To live is the rarest thing in the world. Most people exist, that is all.

di R e d_V a m p i r e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Only good questions deserve good answers ***
Capitolo 2: *** To be natural is such a very difficult pose to keep up. ***
Capitolo 3: *** And of course a man who is much talked about is always very attractive. One feels there must be something in him, after all. ***
Capitolo 4: *** It's more painful to separate from those who know too little time. ***
Capitolo 5: *** Nothing is more provocative as stillness and goodness. ***
Capitolo 6: *** Memory is the diary that we all carry about with us. ***
Capitolo 7: *** Over the piano was printed a notice: ''Please do not shoot the pianist. He does his best.'' ***
Capitolo 8: *** The world is divided into two classes, those who believe the incredible, and those who do the improbable. ***
Capitolo 9: *** The truth is rarely pure and never simple. ***
Capitolo 10: *** Even you are not rich enough, to buy back your past. ***
Capitolo 11: *** Arguments are to be avoided; they are always vulgar and often convincing. ***
Capitolo 12: *** To be in love is to surpass one's self. ***
Capitolo 13: *** Conscience makes egotists of us all. ***
Capitolo 14: *** Who, being loved, is poor? ***
Capitolo 15: *** Life cannot be written, life can only be lived. ***



Capitolo 1
*** Only good questions deserve good answers ***


Mi piace sentirmi parlare.
È una delle cose che mi divertono di più.
Spesso sostengo lunghe conversazioni con me stesso
e sono così intelligente che a volte non capisco
nemmeno una parola di quello che dico.

Il Razzo Illustre - Oscar Wilde




Only good questions deserve good answers





«...e poi, e questo è buffo davvero!, non si accorse nemmeno che il suo parrucchino se lo stava mangiando il cane - Bonbon, nome orrendo per una bestiola orrenda c'è da dire. Detesto i cani, tutta quella bava, è per questo che ho il Presidente. Beh, lo so che assomiglia poco ad un gatto, però-»
I presenti, stipati nello stretto divano fiorato del salotto di casa Bane, si scambiarono uno sguardo perplesso e vagamente intontito.
Jace, che aveva preso a giocare con le frange verdi di un orrendo cuscino panciuto ricamato di rose rosse in tinta con il mobile su cui era accomodato da più di mezz'ora, alzò lo sguardo dorato sull'oratore all'impiedi vicino alla poltrona dove stava rannicchiato - o per meglio dire asserragliato - in un comprensibile disagio il suo parabatai.
«Wow. Interessante.»
Esordì Simon, il primo a riprendersi dal silenzio in cui erano sembrati piombare tutti da quando lo stregone aveva iniziato l'ultimo di una sfilza di anneddoti senza senso, sbatacchiando un paio di volte le palpebre e rimettendosi in posizione seduta dopo essere scivolato lentamente ma inesorabilmente verso il basso, quasi in procinto di addormentarsi.
Per tutta risposta Isabelle, schiacciata tra il suo fianco e quello di Clary, si mosse per rifilargli una gomitata dimenticandosi di prendere bene le distanze.
«Ahi! Izzy! »
«Oh, scusa...»
Le scoccò un sorriso dispiaciuto, mentre Jace faceva di tutto per non farsi beccare a ridere nel guardare la sua ragazza massaggiarsi il braccio offeso dalla foga dell'amica.
Dalla poltrona Alec emise uno squittio strozzato, che suonava tanto come quei versetti che faceva il Presidente Miao quando non lo vedevi e gli pestavi per sbaglio la coda. Quella situazione, aveva la sensazione, sarebbe andata avanti ancora per le lunghe e Magnus sembrava non voler accennare a smettere.
«Davvero molto... oh, e vi ho mica parlato di quella volta in cui Napoleone si perse le mutan-»
«Noi» Jace sfoggiò il migliore dei suoi sorrisi insolenti, alzandosi dal divano e troncando a metà la frase dello stregone «Adesso dobbiamo proprio andare. Vero ragazzi?»
«Ma veramente io volevo sapere delle mutande- ouch
Isabelle lo gratificò di un'occhiataccia, massaggiandosi il gomito con cui era finalmente riuscita a colpirlo. Cavolo se non aveva la pellaccia dura, quel vampiro, ma almeno era riuscita nell'intento di fargli smettere di dire cavolate e così fomentare il padrone di casa a parlare ancora e ancora e ancora. Magnus dava l'idea di poter essere tranquillamente in grado di farlo senza mostrare un minimo accenno di stanchezza.
«Sìsì... dobbiamo andare» borbottò offeso il Diurno alzandosi a sua volta. «Abbiamo il tavolo prenotato da Buddy's e se facciamo tardi...»
«Ma se tu nemmeno mangi»
Fece notare con un sorrisetto sardonico lo stregone, nascondendo la piega delle labbra dietro un pugno leggermente chiuso. Era certo che se ne avesse avuto ancora la possibilità, il vampiro sarebbe di sicuro arrossito.
Fortunatamente ci pensò Clary, balzando giù dal divano ed afferrando il suo ragazzo per una mano e il migliore amico per un lembo della maglietta nera con la scritta ''Lega pro Belli&Dannati'' che aveva fatto storcere il naso a Izzy in una chiara smorfia scontenta, quando era venuto a prenderli all'Istituto.
«Ma noi sì. E siamo davvero in ritardo. Grazie per l'ospitalità, Magnus. Alec...» fece un cenno col capo al povero ragazzo che stiracchiò un sorriso tremulo sulle labbra, guardandoli come a volergli chiedere silenziosamente scusa e trascinandosi insieme al compagno all'ingresso per accompagnarli mentre quello borbottava un ''oh beh, non sapete che vi perdete''.


Quando finalmente il quartetto fu fuori, dopo i saluti di rito, il Cacciatore si poté permettere di tornare a respirare e guardare stranito il suo fidanzato, che sogghignava placidamente ricambiando lo sguardo di quegli occhi assurdamente azzurri.
«Perchè?»
«Perchè cosa, fiorellino?»
«Perchè hai attaccato con quelle storie assurde... e - non chiamarmi fiorellino»
Lo stregone lo guardò con aria di sufficienza, inarcando un sopracciglio sottile e curato che, Alec lo sapeva bene, si premurava di ridisegnare con particolare cura con le pinzette ogni mattina.
«Perchè amo sentirmi parlare, non trovi che la mia voce sia stupenda? E le mie storie molto interessanti e-»
«Per l'Angelo, Magnus. Sono venuti per farti una domanda. Stupida, ma pur sempre una domanda»
Il sorriso del Sommo Stregone di Brooklyn fu un lampo di denti bianchissimi e un luccichio verde-dorato di iridi feline. E il suo viso troppo vicino, così come le sue labbra, per poter permettere al Nephilim di cogliere davvero le parole che pronunciò prima di annullare ogni distanza e baciarlo, premendolo contro la porta ora chiusa.
«Appunto»



Simon, impegnato a calciare un sassolino sotto lo sguardo scontento di Isabelle, si fermò di colpo rischiando di far sbattere Jace, impegnato nella contemplazione di Clary, contro la sua schiena.
Ignorando i lamenti del Cacciatore biondo, guardò i tre amici con aria confusa e divertita insieme.
«...ehi... ma... Magnus non ce l'ha data una risposta!»




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»L'angolino di Red«


Anche il titolo della raccolta e quello del capitolo sono una citazione di Wilde, of course.
Allora, l'idea nasce così, per caso, cazzeggiando sulla pagina di wikiquote di Oscar Wilde. Mi sono detta ''oh, cavolo, fa tanto Magnus!'' e quindi ecco qui una raccolta su Magus.
Non so di quanti capitoli sarà, nè quando aggiornerò. Dipende dall'ispirazione.
So solo che per ogni capitolo ci sarà una citazione (non sempre anche nel titolo), che non ha una collocazione temporale specifica quindi potete andare di fantasia, e che sarà ovviamente presente tanto sano Malec (ma anche accenni ad altre coppie, come visto).
Uhm, che altro? Spero che vi piaccia e ringrazio già chi perderà una decina di minuti a leggere - mi farebbe piacere ne aggiungeste un paio di più per farmi sapere cosa ne pensate, maquestononlodico. Oh, l'ho detto? Fa niente.
See ya!

Red.

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Capitolo 2
*** To be natural is such a very difficult pose to keep up. ***


I fiori che tu prendesti da me per metterli sulla tomba di tuo fratello
dovevano essere un simbolo non solo della bellezza della vita,
ma della bellezza che giace dormiente nella vita di ognuno
e che può essere portata alla luce.
Tutte le Opere - Oscar Wilde





To be natural is such a very difficult pose to keep up.






Alec non aveva pianto.
In realtà Magnus si era chiesto se avesse davvero realizzato di tenere fra le braccia il corpo senza vita del suo fratellino.
Un bambino davvero grazioso, il piccolo Max, minuto e dinoccolato con quell'aria lì di poter essere qualsiasi cosa e assomigliare tanto al padre quanto al fratello senza però saperlo ancora, come per tutti i ragazzini sulla soglia dell'adolescenza. Lui non sarebbe mai andato oltre, però. Era triste da pensare.
Aveva visto tante persone morire, lo stregone, persino bambini sì. Quando hai secoli sulle spalle finisci per non stupirti più di nulla e sono poche le cose che i tuoi occhi riescono a rifuggire.
Ma l'espressione sul viso del giovane Cacciatore, ecco, quella avrebbe voluto risparmiarsela.
Perchè priva di tutto, con gli occhi pieni di niente. Quello faceva davvero paura. Il dolore, un dolore talmente tanto grande da non riuscire ad essere espresso.
Si era rintanato in un angolo, il Figlio di Lilith, ben consapevole di non avere il diritto di entrare nel dolore personale di quella famiglia. Anche se la voglia di stringere una mano sulla spalla del Nephilim dagli occhi azzurri era stata tanta quando le urla di Maryse, accusatrici nei confronti del marito, avevano sovrastato il pianto ininterrotto di Isabelle.
E Alexander stava lì in mezzo, immobile con quel corpicino spezzato stretto fra le braccia, con le labbra appena un po' socchiuse come in procinto di dire sempre qualcosa. Magari di chiedere silenzio. Quasi avesse paura di svegliare il fratellino, quasi Max stesse solo dormendo come tante volte aveva fatto al sicuro nell'abbraccio del suo fratellone.
Alla fine Magnus era andato via, non riuscendo a sopportare oltre una delle innumerevoli tragedie di quella guerra non ancora iniziata.

«Sto bene»,  «Va tutto bene», «E' ok»
Alec lo diceva spesso quando provavano a chiedergli come stava.
E continuava a girare per la Sala degli Accordi come se quei minuti rubati lo infastidissero rallentando un lavoro importante. Dava l'aria di avere sempre qualcosa da fare, eppure si limitava a girare a vuoto o rimanere incantato a fissare il nulla per svariati minuti.
Quando lo stregone lo rivide non aveva più il fratello fra le braccia, ma le stringeva forte attorno al torace come ad abbracciare una presenza invisibile più che abbracciarsi lui stesso.
«Lo hanno portato insieme agli altri morti per prepararlo. Il funerale sarà domani.»
Una risposta laconica ad una domanda inespressa, quasi stesse dando un'informazione futile di stampo metereologico. Quasi non stesse parlando dello stesso bambino che aveva cullato il giorno prima nel suo silenzio, assordante più delle grida dei suoi genitori.
Aveva mosso un passo e provato a stringergli una mano su una spalla, ma era riuscito solo a sfiorare la stoffa della divisa nera da Cacciatore che non toglieva mai in quei giorni.
«Mi dispiace, Alexander...»
Non si era voltato a guardarlo. Era rimasto a fissare la fontana al centro della Piazza, il viso immobile come se indossasse una maschera di cera. O fosse lui stesso una statua.
«Va tutto bene. Combatteremo, l'Angelo lo sa se non la faremo pagare a Valentine e quel bastardo...»
Aveva ripetuto per l'ennesima volta, scuotendo il capo e stringendo forte le mani in pugni tanto da far sbiancare le nocche. Era stata l'unica reazione che Magnus aveva visto in lui, quel giorno.
Non aveva aggiunto niente, guardandolo incamminarsi verso Clary e Luke con la postura ritta di un soldato. Algido, imperturbabile e pronto, come ogni buon Nephilim doveva essere, come era sempre lui del resto. Quasi non fosse accaduto proprio niente.
Eppure le sue spalle tremavano.
«Quanto ancora potrai durare mio piccolo Cacciatore?» nessuno aveva sentito il sussurro, prima che lo stregone sparisse come se lì non ci fosse mai stato.


Il vento si era alzato freddo, quella mattina su Alicante.
Le famiglie che avevano perso qualche caro sfilavano nei loro abiti bianchi del lutto, e sarebbe stato persino affascinante da osservare se quel candore non lo avesse visto anche addosso al maggiore dei figli dei Lightwood.
Decisamente, ad Alec donava di più il nero.
E dovano di più le lacrime, a rendere vivi quegli occhi azzurri, mentre accettava con mani tremanti il mazzo di gigli bianchi che il Sommo Stregone di Brooklyn gli porgeva.
Mentre li deponeva fra le mani del suo fratellino e sentiva quel Figlio di Lilith al suo fianco pronunciare, con forza e partecipazione insieme, quell' Ave atque vale che doveva essere riservata solo ai Cacciatori e pronunciata unicamente dai Nephilim.
E mentre si stringeva, tremante, al petto di quello stesso Nascosto a cui aveva permesso di vedere la propria fragilità. Cercando finalmente consolazione fra le sue braccia per un dolore che non poteva più tenere dentro.
«Mi dispiace... mi dispiace c-così tanto...»
«Shh, Alexander... Alec, lo so. Lo so.»

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Capitolo 3
*** And of course a man who is much talked about is always very attractive. One feels there must be something in him, after all. ***


Niente è così pericoloso quanto l'essere troppo moderni.
Si corre il rischio di diventare improvvisamente fuori moda.
Un Marito Ideale - Oscar Wilde




And of course a man who is much talked about is always very attractive.
One feels there must be something in him, after all.






Alec conosceva Magnus da quasi un anno ormai e quindi poteva azzardarsi a dire di aver compreso qualcosa in più di quello strano stregone, rispetto a tutti gli altri.
Certo era che riuscire a cogliere ogni cosa delle mille e uno sfaccettature che concorrevano a comporre il Summus fosse così assurdamente difficile dal rasentare l'impossibile; e, di questo, era certo sarebbe stato così anche avesse avuto dalla sua la stessa immortalità vantata dall'altro.
A voler essere onesti con se stesso, il Cacciatore sapeva di non aver capito più di quanto avesse effettivamente compreso del suo ragazzo. E di questo non poteva proprio incolparsi visto che la maggior parte delle volte era proprio il Figlio di Lilith a glissare sulle sue domande e cambiare discorso.
Se era lui per primo a non voler essere conosciuto come avrebbe dovuto fare, di grazia, lui a riuscire nell'impresa che più volte gli era stata rinfacciata?
Non sapeva molto del suo passato, quasi niente. Nemmeno di preciso quanti anni - secoli - avesse quel Sommo Disgraziato dagli occhi di gatto e la parlantina da comare di paese, visto e considerato che l'altro non faceva che cambiare numeri a piacimento nascondendosi dietro improbabili vuoti di memoria.
Ma una cosa c'era, che Alec Lightwood aveva capito da quando stavano insieme...


«Magnus ci guardano tutti.»
Il sorriso dello stregone al suo fianco era furbo come quello di un monello.
«No, dolcezza, guardano tutti me»
Se all'inizio della loro relazione una cosa del genere l'avrebbe indispettito e fatto imbronciare, adesso quella palese dimostrazione di magnuscentrismo riusciva soltanto a lasciarlo vagamente perplesso ed un filino esasperato.
«Ci credo-» iniziò, abbozzando un sorrisetto esasperato e cercando di nascondersi dietro la sciarpa azzurra che gli circondava il collo, quasi nella speranza di sparirci dentro o forse solo nascondere il rossore che gli aveva imporporato le guance e non era del tutto colpa del freddo novembrino «-sembri appena uscito da un pranzo alla corte di Luigi XVI»
Lo stregone al suo fianco arricciò il naso in un'espressione così deliziosamente felina che quasi fece venir voglia al suo compagno di iniziare a fargli i grattini dietro alle orecchie come al Presidente.
«Per piacere, Alec, non dire certe assurdità.»
Sembrò pensarci qualche istante, arcuando le sopracciglia sottili  «Al massimo Luigi XIV»
Il Cacciatore decise saggiamente di non ribattere pur non vedendo quella che a parere del Figlio di Lilith doveva essere una sostanziale differenza. Ma quale dei due re francesi fosse, poco importava; quella camicia jabot viola con il pizzo che indossava sotto una giacca da uomo sportiva e i jeans aderenti di denim rovinato ficcati in alti stivaletti di pelle, insieme al codino basso in cui aveva costretto i capelli scuri diligentemente pettinati e ingellati di glitter come suo solito, attirava l'attenzione dei mondani come se il suo ragazzo stesse girando nudo per le strade congelate di New York.
Cosa che non l'avrebbe visto altrettanto tranquillo, si ritrovò a riflettere.
«Hai visto quello?» «Quant'è figo... pensi che sia un modello?» «Forse sta pubblicizzando qualcosa»
Anche se lo stregone non gli avrebbe mai fatto piacere l'andare in giro per negozi, visibili agli occhi di tutta quella gente, pure se si tenevano strettamente per mano e stavano così vicini. Oh, e gli permetteva di scoccare occhiatacce assassine ai gruppetti di ragazzine che sentiva ciarlare e guardare un po' troppo' il suo fidanzato.
«Per le mutande di Lilith, guarda quelle scarpe... devono essere mie! Muovi quel bel culetto, pasticcino»


... a Magnus Bane, Sommo Stregone e Shoppingmaniaco di Brooklyn, da brava primadonna - e con questo avrebbe tranquillamente potuto competere con Jace - piaceva davvero sentir parlare di sé. Nel bene o nel male.



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»L'Angolino di Red«

Anche questa volta, il titolo del capitolo è una citazione di Wilde. Sto provando a trovare collegamenti fra questo e la citazione effettiva del capitolo. Mh, chissà se ci riuscirò per tutte.
Anyway ho provato a fare un fioretto per l'anno nuovo (parecchio in ritardo, macchisenefrega) e quindi per questa raccolta proverò a postare un capitolo al giorno. Massimo ogni due, se proprio non ce la faccio.
Incrociate le dita per me, ragazzi. Oh, e... se avete qualche citazione di Wilde su cui vorreste vedere un capitolo, comunicatemela pure. Vedrò cosa riesco a fare *sivuolemale*
See Ya!

Red. 

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Capitolo 4
*** It's more painful to separate from those who know too little time. ***


Nella vita non esistono cose piccole o grandi. Tutte le cose possiedono pari valore e pari misura.
De Profundis - Oscar Wilde



It's more painful to separate from those who know too little time.




L'Istituto di New York era decisamente diverso da quello di Giacarta, era stato il primo pensiero del bambino. Non era abituato a stare troppo tempo lontano da casa sua, anche se fin da piccolissimo i suoi non avevano fatto che sballottolarlo da Idris all'Indonesia. Non aveva mai capito perché i coniugi Bane avessero deciso di abbandonare la loro magione nei pressi di Alicante a favore della conduzione di quello che agli occhi dei mondani appariva come un vecchio edificio dismesso non dissimile dalla Cattedrale che dava asilo ai Cacciatori di quella città, ma probabilmente era solo la nostalgia della terra dove i suoi genitori si erano incontrati ad avergli fatto compiere quella scelta.
Del resto la sua famiglia non aveva mai avuto niente a che fare con il Circolo e dunque non poteva trattarsi di una punizione del Conclave, quanto più di una scelta personale. Quando era diventato abbastanza grande da poter ragionare con la sua testa, però, aveva trovato buffo come i suoi avessero deciso di andare a relegarsi dall'altra parte del mondo; bellissimo posto, questo è vero, ma di Shadowhunters da quelle parti ne giravano pochi.
Così lui non aveva avuto granché possibilità di relazionarsi con altri bambini che con lui condividevano il sangue benedetto dell'Angelo.
Forse per questo motivo aveva trovato affascinanti i figli dei Lightwood, anche se questo solo all'inizio. Gli era bastato passare più di dieci minuti insieme a quel Jace per capire che quel bambino era una mina vagante e priva del più basilare controllo. Nemmeno sua sorella Isabelle riusciva a tenerlo in riga, anche se non è che lei fosse da meno.
A pensare a quella bambina dai lunghi capelli neri e l'aria da smorfiosetta arricciava ancora il naso; aveva riso sadicamente, troppo per essere così piccola, quando il fratello gli aveva mostrato la sua incredibile mira facendogli spiaccicare una cucchiaiata di budino al cioccolato in piena fronte. Per questo covava il malcelato sospetto che Izzy fosse un demone.
Ovviamente questo ai suoi genitori non lo aveva detto. Conosceva la buona educazione, LUI.


Girava per il cortile dell'edificio da un po', ormai, alla ricerca dei due Lightwood. Nonostante fosse abbastanza grande per avere i primi marchi, non lo era abbastanza per poter assistere alle discussioni dei grandi. Questo era davvero noioso, e considerato mortalmente ingiusto dall'altezza dei suoi undici anni, così lui e gli altri due bambini avevano deciso di andare a giocare - anche se in realtà era più corretto dire che erano stati sbattuti fuori dalla Biblioteca da Maryse e Jun. Ma adesso i fratelli non si vedevano più da nessuna parte e nemmeno lui, considerato un indiscutibile asso a nascondino - gioco mondano che aveva appreso dai bambini del suo quartiere - era riuscito a trovarli. E dire che era la prima volta che entrambi giocavano a quel gioco che fino a mezz'ora prima avevano considerato assolutamente ridicolo!
«Uff, la fortuna del principante»
Con un broncio il piccolo si lasciò cadere su una panchina di pietra, all'ombra di un grande albero - un faggio, forse, o un acero - riversando il capino moro e scarmigliato all'indietro ed agitando le gambe per sottolineare ancor di più quanto fosse scocciato. Il sole non gli dava fastidio, c'era abituato e lo sottolineava la sua pelle dolcemente brunita, ma riusciva in ogni caso ad impigrirlo nemmeno fosse stato un pacioso gatto più che il ragazzino asiatico dai furbi occhi verdi che era.
«Jaaaace, Iiiizzy» riprovò, con voce acuta e strascicando volutamente le vocali, anche se non sembrava davvero interessato ad una risposta «Su, uscite fuori, avete vinto voi!»
Quanto odiava dover dire quelle parole! Ma non ci teneva davvero a farsi un altro giro del perimetro dell'Istituto con quel caldo, soprattutto perché sapeva perfettamente che quei due dovevano conoscere posti segreti dove infilarsi che lui non avrebbe trovato se non a mettersi di buona lena per cercarli. E ci sarebbero voluti come minimo tre giorni. Un tempo infinito, che tra l'altro non aveva. L'indomani sarebbero tornati a Giacarta.
 «Waah, che antipatici quei due! Spero che un demone rasi a zero Isabelle nel sonno.» si soffermò a pensarci giusto un attimo «E anche Jace.»
«Perché un demone dovrebbe rasare qualcuno nel sonno?»
La domanda lo colse impreparato e lo fece sobbalzare e quasi rischiare di cadere dalla panchina. Sgranò gli occhi, mettendosi immediatamente seduto e girando il capo a destra e sinistra, comicamente, per cercare la fonte di quella voce.
La ritrovò in un giovane che era appoggiato al tronco dell'albero alla sua destra e che era del tutto sicuro non ci fosse stato fino a cinque minuti prima.
«Ah, ecco...»
Doveva avere un'espressione davvero buffa, perché il ragazzo increspò le labbra sottili in un sorriso leggero ed impalpabile come fumo. Il piccolo Cacciatore dovette ridurre a fessura gli occhi per poter sincerarsi che non fosse solo frutto di un gioco di luci.
Così facendo poté guardarlo meglio. Non doveva avere più di vent'anni, ed era indubbiamente molto bello. Gli ricordava un po' la raffigurazione degli Angeli. Ma non un Angelo guerriero e ardente come Jace, quanto più un Angelo... triste. Ecco, quel ragazzo aveva un'inspiegabile aria malinconica anche mentre sorrideva.
Era ammantato di nero, indossava un lungo cappotto dal bavero rialzato anche se erano in pieno Luglio, e aveva dei capelli ugualmente nerissimi. A Magnus ricordarono le piume del corvo di Hodge. Ma la cosa che lo stupì fu l'innaturale pallore della sua pelle.
«Sei un vampiro?»
La domanda ingenua gli constò uno sguardo perplesso da parte dell'altro.
«Se fossi un vampiro non potrei stare qui. E' suolo consacrato»
«Potresti» ribatté con un sorriso furbetto il più piccolo, guardandolo con quegli occhi intelligenti «Se fossi una Proiezione. Ho sentito dire che alcuni di loro sanno farlo.»
L'altro increspò le sopracciglia, come riflettendoci, poi abbassò di poco il viso nascondendolo fra i lembi del giubbotto. Forse per celare il sorriso che si era fatto un po' più esteso sulle labbra ugualmente chiare.
«Alcuni, sì. Sei un tipetto sveglio. Però no, non sono un vampiro.»
Il Nephilim osservò per qualche altro istante lo sconosciuto, sgranando gli occhi quando si accorse di un particolare che non aveva notato prima. Un fascio di luce era riuscito a penetrare fra le fronde del vecchio arbusto e in quel momento colpiva dritto in viso il ragazzo. Quegli occhi. Erano occhi di un azzurro impossibile, luminoso e troppo acceso per poter essere naturali; sembravano catturare la luce e rimandare tante sfumature di blu al contempo cosicché era difficile poter affermare con certezza di che colore fossero.
«Tu... sei uno stregone»
Il Nascosto incrociò le braccia al petto, facendo un unico piccolo cenno affermativo col capo in risposta. Sembrava in qualche modo a disagio, come se il sentire sbandierare la propria natura fosse un problema.
Effettivamente, nonostante gli Accordi, che lui si trovasse lì era strano - ragionò velocemente il giovane Cacciatore.
«Cosa ci fai qui? Insomma sei un Nascosto - e non ho niente contro i Nascosti ma sai, mamma e papà dicono di non fidarsi e non sono del tutto sicuro che la signora Maryse sarebbe contenta di vederti nel suo giardino e mi sembra che il signor Robert-»
«Frena, frena... ti hanno mai detto che parli troppo, piccoletto?»
Il ragazzino avrebbe dovuto arrossire, come buona educazione imponeva, ma invece rivolse soltanto un sorriso birichino e solare al suo interlocutore.
«Non sa quante volte, signor stregone!»
Il Figlio di Lilith si ritrovò a distogliere lo sguardo e sbuffare, rassegnato.
«E sei anche troppo diretto.»
Il bimbo inarcò le sottili sopracciglia scure, ingenuamente perplesso.
«Ed è un male?»
L'altro sembrò rifletterci su, picchiettando la punta di uno stivale per terra «Non sempre»
«Signor stregone come ti chiami?»
«Non chiamarmi ''signor stregone''»
Il bambino arricciò il naso, risentito, gonfiando appena le guance e piazzando i pugni sulle ginocchia.
«Ma se non mi dici come ti chiami come faccio a non chiamarti signor stregone? E poi sei uno stregone, scusa, non è che sei un kelpie e ti chiamo stregone, anche perché non avrebbe sens-»
«Alec» sbottò, alla fine, esasperato il Nascosto. Tutto pur di farlo stare zitto.
Il piccolo Nephilim sorrise con aria angelica, vittorioso.
«Alec come Alexander?» chiese poi, dopo averci riflettuto un poco su.
«Alec come Alec»
Fu la risposta lapidaria, forse un po' troppo brusca, dell'altro ragazzo che sembrò deciso a trincerarsi nel silenzio per i minuti successivi.


«E tu come ti chiami?»
Il ragazzino alzò sorpreso lo sguardo, osservando il ragazzo che era rimasto appoggiato per tutto quel tempo contro l'albero senza spiccicare parola. Quando aveva capito che non avrebbe più ricavato una sillaba da lui si era deciso a rinunciare alla ricerca dei due - pseudo - amici e si era sdraiato sulla panchina.
«Io?»
La lieve ruga d'impazienza che si stava formando fra le sopracciglia scure dell'altro lo convinse a non tergiversare con altre domande stupide e rispondere infretta.
«Magnus. Magnus Bane.»
Lo stregone lo fissò indeciso «Che nome ridicolo»
Per l'ennesima volta il più piccolo si armò di quel broncio indispettito, assumendo una posa speculare a quella dell'altro ed incrociando le braccia al petto.
«Non più di Alec»
Il diretto interessato roteò gli occhi, che baluginarono di azzurro nell'ombra. Sembravano quasi fatti di fiamme, come fossero fuochi fatui intrappolati da quelle ciglia scure.
«Irriverente, anche! Per Lilith, voi Cacciatori siete insopportabili fin da bambini.»
«E voi stregoni avete tutti la puzza sotto il naso?»
La domanda suonò innocente, ma lo sguardo del bimbo diceva tutt'altro. Alec si irrigidì, ricambiando con un'occhiataccia. Quel tipetto era davvero irritante. Eppure qualcosa in lui lo attirava. Nessuno aveva mai avuto l'ardire di rispondere a lui, il Sommo Stregone di Brooklyn, così.
«Non mi hai detto perché sei qui» gli ricordò dopo qualche istante il ragazzino.
Il Nascosto scosse il capo, riprendendosi dai suoi pensieri ed alzando lo sguardo sulle mura dell'Istituto. Aveva in viso un'espressione indecifrabile e i suoi occhi incredibilmente azzurri si erano rabbuiati. Adesso ricordavano il mare in tempesta, pur tendendo al blu elettrico.
«Mi hanno convocato loro. Hodge e gli altri. Ovviamente non posso dire di no ad un ordine diretto del Conclave» aggiunse, e l'astio era palpabile nella sua voce.
«Tu invece cosa ci fai qui?»
Magnus inarcò un sopracciglio sentendosi rimbalzare la propria domanda e finalmente le sue guance si accesero di una sfumatura rosata a stento distinguibile col suo incarnato.
Non ricevendo risposta lo stregone abbozzò un sorrisetto saccente.
«Sei troppo piccolo per le questioni dei grandi, eh?»
«Non sono piccolo! Tra un mese compio dodici anni!»
Si difese, con rinnovato ardore, il bambino. Il ragazzo addolcì il sorriso, decidendosi finalmente a staccarsi dal tronco che sembrava quasi poterlo inglobare, continuando a starci appoggiato così, e si avvicinò a passi calmi alla panchina.
«Hai ragione» mormorò, allungando una mano verso il suo viso.
Magnus colse distrattamente il particolare delle unghie dello stregone, lunghe più di cinque centimetri ed affilate simili ad artigli, ma non se ne preoccupò. Rimase tranquillo mentre quello gli stringeva il mento fra pollice ed indice con delicata fermezza, sollevandogli il viso per poterlo studiare.
Sostenne testardamente lo sguardo del Figlio di Lilith, catturato da quel bagliore mutevole di fuoco azzurro, ma altrettanto sembrò fare il più grande.
Alec osservava gli occhi del piccolo Cacciatore affascinato, stupendosi di non aver notato fino a quel momento come il verde possedesse un'ombra iridescente di dorato, pagliuzze che potevano essere notate attorno all'iride solo quando la luce le colpiva in un modo particolare. Come in quel momento.


«Magnus, MAGNUS!»
Le urla di Jace, provenienti dall'altro lato del giardino, sembrarono ridestare il Nascosto dalla contemplazione. Lasciò velocemente il mento del bambino, indietreggiando di qualche passo.
Colui che veniva chiamato a gran voce arricciò ancora una volta il naso, facendo sorridere di riflesso chi lo stava guardando.
«Quel Lightwood è una palla al piede!»
Alec sgranò impercettibilmente gli occhi, a quelle parole, irrigidendo le spalle e volgendosi per poterle dare al più piccolo.
«Bene, io ora devo andare.»
«Aspetta, Alec!»
Lo stregone si ritrovò a guardare sorpreso le piccole mani scure e segnate da rune e fievoli cicatrici argentee - così piccolo e già ne aveva! - stringere con forza una delle sue. Il contrasto era netto, sia per dimensioni che per colore. Ma non era spiacevole.
«Che c'è?» chiese, un po' più bruscamente di quanto volesse.
Nello sguardo felino del ragazzino passò un'ombra di delusione, ma il sorriso non si spense su quelle labbra.
«Ci rivedremo, vero?»
Lo stregone allora sorrise, liberando cautamente la mano dalla morsa per poi posarla sul capo scuro del Cacciatore e scompigliargli con un accenno di affetto i capelli.
«Chi lo sa...»
«Magnus! Allora sei qui! Per l'Angelo, sono secoli che ti cerchiamo!»
La vocetta acuta di Isabelle fece voltare infastidito il ragazzino, scoccandole un'occhiataccia.
«Non vedi che sto parlando con qualcuno? Impara l'educazione, Lightwood!»
«...parli da solo, Mag?»
Chiese Jace, tra il perplesso ed il divertito, sbucando alle spalle della sorella e guardando alle spalle del Bane.
Il più grande fra i tre sgranò gli occhi, compiendo una veloce piroetta su se stesso e rimanendo a fissare il vuoto dove prima c'era lo stregone.
«Ma... ma... io, lui, era qui...»
I fratelli Lightwood si scambiarono un sorrisetto saputo e poi si affrettarono a prenderlo a braccetto, uno per lato, iniziando a trascinarselo di gran carriera verso il portone.
«Certo, certo, niente storie su amici immaginari, Bane. Abbiamo indiscutibilmente vinto noi»


Dietro il vecchio cancello in ferrobattuto - se lo si guardava con gli occhi dei mondani, ovviamente - Alec scosse il capo, seguendo con lo sguardo i tre bambini fino a che non furono spariti, inghiottiti dal pesante portone dell'Istituto.
Si sistemò il bavero del cappotto, prima di incamminarsi lungo le stradine affolate di New York per tornare alla sua Brooklyn.
«Magnus... eh?»
Per essere solo un moccioso saccente e dalla parlantina un po' troppo vivace, gli sarebbe decisamente mancato. I coniugi Bane sarebbero ripartiti il giorno dopo per tornare al loro Istituto, in Indonesia e non l'avrebbe certamente rivisto per molto tempo. Forse mai più.
Ma chissà.
In tanti secoli aveva imparato a non dar mai nulla per scontato.


_______________________________________



»Angolino di Red«


Shot decisamente molto più lunga del mio solito. E' una what if...? molto what if...? se non si era capito, al punto da rasentare l'AU. Ma l'idea mi frullava in testa e mi intrigava. Uno scambio di ruoli. Un Alec stregone e un Magnus cacciatore bambino, per una volta.
Non so se sono riuscita a mantenere il carattere dei personaggi, nonostante fossero in panni diversi dai loro. Ma c'ho provato.
Ah, giusto una spiegazione veloce veloce: Alec è sempre un Lightwood ma non è figlio di Robert e Maryse come si può ben capire, ma un loro antico antenato (pur essendo uno stregone, sì). Si intuisce che però i rapporti non siano proprio idilliaci con la sua ''famiglia''. Max non c'è semplicemente perchè non è ancora nato, e Jace è arrivato da un anno in famiglia.
Non so quanto possa servire, ma è sempre meglio mettere in chiaro le cose.
Detto questo, ringrazio chi sta seguendo questa raccolta. E, come sempre, se volete darmi un parere questo è ben gradito.
See ya!

Red

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Capitolo 5
*** Nothing is more provocative as stillness and goodness. ***


Una rosa rossa non è egoista
perché vuole essere una rosa rossa.
Sarebbe terribilmente egoista
se volesse che i fiori del giardino
fossero tutti rossi e tutte rose.
L'anima dell'uomo sotto il socialismo - Oscar Wilde




Nothing is more provocative as stillness and goodness.




Che la società dei Nephilim fosse chiusa e di ristrette vedute lo aveva sempre saputo, lo stregone. Secoli di vita gli avevano permesso di conoscere bene quei Figli dell'Angelo, abbastanza dal fargli decidere saggiamente di non voler avere più nulla a che fare con loro.
Non avrebbe più interferito con le vicende dei Cacciatori, se l'era ripromesso tanti anni prima, eppure aveva contravvenuto al proprio proposito con facilità a dir poco allarmante. E tutto per due occhi incredibilmente blu.
Col tempo aveva finito per, se non proprio dimenticare, relegare ogni informazione avesse acquisito su di loro in uno dei tanti cassetti della sua sconfinata memoria.
Per questo non si era dimostrato affatto sorpreso nel comprendere la reticenza del giovane Lightwood a pensare, figurarsi parlare!, della sua sessualità.
Magnus aveva come il sospetto che la sola parola fosse un tabù al pari di Valentine, per il Conclave, e si era più volte ripromesso di chiedere a qualcuno se i giovani Nephilim studiassero educazione sessuale fra un'ora di ''mille e uno modi per far fuori un Divoratore'' e una di ''paraculaggine per principianti'' e l'altra; ovviamente non lo aveva mai fatto, ma come si dice... mai dire mai, nella vita.
Ad ogni modo se mamma e papà Shadowhunters raccontassero o meno la storia del cavolo e della cicogna (o forse non era proprio così, ma dettagli) ai loro pluritatuati pargoletti non era affar suo. Ma era più che consapevole che se una cosa del genere arrecava imbarazzo, il parlare di omosessualità avrebbe con ogni probabilità fatto venire un infarto a qualcuna delle vecchie cariatidi del Conclave o agli stessi Fratelli Silenti, chissà - anche se, in tutta confidenza, Magnus pensava che quest'ultimi fossero di vedute un po' più larghe... tipi strambi, quelli della Città di Ossa.
Ma, davvero, non ce l'avrebbe fatta oltre a vedere le lacrime scorrere su quel viso tanto amato.


«Alexander...»
«Alec»
La correzione seguita da un singhiozzo fece stringere ancor più dolorosamente la morsa del suo cuore, mentre osservava quel Nephilim tanto forte in battaglia rivelarsi per il fragile ragazzo che in realtà era. Ma ognuno di loro portava delle maschere per poter continuare a vivere la vita di tutti i giorni, era il solo modo per andare avanti e non crollare definitivamente.
Non essere vinti.
E magari sarebbe anche potuto andare bene così, nelle guerre quotidiane contro i demoni, ma la stessa cosa non si poteva certo dire per la vita. Da quella, in quel momento, sembrava proprio che il primogenito dei Lightwood fosse stato battuto. E nel modo peggiore.
Lo stregone non si curò del fatto che la camicia nera di Armani potesse bagnarsi e stingere, mentre stringeva al suo petto quel ragazzo e gli accarezzava la schiena, lentamente, dal basso verso l'alto per cercare di placarne il tremore incontrollato del corpo ed i singhiozzi.
«Mi... mi considerano un mo-mostro... sono sbagliato, capisci? P-per l'Angelo» e ingoiò un altro singhiozzo, insieme all'aria «Mio padre... lui... lui crede che sia solo un periodo. Ti rendi co-conto?»
La mano continuò ad accarezzare quella schiena ampia e forte che sembrava essersi spezzata, alla fine, sotto un peso troppo grande. Avrebbe dovuto smetterla di voler sostenere da solo tutto il mondo, Alec, avrebbe dovuto proprio.
«Ma rimane pur sempre tuo padre»
Il mormorio si perse fra i lisci capelli scuri contro cui erano appoggiate le labbra, risultando ovattato quasi quanto l'accenno di risata isterica che l'altro soffocò contro la stoffa.
«Sarei alla stregua di un Nascosto, per lui, se a-accettasse la-» ma la voce si perse di nuovo, mentre quei grandi occhi blu resi lucidi e più chiari dalle lacrime si sollevavano in fretta sul suo viso guardandolo con un misto di orrore, dispiacere e vergogna «- non volevo dire che i Nascosti, che tu... che io...»
Magnus sbuffò, sentendo il naso solleticato dalle ciocche scure, ma non interruppe l'abbraccio. Anzi lo rafforzò, costringendo il più giovane a raggomitolarsi contro di lui, fra le sue gambe, per avere una posizione più comoda su quel divano.
«Piccolo mio... non sei tu quello sbagliato. Non pensarlo mai. Cosa c'è di ingiusto o abominevole nel voler essere ciò che si è se non fai del male a nessuno? Non intendi certo costringere tutti i Nephilim a cambiare ciò in cui credono e che amano»
Se la circostanza fosse stata un'altra probabilmente avrebbe detto qualcosa come ''non li costringi certo a cambiare sponda'', Alec lo sapeva, ma apprezzò in ogni caso la delicatezza.
Magnus sorrise, circondandogli il viso con i suoi palmi caldi e apprezzando il contrasto fra la pelle chiara e chiazzata di rosso per via del pianto del Cacciatore e la sua più scura. Gli accarezzò con dolcezza le gote, tentando di cancellare le lacrime, percorrendo la pelle più sottile sotto l'occhio con accortezza. Ed infine appoggiò la fronte contro la sua.
I suoi occhi da gatto scintillavano come sempre, ma avevano un calore tutto loro che li faceva sembrare di oro fuso in quel momento.
«Sii orgoglioso di quello che sei, Alexander. Chi ti ama non potrà che esserlo altrettanto»


L'espressione sul viso di Robert Lightwood era qualcosa di impagabile. Avrebbe tanto voluto avere una macchina fotografica per immortalarla.
E avrebbe anche potuto farla apparire, effettivamente - riflettè stringendo il braccio attorno alle spalle del suo ragazzo, che finalmente avevano smesso di tremare - ma non era proprio il caso, magari la prossima volta.
Aveva la schiena ritta, Alec, una postura fiera ed orgogliosa. E sapeva bene, lo stregone, quanto gli costasse mantenerla e mostrarsi così deciso di fronte i suoi genitori.
«Tu... stregone...»
Magnus sorrise, garbato, chinando appena il capo di lato.
«Ho un nome, Robert. Gradirei venisse usato. La chiamano cortesia, pare.»
Maryse al fianco del marito ebbe un sussulto, ma fu abbastanza  brava dal nasconderlo.
Gli occhi scuri del Cacciatore si ridussero in due fessure e le mani tremanti lungo i fianchi si rinchiusero in pugni che nemmeno la donna al suo fianco ebbe il coraggio di sfiorare.
«So come ti chiami. E so cosa sei»
«Davvero? Acuto come ogni Lightwood che si rispetti. Lieto che la tua vista sia ancora così buona, ti mantieni in splendida forma»
Questa volta fu il turno di Alec di sobbalzare appena sotto la sua stretta, scoccandogli un'occhiata preoccupata. Ma il Sommo Stregone di Brooklyn sembrava calmo e del tutto a suo agio, un sorriso amabile sulle labbra stranamente prive di trucco.
Il Cacciatore invece sembrava stare letteralmente fumando.
«Smettila di prendermi per il culo, stregone!» e Maryse sussultò visibilmente, sgranando gli occhi, inabituata a tale linguaggio da parte del suo sposo «So cos'hai fatto a mio figlio, ma non credere che-»
«No, papà
La voce del diretto interessato sorprese un po' tutti. Alec era arrossito, ma fissava con decisione il genitore negli occhi.
«Magnus non mi ha fatto proprio niente. Non sono sotto incantesimo o chissà la diavoleria che credi. Io sono così, sono sempre stato così. Sono sempre Alec, papà, sempre tuo figlio. Sempre lo stesso Cacciatore, il parabatai di Jace. Anche se sono innamorato di un altro uomo, sì.»
Magnus quasi si commosse, forse anche per l'essere stato definito un uomo e non uno stregone, una volta tanto. Era per questo che si era innamorato di Occhi Blu, in fondo.
Fu Maryse, contro ogni aspettativa, a rompere il silenzio che si era creato. Furibondo da parte del marito, confuso e in attesa da quella del figlio. Diede uno sguardo eloquente a Robert, al suo fianco, stringendogli con fin troppa forza un braccio e poi si voltò verso il Nascosto, chinando appena il capo corvino.
«Magnus vorresti farci l'onore di rimanere a cena da noi, questa sera?»
Lo stregone riuscì a nascondere il sorriso, mentre si chinava in un'ampio ed elegante inchino, stringendo al contempo con forza la mano del suo ragazzo.
«Con molto piacere, madame»

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Capitolo 6
*** Memory is the diary that we all carry about with us. ***


La vita è semplicemente un mauvais quart d'heure composto di attimi squisiti.
Una donna senza importanza - Oscar Wilde



Memory is the diary that we all carry about with us.






Ad essere del tutto onesti, a Magnus non piaceva particolarmente la Città di Ossa e altrettanto non usciva pazzo all'idea di finire, un giorno, per diventare parte di una delle colonne o del pavimento; il destino di ogni Shadowhunters era quello, servire la causa fino alla fine dei propri giorni e anche oltre. Era del tutto sicuro che nessuno dei seppelliti in quel posto riposasse davvero. Preferiva le tradizioni dei mondani, che seppellivano i loro morti nella terra e lì affiggevano una lapide per avere un posto dove piangerli e ricordare.
Quando era morto suo padre, tre anni prima, non era riuscito a versare una lacrima davanti alla pira funebre. Si era semplicemente trovato ridicolo infagottato in quei vestiti bianchi con le rune rosse del lutto. Era certo che Mikael Bane si sarebbe fatto grasse risate se avesse visto suo figlio conciato in quel modo e non gli avrebbe nemmeno dato tutti i torti.
Non che non fosse addolorato per la sua perdita, amava moltissimo il genitore, ma essere un Cacciatore significava anche perdere la vita e questo lo aveva imparato fin da bambino.
Adesso rimpiangeva di non avere un posto più consono dove pregare per il padre, che non fosse la cripta di famiglia. Ma quella lo inquietava, sapendo quanto poco fosse rimasto del Nephilim insieme al cemento.


«Oh Mag, non dirmi che hai paura»
La voce di Jace ad un soffio dal suo orecchio sinistro lo prese alla sprovvista e lo fece sobbalzare vistosamente, rischiando di farlo rotolare giù per le scale e finire per diventare parte integrante di quel posto un po' prima del tempo.
Si voltò di scatto dopo aver recuperato l'equilibrio, ringraziando l'agilità felina che sembrava essere un dono di natura e non solo frutto di una delle tante rune per migliorare le prestazioni fisiche, per rivolgere uno sguardo risentito al suo parabatai. Gli occhi verdi e dorati brillarono accesi nel buio del sotterraneo.
«Ah! Chiudi il becco biondino. Non mi chiamo mica Jace Lightwood, io»
L'altro ragazzo inarcò un sopracciglio, perplesso.
«E con questo che vuoi dire?»
Il sorriso del più grande baluginò di malizia e sadica ironia, prima che si voltasse. Ma il Cacciatore dai capelli biondi potè ugualmente sentire un distinto ''quack'' che lo fece rabbrividire ed affrettare il passo per raggiungere l'amico, aggrappandosi piagnucolante alla maglia scura della divisa da Cacciatore.
«Ehi, Mag, non sei affatto divertente!»
«Non volevo esserlo. Sai, pare la chiamino ironia...»
Ma ormai Magnus si era rassegnato al fatto che il suo compagno di battaglie non riuscisse a cogliere certe sfumature o semplicemente le ignorasse, con tutta probabilità. Quel Lightwood era conosciuto per essere un maestro di sarcasmo in fondo. In questo si assomigliavano. Per quel motivo gli altri non avevano visto di buon occhio la decisione di diventare parabatai. Effettivamente a rifletterci adesso era ridicolo pensare ad un legame del genere per due personalità come le loro. Ma quel che è fatto è fatto.
«Ricordami perchè siamo dovuti venire in questo buco...» la voce di Jace ruppe il silenzio interrotto solo dal suono dei loro passi. In una Città morta, del resto, che altro avrebbero voluto udire?
«Perchè dobbiamo consegnare questo pacco ai Fratelli Silenti da parte di Hodge»
Replicò laconico il suo compagno, battendosi una pacca sul rigonfiamento al giubbotto dove aveva nascosto l'oggetto causa dei loro mali. Il biondo alle sue spalle corrugò le sopracciglia e piegò le labbra in una smorfia scontenta «Rettifico, allora. Perchè sono dovuto venire anch'io?»
Magnus alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se sarebbe stato tanto grave rinchiudere accidentalmente il più giovane in una delle cripte di antiche famiglie che stavano sorpassando avanzando verso il centro nevralgico della Città.
«Perchè-» iniziò, sogghignando e allungando un braccio per passarlo attorno al collo di Jace, premurandosi di stringere abbastanza forte dal farlo diventare cianotico in viso e appoggiando la fronte contro la sua «-sfortunatamente sei il mio parabatai, splendore. Ricordi? ''Dove andrai tu andrò anch’io; dove ti sfrangerai i maroni ti seguirò, e soffrirò con te: l’Angelo faccia a me il culo a quadri e anche di peggio se altra cosa che la morte mi separerà da te''»
«...me la ricordavo u-un tantino diversa. E adesso mollami, Mag, so-soffoco..!» con una gomitata ben piazzata al fianco magro dell'amico, il biondò riuscì finalmente a liberarsi dalla morsa dell'altro e massaggiarsi con aria mortalmente offesa il collo. Ma almeno ebbe la soddisfazione di vedere il Bane piegarsi in due con un lamento soffocato, pressando la zona contusa con le mani.
«La runa della resistenza ti funziona solo per certi ambiti, Magnus...?»
Domandò con un sogghigno allusivo, mentre il compagno riprendeva aria e lo guardava truce con quegli occhi da gatto, facendogli un elegante dito medio.
Erano quasi pronti ad iniziare una nuova schermaglia che molto probabilmente avrebbe visto i Fratelli dover ristrutturare quel posto, alla sua fine, quando udirono delle voci.
Beh, a dire il vero una voce soltanto. Ma nel silenzio mortifero di quel posto rimbombava come se fossero due.


«E quello chi è?»
«Se ti sposti, magari...»
«...fatti tu un po' più in là»
«Genio, siamo in visita regolarmente, mi spieghi perchè ci siamo dovuti nascondere?»
Jace inarcò elegantemente un sopracciglio chiaro, compunto, mentre spintonava l'altro Cacciatore per poter affacciarsi da dietro l'angolo di una delle basse cripte e sbirciare meglio la situazione.
«Perchè fa tanto 007, non credi anche tu?»
«Oh, per l'Angel-»
«Shhh
Magnus scoccò un'occhiata offesa al ragazzo biondo accucciato per terra, resistendo alla tentazione di spintonarlo e farlo rotolare come un sacco di patate davanti a quei due che stavano parlando poco più avanti. Si limitò unicamente a cercare di sporgersi di poco sulla sua spalla, in bilico, ripetendosi mentalmente quanto fosse idiota stare lì come due cretini quando potevano semplicemente andare a vedere di persona per togliersi il dubbio.
Mannaggia a lui e quando aveva iniziato il parabatai ai film mondani.
«Quello è Fratello Estia» borbottò dopo qualche istante il Nephilim biondo, aguzzando la vista. In effetti con la lunga tunica color pergamena invecchiata, bordata di rune rosso sangue - ed erano del tutto convinti che fosse proprio quello, e non colore - stava uno degli alti e magrissimi Fratelli Silenti. Potevano vederlo perchè era rivolto verso di loro, anche se aveva il cappuccio sollevato ed il viso deturpato dai marchi in ombra.
«Come fai a dirlo, scusa? Potrebbe anche essere l'Inquisitrice Herondale per quanto possiamo vedere da qui -e con quell'antiestetico cappuccio, poi»
Chiese  perplesso Magnus, appoggiandosi con una mano sulla spalla dell'altro per non rovinargli addosso e vedere meglio.
«Però non so chi sia l'altro. Se solo si voltasse...» lo ignorò Jace, aggrottando meditabondo le sopracciglia nell'osservare l'alta figura che dava loro le spalle.
Era un po' più alta dello stesso - fantomatico - Fratello Estia, ma il suo non era una magrezza malsana. Aveva spalle ampie, si potevano notare nonostante il lungo cappotto nero che indossava. Nero come la massa di capelli che ricadeva un po' sopra e un po' dentro il colletto alzato.
Magnus si ritrovò a pensare che i suoi occhi dovessero essere azzurri, anche se non era del tutto sicuro del motivo di quel pensiero. Probabilmente a causa di ricordi di tanti anni prima che non erano mai riusciti ad abbandonarlo del tutto, anche se presto avevano preso la concretezza del sogno. Insomma, in fondo quella volta nè Jace nè Izzy avevano visto...


''Pensate che potreste uscire da lì dietro, o siete intenzionati a disturbare ancora il sonno degli Ashworth con i vostri schiamazzi?''
La voce priva di intonazione risuonò nelle menti di entrambi i ragazzi, cogliendoli alla sprovvista. I due si scambiarono uno sguardo colpevole, sillabando un «beccati», prima di alzarsi con la solita fluida eleganza insita negli Shadowhunters e venire fuori dal loro nascondiglio improvvisato, armati di un identico sorriso saputo su quelle facce da schiaffi di incarnati e tratti diversi.
«Calma, calma, veniamo in pace, augh» fu Jace il primo a parlare, sorridendo amabilmente con l'aria di chi sa di aver fatto una battuta spiritosissima. Probabilmente se il Fratello Silente avesse avuto ancora gli occhi li avrebbe alzati esasperati al cielo.
''Non ne dubito, Jace Lightwood. Ma voi due avete il dono di risvegliare anche i morti, quindi gradirei che faceste quello per cui siete venuti e lasciaste questo luogo. In fretta, intendo.''
«Non preoccuparti Estia, tanto stavo andando»
Fu lo sconosciuto a parlare, questa volta, dando ragione a Jace che sorrise strafottente verso l'amico come a dire ''avevo ragione io, come sempre''.
Ma Magnus aveva perso il sorriso e fissava la schiena di quel tizio come se avesse appena visto un fantasma. Facendo discretamente preoccupare il suo parabatai, tra l'altro.


Il Nephilim moro ignorò la mano di Jace che gli veniva sventolata davanti alla faccia, fissando la figura vestita di nero che aveva appena parlato. E di cui aveva finalmente riconosciuto la voce, anche se non la sentiva da più di otto anni. Era sempre bassa e distante, anche se con una sfumatura malinconica che non riusciva proprio ad essere cacciata via.
Adesso era sicuro che quello non fosse un Cacciatore, per nulla.

''Sei un vampiro?'' uno sguardo perplesso, come se il fatto che la domanda fosse venuta da un bambino non ne giustificasse l'idiozia ''Se fossi un vampiro non potrei stare qui. E' suolo consacrato''

«-omma, Magnus, vuoi scendere da quelle nuvole dove stai prendendo il thè con Raziel e tornare da noi comuni mortali?» la voce del Lightwood si spense per qualche istante, incerta «Beh, anche se non è che possiamo definirci proprio comuni...»
«Infatti, temo che voi Cacciatori tendiate troppo all'egocentrismo galoppante per poter esserlo»
Lo Shadowhunters maggiore battè un paio di volte le palpebre, ritrovandosi a contemplare la buffa scenetta di un Jace che guardava in cagnesco un ragazzo non molto più grande di lui, dal viso chiaro come porcellana e sottili occhi di un azzurro luminoso e cangiante, che lo fissava, per tutta risposta, con sufficienza. Anche se si poteva notare una certa forzatura nella sua espressione, dovuta alla leggera ruga che si era formata all'attaccatura delle sopracciglia. Magnus si chiese se il suo amico se ne fosse accorto.
«Mentre voi Stregoni-» ma non ebbero mai il piacere di sapere le qualità dei Figli di Lilith secondo Jace Lightwood, perchè la voce di Fratello Estia tornò ad infiltrarsi nelle loro menti.
''Magnus Bane tu dovresti avere qualcosa per noi se non vado errato''.
L'interpellato non era del tutto sicuro, ma potè giurare di avere avvertito una nota di impazienza nella voce - ma poi lo era davvero? - del Fratello Silente. Segno che se iniziava a perdere la pazienza anche chi di questa aveva fatto il suo dogma la cosa stava sfuggendo di mano.
Il Cacciatore scosse il capo, per riprendersi, affrettandosi ad infilare una mano all'interno della giacca ed estrarre l'oggetto rettangolare, avvolto malamente in carta da pacchi un po' rovinata, e porgerlo con uno slancio ed un inchino all'ex Shadowhunters davanti a lui.
Poteva sentire gli sbuffi di Jace circa i suoi modi esagerati da cavalier servente dei poveri, ma anche lo sguardo intenso e critico dello stregone, addosso.
Nonostante fosse quella che il suo parabatai amava definire ''una primadonna'' (da che pulpito!, considerato che nemmeno Jace scherzava su quel fronte) si ritrovò a desiderare che l'altro non lo guardasse. Si sentiva stranamente a disagio sotto quegli così vecchi.
Ma, forse, la cosa che gli dava realmente fastidio era che il Nascosto sembrava non averlo riconosciuto. O, anche se lo aveva fatto, non dargli importanza alcuna.
«Hodge dice che c'è solo quello e che non potrà procurarsene altri quindi dovete andarci cauti» riferì le parole del Direttore dell'Istituto a mò di pappagallo, tornando a prendere posto vicino a Jace che si sporse verso di lui a chiedergli se per caso non si trattasse di qualche strana droga per far sballare i Fratelli.
Magnus si incupì, nonostante trovasse oggettivamente divertente la battuta. In un altro momento avrebbe anche risposto per le rime al punto da farsi sbattere fuori a calci dalla Città di Ossa dallo stesso Estia, invece si limitò a pestare un piede al compagno e soffiargli contro di fare silenzio.
Aveva notato come le labbra dello stregone si fossero prodotte nel fremito di un sorriso, origliando l'idiozia del biondo, e la cosa non gli era piaciuta per nulla.


Usciti finalmente dalla Città di Ossa e dal cimitero che la ospitava, Magnus potè prendersi soltanto un attimo per respirare l'aria, satura di smog e gas di scarico di New York, come se si trovassero in campagna e non a ridosso di una strada trafficata. Ma decisamente tutto era meglio che il luogo dove erano stati fino a pochi minuti prima. O almeno era quello che continuava a ciarlare il ragazzo al suo fianco, mulinando le lunghe braccia al punto che avrebbe rischiato di colpirlo più volte se il Bane non fosse stato dotato di riflessi da felino.
«Che ne dici allora, Mag?»
L'interpellato scoccò un'occhiata perplessa all'altro, lasciando poi vagare lo sguardo per il marciapiede.
«Che ne dico cosa?»
«Come cosa? Se vogliamo prendere la metro per tornare all'Istituto. Mi scoccia farmi tutta quella strada a pi-»
Finalmente lo sguardo verde dorato del maggiore sembrò intercettare ciò che stava cercando, zittendo in modo brusco l'amico.
«Senti vai da solo, poi ti raggiungo»
Jace rimase immobile a guardare il proprio parabatai correre dietro ad un lungo cappotto nero, chiedendosi se per caso l'aria della Città di Ossa non facesse male ai neuroni. Non che Magnus potesse vantarne chissà quanti già da principio, in effetti.


«Alec!»
Schivò un paio di mondani che non potevano vederlo, facendo una piroetta su se stesso ed evitando per un pelo di finire sulla bancherella di un venditore abusivo di occhiali da sole. Se non fosse stato impegnato nell'inseguimento di uno stregone fuggiasco avrebbe approfittato per prendere in prestito quei Reyban viola con i brillantini. Erano davvero fighi!
«Alec, aspetta!»
Niente, il Nascosto non lo sentiva. O forse lo stava solo ignorando. Lo guardò voltare verso Central Park come se nulla fosse e dovette ringraziare la sua runa di resistenza per riuscire ancora a stargli dietro. Alla faccia di Jace, tra l'altro.
«...Sommo Stregone di Brooklyn!»
Finalmente il Figlio di Lilith arrestò il suo incidere, fermandosi di botto e rischiando di venire travolto dal Cacciatore che riuscì a frenare in tempo solo per chissà quale miracolo dell'Angelo.
Si voltò con eleganza, le mani nelle tasche del giubbotto e lo sguardo azzurro più cupo a guardarlo tra l'annoiato, lo scocciato ed il diffidente.
«Cosa vuoi, Cacciatore?»
Magnus strizzò un occhio, piegandosi sulle ginocchia per riprendere fiato, ma scoccò comunque un sorriso sornione all'altro.
«Per essere uno che si lamenta dell' ''egocentrismo galoppante'' degli Shadowhunters ne hai della faccia a pretendere che si usi il tuo titolo per chiamarti»
Le sottili sopracciglie scure dello stregone ebbero un fremito mentre l'angolo delle labbra si piegava in una piccola smorfia.
«E tu sei davvero insistente, ed irritante. Ma questo mi pare di avertelo già detto»
''Una vita fa'' si ritrovò a pensare il Cacciatore, guardandolo, tornato a respirare normalmente.
«Hai detto anche che ci saremo rivisti»
Ribattè, piccato. Il Nascosto scrollò le spalle, con fare annoiato.
«Infatti ci stiamo vedendo - per mia sfortuna, devo dire...»
«Sono passatti otto anni
La precisazione sembrò rilassare l'espressione dell'altro, anche se il suo sguardo sembrò farsi più distante. Guardava Magnus, ma al contempo non lo vedeva davvero.
Il Cacciatore si chiese a cosa stesse pensando.
«Possono essere un battito di ciglia, per chi è immortale, giovane Cacciatore»
Il ragazzo arricciò infastidito il naso, in quella smorfia infantile che, come tanti anni prima, riuscì a far spuntare un piccolo sorriso su quelle labbra pallide.
«Magnus»
«Hm?»
Il Nephilim si avvicinò di qualche passo, abbastanza per poter guardare l'altro negli occhi, faccia a faccia. Erano quasi alti uguali.
«Il  mio nome è Magnus, non ''Cacciatore''. Dovresti capire una differenza così elementare, mister ''otto anni sono una cacca di mosca per un figo che non può morire''»
Alec inarcò un sopracciglio, ma non sembrò scomporsi più di tanto.
«Non ho mai detto che non posso morire»
«Aaaah! Tu sei davvero la persona più irritante che io conosca. E sono il parabatai di Jace, per l'Angelo!»
Lo stregone battè le palpebre, sorpreso, a quello scoppio di... in realtà non sapeva definirla. Non era ira. Forse esasperazione.
Chinò appena il capo di lato, e una ciocca di capelli nerissimi finì a coprire l'occhio destro. Magnus sentì l'istinto di allungare una mano per scostargliela, ma si trattenne. Era adorabile, mannaggia a lui!
«A proposito del tuo amico... ha la lingua troppo lunga. Un giorno qualcuno potrebbe tagliargliela.»
Il Cacciatore sbuffò, indietreggiando «Grazie per il consiglio. Ma a dire il vero sono anni che aspettiamo che qualcuno lo faccia.»
Non sapeva perchè, ma il fatto che Alec parlasse di Jace lo irritava.
«Potrei offrirmi volontario. Ma un'altra volta, adesso devo proprio andare. Sai, ''il sommo stregone di Brooklyn'' ha del lavoro da sbrigare, non bighellona in giro tutto il giorno»
«Ehi! Noi non-»
Iniziò, infervorato, il Cacciatore. Ma la risata dello stregone lo spiazzò, facendo morire la protesta e portandolo a guardarlo sorpreso ed affascinato. Alec rivelava una timidezza inadeguata al suo ruolo, quando rideva. Teneva il capo chino e copriva le labbra con una mano, con discrezione, come se non volesse essere notato.
Bellissimo.
Magnus sospirò, sentendo la risata spegnersi, rammaricato di non poter sentire oltre quel suono. Guardò il Figlio di Lilith voltarsi e muovere qualche passo e non riuscì a trattenersi.
«Ehi, Alec!»
Lo stregone voltò appena il viso da sopra la spalla. L'occhio che mostrava brillò di un azzurro intenso, curioso.
«Ci rivedremo, vero? E questa volta non passeranno otto anni.»
«E' una richiesta di appuntamento, Ca-... Magnus
Il Nephilim sorrise, furbo, socchiudendo quegli occhi da gatto.
«Lo stai dicendo tu. Ci vediamo questo venerdì, vedi di non mancare»


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»Angolino di Red«


Non ho proprio potuto resistere, i'm sorry. E poi c'è qualcuno che mi ha quasi costretto a scrivere questo seguito e non ho potuto dire di no.
Sì, per chi se lo sta chiedendo, quel ''ci vediamo venerdì'' è un riferimento a COB. M-ahw.
Mi è sorto un dubbio, però, scrivendo. E quindi chiedo consiglio a voi, che state seguendo questa raccolta (che ha preso sempre più i connotati del Malec, non posso farci niente). Dovrei fare qualcosa a parte per quanto riguarda Shadowhunter!Magnus e Warlock!Alec o continuare qui? Si accettano suggerimenti.
Intanto un ringraziamento e un cioccolatino a tutti(?).
See ya!

Red.

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Capitolo 7
*** Over the piano was printed a notice: ''Please do not shoot the pianist. He does his best.'' ***


Il cinismo è semplicemente l'arte di vedere le cose come sono,
non quali dovrebbero essere.
De Profundis - Oscar Wilde


Over the piano was printed a notice:
''Please do not shoot the pianist. He does his best.''




Avevano pregato Jace così tanto e così a lungo - soprattutto Clary - che alla fine non aveva potuto che accettare. Per sfinimento, e forse anche un po' per esasperazione, contando che Isabelle era persino arrivata a minacciarlo di bruciargli tutti i vestiti e farlo vestire come Simon, Simon insomma!, fino alla fine della sua miserevole esistenza; il Diurno gli aveva anche sorriso, facendogli l'occhiolino, e allora aveva alzato le mani e dato la sua resa incondizionata.
«Ma prova a fare una cosa del genere, Izzy, e ti faccio andare in giro come Clary» era stata la minaccia del biondo Cacciatore, così seria da essere seguita da un ''ehi!'' indignato della sua ragazza ed un calcio mirato negli stinchi che gli aveva quasi fatto vedere Raziel e la schiera angelica tutta.


Onestamente Magnus non spasimava per la voglia di assistere allo spettacolino del Nephilim montato - come se non lo fossero tutti, tra l'altro, ma lui lo era giusto un po' di più - ma agli occhioni da cucciolo di Alec non sapeva proprio resistere; non che il Cacciatore si accorgesse di assumere quella particolare espressione lì, ovviamente. Avrebbe scommesso la sua migliore maglia di Gucci che il giovane Lightwood l'avrebbe guardato storto ed esordito con un ben noto ''chi?'' se solo gli avesse fatto presente come sembrasse assomigliare al Gatto con gli Stivali di Shreck.
Ad ogni modo non era riuscito a dirgli di no nemmeno quella volta, malgrado non avesse mancato di sottolineare con sbuffi e mugugni vari come la cosa poco gli andasse a genio.
E proprio non era riuscito a resistere, poi, quando per un buffo scherzo del destino era rimasto da solo in quella stanza...


«...sei stato tu, vero?»
Lo stregone sorrise placidamente, stiracchiandosi come un gatto sulla poltrona in pelle che aveva occupato, in viso quell'espressione di finta innocenza che lasciava sempre indeciso Alec su quale fosse la scelta migliore tra il prenderlo a schiaffi o baciarlo.
«Reputo la mancanza di talento un'offesa imperdonabile, ciccino. Soprattutto se accompagnata da un ego gonfio come una mongolfiera e la curiosa convinzione di essere bravi anche alle orecchie altrui»
Il Cacciatore dagli occhi azzurri si trattenne seriamente dallo scoppiare al ridere, scoccando un'occhiata all'altro lato della stanza, dove un Jace con il muso e le braccia ostinatamente incrociate al petto dava le spalle al pianoforte che avrebbe dovuto suonare e su cui faceva ancora bella mostra di sè il galeotto bigliettino che aveva rovinato l'esibizione sul nascere, offendendo a morte il pianista.
A nulla sembravano valere le parole di Clary, Izzy e Maryse, che facevano campanello attorno al povero musicista. Mentre era del tutto certo che Simon stesse sghignazzando nell'angolino in cui era rintanato, cercando di non farsi notare dalla sua bella.
«Ma Jace è bravo davvero...» riuscì a recuperare un minimo di serietà per ricordarsi di dover difendere il suo parabatai ed ignorare il nomignolo melenso del proprio fidanzato.
Il Figlio di Lilith fece spallucce, avvolgendo la vita del Cacciatore con un braccio e approfittando della sua posizione, seduto sul bracciolo della poltrona, per appoggiare con tranquillità la fronte contro il suo fianco. Rilassato, ma ugualmente ghignante. E con quella particolare luce negli occhi felini che aveva stregato Alec, sin dalla prima volta.
«La bravura alle volte non è abbastanza. Piuttosto... che ne dici di andare a mangiare un boccone? Ahimè, temo che lo spettacolo sia sfortunatamente saltato

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Capitolo 8
*** The world is divided into two classes, those who believe the incredible, and those who do the improbable. ***


Note di inizio capitolo: per San Valentino. Chiaramente in ritardo, ma se così non fosse non sarebbe opera mia e io non sarei contenta. Però, ehi, sempre meglio tardi che mai. A metà capitolo circa c'è uno spoiler per chi segue Glee in italiano, riguardo la quinta stagione uscita solo in inglese. Non me ne vogliano le fan, ma ce lo vedo proprio Magnus a guardarlo.
Come al solito personaggi e ambientazione non sono miei, ma della Clare, e la citazione ed il titolo sono di Oscar Wilde. Mia è solo la follia di un futuro roseo post COHF. Anh.
Buona lettura,
Red.





Esser innamorati è romanticissimo,
ma non c'è nulla di romantico in una proposta di matrimonio.
C'è persino il rischio d'essere accettati!
L'importanza di chiamarsi Ernesto - Oscar Wilde




The world is divided into two classes, those who believe the incredible,
and those who do the improbable.








Sia chiara una cosa.
Ad Alexander Gideon Lightwood non interessavano, ne tantomeno piacevano, le stupide usanze mondane. C'era qualcosa di incredibilmente sciocco in ogni loro credenza, qualcosa che avrebbe fatto alzare gli occhi al cielo e sbuffare un uomo con un minimo di materia grigia all'interno della scatola cranica - e il fatto che nemmeno a Jace piacessero granchè dimostrava come ci fosse speranza per tutti.
Ma, ecco.
Clary aveva fatto tanto parlare di quella particolare festa lì, in quelle settimane, che alla fine non aveva potuto che ascoltare del tutto casualmente i discorsi concitati con Isabelle tra un allenamento e l'altro. Quando si rendeva conto che le due ragazze potevano essere lì lì per accorgersi di essere spiate esordiva con rimproveri circa il fatto che la palestra non fosse un covo di vampiri - ed, onestamente, non aveva capito come mai la Fairchild fosse scoppiata a ridere blaterando di come il Diurno si sarebbe potuto ritenere offeso se avesse assistito ad un'uscita del genere.
Si era chiesto, però, perchè mai le due ragazze sospirassero al pensiero di dove le avrebbero portate i loro compagni e quando avevano iniziato a parlare di depilazione ed altra roba del genere aveva saggiamente deciso di smettere di ascoltare e ritornare a scoccare frecce nei bersagli mobili che una volta Clary aveva dipinto in modo che assomigliassero a figure cartonate di demoni con stupidi baffoni e sombreri.


Il pomeriggio stesso, però, non era riuscito a trattenersi dal prendere da parte il suo parabatai, approfittando di una visita in Armeria per dare una lucidata alle loro lame angeliche.
«Uhm... cos'hai in programma per venerdì prossimo?» chiese, sperando con tutto il cuore che la domanda sembrasse del tutto casuale. Chiacchere da armeria, insomma.
Jace che era impegnato a strofinare uno dei suoi pugnali con tanto di quel vigore che si sarebbe detto l'avrebbe voluto usare come specchio, cosa tra l'altro molto probabile conoscendo il tipo, alzò perplesso lo sguardo dorato sul fratello.
«Se è un tentativo di richiesta di appuntamento, sappi che ad oggi è considerato il peggior metodo di rimorchio dagli ultimi due secoli a questa parte»
Alec inarcò un sopracciglio, perplesso.
«Chi sarebbe a dirlo?»
L'altro sfoggiò un sorriso smagliante, sollevando la lama linda davanti al viso per specchiarvisici, come previsto. «Io, ovviamente.»
Il Lightwood sbuffò, fra l'innervosito ed il rassegnato, battendo con non molto garbo la mano che reggeva la pezzuola sul tavolo e facendo sobbalzare il biondo che gli rivolse una smorfia indignata.
«Alec, per l'Angelo, avrei potuto tagliarmi!»
Il parabatai lo ignorò, arcuando le sopracciglia e piegandosi leggermente in avanti, lo sguardo cupo dall'azzurro più scuro di quel che di solito mostrava.
«Smettila di fare l'idiota o un misero taglietto non sarà niente a confronto...»
«Ok, ok. Cavolo, stai diventando così minaccioso» lo prese in giro l'altro, fingendo un brivido di paura. «Saresti un perfetto Inquisitore. Anche se ti manca la faccia da-»
«Jace!»
Alec si passò una mano sul viso, esasperato. Certe volte avere una normale discussione con lui era un'impresa quasi più difficile che il far fuori qualche Demone Superiore.
«Puoi essere serio per soli cinque minuti nella tua bieca esistenza e rispondere alla mia domanda?»
Il Nephilim arricciò il naso, ripetendo in un borbottio ''bieca esistenza'', prima di decidersi a posare l'arma nel suo fodero e incrociare le braccia al petto.
«Porto fuori a cena Clary. Sai, un ristorantino romantico, una passeggiata al chiaro di luna, rose... cose così. Pare che le ragazze lo apprezino molto, a San Valentino.»
Notando la perplessità sul viso del suo parabatai accennò ad un sorrisetto.
«Perchè tu sai che cos'è San Valentino, vero?»
All'insinuazione Alec assunse un'intensa sfumatura rosata sulle guance, come sempre quando qualcuno - il più delle volte Jace - lo accusava implicitamente o meno di non sapere qualcosa.
«C-certo che lo so, che domande! Clarissa non fa che parlarne con Izzy da giorni, distraendosi dagli allenamenti tra l'altro.»
Jace fece spallucce, scuotendo il capo con aria rassegnata.
«E' il giorno degli innamorati, secondo i mondani. Lasciami dire che a parer mio è una cavolata grande quasi quanto il Saint Patrick's Day. Ma almeno lì c'è la birra e i folletti sanno essere parecchio divertenti e-»
Il Cacciatore moro prese ad ignorarlo, consapevole che una volta che Jace ''prendeva la tangenziale'', per dirla alla Simon, sarebbe stato alquanto difficile riportarlo sulla via di una discussione con un senso logico.
San Valentino, la festa degli innamorati, dunque. Ecco perchè erano tutte così ansiose. Uhm...


Magnus sorrideva, intento a spiluccare popcorn dal grosso contenitore di cartone trafugato al BAM Rose della trentesima. I suoi occhi da gatto erano incollati al televisore e sembrava del tutto deciso a non perdersi una singola battuta del telefilm che stava seguendo.
«Oh, stupido Kurt! Non puoi lasciarlo davvero!»
Alec al suo fianco si strinse ad uno dei cuscini oscenamente colorati che facevano parte dell'arredamento di quella settimana; il suo ragazzo si era dato all'hippie anni settanta a quanto pareva. Era tutto pieno di perline, scacciasogni, simboli della pace ed un tripudio di colori capaci di far incrociare gli occhi.
Certe volte aveva il lancinante dubbio di essere fidanzato alla reincarnazione di una adoloscente mondana dai gusti decisamente discutibili.
«Magnus... tanto tornano insieme.» gli fece presente, ficcandosi in bocca una manciata di popcorn senza il minimo cenno di garbo. Per questo non riuscì ad afferrare se l'occhiata di sdegno che gli rivolse lo stregone fosse stata dovuta alle sue parole o alla totale maleducazione mostrata.
«Non è questo il punto, fiorellino!»
Il Cacciatore glissò sul terribile nomignolo, leccandosi distrattamente le dita della mano sinistra. «Ah no?»
Gli occhi del Nascosto ebbero un guizzo, lo sguardo che andava dalla bocca dell'altro ragazzo alla sua mano. Per un attimo sembrò che avesse del tutto scollegato il cervello, ma si riprese infretta. «No! Kurt non doveva lasciare in nessun modo il povero Bla-»
Ma le parole dello stregone si mozzarono, notando lo sguardo del suo ragazzo. Nonostante ormai fossero tornati insieme da più di un anno, dopo il ''fattaccio'' come avevano finito per chiamarlo tutti, e la pace fosse tornata con la dipartita - definitiva - di Sebastian, il giovane Lightwood continuava a soffrire per quella separazione.
Si rese conto di essere stato enormemente indelicato e se ne dispiacque, tanto da schioccare le dita e spegnere la televisione con un tripudio di scintille azzurre.
«Amore... Alexander. Mi dispiace.» mormorò, spostando il contenitore ormai vuoto dei popcorn sul pavimento per poter stringere fra le braccia il Cacciatore che si limitò a nascondere il viso contro l'incavo del suo collo.
Alec socchiuse gli occhi respirando affondo l'odore del Nascosto; un mix conosciuto ed adorato di sandalo e il profumo caramellato della magia.
«Lo so. Tranquillo. Ormai è tutto passato, no?»
Il Figlio di Lilith sospirò, premendo le labbra contro il suo capo ed accarezzandogli la schiena. «Già. E' tutto passato.»
Il ragazzo sforzò un sorriso, sollevando il viso dal suo cantuccio per premere le labbra contro quelle socchiuse dell'altro ragazzo. Amava il suo sapore, ma amava tutto di lui. Nonostante quello che si erano fatti entrambi.
Mentre faceva passare le mani fra i capelli cosparsi di glitter dello stregone, impegnato nel farlo stendere sul divano e liberarlo al contempo della maglia slabbrata senza l'ausilio della magia - proprio come piaceva a lui -, fu colto da un pensiero.
Chissà se Magnus conosceva San Valentino, e se l'aveva mai festeggiato con uno dei suoi precedenti amanti. E chissà, chissà se l'avrebbe fatto anche con lui...
«Mhh, Alec...»
Ma le domande dovevano, decisamente, essere messe in stand by al momento.


Alec si sentiva nervoso e non sapeva nemmeno perchè. In quei giorni aveva provato ad accennare della festività al suo ragazzo, ma quello trovava sempre un modo per svicolare dalla domanda e alla fine si era rassegnato all'idea che Magnus non volesse proprio sentir parlare di San Valentino.
Eppure era strano, insomma... lo stregone era conosciuto per il suo fetish circa il mondo dei mondani e i loro usi e costumi.
Ma forse non voleva festeggiare con lui un giorno del genere. Forse lo trovava ridicolo, da ragazzine. Non lo avrebbe biasimato, perchè alla vista di tutti quei cuori e quel rosa anche a lui era venuta una nausea pari solo a quella provata nell'assaggiare la cucina di Izzy.
Non per questo, però, il suo umore era meno tempestoso.
Aveva detto qualcosa di molto poco carino riguardo le magliette di Simon e i posti dove avrebbe potuto infilarsele, quando questo era arrivato tutto sorridente proponendogli di indossarne una con la scritta ''Non sono musone. Il mio è solo un sorriso al contrario''.
Eppure lo stregone era lo stesso di sempre, lo chiamava con i suoi nomignoli da coppietta improponibili e tutto il resto di sempre.


Arrivato al fatidico quattordici febbraio il Cacciatore dagli occhi azzurri si chiese se valesse la pena mandare quantomeno un messaggio di auguri al suo ragazzo.
Rimase a contemplare in silenzio per svariati minuti il display del suo cellulare, aperto sulle bozze dei messaggi, fissando con astio la stanghetta che si illuminava ad intermittenza contro lo sfondo azzurrino come a prenderlo in giro per la sua indecisione ed invitarlo a buttare giù qualche lettera.
Era solo all'Istituto; Clary e Jace erano andati via l'ora prima e Isabelle non si vedeva da tutta la mattina. Maryse era fuori per chissà quale diavoleria del Conclave e l'unico rimasto era Church appallottolato da qualche parte in biblioteca.
«Gran bel San Valentino, Alexander Lightwood...» borbottò tetro, quasi del tutto deciso  a buttare il cellulare di lato e prendere a testate il muro per vedere se serviva a farlo rinsavire; adesso parlava anche da solo come Jace!
Ma lo schermo che si illuminava lo fece sobbalzare, affrettandosi a prendere lo stupido aggeggio fra le mani e quasi cadere dal letto per la foga.
Era un messaggio di Magnus. ''Tra mezz'ora alla metropolitana. Il posto lo conosci.''
Alec inghiottì a vuoto, lasciando cadere il cellulare sul cuscino, frastornato. E questo cosa significava? Certo che conosceva perfettamente quel posto. Era stato il luogo che aveva popolato i suoi incubi per mesi, dopo che si  erano lasciati.
Che Magnus, alla fine, avesse deciso che non valeva la pena stare con un piccolo, patetico, ansioso mortale come lui?
Si fece coraggio, indossando una felpa che un tempo doveva essere stata nera ma ora era grigia sopra i pantaloni della tuta; se doveva essere lasciato di nuovo non valeva certo la pena farsi bello.


Quando scese l'ultimo scalino delle scale mobili - inaspettatamente guaste, come recitava un cartello al loro inizio - Alec non sapeva proprio cosa aspettarsi.
Non certo il suono della chitarra e del basso, insieme alla batteria a rimbombare in una galleria inaspettatamente silenziosa; avrebbero dovuto esserci lo sferragliare dei vagoni sulla ferrovia e il chiacchericcio dei pendolari, quantomeno, no?
Rimase perciò immobile, mentre un sorridente Magnus avanzava verso di lui con passo sicuro, la band di Simon alle sue spalle con il suddetto vampiro che gli faceva l'occhiolino prima di continuare a suonare quella che doveva essere una canzone romantica, suppose.
Ma non poteva davvero essere interessato alla canzone, nè a Jace, Clary, Izzy, Jordan, Maia e tutti gli altri che si trovavano lì, radunati a campanello, tenendo fra le mani una candela per coppia. C'erano anche Jocelyn e Luke, la prima con il suo pancione ormai piuttosto evidente abbracciata al marito con un sorriso radioso.
Il suo sguardo era tutto per il giovane uomo che aveva i capelli nerissimi liberi dal gel e dai glitter, per una volta, legati in un elegante codino basso ed uno smoking vinaccia che gli rendeva decisamente giustizia, sottolineando il verde dorato dei suoi occhi da gatto come non riusciva a fare da sola la matita nera e l'ombretto leggero su tono col vestito.
«Ma-magnus...» riuscì soltanto a balbettare, incerto, il Cacciatore. Non riusciva a muoversi o pensare correttamente.
«E' il mio nome» sorrise, affascinante, il suo ragazzo. Gli si fermò davanti, ricambiando lo sguardo allucinato dell'altro con uno sottilmente divertito. «Beh?»
«Come ''beh''? Per l'Angelo... cosa... cosa vuol dire tutto questo?»
E fece un cenno ad indicare tutto quanto. Adesso gli sovveniva il dubbio che fosse stato gettato un incantesimo per allontanare i mondani e non far passare la metropolitana.
Lo stregone scosse il capo, fingendosi dispiaciuto «Tsè tsè tsè... pensavo fossi più perspicace, piccolo Nephilim»
All'occhiataccia del suo fidanzato sorrise, decidendosi a prendergli la mano sinistra fra le sue ed inginocchiarsi davanti a lui. Qualcuno trattenne il respiro, e si udì un distinto ''bleah'' seguito da un ''ouch'' provenire dalle parti di Jace e Clary.
«Considerato che in questo posto ho forse fatto l'azione più stupida dei miei ottocento anni di vita, pensavo che fosse anche il luogo perfetto per rimediare ad ogni mio errore. Alexander Gideon Lightwood... vuoi diventare mio marito?»
Sembrò quasi che il Cacciatore dovesse svenire, le gambe tremanti e il respiro affannato. Aveva lo sguardo azzurro più chiaro di quanto lo avesse mai avuto in tutta la sua vita, e le guance rosee.
Impiegò qualche istante, ma poi si limitò ad annuire, imbambolato.
«Sì... credo... lo voglio» balbettò, imbarazzato, socchiudendo poi gli occhi allo scrociare di applausi che accompagnò il sollevarsi dello stregone e l'abbraccio che ne seguì, insieme al bacio.
«...cavolo. Non pensavo avresti detto seriamente di sì» commentò il Nascosto, scostandosi dalle sue labbra. Qualcuno sbuffò una risata, Izzy scosse il capo e Jocelyn si soffiò rumorosamente il naso. Alec, per tutta risposta, sgranò appena gli occhi lucidi e fece per piantargli una gomitata in pieno stomaco.
«Ehi, ehi, fiorellino, scherzavo... quanto sei permaloso.» scosse il capo lo stregone, stringendo più forte l'abbraccio con cui circondava il busto del suo fidanzato. Pardon. Futuro marito. Ignorando i fischi e i ''prendetevi una stanza!'' di Simon, gli accarezzò il viso con delicatezza, premendo gentilmente di nuovo le labbra sulle sue.
«Aku cinta kamu, Alexander. E questo, questa volta, cambia tutto»



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Capitolo 9
*** The truth is rarely pure and never simple. ***


Credo che nella vita pratica
si possa ottenere un vero successo,
purché sia senza scrupoli;
l'ambizione è sempre priva di scrupoli.
Aforismi - Oscar Wilde




The truth is rarely pure and never simple.




Il sole che moriva sulle acque dell'East River era sempre uno spettacolo malinconico ed affascinante al contempo. Gettava luci aranciate coprendo il malsano verde dell'inquinamento e rendeva sfumate le navi in lontananza, simili ad un sogno o a qualche opera di artisti che non riusciva mai a ricordare. E il Brooklyn Bridge che lo attraversava, collegando i due grandi quartieri di New York, dava l'aria di essere un qualche passaggio di libri da favola. A lui in realtà non era mai piaciuto granchè e lo aveva anche detto, al tempo, al caro John*; ma chissà perchè i suoi consigli venivano spesso ignorati e, nonostante tutto, quel mostro d'acciaio era rimasto nella storia della città come solo le cose maestose potevano fare malgrado quello che a tutti gli effetti era stato suo padre non era mai riuscito a vederlo completato. Buffo come sapeva essere alle volte tanto ironicamente tragico il destino.
Ad ogni modo, non avrebbe dovuto stupirsene più di tanto, così come non avrebbe dovuto permettersi di farsi colpire dalla vista di Camille dopo tutti quei secoli.
Non che provasse ancora qualcosa per la vampira, e in questo era stato piuttosto chiaro durante il loro colloquio, ma era anche lei parte del suo passato. E l'aveva a lungo amata, o forse solo creduto di farlo, al punto da arrivare ad essere alla stregua di un cagnolino per lei.
A ripensarci, adesso si disprezzava da solo per i livelli che era riuscito a raggiungere pur di avere un briciolo dell'affetto della francese. Camille forse amava, forse no, ma di certo non aveva provato nulla di simile per lui ed era stato così stupido, nonostante i numerosi anni sulle spalle, da credere che la cosa potesse in qualche modo essere diversa. Nessuno che ti ami davvero ti chiederebbe mai di sopportare il tradimento in nome di una libertà del tutto egoistica.
E il fatto che fosse ritornata nella sua vita, ora, non gli giovava affatto.
Sospirò, lanciando distrattamente un sassolino di piatto con un gesto secco del polso, guardandolo poi affondare miseramente nell'acqua torbida; avrebbe potuto utilizzare la magia per farlo rimbalzare all'infinito, ma non sarebbe stata la stessa cosa.
La magia non può tutto, aveva detto una volta ad una cara amica. E questo lo credeva ancora, anche se di tanto in tanto faceva finta che non fosse così.
«Hechicero**»
Il richiamo avrebbe dovuto farlo sobbalzare, probabilmente, ma servì soltanto ad irrigidire la postura e raddrizzare le spalle. Non poteva dire di conoscere alla perfezione quella voce, ma l'aveva udita abbastanza da poter ricondurre la sfumatura sprezzante nello spagnolo utilizzato.
«Hola, Santiago» ricambiò, piegando le labbra in un lieve sogghigno.
Il ragazzino che era apparso come un ombra alle sue spalle inarcò un sopracciglio sottile, stringendo le mani in lievi pugni lungo i fianchi. Gli stregoni non gli andavano a genio e men che mai lui.
«Ti credi divertente, Figlio di Lilith?» si informò, socchiudendo gli occhi scuri. Il sole ormai era sparito oltre le acque dell'East, mandando ultimi tremuli bagliori alle spalle del ponte. Non rischiava più di ridursi ad un mucchietto di cenere, per questo probabilmente era uscito allo scoperto solo adesso.
Magnus scrollò le spalle, voltandosi di tre quarti per poter osservare il vampiro e, soprattutto, averlo sempre nella sua visuale. A viverci per tanto tempo impari a non fidarti mai completamente di quegli immortali.
«Sai» ignorò volutamente la domanda, tamburellandosi indice e medio della mancina contro le labbra «Mi chiedo se il vampirismo implichi l'impossibilità di pronunciare i nomi della gente. O se quella è solo una tua prerogativa per fare il figo» aggiunse, schioccando le dita come colto da un'illuminazione improvvisa.
L'espressione sul viso del Figlio della Notte si fece per qualche istante perplessa.
«Figo...? Inizio a pensare che tu stia passando troppo tempo con il Diurno»
«Ah-ah!» esclamò il più grande, puntandogli l'indice contro «L'hai fatto di nuovo»
Le sopracciglia del vampiro raggiunsero quasi l'attaccatura dei capelli.
«Fatto cosa, di preciso?»
Lo stregone sventolò una mano vicino al viso, con un'espressione d'ovvietà dipinta sopra.
«Hai chiamato Samuel ''Diurno''»
«Non credo si chiami Samuel... ad ogni modo taci, una buona volta. Mi dios, se non fosse impossibile giurerei che mi stia venendo un'emicrania» sbottò il vampiro, massaggiandosi nervosamente le tempie. Con quei riccioli scuri e i tratti ancora infantili, acerbi come quelli di un bambino, era bellissimo e tremendo al contempo. Di certo non l'avresti scambiato per il capo del clan dei vampiri di New York.
Cosa che, si ritrovò a pensare Magnus, effettivamente non era del tutto esatta.
«Non sono venuto qui per farmi insultare da te, stregone»
«In effetti direi che il mio è più un elegante e indubbiamente esilarante modo di prenderti per il fondoschiena. Cosa che, ci tengo a precisare, non farei alla lettera. Non sei il mio tipo... troppo shota***»
Un sibilo sferzò l'aria e lo stregone non si sorprese più di tanto nel notare che provenisse dal Figlio della Notte. Un reticolo di vene era affiorato attorno agli occhi, che mandavano bagliori rossastri ed i canini erano scesi dalle loro guaine, affilati come coltelli e candidi come neve contro le labbra pallide.
«Non sfidare ancora la mia pazienza, Magnus Bane. Dicono che il sangue di stregone sia un eccellente ricostituente.»
L'interpellato alzò le mani al petto con i palmi rivolti verso l'altro, come ad arrendersi «Non ti scaldare, tesoro... Suppongo che tu non sia venuto fin qui solo per ammirare lo stupendo panorama»
Se il vampiro colse l'ironia ed il sarcasmo nella voce vellutata del suo interlocutore, fu abbastanza bravo da non farlo notare. Scrollò il capo, rilassandosi, avvertendo i canini ritornare semplici denti umani.
«Suppongo tu sappia perfettamente perchè mi trovi qui.»
Magnus lo fissò per qualche secondo, come riflettendoci su, poi sbatacchiò un paio di volte le palpebre spargendo glitter dorati in un'espressione forse rassegnata.
«Camille Belcourt»
Il Nascosto più giovane sembrò farsi pallido all'udire quel nome, ma una smorfia si dipinse sul suo volto da eterno fanciullo come se lo stregone avesse appena bestemmiato nel modo più indecente possibile.
«I Nephilim hanno negoziato con lei -non che potessi aspettarmi altro da loro- e non intendono consegnarmela.»
Il Figlio di Lilith inarcò un sopracciglio, perplesso «Ed io in che modo c'entrerei?»
La frenesia che si dipinse sul viso del vampiro lo stupì e preoccupò al contempo. Sembrava animato dallo stesso istinto della caccia, ma era qualcosa di più intenso anche se altrettanto legato alla sopravvivenza.
«Tu eri il suo amante, stregone. Ed ora sei l'amante di uno dei Cacciatori. Sono certo che se chiedessi al tuo piccolo umano un favore lui non esiterebbe un istante a concedertelo»
I bei tratti dello stregone si distorsero in una smorfia disgustata, a quelle parole. Non che si aspettasse a sua volta di meno, da un vampiro. Ma era arrivato a supporre che quell'immortale fosse meglio di tanti altri che aveva conosciuto, se pur a modo suo. Eppure qualcosa non quadrava. Poteva avvertire che quelle parole non fossero del tutto ponderate ma dettate da un sentimento che anche lui aveva provato per tutti quegli anni, benchè per motivi diversi.
«Il fatto che tu abbia paura di Camille, Raphael, non è una motivazione abbastanza valida affinché io ti dia il mio aiuto. E, per inciso, Alexander non farebbe mai tutto quello che gli chiedo solo perchè sono io... hai detto bene, è un Cacciatore. Non uno sciocco.»
Le spalle dello spagnolo ebbero un fremito. Per un istante sembrò solo il ragazzino smagrito che suggeriva il suo aspetto. «Io non ho... non ho paura di lei.»
Le labbra di Magnus si piegarono in un sorrisetto indulgente «In questo caso non comprendo il perchè tu ti ostini tanto a volere che te la consegnino. Se non la temi a che pro farlo? Lasciala ai Nephilim»
Raphael scosse il capo, stringendo più forte le dita esili in pugni ed incidendo la carne dei palmi con le unghie. Ma non avvertì dolore, nè si accorse del sangue che colava sulla pelle rendendola scarlatta - non suo, ovviamente, ma del suo ultimo pasto.
«Tu non capisci, Magnus Bane... eppure dovresti. La conosci meglio di me. Sai perchè è tornata.»
Lo stregone assottigliò lo sguardo, sospirando. La sua espressione era seria.
«Camille non lavora da sola, Raphael. E' tutto ciò che posso dirti. Se vuoi mantenere il controllo sul tuo clan... beh. Inizia a non mostrarti un pipistrellino smarrito e privo di senno.»
«Uccellino» lo corresse automaticamente l'altro, guardandolo da oltre la coltre di riccioli scuri. Era tornato ad essere il solito vampiro dalla faccia di bronzo, un sorrisetto sulle labbra arrossate dai canini.
Magnus sbuffò, flettendo le dita della mano destra come a dire ''quello che è'', mentre lo guardava dargli le spalle e incamminarsi verso una lucida harley ad energia demoniaca con cui doveva essere arrivato, suppose.
«E... fossi in te, stregone... starei attento a Camille. In fondo i Nephilim, anche se si dicono figli di un Angelo, rimangono comunque esseri umani.»
Magnus non ebbe il tempo di chiedergli cosa volesse dire. Si ritrovò a guardare la motocicletta sparire con un rombo nel cielo scuro di Brooklyn, seguendola con lo sguardo fino a che non sparì dalla sua visuale.
Poi fece spallucce «Beh, hasta la vista anche a te»



______________________________________



»Angolino di Red«


*Si tratta ovviamente dell'ingengere John Augustus Roebling, noto per la progettazione di ponti sospesi, in particolare quello di Brooklyn. John morì prima che il ponte venisse costruito, a causa di un incidente con un traghetto che gli schiacciò un piede mentre si trovava su un molo per lavorare al posizionamento del ponte. Morì a causa del tetano qualche settimana dopo, per non aver voluto altri trattamenti medici.
**Stregone, in spagnolo.
***Termine giapponese che descrive l'attrazione, quasi sempre intesa come sessuale oltre che in senso affettivo, nei confronti dei ragazzini prepuberi o appena puberi.


Il nostro Magnus ha vissuto e visto tanto, perciò perchè non avrebbe dovuto esserci durante la costruzione del ponte e aver conosciuto lo sfortunato ingegnere? Licenza poetica se vogliamo, ma perchè no. L' OS si colloca più o meno dopo il colloquio di Magnus con Camille in COFA. Ovviamente una what if...? E' la prima volta che mi cimento con Raphael quindi non sono del tutto sicura di come sia venuto; ammetto che è un personaggio che mi intriga ma non riesco a rendere come vorrei.
Detto questo ringrazio chi continua a seguirmi e Class of 13, dolcemary, ehisichiamaciuffa e paprikokka902 che hanno commentato lo scorso capitolo. Per rispondere un po' a tutte: sì, lo so... la Clare non ci fa ben sperare. Non ci fa sperare proprio per nulla, se consideriamo le anticipazioni. Ma è una donna crudele, e si è visto. Però noi possiamo sognare un finale diverso e felice per fortuna. Che di morte e dolore ne abbiamo abbastanza. Forse il posto scelto da Magnus non era il migliore per una dichiarazione ma... beh. Aveva il suo significato dietro.
Anyway, che dirvi? Al prossimo capitolo!

Red

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Capitolo 10
*** Even you are not rich enough, to buy back your past. ***


In questo mondo non vi sono che due tragedie:
una è causata dal non ottenere ciò che si desidera,
l'altra dall'ottenerlo. Quest'ultima è la peggiore,
la vera tragedia.
Il ventaglio di Lady Windermere - Oscar Wilde



Even you are not rich enough, to buy back your past.




«C'è qualcosa che rimpiangi, Magnus?»
Lo stregone interruppe la carezza lungo la schiena nuda, solcata di cicatrici leggere come merletti ma concrete e leggermente ruvide sotto i polpastrelli, per poter guardare negli occhi il ragazzo disteso al suo fianco.
Era incredibilmente bello il suo Cacciatore, soprattutto dopo aver fatto l'amore; i suoi occhi azzurri erano accesi di quella particolare luce che non li sfiorava nemmeno nella caccia, la sua espressione era rilassata e le difese basse. Aveva i capelli corvini scarmigliati, e qualche brillantino era rimasto impigliato fra le ciocche scure dandogli un'aria buffa; ma i suoi occhi erano incredibilmente seri, solo in parte velati ancora dal languore del sesso. Era una delle rare volte in cui provava l'impulso di maledire la runa della resistenza che gli ornava la spalla sinistra e che fino a quel momento aveva seguito, ritracciandola con lievi carezze.
Nel silenzio della loro camera si poteva udire solo il respiro profondo del Nephilim, il fruscio delle lenzuola di seta color lavanda che si stropicciavano ad ogni movimento e il rombo dei motori delle sporadiche auto, per lo più taxi, giù in strada.
Il Figlio di Lilith si chiese se avrebbe potuto annoverarvi anche il suo cuore, ma il battito che aveva mancato alla domanda era stato un intermedio troppo breve perchè potesse essere notato da altri che da lui stesso.
Atteggiò le labbra in un sorriso che aveva una sfumatura sarcastica, o forse solo esasperata. Lo stesso che avresti potuto vedere in una madre intenta a spiegare qualcosa di ovvio ad un bambino piccolo.
Alec non sapeva come interpretarlo di preciso, ma forse avrebbe dovuto sentirsene offeso.
«Non c'è un uomo senza rimpianti; e se ce n'è uno, non è un uomo»
Il vecchio proverbio arabo, pur se un poco rimaneggiato, era senza dubbio una risposta quasi perfetta; del resto, lui non era propriamente un uomo.
Questo pensiero il Nephilim dovette intuirlo dalla sua espressione, nonostante il buio in cui era avvolta la stanza; filtrava una pallida luce da dietro le tende blu di prussia semi-trasparenti, ma la luna era solo ai suoi primi tre quarti e le nuvole che da giorni si potevano notare in cielo concorrevano a renderla ancora più lontana.
Si spostò su un fianco, rannicchiandosi un poco più vicino al fidanzato, posandogli esitante una mano sul torace magro, all'altezza del cuore che sentiva battere stranamente lento contro il palmo. Ma era un ritmo a cui si era abituato, ormai, e di cui non poteva più fare a meno.
«E tu sei l'uomo migliore che io abbia conosciuto.»
Fu solo un sussurro, ma lo stregone lo udì comunque. Il sorriso si tinse di malinconia, mentre abbassava il viso per appoggiare la fronte contro quella del compagno, coprendogli la mano con la propria e stringendola delicatamente.
«Nutri troppa fiducia in me, Alexander. Io non sono migliore di tanti altri, te l'assicuro. Anzi, forse sono persino peggio. Ho avuto più tempo.»
Il respiro del più giovane era delicato contro le labbra, ma lo percepì comunque trattenerlo  per brevi istanti. I suoi occhi azzurri si erano ad un tratto incupiti.
«La mia non è fiducia... beh, non solo. Io lo so, Magnus.»
«E poi mi chiedi perchè ti amo...»
Le iridi feline dell'incantatore ebbero un guizzo, come le fiammelle di una candela. Facevano un po' impressione, perchè all'oscurità brillavano proprio come quelle dei gatti. Ma questo non sarebbe bastato a farglielo vedere come un mostro o rivedere la considerazione che aveva di lui.
Socchiuse le labbra, sotto il tocco delle sue dita scure ed esperte che le percorrevano, ma si ritrovò a sbatacchiare le palpebre per non cedere al languore. Per il rossore che si era impadronito della pelle candida poteva farci, ahimè, ben poco invece.
«Ma non hai risposto alla mia domanda.» ebbe la forza di fargli notare.
Magnus sospirò, chiudendo gli occhi. Cercava di tenergli nascosto il proprio passato nella speranza di potergli nascondere la parte peggiore di sè. Non sapeva che così facendo gli taceva anche la migliore.
«L'aver ottenuto ciò che bramavo, alle volte...»
Le sopracciglia del Lightwood fremettero appena in un'espressione lievemente accigliata. Il ragazzo rimase in un silenzio incerto per qualche istante, mordendosi il labbro inferiore «Ed è... ed è un male?»
Lo stregone sorrise di nuovo, accarezzandogli il profilo del viso con il dorso delle nocche. Parlò piano, sulle sua labbra.
«Spesso lo è più del non ottere ciò che il nostro cuore desidera, Alec. Non sono sempre desideri giusti e ti accorgi del loro egoismo solo quando non puoi più fare niente per tornare indietro e riparare. Ti accompagnano per tutta la vita con la differenza che, quando sei immortale, non puoi sperare che giunga il momento di consegnarli all'oblio e poter guadargnarti la pace.»
Sembrò rifletterci qualche istante «Ma forse, in fondo, è questa la mia punizione. Ricordare in eterno»
La voce di Alec risuonò esitante ma convinta, accompagnata dal fruscio del lenzuolo che ne scopriva il corpo mentre saliva agilmente a cavalcioni su quello del compagno.
«Forse. Ma tutto prima o poi sbiadisce, Magnus, e lascia solo cicatrici. E quelle dopo un po' fanno male solo se ti ostini a ricordare che ci sono.»
Il Nascosto allungò le braccia, tuffando le dita in quei capelli disordinati e costringendo il Nephilim ad abbassarsi su di sè, catturandone le labbra in un bacio profondo e lento. Quando terminò, entrambi respiravano a fatica.
«Sei la cosa che il mio cuore desidera di più, Alexander. E questa volta sono certo che farebbe più male non averti, che essere egoista.»
Il Cacciatore sorrise, chiudendo gli occhi e tornando ad appoggiarsi su di lui, abbracciandolo. Il calore del suo corpo contro il proprio gli faceva dimenticare le coperte gettate ai piedi del letto ed il fatto che fossero ad Ottobre.
«Allora lascia che sia egoista anch'io.»
Un altro bacio ancora, e nel cielo luna e sole.
«Nessun rimpianto?»
«Nessuno.»

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Capitolo 11
*** Arguments are to be avoided; they are always vulgar and often convincing. ***


Tutto nella mia tragedia è stato orribile,
mediocre, repellente, senza stile.
Il nostro stesso abito ci rende grotteschi.
Noi siamo i pagliacci del dolore.
Siamo i clown dal cuore spezzato.
Oscar Wilde



Arguments are to be avoided; they are always vulgar and often convincing.






Magnus si girò sulla schiena e mise i piedi sul  bracciolo del divano. «Che ti importa se Alec è infelice?»
«Che mi importa?» chiese Jace con un tono di voce così alto da far rotolare il Presidente Miao giù dal sofà sul pavimento. «Certo che mi importa di Alec; è il mio migliore amico, il mio parabatai. Ed è infelice. E a giudicare dall'aspetto delle cose, lo sei anche tu. Contenitori d'asporto ovunque, non hai fatto niente per sistemare la casa, il tuo gatto sembra morto...»
«Non è morto.»*


Se c'era una cosa di cui non faceva difetto il Nephilim biondo, questa era la tenacia. O forse la testardaggine. O una strana combinazione di entrambe le cose che lo avrebbe presto portato al manicomio.
Ecco, questa era l'unica cosa di cui il Sommo Stregone di Brooklyn fosse assolutamente certo, in quel momento.
Oltre al fatto che il Presidente Miao fosse indiscutibilmente vivo, ovviamente. Il fatto che avesse buffamente soffiato contro l'intruso, in quello che era sembrato più uno squittio strozzato, e poi si fosse nascosto sotto la credenza non dava adito a dubbi.
«Hai intenzione di rimanere qui ancora per molto, Cacciatore?»
Il ragazzo intento a impilare scatole di pizza distolse per un attimo la sua attenzione dalla rappresentazione in cartone della Torre di Pisa, scrutando lo stregone in silenzio come a rifletterci su «Sì, direi di sì.» decise, infine, tornando alla sua occupazione.
Magnus rimase a fissare il soffitto, domandandosi mentalmente cosa avesse fatto di così male alle Alte Sfere per meritare una punizione simile.
Quando l'elenco nella sua testa superò le trentadue voci si decise a mettersi seduto e voltarsi verso l'invasore.
«Potrei chiamare la polizia»
«Potrei rendermi invisibile»
Il Nascosto increspò le sopracciglia, fissando insistentemente il Figlio di Raziel che aggiungeva una scatola piuttosto ammaccata alla già altissima pila in equilibrio precario sul tavolo da pranzo.
«Ho una notizia per te, mio piccolo genio incompreso... sono uno stregone.»
Jace gli scoccò un'occhiata di sufficienza da oltre la sua creazione «Davvero? Credevo fossi una drag queen in pensione. Ma effettivamente quello spiegherebbe la tua mistica sciatteria
Il Nephilim non si accorse dell'occhiataccia, men che meno delle crepitanti scintille azzurrine, e quando notò la sua opera traballare fu troppo tardi per evitarsi di venire sommerso da scatole della pizza unte.
«Ma che schifo! Per l'Angelo, qui potrebbe esserci nato un nuovo ecosistema!» esclamò, riemergendo dalla valanga di cartone bradendo una fetta di pizza stantia, mezzo morsicata, di un inquietante verde marcio lì dove avrebbe dovuto esserci la mozzarella.
Magnus che guardava i rimasugli di quella che doveva essere stata una delle sue cene della settimana - o quella prima ancora - precedente, inarcò un sopracciglio con aria critica. Socchiuse le labbra, come per dire qualcosa, ma poi ci ripensò e si limitò ad incassare il capo fra le spalle e massaggiarsi le tempie con una smorfia.
«Voi Herondale. Credo proprio che vi trasmettiate l'invidiabile capacità di essere irritanti e farmi uscire di senno di generazione in generazione. Giusto perchè non mi scordi di voi, suppongo.» come se fosse stato possibile, tra l'altro. Ma questo non lo disse.
Jace gli scoccò un'occhiata interessata, mollando la pizza sul tavolo e pulendosi con nonchalance le mani su una delle maglie appese sullo schienale della prima sedia vicina. «Hai conosciuto altri Herondale?»
Lo stregone alzò gli occhi da gatto al cielo, e tra le dita scoppiettarono scintille che ricaddero sulla canotta nera brucciacchiandola leggermente. «Più di quanti ne potessi sopportare, mister pescailmiocognomedalcilindro
«I cilindri sono passati di moda da un pezzo. Mi stupisco che tu non lo sappia...»
Il Figlio di Lilith emise un lamento, seppellendo il capo fra le ginocchia e coprendoselo con le braccia. «Non provi almeno un po' di pietà, tu? Sei in parte Angelo o qualcosa del genere!»
Il Cacciatore fece spallucce, incrociando le braccia al petto ed accennando ad un sorrisino sarcastico «Sai com'è, non mi è sembrato fosse tra le loro principali qualità.»
Magnus prese un respiro profondo, serrando gli occhi.
«Cosa vuoi da me, Jace Herondale... Lightwood... Wayland... Morgestern... fermami quando indovino quello giusto.»
Jace emise un versetto stizzito, spostandosi per la stanza e cacciando via con un calcio un mucchietto di abiti che, giurava!, si era appena mosso. «Voglio che tu alzi quelle chiappe da quel divano, la pianti di fare la diva offesa e vai a parlare con Alec.» sembrò pensarci un attimo «Oh, e dai una ripulita a questo porcile.»
«Cacciatore...»
L'altro sorrise in maniera angelica che, dallo spiraglio tra le braccia, Magnus reputò inquietante «O lo faccio io
Rimasero a guardarsi per svariati minuti in silenzio, ma alla fine fu lo stregone a cedere per primo, gettandosi disteso con un sospiro irritato sul divano e coprendosi il viso con le mani.
Jace tirò indietro il braccio sinistro, con la mano chiusa a pugno, scuotendo il capo biondo con aria di trionfo «Evvai. Uno a zero per il bellissimo e geniale Cacciatore in nero.»
Si ritrovò a schivare un cuscino di un orrendo verde acido per miracolo, balzando velocemente verso la porta. «Tra due giorni. A Central Park. Vedi di non mancare o questa casa diventerà uno splendido monastero!»
Di nuovo il lamento da animale ferito, anche se a guardare l'uomo disteso sul divano sembrava che il gatto morto in quel momento fosse lui.
Jace sorrise, chiudendosi la porta alle spalle «Ed è Lightwood, comunque!»
Non udì la risposta del Nascosto, perchè si stava già apprestando a sparire a tutta velocità lungo la strada per evitare che quello si ricordasse di essere l'Alto Stregone di Brooklyn e gliela facesse pagare. Trasformandolo in un'anatra, per esempio.


Magnus si passò le mani fra i capelli, ritrovandoli incredibilmente stopposi. Una smorfia stanca gli dipinse il bel viso sfatto «Sommo Stregone, sei davvero un essere abbietto. Ti ci vuole decisamente una doccia. Anche due. O tre...»
Tacque, chiudendo ancora una volta gli occhi. Poi le labbra si produssero in un pallido sorriso.
«...e così è in questo modo che mi ripaghi il favore, mh, Will

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»Angolino di Red«


*da uno degli snippet di City of Heavenly Fire.

Già. Non ho potuto non farlo, leggendolo. E' stato più forte di me, le mie dita si sono mosse da sole sulla tastiera per dare un seguito allo snippet. Un seguito in cui, credo, speriamo tutti noi fan della coppia. Ma è bello sognare. Ed è bello far spuntare Jace che, per quanto non sia decisamente il mio preferito, trovo ugualmente a modo suo fantastico; sarà che gli Herondale hanno quell'ironia che non puoi fare a meno di amare.
Ohhh bene, ringrazio come al solito chi legge e segue questa storia, e chi la commenta facendomi tanto felice (seriamente, mi commuovete anche un po'). Ne approfitto, tra l'altro, per invitarvi a fare le vostre richieste se avete citazioni (sempre di Oscar Wilde) sul quale vorreste vedere qualcosa. Prometto che farò il possibile per accontentarvi.
Al prossimo capitolo!

Red.

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Capitolo 12
*** To be in love is to surpass one's self. ***


Per il mio bene non potevo fare altro che amarti.
Sapevo che, se mi fosse stato concesso d'odiarti,
nell'arido deserto della vita che dovevo percorrere,
che ancora sto percorrendo, ogni roccia avrebbe perso la sua ombra,
ogni palma sarebbe intristita, ogni pozzo d'acqua si sarebbe inquinato.
De Profundis - Oscar Wilde



To be in love is to surpass one's self.




Chi va in guerra, sa che dalla guerra potrebbe non tornare.
Non ci sono inutili speranze, nè false illusioni, in proposito. Magari si ride e si scherza, la sera prima, ma nel cuore si sa già che potrebbe essere l'ultima volta che vedi il tuo vicino o quella la tua ultima birra.
Vivi la sera prima della battaglia come se fosse l'ultima notte al mondo.


I Nephilim ci sono abituati, per loro ogni giorno potrebbe essere l'ultimo. E' la loro vita, sono guerrieri prima ancora che uomini. E i guerrieri sanno già che il loro destino è scritto con inchiostro e sangue.
I Cacciatori vanno incontro al loro fato a testa alta e non salutano chi lasciano a casa, nè permettono che nell'aria aleggino auguri di buona fortuna che portano solo sciagura. Ogni scontro deve essere affrontato con la sicurezza di tornare vincitori. E' l'unico modo che hanno per non impazzire, per non cedere alla paura e voltare le spalle al proprio compito.
I figli di Raziel non possono scappare.


Eppure, in quello sfoggio di humor inglese che è la vita, i figli di Lilith temono la morte e rifugiano la guerra, tenendosi lontani da ogni conflitto che potrebbe in qualche modo nuocergli. Coloro che possiedono l'immortalità non possono nulla contro il coraggio dell'effimera vita mortale.
Questo Magnus lo ha sempre saputo e, in cuor suo, ne è sempre stato geloso. Forse per questo durante la sua lunga esistenza si è legato più volte agli esseri umani. Perché invidioso di ciò che in realtà lo atterrisce più di ogni altra cosa.
Ed è per lo stesso identico motivo che si è ritrovato, ancora una volta, a combattere una battaglia che altrimenti lo avrebbe visto nascondersi e aspettare di vedere chi avrebbe vinto, questa volta; un mondo affogato nelle tenebre o ancora uno spiraglio di luce.
Perché in ogni caso, qualunque lo scenario finale sarebbe stato, avrebbe voluto vedere l'alba del giorno dopo insieme all'altra metà della sua anima. O perire, una volta per tutte, insieme ad essa.


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Sebastian, o Jonathan,  o qualunque fosse il nome di quell'orrenda creatura, non si vedeva più da nessuna parte. Il campo di battaglia... beh, effettivamente non si potevano realmente definire campo di battaglia le strade di una New York asserragliata ed, in buona parte, distrutta. I demoni a servizio del maggiore dei Morgestern avevano eseguito alla lettera gli ordini del loro padrone, devastando e distruggendo ogni cosa sul loro cammino; del resto era per quello che erano nati, per la morte e il dolore. Da un demone non sarebbe potuto mai venire fuori nulla di buono e ormai il ragazzo con il sangue avvelenato non poteva definirsi in altro modo. Era stata una sciocca, davvero una piccola sciocca troppo fiduciosa, la giovane Clarissa a poter credere che il fratello fosse cambiato. Che un legame come quello con Jace sarebbe bastato ad operare un miracolo che nemmeno le Schiere Celesti avrebbero potuto compiere - se mai, ovviamente, avessero avuto in qualche modo interesse o pietà per provare a farlo. Se n'era resa conto troppo tardi, ad ogni modo.
Mentre con uno sfrigolio l'ultimo di una serie di Raum svaniva, ricacciato nel Vuoto, Magnus si ritrovò a pensare che forse avrebbe dovuto provare rancore nei confronti della ragazzina dei capelli rossi, dare a lei la colpa per i morti che riempivano le strade e per le grida di dolore a riecheggiare fra i palazzi in fiamme.
I primi a cadere erano stati i mondani, impreparati ad un attacco del genere e troppo fermi nelle loro convinzioni per poter credere che tutte le storie fossero reali.
Poi era stato il turno dei Nephilim che si erano mossi per tentare di salvare quegli sciocchi, sacrificando le loro vite per la cecità caparbia degli esseri umani. Erano caduti anche Figli della Luna, il branco di Manhattan era stato brutalmente dimezzato. Aveva intravisto, inseguendo un troppo-poco-estinto Vetis (per dirla alla Jace, che lo aveva caricato con una spada angelica), la giovane Maia piangere senza posa su un cadavere che, sperò, non fosse Jordan. Erano periti anche membri del Praetor Lupis e lo stesso Praetor Scott ora giaceva ai piedi di una pila di automobili fumanti che aveva tentato di proteggere insieme ai loro proprietari.
I Figli della Notte aiutavano come potevano riparandosi nei vicoli bui, anche se erano troppo pochi, capitanati da un insospettabile Raphael che colpiva, letale, alle spalle i propri nemici trascinandoseli al buio e finendoli tra rumori strazianti.
Accasciandosi alla fiancata di un furgoncino ribaltato, le cui ruote giravano ancora a vuoto, lo stregone sperò che l'unico vampiro che gli fosse mai andato a genio da lì a diversi secoli avesse ancora salva la pellaccia. Era l'unico, con la sua capacità a muoversi alla luce del sole, a poter attaccare liberamente tra i suoi simili. Il solo fatto che lo facesse era da considerarsi un gesto eroico.
Gli unici Nascosti che mancavano all'appello erano i membri del Popolo Fatato. Quella stronza della Regina della Corte Seelie era stata abbastanza furba da sostenere la neutralità dei suoi, in quello scontro, per ottenere vantaggi da qualunque delle due fazioni avrebbe vinto.
Un sorriso folle si formò sulle labbra, al desiderio ardente di vincere quella guerra anche solo per vedere cadere la testa della fata. Questa volta il suo tradimento, se avessero visto l'indomani, non sarebbe passato impunito dagli Shadowhunters.
Chiuse gli occhi, il figlio di Lilith, per poter richiamare a sé le poche energie rimastegli e concentrarsi per poter trovare finalmente il motivo per cui aveva attraversato le strade crepate e rispedito nel loro mondo demoni fino a quel momento; non aveva visto Alec, quella mattina. Non lo aveva visto nemmeno i giorni precedenti, perché non si era presentato all'appuntamento. Non che ne fosse stato troppo sorpreso, in effetti.
Ma nonostante gli scontri andassero avanti da ore, non lo aveva mai intravisto fra i Cacciatori che aveva incrociato. Qualche volta era stato sul punto di chiamare a gran voce qualcuno che gli assomigliava, ma poi si accorgeva degli occhi nocciola, o della statura troppo bassa e nerboruta e riprendeva a correre, il cuore a mille nel petto e fra le dita scintille azzurre crepitanti di potere.

«Sei esausto, vecchio mio»
La voce lo fece sobbalzare e aprire di scatto gli occhi, sollevando le mani per preparare un incantesimo difensivo. Ma a pochi metri da sé, alla sua destra, vide solo la famigliare figura di una ragazza dai lunghi capelli castani acconciati in una coda alta e una tenuta da Cacciatrice strappata; aveva qualche taglio e zoppicava un po' dal piede sinistro, ma nel complesso sembrava stare bene.
«Theresa... sei ancora viva» le parole gli sfuggirono in un sospiro stanco, mentre la mutaforma gli si avvicinava con una smorfia.
«Tessa, Magnus. Da quando in qua mi chiami con il mio nome completo?»
Lo stregone abbozzò un sorrisetto, facendo spallucce.
«Magari da quando rischiamo di fare un viaggetto di sola andata per l'altro mondo, zuccherino, che ne dici?»
La ragazza ignorò il sarcasmo, afferrandolo per una manica della giacca sporca di fluido nero e strattonandolo «Muoviti, ho incrociato Catarina mentre venivo qui. Ha visto lui»
Il Nascosto si irrigidì, rivolgendole uno sguardo confuso e preoccupato.
«Dove...»
«Vicino all'entrata della Città Silente, si stava battendo insieme ad alcuni Fratelli.»
L'espressione sul viso di Tessa era un misto fra dolore e compassione, mentre guardava Magnus correre senza voltarsi lungo la strada e stringeva le mani al petto, unite in una preghiera a quel Cielo che assisteva indifferente al dolore dei suoi figli.
Sobbalzò, sentendosi toccare la spalla, rilassandosi poi a scambiare uno sguardo con gli occhi scuri e pieni di comprensione e dolcezza di Jem, stringendogli con forza una mano segnata dalle rune fresche.  
«Fa che arrivi in tempo...»

La prima cosa che vide furono le tuniche color pergamena intrise di sangue.
I Fratelli non erano morti senza combattere, ricordando ancora una volta come fossero guerrieri nonostante avessero votato la propria esistenza alla conoscenza.
Poi, accasciato proprio davanti ai cancelli divelti del cimitero in fiamme, una figura che non gli era sembrata mai più piccola e al contempo imponente di quel momento. Stringeva ancora il suo arco decorato di rune tra le dita della mano sinistra, ma la faretra con le frecce giaceva a qualche metro di distanza, distrutta.
Quasi incespicò su un cadavere che non ebbe la forza di guardare, mentre affrettava il passo per raggiungerlo. I suoi occhi avevano catturato immediatamente le zone più scure della maglia della tenuta da Cacciatore, lì dove aderendo alla pelle la stoffa rinforzata si era imbevuta di sangue.
«Alec... Alexander...»
Pronunciare il suo nome fu una sofferenza maggiore del contatto ruvido e brutale della terra contro le ginocchia, mentre si lasciava cadere al suo fianco, muovendo disperato le mani senza sapere dove metterle o che farci. Aveva il terrore di spezzarlo anche solo sfiorandolo, di arrecargli ancora più dolore di quello che poteva vedere riflesso sul suo viso pallido.
Il Lightwood aprì gli occhi, rivelando come l'azzurro di cui si era innamorato fosse rimasto ancora lo stesso. Gli ci volle qualche secondo per capire, ma quando registrò chi era la figura al suo fianco non riuscì più a frenare le lacrime, permettendogli di correre libere e mescolarsi al sangue.
«M-magnu-s...»
«Shhh, non ti sforzare. Non... andrà tutto bene.»
Quelle parole suonavano disperatamente patetiche persino alle stesse orecchie dello stregone, mentre liberava delicatamente l'arco dalla presa del più giovane per deporlo di lato e chinarsi cautamente a stringere quel corpo martoriato fra le braccia.
«Erano... er-ano così tanti... i Fratell-i, cough, ho provato...»
Il Nascosto guardò spaesato il bel volto del Cacciatore, stupito da come potesse pensare agli altri anche in un momento come quello. Di come fosse in grado di sentirsi in colpa per non aver fatto di più, anche se aveva dato la vita.
No, non ancora. Si rimproverò mentalmente, con ferocia. Lo stringeva, sentiva il suo cuore battere contro il proprio petto e il suo respiro flebile sul collo. Era ancora vivo e si sarebbe aggrappato all'ultima scintilla vitale fino alla fine. Lo avrebbe salvato, proprio come quello sciocco piccolo Nephilim aveva fatto con lui amandolo.
«Sei stato bravissimo Alexander»
Il ragazzo gli rivolse un piccolo sorriso, che si macchiò di scarlatto mentre si curvava in avanti  per tossire, aggrappandosi alla maglia dello stregone.
«Ale-»
«Abbiamo vinto?»
La domanda gli fece sgranare quegli occhi da gatto che erano stati la sua maledizione, e che sentì per la prima volta dopo secoli pungere fastidiosamente. Gli accarezzò la schiena, dolcemente, chinando il viso sul suo e sforzando un sorriso.
«...sì. Sì, abbiamo vinto.»
«Bugiardo»
A quel sussurro non riuscì a frenare le lacrime, nascondendo il capo contro quello spettinato e intriso di sangue essiccato e polvere del Cacciatore.
«Vinceremo, Alexander. Vinceremo, ma tu dovrai essere qui per vederlo, capito?» percepì gli ultimi barlumi di energia attraversarlo come una scossa elettrica, a percorrere ogni terminazione nervosa e scorrere nelle vene come sangue, e soffocò un gemito di dolore per concentrarsi nell'incantesimo di guarigione.
Fu lo stesso Alec a interrompere il suo frenetico salmodio, in una lingua demoniaca che non avrebbe riconosciuto nemmeno se non fosse stato ad un passo dalla morte, allungando con le forze che gli rimanevano le braccia per passargliele attorno al collo e stringerlo, costringendolo a guardarlo.
Sorrideva, con gli occhi azzurri distanti che non sembravano più riflettere il cielo, e le guance striate di rosso.
«Pensi... pensi che potrò avere un'altra chance... nella prossima vita
Mentre lo stringeva spasmodicamente a sé, baciando quelle labbra che stavano diventando sempre più fredde e rendendosi conto che Alexander non lo odiava, Magnus pensò per la prima volta nella sua vita che quello era davvero troppo da sopportare. Persino per lui.

«PADRE! Lo so che stai guardando... io ti invoco! Quod tumeraris: per Jehovam, Gehennam, et consecratam aquam quam nunc spargo, signumque crucis quod nunc facio, et per vota nostra, ispe nunc surgat nobis dicatus S
La cantilena frenetica fu interrotta da una risata fredda ed in qualche modo dolce come miele al contempo, simile al sibilo di un serpente, che fece rabbrividire Magnus fin dentro le ossa e convincerlo a stringere più forte il ragazzo che teneva fra le braccia.
Il suo sguardo si posò, quasi calamitato, sui cadaveri ammucchiati scompostamente dei Fratelli Silenti. Un'alta colonna di fumo nero vorticava sulle schiene degli ex Cacciatori, e poco a poco ne emerse qualcosa che poteva a primo sguardo sembrare un uomo.
Alto e snello, abbigliato con un lungo cappotto nero che ne copriva piedi e in parte il viso fino a poco sotto il naso; sarebbe potuto sembrare normale, se non fosse stato per gli occhi dorati, dalla pupilla verticale, e le accennate squame sotto di essi, in rilievo su una pelle pallidissima. I capelli neri, lucenti, ricadevano fin sopra le spalle e all'interno del colletto.
Il demone chinò il capo di lato, su di una spalla, guardando curiosamente lo stregone e il ragazzo che abbracciava, macchiandosi del suo sangue.
«E' davvero ssstupido da parte tua chiamarmi con un rituale di evocazione del genere. Non sssono quell'idiota di Azazel. Ed è allo ssstessso tempo curiossso che tu abbia mossstrato tanto coraggio, o ssstoltezza, da provare a farlo comunque.» parlava con tono basso e sibillino, strascicando pesantemente le esse. Ad ogni parola, sembrava che qualcosa risalisse lungo la schiena del Nascosto, qualcosa di viscido e sbagliato «Chi ti asssicurava che avrei risssposssto, figliolo?»
Negli occhi del Figlio di Lilith passò un lampo di disgusto e puro odio, mascherati da un sorriso di scherno. Ma non poteva certo darla a bere così facilmente al genitore. Ad ogni modo non avrebbe chinato la testa davanti a lui, nè tremato. Sapeva quant'era rischioso evocarlo, al punto che già da secoli nessuno lo faceva più; anche se questo era soltanto perché il mondo e i suoi seguaci l'avevano ritenuto morto ormai da troppo tempo perché sopravvivessero rituali per farlo.
Ma un demone non può morire davvero, può essere solo rimandato negli strati più profondi del Vuoto e lì attendere anche millenni, prima di rigenerarsi.
Il male non può essere estirpato, o l'equilibrio intero di ogni mondo esistente, di ogni dimensione, andrebbe intaccato portando al collasso.
Questo lo aveva imparato anni prima, suo malgrado. Così come aveva appreso chi fosse suo padre e quale fosse il peso del suo nome all'Inferno.
«Nessuno. Ma ero sicuro che non ti saresti perso uno spettacolo del genere e l'occasione di tornare sulla terra dopo tutto questo tempo.»
Il demone fece spallucce, voltandosi a guardare la desolazione provocata dall'esercito oscuro del fratello di Clary. Nel movimento il bavero del cappotto si era spostato, rivelando un sorriso fitto di denti aguzzi e appuntiti come spilli e lo scorcio di un volto bellissimo.
«La creatura di Lilith... Jonathan Morgessstern, eh? Ssse n'è fatto un gran parlare, di quesssti tempi... non avrei ssscommessso un sssoldo bucato, sssu quel ragazzo.» tacque, tornando a guardare il figlio che respirava a fatica, soffermando poi lo sguardo da rettile sul Lightwood fra le sue braccia. Inarcò un sopracciglio sottile, manifestando perplessità «E tu... mi hai chiamato per un cadavere?»
Sembrava in qualche modo divertito. Divertimento che si trasformò in stupore, quando si accorse dell'espressione di tenacia dipinta sul viso del figlio più forte che avesse generato in tutti quei millenni.
Era stanco, stremato e ben presto avrebbe esaurito le energie. Si sarebbe consumato, lì davanti a lui, lo vedeva bene. Ma vedeva anche l'alone azzurrino, e le scosse crepitanti lungo le braccia e le mani poste sul corpo del ragazzino dai capelli neri. E il petto di questo alzarsi ed abbassarsi impercettibilmente, segno che fosse ancora vivo.
«...e cosssì tu vuoi che sssalvi una creatura di Raziel?» domandò, dopo qualche istante.
Magnus sorrise stancamente, sentendo le forze venire meno e la vista offuscarsi. Non riusciva quasi più a distinguere la figura del demone, così non capiva se se lo stesse solo immaginando o se quello si fosse realmente avvicinato a loro.
Prima di svenire, scambiò un ultimo sguardo col padre.
«Voglio che salvi il mio cuore, perché non vivrò se lui non vive. Fallo e io non invocherò mai più il tuo nome, e nessuno saprà» ma forse, quelle parole, aveva solo pensato di pronunciarle.


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L'alba si era affacciata da poco su New York. Il cielo era tinto di rosso, nell'aria l'odore acre del fumo e quello più delicato dei fiori. Stesi in due lettini vicini, in una delle stanze dell'Istituto adibite ad infermeria, due ragazzi fasciati di bende e sprofondati in un sonno profondo, ma sereno. Oltre le lenzuola candide, due mani unite nel riposo; una scura e dalle unghie dipinte di smalto scheggiato stretta ad una più chiara, con una runa nera di chiaroveggenza sul dorso.
Maryse, che si era affacciata a controllare, sospirò e poi sorrise scuotendo stancamente il capo e chiudendosi la porta alle spalle, scambiando uno sguardo sereno con il gruppetto che attendeva in corridoio.
«Beh? Che ci fate lì impalati? Verremo a svegliarli più tardi. Possono aspettare ancora un po' per sapere che abbiamo vinto, no?»
Mentre cacciava un Jace protestante con alcune manate sulla schiena dolente, si voltò a guardare di nuovo la porta.
«Se lo meritano

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»Angolino di Red«

Ringrazio Class of 13 per il titolo di questo capitolo, per prima cosa.
Come seconda cosa, parlo un po' del suddetto capitolo. Come avete potuto immaginare, questo è uno scorcio della battaglia finale contro Sebastian. Sono del tutto sicura che la Clare fare schiattare uno dei due, se non entrambi, ma io sono un animo romantico e sognatore e quindi mi costruisco da sola un finale più o meno idilliaco. Auhm. Considerato poi come si tenda a far morire Alec (povero tato mio!) questa volta ho messo da parte il mio lato angst e ho deciso per un lieto fine... un po' particolare. Inserendo il fantomatico padre di Magnus, di nuovo sì. Qualcuno indovina chi è il caro paparino? Ovviamente solo secondo me. Però non riesco a togliermi il pallino che possa essere proprio lui, chissà perchè.
Spero di non aver deluso chi si aspettava un capitolo tutto rosa e fiori per la riconciliazione di quei due, ma alla fine tutto è bene quel che finisce bene, no?
Dimenticavo, una delle scene finali è stata ispirata a questa fanart di cui, ovviamente, non sono proprietaria
...tiratemi pure pomodori e, se volete, fatemi sapere cosa ne pensate fra un lancio ed un altro. Al prossimo capitolo!

Red



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Capitolo 13
*** Conscience makes egotists of us all. ***


Una faccia di bronzo è una gran cosa da mostrare al mondo,
ma di tanto in tanto, quando sei solo e non hai pubblico intorno,
devi, penso, toglierti la maschera, nient'altro che per respirare.
Altrimenti, credo proprio che soffocheresti.
Oscar Wilde



Conscience makes egotists of us all.




Perché avesse scelto proprio lui, questo Simon non lo aveva ancora capito. Probabilmente non sarebbe arrivato ad una soluzione che potesse avvicinarsi alla realtà nemmeno a rimuginarci su per un altro secolo ma, per amor dei suoi nervi e per quell'intrinseca capacità di buttare tutto sull'ironico, aveva decretato che il motivo non poteva essere altro che, nel profondo, il Sommo Stregone di Brooklyn fosse da sempre attratto da lui. Era chiaro.
Cristallino come l'acqua che si riversava ciclicamente nella fontana quadrata, con al centro degli strani spunzoni di metallo scuro che non aveva ancora capito cosa dovessero rappresentare e da cui sgorgavano fontanelle che si riversavano in piccole cascate ai quattro angoli della struttura, sul cui bordo di pietra bianca si era accasciato con tutta l'intenzione di non scollare più le chiappe da lì.
Dettagli che non potesse realmente sentirsi stanco o avere il fiatone, essendo morto.
«Mi arrendo, lasciami qui e vai avanti tu... no, non voltarti indietro...! Me la saprò cavare da solo!»
Se, in un altro momento, i modi teatrali del Diurno lo avrebbero di certo stranito e divertito al contempo, in quell'istante Magnus fu tentato solamente di spintonarlo all'interno della fontana.
Magari recuperando prima il sacchetto di Gucci che il vampiro si teneva stretto al fianco, appoggiato distrattamente sul bordo plastificato che si stava accartocciando tristemente sotto il peso del suo gomito.
«Se non ti alzi da lì entro cinque secondi, Seamus, ti giuro che ti farò provare l'ebrezza del venire impalato da un orrendo esempio di arte contemporanea.»
Anche senza specificare, il Nascosto più giovane intuì che dovesse trattarsi della scultura alle sue spalle. E l'idea non gli piacque granché.
«Ma così rimarresti senza testimone» fece notare, con un gran sorrisone, decidendosi però saggiamente a seguire il suggerimento ed alzarsi.
Lo stregone alzò gli occhi al cielo, mostrando una smorfia tra il rassegnato e l'esasperato sul bel volto sapientemente truccato di nero e di blu; per i primi venti minuti, da quando erano usciti - più che altro Simon era stato rapito sulla porta dell'appartamento che divideva con Jordan, ma questi erano dettagli -, non aveva fatto che guardarsi stranito attorno cercando nelle persone presenti una traccia di stupore nel vedersi passare accanto una figura tanto particolare. Ma tranne qualche vecchia signora che borbottava contro i giovani d'oggi (e non aveva capito se ce l'avesse con i glitter dello stregone o con la stampa della sua t-shirt; e dire che la freccia rivolta verso il basso con la scritta rossa ''Are you ready?'' non fosse nemmeno tra le peggiori del suo armadio) e svariate ragazzine che indicavano Magnus ridacchiando e sospirando, chiedendosi eccitate fra loro se non fosse quel famoso modello di Vogue (e lui il suo portaborse, probabilmente, visto che non l'avevano calcolato di striscio), tranne questi esempi, ecco, nessuno sembrava far poi troppo caso a loro due.
Il bello della grande mela, aveva pensato seguendo con aria mogia il suo rapitore per i marciapiedi affollati.
«Inizio a pensare che il Presidente Miao sarebbe stata una scelta migliore, Sean»
«Simon.» lo corresse, meccanicamente, il vampiro. Era abituato a sentirsi chiamare con ogni nome possibile iniziante per esse, e la cosa non era cambiata nemmeno dopo aver dimostrato il suo coraggio evocando Raziel, anni prima. Per un po', quando lo stregone aveva pronunciato finalmente il suo nome in maniera corretta, aveva creduto che quell'azione lo avesse impressionato tanto da poter guadagnarsi un minimo di considerazione.
Certo, l'essere stato scelto come testimone di nozze avrebbe dovuto essere un simbolo ben più gratificante, ma ora come ora rimpiangeva che non avesse semplicemente iniziato a chiamarlo col nome giusto. E stop.
Quella cosa era davvero, davvero sfiancante. Soprattutto se lo sposo era un Figlio di Lilith, aveva la passione per la moda e si chiamava Magnus Bane.
Oh, beh. Uno dei due sposi, almeno.
Decisamente a Jace doveva essere andata meglio. Anche se provava pietà al pensiero del povero Alec nelle mani del biondo Herondale e, soprattutto, della sua adorabile sorella, alias sua fidanzata.
Non invidiava affatto il poveretto che stava passando tra le mani di Isabelle, in quel momento. Magnus, a confronto, era quasi meglio.
Scoccò un'occhiata al suddetto ragazzo che si era fermato, impegnato ad osservare una cravatta di lustrini viola dalla vetrina di un negozio con un nome impronunciabile.
...quasi.

«Questo... questo vestito è...»
«...sublime!»
Sembrava che il Sommo Stregone di Brooklyn dovesse illuminarsi come un albero di Natale, tanto sgranò gli occhi verdi - oppurtunamente incantati per apparire normali alla vista dei mondani - unendo le mani, dalle dita intrecciate, al petto.
Il Diurno non si sarebbe stupito troppo se avesse iniziato a mandare quelle sue scintille colorate o a scodinzolare.
«Orrendo!» gli fece eco, invece, con una smorfia disgustata sul viso pallido mentre si voltava a guardarsi allo specchio.
Sobbalzò, non vedendo altro che la figura dello stregone appoggiata ad un bancone di vetro ricolmo di abiti dai colori più assurdi; spesso dimenticava ancora come non avesse un riflesso. Raphael gli aveva detto, con un ghigno storto dei suoi, che fosse perché loro, più di altri Nascosti, avevano un piede all'Inferno e nessuna anima a cui appigliarsi. Forse era vero, forse no - in fondo aveva visto tante cose che smentivano le leggende, da quando era diventato parte del Mondo Invisibile - fatto sta che faceva sempre una certa impressione non vedersi su alcuna superficie riflettente.
Nonostante questo sapeva perfettamente di avere ragione; lo aveva visto, quel completo, prima e mentre lo indossava. Era di un assurdo arancio fluorescente che sarebbe stato perfetto per una passeggiata in autostrada in piena notte, ma non certo per un matrimonio.
La smorfia sul viso del Figlio di Lilith sembrava dire ''certo che non hai proprio gusto'', ma non fu quella a catturare l'attenzione del Figlio della Notte. C'era qualcosa di strano, in Magnus. E c'era da un po'.
Succedeva, ogni tanto, che lo notasse. Un dettaglio insignificante, catturato con la coda dell'occhio mentre lo stregone era distratto, ma che spariva non appena quello si rendeva conto di essere osservato.
Qualcosa di così infinitesimale, ma impossibile da non cogliere allo sguardo di un vampiro.
«Certo che hai davvero gusti difficili, Sheldon. Vediamo, forse questo...»
Aveva ripreso a cercare negli scaffali, Magnus, dando le spalle a Simon quando si era accorto di essere guardato. Ovviamente non lo aveva visto, considerato che non c'era alcun riflesso su cui cogliere l'attenzione, ma ne aveva sentito addosso l'intensità. Era una cosa affinata, negli anni, quella di percepire quando qualcuno lo fissava senza farsi notare.
«Perché mi hai voluto come testimone?» era da un po' che se lo chiedeva, e in quel momento non era più riuscito a trattenersi. Non quando aveva notato quel qualcosa.
Lo stregone fece scorrere fra le mani un paio di giacche non meno assurde di quella indossata ancora dal vampiro, prendendosi un secondo per rispondere.
«Perché tu e le tue magliette finto ribelle mi state simpatici?»
Cera qualcosa, nella noncuranza con cui pronunciò quelle parole, che suonava  tanto come una richiesta di farsele bastare e non andare oltre.
Ma Simon Lewis era un tipo testardo, sarebbe bastato chiederlo a Clary per ottenere in risposta un'alzata di occhi al cielo e un sospiro esasperato. Quindi non rinunciò nemmeno quella volta, anche se da qualche parte la sua coscienza (che aveva la voce di Super Mario, chissà perché) gli suggeriva di usare un minimo di delicatezza e desistere.
Ma Super Mario gli era sempre stato sulle scatole.
«Sei solo invidioso delle mie magliette, che sono certamente più fighe della maggior parte delle cose che si potrebbero trovare qui. E meno da gay esuberante»
«Bisessuale disinvolto anche se, al momento, è più un ''monogamo omosessuale a vita''» lo ribeccò, tirando fuori una camicia che sarebbe andata di moda nel glorioso '700.
Simon inarcò un sopracciglio, sentendo prudere il naso alla vista di tutti quei volant. Magari sarebbe stato il primo vampiro a sviluppare un'allergia alle cose antiquate. Il che, riflettè, sarebbe anche potuto essere un paradosso esilarante.
Ma non era il momento di pensare a certe cose.
«Sul serio, Magnus. Avresti potuto chiedere a chiunque. A Tessa, per esempio» buttò lì, mangiandosi all'ultimo secondo il nome dell'altra strega amica sua che era morta durante la battaglia contro Sebastian. Catarina, gli sembrava si chiamasse. Ricordava ancora il sorriso sereno che aveva sulle labbra e i capelli bianchi tinti di rosso. Sembrava quasi fosse felice, come se nel posto in cui era andata ci fosse qualcuno ad aspettarla. Lo aveva sperato per lei, almeno.
«Theresa è un tipo all'antica... sai che noia l'addio al celibato?» glissò l'altro, dispiegando davanti al più giovane un paio di pantaloni che sarebbero potuti anche sembrare normali, se non fosse stata per l'enorme quantità di glitter rosa impiegata sulle cuciture laterali.
Il Diurno fu quasi tentato di sbattere la testa contro il bancone, se non avesse avuto paura di trovarsi in fronte la versione sbrilluccicante del Marchio di Caino. Resistette, ad ogni modo, scoccando un'occhiata distratta alla giacca che ora lo stregone si rigirava, riflessivo, fra le mani.
Ok, magari una partita poteva concedergliela, ma non la guerra.
«Ehi, quella non è male»

Ora che si erano lasciati Macy's e i suoi negozi ''fantasticamente alla moda'' alle spalle, Simon sentiva di poter tornare a respirare.
Anche se non ne aveva bisogno, ovviamente. Era un po' un problema quella storia dei modi di dire, se eri morto ma poi non così tanto morto.
Guardava Magnus camminare al suo fianco pieno di pacchi e pacchetti, blaterando di chissà cosa riguardo al ricevimento e anatre infiocchettate.
Anche se non lo stava davvero ascoltando, il vampiro pensò che a Jace la cosa non sarebbe piaciuta troppo. E questo il Summus sembrava saperlo bene.
«Sai» lo interruppe, nel bel mezzo di una tirata su come William e Kate sarebbero impalliditi di fronte a loro, altro che reali! «Penso davvero, e scusami se te lo dico, che qualche volta dovresti smetterla di comportarti così»
Lo stregone abbassò il braccio con cui stava per colpire un povero passante, inarcando perplesso un sopracciglio «Così come?»
Il ragazzo si strinse nelle spalle, schivando un palo della luce per un pelo.
«Così... così. Così da Magnus, ecco. Sembra che tu debba costantemente portare avanti una sceneggiata, e che Dio solo sa» era sempre una soddisfazione, poter pronunciare quel nome senza rischiare di soffocare «cosa succederebbe, se tu ti fermassi. Dovresti farlo invece, ecco. Fermarti e scendere dal palco. Giusto per non cadere stecchito.»
Lo sguardo da gatto che lo fissava sembrò adombrarsi, perdendo lo sfavillare dell'oro in favore di un verde cupo. Raramente aveva visto un'espressione così seria nello stravagante Nascosto che l'aveva trascinato tutto il pomeriggio in giro per negozi, nemmeno fossero amiche del cuore tredicenni.
O la sposa con la sua damigella, giusto per calarsi nel contesto.
«Tu...» iniziò, e il vampiro si aspettò di sentire un'altra presa in giro o un insulto.
Ma Magnus si limitò a sospirare pesantemente, gettandosi uno dei numerosi pacchi su una spalla, a mò di giacca, mentre lo sguardo vagava per la stradina quasi deserta che portava alla metropolitana. Non si erano resi conto che fosse così tardi, il sole stava lentamente sparendo oltre i palazzi in lontananza.
Sembrava quasi che il tempo si fosse cristallizzato, in quell'attimo in cui sole e luna si guardavano nello stesso cielo tinto della morte di uno e la nascita dell'altra.
«Probabilmente è perché sei simile a me. Oh, io sono molto più cool ovviamente. E, senza offesa, ma non sarai alla mia altezza nemmeno fra un millennio. Però mi ricordi quando ero giovane» ci pensò, borbottando «Beh più giovane. Ma quello che voglio dire, Simon...»
«Ehi, hai azzeccato il mio nome!»
L'occhiataccia che lo stregone gli rivolse, bastò a sedare ogni sorpresa e qualsivoglia eccitazione nel Figlio della Notte, che abbassò le spalle e si grattò distrattamente la punta del naso «Ahm, sì, vai avanti»
«...quello che voglio dire» riprese Magnus «è che sei l'unica persona a cui posso affidare le mie memorie. Perché so che ci sarà sempre, e ricorderà anche per me.»
Simon si fermò, guardando la schiena dello stregone che aveva continuato a camminare. Ad un tratto, tutto gli fu chiaro.
«Magnus, tu...»
Il Sommo Stregone di Brooklyn rallentò il passo, senza fermarsi, voltando di poco il viso da sopra la spalla. L'iride felina gli ammiccò, nell'ombra. Ma forse era solo un'impressione dovuta alla luce.
«...ma com'è possibile? Insomma, quando...» fece, concitato, raggiungendolo in un battito di ciglia.
Smise di agitare le mani, voltandosi a guardarlo con tanto di occhi «...quando sei diventato mortale
Ecco cosa c'era, che non andava. Il bel viso da ventenne dello stregone, in quegli anni, stava iniziando a mostrare i primi segni del tempo che aveva ripreso a scorrere. Niente di esagerato, solo una marcatura un po' più netta della mascella, dei tratti leggermente più maturi. Qualcosa che ad un occhio normale sarebbe passato del tutto inosservato e che forse lo stregone concorreva a nascondere con la magia, mostrandosi sempre lo stesso.
Ma che un vampiro non poteva non notare.
Adesso c'era qualcosa di dolce, nell'espressione del Figlio di Lilith. Qualcosa che faceva subito pensare all'amore, a Simon, più di quanto non facessero gli sguardi tra Jace e Clary e i sorrisi che gli rivolgeva Izzy, dalla prima volta che l'aveva vista sul viso dell'altro. Rivolta ad Alec e a lui solo.
«Certe volte bisogna essere egoisti, piccolo Diurno. Anche con se stessi. E' un prezzo che sarei disposto a pagare altre mille volte.»
Fu strano, capire cosa l'altro intendesse pur senza sentirlo davvero. Rendersi conto che Magnus aveva sacrificato la propria immortalità per salvare Alexander, e per salvare se stesso. Era stato egoista, ma di un egoismo generoso.
Provò un rispetto del tutto nuovo per quell'uomo che aveva visto i secoli ed ora si era deciso a fermarsi per ammirare l'ultimo con l'unica persona davvero importante.
«Ehi, Magnus...»
«Hm?»
Sorrise, dandosi un colpetto sul naso ed accennando ai pacchi che l'altro reggeva ancora.
«...ricordati che lo sposo non deve vedere l'abito della sposa prima del matrimonio, porta male.»
Prima che lo stregone potesse davvero realizzare cosa avesse detto e scagliargli un incantesimo, però, il vampiro era già sparito all'interno della metropolitana.


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»Angolino di Red«


Sorpresi? Spero di sì, e spero piacevolmente. Macy's esiste davvero, è un centro commerciale di dieci piani su non ricordo che strada, ma non ho idea se abbia una fontana e negozi per sposi con abiti così orrendi. Spero di no, quindi perdonatemi la licenza poetica.
Tra l'altro, con questo capitolo credo si siano chiarite un paio di cosette di quello precedente. Per chi si è chiesto come mai il paparino abbia avuto così buon cuore da salvare entrambi solo perché glielo ha chiesto il figlio... beh. Tutto ha un prezzo.
Mi sono divertita a scrivere questo capitolo, amo Magnus e adoro Simon e insieme li trovo adorabilmente idioti. Spero che per voi sia stato altrettanto (e... visto che non mi sono dimenticata del matrimonio?!)
Alla prossima,
Red.

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Capitolo 14
*** Who, being loved, is poor? ***


Ma l'amore non fa baratti da mercato,
né usa la bilancia del merciaiolo.
La sua gioia, come la gioia dell'intelletto, è di sentirsi vivo.
Il fine dell'Amore è amare; niente di più e niente di meno.
Oscar Wilde





Who, being loved, is poor?





Era stata una lunga e aspra battaglia, ma alla fine avevano vinto.
Nonostante i dubbi del Conclave e le ingerenze dell'Inquisitore, erano riusciti ad ottenere il permesso per celebrare le nozze.
Ovviamente lo avrebbero fatto in ogni caso, anche se quel pezzettino di carta con i sigilli dell'Alleanza non fosse arrivato. Ma desideravano che fosse una cosa ufficiale anche nel loro mondo, non solo in quello dei mondani. Soprattutto era stato Alexander, a volerlo.
E Magnus non era proprio riuscito a dir di no a quegli occhi così azzurri e quell'espressione triste, rimboccandosi le maniche e assillando i pezzi grossi di Alicante, ricordando i numerosi favori che gli erano dovuti nel corso dei secoli e che non aveva mai reclamato. E, forse, minacciando giusto un po' qua e là.
Questa parte, era chiaro, non c'era bisogno che il suo futuro marito la conoscesse.
Del resto avrebbe rinunciato persino alla sua magia, se questo fosse servito a vedere la gioia accendere il volto del Cacciatore; aveva invaso la camera da letto alle prime luci dell'alba, di ritorno da una caccia, stringendo in mano quella lettera e saltandogli letteralmente addosso. Lo stregone c'aveva messo un po' per riprendere a respirare, sconvolto dalla foga e dalla frenetica eccitazione del compagno e ancora mezzo intontito dal sonno. Non aveva opposto resistenza, però, al bacio in cui il giovane Nephilim lo aveva coinvolto nè a quelli che si erano succeduti nelle ore seguenti. Alla fine avevano letto la missiva del Conclave a pomeriggio inoltrato, stretti l'uno al fianco dell'altro e avvolti nelle coperte.
Ed era stato allora, che avevano preso la decisione di andare contro le regole, ancora una volta, rifiutandosi di celebrare il matrimonio ad Idris.

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L'espressione sul bel volto di Maryse la diceva lunga su quanto si stesse sforzando per non dimostrare il proprio disaccordo con le scelte del figlio. Il cipiglio corrucciato le dava un'aria quasi buffa, nonostante il bel vestito ricamato di rune rosse della festa.
Isabelle, in un abito simile a quello della madre, si sforzava per non ridere troppo forte e farsi cogliere in flagrante dal genitore e, chissà, magari cacciare via.
Non avrebbe davvero voluto perdersi la cerimonia che a momenti si sarebbe celebrata, e, c'era da dire, che la location non fosse affatto male. Anche se non le avevano permesso di arredarla come avrebbe voluto, lasciandola offesa per una settimana buona.
Quella zona di Central Park sembrava venire del tutto ignorata dai mondani, che vi passavano a fianco senza però ricordare che, oltre il vialetto, il parco continuava.
Erano stati applicati incantesimi molto complicati, probabilmente combinati con rune mendelin, o forse era il Popolo Fatato stesso a tenere alla larga i visitatori indesiderati.
Dopo la guerra contro Sebastian, la Regina della Corte Seelie era stata deposta ed il suo popolo aveva perso buona parte dei benefici dovuti agli Accordi. Era salita al trono una nuova Regina, che a dire il vero non sembrava poi tanto meglio del suo predecessore; ma le fate erano tutte molto simili tra di loro e, almeno per il momento, sembrava che questa volesse collaborare con il Conclave per ridare lustro al suo Popolo. Per questo motivo aveva concesso che il matrimonio venisse celebrato entro il suo territorio, promettendo di proteggerlo e di aiutare con i preparativi.
Ed, almeno, sul buon gusto delle fate non c'era nulla da ridire.
Nonostante fosse arrivata da poco la primavera tutti gli alberi della zona erano stati fatti fiorire di un tripudio di colori, ed un elegante arco di edera era apparso ai piedi di una maestosa e secolare quercia. Dal terreno erano affiorate seggiole di radici e morbide foglie, decorate di boccioli e nastri dorati, che formavano due ordinate file per i parenti e gli amici degli sposi.
Simon, che alla fine aveva vinto la battaglia per gli abiti ed era riuscito ad ottenere di indossare una maglia nera con la stampa di due omini in smoking che si tenevano per mano, con la scritta ''Game Over'', sotto un'elegante giacca grigio fumo che, a detta sua, lo faceva sentire imbalsamato, era impegnato a litigare con Jace, in piedi al lato opposto dell'arcata, per il fatto che quest'ultimo indossasse la sua tenuta da cacciatore decorata di rune rosse piuttosto che un abito da pinguino. Quindi quasi si persero l'entrata degli sposi, accompagnata dal violino di Jem, la cui figura delicata era incorniciata da rose rosse e dorate (innaturali, quest'ultime, e per questo chiaro segno di magia), che veniva guardato con aria persa dalla sua sposa, in prima fila. Tessa teneva fra le braccia un bimbo minuscolo, dai capelli scuri e gli occhioni nocciola, dal taglio orientale, infagottato in un piccolo smoking nero, che quasi aveva tirato scemo il giovane Herondale e divertito Clary la prima volta che lo aveva portato all'Istituto. Izzy si era beccata un'occhiataccia da record da parte di Jocelyn, quando aveva ridacchiato alla rossa Morgestern di fare attenzione agli istinti paterni del suo fidanzato.
I coniugi Graymark (o Garroway, per i mondani), stavano una fila più indietro, anche se in quel momento c'era solo Jocelyn intenta a sporgersi per guardare meglio i due fidanzati, considerato che il marito era impegnato a far passeggiare, poco distante da lì, la piccola Amatis per tenerla buona. La bimba dai capelli castani e gli occhioni verdi, di appena un anno, sembrava del tutto intenzionata ad infastidire delle minuscole pixie, con buona pace dei nervi del genitore.
C'erano anche Maia e Jordan, e qualche altro Cacciatore e Nascosto. Persino Aline ed Helen avevano accettato l'invito, e sorridevano tenendosi per mano, forse pensando con emozione a quando sarebbe stato il loro turno.
Soltanto Robert Lightwood sedeva, solo e tristo nel suo abito scuro, alla fine della fila riservata ad Alec. Probabilmente era venuto solamete perché era l'Inquisitore, e perché Alexander suo figlio. Non ci avrebbe fatto una gran figura, agli occhi del Conclave, se non si fosse presentato; Maryse, però, si voltava ogni tanto a guardarlo, come di sfuggita, stringendo le mani in grembo e sperando che il marito fosse lì per amore del loro bambino, anche se ormai era un uomo a tutti gli effetti. Si erano riavvicinati, alla fine, ma il marito non era riuscito ad accettare la relazione del suo primogenito con lo stregone.
Il solo fatto che fosse lì, però, era un gran passo avanti. O, almeno, pregò l'Angelo perché non si sbagliasse.

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Alec temeva di svenire. Sarebbe di sicuro caduto, crollando come uno scemo davanti a tutti gli invitati e facendovi un'assai magra figura, se la mano di Magnus stretta alla sua non gli avesse dato la forza necessaria a continuare a camminare lungo la navata improvvisata.
Si sentiva goffo in quello smoking nero, dalla cravatta dorata così come le rune di buon auspicio che erano state cucite sulla stoffa: non essendo un vero e proprio matrimonio tradizionale dei Nephilim, Isabelle aveva assunto l'imperativo categorico di mescolare la tradizione mondana a quella dei Cacciatori, facendogli confezionare quell'abito su misura dalle migliori sarte di Alicante. Si era sentito imbarazzato da morire, durante le prove, ma nulla a confronto con quello che sentiva adesso e che gli colorava le guance di un intenso bordeaux, spiccante particolarmente sull'incarnato chiaro.
Ma aveva gli occhi lucidi e brillanti di una gioia silenziosa, azzurri come il cielo sopra di loro, e questo sembrava distogliere l'attenzione dalla lieve espressione corrucciata, frutto dell'imbarazzo.
Magnus, al suo fianco, lo strovava bellissimo. Glielo aveva sussurrato, pieno di ammirazione, quando gli aveva porto la mano vedendolo varcare l'ingresso del parco. In quel momento si era detto l'uomo più felice del mondo, oltre che lo sposo più fortunato.
E, modestamente, insieme erano anche perfetti. Tanto scuri erano i colori del Cacciatore, quanto chiari i suoi; più per fare un ennesimo dispetto alle regole degli Shadowhunters, che altro, lo stregone aveva scelto uno smoking grigio perla, talmente chiaro da sembrare quasi bianco, con rifiniture di un pallido dorato per rimanere almeno un poco in tema con il compagno.
«Tranquillo» sussurrò il figlio di Lilith, chinandosi un poco sulla spalla dell'altro «Cammina e sorridi. Andrà tutto bene.»
Anche se avrebbe voluto ribeccarlo, il Nephilim si trattenne; in qualche modo le sue parole erano state rassicuranti, o forse il tono morbido e familiare, usato, quanto la stretta della sua mano che si era fatta più forte.
Sotto gli sguardi ammirati e commossi dei loro invitati, i due fidanzati si fermarono davanti all'arcata, scambiando uno sguardo d'intesa con la donna che vi stava sotto. Il Console  Penhallow si produsse in un piccolo sorriso, quasi un po' forzato, rivolgendosi poi agli invitati.
«Siamo oggi qui riuniti a celebrare una delle più importanti vittorie che il Mondo Invisibile abbia visto negli ultimi secoli. Il simbolo che dimostra la validità degli Accordi, che mette alla stessa stregua Shadowhunters e Nascosti.» attese qualche istante, come per vedere se qualcuno avesse da obbiettare, ma nessuno, tranne un irrequieto Robert che però si limitava a smuoversi sulla sedia alla ricerca di una posizione, sembrava intenzionato a farlo «Alexander Gideon Lightwood e Magnus Bane, oggi verrete uniti dal sacro vincolo del matrimonio e benedetti dalla protezione dell'Angelo»
Magnus emise un versetto soffocato e Simon si premurò di tirargli una discreta gomitata sugli stinchi, ammonendolo dall'uscirsene con qualche battuta infelice.
Alec sembrava troppo teso per accorgersi di qualsiasi altra cosa, persino di Jace, al suo fianco, che scimmiottava la Console quando questa non guardava dalla sua parte.
«Clarissa Morgestern, vieni avanti con lo stilo»
Clary alzò gli occhi al cielo, rassegnata dall'immaturità del suo ragazzo, ma quando sentì il suo nome pronunciato da Jia scattò su con un gran sorriso, reggendo il cuscinetto di stoffa rossa, ricamato di rune dorate, su cui era adagiato un bello stilo che sembrava di puro cristallo, forgiato apposta dalle Sorelle di Ferro per cerimonie del genere. Due bande di adamas lo avvolgevano, intrecciandosi sinuose come serpenti.
La Console annuì, compunta, facendo per rivolgersi di nuovo agli sposi ma rimase a bocca socchiusa, inarcando pericolosamente un sopracciglio, al notare la pacca che il testimone dello sposo - lo sposo cacciatore - aveva rifilato alla ragazza che si era avvicinata. Una pacca sul sedere, che aveva fatto diventare la Morgestern dello stesso colore dei suoi capelli e del suo vestito, e che era valsa a Jace un piede pestato con un tacco.
«...quando i bambini decidono di smetterla di reclamare attenzione...»
«...e prendersi finalmente una stanza.»
Simon rivolse un sorriso angelico alla Console, facendo finta di nulla, mentre Clary si ricomponeva mostrando un'espressione dispiaciuta ai due amici, più che l'officiante. Ma si rivolse comunque a quest'ultima, dopo aver lanciato un'occhiataccia al fidanzato.
«Mi dispiace, Console, vada pure avanti.»
Jia annuì, tornando a voltarsi verso i due protagonisti della giornata. Il giovane Lightwood sembrava sul punto di andare in autocombustione spontanea o, in alternativa, cadere lungo disteso lì ai suoi piedi; aveva un colorito malsano, se pur tinto del rosso dell'imbarazzo.
Per contro Magnus sembrava raggiante, quasi non avesse un pensiero al mondo che non fosse quello del ragazzo al suo fianco.
«Dunque... Alexander Gideon Lightwood, vuoi prendere il qui presente Magnus Bane come tuo leggittimo sposo, davanti all'Angelo e alle leggi dei mondani, e promettere di amarlo e rispettarlo sempre, nelle gioie come nelle avversità, finché morte non vi separi?»
Il Nephilim sembrò esitare un secondo. Avrebbe voluto correggere la Console, dirle che solo la sua morte l'avrebbe separato dal suo amato stregone, ricordarle che Magnus era immortale. Ma non fece nulla di questo, alla fine. Le sue spalle tremarono impercettibilmente, ma la sua voce fu decisa.
«Lo voglio.»
Magnus, al suo fianco, sorrise in un modo che gli fece dimenticare qualsiasi altra cosa. Forse, anche perché gli si era fatto incredibilmente vicino, stringendogli forte la mano con la propria.
«E tu, Magnus Bane, vuoi prendere il qui presente Alexander Gideon Lightwood come tuo leggittimo sposo, davanti all'Angelo e alle leggi dei mondani, e promettere di amarlo e rispettarlo sempre, nelle gioie come nelle avversità, finché morte non vi separi?»
Il sorriso del figlio di Lilith si addolcì, divenendo appena accennato sulle labbra. Tirò piano a sé il compagno, facendogli scivolare le mani sui fianchi, chinando il viso ed appoggiando la fronte sulla sua. Un gesto così intimo, che ai presenti sembrò quasi di fare loro un torto ad assistervi e sentire quelle parole.
«Lo voglio
Il Lightwood sentì i battiti accellerare furiosamente, al punto che si ritrovò a stringere con forza il bavero dello smoking del Nascosto, ricambiando lo sguardo di quelle iridi feline che non gli erano mai sembrate così calde e umane.
«Gli sposi procedano ora con lo scambio delle rune.»
A Clary quasi dispiacque dover interrompere il momento, ma la cerimonia non era ancora conclusa e adesso veniva la parte più importante. Oltre che quella di cui era più fiera, dato che era merito suo se poteva essere attuata.  Gli anelli, in fondo, se li sarebbero scambiati dopo. Ma la parte più bella stava per arrivare.
Lo aveva già fatto una volta, durante la Guerra Mortale, e anche stavolta la runa le era apparsa nitida nella mente, semplicemente guardando la coppia intenta a parlare, i capi vicini e i sorrisi sulle labbra, stretti su un divano del salone della musica dell'Istituto.
Molto simile a quella del matrimonio che portavano gli Shadowhunters, aveva però una curvatura in più e ricordava vagamente il simbolo dell'infinito. E, cosa più importante, poteva essere sopportata da un Nascosto e portata permanentemente.
Alec deglutì, prendendo per primo lo stilo e guardando lo stregone sbottonarsi con calma la giacca e la camicia, lasciando nudo il petto. Sentì un grande calore, mentre ne appoggiava la punta sulla pelle scura, tracciando quel simbolo eterno sopra il suo cuore palpitante.
«Mettimi come sigillo sul tuo braccio, come sigillo sul tuo cuore.»
Pronunciò, terminando il disegno. Magnus sorrise, sfilandogli lo stilo dalle mani ed adagiandolo sulla pelle più chiara dell'altro, ripetendone i movimenti. Era faticoso, perché bruciava a contatto con i palmi, ma non avrebbe rinunciato a farlo per nulla al mondo.
«Perché forte come la morte è l'amore. Tenace come gli inferi la passione.»
Terminò, ammirando il ghirigoro che andava scurendosi, ornando di un altro segno permanenete quel corpo. Lo sentiva bruciare piacevolmente anche sulla propria pelle, avvertendo quasi come un doppio battito, nel petto. Ma forse era solo la suggestione del momento.
La Console alzò le mani al cielo, come a dare loro una benedizione o forse solo presentarli ai presenti.
«Da oggi e fino alla fine dei vostri giorni, vi dichiaro mari- ... sposi
Jace non riuscì ad evitare di scoppiare a ridere, per la gaffe della donna che aveva tentato di correggersi subito, non sapendo come definirli. E quello sembrò dare il via ad urla e battiti di mani, mentre i due neo sposi si sorridevano, abbracciati, come se non esistesse nulla al mondo oltre loro, in quel momento.
Magnus si chinò a sfiorare le labbra di suo marito, sgranando appena gli occhi al mormorio che udì prima di perdersi nel bacio. Un flebile ''Aku cinta kamu'' che ebbe, di risposta, solo il primo di quella che sarebbe stata una serie di lunghi, lunghissimi baci.

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«Congratulazioni, signori Bane!»
«Bane-Lightwood, per la precisione.»
«"Bane-Lightwood"?! Oh, andiamo, Alec! Il mio parabatai che si fa mettere sotto in questo modo da uno stregone?»
«...Jace, dovresti proprio guardare dietro di te.»
«Cos- WAHHHH! Clary, mandale via!»
Simon rimase perplesso ad osservare la scena di un Jace che correva ad arrampicarsi su un albero, seguito a ruota da un'esasperata Clarissa e una divertita Isabella, prima di riprendersi e tendere la mano per fare le sue congratulazioni allo stregone e il cacciatore.
«Auguri e... sul serio Magnus, anatre con i fiocchetti?»



Happy Wedding Magnus and Alec




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»Angolino di Red«

Perché non sarebbe stato un vero matrimonio, senza le anatre.
...
Ok, cavolate a parte, ci tengo a precisare che la magnifica fanart non è mia, e che ho preso spunto da quella per un passo del matrimonio. Ma sono noiosa, voi intelligenti e l'avevate già capito. Meh.
Spero che il tanto sospirato capitolo delle nozze sia risultato di vostro gradimento. Sappiate che l'ho riscritto cinque volte e continua a non convincermi del tutto. Ma, vabbé, mi fermo o finisco per non dargli più la luce.
Questo è il penultimo capitolo della raccolta, mi viene quasi da piangere.
Ringrazio immensamente chi mi ha seguito fino a qui, chi ha avuto il coraggio di leggere e a chi ho rimescolato feels impunemente (giuro, non volevo uccidere nessuno!)
Al prossimo, ultimo, capitolo.
Red.

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Capitolo 15
*** Life cannot be written, life can only be lived. ***


Ho il culto delle gioie semplici.
Esse sono l'ultimo rifugio di uno spirito complesso.
Oscar Wilde



Life cannot be written, life can only be lived.






''...il mare è splendido qui, mi chiedo perché non ci siamo mai venuti prima. Dovreste farci un salto anche voi, sul serio. Se il Paradiso non è così, per l'Angelo, poco ci deve mancare. Sta andando tutto bene, tralascinado il fatto che Magnus abbia deciso di andare in giro con un gonnellino di paglia, dimenticandosi che non siamo alle Haw-''
«Oh, andiamo pasticcino! Hai deciso di voler rimanere seduto lì per tutta la vacanza?»
Alec sobbalzò, colto in flagrante, e per poco non tirò una linea sbilenca sulla cartolina che stava compilando, rovinando il lavoro di più di mezz'ora.
Con quel caldo era davvero difficile trovare qualcosa di intelligente da scrivere, o avere anche solo la voglia per farlo, effettivamente.
Soprattutto avendo quella meraviglia di mare a nemmeno mezzo metro di distanza.
Ad essere del tutto sinceri, quando erano arrivati non era stato del tutto convinto dal bungalow costruito sopra l'acqua. Gli ricordava una palafitta, e non sembrava nemmeno così stabile, con quel tetto di paglia poi.
Ogni suo dubbio si era dissipato appena messo piede all'interno; era tutto stupendo, incredibile. Arredato con buon gusto, si era innamorato del tavolino di vetro che mostrava uno scorcio del panorama sotto l'abitazione e che poteva persino essere scostato. Per dare da mangiare ai pesci, supponeva, anche se non l'aveva mai provato.
E poi c'era la camera da letto, grandissima, che dava su una veranda altrettanto ampia su cui si trovava una jacuzzi con vista sulla zona migliore dell'isola. Non capiva cosa se ne sarebbero dovuti fare di una piscina, avendo a disposizione il mare, ma non si lamentava. Soprattutto perché aveva deciso di impadronirsi dell'amaca sospesa, il posto a parer suo più rilassante di tutta l'abitazione.
Anche se, la prima volta che l'aveva provata, per fargli dispetto Magnus lo aveva fatto capovolgere e finire in acqua completamente vestito.
«No, ma stavo scrivendo una cartolina, se non l'avessi notato» borbottò, sventolando fra pollice ed indice il pezzo di carta che aveva, sul davanti, una veduta delle spiagge da mozzare il fiato. Certo non come avrebbe fatto il vederlo di persona, ma si ci poteva accontentare.
Lo stregone si tirò su gli occhiali da sole, fra i capelli sale e pepe. Erano umidi, e le striature grige si notavano di più di quando erano asciutti. Ma il marito diceva sempre che gli davano un'aria affascinante, così aveva rinunciato a tingerli.
«Siamo sulla Perla del Pacifico e tu scrivi una cartolina. Mi chiedo se cambierai mai.»
Sospirò, con un sorriso.
Il Cacciatore non potè fare a meno di ricambiarlo, notando le piccole rughe d'espressione che si formavano sempre ai lati di quegli occhi da gatto, quando lo faceva. Era una cosa che adorava di lui.
Lasciò perdere la missiva, spostando la penna e il foglio di lato, per far scorrere lo sguardo oltre le spalle del figlio di Lilith, sulla veduta che riusciva a lasciarlo incantato ogni volta, da che erano arrivati.
Il sole stava morendo fra le acque cristalline, lasciando il cielo nell'indecisione del giorno e della sera; non del tutto tinto di blu, ma con qualche sfumatura aranciata e rosata e la luna a far timido capolino in lontananza.
Sbuffò, allargandosi la camicia hawaiana - regalo del suo incorreggibile sposo -, perché nonostante non fossero più in pieno giorno continuava ad esserci troppo caldo per i suoi gusti.
«Suppongo che, se non l'ho fatto in tutti questi anni, non inizierò a farlo adesso» commentò, tranquillamente.
Il Nascosto sorrise un po' di più, decidendosi ad avvicinarsi. Aveva intravisto oltre la stoffa leggera della camicia, al gesto dell'altro, la runa che decorava il suo petto, proprio sopra il suo cuore.
Alec lo osservò, perplesso, spostarsi alle sue spalle e chinarsi ad abbracciarlo, appoggiando la guancia ispida di una leggera barbetta contro la sua. Adesso sembravano avere un incarnato simile, malgrado si notasse che il suo fosse dovuto all'abbronzatura e quello del marito alla genetica.
Sentì le guance arrossarsi leggermente, poi, anche dopo tutto quel tempo, quando percepì il tocco delicato delle dita di Magnus sul suo petto, a ripercorrere con gentilezza il segno scuro sulla sua pelle.
Anche se da quell'angolazione non riusciva a vederlo, anche perché coperto da una maglietta con un tripudio di fiori colorati e tavole da surf, sapeva perfettamente che sul petto del compagno ce ne fosse uno del tutto identico.
«Strabiliante, la magia, non trovi? E' ancora lo stesso di quel giorno.»
Mormorò, contro il suo collo.
Il Lightwood rabbrividì leggermente, anche se non era più un ragazzino da un pezzo. «Già...» sospirò, prima di voltarsi e premere una mano sulla guancia dello stregone, per portarselo più vicino e baciarlo. Aveva le labbra salate.
Desiderò baciarlo ancora, ancora e ancora, fino a quando non avrebbero riottenuto lo stesso sapore dolce di sempre.
Fu  la mancanza d'aria ad impedirglielo, così dovette scostarsi appena, sfiorando con la punta delle dita il profilo del viso del marito.
«Stai diventando vecchio, Magnus»
Sussurrò, emozionato. C'era dolcezza, nelle sue parole, oltre che una velata presa in giro. Ma gli occhi azzurri, dietro i capelli non più perfettamente scuri come un tempo, erano ancora brillanti come quando aveva diciotto anni.
Magnus sapeva che era una cosa che non sarebbe mai cambiata in lui. E gli dava sicurezza, quando si ritrovava a rendersi conto del tempo che scorreva.
E che non si sarebbe più arrestato.
«Anche tu, Alexander... ma sei sempre il ragazzo più bello che abbia mai conosciuto, lo sai?»
Il Nephilim sorrise, socchiudendo gli occhi, pronto a tornare a baciarlo.
Ma fu interrotto dalla vibrazione del cellulare, che lo convinse ad allontanarsi dalle labbra del figlio di Lilith per allungarsi sul tavolino a recuperarlo, ridacchiando per l'espressione imbronciata che era apparsa sul viso del Nascosto. Non per questo, però, Magnus lo aveva lasciato andare. Anzi, aveva appoggiato il mento su una sua spalla, guardando curioso verso il telefonino in attesa che il marito rispondesse. Diventavano sempre più tecnologici, quegli aggeggi.
Ma il bronciò sparì, ritrovandosi ben presto a stringere più forte il suo compagno di vita, ricambiando il suo sorriso sereno, mentre venivano assordati da un vociare conosciuto. Che rappresentava tutta la loro vita, e il loro futuro.

«Ehm... non vorrei disturbarvi, non ricordo com'è il fuso orario l- Amatis, sta zitta un secondo! No, Will, non te li passo, aspetta il tuo turno. Per Raziel, Alex, sono i miei genitori mica i tuoi! Ops, scusate. Beh, sì... ecco. Buon venticinquesimo anniversario di matrimonio, papà!»



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»Angolino di Red«


Non ci posso credere. Ho finito. Non mi sembra ancora vero *cerca fazzoletti*
Iniziamo col fare un paio di precisazioni sul ''vociare assordante'' finale. Amatis l'avete conosciuta nel precedente capitolo, è figlia di Jocelyn e Luke. Will è il figlio di Tessa e Jem. Alex, diminutivo di Alexander sì, è il figlio di Jace e Clary. Mentre chi parla al telefono... è Max. Mi sembra superfluo dire di chi sia figlio (oltre che sia ovviamente adottato).  
Mentre il posto dove si trovano i nostri cari, se non l'avete compreso, è la splendida Bora Bora.
Ok, ora ho finito con le precisazioni e passo ai ringraziamenti.
Ringrazio chiunque abbia letto, sbirciato e seguito questa raccolta. Ringrazio i tredici che l'hanno messa fra le preferite, i cinque delle ricordate e i ventinove delle seguite.
Ringrazio soprattutto le mie stalker ufficiali, Class of 13 e unicorn_inthemind, che con le loro recensioni mi hanno resa davvero felice e mi hanno fatta anche un po' emozionare, lo ammetto.
Ma ringrazio anche tutti gli altri che hanno dato il loro parere, che si sono fatti sentire e hanno lasciato un po' di sé per ogni capitolo.
Io ho amato scrivere e quindi non ho un capitolo preferito. Ma ammetto che a quest'ultimo ci sono particolarmente affezionata, malgrado non sia forse, probabilmente, quasi certamente il migliore nel mezzo.
Menzione speciale al grande Oscar Wilde, ovviamente, che mi ha accompagnato in questo breve percorso con le sue citazioni e mi ha fatto dannare per trovarne che stessero bene fra loro e per decidere quale prendere e quale scartare senza sentirmi troppo in colpa.
Bon, non ho altro da dire o le note finiranno per superare il capitolo.
Un bacio a tutti quanti, e alla prossima.
E ricordate, fan del Malec.
Non ci resta che fare quello che fanno tutti. Sperare.
Red 

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