We Are Broken From the Start.

di Bad A p p l e
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Retrace I: Prelude. ***
Capitolo 2: *** Retrace II: Calm before the Storm. ***
Capitolo 3: *** Retrace III: The Worst Dream Ever ***



Capitolo 1
*** Retrace I: Prelude. ***


We are Broken From the Start.

 

 

Retrace I: Prelude.

 

 

La “Casa di Fianna” ufficialmente era un normalissimo orfanotrofio dell’East End, come tanti altri, e in ben pochi erano a conoscenza della sua vera natura. Era davvero un orfanotrofio, ma i suoi ospiti erano tutti maghi e streghe.

“Verrebbe da chiedersi per quale motivo abbiano deciso di erigere una struttura per maghi in un quartiere babbano”.

Leo sbadigliò e girò pigramente una pagina de: “Gli Animali Fantastici: dove trovarli”, per poi essere disturbato dal rumore delle porte della biblioteca che venivano aperte rumorosamente, permettendo ad una selva di bambini di invadere il suo santuario.

Ma certo, dopotutto giocare ad acchiapparella dove lui stava cercando di studiare doveva essere il massimo del divertimento, no?

“Okay, fine della pace. Conta fino a dieci, Leo, e poi cruciali tutti dal primo all’ultimo”.

Nonostante fosse un’idea allettante, decise che farsi spezzare la bacchetta e passare la vita ad Azkaban non rientrasse propriamente nella sua definizione di “sogno nel cassetto”, quindi si limitò a chiudere il libro con un sospiro esasperato e si incamminò fuori dalla biblioteca.

Quello era l’ultimo giorno delle vacanze estive e avrebbe di gran lunga preferito passare tutta a giornata a leggere, piuttosto che bighellonare per la struttura alla ricerca di un angolino appartato, ma dall’estate prima –cioè da quando l’avevano scoperto- gli era stato tassativamente vietato di chiudersi a chiave nella biblioteca e per colpa delle leggi assurde della DALM non poteva nemmeno ammutolire ed immobilizzare i bambini con qualche incantesimo.

Guardò fuori dalla finestra senza realmente vedere ciò che c’era fuori, perdendosi nei suoi pensieri. Era contento di tornare ad Hogwarts e non per qualche motivo prefabbricato simile ad: “Hogwarts è la mia casa” ma perché negli ultimi anni trovava che c’era qualcosa di tremendamente sbagliato nell’atmosfera che regnava all’orfanotrofio e non vedeva l’ora di allontanarsene.

Sembrava che periodicamente i bambini residenti in quel posto venissero Obliviati, dato che ogni volta che accadeva qualcosa di spiacevole, poco dopo tutti ne perdevano il ricordo.

Solo un mese prima un bambino, James, era morto per un’infezione magica incurabile e sebbene al momento tutti erano stati molto tristi, dopo meno di una settimana non si ricordavano nemmeno dell’esistenza di un orfano di nome “James”.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma tutto ciò gli metteva i brividi. Com’era successo agli altri, poteva succedere anche lui di dimenticare tutto in modo così assurdo, no? Anzi, forse gli era già anche successo e non poteva averne conferma; quel pensiero lo faceva letteralmente impazzire.

Dulcis in fundo, aveva ricominciato a sentire quelle voci.

Sapeva perfettamente che sentire voci nella propria testa non era normale nemmeno nel mondo magico, dove tutto sfiorava i livelli dell’assurdo, ma a lui capitava da che aveva memoria e se per un lungo periodo aveva smesso di sentirle, al momento erano ritornate, probabilmente attirate dallo stress che sentiva addosso.

 Forse stava semplicemente diventando pazzo, come aveva più volte ipotizzato quell’idiota Grifondoro di Elliot; forse doveva davvero prendere in considerazione una visita da uno psicomago, ma quello era l’anno dei G.U.F.O e non poteva permettersi una distrazione del genere se voleva raggiungere la quota di almeno dieci E.

Scacciò quei pensieri come avrebbe fatto con una mosca molesta: presto avrebbe lasciato la Casa di Fianna e per dimenticare ogni cosa, come succedeva agli altri ospiti dell’orfanotrofio, gli sarebbe bastato ignorare le voci.

Semplice, no?

“E allora perché rifiuti questa possibilità con tutto te stesso?”

La risposta non era difficile. Nonostante le apparenze, non era capace di far finta di nulla, voleva capire cosa stesse accadendo e mettere fine a quella situazione.

Si sentì improvvisamente impotente di fronte a quelle vicende e strinse forte i pugni, con rabbia, per poi allontanarsi di scatto dalla finestra, quasi il davanzale lo avesse scottato.

Decise di scendere in giardino, probabilmente per prendere a calci qualche albero, reo di essere malauguratamente stato piantato sulla sua strada, ma appena fuori dalla struttura si trovò davanti un paio di occhi azzurri, freddi, e la rabbia svanì all’istante.

 

 

 

Elliot Nightray sapeva di essere empatico quanto un Ungaro Spinato, ma ormai conosceva Leo da quattro anni e aveva imparato a capirne l’umore dai piccoli particolari.

Ad esempio, nonostante gli occhi dell’amico fossero quasi totalmente nascosti dagli occhiali spessi, riuscì a capire quanto Leo fosse turbato e arrabbiato semplicemente dalla fossetta che si era creata tra le sopracciglia appena aggrottate e dai tendini terribilmente tesi sul collo.

Questo, tuttavia, durò solo pochi attimi, poi il moro si rilassò visibilmente.

Tirò un sospiro di sollievo: se c’era una cosa che aveva imparato in quegli anni era appunto che avere a che fare con un Leo arrabbiato, voleva dire finire ricoperto di lividi dalla testa ai piedi a causa dei libri e del mobilio vario che il moro si divertiva a lanciare contro chi osava rivolgergli la parola.

«Per un momento ho pensato che mi avresti cruciato» confessò.

«Non escluderlo ancora, Nightray».

«Prefetto Nightray, prego».

Si scambiarono un ghigno che ad onor del vero Elliot ritenne un po’ troppo poco Grifondoro per se stesso, ma alla fine andava bene, dato che aveva sentito gli ultimi rimasugli di tensione sciogliersi.

Leo tirò fuori la sua spilla verde-argento e la lanciò in aria per poi recuperarla al volo, «anche tu prefetto? Non era Oz il Golden Boy di Grifondoro~

«A quanto pare essere il figlio del ministro non è sufficiente» rispose, chiaramente compiaciuto, andandosi a sedere sotto un albero per ripararsi dal sole.

Leo lo seguì e si sedette accanto a lui.

Guardandolo attentamente così da vicino era evidente che in fondo non si era davvero calmato del tutto; la mascella serrata e le labbra ridotte ad una linea sottile erano abbastanza rivelatorie, quindi tanto valeva cercare di scoprire cosa stesse accadendo all’amico. Abbandonare un Serpeverde a se stesso non era mai una buona idea, tendevano a farsi più castelli mentali di chiunque.

«Allora, devo usare del Veritaserum o parli da solo?»

Da come Leo si irrigidì subito, capì che qualunque fosse il problema, doveva essere serio.

«Sei tu quello venuto qua senza essere stato invitato: parla tu» si sentì rispondere con tono scocciato, cosa che gli fece venir una gran voglia di prendere a pugni l’amico.

«C’è qualcosa che non va ed è abbastanza evidente. Parla».

 

 

Leo aveva davvero voglia di lanciare qualcosa. Ovviamente Elliot aveva capito subito che qualcosa non andava ed aveva avuto la brillante idea di iniziare a fare domande.

Non potevo scegliermi un amico meno ficcanaso?” .

Scosse impercettibilmente la testa, dopotutto sapeva che se era così legato ad Elliot era proprio perché riusciva a capirlo meglio di chiunque altro, anche se dovette ammettere che la capacità del biondo di leggergli dentro con tanta facilità cominciava ad inquietarlo.

“Non starà usando la Legilimanzia?”

Il tono definitivo usato da Elliot non gli lasciò che capitolare… be’, almeno in parte.

«Sento di nuovo le voci» si risolse a rispondere. Il ché, ovviamente, era vero, ma era solo una piccola parte della verità.

Elliot non fece una piega, essendo l’unico a cui aveva parlato di quel suo piccolo problema.

«Questa volta riesci a capire cosa dicono?»

Si portò le mani alle orecchie, tappandole, come se in quel modo potesse smettere di sentire quelle voci. Sapeva che non si sarebbero fermate per così poco, ma non riuscì a farne a meno, gli dava un vago sentore di sollievo.

«No… sono così caotiche…» sospirò, guadagnandosi una solidale pacca sulla spalla.

Nessuno dei due era molto avvezzo al contatto fisico, ma in quel momento non c’era davvero nulla da dire, in casi del genere le parole erano fin troppo sopravvalutate; era sicuro che sarebbe stato perfettamente in grado di picchiare Elliot se avesse osato dire qualcosa con l’intenzione di consolarlo, quindi non gli restò che apprezzare profondamente quel breve contatto fisico.

Decise che era il momento adatto per cambiare discorso, prima che al Grifondoro potesse venir in mente di approfondire la questione e diventare insistente.

«Non mi hai ancora detto per quale motivo hai portato le tue nobilissime terga Purosangue nell’East End» indagò. Non poteva essere venuto in uno dei quartieri più malfamati della Londra Babbana solo per vederlo, dal momento che si sarebbero comunque incontrati il giorno dopo sull’Espresso per Hogwarts.

«Be’, l’altro giorno non hai risposto al mio gufo e sono venuto a vedere se stavi bene…»

“Va bene, come non detto. È proprio stupido come sembra” pensò, senza riuscire ad impedire ad un leggerissimo rossore di salirgli alla guance… insomma, Elliot era indubbiamente stupido, ma era venuto ad assicurarsi che stesse bene solo perché non aveva risposto ad uno stupidissimo gufo… a cui, tra l’altro, non aveva risposto per pura pigrizia.

Lungi dal sentirsi anche solo minimamente in colpa, rivolse all’amico un sorrisetto degno del miglior Serpeverde «oh, quello… mi ero completamente scordato di rispondere~» cinguettò, schivando abilmente il prevedibilissimo pugno che Elliot cercò di tirargli. Sospirò in modo drammatico, «questi Grifondoro, sempre così maneschi~».

Elliot si alzò con un versetto stizzito «ci vediamo domani. E guai a te se fai tardi» borbottò, infilandosi le mani intasca e avviandosi verso il cancello.

Non gli rimase che salutarlo.

 

 

[…]

 

 

Oz era quel tipo di ragazzo che difficilmente arrivava ad odiare qualcosa o qualcuno, ma in tutta onestà non sarebbe mai riuscito a negare di odiare profondamente le vacanze estive.

Riflettendoci meglio, arrivò alla conclusione che non erano propriamente le vacanze estive, che odiava, ma qualunque pretesto lo costringesse a stare a casa.

Si rigirò svogliatamente nel letto nonostante fosse pomeriggio inoltrato, preferendo di gran lunga passare quell’ultimo giorno di vacanza a poltrire chiuso in camera sua che a sorbirsi l’atmosfera poco salubre che regnava nel resto magione dei Vessalius.

Di uscire non se ne parlava neanche; come qualunque casata Purosangue che si rispetti, la loro magione era situata in un punto talmente isolato che per raggiungere un qualsiasi agglomerato di civiltà moderna avrebbe impiegato ore.

Non poteva nemmeno contare su suo zio, impegnato con la sua squadra Auror in un’operazione congiunta in Francia, o qualcosa di simile. Ovviamente nemmeno Ada era in casa, era uscita quella mattina presto per una “rimpatriata” con le altre ragazze del sesto anno.

“Qualcuno mi spieghi la logica di una rimpatriata il giorno prima dell’inizio della scuola” pensò placidamente Oz, per poi rispondersi che doveva essere roba incomprensibile da ragazze.

Davvero, preferisco non capire”.

Abbracciò sconsolato il cuscino, arrendendosi al fatto che sarebbe morto per la noia prima ancora di poter mettere piede sull’espresso per Hogwarts.

C’erano volte –la maggior parte, a dire il vero- in cui odiava profondamente essere un purosangue, non faceva affatto per lui: non era ingessato, silenzioso, composto e, soprattutto, adorava far casino come un qualsiasi altro adolescente.

«Voglio tornare ad Hogwarts» borbottò sconsolato, rivolto al suo cuscino, per poi sentire bussare molto poco gentilmente alla finestra della sua stanza.

Saltò giù dal letto e andò ad aprire le ante della finestra, armato di bacchetta; abbassò subito la guardia nel ritrovarsi davanti nientemeno che Alice, tranquillamente a cavallo della sua scopa e con in viso uno sguardo di sufficienza.

«Puntami ancora addosso quel legnetto e te lo spezzo» disse lei, candidamente.

«Alice?»

«No, sono quell’oca di tua sorella».

Sbuffò esasperato, beccandosi una doverosa occhiataccia da parte dell’amica.

«Muoviti e sali sulla scopa, prima che mi passi la voglia di salvarti dal tuo suicidio sociale a base di noia».

Il biondo sapeva benissimo che Alice sarebbe stata davvero capace di cambiare idea e andarsene, quindi senza fare domande obbedì, ignorando i mille motivi per cui avrebbe dovuto rifiutare.

“Oh, al diavolo, è tutto il giorno che piagnucolo perché mi annoio”.

Dopo essere salito, si ricordò di due piccoli particolari: Alice aveva scoperto già dal loro primo anno che lui aveva una leggera fobia per la velocità… e sempre Alice aveva un’indole terribilmente sadica.

“No, no, no…”

E invece sì.

Alice ovviamente decise di accelerare subito e dal lieve tremolio delle sue spalle ne dedusse che doveva starsi divertendo un sacco a spese sue.

Fu solo per orgoglio che non supplicò la ragazza di rallentare, ma non poté impedirsi di stare rigido come uno stoccafisso, sperando che il viaggio in scopa durasse il meno possibile.

Le sue preghiere vennero esaudite: in poco tempo si ritrovarono a sorvolare il Paiolo Magico e Alice fece atterrare la scopa direttamente nel piccolo cortile sul retro.

«Diagon Alley?»

Il tono della sua voce dovette tradire una nota di scetticismo, perché la ragazza si voltò a guardarlo male «hey, se preferisci ti riporto in quel coso sperduto in cui vivi».

«Sarebbe una magione…»

«Una magione mortalmente noiosa»

Il ché non faceva una piega, quindi si limitò a toccare con la bacchetta i mattoni che aprivano il passaggio per Diagon Alley.

La prima volta che c’era stato, ad undici anni, era rimasto senza parole, ma ormai il piccolo villaggio magico non gli faceva più alcun effetto; ciononostante, era decisamente meglio essere lì che in camera sua, quindi andava bene.

Sì, certo, tutto bene almeno finché un Bolide impazzito scappato da “Accessori di prima qualità per il Quidditch” non decise di colpirlo in piena nuca.

Il buio lo inghiottì prima ancora che potesse rendersi conto di alcunché.

 

 

 

Si trovava in un luogo scuro, dall’aria pesante e opprimente; cercò di guardarsi attorno, ma si rese conto che non c’era niente da guardare.  

Non c’era inizio, non c’era fine, non c’era nessuna via d’uscita, si trovava nel mezzo di un’infinita distesa di nulla.

Era in trappola.

«Oz».

Si voltò di scatto verso la fonte della voce, ma non c’era nessuno.

«Oz, devi fermarli!»

La voce continuava a spostarsi, un attimo prima era sopra di lui, poi al suo fianco e così via, senza accennare a fermarsi. Il suo interlocutore era ogni cosa che lo circondava.

«Sono ad Hogwarts, devi fermarli!»

 

 

 

 

Death Note: Buonsalve!

Be’, sinceramente non ho idea di come sia uscita fuori questa “cosa”, ma mi è sempre piaciuta l’idea di ambientare Pandora ad Hogwarts~ ditemi che non sono l’unica~.

Cooomunque, devo ancora decidere la maggior parte dei Pair, per ora l’unica certa è l’Elleo u.u

E niente, recensite in tanti o il mio Jabberwock da giardino vi spedirà nell’Abisso <3

Ja ne~

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Capitolo 2
*** Retrace II: Calm before the Storm. ***


We are Broken From the Start.

 

 

Retrace II: Calm before the Storm.

 

 

Risvegliarsi, probabilmente, fu addirittura più traumatico che perdere i sensi per colpa di un dannatissimo bolide impazzito.

Aprì gli occhi, ma li richiuse subito, ferito dall’accecante luce che filtrava dalla finestra di quella camera del San Mungo.

“’Fanculo. Il tempo fa sempre schifo e il sole spaccapietre doveva uscire proprio oggi?” pensò, frustrato, portandosi una mano davanti agli occhi e provando ad aprirli con estrema cautela.

Più che come un poveretto colpito in testa da un bolide, si sentiva come un ubriaco, per di più investito dal Nottetempo.

«Ben svegliato, raggio di sole» lo prese in giro Alice, seduta accanto al suo letto. La riconobbe solo dalla voce, dato che ancora non riusciva a mettere a fuoco nulla che non si trovasse a mezzo centimetro dal suo naso.

«Dimmi che hai preso la targa del Nottetempo che mi è passato addosso».

«Per essere convinto di essere stato investito, dopo esserti beccato un bolide in testa, devi esserti giocato il cervello».

«Mai sentito parlare di ironia?~»

«Se non è qualcosa che si mangia, non mi interessa».

Oz non riuscì più a trattenere una risata, alla quale si unì pure la ragazza. Per quanto cercasse di dare a vedere il contrario, Oz capì subito che Alice doveva essersi preoccupata molto; era evidente dal modo i cui ancora si stringeva le mani, sintomo di un’evidente agitazione.

«Sto bene» disse quindi, a beneficio dell’amica.

Lei inarcò un sopracciglio «lo spero bene per te, da domani mi servirà uno schiavetto per portare i libri da un’aula all’altra» disse, accavallando le gambe e mettendosi finalmente a suo agio, senza più tutta quella tensione nei muscoli.

Oz si massaggiò le tempie, ricordandosi all’improvviso lo strano sogno che aveva fatto mentre era privo di sensi.

«Ma era stata la Cooman a dirci che quando siamo privi di sensi si verificano le condizioni ideali per cui qualche spirito possa mettersi in contatto con noi?» domandò ad Alice.

Lei si permise uno sbuffo esasperato «ovvio, chi altri poteva dirci qualcosa di così assurdo?»

«Eppure io qualcosa di strano l’ho sentito…»

Esitò qualche secondo, sapeva bene quanto l’amica fosse scettica. Per quanto vivesse in un mondo in cui era possibile trasformare una tazzina in un pappagallino, lei era molto attaccata al lato materiale delle cose; non credeva alla spiritualità nonostante vedesse fantasmi tutti i giorni in giro per la scuola.

Sospirò, Alice era una contraddizione vivente e questo non avrebbe potuto cambiarlo in nessun modo, ma aveva bisogno di palarne con qualcuno, quindi affrontò le occhiate ciniche della ragazza e le raccontò della voce dispersa nel nulla che l’aveva messo in guardia.

«E allora?» si limitò borbottare Alice dopo che lui ebbe finito di parlare.

Oz inarcò un sopracciglio, «e allora potrebbero esserci dei problemi ad Hogwarts, no?»

Alice si alzò e lo guardò con un sorrisetto di superiorità, «è chiaro che sei ancora intontito dalla botta in testa, in ogni caso ti farò il favore di chiarirti la situazione, oggi mi sento compassionevole: è stato un sogno, quindi ad Hogwarts non succederà nulla… e nel caso dovesse accadere qualcosa, spaccheremo il culo a chiunque tenti di rovinarci l’anno scolastico. Chiaro?»

Il ragazzo avrebbe dovuto sentirsi profondamente offeso dal modo in cui gli aveva parlato l’amica, come se lui fosse un bambino stupido, ma in realtà quelle parole gli avevano dato un inaspettato sollievo, quindi si limitò a sorriderle, senza aggiungere nulla. Si stiracchiò e si alzò dal letto.

«Dove credi di andare?» domandò Alice, guardandolo male.

Sorrise, «sono il figlio del ministro, credi davvero che qualcuno abbia avuto il coraggio di mandare un gufo a mio padre per avvertirlo che sono finito al San Mungo~? Probabilmente stanno ancora cercando di decidere chi deve contattarlo, quindi io magnanimamente toglierò loro questa incombenza tornandomene a casa come se nulla fosse, dopotutto ora sto bene~».

 

 

 

 

Alice sapeva bene quanto l’amico fosse testardo, quindi non le rimase che seguirlo e ridacchiare appena delle deboli proteste dei Guaritori, che ovviamente non poterono far altro che lasciare che Oz se ne andasse dall’ospedale, come se nulla fosse successo.

Scosse impercettibilmente la testa: quando Oz sfruttava in quel modo il fatto di essere il figlio del ministro, diventava adorabile, anche se lei non l’avrebbe mai ammesso ad alta voce.

«Charing Cross non è lontana, se vuoi possiamo tornare a Diagon Alley» borbottò Oz una volta fuori, cercando di orientarsi nella Londra babbana.

Alice si stiracchio «nah, è tardi, dovremmo tornare a casa» rispose. Solitamente non gliene sarebbe importato nulla dell’ora, ma se non avesse riportato Oz a casa tutto intero, probabilmente il Ministro avrebbe preteso la sua testa su un piatto d’argento e l’ipotesi di terminare la sua vita a quindici anni per colpa di un idiota non era proprio allettante.

«Prima pretendo un gelato. Mi sono preso un bolide in testa, me lo merito~»

Sì, Oz quando ci si metteva di impegno diventava pedante ed infantile, ma Alice lo conosceva abbastanza da sapere che era una maschera, se non voleva ancora tornare a casa, nel luogo dove sarebbe stato di nuovo solo, era perché qualcosa lo turbava; probabilmente ancora quel ridicolo sogno di cui le aveva parlato prima.

Sopirò, anche se alla fine sapeva già che avrebbe ceduto, nulla le impediva di fare un po’ la difficile, giusto?

«Scordatelo, non ho dietro soldi babbani».

Oz le fece la linguaccia - “Oh, molto maturo. Davvero molto maturo” -.

«Bugiarda~» si limitò a commentare, per poi schivare il pugno che inevitabilmente attentò alla vita del suo naso. «Alice, sei una bugiarda, hai sempre dietro del denaro babbano in caso ti venga voglia di comprare qualche schifezza da mangiare~» disse allegramente il biondo, prendendola a braccetto e trascinandola nella gelateria più vicina.

«E va bene… ma questo vale almeno cinque gelati da Fortebraccio. Ed una bistecca enorme» borbottò lei, offesa, preparandosi psicologicamente a dover fare da babysitter per almeno un altro paio d’ore a quel bambino troppo cresciuto

[…]

 

 

Alla fine, Leo aveva deciso di promuovere il giardino dell’orfanotrofio da cosa totalmente inutile a sua sala di lettura d’emergenza, dato che ormai era ovvio che quei marmocchi malefici avrebbero occupato in pianta stabile la biblioteca.

Ormai erano quasi le nove di sera, ma dopotutto il lato positivo dell’estate era appunto che anche a quell’ora filtrava abbastanza luce da permettergli di leggere in santa pace. Cosa più importante, tra poco sarebbe scattato il coprifuoco per i bambini, quindi lui avrebbe riavuto in tempo utile la sua biblioteca, evitando spargimenti di sangue inutili

Si stiracchiò appena, per poi girare placidamente pagina.

“Sì, come ultimo giorno di pace è quasi accettabile” pensò con uno sbadiglio, per poi prendere in considerazione l’ipotesi di andare a dormire presto, dato che il giorno dopo gli sarebbe toccato alzarsi ad un’ora irragionevolmente mattiniera, per di più accompagnato dal vociare infernale provocato da Philippe ed Alice. Ancora non riusciva a capire come diavolo facessero quei due ad avere voglia di parlare con altri esseri umani di prima mattina e…

e… un momento, ma Alice non è ancora tornata” pensò, ricordandosi che la responsabile dell’orfanotrofio era stata tremendamente chiara, la ragazza sarebbe dovuta tornare prima delle otto.

Come richiamata dai suoi pensieri, Alice entrò nel suo campo visivo, camminando verso di lui con la stessa flemma che avrebbe avuto un bradipo.

Accennò un sorriso divertito, ma non disse nulla, lasciando che lei si lasciasse cadere accanto a lui con una grazia che non aveva assolutamente nulla di femminile.

«Sai? Oz è davvero una grandissima scocciatura» esordì la ragazza, con voce esausta.

«Devo averlo intuito dai discorsi deliranti di Elliot, sì» si limitò a commentare, stiracchiandosi.

Alice annusò l’aria per qualche rapido istante, «è stato qui, vero?»

«Tu sei inquietante» decretò Leo, inarcando appena le sopracciglia, negando a sé stesso di essere tremendamente geloso per il fatto che Alice riuscisse a fiutare in quel modo l’odore di Elliot.

«Certo» sbuffò lei, rifiutandosi di continuare quella conversazione, sapendo perfettamente che Leo sarebbe stato benissimo in grado di aprirle la testa con un libro a causa della gelosia, ovviamente senza poi provarne il minimo rimorso, dopotutto era un Serpeverde «piuttosto, cerca un modo per coprirmi con la responsabile… chessò, qualcosa tipo che sono qui dalle otto, ma non sono entrata perché stavamo studiando».

Per l’ennesima volta in quella serata, le sopracciglia di Leo si inaecarono, «ed io dovrei aiutarti perché…?»

«Perché sennò dirò alla responsabile che passi tutte le notti in biblioteca, anche se non dovresti».

«… saresti una Serpeverde perfetta, sai?» borbottò offeso per l’essere stato ricattato. Da una Grifondoro, soprattutto.

Pensandoci, era praticamente circondato da Grifondoro… sarebbe stato un anno difficile.

 

 

 

 

[…]

 

 

 

 

Ernest Nightray, sapeva di avere una notevole rosa di difetti –nonostante lui preferisse considerarli “pregi alternativi”- era irascibile, ma in modo un po’ diverso dal convenzionale. Quando qualcosa lo faceva arrabbiare al limite dell’implosione, qualcosa scattava nella sua mente, rendendolo così freddo e razionale da rasentare la crudeltà gratuita; se a ciò si univa un’indole estremamente possessiva e vendicativa, be’, si otteneva il classico Serpeverde.

“O meglio: si ottiene il classico stereotipo idiota di un Serpeverde” pensò Ernest con un sospiro. “Poveri idioti, ovviamente è facile credere alla favoletta dei Serpeverde brutti e cattivi. Oh, no, a Serpeverde ci finisci se riesci a nascondere ogni cosa dietro a falsi sorrisi, ambizioni e astuzia”.

Tutto ciò per arrivare al vero nocciolo della questione: Ernest era convinto che nascosta sotto quella mole di difetti si nascondesse anche una punta di generosità… ed era in virtù di questa che adesso aveva abbandonato Elliot alle grinfie di Vanessa e si era messo a cercare Leo.

Quel ragazzino impertinente gli era scappato fin troppe volte, dopo averlo provocato a lungo. Sapeva perfettamente che tutte quelle attenzioni che aveva per Elliot in realtà erano solo il tentativo –ben riuscito, ma non l’avrebbe mai ammesso- di farlo ingelosire, ma ora era stufo dei giochetti, era venuto il momento di dargli generosamente l’occasione di mettere fine a quel teatrino e tramutare la recita in realtà.

Lo avvistò pochi vagoni più in giù, nel patetico tentativo di issare sul treno da solo il proprio baule. Decise che era tenero: così orgoglioso e anche così incapace di fare da solo una cosa tanto semplice. Probabilmente quel baule era così pienò di libri estremamente pesanti che per contenerli tutti ci era voluto un incantesimo di estensione irriconoscibile, ma quelli erano futili dettagli e lui aveva ben altro su cui concentrarsi.

Gli si avvicinò senza fretta, per poi cingergli la vita con un braccio, godendosi la reazione spiazzata dell’altro.

 

 

 

 

Vincent stava guardando con discreto disinteresse Vanessa in pieno raptus “sorella maggiore” che torturava –ehm… coccolava- Elliot.

Nonostante mal sopportasse Vanessa, dovette ammettere con se stesso che erano un bel quadretto. Sapeva perfettamente che, nonostante Elliot stesse borbottando un mantra interminabile che somigliava vagamente ad un “lasciami-lasciami-lasciami-lasciami”, in realtà gli piaceva essere coccolato dalla sorella.

Ovviamente a lui, in quanto fratello adottivo, non spettavano simili manifestazioni d’affetto e dopotutto andava benissimo così, l’unico da cui avrebbe accettato un trattamento simile era Gilbert, che al momento era disperso chissà dove per la stazione.

Distolse lo sguardo da Vanessa ed Elliot, per cercare il fratello. Non lo trovò, in compenso ciò che vide gli fece quasi rivoltare lo stomaco.

Parecchio distante da lui, Ernest doveva aver avuto la brillante idea di “molestare” –non c’erano altri termini per descriverlo- Leo.

Guardò la scena, accigliato: sapeva che Leo era uno che alzava la bacchetta molto facilmente, perché quell’asino patentato di Ernest non era ancora stato schiantato dal più piccolo?

Osservò meglio e sirese conto che anche volendo –e dalla faccia, di sicuro voleva-, Leo non sarebbe stato in grado di fare nulla, dato che Ernest bloccava la custodia della bacchetta de moro con una mano e tutti i tentativi dell’altro di respingerlo sembravano inutili.

“E poi non si dica che tra Serpeverde non esiste solidarietà” pensò sbuffando, avvicinandosi ai due.

Li raggiunse appena in tempo per sentire Leo minacciare l’idiota. «Davvero, Ernest, levami le mani di dosso o giuro che ti trasfiguro in uno Schiopodo Sparacoda

Trattenne una risata e si limitò a puntare la bacchetta contro il suo adorato fratello.

Levicorpus pensò e subito Ernest si trovò a mezz’aria, appeso per la caviglia. Nella confusione della stazione nessuno sembrò rendersene conto.

«Allora, fratellino, di cosa stavi discutendo con il caro Leo?~ Sembrava una conversazione interessante~»

Ernest i limitò a digrignare i denti, rosso in viso per l’imbarazzo e la rabbia.

Leo, invece, finalmente liberò la bacchetta dal fodero e ritenne opportuno far spuntare ad Ernest due imponenti corna da caprone, per poi sciogliere l’incantesimo di Vincent. «La prossima volta ti uccido» ritenne giusto informarlo, mentre all’altro non rimase che scappare dalla parte opposta della stazione sempre più rosso.

«Grazie, Vincent» sospirò Leo.

«Figurati. Non potevo lasciare che quel viscido infangasse il buon nome dei Serpeverde, no?~»

Leo accenno un sorriso, nel momento esatto in cui Elliot riuscì a liberarsi della sorella per correre verso di loro.

«Proprio no…»

 

 

 

 

[…]

 

 

 

Ernest riuscì con diverse difficoltà a far sparire le corna.

No, questa volta non gliel’avrebbe fatta passare, aveva superato ogni limite. Adesso era davvero molto arrabbiato.

Sapeva perfettamente come farla pagare al moccioso, poteva chiedere a quella persona… dopotutto la sua casata era invischiata fino al collo negli affari di quell’uomo, ormai era una sorta di “amico di famiglia” non gli avrebbe certo negato un favore.

 

 

 

Death Note: Be’… niente, spero che andando avanti questa storia inizi ad interessare a qualcuno, perché per ora non se la fila proprio nessuno. *va a deprimersi in un angolino*

Comunque, Ernest è abbastanza pieno di sé da poter credere che il mondo intero gli vada dietro, quindi, meh- questa sua piccola uscita di testa sarà fondamentale per i prossimi capitoli~

Boh, ci si vede o/

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Retrace III: The Worst Dream Ever ***


We are Broken From the Start.

 

 

Retrace III: The worst Dream ever.

 

 

Gilbert indugiò ancora qualche istante nella contemplazione del grigio cielo londinese, per poi affrettarsi ad entrare a King’s Cross. Giocherellò con il cappuccio dell’accendino, mentre raggiungeva i binari nove e dieci della stazione babbana, imponendosi di non sembrare troppo agitato, ormai era tempo di darsi un contegno.

Richiuse per l’ultima volta l’accendino e corse contro la colonna che separava i binari, non riuscendo a reprimere l’impulso di serrare gli occhi. Quando li riaprì, si trovò davanti il vecchio treno che ogni mago inglese aveva imparato ad amare, l’espresso per Hogwarts.

Erano passati circa cinque anni dall’ultima volta che aveva messo piede su quel treno e l’emozione di poterlo fare di nuovo era troppa. Ringraziò mentalmente il vecchio insegnante di Incantesimi per aver deciso di ritirarsi a vita privata, anche se –se doveva proprio essere sincero- non riusciva a capire come mai il preside Break avesse scelto proprio lui come sostituto, nonostante ci fossero decine di altri candidati che –inutile dirlo- potevano vantare un curriculum molto più sostanzioso del suo.

Si strinse nelle spalle; sapeva quanto Break fosse eccentrico, quindi si rassegnò al fatto che probabilmente doveva aver estratto a caso un nome dalla lista dei candidati e scegliere quello. Scacciò quei pensieri nel momento stesso in cui salì sul primo vagone del treno.

Avrebbe potuto smaterializzarsi, come facevano tutti gli insegnanti, ma l’idea di poter ancora una volta partecipare a quel viaggio magico era troppo allettante, non poteva e non voleva tirarsi indietro; cercò, tuttavia, di mantenere quanto più decoro possibile, nonostante si sentisse eccitato quanto un bambino del primo anno.

Prese posto in uno scompartimento, accanto al finestrino, attendendo pazientemente che il treno partisse. «Secondo voi quando passa la vecchiaccia col carrello?»

«Alice, hai appena finito di mangiare tre piume di zucchero deluxe».

«Hai detto qualcosa, servo?»

«Non chiamarlo “servo”» disse Gilbert di riflesso, facendo arrestare il piccolo gruppetto che stava passando davanti al suo scompartimento in quel preciso momento.

Vide Oz, che fino a quel momento stava battibeccando con Alice, illuminarsi «Gilbert!» esclamò, quasi saltandogli addosso e, a causa di ciò, venendo fulminato da un’occhiataccia omicida da parte di Vincent.

«Professor Nightray» lo corresse Gilbert bonariamente, scompigliandogli i capelli.

Vincent, Elliot e Oz si sedettero nello scompartimento, mentre Alice e Leo rimasero qualche istante ad osservare con cinismo la scenetta a cui stavano assistendo.

«Verrebbe da dire che non si vedano da anni, eh?» commentò Leo con una lieve smorfia, poggiando la schiena contro la porta scorrevole aperta.

Alice non rispose, limitandosi a fissare divertita il neo professore, «Così sfigato che prendi il treno con noi comuni mortali, Testa d’Alga?» lo prese in giro, incrociando le braccia al petto.

«Sono un tuo professore!» protestò Gilbert.

«E noi non siamo ancora a scuola. Cosa vuoi fare, togliermi punti?»

Gilbert si permise un sospiro sconsolato. Messo nel sacco da una piccola impertinente e prima ancora di aver iniziato le lezioni: probabilmente aveva stabilito un nuovo record. Si grattò la nuca e fece cenno ad i due ragazzi ancora in piedi di prendere posto nello scompartimento.

Guardò Oz, seduto di fronte a lui; si torceva le mani distrattamente, come se qualcosa lo tormentasse nel profondo. Era evidente quanto il ragazzo cercasse di non far vedere notare ciò, immergendosi subito in una fitta discussione/litigio con Elliot.

Potresti semplicemente farti i fatti tuoi. Quando vorrà parlartene, lo farà lui stesso” gli suggerì una voce nel suo cervello. Dovette ammettere con se stesso che non era malvagia come idea, eppure al tempo stesso la trovava una cosa inconcepibile.

I Nightray e i Vessalius vivevano in un eterno rapporto amore/odio ormai da generazioni, quindi inevitabilmente conosceva Oz da quando quest’ultimo era nato. Sapeva perfettamente della tendenza del ragazzo a tenersi tutto dentro pur di non far preoccupare chi gli stava intorno, quindi aspettare che fosse lui a parlare sarebbe stato come fregarsene.

 

Non poteva per nessun motivo fare una cosa del genere, era fuori discussione.

«Oz, va tutto bene?» chiese, quindi, interrompendolo nel bel mezzo di un discorso delirante suo Cannoni di Chudley.

Il giovane Vessalius portò lo sguardo sull’altro, con l’aria di qualcuno che stava seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di mentire.

«Non è niente, ho solo fatto uno stupido sogno che mi ha turbato un po’» spiegò, infine. Sembrava sincero, ma ciò non servì a tranquillizzare il professore.

«Vuoi parlarne?»

 

 

 

 

Oz non aveva assolutamente voglia di parlarne ed i motivi erano molteplici: se avesse insistito con quella storia del pericolo ad Hogwarts, inevitabilmente Alice avrebbe finito per prenderlo in giro. A quelle prese in giro probabilmente si sarebbe aggiunto pure quella serpe di Leo, che pareva divertirsi un mondo a burlarsi sia di lui che di Elliot.

Ultimo, ma non meno importante, c’era il fattore “Vincent”. Oz era convinto che Vincent avesse davvero seri problemi a relazionarsi con qualcuno al di fuori di Gilbert, soprattutto se nella sua mente psicotica quel qualcuno stesse cercando di portargli via il fratello.

Era sicurissimo di essere già da parecchi anni nella lista nera di Vincent e parlare di qualcosa di così intimo davanti ad una persona che probabilmente lo avrebbe cruciato senza il minimo rimorso non era molto incoraggiante.

«Davvero, non è niente di importante» disse, cercando di sembrare disinvolto come sempre. Non dovette riuscirci troppo bene, data l’occhiata obliqua che gli rivolse il professore.

Guardò tutti le altre persone presenti nello scompartimento, in cerca di una disperata via di fuga, ma ormai la curiosità aveva iniziato a serpeggiare tra i presenti. Comprese che non sarebbe mai riuscita a scamparla in nessun modo, quindi si concesse un sospiro sconsolato.

«Molto bene» sbuffò, cercando di riordinare le idee. Da dopo averne parlato con Alice, si sentiva più stupido ogni volta in cui ripensava a quel sogno, ma cercò di farsi coraggio pensando che un parere in più non poteva che fargli bene, magari sarebbe finalmente riuscito a levarsi di dosso quella fastidiosa sensazione di angoscia che ormai lo affliggeva senza tregua.

Per la seconda volta, raccontò in sogno, interrotto unicamente dagli sbuffi annoiati di Alice e da quelli scettici di Vincent.

Seguì il silenzio, non che si fosse aspettato niente di meglio.

«L’avevo detto che non era niente di importante» borbottò, incrociando le braccia al petto, cercando di sembrare scocciato da quella situazione almeno quanto Alice, così forse sarebbe riuscito a non passare totalmente per uno squilibrato che dava peso a cose come sogni del genere. Roba a cui nemmeno la Cooman avrebbe dato più che una scarsissima importanza, e questo era tutto dire.

«Hai sognato una voce che ti ha avvertito di un pericolo ad Hogwarts?» chiese Elliot, dimostrando un insospettabile dono per la sintesi.

«Sì».

«E tu credi davvero che abbia un significato reale?»

«Ovviamente no!» mentì Oz, tradito da un lieve rossore che dalle guance si irradiava alle orecchie. Aveva riconosciuto il famosissimo “tono polemico” made in Elliot Nightray, quindi l’unica cosa che poteva fare per poter anche solo sperare di scamparla era negare fino alla morte.

Insomma… già è odioso essere chiamato Shorty ad oltranza. Ci manca solo che inizi a darmi del paranoico visionario e dalla psiche labile” pensò, stizzito.

Alice, quella brutta traditrice, emise un versetto scettico, «Certo, come no! Fino a ieri non facevi che lagnarti perché pensavi fosse reale» lo prese in giro, pizzicandogli una guancia.

Oz si guardò attorno per stimare i danni causati da quella faina assetata di sangue che si spacciava per la sua migliore amica. Gli unici che sembravano davvero sul punto di scoppiare a ridere erano Vincent –“Ovviamente, figurati se il bastardo si perdeva un’occasione per deridermi davanti a Gilbert”- ed Elliot; quest’ultimo lanciò uno sguardo di intesa a Leo, che però il Serpeverde ricambiò con un’occhiata più letale di un Avada Kedavra.

 

 

 

 

Leo aveva cominciato a sentirsi inquieto nel momento stesso in cui era stato menzionato il sogno di Oz. Insomma, lui sentiva voci nella sua testa praticamente ventiquattro ore su ventiquattro, come poteva permettersi la presunzione di biasimare Oz per aver dato credito ad un sogno?

E se le cose fossero collegate? Se il mio aver ricominciato a sentir le voci fosse collegato al sogno di Oz?” pensò, stringendo spasmodicamente i pugni, non riuscendo a tacciarsi di essere paranoico. Qualcosa di strano stava davvero accadendo e se lui era davvero intenzionato a venire a capo dell’intera faccenda, non poteva permettersi di trascurare alcunché.

Si riscosse dai suoi pensieri nel sentire una risatina sprezzante e si voltò subito a fulminare con lo sguardo il colpevole, Elliot.

Una volta scesi dal treno” pensò, serafico “Lo pesterò a sangue”.

Era un buon compromesso, dopotutto Elliot era un idiota ed era pure un Grifondoro: probabilmente qualcuno gli avrebbe dato una medaglia per il servizio reso alla comunità magica.

Non riusciva a capacitarsi di quanto, a volte, Elliot riuscisse ad essere superficiale. Era pronto a sfottere Oz per un sogno, nonostante avesse un amico che sentiva le voci, cosa che l’idiota aveva accettato senza battere ciglio.

Signore e signori, vi presento la Coerenza!”

Decise di non sprecare altro tempo a pensare quanto fosse idiota il suo migliore amico, concentrandosi nuovamente su Oz. Quello che aveva descritto non si poteva neanche associare ad un incubo, era solo un sogno molto strano, eppure il ragazzo ne sembrava profondamente turbato; più ci pensava e più arrivava alla stessa conclusione: una volta arrivati al castello doveva parlare da solo con Oz.

Non potrò parlargli liberamente prima del nostro arrivo ad Hogwarts, tanto vale mettersi l’anima in pace, almeno per il momento” pensò, tirando fuori un libro dalla borsa.

Si rassegnò al fatto che non sarebbe riuscito a leggere più di un paio di pagine in tutto il viaggio: escludendo Vincent, quello scompartimento era un disgustoso covo di Grifondoro –o ex Grifondoro, nel caso di Gilbert-, ciò voleva dire che in poco tempo sarebbe scoppiato il caos totale; probabilmente quella piaga ambulante di Oz avrebbe deciso di organizzare un torneo di Sparaschiocco o qualche altra cavolata del genere.

Sempre meglio che stare nello stesso scompartimento di Ernest e la sua mandria di pecoroni”.

 

 

 

[…]

 

 

 

Reim Lunettes –diciassette anni di onorata carriera come insegnante di erbologia e, di recente, vicepreside- conosceva da così tanto tempo il suo datore di lavoro da sapere quando qualcosa lo turbava, nonostante sembrasse sempre il solito idiota.

Fortunatamente per la scuola e per tutto il resto del mondo magico, Reim sapeva anche che l’idiozia fulminante di Xerxes Break era solo una maschera.

In un certo senso, è quasi geniale. Voglio dire, chi mai prenderebbe sul serio un individuo del genere” pensò, osservandolo mentre faceva razzia nelle cucine della scuola.

Per lunghi minuti il silenzio fu rotto solo dalle mandibole del Preside, intento a divorare più dolci di quanto un comune essere umano potrebbe realmente ingurgitare; finalmente il terzo mago presente nella stanza, il professor Rufus Barma, si decise a parlare.

«Quindi continui ad essere convinto delle tue recenti decisioni?» domandò l’uomo con sufficienza, come se si stesse semplicemente informando sulle previsioni meteorologiche.

Break spezzò un leccalecca tra i denti con evidente soddisfazione, poi si voltò verso di loro. «Sicuro. Ed ora sentitevi pure liberi di andare, c’è una torta alla panna che mi aspetta~».

Reim non riuscì a trattenere un sospiro sconsolato, erano giorni che lui e Barma cercavano di capire –senza successo- cosa passasse per la testa del preside.

«Xerxes, non fai che parlare male dei Nightray, blaterando che sono tutti maghi oscuri e poi ne assumi uno. E non venirtene fuori con la fiaba di te che metti da parte i tuoi pregiudizi, perché tu sei la persona meno imparziale che questo mondo abbia mai avuto la sfortuna di conoscere» ritenne opportuno fargli notare Rufus.

Break si limitò a ridacchiare, per nulla toccato da quello che doveva essere un insulto bello e buono, «Be’, sai come si dice: tieniti stretti gli amici e ancora più stretti i nemici».

Il vicepreside intercettò la torta prima di Break e la mise fuori dalla sua portata, «E per l’altra questione?» domandò, facendo levitare il dolce ben sopra le loro teste.

Vide Xerxes sbuffare e passarsi una mano tra i capelli, abbandonando momentaneamente l’espressione ilare –o da beota, come Rufus amava descriverla-.

Ci siamo, ora ci dice tutto”.

«Vale lo stesso discorso di prima: tieniti stretti gli amici e ancora più stretti i nemici. La richiesta ci è arrivata direttamente da Beauxbatons».

«Beauxbatons è una scuola rispettabilissima» sbottò Reim, che aveva passato i primi tre anni della sua istruzione magica proprio nell’accademia francese.

Stufo di quella pantomima, Break appellò la torta che gli planò docilmente sulla mano sinistra, «Sì, una scuola rispettabilissima che ha stretti e pericolosi legami con l’Abisso».

«Queste sono tue congetture» cercò di ribattere il professore, senza alcuna convinzione.

«Quindi stai volontariamente portando il pericolo in casa nostra», la protesta del professor Barma, invece, fu molto più convincente.

Break gli strizzò l’occhio, quasi divertito, «Per la conoscenza tutto è lecito, no?»

No che non lo è” pensò Reim, ma decise di limitarsi a pensarlo. Sicuramente Xerxes aveva un piano ed essere polemico non avrebbe certo contribuito alla buona riuscita di questo.

«Suppongo non ci rimanga che andare avanti».

Il silenzio che ne seguì fu piuttosto eloquente. Sarebbero andati avanti per quella strada.

 

 

 

Death Note: Perdonate il capitolo di passaggio, era necessario… perdonate anche l’attesa, so di averci messo un secolo ç_ç

 

 

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