccio entrare. Non so ancora come potrebbe reagire.” bisbigliò Yuu.

“Stai forse dicendomi che lui non sa che sono qui?” 

“Bravo Ryo, sei intelligente.”

Non dandogli il tempo di ribattere Yuu entrò nella stanza lasciando Ryo fuori. Lui prese un profondo respiro. Provò dunque a guardare all’interno della stanza, attraverso un piccolo spiraglio lasciato da Yuu. Vide solo una mano, magrissima e diafana, e gli bastò a capire che la situazione doveva essere veramente grave. Attese qualche minuto, poi Yuu aprì la porta e fece segno di entrare. Kouyou era quasi uno scheletro: magrissimo, la pelle bianca da sembrare porcellana, e quel viso da bambola segnato dalla malattia. Gli occhi erano belli come lo erano sempre stati, anche se macchiati da un’ombra di sofferenza e rassegnazione. Kouyou rivolse a Ryo un faticoso sorriso. Ryo sentì le lacrime scendere beffarde e senza controllo sulle sue guance, mentre si accomodò su una sedia vicino a Kouyou. 

“Ryo…” bisbigliò l’altro con una leggerissima nota di felicità.

“Ciao Kou.” ormai stava piangendo copiosamente, non si era mai veramente reso conto che Kouyou gli era mancato, in quell’angolino della sua mente dove l’aveva riposto. 

“Come stai?”

“Bene, direi.” rispose non sapendo come andare oltre. Piangendo come un bambino strinse una mano dell’amico fra le sue, come era spesso capitato in passato. 

“Ti abbiamo cercato in ogni modo…” disse dolcemente Kouyou. “Pensavo ti fossi completamente dimenticato di me.”

“Come potrei, Kou. Rimani il mio migliore amico, e lo sai.”

Yuu assisteva alla scena dallo stipite della porta, asciugando qualche fugace lacrima. 

Kouyou parlò di nuovo. “Sai, proprio in questo giorno ogni anno ti dedicavo un pensiero più speciale degli altri.”

Ryo cercò di calmarsi e fece una faccia interrogativa. 

“Per me e Yuu oggi è una giornata speciale.” disse guardando Yuu, che di rimando gli sorrise fra le lacrime. “Oggi sono 27 anni che stiamo insieme.”

“Oh cazzo è vero…” si disse Ryo ricordandosi. 

“E’ merito di tutti i consigli che mi davi.” disse Kouyou facendo scivolare una lacrima dagli occhi.

“Kou… Non devi dire così, dai.” rispose Ryo estremamente imbarazzato. In fondo era vero, nel passato che voleva dimenticare aveva aiutato il suo migliore amico a conquistare Yuu, e un anno prima che tutto cambiasse i due finalmente si erano dichiarati. Stavano insieme da un sacco di tempo, così come Ryo aveva sempre sperato quando era molto più giovane. Parlarono ancora per molto, poi Kouyou iniziò a sentirsi stanco. Ma quella giornata strana non poteva ancora del tutto concludersi. Dopo aver parlato a lungo della moglie e del matrimonio di Ryo, Kouyou innocentemente fece una domanda che Ryo aveva sperato che per tutto quel tempo nessuno gli rivolgesse.

“Quindi sei riuscito a dimenticare Takanori?”

Ryo rimase bloccato, lo sguardo fisso negli occhi di Kouyou. Quel nome suscitò in lui in migliaio di ricordi, un vortice di emozioni, una lama di dolore in pieno petto. Anche Yuu rimase sconcertato dalla domanda, tanto che si stava già avvicinando a Kouyou per spingerlo a riposare. Ma Ryo fu più veloce.

“No.” rispose con voce ferma e sicura. “Non l’ho ancora dimenticato, Kou.”

Kouyou gli rivolse un dolce sorriso, come se fosse stato sicuro che quella sarebbe stata la risposta. 

“Ora è meglio che tu riposi.” disse amorevolmente Yuu sistemando le coperte all’amato. Si scambiarono un bacio a fior di labbra, Ryo posò una carezza sul suo volto e uscì dalla stanza, poi Yuu spense la luce e chiuse la porta. Tornarono in cucina, dove Ryo riprese il giaccone. “Forse è meglio che io vada, Arisa sarà in pensiero.”

“Grazie davvero per essere venuto Ryo. Grazie veramente.” disse Yuu, e stavolta fu Ryo ad abbracciarlo. 

“Tornerò.” disse, e per poco non ci credeva di averlo detto davvero. 

“Grazie”, e Yuu si asciugò le ennesime lacrime. 

Si salutarono e Ryo corse lungo le scale. Uscì dal portone e controllò il cellulare, si erano fatte le 21:30 e le numerose chiamate della moglie non lo misero in allarme. La richiamò.

“Caro, dove sei?”

“Ho del lavoro in arretrato, scusa.”

“D’accordo.”

“Avresti potuto lasciarmi almeno un biglietto stamani.” aggiunse lui.

“Hai ragione caro, perdonami.” 

“Va bene. Ah, vai pure a letto, non mi aspettare.”

“D’accordo.”

Ryo chiuse la chiamata. Aveva un’ultima cosa da fare, prima di lasciare per quel giorno i suoi ricordi a Nakano. Camminò verso il parco, che era ovviamente chiuso, strinse con la mano una sbarra dell’inferriata e per un attimo rivide uno splendente giorno di sole, lui camminare verso il parco stringendo per mano un ragazzino stretto in una felpa nera, un ciuffo di capelli biondi uscire dal cappuccio tirato sulla testa. Chiuse gli occhi e avvertì il suo cuore esplodere di gioia come in quell’esatto momento. Aveva quattordici anni, e il ragazzo che portava per mano solo tredici. Rivide il dolce futuro che il suo giovane cuore stava disegnando in quel cielo azzurro, affianco a quel ragazzino dai capelli biondi. Un nome, che amava ripetere quando si sentiva solo.

 

Takanori.

 

Takanori.

 

Takanori…

 

Riaprì gli occhi e si diede uno schiaffo mentale. Girò i tacchi e montò in macchina. 

Yuu l’aveva visto. Era rimasto alla finestra per vedere se Ryo se ne fosse andato subito. Avendolo visto fermo davanti a quell’inferriata, capì che anche se ci aveva provato in tutte le maniere, Ryo non aveva ancora mai fatto i conti con il passato. Quando salì in auto, Yuu si scostò dalla finestra e andò a sistemarsi sul divano, chiedendosi dov’era andato Takanori, che ne era stato di lui in quei lunghi anni dove loro cinque -Yuu, Kouyou, Yutaka, Ryo e Takanori- si erano separati. Sospirò, dedicando un pensiero a quello scricciolo di ragazzo che era stato il suo migliore amico, pregando che stesse bene. 

 

Ryo arrivò a destinazione e parcheggiò di fronte alla sua bella casa. Aveva fatto due volte il giro di Tokyo per riuscire ad arrivare a casa esattamente a mezzanotte. Era passato anche davanti al suo vecchio liceo, cercando di mantenere i ricordi là dov’erano. Entrò in casa, il buio lo accolse: la moglie doveva aver preso alla lettera le sue parole ed era già andata a letto. Corse a farsi una doccia, sapendo che la sveglia al mattino l’avrebbe ridestato alle sei in punto. Entrò in camera e si distese accanto alla moglie addormentata. Dedicò l’ultimo pensiero della giornata a Kouyou, sapendo benissimo che il giorno dopo sarebbe tornato a salutarlo. E s’addormentò, senza altri pensieri. 












Salve ^^
Sono tornata, ma non con 'Namonaki Jiyuue'. 
Avevo seriamente bisogno di scrivere qualcosa di nuovo, ed è nata questa storia. Sono particolarmente inspirata.
Come 'Look into my eyes', questa storia l'ho scritta per la prima volta tre anni fa circa, poi l'ho modificata mille volte e poi l'ho abbandonata lì. 
L'ho ripresa oggi, sempre dopo una lunga giornata di studio. So che ci sono molte cose inspiegate e lasciate in sospeso, ma col tempo tutto vi verrà spiegato. Attendo con ansia le vostre recensioni, ho ancora troppo da imparare.
A presto, 
Yukiko H. 

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Capitolo 2
*** Sogni dal passato ***



Finita la solita giornata lavorativa, Ryo uscì dall’ufficio lasciando stavolta fin troppo lavoro in arretrato. Non era da lui, ma si giurò che appena sarebbe tornato a casa sarebbe stato sveglio tutta la notte a concludere il lavoro lasciato in sospeso. Doveva rifinire il contratto d’affari con la società Nakatomi, e per entrambe le aziende sarebbe stata una situazione estremamente vantaggiosa. Ma ora non gli importava, montò in macchina e corse verso Nakano. Raggiunse la casa di Yuu e Kouyou, e suonò senza alcun indugio. Stavolta non aveva paura di rivedere quegli amici a cui aveva giurato di non voler rivedere mai più, si stava anzi vergognando di quello che aveva fatto. Non aveva potuto partecipare all’amore sempre crescente di Yuu e Kou, al matrimonio di Yutaka, alla nascita di sua figlia, né tantomeno ai compleanni di quei tre ragazzi che un tempo erano i suoi fedeli compagni. Insieme a loro, c’era ovviamente anche Takanori. S’impose di non pensare a lui, e si sedette al capezzale di Kouyou, il quale lo salutò con un dolcissimo sorriso, leggermente più forte di quello del giorno prima. 

“Come stiamo?” chiese gentilmente Ryo, stringendo la mano all’amico.

“Bene, dato che sei tornato anche oggi.”

Ryo s’impose di non piangere e sorrise più di prima. “E’ stata una giornata molto impegnativa,” disse “ho un contratto molto importante fra le mani da portare assolutamente entro domani, ma volevo prima assicurarmi che stai bene.”

“Io invece ho ricevuto l’infermiera dell’ospedale stamani” disse Kouyou, “e mi ha detto che sto bene. E che forse hanno trovato un donatore.” 

“Sul serio?” chiese Ryo veramente felice.

“Sì.” e qui Kouyou sorrise radiosamente, nonostante le sue condizioni fisiche. “Ho deciso che voglio guarire.” E qui Ryo capì che Yuu aveva ragione: la sua presenza l’aveva risollevato.

“Speriamo sia quello giusto, accidenti.” aggiunse Yuu lasciando lo stipite della porta e sedendosi accanto all’amato. 

Ryo guardò entrambi, ritrovando una piccola gioia nel suo cuore. Osò dire: “Vi ricordate quando andammo al concerto dei Luna Sea?”

I due lo guardarono con un’immensa gioia nei loro occhi, e insieme rievocarono i ricordi di quella stupenda sera. Pian piano i ricordi chiamarono altri ricordi, ma i tre, in una maniera o nell’altra, omettevano sempre una cosa, o meglio una persona, da quella rievocazione: Takanori. Nessuno riusciva a nominarlo. Solo Kouyou, che era stato per quel ragazzo una specie di fratello maggiore, immerso in quel mare di ricordi disse: “Mi ricordo ancora quando mi dicesti di avere conosciuto Takanori…” 

Ryo non rimase indifferente, prima gli scappò un sorriso, poi sentì una tristezza immensa, che concluse definitivamente quel momento di magia. Lasciò la mano di Kouyou e iniziò a parlare. “Ragazzi, io… Io devo chiedervi scusa. Per quello che ho detto quel giorno. Avevo bisogno di chiudere con tutto ciò che riguardava lui. Avevo bisogno di ricominciare, di dimenticare. Solo ora che siamo qui mi rendo conto di avervi fatto fin troppo male, e specialmente di aver fatto male a me stesso. Sono uno stronzo. Uno stronzo egoista. Spero mi possiate perdonare.”

Kouyou cercò di mettersi a sedere, e Yuu corse subito in suo aiuto. Gli sorresse la schiena, Kouyou riuscì a sedersi e quindi a guardare più da vicino Ryo. 

“Tu non hai ancora capito che ti abbiamo perdonato dal momento in cui hai varcato quella soglia per venirmi a trovare, Ryo. Ci conosciamo fin da bambini, e tu non sei tipo da tornare indietro sulle tue decisioni. Se sei qui significa che l’avevi capito prima di adesso.” 

Yuu intervenne, spiegando a Kouyou che in realtà era stato lui a chiedere a Ryo di venire a trovarlo. Ma lui non si sentì per nulla offeso, infatti aggiunse: “Appunto, se tu non avessi realizzato inconsciamente che avevi sbagliato quel giorno, avresti cestinato la sua lettera e avresti continuato con la tua vita. Ryo, tu non devi farti perdonare. Siamo stati noi gli stupidi a lasciarti andare via. In quel momento tu avevi bisogno di noi più di qualunque altra cosa. Guardati. L’unica cosa che ti fa felice da 21 anni è il tuo lavoro.”
Ryo si era dimenticato di quanto per Kouyou fosse un libro aperto, e infatti allargò gli occhi in un’espressione sorpresa. L’altro non aveva però ancora finito di parlare. “Se non fossimo stati così sconvolti dagli avvenimenti di quei giorni, non ti avremmo di certo lasciato andare via. In questi anni sei diventato uomo, certo, ma non sei felice. Io mi ricordo di un Ryo innamorato, non solo di lui, ma della vita e del mondo, e di quella band che faticosamente avevamo messo su.” A Ryo tornarono immediatamente in mente i bei tempi in cui il suo sogno era diventare un bassista famoso insieme alla band composta dai suoi migliori amici e dal ragazzo che amava. “Quella decisione che hai preso ha distrutto tutti noi, ma te in primis.” Kouyou iniziò a tossire e Yuu decise che era meglio farlo riposare. Lo aiutò a risistemarsi e gli rimboccò le coperte. Un veloce bacio, la carezza di Ryo, e come ogni sera la luce si spense nella stanza di Kouyou. Ryo e Yuu si salutarono. Ma prima di salire in auto, Ryo si fermò di nuovo davanti a quel parco. Stavolta prese con entrambe le mani le sbarre dell’inferriata e chiuse gli occhi. Rivide una panchina sotto un grande acero, lui e quel ragazzo biondo scambiarsi quei dolci sguardi. Lui che aveva salvato quel ragazzo, lui che sentiva non sarebbe mai finita. Stavolta Ryo si tradì spudoratamente non appena avvertì una lacrima solcargli una guancia: si mise a piangere. Quel giorno su quella panchina e con quei dolci sguardi, dei nuvoloni neri gonfi di pioggia si stagliavano nel cielo. 

 

Ryo non dormì tutta la notte per rivedere il contratto, gli sembrava perfetto da ogni punto di vista e corse a lavoro dopo aver bevuto un triplo, se non quadruplo, caffè. La riunione si concluse con la firma del contratto e anche la crescita della sua azienda, quindi Ryo poteva ritenersi soddisfatto. Lo invitarono alla cena per festeggiare la buona riuscita del contratto, ma rifiutò gentilmente dicendo di avere impegni inderogabili. Alla solita ora uscì dall’ufficio e corse da Kouyou. Una splendida sorpresa lo attendeva: quella sera vi erano anche Yutaka e la famiglia. Appena Yutaka rivide Ryo non poteva credere ai suoi occhi, i due si abbracciarono come se il tempo non fosse veramente mai passato. Yutaka gli presentò la moglie, Yuko, una bellissima donna sulla quarantina, e la figlia di cinque anni, con gli occhi grandi della madre e le dolcissime fossette del padre. Mentre la piccola giocava con qualche bambola portata da Tokushima, i tre e la moglie di Yutaka si strinsero attorno a Kouyou, visibilmente felice per la presenza di tutti, e specialmente, per la presenza di Ryo, dopo tutti quegli anni senza di lui. I quattro raccontarono ognuno delle proprie vite dopo quei maledetti giorni, di come Yutaka era riuscito a diventare chef, i difficili anni all’università di Ryo e le difficoltose ricerche di lavoro da parte di Yuu e Kouyou, passaggio che a Ryo era mancato nei giorni precedenti. Stavolta però niente viaggio nei ricordi. 

Yutaka si rabbuiò in un momentaneo attimo di silenzio. “Di Takanori non si sa ancora nulla?” chiese poi, ancora scuro in viso.

Yuu scosse la testa. “No. L’abbiamo cercato dappertutto, abbiamo provato a chiamare tutti i Takanori Matsumoto presenti sulla faccia del Giappone, ma niente.”

Kouyou iniziò a ridacchiare. “Una volta abbiamo chiamato un nonnetto sulla novantina, povero.” e scoppiò in una fragorosa risata. “Era tutto contento perché nessuno lo chiamava di solito, così lo chiamavamo una volta ogni tanto per fargli compagnia…” poi si rattristò “i Kami l’hanno chiamato a sé tre anni fa circa, povero.” Fece un colpo di tosse e tornò a guardare il viso triste di Yutaka.

“Non può essere sparito nel nulla.” aggiunse Yuu.

Ryo non sapeva come partecipare a quella conversazione, d’altro canto si sentiva ancora in colpa per aver distrutto quell’unione forte che c’era fra loro, quindi preferiva non proferire parola. Capì comunque che la ricerca degli ultimi due componenti mancanti -lui e Takanori- andava avanti da parecchio tempo. Il telefono gli suonò in tasca, si scusò e rispose.

“Moshi moshi?”

“Ma si può sapere dove sei??”

“Scusa Arisa, arrivo subito, dammi un attimo.”

“E’ la quarta volta che ti chiamo!”

“Giuro non ha squillato il telefono, ma credimi, arrivo fra poco, dammi un attimo.”
“Va bene…”

Chiuse la chiamata e si ritrovò lo sguardo degli altri su di se. 

“Mia moglie mi rivuole subita casa, scusatemi.” 

Diede la solita carezza a Kouyou, salutò Yuko e Yuu, e abbracciò fortissimo Yutaka, sapendo che il mattino dopo sarebbe ritornato a Tokushima e chissà quando sarebbe tornato. Salutò la piccola Masako e corse subito via, rivolgendo un unico, veloce sguardo a quel parco. 

Arrivò a casa, dove la moglie lo attendeva seduta sul divano visibilmente arrabbiata.

“Ciao cara.” disse togliendo il giaccone.

“Mi avevi promesso che saresti tornato presto oggi!”

“Scusami, ma fra il contratto e altre mille cose…”

“Balle, Ryo.”

Lui rimase congelato. “Prego?” chiese.

“Ho chiamato in ufficio alle 18:30 e mi hanno detto che eri già uscito da mezz’ora.”

Ryo capì perché era così arrabbiata. Ora doveva giustificarsi.

“Cos’è, hai trovato un’altra per caso?"

“No no no che cavolo stai dicendo, cara…”

“E ALLORA COSA?” urlò lei innervosita.

Ryo prese un lungo respiro. “Vedi Arisa… Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera che mi diceva che un mio carissimo amico è gravemente malato… Così appena esco dall’ufficio vado subito a trovarlo. Oggi ti avevo promesso che sarei tornato presto perché pensavo di dargli un veloce saluto e tornare via, invece da lui vi era un altro mio amico che non vedevo da anni e mi sono trattenuto un po’ di più. Perdonami, non te l’avevo mai detto prima.”

Lei lasciò un sospiro, e Ryo capì che si era calmata. “D’accordo.” disse la donna. 

Lui si sedette accanto a lei. “Che cos’ha il tuo amico?” chiese poi.

“Leucemia.”

Lei fece un’espressione addolorata. “Mi dispiace Ryo…”

“No tranquilla, è tutto apposto. Sembra che abbiano trovato un donatore compatibile e che le cose si possano finalmente risolvere.”

“Spero per lui, povero.” poi rimase momentaneamente in silenzio. “Ma tu non mi avevi detto che non avevi amici a Tokyo?”

Ora era nella merda. Come riassumere quasi sette anni di vita in poco tempo? “Diciamo che con loro avevo litigato, e quella lettera mi ha spinto a ricongiungermi con loro.” tagliò corto. Lei annuì convinta. “Che dici, andiamo a letto?” disse lui, “Sono parecchio stanco.” 

“Certo, caro.” lei gli diede un dolce bacio sulla guancia, lui semplicemente sorrise.

 

“Buongiorno ragazzi, oggi è il vostro primo giorno di liceo!” Una giovanissima professoressa rivolse un enorme sorriso ai suoi venticinque studenti. “Direi di iniziare con l’appello.” 

Un ragazzino dai capelli biondi acconciati in una cresta si girò verso l’amico dai lunghissimi capelli corvini. “Speriamo che sia buona ‘sta donna.” 

“Ma dai Ryo, quando mai i professori di liceo sono gentili su questo pianeta?”

“Suzuki Ryo?” disse la donna, e il biondo alzò subito la mano.

Poi disse, rivolto all’amico: “Lo so Kou, ma voglio iniziare il liceo pensando positivo…”

“Takashima Kouyou?” fu il turno del corvino di alzare la mano.

I due non si parlarono più dato che l’appello era finito, e la donna si presentò come la professoressa d’inglese. Iniziò dunque la lezione, e la donna si rivelò essere una professoressa parecchio simpatica e dolce, che però spiegava anche bene. Poi arrivò il professore di matematica, quello di giapponese, che rimase con loro per due ore, e infine la professoressa di biologia. Quando la campanella suonò, i due amici si indirizzarono verso casa di Kouyou, dove svolsero i compiti e poi suonarono qualcosina. Ryo suonava il basso, mentre Kouyou si dedicava alla chitarra. Il biondo rimase a cena dall’amico poi verso le nove lo lasciò per raggiungere casa sua a Nakano. Odiava camminare per Tokyo la sera, specialmente perché aveva trovato una scorciatoia un po’ troppo pericolosa per la sua età. Accelerò leggermente il passo quando sentì delle voci dietro di lui. 

“DAI YOSHIDA COGLIONE, LASCIAMI ANDARE, CAZZO!”

“Cosa urli stupida puttanella, siamo quasi arrivati a casa…”

“DAI STRONZOO!!” 

Vide arrivare in sua direzione il bullo della sua scuola, Yoshida, circondato dai suoi scagnozzi. Trascinava dietro di sé un ragazzino dai capelli biondi che intimava di lasciarlo andare. Nonostante il primo giorno di liceo fosse stato appena quel giorno, Yoshida era già passato a requisire soldi e merendine di molti primini, quindi Ryo aveva già imparato a riconoscerlo. Preso da un’improvvisa voglia di fare l’eroe, si parò davanti a Yoshida. 

Il bullo lo guardò dall’alto in basso. “E tu che cazzo vuoi?” 

Il ragazzino biondo lo guardò visibilmente spaventato.

“Lascialo stare.” intimò Ryo.

Il bullo scoppiò in una grassa risata, che i suoi scagnozzi imitarono. “E tu chi saresti per ordinarmi di lasciarlo stare?”

“Uno che è in prima liceo nella tua scuola. Importuna me invece di quel ragazzo.” 

Il biondino lo guardò scuotendo la testa con fare disperato per fermarlo. Ma Ryo fece finta di non vederlo.

“Chi, la mia puttanella?” rispose Yoshida spuntando a terra. “Mai, stupido ragazzino. Fatti da parte.” 

Il “No” perentorio di Ryo fece imbufalire non poco Yoshida, che stava già caricando un destro mentre gli dava del coglione.

“NO!” il ragazzino biondo si parò davanti a Yoshida. 

“Spostati puttanella!” gli intimò il bullo.

“No, Yoshida. Dai vieni con me, andiamo a casa tua.” il bullo si calmò improvvisamente. Si dimenticò della presenza di Ryo mentre si faceva letteralmente portare via dal biondino, che rivolse un ultimo sguardo preoccupato a Ryo, prima di sparire nel buio.

Ryo rimase senza parole. Sperava di poter aiutare quel ragazzino, e invece lui lo aveva salvato da un sicuro pestaggio. Camminò dunque verso casa, rivedendo gli occhi tristi del ragazzo biondo, due pozze nere e profonde.

 

Ryo si svegliò di soprassalto, completamente sudato. Gli occhi del ragazzo biondo erano ancora scolpiti a fuoco nella sua mente. Si assicurò che la moglie non fosse sveglia, e guardò l’ora. Mancavano dieci minuti alle sei, così si alzò dal letto e corse a farsi una doccia. 

Non ci poteva credere.

Dopo anni aveva sognato Takanori e la prima volta che lo incontrò. Erano anni che non lo rivedeva così nitidamente, come se la scena si stesse ripetendo esattamente davanti ai suoi occhi. Cercò di mandar via dalla sua mente quegli occhi che erano stati la sua dannazione; ma senza riuscirci. Uscì dalla doccia leggermente rinfrancato. Si vestì e bevve una bella tazza di caffè, prima di partire come il solito verso il suo ufficio.

 

“Ho sognato Takanori stanotte.” disse Ryo stringendo la mano di Kouyou con lo sguardo basso.

Kouyou si fece attento. “Che cosa hai sognato?” Anche Yuu gli prestò attenzione.

“La prima volta che lo incontrai.” rispose Ryo in un soffio. 

Kouyou gli fece un sorriso. “Ti manca?”

“Ora che vi ho reincontrati quell’angolo buio dove vi tenevo si è illuminato di nuovo… E… Il ricordo di lui è tornato fortissimo. Sì, mi manca, Kou. Come mai mi era mancato.” Ryo si interruppe per un attimo. “Anche dopo quei giorni orribili…” riprese, “ero così impegnato a far di tutto per dimenticarvi da non sentire la sua lontananza. Nemmeno la notte. La notte non facevo altro che studiare, e studiare….” Si bloccò di nuovo. “Mi sono svegliato in un bagno di sudore, come se fosse stato un incubo.” continuò, “E mentre lavoravo, oggi, rivedevo dovunque quegli occhi. Mi è mancato tutto il giorno. Ad un tratto mi è persino sembrato di essere tornato quel ragazzo biondo che ascoltava i Sex Pistols e che non vedeva l’ora che la giornata scolastica finisse per rivedere quegli occhi maledetti.” e tacque definitivamente. Kouyou allungò una mano e gli porse una dolce carezza. 

Poi disse: “La prima volta che venisti qui, Yuu ti vide fermo davanti al parco. E al mattino quando mi svegliai, mi raccontò di averti visto e mi disse che gli era parso che forse non avevi ancora chiuso i conti con il passato. Ora ho la conferma che è così.” 

Ryo abbassò ancora di più lo sguardo. Una solitaria lacrima scese lungo una guancia. 

“Ehi, non piangere. Domani vado in ospedale, sai. Forse mi trapiantano il midollo del donatore.” disse sorridente Kouyou.

“Quindi dovrò venire in ospedale a trovarti?”

“Sì. Yuu ti dirà dove trovarmi.” Ryo abbracciò Kouyou con dolcezza, per non fargli male. Poi ritornò a casa, e corse subito a letto, sperando di non fare sogni.










Salve! ^^
Sì sono già tornata, dato che volevo regalarvi un capitolo prima del weekend, e sicuramente non riuscirò ad aggiornare fino a settimana prossima.
Volevo inoltre ringraziarvi per le quattro bellissime recensioni che mi avete lasciato, sono felicissima e le vostre dolci parole mi aiutano un sacco ad andare avanti con la storia.
Detto questo vi ricordo di segnalarmi eventuali errori e ci vediamo al prossimo capitolo.
Un abbracio, 
Yukiko H.

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Capitolo 3
*** Vicini o lontani? ***



Ryo entrò correndo nell’atrio della scuola, trovando Kouyou seduto vicino ai vecchi termosifoni. Una folla di studenti era ivi affollata, aspettando la campanella per andare in classe. Si sedette accanto a lui, e si scambiarono un veloce saluto. Ryo attaccò subito a raccontare gli avvenimenti della sera precedente, di Yoshida e di quel ragazzino biondo. Kouyou lo seguiva interessato. Quando finì di raccontare, Kouyou rimase un attimo a pensare.

“Indubbiamente” disse, “ti sei attaccato addosso Yoshida per il resto dei tuoi giorni. Però sei stato molto galante, te lo concedo.”

Ryo rise di gusto. “Suvvia, Kou. Mi dispiace che non lo rivedrò mai più. Sai, aveva degli occhi bellissimi…” la campanella suonò in quel momento, sovrastando le ultime poche parole di Ryo. I due si alzarono e raggiunsero la loro classe, sedendosi poi ognuno nel proprio banco. La giornata iniziò con l’entrata in classe della professoressa di fisica, una delle materie che divenne fra le più odiate dai due. Ovviamente a ricreazione Yoshida rubò la merenda a Ryo.

Uscirono da scuola ridendo e scherzando. Dato che Kouyou aveva lezione di chitarra, salutò in fretta Ryo e salì in macchina della madre, la quale lo salutò dolcemente a sua volta e poi partì. Il ragazzo, rimasto solo, iniziò a camminare verso casa. Stava per raggiungerla quando vide, seduto sul marciapiede poco distante da lui, lo stesso ragazzo della sera precedente. Stessa felpa nera, stavolta aveva il cappuccio sulla testa, un ciuffo biondissimo usciva dispettoso da esso. Si stava accendendo una sigaretta, e dopo aver tirato una lunga boccata si girò nella sua direzione. I due si guardarono e per un breve, intensissimo attimo Ryo annegò in quegli occhi. Il ragazzino si alzò. Ryo istantaneamente si fermò. 

“Tu sei il ragazzo di ieri sera?” chiese il biondino.

“Ehm… Credo di sì…”

“Ti ringrazio per avermi provato a salvare, ma ti prego non lo fare mai più. Non voglio che la gente vada nei casini per cercare di salvarmi.” e detto questo prese un’altra boccata dalla sigaretta. 

“Ah… Bè… Scusami….” rispose Ryo non sapendo che altro dire.

Il ragazzino rimase un attimo a guardarlo. Ryo fece lo stesso. 

Poi l’altro aggiunse: “Spero che Yoshida non ti opportuni…”

“Spero lo stesso per te.”

Il ragazzino soffocò dunque una risata amara. “Non succederà… L’hai sentito, no? Sono la sua puttanella.” Rimase un attimo in silenzio, con uno sguardo incredibilmente triste. “Vabbè.” disse d’un tratto. “Ora sparirò dalla tua vita, tranquillo.” e scansando leggermente Ryo, se ne andò.

Ryo si girò guardandolo andare via, con mille domande in testa. Raggiunse casa sua ed entrò, trovando come sempre la nonna ad accoglierlo. Mentre mangiava il suo ramen si ritrovò a pensare che non voleva che quel ragazzino sparisse dalla sua vita. “Cercherò di salvarlo di nuovo”, si promise. 

 

 

Durante la pausa pranzo Ryo prese il telefono e compose il numero della moglie.

“Moshi moshi?”

“Ciao cara, sono Ryo.”

“Dimmi.”

“Stasera tornerò tardi, vado a trovare Kouyou in ospedale. Gli hanno trapiantato del midollo.”

“Va bene, non ti preoccupare. Buon lavoro, caro.”

“Grazie, a presto.” 

La chiamata si concluse lì. Ryo tornò a godersi il suo panino, ripensando al sogno della sera. 

La prima volta che si parlarono.

Ripensò che solo in quel momento lui si era iniziato ad innamorare di quel scriccioletto, e si ritrovò a sperare che Kouyou fosse sveglio quella sera per raccontargli dell’avvenuto. Avrebbe potuto dirlo anche a Yuu, ovvio, ma non era il suo migliore amico. Finito il panino ritornò ai suoi documenti. Ma una precisa frase gli rimbombava ancora nelle orecchie.

 

“Ora sparirò dalla tua vita, tranquillo.”

 

Arrivò in ospedale alle 18:30 esatte, entrò e chiese all’infermiera dove poteva trovare la stanza 133. La donna gentilmente gli indicò la strada, la ringraziò e camminò lungo i vari corridoi fino alla stanza che cercava. Yuu era fuori dalla stanza, i due si salutarono e si abbracciarono. 

“L’intervento è andato bene, ora dobbiamo solo aspettare e sperare che funzioni.” disse Yuu con un filo di tristezza negli occhi.

“Andrà bene, vedrai. E’ sveglio?” 

“Si è appena addormentato.” 

Ryo decise di non dire nulla a Yuu del sogno. Preferiva attendere che Kouyou si svegliasse. Entrarono comunque nella stanza e vegliarono in silenzio Kouyou fino all’ora di sospensione delle visite. I due scesero insieme le scale, e una volta nel parcheggio Yuu si prese una sigaretta, e ne porse una a Ryo. 

“Sono anni che non fumo…” rispose Ryo sorridendo gentile.

“Una non ti farà male.” rispose Yuu aspirando con piacere il fumo.

Ryo dunque prese la sigaretta e Yuu gliela accese: non ricordava più quel strano sapore che da giovane aveva amato. Prese dunque con piacere una seconda boccata. 

“Ah sai, mi ha chiamato Yutaka.” esordì d’un tratto Yuu.

“Ah sì?”

“Sì. Ha scoperto di lavorare insieme al fratello maggiore di Takanori.”

Ryo quasi soffocò con il fumo della sigaretta. “Cosa?”

“Mi hai sentito. Il problema è che non sa se provare a buttargli lì il discorso o no, ti ricordi vero, che Takanori era stato diseredato dai suoi…”

“Sì, ricordo.” interruppe Ryo. Odiava ricordare questo particolare. 

“Non ho saputo che suggerirgli. Potremmo essere ad un passo da ritrovarlo e non lo sappiamo.”

Ryo lasciò un lungo sospiro spegnendo la sigaretta ed estraendo le chiavi della macchina.

“Yuu, ti saluto. Sono stanchissimo.”

“Tranquillo Ryo, ti seguo a ruota.”

I due si abbracciarono salutandosi. 

Ryo salì in auto e partì. Lungo la strada pensò che non voleva proprio andare a dormire. Non voleva sognare di nuovo Takanori. Non voleva farlo. Non con la moglie accanto a sé. Arrivato a casa si concesse una bella doccia calda e si fiondò a letto. Il giorno seguente era sabato, si disse, avrebbe potuto andare a trovare Kouyou subito dopo il pranzo. Gli dedicò l’ultimo pensiero prima di addormentarsi.

 

Yuu si svegliò di soprassalto per colpa del suono insistente del telefono. Pregò in cuor suo che non fosse l’ospedale e andò a rispondere.

“Moshi moshi” disse mezzo addormentato.

“Ciao Yuu, sono Yutaka. Scusa l’ora imperdonabile, sono appena tornato da lavoro.” 

In effetti era l’una e mezza del mattino, ma Yuu era sempre felice di risentire Yutaka. 

“Ehi Yucchan! Dimmi.” 

“Innanzitutto volevo sapere di Kouyou…”

“Bene, l’operazione non ha subito intoppi. Ora dobbiamo solo aspettare e sperare…”

“Esattamente, speriamo bene. Ti chiamo principalmente per dirti che… Ho parlato con Takamasa.”

“Chi?”

“il fratello di Takanori.”

“Oh cazzo, l’hai fatto davvero??” non nascose l’incredulità.

“Sì. E’ stato parecchio imbarazzante. Mi sono presentato anche se sa benissimo chi sono. Insomma sono praticamente il suo capo.” e fece una piccola risata. 

Yuu rimase in ascolto.

“E… Bè, gli ho detto che ero amico di suo fratello. Insomma sono quasi identici, non potevo non capire che era lui. Lui ha fatto una faccia incredibile, e gli ho chiesto se sa niente di lui. E… Bè…”

“Bè?” chiese Yuu impaziente. 

“Non sa niente.”

“Immaginavo…” sbuffò l’altro rassegnato.

“Mi ha detto che l’ultima volta che l’ha visto è stato tre anni fa dalle parti di Kanagawa. Lui era andato a trovare i genitori e l’aveva visto in stazione, sulla banchina dove di solito passa il treno per Niigata.”

“Quindi potrebbe abitare lì.” 

“L’ho pensato anch’io, ma non sono così ottimista.”

“Fai bene ad esserlo, stiamo comunque parlando di tre anni fa… Bè, grazie Yucchan.”

“Figurati. Mi ha assicurato che se sa qualcosa mi tiene informato, ma ovviamente non mi garantisce nulla.”

“Sì, immagino. Bene, buonanotte Yucchan, Saluta moglie e figlia.”

“Senz’altro. ‘Notte Yuu.”

La chiamata dunque terminò. Yuu tornò a coricarsi sul divano, immerso nei suoi pensieri. La ricerca di Ryo e Takanori durava ormai da quasi quindici anni, e se uno era riuscito a trovarlo grazie alla sorella, l’altro mancava ancora all’appello. Dedicò dunque l’ultimo pensiero al suo migliore amico, ancora disperso da qualche parte in Giappone, forse ancora senza una meta, forse ancora completamente da solo. 

 

Ryo uscì dall’ufficio a mezzogiorno e mezzo discutendo tranquillamente con uno dei colleghi riguardo ad un vecchio affare che entrambi desideravano migliorare, in fretta si salutarono e lui montò in macchina. L’accese con l’infinita voglia di parlare con Kouyou. Ripensò con una nota di dolcezza a tutte le volte che in gioventù loro due si erano confidati, maledicendosi poi mille volte per quello che aveva combinato 26 anni prima. Raggiunse l’ospedale, era quasi l’una del pomeriggio e fra poco l’orario consentito alle visite sarebbe iniziato. Scese senza fretta dall’auto e entrò nell’ospedale. Salutò l’infermiera e le chiese se gli era concesso visitare Kouyou. Ottenuto il consenso raggiunse la sua stanza, lo trovò sveglio a guardare fuori dalla finestra. Entrò nella stanza e Kouyou s’illuminò.

“Ryo!” disse felice.

“Buongiorno.” disse prendendo una sedia e accomodandosi accanto a lui, non senza il solito enorme sorriso stampato in viso. Decise di non guardare il catetere infilato nel collo di Kouyou.

Si raccontarono della giornata e Kouyou chiarì meglio la procedura dell’intervento, prima che un momento di silenzio calò fra di loro.

“Kou, devo raccontarti una cosa.”

“Dimmi.”

“Due sere fa ho sognato Takanori.”

“Di nuovo?”

“Sì. Ricordi che quel giorno ti raccontai di quando l’avevo incontrato per la prima volta e poi lo stesso giorno l’ho trovato a pochi passi da casa mia?”

“Sì.”

“Ho sognato quel momento.”

Kouyou rimase un attimo a riflettere. Poi parlò. “E’ come se il tuo inconscio volesse mostrarti quello che hai vissuto insieme a lui…”

“Il bello è che stanotte non ho sognato nulla, assolutamente nulla. Il buio totale.”

“Non lo so Ryo, non mi chiamo Freud!”

Risero candidamente. In quel momento però entrò anche Yuu.

“Oh salve, ciao Ryo! Pardon, ma devo salutare la mia metà.” e detto questo poggiò un casto bacio sulle labbra di Kouyou. Poi si sedette a fianco a Ryo. 

“Che si dice?”

“Nulla, Ryo mi ha informato che due sere ha sognato di nuovo Takanori e quello che hanno passato.”

Yuu s’illuminò di colpo: “Cavoli, devo raccontarvi una cosa!” I due si fecero attenti. Yuu dunque continuò: “Ieri notte mi ha chiamato Yutaka.”

“Davvero?” chiese Kouyou, che era già al corrente di quello che Yuu aveva comunicato a Ryo la sera prima.

“Sì. Mi ha detto che ha parlato con il fratello di Taka.” Entrambi fecero una faccia sorpresa, mentre Yuu continuava a raccontare. “Mi ha detto che lui non sa nulla. L’ultima volta che l’ha visto è stato in stazione a Kanagawa, tre anni fa.” 

Ryo e Kouyou rimasero senza parole. L’unica cosa che era certa era che Takanori era ancora da qualche parte là fuori. E volendo lo si poteva ancora ritrovare.

Ryo si congedò verso le 14:30, aveva promesso alla moglie un pomeriggio di shopping e una bella cenetta. Accomiatatosi, montò in macchina e partì verso casa. 

 

Rimasto solo quella notte, Kouyou si ritrovò a pensare a se stesso. Era in quel letto perché il ritorno di Ryo gli aveva ridato la forza di ricominciare a combattere contro la sua malattia. Si chiese: se quel midollo che aveva appena ricevuto non avesse attuato la sua funzione rigeneratrice, che avrebbe fatto? Lasciò un lento sospiro giurando a se stesso che avrebbe ancora aspettato, un altro donatore, un altro midollo. Per l’amore che provava per Yuu, per l’affetto immenso che ancora provava per Ryo, Yutaka e Takanori, il fratello minore che non aveva mai avuto. Ripensò a come quel ragazzino era diventato talmente indispensabile da aver lasciato un marchio profondo nella vita di tutti quelli che l’avevano conosciuto. Ammise subito a se stesso che quello scricciolo si era talmente fatto amare che dopo tutti quegli anni portava ancora qualcosa di lui dentro di sé. Sospirò e chiudendo gli occhi dedicò il suo ultimo pensiero al suo amato Yuu. Senza di lui chissà dove sarebbe stato. 















Eccomi qui! ^^
Non so perché ma più lo leggo più mi convinco che questo capitolo sia cortissimo... Owo
Vi ringrazio di nuovo per le vostre recensioni, sono bellissime e fa bene rileggerle nei momenti di scarsa ispirazione! ^^
E non vi preoccupate, vi assicuro che finora non ho ancora avuto blocchi o nulla ispirazione. Qui su EFP siamo appena al capitolo tre, ma in realtà oggi inizierò a scrivere il capitolo 11, quindi non dovete aver paura che vi abbandoni con troppe cose in sospeso ^^
Detto questo vi ricordo di segnalarmi eventuali errori o migliorie che vorreste vedere nel prossimo capitolo, siano di sintassi o anche di font e impaginazione. 
Un bacione a tutte quante! 
Yukiko H.

 

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Capitolo 4
*** Fotografie. ***


Domenica mattina, un giorno particolarmente assolato per essere pieno ottobre, Ryo si concedette una calma passeggiata per Tokyo con Arisa. Ebbero il tempo di parlare del loro matrimonio; e dopo quella tranquilla discussione Ryo dovette ammettere a se stesso che quello era veramente un matrimonio di fortuna. Cercando di non pensarci sentì che poteva essere una buona idea portarla a Nakano, per mostrarle la casa dove aveva vissuto l’adolescenza, pronto a combattere tutti i ricordi che sarebbero sicuramente tornati. Parlando di vari argomenti, raggiunsero con calma Nakano, e Ryo poté mostrarle quella piccola casa dove viveva con la madre, la nonna e la sorella. Poi proseguirono, fino ad arrivare al vecchio parco, finalmente aperto. Ryo non se la sentiva assolutamente di entrarci, ma Arisa insistette e alla fine lui cedette. Tenendosi a braccetto superarono il portone. Si accomodarono su una panchina all’ombra dei ciliegi quasi spogli, osservando in silenzio dei bambini giocare allegramente su alcuni scivoli. Ryo ricordava quel posto. Era un sabato pomeriggio. Lui e Kouyou si erano tolti le giacche della divisa e se ne stavano beati sull’erba, poco lontani dalle costruzioni per i bambini. Discutendo del più e del meno si beavano degli ultimi attimi di estate. Bastò a Ryo allontanare momentaneamente lo sguardo per trovare quel ragazzino seduto sotto i ciliegi, con una sigaretta in mano e il cappuccio della felpa in testa. Insieme a lui un bastardino, che teneva accoccolato sulle gambe. Con la mano libera dalla sigaretta, lo accarezzava piano piano. Kouyou seguì lo sguardo di Ryo per capire cosa stesse guardando. Vide il biondino e chiese: “E’ quello il ragazzino di cui mi parlavi?” 

“Sì, è lui.” detto questo si alzò e a piccoli passi raggiunse il biondo. Si sedette accanto a lui. Il ragazzo si girò per guardarlo. 

“Ciao.” salutò gentile Ryo, sorridendo. L’altro tornò a guardare il folto pelo della bestiola.

“Ciao.” disse dunque con una voce profondamente triste.

“Che carino.” disse Ryo dando una carezza al cagnolino. “E’ tuo? Come si chiama?”

“Non ha un nome, l’ho trovato per caso.” rispose l’altro monotonamente. 

“E tu come ti chiami?” azzardò Ryo.

“Takanori.” rispose nello stesso tono di voce.

“Piacere. Io sono Ryo.” disse gentilmente lui.

“Piacere. Tu sei quel ragazzo che ha cercato di salvarmi, no?”

“Sì, sono io.”

Takanori tacque. 

“Quanti anni hai?”

“Tredici.” Ryo pensò immediatamente che l’aveva creduto un pochino più grande. 

“Io quattrodici.” continuò scacciando i pensieri precedenti. Vedendolo così triste non poté non preoccuparsi. Quindi azzardò l’ennesima domanda: “Ehi, va tutto bene?”

“No.” rispose ancora Takanori, spegnendo la sigaretta e dedicandosi al cagnolino. 

Ryo non sapeva bene che fare. Quel ragazzino in quel momento era la tristezza fatta persona. Rimasero ancora qualche attimo in silenzio. Ryo non voleva andarsene. Non voleva lasciare lì Takanori. Vedendo Kouyou alzarsi e riprendersi la giacca, capì che era giunto il momento di lasciarlo. O forse no.

“Senti,” azzardò di nuovo “vedi quel ragazzo laggiù?” Takanori alzò lo sguardo per incontrare la figura di Kouyou poco distante, ed annuì. “Fra poco andiamo a farci un giretto in centro. Vuoi venire con noi?”

Ma Takanori scosse bruscamente la testa.
Ryo lasciò andare un leggero sospiro. “D’accordo… Bè, spero di rivederti presto.” Ryo dunque si alzò.

Iniziò a camminare quando sentì un leggero “Ciao Ryo.” dietro di sè. Un tenue sorriso comparve sulle sue labbra mentre raggiungeva Kouyou. Donando un ultimo sguardo a Takanori, lo vide passarsi le mani sul volto come se stesse piangendo. Ma ormai Kouyou si stava già incamminando verso il centro, e non poté fare altro che seguirlo, con altri mille interrogativi nella mente.

Ryo ritornò bruscamente alla realtà. Quel giorno conobbe il nome della sua eterna ossessione. 

 

Takanori.

 

Rimasero lì per un po’, prima di riprendere la loro calma passeggiata. Ryo si obbligò di lasciare andare la visione di Takanori seduto su quella panchina e scappare al più presto da Nakano. Guardò l’ora: erano le tre del pomeriggio. Si ricordò che anche per quel giorno aveva promesso a Kouyou che sarebbe andato a trovarlo. Così chiese alla moglie di rientrare, lei acconsentì di buon grado, dato che la passeggiata era durata parecchio e doveva trovarsi con alcune amiche per un caffè. Con calma ritornarono a casa. Ryo si cambiò e andò in ospedale. Ad attenderlo trovò Yuu.

“Ehilà!”

“Domani dimetteranno Kou. Lui non vuole rimanere qui dentro, anche se è contro tutti i pareri del medico.” disse. “Dovrebbe rimanere in ambiente protetto, ma Kou non ha voluto sentire ragioni.” 

“Ah sì?” 

“Questi prossimi giorni ci hanno già avvertito che saranno terribili per Kou… I sintomi che avrà saranno sicuramente nausea, vomito, febbre…”

“Cazzo…”

“E’ un minimo. Se questo lo porterà a guarire quei sintomi saranno solo un lontano ricordo.” disse abbozzando un dolce sorriso. “Avremo un’infermiera che verrà ogni giorno per controllarlo e mantenerlo nutrito. Solo fra un mese potrà ricominciare a mangiare.”

“Caspita. Vabbè, l’importante è che guarisca…” sospirò Ryo.

Non potevano andarlo a trovare perché stava dormendo, così scesero parlando delle procedure che avrebbero atteso Kouyou nei seguenti giorni. Decisero di ritornare ognuno a casa propria, si salutarono con un altro forte abbraccio.
Mentre guidava verso casa, Ryo si ricordò un’altra cosa che aveva nascosto nel buio cassetto dei ricordi che ora se ne stava spalancato nella sua mente: in uno dei tanti libri che aveva collezionato durante la sua vita, vi era l’unica foto che si era salvata di lui e Takanori. Le altre erano tutte finite bruciate nel piccolo giardino di casa sua a Nakano, tranne quella foto, che allora decise di conservare. Si maledisse di nuovo per quel gesto forsennato, ma appena arrivato a casa si mise a rovistare in tutti i suoi libri. Sua moglie non poteva fermarlo e chiedergli se era impazzito.
Svuotò completamente tutta la libreria che teneva nella sala, ma nulla. Rimise in ordine e pensò che poteva provare nell’ampia soffitta, così corse nella stanza degli ospiti ed estrasse una scala dal soffitto. Entrato in quel luogo buio e polveroso, cercò un vecchio baule contenente altri suoi libri. Gli sfogliò uno ad uno, poi trovò ‘Narciso e Boccadoro’ di Hesse, libro che aveva profondamente amato durante gli anni dell’università. Esattamente fra le pagine del suo capitolo preferito la trovò.
Non si chiese come mai quella foto fosse finita proprio in un libro risalente agli anni dell’università, ma corse nella stanza degli ospiti, per ammirarla alla luce del giorno. 

Rivide dunque un se stesso molto, molto più giovane, forse 17enne, con una canotta bianca estiva. Stringeva fra le braccia una creatura bionda, sorridente come poche volte nella sua vita l’aveva visto sorridere, mentre indossava la maglia del concerto dei Luna Sea; dietro di loro un palco ancora vuoto attendeva l’entrata della loro band preferita. Quella creatura avrà avuto sì e no 16 anni, e si percepiva attraverso la carta fotografica quanto era felice nel momento in cui la foto venne scattata.
Il fotografo poteva essere stato solo Kouyou, in quegli anni girava sempre con la macchina fotografica con sé. La girò per vedere se vi era qualche annotazione, riconobbe immediatamente la calligrafia perfetta di Takanori. La scritta diceva “I for you”, titolo di una struggente canzone d’amore dei Luna Sea. A Ryo fuggì una lacrima. La rigirò per bearsi dell’infinita bellezza del sorriso di Takanori, Ryo avvertì il cuore cominciare a battere come impazzito, di gioia e di quell’amore che non era ancora mai veramente finito. Ripose il libro nel baule, portando con se la foto e riponendola all’interno della ventiquattrore già pronta per il giorno dopo. Decise che l’avrebbe ovviamente mostrata anche a Yuu e Kouyou, il giorno seguente. 

 

Kouyou venne dimesso. Quando gli venne chiesto se voleva aspettare un nuovo donatore in caso di rigetto, disse prontamente di sì. Yuu non riuscì a non commuoversi.
Solo pochi giorni prima aveva espresso la ferrea volontà di volersi lasciare morire, ed ora ecco lì, seduto sulla sedia a rotelle a firmare la dichiarazione d’intenti. Voleva di nuovo guarire, voleva di nuovo provare a vivere. Ovviamente pensò a Ryo. Se quella sera non lo avesse chiamato, chissà che ne sarebbe stato di Kouyou.
Ringraziando l’infermiera Yuu seguì la sedia a rotelle fino all’ambulanza, dato che Kouyou aveva attaccata la flebo; aiutò i medici a sistemare il compagno e un gentilissimo infermiere riportò la sedia all’interno dell’ospedale. Poi partirono verso casa. Lo aiutarono a raggiungere l’appartamento e a metterlo a letto. Dato il cambiamento di temperatura dall’esterno all’interno, i medici consigliarono al paziente di coprirsi e si assicurarono che le finestre della stanza fossero ermeticamente chiuse.
Se ne andarono confermando l’arrivo dell’infermiera verso sera. Yuu prima di tutto stese sulle lenzuola un bel numero di coperte per assicurargli il calore necessario a non aumentare le complicazioni, poi lasciò un attimo da solo l’amato per farsi un tè. Il citofono trillò, Yuu guardò l’ora: chi poteva essere alle tre del pomeriggio? Andò a rispondere. 

“Sì?”

“Ryo.”

Sorpreso aprì il portone. Che ci faceva lì già a quell’ora? Bastò poco tempo per vedere la distinta figura di Ryo superare la soglia e dire un gentile “Permesso.”

Yuu uscì dalla cucina e gli chiese subito: “Poca voglia di lavorare, oggi?”

“Diciamo di sì, oggi è stata una giornata talmente assurda che ho ben pensato di mollare tutto prima.”

Yuu diede una piccola alzata di spalle e tornò in cucina. Ryo iniziò a togliersi le scarpe.

“Caffè?” urlò Yuu.

“Volentieri.” disse Ryo gentile, raggiungendo poi il migliore amico nella sua stanza. Kouyou fece un leggero sorriso vedendolo sedersi accanto a lui.

“Che mi combini Kou?” disse stringendogli una mano.

“Oh niente, il primario è incazzato nero con me ma non mi interessa. Io in ospedale non ci sto.” disse facendosi sfuggire una risatina. Ryo non poté fare a meno di notare la piccola garza sulla giugulare e il tubo della flebo; rabbrividì appena.

Yuu arrivò subito dopo con un vassoio sorreggente il tè e il caffè, lo posò su un comodino accanto al letto.

“E a me niente?” chiese Kouyou bramando la tazza di tè che Yuu aveva in mano.

“L’hai sentito il dottore, non puoi fino a che l’infermiera non ci da il permesso.”

Ryo si versò subito lo zucchero e il latte nella tazzina, mentre un imbarazzante silenzio interrotto solo dal rumore dei cucchiaini nelle tazze pervase la stanza. Bevve in un sorso il suo caffè, per poi attirare a sé la ventiquattrore. 

“Ho trovato una cosa ieri.” preannunciò, frugando all’interno della valigetta. 

Kouyou guardò Yuu interrogativo, ma lui fece un’espressione come a dire che non ne sapeva nulla. Ryo trovò ciò che stava cercando e porse a Kouyou la foto. Un dolce sorriso si dipinse sul suo volto rivendendo Ryo e Takanori felicemente insieme. Poi chiese: “Ma non avevi bruciato tutte le foto?”

“Infatti. Ma una si è salvata.” 

Kouyou non ci mise molto a trovare un angolo della foto leggermente bruciato, e la porse a Yuu, il quale si mise ad osservarla. Anche Yuu sorrise.

“Eravamo al concerto dei Luna Sea, me lo ricordo.” disse Kouyou chiudendo appena gli occhi come volendo viaggiare indietro nel tempo.

“Sì, infatti. Dietro Takanori ha scritto il titolo di ‘I for you’, la nostra canzone.” sospirò appena Ryo.

Yuu infatti la girò e poté anche lui riconoscere la calligrafia dell’amico. Poi s’illuminò, appoggiò la foto sul comodino e corse via. Ryo guardò interrogativo Kouyou, ma lui aveva già capito le intenzioni del compagno. Infatti Yuu tornò poco dopo reggendo fra le braccia un immenso album fotografico, che porse a Ryo.

“Farà male, ma ne varrà la pena.” disse dolcemente. 

Ryo indugiò, poi lo aprì. L’album conteneva tutte le foto che aveva bruciato, dalla prima all’ultima. Tutte le foto di lui e Takanori insieme, oltre alle foto di loro cinque. Infatti trovò anche la foto che aveva portato agli amici, e allora Ryo guardò Kouyou, con le le lacrime agli occhi.

“Anche se tu le hai bruciate, io ho ancora i negativi.” spiegò con un dolce sorriso. “Queste che vedi qui sono tutte le originali. Le foto che ti aveva regalato Takanori il giorno del tuo diciannovesimo compleanno, quelle che hai bruciato, le aveva chieste tutte a me.” 

Ryo esalò un sospiro misto fra incredulità e tristezza, ricominciando a sfogliare quelle pagine. 

“Non hai idea di quante volte noi e Yutaka l’abbiamo tirato fuori per farci un viaggetto nel passato.” disse Yuu, che si era seduto vicino a Ryo per riguardarle insieme a lui. Rimase fermo su una foto che ritraeva Takanori da solo con un microfono in mano fingendo di urlare, circondato da una batteria e due chitarre elettriche.

“I Gazetto…” sospirò Ryo. La loro piccola band che con fatica avevano messo in piedi. 

Anche Kouyou lasciò andare un leggero sospiro, ripensando a quei sogni infranti. La foto subito dopo li ritraeva tutti e cinque insieme con i rispettivi strumenti, in una posa che aveva poco da invidiare alle più tremende foto scattate a tradimento da qualche amico. Takanori era in primo piano fingendo sempre di urlare al microfono, Kouyou e Yuu erano subito dopo dietro di lui brandendo le chitarre come fossero due spade, Ryo era dietro di loro usando il basso come scudo e Yutaka aveva infine appoggiato le bacchette della batteria sulla testa di Ryo a mo’ di antenne. Come se non bastasse l’immagine era risultata parecchio mossa, probabilmente perché la fotografa -l’allora ragazza di Yutaka- si stava piegando in due dalle risate. 

Girò la pagina, e queste foto gli fecero definitivamente scendere le lacrime dagli occhi. Alcuni dei loro innumerevoli baci erano rimasti impressi sulla carta fotografica. Una lo colpì particolarmente: Kouyou era riuscito a scattare una foto splendida di loro, mentre si baciavano su un panchina al parco di Nakano, sotto ai ciliegi in fiore. Sembrava quasi essere la stessa panchina sulla quale il giorno prima si era seduto. O forse era la stessa panchina sulla quale Takanori era seduto quel settembre di troppi anni prima. Anche le altre erano splendide: una ritraeva Ryo sollevare di peso e di parecchi centimetri il biondino, che dall’alto si era chinato per baciarlo. Un breve sorriso nacque sul suo volto: quello scricciolo non pesava niente ed era anche parecchio basso, tenerlo in braccio o comunque sollevarlo di almeno venti centimetri da terra era un gioco da ragazzi. 

Voltò ancora pagina, alcune foto di Yuu e Kouyou gli fecero scappare un grandissimo sorriso. Kouyou in gioventù era stato una vera e propria bambola di porcellana: oltre ad indossare spesso la gonna, il suo viso aveva dei tratti talmente perfetti da farlo sembrare irrimediabilmente una ragazza. Peccato che appena parlava il suo vocione gli faceva saltare tutta la copertura; ma in quelle foto la bellezza di Kouyou era perfetta. Ryo diede un veloce sguardo al Kouyou che era disteso accanto a lui. Nonostante i segni della malattia, dell’operazione e dell’età, quella bambola era ancora lì, accanto a lui. Sorridendo girò pagina, per trovare un ultima foto. 

Il diciannovesimo compleanno di Takanori. 

Con uno scatto che non riuscì a controllare Ryo chiuse l’album, una rabbia sconosciuta gli montava dentro. La mano di Kouyou si appoggiò subito sulla sua.

“Calma Ryo.” intimò dolcemente. “Torna ad aprirlo.”

Ryo obbedì, come fosse un automa. 

La foto non lasciava trasparire nulla di quello che poi divenne la realtà. Quello che vedeva era il loro ultimo abbraccio. Il loro ultimo bacio. L’ultimo regalo che aveva potuto fargli. L’ultima festa di compleanno insieme. 

Ryo scoppiò a piangere come un bambino. Fu allora che Yuu decise di chiudere l’album e riportarlo dove l’aveva trovato. Le scarne braccia di Kouyou attirarono l’amico a sé, in un caldo abbraccio. Ci vollero alcuni minuti perché Ryo si riprendesse, poi guardò Kouyou. Non servì confrontarsi sull’accaduto, entrambi sapevano benissimo cosa significasse quella foto. Ryo si staccò da Kouyou e guardò l’ora dell’orologio sulla parete davanti a lui: erano oramai le cinque ed era meglio tornare a casa. Così si alzò e infilò la foto nella ventiquattrore. Guardò i due amici, con un debole sorriso sul volto. “E’ meglio se torno a casa.” esordì dunque.

“Certo Ryo.” rispose Yuu leggermente mortificato. Forse portargli quell’album non era stata un’ottima idea.

“Grazie per avermi fatto rivedere quelle foto.” disse invece Ryo con una nota di dolcezza nella voce. “Scusatemi se ho pianto.”

“Ma Ryo, di che ti scusi… E’ normale che tu l’abbia fatto..” disse Kouyou.

Ryo fece un breve sospiro. “Vedi di riposare, torno domani.” detto questo posò la solita carezza sul viso di Kouyou. Lui annuì. Yuu lo accompagnò alla porta, si salutarono e poi ritornò a sedersi accanto a Kouyou. Un momentaneo silenzio nacque fra di loro.

“Ho sbagliato.” esordì Yuu.

“No, amore. Hai fatto bene. Ryo sta combattendo per rimettere insieme i pezzi delle sua vita.” rispose Kouyou sorridendo.

“Lo so, ma… Tutte quelle foto con Taka, e poi mi ero dimenticato che c’era anche la foto del compleanno…”

“Non importa, Yuu. Ha fatto bene a tutti noi.”

Detto questo allungò le braccia verso Yuu, che, compreso il messaggio, lo corse ad abbracciare. Gli donò un appassionato bacio e gli sistemò poi le coperte. Lo guardò ancora a lungo prima di parlare. 

“Vedi di riposare amore mio.” sussurrò dunque.

Si scambiarono un altro passionale bacio, prima che Yuu uscisse dalla stanza e spegnesse la luce. 





















Eccomi dunque con il quarto capitolo!
Piccole considerazioni generali... Questo è uno dei miei capitoli preferiti. Io ho una passione immensa per il tema delle fotografie, per cosa sono capaci di comunicare e far ricordare. Non potevo dunque non inserire qui questa mia piccola passione ^^ Come sempre vi ringrazio infinitamente per le recensioni (non so come fate a scriverne di così belle **) e vi ricordo di segnalarmi eventuali errori. Ci risentiamo al prossimo capitolo!
Un bacio,
Yukiko H. 

 

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Capitolo 5
*** Rivelazioni. ***


Quel mattino Ryo arrivò in ufficio e si mise subito al lavoro.
Il giorno prima, approfittando della sua posizione di capo, era uscito ben tre ore prima lasciando tantissime cose da fare su quella scrivania. Ma era diligente; e così per quel giorno non sprecò nemmeno un attimo per concentrarsi sul lavoro da concludere.
Ricevette anche il presidente della compagnia Shirakawa, una compagnia emergente e di successo che lui avrebbe potuto aiutare e dalla quale ricevere ancora più forza.
Finalmente la mole di lavoro iniziò ad esaurirsi verso le 17:30, dove in quell’incredibile giornata Ryo riuscì finalmente a trovare alcuni minuti di relax. Mangiò il pranzo, dato che il colloquio con il signor Shirakawa gli occupò la pausa, poi estrasse dalla ventiquattrore la foto.
Rimase a guardarla per qualche attimo. Sulla scrivania aveva tre cornici: in una vi era la foto del matrimonio con Arisa, in una vi era una foto di sua madre insieme a lui quando era bambino, e nella terza vi era un ritratto della defunta nonna. Sospirando prese un pezzo di scotch e vi attaccò alla terza cornice la foto, facendo in modo che chiunque entrasse dalla porta non la potesse vedere e iniziare a fare domande. Rimase assorto a guardarsi, poi spostò l’attenzione sul biondino che stringeva fra le braccia. Ammise per l’ennesima volta a se stesso che gli mancava, gli mancava da impazzire.
Si rese conto che tutti quei sforzi che aveva fatto per dimenticare lui e i suoi amici alla fine erano stati totalmente inutili. Tutto era tornato inesorabilmente a galla. Ed ora si ritrovava quarantaseienne a rimpiangere metà della sua vita, immerso ancora negli occhi di quel ragazzo. Si ritrovava disposto a esporre a se stesso ogni giorno in quell’ufficio ciò che una volta era stato e chi amava. Forse per ricordarsi la sua stupidità, forse per ricordarsi che quella vita che si era costruito era la copertura di un dolore ancora insanato.
Bussarono alla porta e subito rispose ‘Sì?’ rinvenendo da quei pensieri.
La signora Imura gli portò i resoconti del mese; gentilmente la ringraziò. Come fosse una calamita la foto attirò di nuovo i suoi occhi. Era strano, si accorse, che da un lato ci fosse un matrimonio senza amore e dall’altra una stupenda storia che non avrebbe mai dovuto concludersi. Qualcosa nella sua mente lo bloccava dal ripensare alla fine del loro infinito affetto, e dedusse che era meglio se facesse ritornare la concentrazione sui resoconti che giacevano sulla sua scrivania.
Alle 20 raggiunse casa di Kouyou per assicurarsi che stesse bene. Rimase qui fino alle 21; poi pensò bene di tornare a casa. Si sentiva parecchio stanco, quindi appena arrivò a casa mangiò qualcosa e si gettò subito sotto la doccia per poi andare a letto. La moglie rimase sveglia a guardare la tv. Si sistemò in una posizione comoda e chiuse gli occhi. Non ebbe tempo di pensare, il sonno lo colse di sorpresa, per addormentarsi dunque di botto. 

Ne era passato di tempo da quando Ryo avevo visto per l’ultima volta quel Takanori, e non era ancora mai riuscito a toglierselo dalla testa. Gli capitava inconsciamente di passare per il parco di Nakano nella speranza di rivederlo, ma niente. Era sparito nel nulla. Sospirando cercò di tornare a seguire la lezione di chimica, ma invano.
Dove si trovava? Perché quel giorno era così triste? E perché Yoshida lo chiamava con quel nomignolo orribile?
Mille e mille domande gli ronzavano nella testa. Suonò finalmente la campana, anche per oggi le lezioni si erano concluse. Quel pomeriggio sarebbe rimasto da Kouyou a studiare, così si era portato dietro anche il basso, che assicurò sulla schiena, ed uscirono. Il pomeriggio finalmente Ryo riuscì a non pensare più al ragazzo biondo, e insieme a Kouyou riuscì a concludere una perfetta cover di ‘Mechanical Dance’, canzone dei Luna Sea che entrambi amavano.
Dopo la cena Ryo saluto l’amico e partì verso casa. Decise di non prendere la scorciatoia, anche se gli costò molto: solo qualche settimana prima aveva incontrato il ragazzino biondo camminando per quella strada. Ma erano quasi le 22 e non voleva mettere la sua vita a rischio. Immerso nei suoi pensieri continuò il cammino, sperando appena in cuor suo di poterlo rivedere. 

Arrivò anche sabato, i due amici erano stati invitati ad una festa per l’inizio dell’anno scolastico. Kouyou e Ryo accettarono di buon grado, anche se questo gli avrebbe costretti all’ascolto per una notte intera di quella musica orribile e ripetitiva che tanto odiavano.
Si vestirono come era loro consueto: Kouyou scelse la sua gonna preferita e il trucco pesante, Ryo andò più sul leggero con una felpa dei Sex Pistols, pantaloni strappati e cintura borchiata.
La festa si teneva in una palestra poco lontano da Nakano; Ryo aveva promesso a Kouyou che l’avrebbe dunque riportato a casa. Per l’occasione aveva addirittura comprato un pacchetto di sigarette, che avrebbe ovviamente smezzato con il migliore amico. Raggiunsero la festa, trovando la palestra affollata e quindi la gonna di Kouyou sarebbe rimasta perfettamente inosservata. Presero dei cocktail analcolici talmente schifosi da rendere impossibile anche il solo assaggio, così uscirono fuori per riversare il contenuto nell’erba e inaugurare finalmente il pacchetto di sigarette.
Era strano sentirsi un po' ribelli in quell’occasione, erano certi che all’interno di quella palestra nessuno di loro vestiva una gonna anche se era un uomo. Ritornarono dentro gettando via i mozziconi.
Quella sera Kouyou conobbe Yuu. Il ragazzo, vedendo Kouyou, tentò delle avances; ma Kouyou rifiutò gentilmente. Ryo non si dimenticò mai la faccia di Yuu non appena sentì la profonda voce del migliore amico, e ripensandoci ci rise sopra per alcune settimane. Inaspettatamente Yuu però rimase a parlare con Kouyou, finché Ryo non si sentì il terzo incomodo della situazione. Ricordandosi del pacchetto di sigarette decise di lasciare il migliore amico per andare a fumare.
Uscì, accese la sigaretta, per accorgersi subito dopo della presenza del ragazzino che aveva tanto voluto rivedere. Era seduto sull’erba poco lontano, l’immancabile cappuccio in testa e i capelli biondi che ne facevano capolino, in un angolo d’ombra che la luce di un lampione creava. Senza indugi si sedette accanto a lui. Avvertì che stava piangendo dai leggeri sussulti che scuotevano il suo corpo. Non sapendo bene che fare, circondò con un braccio il suo esile corpicino. Il ragazzino si spaventò e si voltò immediatamente verso il nuovo arrivato; vedendolo lo riconobbe e si asciugò frettolosamente le lacrime con le maniche della felpa.

“Cosa vuoi da me?” chiese con la voce spezzata dal pianto.

“Niente. Ti ho visto e volevo salutarti.” rispose gentilmente Ryo.

Takanori estrasse una sigaretta dalla tasca della felpa, accendendosela subito dopo e intrappolando un’altra lacrima con la manica.

“Sarebbe meglio se tu mi lasciassi stare.” disse.

“E perché?”

“Io non sono nessuno.” e lasciò andare un singhiozzo.

“Ma che stai dicendo?” disse Ryo sorridendo “Se tu non fossi nessuno non sarei qui con te.” 

“Preferisco essere lasciato solo. Non voglio che vai nei casini con Yoshida.”

“Yoshida mi frega la merenda ogni giorno ma non me ne importa nulla. Posso fronteggiarlo.”

Takanori prese una boccata di fumo e la lasciò andare piano, non rispondendo a Ryo. Rimasero dunque in silenzio a fumare, il biondino ancora non riusciva del tutto a calmarsi. Sentendo l’ansia salire nel suo cuore, Ryo gli chiese: “Perché piangi, Takanori?”

“Non te ne importa perché piango.”

“Sì che me ne importa se te l’ho chiesto.” Ryo non celò un velo d’insistenza nella voce. 

Takanori spense la sigaretta. “La mia vita fa schifo.” rispose.

Conoscendo bene i crucci di quell'età, voleva fargli una battuta tipo: ‘Che c’è, problemi con la morosetta?’ ma decise di evitare. Riprese l’iniziale serietà, e chiese: “Perché dici così?”

Takanori strinse forte i pugni fino a farsi sbiancare le nocche. Poi lasciò andare. “Non te lo posso dire.”

Ryo rimase in silenzio volendogli chiedere ulteriori spiegazioni, ma non riusciva a formulare una frase dal senso compiuto. 

“I miei genitori non mi hanno mai voluto.” disse d’un tratto il biondino. “Mia madre voleva abortire ma è arrivata troppo tardi. Loro volevano avere solo mio fratello. Mi hanno fatto nascere e da quel giorno per me è un inferno. Non si sono mai interessati a me. Mai…” un singhiozzo interruppe le sue parole. Ma poi riprese. “ Poi mio padre… Mio padre…” ma non riuscì a continuare, l’ennesimo singulto gli fece saltare la voce in gola. “Ho iniziato le medie e dal quel momento ero il bersaglio preferito di Yoshida. Se sono a questa festa è perché mi ci ha portato lui. Poi… Con gli anni sono diventato la sua puttanella.”
Nel pronunciare quel nomignolo Takanori scoppiò in un pianto incontrollato, rifugiandosi d’istinto fra le braccia di Ryo, che lo accolse senza fare storie. Sentendo le guance arrossire, pregò che il piccolo non sentisse il suo cuore esplodere di gioia. Lo strinse forte a sé, il biondino era inconsolabile.
Quell’abbraccio era meglio di tutte le sue aspettative, dato che il minimo che si era permesso di sognare era una tranquilla chiacchierata. E invece se lo stringeva fra le braccia mentre piangeva disperato, cullandolo pian piano. Il suo cuore non accennava a rallentare i battiti. Avrebbe voluto sapere molto di più, ma decise che non era il caso di fare altre domande. Pian piano Takanori iniziò a calmarsi. Prese alcuni profondi respiri e pian piano si staccò da Ryo. Lui però lasciò un braccio attorno alle spalle del ragazzino. 

“Posso dirti una cosa?”

Takanori annuì.

“Se hai bisogno di sfogarti, ci sono io.” disse Ryo con estrema dolcezza. 

Takanori non rispose asciugando le ultime lacrime con la felpa.

“Voglio esserti amico.” concluse Ryo. 

D’un tratto la porta si aprì ed emerse Kouyou avvisandolo che era mezzanotte e mezza e dovevano avviarsi verso casa. Allora Ryo si rivolse di nuovo a Takanori.

“Ora devo andare. Spero di rivederti presto, Takanori.” Amava ripetere quel nome.

“Anch’io.” disse Takanori guardandolo dritto negli occhi, per un attimo Ryo si perse dentro quel profondo nero. Si alzò, la musica ritmica aveva riempito il cortile e si faceva sempre più forte… Ryo si svegliò e guardò la sveglia, che stava suonando senza interruzione da un quarto d’ora. Decisamente allarmato per quel ritardo spense la sveglia e si catapultò giù dal letto. Trovò la moglie addormentata sul divano, si preparò un caffè e corse a lavoro. Mentre guidava collegò la prorompente musica del sogno al suono della sveglia; decise di non pensare oltre e arrivò in ufficio, con l’anima però pesante da quello che aveva rivissuto. 

 

Quando arrivarono le 18 come di rito si avviò verso Nakano, per andare a salutare Kouyou. Prima di tutto voleva raccontargli cosa aveva sognato, dato che per molte sere Takanori non era tornato e d’improvviso si era fatto risentire con un sogno molto più lungo degli altri. Parcheggiò e corse a suonare il citofono. Salito in casa non trovò né Yuu né Kouyou sul divano, capì che lo stavano attendendo nella stanza di Kouyou e gli raggiunse. Salutò i due e si sedette, chiedendo a Kouyou come stava. 

“Come previsto ho la febbre e tanto mal di stomaco. L’infermiera è venuta prima e mi ha assicurato che i sintomi sono normalissimi.”

Ryo apprese la notizia positivamente. Ma prima che potesse dire loro del sogno, Yuu iniziò a parlare.

“Ci ha chiamato Yutaka stamattina.”

“Ah sì? Sta bene?” chiese Ryo.

“Sì, ma mi ha chiamato per un’altra cosa.”

“Cioè?”

“Bè, il fratello di Takanori lo ha avvertito che per un po’ non verrà a lavoro perché i Kami hanno chiamato a loro suo padre. L’hanno investito.” 

“Oh.” ci fu un attimo di silenzio, dove Ryo non poté contenere la rabbia. Infatti esclamò rabbioso: “Ben gli sta a quello stronzo. Spero gli abbiano riservato un posto all’inferno.”

“Ryo, non si parla male dei morti!” lo ammonì Kouyou.

“Non me ne frega. Quel pezzo di merda se lo merita.” e detto questo strinse i pugni per calmare un attimo la rabbia. Sia Yuu che Kouyou sapevano il motivo di tanta rabbia.

Yuu esordì: “Non hai tutti i torti. Dopo tutto quello che ha fatto a Takanori…”

“Già. Prima ha abusato di lui per quasi undici anni, poi l’ha pure diseredato quando ha scoperto che stava con te…” concluse Kouyou.

A quelle parole Ryo non poté frenare la rabbia che tornò a salire più forte di prima. “Stronzo. Dopo aver abusato di lui per tutta la vita si è anche permesso di…!!!” non riuscì a terminare la frase, lanciò anzi un lungo sospiro, che lo aiutò a frenare la rabbia definitivamente. Gli altri due lo guardavano comprensivi. “Stanotte l’ho sognato.” sbuffò velocemente. “Ti ricordi quando eravamo alla festa dell’inizio della scuola, in prima liceo?”

“Certo.” disse Kouyou e per un attimo sorrise a Yuu.

“Guarda caso quello fu il giorno in cui mi parlò della sua vita, a grandi linee certo, ma lo fece.” disse Ryo “E adesso mi informate che suo padre è morto. Un certo senso potrebbe esserci.” 

Rimasero un attimo in silenzio.

“Ricordo quando Takanori me lo disse.” disse Yuu in un bisbiglio. “Per me fu terribile. Lui invece me lo confessò con estrema tranquillità.”

“Anche a me.” asserì Kouyou.

“Bè, a me lo disse piangendo, ma voi l’avete saputo dopo che ci eravamo messi insieme…” sospirò Ryo. “In un certo senso la mia presenza lo aveva fatto accettare cosa aveva passato, forse perché sapeva che io lo stavo portando via pian piano da quella vita a cui era abituato… Oddio, abituato è una parola grossa.” concluse.

“Mi ricordo che lo guardai, senza dire parola. Lui mi fece un candido sorriso. ‘Non devi star male per me, è passato. In un certo senso ci sono abituato…’ e io lo aggredii dicendogli che no, non si era mai abituato. Non ci si può abituare agli abusi di un genitore, né di chiunque altro. Lui continuò a sorridere e… In un certo senso ogni volta che lo vedevo non facevo altro che ricollegare quello che mi aveva detto e istintivamente volevo solo proteggerlo da tutti.”  seguitò Yuu parlando piano.

“Era l’effetto che faceva a tutti quanti.” disse Kouyou. “Alla fine tutti noi l’abbiamo protetto fino all’ultimo, perché sapevamo che cosa aveva vissuto, sapevamo che lui ci chiedeva solo una cosa: che qualcuno finalmente gli dimostrasse che la vita poteva anche essere una cosa bella.”

Ryo annuì alle veritiere parole di Kouyou. Decise di congedarsi, intenzionato a tornare a casa. Ma appena raggiunse l’auto si girò verso il parco. Guardò il cielo.
Non era tipo da pregare un qualsivoglia dio, ma per una volta chiese ai Kami una cosa sola: che Kouyou potesse finalmente guarire. Voleva chiedere anche se gli rimandassero Takanori, ma capì che era chiedere un po' troppo.
Montò in macchina sperando che per l’unica volta nella sua vita in cui aveva chiesto qualcosa a qualcuno di soprannaturale, la sua richiesta venisse esaudita.
Rimase ancora fermo, immerso in quella candida richiesta che aveva fatto. Poi mise in moto e accese la radio per distrarsi. Ma rimase di nuovo lì, quando sentì le note di ‘I for you’ espandersi dalle casse. Quella canzone, la loro canzone. Erano secoli che non la risentiva, e sembrava emerge da un’altra dimensione, da un altro pianeta.
Congelato, con la mano immobilizzata sul cambio, si ritrovò a canticchiare quelle parole, sottovoce, come una volta gli era capitato di sussurrarle dolcemente a Takanori.
A quel pensiero rimise in moto, alzando al massimo il volume, aprendo i finestrini nonostante fosse quasi dicembre, e correndo via veloce, infrangendo sicuramente un sacco di limiti di velocità. Poco gli importava.
In quel momento avrebbe pagato oro per avere il piccolo seduto vicino a lui, magari tenergli la mano mentre quella canzone scorreva, mentre Tokyo scorreva.
La canzone finì e fu solo allora che rallentò, appena in tempo per fermarsi ad un semaforo. Spense anche la radio, quelle note però gli rimasero impresse nella mente. Rientrò in casa trovando una bella cenetta preparata dalla moglie. Aveva forse dimenticato qualcosa? Ripensò con attenzione, no, quel giorno non era assolutamente nulla di importante. Guardò interrogativo la moglie.

“Volevo farti un sorpresa.” sorrise lei.

“Oh, grazie cara.” e le posò un bacio su una guancia. 

“Stavi già pensando di aver dimenticato qualcosa?” chiese le sospettosa.

“Eh, sfortunatamente sì.” 

“Mi ferisci dicendo così.”

“Ma mi è bastato un attimo per capire che non stavo dimenticando nulla, tesoro.” rispose Ryo sulle difensive.

“D’accordo.”

Si sedettero a tavola e Arisa si apprestò a servire i piatti. Cenarono nel solito religioso silenzio che aveva coinvolto quel matrimonio sin dai primi mesi di convivenza, solo il gentilissimo complimento di Ryo a fine cena interruppe l’assenza di suoni. Poi ognuno dei due tornò al silenzio, lei lavando i piatti, lui accendendo la tv. Ormai quella monotonia non sarebbe mai finita, pensò Ryo, perso negli inutili discorsi di un talk show. Venne raggiunto ben presto dalla moglie, ma il silenzio fra di loro non giunse ad una conclusione. Erano sempre stati così distanti?











Salve! ^^
Ecco dunque il quinto capitolo, fresco fresco per voi ^^
Piccole considerazioni: sì, sono un mostro. Sto trattando malissimo Takanori, me ne rendo conto. Immagino che un pochino ve lo aspettavate, dato che ho messo qualche piccolo indizio qui e là prima della rivelazione (quasi) finale. Ho attuato qualche piccola modifica all'estetica del capitolo, per evitare i wall of text; ditemi che ne pensate ^^ Non ho direi nient'altro da dirvi, come il solito se trovate qualche errore, segnalatemelo senza indugi ^^ Grazie mille per le vostre splendide recensioni, mi fate commuovere çç Ora io torno a immergermi nei kanji, vi auguro una buona giornata e una buona settimana <3
Alla prossima, e un abbraccione a tutte <3
Yukiko H. 

 

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Capitolo 6
*** Fine, inizio. ***



Passarono due settimane, dove Kouyou iniziò gradualmente a riprendersi dalla forte febbre e dal perenne senso di nausea. L’infermiera non si preoccupava, anzi, quel particolare giorno gli prese del sangue per portarlo ad analizzare. Quando Ryo arrivò da lui trovò la signora che se ne stava andando; preoccupato chiese informazioni a Kouyou, il quale lo tranquillizzò.
In quel lungo lasso di tempo Ryo non aveva più sognato Takanori, non si era mai soffermato davanti al parco e il lavoro l’aveva talmente assillato da non riuscire nemmeno per un attimo a posare lo sguardo su quella foto che aveva ritrovato.
Anzi, aveva addirittura dovuto spostare l’orario di visita a Kouyou per poter concludere il proprio lavoro giornaliero. Non a caso quel giorno si recò dall’amico quasi alle 22. Yuu fu così gentile da preparargli in fretta qualcosa da mangiare, anche se si sentiva tremendamente in colpa farlo davanti a Kouyou. Lui non poteva mangiare nulla e veniva ancora nutrito per via endovenosa. 

“Adesso, stando all’infermiera, dovrei iniziare a sentir prudere le mani,” disse Kouyou, “non ho ben capito come accidenti si chiama questa conseguenza. So che se mi prudono è una cosa estremamente positiva: significa che i miei globuli rossi si stanno rigenerando.” e sorrise. 

“Allora speriamo sia così.” disse Ryo addentando una fetta di pizza con voracità. “Così potrai finalmente guarire.”

“Ovvio che però poi dovrò eseguire alcune viste molto frequenti.” continuò l’altro. “Sperando che prima o poi non metterò più piede in ospedale.”

“Ma sì, l’importante è che continui a pensare positivo.” 

“Finché tu rimarrai accanto a me e non sparirai più, io continuerò a pensare positivo.” disse seriamente Kouyou.

Yuu era in cucina a rispondere a una chiamata della madre, così Ryo poté dire: “Io lo so che sono il tuo migliore amico, ma ti rendi conto che lasciandoti andare come avevi fatto stavi principalmente ferendo la persona che ami?”

“Lo so.” disse Kouyou, “ma in quel momento non mi sembrava di poter combattere ancora. Ho Yuu al mio fianco da così tanto tempo che in gioventù non avrei nemmeno potuto immaginare, ma nonostante la sua presenza io… Io non ce la facevo più. Volevo soltanto smetterla di vivere, perché le chemio, oltre a distruggere me, distruggevano anche lui. Ero arrivato ad un punto in cui ero convinto che sparendo avrei fatto sicuramente star meglio lui, che si sta prendendo cura di me giorno e notte. Quando sei tornato ho realizzato che stavo pensando un mucchio di cavolate. Tu sei tornato e ho capito che c’è ancora un motivo per vivere: te, Yuu, Yutaka, la mia famiglia… Ma in quel momento volevo solo liberare Yuu da un peso. Ecco tutto.” 

Ryo appoggiò il piatto che reggeva in mano sul comodino per poter stringere la mano di Kouyou. “Scusami per quello che ho detto.”

“Ryo, avevi bisogno di una spiegazione, non c’è motivo di scusarti. Non mi hai offeso.” 

Yuu rientrò in quel momento, portando ad entrambi i saluti della madre.
Ryo dunque tornò a casa, leggermente tranquillizzato dal colloquio con Kouyou. 

 

Era andato a fare alcune commissioni chieste dalla madre. Si stava avvicinando Natale; pensava che avrebbe ben potuto ritornare velocemente a casa per consegnare la spesa alla mamma e poi avventurarsi per Shibuya. Kouyou non poteva venire con lui perché era a lezioni di chitarra; un motivo valido in più per poter iniziare a scegliere il regalo perfetto per lui.
Così corse a casa e subito dopo prese la metropolitana. La solita folla lo attendeva appena sceso dal treno; ora che mancava poco a Natale il quartiere era ancora più affollato. Con una breve camminata raggiunse il suo quartiere preferito, Harajuku, dove vi erano i suoi negozi più amati. Diede un’occhiata alle vetrine: sembravano promettere buone cose, non sarebbe stato così difficile scegliere il regalo per Kouyou.
Raggiunse il ponte famoso per le lolite e i cosplayers, dove si accorse subito di una presenza inaspettata. Takanori era seduto a terra, la schiena contro il parapetto, fumando immancabilmente una sigaretta e con il cappuccio sulla testa. Non poté frenare il cuore che aveva accelerato di colpo, raggiunse il piccolo amico per salutarlo. “Ciao.” lo salutò Takanori avendolo visto arrivare verso di lui. 

“Ciao Takanori. Come va?”

“Al solito.” Ryo si sedette di fronte a lui, premurandosi però di non intralciare i passanti. “Tu invece?” chiese Takanori.

“Bene dai, sono venuto a cercare il regalo di Natale per il mio migliore amico.”

“Quel ragazzo che è sempre insieme a te?”

“Sì, proprio lui.”

Takanori spense la sigaretta schiacciandola sotto le scarpe. “Io sono riuscito a fuggire da Yoshida.” disse poi.

“Ma che vuole dal te quel coso?” chiese Ryo interdetto.

“Nulla, solo rovinarmi ancora di più la vita.” e alzò le spalle. “Ma non mi va di parlarne, mi sento stranamente di buon umore oggi.”

“Meglio, vuol dire che posso invitarti a fare un giretto insieme a me.” esclamò Ryo sorridendo e con un’enorme gioia nel cuore.

L’altro lo guardò timidamente. “Bè… Se mi vuoi davvero, vengo.”

“Altrimenti non te l’avrei detto, non credi?” detto questo Ryo si alzò, e Takanori lo imitò.

Senza una parola si immersero nella folla, camminando vicini. Ryo entrò in un negozio dove precedentemente aveva visto una gonna che Kouyou avrebbe adorato, Takanori lo seguì senza batter ciglio.
Mentre Ryo continuava a rovistare fra i vari espositori, anche Takanori dava un’occhiata a ciò che esponeva il negozio. Ryo ogni tanto lanciava dei veloci sguardi nella sua direzione; lo vide prendere fra le mani una felpa a scacchi bianchi e neri e appoggiarsela al petto per vedere se era della sua misura. Tornò ad osservare per un attimo le gonne, per poi posare di nuovo lo sguardo su di lui.
Takanori stava guardando il cartellino del prezzo, e iniziò a rovistare nelle tasche della felpa e dei jeans. Trovò delle banconote, che evidentemente non bastavano a pagarsi la felpa, e con un sospiro rimise la felpa nell’espositore dove l’aveva trovata, spostandosi al reparto delle scarpe.
A quel punto Ryo ebbe un’illuminazione geniale. Lasciò perdere la gonna che pensava di prendere a Kouyou, la vedeva troppo corta per lui, e prese la felpa che poco prima Takanori teneva in mano. Approfittando della momentanea distrazione del biondino, comprò la felpa e si fece fare un pacco regalo. Poi raggiunse l’amico.

“Vieni?”  gli disse cercando di trattenere la gioia. 

“Hai già fatto?” chiese Takanori spostando l’attenzione dalle scarpe a Ryo.

“In realtà non del tutto, mi manca un ultimo negozio.” 

Ringraziando il commesso uscirono di nuovo nella folla. Ryo non stava nella pelle; ma non poteva assolutamente tradirsi. Entrarono dunque in un altro negozio dove Ryo aveva precedentemente adocchiato un vestitino che a Kouyou sarebbe stato perfetto: l’amico non disdegnava indossare ogni tanto degli abiti in stile gothic lolita.
Takanori lo seguì ma stavolta non si guardò attorno. Ryo trovò finalmente cosa stava cercando; prese il regalo di Kouyou e andò a pagare. Usciti di nuovo camminarono in direzione di Shibuya, una volta qui Ryo si girò verso il piccolo.

“Posso offrirti una ciambella?”

Takanori arrossì appena. “Se vuoi…”

Ryo fece una debole risatina felice. “Andiamo.”

Raggiunsero in breve tempo il Dunkin’ Donuts e vi si infilarono dentro. Si sedettero in un piccolo tavolino non lontano dal bancone, e finalmente Takanori si tolse il cappuccio. I bellissimi capelli biondi gli arrivavano quasi fino alle spalle; vi passò una mano per arruffarli appena. Una cameriera gli raggiunse, ordinarono della cioccolata calda e molte ciambelle. 

“Non voglio farti spendere.” iniziò Takanori. “Ho solo 1000 yen con me.” 

“Non ti preoccupare, Takanori.” disse Ryo rivolgendogli un enorme sorriso e piegandosi appena verso le borse che aveva precedentemente tenuto in mano.

“Ma hai già speso abbastanza per oggi.”

“Ti ho detto di non preoccuparti.” ribadì dolcemente l’altro. E detto questo gli consegnò il pacchetto. Takanori rimase interdetto.

“E’ Natale anche per te fra poco." disse Ryo senza smettere di sorridere.

“Ma… Ma Ryo….” 

“Niente ma, ok? Vuoi aprirlo ora o aspetti il 25?” 

“Bè… Io… Vorrei aprirlo adesso….” Takanori nascose appena il viso nella felpa, allungando le mani verso il regalo e appoggiandoselo sulle ginocchia. Ryo seguì le piccole mani strappare la carta del pacchetto senza poter frenare la gioia che esplodeva nel suo cuore. Appena Takanori vide la felpa che poco prima voleva comprare, fece un sorriso stupendo.
Era la prima volta che Ryo lo vedeva, e pochissime volte lo rivide poi. 

“Io… Io… Non so come ringraziarti…” esordì Takanori lasciando quel stupendo sorriso dipinto sul volto.

Ryo quasi non gli rispose per la bellezza che Takanori emanava quando sorrideva; ma riuscì a dire: “Non serve che mi ringrazi.”

E parlarono, parlarono tanto. Si raccontarono dei loro gusti personali e della musica che ascoltavano, scoprendo di avere parecchie band preferite in comune. Nessun cenno a Yoshida, o a quella frase riferita a suo padre che Takanori aveva lasciato in sospeso la sera della festa.
Takanori non smise di sorridere fino a quando uscirono dal Dunkin’ Donuts. Tornati nella tipica folla di Tokyo quell’incredibile sorriso si spense d’un tratto. Il biondino tirò di nuovo il cappuccio sulla testa, e tenendo con una mano la borsa del regalo di Ryo si accese una sigaretta. Poi si girò verso il suo nuovo amico. “Io devo tornare a casa adesso.”

“D’accordo Takanori. Grazie per essere venuto insieme a me.”

Il piccolo abbassò lo sguardo. “Grazie a te piuttosto. Per il regalo, la cioccolata…”

“Ti ho detto di non ringraziarmi.” lo interruppe Ryo. 

Takanori lo salutò con una mano, immergendosi nella folla e sparendo alla vista di Ryo.
 

Yuu venne svegliato di soprassalto dal telefono. Guardò l’ora, l’una e mezza. Chiedendosi chi cavolo poteva essere scese dal divano per andare a rispondere. 

“Moshi moshi?”

“Ehi Yuu sono Yutaka. Scusa per l’ora.”

“Yucchan, ciao! Che succede?”

“Grandi novità.”

Yuu pensò subito a Takanori ed emozionato rispose: “Dimmi tutto!”

“Takamasa oggi mi ha avvicinato. E’ stato via quasi quattro giorni per la morte del padre, e mi ha rivolto la parola solo ieri. Ha visto Takanori.”

“OH MIO DIO.” urlò Yuu dimenticandosi di Kouyou che dormiva.

“Aspetta prima di montarti troppo la testa. Alla cerimonia funeraria l’ha visto fra gli ultimi posti. Una volta finita era già scomparso.”

“Ti ha detto com’era?” chiese Yuu fin troppo emozionato.

“Negativo. Mi ha solo detto che comunque gli sembrava lo stesso ragazzino che conosciamo noi, con i suoi soliti capelli biondi. L’ha visto troppo di sfuggita per dirmi altro.”

“Però cazzo questa è veramente una grandissima notizia!”

“Sì, riconfermiamo il fatto che è ancora in circolazione.”

“Non sai quanto mi hai reso felice!”

Yutaka rise appena. “Sì, sono stato felice anch’io quando l’ho saputo.”

“Grazie mille Yucchan, sei un grande.”

“Ma dai, che dici. Ti lascio dormire.”

“Va bene Yucchan. Saluta le fanciulle.”

“Non mancherò. Buonanotte!”

“Ciao.”

Felicissimo Yuu si mise quasi a saltare per il salotto prima di sentire la voce di Kouyou chiamarlo. Lo raggiunse.

“Perché stavi urlando?” chiese.

“Mi ha chiamato Yutaka. Il fratello di Taka l’ha visto al funerale del padre.” disse accendendo il piccolo abat-jour sul comodino.

Kouyou s’illuminò leggermente. “Come sta? Gli ha parlato?”

“No. L’ha visto fra le ultime file e quando la cerimonia è finita Takanori era già andato via.”

“Ma no… Cazzo.”

“Gli ha detto però che da come l’ha visto sembra che per lui il tempo non sia mai passato.”

Kouyou sorrise. 

“Ti lascio dormire ora, amore.” e lo baciò dolcemente sulle labbra, prima di spegnere la piccola luce e tornare anche lui a dormire.
 

L’ennesimo sogno.

Ryo era in piedi davanti alla finestra in ufficio. La Tokyo che aveva davanti era illuminata di mille piccole luci. Dopo due settimane, aveva sognato di nuovo. Ed aveva saputo da Kouyou che Takanori si era fatto vivo al funerale del padre.
Qualcosa gli stava suggerendo che quei sogni corrispondevano quasi sempre con fatti che riguardavano Takanori. Prese con delicatezza la foto, staccandola dalla cornice, guardandola di nuovo dopo tutto quel tempo.
Lui era là fuori.
Questa era la sua unica certezza. Non sapeva dove, ma c’era. E inconsciamente gli parlava, con quei sogni che non erano altro che frammenti di ricordi, rimasti scolpiti dentro di lui. 

“Dove sei?” bisbigliò appena, come se Takanori potesse sentirlo. 

Il telefono sulla sua scrivania trillò. Tornò a sedersi e rispose. 
“Sì?”

“Sua moglie è in linea 1.” rispose la segretaria.

“Grazie signorina.” 

Ryo schiacciò il tasto 1 del telefono e attese le parole della moglie.

“Moshi moshi?”

“Cara, devi parlarmi?”

“Sì, Ryo. Dobbiamo parlare, appena torni a casa.”

“E’ una cosa seria?”

“Abbastanza.”

“Devo preoccuparmi?”

“Ho detto che ne parliamo a casa, Ryo.”

“Senti, non farmi preoccupare, ho trecento cose da fare e da pensare, ho saltato il pranzo e…”

“Voglio il divorzio.”

Ryo rimase con le ultime sillabe intrappolate in gola. Strabuzzò gli occhi a dir poco incredulo.

Prego?

“Hai sentito, Ryo. Ora che sai di che voglio parlare, ti saluto.”

La chiamata terminò lì. 

Divorzio? Aveva davvero sentito Arisa pronunciare quella parola? La situazione era parecchio grave. Istantaneamente pensò che non poteva andare a trovare Kouyou dato la grave circostanza; chiamò immediatamente Yuu per avvisarlo, ma senza rivelare nulla. Attese le 20 come mai le aveva attese in vita sua, e corse subito via dall’ufficio. Arrivò a casa, trovando la moglie in cucina che lo attendeva. Mentre mangiavano, Ryo intavolò la discussione. “Arisa, volevi parlarmi.”

“Sì, Ryo. Voglio divorziare.”

“Questo l’ho capito.” disse posando le bacchette nel piatto. “Almeno una spiegazione vorrei averla, però.”

“Non ti amo più, Ryo. Semplicemente questo. A volte mi sono ritrovata a pensare che il nostro matrimonio non doveva mai essere celebrato. Hai sempre messo il lavoro davanti ad ogni cosa…”

“Arisa, di questo ne abbiamo parlato mille volte. Purtroppo essere una persona con i miei incarichi non è facile e tutto passa in secondo piano.”

“Anche l’intimità, Ryo? Quando è stata l’ultima volta che ci siamo amati, eh?”

“Vorrei avere la tua memoria per ricordarmelo!”

“Più di cinque anni fa, Ryo. Tu non mi ami da chissà quanto. Ma non hai mai voluto dirmelo, mai.”

Ryo non osò pronunciarsi sull’ultima affermazione di lei. Che non l’avesse mai amata era una verità nota a se stesso, ma sarebbe stato troppo dirlo a lei. Arisa lo guardava con un volto che comunicava rabbia e tristezza. “E’ meglio per entrambi, Ryo, se chiudiamo qui questa storia.” ricominciò lei. “Abbiamo entrambi ancora un po’ di tempo per rifarci una vita, magari più felice per tutti e due.” 

“Arisa, io… Io…” tacque. Che poteva fare, se non lasciarla andare? D’altro canto lei aveva ragione. “Va bene.” disse dunque. “Allora chiudiamola qui.” 

Lei si alzò per posare i piatti nel lavandino, lasciando Ryo seduto immobile a tavola. Non riusciva nemmeno a pensare. D’un tratto però le sue capacità cognitive tornarono in funzione e decise di porle una domanda.

“Toglimi una curiosità.”

“Dimmi.”

“Ora che è finito tutto puoi dirmelo senza arrabbiarti. C’è… Un altro, vero?”

Un attimo di silenzio calò fra di loro. “Sì.”

“Almeno hai una persona a cui affidarti.” disse Ryo atonamente. 

“Perché, tu non ce l’hai?”

“No.”

“Sicuro?”

Ryo sospirò. “Vorrei.” e pensò immediatamente a Takanori.

Lei rise appena. “Come puoi tu, ricco e con una posizione importante, non avere già un’altra?”

“Per lo stesso motivo per cui tu mi hai appena chiesto di divorziare.” rispose lui freddamente.

“Ma dai Ryo, chissà quante giovani ragazze attirerai a te.”

“Sinceramente non sono interessato.”

“Ma smettila di dire cagate.”

“Chissà. Potrei anche rimanere solo tutta la vita.”

“Ma dai. Anche se sei stato a lavoro l’80% del nostro matrimonio sei stato un bravo marito.”

“Ti ringrazio.”

“Domani preparo le valigie e me ne andrò, d’accordo? Poi decideremo quando firmare la pratica.”

“Quindi vuoi proprio andartene brutalmente da questa casa?”

“Sì. Vado a vivere da lui, questa casa non mi serve.”

“Come preferisci. Io vado sotto la doccia.”

Si alzò e raggiunse il bagno, ancora incredulo per quello che era successo. Pensò a tutte le cose che ora poteva dirle dato che era tutto finito, ora che lei non era più interessata a lui e non c’era niente da cercare di mantenere in piedi.
Una volta uscito dalla doccia ed essersi preparato, la raggiunse sul divano. Parlarono come mai avevano fatto prima di allora. Lei gli raccontò delle sue storie passate, prima di conoscersi. E Ryo riuscì finalmente a parlarle di Takanori. Non gliel’aveva mai detto, dato che si era giurato che lei non l’avrebbe mai e poi mai saputo. Le raccontò di come l’aveva conosciuto, ma null’altro.
Lei rimase un attimo interdetta da quello che le stava raccontando, tanto che per un attimo era sicura che la stesse prendendo in giro. Ma ascoltando ciò che le stava raccontando e il modo in cui lo raccontava, capì che non stava affatto scherzando. Quando Ryo finì di parlare, calò di nuovo il silenzio.

“Non l’hai mai dimenticato, non è così?” chiese lei d’un tratto.

“Già.”

“Si percepiva da come ne parlavi.”

Con quest’ultima affermazione il discorso finì. Ryo se ne andò a letto, lei accese la tv.
E così era riuscito a distruggere anche il suo matrimonio, pensò lui coricandosi. Prima aveva distrutto tutte le sue amicizie, ora anche il suo matrimonio. E sempre per la stessa persona: Takanori. 
Gli dedicò dunque l’ultimo pensiero prima di andare a dormire. Egoisticamente lo ringraziò per averlo aiutato a concludere ciò che si era costretto a fare in gioventù con Arisa. Il giorno dopo in ufficio sostituì la foto del matrimonio con quella di lui e Takanori insieme a quel concerto. Non poté frenare il sorriso che gli nacque sul volto, e lasciò andare un breve sospiro, come liberatosi da un peso.

Yuu e Kouyou non la preso proprio bene, e da un lato avevano ragione.
Quel matrimonio era nato per una esigenza prettamente di etichetta, e forse Ryo doveva anche sentirsi un po' in colpa: lei era innamoratissima di lui, lui per niente di lei. Quindi se erano arrivati a quello stato da un certo punto di vista era tutta colpa sua.
Ryo si difese dicendo che sapeva benissimo quali erano le sue colpe, e quella che loro gli stavano rinfacciando era la peggiore. Ma ormai quello che era fatto era fatto, e il passato non si può mai cambiare. Non aggiornò gli amici del sogno, l’accaduto aveva lasciato tutti scossi.
Ora lui però era pronto ad accettare a pieno quei sogni che gli venivano periodicamente offerti, era pronto a rivivere per migliorare ed espiare quel disastro che aveva compiuto in gioventù. Era disposto a recuperare del tutto il tempo perduto insieme ai suoi amici, in attesa che anche Takanori facesse il grande ritorno sul palcoscenico della sua vita.







Salve fanciulz! <3
Come state? Tutto bene? **
Dunque, spero che il piccolo 'colpo di scena' vi sia piaciuto.
Forse l'ho fatto arrivare troppo presto, forse potevo aspettare; ma ormai quello che è fatto è fatto. 
Come il solito vi prego di segnalarmi qualsiasi errore/svista/quant'altro, e vi voglio sentitamente ringraziare, come sempre, delle vostre bellissime recensioni. Senza di voi mi sentirei proprio una cattiva scrittrice çç 
Volevo inoltre informarvi che ho finito completamente di scrivere questa FF, quindi non avete nulla da temere e potrete leggerla completamente senza rischiare di essere abbandonate a metà ^^
Detto questo corro a letto, avrei dovuto aggiornare domani mattina, ma non stavo nella pelle di leggere i vostri apprezzamenti e regalarvi l'ennesimo capitolo.
Grazie infinite, a tutte voi.
Al prossimo capitolo!! 
Un bacione a tutte, 
Yukiko H. 

 

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Capitolo 7
*** Scoperte. ***



Si stava sforzando di pensare positivo in tutte le maniere che conosceva.
Una voce nella sua mente gli ricordava che doveva farlo per Yuu, per Ryo, per Yutaka, per la sua famiglia; ma quando quel prudere alle mani che doveva sentire non si era ancora presentato, si iniziò a preoccupare parecchio. Le analisi del sangue però dimostravano tutt’altro: il primario dell’ospedale gli confermò che i globuli rossi stavano iniziando a rigenerarsi.
“Pensa positivo, Kou, pensa positivo.” si ripeteva.
Forse a lui non succedeva, o forse non se n’era accorto, o forse… Non lo sapeva. L’infermiera, controllandogli le braccia per vedere se vi erano segni di rossore, rimase alquanto stupita nel trovare il solito colore niveo della pelle del paziente. Ma non disse nulla; Yuu dunque interpretò quel silenzio come una cosa normale, deducendo che doveva essere già accaduto in passato. Ma invece Kouyou non faceva altro che preoccuparsi ancora di più. Appena Yuu spegneva la luce della sua stanza pregava tutti i Kami di sua conoscenza per avere almeno un leggero pruritino, qualcosa che lo informasse che era vero che stava pian piano guarendo. Era terrorizzato che le analisi del sangue potessero sbagliare, perché il suo corpo non dava nessun segnale di rinascita.
E quella sera, dopo aver invocato i Kami per l’ennesima volta e aver sperato per un’immediata risposta, si lasciò andare per un attimo nello sconforto, piangendo sommessamente. Voleva solamente guarire, nulla più. Voleva che finalmente le cose per lui s’aggiustassero, e tornare ad una vita felice insieme a tutte le persone che amava. Dopo qualche minuto smise di piangere.
Aveva bisogno di Yuu: voleva un abbraccio, un qualcosa che lo potesse far star meglio. Lo chiamò a gran voce. Sapeva che da quando si era ammalato il suo sonno era diventato leggerissimo. Infatti in pochissimo tempo Yuu era al suo fianco, e aveva acceso il piccolo abat-jour.

“Amore, che succede?” chiese Yuu visibilmente preoccupato.

“Ho paura; abbracciami.” 

Yuu non se lo fece ripetere due volte, e facendo attenzione alla flebo, strinse forte fra le braccia Kouyou. “Cosa ti preoccupa?”

“Ho paura che non guarirò… Hai visto, non ho nessun sintomo…”

“Ssshhh…” lo interruppe dolcemente Yuu. “Nell’eventualità che nulla sia cambiato, amore, aspetteremo ancora. Io so che ce la puoi fare.”

“Ma io non voglio pesarti, Yuu…”

“Tu non mi pesi, amore. Ti avrei già abbandonato se lo stessi facendo. Mi conosci, no?”

Kouyou annuì. Yuu prese a donargli dei piccoli baci sul viso, per tranquillizzarlo. “Ti amo.” gli bisbigliò.

“Ti amo Yuu.” rispose Kouyou senza poter trattenere una fugace lacrima.

“Sarò sempre qui a sorreggerti, in ogni momento.” Kouyou annuì, senza aggiungere altro. “Ora riposa amore.” e detto questo Yuu si alzò. 
Kouyou annuì di nuovo, e Yuu spense la luce, uscendo dalla stanza. Leggermente rincuorato chiuse gli occhi in attesa del sonno, che non si fece attendere.


 

 

“Sai, Yuu tornerà a Mie.” sospirò Kouyou sfogliando svogliatamente il libro di matematica.

“Chi? Il ragazzo che hai conosciuto alla festa?” chiese Ryo appoggiando la matita sul block notes.

“Sì, proprio lui. I genitori hanno deciso di tornare a Mie. E deve andarci anche lui.”

“Mi sono perso qualche passaggio?” chiese il biondo osservando l’espressione triste dell’amico, che a questa affermazione arrossì, finendo per assomigliare ad un pomodoro.

“Ma no, Ryo, che dici…”

“Ti conosco da quando stavi ancora mangiando le pappe, non cercare di imbrogliarmi.” e detto questo catturò una mano di Kouyou fra le sue.

Se possibile Kouyou arrossì ancora di più. “Ma dai, smettila. Lasciami la mano, cazzo.”

“Eh no, Kou-kou, adesso mi spifferi tutto. E calmati, sembri un peperone.”

A questo punto il corvino si mise a ridere imbarazzatissimo mentre la stretta di Ryo sulla sua mano aumentava per non farlo scappare. “D’accordo, d’accordo…” disse sventolando l’altra mano per darsi aria. “Mi piace, sì.”

“Ma l’hai visto solo quel giorno!” asserì Ryo ridendo.

“In realtà no…” disse Kouyou diventando serio d’un tratto.

Ryo si rabbuiò. “Come prego?”

“Ehm… L’ho visto quasi sempre dopo lezione di chitarra.” e sorrise. “Non te l’ho mai detto perché mi vergognavo tantissimo.”

“Da quando sono l’ultimo a sapere le cose?” si offese appena Ryo.

“Ma no! Che stai dicendo! Non lo sa nessuno!” iniziò a preoccuparsi Kouyou. “Non lo sanno nemmeno le mie sorelle! Te lo giuro!”

“D’accordo.” sbuffò Ryo in una risata. E anche Kouyou si rilassò, ridendo pure lui.

“Ma anche tu con quel… Takanori, giusto?” disse Kouyou innocentemente.

Fu il turno di Ryo di arrossire. “Bè, sì…”

“Non potevo non accorgermene, ogni volta che lo vedi entri in una dimensione parallela!”

“Esagerato…”

“Sono serissimo.” disse Kouyou incrociando le braccia al petto. Ritornarono ai loro compiti per le vacanze di Natale, e Ryo ripensò a Takanori. Erano passate quasi tutte le vacanze ormai e non l’aveva ancora mai rivisto.
In quel periodo di tempo aveva sperato che non gli fosse successo nulla di male; non aveva ancora capito cosa volesse quel Yoshida da lui, ma sembrava non essere nulla di buono. Ancora non capiva perché lo chiamava con quel nomignolo dispregiativo, ancora non sapeva cosa avesse fatto suo padre, e sinceramente preoccupato per lui non aspettava altra cosa che rivederlo.
Nel suo immaginario Takanori era come un’anima dannata, che aspettava solo il suo amore per avere la pace che aveva perso. Lasciò un leggero sospiro ritornando con la mente agli esercizi di fisica, sapendo che aveva ancora un giorno per finire tutti i compiti. 

Il giorno seguente uscì per una veloce commissione. Raggiunse Shibuya con la metropolitana, andò dunque a fare velocemente spesa per tornare poi a Nakano. In stazione se lo ritrovò praticamente davanti.
Takanori e la sua felpa nera. Felicissimo lo avvicinò, e fu allora che quella felicità morì quasi completamente. Non appena lo sguardo di Takanori si posò su quello di Ryo, quest’ultimo notò immediatamente il labbro spaccato dell’altro. Il sorriso sul suo volto morì istantaneamente. 

“Taka… Che cosa…”

La domanda venne interrotta dal pianto sconsolato del piccolo. Si abbracciarono, e rimasero così stretti fino a quando Takanori non si calmò. “Posso parlarti, vero?” disse poi fra i singhiozzi.

“Ovviamente Taka. Ma non qui.” aveva davvero usato un abbreviativo?

Con un coraggio che non sapeva di avere, Ryo prese una mano a Takanori e lo condusse fuori dalla stazione. Voleva portarlo al parco, dove sicuramente ci sarebbe stata una panchina appartata, per poter parlare con calma.
Takanori non cercò di divincolare la mano da quella di Ryo, anzi, docilmente lo seguì. Reggendo la spesa con una mano e Takanori con l’altra, Ryo si sentiva quasi un eroe a portarlo via da qualsiasi cosa lo avesse fatto star male; forse era un cavaliere medievale che aveva salvato la sua principessa dal feroce drago cattivo.
Il suo cuore già immaginava un futuro radioso con lui; non si rendeva conto di correre troppo, inebriato com’era da quello che provava. Il sole di gennaio splendeva alto su di loro, ed entrarono nel parco. Ryo cercò una panchina abbastanza appartata, trovandone una sotto l’ombra di un grande acero. Si sedettero, e per un po' il silenzio fu loro padrone. Ma fu Takanori, inaspettatamente, ad iniziare. 

“E’ stato il Natale più brutto della mia vita. Niente regali. Solo mio fratello mi ha dato qualche banconota. I miei genitori non mi hanno fatto gli auguri. Chissà se si ricorderanno del mio compleanno… E’ il primo febbraio, dovrebbero ricordarselo, no?”

Ryo non parlò, in ascolto.

“E ti ho pensato, sai.” continuò Takanori, Ryo arrossì appena. “Tu spunti sempre quando ne ho più bisogno.” Takanori inghiottì delle lacrime. 

“Taka, che è successo al tuo labbro?” chiese Ryo approfittando del momentaneo silenzio.

“Yoshida.” rispose Takanori accendendosi una sigaretta.

“Ancora? Ma che…”

“Tu non hai capito ancora niente Ryo… Vero?” interruppe Takanori.

“No, perché, cosa c’è da capire?”

“Non hai ancora capito perché mi chiama puttanella, eh?” e prese una lunga boccata di fumo.

“No…”

Takanori sputò fuori il fumo con rabbia. “Sono il suo oggetto sessuale, Ryo.”

“COSA??” questo proprio non se l’aspettava. Non ci volle molto perché Takanori si mise di nuovo a piangere. Quanto dolore teneva dentro di sé quel scricciolo d’uomo?

“Hai sentito. Mi ha tirato un pugno in faccia a Capodanno. Non volevo offrirmi a lui come il solito.” disse Takanori singhiozzando. “Mi ha spaccato il labbro e si è comunque divertito con me.” prese un po’ di fumo dalla sigaretta. “Ma ci sono abituato.”

“Come… Come puoi abituar…”

“Ryo…” lo interruppe guardandolo con il viso striato di lacrime. “Mio padre mi usa da quando avevo quattro anni. Certo che ci sono abituato.”

A questo punto Ryo non sapeva veramente cosa dire. Era talmente scioccato da non riuscire nemmeno a muoversi.

Ma Takanori non aveva finito di raccontarsi. “Yoshida ha iniziato ad usarmi quando avevo 11 anni.” si asciugò goffamente le lacrime con la manica della felpa. “Mio padre non ha ancora mai smesso. Mia madre forse non sa niente.” prese l’ultima boccata di fumo e gettò la sigaretta. “Mio fratello non sa niente, di questo ne sono certo. D’altro canto non posso nemmeno farmi sentire, mio padre me la farebbe pagare ancora di più.” asciugò altre lacrime con la felpa. “Yoshida sa che può usarmi come vuole perché io so già come comportarmi di fronte a queste cose.” si voltò verso Ryo, e lo vide agghiacciato. “Per questo non volevo che tu diventassi mio amico.” continuò. “Prima o poi avresti saputo. E prima o poi te ne saresti anche andato.” si asciugò le ultime lacrime, aggiustando poi il cappuccio sulla testa. “Quindi sei in tempo per farlo. Vattene adesso. Non mi farà poi così male.”  e lasciò un lungo, intenso sospiro.

Ryo quasi si risvegliò, e con leggera rabbia disse: “No che non me ne vado. Non me ne andrò, Takanori. Se vuoi che io me ne vada, bè, sappi che tornerò, tornerò sempre. Quale parte della parola ‘amico’ non hai capito?” a questo punto Takanori aveva di nuovo cominciato a piangere.
Ryo lo strinse forte a sé. 

“Grazie.” bisbigliò appena Takanori.

Ryo non disse nulla. Non c’era assolutamente nulla da dire.

 

“Suzuki san?”

Ryo rinvenne dai suoi pensieri. 

“Sì, Shirakawa san. Mi scusi. Stavo ragionando.”

Il suo ufficio, davanti a lui il signor Shirakawa. L’ennesima giornata. “Allora, che ne pensa?”

Non aveva seguito un accidenti di quello che il signor Shirakawa gli aveva detto. “Posso avere del tempo per riflettere?” cercò di salvarsi. 

“Sì, ovviamente.” l’uomo gli consegnò una cartella piena di documenti. “Qui ha tutto ciò che le serve per riflettere bene.” 

“Grazie mille.”

I due si inchinarono, e il signor Shirakawa si congedò.
Si tirò uno schiaffo mentale per aver ripensato al sogno nel momento sbagliato, anzi nel momento più sbagliato di tutti. Si mise subito a vedere il materiale lasciato da Shirakawa san; sapeva che avevano molto probabilmente un contratto da suggellare, e lui cosa stava facendo? Ricordando un dei ricordi più dolorosi che aveva di Takanori, ovvio! Uno dei sogni più brutti che aveva mai fatto in vita sua; si era svegliato in un bagno di sudore e con il cuscino pieno di lacrime.
Tirò un calcio alla scrivania, arrabbiato con se stesso.
Non aveva mai, MAI fatto una cosa del genere sul lavoro, si sentiva in colpa e si vergognava da morire. Così, con tutta la sua forza di volontà, si gettò a studiare uno ad uno i documenti, riuscendo più o meno a capire cosa voleva Shirakawa dal contratto.
Stremato e molto arrabbiato, uscì dall’ufficio per raggiungere la moglie dall’avvocato. La firma del divorzio fu breve e concisa, ma un’altra cosa fece arrabbiare Ryo ancora di più. Ovviamente la moglie venne all’ufficio dell’avvocato accompagnata dal nuovo amante; almeno non lo presentò all’ex marito. Ma non c’era alcuna presentazione da fare. Ryo conosceva molto bene l’uomo che le stava ora a fianco: Yoshida.
Proprio lui, sì, completamente cambiato: giacca e cravatta, capelli corti; nessuno avrebbe potuto immaginare il passato che quell’uomo aveva avuto. Ryo per un attimo avrebbe voluto rivelare ad Arisa ciò che quello stronzo aveva fatto in passato; ma, tenendosi la rabbia dentro, se ne andò via dall’ufficio senza più voltarsi, salendo in macchina e infrangendo tutti i limiti di velocità per raggiungere Kouyou.
Voleva solamente sfogarsi con la persona di cui si fidava di più sulla faccia della Terra, e appena arrivato suonò insistentemente. Salì di volata le scale e nemmeno si tolse le scarpe, scansando Yuu entrò in camera di Kouyou, che lo stava aspettando, e vedendo la maschera di rabbia che Ryo portava in volto quasi si spaventò. 

“Sono appena stato a firmare il divorzio. SAI CON CHI STA MIA MOGLIE ADESSO?? CON YOSHIDA! QUEL YOSHIDA, KOUYOU! E IERI NOTTE HO SOGNATO QUANDO TAKANORI MI DISSE COSA GLI FACEVA QUEL COGLIONE! AVREI VOLUTO, MA NON L’HO FATTO PERCHE’ SONO STUPIDO, AVREI VOLUTO DIRLE COSA HA FATTO QUELLO STRONZO IN PASSATO! MA NON L’HO FATTO!” urlò Ryo incazzato come una bestia.

Kouyou lo guardava senza fiatare.

“YOSHIDA, KOUYOU! TI RENDI CONTO??”

“Ryo, calmati…” esortò Kouyou, guardando Yuu appoggiato allo stipite un po’ spaventato anche lui.

“NO CHE NON MI CALMO! QUELLO STRONZO NON DOVREBBE NEMMENO ESSERE IN VITA, SE FOSSE PER ME!”

Ryo strinse i pugni fino a far diventare bianche le nocche, trattenendo un urlo che avrebbe volentieri lanciato se fosse stato da solo. Sentì la rabbia smorzarsi e la calma diffondersi mano a mano nelle vene. Lasciò andare un profondo respiro. 

“Hai sognato Takanori. Hai sognato quando ti ha finalmente svelato tutti i suoi misteri, e poi rivedi Yoshida. Credo tu abbia ragione Ryo. Quei sogni non sono per nulla casuali.” disse Kouyou vedendolo più calmo. “Ora, non devi essere arrabbiato con te stesso se Arisa sta con lui. Ok?”

Ryo annuì, sedendosi accanto all’amico e appoggiando la testa sul suo petto. “E’ stata una giornata difficile, Kou.” bisbigliò lui. “Ho pensato al sogno durante un importantissimo colloquio di lavoro, ed è lì che mi sono incavolato. Queste cose non sono da me…”

“Ryo, sono d’accordo con te che queste cose non sono accettabili da un professionista come lo sei tu. Ma non te la devi prendere così. E’ umano pensare e riflettere sulle cose che ci accadano. E’ chiaro che il momento non era quello giusto, ma non devi prendertela così. Capiterà molte altre volte, e devi accettarlo.”

Ryo lasciò un debole sospiro, rimanendo appoggiato al petto di Kouyou, beandosi appena della calma sensazione che Kouyou da sempre era capace di infondergli. “Sì, Kou. Grazie.”

Rimasero uno accanto all’altro in quella maniera per un bel po’ di tempo. Il citofono suonò, solo allora Ryo si destò. 

“Penso sia l’infermiera.” disse Yuu andando ad aprire. 

Infatti dopo poco tempo la signora entrò nella stanza salutando gentilmente Kouyou. La donna si assicurò che la flebo fosse apposto, si premurò di inserire delle sostanze nutrienti nel tubicino collegato al braccio di Kouyou, poi passò all’ispezione delle braccia per vedere se nulla fosse cambiato. 

“Guarda!” disse lei felicemente. All’altezza dell’avambraccio, poco più in alto del gomito, vi era una chiazza rossastra che stonava malevolmente con la candida carnagione di Kouyou. 

Lui sorrise. “Un po’ in ritardo sì, ma i sintomi finalmente si sono presentati.” disse lei.

Ryo e Yuu sorrisero felici a Kouyou, che ancora non ci poteva credere. 

“Bene, direi che per oggi il mio lavoro è finito. Ci vediamo domani.” disse lei sorridendo e salutando Kouyou con una mano.

“Grazie mille signora.” disse Yuu accompagnandola alla porta, mentre Ryo corse ad abbracciare l’amico. 

“Sto guarendo, Ryo…” bisbigliò Kouyou. 

“Sì, Kou-kou. Sei felice?”

“Da quanto tempo non mi chiamavi così?”

Fecero una leggera risata. Yuu si unì all’abbraccio generale regalando un sentito bacio all’amato. 

“Stai meglio adesso, amore?”

“Sì, ora sì.”

Non sapeva bene se i Kami avevano davvero ascoltato le sue richieste, ma Ryo si sentiva decisamente risollevato. Si congedò lasciando i due amici abbracciati ancora l’un l’altro, felicissimi e sì, sempre più innamorati.
Con un dolce sorriso Ryo raggiunse la sua casa, buia e vuota. Si fermò a pensare un attimo a quello che aveva visto quel giorno nell’ufficio dell’avvocato. Alzando le spalle si lasciò indietro Arisa, Yoshida e tutta quella rabbia che aveva provato. Si addormentò, senza nessun altro pensiero, nessuna preoccupazione, solo il dolceamaro ricordo di Takanori e quello che gli aveva fatto ricordare in sogno, la sera prima. 





Eccomi qui, fanciulle! ^^
Nessuna considerazione in particolare su questo capitoletto, a parte che mi sembra parecchio corto Owo Ma mi avete già detto che la lunghezza non importa, quindi cercherò di stare tranquilla e attenderò impaziente le vostre opinioni ^^ Sono sinceramente innamorata di questo sogno in particolare: questo Ryo così coraggioso ha fatto emozionare anche me, mentre lo scrivevo ^^" Vi volevo come sempre ringraziare per le bellissime recensioni, mi commuovete çç Non so nemmeno come potervi ringraziare, spero sia la storia a ripagarvi delle splendide recensioni che mi regalate ogni volta <3 Inoltre, ricordatevi di segnalarmi qualsiasi errore, anche il più banale. <3 
Vi voglio bene, grazie mille per ogni singola parola che mi scrivete <3
Un abbraccio a tutte voi,
Yukiko H.

 

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Capitolo 8
*** Confidenze. ***



Passarono altre tre settimane, dove Kouyou si sentì quasi rinascere: per quasi una settimana le sue braccia erano diventate rosse fuoco e pizzicavano parecchio; poi pian piano il colore iniziò a svanire e il prudere a lenirsi. Gli stava anche tornando l’appetito, cosa che l’infermiera gradì moltissimo e che confermò ancora di più il grado di guarigione di Kouyou.
Però ancora non poteva mangiare; l’organismo era ancora troppo debole e ci volevano i giusti accertamenti da parte del primario per permettergli di ricominciare ad assumere cibo e a concludere l’assunzione dei farmaci per via endovenosa. 

Ryo nel frattempo aveva concluso il contratto Suzuki-Shirakawa con enorme successo; in più in quelle settimane Takanori non era mai ritornato e ciò gli aveva dato del tempo per concludere l’affare e risistemare la sua vita.
Riportò in casa parecchie cose che aveva lasciato in garage, ed una fra tutte era il basso. Non lo suonava da anni, ma la sola presenza dello strumento in camera sua lo faceva volare indietro nel tempo.
Si era promesso che appena la mole di lavoro si sarebbe ridotta avrebbe ricominciato a suonicchiarlo.
Infatti quel sabato sera, dopo la firma del contratto ed essere passato a salutare Kouyou, lo imbracciò, collegandolo al vecchio amplificatore che incredibilmente ancora funzionava. Emise alcuni suoni a casaccio: le corde del basso erano decisamente scordate e in più le sue dita non erano più allenate. A fatica riuscì a riaccordarlo e ad azzeccare l’accordo di do, ma solo questo piccolo passo avanti lo fece stare meglio.
Tornò a sistemarlo nell’angolo accanto al comodino, prima di concedersi una doccia e guardare un po’ di tv. Si chiese: se la loro piccola band avesse preso la strada del successo, dove si sarebbe trovato in quel momento? Magari in un lussuoso hotel in America, o sul palco di chissà quale importante stadio. Con un debole sospiro spense la tv e andò a coricarsi. Pensando per l’ennesima volta che si era distrutto la vita, si addormentò. 


 

Era sabato primo febbraio, ed era il compleanno di Takanori.
Non l’aveva più visto da quel giorno al parco; invano l’aveva cercato nei luoghi dove l’aveva trovato.
Si era comunque procurato un piccolo regalo se mai l’avesse rivisto, che portava sempre insieme a sé. Quel giorno a scuola non vide Yoshida, e per questo rimase in pensiero tutto il giorno. Takanori compiva gli anni, e sicuramente Yoshida non avrebbe perso l’occasione di fargli del male. Uscì da scuola insieme a Kouyou; ad attenderlo, fuori dal cancello, c’era Takanori. Non poco stupito lo raggiunse, seguito dall’inseparabile migliore amico. 

“Ciao.” disse Takanori.

“Ciao, che ci fai qui?” disse Ryo particolarmente sorpreso.

Takanori alzò le spalle. “Sapevo che oggi Yoshida non veniva a scuola così sono passato per poterti vedere.”

Ryo sorrise. “Ehi, buon compleanno!” disse abbracciandolo.

“Oh, bè, grazie.” Si staccarono. Ryo gli presentò Kouyou, i due si fecero un velocissimo inchino sorridendosi a vicenda. 

“Io però vi devo salutare, ho lezione di chitarra.” disse Kouyou congedandosi, lasciando i due da soli.
Ryo e Takanori presero a camminare, senza una meta precisa. Pranzarono al McDonalds; non che ai due i fast food andassero a genio, ma Takanori insistette per pagare il pranzo in onore del suo compleanno. Poi ripresero il cammino per Shibuya, chiacchierando tranquillamente e guardando le vetrine dei negozi. Ovviamente Ryo aveva con sé il regalo per il piccolo, ma non aveva ancora trovato il momento perfetto per darglielo.
Era ormai sera quando si ritrovarono a Nakano, Takanori e Ryo si ne stavano al parco a godere degli ultimi attimi di sole.

“Adesso dovrei andare,” disse Takanori “Yoshida mi vuole assolutamente alla festa di…”

“Tu non andrai da nessuna parte.” disse subito Ryo.

“Ma… Ma Ryo, se non vado lui….”

“Che tu vada o non vada, troverà sempre il metodo per farti del male. Oggi è il tuo compleanno e non voglio che nessuno te lo rovini.”

“Ma Ryo…”

“Niente ma. Stasera mia madre è via per lavoro, mia nonna è tornata a Kanagawa da mia zia e mia sorella è una festa con delle amiche. Che ne dici se ceniamo a casa mia e rimaniamo a guardarci un film?”

Takanori lo guardò stranito. “Che… Che intenzioni hai?”

“Nessuna. Solo iniziare pian piano a portarti via da Yoshida.”

Takanori sorrise appena. “Allora d’accordo.”

Si alzarono, e Takanori allungò una manina verso quella di Ryo. Camminarono tenendosi dolcemente per mano.

“Benvenuto in casa Suzuki!” disse Ryo aprendo la porta di casa. La casa era piccina, ma aveva un piccolo giardino davanti e all’interno era parecchio ordinata. Takanori si tolse le scarpe ed entrò in casa.

“E’ carino qui.” disse gentilmente. 

“Dammi la cartella e il giubbotto, li porto in camera mia.” Takanori consegnò tutto a Ryo, che sparì in un piccolo corridoio. Takanori rimase in piedi, guardandosi attorno. Ryo tornò con un pacchetto fra le mani.

“Auguri!” gli disse lui allungando il regalo verso il piccolo.

“Ma Ryo, non dovevi…” disse Takanori imbarazzatissimo.

“Invece dovevo. Buon compleanno, Taka.”

Sorridendo appena Takanori aprì il regalo, vi trovò un spessissimo quaderno dalla copertina nera. 

“Dicevi che ti piace scrivere canzoni,” disse Ryo “ho pensato che questo è il regalo perfetto. E’ una stupidata, ma…” 

Takanori lo fece tacere abbracciandolo.

“Grazie, Ryo. E’ bellissimo e con tantissimi fogli. Grazie.”

“Prego, Taka. Figurati.”

Si sedettero sul piccolo divano, Takanori continuò a sfogliare le pagine del quaderno, incantato. “Ma dimmi,” disse d’un tratto. “Come mai ti lasciano a casa da solo?”

“In realtà mia madre e mia nonna sono convinte che mia sorella rientrerà dalla festa a mezzanotte. Ma ha diciassette anni, so già che tornerà domani mattina. E ad ogni modo per me non è un problema, me la so cavare perfettamente da solo.”
Takanori sorrise appena in risposta.

Ryo scaldò in fretta due pizze surgelate, mangiarono di gusto parlando e ridendo.
Ryo non avrebbe mai immaginato di essere riuscito ad invitarlo a casa sua; ed averlo lì, davanti a sé, a mangiare una pizza scherzando, era una delle cose più belle che avesse mai potuto immaginare.
Una volta posto i piatti nel lavandino, Takanori gli chiese se poteva andare a fumare, Ryo acconsentì e lo seguì nel piccolo giardino. Si sedettero con la schiena contro il muro, e Takanori offrì una sigaretta a Ryo.
I due fumarono in silenzio, Takanori appoggiò gentilmente la testa sulla spalla di Ryo. Rimasero così fino a quando le due sigarette non vennero spente. Rientrarono in casa per decidere il film da vedere.
Optarono per “The Labyrinth” e lo guardarono vicinissimi, con Takanori sempre appoggiato sulla spalla di Ryo. Quando finì guardarono l’ora, era quasi mezzanotte. 

“Dovrei tornare a casa…” disse Takanori, “Non ho nessuna voglia…” ma si alzò comunque.

“Vuoi rimanere qui da me?” chiese Ryo. Doveva ancora capire da dove ricavava tutto quel coraggio.

Takanori abbassò lo sguardo imbarazzato. “Bè, se non ti da fastidio…”

“Ma suvvia, non te l’avrei chiesto altrimenti, no?”

Si spostarono nella camera di Ryo, dove quest’ultimo si apprestò a tirare fuori un materasso gonfiabile che usualmente veniva usato da Kouyou. 

“Senti….” chiese Takanori titubante “mentre tu gonfi il materasso, potrei usare un attimo la doccia?”

“Ma ovviamente, vai.” disse Ryo sorridendo. 

“Ah però non ho il pigiama, cazzo.”

“Te ne impresto uno mio, anche se ti starà larghissimo.”

“Grazie…” disse Takanori, mentre Ryo gli consegnava fra le mani il suo pigiama preferito. 

Il piccolo andò dunque in bagno mentre Ryo procedeva a fare il suo letto. Attaccò un po' di musica, giusto per ingannare il tempo, e mentre aspettava lesse un manga. Non ci poteva ancora credere: Takanori sarebbe rimasto a dormire lì con lui.
Quanto poteva essere bello dormire affianco alla persona di cui, e qui dovette ammetterlo a se stesso, era follemente innamorato?
Sorridendo dolcemente continuò a leggere, sentendo poi il rumore del phon provenire dal bagno. Dopo alcuni interminabili minuti, la porta del bagno si aprì: Takanori uscì indossando il pigiama.
Gli stava talmente enorme che le maniche inghiottivano completamente le mani e rischiava di inciampare ad ogni passo. Ryo mise da parte il manga per ammirarlo: era bellissimo anche così. Takanori appoggiò gli abiti sulla cartella scolastica e si sedette sul letto che Ryo aveva fatto. 

“Grazie, sai. E’ stato un bellissimo compleanno.”

“Sono contento che tu sia felice, Taka.”

Rimasero per un attimo immobili a guardarsi. Takanori fece quel sorriso immenso che Ryo aveva visto per la prima volta a Shibuya; ora sembrava ancora più splendente e più bello. 

“Sei un angelo.” disse Takanori senza far morire quel sorriso.

“Oh no. Sono semplicemente il tuo amico Ryo.” disse lui allungando una mano per spostare un ciuffo di capelli da davanti gli occhi di Takanori.
Ah, quegli occhi! Se Ryo avesse potuto scrivere qualcosa su quegli occhi, ne sarebbe uscita una serie di otto libri da mille pagine ciascuno. Magnetici, profondi, magici, luminosi, tristi, felici, sognanti. Ci si perdeva dentro quegli occhi, con il rischio di non uscirne mai più.

Takanori al gesto di Ryo arrossì. “Devo dirti una cosa…” esordì.

“Dimmi, Taka.”

“Penso che tu sia un angelo, veramente. Sei arrivato così d’improvviso, quella sera… E tornavi nei momenti più tristi e bui… Stasera doveva essere l’ennesimo compleanno triste della mia vita… E invece eccomi a fianco a te, con un pigiama enorme addosso e felicissimo…” s’interruppe un attimo, nel quale prese un po’ di fiato e disse: “Mi piaci tanto, Ryo. Mi hai fatto scoprire che si può essere anche buoni a questo mondo, e non cattivi come tutti sono sempre stati con me…”
“Non dire altro.” lo zittì Ryo posandogli un dito sulle labbra e sentendo il cuore impazzirgli nel petto.   Cos’altro poteva chiedere? Poteva chiedere qualcosa di meglio?
Lui, Ryo Suzuki, piaceva a Takanori Matsumoto, quel piccolo ragazzino biondo. Takanori aveva tentato di mandarlo via dalla sua vita, forse perché aveva paura di non essere corrisposto, forse perché aveva paura di soffrire ancora, forse perché pensava di provare un amore fasullo. Non sapeva nemmeno come poter staccare gli occhi dal dolce viso dell’altro.
Senza dire nulla, Ryo tolse il dito dalle labbra di Takanori, posando poi un casto bacio su di esse. Fu come se centinaia di fuochi artificiali gli esplodessero nel petto. Fece per staccarsi ma Takanori rubò un altro dolcissimo bacio, e continuarono con quei castissimi baci a fior di labbra, non capirono bene per quanto, passandosi appena le mani sul viso, fra i capelli. Si staccarono, rimanendo fronte contro fronte, sorridendo ad occhi chiusi.
Era il 2 febbraio, domenica. Takanori e Ryo si erano appena dichiarati. 

Si sistemarono sotto le coperte, e tenendosi per mano si addormentarono.
Ryo non fece apposta a svegliarsi verso le tre del mattino. Vide subito il piccolo Takanori dormire beato.
Sorrise, passandogli appena una mano prima fra i capelli, poi su una guancia. Si chiese se poteva amare qualcuno più di così, si chiedeva se veramente quello che stava vivendo fosse la realtà.
Giurò a se stesso che avrebbe fatto di tutto per non ferire quel piccolo angelo addormentato, e che mai e poi mai l’avrebbe lasciato volare via da sé. Donandogli un leggerissimo bacio sulla guancia tornò a dormire, troppo in fretta per vedere il piccolo sorriso che inconsciamente nacque sulle labbra di Takanori.


 

Anche per quella sera Yutaka aveva finito di lavorare, uscì dalla porta sul retro accendendosi una sigaretta.
Gustò la prima boccata con immenso piacere, lasciando andare il nervosismo e lo stress insieme al fumo. Sentì la porta aprirsi e chiudersi dietro di sé, e uno scatto d’accendino. Si voltò appena per vedere Takamasa accendersi una sigaretta. Una leggera ansia lo colse: il fratello di Takanori era forse lì per parlargli?
Subito dopo infatti vide l’uomo raggiungerlo.

“Ehi, Uke san. Spero di non disturbarti.”

“No no, figurati. Dimmi pure!” rispose Yutaka sorridendo.

“Niente, io… Volevo dirti che… Ora che è morto mio padre… Stavo seriamente pensando di riallacciare i rapporti con Takanori.”

"Ah, sì?” chiese Yutaka decisamente stupito.

“Sì…” disse prendendo una boccata, “Vedi, io non ho mai voluto che Takanori venisse disconosciuto dai miei. Sapevo che era felice accanto a un ragazzo, ma allo stesso tempo sapevo che mio padre non ha mai visto di buon occhio l’omosessualità. Provai a parlargli, ma non ottenni nessun miglioramento. Anzi la furia di mio padre ha portato alla divisione fra me e mio fratello.” disse, aspirando altro fumo. “Mi è mancato moltissimo in questi anni ma non potevo tentare di riavvicinarlo a me, dato che mio padre non ha mai voluto che nessuno di noi provasse almeno ad assicurarsi che stesse bene.” si fermò.

“Matsumoto san…” esordì Yutaka, parecchio incerto su quello che stava per dire. “Tu mi hai detto che tuo padre non vedeva di buon occhio l’omosessualità… Ma… Tu sai che…”

“Sì, lo so.” interruppe Takamasa, spegnendo la sigaretta. “So cosa mio padre faceva a Takanori. Me lo confidò la stessa sera in cui lo buttò fuori di casa, dicendomi che ‘solo così si possono domare le bestie selvatiche’. Ovviamente io rimasi di stucco a queste terribili parole. Era pur sempre suo figlio pensai, e quando anch’io diventai padre mi chiesi migliaia di volte come si può solamente pensare di fare del male ad un figlio. Ma i miei genitori non lo amarono mai come amarono me, purtroppo. Quando mio padre si confidò, venni a sapere che Takanori fu un ‘errore di distrazione’, a citare le sue testuali parole, e che persino mia madre non lo voleva mettere al mondo… Mio fratello avrebbe potuto essere anche un ragazzo qualunque se solo mio padre non fosse convinto che lui fosse erba cattiva, sin da piccolo…” rimase un attimo in silenzio. “Non sai quante volte ho pensato che mio padre fosse uno stronzo, anche quando non sapevo cosa faceva a Taka. E vedermi lì impotente sapendo che ad ogni litigata fra lui e Taka mia madre mi teneva lontano da loro… Chissà quante volte avrei potuto salvarlo.” sospirò. Anche Yutaka lasciò un breve sospiro, inebriato dalle parole di Takamasa, dolci e amare a un tempo. “Per questo volevo cercarlo, Uke san. Devo chiedergli scusa in tutte le lingue del mondo. Forse non le accetterà… Ma io ci voglio provare, sì. E sapendo che tu mi hai detto che lo stai cercando, mi sembrava giusto fartelo sapere.”

“Ti ringrazio moltissimo, Matsumoto san.” disse Yutaka sorridendogli. “Spero che lo troverai, e che riuscirai a darmi sue notizie.”

“Ovviamente!” e abbozzò un sorriso. Takamasa si congendò, lasciando Yutaka immobile, con mille pensieri confusi. Gli furono necessari alcuni attimi di tempo per riprendersi, e immediatamente chiamò Yuu, e stavolta poteva considerarle buone notizie.

 

Il sogno che aveva fatto era uno dei ricordi più dolci che Takanori oniricamente poteva fargli rivivere.
Quando si svegliò senza l’aiuto della sveglia, si stiracchiò con tutta la calma del mondo.
Era finalmente domenica, aveva intenzione di stare da Kouyou fino a sera. Scese tranquillamente dal letto, aprendo le tende. Fuori era nuvoloso, d’altro canto anche novembre stava per giungere al termine e finalmente sarebbe tornato Natale. Andò a farsi una doccia, si vestì e mangiò qualcosa. Senza nessun pensiero se non quello di raccontare a Kouyou cosa aveva sognato, montò in macchina e partì verso Nakano.
Non riusciva ancora a non stupirsi quando, passando per quei luoghi che tanto aveva evitato, provava immensa gioia e la dolce sensazione di essere tornato a casa. Arrivato dagli amici, apprese una delle più importanti notizie: finalmente Kouyou dopo più di un mese avrebbe potuto ricominciare a mangiare, anche se la nutrizione endovenosa non poteva ancora essere sospesa. Avrebbe iniziato ad assumere i medicinali per via orale e non più in endovena; insomma, forse la luce in fondo al tunnel si stava via via facendo più forte.
Ovviamente non poteva non esserci la nota negativa: c’era il rischio che Kouyou sviluppasse un’infezione chiamata citomegalovirus, dato che le analisi che l’infermiera svolgeva da quasi due settimane avevano rivelato una positività del sangue di Kouyou allo sviluppo. Se non curata in tempo, questa infezione avrebbe portato alla depressione midollare.
Ma Kouyou era estremamente positivo: si sentiva così bene che avrebbe potuto spostare una montagna a mani nude. Vederlo così era una gioia: Ryo rivide in lui la voglia di vivere che aveva un tempo. Stava per parlare del sogno quando Yuu lo interruppe per comunicargli la notizia che Yutaka gli aveva comunicato in piena notte. 

“Stai scherzando?”

“Mai stato più serio. Non ho mai sentito un Yutaka più felice di così.”

“Non ci posso credere, davvero.” disse Ryo passandosi una mano sul volto per nascondere un sorriso.

“A quanto pare quel nanerottolo non manca solo a noi.” disse Yuu scherzosamente. 

E forse davvero pian piano i lembi della sua vita stavano iniziando a ricucirsi, forse le colpe che si stava dando per quel disastro che aveva compiuto stavano iniziando ad espiarsi completamente.
Anche parlando del sogno con gli altri, si accorse che forse Takanori si faceva sempre più vicino. Suo fratello voleva ritrovarlo, loro volevano riaverlo; tutto forse iniziava a tornare sulla giusta strada. Uscì dalla casa dei due con una luna che riusciva a brillare oltre la spessa coltre di nuvole.
Ryo non poté non ringraziare quei Kami che aveva pregato. Avevano davvero ascoltato la sua innocente richiesta? Nemmeno stavolta chiese se gli avessero riportato Takanori; non ce n’era bisogno. Sentiva che sarebbe tornato, presto o tardi.







Ma salve!! ^^
Che dire, finalmente i nostri fanciulli si sono dichiarati ** spero che la scena vi sia piaciuta, perché io mi sono emozionata tantissimo çç Vi posto così presto perché questa settimana sono a casa dall'università e quindi non ho il wi-fi; aggiorno dato che ho trovato un collegamento internet di fortuna D: Come sempre vi ringrazio IMMENSAMENTE delle splendide recensioni e i meravigliosi complimenti che mi fate, vi voglio bene! Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto <3 
Al prossimo capitolo, 
Yukiko H. <3
p.s.-Dato che sono di fretta, spero di non aver tralasciato errori D: in caso segnalatemeli senza indugi ^^

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Capitolo 9
*** Nella rabbia e nella gioia. ***



Tornò a casa reduce dall’odiosissima giornata di lunedì.
Odiava il lunedì, l’aveva sempre odiato ed era certo che l’avrebbe odiato anche nella tomba. Sbattendo la porta di casa, Ryo accese le luci, appendendo poi il giaccone all’attaccapanni e sedendosi sul divano, lasciando andare infine un lunghissimo sospiro.
Odiava il lunedì, si disse, perché quel giorno non poteva andare a trovare Kouyou: era in ospedale ad eseguire alcune analisi. Odiava il lunedì, si ripeté alzandosi automaticamente al suono insistente del telefono, che stronzo gli aveva rubato quell’angolo di pace. 

“Moshi moshi.” rispose con il tono più seccato che aveva.

“Ryo, ciao. Sono Arisa.”

“Oh, ciao. Come stai?”

“Non mi lamento. Potrei passare velocemente un attimo? Ho dimenticato una cosa a casa.”

“Oh sì, ovviamente.”

“Arrivo subito.”

“D’accordo.”

La chiamata terminò e Ryo si ripeté che odiava il lunedì, e aveva un altro motivo valido.
Era certo che Arisa aveva preso tutto da quella casa, come poteva accorgersi che le mancava qualcosa appena tre settimane dopo? Infuriato lanciò un calcio al tavolino del salotto che per poco si ribaltò, ma poco gli importava. Odiava il lunedì, punto.
Cosa voleva Arisa da lui? Più che altro aveva paura di dirle ciò che non poteva assolutamente dirle: la reputazione dell’essere che le stava a fianco. Passeggiò nervosamente lungo il salotto, finché il campanello trillò. Cercò di darsi una calmata e aprì la porta. La sua ex moglie gli apparve più radiosa che mai.

“Ciao Ryo.”

“Ciao, prego.” 

La donna entrò, appoggiando la borsa sul divano e togliendosi il giubbotto. “Com’è andata la giornata?”

“Non ne parliamo.” tagliò corto Ryo, non volendo ricominciare con la sua serie di mantra recitanti ‘Odio il lunedì’. 

Lei lo guardò con un leggero sorriso. “In realtà non sono qui per cercare una cosa.”

‘Immaginavo!’ pensò Ryo, ma decise di indossare una delle sue più convincenti espressioni sorprese e dire: “Ah, sì?”

“Sì. Volevo solo chiederti un paio di cose.”

“Ah. Bè, dimmi pure.”

“Shinji mi ha detto che vi conoscete.”

Shinji doveva essere il nome di Yoshida, quindi rispose: “Certo che ci conosciamo.” Si era tornato ad infuriare, ma cercò di non esternare la rabbia.

Lei si accomodò sul divano. “Eravate a scuola insieme?”

“Lui era il bullo della scuola.” Primo particolare che forse era meglio non svelare.

Lei annuì interessata. “Stando alle sue parole il bullo eri tu.” 

Per poco Ryo non si lasciò andare all’ira più profonda raccontandole ogni cosa possibile; s’intimò la calma e disse: “In realtà io e lui non siamo mai andati molto d’accordo.” Si sentiva una pentola a pressione da quanto era infuriato contro il mondo intero. 

“E perché?”

“Ti parlai di… Takanori, ricordi?”

“Sì.”

“Diciamo che Yosh… Shinji era il suo ‘ragazzo’…” disse, mimando le virgolette con le dita e maledicendosi perché stava inventando un migliaio di cazzate. “Ma lui voleva me.” 

Lei annuì.

“Perché tutte queste domande?” chiese lui.

“Niente, mi ha raccontato un po’ di cose su di te e volevo verificare.”

“Che tipo di cose?” disse Ryo frenandosi a stento dall’urlarle in faccia tutto quello che aveva da dire.  

“Un esempio può essere che lui mi ha detto che eri il bullo della scuola, che gli hai fregato quel ragazzino e che l’hai fatto soffrire. Siccome non mi sembri persona…”

“COSA HA DETTO QUELLO STRONZO??” non c’era riuscito, era scoppiato.

Lei rimase congelata con le parole in gola. 

“BE’, SAPPI CHE QUELLO CHE TI HA RACCONTATO E’ TUTTO FALSO! MALEDETTO STRONZO!” strinse i pugni prima di lasciare il solito sbuffo per calmarsi. 

“Scusami Ryo. Non sarei dovuta venire.” lei si vestì in fretta, e s’incamminò verso la porta.

Ryo l’aprì, ma prima che potessero salutarsi disse, senza pensarci: “Per caso, avete già avuto qualche occasione per conoscervi intimamente?”

“Ma che razza di domande sono, Ryo?” chiese lei decisamente scioccata.

“No perché sai, il tizio che ti ritrovi a fianco ha usato quella cosa che ha fra le gambe per violentare quel ragazzino di cui ti avevo parlato. Buona serata!” e le chiuse letteralmente la porta in faccia. 
 

L’aveva detto.
 

Gliel’aveva detto!
 

Si accasciò a terra sentendo la rabbia montargli insieme ai sensi di colpa.
Quello stronzo.
Quello stronzo aveva osato spalargli merda addosso dopo quello che aveva fatto al suo Takanori! Stringendo i pugni più che poteva sentiva che sarebbe di nuovo scoppiato, e così lanciò un urlo liberatorio come mai ne aveva lanciati.
Il silenzio della casa si squarciò in maniera orribile. Quell’urlo proveniva dal più profondo, da quel cassetto aperto che vomitava ricordi, da quel pezzo d’anima di Takanori che così bene aveva conservato dentro di sé. Lasciò che la voce morisse da sola, che gli mancasse il fiato, fino a sentire i polmoni invocare ossigeno. Riprese fiato, decisamente più calmo.
La rabbia aveva lasciato spazio ai sensi di colpa. 


 

Arisa era rimasta bloccata davanti alla porta da quello che le aveva detto l’ex marito. E rimase così, immobile, in tempo per sentire l’urlo disumano che Ryo aveva lasciato andare. Risvegliatasi suonò il campanello per assicurarsi che stesse bene; quando la porta si aprì lo vide quasi rinfrancato.

“Ryo, tutto bene? Cos’era quell’urlo?”

“Scusami Arisa per averti chiuso la porta in faccia, come ti dicevo io e Shinji ci odiamo, e sentire che mi ha infangato mi ha fatto decisamente arrabbiare. Scusami, ti ho spaventata.”

“In effetti…” disse lei abbassando lo sguardo. 

“Comunque sì, quello che ti ha detto non è vero. Io ho trattato bene Takanori a differenza sua.”

“Ma che cosa mi hai detto quando hai chiuso la porta, stavi scherzando?”

Ryo rifletté un attimo. “No, Arisa. Non stavo scherzando. Fattelo raccontare da lui.”

“Sai bene quanto me che non posso farlo, potrebbe raccontarmi altre frottole.”

“Hai ragione, Arisa. Perdonami.”

“Tranquillo, ho sbagliato io.”

“No, davvero…”

“Ryo, stai tranquillo, ok?”

Lui annuì. 

“Spero di rivederti presto.” disse lei sorridendogli.

“Anch’io Arisa. Buonanotte.”

“Buonanotte.”

Stavolta chiuse la porta gentilmente. E senza pensarci due volte chiamò Kouyou. Gli raccontò tutto, percependo l’incredulità dell’amico. 

“Ryo… Oh mio dio…”

“Sì, lo so, non ci posso credere nemmeno io.”

“Ti rendi conto che Yoshida potrebbe farle del male? E’ rimasto lo stronzo che tutti noi ricordiamo!”

“In un certo senso non è affar mio, lei è grande e vaccinata, saprà lei che fare in caso.”

“Sì, ma… Prevenire è meglio che curare, dovresti avvertirla….”

“Mi sembra che il messaggio l’abbia ricevuto, dato che le ho detto cosa Yoshida ha fatto a Taka.”

“Sì, Ryo, ho capito… Ma lo stesso, mi sto preoccupando.”

“Non serve, Kouyou. Vedremo che succederà.”

Si salutarono. Ryo decise che per quella giornata era meglio andare a letto.

 



Yutaka era indaffarato come sempre al ristorante, e non poteva smettere di posare lo sguardo su Takamasa, il quale fortunatamente non lo notava.
Non sapeva se l’uomo avesse già iniziato le ricerche del fratello, e decise che era meglio non porre domande e di aspettare che fosse lui a parlargli. Si sentiva quasi uno stalker quando voleva avvicinarlo per chiedergli qualche notizia. Così si immergeva di nuovo nel suo lavoro, per ritornare inevitabilmente a guardarlo.
Cosa doveva aver provato Takamasa quando voleva ritrovare il fratello, e non poteva farlo per la presenza del padre? S’immaginò la sua situazione leggermente peggiorata: costretto a rinunciare ad una persona a lui cara, e non poter nemmeno cercarla per colpa dei voleri del padre. Capì dunque che per Takamasa non doveva essere stato per niente facile, come non lo era stato per lui, Kouyou e Yuu quando cercavano Ryo e Takanori.
Ordinò ad alcuni capocuochi di muoversi a ultimare alcuni piatti, aveva visto un cameriere affacciarsi alla porta con uno sguardo preoccupato. Quando Yutaka faceva l’autoritario sapeva spaventare tutti, e in men che non si dica i piatti mancanti vennero consegnati al cameriere.
Gli piaceva essere il leader della situazione, gli piaceva vedere le cose in ordine secondo i suoi voleri, e fare lo chef era uno dei quei lavori che gli permetteva di controllare la situazione dall’alto e assicurarsi che tutto filasse liscio.
Fortunatamente anche per quel giorno il lavoro finì, rimase insieme a qualche altro capocuoco a sistemare la cucina in modo che fosse splendente ed ordinata per il giorno dopo. Uscendo si concesse finalmente una meritata sigaretta; lo aiutava a lasciare andare lo stress accumulato durante la giornata. Fu immediatamente raggiunto da Takamasa, anche lui con una sigaretta fra le dita.

“Uke san, mi dispiace disturbarti.”

“Ma figurati, nessun problema!” disse lui regalandogli uno dei suoi immensi sorrisi.

“Mia moglie ha iniziato le ricerche di Takanori, sai. E’ partita dall’elenco telefonico ma di lui non c’è traccia…”

“Sì, anche io e i miei amici avevamo tentato in questo modo in passato, ma non abbiamo cavato un ragno dal buco.”

“Infatti, se n’è resa conto anche lei. Solo che non sappiamo proprio come fare a questo punto…”

“Bè, alla fine se ci pensi quelle poche volte in cui l’hai visto era sempre nei dintorni di Kanagawa; il problema è che non puoi essere sempre presente là se abiti qui a Tokushima.”

“Infatti, questo è il problema… Potrei benissimo chiedere a mia madre di passare in stazione, ma ho deciso che non voglio renderla partecipe di questa ricerca. D’altro canto lei l’ha comunque disconosciuto senza essere influenzata da mio padre.”

“Fai bene a non dirglielo Matsumoto san. Solo che veramente, non so nemmeno cosa poterti suggerire…”

“Non fa niente Uke san, troverò il metodo.” e spense la sigaretta, Yutaka fece lo stesso.
Si salutarono abbracciandosi.
Yutaka montò in macchina per tornare a casa e donarsi il meritato riposo. Raggiunse la sua piccola casetta in periferia, parcheggiò ed entrò in casa, trovando la moglie addormentata davanti alla tv. Rimase interdetto; Yuko non era persona da addormentarsi alla tv, e trovarla lì era alquanto strano. Dolcemente la prese fra le braccia per portarla a letto. Mentre camminava la vide svegliarsi, le rivolse un dolcissimo sorriso. 

“Yutaka…”

“Amore, come mai ti sei addormentata sul divano?” entrarono in camera e la adagiò sul letto.

“Ti stavo aspettando, sei rimasto a lavoro più del solito…”

“Sì, è vero, alcuni clienti sono arrivati all’ultimo momento. Come mai mi stavi aspettando? E’ successo qualcosa di grave?”

A questo punto Yuko sorrise radiosamente. “No, è successo qualcosa, ma niente di grave.”

“Allora dimmi.” disse lui sedendosi accanto a lei.

Sono incinta, amore mio.

Per poco Yutaka non scoppiò a piangere. “Davvero, amore?”

“Sì, domani vado dal ginecologo per la prima ecografia e alcuni accertamenti. Porterò Masako con me, voglio che sappia che avrà finalmente un compagno di giochi.”

Yutaka era sulle nuvole dalla gioia. Si scambiarono un appassionato bacio pieno di emozione. Tempo qualche mese e sarebbe diventato papà per la seconda volta, non ci poteva veramente credere. Si addormentarono stretti l’un l’altro, felicissimi. Yutaka donò qualche leggera carezza al ventre di lei, dove un’altra piccola parte del loro amore stava crescendo pian piano. 

 

Martedì Ryo arrivò in ufficio prima del solito per iniziare a rivedere i resoconti del mese. Tempo pochi giorni e sarebbe iniziato dicembre, il suo mese preferito. Amava il Natale e per questo si era affezionato anche al mese che dava inizio all’inverno. Prima di mettersi al lavoro osservò per l’ennesima volta quella foto nella cornice.
Chissà se Takamasa avrebbe ritrovato il suo piccolo amore. O forse sarebbe toccato a lui ritrovarlo?
In qualsiasi modo andasse, sperava solamente di poterlo rivedere, di poterlo stringerlo fra le braccia e raccontargli tutto quello che aveva combinato, e magari dirgli che lo amava ancora, nonostante tutto il tempo passato e tutto quello che aveva cercato di fare per dimenticarlo, che lui gli parlava attraverso i sogni e che mai, mai più l’avrebbe lasciato andar via di nuovo. Si mise dunque a lavoro, con l’animo leggero, aspettando di poter rivedere Kouyou. 

Arrivato a casa del migliore amico, lo abbracciò fortissimo.
Ancora non poteva lasciare il letto a causa della flebo, ma almeno poteva stare seduto e non sempre sdraiato. Il primario aveva voluto vederlo di persona per seguire le analisi relative al citomegalovirus, e per analizzare il sangue in maniera da controllare che i globuli rossi fossero ancora in fase di crescita. Inoltre voleva assicurarsi che la degenza in casa invece che in ospedale non avesse creato qualche problema; l’uomo si stupì nel vedere che Kouyou non presentava alcuna differenza dai pazienti degenti in ospedale.
Rimasero insieme fino a tarda sera, discutendo di Takamasa e del suo tentativo di ritrovare Takanori, e specialmente della splendida notizia giunta quel mattino: Yutaka sarebbe diventato di nuovo papà. Ryo si sentì felice perché finalmente gli sembrava di recuperare il tempo perduto affianco dei suoi amici, e stavolta sarebbe stato presente alla nascita del secondo figlio di Yutaka. 

In realtà non vedeva l’ora che venisse sabato. Sperava che quella sera Takanori gli volesse portare un ricordo lunghissimo, in maniera da poter stare con lui quasi una notte intera, e inoltre il sabato notte era l’unica che Ryo aveva a disposizione per dormire quanto voleva. Lasciò Kouyou sperando in cuor suo che quel sabato potesse rivivere almeno una parte di quei meravigliosi giorni che si erano l’un l’altro donati durante i loro 6 anni insieme.
Si coricò a letto pronto per l’ennesima giornata di lavoro in ufficio, illuminata da quel sorriso che splendeva dalla cornice sulla sua scrivania.





Fanciulz! ^^
Capitolo un tantino diverso dai precedenti, spero non risulti noioso çç Vorrei rivolgervi una domanda: secondo voi Ryo ha fatto bene a dire la verità ad Arisa? In quanto autrice di questa scena mi trovate pienamente d'accordo: se Yoshida esistesse nella realtà l'avrei ucciso tipo mille volte :D Bando alle ciance, ditemi che ne pensate di questo capitolo, spero vivamente di non avervi annoiate çç E mi raccomando, segnalatemi gli errori! **
Come sempre grazie per le bellissime recensione, non so più come ringraziarvi <3
Al prossimo capitolo fanciulle **
Yukiko H.

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Capitolo 10
*** Insieme. ***



“…e ci siamo baciati.”

Kouyou fece un grandissimo sorriso. “Oh mio dio Ryo, sono felicissimo per te…”

“Certo, ufficialmente non stiamo ancora insieme, però sappiamo che ci piacciamo. Ed è questa la certezza più importante.”

 

Era un lunedì più magico degli altri, Ryo era arrivato a scuola felice come nessuno l’aveva mai visto. Ora era a casa di Kouyou, e invece di studiare si stavano come sempre confidando. 
“Ci siamo promessi di rivederci domani al parco,” continuò Ryo, “gli ho giurato che lo aiuterò a liberarsi di quel Yoshida di merda.” 

“Cazzo Ryo, sei proprio cotto!” disse Kouyou scoppiando a ridere, seguito da Ryo.

“E con Yuu invece?” chiese.

“Oh… Non lo so… E’ un sacco di tempo che non lo sento, o che non ho sue notizie.” disse tristemente. “So solo che è a Mie e nulla più.”

“Kou… Mi dispiace, io…”

“Ryo, non puoi farci nulla. Mi passerà, vedrai.”

“Non ne sono così sicuro.”

“Sì, te lo giuro.”

“Non giurare. Non sai nemmeno se lo puoi mantenere, questo giuramento.”

Kouyou annuì, e Ryo corse ad abbracciarlo.
Rimasero stretti l’un l’altro, uniti da quell’immensa amicizia che li legava sin da quando erano piccolissimi.
Ryo era capace di capire Kouyou con un solo sguardo, a volte erano quasi capaci di essere telepatici, e Kouyou riusciva a smascherare Ryo ogni volta che voleva nascondergli qualcosa.
Si conoscevano perfettamente, e quell’abbraccio era solo una minima parte dell’affetto che provavano l’uno per l’altro. Rimasero uniti per quello che sembrava un’infinità. Ryo sentiva che Kouyou non era per nulla felice, e più se lo stringeva addosso più gli sembrava di essergli d’aiuto. 



 

Arrivò martedì, Ryo non stava nella pelle. Cercava in ogni maniera di non farlo vedere per non far soffrire Kouyou, che sembrava essere più triste che mai.
Forse quello che provava per Yuu non era solo una cotta, ma qualcosa di più. Lo conosceva troppo bene per non averlo capito sin dal giorno prima, quando disse che gli sarebbe passata.
All’uscita da scuola non s’incamminò verso casa, ma bensì verso il parco, dove si sedette su una panchina e attese, svolgendo qualche veloce esercizio per portarsi avanti con i compiti per il giorno dopo. Non vedeva l’ora che Takanori arrivasse.
Il piccolo non si fece attendere più di tanto. Arrivò, indossando la felpa che Ryo gli aveva regalato a Natale. Appena Ryo lo vide gli fece un enorme sorriso, e venne ricambiato da Takanori.

“Ciao!” disse il piccolo sedendosi accanto a lui.

“Ciao Taka. Tutto bene oggi?”

“Ma sì, dai. E’ stata una giornata faticosa e la prof di matematica ci ha riempito di compiti.”

S’indirizzarono verso casa di Ryo, era ancora solo dato che la nonna non era ancora tornata da Kanagawa, mangiarono in fretta qualcosa e si misero insieme a fare i compiti.
Takanori era parecchio preoccupato per gli esami che lo attendevano alla fine dell’anno scolastico, era il suo ultimo anno di medie e come per ogni ragazzino giapponese della sua età lo attendeva il temibile esame che aveva stroncato la carriera scolastica di molte persone.
Ryo lo aiutò in matematica; se la cavava abbastanza mentre Takanori era completamente negato.
Lo stesso si poteva però dire di grammatica: Ryo era una frana totale mentre Takanori era il migliore della sua classe. Si fermarono verso le 16 per prendersi una pausa e mangiare qualcosa.
Uscirono per godersi una sigaretta e gustarsi una merendina al cioccolato. Takanori appoggiò di nuovo la testa sulla spalla di Ryo, come aveva fatto pochi giorni prima. 

“Mi sei mancato un sacco, sai?” disse il piccolo.

“Anche tu, Takanori. Moltissimo.”

“Ieri sera volevo assolutamente scappare da casa mia per venire qui. Mio padre ha iniziato ad insultarmi senza nessun motivo, come il solito. Volevo solamente essere qui con te in quel momento. Quando ci sei tu il mondo diventa un bel posto.”

Ryo arrossì. “Vorrà dire che ci vedremo più spesso.” disse piano.

“Sì ma tu non puoi stare con me anche la notte, Ryo… Ci sono quelle sere in cui vorrei assolutamente essere a dormire qui da te.”

“Lo so Takanori. Vedrai, verrà il momento in cui ti porterò via da tutti e potrai finalmente dormire sonni tranquilli.”

Takanori nascose appena il viso nell’incavo del collo di Ryo.
Si sentiva così protetto accanto a lui.
Il leggero profumo dei vestiti di Ryo lo cullavano dolcemente. A volte pensava veramente che quel ragazzo fosse veramente un angelo. Sentì dunque il ragazzo posargli una carezza sul viso, si lasciò sfuggire un sorriso.

“Che dici, torniamo a studiare?”

“Sì.” disse Takanori spostando la testa ed alzandosi. 

Rientrarono in casa e si rimisero a fare i compiti.
La madre di Ryo tornò verso le 17:30. Non avendo ancora mai conosciuto Takanori, Ryo glielo presentò come un suo nuovo amico. Alle 18 tornò anche Yoshie, la sorella di Ryo, e Takanori venne presentato anche a lei. Ebbero il tempo di finire i compiti e giocare a qualche videogioco alla Playstation, poi Ryo riaccompagnò a casa Takanori. Non sapeva nemmeno dove abitava, e scoprì dunque che viveva a Itabashi. Raggiunsero un piccolo condominio a tre piani.

“Eccoci qui.” disse Takanori. 

“Immagino che non puoi rimanere con me, vero?”

“Non credo che tua madre sarebbe molto d’accordo…”

“Può essere. Domani non potrò stare con te come oggi, sono da Kouyou e… Bè, gli chiederò se gli va che tu venga a fare i compiti insieme a noi.”

“Ma Ryo, è il tuo migliore amico, avete bisogno dei vostri spazi…”

“Sì, ma vorrei che vi conosceste meglio. Sarebbe fantastico che le persone più importanti per me diventassero amiche.”

Takanori arrossì leggermente. 

“Allora ciao, Taka.”

“Ciao Ryo.”

Suggellarono il loro incontro con un brevissimo bacio a fior di labbra, poi Takanori entrò in casa. Ryo girò i tacchi e si avviò verso casa, le guance in fiamme e il cuore in volo.




 

Kouyou appoggiò la matita sul quaderno, incrociando le braccia al petto. 

“Ho paura Ryo. Non è che dopo mi sostituisci con lui?”

“Ma che cazzo stai dicendo, Takashima? Come posso rimpiazzare il mio migliore amico di una vita così facilmente?” I due si chiamavano per cognome solo quando discutevano o litigavano, o quando si prendevano in giro.

“Non sto dicendo che mi da fastidio se viene anche lui a fare i compiti,” disse il corvino “ma ho semplicemente paura che dopo te ne starai sempre con lui.”

“Ma che stai dicendo? Ti ricordo che non stiamo nemmeno insieme!”

“Sì, ma vi siete baciati, quindi siete sulla buona strada.”

Ryo si alzò per guardare meglio Kouyou.

“Senti, Takashima…” iniziò Ryo “lo capirai mai che non potrò sostituirti mai con nessuno? Non è che perché ora sono innamorato ti lascerò alle ortiche. Hai paura che mi porterà via da te?”

Kouyou non disse nulla, l’orgoglio lo bloccava.

“Ho paura che tu sia geloso, Takashima.”

“COSA?? MA SEI COGLIONE, SUZUKI??” urlò Kouyou punto nel vivo.

“Non serviva che mi rendessi sordo. Io sto cercando di starti vicino più che posso, Takashima. So che adesso per te il periodo non è dei migliori perché il ragazzo che ti piace è lontano da te, e lo sai benissimo che sono sempre qui pronto ad ascoltarti, lo sono sempre stato e non vedo perché ora dovrei abbandonarti. Mi hai capito?”

“Devo ricordarmi che tu mi conosci da sempre, Suzuki.” disse il corvino asciugandosi una lacrima.

“Non piangere, Takashima. Non devi avere paura. Non ti abbandonerò.”

“Grazie Ryo. Scusami.”

Si abbracciarono forte. 

“Ti voglio bene, stupida scimmia.” disse Kouyou.

“Piano con i complimenti, ehi. Ti voglio bene anch’io Kou-kou.”
Due giorni dopo infatti andarono a prendere Takanori al parco e fecero i compiti tutti e tre insieme. 
Ryo, vedendo Takanori e Kouyou scherzare e ridere fra di loro come se si conoscessero quasi da sempre, si tranquillizzò.
La cosa che più gli interessava era che a Kouyou andasse a genio Takanori. Tutto doveva principalmente andare bene al migliore amico, anche la cosa più insignificante. E dato che il biondino era così dannatamente importante per lui, aveva sperato che a Kouyou fosse simpatico. E a vederli così si diceva che quei due andavano già parecchio d’accordo.
Fortunatamente non fu l’unica volta che Takanori venne a fare i compiti insieme a loro: passarono due settimane ed ogni lunedì, mercoledì e venerdì era con loro. Il piccolo aveva una voce straordinaria, e quando Kouyou e Ryo suonavano qualcosa lui cantava. Da lì nacque l’idea della band, ma dove trovare un batterista e un altro chitarrista? In ogni caso Takanori e Ryo andavano avanti a fugaci baci quando era ora di salutarsi, nessuno dei due aveva proposto all’altro di superare quella barriera e di diventare qualcosa di più.




 

Quella domenica Ryo e Kouyou si erano concessi un giro per Harajuku.

“Allora,” cominciò Kouyou “quando glielo chiedi?”

“Cosa?” chiese Ryo distratto.

“Quando gli chiedi di diventare il tuo ragazzo?”

Ryo ammutolì. 

“Fammi indovinare, aspetti che sia lui a fare il primo passo.”

“In realtà…”

“Sì Ryo.” lo interruppe Kouyou. “Lo sai che ti conosco a memoria.”

Ryo sbuffò. “Ti odio quando usi il fatto che ci conosciamo da una vita contro di me.”

Kouyou si fece una risata. 

“Cosa cazzo ridi?” chiese Ryo con il volto rabbuiato.

“Non offenderti, Suzuki.” 

Ryo tacque.

“Dai, cazzo. Devi chiederglielo! Siete innamorati pazzi l’uno dell’altro, e non avete manco il coraggio di stare insieme!”

“Takashima, non è che non ho il coraggio di stare insieme a lui, non ho il coraggio di chiederglielo.”

“Appunto!”

“Magari non vuole. O magari vuole aspettare…”

“Suzuki, lui non vuole aspettare proprio un cazzo. Ma lo vedi come ti guarda o sei completamente cieco? Tu sei la sua salvezza, scemo. Lui non aspetta altro che tu lo porti via da tutto quello a cui è costretto a vivere. E non basta portarlo a fare i compiti ogni pomeriggio da me o da te e dargli un bacio quando vi salutate!”

“D’accordo, d’accordo, ho afferrato il messaggio, Takashima, ora smettila di stuprarmi i timpani….”





 

Ed arrivò anche martedì.
Non aveva dormito tutta la notte.
Kouyou con le sue parole era riuscito a convincerlo completamente.
In effetti era da un po’ che stava pensando a come chiedere a Takanori di diventare il suo ragazzo, ma ogni volta che provava a pensarci il discorso che si creava finiva per diventare un completo disastro o peggio ancora sentiva Takanori dirgli di ‘no’.
Non aveva chiuso occhio perché sapeva che quel giorno, dopo scuola, sarebbe andato a prendere il piccolo al parco e avrebbero fatto i compiti assieme.
Ed era quel giorno che doveva agire.
Kouyou era riuscito a mettergli talmente tanta fretta che non poteva aspettare un giorno di più senza sapere che Takanori era finalmente diventato il suo ragazzo.
Uscì di casa con delle pesanti borse sotto gli occhi.
Appena Kouyou lo vide capì subito tutto.
Era proprio cotto, dedusse per l’ennesima volta.
Come ogni volta che si attende impazientemente qualcosa, la giornata trascorse con un’insolita calma.
Ryo riuscì persino ad addormentarsi durante l’ora di inglese; fortunatamente l’insegnante quel giorno mostrò ai studenti un film, quindi non notò Ryo.
Kouyou lo fece ridestare appena in tempo, prima che la professoressa accendesse le luci.
E quando finalmente anche l’ultima campanella suonò, si mise la cartella in spalla e uscì insieme a Kouyou.
Prima di montare in macchina della madre, Kouyou gli sistemò la divisa e lo guardò negli occhi.

“Vai e rendimi orgoglioso,” gli disse sorridendo. 

Ryo sorrise appena e lo abbracciò fortissimo, prima di indirizzarsi verso il parco.
Si giurò che qualsiasi cosa sarebbe successa l’avrebbe chiamato per raccontargli subito tutto.
Arrivato a destinazione, attese l’arrivo del biondino, torturandosi le mani e il ciuffo di capelli che aveva davanti al viso.
Quando lo vide arrivare si sentì malissimo.
Come avrebbe potuto diglielo? si chiese per la milionesima volta. 

“Ciao!” lo salutò Takanori con il suo leggero sorriso.

“Ciao Taka.” disse lui beandosi di tutta la bellezza del nuovo arrivato.

“Hai dormito poco?”

“Sì, purtroppo. In realtà non ho dormito un accidente… Mi sono addormentato ad inglese.”

Takanori si fece una bella risata. “Ma come mai non hai dormito?” gli chiese poi.

“Bè…” disse Ryo cercando di formulare qualcosa di sensato. “Non ho dormito perché… Ero impegnato a pensare ad una cosa importantissima da dirti.”

Takanori si fece serissimo. “E… Cosa sarebbe?”

“Ehm… Io non so bene come… Come dirtelo…”

Takanori si immaginò le cose peggiori, infatti si rattristò tantissimo nascondendo appena il viso nella felpa.

Rimasero in quell’imbarazzante silenzio per qualche minuto, prima che Ryo potesse inventarsi una frase di senso compiuto.

“Qualche settimana fa, il giorno del tuo compleanno, mi hai detto che ti piaccio, Taka. E non avresti potuto darmi notizia più bella. Da quel giorno abbiamo continuato a darci segni d’affetto e… E io… Io…”

“Tu cosa?” gli chiese Takanori, preoccupatissimo.

“Io devo chiederti una cosa.”

Takanori alzò lo sguardo da terra per guardare Ryo.

“Taka… Ti andrebbe di… Di essere la persona con cui desidero passare le serate a mangiare gelato davanti alla tv, o a cui tirare popcorn nelle ultime file di un cinema, o con cui litigare per scegliere quale film in cassetta vedere la sera?”

“Intendi… Intendi il tuo ragazzo, Ryo?”

“Sì, Takanori. Proprio questo.”

Takanori fece quel magnifico sorriso che solo Ryo aveva avuto il privilegio di vedere. 

“Voglio essere quella persona, Ryo.”

Ryo non riuscì nemmeno ad assimilare quello che aveva sentito, baciando Takanori con molta più dolcezza di quanto avesse mai fatto, stringendolo forte a sé, e segnando i contorni delle labbra di Takanori con la lingua per chiedergli il permesso di poter fargli sapere quanto lo amava.
E Takanori acconsentì, scambiandosi dunque il loro primo bacio in quel freddo giorno di fine febbraio.

Era il 26 febbraio, Takanori e Ryo stavano insieme. 

Chissà quanto tempo rimasero su quella panchina a scambiarsi baci, Ryo non sentiva nemmeno il cuore da quanto stava battendo forte.
Si interruppero per prendere fiato, guardandosi risero felici.
Si presero dolcemente per mano, prima di alzarsi e raggiungere casa di Ryo.
Fu un pomeriggio meraviglioso, finirono in fretta i compiti e rimasero in camera di Ryo, abbracciati l’un l’altro, assicurandosi che non era stato un sogno, che erano insieme, che Takanori aveva trovato la persona che l’avrebbe salvato, che Ryo aveva finalmente accanto a sé la persona di cui era perdutamente innamorato.
Quando vennero le 18 Ryo riportò Takanori a casa.
Camminarono tenendosi per mano, incuranti dei strani sguardi dei passanti, consapevoli di essere finalmente felici.
Arrivati al condominio dove abitava Takanori, Ryo catturò anche l’altra mano del biondino portandolo davanti a sé. 

“Posso fidarmi a lasciarti andare, Taka?”

“Domani mi riavrai, Ryo.” gli disse Takanori con un sorriso appena accennato.

“Ti farà del male?”

“Non lo so, Ryo. Ma questa giornata è stata talmente bella che penso che sì, mi farà del male.”

“Vieni da me. Ti prego.”

“No, Ryo. Me la saprò cavare…”

Lo guardò in quegli occhi che amava più di qualsiasi altra cosa, perdendosi in quel profondo nero, lasciandosi trasportare dalla dolcezza che trasudavano.

“Ryo, io so che un giorno mi porterai via da lui. Ma per ora devi portare pazienza.”

“Va bene Taka…” 

Si abbracciarono dolcemente.

“Buonanotte Ryo.”

“Buonanotte Taka.” 

Si scambiarono un ultimo bacio, appassionato e molto dolce. Rimasero a guardarsi per un ultimo attimo prima che Takanori entrasse in casa. 





 

“E com’è stato?”

Ryo sorrise. “Sapeva di fumo. Sapeva di amore… Sapeva di Takanori.”

“Direi che quindi come primo bacio non è andato male, eh?” rise Kouyou.

“No, anzi…”

“Sono orgoglioso di te, Ryochan.” era raro che Kouyou lo chiamasse così. 

“Suvvia Kou. Non ho fatto niente di straordinario.”

“Chiedere alla persona che ami di stare con te non è niente di straordinario, Ryo? Vai a dormire, mi sembri parecchio stanco!” scherzò Kouyou.

“D’accordo Kou-kou, vado. Ci si vede domani a scuola.”

“Ovviamente! ‘Notte Ryo.”

“Buonanotte Kou.”

Il futuro non poteva essere più luminoso. Ne era certo, non sarebbe mai finita. 







Fanciulz amate <3
Altro capitolo diverso dal solito, eh? ^^ Avete appena letto un altro dei miei capitoli preferiti, lo adoro. 
Cosa ci volete fare, sono un'inguaribile romantica, io. Specialmente quando si tratta di Ruki e Reita, proprio non riesco a non immaginarmi storie d'amore dolcissime. Datemi pure della baka, non mi offendo çç Spero vi sia piaciuto esattamente come piace a me, e di non aver tralasciato errori. L'ho rincontrollato tipo 20 volte, non dovrebbe essermi sfuggito nulla. Vi ringrazio come sempre delle vostre meravigliose recensioni, non so come farei senza di voi <3 GRAZIE. 
Al prossimo capitolo, bellissime <3
Yukiko H. 

P.s-Mi volevo scusare se non posto più il mercoledì, ma gli esami universitari si stanno avvicinando, e per colpa dello studio cerco di postare appena posso, che sia mercoledì o martedì. Spero di poter continuare ad aggiornare anche in piena sessione d'esame, spero abbiate pazienza çç 
Un bacione a tutte!! **

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Capitolo 11
*** Riscatto. ***



Passò Natale e Capodanno: un nuovo anno iniziò.
I quattro passarono le festività insieme.
Yutaka poté venire da Tokushima insieme alla moglie e alla piccola Masako ed essere ospitato da Ryo. Il quasi neo papà comunicò agli amici che il piccolo sarebbe nato a luglio.
Kouyou stava sempre meglio: aveva sospeso del tutto la somministrazione dei farmaci e la nutrizione per via endovenosa. L’infermiera non veniva quasi più; Kouyou aveva ricevuto il permesso dal primario di uscire e farsi qualche passeggiata all’aria aperta. 

 

Quando le festività finirono ognuno tornò alle proprie attività.
Solo Kouyou non aveva ancora avuto il permesso per trovarsi un impiego, dato che le visite lo tenevano impegnato tutti i giorni e non mangiava ancora regolarmente.
Dopo quei bellissimi giorni passati insieme a suoi amici, Ryo non riusciva bene a convincersi che doveva tornare a lavoro.
Ma come sempre si svegliò diligentemente alle sei per andare nel suo ufficio. Aprì la massiccia porta di legno, trovandovi nulla di cambiato, solo la cartella della posta piena di lettere. Si sedette, lanciando un breve sospiro. Posò appena lo sguardo sulla foto per farsi nascere un sorriso sul volto, e iniziare la giornata di buon umore. 


 

Yutaka tornò alle sue mansioni a Tokushima; il ristorante aveva chiuso per le brevi festività natalizie.
Non poté non notare la presenza di Takamasa, ma decise di non dargli molta importanza per quel giorno. Aveva altri pensieri per la mente: uno fra tutti era quello di iniziare ad accogliere il secondo figlio cambiando casa; la loro era decisamente piccolina e in tre stavano abbastanza stretti. Aveva tutto il denaro necessario, volendo; ne avrebbe in ogni caso parlato con Yuko.
Quando finalmente arrivò l’orario di chiusura lui e Takamasa rimasero a parlare delle trascorse feste natalizie.

“Io sono stato a Kanagawa da mia madre.” disse Takamasa, “e per questo ho sperato di vedere Takanori in stazione. Con la scusa di andare a salutare mio zio, ogni giorno vi passavo davanti. Ma nulla. Niente di niente.” ringhiò appena tirando un piccolo calcio contro il muro. 

“Non te la devi prendere così, Matsumoto san… Se non siamo riusciti a trovarlo noi in 15 anni, come puoi trovarlo tu in pochissimo tempo?” gli disse Yutaka appoggiandogli una mano sulla spalla.

“E’ che… Ho bisogno di dirgli che mi dispiace. Di chiedergli scusa. Di… Di dirgli che avrei voluto salvarlo dalla furia di mio padre, e non potevo… Ho bisogno di sapere che sarò perdonato e che posso ancora considerarmi suo fratello.” bisbigliò Takamasa, con una vibrante nota di tristezza nella voce.

Yutaka rimase immobile con la mano poggiata sulla sua spalla, incapace di dirgli qualsiasi cosa. Il rimorso che provava Takamasa era tangibile. 



 

Stavano insieme da una settimana. 

Erano sempre insieme: Kouyou, Ryo e Takanori.
La madre di Ryo si era già abituata a vedere il figlio e quel ragazzino biondo seduti al tavolo in cucina a studiare e ad eseguire i compiti; ma ancora non sapeva nulla di cosa c’era fra loro.
La cosa che però spaventava sempre di più Kouyou era la tregua che Yoshida aveva riservato a Ryo: non gli rubava più la merenda, né gli fregava i pochi soldi che si portava a scuola in caso di necessità. Ma non aveva mai confessato questa sua paura al migliore amico. Non voleva creare falsi allarmi; vedeva Ryo al settimo cielo ogni giorno e rubargli quella gioia gli sembrava un sacrilegio.
Inoltre, in quel poco tempo trascorso insieme, lui e Takanori avevano già stretto una bella amicizia, ridevano e scherzavano su qualsiasi cosa, e spesso Takanori gli confidava qualche pensiero riguardo a Ryo. Takanori aveva paura di essere innamorato di Ryo solo perché gli aveva dato una speranza, cioè quella di cambiare completamente vita, e spesso si rattristava tantissimo a questo pensiero. Kouyou ogni volta gli diceva che non doveva farsi quelle strane idee; era chiarissimo che lo amava per davvero e non solo perché lo aveva parzialmente portato via dalla sua orribile vita. 

Quel particolare giorno di marzo Kouyou e Ryo si recarono come sempre a scuola, discutendo animatamente su un esercizio di fisica che il giorno prima non erano riusciti a risolvere.
Pioveva a dirotto, e Ryo odiava la pioggia più di qualsiasi altra cosa al mondo. Quel giorno poi avevano anche educazione fisica, quindi oltre al peso della cartella scolastica dovevano portarsi dietro un zaino a parte con gli indumenti e le scarpe per fare ginnastica.
La lezione iniziava alla quarta ora, subito dopo ricreazione.
Raggiunsero la palestra attaccata alla scuola con animo leggero.
Kouyou venne colpito in pieno viso da un pallone durante l’esercitazione di pallavolo, ma per il resto tutto filò liscio come sempre.
Rientrarono alla fine dell’ora in spogliatoio per cambiarsi, Ryo e Kouyou erano sempre gli ultimi ad andarsene, e quel giorno non andò diversamente.
Solo che Kouyou si allontanò per tornare in classe, dove aveva dimenticato un libro.
Ryo stava appena riponendo i vestiti nello zaino per far stare anche le scarpe, quando sentì la porta dello spogliatoio aprirsi. Credendo fosse il migliore amico si girò, per trovarsi davanti Yoshida.
Il ragazzo lo prese per le spalle e lo tirò su, lanciandolo contro la parete e tenendolo inchiodato lì. Ryo cercò di non lasciare trapelare nessuna espressione di dolore, anche se sentiva le costole far male. Molto male.

“Brutto stronzo!” incominciò il bullo spingendolo sempre di più contro il muro.

“Che cazzo vuoi da me, Yoshida?” chiese Ryo con il tono più minaccioso che poteva avere in quel momento.

“LO SAI BENISSIMO COSA VOGLIO DA TE, STRONZO!” urlò Yoshida, infuriato. “Mi hai portato via Takanori!”

“LUI NON E’ DI TUA PROPRIETA’!” urlò Ryo sentendo chiamare in causa il suo ragazzo. A queste parole Yoshida lo sbatté di nuovo contro il muro, con più violenza.

“Sì che è di mia proprietà, stronzo! Lo sapevo che quella sera dovevo pestarti per bene, per farti capire qual è il tuo posto!”

“IO TI AVREI PESTATO PIU’ FORTE, COGLIONE!” gli urlò Ryo sentendo le ossa fargli male. 

“Figurarsi, tu sei una femminuccia, che avresti po…” Ryo riuscì a lanciargli un calcio nelle parti basse, e Yoshida dal dolore lo liberò dalla stretta, accasciandosi a terra.

Fece per prendere gli zaini e correre via, ma un pugno in schiena lo fece cadere a terra.

“Non abbiamo ancora finito, stronzo.” gli disse Yoshida salendogli sopra e prendendolo per le spalle, per sollevarlo appena da terra. Ryo aveva il fiato bloccato, ma riuscì a riprendersi. 

“Yoshida, mollami!”

“Col cazzo, primino di merda. Tu assicurami che Takanori domani tornerà da me e io non ti farò del male.”

“Scordatelo, pezzo di merda.”

Yoshida gli tirò un pugno potentissimo, da spaccargli il labbro inferiore. “COME MI HAI CHIAMATO??”

“PEZZO DI MERDA!” il coraggio di Ryo gli costò un altro pugno in faccia. Sputò via un po’ di sangue per guadarlo dritto negli occhi. 

“RITORNAMI LA MIA PUTTANELLA, STRONZO!” ordinò Yoshida con un altro destro già caricato.

“Quale parte della parola ‘SCORDATELO’ non hai capito, sacco di merda??” sibilò Ryo.

Yoshida gli lanciò l’ennesimo pugno, mollandogli la maglietta e facendo sbattere la testa di Ryo sul pavimento.
Lui si rialzò pronto a colpire, ma Yoshida fu più veloce, tirandogli un calcio nello stomaco e facendo accasciare Ryo a terra, in preda a dei dolori acutissimi.
Se ne andò, non risparmiandosi un ultimo pugno nella schiena.
Ryo rimase a terra per qualche attimo, non riuscendo a respirare, e non riuscendo nemmeno ad alzarsi.
Sputò il sangue che gli riempiva la bocca sentendo alcune lacrime scendergli dagli occhi.

“RYO!!” sentì Kouyou entrare. “Cazzo, Ryo!!” Kouyou lo vide e si lasciò cadere accanto a lui.

Ryo lo guardò con il fiatone.

“Io stavo appena tornando dalla classe quando è uscito dalla palestra, Ryo lo sapevo che ti avrebbe fatto del male, lo sapevo!” urlò Kouyou già in lacrime stringendosi addosso Ryo, cercando di non fargli male. Rimasero così per qualche minuto. 

“Kou… Cerca di farmi smettere il labbro dal sanguinare, Takanori non deve sapere.” disse Ryo liberandosi dell’abbraccio dell’amico.

Kouyou prese con due dita il volto di Ryo. “Se ne accorgerà comunque…” gli disse, passando con delicatezza un dito attorno all’ematoma nero che si era formato sulla tempia vicino all’occhio destro. 

“Cos’è, un ematoma?”

Kouyou annuì.

“Per quello posso inventarmi che sono caduto dalle scale, o qualcos’altro che mi verrà in mente.”

Kouyou lo aiutò ad alzarsi, si diressero in bagno dove Kouyou con attenzione tamponò il labbro inferiore di Ryo con un po' di carta. Vedendo la crosta formarsi, Kouyou dovette dire: “Se ne accorgerà, Ryo…”

“Mi inventerò qualcosa.”

“Ryo… Non…”

“NON LO DEVE SAPERE!” sbraitò.

“NON OSARE URLARMI CONTRO, SUZUKI! CHIARO?” si inferocì Kouyou.

“Sì… Scusa.” disse Ryo dispiaciuto. 

“Tu glielo dirai, Ryo. Non puoi far finta di niente.” 

“D’accordo, Kou, d’accordo.” 

Uscirono dallo spogliatoio usando una porta nascosta, che portava subito in giardino e uscirono in tempo per il suono dell’ultima campanella.
Mascherandosi appena il viso, Ryo e Kouyou si salutarono, e poi corse verso il parco.
Come poteva dirglielo a Takanori? Si specchiò in una vetrina, e rimase bloccato: era davvero conciato male. L’ematoma che aveva sulla tempia si era esteso fino a circondare l’angolo destro dell’occhio, per non parlare della crosta nera che si era formata su quasi tutto il labbro inferiore. Si ordinò di non romperla e di muoversi a raggiungere il parco.
Cosa avrebbe detto al suo piccolo amore, cosa? Quando si sedette sulla panchina la soluzione gli balenò in mente: non poteva dirgli nient’altro che la verità. Vide Takanori entrare nel parco, prese un sospiro e provò a sorridergli, ma i muscoli del viso facevano malissimo e sentì la crosta sul labbro minacciare di rompersi.
Inevitabilmente Takanori vide qualcosa di diverso nel viso di Ryo, preoccupato si precipitò da lui.

“Oh Kami, che ti è successo??”

“Niente, Taka, non ti devi preoccupare… AHI!” strillò Ryo dato che Takanori senza volerlo gli aveva fatto male, mentre gli prendeva il viso con una mano per guardarlo. Vide gli occhi del piccolo annacquarsi. 

“Ryo, ti hanno pestato…”

“Sì Taka…”

“E’ stato Yoshida, vero?” 

Ryo non voleva rispondergli, e il momentaneo silenzio fu la risposta affermativa che Takanori aspettava. Gli lasciò andare il viso, lasciando una lacrima scivolare libera sul volto.

“Lo sapevo, Ryo.”

“Cosa, Taka?”

“Sapevo che prima o poi avresti sofferto per colpa mia.”

“Ma non è colpa tua, Taka!” gli disse Ryo alzandosi per guardarlo dritto negli occhi.

“Invece sì, perché lui per riavere me ha picchiato te…” gli disse mentre altre lacrime seguivano la prima che era scesa. 

“Non voglio sentirtelo più dire, Takanori, è chiaro?!” gli disse Ryo afferrandogli le mani e piantando gli occhi nei suoi. “Non è colpa tua! Finché fa del male a me e non a te non mi dà fastidio, intesi?”

“Sì…” rispose Takanori piangendo.

Ryo gli lasciò andare le mani e lo abbracciò fortissimo.
Poi gli venne un’idea, gli appoggiò le mani sui fianchi e provò a sollevarlo, riuscendoci. Takanori fece una risata fra le lacrime. “Dai Ryo, mettimi giù…”

Ma Ryo lo guardava dal basso all’alto con un leggero sorriso.
Era bellissimo, bellissimo e basta, anche se stava piangendo e sorridendo a un tempo, e aveva dunque una dolce smorfia sul viso per questo. Takanori abbassò appena il viso per dargli un delicato bacio sull’ematoma attorno all’occhio, prima che Ryo sentisse male alle braccia e lo appoggiasse a terra. Si presero per mano, andando verso casa di Ryo, per un altro pomeriggio di compiti. 



 

Ryo stava guardando svogliatamente la tv.
Aveva visitato come sempre Kouyou e gli aveva raccontato del sogno, poi era tornato a casa ed era in procinto di andare a farsi una doccia. Ma il campanello trillò. Chiedendosi chi fosse andò ad aprire, trovandosi Arisa davanti. 

“Arisa….”

“Ciao Ryo. Tutto bene?”

“Sì, grazie. Prego, entra.”

Lei ringraziò con un veloce inchino, entrando in casa e togliendosi il giubbotto. 

“Ti devo parlare.” disse lei.

“Sono tutt’orecchi.” le rispose Ryo, ed entrambi si sedettero sul divano, una di fronte all’altro.

“L’ultima volta che sono venuta qui era per chiederti alcune conferme, adesso è per un consiglio.”

“Dimmi.”

“Shinji si sta comportando in maniera strana da quando viviamo insieme.” 

Ryo sentì per un attimo le parole preoccupate di Kouyou rimbombargli nelle orecchie. Le chiese: “Ti ha fatto del male?”

“Non precisamente.” disse Arisa abbassando lo sguardo.

“Dimmi la verità. Lo conosco fin troppo bene.”

“Ok… Mi ha picchiata qualche tempo fa. Molte volte.”

“Arisa… Corri a denunciarlo. Non devi avere paura di lui. Lascialo e vai a denunciarlo.” le disse Ryo sinceramente preoccupato. Come sempre Kouyou aveva avuto ragione. 

“Sì ma dove vado io nel frattempo?”

“Ti posso ospitare qui.” le disse. “Poi, se vuoi, ti aiuto a cercare un posticino dove vivere.”

“Lo… Faresti davvero?” disse Arisa, guardandolo negli occhi.

“Certo.”

“Grazie.” lei lo abbracciò, lui ricambiò appena la stretta.

Quell’abbraccio sapeva fin troppo di delusione e tristezza, come gli abbracci che Takanori gli dava quando piangeva, quando ancora non stavano insieme.

Quella stessa notte, approfittando del fatto che il compagno aveva il turno, Arisa andò a casa sua, prese tutte le sue cose, e tornò a casa di Ryo. Lui si era premurato di chiamare la segretaria per avvertirla che quel giorno sarebbe andato in ufficio verso le 9. E il mattino dopo, insieme, andarono a fare la deposizione dalla polizia. 
I poliziotti fecero sapere che non era la prima denuncia che quell’uomo aveva su di sé, e Arisa ne rimase sconcertata. Ryo non poteva essere stupito, anzi, se solo ci fosse stato anche Takanori accanto a lui, era sicuro che sarebbe volata l’ennesima denuncia. Le altre che erano state precedentemente deposte erano di lieve entità, ma questa invece era ben più pesante. 
A Ryo parve di aver salvato Takanori due volte, quando riaccompagnando la ex moglie dalla madre, cercò di consolarla dalla lacrime di gioia e tristezza. Si promisero di rivedersi la sera, nel frattempo lei avrebbe iniziato tempestivamente a cercare una casa dove vivere. Ryo raggiunse l’ufficio decisamente nervoso. 
E dedicando un potentissimo pensiero a Takanori si rituffò nei suoi numerosi documenti.

 

Solo la sera, a casa di Kouyou, si accorse dell’ennesimo collegamento fra il suo sogno e quello che era avvenuto nei due giorni precedenti.
Quello era stato solo il primo dei numerosi pestaggi che subì prima che Yoshida finalmente si arrendesse, e Arisa era tornata per ricevere aiuto, sempre per colpa della stessa persona. I tre amici rimasero in silenzio dopo aver discusso della cosa. 

“Mi sembrava di avere davanti Takanori quando mi disse cosa gli faceva quello mostro.” disse Ryo d’un tratto. “E in quel momento le ho detto che doveva scappare. Proprio come ho fatto fare a Taka.”

Gli altri due rimasero in silenzio. 

“Forse devo smetterla di vederlo dovunque.” disse Ryo alzandosi e mettendosi il giaccone.

“Ti stai arrendendo, Ryo?” la voce di Kouyou risuonò forte e chiara.

Si guardarono negli occhi. 

“Con questo mi vuoi dire che vuoi smetterla di cercarlo e di accettare ciò che ti fa rivivere?” chiese ancora Kouyou con tono sicuro.

“Semplicemente non voglio illudermi, Kou. Takanori lo ritroveremo domani come fra altri 30 anni. In questi mesi mi sento così sicuro che lo riabbraccerò, tanto che ogni cosa che faccio mi ricorda lui. Io non voglio illudermi.” disse Ryo.

“Noi lo ritroveremo Ryo, mettitelo in testa.” gli disse Yuu, con una leggera nota di rabbia nella voce. “Tu non devi dire che ti stai illudendo, così lo fai allontanare di nuovo da tutti, specialmente da te stesso. Avere paura equivale ad arrendersi, lo dovresti sapere benissimo.”

Ryo rimase congelato dalle parole di Yuu.

“L’hai visto anche tu, da quando hai deciso di ritornare da noi hai iniziato a sognare Takanori, hai iniziato ad accettare i suoi ricordi, hai in ufficio la vostra foto insieme e le cose da allora hanno iniziato a cambiare! Suo fratello vuole ritrovarlo, noi vogliamo ancora ritrovarlo, TU vuoi ritrovarlo. E lui si sta facendo sempre più vicino. Sappiamo che è stato al funerale di suo padre qualche mese fa, quindi sappiamo che è ancora in circolazione, sappiamo che lui può tornare o noi possiamo trovarlo! Non vedo perché proprio ora devi iniziare a credere che ti stai illudendo, quando molto probabilmente siamo ad un passo dal ritrovarlo!”

La velata rabbia di Yuu fece in modo che Ryo tornasse di filato a casa, quasi senza salutare.
Le parole di Yuu gli erano giunte come una doccia gelata. 












Eccomi qua! ^^
Mi sento una brutta persona dopo questo capitolo çç Ma sta a voi dirmi cosa ne pensate! ^^
Odio spoilerare, ma mi sento in dovere di dirvi che dal prossimo capitolo le cose inizieranno a muoversi... 
Dunque, volevo ringraziarvi per le 40 RECENSIONI che la mia storia ha raggiunto! Grazie mille!! ** Devo ammettere che non me lo aspettavo di raggiungere così tante recensioni, dato che le storie a rating rosso vanno per la maggiore e quindi vengono più seguite ^^ Quindi mi sento onoratissima e di nuovo ringrazio VOI, che mi seguite così appassionatamente ^^ al momento sto scrivendo un'altra ReitaxRuki estremamente smielosa (ve l'ho già detto che sono un'inguaribile romantica? :D) però non so se la pubblicherò, a parte che non ho nemmeno tempo di andare avanti a scriverla purtroppo, ma già a prima vista necessita di molte modifiche. In caso se la pubblicherò vi farò sapere ^^ Concludo dunque ringraziandovi e dicendovi che aspetto impazientemente le vostre recensioni.
GRAZIE A TUTTE! **
Yukiko H. <3

 

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Capitolo 12
*** "Sono qui." ***



Takanori passò brillantemente l’esame di terza media e poté iniziare il liceo.
Non potendo scegliere lo stesso liceo che stavano frequentando Ryo e Kouyou per evitare Yoshida, decise che l’artistico era il liceo che faceva per lui. Ma i tre passarono l’estate praticamente insieme.
Takanori non tornava quasi mai a casa e rimaneva a dormire o da Ryo o da Kouyou. I genitori dei due ragazzi si erano ben presto affezionati a lui, e Ryo dovette arrendersi al pensiero che prima o poi doveva dire a sua madre della loro storia.
Era una mattina di metà luglio, e Ryo si era svegliato molto presto dato che doveva aiutare la sorella a sistemare casa mentre la madre era a lavoro. Ma quel giorno Ryo doveva assolutamente rivelare alla madre cosa succedeva fra lui e Takanori; non sapeva come l’avrebbe presa né sapeva come glielo avrebbe detto, perciò non dormì tutta la notte. La raggiunse in cucina mentre lei si stava preparando la colazione.

“Buongiorno ma’.”

“Già sveglio, tesoro?” chiese lei con il suo solito infinito sorriso.

“Sì. Sai, devo parlarti.” Ryo portò una sedia verso di sé per sedersi di fronte alla madre.

“E’ una cosa grave?” chiese lei.

“No, no, almeno… Spero non lo sia.”

“Cos’hai combinato?” chiese lei mettendo su uno sguardo minaccioso.

“Ma niente ma’, stai tranquilla…”

“Dimmi Ryo, non farmi stare sulle spine!” esortò lei.

“Bè, vedi… Hai presente Takanori, no?”

“Ma certo!” disse lei illuminandosi. “E’ un ragazzo così carino e simpatico!”

“Bè, ecco… Io e lui… Io e lui stiamo insieme.” Non si spiegò come era riuscito a dirlo senza nessun giro di parole. 

La madre gli sorrise. “L’avevo capito, furbacchione.”

Ryo rimase di sasso. “Cos…?”

“Tesoro mio, vedo come lo guardi e come vi comportate, sai? Non sono cieca.” disse sempre sorridendo.

“Quin… Quindi non…”

“No, Ryo, sono felicissima per te. Vedi di trattarlo bene, piuttosto.”

“Ovvio!” rispose Ryo come se gli avesse arrecato una gravissima offesa.

“Sono però felice che tu me l’abbia detto, Ryo.”

“Volevo che tu lo sapessi.”

“E’ bello sapere che tu l’abbia voluto.” lei si alzò riponendo la tazza del tè nel lavandino. “Ora vado a lavoro. Fai il bravo.”

“Certo ma’.” 

Lei lo strinse fortissimo fra le sue braccia. “Stai diventando un ometto, ormai.” e gli diede un sonoro bacio sulla fronte, lasciandolo e uscendo dalla porta di casa.

Ryo rimase di stucco, ma era anche felice. Sua madre accettava il loro amore. 

Ma non fu l’unica cosa buona che avvenne quell’estate: Yuu tornò da Mie ed era intenzionato a rimanere a Tokyo.
Kouyou uscì da lezione di chitarra e se lo ritrovò praticamente davanti. La conversazione fu breve: si chiesero semplicemente come stavano. Ma questo bastò a far impazzire Kouyou per una settimana.
Takanori adorava vederlo così felice, e ogni tanto lo punzecchiava chiedendogli cosa avrebbe fatto se Yuu gli avrebbe chiesto di uscire; e allora Kouyou iniziava a strillare in preda al panico ripetendosi che “non ho nulla di decente da mettermi e, oh Kami ‘sti capelli di merda, come posso sistemarli” facendo morire Ryo e Takanori dalle risate.
Ma non fu l’unica volta che rivide Yuu: una sera i tre ragazzi erano in un piccolo pub a Nakano dove si esibivano piccole band visual kei, e fra gli avventori c’era anche Yuu. Quest’ultimo con la scusa di dimostrare molti più anni della sua reale età riuscì a comprare alcune birre per Ryo, Takanori e Kouyou; e passarono la serata a ridere e parlare. Per il resto dell’estate uscirono sempre insieme, e Yuu divenne il quarto membro del gruppetto.
Il famoso progetto della band di cui i tre avevano spesso parlato venne esposto a Yuu, che felicemente accettò la posizione di secondo chitarrista. Ma rimaneva l’ultima incognita: dove avrebbero trovato un batterista? Ogni tanto si ritrovavano a provare qualche canzone tutti insieme, e la figura del batterista diventava sempre più necessaria. 

Ryo e Takanori festeggiarono il loro sesto mese insieme ad agosto, poco prima che la scuola ricominciasse. Non fecero nulla di particolarmente speciale; Takanori era rimasto a dormire da Ryo e avevano passato la giornata insieme, in quel parco che aveva visto quasi tutte le fasi della loro storia. Si erano seduti su quella panchina sotto il grande acero. 

“Da quest’anno cambieranno molte cose.” disse Takanori, guardando Ryo con immensa dolcezza.

“Sì, certo. Inizierai il liceo e forse Yoshida si scorderà per sempre di te.”

“Non era questo che intendevo!” disse Takanori ridendo. 

“E allora cosa cambierà?”

“Non sarò mai più solo. Ho te. Ho Kouyou e ho anche Yuu. Ho degli amici. Ho un ragazzo.” detto questo gli diede un bacio sul naso, e Ryo rise. “Sarà diverso per questo.”

Ryo lo strinse forte a sé. “Sai, sono felicissimo che non hai mai veramente cercato di farmi andare via da te. Mi hai dato l’opportunità di amarti e di farti conoscere i miei amici.”

“Io sono felice che tu non hai mai desistito davanti alle mie richieste di andartene.”

“Perché volevo salvarti a tutti i costi, Taka. A costo della mia stessa vita.” 

Takanori rimase un attimo in silenzio.

“Non mi hai mai detto perché sentivi che dovevi salvarmi a tutti i costi, Ryo.” riprese.

Fu la volta di Ryo di rimanere in silenzio per un attimo. “Devo essere sincero, non lo so perché. Forse perché già dalla seconda volta che ti vidi già ti amavo. Mi chiedevo come un ragazzino come te dovesse sempre dire che la sua vita faceva schifo e che non era nessuno, quando per me era una persona fin troppo importante e io potevo provare a migliorargli la vita. Forse per questo.”

“E ci stai riuscendo, lo sai? E’ stata un’estate fantastica.” disse Takanori facendo un leggero sorriso.

“E non ho ancora finito.” gli disse Ryo accarezzandogli il viso. “il mio obbiettivo è di portarti via da tuo padre, appena potrò permettermelo. Per ora voglio che Yoshida si scordi di averti conosciuto.”

Si diedero un lunghissimo bacio, prima di lasciare il parco e tornare ognuno a casa propria. Davanti a casa di Takanori, Ryo gli disse: “Se ti farà del male, dimmelo.”

“Anche se te lo dico non cambierebbe nulla, Ryo.”

Ryo gli accarezzò i capelli. Se solo avesse potuto fermare il tempo e rimanere a guardarlo così per sempre… Avrebbe voluto dirgli che lo amava, ma sapeva che era troppo presto per una tale confessione.

“Ci vediamo lunedì, allora.” gli disse Takanori.

“Sì, Taka. Ci vediamo lunedì.”

Si scambiarono un bacio.

“Grazie Ryo.” 

“Ma di cosa, Taka?”

“Per avermi regalato i sei mesi più belli della mia vita.”

“Grazie a te per avermelo permesso.” 

Takanori fece un leggero sorriso prima di aprire il portone e sparire oltre di esso.
Ryo prima di andarsene sperò che non gli fosse fatto del male. 
Appena Takanori entrò in casa non trovò nessuno; dedusse che i suoi genitori e suo fratello erano usciti per fare alcune compere, e fece per raggiungere la sua camera. Non ebbe nemmeno il tempo di entrare prima di sentire una voce che diceva: “Finalmente sei tornato…”. 
Si era illuso, povero sciocco ragazzino. Sapeva qual era la procedura. Doveva solo attendere che prima o poi sarebbe finito, non lasciar trapelare nessun suono di dolore, lasciare che quel mostro di padre sfogasse la sua rabbia in silenzio. Lasciò andare un’unica lacrima: voleva che Ryo lo venisse a salvare, anche se sapeva benissimo che non poteva farlo. 

Chiuse gli occhi.

Incanalò il dolore nella sua anima. 

Decise di pensare a Ryo.

Con lui non aveva mai paura.

E attese.

Attese molto tempo.

Finché non sentì la rabbia della bestia affievolirsi.

Lo sentì scendere dal letto.

Lo sentì chiudere la porta.

Sentì le lacrime agli occhi e silenziosamente si mise a piangere.
Strinse forte il cuscino a sé, nascondendo il viso nel tessuto.
Pianse a lungo. Stava male, forse più di sempre perché per tutta la durata dell’estate era stato felice, felice come non mai.
Per poi ricordarsi che non aveva il permesso di essere felice.
Si immaginò il profumo dei vestiti di quel ragazzo che gli aveva promesso la salvezza, immaginando che fosse lui a stringerlo a sé come faceva sempre. Invocò un nome, invocò sottovoce perché la bestia non lo sentisse e ritornasse.

 

“Ryo… Ryo aiutami…”

 

“Ryo portami via.”

 

“Salvami, Ryo…”


“Ryo, vieni a prendermi.”

 

“Sono qui.”

 

 

 

Il cielo di febbraio era azzurro, la sua anima un po’ meno. 

Il sogno di quella notte era stato terribile.
Per la prima volta si era sentito parte di Takanori. Aveva sentito ciò che provava lui, ciò che pensava in quei momenti di orrore nella sua piccola stanza. Quei documenti sulla scrivania erano solo un mucchio di parole senza senso, quel mattino.
Prima di addormentarsi aveva avuto il tempo di riflettere sulle parole di Yuu, e in effetti quei tristi pensieri potevano avergli procurato quelle visioni oniriche. Sperava solo che quel triste sogno non portasse anche brutti avvenimenti.
Quel giorno avrebbe accompagnato Arisa a firmare il contratto con il proprietario di un spazioso appartamento a Itabashi, nello stesso quartiere dove abitava Takanori. Era rimasta con lui circa quattro giorni, ma erano rimasti comunque due completi estranei come lo erano quando erano sposati. Sperava veramente che non succedesse nulla di male, dato che ogni sogno era collegato a qualche avvenimento. 

Dopo aver accompagnato Arisa, si diresse verso Nakano.
Stranamente il parco non era chiuso, e vide che alcuni uomini stavano svolgendo alcuni lavori di manutenzione.
Una ruspa stava caricando il tronco di un vecchio albero su un piccolo camion: riconobbe immediatamente l’acero sotto il quale lui e Takanori si andavano sempre a sedere. Rimase immobile, basito: non potevano tagliare via quell’albero, pensava. Ma si vedeva lontano un miglio che l’acero ero ormai molto malato, le poche foglie che erano riuscite a nascere cadevano inesorabilmente a terra, come fosse un autunno anticipato.
Decise di lasciare quella visione alle spalle e suonare il citofono. Parlò con Yuu dell’argomento del giorno precedente, e si chiarirono. Poi parlò loro del sogno.
Una volta finito, Kouyou si portò una mano alla bocca, come spaventato.

“Mi è venuto un dubbio terribile.”

“Cioè?” chiese Yuu.

“Non è che è successo qualcosa a Takanori? Intendo adesso, dovunque lui sia.”

“Penso di no, Kou…” gli rispose Ryo particolarmente perplesso.

“Pensaci, Ryo: non avevi mai vissuto nulla dal punto di vista di Takanori. Forse voleva informarti che gli è successo qualcosa!” asserì Kouyou con aria decisamente preoccupata. 

“Potrebbe essere plausibile…” disse Yuu, incrociando le braccia al petto.

“No, Kou. Secondo me no. Forse voleva solo dirmi cos’ha provato per quasi tutta la vita.” rispose Ryo scuotendo la testa.

“Fidati, non ne sono così sicuro.” disse Kouyou con la stessa aria preoccupata. 

“Senti, non me lo perdonerei mai se gli fosse veramente successo qualcosa!” continuò Ryo.

“Rifletti bene, Ryo: anche le ultime frasi che ha detto potrebbero avere un senso!” disse Kouyou esprimendo tutta la sua tangibile preoccupazione. “Pensa: ‘Portami via’, o ‘salvami’… E specialmente ‘Sono qui’. E’ come se ti parlasse davvero e ti dicesse che ti sta cercando, o che puoi comunque trovarlo!” 

“Non lo so Kou, non lo so. Non sto dicendo che non potresti avere ragione, ma… Non voglio neanche pensarci.” sbuffò. 

“Secondo me ha ragione Kou.” disse Yuu. “il ragionamento sta in piedi.”

“No non può essere, non me lo perdonerei. No.” disse Ryo decisamente agitato.

“Non prendertela con te stesso! Non puoi nemmeno sapere che cosa gli è successo prima di oggi… Chissà quante volte ha sofferto ma non è riuscito a dirtelo, Ryo.”

“Lo so Kouyou, ma il solo fatto che in qualche maniera me l’ha comunicato mi fa disperare. Non voglio nemmeno pensarci che possa aver in qualche modo sofferto! Io non ho nemmeno messo in conto che lui adesso potrebbe star male. Non ho nemmeno considerato il fatto che lui possa aver bisogno di me, anche se siamo lontani!”

“Non lo puoi sapere Ryo. Non lo puoi sapere se ha avuto bisogno oppure ha tuttora bisogno di te.” 

Ryo lasciò un lungo sospiro, angosciato. “Come faccio a dirgli che io sono qui e che lo sto cercando? Come faccio a rassicurarlo?”

“E’ questo il problema: non lo puoi fare.”

“Perché lui ci riesce, cazzo?”

“Non lo so Ryo, non lo so.” disse Kouyou alzando appena le spalle, ancora preoccupato.

“Calma.” intimò Yuu. “Non serve disperare così. Takanori se la sa cavare, l’ho sempre saputo. Se ora è riuscito a comunicare con te, Ryo, è solo perché tu l’hai lasciato fare, come ti dicevo ieri. Prima di ora gli hai proibito qualsiasi iterazione con te stesso. Ora che, non so bene come, sa che tu lo ascolti, ti sta dicendo che dovunque lui sia adesso non è felice.” 

Ryo rimase pietrificato.

“C’è solo da sperare che torni e ti dia qualche indizio in più su dove o come trovarlo.” continuò Yuu. “Oppure che Takamasa lo ritrovi. Certo, è vero che se in tutto questo tempo non ci siamo mai riusciti noi, è difficile che lui ci riesca in brevissimo tempo. Possiamo solo sperare e accettare che dobbiamo continuare a cercarlo.”

Ryo lasciò andare un sospiro. I tre rimasero in silenzio, lasciando sedimentare in loro l’intervento di Yuu. 

Kouyou intervenne. “Ho sinceramente paura. Potrà cavarsela quanto vuole, Yuu, ma è solo.”

“Come puoi saperlo?” chiese Yuu.

“Ragiona: se gli è successo quello che penso sia successo… Significa che ora è solo, non ha nessuno a cui aggrapparsi. E conoscendo Takanori che comunque ha fatto fatica a fare amicizie se non durante quella parte di vita in cui è rimasto con noi, non credo che ora sia circondato da persone a cui potersi appigliare…”

“Non importa Kou, alla fine lui è rimasto solo per quasi tredici anni di vita, sa come tirarsi fuori dalla merda.”

“Gliel’ho insegnato io.” sospirò Ryo.

“Appunto, quindi secondo me non dobbiamo preoccuparci più di tanto.” disse Yuu. “Ryo gli ha insegnato tutto quello che gli serve per arrangiarsi.”

“Ma non è abbastanza…” disse Ryo sottovoce. “Non so in che situazioni si sia ritrovato, potrebbe aver avuto bisogno di aiuto e…”

“BASTA!” strillò Yuu. Tutti lo guardarono basiti. “E’ inutile che ci preoccupiamo di cose che non sappiamo nemmeno se sono veramente accadute! Lo sapremo solo quando lo rivedremo, ok? Ora cerchiamo di stare tranquilli. Per favore!” intimò. 

Tornò il silenzio per un attimo.

“Hai ragione Yuu.” disse Ryo d’un tratto. “Ci stiamo costruendo solo un mucchio di castelli di sabbia.”

Kouyou annuì.

Yuu si avvicinò per stringere gli amici in un forte abbraccio, e rimasero stretti l’un l’altro, fino a quando il tempo non sembrò fermarsi. Immersi in quell’affetto che ancora provavano l’uno per l’altro, attorniati da quella preoccupazione che non accennava a volersene andare.











Eccoci qua!
Le cose iniziano, come promesso, a muoversi! ^^ 
Anche se più lo rileggo, più questo capitolo mi sembra corto Owo Ma sta a voi dirmi cosa ne pensate!! ^^
Bene, ieri ho fatto il famoso esame che a gennaio non avevo superato... E neanche stavolta ci sono riuscita. Questo esame prevede che lo si passi con l'80% di correttezza, e io ho fatto il 79%. Non vi dico la fustrazione, stavo seriamente pensando di lasciare tutto. Però c'è ancora l'appello di agosto, e ho deciso che quella sarà la mia ultima possibilità. Specialmente in questo caso le vostre recensioni mi hanno fatto stare veramente molto meglio, e ciò mi ha spinto a continuare per la mia strada, forse con un pochino più di forza di prima. Grazie a tutte voi, veramente, siete come delle care amiche che vivono lontano da me ma con cui sono ancora in contatto. GRAZIE. 
Ritornando al capitolo, spero che vi sia piaciuto e che io non abbia tralasciato alcun errore... Un bacione a tutte voi, e al prossimo capitolo <3
Yukiko H. 

 

 

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Capitolo 13
*** Dark, long night. ***



Yutaka era a lavoro, era quasi ora della pausa pranzo. Preparò alcuni piatti da consegnare al cameriere, tornando subito ad aiutare alcuni cuochi che avevano difficoltà con una pietanza. Mentre stavano decidendo sul da farsi entrò in cucina il proprietario del ristorante. 

“Uke san, Uke san!”

Yutaka alzò lo sguardo. “Sì?”

“Ti vogliono urgentemente al telefono, seguimi.”

Yutaka fece una faccia incuriosita seguendo l’uomo nel suo ufficio. Quando arrivarono, gli passò subito la cornetta.

“Sì?”

“Yutaka, tesoro!”

“Mamma, ehi, che succede?”

“Riesci a correre via?”

“Che è successo?” disse iniziando a sentirsi decisamente preoccupato.

“Yuko è in ospedale, è svenuta stamattina mentre ero con lei.”

“COSA?” 

“Sono qui all’ospedale con lei e Masako, ti prego, raggiungici.”

“Sarò lì in un baleno.”

Spiegò la situazione al proprietario che ovviamente lo lasciò uscire.
Corse in cucina ad avvertire che doveva correre via ed assegnò il suo normale ruolo a Takamasa, che solo due settimane prima era diventato il suo vice. Poi corse in macchina e partì sgommando. Era preoccupatissimo per lei, per Masako, per il piccolo. Per fortuna che sua madre era lì con loro quando sua moglie era svenuta, altrimenti chissà quando l’avrebbe saputo.
Raggiunse in tutta fretta l’ospedale, entrò e chiese subito dove poter trovare Yuko. Gli indicarono la direzione e a passo svelto raggiunse la camera dov’era ricoverata la moglie. Sua madre e la piccola Masako lo stavano attendendo. La piccola era molto spaventata e continuava a piangere, nonostante la nonna cercasse in ogni maniera di farla calmare. Appena le vide Yutaka prese la figlioletta fra le braccia, che si era leggermente rincuorata vedendo il papà. Poi si rivolse alla madre.

“Che è successo?”

“Credo siano sorte delle complicazioni, Yutaka. Era successo anche a me quando ti aspettavo, può succedere.”

“Ma… C’è il rischio che… Il piccolo possa morire?”

Lei annuì. “Il dottore è passato prima per visitarla, ha detto che deve rimanere sotto osservazione per un po’ e che ci potrebbe essere il rischio che lo perda. E’ una piccola possibilità, ma c’è.”

Yutaka lasciò un lungo sospiro disperato, stringendo fra le braccia la piccola Masako che si era mano a mano calmata. Era strano come d’un tratto tutti suoi piccoli sogni e certezze erano diventati così instabili. 

“Dov’è la mamma?” chiese sottovoce la piccola. 

“Tornerà presto, Masa-chan, te lo prometto.” le bisbigliò Yutaka.

Non sapeva veramente cosa fare. Infine lui e la madre contattarono la madre di Yuko, che in fretta corse da loro. Yutaka avrebbe voluto stare vicino alla moglie; ma il lavoro lo chiamava ogni giorno fino a tardi. Le due donne si misero d’accordo per rimanere insieme a Yuko almeno quel giorno; in seguito alle visite del medico avrebbero deciso sul da farsi. Yutaka affidò la piccola alla suocera e ritornò a lavoro con l’animo pesante.
Appena rientrato in cucina tutti gli chiesero subito se andava tutto bene; lui cercò di non allarmare nessuno dicendo che non era successo nulla di cui preoccuparsi. A queste parole si sentì in colpa verso Yuko, ma non poteva fare altro. Quando anche quel giorno finì, venne raggiunto da Takamasa, più che altro per informarlo di quello che era successo in sua assenza: era filato tutto liscio ed era riuscito a gestire anche le situazioni un po’ preoccupanti. Yutaka si complimentò con lui, sinceramente soddisfatto. 

“Senti,” riprese Takamasa, “prima… E’ successo qualcosa di grave?”

“Sì, hanno ricoverato mia moglie perché è svenuta.” gli disse Yutaka. Non riusciva a più a vedere Takamasa solo come un collega, ma ormai lo vedeva come un amico. “E’ incinta ed è per questo che sono parecchio preoccupato.”

“Ah, è successo anche a mia moglie quando aspettava Sora, il mio primo figlio. Ti capisco.”

“Succederà qualcosa a loro?” gli chiese, avendo sentito che lui aveva già passato quell’incubo.

“In realtà no. Se rimane sotto osservazione in ospedale per qualche giorno vedrai che tutto tornerà per la sua strada. L’importante è che lei stia tranquilla, e più di tutto che tu lo sia.”

“Sì, ma come faccio…”

“Anch’io me lo chiedevo. Era il primo figlio ed ero disperato. Poi ho capito che lei aveva bisogno della mia forza e della mia figura. E anche se ero sempre a lavoro lei sapeva che io per lei c’ero in ogni momento. Sapeva che non avevo paura che qualcosa andasse per il verso sbagliato. E questo l’ha aiutata moltissimo.”

Yutaka annuì abbassando lo sguardo. 

“Lo so che hai paura, Yutaka. Ce l’avevo anch’io.” gli disse Takamasa appoggiando una mano sulla sua spalla. “Ma fidati, devi essere forte per lei e per il piccolo. E tu sei una persona fortissima, lo dimostri ogni giorno a lavoro. Non hai nulla di cui temere.”

Fumarono entrambi l’ultimo tiro di sigaretta, lanciandola in strada. “Che bel nome, Sora. Come mai?” riprese Yutaka cambiando argomento.

“Quel nome piaceva tantissimo a mia moglie. Io volevo chiamarlo Takanori.” rispose Takamasa. “Poi però lei mi ha detto che non potevo chiamarlo così altrimenti mio padre si sarebbe incazzato e  ci sarebbe andato di mezzo il piccolo. Così l’abbiamo chiamato Sora. E di secondo nome Takanori. Cosa che mio padre non ha mai saputo.” 

Yutaka rimase un attimo in silenzio non sapendo bene che rispondere. Poi decise di chiedere: “Hai altri figli poi?”

“Sì, altri due. Shinya e Midori.” rispose Takamasa sorridendo.

“Buon per te, Matsumoto.” gli disse tirandogli un’amichevole pacca sulla spalla, entrambi risero appena. Yutaka si sentiva un po’ più rincuorato. 

“Bè…” riprese Yutaka. “Sono sicuro che tuo fratello sarà felicissimo di sapere che hai chiamato tuo figlio come lui.”

Takamasa lasciò andare un lungo sospiro. “Lo spero. Lo spero tanto.”

Si salutarono. Yutaka corse a casa per avvertire Yuu e Kouyou degli avvenimenti e di quello che gli aveva detto Takamasa. Sapeva che non poteva stare insieme alla moglie durante la notte, così andò a casa della madre e rimase a dormire con la piccola Masako, per non farla sentire sola, per farle sapere che non tutto era perduto.

 



Una notte molto, molto buia.
Solo qualche lampione acceso e un cartello illuminato, quello di una stazione.
Non riusciva ad interpretare i kanji che erano scritti sopra.
Sentì arrivare un treno, si girò per guardarlo arrivare.
Il faro del treno illuminò per un breve attimo l’atmosfera circostante, mentre si fermava.
Dopo qualche minuto ripartì.
Vide sulla banchina una persona, dai lunghi capelli biondi.
Si accese una sigaretta, e si sedette con la schiena contro il muro.
Era convinto di averla già vista.
Attraversò prudentemente i binari per avvicinarsi a quella figura.
Quella persona indossava un giubbotto di pelle nera, dei jeans strappati anch’essi neri, e gli sembrava di intravedere una maglietta rossa sotto al giubbotto.
Sembrava avere diciannove anni, ma qualcosa di lui gli suggeriva che poteva avere addirittura la sua età.
Il biondo sussultava appena per il leggero pianto che stava facendo.
Gli si avvicinò.
La persona si voltò verso di lui, e soltanto prima che potesse riconoscerlo, il sogno cambiò completamente. 

Erano sempre loro: Yuu, Takanori, Ryo e Kouyou.
Erano già tornate le vacanze di Natale. Insieme avevano deciso di fare un giro per Harajuku, per farsi un’idea dei regali da comprare. La storia fra Ryo e Takanori andava di bene in meglio: ormai non gli separava più nessuno e, anche se ancora non potevano stare insieme la notte, Takanori era il ragazzino più felice dell’intero Giappone. Pian piano Ryo gli aveva insegnato a non pensare più negativamente alla sua vita, né di sentirsi una persona inutile. Inoltre Yuu in quel brevissimo tempo era diventato il migliore amico di Takanori: ogni tanto capitava che ci fosse qualche animata discussione con Ryo, e anche se non era mai nulla di grave correva da Yuu a sfogarsi. Anche Kouyou era diventato via via una persona sempre più importante, tanto che il corvino lo considerava come fratello minore mancato. Non poteva andare meglio, insomma.
Invece fra Kouyou e Yuu vi era un muro insormontabile. Kouyou si stava innamorando sempre più di lui, ma Yuu invece guardava a lui semplicemente come un amico. Ryo non sapeva bene che fare per aiutarlo, e si sentiva il peggiore amico dell’universo. Takanori era la persona di riferimento sia per Ryo che per Kouyou, essendo la persona più vicina a Yuu, ma inevitabilmente il piccolo faceva trapelare particolari solo riguardo a giovani fanciulle incontrate sul lavoro -Yuu faceva il commesso-, ma nulla più. 

Quel giorno ad Harajuku i quattro amici camminavano fra la folla che riempiva abitualmente il quartiere. Ogni tanto si punzecchiavano fra loro dicendo cose come: “Oh, quello potrei prenderla al vecchiaccio!”, che era il soprannome affibbiato a Yuu, dato che era il più grande dei quattro. Oppure: “Kou-kou, quella gonna rosa ti starebbe proprio bene!”, ovviamente Kouyou odiava il rosa.  Entrarono in un negozio di abiti visual kei, e un commesso dai capelli castani fu subito da loro.

“YUTAKA!” strillò Yuu saltandogli letteralmente addosso.

“Oh mio dio, la mia vecchia!!” rispose Yutaka abbracciandolo fortissimo, prima di rimanere sordo per gli improperi lanciati a tutto volume da Yuu riguardo al nome datogli. 

Si chiesero reciprocamente se andava tutto bene, poi Yuu passò alle presentazioni.

“Ragazzi, lui è Yutaka, un mio carissimo amico. Yutaka, loro sono Kouyou, Ryo e Takanori.” 

I quattro fecero un veloce inchino. I due si misero a parlare.

“Che accidenti ci fai qui, Yutaka, eh?”

“Mi sono rotto le scatole di Tokushima e sono venuto ad abitare a Tokyo.” rispose il castano con un immenso sorriso sul volto.

“Anch’io, sai. Mi sono trasferito qui da Mie circa sei mesi fa.”

Kouyou chiese: “Scusate… Ma se abitavate così distanti, come vi siete conosciuti?” 

I due si guardarono e scoppiarono a ridere. 

“Allora,” iniziò Yuu “All’epoca avevo una piccola band nella mia città, e ci avevano invitati a suonare a Nara. Una volta arrivati là, ci dissero che c’era una band che veniva dalla lontaniiiiiissima Tokushima” disse muovendosi teatralmente davanti agli altri quattro, “ e che avevano bisogno di aiuto con l’attrezzatura. Allora noi abbiamo montato le nostre cose e abbiamo atteso la band in stazione. Fra di questi c’era anche lui!” disse indicando Yutaka, che ancora rideva per cose che sapevano solo loro. “Lui aveva dietro tutta la sua batteria ed era alla fine lui quello che aveva più bisogno di aiuto. Così IO, e sottolineo IO, da solo e con il solo aiuto delle mie forze ho portato quasi tutta la sua batteria dalla stazione di Nara fino in periferia dove avevamo il concerto. E nonostante io avessi quindici anni e lui solo tredici, è riuscito a comprare alcune birre in un konbini e a portarmele per ringraziarmi. Morale della favola: ci siamo ubriacati a morte.” e scoppiarono di nuovo a ridere. “Per tutti e due era la prima volta che bevevamo più di una birra, quindi il risultato fu quello. Poi quando salii sul palco riuscii più o meno a ritrovare un contegno. Quando toccò alla band di Yutaka… UN DISASTRO! Andava completamente fuori tempo e la cosa più divertente era vedere i suoi compagni di band cercare di stare dietro al ritmo che dava lui.”

“Ovviamente mi hanno buttato fuori la sera stessa.” disse Yutaka.

“E quindi per consolarlo che era stato buttato fuori dalla band, siamo riusciti a fregare alcune birre ad un altro gruppetto che c’era e abbiamo bevuto anche quelle. L’ho ovviamente ospitato a casa mia perché ormai era l’una del mattino e non mi fidavo a spedirlo a casa da solo, ubriachi marci come eravamo. E così il giorno dopo l’ho caricato sul primo treno per Tokushima, con strumentazione e tutto.” concluse ridacchiando.

Inutile dire che di fronte alla teatralità e ai toni di voce che Yuu aveva usato nessuno si era risparmiato una bella risata.
Rimasero a parlare ancora per un po’, prima di salutarsi dato che Yutaka doveva tornare al suo lavoro. Uscirono dal negozio prendendo in giro Yuu per come si era pavoneggiato durante il racconto. Takanori bloccò Ryo tenendolo per una mano e lo fece girare verso di lui. Si guardarono negli occhi e il sogno cambiò di nuovo.
Quegli stessi occhi erano quelli che stava guardando in quella stazione, in quella notte buia.


 

Si svegliò di soprassalto e con il fiatone. Tutto era fin troppo chiaro nella sua mente, tanto che scese dal letto e corse a chiamare Kouyou.

“Moshi moshi…” disse Yuu.

“Yuu, sono Ryo, passami Kouyou, te ne prego.”

“Sì, ehm, guarda che ho notizie da Tokushima ma ne parliamo domani.”

“Perfetto, grazie Yuu.” lo sentì chiamare Kouyou e dopo qualche minuti sentì la cornetta venir passata da una mano a un’altra.

“Moshi moshi?”

“Kouyou, avevi ragione tu!”

“E perché avresti dovuto svegliarmi nel bel mezzo della notte per dirmelo quando avresti potuto aspettare?” rispose Kouyou decisamente assonnato.

“Perché devo dirtelo adesso, è importantissimo! Ho sognato Takanori, ma non solo il Takanori che conoscevamo noi, il Takanori odierno!”

A questo punto il sonno di Kouyou sparì quasi completamente. “Co… Come?”

“Mi hai sentito Kouyou. Ha i capelli biondi lunghi fino alle spalle e non è cambiato di una virgola. Nel mio sogno eravamo in stazione non so dove, ho visto anche la scritta sul cartello ma non sono riuscito a capire che cazzo di kanji fossero. E’ sceso da un treno.”

“Cazzo Ryo, questa è una cosa importantissima! Hai sognato una scritta, dicevi?”

“Sì, ma non so cosa diceva.”

“Di quanto kanji era composta?”

“Di tre kanji.”

“Non ci sono molte città il cui nome è composto da tre kanji: Kawasaki, Kanagawa…” 

“Lo so ma magari non era la stazione di una città, ma quella di un piccolo paese. Anche perché da come l’ho vista nel sogno sembrava una stazione parecchio isolata.”

“Non so che dirti, Ryo, magari se riuscivi a leggere i kanji…” 

“Non riuscivo proprio a decifrarli, Kou!”

“Bè, sai, forse era giapponese classico…”

“Potrebbe essere una possibilità.”

“Comunque vedi di star tranquillo, ok?”

“Certo, Kou. Scusami, buonanotte.”

“Ma di cosa, smettila. Buonanotte”

La chiamata terminò lì.
Ryo tornò a letto, ma non riuscì ad addormentarsi.
Continuò a girarsi e a rigirarsi, analizzando il frammento di sogno dove vi era il nome della stazione, ma niente. Ricordava perfettamente i kanji che aveva sognato, ma era certo di non averli mai conosciuti né tantomeno mai studiati. Era decisamente triste: poteva essere la svolta nella ricerca di Takanori e invece si ritrovava allo stesso identico punto dei mesi precedenti. Aspettò le sei per alzarsi ed andare a lavoro. Era quasi l’ora di pranzo quando il telefono sulla sua scrivania suonò.

“Sì?”

“Signore, c’è la sua ex moglie in linea due.”

“La ringrazio, signorina.”

Schiacciò il pulsante numero due.

“Moshi moshi?” sentì dall’altro capo.

“Arisa?”

“Ryo, ciao!”

“Ciao, volevi parlarmi?”

“Sì. Ho una notizia importantissima.”

“Dimmi pure.” disse lui curioso, continuando a sfogliare qualche documento.

“Hanno arrestato Shinji!”

“Cosa??” chiese Ryo appoggiando i fogli che reggeva in mano sulla scrivania e facendosi più attento. 

“Purtroppo la sua furia ha raggiunto il climax. Ha ucciso una ragazza.”

“Oh mio dio, Arisa… Stai scherzando?”

“No, ho appena sentito il telegiornale. Si erano conosciuti da pochi giorni, stando al racconto dei giornalisti, sembra che lei volesse uscire senza il permesso di lui, e che quindi Shinji l’abbia uccisa a suon di pugni. Ma è tutto da confermare.”

“Arisa, caspita… Ti rendi conto che quella avresti potuto essere tu?”

“Sì, Ryo. Lo so. Se non ci fossi stato tu, avrei potuto essere quella ragazza. Ti devo ringraziare.”

“Non serve Arisa. Una persona ha comunque perso la vita e quella di molte altre è stata rovinata per colpa sua. Accompagnandoti a denunciarlo ho solo fatto un minimo di quello che avrei voluto fare contro di lui.”

“Lo so, Ryo. Ma quello che hai fatto per me è abbastanza. Grazie.”

“Non ti preoccupare, Arisa. Ci sentiamo, d’accordo?”

“Va bene, Ryo. A presto!”

Appoggiò la cornetta sul telefono lasciando un lungo sospiro.
Guardò la foto.
Se solo Takanori fosse stato lì con lui. Avrebbero potuto festeggiare. Yoshida avrebbe finalmente pagato per tutto quello che aveva fatto in vita. Ritornò al suo lavoro felice. Forse Takanori aveva avuto finalmente il suo riscatto. 








Bellissime! **
Noto che ormai siamo agli sgoccioli con scuola/università/quant'altro, date le poche recensioni ^^ Non è un rimprovero, tranquille ^^ 
Che dire, questo è uno dei miei capitoli preferiti (anche se sono stata un mostro con Yutaka, potete pure linciarmi çç ). Innanzitutto il titolo, che è una delle mie canzoni preferite in ASSOLUTO dei Gaze (D.L.N. **). Poi perché FINALMENTE le cose stanno prendendo una piega ^^ Siamo al tredicesimo capitolo, ciò significa che stiamo iniziando a volgere alla fine ^^ (E con 'iniziando' non intendo che il prossimo capitolo è l'ultimo, don't worry ^^). 
Vi voglio al solito ringraziare, perché non vi ringrazio mai abbastanza in realtà. Ditemi cosa ne pensate e non dimenticatevi degli errori!! ^^
Un bacione a tutte, vi voglio bene <3
Yukiko H. <3

 

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Capitolo 14
*** Nagoya. ***


 

Ancora la stazione, ancora lo stesso cartello con quei kanji che non sapeva leggere.
Ancora lui davanti a quella persona.
Sapeva che era Takanori, ma in qualche maniera aveva le sembianze di un estraneo.
Si stavano guardando, mentre il biondo frugava nelle tasche dei jeans.
Poi allungò un braccio verso di lui; fra le dita reggeva un biglietto.
Lo prese, ed iniziò a leggere.

 

“A volte vorrei avere una macchina del tempo.

Vorrei tornare indietro e cambiare metà della mia vita.

Mi accendo un’altra sigaretta e scappo via da un altro posto.

Sempre in fuga, sempre in viaggio.

E’ il destino di chi sbaglia, come me.

Sono un peregrinante del rimorso e del pentimento.

Sono un’anima dannata che la vita ha voluto condannare ancora di più.

Chissà quando finirà l’espiazione dei peccati che ho commesso.

Chissà quando la mia anima smetterà di essere dannata.

Un’altra stazione, un altro treno, un altro luogo.

Quel maledetto biglietto per Tokyo che non ho il coraggio di usare.

Altro dolore, altra fuga, altro pellegrinaggio.

Forse un giorno non avrò paura di tornare.

Forse un giorno mi sentirò abbastanza puro.

Il giorno in cui questo pellegrinaggio finirà,

Riuscirò a usare quel biglietto per Tokyo.

Riuscirò a farmi perdonare?

Riuscirò ad avere quello per cui questo viaggio è iniziato?

Troverò di nuovo il mio posto?

Non c’è spazio per i demoni deviati in questo mondo.

Rimorso, pentimento, dolore.

Il motivo di questo lungo peregrinare,

E’ una persona,

Quella persona con cui ho peccato.

Quella persona il cui nome io invoco nel silenzio.

E nel dolore.

E nella rabbia.

Sempre.

C’è solo quel nome.

Ryo.”

 

Finita la lettura, tornò a guardarlo.
Gli stessi occhi pieni di dolore lo attendevano. 

Il sogno cambiò d’un tratto. 

Takanori era appena tornato a casa da scuola.
Era felice: aveva da poco compiuto quindici anni e fra poco avrebbe festeggiato un anno insieme al suo Ryo.
Entrato in casa non trovò lo zaino del fratello appoggiato accanto al tavolo in cucina: doveva essere ancora a scuola.
Quando entrò in camera, si ritrovò entrambi i genitori seduti sul suo letto.
Il padre aveva in mano il quaderno che Ryo gli aveva regalato.
Si sentì morire.
Ciò che avvenne in quei pochi attimi non l’avrebbe mai dimenticato.

“Takanori, questa è la goccia che ha fatto traboccare il vaso.” asserì severamente il padre lanciandogli addosso il quaderno.
Quest’ultimo funzionava per Takanori come diario segreto e come piccolo laboratorio per le canzoni che tanto amava scrivere. Lo raccolse, con le lacrime agli occhi, sapendo bene quali pagine in particolare il padre aveva letto: quelle doveva aveva segnato meticolosamente gli incontri con Ryo.

Non disse nulla.

“Takanori, lo sai che questi comportamenti deviati non li accettiamo!” lo ammonì la madre. “Ti abbiamo lasciato ascoltare questa musica demoniaca, ti abbiamo lasciato rovinare il tuo aspetto esteriore, ma che tu esca con un uomo no! Questo è inaccettabile.”

“Non vi è mai importato un cazzo di me e solo adesso venite a rompermi le palle? Per un motivo così stupido?” osò dire lui.

Uno schiaffo lo colpì in pieno viso, il padre si era alzato con uno scatto fulmineo dal letto. 
“NON OSARE RIVOLGERTI A NOI CON QUESTE PAROLE, RAGAZZINO!” urlò l’uomo.

Takanori sapeva che la sua unica arma era il silenzio, così tacque definitivamente.

“Abbiamo cercato di arginare i tuoi comportamenti fuori controllo in ogni maniera. Adesso ci hai decisamente stancato!” disse severamente sua madre.

“Non sei più nostro figlio.” concluse suo padre, senza battere ciglio, con la sua solita espressione severa in volto. Takanori si sentì crollare. L’uomo gli lanciò addosso un borsone. “Prendi le tue cose e sparisci. Non farti mai più vedere qui.” 

Sentì i passi preoccupati di Takamasa dietro di lui, lo immaginò vedere la scena e non capire.
I suoi genitori uscirono dalla stanza, scansandolo.
Sentì la madre tentare di allontanare Takamasa mentre si piegava a prendere la borsa da terra, per metterci dentro alcuni vestiti. Sentiva la madre e il fratello litigare animatamente, ma tutto gli scorreva addosso come acqua, era come in una bolla. 

Dove sarebbe andato?

Cosa avrebbe fatto?

Anche se in quella casa non era mai stato voluto ed amato, il dolore che sentiva dentro di sé era inimmaginabile. Forse aveva sperato fino all’ultimo che i suoi genitori provassero un minimo d’affetto nei suoi confronti. La conferma che non era così era giunta forte e chiara.
Mise nella borsa alcuni abiti, il quaderno, prese la cartella e la riempì con tutti i libri che aveva, e semplicemente se ne andò. Sentì alcune grida di sua fratello. Poi chiuse la porta e piangendo disperato uscì da casa sua, per sempre.

Il sogno cambiò.

Ryo era appena tornato da alcune commissioni assieme alla madre, perciò non aveva potuto invitare Takanori a fare i compiti da lui. Si distrasse leggendo un manga. Sentì il campanello suonare e si alzò ad aprire, dato che la madre era fuori a stendere i panni. Si ritrovò addosso il suo amore disperato. 

“Taka… Taka, ehi…” lo strinse forte a sé. “Che succede?”

“Mi… Mi puoi ospitare per qualche giorno?” gli chiese il piccolo fra le lacrime. 

“Dimmi cos’è successo, te ne prego…”

“I miei genitori mi hanno buttato fuori di casa.” il tono di rassegnazione di Takanori era terribile.

“COSA? E perché…?”

“Perché hanno scoperto che sto con un ragazzo, Ryo…” 

Non serviva aggiungere altro. Ryo lo fece entrare e chiuse subito la porta. 

“Vieni, Taka…” gli disse portandolo in camera sua.

Lo fece sedere sul letto, gli prese di mano la borsa e gli tolse la cartella dalla schiena, prima di sedersi accanto a lui e riempirlo di piccoli baci per cercare di calmarlo.
Sua madre rientrò in quel momento dalla terrazza, vedendo Takanori in quelle condizioni chiese subito delucidazioni.
Decise subito di ospitare Takanori, avevano a disposizione una piccola stanza degli ospiti che non veniva quasi mai usata.
Takanori disse che finito l’anno scolastico avrebbe subito cercato un lavoro per non gravare sull’economia di casa, e che magari si sarebbe trovato un posto dove vivere. A queste parole sia la madre che Ryo asserirono che non essendo ancora maggiorenne non poteva vivere da solo.
La signora lo rassicurò dicendogli che non dava alcun fastidio se rimaneva lì con loro. Takanori non aggiunse altro, incapace di trovare le parole giuste per ringraziare la madre di Ryo. Sistemarono gli effetti personali di Takanori nella piccola stanza, a cena chiarirono la situazione con la nonna e Yoshie.
Nessuno ebbe nulla da ridire.
I due andarono a letto presto dato che il giorno dopo c’era scuola, si ritirarono ognuno nella propria stanza per riposare. Verso le due del mattino Ryo si svegliò, sentendo la porta di camera sua aprirsi. Ryo aveva il sonno pesantissimo, ma non appena avvertiva nell’inconscio che qualcuno stava entrando nella sua camera, inevitabilmente si svegliava. Sentì che qualcuno si era seduto sull’orlo del letto, si girò per trovarsi Takanori seduto accanto a lui. 

“Ehi, Taka…” gli disse appena.

“Non volevo svegliarti.” disse lui sinceramente dispiaciuto.

“Che succede, piccolo?”

“Non riesco a dormire…”

Ryo gli fece spazio nel suo letto, Takanori vi s’infilò cercando subito rifugio nel caldo abbraccio del suo amore. Ryo non lo fece attendere: lo strinse forte a sé, donandogli qualche carezza fugace fra i capelli.

“Grazie…” bisbigliò il piccolo.

“Di cosa?”

“Se non ci fossimo mai incontrati, molto probabilmente ora l’unico posto dove avrei potuto andare sarebbe stato da Yoshida…” 

“Non devi ringraziarmi per questo, Taka.”

“Invece sì, tu mi hai dato tantissime possibilità.”

“Ma non serve che mi ringrazi, ok?” e detto questo gli diede un casto bacio sulle labbra.

“Almeno posso guardare il lato positivo della cosa.” continuò. “Mio padre non mi farà mai più del male.” 

Ryo sorrise. “Esatto, amore mio.”

“Come mi hai chiamato?” gli chiese Takanori sorridendo a sua volta e liberandosi dall’abbraccio per poterlo guardare. 

“Hai sentito.” gli disse Ryo arrossendo.

“Non credo di aver sentito bene, ripetimi!” disse lui ridendo.

“A… Amore mio.” ripeté Ryo accarezzandogli il viso.

Takanori arrossì tantissimo, ma Ryo non poté vederlo per l’oscurità che più o meno invadeva la stanza. I due si scambiarono qualche appassionato bacio prima che il sonno potesse definitivamente coglierli. Prima di addormentarsi Ryo si chiese se era davvero ancora troppo presto per dirgli che lo amava, più di qualsiasi altra cosa al mondo. 

Ma il sogno cambiò di nuovo.

Di nuovo quella stazione.
Si stavano guardando, ancora.
Non un solo rumore attorno a loro, solo il lento soffiare del vento.
Il biondo distolse lo sguardo, per poi indicare un punto davanti a lui.
Con lo sguardo lui seguì la direzione indicatagli, trovando il cartello con il nome della stazione.
Riconobbe immediatamente i kanji.
Stavolta sì.

Nagoya.

 






Si svegliò di soprassalto con il cuore in gola.
Scese correndo dal letto felicissimo per chiamare Kouyou. Si accorse guardando l’orologio che era appena mezzanotte e mezza, sperava dunque di non svegliare i due amici. Compose in fretta il numero e attese in linea. 

“Moshi moshi.” si sentì rispondere da un assonnato Yuu.

“Yuu! Ho il nome della stazione.”

“COSA??” strillò l’altro. 

“Vedo che con la vecchiaia non hai ancora disimparato a urlare!” imprecò Ryo allontanando la cornetta dall’orecchio di qualche centimetro.

Yuu per tutta risposta iniziò a strillare improperi. 

“Mi vuoi ascoltare, Yuu?”

“Sì, sì. Scusa.”

“Nagoya. La stazione di Nagoya. Ma non penso sia la stazione centrale…”

“C’è in effetti una stazione a Nagoya che sta pian piano cadendo in disuso a favore di quella più moderna. Lo dirò a Kouyou e anche a Yutaka dato che devo chiamarlo per avere notizie della moglie.”

“Già, è vero, e sua moglie come sta?”

“Non lo so, è un po’ di tempo che Yutaka non si fa sentire…” Sentì la voce di Kouyou, ma non riuscì a decifrare cosa stesse dicendo. “Ti passo Kou, anche lui deve darti una grandiosa notizia.”

“Va bene, grazie.” attese alcuni attimi.

“Ryochan…”

“Ehi Kou, dimmi.”

“Grandi notizie.”

“Sì.”

“Mi ha chiamato l’ospedale.”

“Oh, che succede?”

Sono guarito.

La bocca di Ryo si spalancò, lui era incredulo. “Davvero??”

“Sì. Devono continuare a tenermi sotto controllo comunque, ma il peggio è passato. Posso tornare ad una vita normale, e tempo un mese potrò finalmente cercare un lavoro.”

“Kouyou… E’ fantastico, non immagini quanto io sia felice…”

“Pensa me!” disse ridendo. “E tu invece perché ci chiami a quest’ora?”

“Fattelo raccontare da Yuu, io corro a letto ora.”

“D’accordo Ryo. Buonanotte.”

“Buonanotte, Kou-kou.” 

Chiusero la telefonata, Ryo sospirò felicissimo. Andò di nuovo a letto, cercando di prendere sonno. 




 

A Nakano invece si attese l’una per chiamare Yutaka. 

“Moshi moshi.” rispose lui.

“Yutaka, ciao. Sono Yuu.”

Oh, ciao Yuu.” 

“Come state?” chiese sentendo la voce di Yutaka decisamente triste.

“Non malissimo dai. Hanno deciso di dimettere Yuko, ma dovrà rimanere sotto controllo fino all’ottavo mese di gravidanza, per evitare che ci siano altre conseguenze negative.” 

“Oh… Mi dispiace tantissimo, Yutaka…” disse Yuu sinceramente dispiaciuto.

“Non ti preoccupare, dai, almeno è fuori dall’ospedale. Ho deciso di comprare una casetta più grande per accogliere il piccino. Così lei starà anche più comoda.”

“Fai bene, Yutaka, fai bene… Forza e coraggio, non possiamo dirti altro.”

“Grazie ragazzi, non vi preoccupate.” e fece un leggero sorriso. “Voi come state?” 

“Bene, abbiamo ricevuto grandi notizie dall’ospedale: Kouyou è guarito.”

“Davvero?” disse Yutaka veramente felice. “Questa sì che è una notizia stupenda! Quindi potrà tornare a lavoro?”

“Non ancora perché deve effettuare le ultime visite, ma fra un mesetto potrà ricominciare a vivere normalmente.”

“Sono felicissimo per voi!” concluse Yutaka. 

“E abbiamo anche grandi notizie da Ryo.”

“Cioè?”

Yuu gli spiegò del sogno.

“Cazzo! Assurdo…” reagì Yutaka sinceramente incredulo.

“Infatti. Prova a dirglielo a Takamasa, se ha ancora intenzione di andarlo a cercare.”

“Altroché, non pensa ad altro. Glielo dirò di sicuro.” 

“Ha saputo niente?”

“Sfortunatamente no. Ha provato a cercarlo nelle stazioni qui nei dintorni, ma nulla. Sicuramente questa notizia gli farà molto piacere.”

“Già. E speriamo sia la volta buona.”

“Infatti.”

“Bene, Yutaka, ti lascio riposare. Buonanotte!”

“Buonanotte Yuu, grazie mille per la telefonata.”

“Figurati, qui siamo tutti preoccupati.”

“Oddio, non è necessaria tanta preoccupazione, dai. Ci si sente!”

“A presto, Yutaka!”

Yuu appoggiò la cornetta sul telefono, sentendosi poi stretto fra le braccia di Kouyou. Lo sentì appoggiare la testa sulla schiena, con dolcezza. 

 

“Ryo, potrò mai conquistarlo?” chiese Kouyou, guardando il migliore amico negli occhi. 

“Certo che puoi. Dobbiamo solo sperare che lui sarà disposto ad accettare i tuoi corteggiamenti.”

“Lo spero, Ryo. Ogni giorno non faccio altro che sperare che prima o poi sarò suo…” e detto questo Kouyou abbassò lo sguardo, decisamente triste.

“Non abbatterti. Ti prometto che ti aiuterò in ogni maniera da me conosciuta per conquistarlo.” 

Si abbracciarono fortissimo, mentre Takanori spegneva la sigaretta con la scarpa, sotto quei ciliegi ancora dormienti, e unendosi poi all’abbraccio.
Kouyou sorrise, circondato come sempre dall’affetto che Ryo gli donava da tutta la vita, e da quello del suo fratello mancato. Quel piccolo ragazzino biondo che dolcemente gli donò una carezza fra i lunghi capelli corvini.






 

Salve ^^
Questo capitolo... Non ha mai veramente convinto del tutto. Sinceramente neanche mi piace, ho provato a cambiarlo mille volte ma non so come poterlo scrivere diversamente. E quindi, a solo scopo dell'evoluzione della trama, l'ho lasciato così com'è. Sta ovviamente a voi dirmi che ne pensate. 
Intanto sono arrivata a 50 RECENSIONI e non so più come ringraziarvi. Siete meravigliose, mi seguite con veramente tanta passione. GRAZIE! **
Nient'altro da dirvi, ci si vede ad un prossimo capitolo e attendo trepidante le vostre recensioni **
Un bacione a tutte voi (anche alle lettrici che mi seguono senza recensire ^^)!!
Yukiko H. 

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Capitolo 15
*** Incertezze. ***



La sveglia suonò prepotentemente.
Yuu si svegliò, decisamente assonnato. Kouyou non si era mosso di un millimetro, quindi spense la sveglia nel terrore di poterlo ridestare. Rimase per un attimo assorto a guardarlo.
La sera prima si erano amati dopo tantissimo tempo. Aveva provato un centinaio di emozioni nuove; risentire il suo corpo, la sua pelle calda, i suoi respiri sulla pelle fu come rivivere un antico ricordo. Sebbene il fisico di Kouyou fosse ancora gracile, si era mostrato in tutta la sua incredibile bellezza, nonostante i segni del tempo e della passata malattia.
Gli donò un tenero bacio sulla guancia, allontanandosi poi completamente da lui. Trascinandosi dalla stanchezza si fece una doccia rigenerante, prima di bersi una bella tazza di caffè e prepararsi per il lavoro.
In quel momento il telefono squillò. Corse a rispondere per non svegliare Kouyou. Sul display non vi era segnato alcun numero. Curioso rispose.

“Moshi moshi?”

Il silenzio totale. Solo un leggero rumore d’interferenza.

“Moshi moshi?” chiese di nuovo già spazientito.

Di nuovo quel silenzio. Si sentì un rumore fortissimo e la chiamata si concluse.

Yuu rimase interdetto con la cornetta ancora all’orecchio. La appoggiò al telefono e fece per prendere la giacca, ma il telefono suonò ancora. 

“Moshi moshi?” chiese ancora.

E ancora silenzio.

“Senti, so che sei uno stupido ragazzino a cui piace fare scherzi telefonici!” strillò innervosito.

Ma udì una voce metallica. “Treno per Nagoya in partenza dal binario tre. Allontanarsi…” 

Ma la chiamata finì lì.

Yuu rimase incredulo.
Per poco non gli cadeva la cornetta di mano.
Si ordinò di mettere giù la cornetta e si intimò la calma.
“Non montarti la testa, Yuu. Era uno scherzo.”
Ma sulla via per il lavoro non poteva non continuare a creare collegamenti fra il sogno che aveva fatto Ryo e quella strana chiamata. Non poteva non vedere l’ombra del dubbio intercedere in lui. Decise che avrebbe chiamato Ryo e avrebbe tentato di spiegargli l’avvenuto. 



Era pausa pranzo e Ryo aveva appena finito di mangiare il suo panino. Sentì il cellulare vibrare nella tasca del giaccone appoggiato all’appendiabiti, così si alzò per rispondere. Vide il numero di Yuu.

“Moshi moshi?”

“Ryo, devo raccontarti una cosa!” 

“Dimmi pure.”

“Stamattina ho ricevuto due chiamate misteriosissime.”

“Cioè?”

“Mi ha chiamato un numero privato, due volte. La prima volta c’era solo silenzio e poi tanto casino. La seconda volta invece ho sentito una voce come quelle che annunciano i treni in stazione, e la voce diceva che un treno per Nagoya sarebbe partito in quel momento. Poi la chiamata si è conclusa.”

Ryo fece un’espressione incredula. “Sei riuscito a sentire l’ora?”

“No, non è stata nemmeno detta.”

“Non può essere vero…” disse passandosi una mano sul viso. 

“Credimi: io, che avevo detto di mantenere la calma e non farci seghe mentali, sto passando la giornata a costruire castelli inimmaginabili.” 

“Pensa io cosa devo pensare dopo che mi hai detto questa cosa!” 

“Lo so, Ryo, ma è importantissima, non potevo non avvertirti.” 

“E se magari lui è già a Nagoya? Io ho troppo lavoro da fare, non posso lasciare l’ufficio!”

“Potrebbe andare Kouyou, ma oggi ha alcune visite da fare.”

“Cazzo, spero che non ce lo stiamo facendo sfuggire di mano!” disse Ryo con fare disperato.

“Secondo me vuole solo dirci che ci aspetterà a Nagoya. Ovviamente continuo a tenere in considerazione la possibilità che sia stato uno scherzo telefonico.”

“Certo, Yuu… Però perché proprio il treno per Nagoya? Capisci cosa intendo?”

Continuarono a discutere per alcuni minuti, prima di salutarsi definitamente per tornare alle proprie mansioni. Ovviamente dopo quella conversazione la concentrazione per entrambi venne completamente a mancare. 



 

Ryo quel giorno compiva sedici anni.
Takanori viveva da lui da un po’, era bellissimo poterlo avere sempre con sé, così da stargli accanto come aveva sempre voluto fare. Quel giorno si era svegliato con la dolce sensazione della labbra di Takanori sulle sue, aveva aperto gli occhi per trovarselo davanti con il suo immenso sorriso. 

“Tanti auguri Ryo!” gli disse porgendogli un pacchettino. 

“Grazie, amore.” prese il regalo fra le mani e gli diede un tenero bacio.
Ryo si apprestò ad aprire il regalo, vi trovò dentro un biglietto. Guardò meglio: era il biglietto per il concerto dei Luna Sea che si sarebbe tenuto a gennaio dell’anno seguente. Ryo non riuscì a trattenere un urlo di gioia e abbracciò fortissimo Takanori. Ringraziandolo gli regalò un migliaio di baci.
Poi Takanori tirò fuori dalla tasca altri quattro biglietti.

“Ma Takachan, ti saranno costati una fortuna…”

“Non ti preoccupare Ryo, a giugno inizierò a lavorare. Questi erano gli ultimi soldi che avevo portato da casa, ma gli ho spesi per una giusta causa. Andremo tutti a vedere i Luna Sea!” disse, felice come un bambino. 

Ryo gli sorrise dolcemente. Era bellissimo vederlo così.

La sera i due avevano organizzato una piccola festa di compleanno insieme a Yuu, Kouyou e Yutaka.
Erano soli in casa, così i tre ragazzi avrebbero potuto fermarsi a dormire.
Passarono la serata a guardare film e a bere qualche birra, mangiarono una grandissima torta che la nonna di Ryo aveva cucinato e rimasero a ridere e a scherzare fino a tardi.
Poi Takanori aveva consegnato loro i biglietti del concerto, e per una buona mezz’ora si assistette ad una totale, gioiosa anarchia. Senza volerlo poi entrarono nel discorso della band.
Il problema rimaneva uno solo: un batterista.

“Alla fine abbiamo tutto: canzoni, strumenti, birre e un garage. Ma manca un batterista, accidenti.” concluse Ryo.

Yutaka parlò. “Io vorrei tantissimo far parte della vostra band, ma sapete benissimo che razza di turni ho a lavoro. Quando torno a casa la sera non mi viene neanche voglia di mettermi a suonare. Raramente mi capita di essere abbastanza in forze da suonare qualcosina per tenermi in allenamento.”

“Lo sappiamo, Yutaka. Lavori dalle otto del mattino fino alle venti, è ovvio che non possiamo chiederti nulla.” asserì Kouyou.

“E’ che mi dispiace moltissimo, non sapete quanto mi manca avere una band e suonare…”

“Eh, immaginiamo…” sospirò Ryo. 

“Chissà, un giorno rideremo di tutte queste paranoie.” sospirò Takanori.

Il silenzio s’impadronì dei cinque amici. 

“Io non voglio rinunciare al mio sogno, cazzo.” disse Ryo ridacchiando amaramente.

“Nessuno di noi lo vuole, Ryo…” sospirò Kouyou.

“Vorrei che il mio lavoro non mi assillasse in questa maniera, davvero…” intervenne Yutaka, ma venne interrotto da Yuu. 

“Basta, Yutaka. Non è colpa tua, d’accordo?”

La gioia che aveva occupato le precedenti ore finì lì.
Decisero che era giunto il momento di andare a letto, Ryo e Kouyou si premurarono di gettare via le lattine finite e di sistemare un po’ il salotto. Nonostante fosse disponibile anche la camera di Takanori, i ragazzi dormirono tutti insieme in camera di Ryo, dove la madre aveva precedentemente disposto a terra qualche vecchio futon.
Ma non si addormentarono. Avevano tutti e cinque paura che quel sogno sarebbe rimasto nient’altro che un sogno.
Al mattino si alzarono per mettere qualcosa sotto i denti. Takanori andò a farsi una doccia, mentre Yuu e Yutaka erano in cucina a mangiare. Kouyou e Ryo invece si stavano ancora rivestendo. 

“Ryo…” iniziò Kouyou dopo aver sistemato un ciuffo di capelli dietro l’orecchio.

“Sì, dimmi.” rispose Ryo chiudendosi la zip dei jeans.

“Dici che se gli chiedessi di uscire… Lui accetterebbe?” 

“Prima di chiedergli una cosa simile dobbiamo essere sicuri che almeno sia interessato a te…” sostenne Ryo.

“Sì, ma…” 

“Suggerimento da migliore amico: adesso vai in cucina a mangiare qualcosa e siediti accanto a lui. E opponi resistenza se ti dice che accanto a sé vuole Takanori.” e gli fece un scherzoso occhiolino.

Kouyou arrossì avviandosi verso la cucina, non prima di aver tirato un buffetto sul volto del migliore amico. Ryo attese in camera per sentire cosa accadeva in cucina. Sentì una sedia spostarsi e Yuu dire: “Oh, Kouyou ci degna della sua presenza a tavola!”

“Taci, vecchia.” disse Kouyou scherzosamente.

“COME MI HAI CHIAMATOOO??”

Sorrise, raggiungendoli. 

Vide i due lanciarsi leggeri schiaffi fra le risate, mentre Yutaka si rotolava dalle risate rischiando di soffocarsi con un biscotto. In cuor suo sperò che prima o poi quelle piccole battaglie in amicizia sarebbero diventate piccoli scherzi fra amanti.
Takanori gli raggiunse, con i capelli ancora bagnati. Vedendo la scena divenne parecchio divertito e disse: “Non stropicciarmi la vecchia, Kouchan!”

Se possibile Yuu impazzì ancora di più, lasciando per un attimo Kouyou e atterrando il migliore amico.
Iniziò a fargli il solletico, e Takanori cercava in ogni maniera di divincolarsi dal peso di Yuu, soffocando dalle risate. Yutaka intervenne per fermare Yuu, mentre Ryo aiutava Takanori ad alzarsi. 

“Dai, Yuu, devi arrenderti al fatto che sei il più vecchio di noi e che perciò ti prenderemo per il culo a vita!” asserì Yutaka, mentre Yuu si risiedeva accanto a Kouyou.

“Dovreste portarmi rispetto dato che sono vecchio.” disse incrociando le braccia al petto.

Un attimo di silenzio anticipò una fragorosa risata generale: Takanori sbatteva addirittura il pugno sul tavolo e Kouyou stava praticamente piangendo dalle risate. Anche a Yuu scappò da ridere  vedendo gli amici in quello stato.
Si ripresero tenendosi la pancia dolorante, e asciugandosi qualche lacrima.

“Stronzi.” sbuffò Yuu imbronciato. 

“Dai, ti abbiamo visto che ridevi anche tu!” gli disse Kouyou lanciandogli un’energica pacca sulla spalla.

“Ehi, ehi, piano… Questa è merce preziosa!”

Tutti ricominciarono a ridere, anche Kouyou, nonostante fosse arrossito parecchio. “Oh mi scusi, sua maestà.” gli disse.

Yuu lo guardò con un dolce sguardo, ridendo pure lui. Kouyou tentò in ogni maniera di non arrossire ancora di più. 



 

Yuu uscì da lavoro alle 17:30, in tempo per andare a prendere Kouyou in ospedale.
Le analisi svolte la settimana precedente non mostravano di nuovo nessuna anomalia, ed entrambi avevano l’animo sempre più leggero. Arrivati a casa vennero raggiunti da Ryo, il quale gli raccontò il sogno della notte precedente. Kouyou e Yuu si rivolsero un dolcissimo sguardo. Era bello sapere che Takanori faceva rivivere all’amico anche i primi approcci di Kouyou nei confronti di Yuu. 

“Che stupido che ero!” disse Yuu fra le risate. “Non mi accorgevo di avere l’amore della vita praticamente accanto a me…”

“Pensa io cos’ho dovuto passare.” asserì Kouyou sorridendo.

“Me ne hai parlato un migliaio di volte, amore.” e gli donò un bacio sulla guancia. 

Poi Kouyou disse, cambiando completamente discorso: “Oggi ero in sala d’attesa in ospedale, e c’era un televisore che proprio in quel momento stava passando il notiziario. Hanno finalmente detto la causa del decesso della ragazza che Yoshida ha ucciso.”
“Ah sì?” chiesero Ryo e Yuu quasi all’unisono.

“Sì. Diciamo che lei si era accorta molto presto dei strani comportamenti di Yoshida, e stava iniziando ad allontanarsi da lui. Ma è comunque stato troppo tardi per lei. L’ha scoperta, l’ha violentata, e poi l’ha uccisa a pugni e a calci.”

“Oh cazzo…” fu l’unica esternazione che riuscì a dire Ryo. Yuu rimase senza parole.

“Per fortuna la cosa è avvenuta in casa di Yoshida, ed è stata particolarmente rumorosa, dato che lei ha tentato di difendersi fino all’ultimo. I vicini prima di allora non sapevano cosa avvenisse in quella casa, e hanno allertato immediatamente la polizia. Scoprendo in seguito che non era la prima volta che Yoshida violentava o picchiava qualcuno.”

Ryo e Yuu rimasero increduli in silenzio. 

“Anche i suoi datori di lavoro lo avevano sempre considerato una persona tranquilla e tutto il resto…”

“Le bestie si nascondo nelle persone più insospettabili. Pensa al padre di Takanori.” interruppe Ryo. “Lui era un insospettabile. E pensa cosa faceva a suo figlio.” 

Ci fu un attimo di silenzio.

“Te l’avevo detto Ryo, che Arisa non era al sicuro. Pensa se fosse successo a lei.”

“Non me lo sarei mai perdonato.” sospirò Ryo.

“Per questo ti avevo avvertito, Ryo. Per questo.” 

Rimasero in silenzio, a pensare a quella remota possibilità che sarebbe potuta accadere. 

“Almeno lei è venuta da me in tempo e sono riuscito a salvarla.” disse Ryo poi. “Se lei non fosse venuta sarebbe stato peggio. Se lei non fosse venuta, molto probabilmente quella ragazza sarebbe stata Arisa. E adesso sarei qui a sentirmi in colpa.”

“Non è andata così, è l’unica consolazione.” concluse Yuu.

“Certo, ma una persona è morta comunque.” continuò invece Kouyou.

“Non possiamo farci niente, purtroppo.” disse Ryo. “L’importante è che ora quel coglione rimanga a marcire in prigione. Non si pentirà mai di quello che ha fatto, ma sono sicuro che tutte le persone che hanno sofferto a causa sua abbiano avuto la loro piccola rivincita.”

“Su questo non c’è dubbio. Penso che se Takanori lo sapesse, sarebbe felicissimo.” asserì Yuu. 

Di nuovo i pensieri tornarono a lui. 

“Cazzo, quanto vorrei sdoppiarmi per poter essere qui e anche a Nagoya!!” sospirò Kouyou stiracchiandosi.

“Lo vogliamo tutti, credo.”

Continuando a sperare, a fare progetti irrealizzabili per trovare il piccolo amico, venne l’ora per Ryo di congedarsi. Quando finalmente si coricò a letto non riusciva a pensare a nulla. Non dedicò nemmeno l’ultimo pensiero a qualcuno. Si addormentò di botto, in un sonno talmente pesante da non regalargli alcun sogno.


 

Yutaka entrò silenziosamente in casa.
Sentì il leggero russare della madre provenire dalla camera degli ospiti. Appoggiò silenziosamente il giaccone sul divano, raggiungendo la camera di Masako per posarle una leggera carezza sul viso. Poi andò nella sua stanza.
Yuko dormiva dolcemente, con una mano poggiata sul ventre.
Rimase a guardarla.
Non sapeva nemmeno più determinare quanto l’amava.
Ogni giorno ringraziava i Kami per averla conosciuta, per potersi permettere di dire che ora era al suo fianco, e che ci sarebbe rimasto fino alla fine. Le spostò un dispettoso ciuffo di capelli dal viso. Era bella, bella come poche persone al mondo lo potevano essere. Con quei grandissimi occhi, i lunghi capelli color inchiostro, quell’animo gentile.
Le posò un bacio sulla guancia prima di addormentarsi, con una mano su quella di lei, a protezione della piccola vita che cresceva incerta in lei. 

Quella notte finiva febbraio e iniziava marzo.
I boccioli di sakura si apprestavano ad aprirsi e a mostrare la loro straordinaria bellezza.
Altri ricordi sarebbero tornati?
O il dolce vento primaverile avrebbe finalmente riportato Takanori a Tokyo, o a Nagoya che fosse?
Nessuno di loro lo sapeva.
Forse solo il quinto membro mancante avrebbe potuto determinare delle risposte.
E mentre una persona dai lunghi capelli biondi aspettava Ryo nella stazione di Nagoya nei suoi sogni, un’altra molto simile viaggiava quella notte verso Kanagawa, nella realtà.








Mie bellissime <3
Succede che la baka scrittrice sottoscritta non ha nessuna voglia di studiare per l'ultimo esame di giovedì, e quindi che fa? Posta un capitolo nuovo con largo anticipo, ovviamente! 
In questo periodo ho rovinato ulteriormente la mia già mal avviata carriera universitaria, dato che qualcuno (a.k.a. il mio ragazzo) mi ha saggiamente convinta a guardare 'Supernatural'. Non l'avesse mai fatto! Io non sono persona avvezza a guardare serie TV et similia, e quindi mi sono fatta fuori quattro stagioni in due settimane. So che esistono persone che fanno di peggio, ma in quelle due settimane dovevo prepararmi per un esame ^^" Vabbè, quando una persona è baka non la puoi cambiare! (Però -in via del tutto confidenziale- Jensen Ackles si merita che io mi rovini la carriera universitaria! **)
Bando alle ciance, grazie mille a tutte voi per le magnifiche recensioni <3 Spero che questo capitolo vi piaccia, e anzi, spero che non troviate errori e in caso di segnalarmeli ^^
Ci si vede al prossimo capitolo, che penso posterò di mercoledì dato che avrò FINALMENTE finito gli esami (fino a settembre).
Un bacione a tutte voi <3
Yukiko H. 




 

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Capitolo 16
*** Amore. ***



Passò tutto il mese di marzo, e Ryo non aveva mai sognato Takanori. Mai. Nemmeno una volta.
Un’improvvisa mole di lavoro nata dall’annessione dell’azienda Kobayashi alla sua aveva bloccato l’influsso di ricordi.
Nel frattempo, le condizioni di Yuko iniziarono a stabilizzarsi, e le fu concesso di lasciare il letto e di ricominciare a vivere una vita normale, ma ovviamente con moltissime precauzioni; Yutaka non poteva essere più felice di rivedere la moglie leggermente ripresa.
Nessuna notizia invece da Takamasa: nei weekend gli era capitato di portare i figli nei parchi di divertimento delle città vicine, ma nulla. Assolutamente nulla. Gli era anche capitato di passare per Nagoya, ma anche quella volta fu un vero buco nell’acqua.
Kouyou invece si era ripreso completamente: il primario dell’ospedale gli disse che doveva tornare una volta l’anno per monitorare la situazione, ma che finalmente poteva riprendere la sua vita normale. Aveva trovato un piccolo impiego presso un ristorante, come cameriere. Se prima l’amore fra lui e Yuu era sempre crescente, ora era quasi esploso in tutta la sua incredibile grandezza.
Yuu andava orgoglioso del suo gladiatore, e più di una volta si era ritrovato a ringraziare mentalmente Ryo per il suo ritorno. Era troppo orgoglioso per dirglielo direttamente, ma Kouyou lo anticipò. I due migliori amici si abbracciarono come mai avevano fatto prima: ora si erano davvero ritrovati, ora sapevano veramente cosa uno poteva fare per l’altro. Si guardarono negli occhi con infinito affetto, come facevano in gioventù, e per un breve attimo si rividero molto più giovani, quando ancora tutto era da scrivere e da vivere. 

Era ormai aprile quando Ryo si sedette nel suo ufficio senza un migliaio di cartelle da analizzare e documenti da firmare.
Si stiracchiò godendosi quel po’ di calma dopo la tempesta.
Era sabato, sarebbe uscito dall’ufficio a mezzogiorno e sarebbe andato a bersi un caffè con Yuu e Kouyou, quindi sorrise.
Riguardò la foto, dopo tutto quel tempo in cui non ne aveva avuto possibilità. Posò una leggera carezza su di essa. Gli mancava tantissimo. Non aveva potuto nemmeno rivederlo nei sogni, non aveva nemmeno potuto godere di tutti quei bellissimi ricordi che avevano insieme.
Lasciò un breve ma intenso sospiro. Aveva paura di non poterlo veramente mai rivedere. Si ricordò delle parole di Yuu e annullò immediatamente quella paura. La signora Imura bussò in quel momento per portare i resoconti del mese.
Immergendosi nei documenti si dimenticò della nostalgia per Takanori. 


 

Era quasi Natale.
Takanori lavorava come cassiere in un piccolo ristorante fast food ad Harajuku, e la paga la dava sempre alla madre di Ryo.
All’inizio la donna non era d’accordo, ma poi Takanori riuscì a convincerla dicendole che lei gli aveva procurato un tetto sotto cui vivere, cibo da mangiare e un figlio meraviglioso, e che quindi quei soldi erano il minimo che poteva darle. La signora non ebbe dunque nulla da ridire.
Fra lui e Ryo le cose non potevano andare meglio.
Era però un periodo in cui Takanori si stava convincendo di fare pensieri particolarmente strani.
Stava andando per i sedici anni, Ryo invece era sulla soglia dei diciassette, e da quel bel ragazzino aggraziato stava pian piano uscendo un uomo. Quell’estate aveva spesso potuto vederlo senza la maglia addosso, o anche in casa quando usciva dal bagno dopo la doccia, e si ritrovava inevitabilmente ad osservare quel fisico tremendamente perfetto.
Ryo non faceva alcuna attività fisica; ma nonostante questo aveva un fisico molto asciutto. Inoltre, il fatto di dover reggere il peso del basso aveva fatto in modo che specialmente le spalle e i bicipiti fossero abbastanza muscolosi. Era da un po’ che Takanori si ritrovava a pensare a quanto poteva essere bello vivere appieno l’amore che loro due provavano. In poche parole: voleva fare l’amore con Ryo.
E si ritrovava spesso a combattere con la paura: tutto quello che aveva passato non gli permetteva di avanzare la proposta a Ryo. Ma più il ragazzo diventava uomo più si sentiva fisicamente attratto da lui. Si era consultato con Yuu, e ovviamente lui gli aveva detto che non doveva esitare ad avanzare la proposta a Ryo. Lo amava da morire, lo sapeva benissimo: ciò che lui era riuscito a dare a Ryo fino a quel momento era solo una minima parte di quello che in realtà avrebbe potuto dargli.
Si ritrovava a scrivere sul suo quaderno canzoni infinite per lui, e a volte gli scappava anche qualche canzone sulle sue non proprio innocenti fantasie. In realtà non ci vedeva nulla di male nel suo bramare: aveva spesso sentito dire che le persone innamorate fanno l’amore perché appunto si amano. Per loro due non era diverso.
Si amavano alla follia e il solo immaginare un futuro l’uno senza l’altro gli spezzava il cuore. Quel giorno di dicembre Takanori si era quasi del tutto convinto: doveva dirglielo a Ryo. Tornò da lavoro verso le due del pomeriggio, trovando Ryo intento a giocare con la playstation.

“Ciao Taka!” lo salutò il suo ragazzo poggiando il controller e correndo ad abbracciarlo.

“Ciao Ryo.” si scambiarono un bel bacio.

“Com’è andata la giornata?”

“Bene, dai, è stato stancante. Ovviamente adesso è pieno di gente per le compere natalizie.” Appoggiò la giacca di pelle sull’appendiabiti, chiedendosi come avrebbe potuto spiegare a Ryo ciò che da mesi bramava. 

“Dai, vieni, facciamo una partita?”

“Volentieri!” esclamò tutto contento Takanori, sedendosi accanto a Ryo e collegando un altro controller alla playstation.
Giocarono per qualche ora finché anche la madre di Ryo non tornò.
La aiutarono a svolgere qualche mansione casalinga, poi lei si dedicò a preparare la cena. Takanori sentiva che non era ancora il momento di agire. Aveva veramente paura della reazione di Ryo. Cenarono in tranquillità insieme a Yoshie e alla nonna, poi andarono entrambi in camera di Ryo. Si distesero sul letto e si abbracciarono stretti stretti, Ryo poggiava leggere carezze sui capelli di Takanori.
Il piccolo sentiva già il panico attanagliargli la gola: doveva dirglielo a tutti i costi, ma come?

“Ryo…” iniziò.

“Dimmi, amore.”

“Devo dirti una cosa, ma non so bene come spiegare…”

Ryo si fece attento. “Dimmi pure amore mio, non avere paura.”

Takanori divenne rossissimo soffocando una risatina imbarazzata.

“Dai, non farmi preoccupare! Sputa il rospo!” gli disse Ryo iniziando a fargli il solletico, Takanori iniziò a ridere chiedendo pietà. 

“Va bene, va bene.” disse Ryo smettendo di torturarlo. “Dimmi, dai.”

“Ok…” Takanori prese un profondo respiro. “E’ da un po’ che ci penso.”

“A cosa?” lo interruppe Ryo.

“Lasciami parlare, cavoli!”

“Scusa.”

Takanori rifletté un attimo. Poi disse: “Da quando stiamo insieme amore, mi sento molto cambiato. Credo di essere cresciuto, e… Credo che forse sto iniziando a superare tutto quello che ho passato.” Non era del tutto vero, ma era pur sempre una mezza verità.

Ryo gli sorrise, felice. 

“E… Da un po’ di tempo io… Io sto facendo dei pensieri strani.” disse tutto d’un fiato. Sapeva che questa sua ultima affermazione avrebbe sicuramente allarmato Ryo, cosa che infatti successe.

“Che vuoi dire?” gli chiese l’altro interdetto.

“Bè, voglio dire che… Voglio dire che ultimamente vorrei che tu m’insegnassi a fare una cosa. Mi hai insegnato a fare tante cose, e credo che questa sia una delle più importanti.”

“E cosa sarebbe, Taka?” chiese l’altro curioso ma anche preoccupato.

Takanori rimase in silenzio, non sapendo come mettere a voce i suoi desideri, sentendo la crescente preoccupazione di Ryo. Risentì il consiglio di Yuu: niente giri di parole; diglielo e basta. Ma se ne uscì con: “Nella mia vita ho solo conosciuto la violenza, e… So che tu invece mi puoi insegnare l’amore.” 

“Perché? Non lo sto facendo già?”

“Sì, certo… Però… Non so proprio come spiegartelo!” disse Takanori nascondendo il viso fra le mani. Ryo gliele spostò gentilmente.

“Provaci. Qualsiasi cosa va bene.”

“Voglio fare l’amore con te.” sbuffò velocissimo.

Ryo rimase di stucco, lasciandogli andare le mani. “Non posso Taka.” sospirò.

“Perché no?”

“Perché mi sono giurato che non ti avrei mai fatto del male, Taka!”

“E lo chiameresti farmi del male?!” chiese Takanori imbronciato.

“Sì! Perché ti farei tornare in mente tutto quello che ti hanno fatto passare gli altri! E io non voglio, d’accordo?”

“Va bene. Scusa.” rispose Takanori sentendo le lacrime riempirgli gli occhi. Rimasero in silenzio, abbracciati. Poi il piccolo si staccò.

“Vado a letto, amore, sono parecchio stanco.” 

“Va bene.” 

Si scambiarono un brevissimo bacio, poi Takanori scese dal letto, uscì dalla porta e la richiuse con delicatezza. Si asciugò una fugace lacrime andando poi in bagno per lavarsi.
Ryo si stava sentendo in colpa come poche persone al mondo, ma aveva un giuramento da rispettare, e lui non era tipo da tradire le sue decisioni. Sentì Takanori uscire dal bagno e chiudere la porta della sua camera. Sospirò spegnendo la luce.
Non voleva fargli del male. Proprio non lo voleva.
Takanori invece si rifugiò fra le coperte, stringendosi forte al cuscino e ordinandosi di non piangere. Si ordinò di non pensare mai più a quel desiderio. Essere una coppia significa anche rispettare i voleri dell’altro, pensò, anche se l’altro non era d’accordo. Si addormentò sentendosi triste, Ryo non l’aveva mai fatto soffrire, tranne in quel momento.
Si svegliò qualche ora più tardi sentendo qualcuno sedersi sul suo letto, si svegliò di colpo.
Vide Ryo seduto dandogli la schiena, guardava a terra. 

“Ryo…” bisbigliò appena.

“Anche io lo vorrei.” iniziò Ryo. “L’ho immaginato tante volte. Ma ogni volta vengo fermato dalla convinzione che ti farò del male. Per me sarebbe la prima volta, e non saprei nemmeno come fare…”

“Non puoi farmi del male, Ryo…” gli disse Takanori abbracciandolo, e appoggiando la testa sulla sua schiena.

“Cosa te lo dice, Taka? Lo sai che in caso contrario non me lo perdonerei mai!”

“Ryo… Se io ti dico che mi fai male, tu ti fermi. Le persone prima di te, se io chiedevo di fermarsi, se ne fregavano. Qui sta la differenza.” 

Ryo lasciò un breve sospiro. 

“Quelle persone non volevano che io stessi bene. Quelle persone volevano che io soffrissi fino all’ultimo. Tu non vuoi farmi soffrire.”

“No, infatti…” 

“E allora non devi avere paura. Per i motivi che ti ho elencato, è impossibile che tu mi faccia male.” Ryo si girò verso Takanori, regalandogli un dolce sorriso. 

“Allora proviamoci. Ti va?”

Takanori gli rispose con uno dei suoi immensi sorrisi.
Con dolcezza iniziarono a cercarsi, a donarsi candidi baci.
Accadde tutto con estrema lentezza, forse per colpa del timore, forse per paura di interrompere quell’attimo di magia. Si spogliarono della timidezza e dell’innocenza, cercando un segno ancora più tangibile del loro infinito amore.
La loro leggera danza iniziò e continuò pian piano, per non far udire ad estranei la bellezza dei loro sentimenti.
Si morsero, si rincorsero, si baciarono.
In un improvviso impeto la danza si fece più frenetica, l’intreccio dei corpi si fuse, quasi diventandone uno unico; ma due cuori battevano impazziti. Avidi cercarono ancora di più le loro labbra, scambiandosi baci più caldi del fuoco.
La danza s’interruppe nell’attimo in cui finalmente entrambi recepirono a pieno l’essenza del loro amore, e la pienezza di quel sentimento così puro. Stremati, si accasciarono l’uno sull’altro, donandosi l’ultimo caldo bacio.
Ryo appoggiò delicatamente la testa sul petto di Takanori, con il volto arrossato.

“Grazie.” disse il piccolo.

Ryo alzò il viso, avvicinandosi a quello di Takanori. Lo guardò con tutto l’amore che aveva. “Devo dirti una cosa, amore mio.”

“Dimmi.” rispose Takanori, accarezzandogli il viso.

“Ti amo.” gli sussurrò Ryo, per la prima volta. 

Takanori gli regalò un altro immenso sorriso. “Ti amo, Ryo.” sussurrò anche lui per la prima volta. Ryo gli sorrise, donandogli un bacio innocente. 

“Ora lo sai. Sai quanto ti amo.” gli disse Takanori.

“Anche tu…” sospirò Ryo, stringendolo fra le sue braccia. Si addormentarono così, riscaldati l’uno con il calore dell’altro. Takanori non era mai stato così felice in vita sua. Mai. 

 

Quando Ryo si svegliò, desiderò solamente tornare ad addormentarsi.
Voleva sognare di nuovo quel magico momento, voleva riprovare la dolce sensazione del corpo di Takanori sul suo. Ma capendo che il sonno non accennava a tornare, svogliatamente scese dal letto. Aprì le tende, e l’energico sole lo colpì.
Si sentiva felice, ma al contempo scoppiò in lacrime. Non capiva bene se stava piangendo dalla gioia o se stava piangendo per la mancanza. Si sedette sul pavimento davanti alla finestra, lasciando libero sfogo alle lacrime, non riuscendo a dar loro una spiegazione.
Sentì il campanello trillare, così si alzò e goffamente si asciugò le lacrime. Era in pigiama, così prese una vestaglia e se la infilò in fretta. Andò ad aprire, trovandosi davanti un gioioso Kouyou.

“Buongiorno!” gli disse l’amico stritolandolo.

“Buongiorno… Kou… Se solo… Mi lasciassi… Respirare!” riuscì a dire Ryo soffocando.

Kouyou lo lasciò andare ridendo, e Ryo lo fece entrare in casa. “Ti ho portato la colazione!” esordì, sedendosi a tavola.

“Che gentile, grazie!” disse Ryo improvvisando un sorriso e sedendosi anche lui. “Dove hai messo Yuu?”

“Non è voluto venire, voleva stare a letto… Ma Ryo, hai pianto?” gli chiese guardandolo in volto.

“No, ma che dici…"

“Suzuki non raccontarmi cazzate.” disse Kouyou esibendo uno sguardo parecchio serio. 

Ryo sospirò. “Ho pianto.” 

“Che è successo?” chiese Kouyou con una leggera punta di preoccupazione nella voce. Ryo allora gli raccontò cosa aveva sognato, senza ovviamente entrare nei particolari. 

“Non so perché mi sono messo a piangere, sono sincero. Mi sono svegliato ed è bastato questo a farmi crollare.”

“Forse perché non volevi che il sogno finisse.” dedusse Kouyou appoggiando la testa su una mano. 

“Probabile. E’ stato un sogno meraviglioso.”

“Sai, ho notizie da Tokushima.”

“Sì?” disse Ryo risvegliandosi. 

“Sì. Takamasa cerca di passare più che può a Nagoya. Ovviamente non ha ancora cavato un ragno dal buco, ma forse con la perseveranza…”

“Se devo essere sincero, Kou… Ho paura che non ci aspetti a Nagoya…”

“No, Ryo. Non devi pensare negativo. Ok?”

“Ci sto provando.”

“Anche per me è stato difficile pensare positivo quando ero malato. Tu devi fare lo stesso. Se davvero vuoi riavere Takanori, devi continuare a sperare e a pensare positivo. Basta pensare a che dolce ricordo ti ha donato stanotte. Lui ti rivuole, ad ogni costo. E so che anche tu lo rivuoi.”

Ryo annuì.
Kouyou lo esortò a mangiare e a cambiarsi, voleva fare un giro per Tokyo come quelli che facevano quando erano più giovani. Ryo accettò di buon grado. Era da molto che non tornava a Shibuya ed a Harajuku in particolare, così non appena ritrovò alcuni dei negozi che frequentava da giovane, non riuscì a trattenere un dolce sorriso.
Essendo domenica, Kouyou e Ryo poterono vedere gli innumerevoli giovani in cosplay ed abiti visual kei. Quanto avrebbe voluto indossare di nuovo quegli abiti che da giovane aveva tanto amato. Kouyou e Ryo si scambiarono uno sguardo, ricordando che un tempo anche loro facevano parte di quei ragazzi, di quei ragazzi che non volevano far parte della società giapponese, che volevano essere diversi. Ma ora, erano diventati parte di quella società.
Ryo sperò in cuor suo che quei giovani sul ponte riuscissero a realizzare i sogni che aveva infranto anni prima. Riaccompagnò poi Kouyou a casa. Salì per salutare Yuu e bevvero un caffè, chiacchierando.
Suonò il telefono, Yuu andò a rispondere.

“Moshi moshiiii.” disse.

“Vecchia, sono Yutaka.” 

Yuu cercò di non arrabbiarsi. “Yucchan, dimmi!”

“Indovina dove sono?”

“Uhm, non lo so.”

“A Nagoya. Ho lasciato Yuko riposare e ho portato la piccola in un parco.”

“Ah, ottima idea.” disse Yuu felicemente.

“Ho preso il treno per venire, così, giusto per essere sicuro.”

“E?”

“E niente, Yuu, niente di niente. Fra poco torno verso Tokushima, Masako è stanca.”

Yuu sentì la vocina della piccola asserire che non era per niente stanca e voleva giocare ancora, poi disse: “Bè, sai che se vedi qualcosa devi avvertirci.”

“Lo so, infatti. Salutami gli altri."

“Sicuramente! Ciao Yucchan.”

“Ciao Yuu.” 

Gli altri due lo stavano guardando speranzosi, scosse la testa, e i due lasciarono un breve sbuffo.
Yuu tornò a sedersi insieme a loro, ma il silenzio fece loro da padrone. Ryo sperava che in qualche modo Takanori si facesse vivo per riconfermargli la sua presenza a Nagoya, prima o poi. Si congedò verso l’ora di cena, nonostante le insistenze di Kouyou a rimanere.
Ritornato a casa, Ryo si stese sul letto, guardando il soffitto. Ricordò per una attimo le dolci sensazioni del sogno. La prima volta che lui e Takanori si scambiarono il loro amore, la prima volta che gli confessò tutto il suo amore per lui.
Il sonno lo colse, dolcemente.





Mie adoratissime <3
Scusate se non rispondo alle vostre recensioni, ma ho trovato un collegamento internet di fortuna per aggiornare, ergo non riesco a rispondervi a tutte. Scusatemiii çç
Per quanti riguarda il capitolo, sì, questo è il mio preferito. Non so bene come accidenti ho fatto a scriverlo. Sta di fatto che dopo averlo riletto per l'ennesima volta da quando l'ho scritto a oggi che lo pubblico, rimane il più perfetto e il meglio scritto. Ovviamente sta a voi dirmi se vi è piaciuto così come è piaciuto a me <3 Null'altro da dirvi, se non GRAZIE e ci sentiamo a mercoledì prossimo (sperando di aver un buon collegamento internet stavolta ^^")
Un bacione a tutte voi <3 
Yukiko H. 

P.s.-Prima che me ne dimentichi, ormai mancano quattro capitoli al finale, quindi non disperate! Arriverà! ;)

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Capitolo 17
*** Decisioni definitive. ***


*Si consiglia l'ascolto di 'Leaves' dei The Gathering, scoprirete leggendo il perché <3*
 



“Non ci posso credere!!” strillò Kouyou dimenandosi.
I cinque amici erano al concerto dei Luna Sea. Ognuno dei cinque aveva comprato la maglietta all’entrata, e ora si era guadagnati, con molta fatica, la prima fila. Kouyou stava letteralmente abbracciando la transenna che lo separava dal palco su cui si sarebbero esibiti i suoi eroi, imitato da Yutaka. Takanori era felicissimo e mostrava a tutti il suo meraviglioso sorriso. Anche se non era la band preferita di Yuu, era comunque felice e si lasciava fotografare da Kouyou con un sorriso a trentadue denti. Ryo si era praticamente piantato davanti alla transenna in maniera che nessuno gli fregasse il posto. Si era strategicamente posizionato davanti al bassista, il suo supremo idolo ed inspiratore. Non aveva indossato la maglia perché dentro quel posto faceva fin troppo caldo, mostrando una canotta bianca. 

“Ryo!” lo chiamò Takanori, si girò e vide Kouyou con la macchina fotografica in mano. Lo prese forte fra le braccia e lasciò che il flash della macchina lo accecasse per un attimo. I due si guardarono e si scambiarono un dolce bacio.
Attesero ore, fermi nella loro posizione, perché nessuno osasse portare loro via il posto.
Quando finalmente le luci si spensero, un enorme urlo si alzò dai cinque ragazzi. I Luna Sea fecero la loro entrata trionfale sul palco, incitati dai loro fan. Quella notte ‘I for You’ divenne la canzone di Ryo e Takanori. Non si smisero di guardarsi nemmeno un attimo su quelle note, mentre Kouyou continuava a cantare a squarciagola le parole stando appiccicato a Yuu più che poteva.
Quando il concerto finì, tutti e cinque si diedero un fortissimo abbraccio: finalmente avevano realizzato uno dei loro più grandi sogni. Uscirono stremati e felici dalla piccola live house, stringendosi nelle loro maglie, ridendo e spingendosi ancora increduli. Quella sera sarebbero rimasti tutti a dormire a casa di Yutaka, che era la più vicina alla live house dove si era tenuto il concerto.
Anche se piccolino, l’appartamento di Yutaka era molto carino e confortevole. Si addormentarono tutti e cinque sul piccolo divano da tre. Il mattino seguente si svegliarono verso le dieci; era domenica e quindi poterono prepararsi con estrema calma.
Yuu e Kouyou furono i primi a svegliarsi. Mentre si stiracchiavano, si rivolsero un breve sguardo. Kouyou moriva per lui; Ryo nei precedenti mesi l’aveva riempito di consigli e lui gli aveva seguiti tutti, uno ad uno. 

“Caffè?” chiese dunque l’assonnato Kouyou.

“Volentieri.” rispose l’altro tornando a distendersi sul divano, per nulla sveglio.

Così Kouyou si alzò per preparare del caffè. Venne poco dopo raggiunto da Yuu, ancora in versione zombie, che si sedette su una sedia appoggiando la testa sul tavolo. Kouyou fece un debole sorriso, mentre il caffè era ormai quasi pronto. Versò il liquido in due tazzine che aveva trovato nel piccolo armadietto sopra il lavandino, e ne diede una a Yuu, portando poi sul tavolo anche lo zucchero. Gli altri tre ragazzi dormivano ancora profondamente, così fecero in modo di non svegliarli mentre mescolavano il caffè allo zucchero. Yuu bevve il caffè e miracolosamente riacquistò tutte le sue funzioni vitali. 

“Ah, io amo il caffè.” disse, finalmente sveglio.

Kouyou fece un breve sorriso sorseggiando la bevanda. Yuu rimase a guardarlo per qualche attimo. Kouyou aveva i capelli lunghi lasciati sciolti, che ricadevano sulle sue spalle e scendevano poi sul petto. Il nero inchiostro stonava appena con il candore della sua pelle. Indossava la maglia del concerto della sera prima, sopra aveva messo una felpa nera abbastanza grande per la sua taglia. Era pur sempre la grazia fatta persona, anche se non indossava i suoi soliti vestiti. Yuu rinvenne dai suoi pensieri.
“Kou.”

“Dimmi.” gli rispose l’altro sorridendogli.

“Devo chiederti una cosa.”

“Sì?” l’altro divenne curioso.

“Ti andrebbe di uscire con me una sera?”

Se Kouyou avesse potuto correre per casa urlando dalla gioia, l’avrebbe fatto più che volentieri. Ma mantenne il suo usuale contegno, rispondendo con un educato “Sì.” Non vedeva l’ora di parlare con Ryo.

Yuu gli sorrise. “Magari… Mercoledì?”

“Sì, si può fare, non ho nulla da studiare.” mentì Kouyou sapendo benissimo che giovedì avrebbe avuto verifica di fisica.

“Bene.” concluse Yuu alzandosi e assentandosi per andare in bagno. 

Non appena superò la porta della cucina, Kouyou strinse forte i pugni lanciando un silenzioso urlo. Gioioso come non mai corse a scuotere Ryo dai suoi sogni.

“Ryo! Ryyyyo!!” diceva mentre lo strattonava per un braccio. Il primo a svegliarsi fu ovviamente Takanori, che vedendo l’amico così gioioso intervenne per svegliare il suo ragazzo. Ryo aprì un occhio alla volta, cercando di focalizzarsi sulla realtà, poi mugugnò qualcosa e fece per girarsi dall’altra parte, ma Kouyou lo bloccò prima, costringendolo a guardarlo.

“Kou… Mpffmmm…” borbottò Ryo.

“Yuu mi ha chiesto di uscire!” gli disse Kouyou gioiosamente. 

“Mmmh… Cosa??” chiese Ryo leggermente più sveglio.

“Mi hai sentito.” 

Takanori guardava il corvino con un’espressione felice ed incredula ad un tempo. “Ce l’hai fatta insomma!” 

“Oh, non voglio correre con le aspettative.” rispose Kouyou sorridendo.

Takanori lo strinse a sé. “Non ti devi preoccupare, Kouchan, appena vengo a sapere qualcosa ti rivelerò tutto.”

Kouyou soffocò un ‘grazie’ prima di essere stretto anche da Ryo. In quel momento si svegliò anche Yutaka, che, vedendoli abbracciati, non capì cosa accidenti stava succedendo. Venne coinvolto nell’abbraccio da Ryo. Kouyou sentì l’equilibrio venirgli meno.

“Ragazzi… Sto cadendo…” 

Ma si sentì sorreggere da una quinta persona, si girò appena per vedere Yuu dietro di sé e arrossì tantissimo.

“A cosa devo questo abbraccio generale?” chiese lui.

“Oh, niente.” rispose Takanori mostrandogli la lingua. 

“Ci vogliamo bene e allora ci abbracciamo!” gli rispose Yutaka con il suo meraviglioso sorriso.

Pochi giorni dopo, quello stesso mercoledì dove Kouyou e Yuu sarebbe finalmente usciti insieme, Ryo era a casa di Kouyou per fargli mantenere la calma, dato che ogni abito che lui possedeva non era quello giusto e i suoi capelli non volevano arrendersi al supremo potere della piastra. Il campanello suonò, si guardarono curiosi. La sorella più grande di Kouyou andò ad aprire, richiamando il fratello per venire ad accogliere il suo amico Yutaka. Kouyou e Ryo raggiunsero la porta di casa.

“Yutaka, che succede?”

“Niente, io volevo assicurarmi che stesse andando tutto bene!”

Ryo soffocò una risata sarcastica, mentre Kouyou ricominciava a dilungarsi nei suoi mille problemi. 

Poi Yutaka esordì con: “Devo dirvi una cosa importantissima.”

“Cioè?” chiesero gli altri due in coro.

“Mi sono licenziato.”

“COSA??” chierese sempre in coro.

“Sì. Ho deciso che cercherò un lavoro meno assillante. Voglio essere il vostro batterista, voglio formare quella maledetta band.” 

Ryo e Kouyou sorrisero. 

“Non posso rinunciare ai miei sogni in questa maniera.”

 

E fu così che si formarono i Gazetto, molto faticosamente.
Innanzitutto doverono portare tutte le cose nel garage di casa di Kouyou, batteria compresa, poi Takanori fece una veloce selezione delle canzoni migliori che aveva creato e le consegnò agli altri, anche se per un po' di tempo si dedicarono a varie cover delle loro band preferite.
La ragazza di Yutaka veniva sempre ad ascoltarli e a dispensare gentili consigli. L’appuntamento di Yuu e Kouyou era andato particolarmente bene, e infatti iniziarono a vedersi molto più spesso. Takanori rivelò che in effetti Yuu iniziava a sentirsi decisamente attratto dal ragazzo, e a queste parole Kouyou retoricamente svenne dalla gioia. 

E fu allora che tutto cambiò.

Una stazione modernissima, una limpida giornata di sole. I cartelli indicavano sempre Nagoya. Lui e quella persona dai lunghi capelli biondi si tenevano per mano. Il biondino stava ridendo di gusto, e anche lui si sentiva molto felice.
“Quando tornerai?” chiese, guardando il biondo davanti a lui.

Ci fu un attimo di silenzio.

Il biondo disse: “Fra poco inizia maggio! Ed è anche il tuo compleanno!” 




 

Non gli restava nient’altro da fare.
Tutti quegli anni erano passati e non aveva mai avuto il coraggio di prendere una vera decisione.
Ascoltava “Leaves” dei The Gathering, rimuginando su quelle parole.

“I close your eyes with my mouth

Now you don’t see anything

but you feel my breath all over

I can feel you too

Although I don’t really know you

I don’t really care

Cry with me, make my day

Tomorrow all will be gone

All the sweetness and all the fun

No, I don’t wanna know

Now that you’re gone I don’t know

How to really feel inside

Baring the hope to see you again

I guess I never will

Now that I do really know you

Yes, I really care!”

 

Sapeva una sola cosa: Nagoya. Nient’altro.
Spense l’mp3 di colpo troncando la bellissima voce di Anneke van Giersbergen.
Raggiunse la biglietteria, frugò nelle tasche per trovare qualche yen.
Aveva finalmente preso una decisione. 




 

“…e così il medico le ha detto che può ricominciare del tutto a vivere una vita normale, ma ovviamente con moderazione.”

“Questa è una grandissima notizia!” esclamò Yuu reggendo la cornetta del telefono con una spalla mentre con l’altra sfogliava l’immenso album fotografico che custodiva in casa. “Ti sentirai più tranquillo, immagino.”

“Assolutamente.” disse Yutaka felicemente.

“Ah sì, ho una notizia importante da Ryo.”

“Dimmi.”

“Stanotte ha sognato di nuovo quella cosa della stazione, e sembra che dovremmo attendere Takanori a maggio.” 

“Ah sì? Maggio inizia appena fra tre giorni!!” esclamò Yutaka ancora più contento di prima.

“Infatti. Prova a chiedere a Takamasa, noi vorremmo moltissimo togliergli il peso di questa importantissima missione, ma sia io che Kou lavoriamo e nel weekend, e lui ha i turni.”

“Ma figurarsi, Takamasa non si dà pace. Deve trovarlo e basta, quindi penso che lo se spediamo a Nagoya un’altra volta non gli darà alcun dispiacere.”

“Spero, perché noi vorremmo veramente venire giù… Poi Ryo anche lui ha sempre casini a lavoro: credo di aver capito che una delle ditte con le quali aveva un contratto è fallita e rischia di portare giù anche lui….”

“Cazzo! Bè, ma alla fine lui ha un mestiere particolarmente importante, quindi…”

“Ehi, quando torni a Tokyo?”

“Veniamo per la Golden Week, il ristorante è chiuso in quei giorni.”

“Bene, allora io ti aspetto!”

Si salutarono e Yuu chiuse la chiamata, tornando a ciò che stava cercando.
Era convinto che ci fosse un motivo perché Takanori sembrava voler tornare proprio a Nagoya, e qualcosa gli diceva che la risposta l’avrebbe trovata in una di quelle foto. Ricominciò ad analizzare le foto, una ad una.
La risposta la trovò infatti in quella foto dove Ryo lo stava sollevando da terra. Dietro di loro infatti, su un cartello, c’erano tre kanji leggermente sfocati, ma sforzando bene la vista si poteva facilmente intuire che quella scritta diceva ‘Nagoya’.
Si ricordò l’occasione di quella foto: era uno degli ultimissimi scatti che Kouyou fece di loro due prima che si scatenasse l’inferno. Erano andati a Nagoya per un concerto di una piccola band emergente dei tempi, che però tutti e cinque apprezzavano particolarmente.
Forse era per quello che Takanori voleva assolutamente ricominciare da Nagoya, lì dove le cose avevano decisamente iniziato ad incrinarsi. Chiuse l’album e stiracchiandosi decise di raggiungere Kouyou a letto per farsi una bella dormita. 

 



“La situazione è estremamente grave, signor Suzuki. L’azienda Nakatomi rischia seriamente di portare anche noi in rosso.”

“Mi sembra parecchio strano dato che abbiamo altre innumerevoli e proficue alleanze…” insistette Ryo, guardando dritto negli occhi il suo vice.

“Ha guardato i resoconti del mese?”

“Gli ho analizzati nel minimo dettaglio, Yasuda san. A mio giudizio non c’è assolutamente nulla di cui preoccuparsi. Se alla morte, il signor Nakatomi ha preferito far affogare l’azienda facendola ereditare al scapestrato figlio maggiore, non possiamo farci nulla. Noi possiamo stare tranquilli. Fra le mani ho la proposta di un’ambiziosa collaborazione con la società Satou.”

L’uomo davanti a lui si tolse gli occhiali, incredulo. “Sta scherzando, spero.”

“Assolutamente no, Yasuda san. Si rende conto che se otteniamo questa collaborazione diverremo una delle più grandi aziende in Giappone nel nostro campo?”

“Assolutamente, signor Suzuki! Assolutamente!” disse l’altro particolarmente scosso. 

“Quindi non c’è nessun motivo di cui preoccuparsi. Faremo in modo che la collaborazione sia nostra.”

Decisero alcuni piccoli dettagli poi si salutarono con un inchino.
Ryo rimase finalmente solo.
Il colloquio con il suo vice era durato quasi tre ore, poté prendere un lungo respiro e stiracchiarsi.
Sembrava essere l’unico meno preoccupato dopo il fallimento della società Nakatomi, e quindi oltre a gestire la normale amministrazione dell’azienda doveva anche calmare gli animi, assicurando che sarebbe andato tutto bene. Non aspettava altro che l’inizio della Golden Week per andare a Nagoya a cercare Takanori.
Gli rivolse per un attimo uno sguardo. Gli mancava, gli mancava troppo. Fece un lungo e profondo sospiro. 


 

Il Showa Day finalmente arrivò, Ryo chiuse come ogni anno l’azienda per permettere ai suoi colleghi di prendere una meritata settimana di vacanza, lontano dai pensieri del lavoro e degli ultimi avvenimenti. Anche per lui finalmente giungeva il momento di prendersi una pausa e iniziare ad organizzarsi per andare a Nagoya. Corse come sempre a casa di Kouyou, dove venne accolto caldamente.

“Pensavo di andare a Nagoya.”

“Come vuoi, Ryo, in realtà abbiamo sentito Yutaka ieri l’altro e lui viene a Tokyo durante la Golden Week.” avvertì Kouyou.

“Ma cazzo! Non possiamo farcelo sfuggire!” disse Ryo stringendo i pugni.

“Ryo, non devi preoccuparti!” gli disse Kouyou prendendo i pugni di Ryo fra le sue mani. “C’è Takamasa ad attenderlo…”

“Ma voglio andare io a prenderlo! E’ importantissimo!”

Kouyou fece un breve sospiro. “E’ meglio se rimani qui con noi, Ryo.”

“Perché?!” chiese l’altro infastidito.

Yuu e Kouyou si rivolsero un breve sguardo triste. “Anche se noi ci ostiniamo a pensare positivo com’è giusto che sia, preferisco che tu rimanga qua. Perché se magari Takanori non ci sarà… Per te sarò un colpo fin troppo duro da sopportare. Anche se siamo positivi io e Yuu vogliamo tenere in considerazione questa possibilità.”

Ryo sbuffò leggermente alterato. “E tu che però mi dicevi che sarebbe arrivato e basta, e che devo solo pensare positivo!” 

“Ryo, devi pensare positivo!” lo squadrò Kouyou con cipiglio severo. “Il problema è che esiste l’eventualità. Metti che tutte le nostre supposizioni fatte finora siano sbagliate. Se Takanori non si fa trovare in stazione per tutto maggio, potresti ucciderti!”

Ryo ammise a se stesso che in fondo Kouyou aveva ragione. “D’accordo allora. Rimarrò qui.”

“Lasciamo Takamasa svolgere le ricerche. Anche perché direi che lui ha un pochino più di priorità, dato che è suo fratello.”

Ryo annuì. Si salutarono qualche ora dopo, con la promessa di rivedersi l’indomani. 

 

Aprile volgeva al termine, maggio era alle porte.
Guardò il biglietto che aveva in mano.
Ancora pochi giorni e avrebbe raggiunto Nagoya.
Solo pochi giorni.

 











Donzelle!! **
Potevo rispettare la mia promessa che avrei postato il mercoledì? Ovvio che no! Sono un disastro, ditemelo çç
Di chi sarà mai il POV che si è improvvisamente aggiunto in questo capitolo? <3 E la canzone vi è piaciuta? Non sapete quanta ispirazione mi dà, ho scritto tre quarti di FF con quella canzone in sottofondo ** (L'altra canzone che ho ascoltato di più è stata 'Calm Envy', mi aiuta tantissimo **). Magari la prossima storia che pubblico mi segno anche la colonna sonora, così potete provare ad ascoltare una particolare canzone mentre leggete ^^ Che altro, spero che il capitolo vi sia piaciuto e al solito vi ringrazio per le bellissime recensioni che come sempre mi lasciate <3 
Mi fa male pensare che mancano solo tre capitoli alla fine çç 
Un bacione a tutte voi, vi voglio bene!! **
Yukiko H. <3


 

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Capitolo 18
*** Un cerchio si chiude. ***


 

Poco dopo il diciannovesimo compleanno di Ryo, tante cose avvennero.
Prima di tutto Kouyou e Yuu si misero insieme. Ma la cosa avvenne a marzo, e fu una delle più felici che avvennero quell’anno: fra queste vi era anche la band, che andava a gonfie vele e pian piano i ragazzi cercarono di trovare qualche localetto dove farsi notare.
Fra quelle più spiacevoli si può annoverare Yutaka e la ragazza, i quali si lasciarono a luglio; mentre da un po’ di tempo Takanori aveva un comportamento strano. Era molto distaccato dagli altri, specialmente da Ryo; quasi non si confidava più con Yuu o Kouyou. Ovviamente Ryo non riusciva a darsi pace: sfortunatamente Yuu non poteva essergli d’aiuto perché Takanori non gli rivelava nulla di quello che stava accadendo in quei giorni. Era più muto di una tomba. Certo, veniva sempre a cercare l’affetto di Ryo, ma quest’ultimo lo sentiva freddo, staccato. E non riusciva a capire che diamine stesse succedendo.
Questo durò per molto, moltissimo tempo. Nel frattempo sia Kouyou che Ryo conclusero il liceo, ma decisero di trovarsi un lavoro. Ryo più che altro voleva andare a vivere da solo con Takanori, non aveva voglia di studiare e poi c’era la band. Andava tutto talmente bene che divennero una band emergente parecchio famosa. Si mormorava che presto avrebbero ottenuto un contratto discografico; tutto ciò fino al diciannovesimo compleanno di Takanori, quando le cose iniziarono decisamente a degenerare.
Sembrava che gli unici momenti di affetto che Takanori riservasse a Ryo avvenissero quando c’era da scattare una fotografia, o quando Yuu faceva troppe domande sul suo strano comportamento. La realtà era una sola: da un po' di tempo Takanori si stava chiedendo com’era il mondo fuori da quella bellissima bolla che il suo ragazzo e i suoi amici avevano costruito appositamente per lui. Ovviamente era tuttora felice che ciò fosse avvenuto, sapeva che l’amore che provava per Ryo era immutato. Però, questa curiosità lo turbava.
A lavoro aveva conosciuto un ragazzo molto simpatico e molto somigliante a Ryo; si infatuò. Questo ragazzo si chiamava Matsuhiro, e lavorava con lui. Pian piano aveva iniziato a chiedersi se ora che era diventato grande il mondo là fuori era cambiato, se ora poteva andare in giro senza che Ryo lo proteggesse. E Matsuhiro sembrava essere la sua unica via di fuga.
Iniziò a convincersi che quella bolla non gli serviva, iniziò a staccarsi da Ryo, dagli amici, divenne taciturno, prese a passare sempre più tempo con il suo collega. Poco prima del suo compleanno iniziò a convincersi addirittura di non essere più felice al fianco di Ryo.
Tutto questo per cercare di capire com’era il mondo là fuori, oltre quella bolla di sicurezza, oltre quel piccolo mondo che fino a quel momento l’aveva protetto e fatto crescere.
La situazione diventava sempre più insostenibile, Ryo non sapeva più dove sbattere la testa. Non sapeva veramente che fare. Aveva paura: se Takanori non parlava più con il migliore amico, come avrebbe potuto pretendere che parlasse con lui? Kouyou lo spronò: dovevano confrontarsi.
E così un giorno di marzo tornò da lavoro, trovando Takanori nella sua stanza, disteso sul letto, a leggere una rivista.

“Ciao Taka.”

“Ciao Ryo.” lo salutò sorridendo.

“Dobbiamo parlare.” attaccò subito Ryo sedendosi di fronte a lui.

A quel punto Takanori divenne bianco come un lenzuolo. “S…Sì…”

“Si può sapere che cazzo ti sta succedendo in questi mesi, Taka? Siamo tutti preoccupati, non capiamo che cazzo abbiamo fatto perché tu sia così!” iniziò Ryo con tono preoccupato.

Takanori iniziò a sentire il panico attanagliargli la gola. “V-Voi non avete fatto niente!” disse.

“E allora che succede??” lo aggredì Ryo.

Non poteva assolutamente raccontargli cosa stava succedendo, proprio no. Abbassò lo sguardo. Che altro poteva dirgli, se non la verità? “E’ un periodo un po’ particolare per me…” iniziò.

Ryo rimase in ascolto, con cipiglio preoccupato.

“Mi sto chiedendo com’è il mondo ora che sono cresciuto… Sono sempre qui con voi e mi garantite la protezione di cui ho sempre avuto necessità. Ma adesso, io vorrei… Ecco… Uscire da questa protezione, sì. Vedere se fuori il mondo è ancora una merda come lo era prima di conoscerti, Ryo. Ecco…”

“M…Ma Taka… Come… Come…”

“Ho conosciuto un tipo.” ricominciò Takanori, facendo morire le parole in gola a Ryo. “Si chiama Matsuhiro, lavora con me. Lui mi sembra parecchio simpatico e…”

“E?” incalzò Ryo, temendo il peggio.

“E… Lui sembra una persona buona con me, come lo siete voi. E…”

“Ti piace, non è così?” chiese Ryo fermamente. Sentiva già le lacrime invadere il suo campo visivo, ma le ricacciò prontamente indietro.

Takanori annuì.

Ryo rimase pietrificato da questa confessione. Una delle sue più grandi paure erano diventate realtà.

“Non sto dicendo che non ti amo più, amore…” ricominciò Takanori, lasciando le lacrime scorrere libere per la tristezza. “Ma lui mi piace… Vorrei non fosse così…” pronunciò l’ultima frase in un bisbiglio, inudibile da Ryo.

“Vorresti provare a stare con lui?” chiese Ryo, con quel tono fermo che in quel momento faceva parecchia paura a Takanori.

“Sì, ma io non voglio lasciarti!” disse, tremando per trattenersi dal scoppiare in lacrime. “Io… Io ti amo Ryo, ma… Ma… Ho questa necessità e non so come frenarla!”

“Ho capito, Taka. Ho capito.” disse Ryo non potendo più trattenere le lacrime.

“No Ryo, non hai capito.” insistette il piccolo per poter ricominciare a spiegare.

“Sì, invece.” lo interruppe l’altro. “Però devi sapere che io non posso continuare a stare con te sapendo che tu esci con un altro ragazzo.” disse fermamente. 

“Possiamo, che ne so… Darci del tempo, così magari mi schiarisco le idee e….”

“Non se ne parla, Takanori. No. Io non posso sopportare l’idea che tu vada con un altro ragazzo per poi tornare da me!” iniziò ad alterarsi Ryo, per l’immenso dolore che provava.

Takanori tacque definitivamente.

La verità era emersa davanti alla persona che amava di più al mondo, e si vergognava così tanto di avere quel bruciante desiderio in sé. Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro. Troppo tardi. E il silenzio era la sua unica arma di difesa in quel momento, proprio come quando viveva ancora con suo padre. 

“Tu vuoi vedere se là fuori non c’è più tuo padre o Yoshida.” ricominciò Ryo, mantenendo il tono di voce nonostante stesse piangendo come un bambino. “Allora vai. Io non posso fermarti, se tu lo vuoi così tanto, vai allora.” 

“Ryo…”

“Dimmi soltanto una cosa, una sola.”

“Cosa, Ryo?”

“Sinceramente. In questi ultimi tempi… Sei stato felice con me?”

Takanori sapeva benissimo che non c’era stata una sola volta in cui non era stato felice con Ryo, lo sapeva perfettamente e se l’era ripetuto mille volte quando faceva di tutto per staccarsi da lui. Se lo ripeteva perché quel suo desiderio a volte gli faceva veramente troppa paura. Ma la sua bocca pronunciò la parola sbagliata.

“No.” rispose dunque.

Ryo lasciò andare un sospiro, smettendo improvvisamente di piangere. Sentiva il cuore diventare polvere, non c’era più nemmeno bisogno di piangere, stava troppo male.

“Vai.” gli disse. “Se non sono più capace di farti felice, allora è finita. Mi sono giurato di farti felice, e se non sono più in grado di adempire al mio giuramento, allora chiudiamo qui.”

Takanori fece per ribattere, per ammettere che stava dicendo un mucchio di stronzate, che non era vero che non era felice, ma Ryo si alzò e andò via, chiudendosi la porta di casa alle spalle.
Takanori si sentiva una merda, una vera merda. Si accasciò sul letto piangendo. Sapendo bene che il danno era enorme, si affrettò a sparire dalla casa di Ryo.
Quest’ultimo invece dopo essersi fatto un giro per schiarirsi le idee, sperava che tornando a casa lo avrebbe trovato ancora lì, per parlare, per sistemare le cose. Ma non trovandolo, capì che ormai il suo Takanori era volato via lontano, e che molto probabilmente non sarebbe mai, mai tornato. Quella notte decise di chiudere con tutti, anche con i suoi amici. Non voleva più nessun segno di Takanori nella sua vita, nessuno. Così prese quelle foto che gli aveva regalato il giorno del suo diciannovesimo compleanno, e scese in giardino.
Erano le due del mattino. Ryo ammucchiò le foto vicine, con un fiammifero si accese una sigaretta, poi lo gettò nel mucchio e appiccò il fuoco. Tutti quei momenti iniziarono a bruciare, uno dopo l’altro.
Ryo si accorse di non provare più nemmeno dolore, fumava la sua sigaretta e addirittura con disprezzo rimase a guardare le foto bruciare. Se ne salvò una sola: all’inizio voleva riservarle un trattamento speciale, versandoci sopra dell’alcol e bruciandola perché sparisse, ma in un ultimo impeto di dolcezza decise di conservarla, solo quella.
Le altre erano cenere, cenere che il vento impetuoso di quella sera sparse per Tokyo.



Il mattino dopo disse alla madre che lui e Takanori si erano lasciati. La signora non poteva veramente crederci; rimase di stucco.

Ryo aggiunse: “Mi iscriverò all’università.”

“Ma sei matto, Ryo!”

“Voglio cambiare vita, mamma. Voglio renderti orgogliosa.”

“Ma io sono già orgogliosa di te!” insistette lei, cercando di farlo rinsavire.

“No, mamma. Lo sai che sulle mie decisioni non torno indietro.”

La donna rimase senza parole, e Ryo si avviò per andare a prove. Ovviamente non si portò dietro il basso. Appena si ritrovò davanti gli amici, vide che Takanori non c’era, poi li guardò uno ad uno.
Kouyou non si dimenticò mai la faccia di Ryo quel giorno: una maschera di rabbia e di dolore. Non sembrava nemmeno di avere davanti il suo migliore amico, ma un’altra persona.
Ryo iniziò dicendo che avrebbe lasciato il gruppo. Alle reazioni di sgomento iniziò a raccontare tutto. Raccontò della confessione di Takanori, che l’aveva lasciato andare via “perché amore è anche questo”, che aveva bruciato le foto e che aveva deciso di iscriversi all’università per cambiare completamente vita.
Kouyou lo fissava con gli occhi spalancati, una mano alla bocca e le lacrime che scorrevano libere sulle guance. Gli altri due non potevano credere alle loro orecchie.

“Non vi voglio mai più vedere.” disse, con freddezza e molta, molta crudeltà. Fu allora che Kouyou non resse più, scoppiando in un pianto incontrollato. “Non cercatemi, io non vi cercherò, mai. Non tornerò mai più a Nakano, non mi rivedrete mai più” 

Con solo queste parole se ne andò via, lasciando gli amici esterrefatti.
Kouyou non si diede pace per giorni e giorni, tentando di chiamarlo, di farlo rinsavire, per dirgli che in quel momento aveva bisogno della loro presenza, non di prendere quelle decisioni così affrettate. Ma Ryo non volle mai parlare.
Aveva proibito alla madre di chiamarlo al telefono se dall’altra parte della linea ci fosse stato uno dei suoi tre amici; e anche se la donna lo pregò in ginocchio e piangendo di riflettere, di calmarsi un attimo, non ci fu verso di convincerlo. Distrutto com’era dal dolore, voleva solamente liberarsi per sempre del ricordo dell’amore della sua vita.



Ad aprile entrò alla facoltà di economia. Studiando giorno e notte per impedire il ritorno dei ricordi, a luglio riuscì a passare brillantemente gli esami sia del primo che del secondo semestre; ciò gli riscosse non poca notorietà all’interno dell’ateneo. Odiava studiare, ma si costringeva a farlo, giorno e notte, notte e giorno.
Pian piano il suo passato andò in quel cassetto remoto della sua mente, intento com’era nella realizzazione della sua decisione.
All’iniziò del secondo anno si rasò i biondi capelli, salutandoli per sempre. Buttò via i vestiti visual kei, per comprarsi degli abiti consoni all’ambiente universitario. Si guardò allo specchio con enorme rammarico, ma ormai era troppo tardi. Divenne lo studente più brillante dell’ateneo, persona rispettata da colleghi e professori. Stupito dal suo stesso zelo, Ryo continuò a studiare senza quasi più dormire, per cercare di cancellare per sempre Takanori, Kouyou, Yuu e Yutaka dalla sua mente. E sfortunatamente, ci riuscì, ma solo superficialmente.
Quando si laureò con il massimo dei voti, la lode e molti altri riconoscimenti di prestigio, aveva già un sacco di offerte di lavoro che lo aspettavano. Decise di entrare in una piccola azienda, dove appena fu assunto divenne vicecapo. Riuscì ad adempire brillantemente ad ogni suo compito; finché quando il suo superiore raggiunse l’età della pensione, lasciò a lui la guida dell’azienda. Aveva solo trentaquattro anni.
Da allora mise anima e corpo nella conduzione dell’azienda, e da allora non si videro mai momenti di crisi. Nello stesso periodo lavorava con lui un’impiegata, molto gentile, di nome Arisa. Sapeva che prima o poi doveva sposarsi per pure esigenze di etichetta, iniziò a chiederle di uscire. Si sposarono dopo due anni di fidanzamento. A Ryo non erano mai piaciute le donne, mai. Ma anche allora si costrinse a fare ciò che non voleva, e durante i rapporti con la neo moglie tentava in ogni maniera di non farsi tornare in mente le magiche sere d’amore con Takanori, ma non c’era nulla da fare.
Da qui decise di non avere figli. Sapeva che avrebbe messo al mondo una creatura con una persona che non amava, e il terrore di trattare il figlio come Takanori era stato trattato lo fece desistere. D’altro canto la moglie non aveva passione per i bambini, così di comune accordo non procrearono. Ryo sapeva di aver dimenticato, e viveva dunque la vita che si era creato, credendosi felice.
Alcune sere però, si ritrovava seduto in ufficio, davanti alle sue carte, a piangere. Non capiva il perché: sapeva solo che d’un tratto un po’ del dolore che teneva chiuso riusciva a fuggire. Piangendo amaramente, si sforzava a far ritornare quel dolore nel suo angolino della mente, dove doveva stare. Ogni tanto gli capitava di sognare Kouyou, o i suoi amici, molto raramente Takanori. Ogni volta che sognava il suo amore sapeva che quella sarebbe stata una brutta giornata. Quando lo sognava sentiva quanto gli mancava, ma appena si svegliava negava tutto, per ricominciare con la giornaliera censura dei ricordi.


 

Dopo quei maledetti giorni, Yutaka, Yuu e Kouyou decisero di provare a farsene una ragione. Ovviamente i Gazetto si sciolsero, tutti e tre riposero i loro strumenti in cantina o in garage, e ricominciarono con le loro vite.
Yutaka salutò tutti e se ne tornò a Tokushima, per realizzare una delle sue ambizioni: diventare cuoco. Studiò cinque anni con zelo, durante i quali conobbe Yuko. Si misero insieme al secondo anno di studio; dopo che Yutaka divenne chef e trovò il suo lavoro al ristorante, si sposarono. Ebbero molti problemi ad avere il primo figlio, ma quando finalmente Yuko rimase incinta fu festa per tutti. Masako nacque quasi in concomitanza con il compleanno di Ryo.



Yuu e Kouyou andarono a vivere insieme.
Appena trovarono la loro casetta, si licenziarono dai rispettivi vecchi lavori per trovarne altri di migliori. Yuu poté trovare impiego in un negozio di strumenti musicali, invece Kouyou riuscì a diventare modello, professione che mantenne per tre anni prima di doverla lasciare per le sue condizioni di salute. Ultimamente il lavoro gli stava mettendo talmente tanta pressione che si stava ammalando di anoressia, ma Yuu riuscì a capire in tempo e lo fece licenziare.
Aspettò un po’ di tempo per tornare in salute, poi trovò un posto come commesso in un konbini. 


 

Solo cinque anni dopo la forzata separazione, Yutaka trovò il coraggio di contattare Yuu e Kouyou.
Si ritrovarono durante delle brevi ferie estive. Piangendo si riabbracciarono, e trascorsero quasi tutta la giornata a piangere sull’onda dei vecchi ricordi. Si giurarono di continuarsi a tenere in contatto, e così fecero.
Pian piano decisero di mettersi alla ricerca di Ryo e Takanori, ricerca che durò molti anni. Telefonandosi quasi giornalieramente, Kouyou, Yuu e Yutaka si aiutavano in tutte le maniere per cercare di trovare gli amici perduti.



E Takanori?
Takanori divenne un’ombra.
Nessuno sapeva dov’era, nessuno era mai riuscito a trovarlo. Nessuno sapeva nulla di lui, dopo che trascinò la sua borsa con dentro qualche vestito fuori da casa di Ryo. Nessuno sapeva se con Matsuhiro le cose avevano funzionato, nessuno sapeva se lavorava ancora, perché poco dopo quei giorni d’inferno entrambi si licenziarono. Qualche raro avvistamento, nulla più. Takanori era completamente scomparso.
Ma si sa 
che quando torna la luce, le ombre scompaiono per rivelarsi. Il tempo era giunto. 


 

Quella modernissima stazione comparve d’improvviso.
Un treno arrivò in quel momento.
Scese quella persona dai lunghi capelli biondi.
Quell’immenso sorriso che mai aveva dimenticato comparve sul suo volto.

 













Che questo sia uno dei miei capitoli preferiti, mi è difficile ammetterlo.
Nonostante la storia l'avessi già scritta in forma di OS tre anni fa, questa parte mi uccide ogni volta.
Una mia amica leggendo questo capitolo mi confidò che da un lato questa trasformazione di Ryo era poco credibile, e atta soltanta a far filare la storia. Io non so cosa ne pensate voi.
Ma conosco persone che vivono nel mio stesso paese che dopo la fine di una lunga storia d'amore, sono totalmente cambiate. 
Una di queste sono io. Sono molto diversa dalla Yukiko che aveva sedici anni e si innamorava follemente per la prima volta. Quando quella storia è finita (non per colpa mia) sono diventata la Yukiko odierna. Forse anche grazie al mio attuale ragazzo, certo. Ma che io non sia più la stessa dopo la fine di quella storia e, nel bene e nel male, nessuno me ne ha fatto mistero. 
Spero che tutte le domande che avete accumulato durante i capitoli precedenti abbiano finalmente avuto una risposta. Questo capitolo per me è bellissimo in ogni sua parte, c'è molto di me fra queste righe. Ma sta a voi dirmi cosa ne pensate. 
Vi ringrazio per tutto l'affetto che continuate a dimostrarmi ogni volta. Ormai mancano solo due capitoli alla fine, e vi assicuro che sarà meravigliosa. 
Vi voglio bene <3
Yukiko H. 

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Capitolo 19
*** Takanori. ***


 

Era il tre maggio, e Takamasa era a Nagoya.
Yutaka aveva raggiunto gli altri a Tokyo, e sapeva che il collega l’avrebbe contattato in caso di buone notizie.
Takamasa aveva lasciato la moglie e i figli in un grande centro commerciale, sapendo che si sarebbero ritrovati poi in stazione. Appena raggiunse il binario 5, vide, su una delle tante panchine, una persona dai lunghi capelli biondi che si accendeva una sigaretta, il quale corrispondeva quasi perfettamente alla descrizione che gli aveva fornito Yutaka.
Aveva gli occhiali da sole, giubbotto di pelle, maglia rossa, jeans neri strappati. Accanto a sé aveva una piccola valigia nera.









Iniziò cautamente ad avvicinarsi.
Iniziò a riconoscerlo.
La forma del viso, il naso, le labbra.
Le manine piccole, nella mano destra l’indice e il medio avevano la pelle leggermente ingiallita per le troppe sigarette.
Con il cuore che esplodeva di emozione, gli si parò davanti. 

“Takanori…” osò solamente bisbigliare.

L’altro si tolse gli occhiali per guardarlo meglio. “Takamasa…”

Non sapeva che altro dire, non ci poteva credere. Suo fratello minore era lì, davanti a lui, dopo tutti quegli anni, dopo tutto.

“Come… Come stai Taka?” gli chiese senza tradire l’emozione.

“Me la cavo. E tu invece?”

“Io… Io bene, Taka….”

“Che fai di bello da queste parti?” chiese Takanori curioso.

Takamasa decise saggiamente di non spiegargli tutta la storia, sarebbe stata eccessivamente lunga e difficile da spiegare. “Sono qui con mia moglie…”

“Siediti, dai.” lo invitò il fratello picchiettando sulla panchina con una mano. Takamasa si sedette. La voglia di abbracciarlo era incredibile. 

“Non sai da quanto tempo ti sto cercando. Ti ho visto al funerale di papà…”

“Già, chissà che avevo in mente quel giorno.” interruppe Takanori. 

“E non sai da quanto ti stanno cercando i tuoi amici.”

Takanori fece una faccia molto sorpresa. “I miei amici?”

“Sì. Yutaka… Yuu e Kouyou, se non ricordo male.”

“Da-Davvero?” disse l’altro sempre più sorpreso. “Come fai a conoscerli?”

“Lavoro con Yutaka.”

“Oh mio dio…” disse Takanori portandosi una mano alla bocca e sorridendo. “Come stanno?”

“Yutaka bene, gli altri non ho mai avuto il piacere di incontrarli.”

“Senti…” e qui Takanori abbassò lo sguardo. “Fra gli amici che mi cercano, c’è anche uno di nome… Ryo?” 

“Sì, sì, c’è anche lui.”

“Stai scherzando!!” strillò Takanori.

“No, sono serissimo, Taka.” 

Takanori non riuscì a dire nulla. 

“Ti rivogliono a Tokyo, vogliono assolutamente rivederti.” 

“Non. Ci. Posso. Credere.” bisbigliò appena Takanori, con una punta di lacrime agli occhi. 

“E poi… Anch’io volevo assolutamente rivederti. Devo farmi perdonare molte cose.”

“Ma che dici, Takamasa, tu…”

“Papà mi ha raccontato tutto.”

Takanori si raggelò. “Cosa?”

“Papà mi ha raccontato cosa ti faceva. Tutto.”

Takanori rimase congelato.

“E’ per questo che mi devo far perdonare. Non ho mai potuto salvarti. Non ho mai potuto intervenire, fermarlo.”

“Non importa, Takamasa. Io non ce l’ho mai avuta con te. Mai.” gli disse Takanori guardandolo dritto negli occhi.

Fu allora che i due fratelli si strinsero fortissimo. Takamasa non riuscì a trattenere l’emozione e scoppiò a piangere. 

“Non piangere, ‘masa… Non piangere…” gli bisbigliava Takanori, stringendolo fortissimo a sé e lasciando andare una solitaria lacrima. Si lasciarono, guardandosi sorridendo. 

“Finalmente ti ho ritrovato.” sospirò Takamasa asciugandosi una lacrima. Vide in quel momento la moglie con i piccoli. “Vieni, posso presentarti la mia famiglia?”

“Assolutamente!” esclamò entusiasta Takanori spegnendo la sigaretta sotto gli anfibi. Raggiunsero la donna. 

“Cara, lui è mio fratello.” le disse Takamasa con la voce rotta dall’emozione.
Lei era felicissima: per tutta la vita aveva sentito parlare di lui e non l’aveva mai conosciuto. Poi passò a presentare i figli: Sora di dieci anni, Shinya di sette e Midori di cinque. Si avvicinarono alla banchina per prendere il treno per Tokushima, e fu allora che Takamasa confessò al fratello che Sora si chiamava Takanori di secondo nome. Lui lasciò sfuggire l’ennesima lacrima sorridendo al fratello, incapace di parlare.
Salirono sul treno.

“Allora, te la senti di tornare a Tokyo?” gli chiese Takamasa.

Takanori sospirò. “Sono anni che cerco il coraggio di tornare a Tokyo… Ma ora che mi hai detto che sono atteso, non vedo l’ora di tornare.” 








 

Passarono la notte a Tokushima, poi i due fratelli si svegliarono prestissimo per raggiungere Tokyo.
Takamasa non aveva avvertito nessuno per fare una mega sorpresa, Takanori non stava nella pelle da quanto era felice. Takamasa sapeva più o meno dove si trovava la casa di Yuu, l’uomo dal quale Yutaka riceveva un sacco di informazioni, ma non rivelò nulla al fratello di quei sogni che aveva il suo amico Ryo. Durante il viaggio ebbero il tempo di parlare e chiarire molte cose.
Appena raggiunsero Tokyo, Takanori rimase senza parole. Erano anni che non metteva piede a Tokyo, e vederla così cambiata, così moderna, lo lasciò senza parole. Quando il fratello gli disse che gli amici abitavano a Nakano, quasi lasciò andare l’ennesima lacrima di emozione. Presero la metropolitana per raggiungere Nakano, scesero e s’incamminarono.
Passarono davanti alla vecchia casa di Ryo, Takanori si fermò un attimo; Takamasa lo attese. Rimase a guardare quella vecchia casa, così piena di ricordi. Ripensò a quell’ultima litigata e lasciò andare un lungo sospiro. Ripresero il cammino, raggiungendo il parco. Takanori corse subito al suo interno, seguito dal fratello. Rivide quei ciliegi, quelle panchine.

“Sai,” disse “questo una volta era il mio mondo. Prima che rovinassi tutto.” 

Takamasa gli mise una mano sulla spalla. 


 





 

“…e c’è solo da sperare.” concluse Yutaka sorseggiando il suo caffè. Gli amici avrebbero pranzato da Yuu e Kouyou. 

“Infatti, c’è solo da sperare.” sospirò Kouyou.
Gli amici ancora non si davano pace per Takanori, fra due giorni la Golden Week sarebbe finita e nessuno di loro avrebbe avuto il tempo di aspettare Takanori a Nagoya. Tristemente Ryo adagiò la testa sul braccio, appoggiato a sua volta sul tavolo. Voleva soltanto essere a Nagoya in quel momento.
Aveva raccontato agli amici del sogno che aveva fatto la sera prima, della loro separazione, della fine che aveva voluto mettere a tutto quello che aveva, sentendosi tremendamente in colpa.
Voleva ritrovarlo. Abbracciarlo forte, dirgli che gli era mancato, raccontargli tutti gli errori che aveva fatto per cercare di dimenticarlo. Rinvenne dai suoi pensieri quando il citofono trillò.
I quattro si guardarono curiosi, Yuu andò a rispondere. 

“Sì?” 

“Polizia.” sentì.

Con una faccia estremamente basita, si affrettò a schiacciare il bottone per aprire il portone e rimase ad attendere alla porta. 

“Chi è?” sentì Kouyou chiedere dalla cucina.

“Nessuno, amore, un attimo.” rispose Yuu nel panico.

Si fece un brevissimo esame di coscienza: non aveva fatto niente di male! Certo, si era ubriacato a quindici anni con Yutaka, ma era acqua passata! Vide attraverso lo spioncino una figura salire la rampa di scale, così aprì la porta.
Quando si accorse di chi si trovava davanti, lanciò un urlo fortissimo, da spaccare i vetri.










Gli altri spaventati accorsero, videro un groviglio di braccia, teste e gambe e un uomo felicissimo appena fuori dalla porta. 

Yutaka lo riconobbe subito. “Takamasa! TAKAMASAAAA!!” 

L’uomo gli sorrise annuendo appena. Kouyou e Yutaka si abbracciarono fortissimo, quasi piangendo. Ryo invece rimase imbambolato. Quello era il fratello di Takanori. Quindi…

“TAKAAAAAAA!!!” sentì Kouyou urlare intrappolando il piccolo fra le braccia, dopo che Yuu l’aveva lasciato respirare. Si sentirono gridolini di gioia e di emozione, poi fu il turno di Yutaka, che lo strinse fortissimo a sé, ripetendo il suo nome senza poterci veramente credere. Ryo era in una bolla d’incredulità. 

Non riusciva a pensare.

Non riusciva a ragionare. 

Takanori era tornato. 








 

Yutaka lo lasciò. Takanori si avvicinò a Ryo, guardandolo negli occhi con quell’immenso sorriso che mai, MAI aveva dimenticato.
Dipinse quella visione nella sua mente, con un immaginario pennello: quei maledetti occhi, quel sorriso, quei lunghi capelli.
Ryo sentì le lacrime agli occhi, se lo prese fra le braccia e lo strinse a sé, con dolcezza immensa. Scoppiò a piangere come un bambino. 

Takanori bisbigliò: “Non piangere, Ryo… Non piangere… Abbiamo pianto abbastanza.” 

Gli altri guardavano la scena molto emozionati.
Ryo era così incredulo che doveva stringerlo un po’ più forte per rendersi conto che non era un sogno.
Riuscì a riprendersi, liberando il piccolo dalla stretta. 









 

“Prego, accomodatevi!” esordì Kouyou prendendo Takanori per mano e trascinandolo in cucina. Takamasa venne accompagnato dentro da Yutaka. La gioia era immensa, tutti sorridevano increduli. Gli presentarono la moglie di Yutaka e la piccola Masako, poi ovviamente iniziò il terzo grado. Takanori iniziò a raccontare. 

“Bene, con quello là, come si chiamava…”

“Matsuhiro.” ringhiò appena Ryo.

“Ecco, è andata malissimo, alla fine. Io non avevo proprio il coraggio di tornare indietro, così ho iniziato a viaggiare. Ho fatto tutto il Giappone, ma non sono mai, dico mai più tornato a Tokyo. Prima ho fatto Kanagawa, poi Kawasaki, Nara, Mie, Niigata e così via. Ogni volta trovavo un lavoretto, ci stavo per un po’, poi quando sentivo che volevo tornare a Tokyo, mi costringevo a licenziarmi e ad andare in un’altra città.”

“Che lavoro facevi, o fai?” chiese Kouyou interessato.

“Mah, vari lavoretti. Più che altro commesso o cassiere. Ho tentato di lavorare in porto una volta, ma sono troppo esile!” L’affermazione suscitò qualche risatina di scherno. “Quindi poi ho sempre fatto lavori più o meno semplici. Adesso sono disoccupato, appunto perché Nagoya era l’ultima città che mi mancava da vedere.”

“Perché avevi paura di tornare, Taka?” chiese Yuu.

“Avevo paura che non vi avrei trovato per chiedere scusa.” mormorò Takanori. 








 

Kouyou servì il pranzo, Yuu aveva iniziato a raccontare cosa era successo negli anni precedenti. Ryo non proferì parola. Rimaneva assorto a guardarlo.

Era bellissimo, come sempre lo era stato.

Anche se il suo viso tradiva l’età, dimostrava diciannove anni.
I lunghi capelli biondi gli arrivavano quasi a metà schiena, ed era rimasto esile come un tempo. Quegli occhi erano sempre gli stessi, profondi e magnetici. Però vi aveva notato un’ombra di rassegnazione e tristezza che non era più abituato a vedere.
Sentiva Yuu parlare delle azioni che aveva compiuto in passato, quando bruciò le foto, quando si iscrisse all’università, di come aveva cercato in ogni maniera di dimenticarlo.
Takanori gli rivolse uno sguardo pieno di tristezza. Lui non disse né fece nulla, rimase imbambolato a guardarlo anche quando lui tornò a posare lo sguardo su Yuu. Seguitarono a raccontare di quando trovarono lavoro, di Kouyou che stava per diventare anoressico, la telefonata di Yutaka, l’inizio delle ricerche. Si entrò nel discorso del ritrovamento di Ryo. 

“…e quindi mia sorella mi disse che un’amica lavorava per un certo Ryo Suzuki… Allora io speranzoso gli ho inviato una lettera, almeno per avvertirlo che Kouyou era malato. Anche se non ero sicuro al cento per cento che il destinatario della lettera fosse il vero Ryo, ho accettato il rischio. E l’ho azzeccata!” disse Yuu gesticolando con le bacchette in una mano. “Mi ha chiamato e la stessa sera, tradendo tutto quello che aveva giurato di non fare mai più, è tornato da noi.” Kouyou sorrise ricordando il momento. “Poi da lì ha iniziato a fare dei strani sogni.”

“Sogni?” chiese Takanori interdetto.

“Sì!” esclamò Yuu rischiando di infilare le bacchette nel naso di Yutaka. “Ha iniziato a sognare tutti i vostri momenti: come vi siete conosciuti, quando vi siete parlati la prima volta, quando vi siete messi insieme… E con l’inizio di quest’anno ha iniziato a sognare anche che tu saresti tornato a Nagoya, e addirittura quando ti avremmo trovato!”

“Vorrai scherzare…”

“Assolutamente no! Fattelo raccontare da lui.”

Tutti gli sguardi si concentrarono su Ryo, che era ancora fermo nei suoi pensieri. 

“Ryo?” lo richiamò Kouyou. 

“Eh? Ah, sì, sì. Scusate. Sì, ho iniziato a sognare qualsiasi cosa riguardasse noi due. Poi verso gennaio, o febbraio? Non lo ricordo di preciso, ho iniziato a sognare questa stazione e questa persona che ricordava tantissimo te, infatti ora che ti vedo sei identico a quella persona che sognavo. E insomma, pian piano hanno iniziato ad aggiungersi indizi al sogno, fra i quali il cartello che indicava la stazione di Nagoya, e poi il mese di maggio…”
“Noi tenevamo sempre informato Yutaka, dopo che ci disse che Takamasa ti stava cercando.” lo interruppe Yuu. “Dato che lavorano insieme, Yutaka informava tuo fratello ed è per questo che è stato lui a ritrovarti.”

“Mi volete prendere in giro, dai.” continuò Takanori piuttosto incredulo.

“Siamo serissimi!” esclamarono insieme Yuu, Yutaka e Kouyou. 

“Vi credo, tranquilli!” rispose sorridendo dolcemente. 

“Dopo tutti quegli anni senza avere nessuna minima notizia di te, abbiamo iniziato seriamente a credere che mandavi piccoli messaggi a Ryo…” disse Yuu, facendosi improvvisamente serio. “E per questo abbiamo creduto subito a quello che sognava, e non abbiamo sbagliato a farlo.” e sorrise. 

Takanori arrossì appena. “Non so se è vero che gli mandavo messaggi… Ma in questi ultimi tempi lo stavo sognando parecchio anch’io.”

“Davvero??” esclamarono tutti, anche Ryo.

“Sì. Ma non cose come quelle che sognava lui, lo sognavo sempre in situazioni particolarmente strane, tipo… Ad esempio, una volta che mi è rimasta particolarmente impressa… Mi trovavo in una stanza completamente vuota, c’ero solo io con le mani e piedi legati. Non potevo urlare, perché ero senza voce. Lui arrivò d’un tratto, mi slegò completamente e mi fece alzare. Allora provai anche a parlare, e dissi solo ‘Tornerò’. Credetemi, quello è stato uno dei sogni che mi ha fatto veramente pensare.” 

Gli altri rimasero in silenzio, pensanti. Sembrava che tutto avesse uno strano filo logico. 








 

“Poi una volta feci un sogno bellissimo, il giorno in cui decisi di prendere il biglietto per Nagoya.” disse Takanori tristemente. “Sognai che quel giorno in cui ci lasciammo, io rimasi ad aspettarlo, e che chiarivamo, e che io cambiavo idea, e che tutto tornò come avrebbe dovuto andare anche nella realtà…” fece un lungo sospiro. “Mi svegliai con la seria e piena intenzione di tornare a Tokyo. Ma sapevo dentro di me che non avrei mai avuto il perdono da nessuno di voi e mi decisi ad andare a Nagoya.” 

“Ma Taka…” iniziò Yuu posando una mano sulla spalla. “In realtà qui tutti abbiamo delle colpe. Tu hai sbagliato ad andartene da casa di Ryo, Ryo ha sbagliato a voler cancellare tutta la sua vita, e noi abbiamo sbagliato a non tentare ogni carta per fermarlo.” 

“Sì, ma… Ti rendi conto che io ho fatto un errore spaventoso quel giorno?” chiese Takanori tristemente.

Yuu prese un respiro e lo lasciò subito andare. “Taka, se devo essere sincero con te e con tutti voi… Io ti giustifico. E’ umano sbagliare, ed è stato umano da parte tua aver avuto quel desiderio così bruciante. Ciò che hai sbagliato è stato staccarti così da tutti noi. Ci hai spaventato a morte, ed è chiaro che poi Ryo ha reagito così ed ora siamo qui. Avevi, secondo me, ragione. Volevi sapere se te la potevi cavare, volevi sapere se senza Ryo e senza di noi potevi vivere. E da quello che mi hai detto, così non è stato. E’ una lezione, Taka, e ognuno di noi ha imparato qualcosa. Io, Yutaka e Kou per esempio, abbiamo imparato a contare solo su noi stessi, Ryo ha imparato cosa significa prendere decisioni fin troppo affrettate. Non per fare il romantico, ma prima o poi voi due vi sareste ritrovati in ogni caso. Voi due non potete stare lontani. Pensa a quando Ryo cercava in ogni maniera di dimenticarti ma inevitabilmente c’erano quei momenti in cui ti pensava o ti sognava. Mi dispiace, ma voi due non siete mai stati veramente lontani!” affermò, guardando intensamente Ryo negli occhi, il quale sospirò triste. 

Takanori piangeva sommessamente. 

“Non devi piangere, Taka. Non devi.” gli disse Yuu abbracciandolo.









Parlando ancora, si fece quasi ora di cena.
Yuu pensò bene che riproporre quel vecchio album fotografico sarebbe stata una magnifica idea. Così i cinque si riunirono attorno alla sedia di Takanori, per guardare le foto. Le sapevano ormai a memoria, ma quella era un’occasione decisamente speciale. Sorridendo, Takanori si ricordò l’avvenimento di ogni singola foto, annoverandola agli altri, che inevitabilmente finirono per commuoversi.
Quando arrivarono all’ultima foto, Takanori fece un breve sospiro senza smettere di sorridere. Cenarono senza smettere di parlare, si fecero le ventidue quando Takamasa disse che doveva rientrare. 

“Ma dai, rimani, no?” lo esortò Kouyou gentile.

“Vorrei moltissimo, ma mia moglie mi aspetta.” disse sorridendo. 

“Ci lasci Takanori??” chiese Yuu prendendo il piccolo fra le braccia e stringendolo forte a sé. 

“Ma ovvio!” disse. 

“SIIIIIIIIIII’!!!” strillò Yuu soffocando letteralmente Takanori. Tutti risero, mentre Takanori cercava di liberarsi del poderoso abbraccio dell'amico. Ryo lo guardava, Takanori lo guardò. Poteva essere l’occasione perfetta per risistemare i pezzi della loro storia. 

“Posso ospitare Takanori?” chiese Ryo vedendo Kouyou stringerlo a sé.

“Ma che cazzo di domande sono?” gli disse Kouyou volendo tirargli una sberla.
Yuu, Kouyou e Yutaka salutarono Takanori e Ryo con la promessa di rivedersi il giorno dopo. Scesero le scale insieme a Takamasa, che salutò il fratello con un forte abbraccio, avviandosi verso la metropolitana.
Montarono dunque sulla macchina di Ryo, sistemarono la valigia, poi lui mise in moto e partirono. Ancora non ci poteva credere di averlo di nuovo accanto a sé, non ci credeva che l’aveva davvero ritrovato, era incredulo.
Passarono il viaggio in religioso silenzio, quel silenzio che però anticipava un lungo discorso.
E la speranza di sistemare del tutto ciò che era successo. 











Voi non mi crederete, ma noi siamo al diciannovesimo capitolo e vorrei piangere.
Per me si avvicina il momento in cui per un bel po' sparirò da EFP. Continuerò sì a leggere, a recensire, ma mi mancherà leggere le vostre meravigliose recensioni, pubblicare il nuovo capitolo, attendere speranzosa le vostre risposte per sapere se è stato di vostro gradimento. Al momento sto scrivendo tre ReitaxRuki, non so se rendo l'idea. E sono bloccata con tutte e tre. Quindi chissà quando potrò di nuovo tornare sul gruppo con una nuova storia sui miei fanciulli çç Vi ringrazio per tutto l'affetto che mi avete dimostrato nello scorso capitolo, e per le 83 RECENSIONI raggiunte (e qui dedico un ringraziamento particolare ad Effy_Stonem che ha deciso di farmi annegare nelle recensioni <3). Non posso che sperare che anche questo capitolo vi sia piaciuto da morire, e vi attendo la prossima settimana con l'ultimo capitolo di questa mia grandissima avventura. <3 Grazie a tutte, a presto! 
Yukiko H. 

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Capitolo 20
*** Inizio. ***


 

Una fiamma brillò nel buio, andando a bruciare una sigaretta, e facendo salire il fumo verso l’alto.
Takanori prese una pesante boccata di fumo, lasciandolo uscire con calma.
Lui e Ryo si erano messi fuori dal garage di casa, perché Takanori si godesse la sua sigaretta. Il silenzio regnò per pochi istanti. 

“Mi sei mancato.” mormorò appena Ryo, con un leggero batticuore.

“Anche tu, Ryo. Anche tu.” rispose Takanori dolcemente. “Non vedo l’ora di poter parlare con te, raccontarti tutto.” e gli rivolse un tenero sorriso.

“Inizia, allora.” esortò dolcemente Ryo, sorridendo a sua volta.

“No, Ryo. Abbiamo tutta la notte. Lasciami creare il discorso.” 

Ryo annuì, e lasciò che Takanori finisse la sigaretta.
Sentiva il cuore battergli all’impazzata, non sapeva come poterlo frenare. Entrarono dunque in casa, sedendosi sul comodo divano.

Rimasero un attimo in silenzio, poi Ryo disse: “Parlami, Taka. Ho bisogno di sapere tutto quello che prima non hai raccontato.” 

“Sì, Ryo. Ora ti dirò tutto.” Takanori prese un profondo respiro, cercando anche lui di rallentare i battiti cardiaci. “Sai, il giorno in cui ci siamo lasciati ti ho detto una bugia.” iniziò.

“Cioè?” chiese Ryo.

“Non era vero che non ero felice. Io sono sempre stato felice al tuo fianco. Io non avevo mai conosciuto il dolore, accanto a te. Sto ancora cercando di capire perché ti diedi quella risposta, e ogni volta mi dico che, forse, volevo a tutti i costi sapere se là fuori potevo essere felice.” Rifletté un attimo prima di continuare. “Andai ad abitare da lui, quel Matsuhiro. Sembrava andasse tutto bene, sai. Stavo iniziando a convincermi che là fuori le cose erano davvero cambiate. Ma poi… Come quasi tutti nella mia vita, mi fece del male. Molto male.”

Ryo rabbrividì.

“Quella notte diventai grande. Capii di essere diventato adulto quando sentii le tue parole risuonare nella mia mente. Un giorno mi dicesti che dovevo imparare a mettere la mia felicità prima di tutto… E così, mentre lui dormiva profondamente, raccattai le mie così e me ne andai a Kanagawa per qualche settimana. Avevo pochissimi soldi, avevo un peccato da espiare, il peccato di aver sbagliato ogni cosa quella maledetta sera. Prima di allora, non avevo compreso appieno ciò che tu volevi dirmi. Infatti lo usai per realizzare quel maledetto desiderio. Ma tu avevi voluto darmi tutt’altro insegnamento: il diritto di scappare quando stavo male, quando le persone mi ferivano. E così, ogni volta che qualche piccola storiella andava male, me ne andavo sempre. Era quello che mi avevi insegnato. Ogni posto dove andavo mi ricordava qualcosa di te, per un motivo o per l’altro. Una delle città che mi ha parlato di più è stata Kyoto. Così piena di vita, nasconde in sé piccole meraviglie, proprio come te. Ho amato Kyoto con tutta l’anima, ma anche da lì sono dovuto fuggire.” disse guardando un punto lontano oltre il muro di fronte a lui.

“Quante storie hai avuto, Taka?” chiese Ryo, freddamente.

“Poche, tre o quattro. Tutte di brevissima durata. Ciò ha fatto maturare in me la certezza che non posso stare con nessun altro che non sia tu. Più diventavo vecchio e più sentivo la tua giornaliera presenza. Ti vedevo in ogni persona, sapevo che eri con me anche nei momenti più bui. Mi mancavi da impazzire, e non avevo mai la forza di ritornare a Tokyo a chiederti scusa, mai. Non ho mai smesso di scrivere canzoni, sai?” disse, traendo da una tasca dei foglietti piegati e aprendoli uno ad uno per trovare quello di cui aveva bisogno.
Finalmente lo trovò, e lo porse a Ryo. “Questa è una delle più importanti.” disse, con un piccolo sorriso.

Ryo lesse. 

“A volte vorrei avere una macchina del tempo.

Vorrei tornare indietro e cambiare metà della mia vita.

Mi accendo un’altra sigaretta e scappo via da un altro posto.

Sempre in fuga, sempre in viaggio.

E’ il destino di chi sbaglia, come me.”

 

Ryo rimase di stucco, interrompendo la lettura. “Non ci crederai mai ma… Questa me l’avevi fatta leggere in sogno.” Ora che quelle parole erano impresse sul foglio che reggeva in mano, sembravano ancora più veritiere e reali.

“Scherzi?” chiese Takanori incredulo.

“Assolutamente no. Me la ricordo perfettamente.” disse Ryo sorridendo.

Rimasero un attimo in silenzio, nessuno dei due ci credeva veramente. 

“L’ho scritta pochi mesi fa, quando ancora abitavo a Yonago, e l’unica cosa che volevo era tornare a Tokyo, da voi… E’ strano,” disse gettando un malinconico sguardo fuori dalla finestra, “ero convinto che voi quattro sareste rimasti vicinissimi ed era principalmente per questo che non volevo tornare. Sentivo che dopo quello che avevo fatto il vostro perdono non sarebbe mai arrivato. Invece ecco che scopro che vi siete separati…” e sospirò appena. 

“Taka… Ti prego, dimmi perché l’hai fatto.” sospirò Ryo, passandosi una mano sul volto.

“Te l’ho detto Ryo, volevo sapere se ero finalmente in grado di cavarmela da solo. Sono stato un coglione, me lo sono ripetuto mille volte. Non posso avere un diverso nome.” e dicendo questo gli rivolse un lungo sguardo.

“No, Taka. Non voglio sentire mai più quella parola riferita a te, così come non ho mai accettato ‘puttanella’, chiaro?”  disse leggermente inferocito.

Takanori annuì.

“Ha ragione Yuu, alla fine. Lo stupido sono stato io, a prendere quelle decisioni così frettolose invece di aspettarti. E’ stato il pensiero di te accanto ad una persona che non ero io a farmi impazzire così.”

“In realtà sono più d’accordo sul fatto che ognuno di noi ha le sue colpe.” disse Takanori avvicinandosi impercettibilmente a Ryo. 

“Oh, mi sono ricordato di una cosa.” disse Ryo illuminandosi. “Poco tempo fa Yuu mi chiamò dicendomi che aveva ricevuto due telefonate misteriose…”

Takanori ridacchiò. “Ah, ero io.”

“Davvero? E come…”

“Ero a Yonago, in stazione, e era uno di quei giorni in cui ero convinto che sarei tornato a Tokyo senza alcun dubbio. Così ero entrato in un piccolo bar che aveva ancora i telefoni pubblici, e vi era addirittura l’elenco. Volevo solamente provare ad avvertire Yuu del mio arrivo. Così presi il cellulare ed uscii, digitai il numero ma il coraggio mi venne ovviamente a mancare. Ritentai la seconda volta ma l’arrivo di quel treno mi interruppe. Da lì a pochi giorni decisi di andare a Nagoya.” 

Ryo era incredulo, sentendo tutti quei misteriosi avvenimenti venire finalmente spiegati da lui, da Takanori. “E perché non chiamasti me?”

“Ryo…” disse Takanori scuotendo appena la testa. “Come puoi solamente pensare una cosa del genere? Ero sicuro che non mi avresti mai rivoluto avere accanto a te. Sei il motivo principale per cui ho peregrinato tutti questi anni senza mai avere il coraggio di affrontarvi. Con che faccia avrei potuto chiamare te?” concluse guardandolo negli occhi. 

Ryo si lasciò sfuggire un innocente sorriso. “Saranno passati gli anni, ma i tuoi occhi sono ancora bellissimi…” confidò sottovoce.

Takanori arrossì. “Sei cambiato tantissimo, Ryo.” mormorò a sua volta.

“Ho voluto e ho dovuto.” bisbigliò, avvicinandosi al biondino.
Ora erano vicinissimi, occhi negli occhi, sorridendosi appena.
Come se il tempo non fosse veramente mai passato, fu Takanori a cercare timidamente l’abbraccio di Ryo.
Quest’ultimo ovviamente lo accolse, viaggiando in un battibaleno in un mondo di ricordi e di sensazioni non dimenticate.
Fu solo e soltanto in quel momento che quel cassetto smise per sempre di esistere, e che le tessere della sua vita tornarono a sistemarsi ognuna nel suo posto, dove dovevano stare.
Non capirono per quanto tempo rimasero abbracciati, beandosi di nuovo della presenza reciproca.
Ma quando l’abbraccio si sciolse, sembrava che non ci fosse veramente null’altro da dire. Rimasero ancora per un attimo a guardarsi, perdendosi nei loro caldi sguardi.

“Potrai mai perdonarmi, Ryo?” chiese d’un tratto Takanori, con il tono di voce più serio che aveva.

Ryo lasciò andare un leggero sospiro. “Non hai nulla da farti perdonare, in realtà. Sono io che devo farmi perdonare per tutto quello che ho fatto.”

Takanori sorrise imbarazzato. “Ma anche tu Ryo non hai nulla da farti perdonare!” 

Ryo sorrise a sua volta. “In realtà sì… Anche gli altri mi hanno detto la stessa cosa, ma… Se siamo qui è anche colpa mia. Anzi, è proprio colpa mia.” 

Takanori allungò una mano verso il suo viso, posandovi una carezza. “Non importa di chi è colpa, Ryo. Siamo qui, ora. Anche se sono convinto che non è colpa tua, vuoi avere il mio perdono e non posso rifiutartelo.”

“Nemmeno io, Taka.” disse Ryo, a sguardo basso.

“Abbiamo imparato un sacco di cose io e te, in questi anni…” sospirò Takanori. 

“Io ho imparato che non posso starti lontano.” gli disse Ryo, abbracciandolo di nuovo.

“Pure io, Ryo. Quando Yuu prima ha detto quelle cose di noi, non ho potuto fare altro che essere d’accordo con lui.” 

Ryo annuì, tenendolo stretto a sé. Sentiva le lacrime pungere, pronte a scendere lungo il suo viso. Aveva tanto sperato di avere di nuovo Takanori con sé.

Aveva sognato, aveva pianto, si era incazzato fino alla morte. 

Aveva accettato.

E ora stava stringendo quella creatura tanto bramata fra le braccia.

Era forse un sogno?

Sentì Takanori posargli un umile bacio sulla guancia, leggero come ali di farfalla.
E fu in quel momento che Ryo capì che il sogno era diventato realtà. Si allontanò appena per guardarlo, Takanori aveva quel splendido sorriso in viso. 

Ti amo.” gli disse Ryo, lasciando scorrere una lacrima sul viso, e accarezzando appena i capelli di Takanori.

Quanto tempo era passato dall’ultima volta che gliel’aveva detto? Da quanto tempo negava a se stesso quell’amore mai veramente finito?

“Ti amo, Ryo.” gli disse Takanori, piangendo appena anche lui. 

Unirono le loro labbra in un bacio. 

Mai aveva dimenticato.
Quelle labbra, quella dolce sensazione.
Approfondirono il bacio, facendo scontrare le loro lingue in una dolce danza che sapeva di dolcezza e mancanza.
Si strinsero forte, si cercarono ancora di più, in quell’impeto d’amore immutato, nonostante la lontananza, nonostante tutto quello che era successo. Sembrava che il tempo fosse tornato a quell’indimenticata notte di dicembre, dove si amarono per la prima volta.
Unirono di nuovo il loro corpi, in quelle leggera e timida danza.
Si fusero, stretti l’uno all’altro come a non volersi mai più staccare.
Quando finalmente entrambi scoprirono che l’ampiezza e la bellezza del loro amore era rimasto immutato, si accasciarono, l’uno sull’altro, scambiandosi gli ultimi baci di passione. 

“Ti ho fatto male?” si premurò di chiedere Ryo, con il fiatone. 

“Non mi hai mai fatto male.” disse Takanori, poi sorrise.

Ryo appoggiò la testa sul petto di Takanori, e prese a donargli lente carezze mentre riprendevano fiato.

Takanori si allungò appena per posare dei casti baci fra i radi capelli di Ryo, con dolcezza e infinito amore.

Sembrava che quella notte non dovesse mai finire.


 

Una volta ripresi, Ryo e Takanori decisero che forse era meglio dormire.
Ryo lasciò che il piccolo andasse a lavarsi, mentre lui cercava ancora di capacitarsi degli avvenimenti appena passati.
Raccolse gli abiti che erano finiti a terra, per piegarli e riporli nella sua stanza.
Non vedeva l’ora di poter stringere di nuovo Takanori fra le sue braccia e cullarlo durante la notte.
Magari l’avrebbe aiutato a fare bei sogni.
Mentre sistemava un po’ la stanza da letto sentì il phon accendersi, Takanori era quasi pronto.
Quando il piccolo uscì, corse anche lui a lavarsi.
Uscito dal bagno trovò Takanori seduto sul letto, mentre giocherellava con il cellulare.
Ryo gli si avvicinò, Takanori gli fece un immenso sorriso, mettendo via il telefono nella piccola valigia.
Si infilarono a letto, Ryo diede un veloce sguardo alla sveglia per controllare l’ora: erano quasi le due del mattino.
Strinse a sé Takanori, il quale, ridacchiando appena, si fece catturare dalle braccia dell’altro.
Si cullarono appena, scambiandosi qualche bacio innocente. 

“Ho sonno…” bisbigliò appena Takanori.

“Di già?” disse Ryo, ridendo piano. “Pensavo volessi raccontarmi ancora un sacco di cose.”

“Non ce n’è più bisogno. Lasciamoci il passato alle spalle.” 

“Hai ragione, Taka. Dimentichiamo.”

Rimasero un attimo in silenzio, fronte contro fronte, ad occhi chiusi. Ryo gli riaprì appena per godere dell’infinita bellezza di Takanori.

“Ryo?” chiese il biondo, senza aprire gli occhi.

“Dimmi.”

Ricominciamo?” 

Ryo arrossì. “Solo se mi giuri che rimarrai per sempre accanto a me.”

“Lo giuro.” disse Takanori seriamente.

“E non volerai mai più via da me?”

“Mai più.”

“Guardami.”

Takanori aprì gli occhi, Ryo s’immerse di nuovo in quelle pozze nere, non trovandovi più tracce di rassegnazione e tristezza. 

“Vuoi dunque essere ancora la persona con cui desidero passare le serate a mangiare gelato davanti alla tv, o a cui tirare popcorn nelle ultime file di un cinema, o con cui litigare per scegliere quale film in cassetta vedere la sera?”

“Sì.” disse Takanori sorridendo. Quelle parole non le aveva mai dimenticate.

“Ti amo.” sussurrò di nuovo Ryo, senza staccare gli occhi da quelli di Takanori.

“Ti amo, Ryo. Ti ho sempre amato.” disse Takanori lasciando andare una breve lacrima d’emozione.

Ryo gliela asciugò, chiedendogli di non piangere, ma senza dirglielo direttamente.
Lasciò che fosse il suo debole sorriso a parlare.
Si scambiarono dunque un lunghissimo bacio, tornandosi ancora a cercare, amandosi ancora una volta prima di cadere addormentati, stretti l’un l’altro. 





Quando il giorno dopo raggiunsero casa di Yuu tenendosi dolcemente per mano, Kouyou quasi scoppiò a piangere dalla gioia.
I cinque si abbracciarono fortissimo. 

Dopo pranzo, Yuu, Takanori e Yutaka uscirono in terrazza per fumarsi una sigaretta, ridendo e scherzando fra loro. Ryo rimase ad aiutare Kouyou in cucina, mentre Yuko portò la piccola Masako nella stanza degli ospiti per il riposino pomeridiano. Ryo stava raccontando al migliore amico gli avvenimenti della sera precedente. Kouyou era felicissimo e mostrava a Ryo un immenso sorriso.

“Ho fatto un sogno stranissimo.” aggiunse Ryo, Kouyou si fece attento. “Ho sognato che cestinavo la lettera, Kou. Mi sono svegliato di soprassalto, meno male che non ho svegliato Taka. Abbiamo parlato tante volte dell’importanza di quella lettera, ma ieri sera, credimi… Ne ho capito appieno l’importanza.”

Kouyou sorrise comprensivo, avviando la lavastoviglie e chiudendola. “Ryo, si è chiuso un cerchio ieri sera. Tutto finalmente è tornato al suo posto. Quella lettera ha segnato la differenza fra la felicità e la tristezza.”

Ryo rivolse uno sguardo a Takanori, ancora fuori insieme agli altri due amici, intrattenuto da chissà quale strampalato racconto di Yuu. Kouyou coinvolse l’amico in un sincero abbraccio. 

“Grazie.” gli disse.

“Di cosa, Kou?” chiese Ryo interdetto.

“Per aver sperato fino all’ultimo, Ryo. Ti ho già ringraziato per essere tornato e per avermi ridato la forza di guarire. Ora mi hai anche ridato il fratello mancato e la mia cerchia di amicizie al completo.”

Ryo rise appena. “Per il mio migliore amico, questo e molto altro, Kou-kou.” 

Anche Kouyou rise, e si strinsero fortissimo. 

“Ho imparato una cosa, comunque.” riprese Ryo sciogliendo l’abbraccio.

“Cosa?”

“A seguire il cuore, Kouyou. Se quel giorno in cui ho ricevuto la lettera avessi seguito la mia mente, non saremmo qui.” 

Kouyou non rispose, sorridendo semplicemente.



 

 

Ryo e Takanori vivevano insieme. Le prima spoglie pareti di casa Suzuki ora si erano riempite di foto. Non solo quelle che Ryo quel maledetto giorno aveva bruciato, ma anche foto molto più recenti. Una di queste ritraeva Satoshi, il secondo figlio di Yutaka, circondato dal più affettuoso abbraccio del padre. Il piccolo era nato in perfetta salute, e inoltre Yutaka era riuscito a far trasferire la famiglia in una casa decisamente più grande. Un’altra invece ritraeva Kouyou e Yuu, uno scatto che Takanori aveva rubato ad un recente cena. I due erano come sempre indistruttibili. 

Una sera come molte altre, Takanori uscì nel piccolo terrazzino di casa per godersi una sigaretta. Ryo non era ancora tornato da lavoro. Aspirò il fumo, gettandosi in un vecchio ricordo, quello che considerava essere il suo piccolo grande segreto.

Era a Kanagawa ed aveva appena comprato il biglietto per Nagoya, quando sentì le lacrime pungere.
Si sentiva in colpa perché dopo tutti quegli anni non aveva ancora la forza di andare a Tokyo, di raggiungere Yuu, Kouyou, Yutaka e anche Ryo, il suo indimenticato Ryo. Raggiunse dunque una panchina abbastanza appartata, dove si accese una sigaretta e lasciò libero sfogo alle lacrime, nascondendole sotto gli occhiali da sole.
Chiuse gli occhi, ripercorrendo in fretta i ricordi di Ryo: i suoi capelli biondi, i suoi occhi neri, il suo sorriso, la sua dolcezza e simpatia. 

“Signore, va tutto bene?” sentì chiedere.

Alzò appena lo sguardo per trovare una signora abbastanza anziana davanti a lui. “Sì, signora, non si preoccupi.” e si asciugò goffamente le lacrime. 

La donna non ci credette, sedendosi accanto a lui. “Non credo che si pianga quando va tutto bene…”

Non voleva fare il maleducato, invitando la signora a pensare ai suoi affari: sembrava essere sinceramente preoccupata per lui. Quindi rispose: “Davvero, non si deve preoccupare; mi capita spesso.” 

“Non pianga, davvero. Qualsiasi cosa sia successa non deve preoccuparsi.” e fece un leggero sorriso. 

Takanori era sicuro di avere già visto quella signora da qualche parte. Tutto di lei riportava qualcosa alla sua mente.“Va bene, signora, grazie mille.”  rispose scacciando i suoi pensieri. 

“Non c’è di che, Takanori.” rispose lei. 

Lui rimase interdetto. “Come… Come fa a sapere il mio nome?”

Lei sorrise. “Sapevo ti saresti dimenticato di me.”

Lui si tolse gli occhiali per guardarla meglio. Era certamente famigliare, ma non capiva proprio chi potesse essere. In gioventù doveva essere stata una donna molto bella, ma era davvero invecchiata male.

Lei disse: “Forse il mio nome ti ricorderà qualcosa. Moegi Honda Matsumoto.” e sorrise ancora.

Takanori impallidì. 

Sua madre.

Quella donna era sua madre.

Si alzò in piedi, pronto ad andarsene.

“Ti abbiamo visto al funerale di tuo padre, Takanori.” continuò lei. “In tutti questi anni non ho fatto altro che pensarti, e dirmi che sono stata stupida. Mi sono pentita di moltissime cose…”

“Stai forse cercando di chiedermi scusa?” chiese lui non tradendo il disprezzo che provava.

“Sì, Takanori. Voglio chiederti scusa. Non pensavo di trovarti proprio qui, ma era da un sacco che ti stavo cercando. Vorrei poter recuperare il tempo perduto…”

“Potevi pensarci prima.” rispose solamente. 

Prese la valigia e se ne andò, quasi correndo, maledicendo tutti i Kami di sua conoscenza.
Non ci volle molto per risentire le lacrime bruciargli gli occhi, e riuscì a trattenerle fino a raggiungere il suo appartamento poco fuori Kanagawa. Pianse tantissimo, cercando conforto come faceva di solito: rivivendo nella sua mente i bei ricordi che aveva con Ryo, Kouyou, Yuu e Yutaka.
L’ombra di quei giorni l’aiutava a stare meglio.
Inevitabilmente però, i ricordi legati alla sua famiglia riemersero come un mostro da una palude; si rivide tredicenne, con quella felpa addosso e il cappuccio in testa a difesa dall’intero universo.
Con un brivido di terrore lasciò che la sua mente gli facesse ricordare le sere passate nella sua stanza a pregare che quella bestia di suo padre si fermasse.
Ma con dolcezza, i suoi ricordi gli fecero rivivere in un attimo la dolce speranza che aveva di scappare da quel mostro e di stare per sempre con la persona che gli aveva insegnato la bontà e l’amore: Ryo.
L’ultima lacrima che versò fu di nostalgia e mancanza.
Guardò il biglietto che aveva in mano.
Ancora pochi giorni e avrebbe raggiunto Nagoya.
Solo pochi giorni.

 

Gettò via il mozzicone della sigaretta, sentendo subito dopo la porta di casa aprirsi: si fiondò in casa per stringersi addosso a Ryo. L’uomo, colto di sorpresa, per poco non cadde all’indietro; ritrovato l’equilibrio ricambiò la stretta. 

“Ciao amore.” gli bisbigliò Ryo all’orecchio. 

“Ciao…” rispose lui sorridendo felice.

Buttò via quello stupido ricordo, la tristezza momentanea, la rabbia e il disprezzo che aveva provato. Specchiandosi negli occhi di Ryo come ogni sera, smise di pensarci, una volta per tutte.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E così, eccoci qua.
Mi scuso subito perché io non sono capace di scrivere i finali, e questa è la cosa migliore a cui sono riuscita a venire a capo. Più di ogni altra cosa, voglio ringraziarvi, più di ogni volta: siete state voi a farmi amare questa storia ancora di più di quanto io non la amassi già.
Quindi grazie, mie instancabili recensitrici:
Kyoite, miyabi83, Effy_Stonem, taiga chan, SamHmyCchan, Suzuki_san, DarkSoulAlone, Reituki93, jennifer_tomlinson, e Suzuki Akira. Per tutte le meravigliose parole d'affetto che mi avete rivolto, le quali mi hanno sempre dato la forza di andare avanti, non solo con la storia, ma anche nella vita di ogni giorno.

Grazie alle mie lettrici silenziose.

Grazie a le fanciulle che hanno messo la storia fra le preferite, e parlo di
DarkSoulAlone, Kyoite, SamHmyCchan, Sbenny e taiga chan. Grazie davvero per aver considerato la mia storia così bella da metterla addirittura fra le vostre preferite e dunque le più amate.

Grazie alla fanciulla che l'ha messa fra le ricordate,
_Lolita, grazie mille!! 

Grazie a voi che l'avete messa fra le seguite:
ayame_chan4, Effy_Stonem, ERICA MASON, Kaoru_, miyabi83, Suzuki_san e Tifawow. Grazie per aver seguito la mia storiella! <3

Non mi rimane che asciugare queste stupide lacrime di emozione e annoverare per un attimo tutte quelle volte in cui ho riscritto questa storia, fino ad arrivare alla forma finale, quella che voi avete letto ed apprezzato. Molte altre mie storie sono nel cassetto in attesa di essere riviste e rielaborate, dopo anni di abbandono. Potrei addirittura promettervi una spin-off di questa, ma purtroppo non posso assicurarvi nulla (maledetta ispirazione).

Un ultimo ringraziamento lo voglio dedicare ai Gaze, la mia band giapponese preferita, e a quei due babbuini di nome Ruki e Reita che mi fanno fangirleggiare un giorno sì e un giorno sì. Grazie ragazzi <3 

E quindi, ci rivediamo alla mia prossima creazione, chissà quando, ma vi prometto che tornerò.

Grazie a tutte!! Vi voglio bene <3

Yukiko H.

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