Loud Like Love di nainai (/viewuser.php?uid=11830)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Loud ***
Capitolo 2: *** Like ***
Capitolo 3: *** Love ***
Capitolo 1 *** Loud ***
Avviso:
il presente scritto ha per protagonisti persone vere e personaggi di
fantasia.
Le vicende narrate sono puro frutto della fantasia
dell’autrice e non vi è
alcun intento di verità o anche solo di verosimiglianza.
Nessun diritto
legalmente tutelato s’intende leso ed ogni diritto appartiene
ai propri
titolari.
Miei
carissimi amici lettori, questa storia è il seguito di
“Tempo Perso” e ne
costituisce una sorta di “finale alternativo”, a
mio avviso.
Pertanto,
coloro i quali si fossero trovati pienamente soddisfatti dal precedente
finale,
potranno tranquillamente ignorare questa storia e bearsi di quanto
accaduto nel
pregresso capitolo della “saga”.
Nelle
intenzioni originarie si trattava di una one-shot (a mio avviso
è ancora una
one-shot), ma considerata la lunghezza ragguardevole (40 fottute
pagine!) ho
ritenuto che fosse più facile la lettura dividendola in tre
capitoli.
Buona
lettura a tutti! <3
MEM
Loud Like Love
Loud
Londra, Inghilterra
Novembre 2013
Matthew
Bellamy ricontrolla rapidamente di aver chiuso il trolley, di aver
preso le
chiavi di casa e di aver intascato il proprio passaporto.
Sarà
la decima volta che ripete quelle poche operazioni e, come le nove
precedenti,
bastano pochi minuti perché la sensazione di aver
dimenticato qualcosa torni ad
affacciarsi alla sua mente.
Sbuffa.
Decide
di averne abbastanza. Non ha mai fatto tante storie per una partenza!
Neppure
quando si riduce all’ultimo secondo a preparare i bagagli per
un tour
dall’altra parte dell’Oceano.
Afferra
il giubbotto da sopra la spalliera del divano e fa per infilarlo quando
sente
il cellulare squillare da qualche parte imprecisata della casa. Questa
volta lo
sbuffo spazientito è perfino più alto. Lancia il
giubbotto sul trolley,
riuscendo miracolosamente nell’impresa di agganciarlo alla
maniglia già
sollevata, e si muove a casaccio nella villetta.
Non
si è ancora abituato ai nuovi spazi e non lo aiuta il fatto
che la casa non sia
completamente finita, che buona parte delle camere sia più
simile ad un
deposito che ad una stanza vivibile – ingombre di mobili, di
scatoloni, di barattoli
di vernice che gli operai non hanno ancora neppure aperto…e
le scale, i
giornali a terra, il parquet che deve essere restaurato e
lamato… Il suo è un
accidentato percorso ad ostacoli che si conclude in camera da letto.
Oltre le
lenzuola arrotolate, sul comodino opposto all’ingresso,
individua la fonte del
rumore che ha appena smesso di squillare e si rende conto, adocchiando
la spina
ancora attaccata alla presa nel muro, che qualcosa
lo stava dimenticando davvero.
Doppia
lo spigolo in ferro battuto della pedaliera del letto, valutando bene
la
distanza tra questo e la parete su cui si apre una grande finestra
bombata con
tanto di divanetto imbottino e cuscini coordinati. …in
questo momento, in
realtà, il divanetto è sommerso da un
guazzabuglio di abiti colorati che Matt
non si è ancora deciso a sistemare nella cabina armadio. Il
terzo sbuffo viene
equamente distribuito tra la sua pigrizia infinita ed il disordine
naturale che
lo caratterizza.
Sblocca
lo schermo dell’iPhone per verificare chi lo abbia cercato e,
mentre invia la
chiamata, arrotola il filo del caricabatteria, facendo a ritroso la
strada fino
al trolley nell’ingresso.
-Ehi,
campione!- lo saluta festosa la voce di Chris.
-Ciao,
Chris.- ricambia Matt brevemente. Un sorriso gli tira istintivo gli
angoli
della bocca, è felice che lui lo abbia chiamato ed immagina
anche il perché lo
abbia fatto.
Non
è troppo stupito, quindi, di sentirsi fare la domanda
successiva.
-Pronto
per la partenza?
-Più
o meno.- borbotta Matthew, allargando la tasca anteriore della valigia
per
cacciarci di malagrazia il caricabatteria.- Mi sembra sempre di avere
ancora un
milione di cose da fare.
-Ah,
ma piantala! Come se non avessi mai viaggiato…
Matt
ridacchia, infilando il giubbotto mentre tiene il telefono in bilico
tra
orecchio e spalla.
-Devo
comprarmi un auricolare.
-Ti
rendi conto, vero, che sarà un disastro? – lo
incalza l’altro senza ascoltarlo,
ma il tono ironico con cui lo fa svuota l’ammonimento di
qualsiasi significato
- E’ una delle idee più ridicole che tu abbia mai
avuto e non sarei troppo
stupito di vederti tornare dopo essere stato preso a calci in culo da quello lì ed apostrofato come
“spia che
sta andando con loro per rubargli chissà quali
segreti”!
A
questo punto Matthew sta proprio ridendo e la sua risata, leggera e
rilassata,
fa sentire bene anche Chris. La verità è che ci
teneva ad essere lui a salutarlo
per ultimo ed a dargli il suo insolito “in bocca al
lupo”.
-Se
dico che se n’è già uscito con questa
storia, suono troppo scontato?- domanda
Matt divertito.
-Sei
ancora in tempo per ripensarci!
-Non
voglio ripensarci.- ammette Matthew stringendosi nelle spalle anche se
Chris
non può vederlo.
Così
come non può vedere quel sorriso che continua a colorare la
sua espressione, ma
quello non ha difficoltà ad intuirlo nel suo tono di voce.
-Matt.-
lo chiama, stavolta serio anche se con quella punta di affetto burbero
che
Matthew immagina utilizzi con i figli quando vuole dargli qualche
consiglio
davvero importante.- Divertiti.- gli dice semplicemente.- Non pensare a
nulla,
fottitene di tutto…delle conseguenze, di noi, di quello che
succederà domani…!
Pensa a te stesso, ok?
-…ok.
-E
adesso riattacchiamo o divento più mieloso di quella checca
del tuo batterista!
-Com’è
che, quand’è checca, è il
mio batterista?!
Si
salutano con un paio di “ci sentiamo” pronunciati
quasi all’unisono.
Matt
intasca l’iPhone dopo aver controllato l’orario,
afferra la maniglia del
trolley ed apre la porta di casa. Fuori il taxi sta già
aspettando. Sorride,
inforca degli occhiali da sole che la giornata uggiosa rende
assolutamente
fuori luogo ed attraversa il vialetto.
***
Nel
salone
Cody ha lasciato aperta la porta finestra del terrazzo.
Brian
sbuffa di disappunto e attraversa l’intera stanza per
raggiungere il battente a
vetri e chiuderlo, proprio mentre l’ennesima folata di vento
s’intrufola
all’interno strappandogli un brivido di freddo. “Sta arrivando l’autunno”,
pensa distrattamente facendo scattare la
serratura. Un raggio di sole più caldo gli accarezza il viso
comparendo da
dietro una nuvoletta di passaggio e smentendo quella sensazione
spiacevole.
Vorrebbe godersi la bella stagione il più a lungo possibile
prima di dover
tornare in strada con la band ed iniziare il tour di promozione del
nuovo album.
Accantona
quei pensieri con un gesto della mano.
Le
partiture degli esercizi di Cody sono cadute a terra sospinte dal vento
e si
sono sparpagliate attorno al pianoforte. Suo padre le raccoglie e le
rimette diligentemente
in ordine, appoggiandole sopra il sedile imbottito.
-Allora,
noi andiamo?!- lo raggiunge la voce di Helena, attutita attraverso i
muri.
Brian
si
volta in direzione dell’ingresso, pochi passi e li ha
raggiunti: Cody, il
giacchetto leggero addosso, una borsa di tela a tracolla e
l’iPod in una mano,
ed Helena, sorriso splendente non appena lo vede entrare nel proprio
campo
visivo e quella dolcezza dello sguardo che è tipica di tutte
le donne incinte.
Brian ricambia istintivamente sorriso e tenerezza, abbracciandola e
posandole
delicatamente una mano sul pancione coperto dal vestitino di lana
colorata e
morbida. Si scambiano un bacio a fior di labbra sotto lo sguardo
attento del
figlio.
-Gh!
sempre
smancerie!- osserva Cody, facendo segno di volersi allontanare schifato.
-Non
fare
l’impertinente.- gli arriva l’ammonimento del
padre, insieme con uno
scappellotto sulla nuca.
Per
tutta
risposta il bambino ride e spalanca la porta.
-Mi
raccomando…- si rivolge Brian ad Helena, sguardo fin troppo
serio che le
strappa una risata sincera e divertita.
-Bri,
sono
con Alex! Non mi permetterà di spezzarmi
un’unghia.- tenta inutilmente di
interromperlo.
-Non
dovresti neanche uscire!
-Oh,
santo
Cielo, Molko! Hai deciso di diventare un seguace del più
intransigente
islamismo?- s’informa Helena, sospingendolo indietro con una
mano.
Brian
getta
un’occhiata alle sue spalle per assicurarsi che Cody sia
rimasto sul
pianerottolo e riprende come se lei non gli avesse detto niente.
-Ottavo
mese, Helena.- sottolinea scandendo bene le parole.
-Ah-ah.
E
sto benissimo!- lo rintuzza lei con orgoglio.- Ora vado, o Alex
comincerà a
spazientirsi. E tu sai com’è Alex quando si
spazientisce.
Brian
ride,
guardandola dirigersi verso l’ascensore. Nel corridoio Helena
spedisce Cody a
salutarlo ed il bambino corre nuovamente in direzione della porta,
lasciando
che il padre lo afferri al volo e scoccandogli poi un bacio veloce su
una
guancia.
-Ciao,
pa’!
– esclama, con la testa già altrove.
Sua
madre
ha promesso di lasciarlo a casa di un amichetto per fare i compiti
assieme e
Brian sospetta che più tardi gli toccherà un dopo
cena a base di matematica.
Sospira e torna dentro l’appartamento non appena le porte
dell’ascensore si
sono portate via l’immagine di Helena e Cody che lo salutano.
Trova
il
proprio cellulare abbandonato nello studio. Tre chiamate perse ed un
messaggio
di Stefan che gli dice che, se non risponde, finirà per
credere sia scappato in
Polinesia. Gli manda un messaggio anche lui, dicendogli di non rompere
e che in
Polinesia i cellulari prendono uguale.
Stef
lo
richiama, immancabilmente, trenta secondi dopo.
-Sei
un
coglione.- esordisce il bassista in una serena constatazione di fatto.
-Grazie,
altrettanto.- è lo scambio formalmente ineccepibile che
Brian gli concede.
Stefan
ride.
-Devo
dire
a Fiona e Bill che ci vediamo in studio domani o ci hai ripensato?
-Non
potevi
scrivermi questo nel messaggio?! Digli che ci vediamo alle dieci.
-Alle
dieci?
-…facciamo
alle undici. Cody è andato a casa di Micah a fare i compiti
e questo significa
che passerò la serata a tentare di fargli studiare qualcosa.
-Se
ti
sentisse tuo padre…!- lo prende in giro Stefan.
-Piantala,
Olsdal, non fai ridere.
-Ti
voglio
bene anch’io.
-….va
un
po’ a fare in culo!
Chiude
la
telefonata sull’ennesima risata divertita
dell’altro, rendendosi distrattamente
conto che sta sorridendo anche lui ed archiviando la cosa come una
delle molte manifestazioni
piacevoli del suo attuale stato d’animo.
Ci
ha messo
un po’, deve riconoscerlo.
Due
anni
per l’esattezza.
…più
di due anni…
Eppure
ora
sta bene. Non Bene da volerlo gridare al mondo intero, ma un bene
più intimo,
più familiare. Legato alla stanchezza che correre dietro a
Cody ed i suoi
impegni scolastici gli provoca. Connesso all’ansia che ogni
visita dal
ginecologo con Helena gli lascia addosso, fino al momento in cui il
medico dice
loro “è tutto a posto, Sig.ri Molko”,
facendoli ridere per quell’errore. Legato
alla gioia che ha provato e prova a tornare in studio con i suoi amici,
a
scherzare con loro, a sentire Jun…Steve
suggerire un arrangiamento per una canzone vecchia o fornire lo spunto
per una
ancora tutta da scrivere.
La
sua vita
è semplicemente ricominciata. Lenta ad ingranare ma costante
nel muoversi, come
la meccanica di un vecchio orologio. E lui ne aveva bisogno. Aveva
bisogno di
fare i conti con le proprie paure, con i limiti che la vita gli ha
messo
davanti, aveva bisogno di confrontarcisi, di capire che non avrebbe
potuto fare
nulla per riavvolgere il tempo su se stesso e che, comunque, questo,
una volta
di più, non lo avrebbe ucciso.
Posa
il
cellulare sul piano della scrivania da cui l’ha prelevato.
Vede le partiture di
“Loud Like Love” e si ricorda di averle portate via
per lavorarci un po’,
qualche idea per gli arrangiamenti dei live da sottoporre a Fiona e
Bill per
sentire cosa ne pensano. Valuta se ha voglia di prenderle in mano
davvero e
pensa che no, è un po’ stanco e, poi, domani ne
potranno parlare di persona.
E’
a quel punto
che sente il campanello di casa.
Attraversa
l’appartamento convinto che Helena abbia dimenticato qualcosa
di fondamentale.
Sorride pensando che Alex la ucciderà per questo! Apre il
battente con quel
sorriso ancora incollato alle labbra ed agli occhi.
-Hel,
tesoro, questo sì che
“spazientirà” quell’arpia!-
commenta vivacemente.
Matthew
non ribatte.
***
Se pensa
che solo qualche minuto prima stava riflettendo sul fatto che adesso sta bene…
Mentre
osserva di sbieco Matt Bellamy passeggiare nel suo salone si rende
conto di
quanto si sia illuso a credere di aver superato tutto, di potersi
dire…guarito?
Che brutta espressione. L’amore non è una
malattia, no?
Matthew
cammina per la stanza, mani nelle tasche dei jeans e soprabito ancora
addosso.
Osserva ogni cosa con attenzione eccessiva ma con sguardo inespressivo,
come un
animale che stia annusando il territorio di qualche altra bestia della
stessa
specie, giusto per decidere se sia una bestia dominante o meno. Brian
sospetta
che lui stia effettivamente cercando segni di Helena, segni del suo
passaggio
in quell’appartamento, delle inevitabili mutazioni che questo
ha apportato.
Ma
si
tratta di un mutamento molto più sottile e Brian vorrebbe
dirglielo.
Solo,
non
riesce a parlargli.
Matt
trova
le partiture di Cody sul sedile del pianoforte. Le riconosce, le prende
in mano
per sfogliarle ed un sorriso gli sfugge involontariamente, infrangendo
la
perfezione immobile di quella maschera apatica che indossa.
-Non
sono
un po’ difficili per un bambino di
quell’età?- osserva, accennando ai pezzi
scelti.
Brian
segue
il movimento delle sue mani mentre sollevano i fogli, poi alza il viso
e si
ritrova incastrato nei suoi occhi. Senza fiato.
-E’
molto
portato.- sente rispondere alla propria voce, meccanicamente.
-E
con la
chitarra? Ha continuato anche quella?- s’informa Matthew con
una familiarità
che presupporrebbe una frequentazione assidua e priva di implicazioni.
Non
c’è
nessuna delle due cose.
Non
si
vedono da due anni e svariati mesi e tra loro ci sono mucchi di cose
irrisolte
pronte a balzare fuori per uccidere quella quiete tanto immobile quanto
falsa.
Brian
pensa
tutto questo e decide che è arrivato il momento di dare un
colpo secco alla
superficie.
-Matt,
cosa
vuoi?- chiede senza girarci ulteriormente intorno.
Si
morde le
labbra a sangue. L’uso del nome…del diminuitivo,
addirittura! è un pessimo
punto di partenza.
Matthew
lo
sa. La sua intelligenza è sempre stata troppo acuta. Lo
guarda di traverso dopo
aver posato nuovamente gli spartiti, lo soppesa con lo sguardo. Tra
loro c’è
quasi tutto il salone, come se per Brian fosse semplicemente troppo
complicato
stargli accanto.
Matt
non ha
alcuna difficoltà a capirne la ragione.
Ad
essere
onesti, se non fosse per quel desiderio di stringerlo a sé,
di baciarlo e di
scoprire se potrebbe provare ancora la scarica di adrenalina pura e
desiderio
che aveva quando le loro labbra
s’incontravano…beh, se non fosse per simili
desideri e per i ricordi che ci sono attaccati, anche lui troverebbe
intollerabile la situazione.
Ed
è
sbagliato.
A
differenza di Brian, non ci è “caduto
dentro”. L’ha creata. Con consapevolezza
e volontà.
-Dovevo
vederti.- ammette subito.
-No,
non
dovevi.- Brian scuote la testa, cercando di evitare in ogni modo il
contatto
visivo tra loro. E’ strano da parte sua, non fa parte del suo
“personaggio”.
Matthew
non
ha bisogno di altro per capire quanto possa avergli fatto male
vederselo
comparire lì dopo aver infranto una delle regole precise che
Brian aveva
dettato due anni prima nel lasciarlo, nel buttarlo fuori dalla propria
vita. “Casa” è
territorio tabù. Forse dovrebbe
scusarsi.
-Ho
lasciato Kate.- annuncia con la stessa inflessione che utilizzerebbe
per
comunicargli l’uscita del prossimo album dei Muse.
Brian
registra
allo stesso modo – finge di farlo
–
mentre il cuore fa una capriola e smette di battere.
-Mi
spiace
per voi, ma la cosa non giustifica la tua presenza qui.
-La
giustifica, invece.- afferma Matt tranquillamente.- L’ho
lasciata per te.
Vede
gli
occhi di Brian farsi enormi ed intuisce nella contrazione rabbiosa
della sua
mascella che la quiete perfetta è appena stata frantumata.
Si prepara
all’inevitabile scontro.
-…esci
da
questa casa.- sono le prime parole che lui gli sibila addosso dopo
essere
riuscito, faticosamente, a metabolizzare gli effetti delle sue
dichiarazioni.
Matt
non
finge neppure di esserne colpito.
-Ho
ascoltato l’album.- dice invece. Brian sbuffa sarcastico.-
E’ di me che parli,
vero? E’ a me che parli.
Negalo,
Brian.- pretende.
L’altro
sfiata
come se il colpo fosse reale, fisico. Lo guarda sbalordito. Realmente sbalordito mentre prende
coscienza e si rende conto, disarmato, di quanto a fondo sia arrivata a
bruciare la ferita che Matthew gli ha lasciato addosso.
E
che, forse, non è nemmeno del tutto
cicatrizzata…
Prende
fiato, tempo, coraggio. Li ripesca da non sa quale riserva naturale:
quella che
si è costituito in anni di delusioni cocenti, probabilmente,
e che ora gli dà
abbastanza forza da fingere che non faccia così male.
-Sei
completamente pazzo, Bellamy.- scandisce lento e falso. Inizialmente
non riesce
a sostenere i suoi occhi, ma poi capisce che deve farlo e, quindi, si
fa
violenza e torna a fissarlo in viso.- Se hai lasciato la tua donna
sulla base
di…un paio di canzoni!-
soffia
sardonico, sprezzante – sei completamente pazzo. O fatto, o
idiota, o tutte
queste cose assieme. Ma non è un mio problema.- ci tiene a
precisare.- E
sebbene la buona educazione mi abbia portato ad aprirti e farti
accomodare,
siamo entrambi consapevoli che la tua presenza qui è
inopportuna oltre ogni
possibilità di sopportazione.
-Molto
preciso.- concede Matt in un mormorio atono.
-Voglio
che
tu te ne vada. E voglio, come peraltro ti avevo già chiesto,
che tu dimentichi
anche solo l’indirizzo di questo appartamento. Grazie.
-Non
vuoi
nessuna di queste cose.- lo aggredisce Matthew, secco e brusco.
-Cristo, Bellamy!- scatta Brian
esasperato, infrangendo in meno di un secondo la maschera del perfetto
padrone
di casa…perfettamente
padrone di sé.-
Non costringermi a buttarti fuori fisicamente!
Matt
ride,
sinceramente divertito.
-Sarebbe
esilarante, come scontro!- osserva.
-…sei
totalmente
folle.- ribadisce Brian, il braccio, sollevato ad indicare la porta,
ricade
inerte lungo il fianco.- Sul serio, Bellamy.
-Ti
ho già
detto che non mi piace che mi chiami “Bellamy”?
Sì, l’ho fatto, ma immagino di
doverlo sopportare.- afferma rapidamente l’altro, ignorando
del tutto le
reazioni dell’uomo che lo fronteggia.- Ti sto solo chiedendo
di dirmi che mi
sono sbagliato, Brian, di dirmi che “Loud Like
Love” non lo hai scritto per
me.- gli spiega pazientemente, dolcemente.- Ma di dirlo in modo che io
possa
esserne convinto.
-E
dopo te
ne andrai e tornerai da Kate?- indaga Brian con un involontario moto di
amarezza e sarcasmo.
-No.-
è la
serena risposta che ottiene in cambio.- Non tornerò da Kate.
E’ finita con
Kate.
-…perché?-
sussurra stanco Brian.
-Perché
amo
te.
-…smetti
di
dirlo…
-E
perché
dovrei? Non puoi impedirmi di amarti. Ci hai già provato-
gli fa notare
scrollando le spalle come a significare che si tratta di qualcosa che
ha ormai
superato.- e sono di nuovo qui.
La
sua
tranquilla determinazione sta cominciando a spaventarlo. Non
è più solo il
disagio di aver visto il proprio equilibrio sbriciolarsi per
dimostrarsi molto
più fragile di quanto Brian avesse sospettato.
-Tu
non sei
mai stato innamorato di me.
-Io
non
sono mai stato consapevole di esserlo, questo sì.
-TU
HAI
CERCATO KATE! TU HAI CERCATO LEI OGNI SINGOLO ISTANTE CHE HAI PASSATO
CON ME!
Il
suo urlo
è talmente feroce da riuscire a far vacillare Matthew.
E’ qualcosa di molto
simile al grido di un animale agonizzante e lo investe con tutta la
propria
carica di sentimenti, rimpianti e parole non dette, con un rifiuto che
nasce
dal terrore di ricominciare a soffrire.
Matt
lo sa.
Lo sa in modo razionale, perché da quando, due anni prima,
è uscito dalla vita
di Brian Molko non ha fatto che ripensare a loro due, non ha fatto che
rivivere
ogni singolo momento della loro storia per capire dove esattamente
avesse
sbagliato, quali effetti i suoi errori avessero prodotto e se la scelta
che
alla fine ne era derivata –
una scelta non sua, una scelta che Brian e
Kate gli avevano imposto –
fosse
l’unica possibile.
Non
lo era.
Ascoltare
il disco dei Placebo, affondare canzone dopo canzone nei rimorsi
dell’altro, è
stato più di quanto potesse sopportare, è stato
ascoltare dalla voce di Brian
tutto quello che l’altro non gli aveva mai detto, che non
aveva mai avuto il
coraggio di aggiungere a quel primo ed unico “ti
amo” scandito al momento
sbagliato e nelle circostanze peggiori.
Non
è che
non lo avesse saputo. Nell’attimo stesso in cui aveva
allungato la mano sullo
scaffale del negozio per prendere il cd e portarlo alla cassa era stato
cosciente in modo doloroso di quello che ci avrebbe trovato dentro. A
differenza sua, Brian nelle canzoni parla esclusivamente di
sé. A differenza
sua, Brian nelle canzoni è sincero. A differenza sua, Brian
è sempre stato
consapevole di averlo amato, di averlo voluto con tutto se stesso.
…ma
ascoltare… Questo era
stato davvero
troppo.
-Avresti
dovuto dirmi quello che provavi.- mormora adesso, rivolto al Brian
nella sua
testa, quel Brian immaginario che sta cantando i versi di
“Exit Wounds”, che
gli spiega come la vita si sia spezzata in frammenti piccoli come i
suoi sogni
perduti, che sta raccontando quanto possa averlo amato e quanto
vorrebbe
tornare indietro.
Quel
Brian
non è quello che gli sta davanti e che è fatto di
ossa, carne e sangue. E tutto
il corpo di Brian sta facendo male in questo momento, sta gridando come
la sua
voce che lo ha colpito solo un momento prima.
-Avrei
dovuto dirti cosa?! Che ero geloso di lei? che ero geloso di chiunque?! che non mi avevi mai detto,
nemmeno una volta, che ricambiavi i miei sentimenti e nonostante questo
pretendevi una dedizione spaventosa da me?! CHE ERO SPAVENTATO DA TUTTO
QUESTO?! CHE NON SAPEVO COME NE SAREI USCITO, CHE NON AVEVO LA FORZA
PER
FARLO?!- gli rovescia addosso progressivamente.
Matt
non
indietreggia, neppure quando lui si avvicina, minaccioso,
dardeggiandogli
contro con una rabbia tremenda.
-Sì.
Avresti
dovuto dirmi ogni cosa.
-E
a che
scopo?- sbotta Brian, disgustato.- Quello di umiliarmi più
di quanto non stessi
facendo?!
-…non
eravamo in competizione, Brian. – osserva Matthew stupito
– Avrei potuto
saperle prima certe cose, non avrei dovuto aspettare che tu me le
dicessi in
una canzone, non avrei dovuto…!- affastella con
partecipazione crescente.
-Non
ho
scritto quelle canzoni per te! – scocca feroce
l’altro.
Vorrebbe
che gli credesse. Vorrebbe che se lo facesse bastare e che si decidesse
ad andarsene,
ad uscire, perché non ha idea di quanto tempo ancora
potrà resistere ed ha
paura che Helena torni con Cody, ha paura che
quell’equilibrio fragile non si
possa neppure più rincollare dopo che Matthew Bellamy abbia
finito di
passeggiarci sopra indifferente.
-Stai
mentendo.- lo sente sussurrare invece. Lo fa in tono basso, quasi fosse
una
considerazione personale espressa ad alta voce e
non lo spunto per un dialogo.
Brian
si
ritrae di scatto come se lui lo avesse schiaffeggiato. Si rende conto
all’improvviso
di quanto siano vicini e dell’impossibilità di
rimediare a quello. Per cui non
lo fa, rimane dove si trova e riacquista lucidità,
imponendosi di gestire la
cosa diversamente.
-Voglio
che
tu vada via.- torna a pretendere seccamente.- Non lo so che idea ti sei
fatto e
non m’importa. Ho la mia vita, la mia famiglia, e tu non hai
nessun diritto.
-Questo
è
vero.- concede Matthew mestamente.- Ma dovevo provare.- aggiunge con un
sorriso
spento.
-No!
non
dovevi! Non dovevi affatto presentarti qui e non voglio che tu lo
faccia di
nuovo. Ti ho offerto ogni cosa, Matt. – gli rammenta
stancamente – Due anni fa!
Hai perso quell’occasione.
-Non
è
tutta mia la responsabilità.
-Forse
no.-
gli concede Brian, annuendo – Ma a questo punto, non
m’interessa. Stavolta sono
io ad avere troppo da perdere, Matthew.
***
Brian
Molko, arrotolato sulla poltroncina della sala vip
dell’aeroporto, si
mordicchia nervosamente le unghie e lascia oscillare una gamba in un
movimento
ossessivo che Stefan Olsdal fissa con preoccupazione. Poi intercetta lo
sguardo
ansioso che l’altro rivolge alle porte scorrevoli che danno all’interno dello scalo - e non
a quelle
che si aprono sulle piste e quegli “orribili
mostri volanti” che l’altro tanto odia -
e sorride.
-E’
un po’ in ritardo.- osserva quietamente, fingendo di tornare
ad interessarsi
della rivista musicale che ha comprato qualche minuto prima e che
riporta una
delle prime interviste promozionali che hanno rilasciato.
Lo
affascina sempre vedere come, nel gioco di ritagli dei giornalisti, le
loro
risposte finiscano per uscire snaturate, svuotate, e loro assumano
contorni
molto diversi dalla loro reale personalità.
Brian
lo fissa di sbieco, poi torna a concentrarsi sulle porte.
-Magari
non viene.- scocca velenosamente.
Stefan
ci legge facilmente l’amarezza che una simile prospettiva gli
lascia addosso e
sospira. Mette via la rivista, si alza e prende posto di fianco a lui,
riuscendo a creare un piccolo maremoto nell’equilibrio
fragile dell’altro.
Brian si rimette composto, abbassando entrambe le mani per incrociarle
sulla
pancia e smettendo così di scrutare con apprensione
l’ingresso della saletta.
-Non
ci credi neanche tu.- ribatte intanto Stef.- Ti ha pregato per un mese
perché
acconsentissi a farlo venire con noi.
-E
continuo a pensare che sia una stronzata!- replica Brian astioso.
-Non
credi nemmeno a questo!- esclama lo svedese ridendo. Quando non ottiene
nessun
tipo di reazione, gli tira uno scherzoso pizzicotto sul fianco.- Bri?
L’altro
si schernisce, stizzoso, ma finisce per farsi scappare uno sbuffo
divertito e
Stefan scuote la testa, rimproverandolo implicitamente per
l’atteggiamento
tenuto fino a quel momento.
-Sono
felice che venga con noi.- ammette Brian a mezza voce.
C’è un piccolissimo
fondo di paura nel suo sguardo mentre lo dice, Stef si concentra su
quello per
capire il senso reale delle frasi dell’altro.- Ma credo che
sia stata una
decisione un po’ affrettata.
-Qualcosa
dovevi pure concederglielo, Brian. Avete ricominciato a vedervi da
appena un
mese e mezzo e tu stai per partire per un tour, sarebbe stato un
disastro
mollare tutto proprio ora.- espone pacatamente il bassista.
-Sì,
ma non pensi che sia…eccessivamente frettoloso ripiombarci
dentro così…così!
Tutto d’un fiato, d’un colpo e completamente.-
gesticola animatamente.-
Staremo a contatto ventiquattrore su ventiquattro per
mesi!
-Non
sarete da soli. Non è una convivenza a due, se è
questo che ti spaventa.-
obietta Stef scrollando le spalle.
-E’
molto peggio.- borbotta Brian, riportando alla bocca l’unghia
dell’indice sinistro.
-Perché?
– lo incalza il bassista - Perché quando suoni sei
più vulnerabile? Perché sta
invadendo il tuo territorio? Perché hai paura a mostrarti
con lui come ti
mostri con noi? Cos’è che ti spaventa, Bri?
Brian
lo guarda, soppesandolo con lo sguardo ma, in realtà,
soppesando se stesso e la
voglia che ha di rispondere sinceramente.
Ma
è Stef.
-Tutte
queste cose assieme, penso.- mormora lentamente, riportando gli occhi
sulle
porte scorrevoli ma facendolo con maggiore tranquillità,
come se nel parlarne stia
pian piano prendendo confidenza con quelle paure e rendendosi conto
che, in
qualche modo, può gestirle.- Non ci saranno più
schermi o maschere a
proteggermi. Non sono mai riuscito a tenere su quelle maschere con voi,
non per
tutto il tempo, non dopo i primi tempi. Ci saranno le giornate no,
quelle in
cui sarò arrabbiato, sarò stanco o
starò semplicemente male, ci saranno le
giornate in cui mi sentirò depresso, quelle in
cui…lo sai come divento quando
vedo tutto nero.- biascica imbarazzato, concedendogli un nuovo sguardo
per
pregarlo di non costringerlo a dire di più.- Non
sarò mai solo… “Brian”,
il tizio che ha sempre tutto
sotto controllo, che sa sempre cosa c’è da dire e
da fare e che aggiusta la
situazione perché è quello maturo, responsabile e
riflessivo della coppia.
-Non
vuoi che ti veda per come sei?
-No.
Non sono sicuro che quello, che vedrebbe, gli piacerebbe.- confessa
Brian,
debolmente.
-E’
un motivo in più per portarlo con te.- ribatte Stefan piano.
Brian
ride senza allegria.
-Lo
so.- ammette.
-Bri.
Se vuoi fermarlo, fallo ora.- suggerisce Stefan dopo qualche istante di
silenzio carico.- Non aspettare che sia qui. Non riusciresti a mandarlo
via.
Le
porte scorrevoli si aprono.
Stefan
vede lo sguardo ed il sorriso di Brian farsi più caldi,
autentici. I suoi occhi
brillano, il suo viso assume quella particolare dolcezza infantile che
ha solo
quando è davvero felice. Sorride anche lui, ascoltando
distrattamente le parole
dell’altro mentre si volta.
-Troppo
tardi.- ride Brian a mezza voce.
Stefan
riconosce Matthew Bellamy che va loro incontro. Sta sorridendo anche
lui.
***
Si
massaggia la radice del naso. Allarga le dita alle tempie, operando con
piccoli
movimenti circolari e concentrici nel tentativo, fallimentare, di
allentare il
cerchio doloroso che avverte attorno alla testa. Sospira, palmi
allargati sulla
faccia stira le guance in basso e poi all’indietro,
afferrando i capelli nel
passarci le dita in mezzo. Un gesto repentino, sfila
l’elastico dal polso e
lega le ciocche in una coda disordinata.
Davanti
a
sé ha i fogli delle partiture, ma non riesce a concentrarsi.
Sente la voce di
Fiona e quella di Stefan, parlano qualche metro più in
là, vicino alla macchina
del caffè. Entrambi hanno toni di voce piacevoli, melodiosi,
rilassanti.
Ridono. Educatamente, senza disturbarlo.
Steve
saluta a voce alta qualcuno. Irrompe come una furia nella sua mente,
calpestando l’angolo pacifico che Fiona e Stef sono riusciti
a creare con la
loro presenza discreta. Brian, occhi chiusi e schiena dritta, storce il
naso.
-Dovremmo
provare di nuovo “Purify”. Così capiamo
se possiamo tenerla per il live.
-Ok.-
risponde Stefan, accondiscendete alla razionale richiesta del proprio
batterista.
Com’è
diventato bravo, il ragazzino, a destreggiarsi tra le cose, a tirare
fuori suggerimenti,
ad organizzare. Lo fa con un entusiasmo sincero e senza mai risultare
invadente
o prevaricatore.
Steve
Forrest è una bella persona.
Stefan
è
una bella persona.
Anche
Fiona, Bill, Dave, Levi, Alex…
-Dove
cazzo
è finito quel dannato tecnico?!- sbotta Brian, spalancando
gli occhi di colpo,
la fronte aggrottata.
Si
volta
nervosamente sulla sedia, ignorando volutamente gli sguardi stupiti che
i tre
compagni gli rivolgono a quell’esternazione estemporanea.
E’ vero, ha chiesto
al tecnico delle chitarre - quello nuovo,
quello che hanno assunto solo tre giorni fa e di cui non riesce a
ricordare il
nome – di
mettere a posto una
delle Fender prima che ricominciassero le prove ed è vero
anche che saranno
passati dieci minuti scarsi da quando quello si è
allontanato portandosi via lo
strumento.
-Bri?-
indaga Stefan cautamente.
-
“Bri” il
cazzo! Sono le tre e mezza! Vorrei riuscire a fare qualcosa prima di
notte!-
scatta Brian, alzandosi per dirigersi a passo marziale verso la porta
che da
sul corridoio. Si affaccia alla soglia, osservando senza vedere le
poche
persone che si trovano lì fuori.- Allora?!- grida-
C’è qualcuno qui dentro che
intende lavorare o è un asilo nido per idioti?!
-…Brian…-
prova Steve, stavolta.
-No,
senti,
Sunshine! non rompere pure tu!- lo
liquida Brian calcando l’appellativo con una buona dose di
disprezzo.
Alex
entra nella
stanza, impetuosa come una piccola furia.
-Che
accidenti succede qui?- scocca immediatamente, dopo aver gettato uno
sguardo
distratto all’insieme dei presenti.- Brian, cos’hai
da urlare come un’isterica
nel corridoio?
-C’è
che
non c’è niente
che vada come
dovrebbe! Siamo in altro mare, una delle mie fottute chitarre ha ben
pensato di
sparire e quell’inetto a cui l’ho affidata
sarà licenziato prima di subito!-
ringhia il cantante, aggirandosi per la stanza come un leone in gabbia.
-Ok,
adesso
la pianti e ti dai una calmata. E nessuno viene licenziato se non lo
dico io.-
scandisce bene la donna.- Lo sai che non mi piace che ci siano piazzate
da
prima donna mentre si lavora…
-Me
ne
fotto!- sbotta Brian, scoccandole uno sguardo di fuoco.
-Ed
io me
ne fotto delle tue paturnie del cazzo, Molko!- ribatte Alex alzando il
tono a
sovrastare quello di lui.- Detto questo,- aggiunge poi in modo
più controllato.-
tu adesso vai in bagno a fare una bella pisciata, ti lavi la faccia,
resti lì
finché non ti sei calmato e torni qui quando sei in grado di
ragionare.- ordina
puntigliosamente prima di voltarsi in direzione di Steve.- Su cosa
dovete
lavorare?
-“Purify”…-
borbotta il ragazzo.
-Bene.-
Uno
sguardo a Fiona, Alex raggiunge il tavolo, preleva le tab e le porge in
direzione della donna.- Fiona, prendi Bill e sistemate
l’arrangiamento. Ne
parlate tra un quarto d’ora con i ragazzi. Grazie.- aggiunge
mentre lei accetta
i fogli borbottando un “o.k.” perplesso - Voi due,-
aggiunge Alex puntando
prima Stefan e poi Steve – avete un quarto d’ora di
pausa. Tu sei ancora qui,
Molko?- s’informa subito dopo, sarcastica.
Brian
scatta come una molla. Afferra la porta per scaraventare se stesso
fuori da lì
ed il battente a chiudersi fragorosamente su un
“vaffanculo” detto a bassa
voce, ma ben scandito perché tutti possano sentirlo.
***
Stefan
lo
raggiunge nel bagno.
Brian
ha
scrupolosamente seguito le indicazioni
–
gli ordini – di
Alex. Senza
pensare all’assurdità del farlo davvero. Adesso,
dopo essersi sciacquato mani e
viso, osserva il proprio riflesso nel vetro lindo davanti a
sé ed aspetta che
quella sensazione soffocante sparisca.
La
sera
prima Helena e Cody sono tornati verso le otto.
Brian
aveva
cucinato la cena per tutti, si era premurato di preparare qualcosa di
diverso
per Cody perché al bambino non piace l’arrosto con
le verdure, aveva
apparecchiato la tavola, messo su della musica bassa che riempiva
l’ambiente in
modo piacevole. Helena gli aveva sorriso entrando. Era talmente
euforica da non
accorgersi del suo imbarazzo nel ricambiare il bacio con cui
l’aveva salutato,
ancora sulla soglia. Talmente soddisfatta mentre gli mostrava
orgogliosa
vestitini e tutine da bambina.
Chiameranno
la figlia Alexandra Sarah Elisabeth. Brian la chiama già
Lisette e le parla in
francese, la sera, quando Cody è andato a dormire e lui ed
Helena restano soli
in salotto, abbracciati sul divano. Hel ride e gli accarezza la testa,
gli dice
che deve tagliare i capelli e Brian le promette che lo farà,
ma poi la distrae
baciandole il collo e ad Helena non importa affatto dei suoi capelli
troppo
lunghi.
…la
sua
vita è perfetta. La sua vita è bellissima. La sua
vita…la sua vita si
distruggerà come un castello di sabbia al primo
maraglione.
-Bri.
Helena
continuava a parlargli. Non si è fermata nemmeno un istante.
Gli ha detto di
ogni singolo negozio dove sono state, delle cose che ha visto, delle
idee che
ha avuto per arredare la cameretta della bambina. Non lo ha mai
guardato
davvero – se
lo avesse fatto, Brian non sarebbe riuscito ad ingannarla.
-Stai
bene?
Era
stanca.
Rideva nel chiedergli di mettere lui in ordine i pacchetti. Hanno una
borsa
pronta per l’ospedale da un sacco di tempo, Helena continua a
disfarla, ogni volta
che compra una tutina nuova pensa che sia più bella di
quella che ci ha messo
dentro la volta precedente. Ma ieri sera era troppo stanca ed
è voluta andare a
dormire.
-…è
venuto
Matt a casa mia, ieri.
Si
rende
conto di averlo detto davvero solo perché Stef, che adesso
gli è accanto, lo
sta guardando stupefatto. Il suo riflesso lo sta guardando stupefatto
dallo
specchio sopra i lavandini.
Brian
pensa
che impazzirà se non lo dice a qualcuno.
-Che
vuoi
dire?- mormora rocamente il bassista.
-Ha
lasciato Kate.- riferisce incolore. Non è quello il punto e
lo sanno entrambi.
Brian fissa Stefan negli occhi mentre parla, anche se lo fa attraverso
lo
specchio.- Sono innamorato di lui.- confessa con un sorriso timido,
spaventato.
Sente
le
dita di Stefan premere sulle scapole. Una carezza lenta che gli
percorre la
schiena, rassicurante. Abbassa il viso quando qualcosa inizia a pungere
fastidiosamente gli occhi. Ricaccia indietro le lacrime.
-Non
posso
continuare a mentire ad Helena.- sussurra piano.- Non avrei mai dovuto
farlo.
-Helena
si
è voluta convincere di quello che riteneva.- è
l’osservazione di Stefan,
lineare e razionale.
-Aspettiamo
un figlio.
-Brian…
-E’
colpa
mia.
Stefan
non
ha il coraggio di negarlo, sebbene consapevole delle
responsabilità della donna
nel tenere in piedi quella bugia. Ma Brian non ha bisogno di sentirsi
dire che
è colpa anche di Helena. Questo non lo giustifica. Raramente
Brian trova
ragioni valide per giustificare se stesso. Il più delle
volte convive con le
responsabilità, vere o no, che ritiene di avere e lo
farà anche stavolta.
E
poi, non
è quello il punto. Non è la distribuzione delle
colpe il punto.
-Cosa
vuoi
fare?
-…non
lo
so…
Brian
è
terrorizzato. Non lo vedeva da anni così spaventato da
qualcosa, così simile a
quel ragazzino impaurito che, per la prima volta, aveva cercato
nell’alcool il
coraggio che gli mancava, la fiducia in se stesso che non aveva a
sufficienza
per poter parlare con i discografici, firmare un contratto, uscire su
un palco
davanti a molte…troppe persone…
Non
ha
paura che possa succedere di nuovo. Questo Brian è diverso.
Questo è un Brian
adulto che deve fare i conti con il mondo ma deve farlo partendo da
consapevolezze differenti, di sé e degli altri. E’
solo paura, la sua, solo
terrore di fare del male e farselo fare da qualcun altro.
Helena,
Cody e la bambina che nascerà sono qualcosa che non
smetterà mai di avere
un’importanza fondamentale per Brian. Ma Matt…
-Brian,
non
ti ho chiesto cosa farai, ma cosa vuoi
fare.- ripete Stefan, pazientemente.
Lo
vede
stringere le labbra, come ad impedirsi di scoppiare in un grido ferito
e
rabbioso. Stef è quasi certo che, se avesse Matthew davanti
adesso, Brian lo
ammazzerebbe con le proprie mani.
-Le
dirò
che è finita.- mormora dopo qualche istante. Atono, piano,
inespressivo. Lo
sguardo che solleva in faccia al riflesso di entrambi è
vacuo e limpido come
quello di vetro delle bambole.
-Stai
continuando a non rispondere.- osserva implacabile Stefan.
Brian
si
divincola da sotto le sue dita. Si volta di scatto, arrabbiato, e lo
affronta
con un’eco dell’isteria ingiustificata che ha
sfoggiato nella saletta relax,
davanti agli altri. Stefan, però, non si lascia
impressionare.
-Cosa
vuoi
sentirti dire? Che correrò da lui?! Non c’entra,
Stef! Non c’entra niente!
Lo amavo prima esattamente come
lo amo ora, cosa diavolo credi che sia cambiato?
-Che
è
tornato da te.
-Per
fuggire di nuovo quando sarà troppo spaventato da quello che
ha per tenerselo
stretto?!
-Brian,
Matthew non è fuggito.- lo rintuzza lo svedese pacato.
-Come
puoi
dire…?
-Perché
sei
stato tu a cacciarlo!- conclude secco Stef. Incrocia le braccia al
petto,
tranquillo.- E lui è tornato da te.- prosegue lento davanti
al silenzio
dell’altro.- E se vuoi la mia opinione, eri spaventato tanto
quanto e più di
lui. Quindi torno a chiedertelo, perché non intendo
guardarti ancora rantolare
come una bestia agonizzante nel tentativo di aggiustare la tua vita:
cosa vuoi fare? Cosa
vuoi per te?! Cosa ti farà stare bene?-
incalza.-
Perché te lo meriti, Brian. Non sei
“l’unico a non aver diritto di essere
felice”, è solo la tua stupida convinzione,
questa! Hai lasciato campo libero a
Kate perché? Perché
pensavi fosse
giusto per lei, per Matthew? Hai provato a chiedere a Matthew cosa
volesse?
-Mi
avrebbe
detto una bugia per paura che io lo lasciassi.- sibila Brian. Ma le
parole di
Stefan stanno andando a segno e perfino la sua convinzione ostinata
vacilla
visibilmente a fronte di quei ragionamenti accorati.
-O
forse
no. O forse lo avrebbe fatto e tu lo avresti saputo e avreste litigato.
Magari
vi sareste lasciati comunque,- ammette il bassista, pacato - ma lo
avreste
fatto dopo averne quantomeno parlato. Come puoi incolpare Matthew delle
parole
che tu non gli hai permesso di dirti? Delle scelte che tu
e Kate avete preso per lui?
-…non
lo sto…
-No,
è
vero.- gli concede Stefan. – Ma è anche vero che
non vuoi darti una possibilità
con lui. Non l’hai mai voluto.
Brian
sospira. Sconfitto. Abbassa il viso ed i capelli nascondono nuovamente
il suo
sguardo. Stefan è talmente vicino che potrebbe abbracciarlo
senza dover fare un
altro passo, ma non lo fa. Brian, presumibilmente, si scosterebbe di
nuovo e
lui non vuole dargli nessuna possibilità di scappare.
-Helena
merita che io sia sincero con lei.- sussurra il cantante dopo un tempo
che
sembra infinito.
Ed
è il
turno di Stef di lasciarsi sfuggire un respiro pesante, consapevole che
l’altro
finirà comunque per anteporre la propria compagna a
qualsiasi decisione per sé.
Non è che gli sia difficile capirne il motivo, ma in quegli
ultimi due anni ha
dovuto combattere con le unghie e con i denti – proprio come
Helena - per
strappare Brian ad un dolore talmente
sordo e nascosto sottopelle da non essere mai riusciti a dargli un nome
vero,
concreto, per esorcizzarlo a sufficienza.
Ed
ora la causa di quel dolore è di nuovo lì.
-Vuoi
che
le parli io?- si offre di slancio, senza neppure riflettere davvero su
quanto
sta dicendo.
Brian
sbuffa un rantolo che vorrebbe essere una risatina cattiva, i suoi
occhi
brillano d’ironia da sotto le ciocche spettinate.
-Non
puoi.-
rintuzza pratico, ritrovando in un istante tutta la propria
determinazione ed
un accento del vecchio smalto di sempre.
***
-Le
regole del tourbus?
-Ma
veramente dobbiamo portarci dietro la concorrenza?
-E
tu sei pure un loro fan, Sunshine.
-Non
è vero che sono un loro fan!
-Le
regole del tourbus, Bellamy, sì. Niente sesso qui sopra,
grazie.
-Non
ti facevo così puritano, Olsdal.
-Puoi
negarlo quanto vuoi, Sunshine, ho visto la tua collezione di dischi.
-Non
è questione di essere puritani, è questione di
rispetto degli spazi condivisi.
-Hai
rovistato nelle mie cose?! Stef, Brian ha rovistato nelle mie cose!
-Quello
non fa parte delle regole di rispetto degli spazi condivisi
evidentemente,
Steve.
-Bellamy,
sei qui sopra da meno di dieci minuti e stai già rompendo i
coglioni.
***
Dopo
cena Brian lo raggiunge nella zona notte. Matthew ha, chiaramente, una
cuccetta
propria, collocata sopra quella dell’altro, ma ha ben pensato
di rannicchiarsi
nello spazio di Brian, che se lo ritrova acciambellato come un
ingombrante gatto
tra le coperte.
-Non
riesco ad addormentarmi da solo e Dom non protesta mai!- previene Matt,
additandolo, quando lo vede mettere su un’espressione
accigliata.
Brian
rilascia l’aria in uno sbuffo senza dire nulla. Sorride,
anzi, e gli da un colpetto
sulla gamba per farsi fare spazio e stendersi a sua volta.
-Quindi
io e Dom siamo intercambiabili…- lo punzecchia
immediatamente.
Matthew
lo fissa divertito, si volta su un fianco e solleva la testa,
appoggiando il
gomito al materasso, per poter ricambiare il suo sguardo.
-Sei
geloso di Dom?- s’informa malizioso.
-Tu
sei geloso di Stef?- ritorce Brian.
Matt,
però, ci pensa su seriamente, rivestendo la cosa di
un’importanza che Brian non
aveva alcuna voglia di dargli. Soprattutto perché il
rapporto tra lui è Stefan
è qualcosa che non sente ancora di voler condividere con
l’altro.
-Credo
sia stato innamorato di te.- sussurra l’altro frontman,
tenendo bassa la voce
per paura che il bassista, seduto nella zona giorno del bus con Steve
ed Alex,
possa sentirli.- Lo si capisce. Ma non credo di avere motivo per essere
geloso.
Tieni troppo a ciò che siete.
Si
volta a cercare il suo viso per scrutarne l’espressione e
trovare conferma a
ciò che ha appena detto.
Brian
si riscopre incapace di negarlo.
-Molto
perspicace.
-Ed
io e Dom?- insiste Matt divertito.
-Tu
e Dom siete amici e vi fareste ammazzare l’uno per
l’altro. Siete fratelli, più
che amici, ma nient’altro. E senza nessuna delle implicazioni
che hai visto nel
mio rapporto con Stef, questo è sicuro.
Matthew
annuisce. Il suo sguardo vaga per lo spazio attorno a loro, mettendo
distrattamente a fuoco gli elementi. Si dice che è stata
un’idea pazzesca quella
di partire in tour con i
Placebo dopo essere appena entrato in pausa con la propria band.
E’ parecchio
stanco, gli impegni dell’ultimo periodo hanno prosciugato
quasi del tutto le
sue risorse, lui ha dovuto barcamenarsi alla men peggio tra quelli, la
sistemazione della nuova casa…la
sistemazione della nuova vita.
Lasciare
Kate non è stata la cosa facile e piana che ha voluto
rappresentare a Brian.
In
realtà, se è vero che ha reagito per istinto
subito dopo aver ascoltato le
parole dell’altro nelle nuove canzoni, è
altrettanto vero che dopo si
è trovato a lungo a fare i conti
con quanto scelto. Sa che Kate era sincera - quando ne hanno parlato e
lui le
ha spiegato come stessero realmente le cose – nel dirgli che
per Bing non
sarebbe cambiato nulla. Quella concessione le è costata
carissima e Matthew ha
avvertito intatto il peso di quanto stava pretendendo da lei. Di fatto,
le
stava dicendo a muso duro di non averla mai amata. Né prima
né dopo. Di aver
sempre voluto Brian nella propria vita, di aver scelto lei solo in
virtù del
fatto che aspettavano un figlio assieme. Kate non aveva mai preteso
niente e
Matt era consapevole che questo stesso discorso avrebbe potuto e dovuto farlo fin dall’inizio.
Era stato
vigliacco allora per non dover convivere con quello stesso senso di
colpa e di
perdita che lo aveva tormentato subito dopo aver preso un aereo per
tornare a
Londra.
Eppure
quella dimensione claustrofobica in cui si muoveva quando era da solo,
a casa,
scompare adesso, ascoltando il respiro quieto di Brian accanto a
sé, avvertendo
nelle narici il suo odore familiare, mischiato ad altri profumi che gli
sono
sconosciuti e che appartengono a quel piccolo microcosmo in cui lui,
intruso, è
stato accettato fin troppo velocemente.
Gli
viene da riflettere sul fatto che, mentre lui ha trovato immediata
accoglienza
tra i “Placebo”, tanto da guadagnarsi un posto nel
cuore stesso della loro famiglia,
Brian è ancora un estraneo per
quella cerchia perfetta che i “Muse” rappresentano
e lui si sente a disagio a
tentare di calarlo nel loro contesto, all’idea di fargli
incontrare Chris o
Tom… E’ un po’ strano. Due anni prima,
Matt aveva tentato di trascinare Brian
in quello stesso ambiente nel momento meno opportuno e facendo quanto
più
rumore possibile. Ad impedirlo era stata solo una serie di
casualità, ma lui,
allora, non aveva pensato che potesse esserci qualcosa di strano nel
vedere
Brian interagire con i suoi amici e sa, peraltro, che Dom e lui si sono
già
incontrati in più di un’occasione e senza sentire
la necessità della sua
mediazione.
Ma
Dom è Dom.
-Bri.-
Gli risponde un mugugnare soffocato.- Stai dormendo?
-Se
mi parli…
-Vorrei
che venissi a vivere da me quando tornerai a casa.
Uno
sbuffo. Una semplice attestazione di disaccordo che Matt registra a
livello
inconscio ed ignora volutamente.
-Ne
abbiamo parlato…
-Sarà
fra due fottutissimi anni, Brian.- scocca Matthew brusco- Ne abbiamo
parlato e
non lo hai escluso a prescindere.
-Non
sono pronto per una convivenza.
-Con
la tua ex sì, con me no?!
Brian
gli spalanca addosso uno sguardo arrabbiato.
-Eravamo
d’accordo che Helena è un argomento di cui non si
parlerà finché non sarò io a
metterlo in mezzo.- gli ricorda seccamente.
-Vorrei
fosse ben chiaro che quello che scegli unilateralmente non è
qualcosa su cui
siamo necessariamente d’accordo.
-Matt,
tu non puoi…-inizia precipitosamente Brian.
Ma
Matthew lo ferma anche stavolta.
-Non
voglio litigare.- precisa.- Non parleremo di Helena, ok?
Però valuta la
possibilità di venire a stare da me. Ti prego.
***
Quella
sera
Helena e Cody lo accolgono a casa con un piatto di biscotti appena
sfornati,
saluti festosi e sorrisi entusiasti. A Brian sale istintivamente un
conato di
vomito, che reprime a forza, giustificandosi per
l’accoglienza nervosa che ha
riservato loro facendo appello alla vecchia e mai sopita gastrite che
torna
ogni tanto. Helena, preoccupata, spedisce Cody in cucina con i biscotti.
-Bri,
avete
fatto come al solito? Avete mangiato qualche schifezza invece di
pranzare
decentemente?- lo riprende, seguendolo mentre Brian raggiunge il
salotto.
L’uomo
scuote la testa. Non ricorda neppure se hanno pranzato, figuriamoci
“cosa”.
Lascia sul divano il giubbotto e siede lì accanto, chiudendo
gli occhi e
reclinando la testa all’indietro.
-…vuoi
che
chiami il medico?- domanda lei, dolcemente.
Quando
non
riceve nessuna risposta, sospira piano. Brian, ancora ad occhi chiusi,
la sente
muoversi al suo fianco. Helena deve aver sollevato e spostato il
giubbotto, gli
si siede accanto e le sue dita leggere gli sfiorano la pelle del polso,
lasciando scorrere brividi piacevoli lungo il braccio. Lo rilassa.
-Bri.
E’
tutto a posto a lavoro?- inizia ad indagare Helena, con la stessa
dolcezza
intossicante di prima. La sua capacità di inquadrare in
fretta l’esistenza di
un problema, smascherando le piccole bugie che lui imbastisce per
evitare di
parlarne, è tragicamente pericolosa.
Brian
valuta la possibilità di raccontarne ancora. Di dirle che
“sì, hanno qualche
problema in sala, ma niente che non possano risolvere ed è
solo stanco”.
Quando
apre
la bocca per dire quelle stesse cose, però, viene fuori una
frase completamente
diversa.
-Ho
visto
Matthew.
La
mano di
Helena si irrigidisce. La sua carezza si congela appena sopra il
sottile
laccetto che l’altro porta al polso, regalo di suo figlio
durante l’ultimo
viaggio in India in cui lo ha portato prima dell’uscita
dell’album.
Brian
apre
gli occhi. Si volta a guardarla, rendendosi improvvisamente conto di
essere in
grado di dirle la verità e di volerlo fare. Prendendosi
tutte le responsabilità
conseguenti.
-Che
significa?- sta sillabando lei, atona.
-E’
venuto
qui ieri pomeriggio dicendo che ha lasciato Kate.- le riferisce
pianamente
Brian.- Dice di aver sentito l’album…
“Loud Like Love”, di aver capito che ho
scritto quelle canzoni per lui.
La
mano di
Helena scatta verso il viso, spingendosi con forza contro le labbra
mentre lei
reprime uno scoppio di riso isterico. Le ciglia tremano, gli occhi a
mandorla
si riempiono di lacrime ma Helena non piange.
-Dice
che
mi ha sempre amato, ma lo ha capito solo ora. Voleva che gli dicessi
che si era
sbagliato e che non ho scritto quelle canzoni parlando di
lui…a lui…
-E
tu cosa
gli hai detto?- soffia fuori lei, strozzata.
-Niente.
Non sono riuscito a mentirgli.- confessa Brian, stringendosi nelle
spalle.-
L’ho cacciato e gli ho detto che non volevo più
vederlo.
Segue
un
silenzio che lui avverte troppo lungo. Un silenzio che è
sicuramente troppo
denso. Brian ci annaspa dentro cercando aria, mentre la sua coscienza
realizza
appieno quanto ha appena fatto. Sta per perdere Helena, sta per
perderla in
modo forse definitivo, e con lei Cody e Lisette, la bambina non ancora
nata. Ha
appena gettato al vento un equilibrio perfetto, su cui poggiavano le
fondamenta
di quel benessere – effimero
– che
era tornato ad affacciarsi anche nella sua vita.
-…cosa
significa…Brian?- la sente chiedere nuovamente, con lentezza
esasperante.
-Che
sono
ancora innamorato di lui, Helena.- ammette debolmente Brian.- Non ho
mai smesso
di essere innamorato di Matt.
***
Helena
ha
chiamato Forrest per chiedergli di venire a prendere lei e Cody. Brian
gliene è
stato silenziosamente grato, la donna ha scelto di non mettere in mezzo
né
Stefan né Steve per non costringere gli “amici di
tutta una vita” a prendere
posizioni scomode in una situazione difficile.
Mentre
aspettavano l’arrivo del ragazzo, Brian l’ha
aiutata a fare i bagagli. Non si
sono scambiati neppure una parola. Di comune accordo hanno chiamato
Cody in
cucina e gli hanno spiegato pazientemente che, per un po’,
mamma e papà
sarebbero tornati a vivere in due case diverse e che lui poteva
scegliere se
voleva stare con l’uno o con l’altra.
Quando
Cody
ha fissato suo padre con sguardo ferito, Brian ha capito di averlo
perso e di
essersi solo illuso che lui potesse essere ancora il bambino piccolo
che aveva
recepito passivamente la prima separazione dei genitori. Trova conferma
di quei
pensieri quando, all’arrivo di Steve, Cody si precipita fuori
di casa senza
neppure prendersi la briga di salutarlo.
Helena
si
ferma sulla soglia, invece, ma il suo sguardo è duro,
tagliente, e Brian sente
intatto il peso di tutte le sue accuse inespresse.
-Helena…
-Non
dire
nulla, per favore.- pretende lei brevemente.
Imbarazzato,
Steve assiste dal pianerottolo, un occhio a Cody per assicurarsi che
non scenda
da solo ed un altro alla scena che si sta consumando pochi metri
più in là.
-Tra
qualche giorno, magari, sarò in grado di parlarne e potremo
stabilire cosa
fare. – spiega ancora Helena, cercando di mantenere un tono
neutro e piano ma
tradendosi con quel tremore sottile che la scuote da capo a piedi -
Adesso, mi
disgusta anche solo doverti rivolgere la parola.
Brian
non
dice altro. La guarda in silenzio voltarsi ed incamminarsi verso
l’ascensore.
Steve esita ancora, rivolgendo al compagno di band uno sguardo
preoccupato.
-Brian…-
chiama alla fine. Cody ed Helena sono già
nell’ascensore, lei dice che lo
aspettano giù, poi preme il pulsante e le porte si
chiudono.- Hai…bisogno di
qualcosa?- prova a domandare il batterista.
Brian
scuote la testa. Gli è riconoscente di starsi prendendo
quell’incarico penoso e
gli è riconoscente anche della capacità naturale
con cui attua un congruo bilanciamento
di interessi: proteggerà Helena, si occuperà di
lei e Cody e si assicurerà che
siano a posto prima di lasciarli; ma allo stesso tempo non si
dimenticherà di
lui, non lo giudicherà e sarà sempre pronto ad
aiutarlo. Sì, Steve Forrest è
stata la scelta più saggia.
Bravo
ragazzo, Steve.
Adesso
annuisce brevemente, con una risoluzione tutta nuova nello sguardo.
-Chiamo
Stef e lo mando qui.- gli dice prima di premere per far tornare su
l’ascensore.
Brian
vorrebbe dirgli che non ce n’è bisogno, ma quando
non ci riesce si rende conto
che invece sì, invece ha un bisogno disperato di avere
lì Stefan. Per cui non
dice niente. Aspetta che Steve vada via e chiude la porta di casa.
…mentre
si
guarda attorno, spaesato, ancora fermo nell’ingresso e con le
spalle contro il
battente, si rende conto di quanto dannatamente grande sia
quell’appartamento.
***
-Chi
accidenti ha settato questo schifo di chitarra?
Levi
agita minacciosamente in aria la Jaguar rossa, accompagnando con quel
gesto la
domanda, proferita in tono rassegnato, ed ottenendo in cambio una serie
di
sguardi perplessi. Uno dei tecnici borbotta qualcosa con un collega,
poi
annuisce e si volta verso di lui.
-Quello
nuovo. Oscar.- risponde.
Il
sospiro di Levi risuona alto e sonoro.
-Quello
non durerà molto se continua così.- considera a
mezza voce, abbassando la
Jaguar e voltandosi attorno alla ricerca del soggetto incriminato.
Matt,
seduto ad una delle consolle di regia, lo guarda. Si sta annoiando a
morte da
almeno dieci minuti – cioè da quando i Placebo
sono andati in pausa dal
sound-check per “problemi tecnici” nel settaggio
della strumentazione – e
reputa quella offertagli dall’altro una stimolante
alternativa al giocherellare
con i monitor della consolle scombinando completamente proprio il
lavoro fatto
da Levi qualche ora prima. Si alza di colpo e gli va incontro
rapidamente,
prima che l’altro possa dileguarsi portandosi appresso la
chitarra.
-Lascia,
ci penso io.- si offre con un largo sorriso.
Levi
lo fissa scettico.
-Tu?-
ripete.
Matt
fa spallucce, allungando le mani verso la Jaguar ed aspettando
pazientemente
che Levi, tutt’altro che persuaso, si decida a cedergliela.
-Bellamy,
non è che non mi fidi di te, ma a parte che abbiamo un
tecnico appositamente
pagato per questo, Brian potrebbe assassinarmi ed esporre il mio
cadavere ai
corvi se lo sapesse.
-Allora
non diciamoglielo!- ribatte il cantante sbattendo gli occhioni con aria
da
cucciolo.- Andiamo, un problema in meno per te ed un quarto
d’ora di noia in
meno per me!- considera a voce alta.
-Sì,
ma così Oscar non imparerà mai un cazzo.-
protesta ancora Levi, anche se gli
sta già passando la chitarra.
Bellamy
ridacchia, afferrandola con delicatezza e stringendosela addosso con
fare
possessivo.
-Va
bene, va bene.- concede rapido.- Vado a cercarlo e lo facciamo insieme,
ok?-
propone.
Levi
sbuffa di nuovo, contrariato ed insoddisfatto, ma poi si stringe nelle
spalle e
gracchia uno scazzato “contento tu!”, prima di
mollarlo ed andare a riparare ai
danni che l’altro ha fatto alla consolle di regia.
Matt,
soddisfatto, prende a girovagare per il backstage al suo posto. Un paio
di
domande a Clarisse, la ragazza del make up – quella
carina, per intenderci, perché l’altra, Eve,
è un cesso oltre ad
essere scorbutica da morire! – e trova Oscar
rannicchiato nei pressi di una
macchinetta del caffè, che trangugia bevanda scura da un
bicchiere e picchietta
a terra con un piede, nervosamente.
-Os!-
lo chiama brusco.
Quello
sobbalza, rovesciandosi buona parte del caffè sulla
maglietta, e si volta
sgranandogli addosso uno sguardo terrorizzato.
-Hai
fatto un casino.- ci tiene a precisare immediatamente Matthew, agitando
la
chitarra in modo esemplificativo.
Il
ragazzo annuisce istericamente, consapevole dei propri limiti.
-Mr.
Bellamy, io…
-Tu
la pianti di balbettare e vieni qui.- esige Matt senza farlo finire, si
ferma a
metà del corridoio ed indica un punto di fianco a
sé.- Vediamo se prima di
mollare questo tour riesco almeno ad evitare che tu perda il lavoro.-
borbotta
mentre l’altro getta il bicchiere vuoto e si avvicina
esitante.
-Io
non so se…
-Ah!
su questo siamo pienamente d’accordo! – esclama
Matthew, scoccandogli
un’occhiata divertita – Tu
non sai!-
motteggia.- Fuori. Marsh!- addita poi in direzione del backstage.
***
-E
questi
dove vanno, Mr. Bellamy?
-Nello
studio,
credo… No, forse sono quelli della cucina… Cosa
c’è scritto sopra?
Matt
si
disinteressa della distribuzione degli scatoloni l’istante
successivo alla
formulazione di quella domanda. Mentre i tizi della ditta di traslochi
si
arrabattano per interpretare la sua scrittura, lui si avvicina alla
porta a
vetri che da all’esterno della casa.
In
fondo al
vialetto di accesso c’è una figurina infagottata
in un cappottone nero troppo
grande per la sua taglia. Nonostante il viso nascosto
dall’enorme sciarpa di
lana, il cappello calato sulla fronte e le mani affondate nelle tasche,
a Matt
basta uno sguardo d’insieme per percepire un brivido
familiare lungo la
schiena. Sorride. I tipi della ditta stanno discutendo tra loro sulla
diversa
interpretazione di una lettera, lui apre la porta ed esce sotto il
piccolo
porticato all’ingresso.
-Brian!-
chiama da lì, braccia incrociate al petto e sorriso
smagliante.
Trova
conferma che è lui nell’agitarsi nervoso della
figura. E’ quasi certo che abbia
sbuffato, infastidito all’idea di essere stato sorpreso tanto
facilmente.
-…Bellamy.-
si sente rispondere in tono piano, non troppo sicuro.
-Vieni
dentro che ti faccio un tè caldo. Sembra che tu debba
svernare ad alta quota
conciato a quel modo!
Non
aspetta
per accertarsi che l’altro lo segua. Lascia la porta a vetri
aperta e punta
direttamente al cucinino in fondo al corridoio. Quando sente il
battente
chiudersi con un tintinnio lievissimo, il sorriso si accentua.
In
cucina
alza il viso verso Brian solo dopo aver messo sul fuoco il bollitore. I
due
ragazzi della ditta hanno stabilito che sugli scatoloni
c’è scritto “studio” e
stanno salendo la traballante scala di legno che porta al piano
superiore.
-Questo
posto non è molto nel tuo stile.- osserva Brian guardandosi
attorno e studiando
l’ambiente che li circonda, i mobili di legno color pastello
e le tendine a
fiori alle finestre.
Scioglie
le
pieghe della sciarpa e sfila via il cappello. Quando toglie il
cappotto, Matt
si accorge che, anche se non è truccato, è stato
attento nello scegliere un
abbigliamento che faccia risaltare il fisico allenato.
-Mi
ricorda
casa di mia nonna.- risponde sbrigativamente.
-…tua
nonna?- lo sguardo di Brian è sorpreso, ma Matt pensa solo
che è bello
esattamente come ricordava.
-Come
mi
hai trovato?
-Sono
più
bravo di te nel fare le domande giuste alle persone giuste.- ritorce
Brian con
una punta di vanagloria che fa ridere Matthew. Il frontman dei Placebo
si volta
nuovamente a guardarlo, rinunciando ad una seconda ispezione della
cucina, e
sorride a sua volta.- Nah, Alex ha un mucchio di contatti.- confessa
con
maggiore sincerità.
-Siediti.-
lo invita Matt, scartabellando in una credenza alla ricerca di due
tazze per
servire il tè.
Brian
accetta, prendendo posto al tavolino quadrato che troneggia sotto il
lampadario, al centro della stanza. Matthew lo raggiunge in pochi
minuti,
posando le tazze sul tavolo.
-Sei
stato
tu a darmi questo consiglio.- ricorda mentre prende posto
dall’altro lato.
Davanti allo sguardo sinceramente interrogativo di Brian, prosegue allo
stesso
modo.- Ricordi? Mi hai detto che avrei dovuto smettere di condividere
tutti i
miei spazi con qualcun altro per poi doverli lasciare quando le cose
cominciavano ad andare storte.
-Non
ti ho
detto proprio questo…
-Beh,
questo è “il mio posto”.
-Un
po’
isolato.
-L’ho
scelto anche per questo. Voglio vedere se riesco a convivere con me
stesso.
Brian
sbuffa divertito.
-Un
progetto ambizioso, Bellamy!- sogghigna.
-Brian.-
ritorce lui quietamente.- Puoi smettere di chiamarmi
“Bellamy”?
Indipendentemente da quello che siamo attualmente, non puoi
considerarci ancora
due estranei in competizione.
Brian
non
ribatte, sorseggiando il tè senza aggiungere altro.
E’ solo quando posa la
tazza sulla tavola che torna a guardarlo, sostenendo senza sforzo il
suo sguardo.
L’accenno di malizia sul fondo degli occhi cangianti
dell’altro suscita in Matt
una nuova piccola scossa di desiderio. Ma non ha voglia di mandare in
frantumi
anche la possibilità di una discussione serena solo per
assecondare il
capriccio di un momento.
-E
la mia
chitarra?
Matt
ridacchia.
-Quale
chitarra?
-Quella
che
mi hai rubato, Bellamy!
-Preso
in
prestito!- precisa Matthew.
-Da
due
anni!
-Ok,
consideriamolo un risarcimento danni, allora.
-…risarcimento
danni?! Bellamy, mi hai distrutto la vita, come puoi pretendere un
risarcimento
danni?!- sbotta Brian, stupefatto.
-Tu.
Brian
tentenna, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco quella semplice
parola.
-“Io”
cosa?- si arrende alla fine.
-Tu
hai
distrutto la mia vita. – risponde Matt senza alcun
risentimento - Tu e Kate.
Oh, anche Gaia, certo. Ma lei aveva motivo di farlo. Tu no.
La
serietà
con cui espone quei “fatti” fa da contraltare
perfetto alla tranquilla
rassegnazione che avverte nel suo tono. E’ come se Matt gli
stesse dicendo “ok,
mi hai fatto un male cane e pensavo proprio di non poterne uscire, ma
ehi! sono
ancora qui e va bene”. Niente in sospeso per lui, niente a
parte quel punto
esatto in cui Brian lo ha lasciato, quella lettera da codardo con cui
gli ha
detto che era troppo e che non potevano reggere oltre. Per Matthew
quello che è
successo tra quella lettera ed il tè che si trovano a
condividere adesso ha un
valore relativo. E’ successo, appunto, ma non ha cambiato di
una virgola tutto
quanto esisteva allora e non ha mai smesso di esistere, tra loro.
-Matt,
le
cose non sono più…- inizia lentamente Brian,
abbassando leggermente lo sguardo
per non dover ricambiare il suo mentre prova a spiegargli che, invece,
il
tempo, scorrendo, scava sempre il suo solco.
-Per
Helena? O per Kate e Bing?- interviene lui pacatamente.
Il
richiamo
ad Helena provoca una piccola fitta dolorosa che distrae Brian da
quello che
intendeva dire. Per un paio di secondi Matthew smette di essere
così
importante, così fondamentale da averlo spinto a cercarlo, a
trovarlo rintanato
in una campagna isolata, con il solo scopo di capire perché
non riesca davvero
ad archiviare quella storia come “passato”.
-Io
e Kate
ne abbiamo parlato prima che partissi.- continua Matt, interpretando il
suo
silenzio improvviso come interesse a ricevere ulteriori spiegazioni su
quell’aspetto.- Stavolta sono stato sincero con lei fino in
fondo. Mi ha detto
che le dispiaceva, che credeva che io non amassi te più di
quanto avessi mai
amato lei. Che, se avesse solo immaginato che le cose stavano
diversamente, non
si sarebbe mai permessa di venire da te.- Aspetta una risposta che non
arriva,
Brian solleva ancora la tazza e beve continuando a non guardarlo.- Le
ho
creduto.- ammette Matthew.- Kate è molte cose, ma non una
donna egoista o
superficiale. Sperava sinceramente che potessimo essere felici assieme,
sperava
di poter rendere felice me.
-Sì.
E’
così.- annuisce Brian tranquillamente, lasciandosi sfuggire
malgrado proprio un
sospiro pesante.- Matt, ti rendi conto che ti sei presentato a casa mia
sapendo
perfettamente che io e la mia compagna aspettiamo un figlio?
-Perché
avrei dovuto avere per te il rispetto che tu non hai avuto per me? E
poi te
l’ho detto, dovevo tentare.
Potrebbe
ribadirgli che lui gli ha anche già risposto che
“no, non doveva”, ma sarebbe
superfluo. Non è lì per fare capire a Matthew
quanto sia stato inopportuno
nelle proprie decisioni.
…ad
essere onesti, non lo sa nemmeno perché è
lì. Ma sa che ne aveva un bisogno disperato.
-Non
ho
scritto “Loud Like Love” per te.- sussurra alla
fine. Continua a non guardarlo
mentre lo dice, fissa il sole che sta tramontando fuori dalla finestra
della
cucina, ascolta nel corridoio il rumore dei traslocatori che stanno
andando
via- Non l’ho fatto volontariamente, almeno. Ho capito che
c’eri tu in quel
disco solo quando me lo hai fatto notare.- confessa spostando lo
sguardo sulle
proprio mani.- Ed ho capito che non ci sei solo tu, ma anche Helena e
Stefan…è
come se io avessi un mucchio di persone a cui dire
“scusa” ed a cui dire
“grazie” e lo abbia fatto nel modo sbagliato e nel
posto sbagliato.
-Una
canzone non è mai il posto sbagliato!- esclama Matt,
ridacchiando.
Brian
ricambia il suo sorriso, tornando ad incrociare i suoi occhi anche se
solo per
qualche istante.
-Beh,
comunque…- mormora ancora, a disagio, per poi ritrovare
tutto d’un colpo
un’imbarazzata determinazione che lo porta a sollevare il
viso di scatto.- Era
questo che volevi sapere, no?- scorcia rapido.
Matt
sorride ancora, anche se in un modo che Brian giudica
“sbagliato”. Non è più
divertito ed intenerito dalla situazione, ma è come se
riuscisse a leggere con
facilità tra le righe di quel discorso ed arrivasse a
verità molto meno
evidenti di quelle cui Brian stesso allude.
-Era esattamente questo che volevo sapere.-
risponde, enfatizzando il concetto.
***
-Ma non
dovevamo fare le cose “in ordine” questa volta?-
sono le prime parole che
Matthew gli rivolge quando si svegliano entrambi, ancora vicini nel
letto in
ferro battuto che Brian reputa orrendo, come ci ha tenuto a dirgli poco
prima di
addormentarsi.
Matt
ride
subito dopo averlo detto. Affonda il viso nel cuscino, la sensazione di
qualcosa di bello…come un sogno particolarmente
coinvolgente…che gli riscalda
il petto. Vorrebbe restare lì tra le coperte con Brian per
sempre, perché ha il
terrore che quella sensazione sia effimera, che possa sparire non
appena si
saranno alzati e rivestiti e saranno tornati alle loro vite.
Il
giorno
prima hanno parlato fino a notte fonda. Si sono dimenticati di
mangiare,
avevano troppe parole da dirsi. Si sono aggiornati l’uno
sulla vita dell’altro,
hanno ignorato quei passaggi che era difficile accettare –
Matt ha detto a
Brian quanto sia stato stupendo tenere tra le braccia Bing appena nato,
con
quel musetto arricciato che lo rendeva bruttissimo per tutti tranne che
per lui
– hanno registrato le informazioni fondamentali. Brian gli ha
detto tra le
righe, distrattamente, che Helena è andata via. Matt avrebbe
voluto chiedergli
un mucchio di cose e ha stretto le labbra per non farlo, incassando
l’informazione ed aspettando che fosse l’altro a
fissarlo con serietà negli
occhi ed a pronunciare quelle poche parole.
-Stavolta,
però, vediamo di non fare un casino. Facciamo le cose in
ordine.- lo aveva
pregato Brian.
Non
era
servito. Al momento di separarsi, di dirsi buonanotte e rinviare tutto
al
giorno dopo, ad un caffè tranquillo da prendere fuori,
magari in centro, magari
con qualche amico a tenergli compagnia, Matthew lo aveva afferrato per
le
spalle. Non poteva sopportare l’idea di continuare a
mantenere quella distanza
tra loro, non poteva sopportare di lasciarlo andare via senza baciarlo.
Ed
era
stato esattamente come ricordava. Travolgente, eccessivo,
irrefrenabile.
Sapevano entrambi che non sarebbero mai riusciti a separarsi davvero
quella
notte.
-E’
colpa tua.-
sussurra adesso Brian, puntuale.
Sorride
ad
occhi chiusi mentre lo dice e Matt, che lo osserva divertito, sa che
non è
davvero arrabbiato e non riesce a preoccuparsi.
-C’è
una
cosa che non ti ho detto, Brian.- mormora.
-Ci
sono
mucchi di cose che non mi hai detto.- corregge lui pazientemente.- Ma
considerato che non sono certo di voler sapere proprio tutto quello che
ti
frulla nella testa…
-Ti
amo.
Brian
apre
gli occhi a ricambiare il suo sguardo con un’espressione
seria che allarma
Matthew e congela sul suo viso il sorriso che ancora aleggia.
-E
continua
ad essere colpa tua.- afferma dolcemente Brian.- Comunque…ti
amo.
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Capitolo 2 *** Like ***
Like
Levi
raggiunge Matthew mentre i Placebo, sul palco, si stanno esibendo in
quello
che, da scaletta, dovrebbe essere l’ultimo pezzo prima del
breve encore. Gli
batte una pacca sulla spalla per richiamare la sua attenzione e Matt
sobbalza
leggermente, completamente assorto dalla musica e da quanto sta
accadendo sul
palcoscenico, e si volta verso di lui per incrociare il sorriso caldo
ed
accogliente dell’uomo.
-Ehi,
Bellamy!- esclama il tecnico, alzando la voce per farsi sentire da
sopra le
note distorte delle chitarre elettriche.- Bel lavoro, oggi! Con Os!-
specifica.
Matt ringrazia con un cenno per quei complimenti, leggermente
imbarazzato.-
Senti, con i ragazzi, dopo, andiamo a farci qualche birra! Non sparire,
ché
vogliono tutti ringraziarti per l’aiuto che stai dando al
piccoletto!
-…ma
all’after show?- chiede Matt, perplesso.
Levi
ride e scuote la testa.
-Naaah!-
rintuzza divertito.- Gli after show sono diventati roba da
quattordicenni da
quando Alex ha vietato a tutti di dare modo a Brian di ricascarci! E
lui
preferisce così…sai, non si sente troppo sicuro
di poter resistere alle
tentazioni!
Matt
annuisce, a disagio. Avrebbe preferito sentirsi dire quelle stesse cose
da
Brian e non da Levi. Il clima di familiarità allargata che
regna nel backstage
dei Placebo – quel sapere tutti
cose fin
troppo private dei componenti della band – lo
disorienta un po’.
-Ci
prendiamo qualcosa lì, poi ci muoviamo ed andiamo in qualche
pub giù in città!-
spiega Levi, gesticolando esplicativamente in direzione di un gruppetto
di
colleghi- E tu sei formalmente invitato, Bellamy!
-…ok…-
borbotta Matt, venendo premiato con una seconda, poderosa pacca sulla
schiena
prima che Levi si allontani, sbraitando ad un paio di tecnici
più giovani.
***
Stefan
vede
Brian arrivare dal fondo del corridoio. Il bassista ha una faccia scura
che non
gli si addice e che l’altro fa fatica a trovare adeguata
anche al contesto.
Così si allarma.
-Stef?-
chiede appena arrivato al suo fianco. Non osa esplicitare quello che
sta
pensando, ma il suo sguardo ansioso è sufficiente.
-Va tutto
bene, tranquillo.- borbotta lo svedese interpretando facilmente la sua
preoccupazione.- Il dottore ha detto che ci vorrà qualche
ora, ma la bambina
sta bene ed Helena anche.
La sua
espressione, comunque, continua a dire l’esatto contrario e
Brian non riesce a
sentirsi tranquillo.
-Che sta
succedendo?- insiste.
-Hai
parlato con lei?- chiede Stefan, invece di rispondergli.
Brian
scuote la testa.
-Non vuole.
Non mi vuole parlare. Mi ha chiamato Alex per dirmi che eravate in
ospedale!-
rimarca sconvolto, passandosi nervosamente la mano tra i capelli.
-Beh,
avresti dovuto parlarle lo stesso.- mormora Stefan, secco e brusco.
-Stef, io…
-Brian!
La voce di
Alex li interrompe. Il cantante si volta verso la donna per vederla
arrivare a
passo veloce nella loro direzione.
-Ciao…-
mormora distratto.
-Ciao.- gli
sorride lei, cercando forzatamente di apparire serena.- Stiamo per
rifarlo!-
ridacchia.- Qualche ora e sarai di nuovo papà!
Brian
sorride impacciato. Poi intercetta lo scambio di sguardi tra la donna e
Stefan
e l’espressione di accusa che il bassista rivolge alla loro
manager. La timida
allegria che si stava faticosamente affacciando a quell’idea
viene nuovamente
soffocata dalla paura che gli stiano nascondendo qualcosa di grave.
-Al!-
sbotta disorientato ed arrabbiato.- Stefan, che
diavolo succede?!- ribadisce perentorio.
-Va tutto
bene, Brian.- si affretta a rispondere Alex.- Solo
che…Helena…
- “Helena”
cosa?- sbianca Brian.
-Sta bene!-
s’intromette Stefan.- Bri, non vuole che tu riconosca la
bambina.- sputa fuori
controvoglia, non riuscendo a ricambiare il suo sguardo mentre lo dice.
Il colpo è
quasi fisico per Brian. Alex lo vede barcollare, lei trattiene il
respiro,
allungando istintivamente le braccia e fermandosi appena un attimo
prima che le
sue mani lo afferrino. Brian si è allontanato di scatto da
lei, a quel gesto.
Come ogni volta, quello scudo invisibile che lo circonda nei momenti di
debolezza, quel suo aggrapparsi ad un’illusione di fortezza
ed indifferenza, è
tornato ad affacciarsi nello sguardo gelido che le rivolge, rabbioso.
Stefan vede
tutto questo e sospira. Ha provato a parlare con Helena fino a pochi
minuti
prima che l’altro arrivasse. Nonostante non fosse neppure il
momento giusto per
affaticarla con un litigio improvvisato che gli ha fatto guadagnare la
messa
alla porta da una delle ostetriche, inferocita. Adesso sa che
dovrà raccogliere
cocci talmente tanto piccoli che rincollarli assieme sarà
praticamente
impossibile. Spera sinceramente che Matthew Bellamy valga tutto il
dolore che
Brian proverà oggi, spera anche che Matt Bellamy sia in
grado di fare i conti
con quel dolore, di metterci riparo in qualche modo. Perché
non è certo di
poter gestire tutto da solo.
-Bri…-
mormora piano, scoraggiato.
Brian si
stringe nelle spalle, la sua voce è fredda e metallica
quando parla di nuovo.
-Comunque
Helena sta bene?- torna a sincerarsi con praticità.- O.k.
E’ chiaro che
indipendentemente da tutto, Elisabeth è anche mia figlia e
non intendo
sottrarmi ai miei obblighi.- afferma pianamente.
Alex e
Stefan si guardano tra loro. Presumibilmente si chiedono chi lui stia
tentando
di convincere, a chi siano rivolte simili pacate assunzioni di
responsabilità.
Brian non sa darsi una risposta. E’ come se fosse dissociato
da se stesso, una
parte della sua mente e del suo corpo stanno gridando talmente forte da
coprire
ogni pensiero che l’altra parte riesca a formulare. Ma a
quanto pare, quei
pensieri vengono fuori lo stesso, ordinatamente, e sono sensati e
razionali
nonostante le identiche espressioni preoccupate sui volti di Alex e
Stefan.
Si toglie
il cappotto con gesti lenti e studiati. Lo poggia su una sedia libera
lì in
corridoio e prende posto sulla sedia accanto, senza invitare nessuno di
loro a
fermarsi lì con lui.
Alex si
morde le labbra, indecisa. Stefan le fa segno di andare e, mentre la
donna raggiunge
la stanza di Helena, si accomoda accanto all’amico, braccia
incrociate al
petto, partecipando silenziosamente alla sua attesa.
***
Sua
figlia,
nella culletta oltre il vetro della nursery, è una cosetta
rossiccia, con una
peluria scura sulla testolina e manine piccole con dita lunghe che ha
chiaramente preso dalla madre. Indossa una tutina gialla con paperelle
bianche
ricamate che Brian non riconosce. Helena deve averla comprata
nell’ultimo mese,
quello in cui loro due si sono visti esclusivamente quando Brian va a
prendere
Cody, il venerdì, per trascorrere il finesettimana con lui.
Cody….
Suo figlio
ha assunto un atteggiamento apertamente ostile e polemico a cui lui ha
fatto fatica
ad adattarsi. Ha provato a parlargli solo per scontrarsi contro un muro
di
silenzi e frecciatine cattive. Non c’è stato verso
di scenderci a patti, non
con le buone, cercando di capire cosa potesse frullargli nella
testolina, non
con le cattive, sgridandolo per quel comportamento maleducato ed
inopportuno.
Ha provato anche a parlarne ad Helena. E’ stata la
conversazione più lunga che
hanno intrattenuto in quel mese. Lei gli ha detto che Cody non
è più così
piccolo da potergli raccontare qualunque cosa, che adesso si fa una sua
idea
sul mondo e ne trae le conseguenze che ritiene. Brian sa che lei lo ha
rimproverato perché Cody, dopo quella conversazione, ha
cominciato a
comportarsi in maniera formalmente ineccepibile quando sono insieme.
Peccato
che continui ostinatamente ad ignorarlo e ad evitare di condividere
qualunque
cosa con lui.
A Brian
manca il consiglio di Helena nel crescere Cody.
Gli manca
il suo consiglio in un mucchio di cose. Perfino nel gestire la propria,
nuova,
relazione con Matthew.
Ha anche,
stupidamente, provato ad introdurre l’argomento. La reazione
di Helena al nome
di Matt Bellamy è stata talmente feroce da rendergliela
aliena. Solo in quel
momento Brian si è reso conto di come, per la donna, quello
sia stato un
“doppio” tradimento. L’affetto sincero
che aveva riservato a Matthew quando si
erano conosciuti, è stato completamente sopraffatto dal
bisogno di trovare una
causa, un qualcuno a cui attribuire la colpa di quel dolore rinnovato.
Brian legge
il nome sulla targhettina attaccata alla culletta. Alexandra Sarah
Elisabeth Berg. Vederlo scritto
lì oggettivizza
una situazione che continuava a sfuggirgli. Avrebbe voglia di chiamare
Matt e
raccontagli quello che gli sta
accadendo – è stato
costretto ad
ordinargli di tenersi lontano dall’ospedale e di aspettare
che lui gli facesse
sapere qualcosa – vorrebbe sentire la sua voce e
spererebbe che lui
riuscisse a trovare il lato comico di quella situazione, a catturarne
la parte
che dovrebbe far ridere entrambi.
Non lo
chiama. Tutta l’ironia di Matt non renderebbe quella
situazione meno
intollerabile ed il braccio gli pesa troppo perché desideri
davvero affondare
la mano nella tasca e cercare il telefono e portarlo
all’orecchio e
parlare…parlare…
-Vuole
finirla, santo cielo?! Fuori da qui! Come devo dirlo?!
-Helena,
questa cosa è ridicola!
Brian si
volta. Stefan esce a passo di carica dalla stanza, infila il giubbotto
mentre
sta ancora muovendosi, si ferma nel corridoio con una delle infermiere
ed Alex
come improbabile corteo a seguirlo.
-La lasci
in pace!- sta tuonando ancora l’infermiera, controllando a
stento il tono
arrabbiato che sfoggia.
Alex cerca
di rabbonire sia lei sia lui, fallendo in entrambi i compiti in egual
misura.
Alla fine rintuzza malamente la donna ed afferra lo svedese per il
polso, trascinandolo
con sé verso gli ascensori.
-Andiamo a
prendere qualcosa al bar e ci diamo tutti una calmata!- ringhia tra i
denti
mentre allunga il passo per stare dietro a quello ampio e rapido del
bassista.
Brian vede
l’infermiera rientrare nella stanza borbottando, sta
lì qualche minuto e poi se
ne va accostando il battente.
Lui prende
il coraggio a due mani e si avvicina.
Bussa piano,
non arriva nessuna risposta. Schiude la porta ed entra senza fare
rumore.
Helena non
dorme. Sta stesa nel letto, stanca e disfatta, i capelli arruffati e
l’aria
triste. Guarda fuori dalla finestra e non si volta anche se lui cerca
di
richiamare la sua attenzione schiarendosi la voce.
-Hel…
-Brian,
vattene.- lo implora lei.
Il suo tono
di voce lo zittisce immediatamente. Helena è spossata da
dentro. E’ svuotata,
un contenitore vuoto e crepato che sta per esplodere, che non
può più reggere
nulla. Nemmeno la più piccola vibrazione.
Potrebbe
essere egoista e rimanere lì, costringerla a parlargli.
Litigarci come ha fatto
Stefan. Sa, inconsciamente, che potrebbe perfino spuntare una vittoria
con la
sua avversaria ridotta in quello stato.
Il punto
è
che lui non la considera un’avversaria. Nemmeno se gli ha
strappato via sua
figlia. Nemmeno se, per una volta nella vita
– la peggiore! – ha voluto essere
cattiva, vendicativa, malevola e
ripagarlo tutto in colpo degli anni di dolore, di errori, di
difficoltà che lui
l’ha costretta a vivere, per poi abbandonarla con
un’ultima illusione a
dissolversi come un sogno.
Solo che i
sogni non dovrebbero lasciare cicatrici.
-Hel. Per
quello che posso ancora fare…per quello che tu vuoi che io
faccia, ci sono
ancora. Sia per lei che per te e Cody.- mormora.
Prova ad
aspettare ancora qualche istante, sperando che lei risponda. Ma Helena
rimane
immobile ed a lui non resta che uscire nuovamente.
***
Brian
saluta Bill Lloyd e Fiona Brice davanti al taxi che li ha riportati
all’albergo. Loro entrano e lui resta fuori per accendersi
una sigaretta e
fumarla prima di salire in camera. Cammina lentamente sul marciapiede,
cercando
opportuno riparo da occhi indiscreti all’interno di un
cortiletto secondario,
di proprietà dell’Hotel, che dà sulle
cucine. A quell’ora è tutto chiuso e non
rischia di essere beccato da nessuno mentre si apposta dietro le siepi
in
bosso, che superano di poco la sua altezza. Un paio di tiri sonnolenti,
uno
sguardo attorno a catturare il brillare delle luci dei saloni a piano
terra,
oltre le tende rigide, e poi, di sfuggita, la percezione di una
presenza pochi
metri più in là, accasciata di fianco al muretto
di un’aiuola.
Nonostante
l’oscurità, Brian individua facilmente una forma
umana, butta la sigaretta a
terra e si affretta in quella direzione per sincerarsi che sia tutto a
posto.
Ci
rimane malissimo quando riconosce di chi si tratta.
-Matt?!-
sbotta, controllando a stento la voce.
L’altro
bofonchia qualcosa a labbra chiuse, rannicchiandosi in un angolino,
rattrappito
su se stesso. Quando gli si inginocchia accanto, Brian intuisce cosa ci
sia che
non va.
-…sei
completamente ubriaco?- constata, ridacchiando nervoso ed un
po’ infastidito.
Il
borbottio, stavolta, è più alto e deciso. Matthew
apre prima un occhio e poi
l’altro e lo mette a fuoco, con difficoltà,
perdendo qualche istante prima di
riconoscerlo.
-Brian!-
sbuffa con voce impastata.- Di solito non bevo così tanto!-
ci tiene a
precisare, sollevando solennemente un dito per rimarcare il concetto.
Ma gli
gira la testa ed è costretto a troncare sul nascere
qualsiasi tentativo di
gesti repentini.-…cazzo!-
sfiata tra
le labbra.
Il
sospiro di Brian è pesante e paziente. Le sue mani sono
piacevolmente fredde
quando gli si posano sulla fronte e sul collo, scostandogli la camicia
e
permettendogli di apprezzare l’aria fresca della notte sulla
pelle. Matt si
abbandona a quel tocco con un verso soddisfatto che strappa
all’altro un
sorriso intenerito.
-Sei
un disastro.- afferma Brian conciliante.- Che diavolo è
successo?
-I
tuoi tecnici.- accusa subito Matt, aprendo nuovamente gli occhi per
fissarlo
astioso.- I tuoi
tecnici!- ribadisce.- Bevono come…spugne!
Brian
“fa due più due”.
-Eri
con i ragazzi? Mica hai fatto a gara di bevute con Levi?!-
rabbrividisce.
-Nah.-
scuote la testa Matt.- Ma continuavano ad offrirmi da bere ed io mi
sentivo a
disagio e, quindi, credo di avere…esagerato.
-
“Esagerato” è un sottile eufemismo.
-Niente
termini complicati quando ho mal di testa.
-Non
ce l’hai ancora, Matt. Lo avrai domattina, il mal di testa.
Matthew
pare considerare seriamente la cosa. Alla fine, però, deve
decidere che non è
abbastanza importante e rinuncia senza ribattere.
-Mi
sentivo a disagio.- ribadisce, invece. Come se fosse quello il punto.
Brian
ride. Decide che Matthew ha bisogno di prendere ancora un po’
d’aria e lui non
si sente così stanco, in fondo. Gli si siede di fianco,
portando le ginocchia
verso il petto ed agganciandosi con le braccia in una posizione che, lo
sa,
domattina rimpiangerà di aver adottato.
-E
sentiamo, perché ti sentivi a disagio?- indaga con
leggerezza.
-Mi
vergogno. – ammette Matt con sincerità - Qui tutti
si comportano come se fossi
con loro da…cazzo, da sempre!- sbotta.- Mica siamo
così, noi!
-Voi?
-Sai,
ho capito perché dite che i Placebo non siete solo voi tre.-
prosegue Matthew
senza dargli peso.- E’ vero. Siete…siete tutti.
Perfino quello nuovo che è un disastro!
-Funzioniamo
solo così.- annuisce Brian, semplicemente.
-Sì,
ma mica è facile, Brian.- rintuzza Matt aspro.- Io ci tengo
un casino ai miei
amici, darei un braccio per ognuno di loro, ma noi non siamo comunque
così.
Forse un pochino con Anderson…o Glen… Forse con
qualcuno tipo Morgan. Ma non
direi mai che loro sono i Muse.
-Ed
è importante?
-No.-
sussurra Matt senza guardarlo.- E’ che io sto bene qui e mi
chiedevo se tu
staresti altrettanto bene con me.- mormora ancora, rocamente.
Brian
lascia passare forse un po’ troppo tempo riflettendo su
quanto Matthew sta
dicendo. Quando lui si volta a guardarlo, comunque, non si fa trovare
impreparato e gli sorride rassicurante.
-Stai
talmente bene che hai dovuto ubriacarti per metterti a tuo agio!- lo
rimprovera
gentilmente, sminuendo rapido il discorso che l’altro ha
fatto.
Matt
apre la bocca per protestare ma il rumore di passi in rapido
avvicinamento lo
interrompe e fa girare istintivamente Brian a scrutare la figura che
avanza nel
cortile, proveniente dall’Hotel.
-Maatt?! Ci sei o sei morto?- chiama una
voce che Brian riconosce immediatamente.
-Steve!-
sbotta senza alzarsi.
Forrest,
arrivato ormai al limite dell’aiuola, lo vede, ancora seduto
al fianco
dell’altro. Brian gli da le spalle, ma dal suo tono
è facile intuire
l’espressione di rimprovero che gli troverà in
viso. Si lascia scappare
un’imprecazione, tappandosi subito dopo la bocca con una mano
mentre Matthew
scoppia a ridere istericamente.
-Eri
con lui?!- sbuffa Brian, sollevandosi di scatto per affrontare il
batterista,
mani sui fianchi e sguardo severo.
-Sì.
No!- s’intreccia il ragazzo.- …Brian, gli avevo
detto di non esagerare!- si
difende, additando Matt che continua a ridere, semisdraiato a terra tra
loro
due.- Ma Levi e gli altri continuavano ad offrirgli da bere e Matt
è più grande
di me e mi ha detto che non dovevo preoccuparmi…!
-E
tu gli hai creduto?- chiede il cantante, scettico.
-…onestamente,
no. Soprattutto visto che stavano ballando sui tavoli. Ma, in fondo,
cosa avrei
dovuto fare, scusa?!
-Tu
non sei ubriaco.- asserisce Brian.
-Io
ho bevuto di meno. E poi gli altri hanno detto che dovevo riportarlo in
albergo
e ci hanno cacciato fuori.- finisce pazientemente di raccontare Steve.-
Non
c’entro nulla, comunque!
Brian
sospira. Matthew, nuovamente accucciato contro il muretto
dell’aiuola, sembra
in procinto di addormentarsi. Lui non riesce a tenere oltre
“il punto” e
sorride.
-Dammi
una mano a portarlo in camera.- chiede piegandosi per primo verso il
proprio
compagno.- Domani ti pentirai di tutto questo, Bellamy.- lo redarguisce
facendosi passare un braccio sopra le spalle.
-Sei
diventato una nonnetta!- biascica lui contrariato, accasciandosi contro
il suo
petto.
-Oh
sì. E sai cosa mi ha fatto diventare una nonnetta?- spiega
Brian pazientemente
mentre, con l’aiuto di un ridacchiante Steve, guadagnano
lentamente l’entrata
dell’albergo.- Il fatto di essere stato a tanto
così dal rimetterci le penne.
-Mai
corso questo rischio!- asserisce Matthew orgogliosamente.
-Qualsiasi
coglione alle prime armi afferma la stessa cosa.
-Non
fare la mammina!
-Ha
ragione lui, Brian, fai proprio la mammina. Guarda che ogni tanto fa
bene
lasciarsi andare.
-Junior, se non vuoi che ti pigli a calci
in culo fino alla tua stanza e ti metta in punizione da qui alla fine
del tour,
non dargli man forte.
-…lo
tratti come un moccioso! Cristo,
Brian! Lo tratti come un fottuto moccioso!
-Zitto,
tu!
***
-Perché
non
vieni a vivere con me?
-Sto
partendo per un tour, Matt. Non ho tempo di venire a vivere con te. Non
ho
tempo di fare un cazzo.
Matthew
ignora il tono rabbioso con cui quelle parole sono scandite. Secche,
brusche,
violente.
Brian è
arrivato due ore prima. Si è presentato dietro la sua porta
senza avvisarlo
– hanno messo su questa prassi fastidiosa
dell’avvisarsi prima di arrivare
a casa l’uno dell’altro; Matt la detesta, ma Brian
finora era stato talmente
puntuale nel rispettarla, che lui non ha ancora avuto il coraggio di
venirle
meno – ha bussato con una tale intensità
che il campanello della villetta
squillava ancora quando Matthew è riuscito a raggiungere la
porta ed a
spalancarla. Il suo disappunto per quell’esordio si
è dissipato non appena ha
visto la faccia sconvolta dell’altro, a quel punto ha sentito
il mondo
tremargli sotto i piedi.
-Ho bisogno
di bere.- sono state le prime parole di Brian.
Lo ha
spinto di peso via dal vano della porta e si è introdotto in
casa, spogliandosi
del cappotto nel tragitto tra l’ingresso e quello che, a fine
trasloco,
diventerà il soggiorno piccolo. Matt gli è andato
dietro.
-Brian?- lo
ha interrogato aspro, la gola in fiamme e la voce che gli si strozzava
da
qualche parte tra quella ed il palato.- Helena sta bene? La bambina?!
-Stanno
bene tutte e due.- ha risposto distrattamente Brian, mettendosi a
cercare nelle
credenze e nei mobili, ancora parzialmente imballati, con la frenesia
di un
pazzo.
-Brian, che
diavolo succede? Cosa accidenti stai cercando?! Ma non avevi smesso con
quella
merda?!
Accantonata
l’ipotesi più terribile, Matthew ha preso
rapidamente coscienza delle
condizioni in cui l’altro si trovava, stabilendo che non
fosse il caso di
assecondarle.
-Sì, ma
cazzo! ho bisogno di bere!- ha ruggito Brian voltandosi di scatto per
riversare
contro di lui tutta la propria ferocia.
Matt ha
incrociato le braccia al petto e resistito a quel primo attacco con
stoica
fermezza.
-Non c’è
alcool in casa.- lo ha informato breve.- Fortunatamente.
-Allora
vestiti che usciamo.
-No.- è
stata la risposta stringata che lui gli ha concesso.- Se hai voglia di
fare
cazzate, le fai da solo e mi lasci fuori. Non ti starò a
guardare mentre decidi
di mandare al diavolo tutto quello che hai fatto per te stesso fino ad
oggi.
Non ha
sperato davvero di ottenere qualcosa. Ma evidentemente aveva
sottovalutato la
situazione, perché Brian gli si è afflosciato
davanti come un mucchio di
stracci, sgonfiandosi fisicamente sotto i suoi occhi, lo sguardo
terrorizzato
di un bambino puntato su di lui. Matt, sbalordito, ha lasciato ricadere
le
braccia, ma molto prima di riuscire a raggiungerlo, l’altro
si era già
accasciato a terra, le spalle scosse da un tremito convulso. Matthew lo
ha
afferrato e stretto a sé, cercando inutilmente di calmarlo
mentre Brian
singhiozzava strozzato, senza riuscire neppure a piangere davvero.
C’è voluto
un po’ per fargli trovare il coraggio di raccontargli di
Helena, della bambina
che non gli è stato permesso di riconoscere, di come si
è sentito nel
precipitarsi fuori da quell’ospedale senza avere neppure il
coraggio di
chiedere di poter tenere in braccio sua figlia. Matt lo ha stretto fino
alla fine,
seduti entrambi sul pavimento. Lo ha tenuto stretto a sé
anche dopo, quando
Brian ha smesso di singhiozzare ed è rimasto immobile, il
fiato sottilissimo,
il tremore che spariva lentamente.
Alla fine è
stato lui a staccarsi, scostandolo da sé con una freddezza
che, in un altro
momento, lo avrebbe ferito. Si è alzato da terra per andare
a sedersi su un
divano, scostando di lato il foglio di plastica che ne aveva protetto
la seduta.
Matt è rimasto dov’era ed ha continuato ad
aspettare, anche se Brian non diceva
più nulla e non lo guardava nemmeno, fissando qualcosa fuori
dalla finestra.
Dopo un
secolo, a Matthew è venuto in mente di chiedergli quella
cosa.
-Perché non vieni a stare qui da me?
-Il tour.
Matthew
realizza adesso quanto poco manca alla partenza dei Placebo per il tour
europeo. Stringe le labbra su quel pensiero, ricacciando indietro la
sensazione
spiacevole che porta con sé.
-Posso
venire?
Non sa da
dove gli sia saltata fuori quell’idea. E’ assurda.
Brian lo
guarda sbigottito.
-…no…-
replica a mezza voce.
-Perché
no?- Nel momento stesso in cui si vede rifiutare, per Matt diventa
tutto molto
più importante, come se spuntarla su quell’aspetto
sia davvero essenziale.
Anche se lui per primo si rende conto di quanto sia pazzesca come
richiesta.
-Perché sto
andando a lavorare, Matthew! Non a divertirmi!- ringhia Brian,
indispettito.-
Cosa cazzo credi? che sia un fottuto gioco?! Cristo,
lo sai bene quanto me!
-Non
bestemmiare. Non è il tuo stile.
-Bestemmio
perché mi irriti quando rompi le palle solo per darmi
fastidio.- rintuzza
l’altro stizzito. Un sospiro pesante, uno scatto nervoso
della gamba. Brian
cerca in tasca le sigarette e l’accendino, non li trova.
Matthew si
alza da terra e va a prendergli i suoi.
Aspetta che
Brian si sia acceso la sigaretta ed abbia fatto un tiro.
-Non voglio
che tu vada via senza di me. Non adesso.- ammette, in piedi di fianco
al
divano.
Brian gli
solleva gli occhi addosso, cercando i suoi per tastare la
sincerità di
quell’affermazione. Inutilmente. L’affermazione
è fin troppo sincera, per i
suoi gusti.
-Matt. Ti
rendi conto della merda in cui mi trovo in questo momento?- prova a
spiegare
razionalmente.- Ti sembro in condizioni da accettare o rifiutare
qualcosa?
-Va bene,
però ne riparliamo.
-Ora come
ora ti direi di sì pur di farti stare zitto.- prosegue
Brian, senza dargli modo
di capire a cosa si stia riferendo esattamente.
Matt decide
di non infierire davvero e non aggiunge nulla. Gli si siede accanto,
senza
prendersi la briga di liberare ulteriormente il divano dalla plastica
ma
schiacciandola sotto di sé con un suono irritante che fa
storcere il naso
all’altro. Matthew non ci bada. Gli posa delicatamente la
mano sul collo,
accarezzandogli la mandibola e l’orecchio in punta di dita.
Brian è infastidito
ma non si sottrae, s’irrigidisce sotto il suo tocco e lui
percepisce la
contrattura dei muscoli sotto le sue carezze.
-Io non ti
lascio, Brian. Non ti lascio nemmeno ad Helena.- promette
minacciosamente.
***
Sabato
pomeriggio. Alex sta accanto ad Helena, vicino al bancone
dell’accettazione,
aiutandola a compilare non sa quali moduli. Stefan, invece,
è di fianco a lui.
Brian regge Lisette tra le braccia, la bambina dorme, ogni tanto apre
gli
occhi, chiarissimi, e lo guarda. Ha gli occhi grigi e lui spera che
rimangano
tali. Come i suoi.
Cody gioca
ad un videogioco seduto fuori dall’ospedale con Forrest a
sorvegliarlo. Steve è
l’unico verso cui Cody non abbia cambiato atteggiamento in
quell’ultimo
periodo, continua a sorridergli come non fa più con nessuno
di loro ma Brian sospetta
che dipenda esclusivamente dalla capacità di Forrest di
interagire con il
bambino da pari a pari. Con lui Cody si sente capito, non minacciato.
Al
sicuro.
La
direzione dell’ospedale ha permesso loro di portare dentro un
paio di macchine
per evitare il gruppetto di giornalisti asserragliati fuori da
lì. Brian ha
ringraziato staccando un assegno a titolo di elargizione, il direttore
ha
ringraziato con un sorriso mellifluo che lo ha fatto scappare a gambe
levate.
Lisette lo
guarda di nuovo. Ruota, poi, la testolina a catturare
l’immagine di Stefan. Lo
svedese se ne accorge e le sorride, nascondendo in quel sorriso
l’espressione
torva che aveva fino ad un momento prima.
Dave aiuta
Helena a portare fuori il borsone più pesante che ha con
sé, sulla scala Stefan
le sfila di mano anche la borsa più piccola ma senza
rivolgerle la parola.
Brian fa finta di nulla, consapevole che le cose tra loro due si
appianeranno.
Helena e Stef sono entrambi troppo intelligenti e sensibili per
odiarsi.
Perfino a causa sua.
Li segue,
sua figlia gorgoglia di soddisfazione al contatto con l’aria
fresca. Helena,
affaticata, sale in macchina con Cody e lascia che sia Brian ad
assicurarsi che
la bimba sia adeguatamente coperta. Gliela lascia anche quando lui sale
sull’altra auto, sistemando la bimba nella culletta sul
sedile anteriore e
sedendo dietro, Stefan alla guida.
-Sei a
posto?- s’informa il bassista mentre allaccia la cintura.
Brian
annuisce brevemente, attraverso il vetro cattura l’immagine
di Helena
nell’altra auto. Poi Alex la mette in moto. Dave entra in
macchina con loro ed
anche Stef accende il motore.
-Come sta
il nostro splendore?- chiede Dave allegramente, sporgendosi tra i
sedili per
sbirciare la piccola.
Brian
sorride.
***
Si
sveglia con un mal di testa feroce. Apre gli occhi, dal salottino
arriva un
chiacchiericcio confuso. Una è la voce di Brian,
l’altra non la riconosce.
Rumore di una porta che viene aperta e richiusa, con leggerezza, fa un
suono
discreto, che non gli da fastidio nonostante il pulsare doloroso alle
tempie.
Le voci scompaiono entrambe ma qualcuno è rimasto di
là in salotto e si muove
senza rumore sulla moquette. Matthew si rigira cautamente tra le
coperte,
rimanendo invischiato nel lenzuolo e lasciandosi sfuggire una bestemmia
a fior
di labbra.
Non
saprebbe dire cosa lo infastidisca di più al momento: se il
fatto di essersi
ubriacato come una ragazzina davanti all’intera crew dei
Placebo; quello di
aver sprecato una notte in una camera d’albergo a dormire,
invece che a fare
sesso con il proprio compagno; o quel mal di testa battente che lo
farà
impazzire per tutto il giorno.
Il
suo iPhone sobbalza contro il piano del comodino. Ha ancora la
modalità
silenziosa attiva da ieri sera. Lo prende, afferrando al volo il nome
del
chiamante. Risponde sforzando un tono che non sembri provenire
necessariamente
dall’oltretomba.
-Dommie?
Fallisce.
-…Matt?!
Che cazzo di voc…?!
-Sì,
lascia perdere.- lo blocca subito, grugnendo insoddisfazione e
riprendendo ad
agitarsi nel groviglio di lenzuola.
-…’k…
Stai bene?
-Credo
di sì. Non morirò, quantomeno.- borbotta.- Tu?
-Bene!-
esclama Dom con un po’ troppa vivacità isterica.
Matthew
si sente improvvisamente più sveglio.
-Dom?
Sei sicuro?!
-Sì,
sì, certo che sono sicuro! Ho una cosa da dirti.- ammette
senza soluzione di continuità.
-…una
“cosa” tipo cosa?-
si allarma
ulteriormente l’altro.
-Una
cosa tipo una notizia.- rimane sul vago il batterista.
-Ok.
Dom, devo preoccuparmi?- cambia strategia Matt, con un sospiro
paziente. Troppo
dolore per pensare con lucidità.
-No,
non devi!- lo rintuzza Dominic baldanzoso.- Piuttosto, siete a Parigi
la
prossima settimana, no?
-Mh.
-Ci
vediamo?
-…vediamo?!
-Sì,
passo a salutarti. Sono a Nizza.- precisa.
-Potresti
venire a vedere lo show.- suggerisce Matthew.
-Ah,
volentieri! Però devo anche parlarti ed il backstage non
è il genere di posto
che avevo in mente.
-Ci
vediamo in centro al pomeriggio, al caffè dove andiamo di
solito.- concede
facilmente Matt.
-Ok,
a presto allora.
-Ciao,
Dommie.- sbadiglia Matthew prima di riattaccare.
Lascia
cadere il braccio sul materasso con la stessa svogliatezza che avrebbe
se
stesse reggendo un peso da dieci chili. Prova a chiudere gli occhi,
sentendo la
stanchezza scivolare inesorabile dietro le palpebre. A scuoterlo da
quel
dormiveglia leggero è la percezione di una presenza nuova
nella stanza.
Socchiude le palpebre, sospirando soddisfatto quando il materasso si
piega
docilmente sotto il peso del corpo di Brian. Il profumo
dell’altro gli punge le
narici, Matt chiude nuovamente gli occhi e respira a fondo.
-Stavi
parlando con qualcuno?- si sente domandare.
-Dominic.-
mormora con voce impastata.
-Cosa
vuole?
-Deve
dirmi qualcosa ma fa il misterioso.
-Intrigante…
-Coglione.
-…mi
stai dando del coglione…?
-Lo
sto dando a Dom. Dovrà dirmi qualche cazzata, sicuro come la
morte.
Silenzio.
Il respiro di Matthew si regolarizza lentamente, il sonno torna
prepotente.
-Matt.
-Mh?
-…senti…non
è che non capisca che tu non ti senti e sei stanco, dopo aver fatto l’imbecille con la mia
crew ieri notte –
puntualizza Brian - …ma oggi si torna su quel dannato
tourbus con quella
suocera di Stef a tenerci d’occhio e…
Matthew
ride. Spalanca su di lui uno sguardo brillante e divertito,
ritrovandosi
incastrato in quello cangiante, azzurrato nella luminosità
assolata della
camera, di Brian.
-Sto
morendo di mal di testa.- lo informa
enfaticamente senza muovere un muscolo.- Se vuoi fare sesso con me,
dovrai
essere molto bravo per compensare con le endorfine.- aggiunge
maliziosamente.
Brian
finge di pensarci attentamente, ruotando il busto per mettersi supino e
sollevando gli occhi contro il soffitto in atteggiamento composto e
riflessivo.
-Mmmh.-
mormora meditabondo. Si volta subito dopo, sollevandosi su un gomito e
piegandosi poi a catturare la sua bocca in un bacio delicato. La sua
accortezza
nel muoversi è qualcosa che fa bene al cuore di Matt almeno
quanto il fremito
leggero che lo scuote quando risponde al suo bacio. Brian apre
nuovamente gli
occhi nei suoi, questa volta ad una vicinanza tale da togliersi
reciprocamente
il respiro.- Secondo me, si può fare.- sussurra direttamente
sulle sue
labbra.
***
-E’
bellissima, Matt!
Matthew
ride. La faccia di Brian in questo momento è uno spasso
infinito! Quella sua
aria trasognata mentre se ne sta seduto tronfio al centro del letto,
con nient’altro
che i boxer addosso e l’espressione di un ebete a tirargli un
sorriso
luminosissimo che va dalle labbra alle guance e su, fino agli occhi e
ritorno.
E’ sicuro gli scaldi anche il cuore, quel sorriso
lì. Glielo vede fare così di
rado che non osa disturbarlo.
Brian, del
resto, non lo sta guardando. O meglio…non
lo vede. Matt è una parentesi spigolosa nella sua
realtà personale. Come il
comodino, il letto, il pacchetto di sigarette mezzo vuoto…
Matthew si allunga
per servirsi e cerca a tastoni l’accendino che è
sparito da qualche parte tra
le pieghe del libro che stava leggendo.
-Lo sai che
ogni volta che mi vede, ride?!- sghignazza Brian, divertito.
S’infila la
maglietta distrattamente, avvertendo il fastidio di un freddo che
diventa
pungente a stare seduti fuori dalle coperte. Matt se le rimbocca
addosso.- Ma
hai acceso il riscaldamento?- Non aspetta la risposta, non gli
interessa se
abbia o meno acceso il riscaldamento.- Fa un sacco di versi strani!-
ridacchia
ancora. Gli si accosta, gattonando verso di lui, gli ruba la sigaretta
dalle
labbra mentre si crea uno spazio al suo fianco, sotto il lenzuolo.-
Scommetto
che imparerà a parlare prestissimo.
-Ah, sei
uno di quei padri iper esigenti che vogliono andare in giro a
sbandierare figli
prodigio.- constata Matt provocatorio. Brian gli tira un ceffone non
troppo
convinto sulla guancia, un gesto eccessivamente femminile considera
Matt.-
Piuttosto…- mormora.- Stef ed Hel ancora non si parlano?
-Neanche
una sillaba se non strettamente indispensabile.- annuisce Brian. Ed il
suo tono
si raffredda immediatamente.
-…ma lei
è…irremovibile?
Brian
sospira. Si fissa la punta delle dita, la sigaretta incastrata tra
indice e
medio della destra ed un filo di fumo pallido che sale verso il
soffitto.
-Ci ho
parlato. Con Helena, intendo.- borbotta dopo un po’,
controvoglia. Matt
vorrebbe dirgli che non è obbligato a rispondere, ma non lo
fa.- Mi ha detto
che potrò tenere Lisette esattamente con la stessa frequenza
con cui tengo
Cody. Che ormai è ridotta alle feste comandate ed i weekend
che mi spettano!-
sbotta amaramente.- Comunque, non intende impedirmi di frequentare mia
figlia.
-Allora
perché impedirti di riconoscerla?
-Non lo so.
Non vuole dirmelo.- confessa Brian debolmente, stringendosi nelle
spalle e
voltandogli addosso uno sguardo insicuro.- Questa storia è
terribile.- ammette
semplicemente.- Non so se…se riuscirò a gestirla.
-Lo farai.
-Intanto,
lunedì andiamo dall’avvocato.- lo informa con
maggiore praticità ma
ricominciando ad evitare il suo sguardo - Assieme. Non voglio che
diventi un
massacro.
-Mi sembra
logico.
-Helena
vuole che regolamentiamo le cose formalmente. Il diritto al
mantenimento dei
bambini, le visite, la gestione delle decisioni più
importanti… Non lo trovi
surreale?
-La madre
di Kate ha voluto che facessimo lo stesso. Io l’ho trovato
ragionevole.
Brian si
volta a guardarlo con un’attenzione nuova, come se avesse
appena realizzato
qualcosa che, tuttavia, è sempre stato sotto i suoi occhi.
-Non ti ho
chiesto nulla di voi due…- sussurra.
-Cosa vuoi
sapere?- è la domanda quieta che Matt gli concede
immediatamente. Allunga le
dita e Brian gli cede nuovamente la sigaretta.
-Non lo so.
Come stai, ad esempio.
-Bing mi
manca da morire. Tutti i giorni. Sai, avercelo con me, potermi alzare
nel cuore
della notte solo per andare nella sua stanza e vederlo
dormire…- sbuffa un
sorriso timido.- Sono cose che non pensavo una persona potesse
tollerare di
provare.
-Sì.
-E’ come se
il cuore ti scoppiasse di gioia e poi, all’improvviso,
scoppia di dolore alla
consapevolezza che non succederà. Non più. Ma ci
fai l’abitudine…- esita.
Solleva gli occhi contro la parete di fronte a sé.- e
questa, forse, è la parte
peggiore. Poi diventa una specie di costante sorda in sottofondo, come
se ti
avessero amputato un pezzetto di te e dove c’è il
buco facesse male ogni tanto,
quando cambia il tempo o ti sei stancato molto.- abbassa la voce
riducendola a
poco più di un sussurro - Ci sono volte che vorrei essere
rimasto con te solo
per non ritrovarmi a sentire tutto questo. Se non lo avessi visto
nascere, se
non ci fossi stato nei primi mesi, quando ci teneva svegli a turno e
dovevamo
occuparci di cose disgustose come cambiargli i pannolini o pulirlo dopo
che
aveva rigurgitato il latte…!- Brian ride, Matt lo guarda di
sottecchi sorridendo
anche lui, anche se con amarezza.- Se non fosse successo, sarei stato
un “padre
a mezzo servizio” efficientissimo. Così non lo so.
Così non sono sicuro di
potercela fare neppure io.- confessa.
Il silenzio
che segue non è davvero tale. C’è il
fruscio che fanno le coperte quando Brian
si sposta lentamente sul letto, c’è il suo calore
o il rumore del suo respiro.
Poi ci sono le sue braccia che lo stringono gentilmente, in modo
stupido,
facendoli sentire entrambi a disagio perché la tenerezza non
è una cosa che si
riservano troppo spesso.
Ma adesso
non guasterà…
-Siamo
entrambi un bel disastro.- ammette Brian a mezza voce. Con dolcezza.
Matthew non
se la sente proprio di ribattere. Chiude gli occhi e sospira.
***
Brian
è
andato via da un paio di ore. Gli operai sono tornati da un quarto
d’ora scarso
e stanno facendo un casino terribile. Matthew ha mal di testa e
vorrebbe
uscire, ma non sa dove andare. Dominic non è a Londra – non ha idea di dove sia, ora che ci
pensa – Chris neppure, è a
Teignmouth dai suoi. Tom… Tom doveva lavorare, ha detto. E
poi c’è Jaclyn. Fuma
la quarta sigaretta della giornata, due in più rispetto ad
una media che deve
far scendere quanto prima. Non ha voglia di fottersi la voce per
cazzate, non
ora che ha deciso che sì, può impegnarsi un
po’ di più ed imparare a cantare
decentemente visto che Madre Natura lo ha graziato a sufficienza.
Si alza dal
tavolo della cucina ed esce in giardino. In tasca cerca il proprio
iPhone, fa
un calcolo rapido e si lascia sfuggire una bestemmia, il telefono sul
palmo
della mano che gli rimanda le cifre liquide dell’orario.
-…cazzo.
Allontana
la sigaretta dalle labbra. Sbuffa. Seleziona comunque il contatto dalla
rubrica
e chiama.
Lei gli
risponde al quarto squillo. Sta ridendo e sembra sorpresa di sentirlo.
-Matt?!- lo
chiama subito.
Matthew
sente un sorriso allargarsi istintivo anche sul suo volto. Gli piace
ancora
immaginarla quando è felice, gli piace ricordare quella luce
che accende il suo
sguardo, quella tenerezza che gli risvegliava il suono della sua risata.
-Ciao,
Kate.- ricambia allegramente.- Ti disturbo?
-Oh, no.
Sono con mia madre e mio fratello. Facciamo una cena di famiglia!
Fino ad un
mese prima quelle cene di famiglia lo avrebbero visto seduto
lì, accanto a lei.
Fa un po’ male pensarlo.
-Tu? Tutto
a posto? E’ un orario insolito…- mormora lei,
perplessa.- Bing sta già
dormendo.- focalizza.
Matt
annuisce senza che lei possa vederlo. Se ne rende conto.
-Sì,
scusa.
Volevo solo essere sicuro che steste tutti bene.
Kate non
risponde subito. E’ quasi certo che abbia capito anche senza
bisogno che lui
aggiunga altro. Quando ricomincia a parlare lo fa con un tono di voce
morbido
ed accogliente di cui le è grato fino
all’inverosimile.
-Stiamo
molto bene. Grazie Matthew.- ci tiene a precisare subito, gentilmente.
E poi
dimentica la cena di famiglia, lui può immaginarsela mentre
si siede da qualche
parte, magari sul divano bianco in veranda, accavalla le gambe sotto la
gonna
di un vestito chiaro, che le starebbe così bene, e comincia
a raccontare,
leggera, allegra, spensierata.- Oggi Ryder e Bing hanno fatto assieme
un
disegno. Li avevo lasciati a casa di Luke… Ti ricordi Luke?
-Il
compagno di scuola di Ryder. Il figlio di Spencer.
-Sì. Mi
ha
detto che Bing ha fatto un disastro!- ride. Matt le fa eco senza sapere
nemmeno
perché.- La mamma aveva preparato una specie di crostata ma
Bing non è riuscito
a mangiarla e l’ha sparpagliata ovunque! Mi sono scusata con
lei, ma non era
arrabbiata. Forse non avrei dovuto lasciarle un bimbo così
piccolo…
-Era
seccata?
-No, no! Ha
detto che è un bambino stupendo.
-Lo è.
-Matt, Bing
mi chiede di te. Vuole sapere quando ti vedrà.
-Digli che
torno presto.
-Lo farai
davvero?
Matthew
esita. Potrebbe saltare su un aereo e raggiungerli anche domattina.
Anche oggi
stesso.
Ma Brian?
-Kate…
-Facciamo
che domani pomeriggio ti faccio chiamare dopo il riposino, mh?
Matt
stringe le labbra.
-…grazie.-
mormora, riferendosi a molto più che non la promessa di
quella telefonata.
-Matthew.
Promettimi che starai bene anche tu.
-…certo…
***
-Bellamy,
i pass per il backstage.
Il
tono cantilenante di Alex lo fulmina sulla soglia della hall
dell’hotel. Ruota
su se stesso, una rapida giravolta sui tacchi, e torna indietro fino
alla
manager ed al braccio sollevato di lei, da cui spunta lo spigolo
plastificato
di due talloncini rettangolari che portano su il nome, la data del
concerto, la
band e la parola “staff”. Assolutamente
inappropriata.
Ride
ed intasca i talloncini, riavvolgendo nella tasca del cappotto anche il
nastro
che serve ad appenderli al collo.
-Ma
serve davvero?
Lei
lo fulmina con lo sguardo, le narici dilatate.
-Razza
di sottospecie di megalomane rompicoglioni! se non ti fanno passare a
bacchetta
solo perché dici a voce alta il tuo nome e lo stronzo che
hai davanti non ha comunque idea di
chi accidenti siano i
Muse, tocca a me mollare qualsiasi cosa stia facendo per correre a
prenderti ai
cancelli! E non ho tempo!-
ringhia.-
Vedi di arrivare in orario o do disposizioni di lasciarti fuori! Te e
quella
specie di coso che intendi portarti dietro.
-Il
coso è il mio migliore
amico oltre
che il mio batterista.
-Non
me ne fotte un cazzo.- cinguetta Alex con un sorriso velenoso a
coronare il
tutto. – Sparisci, che ho già il resto
dell’asilo di cui occuparmi!
Matthew
ride ancora, salutandola con la mano mentre esce dall’albergo
e ricambiando a
voce alta Levi e Bill quando li incrocia, nuovamente sulla soglia.
***
Dom
è già arrivato e lo sta aspettando. E’
una cosa talmente insolita che quella
specie di Mr. Perfettini, che perde ore al bagno nemmeno fosse una
donna e ci
mette due giorni a capire cosa
intenda indossare per qualsiasi occasione - …a
volte sospetta che ci metta lo stesso tempo per stabilire anche l’abbigliamento
per scendere a fare la spesa
sotto casa… Beh, è talmente insolito
che sia arrivato lì in orario,
addirittura in anticipo, da far fermare Matthew con una mano ancora
appoggiata
alla maniglia della porta d’ingresso del caffè ed
uno sguardo sbigottito alla
testa bionda che lo attende ad un tavolino appartato.
Una
ragazza carina in un impeccabile completo scuro gli si avvicina e Matt
le
sorride gentilmente e le indica l’amico, dicendole in un
francese disastroso
che è lì in compagnia. Lei si sposta subito,
facendogli un cenno elegante nel
cedergli il passo e assicurando, in impeccabile inglese, che
manderà qualcuno a
prendere le loro ordinazioni.
Quando
si siede di fronte a Dominic, Matthew lo vede sussultare leggermente,
sovrappensiero.
-Matt!-
esclama appena lo mette a fuoco.
Un
accogliente benvenuto fatto di sorriso gigante ed abbraccio goffo,
immediato,
li impegna sopra il piano di legno del tavolino. Matthew ridacchia.
E’ felice
anche lui di vederlo, Dom è sparito da Londra un
po’ prima che lui partisse con
i Placebo e non hanno avuto davvero modo di salutarsi decentemente.
Sfila
cappotto e sciarpa e si mette comodo mentre l’altro ordina
tè e biscotti per
entrambi.
-Allora!
Che dovevi dirmi?- esordisce subito dopo.
Dom
ingoia a vuoto, incassando la domanda con una risata nervosa che
insospettisce
Matthew più della sua insolita puntualità.
-Dommie?
Siamo sicuri che è tutto ok…?- indaga
assottigliando lo sguardo.
Altra
risata nervosa. Dom si passa una mano tra i capelli, ora tagliati corti
e
decisamente troppo chiari, poi ruota attorno lo sguardo come a volersi
assicurare che non ci sia nessuno a spiarli. Ma il locale non
è il genere di
posto dove rischiare di trovare ragazzini eccitati all’idea
di aver “beccato” i
propri idoli in pausa e, per la verità, nemmeno il genere di
posto frequentato
da gente dello spettacolo e, quindi, invaso di paparazzi in agguato.
-Sì,
è tutto ok.- conferma riportando gli occhi addosso a
Matthew. Un respiro
profondo.- Non so davvero come la prenderai…- borbotta.
-Prenderò
cosa?!- insiste Matt.
La
cameriera torna con la loro ordinazione. Nel tempo che ci mette a
sistemare
tazze e biscotti sulla tovaglia immacolata, Matthew pensa almeno tre
volte che
vorrebbe potersi accendere una sigaretta, ma no, non si può,
come avvisano a
lettere cubitali i cartelli appesi in giro.
La
cameriera si allontana e Dominic affronta il suo sguardo con maggiore
serenità.
Almeno in apparenza.
-Io
e Kate ci stiamo vedendo da un po’.- butta fuori tutto
d’un fiato, ma scandisce
bene il concetto, con calma e senza enfasi, in modo che pervenga
all’altro in
tono piano e sereno.
Matt
sbatte le palpebre.
-…vedendo…?-
prova ad azzardare cautamente.
-Sì,
Matt, vedendo come una coppia. Come maschio e femmina di razza umana
che escono
a cena e si intrattengono nel dopo cena.- esplicita pazientemente Dom.
-…tu.
E Kate.
-Io
e Kate.- annuisce il biondo.
-E
da quanto?
-Un
mese.
-…cazzo!-
strozzato.
Dominic
gira il cucchiaino nella tazza. Fa rumore contro la porcellana.
Adocchia i
biscotti e si rende conto che la fame è completamente
sparita; ha un nodo
stretto all’altezza dello stomaco e prenderne coscienza lo fa
arrabbiare. Non stanno facendo nulla di male.
Prende
un biscotto comunque, lo sbriciola rabbiosamente nel tè e
finisce per renderlo
assolutamente imbevibile.
-E’
fantastico.
Per
un paio di secondi pensa di aver capito male. Solleva gli occhi su
Matthew con
aria interrogativa.
-…come?
Matt
sorride.
-Ho
detto che è una notizia fantastica.- ripete lentamente.
-Sì.
Lo avevo capito. Non capisco cosa vuoi dire con “è
fantastico”! Vuol dire che
sei d’accordo?!- chiede ansiosamente Dominic.- Non ti
da…noia? Fastidio
che…insomma, esco con la tua ex, ci hai fatto un figlio
e…
-
“E” cosa, Dom?!- ride Matthew.- Voglio un bene
dell’anima a Kate perché è la
madre di mio figlio, oltre che una persona stupenda; voglio un bene
dell’anima
a te perché sei praticamente mio fratello e so quanto sei
incredibile! Non
pensi che sia felice del fatto che due persone che amo e che so essere
eccezionali si piacciano?!- Prende anche lui un biscotto, se lo rigira
tra le
dita fissandone la superficie mentre il sorriso si addolcisce.- E poi
Bing ti
adora.
Dominic
lo guarda.
Matthew
no. Affonda il biscotto nella tazza, lo lascia galleggiare un
po’ e poi lo
recupera con il cucchiaino d’argento posato sul piattino di
porcellana.
-Ti
manca, vero?
-Da
morire.
-Dovresti
andare da lui.
-Non
voglio lasciare Brian adesso. Tra un po’, magari, quando
comincerà a non
sopportare di avermi attorno mentre lavora.
Dom
ride, facendosi bastare il tono allegro con cui Matt ha pronunciato
l’ultima
frase anche se è consapevole che sia un po’
forzato.
-Facciamo
così.- esordisce subito dopo, propositivo. Matthew si fa
attento.- Fammi sapere
quando Brian ti rispedisce a casa, mi organizzo e vado a prendere Kate,
Ryder e
Bing. Così stiamo tutti assieme per un po’.
-Magari
da me.- suggerisce immediatamente Matt, entusiasta.
-Certo.
O possiamo tornare a Teignmouth. Dovrebbero esserci anche Tom e
Jaclyn.- Storce
il naso ad un’idea improvvisa.- Magari ci facciamo una
vacanza, invece. Ce ne
andiamo tutti assieme da qualche parte!
-Dom.
Lo
guarda.
-Tu
devi sempre prenderti tutti i miei casini fino in fondo, eh?
Dom
arrossisce, imbarazzato, e scuote la testa.
-No,
Matt. Non stavolta. – mormora a disagio, senza osare
ricambiare il suo sguardo.
– Kate mi piace un casino. …io…io penso
che sia una cosa seria.
***
Casa
di
Stefan e Dave sa di “casa” nel senso pieno del
termine. Matthew giudica quella
cosa asetticamente, prendendone atto mentre entra dalla porta
d’ingresso ed il
profumo di ciambella alle mele lo investe. Diresti che hanno una
“nonnetta”
amorevole nascosta da qualche parte in cucina, una donnina che
t’immagini
piccola e con il visetto rotondo e che ti sforna dolci e manicaretti ad
ogni
pasto.
In realtà,
Brian gli ha confessato che Stefan è un fanatico di cucina
ed è l’autore di
quasi tutte le leccornie che lui e Dave servono a cene come quella.
Una cena
tranquilla, per la precisione. Una cenetta per quattro con vino
leggero,
chiacchiere piacevoli ed una tavola discreta allestita direttamente in
cucina,
per rendere il tutto più familiare ma anche più
comodo.
-Avresti
dovuto sposarlo tu.- afferma Matt all’orecchio di Brian,
additando di nascosto
il bassista che si muove tra i fornelli scambiando convenevoli
zuccherosi con
il compagno.
Brian
rabbrividisce, visibilmente orripilato.
-Matt.
Chiariamo un concetto. Il rapporto tra me e Stef non somiglia neppure
lontanamente a quello tra Stef e Dave.- afferma perentorio.
-Sedetevi
pure, ragazzi. Dave sta portando a tavola gli antipasti.
-C’è un
ordine?
-Sì, “dove
preferisci”.- esplica Dave mettendo a tavola una terrina con
quelli che
sembrano piccoli involtini di verdura e formaggio.
Il
profumino allettante ricorda a Matthew che non mangia dal mattino.
Afferra la
sedia più vicina e ci si lascia cadere con un sospiro
soddisfatto.
-Prenderò
venti chili, stasera, lo so già!- esclama.
Stefan ride
mentre Brian gli dice che “no, non sta scherzando affatto e
non lo ha mai visto
mangiare!”.
Cenano
immersi in una conversazione semplice. Non ci vuole molto per trovare
argomenti
in comune, basta buttarsi sui soliti aneddoti da tour che strappano
qualche
risata sincera e stimolano ricordi similari in chi ascolta. Rimangono a
tavola
dopo aver finito il dolce, sorseggiando il caffè che Brian
prepara con la moka
italiana in modo impeccabile.
-Mio padre
mi dava il tormento per farlo bene, quando ero piccolo!- ride divertito.
Matthew
posa la tazzina sul piattino di ceramica, assaporando il gusto del
caffè sulla
lingua e ricordandosi di quello che preparava Gaia e che era sempre
troppo
forte, tanto che alla fine aveva imparato a farlo lui pur di non
doverle dire
“tesoro, lo prendo al bar sotto casa”. Ride. Quando
si volta, Brian lo fissa
interrogativo ma lui scuote la testa per dirgli che non è
nulla di importante.
-Allora.
Cos’è questa storia che vuoi venire in tour con
noi?
La domanda
di Stefan viene lasciata cadere con una casualità talmente
perfetta da essere
sapientemente studiata. Matt allarga lo sguardo, sorpreso, non avrebbe
mai
pensato che Brian ne avesse parlato con gli altri. Adesso il bruno
sminuisce la
cosa, nervoso, e scocca un’occhiataccia al proprio bassista,
che lo ignora.
-…non…cioè,
non è indispensabile se la considerate una cosa
fastidiosa…o sciocca.- balbetta
Matthew, leggermente a disagio nel silenzio carico di attesa che si
è creato.
-Non
saprei. Non mi pare fastidioso. E sicuramente, non
c’è niente di sciocco.-
considera Stef a voce alta, voltandosi a cercare lo sguardo di Dave per
vedere
confermata l’opinione che sta esprimendo. Lui annuisce
semplicemente.
-E’
assurdo.- sibila Brian a mezza voce, senza rivolgersi a nessuno in
particolare.
Matt ruota
lo sguardo da lui, arrabbiato, a Stefan, ancora in paziente attesa.
-Perché?-
insiste puntigliosamente dopo aver terminato quella rapida analisi.
Brian
s’irrigidisce sulla sedia.
-Matt, ne
abbiamo parlato fino allo sfinimento…- inizia sforzandosi di
suonare pacato e
ragionevole.
-E non mi
hai ancora fornito una sola motivazione tranne questo tuo
“è assurdo” ripetuto
come una cantilena.- osserva Matthew.
-Perché è
assurdo!- s’impunta Brian.
-E’…strano.-
conviene Stefan.- Sarà un po’ straniante per
tutti, immagino.- prosegue
tranquillo.- In sé e per sé non credo dovrebbe
cambiare molto per noi. Per
te…beh, non sarà molto diverso da una gita un
po’ lunga!- ridacchia.
Matt
sorride a sua volta, felice di avere l’appoggio di Stefan. Ma
quando torna a
guardare Brian, si accorge che non è convinto. Decide di
cambiare argomento,
cercando a caso tra le cose più stupide a cui riesce a
pensare. E’ felice che
gli altri accettino di andargli dietro senza insistere.
***
Matthew
parcheggia l’auto davanti al cancello del complesso
residenziale dove vive
Brian. Lui guarda fuori dal finestrino senza risolversi ad aprire la
portiera e
scendere, così decide di approfittarne.
-E
se vieni
a dormire da me, stanotte?- suggerisce.
Brian
sbuffa insoddisfazione. Cerca una sigaretta in tasca continuando ad
evitare di
guardarlo, Matt non ci bada e si limita ad aprire i finestrini da
entrambi i
lati dell’auto mentre l’altro accende.
-Sono
stanco.- lo informa Brian, soffiando fuori il fumo.
Matt
ride.
-Ho
detto
“dormire”.- concede facilmente.
Brian
gli
scocca un’occhiata maliziosa da sopra la sigaretta.
-No,
dai,
domani devo andare in sala con gli altri e sono già le
quattro e mezza. Da qui
sono più vicino.
-Allora
resto io?
-Credevo
che ormai odiassi questo appartamento…
-Odio
Londra. Ed è colpa tua, penso.
-…vivi
a
Londra…
-Nah.
Vivo
in cima ad una collina sperduta, nel mezzo della campagna, in una
casetta con
lo steccato.
-Ed
hai una
nipotina con una mantellina con il cappuccio rosso che viene a portarti
i
dolcetti quando sei tanto malato.
La
risata
di Matthew è più aperta ed espansiva, stavolta.
Brian si lascia contagiare,
facendogli eco; scuote la testa e scrolla fuori dal finestrino la
cenere della
sigaretta.
-Andiamo.-
acconsente brevemente, accennando in direzione della strada.- Sai che
domattina
ti toccherà accompagnarmi, vero?
-Se
accetti
di venire a vivere con me, sono disposto a cambiare lavoro e farti da
autista
ogni singolo giorno della tua vita.- afferma Matt tranquillamente,
accendendo
nuovamente il motore.
-Bellamy,
sei un cretino.
-Eviteresti,
cortesemente, di chiamarmi Bellamy?
-Puoi
venire, comunque.
Matt
lo
guarda. Brian sta facendo l’ultimo tiro dalla sigaretta prima
di buttarla
fuori. Rabbrividisce leggermente, protestando a mezza voce per il
freddo
sollevando nuovamente il finestrino.
-…cosa?-
mormora Matthew.
Brian
si
volta a guardarlo brevemente.
-In
tour.
Puoi venire.- circostanzia.- Se non hai cambiato idea,
s’intende.
-Non
l’ho
cambiata.
-Allora,
puoi venire.- ribadisce Brian, stringendosi nelle spalle e fingendo
un’indifferenza che Matt sospetta sia estremamente fasulla.
Preferisce
non farglielo notare. Non è l’entusiasmo
travolgente in cui sperava, ma
l’opposizione ferma che l’altro gli ha manifestato
per un mese è stata sufficiente
a fargli capire che quell’entusiasmo non lo avrebbe visto
comunque.
E
poi, non
sarebbe stato da Brian!
Sorride
a
quel pensiero, badando che lui non lo veda perché
è quasi certo che lo
troverebbe un ottimo spunto per litigare. Brian è stato fin
troppo arrendevole
con lui, stasera, difficilmente il suo orgoglio ne manderà
giù altre. Per cui,
meglio evitare di sfidare la sorte.
Nota
di fine capitolo della Nai:
E
siamo a due. Manca un capitolo
alla fine, finissima. Salvo ripensamenti…o
meglio…salvo che trovi il tempo per
una cosa che, comunque, vedrà la luce in funzione del
prossimo Natale. Siamo
ancora a febbraio…
Beh,
spero che vi siate divertite
anche stavolta.
Grazie
infinite a tutte, perché
siete davvero splendide.
MEM
|
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Capitolo 3 *** Love ***
Love
Los Angeles, California.
Ottobre 2014
-Bing,
tesoro, alla mamma viene un esaurimento nervoso se non stai fermo due
minuti.
Il
bambino ride, ancora correndo in tondo, nonostante il rimprovero e
nonostante
l’abitino blu e grigio, in stile “piccolo
Lord”, sia tutt’altro che comodo per
rocambolesche manifestazioni di entusiasmo infantile. La sua
baby-sitter ha
provato a domare la cascata di ciocche bionde, disordinate, che ha
sulla
testolina e quelle, fino a pochi momenti prima, sembravano intenzionate
a
rispettare i suoi pazienti sacrifici. Adesso sono ridotte ad un
groviglio senza
senso che Kate giudica criticamente con uno sguardo sofferto,
riconducendolo ad
una delle mille cose sbagliate che
il
figlio ha preso dal padre.
Rinuncia
a richiamare ulteriormente l’attenzione di Bingham
– quel bambino è
totalmente refrattario a qualsiasi forma di rimprovero,
assolutamente viziato e terribilmente egocentrico. Oltretutto, non ha
idea del
significato della parola “fermo”
– e si volta con un sospiro pesante allo
specchio oblungo, grandissimo, che la fronteggia. Jaclyn e Kelly la
stanno
aiutando ad indossare il velo sopra la complicata acconciatura di
boccoli che
il parrucchiere ha terminato solo qualche minuto prima; Kate sorride,
soddisfatta, dimenticando per un attimo gli strilli eccitati di Bing in
sottofondo, e liscia con il palmo delle mani la gonna dritta
dell’abito
nuziale, godendosi la consistenza della seta pesante a contatto con la
pelle.
-Sei
bellissima!- esclama estasiata Emma, guardandola con uno sguardo
brillante che
la fa sentire davvero così,
davvero bellissima.
-Grazie.-
mormora leggermente imbarazzata, rispondendole attraverso il riflesso
nello
specchio.
Emma
ride. Le va incontro in uno gesto istintivo, abbracciandola mentre Kate
si
volta verso di loro. Anche Jaclyn e Kelly l’abbracciano, in
un piccolo circolo
tutto al femminile, fatto di solidarietà ed affetto espresso
con
un’accettazione calda e comprensiva.
E’ felice di non aver perso la
sua splendida famiglia.
-Anche
io braccio mamma!- strilla Bing dopo averle osservate per un istante.
Caracolla
verso di loro velocemente, afferrando lo strascico del vestito della
madre tra
le manine e tirando per attirare la loro attenzione.
-Anche
tu, certo.- interviene subito Kelly, prendendolo in braccio per
impedirgli di
fare danno, mentre Jaclyn ed Emma aiutano Kate a finire di prepararsi.-
Ma
dopo. Quando la mamma potrà infilarsi qualcosa di meno
delicato di un vestito
tutto bianco.- ridacchia Kelly, stampando un bacio sonoro sulla guancia
del
bambino e cancellando subito dopo, con i polpastrelli, la traccia
appiccicosa
che il rossetto lascia sulla pelle arrossata.
Bing
la osserva con serietà inusuale, battendo le palpebre un
paio di volte ed
assumendo un’espressione concentrata che lo fa somigliare ad
un cricetino
paffuto e che strappa alla donna un’altra risata.
-Io
porto fuori questa peste prima che combini qualche disastro.- annuncia
Kelly,
avviandosi in direzione della porta.
-Vengo
con te.- si accoda Jaclyn, recuperando nel passare la propria borsa da
una
poltroncina imbottita.
Kate
manda un bacio al figlio in punta di dita e lui ride. Il battente si
chiude sulla
voce serena di Jaclyn lasciandola da sola con Emma
all’interno della stanza.
-Sono
nervosa.- sfiata a quel punto Kate, voltandosi ancora a cercare nel
proprio
riflesso conferme che non sente di poter trovare in se stessa.
-E
perché, scusa?!- sbuffa Emma.
Kate
scuote la testa. Il velo ondeggia leggermente, restando ancorato alle
sue
spalle. Stringe le mani tra loro, torturandosi le dita su cui spicca
l’anello
di fidanzamento ricevuto appena tre mesi prima.
-Due
fallimenti importanti sono difficili da mandare giù.-
sorride tristemente,
continuando a guardarla solo attraverso il filtro rassicurante dello
specchio.-
E la fretta con cui io e tuo fratello ci siamo imbarcati in questa
avventura,
mi fa credere che avremmo dovuto pensarci meglio.
-Beh,
direi che due fallimenti sono anche abbastanza.- sorride dolcemente
Emma,
sminuendo volutamente il discorso ed ignorandone apposta la parte
più spinosa.-
Adesso, facciamo che iniziamo una serie positiva!- scherza con una
risata
leggera.
Kate
ride anche lei, emozionata. Si accorge distrattamente delle lacrime che
le
rigano le guance e si lascia scappare un alto sbuffo risentito,
asciugandosi
con le mani mentre Emma, frettolosa, cerca ansiosamente un fazzoletto
nel
marasma che regna nella camera.
-Rovinerò
tutto il trucco!- esclama Kate, continuando, nonostante quella
consapevolezza,
a ridere e piangere tutto assieme.
-Oh,
per l’amor del Cielo, smettila!- la abbraccia Emma di
slancio. Le caccia in
mano un fazzoletto di stoffa ricamato con iniziali color pastello.-
Smettila! Oggi
è il giorno del tuo matrimonio.- sorride, guardandola dritta
negli occhi.- Che
razza di sposa è quella che piange pensando alle cose brutte
della propria
vita? Oggi puoi piangere solo per quelle belle.- la rimprovera
dolcemente.
Kate
annuisce. Prova a renderle il fazzoletto, gli occhi ancora lucidi, ma
si
accorge da sola delle macchie nere di mascara e s’imbarazza,
ridendo
stupidamente un’altra volta.
-Oddio,
che disastro che ho fatto!
-Poco
male.- si stringe nelle spalle Emma, mostrandole poi le iniziali
sull’angolo.- E’
di mio fratello.
Ridono
entrambe, scrollando via quella sensazione spiacevole di attesa. Emma
l’aiuta a
sistemare il velo e poi il bouquet di orchidee e rose bianche. Kate si
guarda
allo specchio per l’ultima volta. Sorride al riflesso e si
volta.
Matthew
bussa alla porta con leggerezza. Da dentro la risposta di Dominic
somiglia più
ad un ruggito che ad un disponibile “avanti”.
Aggrotta la fronte e socchiude il
battente per sbirciare all’interno della camera.
-Tutto
a posto?- s’informa da quella distanza prudenziale.
Il
batterista ringhia ancora qualcosa, incomprensibile, e Matt si sporge
completamente
all’interno della camera, individuandolo qualche metro
più in là impegnato a
litigare con una serie praticamente infinita di bottoni di madreperla
che
chiudono il raffinato panciotto grigio che indossa. Matthew ride.
-Cristo
santo!- sfiata Dominic, inusualmente blasfemo, lasciando perdere di
colpo i
propri tentativi di venire a capo dell’indumento e voltandosi
bruscamente nella
sua direzione.
Matt
entra, chiudendosi la porta alle spalle.
-Qualcuno
qui è nervoso…- osserva divertito, rivolgendogli
un sorriso impertinente.
-Non
sono nervoso!- protesta Dom.- Sono…isterico!-
sfiata subito dopo, rilasciando di colpo fiato e spalle ed
afflosciandosi come
una bambola davanti agli occhi dell’altro.- Matt, io scappo.-
annuncia
sollevando uno sguardo genuinamente terrorizzato su di lui.
-Non
credo proprio.- storce il naso Matthew, senza dargli troppo peso.
Gli
arriva di fronte, scostando malamente le sue mani quando prova
nuovamente ad
abbottonare il panciotto e sostituendolo in quel compito, cui si dedica
con la
necessaria calma ed abilità.
-E’
uno strumento di tortura.- afferma Dom osservando le dita lunghe
dell’altro
avere rapidamente la meglio dei bottoni.
-Quando
lo dicevo io, mi davi dello zotico.- ritorce Matthew.
-Tu
sei uno zotico. Mi chiedo ancora
cosa
Brian ci trovi in te.
-Sono
talentuoso, intelligente, affascinante…
-Modesto…
-Modesto,
certo.- conviene il cantante, annuendo.- Dovresti sentire lui
descrivere se
stesso.
Dom
ride. Matthew gli sorride di rimando, contento di essere riuscito ad
allentare
per un momento la tensione dell’altro.
-Mi
vendicherò al tuo matrimonio, sappilo.- annuncia Dominic
all’improvviso.
-Improbabile.
– scocca Matt, allontanandosi di un passo per dare modo
all’altro di voltarsi
verso lo specchio - Punto primo, - elenca, mani dietro la schiena ed
atteggiamento insolitamente composto - Brian mi ammazzerebbe anche solo
per
averlo pensato. Punto secondo, non ti ci invito, al mio matrimonio.
-Io
ti faccio fare da testimone e tu mi lasci a casa?!- esclama Dom,
fingendosi ferito.
Matthew
ridacchia, aiutandolo ad infilare e sistemare sulle spalle la giacca
dell’abito.
-Io
ho Paul.- gli rammenta crudelmente.- Voltati.- ordina poi, recuperando
da un
tavolino l’orchidea bianca da appuntare
all’occhiello della giacca.
-Matt.-
lo chiama Dominic. Matthew, concentrato, si limita ad un mugugno che
attesti
che gli sta prestando attenzione.- Sei sicuro di essere
d’accordo?
-Ti
tiro un pugno sul naso fregandomene che ti macchi il vestito di sangue.
-Insomma,
è la madre di tuo figlio ed io…io sto per
diventare il padre di tuo figlio?
-Se
lo dici un’altra volta, ti strangolo, butto il tuo cadavere
nella spazzatura,
poi vado di là e dico a tutti che sei scappato con una delle
cameriere.
-Ti
scoprirebbero subito.
-Questo
è poco ma sicuro.
Nuovo
passo indietro. Stavolta, prima di girarsi verso lo specchio, Dom
aspetta
pazientemente che Matthew contempli “l’opera
finita” ed annuisca soddisfatto,
dando la sua approvazione. A quel punto si limita ad una sbirciata
veloce al
riflesso e torna a voltarsi verso l’altro.
-Grazie.
-Sono
io che devo ringraziare voi.- borbotta Matt.- Per essere stati tanto
tolleranti
con me e tutte le cazzate che ho combinato. Tu più di tutti,
ma Kate si è
beccata la cazzata più grossa.
Dom
ride ancora, scuotendo la testa per allontanare quel pensiero da loro. Non è la giornata adatta a ricordare
cose
spiacevoli. Mentre lo pensa, si rende conto anche di non
avere più così
tanta paura e che un po’ dipende dal fatto che Matt gli stia
di fronte,
aspettando di accompagnarlo a fare il passo più importante
della sua vita.
-…veramente
non mi faresti fare da testimone al tuo matrimonio?- si acciglia
all’improvviso.
Matthew
sorride sghembo.
-Veramente Brian mi ammazzerebbe se
gli
proponessi di sposarci!
Un tendone leopardato.
Brian,
seduto a braccia conserte in prima fila su una delle ordinate sedie
ricoperte
di raso bianco panna che fronteggiano il gazebo dove si
svolgerà la cerimonia,
sbatte le palpebre un paio di volte.
Però
il tendone è ancora lì.
Inclina
leggermente la testa di lato, assottigliando lo sguardo per osservare
con
interesse autentico le macchioline scure che coprono il tessuto che
riveste la
parte alta del gazebo, riparando dalla luce eccessiva e fastidiosa del
sole un
attempato ufficiale civile, in abito formale, in attesa di celebrare il
matrimonio.
E’
un bel leopardato, riflette, una cosa che, in
altre circostanze, sarebbe quasi elegante. Discreto, si sposa
bene con
quelle grosse rose bianche o con le orchidee color champagne che
compongono le
decorazioni floreali ai lati del gazebo e lungo la passerella della
sposa.
…ma…cielo,
è un matrimonio!
Non
si accorge della presenza dei due uomini finché non gli si
siedono di fianco,
uno per lato, con uno schianto minaccioso a sottolineare le loro
espressioni
torve.
Brian
sbatte nuovamente le palpebre, stupito, e si volta a scrutare prima Tom
- alla propria destra - e poi Chris
- seduto sulla sinistra.
-Ciao,
Molko.- esordisce Tom con un sorrisetto sbilenco.
-Sì,
ciao.- ribadisce Chris, cupamente.
-…a
voi…- replica Brian senza riuscire a nascondere
completamente la propria
perplessità riguardo quel loro atteggiamento da mafiosi di
quart’ordine.
-E
così, il tour è quasi finito.- inizia Chris
colloquiale.
-…e
questo cosa...?
-Quindi,
adesso sarete liberi da altri impegni, no?- sottolinea Tom,
interrompendolo.
Brian
non prova nemmeno ad assentire, tanto, gli pare di capire, a quei due
non
importa davvero.
-Ragazzi,
non ho capito cosa…- sospira ancora. Inutilmente.
E’
sempre Tom a riprendere, in modo serrato.
-Hai
una vaga idea di quanto sia stato utile per i Muse avere un frontman in
giro
per il mondo per quasi quattro dannatissimi
mesi?!
-E
adesso che sei tornato, Matthew finirà per ricominciare a
fluttuare nel suo
colorato mondo di unicorni gay!- insiste Chris, sottolineando
quell’asserzione
con significativi assensi del capo.
Brian
spalanca gli occhi.
-Unic...?!
-E
questo non va bene, Molko. Proprio no!-
afferma perentorio Tom.
-Già!
Visto che Matt continua a tenerti fuori da tutto quello che riguarda il
nostro gruppo, finisce che noi lo
vediamo nei ritagli di tempo, mentre tu te lo becchi per tutto il tempo
che
vuoi!- continua Chris, stizzito.- Noi non siamo mai
stati separati per più di dieci giorni di fila!
-…terribile!-
rabbrividisce Brian, fissandolo ad occhi sgranati.
-Per
cui ne abbiamo parlato ed abbiamo preso una decisione.- attacca Tom,
incrociando
le braccia al petto.
-E
riteniamo che sia la soluzione più accettabile.- annuisce
Chris, assumendo una
posizione speculare.
-…ma
siete seri?
-Verrai
in tour con noi.- ordina Chris, perentorio.
Brian
apre la bocca per ribattere.
-E
prima di quello, ti toccheranno le cene a casa di mia madre, a casa
della madre
di Dom, a casa di quella di Matt…- lo precede Tom.
-Il
compleanno dei miei ragazzi.- prosegue Chris.- E credimi, sono tanti.
Il
compleanno di Bing, quello di Ryder. Le feste delle nostre sorelle e
dei nostri
fratelli, mogli, zii, nipoti. Le vacanze di Natale tutti assieme!
Andiamo a
sciare, quest’anno.- lo informa.
-Siete
patetici.- cattedratico.
-Ah,
e non dimenticare le splendide cene del venerdì sera, Chris!
-Come
potrei dimenticarle! E il calcetto alla domenica mattina.
-Certo.
Le partite di football in tv…
-Il
barbecue di Kelly il giorno di Pasqua!
-Troppo
amore, potrei sentirmi a disagio.- piatto.
-Per
non parlare del fatto che ci vorranno secoli
perché Matt riesca davvero a tirare fuori un album decente e
che lo soddisfi.
Ti toccherà venire in studio…- osserva Chris
meditabondo.
-O
ritirarmi in convento.
-Già,
già. Senza contare che potrebbe avere qualche altra idea
malsana per cui ci
toccherebbe andare a registrare sperduti in qualche landa
deserta…- mormora
Tom.
-Ok,
time out.- scocca Brian con un sospiro pesante, accompagnando alla
richiesta un
gesto eloquente. Li fissa alternativamente, assicurandosi che siano in
attesa
della sua prossima richiesta.- Trattiamo.
-Niente
fughe d’amore senza avvisarci.- è
l’esordio di Tom.
-E
niente più sotterfugi e segretucci del cavolo che finiscono
solo per farci
pensare che Matt sia in un mare di casini.- rincara Chris.
-E
niente evitarci come la peste. A parte gli scherzi, siamo davvero
un’unica
famiglia.
-E
niente sentirsi in imbarazzo per questo!
-Finito?-
Chris e Tom si scambiano un’occhiata tra di loro, annuendo
subito dopo,
all’unisono. Brian fa fatica a trattenere una risata.- Bene.
Allora, niente
segretucci avete detto?- indaga maliziosamente non appena è
certo di avere
l’attenzione di entrambi su di sé. Un altro cenno
del capo, meno sicuro…-
Dunque, mi tocca raccontarvi di certe cosette che io e Matt abbiamo
fatto
mentre eravamo via. Sapete, per sano cameratismo tra maschi!- esclama
con
convinzione.
Lo
sguardo che Chris e Tom si scambiano, a quel punto, è
più che altro allarmato.
-Non
intendevamo questo…- deglutisce Tom, strozzato.
-Nono!- si affretta a rincarare
Chris,
terrorizzato.- Insomma, non ci permetteremmo mai di mettere becco nella
vostra…intimità…
Brian
è quasi certo che quella parola gli sia costata dieci anni
di vita. Sgrana gli
occhioni, fingendosi stupito.
-Andiamo!
Non posso credere che tra di voi non vi raccontiate mai certe prodezze!
Sarebbe
imperdonabile da parte mia non dimostrarvi quanto ci tenga a fare parte
del
gruppo facendo il riservato.
-Brian,
sul serio!- strilla Tom, scattando in piedi.- Un’altra volta,
magari!- ride
nervosamente.
-Sìsì!-
afferma Chris, imitandolo nel
prendere fisicamente le distanze.- Un’altra volta! Magari
davanti ad una birra.
-…trenta
birre.- suggerisce Tom grattandosi la nuca.
Brian
li osserva caracollare rapidi in direzione dei propri posti a sedere e
sghignazza, incrociando nuovamente le braccia al petto e borbottando a
mezza
voce, stizzosamente, “colorati
unicorni
gay”.
Non
si accorge che Matt lo ha raggiunto finché l’altro
non gli si siede accanto.
-Che
volevano Tom e Chris?- indaga.
-Oh,
sapere com’è andato il tour.- mente Brian
disinvoltamente.- Ma pare che dovrò
raccontargli un’altra volta di quella bambina che ha
riconosciuto te e Dom
all’after-show a Parigi. Ora avevano fretta.
Matt
lo scruta perplesso. Brian gli sorride serenamente, ignorando a bella
posta
l’espressione affatto convinta che il compagno sfoggia.
-Vado
a prendere posto vicino a Dom prima che tenti di suicidarsi mangiando
un mazzo
di rose.- sospira alla fine il cantante dei Muse, alzandosi nuovamente
in piedi
ed additando l’amico, già pronto sotto il gazebo,
di fronte all’ufficiale di
stato civile.
-Ah,
sì. Digli che adoro le decorazioni.- sbuffa Brian con un
sorriso cattivo.
-…sei
serio?!- scatta Matt, allargando le braccia in un gesto sconsolato.- E’ un fottuto tendone leopardato, quello!
“Loud Like Love”
MEM 2013
Nota di fine capitolo della Nai:
E la conclusione arriva…in
ritardo fotonico!!!
Perdonatemi, ma la mia vita al
momento è fatta di lavoro, scuole di scherma medievale,
lavoro, feste in
maschera, lavoro, Rocky Horror Picture Show, lavoro, organizzazione di
eventi,
lavoro, amiche che fanno figli, lavoro, familiari che decidono di
sposarsi,
lavoooooro…!
Insomma…un bordello.
Spero che vi siate divertite, che
i due piccioncini vi manchino almeno un pochino (poco poco!) e che
tutto questo
sia valso il tempo che “ci avete perso” a leggerlo.
<3
Grazie di cuore a tutte. Grazie
infinite per ogni secondo, giorno, mese, anno di questo lunghissimo
viaggio.
Per ogni risata, per ogni lacrima, per ogni bestemmia, per le volte che
avete
strillato e quelle in cui avete sorriso. Grazie infinite. E grazie ai
Placebo e
ai Muse, ai loro entourage, alla pazienza che hanno con i fan - anche
quelli
pazzi - al fatto che grazie a loro ci siamo trovati e che grazie a loro
abbiamo
iniziato a “fare due chiacchiere” e poi siamo
diventate amiche.
Grazie. E’ tutta per voi!
MEM
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