Il ciclo della vita

di wiston87
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** terzo capitolo ***
Capitolo 4: *** quarto capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***


Il padre di Paul era morto schiacciato da una mietitrebbia. Al figlio non era stato concessa neanche la consolazione di un estremo saluto al cadavere: il suo corpo non era mai stato trovato. Così come quello di migliaia di altri.
Come se non bastasse, la crisi economica territoriale aveva fatto fallire molte attività commerciali, di modo che, nonostante i numerosi titoli accademici, aveva dovuto accontentarsi di accettare il lavoro agricolo nel terreni della famiglia Sexton, di cui ormai non rimaneva che il Supremo come ultimo membro superstite. Vecchio e avvizzito.
Non era stata fortuna né le sue referenze a condurlo lì: se non fosse stato per una raccomandazione dello zio Luke (fratello del padre morto), che era stato operaio agricolo negli ultimi tre anni, e promosso supervisiore della zona 77B appena due mesi prima, Paul sarebbe stato condannato alla fame.
“Prenda questo giovane volenteroso”, aveva implorato al grande capo scuro in volto e rannicchiato nella sua poltrona in pelle di daino, “oltre che essere mio parente, ha anche una laurea in ingegneria pontile!”.
“E che diamine se ne fa per raccogliere le zucchine?”, aveva ribattuto il supremo irridendolo, “deve fare andare le mani, mica il cervello!”. Aveva ragione. Fin troppo. Ma alla fine aveva ceduto, imponendo però uno stipendio da fame per il neoassunto, adducendo il fatto che visti i tempi che correvano non poteva permettersi di sborsare molti quattrini. Lo zio sapeva che non era vero, era risaputo che il gran capo spendeva come dio la mandava in lussi e cazzi vari, ma aveva fatto buon viso a cattivo gioco: doveva accontentarsi.
Appena era giunto il ragazzo, gli aveva mostrato tutti i vari strumenti nel capanno degli attrezzi: i bidoni di concime liquido verdognolo in ebollizione, i rastrelli e la falce per le erbacce, i kit medici (sforniti come pochi) per gli infortuni, le tenaglie meccaniche di vecchia generazione per la raccolta rapida degli ortaggi. Paul era rimasto parecchio colpito del fatto che tutto fosse così rudimentale, semplicistico come fosse appartenuto ai secoli scorsi, nonostante l’azienda agricola del supremo fosse rinomata come una delle più grandi della regione. Il capanno, ad esempio, era niente meno di uno scatolotto rimpinguato con assi di legno marcite e inchiodate assieme, come avrebbe potuto essere una vecchia toilette per ufficiali in trincea nel periodo bellico. Le sezioni dei campi, poi, erano divise in fette geometriche tutte uguali come nei vecchi sistemi feudali. Ad aumentare ancor più l’ansia da primo giorno di lavoro di Paul, vi era il fatto che quel giorno il cielo era grigio e tetro, senza neanche un flebile raggio di luce a filtrare tra le nuvole.
Lo zio aveva risposto: “non occorre una gran tecnologia per coltivare ortaggi. Siamo concorrenziali proprio perché il supremo non spende quasi nulla per far proliferare i suoi gustosi prodotti. Ed il tuo stipendio da fame ne è l’ennesima triste dimostrazione!”.
“Ma come è possibile essere competitivi sul mercato investendo poco più di un soldo di cacio? Cioè, i vostri prodotti dovrebbero essere smagriti come non mai. Qualitativamente infimi!”.
“Non esiste un legame così diretto tra spesa e prodotto, lo sai? Pensare che si debba spendere tanto per la qualità, come nel caso dei vestiti di marca, è una leggenda incarnata nel seno di una società iperconsumista. È un illusione che sta a fondamento di tutta l’economia odierna. Ma non è questo il punto. Il fatto è che noi abbiamo un asso nella manica… un metodo di gonfiaggio. Da una zucchina potenzialmente di centocinquanta grammi e poco saporita, ne viene fuori invece una buonissima da un chilo”.
“Come? Li idrogenate? Sapevo che gli anabolici rinvigorenti erano stati messi fuori legge nel…”.
“Niente di tutto questo. Solo un nome: Clara”.
“La tua nuova fiamma? Fa i bocchini a quelli del controllo qualità, per farcela aumentare fraudolentemente?”.
“La stai confondendo con tua madre! Che è una santa donna, quindi non fare ironie facendomi dire queste cose. No, Clara è tutt’altro. È l’inimmaginabile, l’estremo punto nodale dei nostri sforzi e pensieri. Colei che contribuisce a render fertile questa terra”.
Paul rimase alquanto confuso dinnanzi a quei toni poetici, troppo simili a quelli di un fanatico religioso che elogiava il suo dio. Invece che provar timore però, dato che era ancora giovane e ancora tutto istinto, questo non fece che aumentare a dismisura la sua curiosità morbosa.
Domandò: “la posso conoscere?”.
“No, impossibile”, rispose lo zio serioso. “Il regolamento prevede che deve passare almeno un anno di lavoro in buona condotta, prima di potersi appropinquare nei suoi meandri. Dobbiamo sapere se possiamo fidarci o meno. Se hai una bella pulzella non puoi mica darla in pasto ai porci: è assolutamente doveroso selezionarne la clientele in ingresso”.
“E non ti fidi di me? Mi conosci da quando sono in fasce. Da quando quella bagascia di tuo fratello si è scaricato dentro mia madre più di vent’anni or sono!”.
“Non è questo il punto. È una questione di principio. Una regola aziendale che deve valere per tutti”.
“Che fai, mostri il sasso e poi ritiri la mano? Se non volevi farmi sapere, non mi dicevi nemmeno che c’era il segreto!”.
Lo zio Luke ci pensò su un po’, concludendone che in fondo il ragazzo aveva ragione. Assieme erano andati a pescare e a testare le prime slitte da neve, assieme avevano pianto al funerale del fratello/padre. La regola era relativa, valeva quasi sempre ma non in quel caso, applicarla sarebbe stato sintomo di massima rigidità. Chiusura mentale. Ottusità di vedute. E poi, la verità più profonda era che ci teneva tanto a condividere quel segreto con il nipote, unico suo confidente e amico ritrovato in un mondo di ombre deterse. Se così non fosse stato almeno inconsciamente fin dall’inizio, non avrebbe nemmeno fatto quel primo accenno.
Come fare, però? Le schede per l’ingresso al sottosuolo erano possedute solo dai degni. Avrebbe dovuto trafugarne una.
Rispose titubante: “domani ti mostrerò Clara!”.

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Capitolo 2
*** secondo capitolo ***


Il giorno seguente, al termine del massacrante turno lavorativo, Luke condusse il nipote oltre il confine del loro terreno, e verso un passaggio interrato simile a quelli che portano ai sotterranei delle metropolitane.
Inserirono le tessere, l’originale e quella trafugata, e si avviarono per una lunga rampa di scalini a chiocciola che in men che non si dica li condusse ad un chilometro di profondità.
Paul domandò: “questa signora vive sottoterra? Non esce spesso in superficie?”.
“Non è una signora”, rispose Luke. “E non ha mai visto la luce del sole in vita sua. Ma dubito fortemente che si sia mai posta il problema.
“Perché devi per forza essere così criptico? Non puoi dire semplicemente le cose come stanno?”.
“Mi accuseresti di averti rovinato la sorpresa. Come il finale a sorpresa di un film thriller. E poi mi crederesti, devi vedere con i tuoi occhi!”.
Percorsero un corridoio semibuio con delle torce ai bordi e sbucarono in uno spazio sterminato, un incavo sotterraneo grande come un piccolo paesello. Ordinatamente disposte in fila indiana, pendevano delle casette rudimentali di forma esagonale costruite con la terracotta e prive di fondamenta. Erano gli alloggi dei molti addetti che abitavano lì stabilmente, o a turni. A far che cosa, però? Non era difficile rispondere a questa domanda non appena si posava l’occhio sulla gigantesca cosa centrale, che a dire il vero era stata la prima ad esser scorta da chiunque varcava quella soglia, e tutto il resto era solo sfondo sfocato.
Una figura gigantesca di cui in quel luogo si intravedeva solo metà della testa e l’inizio di quello che doveva essere un corpo. Il resto era invisibile, probabilmente sprofondato per tutti i piani sottostanti.
Paul non ebbe tempo di domandare in che consistesse il sistema di nutrimento dei terreni ed implementazione dei vegetali: lo vedeva già da sé. Dalla base toracica dell’enorme cosa-insetto, che si alzava a si abbassava lentamente di un paio di metri a causa della respirazione, partivano tutta una serie di terminazioni come filamenti flaccidi, che si impennavano verso l’alto confluendo con il soffitto. Cioè a nutrire il terreno con i fluidi corporei di quel mostro. E da quando Paul ne ebbe certezza, non erano passati più di due secondi dalla loro entrata. Se ne stava lì con la bocca spalancata, incapace di proferir parola dinnanzi a quell’angosciante scoperta, e di riuscire a stabilire in modo inequivocabile se fosse o meno una cosa buona quel metodo. E se c’era davvero qualcosa di perverso in quel metodo di arricchimento per mezzo del quale i succhi di quello schifoso finivano a concimare gli ortaggi distribuiti per il mondo, per quale motivo nessuno se ne lamentava, ma anzi sembravano tutti così ebbri e felici di partecipare come fosse un Gran Galà, elogiando la bestia come una piccola divinità? In effetti, c’erano parecchi addetti che gli spazzolavano il corpo pulendolo continuamente dalle escrescenze grasse e dalla sudorazione acida, ed altri gli massaggiavano la pelle giallo-verdastra. Anche ad uno sguardo appena superficiale, si notava che non era solo l’enfasi lavorativa a spingerli così freneticamente. Erano come… rapiti.
“Allora!”, gridò Luke euforico, “non vuoi venire a portare il tuo saluto a Clara?”. Gli brillavano gli occhi. Aveva una strana brillantezza rilucente sul fondo delle pupille nere come la pece. Si guardò attorno sospettoso e continuò: “però fai attenzione a non dare tanto nell’occhio, che se no gli addetti alla sicurezza, cioè tutti, scoprono che sei un cadetto!”.
Scattò in avanti salterellando eccitato e si diresse verso il mento dell’insetto. S’infilò in una scanalatura e lo carezzò per alcuni secondi.
Paul estrasse finalmente dal cilindro la domanda che gli stava facendo implodere le cervella a forza di esser trattenuta: “ma è legale tutto questo? Cioè… i fluidi corporei che sbucano dalla sua pancia e confluiscono nel terreno?”.
“Hai mai sentito parlare di qualche legge che lo vieta? Che impedisce di utilizzare i sali di un essere vivente per concimare i terreni? Dal punto di vista prettamente legale, questa è classificabile come concimazione pura e semplice. Ti vedo alquanto basito! Non ti preoccupare, è normale al primo impatto. Sarei rimasto sorpreso del contrario. Però devi convincerti che… la tua è solamente una reazione psicologica che concerne la sfera dell’irrazionale duro e puro, al fatto cioè che provi una forma di repellenza naturale nei confronti di determinati fenomeni, repellenza che però non è affatto supportata da questioni sanitarie, ma solo da un giudizio per così dire di pancia. Ti faccio un esempio: ricordi quando i manifestanti no-global e affini si riempivano la bocca con tutte quelle manfrine sul McDonald? Per carità, alcune critiche saranno anche state corrette, lungi da me smontare tutto il loro bel sistema, però… addurre il fatto che alcune cibarie sono fatte col grasso delle balene o coi testicoli dei tori o l’intestino dei cinghiali, non è sta grande argomentazione di protesta, in fondo. Non coglie alcun punto nodale, fa leva sulla sola paura, non sulla ragione. Capisci cosa voglio dire?”.
“A grandi linee. Ma in tal caso, se il problema non sussiste proprio, mi vuoi spiegare perché non rendete pubblica l’esistenza della cosa insetto? Al contrario, la nascondete! Non volete farla vedere a nessuno!”.
“Stai confondendo due piani che non centrano nulla l’uno con l’altro, quello legislativo e quello del consumo. È ovvio che, se pure la cosa dovesse rivelarsi nulla sul piano penale, sapere che c’è la cosa-insetto a nutrire i nostri piccini farebbe calare le vendite a picco, in virtù dello stesso fenomeno di scombussolamento emotivo che ti ho appena spiegato”.
In Paul si rinforzò ancor più quell’opinione di prima, che Luke e gli altri fossero in qualche modo vittime del potere della cosa-insetto. Il suo modo di difenderlo a spada tratta anche contro l’evidenza aveva qualcosa di esagerato, di inquietante, di morboso. Sfiorato allora da un certo profondo sospetto, domandò a bruciapelo: “in quanto novizi sono entrati qui come intrusi?”.
“Tu sei il primo a quanto ne so. Ma chissà”.
Paul rincarò la dose: “chi nutre quell’animale? Come fa a produrre i… concimi, possiamo chiamarli così? Come fa a produrre i concimi per tutti i terreni di proprietà del supremo? Perché i suoi tentacoli arrivano a nutrirli tutti, dico male? Dovrebbero essere almeno una cinquantina di chilometri per parte in linea d’aria. Dove trova tutto questo sostentamento, la nostra cara amica cosa-insetto?”.
“Da nessuna parte!”, rispose Luke evasivamente. “Nessuno la nutre in alcun modo. Si genera da se stessa eccetera, come Dio. Chi mai domanderebbe donde viene Dio e chi lo nutre? Chi lo porta ad essere, istante per istante? Nessuno, se è dotato di un briciolo di buon senso! La cosa-insetto esiste e stop, questo è quanto!”.
“Ma…”, rispose Paul cercando di mantenere la calma come temesse di aver a che fare con un pazzo che poteva avere reazioni impreviste, “tutto ciò non ha il minimo senso! Questo è un essere vivente che vive nello spazio e nel tempo, è fatto di carne o quel diavolo che è e non di puro spirito, e in quanto tale necessita di…”.
“Basta!”, esplose lo zio, “non avrei dovuto farti entrare trasgredendo al regolamento! Un esperto non si sarebbe perso in simili diatribe oziose! Manderò oggi stesso una lettera di demerito al supremo, in modo tale che verrai licenziato entro breve! E non fare quella faccia da cane bastonato, sai benissimo che ci sono dei principi ben più importanti dei legami di sangue!”.
Nella foga di quella escandescenza imprevista fece per dare uno spintone al nipote, ma le ginocchia deboli unite ad una cattiva livellazione del ponteggio, lo fecero scivolar giù di sotto: un volo di quindici metri. E nonostante fosse atterrato sulla spalla relativamente morbida della cosa-insetto, l’impatto era stato tale che per lui non c’era più niente da fare. Si vedeva anche da sopra che era già morto stecchito, con gli organi interni che avevano fatto una frittata.
Paul prese tempo a discolparsi con se stesso: non era stato lui ad ucciderlo, era stato un incidente. Ne siamo proprio sicuri? Non era che magari, sotto l’improvvisa minaccia del licenziamento, Paul si era preso un po’ troppe libertà, arrogandosi il diritto di non salvare lo zio che stava cadendo, o magari addirittura di farlo inciampare lui stesso con un astuto sgambetto? Poco ci importa a questo punto. Mentre discendeva l’impalcatura per visionare il corpo da vicino ed appurare l’avvenuto decesso, si domandò perché mai lo zio avesse avuto bisogno di strillare tanto, accapigliandosi su quella domanda lecita e innocente. Era come se nelle sue profondità abissali avesse avuto il lontano bagliore d’aver torno, ma non poteva ammetterlo.
Nel vedere alcuni addetti impegnati nella pulizia che grattavano via le schifezze color feci dal torace della cosa-insetto, Paul pensò bene di rubare la tessera originale allo zio, così se gli avessero fatto un controllo sarebbe risultato perfettamente in regola, almeno per ora. Però quella domanda irrisolta (e irrisolvibile nell’immediato) continuava a battergli in testa: com’era possibile che la cosa-insetto trovasse abbastanza nutrimento da poter concimare decine e decine di chilometri di terreno?
Nel bel mezzo di quell’oceano di dubbi, cui la nuova condizione e la solitudine ritrovata l’avevano condotto, aveva una sola certezza: visto come aveva reagito lo zio e tenuto conto del suo sospetto relativo ad un lavaggio del cervello di massa, non avrebbe dovuto porre quella domanda a nessuno. Inoltre, a dispetto della ferma volontà nel cercare la verità, non avrebbe nemmeno potuto indaffararsi a porre chissà quali grandi domande sull’ambiente circostante, o sarebbe stato subito come novizio intrufolato. Era come un investigatore in una stanza buia, che non può neanche usar le mani per tastare e cercare indizi.
Con estrema circospezione, scese dal ponteggio e si avviò verso le abitazioni.
 

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Capitolo 3
*** terzo capitolo ***


Almeno una cosa poteva fare, per cominciare. Controllare in prima persona i reali confini della cosa-insetto, in modo da poter dedurre lungo il perimetro se c’era qualche passaggio che conduceva al centro adibito alla nutrizione.
Circumnavigò le gote con quella pupilla enorme che lo fissava, era grande come un palone da calcio solo quella. Chissà come lo percepiva la cosa-insetto dalla sua prospettiva di gigante. Come una mosca ronzante per un essere umano? Solo per quanto riguardava le proporzioni spaziali, non anche la natura del rapporto. Anzitutto non aveva alcuna certezza che la cosa-insetto fosse pienamente cosciente di quel che la circondava. Sembrava stranamente assente, come quei grassoni al ristorante dopo cinque portate più due bottiglie di vino rosso e digestivo, talmente sonnolenti che potrebbe crollargli il mondo addosso e loro neanche se ne accorgerebbero. Inoltre, nonostante vedesse poco meno della metà superiore del suo corpo, aveva come ‘impressione che il resto fosse per così dire bloccato, che non potesse avere l’agilità di muoversi come preferiva, magari liberandosi dalla sua prigione schiacciando in un sol botto tutti i suoi servi indaffarati. Era allora a tutti gli effetti un corpo animale da sfruttare da cima a fondo, senza il benché minimo diritto all’autonomia. A Paul vennero in mente tutte quelle dicerie su alcune catene di fast food, sul  fatto presunto che vi fossero intere schiere di mucche e vitelli senza le zampe e gonfiati come palloni aerostatici per poterne trarre il maggior quantitativo di carne possibile.
Come se non bastasse, all’affollarsi di quelle visioni angoscianti e alla relativa responsabilità nella morte dello zio, cominciò ad avvertire pure un estraneo senso di lascività, come se quella sudditanza al mostro che dapprima aveva intuito negli altri, stesse cominciando a fare i primi effetti anche su di lui. Se voleva svolgere le dovute indagini del caso doveva affrettarsi.
S’incamminò per la passerella giungendo alle costruzioni cubiche ancorate nella sabbia gialla come in un deserto. Dentro c’erano vari operai dormienti, e all’aperto altri stavano visionando varie cartine inereti la topologia della cosa insetto, per stabilire dove si sarebbe dovuto intervenire l’indomani. Giunse al limite di quella che poteva essere definita, sulla base di un parallelismo fin troppo antropomorfo come la base del collo, o in quel caso la dura corazza squamata verdastra rilucente come una pietra preziosa che stava ad attaccar la testa al corpo.
Sentiva un roteare di ingranaggi al di là della parete insabbiata. Avvicinò l’orecchio per sentir meglio. Non poteva trattarsi di una zona dove erano racchiuse le altre parti della cosa-insetto, dato che dovevano presumibilmente trovarsi ai piani inferiori, e non a lato. Forse aveva inavvertitamente premuto un tasto o forse no, fatto sta che si aprì un passaggio nel muro senza dare alcun segno di preavviso e lui fu catapultato al di là, per una discesa buia e scoscesa che sarà durata si e no qualche minuto.
Atterrò sul pavimento soffice appositamente reso tale per attutire le cadute. Fortunatamente. Da un altoparlante all’angolo una voce ringhiò: “ne è arrivato un altro!”. E una voce di sottofondo commentò: “erano due settimane che non succedeva… mi stavo preoccupando!”.
Paul era di ghiaccio, come fosse stato inghiottito dalla bocca del diavolo. Attorno a lui si dispiegava solo il buio e il grigiore di quello che sembrava un piccolo ufficio a… quale profondità? Cercò di fare un rapido calcolo mentale sulla base del tempo della caduta e della velocità che doveva aver raggiunto a grandi linee… duecento chilometri orari per cinque minuti dovrebbero dare… dovrebbero dare…
Le luci si accesero accecanti. Fu come la visione del sole riarso del deserto appena dopo un periodo di cecità latente. Attorno, un paio di scrivanie ricolme di cartelle ordinate, documentazioni, un computer ed una macchina da scrivere. E davanti a lui il supremo ridente. Padrone di tutto quel che esiste nel raggio di decine di chilometri. Benché non l’avesse mai visto dal vivo, aveva adocchiato alcuni saltuari rotocalchi sbiaditi nelle foto sui giornali, in cui comunque non si mostrava mai a pieno la sua oscura presenza. nel rendersi conto di aver a che fare con una personalità così famosa e potente, da cui peraltro dipendeva la propria sopravvivenza esistenzial-lavorativa, e che aveva pure avuto a magnanimità di assumerlo nonostante (nonostante cosa?), si sentì come il ragioniere Ugo Fantozzi al termine del primo capitolo della saga, quando si ritrova nell’ufficio del mega direttore galattico (conte! Duca! Altezza! Sire! Maestà! Santità!) a chieder pietà e perdono per la propria disdicevole condotta, consistente solo, in fin dei conti, nel pretendere quel che era suo di diritto: esser trattato come un umano e non come un animale. Paul decise allora che avrebbe dovuto tener la spina dorsale dritta, qualunque cosa il supremo gli avesse detto.
“Bene bene!”, esordì lui. “A quanto pare ti sei intrufolato nei sotterranei per vedere Clara, anche se il regolamento prevedeva come minimo l’esperienza annuale!”. Per una frazione di secondo, Paul si perse scorgendo delle strane movenze al di là della vetrata che percorreva per una quindicina di metri la parete dietro al supremo. Questi continuò: “sia chiaro, non me ne sono accorto spiandoti in qualche modo. È se mai il puro e semplice fatto che ti trovi qui a fornirmi in modo inequivocabile quest’informazione. Vedi, un esperto ipnotizzato da tutto il potere della cosa-insetto dopo tutto il tempo che ci aveva passato accanto, non si sarebbe mai distaccato dalla retta via andando a curiosare in giro. È proprio per impedire ai ficcanaso come te di sbrodolarsi addosso che abbiamo dotato alcune sezioni non frequentate dai degni di un passaggio obbligatorio per giungere fin qui. Zac! Come la morsa dio una pianta carnivora! Questo prescindendo dal fatto che avendoti appena assunto, sapevo comunque che non eri degno di frequentare i sotterranei”.
“Che cosa vuoi fare con me? Uccidermi perché ho scoperto che quel mostro orrendo è il vero nutrimento della terra, prima di esser tanto succube del suo potere da costringermi a tacere? Temi che possa andare in giro a spifferare il tuo bel segreto, se esco di qui?”.
“Lo faresti? Non rispondere, è inutile. Ti ammazzerei in ogni caso. Se mi dici di si sarei costretto a farlo, e se mi dici di no a farlo con doppia efferatezza, a causa della rabbia generatami dalla balla colossale. Nessuno può vivere tra gli uomini che la ignorano per anni evitando la tentazione di spifferarla a chicchessia prima o poi. Nessuno! Ma prima del tuo triste epilogo… voglio farti vedere una cosa molto interessante. Tu credi di aver scorto una grande verità? E invece non hai saputo che trarre fortuitamente la sola punta dell’iceberg! L’angolo scoperto di un sistema immensamente più grande! Vieni, sporgiti con me”.
Si diresse innanzi alla vetrata rilucente e contemplò compiaciuto quel che stava al di là. Paul intravedeva qualcosa muoversi lento e pesante. Si avvicinò con cupa circospezione.
Di là, c’era uno spazio cilindrico profondo decine di chilometri, quasi completamente occupato da quella che a prima vista pareva una massa gelatinosa verdastra lievemente tremolante per quant’era molliccia, era invece a ben vedere costellata di centinaia e centinaia di occhietti, socchiusi per la maggior parte, mentre altri ricolmi di vene rossastre si guardavano pigramente attorno. Per quel poco che c’era da vedere. Quella cosa vivente era a forma cilindrica, e si estendeva verso l’alto e verso il basso per un numero imprecisato di chilometri. Da quell’esigua postazione, era persino difficile valutarne a grandi linee la circonferenza.
Lo sbalordimento di Paul, o per meglio dire il punto in cui i nodi venivano al pettine, non raggiunse l’apice in quel punto riflesso ove la meraviglia si trasforma in angoscia e viceversa fino a che non vide quelle tubazioni flaccide che si stagliavano verso l’alto in direzione della cosa-insetto.
“Il nutrimento di Clara!”, strillò il supremo come per dar voce ai suoi pensieri riflessi. “E non solo il suo. Ci sono anche Vanessa, Federica, Noemi… eccetera. Tutta una lunga serie di signorinelle che, fino a centinaia di chilometri da qui, concimano le mie proprietà! E tutte sono sapientemente nutrite dal qui presente Max Barattolo, un tempo conosciuto come primo cancelliere del pianeta Nubek”.
Paul si domandò per quale diavolo di motivo tutti si ostinassero a chiamare quelle… cose, con dei nomi propri di persona. Che quello fosse il segno più risibile dell’effetto delle creature sulle loro menti, circuite al punto tale che arrivavano più che naturalmente a considerarli come esseri senzienti loro pari, nonostante la palesità del contrario. Solo quando questa considerazione fu sedimentata a pieno, si prese a considerare l’ultima affermazione del supremo, il fatto cioè che l’ammasso gelatinoso e occhiuto fosse l’ex cancelliere di un altro pianeta.
“Cosa intendi dire?”, domandò Paul.
“Le notizie a proposito si perdono nella notte dei tempi. Dal padre di mio padre di mio padre di mio padre eccetera, un mio lontano avo di cui di volta in volta a turno abbiamo ereditato l’azienda, deve aver svolto qualche viaggietto nello spazio con la Xsas, la società statale aerospaziale che imperava a quei tempi, e in uno di questi era capitato su quell’allegro pianeta sempreverde dal nome Nubek. Una volta comprese in fretta le enormi potenzialità del Max, dato che nonostante non si fosse ancora avviato all’imprenditoria ne possedeva già tutte le doti sotto il profilo dell’intuizione, aveva ben pensato di portarlo con sé sulla navicella, e sotterrarlo in questo anfratto non appena tornato sulla terra. Oh, di certo non era così grosso a quei tempi, era ancora un germoglio. Lo abbiamo rincoglionito per bene con dei tranquillanti, in modo che neanche volendolo possa mandare tutto al catafascio. Anche se dubito fortemente che lo farebbe mai, in fondo ci vuol bene… e anche noi gliene vogliamo”:
“E come ha fatto a diventare così grosso? Come lo nutrite?”.
“A parte le dosi quotidiane di tranquillanti e antiossidanti non gli diamo proprio un bel niente. Di che avrebbe bisogno un essere tanto perfetto?”.
Paul si schiantò addosso ad un déjà vu da stordimento: quella era la stessa idea dello zio al piano di sopra in merito a Clara.
Fece una smorfia di disgusto e disse: “Mi perdoni ma… non ho ben capito se mi sta prendendo in giro o cosa. Ha appena finito di bollare come degli scemi cosmici quelli al piano di sopra, perché vivono nell’ingenuità di considerare la loro bella Clara come a se stante e completamente autonoma, e ora fa la stessa identica cosa col qui presente Max Barattolo?”.
La sua sorpresa mista rabbia era tanto più schizzata verso l’alto dal momento che aveva sempre istintivamente disprezzato gli atteggiamenti simili, nel campo della politica o della comprensione della storia per esempio. Quelli che sono in grado di grattare di un poco sotto la coltre delle verità ufficiali, propagandate, per poi elevare quel che si trova appena sotto come verità rivelata senza rendersi conto che è anch’essa condizionata. Così facendo, assumono l’identico atteggiamento di chi vorrebbero contrastare, il che è doppiamente disdicevole.
Dietro a questa considerazione, talmente stringente che gli mandava in pressione un immane quantità di sangue raggrumato nella parte retrostante del cervello, sospettò però che anche il supremo, pur con tutto il suo argentario di carattere, fosse ipnotizzato dal gran potere della sua bestia. Eppure, posto che vi fosse qualcosa al di sotto del Barattolo a nutrirlo, per quale motivo i molti che erano discesi lì di sotto non l’avevano mai trovato? Se l’avessero fatto, ne avrebbero fatto parola. A meno che sul fondo angusto di quel percorso a ostacoli non si trovasse un fiume di sangue. Questo pensiero incrinò di un poco il suo ottimismo nelle possibilità dio risolvere l’enigma. Lui non aveva niente di più degli altri per farcela.
Il supremo disse: “non c’è niente qui sotto che nutre il Barattolo. Come potrebbe esserci? Hai mai studiato l’ABC della geologia? Anche i bambini sanno benissimo che nessun essere vivente può sopravvivere poco al di sotto di questa profondità. Dovrebbe esser pieno zeppo di metalli disciolti e schifezze varie, là sotto!”.
“Posso andare a dare un occhiata?”, domandò di getto Paul. Subito si rese conto di non saper render conto del perché l’avesse detto così d’istinto, senza la benché minima valutazione dei rischi. Fu la risposta del supremo a rincuorarlo… se così si può dire.
“Non vedo perché no. Dal momento che devi morire, tanto vale che tu lo faccia con le tue mani”. Sarà stato anche un ragionamento estremamente cinico, ma in fondo aveva ragione. E poi, era tanto elevata la sua curiosità giunto a quel punto, che se il supremo non avesse acconsentito gli si sarebbe lanciato addosso per una lotta impari ed una sconfitta certa, stritolato dai suoi famosi arti d’acciaio. “Dovrebbe esserci una porticina con apertura elettronica, a lato. Percorri la scala dietro di essa, e il resto sono fatti tuoi. La usavamo un tempo per iniettare i tranquillanti a Barattolo, prima di installare il sistema automatizzato”.
Abbassò l’apposita leva nel quadro di controllo e la porta si aprì, riassorbita orizzontalmente dal lato sinistro. Un aria gelida e pungente come vento invernale li avvolse. Barattolo fece una lieve contrazione spastica, aprendo sonnolente di un poco gli occhietti, segno del fatto che si era accorto della loro presenza.
“Accomodati!”, ringhiò il supremo ironicamente, come gli stesse mostrando la sua camera da letto in un hotel a cinque stelle.

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Capitolo 4
*** quarto capitolo ***


Si attaccò stringendo le mani alle sbarre gelide della scalinata verticale. Quando ancora non aveva afferrato il terzo piolo, la porta elettronica si richiuse in uno scatto dieci volte più veloce di quando si era aperta. A Paul venne in mente quel curioso e sempre troppo mal notato fenomeno che vuole, in talune attività commerciali come supermercati e banche, le scale mobili e la porta con apertura automatica in entrata ma non in uscita. Come a dire: benvenuto e accomodati finché devi comprare, e una volta fattolo vai a fare in culo.
Ecco cos’era quel vento gelido, ora se ne rendeva conto: il fiato dato dalla respirazione di Barattolo che fuoriusciva a ritmi regolari da altrettante boccucce triangolari, il cui numero era all’incirca la metà di quello degli occhi. La sua superficie gli stava aderente a circa mezzo metro di distanza.
Mentre percorreva la scala verso il basso iniziò a notare, voltandosi, che quelle centinaia di occhi sgranati lo stavano fissando. Astiosi, impauriti, scrutanti. Non dovevano vederne molti di uomini, non molto spesso almeno. Più scendeva e più la sua superficie passava dal blu notte al viola, e poi al quasi nero, e le bocche al verde fogna scurissimo. Ma forse, era solo un problema di illuminazione.
Dopo mezz’ora buona di discesa gli passò per la mente che quell’essere poteva forse estendersi per decine se non centinaia di chilometri prima di far spazio ad altro. Avrebbe dovuto lasciarsi andare nel vuoto quando fosse sopraggiunta l’estinguersi delle forze, poco ma sicuro.
Fortunatamente, giunse in tempo prima di quel momento sul fondo della costruzione. Una superficie grigia a forma di cono rovesciato, con un enorme foro al centro. Si asciugò il sudore ed alzò la testa per vedere dal basso la parte terminale di Barattolo. Era una sorta di fondoschiena sanguinolento con un foro che, più per abitudine che per altro fu dapprima tentato di interpretare come buco del culo. Ma no, era lo sbocco del nutrimento! E da li partiva una tubatura cilindrica, rosa e molliccia come un condotto intestinale, che finiva dritta nel foro della piattaforma a cono rovesciato su cui poggiava i piedi. Un liquido verdastro e frizzantino veniva risucchiato a gran velocità verso l’alto, dentro il corpo di Barattolo. Con estrema cautela, in modo da non scivolar giù a zonzo a causa della pendenza, si sporse nel buco nel quale confluiva. Solo buio e nient’altro. Puzzo di uova marce, acqua stagnante, vuoto e vertigini.
Si attaccò alla tubazione rosata e flaccida abbracciandola, accingendosi a scendere a mille all’ora, con quel gesto atletico tipico dei pompieri in discesa rapida sul palo appena scorta un emergenza in cui un secondo perduto può ben fare la differenza tra la vita e la morte.
Mentre scorreva rapido verso il basso, facendo bene attenzione a non scivolar fuori vista la scivolosità del condotto, fu folgorato da un terribile sospetto. E se quella ricerca della verità cui aveva troppo ottimisticamente dato inizio si fosse rivelato un saltare di palo in frasca all’infinito, o quantomeno troppo lungo e snervante per poter giungere in fondo? In fondo, aveva già passato la cosa-insetto ed il Barattolo, poteva allora ben darsi che anche quel che avesse trovato sul fondo (posto che avesse mai trovato qualcosa! Ma in caso contrario, che ci faceva lì il cordone?) fosse stato solo l’ennesimo anello di una catena ben più lunga? Ma no, si disse un'altra voce dentro di lui, più razionalizzante che fintamente ottimista, lo spazio di profondità nella terra è limitato per forza di cose, e visto il livello ormai raggiunto è impossibile che possano dispiegarsi molti altri passaggi. E più scendeva vorticosamente e col vuoto da sbocco nello stomaco, più quest’idea si faceva plausibile, assommata però all’altra ben più pessimista che al centro della terra potesse non esserci nulla di rilevante, magari una semplice macchina produttrice automatizzata, oppure addirittura il condotto sbucava dall’altra parte della terra, dove alcuni strambi personaggi avevano ideato quel sistema traforandola da parte a parte come un verme con la sua mela, e dove soprattutto lui non avrebbe mai potuto giungere a causa della gravità generata dal nucleo centrale del pianeta. O no?
Quando meno se lo aspettava atterrò su di un tappeto elastico rosato, talmente elasticizzato che dovette fare una decina di salti ad un altezza considerevole prima di potersi fermare. Quando fu stabilmente fermo si rese conto che i suoi piedi affondavano nel terreno come fosse stato fatto di pane per bruschette compattato.
Quella su cui era piombato era una superficie vagamente piatta di cui però, guardando l’orizzonte in qualsiasi direzione, si poteva dedurre la sfericità complessiva sulla base di una piccola incurvatura. Era color salmone pallido, affumicato, puntellato da fitti tentacoli violacei come fili d’erba o peli cutanei.
“Sono al centro del mondo!”, si disse sovreccitato, “la verità che cerco deve essere senz’altro qui!”.
Una voce rimbombante dalla fonte indeterminata lo fece sobbalzare. “Papà? Sei tu?”.
Paul tremò sin nei suoi recessi più profondi… come se la volta celeste si fosse divelta in due rivelando il volto del vero dio che lo squadrava severo e con l’indice puntato. Benché quella voce non fosse affatto severa ma, al contrario, dolce e mielosa. Paul non rispose, imbarazzato, come quando non si è ben sicuri che l’interlocutore si stia rivolgendo a noi.
La voce ripeté cantilenante: “papà? Sei sceso per salutarmi?”.
“Stai parlando con me?”, domandò Paul.
“Non sei il mio papà!”, rispose la voce sconfortata. “Che ci fai qui, allora?”.
Nel voltarsi e riguardare il cordone attaccato alla superficie, che aspirava ingordo tutte quelle nutrizioni verdastre prodotte dalla mega palla, Paul capì.
Chiese: “Tuo padre è quello di sopra? Il Barattolo dal milione di occhi?”.
“L’hai visto?!”, domandò la palla ansiosa. “Sei venuto da lì, ci scommetto! E che ti ha detto?”.
“Niente. Dormiva. Lo tengono buono con un fottio di tranquillanti per paura che possa andare in escandescenza. In ogni caso… hai la benché minima idea di quel che succede ai piani superiori? Il fatto che nutri il Barattolo, che a sua volta nutre le varie cose-insetto disposte lungo le centinaia di chilometri di territori del supremo, che concimano per far crescere rigogliosi gli ortaggi per l’umanità? E poi, come mai continui a chiamarlo padre?”.
“Non so nulla di quello che succede al di fuori di me e di lui, e anche questo rapporto purtroppo conta ben poco. Ogni tanto mi cade giù qualche tuo simile già mezzo matto, e mi fa compagnia vagando per giorni sulla mia superficie. Comunque, Barattolo lo chiamo padre perché tanto tempo fa mi ha generato dal suo tubo-tentacolo posteriore. Per mezzo di quello, e della nostra connessione mentale, sono venuto a conoscenza di tante informazioni che lo riguardavano, ed il periodo precedente la mia nascita. Per portarla a termine ha avuto bisogno di scavare il centro della terra… per farmi spazio. Milioni di metri cubi di materiale ingurgitato e ritrasformato in energia motrice. Mi ha generato col seme che teneva in corpo e sono cresciuto fino a raggiungere le dimensioni di un piccolo pianeta. E quand’ecco che fui abbastanza grande e maturo per aver nozione della verità, mi trasmise quel che la tua razza fece alla mia, rapendo l’imperatore mio padre per soddisfare i vostri avidi fini commerciali di arricchimento dei terreni! L’intero pianeta Nubek rimase preda del caos e dell’anarchia per cinquecento dei vostri anni… vi furono milioni di vite estinte sul nascere. Invece di un regno paradisiaco di pace e serenità, condannaste il mio popolo all’inferno, e ancora adesso la situazione non si è del tutto sistemata!”.
“Non per i miei fini, quelli della famiglia del supremo se mai! Io e la stragrande maggioranza dell’umanità non abbiamo contribuito per nulla alla vostra disfatta!”.
“Per noi fa poca differenza che sia stato un avo del supremo o chicchessia a compiere il rapimento e a sotterrarlo appena sopra di me, quel che conta è che tutti ne avete tratto vantaggio. Peccato solo che non abbiate fatto i conti con l’altra faccia della medaglia”.
“Ovvero?”.
“Che da qualche parte il ciclo deve pur ricominciare, e la domanda che hai sulla punta della lingua e che hai tentato di rimandare il più possibile, vertente sul dove io prenda nutrimento per alimentare non solo papà, ma anche tutti gli altri suoi venticinque vece o cose-insetto che col tempo ha disseminato per il pianeta, troverà presto risposta. Percorri la traiettoria indicata dalle frecce impresse… e troverai il prossimo anello della catena della vita. Il punto di congiunzione tra l’inizio e la fine”.
Sulla sua superficie color salmone comparvero delle sovrimpressioni più scure a forma di freccia, disposte in fila e puntanti verso un luogo lontano. Paul si fece coraggio ed iniziò a seguirne la direzione. Per ore e ore.
È veramente incredibile quanto un cammino possa risultare immensamente più lungo ed astioso quando non ci sono punti di riferimento lungo il tragitto a segnalare i vari progressi raggiunti, fossero anche soltanto dei piccoli cartelli posti ogni dieci chilometri che segnalano la distanza.
Dopo circa sei ore di passeggiata, sempre e comunque contrassegnata da quelle frecce scure, a Paul venne in mente una trasmissione tv che aveva visto tempo prima. Parlava di un esperimento scientifico nel quale una decina di cavie era stata rinchiusa in un appartamento sotterraneo senza alcuna possibilità di comunicare con l’esterno, in modo tale che gli scienziati potessero valutare le loro reazioni in relazione alla totale mancanza di riferimenti temporali. Stavano svegli trenta ore di seguito, mangiavano una o quattro volte al giorno.
Magari, pensò esausto, quel figliastro su cui camminava aveva fin troppo frettolosamente redatto le possibilità di quel viaggio sulla base delle proprie dimensioni e non di quelle dell’umano, di modo che gli era sembrata una bazzecola fargli percorrere quei mille milioni di chilometri! Oppure quelle frecce che sembravano andare per dritto, deviavano impercettibilmente a lato di volta in volta, cosicché si ritrovava infine a girare a vuoto in un enorme circolo.
Le sue ansie furono placate quando cominciò ad intravedere qualcosa in lontananza. Quando l’ultimo rimasuglio di foschia sudaticcia si levò dall’orizzonte, gli si presentò una specie di… catena di trasporto mineraria. Su di una lunga serie di carrelli cigolanti scorrevano i corpi senza vita di centinaia di esseri umani. Alcuni altri erano ancora mezzi vivi, ma troppo storditi per rendersi conto di cosa stesse succedendo. Tra i tanti, Paul intravide pure in bella vista quelli dello zio e del padre, l’uno accanto all’altro… era evidente che non poteva trattarsi di un caso, il figlio del Barattolo glieli aveva fatti trovare in primo piano per farglieli vedere bene, col movimento dei vagoni che avanzavano imperterriti e scaricavano i corpi nell’unico cratere presente sulla superficie… nutrendo quell’enorme palla al centro del pianeta terra!
Gli parve quasi di sentire la voce stridula del piccolo pianeta ridente in risposta alla sua reiterata domanda mai posta direttamente: “chi ti nutre?”, che gridava: “voi mi nutrite! Voi siete l’inizio e la fine, la chiusura del ciclo della vita!”, prima di avvertire una spinta bastarda da dietro (forse un escrescenza della palla che si era fatta valere con un colpo alle spalle) ed esser costretto a cadere assieme agli altri cadaveri giù per il cratere.
Per essere fagocitato e tornare in vita come nutrimento dell’umanità.

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