Uncover di GottaBeLou (/viewuser.php?uid=172740)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Be here. ***
Capitolo 3: *** Please remember. ***
Capitolo 4: *** With you. ***
Capitolo 5: *** Guilty. ***
Capitolo 6: *** Revelations. ***
Capitolo 7: *** Face to face. ***
Capitolo 8: *** Questions. ***
Capitolo 9: *** One last time. ***
Capitolo 10: *** Plan B. ***
Capitolo 11: *** Once again. ***
Capitolo 12: *** Maybe not. ***
Capitolo 13: *** Siblings. ***
Capitolo 14: *** Runaway. ***
Capitolo 15: *** Choices. ***
Capitolo 1 *** Prologo. ***
prologo
L’ambulanza si
faceva largo a sirene spiegate tra la coda di macchine che si era
formata lungo la statale, la via più breve per arrivare all’ospedale.
La situazione si stava rivelando più tragica del previsto, l’urto aveva
sicuramente causato la frattura di almeno due costole e c'era la
possibilità di un trauma cranico. Non c’era alcuna sicurezza di
arrivare al pronto soccorso prima che fosse troppo tardi e purtroppo
tutti gli elicotteri dell’ospedale di Tokyo erano stati chiamati in una
zona poco a ovest della città, dove un grosso edificio era andato a
fuoco, causando una strage.
Sul viso di Ran
era posta una mascherina per l’ossigeno e i vestiti strappati in
diverse zone lasciavano entravedere graffi ed ematomi. Kogoro non
faceva altro che urlare al conducente di andare più in fretta, invano.
La vita di sua figlia era appesa a un filo e rimproverava se stesso per
averla lasciata andare a quello stupido incontro con quel detective da
quattro soldi.
Mentre il padre
della ragazza sbraitava, il piccolo Conan non emetteva un suono,
sembrava quasi non respirasse. Sentiva un enorme peso sul cuore
guardando il viso di colei che amava di più al mondo. I
paramedici
avevano chiesto più volte al bambino di rimanere sul posto ma
lui non
aveva ceduto. Era solo colpa sua se Ran si trovava in quella
situazione, colpa sua e di nessun altro, la sua vita era come appesa ad
un filo e se le fosse successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato.
Aveva i pugni tanto chiusi che le nocche
erano ormai bianche per la mancanza di sangue. Più volte durante gli
ultimi venti minuti aveva cercato di ricacciare indietro le lacrime che
sembravano sempre sul punto di fare capolino dai suoi occhi blu.
Quello che più
lo faceva stare male era la consapevolezza di aver avuto la possibilità
di evitare ciò che era successo.
La coda
sembrava pian piano dissolversi grazie alle sirene dell’ambulanza.
Erano quasi arrivati all’ospedale quando Conan sentì poche parole
provenire dalle labbra di Ran e alzò di scatto gli occhi su di lei. La voce era flebile
ma era assolutamente certo di averla sentita parlare. Forse si stava
riprendendo, c’era ancora una speranza, tutto si sarebbe sistemato.
Tieni duro Ran, andrà bene. Te lo
prometto.
Prese una delle
mani della ragazza e la strinse tra le sue, tempo prima aveva promesso di
proteggerla a qualunque costo ma, inspiegabilmente, era sempre lei che
finiva per proteggere lui.
Due giorni prima.
“Di che hai bisogno Kudo? Ti
avevo detto che in questi giorni sarei stato occupato, ho un esame
importante domani.” sbraitò Heiji dall’altro capo del filo.
“Come va con Kazuha?”
“Cosa?! Ti ho appena detto che devo
studiare e tu mi disturbi per una cosa del genere? E poi non sono
affari tuoi.”
“Ran mi ha raccontato quello che è
successo.”
“Non so di che parli.” mentiva, era
palese.
“Heiji..”
“E va bene, ma in mia difesa dico
che non è stata colpa mia, almeno non del tutto”
“Sei suo amico da anni, perché fare
una cosa del genere?”
“Non so cosa ti abbia detto Mouri
ma evidentemente ha frainteso la situazione..” cercò di difendersi lui.
“Io non credo, fossi in te le
parlerei”
“Fossi in te le parlerei? Ma ti
senti quando parli? Non sei nelle condizioni di dispensare consigli
d’amore, Kudo” continuò lui, seccato.
“Con questo cosa vorresti dire? Sai
benissimo com’è la situazione, non posso fare niente per ora” la vocina
infantile di Conan non riusciva a dare abbastanza enfasi a quelle
parole.
“Non è carino rifilare scuse su
scuse a quella povera ragazza, sono mesi che vai avanti così!” il tono
di voce del ragazzo si era alzato.
“Pensi che possa fare altrimenti?”
ringhiò l’altro.
“Potresti semplicemente chiudere
tutto, una volta per tutte”
“Vai al diavolo, Hattori!” urlò
contro l’interlocutore poco prima di riagganciare. Alle volte sapeva
veramente essere irritante, come poteva dirgli certe cose?
Appoggiò il cellulare sulla
scrivania e si alzò per aprire la finestra, aveva bisogno d’aria. Heiji
era il suo migliore amico, avevano collaborato insieme più volte per
risolvere casi complicati, erano simili sotto molti aspetti e sapevano
di potersi fidare ciecamente uno dell'altro. Amavano punzecchiarsi a
vicenda, rifilarsi insulti dalla mattina alla sera per poi dimenticare
tutto solo pochi secondi più tardi; ma forse quella volta sarebbe stato diverso, i
loro litigi non erano mai così, si limitavano a discussioni attinenti
il numero di casi che avevano risolto -che alla fine non era mai
quello reale-. Heiji evitava di provocarlo, non parlava mai di Ran a
sproposito, era a conoscenza di quanto fosse difficile per l'amico
vivere in quelle condizioni, tra bugie e sotterfugi.
Conan, in piedi davanti alla finestra, non faceva altro che ripensare
alle parole dette dal detective dell'Ovest, a cui inizialmente non aveva dato troppo peso,
insomma,
troncare i rapporti con Ran per sempre? No, era impossibile, lei faceva
parte della sua vita da troppo tempo, si conoscevano fin da quando
erano piccoli e, per quanto lui si sforzasse di ricordare, non si erano
mai lasciati per più di un paio di settimane, mai, o almeno
non fino a quel giorno, quel giorno maledetto al Tropical Land.
Ogni piccola certezza che aveva era
stata spazzata via e si era trovato costretto a cominciare una nuova
vita: per lo stato del Giappone lui neanche esisteva, non c'era nessun
Conan Edogawa segnato nei registri dell'anagrafe di Tokyo. Ogni giorno,
appena sveglio, sperava di vedere nello specchio il suo vero riflesso,
quello di un liceale diciassettenne, ma ancora non era successo.
Gli mancava la sua vecchia vita, non era così che doveva andare; certo,
come Conan poteva stare con Ran ogniqualvolta volesse, ma non era lo
stesso. Spesso si sorprendeva a pensare che sarebbe stato meglio se
quel farmaco avesse pienamente funzionato, se lo avesse ucciso. Almeno
non sarebbe stato costretto a vivere in quel corpo che non era altro se
non una prigione per lui.
Conan era completamente assorto nei suoi pensieri e nemmeno aveva
notato che la porta della camera si era aperta, lasciando il via libera
ad un curioso visitatore.
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Konbanwa!
Allora,
è la prima storia che pubblico in questa sezione, spero vi sia piaciuto
come inizio. Sono consapevole che tutto è piuttosto confuso, ma
prometto di chiarire ogni vostro dubbio nei prossimi capitoli,
scoprirete cosa ha fatto di tanto grave il nostro amico di Osaka alla
sua cara amica d'infanzia e l'identità dell'ospite di casa Mouri.
Assocerò
ad ogni capitolo alcuni versi di varie canzoni, ma suppongo di non
poter ritenere questa storia una song-fic.
Mi
farebbe piacere sapere le vostre opinioni su ciò che scrivo, accetto
qualsiasi tipo di critica, siamo in un paese libero, no? Quindi
sentitevi liberi di dire ciò che volete.
Non
so quando pubblicherò il prossimo capitolo, ma è già pronto quindi non
dovrete aspettare molto.
A
presto,
Gaia
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Capitolo 2 *** Be here. ***
capitolo 1
Premessa:
Come dicevo la scorsa volta, ogni capitolo sarà introdotto da
alcuni versi di una canzone, il mio consiglio è di usarla come
sottofondo mentre leggete (naturalmente potete anche non farlo, non
sono vostra madre e non do ordini a nessuno lol)
And this is when the feeling sinks in,
I don't wanna miss you like this,
Come back... be here, come back... be here.
I guess you're in New York today,
I don't wanna need you this way,
Come back... be here, come
back... be here.
-Taylor Swift, Come back.. be here
“È permesso?” chiese qualcuno. Conan
sobbalzò, non aspettava visite ma riconoscendo
l’ospite si schiarì la gola e lo invitò ad entrare,
con la speranza che non avesse sentito la telefonata di poco prima.
“Ciao Conan” sussurrò la vocina dolce della piccola Ayumi
“ho trovato la porta aperta così sono salita”
“Hey, come mai qui?” disse cercando di mettere da parte i
brutti pensieri che affollavano la sua testa.
“Oggi non c’eri a scuola così ho pensato di venire a
portarti i compiti” rispose lei con un sorriso.
“Oh, ehm.. ti ringrazio” balbettò lui afferrando il plico di
fogli che la bambina gli stava porgendo. Per essere una scuola elementare
facevano studiare parecchio.
“Allora, come mai non c’eri?”
“Sono andato a
fare una visita, il ginocchio ha ricominciato
a farmi male ultimamente” mentì lui, sforzandosi di essere
convincente. In effetti il dolore era tornato, ma era stato a casa per
un altro motivo. Aveva passato la mattinata a casa del professor Agasa,
dove Ai aveva fatto alcune analisi sul suo sangue, c'era qualcosa che
non andava nella formula dell'antidoto all'APTX4869, qualcosa che
ancora non era chiaro alla giovane scienziata. L'obiettivo era quello
di eliminare ogni traccia del veleno dal corpo di Shinichi, ma, senza
un promotore, sarebbe stato impossibile.
“Beh avevi preso una bella botta, speriamo si sistemi
presto!” disse la bambina sorridendo “con chi parlavi poco fa? Ti ho sentito
urlare e..”
“C-con nessuno, non ti preoccupare Ayumi”
“Va bene” lasciò
perdere, non troppo convinta.
Conan la invitò a sedersi e per i minuti seguenti la bambina
fu l’unica a parlare, presa a raccontare ciò che avevano
fatto a scuola quel
giorno. Lui si sorprese di quanto entusiasta fosse,
sembrava le piacesse da matti andare a scuola. Sotto questo aspetto le
ricordava Ran alla sua età, infatti lei diceva sempre che andare
a scuola non
le pesava per nulla, era felice di imparare. Anche a lui non
dispiaceva, anche se spesso le lezioni era infinitamente noiose e
finiva per addormentarsi sul banco, ma, nonostante questo, aveva la
media più alta tra i suoi compagni.
Riflettendoci, la piccola Yoshida aveva più di un punto in
comune con la sua
vecchia amica d’infanzia, sia fisicamente che caraterialmente.
Entrambe avevano i capelli scuri
e grandi occhi profondi, anche se di due tonalità di azzurro
completamente diverse, adoravano stare a contatto con le persone,
nonostante si
dimostrassero timide gli sconosciuti.
A quei pensieri Conan sorrise e propose di riaccompagnarla a casa,
aveva bisogno di
prendere una boccata d’aria e probabilmente dopo una passeggiata
gli si
sarebbero chiarite le idee. Continuava a ripensare alla sua reazione
alle
parole di Heiji, era sempre stato piuttosto impulsivo, ma non si
sarebbe mai
permesso di dire certe cose, soprattutto a quello che considerava il
suo
migliore amico. Eppure non aveva fatto altro che urlargli contro,
mentre
avrebbe dovuto confortarlo per la situazione in cui si trovava. Si
erano promessi di aiutarsi l'un altro ogniqualvolta ce ne fosse stato
il bisogno, ma ultimamente sembrava che ognuno stesse andando per la
sua strada.
Ayumi accettò l’invito di Conan, le piaceva passare del
tempo con lui, dal primo giorno in cui si erano visti le era sembrato
simpatico, affabile e più intelligente e sveglio degli altri bambini della sua
età. Inoltre lo trovava molto carino e quando le stava accanto il suo cuore
iniziava a battere più forte del normale. Aveva la sensazione di essere al
sicuro, vicino a lui.
Dopo aver lasciato un biglietto sulla porta di casa per far
sapere a Ran dove sarebbe andato nel caso fosse tornata prima di lui, i due
scesero le scale fino ad arrivare all’ingresso principale. Le strade del
quartiere di Beika era sempre piuttosto affollate e rumorose, ma ormai Conan si
era abituato.
Lungo il tragitto decisero di fermarsi in una gelateria e,
quando Conan, soprappensiero, fece cadere il suo cono sull’asfalto, Ayumi allungò la mano per offrirgli il suo.
“Shinichi sei il
solito pasticcione” disse Ran tra le risate. L’amico mise il muso, guardando il
cono spiaccicato a terra e la grossa macchia rosa sulla sua maglietta preferita. La
squadra di calcio di Shinichi si allenava tutti i martedì e i giovedì
pomeriggio e Ran frequentava le lezioni di karate negli stessi giorni, così
tornavano a casa insieme.
“Simpaticona!” urlò quindi l’amico di rimando, facendole una smorfia.
Ran estrasse un fazzolettino dalla tasca, si avvicinò all’amico per pulirgli
la maglietta e lui, con le guance in fiamme, glielo strappò di mano
urlando “Sono capace di farlo da solo, sai?”
“Cercavo solo di
essere gentile” gli rispose la bambina con una linguaccia, offrendosi poi di dividere il suo gelato con lui.
“Che? Così rimani tu
senza, posso farne a meno”
“Non importa” disse lei di rimando, con un sorrisone.
Shinichi rimase
piuttosto colpito dal suo comportamento, nonostante le avesse appena urlato
contro, lei non ci aveva pensato due volte e le aveva offerto il suo cono.
“Conan? Perché mi fissi in quel modo?” le parole della
piccola Ayumi lo riscossero dai suoi pensieri.
“Mh? Scusa ero sovrappensiero, mi è venuta in mente una cosa
successa tanto tempo fa” si scusò lui portandosi una mano al capo.
“Oh, beh.. dividiamo il gelato allora?” chiese lei con un
leggero rossore sulle guance.
“Sto bene così, grazie mille Ayumi, mangialo pure tu”
rispose sorridendo, come aveva fatto anni prima.
Camminarono uno accanto all’altra per un paio di altri
isolati, finchè non giunsero davanti al condominio dove viveva la bambina, si
salutarono e Conan si preparò per il viaggio del ritorno.
Poco dopo estrasse il cellulare dalla tasca e, senza pensarci due
volte, compose un numero e inoltrò la chiamata.
“Pronto?” chiese l’interlocutore.
“Scusami Heiji, non avrei dovuto dire quelle cose” sbottò.
Aveva avuto modo di riflettere durante quella camminata, nonostante Ayumi non
facesse altro che chiacchierare.
“Ma che ti prende? Ti stai rammollendo, Kudo?” quelle parole
lo fecero sorridere.
“Non credo proprio, Hattori” sentì l’amico ridere all’altro
capo del filo.
“Senti, non stata
colpa tua, ti capisco. Anche io ho sbagliato, ma sono stressato e..” la vocetta
di Conan lo interruppe prima che potesse dire altro.
“Davvero non volevo risultare offensivo, solo non..”
“Non darti la colpa, so bene perchè hai reagito così e ti capisco” disse il
detective di Osaka. Lo conosceva fin troppo bene, strano, dato che il loro
primo incontro non era avvenuto che alcuni mesi prima. Forse avevano davvero
qualche neurone in comune.
“Credimi, andrà tutto bene. E non parlo solo di me e Kazuha,
le ho parlato, abbiamo chiarito.” Era quasi sicuro che stesse sorridendo mentre
lo diceva.
“Ne sono felice” sussurrò, affrettandosi ad
aggiungere
qualche parolina, giusto per riportare il discorso sui soliti standard
e metter fine a quelle smancerie che non si addicevano nè a uno
nè all'altro “Te
l’avevo detto”
“Non ti montare troppo la testa, ora”
“È troppo tardi ormai” disse ridendo.
Si scambiarono ancora un paio di parole e poi Conan
riagganciò.
Trasse un respiro profondo, era contento che le cose si
fossero sistemate. Odiava ammetterlo, ma quel tizio del Kansai riusciva
a
capirlo perfettamente, ogni volta che aveva bisogno di lui, questo
c’era. Gli era dispiaciuto sapere ciò che aveva fatto un
paio di giorni prima.
Tornando da scuola, aveva sentito Ran parlare al telefono e poco dopo aveva scoperto che il suo interlocutore era Kazuha.
“Che succede, Ran-neechan?” aveva chiesto, vedendola uscire dalla sua stanza.
“Credo che Heiji si sia trovato una fidanzata” a quell'affermazione, Conan aveva strabuzzato gli occhi.
“Come fai a saperlo?”
“Kazuha-chan ha detto di averlo visto baciare una ragazza”
“M-ma ci dev'essere un'altra spiegazione..” Era sempre stato convinto
che Hattori fosse cotto della sua amica d'infanzia e oltretutto non gli
aveva parlato di nessun amore in vista, l'ultima volta che si erano
sentiti. Doveva esserci qualcosa sotto.
“Non lo so, ma quella poverina non smette di piangere” si era appuntato
mentalmente di chiedere spiegazioni ma alla fine le cose erano andate
un po' diversamente, l'importante era che quei due si fossero
riappacificati.
Il detective cercò di concentrarsi su ciò che stava per
fare e, dopo aver preparato un abbozzo di discorso nella sua testa,
compose un numero che ormai conosceva a memoria. Questa volta
però, fu costretto a
fermarsi e portare il modulatore di voce alle labbra. A noi due, ora.
“Shinichi?” chiese qualcuno dall’altro capo.
“Hey ciao, come stai?”
“Bene, credo, sono appena tornata dagli allenamenti. Tu,
invece?”
“Sono solo un po’ stanco” sussurrò con una risata amara “sto
lavorando su un caso piuttosto complicato”
“E di certo questa non è una novità”aveva le
idee chiare su ciò che le voleva dire, ma con quelle parole
aveva stravolto i suoi piani.
“Ran, non dire così..”
“Quand’è stata l’ultima volta che sei tornato a Tokyo?”
avrebbe voluto dirle che era lì proprio in quel momento, solo a qualche minuto
da lei, ma naturalmente non poteva. Non ancora. Gli serviva più tempo e non
poteva permettersi di mettere Ran in pericolo. Non se lo sarebbe mai perdonato.
“Tornerò presto” le parole gli uscirono dalla bocca quasi
senza che se accorgesse. Mentirle era una delle cose che lo facevano stare
più male e non sapeva come avrebbe reagito se avesse scoperto tutto.
“Quanto presto?”
“Ancora non lo so..”
“Cosa ne pensi della prossima settimana?” nella sua voce,
oltre alla rabbia, al disappunto e alla delusione, c'era ancora un
briciolo di speranza, che di lì a poco sarebbe sparito, forse
per sempre, questa volta.
“Ehm.. io n-non credo di riuscire” balbettò, preso alla sprovvista.
“Ci avrei giurato, sai?”
“Lo sai che è tutto così complicato, non posso lasciare
questo caso a metà”
“Ma puoi lasciare me da sola, no? È questo quello che vuoi
dire?” ultimamente le loro conversazioni si erano spostate su
quel versante,
per questo chiamava sempre meno. Dio solo sapeva quanto gli facesse
male sapere di essere la ragione di tutte le sue sofferenze. Strinse i
pugni e cercò di mantenere un tono di voce fermo.
“Ran non capisci”
“Certo, sono sempre io quella che non capisce. Ti ricordi
quando mi hai detto che dovrei essere più onesta con me stessa?*
Ecco, forse
anche tu dovresti farlo, guarda in quel tuo cuore di ghiaccio e cerca
il calore che aveva una volta, abbi il coraggio di dirmi perchè
non vuoi più vedermi, ho smesso di credere alla tua farsa da un
sacco di tempo. È questo che ti chiedo, di darmi delle risposte,
nient’altro. Ho bisogno di
capire perché..” Ran non riuscì a finire la frase
prima che le si rompesse la
voce. Shinichi, intrappolato in quel corpo da bambino, tolse gli
occhiali e
rivolse lo sguardo al cielo ormai tinto di arancio. Quelle parole
avevano trafitto il suo petto come milioni di spilli, il dolore che
provava era mille volte più forte di quello causato
dall'antidoto all'APTX4869.
“Ran, dammi solo un altro po’ di tempo. Non mi serve altro.
Poi avrai tutte le risposte che cerchi” disse tutto d’un fiato.
“Il punto è che io continuo a crederti, ma non ricevo mai
nulla in cambio.” fece una pausa.
“Ti prego Ran, ho bisogno della tua fiducia.. solo un'ultima volta” Ran
non rispose subito, soppesò ciò che l'amico detective le
aveva detto per un paio di minuti.
“E sia “ disse infine. A quelle parole il giovane tirò un sospiro
di sollievo e il suo cuore riprese a battere. Se l’era cavata
di nuovo, per l’ennesima volta. Eppure si sentiva come svuotato
dopo ciò che
aveva detto la sua amica. Non riusciva a capacitarsi di averle causato
tanta sofferenza, eppure lui le era vicino ogni singolo giorno e faceva
il possibile per rimediare ai casini combinati dal suo vero io.
Ran accennò a salutarlo, ma prima che lei potesse riattaccare,
lui sussurrò alcune parole “Ti sono più vicino di
quanto tu creda, lo sono
sempre.” E chiuse la chiamata, senza aspettare una replica da
parte dell’altra, non era nemmeno sicuro che l'avesse sentito.
Mise via il telefono ma, invece di tornare all’agenzia,
decise di fermarsi, non era sicuro di poter recitare al meglio la sua parte di
bambino delle elementari dopo quella chiacchierata con Ran. Aspettò che
il sole calasse dietro gli alti edifici, mentre il cielo si scuriva pian piano.
Alla fine si decide ad alzarsi, camminando svogliato verso quella
che da diversi mesi era diventata casa sua. Passò la porta d’ingresso che, come
sempre, era aperta, per poi salire le scale e far scattare la serratura della
seconda porta.
“Dove sei stato, Conan?” lo sorprese Ran. Sperava di poterla evitare, di non dover incrociare il suo sguardo.
“Ayumi mi ha portato i compiti di oggi e l’ho riaccompagnata
a casa” affermò sforzandosi di sorridere. Non riusciva a guardarla negli occhi.
“Però è tardi, non dovresti girare da solo a quest’ora”
disse Ran con fare apprensivo.
“Lo so, scusami” lei gli passò una mano tra i capelli,
sorridendo e lo invitò ad andare a lavarsi le mani, la cena sarebbe stata
pronta a minuti. Lui era un bravo attore, ma negli ultimi tempi anche la ragazza aveva imparato a recitare piuttosto bene.
***
“Shinichi
verrà al ballo?” chiese Sonoko la mattina
seguente a Ran, mentre andavano a scuola. Conan la guardò
confuso. Si era imposto di controllarsi e continuare la recita al meglio
“Ballo?” chiese.
“Beh” disse Ran prima che Sonoko potesse rifilargli qualche
battutina sul fatto che fosse troppo piccolo per sapere anche solo il
significato di quelle parole “la professoressa Jodie è
entrata nel consiglio
scolastico e ha pregato gli altri insegnanti di lasciarle organizzare
una
specie di ballo per chiudere il quadrimestre. Diceva di voler portare
un po’ di
America nella nostra scuola o qualcosa del genere, quando vuole
qualcosa, la ottiene” sentire Ran ridere lo fece rinvigorire.
“Oh.. e quando sarà questa festa?”
“Tra due giorni, in occasione dell’inizio delle vacanze
invernali”
“Ran non hai risposto alla mia domanda” disse infastidita
Sonoko, sentendosi ignorata.
“Non credo che Shinichi sappia della cosa e..” si bloccò.
“E cosa?”
“Abbiamo parlato ieri sera, credo sia piuttosto occupato”
disse Ran, quasi in un sussurro, visibilmente imbarazzata. L'altra non sembrò
nemmeno rendersene conto.
“Non ha nemmeno il venerdì sera libero? Tanto meglio, puoi
benissimo trovarti un altro cavaliere. Come si chiamava quello che ti ha
chiesto di uscire un paio di settimane fa?”
Conan strabuzzò gli occhi nel sentire quelle parole. Che
storia era quella? Ran non aveva accennato all’accaduto nemmeno una volta.
“Kohei, ma non mi sembra il caso di..”
“E chi sarebbe questo Kohei?!” Ran e Sonoko si voltarono
verso il bambino che aveva instintivamente portato le mani alla bocca
con l’espressione di qualcuno che aveva appena detto qualcosa di
troppo.
“E a te che importa?” chiese la seconda, perfida. “Non è che
sbavi dietro a Ran e sei geloso?”
“M-ma no.. è che mi preoccupo per lei..” buttò lì, paonazzo in viso.
“Ran te lo dico io” continuò Sonoko, rivolgendosi all’amica con lo sguardo subdolo
“questo qui è diventato il confidente personale di Kudo-kun, il tuo maritino ti tiene d’occhio
da lontano” Conan ormai aveva passato ogni colore, dal rosso vivo al bianco,
nel giro di pochi secondi. Non potè nemmeno replicare, perché Ran cominciò a
ridere.
“Che hai ora?” chiese l’amica. L’altra nemmeno le rispose,
presa com’era a sbellicarsi dalle risate.
Conan sorrise, cercando di non farsi notare, dopo ciò che si
erano detti la sera prima al telefono aveva paura di vederla triste per una
settimana. Andava sempre così e lui si sentiva orribile per ciò
che stava facendo, per tutte quelle bugie che aveva dovuto dirle, ma presto
sarebbe tutto finito, o almeno era ciò che sperava, non tanto per se stesso ma
per tutti quelli che gli stavano intorno, Ran in primis.
***
Per il resto della giornata Conan pensò e ripensò alla
faccenda del ballo e di quel Kohei: non l’aveva mai sentito nominare ed era più
che sicuro che in quella che un tempo era la sua classe non ci fosse nessuno con quel nome, forse lo
aveva incontrato agli allenamenti di karate. Chiunque fosse di certo non
sarebbe andato al ballo con Ran, solo lui poteva essere il suo cavaliere,
insomma, era sempre stato il suo migliore amico e non poteva negare di provare
sentimenti forti per lei. Non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura, ma le cose stavano così, che
lui lo volesse o meno. Quindi Kohei doveva farsi da parte.
Tornato da scuola si mise a leggere, ma, inspiegabilmente,
non riusciva a seguire il discorso del libro, non riusciva a concentrarsi, non
riusciva a pensare ad altro che a quello stupido ballo. Così si alzò dal divano
di scatto, facendo spaventare Ran, che stava guardando la tv. Prese il telefono
dal tavolo e corse in bagno, prima che la ragazza potesse fare una qualsiasi
domanda.
La mora sorrise e riportò lo sguardo sul televisore. Stavano
trasmettendo una telenovela che doveva probabilmente risalire a
quarant’anni
prima, una specie di rivisitazione di Romeo e Giulietta interpretata da
un paio
di ragazzini spagnoli che si chiamavano Pepa e Miguel, o qualcosa del
genere. Era un programma della tv via cavo, che Kogoro aveva fatto
installare alcuni mesi prima per poter seguire alcuni programmi di Yoko Okino che
altrimenti non avrebbe potuto vedere. Qualcosa di estremamente necessario, insomma.
Il cellulare appoggiato sul tavolino iniziò a vibrare e lei,
notando il nome apparso sul display, sorrise involontariamente.
“Cavoli, due chiamate in meno di ventiquattro ore? Fai
progressi” disse ridendo. Il suo tono era totalmente diverso da
quello della sera prima, notò il ragazzo, pieno di gioia.
“Posso attaccare subito, non mi fa differenza” rispose
lui scorbutico.
“Sei sempre il solito, ditemi, Vostra Maestà Re degli
Enigmi, posso sapere il perché di questa vostra telefonata?” recitò lei,
melodrammatica.
“Ah ah, molto divertente” fece una pausa “Ehm, un
uccellino mi ha mandato una mail dicendomi che dopodomani ci
sarà quella festa e..” un’altra pausa, questa volta
più lunga “non lo so,
pensavo di fare un giro in città. Hai in programma di andarci o
no?”
Ran, dal canto suo, era felice che lui non potesse vederla,
dato che il suo pallido viso si era acceso di rosso vivo tanto era imbarazzata.
Doveva essere stato Conan a dirglielo, non era la prima volta che lo faceva,
sembrava davvero che Shinichi gli avesse chiesto di tenerlo aggiornato su di
lei. Perché Conan doveva mettere il naso
dappertutto? Brutto bambino pestifero,
chissà cosa gli ha detto per convincerlo ad andarci.
Si obbligò a darsi un po’ di contegno, i secondi passavano e
l’altro era lì ad aspettare una risposta, impaziente. Avrebbe chiarito le cose
con il suo fratellino più tardi.
“Ma tu non eri occupato?” chiese, fingendo un tono seccato.
“Ho sistemato un paio di cose e ho alcune ore libere” buttò lì lui.
“Ieri non era dello stesso avviso però..” lui non rispose,
in effetti aveva ragione, solo la sera prima aveva declinato il suo invito.
“Ran, scusami ma devo proprio andare. “ lasciò cadere il discorso “Mettiamola così, io
sarò al nostro posto venerdì alle 20, sicuramente qualche
bellimbusto di avrà chiesto di accompagnarlo a quella stupida
festa, quindi se non ti vedrò arrivare saprò il
perchè”
La ragazza non poté nemmeno replicare che questo già
aveva
chiuso la chiamata, lasciandola con un palmo di naso. Come poteva
essere così imprevedibile ed esageratamente incoerente con
quello che diceva?
Lei sospirò e si lasciò scappare un sorriso. Non cambierà mai.
Non ci andrò con nessun bellimbusto a quella festa, brutto stupido avrebbe voluto dirgli, ci volevo andare con te, ma suppongo che vederti di nuovo possa bastarmi. Era
certa che quel sorriso che aveva stampato in faccia non se ne sarebbe
andato facilmente. Come può una persona essere causa di
sofferenza e assoluta felicità allo stesso tempo?
Quando Conan tornò in salotto tutti i suoi propositi di
fargli una bella ramanzina svanirono, grazie a lui avrebbe potuto rivedere
Shinichi dopo tanto tempo.
“Gli hai detto del ballo?” chiese al bambino. Lui, confuso,
inclinò la testa da un lato, lei si sorprese, forse si era
sbagliata, ma chi altro poteva essere stato? Forse uno dei suoi vecchi
compagni
di calcio. “Niente, non preoccuparti” aggiunse, con un
gesto della mano.
Negli ultimi tempi era diventata sempre più paranoica, era
certa che Shinichi le stesse nascondendo qualcosa, forse si stava
nascondendo da qualche malvivente, dopo esser stato beccato mentre
ficcava il
naso dove non doveva. Insomma, da lui ci si poteva benissimo aspettare
una cosa
del genere, era proprio quel tipo di persona che non sa farsi i fatti
suoi, con un abnorme senso della giustizia che lo portava a mettere
tutti davanti a sè.
---------------
Precisazioni:
*Nel quinto film, Ran telefona a Shinichi dopo aver parlato con Ayumi,
che pensa che Conan abbia una cotta per lei, e alla fine della
conversazione l'amico le dice che dovrebbe essere più onesta con
se stessa. È una delle mie scene preferite, so le battute a
memoria ahaha (non giudicatemi)
Konnichiwa!
Lo
so, lo so.. avevo detto che avrei pubblicato il capitolo nel giro di
poco ma alla fine non è andata come speravo perchè ho
dovuto praticamente riscrivere tutto daccapo, anche se non sono ancora
troppo convinta sob
Facciamo
un sunto di cosa è successo: abbiamo scoperto (più o
meno) cosa è successo ad Heiji e Kazuha, l'identità
dell'ascoltatore misterioso è stata svelata, c'è stata
una bella litigata tra gli sposini e Ran è stata invitata dal
suo cavaliere nero. Il punto è: si presenterà o
dovrà mentire di nuovo? Si accettano scommesse, ragazzi.
Non so più cosa dire quindi vi lascio, spero che il capitolo vi sia piaciuto e alla prossima!
Ps. ricordate di lasciare un commentino, così la Gaia (che poi sono io) è felice (y)
Ps2. Mi stavo dimenticando di ringraziare le tre persone che hanno
recensito il prologo e chi la messo questa long tra le
seguite/preferite, spero continuiate a seguire la mia storia♥
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Capitolo 3 *** Please remember. ***
cap2
Please remember, please remember,
I was there for you and you were there for me
Please remember, our time together
The time was yours and we were wild and free
Please remember, please remeber me
-Leann Rimes, Please remember
Quella notte Conan non dormì, passò ore ed ore a maledirsi
per quella telefonata. Stupido, stupido,
stupido. Come mi è saltato in mente di fare una cosa del genere? Se Ran non mi
vede arrivare è la fine. Stupido. Se Haibara sapesse quello che ho fatto..
Aveva agito d’istinto, aveva fatto ciò che rimproverava
sempre all’amico del Kansai. “Chi è l’impulsivo ora?” gli sembrava quasi sentire la
sua voce nella testa. Vedeva il suo viso, con quel sorriso saccente che lo
faceva tanto innervosire.
Gli serviva una soluzione, una soluzione sensata che non
implicasse nessuna supplica da parte sua alla scienziata.
L’ultima volta che gli
aveva permesso di prendere il prototipo dell’antidoto era stata
piuttosto
chiara, doveva aspettare che quello definitivo fosse pronto prima di
poter
tornare di nuovo se stesso. Continuare a prendere il farmaco sarebbe
stato pericoloso per la sua salute. Oltretutto lei e il professor Agasa
erano partiti
alcuni giorni prima per partecipare ad una conferenza a Kyoto.
A quel punto aveva due possibilità: mettere a soqquadro la
casa del professore con la speranza di trovare il composto; oppure trangugiare una
bottiglia intera di Paikal. Cosa che sarebbe risultata inconcludente, ma tanto
valeva provare. Effettivamente c’era anche una terza via, ovvero confessare tutto a
Ran. Negli ultimi tempi ci aveva pensato piuttosto spesso, sapeva di non poter
continuare con quella recita per molto, il peso che doveva sopportare si faceva
ogni giorno più grande. Ma poi pensava ad Heiji, ad Agasa, ai suoi genitori, a tutti
coloro che conoscevano il suo segreto e che correvano una miriade di rischi
ogni giorno. Non voleva che anche la sua più cara amica fosse sottoposta alla
stessa sorte.
Era appena sorto il sole quando fu riscosso dai suoi
pensieri da una forte fitta all’altezza del petto. Istintivamente
portò una
mano al cuore. Aveva il fiato corto e faticava a mettere a fuoco
ciò che aveva
intorno. Si alzò a sedere e trasse alcuni respiri profondi, per
calmarsi. Se si fosse messo a urlare, avrebbe svegliato tutti. E,
proprio quando credette di non poter sopportare più quella
sofferenza, il dolore se ne andò e il piccolo
detective si lasciò cadere sul futon.
Possibile che stesse tornando ad essere se stesso? No, non aveva preso l’antidoto.
Cosa sta succedendo? Forse gli anticorpi stanno reagendo al veleno.. Ma è troppo tardi, doveva succedere subito.
Iniziò a riflettere sulle possibili cause di quell'attacco,
senza trovare una risposta alle sue domande. Inoltre era convinto che
di lì a poco sarebbe arrivata una nuova fitta, ma non successe.
Nessun accenno di dolore.
Assolutamente niente.
Dannazione imprecò
tra sé, passandosi una mano tra i capelli scuri.
***
Le ore passavano inesorabili e il momento dell’appuntamento
si avvicinava fin troppo in fretta.
“Tutto bene, Conan-kun?” chiese Ayumi all’amico, nel
tragitto verso scuola.
“Sembra che tu non abbia dormito” aggiunse Mitsuhiko.
“In effetti ho fatto fatica a prendere sonno, ieri sera”
rispose l’altro, calciando un sassolino.
“E come mai? Hai mangiato pesante?” indagò Genta.
Conan scosse il capo con un sorriso. “Avevo solo troppi
pensieri per la testa”
“Tipo quella festa di stasera a cui deve andare Mouri-san?”
si sorprese nel sentire l’amica pronunciare quelle parole. La piccola Yoshida
aveva lo sguardo puntato a terra e il rosa pallido del suo viso era leggermente
più acceso sulle guance.
“M-ma no, assolutamente” balbettò lui.
Lei gli rivolse un sorriso triste e si strinse nelle spalle.
“Era tanto per chiedere”
Tsuburaya e Kojima guardavano la scena confusi senza sapere
cosa stesse succedendo. Conan era rimasto con la bocca semichiusa, come se
stesse per dire qualcosa ma allo stesso tempo non trovasse le parole giuste da
usare.
Tra i quattro bambini si era creato uno strano silenzio che
fu fortunatamente rotto davanti alla scuola.
“Ciao ragazzi!” urlò Kayoko, una bambina con i capelli rossi
e gli occhi blu che si era trasferita da poco a Tokyo. Gli altri ricambiarono
il saluto, mentre Conan pensava a ciò che era successo poco prima, non riusciva
a togliersi quell’espressione triste stampata sul volto di Ayumi. Eppure l’altro giorno era così contenta. E
poi come ha collegato me al ballo? Tutto questo non ha senso.
Finita la scuola si fermò a casa del professore, sapeva dove
teneva le chiavi di scorta -nel sottovaso di una pianta- ed entrò nel grosso
edificio.
Trasse un respiro profondo e iniziò a ragionare sul luogo in
cui potesse essere nascosto quell’antidoto. Guardò in ogni singolo cassetto e
anta senza risultati. Anche nel laboratorio di Haibara non c’era traccia del
composto e a quel punto iniziò a disperarsi. Mantieni la calma. Usa il cervello. Fai lavorare quelle quattro rotelle
che hai in testa.
***
“Ran mi avevi promesso che saresti venuta!” si lamentò
Sonoko.
“Te l’ho detto, mi spiace.. ci sarà Makoto-san, no? Potrai
stare con lui”
“Conoscendolo mi darà buca proprio all’ultimo” sbuffò.
“Vedrai che ci sarà, devi essere fiduciosa” continuò
l’altra.
“Parliamo ancora di Makoto-kun oppure..?” indagò l’amica,
cogliendo la karateka in fallo. Questa annuì in maniera fin troppo decisa.
“Certo che si, e di chi altri?”
L’ereditiera la guardò subdola “Tu non mi convinci per
niente, sai?”
In risposta Ran ridacchiò, sentendosi estremamente stupida. Erano appena arrivate al centro commerciale, ma Sonoko aveva
già accumulato alcuni vestiti da provare, diceva che, dato che la sua cara
amica non ci sarebbe stata, doveva brillare abbastanza per entrambe. Tipico.
Aveva programmato ogni secondo di quella giornata per
riuscire a passare dalla sue boutique preferita, dal parrucchiere e
dall’estetista. Ran era più che certa che non ce l’avrebbe mai fatta in tempo e
che sarebbe arrivata in ritardo come suo solito.
Passarono tre ore frenetiche tra vestiti, scarpe e camerini.
La karateka era distrutta e si congedò dall’amica intorno alle 18.30 per
dirigersi verso casa. Aveva decisamente poco tempo per fare tutto e non voleva
fare tardi all’appuntamento. Ti prego fa
che ci sia.
***
“Come hai potuto prometterle una cosa del genere??” sbraitò
Heiji appena ebbe finito di sentire ciò che l’amico aveva da dire.
“Sarebbe andata al ballo con quel..” si accorse di aver
detto un paio di parole di troppo e non finì la frase.
“Quindi sei geloso..” lo canzonò il detective dell’ovest.
“NO! Solo non lo conosco e potrebbe anche essere un
delinquente..” si stava decisamente arrampicando sugli specchi.
“Facciamo finta che sia così, non le puoi dire che c’è stato
un imprevisto o qualcosa del genere?”
“L’hai detto anche tu l’altro ieri, devo smettere di
mentirle, no? E poi gliel’ho promesso, mi ucciderebbe” e intendeva
letteralmente, non avrebbe augurato a nessuno di trovarsi davanti ad una Ran
arrabbiata.
“Hai provato quel liquore cinese
che avevo portato a Mouri tempo fa?”
“Ho controllato stamattina se ce ne fosse ancora ma la
bottiglia è sparita e, dato che non è diffuso qui, non credo di poterlo trovare
da nessuna parte. Ma non funzionerebbe comunque, secondo Haibara, dopo la prima volta non ha più
alcun effetto”
“Quindi abbiamo le mani legate”
“Ho paura di sì..”
“Cosa pensi di fare?” l’altro si lasciò sfuggire una risata
amara.
“Forse è arrivato il momento di dirle la verità”
***
Ran controllò
l’orologio prima di uscire di casa, mancavano
quindici minuti alle 20. Aveva ancora un po’ di tempo. Si
guardò allo specchio
un’ultima volta, i capelli scuri le cadevano sulla schiena e gli
occhi azzurri sembravano più luminosi del solito. Indossava un
giaccone pesante lungo fino a metà coscia che
nascondeva una camicetta rosa pallido e una gonna scura. Sorrise e
salutò il
padre, pur sapendo che non l’avrebbe sentita, dato che dormiva
beato sulla
scrivania piena di scartoffie e lattine di birra vuote.
Per ottenere il permesso aveva lottato, ma alla fine il
detective dormiente aveva ceduto, dicendole che se non fosse tornata
per le 22, quel giovanotto si sarebbe ritrovato con un occhio nero.
La ragazza si avviò giù per le scale, fantasticando su cosa
avrebbero fatto, cosa si sarebbero detti. Non si vedevano da quasi tre mesi
ormai, e Ran aveva iniziato a pensare che lui non volesse davvero più vederla.
Ogni volta si presentava senza preavviso, sbucava dal nulla e spariva dopo
alcune ore.
Cercava di nasconderlo, ma aveva paura che Shinichi
non si presentasse, di certo non sarebbe stata la prima volta.
Caccia via quei brutti
pensieri. Lui ci sarà.
Percorse la grande via illuminata dai lampioni, finchè non
svoltò in una stradina secondaria. Camminò per qualche minuto e, quando fu
giunta a destinazione, le sue labbra si incresparono in un sorriso.
“Shin!” urlò la
bambina sentendosi strattonare “Dove mi stai portando?”
L’amico si portò un
dito alla bocca “Shhh”
A Ran iniziavano a
fare male le gambe, correvano già da un po’ di tempo e nemmeno sapeva quale
fosse la loro destinazione. “Dove andiamo?” chiese di nuovo lei.
“Zitta, Mouri. Aspetta
e vedrai” disse l’altro esasperato.
Trascinò l’amica per
altri cinque minuti tra le strade trafficate di Tokyo, evitando alla bell’è
meglio i passanti, senza molto successo, in effetti. Poi si bloccò di
colpo e Ran gli finì addosso, facendolo cadere.
“Mouri!” urlò lui
mentre l’altra si sbellicava dalle risate.
“Ti sta bene, brutto
antipatico”
“E pensare che io
volevo condividere con te il mio posto speciale” mise il broncio lui, dopo
essersi alzato.
“Posto speciale? Dove?
Dove? Dove?” aveva colto nel segno, la sua amica era da sempre la persona più
curiosa del pianeta.
“Non credo che te lo
dirò”
“Dai.. Shinichi, per
favore” supplicò Ran “scusami, mi dispiace, non avrei dovuto ridere”
“Mmh”
“Shin..” continuò, con
lo sguardo fisso sulle sue scarpe.
“Non ti metterai a
piangere, vero?” chiese lui “lo sai che diventi più brutta quando piangi”
Lei alzò gli occhi,
incrociando quelli dell’amico, azzurri come il cielo d’estate. In effetti le
sue guance erano già rigate da diverse lacrime ed era piuttosto rossa in viso.
Shinichi le prese una mano e sorrise.
“Stavo solo
scherzando, Mouri. Andiamo”
Detto questo, i due,
dal vicolo in cui si trovavano, uscirono su una stradina dove c’erano poche persone e
a quel punto il bambino fece segno all’amica di guardarsi intorno.
Ran rimase a bocca
aperta. Si trovavano sulla riva del fiume Sumida e i ciliegi in fiore rendevano
l’atmosfera quasi magica.
“Ma è bellissimo!”
esclamò.
“È uno dei posti che
preferisco, soprattutto in questo periodo dell’anno” disse l’altro, imbarazzato.
“Sono contenta che tu
mi abbia portata qui” sussurrò dopo un attimo la bambina, senza guardarlo.
“Ehm.. d-di niente” le
sue guance si erano tinte di rosa acceso.
Ran sospirò,
le sarebbe piaciuto poter tornare indietro nel
tempo, rivivere quei momenti così belli che avevano segnato la
sua infanzia. Si
sentiva fortunata ad avere un amico come lui, le era sempre stato
accanto, era
pronto a consolarla quando piangeva e, nonostante quell’aria da
sbruffone,
aveva un cuore d’oro. Ma ultimamente lo sentiva distante, quasi
non si ricordasse più di lei. Avrebbe dato qualunque cosa per
far tornare tutto come prima.
La ragazza attraversò la strada e andò a sedersi su una
panchina, con la speranza di vedere il suo amico arrivare presto. Si strinse
nel giaccone e rivolse lo sguardo al cielo ormai scuro. Si lasciò scappare un
altro sorriso, mentre sprofondava tra i ricordi di quando tutto andava bene,
quando tutto era perfetto.
***
Il detective
dell’ovest rimase a fissare il muro davanti a
sé per svariati secondi dopo aver ascoltato ciò che
l’altro gli aveva detto.
Voleva veramente rivelarle la verità? Non era il genere di
persona che lasciava le cose a metà, ripeteva di non voler
esporre Ran. Eppure stava per mandare tutto all'aria.
Il ricevitore emetteva un tuuu continuo, la linea era caduta subito dopo che il ragazzo aveva
pronunciato quelle ultime parole.
“Forse è arrivato il
momento di dirle la verità”
Heiji prese il giubbotto che aveva abbandonato
un’ora prima sulla sedia e si precipitò fuori di casa, diretto alla stazione,
maledicendo l’amico e la sua scempiaggine.
Il primo shinkansen sarebbe partito di lì a pochi minuti,
perciò ebbe appena il tempo di prendere il biglietto e infilarsi sul treno, mentre le
porte si chiudevano dietro di lui. Prese posto e inviò un messaggio a sua
madre, dicendo che si sarebbe fermato a Tokyo per un paio di giorni a causa di
un’emergenza, le avrebbe spiegato tutto più tardi.
Sperava di arrivare in tempo per fermarlo, o, nel caso
peggiore, per rimediare ai danni a seguito della confessione. Non aveva un
piano preciso, avrebbe seguito l’istinto. Guardò il portafortuna fatto a mano
da Kazuha appeso al suo telefono e ricordò le volte in cui l’amica gli aveva
ripetuto che era solo grazie a quello se si erano salvati quella volta
sull’Isola della Sirena*.
Sentì il cellulare squillare e lesse il nome del mittente
sullo schermo. Quando si parla del
diavolo..
“Pronto?” chiese.
“Heiji! Dove ti sei cacciato? Ti aspetto da mezz’ora!” urlò
l’altra.
“Kazuha, ma che..?” lasciò la frase a mezz’aria e si portò
una mano alla fronte, facendola passare poi sugli occhi. La mostra! Le aveva
promesso di accompagnarla un paio di settimane prima, dopo varie suppliche da
parte della ragazza.
“Ehmm.. scusa, Kudo ha bisogno di me, quindi non credo di
poter venire..” allontanò il ricevitore dall’orecchio, prevedendo che si
sarebbe messa a gridare. Ma non fu così. Dall’apparecchio non giungeva alcun
suono.
“Kazuha, ci sei?” chiese, piano.
“Sapevo che avresti trovato qualcosa di meglio da fare” disse lei con la voce rotta, prima
di attaccare.
Heiji rimase con un palmo di naso, gli occhi fissi davanti a
lui. Deglutì, preoccupato. Questa volta l’aveva fatta grossa e sapeva che non
gliel’avrebbe perdonata facilmente. Dopo il malinteso di alcuni giorni prima si era ripromesso
di non combinare guai per un po’, ma evidentemente, non ne era capace.
“Mi spiace per ciò che è successo” aveva esordito lui, dopo aver
obbligato l’amica a sedersi e ascoltarlo “ma hai
frainteso la situazione, Kazuha”
“La tua faccia era appiccicata a quella ragazza! Come posso
aver frainteso?” aveva sbraitato lei.
“Ma vuoi lasciarmi parlare?” lei aveva sbuffato, incrociando
le braccia. “Primo, non la stavo baciando. Stavamo solo parlando, devi
aver avuto le traveggole, mia cara. Secondo, anche se fosse, non dovrebbe
interessarti, non credi?” aveva quindi sfoderato il suo sorriso beffardo, che
aveva fatto saltare i nervi alla ragazza.
“Smettila di fare l’arrogante!”
“Tu smettila di ficcare il naso negli affari degli altri”
“Mi puoi almeno dire chi era?” era piuttosto irritata dal
comportamento dell’amico, ma aveva cercato di mantenere la calma.
“La figlia di un amico di mio padre, la sua famiglia è
venuta in vacanza qui ad Osaka e ha chiesto se potessi accompagnarla a visitare
la città, punto”
“Mmh..” aveva mugugnato lei, non sembrava troppo convinta ma
alla fine aveva ceduto “va bene, fa' come ti pare”
In realtà non aveva creduto a una singola parola di
quello che aveva detto, ma sapeva che se avesse continuato, lo avrebbe
perso. Non si erano parlati per una giornata intera e ci era stata
malissimo. Voleva continuare ad averlo
al suo fianco e sapeva di
essere masochista, lui non l’avrebbe mai guardata nel modo in cui
lo guardava
lei, non avrebbe mai pensato a lei come la sua ragazza. Sarebbe stata
sempre la sua stupida, testona, impicciona amica d'infanzia.
***
L’ora dell’appuntamento era passata da un pezzo e le guance
di Ran erano rigate da diverse lacrime. Si asciugò gli occhi con la manica del
giaccone e trasse un respiro profondo. Sono
un’illusa. Era caduta nuovamente nella sua trappola, gli aveva creduto per
l’ennesima volta, convinta che sarebbe stato diverso.
Cercò di trattenere un singhiozzo, invano. Il suo pianto non
si fermava, le lacrime scendevano copiose dagli occhi e non riusciva più a
distinguere ciò che aveva intorno a lei. Tutto era sfocato.
Passò qualche minuto prima che riuscisse a calmarsi, poi si
alzò e inspirò. L’aria fredda di metà dicembre la fece rabbrividire.
Fece per dirigersi verso casa,
quando sentì un braccio
cingerle la vita. Un attimo dopo, il corpo della ragazza
aderì a quello dell’altro. Avvertì una forte
pressione sul collo e si immobilizzò. Quel tizio le stava
puntando una pistola alla gola. Fece per gridare, ma le parole le
morirono in gola quando il viso dell’altro si avvicinò al suo
orecchio destro. Il cuore della
ragazza batteva talmente forte che aveva paura fosse sul punto di scoppiarle in
petto.
“È un po’ tardi per
girare da sola, non credi?”
--------------
Precisazioni:
*riferimento a quando Heiji salva Kazuha che sta cadendo da un dirupo sull'Isola della Sirena (file 283, volume 28)
Kalimera!
(Sono stata in Grecia e volevo illustrarvi quanto ho imparato -niente-)
Alloooora,
Shin-chan ha preso la sua decisione, dirà la verità a
Ran. Naturalmente l'amico non è d'accordo e pensa di
raggiungerlo, riuscirà a fermarlo in tempo? Boh boh.
Ho iniziato ad
affrontare la faccenda di Heiji e Kazuha, più avanti
verrà approfondita, ma rimarrà comunque di sfondo,
altrimenti la storia non finisce più ahah
Cosa pensate di
questo finale? Ran riuscirà a liberarsi dalla morsa del maniaco?
(Che, in effetti non ha tutti i torti dicendo così, ma non
è mica colpa sua se è rimasta sola come un cane di nuovo,
no? È solo per colpa mia di Shinichi.)
Aaah! Su gentile richiesta, ho aggiunto una mini-scena tra Conan e Ayumi (shinichi e ran amore, solo per te! ahah)
Niente, non so più cosa dire aha spero vi sia piaciuto il capitolo, lasciatemi una recensione!
Grazie a chi ha recensito, chi ha messo nelle seguite/preferite e ai lettori silenziosi.
A presto,
Gaia
|
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Capitolo 4 *** With you. ***
cap3
What if the one who was meant for you
was all along right in front of you?
Just didn't see it, it was there all the time
Feel it tonight, yeah, the stars align
I'd throw a rope around the moon,
and pull it close, whatever it takes to be with you
maybe tonight
maybe tonight the stars align
-Heffron Drive, Parallel
“Baka!” urlò Ran, a quelle parole “Mi hai fatto spaventare!”
L’altro allentò la presa su di lei e iniziò a ridere,
lasciando cadere a terra la pistola giocattolo.
“Avresti dovuto vederti!” continuò “Sembrava avessi visto un
fantasma!”
Si portò una mano al viso, per asciugare le lacrime agli
angoli degli occhi.
“Shinichi, sei proprio un bambino” disse la ragazza,
incrociando le braccia.
Ogni tanto lo sono
davvero pensò. “Era solo uno scherzo innocente!” disse avvicinandosi.
Lei mise il muso e si voltò dall’altra parte, per poi
iniziare a camminare.
“E ora dove vai?”
“A casa, detective dei miei stivali! Ho il coprifuoco tra
dieci minuti”
Lui le corse dietro chiedendole di aspettarlo. “Non puoi
ritardare? Non hai più dieci anni..”
Ran si bloccò, trasse un respiro profondo e si rivolse
all’amico: “Non avrei avuto bisogno di ritardare, se tu non mi avessi lasciata
qui ad aspettare per due ore!”
Solo allora lui poté notare gli occhi arrossati dell’altra,
aveva sicuramente pianto. Poteva capirla, ma le circostanze gli avevano
impedito di arrivare prima. Le prese una mano e quel
momento gli ricordò il giorno in cui l’aveva portata lì la prima volta,
avevano solo dodici anni allora. Nei suoi occhi poteva ancora vedere quella bambina
piagnucolosa che non faceva altro che lamentarsi.
“Ran, mi dispiace” sussurrò. La ragazza arrossì
violentemente, ma lui sembrò non accorgersene. “Sarei venuto prima, ma c’è
stato un piccolo imprevisto. Ora che son qui mi vuoi mandare via?”
Lei abbassò lo sguardo. Avrebbe voluto urlargli in faccia
quanto le facesse male non vederlo mai al suo fianco. Sì, te ne devi andare. Non voglio più vederti. Ti piace giocare con i
miei sentimenti? Invece non disse niente. Il silenzio regnò per diversi
secondi che a entrambi parvero ore. Le dita dei due erano intrecciate in una
morsa che non dava segno di volersi sciogliere.
La ragazza scosse la testa debolmente. Continuava a ripetere
di non aver bisogno di lui, ma era più per convincere se stessa che altro. In
realtà le serviva più dell’aria e ogni giorno passato senza di lui era una
sofferenza troppo grande da sopportare. Non voleva che se ne andasse, non di
nuovo.
Il detective la attirò a sé, lasciandole la mano e avvolgendo
il suo corpo in un abbraccio. Ran si sentì mancare il fiato.
“Scusami. Scusami per tutte le volte in cui avevi bisogno di
me e non ci sono stato, per i messaggi a cui non ho risposto e le promesse che
non ho mantenuto. Scusami”
Le parole di Shinichi rimasero sospese nell’aria, mentre la
ragazza si stringeva a lui, quasi avesse paura che stesse per scomparire per
sempre.
“Dici così solo perché te ne andrai di nuovo?” chiese,
infine.
“No, voglio solo che tu sappia che sono seriamente
dispiaciuto. Un giorno risponderò ad ogni tua domanda, per ora ti chiedo solo
di avere un altro po’ di pazienza. Credimi, vorrei farlo adesso, ma non posso.
Non voglio che tu ti esponga a causa mia. So di non meritare la tua fiducia,
eppure..” si lasciò scappare un sorriso “ho di nuovo la faccia tosta di
chiederti di credermi” fece una pausa, sperando che l’altra dicesse qualcosa. “E
capirò se al mio ritorno tu non ci sarai, non sta a me giudicare le scelte di
nessuno, tantomeno dopo ciò che ho fatto”
A quel punto allentò la presa su di lei e i due si trovarono
faccia a faccia.
Il detective poté scorgere sul volto della ragazza un
sorriso, forse il più bello che avesse mai visto, che gli scaldò il cuore. Era
profondamente, maledettamente, incondizionatamente innamorato di lei e riusciva
a capirlo solo ora.
Fece per avvicinarsi di nuovo a Ran, ma sentì una voce
rimbombare dentro la sua mente. Sei una
mina vagante, potresti scoppiare in qualsiasi momento e distruggere tutto ciò
che lei ha costruito*. Stalle lontano, per il momento.
Avrebbe voluto baciarla, sentire il suo calore, vedere di
nuovo quelle labbra incurvarsi in un sorriso, ma sapeva che se avesse fatto
qualcosa di troppo sarebbe stata la fine.
La magia del momento fu spezzata dal suono del cellulare di
Ran. Era Kogoro che sbraitava perché la figlia non era ancora tornata a casa.
Imbarazzata, la ragazza si scusò con l’amico, che si offrì di fare la strada
del ritorno con lei.
I due avevano percorso gran parte della strada che li
separava dall’agenzia, quando giunsero ad un incrocio. Nonostante fosse sera,
le vie di Beika erano piuttosto trafficate. Nell’esatto momento in cui scattò
il verde, Shinichi avvertì una delle solite fitte, stava per tornare Conan. Non adesso, solo altri dieci minuti. Il
panico si impadronì di lui e, distratto dalla miriade di pensieri che
affollavano la sua testa, non vide la macchina che avanzava a tutta velocità
verso l’amica, che stava tranquillamente attraversando la strada.
Quando si rese conto di ciò che stava per succedere, il sangue
gli si gelò nelle vene e non fece nemmeno in tempo a
muovere un passo prima
dell’impatto.
Un grido disumano si levò nei cieli di Tokyo, mentre le urla
dei passanti scomparivano dalla mente del ragazzo, lasciando il posto ad un
silenzio profondo, che al giovane sembrò più assordante di qualsiasi altro
rumore.
Lo squillo di un cellulare ruppe la tranquillità della
stanza in cui si trovava il ragazzo.
“Cosa vuoi, Kazuha?” chiese prima che l’altra potesse
parlare. Non le aveva detto di non disturbarlo?
“Dove sei?”
“A Tokyo, credevo di avertelo già detto” sbuffò lui.
“No, intendo precisamente. Anche io sono a Tokyo.
Heiji strabuzzò gli occhi per la sorpresa.
“Che!? Perché?” l’altra rimase in silenzio, a disagio.
“Puoi solo dirmi dove sei? Sono venti minuti che giro per la
città e mi sto congelando”
“A casa di Kudo, vuoi che venga a prenderti?” chiese.
“No, vengo io. Sono da quelle parti”
“Come vuoi” agganciò, chiedendosi cosa fosse passato per la
testa di quella ragazza. Baka.
Solo allora notò i vestiti abbandonati alla bell’e meglio
sul divano.
Era arrivato a Tokyo un’ora prima e si era affrettato a
raggiungere la casa dell’amico, sperando di fare in tempo a fermarlo. Non sapeva
per che ora avessero fissato l’appuntamento, ma era piuttosto sicuro che fosse
già passata da parecchio. Il cancello della villa era aperto e stessa cosa per
la porta, strano per un perfezionista come il detective dell’est. Dopo essere
entrato, aveva lanciato un’occhiata al salotto, l’unica stanza con la luce
accesa, e aveva visto una figura distesa a terra.
“Kudo!” aveva urlato scuotendogli le spalle. L’altro aveva
ripreso conoscenza dopo un momento e, senza capire cosa fosse veramente
successo, si era alzato in piedi. La sua camicia era a terra, strappata, mentre i
pantaloni della tuta erano rimasti intatti, anche se le cuciture davano segno
di stare per cedere.
Dopo essersi cambiato, era corso fuori di casa ed Heiji era
rimasto solo in quella casa troppo grande anche per una famiglia intera. In
quei pochi attimi, Shinichi gli aveva rivelato di non sapere come fosse stata
possibile la trasformazione, ma ci avrebbe pensato più tardi. Aveva altro di
cui occuparsi.
Passarono alcuni minuti prima che il campanello suonasse. Il
detective dell’ovest si alzò dal divano e si diresse verso la porta. Kazuha
aveva le guance e il naso arrossati per il freddo. È più adorabile del solito si sorprese a pensare il ragazzo,
lasciandosi sfuggire un sorriso. Tossicchiò imbarazzato, come gli saltava in
mente una cosa del genere? Cercò di tornare sulla terra e distolse lo sguardo
dal viso della ragazza.
“Pensi di volermi
lasciare qui a gelare oppure mi fai entrare?” chiese lei, spazientita. Heiji
fece un passo di lato dopo aver sbuffato.
Kazuha si sistemò sul divano e cercò di scaldarsi con la
coperta che l’amico le aveva preparato.
“Mi spieghi perché sei venuta fin qui da sola?” chiese lui
dopo un po’.
Lei teneva lo sguardo basso, i capelli arruffati le
incorniciavano il volto. Il nastro doveva esserle scivolato via quando aveva
tolto il cappello poco prima.
“Ti faccio un tè, ti
va?” lei annuì, mentre l’altro scompariva in cucina.
Poco dopo Hattori fu di ritorno con un vassoio su cui erano appoggiate
una teiera e una tazza, dove versò la bevanda bollente. La
ragazza, ancora
infreddolita, la sorseggiò piano, trovando finalmente un
po’ di calore.
“Ti senti meglio?” chiese poi. Kazuha annuì di nuovo.
“Ma si può che devo sempre farti da balia?” si lamentò il
detective.
“Mi spiace” sussurrò lei, sempre senza guardarlo.
“Sei sicura di stare bene?” fece lui, avvicinandosi
all’amica. Appoggiò una mano sulla sua fronte, mentre lei rimaneva immobile,
quasi paralizzata. Fortunatamente non aveva la febbre.
“Sto bene, Heiji” sbottò infine.
L’altro si allontanò velocemente, tornando a sedere. La
osservò a lungo, le labbra screpolate erano socchiuse, il rossore sulle guance
era quasi sparito e gli occhi verdi erano meno luminosi del solito.
“Baka” disse tra i denti.
“Che hai detto?” chiese lei, con una punta di irritazione
nella voce.
“Vuoi dirmi perché sei qui?”
Lei sbuffò e tornò a guardare il pavimento.
“Insomma, non l’hai ancora capito?” la voce era debole e
roca. Sapeva che di lì a poco le lacrime le avrebbero rigato le guance, ma
ormai non le importava più. Era arrivato il momento di dire tutto ciò che si
era tenuta dentro per anni, finalmente si sarebbe tolta quel macigno che aveva
sullo stomaco.
“Ma che stai dicendo? Cosa dovrei capire?” chiese l’altro,
confuso.
“Sono innamorata di te, ok?” le parole le sfuggirono dalla
bocca, mentre dagli angoli dei suoi grandi occhi verdi spuntavano alcune
lacrime. “Lo sono da sempre”
Heiji, a quelle parole, si immobilizzò e la sua mente
ripercorse tutti quegli anni che aveva passato al suo fianco, le esperienze che
avevano vissuto, le emozioni che avevano condiviso.
Era una bella giornata
di aprile, il sole era caldo, ma un leggero venticello rendeva la temperatura
perfetta per stare all’aperto. Kazuha aveva tanto insistito perché i suoi genitori
la lasciassero uscire, aveva voglia di starsene un po’ da sola con i suoi
pensieri, riflettere su ciò che era accaduto il giorno prima. Si sedette
all’ombro di un grosso ciliegio, i cui rami erano pieni di piccoli boccioli,
prima della fine della settimana il parco si sarebbe tinto di rosa, grazie ai
piccoli fiori di Sakura.
Aprì il suo diario e
prese una penna. Aveva iniziato a scriverci i suoi pensieri qualche mese prima,
quando aveva trovato in soffitta un vecchio quaderno di sua madre. La curiosità
era sempre stato il suo punto debole, così aveva sfogliato le pagine, fino a
trovare una foto che doveva avere più di vent’anni, che ritraeva i suoi
genitori in uniforme scolastica, abbracciati e sorridenti. Per un secondo poi
le era parso di vedere in quello scatto due volti che non erano quelli dei
signori Toyama, ma il suo e quello del migliore amico, Heiji.
A quel ricordo, Kazuha
sorrise imbarazzata. Si conoscevano da anni e lui la trattava come una sorella,
tra di loro non sarebbe mai potuto succedere niente, anche se quell’avvenimento
di nemmeno ventiquattro ore prima aveva stravolto tutto.
La ragazza iniziò a
descrivere ciò che era successo, aveva bisogno di parlarne con qualcuno, ma
l’altro gliel’aveva proibito, quindi aveva pensato al suo diario come valida
alternativa.
Sobbalzò appena sentì
una mano sfiorare la sua spalla. Si voltò e si trovò a pochi centimetri dal
viso di una persona che conosceva fin troppo bene.
“He-Heiji, non avevi
gli allenamenti?” balbettò mentre chiudeva il quaderno che aveva in mano. Le
sue guance andavano a fuoco.
L’altro sospirò e si
sedette accanto a lei.
“Ci sto andando ora, li
hanno posticipati” rispose portandosi un braccio dietro la testa per poi
appoggiarsi al tronco dell’albero.
“Che stavi scrivendo?
Penso di aver letto il mio nome..” continuò lui, con un sorrisetto.
“Io? Niente, sono
degli appunti di storia. Avrai confuso gli ideogrammi” buttò lì lei.
“Sarà” disse, poco
convinto.
Rimasero per un po’ in
silenzio, lui con gli occhi chiusi e lei con lo sguardo fisso a terra per
l’imbarazzo. D’un tratto, lui sembrò ricordarsi di qualcosa e si alzò da terra facendo
leva con una mano. Sii scusò con la ragazza, dicendo
che prima di andare ad allenarsi avrebbe dovuto passare in un posto per sua
madre.
Dopo averlo salutato,
Kazuha si voltò dall’altra parte, pregando che lui avesse creduto alla storia
degli appunti.
Un attimo più tardi lo
vide ricomparire trafelato.
“Mi sono dimenticato
di una cosa” disse lui, con il fiato corto, allungando una mano verso di lei
“Questo è tuo, l’hai dimenticato ieri..”
La ragazza afferrò ciò
che stava reggendo, era un nastro per capelli color lampone.
“T-ti ringrazio!”
L’altro fece un gesto
con la mano, come per dirle di non preoccuparsi.
“Ti sta bene quel
colore, dovresti indossarlo più spesso” disse poi, prima di andarsene di nuovo,
lasciando l’amica con un palmo di naso.
Heiji sorrise, ma l’amica non lo vide, il suo sguardo era
perso altrove.
“Kazuha, sei una stupida” a quelle parole, la ragazza si alzò
di scatto, non voleva stare con lui per un altro minuto, doveva andarsene da
quella casa “avresti dovuto dirmelo prima”
Così dicendo la fermò, afferrandole un braccio. Lasciami andare. Non voglio più vederti. Io
ti odio.
“Sai una cosa?” lei si voltò e cercò di sostenere il suo
sguardo, cosa che le risultò fin troppo difficile. Sentiva i suoi occhi entrare
dentro di lei, leggerle la mente, captare ogni singola sua emozione.
“Sei davvero una stupida Ka..” questa volta lei non lo
lasciò finire.
“Smettila di ripeterlo!” ma lui non l’ascoltava.
“E io sono più stupido di te” la voce del ragazzo era molto
più bassa di quella di lei, che non faceva che urlare. Ciononostante, riuscì a
sentire le parole dell’amico e rimase con gli occhi spalancati e la bocca semi
chiusa, senza riuscire a proseguire. Sentì la mano di lui muoversi lungo il
braccio, fino ad arrivare al polso e passare sul suo palmo, in un attimo le
loro dita si intrecciarono. Quel contatto la fece rabbrividire. Quante volte
aveva sognato di vivere un momento come quello? Troppe, ecco la risposta.
Distratta dalla piacevole sensazione, fece appena in tempo
ad accorgersi del viso di Heiji, che si faceva sempre più vicino.
“Sono più stupido di te, perché solo ora ho capito il vero
significato di quella cosa” sussurrò, facendo combaciare le loro fronti.
Il mondo intorno a loro svanì, mentre le labbra dei due
ragazzi del Kansai si univano. Era il loro momento e non avrebbero potuto
essere più felici. La lite era ormai lontana. Era come stare sotto una cappa di
vetro, riparati dall’esterno. Niente avrebbe potuto rompere quella pace e
tranquillità che regnava attorno a quelle due anime che dopo tanto tempo erano
riuscite a trovarsi. Niente. O almeno così credevano.
Accadde tutto in un attimo. La suoneria di un telefono. Un
urlo. Delle lacrime. Un tonfo. Dei passi trafelati. Il rumore della pioggia che
aveva iniziato a cadere.
Nel parcheggio sotterraneo dell’hotel, una figura se ne
stava appoggiata alla fiancata della macchina scura fumando una sigaretta.
“Che notizie mi porti?” chiese sentendo dei passi arrivare.
“Il detective non potrà vedere la sua bella per un po’”
“Ottimo lavoro, sapevo di poter contare su di te, Alchermes”
-----------------
Precisazioni:
*frase adattata da Colpa delle stelle
di John Green, dove la protagonista, Hazel, dice (cito testualmente):
"Sono una... una... una granata, mamma. Sono una granata e a un certo
punto esploderò e vorrei minimizzare le vittime, okay?"
Salve a tutti!
(Okay sono in
ritardo, lo riconosco, ma tra una cosa e l'altra ho avuto poco tempo
per sistemare il capitolo, che, in effetti ho scritto quasi due
settimane fa lol)
Ma ma ma ma... il maniaco è SHIN-CHAN *panico*
no okay, era tutto programmato, qualcuno aveva anche azzeccato con le previsioni oops
Tutto sembrava essersi sistemato ma, da persona sadica quale sono, potrei aver causato un piccolissimo incidente,
appena precedente alla scena iniziale del prologo. Chiedo scusa
agli amanti della povera piccola Ran, troverò un modo per farmi
perdonare, promesso.
Kazuha ha avuto
il coraggio di dichiararsi (non che avesse molta scelta) e abbiamo un
piccolo flashback piuttosto confuso che verrà chiarito al
più presto.
Secondo voi cosa è successo quel giorno di tanti anni fa tra i due? Vi do solo un piccolo indizio, c'entra una promessa.
Poi, questo nuovo personaggio? Chi sarà mai Alchermes? Dun dun dun.
Tra l'altro ci ho messo un pomeriggio per trovare il nome giusto, mi
è anche passata per la testa l'idea di chiamarlo "Nocino",
giusto per rendere la storia più divertente (non sono simpatica, lo so. Scusate)
Grazie mille a tutti voi che state seguendo la mia storia, davvero sono felice che vi piaccia.
Per ora procede a rilento, lo so, ma a breve succederanno un bel po' di cosucce che spero riusciranno a movimentarla.
Detto questo mi dileguo, chè devo andare a fare la pizza, yum.
Grazie di nuovo e a presto,
Gaia.
Ps. sentitevi liberi di recensire, scrivete quello che vi pare, potete anche dirmi che vi fa schifo, non vi mangio
(beh ora potrei anche farlo dato che muoio di fame ma whatever)
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Capitolo 5 *** Guilty. ***
cap 4
Instead of just acting
like I'm the one he's been looking for
I ought to say I'm sorry
I ought to say it's over
Let him live his own life
Stop crying on his shoulder
He'd probably say it's alright
And hold me while my tears pour
-Jamie Lynn Spears, How could I want more?
Il rumore delle sirene continuava a risuonare nella testa di
Shinichi, tornato Conan ormai da un bel pezzo. L’odore di disinfettante gli
dava fastidio, ma cercava di non farci caso. Si trovava nella sala d’attesa
dell’ospedale di Tokyo da più di un’ora e di Ran ancora non si avevano notizie.
Kogoro era giunto sul luogo dell’incidente solo pochi attimi
dopo che il detective, resistendo all’impulso di urlare per il dolore al petto,
aveva spiegato ai paramedici ciò che era successo. Era poi riuscito a scappare
dalla ressa per alcuni minuti, mentre uno dei dottori prestava soccorso
all’amica. Non avrebbe voluto perderla di vista nemmeno per un secondo, ma non
poteva lasciare che qualcuno lo vedesse mentre cambiava aspetto, sarebbe
saltata la copertura e i membri dell’Organizzazione potevano essere ovunque.
Arrivato all’ospedale, aveva chiamato Hattori e con sua
sorpresa a rispondere era stata Kazuha. Non aveva fatto domande sul perché
fosse a Tokyo, le aveva solo spiegato brevemente la situazione e, come
risposta, aveva sentito un rumore sordo, probabilmente il telefono le era
scivolato dalle mani.
Una decina di minuti più tardi la coppia del Kansai aveva
varcato la soglia dell’edificio,entrambi completamente fradici per colpa della
pioggia battente. Ora erano seduti uno accanto all’altra, un paio di seggiolini
più in là di lui, mentre Kogoro faceva avanti e indietro per tutta la sala,
sperando di ricevere presto notizie riguardo le condizioni della figlia.
Sentì lo squillo di un cellulare, quello di Ran. Le era
caduto dalla tasca dopo l’incidente e inspiegabilmente non si era rovinato. Uscì
dall’ospedale, si sedette su un muretto riparato dalla pioggia, estrasse il
modulatore di voce e rispose alla chiamata.
“Sonoko?” chiese, titubante. Si era completamente dimenticato
di avvisarla dell’accaduto.
“Kudo-kun? Dov’è Ran? Perché non risponde alle mie
telefonate?” sembrava piuttosto spazientita.
“Ha avuto un incidente” disse tutto d’un fiato. L’altra
rimase in silenzio per diversi secondi.
“Che intendi dire?”
“Che un pazzo è passato con il rosso” sentì che prendeva un
respiro profondo, come se volesse calmarsi.
“C-come sta?”
“Non sappiamo ancora niente”
Ci fu una nuova pausa dove nessuno dei due parlò, il che era
ironico, la Suzuki era probabilmente la persona più logorroica sulla faccia
della Terra.
“Dovresti starle lontano” disse infine. Gli occhi del
detective si spalancarono e il papillon cadde a terra. “Non ti fai vivo per
mesi, poi torni e ti aspetti che lei sia lì a braccia aperte, pronta ad
accoglierti come se nulla fosse. Pensi che sia facile per lei vivere senza
avere tue notizie? Non so se te lo ricordi, ma fino all’anno scorso vi vedevate
ogni santo giorno. Ora è come se tu non esistessi. Non hai idea di quanto Ran
stia male senza di te. Certo, fa finta che non le importi, ma non è così, lo
sai anche tu.” la voce dell’ereditiera era forte e chiara, ma si stava
sforzando parecchio per mantenere quel tono, Shinichi riusciva a captare quella
nota di insicurezza che permeava ogni parola che giungeva al suo orecchio.
“Ogni volta che Ran sembra riprendersi, arrivi tu” continuò
lei “e distruggi tutte le sue certezze. Dovresti decidere cosa vuoi veramente,
non per te, ma per lei. Ti rendi conto che quando compari qualcuno si fa male?
E il più delle volte è Ran. Forse è un segno”
Shinichi era interdetto, forse perché era quello che pensava
da tempo, forse perché aveva avuto bisogno dell’aiuto di qualcuno per capirlo,
forse perché quel qualcuno era stato proprio
Sonoko Suzuki.
“Ti richiamo quando so qualcosa” disse poi, dopo aver
raccolto il modulatore di voce. Detto questo, attaccò, senza aspettare che
l’altra aggiungesse altro, non se la sentiva di rispondere a quelle accuse.
Rimase fermo sul muretto, con le braccia appoggiate dietro
di lui e lo sguardo al cielo. In quel momento il suo cuore somigliava a quella
macchia scura sopra di lui, non sapeva cosa fare, si sentiva bloccato, come se
fosse caduto in un buco nero da quale non riusciva ad andarsene.
Sentì Hattori chiamarlo, l’operazione era terminata e il
medico avrebbe riferito l’esito di lì a poco. Corse di nuovo all’interno
dell’edificio e vide un uomo sulla cinquantina parlare con Kogoro. Si avvicinò per
sentire meglio.
“Le condizioni di sua figlia sono stabili, dovrebbe
svegliarsi entro domani mattina. Non ha riportato danni gravi, nonostante
pensassimo il contrario all’inizio. Dalla risonanza magnetica è risultato che
tre costole, due a destra e una a sinistra, si sono fratturate a causa dell’impatto
con la macchina. Non è chiara la dinamica dell’incidente, ma pensiamo che il
veicolo abbia appena sfiorato, se così possiamo dire, la ragazza e che questa
sia caduta a terra, perdendo i sensi. Il trauma a livello cranico è molto
lieve, quindi non ci saranno conseguenze sulla sua salute. Nonostante questo,
atterrando sull’asfalto ha riportato diverse ferite, ma niente che non potesse
essere sistemato con un paio di punti.”
“Quindi va tutto
bene, giusto?” si affrettò a chiedere il detective.
“Per ora direi di sì, domani, quando sarà sveglia, le faremo
alcuni esami di controllo”
“Perfetto. La ringrazio, dottore” inclinò il capo in segno
di saluto e si lasciò cadere su uno dei seggiolini di plastica, finalmente
rincuorato. Aveva temuto tanto per la salute della figlia, si sentiva
responsabile per essere stato così accondiscendente con lei e l’avrebbe sicuramente
fatta pagare all’amichetto detective per aver lasciato la sua bambina da sola.
“Scusi, signorina” chiese il piccolo Conan a un’infermiera
“è possibile vedere Ran?”
La donna, che non poteva avere più di trent’anni, si voltò
verso il lui e gli sorrise.
“Ora sta dormendo, non possiamo disturbarla. La vedrai
domani, d’accordo?”
Conan annuì, avrebbe comunque trovato un modo per vederla. Si sentiva pienamente
responsabile di ciò che era successo all'amica d'infanzia; se non le avesse chiesto di
vedersi, tutto sarebbe andato per il meglio.
Scambiò uno sguardo d’intesa con Heiji e si allontanò,
dicendo di aver bisogno del bagno. Giunto in corridoio iniziò a cercare la
stanza della ragazza, la numero 156. L’aveva sentito dire dal dottore poco
prima. Sperò di non trovare nessuno ad intralciare i suoi piani
mentre varcava la porta della camera.
Il letto di Ran era vicino alla finestra, mentre l’altro era
vuoto. A dividerli c’era una tendina blu piuttosto vecchia che
copriva la metà superiore del lettino. Conan la
spostò con
una mano e si avvicinò all'amica. Sul suo viso era posta una
mascherina per l’ossigeno, gli
occhi erano chiusi e la pelle era fin troppo pallida. Le avevano
fasciato la
fronte con delle bende.
Lui le si avvicinò, alzò una mano e le accarezzò la guancia,
lasciandosi scappare un sorriso.
“Scusa” disse in un sussurro prima di allontanarsi di nuovo. Avrebbe
voluto rimanere con lei, sdraiarsi accanto a lei per infonderle tutto il calore
che aveva in corpo, sussurrarle che tutto si sarebbe sistemato, ma non poteva. Se non avesse fatto in fretta gli altri avrebbero
iniziato a cercarlo.
***
La coppia del Kansai si congedò dal piccolo Conan e da
Kogoro quando il taxi si fermò davanti all’agenzia investigativa. Per quella
notte avrebbero dormito a casa di Shinichi. Il Detective Dormiente si era
offerto di ospitarli, ma loro avevano gentilmente rifiutato, non volevano
causare altre preoccupazioni all’uomo, avrebbero dormito in hotel se l’altro
non si fosse intromesso.
“Le chiavi di casa mia le hai ancora tu?” aveva chiesto
Conan all’amico, sottovoce.
“Si, scusa. Quasi mi dimenticavo di restituirtele”
“No, tienile. Nell’armadio più grande in camera dei miei ci
sono dei futon, oppure potete dormire in camera mia. Fate come se foste a casa
vostra”
“Ma possiamo dormire in albergo..”
“Non ti preoccupare, Okiya non tornerà prima di una
settimana, in casa on c’è nessuno”
A quel punto Heiji aveva sospirato, ringraziando l’amico per
la gentilezza.
Giunti a destinazione, fece scattare la serratura e i due
entrarono in casa, stanchi e stressati.
“Vado a prendere i futon” disse il ragazzo, dirigendosi
verso il piano superiore.
Trovò ciò che cercava quasi subito e un attimo dopo sentì
dei passi sulle scale, Kazuha lo stava raggiungendo. Ripensò a ciò che era
successo solo poche ore prima, come doveva comportarsi con lei? Insomma, si
erano baciati e probabilmente le cose tra di loro sarebbero cambiate
radicalmente da quel momento. Heiji conosceva i sentimenti della ragazza, ma i
suoi? Cosa provava veramente per lei?
Forse aveva solo agito d’istinto, non voleva che continuasse
a piangere e basta. Forse non provava niente per lei, assolutamente niente. Era
solo una sua amica, no? Si conoscevano da talmente tanto tempo che era
impossibile che lui provasse qualcosa per lei. Se ne sarebbe accorto prima. Non
puoi essere amico di una persona e poi d’un tratto innamorarti di lei. Ma lui
cosa poteva saperne dell’amore? Quante ragazze aveva avuto nella sua vita? In
sostanza, nessuna. Certo, aveva un sacco di ammiratrici, o almeno, si vantava
di averne, ma chi di loro lo gli aveva parlato seriamente per più di un paio di
minuti? Nessuna, di nuovo.
Riflettendoci, l’unica grande costante della sua vita era
proprio quella ragazzina lagnosa. Fin da quando erano piccoli l’aveva sempre
avuta al suo fianco, ne avevano passate tante insieme ed era arrivato già da
tempo alla conclusione che sarebbe stato capace di dare la sua stessa vita pur
di proteggerla.
Avevano passato anni e anni a prendersi in giro l’un
l’altro, quasi fossero fratello e sorella, ma quel bacio aveva incasinato
tutto. Come poteva trattarla da sorella se aveva condiviso con lei un momento
così intimo?
Lo rifaresti se ne
avessi l’occasione?
Sulla soglia della stanza comparve l’amica con un sorriso
che andava da un orecchio all’altro.
Assolutamente sì.
“Vuoi che ti aiuti?” chiese gentilmente Kazuha.
“No, tranquilla. Dove preferisci dormire? Io posso stare giù
in salotto, ti lascio la stanza degli ospiti”
“Come vuoi tu. Puoi stare anche qui affianco, non c’è la
camera di Kudo-kun?”
“S-sì, ma..”
“Ma cosa?”
Ma se dormo lì sarà
ancora più difficile starti lontano. Cosa gli saltava in mente?
“Niente, solo preferisco dormire di sotto. Sai, tutte quelle
foto di Kudo mi mettono in soggezione” buttò lì. Kazuha scoppiò a ridere.
“Che hai ora?” si imbronciò lui.
“Sei buffo”
“Sono buffo?” in tutta risposta l’altra continuava a ridere.
Lui raccolse il futon da terra e si diresse goffamente verso l’altra stanza.
“Ma dove vai?” si lamentò l’altra “Quanto sei permaloso!”
Heiji scese le scale mentre l’amica lo rincorreva borbottando.
Alla ragazza bastò un attimo di distrazione per inciampare e finire lunga e
distesa sopra all’altro. Fortunatamente il materasso attutì il colpo e nessuno
dei due si fece male.
“Scusa..” disse lei, cercando di trattenere una risata.
“Ma perché non stai mai attenta?” borbottò il ragazzo mentre
si rialzava. I due si trovarono, per la seconda volta nella stessa giornata,
con i visi a pochi centimetri uno dall’altro e a rompere la magia del momento
ci penso Heiji, che, con un colpo di tosse, si voltò e iniziò a sistemare il
futon.
La ragazza si chieste se l’altro la stesse evitando di
proposito, sembrava quasi non volesse starle vicino. Eppure, prima sembrava
così diverso..
Kazuha si sedette sul divano e poco dopo lui fece lo stesso,
nessuno dei due sembrava avesse voglia di dormire, nonostante la giornata
frenetica.
La ragazza lo vide avvicinarsi pericolosamente a lei ma
rimase delusa quando, al posto di baciarla come aveva fatto poche ore prima, Heiji
si alzò dal divano, dirigendosi verso uno stereo piuttosto vecchio. Cliccò dei
pulsanti a caso chiedendosi perché i genitori di Kudo conservassero un tale
pezzo d’antiquariato. Alla fine riuscì a far partire una canzone, Everybody loves somebody di Dean Martin.
Per un attimo un pensiero si insinuò fugace nella sua testa.
Perché fai tutto questo? Perché illuderla
se non provi niente per lei? E di nuovo, chi è lei per te?
Trasse un respiro profondo e si voltò verso l’amica che lo
guardava confuso.
“Ricordi la promessa che ti ho fatto cinque anni fa?”
chiese.
“Certo, ma..”
“Ma cosa?”
“Niente” continuò lei con un sorriso.
“È tutta colpa tua se
ci troviamo qui” borbottò il ragazzino prendendo in mano una scopa.
“Che hai detto?
Scherzi, spero”
“Vuoi dire che non ho
ragione?” la guardò di sbieco.
“Esattamente! Tu hai
scritto sul mio spartito!”
“Era solo uno scherzo,
non sarebbe successo niente se non ti fossi messa ad urlare come una pazza!”
Kazuha sbuffò,
voltandosi dall’altra parte, chiedendosi cosa avesse fatto di male per
ritrovarsi una persona tanto stupida come amico.
Si erano conosciuti
tanti anni prima grazie ai loro padri, entrambi nella polizia, ed erano
diventati inseparabili, strano a dirsi, dato che non facevano altro che
insultarsi a vicenda. Eppure in un modo o nell’altro, finivano sempre per
cercarsi.
Quella mattina,
durante l’ora di musica, Heiji aveva avuto la bella idea di colorare con un
pennarello nero parte dei pentagrammi dello spartito dell’amica, rendendole impossibile
leggere le note. A quel punto lei lo aveva rincorso per tutta l’aula e, proprio
quando stava per fargliela pagare, era entrata Kawaguchi-sansei, che aveva
rispedito entrambi al loro posto e affibbiando loro il compito di pulire l’aula
dopo la fine delle lezioni.
Kazuha, alle prese con
una lavagna che sembrava impossibile da pulire, sentì un suono provenire dall’altra
parte della classe.
“Ti sembra il caso di
suonare?” disse senza voltarsi.
“Quanto sei lagnosa”
si lamentò l’altro, allontanandosi dalla pianola “Per quanto tempo pensi di
tenermi il muso?”
“Chi può saperlo”
rispose lasciando andare un sospiro. Si voltò e vide l’amico che la fissava.
“Perché mi guardi?”
chiese, stringendo lo straccio tra le mani.
“Giusto, tu preferisci
dare le spalle a chi ti parla” aveva il suo solito sorrisino stampato in
faccia. Kazuha si strinse nelle spalle, arrossendo. Si sentiva estremamente in
imbarazzo in quella situazione e il fatto che lei avesse una cotta colossale
per l’amico di certo non migliorava le cose.
“Dobbiamo spostare i
banchi” disse, facendo cadere il discorso.
Avevano quasi finito,
nel giro di una decina di minuti sarebbero tornati a casa. Heiji si guardò
intorno per controllare che fosse tutto a posto e, distratto dai suoi pensieri,
inciampò in qualcosa finendo a terra, mentre l’altra rideva fragorosamente.
“Ma che cavolo,
Kazuha! Proprio qui la dovevi lasciare la cartella?”
“Se almeno guardassi
dove cammini..” fece l’altra, abbassandosi per raccogliere ciò che l’amico
aveva fatto caderedalla cartella.
“Ci andrai?” chiese
lui, raccogliendo un cartoncino quadrato da terra. Era l’invito per il Galà
tenuto annualmente dal corpo di polizia.
“Sì, i miei ci vanno
ogni anno. Tu?”
“Non credo, il giorno
dopo c’è il torneo di kendo e devo allenarmi. E poi quelle feste sono troppo
noiose”
“Sei tu quello
noioso..” borbottò Kazuha.
“No davvero, non
capisco cosa ci trovi di tanto divertente”
“Beh.. c’è chi
racconta aneddoti di cose accadute sul posto di lavoro, poi organizzano quei
giochi di deduzione! Mio padre mi ha detto che hanno ingaggiato una band,quindi
ci sarà la musica! Anche se poi nessuno mi..” si bloccò, come se avesse capito
di aver detto qualcosa di troppo.
“Nessuno cosa?” indagò
lui.
“Niente, non importa”
aveva un sorriso triste stampato in faccia.
“Puoi anche parlare,
non ti mangio mica” lei trasse un respiro profondo.
“Dicevo che nessuno mi
chiede mai di ballare” disse tutto d’un fiato con il viso in fiamme.
“Hey hai dodici anni,
insomma, hai tutto il tempo per trovare qualcuno con cui ballare” lui non la
guardava, i suoi occhi erano fissavano un punto indefinito fuori dalla
finestra.
“Io non..” lasciò la
frase a metà.
“Sai, dovresti essere
un po’ più ottimista, Kazuha. Pensi di non trovare qualcuno in grado di sopportarti?
Ci sono tante anime pie in giro” questa volta si voltò verso di lei,
ammiccando. Lei si sentì avvampare di nuovo.
“Beh, ecco..”
balbettò, non le aveva mai parlato in quel modo.
Mantenendo il suo
sorrisetto, Heiji tornò alla pianola e suonò l’attacco di una canzone che
entrambi conoscevano molto bene, era una di quelle filastrocche che si
insegnano all’asilo.
“Facciamo così,
siccome ci tieni tanto. Se tra cinque anni nessuno si sarà offerto come vittima
sacrificale per ballare con te, lo farò io. D’accordo?”
Cosa gli passava per
la testa? Insomma, le avrebbe fatto molto piacere ballare con lui ma non aveva
mai pensato sarebbe successo davvero, erano solo buoni amici. Sicuramente aveva detto quelle cose perché provava
pena per lei.
Vide il braccio dell’amico allungarsi verso di lei.
“Allora?”
Kazuha increspò le labbra in un sorriso e afferrò la mano di
lui con la sua e si alzò dal divano. Un attimo dopo stavano davvero ballando. Il sogno di una vita, eh Kazuha?
***
Conan passò la notte a fissare il soffitto, ogni volta che
chiudeva gli occhi, gli si parava davanti lo scenario dell’incidente. Le parole
di Sonoko lo avevano colpito dritto al cuore, forse perché aveva detto ciò che
lui non era stato capace di ammettere. Ran avrebbe avuto una vita migliore
senza di lui, sarebbe stata felice accanto a qualcuno capace di dargli ciò che
non aveva mai ottenuto da lui.
C’era una cosa che più di tutte, gli premeva che la ragazza
avesse: un futuro. Questo perché, con
il senno di poi, nella situazione in cui si trovava era l’ultima cosa che
avrebbe potuto prometterle. Ogni giorno la sua copertura diventava più debole e
se gli Uomini in Nero lo avessero scoperto, sarebbe stata la fine per tutti
coloro che, in un modo o nell’altro, erano entrati con contatto con lui e Ran
non meritava una fine del genere, non l’avrebbe permesso.
Quando suonò la sveglia, si alzò a fatica e si trascinò fino
al bagno. Lui e Kogoro sarebbero andati in ospedale prima dell’orario delle
visite, per aggiornarsi sulle condizioni della ragazza.
Dopo aver fatto colazione scesero le scale e arrivarono in
strada, dove li attendeva il taxi che il detective aveva chiamato poco prima.
“Conan-kun!” urlò qualcuno dall’altra parte della strada.
L’interessato alzò lo sguardo e intravide due dei suoi amici
agitare le braccia per farsi notare, mentre una figura minuta se ne stava in
disparte con le braccia incrociate.
“Ciao!” li salutò appena lo raggiunsero “Dov’è Genta?”
“Sta arrivando, è in ritardo come al solito” sbuffò
Mitsuhiko.
“Abbiamo saputo di Ran-oneesan, come sta?” chiese Ayumi.
Aveva nuovamente cambiato atteggiamento con lui.
“Moccioso, non ho tempo da perdere. Muoviti, o vado da solo”
borbottò Kogoro dalla macchina.
“Il dottore ha detto che sta bene, stiamo andando a trovarla
proprio ora, volete venire?”
“Dobbiamo aspettare Genta-kun!” continuò la bambina.
“Allora ci andremo dopo insieme” disse Conan con un sorriso,
avrebbe dovuto posticipare la sua chiacchierata con Ran, ma forse era meglio
così.
“Ti raggiungiamo più tardi” disse poi a Kogoro, che,
sbuffando, avvisò il tassista.
***
Quando l’ultimo dei suoi amici arrivò, il gruppo si avviò
verso l’ospedale. Non era così lontano da lì se si percorreva la strada a
piedi. C’erano diversi percorsi secondari che avevano usato moltissime volte.
Di nuovo, quando Conan entrò, l’odore di disinfettante gli si insinuò nelle
narici, facendolo starnutire.
C’erano parecchie persone nella sala d’aspetto, mancava solo
Kogoro, che probabilmente si trovava nella stanza di Ran insieme al dottore. Come
a confermare i suoi sospetti, l’uomo sbucò dal corridoio accompagnato dalla ex
moglie, dicendo che la ragazza stava bene e che dagli esami non erano risultate
anomalie. L’avrebbero dimessa nel giro di un paio di giorni.
“Posso andare a salutarla?” chiese il bambino all’avvocato,
se l’avesse chiesto al detective gli avrebbe sicuramente urlato contro.
“Credo di sì, ma non portarti i tuoi amici dietro. Si è
svegliata da poco ed è meglio evitare di fare troppo rumore. Non si è ancora
ripresa del tutto. Loro la potranno vedere più tardi, okay?”
L’altro annuì e si infilò nel corridoio che conduceva alla
camera della ragazza, davanti alla quale si fermò per alcuni secondi. Era
veramente pronto per fare una cosa del genere? No, assolutamente, e non lo
sarebbe mai stato, ma non aveva scelta. Varcò la soglia della stanza d’ospedale
per la seconda volta. Il lettino di Ran era coperto dalla solita tenda blu.
Fece alcuni passi, quasi sperando che la ragazza non lo sentisse.
“Shinichi?” sentì qualcuno chiedere.
“Come hai capito che ero io?” disse, portando velocemente alle labbra
il modulatore di voce, non si aspettava un’accoglienza del genere.
“Ho tirato a indovinare” la sua voce era molto flebile,
faticava a parlare.
In realtà non aveva tirato a indovinare, avrebbe sentito la
sua presenza anche se si fosse trovata in una stanza piena di gente. Era come
se lui emanasse un’aura particolare. Oltre a Shinichi solo un’altra persona le
infondeva quello strano senso di sicurezza e protezione, ma in questo caso era
qualcuno molto più piccolo e minuto del detective, qualcuno che da un po’ di
tempo viveva sotto il suo stesso tetto e che secondo suo padre non sarebbe
arrivato in ospedale prima di un’altra mezz’ora.
“Allora, come ti senti?” chiese, sedendosi appena accanto
alla tendina.
“Bene, penso”
“Mi dispiace, Ran”
“Non è stata colpa tua”
“Avrei potuto evitarlo”
“Non credo, tutto ciò che succede ha un suo motivo. Doveva
andare così”
Rimase in silenzio, colpito dalle parole che l’altra aveva
appena pronunciato.
“Ran, devi fare una cosa per me” disse infine.
“Huh?”
“Dimenticami”
“Che stai dicendo?”
“Non sono la persona giusta per te, devi guardare avanti e
dimenticarti di me. Odio vederti star male, soprattutto se per colpa mia”
“Perché mi stai dicendo queste cose?”
“Guardati. Sei sul lettino di un ospedale e io sono il
responsabile di tutte le tue ferite. Se solo mi fossi attenuto al
piano, ora non ci troveremmo qui.
Devo starti lontano e tu devi fare lo stesso con me, perché
più ti avvicini,
più sarai in pericolo. Sono stato un idiota a pensare di poter
risolvere tutti i problemi del mondo. Perché è
così, ultimamente non faccio
altro che causare guai su guai a tutti coloro che mi stanno intorno e
ho bisogno di
una pausa per concentrarmi e capire come rimediare ai casini che ho
combinato.
Ran, ti prego, perdonami”
Detto ciò si alzò e si trascinò verso la porta, ma prima che
potesse aprirla, fu costretto a bloccarsi.
“Dovresti smetterla di darti la colpa per tutto. Hai fatto
per gli altri molto più di quanto loro potessero fare per te, non ti ho mai
visto tirarti indietro davanti ad un ostacolo, fin da bambino hai sempre preso
posizione contro chi non rispettava le regole. Non hai nessuna colpa e se vuoi
che io mi dimentichi di te ci vorrà ben altro che una manciata di parole”
Lui strinse i pugni. Quanto vorrei che tu avessi ragione.
“Ci vediamo” disse solo, prima di uscire.
--------
Buonassssera
Ebbene, sono tornata! Non che me ne fossi andata, era per dire.
Anyway.. ci ho
messo un secolo per scrivere questo capitolo, più che altro mi
sono incasinata sull'ultima scena, ho in mente il momento in cui lui le
chiede di dimenticarlo da tipo tre settimane ma non riuscivo a buttar
giù qualcosa di sensato e alla fine questo è stato il
risultato sob
Ammetto che mi
è dispiaciuto farli separare così perchè li adoro
insieme, ma non tutte le storie sono a lieto fine, no? Okay forse anche
questa lo sarà (io non vi ho detto niente), ma voglio
sottolineare il "forse".
Scopriamo un
po' di più sull'incidente e sulle condizioni di Ran, anche se
dell'autista della macchina che l'ha investita non si sa ancora niente,
saprete qualcosa di più nel prossimo capitolo? Chissà.
Passiamo
all'altra coppia, Heiji si sta arrovellando per capire cosa
caspita prova per la sua amica ma di nuovo non abbiamo una risposta.
Ora sapete a cosa si riferiva Kazuha nel flashback dello scorso
capitolo e qual era la fantomatica promessa del suo amichetto, direi
che l'ha mantenuta, no?
Comunque vi anticipo che nel prossimo capitolo saprete anche a cosa alludeva con quella cosa di cui parlava l'ultima volta, avrei voluto inserirlo qui ma erano già sette pagine di Word quindi uhm
Detto questo boh vi saluto e niente ahah
Gaia
Ps. Ringrazio i recensori dello scorso capitolo:
rosadc: potrei aver stravolto un attimo le tue aspettative, ma spero che tu voglia comunque continuare a leggere la storia;
shinichi e ran amore: credo
di aver risposto a tutte le tue domande tranne quella su
Alchermes, di cui, come ho già detto, probabilmente si
parlerà nel prossimo capitolo;
Kazuha95: la tua recensione mi ha ricordato un'altra cosa, prossimamente si parlerà anche della trasformazione del caro Shinichi!
Cercherò di frenare il mio lato sadico d'ora in poi, ma una
storia angst che si rispetti merita un bel po' di suspense, non credi?
uhuh
SkyDream: mi hai commossa aww ti chiedo scusa per il semi infarto ma era proprio quello che volevo ahahah
giuggiola5: spero che il capitolo abbia soddisfatto le tue aspettative!
E niente, ringrazio tutti voi di cuore, mi fa davvero piacere leggere quello che pensate della mia storia.
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Capitolo 6 *** Revelations. ***
cap 5
Premessa: Come
anticipavo nell'angolo autrice dell'ultimo capitolo, verranno (forse?)
spiegati i motivi della trasformazione di Shinichi. Ho fatto il
possibile per rendere la mia teoria reale da un punto di vista
scientifico, ma, avendo studiato biologia moooolto male e per un anno
solo, mi scuso per i possibili errori che troverete (in caso, fatemelo
pure sapere, così correggo). Mi dileguo, ci ritroviamo alla fine
del capitolo (per chi ci arriverà). Buona lettura!
Ten miles from town and I just broke down
Spitting out smoke on the side of the road
I'm out here alone just trying to get home
To tell you I was wrong but you already know
Believe me I won't stop at nothing
To see you so I?ve started running
- Daughtry, Life after you
Sentì la porta chiudersi alle sue spalle con un clac
secco. Si appoggiò al muro e, con
gli occhi chiusi, scivolò lungo la parete fino a sedersi. Aveva
appena messo
fine alla cosa più bella che gli fosse mai successa.
Lasciò andare un lungo sospiro, poi, dopo alcuni minuti si
alzò di nuovo e si riavvicinò all’entrata della
stanza, pronto
a ricominciare la solita recita.
“Ran-neechan?” chiese appena fu entrato.
“Conan-kun, sei tu?”
“Sì, sono venuto a salutarti!” continuò, fingendo un tono
allegro. Spostò la tendina, riuscendo finalmente a vedere il viso di Ran. Nei
suoi occhi non c’era nemmeno un’ombra di tristezza, sembrava solo molto stanca.
“Come stai?” chiese sedendosi sullo sgabello vicino al
letto.
“Bene, grazie” sorrise. Segui
il piano, non distrarti.
“Shinichi-niichan è passato a salutarti? L’ho visto uscire
poco fa”
“Sì, pensa che io mi trovi qui per colpa sua, ma sai com’è
fatto..” Ran spostò lo sguardo da Conan ad un punto indefinito fuori dalla
finestra. Il piano. Niente sorprese. “Pensa che la
salvezza del mondo intero dipenda da lui, ma non è così. Non è un supereroe, ci
sono cose che nessuno può evitare. Siamo tutti vittime di un qualcosa di più
grande e tutto ciò che possiamo fare è rassegnarci al nostro destino. D’accordo,
possiamo cambiarlo, ma non così tanto da diventare onnipotenti o qualcosa del
genere. Non ne abbiamo la capacità e Shinichi fatica a capirlo”. Fece una
pausa, quasi le costasse uno sforzo immenso parlare.
“Sto cercando di dire che quel ragazzo non sa fare altro che
pensare agli altri, costantemente. Certo, ama accrescere quel suo ego che è già
mostruosamente grande di natura, ma sono convinta che se si trovasse in
condizione di scegliere tra la sua vita e quella di uno sconosciuto o perfino
un criminale, non salverebbe se stesso”
Ran si voltò a guardarlo nuovamente e Conan notò nei suoi
occhi un’ombra che mai aveva visto prima. Per un attimo gli parve che l’altra
avesse capito come stavano veramente le cose. Al diavolo il piano.
“Probabilmente è come dici tu, ma non è giusto essere
altruisti?” la ragazza rise.
“Non è una questione di essere altruisti o meno, Shinichi è
la persona più testarda che io abbia mai conosciuto. Vuole che tutti stiano
bene e si incolpa se qualcosa non va come previsto”
Conan fece per parlare di nuovo ma la porta della camera si
aprì, rivelando la presenza di una piccolo gruppetto.
“Ran, il piccoletto ti sta dando fastidio?” disse Kogoro,
seccato. Ran scosse la testa.
Da dietro di lui si fecero strada prima Kazuha e Sonoko,
seguite a loro volta dai bambini e da Heiji. L’avvocato Kisaki era dovuta
tornare al lavoro, avrebbe fatto di nuovo visita alla figlia nel pomeriggio.
Il caos che si venne a creare convinse Conan che non ci
sarebbe stata l’occasione di continuare il discorso che stava affrontando con
Ran, almeno non per il momento. Ma forse era meglio così. Aveva già parlato
troppo e si sentiva debilitato, come se le parole della ragazza gli avessero
tolto tutte le energie.
“Allora?” chiese sottovoce il detective dell’Ovest
all’amico.
“Huh?”
“Che vi siete detti? Non hai un’aria felice”
“Ho chiuso la questione come mi avevi consigliato”
“Che?!”
“Starle lontano è la cosa migliore da fare” l’altro rimase
di stucco, cosa gli stava succedendo? Solo un paio di giorni prima la pensava in modo completamente diverso.
“Ma lei sembra comunque contenta, quindi va bene così”
aggiunse poi, lasciando intendere di non volerne più parlare.
Passò una mezz’ora prima che la porta si aprisse di nuovo.
Stavolta però Conan non riconobbe il visitatore, era un ragazzo sulla ventina,
con i capelli castano chiaro e gli occhi verdi.
“È permesso?”
“Kohei-kun!” strillò Sonoko appena lo vide. Conan sbarrò gli
occhi, era il ragazzo di cui parlavano un paio di giorni prima? Come era possibile che non lo avesse mai visto?
Lui raggiunse il lettino e, dopo aver chiesto a Ran come si sentisse,
si presentò. Si chiamava Matsuda Kohei e viveva nella zona di
Tottori, dove frequentava il primo anno di università.
L'avvocato Kisaki e sua madre erano amiche di vecchia data e il mese
prima si erano
incontrate dopo anni in un ristorante, entrambe accompagnate dai
rispettivi figli. A quel punto le due avevano proposto di cenare
insieme e nel corso della serata Kohei e Ran avevano scoperto di avere
diverse cose in comune, come la passione per il karate.
Quando arrivò l’ora di andarsene, il ragazzo si trattenne un paio di minuti
nella stanza, solo con la
Mouri, mentre Conan si chiedeva cosa ci fosse veramente
tra quei due. La situazione era fin troppo strana. Era completamente
assorto nei suoi pensieri, quando venne riportato alla realtà
dal suono del suo
cellulare.
“Pronto?”
“Quando pensavi di parlarmi di quello che è successo?”
chiese una voce dall’altro capo.
“Ha-Haibara!”
“Cavoli, che intuito” disse, sarcastica “Hai messo il naso
nelle mie cose?”
“Ma di che stai parlando?”
“Lo sai benissimo”
“Aspetta ma chi ti ha detto che..?”
“Io e il professore siamo arrivati stamattina, abbiamo
intravisto il tuo amico uscire da casa tua e ci ha detto quello che è successo.
Lasciati dire che sei un idiota fatto e finito”
“Hattori ha fatto cosa?! Quel..” si voltò verso
l'amico del Kansai e gli rivolse un'occhiata truce. Perchè
nessuno si faceva i fatti propri?
“Raggiungimi tra venti minuti a casa del professore,
d’accordo?” continuò lei secca per poi riagganciare, senza aspettare una risposta.
***
“Io torno più tardi!” disse Conan al detective Mouri quando
il taxi si fermò davanti all’agenzia investigativa. La madre di Mitsuhiko aveva
riaccompagnato a casa gli altri, che avevano già in programma di pranzare
assieme.
Il bambino iniziò a correre a perdifiato fino a giungere a casa del
professore.
“Shinichi-kun!” esclamò Agasa quando entrò dalla porta
rimasta aperta.
“Salve, professore. C’è Haibara? Mi ha detto che doveva
parlarmi” disse l’altro, cercando di riprendere fiato.
“Sono qui” Conan si voltò e la vide seduta sul
divano, intenta a sfogliare una rivista.
“Prego” esordì “spiegami come diavolo hai trovato
l’antidoto”
“Non l’ho trovato, infatti.”
“Certo” disse con una punta di sarcasmo.
“Non so come sia successo”
“Cosa?! Aspetta un attimo” si alzò dal divano e si diresse giù per
le scale, per poi tornare alcuni minuti più tardi con una cartellina in mano.
“Questi sono i tuoi ultimi esami del sangue” continuò
facendo scorrere i risultati “e tutto sembra si sia sistemato dopo l’ultima
volta”
Da ormai alcuni mesi la cantina della casa era stata adibita
a laboratorio di analisi. Naturalmente non era come stare in un vero ospedale e
gli esami venivano compiuti per lo più manualmente attraverso l’uso di
microscopi piuttosto sofisticati finanziati dai genitori di Shinichi. I lavori
richiedevano molto tempo ma era l’unico modo possibile.
La piccola scienziata esaminava il sangue di Conan una volta
al mese per controllare che non ci fossero anomalie e normalmente andava tutto
bene, ma un paio di settimane prima, era risultato che ci fosse una
concentrazione di globuli rossi fin troppo bassa rispetto alla media.
“Quindi? Cosa mi ha trasformato?” chiese lui, ansioso.
“Frena un attimo, Kudo-kun. È difficile stabilirlo.. hai
mangiato o bevuto qualcosa di insolito?” l’altro scosse la testa. La scienziata
rimase per un po’ in silenzio, pensando ad una possibile soluzione.
“Allora, cerchiamo di ragionare. Analizziamo ciò che è
successo sulla base delle analisi” esordì “Iniziamo dal principio. Come già
sai, il sangue è composto da una parte liquida, il plasma, e una corpuscolata,
composta a sua volta da eritrociti, leucociti e piastrine. Quando la
temperatura corporea si alza, tutte le cellule del corpo ne risentono. Nel caso
degli eritrociti, i globuli rossi per intenderci, questo aumento della
temperatura può essere devastante nel caso in cui si vadano a toccare i 42°C,
cosa che accade molto raramente nel corpo umano. Tranne nel tuo caso. Ogni
volta che prendi l’antidoto, la tua temperatura si alza moltissimo, giusto?”
L’altro annuì, cercando di seguire il discorso della
scienziata.
“Ecco, probabilmente è stato questo ad aver causato la
diminuzione dei tuoi globuli rossi. Fortunatamente però, non ho
riscontrato conseguenze a livello fisico. Credo che l'APTX4869 riesca
in qualche modo a controllare gli eritrociti,
dando loro l’impulso per duplicarsi più in fretta. Da qui
deduciamo che se la
tua temperatura si alza riesci a tornare te stesso, altrimenti non
succede.
Questo perché se i globuli rossi diminuiscono, i tessuti e di
conseguenza anche
le cellule, ricevono meno ossigeno e sono costretti a rallentare, ci
sei?” Annuì di nuovo.
“Okay, passiamo ad un altro punto. Ogni volta che la cellula
compie un ciclo, la regione finale del cromosoma, il telomero, va ad
accorciarsi perché la DNA polimerasi polimerizza in direzione 5’->3’,
spostandosi dunque dall’estremità 3’ a 5’. Qui entra in gioco la telomerasi, un
enzima che si occupa appunto di recuperare le informazioni perse durante questa
ultima parte e ricompone il cosiddetto filamento lento che altrimenti sarebbe
stato copiato in maniera discontinua” fece una pausa per riprendere fiato.
“Qual è il senso di tutto ciò?” si sentì chiedere.
“Dammi ancora un attimo..” sbuffò “È
stato dimostrato che
l’accorciamento dei telomeri è una delle cause
dell’invecchiamento della
cellula, cosa assolutamente normale. Infatti, la telomerasi, ovvero
l'enzima che si occupa di quel processo, normalmente non è
attiva nella cellule della linea somatica: si attiva solo in alcuni
casi
particolari, come per la presenza di tumori. Io penso che il veleno
abbia
indotto la telomerasi ad attivarsi, rallentando così
l’invecchiamento
cellulare. Tutto ciò che dovremmo fare è trovare un modo
per ‘disattivare’
l’enzima, così da contrastare il suo effetto”
“E come si può fare?”
“L’enzima è prodotto da un gene che è presente nel corpo
umano per natura e, ammettendo che questo gene inizi a produrre telomerasi ad
una data temperatura, potremmo affermare che quando il tuo calore corporeo
aumenta, il gene si disattiva”
“Quindi dovrei praticamente avere sempre la febbre per
rimanere me stesso?”
“Non proprio ma il senso è quello”
“Ma come è possibile..?”
“Infatti, non è possibile. Moriresti” continuò con un sorrisetto lei.
“Allora avresti potuto risparmiarmi la filippica!” la guardò
truce, mentre Haibara si spostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Quanto sei noioso, Kudo-kun.” borbottò “Di recente sono
stati fatti alcuni studi su una pianta di origine cinese, l’astragalo, che
sembra avere la capacità di attivare il gene che produce la telomerasi e se
riuscissi ad analizzarla forse potrei trovare un modo attivare il processo
inverso”
Il giovane detective, impegnato a leggere una mail
arrivatagli alcuni istanti prima, alzò la testa dal telefono e prese a fissare
la ragazza.
“Dove troviamo questa pianta?” chiese d’un fiato.
“Non così in fretta. Credo che quelli dell’Organizzazione
l’abbiano nominata un paio di volte, volevano farci alcuni esperimenti per
sviluppare un nuovo tipo di droga” fece una pausa “Farò alcune ricerche, ma ho
paura non sia esattamente legale quello che vogliamo fare”
“Non mi interessa”
“Questa è bella” lo canzonò “Mr Seguo-Le-Regole che decide
di sgarrare..”
“Se quello è l’unico modo per tornare ad essere adulto, sono
pronto a correre il rischio”
“E va bene, come ti pare. Ma fossi in te non trarrei
conclusioni affrettate, è possibile che non funzioni. In molti credono che
non abbia alcun tipo di potere”
“Tanto vale provare” continuò lui alzando le spalle. Fece
per alzarsi, doveva tornare a casa perché Kogoro lo aspettava per il pranzo.
“Vorrei fare alcuni altri esami su di te” disse Ai poco
prima che lui se ne andasse.
“Huh?”
“La mancanza di eritrociti mi preoccupa quindi vorrei
tenerti in osservazione per un po’”
“Che intendi dire?”
“Che dovresti rimanere qui per alcuni giorni”
“Cosa?!”
“È necessario” affermò lei, seria.
“Ne riparliamo domani, okay?”
La piccola scienziata si strinse nelle spalle, mentre lui le
rivolgeva un’ultima occhiata avvicinandosi alla porta. Dopo aver salutato entrambi, si
diresse verso l’agenzia investigativa, pensando alla miriade di informazioni
che aveva ricevuto.
Aspettami Ran, sto
tornando da te. Sgominerò l'Organizzazione e finalmente tutto tornerà come prima.
***
Alchermes
tirò il freno a mano, aprì la portiera e uscì
dalla macchina, inspirando l’aria pungente di fine dicembre. Il
cielo era
plumbeo, forse l’indomani avrebbe nevicato. Fece tintinnare le
chiavi
infilandole in tasca mentre muoveva alcuni passi verso
l’imponente edificio. Sentì un leggero odore di fumo
provenire dalle sue spalle e si fermò.
“Vermouth” disse, senza voltarsi.
“Complimenti, my dear.
Hai un intuito eccellente”
“Solo tu fumi quella marca di sigarette, no?” disse, mentre
le sue labbra si increspavano in un sorriso compiaciuto nel sentire la voce
della collega.
“Ho saputo della tua grande impresa” disse lei senza
rispondere alla domanda.
“Quell'incidente è solo il primo passo di un piano che farà uscire quel
moccioso detective allo scoperto”
“You know, le cose
non vanno sempre come programmato” ammiccò, lasciando cadere a terra la
sigaretta, dalla quale si sollevò un sottile filo di fumo, e senza dire altro
si allontanò. Specialmente se ci sono io
di mezzo aggiunse tra sé. Sorrise,
guardando il riflesso del nuovo acquisto dell’Organizzazione nella porta a
vetri prima di varcarla.
“Sbagli a sottovalutarmi” disse allora Alchermes, sottovoce.
Tutto era perfettamente stabilito. Tutto sarebbe andato bene. Tutto sarebbe filato liscio. E Shinichi
Kudo sarebbe stato solo un lontano ricordo.
Rivolse un’altra occhiata al cielo per poi varcare la soglia
dell’edificio, diretto verso il laboratorio di analisi. Aspettava quegli esiti
da tempo e se i risultati fossero stati positivi, il suo lavoro sarebbe stato
estremamente semplice.
***
“Che intendevi dire con ‘quella cosa’?” chiese Kazuha,
vedendo entrare l’amico in cucina.
“Huh?”
“Ieri sera hai detto di aver capito il significato di
‘quella cosa’” mimò le virgolette con le mani. Stava cucinando degli onigiri.
“Ooh.. beh io, non è nulla” balbettò sperando che lasciasse
cadere il discorso.
“Ora lo voglio sapere” si imbronciò. Lui sbuffò, prendendo posto a tavola.
“Konna chiisana seiza na no ni koko ni ita koto
kizuite kurete arigatou*, Heiji” recitò, senza guardare l’amica, che
in pochi secondi sfumò dal rosa pallido al rosso vivo.
“Aspetta, quindi tu..?”
“Non erano appunti di storia, giusto?” continuò sorridendo.
Kazuha si sentì avvampare per la vergogna.
“Hai letto il mio diario??”
“Non puoi metterti a scrivere in mezzo al parco e pretendere
che nessuno veda niente” la canzonò.
L’altra rimase zitta, coprendosi il viso con le mani coperte
di chicchi di riso. Non si era mai sentita tanto in imbarazzo. Aveva scritto
cose estremamente personali e pensare che lui le avesse lette le faceva venire
la nausea.
“Hey, guarda che mi ha fatto piacere, è una bella frase”
disse lui con un sorriso che lei non vide.
“Kazuha, va tutto bene” continuò, alzandosi e allungano una
mano verso di lei. Arrivò a sfiorarle un braccio e la sentì rabbrividire.
“Hai letto ciò che avevo scritto, quindi tu sapevi che..”
“Ho visto solo quello, il resto era indecifrabile, hai una
scrittura pessima” abbozzò nuovamente un sorriso mentre la ragazza abbassava
le mani, scoprendo gli occhi verdi.
“Scusa, che hai detto?”
“Che ti servirebbe un bel corso di calligrafia” continuò
l’altro con una smorfia.
“Da che pulpito vien la predica.. Comunque la frase era
piuttosto esplicita, ti ci sono voluti cinque anni per capirla?” lui rise,
sperava quasi che si fosse dimenticata di quel particolare.
“Beh, quando ho letto quella frase non ho capito cosa
volessi dire, insomma, ammettilo, è confusa. Mi sono chiesto cosa c’entrassero
le costellazioni con me” disse lui, ridendo “Ma ieri l’ho collegata a quel
giorno in cui mi hai detto che ti faceva piacere parlare con me e..” la sua faccia
andava a fuoco, era strano che si sentisse tanto in imbarazzo
“E che solo tu riesci a capirmi. È questo ciò che ho detto,
giusto?” Heiji annuì.
“Era un brutto periodo per me e sono contenta di averti
avuto accanto, tutto qui” continuò lei. Vide il braccio del ragazzo muoversi, per
avvicinarsi nuovamente al suo. Rimase a guardare le dita del ragazzo che si
intrecciavano con le sue, alzò lo sguardo e si trovò persa negli occhi
dell’amico. Sembravano più belli e luminosi del solito. Ma per quanto lei si
sforzasse di fingere c’era un pensiero che non riusciva a cacciare via.
“Stai facendo tutto questo perché ti faccio pena, vero?”
disse poi, guardando gli onigiri che giacevano su un piatto mezzi pronti. Il
ragazzo rimase di sasso, non si aspettava una domanda del genere. Fece per
parlare ma le parole gli morirono in gola.
“Io.. io..” balbettò, mentre l’altra tornava a guardarlo.
“È sempre stato così, giusto Heiji? Sono sempre stata quella
appiccicosa, quella che non ti lasciava mai in pace, quella che hai sempre
dovuto tenere d’occhio per evitare che facesse stupidaggini. L’ho capito da
tanto ormai, ma va bene così. Sono stata stupida a pensare che le cose
potessero cambiare” aveva un sorriso triste stampato in faccia.
“Ti sbagli” disse allora lui, stringendo i pugni. L’altra
aveva lasciato la sua mano poco prima di parlare.
Kazuha assottigliò appena gli occhi. Ad Heiji bastò una
frazione di secondo per voltarsi e uscire dalla cucina, dirigendosi poi verso
la porta. Appoggiò la mano sulla maniglia ed esercitò una lieve pressione, fino
a far scattare la serratura.
“Ti sbagli su tutto” ripeté prima di varcare la soglia e
andarsene, mentre l’amica rimaneva a guardarlo camminare. Avrebbe voluto
corrergli dietro, dirgli di aspettare, di darle spiegazioni. Ti sbagli. Quelle due parole
rimbombavano nella sua testa, assordandola. Sentì pizzicare gli occhi e le
lacrime iniziarono a cadere, rigandole le guance.
Resta.
-------------
Precisazioni:
*la
frase in questione è un verso di una canzone di Aimer,
Rokutousei No Yuro (ending di No. 6, per intenderci) e tradotta sarebbe
"Grazie per avermi trovata nonostante io sia una costellazionecosì
piccola", se non l'avete mai ascoltata, fatelo
perchè è bellissima. Nel caso specifico del testo, Kazuha
si paragona ad una piccola costellazione, qualcosa che nessuno
normalmente nota.
Heeeey
Sono
in ritardo e chiedo venia, ma mi ci sono volute circa 10 ore per
trovare una soluzione al problema "trasformazione" perchè, come
dicevo sopra, sono piuttosto ignorante sull'argomento "scienza", quindi
perdonatemi. Per scrivere quella parte ho usato informazioni che ho
trovato su vari siti (quali wikipedia, improbabili pagine di giornale
del 2006 in inglese e siti scritti in lingue di cui non avevo mai
sentito parlare, ovviamente scherzo). Ripeto, se c'è qualche critica che volete farmi, sono qui pronta a leggere, mi fa solo piacere.
Detto questo, cosa ne pensate? Compare per la prima volta Kohei, di
cosa avrà parlato con Ran quando è rimasto solo con lei?
Chissà. Poi vediamo Alchermes preso in una lunghissima (sarcasmo
mode: on) conversazione con Vermouth, ma continuiamo a non sapere molto
su questo nuovo membro dell'Organizzazione mmmh. Ultimo punto, Kazuha
ed Heiji: erano a un passo dal diventare qualcosa di più ma bam,
succede un casino. Lo so, chi supporta la coppia mi starà
odiando, ma io vi voglio bene lo stesso uhuh
Non ho ancora scritto mezza riga del prossimo capitolo quindi non posso
anticiparvi niente, solo che molto probabilmente si parlerà di
nuovo di Alchermes, che referti deve ritirare? Avete già qualche
teoria in proposito? Perchè io non ne ho.
Mi prendo di nuovo uno spazio per ringraziare i recensori dello scorso capitolo:
giuggiola5: sei gentilissima e sono felice che ti piaccia la mia storia!
SkyDream: ahaha credo che la mia morte dovrà aspettare! O se non
altro dammi ancora un pochettino di tempo così finisco la
storia, mi spiacerebbe lasciarla a metà eheh. Non ho mai pensato
di far morire Ran, almeno non per ora. Purtroppo è solo
lievemente ferita ahah. In effetti Sonoko è stata poco delicata
e forse l'ho fatta diventare un po' OOC, mea culpa!
Kazuha95: ringrazio il tuo lato masochista allora! ahah per il finale
ho già un po' di idee in mente (devi sapere che io scrivo al
contrario, parto dalla scena finale e immagino cosa succede prima), ma
non ti svelo niente uhuh
shinichi e ran amore: diciamo che per ora la situazione tra Ran e
Shinichi è un po' statica, forse il colpo di scena
arriverà prossimamente, non posso dire altro, perdoooonami ahah
(ti mando un cuore per la recensione ♡
perchè mi sono un attimo commossa aha no davvero, mi ha fatto
piacere leggerla e non so se mi merito quei complimenti T.T). A
proposito, ho un'idea per una scena che potrebbe farti piacere, ma
dovrai aspettare ancora un po' per leggere quella parte.
E niente, ringrazio anche chi ha messo la storia tra i preferiti e tra le seguite (e naturalmente anche chi ha letto e basta!)
Fatemi sapere cosa ne pensate, per me conta un sacco
sapere se vi piace o meno, bastano poche paroline suvvia, mi accontento
di tutto ahah
A presto,
Gaia
|
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Capitolo 7 *** Face to face. ***
cap 6
But I hold on, I stay strong
Wondering if we still belong
Will we ever say the words we're feeling
Reach down underneath and tear down all the walls
Will we ever have our happy ending?
Or will we forever only be pretending?
Will we always, always, always be pretending
- Lea Michele & Cory Monteith, Pretending
Kazuha si sentiva schiacciare dalle pareti di quella casa
così grande, mentre si incolpava per essere stata tanto stupida. Lei ed Heiji?
Impossibile. Eppure ci aveva creduto quando lui l’aveva baciata, aveva continuato a
crederci quando le aveva chiesto di ballare e quando si erano addormentati sul
divano di villa Kudo, abbracciati. Ma poi tutto era andato storto. Non erano
destinati a stare insieme.
Forse aveva sbagliato a pensare che avessero qualcosa di
speciale. Erano due persone normali, due adolescenti che si comportavano da
adolescenti, niente di più, niente di meno.
Ti sbagli. Di
nuovo quelle parole. Che intendeva dire? Se
mi sbagliassi tu non ti comporteresti così, non te ne saresti andato.
Sapeva come andavano certe cose, nonostante la lista delle
sue storie d’amore fosse piuttosto corta. Heiji non poteva essere innamorato di
lei, avrebbe reagito in tutt’altro modo. Kazuha non si aspettava una
dichiarazione, ma andandosene in quel modo aveva confermato le sue ipotesi.
Heiji era sempre stato restio a confidarsi con gli altri, soprattutto
riguardo l'argomento “amore”. Non l’aveva mai sentito
parlare di una sua ipotetica cotta, mai. Tutto ciò che sapeva di
lui era che da
piccolo si era innamorato di una bambina di Kyoto, ma dopo aver
scoperto il suo
nome, non ne aveva più fatto parola.
La ragazza si alzò da terra per dirigersi in salotto. Accese
lo stereo e lasciò che la voce di Dean Martin riempisse la stanza come la sera
prima, mentre lacrime amare le percorrevano le guance.
Intanto, Heiji camminava con le mani in tasca e la visiera
del cappellino abbassata sugli occhi. Stupida,
sei una stupida, Kazuha.
Non ce l’aveva fatta, nel sentirle dire quelle cose aveva
preferito andarsene, come poteva anche solo pensare che le facesse pena? Dopo
tutti quegli anni al suo fianco? Non avrebbe potuto sbagliare di più. Era fuori
strada, assolutamente.
Calciò un sassolino, mentre i suoi respiri formavano piccole
nuvole di fumo. Ci aveva messo anni per capire che ciò che
provava per l’amica
non era solo affetto fraterno. No, era qualcosa di molto, molto
più grande.
Qualcosa che non aveva provato per nessun’altra. Ogni volta che
le stava
accanto, sentiva come se il cuore stesse per scoppiargli nel petto. Di
recente aveva
anche sperimentato le tanto conclamate “farfalle nello
stomaco”, che però a lui avevano ricordato più un
branco di elefanti. Sei
una stupida Kazuha continuava a ripetere mentalmente, quasi fosse una
cantilena.
Gli ritornò in mente il momento in cui l’aveva baciata. Non
erano passate nemmeno ventiquattro ore, eppure sentiva la necessità di rifarlo,
voleva rivedere il suo sguardo imbarazzato, sentire il suo profumo e il suo
contatto sulla pelle.
Sentiva le tempie pulsare. Si maledisse per non averla
baciata anche poco prima, quando le aveva detto quelle cose. Sarebbe stato
molto più semplice. E lei avrebbe capito.
***
“Perché
l’incarico è stato affidato al nuovo membro?”
sbottò
Vermouth appena fu sola con Gin. Non le capitava spesso di perdere le
staffe,
era un’attrice e nascondere i suoi sentimenti le risultava
piuttosto facile. Fingere era il suo mestiere, d’altronde. Aveva
sviluppato un
grande autocontrollo nel corso degli anni e questa sua capacità
le era tornata
utile molte volte.
“Sai bene che certe decisioni non vengono prese da me, ma da
quella persona” ribatté il biondo, atono.
“Risparmiami la predica, certo che lo so! Ma per una cosa
del genere non sarebbe stato meglio scegliere qualcuno con un po’ più di
esperienza?”
“Non so che dirti, ma ne ho sentito parlare bene. Sarà una
specie di iniziazione” continuò con un ghigno.
La donna si fece alcuni passi nella stanza incrociando le
braccia al petto, nella situazione c’era qualcosa che non andava, normalmente
il Capo non affidava compiti del genere ai pivellini. Respirò profondamente,
imponendosi di mantenere un certo contegno, avrebbe seguito Alchermes da lontano
per evitare che Cool Guy ed Angel si facessero male per davvero. E avrebbe
tenuto d’occhio anche Sherry, d’altra parte aveva fatto una promessa* e, per
quanto odiasse quella ragazzina, per il momento aveva altro a cui pensare.
Si voltò di nuovo verso l’uomo, che si era appena acceso una
sigaretta.
“Mi auguro che tutto vada come previsto, allora” disse,
melliflua, per poi aprire la porta ed uscire dalla stanza.
***
“Moccioso! Dove ti sei cacciato?” sbraitò Kogoro dalla
cucina “Dobbiamo andare da Ran!”
“Arrivo, arrivo” si lamentò l’altro, mentre infilava il
braccio destro nella manica della giacca blu. Il detective borbottò qualcosa
che il bambino non capì. Probabilmente lo stava insultando. Tutto nella norma.
Appena sentirono il suono del campanello, si precipitarono fuori
dalla porta. Sul ciglio della strada li aspettava la macchina di Eri Kisaki,
che li avrebbe portati all’ospedale.
Una volta arrivati, un’infermiera riferì loro che in camera
di Ran c’era già qualcuno e che avrebbero dovuto aspettare.
“Non sarà ancora quello pseudo detective?” sbuffò Kogoro. Non ci giurerei, zietto.
“Chi può dirlo, non si è più fatto vedere dopo..” Eri non
potè concludere la frase perché la porta si aprì, rivelando la presenza di un
ragazzo sulla ventina. Di nuovo tu?
“Oh, buongiorno signor Mouri” esclamò Kohei inclinando la
testa, sorpreso, per poi rivolgere l’attenzione all’avvocato, che lo guardò
benevola.
“Ciao Conan-kun!” disse poi, sorridendo, mentre l’altro si
limitò a fargli un cenno di saluto con il capo. C’era qualcosa che non quadrava
in tutta quella situazione, perché Ran non gli aveva mai parlato di lui? Perché
passava tutto quel tempo con lei?
“Pensavo che questo pomeriggio avessi da fare” disse Eri.
“Sì, per questo sono venuto un po’ prima, volevo salutare
Ran prima di partire”
“Mi fa piacere che tu le stia vicino, sei un caro ragazzo”
“Si figuri è un piacere per me” diede un’occhiata veloce
all’orologio e si dileguò, scusandosi.
Appena se ne fu andato, il trio entrò in camera della
ragazza. Conan potè notare che aveva un aspetto migliore di quella mattina,
sembrava meno stanca. Salutò i nuovi arrivati calorosamente per poi rispondere
a tutte le domande dei genitori: “Hai mangiato?” “Come ti senti?” “I dottori ti
trattano bene?” e cose del genere.
Dopo un po’ li raggiunsero anche Sonoko e Kazuha.
Quest’ultima di certo non aveva un bell’aspetto, si notavano dei segni scuri
sotto gli occhi, nonostante avesse cercato di coprirli con uno spesso strato di
trucco. Conan si chiese cosa fosse successo, probabilmente Hattori aveva di
nuovo combinato qualcosa. Se quell’ipotesi fosse stata corretta, si sarebbe
spiegato il perché della sua assenza.
“Kazuha-neechan, dov’è Heiji-niichan?” nel sentire il suo
nome, la ragazza si rabbuiò.
“Non lo vedo da stamattina” disse in un soffio, senza
nemmeno guardarlo.
“Ah” mugugnò l’altro.
Si scusò con i presenti e uscì dalla stanza, lì non poteva
usare il cellulare. Il telefono di Heiji suonava a vuoto, poi qualcuno sembrò
rispondere.
“Segreteria telefonica di Hattori Heiji, detective privato.
Al momento non posso rispondere. Lasciate un messaggio e vi richiamerò il prima
possibile” Beep.
Sbuffando, tornò in camera. Insomma, dove diavolo si era
cacciato?
Verso metà pomeriggio il dottore della sera prima si
presentò nella stanza, dicendo che avrebbero dimesso Ran l’indomani mattina.
Conan tirò un sospiro di sollievo, aveva temuto il peggio ma finalmente tutto
si stava sistemando. Detto ciò, l’uomo invitò tutti ad andarsene, la ragazza
aveva bisogno di riposare. Il gruppo si allontanò dal lettino, ma il bambino,
prima di riuscire a varcare l’uscio, fu costretto a bloccarsi.
“Conan-kun?”
“Sì, Ran-neechan?”
“Puoi fermarti qui un minuto?” lui rivolse lo sguardo al
medico, che annuì.
“Allora ti aspettiamo fuori” disse Kogoro, diffidente,
mentre si avviava verso la sala d’attesa.
Il bambino si avvicinò di nuovo al lettino della ragazza e
si sedette sullo sgabello.
“C’è qualcosa che non va?” chiese.
“No, al contrario” gli sorrise “Vorrei solo chiederti un
favore”
“Di cosa si tratta?” era titubante, aveva un brutto
presentimento.
“Dovresti metterti in contatto con Shinichi”
“Che?!” strabuzzò gli occhi. Non le era bastato il discorso
che le aveva fatto quella mattina?
“Ho bisogno di parlargli”
“Ma..”
“Lo faresti per me? È importante..”
“Io n-non so..” balbettò. Pensava di essere stato chiaro con l'espressione
‘Devi dimenticarmi’, ma forse Ran aveva la testa più dura di quanto ricordasse “D’accordo,
va bene. Cosa devo dirgli?”
“Ti ringrazio. Chiedigli venire qui, oggi a mezzanotte.”
“E come pensi possa fare?” esclamò con più enfasi di quanto
volesse “Intendevo dire che..”
“Ho capito cosa intendevi, ma sono abbastanza sicura che
troverà il modo per entrare anche se è fuori dall’orario delle visite” continuò
lei con un sorriso a trentadue denti. Come poteva essere così felice?
Suo malgrado, Conan annuì. Non sapeva che fare, chiedere ad
Haibara era impensabile, soprattutto dopo quel discorso del giorno prima. Non
voleva che gli si riducessero di nuovo i globuli rossi e per questo non gli
avrebbe permesso di prendere nuovamente l’antidoto. Mai, neanche sotto tortura.
Era sul punto di rinunciare, quando, verso l’ora di cena,
gli venne un’idea, ma avrebbe dovuto essere prudente. Niente più passi falsi.
Era talmente perso nei suoi pensieri che ci mise un po’ per
capire che il suo cellulare stava squillando. Dopo aver letto il nome del
mittente, si spostò in camera sua per rispondere.
“Alla buon’ora! Si può sapere dove eri finito?” chiese
all’interlocutore, seccato.
“Ho fatto un casino” sentì dire dall’altro “Mi serve il tuo
aiuto”
Conan rimase spiazzato dal tono di Heiji, grave e cupo. Si
tolse gli occhiali e li appoggiò sul comò, la ‘Faccenda Ran’ avrebbe dovuto
aspettare.
“Ti ascolto”
***
Ran guardò l’orologio, segnava le 23.47 e di Shinichi
neanche l’ombra. Al contrario dell’ultima volta, era piuttosto sicura che non
si sarebbe presentato, soprattutto dopo quel discorsetto che le aveva fatto.
Come poteva minimamente pensare che lei sarebbe riuscita a dimenticarlo? È difficile
rimuovere dalla mente il ricordo della persona che ami. Riprese a leggere il
libro che sua madre le aveva portato quella mattina, Un giorno.
Dopo una decina di minuti alzò lo sguardo dalla pagina, per
rivolgerlo alla luna alta nel cielo scuro. Le scappò un sorriso.
“Sai, se tu fossi un ladro saresti già in prigione da un
pezzo” disse, ridendo.
“Pensavo di non aver fatto nessun rumore” balbettò lui in
tono sorpreso.
“Non sei esattamente un esempio di leggiadria” scherzò lei,
voltandosi. L’amico era perfettamente nascosto dalla tendina blu che divideva
la stanza in due. Nonostante non potesse vederlo, lo immaginò sorridere.
“Pensi di rimanere là dietro per tutta la sera?” chiese dopo
un attimo.
“L’idea era quella”
“Huh?”
“Non riuscirei a guardarti negli occhi dopo quello che ho
fatto, quindi preferisco starti lontano”
“Non mi hai guardata negli occhi neanche mentre lo facevi,
se vogliamo dirla tutta”
“Touché”
“Non so a che gioco stai giocando ma potresti almeno venire
più vicino? Non vorrei urlare ogni parola. Se ci sente qualcuno siamo fregati”
“Non sono stato io a proporre di vederci di notte in un
ospedale” lei sbuffò.
“A proposito, come hai fatto ad entrare?”
“Segreto professionale”
“Certo” disse Ran, ridendo.
Una figura attraversò la stanza e si andò a sedere proprio
accanto alla tendina, che oscillò al contatto con il suo braccio.
“Sai, tutto questo avrebbe un senso se tu avessi la faccia
martoriata o qualcosa del genere che non mi vuoi mostrare ma..” borbottò,
posando il libro sul comodino bianco.
“In effetti è così, mi hanno preso a pugni” disse,
sarcastico.
“Che?!”
“Ran, sto scherzando”
L’altra tirò un sospiro di sollievo.
“Di che volevi parlarmi?” Si sentiva estremamente nervoso.
“Eri serio l’altro giorno? Vuoi veramente lasciarti alle
spalle tutto ciò che abbiamo passato insieme?” disse d’un fiato. L’amico, nelle
due ore precedenti, si era preparato per ogni tipo di domanda, ma,
inspiegabilmente, le parole gli si fermarono in gola.
“Ecco.. io..” biascicò. Dì
qualcosa, forza. Dove hai lasciato il coraggio? “Vedi, Ran, è che sono
davvero alle prese con un caso importante e, dato che ormai sono coinvolto, non
voglio mettere in pericolo nessun altro..”
“Ma se tu me ne parlassi potrei aiutarti..” stava lottando
contro la voglia di girarsi e guardarlo negli occhi.
“Non è così semplice”
“Sei tu che complichi le cose”
“Credimi, non è così. Se te ne parlassi, saresti troppo
esposta. Non ti devi preoccupare per me, io sto bene” Ran sospirò. Non è cambiato di una virgola.
Rimasero entrambi in silenzio per diversi secondi, un
silenzio carico di parole che nessuno dei due riusciva a pronunciare. Sarebbero
stati capaci di dirsi addio?
“Per quanto tempo vuoi portare avanti questa farsa?” chiese
Ran. Il cuore di Shinichi perse un battito, che avesse capito tutto?
“Che intendi dire?” cercò di tenere la voce ferma, con
scarsi risultati.
“Vuoi passare tutta la sera accucciato dietro una tenda?” tirò
un sospiro di sollievo.
“Non mi dispiacerebbe”
“A me invece non dispiacerebbe guardarti negli occhi mentre
ti parlo”
Dannazione.
Shinichi respirò profondamente, maledicendosi per essere
tanto stupido. Quando si parlava di affrontare i criminali non si tirava mai
indietro, ma gli bastava avere Ran accanto e di colpo perdeva tutto il
coraggio, si sentiva esageratamente debole. Come quando Clark Kent si trovava
vicino alla kryptonite. Ecco, l’amica d’infanzia era la sua kryptonite.
Tanto vale. Appoggiò
una mano a terra e fece leva per alzarsi. Le cose non sarebbero dovute andare
in quel modo, ma ormai aveva fatto talmente tante stupidaggini che una in più probabilmente
non avrebbe guastato. Si maledisse nuovamente mentre sfiorava con la mano quell’orribile
tendina blu.
Ran, dal canto suo, per tutto il tempo si era chiesta cosa
lo avesse spinto a non volersi far vedere da lei, non credeva molto alla scusa
che le aveva rifilato. Paura di guardarla negli occhi? Impossibile. Shinichi
non era mai stato un codardo e pensare che avesse paura di lei le faceva venire
da ridere, doveva esserci qualcos’altro. In ogni caso, lo avrebbe scoperto di
lì a poco.
Tenne lo sguardo fisso davanti a sé, mentre l’ombra della
tendina si muoveva sulla parete azzurrina. Vide con la coda dell’occhio una
figura che lentamente scivolava verso di lei, per poi sedersi sullo sgabello
accanto al letto.
“Allora?” esordì Shinichi, agitandole una mano davanti al
viso “Ora che son qui non mi guardi?”
Ran rimase in silenzio, stringendo i pugni.
“Hey.. stai bene?” chiese. L’altra annuì e finalmente si
voltò.
“Sei un deficiente, mi hai fatto prendere un colpo” disse
ridendo appena lo vide in faccia. L’altro, dapprima stranito dalla sua reazione,
la imitò.
“Sai, un po’ di tempo fa mi sono prefissato delle regole e
per colpa tua ne ho infrante più della metà in soli due giorni” disse poi con
una smorfia.
“Ah sì? E quali ti sono rimaste?” lo guardò di sottecchi.
“Di certo non le vengo a dire a te, mi porti sulla cattiva
strada!”
“Sicuramente” lo canzonò, per poi ricominciare a ridere di
nuovo.
Dopo un attimo, prese a guardare fuori dalla finestra. Il cielo
era nuvoloso, ma luna era comunque visibile.
“Signor Detective, secondo lei nevicherà?” chiese, abbassando
gli occhi sull’amico, che la stava guardando a sua volta, come imbambolato.
“C-che c’è?” balbettò lei. Lui parve risvegliarsi.
“Oh, ecco io.. scusa” Ran trattenne a fatica una risata. Avrebbe
voluto immortalare il momento con una fotografia, tanto era buffa la sua
faccia.
“Puoi sederti qui, se vuoi” disse la ragazza, quasi come un
automa, indicando uno spazio vuoto sul letto. Le bastarono un paio di secondi
per pentirsi di ciò che aveva detto.
Vide l’amico arrossire e spalancare appena gli occhi, probabilmente
non si aspettava una richiesta del genere. Esitò, prima di aprire la bocca per
ritirare le parole appena pronunciate, ma, prima che potesse farlo, Shinichi si
alzò dallo sgabello per avvicinarsi al lettino. Si accovacciò goffamente nel
piccolo spazio, toccando la spalla della ragazza con la propria.
“Contenta?” disse, guardandola. Lei annuì, avvampando.
Come le era saltato in mente di chiedergli una cosa del
genere? Quella vicinanza la metteva a disagio, sentiva caldo in tutto il corpo
e il cuore le batteva talmente forte che aveva paura che lui riuscisse a sentirlo. In quel
momento si sarebbe sotterrata dalla vergogna.
“Ran..?” si sentì chiamare.
“Huh?”
“Io.. volevo dirti che mi dispiace” disse velocemente,
tenendo gli occhi blu fissi su quelli indaco della ragazza. Gli erano sempre
piaciuti, ricordavano il colore della lavanda.
Ran aveva le labbra socchiuse, incapace di parlare. Non ti devi scusare, avrebbe voluto
dirgli, non ce n’è bisogno. Fece
appena in tempo ad accorgersi di essersi avvicinata con il viso a Shinichi,
prima di sentire il tocco delle labbra dell’amico sulle sue. Socchiuse le
palpebre e inclinò appena la testa, chiedendosi se tutto ciò stesse realmente
succedendo.
Avrebbe voluto che quel momento potesse durare in eterno, non
le sarebbe dispiaciuto viverlo e riviverlo all’infinito, ma così come era
iniziato, finì quando lui si staccò, tornando a guardarla. Le labbra di
entrambi si incresparono in un sorriso, mentre le guance della giovane si tingevano di rosa.
“Penso di aver
infranto anche l’ultima regola” disse lui, facendo ridere Ran.
“Grazie” la sentì sussurrare “per essere venuto”
Lui si strinse nelle spalle. “Volevo solo vedere com’è l’ospedale
di notte”
L’amica gli tirò un buffetto sulla guancia. “Baka”
Il mio baka preferito.
Shinichi sollevò di colpo il braccio facendo sobbalzare la
ragazza. Guardò l’orologio e imprecò mentalmente, era in ritardo. Si alzò in fretta dal
letto, ignorando le domande dell’amica. Amica che probabilmente, dopo quella
sera, non avrebbe più potuto chiamare in quel modo.
***
Heiji svoltò l’angolo e si trovò davanti a villa Kudo, si
fermò un attimo, maledicendosi per la reazione che aveva avuto quella mattina.
Non sarebbe dovuto scappare, aveva solo complicato le cose.
Infilò la mani nelle tasche del giubbetto di jeans e respirò
profondamente, camminando fino al cancello in ferro battuto, che era
stranamente aperto. Percorse il vialetto e fece per suonare il campanello, ma
la porta era socchiusa, quindi entrò. Probabilmente Kazuha si era dimenticata
di chiuderla una volta arrivata dall’ospedale.
Il corridoio era buio, sembrava non ci fosse nemmeno una
luce accesa in tutta la casa. Che la ragazza se ne fosse andata? No, forse si
era appisolata sul divano. Entrò in salotto senza accendere la luce, se la sua
ipotesi era corretta l’avrebbe svegliata. Vide una figura seduta sulla poltrona
al centro della stanza, non riusciva a distinguerne il profilo, appoggiò le
dita sull’interruttore.
“Cerchi qualcuno, Osaka?”
----------------
Precisazioni:
*Ne "Misteri in una notte di luna piena", Vermouth promette (più
o meno) a Shinichi che l'Organizzazione avrebbe smesso di dare la
caccia a Sherry.
Scusate, scusate, scusate, scusate.
Sono in un
ritardo assurdo, il fatto è che sono sommersa da verifiche e
interrogazioni, dato che i nostri prof non sono capaci di organizzarsi
e hanno bisogno di voti proprio le ultime due settimane. Ringrazio il
cielo che questo sia l'ultimo anno, poi sono libera (beh ci sarebbe
l'università ma whatever)
Detto questo,
cosa ne pensate? Kazuha è in stato catatonico e finisce per
ascoltarsi una compilation di canzoni piuttosto datate, mentre di Heiji
non sappiamo niente finchè non chiama Conan-kun. Perchè
ha bisogno del suo aiuto? Non è abbastanza grande per risolvere
i suoi problemi? Probabilmente sì, ma nella mia testa non
è così (scusa Hattori, non volermene).
Occhi a cuore
per gli altri due! *voce drammatica* sembrava dura, ma ce l'abbiamo
fatta!
(Ci tengo a precisare che la storia è ambientata prima
dell'avventura a Londra, dove Shinichi rivela i suoi sentimenti a Ran
-vedi volume 72 file 752 - quindi in sostanza lei non sapeva di
piacergli) E per la seconda volte è tornato se stesso? Come
avrà fatto? Ai posteri l'ardua sentenza, direbbe Manzoni. Nella citazione c'è un indizio.
Poi abbiamo una scena con Vermouth, cosa ne pensate? Io devo dire che
come personaggio mi piace, nonostante sia piuttosto ambigua, Gin mi
piace un po' meno ma questa è un'altra storia. Si è
parlato di Alchermes in via indiretta, prossimamente entreremo nel vivo
della storia e scopriremo qualcosa di più su questo nuovo membro.
Siccome ho pochissimo tempo, faccio un ringraziamento generale a tutti
i recensori e coloro che stanno seguendo o hanno messo tra i preferiti
la storia, spero vogliate continuare a leggerla!
A presto (spero),
Gaia
Ps.
Grazie ad una recensione ho scoperto di aver fatto un casino nello
scorso capitolo, tra errori di punteggiatura, ripetizioni di parole
ecc, quindi gli ho dato una sistemata e mi piacerebbe che lo
rileggeste, mi vergogno da morire per quanto era scritto male ahaha
(Questo l'ho ricontrollato una ventina di volte, ma se notaste errori di qualsiasi genere non esitate a farmelo notare!)
Ps2. RECENSITEEEEEE ahahahaha
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Capitolo 8 *** Questions. ***
cap7
With you, I'm alive
Like all the missing pieces of my heart, they finally collide.
So stop time right here in the moonlight,
Cause I don't ever wanna close my eyes.
Without you, I feel broke.
Like I'm half of a whole.
Without you, I've got no hand to hold.
Without you, I feel torn.
Like a sail in a storm.
Without you, I'm just a sad song.
I'm just a sad song.
- We The Kings, Sad song
“Na-Naomi? Che diavolo ci fai
qui? Dov’è Kazuha?” esclamò lui con tono
acuto. L’altra non rispose, si limitò ad alzarsi dalla
poltrona e avvicinarsi sinuosa verso il detective. Gli passò
accanto, sfiorandogli una spalla con le lunghe dita affusolate e
avvicinò le labbra al suo orecchio. Heiji poteva sentire il suo
respiro caldo sul collo. Un brivido gli percorse la schiena.
“La tua fidanzata non sa che non si deve mai aprire agli sconosciuti?” gli sussurrò.
“Che intendi dire? Che le hai fatto?!” urlò lui, sempre più agitato.
“Oh, sta bene”
“Dov’è ora?”
“Chi può
saperlo?” alzò le spalle, per poi voltarsi di nuovo e
ricominciare a camminare verso la porta. Heiji fu più
veloce di lei e, con uno scatto, la precedette, bloccando
l’uscita. La ragazza non fece una piega, quasi avesse previsto
quella sua mossa.
“Cosa credi di fare?” chiese con voce mielosa.
“Io? Per il momento niente,
aspetto una risposta” lei alzò un sopracciglio
“Dimmi dov’è Kazuha”
La voce di Heiji non era mai stata
tanto ferma e seria, non avrebbe abbandonato la causa tanto in fretta,
non poteva lasciare che qualcuno gli portasse via Kazuha, la sua Kazuha.
“Sai” esordì la giovane con un sorrisetto arrogante “Ogni cosa ha il suo prezzo” Heiji inorridì a quelle parole, ma si impose di rimanere calmo. Per una volta usa il cervello, ragiona.
“Non è così” disse in un soffio.
“Huh? Non ti sento, alza la voce”
“Ho detto che non è
così, come puoi dare un prezzo alla vita di una persona? Con
quale coraggio dici una cosa del genere? Sai, ti pensavo
diversa..” la donna abbassò appena la guardia.
“Non bastano le belle parole, lo sai, Osaka?”
“Non mi chiamavi così da anni, Nakagawa” i due si erano conosciuti molto tempo prima, quando il ragazzo era stato in vacanza a Himizu.
Heiji e Naomi, allora
rispettivamente di undici e tredici anni, si erano incontrati per la
prima volta un paio di giorni dopo l'arrivo della famiglia del Kansai,
la madre di lei era del posto, mentre il padre era australiano e per
questo, fin da piccola, era stata costretta a fare la spola tra uno
stato e l'altro.
Quando Kazuha aveva fatto quella
scenata un paio di giorni prima, Hattori le aveva detto la prima cosa
che gli era passata per la mente, avrebbe benissimo potuto dire la
verità, ma la sua testa non aveva ragionato abbastanza in
fretta quando le lacrime avevano iniziato a correre lungo le guance di lei. Ancora
non si spiegava di come l’amica d’infanzia avesse scambiato
un semplice abbraccio con un bacio. Certo, Naomi non aveva mai nascosto di
provare una certa attrazione nei confronti del ragazzo e già
anni addietro aveva cercato di trasformare quel rapporto di amicizia in
qualcosa di più, ma lui aveva sempre trovato il modo di evitare
che succedesse. Non che non fosse una bella ragazza, tutt’altro,
aveva i capelli biondo cenere che le arrivavano all’altezza delle
spalle e grandi occhi scuri - di orientale aveva ben poco -
semplicemente non era interessato a lei 'in quel modo'.
“Ti senti tanto cresciuto ora? Sono passati solo sei o sette anni, dopotutto”
“Sono cambiate tante cose”
“Mi chiedo se la tua amica
sappia cosa c’è stato tra di noi..” scandì
ogni parola, come se volesse imprimerle nella mente del detective, che
strabuzzò appena gli occhi.
“Cosa diavolo dici? Non c’è mai stato niente!”
“Sei sicuro che ti creda
ancora? Dopo la tua trovata di oggi io avrei qualche dubbio, caro il
mio Osaka. Non lo sai che non si scappa davanti a una persona che
piange?” strinse i pugni, lasciando andare le braccia lungo i
fianchi al ricordo di quella mattina. Se fosse rimasto con lei non si
troverebbe in quella situazione incresciosa.
“Perché chiudiamo qui
questa recita? Mi sono stancato, voglio sapere dov’è
Kazuha” ripeté.
“Potrebbe essere ovunque.. dietro il divano, a casa sua o a Taiwan..” lui respirò profondamente, rassegnato.
“D’accordo, cosa devo
fare per farti parlare?” alla ragazza spuntò un
sorrisetto, sapeva che prima o poi avrebbe ceduto. Teneva troppo a
quella ragazzina. Le due non si erano mai incontrate
direttamente, ma Heiji gliene aveva parlato spesso e volentieri quindi era come
se la conoscesse. Continuava a lamentarsi di lei, eppure, ogni volta
che la nominava sembrava illuminarsi, il che era un paradosso, un enorme paradosso. La sua
bocca diceva una cosa, i suoi occhi un'altra.
“Ho bisogno di un
favore” sussurrò al suo orecchio per poi tornare a
fissarlo.Lui sostenne lo sguardo, mantenendo i nervi saldi.La vide avvicinarsi sempre di
più, le punte dei loro nasi quasi a toccarsi. Le labbra del
ragazzo si socchiusero appena, mentre la distanza tra i due continuava a diminuire.
“Non credi di aver esagerato, Kudo?” disse, voltandosi verso la minuscola telecamera nascosta,
lasciando Naomi con un palmo di muso.
***
“Non dirmi che tu..?” aveva esclamato Ran, portandosi una
mano alla bocca, alla vista dell’immagine che era comparsa sul
portatile.
“Shhh dopo ti spiego”
“Perc..” non era riuscita a finire di parlare, sentendo le labbra dell’amico d’infanzia sulle sue.
“Ti ho detto di stare zitta,
ce la fai per cinque minuti a chiudere quella boccaccia?” lei
aveva portato le braccia al petto e si era imbronciata. Spiare il suo
migliore amico, che gli passava per la testa?
“Non credi di aver esagerato,
Kudo?” la voce di Hattori giunse alle orecchie di Shinichi forte
e chiara, grazie al microfono che aveva applicato sulla giacca di
Naomi. A questo proposito le aveva chiesto di stare il più
vicino possibile all’amico.
“Ti serva da lezione per la
prossima volta” borbottò allora lui, saccente, parlando
attraverso il lavalier*. Non diede all'altro il tempo di ribattere,
chiudendo la comunicazione.
“Vuoi spiegarmi? A cosa è servita quella farsa?”
“Vuoi dirmi che non ti sei
divertita?” continuò lui, ridacchiando “Sono sicuro
di averti vista ridere”
“Pff okay, okay” ammise, guardando il suo sorrisetto soddisfatto.
“Comunque non l’ho
fatto solo per vedere la sua faccia presa dal panico, questa mattina ha
combinato un casino con Kazuha.. a proposito, credo si siano avvicinati
parecchio in questi ultimi due giorni e..”
“Che hai detto?”
“Che Hattori era in preda al pan..”
“Non quello, Heiji e Kazuha stanno insieme?” chiese Ran con gli occhi sbarrati e un sorriso a trentadue denti.
“Credo che lo scopriremo
domani. Ad ogni modo, questo pomeriggio, mi ha chiesto di fare in modo che
Kazuha fosse a casa mia ad una certa ora, di impedirle in tutti i modi
di andarsene da Tokyo, perché doveva consegnarle qualcosa di
importante, credo. Poi ho ricevuto un messaggio di mia madre, dove mi
confermava che la ragazza che un paio di giorni fa era stata vista con
Heiji era Naomi Nakagawa, una giovane attrice che aveva interpretato un
piccolo ruolo in una degli adattamenti dei libri di mio padre, quindi ho cambiato un po' il piano”
Alcuni giorni prima, dopo la
telefonata con Kazuha, la ragazza aveva inviato a Ran una foto come
prova del fantomatico incontro dell’amico con quella misteriosa
biondina e la karateka l’aveva subito inviata a Shinichi, nella
speranza che lui sapesse chi fosse - magari un’amica o una
parente di Heiji. In effetti era piuttosto sfocata e gran parte
dell’immagine era occupata dalle spalle del ragazzo, quindi
nessuno avrebbe potuto confermare che si stessero baciando o meno,
erano solo molto vicini.
“Aspetta quindi la conoscevi?”
“Sì, me ne aveva
parlato tempo fa mia madre. Mi disse che era molto brava e che
probabilmente avrebbe fatto strada”
“E quale idea malsana hai avuto per costruire una cosa del genere?” sbottò Ran.
“Hey calmati, era solo uno
scherzo.. e poi Kazuha voleva essere sicura che Heiji non frequentasse
nessuno, l’ho fatto per lei, non per me”
“Che intendi dire?”
“Che la tua amica ha seguito tutta la scena in diretta dalla camera da letto dei miei”
Ran sembrò quasi sollevata.
Scrollò le spalle e prese a guardare davanti a sé, senza
dire altro. Intanto, Shinichi spense il portatile e lo appoggiò
sul comodino insieme agli auricolari che avevano usato per
l’audio.
“Forse dovrei andare”
disse dopo un po’ il ragazzo, non aveva idea di quanto
l’antidoto sarebbe durato, Haibara era stata molto chiara.
“Dimmi che scherzi” sentì una voce provenire dall’altra stanza.
“Ch-che cosa?”
balbettò Conan portando una mano alla testa, per poi aggiungere,
a bassa voce “Professore! Non mi aveva detto che sarebbe rimasta
fuori per un’altra ora?”
L’uomo si limitò ad alzare le spalle, ridacchiando.
“Cosa pensavi di fare, si
può sapere?” borbottò lei, scivolando in salotto
con le braccia incrociate al petto.
“Io? Oh, niente, sono solo passato a salutare”
“Pensavo avessi capito quanto
è delicata la situazione..” continuò sedendosi sul
divano. Si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e prese a
fissare il bambino, fredda “ma se sei disposto a rischiare tanto
per qualcuno, beh, forse vuol dire che ne vale la pena, non
credi?”
L’altro deglutì, chiedendosi se avesse davvero sentito quelle parole.
“Sì, Kudo, hai
capito” disse, quasi potesse leggergli la mente “puoi
prendere l’antidoto, ma sarà una versione più
leggera, avrà lo stesso identico effetto ma durerà molto
di meno”
Conan rimase in silenzio e
scrutò Haibara con sguardo indagatore, di solito non faceva cose
del genere, era diventata improvvisamente generosa? Doveva esserci
qualcos’altro sotto.
“Perché mi fissi in
quel modo? Sai, non sono così cattiva come pensi, ho anche un lato un po' meno sadico” si
alzò e sparì in corridoio, per tornare alcuni minuti
più tardi. Allungò un pugno in direzione del
detective e lasciò cadere la pillola nelle sue mani.
“D’accordo, è un
prototipo che ho messo a punto di recente, in realtà non volevo
dartelo finchè non fossi sicura dell’efficacia, ma tanto
vale provare, magari scopro qualcosa di nuovo”
Ora tutto aveva più senso.
“Credo di essermi abituato a questa situazione di
cavia-umana” disse lui, lasciandosi scappare una risata.
“Io non ti ho chiesto di
prenderlo, sono tue scelte e siccome sei la persona più testarda
che io abbia mai conosciuto, non credo di avere alternative”
disse prendendo il telecomando.
“Ti ringrazio” disse,
sincero. Le era davvero riconoscente per l’impegno che stava
mettendo nella ricerca della formula per l’antidoto definitivo ed
era sicuro che ci sarebbe arrivata ben presto “Per.. tutto”
“Non puoi restare ancora un
po’?” si sentì chiedere da Ran, che intanto aveva
appoggiato la testa sulla sua spalla.
“È che ho paura che qualcuno ci senta” biascicò.
“Ho sempre pensato che
mentire fosse una tua dote innata, ma probabilmente mi sbagliavo”
disse sollevando il viso per guardarlo negli occhi “C’è qualcosa che devi dirmi?”
Preso in contropiede,
avvampò, distogliendo lo sguardo. Gli ci vollero alcuni secondi
per riprendere il controllo di se stesso “No.. è che io..
insomma..” tossicchiò “Ricordi quando ti ho detto di
aver bisogno di un po’ di tempo per ragionare e risolvere quel
caso?” lei annuì, se lo ricordava eccome, avrebbe potuto
ripetere ogni singola parola che aveva pronunciato quella mattina.
“Ecco, ero serio. Devo sparire dalla circolazione per un po’, è meglio per tutti”
“E per te, cosa è
meglio?” Shinichi esitò, si era chiesto la stessa cosa
più volte, ma alla fine aveva sempre accantonato quei pensieri,
non poteva permettersi di pensare a se stesso in una situazione del
genere. Proteggi chi ti sta intorno.
“Ran, ti prego”
“Voglio che tu mi risponda”
“Devo risolvere quel caso,
questo è quanto” il tono serio usato dall’amico
d’infanzia sembrò arrivare al cuore della ragazza come
mille lame appuntite, se ne sarebbe andato
lasciandola di nuovo da sola. Ma prima che Ran potesse ribattere qualcuno aprì la porta, facendo sobbalzare i due.
“Che ci fai tu qui? Non sei
un paziente dell’ospedale e l’orario delle visite è
finito da un pezzo!” sbraitò l’infermiera, una donna
paffuta sulla quarantina.
“Lo so, mi scusi, è colpa mia. Me ne stavo andando” balbettò il ragazzo, alzandosi dal letto.
Prese il computer dal comodino e lo
infilò nel borsone che aveva lasciato cadere a terra, mentre l'altra non faceva altro che
ripetere che se non fosse uscito dalla stanza in un paio di secondi
avrebbe chiamato la polizia. Shinichi non rivolse nemmeno
un’ultima occhiata a Ran prima di aprire la porta e percorrere
il lungo corridoio semi buio, mentre la giovane rimaneva in
silenzio, con lo sguardo fisso sulle sue mani che stringevano
convulsamente il lenzuolo bianco del lettino.
Non sentiva più niente,
nessun suono giungeva alle sue orecchie, non il tonfo sordo della porta che sbatteva,
non la voce dell’infermiera, assolutamente niente. Fu come se
qualcosa dentro di lei si fosse incrinato nell’udire le parole
del detective. Possibile che una persona riuscisse a renderla tanto
felice da poter toccare il cielo con un dito ma allo stesso tempo
così male da non poter respirare?
***
Il guidatore della macchina nera
accostò lungo la superstrada per avvicinarsi ad un altro veicolo
dello stesso colore. Gli esami che aveva ritirato avevano confermato le
sue
ipotesi e tutto quadrava, sarebbe stato fin troppo facile portare a
termine il piano. Lasciò che le sue labbra si increspassero
in un ghigno. Vedrai la tua fine.
Alchermes scese dalla macchina e si
avvicinò all’altra auto. Il finestrino del lato del
guidatore era abbassato e da lì usciva una sottile linea di
fumo.
“Ce ne hai messo di tempo” borbottò l’uomo, aprendo la portiera.
“Ho trovato un posto di blocco all’uscita per Yokohama”
“Scoperto qualcosa?”
“Esattamente, ma non potevo
dirtelo al telefono” respirò profondamente
“C’è una falla nell’Organizzazione”
“Che intendi dire?”
“Shochu”
“Come lo sai?”
“Non è importante, ma
credimi, è così” l’altro si portò due
dita al mento per ragionare, da tempo sospettava che ci fosse una spia,
ma quella persona era l’ultima della sua lista. Avrebbe risolto
la questione al più presto.
“Stai pensando di eliminarlo, giusto?”
“Non vedo altra soluzione”
“In realtà io avrei in
mente un modo per sfruttare la cosa a nostro vantaggio, mi basta
l’okay per procedere”
“D’accordo, fai come meglio credi”
“Al capo andrà bene?”
“Ci penso io”
Alchermes sorrise, stava andando
tutto esattamente secondo il suo piano. Riusciva quasi a sentire
l’odore del successo. Andrà bene.
“Per l’altra questione?” chiese poi l’uomo.
“Parli di quel detective? Me ne sto occupando, ma le cose procedono a rilento” ammise.
“Non abbiamo molto tempo”
Ne era consapevole, la partita
stava giungendo al termine e per il momento aveva solo un piccolo
distacco dall’altro, ma aveva previsto ogni singola mossa di quel
ragazzino viziato che si atteggiava a investigatore. Avrebbe catturato
uno ad uno i suoi pezzi e quello più prezioso sarebbe rimasto
scoperto, senza difese. Scacco matto.
---------------
Precisazioni:
* Il lavalier è un tipo di microfono (questo per intenderci lol)
Konnichiwaaa
Come state? Sì, sono un pelo in ritardo ma meglio dell'altra volta, no?
Cooomunque..
Scoperto il misterioso maniaco in casa Kudo! È la misteriosa
ragazza con cui Kazuha pensava stesse Heiji *uuuuh*
(non sono sicura che quella frase abbia senso in italiano ma fate finta
di niente) e l'artefice del misfatto è *rullo di tamburi*
Shin-chan!
Colgo l'occasione per scusarmi per l'ansia che permea ogni santo
capitolo, ma non riesco a farne a meno, è il mio lato sadico che
mi porta a scrivere certe cose,
quindi prendetevela con quella parte di me buh
Ma
se da una parte le cose possono sistemarsi, dall'altra va tutto a
rotoli. Ran viene mollata un'altra volta da sola *lacrimoni*
A
proposito, suppongo aveste capito tutti quel banale indizio che ho
lasciato nello scorso angolo autrice, scusate non ho saputo fare di
meglio ahahaha
Per
concludere, vediamo Alchermes e un misterioso uomo che parlano di un
membro dei MIB che sembra essere un traditore, voi cosa ne pensate? Chi
riguarderanno le famose analisi? Questo Shochu, il nostro Sherlock o
altri? Esponete le vostre teorie, non abbiate paura ahah
Grazie
mille a tutti coloro che stanno seguendo questa storia, davvero.
Continuo a ripeterlo perchè è ciò che penso, sono
felicissima che la storia vi piaccia!
A presto,
Gaia
Ps. Come ripeto tipo sempre, RECENSITEEEEE -cuore-
|
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Capitolo 9 *** One last time. ***
cap 8
Once again you're home alone
Tears running from your eyes
And I'm on the outside
Knowing that you're all I want
But I can't do anything
I'm so helpless baby
Everyday same old things
So used to feelin pain
Never had real love before
And it ain't her fault
-Bruno Mars, All she knows
Ran fu
dimessa dall’ospedale il giorno seguente. Tornò a
casa accompagnata dai genitori, Sonoko e il piccolo Conan, che per
tutta la mattina
non proferì parola, quasi fosse improvvisamente diventato muto.
Arrivati all'agenzia investigativa, il bambino disse che si era
dimenticato di
dover passare dal professor Agasa e che probabilmente
non sarebbe tornato prima di sera. Non che fosse vero, voleva solo
stare lontano da Ran il più possibile, vedere i suoi occhi tristi era stato
abbastanza per farlo andare fuori di testa. Ho
dovuto farlo, avrebbe voluto dirle, non
avevo alternative, e ancora, sono qui
accanto a te, non mi vedi? Ci sono sempre stato. Si sentiva in
trappola, sapeva come sistemare le cose ma non poteva farlo. Tutto doveva
rimanere com’era, almeno per il momento. Solo così l’amica sarebbe rimasta al
sicuro.
“Non hai una bella cera” osservò Haibara alla vista
del viso
pallido dell’altro, che sollevò appena le spalle. Non
riusciva nemmeno a
risponderle. La sera prima era tornato dall’ospedale in fretta e
furia, sperando di arrivare prima che l'effetto dell'antidoto si
esaurisse. Si era accasciato appena entrato in casa colto alla
sprovvista da uno dei solito dolori al petto, ma
poi qualcosa era cambiato, si era sentito talmente male che aveva
pensato di
essere prossimo al collasso. Fortunatamente però, non era
successo e il ragazzo
ormai tornato bambino, si era lasciato cadere sul divano in salotto,
stravolto. La
mattina si era poi presentato sotto l’agenzia investigativa di
Kogoro, dove lo
aspettavano il detective, l’avvocato e l’ereditiera della
compagnia Suzuki, che
dopo essersi lamentata per il suo ritardo, era salita in macchina
sbuffando.
A quel punto Conan si era scusato dicendo che il professore non aveva
sentito la sveglia
suonare e si era dimenticato di chiamarlo. Nessuno aveva replicato, la
“scusa-Agasa” funzionava sempre, il fatto che il bambino
stesse così spesso da quello 'scienziato pazzo' non aveva mai
destato sospetti.
“È stato diverso
tornare bambino, questa volta, vero?” azzardò Ai. Conan sollevò la
testa e prese a fissarla, per poi annuire.
“È stato molto più lento” e più doloroso, avrebbe aggiunto.
“Immaginavo, allora penso di essere quasi arrivata alla
soluzione”
“Sai come creare l’antidoto definitivo?”
“Non ancora, ma la risposta arriverà molto presto. Ho
fatto alcune ricerche quella pianta di cui ti parlavo e potrebbe
davvero risolvere tutti i nostri problemi. Ho anche scoperto che si
può
acquistare legalmente quindi non dovrai macchiarti la fedina penale per
la
causa, Kudo” l’altro sorrise appena, lasciando andare un
sospiro.
“A proposito, devi trasferirti qui per un po’, devo tenerti
sott’occhio”
Conan si morse la lingua, andarsene da casa Mouri voleva
dire non poter più vedere Ran per quanto tempo? Giorni,
settimane o mesi? Non
voleva nemmeno pensarci, e poi lei sarebbe rimasta sola, questa volta
per
davvero. Lui non avrebbe più potuto vegliare su di lei, tenerla
al sicuro, sarebbe stato impossibile. Da quando era stato costretto a
vivere nel corpo
di un bambino aveva sempre cercato, nei limiti del possibile, di
stabilire
con la ragazza lo stesso rapporto che aveva con lei quando erano
piccoli. Voleva che
capisse che non sarebbe mai stata sola, ma ora si trovava a dover
decidere se
rimanere o andarsene, di nuovo. “E per te
cosa è meglio?” sentì rimbombare nella sua testa.
“D’accordo” disse solo.
***
“Perché te ne sei andato ieri mattina?”
“Huh? Ne abbiamo già parlato, non è importante” borbottò
Heiji, incrociando le braccia al petto. Kazuha gli aveva fatto la stessa
domanda almeno venti volte e dava segno di non voler lasciar perdere. Quanto
poteva essere curiosa?
I due amici del Kansai si trovavano sullo Shinkansen diretto
a Osaka già da più di due ore. Heiji aveva
dormito per tutto il viaggio, mentre la ragazza aveva passato gran parte del tempo
guardando fuori dal finestrino e ripensando a tutto ciò che era successo in
quei pochi giorni. Le sarebbe piaciuto fare di nuovo visita a Ran prima di
ripartire ma per il giorno di Natale -l’indomani- le loro famiglie avevano
organizzato un cenone in grande stile, era una specie di tradizione per loro.
“Non credi che io abbia il diritto di saperlo? Mi hai
lasciata lì da sola per ore e ore!”
“La sofferenza rafforza il carattere” si lasciò scappare.
Normalmente la ragazza gli avrebbe risposto per le rime, ma questa volta si
limitò a sospirare.
“Non sarebbe stato più facile tornare subito indietro
piuttosto che mettere in piedi una cosa del genere?” chiese lei, alzando un
sopracciglio.
La ragazza aveva trascorso la giornata precedente seduta sul
divano della grande villa dei Kudo, passando in rassegna gran parte dei film strappalacrime
della loro videoteca. Poi, nel tardo pomeriggio, aveva ricevuto una chiamata di
Shinichi.
“Dovrai fare esattamente come ti dico, okay?” aveva detto,
prima di spiegarle in breve ciò che sarebbe successo quella sera.
“Hattori dovrebbe far ritorno a casa mia verso mezzanotte,
ma, invece di trovare te, ci sarà qualcun altro ad aspettarlo”
“Qualcun altro?”
“Sì, capirai tutto più tardi, ma voglio che ti limiti a
guardare la scena dalla camera da letto dei miei genitori. Tempo fa hanno fatto
installare delle telecamere in alcune zone della casa, quindi farò in modo che
il filmato arrivi in diretta sulla TV della stanza, d’accordo?”
“Suppongo di sì..” aveva detto lei, non troppo convinta, ma
alla fine era andato tutto come programmato da Shinichi: tra Heiji e Naomi non c’era niente di più che
un legame di amicizia e aveva anche scoperto che la ragazza era davvero
simpatica, l’aveva giudicata male. Nel corso della serata -o meglio, nottata-
tutti i tasselli erano andati al proprio posto ed era riuscita a
riappacificarsi con l’amico d’infanzia, che ancora si rifiutava di darle
spiegazioni sul perché del suo comportamento.
“Saresti potuto tornare indietro subito, non credi?” chiese,
ancora.
“Mmh, Kazuha possiamo parlarne in un altro momento? Sono
stanco, s t a n c o” scandì allora lui, sperando che l’altra capisse. Ma lei rimase
in silenzio, con la testa abbassata.
“Ka-Kazuha, non volevo offenderti è che..” biascicò,
accorgendosi dell’ennesimo guaio combinato. Conoscendola si sarebbe messa a
piangere di lì a pochi secondi. “Sei un idiota” continuava a ripetere la voce di Kudo nella sua testa.
Il detective dell'Ovest, ormai nel panico, cercò invano un modo
per rimediare, ma poi la vide ridere e si immobilizzò.
Possibile che stesse davvero ridendo?
“Che-che hai, ora?”
“Non cambi mai, Hattori” continuò lei, rifilandogli una
gomitata nelle costole.
“Aho! Mi hai fatto male”
“Te la meritavi” esclamò con una smorfia.
Solo a quel punto i due si accorsero che tutti i passeggeri
del vagone li stavano fissando, non erano mai stati tipi silenziosi, neanche da bambini.
“Mamma, guarda sembrano i due protagonisti della storia” la
vocina era quella di una bimba che non poteva avere più di cinque o sei anni
“Sono innamorati anche loro come Higo e Aoko*, secondo te, mamma?”
Bastò una frazione di secondo per far cambiare colore ai due
ragazzi, che avvamparono.
“Dovresti chiederlo a loro, Ayaka, non a..” la donna fu
interrotta dall'altoparlante, che annunciava il nome della stazione
dove erano appena arrivati.
“Shin-Osaka, stazione di Shin-Osaka”
Ancora rossi di vergogna, scesero dal treno e si diressero all'area
riservata ai taxi, tornare a piedi sarebbe stato impossibile. Il
veicolo si fermò davanti alla casa di Kazuha e i due, scesi
dalla macchina, si separarono con un impacciato ‘Ci vediamo
domani’.
Sei una stupida, Kazuha.
Sei uno stupido, Heiji.
****
La Vigilia
passò in un attimo e, senza che nessuno se ne accorgesse,
arrivò il giorno di Natale, ma con Ran all’ospedale e il
resto, nessuno aveva avuto tempo di
occuparsi dei preparativi, quindi probabilmente sarebbe stato un giorno
come
gli altri.
Conan si alzò stancamente dal futon, dopo aver passato una
decina di minuti seduto con gli occhiali tra le mani. Sospirò camminando lungo
il corridoio verso la cucina, passando accanto alla camera della ragazza,
stranamente vuota.
“Ran che stai facendo?” chiese sorpreso alla vista della
giovane indaffarata tra pentole, vaporiere e quant’altro “Il dottore ha detto
che devi stare a riposo per almeno un'altra settimana!”
“Mmh? Non c’è problema, non sto facendo alcuno sforzo”
rispose lei con un sorriso. Sembrava davvero stanca, ma
dall’espressione del suo viso si capiva quanto ci tenesse a preparare il
pranzo.
“Sei sicura? Non voglio che tu stia male di nuovo” borbottò
in un sussurro, avvicinandosi a lei.
“Lo faccio volentieri e lo sai quanto mi piace cucinare” continuò, posandogli una
mano sulla testa per scompigliargli i capelli “A proposito, buon Natale”
Il bambino rimase immobile, senza dire una parola davanti al
sorriso della ragazza, tanto bello quanto sincero. Conan aveva deciso
di non farle sapere niente della sua partenza fino a sera, così
da farle passare una bella giornata, senza altre preoccupazioni. Il
detective aveva ripetuto quella frase più e più
volte, prima ad Agasa, poi a sua madre, che aveva chiamato il giorno
prima da
Los Angeles, ed infine a se stesso, probabilmente per convincersi che
era
quella la verità, anche se in realtà lui voleva
semplicemente conservare un ultimo
ricordo della Ran felice e spensierata di un tempo e avrebbe fatto il
possibile perchè tutto andasse bene.
Quando Eri, fermatasi in agenzia per la notte per stare vicina alla
figlia, e Kogoro si svegliarono, rimasero sorpresi
dall’energia della ragazza, che nonostante le proteste della
madre proseguì per
la sua strada, tagliando delle verdure che Conan aveva lavato poco
prima. Tutto andò per il verso giusto, almeno fino a quando non
squillò il telefono.
“Pronto?” borbottò Kogoro all’apparecchio. Possibile che
neanche il giorno di Natale potesse godersi un po’ di pace?
“Salve, parlo con Mouri Kogoro-san?” chiese una voce
femminile.
“Sì, sono io. Chi mi cerca?”
“Da quanto tempo! Sono la signora Edogawa, la madre di
Conan-kun, si ricorda di me?” esclamò la donna.
“Oh, sì certo! Vuole parlare con il marmoc- ehm, suo
figlio?”
“In realtà volevo solo riferirvi che sono appena arrivata a
Tokyo, quindi domani verrò a prendere il bambino” disse lei con noncuranza,
cogliendo il detective alla sprovvista.
Dall’altra parte della stanza, l'interessato si mordicchiava
l’interno della guancia per la tensione, la persona al telefono doveva sicuramente
essere sua madre. Yukiko aveva fatto ritorno dagli Stati Uniti solo quella
mattina, proprio per mettere in scena il piano che Conan aveva elaborato con Ai:
l’indomani la donna si sarebbe presentata in agenzia con un travestimento per recuperare
il figlio, proprio come aveva fatto tempo prima, e in seguito portarlo a casa
del professor Agasa, dove avrebbe vissuto per alcuni giorni, sotto l’occhio
attento della scienziata, pronta a verificare per l'ennesima volta che le condizioni del giovane si fossero stabilizzate.
Quando Kogoro fece ritorno in salotto aveva un’aria cupa,
probabilmente era preoccupato per la possibile reazione della figlia, che con il passare
dei mesi si era affezionata sempre di più a quel bambino.
“Chi era?” chiese la ragazza, senza staccare gli occhi dalla
TV.
“La madre di Conan, domani torna a casa” Ran si irrigidì.
“P-perché?” esclamò poco dopo, voltandosi verso il padre.
“Dice che lei e il marito sono tornati a Tokyo e vogliono
passare un po’ di tempo con il bambino.. insomma, per recuperare quello perso”
“Tu..” rivolse l’attenzione a Conan, seduto accanto a lei “Lo
sapevi?”
L’altro scosse la testa, senza dire una parola. In un
attimo, vide Ran alzarsi e dirigersi in camera sua, ignorando richieste e
domande dei genitori, speranzosi di capire il perché di tale reazione.Il
silenzio regnò nella stanza per diversi secondi, il tempo era come congelato.
“Conan-kun.. io credo che tu debba andare a parlarle”
sussurrò l'avvocato Kisaki, sedendosi vicino al bambino.
“Non sono sicuro che lei sia della stessa idea” riuscì a
dire.
“Sono convinta che scambiare due parole con te non possa che
farle bene” continuò, sorridendogli benevola. L’altro sospirò e, alzandosi,
ricambiò il sorriso. Forse aveva ragione.
“Ran..?” disse in un soffio, aprendo la porta della stanza.
Le luci erano spente, la camera era illuminata solo dalla luce fioca della
luna, filtrata attraverso i nuvoloni scuri. Avrebbe sicuramente nevicato
l’indomani.
La ragazza era seduta sul letto, gambe incrociate e sguardo
fuori dalla finestra.
“Tu lo sapevi, vero?” le sentì dire dopo secondi che gli
sembrarono ore. La voce era flebile ma allo stesso tempo di una fermezza disarmante che fece cadere Conan sulle ginocchia.
Si sentiva prosciugato di tutte le energie, di nuovo, e per un attimo pensò di
rivelarle tutto, d’altronde non aveva più niente da perdere.
“Mi dispiace” disse solo, facendo qualche passo nella
stanza.
“Dormiresti qui, stanotte?” chiese lei, prendendo l’altro in
contropiede. Non sentendo una risposta, si voltò verso il bambino, inclinando
la testa con un sorriso.
Conan esitò prima di rispondere.
“Io-io.. non..”
“Non ti mangio mica” continuò lei, ridendo.
“V-va bene” riuscì a balbettare, rassegnato. Cosa le passava
per la testa? Niente di tutto ciò aveva senso, da quando era diventata così
volubile?
Si mosse verso di lei lentamente, sperando che cambiasse
idea. Sapeva quanto fosse sbagliato, doveva starle lontano sia da Shinichi che da Conan. Era incredibile il numero di errori che
aveva fatto in una settimana: prima quella telefonata, poi l’invito ad uscire e
il successivo appuntamento, le visite in ospedale e infine quel bacio. La cosa peggiore che potesse fare.
Aveva dato ascolto al suo cuore, accantonando ciò che la testa aveva da dirgli. Vattene, aspetta che arrivi il momento giusto, lasciale vivere la sua vita. Tu non la meriti.
Solo ora notava le conseguenze delle sue azioni, che gli avevano impedito di guardare Ran un tempo.
Tutto sembrava completamente diverso in lei, anche quegli occhi color lavanda
che tanto gli piacevano erano ormai diversi.
Raggiunse la ragazza e le si sedette accanto, per poi scivolare sotto
le coperte. Lei, ora accucciata su un fianco, aveva la schiena
appoggiata al muro, mentre Conan era supino, tanto vicino al bordo del
letto
che se si fosse spostato solo di un paio di centimetri, sarebbe
sicuramente
caduto sul pavimento.
“Dovresti toglierli, non credi?”
“Huh?”
“Parlo degli occhiali, li indossi anche mentre dormi?”
continuò lei con un risolino mentre glieli sfilava
per poggiarli
sul comò. Conan si sentì avvampare quando la ragazza
prese a squadrarlo in
volto, cercando di scorgerne i lineamenti nonostante la poca luce.
Senza le spesse lenti, tutto sembrava quadrare e la somiglianza con il suo viso
si faceva ancora più evidente. Per un attimo le parve di
rivivere la scena della sera prima, quando si era trovata a condividere
la stessa aria di Shinichi e non riuscì a trattenere un sorriso
che mise ancora più a disagio l'altro.
“R-Ran, possiamo dormire?” finse uno sbadiglio “Sono
stanchissimo!”
Lei annuì, mentre Conan chiuse gli
occhi e cercò di rallentare i battiti del cuore, che pareva scoppiargli in petto.
Finì per passare un’altra notte in bianco,
distratto dalla presenza dell’amica accanto a lui. Non sapeva che
fare, per un attimo pensò di
alzarsi e andare a dormire sul suo futon, ma Ran gli circondò il
busto con un braccio, impedendogli ogni movimento. Che fosse ancora
sveglia? Eppure gli occhi erano chiusi e il respiro regolare.
Si chiese cosa avesse fatto di male per meritarsi tanti problemi.
Dannazione.
***
“Shochu?” chiese qualcuno dall’altro capo del filo.
“Sono le 4 di notte, non potevi aspettare domani mattina per
chiamarmi? Non dormo da due giorni, maledizione” mugugnò con la voce impastata
dal sonno, scostandosi i capelli dalla fronte.
“Credi sia bello scoprire che fai il doppiogioco?”
“C-cosa?” strabuzzò gli occhi, non potevano aver capito
tutto. Era impossibile che qualcuno sapesse la verità, impossibile. Aveva
coperto bene le sue tracce, o almeno pensava di averlo fatto.
“Lo sai bene. Ascoltami, hai solo un modo per salvarti la
pelle” fece una pausa, dal ricevitore giungeva solo il rumore del suo respiro
pesante “Devi allearti con me”
Allearsi con Alchermes sarebbe stato estremamente pericoloso. Conosceva le
capacità del nuovo membro e sapeva che se anche solo avesse fatto un passo
falso, la sua vita sarebbe finita. Aveva letto tutta la documentazione arrivata dai piani alti, ma non aveva altra scelta. Se oggi scappi, domani avrai bisogno di ancora più coraggio*, si ripetè mentalmente.
“Cosa dovrei fare?”
“Pensavo avresti reagito in un altro modo, beh tanto meglio.
Da dopodomani il Beika Museum ospiterà una mostra dedicata a Hokusai, durerà
una settimana e vorrei che tu ti impossessassi di qualcosa..”
“È impossibile rubare
in un posto del genere, dovresti saperlo meglio di me” gli giunse
alle orecchie il suono
di una risata soffocata.
“Il verbo giusto non è rubare, ma rapire”
inorridì a quelle parole, a chi
sarebbe toccata quella sorte? Era nell'Organizzazione da solo alcuni
mesi, ma non gli ci era voluto molto per capire il meccanismi che la
regolavano. Rapimento equivaleva a morte certa per l’ostaggio.
Rabbrividì.
“Chi?”
“Ran Mouri” continuò con un ghigno “Ti manderò per e-mail i
dettagli, prova a dire una sola parola ai tuoi amici americani e te ne pentirai
amaramente”
Shochu rimase immobile con il telefono ancora accostato
all’orecchio, nonostante Alchermes avesse riattaccato da un pezzo. Il piano
stava andando a rotoli, nonostante ci avesse lavorato per più di un mese
intero. Le possibilità di trarre la ragazza in salvo erano minime, anzi quasi
inesistenti, ma tanto valeva provare, ormai non c’era più niente da perdere.
***
Dopo un interminabile viaggio in auto da Yokohama, aveva raggiunto di
nuovo Tokyo, dove finalmente avrebbe
ottenuto la sua vendetta.
Con un binocolo a visione notturna in
mano riusciva a vedere qualsiasi zona della città nel raggio di diverse
centinaia di metri, compresa la stanza di un albergo di lusso appena fuori
dalla zona di Haido. Concedimi solo un
paio di altre mosse e goditi i tuoi ultimi istanti di felicità, perchè sarò io a
vincere.
--------------
Precisazione:
*citazione di Koyano Takao.
Alohaaa
Qualcuno
si ricorda ancora della mia storia? Non aggiorno da quanto? Due
settimane? Sob perdonatemi, ma mi ci è voluto un secolo per
scrivere questo capitolo, è stato un parto, avevo in mente le
varie scene ma non riuscivo a descriverle bene e questo è il
risultato! (Non che mi piaccia particolarmente ma ho riletto questa
parte per talmente tante volte che pensare di riscrivere tutto da capo
mi fa venire la nausea lol).
Coooomunque..
Kazuha ed Heiji si sono riappacificati definitivamente, ma si sentono
comunque in imbarazzo per la situazione, perchè nonostante
sappiano di essere innamorati uno dell'altra rimangono due tonni (cit),
quindi..
La
scena tra Ran e Conan l'ho avuta in mente per una cosa come tre
settimane, all'inizio non doveva nemmeno essere così ma avevo
paura di allungare troppo il capitolo e mi dovuta trattenere *sigh*
Per
concludere, Shochu è in trappola e sarà costretto a
rapire miss Mouri, come andrà a finire? E ancora, su chi vuole
avere vendetta Alchermes? Questo e altro lo scoprirete prossimamente
dun dun dun
Mi
duole dirvi che ci stiamo pericolosamente avvicinando alla fine, ho le
idee abbastanza chiare su cosa succederà, ma è ancora
tutto da vedere.
E
niente, ringrazio di nuovo tutti coloro che hanno recensito gli
scorsi capitoli, chi ha messo la storia tra le preferite o le ricordate
e anche chi ha solo letto.
A presto,
Gaia
Ps. Recensiteeeee ahaha e fatemi sapere le vostre teorie sui vari personaggi, voglio vedere se qualcuno ci azzecca ahah
Ps2. I personaggi della bambina del treno sono inventati, non so se
esiste una storia con protagonisti Higo e Aoko, sono i primi due nomi
che mi sono venuti in mente. Nel caso esistesse, ogni riferimento
è puramente casuale lol
Ps3. Mi stavo dimenticando di una cosa superimportante (credo?).. il
Natale in Giappone si festeggia in maniera diversa rispetto a come
facciamo noi, suppongo lo sappiate già, ma in ogni caso ho
voluto comunque fare in modo che la scuola fosse chiusa e idem per
l'agenzia di Kogoro e lo studio legale di Eri (non è specificato
ma si capisce lol)
|
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Capitolo 10 *** Plan B. ***
cap 9
Did I ask too much
More than a lot
You gave me nothing
Now it's all I got
We're one
But we're not the same
Well we hurt each other
Then we do it again
- U2, One
La notte
passò più in fretta di quanto si aspettasse e mentre Ran
socchiudeva gli occhi al suono della sveglia ripensò a quanto
gli sarebbe mancata la sua faccia assonnata di prima mattina.
“Dormito bene?” chiese la ragazza stiracchiandosi.
“Certo” rispose l’altro, annuendo. Vorrei aver dormito, in realtà.
Dopo aver fatto colazione, iniziarono ad impacchettare la roba che
Conan si sarebbe portato via e riuscirono a finire solo un attimo prima
che suonasse il campanello. Il bambino
vide Ran irrigidirsi, ma fece finta di niente.
Tutto andò secondo il piano prestabilito, Yukiko si presentò
a casa Mouri con lo stesso travestimento utilizzato quasi un anno prima e, dopo
aver scambiato quattro chiacchiere con Kogoro ed Eri, si era allontanata
insieme al figlio, mentre Ran era rimasta in silenzio per quasi tutto il tempo,
mostrando un sorriso tirato.
“Eccoci qua, corri più in fretta che puoi e cerca di non
farti vedere da nessuno” trillò la donna appena la macchina si fermò davanti
alla casa del professore.
“Lo so, lo so” rispose l’altro in un soffio, prima di aprire
la portiera.
“Andrà tutto bene, la tua amica bionda mi ha spiegato per
filo e per segno cosa vuole fare. È un buon piano, sono sicura che tornerai a.. Shin-chan! Mi stai ascoltando?”
“Mmh” mugugnò lui annuendo. In realtà non aveva sentito una
singola parola, continuava a ripensare a quel mezzo sorriso che Ran aveva avuto
stampato in faccia per tutta la mattina.
Ogni volta che sentiva la solita vocina in testa che gli
diceva quanto fosse stato stupido a decidere di lasciarla sola ripeteva
a se stesso che era giusto così, perché in quel modo le
cose si sarebbero sistemate. Trasse
un respiro profondo e scese dall’auto della
madre con il borsone sulla spalla.
“Più tardi torno a salutarti come si deve, tra poco tuo
padre ha l’ennesima conferenza sul suo ultimo libro e..”
“D’accordo” continuò, facendo sbattere la portiera dietro di
sé.
“Shin-chan!” lo chiamò Yukiko, quando ormai aveva già
varcato il cancello. Si voltò verso la donna, svogliato.
“Andrà tutto bene, okay? Abbi fiducia, lei sa il fatto suo”
“Certo” disse lui, senza sapere a chi si stesse riferendo, ma poco importava.
***
Shochu passò l’intera nottata insonne, cercando di capire
cosa l’avesse tradito. Perchè doveva essere stato per colpa sua. Conosceva solo un’altra talpa
nell’Organizzazione ma aveva la certezza che non fosse stata lei a farne parola
con Alchermes o altri. Non avrebbe avuto alcun senso fare una cosa del genere.
A quel punto poteva mandare davvero tutto all’aria e
rifugiarsi in qualche paesino sperduto in Svizzera e dintorni, ma già da tempo
aveva capito che era impossibile essere in qualsiasi modo al sicuro una volta
entrati in contatto con quelle persone, era come avere un marchio di riconoscimento sulla pelle. Non
ci avrebbero messo più di un paio di settimane a scoprire il suo nascondiglio.
E poi prendendo quella decisione avrebbe cancellato mesi e mesi di lavoro, non
poteva nemmeno pensare di fare una cosa del genere, era una questione troppo
importante.
Quella mattina finse che non fosse successo niente, cercò di
non dare nell’occhio, nonostante sapesse che molto probabilmente erano state
piazzate diverse telecamere lungo i suoi percorsi abituali.
Aveva riletto centinaia di volte la mail che Alchermes aveva
inviato al suo indirizzo di posta elettronica, cercando di memorizzare
il piano
e trovare eventualmente una via d’uscita per salvare la ragazza.
Doveva esserci
per forza, inspiegabilmente i loro programmi non erano mai davvero
completi, c'era sempre un particolare apparentemente insignificante che
trascuravano.
Man mano che il tempo passava riusciva sempre di più a
capire i vari componenti di quella banda di criminali, prima di iniziare la
missione gli erano stati dati gli schedari di gran parte dei membri, quelli
ritenuti più importanti e pericolosi dall’agenzia per cui lavorava.
Per quanto gli era stato concesso di sapere, c’erano almeno
quattro spie all’interno dell’Organizzazione, ma gli era
stato riferito un solo
nome: Hidemi Hondo alias Rena Mizunashi alias Kir, agente della CIA
sotto
copertura da diverso tempo. La sua storia era piuttosto travagliata,
aveva sentito parlare di coma, presunte alleanze con l'FBI e una
miriade di altri episodi che non gli sarebbe servito conoscere. Dalla
prima volta
in cui l’aveva vista il giorno del suo arrivo, l’aveva
presa come punto di
riferimento, seguiva i suoi ordini e non la contraddiceva mai.
“Rispetta i tuoi superiori” si era sentito ripetere per anni.
Ripetè il contenuto della mail mentalmente e respirò
profondamente, prima di raggiungere l’indirizzo stabilito da Alchermes. Non
conosceva il suo vero nome, ma aveva come la sensazione di aver già visto il
suo viso da qualche parte.
“Finalmente” sentì dire alle sue spalle appena fu nel locale. Il bar era piuttosto affollato, pieno di
coppiette che dividevano frappé dall’aria non troppo invitante e studenti
ancora in divisa scolastica che tentavano di studiare enormi paragrafi sulla
storia dell’Impero giapponese, invano.
“Mi hanno fermato per strada e ho fatto tardi”
“Non è vero” proseguì, tornando a fissare il proprio frappè,
un intruglio rosa e bianco probabilmente alla fragola. Disgustoso.
Tutto in quel posto era disgustoso, se l'idea del designer era quella
di ricreare un diner americano di fine anni Cinquanta, aveva toppato in
pieno.
Niente di tutto ciò ricordava l’America. Niente tranne la
minuscola bandierina disegnata sui tovaglioli.
“Non è vero” ripetè, mostrando un sorriso sbilenco.
“Riesci a fare del sarcasmo anche in questo momento?”
Scrollò le spalle, mentre una cameriera avanzava verso di
loro.
“Ordina qualcosa?” chiese gentilmente.
“Solo una Coca, grazie” la vide annuire e scribacchiare sul
block notes.
Per diversi minuti i due colleghi rimasero in silenzio,
lasciando che il caos del posto riempisse quegli attimi precedenti al
punto di
non ritorno. Il piano di Alchermes sembrava piuttosto solido, ma era
anche molto banale, forse dovuto all’età poco matura di
chi l’aveva organizzato.
Il rapimento di Ran Mouri si sarebbe tenuto l’ultimo giorno
della mostra, quando probabilmente ci sarebbe stato meno afflusso di
partecipanti, allo stesso tempo la sicurezza sarebbe calata e il tutto sarebbe
risultato estremamente semplice.
“Non pensavo sarebbe stato tanto facile convincerti a
partecipare” disse tra i denti, giocherellando con la cannuccia bicolore.
Mantieni la calma,
si ripeté mentalmente.
“Non avevo scelta, suppongo”
Alchermes iniziò a ridere di gusto. “Ti facevo più
intelligente, sai?”
“Gli errori dell’uomo sono in realtà ciò che lo rende
amabile*” disse di rimando, sovrappensiero.
“Pensi che citare Goethe cambierà la mia opinione su di te?”
Si strinse nelle spalle e prese a mescolare con la cannuccia
la Coca che la cameriera aveva appena portato. Non che avesse veramente
voglia
di berla, anzi, era un fascio di
nervi e pensare di bere o mangiare qualcosa gli faceva venire la
nausea, nonostante cercasse di mantenere un’aria tranquilla e
rilassata.
“Ti è chiaro il piano?” chiese di nuovo, senza interesse.
“Suppongo di sì, ma è necessario coinvolgere quella ragazza?
Non ha niente a che fare con..”
“La cosa non mi riguarda” proseguì, alzandosi.
“D-dove vai? Pensavo dovessimo discutere del piano”
“Hai detto di aver capito quindi il mio lavoro è concluso.
Quando ci rivedremo farai bene ad avere la figlia del detective con te, altrimenti sai cosa
ti aspetta, no?” continuò, senza volere davvero una risposta.
“Solo un’ultima domanda!” disse con tono di supplica. Doveva
sapere.
“E sia”
“Come mi hai scoperto?”
Alchermes rise di nuovo, questa volta con meno enfasi.
“Dico solo che i tuoi amici americani avrebbero dovuto
insegnarti un po’ meglio come non lasciare impronte ovunque e magari anche a
recitare, no?” continuò, per poi voltarsi e dirigersi verso l’uscita.
Shochu rimase immobile a fissare la porta che si apriva e si
chiudeva alle sue spalle, mentre una macchina nera si fermava davanti al diner
e Alchermes vi saliva, dopo avergli lanciato un’ultima occhiata. E in quel momento si rese conto di quanto tutti
nell’Organizzazione avessero sottovalutato il nuovo membro. Imprecò, lottando
contro il desiderio di prendersi a pugni per la sua sconsideratezza.
Poi sentì squillare il telefono.
“Dimmi” disse solo. Un'unica persona conosceva quel numero.
“È tutto a posto, siamo pronti a procedere” era una donna a parlare.
“D’accordo, abbiamo cinque giorni. Pensate di farcela? Io ho
le mani legate”
“Credo di sì, ma abbiamo una sola possibilità”
“Ne sono consapevole”
“A proposito, hai saputo come ti ha scoperto?”
Esitò prima di rispondere.
“Ti spiegherò tutto più avanti, non c’è tempo” detto ciò
chiuse la chiamata e tornò a fissare il bicchiere con la Cola, dove il ghiaccio
era ormai praticamente sciolto.
Non era il momento di auto commiserarsi, avrebbe pensato a
maledirsi più tardi. Doveva solo seguire il piano, niente di più facile.
***
Conan entrò nella stanza che avrebbe diviso con il
professore, purtroppo la camera degli ospiti era ormai occupata a tempo pieno
da Ai quindi avevano dovuto arrangiarsi come meglio potevano, sistemando un futon
accanto al letto di Agasa.
Prese ciò che gli serviva e tornò in salotto, dove la
piccola scienziata stava guardando svogliata un programma alla TV.
“Non ti va proprio di stare qui, giusto Kudo-kun?”
“Non è che non mi vada” sospirò “È solo che odio dover
guardare tutto da fuori senza poter fare niente”
“Dovresti essere un po’ più paziente, ma in ogni caso non
penso che mi ci vorrà molto prima di arrivare alla formula dell’antidoto
definitivo”
“Lo so”
Avevano passato tutto il pomeriggio ad organizzare il
viaggio che lei e il professore avrebbero intrapreso l’indomani per recuperare l’astragalo
nel negozio di un amico di Agasa a Tsuruoka - ancora non si spiegava come
facesse a conoscere persone che commerciavano piante rare -. Non avrebbe fatto
domande, tutto ciò che gli serviva sapere era che a breve sarebbe tornato
adulto, o almeno ci sperava.
“Shinichi-kun?” si sentì chiamare dal professore.
“Huh?”
“Vieni un momento, c’è una cosa che devi sentire”
Si alzò controvoglia e lo raggiunse nell’altra stanza, dove
l’uomo gli porse delle cuffie, che l’altro si mise.
“Di che si tratta?”
Gli fece cenno di aspettare, come a dire che avrebbe capito
da solo nel giro di un paio di secondi.
“Shochu?” sentì
chiedere.
“Shochu? È nell’Organizzazione? Ci avrei scomm..”
“Continua ad ascoltare”
“Sono le 4 di notte, non
potevi aspettare.. per chiamarmi? Non.. due giorni, maledizione” la
comunicazione era piuttosto disturbata.
“Credi.. scoprire che
fai il doppiogioco?”
Il suo cuore perse un battito a quella domanda. Che fosse un
altro infiltrato?
Ascoltò il resto della conversazione incuriosito e al
contempo spaventato, se quella persona era una spia allora chi era il nemico? Dannazione dannazione dannazione. Quando
iniziarono a parlare del rapimento sentì la terra mancargli
sotto i piedi, mentre le parole e le voci dei due interlocutori si
sovrapponevano tra loro nella sua testa, ripetendo le stesse cose
più e più
volte, quasi fossero i brani di un disco rotto.
Non fece il minimo movimento finchè in stanza non entrò
Haibara, che, preoccupata per il viso dell’altro tanto pallido da
sembrare un lenzuolo, chiese cosa fosse successo.
“Ran” disse in un soffio “Vogliono rapire Ran”
La scienziata sbiancò, ma fu cosa di un secondo, l’attimo
successivo aveva già recuperato le cuffie che Conan teneva tra le mani e aveva iniziato ad ascoltare il messaggio.
“Dobbiamo fare qualcosa” osservò dopo aver sboccato la registrazione.
“No” sentì dire dall’altro.
“Che?!” esclamarono all’unisono Agasa e la bambina.
“Non possiamo fare niente ora, io non posso fare niente” disse lui, con tono non troppo fermo
“l’unica possibilità che abbiamo è che Haibara riesca a sviluppare l’antidoto
in tempo, pensi di farcela?”
“Non posso saperlo con certezza, almeno finchè non ho la
pianta tra le mani” ammise lei.
“Allora ci atterremo al piano già stabilito. Domani voi
andrete a Tsuruoka e ci rivediamo qui dopodomani. Se ho ragione non agiranno
prima della fine della settimana”
“Potremmo contattare l’agente Jodie così da tenere
d’occhio Ran-kun..” propose Agasa.
“Si insospettirebbe”
“Ne sei proprio sicuro, Shinichi-kun?” chiese l’uomo
con tono supplichevole, sperando in una risposta negativa ma quando lo
vide sorridere con il capo abbassato, si rassegnò all'evidenza.
Quel ragazzino era fin troppo testardo, lo era sempre stato.
Lasciò andare un sospiro. “E va bene, faremo così”
------------------------------
Precisazioni:
*citazione da Massime e riflessioni di Johann Wolfgang Goethe, 1833
Konnichiwaaaa
Avrei voluto aggiornare prima ma con la maturità in ballo mi risulta complicato anche accendere il computer
detto questo,
abbiamo un capitolo quasi totalmente dedicato a Shochu ed Alchermes,
che si incontrano in un improbabile diner in stile pseudo americano
degli anni Cinquanta, che bel quadretto eh?
Poooi Shin-chan
si trasferisce da Agasa e BAM scopriamo che stanno tenendo d'occhio
Shochu (questo dovrebbe farvi pensare, chi può mai essere? Io
non parlo zan zan)
In effetti
è un capitolo è un po' povero, lo riconosco, ma mi serve
per collegarmi al prossimo dove si svolgerà l'azione *urla
disperate* ma non voglio anticiparvi troppo uhuh
Non so bene quando riuscirò ad aggiornare, credo dopo gli orali, quindi il 2 luglio, non vogliatemene.
Spero vi sia piaciuto comunque e ci vediamo con il prossimo (che probabilmente sarà il penultimo/terzultimo prima dell'epilogo)
A presto,
Gaia
Ps. Grazie di cuore a tutti coloro che hanno recensito, messo tra le seguite/preferite/ricordate♥
Ps2. Per la vostra gioia (o forse no?) sto già scrivendo una nuova storia, che si chiamerà Treacherous o Beating heart, sono ancora indecisa ahah quale vi piace di più?
Ps3. Sentitevi liberi di recensire, non mangio nessuno!
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Capitolo 11 *** Once again. ***
cap 11
And there's no such thing as a beautiful goodbye
As an ordinary day I prayed for you a thousand times
It's never enough
No matter how many times I tried to tell to tell you this is love
If tomorrow never comes I want you to know right now that I
I'm gonna love you until the day I die
If tomorrow falls asleep can you hold me first
I'm gonna love you like it's the last night on earth
- Delta Goodrem, Last night on Earth
Tutto procedette
secondo i piani e nessuno toccò Ran prima
del previsto. Haibara e il professor Agasa avevano tenuto
d’occhio casa Mouri per tutta la settimana
cercando di farsi notare il meno possibile. Nel corso degli ultimi mesi
avevano stilato una lista di possibili membri dell'Organizzazione
che
sotto copertura si erano avvicinati alla famiglia del Detective
Dormiente e ai
loro amici, ma alla fine i sospetti si erano rivelati infondati.
Un unico nome era rimasto in forse, o almeno fino a quella
chiamata. Scoprire che quella persona fosse in realtà sotto copertura per la CIA,
l'FBI o chissà quale altra agenzia - d’altronde al telefono avevano parlato di
‘amici americani’ - aveva lasciato senza parole sia Conan che Ai. Quante altre spie
si nascondevano tra gli Uomini in Nero? Quante persone potevano avere la forza
di accettare un incarico così pericoloso?
Se non altro il giovane detective aveva potuto tirare un sospiro di
sollievo dopo giorni e giorni passati a preoccuparsi per Ran, che tra
l'incidente e il resto non aveva avuto esattamente una settimana
tranquilla. Ora però la ragazza era davvero in pericolo e
avevano una sola possibilità di salvarla.
***
Per le vie della città il ragazzo camminava con le mani in
tasca, ripassando mentalmente il piano. Il suo compito era tanto semplice quanto necessario.
Appena avvistò il museo trasse un respiro profondo ed entrò
in una cabina telefonica, compose il numero e aspettò che qualcuno rispondesse.
“Sì?”
“Sono qui, possiamo procedere”
“La vedi?”
“Sì, è davanti all’entrata”
“Perfetto. Sii cauto, d’accordo? Non dare nell’occhio come
tuo solito”
“Faccio quel che posso” disse, sarcastico.
“Sono serio, per una volta evita le tue scenate”
borbottò. In tutta risposta l’altro rise e riagganciò.
Uscì dalla cabina telefonica che aveva già ripreso a
nevicare. Rabbrividì. Odiava il freddo più di ogni altra cosa.
Guardò davanti a sé, in direzione della ragazza che
giocherellava con una ciocca di capelli tenendo lo sguardo fisso a
terra. Non
aveva un ombrello ma non sembrava importarle. Probabilmente neanche si
era
accorta della neve, persa com’era nei suoi pensieri.
Vide una figura avanzare verso di lei. Era ancora piuttosto lontano quindi era impossibile
riconoscere i suoi lineamenti ma quando questo si
avvicinò a Ran per salutarla ebbe la conferma.
Si va in scena.
Quando i due si voltarono per entrare nel museo li seguì,
sarebbe andato tutto per il meglio. O per lo meno, era quello che sperava.
***
Entrata nel museo,
Ran si guardò intorno meravigliata. Le
piaceva visitare luoghi del genere nonostante non lo facesse spesso. In
ogni caso, dopo la partenza di Conan si era chiusa in casa e non aveva
voluto saperne di uscire. Nonostante le mille proposte della madre e di
Sonoko lei aveva preferito rimanere in camera sua, sembrava quasi
avesse perso tutta l'energia che aveva in corpo, il che era
inspiegabile, non aveva reagito in quel modo nemmeno dopo che Shinichi
le aveva chiesto di dimenticarlo.
Ma poi le era arrivato un messaggio di Kohei, le chiedeva di
accompagnarlo al Beika Museum per la mostra dedicata a Hokusai e a quel
punto non era riuscita a rifiutare, forse sarebbe riuscita a pensare ad
altro per qualche ora.
Si voltò verso l’amico, intento a leggere un volantino informativo.
“Stai bene?” chiese lui, spostando l'attenzione su di lei.
“Yup” rispose in fretta “mai stata meglio”
“Grazie, Kohei” disse poi in un soffio, senza nemmeno
guardarlo.
“E di che?” Lei si strinse nelle spalle e senza dire altro si diresse verso una delle opere d'arte.
Mi spiace, Ran.
***
Nella sala monitor le guardie giacevano a terra esanimi,
mentre due individui controllavano la situazione all’interno del museo
comodamente seduti sulle poltrone girevoli. Alchermes non si era mai fidato di
Shochu che alla fine si era dimostrato per quello che era, un traditore. Non che
cambiasse molto le cose, in realtà. Aveva avuto un suo piano fin dall’inizio e
tutto stava procedendo come programmato. Mancava solo qualcuno all’appello, ma
sarebbe arrivato sicuramente a momenti. Non avrebbe mai lasciato andare la sua
bella senza lottare.
Aveva passato mesi a raccogliere informazioni sul giovane
investigatore privato di cui tutti parlavano, Shinichi Kudo, ma non aveva
scoperto molto che potesse essergli d’aiuto nell’impresa.
Dal fascicolo compilato su di lui che aveva trovato in uno
degli archivi del quartier generale risultava morto, ma più volte il suo nome
era comparso nei giornali posteriori alla data del presunto decesso. Diverse
persone avevano testimoniato di averlo visto risolvere casi dopo essere apparso
dal nulla sulla scena del delitto. Era solo un ragazzino stupido, arrogante e
vigliacco. Un classico.
Sarebbe stato facile metterlo fuori gioco, estremamente
facile, anche se la sua vera preda non era lui. Certo che no. L’avrebbe solo
usato come pedina per arrivare al vero obiettivo e a quel punto avrebbe potuto
ottenere la sua vendetta.
Alchermes osservava le immagini muoversi sugli schermi in
compagnia dell’unica persona all’interno dell’Organizzazione di cui si fidasse.
“Quanto credi che ci vorrà?” si sentì chiedere.
“Massimo venti minuti e siamo fuori di qui” borbottò, dopo
aver osservato a lungo l’orologio che portava al polso. L’ultimo ricordo
di un padre che non aveva mai conosciuto.
Era morto in un incendio alcune settimane prima che nascesse. Per anni aveva chiesto alla
madre una spiegazione, ma nemmeno lei sembrava sapere molto. Per questo alla fine aveva deciso
di indagare per conto suo.
Un paio di anni prima, mentre rovistava negli archivi di una
biblioteca newyorkese alla ricerca di qualche informazione valida, aveva
trovato un articolo dove compariva proprio il nome di suo padre. Il giornalista,
un certo Sam Lawrence, riportava un’intervista fatta ad un investigatore
privato che diceva di conoscere l’uomo. Il detective spiegava inoltre che in
base ad alcuni particolari era piuttosto certo che l’incendio fosse di origine
dolosa, al contrario di quanto aveva affermato la polizia. Dopo aver riletto l’articolo diverse volte, si convinse che
forse quell’investigatore di cui non veniva fatto il nome poteva aver ragione.
Con il tempo era riuscito a scoprire che suo padre aveva indagato per
anni su una misteriosa Organizzazione della quale si sapeva ben
poco. Secondo la teoria più accreditata
era stato proprio uno dei membri della stessa a far fuori suo
padre e la moglie. Da diverso tempo era consapevole di essere nato da
una relazione extraconiugale, quindi venire a sapere che l'uomo vivesse
con un'altra donna - sua coniuge, appunto - non era stata esattamente
una sorpresa.
Ma poi era arrivato ad un punto morto e qui aveva deciso di entrare a
far parte dell'Organizzazione stessa. Solo così avrebbe potuto
scoprire di più.
Una volta trovato il nascondiglio sarebbe stato facile diventare uno di loro. D’altronde sua madre
aveva recitato a Broadway per anni, quindi avrebbe semplicemente continuato la tradizione di famiglia. Più o meno.
Non ci era voluto molto poi per scoprire il responsabile - o
meglio, la responsabile - dell’incendio e da lì aveva seguito il suo piano per
filo e per segno. Kudo non era altro che l'ultimo pezzo da abbattere prima di arrivare a lei. Il detective liceale più famoso del
Giappone ridotto a banale esca, che umiliazione.
“Hey” la voce del compagno riscosse Alchermes dai suoi
pensieri “sono scomparsi dalla visuale”
“Che? Ci sono zone non coperte?”
“Così pare..” ammise preoccupato l’uomo, ma
prima che l’altro potesse
replicare, Shochu e la ragazzina riapparsero nei monitor. Era stata
questione
di un attimo. Avevano avuto la stessa reazione quando un ragazzo
si era avvicinato ai due, ma anche in quel caso la scena non era durata
più di un paio di secondi, quindi non potevano aver parlato.
Tirò un sospiro di sollievo e guardò di nuovo l’orologio.
Quindici minuti. Tutto procedeva come da programma e di lì a poco
sarebbe iniziato lo spettacolo.
“Andiamo” disse Alchermes al collega, quando la coppia si
diresse verso l'uscita di sicurezza. Lì li aspettava una
macchina scura che li avrebbe condotti nel punto prestabilito.
***
Ran si ritrovò nell’oscurità più completa senza quasi
rendersene conto, in un paio di secondi aveva visto svanire l’esagerata
illuminazione della sala del museo, mentre una mano premeva sulla sua bocca,
impedendole di parlare. Aveva anche entrambe le braccia bloccate. Come diavolo era finita in quella situazione?
“Mmh.. mmh” mugugnò, cercando di divincolarsi dalla presa dell’altro.
“Shhh” si sentì dire all’orecchio.
Non poteva stare zitta, voleva urlare, chiedere aiuto a
chiunque fosse disposto ad ascoltarla. Avrebbe potuto usare il karate per
liberarsi, ma. Primo, era davvero troppo buio attorno a lei, sarebbe stato
rischioso; secondo, sentiva ancora dolori dovuti all'incidente della settimana prima lungo tutta la colonna vertebrale e
lo sterno, non sarebbe riuscita a fare molto.
Sentì una voce familiare nella testa: “Rilassati. Andrà tutto bene”, ma ci mise un attimo per capire che non si trattava di un
pensiero. Le parole arrivavano dalla persona che le teneva la mano sulla bocca.
Spalancò gli occhi e si voltò appena, come se così facendo potesse vederlo. Ma
non le serviva vedere chi c’era con lei in quello stanzino, sala o corridoio
che fosse, non più.
“Prometti di non urlare” sussurrò di nuovo l’altro.
“Mmh” cercò di dire lei, annuendo.
Lo sentì sbuffare, per poi togliere la mano dalla sua
faccia.
“Sei un idiota, Shinichi” borbottò, incrociando le braccia
al petto “La prima volta non ti era bastata?”
“Se sapessi perché l’ho fatto non diresti così” rispose lui
allontanandosi appena “E poi avevi promesso di stare zitta”
“Idiota. Idiota. Idiota. Idiota”
A dispetto delle parole, nel suo tono non c’era alcuna
traccia di durezza, era felice che lui fosse lì con lei e, nonostante le mille
domande che avrebbe voluto fare - Perché ci troviamo qui? Dov’è Kohei? Cosa
diavolo sta succedendo? - non disse altro quando sentì mani del ragazzo
sfiorare le sue. Ma durò un secondo.
“Ran, dovrai fare tutto ciò che ti dico, d’accordo?”
“Ma..”
“Per favore”
“Okay”
Shinichi sospirò, sollevato. Deglutì e lasciò che la sua
mano destra andasse a cercare quella della ragazza. Quando la trovò la strinse,
chiedendo all’amica di non lasciarlo per nessuna ragione. Disse anche di
prepararsi a correre.
Ran avrebbe voluto replicare, ma rimase in silenzio,
ripetendosi mentalmente che tutto presto sarebbe finito e che finchè lui fosse
rimasto al suo fianco non le sarebbe successo niente.
Shinichi aprì la porta e i due si ritrovarono in un
corridoio appena illuminato dalla luce proveniente da una porta aperta che dava
sulla sala principale del museo. Ricordò di averla attraversata con Kohei solo
una decina di minuti prima, ignorava cosa fosse successo dopo.
Entrati nella sala dell’esposizione, si fecero largo tra i
visitatori cercando di non farsi notare troppo fino ad arrivare all’uscita
principale.
“Dietro l’angolo ti aspetta mia madre” disse il ragazzo
indicando con la testa una via poco distante “Ti spiegherà tutto lei”
“E tu dove vai?” chiese, forse troppo decisa.
“Lo saprai tra un attimo, ora dovresti andare”
Ran non disse altro, non tanto perché non volesse quanto
perché l’amico approfittò di quell’attimo di distrazione per attirarla a sé e
baciarla. Le bastò un secondo per perdere quel poco di lucidità che le era
rimasto.
“Com’è che sembra che tu mi stia salutando per l’ultima
volta?” chiese lei, appena lui si fu scostato.
Shinichi non rispose, si limitò a sorridere e ad invitare di
nuovo la ragazza a raggiungere sua madre. Nemmeno lui avrebbe saputo
rispondere, per quanto ne sapeva poteva anche essere così.
------------------
Buonaseeera
A chi sono mancata? (Nessuno, immagino, ma d'altronde non posso farci niente ugh)
Spero non vi siate dimenticati della
mia storia, avrei davvero voluto aggiornare prima ma davvero non ho
avuto nemmeno il tempo di respirare in queste ultime settimane.
Comunque ora ci siamo, no? La scorsa
volta ho promesso che in questo capitolo ci sarebbe stata più
azione ma tutti diciamo bugie (I've never told a lie and that makes me a liar..
no okay non c'entra). In realtà l'idea era quella, la scena del
mseo doveva durare poco ma poi ho iniziato a descrivere vita morte e
miracoli di Alchermes e la cosa mi è sfuggita un po' di mano oops
In ogni caso vedrete l'azione nel
prossimo capitolo (parola di scout), dove tra l'atro scopriremo chi si
nasconde dietro lo pseudonimo di Alchermes. L'identità del
povero Shochu è invece già stata svelata, quanti di voi
avevano sospettato di Kohei? Io no, mai.
E il baldo giovine che compare all'inizio chi sarà mai? Beh non che ci sia molta scelta uh
E niente, non so che altro dire,
sarà perchè sto dormendo in piedi (capitemi, ormai ho una
certa età) quindi in caso mi venisse in mente altro ve lo
dirò nel prossimo capitolo, che spero di finire a breve.
Grazie mille a tutti coloro che seguono la storia, davvero. Vi mando un cuore virtuale♥
A presto,
Gaia
ps. ancora devo decidere se chiudere la storia con il prossimo capitolo ed eventualmente scrivere una sorta di sequel
(tanto per sistemare alcuni dettagli che non ho spiegato bene) oppure andare avanti ancora un po', brancolo nel buio ahaha
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Capitolo 12 *** Maybe not. ***
capitolo 11
If there's something left to be learned
Then my time is running
Why should I waste it all wasted on you?
I shouldn't be trusted to live and let go
When the last of my cities have burned
Then what's left in nothing
Why did i waste it all wasted on you?
I couldn't be trusted to live and let go
- All time low, To live and let go
Ran non faticò a trovare la macchina di Yukiko,
un’appariscente Jaguar del 1966, che si trovava esattamente dove il ragazzo le
aveva indicato. Non fece quasi in tempo a sedersi che la donna fece partire l'auto.
“Allora, come stai?” chiese poi, come se nulla fosse.
“Oh beh, probabilmente starei meglio se sapessi cosa diavolo
sta succedendo” sbottò l’altra.
“Hai parlato con Shin-chan?” chiese dopo diversi secondi, aumentando la
stretta sul volante. Per quanto le sue doti di attrice le permettevano di
mascherare quasi alla perfezione ogni emozione, non era difficile capire che
era piuttosto agitata. Ran annuì debolmente con la testa, chiedendosi
nuovamente cosa avesse fatto di male per trovarsi in una situazione del genere.
“Voglio che tu sappia che andrà tutto bene” disse dopo
alcuni secondi.
“È proprio questo il punto” esclamò allora lei, esasperata
“Non ho idea di cosa tu stia parlando, non so cosa andrà bene o perché potrebbe
non essere così. Voglio solo delle dannatissime risposte e..”
Nella macchina calò nuovamente il silenzio, mentre le luci
della città mescolavano in una serie di figure e colori fuori dai finestrini. Ran
non voleva piangere, davvero. Dopo l’ultima uscita di scena dell’amico
detective si era imposta di limitare le lacrime e per questo si era limitata a
stringere i pugni fino a far diventare le nocche completamente bianche.
“Scusami” continuò dopo un po’, rendendosi conto di ciò che
aveva appena detto “è solo che..”
“Ti capisco, sai?” rispose la donna, spostando lo sguardo su
di lei “So come ti senti, vivendo a Los Angeles non so mai cosa succede a mio
figlio, lui non chiama e noi siamo sempre occupati, è difficile. Ma in ogni caso, per quanto tu
cercherai di fargli fare qualcosa lui finirà sempre per fare quello che vuole,
non importa se glielo proibisci. È sempre stato così” fece una pausa come per
riprendere fiato.
“Vorrei però che tu capissi questa cosa, lui ti vuole bene
ed è esattamente per questo che ti tiene nascoste certe cose. E so che sembra
un paradosso, ma è così che va quando si parla di lui”
“Questo lo capisco ma io vorrei solo sapere perché non si
lascia aiutare, ci sono un sacco di persone che sarebbero disposte a dargli una
mano, eppure-”
Yukiko rise di nuovo. “Shin-chan lo sa perfettamente e lo so
anche io, c’è chi lo sta aiutando, ma in una situazione del genere bisogna
agire con calma e mettere le mani avanti, un milione di cose potrebbero andare
storte”
“Ma” riprese dopo appena un paio di secondi “andrà tutto
bene, te lo prometto. Fidati di lui”
Fidarsi di Shinichi. Non era ciò che faceva sempre?
Sospirò, rassegnata. Lontano dagli occhi,
lontano dal cuore.
***
Il cuore di Kohei perse un battito quando la macchina si
bloccò davanti ad uno stabile in disuso fuori città. La banda criminale che regola i conti con i suoi nemici in un luogo
dove nessuno può vedere e sentire, davvero originale.
Sperava
con ogni fibra del suo corpo che tutto sarebbe andato bene. Quando al museo
quel ragazzo gli si era avvicinato allungandogli un foglietto di carta delle
dimensioni di un post-it non aveva avuto nemmeno il tempo di reagire.
“Siamo dalla stessa parte” aveva sussurrato.
L’aveva poi visto allontanarsi e, facendo attenzione a non
farsi riprendere dalle telecamere aveva letto il messaggio.
‘Sappiamo cosa vuoi fare. Uscendo dalla seconda porta sulla sinistra troverai un corridoio non
coperto dalle telecamere. Lascia Ran nello sgabuzzino. Ci fidiamo di te e
speriamo che tu voglia fidarti di noi. Altrimenti agiremo diversamente’
L’inchiostro era sbavato in alcuni punti, a confermare
quanto quel messaggio fosse stato scritto frettolosamente. Ci aveva messo un
attimo per capire chi fosse il mittente ma alla fine le possibilità si riducevano ad una.
Shinichi Kudo. Solo lui poteva rischiare tanto per quella ragazza.
Lo aveva conosciuto tempo prima per fama, sembrava fosse
infallibile, non perdeva mai un colpo. Ogni volta che si trovava ad investigare
su un caso, questo veniva risolto in un batter d’occhio. Era una sorta di
Sherlock Holmes in miniatura.
La prima volta che aveva sentito parlare di lui si trovava
ancora negli Stati Uniti, così come quando aveva sentito dire che era scomparso
dalla circolazione. In realtà, in un primo momento non aveva nemmeno dato peso
alla notizia, di certo non era la prima volta che una “celebrità” si prendeva
una vacanza, ma quando era stato contattato dall’Agenzia aveva cambiato
totalmente atteggiamento.
Aveva dovuto assimilare una quantità esagerata di
informazioni in appena cinque minuti e da lì tutto era cambiato.
“Cosa
dovrei fare
esattamente?” chiese, mettendosi più comodo sulla poltrona
nera. Quell'ufficio lo metteva inspiegabilmente a disagio.
“Ti trasferirai in
Giappone a tempo indeterminato. Non abbiamo idea di quanto questa situazione
possa andare avanti ma speriamo di risolverla al più presto”
“E una volta lì.. devo
semplicemente investigare sull’Organizzazione?”
La donna dall’altra
parte della scrivania si sistemò gli occhiali da lettura e aprì una cartellina
giallo senape, per poi voltarla verso di lui. All’interno c’era un fascicolo di
almeno una ventina di fogli, tutti scritti a computer e pinzati ordinatamente.
“Qualcosa del genere”
disse infine “avrai due compiti, in particolare”
“Il primo” proseguì, estraendo una foto dalla
cartellina “dovrai avvicinarti a questa ragazza. Vogliamo che lei
si fidi di te”
Kohei si chiese cosa
c’entrasse lei con il piano. Forse era uno degli agenti
dell’Organizzazione. Ma sembrava una liceale, non poteva essere
così.
“E il secondo, più
complicato” prese un respiro “entrerai a far parte dell’Organizzazione stessa”
Il ragazzo si morse la lingua, le cose gli stavano sfuggendo di mano.
“Sappiamo che è qualcosa
di troppo grande come primo incarico e capiremo se vorrai rifiutare”
Soppesò le parole
della donna. Non era sicuro di essere pronto per qualcosa del genere,
certo,
aveva seguito l’addestramento ed era stato promosso prima di
qualsiasi altro
suo compagno ma forse quello era troppo perfino per il migliore della
classe. O forse no. In realtà non aveva nemmeno molto da perdere.
“Accetto” disse dopo
alcuni minuti. Lo doveva a suo padre, che aveva riposto fin troppa fiducia in
lui.
“Ne sei sicuro?”
chiese la donna, evidentemente sorpresa. Gli aveva proposto l’incarico perché
non c’erano altri agenti così giovani e abbastanza qualificati per un compito
del genere ma non si aspettava che accettasse così in fretta.
“Devo farlo”
Sospirò, gli sembrava passato un secolo dall’ultima volta in
cui era entrato in quell’ufficio. Quasi gli mancava. Quasi.
“Psst” sentì sussurrare alla sua destra.
“Huh?”
“Te l’avevo detto che nessuno se ne sarebbe accorto”
Si limitò a sorridere, annuendo appena.
“Ce la faremo, ho avuto modo di parlare con Kudo tempo fa.
Andrà tutto bene”
“È quello che spero”
La ragazza gli sfiorò una mano e poi la strinse nelle sue,
quasi a volergli infondere sicurezza. Era
sempre stato così tra di loro, si conoscevano fin da bambini e ritrovarsi dopo
tanto tempo era stato piacevole, nonostante le circostanze.
***
Alchermes e il
collega avevano seguito la macchina con i due
ragazzini a bordo per tutto il tragitto, fino ad arrivare al parcheggio
sotterraneo di un vecchio stabile che per diversi anni era stato la
sede di un'importante azienda farmaceutica. Era sorprendente che fosse
ancora in piedi.
I due scesero dalla macchina e si diressero verso le scale
d’emergenza, per poi entrare in una sorta di stanza molto
spaziosa che tempo prima ospitava uno dei laboratori più grandi
del paese. Era
quasi completamente buia, in particolare alle estremità, dove la
luce delle lampade al neon seminate qua e là sul soffitto non
arrivava. Si va in scena.
“Sai, non ti credevo capace di qualcosa del genere” disse Alchermes
con un ghigno, incrociando le braccia al petto.
“Umpf” sbuffò
l’altro, avanzando nell’ombra. “Pensi di conoscermi, eh?”
“Io non penso di
conoscerti, io so ogni cosa che ti
riguarda”
Il ragazzo alzò appena le spalle, quasi in segno di resa.
Scrutò il buio attorno a sé e finalmente quella voce prese forma. Davanti a lui
c’era una giovane donna con lunghi capelli color caramello perfettamente
arricciati. Portava un paio di grandi occhiali da sole che le nascondevano
parte del volto pallido. Doveva avere solo qualche anno più di lui.
L’altro fece schioccare la lingua e si avvicinò alla nuova
arrivata, poteva quasi sentire il suo profumo.
“Ma non sei tu la mia preda, caro detective liceale” sospirò
quando fu abbastanza vicino.
Quell’affermazione colse Shinichi in contropiede. Che
diavolo voleva dire? Non aveva cercato di rapire Ran perché lui andasse a
salvarla, uscendo così allo scoperto?
Era stato un miracolo che l’antidoto avesse funzionato,
Haibara aveva ripetuto più volte che per quanto ci avesse lavorato sopra,
avrebbe potuto non sortire l’effetto desiderato, dipendeva tutto dalla
reazione che avrebbe avuto il sistema immunitario del ragazzo. Ma alla fine era andato tutto per il meglio.
“Bentornato” aveva detto Ai prima di andarsene senza
aggiungere altro - quasi delusa, avrebbe aggiunto lui.
Fino a quel momento il piano era andato bene, erano riusciti
a mettere in salvo Ran grazie ad Heiji, che aveva consegnato il messaggio a
Kohei. Con lui, Shinichi aveva poi seguito da lontano la macchina scura con
Kohei e la finta Ran. Non era stato difficile convincere Naomi a prendere parte
a quello che lei aveva definito un piano piuttosto strampalato, era bastato
dirle di Kohei. Apparentemente i due in passato erano stati grandi amici ma
avevano smesso di vedersi per chissà quale ragione, Naomi non aveva voluto
parlarne.
Si era occupata Yukiko del suo travestimento e, come al
solito, aveva fatto un ottimo lavoro, la somiglianza con Ran era
impressionante. Sarebbero potute essere la stessa persona. Se solo Naomi non
avesse avuto quella cadenza australiana nel parlare, si intende.
Ora lei e Kohei dovevano essere già lontani, al sicuro. Avevano già rischiato troppo.
“Pensavi mi fossi scomodata tanto per uno come te?”
chiese la donna, iniziando a ridere. “Aspetto qualcuno che vale più di
un detective da quattro soldi”
Con quell’ultima frase si tolse gli occhiali, mostrando un
paio di occhi azzurro ghiaccio, fatti appena risaltare da un filo di matita
scura. Dove li aveva già visti? Perché quello sguardo era così dannatamente
familiare?
Shinichi cercò di fare mente locale. Perché trascinarlo in quella situazione se non era lui il
bersaglio? Doveva esserci dell’altro.
“Alchermes, ben ritrovata” disse una voce in lontananza, che
riscosse il ragazzo dai suoi pensieri. Non gli servì girarsi per capire di chi
si trattava.
Cosa diavolo ci fa
qui?!
Fece appena per voltarsi e la vide sbucare dall’ombra. Per
diversi secondi il ticchettare dei tacchi della donna fu l’unico rumore a
riempire la stanza.
“You look a bit pale,
Cool Guy”* sussurrò, quando gli fu accanto. “Me ne occupo io, vattene
appena puoi”
“Lui non va da nessuna parte”
“Non ero qui quella che volevi uccidere? Lui è solo un
ragazzino”
Shinichi avrebbe voluto ribattere e dire che non era solo un ragazzino, ma rimase in
silenzio, spostando lo sguardo da una parte all’altra per seguire quella
conversazione tanto insolita. La situazione si era ribaltata in meno di un
minuto e lui aveva bisogno di un piano. Per quanto ne sapeva, Hattori era
nascosto da qualche parte pronto a intervenire in caso di bisogno ma in quel momento
doveva essere confuso almeno quanto lui. Non avevano previsto niente del
genere.
“Evidentemente con l’età non si diventa più
saggi..” borbottò la donna, guardando Vermouth con aria di
sfida “e tu ne sai qualcosa, giusto?”
Quella frase rimase come sospesa in aria e il tempo sembrò
fermarsi quando il suono di uno sparo risuonò nel silenzio della stanza.
Ma che..?!
Nella mente di Shinichi seguirono una serie di imprecazioni
e pensieri confusi alla vista di una figura accasciata a terra in un angolo
della stanza. Istintivamente iniziò a correre, incurante di ciò che stava
succedendo alle sue spalle. Tutto sembrava andare al rallentatore, sentiva di
non riuscire a muoversi abbastanza in fretta. Tutto era andato storto. La figura era immobile nascosta nella
penombra. Da lontano era tutt’altro che riconoscibile ma a giudicare del
cappellino con la visiera appena illuminato dalla luce fioca della grande
stanza poteva trattarsi solo di una persona.
--------------------
Precisazioni:
*“Sei un po' pallido,
Cool Guy”
Ciaaao
Lo so cosa state pensando, questa prima dice una cosa e poi ne fa un'altra. Sono d'accordo, mi insulterei da sola, ma.
In
realtà io ho sempre i buoni propositi, ero davvero partita con
l'idea di descrivere l'azione qui ma poi mi sono dilungata con le
descrizioni ecc e non volevo scrivere un capitolo troppo lungo e magari
anche noioso (come se questo non fosse noioso). Avevo anche detto che
avreste scoperto chi è Alchermes, ma ho pensato fosse meglio
lasciare tutto in stand by per un attimo. Però avete un po' di
indizi, chi sarà mai questa donna? Mmh.
Comunque, vi
chiedo scusa per ritardo ma davvero tra le vacanze e il resto ho avuto
poco tempo (e quando ne avevo mancava l'ispirazione d'oh).
Non so quanto
manchi alla fine, in realtà vorrei scrivere direttamente
l'epilogo e chiuderla lì ma forse ci ripenso ahah
L'altra storia
invece è tipo a buon punto ma dovete aspettare almeno un paio di
settimane prima di leggere qualsiasi cosa (poi vi sarà
più chiaro lol), intanto posso dire che non sarà
ambientata in Giappone, si accettano scommesse sul possibile scenario.
Niente, vi
saluto e vi ringrazio per le recensioni che mi lasciate, ringrazio chi
ha messo la storia tra le preferite e tra le seguite e anche chi legge
e basta.
Ringraziamento
speciale a _TerryKudo_ che si è letta e recensita tutti i
capitoli in una volta sola, ti mando un cuore♥ (ah, non sono
vecchia davvero, ho appena compiuto diciannove anni. diciamo che sono
un'ottantenne mancata ahahaha)
A presto,
Gaia
ps. se qualcuno
ha voglia di conversare/ha domande da fare o qualsiasi altra cosa mi
trovate su twitter, sono @myskyistorn♥
|
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Capitolo 13 *** Siblings. ***
capitolo 12
And though I've only caused you pain
You know with all of my words
With were always beloved
Altough all the lies spoke
When you're my road walking home
-Ed Sheeran, I'm a mess
“Non ti avevo chiesto di essere cauto?” borbottò, non appena
vide gli occhi dell’amico aprirsi.
Shinichi cercò di esaminare la ferita alla spalla e sospirò sollevato,
notando che non tanto grave quanto avesse pensato.
“Era ciò che cercavo di fare” rispose
l’altro, facendo leva
con il braccio sano sul terreno così da riuscire a mettersi
seduto, mentre l'altro era indeciso tra il prenderlo a sberle per
essere
tanto sfacciato e abbracciarlo. Non fece né una né
l’altra cosa. Non ne ebbe nemmeno il tempo.
“Ma che diavolo..?!” esclamò, quando un secondo colpo partì.
Lanciò uno sguardo alle due donne, il braccio destro di
Vermouth era alzato e la sua mano reggeva una pistola puntata verso un lato
completamente buio della stanza.
Si udì un grido soffocato e poi un rumore sordo.
“Seems we have company”
borbottò la donna, lasciando cadere il braccio lungo il fianco “Well.. had”
“Vedo che non sei
cambiata” osservò l’altra, senza fare una piega “uccidi ancora a sangue
freddo”
Vermouth si lasciò scappare un sorriso e si scostò i capelli
dal volto.
“Solo chi intralcia i miei piani”
“Persone come mio padre”
“Quell’uomo era un ostacolo e andava eliminato”
“Non puoi trattare le persone come fossero degli oggetti” il
tono della sua voce perse per un attimo la calma che aveva avuto fino a
quel momento “In ogni caso sono qui per vendicarlo”
“Facendo così ti comporterai esattamente come lei. Lo sai, vero?”
disse Shinichi, sicuro. Quell’affermazione fece voltare entrambe le donne nella
sua direzione.
“Non ti hanno mai insegnato a tenere la bocca chiusa,
ragazzino?”
Shinichi si alzò e, dopo aver chiesto ad Heiji di non
muoversi, si diresse nuovamente verso il centro della stanza.
“Non ho mai prestato attenzione a quel genere di
raccomandazioni” replicò con un’alzata di spalle.
L’altra rise e per un attimo sembrò che avesse abbassato la
guardia.
“Faresti la stessa cosa se ti trovassi nella mia situazione”
“Non credo proprio”
Prima che potesse replicare, la donna sentì un dolore
lancinante al fianco e si accasciò a terra, sotto lo sguardo sorpreso di
Shinichi e Vermouth. Nessuno dei due aveva visto arrivare l’aggressore. In appena un paio di secondi si era
fatto largo nell’oscurità della stanza con passo felpato, per poi rifilare una
gomitata piuttosto forte ad Alchermes.
“Non ti avevo chiesto di venire da solo?” borbottò Shinichi, seccato, voltandosi indietro.
***
“Po-possiamo fermarci un attimo?” balbettò Naomi, cercando
di riprendere fiato. Kohei rise.
“Non ti è mai piaciuto correre, eh?” la riprese poi.
La ragazza sbuffò, appoggiando le mani sulle ginocchia,
quasi avesse appena finito una maratona. In realtà aveva corso per appena
cinque minuti. Molto piano, avrebbe aggiunto Kohei.
Naomi si lasciò scivolare a terra e l’altro le si sedette
accanto. Per un po’ l’unico rumore attorno a loro fu quello dei respiri di
lei, corti e veloci.
“Mi dispiace che tu sia rimasta coinvolta in questa
situazione” disse Kohei, dopo alcuni minuti.
Lei scosse la testa, facendogli capire che non c’era nessun
problema. Anni prima si erano promessi di rimanere sempre uno al fianco
dell’altra e di certo non sarebbe stato il tempo a distruggere il loro legame.
Erano cresciuti insieme, dopotutto.
Per tutto il viaggio in auto Kohei aveva cercato di rimanere
positivo, sperando che sarebbe andato secondo il piano di Kudo, ma quando si
parlava dell’Organizzazione non si poteva mai essere sicuri di nulla.
Appena il guidatore era sceso dall’auto, i due avevano
sentito una serie di imprecazioni e poi il silenzio, finchè qualcuno aveva
aperto la loro portiera. Era stato piuttosto sorpreso di trovarsi davanti
Hattori, ma quando aveva visto un uomo con un abito scuro steso a terra e
l’espressione trionfante sul volto del ragazzo, tutto era stato più chiaro.
“Correte” era stato l’unico ordine di Heiji “Ce ne occupiamo
noi”
E così avevano fatto, avevano corso sotto la neve che aveva
iniziato a cadere più forte.
“Credo che ti stia suonando il telefono”
La voce di Naomi ridestò Kohei dai suoi pensieri. Portò
istintivamente una mano nella tasca dei pantaloni e recuperò il cellulare.
Blocked number.
La conversazione
durò una decina di minuti, frazione di
tempo in cui il ragazzo riuscì a dire solo “Si”,
“D’accordo”, “Ma..”, “Sì,
signore”. Quando l’interlocutore riattaccò, Kohei
rimise il telefono in tasca e
si strofinò gli occhi con i palmi delle mani, chiedendosi cosa
avrebbe fatto
suo padre in quella situazione.
***
Alchermes si portò una mano al fianco e fece per rialzarsi,
il colpo infertole da Kazuha era stato forte, ma in tutti quegli anni aveva
dovuto affrontare di peggio e non sarebbe sicuramente stata una ragazzina a
metterla al tappeto.
Quando si sollevò si voltò verso la nuova arrivata, che
sembrava aver problemi a respirare.
“Ti senti bene, tesoro?” chiese ironica, notando le continue
occhiate che lanciava verso l’altro lato della stanza.
Kazuha sorrise e si scostò una ciocca di capelli dagli
occhi.
“Mi sentirei meglio se ti avessi fatto più male”
“Posso rimediare io” si intromise Vermouth, puntando di
nuovo la pistola verso Alchermes. Ci fu un interminabile minuto di silenzio,
poi, in una frazione di secondo, la donna con i capelli color caramello anche
l’altra estrasse nuovamente la propria pistola, per puntarla, questa volta,
verso lo stesso punto in cui Kazuha continuava a guardare.
“Abbassa la pistola o sparo al povero cucciolo ferito”
Kazuha le si parò davanti, allargando le braccia e scuotendo
la testa.
“Spostati”
L’altra scosse di nuovo la testa. Avrebbe preferito morire
piuttosto che lasciare il via libera a quella donna.
Alchermes si strinse nelle spalle e strinse la presa sulla
pistola.
“È tutto inutile” sentì dire da Kudo.
Quel secondo fu tutto ciò che bastò per capovolgere la
situazione. Ebbe appena il tempo di portare gli occhi su di lui, prima
che la sua arma venisse scaraventata a terra con un colpo secco da
parte di Kazuha.
Colta alla sprovvista, Alchermes non vide nemmeno le mani della ragazza
muoversi verso di lei e in appena un attimo si ritrovò a terra,
di nuovo.
L’impatto fu talmente forte che non riuscì a rialzarsi
abbastanza in fretta e tutto
ciò che riuscì a vedere fu la canna della pistola di
quella che per alcuni mesi
era stata una sua collega.
Sentì dei passi affrettati e un vociare provenire dal lato
opposto della stanza, dove l’amico di Kudo era rimasto per tutto il tempo. I suoni le arrivavano in maniera quasi
ovattata, come se fosse chiusa in una specie di bolla.
Cercò di fare leva con un braccio per alzarsi ma venne
fermata nuovamente da quella che riconobbe come la voce di Vermouth.
“Piantala di opporre resistenza, non ce n’è più bisogno”
La testa le faceva fin troppo male, faticava persino a
razionalizzare quelle parole.
“L’hai sottovalutato” disse ancora “It happens”
***
L’aereo di Jodie Starling atterrò con più di mezz’ora di
ritardo. Uscita dall’aeroporto, salì
sul primo taxi libero che trovò e diede l'indirizzo al tassista.
Aveva ricevuto la chiamata il giorno prima.
“Agente, mi serve un favore”
“Chi parla?” aveva chiesto, cercando di collegare quella
voce ad un viso.
“Shinichi Kudo”
Nei minuti seguenti aveva ascoltato con attenzione ciò che
il ragazzo aveva da dire: in qualche modo era riuscito ad identificare uno dei
membri dell’Organizzazione e sapeva che se avesse giocato bene le sue carte
sarebbe riuscito a scovarne almeno un altro. Le aveva poi chiesto se le fosse
stato possibile raggiungerlo più tardi, magari con un altro paio di agenti,
nessuno poteva sapere come le cose sarebbero andate a finire.
Dopo essersi maledetta svariate volte per aver scelto il momento più
sbagliato per tornare a New York, gli assicurò che ci sarebbe stato un gruppo
di agenti scelti pronti ad entrare in azione e che lei avrebbe fatto il
possibile per tornare in Giappone al più presto.
In realtà le cose si erano complicate ed era piuttosto
sicura che non avrebbe fatto in tempo ad arrivare prima dell’incontro tra il
detective e il misterioso membro dell’Organizzazione.
Si impose di non preoccuparsi, se ne sarebbero occupati tre
dei suoi migliori colleghi. Trasse un respiro profondo e spostò lo sguardo
fuori dal finestrino.
A metà strada, sentì il telefono squillare. Era uno dei suoi
uomini.
“Aggiornami” esordì.
“Abbiamo la donna, se ne sta occupando Evans. Quando l'abbiamo
trovata era svenuta. Io e Smith siamo in ospedale, ci raggiunga appena
può.”
“Ci sono feriti?” chiese allora lei, titubante.
L’altro esitò.
“Ecco, sì.. uno dei due ragazzini è stato colpito alla
spalla, ma non è grave. Mentre l’altro— insomma, siamo usciti dallo stabilimento e lui
è sparito, non abbiamo idea di dove sia andato”
***
Per quanto tutti continuassero a ripeterle che tutto sarebbe
andato bene, non riusciva a convincersene. Non faceva altro che pensare e
ripensare a ciò che era successo nell’ultima settimana, cercando di riordinare
gli eventi e dar loro un senso logico, invano.
Strinse le mani attorno alla tazza piena di tè bollente che
Yukiko le aveva appena portato e si ritrovò a guardare fuori dalla finestra. Le
era sempre piaciuta la neve.
Il campanello la fece sobbalzare.
“Ran!” si sentì chiamare dalla cucina “Puoi guardare tu chi
è?”
Appoggiò la tazza sul tavolino e si alzò per aprire la porta.
“Co-cosa ci fai—” non riuscì a concludere la frase.
“Dobbiamo andarcene, sei in pericolo” si sentì dire in tono
frettoloso.
“Io non capisco..”
“Devi solo seguirmi, ti dirò tutto”
Tutto. Tutta la
verità.
Ran prese un respiro profondo e annuì.
***
Quando
Jodie arrivò in ospedale l'intervento di Heiji alla spalla era
ormai concluso, la ferita non era profonda, quindi erano bastati alcuni
punti per sistemare le cose. Ora riposava nel suo letto d'ospedale, con
Kazuha a fargli compagnia. L'indomani sarebbe potuto tranquillamente
tornare a casa.
“Sei sicuro di non sapere dove si trovi Kudo?” chiese
Jodie, per l'ennesima volta. Ritrovare quel ragazzino era una
priorità, era un testimone chiave e aveva bisogno di sapere
tutto su questo presunto membro dell'organizzazione di cui nemmeno
conosceva il nome.
“Glielo avrei detto subito se l'avessi saputo”
“A proposito, Agente Jodie, lei è figlia unica?” aggiunse poi, pochi secondi più tardi.
La porta si aprì e tutti e
tre si voltarono verso l'agente Smith, che, dopo essersi scusato per
l'intrusione, porse un cellulare a Jodie. La domanda di Heiji rimase
senza risposta.
“È Evans” disse con tono sbrigativo.
L'altra si alzò e lo raggiunse alla porta.
“Perchè lei hai chiesto se fosse figlia unica?” chiese Kazuha, una volta che fu fuori dalla stanza.
“Non l'hai notato?” borbottò allora lui “L'Agente Jodie e quella donna.. sono praticamente uguali”
--------------------------
Oh
mio Dio, dopo mesi Gaia riesce a postare il capitolo, dev'essere un
miracolo!! È quello che state pensando tutti, eh? Eh? Eh?? No,
okay come non detto.
Immagino
sia piuttosto triste che io mi ritrovi a chiedervi scusa ogni volta per
la mia totale mancanza di puntalità nell'aggiornare ma sono una
causa persa e questo ormai l'hanno capito anche i muri. Forza, Gaia,
qual è la tua scusa questa volta?? Vorrei tanto dire che
è solo perchè torno sempre tardi dall'università
(che è vero, tra l'altro), ma il problema principale è
stato un altro. Non riuscivo a buttare giù neanche mezza riga,
forse per la poca ispirazione, forse perchè proprio non mi
andava di scrivere, non lo so. Comunque, la settimana scorsa ho
ritrovato la forza che mi serviva e ho buttato giù questa cosa.
Sì, mi ci è poi voluto un secolo per risistemare tutti
quei meravigliosi errori grammaticali e ripetizioni che ci avevo
infilato ha.
A
proposito, di recente ho pubblicato una specie di one shot che
probabilmente cancellerò a breve perchè non piace molto
nemmeno a me, come dico nell'angolo autrice di quella stessa storia,
era più che altro una prova. Una prova mal riuscita direi ahahaha
Comunque niente, se vi va di andare a darle uno sguardo per ora rimane là, devo ancora decidere.
Tornando
a questa storia, spero che vi sia piaciuto il capitolo, immagino
abbiate più o meno capito chi è Alchermes (grazie Hattori per la tua perspicacia)
e dov'è finito Shinichi? Chi c'è alla porta di Ran? Ahhhh
non lo scoprirete mai. No okay mi obbligo a continuare al più
presto.
Ho
un favore da chiedervi, se c'è qualcosa che non vi è
chiaro (non parlo solo di questo capitolo, ma di tutta la storia, anche
del primo capitolo, tanto per intenderci) vi prego di dirmelo,
così nell'epilogo avrò modo di eliminare eventuali dubbi,
perchè sono assolutamente sicura di essermi dimenticata di
spiegare qualcosa di importante lol
Detto
questo vi saluto, ringrazio tutti quelli che mi seguono! Continuate a
recensire anche se vi siete dimenticati di meeee ahahahaha
A presto,
Gaia.
|
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Capitolo 14 *** Runaway. ***
capitolo 13ù
Maybe I'm the sinner, and you're the saint
Gotta stop pretending what we ain't
Why we pointing fingers, anyway?
When we're the same
-Ariana Grande, Best mistake
“Chi c’era alla porta?” chiese Yukiko,
entrando in salotto.
“Ran? Ran, dove sei?” iniziò a chiamare,
quando non la vide. Si affrettò quindi a raggiungere la porta e guardò fuori, la ragazza non c’era.
Rientrò, recuperò velocemente il telefono e
compose un numero.
“Mamma devi trattenere
Ran il più possibile” disse di nuovo.
“Quante volte pensi di
ripetermelo ancora?”
Shinichi sbuffò in
risposta e prese a fissare lo schermo del cellulare, cercando di non pensare
alla miriade di cose che sarebbero potute andare storte. A cominciare dallo
scambio tra Ran e Naomi. Non sapeva esattamente cosa avrebbero fatto se Kohei
avesse deciso di non seguire le loro istruzioni, non c’era nemmeno il tempo per
elaborare un piano di riserva.
Quando il motore della
macchina si spense, il suo flusso continuò di pensieri si bloccò di colpo.
Controllò le ore e aprì la portiera.
“Mi servono un paio
d’ore, poi sarò a casa” disse, senza nemmeno guardare Yukiko.
“Andrà tutto bene”
Annuì, augurandosi che sua
madre avesse ragione.
Dopo diversi squilli, la donna riuscì a prendere la linea.
“Ora non posso”
“Ascolta è importan-”
“Ti richiamo dopo, non riesco a parlare” disse lui, senza nemmeno lasciarla finire.
***
Jodie Starling faceva parte dell’FBI da
anni ma mai nella sua vita si sarebbe aspettata che una delle sue missioni
sarebbe andata a finire in quel modo. Quando Evans glielo aveva riferito non
aveva preso la cosa troppo sul serio, probabilmente perché il tutto risultava
fin troppo inverosimile persino per lei.
Lo stabile adibito a centrale operativa
non era distante dal centro di Tokyo, quindi riuscì a raggiungerlo in appena
alcuni minuti, poi salì velocemente le scale fino al secondo piano, dove
l’aspettava l'agente. Le bastò incrociare il suo sguardo torvo
per capire che qualcosa non andava.
“Capo, credo ci sia un problema”
“Siamo qui per risolverlo, qualunque esso
sia. Ora portami da lei”
L’altro fece per dire qualcosa, ma alla
fine rimase in silenzio e le fece strada lungo il corridoio. Si
fermarono
davanti ad una porta semichiusa. Quando l'aprì, Jodie ebbe
bisogno di più di un paio di secondi per mettere a fuoco il
volto di chi aveva
davanti.
Nella stanza c’erano due persone sedute ad
un tavolo. Sembrava un interrogatorio come un altro, insomma, ne aveva visti
tanti e procedevano tutti più o meno nello stesso modo. Sospettato da una parte
e un agente o più dall’altra. Tutto era normale, c’erano solo un paio di dettagli fuori
posto, tanto per cominciare, l’agente in questione la stava guardando come se fosse lei la sospettata.
“Oh, salve” si sentì salutare.
Ricambiò con un sorriso tirato, mentre
tutta la determinazione che aveva avuto fino a quel momento svaniva fin troppo
velocemente.
“Quindi era di lei che parlavate”
Jodie deglutì, nel sentire la voce della
donna. Prese un respiro profondo. Professionalità.
Procedi per gradi e andrà tutto bene.
“Possiamo parlare da sole?” chiese allora.
L’agente la squadrò per un attimo, poi tornò con lo sguardo
sull’altra donna.
“Perché no?” disse infine con un’alzata di spalle, prima di
alzarsi e sgattaiolare fuori dalla porta.
Jodie si sedette e prese a guardare davanti a sé.
“Qual è il tuo nome?”
“Alchermes”
“Il tuo vero nome”
“Julie” disse, dopo
un attimo di esitazione “Nostro padre non è mai stato un uomo fantasioso, non
credi?”
“Nostro padre? Io non ho idea di chi tu sia, mio padre aveva una sola figlia”
L’altra sorrise appena, quasi a dire ci sono talmente tante cose che non sai.
“Ho fatto delle ricerche, sai? Diverso tempo dopo la sua
morte, intendo”
Jodie teneva lo sguardo fisso su Julie, notando per la prima
volta quanto fosse effettivamente giovane. Non poteva avere più di ventidue o
ventitré anni. A mascherare la sua età c’erano due macchie scure sotto gli
occhi e l’aria stanca di qualcuno che non si concedeva un giorno di riposo da
parecchio tempo.
Per quanto non volesse credere allo scenario che le si era
appena parato davanti, non riusciva ad allontanare completamente la possibilità
che avesse ragione. I loro lineamenti erano molto simili, così come il colore
dell’incarnato. Ma il problema era un altro, se c’era una cosa che l’aveva
colpita fin da subito era l’azzurro degli occhi. Per lei fu come guardare suo
padre dopo anni.
“Ho passato mesi e mesi a cercare informazioni su
quell’incendio, ma ho trovato ben poco, e le opinioni erano
contrastanti, ma
sono arrivata alla conclusione che poteva solo essere di origine
dolosa. L’idea
che qualcuno ce l’avesse effettivamente con mio padre è
arrivata solo dopo,
quando ho trovato le fotocopie di alcuni appunti scritti a mano nella
cassaforte della casa in cui viveva mia madre.” Fece una pausa.
“Parlavano
delle sue ultime missioni e in particolare della ricerca su alcuni
membri
dell’Organizzazione. Non credo fosse così avanti con le
indagini ma sapeva che qualcuno lo stava già tenendo
d’occhio”
“Che intendi dire?”
Si strinse nelle spalle.
“È solo una sensazione che ho avuto mentre leggevo”
Entrambe rimasero in silenzio per diversi secondi.
“Perché diavolo sei entrata nell’Organizzazione? Cosa
pensavi di fare?” chiese infine Jodie, con il tono della voce più alto di pochi
minuti prima.
“Tieni vicino gli amici e ancora di più i nemici?”
“È questa la tua risposta? Davvero?! Avresti dovuto parlarne
con l’FBI! Come hai potuto anche solo pensare di metterti contro una banda di
criminali da sola?”
Julie sospirò e si sistemò sulla sedia.
“Da quanto tempo lavorate a questo caso? Siete arrivati a
qualche tipo di conclusione?” chiese, retorica. “Mi servivano certezze, sono cresciuta senza avere la minima
idea di chi fosse mio padre e quando ho scoperto cosa era successo ho sentito
il bisogno di andare a fondo. E tutto è andato bene, per lo meno fino a
stasera”
“Vuoi spiegarmi cos’è successo?”
“Ho incastrato Chris, ma-”
“Chris Vineyard?”
“Lei. Però si sono presentate più persone di quante ne
aspettassi e ora sono qui”
“E Vermouth ora dove si trova?” chiese, alzando di nuovo la
voce.
“Non ne ho idea, quella ragazzina mi ha messa al tappeto e
quando mi sono risvegliata ero sull’auto della polizia”
Jodie si precipitò fuori dalla stanza, cercando di fare
mente locale per l’ennesima volta. Come aveva fatto a scappare? Lo stabile era
circondato dai suoi uomini e insieme a lei c’erano i due ragazzini di Osaka e..
Kudo.
“Trovate Shinichi Kudo” disse ad Evans e all’agente che fino
a poco prima stava interrogando Julie. “Nessuno sa dove sia finito, potrebbe
essere con uno dei membri dell’Organizzazione”
Recuperò il cellulare e compose un numero, sperando che
qualcuno rispondesse al più presto.
“Sì?”
Jodie spalancò gli occhi, non era decisamente la voce che si
aspettava di sentire.
“Con chi parlo?” non aveva tempo da perdere.
“Ti sei già dimenticata di me?” proseguì melliflua.
Passarono alcuni secondi, prima che Jodie reagisse. Poteva
essere solo una persona.
Vermouth.
***
Ran si sistemò sull’auto, chiedendosi se avesse davvero
fatto la scelta giusta. Shinichi le aveva chiesto di aspettarlo e lei lo aveva
fatto, per lo meno fino a quando aveva deciso che la verità veniva prima di quella promessa.
Quando Kohei si era presentato alla porta principale di Casa
Kudo aveva agito d’impulso, perché aspettare ancora?
Altre domande.
Il ragazzo era alla guida della macchina, mentre lei era
seduta sul sedile posteriore, intenta a guardare fuori dal finestrino. Si erano
allontanati dal centro della città da un pezzo ormai. Non aveva idea di dove
fossero diretti, men che meno del perché.
Quando dopo un po' Kohei la chiamò, lei si voltò di scatto verso di lui.
Senza dire altro, accostò e Ran non ebbe nemmeno bisogno di
sentirsi dire che erano arrivati a destinazione.
Riportò lo sguardo fuori dal finestrino, che cosa ci
facevano all’Aeroporto Internazionale di Narita?
***
Quando Shinichi raggiunse Vermouth, la trovò intenta a
parlare al telefono con qualcuno. Non ci volle molto per capire che quello che
stava usando era il suo, di telefono.
“Che diavolo stai facendo, dobbiamo muoverci” borbottò,
incrociando le braccia al petto.
L’altra si strinse nelle spalle e gli passò il cellulare.
“Uhm, chi parla?”
“K-Kudo? Credo che tu mi debba una spiegazione”
“Agente Jodie!”
“Perché ha risposto quella donna?”
Shinichi prese un respiro profondo, per quanto avesse
decisamente poco tempo per le spiegazioni, era necessario che Jodie sapesse.
Quando gli agenti
dell’FBI irruppero nell’edificio, Vermouth stava puntando la pistola contro la
tempia di Alchermes, che giaceva a terra svenuta. Il ragazzo aveva avuto appena
il tempo di fermarla, se avesse sparato sarebbe stata la fine. Diverse ore
prima aveva promesso a Jodie e a se stesso che ne sarebbero usciti tutti
incolumi. Aveva già sulle spalle la responsabilità di diverse persone e,
davvero, non gli andava per niente di allungare la lista dei loro nomi.
Ma fu solo quando si
accorsero della sparizione dell’uomo a cui Vermouth aveva sparato che scoppiò
il finimondo.
“Dobbiamo andare a
cercarlo” esclamò Shinichi.
Seguì una confusione
generale e quando gli agenti raggiunsero il locale, trovarono solo due
ragazzini e una donna svenuta. Né Heiji né Kazuha diedero spiegazioni sul fatto
che Kudo non fosse con loro.
Shinichi e Vermouth
avevano utilizzato le scale d’emergenza per raggiungere il tetto e da lì
iniziare le ricerche, nessuno li avrebbe visti.
Al ragazzo non andava
giù l’idea di lavorare con “una di loro”, ma quando si era sentito dire
“Quell’uomo è sicuramente armato, you’ll need a sidekick” aveva finito per
acconsentire. Certo, solo pensare a Vermouth come la sua spalla gli faceva
venire da ridere, ma il tempo stringeva e probabilmente la donna aveva ragione.
“Mi stai dicendo che stai collaborando con una criminale?”
sbottò Jodie, senza nemmeno farlo finire.
“Dobbiamo trovare il complice di quella donna” rispose lui,
ostentando un tono tranquillo.
“No, tu non devi fare un bel niente. Ci penseremo noi”
“Oh, giusto” aggiunse prima che l’altro potesse replicare
“Ferma Vermouth, non possiamo farla scappare di nuovo”
Shinichi si guardò intorno e vide la donna intenta ad
accendersi una sigaretta. Sbuffò e tornò a prestare attenzione al telefono.
“Credo non sia possibile, se n’è già andata”
La paternale che seguì non fu esattamente una delle parti
migliori della giornata.
Shinichi chiuse la chiamata e controllò l’ora sullo schermo del
cellulare.
“Credo che tu debba
andartene, quelli dell’FBI inizieranno a
perlustrare la zona e chiuderanno tutte le uscite nel giro di cinque
minuti” borbottò, quando fu abbastanza vicino alla donna.
“E non era esattamente quello che non doveva succedere?”
Lui annuì, spostando lo sguardo sulle punte dei suoi piedi.
“Quindi ora?”
“Niente,” rispose Shinichi. “Ognuno prosegue per la sua
strada, io devo andare da Ran”
“Non penso che la troverai”
Il ragazzo impallidì e si voltò verso di lei.
“Che intendi dire?”
“Che in questo momento dovrebbe essere già su un volo diretto
ad Atlanta”
“Atlanta?” chiese, alzando la voce. “Atlanta in Georgia?!”
Vermouth annuì e fece per prendere un’altra sigaretta.
“Perché diavolo dovrebbe andarci?”
L’altra non rispose, si limitò ad estrarre dalla tasca della
giacca un foglietto e a porgerlo al ragazzo, poi si allontanò, senza dire
altro, mentre Shinichi cercava di capire cosa stesse succedendo. Sul pezzo di
carta lesse due parole scritte ordinatamente con una penna stilografica, che
non lo aiutarono per niente a capire. Anzi, avrebbe tranquillamente affermato di
non essere mai stato tanto confuso in vita sua.
--------
Ohayoo
Come
al solito, inizio il mio monologo chiedendovi scusa per il ritardo, ma
sono iniziati gli esami e devo almeno fare finta di studiare lmao
Comunque, sorpresa!!! Chi si aspettava che fosse Kohei alla porta? Dun dun dunnn
Credetemi, avrei voluto anche io che fosse Shinichi ma preferisco le cose complicate e penso che ormai l'abbiate capito ah
Ho cercato di chiarire la situazione tra Jodie e Julie, che sono a tutti gli effetti sorelle, almeno per metà.
Ultimo punto, Vermouth come fa a sapere che Ran sta per partire? E
quali sono le parole scritte sul foglietto che ha dato a Shinichi?
Spero di potervelo far sapere presto, intanto non disperate!! (Ma
quando, Gaia? Non avevi detto che la storia era praticamente
finita? Sono prolissa di natura, non vogliatemene, alla fine ci
arriviamo, prima o poi)
Niente, concludo come di routine col ringraziare chi recensisce, mette
nelle preferite/ricordate/seguite e anche ai lettori silenziosi (a cui
voglio dire che non mangio nessuno, quindi siete liberi di
esprimere il vostro parere, qualunque esso sia)
Grazie a tutti di nuovo,
A presto,
Gaia
|
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Capitolo 15 *** Choices. ***
capitolo13
C'è un'altra cosa che ti voglio dire, un
attimo prima che tutto diventasse nero, vuoi sapere l'ultima cosa a cui ho
pensate? A te!
W.P.
Ripeté mentalmente le due lettere. Conosceva il loro
significato, lo aveva capito subito, ma cosa c’entrava Vermouth?
Alzò lo sguardo, la donna era ancora lì, con gli occhi fissi
su di lui.
“Che diavolo vorrebbe dire?” chiese infine.
“Pensavo conoscessi la procedura, Sherlock”
“Infatti, ma-”
“Potresti solo dire grazie”
“Vuol dire che sei stata tu ad organizzare.. questo?”
La vide alzare le spalle e poi portare le mani sui fianchi.
Per quanto cercasse di far quadrare le cose, per quanto cercasse di dar loro un
senso, queste si complicavano sempre di più.
W.P., Witness Protection. Il Programma protezione testimoni.
Istituito dall’FBI più di quarant’anni prima, era ormai conosciuto a livello
mondiale ed era attivo in diversi paesi. Shinichi deglutì e prese a fissare il foglietto per
l’ennesima volta, come poteva Vermouth essere coinvolta in un progetto del
genere?
“Perché?”
“Stop asking stupid questions”
“Ma ho il diritto di sapere!”
“Ascoltami,” fece lei, qualche secondo dopo “è meglio per
tutti che tu non veda Ran prima che parta”
“Vuoi dire che non è ancora partita?”
Vermouth sospirò, conscia di essersi lasciata scappare un
paio di parole di troppo. Guardò in fretta l’orologio che aveva al polso,
imprecò e prese a camminare lungo il marciapiede deserto, per poi fermarsi una
decina di passi più avanti.
“Non vieni?” chiese, senza voltarsi.
***
Al quartier generale regnava il caos. Dopo la telefonata con
Kudo, Jodie si era presa un paio di minuti per riordinare le idee. In quei
pochi giorni trascorsi a New York era riuscita a malapena a riposarsi e a
riprendere fiato da tutto ciò che stava succedendo in Giappone. James le aveva
assicurato che una pausa non le avrebbe fatto che bene, ma
solo ora si rendeva conto che sarebbe stato decisamente meglio rimanere a
Tokyo.
Ripensò alla chiamata di poco prima, quando Vermouth aveva
risposto. Perché proprio lei lo stava
aiutando a cercare il complice della donna che avevano arrestato? La
donna che aveva scoperto essere sua sorella. Quanto
c'era di vero in quella storia? Certo, era vagamente verosimile, ma per
convincerla sarebbe servito molto di più che una manciata di
parole. Ci avrebbe pensato più tardi.
“Agente Jodie!” si sentì chiamare. Era di nuovo Evans. “C’è
una chiamata per lei, scenda al primo piano”
“Chi mi cerca?”
“Non ne ho idea, non me l’hanno detto. Credo sia urgente,
però”
Jodie imboccò le scale e scese più in fretta che poté. Ad
accoglierla, trovò James e Camel, entrambi con il volto preoccupato.
“Che diavolo sta succedendo?”
Il primo si limitò a sollevare le spalle per poi cliccare il
tasto del vivavoce sul telefono appoggiato sulla scrivania.
“Chi parla?” chiese, con tono deciso.
“Sono Reina, credo sia arrivato il momento. Sanno che una
dei loro è con voi, sanno che lei stava facendo ricerche su
Shinichi Kudo,
capiranno tutto. Dovete fare in modo che non trovino nessuna delle
persone che sono entrate in contatto con lui. Al più presto. Uno
dei nostri mi ha detto
che la ragazza è già salva, la faranno uscire dal
Giappone stanotte”
“La ragazza?” chiese Jodie, confusa.
“La figlia dell’investigatore”
Figlia del- Doveva
essere Ran.
“Vi chiameremo appena sarà partita per confermare la
destinazione”
“Perché è stato avviato il programma senza nessun avvertimento?”
“La donna che avete arrestato voleva rapirla, quindi qualcuno ha
pensato potesse essere troppo pericoloso per lei rimanere qui. I
genitori ne sono già al corrente”
“La situazione è peggiore di quanto pensassimo, sta
succedendo tutto troppo in fretta” disse James appena si chiuse la chiamata.
“Siamo pronti però, giusto? Insomma, sono mesi che parliamo
di questi programmi” ribatté Camel, dopo essersi schiarito la gola.
“Beh sì, ma prima serve che tutti diano l’okay per
procedere, senza la loro conferma non possiamo fare niente. Poi dovremo
spiegare loro la situazione e il tempo stringe, quindi” si alzò e prese il
telefono “avvertite tutti e fate in modo che domani mattina siano nello stesso posto”
***
“Perché mi hai portata qui?” chiese di nuovo Ran.
“Sei in pericolo, non puoi più rimanere in Giappone”
La ragazza inorridì. Lasciare il paese? Non se ne parlava
nemmeno. E poi, lui che diritto aveva di dire certe cose? Chi era davvero?
“Non ho idea di cosa tu stia parlando”
“Allora chiedi”
“Mh?”
“Cosa vuoi sapere?”
Tutto. Ecco cosa voleva sapere. Aveva un milione di domande,
ma per qualche motivo continuava a pensare che non fosse lui la persona giusta
a cui farle. Con Yukiko era successa la stessa cosa. Shinichi le aveva detto
che sarebbe stata sua madre a dire come stavano le cose, ma, di nuovo, una
volta sulla macchina, non aveva chiesto nulla.
“Chi sei?” chiese “Veramente, dico. E come sai che sono in
pericolo? Per quanto ne so potresti essere tu
quello che mi sta mettendo in pericolo e.. perché ridi ora?”
“Beh questa tua teoria è un po’ campata per aria”
Ran assottigliò gli occhi e Kohei tentò di tornare serio.
“Sono della CIA. Da alcuni mesi lavoro sotto copertura qui
in Giappone. Sto raccogliendo informazioni su un’organizzazione che-”
“CIA? Questo cosa c’entra con me?”
“Tutto? Ascolta, ti dirò quello che vuoi sapere, ma ora ho bisogno che
tu scenda dalla macchina. Siamo già in ritardo”
“Ti rendi conto di quanto tutto questo non abbia senso nella
mia testa? Scenderò dalla macchina, sì. Ma solo per cercare un taxi e tornare a
casa”
Fece per aprire la portiera ma Kohei fece scattare la
chiusura automatica.
“Che diavolo fai?”
“La situazione è più complicata e se non collabori
le cose peggioreranno. Per te stessa e per tutti quanti. Quindi, per favore,
vieni con me in aeroporto.”
“Per andare dove? Voglio rimanere in Giappone! Potrei essere
d’aiuto e-” le si ruppe la voce e abbassò lo sguardo sulle ginocchia.
“Ran..”
“Cosa?! Non ho idea di cosa stia succedendo e voglio andare
a casa, che a te piaccia o meno”
“Non puoi”
La ragazza alzò gli occhi su di lui di nuovo. “Non posso? Lo
ripeto, non mi interessa se a te o alla CIA o a chiunque altro non sta bene,
voglio tornare a casa”
“E io ripeto che non lo puoi fare, tua madre ci ha dato
l’autorizzazione per il trasferimento”
La sua voce le rimbombò nelle orecchie per diversi secondi.
Cosa c’entrava sua madre?
“Sei minorenne, serve l’okay di entrambi i tuoi genitori per
iniziare le procedure. Un agente sta parlando con tuo padre proprio ora e
appena arriverà la conferma dovrai partire. Non dipende da te, prima lo
capisci, meglio è.”
“Mia madre sapeva tutto? La storia della vecchia amica era
tutta una farsa?” chiese, atona. Aveva dimenticato quello che era successo al
ristorante.
Lo vide annuire. “Tenerti d’occhio era il mio incarico, mi
dispiace aver coinvolto la tua famiglia, ma era l’unico modo che avevo per
avvicinarmi a-”
“Shinichi lo sapeva?”
“Beh no, non credo sappia chi sono,
men che meno quale sia il mio compito”
“Cosa doveva succedere stasera? Mi hai portata a quella
mostra per un motivo, giusto?”
Kohei sospirò. “Mi è stato chiesto di farlo”
“Ma le cose non sono andate come previsto”
“Esatto. Però è stato un bene che Kudo sia riuscito ad
intervenire”
Ran rimase in silenzio, cercando di mettere insieme le
informazioni che aveva appena ricevuto. Era ancora più confusa di prima.
“Uhm.. sì, pronto?”
Ran non si era nemmeno accorta che il telefono dell’altro
aveva cominciato a suonare. La voce che arrivava dall’apparecchio era
disturbata, poteva essere di un uomo o di una donna, era impossibile capirlo.
Soprattutto unendo a quello il traffico che proveniva dalla strada accanto al parcheggio.
Era piuttosto difficile seguire il filo del discorso, Kohei si limitava ad
annuire, quasi l’altro - o l’altra - potesse vederlo, e a borbottare frasi
sconnesse, quali “Cosa? Pensavo non volessi che lei-” “Davanti all’aeroporto” “Siamo
sicuri che sia una buona idea?”
Quando Kohei si girò di nuovo verso di lei. “Andiamo”
“Con chi parlavi?” chiese, tenendo gli occhi fuori dal
finestrino.
“Il mio capo”
“Mh”
“Vuole che ci muoviamo”
“Mh”
“Ran”
“Voglio parlare con Shinichi, prima”
Kohei esitò, non gli andava di prometterle qualcosa che
probabilmente non sarebbe successo. Ma non aveva alternative.
“Va bene, lo farai una volta che saremo nell'aeroporto” disse
infine, voltandosi per aprire la portiera. Sentì Ran tirare un
sospiro di sollievo. Forse le cose si sarebbero aggiustate.
Fu lei la prima a scendere dalla macchina, rabbrividì, tendendo
istintivamente una mano verso il cappotto abbandonato sul sedile. Si
ripeté mentalmente che tutto sarebbe
andato bene, nonostante in realtà non ci credesse molto. Il suo
pensiero si
spostò quindi su Shinichi, le avrebbe mai detto la
verità? Era come se lui avesse
creato un muro a separarli, che per quanto lei cercasse di abbattere
rimaneva
intatto.
Fu un rumore sordo a cogliere la sua attenzione, sapeva di
averlo già sentito altre volte, ma non riusciva a ricordare dove. Mentre le
orecchie iniziavano a fischiare e la vista ad appannarsi, abbassò lo sguardo sul
maglione beige che le aveva regalato sua madre, ora chiazzato di rosso.
Sentì le gambe cedere sotto il suo peso e, prima
che tutto diventasse nero, le sembrò di sentire Shinichi chiamare il suo nome.
-----------
Salvee
Lo
so cosa state pensando, dopo mesi mi degno di tornare, sono una persona
orribile, lo so, lo so, lo soo. La persona che dovreste odiare non sono
io, ma chi ha fatto gli orari di questo semestre. Un incubo, non dico
altro.
Oh ma è forse il 15 marzo oggi? Vi ricorda qualcosa "Konbanwa! Allora,
è la prima storia che pubblico in questa sezione, spero vi sia piaciuto
come inizio."? Un
anno fa pubblicavo il prologo della storia, ci credete? Non pensavo
nemmeno di arrivare al terzo capitolo, invece.. Dopo tutto questo tempo
posso dire di essere felicissima di aver deciso di scrivere in questa
sezione e ringrazio di cuore tutti coloro che nonostante la mia lentezza assurda hanno
seguito la storia fino a qui, chi ha recensito, messo tra le
seguite/preferite/ricordate e anche (ovviamente) ai lettori silenziosi.
Spero vogliate arrivare alla fine insieme a me.
Tornando
alla storia, mi scuso per l'ennesimo cliffhanger, immagino abbiate
capito che qualcuno ha sparato a Ran. Chi è stato?
Sopravvivrà? Quando la pianterai di maltrattare i
personaggi? Troverete risposte per queste e altre domande nel prossimo
capitolo, che speriamo tutti arrivi presto.
Gaia
Ps.
La frase all'inizio della storia - ovviamente - non è di una
canzone; questa volta ho preferito usare la citazione di un film, Dear
John. Penso sia chiaro il perchè della mia scelta ahah
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