Sogno

di _joy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Disapprovazione ***
Capitolo 2: *** Bentornata a casa ***
Capitolo 3: *** Me in versione personal shopper ***
Capitolo 4: *** Libero arbitrio ***
Capitolo 5: *** Tre parole, sette lettere ***
Capitolo 6: *** Risveglio ***



Capitolo 1
*** Disapprovazione ***


“Life, unfortunately, doesn't seem to care what we want.” 
― 
Sonya KarpLast Sacrifice



Stavo cercando di rompere la guardia di Dimitri, senza successo.
 
Fintai e poi cercai di colpirlo al fianco, ma lui intercettò la mia mossa e mi anticipò con una velocità inaudita.
Mi colpì al braccio, per fortuna contenendo la sua forza, perché avrebbe potuto benissimo spezzarmelo.
Aggrottò un sopracciglio, invitandomi a riprovare.
 
Alzai i pugni, preparandomi a un nuovo attacco, e fu allora che la sentii.
 
Lissa.
Lissa che era addolorata.
Lissa che mi stava cercando.
Lissa che aveva bisogno di me.
 
Mi distrassi, cercando di analizzare quel suo picco di umore, e…. bam!
Ero stesa a terra e Dimitri era sopra di me.
Battei le palpebre, sorpresa.
Per un secondo mi ero dimenticata di essere in palestra.
Fissai i miei occhi sgranati nei suoi e vi lessi perplessità.
Si alzò lentamente (troppo lentamente, se volete saperlo) e poi chiese:
«Che succede? Non è da te distrarti in questo modo»
Mi alzai sui gomiti.
«Io…»
 
Non finii di parlare, perché la sentii vicina.
Saltati in piedi e mi voltai verso la porta e, dopo un secondo, apparve Lissa.
«Che succede?» esclamai.
Lei gettò un’occhiata di scuse a Dimitri ma disse solo:
«Scusate se interrompo la lezione, ma… Sono venuta a dirvi che partiamo oggi e che dovete andare a prepararvi»
Dimitri non disse nulla, tanto c’ero io che in quanto a curiosità bastavo per tre.
«Davvero? E dove andiamo?» chiesi infatti.
Lissa mi lanciò un’occhiata che non seppi decifrare.
«A… A New York»
«Cosa?» io mio strillo stupì persino Dimitri «Ma… ma come?»
Lissa annuì.
«Ho il permesso della preside Kirova, partiamo tra un’ora»
 
In quel momento entrò Alberta, il capo dei guardiano della palestra.
«Ah, principessa Dragomir, li ha già avvertiti?» chiese e, senza aspettare la risposta, proseguì:
«Belikov, tu, Celeste e Stan sarete le guardie della principessa; Rose può venire. La preside Kirova dice che…»
«Lissa, stai scherzando vero?»
Nella palestra scese il silenzio, mentre tutti mi guardavano.
Ma io avevo occhi solo per lei.
Ci fronteggiammo, lei con espressione supplicante e io con totale disapprovazione.
«Avevamo detto che…» iniziai.
«Sì, lo so, lo so» mi interruppe «Però sono arrivate le lettere di risposta dai college e la preside Kirova dice che…»
Incrociai le braccia sul petto, senza ammorbidire il mio guardo severo.
A Lissa sfumò la voce; Alberta ci fissò invece con sguardo penetrante e riprese a parlare:
«La preside Kirova dice che, avendo a quanto pare voi due fatto domanda per il college mentre eravate… ehm…  lontane dall’Accademia, potete andare a prendere i vostri risultati. Signorina Hathaway, hai qualcosa da dire al riguardo?»
«Sì» sbottai, inflessibile «Ma è una cosa privata tra Lissa e me»
 
Alberta alzò gli occhi al cielo, ma io ero fatta così.
Spaccona, prepotente e irriducibile.
Ormai lo sapevano tutti.
Ma siccome ero anche l’allieva migliore dell’Accademia, grazie soprattutto a Dimitri, i guardiani mi tolleravano.
O almeno ci provavano.
Anche perché era risaputo che io e Lissa – alias l’ultima dei Dragomir, una delle famiglie reali Moroi – avevamo il Legame.
 
In breve, nell’incidente d’auto che uccise la famiglia di Lissa morii anche io. Solo che lei usò lo Spirito (il rarissimo dono Moroi che non sapevamo ancora avesse) per riportarmi indietro. Oltre ad avermi riportata in vita, lo Spirito ha creato il Legame, per cui io sento le emozioni e a volte anche i pensieri di Lissa, ma è a senso unico: lei non sente me.
Fortuna che Lissa era la mia migliore amica: non oso pensare cosa significherebbe avere un legame del genere con qualcuno non dico che odi, ma con cui non hai confidenza assoluta.
Meglio spararsi.
A volte sentivo persino quando Lissa e Christian, il suo ragazzo, facevano sesso.
Questo tanto per darvi un’idea.
Comunque, dal punto di vista di un guardiano, io ero l’unica a sapere sempre dov’era Lissa e come stava e questo, unito alle mie doti Dhampir, mi rendeva la candidata ideale ad esserle assegnata come guardiano, una volta ottenuto il diploma.
 
Se mai avessi ottenuto il diploma, cioè.
Strozzarla non mi avrebbe reso questo traguardo più vicino, di certo.
Eppure ero tentata.
E parecchio.
Lissa lo sapeva e tentò un sorriso conciliatore, che non raccolsi.
Alberta mi gratificò di un’occhiata perplessa e se ne andò dicendo solo:
«Tra un’ora. Buon viaggio»
Rimasti in tre, Lissa scoccò un’occhiata prudente a Dimitri, ma lui si limitò a dire:
«Rose, andiamo a prepararci, non dobbiamo far aspettare…»
Lo interruppi:
«Io non vengo»
«Cosa?» Lissa sgranò gli occhi per lo shock «Cosa dici?»
«Che non vengo se non so perché dobbiamo andare»
«Rose» la voce di Dimitri tentò di richiamarmi all’ordine, ma io rimasi insensibile.
 
Lui non sapeva.
New York.
 
Lissa si morse un labbro, ma alla fine cedette.
«Oh, va bene, hai vinto. Bart Bass è morto»
La sua affermazione, così lapidaria, mi lasciò di stucco.
Rilassai le braccia.
«Mi… Mi dispiace… Ma…»
Ci guardammo in silenzio e poi lei scrollò le spalle.
«Rose, ti prego, ti prego. Per me è importante. Non posso non esserci. Per lui»
Esitai.
«Christian lo sa?»
Scosse il capo, negli occhi la preghiera di capirla.
Lo sapevo.
«È un errore Liss» insistetti.
«Rose, ti prego!»
Fu una battaglia silenziosa di sguardi e, alla fine, capitolai.
Non ce la facevo a vederla addolorata.
Scrollai il capo e dissi:
«Come vuoi. Ma è un errore, Liss. Certe cose… dovrebbero restare sepolte»
Lei era sul punto di piangere.
«Ne ho bisogno, Rose. Devo vederlo. E… ho bisogno che tu ci sia»
Annuii.
«Dai, andiamo a prepararci» dissi solo.
Lei mi abbracciò forte, sorrise a Dimitri e schizzò fuori dalla palestra.
E, a quel punto, lui mi poggiò una mano sul braccio e disse:
«Rose, che cavolo succede?»
 
*
 
«”Lui” è Charles Bass, detto Chuck» spiegai a Dimitri mentre uscivamo dalla palestra, soli.
Sospirai e mossi un paio di passi nel cortile.
«Vedi, prima che tu ci trovassi e ci riportassi a scuola, io e Lissa abbiamo vagato un po’ e il posto più bello in assoluto dove siamo state è New York. Manhattan per la precisione»
Dimitri sembrò sorpreso.
«Avete studiato a Manhattan?»
«Sì, per qualche mese. Sai come funzionava. Arrivavamo in un posto, Lissa usava la compulsione per farci ammettere a scuola e farci riconoscere e ricordare da tutti… ed era fatta. E l’Upper East Side è un posto meraviglioso: feste, balli, moda… tutto quello che due ragazze possono desiderare!»
«Due ragazze fuggitive, vorrai dire»
Lo guardai sorridendo e annuii.
 
Era bella, questa nuova complicità tra noi.
Era meravigliosa.
 
Dimitri era il mio istruttore da quando ci aveva ritrovate e riportate a scuola.
Perché eravamo scappate?
Bella domanda.
Eravamo scappate perché Lissa iniziava a risentire dello Spirito, che è il più raro degli elementi della magia cui attingono i Moroi. Talmente raro che si credeva fosse solo una leggenda.
E in chi doveva rivivere, se non nella mia migliore amica?
Intendiamoci, non è tutta sfiga.
Insomma, lo Spirito ha degli aspetti parecchio fighi.
Tipo riportare in vita i morti: vedi la sottoscritta.
Ma anche guarire e essere dotati di carisma e avere amplificata la Compulsione, che è il potere con cui i Moroi possono plagiare le menti.
Bisogna essere davvero dotati per farlo e, tra Moroi, devi essere davvero potente per plagiare un’altra mente.
Questo, se non sei un cultore dello Spirito.
Comunque.
Lo Spirito richiede un grande sacrificio personale e i suoi effetti, in termini semplificati, sono che ti porta alla pazzia.
Solo che noi non sapevamo dello Spirito… vedevamo solo che Lissa era sempre più instabile e paranoica.
E, dentro di me, sapevo che non dipendeva dalla perdita della famiglia… il Legame mi faceva sentire la sua inquietudine, le sue frustrazioni, il suo desiderio di farsi del male.
Quando iniziò a ferirsi intenzionalmente e a usare sugli altri la Compulsione la portai via.
Nel nostro pellegrinaggio da ragazze ricche (Lissa è l’ultima dei Dragomir) siamo approdate anche a NYC e lì… che vita!
Purtroppo è durata solo pochi mesi, poi ci siamo spostate per confondere le nostre tracce.
Ma, mentre eravamo lì, un po’ di Compulsione… ed ecco Serena Van der Woodsen e Blair Waldorf, ricche hit-girls con famiglie problematiche ed assenti (lì è una situazione generalizzata e nessuno fa domande) e un sacco di voglia di divertirsi fino allo sfinimento.
Sì, andavamo a scuola.. Ma era figa anche quella!
 
Cosa c’entra Dimitri con tutto questo?
È un Dhampir come me: noi siamo la razza dei guardiani dei Moroi.
I Moroi sono vampiri buoni, quindi non uccidono per nutrirsi di sangue, a differenza degli Strigoi, che sono vampiri cattivi che hanno abbandonato la magia a favore delle uccisioni e, essendo esseri rinnegati, bruciano al sole: sono creature delle tenebre.
Noi Dhampir siamo una via di mezzo: metà vampiri e metà uomini, più forti dei mortali ma senza poteri magici.
Solo tanta tanta tanta fatica per diventare guardiani letali: siamo i killer degli Strigoi, solo che quelli sono potentissimi e noi dobbiamo studiare davvero tanto per arrivare ad avere competenze e doti che ci permettano non dico di stare alla pari ma almeno di giocarcela in una lotta.
 
Dunque.
Dimitri Belikov.
Dhampir, figo strafigo, guardiano dell’Accademia St. Andrews (da cui io e Lissa siamo scappate e in cui lui ci ha riportare dopo un anno e mezzo di gloriosa vita da libere fanciulle), guardiano assegnato a Lissa.
Mio istruttore, il che va benissimo perché Dimitri qui è conosciuto come “il dio” e questo ve la dice lunga.
Peccato che ci siamo innamorati.
 
Cioè, non peccato.
Io lo amo, figuriamoci se mi dispiace.
Ma – diciamo – non doveva capitare.
Lui ha sette anni più di me e per le regole del nostro mondo una relazione tra noi è inconcepibile.
La nostra vita deve essere dedicata ai Moroi… a Lissa, nello specifico.
Loro vengono prima: il motto dei Dhampir.
Lei viene prima: il mio motto personale.
Dimitri è la persona più scrupolosa, attenta, onesta, fiera e leale dell’universo, quindi capite bene che ha fatto di tutto per non farsi coinvolgere dal sentimento… Ma non c’è riuscito.
Io avevo già gettato la spugna, perché innamorarmi di lui è stata la cosa più naturale del mondo.
E, dopo mille problemi, ci siamo arresi al sentimento.
Al sentimento e basta, perché i vari problemi restano.
 
Settimane fa, nelle vacanze di Natale, uno dei miei migliori amici Dhampir, Mason, è morto in un attacco di Strigoi.
Io ho ucciso i suoi assassini… Ma Mase non c’è più.
Questa morte ha cambiato la mia vita, mi ha dato i miei primi due molninja (che sono i tatuaggi a forma di fulmine con cui vengono decorati i Dhampir che uccidono gli Strigoi: uno per ogni Strigoi morto) e mi ha ridato Dimitri.
Eravamo in un momento in cui lui ha cercato di allontanarsi da me, per il bene mio e di Lissa, e per un po’ ha persino preso in considerazione l’idea di lasciare l’Accademia.
Ma è rimasto.
Per me.
Sapevamo di non poter stare insieme (non dirò che è sbagliato, perché per me non lo è), ma ci siamo confessati di amarci.
E poi… basta.
Cercavamo di vivere normalmente e di tenere sotto controllo la passione e il sentimento.
A volte ce la facevamo, a volte era durissima.
Ma insomma.
Dimitri c’era e io lo sapevo.
 
Ed era ora di parlargli di NYC.
 
 
«Due fuggitive molto fighe» dissi, tornando al presente.
Lui alzò gli occhi al cielo e io proseguii:
«Comunque. Chuck è… è il grande amore di Lissa. E io non voglio che lo riveda. E questo è quanto»
Dimitri si fermò di botto, spiazzato dal mio rapido riassunto di fatti a lui ignoti.
«Ma Lissa…» sembrava confuso «Lissa e Christian…»
Era incredibile vedere Dimitri che si destreggiava non tra le armi ma nelle questioni di cuore della mia migliore amica.
Era chiaramente in difficoltà e io ghignai.
«Sì, compagno, tranquillo, puoi dirlo»
Lui sbuffò a sentire quel soprannome che odiava ma io proseguii imperterrita:
«Dunque, le cose stanno così. Chuck è il figlio di papà più odioso e viziato e presuntuoso del mondo… ma lui e Lissa si sono innamorati. Cioè, lei si faceva chiamare Blair Waldorf e impersonava una ricca ragazza viziata, ma la sostanza non cambia. Solo che lui è uno stronzo presuntuoso e si sono fatti del male con un tira e molla infinito, senza arrivare a nulla. Lei è stata malissimo e sai quanto sia fragile Lissa…»
Aggrottai la fronte e lui annuì.
«Bene, era ridotta a uno straccio e io presi la scusa della prudenza e la portai via di lì. Siamo andate a Portland e lì ci hai trovate e riportate qui. E poi, con Christian… ho sperato che dimenticasse Chuck e pensavo ci fosse riuscita. E ora scopro che vuole correre a Manhattan!»
«Ma non parlava di un certo…»
«Bart Bass. È… era… il papà di Chuck»
Taccio per un attimo e poi proseguo:
«Mi spiace che abbia perso suo padre, davvero. Avevano un rapporto terribile, ma Chuck teneva disperatamente alla sua approvazione. Ma… non voglio che Lissa corra a consolarlo»
«Ma se andiamo per le vostre ammissioni al college…»
Gli piantai gli occhi in faccia.
«Se ti dico che andiamo per Chuck, tu a chi credi?»
Sospirò.
«A te»
«Ecco, appunto. E, fidati, Chuck non va bene per lei»
 
Con questi pensieri in testa preparai velocemente una borsa e mi diressi alla pista di decollo del jet privato dell’Accademia.
Dimitri era già lì, che parlava con gli altri Guardiani che ci avrebbero accompagnati: sapevo che stavano parlando dell’organizzazione della sicurezza.
Lissa mi sorrise, speranzosa, ma io la ignorai.
Mi venne vicina, il Legame traboccante di bisogno di essere compresa.
Strinsi i denti.
Ero sensibilissima alle sue fragilità…ma questa no.
Non le faceva bene.
«Rose…» mormorò «Ti prego, non essere arrabbiata con me»
«Liss, credevo che Chuck fosse un capitolo chiuso della tua vita!»
Come sempre, il Legame mi disse quello che lei non riusciva ad esprimere a parole.
Il rimpianto.
L’attrazione.
La cosa folle è che lei si era davvero innamorata di quel ragazzo cinico, che al mondo mostrava un volto sgarbato e dissoluto per nascondere le sue fragilità…
 
Oh cazzo.
 
Feci una faccia strana, evidentemente, perché lei si affrettò a chiedermi a cosa pensavo.
«Non ci ero ancora arrivata!» esclamai, attonita «Chuck è…come Christian!»
Il ragazzo di Lissa, Christian Ozera, era un Moroi figlio di due membri di una famiglia reale che avevano scelto volontariamente di diventare Strigoi: un crimine imperdonabile.
Lui nascondeva il dolore, la rabbia e la solitudine dietro il cinismo…. Proprio come Chuck.
Certo, Christian aveva qualche motivo in più per essere cinico.
«Cavolo Liss!» la interruppi mentre già negava «Ma perché ti innamori di gente…di gente così?»
Perché non poteva trovarsi un bravo ragazzo (o un bravo Moroi, meglio) normale??
«Senti chi parla» ribatté lei offesa «Miss relazioni-sentimentali-equilibrate»
Repressi un sospiro.
In teoria era vero… ma prima di Dimitri.
Da quando era entrato lui nella mia vita, nessun altro contava più.
I ragazzi, le feste… la Rose che ero aveva capito quanto fosse vacuo quanto fatto finora e voleva… bè, volevo solo lui.
Ma tanto, a cosa serviva pensarci?
Dimitri era stato chiaro: loro vengono prima.
«Non stiamo parlando di me» ribattei «Ma di te! ma come ho fatto a non capirlo prima?»
«Ma non è vero! È…»
La interruppi di nuovo.
«Hai scelto Christian perché ti ricordava Chuck?»
«No» negò.
Ma il Legame mi diceva che stava valutando la cosa.
Amava Christian, lo sentivo.
La calmava, le piaceva il suo cinismo, il modo in cui si ammorbidiva con lei, la sua intensità e la sua ironia mordace.
Il fatto che la adorava.
Ma Chuck… era stato il primo amore.
E il primo con cui era andata a letto.
Amava il senso di potere, di euforia che Chuck le faceva provare.
Io rabbrividii: la Lissa che era stata a Manhattan era una Lissa fuori controllo.
Spericolata, sull’orlo dello Spirito… non mi piaceva.
Mi faceva paura.
Cercai un modo per esprimere i miei pensieri, ma ci chiamarono a bordo per il decollo.
 
Mi sedetti e Lissa prese posto accanto a me.
Vidi Dimitri lanciarmi un’occhiata, seduto vicino ai guardiani.
Chiusi gli occhi, evitando di parlare con Lissa.
Lei mi restò accanto, testarda.
Ci tengo, Rose – mi disse attraverso il Legame.
Non risposi.
Anche se ci teneva, comunque era sbagliato.
Ma cosa potevo fare?
Una scenata davanti ai guardiani rinfacciandole il suo amore per un figlio di papà depresso?
Mi morsi il labbro e finsi di dormire.
 
 
Quando atterrammo ero ancora furiosa.
E silenziosa, il che era preoccupante.
Lissa mi lanciò l’ennesima occhiata stanca.
I guardiani, prima di scendere dall’aereo, ci subissarono di raccomandazioni.
Io non ribattei e non parlai, ma avevo la mente altrove.
Capivo le loro preoccupazioni, ma per me il fulcro di tutto era Lissa e stavolta il problema non erano gli Strigoi.
Feci uno scongiuro mentale.
Non si può mai dire, ma non avevamo mai avuto mezzo problema di quel tipo a Manhattan.
Invece, sentimentalmente… non mi andava che Lissa finisse di nuovo nei casini.
Sprofondai ancora di più nel mio umore cupo.
Quando il predicozzo terminò, Celeste, l’unica Guardiana donna, spiegò che avremmo preso un taxi fino a un hotel.
Era gentile e sicura di sé, almeno finché Lissa non la interruppe garbatamente:
«Io…ehm… Mi spiace, volevo dirvelo… Ho già prenotato un’auto e per quanto riguarda il pernottamento…»
Di fronte agli sguardi attoniti dei tre guardiani le sfumò la voce.
Mi guardò speranzosa, ma io continuai a fingere di non essere lì.
«Principessa» disse Stan Alto, severo «Lasci la logistica a noi»
Alto era uno stronzo indisponente in Accademia, ma con Lissa cercava di controllarsi.
Lei, però, scosse il capo.
«Non vedo perché dovremmo andare in albergo quando io e Rose abbiamo una casa in centro»
I Guardiani la guardarono attoniti.
«Una…casa?» chiese Celeste.
Lissa annuì e i tre si scambiarono occhiate perplesse.
«Perché nessuno ne ha fatto parola?» ruggì Alto «Hathaway?»
Ti pareva che non era colpa mia?
Scrollai le spalle.
«Non sono mica io quella che ha organizzato» risposi.
Alto sembrava sul punto di strozzarmi e Dimitri intervenne.
«Rose, ti sembra un’informazione poco importante?» la sua voce pacata fu un rimprovero più grande di qualsiasi urlo degli altri «Come possiamo proteggere la principessa se non siamo messi a parte di una cosa del genere? Qui non godiamo della protezione dell’Accademia»
Già: l’Accademia godeva di protezioni magiche, ma nel mondo reale…
Mi voltai verso Lissa e lei ebbe il buon gusto di arrossire.
Tuttavia perseguì il suo scopo, determinata.
«Capisco e chiedo scusa: è colpa mia, Rose non c’entra. Ma io vado a casa mia»
Il suo tono deciso creò scompiglio nei Guardiani: era chiaro che non l’avrebbero convinta.
Stan si allontanò imprecando a bassa voce, dopo avermi guardata come se fosse colpa mia. Di nuovo.
Anche Celeste si scostò da noi per fare una telefonata.
Dimitri invece rimase e sotto il suo sguardo fermo Lissa arrossì e borbottò una scusa.
«C’è altro che dobbiamo sapere?» chiese, pacato «Rose?»
«Non ne ho idea» risposi, stringendomi nelle spalle «Io nemmeno volevo venire. Il capo è Lissa, stavolta»
Lei si adombrò.
«Va bene Rose, abbiamo capito che sei in disaccordo. Ora la smetti?»
Mi strinsi di nuovo nelle spalle.
«No»
 
 
La macchina che Lissa aveva prenotato stupì i Guardiani.
Insomma, era una limousine.
Lei salì disinvolta, io altrettanto e loro non ebbero altra scelta che seguirci.
Quindi, l’autista partì senza che nessuno avesse dato indicazioni e questo rese chiaro a tutti che Lissa aveva preso in mano le redini del viaggio.
A tutti gli altri, cioè: io lo sapevo già.
Leggevo nella sua mente, ma non parlavo né commentavo.
Rimuginavo su questo, osservando pigramente New York che scorreva davanti ai miei occhi.
All’improvviso, la mano di Lissa coprì la mia.
Mi voltai e la vidi sorridere.
«Stupendo, vero?» chiese «Mi è mancata così tanto… e so che manca anche a te»
Annuii brevemente: era impossibile che quella città non ti mancasse.
Alto mi gettò un’occhiata inceneritrice e riprese a mugugnare.
Quando l’auto si fermò, i Guardiani ci dissero di restare a bordo e scesero per ispezionare la situazione.
Ora, so che sarebbe diventato il mio lavoro ed era una cosa seria eccetera eccetera… ma poveretti, non avevano idea di dove si trovavano e di cosa aspettarsi.
Lissa pensava le stesse cose.
«Dici che frugheranno dietro i cassonetti per vedere se ci sono Strigoi?» scherzò.
«Cassonetti nell’Upper East Side?» ribattei «Poveretti»
Lei ridacchiò e una scintilla di buonumore, mio malgrado, fece capolino in me.
Lissa, che pure non aveva il Legame dalla sua, lo capì.
«Lo so che sei felice di essere qui» mi disse, prima di scendere dall’auto.
Sospirai e la seguii.
 
Celeste ci vide comparire e aggrottò le sopracciglia.
I tre si mossero verso di noi, ma Lissa procedette verso il portone imponente e salutò:
«Buonasera, Vania. Che bello vederti!»
L’ometto si aprì in un sorriso radioso:
«Miss Waldorf! Miss Van der Woodsen! Ma siete a casa! È bellissimo!»
Si inchinò e ci aprì la porta.
Accidenti.
Mi ero dimenticata dei suoi inchini.
Con un certo disagio sorrisi e risposi:
«Ciao, Vania»
Lui mi sorrise, estasiato.
Mi voltai verso gli altri e feci loro un cenno prima di seguire Lissa all’interno.



***
Buongiorno!
Eccomi qui con una nuova storia, crossover tra Vampire Academy e Gossip Girl.
Perchè?
Perchè questa saga mi appassiona e l'aver letto (finalmente!) gli ultimi due libri mi fa venire voglia di scriverne ancora. 
E perchè, quando ho progettato Escape, in realtà avevo due idee per questo crossover e questa è la seconda e non c'entra niente, assolutamente niente, con la prima.
Quando avrò terminato questa storia, partirò con un progetto più organico sulla serie "Vampire Academy", stavolta non crossover.
Per chi avrà la pazienza di seguirmi: grazie!
Buona lettura,
Joy

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Capitolo 2
*** Bentornata a casa ***


 

“I find more peace with you.” 
DimitriVampire Academy

 
 


Nell’ascensore l’aria era a dir poco tesa.
 
Lissa fingeva di non accorgersene e fissava il quadrante dell’ascensore, mentre salivamo fino al loft.
Alto era furibondo, Celeste nervosa.
Dimitri era l’unico a sembrare calmo, ma io che lo conoscevo sapevo che era irritato.
Però, almeno, lui non mi dava la colpa di quello ce stava succedendo.
 
La salita, benché rapida, si svolse in un silenzio irreale e pesante.
Quando le porte si aprirono, i Guardiani fecero per uscire in avanscoperta, ma Lissa lanciò uno strillo euforico e salò dentro casa, urlando:
«Dorota! Dorota!»
Celeste si sporse per prenderla, ma lei si divincolò.
Io entrai con gli occhi al cielo e lei era già tra le braccia della nostra fidatissima cameriera tuttofare, Dorota, che ripeteva estasiata:
«Signorina Blair! Signorina Blair!»
Vidi Dimitri ispezionare con gli occhi l’interno della stanza, mentre Alto sembrava voler aggredire la cameriera.
Poi lei si separò da Lissa, asciugandosi gli occhi, e vide me.
Altro urlo.
«Signorina Serena!!»
Io le sorrisi e lei mi stritolò in un abbraccio.
«Ehi Dorota, mi soffochi!» mugugnai «È bello vederti»
Non potevo essere arrabbiata con Dorota. La fedele Dorota.
Quando finì di abbracciarci e ripetere che eravamo via da troppo, finalmente notò i guardiani ed apparve decisamente perplessa.
Lissa entrò in azione in un attimo.
«Dorota» le si mise davanti e la fissò negli occhi, usando una leggera compulsione «È tutto a posto. Loro nostri… nostri… ehm…amici…anzi, parenti, e staranno qui per un po’. Tutto bene»
Lo sguardo vitreo di Dorota mi disse che la compulsione di Lissa l’aveva già soggiogata.
Sperai non lo notasse nessuno, perché nel nostro mondo usare la compulsione non era visto di buon occhio.
Vero che Dorota era umana, ma…
«Perfetto, signorina Blair» rispose lei docile «Preparo tre stanze?»
Lissa annuì e ringraziò, ma Alto si intromise:
«Dormiamo tutti insieme, per proteggervi meglio»
Dorota sgranò gli occhi e Lissa gli rise apertamente in faccia:
«Può dormire sul pavimento, se preferisce, ma io dormo in camera mia. Da sola»
Lui divenne di un brutto color mattone e io segretamente fui grata a Lissa: Alto era quello che mi dava più filo da torcere, a scuola, e non mi dispiaceva vederlo ridimensionato.
Mossi qualche passo per l’appartamento e fui sorpresa di sentirmi… a casa.
Quel posto era la cosa più simile a una casa che avevamo, tra Lissa che aveva perso la famiglia e io che non vedevo mai mia madre.
Quando a mio padre, nemmeno sapevo chi era.
Guardai la mia amica e la vidi emozionata allo stesso modo.
Mentre Alto ringhiava ordini, io e lei stupimmo tutti dicendoci ad alta voce, all’unisono:
«Bentornata a casa!»
 
 
Ed era proprio un ritorno a casa, pensai più tardi, immersa nella mia vasca, nel mio bagno, circondata dalle mie cose.
Le cose che appartenevano ad un’altra vita.
I trucchi costosi, gli asciugamani raffinati, il marmo prezioso.
Oltre la porta, c’era la mia camera da letto: pizzi e sete anche lì e una cabina armadio che avrebbe contenuto tranquillamente tre volte la stanza in cui dormivo in Accademia.
Piena di abiti firmati, di borse esclusive e di scarpe fantastiche.
Misi la testa sott’acqua.
Era il paradiso.
 
Tornai in camera avvolta in un asciugamano di morbida spugna e, mentre mi pettinavo i capelli, sentii bussare alla porta.
Risposi ed entrarono Dimitri e Celeste.
Incontrai gli occhi di lui nello specchio ed arrossii per il mio abbigliamento.
Lui rimase impassibile, ma sapevo che lo aveva notato.
Restò un passo indietro rispetto a lei e io mi strinsi nell’accappatoio, imbarazzata.
«Sì?» chiesi.
Celeste si guardò attorno, sembrava spiazzata.
Lo notò anche Dimitri, e anche lui percorse con gli occhi la stanza.
Ci credo che erano sorpresi: la ragazza che viveva lì non ero io.
O meglio: non era la Rose Hathaway che conoscevano loro.
 
Rose Hathaway era forte, determinata, insofferente all’autorità, sempre coperta di graffi e  lividi perché passava le sue giornate in palestra ad allenarsi.
Mentre quella che vedevano ora era l’altra parte di me.
Glamour e sofisticata, Serena Van der Woodsen era una ragazza ricca, alla moda, che non indossava mai lo stesso vestito due volte. Sempre perfettamente curata, sempre pettinata alla perfezione.
Ti credo che erano straniti: sembrava una cosa completamente antitetica.
Eppure ero io.
O meglio: qui avevo tirato fuori la parte più glamour e disinvolta di me.
Sapevo benissimo che la mia vita non sarebbe stata così, per via del lavoro che avrei fatto e che mi avrebbe fatta essere l’ombra di Lissa, per cui nel nostro periodo newyorkese mi ero sfogata per bene.
Dimitri stava guardando una mia foto formato gigante in cui sfilavo con un abito scintillante addosso.
«Era una sfilata di beneficenza, ho partecipato per quello» mormorai, quasi scusandomi.
Lui sussultò e distolse lo sguardo.
Chissà che effetto gli faceva vedere quella Rose così curata e bella?
Me lo chiesi, prima di riportare la mia attenzione su Celeste.
Lei era ancora più perplessa di lui.
Per le donne essere un Guardiano significava quasi sempre rinunciare alla propria femminilità: le Guardiane si tagliavano i capelli (per praticità e per mostrare i molninja, tatuaggi sul collo che indicavano quanti Strigoi avevi ucciso), non si truccavano, non si vestivano bene, avevano la pelle rovinata dalle intemperie perché erano sempre all’aperto.
Sentii una fitta d’ansia.
Lo so, ero vanitosa.
Ma cavolo, avevo diciassette anni!
Io adoravo essere carina.
«Sì?» ripetei.
Celeste distolse gli occhi dalle mie fotografie e sembrò concentrarsi con un certo sforzo.
«Ah…Rose… ehm… dunque, volevamo chiederti una mano nella…nella gestione della situazione»
«A me?» ero sinceramente stupita, abituata che i guardiani potessero fare tutto da soli.
Dimitri annuì.
«So che non sei contenta che Lissa sia qui, ma proprio per la sua sicurezza puoi aiutarci a lavorare meglio» 
«Sarà anche un bel test per te» confermò Celeste «Una prova da guardiana»
«Ma voi…mi volete a lavorare con voi?» chiesi.
Si scambiarono un’occhiata, perplessi.
«Voglio dire» precisai «Io proteggerò sempre Lissa al meglio delle mie capacità, a prescindere da chi c’è con noi, ovvio… solo non pensavo che…bè, che mi voleste con voi»
Dimitri mi rivolse uno sguardo di calda approvazione e Celeste sembrò spiazzata.
«Unire le forze migliora le prestazioni e…»
«Sì, lo so» la interruppi «Ma voi guardiani tenete sempre un atteggiamento da professori e…»
«Bè, sì» ammise lei «Ma fuori dall’Accademia, nel mondo reale, è diverso»
Annuii.
«Va bene» dissi «Posso dire una cosa?»
«Certo»
«Non pensate di andare in giro vestiti così, vero?»
Mi guardarono come se avessi annunciato uno spettacolo di lap-dance.
Sospirai.
«Ascoltate, non è per frivolezza, ma non avete idea di quanta formalità ci sia qui, in questa città e nel contesto in cui io e Lissa ci muovevamo. Se volete passare inosservati non potete indossare maglie termiche né felpe»
Si scambiarono un’altra occhiata perplessa.
«Non credo sia così importante…» iniziò Celeste.
«Cosa? Integrarsi? Passare inosservati?» la interruppi, innocente «Non volevate il mio aiuto?»
Li avevo fregati e lo sapevo.
«Va bene» annuì Dimitri «Se dici che qui è così importante ti crediamo»
Il suo tono era talmente sicuro che Celeste annuì di riflesso.
«Ok anche per me…. certo che è un posto strano»
Le sorrisi.
«È un posto fantastico! Davvero! Senta, dia pure un’occhiata tra la mia roba e prenda quello che le serve»
Le indicai con la mano la cabina armadio e lei si avvicinò con aria preoccupata e circospetta.
«Non ci sono Strigoi dentro, lo giuro!» ridacchiai e potevo giurare di aver visto Dimitri nascondere un sorriso.
Celeste aprì la porta e non trattenne un’esclamazione di stupore.
Persino il mio impassibile mentore sembrava stupito.
 
E ti credo.
La mia cabina armadio era il regno delle fate.
 
Celeste mosse un paio di passi incerti all’interno, tra file di scarpe e borse.
«Per te non ho nulla, compagno… ti tocca andare a fare shopping, domani!»
«Non chiamarmi così» replicò lui «Non credo che…»
«Hai detto che ti fidavi!»
«Mi fido. Solo che…»
«Bene! Sono una personal shopper fantastica!»
Il suo sguardo mi diceva che era chiaramente preoccupato.
 
 
Quando Lissa e Dorota entrarono in camera mia Celeste non era ancora riemersa.
«Ah!» urlò Dorota «Ferma, lei! Gli abiti della signorina Serena!»
Scappò nella cabina, mentre io le gridavo dietro di non preoccuparsi.
Lissa posò una tazza di cioccolata calda sulla mia toilette.
«Sei ancora arrabbiata?» mi sorrise speranzosa.
«Non sono arrabbiata, Liss. Sto disapprovando»
«Smetti presto, vero?» chiese lei, ansiosa.
Mi scappò un sorriso.
In quel momento Celeste rientrò in camera, a mani vuote.
«Non le piace nulla?» chiesi, perplessa.
«Non…non lo so. C’è talmente tanta roba che…»
 
Guardiani.
Dai loro da uccidere e lottare e va tutto bene, ma perdono la testa davanti ai vestiti.
Tipico.
 
Mi diressi alla cabina e ne uscii dopo poco con una vestaglia, una camicia da notte, pantofole, jeans e due maglioncini.
«Per iniziare» le dissi, porgendoglieli.
Lei li prese, confusa.
«Ma…ma…» sembrava imbarazzata «Questa cosa sarebbe?»
Io e Lissa ci scambiammo uno sguardo perplesso.
«È una camicia da notte» le dissi, con il tono di chi pensa di avere a che fare con un folle.
Lei arrossì.
«Ma…ma… è così…leggera….»
«C’è il riscaldamento centralizzato» obiettò Lissa «La casa è calda»
Celeste sembrava ancor più in difficoltà.
«Ma…non…non vorrei che si…rompesse…»
Io e Lissa ghignammo, all’unisono.
«Tranquilla, è resistente. A meno che qualcuno non gliela strappi di dosso» le dissi.
Capivo cosa non stava dicendo: era di raso e pizzo e le sembrava eccessiva.
Lei guardò Dimitri in cerca di aiuto e lui batté precipitosamente in ritirata bofonchiando una scusa.
Mi venne da ridere.
 
Fu Dorota a sbuffare.
«Attenta ai vestiti della signorina Serena, lei! Sa quanto costano quei jeans?»
«Dorota!» dissi io «Va tutto bene, non c’è problema!»
Dorota insistette, testarda:
«Sono 7 for all mankind! Miss Serena mette solo quelli!»
E, quando disse il prezzo di un paio, temetti davvero che a Celeste venisse un infarto.
«Per un paio?!» ripeté basita.
Poi me li tese.
«Non posso prenderli!»
Sospirai.
«Certo che può. Glieli ho dati io. Tranquilla, sono solo jeans»
«Costano come un gioiello!»
«Ma sì, stia tranquilla»
La spinsi, recalcitrante, verso il corridoio.
«Vada a provarli e se non le vanno bene le trovo altro. Domani pensiamo a Dimitri e al Guardiano Alto»
Quando rientrai in camera scambiai un’occhiata con Lissa e lei sospirò:
«Giurami che non diventerai mai, mai così!»
 
 
Eppure la mattina dopo ero segretamente felice.
Mi svegliai con la consapevolezza che avrei accompagnato Dimitri a fare shopping.
Rotolai giù dal letto e mi fiondai a prepararmi.
Lo avrei avuto per me in una giornata quasi normale.
A New York.
E c’era il sole.
Fantastico.
Stavo per infilare dei jeans quando mi venne un’idea migliore e, sorridendo, li riposi.
 
Quando scesi a colazione, Lissa era seduta al tavolo e stava leggendo dei giornali.
Anche Dimitri aveva in mano un giornale e beveva caffè.
Celeste rimirava uno yogurt con aria assente e Alto mangiava per tre.
Storsi il naso, disgustata.
Lissa mi vide e disse:
«Buongiorno! C’è il funerale oggi pomeriggio…»
Annuii brevemente, mentre con la coda dell’occhio guardavo Dimitri.
Aveva alzato la testa dal giornale per lanciarmi un’occhiata e ora mi stava fissando.
Lo ammetto, volevo stupirlo.
E qui avevo i mezzi per farlo.
Indossavo dei jeans a vita alta, bianchi e aderentissimi, con sopra un top bianco.
Le spalle e le braccia erano coperte solo da un’impalpabile velo di tulle con leggerissimi pois.
Ai piedi tacchi alti.
Lissa annuì compiaciuta.
«Stai benissimo»
Le sorrisi, euforica al pensiero di aver stupito Dimitri.
«Anche tu»
Ed era vero: Lissa vestiva bene anche all’Accademia, ma qui a New York aveva anche lei una disponibilità di abiti che avrebbe fatto impallidire qualunque Moroi, forse persino la regina.
No, non esagero: qui uscivamo parecchio e la città stessa ti spingeva ad essere sempre alla moda e perfetta.
Il guardaroba di Lissa, anche qui, era molto bon ton; io, che ero quella più spregiudicata, osavo di più ma restavo nei limiti.
Più o meno.
 
«Ma non vorrete andare ad un funerale vestite così, vero?» esclamò Celeste, che poi arrossì sentendosi addosso gli sguardi dei colleghi.
Dorota, che mi stava servendo dei pancake caldi, la gelò con un’occhiataccia:
«Ma certo che no! Le signorine si vestono dopo, il funerale è alle 16! Lei si vestirebbe adesso per le 16 di oggi pomeriggio?»
L’occhiata di Celeste diceva chiaramente che lei si vestiva una volta sola, la mattina, e non si cambiava più, per nessuna ragione.
Soffocai un sorriso nella tazza e guardai Lissa, che mi strizzò l’occhio.
Lo so che disapprovavo, ma insomma… ormai eravamo lì, io c’ero per controllarla… e, insomma, New York!
Eravamo tornate!
C’era Dimitri con noi.
Sorrisi felice e il sorriso di Lissa, in risposta, si allargò.
Divorai i miei pancake e chiesi a Celeste se i vestiti le piacevano.
Lei mugugnò qualcosa di indefinito.
Indossava i jeans e uno dei maglioncini, ma sembrava portasse una tuta di spine da quanto pareva a disagio.
Sospirai.
«Vada pure a scegliere altro… io accompagno Dimitri e il guardiano Alto a comprarsi qualcosa»
Alto si strozzò quasi con il suo cappuccino, ma fu Celeste ad intervenire in mio aiuto, spiegandogli la situazione.
Non che questo gli impedì di protestare a gran voce.
Alla fine, anche Dimitri concordò sulla necessità di passare il più inosservati possibile.
Se devo dirlo, non era facile: Dimitri da solo passava i due metri. Per non parlare poi di quanto era figo.
Fu Lissa a chiudere la discussione, suggerendo garbatamente ad Alto di fare due passi in giro per constatare di persona se gli sembrava di potersi mimetizzare tra gli uomini di Manhattan.
«Mentre lei fa questa verifica» disse, garbata «Io posso aiutare Celeste a districarsi nel guardaroba di Ro… di Serena. E per la ceretta»
«Ceretta?!»
Celeste la guardò orripilata e io non trattenni le risate.




P.S. outfit
Questo per darvi un'idea dell'outfit di Rose :)

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Capitolo 3
*** Me in versione personal shopper ***


“Did you see that dress?”
"I saw the dress.”
"Did you like it?”
He didn't answer. I took that as a yes.
"Am I going to endanger my reputation if I wear it to the dance?”
When he spoke, I could barely hear him.
"You'll endanger the school.”
I smiled and fell asleep.” 
― 
Rose and Dimitri, Vampire Academy


 

Ero felice.
 
Davvero felice.
Mi trovavo nella città più bella del mondo e Dimitri era accanto a me.
Non nel senso completo che avrei sperato, ma era lì.
Non se ne era andato con Tasha, era rimasto per me.
Perché era innamorato di me. E io lo ero di lui.
E, mentre di solito la consapevolezza che la nostra storia non poteva avere futuro mi faceva incazzare come una belva, oggi ero semplicemente felice di averlo vicino.
«Vieni» gli sorrisi, radiosa, guidandolo ai piani alti di Barneys «Da questa parte»
Lui studiò il mio sorriso e parve rilassarsi.
«Non sei più arrabbiata, quindi»
«Non sono arrabbiata» ripetei per la millesima volta «Solo che…»
«Solo che disapprovi, lo so» terminò lui.
«Sì, ma ora che Lissa non c’è posso concentrarmi su quanto è fantastica questa città e sul fatto che è stupendo rivederla!»
Lui fece un sorrisino.
«Sorridi, compagno!» lo esortai «Non crolla mica il mondo!»
Una delle cose che mi facevano impazzire di Dimitri era la sua capacità smodata di controllarsi: espressioni, sentimenti…
Io ero trasparente come il cristallo e lui criptico come nessun altro.
Eppure… mi completava.
Mi feci distrarre dai suoi occhi color cioccolato per un attimo di troppo, ma riuscii a rimangiarmi il commento poco generoso che mi stava salendo alle labbra.
Con Tasha Ozera sorrideva e rideva spensierato, con me era sempre in modalità istruttore-inflessibile.
Certo, aveva scelto me e non Tasha.
E, tecnicamente, lui era il mio istruttore.
Va bene Rose, stai zitta.
 
Salii su una scala mobile e lui mi seguì, Alto ci raggiunse in un paio di secondi.
«Questa città fa schifo» grugnì.
Io alzai gli occhi al cielo.
Ed era solo il primo di molti, molti suoi grugniti.
 
Grufolò pesantemente quando capì dove eravamo diretti («Reparto “Personal shopper”? Che cavolo è un “reparto personal shopper”??!»), poi quando capì perché eravamo lì («Cosa significa che questi ti vestono??»), quindi quando comprese che non c’era scampo in quanto lui era un ignorante totale in fatto di moda («Io so vestirmi da solo, dannazione! E Belikov, perché tu non dici niente?!»).
Ero talmente stufa dopo soli due minuti che, quando entrammo nel reparto, lo abbandonai alle cure della prima poveretta che ci capitò a tiro e condussi Dimitri a un divano il più possibile lontano.
Mi sedetti e lui mi imitò, ma era chiaro che era perplesso.
«Non intendi comportarti come Alto, vero?»
Lui sorrise.
«No. Ma…»
«Ma?»
«Ma parzialmente lo capisco. Non è esattamente il mio campo, questo»
«Lo so: sono qui per questo! Comunque, compagno, rilassati: è più facile che uccidere Strigoi»
Non sembrava convinto, ma mi lasciò fare.
Una ragazza simpatica ci assisteva e fui io a suggerire e proporre e la cosa strana fu che era un po’ come allenarsi con lui.
Avevamo un nostro ritmo e una nostra complicità.
Dimitri mi lasciava spazio e interveniva di rado, ma nel complesso parve piacevolmente sorpreso dal fatto che l’intera procedura non fu imbarazzante né complicata.
Certo, non era abituato a gente che ti serve champagne mentre corre a cercare abiti per te e tu sei comodamente seduto (e non mi permise di bere lo champagne, per quanto io obiettai), ma si comportò benissimo.
Ovviamente, la personal shopper se lo mangiava con gli occhi e gli lanciava occhiate languide.
Smise solo quando io mi schiarii bruscamente la voce e le feci cadere per sbaglio (cioè apposta) la borsa sui piedi.
Al che lei batté in ritirata e Dimitri mi sorrise, divertito.
«Sì?» chiesi, sostenuta, di fronte al suo ghigno.
«Fai sul serio?» ribatté, per niente impressionato.
«Riguardo a cosa?»
La mia aria candida non lo trasse in inganno nemmeno per un secondo, ma in quel momento Stan ci passò davanti imprecando, mentre cercava di allacciarsi una cravatta.
Mi scappò da ridere e anche Dimitri sembrava parecchio divertito.
Era fantastico vederlo così.
«È fantastico stare qui!» dissi d’impulso «Non trovi?»
«Mi sembra una città molto caotica, veramente. Difficile da controllare se proteggi qualcuno…»
Alzai gli occhi al cielo.
«Certo. Ma a parte la logistica… NY è stupenda! È piena di vita, di movimento… di tutto! Non si può non amare NY!»
Lui sorrise del mio entusiasmo.
«D’accordo, è affascinante… Ma sai che la mia preferenza va ai luoghi silenziosi e tranquilli…»
Arricciai il naso.
«Andiamo, non sei serio! Non puoi paragonare la tundra a Manhattan!»
Lui sospirò.
«Come faccio a farti entrare in testa il concetto che la Siberia non è una landa misera e desolata?»
 
Il ritorno della commessa, che portava alcuni completi per lui, mise fine al battibecco.
Spinsi un recalcitrante Dimitri in camerino e, mentre aspettavo che uscisse, selezionai un paio di modelli per me.
Dopotutto, che shopping era se non mi compravo almeno un abito?
Lanciai un’occhiata verso Alto e la povera persona shopper che lo seguiva e che aveva tutta l’aria di aver bisogno di ferie anticipate, dopo quell’appuntamento.
Repressi l’ennesima risatina… e, all’improvviso, non c’era più nulla da ridere.
Dimitri era uscito dal camerino con addosso uno smoking.
E io, all’improvviso, non ricordavo più come si faceva a respirare.
Lo guardai a bocca aperta, mentre lui, a disagio, lanciava un’occhiata allo specchio e poi si voltava verso di me.
La commessa accorse armata di puntaspilli, per prendergli le misure per le modifiche all’abito: era così alto che i pantaloni andavano allungati.
Mentre lei si chinava e iniziava a rivoltargli il tessuto, lui mi lanciò un’occhiata implorante.
Io ero ancora seduta, che lo fissavo senza parole: lo avevo già visto in giacca, ma le divise dei guardiani erano austere e non avevano nulla del fascino di questi abiti eleganti.
Mi riscossi bruscamente e mi avvicinai a lui; finsi di esaminare gli orli mentre Dimitri restava immobile, palesemente a disagio.
Eravamo così vicini…
Quando alzai gli occhi incontrai i suoi e abbozzai un sorriso, tanto lo vidi teso: era più a suo agio in un combattimento che da un sarto, chiaramente.
Posai istintivamente una mano sul suo petto, sopra il risvolto della giacca, e lo lisciai.
Volevo dirgli di starsene calmo, ma non feci in tempo a scherzare perché lui sobbalzò al mio gesto e anche io ritrassi la mano, come se mi fossi scottata.
Accidenti.
Non dovevo toccarlo.
Era come una calamita: mi attirava a sé e io volevo, volevo, volevo stargli così vicina…
Ed eravamo alle solite: non potevo.
Non potevamo.
 
Presi un respiro, cercando di dominare l’ondata di insoddisfazione che minacciava di travolgermi.
Desideravo così tanto toccarlo…
Forse commisi il secondo errore del giorno, ma lo guardai di nuovo negli occhi e vidi che anche lui era in difficoltà, come me.
Mosse un passo all’indietro e la commessa si lamentò.
Serrai le palpebre, quindi mi allontanai, mormorando una scusa sul vedere se ad Alto serviva una mano.
Distanza di sicurezza, Rose.
 
Quando mi riavvicinai, speravo di aver riacquistato il controllo.
Mi ero data una bella scrollata mentale, ricordando a me stessa le ragioni sempre valide che ci impedivano di stare insieme e il mantra: è inutile protrarre l’agonia.
Ok. Tieni duro.
Anche lui sembrava più calmo.
Non mi guardò durante le due prove successive, ma quando uscì dal camerino vestito con i suoi abiti (seriamente, quello spolverino da cowboy non si poteva vedere, qui in città!) e la commessa gli chiese cosa aveva deciso, lui si voltò verso di me con una muta domanda negli occhi.
Restai seduta a distanza di sicurezza, ma mi espressi a favore di tre completi, più jeans, tre maglioni di cachemire e un certo numero di camicie.
Lui aggrottò le sopracciglia, chiaramente contrario a quello spreco eccessivo, io però congedai la commessa con un cenno affermativo.
Era chiaro che Dimitri si preparava a dar battaglia verbale, ma fu interrotto da Alto, che mi piombò addosso brandendo un cartellino con il prezzo di una cravatta.
Pareva prossimo a un colpo apoplettico.
«Sì?» chiesi.
«Ma…ma…hai visto quanto costa??» sputacchiò.
Repressi un sospiro.
«Non si preoccupi, va in conto a Lissa»
«Cosa? No!» si oppose Dimitri.
Riconobbi lo scintillio ferreo nei suoi occhi e seppi che c’erano guai in arrivo.
«Ascoltate» argomentai a bassa voce, cercando di essere persuasiva senza offenderli «Mi rendo conto che non vorreste essere qui e non ve ne può fregare di meno di avere smoking eleganti: serve tutto per la protezione di Lissa, quindi è giusto che lei…»
«Non esiste» mi interruppe Dimitri, secco «Non permetterò che sia una ragazza a comprarmi i vestiti»
Ero sicura che avrebbe reagito così.
Però ero contemporaneamente in difficoltà, perché mi rendevo conto che il suo stipendio da guardiano non gli avrebbe mai permesso di fare acquisti da Barneys.
Alto non aveva gli stessi scrupoli:
«Belikov, di’ un po’, sei impazzito? Ma hai visto i cartellini? Ci puoi giurare che io non tiro fuori un dollaro!»
Dimitri aveva la faccia scura delle peggiori occasioni: lo avevo visto così infuriato di rado.
Discusse con Alto a lungo e poi, di malagrazia, si allontanò dal reparto senza dire una parola.
Ahi.
Peggio del previsto.
La commessa mi portò tre abiti, ma non riuscii a divertirmi.
Ne provai uno solo, poi il senso di colpa e il disagio mi spinsero a cercare Dimitri a piano terra, dove lo trovai vicino alla zona bar, che guardava il traffico a braccia incrociate.
«Allora… abbiamo fatto presto, tutto sommato!» tentai un tono brioso, senza successo.
Mi lanciò un’occhiataccia e rimase in silenzio.
Il suo malumore durò per il viaggio di ritorno in taxi, la salita in ascensore e il rientro: in casa marciò verso la sua stanza e si chiuse la porta alle spalle con un gran tonfo.
Schizzai a cercare Lissa.
Era in camera sua; il Legame mi disse che era in ansia per Chuck, ma prima di pensare a lei volevo che risolvesse questo problema.
Le parlai dello shopping e lei promise di sistemare le cose con Dimitri: era cosa nota che non avevo né il suo tatto né la sua diplomazia e la cosa mi tranquillizzò.
Detestavo che Dimitri ce l’avesse con me, seppure indirettamente.
Ed ero stata così felice quella mattina…
 
Ci misi un po’ a sintonizzarmi sul problema di Lissa: Chuck non le rispondeva al telefono.
Scrollai le spalle.
«Liss, suo padre è morto. Non avrà voglia di parlare al telefono con tutti quelli che lo chiamano!»
Sentii distintamente la sua delusione.
«Ma…si tratta di me!»
«Sì, lo so… Ma forse è persino peggio, Liss. Ascolta, è per questo che non volevo che ti precipitassi qui. Lo sai benissimo che il vostro rapporto è sempre stato altalenante. E ora, vista la situazione…secondo me sarà anche peggio. Non puoi pensare che lui abbia le forze anche per gestire un carico emotivo supplementare»
«Ma io non voglio niente, davvero» rispose, pacata «Sono qui per lui. Non perché lui faccia qualcosa per me»
Sprofondai nel suo letto.
«Senti… mi pare un buon momento per farsi due domande. Tipo: perché sei corsa qui da lui, senza dire nulla a Christian?»
Esitò, ma non si tirò indietro:
«Perché mi spiace per lui. Io l’ho amato, Rose, lo sai… e sai quanto teneva a suo padre. L’idea di lui qui, solo, mi strazia»
«Ok. Ma comunque non potrete stare insieme, per cui… a che serve?»
«Se può aiutare lui, allora non è inutile» ribatté lei, convinta.
Io sospirai.
«Farà stare solo peggio entrambi. E Christian? Come farai a guardarlo in faccia quando torneremo?»
Lei arrossì.
«Non sono mica venuta per sedurre Chuck! Perché dovrei avere problemi con Christian?»
Ma lo disse senza guardarmi in faccia e io sospirai ancora.
«Perché il tuo ex-grande amore ha bisogno e tu corri senza nemmeno che lui te lo debba chiedere?»
Lissa sembrava in difficoltà.
«Rose… ma a te non capita mai di chiederti se…»
Non finì la frase ma capii ugualmente.
La risposta?
No, non mi capitava.
Io amavo Dimitri: il mio mondo era dove c’era lui.
Scossi il capo, attenta a non avere un tono da maestrina saccente.
Capivo che per lei non era facile: era talmente buona e generosa che una parte di lei avrebbe sempre messo gli altri per primi.
«Liss… ho paura per te. Lo so che nervosa e… bè, che non vedi l’ora di vedere Chuck. E questo mi preoccupa»
Lei arrossì.
Era seccata perché il Legame, come sempre, mi dava una panoramica totale sui suoi sentimenti.
«Ehi» le sorrisi «Niente privacy con me!»
«Se fosse bilaterale mi darebbe meno fastidio» borbottò lei, ma si stava rasserenando.
 
Pensai a tutto quello che le avevo nascosto.
Fortuna che il legame era a senso unico.
 
 
Alla fine, Lissa riuscì a placare Dimitri.
Più o meno.
Quando uscii dalla mia camera, vestita per il funerale, lo trovai in corridoio che si controllava il nodo della cravatta nello specchio.
Portava uno dei completi acquistati quella mattina e io mi ritrovai di nuovo senza fiato.
Mi vide arrivare e abbozzò un sorriso.
«Ancora arrabbiato?» mormorai.
«Non sono arrabbiato»
Sembrava il mio ritornello di quei giorni.
«Ancora furioso?» ritentai, scherzosa.
Stavolta sorrise un po’ di più.
«Sì»
«Lo sapevo. Mi dispiace» dissi, sincera.
Sapevo quanto tenesse all’onore.
Lui annuì brevemente.
«Ho capito le circostanze…Non parliamone più, va bene?»
Gli sorrisi.
Lo ammiravo così tanto… veramente, lo amavo così tanto.
Porca miseria, che casino.
Ovviamente, parlai prima di rendermi conto di quello che stavo dicendo:
«E comunque stai benissimo, vestito così»
Lui sembrò spiazzato e si rifugiò nel pragmatismo:
«Bè, è poco pratico…»
«Ah già, la logistica…» feci un cenno rassegnato «Dovremmo andare tutti in giro in tuta da ginnastica»
«Di certo sarebbe più comodo» mormorò, ma lo scintillio nei suoi occhi lo smentiva «Ma… tu sembri molto a tuo agio…»
Storsi la bocca.
«È un complimento? Devi impegnarti di più!»
Lui represse un sorrisetto.
«Solo una constatazione: sei molto a tuo agio, pur portando quelle scarpe»
Ero in piedi su tacchi altissimi, in effetti, e comunque gli arrivavo a mala pena al mento.
Scossi le spalle.
«Ci ero abituata: li portavo sempre»
Lui fece un’espressione buffa.
«Mi sembra una tortura inutile»
«Bè, è bello essere curate e femminili, vestire bene. A volte mi manca molto… Non che sia pratico o funzionale per quello che facciamo, ma è bello sentirsi carina, ogni tanto»
Lo sguardo di Dimitri si incupì.
«Tu non hai bisogno di vestiti per…»
Si interruppe appena sentimmo aprirsi una delle porte nel corridoio.
Celeste emerse con un’aria da martire: indossava un tailleur pantalone nero e dei tacchi molto ragionevoli, se paragonati ai miei.
Io le sorrisi allegramente.
«Sta molto bene»
«Figuriamoci» lei sbuffò, poi mi sorrise «Tu sì che stai bene, Rose. La principessa Dragomir naturalmente è abituata… ma anche tu sei insospettabile in questi abiti… a differenza mia!»
«Li ho portati spesso» mi schermii, imbarazzata.
Mi sentivo gli occhi di Dimitri addosso e, di nuovo, mi chiesi cosa pensava lui di questa Rose elegante e griffata.
 
Scendemmo al piano inferiore, dove trovammo Lissa in agitazione folle: apriva e chiudeva la borsa, raccoglieva il giacchino, lo posava su una poltrona, controllava il cellulare, lo metteva in tasca, lo riprendeva subito…
«Liss, ti verrà un colpo se non la smetti» mormorai, sedendomi sul divano.
Lei mi lanciò un’occhiata apprensiva.
«State molto bene» disse poi ai guardiani «Vi ringrazio. Dov’è il Guardiano Alto?»
«Starà cercando di allacciarsi la cravatta» commentai io, che ancora sbirciavo di sottecchi Dimitri.
Lissa scrollò le spalle, quindi riprese in mano il cellulare.
«La macchina è arrivata, signorine!» annunciò Dorota.
Io mi alzai e Lissa mi lanciò un’occhiata ammirata.
In effetti, il mio abito Jenny Packham era davvero raffinato.
«Sei bellissima… Io faccio schifo, devo andare a cambiarmi!» esclamò.
«Oh, Liss» sospirai «Non fai schifo, calmati»
Lei guardò la sua tenuta e poi la mia.
«No, no, ho sbagliato tutto!» strillò, isterica.
La presi per un braccio.
«Ok, se Sali a cambiarti non usciamo più. Non vorrai arrivare tardi, vero? Tra parentesi… Perché usciamo così presto?»
«Andiamo a prendere Chuck» rispose, categorica «Così vediamo se mi evita ancora»
Alzai gli occhi al cielo: povera me.
 
Alto ci raggiunse quando già eravamo saliti: sembrava che l’ansia per la sicurezza gli fosse uscita completamente di testa, dopo lo shopping mattutino.
Vero che era giorno e gli Strigoi non possono esporsi alla luce del sole, ma insomma!
Mi aspettavo un comportamento più professionale!
La macchina ci condusse all’hotel dove Chuck viveva.
Io sospirai e chiesi solo:
«Sicura?»
Lissa annuì e mi strinse la mano.
«Va bene» capitolai «Scendo a prendertelo»



***

Buongiorno!
Oggi ho deciso di aggiornare "Sogno" invece che "Nothing Else Matters", perchè quella storia l'ho aggiornata anche venerdì, ma settimana prossima torniamo alla pubblicazione di mercoledì!
Per tutti gli aggiornamenti, sapete che mi trovate qui:
 https://www.facebook.com/Joy10Efp

Buona lettura,
Joy

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Capitolo 4
*** Libero arbitrio ***


"You can't force love, I realized.
It's there or it isn't.
If it's not there, you've got to be able to admit it.
If it is there, you've got to do whatever it takes to protect the ones you love."
Rose - Frostbite



Dimitri scese dalla macchina con me.
 
Non avevo bisogno di girarmi a controllare per sapere che era lui.
Lo sentivo.
Sentivo la sua presenza forte e rassicurante, sapevo che c’era.
Che ci sarebbe stato sempre, per me.
Chissà se saremmo tornate a NY dopo il diploma alla St. Vladimir, pensai di sfuggita.
In quel caso, avrei fatto di tutto per fargli amare questa città.
 
Mi diressi verso la reception e chiesi di Chuck Bass.
L’impiegato mi riconobbe e mi salutò con cortesia, quindi chiamò la suite di Chuck.
Aspettammo a lungo e, quando le porte dell’ascensore finalmente si aprirono, non mi trovai davanti una scena piacevole.
Chuck era chiaramente sbronzo: mosse due passi e cadde in avanti.
Chi si precipitò a rialzarlo era il suo migliore amico: Nathaniel Archibald.
Mi affrettai ad aiutare Nate e ottenni in premio un’occhiata attonita.
«Serena?» chiese lui, con scarsa originalità.
Mi limitai a stringermi nelle spalle.
«Sorpresa! Serve una mano?»
 
Per trascinare Chuck all’auto, alla fine, ci volle Dimitri: lo sollevò quasi di peso, come se non gli costasse sforzo.
La nostra entrata in auto non fu delle più gloriose: Chuck finì dentro lungo disteso, ai piedi di Lissa.
Lei si precipitò ad aiutarlo ma da sola non poteva farcela.
Alla fine, tra tutti, riuscimmo ad issarlo sul sedile.
Lui rivolse a tutti uno sguardo ebbro.
«Blair?» biascicò poi.
Sentivo la puzza di whisky da dove ero seduta.
Lissa sorrise, amorevole; il Legame fu pervaso di emozione.
Mi trattenni dal vomitare.
«Sono qui, Chuck» si limitò a dire, stringendogli la mano.
 
Per un paio di minuti, ebbi l’illusione che le cose sarebbero state facili.
Ma furono solo un paio di minuti.
Poi Chuck iniziò ad agitarsi, berciò contro l’autista, contro Nate, contro Lissa…
I Guardiani sembravano non sapere come gestire la cosa (erano esperti di lotta, non di adolescenti umani in crisi esistenziale), per cui intervenni io, con il mio solito garbo.
Afferrai Chuck per la cravatta e lo strattonai: lui annaspò miseramente.
«Smettila di agitarti, Bass, e mostra un po’ di riconoscenza!» sbottai «Non siamo venute qui per sentire le tue volgarità!»
Lissa mi lanciò un commento attraverso il Legame:
Cosa fai? Ricordati che non sei Rose, sei Serena!!
Battei le palpebre e guardai Nate, che mi fissava a bocca aperta.
Oh. Giusto.
Mollai il cravattino di Chuck e mi risistemai con grande dignità sul sedile, fingendo che non fosse accaduto nulla.
Quello sputacchiò, si chinò in avanti e mormorò un’oscenità.
Lo sguardo di Dimitri si fece d’acciaio: prima che potesse polverizzarlo, io mi limitai a un consiglio pragmatico:
«Vomita sulle mie scarpe, Bass, e vedrai quello che ti succede!»
Fu Lissa a spezzare la tensione.
«Basta così!» disse, quindi chiese all’autista di fermarsi e aprì la portiera.
Scattammo tutti, tranne Nate.
«Che fai?» chiesi.
«Non può presentarsi al funerale di suo padre in queste condizioni» rispose lei «Gli serve aria!»
Così, tra tutti, estraemmo Chuck dalla macchina e cercammo di farlo camminare.
Lissa gli teneva il braccio e gli parlava in modo rassicurante, a me era venuta la nausea.
Nate sembrava senza parole.
Celeste ed Alto si aprirono a ventaglio per controllare la zona, ma Dimitri mi rimase accanto.
Nate lo occhieggiò sorpreso, ma non fece domande.
«Parenti di Blair» mormorai io, a mo’ di spiegazione.
Lui annuì, decisamente perplesso.
 
Un po’ camminammo e un po’ incespicammo verso il cimitero, ma Chuck non si reggeva proprio in piedi.
Alla fine, Lissa lo spinse contro un albero e gli disse:
«Ok. Mi spiace ma… Devi vomitare»
Non feci in tempo a fermarla che gli aveva già infilato due dita in gola.
Io saltai all’indietro e persino la calma di Dimitri sembrò risentire di quel gesto.
Paradossalmente, Nate era il più tranquillo: era a conoscenza degli alti e bassi di Blair e Chuck e probabilmente questa non era la cosa più strana che era capitata loro.
Io, invece, stentavo a riprendermi dallo shock.
«Ma sei impazzita?» strillai.
Ma Lissa era intenta a consolare Chuck, in preda ai conati.
Scambiai un’occhiata impotente con Dimitri e, per l’ennesima volta, ebbi la tentazione di mandare tutto all’aria e tornarmene in Montana.
Dannazione.
 
Dopo quell’episodio (a dir poco agghiacciante), comunque, Chuck stava meglio.
Se non altro arrivò in chiesa sulle sue gambe ed entrò con furia, seguito da Lissa.
Per quanto riguarda me, c’era una sorpresa ad attendermi.
Li vidi vicini, fuori dalla porta della chiesa.
Oh, no!
 
Quando ce ne andammo da Manhattan in fretta e furia, Lissa si era lasciata con Chuck, mentre io avevo interrotto la mia relazione platonica con Dan Humphrey e avevo iniziato a uscire con Aaron Rose, un tizio che faceva l’artista bohémien.
E questo è il chiaro segno del fatto che, prima di incontrare Dimitri, facevo solo cazzate.
Da quando era entrato nella mia vita mi aveva dato tanto: amore. Istruzione. Conforto.
Quella che ero prima… bè, non ne andavo fiera.
Certo, ero giovane e volevo divertirmi… ma dopo Dimitri, il divertimento come lo intendevo prima non aveva più senso.
Io volevo lui. Non volevo più giocare.
 
Così, quello che provai alla vista dei sorrisi speranzosi di Dan e Aaron fu soltanto fastidio.
Fastidio per le loro arie da cagnolini scodinzolanti, fastidio al pensiero che mi avrebbero cercata per avere spiegazioni e avrebbero insistito con me… per cosa?
Cosa ne sapevano di me?
Mi veniva quasi da ridere.
Passai loro davanti senza degnarli di uno sguardo e loro fecero per avvicinarsi, ma qualcuno si interpose facendomi da scudo.
Nate.
Gli rivolsi un’occhiata di gratitudine ed entrai in chiesa.
Lissa e Chuck erano seduti al primo banco, quindi li raggiunsi.
Nate arrivò dietro di me.
Con la coda dell’occhio, vidi Dimitri in piedi nella navata alla mia sinistra.
Scivolai sulla panca e mi guardai attorno: visi che conoscevo, persone con cui avevo mangiato, bevuto, mi ero divertita.
Sembrava un’altra vita.
Era così lontana da quella che ero diventata, dalla consapevolezza che avevo raggiunto.
Mi mancava?
A volte sì.
Le volte in cui era tutto difficile, in salita.
Le volte in cui temevo di non farcela. Le volte in cui ero preoccupata per l’equilibrio mentale di Lissa. O quelle in cui avrei voluto essere una ragazza normale, con una relazione sentimentale normale.
In quelle volte, essere Serena mi sembrava un sogno: senza problemi, senza vincoli.
Ma la maggior parte del tempo sapevo che non esistevano scorciatoie e che quello che ero chiamata a fare superava per importanza qualunque incertezza o sogno adolescenziale.
 
Quelle riflessioni si mescolavano ai sentimenti che sentivo provenire da Lissa.
Era come se io fossi andata avanti, mi fossi staccata da quel sogno dorato che era NY e lei ci fosse invece invischiata in pieno.
Mi chiedevo com’era possibile: era da tanto che aveva chiuso con Chuck.
Aveva Christian.
Eppure… guardai Dimitri con la coda dell’occhio.
Forse certe emozioni, semplicemente, non passano mai.
 
La funzione non durò molto a lungo.
Lissa tenne la mano di Chuck per tutto il tempo, ma al momento di uscire per accompagnare la bara lui scattò in piedi e non attese il feretro, ma si diresse fuori.
Lissa gli fu subito dietro.
Immaginavo i guardiani che si attivavano subito, cercando di non dare nell’occhio.
Sospirai, ancora seduta.
Nate mi strinse con il braccio destro e sorrise, comprensivo.
«Non vuoi vederli insieme, eh?»
«No, io…» ci pensai su «Voglio che Blair sia felice e non credo che lui possa farla felice. Loro… si fanno del male a vicenda, si distruggono. Non va bene. Sapere che voleva tornare per lui….bè, è stato un colpo»
Nate annuì, però disse:
«Lei gli è mancata. Non l’ho mai visto così»
Chuck era il suo migliore amico, era ovvio che gli stesse al cuore.
Cercai di non pensare alle implicazioni di Lissa e Chuck che si rimettevano insieme.
«Nate, il loro momento è passato. Noi ormai… noi studiamo in un’altra città e francamente…»
«Ah, giusto, il trasferimento» mi interruppe lui «Dov’è che siete andate? Era Montreal? E perché?»
Fortuna che mentivo con grande facilità.
«Ho una zia lì, è una bella città» dissi, sbrigativa, e mi alzai «Ormai New York è il passato per me e Blair»
 
Uscii dietro il feretro, in una processione lenta.
Buffo.
Non volevo venire e ora ero l’unica di noi che sembrava preoccuparsi del funerale.
Il cimitero era subito fuori dalla chiesa e tutto era già predisposto.
Abbracciai amici e conoscenti e poi andai in cerca di Lissa.
Non era lontana: era accovacciata vicino a Chuck, che aveva nascosto il viso tra le mani.
Celeste e Alto la scrutavano non lontani.
Cercai Dimitri con gli occhi e lo vidi fissarmi: gli sorrisi discretamente.
Quindi mi avvicinai a Lissa, più per abitudine che per bisogno reale: non volevo interrompere quella scena, era un momento chiaramente privato.
Non sapevo come consolare Chuck.
Mi dispiaceva per quel dolore che stava vivendo, ma mi sentivo lontana da lui e dai nostri vecchi amici.
Avevamo mentito a tutti loro.
Ci eravamo inserite in un mondo che non era il nostro, sapendo già che avremmo dovuto lasciarlo.
Non era giusto illudere le persone.
Non saremmo dovute essere lì: Chuck meritava qualcuno di stabile nella sua vita.
Aveva appena perso il padre.
Avrebbe perso Lissa, di nuovo.
E, anche se sentivo il desiderio di lei per lui, sapevo che era sbagliato.
L’ultima dei Dragomir e un umano?
Mai.
Impossibile.
Non che Christian Ozera fosse la persona migliore che conoscevo, ma… le voleva bene, davvero.
Ed era un Moroi, sebbene di dubbia reputazione a causa di vicende familiari oscure.
Ed era…giusto.
Lissa con lui aveva ritrovato l’equilibrio, un equilibrio che con lei era difficile e sfuggente.
Come avrebbe fatto a stare con un umano?
Lasciando la scuola? Mentendo a tutti, Chuck per primo?
Era chiaro che era impossibile.
Ma, più io ne ero certa, più sentivo che, al contrario, lei si intestardiva.
Voleva tornare.
Voleva essere Blair.
Senza il peso di una casata in disfacimento sulle spalle, senza la solitudine derivante dal fatto di essere l’ultima Dragomir.
Lissa voleva scappare, voleva evadere, voleva una vita diversa.
La capivo, per carità.
Ma non era quella la soluzione.
 
La guardai, preoccupata.
Come potevo farglielo capire?
Osservai il suo viso felice, mentre stava vicina a Chuck, e rabbrividii.
Sentii un peso sulle mie spalle e mi voltai: Nate mi aveva dato il suo soprabito.
Sorrisi, riconoscente, mormorando un grazie.
Lui mi rimase vicino.
Alzai la testa dopo poco e vidi Dimitri con gli occhi fissi sul braccio di Nate, ancora sulle mie spalle.
Aveva un’espressione dura e io mi affrettai a divincolarmi con tatto.
Fu Nate a rompere il silenzio:
«Chuck» mormorò «La veglia…»
Bass si alzò, senza una parola, e marciò verso la macchina.
 
 
Iniziavo ad essere stufa di questo stato di cose.
Chuck andava, Lissa gli correva dietro, noi correvamo dietro a lei.
Nate seguiva passivo.
In auto, mi sedetti deliberatamente accanto a Dimitri.
Lui rimase impassibile, mentre le nostre braccia e le nostre gambe si sfioravano.
Nessuno batté ciglio: dopotutto, era il mio istruttore.
Non parlammo.
I Guardiani avevano la tipica aria da controllo-tutto-ma-non-vedo-né-mi-interessa-nulla, Lissa era sempre addosso a Chuck.
Repressi un sospiro.
 
 
La veglia somigliava a un party esclusivo, come sempre in quella città.
Gente elegantissima, cocktail sfiziosi.
Alto guardava tutto con aria disgustata.
Chuck era ombroso, evitò sgarbatamente chiunque gli rivolgeva la parola.
Lissa continuava a seguirlo come un’ombra.
Sospirai e mormorai a Dimitri:
«Mi serve un drink»
L’occhiata che ricevetti in risposta era tutta un programma.
«Sei in servizio» bisbigliò di rimando «Non voglio sentir parlare di drink!»
Lo guardai, supplichevole.
«Mezzo bicchiere?»
L’occhiataccia che ricevetti era eloquente.
«Ok» mi arresi.
Chiesi un succo di frutta, sentendomi una martire.
«Comunque qui non ci sono Strigoi» bisbigliai, sedendomi su un divano da cui potevo tenere d’occhio Lissa.
«Non puoi mai sapere cosa succederà» disse lui, serio.
«Ma questa è Manhattan! Loft con vetrate ovunque! Sole accecante che ridurrebbe in polvere qualsiasi Strigoi!»
Lui scosso il capo.
«Sai cosa voglio dire: non importa quanto sia improbabile un attacco. Devi sempre essere pronta. Se non lo fossi e accadesse qualcosa a Lissa, allora sì che sarebbe tardi per rimpiangerlo!»
La sua logica mi zittì.
Aveva ragione, lo sapevo.
Non mi aspettavo nulla di diverso, da lui.
«E come faccio per proteggerla da questo?» feci un cenno discreto «Dal farsi spezzare il cuore?»
Dimitri scosse il capo.
«Non puoi. Non puoi fare tu tutto per lei. Lo so che vorresti proteggerla e non solo in senso fisico… Ma lei è una persona. Fa le sue scelte. I suoi errori. È giusto così: non puoi decidere tu, per lei, sulla base di quello che ritieni giusto»
«Ok, ma stavolta quello che io ritengo giusto è giusto e basta e…»
A lui scappò un sorriso.
«Lo è secondo te, ma secondo lei no. Ed è giusto che lei possa scegliere»
«Si farà del male, Dimitri!»
«Forse sì, ma imparerà dal suo errore. Guarirà. Capirà…»
Facile a dirlo, ma per me vederla soffrire era un tormento.
Sbuffai e lui sorrise.
«Se lei impedisse a te di fare qualcosa che vuoi davvero, tu come reagiresti?»
Stavo ancora guardando Lissa e rimuginando sui suoi sentimenti, per cui risposi sovrappensiero:
«Ma lei lo fa già. Non volendo… ma lo fa»
 
Fu come aver scagliato una bomba.
Dimitri si irrigidì e anche io, appena mi resi conto di quello che avevo detto.
Da dove mi era uscito?
Non volevo incolpare Lissa della mia disastrosa situazione amorosa.
Cioè… tecnicamente era in parte per causa sua se io e Dimitri non stavamo insieme, ma io capivo.
Lo accettavo.
Lei veniva prima.
Annaspai e Dimitri disse, sorpreso:
«Rose, io…Io… Mi dispiace, non devi accusare Lissa se…»
Feci un gesto per interromperlo.
«Ho detto una sciocchezza, scusa» dissi, brusca.
Ero arrabbiata con me stessa per essermi fatta sfuggire quello stupido commento.
«Comunque, dovresti chiamarmi Serena»
Dimitri colse la mia volontà di cambiare discorso, come coglieva tutto di me.
Sospirò ed accettò il brusco cambio di discorso.
Tanto, cosa potevamo dire della nostra situazione?
«Non riesco» rispose «Non hai l’aria di una Serena»
«Ah no? Sicuro non ho l’aria di Rose, ora!»
Indicai il mio abito elegante, i capelli curati.
All’Accademia ero sempre in palestra, a combattere, per cui legavo i capelli o, se li lasciavo sciolti, non avevo comunque tempo per trucco e vestiti.
Ma lui scosse il capo.
«Ma certo che hai l’aria di Rose»
«Figuriamoci» lo liquidai, divertita «Ascolta, so che voi uomini non badate a certi dettagli, ma oggettivamente questo è troppo. Sembro un’altra. Cioè…sembro la me di prima. Molti fronzoli e poco cervello»
La buttai sullo scherzo, ma lui rimase serio.
«Tu non sei affatto così»
«Ma come? Questo è un ottimo momento per un predicozzo su come la vanità sia inutile nella vita di un guardiano!» scherzai.
Mi aspettavo almeno un sorriso, ma lui, serissimo, rispose:
«Non ti serve un vestito per essere bella. Sarai un grande guardiano… Ma questo non fa di te una brutta donna»
 
Trattenni il fiato, mentre i suoi occhi scuri si fissavano nei miei.
Un milione di cose non dette passò tra noi in quell’attimo.
Dio mio, che voglia di abbracciarlo.
Mi trattenni e mormorai, senza fiato:
«E se divento come Celeste? Se non sarò più capace di infilarmi una gonna?»
Stavolta sorrise e i suoi occhi scuri accarezzarono il mio corpo.
«Sarebbe un peccato…» mormorò, pianissimo.
Avevo i brividi.
Mi avvicinai a lui, senza rendermene conto.
Entrambi avevamo il respiro pesante.
Lo vidi fissarmi le labbra.
Oddio.
Oddio, cosa stava per…
 
E poi, sentimmo un ruggito furioso e schizzammo entrambi ai nostri posti, allontanandoci.
Ci misi un attimo a capire cosa stava succedendo: ero ancora sulla luna.
Poi vidi Chuck marciare verso la porta e Lissa inseguirlo.
Le corsi dietro.
Vicino all’ascensore si misero a discutere ad alta voce, con lei che lo supplicava di non andarsene e lui che strillava insulti.
Lo presi per un braccio e lo strattonai.
«Ehi!» esclamai, furiosa «Vedi di essere educato: siamo alla veglia per tuo padre, dannazione!»
Nate era arrivato e trattenne Lissa.
«Ehi, amico, Serena ha ragione» mi supportò «Non è il momento per certe scene…»
«Ma che cazzo volete tutti, eh?» ruggì invece Bass «Chi vi ha chiesto di venire e di starmi addosso, eh?»
Poi puntò il dito contro Lissa.
«E tu, Blair, che prima sparisci e poi vieni a dirmi quanto è bella la vita e quanto è importante viverla… Vai all’inferno!»
Detto questo, entrò nell’ascensore e premette rabbiosamente il pulsante che fece chiudere le porte.
 
Noi restammo in silenzio.
Guardai Lissa e vidi i suoi occhi pieni di lacrime.
Nate tossicchiò, imbarazzato, e mormorò qualcosa sul correre dietro a Chuck.
Io abbracciai Lissa.
Dimitri fece qualche passo indietro, ma rimase vicino.
Lei era inerte tra le mie braccia.
Le accarezzai la schiena.
«Ehi. Va tutto bene» dissi, in automatico.
Scosse il capo.
Io scambiai un’occhiata con Dimitri, poi chiusi gli occhi.
Perché, perché lui mi conosceva meglio di quanto io conoscessi me stessa?
«Ok, ascoltami. Se è quello che vuoi, allora devi corrergli dietro»
Lissa alzò il capo, guardandomi scioccata.
«Ma se continui a ripetermi…»
La interruppi:
«Lo so. Lo so. Ma io… non posso decidere per te. Non è giusto. E, anche se vorrei proteggerti da tutto, ci sono cose che è giusto che tu viva. Devi fare quello che per te è giusto, Liss. Io ci sono comunque, per te»
Lei rimase senza parole, poi mi abbracciò.
Ricambiai l’abbraccio e la sentii mormorare:
«Non so cosa fare. Aiutami!»
«Tu cosa vuoi?» chiesi, anche se lo sapevo già.
Il Legame mi diceva già quanto intenso fosse il suo coinvolgimento.
«Vorrei… vorrei poter parlare con lui come facevamo prima»
Annuii.
«Devi dirglielo, allora»
«Ma lui…»
«Oh, senti, Liss» sospirai «Ci hai trascinati qui dal Montana per vederlo, gli hai ficcato due dita in gola per farlo vomitare… e siete ancora al “tre parole, sette lettere”? Ma scherzi?»
Lei fece una smorfia buffa.
«Va bene, ho capito. Vado»
Le strinsi una mano, affettuosamente.
«Sono fiera di te»
Lei mi sorrise e chiamò l’ascensore.
 
Guardai Dimitri: mi sorrise anche lui e fece un cenno con il capo.
«Brava, Roza» mormorò.

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Capitolo 5
*** Tre parole, sette lettere ***


 
“Juliet had it easy; she never had to kill Romeo.” 
Rose, 
Last Sacrifice

Scendemmo in strada più lentamente.
 
Volevo dare a Lissa il tempo di parlare con Chuck.
Comunque, la controllavo dal legame.
Dimitri lo sapeva, per cui non chiese di correrle dietro.
Aveva capito anche lui che Lissa aveva bisogno di privacy in quel momento.
Certo che il lavoro di guardiano è ingrato a tratti, riflettei tra me.
Cosa dovevi fare se il tuo Moroi spariva per un’avventura galante?
Lo seguivi fin dentro la camera da letto?
 
Dimitri mi riscosse da quei pensieri con una domanda:
«Cosa intendevi prima? Quando le hai detto delle tre parole?»
«Oh»
Tornai al presente, cercando di non pensare a me che piantonavo la camera da letto di Lissa con a fianco Dimitri. Quello sì che sarebbe stato duro.
«Bè, è una frase che Lissa e Chuck si sono detti più volte, a vicenda… prima. Il problema è che questo loro rapporto ha un po’ i contorni di una sfida… Erano arrivati a sfidarsi su chi avrebbe ammesso per primo di amare l’altro. “Tre parole, sette lettere”…sono: “io ti amo”»
Arrossii nel dirlo.
Chissà se avrei mai potuto dire a lui…
Restò in silenzio, meditabondo.
«A volte i sentimenti fanno paura» disse poi in tono neutro.
Non saprei dire se parlava di loro… o di noi due.
Io scrollai le spalle.
«Non penso che ammettere di amare qualcuno significhi ammettere di essere deboli»
Si fermò di botto e mi guardò.
Il mio cuore perse un colpo, ma alla fine lui si limitò a dire:
«Già. Nemmeno io lo penso»
Prima che potessi mettere ordine nel tumulto di emozioni che quella frase mi scatenò dentro – soprattutto visto che era combinata a un’occhiata da infarto – lui riprese a camminare.
Io battei le palpebre, confusa, ma un attimo dopo sentii Lissa chiamarmi attraverso il Legame.
Una Lissa disperata.
Ovviamente, lei era la mia priorità, per cui scattai in avanti e corsi fuori.
Sentii Dimitri che mi seguiva senza fare domande: sapeva che su Lissa io avevo sempre ragione.
 
Arrivai in strada e quasi mi scontrai con lei, che si gettò tra le mie braccia senza dire niente.
Non servivano, le parole.
Lo vidi nel Legame.
Lei che rincorreva Chuck e lo pregava di aspettare, di parlarle.
Che prendeva coraggio e ammetteva di amarlo.
E lui che la guardava freddamente, senza rispondere.
E se ne andava.
 
Merda.
Ma perché le avevo consigliato di esporsi in quel modo?
Maledetto Chuck.
Dovevo solo trovarlo… e poi, povero lui.
Accarezzai i capelli di Lissa finché non la sentii calmarsi.
Ma ancora non mi lasciava: era in imbarazzo.
Sospirai e la allontanai da me, cercando di sorridere.
«Vado ad ammazzarlo» dissi.
A lei scappò quasi un sorriso, soprattutto perché Dimitri alzò gli occhi al cielo.
«Non è colpa tua, Rose» disse lei.
«Invece sì, perché ti ho spinta io ad aprirti con lui, dimenticandomi che è solo un coglione e…»
«No» negò lei «L’ho deciso io. Non è colpa tua»
Ripensai alla conversazione di poco prima con Dimitri e annuii, mordendomi un labbro.
«Ok. Torniamo a casa?» chiesi, speranzosa.
Lissa si adombrò subito.
Gettò un’occhiata a Dimitri, che era lì imperscrutabile, e poi mormorò:
«No! Chuck dà un party, stasera!»
«Un party?!» persino io, che ero una che amava le feste, lo trovai di cattivo gusto «Ma se suo padre è appena morto!»
Lei scosse il capo.
«Ma non lo capisci? È distrutto! Ma non vuole darlo a vedere. È il suo modo di annegare il dolore»
Mi rimangiai i mille commenti poco generosi che mi salivano alle labbra.
 
*
 
Con grande stupore di Lissa, rinunciai allo shopping.
 
Lei voleva essere bellissima per Chuck, quella sera, ma io non me la sentivo proprio di ripetere l’esperienza della mattina.
La accompagnarono Celeste e Dimitri: lui voleva certamente evitare una lite con Alto, che all’idea di altro shopping rischiò seriamente di farsi venire un colpo apoplettico.
Ma – credo – voleva anche evitarmi.
Troppa attrazione nell’aria: dovevamo rientrare nei limiti.
I nostri limiti scarsamente funzionanti ma più sicuri.
Rimasi a casa e il pomeriggio passò in un lampo.
Ragazzi, che gran cosa la TV satellitare.
E i pasticcini di Dorota, per di più.
Quando Lissa tornò venne a farmi vedere i suoi acquisti e io mi trattenni dal commentare la biancheria che aveva comprato.
Poi, però, ci ripensai e la seguii in camera sua.
«Non stai pensando di tradire Christian, vero?»  chiesi, entrando di corsa.
Lei, che si era appena seduta in poltrona, fece un salto dallo spavento.
«Ma vuoi farmi morire?! Ma certo che no!»
Però era arrossita.
Sospirai.
«Ok, Liss, non credevo che sarebbe arrivato questo giorno, ma devo dirlo: tu e Christian siete una bella coppia. Lui ti ama. Non è giusto quello che stai facendo»
Lei si morse un labbro con aria colpevole.
«Rose, io… Io tengo tantissimo a Christian. Ma quando sto con Chuck… Mi sento viva. Con lui è tutto…a mille! Devo chiarire questi miei sentimenti se voglio essere onesta con Christian. Se voglio che con lui funzioni»
Incrociai le braccia sul petto.
«E quanto sei disposta a spingerti avanti?» chiesi, brutale.
Lei non rispose.
Era in difficoltà, ma io non mi trattenni.
«Ascolta, Liss, secondo me sei ancora attratta da lui e lo capisco. Ma penso sia più un fatto fisico che mentale»
Lei stava già negando, ma io mi affrettai a continuare:
«Non può essere diversamente perché lui non sa niente di te! Della vera te, intendo. Non sa che sei una Moroi, che sei l’ultima dei Dragomir. Diavolo, Liss, non sa nemmeno che esistono i vampiri! Ma che relazione pensi di poter avere con uno che non sa chi sei? A cui non puoi raccontare nulla di te?»
«Ma…» sembrava spiazzata «Ma tu hai sempre flirtato e sei uscita con…»
«Appunto. Flirtato. Sono uscita con ragazzi con i quali sapevo già che non avrei costruito nulla. E che non mi mancano. Diamine, oggi ho visto Aaron e Dan in chiesa e devo dire che mi ero praticamente scordata che esistessero! Non puoi essere seria, Liss: se torni con Chuck, come farai con l’Accademia? Con la tua vita?»
«Ma dopo l’Accademia potremmo tornare qui!»
«Ma tu resti l’ultima dei Dragomir! Hai dei doveri! Sei l’ultima della tua casata, dovresti andare a Corte!»
«Non voglio!» si ribellò lei «Io sono una persona! Voglio vivere la mia vita!»
«Una vita di bugie? Con un burattino? Ma che cosa dici?»
Una tosse discreta ci interruppe.
I tre guardiani erano sulla porta, mi resi conto solo in quel momento che stavamo urlando.
Lissa arrossì e si voltò, io mormorai una scusa.
Poi mi voltai verso di lei, ma il Legame mi disse che non voleva discutere.
Nel profondo, sapeva che avevo ragione.
Ma non voleva ascoltarmi.
 
*
 
Mi preparai in silenzio, senza alcuna voglia di andare a una festa.
Tuttavia, quando mi presentai in salotto, presi una lavata di testa gigante da Stan per via del mio abbigliamento.
«Ehi!» risposi, seccata «Si rilassi, insomma! È una festa!»
Va bene, forse il mio abito era un po’ corto.
Giusto un po’.
Ma chi, di sera, usciva con le gonne al ginocchio per un party in un locale?
Guardai di sfuggita Dimitri… e fu un errore.
Perché lui mi stava fissando.
E fissando.
Avvampai, ma rimasi immobile.
Adoravo quando perdeva il controllo in quel modo e la sua espressione…
Si voltò di scatto e io mi ritrovai a cercare di riprendere fiato.
Arrivò Lissa, che a quanto pare temeva altre mie rimostranze, ma io quasi non la vidi.
Cavolo.
Che vita di merda.
 
La festa era volgare ed esclusiva come mi aspettavo da un Chuck depresso.
Celeste pareva sconvolta mentre osservava le ballerine discinte che si esibivano su un palco.
Alto le guardava con gli occhi di fuori, invece.
Perfetto, ci mancava solo questa.
Lissa marciò diretta verso il palco, sapendo che avrebbe trovato Chuck proprio lì sotto.
Io, nemmeno a dirlo, seguivo a ruota.
L’esordio non fu dei migliori.
Lei si parò speranzosa davanti a Chuck, dal quale ottenne solo un ebbro sguardo lascivo e una proposta oscena:
«Blair… Vuoi unirti alle signorine? Deliziaci… Ricordo una tua danza degna di Salomè»
Era una chiara allusione alla prima volta che avevano fatto sesso.
Strinsi i pugni e mi feci avanti con il chiaro intento di spaccargli la faccia, ma Lissa mi prese per un braccio.
«Offrimi da bere, piuttosto»  disse.
Lui esitò un attimo, poi scrollò le spalle.
Si diressero verso il bar e io dovetti impormi di non seguirli.
Non puoi ammazzarlo, Rose – mi ripetevo – Calma.
Mi piazzai a lato della pista, in modo da tenerli d’occhio.
I guardiani si erano divisi e avvistai Dimitri poco lontano da me.
Lo sorpresi a fissarmi e lui, sussultando, distolse lo sguardo.
Mi tornò in mente l’occhiata che mi aveva lanciato a casa.
Oh no.
Ora sì che avevo un problema: impedirmi di correre da lui.
Una mano sul braccio mi distrasse da fantasie inopportune di me che gli correvo incontro e gli strappavo i vestiti di dosso.
Misi a fuoco Nate con una certa difficoltà.
Mi stava sorridendo.
«Vuoi ballare?» chiese.
Ballare.
Era una vita che non ballavo.
Alzai le spalle.
«Certo!»
 
Il fatto è che, un tempo, io adoravo ballare.
Adoravo le feste e NYC mi piaceva proprio per questo.
Era fantastico.
Mi lascia trascinare da Nate in mezzo alla pista e lui mi circondò con le braccia.
Ci sorridemmo: sapeva di casa.
Ballavamo bene insieme, non era la prima volta.
Iniziammo a chiacchierare e ci misi poco a ricordare come mai Nate era il ragazzo più desiderato del liceo: non era solo bello.
Era dolce e tenero e sapeva farti ridere.
Ma perché non mi ero innamorata di un ragazzo normale?
Errore: non che Dimitri non fosse normale (semmai, era bello e speciale oltre l’ordinario).
Era la nostra situazione che non era normale.
Sospirai e Nate, a sorpresa, mi fece fare una piroetta veloce e poi mi riprese tra le braccia.
Lo fissai, disorientata.
«Che cavolo fai, Archibald?»
«Richiamo la tua attenzione» mi sorrise «Sbaglio o hai la testa altrove?»
Non sbagliava.
Feci una smorfia.
«Ok» ci pensò su «Sei preoccupata per Blair»
Risi.
«Mi conosci troppo bene!»
Sorrise di nuovo e fece scorrere una mano sulla mia schiena.
«Puoi giurarci» rispose «Mi sei mancata»
 
Alla fine, mi stavo quasi divertendo.
Stavo ridendo con Nate a proposito di una vecchia storia, quando la sentii.
Lissa.
Che piangeva.
Mi staccai di botto da Nate e mi guardai intorno.
Cavolo.
Ma dov’erano tutti?
Non vedevo nemmeno Dimitri.
«Che succede?» chiese Nate, disorientato.
«Dove sono Blair e Chuck?» risposi, secca.
Non era il momento di dare spiegazioni.
Ci misi un attimo ad orientarmi e poi marciai decisa fuori da una porta secondaria e mi diressi lungo un corridoio scarsamente illuminato.
Scesi tre gradini e mi trovai di fronte a una scena surreale.
I guardiani erano stipati ai lati di una porta aperta, in evidente imbarazzo.
Dentro, Chuck e Lissa gridavano e si urlavano addosso; lui con la camicia slacciata e lei – ahinoi – con il vestito sbottonato fino alla vita e il seno in bella mostra.
Non se ne era nemmeno accorta, da quanto era furiosa, ma Dimitri e Alto non sapevano chiaramente dove guardare: non volevano lasciare Lissa, ma di sicuro non volevano guardare una ragazza urlante con il seno esposto.
 
Entrai nella stanza, mollai un ceffone a Chuck e passai un braccio attorno alle spalle di Lissa, sistemandole il vestito.
«Ehi» le dissi «Ora andiamo a casa, ok?»
Lei mi fissò con gli occhi sgranati.
Nate, intanto, aveva preso da parte Chuck e cercava di calmarlo.
«Col cazzo che mi calmo!» urlava lui «Col cazzo!»
Mollò uno spintone a Nate e uscì correndo dalla stanza.
Mi preparai a impedire a Lissa di raggiungerlo, ma per fortuna non sembrava intenzionata a farlo.
Si strinse nel mio abbraccio e mormorò che voleva andare a casa.
Ero ben felice di accontentarla.





***
In ritardo, ma forse vale lo stesso?! :)
Questo è l'outfit di Rose-Serena!
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Buona lettura,
Joy


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Capitolo 6
*** Risveglio ***


 
"You’re burned into my mind forever. There is nothing, nothing in this world that will ever change that."
Dimitri to Rose - "Blood promise"



Mi strinsi le ginocchia al petto.
 
Io e Lissa eravamo sedute sul suo letto, avvolte nel raso della trapunta delicata.
Lei indossava una sottoveste di seta e io delle culotte di pizzo e una canotta in raso color avorio.
Lissa giocherellava con il copriletto, io aspettavo in silenzio.
Alla fine, si lasciò andare contro la testa imbottita del letto e sospirò.
«Cos’è successo, Liss?» chiesi.
Lei sorrise.
«Non lo sai già?»
«Non ho sbirciato! Volevo che me lo dicessi tu!»
«Cos’è, una specie di terapia imbarazzante?»
Ma lo disse sorridendo.
Si era calmata e sembrava abbastanza tranquilla.
Io scrollai le spalle.
«Perché, non sarei una brava terapista?»
Lei scoppiò a ridere.
«Saresti tremenda! Sei un’ottima amica, ma saresti una terapista tremenda!»
Io feci una smorfia.
«Vabbè»
«Comunque, signora terapista… In sostanza avevi ragione tu. Siamo andati al bar e abbiamo iniziato a parlare e… bè, quando Chuck si calma è davvero come se il tempo tra noi non fosse passato! È brillante, affascinante… Mi intriga, Rose, davvero. E poi sai… Abbiamo preso un altro drink e da lì siamo andati a fare due chiacchiere da soli. Solo che…»
Esitò e io attesi.
Volevo che si prendesse il suo tempo: avere un Legame non significava che la tua migliore amica non avesse bisogno di sfogarsi con te.
«Quando abbiamo iniziato a parlare di suo padre e del futuro, è diventato tutto così strano! Ho cercato di ragionare con lui, di dargli dei consigli… Ma è stato così difficile! Avevi ragione, non potevo dirgli nulla di me! non potevo nemmeno promettergli di esserci, per lui! Avrei voluto dirgli come mi sentivo quando ho perso i miei genitori… Ma lui non sa che li ho persi! O mio fratello! Mi sentivo…una bugiarda!»
«Oh, Liss» sospirai prendendole una mano «Non potevi certo dirglielo!»
I suoi occhi scintillarono di lacrime.
«Ma come posso voler stare con qualcuno a cui non posso dire tutto di me? Non so… Mi sembrava di aver costruito così tanto con Chuck, quando eravamo qui! E a volte lo paragonavo a Christian e… bè…»
Non finì la frase ma sentii l’imbarazzo attraverso il Legame.
Certo.
Se paragonato all’affascinante e mondano Chuck, Christian sembrava decisamente noioso.
Eppure… Lo so, non era da me perché io lo trovavo antipatico… Ma c’era fermezza e solidità nell’amore di Christian per Lissa.
In quello di Chuck, invece no: era troppo egocentrico e distruttivo, soprattutto in questo momento.
«Christian ti ama molto» dissi, ferma.
Lei annuì.
«Lo so, lo so… è che Chuck è stato il mio primo amore e il ricordo a volte è così…»
«…Ingombrante?» completai.
Lei annuì.
«Io l’ho amato. Vorrei poterlo aiutare… E vedere che il mio amore non gli basta… Mi fa male!»
«Capisco» sospirai.
 
Capivo davvero.
Voglio dire, l’amore può essere una grande fregatura.
Pensai a Dimitri, a come lui sembrava leggermi nella mente.
A come mi fidassi ciecamente di lui, a come ci completavamo.
«Liss, secondo me l’amore non deve per forza travolgerti e sconvolgerti, per essere amore. Magari con Christian è più prudente, meno estremo, meno folle… Ma non vuol dire che non sia amore. Non vuol dire che se non c’è il tormento e l’ansia non ci possa essere la passione. Anzi. Ormai… non dovrebbe più essere così. Dovrebbe esserci la stabilità, la fiducia, la forza!»
Interruppi la mia perorazione quando notai che Lissa mi fissava a bocca aperta.
«Che c’è?» chiesi debolmente.
«Ti giuro, a volte mi lasci senza parole. Eri tu quella pazza e imprevedibile… E invece a tratti riesci a sorprendermi, come se non ti conoscessi da una vita! Prima quei discorsi sulla libertà, ora l’amore maturo…»
Scosse il capo e io le feci una linguaccia, ma mi diedi uno schiaffo mentale.
Cavolo.
Se avevo deciso di tenere Lissa all’oscuro dei miei sentimenti per Dimitri, era il caso che mi dessi una regolata.
Del resto, sapevo come avrebbe reagito: se ne sarebbe assunta la colpa.
E io non volevo.
«Quindi, ricapitoliamo: non va, eh?»
Lei scosse il capo.
Il rimpianto permeò il Legame.
«Liss, sei stata coraggiosa, comunque. E generosa»
«Ma non sono riuscita ad aiutarlo!»
«Non puoi aiutare chi non vuole farsi aiutare…»
Annuì.
«È così strano… Chuck è stata un’ossessione per così tanto tempo… Mi sembra irreale che ora sia così lontano dalla mia vita!»
«La tua vita è lontana da qui» le sorrisi «Rompere i legami con il passato è dura… Ma fa anche bene. Il tuo futuro non è qui, Liss»
«Già. Il nostro futuro è altrove» mi strinse la mano «E Nate?»
«Nate?» chiesi, sinceramente stupita.
«Sì… Vedo che il vecchio feeling tra voi è rimasto!»
«Oh» scossi il capo «Ma figurati! È solo un amico»
«Un amico decisamente figo!» mi sorrise, maliziosa.
Io risi.
«Sì, decisamente. Ma solo un amico. Come potrei raccontargli che il mio tempo non lo passo dall’estetista, ma in palestra ad allenarmi per uccidere Strigoi?»
Lissa rise di cuore.
«Mi sa che non capirebbe»
«Mi sa che sono d’accordo!»
La abbracciai, poi suggerii con un pizzico di esitazione:
«Che ne dici di chiamare Christian per dargli la buonanotte?»
Lei esitò.
«Forse sarebbe carino… Non lo sento da un po’»
Le diedi un bacio.
«Sarebbe molto carino!»
 
*
 
Ero contenta che Lissa ci avesse pensato su.
Anche se questo significava di certo che avremmo lasciato presto NYC.
Lei non aveva più motivo per restare e i Guardiani non avrebbero esposto l’ultima dei Dragomir a un pericolo di attacco un secondo più del necessario.
Stare lontani dall’Accademia era un rischio.
E così, quella notte mi preparai a salutare la mia vecchia vita.
Non che fosse un dramma: me l’ero già lasciata alle spalle una volta senza problemi.
Ma la scorsa volta partimmo di corsa.
Oggi mi presi il tempo di guardare le vecchie foto, di sorridere sfogliando l’annuario di scuola.
Camminai nella mia cabina armadio accarezzando i tessuti preziosi e mi chiesi se, per caso, non sarei diventata anche io una come Celeste, terrorizzata ad accarezzare uno scampolo di seta.
Sperai ardentemente di no.
Quello e le rughe: per favore, no!
 
 
Alla fine del mio viaggio nei ricordi scesi in cucina per prendere un po’ della cioccolata calda che Dorota lasciava pronta per noi ogni sera.
Questo sì che era un lusso che mi sarebbe mancato, in Accademia!
Scesi silenziosa, a piedi nudi, come facevo sempre.
Attraversai l’atrio e mi mossi sicura nella cucina buia: nemmeno mi serviva la luce, era così grande e minimalista che per sbattere contro qualcosa avrei dovuto essere davvero goffa e sfigata.
«Non dormi?»
La voce mi fece cacciare uno strillo di spavento e fare un salto di un metro.
In un attimo, sentii un corpo caldo premere contro il mio e una mano coprirmi la bocca.
 
Solo una persona aveva quel profumo.
Solo una persona poteva provocarmi le vertigini in quel modo, giusto standomi vicina.
 
Io e Dimitri restammo immobili, in silenzio, per qualche lungo minuto.
Qualche lunghissimo minuto.
Le sue braccia mi avvolgevano.
Non so se si fosse reso conto di quanto eravamo vicini… Io, per parte mia, stavo andando letteralmente a fuoco.
Dopo un po’, Dimitri tolse la mano dalla mia bocca e si protese ad accendere la luce sopra il piano cottura.
Ci guardammo e sperai che il poco chiarore celasse il mio viso in fiamme.
«Magari, se non svegliassi mezza casa…» fece.
«Non ho svegliato nessuno!» borbottai, mentre cercavo di calmarmi «Comunque, mi hai quasi fatto venire un infarto!»
Fece un mezzo sorriso, quindi vidi che i suoi occhi indugiavano sulle mie gambe nude.
Si scostò di un paio di passi e io repressi un sospiro.
Era ancora completamente vestito.
«E tu? Non dormi?» chiesi «Troppe comodità mettono a disagio anche te?»
Si passò una mano tra i capelli.
«Certo è una casa bellissima… Ma non mi dispiacerà tornare all’Accademia. Qui è tutto…irreale»
«È un loft. Ma, sottigliezze a parte… capisco. Per me è stato bello tornare. Però sì, è irreale»
Ci guardammo, imbarazzati.
Versai due tazze di cioccolata e mi diressi verso il divano; lui mi seguì e accese una lampada a stelo di design lì vicino.
Mi sedetti raggomitolando le gambe sul divano e sorseggiai la cioccolata.
Dimitri aveva gli occhi fissi sulla tazza e ne approfittai per guardarlo a mio piacimento.
Quando alzò lo sguardo probabilmente io sembravo una drogata.
Di lui.
Mi affrettai a distogliere il mio e bevvi un sorso.
Quando rialzai gli occhi, vidi che mi stava fissando le gambe.
Sussultai e lui si schiarì la gola, imbarazzato.
«Vado a letto…» iniziò.
«Dimitri» dissi, precipitosamente.
Non volevo che se ne andasse.
«Ho parlato con Lissa. Sai, avevi ragione! Avevi ragione a dire che dovevo lasciarla libera di decidere… Si è resa conto da sola che con Chuck non funziona!»
Lui si sedette più comodamente.
«Ne ero certo. Lissa è una ragazza molto intelligente»
«Già» sorrisi «Sono contenta che si sia risolto tutto!»
«A volte bisogna farsi male per capire che si sta sbagliando strada, purtroppo…» disse, sovrappensiero.
Io gli stavo fissando le labbra, ipnotizzata, e mi uscì di getto una frase che non avrei dovuto dire:
«E se ti fai male comunque, anche se non stai sbagliando?»
I suoi occhi si alzarono subito a fissare i miei.
Restammo in silenzio.
Sotto il suo sguardo tremavo.
Non dovevo.
Lo sapevo… Ma volevo comunque.
Mi protesi in avanti e lui fece un gesto con la mano.
«Rose…»
«Se fosse tutto così maledettamente difficile… Ma io pensassi che comunque ne vale la pena?» continuai, febbrile.
Lui sembrava in difficoltà.
«Io… Io non lo so» bisbigliò.
Mi slanciai in avanti e lui, di riflesso, tese le braccia per prendermi.
 
E, in un attimo, ero seduta praticamente sulle sue gambe.
La mia pelle nuda strusciava contro i suoi jeans, le sue mani corsero sulle mie braccia nude.
Ci fissammo, in silenzio.
Poi la sua bocca catturò la mia.
 
Era da quel giorno, in palestra, che non ci baciavamo.
Da quel giorno meraviglioso in cui mi aveva detto che non aveva scelto Tasha, ma me.
Che era innamorato di me.
Era stato stupendo… E così triste.
Perché, anche se aveva ammesso i suoi sentimenti, comunque c’erano mille ostacoli a dividerci.
La mia età. La sua condizione di mentore.
Il fatto che saremmo stati entrambi i guardiani di Lissa.
Ma quando eravamo insieme niente di tutto ciò contava.
Eravamo solo noi.
 
Sperimentai ancora quella sensazione stupenda di essere a casa, tra le sue braccia.
Gli passai le mani tra i capelli, sulle spalle; gli strinsi la schiena.
Non potevo mai toccarlo… e lo desideravo così tanto!
Lui, intanto, faceva correre le mani sulle mie gambe nude, sulla schiena, sotto la canotta…
Sospirai quando allontanò le labbra dalle mie.
O, meglio, boccheggiai in cerca di aria.
Eravamo ancora vicinissimi.
Lui chiuse gli occhi e poggiò la fronte contro la mia.
«Roza» mormorò.
Io sospirai contro le sue labbra e allacciai le braccia dietro il suo collo.
Volevo restare così per sempre.
Non ci eravamo mai solo… abbracciati.
Era meraviglioso.
I nostri momenti insieme erano sempre rubati, ma quella dolcezza inaspettata mi colmava l’anima.
«Allora non ti dispiace venire via?» bisbigliò lui.
«Mmmm?» mugugnai, distratta dal suo abbraccio caldo «No, anzi! Per quanto New York sia bella, quella che abbiamo qui è una vita di bugie… è divertente per un po’, ma non ne vale la pena, francamente»
Dimitri passò lievemente un dito sulla mia nuca e io feci le fusa, praticamente.
«Nemmeno… per quel ragazzo?» bisbigliò poi.
Ero talmente immersa nella mia beatitudine che ci misi un attimo a capire.
«Cosa?» aprii gli occhi di scatto «Quale ragazzo?»
Evitava il mio sguardo… cosa stava succedendo?
«Dimitri? Quale ragazzo?»
Gli presi il viso tra le mani.
Mi guardò, ma sembrava in difficoltà.
Non avevo mai visto Dimitri in difficoltà.
«Quel ragazzo con cui ballavi alla festa» disse poi.
«Nate?» ero sinceramente senza parole.
 
Ma era serio?
L’amore della mia vita si stava preoccupando di Nate Archibald?
 
Dimitri distolse lo sguardo.
«Dimitri, ma… Seriamente, c’è bisogno che io ti dica…»
Ecco, adesso ero imbarazzata anche io.
Sbuffai.
«Insomma, non puoi essere serio! Ma ti pare che sarei qui con te, ora?»
Lui passò una mano sulla mia coscia.
«È che…» mormorò «Che sarebbe molto più facile…»
«Sì… Se tralasciamo il fatto che non potrei mai dirgli niente di me»
Gli presi il mento per fargli alzare il viso e dissi, pacata:
«E se tralasciamo il fatto che a me non interessa nessuno che non sia tu»
I suoi occhi si illuminarono e lui si sporse a baciarmi.
A un centimetro dalle mie labbra disse:
«Non ho il diritto di chiedertelo»
Sbuffai.
«Invece ce l’hai»
Ci baciammo.
E dimenticai ogni altro pensiero.
 
*
 
Il giorno dopo, all’aeroporto, Lissa mi chiese perché sorridevo come una demente.
«Eh?» borbottai, felice «Chi sorride?»
Lei alzò gli occhi al cielo.
«Ma hai davvero così tanta voglia di tornare all’Accademia?»
«Mmmmm» borbottai, euforica.
Chiusi gli occhi per concedermi di riassaporare ogni dettaglio di ieri sera.
La pelle calda di Dimitri.
Il suo odore.
Le sue labbra.
Oddio, quelle labbra…
«Comunque ho parlato con Christian e avevi ragione: è stato dolce e… bè, mi è mancato»
La voce di Lissa mi strappò dalle mie fantasticherie a occhi aperti.
«Ah. Bene!» commentai.
Lei annuì, arrossendo.
«E, sai… ho davvero voglia di rivederlo! Ero così insicura quando siamo partite, ma… Christian ha un posto nel mio cuore. E Chuck… bè, mi sembra tutto come sogno. Come se stamattina mi fossi svegliata da un bel sogno… che però non ha nulla di concreto»
Le sorrisi e lei mi strinse affettuosamente una mano.
«Rose… grazie! Uno di questi giorni troveremo un ragazzo che ti piace!»
 
Lanciai un’occhiata veloce a Dimitri.
Stava parlando con Stan e aveva la sua solita aria seria e compassata.
Eppure… io sapevo benissimo come quelle labbra potevano essere morbide e dolci, quelle braccia stringermi fino a togliermi il fiato e lui, bè…
Forse avvertì il mio sguardo, o forse fu un caso; comunque, mi lanciò un’occhiata.
I suoi occhi si accesero di un calore nuovo.
Sapevo che anche lui pensava a ieri notte.
Ai baci che ci eravamo scambiati.
A quanto era stato difficile separarci.
A come mi aveva stretta, baciandomi la fronte, quando mi aveva depositata davanti alla porta della mia stanza, prima di andare a dormire.
Richiusi gli occhi, ebbra di amore.
 
Un ragazzo che mi piace.
Certo, come no.


***
Ed eccoci qui, alla fine di questa avventura! :)
E' stata una storia breve, ma io mi sono divertita... Comunque, oer questo fandom, ho altri due progetti stavolta tutti e interamente Vampire Academy!
Il primo è una OS Rose-Dimitri post "Last sacrifice"... no, non vi dico altro, ma è già pronta! ;)
(Immagino non si sia capito che li amo alla follia... Il quote di Dimitri che ho messo in apertura di capitolo mi fa ancora sciogliere!!!!)
Il secondo è un'idea proprio su "L'ultimo sacrificio"...chi di voi lo ha letto? Come lo avete trovato?
Grazie a chi mi ha seguita anche qui!
Vi ricordo la mia pagina Facebook per restare aggiornati su tutte le mie storie: 
https://www.facebook.com/Joy10Efp?ref=hl
Buona lettura,
Joy

 

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