Plastic dolls di malpensandoti (/viewuser.php?uid=400627)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Plastic dolls
Prologo
“Pensi che ci prenderanno?”
Leah arranca un respiro e una boccata di fumo, assottiglia lo sguardo per il vento e si stringe nelle spalle, scrollandole qualche istante dopo, senza rispondere.
“Insomma – Billie accanto a lei ha le gambe flette e i capelli biondi legati – So che non dovrei pensarci o robe varie, che siamo già abbastanza sfigate per conto nostro senza portare altra sfiga, ma sarebbe davvero, davvero una botta di culo, se ci prendessero”
Londra è immersa nel proprio tramonto estivo delle sette di sera. Il sole è uscito un paio di ore fa, il cemento è ancora umido di una pioggerella fresca e la città si estende davanti ai loro occhi.
Il tetto del 256 di Chapman Street è uno dei più alti della zona, nei giorni caldi si riesce a vedere la City e una parte del percorso del Tamigi.
Le loro schiene sono appoggiate al cornicione, i pacchetti di Camel blu per terra e le borse lasciate accanto alle loro gambe, sole.
“Se ci prendono – Leah finalmente parla e sta già tremando all’idea – probabilmente diventeremmo ricche”
Negli occhi blu di Billie passa un lampo di speranza: “Ricche quanto?”
“Abbastanza da permetterci questo – Leah batte la propria mano sul cemento del tetto – E tante Jimmy Choo”
“E anche il completo di Prada ad Oxford Street?” chiede ancora la bionda, con lo sguardo ora che scintilla sotto al sole arancione.
“Prada, Chanel, Gucci, Marc Jacobs, Just Cavalli…ogni cosa” mormora ancora Leah, prima di sorridere di sbieco e spegnere la propria cicca di sigaretta per terra. Si riavvia i capelli scuri, incrocia le gambe magre e appoggia i gomiti sulle ginocchia.
Billie rimane in silenzio, riflettendo. Si lecca le labbra, le morde e poi chiude gli occhi.
“E se non ci prendono?”
Leah stiracchia le labbra pigramente, voltando il viso verso l’amica: “Se non ci prendono – scandisce lentamente – non diventeremo mai aspiranti modelle. Passeremo l’estate a bestemmiare e a ubriacarci, continuando a ribadire quanto la nostra vita faccia schifo. A ottobre ci iscriveremo all’università come vogliono le nostre madri e tu sceglierai scienze della comunicazione e io filosofia. Troveremo un ragazzo, sarà una relazione stabile ma non troppo. Passeremo la nostra vita a chiederci quando sarà il momento giusto per esplodere e scappare, ma poi ci metteranno un anello al dito, ci rinchiuderanno prima in chiesa anche se non siamo praticanti e poi in un villetta a schiera, con una laurea attaccata al muro e un lavoro di merda. Il nostro corpo cambierà e ti si ingialliranno i denti perché fumi troppo, avremo due figli rompipalle con dei nomi particolari, che odieranno la musica e vorranno un telefono a dieci anni. La nostra vita farà ancora più schifo di quanto non faccia già adesso e probabilmente io non verrò neanche al tuo funerale perché sarò rinchiusa in uno di quei manicomi per vecchi che continuano a chiamare 'case di riposo'. Ah, e andremo all’inferno perché ci siamo scordate di battezzare i nostri figli”
Billie ha gli occhi sgranati e la bocca spalancata, le sue sopracciglia si aggrottano all’inverosimile e lei respira più veloce.
Le frullano in testa così tante parole che boccheggia per qualche minuto, Leah le sorride per quanto sia buffa e le afferra una mano, stringendogliela.
Soffia ancora il vento.
“E se ci prendono?”
In teoria, Billie in mano ha il diploma del liceo, un’esperienza come animatrice in un campo scuola e diciannove anni compiuti a maggio. In pratica, in mano adesso tiene l’accendino rosa che ha rubato dalla borsa di sua madre.
Leah è andata via cinque minuti fa, l’ultimo autobus per casa sua passa tra venti minuti prima del blocco del traffico. Lei invece è rimasta a fissare una Londra spegnersi e riaccendersi mentre il sole cala.
Fa scattare la rotellina dell’accendino e poi soffia sulla fiamma mentre sospira, un po’ impaziente e un po’ terrorizzata.
Stanotte deve dormire perché le occhiaie ad un casting sono improponibili, Billie però sa che non riuscirà a chiudere occhio perché avrà le mani tremanti anche sotto le coperte.
Chapman Street è il loro rifugio da quando hanno saltato la scuola per la prima volta, in terza media.
Il palazzo numero 256 è in cantiere da almeno dieci anni, l’agenzia di costruzioni ha fallito e nessuno ha ancora comprato alcun piano. È un edificio vuoto e abbandonato, con la polvere e le regnatele, alcune siringhe ai piani inferiori e un intero murales al sedicesimo piano.
Bisogna fare parecchie rampe di scale, ma per Billie ne è sempre valsa la pena.
È il loro appuntamento abituale, dopo scuola, il corso di violino di Leah e le ripetizioni di matematica di Billie, si sono sempre ritrovate sul tetto, e parlare, smezzarsi sigarette e a piangere.
Se le prendono, domani, al casting della 'Blue Jeans Agency', Billie probabilmente non dovrà più prendere la metro o rubare i soldi dal barattolo dei biscotti. E forse smetterà di guardarsi allo specchio ogni dannato giorno con la convinzione di essere bella e di potercela fare. E sentirsi ripetere continuamente “Dovresti fare la modella!” ogni volta che la signora Shubert la ferma davanti a casa.
Se domani le prendono, Billie sa che diventerà una diciannovenne felice e non una ragazzina appena uscita da scuola con la passione per la moda, i genitori divorziati e una voglia sul fianco sinistro.
E Leah magari imparerebbe a sorridere un po’ di più anche con gli occhi, e sfoggerebbe la sua dentatura perfetta davanti ad un obiettivo che vuole solo lei.
2012.
Il loro anno.
Billie stringe con più forza l’accendino e spegne la fiamma.
ok è una cosa un po' improvvisa questa mia storia, però ci tenevo un sacco a pubblicarla al più presto!
oggi, tra l'altro, è un giorno in cui sono particolarmente contenta
in più ho già delineato la trama, che sarà molto ma molto complicata.
anzi, più che complicata, sarà parecchio inusuale.
il prologo è molto simile - per chi se la ricorda - a 'written in the stars', ma in realtà questa storia è molto più seria perché tratta di tematiche che, oltre al fatto che mi sono sempre interessate un sacco, sono anche abbastanza attuali e spero che possano piacere anche a voi!
questa storia sarà abbastanza corta - conto su otto capitoli + prologo/epilogo, salvo idee improvvise - e tratterà del mondo dello spettacolo in tutte le sue sfaccettature.
in più, a differenza di 'written in the stars', questa è una trama molto verosimile, e nel prossimo capitolo ci sarà il cambio di tempo futuro.
vi lascio un'immagine delle due - meravigliose - protagoniste!
grazie di cuore a chiunque vorrà seguire questa storia e farmi sapere il proprio pensiero! mi trovate anche su ask.fm
a presto!
caterina
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo uno ***
Plastic dolls
Capitolo
uno
Prima
le mutande, dopo il reggiseno, il vestito e la giacca. Si mettono le
calze
dentro la borsa perché non c’è il tempo
materiale per indossarle e ci si infila
la scarpe quando si è già fuori dalla porta.
È
esattamente così che funziona ed è esattamente
così che le hanno insegnato.
Questo
appartamento è anche più lussuoso di quello della
scorsa settimana, Billie si
concede un attimo per osservarlo mentre si lega i capelli biondi in una
coda
improvvisata e recupera con un sospiro stanco il tacco finito sotto al
letto.
Tra
le
lenzuola sbuca il corpo abbronzato e tonico di un uomo sulla trentina,
dovrebbe
chiamarsi Albert o Isaac, Billie non ne è sicura. Si
è presentato come un
produttore di una casa discografica…o era un grafico di una
casa produttrice?
Scuote
la testa, sospirando. Afferra la borsa per terra, ci infila le calze
arrotolate, si abbassa appena il vestito blu elettrico e lancia
un’occhiata
verso Londra, chiusa fuori l’immensa vetrata della stanza.
Prima
le mutande, dopo il reggiseno, il vestito e la giacca.
Infine,
bisogna solo aspettare che il mal di testa finisca
assieme alla nausea di una vita schifosa.
Una
modella la riconosci ovunque.
Il
più
delle volte girano senza trucco, perché sono comunque belle
lo stesso e perché
sono, comunque, modelle. Hanno i vestiti stretti e
l’espressione apatica, sono
alte anche se sono basse e sono belle anche se sono brutte.
Per
le
grandi città le incontri anche in metro, o in strada, con il
book una mano e
l’iPhone nell’altra.
Hanno
intorno a loro l’alone del mistero, non riesci mai a capire
se siano un minimo
soddisfatte della propria vita e del proprio lavoro.
Billie
sospira e chiude gli occhi per un attimo. Quando li riapre, il ragazzo
indonesiano seduto davanti a lei la sta ancora fissando. Distoglie lo
sguardo e
fruga nella tasca della giacca che indossa – che, ovviamente, le sta
grande
perché, ovviamente,
è di Alber o Isaac ma che, ovviamente, non gli
servirà più
– e alza il volume della musica, sistemandosi meglio
l’auricolare nell’orecchio
sinistro.
La
metro si ferma e le porte si aprono, scendono nove persone e ne salgono
quattro. Una di queste è una signora anziana coi capelli
legati e un vestito a
stampa floreale bianco e indaco. Billie fa leva sulle sue Jeffrey
Campbell nere
e si sfila la cuffia dall’orecchio sinistro: “Vuole
sedersi?” domanda alla
signora, tirando un sorriso.
La
donna piega le rughe eleganti del suo volto in un’espressione
sorpresa, poi
sorride e annuisce: “Grazie mille cara, sei molto
gentile”
Billie
si sistema la cuffia che pende, stringe con più forza la
pochette di Chanel
gonfia di calze nere e ringrazia il cielo di essersi fatta la ceretta
perché,
ora, metà delle persona dentro al vagone le stanno fissando
le gambe nude.
Una
modella la riconosci ovunque.
Al
quarto piano del palazzo blu di Harley Street, terza porta dopo
l’ascensore,
c’è l’appartamento di Billie e Leah.
E
di altri
tre ragazzi.
Billie
è più che sicura che se non ci fosse Leah in
quella gabbia di matti, si
sarebbe già data alla cocaina. Sono tutti modelli come loro
e tutti lavorano
nella Blue Jeans Agency (l’appartamento lo ha, appunto,
trovato Samantha, la
loro manager).
Sono
le
dieci e ventitré di domenica quando riesce finalmente ad
infilare le chiavi
nella toppa e ad entrare in casa.
Si
toglie la giacca, l’appende alla parete e sospira.
C’è odore di caffè.
L’appartamento
è grande, spazioso. Il pavimento è interamente
ricoperto con il parquet chiaro,
le pareti sono di un bianco quasi accecante e intasate di decine di
fotografie
stampate su tela dei migliori servizi fotografici di sempre (Billie si
sente
sempre in soggezione quando per il corridoio incontra gli occhi di
Twiggy).
Ci
sono
due divani blu che chiudono il tappeto e il tavolino di vetro,
c’è una terrazza
che ospita fin troppe passate di bong e un corridoio lungo che porta
alle tre
stanze da letto e ai due bagni.
Billie
entra in cucina e i suoi tacchi picchiettano sul legno
finché non si ferma di
scatto, sorpresa.
La
stanza è fin troppo piena per i suoi gusti.
C’è Leah
che è seduta con le gambe accavallate su
uno sgabello del ripiano in legno levigato dell’isola. Di
fianco a lei, c’è un
uomo sulla trentina che sembra essere anche più effemminato
della sua amica, è
seduto nella stessa identica posizione e tiene le mani incrociate tra
di loro.
Indossa una giacca elegante da uomo, di un marrone scuro, un paio di
jeans
stretti e neri con le ginocchia bucate e un paio di stivaletti in
cuoio. Il
viso è lungo e spigoloso, i capelli scuri sono alzati e
tirati all’indietro per
lasciare scoperta la fronte alta, gli occhi scuri e le sopracciglia
folte.
In
piedi,
davanti ai due, c’è la sagoma di Samantha Holt,
rinchiusa in un tailleur
bordeaux. Il suo viso è
pallido, pulito
ed elegante. L’ombretto chiaro le valorizza gli occhi
azzurri, i capelli biondi
e fini sono legati dietro la testa da un fermaglio in plastica e gli
occhiali
rettangolari le danno quell’aria professionale che Billie
prenderebbe
volentieri a schiaffi.
Appollaiato
sul bancone accanto ai fornelli invece, con una sigaretta in mano e una
tazza
di caffè nell’altra, Calvin - uno dei suoi tre
coinquilini maschi - ha le gambe magre fasciate da un paio di
pantaloni
pesanti della tuta e i capelli neri rasati ai lati della testa. Il
volto
è scavato, le labbra sono sempre rosse (Billie gliele
invidia anche se non
glielo ha mai detto) e gli occhi sono chiarissimi, di un verde oceano
pulito, a
differenza della sua carnagione, che è leggermente
olivastra.
C’è
un
altro uomo poi, che è vestito interamente di nero, coi
capelli lunghi legati
dietro al collo e la barba incolta che lo fa assomigliare vagamente ad
un barbone.
Si tiene leggermente in disparte rispetto al resto del gruppo, ma
è il primo a
notarla quando Billie entra del tutto in cucina.
Samantha
alza gli occhi su di lei qualche secondo più tardi, prima di
arcuare le
sopracciglia e stendere le labbra in una linea dura. È
arrabbiata.
“Oh,
ciao Billie – dice comunque, cercando di moderare il tono
– Ti aspettavamo”
Leah
le
sorride divertita, accennando con il capo all’uomo che ha di
fianco, che la sta
guardando con il mento appoggiato in una mano e l’espressione
curiosa.
Calvin
alza una mano in segno di saluto e manda giù un altro sorso
di caffè, spegnendo
poi la sigaretta dentro il posacenere lì affianco.
“Questo
è Nick Grimshaw – Samantha ha la voce
professionale che Billie non sopporta, ma
Billie, comunque,
sopporta ben poco – ed il suo collega, Sean. Sono qui per un
progetto. Un progetto che vi coinvolge”
Billie
fa una faccia schifata ma non risponde, piuttosto osserva Nick Grimshaw
e…oh.
“Tu
sei
quello che conduce il programma in radio, vero? – gli
domanda, puntandogli il
dito contro – Mia madre ti adora”
“In
carne ed ossa, principessa – risponde Nick, sorridendo
sghembo – E tu sei?”
“Billie
Newton” borbotta la ragazza, poi si aggiusta il vestito e
scende dai tacchi,
lasciandoli al centro della stanza. Si siede sullo sgabello davanti a
quello di
Leah e appoggia la testa sul legno, chiudendo gli occhi.
“Qualcuno
qui ha fatto le ore piccole stanotte” mormora
l’amica, ridendo.
Samantha
storce la bocca e scuote la testa velocemente. Poi guarda Calvin, che
sta
sbadigliando a torso nudo massaggiandosi una guancia, e si lecca le
labbra infastidita:
“Infilati qualcosa addosso e muoviti – gli dice,
diretta – Devi essere dall’altra
parte della città tra quaranta minuti”
Il
ragazzo sospira rumorosamente e si stiracchia mentre si rimette in
piedi: “Agli
ordini, capo” esala, ridendo piano.
“Mi
devo congedare – dice ancora Samantha, rivolta ai due uomini
– Spero che il
progetto vada a buon fine. Se avete dei problemi potete contattarmi sul
telefono o direttamente all’agenzia”
Nick
annuisce e la ringrazia: “Arrivederci”
Samantha
lancia un’occhiata d’avvertimento ad entrambe le
ragazze e trascina Calvin
prima in camera e poi direttamente fuori dall’appartamento.
A
quel
punto, Leah e Nick scoppiano a ridere rumorosamente, e Sean, ancora in
disparte, sorride.
“È
proprio una stronza” dice Nick, passandosi una mano tra i
capelli.
“E
questo non è niente – gli spiega Leah –
Dovresti vederla prima di una
sfilata…le sue orecchie diventano tutte rosse e una volta ha
perfino
bestemmiato”
Nick
sogghigna, facendo leva con le braccia per muoversi sullo sgabello
girevole:
“Siamo soli in casa?” s’informa,
guardandosi intorno.
Leah
allunga una mano per infilarla dentro la scatola di biscotti posta sul
ripiano
e ne afferra uno, prima di darne un morso: “Sì
– annuisce, facendo un gesto con
il capo per invitare Sean a sedersi – Sid sarà
sicuramente a riprendersi dalla
sua dose di cocaina del sabato sera dentro qualche letto e
Kendrick…beh,
lui
non saprei”
Sean,
dopo un piccolo sorriso, si siede sull’ultimo sgabello
libero, quello affianco
a Billie, che tiene ancora gli occhi chiusi.
Nick
invece annuisce lentamente, stringendo le labbra per pensare.
“Hai
bisogno anche di loro?” gli domanda quindi lei, vedendolo
quasi in difficoltà.
L’uomo
scuote la testa e il suo ciuffo traballa spaventosamente:
“Assolutamente no –
asserisce – volevo solamente esserne sicuro”
A
quel
punto, Billie spalanca gli occhi chiari e alza il volto nella sua
direzione,
raddrizzando la schiena: “Quindi..?” domanda,
sbrigativa.
Nick
lancia un’occhiata a Sean, che in risposta gli fa un breve
cenno col capo. Quindi,
l’altro, prende fiato e fissa entrambe le ragazze:
“Non so se voi lo sapete, -
inizia, strascicando le parole col suo tono basso e illusivo
– ma, oltre ad
essere un uomo affascinante e un radiofonico eccellente, sono anche una
persona
piena di idee”
Sean
sogghigna, Leah inarca un sopracciglio e Bilie mastica uno
“sbruffone”.
“Ad
ogni modo, mi occupo anche di varie associazioni che combattono il
bullismo, la
violenza sulle donne e la prostituzione minorile”
Billie
alza gli occhi al cielo e fa un gesto noioso con la mano, incitandolo
svogliatamente ad andare avanti.
L'uomo
si
sistema meglio coi gomiti sul legno e si fa improvvisamente
più serio: “Voglio
sperimentare e allargare i miei orizzonti oltre la radio inglese, -
osserva
bene prima Leah e poi Billie – e lo voglio fare con
voi”
“Con
noi?” la bruna aggrotta le sopracciglia, Nick la osserva per
parecchi istanti
e poi tira indietro la schiena, respirando profondamente.
“Voglio
fare un documentario sulla vita tipo di una modella di oggi. Per le
ragazzine
ancora in via di sviluppo voi siete degli esempi, le vostre gambe
chilometriche
sono i sogni di ognuna di loro e i vestiti che indossate quando sfilate
sono
gli stessi per i quali pagherebbero oro se i loro genitori non
esistessero. Per non
parlare del mondo della moda in generale; quale ragazzina tra i tredici
e i diciassette
anni non vorrebbe farne parte?” il tono di voce di
Nick è puramente
convincente, degno di uno dei più bravi radio conduttori
della Gran Bretagna.
Leah
è
parecchio sorpresa, si nota dagli occhi sgranati e la bocca carnosa
leggermente
spalancata. Volta il capo nella direzione dell’amica, che ha
assunto la sua
tipica espressione che usa quando è sulla difensiva.
Nick
e
Sean si alzano in piedi: “Avete tre giorni per riflettere e
farmi sapere se
accettate o meno” dichiara il primo, poi si avvicina al frigo
e incastra sotto
una calamita a forma di coccinella un piccolo foglietto.
“Buona
domenica, fanciulle” dice infine, esibendo un sorriso storto,
facendo un
piccolo inchino e uscendo dalla cucina con Sean al seguito.
Quando
la porta dell’appartamento si richiude, Leah ride quasi
nervosamente, senza
parole.
“Woah
–
biascica, scuotendo la testa – Cazzo, è
assurdo”
Continua
a dire cosa senza senso per qualche minuto, alternando piccoli sorrisi
con
imprecazioni mal trattenute.
Billie
è più contenuta e formale, e dopo un paio di
minuti in silenzio riesce solo a
mormorare: “Hai notato quanto fosse strana la sua penna da
taschino?”
spero abbiate passato una
buona domenica!
ecco qui il nuovo e anzi,
il primo
capitolo di questa storia!
non so se avete più o
meno chiaro cosa sia successo, e se così non fosse mi
dispiace ma vi capirei
perché, all'inizio, c'è sempre un po' di casino!
per farla breve,
comunque, nick - che esiste realmente ed è realmente un
conduttore radiofonico
inglese e se non lo conoscete dovete
per forza sentire una sua trasmissione,
perché davvero
, merita! - propone a billie e leah di girare un documentario
(accennato per ora solo a grandi linee) sulla loro vita da modelle.
quindi, come è facile
capire, abbiamo un cambio temporaneo e quindi le nostre ragazze sono
state
prese al casting! ahah
nick sarà un
personaggio
importantissimo nella storia, spero che col tempo imparerete ad
apprezzarlo!
poi abbiamo samantha, la
menager delle ragazze (e dei coinquilini) e calvin,
che è appunto uno di questi
ragazzi!
gli altri e il rispettivo
carattere di quest'ultimo li conoscerete senz'altro già dal
prossimo capitolo!
ringrazio di cuore tutte
voi per aver già inserito questa storia tra le seguite e
grazie in particolare
a chi si è fermato per lasciarmi un proprio parere nel
prologo!
vi adoro quando mi
scrivete cosa pensate dei miei scritti <3
harry e louis arriveranno
prestissimo, ma spero che questo capitolo vi sia ugualmente piaciuto ed
interessato!
fatemi sapere!
a presto,
caterina
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo due ***
Plastic dolls
Capitolo due
Leah
accavalla le gambe magre sulla sedia
rialzata e chiude con un nastro più stretto
l’accappatoio panna che indossa, serra gli occhi quando una
truccatrice le passa un pennello intriso di
fondotinta sul volto e ridacchia quando sente Carl, il fotografo,
sbuffare.
“Avanti,
Billie! – esclama questo, dietro
l’obiettivo della sua Canon – Sembri una scopa,
sciogliti per l’amor del cielo!
Sii cattiva, sii una tigre”
La
location per il servizio fotografico di
questo martedì è un antico palazzo nel pieno di
Londra, in un appartamento
collocato all’ultimo piano. I mobili e gli affreschi alle
pareti ricordano una
mano prevalentemente rinascimentale italiana, i muri sono di un rosso
vermiglio
e il lampadario in cristallo che pende al soffitto oscilla
pericolosamente ogni
volta che uno dello staff accende il ventilatore.
Billie
è in piedi su dei tacchi 16
centimetri, indossa delle culottes bianche e una giacca di pelle che
copre il
seno magro, ha i capelli vaporosi e probabilmente qualche extensions di
troppo.
Lo sguardo è accentuato da un grosso strato di eyeliner
nero, le labbra sono di
un rosso sangue e le guance sono più scure.
“Dai,
Billie! – dice allora Leah,
sorridendo sghemba – Tira fuori gli artigli”
La
bionda assottiglia lo sguardo e alza il
dito medio della mano sinistra, facendo ridere l’amica e
qualcun altro dello
staff.
“Esatto,
così! – Carl sorride entusiasta
con la schiena ricurva sul cavalletto – Fammi vedere quanto
sei spietata”
Se
c’è una cosa che Bilie odia più del
ketchup sono i fotografi come Carl Doubert, ovvero uomini sgraziati con
il
colletto della camicia slacciato che per far reagire una modella
iniziano a
parlare metaforicamente. Lei il più delle volte
s’incazza parecchio, perché
oltre che sentirsi dire frasi parecchie ambigue,tutto ciò la
deconcentra.
Samantha,
posta dietro un riflettore del
set, tossisce appena, lanciandole uno sguardo di rimprovero, proprio
mentre
Billie sta aprendo bocca per ribattere.
Quindi la richiude e sta zitta.
Un
quarto d’ora dopo, Billie si siede sulla
sedia libera accanto a quella di Leah, che nel frattempo si
è alzata in piedi e
si è tolta l’accappatoio, mostrando una lingerie
rosa, la bionda fa un fischio
di apprezzamento e, nonostante tutto, sorride alla bellezza della
propria
migliore amica.
Quando
Leah è davanti all’obbiettivo,
seduta sul divano verde pisello, Samantha affianca Billie, stringendo
le
labbra.
“Non
mi hai ancora detto come è andata con
Nick Grimshaw” le ricorda, senza guardarla.
“Nulla
che ti possa davvero interessare –
borbotta annoiata Billie, guardandosi le unghie. Deve rifare lo smalto
– Non
abbiamo intenzione di accettare questa cosa del documentario o quello
che è”
Samantha
finalmente sbatte confusa gli
occhi azzurri nella sua direzione, osservandola con stizza e
rimprovero: “Stai
scherzando, spero – ringhia quasi, e la ragazza per poco non
scoppia a ridere,
schioccando la lingua in segno di negazione – Ma come vi
viene in mente? Lo
sapete almeno che occasioni come queste capitano una volta nella
vita?”
Billie
alza gli occhi al cielo, poi inclina
il volto per guardarla a sua volta: “Se avessi voluto che la
mia vita venisse
ripresa – afferma, seria – avrei partecipato al
casting del Big Brother e non a
quello della Blue Jeans. In alternativa – riflette poi
– sarei nata
Kardashan o Osbourne”
“Il
tuo sarcasmo è mediocre come il tuo
lavoro da modella” sibila Samantha, tagliente. Billie le
sorride e: “Non sapevo
che le vipere conoscessero la parola ‘sarcasmo’,
sono davvero allibita”
“State
perdendo un’opportunità che non
si ripeterà, Billie – la donna decide di ignorare
l’ultimo commento – il mondo
della moda non ti farà mai sfondare come quello dello
spettacolo”
“Non
ho mai voluto sfondare” chiarisce la
ragazza, subito.
“Ed
è questa la vita che vuoi? – le domanda
a quel punto Samantha, usando un tono quasi materno che per un attimo
la
intimorisce più di tutti i rimproveri che le ha sempre dato
– La vita che vuoi
per Leah? Una vita fatta di modelle drogate e anoressiche? Fotografi
pervertiti
e feste a base di alcool e droga ogni sera? Vuoi finire in un letto
diverso
ogni sera per racimolare notorietà e finire su giornali
mediocri senza ricevere
il giusto compenso? È questo che sogni, per il tuo futuro e
quello della tua
amica?”
Billie
socchiude gli occhi per la rabbia e
il rancore. Le viene da piangere se solo pensa a quanto sia vero
ciò che
Samantha le ha appena detto.
Dio
solo sa quanto faccia male.
“Questo
– dice quindi, quasi sussurrando –
è ciò che ci imponete voi. Tu e quella
merda di agenzia. Volevo fare la modella,
ho firmato il contratto per fare quel mestiere, non per essere un
burattino
nelle vostre mani. Il mondo della moda non è solo questo”
Samantha
stringe le labbra, boccheggia,
incassa il colpo e non risponde.
La
casa è un disastro. Ci sono lattine di
birre dappertutto e una coppia di ragazze che sta pomiciando sul
tappeto
persiano vicino ad un bong mostruosamente grande. Sid è sul
tavolo del
soggiorno, in mutande e con una bottiglia di vino tenuta malamente in
una mano,
tiene il tempo di ‘Bad Girls’ di M.I.A con la testa
e le gambe e intanto con le
dita libere si porta una canna ormai consumata tra le labbra secche.
Sotto
di lui, per terra, Calvin sta
ballando goffamente mentre un metro e novanta circa di modella russa
è china
sul suo collo, intenta a lasciarli succhiotti rossi che domani qualche
truccatrice maschererà con il fondotinta.
Il
salotto è intriso di una nebbia spessa
di fumo, musica e una decina di corpi che peseranno non più
di 50 chili
ciascuno.
Billie
sbuffa e beve un altro bicchiere
d’acqua, cercando di trattenersi dall’andare di
là, afferrare Sid per il collo
e strangolarlo finché non sentirà
l’ultimo suo battito pulsare tra le sue dita.
Sbuffa
di nuovo.
La
convivenza forzata – perché sì,
è forzata – coi suoi coinquilini
sarebbe anche accettabile se non esistesse Sid.
Sid
Clapton ha diciannove anni e tanta di
quella cocaina sparsa tra il suo cuscino e le sue vene da far nevicare
su tutta
Londra.
È
completamente fuori di testa, pieno di sé
fino alle ossa magre, con una relazione malsana con un’altra
modella –
probabilmente anche più tossica di lui – e con
quel sorriso perennemente
provocatorio che a Billie fa accapponare la pelle.
Sid,
nonostante non sia un ragazzo particolarmente
alto e slanciato, la terrorizza. E, oltre a questo, ha pure il potere
straordinario di dire la cosa sbagliata nei momenti sempre
più pessimi, facendo
scoppiare una lite furibonda che il più delle volte finisce
con Calvin che
trattiene Sid e Leah che blocca Billie con entrambe le braccia per
evitare
tragedie spiacevoli.
È
martedì sera e se ne ricorda solo adesso,
guardando di sfuggita il calendario bianco appeso accanto alla porta
della
cucina. Leah è andata ad un aperitivo con Edith, la stylist
dell’ultimo set
fotografico, lasciandola sola in quella gabbia di matti.
Si
volta verso il frigorifero, corrucciando
le labbra.
Tasta
i jeans chiari che ha indosso, pesca
il proprio telefono e si avvicina al foglietto che nessuno ha ancora
staccato
sul metallo dell’elettrodomestico.
La
calligrafia di Nick Grimshaw è, se
possibile, anche più gay della sua persona.
Lui
non ci mette molto a rispondere,
comunque.
Al
terzo squillo, Billie sente un frastuono
che è anche più alto di quello che è
in salotto in questo momento.
“Pronto?”
la voce dell’uomo è pimpante, per
un attimo la ragazza si domanda se non lo stia disturbando. Non che le
interessi più di tanto, comunque.
“Non
accettiamo – scandisce soltanto,
saltando la parte dei saluti – La tua idea è una
merda”
Nick
scoppia a ridere e Billie non capisce
se sia per ciò che gli ha appena detto o per ciò
che sta succedendo dall’altra
parte della cornetta. Non che le interessi ancora, sia chiaro.
“Oh,
principessa! – l’apostrofa, allegro –
Sei tu! Aspettavo una tua chiamata, sai?”
“Volevo
dirti solo questo” borbotta lei.
“È
un vero peccato – mormora Nick,
dispiaciuto – Ma non è la fine del
mondo”
“Bene – sospira Billie, poi chiude gli occhi e fa
finta di non sentire un vaso
che, in salotto, si è inevitabilmente rotto –
Allora ciao”
Riattacca
ancora prima che lui possa finire
di salutarla.
Billie
serra gli occhi con più forza e si
massaggia il collo con le dita magre.
Non
passa molto, comunque, e il suo
telefono vibra tra la mano destra per un nuovo messaggio.
“Upper
Brook Street, 123. Siete già in lista”
E,
nonostante tutto, Billie sorride perché gli uomini, anche se
conducono un
programma tv e sono irrimediabilmente gay, sono tutti uguali.
Tacchi
dodici, un Burberry nero a maniche
corte con la cerniera frontale e le tasche a fessura, le calze color
carne e
una pochette Fendi che ha rubato all’ultima sfilata del
marchio.
I
capelli sono legati in una coda piatta
lungo la schiena, Billie si è messa un po’ di
fondotinta e tanta matita nera e
rossetto, ha mandato a quel paese Sid ed è uscita di casa,
ha chiamato un taxi
ed è arrivata alla festa di Nick Grimshaw.
Molti
degli invitati li ha già incontrati
in altre occasioni, ma lei si sente comunque un pesce fuor
d’acqua mentre osserva
con vago interesse gli arredi orientali dell’appartamento di
lusso dell’ultimo
piano del palazzo.
C’è
puzza di alcool, Chanel n 5 e
Manifesto, perché è qui?
“Principessa!”
Billie
si volta di scatto quando sente
quell’ormai odiato appellativo con cui Nick l’ha
già chiamata troppe volte, per
i suoi gusti.
È
appena rientrato della terrazza ampia che
si affaccia su una Londra ancora sveglia. Indossa una camicia rosa e
sbottonata
sulle prime asole, un paio di jeans neri ed un buffo cappello da donna.
Le sorride
ampiamente ed il suo alito da sbronzo, la ragazza, lo sente anche a
metri di
distanza.
Sotto
il braccio dell’uomo sbuca il corpo
goffo ma possente di un ragazzo che si tiene in piedi per miracolo. Sta
ridendo, in un modo alquanto imbarazzato, mentre con le mani fa di
tutto per
cercare di liberarsi dalla presa di Nick. Questo, comunque, non sembra
intenzionato ad ascoltarlo, perché scavalca con una risata
tutte le persone in mezzo
al salotto ampio e arriva di fronte a Billie, ammiccando. Ora e solo
ora
allarga il braccio destro e libera della sua stretta il giovane, che
finalmente
stiracchia la schiena e arriva all’altezza di Nick, scuotendo
la testa.
Billie
lo osserva e trattiene un sorriso.
“Sapevo
saresti venuta – dice Nick,
contento – Nessuno si perde un Grimshaw’s Party,
neanche una modella antipatica
come te”
La
ragazza aggrotta le sopracciglia: “Fiera
di essere tra le tue amicizie” borbotta sarcastica.
Nick
le fa l’occhiolino e le indica con un
cenno del capo il ragazzo accanto a lui: “Lui è
Harry Styles, principessa – lo presenta,
e quello deglutisce, s’imbarazza e le sorride – E
vuoi sapere la parte più
divertente? È etero”
Harry
lo colpisce con uno spintone, “Vaffanculo
Nick” lo rimbecca, con la voce intrisa di fumo e canzoni che
lo obbligano a
cantare.
Billie
lo guarda. Capelli scuri, occhi
lucidi e verdi, mani grandi, vestiti da hipster miliardario e due
rondini che
sbucano da sotto la maglietta a scollo largo che indossa.
Nick
ride ancora e: “Vado a salutare i miei
ospiti – si congeda, facendo un altro occhiolino, questa
volta per entrambi –
Divertitevi. Ultima porta del corridoio, materasso ad acqua. Una vera
goduria per chi
sta sotto”
Billie
avvampa e spalanca gli occhi,
guardando per qualche istante i tacchi neri che indossa. Poi sente lo
sguardo
del ragazzo addosso e respira.
“Questa
festa non ti piace molto” afferma
Harry, avvicinandosi al suo orecchio per parlare meglio. È
una voce forte, che
si strascina tra le ‘r’ e ‘a’
aperte, dev’essere del centro o del nord.
Billie
sorride e annuisce mentre lo guarda
negli occhi: “Mi piace di più fumare”
ammette, semplicemente.
Harry
fa quindi un passo indietro, come per
invitarla a seguirlo: “Ho quello che fa per te, se mi dici
come ti chiami”
Lei
ne fa uno avanti di conseguenza e già s’immagina
le pareti della camera da letto di Nick Grimshaw. Ha sempre voluto
provate un
materasso ad acqua.
“Billie –
risponde – Billie Newton”
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo tre ***
Plastic dolls
Capitolo tre
Billie
ha smesso di preoccuparsi di quanto
il vestito possa alzarsi sulle sue cosce circa tre cocktail fa. Le
feste col marchio Grimshaw, si sa, sono
le migliori. Hanno sempre quel tocco di originalità inglese
mischiata al mondo prettamente
gay – Billie non
saprebbe come altro
definirlo – che fanno sempre divertire tutti.
E, per tutti, s’intende
qualunque persona che vi partecipi.
Billie
Newton odia le feste perché Billie
Newton odia un po’ tutto, ma questa festa è la
migliore alla quale, da quando
sul sito della Blue Jeans Agency c’è la sua
faccia, abbia partecipato.
Ha
conosciuto almeno dieci celebrità, ha
fatto un paio di selfie con Florence Welch - Florence
Welch! -, ha giocato al gioco della bottiglia nello stesso
giro con Olly Murs, ha stretto la mano – o la zampa, a
seconda dei punti di
vista – ad un barboncino e ha mangiato una tartina di sushi
che in realtà s’è
rivelata essere solo carne e riso.
Adesso
tiene una canna appena rollata – la seconda
della serata – tra le dita affusolate della mano sinistra e
una bottiglia di
Heineken nella destra. Si gratta il naso con il pollice e ride quando
Nick
Grimshaw infila un reggicalze al collo di Harry Styles, che spalanca
gli occhi
e sputacchia goffamente il drink che tiene in mano, tossendo subito
dopo.
Harry
Styles, quello della boy-band che ha
come membro anche quel ragazzo biondo
carino carino carino, deve avere la sua età,
forse un anno in più. È un
ragazzo davvero buffo, gentile, carismatico e parecchio affascinante,
non c’è
dubbio. A Billie è piaciuto parlare e stare con lui per
tutto il tempo, hanno
chiacchierato sui loro gusti musicali, su quanto Grimshaw sia cretino,
di
quella volta in cui Harry stava per essere investito da un paparazzo e
anche di
quando lui stesso stava per metterne sotto uno. Lui le ha gentilmente
chiuso la
prima canna e le ha sempre portato da bere.
Ora
sono entrambi parecchio pieni – lei di
più – e Harry è seduto sul tappeto
persiano del salotto, con le gambe
divaricate e la testa appoggiata contro il divano. Billie invece
è più
contenuta, tiene le gambe incrociate e un gomito sul ginocchio.
Il
ragazzo ride per qualche secondo ancora,
poi afferra la mano che Nick gli ha porto per alzarsi e si tira in
piedi
trascinando con sé il suo metro e ottanta di gambe magre,
tatuaggi, ricci e
quel paio di jeans che sicuramente deve aver visto giorni migliori.
“Ce
la fai a guidare?” gli chiede Nick,
apprensivo, senza però smettere di sorridere.
Harry
fa un respiro profondo dovuto
probabilmente al giramento di testa che ha avuto dopo il movimento
brusco
appena fatto. Poi sorride con gli occhi più ludici del
normale e scuote la
testa per riprendersi: “Non ti preoccupare, amico –
biascica, con la bocca
storta – Ho l’autista – si guarda
l’orologio da polso che copre un paio di
tatuaggi e strabuzza gli occhi – proprio ora”
Lancia
uno sguardo d’intesa a Billie, che
in un batter d’occhio si alza, quasi soddisfatta di
sé. Nick la saluta con un
abbraccio stritolante e un “A presto, principessa”
che la mette sugli attenti.
Ll’uomo
e Harry si stringono e si danno
delle pacche affettuose sulle spalle, poi il ragazzo appoggia la
propria mano
sulla schiena di Billie e l’accompagna
all’ingresso.
Salutano
qualcun altro di cui Billie
sicuramente scorderà il nome appena si riprenderà
dalla serata ed entrambi
escono dall’appartamento, infilandosi nel lussuoso ascensore
del palazzo.
Harry
le toglie la mano dalla schiena ma le
sposta una ciocca dal volto, guardandola con uno sguardo particolare
che Billie
non nota.
“Devo
avvisarti – le dice poi, schiarendosi
la voce – ci saranno parecchi paparazzi in strada. Se
è un problema ti posso
chiamare un’altra macchina…”
Billie
lo interrompe con una risata più
roca del normale: “Harry
– gli ricorda, come se stesse parlando con un bambino
– è il mio lavoro, non
m’interessa”
L’ascensore
si ferma e le porte si aprono
nell’atrio, lui s’infila le mani in tasca e
“Giusto – annuisce, corrucciando le
labbra – hai ragione”
L’appartamento
di Harry Styles è una tipica
casa in stie vittoriano nei pressi di Oxford Street. È buio
e lei non è in uno dei
suoi momenti propriamente ludici, ma ha sentito Harry dai sedili
posteriori
mormorare gentilmente all’autista un “appartamento
di Oxford Street”.
Ciò ha
fatto comprendere a Billie che quello non deve essere l’unica
casa che lui possiede
a Londra.
Non
che le importi più di tanto, comunque,
mentre è seduta su di lui e gli sta baciando il collo niveo
che Harry le sta
offrendo. Billie è più che sicura che non si
rivedranno mai più come è convinta
che il Sole sia una stella e che Harry Styles sia pieno di soldi.
Nella
camera da letto si sentono gli Arctic
Monkeys che hanno lasciato in salotto quando lui le ha offerto
– ancora – un buon
bicchiere di vino rosso e lei ha curiosato nel suo scaffale di cd. Poi
c’è il
respiro frettoloso di Harry e il ghigno compiaciuto di Billie, a
cavalcioni su
di lui.
“Mi
piace come mi stai baciando” mormora
confusamente Harry, stringendole la vita con le mani grandi.
Billie
alza la testa e lo fissa sfiorandogli
il naso con il proprio: “E come ti sto baciando?”
gli chiede, a bassa voce. La
luce del corridoio è accesa ed è
l’unica cosa che le permette di osservare gli
occhi verdi del ragazzo.
“Non
lo so – ammette Harry – mi piace e
basta”
“Sai
vero che se adesso facciamo sesso sarà
considerato uno stupro per quanto tu sia pieno?” gli domanda
lei,
accarezzandogli una guancia con le nocche.
Harry
sorride divertito, poi le bacia il
naso in un gesto un po’ troppo intimo e dopo le labbra, senza
fretta.
“Parliamo”
dice, qualche minuto più tardi.
Billie
rimane interdetta per qualche
istante, aggrotta le sopracciglia e sbuffa. Si alza dalle ginocchia del
ragazzo
e “Allora mi spoglio io – borbotta, sfilandosi le
calze e il vestito – Tu non
ce l’avresti mai fatta”
Harry
Styles ha vent’anni, ventuno il
prossimo febbraio, un po’ (tanti) milioni di sterline nel
conto in banca e
solamente quattro paia di jeans nell’armadio.
Billie
lo ascolta parlare per quelli che
sembrano giorni, tuttavia non è stanca e non ha freddo. Nel
buio di quella
camera da letto, Harry ha la voce stanca, di quelle rovinate dal tempo
e
canzoni di merda, di quelle un po’ sempre troppo gentili
anche con chi non se
lo merita. Tiene le mani sul tatuaggio che ha al centro dello stomaco e
che,
lui dice, è l’unica cosa che lo fa respirare.
“Un
giorno ho letto una cosa su Tumblr
riguardo questo tatuaggio - ha mormorato, verso le tre -
Dicevano che ogni
volta che respirassi, la farfalla battesse le ali. È una
cosa che mi ha fatto
pensare. Ho iniziato a respirare di più, a farlo anche per
lei, perché fosse in
qualche modo... libera, capisci?”
Billie
gli ha toccato il polso e sfiorato
il tatuaggio del lucchetto chiuso, “Sì –
ha risposto – ho capito”
Harry
le ha parlato di sua sorella con l’intero
AM a ripetizione, del fatto che sia così
orgoglioso di lei, della laurea in
psichiatria, di sua madre che non gli ha mai chiesto un soldo, dei suoi
amici.
“Sono
brave persone – le ha confidato
mentre giocava con le sue mani a petto nudo – Sono dei
cazzoni, delle bambine
durante il loro periodo di crescita, ma sono pezzi di me, no? Fanno
parte di me
e io probabilmente sarei morto soffocato o bruciato sul palco se non ci
fossero
loro”
Anche
lui è una brava persona, Billie lo ha
capito qualche mezz’ora più tardi, mentre Harry
tracciava segni infiniti sul
suo stomaco e lei aveva gli occhi chiusi.
“Fare
il cantante mi piace – le ha detto
ancora – davvero, mi piace un sacco. Mi piace viaggiare e
prendere in mano un
microfono, sentire la mia voce amplificata al massimo, mi piace il
brivido che
ho quando qualcuno mi dice che stiamo attraversando il Pacifico o il
Giappone. Mi
piace dormire poco, restare sveglio per finire di registrare e dare
fastidio ai
miei amici. Ma…ogni tanto vorrei prendere un muro a pugni da
quanto sono
incazzato con Dio solo sa cosa. Mi viene voglia di spaccare qualcosa se
solo
penso di svegliarmi in questa stessa vita. E alla fine la gente pensa
ma di
cosa mi posso lamentare, io? E questo mi fa sentire un cazzo di
coglione,
perché è vero, cazzo!,
è vero! Non mi manca niente, ho tutto ciò che mi
serve”
Alle
cinque e tredici aveva fermato la mano
sullo stomaco di Billie e lei si era voltata nella sua direzione nel
letto. Gli
aveva toccato le rondini sul petto e tutti quei tatuaggi che, adesso,
la
facevano tremare per quanto facessero male.
“Siamo
uguali – gli aveva sussurrato – Io volevo
solo fare la modella, volevo sfilare a Milano e a Parigi con la mia
migliore
amica. Ho firmato un contratto che mi dà i giorni
prestabiliti di quando posso
mangiare, se vado a letto con un manager importante il mio stipendio
automaticamente aumenta di cinquanta sterline e i miei coinquilini sono
dei
tossici dipendenti. Siamo uguali, Harry – ha detto ancora
– Noi non siamo
liberi”
Poi
lui l’aveva stretta forte con entrambe le braccia, infilando
il volto tra i suoi capelli e Billie aveva
ascoltato in silenzio il suo respiro batterle nell’orecchio.
“C’è
una qualche possibilità che quando mi
sveglierò tu sarai ancora qui?” le aveva soffiato,
già con gli occhi chiusi.
Billie
aveva sorriso senza allegria, “No” aveva
detto, intrecciando le loro dita un’ultima volta.
Adesso
sono le dieci del mattino, Harry
Styles dorme solo nel letto e Billie Newton sta aspettando la
metropolitana con
il trucco un po’ sbavato e le calze nella borsa.
Indossa
una giacca da uomo e spera di aver
preso una delle più belle dall’attaccapanni.
Spera,
in fondo, che Harry Styles senta un
po’ la sua mancanza.
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo quattro ***
Plastic dolls
Capitolo quattro
Billie rivede Nick Grimshaw tre giorni dopo la festa.
Lei è seduta su una delle sedie dietro le quinte della sfilata di TopShop a Somerset House.
Una truccatrice sta ripassando la matita nera sui suoi occhi chiusi mentre un parrucchiere si occupa di lisciarle i capelli biondi.
Accanto a lei, davanti ad un altro specchio, Leah tiene lo sguardo rivolto al suo iPhone bianco, i bigodini in testa e il rossetto nude sulle labbra.
Le prove della sfilata sono durate più del previsto, Billie ha dormito poco e male stanotte e vorrebbe semplicemente uccidere qualcuno.
È chiedere troppo?
Il dietro le quinte di una sfilata è qualcosa che non ha mai sopportato. O meglio, all’inizio era pure eccitante guardare come tutto avviene, conoscere altre modelle e qualche truccatrice, chiacchierare del più e del meno durante la messa in piega e pure starnutire per la cipria sul naso.
Poi però sono arrivate le lamentele dell’agenzia, la voce petulante di Samantha e pure il trucco troppo pesante, i vestiti stretti e le scarpe sempre un numero più piccolo.
Ogni tanto Billie fissa la valigia che ha dentro l’armadio e pensa che potrebbe semplicemente andarsene. Ha accumulato circa duemila sterline che okay, non sono davvero un cazzo, ma potrebbe comunque prendere un treno per Manchester e andare da suo padre o tornare a casa da sua madre. Potrebbe denunciare la Blue Jeans Agency, trovare un lavoro e dare ragione a tutti quei pezzi di merda che figurati se diventi una modella!, trovati un lavoro vero!, continua a studiare!
Poi però sospira e non fa niente. Perché, per quanto odi la sua vita e ciò che sta diventando, Billie ha un contratto che dura ancora fino al 31 dicembre 2014 e lei ha così bisogno di soldi che anche se fa schifo va tutto bene lo stesso.
Nick Grimshaw passeggia per i camerini con quel suo menefreghismo che passa comunque come educazione, si appoggia contro la mensola dei trucchi dando le spalle alla fila degli specchi e sorride a braccia incrociate: “Una buona giornata a voi”
Billie apre gli occhi mentre Leah alza il volto verso l’uomo. La mora gli sorride ampiamente, l’altra stiracchia un po’ le labbra ma è segretamente contenta che lui sia lì.
Nick ricambia i sorrisi e si rivolge a Leah: “La prossima volta devi assolutamente venire” dice.
La ragazza annuisce mentre un parrucchiere si disfa dei suoi bigodini, “Certamente – risponde, guardando Billie di sfuggita – qualcuno qui ha fatto colpo”
“E ha anche spezzato un cuore, a quanto so io – aggiunge l’uomo, sorridendo sghembo, poi guarda anche lui la bionda – Harry mi ha chiesto di te”
Billie non risponde ma un po’ ne è soddisfatta. Osserva con attenzione l’uomo davanti a lei: Nick indossa un paio di jeans strettissimi, in denim scuro, un paio di stivaletti in camoscio, una camicia a scacchi rossa e una giacca verde. I capelli sono tirati in alto e il volto sembra più stanco e trasandato del solito. Si guarda intorno fingendo indifferenza ma a Billie sembra ansioso.
Nel taschino della sua camicia sbuca di nuovo la penna che lei ha visto la prima volta che si sono conosciuti.
Leah inizia a scusarsi con lui riguardo il rifiuto del documentario, inventa scuse campate in aria e continua a sorridere in quel modo così assurdamente angelico e ingenuo che a Billie ogni tanto dà sui nervi.
“Mi piacerebbe prendere un caffè con voi, più tardi – dice Nick, qualche minuto dopo – Conosco un ottimo locale qui vicino”
“Non ce ne volere, Nick – blatera Billie, sbattendo gli occhi per far aderire meglio le ciglia finte – ma non siamo tipe che frequentano quei locali”
Sia Leah che Nick che la truccatrice di Billie scoppiano a ridere, l’uomo scuote la testa e “Non vi porterei in un locale gay, principessa – le risponde – Sono anni che non ci entro. Non per vantarmene, ma non ne ho bisogno”
Poi fa l’occhiolino a Leah che sorride ancora, manda qualche bacio volante qua e là e si allontana, non prima di aver mormorato un “Fateli secchi”, che suo malgrado, fa sorride anche Billie.
Il locale che Nick conosce non è nient’altro che un hotel – per la precisione, il The Wallesley, uno dei trenta hotel più lussuosi di tutta la città – a Westminster. Per arrivarci hanno usato la Mercedes con tanto di autista di Grimshaw, il quale non è stato zitto per un solo secondo del viaggio, interpellando anche il guidatore stesso.
Il bar dell’hotel è ovale, i muri sono ricoperti di specchi incastrati tra di loro e dipinti di oro che riflettono il grande lampadario di cristallo che pende al centro.
Sono le cinque e tredici del pomeriggio e Billie e Leah hanno ancora il trucco della sfilata.
Nick ordina un thè ai mirtilli con biscotti tedeschi e una brioche alla crema, Leah un caffè lungo e Billie una spremuta d’arancia.
“Siete sicure di non voler niente da mangiare? – domanda l’uomo quando il cameriere si allontana – Offro io, non c’è pericolo”
Probabilmente deve aver notato lo sguardo stralunato di Billie alla vista del menù – 76 sterline per una porzione di biscotti piccoli -, ma prima ancora che lei possa farglielo notare, Leah interviene.
“Oggi è dispari” dice semplicemente.
La gamba di Billie scatta contro quella di Leah, seduta davanti lei, facendole uscire un “Ahia!” detto con voce gracchiante.
“Tappati la bocca” ringhia la bionda, stringendo i pugni sui jeans.
Nick osserva la scena con un sopracciglio alzato per la curiosità e anche qualcos’altro di non abbastanza definito. Poi volta piano la testa verso Leah e, appoggiando il mento sulle mani congiunte sopra il tavolo, ripete: “Giorno dispari?”
Billie fulmina con un’occhiata d’avvertimento l’amica, che alza gli occhi al cielo e “Non guardarmi così – sbuffa –Nessun sano di mente crederebbe che delle sedentarie come noi non facciano nessuna dieta per essere così”
La bionda scuote la testa esasperata e incrocia le braccia al petto, guardando da un’altra parte.
Leah si avvicina a Nick confidenzialmente: “L’agenzia ci dà dei giorni prestabiliti per mangiare – spiega – I giorni pari sono quelli del no alcool, no glutine, no frutta, no cereali, no bevande gassose, no latticini e salume per un totale di mille calorie al giorno”
“Oh – Nick è visibilmente spiazzato – e nei giorni pari?”
“Tutto il resto – risponde la ragazza, come se fosse ovvio – il primo martedì del mese digiuno totale, l’alcool si può bere solo alle feste importanti e l’ultimo del mese ci pesano sempre”
“E cosa succede se, per esempio, prendete qualche chilo in più?” domanda Nick, interessato, mentre gira con il cucchiaino il thè che hanno appena portato al tavolo assieme agli altri ordini.
Leah scrolla le spalle e “Digiuno finché non torniamo come ci è richiesto”
L’uomo annuisce lentamente, metabolizzando il tutto.
“Possiamo parlare di altro, adesso?” chiede Billie, scocciata.
“Certo, principessa – sorride Nick, beffardo – Parliamo del regalo che ho fatto ad Harry Styles che ti sei presa dal suo appartamento e che ora è dietro la sua schiena”
Billie, le guance rosse, volta appena il capo per guardare il giaccone che giace appeso alla sua sedia, poi si volta e sogghigna: “Ammettilo – mormora – sei solo geloso perché io me lo sono fatto prima di te”
Nick scoppia a ridere di gusto, “Touché”
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo cinque ***
Plastic dolls
Capitolo
cinque
Due
giorni dopo, la faccia sciupata di
Billie Newton è ovunque.
Il
suo account Twitter riceve altri
cinquecento mila followers in più rispetto ai tremila scarsi
di prima, l’ashtag
Billie Netwon
su Tumblr ha altre novemila nuove entrate e i più importanti
siti
scandalistici britannici e non
hanno almeno una sua foto nella pagina principale.
Il
tutto, senza che la protagonista di tale
fenomeno ne sia a conoscenza.
Perché, esattamente due giorni dopo l’uscita con
Nick Grimshaw, Billie Newton è in uno stato pietoso sotto le
coperte del suo
letto, dopo una serata sui tacchi per una sfilata di beneficenza
più after
party a Primrose Hill.
Le
fanno tremendamente male i piedi ed è
più che sicura che Sid abbia messo Snoop Dogg a tutto volume
verso le undici
del mattino.
Adesso sono le quattro del pomeriggio.
Leah
entra nella loro camera con il
telefono incastrato tra l’orecchio e la spalla e i capelli
ancora umidi di
doccia. Ha il volto struccato e le pelle più chiara rispetto
all’olivastro che
la caratterizza, sbuffa un paio di volte ancora e si siede sul letto
dell’amica
che è ancora seppellita dal piumone.
“Smettila
di urlare! – esclama scocciata.
Billie emette un verso strozzato – Non sono sorda!”
Poi
inizia a scuotere il corpo dell’amica:
“Billie, per favore – scongiura – Parlale
tu prima che decida seriamente di
gettarmi giù della finestra”
Billie
borbotta un’altra cosa
incomprensibile, poi volta la testa dalla parte del muro e continua a
tenere
gli occhi chiusi.
“Billie,
ti prego
– tenta ancora Leah,
stavolta più seria e più disperata –
E’ urgente”
Billie
sbuffa una bestemmia, stringe i
denti e scatta seduta coi capelli scompigliati e le palpebre ancora
pesanti. Afferra con stizza il cordless che
l’amica le sta porgendo e “Che cosa
vuoi?!” ringhia.
“Che
cosa vuoi tu,
Billie! – la voce di
Samantha è forse anche più severa del solito
– Qual è il tuo piano? Rovinare
l’agenzia? Rovinare la tua carriera?, la tua vita? Che cosa
stai combinando, si
può sapere?”
“Si
può sapere di cosa tu
stia
parlando, invece?” chiede di rimando Billie, lanciando una
breve occhiata a
Leah che adesso sta alzando le persiane della stanza.
“Ti
fai vedere in giro con un personaggio
famoso come se nulla fosse e pretendi anche di fare la finta
tonta?” Samantha
ha la voce tagliente, deve essere parecchio arrabbiata. Più
del solito,
comunque.
“Qual
è il problema? – Billie si alza di
scatto dal letto, inciampando tra le coperte e alzando gli occhi al
cielo per
la frustrazione – Nick Grimshaw è la persona
più gay di questo pianeta, non
cred- ”
“Harry
Styles”
Basta
un nome, un solo nome per bloccare la
parlantina esasperata di Billie e farla improvvisamente agitare.
“C-cosa?”
domanda, con un fil di voce.
“Hai
combinato un casino enorme, Billie –
dice Samantha, secca – Ora sta a te pagarne le conseguenze.
Ti chiamo più tardi
per aggiornarti. Un altro passo falso e ti rovino”
Sid è in boxer bianchi seduto sul tavolo
della cucina, le gambe larghe e la faccia scavata. I capelli biondo
cenere sono
scompigliati sulla fronte e gli occhi freddi e azzurri sono contornati
da
profonde occhiaie violacee.
Sta rollando l’ennesima canna della serata, coi
movimenti delle dita meccanici di chi lo fa da troppo tempo. Il suo
sguardo è
immerso nell’ennesimo episodio di The Big Bang Theory
che Calvin, appollaiato
stancamente sul divano, sta cercando di seguire.
Kendrick
è uscito o probabilmente è ancora
chiuso nella sua stanza. Non che sia un tipo da compagnia, comunque.
È il più
vecchio della casa, ha 25 anni e fa il modello da quando ne aveva
diciassette. Di
giorno è sempre fuori o rintanato in camera sua, si fa
vedere solo lo stretto
necessario e Billie lo ha sentito parlare sì e no dieci
volte scarse.
Leah
è seduta sul proprio letto con le
gambe incrociate, alza entrambi i pollici all’ennesimo cambio
di abito di
Billie e sorride: “Questo è perfetto –
dice – Sei bellissima”
Billie
ha indosso un Gabby di Motel in
poliestere e paillettes blu con lo scollo a barchetta e una scollatura
ampia
sulla schiena. Ai piedi porta un paio di Albert di ASOS neri, i capelli
sono
legati in uno chignon fine e il trucco è pesante sugli occhi
chiari.
“Sei
in ritardo – le fa notare poi Leah –
Non fare aspettare nessuno. Non oggi che sono tutti incazzati con
te”
Billie
stringe le labbra e annuisce. S’infila
il cappotto appoggiato sul suo letto e “Tu cosa fai
stasera?” domanda, dando un’ultima
controllata al trucco davanti allo specchio della camera.
“Festa
privata di qualcuno d’importante –
mormora Leah, guardandosi le unghie – Le solite
cose”
La
bionda sospira e annuisce di nuovo, le
augura una buona serata ed esce dalla stanza con ancora le parole di
Samantha
nella testa.
“Pensi
che indossare la giacca di un cantante dopo essere stata fotografata
assieme a
lui sia una cosa da niente? – Billie storce il
naso alla puzza di erba che
c’è già in corridoio – Non hai più dieci
anni, lo capisci? Ci sono delle priorità in questo lavoro,
priorità che devono
entrarti in testa al più presto”
Osserva
qualche istanti i suoi due coinquilini
fumarsi una canna, poi apre il portone di casa ed esce con
il petto più pesante del solito.
“Alle
sette
ti aspetterà una macchina sotto casa. Non.
Tardare.”
L’auto
parcheggiata davanti all’appartamento
è un grosso suv nero, a Billie si apre un sorriso nervoso
non appena capisce
tutto.
Apre
la portiera del passeggero con rabbia
ed entra nella macchina imprecando.
Harry
Styles la osserva con un sorriso
storto, una mano sul cambio e l’altra sul volante.
“Deduco
che questa uscita non sia di tuo
gradimento” le dice, ingranando la marcia.
Ma
Billie è troppo arrabbiata anche solo
per parlare. Stringe così tanto forte i pugni che sente gli
anelli e le unghie
lasciarle i segni sui palmi e fa tutto così schifosamente male da toglierle il respiro.
E
le viene da ridere istericamente e poi
scoppiare a piangere perché non è giusto, non
è giusto e non è bello essere così
tanto programmati.
Programmati
per l’autodistruzione.
Chiude
gli occhi e appoggia la testa al
sedile, sente la mano calda di Harry posarsi sulla sua gamba, e la sua
voce
che, calma, le dice solo “Io sono qui”.
E,
nonostante tutto, è la più grande
consolazione.
Anche
l’appartamento di Harry Styles odora
di erba, adesso.
The
1975 è
in ripetizione in salotto, l’unica luce accesa è
quella
del lungo corridoio e la stanza da letto è immersa in
un’atmosfera quasi
mistica.
Billie
ha ancora la carne che hanno mangiato
al ristorante italiano sullo stomaco, i flash abbaglianti dei fotografi
dentro
le pupille e Harry ancora vicino a lei.
Il
fumo che esce dalla sua canna è denso e impastato
tanto quanto la sua bocca, Billie aspira un altro tiro e continua a far
ruotare
la testa a destra e a sinistra, coi capelli ora sciolti che le coprono
il volto
e il sorriso estasiato.
Tiene il ritmo della canzone in sottofondo con le gambe
molli e i piedi scalzi, continuando a fumare.
Harry
è seduto sul letto, le gambe larghe, una risata roca
incastrata tra i denti e i ricci avvolti nel fumo.
Billie
continua a ballare, lo osserva e poi
smette di ridere improvvisamente. Gli si avvicina, aspira
un’altra boccata di
fumo e gli mette in mano la canna. Inizia a passare le dita sul suo
volto
spigoloso come se ne stesse definendo i contorni. Harry chiude gli
occhi.
“Siamo
disperatamente uguali, sai? –
sussurra Billie, piano – Siamo rinchiusi dentro noi stessi,
non c’è via di
scampo”
E
dirlo ad alta voce spezzerebbe l’atmosfera
e forse spezzerebbe anche loro.
Harry
spegne la canna dentro al posacenere
sulla coperta e la guarda con gli occhi lucidi. Dice: “Dammi
un bacio”
Labbra
contro labbra, mentre fuori sono le
due del mattino e dentro fa anche più freddo, Billie trova
il coraggio di
mormorare: “Io sono qui”
E,
per Harry, questa è comunque una
rivincita.
anche se un po' in ritardo,
buone feste :)
non mi soffermo molto sul
capitolo, volevo semplicemente dirvi che nel prossimo capitolo ci
saranno leah/louis e che beh, spero che il filo conduttore della trama
vi sia chiaro.
volevo anche ringraziarvi di
cuore per tutte le belle parole che mi state lasciando nelle
recensioni, vi leggo sempre e mi dispiace rispondervi sempre in ritardo!
vi lascio i prestavolti di kendrick
, sid
e calvin
:)
spero che le vacanze stiano
procedendo bene!
a presto,
caterina
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo sei ***
Plastic dolls
Capitolo sei
Louis
Tomlinson è un tipo parecchio esuberante dopo il terzo
mojito blu. Inizia a
ridere, a parlare ininterrottamente e a slacciarsi la camicia attillata
mentre
cerca in tutti i modi di ballare.
E balla
con un sacco di gente, uomini e donne, fans e amici. Con il suo sorriso
canino,
i denti bianchissimi e il gel tra i capelli.
La
festa di compleanno di Olly Murs è in una delle discoteche
più note di Londra,
ci sono più di duecento invitati e tutto sommato, anche la
musica non è così
male.
Louis
ha indosso una camicetta indaco e un paio di jeans neri con ovvi
risvolti alle
caviglie, delle scarpe lucide e tanto
gel.
Ha
già
bevuto parecchi drink ma, nonostante questo, si sente ancora in grado
di
parlare fluidamente e ridere alle battute che Liam Payne e Conor
Maynard stanno
facendo al loro tavolo.
Il
primo puzza un po’ troppo di erba e il secondo ha una risata
così aperta che
copre l’ultima dei Daft Punk.
Louis
ride a sua volta, appoggiando il bicchiere di champagne sul tavolo, poi
batte
le mani sulle cosce e si alza in piedi: “Vado in
bagno” si congeda.
Gli
altri due – beh, due
più altre tre
ragazze – continuano a parlare ininterrottamente e Louis non
sa davvero chi sia
più logorroico dell’altro. Sorride appena,
scuotendo la testa e avviandosi
verso il corridoio dei bagni.
Pesca
dalla tasca dei suoi pantaloni il telefono, controlla
l’orario e poi l’ultimo
messaggio di sua madre che gli augura la buonanotte. Louis risponde
velocemente, si lecca le labbra e sospira.
Leah
non sa esattamente cosa stia succedendo. Percepisce a scatti, ogni
tanto sente
le ossa cedere e le palpebre abbassarsi, poi tutto si riaccende
così
velocemente da farle male. Ha il collo piegato e i capelli che le
ricadono su
una spalla, un sorriso estatico e le mani che stringono il lavandino
dietro di
lei quasi con violenza.
È
tutto
confusionario, la testa gira e i sensi sono alterati.
Percepisce
delle mani ruvide sotto il vestito, sulle cosce, una lingua avida sul
collo e
tra le scapole e la pelle che fa fuoco fastidiosamente.
La luce
di quel bagno è fortissima, lei chiude gli occhi e stringe
le dita attorno a
marmo.
“No”
biascica solamente.
Non le
piace quello che sta succedendo e non le piace quello che
succederà dopo. È
troppo instabile, troppo piena di alcool e di qualcos’altro
per pensare, per
baciare e toccare lucidamente.
L’uomo
che la sta sovrastando non è dello stesso avviso, e ai suoi
suoni strozzati di
protesta la stringe ancora di più, lasciandole un segno
rosso sul collo. Ha i
capelli scuri, nota Leah, il respiro pesante e la voce alta. Si ricorda
solo
questo, nessun volto e nessuno sguardo.
Cosa ha
bevuto?
“No
–
dice ancora, più convinta – adesso basta”
Ha
solamente tanta voglia di tornare a casa, togliersi i tacchi e dormire
per
sempre. Vuole andare via e non vuole quelle mani sul suo corpo e un
po’
dappertutto.
“Non
fare la capricciosa – mormora l’uomo, mentre le
bacia uno zigomo – ci
divertiamo un po’”
Poi
tutto torna normale con una velocità straziante, e Leah
percepisce di nuovo la
luce chiara del bagno, l’odore di erba e alcool e il vestito troppo alzato.
Toglie
le mani dal marmo freddo del lavandino e le mette sulla camicia
dell’uomo,
spingendolo goffamente: “Basta”
L’uomo
fa un paio di passi all’indietro e scoppia a ridere:
“Non fare la capricciosa”
ripete, stavolta più duramente.
Le si
avvicina di nuovo con le mani ruvide già vicine alla sua
vita, Leah gli blocca
i polsi e grugnisce arrabbiata.
Le
fanno male le gambe, vuole tornare a casa.
L’uomo
mormora qualcosa e stringe i denti, dimenandosi. La tocca di nuovo,
stavolta
con rabbia e a Leah vorrebbe solamente piangere. Fa la prima cosa che
riesce a
fare, lo spinge ancora e gli sputa in faccia. Lui ringhia, stringe i
pugni e fa
scattare le sue dita contro la guancia della ragazza, che perde
l’equilibrio e
cade a terra in un tonfo.
“Siete
tutte uguali, cazzo” biascica l’uomo, pulendosi
malamente. Le lancia un’ultima
occhiata, Leah prega mentalmente che sia tutto finito.
Lo
sente allontanarsi, poi il rumore secco della porta.
È
sola.
Louis
sta riponendo il suo telefono nella tasca, quando un uomo gli arriva
addosso.
Strilla
un “Hey, imbecille!” e sbuffa, alzando gli occhi al
cielo. La musica della
pista è ancora forte e chiara anche in quel lungo corridoio
con le pareti blu
scuro, il ragazzo infila velocemente il telefono nei jeans e apre la
porta del
bagno maschile.
Si
sposta i capelli dalla fronte e si blocca di scatto.
Accanto
al lavandino, seduta sulle mattonelle del pavimento giallo,
c’è una ragazza. Ha
i capelli scuri e il volto nascosto tra le ginocchia e il le braccia.
Le
spalle sono piccole e scosse da…singhiozzi? Piange?
Louis
si guarda intorno, a disagio. Sposta il suo peso da una scarpa
all’altra e la
osserva ancora.
Poi
sospira frustrato e si avvicina lentamente.
Louis
Tomlinson odia le persone che
piangono. Sul serio, non può sopportarle. Gli fanno venire i
brividi, lo fanno
sbuffare e imprecare, alzare gli occhi al cielo e poi di nuovo i
brividi.
Si
sente terribilmente a disagio mentre cammina piano verso la ragazza.
È
una
situazione imbarazzante.
Lei
alza la testa di scatto, impaurita. Punta i suoi occhi dilatati e
azzurri dentro
quelli di Louis e il ragazzo percepisce una scarica partire dalle mani
e
stordirlo per un istante.
La
ragazza ha le labbra carnose e rosse, la pelle abbronzata e gli occhi
verdi e
arrossati. Le guance sono segnate dal nero colato del mascara e le
pupille sono
esageratamente grandi.
Louis
respira più velocemente, rendendosi conto di aver trattenuto
il fiato per tutto
il tempo: “Stai, ehm, stai bene?” domanda,
stupidamente.
La
ragazza lo osserva per altri secondi, poi apre la bocca per dire
qualcosa ma
non lo fa.
Inizia
a tremare però, a tremare forte.
Louis
spalanca gli occhi, accovacciandosi davanti a lei. È in
panico, completamente. Le
prende il viso tra le mani e la guarda negli occhi attentamente:
“Va tutto bene
– dice, anche se non è vero – Va tutto
bene. Stai tranquilla. Respira”
Lei
sembra in preda ad una crisi respiratoria, gli afferra il polso e
glielo
stringe come se lui fosse l’unico appiglio stabile a cui
aggrapparsi. Riprende
a piangere mentre Louis sussurra come un mantra stai
tranquilla, ci sono io, respira senza risultati e se fosse
andato almeno ad una lezione di pronto soccorso, alle medie, forse
adesso
sarebbe più pratico.
La
situazione sta degenerando e Louis non può neanche chiamare
aiuto. Sente il
polso intrappolato nella morsa ferrea delle dita della ragazza ma non
si
lamenta, stringe solamente i denti e cerca di far funzionare le cose
come può.
La
guarda ancora, le osserva attentamente gli occhi rossi, il volto etereo
e il
trucco ormai andato, lasciando da parte i brividi che gli percorrono le
ossa.
E non
sa neanche lui perché, ma in una frazione di secondo allarga
le braccia e la
stringe forte. Le scosta i capelli sudati dal volto, le fa distendere
le
ginocchia e affonda il viso sul suo collo magro, pregando un Dio a cui
non
crede affinché vada tutto bene.
“Stai
calma, ti prego. Ci sono io. Ci sono io”
La
sente come cera tra le sue braccia. È piccola e magra,
fragile. I tremiti del
suo corpo si spengono lentamente, il suo respiro si regolarizza fino a
diventare piccoli singhiozzi trattenuti. Ha il volto nascosto contro la
sua
camicia, gli occhi serrati e la mano che gli stringe il tessuto indaco.
Louis
riempie i polmoni, tira un sospiro di sollievo e le accarezza i
capelli:
“Brava” si ritrova a dire, senza sapere bene il
motivo.
E forse
quel “Grazie” ovattato è stato solo una
sua immaginazione, ma Louis sorride
ugualmente.
Abbracciare
una perfetta sconosciuta in un bagno di una discoteca non è
il suo typical Saturday ma, alla
fin fine, le
battute di Liam Payne facevano davvero schifo.
Harry
si volta nel letto per spegnere l’abat-jour sul comodino
bianco, Billie gli
blocca il polso e “Non spegnerla” dice, facendolo
distendere di nuovo.
Il
ragazzo sorride appena a quel contatto, poi si sposta su un fianco per
guardarla negli occhi, “Hai ragione – mormora
– così è più bello”
Il
retro della discoteca è – grazie a Dio –
deserto. Louis ha chiamato Paul, l’addetto
alla sua sicurezza, non appena la
ragazza è riuscita a restare in piedi con le proprie gambe.
L’uomo è arrivato
dopo neanche dieci secondi, ha afferrato delicatamente la ragazza e le
ha fatto
un paio di domande pratiche per accertarsi delle sue condizioni
– a Louis ha
ricordato molto la scena del club in Australia, quando al posto della
ragazza c’era
Zayn e Paul era molto ma molto
più arrabbiato –.
Quando
l’uomo
ha appurato che non fosse così grave come situazione, Louis
ha tirato un
sospiro di sollievo. Paul ha sostenuto la ragazza, portandola fino al
retro del
locale e chiedendole di scandire il
suo indirizzo. Lei lo ha guardato per parecchi secondi, senza capire
niente,
poi ha scosso la testa e ha sussurrato un “Non me lo
ricordo”.
Louis
osserva la scena con un piccolo sorriso sghembo sulle labbra. Sa che
Paul sta
facendo una grande fatica a comunicare con lei – se fosse
stato un lui non ci avrebbe messo
neanche mezzo
secondo a schiaffeggiarlo – e gliene è
immensamente grato. Si guarda intorno, l’aria
fredda della notte che gli fa venire la pelle d’oca.
“Sai
almeno il tuo nome?” chiede Paul, sorreggendola.
La
ragazza fa oscillare il capo a occhi chiusi per qualche secondo, poi
annuisce
piano: “Leah” biascica.
Louis
alza gli occhi al cielo e si avvicina velocemente: “Okay,
Paul – dice,
sbrigativo – Non andremo da nessuna parte
così”
“Qualcuno
dovrà pure portarla a casa, Louis” lo riprende
l’uomo, sbuffando.
Il
ragazzo lancia un’occhiata al suv nero parcheggiato accanto
ai bidoni della
spazzatura. Poi guarda Leah, che adesso ha appoggiato il capo contro la
spalla
di Paul.
“D’accordo
– sospira – ci penso io”
Afferra
i fianchi magri della ragazza, sorreggendola. Le fa appoggiare un
braccio
dietro il suo collo e la stringe, chiudendo appena gli occhi. La
conduce
alla macchina, apre la portiera anteriore e la fa sedere delicatamente.
“Cos’hai
intenzione di fare, Lou?” ruggisce Paul, quando il ragazzo
chiude la portiera.
“Starò
attento – ribatte il ragazzo, perché sa dove
l’uomo vuole andare a parare – Non
farò stronzate, davvero. Voglio solo.. – sospira
pesantemente e si guarda
intorno, cosa vuole? – voglio solo che stia bene”
Paul
non risponde subito, le sue braccia nude si riempiono di brividi per il
freddo
e lui tentenna appena.
Poi
scuote la testa esasperato e “Dovremmo fare uscire Harry
Styles dal gruppo –
mormora – State diventando tutti criptici come lui”
Louis
sorride a denti scoperti, trattenendosi dall’abbracciarlo. Fa
il giro della
macchina, apre l’altra portiera e
“Grazie” dice, sinceramente.
“Sì
beh, - Paul alza le spalle – se succede qualcosa, se ti succede qualcosa, ti ammazzo
io”
Louis
sorride ancora e annuisce, poi s’infila nella macchina e
l’autista mette in
moto.
Harry
passa un dito sulla sua pelle bianca del fianco, sull’orlo
dei suoi slip e poi
sopra la cassa toracica, fino a sfiorare il profilo del seno coperto
dalla
biancheria. Rabbrividisce.
“Sei
il
primo uomo con cui mi confido così tanto – mormora
Billie, il volto sepolto per
metà dal cuscino – è strano, ma
è bello. Tu mi capisci, in un certo senso…Non
lo so, è qualcosa che non si può
spiegare”
“Puoi
prendere tutte le giacche che vuoi quando andrai via – dice
lui di rimando – A patto
però che poi ritorni”
non voglio dire nient'altro,
spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto.
stava venendo
troppo lungo, così l'ho tagliato in due parti
fatemi sapere,
buon anno nuovo <3 <3
caterina
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo sette ***
Plastic dolls
Capitolo
sette
Leah ha
gli occhi chiusi contro il finestrino e le mani intrecciate sulle
cosce.
Respira piano,
come se stesse dormendo, Louis non è sicuro.
Le lancia
qualche
occhiata, le osserva il naso elegante, il profilo da bambina e le
labbra
secche, i capelli scompigliati e le ciglia lunghe, poi sospira
pesantemente e
guarda fuori dal vetro.
Sono in
viaggio da venti minuti quando la macchina si ferma e
l’autista guarda dentro
lo specchietto retrovisore: “Siamo arrivati,
signore” dice, formale.
Louis
annuisce e ringrazia, poi scende dall’auto e apre
delicatamente la portiera
dalla parte di Leah, che fa ciondolare la testa fino a perdere
l’equilibrio.
Louis l’afferra in tempo, facendola alzare e sorreggendola.
Si
guarda intorno velocemente, controllando la via.
“Va
tutto bene – sussurra allora, quando lei appoggia i piedi sul
cemento – ci sono
io”
Billie
ha le gambe incrociate e il volto illuminato dall’unica luce
della stanza.
Harry invece è sdraiato con un braccio dietro la testa per
osservarla meglio,
piega la testa e sorride: “…E così
siamo diventati gli One Direction” mormora,
finendo il suo discorso.
Lei
annuisce concentrata, metabolizzando tutto quanto. Apre bocca per
chiedere
qualcosa, ma poi il campanello di casa suona, bloccandola.
Harry
si alza di scatto, confuso: “Ma cosa…?”
Il
campanello di casa suona ancora, facendolo sbuffare. Si scosta le
coperte dalle
gambe e afferra il primo paio di pantaloni che trova sul pavimento:
“Aspetta
qui” mormora, stancamente.
Attraversa
il corridoio che si illumina al suo passaggio, poi la cucina e il
salotto.
Il
campanello suona ancora, “Un attimo!” esclama,
arrabbiato, arrivando
all’ingresso.
“Harry,
muoviti!” è senza dubbio Louis.
Harry
toglie il catenaccio dal portone e fa scattare la serratura, aprendo la
porta.
Louis
sta sorreggendo una ragazza, che ha la testa sulla sua spalla e gli
occhi
chiusi. Il volto del suo amico è tirato in
un’espressione di preoccupazione e
impazienza, senza aspettare oltre lo spinge da un lato ed entra in
casa.
Harry
richiude la porta e si volta, sbalordito: “Si può
sapere che cosa sta
succedendo? Cos’hai fatto? Chi è quella
ragazza?”
Louis
lo ignora e fa sedere la ragazza sul divano bianco del salotto:
“Portami un
bicchiere d’acqua”
Harry
sospira e fa un passo avanti: “Lou, mi spieghi c-”
“Portami
un cazzo di bicchiere d’acqua, Harry!” urla
l’altro, voltandosi a guardarlo.
Harry
spalanca appena gli occhi, boccheggiando appena.
Louis
è
un tipo parecchio suscettibile, lo sa, ma difficilmente alza la voce
così tanto. Specie con lui.
Il
riccio deglutisce a corto di parole, poi incassa il colpo e fa un passo
indietro, voltandosi.
Mentre
Louis afferra saldamente il viso della ragazza per farsi guardare negli
occhi,
lui si blocca di scatto senza neanche essersi spostato di un altro
metro.
Billie
sta indossando la sua maglietta preferita, è sulla soglia
del salotto e ha gli
occhi allucinati mentre le mani sono sulla bocca, scioccata.
Harry
si lecca le labbra per cercare di spiegare – spiegare cosa,
poi? – ma la bionda
non gli dà tempo di pensare a niente: impreca rumorosamente
e si avvicina a
Louis quasi correndo, inginocchiandosi davanti al divano.
“Leah!
– parla confusamente, Harry riesce ad afferrare solo un paio
di vocaboli –
Leah, apri gli occhi”
Louis
si scosta di scatto, ancora più confuso dell’altro
ragazzo. Guarda Harry, poi
osserva Billie e poi di nuovo Harry. Fa un paio di calcoli mentali
probabilmente, perché si limita a stringere le labbra e ad
annuire piano.
“Voi
due…voi due vi conoscete?” chiede Harry,
massaggiandosi le tempie con movimenti
circolari mentre i muscoli sotto ai suoi tatuaggi del petto scoperto si
tendono
per l’ansia.
“Lei
è
Leah – risponde Billie frenetica, senza guardarlo –
Leah”
Oh,
Leah. Quella Leah.
Harry
capisce, la bionda gliene ha parlato.
Ciò
che
non comprende però è tutto il resto. Guarda
Louis, che ha l’espressione
concentrata e gli occhi stanchi.
Leah
sembra risvegliarsi lentamente dallo stato di trance in cui
è caduta, fa
ciondolare la testa ancora qualche secondo prima di aprire gli occhi e
mettere
a fuoco il volto angosciato dell'amica.
“Billie…”
sospira, poi l’altra l’abbraccia forte e lei
seppellisce il volto contro la sua
spalla e tra i suoi capelli biondi.
Si
stringono forte tra i “Vaffanculo, vaffanculo,
vaffanculo” di Billie e i
sospiri di sollievo di Louis.
Harry,
ancora in piedi, si stringe le ciocca tra le dita e pensa che
probabilmente
questa è la cosa più strana che gli sia mai
successa.
Il
letto di Harry Styles è il letto più comodo su
cui Leah sia mai stata.
È
sdraiata
di schiena, con le palpebre pesantissime e serrate, il buio della
stanza a
circondarla e Billie di fianco a lei, sotto le coperte.
Leah
non può vederla, ma sa che l’amica non sta
dormendo. Il respiro dormiente di
Billie è rilassato, leggero, diverso da quello di quando
è sveglia, che invece
è perennemente pesante, quasi affaticato.
Per
questo glielo chiede, a bassa voce. “Sei sveglia?”
“Mhmh”
“Quanto
è piccolo il mondo, hai notato?”
Billie
si muove e il fruscio delle coperte sfrega contro le braccia nude di
Leah. Entrambe
sospirano.
“Ho
avuto paura – risponde la bionda, qualche secondo
più tardi – Quando ti ho
vista in quelle condizioni…ho avuto paura, tanta
paura”
Leah
non apre gli occhi ma si volta ugualmente verso Billie, stringendosi
nelle
spalle per via dei brividi sulla schiena: “Ti ricordi tutte
le giornate a
Chapman Street? – chiede, nostalgica –
Probabilmente eravamo ancora vergini e
parlavamo di tutti i progetti irrealizzabili che avremmo fatto una
volta
compiuti diciotto anni. Io ero quella responsabile, tu eri la mia
bambina”
Ancora
non la vede, ma sa che Billie sta sorridendo con lei.
“E
ti
ricordi quando ci hanno chiamato, due settimane dopo il provino?
– continua,
sempre più coinvolta – Quando ci hanno presentato
Kendrick, Sid e Calvin e tu
hai mandato a quel paese Sid dopo neanche tre secondi? E quando hai
cercato di
parlare con Kendrick e lui ti ha evitato? Quando abbiamo conosciuto
Samantha e
sfilato per la prima volta…ti ricordi?”
Billie
ridacchia piano, “Sì – risponde
– Mi ricordo. Sembrano passati secoli”
“Già
–
concorda Leah, sbadigliando – Erano bei tempi, immagino.
Eravamo ancora troppo
ingenue e avremmo fatto di tutto per stare in cima a tutti”
“E
guardaci adesso – dice Billie – siamo nel letto di
un membro di una boyband a concordare
su quanto stiamo…sprofondando”
“Ho
toccato il fondo, stanotte – sussurra Leah, alzando una mano
alla cieca e
toccando dolcemente il profilo elegante dell’amica
– E’ stato assurdo, non
credo di essere mai stata così male. Non voglio immaginare
cosa sarebbe
successo se non fosse arrivato Louis”
Tra le sue
carezze confortanti, Billie stringe forte le
palpebre e si addormenta.
I
polpacci di Harry sono fuori dal divano nero per via della sua altezza,
quelli
di Louis, invece, entrano alla perfezione su quello bianco.
Sono entrambi
sdraiati nel salotto del più piccolo, con il riscaldamento
acceso e gli occhi
aperti nonostante sia tardissimo.
Louis si
stiracchia leggermente, passandosi una mano tra i capelli e prendendo
un
respiro profondo.
“Sei
stato gentile a dare loro la tua stanza” mormora, con voce
sottile.
“Suppongo
– Harry si schiarisce la voce quando questa esce arrochita
– suppongo di sì”
“Non
ho
mai visto nessuno tremare così tanto”
“Non
dev’essere stata una bella esperienza”
“Già
– dice Louis, girandosi su un fianco – avrei voluto
evitare situazioni di questo tipo, non sono molto predisposto a cose
del genere”
“Per
questo sei venuto qui?” domanda Harry, curioso.
L’amico
scrolla le spalle: “Mi sembrava la cosa più giusta
da fare – risponde sinceramente, posandosi le mani sullo
stomaco – ed è stato
il primo luogo che mi è venuto in mente. Chi lo avrebbe mai
detto che fossero
amiche?”
Harry alza un
angolo della bocca in un sorriso sghembo: “Quanto
è piccolo il mondo” mormora.
“Ci
sei andato a letto?” chiede poi Louis, qualche minuto
dopo.
“No
– risponde subito Harry, a disagio – siamo andati a
cena
come mi hanno detto di fare e poi l’ho portata qui”
Louis annuisce
tra sé e sé, senza commentare.
Harry si sfila
l’anello dalla mano sinistra, facendolo
rotolare sulla sua maglietta e riprendendolo alla cieca.
“Sai,
è strano – esordisce qualche minuto più
tardi, quando
Louis ha già gli occhi chiusi – Credo che mi
piaccia, in un certo senso. È spigliata,
carismatica e intelligente. E poi è bella e mi piacciono i
suoi capelli. E le
viene sempre la pelle d’oca quando parla di qualcosa
d’importante ed è…mi sento
bene, capito? La conosco da pochissimo eppure con lei sto anche meglio
di
quanto potessi immaginare. Sì, credo mi piaccia”
Louis non
risponde più e quando Harry fa leva sui gomiti per
guardarlo, lo scopre tra la luce lunare con la bocca semiaperta e gli
occhi
chiusi.
Scuote la testa, rimettendosi
sdraiato e ridacchiando.
ciao
ciao :)
volevo
ringraziarvi anche qui per le recensioni dello scorso capitolo, sono
stata davvero contenta che louis e leah vi siano piaciuti!
spero
che questo capitolo non ti abbia fatto troppo schifo ahahaha
non
manca molto alla fine della storia, direi tre capitoli + epilogo (tra
l'altro ho in mente una sorta di os/missing moment per non farci
mancare niente ahahah)
e quindi niente ahah fatemi sapere!
a
presto,
caterina
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Capitolo otto ***
Plastic dolls
Capitolo otto
La
mattina dopo, Louis si sveglia con la schiena dolorante e delle dita
leggere
tra i capelli. Prende un respiro profondo e fa un verso di
apprezzamento mentre
sente la propria cute massaggiata abilmente.
Apre
gli occhi lentamente, mettendo a fuoco, e sorride di riflesso quando
vede il
volto divertito di Leah. Non è truccata ma la sua carnagione
è decisamente più
colorita di ieri sera, così come i suoi occhi verdi e le sue
labbra carnose.
“Buongiorno”
mormora lei mentre sorride, è in imbarazzo ma
contenta.
Toglie la mano
dai
capelli di Louis e l’appoggia sulla propria gamba, senza
però alzarsi dal
divano. Louis le sorride ancora di più: ha deciso che la sua
voce gli piace.
“Buongiorno”
risponde poi, col tono roco e la bocca impastata.
Si
ritrova a far vagare la propria mano sul fianco della ragazza,
distrattamente,
come se fosse qualcosa di abituale.
“Grazie
per ieri sera – dice Leah qualche secondo più
tardi, senza scostarsi e
scostarlo – e scusa, non dev’essere stata una cosa
particolarmente
entusiasmante”
Louis
afferra lo schienale del divano e si mette a sedere, sentendo le ossa
scricchiolare: “Non ti preoccupare – scrolla le
spalle e si passa una mano sul
volto – e anzi, ho sempre voluto provare i panni del principe
azzurro”
Leah
ridacchia ancora e si alza in piedi con un movimento leggero, poi lo
guarda
sopra i suoi tacchi e gli tende una mano:
“Colazione?” chiede.
Louis
si inumidisce le labbra prima di afferrarle le dita affusolate e
alzarsi a sua
volta, constatando tristemente la loro – seppur minima
– differenza d’altezza.
Leah
probabilmente intuisce i suoi pensieri, perché scoppia a
ridere e gli volta le
spalle, iniziando a camminare verso la cucina.
E Louis
pensa che gli piace sì
la sua voce, anche i suoi capelli e le sue labbra e pure
i suoi occhi e quel neo che ha sul viso, ma neanche il lato B
è così
male.
Lei si gira
un’ultima volta prima di scomparire in corridoio e il ragazzo
la sente
ridere più forte.
Sorride
anche lui.
Billie
lancia un’occhiata all’ultimo piatto che Harry ha
appena appoggiato sulla
penisola in marmo della cucina e storce la bocca: “Non ti fai
mancare proprio
niente” mormora, ancora assopita.
Il
ragazzo accenna un sorriso imbarazzato e guarda la tavolata ormai colma
di robe
da mangiare, poi scrolla le spalle e: “Siamo in
cinque” si giustifica.
“Cinque?”
domanda la ragazza, confusa. Si è legata i capelli e sta
indossando i vestiti
della sera prima e un maglione largo di Harry – che ha preso
senza chiedergli,
ovviamente - .
Il
campanello di casa suona tre volte, facendo bloccare la risposta del
ragazzo,
che esce dalla cucina velocemente, scontrandosi con Leah e Louis.
“Servitevi
pure” offre Harry, congedandosi.
La
ragazza spalanca gli occhi nell’osservare l’isola
della cucina. C’è davvero tanto
cibo. Latte, una caraffa di tea,
una scatola di biscotti, una di cereali, qualche spicchio di torta al
cioccolato e un paio di striscioline di bacon abbrustolite accanto a
qualche
uovo strapazzato.
Poi
guarda Billie, che la sta osservando, e storce il naso, un
po’ intimidita.
Louis
la supera, mormora un ‘buongiorno’ rivolto alla
bionda e l’affianca
tranquillamente, sedendosi sullo sgabello accanto al suo.
Leah
invece sembra decisamente più combattuta. Tentenna sui
tacchi per qualche
secondo di troppo, poi alza gli occhi al cielo e s’avvicina,
sedendosi davanti
all’amica.
“Buongiorno
raggio di soli!”
Nick
Grimshaw e la sua inimitabile pelliccia leopardata lunga fino ai
fianchi
entrano in cucina qualche secondo più tardi.
L’uomo fa un sorriso dentato a
tutti, per poi soffermarsi sul ragazzo e aggiungere un
“Louis” a mo’ di saluto.
E, per
chiarirci, a Louis Tomlinson non è mai piaciuto Nick
Grimshaw. Forse nel 2011,
quando aveva ancora i capelli a scodella e cinque chili in
più.
Adesso,
se potesse, lo prenderebbe a schiaffi perché è ovvio che le frecciatine che lancia in
trasmissione siano solo per
lui.
Quindi
“Che diavolo ci fai tu qui?” esclama, indispettito.
L’uomo
sorride sghembo in una maniera che assomiglia in modo inquientante a
quella di
Harry e fa un passo avanti, aggiustandosi il pellicciotto che indossa:
“Un
uccellino mi ha detto che le mie bamboline erano qui –
risponde, facendo
l’occhiolino a Leah che sorride – così
ho pensato bene di unirmi a voi per
colazione”
Louis
aggrotta le sopracciglia e si volta verso le due ragazze: “Lo
conoscete?”
domanda.
Le due
annuiscono all’unisono, e il ragazzo si massaggia le tempie,
sospirando.
Harry
entra in cucina, dà una pacca sulle spalle e Nick e poi
un’altra a Louis,
“Caffè?” chiede.
Billie
osserva curiosa l’abbigliamento di Nick, focalizzando la
propria attenzione
sulla penna che sbuca anche oggi dal taschino della sua t-shirt
strategicamente
bucata.
“Senza
zucchero” risponde qualche secondo più tardi, in
un mormorio.
Nick la
guarda di rimando, poi segue il suo sguardo e sorride:
“Bella, vero? – borbotta
orgoglioso, riferendosi alla maglietta – Milleduecento
sterline mai spese meglio”
“Milleduecento
sterline per una maglietta bucata?” esclama Louis,
spalancando gli occhi.
“Bucata
ma firmata” lo corregge
l’uomo,
togliendosi finalmente il pellicciotto e posandolo sul tavolo a lato
della
stanza.
Il
ragazzo scuote la testa esasperato e sbuffa: “Non
capirò mai il mondo della
moda – dice, aggrottando le sopracciglia e dando una girata
al suo tea alla
vaniglia – Le firme, gli stilisti, le
modelle…”
“…I
modelli…” ghigna Nick, facendo sorridere ancora
Leah.
“Bah
–
Louis sospira profondamente – assurdo. Alla fine sono solo
vestiti”
Harry
si gira nella sua direzione, la caffettiera in mano e il fuoco appena
accesso,
e: “Non è molto carino da dire, Lou” lo
riprende, indicando le due ragazze con
un cenno del capo.
L’amico
sembra accorgersi solo in quel momento di ciò che ha appena
detto e
s’irrigidisce: “Con questo non voglio offendere
nessuno! – si giustifica subito
– Era solo una costatazione”
Leah fa
un gesto incurante della mano e: “Non ti devi preoccupare di
noi – lo
tranquillizza – Ne abbiamo sentite di peggio, non sei il
primo né l’ultimo ad
avere questa visione. Anche per noi ogni tanto sembra
tutto…mhm, esagerato”
“Ah
sì?
– Nick si fa curioso e serio mentre si siede
sull’ultimo sgabello disponibile,
davanti alla mora – Invece sembrate parecchio abituate a
tutto ciò che vi
propongono”
“Non
siamo abituate – ribatte Billie, inclinando il viso nella sua
direzione – siamo
stanche. Stanche di non mangiare, stanche di sfilare in abiti troppo
stretti,
in scarpe di misure più piccole, della gente che ci scambia
per animali da
circo, delle merde dei nostri coinquilini e dell’agenzia per
cui lavoriamo”
“E
perché non ve ne andate?” domanda Louis, pratico.
“Per
lo
stesso motivo per cui non lo fate voi” risponde lei subito.
Louis
non fiata per il resto della colazione.
La
metropolitana traballa un po’ troppo per il mal di testa
apocalittico di
Billie. Se ne sta seduta con le gambe accavallate e la testa piegata da
un
lato, gli occhi chiusi e Leah di fianco.
Hanno
ancora la bellezza di tredici fermate davanti a loro ed è
davvero un miracolo
che siano riuscite a sedersi in due
in un posto che a malapena contiene un
solo sedere.
E tutto
questo perché una modella la riconosci ovunque.
“Potevi
risparmiarti certi dettagli” borbotta Leah qualche minuto
dopo, fissando i
pantaloni dell’uomo davanti a lei.
Billie
non apre gli occhi ma sospira un po’ più
rumorosamente, “Sii più specifica”
dice di rimando, apatica.
“Hai
parlato per tutta la colazione di tutto
ciò che facciamo – spiega Leah, aggrottando le
sopracciglia quando la
metropolitana inizia a rallentare – Sembrava lo facessi
apposta. Nick ti
chiedeva una cosa e tu aggiungevi particolari; la volta in cui Sid era
così
fatto che ti ha sbattuta al muro, quella volta in cui sono stata a
digiuno per
quattro giorni e anche lo stipendio che aumenta
se…”
“Se
succhiamo il cazzo alle persone importanti? – la interrompe
Billie, sorridendo
ancora a occhi chiusi – La nostra dieta? Lo sfruttamento che
subiamo tutti i
giorni e la violenza psicologica che patiamo se sgarriamo col cibo? Ho
semplicemente
spiegato il perché del nostro rifiuto a tutte quelle robe in
tavola, mi
sembrava carino”
“Sono
tutte stronzate – Leah sbuffa e si volta a guardarla, la
metro riprende – tu non
fai qualcosa perché ti sembra carino.
Le tue azioni hanno sempre un secondo fine. Perché hai detto
tutte quelle cose,
Billie? – richiede, senza preoccuparsi delle altre persone
nel vagone – Sai non
possiamo andare a dire in giro come funziona il sistema, è
una regola”
Billie
non risponde subito, fa oscillare il capo un paio di volte e poi apre
gli
occhi, accennando un sorriso di chi ha già capito tutto.
Si
volta verso Leah e: “Ti piace la penna di Nick
Grimshaw?”
Harry
fissa il proprio telefono come farebbe se avesse dodici anni.
Ne ha
diciannove e fra non molto addirittura venti e comunque Billie gli ha
detto “ti
chiamo”.
Harry
sa che lei lo ha detto perché lui l’ha sentita,
quando l’ha accompagnata alla
porta.
Non si
sono baciati e quella patina di logorante routine gli sta praticamente
annebbiando la vista. E solo adesso si rende conto che Billie gli manca
già più
di quanto dovrebbe.
E questo
è, beh, un gran casino.
ok
mancano due capitoli (+ epilogo) alla fine di questa storia!
mi
fa stra piacere sapere che questa follia di trama vi continui a piacere
perché davvero io sto soffrendo come un cane se penso a
questi personaggi
ah,
per quanto riguarda il missing moment, non so proprio se farlo a mo' di
epilogo oppure fare proprio una cosa a parte!
non
lo so, adesso vedrò
comunque
grazie di cuore per le recensioni e per seguire la storia e seguirmi un
po' ovunque :)
fate
attenzione ai particolari di questa storia, spero che il capitolo vi
sia piaciuto!
a
presto,
caterina
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Capitolo nove ***
Plastic dolls
Capitolo nove
Billie Newton
smette completamente di leggere i messaggi di Harry Styles una mattina
di
gennaio.
All’inizio
usa la solita scusa, un impegno qua, un viaggio lì, un set
fotografico in Francia e una riunione spostata di qualche ora. Si
vedono tramite amici in
comune qualche sera, si baciano nascosti in qualche bagno di qualche
lussuosa
casa fino alla Vigilia e poi Harry parte per il Cheshire.
Le
chiede se vuole accompagnarlo tramite una telefonata, “So che
non hai un bel
rapporto coi tuoi genitori e, insomma,
casa dei miei è parecchio grande…” le
dice e ha la voce tempestata da sintomi invernali che per un attimo la
fanno
sorridere.
“Non
posso” risponde però, sedendosi sul proprio
materasso, tra le coperte
aggrovigliate e i vestiti stropicciati.
“Oh – Harry è deluso,
si capisce e Billie
non è stupida – d’accordo. Ci vediamo
l’anno prossimo allora”
Riattacca
lei cinque secondi più tardi, poi spegne il telefono e passa
tutte le vacanze seduta
contro il muro, le gambe strette al petto. Si alza solo per le cose
importarti,
cede al cibo – due pacchetti di cracker integrali –
il quinto giorno.
Non
pensa, non parla neanche con Leah quando questa entra nella loro camera
e la guarda
preoccupata, neanche quando le si siede accanto e l’abbraccia
e neanche quando
Sid organizza una festa per Capodanno nell’appartamento.
Il tre
gennaio apre la finestra e si fa la doccia più lunga di
tutta la sua vita, poi
accende il telefono e risponde con qualche smile agli auguri dei suoi
genitori.
Harry
le ha mandato in tutto tre messaggi.
Il primo
è del venticinque, recita un
semplice “Buon Natale. x”
, il
secondo è arrivato qualche minuto dopo l’inizio
del 2014 e dice “So che
è un po’ stupido, ma mi piacerebbe
passare questo nuovo anno con te. E forse anche tutti gli altri. Auguri
x”
L’ultimo
è di ieri, e Billie alza un angolo della bocca in segno di
rassegnazione, poi
cancella il suo numero dalla rubrica e prende il primo autobus per
l’agenzia.
“Vorrei
che tu fossi qui”
Il tredici
gennaio, Burberry organizza la
sfilata di apertura dell’anno con la collezione primaverile.
Una delle stylist
le ha spiegato che il tutto si concentra sui colori sgargianti, Billie
ha
ascoltato fino a quando ha potuto e poi ha appoggiato il capo contro la
spalla
di Leah, che ha ridacchiato e atteso paziente che finissero di dettare
l’organizzazione.
Ci sono
cinquantatré modelle, Leah è la numero quarantuno
e Billie la
trentanove.
Hanno
fatto le prove per tre giorni di fila, il capannone ha quel tema che
s’affaccia
sul futurismo e ci sono già i primi fotografi.
La
truccatrice sta passando un pennello ricoperto di ombretto rosa sulla
palpebra
destra di Billie, mentre uno dei tanti parrucchieri le sta alzando i
capelli in
un’acconciatura un po’ troppo eccentrica per i suoi
gusti.
Lei
indosserà un cappotto lungo, una gonna a scacchi fino al
ginocchio e una
camicetta trasparente con un paio di zeppe bianche.
A Leah
invece hanno dato un vestito nero, da sera, con un giacchetto grigio e
un paio
di saldali con i calzini.
Questa, seduta davanti a uno dei tanti
specchi
del camerino, sta raccontando della sua uscita con Louis Tomlinson,
interrompendosi
ogni volta che la truccatrice ripassa il colore scarlatto delle sue
labbra con
il pennellino.
“Non
siamo amici perché non
siamo amici – dice, guardando nel riflesso la figura di
Billie, seduta accanto a lei – Ma non siamo neanche qualcosa
di più perché non
ci siamo ancora baciati”
“Però
ti piace” sottolinea la bionda, con un sorriso.
“Beh,
a
chi non piacerebbe? –
ribatte Leah,
ridendo a occhi chiusi – Insomma, è giovane,
carismatico, bello e ricco”
Billie
inclina la testa, “Sai come la penso” borbotta,
guardandola di sfuggita.
“Sei
troppo negativa, darling
– sbuffa a
quel punto l’amica, mentre il parrucchiere le copre il volto
e spuzza della
lacca sulla sua treccia nera – E poi, dopo tutto quello che tu hai detto
riguardo la nostra vita in quella famosa
mattina a casa di Harry Styles, è una fortuna che Louis mi
voglia ancora
frequentare”
Billie
non risponde ed evita di mordersi il labbro per evitare di essere
rimproverata
dalla truccatrice.
“Comunque
ti vedo più tranquilla, oggi – le fa notare Leah,
qualche minuto più tardi – Di
solito sei sempre agitata. Successo qualcosa?”
Si
stringe nelle spalle.
Indifferenza.
“Ho
preso qualcosa per calmarmi”
Billie
Newton e Nick Grimshaw hanno la loro conversazione più lunga
il cinque gennaio.
Lei
arriva in ritardo al bar dove si sono dati appuntamenti e poi dritta al
centro
della questione, senza giri di parole.
Nick Grimshaw
ha già ordinato un Martini perché sa che
sarà una lunga chiacchierata. Incrocia
le dita di entrambe le mani sul tavolo, sorride e poi, finalmente, si
concede
di togliersi il cappotto con tanto di taschino.
“Credevo
ci avresti messo di più a capire” mormora, e poi
comincia a raccontare.
Il
rinfresco post sfilata è in uno degli Hilton della
città.
Ci sono
un sacco di celebrità, Leah ha già postato su Instagram una
selfie con Rita
Ora, Tom Daley, Georgia May Jagger e con Kelly Osbourne.
La gente
si complimenta con lei, le regalano sorrisi e lei si mette in posa per
i
fotografi mentre risponde alle domande dei giornalisti.
Intercetta
Nick a lato dell’immensa sala e subito dopo sente una
presenza al suo fianco.
“Bonjour
mon amour” la
saluta Louis, un sorriso
dolce sul volto e uno smoking elegante che lo rende ancora
più bello.
Leah
ridacchia per il suo accento storpiato e gioca con il bicchiere di
champagne
che ha tra le mani: “Il francese non è il tuo
forte, sai?” lo rimbecca,
divertita.
Il
ragazzo le appoggia una mano sulla schiena per invitarla a seguirlo ed
esibisce
un’espressione fintamente scioccata: “..E io che
ero venuto qui apposta per
te..” borbotta, mascherando un sorriso.
“Che
gentiluomo”
dice Leah e vorrebbe baciarlo.
Louis
le sorride ancora con una strana luce negli occhi chiari, poi la porta
al
bancone della frutta e: “Hai mangiato?” le domanda,
apprensivo.
Lei
annuisce subito e lui sbuffa: “Una mela” la
rimprovera, indicando col capo il
cesto di frutta curato nei minimi dettagli.
Leah
alza gli occhi al cielo, ma gliene è segretamente grata.
E forse
Billie si sbaglia, pensa, percependo ancora la sua calda mano sulla
schiena,
forse una chance, ai cantanti delle boy band, bisogna pur darla.
L’hotel
è immenso e lei è alla disperata ricerca di un
bagno. È al decimo piano o forse
al terzo, la testa le gira da fare schifo e i tacchi sembrano
stringerle i
piedi all’inverosimile.
Billie
si appoggia al muro del corridoio e chiude gli occhi.
Non voleva
davvero scappare
dal rinfresco, ma improvvisamente tutto le è sembrato soffocante, troppo anche per lei,
abituata a stare in gabbia e a dieta.
Ha in
faccia ancora i resti del trucco e tutto quello che adesso vorrebbe
fare è
sedersi sulla moquette sotto ai suoi piedi e dormire per secoli interi.
Quando,
dopo la sfilata, Leah le ha chiesto di nuovo se stesse bene, Billie ha
accennato
vagamente ad una tisana tranquillante, ma in realtà stanotte
è entrata nella
stanza di Sid e Calvin e ha preso qualche flacone di calmanti di cui il
primo è
ormai dipendente.
Ha
preso tre pasticche blu, di quelle un po’ ovali e grandi, e
adesso tutto gira.
Non
manca tanto, comunque. Tutto questo sta per finire.
I suoi
sensi vacillano ma riesce comunque a distinguere il rombo dei suoi
pensieri e
il rumore dei passi dietro di lei.
Stringe
più forte le palpebre, quando Harry inizia a parlare.
“Puoi
anche scappare tutte le volte che vuoi se questo serve a farti sentire
grande –
non sta urlando, ma la sua voce graffia forse ancora di più
– Puoi evitare le
mie chiamate, spegnere il telefono e non rispondere ai messaggi, ma sai
una
cosa, Billie? Mi sono rotto il cazzo, adesso”
Lo
sente fare qualche passo verso di lei, senza raggiungerla. Billie
appoggia la
testa contro il muro del corridoio e si chiede quante stanze,
all’incirca,
possiede questo hotel.
“Possiamo
fare sesso, se questo può farti sentire meglio, possiamo
anche passare la notte
a parlare di stronzate, ma devi smetterla di giocare a questo gioco in
cui solo
tu detti le regole”
Billie
apre gli occhi pesanti e li punta sulla figura di Harry.
Indossa dei
vestiti
scuri ed è serio, bello da togliere il fiato.
Non
risponde.
Lui fa
un altro passo.
“Per
tutto questo tempo ho pensato di aver conosciuto qualcuno che mi
capisse al
volo – mormora ancora Harry, come se stesse riflettendo con
sé stesso – Ti ho
dato troppa importanza, ti ho messa su un livello su cui tu non riesci
a stare
perché l’unica cosa che hai mai fatto nella tua
vita, oltre che fregartene di
tutti quanti, è quella di essere bella. Tu sei qui
solo perché sei bella”
Lui stringe
i pugni forte, ma non la guarda e anche se fa davvero tutto male,
Billie sa che
non lo pensa davvero. Sa anche di meritarsi tutta quella pagliacciata e
pure il suo
tono arrogante.
Sorride,
quindi e: “Non è lo stesso motivo per cui sei qui
anche tu?” gli domanda.
E
può
vedere quanto le sue parole lo abbiano sgretolato, perché
gli occhi di Harry si
spengono contro il pavimento, prima che torni a fissarla con una rabbia
quasi
cieca.
Neanche
lei lo pensa, ma forse così, un giorno, farà meno
male.
Harry
è
davanti a lei con una falcata, la spinge contro il muro sovrastandola
col suo
peso e togliendole il respiro per un istante.
Non
parla perché è troppo furioso, ma la guarda
intensamente, soffiandole il
proprio respiro irregolare sulle labbra.
Billie
gli accarezza uno zigomo irrigidito, sorridendo come chi non vuole
piangere.
C'è
un cambio di atmosfera, adesso.
“In
un’altra
vita – gli sussurra – mi sarei potuta innamorare di
te”
“Se
tu
mi avessi dato più tempo – le confessa lui, la
voce vellutata solo grazie al tocco delle sue dita – ti
amerei già”
“Io
non
ci posso rimanere qui – balbetta Billie, con il tono
incrinato e le mani che
gli stringono le braccia – Non ce la faccio. È
troppo”
Harry
sospira ma le bacia la fronte, poi l’abbraccia e nasconde il
proprio volto tra
i suoi capelli. “Va bene così”
Billie
vorrebbe rispondere che non c’è proprio niente che
vada bene, ma sta zitta e
chiude gli occhi e forse così farà davvero meno
male.
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Capitolo dieci ***
Plastic dolls
Capitolo dieci
Il tetto di Chapman Street, senza Billie, è tutta un’altra storia.
E okay, ci sono i messaggi nella segreteria telefonica di Louis Tomlinson, le sigarette dell’India e le scarpe firmate, però Leah lo percepisce, che manca qualcosa.
Così come nella loro stanza si nota l’armadio vuoto vicino al suo, l’altro letto che nessuno sta più usando, niente più l’odore di colonia italiana, niente spazzole di capelli biondi, niente più discorsi silenziosi.
Billie è andata via.
A Leah fa un po’ ridere tutta questa situazione, se fosse stata più furba, forse, avrebbe capito tutto molto più velocemente.
I fondotinta e i mascara le hanno tolto la sensibilità alle piccole cose che non siano firmate, e Leah adesso capisce un po’ tutto.
E magari Billie le avrebbe anche potuto lasciare una di quelle lettere strappalacrime che si vedono nei film americani, se non fosse sempre stata troppo pigra anche nel dire addio.
Forse, riflette con la quarta sigaretta in bocca, non c’è stato nessun addio e neanche un ciao. Un “torno dopo”, un “ci vediamo a casa”.
Leah non ha pianto, quando è tornata a casa dall’Hilton e ha visto metà della sua camera vuota. Non piange neanche adesso contro il tramonto grigio di Londra.
E se qualcuno se lo stesse chiedendo, è tremendamente incazzata con Billie per averla lasciata da sola. È andata via senza avvisare nessuno, né l’agenzia, né i loro coinquilini e neanche Harry Styles.
Sono passate più di 72 ore e Leah non ha provato a scriverle nessun messaggio. L’ha lasciata andare perché Billie ne aveva bisogno e Leah è insensibile abbastanza da sopportare tutto quello da sola.
Il suo ultimo augurio personale, mentre spegne la sua sigaretta, è quello che almeno, una delle due, stia bene davvero.
Il portone si apre sul tetto con un piccolo urlo schifato.
Leah appoggia più comodamente la schiena contro il cornicione, voltando la testa e sorridendo sghemba al nuovo arrivato.
“Questo posto fa schifo”
“Ciao, Nick”
Nick Grimshaw si lascia cadere di fianco a lei sollevando le ginocchia bucate dei jeans e appoggiandoci sopra i gomiti.
Devono essere passate le otto di sera e c’è davvero buio adesso, oltre che freddo e il pacchetto di sigarette quasi finito.
Leah ha i capelli legati, senza trucco, il telefono spento nella borsa e la borsa chiusa.
Nick indossa un cappotto verde bosco e un’espressione seria che in un’altra circostanza, a Leah, avrebbe messo ansia.
Continua a fumare.
“Si chiamava Noel Piotrowski – Nick parla con un sorriso sfumato, come se si fosse perso ancor prima che iniziasse – ma per gli amici era semplicemente Penny. Per me, invece, era il ragazzo più bello del mondo”
Leah si volta verso di lui, colpita, e Nick sorride ancora di più: ha fatto centro.
“Ventidue anni, – continua a spiegare – l’ho conosciuto durante la settimana della moda di un paio di anni fa. Era alto, e magro. Mezzo russo e con gli occhi più belli che avessi mai visto. Me ne sono innamorato nel momento in cui mi ha detto che avevo una camicia buffa”
Nella testa di Leah iniziano a fabbricarsi milioni di ipotesi su dove questa storia voglia condurre, la sigaretta che adesso si consuma da sola.
“Gli ultimi giorni era sempre più nervoso e stanco. Mi diceva di non preoccuparmi e io facevo finta di non farlo per non perderlo. Aveva smesso di mangiare, ingeriva quintali di vitamine e tranquillanti e poi vomitava tutto di notte – l’uomo congiunge le mani che hanno iniziato un po’ a tremare e forse non è colpa del freddo – Sono stato uno stupido e non mi sono accorto di quanto il problema fosse grave…è morto il giorno dopo il mio compleanno”
È come se tutto si bloccasse e ricongiungesse nel modo corretto il secondo successivo, Leah guarda il volto scavato di Nick e sembra vecchio di una quindicina d’anni in più. Non c’è più alcun cenno di malizia tra le ossa della sua faccia.
C’è dolore, e rabbia. Tanta rabbia.
“I giornali tendono a prendere solo il lato peggiore di te – l’uomo esala un sospiro, alza un angolo della bocca però non sorride – ma lui, Noel, era senza dubbio la parte migliore della mia vita. Forse è per questo che è morto nell’anonimato, dentro il bagno del mio appartamento”
Leah non dice ‘mi dispiace’ perché ha imparato che in circostanze come queste, le parole sono inutili. Che quando ti manca qualcosa che non può tornare, poi diventa tutto un “mi dispiace”. E okay, mi dispiace, e quindi?
Appoggia, piuttosto, le sue lunghe dita sul ginocchio scoperto di Nick, che è teso come un violino.
“La polizia ha archiviato il caso – procede – classificato come l’ennesimo mix di alcool e pillole. Quando sono andato all’agenzia per cui lavorava e per cui lavori tu tutt’ora, quegli stronzi mi hanno detto che Noel lo sapeva, era il suo lavoro, correva il rischio e basta. Non hai idea di quanto questo mi abbia fatto incazzare”
“E di tutta questa storia – mormora Leah, cauta – Billie ne è al corrente?”
A quel punto Nick mostra i denti in un sorriso divertito, scuotendo la testa con fare incredulo: “Billie è più intelligente di quanto pensassi – ridacchia – Ha capito il mio piano prima ancora che lo mettessi in atto. Ho pensato che se avessi mostrato a...qualcuno ciò che Noel aveva passato, avrei trovato un po’ di conforto. Immagino che Billie volesse solamente aiutarmi facilitandomi il compito”
“Parlava sempre della tua penna – ricorda la ragazza – stava cercando di farmi capire tutto”
“Ci ha fottuti entrambi” ghigna Nick e si accende una sigaretta.
“E se n’è andata via”
“Tornerà” dice lui semplicemente.
Leah tace per qualche altra boccata.
“Ho raccolto circa trenta testimonianze – l’uomo parla minuti più tardi, la voce resa rauca dal fumo – tu e Billie siete state essenziali, così come tutte le vostre colleghe che ho raggirato con la stessa scusa del documentario. Ho collaborato con la polizia e mi sono sentito James Bond ma più gay. La settimana prossima avvieranno le pratiche per il processo, le accuse sono pesanti, sai? – si volta a guardarla – La Blue Jeans Agency è destinata al fallimento”
“Era ora” sorride Leah e si alza in piedi.
L’incazzatura con Billie c’è ancora e resterà finché non rivedrà le sue chiappe bianche un’altra volta, ma subito dopo questo c’è la consapevolezza che non l’ha lasciata sola. È tutto finito.
Ci sarà tempo per altre spiegazioni, tempo per testimoniare e cercare un’altra agenzia, tempo per piangere e salvarsi (magari tra le braccia di Louis).
Aiuta Nick a rialzarsi a sua volta e dice solo: “Sembra figa la storia del documentario” mentre infila le mani in tasca e si avvia verso la porta per le scale.
“Ah sì?” fa Nick, di rimando.
“Già, dovresti proporla a qualcuno in grado di mettertela a posto. Potresti diventare un ottimo regista”
L’uomo ride, aprendo l’uscio e scostandosi per farla passare: “E sentiamo, come dovrei chiamarlo, questo fantomatico film?”
Leah si fa seria, ci pensa un po’ e poi lo guarda: “Chiamalo ‘Plastic dolls’”
“Tu mi hai detto che se ti avessi dato più tempo, avresti potuto innamorarti di me. Io non lo so che cosa siamo, se siamo ancora qualcosa. So che sarei voluta restare a sentire le tue parole con la musica in sottofondo per tante altre sere. E in una di queste mi sarebbe piaciuto fare l’amore con te e poi svegliarti con un bacio e fare un milioni di altre cose di cui mi vergogno ma farle solo con te.
Io non lo so cosa siamo, Harry. Ho imparato che le etichette sono costose e certe volte scadenti. Allora forse è meglio rimanere così, senza nome, magari con qualche speranza in più.
Io torno, nel caso mi rivolessi ancora.
Torno con tutto il tempo del mondo.
Buonanotte xx”
|
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Epilogo ***
Plastic dolls
Epilogo
Il messaggio di Nick è stato più conciso di quanto Harry si aspettasse. Nessuna richiesta, più che altro un vero e proprio ordine.
“Non puoi mancare stasera. Non mancare”
In effetti è un po’ che Harry manca, anche se tende sempre a non farci caso. Manca gli scalini del suo appartamento, o la doppia porzione di zucchero nel caffè. Manca le due passate di gel tra i capelli, le asole delle camicie, manca i buchi dei lacci nelle scarpe, manca in qualche specchio o in qualche intervista.
A volte vorrebbe semplicemente stringersi così tanto la testa da far uscire tutto, smettere di ricordare qualsiasi dettaglio ormai troppo affilato, ogni tipo di dialogo fatto, qualche pezzo di sorriso che di notte non riesce a farlo dormire.
Harry ha sempre creduto nell’amore, non è il tipo da una vita solitaria. Lo stare solo gli dà quel senso di claustrofobia che non ha niente a che fare con quella sul palco. Stare da solo, per lui, implica il sentirsi solo, che è ancora peggio.
Ogni tanto prova a chiedersi come abbia fatto ad innamorarsi così tanto e così presto di un corpo così piccolo, di un paio di occhi così banalmente azzurri dietro quelle ciocche così comuni. Di quel sorriso sghembo di chi non è abituato a ribattere, di quelle parole messe lì in notti come le altre che però avevano quella sfumatura di verità che ancora adesso riesce a farlo tremare.
Qualcuno gli ha ripetuto che sì, beh, ce ne sono a milioni come Billie. E lui continua dire che lo sa, certo. Ma non basta, capito? Perché è Billie quella che lo accarezzava così dolcemente, era Billie che gli parlava, Billie a sussurrare, a ridere contro di lui, Billie e solo Billie a baciare con quella forza che sapeva di “anche io”.
Anche io ci sono passata, anche io vorrei solo chiudere gli occhi.
Harry è un tipo che alle persona ci si affeziona fin troppo presto, sua madre glielo ripeteva sempre. Forse per questo che si è messo il cuore in pace e a iniziato a mancare e soprattutto a sentire la mancanza senza farci caso. La mancanza di qualcuno che c’è stato solo per un secondo.
Billie lascia il segno, gliel’ha detto Leah una volta nell’appartamento di Louis.
E Harry avrebbe anche riso senza rispondere, con le guance più arrossate, se non fosse stato troppo preso a sentirsi un po’ più vuoto del solito.
E ci può mettere la mano sul fuoco e solo dio sa cos’altro, che i baci che gli dava Billie sapevano anche di anche io mi sto innamorando di te.
Nick Grimshaw gli viene incontro a braccia aperte, con quel sorriso obliquo che non promette mai nulla di buono. La sua terrazza sembra ancora più grande senza tutte le piante orientali e con quelle piccole luci colorate appese tra i pali della ringhiera.
C’è più gente di quanto si aspettasse, tutti finti hipster ricconi che pubblicano selfie su Instagram e si colorano i capelli di rosa.
Fa già buio, ma l’aria fresca che tira non è fastidiosa, Harry rilassa le sue spalle intrappolate nella sua camicia leggera e cerca di ricambiare il sorriso all’uomo che ha davanti.
“Harry! Come sei bello stasera”
Nick lo abbraccia con un’insolita eccitazione, ha le pupille leggermente più strette del normale e i capelli più lunghi dell’ultima volta in cui si sono visti.
Il ragazzo fa un paio di calcoli e si accorge che è passato più tempo di quanto pensasse.
“Sì, beh – tentenna, guardandosi intorno – anche tu”
Lancia qualche saluto qua e là, giusto per non sentirsi così tanto a disagio, e accetta di buon grado il bicchiere di champagne che Nick gli offre.
“È tanto che non ti fai vedere da queste parte – borbotta quest’ultimo – come stai?”
“Bene, suppongo – risponde l’altro, passandosi una mano tra i capelli che ha dimenticato di sistemare – e tu?”
Nick gli sorride ancora, stavolta quasi con dolcezza, come se avesse capito tutto. Gli accarezza una spalla e “C’è una sorpresa per te” gli mormora.
Harry aggrotta le sopracciglia e sta già pensando all’ultima sorpresa targata Grimshaw che ha ricevuto – una spogliarellista per i suoi diciannove anni. Grazie tante -, poi però l’uomo gli fa segno di girarsi e gli indica il dentro dell’appartamento.
Ed Harry improvvisamente sente tutto il corpo andare in escandescenza, le dita tramare e le guance a fuoco. Perché, dopo quasi quattro mesi di totale silenzio - mancanza -, sta guardando Billie Newton.
È seduta a gambe incrociate sul divano blu metallizzato, un bicchiere vuoto in mano e lo sguardo concentrato sulla ragazza con la quale sta parlando. Harry non riesce a capire cosa sta indossando, ma i suoi capelli sono più corti adesso e stanno fermi dietro la testa da un’acconciatura elegante.
Gli si è prosciugata la lingua e la gola e tutto il resto. Lei è lì e lui non ha parole.
“Questa è la faccia che ti volevo vedere addosso! – esclama Nick contento, schiaffeggiandogli amorevolmente una guancia – Vai a parlarle ora”
Harry vorrebbe tanto rispondere che non sa cosa dire, che dopo tutte le volte ha pensato e non ha dormito a causa di tutto quello che avrebbe voluto urlarle, adesso non ha più parole. È come se il suo cervello si rifiutasse di pensare a quanto sia stata mancanza ma che pensasse solo che adesso c’è. È presenza.
Inizia a camminare verso la finestra del terrazzo senza neanche rendersene conto, e già la può sentire, con il suo tono di voce basso e graffiante e la risata lenta.
Si passa le mani sui jeans e respira forte, leccandosi le labbra e schiarendosi poi la voce quando le è davanti. Billie e la ragazza con la quale sta parlando si bloccano, poi entrambe si voltano verso di lui, in piedi, incerto.
La bionda spalanca gli occhi per la sorpresa, ma poi sorride subito, con quell’espressione di chi ha appena trovato ciò che stava cercando.
“Harry” dice, senza smettere di sorridere.
“Già. Sono io” mormora lui di rimando, impacciato.
Billie ridacchia e appoggia il suo bicchiere vuoto sopra al tavolino davanti a lei, poi si congeda brevemente con l’altra ragazza e si alza in piedi.
Ha preso un paio di chili, e Harry pensa che sia ancora più bella.
“Ti va di andare a parlare da qualche parte?” gli domanda, con la fronte aggrottata.
Il ragazzo annuisce subito: “Non aspettavo altro” si lascia sfuggire.
Billie sorride, un sorriso dolce, “Sì, beh – lo osserva – prendi la giaccia però”
Finiscono inevitabilmente sul tetto del palazzo, appoggiati contro la ringhiera. Quando Harry fa per chiedere qualcosa, Billie scrolla semplicemente le spalle e risponde che è stato Nick a dirle di quel posto.
“Probabilmente – dice – è perché sapeva che avremmo parlato”
Restano in silenzio, comunque, per dieci minuti abbondanti. Fissano entrambi le luci di Londra che compaiono nel buio e le nuvole illuminate dalla luna che si spostano velocemente.
Non è un silenzio pesante, non è un silenzio che manca di parole. È un silenzio che avvolge, abbraccia.
Poi però, Harry sospira pesantemente e si sfila le mani dalle tasche della giacca, voltandosi a guardarla.
“Sei tornata?” le chiede, semplicemente.
Billie stringe le labbra e lo sguarda di rimando, gli occhi socchiusi e truccati: “Già – risponde, piano – La settimana scorsa, a dire il vero. Sono stata in tribunale martedì e giovedì, ho cercato casa e ho rivisto un paio di vecchi amici”
Harry annuisce lentamente, metabolizzando la questione: “È un gran casino” mormora poi.
Billie sorride, “Non c’è giornale che non parli dello scandalo ‘Plastic dolls’ – concorda – Hanno coinvolto tre agenzie per induzione alla prostituzione, sfruttamento minorile e istigazione al suicidio. È un gran casino, sì”
“Tu sai bene?” le domanda Harry.
“Starò meglio quando tutta questo finirà – sospira la ragazza – e tu?”
Harry si stringe nelle spalle: “Vado avanti? – risponde, ma sembra più altro una domanda – Sono stati mesi, ehm, vuoti. Ho perso il filo logico di un paio di cose. Spero di stare meglio anch’io, prima o poi”
“Io non scherzavo quando ti ho detto che tornavo – è ciò che gli dice Billie, il tono serio e il sorriso scomparso – So che probabilmente ti ho dato l’idea di essere una codarda, ma c’erano troppe cose che dovevo mettere in ordine nella mia vita. Sono stata dalla mia famiglia, ho pensato e ho cercato disperatamente dormire”
Abbassa la testa, sorride e guarda davanti a sé, gli occhi lucidi.
“Ma poi pensavo al fatto che avessi, come dire, abbandonato tutti. Ho lasciato Leah nel momento del bisogno, ho lasciato Nick a combattere una guerra praticamente da solo e ho lasciato te con un misero messaggio alla Nicholas Sparks. Quando non riuscivo a dormire era perché pensavo al fatto che se ci fossero state le tue mani a toccarmi, forse avrei chiuso gli occhi e non avrei più avuto paura”
Ed Harry accanto a lei trema un po’. Ha una fitta che gli parte dallo stomaco e quasi lo fa piegare in due per tutta la sofferenza e la sincerità di quelle parole. Parole empatiche, parole giuste, perché probabilmente lui avrebbe detto lo stesso.
“Anche io – mormora infatti, le dita a stringere con forza la ringhiera – anche io non sono riuscito a dormire”
“Possiamo provarci – esclama Billie d’improvviso, guardandolo con una piccola scintilla di eccitazione – Provare a fare finta di niente. Possiamo conoscerci di nuovo, partire da zero come se fossimo due perfetti sconosciuti”
“Ma io sono innamorato di te” le ricorda Harry, d’impulso. Si morde forte le labbra quando capisce cosa ha appena detto, e Billie sorride dolcemente. Gli si avvicina, maliziosa, e gli stringe i fianchi, baciandogli il mento.
“E anche io – ridacchia – e quindi?”
Harry poi la bacia forte coi denti che sbattono e i nasi che si fanno male. E non c’è niente di più rigenerante che riempire i vuoti, sentire le farfalle nello stomaco e le ali tatuate sullo stomaco che prendono a volare perché si sta bene davvero.
Due mesi dopo Nick Grimshaw aprirà un’associazione per donne e uomini che hanno subito violenze sul lavoro, il nuovo cd degli One Direction sarà in vetta alle classifiche mondiali e Louis Tomlinson litigherà con una quindicenne su Twitter perché avrà insultato la sua fidanzata ufficiale.
Billie e Leah riprenderanno la loro carriera da modelle, vincendo la causa in tribunale e finendo a vivere insieme in un loft dopo Oxford Street.
Questa però, come si dice sempre, è un’altra storia.
ci sono un milione di cose che dovrei dire prima di passare ai ringraziamenti. questa è la storia più strana che abbia mai scritto e seriamente, non so proprio da dove mi sia saltata fuori se ci penso ahahaha
probabilmente questo epilogo vi lascerà con tanti di quei punti di domanda in testa da farvi chiedere del perché io non mi sia ritirata mesi fa ahahah
il fatto è che volevo far capire quanto non sia davvero tutto rose e fiori anche per chi apparentemente ha belle gambe, un buon lavoro, una bella voce e un bel ragazzo
tornando indietro avrei sicuramente scritto altro e forse avrei scritto di più, lasciato maggior spazio ai personaggi secondari e aggiunto qualcosa di meno angst
ma pultroppo - o per fortuna - è andata così! sono contenta perché è la prima fan fiction che porto a termine e come finale non mi dispiace granché
passando invece ai ringraziamenti, ormai non so più come farvelo capire ahaha
grazie, grazie e grazie di cuore per tutti i complimenti e le parole che avete sempre dedicato alla sottoscritta, sia nelle recensioni, sia su ask o facebook, ovunque!
grazie perché avete imparato ad amare personaggi che non sono stati delineati alla perfezione, perché li avete apprezzati nonostante tutto, grazie perché avete letto e perché state - spero - leggendo anche adesso.
non credo che questo sia un 'addio' a plastic dolls, perché avrei tanto di quel lavoro da scrivere ancora su billie, leah, louis e harry che probabilmente scriverò davvero il missing moment. vedremo :)
è tutto, per ora!
a presto,
caterina ❤❤
|
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2274488
|