Vecchi ricordi e nuove avventure... di Tomocchi (/viewuser.php?uid=123140)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Legame spezzato ***
Capitolo 2: *** Sorridi, Ranocchia! ***
Capitolo 3: *** Punch Rosso ***
Capitolo 1 *** Legame spezzato ***
ANOTHER
WAY
UN
ALTRO
MODO DI ESSERE VAMPIRO
Capitolo
Bonus
Legame spezzato
Stoccolma,
gennaio del 1699
Stoyán
si
era da poco seduto ad un lunghissimo tavolo, tamburellando le dita sul
piano
liscio di ciliegio e dando un’occhiata alla lussuosa stanza
in cui lo avevano
fatto accomodare, dove regnava un silenzio quasi innaturale.
Era ampia, ben strutturata e con un soffitto dipinto con scene tratte
da
antichi miti religiosi, probabilmente greci; agli angoli erano poste
delle
poltroncine molto comode di colore verde e oro,
così come attorno al tavolo c’erano molte sedie,
come se si fosse svolta da
poco una riunione. Alle pareti c’erano altri quadri,
raffiguranti delle persone
molto belle e con un’aria altezzosa, almeno una decina.
Voltò la testa quando sentì la porta dietro di
sé cigolare, da cui sbucarono
altre due persone, un uomo e una donna.
“Stoyán, che piacere vederti.”
Commentò la donna, alta, bionda e con un’aria
nordica, avvicinandosi a lui per accarezzargli le spalle.
“Nonostante tu abbia più di trent’anni,
sei sempre un bell’uomo…Come stai?”
“Bando ai convenevoli… come mai mi avete chiamato
qui? Chi è morto?” sputò
l’interpellato, tornando a fissare il tavolo con uno sguardo
spento.
L’uomo, che al contrario era poco più basso della
compagna e dai capelli
castano caldo, scoppiò a ridere, raggiungendolo a sua volta:
“ Sempre
perspicace…”
“Non sono stupido. Allora, chi è morto?”
richiese Stoyán, con un tono
impaziente.
“Hansel. Il solito motivo, per amore…”
commentò sprezzante il moro, continuando:
“ Ha privato di tutto il sangue la sua amata umana e,
impazzito, è uscito al
sole. Ha spaventato un paio di passanti, abbiamo dovuto andare a
rassicurarli e
ipnotizzarli per far credere loro che non fosse successo
nulla…”
Stoyán sospirò pesantemente, mentre una leggera
stretta gli attanagliava il
petto in una morsa.
L’ennesimo vampiro, che moriva per amore.
“Sii più chiaro Enrique, dove devo
andare?”
“Austria. Devi reclutarne uno nuovo, cerca di seguire
qualcuno di giovane, così
da potergli dire quanto più possibile dopo la sua
trasformazione.”
Già. Quando un umano veniva trasformato in vampiro, perdeva
sia l’anima, sia i
ricordi, e toccava al creatore raccontare quello che sapeva alla
propria
progenie. Non era possibile mentire, e questo faceva parte del legame.
“Ne sei in grado? Ci puoi riuscire, nonostante tu abbia perso
da poco…?”
domandò la bionda, prima di venir bruscamente interrotta.
“Posso farcela, Adelhild.”
Assicurò Stoyán, smettendo di tamburellare solo
per
stringere la mano in un pugno.
“Posso farcela.”
Belgrado,
16 agosto del 1717, notte
fonda
Stoyán
aveva
sudato freddo.
Il ragazzo che aveva scelto di seguire, Niklas Reiter, era stato
reclutato
nella battaglia austro-turca e, successivamente, gravemente colpito al
petto,
rischiando la morte.
Non poteva permetterlo, non poteva buttare tutti quegli anni che lo
aveva seguito
con attenzione.
Senza contare che quel ragazzo dai capelli castano scuro gli ricordava
terribilmente la persona che aveva amato anni fa, una persona che
aveva, però,
perso la vita.
Non sarebbe stato capace di sopportare una seconda perdita, non a
così poca
distanza l’una dall’altra.
Senza curarsi degli spari e dei colpi di cannone, l’uomo dai
lunghi capelli
neri, raccolti in una coda stretta, attraversò il campo di
battaglia e si
lanciò sul ragazzo per prenderlo tra le braccia e trarlo in
salvo, lontano da
quella pazzia.
Ansante e con l’adrenalina che gli scorreva in corpo, una
volta nella sua tenda
al sicuro, piantò i denti nel collo di Niklas e
iniziò a succhiargli del
sangue, poco meno della metà che aveva dentro di
sé e si staccò, mordendo poi
il proprio polso per far fuoriuscire il liquido rossastro e accostarlo
alle
labbra del giovane.
“Bevi.” Lo implorò, premendolo e
insistendo affinché se ne cibasse.
“Bevi!” gli
ordinò, ancora.
Era necessario per la trasformazione, o non si sarebbe salvato.
Ma fortunatamente, anche se il ragazzo era più
nell’aldilà che tra i vivi,
riuscì nell’impresa e avvenne quella specie di
trasfusione, che lo avrebbe reso
una creatura della notte.
Quando stava per finire, sul volto di Niklas apparvero smorfie di
dolore, la prova
che la metamorfosi stava avvenendo, e tolse il polso, per leccare e
cicatrizzare la ferita.
Stoyán non perse tempo e iniziò a scavare una
buca per poterlo sotterrare, come
la procedura richiedeva per completare la mutazione in vampiro.
Lo depose nella fossa e lo ricoprì di terra con attenzione,
cercando di
calmarsi e riprendere il controllo della situazione.
Era stato precipitoso, ma necessario.
Ora avrebbe dovuto aspettare il suo risveglio la notte dopo, sperando
che fosse
andato tutto bene...
***
Rinn,
provincia di Innsbruck, Austria,
fine agosto del 1717, sera.
Un vampiro.
Niklas era stato trasformato in vampiro da poco meno di una settimana
da un
uomo che diceva di chiamarsi Stoyán, e di averlo fatto per salvargli la vita, o
qualcosa di simile, ma
faticava a crederci.
Attorno a lui erano morti un sacco di uomini, quindi perché
lo aveva scelto tra
quelle tante vittime?
Qualcosa non tornava, ogni volta che chiedeva qualcosa relativo a
quella notte,
l’altro era sempre evasivo, o generico.
In quella settimana aveva bevuto il sangue da lui. Non
perché lo avesse voluto,
ma perché il corvino gli aveva spiegato che prima avrebbe
dovuto istruirlo di
come muoversi e di cosa comportava la sua nuova natura.
Il primo passo del suo ‘addestramento’ era tornare
nella sua terra natia, nella
città doveva aveva vissuto, per poter prendere gli effetti
personali.
Non avrebbe potuto parlare con la propria famiglia, perché
da quello che Stoyán
gli aveva raccontato, i suoi parenti erano molto cattolici, certamente
non
avrebbero accolto un cadavere maledetto a braccia aperte,
anzi…
Quell’uomo, quel Stoyán, era quindi
l’unica persona che gli era rimasta e sulla
quale poteva contare.
Sentì come una sensazione di familiarità, quando
mise piede nella piccola corte
davanti a casa.
Sensazioni, ecco cosa gli rimaneva. Aveva perso i ricordi, ma gli erano
rimaste
delle sensazioni, ed era una magra consolazione.
Strinse le labbra, mentre l’uomo gli faceva cenno di seguirlo
nella casa diroccata
di fianco.
Salirono delle scale che erano tutto fuorché sicure, e
raggiunsero il tetto,
notando che da quel punto si vedeva una stanza.
“La tua camera, Niklas. Ora dovremo entrare e prendere un
paio di vestiti, qualche
tuo oggetto e …qualcosa che per te significhi qualcosa.
Chiaro?” gli spiegò, in
un sussurro.
Il moro annuì, seppur non del tutto convinto, e insieme al
compagno saltarono
verso la finestra, aggrappandosi a una delle imposte a fatica.
Quasi scivolò, visto che era al secondo piano, ma piantando
le unghie nel legno
riuscì a sostenersi per un soffio, trattenendo il respiro
per lo spavento.
Facendo attenzione, Stoyán riuscì ad aprire la
finestra, penetrando all’interno
della stanza, che mostrava un letto, un armadio, una cassettiera, un
comodino e
una piccola scrivania, tutto rigorosamente in legno,
dall’aria ben tenuta.
Il ragazzo si guardò attorno, avvicinandosi
all’armadio e accarezzando un’anta
con lentezza, quasi trattenendo il respiro.
Non ricordava nulla, eppure tutto questo era appartenuto a lui.
Strinse le labbra, mentre il maestro prendeva dei vestiti e li buttava
alla
rinfusa in un sacco.
“Sbrigati!” sussurrò l’uomo
ancora, incitandolo a muoversi.
Niklas si riscosse e si guardò ancora attorno, alla
disperata ricerca di
qualcosa che potesse trasmettergli qualcosa.
Si avvicinò a quello che doveva essere il suo vecchio letto,
e prese un vecchio
animaletto di pezza che aveva la forma di un coniglio, cucito a mano.
Lo faceva sentire sicuro, protetto, legato a…qualcosa.
“Questo. Questo…significa qualcosa.”
Mormorò, deciso, lanciando un’occhiata
all’uomo, che annuì e gli indicò una
custodia.
“Prendi anche quella.” Ordinò, prima di
saltare di nuovo giù dalla finestra,
atterrando con grazia nella piccola corte.
Niklas lo fissò a bocca aperta, ammirato.
Il corvino gli sillabò un Salta!,
facendogli cenno con la mano di seguirlo ancora una volta.
Niklas deglutì a vuoto e, seppur tremante, saltò
a sua volta, stringendo i
denti e gli occhi per la paura di farsi male, ma il suo risultato fu
solo quello
di ruzzolare un po’.
Okay, non era stato per nulla figo come Stoyán…
Si rimise in piedi e seguì il maestro fino in strada e poi
nella stanza che avevano
preso per quella notte.
Una volta dentro, il maestro accese il cero e lo porse al neo vampiro,
serio in
volto.
“Ora dovrai bruciare quel pupazzetto.” Disse solo,
mentre il ragazzo sgranava
gli occhi.
“Perché?”
chiese, più perché era
sconvolto che per reale curiosità.
“È come una specie di taglio con la tua vita
precedente. Devi farlo, brucialo,
e sarà meglio. È come un rito di iniziazione, poi
riuscirai a bere il sangue
altrui.”
Il solo pensiero di bere del sangue, di essere umani…gli
faceva contorcere lo
stomaco.
Sospirò, tremante, e prese incerto la candela, mentre,
nell’altra mano, teneva
quel coniglietto di pezza. Sarebbe stato come bruciare una parte di
sé…
Lo sguardo del suo creatore gli metteva talmente pressione addosso che
decise
di compiere quel gesto.
“D’a…d’accordo.”
L’odore della stoffa bruciata era nauseante…
Così come la sensazione che si stava impadronendo di lui
dall’interno.
***
Russia, Odessa,
sul Mar Nero, anno 1801
Gli era
capitato il ragazzo più scansafatiche del mondo.
“Maestro, quando andiamo a casa?”
domandò Niklas, prendendo una delle ceste di
pesce che erano incaricati di portare al mercato. “Manca poco
al sorgere del
sole…”
“Lŭzhliv! Abbiamo ancora un’ora buona, piccolo mio.
Riusciamo a fare un altro
giro.” Assicurò l’uomo dai capelli neri,
fissando il ragazzo con severità ma
anche dolcezza.
Nonostante soleva lamentarsi spesso, alla fine era una buona compagnia,
e non
passava giorno in cui pensava di raccontagli la verità per
cui l’aveva scelto.
Solo che, ogni volta, qualcosa lo bloccava.
Aveva paura di allontanarlo da sé…
Gli accarezzò la testa e lo spinse in avanti, per farlo
muovere, seguito da uno
sbuffo imbarazzato del moro.
Il mercato di non era lontanissimo, e in quel periodo invernale la
notte durava
di più e significava più tempo per loro.
Una volta
consegnata la merce, vide Niklas adocchiare una donna dai capelli rossi
e dalla
carnagione chiara all’angolo della strada, intenta a
civettare con un uomo,
probabilmente un commerciante.
“…Maestro, cosa fa quella signorina?”
domandò il moro, con un’ingenuità che
poteva appartenere solo a un ragazzo ancora illibato, curioso ma anche
timoroso.
“Quella, pupillo mio, è una…prostituta.
Il mestiere più antico del mondo.” Rise
di gusto, circondandogli le spalle con un braccio, per stringerlo a
sé.
“Se facciamo attenzione, possiamo portarcela a casa come
cena.” Propose, girandosi
per guardarlo.
“V…va
bene…”mugugnò l’altro,
abbassando appena il capo, in imbarazzo.
“E or dunque andiamo.” lo esortò,
avvicinandosi alla signorina con un sorriso
sornione.
“Buonasera.” Salutò l’uomo,
facendo un piccolo inchino e dando un leggera
gomitata al suo allievo per intimargli di fare lo stesso.
“Buonasera.” Salutò affabile la donna di
rimando, lasciando perdere l’altro
uomo per dedicare più attenzione ai nuovi arrivati, molto
più invitanti e
probabilmente, danarosi.
“Vorrebbe accompagnarci sino alla nostra
abitazione?” domandò il corvino,
offrendole il braccio.
La donna sorrise, perdendosi nei suoi occhi neri.
“Con piacere.”
***
“Quello
che
devi ricordarti sulle donne è…”
Stoyán si era lanciato in un discorso dettagliato di cosa
dovevano fare gli
uomini in un letto, o possibilmente in un luogo comodo, con una donna.
“..trattarle con rispetto innanzitutto, e dedicare del tempo
ai preleminari,
che si eseguono facendo…”
Niklas era a dir poco allucinato da quello che stava udendo.
Gli occhi erano sgranati, la donna dai capelli rossi nella stanza
accanto al
corridoio dove era ora e il suo maestro stava facendogli una lezione di
educazione sessuale talmente dettagliata da far venire
l’ansia.
Lo trovava…terribilmente sconveniente!
“Ma…ma…” balbettò,
cercando di bloccare quel fiume in piena.
“Che c’è? Vuoi che te lo rispiego,
c’è qualche parte poco chiara?”
“NO!” Non voleva di nuovo udire – e
soprattutto immaginare quelle cose- “Ma…quindi
quella signorina serve per…”
“Ah, malandrino, vuoi andare subito alla parte interessante!
Certo, devi fare…”
No, non ancora!
Era sconvolto…
Il ragazzo si coprì, vergognoso, la faccia con le mani, e ne
voleva un altro
paio per tapparsi anche le orecchie.
“ …e mi raccomando, sii gentile anche alla fine e
chiedi loro se sono state
bene, se desiderano qualcosa o se…”
“N…non voglio nulla maestro, non voglio nulla di
tutto questo.” protestò
debolmente, lanciando un’altra occhiata alla signorina che lo
salutò maliziosa
con un cenno della mano.
ARGH.
Stoyán inarcò un sopracciglio, stranito:
“Un ragazzo della tua età, che
non…”
“Davvero, nulla.” Ripeté, sicuro come
non mai e terribilmente in ansia.
Il maestro sorrise, scompigliandogli i capelli per poi raggiungere la
signorina
in camera.
“Tu vai nell’altra stanza, ti chiamerò
quando sarà…pronta per la cena.”
Promise, chiudendo la porta.
Il sole era
sorto da almeno un’ora, ma le tende scure e i muri spessi lo
proteggevano dalla
luce e quindi dalla morte.
Anche se l’avrebbe volentieri preferita, visto i rumori che
sentiva nella
stanza accanto.
Tremendo.
Avrebbe solo voluto mangiare e andare a letto, complice anche la
stanchezza del
lavoro di quella notte, e invece…
Sospirò, appoggiato ad una colonna portante del muro, quando
vide finalmente la
porta aprirsi, dove fece capolino la figura del suo maestro, ancora
vestito.
…Cosa aveva fatto in quella camera allora? In effetti aveva
sentito solo gli
ansiti della signorina.
Deglutì a vuoto, mentre l’uomo gli faceva cenno di
avvicinarsi e di entrare
nella stanza.
“Io ho bevuto solo qualche goccio, il resto lo lascio a
te.” Soffiò, indicandogli
la donna stesa sul letto che aveva un’aria trasognata.
Si avvicinò a lei, titubante, e accostò le labbra
al suo collo, prima di
piantare i canini e iniziare a bere il suo sangue, ferroso e con un
retro gusto
salato che, in fondo, non era niente male.
Ormai quel senso di nausea che aveva provato le prime volte era
scomparso,
lasciandogli solo una fredda necessità, ovvero quella di
sopravvivere.
Era un predatore della notte, e come tale doveva nutrirsi.
E ci aveva preso anche gusto, nel farlo…
Romania, Tulcea,
sul Mar Nero, anno 1848
“Voglio
quello.”
“No.”
“Ma tu hai i soldi! Sei pieno di soldi!”
“Lŭzhliv! Io non sono ricco, ho giusto il mio stipendio
guadagnato con il
sudore della fronte.”
Niklas sbuffò, esibendo poi un verso esasperato davanti ad
una vetrina.
Si era fissato su una bellissima scacchiera, e diamine, la voleva da
matti.
Sarebbe entrata nella collezione di oggetti che teneva nel suo baule
del
sedicesimo secolo, un baule regalatogli dal suo maestro e che
–doveva
ammetterlo- gli aveva fatto piacere e gli era dannatamente utile.
Non avrebbe occupato molto spazio, in fondo quel bagaglio era ancora
vuoto,
visto che conteneva solo il suo violino, qualche biglia colorata con
cui era
solito giocare e i vestiti che usava abitualmente.
Quella scacchiera era unica e la voleva.
Poteva concedersi un capriccio almeno una volta al secolo!
Chiedeva solo un piccolo prestito, ma quell’uomo che si
definiva suo creatore
era più che certo di non volergli scucire nulla.
Sbuffò ancora, fissando malissimo l’uomo di fronte
a lui che non ammetteva
discussioni.
“Non chiedo mai nulla. E suono anche il violino per te,
qualche volta.”
Mormorò, con un tono sofferto, cercando di farlo sentire in
colpa.
Già, il violino, era il suo orgoglio. Ricordava ancora
quando lo aveva aperto,
per la prima volta, da vampiro.
Nella
stanza in cui alloggiavano,
dopo aver bruciato il pupazzetto, Niklas aveva appoggiato la custodia
misteriosa sul tavolo e l’aveva accarezzata con dolcezza.
Anche questa gli stava trasmettendo qualcosa, ma cosa?
“Aprilo.” Lo invitò Stoyán,
accarezzandogli la schiena “Non aver timore.”
Seppur incerto, il ragazzo lo aveva aperto e ci aveva trovato uno
splendido
violino.
“Questo violino è uno Stainer, del suo terzo
periodo, acquistato da tuo padre
per regalartelo quando avevi sei anni. È unico nel suo
genere, questo artista
non aveva allievi e perciò non ne troverai altri in giro,
fai attenzione.” Gli
raccontò l’uomo, preciso.
“Ma…lo so suonare? Davvero?”
domandò Niklas sempre più titubante, prendendolo
in mano e studiandolo da tutte le sue angolazioni.
Stoyán gli aveva allora sorriso incoraggiante:
“Provaci.”
Ci aveva provato
eccome. Quella sera aveva eseguito il suo primo concertino privato al
suo
maestro.
Certo, era ancora un po’ inesperto e rozzo, ma era tutta
questione di pratica:
già dopo un secolo, il suo stile era migliorato, e nel tempo
libero era pure riuscito
a comporre un pezzo.
Gli dispiaceva tenerlo solo come hobby; Stoyán non faceva
che ripetergli che
quello del musicista era un lavoro precario e che non avrebbe portato a
nulla,
e che se voleva avere del reale denaro in tasca avrebbe dovuto sudare
parecchio
con lavori di fatica.
Oltretutto, anche fosse stato bravo, non poteva esporsi troppo:
avrebbero
scoperto che quel ragazzo talentuoso e che non invecchiava mai era un
maledetto
vampiro. Non avrebbero esitato un secondo a fargli la pelle…
Lanciò un’occhiataccia ferita a Stoyán,
che strinse le labbra e lo fissò di
rimando.
“Credimi Niklas, è per il tuo bene. Pensa al
futuro, a quanto ancora hai da
vivere, devi avere dei soldi da parte.”
Ma quando mai gli aveva fatto del bene?
Già il solo fatto di averlo trasformato in vampiro gli aveva
rovinato la vita,
la sua vita da essere umano vivo,
che
si nutriva come tutti gli altri.
“Li guadagnerò più avanti quando
sarà il momento.”
“Lŭzhliv! Ragazzo mio, il costo della vita sarà
sempre più alto, rammendalo.”
“E cercherò un lavoro adatto al mio tenore di
vita.”
“Lŭzhliv! Non sarà sempre così semplice
trovare lavoro…”
Quant’era saccente! Si comportava come se fosse il detentore
della verità
assoluta.
Il solo fatto che quell’uomo fosse più vecchio di
lui di almeno cinquecento
anni non voleva dire nulla!
Il vampiro più giovane sbuffò ancora, irritato
per quel comportamento.
Quell’uomo continuava a correggerlo, non poteva sbagliare
qualcosa che il
maestro era subito pronto a bacchettarlo con quel suo Lŭzhliv!,
che odio!
“Forza, andiamo a casa, non abbiamo tutta la
notte.” Gli ordinò il vecchio
vampiro, facendogli cenno con la mano di andare.
Oh, sì che lo avrebbe seguito a casa….per il
momento.
Mancava solo
un’ora all’alba.
Niklas, silenziosamente, aveva raccattato tutte le sue cose
–che non erano
molte, in fondo- e le aveva messe nel proprio baule.
I soldi erano pochi, sì, ma per un po’ sarebbe
sopravvissuto.
Ma non riusciva più a stare sotto il tetto con
quell’uomo.
Non lo sopportava più.
Essere vampiro era una noia mortale, odiava da matti sottostare al suo
creatore
e ormai si reputava abbastanza adulto e responsabile per badare a
sé stesso.
Sempre facendo attenzione, controllò che il maestro fosse
ancora impegnato nei
propri conti e prese il proprio bagaglio, per uscire dalla porta.
Doveva fare pianissimo, anche solo il più piccolo rumore
avrebbe attirato la
sua attenzione e quella era la sua unica occasione.
Non l’avrebbe sprecata.
Uscì e scese le scale con lentezza, sperando che il legno
non scricchiolasse, e
di non incontrare qualcun altro degli inquilini, anche se a
quell’ora di notte
dubitava che sarebbe successo.
Per sua fortuna, riuscì a raggiungere l’atrio e
poi la strada fuori.
Inspirò l’aria e gettò un ultimo
sguardo al condominio, prima di dare un’occhiata
in giro.
Doveva nascondersi da qualche parte; non sarebbe riuscito ad andare
troppo
lontano, ma avrebbe dovuto far credere a Stoyán di esserci
riuscito.
***
Il corvino
aveva appena finito di fare il conto dei soldi che aveva, di cosa
avrebbe
dovuto pagare quel mese di affitto e altro.
Non c’era
male, avanzava qualcosa…
Forse avrebbe potuto
prestare i soldi a Niklas per quella scacchiera, ma quel
ragazzo doveva imparare il valore del denaro e a tener conto di tutto
ciò che
aveva attorno…
Non poteva sperperare
così.
Magari avrebbe potuto
fargli un regalo, se si fosse comportato bene…
Sorrise un
po’ tra sé, cercando di recuperare contegno e
tornare serio, o
sarebbe sembrato sospetto.
E lui voleva fargli
una sorpresa.
Si alzò,
per andare a vedere se il suo pupillo stava già dormendo, ma
una volta
arrivato sulla soglia della stanza dove riposava il giovane, rimase
come
pietrificato.
Era completamente
vuota.
Non vi era un solo
oggetto nella camera, solo il letto ancora sfatto dalla
notte precedente e che l’altro non rifaceva mai, per
pigrizia.
Si voltò di
scatto, andando a vedere nelle altre stanze, ma anche lì non
vi era
traccia del compagno.
Rapido,
uscì di casa e scese frettolosamente le scale, quasi
affannato, raggiungendo
il piccolo atrio che dava poi sulla via.
Dovette fermarsi
perché, appena mise piede fuori, un raggio di sole lo
investì,
facendolo gemere di dolore e ritrarre immediatamente di nuovo
all’interno, al
sicuro tra le mura.
Maledizione,
c’era già la luce fuori…
Si sedette a terra
,ansante ed esausto, gli occhi chiusi.
Niklas era fuggito.
Era fuggito e lui non
se ne era accorto.
Sentiva un profondo
vuoto, dentro di sé, e non riusciva a concepire la sua
assenza.
Come aveva potuto
abbandonarlo in quel modo?
Nemmeno un biglietto,
una parola, un tentativo di mettere le cose a posto.
Lo aveva scelto tra i
tanti perché gli ricordava quella persona, ma dopo averlo
conosciuto, dopo averci vissuto…
Si era affezionato a
lui.
Tantissimo.
E non voleva stare
senza la sua presenza, seppur pigra.
Serrò le
labbra e riaprì gli occhi, dopo aver preso una decisione.
Lui avrebbe ritrovato
il suo piccolo ad ogni costo.
Ad ogni costo.
AskAnotherWay
Il gruppo Facebook
La storia principale
Parla Tomocchi:
One-Shot Premio per Blackrose_96, ovvero il passato di
Niklas e Stoyán :3
Ci ho messo parecchio
a riordinare le idee, a mettere a posto le cose, e ci
sono riuscita dopo…quanto? Un mese?x°D
Come potete notare,
anche i vampiri hanno problemi con l’affitto (lol) e ci
sono ragazzi ancora pudici…sì, credetemi,
esistono eccome.
Quest’ultima
parte volevo che fosse un po’ straziante (?) spero di esserci
riuscita…
Comunque spero ti
piaccia ragazza mia, fammi sapere *3* e grazie anche a chi
passa e chi legge! :3
|
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Capitolo 2 *** Sorridi, Ranocchia! ***
ANOTHER
WAY
UN
ALTRO
MODO DI ESSERE VAMPIRO
Capitolo
Bonus 2
Sorridi, Ranocchia!
Provincia
di Dublino, 13 Febbraio
2014, casa di Niklas Reiter.
Regnava un
silenzio quasi innaturale in quella casa dove stavano convivendo ben
quattro
vampiri di diverse nazionalità.
Taylor, il più giovane e ultimo trasformato tra quei quattro
–relativamente
parlando, perché dimostrava circa vent’anni, tre
più di Niklas, il padrone di
casa- si alzò, verso inizio pomeriggio, per fregare dalla
dispensa una delle
sacche di sangue di Stoyán, il più anziano
nonché mentore di tutti loro: li
aveva aiutati nei momenti più duri, era il loro amico
più prezioso, ma il
languorino che aveva lo costringeva a placare presto quella sua sete di
sangue,
e di uscire non ne aveva proprio voglia.
Prima di recarsi in cucina, andò prima in bagno, desideroso
di darsi una
rinfrescata al viso.
Solo che, quando aprì la porta, gli si presentò
davanti uno spettacolo niente
male.
Charlotte, l’unica donna della casa, era appena uscita dalla
doccia,
completamente nuda; l’unico asciugamano della stanza era sui
suoi lunghi
capelli castani, che li stava frizionando con la salvietta per
asciugarli un
po’ prima di passare al phon.
La vampira francese era di schiena, e nonostante il vapore dovuto
all’acqua
calda alleggiasse per il bagno, si vedevano fin troppo bene le sue
forme
sinuose e abbondanti.
Taylor rimase qualche secondo a fissarla, completamente perso in quella
visione, prima che la ragazza si accorgesse della sua presenza,
probabilmente
avvenuta per uno spiffero freddo dovuto alla porta aperta.
Si girò di scatto, coprendosi velocemente con
l’asciugamano e cacciando uno
strillo imbarazzato, seguito da un: “Taylov!” detto
con rimprovero e sorpresa.
Il vampiro dai corti capelli color sabbia si riscosse,
borbottò delle scuse
smozzicate e richiuse immediatamente la porta alle proprie spalle,
appoggiandosi ad essa con un sospiro.
Cavoli, doveva ammettere che Charlotte era insopportabile, quel suo
difetto di
pronuncia irritante, però… in quel momento aveva
maledetto quel particolare che
i vampiri non potevano riflettersi allo specchio, perché in
quel caso avrebbe
potuto dare una sbirciata anche al suo gran davanzale…
Scosse il capo, per mandar via quei pensieri che solitamente non aveva.
Lui non sopportava lei, lei non sopportava lui, solo Stoyán
faceva loro da
tramite e tutto questo andava più che bene.
“Sei
un
guavdone.” Soffiò irritata la vampira, una volta
asciugata e vestita,
ravvivandosi indietro i vaporosi capelli castani, mentre faceva il suo
ingresso
nell’ampia stanza che comprendeva cucina a destra e salotto a
sinistra.
Taylor inarcò le sopracciglia, alzando la testa per
guardarla meglio.
“Scusa, che hai detto? Parla bene, invece di gracidare,
Ranocchia.”
Ranocchia era il suo personalissimo insulto/nomignolo nei confronti di
Charlotte.
Perché Ranocchia?
Ovviamente era tutto collegato: Francia, cibo, ranocchie. I francesi
mangiavano
le ranocchie e dato che lei era francese era risultato molto semplice
associarla a quella parola.
Okay, mangiavano solo le cosce, ma sempre rane erano.
“Io non gvacido! E non sono una vanocchia!”
ribatté ancora la giovane donna,
stringendo le mani in pugni, pronti a colpire, se necessario.
“Come no… guarda lì, hai pure la faccia
verde.” la prese ancora in giro,
indicandola con un gesto circolare dell’indice.
Ci provava davvero gusto a provocarla, era uno spasso.
“Ah!” esclamò trionfante la vampira:
“Qui sbagli, cavo mio! Quello con la faccia
vevde di solito sei tu con le tue vidicole mascheve di
bellezza!”
Aehm.
“Touché.”
Ammise, alzando le mani in
segno di resa, prima di riprendere a bere il sangue della sacca fregata
a
Stoyán.
In effetti, faceva spesso uso volentieri dei prodotti per la pelle, che
fossero
creme, maschere, o tanto altro. Ci teneva a tenere bella la sua
epidermide: il
fatto che fosse morto e resuscitato come cadav- ehm, vampiro, non
voleva
automaticamente dire di tenersi male, vedi Niklas.
Quell’austriaco girava peggio messo di un barbone…
non per niente si nutriva
della maggior parte della gente di quel determinato ceto sociale.
Vide Charlotte sorridere soddisfatta di quella sua piccola vittoria
giornaliera.
“Così sembri proprio la rana dalla bocca larga,
con quel sorriso da un orecchio
all’altro…” quella sua ultima frase
riaccese la discussione, causando il
risveglio di Stoyán che rispedì a letto entrambi
i giovani, rabbioso.
A fine
giornata, ovviamente era giunta la sera.
Niklas salutò con un grugnito, borbottando qualcosa sul
fatto che doveva uscire
a mangiare.
Stoyán aveva salutato a sua volta prima di recarsi al
lavoro: era stato assunto
come addetto alle pulizie serali in un ufficio, e così
Charlotte e Taylor si
erano ritrovati a casa da soli, seduti sul divano.
Non era la prima e nemmeno l’ultima volta che succedeva, ma
il silenzio
imbarazzante che cadeva ogni volta era un po’ sfiancante.
Così Taylor decise di rompere quella routine,
con…
“Ti va… di uscire fuori? A bere, dico.”
Si affrettò di aggiungere, salvo
fraintendimenti.
La castana lo fulminò con lo sguardo, fissandolo con aria
critica, come a
captare una qualche trappola.
Rimase con quell’espressione per un paio di minuti buoni,
prima di dare il suo
responso.
“D’accordo.” Sibilò, alzandosi
per andare a prendere il cappotto.
Il vampiro alzò gli occhi al soffitto, esasperato,
maledicendo la volta che
aveva aperto bocca.
Nonostante tutto, si preparò a sua volta, passando circa tre
quarti d’ora in
bagno prima di farsi trovare davanti alla porta.
“Ci hai messo una vita!” lo rimproverò
lei, aprendo l’uscio per recarsi fuori
dalla abitazione.
“Dovevo finire di farmi la barba e mettermi la crema, darmi
una sistematina
alle unghie…” si lagnò il ragazzo,
prima di venir interrotto da un beffardo:
“Potevi favlo pvima.” Della coinquilina.
“Prima non ne avevo voglia, ranocchia, pensaci prima di aprir
quella bocca
larga.” La schernì subito l’altro, acido
come del latto rancido lasciato per
mesi in frigo.
Come poteva permettersi di fargli la predica?
Lui non si lamentava mai quando lei occupava il bagno, sapeva tutte le
implicazioni che c’erano nello prepararsi, e solo
perché lui era un uomo non
voleva dire che doveva metterci poco tempo.
“La smetti di chiamavmi vanocchia? È
pesante.” Sbottò Charlotte, mentre il
rumore delle sue scarpe con il tacco risuonavano sull’asfalto
della strada come
schiocchi, facendo un gran rumore.
“Dici Ranocchia? Ti si addice. O preferisci
gallina, in riferimento all’antica Gallia? O ancora, peripatetica,
in
rappresentanza della tendenza di voi francesi ai facili costumi? Lumaca? Ma no, quello lo
userò solo
quando sbaverai dietro
Stoyán…” rise
di gusto, tanto da tenersi la pancia con le mani, soddisfatto di tutti
gli
epiteti che era riuscito a trovare.
Solo che doveva aver detto una parola di troppo, perché la
donna si fermò,
lasciandolo proseguire da solo per qualche metro.
“Ehi, che ti prende? Andiamo, scherzavo.” Non erano
dette con cattiveria, erano
semplici… insulti.
Come quando lei chiamava lui donnicciola,
fighetta.
“Mi hai dato della pvostituta. ” il tono era
piatto, privo d’espressione.
Taylor si fermò e si voltò per riavvicinarsi un
po’.
“Ho detto che scherzavo. Dai, torno a ranocchia, va
bene?”
“Tu che ne sai delle pvostitute?” ora era fredda,
distante, altezzosa. “Cosa ne
sai tu di quello che costvinge una donna a fave la pvostituta? Non nego
che ci
sia qualcuna che lo faccia per piaceve, ma c’è
anche chi è costvetta a fave
quella vita, a sovbive chissà quali pevsonaggi,
finché qualcuno non avviva a
toglievla dalla stvada.”
“Ehi, così sembra che l’hai presa sul
personale.” Cercò di sdrammatizzare il
ragazzo, alzando appena l’angolo della bocca.
“Non sembva. Lo è.” Ringhiò
la francese, dandogli uno spintone così forte da
mandarlo dritto disteso a terra.
Una volta a contatto con la strada, Charlotte lo tenne
sull’asfalto
piantandogli il tacco proprio sullo sterno, con forza.
“Vai a quel paese, Taylov. O fovse dovvei
chiamavti…”
“Non dire quel nome!” la bloccò
l’interpellato con un tono strozzato.
Odiava il suo vero nome e odiava sentirlo pronunciare.
La donna lo guardò sprezzante, prima di lasciarlo e voltarsi
offesa,
ripercorrendo la strada fatta poco prima per tornare a casa.
Probabilmente quella stupida avrebbe digiunato…
Il
giorno dopo, San Valentino, venerdì
mattina, sempre a casa di Niklas.
Charlotte si
era davvero rifiutata di uscire a mangiare pur di non incontrare
Taylor.
La giovane donna si era chiusa nella propria stanza e si rifiutava di
uscire.
Niklas non ci aveva badato granché, pensava fosse solo un
capriccio ed era
andato a scuola senza farsi troppi problemi.
Taylor invece era rimasto a rimuginare sull’accaduto, mentre
si massaggiava la
parte lesa dal tacco a spillo, cercando un qualche pensiero che non lo
facesse
sentire in colpa.
Se lei aveva ammesso che se la era presa perché la cosa era
appunto personale,
voleva dire che lei stessa o qualche sua conoscenza aveva vissuto da
prostituta.
Aveva venduto il suo corpo e la sua dignità per
sopravvivere.
Prima o dopo l’essere diventata un vampiro? Ma questo non
aveva importanza.
Il punto era che lui era uno sciocco e si era spinto oltre, troppo
oltre,
quella volta.
Si morse il labbro, indeciso.
Avrebbe potuto chiedere a Stoyán aiuto, ma l’uomo
stava dormendo e non voleva disturbarlo.
Così, dopo essersi imbacuccato a dovere per affrontare la
giornata, uscì.
Il tempo sembrava dalla sua parte: nuvoloso. Ottimo inizio, non
rischiava di
morir bruciato.
Si tolse il cappellino che si era messo e se lo infilò in
tasca, tenendosi
comunque gli occhiali da sole come sicurezza. Non avrebbero fatto
molto, ma lo
rendevano figo e tanto bastava.
Si recò a passo svelto fino alla piazza del paesino e si
guardò attorno, alla
ricerca del negozio che faceva al caso suo.
***
Quell’insulso
e maledetto Taylor.
Lui e quella sua boccaccia!
E poi Stoyán si chiedeva perché loro non potevano
andare d’accordo… ah!
Sarebbe morta prima di riuscire a stare con lui nella stessa stanza
senza
insultarlo.
E ci teneva parecchio alla propria pelle, quindi quel rapporto sarebbe
rimasto
così per parecchio tempo.
Sapeva solo “scherzare”, il cretino!
Perché lui non aveva vissuto nulla del genere. Non era stato
preso dalla sua
famiglia e poi abbandonato dal proprio creatore.
Anzi, quello sì. In effetti avevano quella cosa in comune.
Ma lui poi era stato raccolto e allevato da Stoyán, mentre
lei aveva patito le
pene dell’inferno, sotto luride mani, prima di essere salvata
da Ginevra e
Artorius, la coppia di vampiri che l’avevano accolta come
propria figlia.
I due poi l’avevano abbandonata di nuovo, e lei si era
sentita nuovamente
perduta, prima che il vampiro bulgaro giungesse in suo aiuto.
E grazie a lui, di recente, aveva ritrovato i due suddetti vampiri e
aveva
scoperto il perché della loro fuga improvvisa.1
Strinse le labbra e si asciugò una lacrima
sfuggita al suo controllo,
tamponandosi l’angolo dell’occhio con un
fazzoletto, in modo da non danneggiare
il trucco presente ancora dalla sera prima.
Non ci teneva ad andare in giro in modalità panda depresso.
Strinse il lenzuolo tra le dita, stesa sul letto, quando un bussare
alla porta
attirò la sua attenzione.
Fissò quel pezzo di legno con astio, prima di tornare a
guardare ostinatamente
il muro, imbronciata.
Non voleva vedere nessuno, e nessuno sarebbe entrato.
Era ancora troppo presto perché Niklas fosse tornato da
scuola, e troppo presto
perché Stoyán fosse già in piedi.
Perciò, l’unico, poteva essere solo…
“Ranocchia, aprimi.”
“No, Taylov. Vattene.” Sibilò, mentre
l’idea di azzannarlo e di farlo a
brandelli la allettava più che mai. Altro che tacco a spillo
sullo sterno,
avrebbe dovuto renderlo paraplegico.
Lo sentì sospirare, afflitto.
“Vabbeh, toh.”
Spinta dalla curiosità –maledizione!-
alzò il capo appena in tempo per vedere
un foglietto scivolare sotto la porta.
Un foglietto.
Doveva esserci scritto qualcosa, non poteva essere bianco, no?
Si alzò, quatta quatta, e lo prese lesta, tornando a
rannicchiarsi sul letto
per aprirlo.
Erano una serie di lettere maiuscole e minuscole con numeri a casaccio,
di
circa otto cifre.
Non poté trattenersi dal chiedere spiegazioni, anche se una
idea ce la aveva:
“Cos’è?” domandò,
sospettosa.
“Se mi apri te lo dico, altrimenti nulla.” Pose
come condizione quello stupido.
La curiosità è donna.
Ma la curiosità uccise il gatto.
Se la curiosità è donna, Charlotte era la
curiosità, e in tal caso avrebbe
ucciso il gatto, ovvero Taylor, che continuava a stuzzicarla
imperterrito.
Si accostò alla porta e aprì appena uno
spiraglio, pronta a graffiargli la
faccia, che si trovò davanti un piccolo mazzo di giacinti
color porpora.
Oh.
“Mi dispiace, ranocchia. Non volevo offenderti.
Cioè, anche ora, lo sai che è
il tuo nomignolo…” borbottò il vampiro
dai capelli color sabbia, grattandosi la
nuca un po’ a disagio.
Lei prese i fiori e aprì un po’ di più
la porta, rivelandosi la sua mise.
Babydoll rosa praticamente trasparente con mutandine di pizzo dello
stesso
colore, che fecero voltare Taylor da un’altra parte.
“La solita… non potresti metterti in tenuta da
casa come fa Nik? Una semplice maglietta
e pantaloni della tuta, mica devi andare ad una
sfilata…” mugugnò, coprendosi
gli occhi con una mano.
“Io mi tvovo bene così, sto comoda
così.” Rispose piccata la francese, per poi
mostrare il biglietto.
“Ho chiesto: Che cos’è?”
domandò, con un tono indecifrabile. Sembrava disagio
misto paura con un pizzico di riconoscenza.
“Uhm… è la password del computer di
Niklas. Hai ancora due ore prima che torni,
così puoi giocare a quel robo che fai finta di odiare quando
in realtà si vede
che sei una nerd nascosta.” Spiegò, mentre lei lo
guardava a bocca aperta.
Ma…! Ma…!
“Non mi piace!” sbottò ad alta voce,
prima di sentire un verso lamentoso di Stoyán
provenire dalla camera accanto ed abbassare i toni.
“Io non… non gioco a…. non mi piace
quella voba…” disse a denti stretti,
mostrando i canini.
Odiava quella parte di sé e odiava che quella fighetta ne
fosse a conoscenza.
“Sì, sì, e io odio andare
dall’estetista…! Ma va’ a giocare e
zitta!” la
provocò lui, con un sorrisetto che sembrava dire Coraggio, picchiami!
Ma non gli avrebbe dato quella soddisfazione.
“D’accovdo, d’accovdo! Contvollo se sono
avvivate email e poi chiudo!” borbottò
lei, scostandolo malamente per poter raggiungere il divano e mettersi
sulle
gambe il portatile.
“E… questi a cosa sevvono?”
domandò poi, titubante, agitando il mazzolino che,
senza accorgersene, si era portata dietro.
Doveva ammettere che quelle scuse le avevano fatto piacere e
l’avevano
rabbonita un po’ nei suoi confronti. E anche i fiori,
sì.
“Sono giacinti. Per farmi perdonare.”
Buttò là il giovane, per poi guardarla di
sottecchi.
“Che c’è? Che hai da
guavdave?” soffiò indispettita la vampira per
tutta quella
attenzione nei suoi confronti.
Taylor sbuffò divertito.
“Sorridi, ranocchia! Non mi offendo mica, sai.”
Ah, voleva pure la soddisfazione di sapere che lei lo aveva perdonato.
Ma non così in fretta.
Avrebbe dovuto sopportare ancora un po’ i suoi sensi di
colpa, così imparava.
Richiuse il portatile, alzandosi per tornare in camera a prepararsi.
“Pvima povtami a beve da qualche bell’uomo
decente.” Disse, pizzicandogli il
naso per dispetto, cosa che provocò una piccola smorfia sul
volto di Taylor.
“Poi ne vipavliamo.” Concluse, ancheggiando fino a
sparire nella stanza, non
prima di aver lanciato un sorrisetto divertito all’indirizzo
del coinquilino,
che ricambiò con un altrettanto sorriso soddisfatto.
“ E muoviti a pvepavavti, che poi il bagno lo devo usave io,
fighetta!”
1 Per saperne di più,
se non lo avete
fatto, leggere Secrets
from the past
AskAnotherWay
Il
gruppo Facebook
Parla Tomocchi: uhm.
Da dove iniziare. Questa Os (un po’ missing moment,
perché è ambientata comunque
all’interno della storia principale e spiega
perché Char e Tay a S. Valentino non erano in casa
–Stoyán si sa che era al
lavoro-) è nata dal post di
Ludovica/Blackrose_96 sul mio gruppo FB, che recitava
“Secondo me Taylor e
Charlotte hanno avuto (o avranno) una relazione *fugge via dalla
lapidazione*”
sostenuta da commenti come “Chi si odia si ama. Vedi Niklas
con Jackie U.U”
oppure “Anche a me hanno dato quest’impressione
*-*”… poi mi è stata suggerita
una trama eh… come potevo dire di no? Dopo circa un mese e
mezzo (il post ho
notato che risale al 30 marzo x°D) ho partorito dopo 5 ore e
mezza di travaglio
questa creaturina. Spero che le fan di AW siano contente x°D
non è nulla di
troppo romantico, e i fiori ci stanno sempre, secondo me. Il vero
regalo per
farsi perdonare è la pass del pc di Nik x°D
I giacinti color
porpora, nel linguaggio dei fiori, significano proprio
“Perdonami”,
un tentativo di comprensione e di scuse, mi pare.
Sappiatemi dire
°3°
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Capitolo 3 *** Punch Rosso ***
ANOTHER
WAY
UN
ALTRO MODO DI ESSERE VAMPIRO
Capitolo
bonus 3
Punch rosso
Provincia di
Dublino, venerdì 30 Maggio 2014
Era una serata
tranquilla, in quella zona residenziale, dove le case
erano già illuminate e le famiglie finivano di consumare la
cena.
Ma non tutte stavano ancora mangiando.
Mancava circa un’oretta alle otto e Jackie O’Moore
stava seduta sul divano con
indosso un abito elegante, un vestito il cui corpetto le fasciava il
petto e la
gonna di tulle di un blu Prussia molto cupo ma che, come aveva pensato
la
ragazza, si sarebbe perfettamente intonato con gli occhi del suo
ragazzo,
Niklas Reiter.
“Non dovrebbe essere già qui?”
domandò Marion, sua madre, pensierosa.
La brunetta, che aveva iniziato a lisciarsi i lunghi capelli mossi per
distrarsi, si morse il labbro inferiore, nervosa.
Come poteva spiegare che non sarebbe arrivato finché il sole
non fosse calato,
visto che Nik era un vampiro?
Guardò i suoi genitori, vicini a lei, soprattutto il padre
Howard, che teneva
tra le mani una fotocamera digitale che non vedeva l’ora di
immortalare la
coppietta che da lì a poco si sarebbe recata al Pre-Debs, il
piccolo ballo dell’ultimo
anno tipico di alcune scuole irlandesi.
Jackie, doveva ammetterlo, stava escogitando un modo per poter evitare
quella
foto, non tanto per l’essere immortalata
–nonostante i chiletti di troppo il
vestito era stupendo e si era rimirata allo specchio per tre quarti
d’ora in
camera- ma più che altro per il fatto che Niklas non sarebbe
venuto in foto.
Ogni volta che ripensava a quel particolare se ne dispiaceva; tra tutte
le
caratteristiche che avevano i vampiri dei libri, lui aveva le
più sfigate: non
poteva sopportare l’aglio, la rosa canina e il biancospino;
non veniva in foto,
non poteva entrare senza essere invitato e non poteva stare alla luce
del sole.
Eppure Edward Cullen e Stefan Salvatore potevano!
Con un verso lamentoso ringraziò il nulla che il Pre-Debs si
sarebbe tenuto di
sera, almeno quel musone di Niklas non avrebbe potuto tirare fuori la
scusa del
non poter uscire per attaccarsi al quello stupido pc portatile a cui
era solito
giocare.
Niklas era un vampiro di 313 anni con l’aspetto di un
diciasettenne, scontroso,
asociale e fanatico di videogiochi per il computer. Per cinque anni non
lo
aveva degnato di attenzione, per cinque anni lo aveva creduto normale,
ma
quando Daniel Hill, un suo compagno di classe, le aveva confessato che
quel
ragazzo che si teneva peggio di un barbone era un vampiro, aveva deciso
di
rimetterlo in riga e di renderlo come una vera creatura della notte
doveva
essere: affascinante, bello e dannato!
Come fan di Twilight e di molte altre saghe simili, Jackie aveva
stilato un
programmino e si era presentata alla sua porta per convincerlo a
cambiare,
promettendogli che lo avrebbe aiutato a conquistare la bella ragazza
per cui il
vampiro aveva una cotta, ovvero Rogan Macklemore.
Alla fine, dopo avventure, baci inaspettati e tanto altro, Niklas aveva
conquistato la sua amata, ma anche lei nel frattempo si era innamorata
di lui,
perciò aveva deciso di troncare ogni rapporto per non poter
più soffrire nel
vederlo con un’altra.
I ricordi di quei momenti si facevano vaghi, ma, non sapeva come, erano
tornati
a parlarsi ed a essere amici; Nik nel frattempo aveva chiuso la
relazione con
Rogan, o per meglio dire, Rogan aveva lasciato lui, visto
quant’era stato
freddo con lei.
Col tempo, si erano accorti di provare qualcosa l’uno per
l’altra, ma ci
avevano messo parecchio per potersi dichiarare.
Alla fine erano lì.
Ce la avevano fatta.
“Se non arriva presto, farete
tardi…”aggiunse ancora sua madre, preoccupata,
gettando uno sguardo all’orologio e interrompendo
così il flusso di pensieri
della ragazza.
Jackie sospirò, tirando fuori il cellulare dalla pochette
intonata al vestito
per vedere se erano arrivati dei messaggi.
Uno era di Leenane, la sua migliore amica nonché
parrucchiera emergente: la
avvisava che sarebbe arrivata entro un minuto a prenderla con
l’auto per
accompagnarla all’hotel dove si sarebbe tenuto il ballo.
L’altro era di Niklas, semplice e conciso, che le diceva di
venire fuori, che
lui non sarebbe entrato per paura di venir appunto fotografato: il
poveretto
conosceva la numerosa e strampalata famiglia O’Moore, doveva
dargli atto che
non aveva tutti i torti.
“Mamma, papà, io esco. Lee è
già arrivata e passiamo a prendere Nik!”
avvisò la
ragazza bruna, alzandosi in piedi di scatto.
Sarebbe volentieri fuggita, ma con i tacchi alti era un pochino
difficile.
“D’accordo… Le solite cose, fai
attenzione, non metterti nei guai e niente cose
affrettate…” la reguardì la madre,
salutandola con un sonoro bacio sulla
guancia.
“Non vogliamo nipotini troppo presto.” Si aggiunse
il padre, facendo così
arrossire la figlia.
“Tranquilli! A-Andrà tutto bene!”
balbettò la ragazza, distogliendo lo sguardo
rossa come un peperone.
Il suo vampiro non poteva avere figli… un’altra
caratteristica stupenda! Poteva
dare la “vita” solo attraverso il sangue…
“Io vado!” salutò ancora, dirigendosi
alla porta mentre le scarpe dello stesso
blu del vestito picchettavano sul parquet facendo un rumore
impressionante.
“È un peccato per la foto,
però… ci tenevo…”
piagnucolò la donna, con le mani
congiunte.
“Sarà per un’altra volta!”
liquidò in fretta la ragazza. Aprì la porta e
uscì,
camminando a passo svelto lungo il vialetto che l’avrebbe
portata al
marciapiede, dove era già presente la Suzuki nera della sua
amica e Niklas
davanti alla porta del passeggero che la attendeva nel suo completo blu
-aveva
insistito perché indossassero lo stesso colore- e un piccolo
bouquet di rose
rosse.
Con un sorriso lo raggiunse, gli mise le braccia al collo e si
alzò appena
sulle punte dei piedi per scoccargli un bacio, che lui
accettò ben volentieri.
Il suo Nik! Con quei suoi capelli castani mossi un po’
disordinati, quegli
occhiali spessi perché cieco come una talpa, quegli occhi
blu che adorava...
aveva iniziato ad apprezzare tutte quelle piccole cose.
“Aspetta che ti metto questo...” mormorò
il ragazzo, prima di prenderle il
polso e allacciarle il piccolo bouquet ad esso, come era usanza fare
per quei
tipi di balli.
“Grazie... però potevi entrare un attimo a
salutare i miei genitori!” si
lamentò la brunetta, mentre lui sospirava, già
stanco ancor prima di iniziare
la discussione:” Non avevo voglia di inventarmi scuse per
evitare la foto...
su, sali.”
Una volta in auto, Jackie salutò l’amica con un
bacio sulla guancia entusiasta,
che mise in moto dopo aver acceso la radio e aver fatto partire un cd
che
entrambe adoravano.
***
Subito Niklas alzò gli occhi al soffitto, coprendosi le
orecchie con le mani,
infastidito.
Non sopportava molto quel gruppo di bimbetti, quei cinque dilettanti di
nome
One Direction, non avevano nulla a che vedere con i grandi quali Frank
Sinatra,
tanto per dirne una, ma Jackie li adorava quasi fossero stati
divinità scese in
terra.
Non la capiva, ma accettava. Dopotutto i gusti erano gusti, almeno
Jackie non
gli contestava troppo i suoi giochi del pc a patto che lui limitasse i
propri
commenti su quel gruppo.
Mentre le due ragazze si dilettavano in urletti cantando le loro
canzoni
preferite, il vampiro guardava fuori dal finestrino, osservando il
paesaggio
cambiare mano a mano che il tempo passava, pensieroso.
Il primo pre-Debs, il primo ballo organizzato prima di quello dei
debuttanti
vero e proprio, a cui partecipava...
Quando una persona veniva trasformata in vampiro, perdeva tutti i
ricordi della
sua vita umana, rimanendo solo con mere sensazioni che contavano poco o
nulla,
ma chiuse un attimo gli occhi, ricordando ciò che gli aveva
raccontato il
proprio creatore, un paio di mesi prima.
L’uomo gli aveva parlato del suo primo ballo, nel lontano
1700, dove era
rimasto in disparte, limitandosi ad osservare danzare suo fratello
Dietrich con
una ragazza. Tutti si erano divertiti, meno che lui, troppo timido per
interagire.
Ripensò quella atmosfera allegra che aveva paura di
sfiorare, di entrare e di
ritrovarsi coinvolto, senza sapere come agire e come muoversi...
“Siamo arrivati!” cinguettò Jackie,
riportandolo bruscamente alla realtà come
se avesse ricevuto uno schiaffo.
Quelle sensazioni si erano impadronite di lui, avvolgendolo come una
coperta
calda e accogliente, tanto da fargli dimenticare la realtà.
Sospirando per l’ennesima volta, scese dall’auto e
salutò Leenane,
ringraziandola con un grugnito e un cenno della mano, prima di
dirigersi a
braccetto -quant’era imbarazzante!- con la propria ragazza
all’interno dell’hotel.
L’atrio era luminoso e accogliente, una volta superate le
porte scorrevoli di
vetro: il pavimento, di un rosso mattone, si sposava perfettamente con
il
giallo tenue delle pareti, ornate da una deliziosa cornicetta di fiori
al
centro, mentre sul soffitto campeggiava un bellissimo ed enorme
lampadario
fatto di piccoli cristalli.
Alcuni dei loro compagni erano già presenti, così
come altri studenti dell’ultimo
anno che Niklas conosceva solo di vista.
In quell’enorme salone adibito per il ballo già
risuonava della musica
tranquilla in attesa dell’arrivo della band che si sarebbe
esibita sul palco.
Tavole imbandite di stuzzichini e bibite poste contro il muro a destra,
il
palchetto per il gruppo ingaggiato a sinistra.
“Direi che non è niente male, no?”
cinguettò ancora Jackie, trascinandolo subito
al centro della pista con una forza incredibile.
Riusciva sempre a sottometterlo, in un modo o nell’altro...
“Sì, carino.” grugnì
l’austriaco, sentendosi osservato da tutte le persone
presenti in sala.
Probabilmente li stavano guardando perché erano gli unici
due cretini che si
erano già messi a ballare... o perlomeno, perché
aveva a fianco l’unica cretina
che stava già ballando.
Lui si sentiva rigido come un palo, non sapeva assolutamente come
muoversi e
non voleva fare figuracce che avrebbero potuto attirare
l’attenzione di
fotografi che avrebbero immortalato quella scena epica, scoprendo
così la sua
natura...
Sentì delle risate alle sue spalle, e quando si
voltò per guardare, scoprì che
l’autrice era Rogan, la sua ex ragazza.
Si erano lasciati in malo modo, ma non riusciva a sentirsi in colpa:
lei si era
mostrata sempre diversa da come appariva, aveva venduto false
illusioni...
certo anche lui non era stato del tutto sincero -non aveva ammesso di
provare
qualcosa per Jackie ancor prima di mettersi con la bella dai capelli
rossi- ma
nemmeno sforzandosi poteva rimpiangere quello che aveva perso.
Già, lui aveva tutto quello che desiderava.
Sorrise, senza poterselo impedire, osservando la faccia stupita della
sua ex
che lo guardava con un misto di curiosità e confusione per
quello sguardo.
Probabilmente si erano messe a ridere per il comportamento ridicolo di
Jackie,
dei suoi movimenti goffi, ma a lui non importava, ed era certo che lo
pensasse
anche la brunetta.
Stava per iniziare a muoversi anche lui, dopo aver preso un minimo di
coraggio,
quando udì delle nuove voci che si fecero sentire una volta
varcata la porta di
vetro.
***
Jackie non
poteva credere ai propri occhi.
Quello era Kevin, il suo ex ragazzo! Quello con cui era stata insieme
per una
settimana quando era alle medie, prima di mollarlo perché
insultava Justin Bieber
-che lei al contrario adorava, ovviamente-.
D’istinto si nascose dietro Niklas, in modo da non farsi
vedere.
Ricordava che suonava la chitarra, ma non sapeva che avesse messo su
addirittura
un gruppo!
Osservò il quintetto di ragazzi camminare fino al palco e
iniziare a sistemare
gli strumenti, abbastanza frettolosi perché a breve
avrebbero dovuto iniziare.
La sala si stava riempiendo sempre più, finché le
luci non vennero abbassate
e prese parola il
presidente del
comitato scolastico che aveva organizzato l’evento.
Picchiettò con l’indice sul microfono, fece
qualche versaccio di prova e poi
parlò.
“Benvenuti al pre-Debs, organizzato prima del ballo dei
debuttanti vero e proprio,
che ti terrà in autunno! Stasera ci si scatena, grazie alla
musica dei Pink
Bullet, per festeggiare insieme l’ultimo anno del liceo!
Yu-uh!”
Certo che quel ragazzo biondo belloccio sembrava già matto
di suo... o era
soltanto eccitato anche lui per l’occasione?
Jackie sorrise appena, nonostante l’ombra del suo ex a
pungolarle il pensiero
in modo fastidioso, come uno spillo.
Prese le mani di Niklas nelle sue, sempre nascosta dietro di lui, e le
strinse,
cercando di recuperare un po’ di entusiasmo.
Non voleva rovinarsi la festa con un umore simile, non lo avrebbe
permesso.
La musica pop-rock iniziò a riempire la sala, invitando
tutti gli studenti a
muoversi a ritmo con entusiasmo, cosa che gli invitati accettarono
volentieri.
Risa, coretti idioti ed esclamazioni eccitate si unirono a quei suoni
allegri,
mentre si alternavano luci colorate che andavano dal fucsia
all’azzurro
illuminando così le figure dei presenti in modo bizzarro.
Si respirava un’aria più leggera, quasi frivola,
che aiutò Jackie a sciogliersi
e ad immergersi completamente in quel momento, lasciando le
preoccupazioni alle
proprie spalle.
Lei era lì con Niklas, il suo Niklas che aveva iniziato a
muoversi a sua volta
con incertezza, con il viso talmente concentrato da risultare buffo.
La ragazza si lasciò sfuggire un risolino, dandogli un
pizzicotto al fianco e
sussurrandogli, vicino: “E bravo il vampiretto nerd che prova
a essere normale!”
***
Beh certo che ci
provava. Sarebbe stato più imbarazzante fare il palo,
dritto in piedi, in mezzo a gente che si scatenava tanto da risultare
ridicola.
Invece, se provava a ballare, seppur goffamente, si mischiava e
confondeva con
la massa ed evitava di attirare sguardi curiosi o, peggio, ancora foto.
Ne aveva il terrore, davvero.
Vedeva macchinette digitali e cellulari ovunque, sprazzi di flash e
rumori di
click, suggeriti dal suo maledetto udito più sviluppato del
normale.
Doveva ammettere che la musica non era male, anche se non era il suo
genere.
Ma tutto quel movimento lo stava rendendo affamato e perciò
decise di
comunicarlo a Jackie.
“Ho fame.” disse solo, asciutto, una volta
allontanati dalla folla, vicino al
ai tavoli delle vivande.
“Ho capito Nik, ma non posso darti il succo di frutta
così, davanti a tutti! Ci
potrebbero vedere, sarebbe strano e anche imbarazzante!”
sibilò la brunetta,
con il rossore presente sulle guance leggermente paffute.
Il succo di frutta era un modo di dire esclusivamente loro.
All’inizio della loro amicizia, una sera dopo essere tornati
dalla lezione di
nuoto per perdere peso e rafforzare i muscoli, si erano recati alla
casa dell’austriaco,
passando a prendere ogni sorta di cibo al fast-food più
vicino -mandando a quel
paese tutto l’esercizio che avevano fatto-.
“Ho
ancora fame.” aveva mormorato il moro, dopo aver finito
l’ultimo
trancio di pizza.
“Ma abbiamo ordinato una marea di roba.” aveva
obbiettato Jackie.
“Non intendo questa ‘fame’! Insomma,
è da domenica che non metto del sangue
sotto i denti!” aveva spiegato lui, frustato.
Il suo sguardo era andato a posarsi su Jackie che si era portata le
mani al
collo per istinto.
“Non vuoi farmi una donazione? Dai, non ho voglia di
uscire.” aveva detto,
mentre si avvicinava a lei, lentamente.
“Uhm... maaaa... senti, non...”
“Ah, tanto amica e amante dei vampiri, ma ora ti tiri
indietro!” aveva
recriminato Niklas, pungolandole un braccio col dito.
“Scommetto che se te lo chiedesse il tuo amato Ernie
Callie...”
“Edward Cullen!”
“Ah, ho sbagliato di poco. Comunque, non cambia la mia
domanda.”
“N-no, non lo... non lo darei nemmeno a lui.”
“Vigliacca.”
“No, beh, dai aspetta! Senti un po’, ho il ciclo
ora... Se io ti do il mio
assorbente, non è la stessa cosa?” aveva domandato
incerta la ragazza, dopo
aver bevuto un sorso d’acqua.
La faccia di Niklas era cambiata nel giro di pochi attimi.
“Ma che schifo! CHE SCHIFO!” aveva esclamato, dopo
essersi passato una mano sul
viso, incredulo, ed essersi allontanato da lei con orrore.
“Accidenti, mi fai vomitare ora! Ma ti sembrano cose da
dire?” aveva aggiunto,
boccheggiando in cerca d’aria.
“Ma non far tanto lo schizzinoso! Non è la stessa
cosa?”
“Scherzi? Ma ti pare? Dai Jackie, è come se io
passassi tutto il giorno con una
maglietta addosso a fare sport: a fine giornata tu mi dici che hai
sete, che
hai bisogno di bere, io mi tolgo questa maglietta e ti dò il
mio sudore!
CHE-SCHI-FO!” ed era toccata a Jackie la faccia nauseata.
“Ok, ok, ho capito
ora! Prometto che non te lo chiederò
più!”
“Ecco! Grazie!”
“C... comunque... va bene insomma... un goccino!”
“Tu credi che un goccino mi basti?”
“Te lo farai bastare!”.
La ragazza aveva cercato uno spillo e si era punta un dito, da cui era
fuoriuscita subito una goccia di sangue.
Niklas lo aveva preso tra le proprie mani e si era avvicinato con la
bocca,
iniziando a succhiare avidamente.
Jackie faceva fatto una smorfia, aveva provato una sensazione
stranissima,
vederlo lì, su di sé, con il proprio indice tra
le labbra.
La ragazza era arrossita, forse perché era una cosa
piuttosto intima, ma lui
non ci aveva dato molta importanza.
“Beh, è stato come bere un succo di
frutta.” aveva ammesso il vampiro, dopo
essersi passato nuovamente la lingua attorno alla bocca come a cercare
qualche
residuo.
Da quel momento
in poi, era diventato un rituale solo loro, bastava
dire “Succo di frutta?” e si capivano al volo,
qualche sorriso e la brunetta
offriva il suo indice al ragazzo.
Ma lì erano in un luogo pubblico, non potevano certo dare
spettacolo...
Niklas osservò il tavolo per qualche minuto, pensieroso,
prima di prendere un
bicchiere di plastica e avvicinarsi alla bacinella del punch, prendere
un
mestolo e versarselo con nonchalance.
“Puoi metterlo qui dentro.” suggerì,
avvicinando il bicchiere a lei.
Jackie guardò Niklas, guardò il punch, rivolse di
nuovo la propria attenzione a
Nik e poi ancora a quel liquido così rosso.
Sarebbe stato perfetto, in effetti.
“Va bene.” mugugnò. “Ma solo
per questa volta.”
“Beh, non bevo punch tutti i giorni.”
commentò sarcastico il ragazzo,
impaziente.
La brunetta sospirò, si mordicchiò il labbro
inferiore e si punse con uno
spillo che teneva nella piccola pochette a tracolla.
Appoggiò il dito sul bordo del bicchiere e vide gocce di
sangue scendere dentro
di esso, andando a fondersi con il punch.
Doveva essere delizioso...
A operazione finita, Niklas prese il bicchiere e bevve, bevve come un
assetato
nel deserto, sentendo tornare il vigore già dai primi sorsi,
dolci e corposi.
Si sentiva meglio, decisamente.
Si volse verso Jackie, che nel frattempo aveva arraffato panini,
dolciumi e
bibite per recuperare energie e liquidi, per offrirle il braccio e
accompagnarla
a sedersi tranquilla da una parte.
Una volta
ripresi, erano tornati a scatenarsi in pista e con qualche
goccio di alcool in corpo, il vampiro non sembrava più un
rigido pezzo di
legno, cosa che fece sorridere la brunetta, entusiasta nel vederlo
così
sciolto.
L’atmosfera non era mai stata così distesa tra
loro, entrambi stavano vivendo
quel momento.
Non il passato. Non il futuro.
Il presente era la cosa più importante, il divertimento e la
gioia di vivere in
compagnia di chi amavano e a cui volevano bene...
Il ballo andò avanti per tutta la notte. Nessuno sembrava
stanco, anche se
ricordava vagamente di aver accompagnato Jackie in una stanza e averla
aiutata
a stendersi su un letto, e, perché no, ci si era sistemato
anche lui.
***
Jackie si era
risvegliata con un leggero mal di testa e giramento,
insieme al suo ragazzo si era recata nel salone dove molti di loro
stavano già
facendo colazione insieme, com’era usanza fare:
l’odore del cibo le dava la
nausea, ma doveva sforzarsi di mangiare, se voleva stare in piedi.
Niklas sembrava messo peggio di lei, ma solo perché lui di
giorno doveva
dormire, non stare in piedi a fingere di nutrirsi di comuni cibarie
umane.
“Ci siamo divertiti dai.”
Era anche riuscita ad evitare il suo ex fino alla fine. E quella
antipatica di
Rogan si era tenuta al largo da suo Nik. Meglio di così si
moriva.
“Già.” l’austriaco
concordò con un grugnito stanco, il completo stropicciato
che reclamava un ferro da stiro ma che avrebbe dovuto aspettare il
ritorno a
casa.
“Vabbeh, passami quelle crepés, mi
ispirano...” mugugnò, prima di accorgersi di
una cosa.
Che mancava qualcosa.
“Nik hai... visto la mia pochette?”
domandò con un senso di panico che le
attanagliava lo stomaco.
Ok. Non aveva più voglia di crepés.
Niklas parve assumere un colorito più pallido del solito.
“Io... io non ne ho idea...”
Jackie si passò stancamente la mano sulla faccia. Ricordava
poco o nulla...
“Perfetto... ci mancava solo il furto da parte di qualche
ladro imbecille...”
piagnucolò, appoggiandosi al suo ragazzo in cerca di
conforto.
“Magari l’hai solo persa qui in giro, quando ti ho
praticamente raccolto da
terra non ce la avevi...”
Rimasero per qualche minuto in silenzio, accorgendosi di un rumore che
li
raggelò.
Dapprima sottile e quasi impalpabile, si era fatto sempre
più insistente lo
scrosciare della pioggia.
Tutti avevano iniziato a lamentarsi, mentre i più previdenti
sghignazzavano
vantandosi di essersi portati dietro l’ombrello.
“...Il cellulare per poter avvisare qualcuno di venire a
prenderci era nella
tua borsettina, vero?”
“Pochette Nik, è una pochette.
Sì.”
“Che differenza fa? Siamo fregati e bloccati qui
finché non smette. Perfetto.
Perfetto!”
Tanto era bella la serata passata...
Quanto era stata sfortunata la mattina dopo!
Ma avrebbero ricordato quei momenti per sempre, insieme.
AskAnotherWay
Il
gruppo Facebook
When
Tomocchi is joy
Note Finali: Questo capitolo partecipa al
contest “Frammenti di Feste” organizzato
sul forum di EFP >v< avevo già voglia di
scrivere un capitolo così su un
qualche ballo ed è arrivata l’occasione xD
ringrazio le giudicE per l’occasione
e spero possa piacervi! :D
Alla prossima <3
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