Alla ricerca dei Robinsons

di Light Clary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ritorno ***
Capitolo 2: *** Fine punizione ***
Capitolo 3: *** Scomparsa ***
Capitolo 4: *** Partenza ***
Capitolo 5: *** Lizzy ***
Capitolo 6: *** Primo attacco ***
Capitolo 7: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 8: *** Ritorno al futuro ***
Capitolo 9: *** Le spie ***
Capitolo 10: *** Secondo attacco ***
Capitolo 11: *** Precipitazione dagli scogli ***
Capitolo 12: *** Sottoterra ***
Capitolo 13: *** L'uscita ***
Capitolo 14: *** La cattura ***
Capitolo 15: *** L'arrivo alla fortezza ***
Capitolo 16: *** Fra i Passaggi Segreti ***
Capitolo 17: *** La battaglia ***
Capitolo 18: *** L'ultima lotta ***
Capitolo 19: *** Addii ***
Capitolo 20: *** I regali ***



Capitolo 1
*** Ritorno ***


ALLA RICERCA DEI ROBINSONS
 

Ideatore: Twilight2006.
Scrittore: Twilight2006.
Dal computer di: Francesco Federelli.
.

Personaggi: William Joyce.
Luoghi: Walt Disney Pixar e Twilight2006.
Preso dal film: I Robinsons - una famiglia spaziale e Trilli e il grande salvataggio.


Una macchina era stata parcheggiata davanti il teatro Robinsons, dove in quel momento si stava svolgendo un concerto cantato da ranocchie.
Dentro il cofano di quella macchina, c’era qualcosa che si muoveva e ammaccava il coperchio. Dopo aver dato altri due colpi, finalmente riuscì ad aprirlo, sfondandolo. Dal bagagliaio, uscì una minuscola bombetta con un occhio fucsia e le zampe d’acciaio, aguzze: si trattava della piccola creatura che Doris, il cappello malefico che voleva impadronirsi del mondo, aveva creato per controllare la mente delle persone; era riuscita ad impossessarsi del cervello di un cantante rana e di un dinosauro, ma il piano era fallito e le altre cantati ranocchie, l’avevano rinchiusa dentro la macchina. Erano passate alcune settimane dall’accaduto e si erano dimenticate di distruggerla. Ora erano in concerto e non potevano vedere che la loro prigioniera era evasa.
“Finalmente” pensò la bombetta “ora che sono libera, potrò vendi potrò vendicarmi di quel moccioso con gli occhiali che ha osato distruggere la mia creatrice!” anche se rinchiusa dentro un bagaglio, quella creatura sapeva cos’era successo a Doris. Era stata annientata da un Cornelio Robinsons dall’età di 12 anni. Da allora il caos che essa voleva disseminare era andato perduto, sostituito da una città che viveva in pace e armonia. Il dodicenne era tornato nel passato e ogni cosa era tornata com’era prima che Doris venisse creata.
Ma ora la sua gemella un po’ più giovane, l’avrebbe vendicata e avrebbe portato a termine ciò che lei non era riuscita a fare: conquistare l’universo con un esercito di bombette che controllano la mente e uccidere quel ragazzino che aveva osato mettersi contro di loro.


 

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Capitolo 2
*** Fine punizione ***


Il concerto era finito e Franny Robinsons era sul palco ad inchinarsi davanti al pubblico, per le splendide melodie che aveva composto e aveva fatto suonare alla sua band di rane.
La sua famiglia era sul podio.
Suo marito Cornelio la guardava con sguardo fiero e attonito.
Ad un certo punto, prese dalla tasca del camice bianco, un telecomando con diversi pulsanti di tanti colori. Premette quello verde e nel cielo esplosero mille fuochi d’artificio, che formarono il nome della moglie. Lei si commosse e corse ad abbracciarlo.
Dalle tribune più alte, alcuni ragazzi liberarono delle colombe ammaestrate che andarono a chiudere le tende del sipario.
Le rane si rinchiusero nei camerini mentre Franny e la famiglia andarono sul retropalco, dove li attendeva la macchina a motore a combustione interna. Ci andavano tutti e partirono, diretti a casa Robinsons.
Anche i cantanti rospi dopo un po’ raggiunsero la loro macchina.
“Ei! Guardate” disse uno di loro notando un foro sul coperchio del cofano.
“Chi può averlo fatto?” chiese un’altra.
“Sicuramente un altro proiettile non mortale, con fonte personale d’energia, fatto da qualche ragazzino nei dintorni” ipotizzò Frankie, la voce principale del coro “chiederemo a Franny di farlo aggiustare”
 
Nel garage di casa Robinsons, c’era il più piccolo della famiglia: Wilbur. Era ancora in punizione per aver combinato un danno, alcune settimane precedenti. La penitenza? Fare tutti i compiti che quel genio del padre gli avrebbe assegnato. Beh, almeno era meglio che assistere ad un noioso concerto di ranocchie. Lasciava il garage solo per il pranzo, la cena e le emergenze bagno. Poi tornava in camera per la notte e la mattina dopo ricominciava.
Ormai sapeva tutto sulle leggi di Mendel, i cromosomi d’ogni tipo e i processi di molecole fattive.
Non stava del tutto solo. Il suo amico robot Carl, lo andava a trovare tutti i giorni per darle una mano o fargli compagnia. Ma nulla poteva toglierli il castigo. Per colpa sua l’intero flusso temporale rischiava di essere danneggiato e la vita che ora seguiva, svanita per sempre.
Però tutto sommato si era divertito. Aveva vissuto una grand’avventura insieme a suo padre da giovane, che era diventato il suo migliore amico. Dubitava di rivederlo, ma non bisogna mai perdere la speranza.
Stava osservando dei protozoi al telescopio, quando vide la porta del garage aprirsi e veder entrare suo padre.
“Ciao Wilbur” lo salutò.
“Ciao” ricambiò lui “com’è andato il concerto?”
“Benissimo” rispose il padre “tua madre è una vera maestra. E tu? Come va con i compiti?”
“Abbastanza bene” sbuffò il figlio “a parte qualche difficoltà con l’acido ribonucleico. Ho deciso di lasciarlo in sospeso”
“Bravo figliolo” sorrise Cornelio “sono felice di vedere che ti stai dando tanto da fare”
“Dopotutto me lo sono meritato” rise il ragazzino tornando con la faccia sui libri “e poi è questo ciò che succede, quando hai a che fare con delle macchine del tempo”
“Sarebbe potuto andare peggio” enfatizzò il papà “ tu non esisteresti, io starei ancora contemplando il fallimento del mio scanner sul tetto dell’orfanotrofio e i tuoi parenti sarebbero sotto il controllo di quei cappelli malvagi”
“Per fortuna è tutto risolto” disse Wilbur.
“Bene. Io vado” si diresse verso i tubi trasportatori, ma prima di essere risucchiato, rivolse uno sguardo al ragazzo. Era orgoglioso di lui perché non aveva protestato la sua punizione come di solito faceva. Ed era orgoglioso di se stesso da piccolo, per aver finalmente dato a suo figlio, la sensazione che si prova ad avere un amico, diverso da un robot.
Con questi pensieri, fu trasportato nella camera della moglie. Lei si stava togliendo il vestito per le serate importanti e ne stava indossando uno meno scomodo.
Quando si accorse che il marito era arrivato, gli sorrise: “E’ stata una bella serata non trovi?”
“Sì tesoro. Magnifica” rispose lui sedendosi su una poltrona.
“ Wilbur sta studiando?” chiese Franny cambiando argomento.
L’uomo annuì: “Eccome! Non smette un secondo. Le telecamere di sorveglianza lo riprendono tutte le sere e non si stacca un attimo da quella scrivania, se non per mangiare, andare in bagno o a letto”
“Beh, a quanto pare sta iniziando a comprendere i suoi errori” disse la moglie togliendosi il trucco allo specchio.
“Io credo … che li abbia già capiti da prima che lo punissimo” le disse Cornelio.
Lei si voltò: “Che cosa intendi dire?”
“Franny, hai notato che non si è lamentato, quando lo abbiamo messo in castigo? Significa che sapeva di meritarselo”
“Vieni al punto” lo esortò la donna.
“Credo sia giunto il momento di farlo smettere” confermò il suo sposo “domani mattina glielo diremo”
“Sei sicuro Cornelio? Sono passati solo dodici giorni”
“Pensi che siano pochi?”
“Beh no” scherzò Franny “ma se inventerai una macchina che accelera le giornate, allora sì”
Il marito rise e lei lo buttò sul letto dove poi si gettò ad abbracciarlo.
“Credimi” le disse Cornelio accarezzandole la guancia “è giunto il momento che Wilbur metta fine alla sua penitenza”
“E sia come vuoi tu” accordò infine la moglie.
I due si baciarono e poi si diressero verso la sala da pranzo, dove Carl aveva servito la cena.
 
Il mattino seguente, Wilbur, come al solito, si alzò verso le sette e andò in garage a continuare i suoi studi.
Fuori il sole estivo risplendeva come non mai, ma lui non poteva uscire a goderselo. Anche perché non n’aveva molta voglia.
Iniziò a sfogliare le pagine del libro di scienze, quando venne raggiunto dai genitori.
“Quanti capitoli hai letto in questi giorni?” chiese la madre.
“Undici” rispose il figlio “undici capitoli, trentatré pagine e novantotto paragrafi” contò sulle dita.
“E ti hanno insegnato molte cose?” domandò il padre.
“Sì. Abbastanza da farmi partecipare ad un concorso” disse Wilbur.
“Bene Wilbur. Allora se vuoi puoi anche smettere”
Quella frase fece scattare la testa del ragazzo che fissò a lungo padre e madre: “Che cosa?” chiese come se non avesse capito.
“Sì Wilbur. La tua punizione è finita” disse la madre “continua a leggere ancora qualcosa fino all’ora di pranzo. Poi sei libero”
Il figlio non ebbe una reazione disperata. Sospirò e ringraziò. Ma quando i genitori sparirono su per il tubo, si mise a saltare come un matto per tutto il garage. Ancora qualche ora e avrebbe potuto godersi le mille tecnologie di casa Robinsons, senza pensare minimamente allo studio.

 

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Capitolo 3
*** Scomparsa ***


Ore 13:00.
Lo strano orologio dalle lancette dei secondi blu, quelle dei minuti d’argento e quelle delle ore verdi, suonò, rimbombando per tutto il garage.
Wilbur ripose con cura i libri in una scrivania e dopo una bella stiracchiata, si fece aspirare dai tubi che lo portarono dritto alla sala dei pasti.
Ma la trovò deserta.
Iniziò a sedersi e attese in silenzio.
Dopo una mezz’ora, però si disse: “Non è da loro arrivare in ritardo. Che è successo?”
Con altri passaggi segreti, arrivò nelle cucine, ma neanche lì c’era anima viva. Allora provò in camera dei genitori, nel giardino, in palestra, in soffitta o nelle stanze di tutti i suoi parenti, ma non vide nessuno.
Iniziò a chiamarli per nome.
Sembravano tutti volatilizzati:Franny, Cornelio, nonna Lucilla, nonno Bud, zio Joe, zia Billie, zia Petunia e zio Fritz, il cugino Laszlo e sua sorella Tallulah, gli zii Gaston e Art, i gemelli Spike e Dimitri, il polipo maggiordomo Mancino, il cane Buster, il loro dinosauro Orlandino e Carl. Forse erano usciti, ma perché proprio all’ora di pranzo? E perché non l’avevano avvertito? E se si trattasse di uno scherzo per farlo spaventare?
Per togliere quel sospetto, corse in camera del padre, dove lui teneva sempre d’occhio le immagini delle telecamere sentinelle.
Controllò le figure delle telecamere, sparse in tutta la casa, ma non c’era nessuno neanche nella più piccola fessura che veniva ripresa.
Iniziò a preoccuparsi.
Prese il telefono a cinquanta pollici che gli avevano regalato al suo compleanno e provò a chiamare il padre e la madre. Ma avevano la segreteria telefonica.
Prima di dare conclusioni affrettate, decise di aspettare ancora.
Si preparò da solo un panino e poi si chiuse in camera, cercando di udire il minimo rumore al di fuori di quella.
Ma arrivarono le tre e poi le tre diventarono le cinque e poi le cinque diventarono le otto e poi le otto diventarono mezzanotte.
Sembrava esserci rimasto solo lui in casa Robinsons. Fece ancora un ultimo giro di persecuzione, ma fu tutto inutile.
Non poteva crederci. Dopo che i suoi genitori gli avevano detto che il castigo era terminato, ora si erano volatilizzati insieme al resto della famiglia. Non potevano essere usciti. L’avrebbero avvisato. E se si trattava di una beffa per farlo trasalire, non era per niente divertente.
Il ragazzo allora tornò in garage e controllò che tutte le auto volanti e quelle turbolenti, furono tutte a loro posto. Non ne mancava una. Quindi l’opinione che avevano lasciato la casa per qualche ora, era esclusa.
Poteva chiamare la polizia?
No, si sarebbe sparsa la voce che lui era in castigo per aver fatto quasi distruggere quella città e non voleva rovinarsi la reputazione d’essere figlio di uno dei più grandi inventori dell’epoca.
Continuò a cercare i suoi parenti.
Alla fine era esausto.
Non gli restava che una cosa da fare: tornò nella camera dei genitori e digitò un codice, sul telefono fisso che si trovava sul comodino del padre.
Immediatamente il letto matrimoniale si ritrasse nel muro, rivelando una lunga scala ottagonale sul pavimento, che portava sotto la casa.
Iniziò a scenderla, appoggiato al corrimano. Quegli scalini erano così ripidi che gli venivano le vertigini.
Camminò per qualche minuto, poi si ritrovò davanti una porta d’acciaio, con l’impronta di una mano umana, scolpita nel ferro.
Wilbur poggiò la sua mano dentro il pertugio e questo lo riconobbe. Solo le persone di sangue Robinsons, potevano entrare nella stanza segreta delle invenzioni di Cornelio.
La porta si aprì e il ragazzino entrò.
Era la stanza che un tempo era stata la camera del padre, quando era stato adottato da Lucille e Bad e non era altro che una cupola dai murali ricoperti di finestre a forma di poligono. Da allora era stato lì che aveva inventato e creato macchine di qualsiasi tipo e le conservava con ricordo. Solo che per non far accedere a quella stanza un estraneo, ci aveva costruito sopra, l’immenso palazzo Robinsons. Il più grande della città.
Il figlio si guardò intorno. Conosceva a memoria, tutte le macchine del padre e ora sapeva quale gli serviva.
Scorse lo sguardo tra i vari macchinarsi, finché non la vide. Si avvicinò e sfiorò l’incredibile Richiestesaudente. Un incrocio fra le parole: Richiesta ed Esaudente.
Cornelio l’aveva creato qualche mese prima, perché non trovava la risposta alla sua domanda su alcune decotte chimiche. Ma grazie a quel macchinario veramente geniale, venduto in tutti i paesi dell’universo, era riuscito a capire molte cose. Ed era a lui che Wilbur doveva rivolgersi.
Sapeva come funzionava. Il papà gliel’aveva fatto vedere due volte.
Per prima cosa, abbassò la piccola leva, avvolta in fili di diverso colore. Poi scrisse sulla macchina da scrivere, collegata alla macchina, la sua domanda: “Che fine ha fatto la mia famiglia?” e pigiando un interruttore pitturato di nero, fece tremare la Richiestesaudente, che dopo aver fatto uscire del fumo da una ciminiera in miniatura, fatto tremare il tavolo dov’era risposta e scrollato un po’ di polvere dai refi, stampò la risposta, che uscì fuori da un occhiello, posto sopra alcuni circuiti visibili.
La macchina smise di vibrare.
Il ragazzino prese il foglio e lesse.
A dire il vero guardò. C’era un disegno su quel pezzo di carta.
Era un affarino nero con un buco fucsia al centro.
Gli ricordava qualcosa. Ma cosa?
Rimase a riflettere per qualche minuto, senza togliere lo sguardo dalla pagina. Poi ad un certo punto, sobbalzò e lo fece cadere per terra.
Erano passate poche settimane dall’avventura temporanea, eppure si era dimenticato di un dettaglio, ritrovato nella memoria solo in quel momento: la bombetta che voleva il controllo su tutte le persone dell’universo.

 

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Capitolo 4
*** Partenza ***


 “No. Non può essere vero” disse il ragazzo con le mani che gli coprivano la faccia. Le probabilità che la sua famiglia fosse in mano di quella creatura malvagia, erano molte. La Richiestesaudente però non sbaglia mai, pensò.
La sua famiglia scomparsa.
Era impossibile!
E ora cosa poteva fare per ritrovarla?
Da solo non avrebbe mai potuto vincere quell’essere demoniaco che si fa passare per un cappellino.
Aveva bisogno d’aiuto.
Non aveva amici in città, se no coetanei della scuola che conosceva solo di vista. Come aveva detto, non voleva spargere la voce e quindi non si sarebbe rivolto alle autorità locali ai collaboratori di lavoro del padre.
“C’è solo una persona a cui posso rivolgermi” disse.
Uscì dalla stanza segreta e raggiunse il garage.
Una volta lì, aprì una porta e imboccando un lungo corridoio, arrivò in un’ampia sala circolare, dai bagliori azzurri, dov’erano riposti tutti i fallimenti di Cornelio, durante le sue progettazioni.
Percorse le teche con dentro oggetti ammaccati e distrutti e si fermò davanti a due imponenti macchine: una rossa fiammante, l’altra verde acqua, simile ad un UFO. Erano le macchine del tempo.
Aveva giurato a se stesso di non avvicinarsi mai più, visto il disastro combinato la prima volta, ma se voleva ritrovare la sua famiglia, quello era l’unico modo.
Sollevò la cupola di vetro di quella rossa, e prese posto sul sedile del manovratore.
Ormai sapeva a memoria come funzionava.
Per prima cosa la metteva in moto, poi faceva ruotare dei minuscoli numeri scritti a manovella per inserire la data e il tempo: 12 luglio di 30 anni fa.
Azionò alcune leve e avviò il foriero di colore viola. Si spostò sul volante e come se stesse guidando una normale auto, la portò fuori dal garage.
Dopo che raggiunse il giardino, girò un’asola più volte e le ruote sparirono dentro la macchina, lasciandola fluttuare.
Wilbur allora si mise davanti un manubrio simile a quello di una bici e lo puntò verso l’alto. Il macchinario si sollevò sempre di più fino a raggiungere il cielo. Dopo un po’ venne circondato da una bolla policroma e si fece risucchiare in un turbine di stelle e colori.
Il ragazzo controllò lo stato di carburante che rimaneva alla macchina e spalancò gli occhi. Era quasi a secco! Doveva subito tornare indietro e prendere due bottiglie di solvente.
Cambiò la data, ma in quel momento il macchinario ebbe uno scossone e invece di scrivere, 12 luglio 2028, scrisse 12 luglio 1820, solo perché andò a sbattere contro la manovella dei numeri.
In quel momento la freccetta accanto al 2%, calò dritta allo 0%.
La macchina del tempo iniziò a precipitare e a girare su se stessa.
Al suo interno, Wilbur sbatteva da tutte le parti cercando di aggrapparsi ai sedili ma quando finì col cranio su una leva dall’elsa d’acciaio e il pomello d’ottone e si sentì mancare le forze.
Il resto della precipitazione, lo trascorse con la testa confusa e quando finalmente la macchina toccò il suolo, si ritrovò disteso sul pavimento.
Aveva una ferita sulla fronte.
Dopo qualche minuto cercò di fare il punto della situazione e si mise in ginocchio. Quella che aveva sul capo era una lesione poco sanguinante, alla quale, però non diede molta importanza.
Il macchinario temporale non aveva niente di rotto a parte un po’ di fumo che usciva dai tubi di scappamento e qualche ammaccatura sul dorso.
Wilbur sollevò la cupola e scese. Si guardò intorno.
Era in un’ampia campagna, piena d’alberi e colline, con una villetta in lontananza. Un boschetto si ergeva non troppo distante e il resto erano praterie e campi fioriti.
Osservò la data: 12 luglio 1820.
“Oh, cavoli!” esclamò “Devo andarmene al più presto da qui!” ma si ricordò di non avere benzina “Se solo avessi dell’acqua e un po’ di pittura, saprei ricaricarla” era vero!
Suo padre aveva inventato un nuovo tipo di rigenerante per macchine, aerei e via di scorrendo: non si doveva fare altro che mescolare acqua e vernice e poi aggiungere un po’ di bromuro che Cornelio teneva sempre all’interno delle sue invenzioni.
Il figlio controllò nel bagagliaio se anche lì ce n’era una riserva e ne trovò due ampolle colme, che avevano resistito alla caduta.
Si sedette sull’erba a pensare.
Ma ad un certo punto, sentì dall’interno del boschetto, uno sciabordio parecchio rumoroso, simile al suono di una cascata.
“Acqua” pensò. Se fosse entrato in quella pineta poteva procurarsi già uno dei due ingredienti che gli servivano.
Prese una ciotola trovata nel cofano e s’inoltrò nella boscaglia.
Gli alberi erano alti e profumavano di sostanza viscosa e basilico.
Qua e là c’erano cespugli e frutici secchi e il terreno, non era altro che un ammasso foglie cadute dai rami, sbriciolate dal tempo.
Il rumore acquoso era sempre più vicino.
Il ragazzino scavalcò diversi tronchi caduti e alcuni dossi. Poi lo intravide:
Un lago limpido e pulito dove scorrevano alcune anatre.
La cascata era doppia e non molto alta.
Wilbur si avvicinò alla riva e chinandosi riempì la ciotola.
Si voltò e si ritrovò a fissare un volto confuso e sorpreso.
Colto di sorpresa urlò e indietreggiando, inciampò in alcune radici di una quercia vicina e finì dentro il lago.

 

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Capitolo 5
*** Lizzy ***


Wilbur era bagnato dalla testa ai piedi. Per fortuna l’acqua non era troppo profonda, ma a contatto con la ferita che aveva sulla fronte, bruciava.
“Ohi!” disse toccandosela.
Poi alzò gli occhi e vide chi era lo sconosciuto: una ragazzina dalle trecce castane, gli occhi verdi, un vestito rosa con sopra un grembiule a fiorellini e gli stivaletti neri.
Sbuffò, imbarazzato d’aver avuto quella reazione solo per una bambina.
“Ti sei fatto male?” gli chiese lei.
“No. Tutto apposto” rispose lui mettendosi in piedi e uscendo dall’acqua tremante. Raccolse da terra la ciotola “però la prossima volta non apparire come un fantasma. Mi hai fatto venire un infarto”
“Scusa. Non volevo spaventarti” si scusò la ragazzina.
“Non importa” disse Wilbur togliendosi le scarpe e svuotandole.
“Tu chi sei?” domandò lei. Ma prima di sentirsi dire la risposta si accorse di una cosa: “Oh! Sei ferito!”
“Niente che non si possa guarire” si rimise le scarpe, si diede una scrollata e riempiendo nuovamente la ciotola, imboccò il sentiero di ritorno.
“Aspetta! Dove vai?” chiese la ragazza “Non, ti brucia?”
“No” mentì Wilbur. Ma mentre camminava sul sentiero di foglie schiacciate, sentì la fronte pulsare e s’inginocchiò a premersela forte.
“Ei!” disse la voce della sconosciuta, raggiungendolo “Stai bene?”
“Sì … sto bene” balbettò il tredicenne, alzandosi lentamente.
Vide che la ciotola si era un'altra volta svuotata e con lo sguardo seccato, tornò al fiume.
“Sai, non ti ho mai visto da queste parti” disse la ragazzina alle sue spalle “e giuro di non aver mai visto qualcuno con degli abiti così strani”
“I miei abiti sono nuovi. I tuoi sono strani, mia cara” rispose lui “e ora se vuoi scusarmi, devo andare”
“Oh, non ti conviene entrare nel bosco da solo” tremò lei.
“Perché?” chiese Wilbur.
“Ci vive una bestia feroce” disse la ragazza.
“Ma quale bestia feroce?” rise lui.
“Sì. Te lo giuro! L’ho vista atterrare solo qualche minuto fa. Era rossa e grande e ha provocato un enorme rumore al suo arrivo”
Il ragazzino la fissò e inarcò le sopracciglia. Poi fece spallucce ed entrò nel boschetto: “Tu sei fuori, mia cara”
“No!” lo fermò “Aspetta! Non lasciarmi sola. Ho paura. Non riesco ad uscire da questa foresta e non riesco a cercare una via di fuga, perché il mostro potrebbe catturarmi e mangiarmi”
“Non c’è nessun mostro” le diede le spalle il ragazzo.
“Sì che c’è” era sul punto delle lacrime “ti prego aiutami!”
Wilbur si fermò: sapeva che la bestia di cui parlava quella ragazzina era la macchina del tempo e lui sapeva come arrivarci. Voleva dire che conosceva la via d’uscita. Perciò disse: “Seguimi ”
Lei gli stava dietro e camminava lentamente, guardandosi intorno, come se si aspettasse un agguato improvviso: “Ehm …io … mi chiamo Lizzy. Il tuo nome?” si presentò poi.
“Wilbur Robinsons”
“Sei nuovo da queste parti?”
Lui restò muto fin, quando non sbucarono al di fuori degli alberi.
“Ecco l’uscita” disse alla bambina.
“Quella è casa mia” lei indicò la casetta in lontananza.
“Bene. Saluti alla famiglia” lui si avvicinò alla macchina del tempo e aprì il serbatoio a forma di tubo dove si metteva la benzina.
Lizzy solo in quell’istante si accorse del macchinario e strillò buttandosi per terra: “Ecco il mostro!” disse coprendosi la faccia con le mani.
“Non è un mostro scemina” spiegò Wilbur seccato “è la mia macchina”
“C-c-cosa?” domandò balbuziente “Quel coso sarebbe … una macchina? Anche io e mio padre n’abbiamo una ma è cento volte più diversa di questa. Insomma … la tua sembra un drago”
“Senti ragazzina” esclamò il ragazzo dal ciuffo “ti ho aiutato ad uscire dal boschetto, giusto? Quindi ora puoi tornare da tua madre e tuo padre. Fai finta di non avermi mai incontrato. Torna alla tua vita di sempre”
“A dire il vero … io non ho la mamma” lo corresse con voce contusa.
“E … allora torna da tuo padre” riformulò la frase lui.
“Beh … se ti do fastidio allora … okay” Lizzy si allontanò, scendendo la collinetta e dirigendosi verso la casetta. Si voltò a guardare quello strano aggeggio ancora una volta, poi si rigirò, accelerando il passo.
Wilbur stava per versare il contenuto della ciotola dentro il container, quando gli venne in mente solo quel momento di non avere della vernice.
Amareggiato si buttò sull’erba fra sbuffi e manate sulla fronte, dolorose a causa della ferita.
“ E ora come faccio?” si chiese più volte.
Fece scorrere lo sguardo sui prati lontani e si soffermò sulla casetta, ora illuminata.
Non aveva scelta.
Si alzò e prese la stessa strada fatta dalla ragazzina.
 
Quando si ritrovò davanti alla porta, esitò a lungo, prima di bussare.
Ad aprirgli fu proprio lei, che rimase molto sorpresa.
“Oh, sei tu Wilbur” sorrise spalancandola del tutto “cosa c’è?”
“Ecco …” ci pensò un attimo per trovare le parole adatte e poi parlò: “ammetto di non essere stato molto gentile con te prima, ma adesso mi serve che tu mi faccia un favore”
“Che favore?”
“Non ti avanza un barattolo di vernice?”
“Vernice? Oh … vernice …” si picchiò il dito sul mento, poi ne schioccò due “Sì. Ce ne sono alcuni secchi in cantina. Di che colore ti serve?”
“Qualsiasi. Però in fretta”
“D’accordo. Aspetta qui”
Lizzy sparì dietro una porta per qualche dozzina di secondi, poi riapparve con in mano un secchiello simile a quello da spiaggia, racchiudente un liquido grigiastro.
“Grazie” disse lui prendendolo “ti devo un favore se mai tornerò”
“Dove andrai?” chiese lei curiosa.
“Meglio che tu non lo sappia. Non mi crederesti mai” si voltò e fece per andarsene.
“Posso vedere a che ti serve la vernice?” domandò Lizzy.
“No” negò l’offerta.
“Dai ti prego”
“No. È complicato e non posso permettermi distrazioni”
“Sarò muta come un pesce. Non ho mai visto una macchina come la tua e mi piacerebbe tanto osservarla ancora e ancora”
“Tuo padre non ti permetterebbe di uscire con un estraneo”
“Mio padre non c’è. È a Londra e ci rimane per l’intera settimana. Sono da sola con la nostra vicina, che, però si dimentica sempre le cose” ridacchiò.
“Allora è meglio se rimani. Magari potrebbe dimenticarsi da qualche parte la testa” disse lui cocciuto.
“Ti prego. Per favore” insistette Lizzy “solo cinque minuti. Il tempo per vedere come funziona”
“No. È fuori discussione”
“Ei!” trovò il modo di convincerlo “Se la memoria non m’inganna pochi secondi fa, mi hai detto che ti dovevo un favore. Giusto?”il ragazzino rimase pietrificato come una statua “Ebbene. Voglio che mi porti su quella collina ad ammirare la tua macchina”
Wilbur digrignò i denti seccato e finalmente accettò: “E va bene vieni”
“Evviva!” esultò lei iniziando a saltellare verso il colle.
 “Qualcosa mi dice che non sarà per niente facile” pensò poi mentre la raggiungeva.

 

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Capitolo 6
*** Primo attacco ***


Wilbur mise nella ciotola dell’acqua, tre gocce di vernice e tutta l’ampolla di bromuro. Poi prese ad amalgamarla con un bastoncino.
Lizzy intanto continuava a girare intorno alla macchina del tempo, osservandone l’interno e sfiorandone l’esterno.
“E’ meravigliosa” commentò “tuo padre è davvero un genio”
Il ragazzo sentì una fitta al cuore. Probabilmente stava già iniziando a sentire la mancanza familiare, ma cercò di metterla da parte e continuare il mescolamento del carburante essenziale per rimettere in moto la macchina.
“Ecco fatto” disse dopo un po’ “è pronta” versò un liquido melmoso dentro la fiala ormai vuota e si preparò a versarla nel serbatoio.
“Bene Lizzy” disse alla ragazzina “sei venuta, mi hai visto lavorare e hai ammirato la macchina come volevi. Ma ora è giunto il momento di salutarci”
“Di già?” chiese lei un po’ dispiaciuta “Che peccato. Mi sarebbe piaciuto farlo vedere a mio padre”
“Non posso restare fino alla settimana prossima mia cara. Ho un’importante missione da portare a termine”
“Una missione?” esclamò la ragazzina “Quale missione?”
“E’ troppo difficile da spiegare e non basteranno nemmeno due mesi per raccontarti tutto da cima a fondo”
“Cerca di farlo più in fretta possibile. Mi piacciono le Fiabe”
“Questa non è una fiaba. È ciò che accadrà, quando tu sarai morta”
“C-c-osa?”
Wilbur si accorse di aver usato una parola troppo forte per una bambina e cercò di rimediare: “Voglio dire … non è fantasia. È realtà. Ti racconterei il futuro”
“Come fai a sapere cosa ci sarà in futuro?” domandò Lizzy sempre più interessata “Sei un indovino?”
“No”
“Un mago?”
“No”
“Un viaggiatore del tempo?”
Il ragazzo sgranò le pupille. Accidenti. Aveva indovinato.
“Sì”
“Aspetta! Che cosa?”lei non sapeva d’aver dato la risposta corretta.
“Sì Lizzy. Sono un viaggiatore del tempo. Come d’altronde lo è mio padre. È stato lui a costruire questa macchina temporanea”
“A che cosa serve?” chiese la bambina.
“Ti fa viaggiare a: 30.000 anni or sono. Infatti, se non l’hai ancora capito, io non sono di quest’epoca”
“Beh. Lo dedurrei dal modo in cui sei vestito, da com’è fatta la tua macchina e dalla precipitazione che c’è stata qualche mezz’ora fa.”. abbassò lo sguardo riflettendo, poi aprì le labbra in un ampio sorriso “Quindi, sei capace di vedere come sarò io, quando diventerò adulta?”
“Sì, se vado a 20 anni da qui”
“Fantastico! Quanto vorrei vedermi cresciuta! Chissà se sarò sposata? Avrò figli? Dove vivrò? Mi piacerebbe un sacco scoprirlo”
“Beh, temo che rimarrai molto delusa” disse Wilbur “non ho tempo per andare a spasso negli anni e nei secoli. L’ultima volta che l’ho fatto ci ho quasi rimesso l’esistenza” versò l’essenza nel tubo e lo chiuse “devo andare a cercare Lewis!”
“Lewis? Chi è Lewis?”
“E’ mio padre”
“Chiami tuo padre per nome?”
“No … cioè … ecco …” sbuffò lui “è troppo intricato da spiegare e come ho già detto non posso perdere tempo. Devo andare” alzò la cupola di vetro e si sedette.
“Aspetta!” lo fermò Lizzy prima che la chiudesse “Voglio venire anch’io!”
“Che cosa?” esclamò il ragazzo ad alta voce. “Eh, eh! Non se ne parla neanche” sghignazzò poi.
“Ti prego! Voglio vedere il futuro!” insistette la bambina.
“Nemmeno per sogno” la guardò “e stavolta la storia del favore non funzionerà”
“Ma potremo non rivederci più” cercò un’altra scusa “questa potrebbe essere la mia sola possibilità di viaggiare nel tempo”
“Mi dispiace, ma non posso farci nulla. È rischioso portare un abitante di una data così lontana dalla nostra, nel presente. Soprattutto per una bambina piccola come te”
“Non sono piccola! Ho 10 anni!”
“Auguri! Io ne ho 13”
“Per favore Wilbur”
“No Lizzy. Punto e basta!” chiuse la cupola “E ora spostati. Devo partire”
La ragazzina indietreggiò con gli occhi lucidi e osservò ammirata i combustori che si accendevano e le ruote che tenevano la macchina a terra, sparire al suo interno e lasciandola fluttuante.
“Bene. Stavolta non sbaglierò” disse Wilbur. Impostò la data: 12 luglio 2028 e puntò verso l’alto.
Il macchinario si sollevò sempre di più fino a lasciare al ragazzo, una perfetta visuale della campagna in miniatura.
Scorse Lizzy che era sdraiata per terra e si muoveva.
“Oh, capperi. Spero non stia facendo i capricci” stava per schiacciare l’acceleratore, quando fu trattenuto da un urlo.
Proveniva da sotto.
Guardò in direzione della ragazza e solo stringendo per bene le pupille, riuscì ad individuare un piccolo affarino nero, attaccato alla sua testa.
“Ma che diavolo …?” si chiese.
Girò il manubrio e si avvicinò di qualche metro.
Le grida di Lizzy erano fortissime. Era come se … qualcuno stesse cercando di tenerla ferma anche contro la sua volontà.
Wilbur rimase immobile, cercando di capire cosa stava succedendo.
Stava per far atterrare, la macchina, quando non udì più uno strillo da parte della bambina. Lei era ferma, distesa sull’erba.
Il ragazzo stava per giungere ad una conclusione, ma prima di dirla a se stesso, vide il corpo della bambina sollevarsi da terra e fluttuare.
Sussultò: “M-m-a … quella vola?” si avvicinò sempre di più e finalmente riuscì a decifrare l’immagine di Lizzy, con in testa un cappello nero, che le ricopriva tutta la fronte ed entrambi gli occhi.
Questo cappello aveva un occhio fucsia e dalla testa spuntavano due eliche girevoli, che gli permettevano di alzarsi in volo.
“Oh, no!” esclamò Wilbur.
Premette l’acceleratore e la macchina planò verso la ragazza.
Dopo aver calcolato la distanza metrica, il ragazzino aumentò l’andata, e partì rapido.
La macchina del tempo sfiorò la bombetta con la sua ala e gli ruppe l’occhio fucsia.
Il cappello cadde e ritornò sull’erba.
Il ragazzo, velocemente, aprì la cupola, scese, anche se era ancora qualche metro troppo in alto e si sbrigò a staccare dalla testa della ragazza, quel malvagio copricapo.
Lei aprì gli occhi e dopo qualche secondo passato a massaggiarsi la nuca urlò: “O mio dio! Un mostro voleva uccidermi!”
“Non c’è tempo per le spiegazioni” gli disse Wilbur “muoviamoci”
Senza saperne il motivo, Lizzy lo seguì.
Si arrampicarono sull’ala del macchinario temporale e lo scalarono fino a raggiungerne l’interno.
Il tredicenne, in fretta richiuse la cupola di vetro.
“I-io non capisco” disse la ragazzina confusa.
“Lascia che ti spieghi le parole chiave” gli disse il ragazzo dal ciuffo “stai sempre lontana dalle bombette con un occhio solo”
All’improvviso, qualcosa si aggrappò al vetro dall’esterno: delle zampe d’acciaio, conficcate nella cupola, che cercavano di penetrarci oltre.
Questi artigli appartenevano allo stesso cappello che aveva aggredito Lizzy. La ragazza strillò e si nascose sotto un sedile.
Wilbur, mosse il manubrio da una parte all’altra, cerando di mandar via quella creatura, ma essa stava già creando delle screpolature.
Il più giovane dei Robinsons, attivò il tergicristallo, schiacciò l’acceleratore e abbassò la leva del razzo scattante.
E qualche attimo dopo, andavano alla velocità suprema, più della luce.
La bombetta non resistette e mollò la presa, tornando a mille km indietro.
Finalmente il macchinario fu circondato dalla solita bolla variopinta e svanì nel cielo.

 

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Capitolo 7
*** Di nuovo insieme ***


Mentre viaggiavano attraverso il tunnel temporale, Wilbur ebbe il tempo di raccontare a Lizzy ogni singolo dettaglio.
“Com’è dolce” commentò lei alla fine “quindi tu e tuo padre siete diventati migliori amici”
“Esatto” rispose lui “e ora mi serve proprio il suo aiuto per ritrovare la mia … la nostra famiglia”
“E io potrò aiutarvi?”
“Non credo Lizzy”
“Come sarebbe a dire che non credi? Allora perché mi hai portata, adesso?”
“Se non l’avessi fatto, quelle bombette ti avrebbero portata via”
“Quindi … dopo che avrai trovato Lewis, mi riporterai a casa?”
“Mi sa di sì”
“Ma … io non vivrò mai abbastanza da raggiungere la tua epoca. Questo vuol dire che non potrò mai vederla”
“Non è colpa mia se il destino ha voluto che tu nascessi nell’800”
Prima che lei potesse replicare, finalmente la macchina del tempo, sbucò in un cielo un po’ nuvoloso.
La ragazzina rimase ipnotizzata dagli enormi edifici sotto di loro.
“Wow! Ma sono … sembrano … tanti castelli” si rivolse a Wilbur “dentro questi palazzi, abita gente di sangue blu?”
“No. Dentro questi palazzi, abita gente normale. Quelli dei nobili sono ancora più grandi”
“Mi piacerebbe vederli”
“Ti basterà vedere casa mia per capire cosa vuol dire ‘casa grande ’ ”
“Beh, ti ricordo che non potrò vederla. Visto che mi riaccompagnerai a casa” gli ricordò lei, cercando di convincerlo.
“Oh, è vero. Me l’ero scordato” disse lui, miseramente.
La bambina sospirò e per non sembrare troppo triste, cambiò discorso: “Sai dove abita Lewis, ora che è stato adottato?”
“A dire il vero … no”
“No? E allora come lo troveremo?”
“Chiedendo all’orfanotrofio”
Piano, piano iniziarono ad abbassarsi.
L’istituto era vicino ad un grattacielo pitturato d’arancio, ricordò Wilbur.
Dopo alcune deviazioni e poche curve, riuscirono ad arrivarci.
Il ragazzo parcheggiò la macchina nel vicolo cieco che si trovava accanto all’orfanotrofio e mentre scendevano, pigiò il pulsante che fece diventare la macchina invisibile.
“Wow!” disse Lizzy avvicinandosi ad un palo “Questi lampioni sono veramente alti. Come ci arrivano i lampionai  per spegnere le fiamme?”
“Noi non abbiamo più lampionai” spiegò Wilbur, mentre bussava alla porta dell’istituto “abbiamo la tecnologia”
“La che?” domandò lei, sentendo pronunciare quella parola per la prima volta in tutta la sua vita.
Ma prima che il ragazzo potesse controbattere, una donna dagli occhiali quadrati, i capelli corti e un lungo vestito porpora, aprì loro il portone.
Era Mildred. La signora che aveva trovato Lewis, quando la madre lo aveva abbandonato davanti la porta del collegio.
“Oh. Salve. Come posso aiutarvi?” chiese loro.
“Vorremo un’informazione” rispose il ragazzino “sa per caso dove abitano i signori Robinsons?”
“Beh, dipende” disse Mildred “quali Robinsons cercate?”
“Quelli che da poco hanno adottato un ragazzo” chiarì lui.
“Oh! Lucilla e Bud!” capì la donna “Abitano sulla diciannovesima strada. Non è molto distante. A piedi è un’ora intera. Ma in macchina, 15 minuti”
Wilbur ringraziò e poi afferrò per il braccio Lizzy, che era rimasta a guardare l’insegna luminosa di un bar, e la trascinò via.
 
“Non ci credo! Guarda com’era la mia scuola” disse il ragazzo, quando arrivarono alla diciannovesima strada, qualche minuto più tardi (sulla macchina del tempo ne avevano impiegati solo 5).
Si stava guardando intorno. La città di quel tempo non somigliava per niente a quella che sarebbe diventata, molti anni dopo.
“Il ristorante del signor Fritz” disse riconoscendo un palazzo che sembrava abbandonato da anni “incredibile! Ora è un luogo a cinque stelle e tempo fa, era questo schifo?” si rivolse alla ragazza “A volte credo che mio padre non sia un inventore, ma che faccia miracoli!”
“Guarda! Lì c’è scritto Robinsons!” non lo ascoltò lei, indicando una buca delle lettere con sopra il cognome di Wilbur.
“Bene” disse egli “è questo. Papà mi ha detto che da giovane, dormiva sulla cupola del tetto. Ovvero dove nella mia epoca, tiene conservate le sue invenzioni più conosciute nel mondo. Non ci resta che raggiungerla” indicò verso l’alto: a molti metri di distanza c’era la cupola trasparente che terminava la costruzione.
“Dovremmo usare la macchina” disse Lizzy.
“No” non fu d’accordo il tredicenne “questa è una zona molto pubblica e se rischiamo di venire scoperti è la fine”
“Allora com’entriamo, senza che i tuoi nonni giovani, se n’accorgano?” chiese lei.
“Lascia fare a me” ghignò lui tirando fuori, dalla tasca qualcosa “ho tutto sotto controllo”
Lasciò una busta sulla stuoia, suonò il campanello e corse a nascondersi dietro alcuni bidoni della spazzatura.
Ad aprire fu una donna dai capelli neri a baschetto, un camice da laboratorio e gli occhiali.
“È nonna Lucilla” sussurrò Wilbur alla ragazza.
“Sembra simpatica” notò lei.
L’altro rise e mormorò: “Lo è. Ma a volte è troppo strampalata”
La donna prese la busta e se la rigirò fra le mani.
“Oh” disse ad alta voce “è per Lewis” ed entrò.
“Bene” rise il ragazzo dal ciuffo correndo a sedersi su una panchina “accomodiamoci e aspettiamo”
“Ma … che cosa?” chiese Lizzy confusa.
“L’arrivo di Lewis” fu la risposta.
 
Chino sulla scrivania della sua stanza, un ragazzino dai capelli biondi tutti all’insù, come se fossero infervorati, e un paio d’occhiali rotondi, stava leggendo un libro sulla gnoseologia.
Amava la scienza più d’ogni altra materia.
Sapeva che in futuro, lui stesso avrebbe rivoluzionato quella città e il mondo intero, per farne un paese tecnologico e attuale.
Dopotutto era stato il primo ragazzino a viaggiare nel tempo, per poi conoscersi d’adulto.
Era concentrato sui righi di quel volume, quando fu distratto da qualcuno che stava salendo le scale.
“Ei, Lewis” disse Lucilla “ti disturbo?”
“No. Stavo solo … leggendo” disse lui.
“Come sempre” rise la donna “volevo solo dirti che qualcuno ha lasciato una lettera per te” gli porse la busta.
Il ragazzo vide che sul retro era scritto il suo nome.
“Grazie” ringraziò.
Lucilla gli diede un bacio sulla testa e poi riscese, diretta al laboratorio dove stava esaminando dei corpuscoli subatomici al microscopio.
Il figlio adottivo, prese da un cassetto un tagliacarte e aprì la busta con molta curiosità.
Ma tutto quello che ci trovò dentro, fu una cartolina. Il buon omaggio di un solarium, dove a piccoli caratteri rossi, c’era una frase: Sotto casa.
Lewis capì subito. Sussultò e sorrise mentre un ricordo vago gli entrò in testa. In fretta chiuse i libri e i quaderni sui quali stava scrivendo appunti e corse giù per le scale.
“IO ESCO. CI VEDIAMO STASERA!”
Lucilla e Bud si guardarono. Quel ragazzino non usciva quasi mai. Preferiva starsene chiuso in camera a fare i suoi progetti scientifici.
Era un bene, pensarono, che di tanto in tanto prendesse un po’ d’aria.
Il biondo, arrivò in strada e si guardò intorno, ansioso.
Camminò sul marciapiede per vedere se scorgeva qualcuno al parco, di fronte quei palazzi.
Dopo qualche minuto, sentì il verso di un piccione. Di scatto si voltò e seguì il suono fino ad entrare in una via di bancarelle.
Il rumore era vicinissimo. Guardò da tutte le parti, finché non giunse ad un banco che vendeva lampade da notte.
Il proprietario non c’era e due facce si sporsero da sotto il tendone.
Lewis si sbrigò ad infilare dentro, prima la testa, poi il corpo.
Era buio lì sotto, ma qualcuno accese una delle lanterne che si vendevano a quel balcone e finalmente fu chiara l’immagine di Wilbur Robinsons e di una bambina con le trecce.
“Wilbur!” esclamò Lewis.
I due si abbracciarono felici di rivedersi.
Lizzy pensava di essere d’intralcio in quell’incontro tanto gioioso.
“Hai capito che ero io, no?” disse Wilbur, quando si staccarono.
“E come potevo non riconoscere il falso biglietto con il quale ti sei fatto spacciare per un agente segreto, la prima volta?” rise il biondo, mostrando la carta del solarium. Poi si accorse di non conoscere la ragazzina: “Lei chi è?” ella, gli prese la mano e la strinse.
“Io sono Lizzy, piacere”
“E’ del 1820” disse il ragazzo dal ciuffo.
“Cosa?” esclamò l’amico “Che cos’è successo?”
Uscirono da sotto il tendone e andarono a sedersi, su una delle panchine del parco. Wilbur raccontò al giovane padre, ogni cosa.
“Davvero, non riesco a capire come sia potuta tornare” commentò lui alla fine “ricordo d’averla distrutta per sempre”
“Beh, forse aveva una gemella e noi non lo sapevamo” ipotizzò l’altro.
“Ad ogni modo, dobbiamo andare nel futuro e cercare di ritrovarli al più presto” capì Lewis.
“E io potrò venire?” chiese Lizzy.
“No. È inutile che continui a chiederlo. La risposta è e sarà sempre la stessa” negò Wilbur.
“Tu cosa ne pensi Lewis?” chiese la ragazzina “Sei d’accordo che io vi dia una mano?”
“Beh …” pensò il biondo.
Alle spalle della bambina, il ragazzo dal ciuffo stava fingendo di tagliarsi la testa, come per dire al biondo di stare zitto.
“Wilbur” disse lui “se è vero che le bombette hanno cercato di catturarla, è perché hanno scoperto che siete amici”
“Non siamo …” Wilbur non finì la frase perché ne immaginava le terribili conseguenze.
“Io dico di portarla con noi” concluse Lewis “almeno sarà al sicuro”
“Ma cosa se ne fa quella bombetta, di una ragazzina straniera, quando invece vuole i Robinsons?” provò a convincerlo il figlio.
“Non saprei, ma non possiamo rischiare che venga presa” disse il biondo.
“Grazie Lewis” disse Lizzy gioiosa “giuro che non vi darò il minimo fastidio, basta però che mi portiate a vedere il futuro ancora più futuroso” detto questo si mise a saltellare per il parco.
“Te ne pentirai” disse il più giovane dei Robinsons “è una peste”
“Solo perché è una peste, non vuol dire che deve rischiare la vita” disse Lewis “ e comunque, Wilbur, ricordati che anche se ho dodici anni e sono il tuo migliore amico, sono sempre tuo padre”
“Che scoperta” mise il broncio il ragazzo.
Poi guardò la bambina. La missione stava diventando sempre più complicata.

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Capitolo 8
*** Ritorno al futuro ***


Qualche ora più tardi, erano tutti e tre sulla macchina del tempo, diretti al futuro.
“Nel futuro la gente vola?” non smetteva di chiedere Lizzy “I dolci sono più buoni? I palazzi sono simili a quelli delle fiabe?”
Wilbur cedette il posto di guida a Lewis, in modo da potersi tappare le orecchie. Non la sopportava davvero più.
“No. Non ci sarà niente di tutto questo” rispose digrignato.
“Ecco!” disse il biondo “Siamo arrivati”
E così spuntarono nella città del 2048.
La ragazzina rimase tutto il tempo con la faccia schiacciata al vetro.
Salutò le persone che viaggiavano dentro a delle bolle di sapone, indicò i treni a reazione che sfrecciavano veloci, su una pista simile alle montagne russe, si lasciò incantare dai meravigliosi grattacieli e da tutti gli altri sbalordimenti che riuscì a intravedere, il tempo che la macchina atterrò.
Quando scesero, vide un immenso palazzo. Una reggia. Un castello, pensò. Ma cento volte più grande.
Sull’entrata c’era un enorme stemma rosso, con una grande R disegnata sopra. S’incamminarono al suo interno.
Sospirò ammirata: “Che bellezza!” disse girando su se stessa “Questo mondo è così magico!”
“Ti ripeto: la magia non esiste. Questa è tecnologia” gli ricordò Wilbur, mentre apriva il gran portone.
Entrarono e mentre la bambina si guardava intorno, soffermandosi sui particolari più interessanti di quella casa, i due ragazzi si decisero sul da farsi, una volta raggiunta la sala delle invenzioni di Cornelio.
“Faremo altre domande alla Richiestesaudente” disse lui da giovane “magari ci può dare altri indizi”
“Speriamo in bene” disse l’amico “ma se non ci dà delle risposte adeguate? Cosa facciamo?”
“Beh, penso che dovremo chiedere aiuto ad altre creazioni” fu la risposta.
Andarono in camera di Franny e Cornelio e scesero il passaggio segreto che portava alla cupola.
“Ricordati” disse Wilbur a Lizzy, mentre poggiava la mano nella forma “non devi toccare assolutamente niente”
“Promesso” giurò lei.
Però, non appena la porta si aprì, iniziò a sfiorare le teche dov’erano conservati i macchinari più strambi che avesse mai visto.
“Che cosa ti avevo detto?” la richiamò il ragazzo dal ciuffo “Vieni subito qui ragazzina!”
Lei un po’ imbarazzata tornò al loro fianco, ma il sorriso stupefatto non lo perse neanche per un attimo.
“Okay” disse Lewis “ecco il Richiestesaudente” non l’aveva ancora inventato, perciò chiese istruzioni al futuro figlio “Non possiamo riformulare la stessa domanda” notò, quando ne capì le funzioni “ti apparirebbe la stessa risposta”
“Allora cosa chiediamo?” chiese Wilbur.
“Io proverei con …” e scrisse sulla tastiera: “Come facciamo a trovare i Robinsons?” Dalla stampante uscì un foglio.
Raffigurava un oggetto simile ad un telecomando, con un’antenna gialla in testa. I pulsanti erano tutti uguali, ma diversificati dai numeri che ci stavano sopra. Dall’uno al venti.
“Un momento …” disse il più giovane dei Robinsons “io … quest’affare l’ho già visto”
“Dove?” gli chiese l’amico.
“Non riesco … a ricordare” rispose lui spremendo le meningi “è successo, quando avevo sei anni … ho bisogno di tempo per pensare”
“Oppure” a Lewis venne un’idea “dello Scanner Memorico!”
“Giusto!” esclamò Wilbur battendogli il cinque.
“Il … cosa?” chiese Lizzy.
“Lo Scanner Memorico” spiegò in poche parole il biondo “è stata la mia prima invenzione funzionante. Ora ti facciamo vedere come funziona”
Raggiunsero un angolo della sala, dov’era posta una teca a forma di cilindro che aveva ai lati un foglietto, con sopra scritto il nome della strana macchina che racchiudeva.
Con delicatezza il ragazzo dal ciuffo la tolse e si poggiò delle cuffie alle orecchie. Il biondo intanto accese lo Scanner e chiese: “Ricordi la data?”
“Sì … quasi …” rispose il figlio “prova con: Dicembre del 2035”
Lewis scrisse il mese e l’anno, sul telecomando attaccato alla macchina e sul televisore iniziarono a formarsi delle immagini in bianco e nero.
“Che magia è mai questa?” chiese la ragazza con lo sguardo fisso sullo schermo, dove stavano apparendo delle immagini:
un bambino che teneva per mano la mamma, si trovava nella stessa stanza dov’erano i tre in quel momento.
Ad un certo punto, il bambino corse in braccio ad un uomo, che lo strinse forte e poi lo rimette a terra.
Il signore baciò la donna e poi le mostrò un oggetto. Era identico al disegno uscito fuori dal Richiestesaudente.
L’uomo premette il pulsante con il numero 12 e questo si appiattì, fino a diventare una minuscola tavola. La signora ci posò sopra, una pallina di carta e questa fu avvolta nel bottone.
All’improvviso, da quell’oggetto, uscirono fuori due eliche, che lo sollevarono e lo portarono su per le scale.
Le due persone e il bambino lo seguirono, fino ad arrivare al giardino. Si era infilato in mezzo all’erba alta e quando ne uscì, teneva nell’antenna un bracciale e lo portò nelle mani della donna.
Lei lo strinse forte al petto e poi baciò forte l’uomo.
Lo schermo diventò nuovamente nero.
“Quello eri tu” disse Lewis “e quelli erano Franny e Cornelio?”
“Sì … sì ora ricordo …” esclamò Wilbur togliendosi le cuffie “quell’oggetto è il’Chiedi e Recupera’ di papà” spiegò poi “la prima volta che l’ho visto, ha aiutato mamma a ritrovare il braccialetto che aveva perso. Gli è bastato soltanto vedere una sua foto, che mamma aveva appallottolato abbastanza da farlo andare sul bottone”
Il biondo rifletté, poi schioccò le dita: “Ma certo! Il Richiestesaudente, ci ha detto, che abbiamo bisogno di quell’oggetto, perché forse può aiutarci a ritrovare i tuoi genitori e gli altri!”
“E’ vero!” comprese il ragazzo dal ciuffo “Basta mettere una qualunque cosa appartenente a mamma o papà, su uno dei pulsanti e lui li rintraccerà”
“Perché ce ne sono così tanti, gli interruttori?” domandò Lizzy.
“Nel caso, gli oggetti o le persone da trovare, fossero più di una” spiegò Wilbur, rimettendo la teca sullo Scanner Memorico.
“Sai dove si trova, questo ‘Chiedi e Recupera’?” chiese il biondo.
“Dovrebbe essere qui da qualche parte” disse l’amico.
“Dividiamoci e cerchiamolo” decise Lewis.
“Ehm … non credo sia necessario lasciarla sola” disse il tredicenne indicando la ragazzina “potrebbe combinare qualche danno” poi la spinse delicatamente verso Lewis “occupatene tu. Buona ricerca” e prima che il giovane padre potesse non accettare, si mise a correre e sparì dietro alcune strane invenzioni.
“Non toccherò niente” disse la bambina “l’ho promesso”
“Non temere” sorrise il ragazzo “ha solo paura di finire nuovamente in castigo”
Detto questo, diedero inizio alle ricerche.

 

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Capitolo 9
*** Le spie ***


Nel frattempo, in un laboratorio nascosto, tanti minuscoli cappelli, stavano uscendo fuori, da una macchina creatrice.
Lo strano macchinario, era decretato da un computer straripante di pulsanti e leve che operavano da sole.
Accanto ad un immenso videoterminale, c’erano dei piccoli monitor che trasmettevano minuscole, ma visibili immagini in bianco e nero: tre ragazzini che girovagavano in una sala pienissima d’oggetti strani, alla ricerca di qualcosa.
Una mano, pigiò un tasto grande quanto un pugno chiuso e attivò la comunicazione microfonica con il piano inferiore a quella fabbrica.
“Cosa c’è di nuovo?” chiese una voce proveniente da un sotterraneo buio e lugubre.
“Stanno cercando qualcosa” rispose una seconda voce.
“Mi farò dire che cosa. Tu intanto, continua ad attivare più bombette possibili. Più sono, più mi porteranno quei marmocchi”
“Agli ordini”
Un’altra mano, attaccò una spina ad una piccola presa, posta sopra il grande schermo, e il macchinario che produceva i cappelli, aumentò l’andatura, facendone uscire dieci alla volta, che, dopo un rapido controllo da parte di vari aggeggi elettronici (tra cui, cacciaviti, martelli, pinze e unità d'artiglieria), finirono dentro grossi scatoloni.
Essi furono legati ad alcune gru, che li portarono fino ad una specie di magazzini, dove li ammucchiarono, insieme a tanti altri.
Una persona rise: tutto stava andando secondi i suoi piani.

 

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Capitolo 10
*** Secondo attacco ***


 “Trovato qualcosa?” chiese Wilbur, facendo rimbombare la sua voce per la stanza, tanto da farsi sentire dagli altri.
“No” gli rispose Lizzy “però abbiamo un sacco di cose interessanti”
“Concentriamoci sul ‘Chiedi e Recupera’ per il momento” disse il più giovane dei Robinsons.
Continuarono a frugare in mezzo ai vari marchingegni di Cornelio, finché un’ora dopo, Lewis non esclamò: “Ecco! Dev’essere questo!”
Si riunirono e osservarono il piccolo telecomando un po’ impolverato, che il biondo impugnava con far deciso.
“Torno subito” il ragazzo dal ciuffo sparì su per le scale, e si fece vedere una mezz’oretta più tardi, con in mano un pezzo di carta.
Si trattava di una foto di famiglia, fatta prima della sua nascita. C’erano tutti i Robinsons al completo.
L’appallottolò fino a farla diventare una pallina, simili a quelle da golf. Poi schiacciò un tasto a caso e questo si compresse, abbastanza da contenerla.
Avvenne lo stesso processo che avevano visto nella memoria del ragazzo.
Dal  ‘Chiedi e Recupera’ spuntarono due eliche, che lo alzarono in volo e lo portarono fuori dalla sala delle invenzioni.
“E’proprio una magia” commentò la ragazza meravigliata.
 Inseguirono il telecomando, fino a raggiungere la stanza dei genitori di Wilbur, dov’era sistemata una mappa della città e dei suoi confini.
Il telecomando si poggiò su un punto, oltre i limiti d’alte montagne.
“Oddio!” esclamò il ragazzo dal ciuffo, tappandosi la bocca “Non può essere … proprio lì”
“Lì dove?” domandarono gli amici.
“Dall'altra parte delle Giogaie del Crepuscolo, si erge l’antica fortezza abbandonata della vecchia duchessa Tiaré Conner. Sono secoli che nessuno ci va più. Mio padre stava progettando di farci una palestra”
“Pensi che siano lì gli altri membri dei Robinsons?” chiese Lizzy.
“Beh, se è quello che dice il ‘Chiedi e Recupera’, allora sì” dovette ammettere Wilbur abbassando lo sguardo.
“Allora dobbiamo partire domani stesso” decise Lewis “e ci porteremo quante invenzioni possibili, per combattere contro le bombette”
“Non potete chiedere aiuto alla polizia?” propose la bambina “Magari vi creerete un esercito e sarà più facile”
“Non è una buon’idea” rifiutò il tredicenne “se vedono in che modo la città si ribella, le bombette potrebbero reagire e far del male a tutti”
“E’ vero. Dobbiamo cavarcela da soli” fu d’accordo Lewis “tu intanto, perché non vai a dormire Lizzy? Noi ci occuperemo di tutto il resto”
La ragazzina non poteva negare d’essere stanca morta. Tutte quelle emozioni in una sola giornata, l’avevano davvero messa al tappeto.
Si coricò nella camera di Franny e Cornelio e s’addormentò all’istante.
“Non bastava solo la scomparsa della mia famiglia e il ritorno delle bombette. Ora ci tocca badare a quella ragazzina combina guai”si lamentò Wilbur quando lui e Lewis si ritrovarono da soli in cucina.
“Finora, non mi sembra abbia combinato nessun pasticcio” notò lui “dobbiamo solo cercare di tenerla fuori dai guai”
“Come si fa a tenerla fuori dai guai, se rimane incantata da ogni cosa? E’ capace di rimanere mezz’ora, davanti ad un esplosivo acceso, parlandogli come si fa con un animaletto del bosco!”
“Cerca di comprenderla Wilbur. Lei non ha mai visto queste cose e non le vedrà mai più, quando tornerà nel suo tempo”
“Dovevo incontrarla, proprio ora che siamo tutti in pericolo?”
“Tutto quello che deve fare è lasciare il difficile a noi. Ci accompagnerà solo … per restare nascosta o dare l’allarme, ma non rischierà la vita. Né lei, né la nostra famiglia”
Il biondo guardò a lungo l’amico. Aveva uno sguardo triste e assente. Si vedeva che era preoccupato per i suoi familiari.
“Ei” tentò di consolarlo “andrà tutto bene vedrai”
Wilbur alzò gli occhi e gli sorrise. Era felice che in una situazione difficile come quella, poteva contare sul suo migliore amico.
“Intanto” cercò di cambiare discorso “ti faccio vedere le armi che potrebbero tornarci utili: come per esempio la ‘Crea Bozze
Il giovane padre lo seguì, concento di aver risvegliato in lui il solito e sicuro, buon umore.
Lizzy aveva sentito tutto. Si era nascosta accanto alla porta, perché voleva chiedere loro un bicchiere d’acqua.
Se ne tornò a letto e si lasciò cadere in un pianto disperato.
Lei non voleva recare tanti problemi. Voleva solo vivere un’avventura, in compagnia di quei due ragazzi, che erano stati i suoi primi amici.
 
Il mattino seguente, era tutto pronto per la partenza.
I due ragazzi, avevano messo in un sacco, tutte le cianfrusaglie trovate nella sala delle invenzioni di Cornelio. Una più utile dell’altra.
Salirono sulla macchina del tempo e la misero in moto, proprio mentre il sole iniziava a sorgere.
“Quanti giorni sono?” chiese Wilbur.
Lewis stava osservando per bene la mappa della città e stava facendo i calcoli: “Al massimo … due giorni, se proseguiamo con questa andatura”
“Può andare bene” disse l’amico.
Lizzy guardava fuori, dalla finestra più silenziosa di un pesce. Da quando l’avevano svegliata alle cinque, non aveva aperto bocca.
“Hai fame?” gli chiese Lewis porgendole il barattolo pieno di biscotti, che aveva trovato in cucina.
“No” rifiutò lei “sono a posto”
“Sbaglio o sei taciturna, stamattina?” notò il ragazzo.
“E’ un bene” gli bisbigliò il ragazzino dal ciuffo “almeno non ci distrae”
Lui lo guardò arrabbiato e per distrarsi, tornò a guardare la mappa.
Sorvolarono la città per alcune ore.
Lewis aveva provato a far sorridere la bambina, mostrandole le armi che si erano portate: “Questo è il’Lancia Ciottoli’. Ci sarà d’aiuto, se miriamo all’occhio delle bombette e lo prendiamo”
“Molto bello” sospirò Lizzy prima di tornare con lo sguardo all’esterno.
L’amico, allora decide di parlare: “Si può sapere che ti prende? Ieri eri così gioiosa e felice e oggi sei … tutto l’opposto”
“Non ho niente. Davvero” lo tranquillizzò lei “è solo che …”
“Siamo quasi alle porte della città” informò Wilbur senza togliere gli occhi dal navigatore satellitare che si era portato appresso.
In effetti, sotto di loro, iniziava ad avvicinarsi una radura frondosa, rasentata totalmente, da un fiume.
La ragazza stava per continuare la frase, con ansia, ma il biondo si era distratto. Guardava dritto davanti a sé.
“Un momento” disse “e quello … cos’è?”
I compagni seguirono il suo sguardo.
In lontananza, oltre alcuni picchi, si riusciva ad intravedere una macchia nera in avvicinamento.
Il migliore amico, abbassò il binocolo e lo ingrandì.
“Sembrerebbe …” disse con gli occhi incollati alle lenti.
Dopo un po’ sobbalzò: “Oh, no!” urlò “Sono le bombette!”
Lewis gli tolse il cannocchiale dalle mani e osservò anche lui.
La minuscola macchia, diventava sempre più grande e man mano che si avvicinava, si poteva capire che non era una.
“Via di qui!” ordinò il ragazzo.
Wilbur sterzò il manubrio e questo girò interamente la macchina.
Lizzy scivolò sul pavimento e si aggrappò ad un’altra poltrona, dove stavolta si legò la doppia cintura di sicurezza.
Lewis invece, restò in piedi, aggrappato ad un manipolo penzolante dal soffitto, con il binocolo puntato sugli occhi.
“Stanno avanzando!” informò “Le sue zampe di ferro sono dirette contro il vetro! Dobbiamo sollevarci!”
L’amico tirò una leva e il macchinario temporale, si sollevò sempre di più fino a confondersi nel cielo nuvoloso.
Le bombette sparirono.
“Riesci a vederle?” chiese il guidatore.
“No. Vedo solo nebbia” disse Lewis.
“Allora le abbiamo seminate, vero?” provò a sperare la ragazzina.
Ma dopo averlo detto, lei e gli altri lanciarono uno strillo.
Delle lunghe seghe d’acciaio, si erano conficcate nel pavimento e ora stavano ruotando, cercando di creare un varco, in modo da poter entrare.
I due ragazzi si ricordarono: le bombette erano in grado di trasformare le loro zampe, in un qualsiasi strumento mortale.
Il biondino frugò nel sacco delle armi e ne prese una specie di pistola con sopra una piccola bara ovale, che racchiudeva dei sassi appuntiti.
Lo puntò verso la prima sega e sparò. Una roccia andò a conficcarsi in mezzo alle lame, bloccando l’aggeggio.
Approfittando di quel secondo d’immobilità, Lewis schiacciò la sega e questa sparì.
Fece lo stesso con le altre, ma con l’ultima, fu troppo tardi.
Ormai un enorme pertugio era al centro della macchina.
Dall’esterno, entrò un lungo artiglio che si cinse intorno al braccio del ragazzo, trascinandolo dentro il buco.
Wilbur cercava di far ruotare la macchina, ma c’era troppo peso.
L’unica che poteva aiutare suo padre, era Lizzy.
Si tolse le cinture e prese la mano libera dell’amico, tirandolo verso di sé.
“Passami il sacco!” le ordinò lui.
Lei, sempre cercando di non mollare la presa, allungò l’avambraccio verso il sacco.
“E’ troppo distante!” disse.
Per darle una mano, il guidatore, riuscì a flettere di qualche cm il macchinario, in modo che il sacco, scivolasse ai piedi dell’amica.
Lei lo aprì e n’estrasse un’invenzione a caso: una vaschetta in miniatura, piena di una gelatina platina.
Lewis affondò la mano nella sostanza e ne prese un mucchio, che poi lasciò scivolare sulla zampa che lo teneva. Questa si divise e la proprietaria, smise di tirare.
“Bella trovata, la ‘Melma Smembrante” si complimentò il ragazzo con gli occhiali, togliendosi il resto dell’artiglio dal braccio.
Sfortunatamente, dalla botola ne uscirono altri cinque che afferrarono il più giovane dei Robinsons, che perse il controllo della macchina.
I compagni, riuscirono dopo un po’ a liberare anche lui, ma era troppo tardi, iniziavano a precipitare.
Sbattevano da una parte all’altra, finendosi addosso, ogni tanto.
Ma nonostante questo, i cappelli malefici non si arresero. Entrarono in più di sette e cercarono di acciuffarli.
“NON CI RESTA CHE UNA COSA DA FARE!” urlò Wilbur.
Aprì difficilmente una teca, posta vicino al comando di guida, e n’agguantò un oggetto racchiuso.
Premette un pulsante posto stranamnete, in disparte rispetto agli altri.
Si udì una voce: “Autodistruzione iniziata: 19, 18, 17”
“MA COS’HAI FATTO?” gridò Lewis.
L’amico, in tutta risposta, afferrò lui e Lizzy per un braccio e si buttò nella cavità, presente sul pavimento.
Precipitarono per alcuni minuti, ma poi, sulle spalle del ragazzo dal ciuffo, si aprì un enorme lenzuolo, che li riportò in alto.
“TENETEVI FORTE” disse lui, mentre gli amici, non mollavano la presa.
E qualche secondo dopo, ci fu una grand’esplosione che provocò un tifone molto violento, che spinse il paracadute in lontananza.
L’ultima cosa che videro, furono i resti della macchina del tempo, precipitare nel vuoto. Poi, solo nebbia.

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Capitolo 11
*** Precipitazione dagli scogli ***


Stavano fluttuando da almeno venti minuti.
“Non ci credo. Sto volando!” disse Lizzy allargando il braccio.
“Ancora per poco” disse Lewis “iniziamo ad atterrare”
Infatti, piano, piano, cominciavano ad abbassarsi.
“Ci metteremo un’ora esatta a raggiungere terra” calcolò il ragazzo con gli occhiali “e non abbiamo tutto questo tempo. Le bombette potrebbero essere sopravvissute. Se tornano è la fine. Abbiamo perso tutte le armi”
“Che intendi fare?” chiese Wilbur.
L’amico in tutta risposta, prese dalla tasca una graffetta e tagliò una delle funi che reggevano il lenzuolo.
Il paracadute velocizzò la sua precipitazione.
“Aspetta!” esclamò la ragazzina “Che succede se atterriamo in mare?”
“Non temere. Non ci sono mari nelle vicinanze” la rassicurò il ragazzo dal ciuffo “oltre la città si estende soltanto una piccola foresta, ai piedi delle Giogaie del Crepuscolo”
“Speriamo di atterrare vicino alla fortezza, di cui parlavi” disse Lewis.
Una mezz’ora dopo, s’iniziò ad intravedere del verde in basso.
Un vento improvviso, spostò il paracadute da una parte all’altra.
Per fare ancora più in fretta, il biondo spezzò un’altra fune.
L’aria si fece sempre più fredda.
Lewis dovette tenersi fermi gli occhiali, per non perderli.
“Va bene” strillò dopo un po’ “ci siamo”
Una vastità d’alberi iniziò ad avvicinarsi. Sempre di più.
Quando furono abbastanza vicini da sfiorare le cime di una quercia, si staccarono dal paracadute e atterrarono su un ramo.
Scesero con più facilità mettendo i piedi in varie scanalature del tronco, finché non toccarono terra.
“E’ stato bellissimo!” gridò entusiasta Lizzy, saltando da una parte all’altra “stavo volando come una farfalla. Avreste dovuto vedermi! Sembravo un falco, pronto ad atterrare”
“Guarda che c’eravamo anche noi” disse Wilbur afferrando il paracadute, atterrato poco distante.
A quanto pare, pensò, la ragazzina aveva riacquisito il suo stato brioso.
“E ora cosa faremo?” chiese Lewis pulendosi gli occhiali appannati.
“Beh, credo che dovremo raggiungere la fortezza a piedi” affermò l’amico guardandosi intorno alla ricerca di un punto di riferimento.
“Ma da che parte andiamo?” ribatté il giovane padre “Qui è tutto uguale”
“Seguiremo questa via di rocce esteriori” rispose il tredicenne indicando un sentiero che spuntava attraverso alcune siepi “Ci dovrà pur essere una via d’uscita”
“Allora mettiamoci subito in cammino” decise il biondo “restando qui perderemo del tempo prezioso”
L’amico piegò il lenzuolo del paracadute e se lo mise sottobraccio, poi insieme, con gli altri, iniziò il viaggio.
“C’è un profumo di rose, dolcissimo” commentò la bambina dopo qualche minuto “guardate quanti fiori” ne raccolse due o tre e ne compose un bel mazzetto che si conservò in tasca.
“Abbiamo perso la mappa” elencò intanto Lewis “le invenzioni, la macchina del tempo è andata distrutta e probabilmente le bombette ci danno ancora la caccia. Noi ora siamo bloccati in questa foresta dalla quale sembra impossibile uscire e tanto per cambiare, anche se lo faremo, com’entreremo nella fortezza senza armi? Probabilmente se n’accorgeranno ancor prima di farci respirare”
“Oh, non farla tanto drammatica. Basta Andare Sempre Avanti. Ricordi?” disse il suo futuro figlio.
A quella frase il biondo si voltò. Quel minuscolo proverbio, lo avrebbe inventato lui fra 30 anni e sarebbe diventato uno dei più usati.
Lui stesso, da adulto, avrebbe sovvertito la cittadinanza a venire, creando magnifiche ideazioni che lo avrebbero reso il fondatore del nuovo mondo.
Come poteva una persona così importante, parlare in questo modo?
Guardò il suo migliore amico e gli diede ragione.
“Giusto. Dobbiamo solo Andare Sempre Avanti e non arrenderci davanti a nulla” esclamò.
“Si sentono i suoni di mille animali diversi” fantasticava Lizzy nel frattempo “scommetto che saranno: conigli, scoiattoli, ranocchie, topolini”
Wilbur si tappò le orecchie: “La preferivo prima”
L’amico ridacchiò. Non dava del tutto ragione all’altro, però non poteva dargli torto che a volte quella ragazzina era troppo scatenata.
Il viale, sparì piano e dopo una mezz’oretta, si ritrovarono completamene circondati dalla vegetazione.
“E ora dove si va?” domandò il ragazzo dal ciuffo.
“Io dico di arrampicarci su un albero e vedere con chiarezza cosa si vede dall’alto” propose l’amico.
“Sì! Voglio arrampicarmi io” si offrì l’unica femmina del terzetto.
“Ehm … meglio di no” disse Wilbur, intuendo un guaio in arrivo “sono troppo alti e complessi. Lascia fare a noi” s’inventò una scusa.
“Non temere” disse lei facendo cadere i fiori raccolti per terra “mi arrampico sugli abeti da quando avevo cinque anni” e si avvicinò al primo tronco individuato “non ci metterò molto. Sono quasi una scimmia”
E iniziò a scalare il grande e alto albero.
“Ehi!” strillò il più giovane dei Robinsons, dal basso “Scendi immediatamente! Se cadi e muori, rischiamo di intricare il passato e il futuro potrebbe non essere quello che è!” ma la ragazza era troppo in alto per sentire le sue pretese “Non costringermi a venirti a prendere, ragazzina! Scendi!”
“Lizzy stavolta Wilbur ha ragione!” s’intromise anche il giovane Cornelio.
“Come sarebbe a dire stavolta?” ridimensionò l’amico.
“Dai Lizzy, scendi! Potresti cadere sul serio” lo ignorò l’altro.
“Sono quasi arrivata! Riesco a vedere la volta celeste” strepitò la bambina.
I rami che seguivano, la fecero scomparire tra le foglie di quelli che davano all’albero accanto.
“Oh, per mille caschi virtuali” si diede una manata sulla fronte Wilbur. Ma nel farlo toccò la ferita, ora tutta incrostata ed emise un piccolo urlo “se continuo a torturarmi la nuca in questo modo per colpa di quella peste, tanto vale che usi un cucchiaio di legno, la prossima volta” enfatizzò tuffandosi fra le siepi “e adesso dove sarà finita?” disse guardando l’alto.
“LIZZY” la chiamò il ragazzo con gli occhiali “LIZZY, DOVE SEI?”
In quel momento, udirono uno strillo femminile.
“Santa Polenta!” saltò su e giù il tredicenne “Lo sapevo io!”
Accelerarono il passo, ma una radice li fece inciampare e caddero in avanti, senza farsi male.
“Appena la prendo mi sente” continuava ad assicurare Wilbur.
Ma nel rialzarsi, i due videro che erano finiti sulla sporgenza di un dirupo che dava ad un mare scoglioso. Allora c’era sul serio nelle vicinanze!
Rimasero impietriti con bocca e occhi sbarrati.
Avevano una brutta percezione, che non riuscirono a cacciare dalla mente.
“Non sarà … che …” ma prima di dare pregiudizi erronei, sentirono un altro strepito.
Proveniva dal cielo.
Lentamente alzarono lo sguardo e ciò che videro li tranquillizzò e terrorizzò allo stesso tempo.
La bambina stava bene, però era aggrappata ad un ramoscello sottilissimo, che dava proprio sullo strapiombo.
Aveva l’aria di staccarsi da un momento all’altro.
“Aiuto!” gridava lei.
“Resisti!” dissero gli amici raggiungendo il davanti del ramo.
“Prima regola” balbettò Lewis per non perdere la calma “non guardare in basso. Potresti avere un attacco vorticoso e mollare la presa. Seconda regola: allunga la mano”
Lizzy con estrema lentezza, staccò il palco dall’appiglio e lo tese in direzione degli amici, che furono costretti a mettersi in ginocchio, per non precipitare.
“Brava … così … ci siamo quasi …” cercò di tranquillizzarla Wilbur, senza mollare la presa di Lewis, che si stava flettendo un po’ troppo.
Le sue dita e quelle della ragazzina s’incontrarono e dopo un po’, s’incrociarono del tutto.
“Bene” sudò il biondo “ora viene la parte più difficile. Non devi farti prendere dal panico. Promesso?”
“P- p - promesso” disse lei, bianca come un cadavere.
“D’accordo” spiegò il ragazzo con gli occhiali “ora il ramo si staccherà. Tu cerca di venire nella nostra direzione”
“Ma … ma … io …”
“Fidati Lizzy. Andrà tutto bene” gli dissero i due.
Proprio in quel momento, l’appoggio si spezzò.
Ma la ragazzina non fece quanto le era stato detto. Era troppo spaventata e non ragionava. D’altronde chiunque lo sarebbe stato al suo posto.
Così, invece di spingersi verso Lewis, gli afferrò la camicia, cercando un'altra cosa su cui attaccarsi e trascinò anche lui, che involontariamente tirò anche Wilbur.
Il ragazzo dal ciuffo, aveva il paracadute in mano, ma non riusciva ad aprirlo. La forza di gravità che li abbandonava, fece girare loro la testa.
Gli scogli erano sempre più vicini.
Wilbur fece un ultimo sforzo. Sciolse la presa del giovane padre, che ancora stringeva forte e sciorinò il lenzuolo il più velocemente possibile. Questo si aprì. Lui agguantò le quattro funi rimaste e in fretta, riagguantò l’amico. Per fortuna egli, non aveva lasciato la ragazza.
“REGGETEVI!” gridò l’altro ragazzo.
E dopo qualche minuto di lenta caduta, furono inghiottiti dalle onde, per fortuna non dalla parte degli scogli.
Riemersero subito dopo che il paracadute, si appiattì sulla superficie marina. L’acqua era gelata.
“Ce l’abbiamo fatta” sbuffò il biondo riemergendo, senza trovare qualcosa su cui poggiare la testa affannata.
“Ragazzi … sentite … mi dispiace … io …” provò a dire Lizzy restando a galla, ma tossendo ugualmente.
“Non c’è tempo per queste sciocchezze” le urlò Wilbur in faccia “torniamo a riva” lui e l’amico iniziarono a nuotare verso la battigia non molto lontana.
“Ehm … io non so nuotare” arrossì la ragazzina, che, in effetti, restava aggrappata al lenzuolo galleggiante.
Il tredicenne, sbuffò come non mai. Le afferrò il polso e iniziò a trainarla furiosamente, aiutato da Lewis, che si era messo in fronte le lenti bagnate.
Lasciarono il paracadute in mare, che lentamente affondò.
Raggiunto il bagnasciuga, si gettarono sulla sabbia, esausti.
Tremavano e battevano i denti.
Il ragazzo dal ciuffo, si alzò e allungò il passo per raggiungere in tutta fretta un angolo, ancora illuminato dal sole, ormai in tramonto.
Lewis lo raggiunse, mentre la bambina, restò dov’era.
“Te l’avevo detto, che ci avrebbe creato solo problemi, con la sua testardaggine” gli sussurrò Wilbur.
“E’ solo una bambina” provò a calmarlo l’amico.
“Non significa nulla” strepitò l’altro “tu, quando avrò sei anni, mi rinchiuderai in camera a studiare per un mese, papà” gli raccontò chiamandolo in quel modo, ma senza un briciolo d’affetto, ma con tanto sarcasmo. Si voltò e si allontanò.
“Vieni” disse Lewis a Lizzy.
Lei li seguì adagio. Delle lacrime le scendevano copiose dagli occhi.

 

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Capitolo 12
*** Sottoterra ***


Arrivati in un punto, dove la foresta si apriva in una caverna, illuminata dalle pareti cristalline, decisero di fermarsi.
Accesero un fuoco con bastoncini e pietre e si sedettero intorno al fuoco.
Si asciugarono e non parlarono, finché in cielo non spuntò la luna.
Wilbur uscì dalla grotta, seguito dal migliore amico.
La ragazzina rimase lì, ferma, in ginocchio, cercando di sentire quante parole possibili, uscire dalle loro bocche.
“Dovevamo riportarla nel suo tempo, quando potevamo” disse il ragazzo dal ciuffo, sedendosi su un ceppo rialzato, ricoperto di borracina.
“Oramai è tardi. E bisogna avere pazienza” disse Lewis “la macchina del tempo è andata distrutta e non possiamo tornare a casa a prendere l’altra, perché siamo bloccati in questi boschi. E poi manca poco. Arriveremo al castello, prima di quanto, immagini”
“Ma una volta là, cosa faremo?”
“Un rimedio lo troviamo di sicuro”
“Beh, sappi che non ho intenzione di compiere nulla se lei si offre di aiutarci”
“Non ci aiuterà. Resterà nascosta”
“E’ rischioso. Potrebbero catturarla” disse il tredicenne, calciando la terra.
“Un modo ci sarà. Vedrai”
“Non era così, che m’immaginavo il termine della mia punizione:
la mia famiglia catturata, la caccia che ci danno le bombette, la distruzione della macchina del tempo, la perdita delle invenzioni più utili e il rischio di perdere la vita per colpa di quella combina guai”
“Salveremo la nostra famiglia, sconfiggeremo nuovamente le bombette, Cornelio costruirà una nuova macchina del tempo e altre creazioni ancora più efficaci e non perderemo la vita. Questo è certo” enumerò le risposte l’amico con gli occhiali.
Continuarono a parlare, senza sentire i singhiozzi di Lizzy.
Se ne stava raggomitolata su un fianco, con i capelli quasi dentro il fuoco.
Era vero. Per colpa sua, avevano rischiato di sfracellarsi sugli scogli.
Tutta colpa di quella fifa, che non aveva dimostrato, quando li aveva conosciuti.
Forse, Wilbur aveva ragione.
Doveva tornarsene nell’800, quando n’aveva l’occasione.
Per non farsi sentire singhiozzare, si spostò di qualche metro dalle fiamme, finendo nell’ombra della grande spelonca.
Una volta lì, però, sentì il suo eco rimbombare.
Alzò lo sguardo verso il buio che ricopriva la maggior parte della caverna e le parve d’intravedere un luccichio in lontananza.
Pensando che si trattasse della sua immaginazione, tornò a versar lacrime, ma ne scorse un altro. E un terzo. Un quarto. Un quinto.
“Ma cosa …” si chiese “c’è qualcuno?” la sua voce rimbombò piano.
Incuriosita avanzò e senza volerlo, poggiò la mano in una pozza d’acqua.
Gattonò indietro e tornò accanto al falò.
Girandosi, notò che i due compagni, parlavano ancora.
Non si sarebbero accorti di nulla.
Decisa, afferrò un bastone infuocato e lo lanciò nella parte oscura.
Questa s’illuminò per alcuni secondi, poi la fiaccola cadde in un laghetto e si spense, fra piccoli residui svolazzanti.
Nei pochi attimi di visuale, Lizzy riuscì a vedere intorno allo stagno, delle cose minuscole e luccicanti.
“Oh!” disse meravigliata “Lucciole”
Strisciò, stavolta più sicura e con una seconda torcia stretta in pugno, fino a raggiungere la superficie del minuscolo lago.
A contatto con la luce, l’acqua risplendeva come non mai.
La bambina mosse il randello da una parte all’altra. Non c’erano lucciole.
Sugli altri bordi, erano poggiati degli oggetti dorati.
Si mise in piedi e li raggiunse, chinandosi per prenderne alcuni in mano.
Si trattava di dobloni e diamanti.
“Incredibile” disse asciugandosi gli occhi rimasti bagnati.
“E se restasse qui dentro?” opzionava intanto Lewis.
“Ma sei matto? Claustrofoba com’è, rischia d’impazzire” negò l’amico.
Il biondo, sentendo il freddo avvicinarsi, decise di tornarsene a scaldarsi.
“Ei” esclamò rientrando “dov’è finita?”
“COSA?” gridò Wilbur esasperato, raggiungendolo “E’ sparita?” infatti, accanto al fuoco non c’era nessuno.
Stava per darsi una manata in fronte, ma Lewis lo bloccò, per non far infettare più di così la ferita.
“Dove sarà finita adesso?” chiese poi.
“Non lo so, ma appena la trovo giuro che …” prima di dire qualcosa di dispotico, udì le esclamazioni affascinate della ragazza, provenire da non molto lontano. Si avviarono nella parte buia “Dai ragazzina, esci fuori!”
Dopo qualche secondo di cammino, appena adocchiarono una luce non molto potente, scivolarono dentro un lago non molto profondo, al quale s’immersero fino al collo.
Qualcuno puntò una fiaccola sopra le loro teste.
“State bene?” chiese una voce.
“Lizzy, per tutti i caschi virtuali, non possiamo lasciarti sola per due secondi, che già te ne vai per conto tuo!” si lamentò il ragazzo dal ciuffo, uscendo dall’acqua, per fortuna non troppo fredda.
“Non stavo facendo niente di male” disse la ragazzina “ho solo trovato questi” e puntò la torcia verso la montagna d’oro.
I due ragazzi rimasero incantanti per qualche minuto.
“Un tesoro?” esclamò Lewis “Dentro una caverna?”
“Sarà qui, dai tempi di Tiaré Conner. Sicuramente era suo” non gli diede molta importanza Wilbur “ora se non vi dispiace, vado a fare il primo turno di guardia” e si allontanò.
“Che bella questa collana” disse Lizzy ammirando un ciondolo dal pendolo rubino, che penzolava dalla mano dall’impugnatura di una spada.
“Questa potrebbe esserci utile” disse il biondo sfiorando la sciabola arrugginita ma molto acuminata “portiamola via”
Tentò di estrarla dal terreno dov’era piantata.
Essa non venne via, ma si spostò di qualche centimetro.
Questo movimento, bastò per far tremare le pareti e plissettare l’acqua del laghetto, che lentamente si svuotò.
“Che succede?” chiese la bambina aggrappandosi ad una stalagmite.
Vennero raggiunti anche dal giovane Robinsons.
“Che avete combinato?” domandò lui.
“Non ne ho idea” disse Lewis.
Gli occhi dei tre erano puntati sullo stagno, che si stava inaridendo, fino a far sbucare sul fondo, una botola chiusa.
L’acqua fu risucchiata da tubi nascosti e con lei, le paresti sospesero la vibrazione: tutto tornò tranquillo.
“E quella cos’è’?” chiese Wilbur sporgendosi.
“Mi sa” capì il giovane padre “che abbiamo azionato un passaggio segreto” a quelle parole, Lizzy sussultò.
“Avevo letto di passaggi segreti nei miei libri di Favole, ma non pensavo fossero così ben nascosti. C’è bastato solo spostare una spada”
“Aspetta un attimo …” rifletté Lewis “Wilbur, se questo tesoro era davvero di Tiaré Conner, può darsi che quella botola conduca segretamente al suo palazzo”
“Ei, è vero” schioccò le dita l’amico “è una buon’ipotesi” detto questo saltò dentro la fossa e si avvicinò all’apertura chiusa.
Era impolverata e aveva il lucchetto arrugginito.
Appena le dita del ragazzo lo sfiorarono, andò in briciole.
Doveva trovarsi lì da un sacco di tempo. Tirò la maniglia di legno e con quanta forza presente nelle braccia, aprì la caditoia, provocando un rumore di terra rimossa, assordante.
Guardò all’interno: era buio e profondo.
Illuminandolo con la torcia, vide che era presente una scala a chiocciola conducente nelle profondità sotterranee.
“Possiamo andare” decise “le probabilità che porti alla fortezza abbandonata sono il 99 su 100”
“Bene” sorrise il biondo, fiero d’aver spostato quella sciabola.
Presero altre due fiaccole e iniziarono la discesa.
Le pareti erano strette e davano l’impressione di chiudersi da un momento all’altro. Gli scalini erano compressi e dovettero per forza attraversarli sulle punte.
“Accidenti!” commentò la bambina “Questa Tiaré Conner doveva essere una donna molto ingegnosa. Quanto tempo deve aver impiegato a costruire questo passaggio?”
“Era facile, quando non eri tu a farlo, ma i tuoi schiavi” disse Wilbur.
Si fermarono dopo una ventina di minuti.
Le scale terminavano e diventavano uno scivolo.
“Dove porterà?” chiese il ragazzo dal ciuffo rimanendo sull’ultimo ripiano.
“Non saprei” disse l’amico. Cercò nelle tasche una graffetta e la lanciò in avanti. Questa non rotolò via, ma restò immobile “per fortuna non è scivoloso. Cerchiamo di stare attenti. Vado prima io” detto questo il ragazzo mise il piede fuori dall’ultimo gradino. Rimase fermo.
Tranquillamente poggiò anche l’altro, ma una volta fatto, cadde all’indietro e quando fu seduto, fu come se qualcosa lo spinse.
Prese a scivolare sbattendo da una parte all’altra. La fiamma ruzzolava dietro di lui, senza spegnersi o infiammare la corsia.
I compagni gridarono il suo nome tre volte e restarono fermi, spaventati.
Lewis smise quel giro della morte, quando la sua schiena, toccò la facciata fredda di un terreno sbriciolato.
Tossì, capendo di essersi ricoperto di polvere e con difficoltà si mise seduto. La testa gli girava a causa dello scivolo che era a spirale.
Quando anche la torcia arrivò, la usò per guardarsi intorno.
Un tunnel si apriva lì davanti. Il resto era solo una parete rocciosa che si polverizzava al primo tocco.
Il biondo guardò la corsia dietro di lui. Sentiva le urla degli altri, chiamarlo e chiedergli se stava bene.
“POTETE VENIRE” rispose “E’ TUTTO APPOSTO QUI”
Attese qualche minuto, poi sentì le urla dei due, avvicinarsi.
Appena lo raggiunsero e si ripresero dal capitombolo, tutti e tre si misero in cammino dentro la galleria buia ma non più dalle pareti ridotte.
Proseguendo in silenzio, arrivarono davanti una bipartizione.
“E ora cosa si fa?” chiese la ragazzina.
“Non possiamo sparpagliarci” disse Lewis “potremo perderci. Quindi …” si coprì gli occhi e fece la conta “uno, due e tre, la via giusta, questa è!” si tolse la mano dalla faccia. Il suo dito puntava la strada a sinistra.
Facendo spallucce, presero a camminare, timorosi d’aver imboccato il passaggio sbagliato.
Il fuoco iniziava ad affievolirsi e a malapena illuminava le loro facce.
Le facciate erano colme di ragnatele con i loro proprietari.
Qua e là, si udiva uno squittio e non si potevano ignorare gli occhi rossi all’interno di nicchie.
Allungarono il passo.
I loro piedi affondavano in terra riarsa e ne uscivano, ricoperti di polvere.
Si fermarono, quando da un buco, videro la testa di uno scheletro.
Lizzy strillò e si girò coprendosi gli occhi.
“Esagerata” disse Wilbur “non vedi che è la testa di un ratto? Si vede che un pipistrello o un serpente, ne abbia fatto il suo pranzo”
“Povero topolino” disse lei.
Lui sbuffò e riprese a camminare.
“Certo che Tiaré Conner, ci teneva a non far scoprire il suo tesoro” commentò il giovane Cornelio dopo un’ora passata a marciare.
“Ci deve pure essere una via d’uscita” disse l’amico.
“E se ci fossimo sbagliati?” ipotizzò la ragazza.
Prima che uno dei due, potesse ribattere, l’unica fiaccola rimasta, illuminò un crepaccio lungo e profondo, che dava ad una fossa, piena di rettili d’ogni tipo (tra cui, serpenti, coccodrilli e rane). Alcuni erano morti, da come si poteva vedere per il tanto sangue e altre ossa.
“Mi sembra d’esser capitato in un film d’Indiana Jones” piagnucolò il ragazzo dal ciuffo, gettandosi per terra.
“Se non erro, quei serpenti sono: aspidi, anaconde e pitoni. E quelle sono delle Phyllobates Terribilis Mint! Le rane più velenose del mondo!”
“Torniamo indietro!” decise il suo migliore amico “Era la strada sbagliata”
“Ei, guardate!” Lizzy indicò poco lontano dal fossato. C’era una porta dall’altra parte e per raggiungerla, bisognava superare il fossato in qualche modo: “Forse quella lì è l’entrata che conduce al castello”
“Non è un tubo!” esclamò Wilbur “Vi ripeto che abbiamo sbagliato” si girò “quindi andiamo ad imboccare l’altra via”
Un po’ confusi, tornarono al bivio, ma dopo aver fatto pochi passi nell’altro passaggio, si resero conto che era bloccato da un muro.
“Mi sa che era la strada giusta” disse Lewis.
Il futuro figlio sbuffò dandosi una manata in fronte e urlando.
Tornarono davanti alla buca e per qualche minuto, stettero immobili a guardare gli animali che la popolavano.
“Dico io: una scala, un ponte, anche una corda! Quella stupida contessa, non poteva mettere qualcosa?” disse il tredicenne “Come tornava?”
“E se facessimo il giro?” propose il biondo indicando le mille cavità presenti ai lati del piccolo burrone.
“Rischieremo troppo. Sono lì da un sacco di tempo e crolleranno al primo passo” rifiutò il ragazzo dal ciuffo.
L’amico sospirò: “Dobbiamo tentare. Non c’è altro modo”
Con la torcia stretta in pugno, mise il piede dentro la prima rientranza, ma come aveva detto Wilbur, questa si sbriciolò e il ragazzo cadde.
Il futuro figlio e la ragazzina urlarono il suo nome fortissimo.
Il ragazzo con gli occhiali, atterrò dolorosamente sul fondoschiena e quando aprì gli occhi, s’accorse d’avere gli occhi di un alligatore puntati addosso. La fiamma si stava spegnendo.

 

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Capitolo 13
*** L'uscita ***


 “PRENDI, QUANTE PIETRE POSSIBILI” gridò Wilbur, che ne teneva in mano, un bel mucchio.
La ragazza ne stava raccogliendo altre (difficilmente, visto che l’unica luce rimasta, l’aveva l’amico biondo). Le avrebbero lanciate addosso ai rettili, per distrarli da Lewis.
Il ragazzo intanto, restava paralizzato, con le spalle al muro e puntava la debole fiammella, verso gli animali.
Le rane velenose erano sempre più vicine, i serpenti lasciavano intravedere la loro lingua biforcuta e gli alligatori avanzavano lentamente.
Da sopra, i due ragazzi tiravano quanti massi possibili. Uno colpì un pitone in un occhio e un altro schiacciò due rane.
Un aspide, si sciolse da qualcosa che teneva avvolto e strisciò verso Lewis. Solo allora, egli vide cos’era che il serpente teneva fra le spire: un pezzo di metallo lungo e inclinato ricoperto di buchi arrugginiti all’interno.
‘Una leva! ’ pensò il giovane Cornelio.
Con tutto il coraggio che gli gonfiava il petto, si mise in piedi e iniziò a correre sopra le teste dei rettili, colpendoli di tanto in tanto col fuoco.
La raggiunse e iniziò a tirarla, mentre avvertiva uno strisciare al ginocchio.
Riuscì a spostarla e a far vibrare il terreno.
Improvvisamente, da dove si trovava la porta, spuntarono dal terreno, tante assi di legno battuto, legate fra loro da fili resistenti, che si allungarono fino a raggiungere l’altra sponda, dove s’incastrarono in dei buchi presenti in macigni giganteschi,
Il ragazzo con gli occhiali era riuscito ad azionare il ponte, ma lui era ancora lì sotto e rischiava grosso.
Lizzy allora strinse i pugni e sospirò.
Aveva avuto un’idea.
“LEWIS!” lo chiamò “LANCIACI I SERPENTI”
“COSA?” esclamarono i due maschi.
“Sei fuori?” disse il ragazzo dal ciuffo.
“Fidatevi!” insistette lei.
“Non possiamo fidarci di te” replicò Wilbur “sei piccola”
“So, che per voi sono solo una spina nel fianco” disse Lizzy con le lacrime agli occhi “ma ora ti chiedo solo di fidarti di me, Wilbur. Perché potrebbe essere l’unico modo che abbiamo per salvarlo”
Il ragazzo la guardò e poi spostò lo sguardo sull’amico in difficoltà.
Spasimò e con molto sforzo, disse: “Va … bene”
“LEWIS, LANCIA I SERPENTI” ripeté la ragazza.
Il biondo si affidava a lei. Per questo fece quanto richiesto: prese un’anaconda dalla coda e come un frisbee, la lanciò in alto.
La ragazzina, la prese al volo e in fretta la uccise, schiacciandole la testa con un sasso “Legandoli a vicenda, formeremo una corda” spiegò.
Il più giovane dei Robinsons si diede una manata in fronte, ma stavolta non era per la seccatura, (infatti, la ferita non bruciò) era un’intesa.
Aveva capito il piano della bambina e lo trovava fenomenale.
“FORZA LEWIS! LANCIANE ANCORA” gridò al compagno.
Lui capì che avevano tutto sotto controllo, perciò con una mano puntava il fuoco sulle creature, con l’altra prendeva dalla coda, quanti serpenti possibili e li scagliava in aria.
Wilbur li prendeva e li eliminava e Lizzy li annodava fra loro.
“PIU’ LUNGHI LEWIS! CERCA DI PRENDERNE DI PIU’ LUNGHI” lo esortavano.
“NON POSSO! I PIU’ LUNGHI SONO ANCHE I PIU PERICOLOSI” continuava a gettarne lui. La fiaccola si stava lentamente riducendo, non sarebbe durata neanche cinquanta secondi “MUOVETEVI!” strillava.
“Okay” disse la ragazza facendo l’ultimo nodo, le mani un po’ sporche di sangue “così potrebbe andare” controllò la resistenza. Andava benissimo. In fretta, calò la cosiddetta ‘corda’ dentro la fossa.
Lewis le arrivò vicino, colpendo con l’ultima fiamma, chiunque cercasse di ostacolarlo.
Un aspide cercò di morderlo, ma quando, lui aveva già avvinghiato la testa aperta del primo serpente e si stava arrampicando più velocemente possibile, con tutto il viso sudato.
Scivolò sulla parete sbriciolante e rimase a penzolare.
Lizzy e Wilbur, allora, tirarono con tutte le loro forze.
“DAMMI LA MANO” disse quest’ultimo tendendo il braccio in direzione dell’amico. Lui l’afferrò al volo e fu issato su con quanta forza possibile.
Alla fine ci riuscirono. Accaldati ed esausti, si ritrovarono sdraiati in mezzo alla polvere.
Il fuoco si era spento ed era tutto buio.
Restarono fermi, timorosi che stesse per accadere qualcos’altro. Ma l’unica cosa che successe, fu che ai lati rocciosi, si accesero lanterne, contenenti minuscoli bagliori.
“Caspita! Comincio a pensare che ai tempi di Tiaré Conner, le arti magiche esistessero davvero” disse Wilbur. Poi si rivolse all’amico“Come ti senti?” chiese mettendogli una mano sulla spalla.
“Niente di grave per fortuna. Solo un piccolo livido per la caduta” lo tranquillizzò lui, massaggiandosi la schiena.
Entrambi si voltarono verso la ragazza.
Sorrideva, con le mani tenute dietro la schiena.
“Grazie Lizzy. Senza di te … sarei pappa per raganelle” disse Lewis.
“Sì …” ammise il ragazzo dal ciuffo “devo ammettere che … questa tua idea … di unire i serpenti … è stata davvero geniale”
Queste parole la lusingarono: “Mi è venuta così … su due piedi”
“Beh, è servita a qualcosa” disse il biondo “e ora che abbiamo scoperto il ponte, attraversiamolo”
Tenendosi sul corrimano, misero un piede dopo l’altro sulle assi di legno.
Non osavano sfiorare con lo sguardo i rettili sotto di loro.
“C’è una cosa che non capisco” disse la bambina “come faceva la duchessa ad attraversare il fossato, se per farlo bisogna per forza entrarci e affrontare serpenti, coccodrilli e rane velenose?”
“Probabilmente, una guardia doveva per forza sacrificarsi” ipotizzò il ragazzo con gli occhiali “a quei tempi i nobili erano molto spietati”
“L’importante” disse il tredicenne, quando arrivarono “è che siamo riusciti ad attraversarlo senza morire, e che ora possiamo vedere dove conduce questo misterioso portone”
Acciuffò la manopola dorata del passaggio e l’aprì facilmente. Forse perché non era conficcata nel terreno, ma penzolava un po’ scardinata.
Dava ad un corridoio illuminato da altri lumi affievoliti.
“Non so perché, questa via m’ispira più delle altre!” sorrise Lewis.
“Forza, abbiamo una famiglia da salvare”
E ripresero il cammino.
Il cunicolo era largo e spazioso e per fortuna non aveva il terreno fangoso o troppo polveroso.
“Chissà dove andremo a finire adesso” pensò la ragazza.
 
Nel frattempo, le bombette stavano seguendo l’odore di quei ragazzini da quando erano sopravvissute all’esplosione della macchina del tempo.
Seguendo il loro odore, erano arrivati su una scogliera, dove avevano intravisto un paracadute galleggiante, rimasto lì da non molto. Arrivate alla spiaggia, avevano seguito delle impronte che portavano in una grotta.
Ora erano arrivate in quella strana caverna e la stavano perlustrando con i loro occhi illuminati. All’improvviso si fermarono ad ammirare un antico tesoro, che circondava una piccola fossa, con dentro un altro buco.
Il cappello più grande infilò la testa dentro la botola e dopo qualche istante la ritirò emettendo degli strani versi, che per le compagne volevano significare: “Da questa parte”
S’infilarono dentro la fessura e scesero una lunga scala a chiocciola, che finiva con uno scivolo. Visto che fluttuavano, non ebbero difficoltà a scenderlo e una volta arrivati alla fine, notarono che una buona parte di terra, era scostata. Come se qualcuno ci fosse caduto sopra. Un lungo tunnel portava chissà dove e sul terreno, c’erano delle orme.
Sicure di stare andando nella giusta direzione, i cappellini volanti, accelerarono la trasvolata. Orami le loro prede non erano lontane.
 
Erano passate due ore esatte da, quando avevano imboccato quel nuovo passaggio eppure non riuscivano a vedere niente in lontananza.
“Vorrei sapere come faceva quella Tiaré a fare tutta questa strada, solo per sapere se il suo tesoro era al sicuro” domandò Wilbur un po’ infastidito.
“Sicuramente aveva dei servitori che la portavano in braccio per tutto il tragitto” ipotizzò Lewis scherzosamente.
“Quando questa storia sarà finita avrò bisogno di una lunga vacanza” ribatté l’amico “sempre che mio padre non mi lasci stare, dopo aver distrutto la macchina del tempo”
“Capirà che l’hai fatto per una buona ragione” disse Lizzy.
Chiacchierando in silenzio, su cosa avrebbero fatto una volta portata a termine la missione, iniziarono a sentire la stanchezza dopo un’altra ora.
“Non potremo fare … una pausa?” chiese lei.
“Mi spiace, ma non possiamo perdere tempo. Ogni minuto è prezioso” dissero i ragazzi quasi all’unisono.
L’amica, smise allora di lamentarsi e cercò di stare al passo. Rimaneva sempre indietro per inginocchiarsi pochi secondi e poi riprendere.
Inoltre il silenzio veniva interrotto dai brontolii del suo stomaco.
“Vorrei dell’acqua” disse.
“Non ne abbiamo” negarono i compagni “dovrai aspettare”
Man mano che avanzavano, l’aria s’intiepidiva inaspettatamente.
E dopo una quarta ora, sembrava di trovarsi in una sauna.
“Ma dove siamo, alle terme?” ansimò il ragazzo dal ciuffo, sventolandosi le mani davanti al viso.
“Presumibilmente in questa foresta ci deve essere un vulcano e ques’aria che sentiamo è il calore di una massa lavica che si trova sotto di noi” spiegò l’amico senza far capire molto.
“Ei” disse all’improvviso la bambina indicando di fronte a sé “che cos’è quello?” i due seguirono la sua indicazione.
Attaccato ad un masso, vicino la parete che concludeva il corridoio, c’era un barile collegato ad alcune funi che penzolavano dall’alto.
Si sbrigarono a raggiungerlo e si accorsero che il soffitto si apriva. Era molto alto e non si riusciva a vedere dove conduceva.
“Bene” sbuffò il più giovane dei Robinsons, gettandosi per terra “siamo arrivati al capolinea, gente”
“Come ci arriviamo lassù?” chiese Lizzy facendo dei saltelli.
“Credo che centri qualcosa questo strano marchingegno” disse il biondo osservando la botte aperta e le corde che la collegavano allo spazio aperto.
Provò a tirarne una e il barile si sollevò fra un grande mucchio di polvere.
“Oh” rifletté il ragazzo “mi sa che ho capito” mollando la presa fece tornare il recipiente per terra “Sali prima tu Lizzy” si rivolse all’amica “ti tireremo su. Poi verrò io e insieme da sopra tireremo te” disse all’amico.
La ragazzina un po’ stranita, entrò nella giara e tossicchiò per il pulviscolo.
“Bene” le raccomandò l’amico “tieniti forte. Wilbur dammi una mano” ordinò poi.
Il futuro figlio prese un altro spago e insieme iniziarono a tirare.
Il contenitore si sollevò innalzando un grappolo di polverone, da dove si sprigionarono alcuni ragni penzolanti dai fili delle ragnatele, che si nascosero dentro la parete.
Dopo uno, due o tre sforzi, la ragazza riuscì a respirare la fresca aria dell’esterno e quando fu abbastanza in alto, si aggrappò a un masso che spuntava dal terreno e s’issò su sudando per lo sforzo.
Il suo mezzo di trasporto tornò dentro la fossa. Gli amici caddero a terra stremati e ripresero fiato per qualche minuto.
“Che cosa vedi?” chiese Lewis.
“Soltanto alberi” rispose l’amica “no … aspetta … cos’è quello?” indugiò per un attimo, poi gridò: “E’ un castello! Sopra quella rocca in mezzo al mare, si erge un castello!”
“L’abbiamo trovato” sorrise il ragazzo bruno.
“Sembra quello della Bell’Addormentata” fantasticò lei “come mi piacerebbe incontrarla”
“E’ meglio che mi sbrighi” disse il biondo entrando nella botte.
“Pronto?” chiese Wilbur. Lui annuì e l’altro iniziò a tirare.
Ma era già a cinque metri da terra, che le corde si sgretolarono come un sassolino di sabbia. Entrambi i ragazzi finirono sul pavimento, tossendo e massaggiandosi la testa.
“Vi siete fatti male?” chiese la bimba affacciandosi.
“Queste stupide corde avvizzite dal tempo, non hanno retto” si lamentò Wilbur aiutando l’amico a rialzarsi “e ora che si fa?”
“Se capovolgiamo la giara, saremo giù a metà” disse il ragazzo con gli occhiali “ma Lizzy non è abbastanza forte da tirarci in cima”
“Farò il possibile” si offrì la ragazzina.
“Meglio di no” rifiutò il ragazzo dal ciuffo, poi per non farla sentire inutile, le suggerì: “Perché non cerchi qualcosa di resistente a cui possiamo aggrapparci? Una liana, un tronco o altro?”
“Buon’idea” sorrise l’amica, sparendo a vista.
“Voglio vedere cosa combinerà” disse pentendosi di cosa aveva fatto.
Qualche minuto dopo, dalla sommità del buco, spuntò una … corda?
“Arriva?” chiese la voce in lontananza.
“Sì” disse Lewis toccando quella strana fune “ma … che cos’è?”
“Pensate ad arrampicarvi” disse lei “io … reggo”
“Sicura?” domandarono entrambi.
Udirono un lieve gemito e lo presero come un sì.
Il biondo allora, allungò l’avambraccio sulla metà della gomena e s’issò. Questa resse, anche quando il ragazzo tolse i piedi dal barile e si ritrovò a fluttuare. Col cuore in gola, si arrampicò in tutta fretta con la paura che l’amica non oppose più resistenza e allascasse la presa, facendolo ruzzolare a testa in giù.
Con la fronte sudata e le braccia sussultanti e raggiunse la superficie dove s’aggrappò ad una liana di salice che spuntava, penzolante.
Grazie a questa si tirò su del tutto e quando un suo piede calpestò l’erba fresca, crollò sfinito e boccheggiante.
Poi si mise in ginocchio e rivolse uno sguardo all’ambiente: “Ehm … Lizzy?” non ebbe risposta.
Notò che la corda a cui si era aggrappato, non era trattenuta dalla ragazzina. Costei l’aveva legata saldamente ad un tronco ritorto.
“Che c’è?” chiese Wilbur da sotto terra “E’ sparita?”
“S-s-sono qui” balbettò una voce da dietro dei cespugli fioriti.
“Lizzy” disse Lewis avanzando “vieni! Devi aiutarmi a sollevare anche lui” la testa della bambina sbucò dalle foglie. Le spalle erano scoperte.
“Scusami Lewis” disse rossa in faccia “ma … se vuoi che ti aiuti, dovremo trovare un altro modo”
“Perché?”
”Ecco …” batteva i denti, eppure non faceva molto freddo “non c’erano corde nei paraggi … così … ho …” la mano spuntò da dietro un’ortensia e indicò la fune che ancora ciondolava dentro l’uscita del passaggio segreto.
Il giovane Cornelio, s’inginocchiò e solo in quel momento capì tutto. La compagna di viaggio, aveva usato i suoi indumenti per aiutarli. La debole luce che c’era dentro la bolgia, non aveva permesso di farlo notare subito.
“Non ti preoccupare” sorrise sorpreso “troveremo un’altra soluzione” detto questo slegò l’abito dal tronco, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse snodabile e lo lanciò a Lizzy che sparì fra le siepi.
“Ei!” gridò il tredicenne “Io sono ancora qui! Mi sentite?”
”Pazienta” esclamò l’altro affacciandosi “sarai fuori di lì in un lampo!”

 

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Capitolo 14
*** La cattura ***


Le bombette avevano raggiunto una fossa, dentro la quale guizzavano vari rettili di tutti i tipi.
Una passerella collegava una sponda all’altra, dove si trovava un portone aperto. Seguendo l’odore ci s’inoltrarono e seguirono un traforo illuminato. Per essere certe di andare nella giusta direzione, annusarono l’aria da un naso irreale ma funzionante e continuarono, andando al massimo della velocità.
 
“Ha finito?” chiese Wilbur seccato di attendere. Era seduto sulla botte e tutto quello che voleva era uscire da lì.
“Sì. Ancora un attimo” dissero gli amici da sopra.
“Eccomi” disse Lizzy uscendo dai cespugli, tutta vestita.
“Bene” le spiegò Lewis “ora tu ti cali, io ti tengo e tu” rivoltò all’amico “afferrale la mano. Sarà doloroso per le mie povere braccia indolenzite, ma ne vale la pena”
“Ce la metterò tutta!” si diede orgoglio la ragazzina ritirandosi le maniche.
L’amico le strinse la mano e cinse l’altro ad uno delle liane del salice.
Lei iniziò a scendere dentro la fossa e ad allungare il braccio.
Il più giovane dei Robinsons, lo afferrò: “Puoi tirare, Lewis”
Il biondo guardò in alto, pregando aiuto dal cielo e gonfiando le guance, tirò. Due pesi umani erano mille volte più pesanti di quanto descrivevano i suoi libri di saperi conformi alla natura umana.
Per dare una mano, anche Lizzy prese a tirare affannosamente e il futuro figlio, quando la luce gli sfiorò il viso, allungò il braccio verso la liana del salice e l’agguantò issandosi del tutto sull’esteriorità.
“Grazie” disse ai compagni che sembravano morti, per terra.
Si dedicarono qualche minuto di riposo, seduti lì all’ombra del salice.
Lewis, esausto, si era addormentato.
“Non so come la pensi tu” disse la bambina “ma questa gita nel futuro è la più bella della mia vita”
“Ovvio! Sarà l’unica che farai” le ricordò il bruno.
“Cosa?” esclamò lei “Vuoi dire … che non appena salveremo la tua … la vostra famiglia, non potrò vedervi più?”
“Non sei l’unica a restarci male. Dopo che mio padre verrà a sapere che la prima macchina del tempo è andata distrutta, non mi permetterà di usarla neanche fra ottant’anni. Mi ammanetterà alla sedia del garage con lo sguardo fisso sui libri e non potrò più andarlo a trovare quand’era piccolo”
“Stai esagerando. Secondo me si arrabbierà, ma non così tanto. Infondo capirà che l’hai fatto per portare in salvo lui e tutti gli altri”
”Sì ma questo non cambia il fatto che potevamo usare la macchina volante a combustione interna, o gli zaini a razzo, o l’elicottero privato di casa Robinsons, per raggiungere la fortezza di Tiaré Conner!”
“In questo momento non devi pensare alla punizione che ti attende, ma a come liberare quelle persone e a sconfiggere i cappelli cattivi. Le punizioni vengono al secondo posto; e semmai te la daranno, almeno la svolgerai sapendo che i tuoi familiari sono salvi”
Lui la guardò: “Però … per essere una combina guai … hai detto una cosa molto saggia”
“Non sono una combina guai” si lamentò lei “è solo che non capita tutti i giorni di incontrare un viaggiatore del tempo e andare con lui in un mondo tutto diverso dal mio! Penso che chiunque avrebbe reagito come me” abbassò lo sguardo “non sono mai stata una peste … è solo che …” e solo in quel momento, la voglia irrefrenabile di confessare cosa provava, la vinse: “Quando mi hai detto che sarei venuta con te, sono stata sul punto di gridare: - Che bello! Ho un nuovo amico!- e quando ho conosciuto Lewis, volevo strillarlo al plurale. Non ho mai avuto amici in vita mia, e volevo che quel momento fosse indimenticabile. Sapevo fin dal principio che non sarei rimasta qui, nel futuro, per sempre e quindi ho voluto passare tutti gli attimi di tempo che mi rimanevano, nel miglior modo possibile e ti posso assicurare, che a parte quando parlottavi con Lewis alle mie spalle, in cucina … mi sono divertita un sacco. Voglio dire, ho volato, sono stata per la prima volta al mare (anche se non è stato proprio un momento felice), ho percorso il primo passaggio segreto della mia vita e ora sto per entrare in un castello fiabesco, mi sento fortunata”
Quelle parole fecero riflettere il ragazzo: non avrebbe mai pensato di dirlo, ma, senza quella piccola non sarebbero lì.
E doveva ammettere che tutti i suoi danni erano serviti a qualcosa.
Lei gli aveva fatti cadere in mare, in modo da raggiungere la spiaggia con la grotta (quello era stato un caso involontario).
Lei aveva scoperto il passaggio segreto.
A lei era venuta l’idea di salvare Lewis da quei rettili affamati.
Grazie ai suoi vestiti, l’amico era riuscito a salire.
E lui cosa aveva fatto per tutto il tempo? Criticarla, esortarla a non fare niente, a volte anche insultarla, quando tutto quello che voleva erano degli amici e un’avventura in compagnia.
Sospirò guardando da un’altra parte e senza difficoltà, riuscì ad ammettere: “Siamo stati … molto fortunati ad incontrarti”
Lizzy sgranò gli occhi e lo guardò: “Cosa …?” era confusa.
Ma prima che lui potesse ribattere, un botto improvviso li fece sobbalzare. Il tronco al quale erano poggiati, era stato traforato da un proiettile.
“CHE SUCCEDE?” urlò Lewis svegliandosi di soprassalto “LA TERZA GUERRA MONDIALE?”
Rivolsero lo sguardo alla buca, dalla quale stavano uscendo tre, no, cinque, no, dieci bombette con gli artigli trasformati in mitraglie.
“Oddio!” esclamò Wilbur. I cappelli avanzarono sempre con le armi puntate sui tre.
Il biondo pensò ad una via di fuga. Se si fossero scansati alla svelta, non sarebbero stati colpiti e avrebbero potuto nascondersi dietro gli immensi alberi che popolavano quel bosco.
“Ragazzi” digrignò cercando di farsi capire “al mio tre … seguitemi” i compagni lo guardarono “TRE” prese loro le mani e iniziò a correre.
Loro lo seguirono sentendo dietro i colpi di un proiettile uscire dalla sua pistola. Attraversarono gli alberi saltando sui tronchi e schivando rami che potevano colpirli in testa e per un breve attimo riuscirono a seminarli.
“Da che parte andiamo?” chiese l’unica femmina, coprendosi la testa.
Ma ancor prima di ottenere una risposta, inciampò e scivolò dentro un arbusto cavo, buio all’interno.
Rimbucò all’istante: “Non è pericoloso. È abbastanza largo”
“Nascondiamoci qui dentro” obbiettò il giovane Cornelio, entrando e sprofondando di qualche metro dalla terra. S’intravedevano soltanto dalle spalle in su.
Ma quando anche l’amico stava per infilarsi, si sentì un tonfo provenire dall’alto. La sporgenza di una collinetta che si affacciava proprio su quell’albero, reggeva un macigno di sei quintali che, però stava piano, piano cedendo.
L’incurvatura del tronco, ne sosteneva la metà e ora che era stata un po’ smossa dai ragazzi che n’avevano scavalcato l’estremità, rischiava di smuoversi del tutto e lasciar cadere il masso proprio davanti all’entrata, chiudendola per sempre.
“Entra” dissero i due che non riuscivano a vedere niente dall’interno.
Il tredicenne teneva lo sguardo fisso sull’enorme sasso che rischiava anche di schiacciarli. Poi lo spostò su di loro.
“Non posso” disse seriamente.
“Come sarebbe a dire?” chiese il futuro padre.
“Se entro” spiegò l’altro “farò crollare quel masso e allora sì che sarebbe la fine” indicò in alto.
“Ma quale masso?” disse Lewis “Non dire stupidaggini! Entra lentamente”
“Non posso” ripeté Wilbur
“Beh” disse allora Lizzy “se proprio non puoi, almeno, trovati un altro nascondiglio! Quelle stanno per arrivare”
Lui guardò in basso con la bocca semiaperta.
Un lampo di fulmine lo colpì. Un vizio preso dal padre: tutte le volte che un’‘Idea a scossa ’, la chiamavano così, entrava nelle loro menti, decidevano che dovevano per forza metterla in atto. Ad ogni costo.
In quel momento si sentiva come se avesse causato un guaio irreparabile e cercava in tutti i modi di rimediare.
“Ecco il piano” sciorinò quindi “attirerò la loro attenzione e … se è proprio necessario… mi farò catturare”
“Cosa?” quasi urlarono gli altri due “Ma … sei impazzito?”
“Nient’affatto” chiarì lui “almeno, non solo vi darò il tempo di allontanarvi il più in fretta possibile, ma in questo modo le distrarrò abbastanza da permettervi di raggiungere la fortezza”
“Dobbiamo raggiungerla insieme” reclamò la bambina “altrimenti sarà più complicato cercare di salvarvi tutti”
“Mi dispiace” fece finta di sorridere il ragazzo dal ciuffo “ma questo è un sistema perfetto per permettervi di sconfiggerle senza problemi”
Sentirono da non molto lontano, una specie di ronzio.
“Arrivano!” disse Lizzy col cuore in gola.
“Dai Wilbur, non fare lo scemo. Va a nasconderti!” disse il biondo.
“Senza di me, continuereste con più facilità. Se siete di meno non … vi sarà difficile nascondervi” non cedette il bruno. Poi si rivolse alla bambina “E poi solo ora mi rendo conto … che sarebbe stato tutto molto, ma molto più difficile … senza di te” lei, imbarazzata, chiuse gli occhi. Solo in quel momento, riusciva a sentire la grand’amicizia con quei ragazzi.
“E’ stata colpa mia” continuò lui “se ti avessi dato fiducia fin dall’inizio, invece di preoccuparmi solo ai mille pericoli che potevamo correre con la tua compagnia, forse a questa ora non ci troveremmo qui”
“Non dire così” disse la ragazzina “saremo arrivati qui, con o senza i tuoi rimproveri verso di me!”
“Avevi ragione tu Lewis” la ignorò Wilbur “è solo una bambina e anche se a volte combina dei pasticci, dobbiamo capirlo”
“Possiamo rimandare a dopo i discorsi?” esclamò il ragazzo con gli occhiali, rigido “Sono quasi arrivate” l’amico iniziò ad indietreggiare “Wilbur!” lo chiamò l’altro “Vieni qui!” gli ordinò poi in tono da rimprovero, che potrebbe avere un genitore col figlio.
“Mi spiace papà” sorrise dolcemente il bruno “ma devo disobbedirti”
Si voltò e iniziò a correre lungo un sentiero di sassi.
“ASPETTA!” gridò allora Lizzy.
Ma solo in quell’istante, sbucarono le bombette da dietro un albero.
I due si acciambellarono nel loro nascondiglio, con la bocca tappatasi a vicenda. Però i cappelli malefici non si fermarono neanche mezzo secondo a contemplare in quel luogo. Presero la stessa direzione presa da Wilbur.
“Presto!” bisbigliò la bambina, quando poterono di nuovo parlare “dobbiamo aiutarlo!”
Poi udirono un colpo e un lieve ansimare familiare, provenire da lontano. Infine un rumore simile a delle eliche di un aeromobile, che si allontanò piano, piano.
Poco dopo … nulla.
Alzarono a rilento gli occhi, oltre l’entrata, abbastanza da vedere il cielo.
Delle minuscole figure si stavano allontanando in volo. Una era più lunga delle altre e non muoveva un muscolo. 
“Oh no!” disse lei.
“Troppo tardi” abbassò lo sguardo il suo amico.
La compagna sentì le lacrime salire.
Il ragazzo aveva compiuto un gran sacrificio.
Non lo avrebbe mai dimenticato.

 

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Capitolo 15
*** L'arrivo alla fortezza ***


Wilbur aprì gli occhi. Qualcuno o qualcosa lo aveva stordito, mentre correva all’impazzata nella foresta.
Si guardò intorno. Si trovava in una gran sala dalle pareti nere, illuminata solo da una luce arancione sul soffitto. Il pavimento era di metallo e non si sentiva volare una mosca. Provò a muoversi, ma si accorse solo in quel momento che qualcuno lo teneva bloccato per le braccia. Si voltò.
Delle persone non lo mollavano. Avevano la testa coperta da una bombetta dall’occhio rosso e lasciavano intravedere solo il corpo. Riconobbe alla svelta uno dei vestiti preferiti di sua madre e la camicia sempre al contrario del nonno. Provò a chiamarli per nome o a dimenarsi, ma fu come se non esistesse. I due familiari restavano immobili come statue, muovendo di tanto in tanto le braccia per stringerlo ancor di più.
Poi si sentì un suono. L’inconfondibile rumore di suole battute sul pavimento. Qualcuno si stava avvicinando.
Ed ecco che venne alla luce una terza persona. Dal naso in su, era coperto da una bombetta, ma a parte questo camminava come una persona normale che aveva soltanto un copricapo troppo abbassato.
Il ragazzino sussultò. Quello era suo padre, con la mente controllata.
Sentì una fitta al cuore, come se volesse, ma non riuscisse a piangere.
“E’ un piacere rivederti figliolo” disse Cornelio involontariamente “è un vero peccato che i tuoi amici non siano potuti venire”
“Tanto non m’inganni” ringhiò il figlio “so che stai usando mio padre come una marionetta”
“Marionetta non è per niente il termine esatto” ribatté l’uomo “io lo chiamerei ‘dipendente’ cioè che fa tutto quello che io gli ordino” si avvicinò “una piccola dimostrazione, il tuo paparino ha mai fatto … questo?” e gli diede un violento schiaffo proprio sulla fronte, dove aveva ancora il gonfiore della ferita. Non poté trattenere un urlo.
“L’avevo già capito che tu sei solo uno stupido cappello vivente” disse non appena si fu ripreso.
“Certo” sogghignò l’uomo. Schioccò le dita e al suo fianco arrivò una bombetta che non possedeva nessuno “cappelli viventi che s’impadroniranno delle menti di tutto il mondo! Solo così potremo vendicare la nostra inventrice!”
“Non cantare vittoria” replicò Wilbur “è mio padre il vostro creatore. Lui vi ha realizzato e lui vi eliminerà” si torse, ma non fu liberato.
“La nostra fondatrice è la bombetta Doris!” esclamò il padre “Che il tuo stupido amico ha distrutto! Avremo la nostra vendetta. Saremo pronti ad accogliere lui e la vostra amichetta con garbo” prese il cappello vuoto fra le mani e lo sollevò “e credo che non gli farà piacere vedere la sua famiglia che tenta di ucciderlo” abbassò il copricapo sulla testa del ragazzo. Lui cercò in tutti i modi di opporre resistenza senza smettere di muovere la testa, ma pochi minuti dopo, la bombetta si era impadronita della sua mente. I due familiari lo liberarono e lui restò fermo, pronto ad eseguire qualunque ordine anche contro la sua volontà.
“Ti aspetto ragazzino! Avrai una bella sorpresa” rise suo padre.
 
Nel frattempo Lewis e Lizzy vagavano senza sosta nella vegetazione. Una forte ansia li padroneggiava. Nessuno parlava. Erano troppo concentrati a controllare fra gli alberi e i cespugli, se riuscivano a scorgere la fortezza.
Erano in ansia per il loro amico e la sua famiglia. Ora che le persone da salvare erano di più la missione, era diventata davvero impossibile.
Lizzy pensava: Wilbur si era sacrificato per riuscire a farli proseguire ma se avessero subito un altro attacco? Anche Lewis avrebbe dovuto farsi catturare? E anche se fosse? Lei sarebbe rimasta da sola e cosa poteva fare una bambina contro dei caschi malefici, sennò piangere e impaurirsi?
Lewis invece, in quel momento aveva solo un desiderio: salvare i Robinsons. Non erano solo la sua futura famiglia. Anche degli amici, dei compagni d’avventure, delle persone con cui condividere la felicità, la tristezza, la rabbia. Quando aveva scoperto di avere un futuro così bello, non s’immaginava che per trarlo in salvo avrebbe dovuto rischiare la vita sua e dei suoi cari. E tutto questo per colpa di quegli stupidi cappelli.
Giurò a se stesso che, fosse stata l’ultima cosa da lui compiuta, le avrebbe sconfitte e riportato a casa il suo migliore amico e i suoi familiari.
Le gambe dell’amica non ressero più e la fecero crollare per terra.
Ormai erano ore che camminavano, ma sembrava percorressero lo stesso posto ogni volta.
“Facciamo una pausa” decise Lewis.
“No” cercò di resistere lei “dobbiamo salvarli!”
“Anche se trovassimo ora il castello, non abbiamo abbastanza forse da penetrare all’interno e trovare Wilbur e gli altri e sconfiggere le bombette” si sedette su una roccia “appisoliamoci una mezz’ora” si guardò in giro alla ricerca di un nascondiglio in cui avrebbero potuto sostare senza che le bombette li vedessero.
Alla fine scelse una piccola bolgia imbottita da foglie secche e morbide che usarono come materasso.
Appena si sdraiarono, la ragazzina iniziò a piangere. Sapeva cosa l’avrebbe attesa quando il riposo sarebbe terminato: dei pericolosi nemici cercavano di uccidere i suoi amici per una vecchia vendetta. E ora c’era di mezzo anche lei.
Nella maggior parte delle probabilità non ce l’avrebbero fatta.
Oppure sì.
In quel momento cercò di pensare il più positivo possibile per farsi trasmettere dalla speranza un po’ di fortuna.
“Lewis” sussurrò la ragazza ad occhi chiusi. Lui mugugnò voltandosi a guardarla “Secondo te … sono stata io fin dall’inizio a causa tutto questo?”
“Cosa?” esclamò il ragazzo “Perché dici questo?”
“Tu non c’eri, quando Wilbur è venuto nella mia epoca involontariamente. Sono stata io ad insistere tanto. Desideravo immensamente visitare il futuro. E invece ho creato solo danni. A questa ora voi due sareste ad un passo dal salvare i Robinsons e invece …”
“Lizzy ora smettila!” la rimproverò l’amico, improvvisamente rigido “La colpa non è né tua né di nessun altro. Al massimo è la mia, perché sono stato io a creare quelle stupide bombette”
“Ma non potevi esserne a conoscenza!”
“Questo è vero. Ma se fossi riuscito a distruggerle definitamene, ora non avrebbero formato un esercito pronto a conquistarci.
“Non so cosa c’inventeremo una volta giunti alla fortezza. Ma una cosa è certa: dovrò affrontare quei mostri faccia a faccia. Infondo è di me che vogliono vendicarsi per risarcire il nome della loro padrona, da me distrutta. Ascoltami Lizzy. Qualunque cosa accada, tu devi pensare soltanto a nasconderti e a non farti catturare. Al resto penserò io”
“Non ce la farai mai da solo” pianse la ragazzina col cuore battente.
“Le ho già annientate una volta” insistette lui “e posso rifarlo” accarezzò i capelli dell’amica, ormai in lacrime e lei senza trattenersi, lo abbracciò.
“Ho tanta paura” dichiarò bagnandoli la spalla.
“Fai bene ad averne” sospirò Lewis calmandola “ma ricordati sempre che a volte la paura è più forte del coraggio. Perché ti aiuta a capire che cosa sei disposta ad affrontare per salvare le persone a cui vuoi bene” la costrinse a guardarlo “vedrai che tutto andrà per il meglio”
Lizzy si asciugò gli occhi e sorrise con sforzo. Quelle parole l’avevano tranquillizzata ma non di certo risollevata.
Rimettendosi sdraiata pregò con tutto il cuore che quell’incubo finisse al più presto. Dopo un po’ si addormentò.
Qualche ora dopo, sentì qualcuno che dolcemente le scuoteva la testa. Aprì gli occhi. Il cielo era mezzo schiarito dall’alba vicina.
“Dobbiamo andare, Lewis” mormorò voltandosi per cercare lo sguardo del ragazzo che le intimava di alzarsi.
Ma tutto ciò che vide … fu una luce rossa che la scrutava minacciosa.
Gridò mettendosi seduta e scorse il profilo di una delle bombette, avvicinarsi con gli artigli in posizione. Cercò con lo sguardo Lewis, ma non lo trovò. Si fece scudo con le mani nella speranza di spaventare quell’essere almeno un po’, ma tutto quello che riuscì ad ottenere, fu uno sbalzo nella sua direzione. Poco dopo avvertì le punte metalliche affondare nel vestito e trascinarla in alto. Provò a trattenersi con le unghie sul suolo, ma la forza della bombetta era cento volte, tripla e la strattonò con la forza. Ormai erano parecchio in alto e il castello di Tiaré Conner svettava nelle vicinanze. Dall’interno, Lizzy riuscì a sentire delle urla di dolore da parte di tante persone diverse e pensò a Wilbur e alla sua famiglia. Dov’era Lewis? L’aveva per caso abbandonata? E tutte le parole che le aveva detto la sera precedente? Erano solo uno stratagemma per farla addormentare e poi svignarsela? Cacciò dalla mente quel pensiero dicendosi che il suo amico non ne sarebbe mai stato capace e sorvolò le torri della reggia.
Ora si trovavano proprio sopra la vetta più alta. Ma perché erano arrivati fin lassù se potevano benissimo entrare dal portone il cui accesso non era vietato alle bombette? Il cappello che la teneva stretta, ora stava piano, piano, allentando la presa. Capendo cos’aveva in mente, la ragazzina prese ad urlare e a dimenarsi il più possibile senza risultati. La creatura staccò gli artigli dal suo vestito e lei iniziò a precipitare verso le cime aguzze.
“LIZZYYYYY!” udì una voce chiamarla. Ma era troppo tardi. Il suo corpo stava affondando nella punta della torre e vide tutto nero.
“NOOOOO” strillò agitandosi.
“LIZZY!” sentì di nuovo “EI LIZZY! Svegliati”
Cercò di aprire gli occhi e stranamente ci riuscì.
Era sdraiata sul letto di foglie che avevano trovato il giorno prima e guardava il cielo ancora scuro. Abbassando gli occhi, vide Lewis accanto a lei che le teneva una mano sulla spalla. Si toccò la fronte. Era fredda. “Ho … sognato?” balbettò tremando e guardandosi intorno.
“Sì è solo un incubo non ti preoccupare” disse Lewis.
“Oh” sussultò la bambina con gli occhi colmi di lacrime “è stato orribile” si coprì la faccia con le mani “tu eri scomparso … Wilbur … la sua famiglia … soffrivano e io …”
“Su, calmati adesso” la interruppe il biondo “era solo un sogno”
“E … se fosse la realtà?” esclamò di rimando “Se queste cose accadessero davvero fra non molto?”
“Non accadranno. Te lo prometto. Ora cerca di dormire”
“NO” Lizzy gattonò verso l’uscita della piccola fossa e scavalcandola potette di nuovo mettersi in piedi “io non ce la faccio a dormire Lewis. Non possiamo perdere tempo standocene qui tranquilli, mentre quelli sono in pericolo. Dobbiamo raggiungere la fortezza prima possibile” e s’inoltrò fra gli alberi senza intimorirsi degli strani versi che ne provenivano.
L’amico per un attimo restò impalato. Era ammirato da come quella bimba di 10 anni fosse tanto decisa a salvare i Robinsons anche se dovesse costarle la vita. Dandole ragione la seguì e continuarono il viaggio.
Non si erano resi conto d’essere vicinissimi alla reggia ancor prima di iniziare la pausa. Dopo dieci minuti di cammino, scorsero fra i cespugli una costruzione abbastanza lontana. Si trovavano sulla sporgenza bassa di un fiume che dava al mare e sullo scoglio più grande era costruito un castello variopinto. Le mura erano di un colore ambrato, mentre le torri si avvicinavano al grigio e si schiarivano con i raggi del sole in nascita. Un ponte di corde, lo collegava ad un’altra sporgenza lontanissima.
“Come lo raggiungiamo?” chiese Lizzy “A nuoto?
“No” rispose Lewis già con la soluzione in mente “ci faremo trasportare” saltò giù dal rilievo e atterrò nel fiume fino alle gambe “mamma mia. È … gelata” n’approfittò per dissetarsi un pochino. Poi nuotò fino a toccare uno dei tanti rami di un albero spoglio e storto che s’immergevano. Usandoli come una specie di scala si arrampicò sul tronco e lo fece oscillare per verificarne la resistenza: “Vieni!” chiamò la ragazza “Aiutami!”
Lei dopo un minuto d’esitazione si tuffò e sbiancò, quando il freddo del fiume l’avvolse dal petto all’ingiù. Prese a battere i denti e a strofinarsi le braccia mentre raggiungeva l’amico “Brrr!” commentò starnutendo.
Lui l’aiutò a salire sull’albero e poi le spiegò cos’aveva in mente: “Questo tronco è qui da anni. Ciò vuol dire che è molto carente. Se ci diamo da fare non resisterà alle nostre spinte” Lizzy aveva capito. Rimase ad ondeggiare in cima, mentre il ragazzo spingeva dal basso.
Sforzandosi riuscirono a smuovere l’arbusto dal terreno e con un altro piccolo sforzo a farlo precipitare nelle acque. Sudati, si affrettarono a montarci sopra come un cavallo e staccarono dei rami per usarli come remi. La corrente seguiva la sua strada verso il mare e per ora era facile. Una volta giunti fuori dal letto avrebbero dovuto affrontare una controcorrente e mettercela tutta per raggiungere lo scoglio con la reggia.
Quando sbucarono nella distesa d’acqua salata, iniziarono a remare cercando di far avvicinare il tronco all’enorme roccia. Questo proseguiva per conto suo andandosi a volte a schiantare contro punte d’atolli provenienti dagli abissi e storcendosi a rilento.
Per evitare che restassero senza un mezzo di trasporto, Lewis saltò in acqua senza calcolarne le profondità. Gli occhiali erano umidi e lo confondevano parecchio, però senza era anche peggio. Li strofinò sulla fronte graffiandoli e senza perdere tempo, agguantò un bulbo del tronco e iniziò a tirarlo nuotando con una mano sola.
“Fermati!” disse l’amica preoccupata “Andiamo direttamente a nuoto!”
“No” rifiutò lui “ricordati che tu devi restare nascosta e se ti raffreddi e starnutisci ti scopriranno”
“Ma così non scopriranno anche te?”
“Dimentichi che è me che vogliono” ricordò il biondo “tu pensa solo a remare, così ci sbrighiamo”
Obbedendo, la bambina affondò i ceppi nell’acqua che attirò un po’ sulle gambe e diede meno fatica all’altro.
Ora il tronco era sotto il loro controllo e nuotava verso la fortezza.
Il sole, ormai alto, riscaldava la superficie con i raggi, ma l’acqua rimase gelata. Lewis sentiva i muscoli indolenzirsi. Nel più delle occasioni bevevo e tossiva l’acqua marina, ma non fu questo a fermarlo. A volte cambiava mano per far riposare l’altra, ma ora erano entrambe irritate.
“Fai una pausa” gli suggerì Lizzy.
“Siamo quasi arrivati” disse lui iniziando ad intravedere l’ombra del castello che si specchiava su delle rocce.
Fu proprio allora che intravide un imbocco allo scoglio, oscuro di dentro. Per raggiungerlo bisognava scalarlo di qualche metro. Doveva essere un altro dei passaggi segreti dell’antica duchessa. All’idea che erano a un passo dai suoi amici, accelerò la nuotata tanto da trattenere il respiro per le increspature che s’infrangevano sul suo viso.
“Piano” la ragazzina si teneva aggrappata ad un armo visto l’improvviso ondeggiamento nauseabondo. Ma lui non l’ascoltò.
Poco dopo si ritrovarono all’interno della gigantesca sagoma del maniero che rendeva l’acqua ancora più ghiacciata. Non videro più il sole, coperto dalle torri più sovrastanti.
Lizzy avvertì un brivido: quelle torri erano proprio come nel suo incubo.
Il ragazzo con gli occhiali si spinse ancora di più, ormai sul punto di svenire dallo sforzo.
Poi, quando riuscì a sfiorare il gigantesco scoglio, disse all’amica di tenersi aggrappata ad una sporgenza per non farsi trasportare lontano. Dopodichè si lasciò sprofondare per qualche secondo sott’acqua, esausto.
Riemerse col naso infiammato e i denti tremolanti.
Salì sul tronco e iniziò a scalare la roccia, facendo attenzione a dove mettere i piedi.
“Imitami” disse alla ragazza, che un po’ tremante lo copiò nei movimenti. Poggiarono i piedi in varie parti, a volte scivolose, a volte resistenti. Finalmente raggiunsero l’entrata al passaggio segreto e guardarono in basso. Senza accorgersene avevano salito di molto. Ora il tronco scorreva pacifico verso il lontano orizzonte.
“Dove pensi che porterà?” chiese la bambina guardando il buio totale che li aspettava.
“Non lo so” rispose Lewis “ma a qualunque rumore sospetto, riparati dietro di me”
E iniziarono il cammino dentro quel tunnel buio e pauroso, dicendo addio alla luce del giorno.
Le pareti odoravano di brezza marina, probabilmente bagnate durante onde anomale in passato. Il pavimento sembrava fatto d’alghe, ma pareva più una roba gommosa tipo i gonfiabili per bambini. L’unica luce proveniva da lievi spiragli presenti nel muro. L’aria era tiepida, ma non bastò a riscaldare i due ragazzi, ancora infreddoliti dall’avventura in mare.
“Secondo te quanto manca?” domandò Lizzy, quando fu passata mezz’ora.
“Sono sicuro che siamo già all’interno del castello” pensò ad alta voce Lewis “dentro un sotterraneo. Vedrai che ora sbucheremo da qualche parte” in cuor suo sperò di non trovare brutte sorprese ad attenderli.
Man mano che percorrevano quello strano corridoio, iniziarono a sentire degli strani suoni provenienti dal soffitto. Trattennero il respiro e rimasero immobili finché non tornò il silenzio assoluto. Ora più che mai dovevano restare allerta perché la singola mossa sbagliata avrebbe rovinato tutto.
All’improvviso andarono a sbattere contro di qualcosa di tagliente, ma non ottennero graffi.
Il biondo tastò quello strano aggeggio cercando di capire di cosa si trattasse: “E’ una specie … di tubo” queste parole riecheggiarono lontano. Capì che il passaggio segreto dov’erano entrati, non era altro che un’entrata che permetteva all’acqua di raggiungere l’intimo della fortezza, quando erano in corso le alte maree. Quindi quel tubo doveva condurre da qualche parte: o in un bagno, o in una fontana. Ad ogni modo dovevano attraversarlo per raggiungere finalmente una stanza in cui si sarebbero orientati meglio.
Il giovane Cornelio, perciò, si mise a quattro zampe e iniziò la gattonata nel cannello. La bambina lo seguiva a ruota. Poggiarono le mani in varie pozze d’acqua putrida e fetida, ma non era quello il momento dei disgusti.
Sbatterono più volte la testa a causa della strettezza. Non parlarono perché sapevano che l’eco poteva anche tradirli.
Poco dopo, intravidero in lontananza una luce, separata da quadratini come la tabella di un gioco a tris. Avvicinandosi notarono che erano soltanto delle sbarre che li separavano da una lunga sala circolare, vuota e desolata.
Sotto di loro era presente una vasca prosciugata dove, indubbiamente, un tempo Tiaré Conner faceva il bagno.
“E ora come facciamo?” sussurrò Lizzy.
Il suo compagno provò a smuovere le sbarre e stranamente queste si smossero sbriciolando ruggine. Allora spinse ed ecco che si ritrovò le spranghe fra le mani. Per poco non cadde nella vasca.
Fortunatamente non causò rumori troppo chiassosi.
Scesero e si guardarono intorno. La stanza aveva le pareti fatte di mattone bianco e lucido. Il pavimento era ricoperto da piastrine celesti e non c’era traccia di porte o finestre … a parte una scala che conduceva ad una piccola asse di legno, chiusa.
“Questo doveva essere il luogo dove Tiaré si rinchiudeva per starsene un po’ appartata” disse Lewis ricordandosi le poche cose che gli aveva raccontato Wilbur la sera prima di partire, sul conto della duchessa “è la stanza più bassa dell’intero palazzo. Sono certo che attraversando quella porta sbucheremo da qualche altra parte. Se solo avessimo la chiave”
“Guarda! È lassù!” disse la ragazzina indicando una minuscola chiavetta d’oro che penzolava da un gancio di ferro vicino alla porticina.
“Oh bene!” esclamò il biondo iniziando ad arrampicarsi sulla scala.
L’amica rimase ancora sotto. Stava lavorando a qualcosa con le sbarre.
“Cosa fai?“ le chiese tornando con la chiave in pugno.
“Ho un’idea” spiegò lei “spero che funzioni” tese con forza le aste e riuscì a spezzarle, creando così due sorti di bastoni simili a chiavi inglesi “con queste potremo difenderci se le bombette ci attaccano”
“Ei” commentò Lewis “è un’idea … geniale” pensò che in questo modo avrebbero potuto colpirle agli occhi e disintegrarle per sempre. Così potevano liberare dal loro controllo i Robinsons. Lanciò un’occhiata alla ragazzina. Per essere piccola ne aveva avute di idee da quando erano partiti in quella missione. A volte si dimostrava troppo eccitata, ma infondo era simpatica e gentile. Tutto quello che voleva era vivere un’esperienza unica. Anche lui aveva provato lo stesso, quando Wilbur lo aveva portato per la prima nel futuro. Non poteva rischiare che Lizzy venisse posta davanti a tante difficoltà da cui non sarebbe potuta uscirne. La battaglia era sua infondo. Era con lui che le bombette ce l’avevano a morte. Fu per questo che prese una decisione: “Tu resta qui” e le strappò dalle mani la seconda arma da lei creata.
“Cosa?” esclamò ella “Non voglio aspettare qui”
“Devi” disse lui “è troppo rischioso. E poi avevamo deciso sin dal principio che saresti rimasta nascosta”
“Ma se lavoriamo in coppia possiamo farcela” cercò di convincerlo “libereremo insieme la tua famiglia e quando saremo di più le bombette non avranno più scampo”
“Sicuramente Wilbur e gli altri vagano per il palazzo con quei cosi in testa. Mi basterà avvicinarmi e romperle con queste” mostrò i bastoni.
“Permettimi di aiutarti” insistette Lizzy sul punto delle lacrime.
A quel punto il biondo non ebbe altra scelta. Sapeva che il solo modo per metterla al sicuro era usare le maniere forti. Trasse un respiro profondo e inspirò più menzogne possibili: “Cosa ti fa pensare che mi serva l’aiuto di una smorfiosa come te?”
Lei sussultò: “Perché dici questo?”
“Perché lo penso!” ringhiò il ragazzo “Penso … che sia colpa tua se Wilbur è stato catturato. Se non avessi insistito tanto nell’accompagnarlo dalla tua epoca a qui, ora tutto sarebbe più semplice. Sei sempre stata un peso e ci hai messo più volte in pericolo!”
“Lewis io … volevo solo aiutarti” deglutì la ragazzina.
“E come? Facendoci uccidere? Che bell’aiuto” applaudì “se volevi davvero aiutarci te ne saresti rimasta nella tua epoca e non ci avresti dato il tormento. Vuoi aiutarci? L’unica cosa che puoi fare è startene qui e non fiatare” cominciò a salire le scale.
“Lewis …” lo chiamò lievemente.
“Goditi il tuo ultimo tempo qui nel futuro perché quando salverò la mia famiglia tu te ne tornerai nel passato. E CI RESTERAI!” una fitta tremenda lo bombardò al cuore. Non pensava davvero quelle cose. Desiderava immensamente dirle che scherzava, ma non poteva. Doveva tenerla al sicuro e quello era l’unico modo. Infilò la chiave d’oro nella serratura della minuscola porta e la attirò a sé, aprendola.
Rivolse un ultimo sguardo all’amica, che si era lasciata cadere ad un pianto disperato e silenzioso, inginocchiata dentro la vasca.
Le chiese scusa nella mente. Poi attraversò il piccolo ingresso e richiuse la porta a chiave.
Indugiò un minuto, inginocchiato davanti all’asse di legno con un gran senso di colpa in petto. Ma fu un errore gravissimo.
Sentì un oggetto duro e saldo colpirlo in testa. La vista iniziò ad appannarsi e poi a ruotarli. Svenne, mentre veniva trascinato via.
“Perché?” piangeva nel frattempo Lizzy “Perché mi ha detto quelle cose? ” e ora che le sue lacrime la bagnavano, quella vasca non parve più vuota.

 

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Capitolo 16
*** Fra i Passaggi Segreti ***


Lizzy non capiva. Lewis qualche ora prima, l’aveva incoraggiata a continuare la missione senza pensare che fosse colpa sua. Da quando erano partiti era sempre stato gentile e non lamentoso come Wilbur. Invece ora era come … trasformato. Come se avesse avuto del tempo per riflettere che la colpa della cattura del loro amico era di lei e non sua.
Mentre pensava queste cose, ormai aveva esaurito le lacrime e guardava il soffitto della sala con occhi appannati.
Ora era del tutto sicura di aver perso i suoi amici. Era sola in una stanza segreta che le bombette avrebbero potuto trovare in poco tempo e così sarebbe stata la fine. In quel momento sentì una forte nostalgia di casa. Le mancava tutto: suo padre, la sua città, così come la conosceva, il suo gatto, e suo unico amico, le sue passeggiate tranquille nel bosco, ma soprattutto la sua vecchia vita prima di incontrare un viaggiatore del tempo.
Le cose future erano meravigliose, doveva ammetterlo. Ma ora pensava che le uniche realtà di cui era ricca di nostalgia, erano quelle con cui era cresciuta. Le candele, anziché le lampadine. Le carrozze e i catorci vecchi, alle macchine moderne. Le penne ad inchiostro, a quelle normali. Le foto in bianco e nero, anziché a colori. I teatri ai cinema.
Desiderò intensamente che tutto fosse solo un sogno da cui non si era ancora svegliata. Non appena avrebbe riaperto gli occhi, si sarebbe ritrovata nella sua cameretta, con il sole che filtrava attraverso le tende del letto a baldacchino dalle coperte felpate per darle il buongiorno. Sarebbe scesa in cucina a preparare un tè con pasticcini da portare al suo papà, sempre indaffarato nelle sue ricerche biologiche e poi avrebbe passato una magnifica giornata nel giardino a cogliere fiori, esplorare il bosco, correre nei prati e giocare con le caprette di un pastore che viveva sul colle vicino.
Quello sì, che la rendeva felice.
Poi però la sua mente ritornò alla situazione in cui si trovava.
Lewis l’aveva trascurata in quel luogo freddo e deserto, dove l’unico rumore erano i suoi singhiozzi. Se la sarebbe cavata con le bombette? E anche se fosse uscito trionfatore, si sarebbe ricordato di lei?
L’avrebbe abbandonata per sempre lì sotto oppure no?
Le venne da tossire e per non affogarsi si mise seduta e cercò di farlo il più silenziosamente possibile.
Stava per riappoggiare la faccia sul fondo della vasca, quando vide un essere piccolo e peloso zampettare vicino la sua mano.
Non strillò, ma sobbalzò presa alla sprovvista. Odiava i ragni. Uscì dalla vasca e si sistemò in un angolo della sala, che si trovava all’ombra.
Premette le spalle sulle mura gelate, provocandosi un brivido schienale. Nel farlo però, pigiò qualcosa con la mano che lentamente si abbassò. Una delle mattonelle si era stranamente pressata all’interno della parete.
Un tremito improvviso fece indietreggiare la bambina di qualche passo. Tutte le altre piastrelle si risucchiavano in dentro, due alla volta senza fracasso. Crearono un varco oscuro da cui s’intravedevano scalini in salita.
Lizzy restò immobile e col fiato sospeso: aveva azionato un altro passaggio segreto!
Guardò al di sopra della scala. Buio totale. I gradini erano colmi di polvere nera e la ringhiera d’ottone era avvolta in fili trasparenti. Ragnatele.
Lei non si mosse. Dove portava quel passaggio segreto? Forse alla stanza di Tiaré Conner? Se quello era davvero il luogo dove la duchessa si rinchiudeva per starsene isolata da tutti almeno per un po’, non sarebbe stato difficile per ella raggiungerlo attraverso quello stretto.
Ma se invece conduceva da un’altra parte? Magari nella stanza dove in quel momento le bombette stavano tramando qualcosa.
Una delle due ipotesi era quella giusta. Da un lato, avrebbe potuto aiutare Lewis senza che lui lo sapesse. Dall’altro … gli avrebbe disobbedito e si sarebbe auto-consegnata nelle mani del nemico.
Non aveva forse detto che l’unico aiuto che poteva offrire era starsene lì dentro e non uscirne per nessun motivo? Non pretendeva nulla da lei. Quindi perché avrebbe dovuto aiutarlo se lui non voleva?
 Sospirò e tornò a sedersi nella vasca, senza badare al ragno che ora zampettava lontano attraverso un buco di scarico.
Non pianse, ma restò ad occhi chiusi contemplando il tempo.
Ancora non riusciva a capire come lo stato d’animo del suo amico fosse cambiato. Era come … se lo stesse facendo apposta.
A questo pensiero, la ragazzina trasalì e portandosi le mani alla bocca, rievocò ciò che Lewis le aveva detto durante il tragitto alla reggia:
“Ricordati sempre che a volte la paura è più forte del coraggio. Perché ti aiuta a capire che cosa sei disposta ad affrontare per salvare le persone a cui vuoi bene”
In quel momento la ragazza capì ogni cosa.
Ora aveva paura. Paura di ritrovarsi ad affrontare le bombette da sola, paura di opporsi agli ordini di Lewis, paura di non riuscirci.
Ma stranamente … furono proprio quei timori ad infonderle una strana energia nel petto. Si sentiva forte come un leone e valorosa come un cavaliere. Si è disposti ad affrontare tutto pur di salvare le persone a cui tieni. Beh, lei voleva aiutare i suoi amici. Anche se loro non volevano. Qualunque cosa nutrivano su di lei (odio o disprezzo) non era importante. Bastava solo che stessero bene.
“Sto arrivando” decise Lizzy.
Detto questo avanzò verso le scale e iniziò a scalarle senza voltarsi.
L’aria pullulava di cenere e reti di tarantola. L’unico odore presente era una puzza d’acari, allergica.
La ragazzina starnutì svariate volte. Per fortuna sapeva farlo in silenzio.
I gradini procedevano a chiocciola e si soffermavano di tanto in tanto, davanti a nicchie dov’erano nascosti bauli vuoti. Non era una strada molto lunga. Poco dopo, infatti, intravide una porta di ferro che terminava il percorso. La tastò spostando il palmo da una parte all’altra, finché le dita non trovarono un incavo dal quale filtrava una linea di luce.
Un occhiolino.
Senza timore la bambina ci guardò dentro. All’inizio lo splendore improvviso l’accecò. Ma dopo essersi abituata poté vedere una scena.
Due persone: un maschio e una femmina. Tenevano dei cappelli abbassati fino agli occhi, ma nonostante questo parlavano come se ci vedessero.
“Non ci sono più passaggi da bloccare” diceva uno. Dagli indumenti si poteva dedurre che fosse una donna.
“Bene” rispondeva l’altro, un uomo “torniamo dal capo. È giunta l’ora di disintegrare quel moccioso” si voltarono e sparirono in un corridoio.
La bambina si bloccò riflettendo. A chi si stavano riferendo? A Wilbur? A Lewis? Beh … chiunque fosse, in quel momento sera in guai seri.
Assicurandosi che non ci fossero altre cattive presenze in giro, provò a spingere l’asse di ferro. Questa si smosse facilmente, come se qualcuno l’avesse già sperimentata da non molto.
Quando si ritrovò in una corsia colma di quadri, ebbe la sensazione che non ci avrebbero messo tanto a scovarla. Per questo si nascose in tutti i posti che scorgeva: dietro un’armatura arrugginita, un vaso dai fiori secchi, una tenda bianca e polverosa, una statua di Venere, un mobile di legno scheggiato e uno specchio spaccato. Dopodichè raggiunse un’altra stanza.
Appiattandosi in mezzo a dei carrelli antichi, osservò la condizione. In giro non si udiva ronzare una mosca. Il rumore proveniva da un piano anteriore. Fortunatamente parecchio distante. L’unico problema era che non sapeva che direzione prendere. Quel castello era veramente enorme e ci si disorientava anche ad una sola curva.
Spostandosi dietro una riproduzione in vetro di un cigno, fece scorrere gli occhi intorno e vide, vicino al quadro di una bella signora, una leva.
Aveva il manico di ferro e il pomello di gomma. Sembrava parecchio ingiallita e si confondeva con il colore della parete.
Pensando che azionasse l’ennesimo passaggio segreto, Lizzy si avvicinò e impugnando il pomolo cominciò a tirare verso il baso.
La leva cigolò e lentamente si smosse. Abbassandosi fra rumori e pause, sfiorò le mattonelle che ricoprivano il pavimento.
Ma non successe nulla. Si udì un fischio proveniente dal retro del quadro e poi, nuovamente l’eterno silenzio.
La bambina pensò che fosse successo qualcosa dietro il dipinto. Spinse la cornice da un lato e fece luce su una piattaforma circondata da funi che tiravano verso l’alto.
Un ascensore.
Si trovava dentro una nicchia e non sembrava essere stato usato da molto.
Portavano da qualche parte. Sicuramente vicino alla stanza che cercava.
Sentendo dei passi avvicinarsi, non perse tempo.
S’infilò nel condotto e tirò le corde. Sapeva che funzionavano così le ascensori presenti nei castelli, da come aveva letto in libri.
La spianata si sollevò portandola attraverso un corridoio verticale, largo.
Magicamente, il quadro, sotto di lei, tornò al suo posto. Così, l’unica luce presente, era alla fine del comignolo. A tantissimi metri da lì.
A volte le corde si fermavano, ma Lizzy sapeva che se le avesse lasciate andare, sarebbe precipitata con loro.
Sforzandosi e senza mollare la presa, continuò la salita. La carrucola in superficie dondolava minacciosa di spezzarsi.
Col sudore alla fronte, la ragazza non si arrese. Rallentò soltanto, quando una fessura nella pietra le illuminò gli occhi.
Ora che era quasi giunta alla fine, vide chiaramente che l’uscita era una piccola finestrella che permetteva la visuale della stanza in cui si trovava.
Quando la raggiunse, dovette chinarsi in avanti per osservare l’esterno. Ma nel farlo lasciò andare le funi. Si affrettò ad appoggiare le mani sul davanzale della finestrella rimanendo penzolante, mentre la piattaforma ricadeva al punto di partenza.
Con la faccia rossa e bagnata, ansimò e per nessuna ragione guardò giù.
Fuori era tutta una sala in nero. Per fortuna la finestrella si trovava sul pavimento e nascosta dietro un mobile.
Al centro della stanza s’innalzava un enorme schermo spento, affiancato da tanti altri piccoli schermi.
Fra vari tavoli, strane macchine e aggeggi tempestati di pulsanti, non c’era nessuno a parte una figura seduta ad una poltrona.
Vista l’altezza sembrava essere un uomo. I capelli li aveva spiaccicati sotto uno strano copricapo piccolo dall’occhio rosso che gli ricopriva gli occhi.
Indossava un camice da laboratorio lungo e bianco. Sembrava dormire.
Si sentì una porta cigolare perché veniva aperta. La figura si alzò dalla poltrona e portandosi le mani dietro la schiena e guardò chi era entrato.
La figura di un signore alto e muscoloso sempre con la bombetta in testa, stava sull’attenti di fronte al primo.
“Signore” disse “abbiamo setacciato tutto il castello, ma di passaggi segreti neanche l’ombra”
“Avete bloccato il cunicolo dello scoglio?” domandò l’uomo che era seduto sulla sedia.
“Sbarrato, signore” rispose il secondo “La ragazzina non uscirà mai dalle vasche della vecchia duchessa” Lizzy ebbe un tremito.
“E la scala abissale?” chiese il primo.
“Distrutta, signore”
“Lo scivolo dietro la libreria in quarta corsia, nella biblioteca?”
“Sprangato, signore”
“Il tunnel che collega la soffitta alla città?”
“Distrutto, signore”
“Bene” si bloccò il primo “erano quelli i passaggi più facili da identificare” cambiò discorso “lui è qui?”
“Si sta svegliando, signore” disse il secondo “ma è sguarnito”
“Bene” ridacchiò il primo “allora radunatevi tutti qui. E non dimenticate il giravite uncinato
“Certamente signore” terminò il secondo, prima di andarsene “lo abbiamo lucidato apposta per l’occasione”
Una volta rimasto solo, l’uomo azionò un computer dallo schermo gigante affiancato da tanti altri più piccoli. Tutti riflettevano la stessa immagine: un’immensa montagna di bombette nere dall’occhio chiuso, ammucchiate in una sala piccola e circolare. L’uomo premette un pulsante, abbassò una leva e improvvisamente tutti quegli occhi divennero rossi. I cappelli si sollevarono in volo posizionandosi in fila orizzontale e restarono ferme.
“Tra qualche ora sarete libere” disse l’uomo parlando in un piccolo amplificatore “e potrete impossessarvi di tutte le menti che volete. Dopodichè invaderemo l’universo, prendendoci ciò che è nostro: ovvero tutto!” i cappelli girarono in cerchio come tanti moscerini felici.
Lui li osservò compiacente del lavoro che aveva svolto e dopo un po’ chiuse il computer che diventò scuro.
Lizzy aveva le braccia che tremavano. Tenersi aggrappata stava diventando sempre più difficile per i suoi deboli muscoli.
Ora che conosceva le intenzioni del capo delle bombette, non le restava che escogitare un piano per impedirlo. Innanzitutto doveva ricorrere all’aiuto dei suoi amici, ma entrambi non potevano fare niente al momento. Ancora una volta avrebbe dovuto cavarsela da sola. Un improvviso aiuto arrivò proprio in quel momento.
L’uomo si sedette nuovamente alla poltrona e pigiò uno dei tanti pulsanti che popolavano quella grande scrivania. La porta si riaprì.
Una sagoma bassa marciava verso di lui e si fermò a pochi metri di distanza. Lizzy si sentì mancare il fiato. Strinse di più il suo appiglio con l’intenzione di restare lì appesa per l’eternità. La persona che era appena entrata era Wilbur. Anche lui con il cappello calato sulla fronte.
Fu lì che il cappello sulla testa dell’uomo si staccò da essa rivelando tutta la faccia. E solo allora la ragazzina vide che si trattava di un Lewis adulto.
Gli occhi, gli occhiali, il naso e altri lineamenti erano gli stessi. Doveva essere il suo amico nel futuro.

 

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Capitolo 17
*** La battaglia ***


 “Ma cosa …?” disse il signor Robinsons toccandosi la fronte. La sua voce era calma e profonda e non si riusciva ad intravedere una lieve somiglianza con quella del Lewis del presente. Alzò lo sguardo e lo incrociò con la luce rossa del malefico cappello. Sussultò e iniziò a comportarsi come se fosse ancora nel luogo del suo ultimo ricordo. Tese le mani in avanti a pugni. “Stai lontana!”
“Datti una calmata, Cornelio” disse la voce di Wilbur. Era più roca della normale. Suo padre lo fissò sbigottito.
“Wilbur!” esclamò tendendogli una mano “figliolo … che cosa …”
Dal copricapo che indossava il ragazzo, spuntò un revolver lucente che puntò contro l’uomo: “Non fare mosse false o siete spacciati tutti e due”
Lizzy sentì un tuffo al cuore. Si era riferito a due persone … l’avevano scoperta? Si fece piccola, piccola abbassando di poco la testa.
“Ma cosa sta succedendo?” chiese Cornelio ancora confuso.
“Sto abusando della testa di tuo figlio per comunicare” disse Wilbur.
“Cosa?” esclamò il Lewis del futuro “malefica creatura! Liberalo subito”
“Ascoltami e non capiterà niente né a lui né a te!”
Cornelio non ebbe altra scelta. Strinse i denti e smise di agitarsi.
La bambina nascosta, ascoltò stavolta più tranquilla.
“Io non sono colei che vi ha portato qui” disse il cappello usando il suo amico “quella è lei” indicò la bombetta che fluttuava al suo fianco “sfortunatamente il piccolo te, si è dimenticato di distruggerla poco tempo fa. Era troppo occupato a far fuori Doris, la nostra fondatrice. Beh, grazie alla tua mente geniale, che è stata in tutti questi giorni sotto il nostro controllo, siamo riuscite a creare un intero esercito che fra poco sbarcherà alla conquista assoluta!”
“Siete delle creature orribili!” ringhiò il signor Robinsons. Si sentiva un incapace in quel momento. Tenevano la sua famiglia in ostaggio e l’unica cosa che poteva fare era restarsene lì a imprecare contro le sue nemiche.
Fece per alzarsi e combatterle a mani nude, ma la pistola che spuntava dalla testa di suo figlio si spostò alla sua gola.
“Io non lo farei” l’uomo si risedette sospirando “il piccolo te, è nelle nostre mani” continuò Wilbur “e una volta tolto dai piedi, nessuno potrà più fermarci” in quel momento lo schermo s’illuminò. L’immagine di una donna, ovviamente con la bombetta in testa, indicava qualcosa.
“Franny!” gridò Cornelio riconoscendo la moglie.
“Signore” disse la donna “abbiamo scovato un altro passaggio” il capo delle bombette sgranò l’occhio “siamo andati a controllare la ragazzina, signore e abbiamo scoperto questa scala” indicò una rampa che si allungava verso l’alto. Delle impronte erano stampate sui gradini.
Lizzy riconobbe la stanza delle vasche vuote. “Porta al corridoio dei dipinti dei trisavoli” continuò la donna “riteniamo che la ragazzina ora stia vagando in questo piano”
“Non perdete tempo!” disse Wilbur “Trovatela”
“Stiamo analizzando tutti i possibili nascondigli signore” disse Franny.
Mentre le due bombette erano concentrate a guardare la donna, il marito di ella faceva scorrere lo sguardo nella sala, ancora confuso. La ragazzina ebbe un’idea. Iniziò a sventolare una mano reggendosi con una. Iniziò a sudare, mentre la faccia assumeva una tinta rossastra.
Cornelio notò qualcosa muoversi tra due scatoloni pieni d’esplosivi e finalmente vide la faccia di una bambina spuntare da dentro un comignolo minuscolo difficile da rintracciare.
Lei fece dei gesti con le mani. Indicò lo schermo dove Franny stava dicendo: “Supponiamo che sia salita al piano superiore” e l’uomo capì. Era colei che stavano cercando.
Lizzy allora mosse la bocca come per dire “Aiutatemi ad aiutarvi”.
Cornelio non era mica nato ieri. Era sempre stato un genio, aveva letto milioni di biblioteche e non poteva certo aver saltato i libri sulla lettura delle labbra. Capì alla svelta e fece l’occhiolino per dire “Okay”.
Pensò alla svelta ad un piano che non tardò ad arrivare. Poteva rischiare grosso, ma per ora poteva contare solo su un pizzico di fortuna. Sospirò profondamente e si dispose all’azione.
“Provate a vedere nella stanza della duchessa” diceva il figlio “è una delle poche camere con la chiave” ma prima di continuare sentì qualcosa.
Il signor Robinsons aveva agguantato il revolver e lo stava tirando con tutta la sua forza, cercando di staccarlo dalla testa di Wilbur.
La prima bombetta cercò al più presto di aiutare la compagna, ma troppo tardi. L’uomo strappò la pistola ritrovandosela tra le mani, ancora attaccata ad un filo connettente all’interno del copricapo. In fretta la lanciò verso la finestrella, prima di venire agguantato alla gola, con gli artigli di ferro della prima.
L’arma raggiunse l’entrata della finestrella, Lizzy capendo cos’aveva avuto in mente il padre del suo amico, l’agguantò in fretta e furia, se la infilò in tasca e poi si nascose allungando le braccia e lasciando visibili solo le dita. Ma ora i cappelli malefici non pensavano a lei.
La bombetta numero uno, tirò fuori dall’interno un altro fucile che puntò sul suo rivale. Sparò.
Le pallottole traforarono l’orecchio di Cornelio, che non ebbe il tempo di urlare dal dolore perché il cappello si rimpossessò della sua mente.
“Quel maledetto!” disse Wilbur toccandosi il punto dello sgancio.
“Va a farti sostituire” gli suggerì il capo, che aveva il lobo sanguinante “e chiama tutti gli altri a raccolta. Anche se quella mocciosa vaga per il castello, non ci troverà mai e semmai ci riuscisse non può fare nulla”
“Ha ragione signore” il ragazzo uscì dalla stanza.
“Ci hai provato Cornelio” rise la prima bombetta “ma ora dobbiamo prepararci all’invasione mondiale. Sarà meglio che vada a prendere il giravite uncinato, prima dell’arrivo del piccolo te” e anche lui se n’andò.
I tanti schermi si spensero non appena superò la soglia.
La bambina spasimò, mentre si tirava su. Non si era mai sforzata come quella volta e quando poté sedersi sul freddo pavimento, crollò stremata.
Le bombette sarebbero tornate fra poco con Lewis e l’unica difesa che possedeva era quello strano aggeggio che le aveva dato il padre di Wilbur.
Lo prese dalla tasca e lo analizzò bene. Sapeva cos’erano le pistole. Terribili armi che se usate nel modo sbagliato, potevano causare la morte certa. Una volta, da piccola, mentre passeggiava per le vie di Londra con suo padre, entrambi erano stati testimoni di un atto incredibile. Un uomo che veniva fucilato per rapina. La scena più brutta che una bimba di sette anni potesse vedere. Ora però, le tornava molto utile. Sapeva come funzionavano quegli arnesi. Bastava premere il grilletto che stava sotto.
Perfetto! Avrebbe sparato agli occhi delle bombette, annientandole. Ma se sbagliava? Se invece della testa, mirava a qualcos’altro? Per la persona sotto controllo non ci sarebbe stata via di scampo.
Mentre rifletteva udì delle voci in avvicinamento.
Non poteva tornare a nascondersi nella finestrella, non si sarebbe concentrata abbastanza e prendere la mira. Si guardò intorno alla ricerca di un nuovo riparo. Guardando il soffitto, vide una piattaforma sostenuta da fili invisibili. Sopra di essa c’era un monitor che collegava i suoi fili agli schermi dove la prima bombetta si metteva in contatto con le altre. Per raggiungerla bisognava arrampicarsi sulla scala di legno attaccata in cima. Si sbrigò a scalarla, mentre le voci divertite avanzavano. La scala oscillava, ma lei non temette questo. Piuttosto temeva che si staccasse per il troppo dondolamento. Quando poggiò la mano sulla piattaforma e usò uno dei fili per raggiungerla definitamene, tirò verso di sé la scala in modo da non far arrampicare nessun altro. Non si sarebbero accorte di quel minimo dettaglio. Infine s’infilò in mezzo a fibre blu dove scomparve. La visuale di sotto era perfetta. Riusciva ad intravedere ogni cosa.
La porta si spalancò e n’entrarono tante persone diverse. Uomini, donne, un cane, un robot, un polipo e addirittura, un dinosauro. Per lui avevano preparato una bombetta di medie dimensioni. Se fosse stata troppo piccola, aveva più probabilità di perderla. A Lizzy non fece paura, Wilbur le aveva raccontato che possedevano un T-Rex domestico. Tutti erano con la bombetta sulla testa. Gli ultimi due, ovvero una signora vestita di azzurro e una ragazza con un vestito che rappresentava dei grattacieli, tenevano per le braccia un ragazzo legato e con le guance gonfie.
“LEWIS!” strillò nella sua testa la ragazzina. Le venne da piangere.
A chiudere la fila c’era la prima bombetta. In mano teneva una scatola.
Gettarono Lewis a sedere sulla poltrona e poi lo circondarono. Il cappello che teneva sotto controllo Cornelio, si fece avanti. L’orecchio ancora colante. Aprì la scatoletta e n’estrasse un oggetto lucente e affilato.
All’apparenza sembrava un normale cacciavite ma se lo si girava nella mano, si poteva notare che era arcuato abbastanza da sembrare un uncino che faceva male solo a guardarlo.
“Ci divertiremo con te, mio giovane Cornelio” rise la prima bombetta.
Lewis non riusciva più ad opporre resistenza. Quando si era svegliato in una stanza buia e aveva scoperto di essere paralizzato, era stato torturato dai suoi stessi familiari, che lo avevano picchiato e giocherellato con la sua faccia usando un minuscolo stiletto.
Era giunta la fine. Il mondo del presente non avrebbe avuto futuro, visto che lui non ci sarebbe stato a crearlo. Lizzy non sarebbe tornata nella sua epoca e questo avrebbe potuto causare molti danni al futuro.
Non ci sarebbero stati aiuti. Il suo destino stava per compiersi.
Sentì la lama fredda del giravite uncinato sfiorargli il collo. Si stava lentamente ruotando sulla punta.
La bambina non poteva perdere tempo. Puntò l’arma sull’occhio della prima bombetta e fece per premere il grilletto. Doveva essere sicura al 100% della sua mira. Per questo si chinò di più in avanti. Fu un grosso sbaglio. Mentre si allungava, tirò con il petto un filo giallo e questo, tenendosi, azionò una caratteristica degli schermi. Questi si accesero per mostrare cosa stava accadendo in quel momento fuori dal castello. I gabbiani sorvolavano il mare toccando appena la superficie dell’acqua e la vista era da togliere il fiato.
Le bombette e Lewis sussultarono in quell’improvvisa apparizione.
“Ma cosa …?” disse la prima bombetta guardando in alto. Solo in quel momento si rese conto che la scala di corde era sparita. Toccò Wilbur per una spalla: “Va a controllare”
“Si Signore” dal suo nuovo cappello più accessoriato, spuntarono due eliche che girando più veloce della luce, lo sollevarono.
Il ragazzo raggiunse la piattaforma e si guardò intorno. La scala di corde era lì, accanto ad un mucchio di fili che … tremavano? Si chinò per sfiorarli e intravide qualcosa in mezzo: due occhi lucidi.
Tolse di mezzo i fili e finalmente scoprì la ragazzina. Lei sussultò e si strinse con le spalle al monitor.
“Allora, che succede?” chiese da sotto la prima bombetta.
Wilbur stava per rispondere, ma la bambina fu più svelta. Non sparò, troppo paurosa, ma sbatté il revolver sull’occhio più forte possibile e creò una crepa. Dal rosso passò al nero. La bombetta era rotta.
L’amico s’inginocchiò barcollando e portò una mano sul cappello sollevandoselo abbastanza da lasciar intravedere gli occhi. Gli girava la testa e iniziò a far scorrere lo sguardo sul luogo in cui si trovava.
“Ma che …?” mormorò confuso.
“Ei?” strillò una voce al piano di sotto “Hai trovato qualcosa?”
Il ragazzo si voltò e solo allora vide il viso di Lizzy terrorizzato, ma allo stesso tempo speranzoso: “Sei … tu?”
Lui la guardò ancora scombussolato. L’ultima cosa che ricordava era che la bombetta che si era impossessata della mente di suo padre, gli aveva posizionato sulla testa una delle sue alleate. E da allora … capì poche cose.
Ma non fece in tempo a fare domande, perché una voce dietro di lui disse: “Oh, hai trovato la ragazzina!” suo zio Gaston, fluttuava grazie alla bombetta che gli ricopriva la fronte.
A Wilbur, venne un’idea. Si girò verso Lizzy e strizzò l’occhio. Poi si riabbassò la bombetta sugli occhi e le afferrò le braccia in modo da non farla scappare: “Sì” disse “l’ho trovata”
“Molto meglio” disse Gaston“così potrà godersi la scena di, quando faremo a pezzi il suo amichetto”
La bombetta di Wilbur era fuori uso, quindi ora che ce l’aveva calata sugli occhi non vedeva niente. Non poteva ricorrere alle eliche. Se l’alzò di qualche centimetro quel tanto da analizzare la situazione a metà.
Sapeva che gli occhi delle bombette, vedevano tutto in bianco e nero, quindi non si sarebbero accorti della differenza, tranne per quella minuscola crepa. Doveva tenersi a distanza. Tese Lizzy allo zio: “Portala dal capo. Io ora arrivo”
“Che devi fare?” domandò Gaston.
“Ha causato alcuni danni” indicò i fili “rimetto un po’ in ordine”
“D’accordo, ma sbrigati” il fratello di Franny agguantò la ragazzina e le tenne le mani premute dietro la schiena. Dopodichè tornò giù.
Lei non aveva capito molto bene cos’era successo. Wilbur le aveva fatto l’occhiolino, ma poi l’aveva consegnata al nemico. Non riusciva a capire se lo aveva risvegliato o meno.
“Lizzy!” strepitò Lewis riprendendo ad agitare i polsi legati.
“Lewis” la ragazza chinò lo sguardo. Era sicura che in quel momento l’amico l’avrebbe rimproverata per aver peggiorato la situazione. Invece:
“Non azzardatevi a toccarla!” ordinava il biondo cercando di avventarsi su Joe, che nel frattempo stava legando anche lei.
La prima bombetta gli sbatté il giravite uncinato sulla nuca, costringendolo a restare fermo: “Se fai il bravo, ucciderò prima te, così poi non la guarderai morire”
“NO” gridò il ragazzo cercando di reagire. I dolori erano troppo forti.
Ora che dall’alto Wilbur aveva fatto il punto del momento, poteva agire.
Impugnò la pistola che Lizzy aveva fatto cadere dopo averlo colpito e se la nascose nella maglietta. Gettò in basso la scala di corde, che toccò il pavimento, e iniziò la discesa.
“Tutto sistemato” disse, quando raggiunse gli altri.
“Qualche problemi con le eliche?” gli chiese Carl il robot.
“No nessuno” rispose Wilbur “pensavo di farle ricaricare”
“Bene” lo ignorò la prima bombetta che si stava rivolgendo al suo migliore amico“ora pagherai per la morte della nostra fondatrice, Doris” avvicinò la punta sul suo mento. Era pronto ad affondarlo.
“NO, VI PREGO, NO!” si disperava Lizzy continuando a dimenarsi.
Lewis chiuse gli occhi, pronto a perire, ma … qualcosa lo salvò.
Il suo futuro figlio, aveva tirato fuori dalla maglietta una pistola lucente che aveva puntato contro il giravite. Era sempre stato un campione al tir assegno, infatti colpì proprio ciò che voleva. L’uncino volò fuori dalla mano di Cornelio e finì per terra.
“Come hai osato?” gridò la prima bombetta rivolta al ragazzino.
“Semplice” disse lui togliendosi il suo cappello rotto “ho capito che non si prendono ordini da uno stupido cappello”
“Wilbur!” Lewis spalancò un enorme sorriso.
“Acciuffatelo!” ordinò il capo.
Tutte le altre si avventarono sul ragazzino tirando fuori dal copricapo varie armi a fuoco. Ma prima di poterle accendere, due o tre di loro, furono colpiti dal ragazzino che poi si scansò appena in tempo. Le pallottole che aveva sparato, andarono a colpire gli occhi delle bombette di sua cugina Tallulah, suo nonno Bud e Zia Billie. Andò a levare dalle loro teste quelle creature e li scosse: “Sta bene?”
“Cosa … succede?” chiese Tallulah premendosi la testa.
Il ragazzo staccò dai cappelli disattivati, i fucili che erano rimasti fuori a penzolare. Li porse ai familiari e indicò davanti a sé: “Mirate agli occhi rossi e non fatevi colpire. Vi spiego tutto dopo” e corse dall’altro lato della stanza, dove trovò rifugio dietro una libreria.
Billie se ne intendeva di videogiochi e ora le sembrava di esserne all’interno. Iniziò a sparare mirando agli occhi e nel farlo, liberò la metà dei suoi familiari.
Il più giovane dei Robinsons, non tolse gli occhi dal pavimento. Era alla ricerca del giravite uncinato. Cercò di memorizzare la traiettoria che aveva seguito dopo essere stato colpito dalla prima pallottola sparata. Cercò tra un mucchio di spine bruciacchiate e lo scorse in mezzo a fili elettrici.
Intanto Nonno Bud aveva colpito e liberato sua moglie: “Non male per uno di 79 anni” rise girando la sua arma. Poi andò ad aiutare Lucilla e le propose di mirare agli altri che rimanevano da liberare.
Intanto Lizzy tirava calci a Gaston, cercando di farlo cedere, ma la presa diventava sempre più stretta e alla fine il respiro le diventò complicato.
“E va bene” decise grintosa “lo hai voluto tu” gli diede una capata all’indietro e l’occhio si spezzò. Per essere la fonte di vita di cappelli indemoniati erano dei vetri molti fragili. L’uomo la lasciò andare e poi cadde per terra. Sapendo che ora era innocuo, la ragazzina lo aiutò a liberarsi definitamene del rompicapo e spiegargli in due parole la situazione. Lui infine, disse: “Diamoci da fare, piccola!”
Wilbur si era avvicinato alla sedia dov’era Lewis, che riacquistato il temperamento ottimista e coraggioso, cercava in tutti i modi di slegarsi. L’amico gli comparve al fianco: “Girati” gli disse.
Lui obbedì e il bruno usò il giravite uncinato per liberarlo dalle corde.
I polsi erano diventati violacei, ma Lewis riuscì a usarli per stringere il ragazzo in un abbraccio di ringraziamento. Purtroppo durò poco, udirono uno sparo vicino e si nascosero dietro la poltrona. Dopo un po’ raggiunsero gli altri Robinsons che si distrassero un secondo nel vedere il biondo. L’ultima volta che l’avevano visto aveva salvato tutti da distruzione certa e ora … stava facendo lo stesso, insieme a loro!
Restava solo un familiare da risvegliare: Franny. Puntava verso di loro un bazooka che stava per fare fuoco, ma suo fratello Art la colpì in tempo. Andarono a toglierle di dosso la bombetta.
“Ma … cosa?” si chiese la donna guardandosi intorno. La sua famiglia, i suoi animali e una bambina a lei sconosciuta, la fissavano timorosi “Perché non siete tutti a tavola?” anche lei si stava comportando come nell’ultimo momento prima che il copricapo s’impossessasse di lei. Wilbur, Lewis e tutti gli altri, l’abbracciarono. Eccetto Lizzy, che stette lì ferma a guardare affiancata dal dinosauro, dal cane e dal polipo. Questi tre la guardavano interrogativi. Lei si biasimò a salutare con la mano.
Lewis si staccò un momento dall’abbraccio e le si avvicinò: “Stai bene?”
“Sì” disse l’amica guardando per terra “so di averti disobbedito. Hai tutti i diritti di essere arrabbiato. Ma voglio che tu quanto …”
Lui le fece cenno di stare zitta: “E’ ora che tu sappia la verità” e in breve le spiegò il motivo della sua improvvisa rabbia, nella sala delle vasche.
Gli occhi della bambina si riempirono di lacrime: “Quindi … tutte quelle cose che mi hai detto … in realtà non le pensavi?” l’amico scosse la testa e poco dopo fu travolto dal suo abbraccio. Il polipo Mancino, si asciugò il suo enorme occhio, diventato umido.
Quando i Robinsons si staccarono, dopo che il più giovane di loro ebbe raccontato la situazione in poche parole, un pensiero li attraversò. Dov’era la bombetta che teneva sotto controllo Cornelio?
Videro la porta spalancata. Era fuggito.
“Nessun problema” disse Lewis, che dopo aver studiato attentamente il sistema degli schermi per qualche secondo, n’aveva capito la funzione. Accese vari interruttori e leve e poco dopo tutte le stanze del castello furono davanti a loro.
Una di queste era letteralmente occupata da milioni di bombette, che gironzolavano a destra e a manca, desiderose di uscire.
“Bisogna raggiungere questa camera” esclamò Wilbur “prima che …”
Ma il suo timore si avverò. In quel preciso istante, qualcuno aprì la stanza delle mille bombette. Era la prima di loro, che le esortava a seguirlo.
“Siamo nei guai” commentò Laszlo.
Non passarono neanche due minuti, che la stanza in cui si trovavano, fu invasa da più di cinquanta bombette. Neanche la metà del numero totale.
I robinsons si armarono tenendo in disparte Lizzy per proteggerla, il cane Buster ringhiò, il dinosauro Orlandino mostrò i denti e Mancino si preparò ad usare i suoi otto tentacoli ventosi.
I cappelli, stranamente non attaccarono. Non subito. Prima lasciarono che la prima bombetta, nel corpo di Cornelio, si fece avanti per parlare. Aveva il camice interamente coperto di sangue per via dell’orecchio ferito. Franny si coprì la faccia e strillò.
“Hai vinto la battaglia, ragazzino” ringhiò suo marito, riferendosi a Lewis  “ma la guerra, l’hai persa” avanzò minaccioso “forse non potrò godere della splendida visione della tua morte. Però … ne vale la pena, no?”
Il ragazzo con gli occhiali puntò uno de tanti revolver, che avevano guadagnato dopo la sconfitta con le prime bombette, sull’uomo: “Stai lontano” gli ordinò senza paura.
“Pensi che quello stupido giocattolo, possa aiutarti a fermare questo?” indicò l’esercito alle sue spalle “sei proprio patetico” cambiò direzione e prima di scomparire nel corridoio sventolò la mano “ora vi lascio da soli a giocare. Io ho un appuntamento sul tetto” informò “e poi m’impossesserò di un nuovo corpo” e ridendo corse via.
“Oh, no” esclamò Lewis in seguito “credo di sapere quali siano le sue intenzioni. Dobbiamo fermarlo!” ma ecco che le bombette, li attaccarono. Ognuna aveva un’arma diversa che spuntava dall’interno.
I Robinsons partirono all’azione. Si coprirono in tutti i modi la testa per evitare di venire nuovamente posseduti e iniziarono il combattimento.
Sparavano a raffica evitando di colpirsi a vicenda. Miravano ad ogni occhio rosso che scorgevano.
Lizzy, che per il momento era disarmata, non poté fare altro che risalire nuovamente sulla piattaforma e pensare a qualcosa.
Alcune bombette la inseguirono ed erano sul punto di azionare le loro mitragliatrici. La ragazzina si nascose dietro il monitor e lo sentì bombardare. Non era mai stata così spaventata come in quel momento.
Nel frattempo i suoi amici, lottavano senza sosta, cercando di raggiungere la porta. Eliminarono parecchie bombette, ma non di certo tutte. Orlandino le spazzava via con la sua lunga coda, Buster faceva enormi salti per afferrarle con i denti e mangiarsele, Mancino le agguantava con le ventose per poi sbatterle a terra, Petunia e Bud, i più anziani, se la cavavano alla grande. Avevano ancora quella grinta, che non li aveva mai abbandonati dalla loro giovinezza a quella parte.
Nel giro di cinque minuti, la stanza sembrava il campo della Seconda Guerra Mondiale, dove migliaia di bombe esplodevano ovunque.
I cappelli sembravano non finire mai. Alcuni cedevano, altri resistevano, altri ancora accorrevano. Sembrava impossibile, ma era solo l’inizio.
Lizzy non aveva nessun’intenzione di uscire da dietro il monitor, perché sapeva che due delle loro nemiche l’attendevano pronte a sparare. Sfortunatamente il suo nascondiglio non durò per molto. Le due bombette, avendo fatto il lungo giro dell’intera piattaforma, la trovarono. Urlando e cercando di scavalcare il monitor, la ragazzina si aggrappò ad un filo che si staccò. Si ritrovò a penzolare a molti metri da terra, tenendosi aggrappata ad una corda elettrica, molto rischiosa. Le due nemiche mirarono alla sua fronte e spararono, ma prima di colpirla, la videro precipitare a causa dell’arresa del filo. Orlandino si sbrigò a farla atterrare sulla sua schiena. Le bombette che l’avevano attaccata, volarono nella sua direzione, ma nel farlo, passarono sotto la piattaforma e lì … avvenne il portento.
Erano quasi sulla sua testa, quando si bloccarono a mezz’aria. Si misero a vibrare come cellulari e furono trascinate verso l’alto, dove si appiccicarono alla spianata. I loro tentativi di liberarsi furono inutili.
Erano bloccate.
La bambina scese dalla groppa del dinosauro e corse da Lewis che, nascondendosi dietro uno dei tanti monitor andati a pezzi, si era preso una piccolissima sosta.
“Guarda!” indicò verso l’alto “E’ incredibile!”
L’amico, quando scorse le due bombette incollate alla piattaforma, sgranò gli occhi: “Un momento …” rifletté sperimentando i suoi giudizi. Afferrò una bombetta uccisa e la lanciò in alto. Questa si attaccò vicino alle due, ancora vive e bloccate “Ma certo!” esclamò scrollando Lizzy per le spalle “quella piana è un magnete!”
”Un cosa?” chiese lei incompresa.
Lui la ignorò. Lasciò a proteggerla Orlandino e tornò sul campo di battaglia, dai compagni che, esausti, stavano indietreggiando con le armi puntate sui cappelli malefici. Essi, si avvicinavano con i loro potenziamenti pronti all’uso.
“Ascoltate” disse il biondo a bassa voce “dobbiamo portarle sotto quella piattaforma” indicò con la testa verso l’alto “è magnetica”
La sua famiglia non fece domande e obbedì. Corsero tutti nella direzione da lui indicata e si fermarono sotto l’asse magnetica. Le bombette li circondarono e si prepararono a saltare sulle loro teste.
“Al tre ci abbassiamo” disse Lewis calcolando l’avvicinamento delle rivali “uno” i cappelli tirarono fuori le zampe di metallo con cui avrebbero dovuto afferrarli e indossarli “due” schizzarono nella loro direzione “tre!”
I Robinsons si buttarono per terra, in modo che le bombette si scontrassero fra di loro, ritrovandosi aggruppate in n globulo. Ed ecco che anche loro furono attratte dalla calamità della materia e si ritrovarono imprigionate come mosche. Provarono a colpire le vittime anche da quella distanza ma, escluse le zampe, non riuscivano a muovere nulla.
“Perché non ci abbiamo pensato prima?” capì Wilbur aiutando il futuro padre a rimettersi in piedi “quei mostri sono fatti di metallo. Un materiale … veramente relativo al magnetismo!”
“Ora sappiamo come sconfiggerle” comprese Franny.
“Esatto” decise Lewis “dobbiamo trovare quante cose metalliche possibili. Sono l’unica cosa che può fermarle”
“Esatto” ghignò Carl, tutto carburato “e quando le avremo imprigionate, le faremo saltare in aria!” puntò il fucile verso l’alto e sparò. La pallottola colpì una sola delle bombette, ma bastò a creare un’esplosione.
Il botto, scaraventò tutti fuori dalla stanza, che poi andò a fuoco. Le pareti crollarono e i soffitti si sgretolarono. Lentamente, la sala degli schermi, andò in cenere. Le fiamme si sparsero un po’ ovunque. I Robinsons e Lizzy si sbrigarono a raggiungere il piano successivo e si ritrovarono in un corridoio vuoto e silenzioso. Per il momento.
“Il castello tra qualche mezz’ora crollerà” disse Bud “dobbiamo trovare Cornelio e andarcene”
“Oh, giusto!” si ricordò solo in quel momento, Lewis “Presto, sul tetto!” e imboccarono la scala a chiocciola che portava alla torre più alta.

 

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Capitolo 18
*** L'ultima lotta ***


Saltavano più gradini possibili per sbrigarsi. Era piuttosto complicato visto che nella maggior parte delle volte sbattevano uno addosso all’altro e finivano con la faccia per terra. Alla fine risolsero quel minuscolo dettaglio camminando in fila indiana. Durò così per più di venti minuti.
“Sono esausta” ansimò Lizzy crollando in ginocchio.
“E’ meglio se resti qui” decise Lewis “potrà essere rischioso”
“Resto con te” decise Tallulah sedendosi vicino “in caso d’attacchi”
A fare loro la guardia restarono Buster e Mancino. Il dinosauro era rimasto al piano terra perché, viste le sue grandi dimensioni, non era riuscito ad attraversare la porticina che dava sulla scala.
Il resto continuò la salita e dopo un po’ videro una porta aperta in lontananza. La raggiunsero e furono invasi da un vento gelido che, però non li disturbò. La battaglia con le bombette e la lunga corsa, avevano sulle loro fronti, grandi gocce di sudore bollente.
Quell’ingresso dava ad un lungo terrazzo costeggiato dalle torri più piccole. Le tegole si potevano raggiungere con un semplice, piccolo scavalcamento della ringhiera che disegnava la base del balcone.
Si godeva di una splendida vista sul mare, dove il sole si stava leggermente abbassando sul lontano orizzonte.
Uscirono e si guardarono intorno. A parte loro, nessuno.
Si sporsero dal parapetto per scorgere attentamente i dintorni.
“Qui non c’è nessuno” informò Gaston che si era allontanato dall’altra parte della balconata.
“E neanche qui” gli fece eco Billie.
“Qui ci stanno solo piccioni” terminarono i gemelli Spike e Dimitri.
“Manteniamo la calma” disse il ragazzo con gli occhiali, guardandosi intorno. Aveva la strana impressione che qualcosa mirasse su di lui. E stesse per farlo proprio … ora.
Qualcosa lo acchiappò dalla collottola e si ritrovò a dieci metri da terra. Si sollevava sempre di più, finché gli amici che gridavano il suo nome, non furono normali puntini.
E qualche minuto dopo, precipitava nella loro direzione.
Ma il vento cambiò la sua rotta e finì sulla punta di una delle torri.
Le ossa doloravano e sentì un livido profondo sullo zigomo. Usò le ultime forze rimaste, per aggrapparsi ad una tegola un po’ smossa dal tempo. Senza quell’appoggio sarebbe piombato in mare.
Fu raggiunto da una figura alta e col camice da laboratorio.
“Resisto a tutto, a quanto pare” disse la falsa voce di Cornelio “Ma non questa volta” alzò un piede, pronto a pestare la mano del ragazzino.
Le energie gli mancavano. Si sentiva debole e battuto. Se solo avesse avuto con sé qualcosa di calamitoso, poteva bloccare la prima bombetta.
Quanto la nemica stava per annientarlo, però, decise di fare l’unica cosa che gli venne in mente. S’innalzò verso l’uomo e gli afferrò il camice da laboratorio, in modo da trascinarlo con lui nella caduta.
La prima bombetta fu costretta a far spuntare le eliche dalla testa e cercare di scrollarsi il ragazzo di dosso.
Lui si arrampicò sulla veste e si avvicinò al cappello. Era uno scontro nell’aria ed erano poche le possibilità di sopravvivere.
A Franny sembrò di svenire: “Dobbiamo fare qualcosa!” gridò.
Suo figlio strinse forte il revolver che aveva tenuto dalla prima battaglia e lo puntò sui due padri. Mirò all’occhio della bombetta, ma indugiò a lungo prima di sparare. Se il colpo avesse mancato il bersaglio …
Abbassò l’arma. I rischi erano troppi e non doveva rincorrerli.
Intanto il suo amico, aveva agguantato i capelli di se stesso da adulto per abbassargli il capo e vedersela con la sua nemica. Cornelio, sotto trance, non sentiva alcun dolore, ma si dimenava all’impazzata, conoscendo le intenzioni che aveva il ragazzo. Alla fine, lui agguantò il cappello e iniziò a tirarlo, ma riuscì ad ottenere solo un graffio sul braccio da parte delle eliche che ancora giravano vorticosamente verso l’alto.
La lotta proseguiva e sembrava che nessuno dei due riuscisse a vincere.
Nel frattempo sulla terrazza erano giunte anche Lizzy e Tallulah che avendo sentito vari urli, volevano accorrere per vedere se servisse aiuto. Non appena rivolsero lo sguardo a ciò che i presenti stavano guardando, rimasero paralizzate per qualche istante.
La bambina aveva le lacrime agli occhi. Il suo amico stava ricevendo pugni, graffi e spinte e non ci sarebbe voluto monto perché venisse battuto e precipitasse in mare, sugli scogli.
Oh, se solo poteva fronteggiare quella bombetta da sola!
E fu in quel momento che ebbe un flashback. Lei e Lewis nella stanza dalle vasche vuote, la sua idea … sgranò gli occhi e sobbalzò.
Aveva trovato la soluzione! Ora sapeva cosa doveva fare!
Guardò ancora una volta Lewis che cercava in tutti i modi di staccare la bombetta dalla testa di Cornelio, nonostante questo provava in tutti i modi a spostarlo per farlo cadere, e poi, senza farsi vedere dagli altri, imboccò le scale. Le scese due alla volta e stranamente non inciampò. Una volta giunta nel corridoio, si appoggiò al corrimano di ferro e attraversò una scalinata frontale che conduceva al piano di sotto.
Poi si fermò. Riconobbe la statua di vetro di un cigno e si avviò in quell’area. Tastò il muro alla ricerca di una piccola rientranza e l’avvertì dopo averlo lisciato parecchio. Tirò con tutte le forze ed ecco che aprì la porta da cui era uscita qualche ora fa. La scala a chiocciola era ancora presente e doveva nuovamente condurre alla stanza delle vasche.
Iniziò a scenderla senza preoccuparsi di scivolare nella polvere e dopo un po’, riecco la prima sala della fortezza che aveva visitato. Scavalcò alcune cisterne ancora sgombre e dandosi una spinta, s’infilò nel tubo che dava al passaggio segreto esterno. Lo percorse in fretta e quando vide la fine, notò che era sprangata. Le bombette avevano ragione: tutti i passaggi segreti erano stati bloccati. Provò a schiodare le sbarre come aveva fatto con quelle arrugginite. Ma queste erano ricoperte di ferro lucido e nuovo. Inoltre erano attaccate con bulloni conficcati fino in fondo. Sembrava impossibile smuoverle. Mentre pensava ad una soluzione, sopra di lei la lotta proseguiva senza un vincitore.
Il ragazzino aveva il volto inchiostrato di macchie rosse e lividi, ma non si arrendeva mai. La stessa cosa valeva per il sé stesso adulto, che ora indossava un camice strappato e sulle braccia erano presenti i segni di denti e unghie. Entrambi erano deboli ma allo stesso tempo insistenti.
“Ti prego!” esclamò Lizzy tirando le sbarre con tutte le forze che aveva nelle braccia, ora con vene ben visibili e pulsanti “Apriti!”
Ma quando stava per crollare sdraiata sulla muffa del tubo, esausta, avvertì qualcosa di duro, appuntito e doloroso, affondarle nei capelli e poi qualcosa che cercava di trascinarla via.
Durante la fuga dalla torre più alta, non si era preoccupata che qualcuno aggirante nel castello al scoprisse e la seguisse. Grosso errore! Ora aveva alle spalle una bombetta furiosa con le intenzioni ben chiare. Tentò di liberarsi dalla presa portando le mani all’indietro e cercando i lati del cappello. Esso però, aumentava la forza e ad ogni sua resistenza, la feriva profondamente mandando più a fondo le sue zampe nella nuca.
Lizzy pianse sapendo che questa volta non ce l’avrebbe fatta. Poi, però, si rese conto di tutto quello che lei e i suoi amici avevano affrontato finora. Erano saltati giù da una macchina del tempo distante a cento kilometri dal suolo, precipitati da una scogliera, attraversato un passaggio sotterraneo con fosse piene di rettili e aree soffocanti, fuggiti all’attacco delle nemiche, attraversato il mare a bordo di un tronco, entrati nel palazzo senza farsi scoprire, affrontato un esercito di copricapo armati di pistola. Perché in questo momento doveva arrendersi di fronte quell’insulsa situazione? Col coraggio che le pulsava in petto, si aggrappò alle sbarre con le gambe per non essere portata lontano. La sua attaccante le tirò i capelli facendola urlare, ma la ragazzina non mollò, anzi strinse più forte. E ora che era sospesa a mezz’aria, agguantò gli artigli che le stavano quasi forando il capo e li strattonò via. In questo modo provocò un forte giramento alla testa che si era ormai abituata all’attaccamento di quegli affari. Ora che era libera, non lasciò andare le zampe. In questo modo la bombetta non aveva altro da fare che dimenarsi, ma ecco che spuntò dal suo interno una lama affilata che stava per trafiggere la piccola.
Era questo che stava aspettando.
Prima che la nemica infilzò la sua gola, le mollò un pugno nell’occhio. Le nocche ora erano rosse e un po’ livide ma la buona notizia, era che la bombetta ora giaceva a terra, esanime.
La bambina si asciugò il sudore dalla fronte e staccò l’arma ancora penzolante dalla testa del cappello. La strofinò sulle sbarre e finalmente riuscì a romperle. Ora in mano teneva una delle armi che si era inventata in precedenza. Grazie a quella, Lewis avrebbe potuto sconfiggere l’avversaria. Senza perdere tempo tornò nella sala delle vasche e da lì si precipitò su per il passaggio segreto e poi direttamente alla torre.
I Robinsons erano tutti lì. Gli occhi ancora puntati sui due duellanti. La ragazzina corse al parapetto per osservare meglio la situazione. Il suo amico stava tenendo le mani dell’avversario, premute sul cappello. Lui si muoveva come una mosca in una ragnatela, cercando un modo per afferrare il ragazzo e scaraventarlo fra gli scogli una volta per tutte.
Non erano molto in alto e non sarebbe bastato un urlo per richiamare l’attenzione. Lizzy non aveva che una cosa da fare. Scavalcò il davanzale e iniziò a scivolare giù per le tegole. Wilbur e altri accorsero a vedere cos’avesse in mente. Per fortuna la caduta durò fin, quando le sue scarpe non toccarono la piccionaia colma di rametti e piume. Ora era abbastanza vicina alla lotta. L’arma stretta in pugno. Inspirò profondamente quanta aria poté e la usò per gridare il nome di Lewis: “PRENDI QUESTA!” e pregando con tutto il cuore di non mirare troppo in basso o troppo in alto, lanciò la sbarra verso l’amico. Questo riuscì ad intravederla prima che Cornelio gli arcuasse gli occhiali che si divisero in due. Cercando di tenersi le lenti ancora premute sulle pupille, Lewis usò le ultime forze rimaste per usare le spalle dell’uomo come una propulsione per raggiungere l’oggetto che l’amica gli aveva lanciato. La sua bocca riuscì a addentare la dura base di ferro, mentre si reggeva al corpo di Cornelio con le mani. E finalmente, dopo averla abbrancata come si deve, si accertò di tenerla abbastanza rialzata e la riabbassò sulla bombetta, colpendola nell’occhio. Ebbe il tempo di dire: “Salutami la tua fondatrice”.
L’occhio del copricapo malefico si ruppe e poi si spense. Il signor Robinsons smise di divincolarsi e restò immobile per qualche minuto. Le eliche che spuntavano dall’interno del suo copricapo, smisero di girare. I due precipitarono, ma solo uno di loro urlò.
Il ragazzo strinse forte la mano del sé da grande, aspettando un salvataggio, che arrivò subito! Sentì una mano piccola, calda e un po’ sudata, agguantare la sua. Era quella della sua amica, che dopo essere stata afferrata dalle braccia allungabili di Carl il robot che la sosteneva dall’alto, si era slanciata verso di lui, ghermendolo. Era stata un’idea di Wilbur, nel caso le conseguenze del piano della ragazzina, fossero state arrischiate.
“Stai … bene?” chiese Lizzy piangendo, mentre lentamente, il polipo domestico tirava su tutti quanti.
“S-s-sì ” ansimò Lewis sudato, “grazie Lizzy. Senza di te non so dove sarei. Ti devo la vita”

 

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Capitolo 19
*** Addii ***


Poco dopo ci fu una lunga serie d’abbracci. Cornelio, dopo essersi ripreso e aver sentito per filo e per segno tutta la storia raccontata in breve, non poté fare a meno di gioire e stringere i familiari.
Poi Lewis aveva avuto la brillante idea di eliminare le altre bombette rimaste, in un modo molto astuto. Il sé del futuro, doveva rimettersi la prima bombetta, ormai morta, sulla testa, e fingere d’essere ancora sotto il suo controllo, in modo da ordinare alle altre di raggiungere la stanza ancora in fiamme dove aveva avuto sede il primo duello, così sarebbero finite bruciate insieme alle altre.
E, mentre i grandi eseguivano alla perfezione questo piano, i tre ragazzini rimasero sul terrazzo con Orlandino che li sorvegliava.
Dopo una breve chiacchierata con l’amico, Wilbur sapeva cosa doveva fare. Tossicchiò e si avvicinò alla bambina, incuriosita.
“Allora” iniziò un po’ in imbarazzo “noi” Lewis gli diede una pacca sulla spalla “io” si corresse imbronciato “volevo … ehm … ringraziarti … per tutto ciò che hai fatto” Lizzy spalancò gli occhi, sorpresa e fu lì che l’amico buttò tutto ciò che voleva dirle prima di venire catturato “siamo stati molto fortunati ad incontrarti, perché senza di te non ce la saremo cavata in molti modi. Tre è meglio di due, dice il proverbio. E io e Lewis da soli, naturalmente, non ce la saremmo cavata per nulla al mondo. Se non fosse stato per il tuo intervento, io sarei ancora una marionetta umana e Lewis sarebbe pappa per pescecani. So di essere stato parecchio duro con te, durante il viaggio, il fatto è che non sono abituato ad avere fra i piedi una ragazzina tutta fiori e arcobaleni che pensa solo a divertirsi. Inoltre ero preoccupato per la mia famiglia, ma ora che siamo tutti salvi, chiedo venia e ti ringrazio ancora per tutto ciò che hai fatto. Sei stata fantastica” infine trasse un profondo respiro e cadde a terra. Strano ma vero, aveva fatto quel discorso tutto d’un fiato. Si rialzò e attese la risposta dell’amica.
Lei sorrise, un tantino arrossita da tutti quei complimenti. Infine si decise a parlare: “Ho fatto solo quello che voi avete fatto con me: salvato la vita” non resistette alla tentazione e li stritolò entrambi in un abbraccio. Loro non poterono fare a meno che scambiarsi uno sguardo rassegnato e ricambiare. Restarono a chiacchierare, commentando le loro gesta, finché il resto dei Robinsons non li raggiunse mezz’ora dopo, annunciando che dovevano abbandonare la fortezza al più presto se non volevano saltare in aria. In fretta raggiunsero il portone proprio, mentre un fuoco un po’ azzurrognolo avvolgeva ogni cosa. Il dinosauro li fece salire sulla testa e sulla parte schienale del corpo, poi iniziò a addentrarsi nella foresta, lontano dal castello di Tiaré Conner, che ora era solo un mucchio di rovine e la tomba eterna delle bombette malvagie.
“Beh” pensò Lizzy, mentre la visuale dell’esplosione diventava sempre più lontana “immagino che ora dovrò tornare a casa” non era triste, anzi, vedendo come Cornelio stringeva il figlio, non poteva fare a meno di esultare perché avrebbe presto rivisto suo padre.
 
Tutto il resto di quel giorno, fu passato in estrema tranquillità. I Robinsons poterono tornare alla loro vita di sempre, svolgendo ognuno il suo passatempo preferito. Cornelio, non solo, progettò di costruire una nuova seconda macchina del tempo, ma mise da parte il disegno di un’invenzione uscitali dalla sua mente geniale, che prevedeva la difesa immediata alla testa, nel caso, molto improbabilmente, le bombette sarebbero tornate. Nel frattempo, Wilbur avrebbe usato la seconda copia della macchina temporale per riportare Lewis e Lizzy a casa nel loro tempo.
Dopo che questi furono medicati da Lucilla sulle ferite rievocate dalla battaglia, era tutto pronto per la partenza.
La ragazzina era stata salutata da tutti con grande affetto e riconoscenza. Franny non aveva intenzione di lasciarla andare dal suo abbraccio, ma dopo un po’ si era decisa a farla salire sul veicolo.
“Grazie di tutto, Lizzy” disse Cornelio stringendole la mano e accarezzandole i capelli “senza di te, non ce l’avremmo mai fatta”
”E’ stato un onore” arrossì la piccola notando solo in quel momento che il Lewis da grande nascondeva un certo fascino “anche se è impossibile” disse infine “voglio dirvi arrivederci” tutti la guardarono sorridendo “quindi, arrivederci”
“Arrivederci” fu la risposta.
“E arrivederci anche a te, Lewis” disse Franny accarezzando il piccolo marito “e grazie per averci salvato … di nuovo”
Lui divenne paonazzo ancora incredulo, che quella fantastica donna diventerà la sua consorte: “Non c’è di che!” e dopo aver dato un ultimo saluto alla sua futura famiglia, salì sulla macchina del tempo e agitò la mano, finché questa non scomparve fra le nuvole.
In meno di qualche minuto, si ritrovarono nel 1820.
 
La macchina color menta, atterrò sulla collina dove la sua coetanea era atterrata la prima volta. A Lizzy venne da piangere alla vista della sua amata casa sulla collina. Le veniva voglia di scendere immediatamente e correre lungo il sentiero che la separava di pochi metri alla sua stanza, con le sue bambole, i suoi libri e la sua felicità. Ciononostante non si mosse.
“Beh” disse Wilbur aprendo il tettuccio della nave spaziale “ci siamo” si rivolse alla ragazzina “è giunto il momento che tu torna alla tua vita”
“Ecco … io …” balbettò la ragazzina guardando i suoi amici. N’avevano passate d’avventure da quando si erano incontrati. Erano riusciti ad affrontare mille pericoli e a vincerli. Questo era l’ultimo da battere.
“Grazie di tutto” iniziò socchiudendo gli occhi “è stata un’esperienza che ricorderò per sempre. La racconterò ai miei figli, non come un fatto accaduto, ma come una fiaba, che verrà trasmessa di generazione in generazione, almeno spero” alzò le palpebre. Erano colme di lacrime “è stato bello … vedere il futuro” singhiozzò “non avrei mai immaginato di poterlo fare e … quando andrò a letto, stasera, sono sicura che mi sarà parso tutto un sogno. È così strano tornare alla normalità, dopo tutto quello che è successo” continuò a gemere in silenzio e coprendosi la faccia.
Gli amici si scambiarono un’occhiata immalinconita e avvicinandosi alla bambina, cercarono di rasserenarla, abbracciandola. Erano certi che se non fossero nati dei maschi coraggiosi, tosti e  poco consueti, si sarebbero messi a piangere pure loro. Ma visto che lo erano, si basarono a tenere il broncio, finché Lizzy si preparò ad abbandonarli. Prima però baciò sulla guancia tutti e due, che assunsero un colorito imbarazzante “Grazie di tutto ragazzi. Non vi dimenticherò”
Si sporse dalla macchina del tempo e scavalcando, atterrò sull’erba fresca dell’aurora. Si asciugò le lacrime e guardò un’ultima volta i due ragazzi con gli occhi rosso fuoco.
“Dai, non fare così” disse il tredicenne, che a differenza dell’amico aveva messo subito da parte l’imbarazzo “ora che sai quanto è bello avere degli amici, te ne farai a scuola”
“Oh, naturalmente” sorrise lei “e anche questo lo devo a voi” iniziò ad indietreggiare, ma prima d’imboccare la discesa che l’avrebbe condotta a casa, dedicò ai due un piccolo commento “Wilbur, nonostante tutti i rimproveri che mi hai fatto durante il viaggio … beh, li ho considerati come delle sgridate da fratello maggiore. So che sotto, sotto, non ce l’avevi con me ed eri solo preoccupato per la tua famiglia. Ma … voglio dirti grazie. Se non era per te, non avrei vissuto niente di tutto questo”
“Oh, beh, modestamente” commentò il ragazzo “sono stato io a precipitare e a prendermi una bella botta, nel tuo tempo” s’indicò la fronte che gli era stata bendata dalla madre, qualche ora prima.
“E in quanto a te Lewis” terminò la bambina “non potrò mai dirti grazie mille volte, per … tutto! Grazie di aver convinto Wilbur a portarmi con voi, grazie di avermi difeso dai suoi rimproveri, grazie per aver creduto in me e non essere stato sempre troppo rigido, malgrado i miei pasticci, grazie di esserti preoccupato per me e di averne passate tante a costo di difendermi, grazie di aver mentito per tenermi al sicuro. Grazie … d’essere mio amico” il biondo si sporse, come se avesse le intenzioni di raggiungerla e abbracciarla ancora.
“Grazie a te, d’essere la mia” ricambiò sorridendo.
“Grazie anche a te, per essere mio amico” disse lei rivolgendosi all’altro.
“Sono felice di avere un’amica come te” rispose guardando in alto.
Lizzy sorrise ancora e sentì le lacrime tornare indietro. Ora la sua felicità era quasi completa: “Addio amici”
“No” la corressero loro “arrivederci”
“Già” ricordò lei “arrivederci” e voltandosi iniziò a correre verso casa.
“Lo sai” disse Wilbur guardandola allontanarsi “dopotutto … non è così male come credevo”
“Ei” ghignò l’amico inarcando le sopracciglia.
“D’accordo” si arrese l’altro “è molto, speciale. Almeno, ora non precipiteremo più da una scogliera” cercò di cambiare argomento.
“Falla finita” disse Lewis “so che ti mancherà”
Il futuro figlio mise il broncio, stufo di dargli sempre ragione: “Sarà meglio che ora anche tu faccia ritorno alla base” e rimettendosi al posto di guida, iniziò a digitare i pulsanti per impostare il tempo dov’erano diretti.
Intanto la bambina, si era fermata a pochi metri dalla strada che la dimezzava dalla porticina di legno che dava accesso al suo giardino.
Aveva sentito uno strano rumore, familiare. Guardò a destra, assicurandosi di non aver sbagliato. Il cuore le batteva a mille.
Una macchina senza tetto, con le ruote enormi e il motore a catena, stava risalendo la discesa che portava alla strada per Londra. A guidarla era un uomo. Capelli stirati all’indietro, farfallino marrone come la giacca che gli copriva la camicia, pantaloni castani e scarpe nere.
Parcheggiò a metà strada dalla villa e quando scese, la ragazzina non ebbe più dubbi. Suo padre era tornato a casa: “PAPA’” gridò correndogli incontro. Durante i tanti rischi di non rivederlo mai più, ritrovarselo davanti le sembrava un miracolo.
L’uomo la guardò e sorrise: “Lizzy, che bello rivederti” si chinò per accogliere la figlia tra le braccia, che, fin troppo emozionate, lo spinse nell’erba. Delle gocce le rigavano la faccia.
“Mi sei mancato tantissimo” frignò strangolandolo.
“Ei, che ti succede?” domandò suo padre lisciandole la testa. Era partito per lavoro tante altre volte, ma solo quel giorno la piccola aveva dimostrato quanta nostalgia provasse in sua assenza. La prese in braccio: “Non piangere” le asciugò le lacrime “sono qui”
“Ti voglio tanto bene” lo riabbracciò lei, portando la guancia sulla sua spalla, bagnandogliela.
Il dispiacere che il papà provava in quel momento, gli fece dimenticare la gioia di quando, in consiglio, era stato selezionato per svolgere una conferenza a Manchester. Ora desiderava solo e soltanto restare con la sua bambina e ripagare il tempo in cui l’aveva lasciata da sola. Avrebbe scritto una lettera ai ministri, dicendo loro che si sarebbe preso una meritata pausa, magari per un mese o due. Non potevano licenziarlo. Era stato il loro miglior ricercatore di specie da mostre permanenti per anni.
“Resterò” annunciò alla figlia, ricambiando affettuosamente l’abbraccio “passeremo delle settimane bellissime prima della mia prossima partenza. Te lo prometto” a lei non interessava quanto tempo sarebbe rimasto, prima di ricominciare a lavorare. Le bastava trovarselo legato in quel momento.
Mentre teneva la faccia premuta contro la schiena dell’uomo, alzò gli occhi verso la collina doveva aveva lasciato i suoi amici. La macchina del tempo si stava sollevando dal suolo, per poi planare verso il cielo. Ad un tratto si fermò. Lizzy riuscì a scorgere due teste che si affacciavano attraverso il vetro della cupola e la salutavano. Sorrise ad anche lei sventolò la mano nella loro direzione. Poi tornò ad abbracciare il padre.
Dalla porta di casa, uscì una signora paffuta, con gli occhi assonnati e la vestaglia stropicciata: “Ma cos’è tutto questo fracasso?” esclamò guardandosi in giro. Quando vide, il signor Griffin, che stringeva la figlia in un abbraccio commovente, non poté fare a meno di dire: “Oh, ma che carini” ma lo disse solo a metà, perché i suoi occhi videro un qualcosa di grosso, sollevarsi alle spalle dei due. Aveva grosse ali e del fuoco che usciva dal retro e volando a velocità impressionante, si librò nel cielo, finché non fu avvolto da una sfera multicolore e svanì.
“D … d … DRAGOOOO!” strillò la donna, prima di svenire sullo zerbino.
Lizzy e il papà, accorsero a vedere le sue condizioni.
“Signora Perkins!” esclamò lui “Si … si sente bene?”  
“Un drago …” si lamentò la donna indicando il cielo “un grosso … drago volante” imitò le ali con le mani.
Alla ragazzina, scappò un sorriso. Aveva capito tutto.
“No, si sbaglia. Non ci sono draghi” sorrise aiutandola a rialzarsi.
“Venga dentro” le propose il signor Griffin “le preparo un tè bollente”
“Oh, sì! Quello alla pianta peperita. Mi farebbe proprio bene” ondeggiò la signora Perkins, toccandosi la fronte.
La bambina rise ancora e prima di entrare e chiudere la porta, rivolse uno sguardo al cielo. Non s’intravedeva più nulla del ‘drago’. Quindi ora poteva del tutto biasimare che era stato tutto frutto della sua fantasia. Ma, toccandosi il braccio, avvertì che non solo il vestito si era fatto più largo ed era sporco e un po’ insanguinato, ma aveva alcuni cerotti e fasce su varie parti delle braccia e delle gambe, mentre sul viso era ancora presente la freschezza della crema che Franny le aveva spalmato per medicare i tanti graffi. Ora era sicura, che era reale fin dall’inizio.
“Grazie” disse per l’ennesima volta “ragazzi”
Il padre la richiamò nella cucina, per tenere sotto controllo la tata, mentre lui riempiva il pentolino d’acqua.
Lizzy chiuse la porta. Ora poteva dichiararsi felice al cento per cento.

 

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Capitolo 20
*** I regali ***


“E’ stata una bell’avventura, anche questa” commentò Lewis saltando giù dalla macchina del tempo “ci rivedremo nella prossima” si accorse che l’amico non lo stava ascoltando “ei!” batté le mani “Ci senti?”
“Cosa oh … sì” si risvegliò lui “alla prossima”
“A cosa pensavi?” domandò il biondo.
“Nulla” mentì l’altro.
“Non mentirmi. Conosco quello sguardo” inarcò le sopracciglia “allora?”
Wilbur lo guardò e sbuffando si decise a parlare: “Non sarà più lo stesso senza di lei, che ne combina di tutti i colori”
“Oh, allora lo ammetti che ti manca”
“Sì … mi manca … perché è mia amica”
“Non avresti mai detto queste parole se lei fosse qui”
“Perché, tu sì?”
“No … in effetti, non è semplice”
“Abbiamo cercato di far sembrare l’addio, un arrivederci, ma com’è possibile se non è vero?”
“Rilassati, magari ti sbagli e la rivedremo eccome! Dopotutto la tua famiglia possiede le macchine del tempo”
“Dubito fortemente che questo accadrà”
“Intanto, noi diamoci un arrivederci. Perché questo non è affatto impossibile” tese la mano verso il migliore amico.
“Giusto. Arrivederci Lewis” e batté il cinque “ci rivedremo, quando avrò voglia di sfogarmi con qualcuno per la mancanza che provo”
“Allora, sarà tutti i giorni”
“Spiritoso” s’irrigidì Wilbur mettendo in moto la macchina.
Lewis rise e agitò la mano: “Fai il bravo”
“Anche tu” ricambiò il sorriso l’amico, coprendo la voce con la cupola. Si salutarono malinconicamente e poco dopo, il biondo s’incamminò verso casa. Non si preoccupava del fatto che i suoi genitori adottivi, disperati per la sua scomparsa, stessero facendo ricorso alla polizia. Infatti, quando rientrò, tutto era come aveva pensato. Lucilla e Bad erano nel laboratorio a progettare nuovi prodotti chimici da mettere all’asta del venerdì sera.
“Sono tornato” disse loro, facendo irruzione nella sala.
“Già di ritorno?” chiese Lucilla alzando gli occhi da un’ampolla contenente un liquido verdastro “I tuoi due passi, sono stati davvero due”
“Dovresti uscire più spesso” consigliò Bud “non sai tutte le avventure che potresti vivere, fuori da queste mura”
“Credimi, le so eccome!” sorrise il ragazzino stiracchiandosi “ma ora, credo che tutto ciò che mi serve, siano un bagno, una bella colazione e tanto, tanto, tanto studio!” e sparì in corridoio.
“Che bravo ragazzo” commentò la donna, togliendosi la maschera antiesplosione “se continua di questo passo, potrà anche arrivare a vincere il premio nobel”
“Tu dici?” chiese suo marito, che aveva un’altra teoria “Io avevo pensato al nuovo fondatore del mondo”
“No” scosse la testa la moglie “è meglio la mia”
 
Quella sera, Wilbur si ritrovò nella sua stanza. La punizione, gli avevano annunciato i genitori, era finita e ora si stava riposando giocando a Killer Shakespeare, uno dei tanti giochi virtuali che il padre aveva inventato. Consisteva nell’uccidere i tanti poeti inglesi, che avevano invaso l’universo, riempiendolo di tragedie. Superato qualche livello, si ferma.
Sdraiandosi sul letto rivolge uno sguardo al cielo dal sole cocente. Non poteva mentire a se stesso. Lizzy le mancava davvero molto. Era stata quasi come una sorella: rimproverarla, proteggerla, rinunciarci per il suo bene. Le bastava sapere che ora era felice al sicuro e si tranquillizzava. Magari stava esagerando. Magari l’avrebbe rivista ancor prima di quanto pensasse. E avrebbe sopportato qualunque sua marachella. Era piccola e non bisogna essere rigidi con i più piccoli. Piano, piano, imparano da soli le cose giuste e le cose sbagliate. Questo era successo alla ragazzina, che con le sole forze, aveva salvato lui e gli altri, rischiando grosso. Se avesse avuto la sua età, poteva anche provare qualcosa al di fuori di un’amicizia. Tolse subito il pensiero dalla testa. Se c’era una ragazza che gli piaceva era Violet Incredibile. Una sua compagna di scuola, che faceva parte di una Normale Famiglia di Supereroi.
Mentre era assorto in questi pensieri, la porta si aprì. Suo padre si avvicinò. Teneva le mani dietro la schiena: “Ti ho portato delle cose”
Il ragazzino s’incuriosì: “Cosa?”
Cornelio tirò da dietro la spina dorsale, un libro e una ventosa. Prima gli porse il libro e quando lui se lo ritrovò tra le mani sussultò.
Il titolo era: ALLA RICERCA DELLE FATE.
E l’autore si era firmato come: ELIZABETH GRIFFIN.
Anno d’uscita: 1855.
I commenti dei critici sul retro dicevano: Anche se risale ad un secolo fa, la Griffin ha reso questo romanzo una storia senza tempo.
La copertina raffigurava tre ragazzi in sella ad un drago.
Lo aprì alla prima pagina. La dedica era firmata: Ai miei migliori amici.
Sfogliandolo, scoprì che i protagonisti si chiamavano Bess, Mats e Josè, che un giorno, incaricati da una fata di liberare la sua colonia, tenuta prigioniera piante viventi, che con il loro profumo incantano le persone. Durante questo viaggio, a bordo del loro drago Lasso, i tre incontrano molti pericoli. Lasso rimane ucciso durante una battaglia con le piante e finiscono in mare, dove però trovano rifugio in una grotta in mezzo agli scogli. Dentro questa grotta è presente un passaggio segreto sotterraneo che li porterà dritti nel castello dove sono diretti. Ma ad un passo dal compiere la loro missione, Mats viene catturato dalle piante. Toccherà a Bess e Josè salvare lui e tutta la colonia delle fate. Sfortunatamente, dopo esseri avventurati nella fortezza, attraverso un tunnel subacqueo, anche Josè viene catturato. Egli, per proteggere la sorellina, era dovuto ricorrere alla strategia di sgridarla, in modo da lasciarla a piangere. In questo modo sarebbe rimasta nascosta. Ma la bambina, preoccupata per le sorti dei due fratelli, decide di affrontare da sola le piante e dopo rocamboleschi eventi, i tre n’escono vincitori e vengono premiati dalla fata che li aveva incaricati, riportando in vita i loro genitori, persi tempo fa in un incidente.
Il libro terminava con questa frase: Bess rivolse uno sguardo alle amiche fate, che ora volavano libere fra i prati del loro regno. Erano le sue migliori amiche e niente e nessuno poteva dividere quell’amicizia.  Si asciugò una lacrima, sapendo che quello non era un addio. Ma un arrivederci. E con questo, concludo la storia, che, anche se nessuno mi crederebbe, posso assicurare di aver vissuto da piccola.
Wilbur guardò il padre: “Lizzy … ha …”
“Sì” annuì Cornelio “è lei. E ha riportato in questo racconto in questo racconto, ciò che tu e Lewis le avete fatto vivere. Guarda” gli mostrò l’ultima pagina, che ritraeva una foto dell’autrice.
Una donna bellissima, dai lunghi capelli smossi, un vestito pieno di pizzi e un neonato fra le braccia. Anche se in bianco e nero, si poteva intravedere quel colore gioioso che colorava gli occhi di Lizzy.
Il ragazzino sospirò: “Aveva detto, che era intenzionata a scriverlo”
“Beh, c’è riuscita” disse Cornelio “ed è stato un successo mondiale. Di generazione in generazione. Ancora oggi va a ruba. Poi se vuoi, vediamo il film” al figlio gli s’illuminarono gli occhi.
“C’è il film?”
“Ne hanno fatti più di dieci” spiegò il padre “Uno più moderno dell’altro. E anche cartoni e fumetti. Ogni casa cinematografica, leggendolo, ha l’immaginazione che aumenta e la porta a creare nuovi film, tutti vincitori d’Oscar e Golden Globe”
“Incredibile” disse Wilbur “se solo Lizzy sapesse quanto successo ha avuto. Ai suoi tempi non potrà vedere i film”
“E’ giunto il momento che ti dia un’altra cosa, figliolo” disse Cornelio senza preoccuparsi della sua mestizia. E gli porse la ventosa.
“Carina” commentò lui girandosela fra le dita “è un nuovo … stura lavandini?” chiese poco entusiasta.
L’uomo si mise a ridere e negò. Dopodichè iniziò una spiegazione: “E’ la mia ultima, grande, invenzione. L’ampollosa ripristinatrice. Avevo iniziato a crearla qualche mese fa, ma l’avevo messa da parte per concentrarmi su altre idee. Ora invece è decisamente terminata”
“Come funziona?” chiese il figlio.
“Semplice” la riprese “si torna in qualsiasi epoca, passata o futura e si fa quel che si vuole, quanto si vuole. Poi, prima di ritornare nella propria era, bisogna ricordarsi di pigiare l’ampollosa al suolo. Essa, percepisce tutte le cose che potrebbero disastrare il futuro con il nostro arrivo e le sistema. Detto più chiaramente, per esempio, immagina di tornare nel passato, età medievale XII secolo. Tutti ti guarderebbero confusi, chiedendosi come mai vesti in modo diverso da loro. In questo modo, il futuro potrebbe alterarsi e non essere com’è ora. Beh, l’ampollosa, se il problema è una persona sconosciuta che ti ha visto, le cancella la memoria, se è un fatto fin troppo importante per il futuro, che viene modificato, lo ristabilisce. Mi sono spiegato?” il ragazzo lo guardava sbalordito, come se avesse capito al volo il punto dove voleva arrivare.
“E … perché me lo stai dando?”
Cornelio sorrise e glielo ridiede: “Usa la mente”
“Stai dicendo che …?”
“Sì”
“Io potrò …?”
“Esatto”
“Oh, per tutti i caschi virtuali!” scattò Wilbur saltando al collo del padre.
“Grazie, grazie, grazie, mille volte grazie” e dopo essergli rimasto attaccato per qualche minuto, si precipitò in corridoio, diretto al garage.
Montò dentro la macchina del tempo. Il libro e l’ampollosa ancora stretti in pugno. Quando si ritrovò a sorvolare il cielo, che lo trasportava nel 1820, s’immaginò la faccia di Lewis e Lizzy, quando avrebbero scoperto che ora potevano vedersi anche tutti i giorni.
                                                    FINE

Nota dell’autrice: Beh, ragazzi, è stato bello scrivere una fanfic sul mio classico Disney preferito. Forse alcuni di voi hanno trovato strano il fatto di aver creato una Crossover con Trilli e il Grande Salvataggio. Ma sapete, quando mi arriva l’ispirazione per scrivere nuovi racconti, nessuno me la toglie. Un bacio a tutti i lettori che mi seguono!
Vi voglio bene ;) ;) ;)

 

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