The Gods' Fate - The Gods' Awakening

di I quattro Dei
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Prologo ***
Capitolo 3: *** Capitolo 01 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 02 ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


The Gods' Fate

The Gods' Awakening



Prefazione





Deipla era un pianeta molto particolare e decisamente unico nel suo genere.
Vitale, solare, rigoglioso e ricco, intorno ad esso non c’erano pianeti simili che potessero richiamare queste caratteristiche.
Due terzi del pianeta erano ricoperti dalla terra emersa, e queste terre erano divise in quattro continenti, dalle dimensioni molto simili tra di loro ed identificati attraverso i punti cardinali grazie alla posizione in cui nascevano. La restante parte era invece composta da mari oceani e tra questi sorgevano pure svariate isole che non facevano parte di nessun continente, venivano chiamate “Le Terre degli Dei” ed era vietato abitarci o anche solo avvicinarsi ad esse, erano considerate sacre, luoghi divini, e nessuno aveva mai osato avventurarsi tra quei territori.
Intorno a Deipla ruotavano tre soli e due lune, determinando così un raro gioco di luci che dava origine a differenti colori del cielo sopra le varie terre e a causa di questo c’erano anche differenti colori di flora e fauna tra le varie zone del pianeta.
Ogni continente era diviso in piccoli continenti a parte uno, quello più potente e decisamente più grosso rispetto agli altri, dove risiedeva anche la capitale, sia di esso che del continente stesso.
 
A Nord, tra le fredde acque marittime, si estendevano regni completamente freddi e ghiacciati, e il più importante, il Regno di Dren, aveva come capitale la città di Triasia, completamente circondata da una fitta foresta che in pochi decidevano di attraversare. Più ci si avventurava nel cuore di questo continente e quindi verso la città di Triasia e più il clima diventava rigido. Il cielo era sempre ricoperto da una nebbiolina chiara che non permetteva mai bene alla luce dei tre soli di filtrare e per questo i ghiacci non si scioglievano mai, mentre il cielo rimaneva sempre di un colore bianco pallido, a tratti sporco. Alberi e vari arbusti crescevano sotto un lieve strato di ghiaccio mentre i fiori erano parecchio rari e non sempre riuscivano a nascere in quel clima così rigido. La fauna locale invece aveva la caratteristica di avere pelo e piumaggio dai colori chiari, bianco, grigio chiaro o raramente azzurro erano i colori degli animali che abitavano quelle zone.
 
Il continente del Sud invece era un’area molto desertica  e perennemente calda e con temperature veramente elevate. Il Regno più importante si chiamava Kosh’Ra, e la sua capitale invece prendeva il nome di Dramè. Il tutto era circondato da un vasto deserto, che si estendeva fino ai confini con gli altri Regni, dove anch’essi, per la maggior parte, avevano grandi distese di sabbia e pochissime città.
Il cielo in questo Regno cambiava e i tre Soli, che brillavano per la maggior parte delle ore della giornata, creavano un gioco di luci che davano un vivace colore arancione sopra la città di Dramè, per poi scurirsi fino a diventare rosso e poi ancora più scuro verso i confini del continente.
La flora locale era caratterizzata in prevalenza da cactus e piante grasse, tutte dai colori tendenti al rosso e comunque caldi, mentre gli animali, prevalentemente sciacalli o serpenti, avevano i manti scuri o alle volte anche loro con qualche sfumatura gialla o arancione.
 
Di un bel verde brillante erano invece gli arbusti che caratterizzavano il continente a Est, dove la capitale, Raylight, si trovava nel Regno di Synda. Questo Regno, e all’incirca tutto il continente, era caratterizzato da una fitta vegetazione rigogliosa e sempre attentamente curata, zone deserte o ghiacciate non esistevano, ma in compenso c’erano parecchi laghi, cosa che gli altri continenti avevano poco o niente.
La volta sopra la città di Raylight prendeva sfumature rosa e gialle grazie alla luce dei Soli, ogni tanto c’era prevalenza di un colore, mentre altre volte ancora c’era la prevalenza del secondo, ma la cosa più affascinante era quando si mescolavano assieme, solo per trenta minuti ogni giorno. Andando verso il confine invece poi si scuriva leggermente, fino a diventare quasi viola.
Gli animali erano per lo più piccoli roditori che abitavano sugli alberi e uccelli di varia forma, caratteristici della zona erano anche i pesci “a specchio” che abitavano il mare lungo la costa del Regno di Synda, chiamati in questo modo perché fuori dall’acqua riflettevano qualsiasi tipo di luce e rendendoli brillanti.
 
Lacrima, invece, era la capitale che si trovava nel continente Ovest del pianeta, situata nel Regno di Reybins.
Rispetto agli altri questo era un continente parecchio lavorativo e molto scientifico: su tutta la zona risiedevano grandi fabbriche e laboratori di vario tipo, ma gli esperimenti più importanti e più segreti venivano svolti solo nella capitale.
Per questo motivo, i cieli del continente dell’Ovest erano molto bui, i tre Soli arrivavano con la loro luce, ma a causa del tanto fumo delle fabbriche, molto spesso, la luce veniva oscurata e quindi il cielo era di un colore parecchio scuro, tendente sempre alla notte. Solo in due posti la volta era invece di un bel celeste e privo di qualsiasi nube: nel grosso canyon a nord di Lacrima, dove non vi erano ovviamente fabbriche, e su
 Lacrima stessa, grazie al rispetto verso l’ambiente che i cittadini conservavano o più semplicemente a qualche trovata di uno scienziato per togliere tutti i gas tossici.
Animali e piante, quindi, erano molto rari, a parte lungo i confini del continente, ed entrambi questi grandi gruppi erano a tratti scuri, come se fossero sporchi a causa di tutto l’inquinamento che quel continente portava con sé.
 
Tra di loro, questi continenti, erano molto diversi, ma c’era qualcosa che li accomunava e che li rendeva simili: la magia.
Magia che risiedeva in pochissime persone scelte dal fato e che erano anche coloro che governavano i vari Regni e che formavano pure un Concilio, dove essi si riunivano per prendere decisioni serie e che potevano riguardare l’intero destino del pianeta.
Se nelle persone quindi, era molto rara, al contrario era molto comunque negli oggetti, dove parecchie cose, come anche i viaggi tra un posto e un altro, venivano portati a termine grazie a particolari oggetti dove risiedeva la magia.
 
*
 
Continue guerre ormai fungevano da decorazione al triste mondo di Deipla, non vi era terreno che non avesse, almeno una volta, assaggiato il sapore del sangue, non vi era fiume che non avesse trasportato un corpo ormai privo di vita. Non vi era donna che non avesse pianto amare lacrime sul corpo del marito, non vi era tenero bambino che non si fosse chiesto come mai il padre non avrebbe più giocato con lui, non vi era più persona che non avesse assaggiato paura e desolazione a causa di una di queste maledette guerre.
 
Che fossero per motivi validi, per quanto si possano definire validi motivi che portano ad un conflitto, o per semplice brama di potere qualche città, qualche continente era sempre in guerra con i diretti avversari. La magia, se possibile, aveva reso ancora più terribile queste guerre. È vero, era utile alla vita di tutti i giorni, ma le armi magiche erano molto più forti delle comuni armi, per non parlare di chi vantava un mago nelle fila del suo esercito, non c'era possibilità di paragone.
 
"La morte che vive, la vita che muore" così disse, secoli fa, un grande poeta.
E se questo non piaceva alle popolazioni c'era qualcuno che vi trovava il suo pane quotidiano: due sorelle. Le più vecchie sorelle al mondo, sempre presenti dall'alba dei tempi, in quello e in altri infiniti mondi, irremovibili ed in conflitto tra loro. La vita e la morte.
Queste continue guerre, questi continui spargimenti di sangue avevano fatto si che le due entità entrassero a loro volta in conflitto. Dopotutto in una guerra è di questo che stiamo parlando, sono loro che spostano l'ago della bilancia, sono loro ad essere in conflitto, sempre loro due: la vita e la morte.
 
Allo stesso tempo, però, da esse e dai continui conflitti tra le persone, altri due contendenti erano nati. L'odio, il sentimento che intercorre tra i guerrieri di opposte fazioni, che macchia il cuore delle donne che temono di perdere per sempre il fidato compagno, che si poteva respirare come una densa nebbia nei campi di battaglia, che intercorreva anche tra la vita e la morte stesse che lo avevano generato. E così come era nato lui aveva preso vita anche la sua perfetta nemesi. L'amore, il sentimento che intercorre tra guerrieri di uguale fazione, un amore come fraterno, che purifica il cuore delle donne che sperano di poter presto abbracciare il loro amato, quel sentimento che molti, ormai, non sanno neanche cosa sia. Quel sentimento che non poteva non impedire che l'odio esistesse e, nella sua totale purezza, era pronto a combattere.
 
Ed ecco che si prospettava una guerra ai limiti dell'impossibile. Vita e morte, amore e odio. Vita e amore, morte e odio. Loro, le forze motrici del mondo, una di fronte all'altra in un conflitto senza eguali che avrebbe portato, sicuramente, al collasso della società e alla fine della civiltà se nessuno fosse stato in grado di fermarli.
 
Ma chi può fermare la vita? La morte? L'odio e l'amore?
 
*
 
Il palazzo del Concilio, situato su un’isola artificiale nella zona neutrale dei quattro continenti,  era un edificio imponente di un candido biancore, costituito da una parte centrale e due ampie torri laterali dove risiedevano le anguste celle preparate per coloro che infrangevano le regole.
Quel palazzo non ospitava più una riunione del Concilio da secoli, ma quel giorno tutti i maghi dei quattro continenti avanzavano in quattro file ordinate verso il cancello d’avorio dell’enorme edificio.
 
In testa alle file vi erano i quattro maghi più potenti che reggevano lo stendardo dei loro rispettivi regni.
Il mago più potente del continente arido del sud era Zsadist, che avanzava imperterrito verso il palazzo.
Era alto un metro scarso, i capelli bianchi erano lunghi e lasciati sciolti sulle spalle troppo larghe per la sua corporatura, il volto sempre arcigno era ricoperto la un leggero strato di barba ruvida e bianca come i suoi capelli e negli occhi neri come la pece troneggiava uno sguardo deciso in grado di far arretrare di fronte ad esso anche un uomo molto più alto di lui.
 
In testa alla fila del soleggiato continente dell’est vi era un uomo alto, fiero ed austero.
La carnagione era scura per le troppe giornate passate alla luce dei tre soli, i suoi capelli erano castani e tagliati a spazzola, il viso che non dimostrava minimamente la sua reale età era leggermente squadrato e privo di barba, gli occhi gentili celavano, sotto il loro colore verde smeraldo, una forza ed un’audacia che in pochi potevano vantare.
Il suo nome era Xavier e nonostante i suoi modi composti era il più forte mago del continente dell’est.
 
Il mago più forte del continente dell’ovest, dalla corporatura massiccia ed imponente, stava avanzando verso il palazzo con tutti i maghi di quelle terre.
Era un mago diverso dagli altri, dalla smisurata intelligenza. I capelli rosso fuoco erano lasciati lunghi e sciolti a coprire quella parte del volto che non era umana da tempo immemore, così come tutto il lato destro del suo corpo, sostituito da parti meccaniche, cosa che l’aveva reso un cyborg in piena regola.
Lo sguardo ametista, freddo e calcolatore, scrutava, mentre procedeva, ogni cosa aveva intorno senza perdere nessun dettaglio.
Il suo nome era Revenge e tutto in lui dimostrava che tale nome era più che appropriato.
 
Alla guida dei maghi del continente del nord, invece, vi era una donna d’incomparabile bellezza e regalità, fredda nel carattere e nell’aspetto come la gelida terra dalla quale proveniva.
I bellissimi capelli biondo argenteo erano mossi e raccolti in una coda di cavallo che le sfiorava le caviglie, la pelle era candida e delicata, definita da chiunque l’abbia toccata come più fredda del ghiaccio del suo regno, e gli occhi azzurri brillavano di astuzia e di furbizia.
Lei era Brianna ed era l’unica donna ad essere mai riuscita a diventare il mago più forte di uno dei quattro continenti.
Quest’ultima fu proprio la prima a varcare la soglia del cancello del palazzo seguita da tutti gli altri maghi, diretti alla sala conferenze.
 
L’area riservata alle riunioni dei maghi era una stanza circolare molto spaziosa, con pareti bianche a prova di bomba, sedie rosse disposte a semicerchio e divise in quattro distinte sezioni per i quattro continenti, priva di qualsivoglia tipo di decorazione
Di fronte a quell’infinità di sedie rosse occupate dai maghi erano posizionati quattro troni sopra i quali si sedettero Zsadist, Xavier, Revenge e Brianna, che da lì avevano la visione completa di ogni mago presente.
 
Quando i quattro si sedevano su quei troni, era il segnale dell’inizio della riunione e solitamente dello scatenarsi di un inferno come pochi.
«Come tutti voi sapete, i continenti sono stati dilaniati dalle conseguenze di una guerra tra le quattro divinità. Vita ,Morte, Amore ed Odio… e mi vergogno ad ammettere che nemmeno unendo tutte le nostre forze saremo in grado di fermarle, non prima che il nostro mondo venga completamente distrutto…» disse Xavier aprendo il discorso e scatenando nei maghi un acceso dibattito di opinioni.
 
C’era chi diceva che era impossibile fermarle, chi diceva che pur essendo divinità erano pur sempre quattro contro un esercito. I maghi erano divisi come non lo erano mai stati.
D’un tratto uno di loro si alzò dalla sua sedia insieme ad altri tre.
Si trattava di un uomo alto, all’apparenza gracile con quel suo fisico minuto, ma non era nel fisico la sua forza. Hollow era un mago che bastava guardare negli occhi per capire il suo effettivo potere.
I tratti del viso ricordavano moltissimo quelli di un serpente, così come la sua lingua tagliente come poche.
 
«Perché non lasciamo che le quattro onnipotenze si scannino da sole? Si distruggeranno a vicenda e noi potremmo tornare ad essere i padroni indiscussi di queste terre!» esclamò Hollow, mago del continente dell’ovest, sostenuto da altri tre maghi, ognuno proveniente da un continente che gli davano man forte.
Sarà stato un caso, pensò Revenge, che quei maghi fossero proprio i quattro che da anni tentavano di strappare a lui, Zsadist, Xavier e Brianna il titolo di maghi più forti?
 
«Io spero che tu stia scherzando! Il regno non resisterà, moriranno moltissime persone e le città saranno rase al suolo!» gli rispose Brianna, alzandosi dal trono dove era rimasta, fino a quel momento, impassibile.
«Brianna ha ragione! Anche con i nostri poteri non potremmo salvare tutti!» parlò Xavier, dando man forte alla maga del nord.
«Vorrà dire che salveremo la parte che merita di vivere» dichiarò Hollow, accendendo l’ira del mago più forte dell’ovest che si alzò in tutta la sua imponenza.
«Perché allora non iniziamo da te?!» propose Revenge, mentre i tre maghi che appoggiavano Hollow si misero dietro di lui per aiutarlo in caso di scontro, cosa che fecero anche Brianna e Xavier, ma mentre i maghi si apprestavano a combattere sostenuti dalle rispettive nazioni, mentre il caos intorno a loro esplodeva, una voce, più grande e forte di tutte le altre rimbombò nella sala, attirando l’attenzione di tutti e riportando Revenge, Brianna e Xavier ai loro troni.
 
«Silenzio!» gridò Zsadist, scagliando la sua ascia che sfiorò la testa di Hollow prima di conficcarsi nella parete dietro di lui.
«La soluzione è una ed una soltanto, le quattro divinità vanno sigillate, il loro potere rinchiuso per sempre!» spiegò il mago più potente delle terre del sud, scatenando una serie di mormorii d’approvazione e di disapprovazione da parte del resto dei maghi.
«Sigillarle?» chiese Hollow, scettico in proposito.
«Sì, verranno sigillate nei quattro continenti, una per ogni continente» proseguì Zsadist, ottenendo finalmente la totale attenzione del Concilio.
«E come pensate che dovremmo sigillarle se avete appena detto che nemmeno tutti noi messi insieme potremmo batterle?» chiese Hollow, attirando l’approvazione di tutti i maghi presenti.
«Non è ovvio idiota? Le sigilleremo con l’antica magia… Lumien Histoire!” rispose Revenge, facendo ammutolire l’intero Concilio prima che scoppiasse il caos.
Maghi che approvavano contro maghi che disapprovavano, finché Hollow non parlò di nuovo.
«Lumien Histoire? Siete pazzi?! E’ una magia troppo potente, chiunque sarà scelto per questa missione ci lascerà la pelle!» disse il mago appoggiato dalla sua scorta.
«Non chiederemo a nessuno di farlo al posto nostro, lo faremo noi quattro come è giusto che sia» spiegò Xavier.
«E chi dice che non sia un trucco?» chiese la ragazza accanto ad Hollow, capelli neri ed occhi del medesimo colore. Si chiamava Vyla e veniva dalle terre dell’est.
Accanto a lei, un ragazzo basso tarchiato con gli occhi rossi e i capelli biondi di nome Lux e un altro alto ben piazzato, biondo e con gli occhi verdi di nome Joy, annuivano all’affermazione della compagna.
«Che intendi dire Vyla?» chiese Xavier alla maga.
«Anche ammettendo che riusciate a sigillarle con la magia antica, chi ci dice che non truccherete l’incantesimo in modo tale che le forze delle divinità passino alle vostre discendenze?» domandò la ragazza, scatenando moltissimi dubbi nei maghi presenti.
«Ora basta!» gridò Brianna, richiamando l’attenzione.
«Noi non lasceremo che qualcuno faccia questa cosa al posto nostro. Se ben ricordate un incantesimo di tale portata esige un prezzo molto, molto alto, la vita di chi lo compie. Noi non lasceremo nessuno morire al posto nostro e non lasceremo, Vyla, che le insinuazioni vigliacche tue, di Hollow, di Joy e di Lux, ci impediscano di evitare che questo mondo vada verso la sua rovina! Voi siete il Concilio, ma noi siamo i maghi più potenti dei continenti e l’ultima parola è la nostra!» esclamò Brianna, mettendo fine ai commenti e alla riunione stessa.
 
I quattro maghi più potenti dei quattro continenti, quella stessa notte, avrebbero liberato Lumien Histoire, sigillando una volta e per sempre le quattro divinità.
Non tutti però erano d’accordo con il loro giudizio.
Quella sera, quattro figure incappucciate, si riunirono nei sotterranei del palazzo del Concilio.
 
«Perché ci hai riuniti qui? L’hai sentita la regina dei ghiacci no? Hanno deciso!» disse Vyla, levandosi il cappuccio.
«E hanno preso la decisione sbagliata, come sempre… se il mago più forte fossi io…» iniziò Hollow,ma venne bloccato dalla risata di Joy.
«Ma non lo sei, Revenge lo è… e ci si pulisce i denti con quello che resta di te se osi sfidarlo» disse il ragazzo.
«Questo lo so da me, ma lui morirà stanotte, giusto?!» disse Hollow, con un sorriso che scatenò la curiosità di tutti.
«Cos’hai in mente?» chiese Lux.
«Noi non possiamo avere la certezza che loro non trasferiscano i poteri delle divinità alle loro discendenze, a meno che non lanciamo un incantesimo preventivo a Lumien Histoire» rispose Hollow, spiegando che se avessero lanciato un incantesimo combinato sulla magia antica, le divinità si sarebbero reincarnate in soggetti idonei, evitando così che la discendenza dei quattro maghi si impadronisse dei loro poteri.
«Ma se si reincarnano torneranno a distruggere il mondo» disse Vyla, mentre Hollow sorrideva.
«Certo, ma si distruggeranno a vicenda… e quando accadrà governeremo noi questo mondo!» rispose il mago dell’ovest, godendosi i sorrisi dei suoi compagni che poco dopo unirono le mani, pronunciando una formula incomprensibile, e lanciando il loro incantesimo su Lumien Histoire, prima che i quattro maghi più forti la utilizzassero per sigillare le divinità.
 
*
 
Lumien Histoire fu richiamata dai maghi più potenti delle quattro terre, in una grossa stanza, disposti in modo equi distanti tra loro, andando a formare i quattro punti di una circonferenza, ed usando tutto il loro potere, concentrandolo in un unico punto.
 
Al centro vi era una grande sfera raffigurante le quattro divinità, affiancate da un volto nero con un punto interrogativo sopra, segno che solo la sorte avrebbe scelto chi avrebbe svolto la funzione di contenitore. Certo, nessuno dei quattro avrebbe voluto affidare un tale fardello a qualche sconosciuto senza neanche una spiegazione, ma data la situazione drastica, si erano ritrovati costretti a fare così, poiché un ulteriore attesa avrebbe portato ancora più caos e distruzione.
 
Avevano ormai richiamato tutto il loro potere magico e si apprestavano a pronunciare la formula.
«Quando la storia richiama a se vecchie leggende» iniziò Zsadist, probabilmente riferendosi anche a sé stesso.
«E la luce rischia di scomparire» Xavier continuo la formula.
«Una sola speranza ci resta» pronunciò solenne Brianna.
«Per salvare le cose a noi care...» seguì subito dopo Revenge.
«... Noi ti evochiamo Lumien Histoire!» conclusero insieme per poi scagliare il loro potere contemporaneamente, attivando così l'arcana magia.
Nonostante sapessero perfettamente di dover tenere i loro sentimenti e la magia due cose distinte e separate, finirono per contaminare, involontariamente, la formula coi loro ricordi e le loro emozioni più forti.
Scaturì una forte luce che si propagò per tutto l'edificio del concilio, poi come era arrivata sparì, lasciando i quattro maghi storditi e deboli. Riuscirono a restare in piedi, prima di finire riversi a terra, una manciata di secondi, sufficienti appena per vedere che al posto del punto interrogativo apparivano rispettivamente un vaso per la morte, una perla per la vita, uno spirito per l'amore e della sabbia per l'odio.
 
«Siamo... stati... fregati» disse a fatica e con il poco fiato che gli restava in corpo Brianna, purtroppo non avrebbero potuto fare nulla più nulla, poiché pochi secondi dopo spirarono tutti quanti, lasciando solo dei corpi freddi e vuoti, ed una pergamena apparsa dal nulla, che recitava queste parole:
 
"La magia ci permetterà di sigillarli, l'odio verrà sepolto a sud, sotto la sabbia dell'arido deserto dell'Armain. L'amore verrà spedito all'estremo nord e vagherà in forma di spirito tra le folte foreste di Triasia. La morte verrà spedita ad ovest, nella lontana città di Lacrima, e rinchiusa in un vaso che nessuno potrà trovare. La vita verrà confinata ad est, nella ridente città di Raylight, nel suo mare cristallino."













Salve a tutti.
Innanzitutto ci teniamo a specificare che questa storia è una collaborazione a otto mani!
Esattamente, siamo in quattro a scrivere questa storia! :D
In questa storia andremo a raccontare un'avventura molto particolare!
Ci teniamo a specificare due cose, innanzitutto qualsiasi personaggio che vedrete in questa storia e di nostra creazione e, viene da se, che è di nostra proprietà e non può essere usato da chiunque. (Scusate la pignoleria ma, purtroppo, è successo anche questo).
Seconda cosa, il nome della magia "Lumen Histoire" è ripreso dal manga Fairy Tail, ma solo il nome e nulla più.
Il resto è tutta farina del nostro sacco!
Speriamo possa piacervi la nostra storia e, se volete, lasciateci una recensione.
Alla prossima!

Carhan - Michiko - Shi - Shou


 

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Capitolo 2
*** Prologo ***


The Gods' Fate

The Gods' Awakening



Prologo






Raylight era una cittadina esotica e vicino ad un mare cristallino all’inverosimile, la sabbia era bianchissima e molto fine e le acque erano pulitissime, per questo motivo solo in poche persone avevano il diritto di farci il bagno, giusto le famiglie più potenti o ricche della città se lo potevano permettere ed avevano il permesso direttamente dal Sindaco.
 
Ma Raylight non era famosa solo per il suo fantastico mare, la cosa che dava subito all’occhio di quella città era l’immensa quantità di verde che vi risiedeva: in ogni via c’era sempre un parco ben curato e pieno di fiori colorati e di vario tipo. Tutti i viali avevano anche una fila di alberi piantata nel terreno e intorno a loro c’erano tantissime aiuole con la flora locale.
Era tutto curatissimo e non mancavano nemmeno le sculture fatte con le siepi.
 
La cosa particolare poi era anche il fatto che non c’era di inquinamento, infatti le automobili o i mezzi di trasporto erano completamente assenti e per spostarsi nelle lunghe distanze si usavano dei piccoli portali che si potevano aprire grazie ad una Lacryma: quest’ultima, quando veniva azionata, era in grado di far comparire l’ologramma tridimensionale della città in miniatura, si sceglieva la posizione desiderata toccandola semplicemente, e dopo di che la piantina scompariva e ne prendeva il suo posto un portale azzurro che si muoveva similmente a delle onde del mare, ci si passava attraverso e si arrivava a destinazione da un secondo portale, praticamente uguale al primo.
 
In una grossa villa in periferia abitava una ragazza insieme ai suoi genitori, i Signori Phaidon, i quali erano sempre a lavoro, mentre lei stava spesso in casa a leggere. Aveva finito la scuola da un anno e per il momento non lavorava, non ne aveva bisogno visto che i genitori le davano qualsiasi cosa ed erano parecchio ricchi. La sua villa, composta da tre piani più la taverna era circondata da un grosso giardino curato da una persona apposita, e il tutto era circondato da una siepe parecchio floreale.
Michiko, questo era il nome della ragazza, aveva lunghi capelli azzurri e leggermente mossi che le percorrevano tutta la schiena, gli occhi erano grigio perla, il fisico era minuto e la pelle era parecchio chiara. Non aveva tanti amici, era lei che li rifiutava perché spesso si trovava meglio a stare da sola, ed era per questo che stava sempre chiusa in casa o in rare occasioni andava fino in spiaggia e poi al mare a farsi un bagno, visto che la sua famiglia era tra quelle che avevano il permesso.
 
Quel giorno era una delle rare occasioni in cui usciva, aveva voglia di andarsi a fare un giro sulla spiaggia e forse avrebbe fatto pure un bagno, prese le sue cose e uscì di fretta da casa sua, attraversando il viottolo di sassi del suo giardino che la conduceva fuori dal cancelletto.
«Buon pomeriggio signorina Phaidon» la salutò il giardiniere, un ragazzo di qualche anno in più di lei che lavorava per la sua famiglia.
La ragazza si girò a guardarlo per qualche secondo senza rivolgergli la parola, poi, di propria iniziativa, fece finta di inciampare tra i fiori appena piantati e li distrusse.
«Oh, mi spiace» si scusò lei ironica, con stampato un sorrisetto bastardo.
Il ragazzo non disse niente ma sospirò appena, non era la prima volta che capitavano quelle cose e tutti conoscevano ormai l’indole di quella ragazza che non amava per niente i fiori e la vita delle piante.
 
Michiko arrivò alla spiaggia, si tolse gli stivaletti grigi e cominciò a camminare tra la sabbia, in cerca di qualche conchiglia che avevano portato le onde del mare.
Indossava una maglietta a maniche corte rosa e sotto un paio di pantaloncini bianchi, e prima di uscire di casa si era messa della crema solare ad alta protezione, visto che la sua pelle era parecchio delicata e visto che non le piaceva per niente abbronzarsi.
 
Stava camminando da qualche minuto quando una grossa conchiglia bianca e dalle venature rosa attirò la sua attenzione.
Si avvicinò ancora di più alla riva, dove le onde si infrangevano con la sabbia, e la raccolse, trovandola semiaperta. Presa dalla curiosità dell’insolita grandezza di questa, fece forza e la aprì, trovandosi davanti una perla meravigliosa che grazie al Sole rifletteva i colori dell’arcobaleno.
Non riuscì però ad ammirarla più di tanto perché questa cominciò a brillare di luce propria, abbagliandola. Michiko si mise una mano davanti agli occhi, ma la luce la avvolse completamente e poi sparì di colpo, lasciando la ragazza leggermente spaesata.
Guardò di nuovo la conchiglia che aveva in mano, la perla era sparita e non solo, anche qualcosa dentro di lei era sparito o cambiato, si sentiva leggermente diversa e stava provando sensazioni strane e che non aveva mai provato fino ad allora.
Si guardò intorno e provò stranamente piacere nel vedere i fiori crescere rigogliosi, e solo in quel momento si accorse di avere dei ricordi mai appartenuti a lei, e soprattutto di avere un obbiettivo.
-Loro… li devo trovare… di nuovo- sussurrò, prima di correre verso il luogo dove aveva lasciato gli stivali e facendo cadere la conchiglia a terra.
 
*
 
Nel cielo del continente dell’ovest vi era situata un'isola fluttuante, sostenuta da una grossa bolla sotto al suolo, la credenza popolare era quella che la bolla era fatta d’aria, ma ciò era errato, poiché essa era una bolla d’acqua. Nessuno era mai riuscito a capire come ciò fosse possibile e l’ipotesi più quotata era che tutto ciò fosse la conseguenza di un qualche esperimento. Non era nemmeno difficile recarsi al piano superiore, poiché un grosso ascensore collegava le due parti della città.
 
Sulla superficie terreste dell'isola vi era situata una grande città, Lacrima era il suo nome, composta da vie, palazzi, villette a schiera e grattacieli, cinque per la precisione, con sopra una grossa lacrima di diamante che era visibile da ogni angolazione la si guardasse.
 
Questa città era soprannominata anche la città d'acqua per un particolare assai strano: ogni costruzione aveva un getto d'acqua, posto sopra il tetto, che facendo fuori uscire l'acqua circondava tutto. Anche le persone stesse avevo l'acqua a circondarli come una sottile membrana sopra i vestiti, dovuto al semplice fatto che all'altezza a cui si trovavano era difficilissimo respirare per via dell'area rarefatta e dei gas che salivano dal livello inferiore della città, quello più industrializzato dei due.
Tra i due livelli non vi erano grandi differenze sociali, vi erano anzi buoni rapporti ed entrambi si scambiavano merci a vicenda. L’unica differenza stava nei mezzi di trasporto, erano tutti uguali a parte i treni, che li si poteva trovare solo nel livello più basso.
 
La città di Lacrima era florida, dedita alla scienza e allo studio, e ricca di piante velenose anche se confinate in determinare aree. Aveva animali rari creati in laboratorio al solo scopo di essere uccisi e sezionati per venderne la carne e le pelli. Molto comuni erano anche i laboratori chimici e le fabbriche di ogni genere, così come le raffinerie.
Lacrima era davvero un ottima città-laboratorio, dove era possibile trovare e creare di tutto.
 
In una delle vie del livello inferiore, nascosto nell'ombra e incassato tra le fabbriche, era possibile trovare un piccolo negozio d'antiquariato, gestito da una donna un po' pazza e strampalata, dove al suo interno vi era anche l'ufficio di uno dei migliori cacciatori di tesori antichi: Shi Kurai era il nome sulla targhetta che un uomo lesse prima di entrare.
 
«Ho un lavoro per te, cacciatore» esordì sicuro, rivolgendosi alla figura vestita di nero che si trovava nella stanza.
«Che genere di lavoro?» domandò essa, il suo tono era calmo e piatto.
«Si dice, che da qualche parte nelle grotte a nord della città, vi sia un vaso antico dalle fattezze di un dragone» spiegò l’uomo.
«E voi volete che io lo ritrovi giusto?» chiese scettico.
«Esattamente, e se troverete qualcosa al suo interno potrete tenerlo insieme alla mia ricompensa, a me interessa solo il vaso» spiegò, porgendo al ragazzo una mappa con degli appunti, che questo non esitò a prendere.
 «Perfetto, la contatterò io quando avrò il vaso»
Il Signore uscì dalla porta da cui era entrato e il ragazzo iniziò subito a preparare le sue cose. Si muoveva agilmente, con il suo metro e ottantacinque d'altezza ,tra tutti quegli oggetti fragili e antichi che adornavano il suo ufficio, doveva farlo se non voleva rischiare di urtarli e farli cadere al suolo. Le spalle erano larghe ma non muscolose, gli occhi erano neri e la pupilla, a forma d'omega, era blu come i capelli che tendevano leggermente al viola, e che portava racchiusi in una lunga treccia, a parte quelli sulla nuca che invece erano completamente sparati all'aria e che cadevano a nasconderne gli occhi.
 
Arrivò alla porta e si infilò il suo cappotto simile ad un trench senza maniche, lungo fino al ginocchio, con due file di bottoni d'oro che terminavano in vita. La parte della chiusura si divideva poi dal resto, restando una fascia unica e un cappuccio. Sotto invece portava dei pantaloni di una tuta nera con ricami dorati a forma di rombo.
 
Aprì l’uscio del suo ufficio, trovandosi nel negozio della donna che era momentaneamente assente, probabilmente in magazzino, le lasciò un biglietto sul bancone dove accennava di avere un lavoro e di tornare appena finito e si calò il cappuccio in testa facendo uscire la treccia da un fessura praticata dietro.
 
Uscì quindi dal negozio, per poi sparire nei vicoli della città laboratorio, fino ad arrivare in una delle vie maestre e prendere la moto che aveva lasciato parcheggiata, montò in sella e sfrecciò fuori città verso le grotte. Spense il motore della moto ore dopo, quando ormai era calata la sera, e si avventurò nelle grotte tirando fuori una torcia che portava sempre con sé e la mappa che aveva ricevuto. Iniziò quindi a cercare la stanza segreta che, si credeva, doveva trovarsi all'interno del tempio di una qualche divinità dimenticata, o almeno così dicevano gli appunti che erano insieme alla mappa.
 
Era nella grotta da un’ora ormai e ancora non aveva trovato quel maledetto tempio, fu così che si ritrovò davanti un bivio.
«Destra o sinistra?» domandò al nulla.
«Ah ma che importa!» e prese quello di sinistra.
Percorse un altro paio di metri ed infine, dopo aver svoltato un angolo, si trovò davanti un’imponente struttura dallo stile greco. Notò immediatamente il grande portone aperto che invitava ad entrare, e di certo il ragazzo non rifiutò, poiché si avviò subito stando attento ad eventuali trappole nascoste, ma al contrario delle sue aspettative arrivò sano e salvo all'interno del tempio che era fatto completamente in lucido marmo bianco.
 
«Questo tempio sì che porterebbe soldi» commentò, osservando gli interni ampli e le colonne maestose e una statua di bronzo alta tre metri di cui non si riusciva a capire la forma perché rovinata ed abbozzata in più punti. Infine il ragazzo notò davanti alla statua un altare in marmo nero, con sopra il fantomatico vaso a forma di dragone, di dubbio gusto, secondo lui, ma aveva un lavoro da portare a termine e così si avvicinò al vaso e provò a sollevarlo, ma il peso era troppo eccessivo per un oggetto del genere e quindi lo aprì, allungando la testa per controllare il contenuto, ma da esso uscì un grosso banco di nebbia nera che lo avvolse completamente.
 
«Ma che caz...» non terminò la frase perché quella strana nebbia gli entrò in corpo passando per la bocca. Quando essa sparì del tutto il ragazzo era ancora lì, ma ora sul volto indossava una maschera che gli copriva naso e bocca, ed in lui sparirono o si affievolirono la maggior parte dei sentimenti. Solo la follia, il bisogno di portare morte e disperazione e la sete di sangue riuscirono a resistere e ad accrescere in lui.
"C'è un lavoro che mi aspetta, la caccia è aperta" pensò, prima di incamminarsi di nuovo per le vie della grotta.
 
*
 
A nord del continente più freddo e glaciale era situata una città tanto piccola quanto unica, circondata da boschi e foreste a perdita d’occhio. Pochi abitanti e niente di particolare, se non la distesa di neve che la ricopriva per intero per trecentosessantacinque giorni l’anno.
 
Triasia veniva definita “La Città Candida” dai pochi che avevano il coraggio di avventurarsi fin lassù per poterla vedere con i loro occhi. Era stata costruita  interamente sul grande lago ghiacciato che giaceva ai piedi della montagna più alta del continente, ed era circondata da una fitta foresta abitata da ogni genere di animale esistente, mentre il freddo pungente rendeva possibile viverci solo a coloro che vi erano nati.
 
Molti avrebbero pensato che era da pazzi costruire una città su un lago ghiacciato viste le alte probabilità di rottura di quest’ultimo, ma non era un problema che preoccupava gli abitanti, che per spostarsi utilizzavano pattini e slittini. A Triasia non esistevano stagioni, era sempre inverno e faceva sempre freddo, per cui il ghiaccio non si sarebbe mai sciolto. Nonostante il freddo, però, Triasia era una cittadina viva e fiorente, le persone erano serene e sorridenti e si guadagnavano da vivere con le loro bellissime sculture di ghiaccio, vendute in tutto il continente.
 
Proprio in uno di questi negozi,una ragazza dai lunghi e lisci capelli neri e dagli occhi dorati, aveva appena distrutto la sua ennesima scultura: non le venivano proprio.
Quella ragazza si chiamava Carhan, aveva diciotto anni, e come tutte le giovani adulte della sua città ci si aspettava che sapesse scolpire il ghiaccio alla perfezione, ma non era così.
Non aveva ereditato il grande talento dei genitori e ogni volta che toccava il ghiaccio, questo o si rompeva, o assumeva forme indefinite.
 
«Carhan! Com’è possibile che ti vengano tutte male?» le disse un uomo sulla cinquantina, alto e con folti capelli neri leggermente più lunghi sulla nuca, i baffi gli davano un’aria rigida ed austera, com’era infine il suo carattere, e i suoi occhi erano dorati come quelli della ragazza. Era suo padre venuto a farle l’ennesima ramanzina che lei non aveva la minima intenzione di ascoltare.
Uscì quindi dal negozio prima che lui le dicesse altro, magari ricordandole quanto sua madre avesse talento quando era ancora in vita. Pattinò a lungo, allontanandosi da quella città che aveva imparato ad odiare, in quanto non si sentiva parte di essa.
 
Girava tutto intorno a quelle maledette sculture di ghiaccio, e se qualcuno non era portato per farle veniva emarginato, proprio come lei. D’altronde la sua era una piccola città con idee molto piccole e limitate, cosa si poteva aspettare?
 
Arrivò come suo solito al confine con la foresta, ma quel giorno c’era qualcosa di diverso.
Carhan osservò attentamente e vide una sfera di luce scintillante avvicinarsi a lei, per poi tornare verso la foresta. La sfera fece quel movimento parecchie volte, era come se le stesse dicendo di seguirla.
 
Carhan sapeva di non dover andare nella foresta, che era molto pericoloso, ma la curiosità di sapere cosa fosse quella luce era troppo forte, così prese i suoi stivali dalla borsa a tracolla che portava sempre con sé e li sostituì ai pattini che aveva ai piedi, incamminandosi poi nella foresta seguendo quella strana luce.
Durante il tragitto il cappotto blu le s’impigliava continuamente nei vari rami degli alberi, così se lo tolse, restando in leggings lunghi neri, mentre sopra aveva un maglione intrecciato rosa antico che le lasciava scoperte le spalle. Dopotutto il freddo non le aveva mai dato fastidio.
 
Improvvisamente la luce si fermò ed assunse le sembianze di una donna, della quale Carhan non riusciva a vedere il volto a causa del bagliore intenso che emanava. La donna tese la mano verso di lei, e la corvina, trasportata da qualcosa che non poteva comprendere, la prese. Si ritrovò avvolta da quella luce calda ed avvolgente, si sentì invadere da emozioni che non aveva mai compreso, sensazioni che non aveva mai provato, ricordi che non aveva mai avuto e in quel momento riuscì a dire solo una cosa.
«Devo andare…li devo incontrare».
 
*
 
A sud del continente, invece, non vi erano troppe città, dato che la maggior parte del territorio era ornato dal temibile e arido deserto di Armain. Nella parte più centrale era praticamente impossibile scorgere una qualsivoglia presenza di vita, sia umana che animale, ma più ti spostavi a sud, e più aumentavano le zone abitate.
 
All'estremo sud vi era la capitale, Dramé, che nonostante ciò contava un ridottissimo numero di abitazioni. Le case erano semplici costruzioni in pietra tutte uguali tra loro, era praticamente impossibile vedere una qualsivoglia presenza di vegetazioni, dato che l'arido deserto giungeva a coprire anche la zona abitata, resa vivibile dalla presenza di numerosi laghi. La città di Dramé era famosa per il commercio di pietre preziose, estratte dalla grande miniera ad ovest della città, dove tutte le persone avevano trovato sicuro lavoro, e commerciandole potevano, così, acquistare i beni di prima necessità.
 
Non era, tuttavia, tagliata fuori dal resto del mondo. Al di fuori della città vi erano alcune stazioni di vari mezzi di trasporto magici, con i quali risultava facile spostarsi con rapidità a chiunque. Proprio nella miniera lavorava, insieme al padre e al fratello maggiore, un giovane ragazzo di ventuno anni, di nome Shou Z. Hikari. Era un tranquillissimo e pacato ragazzo, assolutamente nella media anche per quanto riguardava l'estetica, alto un metro e settantacinque con un fisico nella norma, ma irrobustito dal duro lavoro, e aveva dei bellissimi occhi azzurri. I capelli, castano chiaro e lisci, li portava lunghi e legati in una coda bassa. Purtroppo ancora non sapeva cosa il destino aveva scelto per lui.
 
Terminato il lavoro mattutino Shou uscì dalla miniera, ringraziando ogni divinità esistente che quel giorno avrebbero avuto il pomeriggio libero, e con il fratello e il padre si diresse a casa per darsi una sciacquata, dato che poco dopo pranzo aveva un importante appuntamento. Entrando vide la madre in cucina e preferì non distrarla, salendo a grandi falcate fino in camera sua. Gettò la tuta dal lavoro in un angolo della stanza ed entrò rapidamente in doccia, per uscirne, poco dopo, come nuovo. Dopo essersi asciugato i capelli indossò dei pantaloni in tessuto color nero pece e degli stivali in pelle fin sotto il ginocchio color cioccolato. Dopo un rapido sguardo all'armadio optò per una normale camicia bianca, lasciando scoperto parte del petto e mettendo così in mostra le numerose collane che aveva, e completò il tutto con una giacca con cerniera in pelle marrone scuro, con la zip tenuta completamente aperta che lasciava, in parte, intravedere numerosi braccialetti ad entrambi i polsi. Si legò i capelli con la sua consueta coda bassa, salutò rapidamente i genitori e il fratello seduti a tavola, ed uscì in strada.
 
Dopo aver camminato alcuni minuti si fermò davanti ad un negozio di cappelli, dato che aveva iniziato a tirare un tiepido vento e voleva bearsi di quel piccolo dono. Improvvisamente l'aria si fece gelida, non fece in tempo ad aprire gli occhi che una crepa sotto i suoi piedi lo risucchiò, per poi sparire come non fosse mai esistita.
 
Sentiva la sabbia intorno a lui, ma non lo stava soffocando, e non capiva il perché.
"Non può ucciderti, la sabbia fa parte anche di lui". Sentì una voce dentro la sua testa, senza capire cosa fosse o da dove provenisse. Percepì una fitta al petto e sentì che qualcosa in lui stava cambiando. Pochi istanti dopo la crepa si aprì nuovamente, facendo uscire il ragazzo inerme, e ancora una volta si richiuse come non si fosse mai aperta. Shou iniziò a pulirsi la sabbia di dosso, per poi voltarsi verso il negozio di cappelli ancora chiuso, e si perse ad ammirare alcuni di essi. In quel mentre giunse il proprietario per aprire il negozio.
«Shou! Ragazzo!» lo salutò.
«Ti piacciono i miei cappelli?».
Lui non rispose, limitandosi ad annuire.
«Se vuoi puoi prenderne uno! Devo un favore a tuo padre! A proposito salutamelo!».
«Certamente signor Kenway!» rispose sorridendo.
L'uomo annuì convinto per poi incamminarsi dentro il negozio, ma in realtà dentro di sé sentiva che qualcosa nel giovane era cambiato, ed infatti così era stato. L'odio, la rabbia e l'ira che albergavano in lui aumentarono a dismisura. Si sentiva cambiato, provava sensazioni ed aveva ricordi che era certo non gli appartenessero, e la cosa gli piaceva. Era come se il vecchio Shou fosse morto, per dare possibilità al nuovo di vivere. Non riusciva a spiegarsi cosa fosse successo, era come se quello che era diventato in quel momento fosse stato il ragazzo che ventuno anni fa era nato a Dramé. Sapeva cosa doveva fare, quasi fosse la sua unica missione.
 
Sorridendo si voltò verso il porta cappelli e ne prese uno in stile cow boy che si intonasse alla sua giacca, se lo calcò in testa e iniziò ad incamminarsi fuori dalla città, verso la prima stazione.
«È giunto il momento di incontrarci di nuovo» disse al vento.











Rieccoci qua con il Prologo!
Adesso i protagonisti sono arrivati ad un primo impatto con qualcosa di nuovo per loro, ma cosa gli succederà? Avrà risvolti positivi o negativi per loro?
Ringraziamo tutti quelli che stanno seguendo questa storia e chi ci ha lasciato un suo commento!
Alla prossima con il primo capitolo!


Carhan - Michiko - Shi - Shou


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 01 ***


The Gods' Fate

The Gods' Awakening



Capitolo 01





 
 
«Loro… li devo trovare… di nuovo» sussurrò, prima di correre verso il luogo dove aveva lasciato gli stivali e facendo cadere la conchiglia a terra.
 
Michiko stava correndo verso casa, per prendere qualche cosa per il suo lungo viaggio che presto avrebbe affrontato, quando ad un certo punto si fermò in mezzo ad un viale alberato con dei bellissimi fiori gialli e rigogliosi che crescevano intorno a loro per adornare l’aiuola, insieme anche a delle piccole margherite bianche.
 
Guardandoli si sentì strana, diversa, non aveva più l’impulso di strappare quei fiori che non le erano mai piaciuti, anzi, ora li adorava, non tanto per la loro bellezza ma perché anche loro nascevano come gli umani e avevano un ciclo di vita parecchio duraturo.
 
La vita, ecco quello a cui Michiko non aveva mai pensato, anche quei fiori avevano una vita come le persone e non era giusto togliergliela, dopotutto lei non avrebbe mai ucciso nessuno.
Sorrise impercettibilmente a quel pensiero che da poco si era appena fatto strada in lei e che ancora non capiva e continuò il cammino verso casa sua, questa volta più lentamente, per osservare tutte quelle piante che aveva sempre avuto intorno, ma ora le scrutava con occhi e pensieri diversi.
 
Arrivò davanti a casa sua ed entrando nel vialetto trovò ancora il giardiniere che lavorava e i fiori che aveva precedentemente distrutto raccolti in disparte.
Si avvicinò a loro, chinandosi sulle ginocchia, e rimase a guardarli, dispiaciuta.
«Mi dispiace… io non volevo…» sussurrò, mentre prendeva con la sua mano una rosa blu ormai appassita, rimanendo a fissarla con i suoi occhi grigi.
Il giardiniere la guardò da lontano, stupendosi di quella situazione, non aveva mai visto la ragazza dai capelli azzurri fermarsi a guardare i fiori, e sembrava come dispiaciuta nel vedere che quelli erano morti.
«Tutto bene Signorina Phaidon?» si avvicinò a lei, continuando a scrutarla.
Michiko si girò a guardarlo, posando delicatamente la rosa insieme agli altri fiori e rimettendosi in piedi.
«Certo, ora devo andare via, lascerò un biglietto ai miei genitori per quando torneranno» rispose la ragazza, per poi rientrare in casa.
Preparò velocemente una borsa con poche cose e prese parecchi soldi e la sua carta, prima di uscire scrisse giusto un biglietto e poi lasciò quella casa, sapendo già la strada che avrebbe dovuto percorrere.
 
*
 
"C'è un lavoro che mi aspetta, la caccia è aperta" pensò, prima di incamminarsi di nuovo per le vie della grotta.
 
Spense il motore della moto, che era praticamente dentro il negozio, quasi come a sfondarlo. Entrò con il vaso sotto braccio e sbattendo la porta contro il muro fece smettere quel vociferare che vi era all'interno, facendo calare un’atmosfera fredda e spaventosa, sembrava che perfino la musica sempre presente avesse paura di farsi sentire.
 
«Tutto ok?» chiese la padrona del negozio, Miss. Cry, aveva lunghi capelli rossi e occhi color cioccolato, un seno prosperoso e un sedere sodo e vestiva speso abiti attillati che poco lasciavano all'immaginazione, che con voce incerta andò a spezzare quell'aria lugubre. In tutta risposta il ragazzo scoccò un'occhiata gelida che provocò una serie di brividi alla donna, cosa che difficilmente accadeva non avendo paura quasi di nulla, eppure quella volta deglutì spaventata vista l'aria gelida che Shi emanava, così fredda da gelare fin dentro le ossa, e così opprimente che quasi non lasciava respirare.
 
 
Senza dire nulla si diresse nell'ufficio, ed appena chiusa quella porta, nel negozio si tornò nuovamente a respirare normalmente l’aria calda con il suo piacevole tepore, accompagnata dalla musica.
“Quello... quello non può essere lui” constatò lei sconvolta, prima di tornare a parlare con il cliente.
 
Intanto il ragazzo si era seduto dietro la scrivania, non prima di aver messo il vaso sul piano, mentre nella sua mente si andavano a formare immagini delle più svariate e crudeli che avrebbe potuto usare sulla donna: torture psicologiche e fisiche che avrebbero distrutto la sua mente ed ucciso la sua anima, e dopo avergliele fatte assaporare avrebbe anche potuto ucciderla, rubandole per sempre il soffio vitale e tingersi le mani di quel colore scarlatto che adesso sembrava adorare.
 
Posò un attimo gli occhi su quel drago dagli oscuri segreti ed in lui si accese una piccola scintilla di luce, la curiosità che sempre lo aveva contraddistinto ma che durò appena un secondo poiché l'oscurità la fece sparire come se non fosse mai esistita, così il ragazzo chiuse gli occhi stanco, cadendo in un sonno popolato di immagini strane ed emozioni ancora più particolari, sembravano quasi ricordi di un altro.
 
Spalancò gli occhi circa due ore dopo, quando sentì un forte bussare alla porta esterna del suo ufficio, non quella che dava al negozio, che si spalancò, mostrando la figura del cliente.
«Ehilà! Siete stato veloce!» esclamò felice lui nonostante l'aria gelida, sedendosi di fronte al corvino che sollevò un sopracciglio, ponendo una muta domanda che fu subito colta dal signore.
«Oh giusto, oltre che collezionista e mecenate sono anche un hacker, così mi sono infiltrato nella rete di sicurezza e ho usato le telecamere per controllare» cercò di essere conciso e breve, mentre sentiva che l'aria si faceva sempre più opprimente e gelida ,come se la morte fosse lì presente.
Shi allora si alzò, prendendo con sé il vaso, ma appena l'uomo provò a dire qualcosa, il corvino gli scoccò un’occhiata che bloccò ogni minimo movimento, anche il semplice respirare, che venne trattenuto per un paio di secondi.
Quindi il ragazzo gli si portò alle spalle, sollevò il vaso sopra la testa ed infine lo calò con forza sul cranio dell'uomo che lo tramortì, facendogli sbarrare gli occhi dalla sorpresa prima di crollare riverso sulla scrivania che gli si trovava davanti, mentre alcune schegge che erano penetrate fin nel cervello facevano uscire rivoli di sangue che cadevano lungo il collo e finivano sul pavimento.
Shi, dentro di sé, sentiva un senso di appagamento e potenza che mai aveva provato prima, neanche nelle sue numerose avventure.
 
Uscì quindi dalla stanza, ritrovandosi nel negozio vuoto, fatta eccezione per la donna che era dietro il bancone intenta a leggere una rivista.
Il ragazzo gli arrivò velocemente alle spalle, e dopo averla fatta girare e sbattuta violentemente contro il bancone, le strappo il vestito.
«Shi! Che... che vuoi fare?» chiese incerta la donna con la voce incrinata, mentre sentiva salire in lei una paura sempre maggiore, il ragazzo non rispose, più semplicemente la sollevò per i fianchi e la sdraiò a forza sul bancone.
 
Più la rossa si dimenava e combatteva e più Shi si divertiva.
La fece sua con forza vedendo gli occhi della donna allargarsi dallo stupore e dal dolore, mentre del sangue scivolava percorrendo le sue gambe, e vedendo quel dolore e la morte che pian piano si avvicinava negli occhi cioccolato, il corvino continuò il suo lavoro. Quando finì, dopo essersi svuotato dentro di lei, prese un coltello che sapeva trovarsi sotto il bancone e la sgozzò, vedendo il sangue schizzare ovunque e la vita che abbandonava il corpo.
 
Quel senso di potere e appagamento tornò di nuovo, questa volta più forte, per aver ucciso due persone in poco tempo.
 
*
 
«Devo andare…li devo incontrare».
 
Tornando verso casa, per prendere il necessario per il viaggio che l’aspettava, Carhan notò che il paesaggio ghiacciato, che prima tanto odiava, era di una bellezza sconvolgente. Ogni ruscello, ogni ramo d’albero, ogni cosa scintillava alla luce del pallido sole che vi era quel giorno, come fosse ricoperta da tanti piccoli diamanti.
Si sentiva diversa. Era diversa.
Passando per il villaggio provò l’impulso di salutare chiunque le passasse accanto, e di augurare loro una buona giornata, cosa che non faceva più da quando era morta sua madre.
 
Arrivata a casa con negozio annesso, Carhan si fiondò tra le braccia del padre abbracciandolo forte e lasciandolo inebetito. Era da sei anni che sua figlia non lo abbracciava.
«Carhan… ti senti bene?» le chiese l’uomo, che rimase ancora più stupito quando la corvina sollevò gli occhi ad incontrare i suoi. Erano gli stessi occhi che sua figlia aveva da sempre, certo, ma al contempo erano differenti. Erano pieni d’amore verso di lui e verso qualunque altra cosa.
 
«Perdonami Papà… mi sono comportata malissimo con te in questi anni, ma io ti voglio bene, davvero tanto Papà» disse lei, lasciando l’uomo sempre più sconcertato, sconcerto che aumentò quando Carhan gli disse che doveva partire per chissà quale viaggio.
«E dove pensi di andare?» le chiese suo padre, mentre la vedeva riempire una borsa con alcune sue cose.
«Non lo so ancora, ma io devo andare, li devo incontrare» rispose, mettendosi i pattini e sfrecciando fuori dal negozio.
«Carhan, aspetta! Chi devi incontrare?» chiese l’uomo, che vide la figlia voltarsi sorridergli e gridargli di volergli bene, per poi sparire.
 
Avrebbe dovuto fermarla, lo sapeva, ma non ci era riuscito.
Era rimasto troppo sorpreso dal suo cambiamento, e poi era giusto che i figli cercassero altrove il loro futuro, e quello di Carhan, decisamente, non era a Triasia.
Quella era sua figlia non c’erano dubbi, ma allo stesso tempo era come se non fosse più lei.
Rientrò sospirando nel negozio, chiedendosi se la sua bambina sarebbe mai tornata a casa.
 
*
 
«È giunto il momento di incontrarci di nuovo» disse al vento.
 
Stava camminando verso la stazione poco fuori dalla città con passo moderato e tranquillo da pochi minuti, percepiva tutto in maniera diversa, le sensazioni, i cinque sensi, tutto era cambiato in lui, e questo non solo gli piaceva ma gli sembrava fosse sempre stato così.
 
«Shou! Ehi Shou!» una voce richiamò la sua attenzione, si voltò verso uno dei tanti bar all'aperto riconoscendo Edward e Ageha, due suoi amici, e li salutò con un gesto della mano ed un sorriso. Uno dei due lo invitò ad avvicinarsi mentre l'altro mostrò, con le dita della mano, il numero tre al barista, segno che aveva ordinato tre caffè.
 
Shou, ad un passo dal bancone, venne urtato da un energumeno che si stava dirigendo verso la strada, e gli cadde il cappello. Raccolse il cappello e mormorò un «La prossima volta non la passerai liscia.» per poi pulire il prezioso copricapo e rimetterselo in testa, raggiungendo gli amici con aria totalmente tranquilla e pacata.
 
Dopo aver bevuto il caffè e scambiato due parole con gli amici li salutò con la scusa che doveva andare a incontrare delle vecchie conoscenze.
 
«Ehi Ageha!» disse uno dei due ragazzi.
«So cosa stai pensando Edward, quello non è Shou! O almeno non del tutto.».
«Già... Quel desiderio di vendetta verso quell'uomo, la rabbia che ha soppresso per miracolo... Chissà cosa gli è successo!».
«Direi di seguirlo e vedere cosa combina!» propose Ageha, e così fecero.
 
Shou, intanto, era tornato sui suoi passi ed era ormai ad un centinaio di metri dalla stazione quando, il solito uomo del bar, lo urtò ad una spalla.
«Ehi moccioso!» sbraitò quello, un gigante di due metri tutto muscoli.
«Mi dica tutto!» rispose il ragazzo, togliendosi il copricapo e sorridendo tranquillo.
«È già la seconda volta oggi! Mi sa che dovrò insegnarti le buone maniere!» concluse con sguardo minaccioso, facendosi schioccare le ossa delle mani.
«Ne è sicuro, signore?» chiese sorridendo. Poi si rimise il cappello, la mano non abbandonò mai il copricapo che celava gli occhi rendendo visibile solo la bocca, il suo sorriso si trasformò in un lieve ghigno e poi continuò. «Sarebbe un vero peccato se lei, oggi, perdesse la vita per mano mia.»
L'uomo, così come le due spie, rimasero paralizzati di fronte a tanta tranquillità, il castano invece superò il gigante e, mani nelle tasche della giacca, riprese il suo cammino.
 
Ageha e Edward uscirono dal nascondiglio ed il primo provò a richiamare l'amico!
«Shou! Shou! Ehi Shou!» urlava con le mani intorno alla bocca. Il castano neanche si voltò, estrasse la mano sinistra dalla tasca e la alzò quasi a voler salutare.
 
Una mano si posò sulla spalla di Ageha, voltandosi vide l'amico scuro in volto che scuoteva la testa con aria pessimista.
«Lascia perdere.» disse Edward «Quello non è più Shou!»









Buongiorno a tutti! Ecco a voi il primo capitolo!

In questo capitolo i nostri quattro ragazzi sono partiti per il loro viaggio. Cosa succederà durante il loro cammino? Lo scoprirete molto presto nei prossimi capitoli!
Ci teniamo a ringraziare veramente tutti quelli che stanno leggendo questa storia e che ci hanno lasciato una loro recensione, veramente grazie! ^^
Un grosso saluto, alla prossima!


Carhan - Michiko - Shi - Shou

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 02 ***


The Gods' Fate

The Gods' Awakening



Capitolo 02






 
Michiko aveva camminato per una mezz’oretta nella sua città, sapendo esattamente dove andare ma non sapendo come arrivarci. Successivamente usò la sua Lacryma per far comparire l’ologramma della piantina di Raylight e decise di andare ad una delle stazioni che stavano in periferia. Lungo tutta la periferia, infatti, c’erano diverse stazioni di treni che collegavano la città ad altre più vicine. Il portale davanti a lei si aprì e ci passò attraverso, trovandosi esattamente di fronte alla biglietteria, comprato quindi il biglietto, si accomodò sul treno e attese la sua partenza.
 
Un’oretta dopo si trovò nella città dove aveva deciso di spostarsi. La cosa che le saltò subito all’occhio era il fatto che era molto diversa dal luogo dove aveva sempre vissuto. Questa dove si trovava non aveva per niente alberi o natura e le poche aiuole che c’erano erano parecchio trascurate e ormai secche e prive di vita. L’azzurra sospirò a quella vista, dispiaciuta della mancanza di vita in quella natura.
 
Il treno che l’avrebbe portata alla città seguente sarebbe partito tra due ore, così decise di farsi un giro in quella città, approfittando magari per mangiare qualcosa, o forse soltanto per guardare le persone camminare tra quelle piccole vie, aveva cominciato a guardare tutto sotto un’altra prospettiva, felice che lei stessa fosse viva e che intorno a lei c’erano cose vive.
 
Una volta disprezzava tutto questo, una volta non poteva vedere i fiori e le piante, e odiava il fatto di essere nata proprio in quella città, dove queste venivano rispettate. Ora invece adorava tutto ciò che potesse contenere una vita, tutto ciò che aveva un ciclo naturale, compresa lei stessa, che si sentiva diversa.
 
Non aveva mostrato il minimo segno di paura nell’affrontare quel lungo viaggio da sola, prima di tutto perché sapeva di doverlo fare, sapeva che doveva incontrare altre persone e soprattutto, sentiva che dentro di lei non era sola, c’era qualcun altro. Aveva dei ricordi non suoi, ciò voleva dire che dentro di lei risiedeva qualcosa, e questo qualcosa faceva in modo di non renderla sola, ma anzi, di farle capire tanti valori che aveva perso con il tempo.
 
Era ancora immersa nei suoi pensieri quando, in lontananza, vide un gruppetto di gente raggruppato in mezzo alla strada. Alcuni urlavano, altri chiamavano aiuto, decise quindi di andare a vedere cosa fosse successo, incuriosita.
 
«Che succede?» domandò ad un Signore che era al bordo della folla, mentre cercava di guardare al centro di essa, anche se era un po’ impossibile data la sua altezza e le persone che si trovavano davanti a lei.
 
«Una rapina, il ladro è scappato, ma una donna è rimasta ferita gravemente, i soccorsi stanno arrivando ancora, almeno, questo ho sentito» rispose l’uomo, senza badare tanto alla ragazza di fianco a lui, ma continuando a guardare davanti a sé ed intorno, sperando che i soccorsi arrivassero alla svelta.
 
Michiko non ci pensò due volte, aveva appena sentito che una donna era ferita gravemente e che poteva perdere la vita, ed era una cosa che non poteva lasciare che accadesse.
 
Spinta da una sensazione che ormai si era fatta dentro di lei, che ormai aveva preso il controllo di tutta sé stessa, si fece avanti, passando tra le persone che avevano formato quella folla, e riuscì ad arrivare davanti, notando la donna distesa a terra, aiutata solo da un paio di persone. Aveva una lunga ferita al fianco e continuava a perdere copiosamente sangue.
 
«Sei un medico?» uno degli uomini che stava sorreggendo la Signora notò Michiko che si era avvicinata, inginocchiandosi davanti a loro e scrutando attentamente la ferita.
 
«Io…?» l’azzurra alzò lo sguardo verso l’uomo che le aveva posto quella domanda, ma non rispose. Si limitò a guardarlo negli occhi per poi ritornare a guardare la ferita, questo stava per intimarle di andare via quando notò una cosa che gli fece sgranare gli occhi dallo stupore, insieme all’altra persona che era lì con loro.
 
Michiko aveva allungato una mano poco sopra la profonda ferita, e da essa era uscita dell’acqua, piccole goccioline che erano andate a cadere sopra il taglio e che fumarono leggermente a contatto con il sangue. Andò avanti per qualche secondo e poi vide, con stupore, che la ferita si stava rimarginando. Fatto il suo lavoro si alzò, fece qualche passo indietro sentendo i ringraziamenti che le persone le stavano rivolgendo, sempre con stupore, e poi si allontanò, mentre la folla badava più alla persona guarita che a lei stessa.
 
Quei pochi che la videro andare via non notarono una ragazza normale, videro una specie di figura dentro di lei, un fantasma, un’anima, che ricordava vagamente una ninfa, avvolta da un vestito a fiori intrecciato che la ricopriva veramente poco, era leggermente bagnata, e in mano aveva una specie di vaso.
 
Questa figura si vide solo per qualche secondo camminare insieme a lei, poi scomparve, a quel punto, quindi, pensarono di aver avuto veramente un’allucinazione, ma non era così. Michiko aveva compiuto veramente un miracolo, e per un attimo, aveva come sentito che il suo corpo fosse stato preso in possesso e guidato, da un’entità. Un’entità che le stava facendo provare tutte queste emozioni nuove.
 
*
 
Era partito da quelli che erano due giorni oramai, Shi era stato costretto ad abbandonare la moto all'alba del secondo, ed ora proseguiva imperterrito sulle sue gambe, nonostante fossero le ore di punta della giornata e non ci fosse un filo d'ombra in quella landa desolata.
 
Verso le cinque, dopo essersi infilato in un canyon, trovò una piccola oasi che offrì riposo e un riparo al corvino. Fece cadere la sacca sotto un albero di cui ignorava il nome ma che ricordava molto una palma, e si diresse al piccolo lago che si trovava al centro, circondato da tutta una flora verdeggiante. Quando provò a portarsi l'acqua alla bocca, per dissetarsi, la maschera si dissolse permettendogli di bere, ricomparendo poi quando si alzò per tornare alla sacca per mettere qualcosa sotto i denti.
 
"Poche provviste, sono ridotto male" constatò, mentre svuotava la sua sacca, facendo anche un inventario. "Due once d'acqua, qualche sacchetto di carne essiccata, un paio di cambi e... Una mappa! Almeno saprò dove andare" velocemente aprì il foglio ripiegato e rintracciò il puntino blu, che lo indicava, e poi controllò tutti i puntini rossi, indicanti le città, notando che il più vicino era a due giorni di marcia sostenuta.
 
Dopo aver riempito le once e sistemato di nuove le sue cose, Shi si era rimesso in cammino tornando a camminare tra quelle gole mentre la giornata volgeva sempre più al termine fino ad arrivare al tramonto, segnando la fine di essa. Dal cielo si stavano anche accumulando grossi nuvoloni neri, che annunciavano pioggia certa, e in lontananza si sentivano echeggiare gli ululati dei lupi che annunciavano un altra nottata di caccia, ma il ragazzo non ci badò.
 
Alcune ore dopo, però, fu costretto ad arrampicarsi su una parete per arrivare ad una piccola grotta, cosa che fu resa complicata dalla pioggia che aveva iniziato a cadere poco dopo il tramonto.
"Almeno non dormirò sotto la pioggia" si consolò, gettando la sacca contro una parete per poi sedersi di lato alla borsa e lasciarsi andare al sonno.
 
Si ritrovò a sognare scene confuse che spesso si sovrapponevano tra loro, rivide la sua infanzia ma in modo diverso, con particolari strani come dettagli o cose che non mai aveva visto, vide scene che mai aveva vissuto in prima persona, in modo così vivido e reale che gli sembrò di essere lì, sentì anche voci, frasi sconnesse e parole, alcune conosciute ed altre no.
 
Si svegliò di soprassalto, con la pioggia che ancora cadeva imperterrita e la fronte madida di sudore, si guardò in giro mentre si asciugava la fronte ma senza notare nulla di strano, anche se sentiva di essere osservato, constatò però, che i lupi se ne erano andati e questo era un bene, poi però un lampo cadde molto vicino alla grotta, che fu pienamente illuminata, e fu allora, che Shi notò una figura a lui nota.
 
*
 
Carhan si appoggiò, esausta, ad un albero accanto a lei. Era partita già da qualche giorno e si era maledetta più e più volte per essersi scordata a casa la Lacryma che le avrebbe permesso di trasportarsi velocemente nella più vicina città provvista di un qualsivoglia tipo di mezzo di trasporto, che l’avrebbe aiutata a raggiungere il luogo dove era diretta.
 
Era sempre stata una persona sbadata,  proprio per questo aveva la tendenza a fare le cose con il doppio dell’attenzione che normalmente sarebbe richiesta, proprio per evitare situazioni di quel tipo, ma da qualche giorno a quella parte non era più la stessa, da quando quella luce dorata l’aveva avvolta come un bozzolo.
 
Scosse la testa e riprese faticosamente il cammino notando che, anche se la temperatura esterna di quel posto era più elevata di quella che si riscontrava nella sua città natale, le sue mani erano ancora fredde come il ghiaccio del laghetto dove sorgeva Triasia. Era una caratteristica tipica della gente nata in quei luoghi, per natura, poco ospitali.
 
Camminò ancora per un paio d’ore e proprio quando stava per pronunciare improperi irripetibili diretti soprattutto a sé stessa e alla sua sbadataggine, notò un villaggio non molto distante da lei.
Certo, non era una città, e sicuramente non ci passava nessuna ferrovia o altro, ma di sicuro ci sarebbe stato un negozio dove avrebbe potuto acquistare la sua Lacryma e risparmiarsi altri giorni di cammino.
 
Era una bel villaggio, notò una volta arrivata, molto più grande di ciò che sembrava dall’esterno e subito arrivata chiese informazioni ad alcuni passanti che le indicarono un negozio appena dietro l’angolo.
 
Il negozietto era piccolo, ma molto carino sui toni del blu e dell’oro. Le Lacryma ed altri oggetti magici erano un’infinità e disposti in maniera ordinata sugli scaffali brillanti come specchi. Sul bancone c’era un piccolo campanello da suonare per chiamare il proprietario.
 
Carhan stava per utilizzarlo quando sentì un pianto sommesso e una voce maschile molto minacciosa provenire dalla porta che portava probabilmente al retro del negozio. La ragazza la socchiuse appena e vide un uomo, probabilmente il proprietario, inveire contro una donna che cercava di dargli delle spiegazioni.
 
«Ti giuro che lui è solo un cliente, non gli ho chiesto io di portarmi dei fiori!» diceva la donna disperatamente, mentre il marito le ripeteva che non voleva più saperne niente di lei.
 
Carhan ebbe l’impulso di entrare e fermare la furia cieca di quell’uomo dato che era più che ovvio che la gelosia inibisse qualunque sua capacità di raziocinio, ma proprio mentre stava per intromettersi accadde qualcosa. Venne avvolta dalla stessa luce dorata che l’aveva già catturata in precedenza che però poi diventò verde smeraldo e sentì dentro di sé, un qualcosa che non poteva essere definito in altro modo se non un semplice sussurro, dirle: “Tu sai cosa fare…”.
 
Era vero, per quanto la cosa non avesse il minimo senso lei sapeva esattamente cosa fare. Aprì la porta un po’ di più e chiudendo gli occhi materializzò nelle sue mani una polvere verde iridescente.
 
«Ti prego… fai ricordare chi è lei per lui… fa si che si renda conto che lei ora sta soffrendo…» disse sottovoce, prima di soffiare la polvere in direzione del proprietario, che dopo averla inconsciamente inalata  fermò il suo attacco d’ira.
 
Rimase immobile pochi secondi durante i quali Carhan sapeva che la polvere stava facendo il suo effetto, stava ricordandogli che lui era innamorato di quella donna e lo stava rendendo consapevole del modo in cui la stava trattando. Carhan non poteva spiegarsi come faceva a saperlo, esattamente come non poteva spiegare i sogni di guerra che la stavano consumando.
 
L’uomo s’inginocchiò di fronte alla donna spaventata e l’abbracciò chiedendole scusa per aver perso in quel modo le staffe, spiegandole che la amava e che ne era molto geloso.
 
Carhan sorrise a quella scena piena di amore e di affetto, richiuse piano la porta e aspettò qualche minuto prima di chiamare il proprietario e farsi dare la Lacryma che le serviva. La utilizzò subito e si ritrovò in una stazione dove sapeva sarebbe arrivato il treno che lei cercava.
 
Era seduta su una panchina, in attesa, quando un brivido freddo le corse lungo la schiena. Si voltò ma non vide nessuno. Il treno arrivò e lei si sedette in una delle carrozze libere, oramai era in viaggio, ma la sensazione di essere in qualche modo osservata non la abbandonò nemmeno per un secondo.
 
*
 
Shou scese dal treno ispirando profondamente l'ossigeno, beandosi della stupenda sensazione che gli dava quel leggero vento che aveva iniziato a soffiare.
 
Mille domande gli stavano riempiendo la testa, provava sensazioni troppo strane. Molti dei suoi ricordi si stavano sovrapponendo ad altri. Conosceva alcune cose del suo passato ma non ricordava come conosceva, per esempio, Edward e Ageha e sapeva che erano suoi amici, ma non ricordava niente di loro, né il cognome né tantomeno quando li aveva conosciuti. Allo stesso tempo, durante un breve pisolino che si era concesso nel viaggio, immagini di guerra gli scorrevano rapidamente in testa, quasi le avesse vissute e toccate con mano lui stesso, cosa non possibile. Almeno questo era ciò che credeva.
 
Abbandonò questi pensieri, sorridendo mentre si sistemava il cappello, per poi guardarsi intorno. Ad un passo da lui c'era la civiltà, la fine del deserto, il suo nuovo credo e il suo obbiettivo. Una vena di nostalgia, però, iniziò a prendere strada nei suoi sentimenti e volle concedersi un'ultima passeggiata nel deserto, prima di abbandonarlo per sempre.
 
Stava camminando sovrappensiero quando sentì che non riusciva a camminare. Prima di rendersi conto cosa fosse successo si trovava già la sabbia all'altezza della vita, sbuffò maledicendo le sabbie mobili. Provò a chiamare aiuto ma, ovviamente, nessuno riuscì a sentirlo e lentamente scivolò nel buio della sabbia.
 
Credeva che per lui fosse giunta la fine ma, come era già successo, non stava soffocando né perdendo i sensi sotto la moltitudine di sabbia, e sentì di nuovo quella voce nella sua testa. "Non ti farà del male."
 
«Chi sei tu?» chiese spontaneamente, stupendosi poi di essere in grado di parlare.
 
"Sono te, sciocco. Accettami, accettami e insieme faremo grandi cose."
 
«Va bene» disse sorridendo e chiudendo gli occhi «Ti accetto!» Si sentì diverso, pervaso da una potente energia, notò i suoi vestiti cambiare comparendogli una tunica egizia nera dalle rifiniture rosse e percependo il pizzetto crescergli, oltre al fatto che gli era apparso in mano un bastone in legno con in cima una croce egizia, l'ankh. Istintivamente mosse il bastone e la sabbia sopra di lui si aprì, permettendogli di rivedere il cielo, mentre quella sotto di lui iniziò a formare una colonna che lo portò fuori dalla sua prigione dorata, permettendogli di allontanarsi dalle sabbie mobili. Improvvisamente i suoi soliti vestiti tornarono al loro posto, tranne il cappello, e i precedente scomparvero.
 
«Interessante!» sorrise mentre raccoglieva il suo cappello stile cow boy, per poi pulirlo dalla sabbia. «Bene!» esclamò calcandosi il copricapo «È il momento di andare!»
 
 


 







In questo capitolo i protagonisti hanno iniziato il loro viaggio e ognuno di loro è venuto a contatto con ciò che sono in grado di fare. Piano piano, quindi, si iniziano a delineare i cambiamenti che stanno subendo e i misteri cominciano ad infittirsi.
Ringraziamo come sempre tutti quelli che ci lasciano un commento o leggono e basta, al prossimo capitolo!

Carhan - Michiko - Shi - Shou

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