Let me paint this picture for you di klabeks_ks (/viewuser.php?uid=117652)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Titolo: Let me
paint this picture
for you.
Genere: Romantico, Introspettivo.
Avvertimenti: Incest, What if?
Alla mia Beks ♥
Riesci sempre a ispirarmi.
Let
me paint this picture for you.
Capitolo
1
“Il
tempo non conta per il cuore.
Si può amare anche stando lontani
e quell'amore, se è vero e puro,
non morirà mai neanche fra mille anni.”
«Cosa
ne pensi?»
Klaus distolse lo sguardo dalla tela che aveva di fronte, per puntarlo
sul
fratello che a capo chino si aggiustava il polsino della camicia di
alta
sartoria. Aggrottò la fronte quando Elijah fece altrettanto,
tutto preso
dall’abbottonare uno dei gemelli.
«Perché chiedi la mia opinione?» Klaus,
disinteressato, tornò alla sua opera.
Il paesaggio lacustre stava prendendo forma sotto le abili pennellate,
il verde
dell’erba che pian piano si sposava con l’azzurro
cupo delle acque.
Erano
trascorsi poco più di sei mesi da quando, in quello che lui
si sforzava di
considerare un eccesso di magnanimità, aveva lasciato andare
Rebekah. L’aveva
resa una donna libera, a suo dire. La realtà era invece ben
diversa.
L’aveva
mandata via, perché la ferita era ancora troppo profonda. Il
cuore di Klaus,
spezzato, non aveva ancora cessato di sanguinare.
E proprio quel sangue si
tramutò nel rosso dei papaveri che stava dipingendo nel suo
paesaggio.
Elijah
si avvicinò al fratello, per ammirare i colori intrappolati
nella tela, e di
sottecchi poi ne osservò il profilo.
Klaus non era mai stato tanto taciturno,
quasi apatico. Lo preferiva di gran lunga nei suoi scatti di ira
eccessiva,
nelle urla e nelle esemplari punizioni che aveva sempre inferto a
destra e
manca. Sebbene un bagliore di redenzione si fosse acceso in
quell’ibrido
millenario, Elijah non riusciva più a stargli accanto senza
domandarsi cosa gli
fosse accaduto.
Forse, pensò, la nascita della piccola Rebekah lo aveva
leggermente ammansito.
Forse, invece, quell’irreale calma era dovuta
all’assenza di una Rebekah ben più adulta della
bambina che dormiva al piano di
sopra.
«Niklaus» il maggiore dei Mikaelson
esalò un profondo respiro e lasciò ricadere
le braccia lungo i fianchi.
Non si diede neppure pena di aggiustarsi i risvolti
dell’elegante giacca scura che indossava, «per
quasi un anno non hai fatto
altro che lottare per riprendere il controllo di New Orleans e negli
ultimi
tempi sembra quasi che non ti importi più del posto in cui
vivi.»
D’accordo con
Hayley, che finalmente era diventata sua amorevole compagna, Elijah
aveva
deciso di mettere il fratello di fronte alle responsabilità
di cui doveva
tornare a farsi carico.
E proprio lui lasciò andare tavolozza e pennello e si
voltò a guardarlo, con quella sua solita aria spavalda, le
sopracciglia
sollevate, la fronte aggrottata e un’espressione derisoria
che gli solcava il
volto che in quel momento sembrava di pietra.
«Come desideri, fratello,
ti dirò
cosa penso.»
A Niklaus Mikaelson erano sempre piaciute le chiacchiere, ma in quel
momento
voleva solo stare da solo, nel silenzio e nella calma che la sua tela
gli
infondeva. Avrebbe quindi liquidato tempestivamente il fratello e
sarebbe
tornato alla sua reale occupazione.
Si allontanò dalla tela incompleta e si
accostò al mobile sul quale erano adagiati bicchieri e
bottiglie colme di
liquido ambrato.
Si versò due dita di quest’ultimo e ne prese un
sorso, per poi
far ondeggiare il bicchiere in mano.
«Marcel vuole recuperare terreno e finora sei stato bravo a
non concederglielo,
ma mi rendo conto di essere stato troppo indulgente con lui. Insieme al
suo
amico Thierry sta mettendo a soqquadro il quartiere e ha creato una
fazione che
ci è nemica. Quei due hanno preso i vampiri più
forti e hanno fatto uccidere
quelli che erano rimasti dalla nostra parte, segno che con noi erano
rimasti
solo i novellini. Per questo motivo vanno eliminati,
entrambi.» E magari
avrebbe anche ottenuto la vendetta che tanto e da troppo tempo bramava.
L’ibrido notò un leggero cambiamento nello sguardo
del fratello, un piccolo
lampo di luce che gli aveva illuminato gli occhi scuri.
«Va bene Niklaus, allora andiamo. Possiamo dare un taglio a
questa farsa ancor
prima che lui se ne accorga.»
Il maggiore era quasi felice che suo fratello
fosse tornato a parlare di punizioni e omicidi, stava tornando ad
essere il
solito Klaus.
Finalmente avrebbe potuto smettere di preoccuparsi, pensò.
Subito
dopo però si rese conto che lui, Elijah Mikaelson, non
avrebbe mai smesso di
preoccuparsi per i suoi fratelli. Gli ultimi che gli erano rimasti,
quelli cui
teneva più di ogni altra cosa.
«Temo però che dovrai occupartene tu,
perché io al momento sono in vacanza.»
Stringendosi
nelle spalle, il viso di Klaus si illuminò di un sorriso che
però non gli
giunse agli occhi. «Sono diventato padre da poco, ricordi?
Devo stare con mia
figlia, cambiare pannolini…»
«Niklaus, quella bambina quasi non ti conosce. Hai costretto
Hayley a darle il
nome che tu avevi scelto e poi hai sempre cercato di
evitarla.»
«Però devi ammettere che il nome che le ho dato
è molto bello.»
Adesso Elijah cominciava a spazientirsi. La sua fronte venne solcata da
una
linea profonda, segno di una preoccupazione sempre maggiore.
Ma anche di una
rabbia che a stento riusciva a trattenere.
Era quello pacato e virtuoso, lui,
non avrebbe dovuto lasciarsi andare a inutili e letali scatti
d’ira. Quella era
una prerogativa del fratello che gli stava di fronte.
«Fa’ come vuoi, Niklaus,
continua a comportarti come stai facendo adesso. Ma se perderemo New
Orleans,
la città che consideriamo la nostra casa, dovrai arrangiarti
da solo.»
Uscì dalla stanza lasciando il fratello con ancora il
bicchiere in mano, un
sorrisetto soddisfatto sulle labbra e i demoni che urlavano dentro di
lui.
Klaus non si scompose di quella minaccia, perché ormai la
solitudine non gli
faceva più paura.
L’aveva sperimentata negli ultimi sei mesi e la stava vivendo
anche in quel momento.
Suo fratello avrebbe dovuto cambiare registro per
riuscire a intaccarlo, perché la scusa della solitudine
ormai non reggeva più.
Sotto quel punto di vista, Klaus Mikaelson era ormai inattaccabile e
indistruttibile.
Lasciò il bicchiere quasi vuoto sul tavolo e
tornò al suo
quadro che, però, non lo ispirava più come prima.
Per questo afferrò il blocco
dei suoi schizzi e lo sfogliò, fino a quando
trovò l’ultimo disegno.
Quello
incompleto, quello che aveva paura di terminare.
Nonostante tentasse sempre di
mostrarsi forte e temibile, non era raro che la paura lo attanagliasse
fino a
farlo fuggire perfino da se stesso.
Non aveva mai saputo amare nel modo giusto.
Troppo assillante, troppo ossessivo.
Non aveva mai saputo lasciare libertà alle
persone che amava. A Rebekah. La libertà di agire, di amare
e di sbagliare.
Aveva sempre cercato di riparare ai suoi errori ancor prima che lei li
compisse,
finendo per allontanarla da sé.
L’aveva portata allo stremo della pazienza, era
stato a causa sua che Rebekah aveva condotto Mikael in quella
città.
E le aveva
comunque dato la colpa. Perché è più
facile colpevolizzare gli altri, piuttosto
che se stessi.
È più facile sentirsi la vittima,
anziché il carnefice della
persona che si ama.
Alla fine però l’aveva lasciata andare, le aveva
concesso
la possibilità di vivere e di essere felice lontana da lui.
Almeno questo,
ricordò a se stesso, lo doveva alla sorellina che lo aveva
sempre amato e che
gli era sempre stata accanto.
Non lo aveva mai lasciato, almeno fino a sei mesi
prima.
Sfiorando quasi con timore il liscio profilo del volto impresso
sulla carta, finalmente Klaus si decise a completare quel ritratto.
Magari
riprendendo proprio dalle seriche onde color grano che incorniciavano
un viso
altrettanto incantevole.
Quando raggiunse la camera che divideva con la compagna, Elijah permise
a se
stesso di riprendere la calma che aveva perso.
Un evento raro, visto che non la
perdeva neppure nei momenti di più profonda tensione.
Alla domanda silenziosa
di Hayley, lui rispose con un leggero scuotimento del capo e la ragazza
si
lasciò cadere seduta sul letto con uno sbuffo.
«So che è strano da dire, ma lo
preferivo quando faceva lo psicopatico, almeno era facile
odiarlo» esordì la
licantropa, afferrando una mano di Elijah che le si era seduto vicino.
«Ho
anche perso la voglia di ucciderlo, mi fa solo una gran
pena.»
Senza dire una
parola, il vampiro annuì e intensificò la stretta
alla mano della giovane
compagna.
Vedere il velo di preoccupazione che le copriva gli occhi, non fece
altro che allargarli il vuoto che sentiva allo stomaco. Se anche Hayley
era in
pena per Klaus, allora la situazione era davvero molto grave.
«Ti prego,
Elijah, fallo tornare detestabile.»
E quell’ultima preghiera servì a darli la spinta
finale per rendere reale la
decisione che aveva preso.
Elijah annuì ancora una volta, posò un lieve
bacio
sulle labbra della compagna e afferrò il telefono.
L’Europa l’aveva sempre affascinata. Nettamente
più antica dell’America,
Rebekah vi aveva sempre colto un velo di magia e mistero.
Respirò a pieni
polmoni l’aria fredda di San Pietroburgo e sorrise quando il
fiato le uscì
dalle labbra in piccole nuvole bianche.
Nonostante la sua condizione di
immortale la riparasse dal freddo gelido della Russia, la vampira si
strinse
nel suo cappotto di cashmere e, come fecero tutti gli umani in fila
davanti a
lei, mostrò il biglietto d’ingresso
all’addetto del museo. Il complesso
architettonico formato da cinque grandi palazzi era proprio come lo
ricordava.
Maestoso e lussuoso, nel puro stile degli zar che –nel primo
Novecento- erano
stati uccisi dai rivoluzionari. Rebekah alzò il capo, mentre
il suo sorriso
prendeva ancor più vita alla vista della bellezza che
nutriva i suoi occhi.
“Noi siamo come l’arte, Rebekah. Immortali e
maestosi, senz’alcun timore e in grado di ammaliare anche
l’animo più
incorruttibile. È pur vero, però, che nessun
animo lo è davvero. Incorruttibile,
intendo.”
Le parole di Klaus gli danzarono nella mente, costringendola ad
abbassare lo sguardo e a proseguire dritto all’interno del
museo.
Quelle
parole, a distanza di secoli, erano riuscite ancora una volta a farle
perdere
il sorriso.
Loro erano i Mikaelson, i primi vampiri mai creati, abomini della
natura. Erano duri come roccia e freddi come il ghiaccio.
Rebekah invece no.
Lei voleva essere calda come il fuoco, voleva essere viva. Desiderava
l’amore e
quella famiglia che, sapeva, non avrebbe mai potuto creare. In un certo
senso,
Klaus aveva avuto ragione. Loro erano come l’arte, immortali.
Resistenti al
tempo, alle malattie, perfino alla morte.
Resistevano alle lacrime versate e a
quelle trattenute; ai sospiri e alle urla; alla gioia e al dolore; ai
rimorsi e
ai rimpianti.
Girovagando tra le varie sculture, la vampira si fermò a
osservarne una in
particolare.
La targhetta sottostante informava che l’autore era
Michelangelo,
lo stesso artista che aveva dipinto uno dei luoghi che più
l’affascinavano.
“Siamo tutti peccatori. Lo sono tutti, anche
quelli che Michelangelo ha dipinto tanto in alto” le
aveva detto un giorno
Klaus, mentre lei stava ammirando in silenzio “Il giudizio
universale”, l’opera
più maestosa che lei avesse mai visto.
«Tu però lo sei più di ogni
altro» mormorò puntando gli occhi sul giovane
accovacciato, con le mani incrociate sul terreno e il riccioluto capo
chino.
Quel giovane, sebbene i suoi lineamenti fossero poco marcati, le
ricordò
proprio quel fratello che l’aveva cacciata via da New
Orleans. Forse per i
capelli ricci o per l’espressione inquieta. Per questo motivo
scattò e si
allontanò velocemente da quell’opera
d’arte senza dubbio splendida, ma
colpevole di averla rimandata a ricordi dolorosi.
«No.» Il sussurro strozzato uscì dalle
sue labbra, mentre gli occhi le si
riempirono di lacrime.
Klaus era proprio lì davanti a lei, anche se non in
senso letterale.
Rebekah, cercò di ricacciare le lacrime e guardò
in silenzio
il paesaggio che si stagliava davanti a sé. Non era una vera
esperta di
pittura, ma la mano dell’artista era inconfondibile. Era
stata presente durante
la creazione di quel meraviglioso paesaggio.
Aveva atteso per settimane che
esso venisse completato, per poterlo ammirare nella sua interezza.
Era come guardare
una cartolina, una foto in grado di catturare ogni cosa, anche il
leggero
soffiare del vento.
Quel quadro, che solo in pochi avevano osservato mentre gli
altri turisti avevano semplicemente tirato dritto, era stato creato da
un
artista che aveva desiderato mantenere l’anonimato. La
vampira respirò a labbra
schiuse e si asciugò gli occhi con una mano, un gesto secco
e veloce che a una
semplice umana avrebbe sicuramente causato un’irritazione
della pelle.
E lei
odiava non soffrire di quelle piccole debolezze!
Le voleva, voleva tutto ciò
che rappresentasse l’umanità che aveva perso.
Restò a fissare le foglie
immobili e appassite anche quando il telefono le vibrò in
tasca e lei rispose,
senza neppure leggere il nome di chi la stava cercando. Il groppo alla
gola non
fece altro che stringersi quando sentì Elijah pronunciare il
suo nome.
“Forse
è arrivato il momento di tornare a casa, Rebekah.”
Già,
tornare a casa. Ma quale? Rebekah non aveva più una casa.
Forse non l’aveva mai
avuta.
Casa era quel luogo in cui viveva con i suoi fratelli, durante le
interminabili fughe.
Casa era stato il luogo che aveva condiviso con Klaus
quando, nell’ultima fuga della loro vita, avevano lasciato
Elijah a New
Orleans.
Una fuga che lei stessa aveva causato.
Girovagava tre le strade ammantate di neve, ma non si stava godendo la
tanta
desiderata libertà.
“Non posso sprecare
quest’opportunità di
essere libera, Elijah.”
Non poteva proprio. Se fosse tornata a New Orleans, Klaus non
le avrebbe
dato una seconda occasione per essere felice. Forse avrebbe cambiato
idea, una
volta vista, e l’avrebbe uccisa sull’uscio di casa.
Infilando le mani nelle
tasche del cappotto, la vampira percorse gli ultimi isolati che la
separavano
dal suo albergo, da un bagno caldo e dal grande e comodo letto sul
quale
sperava di trovare un sonno senza sogni.
Aveva fatto una
promessa. E non si poteva certo dire che
Klaus Mikaelson non mantenesse le sue promesse.
Per questo motivo aveva
lasciato carta bianca al fratello.
Voleva disperatamente piantare una mano nel
torace di Marcel e strappargli via il cuore.
Proprio come lui e Rebekah avevano
strappato via il suo.
E magari pestarlo, più e più volte, fino a
ridurlo in
poltiglia mentre dinnanzi a lui il vampiro crollava a terra ed esalava
l’ultimo
respiro. Ma non poteva. Le sue mani erano bloccate e i polsi legati da
un
laccio invisibile.
In piedi davanti alla culla di legno intarsiato, Klaus
approfittò di quel momento di assoluta solitudine per
sfiorare la guancia
paffuta della figlia con un polpastrello. Senza nessuno a ronzargli
intorno per
controllare che non uccidesse quel piccolo fagotto, non riusciva a
guardarla
con indifferenza. Le sue labbra erano piccole e carnose e i radi
capelli biondi
erano ribelli e ondulati come i suoi.
Scostò la mano dalla bambina appena
avvertì la presenza del fratello farsi vicina e
indietreggiò di un passo per
allontanarsi dalla culla.
Quando si voltò verso la porta, notò lo sguardo
amorevole che Elijah aveva rivolto alla piccola addormentata e
avvertì un moto
di irritazione divampargli dentro. Suo fratello poteva tranquillamente
tenersi
la giovane lupa, ma la bambina era sua. Rebekah era sua.
«Ti somiglia molto.» Elijah gli si
avvicinò e incrociò le braccia al petto, ben
attento a non guardare la piccola in presenza del fratello minore che
schioccò
la lingua e lo guardò con annoiato.
«Almeno adesso sappiamo per certo che è mia
figlia.»
A quella dichiarazione di possesso che celava una certa minaccia, il
vampiro
sorrise e arricciò il naso, come se ciò che aveva
appena sentito fosse molto
divertente. O alquanto ridicolo.
Sicuramente gli stava nascondendo qualcosa, pensò, ed era
intenzionato a
scoprire di cosa si trattasse.
Elijah invece, da quanto tre giorni prima aveva
telefonato alla sorella, non aveva fatto altro che pregare
silenziosamente,
sperare e contare le ore, i minuti e perfino i secondi.
«La faccenda con Marcel è stata
sistemata» cambiò argomento, consapevole che,
se da una parte aveva compiaciuto il fratello, dall’altra
aveva deluso la
sorella. Rebekah non l’avrebbe mai perdonato, ne era certo.
Un altro fratello
da odiare, un altro fratello cui dire addio.
Questa volta per sempre, perché
era sicuro che si sarebbe rifiutata di parlargli anche al telefono.
Così come
Niklaus, anche lui l’avrebbe persa. E proprio il fratello,
per la prima volta
in sei mesi, gli rivolse un sorriso smagliante.
«Molto bene, fratello,
finalmente una buona notizia!»
Klaus lo ricompensò con una pacca sulla spalla e
uscì dalla stanza, forse per rintanarsi in quello che era
divenuto il suo luogo
per eccellenza.
Magari si sarebbe immerso in un nuovo quadro, tutto pur di non
affrontare la realtà a testa alta.
Era nell’indole di Klaus.
Quante volte aveva percorso quella strada, seduta comodamente in quella
stessa
auto?
Ormai Rebekah aveva perso il conto. Il vento tra i capelli,
però, riuscì
a portare via con sé il timore che le irrigidiva le spalle.
Stava tornando a
casa, convinta da suo fratello Elijah. Le aveva assicurato che Klaus
non ci
sarebbe stato. E aveva rincarato la dose di sensi di colpa, facendo
leva
sull’amore che provava per quella bambina che non aveva
ancora avuto modo di
vedere.
Sarebbe tornata a casa, avrebbe cullato tra le braccia la sua nipotina
e sarebbe nuovamente andata via. Solo poche ore.
Un viaggio di quasi un giorno
intero, per sole poche ore in famiglia. Una famiglia dimezzata, visto
che
avrebbe avuto la sola compagnia di un fratello amorevole, una ragazza
che aveva
lasciato prima che potesse davvero diventare sua amica e una nipotina
che non
aveva mai visto.
Sarebbe entrata dalla porta sul retro, magari sarebbe stata fortunata e
non
avrebbe incontrato Klaus.
Rebekah scosse il capo quando spense il motore,
stupendosi per la sua ingenuità. Come se non sapesse che
Klaus avrebbe potuto
sentirla anche se fosse entrata dal retro! Lui sapeva sempre tutto,
sentiva
sempre tutto, vedeva sempre tutto.
Smontò dall’auto con una decisione che non
provava, ma che era costretta a ostentare per non lasciar trapelare
l’incertezza che viveva dentro di lei. Incertezza e timore,
insieme a un’aspettativa
che non avrebbe dovuto sentire. Per secoli aveva desiderato la
libertà e adesso
sperava di vedere proprio quell’unica persona che non aveva
mai voluto
concedergliela?
Battendo le palpebre e costringendosi a ricacciare indietro ogni
emozione che
non era giusto provare, la vampira mise piede in casa. Come
un’accoglienza
preparata, un vagito la raggiunse dal piano di sopra e lei sorrise. Era
come se
la sua nipotina avesse saputo che la zia fosse arrivata proprio per
lei.
Il sorriso però le si spezzò sulle labbra, mentre
il respiro le si bloccava in
gola.
La presenza alle sue spalle era inconfondibile.
«Rebekah.» Una sola parola che la fece voltare, per
guardare in faccia l’uomo
che le aveva reso l’esistenza un vero inferno.
Ma, al tempo stesso, l’uomo che
per mille anni aveva amato con tutta se stessa. Klaus la fissava con
gli occhi
sgranati e le labbra schiuse.
E in quel momento, la somiglianza tra i due fu
inconfutabile.
Una somiglianza che non coinvolgeva i tratti fisici, ma emozioni
ed espressioni. Una somiglianza tutta loro.
«Ciao, Nik» sussurrò lei in
risposta, immobile, incerta se restare in quella casa o scappare via.
Nik le avrebbe fatto del male? Per la prima volta dopo decenni, Rebekah
pensò
che Niklaus Mikaelson non le avrebbe torto neppure un capello.
O forse era solo
la speranza che stava offuscando la sua capacità di
giudizio.
Non potendo
essere sicura di quella sua sensazione, non le restò altro
che provare a
fidarsi.
Angolino targato
“klabeks_ks”
Buondì!
Perdonatemi qualora trovaste che Elijah e Hayley non sono
caratterizzati
correttamente, ma non ho mai scritto nulla su di loro e ammetto di non
conoscerli molto bene.
La storia si svolge sei mesi dopo l’addio di Rebekah a New
Orleans e ho deciso
di non seguire gli avvenimenti che saranno presenti nel prossimo
episodio di
The Originals. Prendetela come un tentativo di rendere giustizia a una
coppia
che, nel bene e nel male, ci ha emozionati dalla prima
all’ultima scena.
Spero che questa breve fanfiction senz’alcuna pretesa possa
piacervi!
E adesso mi siedo, buona buona, e aspetto i vostri pareri.
Al prossimo capitolo! XD
Ps. CW, PLEC,
TUTTI GLI ARCANGELI DEL PARADISO E PURE DIO IN
PERSONA…
RIDATECI CLAIRE HOLT IN “THE ORIGINALS”!
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Capitolo
2
“I
will love you till the end of time
I would wait a million years
Promise you’ll remember that you’re mine
Baby can you see through the tears?”
- What
goes around...
comes around
«Cosa
ci fai qui? Perché sei tornata?»
Klaus era fermo sulla soglia della cucina, le braccia lungo i fianchi e
le
labbra arricciate.
Credeva non l’avrebbe mai più rivista. Il loro
addio era stato definitivo.
Le aveva chiesto –anzi, le aveva proprio ordinato- di non
tornare mai più. E
perché lo aveva fatto?
In quel momento non voleva pensare ai motivi che lo avevano spinto a
prendere
la decisione di non volerla rivedere mai più.
«Hayley mi ha invitata a conoscere la bambina»
mentì lei, perché sarebbe stato
molto meglio dire una mezza bugia, piuttosto che la verità
per intero. Un po’ come faceva da tutta la vita.
Se Nik avesse saputo che era stato Elijah a chiederle di tornare per
conoscere
la sua nipotina, avrebbe dato di matto.
Avevano trascorso diversi decenni separati, quando lui
l’aveva allontanata con
la forza e un pugnale nel cuore, ma non erano mai stati lontani quando
lei era
sveglia e vigile, in grado di prendere decisioni per proprio conto.
Adesso che lei era davanti a lui, Klaus si sentiva privato di qualcosa
che, in
effetti, non gli era mai appartenuta.
Annuì, decidendo di non reagire in alcun modo a
quell’informazione. In fondo,
quella bambina era sua quanto di Hayley e lei poteva fare
ciò che voleva. Anche
invitare in casa la donna che lui non era ancora in grado di
affrontare. E
forse non ne sarebbe mai stato capace.
Si fece sa parte in silenzio per farla passare quando lei gli si
avvicinò. La
sua espressione si fece contrita quando notò che lei si era
mossa con
circospezione, quasi temesse che lui potesse attaccarla
all’improvviso.
«Non ti farò niente, tranquilla.»
Differentemente da quanto avrebbe fatto qualche tempo prima, questa
volta
l’ibrido parlò senza sarcasmo e ironia.
Era serio, sincero, e quelle sue parole vennero ricompensate con un
cenno
d’assenso e un leggero sospiro.
«Non mi tratterrò a lungo, sono tornata solo per
conoscere tua figlia.»
Nonostante la tensione palpabile, nell’aria vi era anche
qualcos’altro che lei
non riuscì a decifrare.
Che Nik, sotto quella corazza quasi impossibile da penetrare, fosse
felice di
rivederla?
A quello, Rebekah non si sarebbe mai sognata di aspirare.
Accettò comunque il muto invito di proseguire e si sorprese
quando sentì dei
passi alle sue spalle.
La stava seguendo al piano superiore, in religioso silenzio. E
dov’erano Elijah
e Hayley quando c’era più bisogno di loro?
La vampira acuì i sensi, in cerca dei due, ma evidentemente
non erano in casa.
Quella sì che era una sfortuna!
Klaus non sapeva cosa dirle, non sapeva neppure se ci fosse qualcosa da
dire.
Si limitò a seguirla e si infilò le mani nelle
tasche dei jeans quando lei si
fermò davanti a quella che era stata la sua camera. Attese
che la sorellastra
aprisse la porta e sbirciasse all’interno, ma trattenne il
respiro quando un
sorriso mesto le si disegnò sulle labbra.
«Non è cambiato nulla»
mormorò lei, esterrefatta, mentre il fratellastro
abbassava lo sguardo sulle proprie scarpe. Si stava dondolando sui
talloni o
aveva le allucinazioni?
«Elijah non ha voluto togliere le tue cose»
l’ibrido scosse piano la testa,
come a voler negare qualcosa che però non aveva detto,
«ha sempre detto che un
giorno saresti tornata.»
«E aveva ragione… no? Sono qui.»
Cominciava a sciogliersi, come se davanti
avesse il Nik che aveva sempre amato e non il Klaus che
l’aveva mandata via
dopo aver minacciato di ucciderla. Erano rimasti un giorno e una notte
prigionieri in un cimitero, urlandosi contro e lanciandosi accuse.
E lei si era sfogata, gli aveva detto ciò che pensava di
lui. Le cose negative,
almeno.
Quelle positive, perché ce n’erano nonostante
tutto, le aveva tenute per sé.
Notando che lui non accennava a rispondere, Rebekah chiuse la porta
della
camera che ormai non era più sua e si voltò a
guardarlo.
«Fai strada, per favore.»
«Per di qua, le abbiamo creato una nursery degna di
lei» e lui si era limitato
solo a quello, a dirigere i lavori per creare dal nulla la cameretta
della
bambina della quale non riusciva a fare il padre. La precedette lungo
il
corridoio e aprì la porta della cameretta, entrando in una
nuvola di bianco e
rosa tenue.
Il paradiso per le bambine, l’inferno per gli uomini.
Quando Rebekah entrò nella cameretta tutta al femminile, il
suo sguardo venne
subito attirato dal piccolo corpicino che si intravedeva dalle sbarre
della
culla. Si avvicinò con passo incerto e si sporse oltre la
barriera di legno,
artigliandone i bordi con le mani.
Ed eccola lì, con le guance paffute e rosee, i riccioli
biondi e gli occhioni
di un’indecifrabile tonalità tra il blu e il
verde.
Era la copia dell’uomo che l’aveva raggiunta
davanti alla culla e che aveva
incrociato le braccia a petto. Voltò il capo per guardarne
il profilo marmoreo
e sorrise, intimidita da quella vicinanza cui non era più
molto abituata.
«Posso prenderla in braccio?» domandò
piena di aspettativa, impaziente di stringere
tra le braccia quella piccola vita che adesso le stava sorridendo,
mostrandole
una dentatura inesistente e le gengive arrossate.
«Sei qui per questo, no?» le indicò la
culla con un cenno del capo e arretrò,
puntando gli occhi sulla bambina che veniva sollevata e stretta tra le
braccia
dalla donna dalla quale aveva ereditato il nome. E la bambina, piccola
traditrice, sembrava gradire la vicinanza della la bionda
più adulta che le
aveva appena posato un lieve bacio sulla fronte.
A quella vista, Klaus venne attraversato da un tremito. Era un
avvenimento
singolare, quello di cui era testimone.
Rebekah teneva stretta tra le braccia una bambina che le somigliava
come se
quella fosse stata sua figlia.
Le sussurrava dolci parole e la cullava, attenta
a non dondolarla troppo.
«È davvero bellissima, Nik»
mormorò Rebekah, estasiata dalla bambina che adesso
aveva alzato un braccino e, con la manina paffuta, le aveva afferrato
una
ciocca di capelli. Era piccola, ma sapeva il fatto suo. E di questo,
Klaus era
molto orgoglioso.
Non gli interessavano i geni materni, ma aveva a cuore il fatto che
quella
bambina somigliasse a lui, che avesse il suo stesso sangue.
E che, con lei, si sarebbe comportato in modo totalmente diverso da
come aveva
fatto Mikael con lui.
«Ed è anche molto buona, è raro che
pianga. L’ho sentita davvero arrabbiata
solo poche volte.»
La bambina sembrava un campo neutro, un argomento che potevano
affrontare
entrambi senz’alzare polveroni di alcun genere.
Avrebbero potuto restare a
parlare di lei per ore, come due persone civili, senza rivangare quel
passato
–lontano e recente- che li aveva portati alla rottura
definitiva. Sistemando il
piccolo fagotto nell’incavo del braccio, Rebekah le
sfiorò la guancia con
la mano libera e tornò a rivolgersi al fratellastro che
adesso si era
avvicinando, senza però causare alcuna reazione timorosa in
lei.
«Non ti infastidisce che abbia il mio stesso nome?»
«Perché dovrebbe?» anche se quella
domanda lo aveva spiazzato, non lo diede a
vedere, abituato com’era a nascondersi dietro una finta
indifferenza.
«Hai permesso che tua figlia portasse il nome della sorella
traditrice.»
Non ci sarebbe cascato, non le avrebbe dato modo di creare una nuova
discussione.
Non davanti a sua figlia, l’unica persona che doveva restare
ben
lontana dall’astio e dalle urla.
«Vi lascio un po’ da sole, così potrete
conoscervi meglio» prese la strada
dell’uscita, ma si voltò a guardare la
sorellastra, con la mano già sulla
maniglia, «Mi raccomando, non rapirla. Non sono sicuro che
acconsentirei a
pagare un riscatto» accennando un sorriso, Klaus
uscì e si chiuse la porta alle
spalle, lasciando una Rebekah frastornata da quell’ultima
frase.
Sembrava quasi il vecchio Nik e questo la rendeva irrequieta.
Un conto era andare via, lontana da un fratello padrone che ti odia e
non vuole
più vederti.
Un altro è andare via da un fratello che ti fa una battuta
ed esce dalla stanza
facendoti l’occhiolino.
«Mi
spieghi per quale motivo mi hai fatto lasciare la mia
bambina nelle mani di uno psicopatico in depressione?»
Hayley era fuori di sé dalla rabbia. Camminava spedita per
il quartiere
francese, francese, con Elijah alle costole.
Lui le prese alla mano e la trascinò in una stradina
laterale, quella che li
avrebbe portati entrambi al cimitero cittadino dove avrebbero potuto
parlare
senza che umani ficcanaso li sentissero.
«Non è da solo, c’è Rebekah
con lui» le rispose, spalancando il cancello con la
sua solita grazia.
Era incredibile come un essere tanto forte, potesse essere anche tanto
aggraziato.
Sebbene lo conoscesse già da un po’, Hayley non si
era ancora abituata a tutto
questo.
Ma in quel momento, la sua mente e il suo cuore erano rimasti in casa,
in una
culla di legno intarsiato e verniciato di bianco.
«È tornata?»
«Ti ho chiesto di uscire proprio quando l’ho
sentita arrivare» Elijah incrociò
le dita a quelle della ragazza e le rivolse un sorriso pacato e
gentile. Voleva
tranquillizzarla e placare anche se stesso. Sperava con tutto se stesso
che
quel piano funzionasse. Li aveva tratti in inganno entrambi, ma non gli
importava. Desiderava solo che quei due si chiarissero, una buona
volta. E che
le verità dalle quali erano sempre fuggiti, finalmente
venissero a galla.
«Questo non mi tranquillizza affatto» rispose la
licantropa, sospirando al
tocco gentile della mano del compagno, «E capisco che tu sia
un vampiro, ma
passeggiare in un cimitero è abbastanza
inquietante… proprio mentre mia figlia
è nelle mani di tuo fratello.»
«È suo padre!» esclamò il
vampiro, perdendo per un momento il suo aplomb che recuperò
grazie a un profondo respiro.
Amava Hayley, ma nutriva anche fiducia in suo fratello. Ed era sicuro
di ciò
che diceva.
«Stanno litigando, me lo sento»
Hayley aveva paura. Da quando era diventata mamma,
l’apprensione era diventata
parte di lei. A stento lasciava la piccola Rebekah con Elijah, ma
giusto il
tempo di fare una doccia veloce o nelle notti di luna piena. Vivere
sotto lo
stesso tetto di Klaus non era mai stato facile, ma negli ultimi tempi
–da
quando l’unica donna Mikaelson aveva detto addio alla
città- le cose erano apparse
più calme.
Ora però Rebekah era tornata.
«Anche io.»
Gli occhi della ragazza si inumidirono, ma non per le lacrime. Quella
era
paura, profonda e incontenibile.
«E li lasci da soli con la mia bambina?»
Vedendo quanto fosse indifesa e impaurita, Elijah le lasciò
la mano e la
strinse a sé in un abbraccio. Le accarezzò la
schiena e la baciò in fronte,
prima di trovarle le labbra. Quando la baciava, i suoi tumulti
interiori si
placavano e lui ritrovava la pace.
Era stata una fortuna che Niklaus si fosse disinteressato praticamente
a tutto,
perché così era stato in grado di estorcergli la
benedizione della quale
sentiva l’insostenibile necessità. Aveva
approfittato della momentanea
debolezza del fratello per rincorrere la propria felicità,
ma non provava alcun
pentimento. E adesso avrebbe fatto in modo che anche Niklaus trovasse
la stessa
felicità che Elijah stesso provava.
«Sii fiduciosa,» le sussurrò sulle
labbra, sfiorandole i capelli mentre la
ragazza teneva gli occhi chiusi, «nessuna Rebekah
è in pericolo.»
Klaus invece lo
era. Si sentiva braccato, in pericolo.
Intrappolato tra quelle quattro mura e in un corpo che temeva potesse
tradirlo.
Scese velocemente le scale e si rintanò nella sala che ormai
era diventata il
suo studio. Vi trascorreva ore, immerso nei colori e nelle tele.
Nessuno osava disturbarlo quando era concentrato nella pittura, a parte
forse
Elijah che però sembrava scomparso insieme alla giovane
lupa. Gettò fuori un violento respiro e afferrò
un pennello, stringendolo forte.
Se avesse continuato in quel modo, il legno gli si sarebbe sbriciolato
in mano.
Le spalle gli cedettero nel sentire dei passi alle sue spalle, ma non
si voltò.
Tenne lo sguardo fisso sulla tela immacolata, che presto venne
macchiata da una
scia color sabbia.
«Alla fine hai ottenuto ciò che volevi, Marcel
è morto»
Forse non avrebbe dovuto parlarne, ma Rebekah aveva bisogno di
incolpare
qualcuno per la morte del vampiro.
E chi meglio di Niklaus? Quando Elijah le aveva dato la notizia,
però, non fu
dolore ciò che aveva provato.
Rabbia, delusione, forse anche un pizzico di sottile piacere. Ma
quell’ultimo
non lo avrebbe mai ammesso.
Ogni uomo al quale lei si fosse interessata, aveva finito per tradirla,
deluderla o lasciarla. Altri erano stati uccisi.
E Marcel non era stato diverso. Per anni lei aveva creduto che lui
fosse morto,
quando invece lui era riuscito a salvarsi e a prendersi
ciò che la sua
famiglia aveva costruito. Questa verità doveva almeno
concederla al suo
fratellastro, perché Klaus aveva detto il giusto.
Quando lei, mesi prima, era andata via, non gli aveva neppure proposto
di
andare via insieme, perché sapeva che lui non
l’avrebbe seguita. In un primo
momento, quella consapevolezza l’aveva ferita.Ma se Marcel
non l’amava
abbastanza da lasciare tutto e andare via insieme a lei, allora non
meritava il
suo amore e neppure una delle tante lacrime che aveva versato alla
notizia
della sua morte.
«Ti avevo promesso che non lo avrei ucciso, ma che non avrei
fatto in modo che
venisse eliminato..»
Klaus si voltò, con l’immancabile sorrisetto che
riusciva sempre a farle
prudere le mani, «beh sorellina, quello non era nei
patti.»
«Perché l’hai fatto uccidere?»
«Vuoi che ti elenchi i motivi?» L’ibrido
proruppe in una roca risata di
scherno, indicando alla bionda il divano dietro di lei,
«Allora prego,
accomodati, ne avremo per un paio d’ore.»
Rebekah non si fece intimorire dal fratellastro. Non si mosse, ma la
sua
espressione mutò.
La fronte le si aggrottò e le sue labbra si strinsero in un
linea sottile. Non
gliel’avrebbe data vinta questa volta, anche a costo di
azzuffarsi con lui.
«Per te era come un figlio.»
«E Mikael era tuo padre, eppure hai provato comunque a
ucciderlo. Cosa sarebbe accaduto se Elijah non ti avesse
fermata?»
Rebekah, colpita da quelle parole, scosse piano il capo e
abbassò lo sguardo,
mentre una lacrima rischiò di scivolarle sulla guancia.
«E tutto pur di proteggerti, sono stata proprio
stupida.»
Era incredibile come lui riuscisse sempre a minare la sua
stabilità, le sue
sicurezze. E come riuscisse a ridurla sempre in lacrime.
Era la sua nemesi, ed entrambi rappresentavano le due facce della
stessa
medaglia.
«Ma non mi hai ancora detto perché lo hai fatto
uccidere.»
Klaus sentì il cuore tornare a indurirsi.
Non era stata stupida a cercare di proteggerlo, aveva fatto
ciò che solo lei
aveva fatto in quel migliaio di anni.
Lei ed Elijah, ovviamente. Ma, chissà per quale motivo, ogni
volta che lei gli
era vicino, tutto si offuscava.
E accadeva solo con Rebekah, perché l’ibrido
sapeva quanto fosse sbagliato che
la sorellina proteggesse il fratello maggiore.
Doveva essere lui a proteggere lei e, provando e riprovando, aveva
commesso un
errore dietro l’altro.
«Chi mi dichiara guerra, muore.»
«O viene chiuso in una bara per decenni.»
Rebekah si voltò e afferrò un bicchiere di
pesante e spesso cristallo.
Lo
soppesò sulla mano, indecisa se lanciarlo su quel
fratellastro duro e
opprimente, o se versarvi dentro dell’ottimo whisky. Decise
di servirsi da bere
e, quando il liquido ambrato le bruciò la gola, si
sentì meglio.
Almeno fino a quando Klaus non continuò a parlare.
«Giusta osservazione, dolcezza.» L’ibrido
raggiunse la vampira e si sporse
oltre la sua spalla per imitare i gesti che poco prima lei aveva
compiuto.
Mentre sorseggiava il suo drink, Klaus la fissò,
domandandosi per quale motivo
fossero insieme in quella stanza, da soli, quando lei invece avrebbe
potuto
essere dall’altra parte del mondo.
Ma non importava, perché Rebekah era lì con lui,
almeno per quel giorno.
Avrebbe però preferito parlare di altro e non di quel
traditore ormai ridotto
in cenere.
«Proteggere mia figlia eliminando l’adottivo figlio
ingrato, o lasciare che
consumasse la sua vendetta su di lei? In fondo, questo è
quello che Mikael ha
cercato di fare con noi per secoli e tu ed Elijah sembra vi divertiate
a
ricordarmi quanto io gli somigli.»
«Sai bene che Marcel non avrebbe mai fatto del male a una
bambina, lo dipingi
come un mostro!»
Irritato da quella conversazione, Klaus le lanciò uno
sguardo gelido e
infuocato al tempo stesso.
Una contraddizione, come quella che lui stesso rappresentava. Non
voleva continuare a parlare d quanto Marcel fosse buono e magnanimo, di
come non avesse mai sfiorato un bambino e di come, a differenza sua,
fosse
capace di amare.
Aveva accolto Marcel in casa sua quando era ancora un bambino
e lo aveva cresciuto secondo i suoi valori.
Gli aveva insegnato ogni cosa, ma aveva fatto l’errore di
tramandargli anche
l’amore per Rebekah.
E quell’errore gli era quasi costato tutto.
«Se sei tornata per dirmi quanto il tuo defunto Romeo fosse
migliore di me,
quella è la porta.»
«Ancora con questa tua assurda gelosia, Niklaus?»
La breve risata senz’allegria e quel nome pronunciato per
intero fecero
irrigidire l’ibrido che si allontanò, per tornare
davanti alla sua tela. Al sicuro, in un certo senso. Lo stava prendendo in giro? Stava ridendo
di lui?
«Non esiste nessuna gelosia, Rebekah.»
Parlò a denti stretti, vuotando in un
solo sorso tutto il contenuto del bicchiere che poi posò sul
pianoforte a coda
con un secco gesto.
«Mi hai fatto confessare una falsità, facendo leva
sull’affetto che provo per
Elijah. Mi hai costretto a mentire, ma adesso sei tu a dovere a me una
confessione. E anche se conosco già la verità,
voglio avere la soddisfazione di
sentirla uscire dalla tua bocca.»
Sorridendo, la vampira gli si era avvicinata dondolando il capo, con lo
sguardo
assottigliato e la voce che si faceva via via sempre più
bassa fino a diventare
solo un lieve sussurro.
Era intenzionata a non lasciar perdere e a ottenere ciò
che non aveva mai avuto il coraggio di chiedere.
Quei mesi trascorsi in assoluta libertà, l’avevano
temprata molto più del
millennio trascorso sotto la protezione ossessiva dell’uomo
che adesso gli
stava di fronte, molto più vicino di quanto lei si sarebbe
potuta aspettare.
«Io non ti devo niente.» Contrariato
dall’atteggiamento di Rebekah e attirato
dalla sua vicinanza, Klaus si inumidì le labbra e
sbuffò, passando il peso da
un piede all’altro. Per una volta, forse, avrebbe potuto
dargliela vinta e fare
ciò che lei gli diceva. Darle ciò che gli
chiedeva, assecondarla. «Cosa vuoi che confessi?»
«Che sei geloso, che lo sei da sempre» sulle labbra
della vampira si intensificò il sorrisetto di
aperta sfida, mentre gli si si faceva ancora più vicina,
tanto da sentire il
suo alito fresco sul viso. I loro occhi si incatenarono e Rebekah, in
quel
momento, si sentì invincibile.
Non gli aveva lasciato scampo. «Per una volta nei tuoi mille
anni, Niklaus
Mikaelson, sii uomo e ammettilo.»
______________________________________________________
Ciao a
tutti e buona domenica!
Se siete arrivati a leggere fin qui sotto, ci sono buone speranze che
leggerete
anche il terzo e ultimo capitolo.
Quindi a domani, vi aspetto!
E grazie per tutti i like che avete dato al primo capitolo di questa
breve fanfiction! :)
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Capitolo
3
"Se
ami qualcuno, devi dirglielo.
Anche se hai paura che non sia la cosa giusta,
anche se hai paura che creerà problemi,
anche se hai paura che potrà rovinare completamente la tua
vita,
diglielo.
E diglielo con forza."
Elijah, quasi
senza curarsi dell’elegante completo che indossava,
si sedette sul marmo freddo di una tomba abbandonata e
guardò Hayley dal basso.
Le sorrise, ma lei non capì a cosa fosse dovuto quel
buonumore.
«Tu sai
qualcosa che io non so, vero?»
Quando il vampiro, con un gesto della mano, la invitò a
sedersi sulle sue
gambe, lei accettò di buon grado e si riempì i
polmoni con un profondo respiro.
Elijah aveva sempre un buon odore di dopobarba e di pulito, un odore di
cui lei
ormai non riusciva a fare a meno.
Quasi dimenticò dove si trovavano, tanto era
distratta da quell’uomo.
«So tante cose che tu non sai.» La risposta di
Elijah
la riscosse e lei si scostò di poco per poterlo guardare
negli occhi.
Gli aveva
circondato il collo con le braccia e aveva inarcato le sopracciglia, in
attesa
che lui continuasse.
Lo vide aprire la bocca, come se stesse per parlare, e poi
richiuderla.
Aveva distolto lo sguardo, per puntarlo su un angelo di marmo che
sembrava li fissasse.
La ragazza gli posò la mano su una guancia e gli
voltò il
capo verso di sé. «Elijah, che succede?»
Il vampiro le prese la mano e la voltò per baciarne il
palmo, prima di
decidersi a parlare. «Se tu da lungo tempo fossi a conoscenza
di una verità su
due persone, ma quelle persone invece facessero di tutto pur di
nasconderla,
cosa faresti?»
Hayley si prese del tempo per riflettere sulla risposta da dare a
quella
domanda che non si era aspettata.
C’era qualcosa che preoccupava il suo uomo e
che, al contempo, lo metteva di buonumore.
Avrebbe potuto vivere per altri
cento anni, ma non sarebbe mai riuscita a capire l’umore
altalenante dei
vampiri.
«Probabilmente rispetterei la loro decisione e penserei agli
affari miei.»
«Ma se tu amassi queste persone più della tua
stessa vita e vedessi che si
stanno rovinando, che soffrono a causa di quella verità
taciuta, non
cercheresti di aiutarle?» Elijah continuava a pensare a
quanto avessero
sofferto tutti quanti a causa di una verità che nessuno,
nella sua famiglia,
aveva voluto ammettere. Qualcosa che andava oltre la natura, oltre le
leggi
umane, perfino oltre quelle sovrannaturali. Andava oltre ogni cosa. E
lei,
rammentando stralci di conversazioni origliate di nascosto e di quelle
invece
avute in prima persona con i componenti della famiglia Mikaelson,
cominciò a
mettere insieme i pezzi, per comporre nella sua mente un puzzle
sconvolgente.
"Penso che quando spendi mille anni con
qualcuno e poi decidi di lasciarlo, è come se perdessi una
parte di te stessa."
Le parole di Rebekah le ronzavano ancora nelle orecchie e, forse troppo
in
ritardo, la ragazza ne capì il vero significato.
«Oh cielo, Elijah» Hayley si
coprì la bocca con una mano, guardandolo con gli occhi
sgranati, mentre il
respiro le si era bloccato in gola, «cos’hai
fatto?»
Le parole del vampiro, che aveva posato nuovamente lo sguardo
sull’angelo
marmoreo, suonarono come una condanna non solo per se stesso, ma anche
per le
persone che lo circondavano.
«Qualcosa che riuscirà a salvare la mia famiglia.
O che la distruggerà definitivamente.»
Anche se avesse
potuto allontanare la sorellastra con
facilità, Klaus non si mosse. Sostenne il suo sguardo,
sfregando tra loro i
denti.
Era un’aperta sfida quella che Rebekah gli aveva lanciato, ma
non sapeva
se coglierla o tirarsi indietro. Puntando gli occhi su quelle labbra
ferme a
pochi centimetri da sé, passò la punta della
lingua sulle proprie e le schiuse
poi in un sorriso.
«No.»
Senza scomporsi, la vampira chinò il capo di lato, guardando
con intensità quel
volto tanto familiare.
Era come guardarsi allo specchio, tanto bene lo
conosceva. E, a differenza di tutti gli altri, sapeva anche come
prenderlo.
Sapeva quale corda toccare per farsi dare ciò che voleva.
«Sei sempre il solito
codardo» sussurrò, chiudendo gli occhi per un
momento, per puntarli subito dopo
su di lui.
Proprio come due fari in grado di scovare e illuminare la
verità e i
segreti più profondi di un individuo.
«Una volta mi hai detto che non imparo
mai dai miei errori, ma evidentemente non sono
l’unica.»
«Fare ciò che mi dici, comporterebbe un errore
più grave della mia codardia.»
Fissando un’ultima volta le labbra della bionda,
l’ibrido si scansò,
lasciandola a rimuginare su ciò che aveva appena fatto.
Aveva cercato di
costringere Klaus ad ammettere qualcosa che forse aveva solo
immaginato. E
sperato. Perché dentro di sé sapeva che, per
tutta la vita, aveva sperato di
scatenare la gelosia di quell’uomo tanto instabile. Si
voltò, aprendo e
chiudendo il pugno della mano libera e posò con poca
delicatezza il bicchiere
accanto a quello di lui.
«Perché non vuoi ammetterlo?» gli
domandò arrabbiata,
la voce che le si alzò di un’ottava.
Klaus afferrò un pennello e la tavolozza dei colori e, con
una calma che non
gli apparteneva, cominciò a tracciare diverse linee di
colore. «Hai mai visto
un fratello geloso della sorella?»
Assorto nei giochi di luce creati dai colori
sulla tela, trattenne a stento una risata al sibilo frustrato della
sorellastra.
«Rispondere a una domanda con un’altra domanda,
tipico di Niklaus!» Ormai
Rebekah aveva perso la pazienza.
Era agitata, arrabbiata e con pollice e indice
si massaggiò le palpebre calate in un gesto che esprimeva
tutta la frustrazione
che provava.
«Rispondere a una domanda con un’accusa, tipico di
Rebekah» cantilenò lui,
sporgendosi verso il pianoforte per afferrare il telecomando dello
stereo. Un
attimo dopo, una malinconica melodia riempì la stanza, ma la
vampira si mosse
veloce per afferrare bruscamente il telecomando dalla sua mano e
lanciarlo
contro il muro, lasciando che cadesse sul pavimento in mille pezzi
mentre una
voce maschile si mescolava alla melodia. Lo guardava furibonda adesso,
con il
torace che si alzava e si abbassava a ogni respiro veloce sotto la
camicetta
bianca. L’ibrido, simulando una noia che non provava
perché in realtà si stava
divertendo più in quel momento che negli precedenti sei mesi
messi insieme,
roteò gli occhi e le rivolse un sorrisetto condiscendente.
«Ti farebbe stare
meglio se lo ammettessi?»
«Elijah, è una cosa disgustosa!» La
licantropa scattò in piedi e si portò le
mani ai fianchi, non credendo alle proprie orecchie.
«E tu non eri il vampiro nobile
e virtuoso? Lo sei così tanto, che a volte tendi a risultare
un po’ moralista.
E adesso mi dici queste cose?» Stava sognando, ne era certa.
Oppure il vampiro
che aveva di fronte non era davvero Elijah, ma solo
un’allucinazione.
«Anche uccidere è una cosa disgustosa, eppure io
lo faccio da mille anni e tu
non ti sei ancora lamentata.»
Impassibile, l’Originale si spolverò la giacca
scura e strinse le labbra, sperando che la compagna provasse a capire
ciò che
le aveva detto. Le aveva raccontato tutto o quasi della vita trascorsa
insieme
ai due fratelli, soffermandosi soprattutto sull’insano
rapporto che da sempre
legava Niklaus e Rebekah.
«Ma questo è… è illegale,
non capisci? E anche parecchio..»
Hayley non trovava
le parole e, guardandola, Elijah avvertì un moto di
tenerezza.
«Disgustoso? L’hai già detto.»
La ragazza tornò a sedersi sulle gambe del compagno e gli
afferrò le mani che
ancora stavano spolverando la giacca, «È
sbagliato. E tu, come fratello
maggiore e capofamiglia, non dovresti permetterlo. Invece li stai
aiutando, non
riesco a crederci!»
«Anche l’omicidio è illegale,
così come costringere le persone a fare qualcosa
che non vogliono fare. Eppure noi lo facciamo comunque, uccidiamo e
soggioghiamo. Quando sei al mondo da tanto quanto lo sono io, riesci a
scorgere
delle cose che agli altri invece passano inosservate.» Elijah
sospirò stanco e
accarezzò una guancia della ragazza.
«Questa storia va avanti da quando eravamo
ancora umani e ha distrutto la mia famiglia. I miei fratelli fanno di
tutto per
detestarsi, perché l’odio è
l’unico sentimento che riescono a provare senza
rischiare di compromettersi. Il loro rapporto è sempre stato
un concentrato di
gelosia e possessività e non solo da parte di Niklaus,
credimi. È distruttivo per
loro e insopportabile per chi, come me, è stato insieme a
loro per mille anni.» Il vampiro ricordò i tragici
eventi che, in quei mille anni, avevano colpito la
sua famiglia.
Un ragazzo cresciuto senza l’amore di un uomo per il quale
nutriva affetto e rispetto, e con la vicinanza di una persona dalla
quale aveva
sempre desiderato più del semplice amore fraterno.
E poi c’era Rebekah, sempre
alla ricerca di qualcuno che la amasse; qualcuno cui legarsi anima e
corpo,
senza però riuscirci appieno perché il suo cuore
era già occupato. E per
questo, a causa di quelle verità taciute, i suoi fratelli
ricorrevano alle
recriminazioni, ai tradimenti e –questo però solo
Niklaus- ai pugnali.
«A
volte, quando la situazione diventava davvero insostenibile, li
lasciavo da
soli. Questi allontanamenti non duravano molto, ma mi davano la
possibilità di
liberarmi da quella tensione che si respirava accanto a loro. Quei due
invece,
nonostante si azzuffassero in ogni momento, non si sono mai separati.
Tranne
nei periodi in cui Niklaus la teneva inerme con un pugnale nel petto,
ma anche
in quei frangenti la teneva con sé. Questo potrebbe sembrare
inquietante, ma
era il suo modo di starle sempre vicino, di proteggerla. L’ha
sempre protetta
da tutti, ma non ha mai imparato a proteggerla da se stesso.»
Era tutto così complicato e surreale, che Hayley ebbe
bisogno di qualche
momento di silenzio per digerire ciò che l’uomo le
aveva appena detto. Vederlo
abbattuto, la fece sentire sconfitta.
Non voleva che Elijah soffrisse a causa
dei suoi fratelli. Non voleva che lui soffrisse in generale.
Per lui, Hayley voleva
rappresentare una boccata d’aria fresca, qualcuno che ti sta
vicino dopo una
giornata difficile e ti ascolta senza giudicare. Lei invece aveva
giudicato e,
nonostante le sarebbe servito un po’ di tempo per accettare
quella situazione,
non voleva più farlo. Voleva sostenerlo. Per questo motivo
gli sorrise e lo
abbracciò, per poi posare il capo sulla sua spalla.
«Se tutto questo servirà a
renderti felice, starò dalla tua parte.»
«Tu mi doni una grande felicità, Hayley. Ma non
potrò mai essere completamente
felice se non lo saranno anche i miei fratelli.»
«Sì, mi farebbe sentire meglio.» Rebekah
lo fissava, con le braccia incrociate
al petto e le labbra imbronciate.
Non sopportava essere relegata in secondo
piano, soprattutto se a rapire l’attenzione di Klaus era uno
stupido quadro.
E
proprio le spalle di quel maledetto si mossero come se stesse ridendo
silenziosamente.
«Allora credo proprio che non ti dirò
nulla.»
Ormai al limite della pazienza, la vampira approfittò della
distrazione di
Niklaus e si mosse a velocità sovrannaturale alle sue
spalle, afferrandolo per
la maglietta e lanciandolo contro la parete.
Gli corse poi incontro, sentendo
il sangue affluirgli agli occhi e le vene inspessirsi.
«Non prenderti gioco di
me!» ringhiò, soffiando tra le zanne e premendogli
un braccio contro la gola.
L’ibrido non reagì, ma non smise di sorridere.
Forse era un completo idiota, ma
gli piaceva vederla tanto arrabbiata. E coraggiosa, al punto da averlo
messo
con le spalle al muro. Se Rebekah fosse stata una ragazzina indifesa e
impaurita, non avrebbe mai provato ad attaccarlo.
«E perché non dovrei? Mi sto
divertendo!» Aprì e braccia e le
accostò al muro, come se stesse chiedendo
pietà.
E non aveva smesso di sorridere, perché era vero che quella
situazione
lo stava divertendo, ma anche perché più lui
sorrideva, più lei si arrabbiava.
E il gomito premuto contro il suo collo, gli suggeriva che Rebekah era
furiosa.
«Mi hai sempre sottovalutata, derisa. Hai fatto di me
ciò che hai voluto e
adesso vuoi giocare?»
Mentre il suo aspetto tornava a una parvenza di umanità,
dentro Rebekah era completamente soggiogata dalla furia.
«Sei solo un piccolo
bastardo spocchioso e arrogante.»
Dopo quelle parole cariche di veleno, fu Rebekah ad essere prigioniera
di una
stretta decisa.
Klaus, in un istante, era riuscito a liberarsi e a farla
voltare.
Adesso una mano stringeva forte entrambi i polsi della vampira, mentre
l’altra le scostò i capelli dal collo.
Era dietro di lei e Rebekah poté
sentirne il respiro veloce infrangersi sul suo collo in una carezza
calda.
«Perché
vuoi saperlo? Sembra quasi che la tua stessa vita dipenda dalla mia
risposta.»
La sua voce era un sibilo e la mano che le aveva scostato i capelli, si
spostò all’altezza
del diaframma della vampira, premendo e costringendola a gettare fuori
il
respiro che stava trattenendo. Lei alzò il viso e chiuse la
bocca, respirando
dal naso.
«Perché è stata la tua gelosia a
causare la mia infelicità» rispose a
denti stretti, strattonando i polsi e cercando di liberarli dalla sua
morsa.
Klaus però la teneva con troppa forza e, anche se lei non
riusciva a vederlo,
poté sentire il respiro profondo che aveva fatto.
L’ibrido chiuse gli occhi,
tramortito dal buon odore della sorellastra.
I suoi capelli avevano un profumo
dolce, come di iris appena colti nei campi in cui erano soliti giocare
da
bambini.
E la pelle del suo collo, morbida e vellutata, gli ricordava le more
succose.
Affondò i denti nel labbro inferiore, per resistere
all’impulso di
posare le labbra su quel collo tanto invitante.
«Mi dispiace che la mia gelosia
ti abbia causato tanta pena.»
La voce gli si era fatta roca, ma non vi badò,
preso com’era dalla vicinanza che lui stesso aveva causato.
La mano aperta, si
alzava e si abbassava insieme al torace di Rebekah. Ad ogni respiro,
ogni
parola.
«Quindi ammetti di essere geloso.» Non era una
domanda. Rebekah non era
concentrata a sufficienza per porne.
La sua mente era completamente immersa in
quella stretta decisa e nel respiro di Klaus che gli solleticava la
pelle.
"Thought it was me and you, babe. Me
and you until the end, but I guess I was wrong."
«Sai, anche io pensavo che saremmo stati solo io e
te, fino alla fine»
Quella frase lo aveva colpito e adesso Klaus pensava a quanto fosse
profonda e
veritiera. Continuava a contare i respiri di Rebekah attraverso la
pressione
della mano, lasciandosi cullare da quel ritmo incalzante. «Ma
forse questa canzone dice il vero: mi ero sbagliato.»
La ragazza era rimasta in silenzio, ad ascoltare la canzone che
sembrava
parlasse proprio di loro. Lei era andata via, senza neppure dirgli
addio. Aveva
visto le lacrime solcargli il volto, aveva sentito con quanta
difficoltà lui
l’aveva resa una donna libera.
«Eppure sono ancora qui con te, Nik. Anche se mi
hai detto di non tornare mai più.»
«Sei tornata per me?» La domanda venne colta con
uno scatto che però provocò
una stretta maggiore ai polsi della vampira.
«No, sono tornata per la bambina.»
Quella risposta lo ferì e la pressione sotto il torace di
Rebekah aumentò, fino
a farle emettere un lamento.
«Non lo so se sono tornata anche per te!» Per
quanto la stretta le permise di alzare la voce, lei lo fece, ma subito
dopo le
si affievolì per la mancanza di aria. «Forse
sì, non lo so.»
Klaus, soddisfatto da ciò che aveva appena sentito,
chinò il capo e posò le
labbra sulla scia di pelle sensibile del collo della vampira.
Le strofinò e
premette la punta della lingua sulla vena pulsante, che batteva tanto
veloce
quanto il cuore di Rebekah. Non si domandò cosa fosse
cambiato in quegli ultimi
istanti. Erano immersi nel silenzio assoluto, adesso che la musica era
terminata.
E Klaus non voleva pensare, stava solo assecondando il proprio
istinto.
Con gli occhi chiusi, Rebekah sentì il cuore batterle tanto
veloce che poté
giurare stesse rischiando di scapparle dal petto.
«Nik» soffiò, tentando di
mandar giù il groppo che aveva in gola.
«Vedi quant’è facile farsi dire la
verità?» La ragazza era ancora tesa, ma non
cercava più di divincolarsi, per questo Klaus sciolse la
stretta e le lasciò
andare i polsi. «Tu invece l’hai ottenuta solo
perché io ho voluto concedertela.»
Rebekah rabbrividì quando la mano dell’uomo le si
posò su un fianco, ma non
accennò a compiere alcun movimento. Rimase ferma, sotto le
carezze del
fratellastro i cui comportamenti erano tutt’altro che
fraterni.
«L’hai ottenuta
grazie alla forza bruta.» Piegò di lato la testa,
per permettere che quella
dolce e lenta tortura continuasse, come un muto permesso del quale
però lui non
aveva bisogno. L’aveva attirata più vicina a
sé, facendole accostare la schiena
al suo petto. Rebekah era completamente appoggiata a lui. Si
lasciò andare alle
carezze circolari al fianco e a quelle umide e lente al collo.
Klaus era perso
nella scoperta di un corpo che desiderava e che non poteva avere; nella
conoscenza di una persona che amava e che, per uno strano scherzo del
destino,
gli era assolutamente proibita.
«Perché sono un bastardo spocchioso,
giusto?»
«E arrogante.»
L’ibrido sorrise sulla pelle della ragazza, mentre una
leggera risata di gola
le accarezzò le orecchie.
Non poté darle torto e per questo, proseguendo con le
labbra verso il retro dell’orecchio, Klaus le
domandò ciò che più gli premeva.
«Hai
trovato ciò che cercavi? Una casa, una famiglia, qualcuno
che ti ami.»
«Non mi hai permesso di trovarli.» Gli occhi le si
inumidirono, sotto le
palpebre abbassate, perché avrebbe voluto dargli
un’altra risposta. Voleva
mostrargli la sua forza e dimostrare che lui non riusciva ad esercitare
più
alcun potere su di lei. Una bugia.
«Ma ti ho lasciata libera.»
Era vero, l’aveva lasciata libera di andarsene e di non
tornare più. Nei suoi
numerosi viaggi, però, Rebekah non era riuscita a trovare
ciò che aveva desiderato
e che desiderava con tutta se stessa.
A ogni passo che faceva, ogni luogo che
visitava, la voce di Nik era sempre con lei a ricordarle ciò
che si era
lasciata alle spalle con un sorriso e il vento tra i capelli. No, lui
non
l’aveva lasciata davvero libera.
Le aveva solo dato l’illusione di qualcosa che,
in verità, lei non desiderava. Non lontana da casa e dalle
persone che amava.
Aveva cercato troppo lontano e troppo a lungo qualcosa che Klaus non le
avrebbe
mai concesso, perlomeno non davvero. E questo perché era
sempre nella sua
testa, un pensiero fisso che non la abbandonava mai.
Quando lui le prese il
lobo tra i denti, un lungo brivido la colse impreparata. Non avrebbe
dovuto
provare simili emozioni, sensazioni tanto forti. E lui non avrebbe
dovuto continuare.
«Nik, cosa stai facendo?» gli domandò in
un sussurro.
«Cosa sto facendo?»
«Fermati.»
Erano trascorsi
solo pochi minuti da quando avevano lasciato
il cimitero ed erano tornati nel quartiere francese.
Elijah teneva le dite
intrecciate a quelle della giovane compagna che era immersa nel suo
silenzio.
Non sapeva con certezza cosa la sua decisione avrebbe comportato. Ci
sarebbero
state ripercussioni su loro due, sulla bambina che era riuscita a
portare un
po’ di allegria nella loro casa?
O le ripercussioni ci sarebbero state solo su
quei due fratelli che lui aveva tratto in inganno? Lo aveva fatto per
il loro
bene, ma anche per una sottile vena di egoismo che lo attraversava
sempre da
capo a piedi.
«Stiamo tornando a casa?»
La domanda di Hayley lo strappò alle sue riflessioni e il
vampiro le rivolse un
breve sorriso che le fece arricciare le labbra.
Elijah si fermò, adocchiando
uno dei numerosi turisti che giravano per il quartiere, affascinati
dall’alone
di mistero e magia.
Si avvicinò all’uomo di mezza età e
catturò il suo sguardo,
esercitando il proprio potere mentale.
«Sarebbe così gentile da prestarmi il
suo binocolo?»
Il turista, soggiogato, annuì e si sfilò il
binocolo dal capo,
porgendolo al vampiro che lo ringraziò con un cenno del
capo, mentre la
licantropa alzò gli occhi al cielo.
«Adesso hai anche intenzione di spiarli? Cosa
ne hai fatto del mio Elijah?»
«Non li spierò,» guardando dritto
davanti a sé, le porse il binocolo, «lo farai
tu.»
Sbuffando, la ragazza glielo strappò dalle mani e tolse i
coperchi dalle lenti.
Non sapeva proprio negargli nulla, dannazione!
Quando si portò il binocolo agli
occhi e puntò la casa, proruppe in un lamento alla vista
della cameretta vuota.
Avevano lasciato la sua bambina da sola, non c’era da fidarsi
di quei due. Ed
Elijah era anche riuscito a convincerla a fare una passeggiata da soli.
Quando
lui gli chiese cosa fosse accaduto, Hayley scosse la testa e
tornò a
concentrarsi sulla sua opera di spionaggio.
«Oh, wow» mormorò, sentendosi avvampare.
Li aveva trovati e non avrebbe dovuto
spiare un momento tanto intimo. Se qualcuno avesse spiato lei ed
Elijah,
sarebbe andata su tutte le furie. Si domandò come quei due
fossero riusciti a
resistersi per anni, senza rischiare di impazzire. Poi però
ricordò che Klaus
non era mentalmente stabile e ne capì subito la ragione.
Nonostante Hayley
fosse a un centinaio di metri di distanza da quella stanza, dentro di
sé
avvertì il riflesso della tensione che aleggiava tra di
loro.
Le mani
dell’ibrido ferme sul tessuto candido della camicetta e il
volto affondato nel
collo della ragazza.
Il capo di Rebekah tirato indietro, le palpebre abbassate
e le labbra schiuse.
Fino a pochi minuti prima, Hayley avrebbe affermato che
ciò che Elijah sperava per i fratelli fosse sbagliato,
disgustoso.
Dopo averli
visti, invece, dovette ammettere con se stessa che due persone tanto
prese
l’una dall’altra non le aveva mai viste.
Fatta eccezione di se stessa e
dell’uomo che amava, ovviamente.
Klaus e Rebekah, oltre ad averle provocato un
vuoto allo stomaco, inconsapevolmente le avevano donato la visione di
una
sensualità e di un amore che trascendevano il tempo, lo
spazio e perfino i
legami di sangue.
Costretto all’attesa, Elijah batté un piede,
palesando quella curiosità che lo
divorava.
«Stanno cercando di uccidersi? Non riesco a sentire le
urla.»
«No, non stanno cercando di uccidersi» Hayley
distolse lo sguardo e porse il
binocolo a Elijah, che lo riconsegnò al proprietario. L’umano,
come se avvertisse
dentro di sé una minaccia, si allontanò
velocemente e li lasciò soli in mezzo alla
confusione.
Per loro due era sempre così, riuscivano a ritagliarsi spazi
di
totale intimità anche in mezzo alla folla.
«Amore mio» la ragazza riprese a parlare, mentre lui faceva di
tutto pur di non
posare lo sguardo sulla grande casa dall’altro lato della
strada, «capisco che
secondo te Klaus e Rebekah si amino molto, ma sono sicura che tu non
voglia
davvero sapere cosa stiano facendo.»
«Quindi ho sempre avuto ragione su di loro.» Una
consapevolezza che lo fece sospirare
e gli fece accostare le spalle alla facciata di un negozio di souvenir.
Hayley
lo guardò e la preoccupazione le strinse lo stomaco.
Artigliò le dita ai
risvolti della sua giacca e lo tirò verso di sé,
«Sembri pallido… più del
solito.»
«Immagino dovrò cominciare ad abituarmi a questa
situazione.»
«Ma sei stato tu a farli ritrovare!»
Hayley non capiva, quella situazione era troppo complicata per riuscire
a
uscirne fuori senza impazzire.
Vedeva Elijah tanto confuso, che non poté fare
altro che unirsi a lui nella confusione mentale che li stava
imprigionando
entrambi.
E dire che avrebbe dovuto essere ormai abituata agli amori
impossibili, visto che ne stava vivendo uno!
«Sì, ma immaginare sarebbe accaduto che i miei
fratelli…» il vampiro esitò,
circondando le spalle della compagna. Le posò un lieve bacio
soffiato sul capo
e guardò dritto davanti a sé,
«è diverso dal sapere che è accaduto
davvero.»
Se Rebekah
glielo avesse detto con decisione, probabilmente
lui avrebbe obbedito e l’avrebbe lasciata andare.
Lei invece gli posò il capo
sulla spalla e, a quella piccola vittoria, Klaus sentì il
cuore mancare un
battito.
«Fermami.»
C’era una frase che a Klaus aveva sempre causato rabbia,
perché la trovava
priva di logica e totalmente diversa dalla sua concezione del mondo. “Se ami una persona, devi lasciarla
andare. E se torna, allora è tua per sempre.”
In quel momento, si rese conto di aver seguito proprio quel consiglio.
L’aveva
lasciata libera di andare via e, in silenzio, aveva aspettato che lei
tornasse.
E adesso che lei era lì, immobile tra le sue braccia e con
il respiro corto,
sapeva che non le avrebbe più permesso di andare via. Una
volta era bastata. E
quella lontananza era riuscita a renderlo il fantasma di se stesso.
È vero che
capisci quanto ami una persona solo dopo averla persa? Tutti quei
cliché
cominciavano a fargli girare la testa e odiava ammettere che,
però, sostenevano
la verità.
Se lasci andare due volte la stessa persona, ben sapendo che la ami
più di ogni altra cosa, sei un idiota!
A quelle riflessioni, Klaus fermò la
mano che non aveva fatto che accarezzare il fianco di Rebekah e le
mosse la
punta del naso sul collo. Che fosse arrivato il momento, dopo mille
anni, di
ammettere a voce alta ciò che sentiva? L’aveva
invitata a fermarlo, con una
punta di sfida nella voce e la speranza che lei non cogliesse quel
suggerimento.
Il timore del rifiuto lo catturò quando la mano di Rebekah
si
posò sulla sua.
E lui tirò un sospiro di sollievo, nel sentire che quella
mano
non aveva scostato la sua.
Le loro dita si intrecciarono quasi timidamente e la
ragazza voltò il capo a guardarlo, mentre la grande mano che
per tutto quel
tempo era rimasta ferma tra il torace e l’addome,
scivolò sulla sua pancia.
«Se non hai trovato ciò che cercavi, è
perché lo possiedi già» Entrambi
riaprirono gli occhi e Klaus si scostò dal collo della
vampira per poterla
guardare, «Hai questa casa, una famiglia.»
Sorrise, intensificando la presa
sulla sua mano, «Me.»
Rebekah lo guardò negli occhi e capì cosa lui
stava cercando di dirle con la sola
forza dello sguardo, senza pronunciare neppure una parola di quel
discorso che
lei era comunque riuscita a comprendere.
«Te?» Con lo sguardo puntato sulla
bocca carnosa di Klaus che assentì, lei prese coraggio e si
fece avanti.
«Dimostralo.»
Non ebbe il tempo di finire di parlare, che le labbra di lui si
schiusero sulle
sue in un bacio breve e dolce.
Klaus non aveva mai baciato una donna con la
stessa calma che provava adesso, con il cuore tanto pieno e con anche
un lieve
timore.
E lei, quando le loro labbra si separarono, lo guardò
sorpresa. Non
avrebbe mai immaginato che lui, un giorno, l’avrebbe baciata.
E di certo non si
aspettava che un bacio donato da Klaus potesse essere tanto gentile,
come una
carezza e un soffio insieme.
Rebekah, con gli occhi incollati a quelli
dell’uomo, alzò un bracciò e
affondò una mano tra capelli di Klaus e lo spinse
verso di sé, per poterlo baciare ancora. L’ibrido
le sorrise sulle labbra,
mordicchiandole quello superiore e scostandole la mano dalla pancia per
accarezzare quel braccio teso che gli teneva ferma la testa.
Rebekah si voltò lentamente tra le sue braccia e
giocherellò con i corti ricci di
Niklaus, prima di staccarsi da quelle labbra che sembravano esistere
apposta
per baciare le sue.
«Ho davvero creduto di essere felice della mia
libertà» gli disse, accostando
la fronte alla sua.
«A cosa ti serve la libertà se non puoi litigare
con me?»
La vampira ridacchiò e gli tappò la bocca con una
mano, lanciandogli
un’occhiata ammonitrice.
«Ti avverto adesso, Niklaus Mikaelson» mostrando
una
sicurezza che al momento non provava, continuò solo dopo che
lui ebbe
assentito, «Se provi a deludermi, a ferirmi, a tradirmi o ad
avvicinarti a me
con un pugnale…» strinse le labbra e mosse piano
la testa, trattenendo a stento
un sorriso quando gli tose la mano dal viso e lui sbuffò,
«io ti ammazzo.»
«Tranquilla, dolcezza» Klaus sogghignò,
quando si attirò addosso un’altra
occhiataccia assassina, «credo proprio che, quando
scoprirà tutto questo, ci
penserà Elijah ad uccidermi.»
Rebekah scattò come punta da uno spillo, pensando -per la
prima volta da quando
era tornata a casa- a quel fratello che, sicuramente, avrebbe dato di
matto se
l’avesse vista stretta tra le braccia di Nik. Stretta tra le
sue braccia e,
soprattutto, desiderosa di baciarlo.
Poi però pensò a quanto il fratello fosse
felice con la nuova compagna e a quanto lei desiderasse di vivere una
felicità
tutta sua, con lo stesso uomo che per mille anni l’aveva
ferita e che,
nell’ultima ora, le aveva fatto toccare il cielo con un dito.
«Che ci provi.»
Imbronciata e battagliera com’era sempre stata, e forte e
fiera come lui amava
vederla, gli tirò i capelli e lui rispose con un sibilo che
si tese in un
sorrisetto compiaciuto, «Solo io posso avere la soddisfazione
di farti fuori.»
Klaus, a quelle parole, si sentì montare dentro un moto di
orgoglio che lo
sorprese tanto era potente.
Non era normale sentirsi compiaciuti e felici a una
minaccia di morte, ma vedere Rebekah tanto seria e letale, gli diede
alla
testa.
E quando lei gli circondò il collo con le braccia e gli
morse un labbro
in un bacio forte e possessivo, lui dimenticò ogni cosa.
"Rimarrò sempre accanto a te,
Rebekah. Non importa cosa accadrà."
Era trascorso un millennio da quando, in una notte
tempestosa, un bambino
coraggioso aveva fatto quella promessa a una bambina spaventata. Le
aveva
donato la piccola statua di legno che aveva intagliato, ed era rimasto
a
tenerle la mano fino al mattino dopo.
Adesso che Klaus stringeva tra le braccia
quella bambina ormai cresciuta, sperò con tutto se stesso
che quel momento
rasente la perfezione durasse per altri mille anni.
E se fosse durato di più,
non si sarebbe di certo lamentato!
______________________________________________
E dopo
quest’ultimo capitolo, finalmente siete liberi!
Come sarà il futuro di Klaus e Rebekah?
Magari
continueranno ad azzuffarsi, a litigare furiosamente, a prendersi a
calci e ad
andarsene sbattendo le porte.
Però poi faranno la pace, eh!
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