No one can know.

di tommoslaugh
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It begins, again. ***
Capitolo 2: *** Restart ***
Capitolo 3: *** Angel. ***
Capitolo 4: *** I love you. ***



Capitolo 1
*** It begins, again. ***


Los Angeles – California. 29 Agosto 2011
 
Ore 08:50
 
Il rumore della pioggia risuonava sulle finestre, la grandine ribatteva forte, senza fermarsi. Rimasi lì, a guardare attraverso la finestra, il mio sguardo era fermo e impassibile, guardavo come le persone si riparavano dalla grandine e dal gelo, correvano, come se non avessero più tempo per nulla. Ma io avevo tempo per pensare a me stessa? Tempo per pensare? E io, non sapevo più cosa fossi, se mai fossi stata qualcosa per qualcuno. I miei occhi scuri, scrutarono per bene tutto ciò che mi circondava, compresa la mia camera, ormai vuota. Ora che stavo andando via, mi accorsi che quella stanza vuota, aveva qualcosa nascosto. Ma non capivo cosa. Tutta la mia attenzione ricadeva sulle pareti bianche, quasi ingiallite dal tempo, un tempo che non ho mai dedicato a questa stanza. La voce forte di mio padre richiamò il mio nome.
 
—Kristen, sei pronta? Prima di rispondere, lo fissai per qualche secondo, poi annuii. Mi dispiaceva dover vendere questa casa, ci ho vissuto una vita intera, e ora, eravamo costretti a trasferirci a Washington. Ripresi gli ultimi scatoloni, diedi gli ultimi sguardi, ultimo addio. Mio padre prese dalle mie braccia gli scatoloni, e li caricò nel bagagliaio. Salii nell’auto e il viaggio verso Washington cominciò. Infilai le cuffie nelle orecchie, ero consapevole che stavo cominciando una vita diversa, che quei due km che avevamo appena sorpassato, ora, appartenevano al passato.
 
 
Washington Forks – Stati Uniti. 30 Agosto 2011
 
Ore 10:20
 
 
Quella mattina, a Washington era strana, più fredda della mattina precedente a Los Angeles. Non sembrava la fine di agosto, ma l’inizio di un inverno. Qualche ora fa, mio padre Adam, un poliziotto, uno dei tanti, quella mattina uscii presto per andare a lavoro, il suo nuovo lavoro. Tra un pensiero e l’altro, ricordai che ora, ricominciava una nuova vita. Una nuova scuola, nuovi amici, e da sola. Di nuovo. I capelli mi ricadevano sulle spalle, erano di un castano scuro, così, li legai in una coda, la mia pelle bianca spiccava abbastanza. Infilai una maglia a maniche lunghe insieme ad una felpa, e un jeans con delle converse nere, e uscii da casa. Faceva molto freddo, e mi sentivo spaesata. Mi sentivo sola in un luogo affollato. Passeggiai per le strade di Forks, per farmi un’idea di come fosse. Era fastidiosamente fredda e umida, odiavo il freddo. Odiavo tutto ciò che era bagnato, freddo o umida. Continuai a camminare, guardandomi intorno, i negozi, le persone, i ragazzi che scherzavano tra di loro, e dentro di me non ero a mio agio. Quel posto non mi piaceva. Tra quei ragazzi, uno in particolare, mi colpì più di tutti. Alto, magro, capelli un po’ spettinati, barba perfettamente curata. Aveva la pelle tremendamente bianca, più della mia. Appena il suo sguardo si spostò su di me, dei brividi percorsero la mia schiena, ci scambiammo uno sguardo di qualche secondo, che sembrò durare un’enternità. Da quel momento, capii che dovevo tornarmene a casa, perché quella strada non era molto sicura. Tornai verso casa, il freddo si fece più intenso, e una fitta pioggià cominciò a scendere, imprecai dentro di me, cominciai a correre, sperando di non cadere per l’asfalto bagnato, e fu in quel momento che sembrava che non riconoscessi più casa mia. Una tale confusione c’era nella mia testa, che non riuscii a capire più nulla. Cosa stava succedendo? Voltai a destra, e per pura sfortuna, non era la via di casa mia. Ritornai indietro, al punto di prima, e mi scontrai contro qualcuno. Era mio padre.
 
—Kristen, ma dove stai andando? Guardai fisso i suoi occhi scuri, non sapendo dare una risposta precisa.
 
—Stavo tornando a casa. Ora vado, ciao papà. Tagliai corto.
 
—Si, certo. Sussurrò appena.
 
Quando ritrovai la strada di casa, il mal di testa, di colpo svanì. Mi sedetti sulla sedia che era accanto a me, e massaggiai lentamente le tempie. Qualche minuto dopo il campanello bussò. Deglutii lentamente, e mi avvicinai alla porta e l’aprii. Guardai negli occhi il ragazzo che era difronte a me. Un ragazzo alto, carnagione non molto scura, capelli scuri e occhi neri. Un bel ragazzo, insomma.

 
—Ehm…scusami, mi presento. Sono Allan Harvey. Il tuo vicino, tu dovresti essere Kristen Foster, giusto? Lo guardai, come se fossi incantata, ma annuii semplicemente.
 
—…Vuoi accomodarti? Dissi. Mi guardò negli occhi per qualche secondo, come fece quel ragazzo di prima. E immediatamente, mi ritornò in mente quello che era successo una manciata di minuti fa. Tutto sembrò fermarsi, e il suo sguardò su di me sembrò durare un’enternità. Un’eternità che durò due secondi.

 



Ecco il prologo. Spero vi sia piaciuto, fatemi sapere con una recensione, pubblicherò al più presto il primo capitolo. Un bacio a tutte:)






 

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Capitolo 2
*** Restart ***


11:20 Washington Forks – Stati Uniti. 30 Agosto 2011
 
Il silenzio in quella casa era ritornato. Il ragazzo era misterioso, strano. Tutto ciò che ero anch’io. Lo fissai ancora qualche secondo, poi sorrise.
 
-È tutto okay?– Annuii.
 
-Sì. È tutto okay, sono solo stanca.- Portai dietro l’orecchio una ciocca di capelli. Mi guardò per qualche secondo, quasi perplesso, poi dopo parlò di nuovo.
 
-Oh, certo.- Prese una pausa, po ricominciò a parlare. - Io ora vado, ho delle cose da sistemare. Ci si vede in giro, ciao Kris.– Annuii.
 
-Ciao, Allan.- È stato tutto veramente imbarazzante. L’accompagnai alla porta gli sorrisi debolmente, ricambiò, e ancora una volta, guardò dritto nei miei occhi e sembrò tutto fermarsi. Sembrava che tutto andasse lento, o meglio, che tutto si fosse fermato. Che quei secondi durassero ancora una volta un’eternità. Come se con uno sguardo avesse il potere di fermare il tempo, di fermare tutto, tranne i tuoi pensieri. Tranne te stessa. Poco dopo richiusi la porta e un dolore alla testa ritornò. Era una giornata strana, nell’aria umida c’era qualcosa di forte. Poi passò per la mia mente le mura di Los Angeles. Prima che papà mettesse in vendita quella casa, ci sarei tornata per scoprire cosa ci fosse lì dentro. Ma per ora, non volevo pensare a cosa avrei fatto, a cosa avrei scoperto, avevo bisogno di non pensare a nulla. Magari un bagno caldo avrebbe fatto bene. Forse. Tornai in camera mia, poggiai la valigia sul letto e l’aprii. In realtà non avevo la gran scelta su cosa mettere, avevo solo maglie semplici e felpe. Presi una felpa e una maglia con un jeans e delle converse, aprii la porta del bagno e cominciai a riempire la vasca, versandoci del bagnoschiuma alla ciliegia. Legai i  capelli in uno chignon, e cominciai a spogliarmi. Per un attimo, avrei giurato di sentirmi osservata. Prima d’immergermi, un vento freddo accarezzò la mia pelle, nonostante le porte fossero tutte chiuse. Mi voltai dietro di me, ma ero sola. La porta era chiusa, e io non capivo cosa stesse succedendo in quell’istante. M’immersi senza pensarci, e il calore dell’acqua mi abbracciò. Chiusi gli occhi per un attimo, e quando aprii gli occhi, il bagno non era più quello di prima. Io non mi sentivo più come prima. Per un attimo non ero me stessa, qualcosa era cambiato. Immediatamente l’acqua si congelò e l’aria divenne fredda. Sussultai per il gelo, uscii subito da lì dentro e avvolsi un accappatoio al mio corpo. Poco dopo, mi guardai intorno e sembrò tutto come prima. Mi avvicinai alla vasca, immersi un dito nell’acqua ed era ritornata alla temperatura di prima. Calda, e l’aria era nuovamente normale, calda anch’essa. Mi avvicinai al lavandino e guardai l’immagine di me stessa allo specchio, sembravo un’altra persona. Non riuscivo a riconoscermi. Sciacquai la faccia con acqua fredda, ma non fece differenza. Per un attimo pensai che fossero semplicemente allucinazioni. Tutto stava diventando strano, e mi spaventava. Mi rivestii e presi la mia borsa, magari sarebbe servita a qualcosa. Decisi di andare a comprare un libro, sciolsi i miei capelli e uscii. La temperatura fuori era diminuita, ma c’era un piccolo raggio di sole si fece spazio nel cielo azzurrino. Pochi passi più avanti trovai un libreria, o meglio, una biblioteca. Aprii la porta e una calda aria si manifestò per tutto l’edificio, un’aria piacevole. Camminai verso uno dei grandissimi scaffali pieni zeppi di libri, ne scelsi uno, ma quando notai che era sui vampiri sbuffai. Odiavo questi genere di libri, succhiasangue che vogliono ucciderti, vampiri di qua, vampiri di la, odiavo queste cose. Odiavo il sangue e il solo pensiero mi dava il voltastomaco. Lo rimisi al suo posto, ma con tutti quei libri era difficile sceglierne uno. Continuai a cercare qualcos’altro, cercai per circa due minuti ma non c’era nulla d’interessante. Camminai qualche passo più avanti, fin quando non trovai qualcosa che spiccava sotto uno scaffale. Mi guardai intorno, poi mi chinai per raccoglierlo, ed era un libro. Un libro abbastanza pesante e grande, tutto impolverato. Presi il libro e mi diressi verso la bibliotecaria, la fissai qualche secondo, poi parlai.
 
-Buongiorno, signora…Sparks?- Dissi leggendo il cartellino.
 
-Sì, mi dica pure.- Rispose.
 
-Ho bisogno di questo libro, è possibile prenderlo in prestito? Lo riporterò in tempo.- La donna bionda, guardò il libro, me, poi di nuovo il libro. Sgranò gli occhi, poi parlò.
 
-Quel libro? Non credo sia possibile. Deve sceglierne un altro.- Quando mi guardò di nuovo, notai che il colore dei suoi occhi era cambiato. Non erano più azzurri, avevano una certa sfumatura di rosso. Guardai intensamente i suoi occhi, quando poi se ne accorse il suo viso si ammorbidì e il colore dei suoi occhi cambiò. Qualche secondo dopo, cominciai a correre. Aprii la porta d’entrata e cominciai a correre ancora più veloce, ad aumentare la velocità sempre di più, finché non andai a sbattere contro qualcuno. Il cuore batteva così forte, che pensai che stesse per uscire fuori dal mio petto. Quando alzai gli occhi per guardare, degli occhi azzurri con sfumature marroncine e gialle incontrarono i miei. Stessa barba, stessi capelli, stessi vestiti. Semplicemente lui.
 
-S-scusami.- Lui abbozzò un piccolo sorriso poi continuò verso la sua strada. Dopo aver superato la libreria cominciai a camminare più lentamente, strinsi forte la borsa per paura di perderlo. Subito dopo una fitta pioggia cominciò a scendere di nuovo. Imprecai di nuovo dentro di me, ma mentre ero impegnata a imprecare, scivolai. In quel momento provai un senso profondo di pura vergogna, tutte le persone che mi guardavano seduta lì, in una pozzanghera, cominciarono a ridacchiare. Quando finalmente arrivai a casa, andai verso camera mia, gettai la borsa a terra e mi sedetti sul letto. I crampi alle gambe e i dolori alla schiena mi stavano massacrando. Tolsi le scarpe e i vestiti e mi diressi di nuovo verso il bagno per lavarmi, il bagnato della pioggia stava cominciando ad appiccicarsi addoso e stava provocando un fastidio tremendo.
 
 
20:39 Washington Forks – Stati Uniti. 30 Agosto 2011
 
-È bello qui. A te piace?- Parlò mio padre.
 
-Si. È bello.- In realtà era bello stare qui, ma mi sentivo strana. C’era qualcosa di diverso. Un cambiamento.
 
-Vado a dormire. Buonanotte papà.- Mio padre annuii semplicemente. Andai in bagno per lavare i denti velocemente, poi andai a dormire direttamente.
 
07:50 Washington Forks – Stati Uniti. 31 Agosto 2011
 
Ero pronta per cominciare una nuova vita. Forks High School. Feci ingresso alla scuola, c’erano un sacco di persone che ti spingevano a destra e a sinistra ed era molto scocciante. Appena arrivai in classe, per poco non mi venne un infarto.
 
-Signorina Kristen Isabelle Foster?- La voce della professoressa mi risvegliò dai miei pensieri. Cercai di guardarla negli occhi, ma ero attratta da un’altra parte.
 
-S-si?-
 
-Bene, lei può sedersi accanto a quel ragazzo laggiù. È l’ultimo posto rimasto, mi dispiace.- Disse indicando lui. Proprio lui. Pensai fosse una coincidenza, ma a quanto pare sono riuscita a trovarlo tre volte. O magari, era lui che aveva trovato me? Camminai verso il posto assegnato dalla professoressa, il moro mi sorrise e non appena mi sedetti dei brividi percorsero tutto il mio corpo.
 
-Piacere, Alec.- Disse improvvisamente. Il suono della sua voce mi fece sussultare, era così forte.
 
-Kristen.- Risposi a tono basso.
 
-Da quanto sei qui? Non ti ho mai vista in giro. A parte ieri.- Sorrise. Abbozzai un mezzo sorriso, poi parlai.
 
-Un paio di giorni.- La mia voce era un sussurro, come se avessi paura. Come se avessi paura di lui, come se potesse distruggermi da un momento all’altro.
 
-Capisco.- Questa fu una delle sue ultime parole. Non parlammo fino alla fine della lezione. Una manciata di secondi prima che la campanella suonasse, Alec scattò dalla sedia. Quando scattò, lasciò una scia del suo profumo così dolce, così bello. Ma dei brividi poco dopo, percorsero la mia schiena. Alec era di una bellezza sovrumana, bello da far paura. Bello da uccidere chiunque.
 

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Capitolo 3
*** Angel. ***


08:30 Washington Forks – Stati Uniti. 5 Luglio 2011
 
In quei giorni mi sentivo diversa. Non riuscivo ad essere completamente felice, come se qualcosa dentro di me mancasse. Come se ci fossero piccoli spazi mancanti. Ma era veramente così brutto avere diciassette anni? O sono semplicemente io ad essere un disastro? Oppure è il fatto di non avere più una madre accanto che ti consoli nel momento del bisogno? Magari il vuoto di cui parlo un giorno svanirà. Tutto questo lo pensavo guardando il viso di Alec che mi guardava come se gli facessi tenerezza. Distolsi lo sguardo da lui e guardai davanti a me cercando di seguire la lezione. Improvvisamente si avvicinò lentamente al mio orecchio, poco dopo parlò.
 
-C’è qualcosa che ti preoccupa, Kristen?- Sentivo il suo fiato sul mio orecchio, avevo la sensazione che scendesse per tutto il mio corpo provocando dei brividi.
-N-no, è tutto okay.- Deglutii lentamente.
-Sicura? Sai, con me puoi parlare.- Sussurrò nuovamente.
-Signor Russell, la prego di fare silenzio. Urlò la signora Jones. Tutto stava diventando strano, e io non riuscivo a capire cosa stesse succedendo, ma qualcosa c’entrava con lui. Quel ragazzo quando ti guardava sapeva mandare in tilt il tuo cervello, era così affascinante…ma oltre al suo fascino c’era qualcos’altro da non farti più capire nulla. Avete mai avuto la sensazione quando cercate di allontanarvi da qualcuno, ma allo stesso tempo non volete per paura di perdere tutto? Era così che mi sentivo in quell’istante. Non lo conoscevo davvero bene, ma sentivo di non poter andare via. O forse ero io a non volero? Volevo conoscerlo meglio, dovevo. C’era qualcosa in lui che mi incuriosiva a tal punto di andare avanti. Di sapere cosa fosse realmente.
 
13:30 Washington Forks – Stati Uniti. 12 Luglio 2011
 
Avevo deciso di lasciarmi tutto alle spalle, che dovevo cominciare da capo senza troppe preoccupazioni. Volevo vivermi ogni minuto, ogni secondo, ogni attimo di questa nuova vita. Di vivere ogni minima cosa, che siano baci, carezze, risate, abbracci. Volevo essere felice a modo mio, senza troppe complicazioni. Ed è proprio quello che farò a partire da questo momento. Quando richiusi l’armadietto, trovai Alec difronte a me che sorrideva. “Un angelo” se così potevo definirlo. Magari un angelo nero perché era esattamente ciò, era cupo ma anche persona più bella che avessi mai visto in vita mia.
 
-Ti va di uscire stasera?- Parlò poco dopo.
-Così? All’improssivo?- Alzò un sopracciglio, come se fosse curioso.
-Non avrai mica paura, Isabelle Foster?- Lanciò un sorriso come se fosse una specie di sfida. Sorrisi anch’io, poi parlai.
-Paura? La paura l’ho abbandonata da un po’ di tempo. O almeno credo.- Non volevo rendere triste un momento, quando fino ad una manciata di secondi fa ci sorridevamo spensierati.
-La paura non va mai via del tutto. La paura c’è sempre, anche se noi pensiamo di non averne.- Il suo viso s’incupì. Fece una pausa poi parlò di nuovo.
-Uhm, bene ci si vede stasera. Non accetto un no. Ah, se hai bisogno, chiamami.- Mi porse un bigliettino con sopra il suo numero di cellulare, poi sorrise di nuovo e poi scappò. Quindi, stasera sarei uscita per la prima volta con qualcuno da quando sono qui. La giornata era diversa, conservava qualcosa di bello delle altre volte e l’avrei conclusa nei migliori dei modi. Divertendomi e facendomi degli amici. Partendo da Allan e Alec.
 
13:45.
 
-Kris!- Mi voltai, e vidi Allan che correva.
-Allan, ciao.- Sorrisi guardandolo.
-Kris, come stai?- Ora camminavamo vicini, uno affianco a l’altro, era piacevole avere qualcuno con cui parlare che non fosse “L’Angelo Nero”.
-Bene, grazie.- Poco dopo la mia risposta, il silenzio si stava facendo imbarazzante, così lo ruppe fermandosi di colpo davanti a me.
-Senti Kris, volevo chiederti se volessi uscire con me stasera. A vedere un film, ovviamente. O magari a mangiare qualcosa, quello che preferisci.- Non poteva andare peggio. Ero confusa, non sapevo cosa fare, o “L’Angelo Nero” o Allan.
-Ehm…Allan…mi dispiace, devo già uscire con un amico.- Feci una pausa, poi ebbi l’idea di invitarlo.
-Uhm…se vuoi puoi venire anche tu. È una serata tra amici, no?- Mi guardò con la bocca socchiusa, poi parlò.
-Se non creo disturbo, è okay.- Abbozzò un leggero sorriso.
-Perfetto, a stasera.- Sorrisi.
-Bene. Ci vediamo stasera, ciao Isabelle.-
-Oh…ti prego, chiamami semplicemente Kris.-
-Allora, ciao Kris.- Rise di gusto, lo salutai con un cenno e ricominciai a camminare verso casa mia. Il vento cominciava a farsi gelido, e le nuvole divennero nere. Una leggera pioggia cominciò a scendere lentamente. Continuai a camminare sotto la pioggia, quando poi arrivò mio padre con l’auto. Mi fece segno di salire, così il tragitto fino a casa fu in silenzio.
 
14:08.
 
-Com’è andata a scuola?- Disse preparandosi una tazza di caffè.
-Solito. È tutto okay. Ah, papà, oggi esco.-
-Con chi?- Disse sorpreso.
-Allan e un mio compagno di classe.- Dissi versandomi dell’acqua in un bicchiere, facendone poi un gran sorso.
-Con due ragazzi? Cioè, sei l’unica ragazza?- Disse a mo’ di rimprovero, come se fosse la cosa più strana del mondo.
-E allora? Non mi mangeranno mica, sono due amici. Gli unici che ho.-
-Fa come ti pare. È l’unica cosa che ti riesce meglio.- Posò la tazza di caffè sul tavolo e poi andò di nuovo via.
-Vado di nuovo al lavoro, e oggi ho il turno di notte. Quindi non combinare guai, per favore.- Dopo aver detto questo, ci fissammo per qualche secondo, sapevo che quello che stavo per fare sarebbe stata la prima volta dopo anni. Non eravamo più quelli di prima da quando mamma ha chiesto il divorzio. Le cose non funzionavano più, papà perse il lavoro e mamma ci lasciò da soli. Così imparammo a vivere cercando di risparmiare su tutto. Finché un giorno trovò un lavoro che sconvolse tutto. Così ci siamo allontanati perché lui non era quasi mai a casa, e io rimanevo sempre sola. L’abbracciai di scatto, mi mancava abbracciarlo. Mi mancava il suo odore dolce, mi mancava la dolcezza che dava con un solo abbraccio. Mi mancava il mio papà.
-Ti voglio bene, papà.- Queste furono le uniche parole che uscirono fuori dalla mia bocca. Le uniche emozioni che riuscii a far uscire fuori. Ci mise un po prima di ricambiare l’abbraccio, mi diede un dolce bacio sui capelli, poi parlò.
-Te ne voglio anch’io, Kris. Tanto.-
 
19:50.
 
-Non credi che sia in ritardo? Cioè, è mezz’ora che aspettiamo.- Disse Allan, ormai stufo di aspettare.
-Avrà avuto un imprevisto, che ti costa aspettare?- Una decina di minuti dopo, lo vidi arrivare. Più bello che mai.
-Scusami, ho avuto un imprevisto.- Mi guardò, poi guardò Allan e poi di nuovo me. Allan lo guardava come se fosse la cosa più strana che abbia mai visto in vita sua, e l’atmosfera stava cominciando ad essere imbarazzante.
-Che ci fa lui qui, Kris?- Si conoscevano. Avrei giurato di aver spalancato gli occhi.
-V-voi vi conoscete?- Dissi sorpresa.
-Si.- Risposero insieme. Si vedeva che non erano in ottimi rapporti, ma non volevo rovinare la serata. Volevo essere felice.
-Oh bene, allora perché non andiamo a bere qualcosa?- Dissi sorridendo, cercando di non essere agitata.
 
21:30.
 
Per il resto della serata non c’era molto da dire. I due non hanno fatto altro che scambiarsi occhiate minacciose, siamo rimasti tutti e tre in silenzio per tutta la sera. Non poteva andare peggio, perché peggio di così non c’era nulla. È stato orribile, l’atmosfera non faceva altro che peggiorare minuto dopo minuto, attimo dopo attimo. Sembrava che io non ci fossi più, come se non esistessi. Era come essere soli in un luogo affollato. Era proprio così che mi sentivo, e stavo cominciando di nuovo a rendere tutto triste. Ne avevo abbastanza della tristezza che mi circondava, ma quando cercavo di cambiare le cose, tutto si rivoltava di nuovo contro di me. Mi ritrovavo di nuovo punto e daccapo, e non sapevo da che parte cominciare per essere felice. Girai intorno alla mia stanza, finché poi non mi ricordai di quel vecchio libro che avevo preso. Quella donna, con quei occhi azzurri che subito divennero rosso acceso, sono rimasti bloccati nella mia mente. Spolverai un po’ quel libro, poi subito dopo sentii la portiera di una macchina sbattere. Forse era mio padre, ma quando mi affacciai alla finestra non trovai lui. Poi mi ricordai che lui questa notte non sarebbe rientrato. Quello che vidi furono solo dei uomini alti e magri vestiti con lunghi abiti neri, che si dirigevano verso la porta di casa mia. Erano forse venuti per il libro? Il libro tanto prezioso che avevo rubato? Subito dopo, il vetro della finestra si ruppe in mille pezzi e un sasso non molto grande rotolò tra i miei piedi. La paura ormai invase tutto il mio corpo, e infatti era come aveva detto lui. “La paura non va mai via del tutto. La paura c’è sempre, anche se noi pensiamo di non averne.” Presi subito il libro e il cellulare, corsi in bagno per chiudermi a chiave. Mi ricordai il bigliettino che mi aveva dato Alec, e pensai subito di chiamarlo. Non volevo piangere, ma avevo paura. Subito sentii la porta del bagno bussare forte, la maniglia si muoveva molto velocemente. Lì, pensai che ero fregata. Che sarebbero entrati e che sarebbe successo qualcosa.
 
-Pronto?- Disse lui dall’altra parte del telefono.
-Aiutami.- Sussurrai con gli occhi spalancati e le lacrime che scendevano lentamente.
-Kris? Dove sei?- Disse in preda al panico anche lui. La porta bussò ancora una volta, poi dopo si fermò.
-A casa mia, ti prego aiutami. Fa veloce.- Sussurrai nuovamente. Lui attaccò la telefonata, mi alzai e nascosi il libro dentro il cassetto del mobiletto. Dieci e lunghi minuti dopo, sentii la sua voce.
-Kris? Kris, dove sei?- Urlò.
-Alec, sono qui!- Dissi aprendo la porta del bagno, tremavo ancora. Avevo paura, a stento riuscii a parlargli.
-Kris! Stai bene?- Disse correndo verso di me, sembrava un Angelo. Un Angelo innamorato, e questo fece un certo effetto dentro di me. Mi prese in braccio per portarmi in camera, mi poggiò sul letto, poi mi guardò dritta negli occhi qualche secondo. Sembrava un’infinità, come se avesse bloccato di nuovo il tempo. Abbastanza tempo da mandarmi in paradiso.
-Ora riposa, okay?- Sussurrò leggermente.
-Non andare via. Resta qui con me.- Furono le mie ultime parole, così mi addormentai in un sonno profondo, dove potevo vivere qualcosa che non ci sarebbe mai stato. Dove sarei stata felice.








Salve a tutti, so che vi ho fatto aspettare un po di tempo prima di pubblicarlo, ma ci ho messo un po per scriverlo. Se vi è piaciuto, vi prego fatemelo sapere tramite una recensione, è davvero importante per me sapere la vostra opinione. Grazie, ci vediamo al prossimo capitolo:)

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Capitolo 4
*** I love you. ***




18:29 Washington, Forks – Stati Uniti. 19 Luglio 2011

Passò una settimana, e Alec è al mio fianco da quel giorno, come se volesse proteggermi e mi sentivo viva. Felice. C’era qualcosa tra di noi, era di più dell’amicizia, ed era bello. E io giorno dopo giorno ero sempre più felice di vederlo, ma avevo paura di quello che poteva nascere tra noi. Ma è anche vero che la paura non mi abbandona più. Pensavo di averla sconfitta, di averla sepolta dentro di me, come in una scatola. Ma da quando lui è qui, sembra che l’abbia aperta lasciando che tornasse dov’era prima. Dove non dovrebbe. Probabilmente stava per nascere una nuova me, una parte di me che non ho mai visto. E non sapevo se questo fosse positivo o negativo, ma lascerò che venga fuori, lascerò che mi cambi. Perché quella che sono non è ciò che vorrei.
 
00:00.
Mezzanotte. Mancava precisamente una settimana al mio compleanno, dove avrei abbandonato definitivamente i miei diciassette anni. Dove mi sarei sentita un po’ più libera. Ai miei diciotto anni avrei potuto prendere le mie decisioni senza l’intromissione di qualcuno. O forse sarà peggio perché non ti permetteranno di fare scelte ancor più sbagliate. Pian piano i miei occhi si chiusero e sprofondai nel sonno più profondo.
 
08:10.
Varcai la soglia del portone della scuola, e vidi Alec che parlava con qualcuno. Quando si accorse di me, mi fece segno che mi avrebbe raggiunta dopo. Pian piano capivo che giorno dopo giorno le cose tra di noi cambiavano di bene in meglio. E io non sapevo cosa pensare o fare. Quando richiusi l’armadietto, lo ritrovai lì, come solitamente faceva. Splendido e sorridente, come nessun’altro era.
 
-Buongiorno anche a te, Alec.- Fece un sorriso a trentadue denti, uno dei migliori.
-Buongiorno.- Prese una pausa, poi parlò di nuovo.
-Tra una settimana è il tuo diciottesimo compleanno.-
-Così si dice in giro.- Rise, gli sorrisi, poi parlò di nuovo.
-Beh, cosa facciamo al tuo compleanno?-
-Ti prego, niente festa. Non ho nessuno da invitare, e poi manca ancora una settimana.- Dissi camminando verso l’aula.
-E chi ha parlato di festa? Voglio che tu ti diverta.- Sorrisi.
-Decideremo tra una settimana, okay?- Sorrise annuendo. Cominciai a camminare verso l’aula, all’improvviso mi bloccò il polso.
-Cosa stai facendo?- Lo guardai stranita.
-Mariniamo la scuola.-
-E come vorresti fare?- Dissi guardandolo in modo strano.
-Uscita di sicurezza, no?- Non l’avevo mai fatto, ma non sapevo cosa fare. Lo guardai, qualche secondo e poi annuii.
Camminammo piano verso l’uscita di sicurezza, quando aprii la porta, la voce del preside ci sorprese. Non so cosa stava pensando di fare, ma io stavo andando in panico.
 
-Cosa state facendo voi due?!- Urlò quasi. Ci guardammo entrambi negli occhi, ad un certo punto sorrise, intrecciò le nostre mani e cominciò a correre. Correvamo veloci, sempre di più. L’adrenalina era a mille, e lì capì che ero veramente felice. Eravamo felici. Ero felice di aver fatto questa pazzia insieme a lui. Arrivammo ad un piccolo posto dimenticato, una specie di cortile con un laghetto. Sciolse l’intreccio delle nostre dita, sarei rimasta lì a stringergli la mano per ore, giorni, mesi, anni. Le nostre mani sembravano perfette per stare insieme. Mi sedetti accanto ad un albero spoglio, con le foglie che ci circondavano ovunque. Poco dopo arrivò anche lui sorridente.
 
-È una pazzia, lo sai?- Sorridemmo entrambi. Si avvicinò a me, sentivo il sangue scorrere nelle mie vene, il cuore che batteva forte. Mi guardò negli occhi, sorrise e stampò un bacio sulla mia fronte. Le guance andavano a fuoco, ma ero felice.
-Una bella pazzia. Da fare almeno una volta nella vita, no?-
-Già. È la prima volta che marino la scuola, ed è stato molto divertente. Sono veramente felice.- Gli sorrisi.
-Sono felice che tu lo sia.- Io sono felice di essere qui con te, Alec. Ad un certo punto mi sentii osservata da qualcuno, distolsi lo sguardo da lui e guardai avanti a me. La figura di un uomo alto, robusto e vestito in nero abbastanza lontano da noi. Mi alzai da terra e lo fissai con  la paura negli occhi, con la paura dell’ultima volta.
-Cosa c’è?- Lo guardai negli occhi con il terrore. Si alzò di scatto e parlò di nuovo.
-Kris, cosa c’è?-
-C’è qualcuno.- Si guardò intorno, poi di nuovo me.
-Ti porto a casa, okay?- Annuii senza parlare, mi voltai un’ultima e lui era lì. Di nuovo. Mi voltai di scatto, e lo strinsi forte. Non era nel programma questo, la giornata non doveva andare così.
 
12:29 Washington, Forks – Stati Uniti. 5 Luglio 2011
-E così la ragazza ha il libro.- Annuii terrorizzata.
-Louise Sparks, non ti avevo forse detto di nasconderlo quel libro?- Igor si avvicinò a me con rabbia, delusione, violenza. I suoi occhi neri come l’oscurità guardarono dritto nei miei, e immediatamente dei dolori lancinanti alle ossa mi fecero accasciare, sembrava che ognuna di esse si spezzasse, dolori alla testa mai avuti prima. Dolori che solo lui sapeva farti provare. Questo è lui arrabiato.
-S-smettila. T-ti prego.- I dolori continuarono per altri, interminabili minuti. Poi, di colpo finì tutto.
-Joseph, vieni qui.- Il ragazzo alto e robusto si avvicinò, i suoi occhi color ghiaccio ti paralizzavano.
-Mio Signore.- La sua voce così forte era da brividi.
-Trova la ragazza. E portala qui, e non farti notare facilmente.- Chinò il capo, si posizionò al centro della stanza, le sue ali nere si aprirono, e volò via. Un grande balzo, e sparì nel grande cielo scuro. La battaglia tra i Demoni e gli Angeli caduti stava per cominciare.
 
22:50 Washington, Forks – Stati Uniti. 19 Luglio 2011
-Cosa ti è saltato in mente, Kristen?- Rimasi lì seduta come una bambina.
-Ti è dato di volta il cervello?- Cominciò ad urlare. Quando sembrava che tutto stesse andare per il meglio, c’era sempre qualcosa ad andare storto.
-Pap..-
-Non voglio sentire nulla Kristen, le tue scuse le conosco tutte. Adesso si ricomincia come prima. Va in camera tua!- Sì, ritornerà tutto come prima. Con un piccolo errore “Subito in camera tua!” Mi diressi verso la mia camera, e quando l’aprii trovai Alec seduto sul letto. Chiusi di scatto la porta.
 
-Che cosa ci fai qui? Come sei entrato?-
-Sono entrato dalla finestra, volevo dirti che mi dispiace per quello che è successo prima, e per averti fatto marinare la scuola.-
-Voglio sperare che non sia stata colpa tua per quello che è successo oggi, e poi quello non è nulla.- Sorrisi.
-Non sapevo che avremo avuto questa piccola sorpresa, mi dispiace.-
-Non preoccuparti, non è nulla.- Gli sorrisi. Ricambiò, e fu uno dei suoi sorrisi più dolci. E io finalmente l’avevo capito. Ero follemente, irrazionalmente, innamorata di lui. Dopo minuti di silenzio, a guardarci negli occhi, lui parlò.
-Beh…ci vediamo domani. Buonanotte.- In quel momento volevo sprofondare, avevo pensato che mi avrebbe baciata inaspettatamente. Ma ovviamente non è stato così.
-Oh..certo, buonanotte anche a te.- Mi voltai verso la porta, lui era uscito di nuovo dalla finestra, e non sapevo cosa fare. Sbuffai, ma ad un certo punto, sentii prendermi per le spalle, quando mi voltai le sue labbra erano sulle mie. A momenti sarei morta di vergogna, ma era il miglior posto dove potessi stare. Tra le sue braccia e le sue labbra sulle mie, che formavano qualcosa di meraviglioso. Lo amavo, lo amavo esageratamente. E questo, era sicuramente il bacio più bello di tutta la mia vita. Il bacio inaspettato delle 23:04.
 
-Buonanotte, Kristen.- Lasciò un ultimo bacio sulla fronte, e scappò via di nuovo dalla finestra. La serata migliore di tutta la mia vita.








Saaaaaaaaaaaalve a tutti, dopo quasi un mese sono riuscita a pubblicare il quarto capitolo lol
Ci metto tanto a pubblicarlo, perché vedo che non recensite e non capisco quando qualcuno la legge..vabbe, per i pochi lettori che ci sono, vi prego receniste mi farebbe molto piacere sapere se vi piace o meno. Ci vediamo al prossimo capitolo

 

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