To live is the rarest thing in the world. Most people exist, that is all. di R e d_V a m p i r e (/viewuser.php?uid=99685)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Only good questions deserve good answers ***
Capitolo 2: *** To be natural is such a very difficult pose to keep up. ***
Capitolo 3: *** And of course a man who is much talked about is always very attractive. One feels there must be something in him, after all. ***
Capitolo 4: *** It's more painful to separate from those who know too little time. ***
Capitolo 5: *** Nothing is more provocative as stillness and goodness. ***
Capitolo 6: *** Memory is the diary that we all carry about with us. ***
Capitolo 7: *** Over the piano was printed a notice: ''Please do not shoot the pianist. He does his best.'' ***
Capitolo 8: *** The world is divided into two classes, those who believe the incredible, and those who do the improbable. ***
Capitolo 9: *** The truth is rarely pure and never simple. ***
Capitolo 10: *** Even you are not rich enough, to buy back your past. ***
Capitolo 11: *** Arguments are to be avoided; they are always vulgar and often convincing. ***
Capitolo 12: *** To be in love is to surpass one's self. ***
Capitolo 13: *** Conscience makes egotists of us all. ***
Capitolo 14: *** Who, being loved, is poor? ***
Capitolo 15: *** Life cannot be written, life can only be lived. ***
Capitolo 1 *** Only good questions deserve good answers ***
Mi piace sentirmi parlare.
È una delle cose che mi divertono di più.
Spesso sostengo lunghe conversazioni con me stesso
e sono così intelligente che a volte non capisco
nemmeno una parola di quello che dico.
Il Razzo Illustre - Oscar Wilde
Only good questions
deserve good answers
«...e poi, e questo
è buffo davvero!, non si accorse nemmeno che il suo
parrucchino se lo stava mangiando il cane - Bonbon, nome
orrendo per una bestiola orrenda c'è da dire. Detesto i
cani, tutta quella bava, è per questo che ho il Presidente.
Beh, lo so che assomiglia poco ad un gatto, però-»
I presenti, stipati nello
stretto divano fiorato del salotto di casa Bane, si scambiarono uno
sguardo perplesso e vagamente intontito.
Jace, che aveva preso a
giocare con le frange verdi di un orrendo cuscino panciuto ricamato di
rose rosse in tinta con il mobile su cui era accomodato da
più di mezz'ora, alzò lo sguardo dorato
sull'oratore all'impiedi vicino alla poltrona dove stava rannicchiato -
o per meglio dire asserragliato - in un comprensibile disagio
il suo parabatai.
«Wow.
Interessante.»
Esordì Simon, il
primo a riprendersi dal silenzio in cui erano sembrati piombare tutti
da quando lo stregone aveva iniziato l'ultimo di una sfilza di
anneddoti senza senso, sbatacchiando un paio di volte le palpebre e
rimettendosi in posizione seduta dopo essere scivolato lentamente ma
inesorabilmente verso il basso, quasi in procinto di addormentarsi.
Per tutta risposta Isabelle,
schiacciata tra il suo fianco e quello di Clary, si mosse per
rifilargli una gomitata dimenticandosi di prendere bene le distanze.
«Ahi! Izzy! »
«Oh,
scusa...»
Le scoccò un
sorriso dispiaciuto, mentre Jace faceva di tutto per non farsi beccare
a ridere nel guardare la sua ragazza massaggiarsi il braccio offeso
dalla foga
dell'amica.
Dalla poltrona Alec emise uno
squittio strozzato, che suonava tanto come quei versetti che faceva il
Presidente Miao quando non lo vedevi e gli pestavi per sbaglio la coda.
Quella situazione, aveva la sensazione, sarebbe andata avanti ancora
per le lunghe e Magnus
sembrava non voler accennare a smettere.
«Davvero molto...
oh, e vi ho mica parlato di quella volta in cui Napoleone si perse le
mutan-»
«Noi» Jace
sfoggiò il migliore dei suoi sorrisi insolenti, alzandosi
dal divano e troncando a metà la frase dello stregone
«Adesso dobbiamo proprio andare. Vero ragazzi?»
«Ma veramente io
volevo sapere delle mutande- ouch!»
Isabelle lo
gratificò di un'occhiataccia, massaggiandosi il gomito con
cui era finalmente riuscita a colpirlo. Cavolo se non aveva la
pellaccia dura, quel vampiro, ma almeno era riuscita nell'intento di
fargli smettere di dire cavolate e così fomentare il padrone
di casa a
parlare ancora e ancora e
ancora. Magnus dava l'idea di poter essere tranquillamente
in
grado di farlo senza mostrare un minimo accenno di stanchezza.
«Sìsì...
dobbiamo andare» borbottò offeso il Diurno
alzandosi a sua volta. «Abbiamo il tavolo prenotato da Buddy's e se
facciamo tardi...»
«Ma se tu nemmeno
mangi»
Fece notare con un sorrisetto
sardonico lo stregone, nascondendo la piega delle labbra dietro un
pugno leggermente chiuso. Era certo che se ne avesse avuto ancora la
possibilità, il vampiro sarebbe di sicuro arrossito.
Fortunatamente ci
pensò Clary, balzando giù dal divano ed
afferrando il suo ragazzo per una mano e il migliore amico per un lembo
della maglietta nera con la scritta ''Lega pro Belli&Dannati''
che aveva fatto storcere il naso a Izzy in una chiara smorfia
scontenta, quando era venuto a prenderli all'Istituto.
«Ma noi
sì. E siamo davvero
in ritardo. Grazie per l'ospitalità, Magnus.
Alec...» fece un cenno col capo al povero ragazzo che
stiracchiò un sorriso tremulo sulle labbra, guardandoli come
a volergli chiedere silenziosamente scusa e trascinandosi insieme al
compagno all'ingresso per accompagnarli mentre quello borbottava un
''oh beh, non sapete che vi perdete''.
Quando finalmente il quartetto
fu fuori, dopo i saluti di rito, il Cacciatore si poté
permettere di tornare a respirare e guardare stranito il suo fidanzato,
che sogghignava placidamente ricambiando lo sguardo di quegli occhi assurdamente azzurri.
«Perchè?»
«Perchè
cosa, fiorellino?»
«Perchè
hai attaccato con quelle storie assurde... e - non chiamarmi
fiorellino»
Lo stregone lo
guardò con aria di sufficienza, inarcando un sopracciglio
sottile e curato che, Alec lo sapeva bene, si premurava di ridisegnare
con
particolare cura con le pinzette ogni mattina.
«Perchè
amo sentirmi parlare, non trovi che la mia voce sia stupenda? E le mie
storie molto interessanti e-»
«Per l'Angelo,
Magnus. Sono venuti per farti una domanda. Stupida, ma pur sempre una
domanda»
Il sorriso del Sommo Stregone
di Brooklyn fu un lampo di denti bianchissimi e un luccichio
verde-dorato di iridi feline. E il suo viso troppo vicino,
così come le sue labbra, per poter permettere al Nephilim di
cogliere davvero le parole che pronunciò prima di annullare
ogni distanza e baciarlo, premendolo contro la porta ora chiusa.
«Appunto»
Simon, impegnato a calciare un
sassolino sotto lo sguardo scontento di Isabelle, si fermò
di colpo rischiando di far sbattere Jace, impegnato nella
contemplazione di Clary, contro la sua schiena.
Ignorando i lamenti del
Cacciatore biondo, guardò i tre amici con aria confusa e
divertita insieme.
«...ehi... ma...
Magnus non ce l'ha data una risposta!»
____________________________________________________________
»L'angolino di Red«
Anche il titolo
della raccolta e quello del capitolo sono una citazione di Wilde, of
course.
Allora, l'idea nasce così, per caso, cazzeggiando sulla
pagina di wikiquote di Oscar Wilde. Mi sono detta ''oh, cavolo, fa tanto
Magnus!'' e quindi ecco qui una raccolta su Magus.
Non so di quanti capitoli sarà, nè quando
aggiornerò. Dipende dall'ispirazione.
So solo che per ogni capitolo ci sarà una citazione (non
sempre anche nel titolo), che non ha una collocazione temporale
specifica quindi potete andare di fantasia, e che sarà
ovviamente presente tanto sano Malec (ma anche accenni ad altre coppie,
come visto).
Uhm, che altro? Spero che vi piaccia e ringrazio già chi
perderà una decina di minuti a leggere - mi farebbe piacere
ne aggiungeste un paio di più per farmi sapere cosa ne
pensate, maquestononlodico. Oh, l'ho detto? Fa niente.
See ya!
Red.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** To be natural is such a very difficult pose to keep up. ***
I fiori che tu prendesti da me
per metterli sulla tomba di tuo fratello
dovevano essere un
simbolo non solo della bellezza della vita,
ma della bellezza che
giace dormiente nella vita di ognuno
e che può
essere portata alla luce.
Tutte le Opere - Oscar Wilde
To be
natural is such a very difficult pose to keep up.
Alec
non aveva pianto.
In realtà Magnus si era chiesto se avesse davvero realizzato
di tenere fra le braccia il corpo senza vita del suo fratellino.
Un bambino davvero grazioso, il piccolo Max, minuto e dinoccolato con
quell'aria lì di poter essere qualsiasi cosa e assomigliare
tanto al padre quanto al fratello senza però saperlo ancora,
come per tutti i ragazzini sulla soglia dell'adolescenza. Lui non
sarebbe mai andato oltre, però. Era triste da pensare.
Aveva visto tante persone morire, lo stregone, persino bambini
sì. Quando hai secoli sulle spalle finisci per non stupirti
più di nulla e sono poche le cose che i tuoi occhi riescono
a rifuggire.
Ma l'espressione sul viso del giovane Cacciatore, ecco, quella avrebbe
voluto risparmiarsela.
Perchè priva di tutto, con gli occhi pieni di niente. Quello
faceva davvero paura. Il dolore, un dolore talmente tanto grande da non
riuscire ad essere espresso.
Si era rintanato in un angolo, il Figlio di Lilith, ben consapevole di
non avere il diritto di entrare nel dolore personale di quella
famiglia. Anche se la voglia di stringere una mano sulla spalla del
Nephilim dagli occhi azzurri era stata tanta quando le urla di Maryse,
accusatrici nei confronti del marito, avevano sovrastato il pianto
ininterrotto di Isabelle.
E Alexander stava lì in mezzo, immobile con quel corpicino
spezzato stretto fra le braccia, con le labbra appena un po' socchiuse
come in procinto di dire sempre qualcosa. Magari di chiedere silenzio.
Quasi avesse paura di svegliare il fratellino, quasi Max stesse solo
dormendo come tante volte aveva fatto al sicuro nell'abbraccio del suo
fratellone.
Alla fine Magnus era andato via, non riuscendo a sopportare oltre una
delle innumerevoli tragedie di quella guerra non ancora iniziata.
«Sto bene», «Va tutto
bene», «E' ok»
Alec lo diceva spesso quando provavano a chiedergli come stava.
E continuava a girare per la Sala degli Accordi come se quei minuti
rubati lo infastidissero rallentando un lavoro importante. Dava l'aria
di avere sempre qualcosa da fare, eppure si limitava a girare a vuoto o
rimanere incantato a fissare il nulla per svariati minuti.
Quando lo stregone lo rivide non aveva più il fratello fra
le braccia, ma le stringeva forte attorno al torace come ad abbracciare
una presenza invisibile più che abbracciarsi lui stesso.
«Lo hanno portato insieme agli altri morti per prepararlo. Il
funerale sarà domani.»
Una risposta laconica ad una domanda inespressa, quasi stesse dando
un'informazione futile di stampo metereologico. Quasi non stesse
parlando dello stesso bambino che aveva cullato il giorno prima nel suo
silenzio, assordante più delle grida dei suoi genitori.
Aveva mosso un passo e provato a stringergli una mano su una spalla, ma
era riuscito solo a sfiorare la stoffa della divisa nera da Cacciatore
che non toglieva mai in quei giorni.
«Mi dispiace, Alexander...»
Non si era voltato a guardarlo. Era rimasto a fissare la fontana al
centro della Piazza, il viso immobile come se indossasse una maschera
di cera. O fosse lui stesso una statua.
«Va tutto bene. Combatteremo, l'Angelo lo sa se non la faremo
pagare a Valentine e quel bastardo...»
Aveva ripetuto per l'ennesima volta, scuotendo il capo e stringendo
forte le mani in pugni tanto da far sbiancare le nocche. Era stata
l'unica reazione che Magnus aveva visto in lui, quel giorno.
Non aveva aggiunto niente, guardandolo incamminarsi verso Clary e Luke
con la postura ritta di un soldato. Algido, imperturbabile e pronto,
come ogni buon Nephilim doveva essere, come era sempre lui del resto.
Quasi non fosse accaduto proprio niente.
Eppure le sue spalle tremavano.
«Quanto ancora
potrai durare mio piccolo Cacciatore?» nessuno
aveva sentito il sussurro, prima che lo stregone sparisse come se
lì non ci fosse mai stato.
Il vento si era alzato freddo, quella mattina su Alicante.
Le famiglie che avevano perso qualche caro sfilavano nei loro abiti
bianchi del lutto, e sarebbe stato persino affascinante da osservare se
quel candore non lo avesse visto anche addosso al maggiore dei figli
dei Lightwood.
Decisamente, ad Alec donava di più il nero.
E dovano di più le lacrime, a rendere vivi quegli occhi
azzurri, mentre accettava con mani tremanti il mazzo di gigli bianchi che
il Sommo Stregone di Brooklyn gli porgeva.
Mentre li deponeva fra le mani del suo fratellino e sentiva quel Figlio
di Lilith al suo fianco pronunciare, con forza e partecipazione
insieme, quell' Ave
atque vale che doveva essere riservata solo ai Cacciatori
e pronunciata unicamente dai Nephilim.
E mentre si stringeva, tremante, al petto di quello stesso Nascosto a
cui aveva permesso di vedere la propria fragilità. Cercando
finalmente consolazione fra le sue braccia per un dolore che non poteva
più tenere dentro.
«Mi dispiace...
mi dispiace c-così tanto...»
«Shh, Alexander... Alec,
lo so. Lo so.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** And of course a man who is much talked about is always very attractive. One feels there must be something in him, after all. ***
Niente
è così pericoloso quanto l'essere troppo moderni.
Si
corre il rischio di diventare improvvisamente fuori moda.
Un Marito
Ideale - Oscar Wilde
And of course a man
who is much talked about is always very attractive.
One feels there must
be something in him, after all.
Alec conosceva Magnus da quasi
un anno ormai e quindi poteva azzardarsi a dire di aver compreso
qualcosa in più di quello strano stregone, rispetto a tutti
gli altri.
Certo era che riuscire
a cogliere ogni cosa delle mille e uno sfaccettature che concorrevano a
comporre il Summus
fosse così assurdamente difficile dal rasentare
l'impossibile; e, di questo, era certo sarebbe stato così
anche avesse avuto dalla sua la stessa immortalità vantata
dall'altro.
A voler essere onesti
con se stesso, il Cacciatore sapeva di non aver capito più
di quanto avesse effettivamente compreso del suo ragazzo. E di questo
non poteva proprio incolparsi visto che la maggior parte delle volte
era proprio il Figlio di Lilith a glissare sulle sue domande e cambiare
discorso.
Se era lui per primo a
non voler essere conosciuto come avrebbe dovuto fare, di grazia, lui a
riuscire nell'impresa che più volte gli era stata
rinfacciata?
Non sapeva molto del
suo passato, quasi niente. Nemmeno di preciso quanti anni - secoli - avesse
quel Sommo Disgraziato dagli occhi di gatto e la parlantina da comare
di paese, visto e considerato che l'altro non faceva che cambiare
numeri a piacimento nascondendosi dietro improbabili vuoti di memoria.
Ma una cosa c'era, che Alec
Lightwood aveva capito da quando stavano insieme...
«Magnus ci
guardano tutti.»
Il sorriso dello
stregone al suo fianco era furbo come quello di un monello.
«No,
dolcezza, guardano tutti me»
Se all'inizio della
loro relazione una cosa del genere l'avrebbe indispettito e fatto
imbronciare, adesso quella palese dimostrazione di magnuscentrismo
riusciva soltanto a lasciarlo vagamente perplesso ed un filino
esasperato.
«Ci
credo-» iniziò, abbozzando un sorrisetto
esasperato e cercando di nascondersi dietro la sciarpa azzurra che gli
circondava il collo, quasi nella speranza di sparirci dentro o forse
solo nascondere il rossore che gli aveva imporporato le guance e non
era del tutto colpa del freddo novembrino «-sembri appena
uscito da un pranzo alla corte di Luigi XVI»
Lo stregone al suo
fianco arricciò il naso in un'espressione così
deliziosamente felina che quasi fece venir voglia al suo compagno di
iniziare a fargli i grattini dietro alle orecchie come al Presidente.
«Per piacere,
Alec, non dire certe assurdità.»
Sembrò
pensarci qualche istante, arcuando le sopracciglia sottili
«Al massimo Luigi XIV»
Il Cacciatore decise
saggiamente di non ribattere pur non vedendo quella che a parere del
Figlio di Lilith doveva essere una sostanziale differenza. Ma quale dei
due re francesi fosse, poco importava; quella camicia jabot viola con il
pizzo che indossava sotto una giacca da uomo sportiva e i jeans
aderenti di denim rovinato ficcati in alti stivaletti di pelle, insieme
al codino basso in cui aveva costretto i capelli scuri diligentemente
pettinati e ingellati di glitter come suo solito, attirava l'attenzione
dei mondani come se il suo ragazzo stesse girando nudo per le strade
congelate di New York.
Cosa che non l'avrebbe
visto altrettanto tranquillo, si ritrovò a riflettere.
«Hai visto
quello?» «Quant'è figo... pensi che sia un
modello?» «Forse sta pubblicizzando
qualcosa»
Anche se lo stregone
non gli avrebbe mai fatto piacere l'andare in giro per negozi, visibili
agli occhi di tutta quella gente, pure se si tenevano strettamente per
mano e stavano così vicini. Oh, e gli permetteva di scoccare
occhiatacce assassine ai gruppetti di ragazzine che sentiva ciarlare e
guardare un po' troppo' il suo
fidanzato.
«Per le
mutande di Lilith, guarda quelle scarpe... devono essere mie! Muovi
quel bel culetto, pasticcino»
... a Magnus Bane, Sommo Stregone
e Shoppingmaniaco di
Brooklyn, da brava primadonna - e con questo avrebbe
tranquillamente potuto competere con Jace - piaceva davvero sentir
parlare di sé. Nel bene o nel male.
__________________________________________________
»L'Angolino di Red«
Anche questa
volta, il titolo del capitolo è una citazione di Wilde. Sto
provando a trovare collegamenti fra questo e la citazione effettiva del
capitolo. Mh,
chissà se ci riuscirò per tutte.
Anyway ho
provato a fare un fioretto per l'anno nuovo (parecchio in ritardo,
macchisenefrega) e quindi per questa raccolta proverò a
postare un capitolo al giorno. Massimo ogni due, se proprio non ce la
faccio.
Incrociate le dita per me, ragazzi. Oh, e... se avete qualche citazione
di Wilde su cui vorreste vedere un capitolo, comunicatemela pure.
Vedrò cosa riesco a fare *sivuolemale*
See Ya!
Red.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** It's more painful to separate from those who know too little time. ***
Nella
vita non esistono cose piccole o grandi. Tutte le cose possiedono pari
valore e pari misura.
De Profundis -
Oscar Wilde
It's more painful to
separate from those who know too little time.
L'Istituto di New York era
decisamente diverso da quello di Giacarta,
era stato il primo pensiero del bambino. Non era abituato a stare
troppo tempo lontano da casa sua, anche se fin da piccolissimo i suoi
non avevano fatto che sballottolarlo da Idris all'Indonesia. Non aveva
mai capito perché i coniugi Bane avessero deciso di
abbandonare la loro magione nei pressi di Alicante a favore della
conduzione di quello che agli occhi dei mondani appariva come un
vecchio edificio dismesso non dissimile dalla Cattedrale che dava asilo
ai Cacciatori di quella città, ma probabilmente era solo la
nostalgia della terra dove i suoi genitori si erano incontrati ad
avergli fatto compiere quella scelta.
Del resto la sua
famiglia non aveva mai avuto niente a che fare con il Circolo e dunque
non poteva trattarsi di una punizione del Conclave, quanto
più di una scelta personale. Quando era diventato abbastanza
grande da poter ragionare con la sua testa, però, aveva
trovato buffo come i suoi avessero deciso di andare a relegarsi
dall'altra parte del mondo; bellissimo posto, questo è vero,
ma di Shadowhunters da quelle parti ne giravano pochi.
Così lui
non aveva avuto granché possibilità di
relazionarsi con altri bambini che con lui condividevano il sangue
benedetto dell'Angelo.
Forse per questo
motivo aveva trovato affascinanti i figli dei Lightwood, anche se
questo solo all'inizio. Gli era bastato passare più di dieci
minuti insieme a quel Jace per capire che quel bambino era una mina
vagante e priva del più basilare controllo. Nemmeno sua
sorella Isabelle riusciva a tenerlo in riga, anche se non è
che lei fosse da meno.
A pensare a quella
bambina dai lunghi capelli neri e l'aria da smorfiosetta arricciava
ancora il naso; aveva riso sadicamente, troppo per essere
così piccola, quando il fratello gli aveva mostrato la sua
incredibile mira facendogli spiaccicare una cucchiaiata di budino al
cioccolato in piena fronte. Per questo covava il malcelato sospetto che
Izzy fosse
un demone.
Ovviamente questo ai
suoi genitori non lo aveva detto. Conosceva la buona educazione, LUI.
Girava per il cortile
dell'edificio da un po', ormai, alla ricerca dei due Lightwood.
Nonostante fosse abbastanza grande per avere i primi marchi, non lo era
abbastanza per poter assistere alle discussioni dei grandi. Questo era
davvero noioso, e considerato mortalmente ingiusto dall'altezza dei
suoi undici anni, così lui e gli altri due bambini avevano
deciso di andare a giocare - anche se in realtà era
più corretto dire che erano stati sbattuti fuori dalla
Biblioteca da Maryse e Jun. Ma adesso i fratelli non si vedevano
più da nessuna parte e nemmeno lui, considerato un
indiscutibile asso a nascondino - gioco mondano che aveva appreso dai
bambini del suo quartiere - era riuscito a trovarli. E dire che era la
prima volta che entrambi giocavano a quel gioco che fino a mezz'ora
prima avevano considerato assolutamente
ridicolo!
«Uff, la fortuna del
principante»
Con un broncio il
piccolo si lasciò cadere su una panchina di pietra,
all'ombra di un grande albero - un faggio, forse, o un acero -
riversando il capino moro e scarmigliato all'indietro ed agitando le
gambe per sottolineare ancor di più quanto fosse scocciato.
Il sole non gli dava fastidio, c'era abituato e lo sottolineava la sua
pelle dolcemente brunita, ma riusciva in ogni caso ad impigrirlo
nemmeno fosse stato un pacioso gatto più che il ragazzino
asiatico dai furbi occhi verdi che era.
«Jaaaace,
Iiiizzy» riprovò, con voce acuta e strascicando
volutamente le vocali, anche se non sembrava davvero interessato ad una
risposta «Su, uscite fuori, avete vinto voi!»
Quanto odiava dover
dire quelle parole! Ma non ci teneva davvero a farsi un altro giro del
perimetro dell'Istituto con quel caldo, soprattutto perché
sapeva perfettamente che quei due dovevano conoscere posti segreti dove
infilarsi che lui non avrebbe trovato se non a mettersi di buona lena
per cercarli. E ci sarebbero voluti come minimo tre giorni. Un tempo
infinito, che tra l'altro non aveva. L'indomani sarebbero tornati a
Giacarta.
«Waah, che
antipatici quei due! Spero che un demone rasi a zero Isabelle nel
sonno.» si soffermò a pensarci giusto un attimo
«E anche Jace.»
«Perché
un demone dovrebbe rasare qualcuno nel sonno?»
La domanda lo colse
impreparato e lo fece sobbalzare e quasi rischiare di cadere dalla
panchina. Sgranò gli occhi, mettendosi immediatamente seduto
e girando il capo a destra e sinistra, comicamente, per cercare la
fonte di quella voce.
La ritrovò
in un giovane che era appoggiato al tronco dell'albero alla sua destra
e che era del tutto sicuro non ci fosse stato fino a cinque minuti
prima.
«Ah,
ecco...»
Doveva avere
un'espressione davvero buffa, perché il ragazzo
increspò le labbra sottili in un sorriso leggero ed
impalpabile come fumo. Il piccolo Cacciatore dovette ridurre a fessura
gli occhi per poter sincerarsi che non fosse solo frutto di un gioco di
luci.
Così
facendo poté guardarlo meglio. Non doveva avere
più di vent'anni, ed era indubbiamente molto bello. Gli
ricordava un po' la raffigurazione degli Angeli. Ma non un Angelo
guerriero e ardente come Jace, quanto più un Angelo... triste. Ecco, quel
ragazzo aveva un'inspiegabile aria malinconica anche mentre sorrideva.
Era ammantato di nero,
indossava un lungo cappotto dal bavero rialzato anche se erano in pieno
Luglio, e aveva dei capelli ugualmente nerissimi. A Magnus ricordarono
le piume del corvo di Hodge. Ma la cosa che lo stupì fu
l'innaturale pallore della sua pelle.
«Sei un
vampiro?»
La domanda ingenua gli
constò uno sguardo perplesso da parte dell'altro.
«Se fossi un
vampiro non potrei stare qui. E' suolo consacrato»
«Potresti»
ribatté con un sorriso furbetto il più piccolo,
guardandolo con quegli occhi intelligenti «Se fossi una
Proiezione. Ho sentito dire che alcuni di loro sanno farlo.»
L'altro
increspò le sopracciglia, come riflettendoci, poi
abbassò di poco il viso nascondendolo fra i lembi del
giubbotto. Forse per celare il sorriso che si era fatto un po'
più esteso sulle labbra ugualmente chiare.
«Alcuni,
sì. Sei un tipetto sveglio. Però no, non sono un
vampiro.»
Il Nephilim
osservò per qualche altro istante lo sconosciuto, sgranando
gli occhi quando si accorse di un particolare che non aveva notato
prima. Un fascio di luce era riuscito a penetrare fra le fronde del
vecchio arbusto e in quel momento colpiva dritto in viso il ragazzo.
Quegli occhi. Erano occhi di un azzurro impossibile, luminoso e troppo
acceso per poter essere naturali; sembravano catturare la luce e
rimandare tante sfumature di blu al contempo cosicché era
difficile poter affermare con certezza di che colore fossero.
«Tu... sei
uno stregone»
Il Nascosto
incrociò le braccia al petto, facendo un unico piccolo cenno
affermativo col capo in risposta. Sembrava in qualche modo a disagio,
come se il sentire sbandierare la propria natura fosse un problema.
Effettivamente,
nonostante gli Accordi, che lui si trovasse lì era strano -
ragionò velocemente il giovane Cacciatore.
«Cosa ci fai
qui? Insomma sei un Nascosto - e non ho niente contro i Nascosti ma
sai, mamma e papà dicono di non fidarsi e non sono del tutto
sicuro che la signora Maryse sarebbe contenta di vederti nel suo
giardino e mi sembra che il signor Robert-»
«Frena,
frena... ti hanno mai detto che parli troppo, piccoletto?»
Il ragazzino avrebbe
dovuto arrossire, come buona educazione imponeva, ma invece rivolse
soltanto un sorriso birichino e solare al suo interlocutore.
«Non sa
quante volte, signor stregone!»
Il Figlio di Lilith si
ritrovò a distogliere lo sguardo e sbuffare, rassegnato.
«E sei anche
troppo diretto.»
Il bimbo
inarcò le sottili sopracciglia scure, ingenuamente perplesso.
«Ed
è un male?»
L'altro
sembrò rifletterci su, picchiettando la punta di uno stivale
per terra «Non sempre»
«Signor
stregone come ti chiami?»
«Non
chiamarmi ''signor stregone''»
Il bambino
arricciò il naso, risentito, gonfiando appena le guance e
piazzando i pugni sulle ginocchia.
«Ma se non
mi dici come ti chiami come faccio a non chiamarti signor stregone? E
poi sei uno stregone, scusa, non è che sei un kelpie e ti chiamo
stregone, anche perché non avrebbe sens-»
«Alec»
sbottò, alla fine, esasperato il Nascosto. Tutto pur di
farlo stare zitto.
Il piccolo Nephilim
sorrise con aria angelica, vittorioso.
«Alec come
Alexander?» chiese poi, dopo averci riflettuto un poco su.
«Alec come
Alec»
Fu la risposta
lapidaria, forse un po' troppo brusca, dell'altro ragazzo che
sembrò deciso a trincerarsi nel silenzio per i minuti
successivi.
«E tu come
ti chiami?»
Il ragazzino
alzò sorpreso lo sguardo, osservando il ragazzo che era
rimasto appoggiato per tutto quel tempo contro l'albero senza
spiccicare parola. Quando aveva capito che non avrebbe più
ricavato una sillaba da lui si era deciso a rinunciare alla ricerca dei
due - pseudo - amici e si era sdraiato sulla panchina.
«Io?»
La lieve ruga
d'impazienza che si stava formando fra le sopracciglia scure dell'altro
lo convinse a non tergiversare con altre domande stupide e rispondere
infretta.
«Magnus.
Magnus Bane.»
Lo stregone lo
fissò indeciso «Che nome ridicolo»
Per l'ennesima volta
il più piccolo si armò di quel broncio
indispettito, assumendo una posa speculare a quella dell'altro ed
incrociando le braccia al petto.
«Non
più di Alec»
Il diretto interessato
roteò gli occhi, che baluginarono di azzurro nell'ombra.
Sembravano quasi fatti di fiamme, come fossero fuochi fatui
intrappolati da quelle ciglia scure.
«Irriverente,
anche! Per Lilith, voi Cacciatori siete insopportabili fin da
bambini.»
«E voi
stregoni avete tutti la puzza sotto il naso?»
La domanda
suonò innocente, ma lo sguardo del bimbo diceva tutt'altro.
Alec si irrigidì, ricambiando con un'occhiataccia. Quel
tipetto era davvero irritante. Eppure qualcosa in lui lo attirava.
Nessuno aveva mai avuto l'ardire di rispondere a lui, il Sommo Stregone
di Brooklyn, così.
«Non mi hai
detto perché sei qui» gli ricordò dopo
qualche istante il ragazzino.
Il Nascosto scosse il
capo, riprendendosi dai suoi pensieri ed alzando lo sguardo sulle mura
dell'Istituto. Aveva in viso un'espressione indecifrabile e i suoi
occhi incredibilmente azzurri si erano rabbuiati. Adesso ricordavano il
mare in tempesta, pur tendendo al blu elettrico.
«Mi hanno
convocato loro. Hodge e gli altri. Ovviamente non posso dire di no ad
un ordine diretto del Conclave» aggiunse, e l'astio era
palpabile nella sua voce.
«Tu invece
cosa ci fai qui?»
Magnus
inarcò un sopracciglio sentendosi rimbalzare la propria
domanda e finalmente le sue guance si accesero di una sfumatura rosata
a stento distinguibile col suo incarnato.
Non ricevendo risposta
lo stregone abbozzò un sorrisetto saccente.
«Sei troppo
piccolo per le questioni dei grandi, eh?»
«Non sono
piccolo! Tra un mese compio dodici anni!»
Si difese, con
rinnovato ardore, il bambino. Il ragazzo addolcì il sorriso,
decidendosi finalmente a staccarsi dal tronco che sembrava quasi
poterlo inglobare, continuando a starci appoggiato così, e
si avvicinò a passi calmi alla panchina.
«Hai
ragione» mormorò, allungando una mano verso il suo
viso.
Magnus colse
distrattamente il particolare delle unghie dello stregone, lunghe
più di cinque centimetri ed affilate simili ad artigli, ma non se ne
preoccupò. Rimase tranquillo mentre quello gli stringeva il
mento fra pollice ed indice con delicata fermezza, sollevandogli il
viso per poterlo studiare.
Sostenne testardamente
lo sguardo del Figlio di Lilith, catturato da quel bagliore mutevole di
fuoco azzurro, ma altrettanto sembrò fare il più
grande.
Alec osservava gli
occhi del piccolo Cacciatore affascinato, stupendosi di non aver notato
fino a quel momento come il verde possedesse un'ombra iridescente di
dorato, pagliuzze che potevano essere notate attorno all'iride solo
quando la luce le colpiva in un modo particolare. Come in quel momento.
«Magnus,
MAGNUS!»
Le urla di Jace,
provenienti dall'altro lato del giardino, sembrarono ridestare il
Nascosto dalla contemplazione. Lasciò velocemente il mento
del bambino, indietreggiando di qualche passo.
Colui che veniva
chiamato a gran voce arricciò ancora una volta il naso,
facendo sorridere di riflesso chi lo stava guardando.
«Quel
Lightwood è una palla al piede!»
Alec sgranò
impercettibilmente gli occhi, a quelle parole, irrigidendo le spalle e
volgendosi per poterle dare al più piccolo.
«Bene, io
ora devo andare.»
«Aspetta,
Alec!»
Lo stregone si
ritrovò a guardare sorpreso le piccole mani scure e segnate
da rune e fievoli cicatrici argentee - così piccolo e
già ne aveva! - stringere con forza una delle sue. Il
contrasto era netto, sia per dimensioni che per colore. Ma non era
spiacevole.
«Che
c'è?» chiese, un po' più bruscamente di
quanto volesse.
Nello sguardo felino
del ragazzino passò un'ombra di delusione, ma il sorriso non
si spense su quelle labbra.
«Ci
rivedremo, vero?»
Lo stregone allora
sorrise, liberando cautamente la mano dalla morsa per poi posarla sul
capo scuro del Cacciatore e scompigliargli con un accenno di affetto i
capelli.
«Chi lo
sa...»
«Magnus!
Allora sei qui! Per l'Angelo, sono secoli
che ti cerchiamo!»
La vocetta acuta di
Isabelle fece voltare infastidito il ragazzino, scoccandole
un'occhiataccia.
«Non vedi
che sto parlando con qualcuno? Impara l'educazione,
Lightwood!»
«...parli da
solo, Mag?»
Chiese Jace, tra il
perplesso ed il divertito, sbucando alle spalle della sorella e
guardando alle spalle del Bane.
Il più
grande fra i tre sgranò gli occhi, compiendo una veloce
piroetta su se stesso e rimanendo a fissare il vuoto dove prima c'era
lo stregone.
«Ma... ma...
io, lui, era qui...»
I fratelli Lightwood
si scambiarono un sorrisetto saputo e poi si affrettarono a prenderlo a
braccetto, uno per lato, iniziando a trascinarselo di gran carriera
verso il portone.
«Certo,
certo, niente storie su amici immaginari, Bane. Abbiamo
indiscutibilmente vinto noi»
Dietro il vecchio
cancello in ferrobattuto - se lo si guardava con gli occhi dei mondani,
ovviamente - Alec scosse il capo, seguendo con lo sguardo i tre bambini
fino a che non furono spariti, inghiottiti dal pesante portone
dell'Istituto.
Si sistemò
il bavero del cappotto, prima di incamminarsi lungo le stradine
affolate di New York per tornare alla sua Brooklyn.
«Magnus...
eh?»
Per essere solo un
moccioso saccente e dalla parlantina un po' troppo vivace, gli sarebbe
decisamente mancato. I coniugi Bane sarebbero ripartiti il giorno dopo
per tornare al loro Istituto, in Indonesia e non l'avrebbe certamente
rivisto per molto tempo. Forse mai più.
Ma chissà.
In tanti secoli
aveva imparato a non dar mai nulla per scontato.
_______________________________________
»Angolino
di Red«
Shot
decisamente molto più lunga del mio solito. E' una what
if...? molto what if...? se non si era capito, al punto da rasentare
l'AU. Ma l'idea mi frullava in testa e mi intrigava. Uno scambio di
ruoli. Un Alec stregone e un Magnus cacciatore bambino, per una volta.
Non so se sono
riuscita a mantenere il carattere dei personaggi, nonostante fossero in
panni diversi dai loro. Ma c'ho provato.
Ah, giusto una
spiegazione veloce veloce: Alec è sempre un Lightwood ma non
è figlio di Robert e Maryse come si può ben
capire, ma un loro antico antenato (pur essendo uno stregone,
sì). Si intuisce che però i rapporti non siano
proprio idilliaci con la sua ''famiglia''. Max non c'è
semplicemente perchè non è ancora nato, e Jace
è arrivato da un anno in famiglia.
Non so quanto
possa servire, ma è sempre meglio mettere in chiaro le cose.
Detto questo,
ringrazio chi sta seguendo questa raccolta. E, come sempre, se volete
darmi un parere questo è ben gradito.
See ya!
Red
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Nothing is more provocative as stillness and goodness. ***
Una
rosa rossa non è egoista
perché
vuole essere una rosa rossa.
Sarebbe
terribilmente egoista
se
volesse che i fiori del giardino
fossero
tutti rossi e tutte rose.
L'anima
dell'uomo sotto il socialismo - Oscar Wilde
Nothing is more
provocative as stillness and goodness.
Che
la società dei Nephilim fosse chiusa e di ristrette vedute
lo aveva sempre saputo, lo stregone. Secoli di vita gli avevano
permesso di conoscere bene quei Figli dell'Angelo, abbastanza dal
fargli decidere saggiamente di non voler avere più nulla a
che fare con loro.
Non avrebbe più interferito con le vicende dei Cacciatori,
se l'era ripromesso tanti anni prima, eppure aveva contravvenuto al
proprio proposito con facilità a dir poco allarmante. E
tutto per due occhi incredibilmente blu.
Col tempo aveva finito per, se non proprio dimenticare, relegare ogni
informazione avesse acquisito su di loro in uno dei tanti cassetti
della sua sconfinata memoria.
Per questo non si era dimostrato affatto sorpreso nel comprendere la
reticenza del giovane Lightwood a pensare, figurarsi parlare!, della
sua sessualità.
Magnus aveva come il sospetto che la sola parola fosse un tabù al
pari di Valentine, per il Conclave, e si era più volte
ripromesso di chiedere a qualcuno se i giovani Nephilim studiassero
educazione sessuale fra un'ora di ''mille
e uno modi per far fuori un Divoratore'' e una di ''paraculaggine per principianti''
e l'altra; ovviamente non lo aveva mai fatto, ma come si dice... mai
dire mai, nella vita.
Ad ogni modo se mamma e papà Shadowhunters raccontassero o
meno la storia del cavolo e della cicogna (o forse non era proprio
così, ma dettagli) ai loro pluritatuati pargoletti non era
affar suo. Ma era più che consapevole che se una cosa del
genere arrecava imbarazzo, il parlare di omosessualità
avrebbe con ogni probabilità fatto venire un infarto a
qualcuna delle vecchie cariatidi del Conclave o agli stessi Fratelli
Silenti, chissà - anche se, in tutta confidenza, Magnus
pensava che quest'ultimi fossero di vedute un po' più
larghe... tipi strambi, quelli della Città di Ossa.
Ma, davvero, non ce l'avrebbe fatta oltre a vedere le lacrime scorrere
su quel viso tanto amato.
«Alexander...»
«Alec»
La correzione seguita da un singhiozzo fece stringere ancor
più dolorosamente la morsa del suo cuore, mentre osservava
quel Nephilim tanto forte in battaglia rivelarsi per il fragile ragazzo
che in realtà era. Ma ognuno di loro portava delle maschere
per poter continuare a vivere la vita di tutti i giorni, era il solo
modo per andare avanti e non crollare definitivamente.
Non essere vinti.
E magari sarebbe anche potuto andare bene così, nelle guerre
quotidiane contro i demoni, ma la stessa cosa non si poteva certo dire
per la vita. Da quella, in quel momento, sembrava proprio che il
primogenito dei Lightwood fosse stato battuto. E nel modo peggiore.
Lo stregone non si curò del fatto che la camicia nera di
Armani potesse bagnarsi e stingere, mentre stringeva al suo petto quel
ragazzo e gli accarezzava la schiena, lentamente, dal basso verso
l'alto per cercare di placarne il tremore incontrollato del corpo ed i
singhiozzi.
«Mi... mi considerano un mo-mostro... sono sbagliato,
capisci? P-per l'Angelo» e ingoiò un altro
singhiozzo, insieme all'aria «Mio padre... lui... lui crede
che sia solo un periodo.
Ti rendi co-conto?»
La mano continuò ad accarezzare quella schiena ampia e forte
che sembrava essersi spezzata, alla fine, sotto un peso troppo grande.
Avrebbe dovuto smetterla di voler sostenere da solo tutto il mondo,
Alec, avrebbe dovuto proprio.
«Ma rimane pur sempre tuo padre»
Il mormorio si perse fra i lisci capelli scuri contro cui erano
appoggiate le labbra, risultando ovattato quasi quanto l'accenno di
risata isterica che l'altro soffocò contro la stoffa.
«Sarei alla stregua di un Nascosto, per lui, se a-accettasse
la-» ma la voce si perse di nuovo, mentre quei grandi occhi
blu resi lucidi e più chiari dalle lacrime si sollevavano in
fretta sul suo viso guardandolo con un misto di orrore, dispiacere e
vergogna «- non volevo dire che i Nascosti, che tu... che
io...»
Magnus sbuffò, sentendo il naso solleticato dalle ciocche
scure, ma non interruppe l'abbraccio. Anzi lo rafforzò,
costringendo il più giovane a raggomitolarsi contro di lui,
fra le sue gambe, per avere una posizione più comoda su quel
divano.
«Piccolo mio... non sei tu quello sbagliato. Non pensarlo
mai. Cosa c'è di ingiusto o abominevole nel voler essere
ciò che si è se non fai del male a nessuno? Non
intendi certo costringere tutti i Nephilim a cambiare ciò in
cui credono e che amano»
Se la circostanza fosse stata un'altra probabilmente avrebbe detto
qualcosa come ''non li
costringi certo a cambiare sponda'', Alec lo sapeva, ma
apprezzò in ogni caso la delicatezza.
Magnus sorrise, circondandogli il viso con i suoi palmi caldi e
apprezzando il contrasto fra la pelle chiara e chiazzata di rosso per
via del pianto del Cacciatore e la sua più scura. Gli
accarezzò con dolcezza le gote, tentando di cancellare le
lacrime, percorrendo la pelle più sottile sotto l'occhio con
accortezza. Ed infine appoggiò la fronte contro la sua.
I suoi occhi da gatto scintillavano come sempre, ma avevano un calore
tutto loro che li faceva sembrare di oro fuso in quel momento.
«Sii orgoglioso di quello che sei, Alexander. Chi ti
ama non potrà che esserlo altrettanto»
L'espressione sul viso di Robert Lightwood era qualcosa di impagabile.
Avrebbe tanto voluto avere una macchina fotografica per immortalarla.
E avrebbe anche potuto farla apparire, effettivamente -
riflettè stringendo il braccio attorno alle spalle del suo
ragazzo, che finalmente avevano smesso di tremare - ma non era proprio
il caso, magari la prossima volta.
Aveva la schiena ritta, Alec, una postura fiera ed orgogliosa. E sapeva
bene, lo stregone, quanto gli costasse mantenerla e mostrarsi
così deciso di fronte i suoi genitori.
«Tu... stregone...»
Magnus sorrise, garbato, chinando appena il capo di lato.
«Ho un nome, Robert. Gradirei venisse usato. La chiamano
cortesia, pare.»
Maryse al fianco del marito ebbe un sussulto, ma fu
abbastanza brava dal nasconderlo.
Gli occhi scuri del Cacciatore si ridussero in due fessure e le mani
tremanti lungo i fianchi si rinchiusero in pugni che nemmeno la donna
al suo fianco ebbe il coraggio di sfiorare.
«So come ti chiami. E so cosa sei»
«Davvero? Acuto come ogni Lightwood che si rispetti. Lieto
che la tua vista sia ancora così buona, ti mantieni in
splendida forma»
Questa volta fu il turno di Alec di sobbalzare appena sotto la sua
stretta, scoccandogli un'occhiata preoccupata. Ma il Sommo Stregone di
Brooklyn sembrava calmo e del tutto a suo agio, un sorriso amabile
sulle labbra stranamente prive di trucco.
Il Cacciatore invece sembrava stare letteralmente fumando.
«Smettila di prendermi per il culo, stregone!» e
Maryse sussultò visibilmente, sgranando gli occhi,
inabituata a tale linguaggio da parte del suo sposo «So
cos'hai fatto a mio figlio, ma non credere che-»
«No, papà.»
La voce del diretto interessato sorprese un po' tutti. Alec era
arrossito, ma fissava con decisione il genitore negli occhi.
«Magnus non mi ha fatto proprio niente. Non sono sotto
incantesimo o chissà la diavoleria che credi. Io sono
così, sono sempre stato così. Sono sempre Alec,
papà, sempre tuo figlio. Sempre lo stesso Cacciatore, il parabatai di Jace.
Anche se sono innamorato di un altro uomo, sì.»
Magnus quasi si commosse, forse anche per l'essere stato definito un
uomo e non uno stregone, una volta tanto. Era per questo che si era
innamorato di Occhi Blu, in fondo.
Fu Maryse, contro ogni aspettativa, a rompere il silenzio che si era
creato. Furibondo da parte del marito, confuso e in attesa da quella
del figlio. Diede uno sguardo eloquente a Robert, al suo fianco,
stringendogli con fin troppa forza un braccio e poi si voltò
verso il Nascosto, chinando appena il capo corvino.
«Magnus vorresti farci l'onore di rimanere a cena da noi,
questa sera?»
Lo stregone riuscì a nascondere il sorriso, mentre si
chinava in un'ampio ed elegante inchino, stringendo al contempo con
forza la mano del suo ragazzo.
«Con molto piacere, madame»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Memory is the diary that we all carry about with us. ***
La vita è
semplicemente un mauvais quart d'heure composto di attimi squisiti.
Una donna
senza importanza - Oscar Wilde
Memory is the diary
that we all carry about with us.
Ad essere del tutto onesti, a
Magnus non piaceva particolarmente la Città di Ossa e
altrettanto non usciva pazzo all'idea di finire, un giorno, per
diventare parte di una delle colonne o del pavimento; il destino di
ogni Shadowhunters era quello, servire la causa fino alla fine dei
propri giorni e anche oltre. Era del tutto sicuro che nessuno dei
seppelliti in quel posto riposasse davvero. Preferiva le tradizioni dei
mondani, che seppellivano i loro morti nella terra e lì
affiggevano una lapide per avere un posto dove piangerli e ricordare.
Quando era morto suo
padre, tre anni prima, non era riuscito a versare una lacrima davanti
alla pira funebre. Si era semplicemente trovato ridicolo infagottato in
quei vestiti bianchi con le rune rosse del lutto. Era certo che Mikael
Bane si sarebbe fatto grasse risate se avesse visto suo figlio conciato
in quel modo e non gli avrebbe nemmeno dato tutti i torti.
Non che non fosse
addolorato per la sua perdita, amava moltissimo il genitore, ma essere
un Cacciatore significava anche perdere la vita e questo lo aveva
imparato fin da bambino.
Adesso rimpiangeva di
non avere un posto più consono dove pregare per il padre,
che non fosse la cripta di famiglia. Ma quella lo inquietava, sapendo
quanto poco fosse rimasto del Nephilim insieme al cemento.
«Oh Mag, non
dirmi che hai paura»
La voce di Jace ad un
soffio dal suo orecchio sinistro lo prese alla sprovvista e lo fece
sobbalzare vistosamente, rischiando di farlo rotolare giù
per le scale e finire per diventare parte integrante di quel posto un
po' prima del tempo.
Si voltò di
scatto dopo aver recuperato l'equilibrio, ringraziando
l'agilità felina che sembrava essere un dono di natura e non
solo frutto di una delle tante rune per migliorare le prestazioni
fisiche, per rivolgere uno sguardo risentito al suo parabatai. Gli
occhi verdi e dorati brillarono accesi nel buio del sotterraneo.
«Ah! Chiudi
il becco biondino. Non mi chiamo mica Jace Lightwood, io»
L'altro ragazzo
inarcò un sopracciglio, perplesso.
«E con
questo che vuoi dire?»
Il sorriso del
più grande baluginò di malizia e sadica ironia,
prima che si voltasse. Ma il Cacciatore dai capelli biondi
potè ugualmente sentire un distinto ''quack'' che lo fece
rabbrividire ed affrettare il passo per raggiungere l'amico,
aggrappandosi piagnucolante alla maglia scura della divisa da
Cacciatore.
«Ehi, Mag,
non sei affatto divertente!»
«Non volevo
esserlo. Sai, pare la chiamino ironia...»
Ma ormai Magnus si era
rassegnato al fatto che il suo compagno di battaglie non riuscisse a
cogliere certe sfumature o semplicemente le ignorasse, con tutta
probabilità. Quel Lightwood era conosciuto per essere un
maestro di sarcasmo in fondo. In questo si assomigliavano. Per quel
motivo gli altri non
avevano visto di buon occhio la decisione di diventare parabatai.
Effettivamente a rifletterci adesso era ridicolo pensare ad un legame
del genere per due personalità come le loro. Ma quel che
è fatto è fatto.
«Ricordami
perchè siamo dovuti venire in questo buco...» la
voce di Jace ruppe il silenzio interrotto solo dal suono dei loro
passi. In una Città morta, del resto, che altro avrebbero
voluto udire?
«Perchè
dobbiamo consegnare questo pacco ai Fratelli Silenti da parte di
Hodge»
Replicò
laconico il suo compagno, battendosi una pacca sul rigonfiamento al
giubbotto dove aveva nascosto l'oggetto causa dei loro mali. Il biondo
alle sue spalle corrugò le sopracciglia e piegò
le labbra in una smorfia scontenta «Rettifico, allora.
Perchè sono dovuto venire anch'io?»
Magnus alzò
gli occhi al cielo, chiedendosi se sarebbe stato tanto grave
rinchiudere accidentalmente il più giovane in una delle
cripte di antiche famiglie che stavano sorpassando avanzando verso il
centro nevralgico della Città.
«Perchè-»
iniziò, sogghignando e allungando un braccio per passarlo
attorno al collo di Jace, premurandosi di stringere abbastanza forte
dal farlo diventare cianotico in viso e appoggiando la fronte contro la
sua «-sfortunatamente sei il mio parabatai, splendore.
Ricordi? ''Dove andrai
tu andrò anch’io; dove ti sfrangerai i maroni ti
seguirò, e soffrirò con te: l’Angelo
faccia a me il culo a quadri e anche di peggio se altra cosa che la
morte mi separerà da te''»
«...me la
ricordavo u-un tantino diversa. E adesso mollami, Mag,
so-soffoco..!» con una gomitata ben piazzata al fianco magro
dell'amico, il biondò riuscì finalmente a
liberarsi dalla morsa dell'altro e massaggiarsi con aria mortalmente
offesa il collo. Ma almeno ebbe la soddisfazione di vedere il Bane
piegarsi in due con un lamento soffocato, pressando la zona contusa con
le mani.
«La runa
della resistenza ti funziona solo per certi ambiti,
Magnus...?»
Domandò con
un sogghigno allusivo, mentre il compagno riprendeva aria e lo guardava
truce con quegli occhi da gatto, facendogli un elegante dito medio.
Erano quasi pronti ad
iniziare una nuova schermaglia che molto probabilmente avrebbe visto i
Fratelli dover ristrutturare quel posto, alla sua fine, quando udirono
delle voci.
Beh, a dire il vero
una voce soltanto. Ma nel silenzio mortifero di quel posto rimbombava
come se fossero due.
«E quello
chi è?»
«Se ti
sposti, magari...»
«...fatti tu
un po' più in là»
«Genio,
siamo in visita regolarmente, mi spieghi perchè ci siamo
dovuti nascondere?»
Jace inarcò
elegantemente un sopracciglio chiaro, compunto, mentre spintonava
l'altro Cacciatore per poter affacciarsi da dietro l'angolo di una
delle basse cripte e sbirciare meglio la situazione.
«Perchè
fa tanto 007,
non credi anche tu?»
«Oh, per
l'Angel-»
«Shhh!»
Magnus
scoccò un'occhiata offesa al ragazzo biondo accucciato per
terra, resistendo alla tentazione di spintonarlo e farlo rotolare come
un sacco di patate davanti a quei due che stavano parlando poco
più avanti. Si limitò unicamente a cercare di
sporgersi di poco sulla sua spalla, in bilico, ripetendosi mentalmente
quanto fosse idiota stare lì come due cretini quando
potevano semplicemente andare a vedere di persona per togliersi il
dubbio.
Mannaggia a lui e
quando aveva iniziato il parabatai ai film mondani.
«Quello
è Fratello Estia» borbottò dopo qualche
istante il Nephilim biondo, aguzzando la vista. In effetti con la lunga
tunica color pergamena invecchiata, bordata di rune rosso sangue - ed
erano del tutto convinti che fosse proprio quello, e non colore - stava
uno degli alti e magrissimi Fratelli Silenti. Potevano vederlo
perchè era rivolto verso di loro, anche se aveva il
cappuccio sollevato ed il viso deturpato dai marchi in ombra.
«Come fai a
dirlo, scusa? Potrebbe anche essere l'Inquisitrice Herondale per quanto
possiamo vedere da qui -e con quell'antiestetico cappuccio,
poi»
Chiese
perplesso Magnus, appoggiandosi con una mano sulla spalla dell'altro
per non rovinargli addosso e vedere meglio.
«Però
non so chi sia l'altro. Se solo si voltasse...» lo
ignorò Jace, aggrottando meditabondo le sopracciglia
nell'osservare l'alta figura che dava loro le spalle.
Era un po'
più alta dello stesso - fantomatico - Fratello Estia, ma il
suo non era una magrezza malsana. Aveva spalle ampie, si potevano
notare nonostante il lungo cappotto nero che indossava. Nero come la
massa di capelli che ricadeva un po' sopra e un po' dentro il colletto
alzato.
Magnus si
ritrovò a pensare che i suoi occhi dovessero essere azzurri,
anche se non era del tutto sicuro del motivo di quel pensiero.
Probabilmente a causa di ricordi di tanti anni prima che non erano mai
riusciti ad abbandonarlo del tutto, anche se presto avevano preso la
concretezza del sogno. Insomma, in fondo quella volta nè
Jace nè Izzy avevano visto...
''Pensate che potreste uscire da
lì dietro, o siete intenzionati a disturbare ancora il sonno
degli Ashworth con i vostri schiamazzi?''
La voce priva di
intonazione risuonò nelle menti di entrambi i ragazzi,
cogliendoli alla sprovvista. I due si scambiarono uno sguardo
colpevole, sillabando un «beccati», prima di
alzarsi con la solita fluida eleganza insita negli Shadowhunters e
venire fuori dal loro nascondiglio improvvisato, armati di un identico
sorriso saputo su quelle facce da schiaffi di incarnati e tratti
diversi.
«Calma,
calma, veniamo in pace, augh»
fu Jace il primo a parlare, sorridendo amabilmente con l'aria di chi sa
di aver fatto una battuta spiritosissima. Probabilmente se il Fratello
Silente avesse avuto ancora gli occhi li avrebbe alzati esasperati al
cielo.
''Non ne dubito, Jace Lightwood.
Ma voi due avete il dono di risvegliare anche i morti, quindi gradirei
che faceste quello per cui siete venuti e lasciaste questo luogo. In
fretta, intendo.''
«Non
preoccuparti Estia, tanto stavo andando»
Fu lo sconosciuto a
parlare, questa volta, dando ragione a Jace che sorrise strafottente
verso l'amico come a dire ''avevo ragione io, come sempre''.
Ma Magnus aveva perso
il sorriso e fissava la schiena di quel tizio come se avesse appena
visto un fantasma. Facendo discretamente preoccupare il suo parabatai,
tra l'altro.
Il Nephilim moro
ignorò la mano di Jace che gli veniva sventolata davanti
alla faccia, fissando la figura vestita di nero che aveva appena
parlato. E di cui aveva finalmente riconosciuto la voce, anche se non
la sentiva da più di otto anni. Era sempre bassa e distante,
anche se con una sfumatura malinconica che non riusciva proprio ad
essere cacciata via.
Adesso era sicuro che
quello non fosse un Cacciatore, per nulla.
''Sei un vampiro?''
uno sguardo perplesso, come se il fatto che la domanda fosse venuta da
un bambino non ne giustificasse l'idiozia ''Se fossi un vampiro non potrei
stare qui. E' suolo consacrato''
«-omma,
Magnus, vuoi scendere da quelle nuvole dove stai prendendo il
thè con Raziel e tornare da noi comuni mortali?»
la voce del Lightwood si spense per qualche istante, incerta
«Beh, anche se non è che possiamo definirci
proprio comuni...»
«Infatti,
temo che voi Cacciatori tendiate troppo all'egocentrismo galoppante per
poter esserlo»
Lo Shadowhunters
maggiore battè un paio di volte le palpebre, ritrovandosi a
contemplare la buffa scenetta di un Jace che guardava in cagnesco un
ragazzo non molto più grande di lui, dal viso chiaro come
porcellana e sottili occhi di un azzurro luminoso e cangiante, che lo
fissava, per tutta risposta, con sufficienza. Anche se si poteva notare
una certa forzatura nella sua espressione, dovuta alla leggera ruga che
si era formata all'attaccatura delle sopracciglia. Magnus si chiese se
il suo amico se ne fosse accorto.
«Mentre voi
Stregoni-» ma non ebbero mai il piacere di sapere le
qualità dei Figli di Lilith secondo Jace Lightwood,
perchè la voce di Fratello Estia tornò ad
infiltrarsi nelle loro menti.
''Magnus Bane tu dovresti avere
qualcosa per noi se non vado errato''.
L'interpellato non era
del tutto sicuro, ma potè giurare di avere avvertito una
nota di impazienza nella voce - ma poi lo era davvero? - del Fratello
Silente. Segno che se iniziava a perdere la pazienza anche chi di
questa aveva fatto il suo dogma la cosa stava sfuggendo di mano.
Il Cacciatore scosse
il capo, per riprendersi, affrettandosi ad infilare una mano
all'interno della giacca ed estrarre l'oggetto rettangolare, avvolto
malamente in carta da pacchi un po' rovinata, e porgerlo con uno
slancio ed un inchino all'ex Shadowhunters davanti a lui.
Poteva sentire gli
sbuffi di Jace circa i suoi modi esagerati da cavalier servente dei
poveri, ma anche lo sguardo intenso e critico dello stregone, addosso.
Nonostante fosse
quella che il suo parabatai amava definire ''una primadonna'' (da che
pulpito!, considerato che nemmeno Jace scherzava su quel fronte) si
ritrovò a desiderare che l'altro non lo guardasse. Si
sentiva stranamente a disagio sotto quegli così vecchi.
Ma, forse, la cosa che
gli dava realmente fastidio era che il Nascosto sembrava non averlo
riconosciuto. O, anche se lo aveva fatto, non dargli importanza alcuna.
«Hodge dice
che c'è solo quello e che non potrà procurarsene
altri quindi dovete andarci cauti» riferì le
parole del Direttore dell'Istituto a mò di pappagallo,
tornando a prendere posto vicino a Jace che si sporse verso di lui a
chiedergli se per caso non si trattasse di qualche strana droga per far
sballare i Fratelli.
Magnus si
incupì, nonostante trovasse oggettivamente divertente la
battuta. In un altro momento avrebbe anche risposto per le rime al
punto da farsi sbattere fuori a calci dalla Città di Ossa
dallo stesso Estia, invece si limitò a pestare un piede al
compagno e soffiargli contro di fare silenzio.
Aveva notato come le
labbra dello stregone si fossero prodotte nel fremito di un sorriso,
origliando l'idiozia del biondo, e la cosa non gli era piaciuta per
nulla.
Usciti finalmente
dalla Città di Ossa e dal cimitero che la ospitava, Magnus
potè prendersi soltanto un attimo per respirare l'aria,
satura di smog e gas di scarico di New York, come se si trovassero in
campagna e non a ridosso di una strada trafficata. Ma decisamente tutto
era meglio che il luogo dove erano stati fino a pochi minuti prima. O
almeno era quello che continuava a ciarlare il ragazzo al suo fianco,
mulinando le lunghe braccia al punto che avrebbe rischiato di colpirlo
più volte se il Bane non fosse stato dotato di riflessi da
felino.
«Che ne dici
allora, Mag?»
L'interpellato
scoccò un'occhiata perplessa all'altro, lasciando poi vagare
lo sguardo per il marciapiede.
«Che ne dico
cosa?»
«Come cosa?
Se vogliamo prendere la metro per tornare all'Istituto. Mi scoccia
farmi tutta quella strada a pi-»
Finalmente lo sguardo
verde dorato del maggiore sembrò intercettare ciò
che stava cercando, zittendo in modo brusco l'amico.
«Senti vai
da solo, poi ti raggiungo»
Jace rimase immobile a
guardare il proprio parabatai correre dietro ad un lungo cappotto nero,
chiedendosi se per caso l'aria della Città di Ossa non
facesse male ai neuroni. Non che Magnus potesse vantarne
chissà quanti già da principio, in effetti.
«Alec!»
Schivò un
paio di mondani che non potevano vederlo, facendo una piroetta su se
stesso ed evitando per un pelo di finire sulla bancherella di un
venditore abusivo di occhiali da sole. Se non fosse stato impegnato
nell'inseguimento di uno stregone fuggiasco avrebbe approfittato per
prendere in prestito quei Reyban viola con i brillantini. Erano davvero
fighi!
«Alec,
aspetta!»
Niente, il Nascosto
non lo sentiva. O forse lo stava solo ignorando. Lo guardò
voltare verso Central Park come se nulla fosse e dovette ringraziare la
sua runa di resistenza per riuscire ancora a stargli dietro. Alla
faccia di Jace, tra l'altro.
«...Sommo Stregone di Brooklyn!»
Finalmente il Figlio
di Lilith arrestò il suo incidere, fermandosi di botto e
rischiando di venire travolto dal Cacciatore che riuscì a
frenare in tempo solo per chissà quale miracolo dell'Angelo.
Si voltò
con eleganza, le mani nelle tasche del giubbotto e lo sguardo azzurro
più cupo a guardarlo tra l'annoiato, lo scocciato ed il
diffidente.
«Cosa vuoi,
Cacciatore?»
Magnus
strizzò un occhio, piegandosi sulle ginocchia per riprendere
fiato, ma scoccò comunque un sorriso sornione all'altro.
«Per essere
uno che si lamenta dell' ''egocentrismo galoppante'' degli
Shadowhunters ne hai della faccia a pretendere che si usi il tuo titolo per
chiamarti»
Le sottili
sopracciglie scure dello stregone ebbero un fremito mentre l'angolo
delle labbra si piegava in una piccola smorfia.
«E tu sei
davvero insistente, ed irritante. Ma questo mi pare di avertelo
già detto»
''Una vita fa'' si
ritrovò a pensare il Cacciatore, guardandolo, tornato a
respirare normalmente.
«Hai detto
anche che ci saremo rivisti»
Ribattè,
piccato. Il Nascosto scrollò le spalle, con fare annoiato.
«Infatti ci
stiamo vedendo - per mia sfortuna, devo dire...»
«Sono
passatti otto anni!»
La precisazione
sembrò rilassare l'espressione dell'altro, anche se il suo
sguardo sembrò farsi più distante. Guardava
Magnus, ma al contempo non lo vedeva davvero.
Il Cacciatore si
chiese a cosa stesse pensando.
«Possono
essere un battito di ciglia, per chi è immortale, giovane
Cacciatore»
Il ragazzo
arricciò infastidito il naso, in quella smorfia infantile
che, come tanti anni prima, riuscì a far spuntare un piccolo
sorriso su quelle labbra pallide.
«Magnus»
«Hm?»
Il Nephilim si
avvicinò di qualche passo, abbastanza per poter guardare
l'altro negli occhi, faccia a faccia. Erano quasi alti uguali.
«Il
mio nome è Magnus, non ''Cacciatore''. Dovresti capire una
differenza così elementare, mister ''otto anni sono una
cacca di mosca per un figo che non può morire''»
Alec inarcò
un sopracciglio, ma non sembrò scomporsi più di
tanto.
«Non ho mai
detto che non posso morire»
«Aaaah! Tu
sei davvero la persona più irritante che io conosca. E sono
il parabatai di Jace, per l'Angelo!»
Lo stregone
battè le palpebre, sorpreso, a quello scoppio di... in
realtà non sapeva definirla. Non era ira. Forse
esasperazione.
Chinò
appena il capo di lato, e una ciocca di capelli nerissimi
finì a coprire l'occhio destro. Magnus sentì
l'istinto di allungare una mano per scostargliela, ma si trattenne. Era
adorabile, mannaggia a lui!
«A proposito
del tuo amico... ha la lingua troppo lunga. Un giorno qualcuno potrebbe
tagliargliela.»
Il Cacciatore
sbuffò, indietreggiando «Grazie per il consiglio.
Ma a dire il vero sono anni che aspettiamo che qualcuno lo
faccia.»
Non sapeva
perchè, ma il fatto che Alec parlasse di Jace lo irritava.
«Potrei
offrirmi volontario. Ma un'altra volta, adesso devo proprio andare.
Sai, ''il sommo stregone di Brooklyn'' ha del lavoro da sbrigare, non
bighellona in giro tutto il giorno»
«Ehi! Noi
non-»
Iniziò,
infervorato, il Cacciatore. Ma la risata dello stregone lo
spiazzò, facendo morire la protesta e portandolo a guardarlo
sorpreso ed affascinato. Alec rivelava una timidezza inadeguata al suo
ruolo, quando rideva. Teneva il capo chino e copriva le labbra con una
mano, con discrezione, come se non volesse essere notato.
Bellissimo.
Magnus
sospirò, sentendo la risata spegnersi, rammaricato di non
poter sentire oltre quel suono. Guardò il Figlio di Lilith
voltarsi e muovere qualche passo e non riuscì a trattenersi.
«Ehi,
Alec!»
Lo stregone
voltò appena il viso da sopra la spalla. L'occhio che
mostrava brillò di un azzurro intenso, curioso.
«Ci
rivedremo, vero? E questa volta non passeranno otto anni.»
«E' una
richiesta di appuntamento, Ca-... Magnus?»
Il Nephilim sorrise,
furbo, socchiudendo quegli occhi da gatto.
«Lo stai
dicendo tu. Ci vediamo questo venerdì,
vedi di non mancare»
____________________________________________________
»Angolino
di Red«
Non ho proprio
potuto resistere, i'm sorry. E poi c'è qualcuno che mi ha
quasi costretto a scrivere questo seguito e non ho potuto dire di no.
Sì,
per chi se lo sta chiedendo, quel ''ci vediamo venerdì''
è un riferimento a COB. M-ahw.
Mi
è sorto un dubbio, però, scrivendo. E quindi
chiedo consiglio a voi, che state seguendo questa raccolta (che ha
preso sempre più i connotati del Malec, non posso farci
niente). Dovrei fare qualcosa a parte per quanto riguarda
Shadowhunter!Magnus e Warlock!Alec o continuare qui? Si accettano
suggerimenti.
Intanto un
ringraziamento e un cioccolatino a tutti(?).
See ya!
Red.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Over the piano was printed a notice: ''Please do not shoot the pianist. He does his best.'' ***
Il
cinismo è semplicemente l'arte di vedere le cose come sono,
non
quali dovrebbero essere.
De Profundis -
Oscar Wilde
Over the piano was
printed a notice:
''Please do not shoot the pianist.
He does his best.''
Avevano
pregato Jace così tanto e così a lungo -
soprattutto Clary - che alla fine non aveva potuto che accettare. Per
sfinimento, e forse anche un po' per esasperazione, contando che
Isabelle era persino arrivata a minacciarlo di bruciargli tutti i
vestiti e farlo vestire come Simon, Simon insomma!, fino alla fine
della sua miserevole esistenza;
il Diurno gli aveva anche sorriso, facendogli l'occhiolino, e allora
aveva alzato le mani e dato la sua resa incondizionata.
«Ma prova a fare una cosa del genere, Izzy, e ti faccio
andare in giro come Clary» era stata la minaccia del biondo
Cacciatore, così seria da essere seguita da un ''ehi!''
indignato della sua ragazza ed un calcio mirato negli stinchi che gli
aveva quasi fatto vedere Raziel e la schiera angelica tutta.
Onestamente Magnus non spasimava per la voglia di assistere allo
spettacolino del Nephilim montato
- come se non lo fossero tutti, tra l'altro, ma lui lo era giusto un
po' di più - ma agli occhioni da cucciolo di Alec non sapeva
proprio resistere; non che il Cacciatore si accorgesse di assumere
quella particolare espressione lì, ovviamente. Avrebbe
scommesso la sua migliore maglia di Gucci che il giovane Lightwood
l'avrebbe guardato storto ed esordito con un ben noto ''chi?'' se solo
gli avesse fatto presente come sembrasse assomigliare al Gatto con gli
Stivali di Shreck.
Ad ogni modo non era riuscito a dirgli di no nemmeno quella volta,
malgrado non avesse mancato di sottolineare con sbuffi e mugugni vari
come la cosa poco gli andasse a genio.
E proprio non era riuscito a resistere, poi, quando per un buffo
scherzo del destino era rimasto da solo in quella stanza...
«...sei stato tu, vero?»
Lo stregone sorrise placidamente, stiracchiandosi come un gatto sulla
poltrona in pelle che aveva occupato, in viso quell'espressione di
finta innocenza che lasciava sempre indeciso Alec su quale fosse la
scelta migliore tra il prenderlo a schiaffi o baciarlo.
«Reputo la mancanza di talento un'offesa imperdonabile,
ciccino. Soprattutto se accompagnata da un ego gonfio come una
mongolfiera e la curiosa convinzione di essere bravi anche alle
orecchie altrui»
Il Cacciatore dagli occhi azzurri si trattenne seriamente dallo
scoppiare al ridere, scoccando un'occhiata all'altro lato della stanza,
dove un Jace con il muso e le braccia ostinatamente incrociate al petto
dava le spalle al pianoforte che avrebbe dovuto suonare e su cui faceva
ancora bella mostra di sè il galeotto bigliettino che aveva
rovinato l'esibizione sul nascere, offendendo a morte il pianista.
A nulla sembravano valere le parole di Clary, Izzy e Maryse, che
facevano campanello attorno al povero musicista. Mentre era del tutto
certo che Simon stesse sghignazzando nell'angolino in cui era
rintanato, cercando di non farsi notare dalla sua bella.
«Ma Jace è bravo davvero...»
riuscì a recuperare un minimo di serietà per
ricordarsi di dover difendere il suo parabatai ed ignorare il nomignolo
melenso del proprio fidanzato.
Il Figlio di Lilith fece spallucce, avvolgendo la vita del Cacciatore
con un braccio e approfittando della sua posizione, seduto sul
bracciolo della poltrona, per appoggiare con tranquillità la
fronte contro il suo fianco. Rilassato, ma ugualmente ghignante. E con
quella particolare luce negli occhi felini che aveva stregato Alec, sin
dalla prima volta.
«La bravura alle volte non è abbastanza.
Piuttosto... che ne dici di andare a mangiare un boccone?
Ahimè, temo che lo spettacolo sia sfortunatamente saltato.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** The world is divided into two classes, those who believe the incredible, and those who do the improbable. ***
Note
di inizio capitolo: per San Valentino. Chiaramente in ritardo, ma se
così non fosse non sarebbe opera mia e io non sarei
contenta. Però, ehi, sempre meglio tardi che mai. A
metà capitolo circa c'è uno spoiler per chi
segue Glee
in italiano, riguardo la quinta stagione uscita solo in inglese. Non me
ne vogliano le fan, ma ce lo vedo proprio Magnus a guardarlo.
Come al solito
personaggi e ambientazione non sono miei, ma della Clare, e la
citazione ed il titolo sono di Oscar Wilde. Mia è solo la
follia di un futuro roseo post COHF. Anh.
Buona lettura,
Red.
Esser
innamorati è romanticissimo,
ma
non c'è nulla di romantico in una proposta di matrimonio.
C'è
persino il rischio d'essere accettati!
L'importanza
di chiamarsi Ernesto - Oscar Wilde
The world is divided
into two classes, those who believe the incredible,
and those who do the improbable.
Sia
chiara una cosa.
Ad Alexander Gideon Lightwood non interessavano, ne tantomeno piacevano, le
stupide usanze mondane. C'era qualcosa di incredibilmente sciocco in
ogni loro credenza, qualcosa che avrebbe fatto alzare gli occhi al
cielo e sbuffare un uomo con un minimo di materia grigia all'interno
della scatola cranica - e il fatto che nemmeno a Jace piacessero
granchè dimostrava come ci fosse speranza per tutti.
Ma, ecco.
Clary aveva fatto tanto parlare di quella particolare festa
lì, in quelle settimane, che alla fine non aveva potuto che
ascoltare del tutto
casualmente i discorsi concitati con Isabelle tra un
allenamento e l'altro. Quando si rendeva conto che le due ragazze
potevano essere lì lì per accorgersi di essere
spiate esordiva con rimproveri circa il fatto che la palestra non fosse
un covo di vampiri - ed, onestamente, non aveva capito come mai la
Fairchild fosse scoppiata a ridere blaterando di come il Diurno si
sarebbe potuto ritenere offeso se avesse assistito ad un'uscita del
genere.
Si era chiesto, però, perchè mai le due ragazze
sospirassero al pensiero di dove le avrebbero portate i loro compagni e
quando avevano iniziato a parlare di depilazione ed altra roba del
genere aveva saggiamente deciso di smettere di ascoltare e ritornare a
scoccare frecce nei bersagli mobili che una volta Clary aveva dipinto
in modo che assomigliassero a figure cartonate di demoni con stupidi
baffoni e sombreri.
Il pomeriggio stesso, però, non era riuscito a trattenersi
dal prendere da parte il suo parabatai, approfittando di una visita in
Armeria per dare una lucidata alle loro lame angeliche.
«Uhm... cos'hai in programma per venerdì
prossimo?» chiese, sperando con tutto il cuore che la domanda
sembrasse del tutto casuale. Chiacchere da armeria, insomma.
Jace che era impegnato a strofinare uno dei suoi pugnali con tanto di
quel vigore che si sarebbe detto l'avrebbe voluto usare come specchio,
cosa tra l'altro molto probabile conoscendo il tipo, alzò
perplesso lo sguardo dorato sul fratello.
«Se è un tentativo di richiesta di appuntamento,
sappi che ad oggi è considerato il peggior metodo di
rimorchio dagli ultimi due secoli a questa parte»
Alec inarcò un sopracciglio, perplesso.
«Chi sarebbe a dirlo?»
L'altro sfoggiò un sorriso smagliante, sollevando la lama
linda davanti al viso per specchiarvisici, come previsto.
«Io, ovviamente.»
Il Lightwood sbuffò, fra l'innervosito ed il rassegnato,
battendo con non molto garbo la mano che reggeva la pezzuola sul tavolo
e facendo sobbalzare il biondo che gli rivolse una smorfia indignata.
«Alec, per l'Angelo, avrei potuto tagliarmi!»
Il parabatai lo ignorò, arcuando le sopracciglia e
piegandosi leggermente in avanti, lo sguardo cupo dall'azzurro
più scuro di quel che di solito mostrava.
«Smettila di fare l'idiota o un misero taglietto non
sarà niente a confronto...»
«Ok, ok. Cavolo, stai diventando così
minaccioso» lo prese in giro l'altro, fingendo un brivido di
paura. «Saresti un perfetto Inquisitore. Anche se ti manca la
faccia da-»
«Jace!»
Alec si passò una mano sul viso, esasperato. Certe volte
avere una normale discussione con lui era un'impresa quasi
più difficile che il far fuori qualche Demone Superiore.
«Puoi essere serio per soli cinque minuti nella tua bieca
esistenza e rispondere alla mia domanda?»
Il Nephilim arricciò il naso, ripetendo in un borbottio
''bieca esistenza'', prima di decidersi a posare l'arma nel suo fodero
e incrociare le braccia al petto.
«Porto fuori a cena Clary. Sai, un ristorantino romantico,
una passeggiata al chiaro di luna, rose... cose così. Pare
che le ragazze lo apprezino molto, a San Valentino.»
Notando la perplessità sul viso del suo parabatai
accennò ad un sorrisetto.
«Perchè tu sai che cos'è San Valentino,
vero?»
All'insinuazione Alec assunse un'intensa sfumatura rosata sulle guance,
come sempre quando qualcuno - il più delle volte Jace - lo
accusava implicitamente o meno di non sapere qualcosa.
«C-certo che lo so, che domande! Clarissa non fa che parlarne
con Izzy da giorni, distraendosi dagli allenamenti tra
l'altro.»
Jace fece spallucce, scuotendo il capo con aria rassegnata.
«E' il giorno degli innamorati, secondo i mondani. Lasciami
dire che a parer mio è una cavolata grande quasi quanto il Saint Patrick's Day.
Ma almeno lì c'è la birra e i folletti sanno
essere parecchio divertenti e-»
Il Cacciatore moro prese ad ignorarlo, consapevole che una volta che
Jace ''prendeva la tangenziale'', per dirla alla Simon, sarebbe stato
alquanto difficile riportarlo sulla via di una discussione con un senso
logico.
San Valentino, la festa degli innamorati, dunque. Ecco
perchè erano tutte così ansiose. Uhm...
Magnus sorrideva, intento a spiluccare popcorn dal grosso contenitore
di cartone trafugato al BAM
Rose della trentesima. I suoi occhi da gatto erano
incollati al televisore e sembrava del tutto deciso a non perdersi una
singola battuta del telefilm che stava seguendo.
«Oh, stupido Kurt! Non puoi lasciarlo davvero!»
Alec al suo fianco si strinse ad uno dei cuscini oscenamente colorati
che facevano parte dell'arredamento di quella settimana; il suo ragazzo
si era dato all'hippie anni settanta a quanto pareva. Era tutto pieno
di perline, scacciasogni, simboli della pace ed un tripudio di colori
capaci di far incrociare gli occhi.
Certe volte aveva il lancinante dubbio di essere fidanzato alla
reincarnazione di una adoloscente mondana dai gusti decisamente
discutibili.
«Magnus... tanto tornano insieme.» gli fece
presente, ficcandosi in bocca una manciata di popcorn senza il minimo
cenno di garbo. Per questo non riuscì ad afferrare se
l'occhiata di sdegno che gli rivolse lo stregone fosse stata dovuta
alle sue parole o alla totale maleducazione mostrata.
«Non è questo il punto, fiorellino!»
Il Cacciatore glissò sul terribile nomignolo, leccandosi
distrattamente le dita della mano sinistra. «Ah no?»
Gli occhi del Nascosto ebbero un guizzo, lo sguardo che andava dalla
bocca dell'altro ragazzo alla sua mano. Per un attimo sembrò
che avesse del tutto scollegato il cervello, ma si riprese infretta.
«No! Kurt non doveva lasciare in nessun modo il povero
Bla-»
Ma le parole dello stregone si mozzarono, notando lo sguardo del suo
ragazzo. Nonostante ormai fossero tornati insieme da più di
un anno, dopo il ''fattaccio'' come avevano finito per chiamarlo tutti,
e la pace fosse tornata con la dipartita - definitiva - di Sebastian,
il giovane Lightwood continuava a soffrire per quella separazione.
Si rese conto di essere stato enormemente indelicato e se ne
dispiacque, tanto da schioccare le dita e spegnere la televisione con
un tripudio di scintille azzurre.
«Amore... Alexander. Mi dispiace.»
mormorò, spostando il contenitore ormai vuoto dei popcorn
sul pavimento per poter stringere fra le braccia il Cacciatore che si
limitò a nascondere il viso contro l'incavo del suo collo.
Alec socchiuse gli occhi respirando affondo l'odore del Nascosto; un
mix conosciuto ed adorato di sandalo e il profumo caramellato della
magia.
«Lo so. Tranquillo. Ormai è tutto passato,
no?»
Il Figlio di Lilith sospirò, premendo le labbra contro il
suo capo ed accarezzandogli la schiena. «Già. E'
tutto passato.»
Il ragazzo sforzò un sorriso, sollevando il viso dal suo
cantuccio per premere le labbra contro quelle socchiuse dell'altro
ragazzo. Amava il suo sapore, ma amava tutto di lui. Nonostante quello
che si erano fatti entrambi.
Mentre faceva passare le mani fra i capelli cosparsi di glitter dello
stregone, impegnato nel farlo stendere sul divano e liberarlo al
contempo della maglia slabbrata senza l'ausilio della magia - proprio
come piaceva a lui -, fu colto da un pensiero.
Chissà se Magnus conosceva San Valentino, e se l'aveva mai
festeggiato con uno dei suoi precedenti amanti. E chissà,
chissà se l'avrebbe fatto anche con lui...
«Mhh, Alec...»
Ma le domande dovevano, decisamente, essere messe in stand by al momento.
Alec si sentiva nervoso e non sapeva nemmeno perchè. In quei
giorni aveva provato ad accennare della festività al suo
ragazzo, ma quello trovava sempre un modo per svicolare dalla domanda e
alla fine si era rassegnato all'idea che Magnus non volesse proprio
sentir parlare di San Valentino.
Eppure era strano, insomma... lo stregone era conosciuto per il suo
fetish circa il mondo dei mondani e i loro usi e costumi.
Ma forse non voleva festeggiare con lui un giorno del genere. Forse lo
trovava ridicolo, da ragazzine. Non lo avrebbe biasimato,
perchè alla vista di tutti quei cuori e quel rosa anche a
lui era venuta una nausea pari solo a quella provata nell'assaggiare la
cucina di Izzy.
Non per questo, però, il suo umore era meno tempestoso.
Aveva detto qualcosa di molto poco carino riguardo le magliette di
Simon e i posti dove avrebbe potuto infilarsele, quando questo era
arrivato tutto sorridente proponendogli di indossarne una con la
scritta ''Non sono musone. Il mio è solo un sorriso al
contrario''.
Eppure lo stregone era lo stesso di sempre, lo chiamava con i suoi
nomignoli da coppietta improponibili e tutto il resto di sempre.
Arrivato al fatidico quattordici febbraio il Cacciatore dagli occhi
azzurri si chiese se valesse la pena mandare quantomeno un messaggio di
auguri al suo ragazzo.
Rimase a contemplare in silenzio per svariati minuti il display del suo
cellulare, aperto sulle bozze dei messaggi, fissando con astio la
stanghetta che si illuminava ad intermittenza contro lo sfondo
azzurrino come a prenderlo in giro per la sua indecisione ed invitarlo
a buttare giù qualche lettera.
Era solo all'Istituto; Clary e Jace erano andati via l'ora prima e
Isabelle non si vedeva da tutta la mattina. Maryse era fuori per
chissà quale diavoleria del Conclave e l'unico rimasto era
Church appallottolato da qualche parte in biblioteca.
«Gran bel San Valentino, Alexander Lightwood...»
borbottò tetro, quasi del tutto deciso a buttare
il cellulare di lato e prendere a testate il muro per vedere se serviva
a farlo rinsavire; adesso parlava anche da solo come Jace!
Ma lo schermo che si illuminava lo fece sobbalzare, affrettandosi a
prendere lo stupido
aggeggio fra le mani e quasi cadere dal letto per la foga.
Era un messaggio di Magnus. ''Tra
mezz'ora alla metropolitana. Il posto lo conosci.''
Alec inghiottì a vuoto, lasciando cadere il cellulare sul
cuscino, frastornato. E questo cosa significava? Certo che conosceva
perfettamente quel posto. Era stato il luogo che aveva popolato i suoi
incubi per mesi, dopo che si erano lasciati.
Che Magnus, alla fine, avesse deciso che non valeva la pena stare con
un piccolo, patetico, ansioso mortale come lui?
Si fece coraggio, indossando una felpa che un tempo doveva essere stata
nera ma ora era grigia sopra i pantaloni della tuta; se doveva essere
lasciato di nuovo non valeva certo la pena farsi bello.
Quando scese l'ultimo scalino delle scale mobili - inaspettatamente
guaste, come recitava un cartello al loro inizio - Alec non sapeva
proprio cosa aspettarsi.
Non certo il suono della chitarra e del basso, insieme alla batteria a
rimbombare in una galleria inaspettatamente silenziosa; avrebbero
dovuto esserci lo sferragliare dei vagoni sulla ferrovia e il
chiacchericcio dei pendolari, quantomeno, no?
Rimase perciò immobile, mentre un sorridente Magnus avanzava
verso di lui con passo sicuro, la band di Simon alle sue spalle con il
suddetto vampiro che gli faceva l'occhiolino prima di continuare a
suonare quella che doveva essere una canzone romantica, suppose.
Ma non poteva davvero essere interessato alla canzone, nè a
Jace, Clary, Izzy, Jordan, Maia e tutti gli altri che si trovavano
lì, radunati a campanello, tenendo fra le mani una candela
per coppia. C'erano anche Jocelyn e Luke, la prima con il suo pancione
ormai piuttosto evidente abbracciata al marito con un sorriso radioso.
Il suo sguardo era tutto per il giovane uomo che aveva i capelli
nerissimi liberi dal gel e dai glitter, per una volta, legati in un
elegante codino basso ed uno smoking vinaccia che gli rendeva
decisamente giustizia, sottolineando il verde dorato dei suoi occhi da
gatto come non riusciva a fare da sola la matita nera e l'ombretto
leggero su tono col vestito.
«Ma-magnus...» riuscì soltanto a
balbettare, incerto, il Cacciatore. Non riusciva a muoversi o pensare
correttamente.
«E' il mio nome» sorrise, affascinante, il suo
ragazzo. Gli si fermò davanti, ricambiando lo sguardo
allucinato dell'altro con uno sottilmente divertito.
«Beh?»
«Come ''beh''? Per l'Angelo... cosa... cosa vuol dire tutto
questo?»
E fece un cenno ad indicare tutto quanto. Adesso gli sovveniva il
dubbio che fosse stato gettato un incantesimo per allontanare i mondani
e non far passare la metropolitana.
Lo stregone scosse il capo, fingendosi dispiaciuto «Tsè tsè
tsè... pensavo fossi più perspicace,
piccolo Nephilim»
All'occhiataccia del suo fidanzato sorrise, decidendosi a prendergli la
mano sinistra fra le sue ed inginocchiarsi davanti a lui. Qualcuno
trattenne il respiro, e si udì un distinto ''bleah'' seguito
da un ''ouch'' provenire dalle parti di Jace e Clary.
«Considerato che in questo posto ho forse fatto l'azione
più stupida dei miei ottocento anni di vita, pensavo che
fosse anche il luogo perfetto per rimediare ad ogni mio errore.
Alexander Gideon Lightwood... vuoi diventare mio marito?»
Sembrò quasi che il Cacciatore dovesse svenire, le gambe
tremanti e il respiro affannato. Aveva lo sguardo azzurro
più chiaro di quanto lo avesse mai avuto in tutta la sua
vita, e le guance rosee.
Impiegò qualche istante, ma poi si limitò ad
annuire, imbambolato.
«Sì... credo... lo voglio»
balbettò, imbarazzato, socchiudendo poi gli occhi allo
scrociare di applausi che accompagnò il sollevarsi dello
stregone e l'abbraccio che ne seguì, insieme al bacio.
«...cavolo. Non pensavo avresti detto seriamente di
sì» commentò il Nascosto, scostandosi
dalle sue labbra. Qualcuno sbuffò una risata, Izzy scosse il
capo e Jocelyn si soffiò rumorosamente il naso. Alec, per
tutta risposta, sgranò appena gli occhi lucidi e fece per
piantargli una gomitata in pieno stomaco.
«Ehi, ehi, fiorellino, scherzavo... quanto sei
permaloso.» scosse il capo lo stregone, stringendo
più forte l'abbraccio con cui circondava il busto del suo
fidanzato. Pardon. Futuro marito. Ignorando i fischi e i ''prendetevi
una stanza!'' di Simon, gli accarezzò il viso con
delicatezza, premendo gentilmente di nuovo le labbra sulle sue.
«Aku cinta kamu,
Alexander. E questo, questa volta, cambia tutto»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** The truth is rarely pure and never simple. ***
Credo
che nella vita pratica
si
possa ottenere un vero successo,
purché
sia senza scrupoli;
l'ambizione
è sempre priva di scrupoli.
Aforismi -
Oscar Wilde
The truth is rarely
pure and never simple.
Il sole che moriva sulle acque
dell'East River era sempre uno spettacolo malinconico ed affascinante
al contempo. Gettava luci aranciate coprendo il malsano verde
dell'inquinamento e rendeva sfumate le navi in lontananza, simili ad un
sogno o a qualche opera di artisti che non riusciva mai a ricordare. E
il Brooklyn Bridge
che lo attraversava, collegando i due grandi quartieri di New York,
dava l'aria di essere un qualche passaggio di libri da favola. A lui in
realtà non era mai piaciuto granchè e lo aveva
anche detto, al tempo, al caro John*; ma chissà
perchè i suoi consigli venivano spesso ignorati e,
nonostante tutto, quel mostro d'acciaio era rimasto nella storia della
città come solo le cose maestose potevano fare malgrado
quello che a tutti gli effetti era stato suo padre non era mai riuscito
a vederlo completato. Buffo come sapeva essere alle volte tanto
ironicamente tragico il destino.
Ad ogni modo, non
avrebbe dovuto stupirsene più di tanto, così come
non avrebbe dovuto permettersi di farsi colpire dalla vista di Camille
dopo tutti quei secoli.
Non che provasse
ancora qualcosa per la vampira, e in questo era stato piuttosto chiaro
durante il loro colloquio,
ma era anche lei parte del suo passato. E l'aveva a lungo amata, o
forse solo creduto di farlo, al punto da arrivare ad essere alla
stregua di un cagnolino per lei.
A ripensarci, adesso si
disprezzava da solo per i livelli che era riuscito a raggiungere pur di
avere un briciolo dell'affetto della francese. Camille forse amava,
forse no, ma di certo non aveva provato nulla di simile per lui ed era
stato così stupido, nonostante i numerosi anni sulle spalle,
da credere che la cosa potesse in qualche modo essere diversa. Nessuno
che ti ami davvero ti chiederebbe mai di sopportare il tradimento in
nome di una libertà del tutto egoistica.
E il fatto che fosse
ritornata nella sua vita, ora, non gli giovava affatto.
Sospirò,
lanciando distrattamente un sassolino di piatto con un gesto secco del
polso, guardandolo poi affondare miseramente nell'acqua torbida;
avrebbe potuto utilizzare la magia per farlo rimbalzare all'infinito,
ma non sarebbe stata la stessa cosa.
La magia non
può tutto, aveva detto una volta ad una cara amica. E questo
lo credeva ancora, anche se di tanto in tanto faceva finta che non
fosse così.
«Hechicero**»
Il richiamo avrebbe
dovuto farlo sobbalzare, probabilmente, ma servì soltanto ad
irrigidire la postura e raddrizzare le spalle. Non poteva dire di
conoscere alla perfezione quella voce, ma l'aveva udita abbastanza da
poter ricondurre la sfumatura sprezzante nello spagnolo utilizzato.
«Hola,
Santiago» ricambiò, piegando le labbra in un lieve
sogghigno.
Il ragazzino che era
apparso come un ombra alle sue spalle inarcò un sopracciglio
sottile, stringendo le mani in lievi pugni lungo i fianchi. Gli
stregoni non gli andavano a genio e men che mai lui.
«Ti credi
divertente, Figlio di Lilith?» si informò,
socchiudendo gli occhi scuri. Il sole ormai era sparito oltre le acque
dell'East, mandando ultimi tremuli bagliori alle spalle del ponte. Non
rischiava più di ridursi ad un mucchietto di cenere, per
questo probabilmente era uscito allo scoperto solo adesso.
Magnus
scrollò le spalle, voltandosi di tre quarti per poter
osservare il vampiro e, soprattutto, averlo sempre nella sua visuale. A
viverci per tanto tempo impari a non fidarti mai completamente di
quegli immortali.
«Sai»
ignorò volutamente la domanda, tamburellandosi indice e
medio della mancina contro le labbra «Mi chiedo se il
vampirismo implichi l'impossibilità di pronunciare i nomi
della gente. O se quella è solo una tua prerogativa per fare
il figo» aggiunse, schioccando le dita come colto da
un'illuminazione improvvisa.
L'espressione sul viso
del Figlio della Notte si fece per qualche istante perplessa.
«Figo...?
Inizio a pensare che tu stia passando troppo tempo con il
Diurno»
«Ah-ah!»
esclamò il più grande, puntandogli l'indice
contro «L'hai fatto di nuovo»
Le sopracciglia del
vampiro raggiunsero quasi l'attaccatura dei capelli.
«Fatto cosa,
di preciso?»
Lo stregone
sventolò una mano vicino al viso, con un'espressione
d'ovvietà dipinta sopra.
«Hai
chiamato Samuel ''Diurno''»
«Non credo
si chiami Samuel... ad ogni modo taci, una buona volta. Mi dios, se non
fosse impossibile giurerei che mi stia venendo un'emicrania»
sbottò il vampiro, massaggiandosi nervosamente le tempie.
Con quei riccioli scuri e i tratti ancora infantili, acerbi come quelli
di un bambino, era bellissimo e tremendo al contempo. Di certo non
l'avresti scambiato per il capo del clan dei vampiri di New York.
Cosa che, si
ritrovò a pensare Magnus, effettivamente non era del tutto
esatta.
«Non sono
venuto qui per farmi insultare da te, stregone»
«In effetti
direi che il mio è più un elegante e
indubbiamente esilarante modo di prenderti per il fondoschiena. Cosa
che, ci tengo a precisare, non farei alla lettera. Non sei il mio
tipo... troppo shota***»
Un sibilo
sferzò l'aria e lo stregone non si sorprese più
di tanto nel notare che provenisse dal Figlio della Notte. Un reticolo
di vene era affiorato attorno agli occhi, che mandavano bagliori
rossastri ed i canini erano scesi dalle loro guaine, affilati come
coltelli e candidi come neve contro le labbra pallide.
«Non sfidare
ancora la mia pazienza, Magnus Bane. Dicono che il sangue di stregone
sia un eccellente ricostituente.»
L'interpellato
alzò le mani al petto con i palmi rivolti verso l'altro,
come ad arrendersi «Non ti scaldare, tesoro... Suppongo che
tu non sia venuto fin qui solo per ammirare lo stupendo
panorama»
Se il vampiro colse
l'ironia ed il sarcasmo nella voce vellutata del suo interlocutore, fu
abbastanza bravo da non farlo notare. Scrollò il capo,
rilassandosi, avvertendo i canini ritornare semplici denti umani.
«Suppongo tu
sappia perfettamente perchè mi trovi qui.»
Magnus lo
fissò per qualche secondo, come riflettendoci su, poi
sbatacchiò un paio di volte le palpebre spargendo glitter
dorati in un'espressione forse rassegnata.
«Camille
Belcourt»
Il Nascosto
più giovane sembrò farsi pallido all'udire quel
nome, ma una smorfia si dipinse sul suo volto da eterno fanciullo come
se lo stregone avesse appena bestemmiato nel modo più
indecente possibile.
«I Nephilim
hanno negoziato con lei -non che potessi aspettarmi altro da loro- e
non intendono consegnarmela.»
Il Figlio di Lilith
inarcò un sopracciglio, perplesso «Ed io in che
modo c'entrerei?»
La frenesia che si
dipinse sul viso del vampiro lo stupì e preoccupò
al contempo. Sembrava animato dallo stesso istinto della caccia, ma era
qualcosa di più intenso anche se altrettanto legato alla
sopravvivenza.
«Tu eri il
suo amante, stregone. Ed ora sei l'amante di uno dei Cacciatori. Sono
certo che se chiedessi al tuo piccolo umano un favore lui non
esiterebbe un istante a concedertelo»
I bei tratti dello
stregone si distorsero in una smorfia disgustata, a quelle parole. Non
che si aspettasse a sua volta di meno, da un vampiro. Ma era arrivato a
supporre che quell'immortale fosse meglio di tanti altri che aveva
conosciuto, se pur a modo suo. Eppure qualcosa non quadrava. Poteva
avvertire che quelle parole non fossero del tutto ponderate ma dettate
da un sentimento che anche lui aveva provato per tutti quegli anni,
benchè per motivi diversi.
«Il fatto
che tu abbia paura
di Camille, Raphael, non è una motivazione abbastanza valida
affinché io ti dia il mio aiuto. E, per inciso, Alexander
non farebbe mai tutto quello che gli chiedo solo perchè sono
io... hai detto bene, è un Cacciatore. Non uno
sciocco.»
Le spalle dello
spagnolo ebbero un fremito. Per un istante sembrò solo il
ragazzino smagrito che suggeriva il suo aspetto. «Io non
ho... non ho paura di lei.»
Le labbra di Magnus si
piegarono in un sorrisetto indulgente «In questo caso non
comprendo il perchè tu ti ostini tanto a volere che te la
consegnino. Se non la temi a che pro farlo? Lasciala ai
Nephilim»
Raphael scosse il
capo, stringendo più forte le dita esili in pugni ed
incidendo la carne dei palmi con le unghie. Ma non avvertì
dolore, nè si accorse del sangue che colava sulla pelle
rendendola scarlatta - non suo, ovviamente, ma del suo ultimo pasto.
«Tu non
capisci, Magnus Bane... eppure dovresti. La conosci meglio di me. Sai
perchè è tornata.»
Lo stregone
assottigliò lo sguardo, sospirando. La sua espressione era
seria.
«Camille non
lavora da sola, Raphael. E' tutto ciò che posso dirti. Se
vuoi mantenere il controllo sul tuo clan... beh. Inizia a non mostrarti
un pipistrellino
smarrito e privo di senno.»
«Uccellino»
lo corresse automaticamente l'altro, guardandolo da oltre la coltre di
riccioli scuri. Era tornato ad essere il solito vampiro dalla faccia di
bronzo, un sorrisetto sulle labbra arrossate dai canini.
Magnus
sbuffò, flettendo le dita della mano destra come a dire
''quello che è'', mentre lo guardava dargli le spalle e
incamminarsi verso una lucida harley ad energia demoniaca con cui
doveva essere arrivato, suppose.
«E... fossi
in te, stregone... starei attento a Camille. In fondo i Nephilim, anche
se si dicono figli di un Angelo, rimangono comunque esseri
umani.»
Magnus non ebbe il
tempo di chiedergli cosa volesse dire. Si ritrovò a guardare
la motocicletta sparire con un rombo nel cielo scuro di Brooklyn,
seguendola con lo sguardo fino a che non sparì dalla sua
visuale.
Poi fece spallucce
«Beh, hasta
la vista anche a te»
______________________________________
»Angolino
di Red«
*Si
tratta ovviamente dell'ingengere John Augustus Roebling, noto per la
progettazione di ponti sospesi, in particolare quello di Brooklyn. John
morì prima che il ponte venisse costruito, a causa di un
incidente con un traghetto che gli schiacciò un piede mentre
si trovava su un molo per lavorare al posizionamento del ponte.
Morì a causa del tetano qualche settimana dopo, per non aver
voluto altri trattamenti medici.
**Stregone, in spagnolo.
***Termine giapponese che descrive l'attrazione, quasi sempre intesa
come sessuale oltre che in senso affettivo, nei confronti dei ragazzini
prepuberi o appena puberi.
Il nostro
Magnus ha vissuto e visto tanto, perciò perchè
non avrebbe dovuto esserci durante la costruzione del ponte e aver
conosciuto lo sfortunato ingegnere? Licenza poetica se vogliamo, ma
perchè no. L' OS si colloca più o meno dopo il
colloquio di Magnus con Camille in COFA.
Ovviamente una what
if...? E' la prima volta che mi cimento con Raphael
quindi non sono del tutto sicura di come sia venuto; ammetto che
è un personaggio che mi intriga ma non riesco a rendere come
vorrei.
Detto questo
ringrazio chi continua a seguirmi e Class of 13, dolcemary,
ehisichiamaciuffa e paprikokka902 che hanno commentato lo scorso
capitolo. Per rispondere un po' a tutte: sì, lo so... la
Clare non ci fa ben sperare. Non ci fa sperare proprio per nulla, se
consideriamo le anticipazioni. Ma è una donna crudele, e si
è visto. Però noi possiamo sognare un finale
diverso e felice per fortuna. Che di morte e dolore ne abbiamo
abbastanza. Forse il posto scelto da Magnus non era il migliore per una
dichiarazione ma... beh. Aveva il suo significato dietro.
Anyway, che dirvi?
Al prossimo capitolo!
Red
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Even you are not rich enough, to buy back your past. ***
In
questo mondo non vi sono che due tragedie:
una
è causata dal non ottenere ciò che si desidera,
l'altra
dall'ottenerlo. Quest'ultima è la peggiore,
la
vera tragedia.
Il ventaglio
di Lady Windermere - Oscar Wilde
Even you are not
rich enough, to buy back your past.
«C'è
qualcosa che rimpiangi, Magnus?»
Lo stregone interruppe la carezza lungo la schiena nuda, solcata di
cicatrici leggere come merletti ma concrete e leggermente ruvide sotto
i polpastrelli, per poter guardare negli occhi il ragazzo disteso al
suo fianco.
Era incredibilmente bello il suo Cacciatore, soprattutto dopo aver
fatto l'amore; i suoi occhi azzurri erano accesi di quella particolare
luce che non li sfiorava nemmeno nella caccia, la sua espressione era
rilassata e le difese basse. Aveva i capelli corvini scarmigliati, e
qualche brillantino era rimasto impigliato fra le ciocche scure
dandogli un'aria buffa; ma i suoi occhi erano incredibilmente seri,
solo in parte velati ancora dal languore del sesso. Era una delle rare
volte in cui provava l'impulso di maledire la runa della resistenza che
gli ornava la spalla sinistra e che fino a quel momento aveva seguito,
ritracciandola con lievi carezze.
Nel silenzio della loro camera si poteva udire solo il respiro profondo
del Nephilim, il fruscio delle lenzuola di seta color lavanda che si
stropicciavano ad ogni movimento e il rombo dei motori delle sporadiche
auto, per lo più taxi, giù in strada.
Il Figlio di Lilith si chiese se avrebbe potuto annoverarvi anche il
suo cuore, ma il battito che aveva mancato alla domanda era stato un
intermedio troppo breve perchè potesse essere notato da
altri che da lui stesso.
Atteggiò le labbra in un sorriso che aveva una sfumatura
sarcastica, o forse solo esasperata. Lo stesso che avresti potuto
vedere in una madre intenta a spiegare qualcosa di ovvio ad un bambino
piccolo.
Alec non sapeva come interpretarlo di preciso, ma forse avrebbe dovuto
sentirsene offeso.
«Non c'è un uomo senza rimpianti; e se ce
n'è uno, non è un uomo»
Il vecchio proverbio arabo, pur se un poco rimaneggiato, era senza
dubbio una risposta quasi
perfetta; del resto, lui non era propriamente un uomo.
Questo pensiero il Nephilim dovette intuirlo dalla sua espressione,
nonostante il buio in cui era avvolta la stanza; filtrava una pallida
luce da dietro le tende blu di prussia semi-trasparenti, ma la luna era
solo ai suoi primi tre quarti e le nuvole che da giorni si potevano
notare in cielo concorrevano a renderla ancora più lontana.
Si spostò su un fianco, rannicchiandosi un poco
più vicino al fidanzato, posandogli esitante una mano sul
torace magro, all'altezza del cuore che sentiva battere stranamente
lento contro il palmo. Ma era un ritmo a cui si era abituato, ormai, e
di cui non poteva più fare a meno.
«E tu sei l'uomo migliore che io abbia conosciuto.»
Fu solo un sussurro, ma lo stregone lo udì comunque. Il
sorriso si tinse di malinconia, mentre abbassava il viso per appoggiare
la fronte contro quella del compagno, coprendogli la mano con la
propria e stringendola delicatamente.
«Nutri troppa fiducia in me, Alexander. Io non sono migliore
di tanti altri, te l'assicuro. Anzi, forse sono persino peggio. Ho
avuto più tempo.»
Il respiro del più giovane era delicato contro le labbra, ma
lo percepì comunque trattenerlo per brevi istanti.
I suoi occhi azzurri si erano ad un tratto incupiti.
«La mia non è fiducia...
beh, non solo. Io lo so,
Magnus.»
«E poi mi chiedi perchè ti amo...»
Le iridi feline dell'incantatore ebbero un guizzo, come le fiammelle di
una candela. Facevano un po' impressione, perchè
all'oscurità brillavano proprio come quelle dei gatti. Ma
questo non sarebbe bastato a farglielo vedere come un mostro o rivedere
la considerazione che aveva di lui.
Socchiuse le labbra, sotto il tocco delle sue dita scure ed esperte che
le percorrevano, ma si ritrovò a sbatacchiare le palpebre
per non cedere al languore. Per il rossore che si era impadronito della
pelle candida poteva farci, ahimè, ben poco invece.
«Ma non hai risposto alla mia domanda.» ebbe la
forza di fargli notare.
Magnus sospirò, chiudendo gli occhi. Cercava di tenergli
nascosto il proprio passato nella speranza di potergli nascondere la
parte peggiore di sè. Non sapeva che così facendo
gli taceva anche la migliore.
«L'aver ottenuto ciò che bramavo, alle
volte...»
Le sopracciglia del Lightwood fremettero appena in un'espressione
lievemente accigliata. Il ragazzo rimase in un silenzio incerto per
qualche istante, mordendosi il labbro inferiore «Ed
è... ed è un male?»
Lo stregone sorrise di nuovo, accarezzandogli il profilo del viso con
il dorso delle nocche. Parlò piano, sulle sua labbra.
«Spesso lo è più del non ottere
ciò che il nostro cuore desidera, Alec. Non sono sempre
desideri giusti e ti accorgi del loro egoismo solo quando non puoi
più fare niente per tornare indietro e riparare. Ti
accompagnano per tutta la vita con la differenza che, quando sei
immortale, non puoi sperare che giunga il momento di consegnarli
all'oblio e poter guadargnarti la pace.»
Sembrò rifletterci qualche istante «Ma forse, in
fondo, è questa la mia punizione. Ricordare in
eterno»
La voce di Alec risuonò esitante ma convinta, accompagnata
dal fruscio del lenzuolo che ne scopriva il corpo mentre saliva
agilmente a cavalcioni su quello del compagno.
«Forse. Ma tutto prima o poi sbiadisce, Magnus, e lascia solo
cicatrici. E quelle dopo un po' fanno male solo se ti ostini a
ricordare che ci sono.»
Il Nascosto allungò le braccia, tuffando le dita in quei
capelli disordinati e costringendo il Nephilim ad abbassarsi su di
sè, catturandone le labbra in un bacio profondo e lento.
Quando terminò, entrambi respiravano a fatica.
«Sei la cosa che il mio cuore desidera di più,
Alexander. E questa volta sono certo che farebbe più male
non averti, che essere egoista.»
Il Cacciatore sorrise, chiudendo gli occhi e tornando ad appoggiarsi su
di lui, abbracciandolo. Il calore del suo corpo contro il proprio gli
faceva dimenticare le coperte gettate ai piedi del letto ed il fatto
che fossero ad Ottobre.
«Allora lascia che sia egoista anch'io.»
Un altro bacio ancora, e nel cielo luna e sole.
«Nessun rimpianto?»
«Nessuno.»
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Arguments are to be avoided; they are always vulgar and often convincing. ***
Tutto
nella mia tragedia è stato orribile,
mediocre,
repellente, senza stile.
Il
nostro stesso abito ci rende grotteschi.
Noi
siamo i pagliacci del dolore.
Siamo
i clown dal cuore spezzato.
Oscar Wilde
Arguments are to be
avoided; they are always vulgar and often convincing.
Magnus si girò sulla
schiena e mise i piedi sul bracciolo del divano.
«Che ti importa se Alec è infelice?»
«Che mi
importa?» chiese Jace con un tono di voce così
alto da far rotolare il Presidente Miao giù dal
sofà sul pavimento. «Certo che mi importa di Alec;
è il mio migliore amico, il mio parabatai. Ed è
infelice. E a giudicare dall'aspetto delle cose, lo sei anche tu.
Contenitori d'asporto ovunque, non hai fatto niente per sistemare la
casa, il tuo gatto sembra morto...»
«Non
è morto.»*
Se c'era una cosa di cui non faceva difetto il Nephilim biondo, questa
era la tenacia. O forse la testardaggine. O una strana combinazione di
entrambe le cose che lo avrebbe presto portato al manicomio.
Ecco, questa era l'unica cosa di cui il Sommo Stregone di Brooklyn
fosse assolutamente certo, in quel momento.
Oltre al fatto che il Presidente Miao fosse indiscutibilmente vivo,
ovviamente. Il fatto che avesse buffamente soffiato contro l'intruso,
in quello che era sembrato più uno squittio strozzato, e poi
si fosse nascosto sotto la credenza non dava adito a dubbi.
«Hai intenzione di rimanere qui ancora per molto,
Cacciatore?»
Il ragazzo intento a impilare scatole di pizza distolse per un attimo
la sua attenzione dalla rappresentazione in cartone della Torre di Pisa,
scrutando lo stregone in silenzio come a rifletterci su
«Sì, direi di sì.» decise,
infine, tornando alla sua occupazione.
Magnus rimase a fissare il soffitto, domandandosi mentalmente cosa
avesse fatto di così male alle Alte Sfere per meritare una
punizione simile.
Quando l'elenco nella sua testa superò le trentadue voci si
decise a mettersi seduto e voltarsi verso l'invasore.
«Potrei chiamare la polizia»
«Potrei rendermi invisibile»
Il Nascosto increspò le sopracciglia, fissando
insistentemente il Figlio di Raziel che aggiungeva una scatola
piuttosto ammaccata alla già altissima pila in equilibrio
precario sul tavolo da pranzo.
«Ho una notizia per te, mio piccolo genio incompreso... sono
uno stregone.»
Jace gli scoccò un'occhiata di sufficienza da oltre la sua
creazione «Davvero? Credevo fossi una drag queen in
pensione. Ma effettivamente quello spiegherebbe la tua mistica sciatteria.»
Il Nephilim non si accorse dell'occhiataccia, men che meno delle
crepitanti scintille azzurrine, e quando notò la sua opera
traballare fu troppo tardi per evitarsi di venire sommerso da scatole
della pizza unte.
«Ma che schifo! Per l'Angelo, qui potrebbe esserci nato un
nuovo ecosistema!» esclamò, riemergendo dalla
valanga di cartone bradendo una fetta di pizza stantia, mezzo
morsicata, di un inquietante verde marcio lì dove avrebbe
dovuto esserci la mozzarella.
Magnus che guardava i rimasugli di quella che doveva essere stata una
delle sue cene della settimana - o quella prima ancora - precedente,
inarcò un sopracciglio con aria critica. Socchiuse le
labbra, come per dire qualcosa, ma poi ci ripensò e si
limitò ad incassare il capo fra le spalle e massaggiarsi le
tempie con una smorfia.
«Voi Herondale.
Credo proprio che vi trasmettiate l'invidiabile capacità di
essere irritanti e farmi uscire di senno di generazione in generazione.
Giusto perchè non mi scordi di voi, suppongo.»
come se fosse stato possibile, tra l'altro. Ma questo non lo disse.
Jace gli scoccò un'occhiata interessata, mollando la pizza
sul tavolo e pulendosi con nonchalance le mani su una delle maglie
appese sullo schienale della prima sedia vicina. «Hai
conosciuto altri Herondale?»
Lo stregone alzò gli occhi da gatto al cielo, e tra le dita
scoppiettarono scintille che ricaddero sulla canotta nera
brucciacchiandola leggermente. «Più di quanti ne
potessi sopportare, mister pescailmiocognomedalcilindro.»
«I cilindri sono passati di moda da un pezzo. Mi stupisco che
tu non lo sappia...»
Il Figlio di Lilith emise un lamento, seppellendo il capo fra le
ginocchia e coprendoselo con le braccia. «Non provi almeno un
po' di pietà, tu? Sei in parte Angelo o qualcosa del
genere!»
Il Cacciatore fece spallucce, incrociando le braccia al petto ed
accennando ad un sorrisino sarcastico «Sai com'è,
non mi è sembrato fosse tra le loro principali
qualità.»
Magnus prese un respiro profondo, serrando gli occhi.
«Cosa vuoi da me, Jace Herondale... Lightwood... Wayland...
Morgestern... fermami quando indovino quello giusto.»
Jace emise un versetto stizzito, spostandosi per la stanza e cacciando
via con un calcio un mucchietto di abiti che, giurava!, si era appena
mosso. «Voglio che tu alzi quelle chiappe da quel divano, la
pianti di fare la diva offesa e vai a parlare con Alec.»
sembrò pensarci un attimo «Oh, e dai una ripulita
a questo porcile.»
«Cacciatore...»
L'altro sorrise in maniera angelica che, dallo spiraglio tra le
braccia, Magnus reputò inquietante «O lo faccio io.»
Rimasero a guardarsi per svariati minuti in silenzio, ma alla fine fu
lo stregone a cedere per primo, gettandosi disteso con un sospiro
irritato sul divano e coprendosi il viso con le mani.
Jace tirò indietro il braccio sinistro, con la mano chiusa a
pugno, scuotendo il capo biondo con aria di trionfo «Evvai.
Uno a zero per il bellissimo e geniale Cacciatore in nero.»
Si ritrovò a schivare un cuscino di un orrendo verde acido
per miracolo, balzando velocemente verso la porta. «Tra due
giorni. A Central Park. Vedi di non mancare o questa casa
diventerà uno splendido monastero!»
Di nuovo il lamento da animale ferito, anche se a guardare l'uomo
disteso sul divano sembrava che il gatto morto in quel momento fosse
lui.
Jace sorrise, chiudendosi la porta alle spalle «Ed
è Lightwood, comunque!»
Non udì la risposta del Nascosto, perchè si stava
già apprestando a sparire a tutta velocità lungo
la strada per evitare che quello si ricordasse di essere l'Alto
Stregone di Brooklyn e gliela facesse pagare. Trasformandolo in
un'anatra, per esempio.
Magnus si passò le mani fra i capelli, ritrovandoli
incredibilmente stopposi. Una smorfia stanca gli dipinse il bel viso
sfatto «Sommo Stregone, sei davvero un essere abbietto. Ti ci
vuole decisamente una doccia. Anche due. O tre...»
Tacque, chiudendo ancora una volta gli occhi. Poi le labbra si
produssero in un pallido sorriso.
«...e così è in questo modo che mi
ripaghi il favore, mh, Will?»
___________________________________________________
»Angolino
di Red«
*da uno degli snippet di City of Heavenly Fire.
Già. Non ho potuto non farlo, leggendolo. E' stato
più forte di me, le mie dita si sono mosse da sole sulla
tastiera per dare un seguito allo snippet. Un seguito in cui, credo,
speriamo tutti noi fan della coppia. Ma è bello sognare. Ed
è bello far spuntare Jace che, per quanto non sia
decisamente il mio preferito, trovo ugualmente a modo suo fantastico;
sarà che gli Herondale hanno quell'ironia che non puoi fare
a meno di amare.
Ohhh bene, ringrazio come al solito chi legge e segue questa storia, e
chi la commenta facendomi tanto felice (seriamente, mi commuovete anche
un po'). Ne approfitto, tra l'altro, per invitarvi a fare le vostre
richieste se avete citazioni (sempre di Oscar Wilde) sul quale vorreste
vedere qualcosa. Prometto che farò il possibile per
accontentarvi.
Al prossimo capitolo!
Red.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** To be in love is to surpass one's self. ***
Per
il mio bene non potevo fare altro che amarti.
Sapevo
che, se mi fosse stato concesso d'odiarti,
nell'arido
deserto della vita che dovevo percorrere,
che
ancora sto percorrendo, ogni roccia avrebbe perso la sua ombra,
ogni
palma sarebbe intristita, ogni pozzo d'acqua si sarebbe inquinato.
De Profundis -
Oscar Wilde
To be in love is to
surpass one's self.
Chi va in guerra, sa che dalla
guerra potrebbe non tornare.
Non ci sono inutili speranze,
nè false illusioni, in proposito. Magari si ride e si
scherza, la sera prima, ma nel cuore si sa già che potrebbe
essere l'ultima volta che vedi il tuo vicino o quella la tua ultima
birra.
Vivi la sera prima della
battaglia come se fosse l'ultima notte al mondo.
I Nephilim
ci sono abituati, per loro ogni giorno potrebbe essere l'ultimo. E' la
loro vita, sono guerrieri prima ancora che uomini. E i guerrieri sanno
già che il loro destino è scritto con inchiostro
e sangue.
I
Cacciatori vanno incontro al loro fato a testa alta e non salutano chi
lasciano a casa, nè permettono che nell'aria aleggino auguri
di buona fortuna che portano solo sciagura. Ogni scontro deve essere
affrontato con la sicurezza di tornare vincitori. E' l'unico modo che
hanno per non impazzire, per non cedere alla paura e voltare le spalle
al proprio compito.
I figli di
Raziel non possono
scappare.
Eppure, in
quello sfoggio di humor
inglese che è la vita, i figli di Lilith temono
la morte e rifugiano la guerra, tenendosi lontani da ogni conflitto
che potrebbe in qualche modo nuocergli. Coloro che possiedono
l'immortalità non possono nulla contro il coraggio
dell'effimera vita mortale.
Questo
Magnus lo ha sempre saputo e, in cuor suo, ne è sempre stato
geloso. Forse per questo durante la sua lunga esistenza si è
legato più volte agli esseri umani. Perché
invidioso di ciò che in realtà lo atterrisce
più di ogni altra cosa.
Ed
è per lo stesso identico motivo che si è
ritrovato, ancora una volta, a combattere una battaglia che altrimenti
lo avrebbe visto nascondersi e aspettare di vedere chi avrebbe vinto,
questa volta; un mondo affogato nelle tenebre o ancora uno spiraglio di
luce.
Perché
in ogni caso, qualunque lo scenario finale sarebbe stato, avrebbe
voluto vedere l'alba del giorno dopo insieme all'altra metà
della sua anima. O perire, una volta per tutte, insieme ad essa.
-------------------------------------------------------
Sebastian,
o Jonathan,
o qualunque fosse il nome di quell'orrenda creatura, non si vedeva
più da nessuna parte. Il campo di battaglia... beh,
effettivamente non si potevano realmente definire campo di battaglia le
strade di una New York asserragliata ed, in buona parte, distrutta. I
demoni a servizio del maggiore dei Morgestern avevano eseguito alla
lettera gli ordini del loro padrone, devastando e distruggendo ogni
cosa sul loro cammino; del resto era per quello che erano nati, per la
morte e il dolore. Da un demone non sarebbe potuto mai venire fuori
nulla di buono e ormai il ragazzo con il sangue avvelenato non poteva
definirsi in altro modo. Era stata una sciocca, davvero una piccola
sciocca troppo fiduciosa, la giovane Clarissa a poter credere che il
fratello fosse cambiato. Che un legame come quello con Jace sarebbe
bastato ad operare un miracolo che nemmeno le Schiere Celesti avrebbero
potuto compiere - se mai, ovviamente, avessero avuto in qualche modo
interesse o pietà per provare a farlo. Se n'era resa conto
troppo tardi, ad ogni modo.
Mentre con
uno sfrigolio l'ultimo di una serie di Raum svaniva,
ricacciato nel Vuoto,
Magnus si ritrovò a pensare che forse avrebbe dovuto provare
rancore nei confronti della ragazzina dei capelli rossi, dare a lei la
colpa per i morti che riempivano le strade e per le grida di dolore a
riecheggiare fra i palazzi in fiamme.
I primi a
cadere erano stati i mondani, impreparati ad un attacco del genere e
troppo fermi nelle loro convinzioni per poter credere che tutte le storie fossero reali.
Poi era
stato il turno dei Nephilim che si erano mossi per tentare di salvare
quegli sciocchi, sacrificando le loro vite per la cecità
caparbia degli esseri umani. Erano caduti anche Figli della Luna, il
branco di Manhattan era stato brutalmente dimezzato. Aveva intravisto,
inseguendo un troppo-poco-estinto Vetis (per dirla
alla Jace, che lo aveva caricato con una spada angelica), la giovane
Maia piangere senza posa su un cadavere che, sperò, non
fosse Jordan. Erano periti anche membri del Praetor Lupis e lo stesso Praetor
Scott ora giaceva ai piedi di una pila di automobili fumanti che aveva
tentato di proteggere insieme ai loro proprietari.
I Figli
della Notte aiutavano come potevano riparandosi nei vicoli bui, anche
se erano troppo pochi, capitanati da un insospettabile Raphael che
colpiva, letale, alle spalle i propri nemici trascinandoseli al buio e
finendoli tra rumori strazianti.
Accasciandosi
alla fiancata di un furgoncino ribaltato, le cui ruote giravano ancora
a vuoto, lo stregone sperò che l'unico vampiro che gli fosse
mai andato a genio da lì a diversi secoli avesse ancora
salva la pellaccia. Era l'unico, con la sua capacità a
muoversi alla luce del sole, a poter attaccare liberamente tra i suoi
simili. Il solo fatto che lo facesse era da considerarsi un gesto
eroico.
Gli unici
Nascosti che mancavano all'appello erano i membri del Popolo Fatato.
Quella stronza della Regina della Corte Seelie era stata abbastanza
furba da sostenere la neutralità dei suoi, in quello
scontro, per ottenere vantaggi da qualunque delle due fazioni avrebbe
vinto.
Un sorriso
folle si formò sulle labbra, al desiderio ardente di vincere
quella guerra anche solo per vedere cadere la testa della fata. Questa
volta il suo tradimento, se avessero visto l'indomani, non sarebbe
passato impunito dagli Shadowhunters.
Chiuse gli
occhi, il figlio di Lilith, per poter richiamare a sé le
poche energie rimastegli e concentrarsi per poter trovare finalmente il
motivo per cui aveva attraversato le strade crepate e rispedito nel
loro mondo demoni fino a quel momento; non aveva visto Alec, quella
mattina. Non lo aveva visto nemmeno i giorni precedenti,
perché non si era presentato all'appuntamento. Non che ne
fosse stato troppo sorpreso, in effetti.
Ma
nonostante gli scontri andassero avanti da ore, non lo aveva mai
intravisto fra i Cacciatori che aveva incrociato. Qualche volta era
stato sul punto di chiamare a gran voce qualcuno che gli assomigliava,
ma poi si accorgeva degli occhi nocciola, o della statura troppo bassa
e nerboruta e riprendeva a correre, il cuore a mille nel petto e fra le
dita scintille azzurre crepitanti di potere.
«Sei
esausto, vecchio mio»
La voce lo
fece sobbalzare e aprire di scatto gli occhi, sollevando le mani per
preparare un incantesimo difensivo. Ma a pochi metri da sé,
alla sua destra, vide solo la famigliare figura di una ragazza dai
lunghi capelli castani acconciati in una coda alta e una tenuta da
Cacciatrice strappata; aveva qualche taglio e zoppicava un po' dal
piede sinistro, ma nel complesso sembrava stare bene.
«Theresa...
sei ancora viva» le parole gli sfuggirono in un sospiro
stanco, mentre la mutaforma gli si avvicinava con una smorfia.
«Tessa,
Magnus. Da quando in qua mi chiami con il mio nome
completo?»
Lo stregone
abbozzò un sorrisetto, facendo spallucce.
«Magari
da quando rischiamo di fare un viaggetto di sola andata per l'altro
mondo, zuccherino, che ne dici?»
La ragazza
ignorò il sarcasmo, afferrandolo per una manica della giacca
sporca di fluido nero e strattonandolo «Muoviti, ho
incrociato Catarina mentre venivo qui. Ha visto lui»
Il Nascosto
si irrigidì, rivolgendole uno sguardo confuso e preoccupato.
«Dove...»
«Vicino
all'entrata della Città Silente, si stava battendo insieme
ad alcuni Fratelli.»
L'espressione
sul viso di Tessa era un misto fra dolore e compassione, mentre
guardava Magnus correre senza voltarsi lungo la strada e stringeva le
mani al petto, unite in una preghiera a quel Cielo che assisteva
indifferente al dolore dei suoi figli.
Sobbalzò,
sentendosi toccare la spalla, rilassandosi poi a scambiare uno sguardo
con gli occhi scuri e pieni di comprensione e dolcezza di Jem,
stringendogli con forza una mano segnata dalle rune fresche.
«Fa
che arrivi in tempo...»
La prima
cosa che vide furono le tuniche color pergamena intrise di sangue.
I Fratelli
non erano morti senza combattere, ricordando ancora una volta come
fossero guerrieri nonostante avessero votato la propria esistenza alla
conoscenza.
Poi,
accasciato proprio davanti ai cancelli divelti del cimitero in fiamme,
una figura che non gli era sembrata mai più piccola e al
contempo imponente di quel momento. Stringeva ancora il suo arco
decorato di rune tra le dita della mano sinistra, ma la faretra con le
frecce giaceva a qualche metro di distanza, distrutta.
Quasi
incespicò su un cadavere che non ebbe la forza di guardare,
mentre affrettava il passo per raggiungerlo. I suoi occhi avevano
catturato immediatamente le zone più scure della maglia
della tenuta da Cacciatore, lì dove aderendo alla pelle la
stoffa rinforzata si era imbevuta di sangue.
«Alec...
Alexander...»
Pronunciare
il suo nome fu una sofferenza maggiore del contatto ruvido e brutale
della terra contro le ginocchia, mentre si lasciava cadere al suo
fianco, muovendo disperato le mani senza sapere dove metterle o che
farci. Aveva il terrore di spezzarlo anche solo sfiorandolo, di
arrecargli ancora più dolore di quello che poteva vedere
riflesso sul suo viso pallido.
Il
Lightwood aprì gli occhi, rivelando come l'azzurro di cui si
era innamorato fosse rimasto ancora lo stesso. Gli ci volle qualche
secondo per capire, ma quando registrò chi era la figura al
suo fianco non riuscì più a frenare le lacrime,
permettendogli di correre libere e mescolarsi al sangue.
«M-magnu-s...»
«Shhh,
non ti sforzare. Non... andrà tutto bene.»
Quelle
parole suonavano disperatamente patetiche persino alle stesse orecchie
dello stregone, mentre liberava delicatamente l'arco dalla presa del
più giovane per deporlo di lato e chinarsi cautamente a
stringere quel corpo martoriato fra le braccia.
«Erano...
er-ano così tanti... i Fratell-i, cough, ho
provato...»
Il Nascosto
guardò spaesato il bel volto del Cacciatore, stupito da come
potesse pensare agli altri anche in un momento come quello. Di come
fosse in grado di sentirsi in colpa per non aver fatto di
più, anche se aveva dato la vita.
No, non ancora. Si
rimproverò mentalmente, con ferocia. Lo stringeva, sentiva
il suo cuore battere contro il proprio petto e il suo respiro flebile
sul collo. Era ancora vivo e si sarebbe aggrappato all'ultima scintilla
vitale fino alla fine. Lo avrebbe salvato, proprio come quello sciocco
piccolo Nephilim aveva fatto con lui amandolo.
«Sei
stato bravissimo Alexander»
Il ragazzo
gli rivolse un piccolo sorriso, che si macchiò di scarlatto
mentre si curvava in avanti per tossire, aggrappandosi alla
maglia dello stregone.
«Ale-»
«Abbiamo
vinto?»
La domanda
gli fece sgranare quegli occhi da gatto che erano stati la sua
maledizione, e che sentì per la prima volta dopo secoli
pungere fastidiosamente. Gli accarezzò la schiena,
dolcemente, chinando il viso sul suo e sforzando un sorriso.
«...sì.
Sì, abbiamo vinto.»
«Bugiardo»
A quel
sussurro non riuscì a frenare le lacrime, nascondendo il
capo contro quello spettinato e intriso di sangue essiccato e polvere
del Cacciatore.
«Vinceremo,
Alexander. Vinceremo, ma tu dovrai essere qui per vederlo,
capito?» percepì gli ultimi barlumi di energia
attraversarlo come una scossa elettrica, a percorrere ogni terminazione
nervosa e scorrere nelle vene come sangue, e soffocò un
gemito di dolore per concentrarsi nell'incantesimo di guarigione.
Fu lo
stesso Alec a interrompere il suo frenetico salmodio, in una
lingua demoniaca che non avrebbe riconosciuto nemmeno se non fosse
stato ad un passo dalla morte, allungando con le forze che gli
rimanevano le braccia per passargliele attorno al collo e stringerlo,
costringendolo a guardarlo.
Sorrideva,
con gli occhi azzurri distanti che non sembravano più
riflettere il cielo, e le guance striate di rosso.
«Pensi...
pensi che
potrò avere un'altra chance... nella prossima vita?»
Mentre lo
stringeva spasmodicamente a sé, baciando quelle labbra che
stavano diventando sempre più fredde e rendendosi conto che
Alexander non lo odiava, Magnus pensò per la prima volta
nella sua vita che quello era davvero troppo da sopportare. Persino per
lui.
«PADRE!
Lo so che stai guardando... io ti invoco! Quod tumeraris: per Jehovam,
Gehennam, et consecratam aquam quam nunc spargo, signumque crucis quod
nunc facio, et per vota nostra, ispe nunc surgat nobis dicatus S-»
La
cantilena frenetica fu interrotta da una risata fredda ed in qualche
modo dolce come miele al contempo, simile al sibilo di un serpente, che
fece rabbrividire Magnus fin dentro le ossa e convincerlo a stringere
più forte il ragazzo che teneva fra le braccia.
Il suo
sguardo si posò, quasi calamitato, sui cadaveri ammucchiati
scompostamente dei Fratelli Silenti. Un'alta colonna di fumo nero
vorticava sulle schiene degli ex Cacciatori, e poco a poco ne emerse
qualcosa che poteva a primo sguardo sembrare un uomo.
Alto e
snello, abbigliato con un lungo cappotto nero che ne copriva piedi e in
parte il viso fino a poco sotto il naso; sarebbe potuto sembrare
normale, se non fosse stato per gli occhi dorati, dalla pupilla
verticale, e le accennate squame sotto di essi, in rilievo su una pelle
pallidissima. I capelli neri,
lucenti, ricadevano fin sopra le spalle e all'interno del colletto.
Il demone
chinò il capo di lato, su di una spalla, guardando
curiosamente lo stregone e il ragazzo che abbracciava, macchiandosi del
suo sangue.
«E'
davvero ssstupido
da parte tua chiamarmi con un rituale di evocazione del genere. Non sssono quell'idiota
di Azazel. Ed è allo ssstessso tempo curiossso che tu abbia mossstrato tanto
coraggio, o ssstoltezza,
da provare a farlo comunque.» parlava con tono basso e
sibillino, strascicando pesantemente le esse. Ad ogni parola, sembrava
che qualcosa risalisse lungo la schiena del Nascosto, qualcosa di
viscido e sbagliato «Chi ti asssicurava che
avrei risssposssto,
figliolo?»
Negli occhi
del Figlio di Lilith passò un lampo di disgusto e puro odio,
mascherati da un sorriso di scherno. Ma non poteva certo darla a bere
così facilmente al genitore. Ad ogni modo non avrebbe
chinato la testa davanti a lui, nè tremato. Sapeva quant'era
rischioso evocarlo, al punto che già da secoli nessuno lo
faceva più; anche se questo era soltanto perché
il mondo e i suoi seguaci l'avevano ritenuto morto ormai da troppo
tempo perché sopravvivessero rituali per farlo.
Ma un
demone non può morire davvero, può essere solo
rimandato negli strati più profondi del Vuoto e
lì attendere anche millenni, prima di rigenerarsi.
Il male non
può essere estirpato, o l'equilibrio intero di ogni mondo
esistente, di ogni dimensione, andrebbe intaccato portando al collasso.
Questo lo
aveva imparato anni prima, suo malgrado. Così come aveva
appreso chi fosse suo padre e quale fosse il peso del suo nome
all'Inferno.
«Nessuno.
Ma ero sicuro che non ti saresti perso uno spettacolo del genere e
l'occasione di tornare sulla terra dopo tutto questo tempo.»
Il demone
fece spallucce, voltandosi a guardare la desolazione provocata
dall'esercito oscuro del fratello di Clary. Nel movimento il bavero del
cappotto si era spostato, rivelando un sorriso fitto di denti aguzzi e
appuntiti come spilli e lo scorcio di un volto bellissimo.
«La
creatura di Lilith... Jonathan Morgessstern,
eh? Ssse
n'è fatto un gran parlare, di quesssti tempi... non
avrei ssscommessso un sssoldo bucato, sssu quel
ragazzo.» tacque, tornando a guardare il figlio che respirava
a fatica, soffermando poi lo sguardo da rettile sul Lightwood fra le
sue braccia. Inarcò un sopracciglio sottile, manifestando
perplessità «E tu... mi hai chiamato per un
cadavere?»
Sembrava in
qualche modo divertito. Divertimento che si trasformò in
stupore, quando si accorse dell'espressione di tenacia dipinta sul viso
del figlio più forte che avesse generato in tutti quei
millenni.
Era stanco,
stremato e ben presto avrebbe esaurito le energie. Si sarebbe
consumato, lì davanti a lui, lo vedeva bene. Ma vedeva anche
l'alone azzurrino, e le scosse crepitanti lungo le braccia e le mani
poste sul corpo del ragazzino dai capelli neri. E il petto di questo
alzarsi ed abbassarsi impercettibilmente, segno che fosse ancora vivo.
«...e
cosssì
tu vuoi che sssalvi
una creatura di Raziel?» domandò, dopo qualche
istante.
Magnus
sorrise stancamente, sentendo le forze venire meno e la vista
offuscarsi. Non riusciva quasi più a distinguere la figura
del demone, così non capiva se se lo stesse solo immaginando
o se quello si fosse realmente avvicinato a loro.
Prima di
svenire, scambiò un ultimo sguardo col padre.
«Voglio
che salvi il mio cuore, perché non vivrò se lui
non vive. Fallo e io non invocherò mai più il tuo
nome, e nessuno saprà»
ma forse, quelle parole, aveva solo pensato di pronunciarle.
------------------------------------------
L'alba si
era affacciata da poco su New York. Il cielo era tinto di rosso,
nell'aria l'odore acre del fumo e quello più delicato dei
fiori. Stesi in due lettini vicini, in una delle stanze dell'Istituto
adibite ad infermeria, due ragazzi fasciati di bende e sprofondati in
un sonno profondo, ma sereno. Oltre le lenzuola candide, due mani unite
nel riposo; una scura e dalle unghie dipinte di smalto scheggiato
stretta ad una più chiara, con una runa nera di
chiaroveggenza sul dorso.
Maryse, che
si era affacciata a controllare, sospirò e poi sorrise
scuotendo stancamente il capo e chiudendosi la porta alle spalle,
scambiando uno sguardo sereno con il gruppetto che attendeva in
corridoio.
«Beh?
Che ci fate lì impalati? Verremo a svegliarli più
tardi. Possono aspettare ancora un po' per sapere che abbiamo vinto,
no?»
Mentre
cacciava un Jace protestante con alcune manate sulla schiena dolente,
si voltò a guardare di nuovo la porta.
«Se lo meritano.»
_________________________________
»Angolino
di Red«
Ringrazio Class of 13 per
il titolo di questo capitolo, per prima cosa.
Come seconda cosa, parlo un po' del suddetto capitolo. Come avete
potuto immaginare, questo è uno scorcio della battaglia
finale contro Sebastian. Sono del tutto sicura che la Clare fare
schiattare uno dei due, se non entrambi, ma io sono un animo romantico
e sognatore e quindi mi costruisco da sola un finale più o
meno idilliaco. Auhm. Considerato poi come si tenda a far morire Alec
(povero tato mio!) questa volta ho messo da parte il mio lato angst e
ho deciso per un lieto fine... un po' particolare. Inserendo il
fantomatico padre di Magnus, di nuovo sì. Qualcuno indovina
chi è il caro paparino? Ovviamente solo secondo me.
Però non riesco a togliermi il pallino che possa essere
proprio lui, chissà perchè.
Spero di non aver deluso chi si aspettava un capitolo tutto rosa e
fiori per la riconciliazione di quei due, ma alla fine tutto
è bene quel che finisce bene, no?
Dimenticavo, una delle scene finali è stata ispirata a
questa fanart
di cui, ovviamente, non sono proprietaria
...tiratemi pure pomodori e, se volete, fatemi sapere cosa ne pensate
fra un lancio ed un altro. Al prossimo capitolo!
Red
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Conscience makes egotists of us all. ***
Una
faccia di bronzo è una gran cosa da mostrare al mondo,
ma
di tanto in tanto, quando sei solo e non hai pubblico intorno,
devi,
penso, toglierti la maschera, nient'altro che per respirare.
Altrimenti,
credo proprio che soffocheresti.
Oscar Wilde
Conscience makes
egotists of us all.
Perché avesse
scelto proprio lui, questo Simon non lo aveva ancora capito.
Probabilmente non sarebbe arrivato ad una soluzione che potesse
avvicinarsi alla realtà nemmeno a rimuginarci su per un
altro secolo ma, per amor dei suoi nervi e per quell'intrinseca
capacità di buttare tutto sull'ironico, aveva decretato che
il motivo non poteva essere altro che, nel profondo, il Sommo Stregone
di Brooklyn fosse da sempre attratto da lui. Era chiaro.
Cristallino come
l'acqua che si riversava ciclicamente nella fontana quadrata, con al
centro degli strani spunzoni di metallo scuro che non aveva ancora
capito cosa dovessero rappresentare e da cui sgorgavano fontanelle che
si riversavano in piccole cascate ai quattro angoli della struttura,
sul cui bordo di pietra bianca si era accasciato con tutta l'intenzione
di non scollare più le chiappe da lì.
Dettagli che non
potesse realmente sentirsi stanco o avere il fiatone, essendo morto.
«Mi arrendo,
lasciami qui e vai avanti tu... no, non voltarti indietro...! Me la
saprò cavare da solo!»
Se, in un altro
momento, i modi teatrali del Diurno lo avrebbero di certo stranito e
divertito al contempo, in quell'istante Magnus fu tentato solamente di
spintonarlo all'interno della fontana.
Magari recuperando
prima il sacchetto di Gucci
che il vampiro si teneva stretto al fianco, appoggiato
distrattamente sul bordo plastificato che si stava accartocciando
tristemente sotto il peso del suo gomito.
«Se non ti
alzi da lì entro cinque secondi, Seamus, ti giuro
che ti farò provare l'ebrezza del venire impalato da un
orrendo esempio di arte contemporanea.»
Anche senza
specificare, il Nascosto più giovane intuì che
dovesse trattarsi della scultura alle sue spalle. E l'idea non gli
piacque granché.
«Ma
così rimarresti senza testimone» fece notare, con
un gran sorrisone, decidendosi però saggiamente a seguire il
suggerimento ed alzarsi.
Lo stregone
alzò gli occhi al cielo, mostrando una smorfia tra il
rassegnato e l'esasperato sul bel volto sapientemente truccato di nero
e di blu; per i primi venti minuti, da quando erano usciti -
più che altro Simon era stato rapito sulla porta
dell'appartamento che divideva con Jordan, ma questi erano dettagli -,
non aveva fatto che guardarsi stranito attorno cercando nelle persone
presenti una traccia di stupore nel vedersi passare accanto una figura
tanto particolare. Ma tranne qualche vecchia signora che borbottava
contro i giovani d'oggi (e non aveva capito se ce l'avesse con i
glitter dello stregone o con la stampa della sua t-shirt; e dire che la
freccia rivolta verso il basso con la scritta rossa ''Are you ready?''
non fosse nemmeno tra le peggiori del suo armadio) e svariate ragazzine
che indicavano Magnus ridacchiando e sospirando, chiedendosi eccitate
fra loro se non fosse quel famoso modello di Vogue (e lui il suo
portaborse, probabilmente, visto che non l'avevano calcolato di
striscio), tranne questi esempi, ecco, nessuno sembrava far poi troppo
caso a loro due.
Il bello della grande mela,
aveva pensato seguendo con aria mogia il suo rapitore per i marciapiedi
affollati.
«Inizio a
pensare che il Presidente Miao sarebbe stata una scelta migliore,
Sean»
«Simon.»
lo corresse, meccanicamente, il vampiro. Era abituato a sentirsi
chiamare con ogni nome possibile iniziante per esse, e la cosa non era
cambiata nemmeno dopo aver dimostrato il suo coraggio evocando Raziel,
anni prima. Per un po', quando lo stregone aveva pronunciato finalmente
il suo nome in maniera corretta, aveva creduto che quell'azione lo
avesse impressionato tanto da poter guadagnarsi un minimo di
considerazione.
Certo, l'essere stato
scelto come testimone di nozze avrebbe dovuto essere un simbolo ben
più gratificante, ma ora come ora rimpiangeva che non avesse
semplicemente iniziato a chiamarlo col nome giusto. E stop.
Quella cosa era
davvero, davvero sfiancante. Soprattutto se lo sposo era un Figlio di
Lilith, aveva la passione per la moda e si chiamava Magnus Bane.
Oh, beh. Uno dei due sposi,
almeno.
Decisamente a Jace
doveva essere andata meglio. Anche se provava pietà al
pensiero del povero Alec nelle mani del biondo Herondale e,
soprattutto, della sua adorabile sorella, alias sua fidanzata.
Non invidiava affatto
il poveretto che stava passando tra le mani di Isabelle, in quel
momento. Magnus, a confronto, era quasi meglio.
Scoccò
un'occhiata al suddetto ragazzo che si era fermato, impegnato ad
osservare una cravatta di lustrini viola dalla vetrina di un negozio
con un nome impronunciabile.
...quasi.
«Questo...
questo vestito è...»
«...sublime!»
Sembrava che il Sommo
Stregone di Brooklyn dovesse illuminarsi come un albero di Natale,
tanto sgranò gli occhi verdi - oppurtunamente incantati per
apparire normali alla vista dei mondani - unendo le mani, dalle dita
intrecciate, al petto.
Il Diurno non si
sarebbe stupito troppo se avesse iniziato a mandare quelle sue
scintille colorate o a scodinzolare.
«Orrendo!»
gli fece eco, invece, con una smorfia disgustata sul viso pallido
mentre si voltava a guardarsi allo specchio.
Sobbalzò,
non vedendo altro che la figura dello stregone appoggiata ad un bancone
di vetro ricolmo di abiti dai colori più assurdi; spesso
dimenticava ancora come non avesse un riflesso. Raphael gli aveva
detto, con un ghigno storto dei suoi, che fosse perché loro,
più di altri Nascosti, avevano un piede all'Inferno e
nessuna anima a cui appigliarsi. Forse era vero, forse no - in fondo
aveva visto tante cose che smentivano le leggende, da quando era
diventato parte del Mondo Invisibile - fatto sta che faceva sempre una
certa impressione non vedersi su alcuna superficie riflettente.
Nonostante questo
sapeva perfettamente di avere ragione; lo aveva visto, quel completo,
prima e mentre lo indossava. Era di un assurdo arancio fluorescente che
sarebbe stato perfetto per una passeggiata in autostrada in piena
notte, ma non certo per un matrimonio.
La smorfia sul viso
del Figlio di Lilith sembrava dire ''certo che non hai proprio gusto'',
ma non fu quella a catturare l'attenzione del Figlio della Notte. C'era
qualcosa di strano, in Magnus. E c'era da un po'.
Succedeva, ogni tanto,
che lo notasse. Un dettaglio insignificante, catturato con la coda
dell'occhio mentre lo stregone era distratto, ma che spariva non appena
quello si rendeva conto di essere osservato.
Qualcosa di
così infinitesimale, ma impossibile da non cogliere allo
sguardo di un vampiro.
«Certo che
hai davvero gusti difficili, Sheldon. Vediamo, forse
questo...»
Aveva ripreso a
cercare negli scaffali, Magnus, dando le spalle a Simon quando si era
accorto di essere guardato. Ovviamente non lo aveva visto, considerato
che non c'era alcun riflesso su cui cogliere l'attenzione, ma ne aveva
sentito addosso l'intensità. Era una cosa affinata, negli
anni, quella di percepire quando qualcuno lo fissava senza farsi
notare.
«Perché
mi hai voluto come testimone?» era da un po' che se lo
chiedeva, e in quel momento non era più riuscito a
trattenersi. Non quando aveva notato quel qualcosa.
Lo stregone fece
scorrere fra le mani un paio di giacche non meno assurde di quella
indossata ancora dal vampiro, prendendosi un secondo per rispondere.
«Perché
tu e le tue magliette finto ribelle mi state simpatici?»
Cera qualcosa, nella
noncuranza con cui pronunciò quelle parole, che
suonava tanto come una richiesta di farsele bastare e non
andare oltre.
Ma Simon Lewis era un
tipo testardo, sarebbe bastato chiederlo a Clary per ottenere in
risposta un'alzata di occhi al cielo e un sospiro esasperato. Quindi
non rinunciò nemmeno quella volta, anche se da qualche parte
la sua coscienza (che aveva la voce di Super Mario, chissà
perché) gli suggeriva di usare un minimo di delicatezza e
desistere.
Ma Super Mario gli era
sempre stato sulle scatole.
«Sei solo
invidioso delle mie magliette, che sono certamente più fighe della maggior
parte delle cose che si potrebbero trovare qui. E meno da gay esuberante»
«Bisessuale disinvolto
anche se, al momento, è più un ''monogamo
omosessuale a vita''» lo ribeccò, tirando fuori
una camicia che sarebbe andata di moda nel glorioso '700.
Simon
inarcò un sopracciglio, sentendo prudere il naso alla vista
di tutti quei volant.
Magari sarebbe stato il primo vampiro a sviluppare un'allergia alle
cose antiquate. Il che, riflettè, sarebbe anche potuto
essere un paradosso esilarante.
Ma non era il momento
di pensare a certe cose.
«Sul serio,
Magnus. Avresti potuto chiedere a chiunque. A Tessa, per
esempio» buttò lì, mangiandosi
all'ultimo secondo il nome dell'altra strega amica sua che era morta
durante la battaglia contro Sebastian. Catarina, gli sembrava si
chiamasse. Ricordava ancora il sorriso sereno che aveva sulle labbra e
i capelli bianchi tinti di rosso. Sembrava quasi fosse felice, come se
nel posto in cui era andata ci fosse qualcuno ad aspettarla. Lo aveva
sperato per lei, almeno.
«Theresa
è un tipo all'antica... sai che noia l'addio al
celibato?» glissò l'altro, dispiegando davanti al
più giovane un paio di pantaloni che sarebbero potuti anche
sembrare normali, se non fosse stata per l'enorme quantità
di glitter rosa impiegata sulle cuciture laterali.
Il Diurno fu quasi
tentato di sbattere la testa contro il bancone, se non avesse avuto
paura di trovarsi in fronte la versione sbrilluccicante del Marchio di
Caino. Resistette, ad ogni modo, scoccando un'occhiata distratta alla
giacca che ora lo stregone si rigirava, riflessivo, fra le mani.
Ok, magari una partita
poteva concedergliela, ma non la guerra.
«Ehi, quella
non è male»
Ora che si erano
lasciati Macy's
e i suoi negozi ''fantasticamente alla moda'' alle spalle, Simon
sentiva di poter tornare a respirare.
Anche se non ne aveva
bisogno, ovviamente. Era un po' un problema quella storia dei modi di
dire, se eri morto ma poi non così tanto morto.
Guardava Magnus
camminare al suo fianco pieno di pacchi e pacchetti, blaterando di
chissà cosa riguardo al ricevimento e anatre infiocchettate.
Anche se non lo stava
davvero ascoltando, il vampiro pensò che a Jace la cosa non
sarebbe piaciuta troppo. E questo il Summus sembrava saperlo bene.
«Sai»
lo interruppe, nel bel mezzo di una tirata su come William e Kate
sarebbero impalliditi di fronte a loro, altro che reali!
«Penso davvero, e scusami se te lo dico, che qualche volta
dovresti smetterla di comportarti così»
Lo stregone
abbassò il braccio con cui stava per colpire un povero
passante, inarcando perplesso un sopracciglio
«Così come?»
Il ragazzo si strinse
nelle spalle, schivando un palo della luce per un pelo.
«Così...
così.
Così da Magnus, ecco. Sembra che tu debba costantemente
portare avanti una sceneggiata, e che Dio solo
sa» era sempre una soddisfazione, poter pronunciare quel nome
senza rischiare di soffocare «cosa succederebbe, se tu ti
fermassi. Dovresti farlo invece, ecco. Fermarti e scendere dal palco.
Giusto per non cadere stecchito.»
Lo sguardo da gatto
che lo fissava sembrò adombrarsi, perdendo lo sfavillare
dell'oro in favore di un verde cupo. Raramente aveva visto
un'espressione così seria nello stravagante Nascosto che
l'aveva trascinato tutto il pomeriggio in giro per negozi, nemmeno
fossero amiche del cuore tredicenni.
O la sposa con la sua
damigella, giusto per calarsi nel contesto.
«Tu...»
iniziò, e il vampiro si aspettò di sentire
un'altra presa in giro o un insulto.
Ma Magnus si
limitò a sospirare pesantemente, gettandosi uno dei numerosi
pacchi su una spalla, a mò di giacca, mentre lo sguardo
vagava per la stradina quasi deserta che portava alla metropolitana.
Non si erano resi conto che fosse così tardi, il sole stava
lentamente sparendo oltre i palazzi in lontananza.
Sembrava quasi che il
tempo si fosse cristallizzato, in quell'attimo in cui sole e luna si
guardavano nello stesso cielo tinto della morte di uno e la nascita
dell'altra.
«Probabilmente
è perché sei simile a me. Oh, io sono molto
più cool
ovviamente. E, senza offesa, ma non sarai alla mia altezza nemmeno fra
un millennio. Però mi ricordi quando ero giovane»
ci pensò, borbottando «Beh più giovane.
Ma quello che voglio dire, Simon...»
«Ehi, hai
azzeccato il mio nome!»
L'occhiataccia che lo
stregone gli rivolse, bastò a sedare ogni sorpresa e
qualsivoglia eccitazione nel Figlio della Notte, che abbassò
le spalle e si grattò distrattamente la punta del naso
«Ahm, sì, vai avanti»
«...quello
che voglio dire» riprese Magnus «è che
sei l'unica persona a cui posso affidare le mie memorie.
Perché so che ci sarà sempre, e
ricorderà anche per me.»
Simon si
fermò, guardando la schiena dello stregone che aveva
continuato a camminare. Ad un tratto, tutto gli fu chiaro.
«Magnus,
tu...»
Il Sommo Stregone di
Brooklyn rallentò il passo, senza fermarsi, voltando di poco
il viso da sopra la spalla. L'iride felina gli ammiccò,
nell'ombra. Ma forse era solo un'impressione dovuta alla luce.
«...ma
com'è possibile? Insomma, quando...» fece,
concitato, raggiungendolo in un battito di ciglia.
Smise di agitare le
mani, voltandosi a guardarlo con tanto di occhi «...quando
sei diventato mortale?»
Ecco cosa c'era, che
non andava. Il bel viso da ventenne dello stregone, in quegli anni,
stava iniziando a mostrare i primi segni del tempo che aveva ripreso a
scorrere. Niente di esagerato, solo una marcatura un po' più
netta della mascella, dei tratti leggermente più maturi.
Qualcosa che ad un occhio normale sarebbe passato del tutto inosservato
e che forse lo stregone concorreva a nascondere con la magia,
mostrandosi sempre lo stesso.
Ma che un vampiro non
poteva non notare.
Adesso c'era qualcosa
di dolce, nell'espressione del Figlio di Lilith. Qualcosa che faceva
subito pensare all'amore, a Simon, più di quanto non
facessero gli sguardi tra Jace e Clary e i sorrisi che gli rivolgeva
Izzy, dalla prima volta che l'aveva vista sul viso dell'altro. Rivolta
ad Alec e a lui solo.
«Certe volte
bisogna essere egoisti, piccolo Diurno. Anche con se stessi. E' un
prezzo che sarei disposto a pagare altre mille volte.»
Fu strano, capire cosa
l'altro intendesse pur senza sentirlo davvero. Rendersi conto che
Magnus aveva sacrificato la propria immortalità per salvare
Alexander, e per salvare se stesso. Era stato egoista, ma di un egoismo
generoso.
Provò un
rispetto del tutto nuovo per quell'uomo che aveva visto i secoli ed ora
si era deciso a fermarsi per ammirare l'ultimo con l'unica persona
davvero importante.
«Ehi,
Magnus...»
«Hm?»
Sorrise, dandosi un
colpetto sul naso ed accennando ai pacchi che l'altro reggeva ancora.
«...ricordati
che lo sposo non deve vedere l'abito
della sposa prima del matrimonio, porta male.»
Prima che lo stregone
potesse davvero realizzare cosa avesse detto e scagliargli un
incantesimo, però, il vampiro era già sparito
all'interno della metropolitana.
________________________________________________
»Angolino
di Red«
Sorpresi?
Spero di sì, e spero piacevolmente. Macy's esiste davvero,
è un centro commerciale di dieci piani su non ricordo che
strada, ma non ho idea se abbia una fontana e negozi per sposi con
abiti così orrendi. Spero di no, quindi perdonatemi la
licenza poetica.
Tra l'altro,
con questo capitolo credo si siano chiarite un paio di cosette di
quello precedente. Per chi si è chiesto come mai il paparino
abbia avuto così buon cuore da salvare entrambi solo
perché glielo ha chiesto il figlio... beh. Tutto ha un
prezzo.
Mi sono
divertita a scrivere questo capitolo, amo Magnus e adoro Simon e
insieme li trovo adorabilmente idioti. Spero che per voi sia stato
altrettanto (e... visto che non mi sono dimenticata del matrimonio?!)
Alla prossima,
Red.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Who, being loved, is poor? ***
Ma
l'amore non fa baratti da mercato,
né
usa la bilancia del merciaiolo.
La
sua gioia, come la gioia dell'intelletto, è di sentirsi
vivo.
Il
fine dell'Amore è amare; niente di più e niente
di meno.
Oscar Wilde
Who, being loved, is
poor?
Era
stata una lunga e aspra battaglia, ma alla fine avevano vinto.
Nonostante i dubbi del Conclave e le ingerenze dell'Inquisitore, erano
riusciti ad ottenere il permesso per celebrare le nozze.
Ovviamente lo avrebbero fatto in ogni caso, anche se quel pezzettino di
carta con i sigilli dell'Alleanza non fosse arrivato. Ma desideravano
che fosse una cosa ufficiale anche nel loro mondo, non solo in quello
dei mondani. Soprattutto era stato Alexander, a volerlo.
E Magnus non era proprio riuscito a dir di no a quegli occhi
così azzurri e quell'espressione triste, rimboccandosi le
maniche e assillando i pezzi grossi di Alicante, ricordando i numerosi
favori che gli erano dovuti nel corso dei secoli e che non aveva mai
reclamato. E, forse, minacciando giusto un po' qua e là.
Questa parte, era chiaro, non c'era bisogno che il suo futuro marito la
conoscesse.
Del resto avrebbe rinunciato persino alla sua magia, se questo fosse
servito a vedere la gioia accendere il volto del Cacciatore; aveva
invaso la camera da letto alle prime luci dell'alba, di ritorno da una
caccia, stringendo in mano quella lettera e saltandogli letteralmente
addosso. Lo stregone c'aveva messo un po' per riprendere a respirare,
sconvolto dalla foga e dalla frenetica eccitazione del compagno e
ancora mezzo intontito dal sonno. Non aveva opposto resistenza,
però, al bacio in cui il giovane Nephilim lo aveva coinvolto
nè a quelli che si erano succeduti nelle ore seguenti. Alla
fine avevano letto la missiva del Conclave a pomeriggio inoltrato,
stretti l'uno al fianco dell'altro e avvolti nelle coperte.
Ed era stato allora, che avevano preso la decisione di andare contro le
regole, ancora una volta, rifiutandosi di celebrare il matrimonio ad
Idris.
--------------------------------
L'espressione sul bel volto di Maryse la diceva lunga su quanto si
stesse sforzando per non dimostrare il proprio disaccordo con le scelte
del figlio. Il cipiglio corrucciato le dava un'aria quasi buffa,
nonostante il bel vestito ricamato di rune rosse della festa.
Isabelle, in un abito simile a quello della madre, si sforzava per non
ridere troppo forte e farsi cogliere in flagrante dal genitore e,
chissà, magari cacciare via.
Non avrebbe davvero voluto perdersi la cerimonia che a momenti si
sarebbe celebrata, e, c'era da dire, che la location non fosse affatto
male. Anche se non le avevano permesso di arredarla come avrebbe
voluto, lasciandola offesa per una settimana buona.
Quella zona di Central Park sembrava venire del tutto ignorata dai
mondani, che vi passavano a fianco senza però ricordare che,
oltre il vialetto, il parco continuava.
Erano stati applicati incantesimi molto complicati, probabilmente
combinati con rune mendelin, o forse era il Popolo Fatato stesso a
tenere alla larga i visitatori indesiderati.
Dopo la guerra contro Sebastian, la Regina della Corte Seelie era stata
deposta ed il suo popolo aveva perso buona parte dei benefici dovuti
agli Accordi. Era salita al trono una nuova Regina, che a dire il vero
non sembrava poi tanto meglio del suo predecessore; ma le fate erano
tutte molto simili tra di loro e, almeno per il momento, sembrava che
questa volesse collaborare con il Conclave per ridare lustro al suo
Popolo. Per questo motivo aveva concesso che il matrimonio venisse
celebrato entro il suo territorio, promettendo di proteggerlo e di
aiutare con i preparativi.
Ed, almeno, sul buon gusto delle fate non c'era nulla da ridire.
Nonostante fosse arrivata da poco la primavera tutti gli alberi della
zona erano stati fatti fiorire di un tripudio di colori, ed un elegante
arco di edera era apparso ai piedi di una maestosa e secolare quercia.
Dal terreno erano affiorate seggiole di radici e morbide foglie,
decorate di boccioli e nastri dorati, che formavano due ordinate file
per i parenti e gli amici degli sposi.
Simon, che alla fine aveva vinto la battaglia per gli abiti ed era
riuscito ad ottenere di indossare una maglia nera con la stampa di due
omini in smoking che si tenevano per mano, con la scritta ''Game
Over'', sotto un'elegante giacca grigio fumo che, a detta sua, lo
faceva sentire imbalsamato,
era impegnato a litigare con Jace, in piedi al lato opposto
dell'arcata, per il fatto che quest'ultimo indossasse la sua tenuta da
cacciatore decorata di rune rosse piuttosto che un abito da pinguino. Quindi
quasi si persero l'entrata degli sposi, accompagnata dal violino di
Jem, la cui figura delicata era incorniciata da rose rosse e dorate
(innaturali, quest'ultime, e per questo chiaro segno di magia), che
veniva guardato con aria persa dalla sua sposa, in prima fila. Tessa
teneva fra le braccia un bimbo minuscolo, dai capelli scuri e gli
occhioni nocciola, dal taglio orientale, infagottato in un piccolo
smoking nero, che quasi aveva tirato scemo il giovane Herondale e
divertito Clary la prima volta che lo aveva portato all'Istituto. Izzy
si era beccata un'occhiataccia da record da parte di Jocelyn, quando
aveva ridacchiato alla rossa Morgestern di fare attenzione agli istinti
paterni del suo fidanzato.
I coniugi Graymark (o Garroway, per i mondani), stavano una fila
più indietro, anche se in quel momento c'era solo Jocelyn
intenta a sporgersi per guardare meglio i due fidanzati, considerato
che il marito era impegnato a far passeggiare, poco distante da
lì, la piccola Amatis per tenerla buona. La bimba dai
capelli castani e gli occhioni verdi, di appena un anno, sembrava del
tutto intenzionata ad infastidire delle minuscole pixie, con buona pace
dei nervi del genitore.
C'erano anche Maia e Jordan, e qualche altro Cacciatore e Nascosto.
Persino Aline ed Helen avevano accettato l'invito, e sorridevano
tenendosi per mano, forse pensando con emozione a quando sarebbe stato
il loro turno.
Soltanto Robert Lightwood sedeva, solo e tristo nel suo abito scuro,
alla fine della fila riservata ad Alec. Probabilmente era venuto
solamete perché era l'Inquisitore, e perché
Alexander suo figlio. Non ci avrebbe fatto una gran figura, agli occhi
del Conclave, se non si fosse presentato; Maryse, però, si
voltava ogni tanto a guardarlo, come di sfuggita, stringendo le mani in
grembo e sperando che il marito fosse lì per amore del loro
bambino, anche se ormai era un uomo a tutti gli effetti. Si erano
riavvicinati, alla fine, ma il marito non era riuscito ad accettare la
relazione del suo primogenito con lo stregone.
Il solo fatto che fosse lì, però, era un gran
passo avanti. O, almeno, pregò l'Angelo perché
non si sbagliasse.
-------------------
Alec temeva di svenire. Sarebbe di sicuro caduto, crollando come uno
scemo davanti a tutti gli invitati e facendovi un'assai magra figura,
se la mano di Magnus stretta alla sua non gli avesse dato la forza
necessaria a continuare a camminare lungo la navata improvvisata.
Si sentiva goffo in quello smoking nero, dalla cravatta dorata
così come le rune di buon auspicio che erano state cucite
sulla stoffa: non essendo un vero e proprio matrimonio tradizionale dei
Nephilim, Isabelle aveva assunto l'imperativo categorico di mescolare
la tradizione mondana a quella dei Cacciatori, facendogli confezionare
quell'abito su misura dalle migliori sarte di Alicante. Si era sentito
imbarazzato da morire, durante le prove, ma nulla a confronto con
quello che sentiva adesso e che gli colorava le guance di un intenso
bordeaux, spiccante particolarmente sull'incarnato chiaro.
Ma aveva gli occhi lucidi e brillanti di una gioia silenziosa, azzurri
come il cielo sopra di loro, e questo sembrava distogliere l'attenzione
dalla lieve espressione corrucciata, frutto dell'imbarazzo.
Magnus, al suo fianco, lo strovava bellissimo. Glielo aveva sussurrato,
pieno di ammirazione, quando gli aveva porto la mano vedendolo varcare
l'ingresso del parco. In quel momento si era detto l'uomo
più felice del mondo, oltre che lo sposo più
fortunato.
E, modestamente, insieme erano anche perfetti. Tanto scuri erano i
colori del Cacciatore, quanto chiari i suoi; più per fare un
ennesimo dispetto alle regole degli Shadowhunters, che altro, lo
stregone aveva scelto uno smoking grigio perla, talmente chiaro da
sembrare quasi bianco, con rifiniture di un pallido dorato per rimanere
almeno un poco in tema con il compagno.
«Tranquillo» sussurrò il figlio di
Lilith, chinandosi un poco sulla spalla dell'altro «Cammina e
sorridi. Andrà tutto bene.»
Anche se avrebbe voluto ribeccarlo, il Nephilim si trattenne; in
qualche modo le sue parole erano state rassicuranti, o forse il tono
morbido e familiare, usato, quanto la stretta della sua mano che si era
fatta più forte.
Sotto gli sguardi ammirati e commossi dei loro invitati, i due
fidanzati si fermarono davanti all'arcata, scambiando uno sguardo
d'intesa con la donna che vi stava sotto. Il Console
Penhallow si produsse in un piccolo sorriso, quasi un po' forzato,
rivolgendosi poi agli invitati.
«Siamo oggi qui riuniti a celebrare una delle più
importanti vittorie che il Mondo Invisibile abbia visto negli ultimi
secoli. Il simbolo che dimostra la validità degli Accordi,
che mette alla stessa stregua Shadowhunters e Nascosti.»
attese qualche istante, come per vedere se qualcuno avesse da
obbiettare, ma nessuno, tranne un irrequieto Robert che però
si limitava a smuoversi sulla sedia alla ricerca di una posizione,
sembrava intenzionato a farlo «Alexander Gideon Lightwood e
Magnus Bane, oggi verrete uniti dal sacro vincolo del matrimonio e
benedetti dalla protezione dell'Angelo»
Magnus emise un versetto soffocato e Simon si premurò di
tirargli una discreta gomitata sugli stinchi, ammonendolo
dall'uscirsene con qualche battuta infelice.
Alec sembrava troppo teso per accorgersi di qualsiasi altra cosa,
persino di Jace, al suo fianco, che scimmiottava la Console quando
questa non guardava dalla sua parte.
«Clarissa Morgestern, vieni avanti con lo stilo»
Clary alzò gli occhi al cielo, rassegnata
dall'immaturità del suo ragazzo, ma quando sentì
il suo nome pronunciato da Jia scattò su con un gran
sorriso, reggendo il cuscinetto di stoffa rossa, ricamato di rune
dorate, su cui era adagiato un bello stilo che sembrava di puro
cristallo, forgiato apposta dalle Sorelle di Ferro per cerimonie del
genere. Due bande di adamas lo avvolgevano, intrecciandosi sinuose come
serpenti.
La Console annuì, compunta, facendo per rivolgersi di nuovo
agli sposi ma rimase a bocca socchiusa, inarcando pericolosamente un
sopracciglio, al notare la pacca che il testimone dello sposo - lo
sposo cacciatore - aveva rifilato alla ragazza che si era avvicinata.
Una pacca sul sedere, che aveva fatto diventare la Morgestern dello
stesso colore dei suoi capelli e del suo vestito, e che era valsa a
Jace un piede pestato con un tacco.
«...quando i bambini decidono di smetterla di reclamare
attenzione...»
«...e prendersi finalmente una stanza.»
Simon rivolse un sorriso angelico alla Console, facendo finta di nulla,
mentre Clary si ricomponeva mostrando un'espressione dispiaciuta ai due
amici, più che l'officiante. Ma si rivolse comunque a
quest'ultima, dopo aver lanciato un'occhiataccia al fidanzato.
«Mi dispiace, Console, vada pure avanti.»
Jia annuì, tornando a voltarsi verso i due protagonisti
della giornata. Il giovane Lightwood sembrava sul punto di andare in
autocombustione spontanea o, in alternativa, cadere lungo disteso
lì ai suoi piedi; aveva un colorito malsano, se pur tinto
del rosso dell'imbarazzo.
Per contro Magnus sembrava raggiante, quasi non avesse un pensiero al
mondo che non fosse quello del ragazzo al suo fianco.
«Dunque... Alexander Gideon Lightwood, vuoi prendere il qui
presente Magnus Bane come tuo leggittimo sposo, davanti all'Angelo e
alle leggi dei mondani, e promettere di amarlo e rispettarlo sempre,
nelle gioie come nelle avversità, finché morte
non vi separi?»
Il Nephilim sembrò esitare un secondo. Avrebbe voluto
correggere la Console, dirle che solo la sua morte l'avrebbe separato
dal suo amato stregone, ricordarle che Magnus era immortale. Ma non
fece nulla di questo, alla fine. Le sue spalle tremarono
impercettibilmente, ma la sua voce fu decisa.
«Lo voglio.»
Magnus, al suo fianco, sorrise in un modo che gli fece dimenticare
qualsiasi altra cosa. Forse, anche perché gli si era fatto
incredibilmente vicino, stringendogli forte la mano con la propria.
«E tu, Magnus Bane, vuoi prendere il qui presente Alexander
Gideon Lightwood come tuo leggittimo sposo, davanti all'Angelo e alle
leggi dei mondani, e promettere di amarlo e rispettarlo sempre, nelle
gioie come nelle avversità, finché morte non vi
separi?»
Il sorriso del figlio di Lilith si addolcì, divenendo appena
accennato sulle labbra. Tirò piano a sé il
compagno, facendogli scivolare le mani sui fianchi, chinando il viso ed
appoggiando la fronte sulla sua. Un gesto così intimo, che
ai presenti sembrò quasi di fare loro un torto ad assistervi
e sentire quelle parole.
«Lo voglio.»
Il Lightwood sentì i battiti accellerare furiosamente, al
punto che si ritrovò a stringere con forza il bavero dello
smoking del Nascosto, ricambiando lo sguardo di quelle iridi feline che
non gli erano mai sembrate così calde e umane.
«Gli sposi procedano ora con lo scambio delle rune.»
A Clary quasi dispiacque dover interrompere il momento, ma la cerimonia
non era ancora conclusa e adesso veniva la parte più
importante. Oltre che quella di cui era più fiera, dato che
era merito suo se poteva essere attuata. Gli anelli, in
fondo, se li sarebbero scambiati dopo. Ma la parte più bella
stava per arrivare.
Lo aveva già fatto una volta, durante la Guerra Mortale, e
anche stavolta la runa le era apparsa nitida nella mente, semplicemente
guardando la coppia intenta a parlare, i capi vicini e i sorrisi sulle
labbra, stretti su un divano del salone della musica dell'Istituto.
Molto simile a quella del matrimonio che portavano gli Shadowhunters,
aveva però una curvatura in più e ricordava
vagamente il simbolo dell'infinito. E, cosa più importante,
poteva essere sopportata da un Nascosto e portata permanentemente.
Alec deglutì, prendendo per primo lo stilo e guardando lo
stregone sbottonarsi con calma la giacca e la camicia, lasciando nudo
il petto. Sentì un grande calore, mentre ne appoggiava la
punta sulla pelle scura, tracciando quel simbolo eterno sopra il suo
cuore palpitante.
«Mettimi come sigillo sul tuo braccio, come sigillo sul tuo
cuore.»
Pronunciò, terminando il disegno. Magnus sorrise,
sfilandogli lo stilo dalle mani ed adagiandolo sulla pelle
più chiara dell'altro, ripetendone i movimenti. Era
faticoso, perché bruciava a contatto con i palmi, ma non
avrebbe rinunciato a farlo per nulla al mondo.
«Perché forte come la morte è l'amore.
Tenace come gli inferi la passione.»
Terminò, ammirando il ghirigoro che andava scurendosi,
ornando di un altro segno permanenete quel corpo. Lo sentiva bruciare
piacevolmente anche sulla propria pelle, avvertendo quasi come un
doppio battito, nel petto. Ma forse era solo la suggestione del momento.
La Console alzò le mani al cielo, come a dare loro una
benedizione o forse solo presentarli ai presenti.
«Da oggi e fino alla fine dei vostri giorni, vi dichiaro
mari- ... sposi.»
Jace non riuscì ad evitare di scoppiare a ridere, per la
gaffe della donna che aveva tentato di correggersi subito, non sapendo
come definirli. E quello sembrò dare il via ad urla e
battiti di mani, mentre i due neo sposi si sorridevano, abbracciati,
come se non esistesse nulla al mondo oltre loro, in quel momento.
Magnus si chinò a sfiorare le labbra di suo marito,
sgranando appena gli occhi al mormorio che udì prima di
perdersi nel bacio. Un flebile ''Aku
cinta kamu'' che ebbe, di risposta, solo il primo di
quella che sarebbe stata una serie di lunghi, lunghissimi baci.
------------------
«Congratulazioni,
signori Bane!»
«Bane-Lightwood,
per la precisione.»
«"Bane-Lightwood"?!
Oh, andiamo, Alec! Il mio parabatai che si fa mettere sotto in questo
modo da uno stregone?»
«...Jace,
dovresti proprio guardare dietro di te.»
«Cos-
WAHHHH! Clary, mandale via!»
Simon
rimase perplesso ad osservare la scena di un Jace che correva ad
arrampicarsi su un albero, seguito a ruota da un'esasperata Clarissa e
una divertita Isabella, prima di riprendersi e tendere la mano per fare
le sue congratulazioni allo stregone e il cacciatore.
«Auguri
e... sul serio Magnus, anatre con i
fiocchetti?»
Happy Wedding
Magnus and Alec
___________________________________
»Angolino
di Red«
Perché
non sarebbe stato un vero matrimonio, senza le anatre.
...
Ok, cavolate a
parte, ci tengo a precisare che la magnifica fanart non è
mia, e che ho preso spunto da quella per un passo del matrimonio. Ma
sono noiosa, voi intelligenti e l'avevate già capito. Meh.
Spero che il
tanto sospirato capitolo delle nozze sia risultato di vostro
gradimento. Sappiate che l'ho riscritto cinque volte e continua a non
convincermi del tutto. Ma, vabbé, mi fermo o finisco per non
dargli più la luce.
Questo
è il penultimo capitolo della raccolta, mi viene quasi da
piangere.
Ringrazio
immensamente chi mi ha seguito fino a qui, chi ha avuto il coraggio di
leggere e a chi ho rimescolato feels impunemente (giuro, non volevo
uccidere nessuno!)
Al prossimo,
ultimo, capitolo.
Red.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Life cannot be written, life can only be lived. ***
Ho
il culto delle gioie semplici.
Esse
sono l'ultimo rifugio di uno spirito complesso.
Oscar Wilde
Life cannot be
written, life can only be lived.
''...il mare è splendido
qui, mi chiedo perché non ci siamo mai venuti prima.
Dovreste farci un salto anche voi, sul serio. Se il Paradiso non
è così, per l'Angelo, poco ci deve mancare. Sta
andando tutto bene, tralascinado il fatto che Magnus abbia deciso di
andare in giro con un gonnellino di paglia, dimenticandosi che non
siamo alle Haw-''
«Oh, andiamo pasticcino! Hai deciso di voler rimanere seduto
lì per tutta la vacanza?»
Alec sobbalzò, colto in flagrante, e per poco non
tirò una linea sbilenca sulla cartolina che stava
compilando, rovinando il lavoro di più di mezz'ora.
Con quel caldo era davvero difficile trovare qualcosa di intelligente
da scrivere, o avere anche solo la voglia per farlo, effettivamente.
Soprattutto avendo quella meraviglia di mare a nemmeno mezzo metro di
distanza.
Ad essere del tutto sinceri, quando erano arrivati non era stato del
tutto convinto dal bungalow costruito sopra l'acqua. Gli ricordava una
palafitta, e non sembrava nemmeno così stabile, con quel
tetto di paglia poi.
Ogni suo dubbio si era dissipato appena messo piede all'interno; era
tutto stupendo, incredibile. Arredato con buon gusto, si era innamorato
del tavolino di vetro che mostrava uno scorcio del panorama sotto
l'abitazione e che poteva persino essere scostato. Per dare da mangiare
ai pesci, supponeva, anche se non l'aveva mai provato.
E poi c'era la camera da letto, grandissima, che dava su una veranda
altrettanto ampia su cui si trovava una jacuzzi con vista sulla zona
migliore dell'isola. Non capiva cosa se ne sarebbero dovuti fare di una
piscina, avendo a disposizione il mare, ma non si lamentava.
Soprattutto perché aveva deciso di impadronirsi dell'amaca
sospesa, il posto a parer suo più rilassante di tutta
l'abitazione.
Anche se, la prima volta che l'aveva provata, per fargli dispetto
Magnus lo aveva fatto capovolgere e finire in acqua completamente
vestito.
«No, ma stavo scrivendo una cartolina, se non l'avessi
notato» borbottò, sventolando fra pollice ed
indice il pezzo di carta che aveva, sul davanti, una veduta delle
spiagge da mozzare il fiato. Certo non come avrebbe fatto il vederlo di
persona, ma si ci poteva accontentare.
Lo stregone si tirò su gli occhiali da sole, fra i capelli
sale e pepe. Erano umidi, e le striature grige si notavano di
più di quando erano asciutti. Ma il marito diceva sempre che
gli davano un'aria affascinante, così aveva rinunciato a
tingerli.
«Siamo sulla Perla
del Pacifico e tu scrivi una cartolina. Mi chiedo se
cambierai mai.»
Sospirò, con un sorriso.
Il Cacciatore non potè fare a meno di ricambiarlo, notando
le piccole rughe d'espressione che si formavano sempre ai lati di
quegli occhi da gatto, quando lo faceva. Era una cosa che adorava di
lui.
Lasciò perdere la missiva, spostando la penna e il foglio di
lato, per far scorrere lo sguardo oltre le spalle del figlio di Lilith,
sulla veduta che riusciva a lasciarlo incantato ogni volta, da che
erano arrivati.
Il sole stava morendo fra le acque cristalline, lasciando il cielo
nell'indecisione del giorno e della sera; non del tutto tinto di blu,
ma con qualche sfumatura aranciata e rosata e la luna a far timido
capolino in lontananza.
Sbuffò, allargandosi la camicia hawaiana - regalo del suo
incorreggibile sposo -, perché nonostante non fossero
più in pieno giorno continuava ad esserci troppo caldo per i
suoi gusti.
«Suppongo che, se non l'ho fatto in tutti questi anni, non
inizierò a farlo adesso» commentò,
tranquillamente.
Il Nascosto sorrise un po' di più, decidendosi ad
avvicinarsi. Aveva intravisto oltre la stoffa leggera della camicia, al
gesto dell'altro, la runa che decorava il suo petto, proprio sopra il
suo cuore.
Alec lo osservò, perplesso, spostarsi alle sue spalle e
chinarsi ad abbracciarlo, appoggiando la guancia ispida di una leggera
barbetta contro la sua. Adesso sembravano avere un incarnato simile,
malgrado si notasse che il suo fosse dovuto all'abbronzatura e quello
del marito alla genetica.
Sentì le guance arrossarsi leggermente, poi, anche dopo
tutto quel tempo, quando percepì il tocco delicato delle
dita di Magnus sul suo petto, a ripercorrere con gentilezza il segno
scuro sulla sua pelle.
Anche se da quell'angolazione non riusciva a vederlo, anche
perché coperto da una maglietta con un tripudio di fiori
colorati e tavole da surf, sapeva perfettamente che sul petto del
compagno ce ne fosse uno del tutto identico.
«Strabiliante, la magia, non trovi? E' ancora lo stesso di
quel giorno.»
Mormorò, contro il suo collo.
Il Lightwood rabbrividì leggermente, anche se non era
più un ragazzino da un pezzo.
«Già...» sospirò, prima di
voltarsi e premere una mano sulla guancia dello stregone, per
portarselo più vicino e baciarlo. Aveva le labbra salate.
Desiderò baciarlo ancora, ancora e ancora, fino a quando non
avrebbero riottenuto lo stesso sapore dolce di sempre.
Fu la mancanza d'aria ad impedirglielo, così
dovette scostarsi appena, sfiorando con la punta delle dita il profilo
del viso del marito.
«Stai diventando vecchio, Magnus»
Sussurrò, emozionato. C'era dolcezza, nelle sue parole,
oltre che una velata presa in giro. Ma gli occhi azzurri, dietro i
capelli non più perfettamente scuri come un tempo, erano
ancora brillanti come quando aveva diciotto anni.
Magnus sapeva che era una cosa che non sarebbe mai cambiata in lui. E
gli dava sicurezza, quando si ritrovava a rendersi conto del tempo che
scorreva.
E che non si sarebbe più arrestato.
«Anche tu, Alexander... ma sei sempre il ragazzo
più bello che abbia mai conosciuto, lo sai?»
Il Nephilim sorrise, socchiudendo gli occhi, pronto a tornare a
baciarlo.
Ma fu interrotto dalla vibrazione del cellulare, che lo convinse ad
allontanarsi dalle labbra del figlio di Lilith per allungarsi sul
tavolino a recuperarlo, ridacchiando per l'espressione imbronciata che
era apparsa sul viso del Nascosto. Non per questo, però,
Magnus lo aveva lasciato andare. Anzi, aveva appoggiato il mento su una
sua spalla, guardando curioso verso il telefonino in attesa che il
marito rispondesse. Diventavano sempre più tecnologici,
quegli aggeggi.
Ma il bronciò sparì, ritrovandosi ben presto a
stringere più forte il suo compagno di vita, ricambiando il
suo sorriso sereno, mentre venivano assordati da un vociare conosciuto.
Che rappresentava tutta la loro vita, e il loro futuro.
«Ehm... non vorrei disturbarvi,
non ricordo com'è il fuso orario l- Amatis, sta zitta un
secondo! No, Will, non te li passo, aspetta il tuo turno. Per Raziel,
Alex, sono i miei genitori mica i tuoi! Ops, scusate. Beh,
sì... ecco. Buon venticinquesimo anniversario di matrimonio,
papà!»
_______________________________________
»Angolino
di Red«
Non ci posso credere. Ho finito. Non mi sembra ancora vero *cerca
fazzoletti*
Iniziamo col fare un paio di precisazioni sul ''vociare assordante''
finale. Amatis l'avete conosciuta nel precedente capitolo, è
figlia di Jocelyn e Luke. Will è il figlio di Tessa e Jem.
Alex, diminutivo di Alexander sì, è il figlio di
Jace e Clary. Mentre chi parla al telefono... è Max. Mi
sembra superfluo dire di chi sia figlio (oltre che sia ovviamente
adottato).
Mentre il posto dove si trovano i nostri cari, se non l'avete compreso,
è la splendida Bora
Bora.
Ok, ora ho finito con le precisazioni e passo ai ringraziamenti.
Ringrazio chiunque abbia letto, sbirciato e seguito questa raccolta.
Ringrazio i tredici che l'hanno messa fra le preferite, i cinque delle
ricordate e i ventinove delle seguite.
Ringrazio soprattutto le mie stalker ufficiali, Class of 13 e unicorn_inthemind,
che con le loro recensioni mi hanno resa davvero felice e mi hanno
fatta anche un po' emozionare, lo ammetto.
Ma ringrazio anche tutti gli altri che hanno dato il loro parere, che
si sono fatti sentire e hanno lasciato un po' di sé per ogni
capitolo.
Io ho amato scrivere e quindi non ho un capitolo preferito. Ma ammetto
che a quest'ultimo ci sono particolarmente affezionata, malgrado non
sia forse, probabilmente, quasi certamente il migliore nel mezzo.
Menzione speciale al grande
Oscar Wilde, ovviamente, che mi ha accompagnato in questo
breve percorso con le sue citazioni e mi ha fatto dannare per trovarne
che stessero bene fra loro e per decidere quale prendere e quale
scartare senza sentirmi troppo in colpa.
Bon, non ho altro da dire o le note finiranno per superare il capitolo.
Un bacio a tutti quanti, e alla prossima.
E ricordate, fan del Malec.
Non ci resta che fare
quello che fanno tutti. Sperare.
Red
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2420873
|