Time will heal

di Lost on Mars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Just give me a reason ***
Capitolo 3: *** You found me ***
Capitolo 4: *** Kids in the street ***
Capitolo 5: *** Hold you ***
Capitolo 6: *** This ***
Capitolo 7: *** Two pieces ***
Capitolo 8: *** Little black dress ***
Capitolo 9: *** Holy ground ***
Capitolo 10: *** Paradise ***
Capitolo 11: *** Whenever I call you friend ***
Capitolo 12: *** What the hell ***
Capitolo 13: *** Neutron star collision ***
Capitolo 14: *** Misguided ghost ***
Capitolo 15: *** Wake me up when September ends ***
Capitolo 16: *** Amnesia ***
Capitolo 17: *** Born to die ***
Capitolo 18: *** Guardian ***
Capitolo 19: *** This love ***
Capitolo 20: *** People help the people ***
Capitolo 21: *** It's time ***
Capitolo 22: *** I'm lost without you ***
Capitolo 23: *** Uguale a lei ***
Capitolo 24: *** Soulmates ***
Capitolo 25: *** We found love ***
Capitolo 26: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
 

Prologo
 
«I have been hurting and now only time will tell, time will heal.»
(Elisa – Broken)
 
La vita di Ashton era sempre stata più o meno tranquilla, come le onde del mare di quella sera di Novembre, dove lui e Lilian stavano seduti sulla spiaggia, vicino al fuoco, a guardare l’oceano.
Ashton amava l’oceano, amava vedere il sole scintillare sull’acqua e amava i Ray-Ban di Lilian, ma quella sera, Ashton l’oceano lo odiava, lo odiava da morire; lo odiava come i biglietti aerei per la California nella scrivania di Lilian e come odiava la valigia di lei già caricata in macchina.
Lilian era accoccolata tra le sue braccia, in silenzio, mentre Ashton le accarezzava i capelli biondo scuro e ogni tanto le lasciava un bacio sulla tempia.
Non c’erano parole da dire, nessuna lacrima da piangere, ora rimaneva solo il tempo da passare insieme, quelle poche ore che li separavano dal cuore spezzato.
Ashton lo sapeva da quattro mesi, e sapeva anche che, tra i due, quello che doveva essere forte per entrambi era proprio lui; aveva cercato di convincersi che quella partenza avrebbe aiutato Lilian, che, forse, in California avrebbero trovato un modo per curarla e che poi lei sarebbe tornata da lui.
Ma la verità era ben altra: le probabilità che sarebbe tornata erano pochissime.
Ashton era convinto che i ragazzi non piangessero, che fosse una cosa da deboli, ma da quattro mesi a quella parte, piangeva ogni notte, e ogni notte si sfogava prendendo a pugni il cuscino. L’unica cosa che riusciva a pensare era: perché lei?
Perché Lilian? Perché toglierle il suo bel sorriso, perché vederla diventare piccola e fragile ogni giorno di più? Perché vederla morire e  non poter fare niente?
Lilian, d’altra parte, fingeva solamente di avere grandi speranze. Gli aveva detto di avere un tumore ai polmoni con una tranquillità quasi snervante e con un sorriso sulle labbra come a dirgli “Non ti preoccupare, amore mio, non sono ancora morta.”
Lilian sapeva che le possibilità di guarire e di riabbracciare Ashton erano minime, quasi inesistenti. Tuttavia, gli sorrideva sempre, anche se sapeva che sarebbe morta. Quello che le dispiaceva, però, era lasciare tutti quelli che amava. Suo padre, sua madre, il suo fratellino, le sue amiche, e poi Ashton.
Le dispiaceva sapere che loro avrebbero sofferto, perché si era rassegnata all’idea di perdere contro il cancro già da tempo, quello a cui non si era rassegnata era lasciarli tutti lì, a piangere per lei.
Non voleva che Ashton piangesse. Voleva solo che, il giorno dopo, lui si sarebbe potuto svegliare con un vuoto di memoria e non ricordarsi di lei, così da non soffrire.
Per il momento, si limitava a rimanergli abbracciata, ad osservare il mare.
«Sai una cosa, Ash?» iniziò, facendo sobbalzare il ragazzo, che smise di accarezzarle i capelli per un momento. «Il mio ospedale ha la vista sul Pacifico.»
«Possiamo non parlare di te in quell’ospedale?» rispose Ashton, stringendola ancora di più.
«Ma io parlavo dell’oceano. Io lo vedrò dalla mia stanza e tu lo vedrai da qui, ci saremo sempre l’uno per l’altra, oltre l’orizzonte.» disse Lilian, alzò la testa e  sfiorò il naso di Ashton con il suo. Per un attimo si dimenticò dei tubi attaccati al suo corpo, che passavano dietro le orecchie, collegati alla bombola d’ossigeno che giaceva sulla sabbia accanto a loro, come un normale zaino.
«Guarda» riprese Lilian, puntando l’indice verso il mare. Ashton seguì ogni suo movimento. «Domani sera, indica l’oceano, io sarò lì.»
«Lily, mi mancherai da morire.» sussurrò Ashton contro il suo orecchio, lei sorrise: amava quando Ashton la chiamava Lily, quando le dava quel soprannome, quando accorciava il suo nome in modo così carino e grazioso.
«Non ci metterò molto, non sentirai nemmeno la mia mancanza.» disse Lilian.
«Non illuderci, Lilian» rispose lui. Non illuderci. Aveva usato il plurale, aveva parlato di loro come fossero una persona sola. «Lo sappiamo entrambi.»
Lei sospirò. «Lo so, Ash. Per questo devi promettermi una cosa.» mormorò.
«Cosa?»
«Se io non dovessi farcela – lei deglutì – e sai che potrei non farcela» iniziò Lilian, prendendo un grande respiro, per quando le consentissero i suoi polmoni.
«Ce la farai.»
«Promettimi che ti rifarai una vita, che non penserai sempre a me, che ti innamorerai di nuovo… perché qui fuori c’è una ragazza meravigliosa che ti meriterà quando io non ci sarò più.» continuò Lilian. «Vivi per me, Ashton.»
«Parli come se fossi già morta. Ma se ritornerai qui, su questa spiaggia, starai bene e staremo insieme. Non mi arrenderò mai, Lily, anche se non voglio illudermi, anche se lo so che è quasi matematicamente impossibile.» disse lui. Le speranze erano poche, era vero, ma non per questo bisognava già darsi per vinto.
«Non sopporterei vederti stare male per colpa mia, Ash, morta o meno.»
 
Il pugno di Ashton fu così forte che, per un attimo, il ragazzo pensò di poter buttare giù il muro.
Sua madre, nella stanza accanto, sussultò e chiuse gli occhi per un momento: le era sembrato giusto farglielo sapere, ma adesso che lo sentiva urlare e prendere il muro a pugni si chiedeva se non avesse dovuto nasconderglielo.
Aprì la porta della stanza del figlio e lo trovò ancora col pugno chiuso appoggiato al muro, la testa bassa. Allora sospirò e «Ashton…» tentò a bassa voce. Lui fece silenzio e si gelò.
«Voglio stare da solo.» sibilò con la voce tremante, poi si tradì da solo, tirando su col naso. Non gli  importava così tanto, alla fine, dare l’impressione di essere invincibile, perché la verità era che faceva male da morire, che senso aveva nascondere d’aver pianto?
«Volevo solo sapere come stavi.» disse ancora sua madre.
«È morta» si limitò a rispondere Ashton. «E sono morto anche io. Adesso, lasciami da solo.»
E lui era rimasto lì, con l’ultima volta che l’aveva vista ancora impressa nella mente. Era meglio che l’avesse vista felice e stretta a lui, l’ultima volta, e non in un letto d’ospedale, con il viso pallido e scarno.
In California non erano riusciti a curare Lilian, le avevano solo allungato la vita. Era morta dopo sei mesi anziché tre. Aveva insistito tanto per andarla a trovare, aveva lavorato per due mesi ed era riuscito a mettere da parte trecento dollari, abbastanza per un volo di andata e uno di ritorno, ma i suoi genitori non gliel’avevano lasciato fare.
Si ricordava ancora di quella sera sulla spiaggia, di quando Lilian gli aveva detto di continuare a vivere per lei, ma come faceva se lui si sentiva morto dentro?

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Angolo di Marianne
Buongiorno, buonsalve, buonasera! La suddetta ""autrice"" invece di studiare cosa fa? Pensa a postare nuove long con cui s'incasinerà la vita, ma è assolutamente logico! Le cose vanno sempre così.
Anyway, non voglio parlare a vanvera perché almeno nel prologo voglio sembrare una persona seria (Io. Persona seria. PFF). Allora, il prologo non è uno dei più felici, lo riconosco da me, ma è di fondamentale importanza per capire la storia. Lilian non è la protagonista ma anche lei è importante ("Fai morire i personaggi quando la storia nemmeno è inizata" -cit) per i miei pazzi disegni che ho in testa. La vera protagonista, invece, arriverà nel prossimo capitolo, ovvero il primo capitolo vero e proprio. Spero vorrete pazientare un po' e non mi abbandonerete subito. ♥
Vorrei ringraziare la prova gratuita di PSPx5 (è ostrogoto, i know) che scadrà ta ventiquattro giorni (piangerò) con cui ho realizzato il banner prima di sclerare per sempre.
Facendo le persone serie, ringrazio Nanek perché mi appoggia e non vedeva l'ora di leggere e perché la sua "So out of reach" mi ha tenuta incollata al computer per troppo tempo. ♥
Credo di non aver più nulla da dire se non che spero di aggiornare il più presto possibile ^_^ Oh, e lasciate qualche recensione, ('cause i'm tireeeed of feeling alone) positiva o negativa che sia, io non mordo né sbrano nessuno, anzi, se recensite avrete una dose d'amore e polvere di unicorno.
Ecco, sono sfociata nella demeza, again. Alla prossima! :3
Marianne


 
 


 

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Capitolo 2
*** Just give me a reason ***


 
 

Capitolo 1
 
«Oh, it’s in the stars. It’s been written in the scars of our hearts.»
(P!nk ft. Nate Ruess – Just give me a reason)

 
La prima volta che Thalia aveva visto Sydney aveva pensato che tutte le cartoline, le foto su internet e i racconti di suo zio al telefono non le rendevano affatto giustizia. Vederla con i propri occhi era stato indescrivibile. L’America non era niente, a confronto. Quando era ancora in aeroporto, con la sua valigia rossa, non aveva ancora idea di quanto Sydney potesse essere bella, ma soprattutto, non aveva idea di quanto potesse essere grande.
Era convinta che, senza suo zio che le spiegava dove portava ogni strada, non sarebbe durata due minuti in quella città. Dopotutto, non che facesse questi grandi spostamenti: la mattina prendeva l’autobus per andare a scuola e, talvolta, il pomeriggio usciva con le sue amiche che conoscevano la città meglio delle loro tasche.
Una cosa però era certa: prima di arrivare a Sydney, Thalia aveva una vita ordinaria, anonima nella sua piccola cittadella nel cuore della Pennsylvania, da dove osservava il cielo e pensava che lì fuori sarebbe arrivata la sua occasione, il suo momento. Poi i suoi genitori avevano deciso di trasferirsi, perché in Pennsylvania le cose non andavano bene, ed ecco che era cambiato tutto. Ma tutto non era cambiato quando era scesa dall’aereo, né quando aveva varcato le porte della sua nuova scuola, oppure quando Luke Hemmings aveva deciso di averla come amica e aveva cominciato a chiamarla ogni giorno.
Tutto era cambiato quando aveva conosciuto Ashton Irwin.
Quando lo vide per la prima volta, circa un mese dopo essere arrivata a Sidney, le sue compagne di classe l’avevano invitata a passare un pomeriggio al centro commerciale per conoscerla meglio, e lei aveva accettato. Fu proprio lì che lo vide.
Lo notò  perché, tra tutti i ragazzi che avevano visto quel pomeriggio, lui era l’unico che se ne stava seduto da solo su una panchina, col cellulare in mano e uno sguardo triste. Thalia odiava gli sguardi tristi. Odiava la tristezza in generale. Perché le persone dovevano lasciarsi abbattere dalla tristezza? Era una cosa ingigantita talmente tanto che si lasciavano colpire e si arrendevano, credendo di essere troppo deboli, ma in verità, le persone erano più forti della tristezza, solo facendo un sorriso la mandavano via. E cos’è un sorriso rispetto a tanti  altri gesti che siamo in grado di fare?
Lui rimase  a fissare il cellulare per tutto il tempo che lei rimase fuori dal negozio in cui due delle sue amiche erano appena entrate, e lo osservò, cercando di capire perché fosse così triste. Poi lui alzò lo sguardo e Thalia vide negli occhi di Ashton il dolore di chi aveva pianto e aveva avuto il coraggio e la forza di smettere, per affrontare il mondo a testa alta. Allora, imbarazzata e rossa in viso, si girò a guardare altrove.
Quando ci parlò per la prima volta, fu qualche mese dopo l’episodio del centro commerciale,verso gli inizi di Novembre. Era andata al parco vicino casa sua per studiare in pace, dato che sua sorella non la smetteva di fare chiasso insieme alle sue nuove amichette, mentre si imbrattavano con ombretti-giocattolo. E lui era lì, seduto sull’altalena, senza dondolarsi. Indossava dei jeans neri, strappati sulle ginocchia spigolose, e solo allora Thalia si rese conto di quanto fosse magro. Aveva una camicia a quadri rossa e bianca aperta, a maniche corte, su una canottiera nera, guardava sconsolato a terra e respirava piano, come se anche respirare gli richiedesse troppo sforzo. Thalia, allora, che si era seduta sotto l’ombra di un albero, rimise i libri nella borsa colorata e si avvicinò all’altalena. Si mise seduta sull’altra seggiola di plastica rossa, con la borsa in grembo e lo sguardo perso di fronte a sé, mentre con la coda dell’occhio guardava Ashton ogni tanto. Lui si accorse di lei solo quando la catena che teneva sospesa la sua seggiola cigolò, allora si voltò di scatto e la osservò.
Non l’aveva mai vista prima, altrimenti, si disse, l’avrebbe ricordata una ragazza così strana: capelli castani che, quel pomeriggio, colpiti dal sole, avevano dei riflessi rossi. Occhi di un colore che Ashton non aveva mai visto prima, forse perché negli occhi non ce l’aveva ancora guardata, e perché aveva paura a farlo, ma gli sembravano verdi, però non erano verdi, erano… strani, ecco come li avrebbe definiti. Era vestita con dei jeans tutti disegnati – ed era sicuro che non fossero usciti dalla fabbrica ridotti in quel modo – e una felpa nera, anche se all’estate mancava davvero poco, ad Ashton era parso di aver visto delle orecchie da gatto sul cappuccio. Un ammasso di eccentricità unica, ma piacevole nel complesso. Aveva uno stile tutto suo.
E mentre lui la guardava ancora, con la fronte aggrottata, lei si girò e incontrò i suoi occhi. Allora Ashton poté essere sicuro che gli occhi della ragazza fossero esattamente uguali ai suoi: un po’ verdi e un po’marroni, più chiari col sole e più scuri con la pioggia. E fu allora che lei gli sorrise e aprì la propria borsa, tirandone fuori degli occhiali da sole, dei Ray-Ban neri.
Ashton ritornò con la mente a due anni prima dove, sempre in quel parco, Lilian aveva tirato fuori i suoi Ray-Ban neri e glieli aveva messi sul naso. Allora Ashton tossì e cominciò a tremare, anche se non faceva per niente freddo.
Thalia lo guardò ancora, spostandosi i capelli all’indietro, e poi «Ti senti bene? Vuoi che chiami un’ambulanza, oppure…» provò a chiedere, ma lui fece di no con la testa. «Intendi “no, non sto bene” o “no, non chiamare un’ambulanza?»
«Entrambe.» rispose Ashton. Non poteva stare affatto bene con il ricordo di Lilian a bussare sulle pareti del suo cervello, ma non era ancora uscito così fuori di testa da aver bisogno di un’ambulanza. Aveva già una psicologa a fargli credere di essere pazzo, un pronto soccorso non avrebbe di certo migliorato le cose.
«Quindi stai bene ma devo chiamare un’ambulanza?» chiese ancora Thalia, mettendo una mano sotto al mento, pensierosa. Ashton sbuffò, quella ragazza era decisamente strana. Non capiva se era lui lo stupido o lei ad essere troppo intelligente.
«Non sto bene, ma non mi serve un’ambulanza.» disse il ragazzo, scandendo bene ogni parola.
«Problemi di cuore?» chiese Thalia.
«Scusa, che te ne frega?» ribatté Ashton in modo abbastanza scorbutico. Tanto, lui le allontanava sempre le persone, con quella sconosciuta non sarebbe stato diverso. Bastava distaccarsi, bastava non guardarla negli occhi, bastava chiudersi come sempre. Bastava innalzare il solito muro, mattone dopo mattone.
«Hai ragione, sono così maleducata che non mi sono nemmeno presentata» esordì la ragazza, togliendosi gli occhiali da sole, li mise sulla testa a mo’ di cerchietto. Poi gli tese la mano e «Thalia.»
Ashton osservò la mano piccola e all’apparenza così fragile di Thalia, spaesato, quella ragazza ragionava a modo suo, parlava in modo particolare,  e lui non poté far altro che stringergliela e dire «Ashton…» confuso come non lo era mai stato. La mano di Thalia era calda.
«Allora Ashton, io sono venuta qui per studiare ma a quanto pare la cosa non è andata a buon fine…» iniziò Thalia, gettando un’occhiata sconsolata alla sua  borsa. «Tu perché sei venuto qui?»
«Ci vengo ogni pomeriggio, e poi non credo quanto possa interessarti la storia di un ragazzo depresso.» rispose Ashton, dandosi una leggera spinta con i piedi.
«Oh, non credo che tu sia depresso.» disse Thalia, si sporse dalla seggiola per guardarlo meglio. negli occhi. «Non hai l’aria da depresso.»
«Allora devi essere una pessima osservatrice.» disse Ashton, scettico.
«Hai l’aria da distrutto, a dir la verità, ma hai anche l’aria di uno che ne è uscito, da qualsiasi cosa tu fossi dentro.» ribatté Thalia, cominciò a dondolarsi anche lei, prima piano e poi sempre più velocemente. «Hai un sacco di arie, in effetti.»
«Sei davvero strana, lo sai?» le chiese Ashton.
«Sì, me lo dicono in molti, però sei strano anche tu, altrimenti non staresti qui a parlare con me, non trovi?» esclamò Thalia, salendo sempre più in alto. Ashton alzò gli occhi al cielo e cominciò a dondolarsi sempre più velocemente, nemmeno sapeva perché, ma quella ragazza – Thalia, si corresse – sprizzava energia pura, che lo investiva come l’avrebbe facilmente investito un camion. Lo colpiva in pieno. Gli entrava dentro. Era come se prendesse un po’ della sua luce, della sua gioia e la mettesse dentro di lui senza nemmeno chiedergli il permesso.
«Tanto non mi batti.» gli disse lei.
«Ho sempre superato tutti!» ribatté Ashton, e poi si ritrovò a ridere, cosa che non faceva da tanto tempo, così tanto che nemmeno se lo ricordava. Allora Thalia rallentò fino a fermarsi definitivamente, i capelli scompigliati e il cappuccio con le orecchie da gatto tirato su. Fissava Ashton con uno sguardo dolce e radioso.
«Che c’è?» le chiese quando anche lui si fermò.
«Ora non hai più l’aria da distrutto, hai sorriso!» esclamò Thalia, scese dall’altalena e si rimise la borsa di stoffa colorata a tracolla. Ashton la guardò meglio: era decisamente una ragazza strana. Non si conoscevano nemmeno, eppure eccola lì, ad aver fatto quel che poteva per farlo ridere. E poi, c’era qualcosa di strano… il modo in cui parlava, il modo in cui si muoveva, Ashton ne rimase colpito, perché nessuna ragazza che aveva incontrato era così luminosa senza essere appariscente.
Nessuna tranne Lilian. Lilian brillava, ma solo agli occhi di Ashton. Era bellissima, ma solo per Ashton. Lilian era la sua oasi segreta, era sua e di nessun altro. Era gli occhi da cui tornare a casa e le labbra da baciare perché, maledizione!, i baci di Lilian erano sempre troppo pochi.
Ma Lilian è morta, Ashton. Dovresti ricordartelo.
Ashton chiuse gli occhi per un momento, affogando nel buio dei ricordi. «Devo andare.»  si alzò dall’altalena e si sistemò il colletto della camicia all’infuori, superò Thalia, passandole accanto, e si avviò verso l’uscita del parco.
«Sei tutti i giorni qui, Ashton senza-cognome?» gli chiese Thalia con un tono di voce più alto, sorridendo come una bambina.
«Irwin» precisò lui, dopo essersi fermato, le dava le spalle. «Ashton Irwin.»
«La mia domanda era diversa, Ashton Irwin.» disse ancora Thalia.
«Sì, e tu vieni qui a studiare tutti i giorni, Thalia senza-cognome?» Ashton si voltò leggermente.
«No» rispose lei. «E, comunque, è Thalia Reed.»
Allora Ashton sorrise e Thalia notò le sue fossette anche se era lontana, fu allora che decise che Ashton Irwin doveva ridere di più: era decisamente un peccato tenere nascosti quei sorrisi così belli.
 
 
Ricapitolando tutte le cose strane che gli erano successe quel giorno: Ashton era quasi inciampato sui suoi stessi piedi quando era sceso dall’autobus, per fortuna si era aggrappato ad un palo della luce prima di poter fare una colossale figura di merda; i due gemelli della signora Morgan – a cui Ashton faceva da babysitter ogni sabato mattina –  l’avevano scambiato per una bambola di pezza e per poco non gli avevano bruciato i capelli; era andato al parco e aveva pensato a Lilian, ma quella non era una cosa strana, la cosa strana era essere andato al parco, aver incontrato una tipa stranissima che era riuscita a fargli fare un giro sull’altalena e a farlo ridere come un perfetto idiota, e l’aver pensato a Lilian meno del dovuto. Meno di quanto il suo cervello e il suo cuore gli permettessero di fare.
Thalia Reed era davvero una ragazza singolare, nessuno, in quei due anni, era riuscito a farlo uscire fuori dal guscio in quel modo così spontaneo, e lei con qualche frase a trabocchetto gli aveva tolto Lilian dalla testa per qualche minuto.
Si buttò sul letto, esausto, e sospirò, mettendosi le mani di fronte al viso.
Thalia Reed. Thalia Reed. Stramaledetta Thalia Reed, perchè aveva dovuto incontrarla? E soprattutto, come era riuscita, lei, ad incasinargli il cervello con quelle poche parole?
Sentì la porta di casa aprirsi e richiudersi, riconobbe i passi di sua madre, la sentì mentre lanciava la borsa sul divano.
«Ashton, sei a casa?» chiese la donna con voce squillante.
«Sì, mamma!» rispose Ashton, si passò una mano tra i capelli spettinati, più del solito quel giorno. La porta della sua stanza si aprì.
«Tutto bene?» gli chiese sua madre. Ashton annuì, stropicciandosi gli occhi.
«Sono solo un po’ stanco.» rispose Ashton. Sua madre gli sorrise ed uscì dalla stanza, lasciando Ashton da solo. Lui si rigirò sul letto e allungò la mano destra verso il comodino, prese la foto di Lilian, che teneva lì da sempre.
La osservò: era bella, in quella foto – ma lei era sempre bella, in fondo –, i capelli biondo scuro ricadevano disordinati sulle spalle bianche, tempestate di lentiggini, come le sue guance. I suoi occhi scuri erano luminosi e lei sorrideva.
«Lily, è passato tanto tempo da quando non ci sei più, ma io non sono ancora riuscito a vivere» iniziò, a bassa voce. Gli sembrava stupido parlare con una fotografia, però lo aiutava, lo faceva stare bene, lo rilassava, gli sembrava che Lilian potesse sentirlo, ovunque si trovasse. La sua psicologa gli diceva che poteva farlo se ne sentiva il bisogno. «Come posso fare?»
Non si aspettava una risposta, la sapeva, la risposta che avrebbe dato Lily: gli avrebbe chiesto di vivere per lei, di non lasciarsi abbattere, di essere felice. Di fare tutte quelle cose che lei non aveva potuto fare, di comportarsi come un qualsiasi diciannovenne.
L’unico problema era che Ashton non ci riusciva affatto.
Si strinse la foto al petto, immaginando che Lilian fosse lì con lui, i suoi capelli e profumavano di vaniglia e, sul collo di lui, il suo respiro fragile, collegato alla bombola d’ossigeno che tante volte era stata ai piedi del letto di Ashton.
Era passato quasi un anno e mezzo da quando Lily era morta, due anni da quando l’aveva vista per l’ultima volta.
“Il tempo guarisce tutte le ferite”, quante volte gli avevano ripetuto quella frase, quante pacche sulle spalle gli avevano detto, per dargli forza, quanti abbracci aveva ricevuto, e quante di quelle cose avevano funzionato? Nessuna. Nemmeno il tempo aveva funzionato.
La verità era che il tempo non guariva proprio niente, il tempo se ne stava lì e scorreva inesorabile, fregandosene di quelle che succedeva alle persone. Diventava tempo sprecato, tempo passato e tempo ben impiegato, ma non aveva nessun potere terapeutico. Era una forza a sé, gli uomini non potevano controllarlo.
Il tempo era passato, e anche tanto, ma Ashton soffriva ancora.
Sanguinava ancora. Sentiva il cuore a pezzi e non aveva niente per rimetterlo a posto. Forse era una sorta di strana eccezione, ma il tempo non l’aveva guarito, lui era ancora ferito profondamente. Lui – come aveva detto Thalia, quel pomeriggio? – aveva l’aria da distrutto.
«Ci proverò, Lily, okay?» disse ancora Ashton, guardando il soffitto sopra la sua testa. «Proverò a vivere per te.»
Passò alcuni minuti così, steso sul letto, con la cornice stretta al petto e gli occhi chiusi. Immaginò che Lilian fosse lì , con la sua risata e il suo profumo, ritornò alla sera due anni prima, quando la teneva tra le braccia, sentendola piccola e fragile. Quando sapeva benissimo che non ce l’avrebbe fatta nessuno dei due.
 
 

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Angolo di Marianne
Salve a tutti! Ecco a voi il primissimo ed effettivo capitolo di questa storia.
Qui entra in gioco Thalia, la nostra vera protagonista. Mh, sono davvero curiosa di sapere le vostre impressioni su Thalia. Sto cercando di costruire al meglio il suo personaggio e intendo approfondirlo quasi come quello di Ashton. Dopotutto, i protagonisti sono loro, no? Però non temete, nei prossimi capitoli arriveranno anche i nostri cari Luke, Michael e Calum. ;)
Bene, qui abbiamo anche il primo incontro tra Thalia e Ashton. Mio marito, ehm, Ashton, è ancora turbato da tutto. Si sta abituando pian piano alla realta e non riesce ancora ad accettare la morte di Lilian, ma io Thalia l'ho creata per un motivo ewe
Passiamo alle questioni decisamente più importanti: aggiornamenti. Dunque, io ho l'abitudine di aggiornare una volta a settimana, così ho tempo per rivedere il capitolo ecc. Questa volta ho aggiornato dopo quattro giorni perché 1) il capitolo avevo già iniziato a scriverlo subito dopo il prologo, 2) non volevo farvi aspettare troppo perché io non volevo aspettare troppo (?) lol
Solo che c'è un problema. Giovedì parto con la scuola e tornerò lunedì pomeriggio, non so se riesco a scrivere il capitolo tra oggi, domani e mercoledì, e di certo in gita non posso scrivere, quindi non so con esattezza quando aggiornerò. Spero solo che non mi abbandoniate ç_ç conto di pubblicare il prossimo capitolo entro martedì prossimo :3
Detto questo, ringrazio Nanek, Aletta_JJ e DarkAngel1 per aver recensito il Prolgo. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e lasciate una recensione, anche piccina picciò, non mordo! :3 
Alla prossima ♥
Marianne


 
 


 

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Capitolo 3
*** You found me ***


 
 
Capitolo 2
 
«Lost and insecure you found me.»
(The Fray – You found me)
 
Thalia non sapeva per quale motivo Luke avesse la malsana abitudine di andare a correre la domenica mattina e, soprattutto, non sapeva perchè si ostinasse a suonare il campanello di casa sua tutte le domeniche mattina, nonostante sapesse che Thalia dormiva in pace.
O almeno, lo faceva finché Luke non piombava in camera sua come un tornado e la buttava giù dal letto senza avere alcuna pietà di lei.
Quella domenica mattina, Thalia non era stata risparmiata dalla solita routine. Alle otto Luke aveva suonato il campanello ed era andato ad aprirgli il padre di Thalia, in vestaglia («Ma ormai Luke è uno di famiglia!»), che aveva sempre avuto una certa simpatia per Luke, per non parlare di sua madre che ogni santissima volta le ricordava: «Però Luke è carino.»
Thalia non aveva mai avuto una cotta per Luke, se si esclude il fatto che l’aveva pedinato per almeno tre giorni prima di rivolgergli la parola perché gli era sembrato davvero un bel ragazzo e  perché era estremamente timida. E va bene, magari un pensierino ce l’aveva anche fatto, ma non aveva mai avuto una cotta seria per Luke. D’altra parte, lui non era mai venuto a sapere tutti quei piccoli particolari ed era meglio che la cosa restasse tale. Era pur vero che ora Luke era il suo migliore amico e che quella rivelazione non avrebbe cambiato assolutamente nulla, ma Thalia preferiva non parlarne, tantomeno quella domenica mattina quando, con un braccio a penzoloni fuori dal letto e Luke che aveva appena spalancato la porta della sua stanza come se niente fosse – e c’era un maledettissimo reggiseno rosa a pois lanciato sulla sedia! In bella vista!–, l’unica cosa che Thalia voleva era dormire.
Peccato che “dormire” non rientrasse nel dizionario domenicale di Luke. «Sveglia, razza di pigrona, abbiamo cinque chilometri che ti aspettano!»
Thalia mugolò e si tirò il cuscino sopra la testa. «Vai, Luke, io ti raggiungo dopo.» disse, mangiandosi metà delle parole.
«Non voglio sentire storie, alzati, lavati, mettiti qualcosa per correre e poi scendi. Sarò nel tuo salotto.» disse Luke. Sorrise ed uscì dalla stanza di Thalia, chiudendo la porta con non molta delicatezza. Thalia sbuffò e rovesciò le coperte a terra, provvide a togliere il reggiseno a pois dalla vista di chiunque sarebbe entrato, filò in bagno e cominciò a maledire Luke, il fatto di non poter dormire in santa pace per almeno otto ore nemmeno la domenica, le corse di cinque chilometri, e ancora Luke!
Si sciacquò il viso e ripensò all’incontro del giorno prima con Ashton senza-cognome-ma-aspetta-un-conogme-ce-l’ho-ed-è Irwin. Doveva assolutamente rivederlo, ma non sapeva come: non l’aveva mai visto a scuola, ma lui le aveva detto che veniva in quel parco tutti i giorni, e anche se Thalia non ci credeva poi così tanto – andiamo, quale persona sana di mente andava tutti i giorni nello stesso parco? – valeva la pena tentare.
Uscita dal bagno, si infilò un paio di pantaloncini neri lunghi fino al ginocchio e una maglietta a maniche corte di un colore indefinibile, per quante volte era stata lavata, poi si legò i capelli in una coda alta e scese le scale lentamente, ancora assonnata.
«Alla buon ora!» esclamò Luke.
«Mi hai svegliata otto minuti fa, cosa pretendi?» sbuffò Thalia mentre si dirigeva in cucina.
«Dodici minuti fa, per la precisione.» Luke gettò una rapida occhiata all’orologio sul muro, la seguì e si mise seduto al tavolo, ormai era una cosa normale, era come se fosse casa sua. Thalia si versò del caffè, prese una brioche dalla confezione e si mise seduta davanti a lui solo dopo avergli fatto la linguaccia.
«A quest’ora saremmo già dovuti essere usciti» riprese Luke. «Se solo tu ti ricordassi…»
«Io vorrei solo dormire in pace.» disse Thalia, sospirando.
«Dovrai passare sul mio cadavere.» rispose Luke, sorridendo beffardo. Lei alzò gli occhi al cielo e finì di bere il suo caffè.
«Muoviamoci, Lukey, voglio tornare prima di pranzo. Sto già morendo di fame.» disse Thalia.
«Ma se hai appena mangiato!» esclamò il ragazzo. «E non chiamarmi Lukey.» ribatté ancora Luke, cambiando improvvisamente espressione.
«Va bene, Lukey, ma usciamo.» Thalia si alzò e mise la tazza di caffè nel lavandino, mangiò l’ultimo pezzo di brioche e si alzò da tavola, seguendo Luke in salotto.
«Mamma, papà! Noi andiamo!» urlò Thalia, non ricevette risposta, allora scrollò le spalle e fece uscire Luke di casa.
Cominciarono a correre con regolarità superato l’isolato. Nonostante facesse mille storie per alzarsi dal letto, a Thalia piaceva correre con Luke, era l’unica vera occasione in cui parlavano liberamente, senza mettere freni alla lingua. Perché non c’era nessuno che li ascoltava, perché, anche se avessero ascoltato, loro sarebbero corsi via insieme al vento, e le loro parole non avrebbero avuto alcun senso.
Thalia e Luke erano sempre stati soli, per questo erano così legati pur conoscendosi da pochissimi mesi. Si erano trovati ed si erano completati alla perfezione, come due pezzi di un puzzle. Thalia era arrivata a Sydney con la sua famiglia, l’unico ragazzo che conosceva era suo cugino Will che aveva diciannove anni; Luke era solo un diciassettenne con tanti problemi alle spalle e la voglia di dimenticarli completamente.
«Come mai sei di così buon umore, oggi?» chiese Thalia, mentre lei e Luke correvano sul marciapiede.
«Sono di buon umore?» chiese di nuovo Luke, aggrottando le sopracciglia bionde.
«Sì!» rispose Thalia. «Devi dirmi qualcosa in particolare?»
«Assolutamente no.» ribatté Luke.
«Nemmeno perché non hai ancora fatto quel piercing di cui parli da settimane?» domandò ancora Thalia.
«Allora,» iniziò Luke. «non ho ancora abbastanza soldi, poi devo parlarne a mia madre.»
«Notevole» Thalia inarcò le sopracciglia e sorrise. «Mi sorprendi ogni giorno di più.»
«Modestamente.» disse il ragazzo, continuando a correre.
«Sei sicuro che non devi dirmi niente?» riprese Thalia. Luke scrollò le spalle e scosse la testa. «Tipo che un certo Calum Hood è finalmente tornato dalle Maldive.»
Luke, che già era rosso per l’attività fisica, diventò quasi viola. «È andato alle Hawaii.» la corresse, rallentando un po’.
«Quello che è…» disse Thalia.
«Scusa se uno dei miei migliori amici è partito senza nemmeno avvertirmi.» esclamò Luke.
Thalia rise. «Forse non se lo aspettava nemmeno lui, forse…»
«Forse appena lo vedo lo prendo a pugni.» bofonchiò Luke.
«Oh, Lukey, non prenderti in giro» disse Thalia. «Piuttosto, dove dobbiamo arrivare?»
«Dobbiamo arrivare… hai presente le villette di Bennett Street?» chiese Luke, Thalia annuì. «Lì, più o meno.»
«Possiamo deviare per il parco?» chiese Thalia.
«Okay, perché?»
«Niente, devo… devo incontrare una persona.»
«Guarda che potrei diventare geloso!» disse Luke, sorridendo. Thalia scoppiò a ridere fragorosamente.
«Tranquillo Lukey, penso anche di stargli antipatica.» sbuffò Thalia.
«Che? Come può trovare antipatica una rompipalle acida come te?» scherzò Luke. Thalia gli tirò uno schiaffo sul braccio e lui cominciò a correre più velocemente, tant’è che Thalia si ritrovò a rincorrerlo per le vie di Sydney. Luke si fermò quando raggiunse il parco di cui gli aveva parlato Thalia, si appoggiò ad un lampione e scoppiò a ridere. Lei aveva cominciato a camminare un centinaio di metri prima, e raggiunse Luke dopo due minuti.
«Vado a prendere da bere.» annunciò il ragazzo, indicando un bar dall’altra parte della strada. Thalia gli fece OKAY con il pollice e varcò il cancello del parco.
Il suo sguardo si posò immediatamente sull’altalena, provò una sorta di delusione nel vederla vuota. Cominciò a respirare regolarmente, allora si avviò verso l’altalena e si mise seduta dove stava Ashton il giorno prima. Guardò l’orologio: nessuna persona sana di mente veniva al parco alle nove del mattino, di domenica, oltretutto. Si era solamente illusa, la luce di Ashton non aveva nemmeno dato segni di vita, era semplicemente rimasta spenta.
Qualche minuto dopo, Luke non era ancora tornato e per poco una voce non la fece saltare dalla sorpresa. «A quanto pare anche tu vieni qui tutti i giorni.»
Thalia si girò e vide esattamente quello che stava cercando prima: Ashton Irwin era appoggiato ad uno dei sostegni metallici dell’altalena, con le mani nelle tasche dei jeans sbiaditi. «Devi studiare anche oggi?»
Thalia scosse la testa. «No, oggi sono venuta a correre con…» iniziò lei.
«Thalia, ti ho preso una Diet Coke perché la Coca Cola normale non c’era, va bene lo stesso?» Luke era appena uscito dal bar con due lattine argentate tra le mani. Sia Thalia che Ashton si girarono verso di lui.
«Con il tuo ragazzo?» domandò Ashton, riprendendo la frase che Thalia aveva lasciato in sospeso.
«Oh, no! Luke è il mio migliore amico.» spiegò Thalia. Ashton represse un sorrisetto divertito.
«Certo… e io sono nato ieri.»
Luke intanto li aveva raggiunti e aveva osservato prima Ashton, poi Thalia, e poi di nuovo Ashton, allora nella sua testa si accese una lampadina.
«Così è lui quello che dovevi incontrare, Thal?» chiese Luke, lanciandole la lattina di Diet Coke. Lei lo fulminò con lo sguardo, Ashton invece pareva alquanto curioso e divertito.
«Che cosa?» domandò il diretto interessato.
«Mi ha chiesto se potevano deviare per il parco perché doveva vedere qualcuno» rispose Luke. «Quindi ho pensato che…»
«Luke.» La linguetta della lattina volò via, Thalia guardava ancora il suo migliore amico con uno sguardo assassino, e il suo tono di voce suonava parecchio intimidatori.
«Che ho detto?» chiese il biondo con aria innocente.
«Giuro che quando torniamo a casa ti uccido.» sibilò la ragazza, poi bevve un sorso della sua Diet Coke e spostò lo sguardo verso Ashton, che era rimasto a sorridere per tutto il tempo.
«La trovi una cosa divertente, Ashton Irwin?» chiese Thalia.
«Molto.» rispose il più grande, non capiva perché Thalia si ostinasse a chiamarlo per nome e cognome, ma la cosa, stranamente, non gli dava affatto fastidio.
«Aspetta, ma io ti conosco!» esclamò Luke. Due paia di occhi identici si posarono su di lui. «Sei in classe con mia cugina Ellie!»
Ashton aggrottò la fronte, confuso. «Non mi sembra…»
«Ellie Miller, ti dice niente?»
«Ah» disse Ashton, annuendo debolmente. «Sì, siamo nello stesso corso di inglese.»
«Non ti ho mai visto a scuola.» s’intromise Thalia.
«Non frequento la vostra stessa scuola, suppongo» rispose Ashton. «E sono all’ultimo anno, anche se avrei dovuto finire l’anno scorso.»
Thalia annuì, improvvisamente si sentì piccola, frequentava solo il terzo anno, e stare lì a parlare con Ashton, che aveva diciannove anni, la faceva sentire… strana. Non si era mai trovata molto a suo agio con le persone più grandi di lei, anche se doveva ammettere che la cosa era migliorata parecchio da quand’era in Australia.
«Ti hanno bocciato?» chiese Luke. Thalia alzò gli occhi al cielo, quel ragazzo era sempre così inopportuno!
«Sì… sono stato male per un periodo, un paio di anni fa, e ho fatto parecchie assenze.»
«Ricordo» iniziò Luke. «Tu stavi insieme a…» ma prima che potesse finire la frase, l’espressione di Ashton s’indurì fino a diventare quasi spaventosa.
«Non nominarla.» Lo interruppe bruscamente, staccandosi dal palo.
«Hey, amico, non scaldarti.» gli disse Luke con cautela.
«Ti ho solo detto di non nominarla» disse Ashton. «E poi, noi non siamo amici.»
Ashton cominciò ad allontanarsi verso l’uscita, Thalia, allora, si alzò di scatto dalle seggiola rossa e lo raggiunse di corsa, sorprendendosi delle proprie azioni. Le sue gambe facevano ogni cosa da sole. Lo prese per un braccio e lo costrinse a voltarsi verso di lei.
«Perché te ne vai sempre, Ashton Irwin?» gli chiese, guardandolo negli occhi uguali ai suoi. Ashton la guardò a sua volta e si chiese perché quella ragazza sorridesse sempre, perché avesse sempre la frase giusta da dire, in ogni occasione. E in quegli occhi, Ashton si sentì alla deriva, non aveva idea di come se ne sarebbe tirato fuori. Thalia l’aveva trovato. Spezzato, ferito, grigio, deluso, morto dentro, perso dentro i suoi pensieri, pensieri che lo torturavano di continuo, però lei l’aveva afferrato e l’aveva riportato alla luce.
E lui non aspettava altro.
«Io…» iniziò Ashton.
«Tu non lo sai» mormorò Thalia. «Non lo sai perché non hai un vero motivo per andartene.»
«Sei veramente strana, Thalia Reed.» le disse Ashton.
«Tu non sei da meno, Ashton Irwin» rispose lei a tono. «Avanti, rimani qui con noi.»
«Non voglio fare il terzo incomodo!» esclamò, alzando notevolmente il tono di voce. Rise debolmente e guardò Luke per un momento, e poi riabbassò lo sguardo su Thalia, che rise quando Luke, qualche metro dietro di loro, disse: «Non sono il suo ragazzo!»
«Forse è meglio che continuiate a correre.» disse Ashton.
«Ovvio! Se persino tu hai delle gambe più belle delle mie dovrò rimediare in qualche modo.» esclamò Thalia, e Ashton – davvero, lui non voleva farlo! – fece scivolare lo sguardo sulle gambe della ragazza, ovviamente per pura curiosità.
Si sentì un po’ in colpa, ma capì due cose: uno, Thalia era una pessima bugiarda con problemi di autostima; due, aveva delle gambe niente male.
«Devo andare sul serio, e poi, Luke potrebbe ingelosirsi.» le fece l’occhiolino, poi si voltò e continuò a camminare verso il cancello, e stavolta, Thalia non lo rincorse per fermarlo.
Luke la raggiunse e le mise un braccio attorno alle spalle. «Devi dirmi qualcosa, Thalia?»
La ragazza scosse la testa. «Voglio solo capire perché fa sempre così…»
«Sempre? Da quanto lo conosci?» domandò Luke.
«Da ieri, ma è strano. Voglio conoscerlo veramente, capire perché viene sempre qui, capire perché è così… sfuggevole.» rispose Thalia.
«Sicura di non avere una cotta per lui?»
«Sicurissima» rispose Thalia. «Lui non è mica Calum Hood, e io non mi chiamo Luke Hemmings.»
Luke spalancò gli occhi, ma fortunatamente non arrossì.
«Preparati a correre, piccoletta, perché se ti prendo ti tolgo quel sorrisetto dalla faccia.» gridò il ragazzo, scherzoso.
Thalia gli fece la linguaccia («Chi hai chiamato piccoletta?») e i due cominciarono a correre verso casa.
 
 
 
 

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Angolo di Marianne
Hola chicas! Yo volvì de España y ora no puedo hablar italiano. (=sono tornata dalla Spagna e ora non riesco a parlare in italiano) AHAHAHA Okay, salve a tutte. Ho passato i cinque giorni più stancanti della mia vita a Madrid. Per quattro notti ho dormito sì e no quattro ore (capitemi, ero con i miei compagni di scuola, dormire era l'ultimo dei miei pensieri), ho visto coppiette nascere, coppiette lasciarsi, ho imparato che la metro si paga un botto ma che è "la forma mas rapida y comoda de moverte por Madrid". Sorpresa delle sorprese: sono riuscita a scrivere sull'areo! Mi annoiavo e stavo in mezzo ad una ragazza dell'altra classe e un tipo che dormiva, sia all'andata che al ritorno, poi ho perso la penna. Ssssso, here i am. (sì, abbiamo incontrato quattro inglesi l'altra sera ed erano beeeeellissiimi *-*)
Smetto di blaterare sul viaggio perché ci sono davvero troppe cose da dire, così tante che potrei scrivere una fan fiction (no, non incoraggiatemi, ho troppe idee malate per la testa, tipo una AU Larry!policemen, e non posso farmi venire altre idee).
Parliamo invece del capitolo mezzo iniziato a casetta mia e finito sul volo Madrid-Roma di ieri: fa abbastanza schifo ed è un po' più corto del precedente. Lo so, solo che volevo introdurre il personaggio di Luke e la tanto agognata (ma dove?) coppia slash della storia. Ma andiamo con ordine:
• Dimenticate il Luke delle millemila storie a rating rosso dove è un diciassette pericoloso, stronzo, egoista che fa saltare gli ormoni di tutta l'Australia perché non vedrete nulla del genere qui. Luke è un ragazzo tenero, impacciato, con una cotta stratosferica per Calum Hood, estremamente pignolo, ordinato e preciso, ma ciò non vuol dire che non sappia divertirsi, badate bene. Non è un genio a scuola ma se la cava.
• CAKE. Oh, sì. Mi dispiace, ma se siete omofobi/odiate lo slash/non potete leggere storie sui Cake, potete anche chiudere la pagina. Non lo dico con cattiveria, è solo che non voglio trovarmi poi a rispondere a commenti del tipo "bleah che skifo!!" perchè è successo una o due volte e se leggete senza vedere se ci sono avvertimenti non è colpa mia ewe anche perché io tra le coppie ho messo sia het che slash. Non posso farci nulla, loro due sono diventati la mia OTP dal primo momento che li ho visti. *^* Spero di riuscire a farveli piacere u.u
Bene, passiamo ora ai ringraziamenti. CINQUE recensioni allo scorso capitolo *^* Vi amo. Non me lo aspettavo proprio, mi avete sorpresa, sul serio u.u Per questo ringrazio personalmente DarkAngel1, Nanek, caleidoscopio, Kikka_Mrs_Styles e Aletta_JJ.
Un grazie anche a chi preferisce/segue/ricorda e a chi leggere silenziosamente ♥
Spero di aggiornare presto :3
Adios!
Marianne
 


 

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Capitolo 4
*** Kids in the street ***


 
 
Capitolo 3
 
«We’re too young, too smart, too much for this one town.»
(The-All American Rejects – Kids in the street)
 
Se c’era una cosa che Michael odiava era quando sua madre lo chiamava con il suo nome completo. Generalmente, quando sentiva un «Michael Gordon Clifford!» provenire dalla cucina o da qualsiasi parte della casa le cose erano due: o aveva fatto qualche casino e si era dimenticato di ripulire, o stavano suonando troppo forte. Il problema, quel giorno, però, non era nessuno dei due, perché Michael era appena tornato da scuola e pensava di non aver combinato niente di particolarmente grave.
Lo pensava, appunto.
Non fece in tempo nemmeno a posare lo zaino in camera che sua madre era già spuntata davanti a lui, con le mani suoi fianchi, e un’espressione piuttosto incazzata sul viso.
«Mammina!» esclamò Michael, allargò le braccia e cominciò ad andarle incontro.
«Vuoi spiegarmi perché ci sono tre energumeni nel nostro garage?» chiese la donna, incrociando le braccia al petto. Michael si grattò la testa.
«Tre en-ene… tre cosa?» domandò il ragazzo, confuso. Sua madre gli disse di seguirla in garage e lui annuì in silenzio, cominciando a camminare dietro di lei. Poi, Michael si ricordò dell’annuncio che lui e Calum avevano messo nel negozio di musica.
«Mamma, è per la band. Cerchiamo un batterista.» cercò di spiegarle, ma lei non disse nient’altro.
Non appena arrivarono in garage, Michael vide tre ragazzi – be’, forse erano un po’ troppo cresciuti per essere ragazzi – in piedi, accanto allo scaffale degli attrezzi. Deglutì, solo a vederli era intimorito, insomma, avrebbero potuto spezzargli le ossa come un grissino, se solo avessero voluto.
«Grazie per i sandwich, signora Clifford, erano deliziosi!» disse uno dei tre, quello che metteva meno paura, cioè il meno palestrato.
«Figurati caro, mio figlio è appena arrivato. Michael, credo che ci siano visite per te.» disse gentilmente sua madre, stavolta rivolgendogli un sorriso che stava a dire “cavatela da solo, così impari ad invitare estranei nel mio garage”.
«Ehm, salve…» iniziò Michael, accennando un sorriso.
«Allora, dov’è la batteria?» disse uno dei tre, il più alto, precisamente, quello che a Michael faceva più paura. La batteria era un problema: Calum aveva la batteria, ma Calum non era lì.
«S-Sull’annuncio c’era scritto ogni venerdì dalle quattro alle sei o sbaglio?» tentò Michael. Non si ricordava cosa avesse scritto Calum, ma loro provavano di venerdì, e quel giorno era giovedì, in più erano solo le due del pomeriggio.
«Ci stai dicendo che non possiamo fare l’audizione?» chiese un altro.
«Be’, magari non oggi, ma domani io sono sempre qu-» provò a dire Michael, ma uno dei tre uomini, sbuffò e si avviò verso l’uscita.
«Stiamo perdendo tempo dietro una banda di mocciosi, andiamocene.» disse uno. Gli altri due annuirono e lo seguirono a ruota.
Da una parte, era sollevato che se ne fossero andati perché stava davvero per farsela nei pantaloni, dall’altra, però, voleva solamente prendere il muro a testate perché aveva perso l’occasione di trovare un batterista. Era pur vero che lui, Calum e Luke avevano solamente diciotto e diciassette anni e che, molto probabilmente, quei tre avevano il doppio della loro età, ma almeno per iniziare un batterista gli serviva: lui era negato a suonare la batteria, Luke era meglio non parlarne e Calum ci aveva provato,  ma non avevano ottenuto grandi risultati. Una cosa era certa, non potevano andare avanti con ritmi preregistrati presi da chissà quali siti internet.
Tirò un sospiro di sollievo, quando rientrò in casa, sua madre gli disse qualcosa come «Prova a far venire di nuovo degli sconosciuti in casa mia, Michael Clifford, e non vedrai la paghetta per sei mesi!», ma Michael si chiuse in camera e mandò un messaggio a Calum, raccontandogli di quello che era appena successo. Calum chiamò Luke – e per poco il biondo non strozzò con l’acqua che stava bevendo quando lesse il nome di Calum sul display, e come era prevedibile, Thalia lo prese in giro ancora una volta.
Insomma, fatto sta che la cosa si fece ancor più pressante: avevano assolutamente bisogno di un batterista, e ne avevano bisogno al più presto.
I ragazzi avevano messo un annuncio anche sulla bacheca scolastica, anche se in teoria era proibito mettere cose che non riguardassero corsi pomeridiani, ma in pratica nessuno aveva mai detto niente, e allo stesso tempo nessuno si era mai rivolto a loro.
Allora Thalia ebbe un’idea: si ricordò della conversazione tra Luke e Ashton giorni prima, al parco, Ashton aveva detto di andare in un’altra scuola, la stessa della cugina di Luke, avrebbero potuto mettere un annuncio anche lì.
E in quel momento, Luke, se Thalia non fosse stata la sua migliore amica pensava che avrebbe potuto baciata.
Così il giorno seguente, dato che era venerdì e che non avevano compiti da fare, Thalia andò con i tre ragazzi alla scuola della cugina di Luke, munita di puntine, spillatrice e colla per affiggere l’annuncio un po’ ovunque. Quando arrivarono, finalmente, Thalia pensò che forse avrebbe incontrato Ashton, magari lui l’avrebbe salutata, forse le avrebbe anche sorriso, poi si diede della stupida. Insomma, perché desiderava così tanto vederlo? Lo conosceva da meno di una settimana, non poteva interessargli in quel modo, non poteva esserne così ossessionata, lo sapeva da sé, eppure, Ashton era quel tipo di persona che non svelava niente e che, di conseguenza, ti faceva solo venir voglia di parlarci per ore e ore, pur sapendo che non avresti mai saputo niente, se lui non avesse deciso di svelarsi.
Sì, era passata quasi una settimana da quando ci aveva parlato l’ultima volta, e lui l’aveva lasciata lì con una scadente battutina su Luke che non faceva ridere, e lei moriva dalla voglia di parlarci ancora, di rompere quel pezzo di ghiaccio che usava come scudo e di poter finalmente conoscere Ashton Irwin, perché era sicura che dietro la sua corazza si nascondesse un ragazzo interessante.
E no, non in quel senso. Interessante perché Ashton aveva un segreto chiuso dentro di sé, Thalia l’aveva visto. Un segreto che non voleva far sapere a nessuno. Forse qualcosa di doloroso, che si ostinava a voler superare da solo. Era un segreto di quelli che ti fanno svegliare in piena notte in preda ad attacchi di panico, che ti fanno sudare freddo, che non ti lasciano respirare. Uno di quei segreti che ti uccidono e tu non te ne accorgi.
E Thalia avrebbe solo voluto conoscere quel segreto che lo rendeva così misterioso e aiutarlo, salvarlo, impedire a quel peso di schiacciarlo.
Entrarono nella scuola, andando controcorrente rispetto a tutti gli altri ragazzi che stavano uscendo proprio in quel momento. Thalia teneva tra le braccia una pila di volantini, mentre Luke e Calum avevano con sé la chitarra e il basso: subito dopo sarebbero andati da Michael a provare.
«Quante canzoni avete scritto?» chiese Thalia curiosa, mentre si addentravano per i corridoi della scuola.
«Ehm…» iniziò Luke. «Due.»
«Solo?» esclamò Thalia.
«Hey! Le canzoni non si scrivono in due minuti.» protestò Calum.
«Infatti» intervenne Michael. «C’è il testo, poi la musica, il ritmo… non è una passeggiata.»
Thalia sorrise. «Per i testi potrei darvi una mano… per il resto sono negata.» ammise la ragazza, scrollando le spalle. Si avvicinò allo spazio dedicato alle varie comunicazioni e annunci e cominciò ad appendere i volantini. Michael ne prese la metà e cominciò ad aiutarla, spiegando a tutti l’episodio del giorno prima.
«Ma quanti anni avevano?» chiese Calum.
«Sulla trentina…» rispose Michael, attaccando l’ultimo volantino. A Thalia ne rimaneva ancora uno in mano, e quando fece per attaccarlo, qualcuno glielo rubò dalle mani. Nessuno se ne accorse tranne lei, dato che erano un po’ distanti, non fece in tempo nemmeno a girarsi e cominciare ad inventare qualche scusa con una probabile bidella che la voce di Ashton Irwin le invase la testa.
O meglio, continuò ad invaderle la testa, dato che questa era già occupata dal ragazzo stesso.
«5 Seconds of Summer?» domandò il ragazzo, leggendo con attenzione i caratteri cubitali sul volantino. Luke si voltò e rimase piuttosto sorpreso, non si aspettava di trovare lì Ashton, con i suoi soliti jeans strappati e la felpa enorme, anche se sapeva che frequentava quella scuola. «Nome curioso.»
«Siamo noi.» disse Calum.
Ashton alzò lo sguardo, prima lo posò sui tre e poi su Thalia. «Sei in una band con la tua ragazza, Luke?» chiese divertito.
«Non sono la sua ragazza!» protestò Thalia sbattendosi una mano contro la fronte: era impossibile cercare di far ragionare Ashton su quell’argomento. Magari lo diceva solo per divertirsi e farli irritare, cosa molto probabile.
«E non fa parte della band, siamo noi tre… per ora.» continuò Luke.
«Cercate un…» iniziò Ashton, poi si rimise il volantino davanti al foglio. «Batterista?»
«Esatto.»
Ashton annuì. «Bene, buono a sapersi. Io vado a casa.» disse, avviandosi verso l’uscita. Thalia rimase vicino al muro, immobile, poi, come se qualcosa fosse scattato dentro di lei, alzò la testa e lo rincorse, proprio come qualche giorno prima.
«Aspetta!» esclamò, affiancandolo. Ashton rallentò, senza però fermarsi. Lui e Thalia camminavano lentamente verso l’uscita.
«Andiamo…» sospirò Luke.
«Non aspettiamo Thalia?» chiese Michael.
«Non credo tornerà con noi.» rispose Luke con un sorrisetto divertito stampato in faccia. Era incredibile quanto Thalia facesse schifo a mentire: se quella non era una cotta, lui era il più grande chitarrista di tutti i secoli.
 
 
Thalia aveva scoperto dove abitava Ashton. Chiariamoci, non l’aveva seguito di soppiatto come una maniaca, avevano semplicemente parlato senza accorgersi dello scorrere del tempo, poi Ashton si era fermato e Thalia aveva capito di essere arrivata al capolinea. Almeno, a quello di Ashton.
«Io sarei arrivato a casa.» annunciò il ragazzo. Thalia si guardò intorno: non aveva mai visto quel posto prima, non riconosceva le vie, gli alberi, niente. Era esattamente in mezzo al nulla. Come ci erano arrivati a scuola di Ashton? Con l’autobus, magari tornando indietro e prenderlo nella direzione opposta l’avrebbe riportata a casa, ma Thalia, guardando l’orologio, notò che avevano camminato per ben mezz’ora, decisamente troppo per ricordarsi ogni via percorsa.
E adesso? Erano le quattro e venti, Luke e gli altri stavano sicuramente provando, quindi non avrebbero sentito il telefono; chiamare sua madre e dirle di trovarsi dall’altra parte della città con un ragazzo conosciuto una settimana prima non sembrava l’idea migliore, allora «Ashton, come ci arrivo a casa?» gli chiese, guardandosi i piedi.
«Dove abiti?» domandò il ragazzo a sua volta.
«Cooper Street» rispose Thalia. «Vicino alla stazione.»
«È lontano.» disse Ashton.
«Altrimenti non te l’avrei chiesto.» ribatté Thalia, incrociando le braccia al petto. Lo zaino cominciava a pesare e sentiva i piedi a pezzi.
«Aspetta un momento.» le disse Ashton. Thalia annuì, lui si avvicinò alla porta e suonò il campanello, stette un paio di minuti lì fermo, ma nessuno venne ad aprirgli. Allora, tirò fuori dallo zaino un paio di chiavi e le fece cenno di seguirlo.
Entrarono in garage, dove  però non c’era nessuna macchina. Ashton tirò via un telo da quella che si rivelò essere una motocicletta nera e lucida. «Mio padre non vuole che la usi, la tiene qui come un cimelio. È una sorta di spreco dato che va davvero forte.»
«Tu sai guidare quella cosa?» chiese Thalia perplessa.
«Tecnicamente sì perché ho la patente, in pratica non ci sono mai salito sopra» rispose Ashton. Thalia lo guardò ancor più perplessa di prima. «Vuoi tornare a casa, sì o no?»
«Sì.»
«Allora sali.» Ashton buttò lo zaino per terra e saltò sulla motocicletta, Thalia si avvicinò. Se solo sua madre l’avesse vista tornare a casa a bordo di una moto, con un ragazzo per di più, forse l’avrebbe uccisa, ma se quello era l’unico modo per tornare…
Thalia si posizionò dietro Ashton, e in quel momento iniziò ad avere paura: non era mai salita su una moto, non sapeva dove mettere le mani e, soprattutto, aveva il terrore di cadere e sfracellarsi a terra. Ashton le passò un casco e lei cercò di infilarselo, fallendo miseramente nel tentativo di allacciarlo. Allora lui, con un piede ancora per terra, ruotò il busto e con pochi e semplici movimenti allacciò il casco di Thalia. Per fortuna quel coso le copriva gran parte della faccia, o Ashton l’avrebbe vista arrossire di vergogna. E non solo.
«Possiamo partire?» chiese lui.
«Se mi spiaccico sull’asfalto è colpa tua.» rispose Thalia, deglutendo sonoramente.
«Reggiti.»
«Dove?!»
Ashton sbuffò e sorrise divertito, prese le mani di Thalia e le mise attorno alla propria vita. «Non stringere troppo, ci tengo ai polmoni…»
«Qui c’è lo stomaco.»Thalia rise nervosa, poi Ashton mise in moto, sollevò il piede da terra e partì.
Al contrario di come si aspettava, andare in motocicletta era particolarmente piacevole, Thalia capì che era impossibile cadere. Certo, quando Ashton prendeva una curva un po’ troppo stretta e la moto s’inclinava pericolosamente verso l’asfalto chiudeva gli occhi, però il resto del viaggio si svolse in assoluta tranquillità.
Ashton parlava del più e del meno mentre Thalia si chiedeva se anche lui si sentisse strano all’idea delle sue mani aggrappate a lui.  Del suo petto contro la schiena; lo sentiva, il cuore di lei che batteva? Forse no, insomma, Ashton aveva quasi tre anni più di lei, non era una ragazzina con gli ormoni in subbuglio. Solo che Thalia non era mai stata così vicina ad un ragazzo e la cosa la imbarazzava parecchio.
Dopo dieci minuti, Thalia cominciò a riconoscere casa di Luke, allora «Lasciami qui.» disse gentilmente.
«Non siamo ancora a Cooper Street.» rispose Ashton mentre rallentava un po’.
«Lo so, ma se mia madre scopre che sono tornata in moto con uno sconosciuto mi uccide.» si giustificò Thalia. Ashton accostò e lei scese dalla moto, con le gambe fatte di gelatina, si chiese come avrebbe fatto a tornare a casa a piedi. Sciogliere il casco sembrava ancor più difficile che allacciarlo, e di nuovo Ashton le diede una mano.
«Sono uno sconosciuto, Thalia Reed?» chiese Ashton.
«Non per me, ma per lei sì, quindi è meglio evitare...» rispose Thalia, sorridendo timidamente.
«Hai ragione, cosa farebbe Luke se lo sapesse?» scherzò Ashton.
«Credi davvero che io e Luke stiamo insieme?» domandò Thalia, restituendogli il casco.
«No» rispose Ashton. «Ma mi piace prenderti in giro.»
«Grazie del passaggio.» mormorò Thalia.
«Figurati» Ashton sorrise, e Thalia si soffermò di nuovo ad osservarlo e a pensare a quanto Ashton fosse più carino quando sorrideva. Poi scosse la testa e si rese conto che il ragazzo stava mettendo in moto. «Ci vediamo.»
Thalia fece un cenno con la mano per salutarlo e poi lui ripartì, lasciandola sola sul ciglio della strada. «Sì, ci vediamo.» mormorò a bassa voce, rivolta a se stessa. Abbassò lo sguardo a terra e cominciò a camminare.
 
 
 
 

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Angolo di Marianne
Salve a tutte! Sono di nuovo qui con il capitolo numero tre! Ahhh, come passa il tempo, mi sembrava solo ieri quando ho pubblicato il prologo D: Anyway, la canzone di oggi è Kids in the street degli AAR *-* *amore infinito* (seriously, vi consiglio di ascoltarli perché sono fantastici!) Passando al capitolo, ecco che compare sulla scena il nostro Mickey *-* siete felici? Nel prossimo capitolo vedremo "in azione" anche Calum, ve lo prometto. u.u I ragazzi cercano disperatamente un batterista, chissà chi e chissà perché... lol, comunque, Ashton li nota e basta, non entra nella band così come capita, è un ragazzo maturo lui (?) Sto parlando a vanvera, scusate, è che oggi è un giorno strano. AHAHAHAHA
Comunque, ormai lo sapete (o forse no?) che shippo Thalia e Asthon più di qualsiasi altra cosa al mondo D: scrivere di loro è diventata una cosa fisiologica, credo che impazzirò prima o poi, ma sono dannatamente... asdffghjjkl. Amo i miei stessi personaggi, non sono normale, perdonatemi. Questo per dire che non mi stancherò mai a scrivere scene flufflose tra di loro (ma non disperate, arriverà anche l'angst e la sofferenza, prima o poi, io senza angst non ci so stare :)).
Fatemi sapere cosa pensate del capitolo lasciando un commentino qui sotto, anche le critiche, se ne avete - e spero di no, ma non si sa mai, lol - sono ben accette. :3
Ho da farvi una domanda che non c'entra niente: chi di voi sarà al Romics (la festival del fumetto a Roma) domani? Se ci siete aggiungetemi su Facebook, così ci organizziamo :D non sarò un cosplay (ci sono stati dei... problemi tecnici), quindi non so come farmi riconoscere LOL
Detto questo, ringrazio come al solito tutti quelli che seguono la storia e l'hanno inserita tra le preferite e/o le ricordate, e chi legge nell'ombra ♥ E in particolare, ringrazio DarkAngel1, BeaClifford07, Kikka_Mrs_Styles e Aletta_JJ per aver recensito lo scorso capitolo. È molto importante per me c:
Alla prossima, love ya ♥
Marianne

 
 


 

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Capitolo 5
*** Hold you ***


 
 
Capitolo 4
 
«It’s like waiting for the rain in a warm summer day.»
(Nina Nesbitt – Hold you)
 
Le prove erano andate uno schifo. Michael credeva che di lì a poco sarebbe morto, così sgattaiolò via dal garage e raggiunse la cucina, nella speranza di trovarci qualcosa di buono da mangiare mentre lasciava Calum e Luke da soli a sbollire la rabbia. Forse, però, è meglio cominciare dall’inizio.
Iniziarono a suonare non appena arrivarono a casa di Michael, mezzora prima del solito. Alle quattro, non presentò nessuno per fare l’audizione come batterista, nemmeno quel tipo incontrato a scuola di Ellie, la cugina di Luke, e loro continuarono a provare come se nulla fosse.
Durante la pausa, il cellulare di Calum cominciò a squillare e lui si allontanò a parlare. Luke e Michael rimasero in garage a parlare del batterista che gli serviva perché «Luke, è impossibile continuare in questo modo!», ma il biondo era diviso tra due grandi pensieri, e il batterista non rientrava tra questi: uno, Calum stava al telefono da un quarto d’ora; due, Ashton ci stava provando spudoratamente con la sua migliore amica, ma Thalia continuava a dire che non erano nemmeno così amici e che lei, sicuramente, gli stava antipatica.
Oh, e non dimentichiamoci che lei aveva una cotta devastante per quel ragazzo che sembrava saper sorridere e basta nella vita. Quel tipo era un po’ strano, certo, a Luke non andava esattamente a genio, ma Ashton, di fatto, non gli aveva fatto niente di male.
Sospirò, era davvero impossibile continuare in quel modo.
«Cosa c’è che non va, Lukey?» domandò Michael, mettendogli una mano sulla spalla. «Ti vedo molto pensieroso.»
«Nulla» mormorò Luke, passandosi una mano tra i capelli biondi. «La mia vita mi rende stanco, ho troppi impegni, troppi… casini.»
Michael sospirò e si mise seduto vicino a lui. «Noi non rientriamo nei casini, vero?»
«No, Mickey.» rispose Luke.
«Hey» lo avvertì Michael. «Chiamami di nuovo Mickey e ti taglio le corde della chitarra.»
Luke rise, la porta del garage si aprì e Calum rientrò, con un sorriso sulle labbra.
«Che mi sono perso?» chiese Calum, posando il cellulare su un mobile, insieme a quello degli altri.
«Il nostro Luke sta attraversando una profonda crisi esistenziale.» rispose Michael con una faccia buffa, dando a Luke tante pacche sulla spalla destra, sempre più forti finché «Michael!» protestò il ragazzo.
«Non farla così tragica…» continuò il biondo.
Calum sorrise e gli si avvicinò. «Sei depresso, Luke?» gli chiese, mentre lo guardava negli occhi. Luke cercò con tutto se stesso di non arrossire, ma non era mica colpa sua se Calum lo guardava in quel modo.
Non era mica colpa sua se il suo maledetto cervello continuava a fondersi ogni volta che Calum lo guardava, o quando lo sfiorava.
«No» rispose Luke. «Sto benissimo.»
«Dai, non dirmi cazzate.» disse ancora il moro, scoppiando a ridere.
«Che ne vuoi sapere tu, che parti per una settimana senza degnarti di dirmi niente, o che passi ogni fottuto momento libero a pomiciare con Juliet dietro qualche albero?!» sbottò Luke, alzandosi in piedi di scatto. Continuò a camminare su e giù per la stanza, mentre parlava, e Calum incassava ogni parola in silenzio. «Ormai non ci parli nemmeno più, con me!»
«Innanzi tutto, si chiama Jules.» iniziò Calum.
«Non me ne frega un cazzo di come si chiama!» gridò ancora Luke. «Sei il mio migliore amico, non dovresti chiedermi se sto male o no, dovresti capirlo.»
«Luke calmati.» mormorò Calum, cercando di capire cosa stesse prendendo al suo migliore amico. Luke non aveva mai fatto così prima di allora, era sempre stato un tipo pacato e tranquillo, uno che si arrabbiava molto difficilmente.
«Mi dispiace, non posso sapere sempre cosa ti passa per la testa.» disse Calum. «E il viaggio… l’ho saputo anche io solo qualche giorno prima.»
«Non ti impediva mica di sprecare un inutile e insulso minuto della tua vita per chiamarmi…» ribatté Luke. «E non è quello il punto.»
«E allora qual è il tuo fottuto problema?» chiese Calum, cominciando ad alzare la voce a sua volta.
Fu allora che Michael cominciò ad indietreggiare lentamente fino a raggiungere la porta del garage, e poi scappò in casa, dirigendosi in cucina.
Luke a Calum non avevano mai litigato, almeno non così… seriamente. Sembrava una cosa grossa, stavolta. Per questo Michael non aveva saputo come comportarsi, e nel dubbio aveva preferito fuggire da quei due pazzi prima di rimetterci la pelle, perché lo sapeva come sarebbe andata a finire: gli avrebbero chiesto di prendere le parti. Meglio darsela a gambe prima di far scoppiare il finimondo.
Aprì il frigorifero e tirò fuori la coca-cola, poi riempì tre bicchieri e li mise su un vassoio, forse sarebbe servito a placare i suoi amici, ma era meglio non esserne troppo sicuri.
Rientrò in garage e trovò i due ancora intenti a discutere.
«Non sono dentro la tua dannata testa, Luke!» esclamò Calum. «Come te lo devo far capire?»
«Non sono io il problema. Sei tu che stai mettendo la tua ragazza davanti ad ogni cosa, davanti alla band, davanti a noi, davanti a me!»
«Sembri una checca gelosa.»
«Che cazzo hai detto?» E lì partì il pugno, dritto verso lo zigomo di Calum. Michael posò il vassoio da una parte - non era sicuro che il tavolo degli attrezzi da falegname di suo padre fosse il posto giusto, però -  e andò a separare Calum e Luke. Prese il biondo per le spalle, perché Calum andava in palestra e non era del tutto sicuro che sarebbe riuscito a trattenerlo, e lo tirò indietro, poi si mise in mezzo ai due ragazzi e allargò le braccia.
«Basta.» disse seriamente, guardando prima uno e poi l’altro. «Non avete dodici anni, smettetela di comportarvi come ragazzini.»
Calum si tirò giù le maniche della felpa leggera e guardò Luke che, in quel preciso momento, avrebbe solo voluto sotterrarsi, oppure murarsi vivo. Insomma, voleva sparire dalla faccia della Terra.
Come se non bastasse, Calum gli aveva rivolto quelle parole cattive, che magari nemmeno pensava veramente, solo che ci era rimasto parecchio male: cosa avrebbe fatto se fosse venuto a sapere che Luke provava dei sentimenti strani nei suoi confronti, dei sentimenti che nemmeno lui si sapeva spiegare?
Il fatto è che non erano i ragazzi a piacere a Luke, era solo Calum con le sue battute che non facevano ridere, con i suoi occhi scuri e con i suoi sorrisi imbarazzati quando sapeva di essere nel torto, oppure di aver detto qualcosa di inopportuno. Quei sorrisi per cui Luke lo perdonava sempre, quei sorrisi per cui Luke si scusava, anche se non era lui ad aver sbagliato.
E gli andava bene così, gli era sempre andato bene così. Calum con la sua vita, con la sua ragazza e con i suoi problemi. E Luke che rimaneva lì, ad essere il suo migliore amico, a sostenerlo quando Calum cadeva, perché è questo che fanno gli amici, si sostengono a vicenda.
Ma gli amici non si amano, Luke.
Appunto, Calum amava Juliet, Jules, o come cavolo si chiamava. E Luke… Luke non è che amasse Calum. Insomma, erano amici sin da quando portavano il pannolino, erano sempre stati insieme, tutte le cazzate che avevano fatto le avevano fatte insieme, eppure, perché Luke, da qualche mese a quella parte, si sentiva così strano e fuori posto quando Calum gli stava vicino? Perché ci stava maledettamente male quando vedeva Calum avvinghiato a quella sottospecie di polpo con i capelli neri?
Perché Calum ti piace, Luke. La sua coscienza ritornava a rompere. Sì, Calum gli piaceva, e fin lì c’era arrivato, ma poteva benissimo essere solo una cotta passeggera dovuta alla crescita e tutto il resto. Quando ti senti un po’ confuso sulla tua identità sessuale e allora cominci a farti piacere anche i gatti perché magari sono teneri.
Calum sembrava un gatto, a volte, e qualcuno avrebbe potuto dire che secondo il sillogismo aristotelico se a Luke piacevano i gatti e Calum somigliava ad un gatto, allora a Luke piaceva Calum, ma sinceramente, Luke preferiva che la situazione restasse così com’era, o al massimo migliorasse. Non voleva che degenerasse in quel modo, arrivando a prendersi a pugni.
Luke alzò lo sguardo e i suoi occhi azzurri incontrarono prima quelli di Michael e poi quelli di Calum che «Scusa…» mormorò, abbassando la testa. «Non è stata una cosa carina da dire.»
Luke deglutì e aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono, forse perché il suo cervello era completamente andato, fuso, e quindi nemmeno lui riusciva a trovare qualche straccio di parola da dire.
Alla fine, Luke sospirò. «Scusa per il… per il pugno» disse. «Andiamo a metterci del ghiaccio.»
Michael buttò fuori l’aria che stava trattenendo e fece un passo indietro. I due entrarono insieme in casa: era andato tutto bene, alla fine.
E dire che Michael se l’era vista proprio brutta… Calum non aveva mai detto una cosa del genere a nessuno, tantomeno al suo migliore amico, e Luke non aveva mai preso a pugni una persona. Era stata una cosa strana da vedere e da vivere, ed era successo tutto così velocemente che Michael si stupì di come fosse finita altrettanto in fretta. Meglio così, si disse, fare le prove con quei due che non si potevano vedere sarebbe stato a dir poco terribile.
 
Thalia sapeva che sua madre l’avrebbe uccisa, eccome se lo sapeva! Si era anche fatta lasciare davanti casa di Luke apposta, così avrebbe continuato a piedi e sua madre non avrebbe mai saputo niente di quel giro in moto clandestino. Ma si sa, la vita è imprevedibile, così, Thalia si era ritrovata sua madre a meno di tre metri di distanza, imperterrita e con le braccia conserte vicino al cancello di casa di Luke.
Merda!
L’aveva guardata negli occhi, quindi non poteva fingere di non averla vista e rimandare la ramanzina a casa, perciò si limitò a sorridere quanto più poteva e a salutarla con la mano, come a dirle “Mamma, sai quanto ti voglio bene? Tanto”
Ma sapeva anche che non se la sarebbe mai cavata, mai, così si rassegnò all’idea di morire e pregò che potesse almeno scegliere di farsi seppellire sotto o accanto al garage di Michael, perché loro non l’avrebbero mai perdonata se fosse morta prima di ascoltare la canzone migliore che avessero mai scritto, ma Michael ogni volte le diceva che dovevano ancora scriverla, la loro canzone migliore, e così rimandava.
Allora, Thalia fece un bel respiro e attraversò la strada, raggiungendo sua madre sul marciapiede. La resa dei conti era arrivata.
«Thalia» iniziò la donna, con voce grave. «Hai la decenza di spiegarmi perché? Dove ho sbagliato? Cosa non ti ho insegnato?»
Thalia si guardò i pollici con estrema attenzione, poi alzò lo sguardo, in quel momento passò sopra le loro teste uno stormo di gabbiani molto interessanti, ma cambiare discorso non avrebbe avuto alcun senso, tanto valeva affrontare le cose come stavano.
«È un mio amico, e io avevo appena perso l’autobus…» mentì Thalia. Non si sentì in colpa perché, alla fin fine, non era una vera e propria bugia. Era, come dire?, una mezza verità. Lei lo considerava veramente suo amico, Ashton. Se lui ricambiasse o meno era tutto da vedere.
«Mi sembrava un po’ troppo grande per essere un tuo amico, non esci più con Luke?» continuò sua madre. Cominciò a camminare verso casa e Thalia la seguì, con la testa bassa e il cervello che macchinava scuse su scuse.
«È del mio anno, però è stato bocciato l’anno scorso perché è… è stato male e l’hanno dovuto ricoverare, quindi ha fatto troppe assenze» inventò ancora Thalia. Lo sguardo di sua madre sembrò addolcirsi un poco, stava funzionando. «E Luke oggi aveva le prove della band, io mi sono trattenuta a scuola per… per un progetto di inglese e ho perso l’autobus. Così lui mi ha offerto un passaggio.»
«Potrà anche essere un tuo amico, ma quante volte ti ho detto che non devi salire su una moto per nessun motivo al mondo?» chiese esasperata. Thalia sbuffò: era la trentasettesima volta, più o meno, che sentiva quella storia, e sì, le aveva contate tutte.
A lei dispiaceva davvero per sua zia Valerie, per quanto potesse essere dispiaciuta per una persona che non aveva mai conosciuto, ma sua madre ne era rimasta profondamente segnata: sua zia era stata coinvolta in un incidente e, be’, si trovava a bordo di una motocicletta. Una motocicletta che non guidava nemmeno lei, per giunta. Da quel giorno in poi, Marie, la madre di Thalia, non aveva più voluto vedere una moto in vita sua, era comprensibile che fosse preoccupata per Thalia, ma lei si fidava di Ashton, e poi la faccenda di sua zia Valerie era successa anni prima che lei nascesse, quando sua madre doveva addirittura conoscere ancora suo padre. Era passato tanto tempo ormai, non credeva che avesse ancora quel tipo di reazioni. Alla fine, riuscì ad evitare la ramanzina e se la cavò con la solenne promessa che non sarebbe mai più salita su una moto con un ragazzo, o su una moto in generale, con chiunque fosse, ma specialmente con un ragazzo più grande.
Tornata a casa, aspettò le sei e mezza per chiamare Luke e raccontargli tutto quello che era successo quel giorno, ma sorprendentemente fu lui a chiamare lei, dieci minuti dopo le sei.
«Luke!» iniziò Thalia, rispondendo al telefono. «Devo assolutamente dir-»
«Prima io.» la interrupe Luke, con la voce tremante. Era successo qualcosa durante le prove, poco ma sicuro.
«Dimmi.»
«Ho preso a pugni Calum.»
«Perché?»
«Perché sono un idiota!» esclamò il ragazzo, dall’altra parte del telefono. «E perché ho capito che mi piace, ma è strano, perché… chiariamoci, Thalia, io non sono gay.»
«Luke, respira.» provò a tranquillizzarlo Thalia.
«Sono serio! Degli altri ragazzi non me ne frega niente, insomma, a me piacciono le ragazze, okay? Solo che Calum è… semplicemente Calum, non so perché io ci sia così fissato e… oh Dio! Così sembro una specie di stalker, però com’è possibile che mi piaccia Calum se fino a ieri andavo predicando di quanto vorrei invitare Susan Kyle al ballo di fine anno?»
«Luke, santo cielo, vuoi prendere aria quando parli?» esclamò di nuovo Thalia. «Ho capito: non sei gay ma ti piace Calum. Adesso vuoi spiegarmi perché l’hai preso a pugni?»
Thalia sentì Luke sospirare e si buttò sul letto, sarebbe stata una lunga serata.

 
 
 
 

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Angolo di Marianne
Salve a tutte, dolci donzelle (?) Avrei davvero voluto - e dovuto - aggiornare ieri, ma ci sono stati dei contrattempi a casa (vedi: tre undicenni amiche di mia sorella che mi hanno monopolizzato la stanza per tutto il pomeriggio). Maaaaaa adesso sono qui pronta a ricevere pomodori in testa, zucchine e ortaggi d'altro genere. Okay, io non volevo far litigare e far riappacificare i Cake in un capitolo solo (nella mia testa la cosa era molto più sadica, tipo, farli litigare ora e fargli far pace chissà tra quanto MUAHAHAHA), ma è ciò che il mio cervello ha prodotto quindi nada. E, a proposito di Cake, NON SONO STUPENDAMENTE STUPENDI? Come potete vedere/leggere ho spiegato bene la situazione. Nessuno è gay al 102% in questa storia (per vostra fortuna e per quella della mia sanità mentale), c'è solo amore, only love, seul l'amour, solo el amor, 愛だけ... vabbè, afferrato il concetto. AHAHAHA
Ora, l'ultima parte del capitolo, lo ammetto, funge un po' da toppa. Una sorta di riempimento. Lo so e mi scuso, ma non sapevo affatto cosa fare per allungare il brodo, sono una persona orribilmente orribile, uscita da una settimana scolastica altrettanto orribile (e che non è ancora finita! domani ho il compito di matematica ç_ç), che aspetta la prossima settimana che sarà ugualmente orribile. Per fortuna che dopo ci sarò Pasqua e tanta cioccolata.
Niente, la canzone di oggi è Hold you di Nina Nesbitt che, anche se triste, è una fantastica canzone, come tutte le canzoni di quella donna, comunque u_u
Spero vivamente che vi sia piaciuto e che la storia finora sia stata e sia tuttora di vostro gradimento! Ringrazio come sempre tutti voi che leggete, seguite, preferite e ricordate. È un po' come se mi diceste "noi siamo qui, vogliamo leggere" (almeno spero lol) e mi spronate a continuare.
E, as usual, un ringraziamento speciale a chi ha recensito lo scorso capitolo: DarkAngel1, Nanek, BeaClifford07 e Kikka_Mrs_Styles
Lasciate una recensione, un commento una qualsiasi cosa e fatemi sapere cosa ne pensare, se c'è qualcosa da migliorare ecc. Non lo so, sarò strana io, ma quando vedo il numeretto al lato aumentare mi emoziono e penso "chissà cosa ci sarà scritto in questa recensione" e apro col cuore a mille :3 #sputtaniamoci.
Seriamente, grazie di tutto ♥
Alla prossima!
Marianne

 
 


 

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Capitolo 6
*** This ***


 
 
Capitolo 5
 
«This is the start of something beautiful. This is the start of something new.»
(This – Ed Sheeran)
 
 
«Secondo me dovresti provarci, Ashton.»
Ashton odiava starsene straiato su quel divanetto, anche se era morbido e comodo, e ti faceva venir voglia di addormentarti. E cosa più importante, anche se ormai la dottoressa Sally – come la chiamava Ashton, perché il suo cognome era troppo complicato da ricordare –  aveva cominciato a starle simpatica, non ce la faceva più a sentirsi dire cosa doveva fare o meno della sua vita, come comportarsi, come parlare e cosa fare per sentirsi meglio, anche perché la situazione rimaneva sempre e la stessa.
«Non voglio entrare a far parte di una band di…» bofonchiò il ragazzo, mentre cercava la parole giusta da dire, mettendosi le braccia dietro la testa.
«Può farti bene interagire con il mondo, Ashton.» continuò la dottoressa. Lei aveva quella fastidiosa abitudine di finire ogni frase chiamandolo per nome, Ashton non sapeva perché, ma la cosa gli dava fastidio. Era come se volesse ricordargli che lui era veramente Ashton Irwin e che, sì, la sua vita era il disastro più totale, solo che gli sarebbe piaciuto, qualche volta, diventare qualcun altro e vivere una normalissima vita qualunque. Divertirsi come un diciannovenne dovrebbe fare, senza preoccuparsi troppo del mondo che gli gira intorno.
«Io interagisco, proprio l’altra settimana ho conosciuto una ragazza.» iniziò Ashton, e poi si pentì. Quando era dentro quello studio tendeva sempre a parlare più del dovuto, ma Sally era la sua psicologa, doveva conoscere ogni cosa di lui, tanto sarebbe sempre rimasto un segreto tra loro due. Ashton ricordava ancora la prima volta che era entrato in quella stanza: era un po’ restio ad andare lì e a raccontare i suoi problemi ad una perfetta sconosciuta, ma lei gli aveva assicurato che «Tutto quello che diciamo rimarrà tra queste quattro mura.» e allora Ashton aveva tolto ogni freno alla lingua.
«Parlami di lei, avanti, Ashton.»
«Si chiama Thalia e ha sedici anni, almeno credo, comunque è del terzo. L’ho conosciuta in circostanze singolari, insomma, quale sedicenne incontri in un parco di sabato pomeriggio? E l’ho notata perché era… diversa. Non so come spiegarlo.» rispose Ashton, fissando il soffitto sopra la sua testa.
«Diversa in che senso, Ashton?» gli chiese Sally.
«Uhm, hai presente che ci sono le stelle che brillano di luce propria e i pianeti che brillano di luce riflessa?» iniziò Ashton. «Ecco, lei è un pianeta – lo so che fa schifo come metafora – solo che è un pianeta talmente luminoso che lo scambieresti per una stella senza accorgertene.»
Sally esitò prima di parlare, e ci fu un momento in cui l’unico rumore che si sentiva era lo svolazzare dei fogli.
«Ti seguo da due anni, ormai, e la vuoi sapere una cosa buffa?» domandò la dottoressa. «Hai usato la stessa metafora per descrivere Lilian, quando sei venuto qui la prima volta.»
Ashton s’irrigidì all’improvviso. Sentir parlare di Lilian, dopo due anni, gli faceva ancora male.
 Più di quanto pensava. Più di quanto doveva.
«Sally…» iniziò Ashton, deglutì. «Lo sai che non voglio sentirla nominare.»
«Di che hai paura?» chiese Sally. «Di un nome? Di un ricordo? Devi saltare l’ostacolo, Ashton.»
«Non ce la faccio.»
«Ashton.»
«No, Sally. Io… la sogno ancora, capisci? Non ce la faccio a lasciarmela alle spalle. Lei c’è e basta.»
«Parlami ancora di Thalia.»
«Chiodo scaccia chiodo è una cosa vecchia quanto il mondo e di certo non funziona con la mia situazione.» disse Ashton scontroso.
«Non intendevo dire questo» Sally sorrise divertita. «Avanti, parlami ancora di lei.»
Ashton sospirò. Si sentiva in imbarazzo a parlare di lei con Sally, e non perché era Sally ad ascoltarlo. Si sentiva in imbarazzo perché Thalia era un suo piccolo segreto. Non aveva mai detto a nessuno di lei, di quella ragazza con gli occhi uguali ai suoi che l’aveva fatto comportare come un ragazzino, di quella ragazza che parlava per trabocchetti, riuscendo a capire cose di lui che nemmeno Ashton stesso sapeva.
Avevano scoperto insieme pezzi di lui che Ashton non sapeva nemmeno esistessero.
Non aveva mai rivelato a nessuno che quando ci passava del tempo insieme tutto sembrava scorrere con più facilità e che Lilian rimaneva fuori dalle porte del suo cervello; non aveva mai detto a nessuno che Thalia era una ragazza che lo affascinava, proprio perché aveva un modo di fare talmente diverso che lo lasciava senza parole ogni singola volta che si rivolgevano la parola.
«Tutto quello che c’era da dire l’ho detto. Ha sedici anni, va in un’altra scuola…» cominciò Ashton.
«No. Non questo» lo interruppe Sally. «Parlami delle tue impressioni. Non appena l’hai vista cosa hai pensato?»
Ashton rimase in silenzio per qualche secondo, prima di rispondere. Non abbastanza per inventare una bugia. «Questa ragazza è davvero strana.» mormorò, chiudendo gli occhi. Era sincero: aveva veramente pensato quelle cose quando l’aveva vista nei suoi jeans scarabocchiati e la felpa con le orecchie da gatto.
«Però strana in senso buono» riprese Ashton. «È diversa e mi piace.»
Sally annuì con un sorrisetto sulle labbra.
«Ma non in quel senso! Mi piace come persona, è particolare, è diversa e quindi è più interessante di tutte le altre persone. Le stesse che, tra parentesi, quando Lilian è morta hanno cercato di consolarmi con frasi trite e ritrite. Quelli che erano miei amici mi sono stati vicino per qualche settimana, e dopo chi li ha più rivisti? Sono sicuro che se l’avessi conosciuta prima, Thalia, lei mi sarebbe rimasta accanto. È questo tipo di persona, capito?, ecco perché mi piace.» lo disse tutto di fretta, come se si vergognasse di quei pensieri, come se volesse far passare velocemente tutto quello, ma allo stesso tempo, per averle dette così velocemente Ashton dovette ammettere che erano tutte cose vere. Non c’era stato abbastanza tempo per elaborare e dire bugie.
Sospirò, alla fine, e poi si alzò a sedere. Sally lo guardò e «Per oggi basta, Ashton, meglio che tu vada a casa.» gli disse, gli fece un sorriso d’incoraggiamento e lo accompagnò alla porta.
Quando fu in corridoio, Ashton si sentì meglio, ma anche peggio. Avrebbe voluto rimanere ore lì dentro a parlare di quanto gli mancasse Lilian, di quanto volesse conoscere Thalia e di quanto si sentisse in colpa a far coesistere le immagini delle due ragazze nella sua testa, ma l’aria fresca che respirò lo fece subito ricredere. Infilò le mani in tasca e scese in strada, diretto verso casa.
 
Thalia non aveva idea di come calmare Luke, davvero. Al telefono le aveva provate tutte, a scuola non era riuscita a parlargli per via dei mille impegni che aveva essendo la presidentessa di ben quattro club scolastici – che poi qualcuno se li filasse o meno, quella è un’altra storia – e adesso che Luke era a casa sua, aveva le mani tra i capelli. Aveva provato con la camomilla, tant’è che nel cestino c’erano già quattro bustine usate, ma non aveva fatto effetto. Allora, pensò seriamente di sedarlo con qualcosa, oppure drogarlo, ma non voleva finire in un carcere minorile per chissà quale accusa, perciò si limitò a spingerlo sul letto, costringendolo a stare seduto.
«Ascolta Luke, adesso ti calmi, va bene? Guardami negli occhi e respira» esclamò Thalia, mettendosi seduta sulla sedia, di fronte al letto. «Così. Inspira ed espira.»
Luke fece un respiro profondo e guardò la sua migliore amica. «Thalia, sono nel bel mezzo di… di….» provò a dire, nemmeno lui lo sapeva, cavolo!
«Sei nel bel mezzo di una crisi di coglionaggine, ecco di cosa.» disse Thalia, sbuffando.
«Sì, hai ragione. Sono un coglione. Hai perfettamente ragione.» esclamò Luke, prendendosi la testa tra le mani.
Thalia sospirò. «Be’, almeno te lo dici da solo…»
«Così non mi aiuti!» protestò Luke.
«Ma se ogni cosa che ti dico me la distruggi brutalmente!» Thalia alzò le braccia per giustificarsi e Luke la guardò male ed emise un gemito di protesta.
«Secondo te posso andare da Calum e dirgli che mi piace così su due piedi? Ti sei bevuta il cervello?» esclamò Luke. In quel momento qualcuno bussò alla porta e i due ragazzi si zittirono immediatamente, un secondo dopo la porta si aprì e apparve Marie, la mamma di Thalia, con un vassoio in mano.
«Vi ho portato del succo, ragazzi.» disse, sorridendo dolcemente.
Thalia sorrise. «Grazie, mamma.» si alzò e prese il vassoio dalle mani di sua madre, richiuse la porta con il piedi e poggiò il vassoio sulla scrivania, prendendo in mano i due bicchieri. Annusò il contenuto e «Succo alla pera. Ti piace?» chiese, passando il bicchiere a Luke. Lui non rispose nemmeno e scolò il contenuto del bicchiere in pochi sorsi, il tutto mentre Thalia lo guardava sconcertata, con il suo bicchiere ancora intatto.
«Tu hai decisamente bisogno di risolvere i tuoi problemi, Luke.» osservò Thalia, sorseggiò il suo succo e poggiò il bicchiere sul comodino.
«Come?» domandò Luke esasperato.
Thalia rimase in silenzio per un momento, poi si alzò e si fiondò su Luke che, preso alla sprovvista, si ritrovò con la schiena schiacciata sul materasso e le braccia sopra la testa, bloccate dalle mani di Thalia. In qualche strano modo, lei riuscì a rubargli il cellulare dalla tasca.
«Thalia. Il telefono.» sibilò Luke, rimettendosi a posto il ciuffo. Thalia ritornò in piedi e si voltò, ignorando il proprio migliore amico. Sbloccò il suo cellulare – ormai sapeva il PIN – e cercò in rubrica il nome di Calum, ma prima che potesse trovarlo, un altro nome catturò la sua attenzione. «Ashton Irwin?» domandò confusa. «Perché hai Ashton Irwin nella rubrica? Oddio, ora ti piace anche lui? Non puoi rubarmi i ragazzi, Hemmings!»
«La smetti di dire stronzate? È per la band.» esclamò Luke, esasperato. «E ridammi il telefono!»
Lei non ci pensò nemmeno, facendogli la linguaccia. Il cellulare cominciò a vibrare tra le sue mani e poi partì una canzone dei blink-182.
Ashton Irwin.
Un sorrisetto le spuntò sul volto e «Pronto?» rispose, allontandosi repentinamente da Luke
«Thalia, esigo quel cellulare, adesso!» gridò Luke, Thalia si tappò l’orecchio libero per sentire meglio la voce di Ashton.
«Pronto? Hemmings, sei tu?» chiese Ashton. «Non si sente bene.»
«No, Luke al momento è… occupato.» rispose Thalia, scansandosi velocemente. Evitò la mano di Luke per un pelo.
«E perché hai il suo cellulare?» domandò Ashton dall’altra parte del telefono.
«Perché hai il suo numero?» ribatté Thalia, incrociando le braccia.
«Facciamo le gelose, Reed?» la prese in giro Ashton. Dio!, quando odiava quando scherzava sul fatto che lei e Luke stessero insieme, se solo avesse scoperto la verità, Thalia pensò che sarebbe rimasto senza parole.
«THALIA REED, SE NON MI DAI QUEL TELEFONO GIURO CHE COMINCIO A PARLARE DELLA COTTA STRATOSFERICA CHE TI SEI PRESA PER ASH-» e Luke non continuò mai quella frase perché il cellulare lo ricevette, in testa, ma lo ricevette. Fortunatamente, Luke riuscì ad afferrarlo prima che potesse cadere a terra, fulminando la sua migliore amica. Si portò il telefono all’orecchio e cominciò a parlare con Ashton.
Thalia si lasciò cadere sul letto, con un’espressione imbronciata, cercando di capire il senso delle parole che Luke stava dicendo a raffica, le quali erano “sì”, “va bene”, “venerdì” “quando vuoi”. Dopo alcuni minuti arrivò ad un'unica conclusione: «Ashton entra nella band?»
«Viene solo a fare un provino…» borbottò Luke, lanciando il cellulare sul letto di Thalia.
Mossa sbagliata, anzi, sbagliatissima. Un luccichio le attraversò gli occhi, e prima che Luke potesse maledirsi per quello che aveva appena fatto, lei riprese il cellulare.
Stavolta la lasciò fare, non aveva altri mezzi per ricattarla: non avrebbe mica chiamato Ashton un’altra volta, anche se, conoscendo Thalia, la cosa aveva le sue piccole probabilità.
Però «Cal?» chiese la ragazza, e Luke avrebbe desiderato sprofondare nelle viscere della Terra. Cosa aveva al posto del cervello, segatura? «Luke deve dirti una cosa.» Thalia gli lanciò il telefono e Luke le fece la linguaccia.
«Dimmi, Lukey!» esclamò Calum dall’altra parte del telefono. Luke iniziò a sudare freddo.
«Io…» iniziò Luke, sbottonandosi il primo bottone della camicia bianca della divisa. Se cominciava ad avere caldo anche quando lo sentiva al telefono era semplicemente morto. Da considerarsi già a tre metri sotto terra. «Abbiamo un batterista! Cioè, venerdì verrà a provare e…»
«Ma è fantastico! Luke sei… sei un mito, ti amo!»
«Ehm… grazie?» disse Luke, diventando rosso come un peperone. Thalia stava trattenendo una risata. Quando Luke terminò la telefonata, finalmente scoppiò a ridere.
«Devi vedere la tua faccia!» squittì Thalia, buttandosi sul letto.
Luke rimase immobile, rosso in faccia, con il cellulare ancora in mano, con lo sguardo perso nel vuoto.
«Tu sei una donna morta.» sibilò Luke, si lanciò contro Thalia, buttandosi sul letto insieme a lei e cominciò a farle il solletico. La porta si spalancò una seconda volta e la sorellina di Thalia, Bonnie, fece il suo ingresso, stringendo una bambola tra le braccia. «Thalia e Luke sono abbracciati come mamma e papà!» cominciò a strillare. E Thalia divenne tutta rossa in volto. «Bonnie…»
«Thalia e Luke si vogliono bene come mamma e papà!» continuò a gridare la bambina, uscendo dalla stanza. La madre di Thalia, al piano di sotto, non trattenne la sua risata. Quella sera, a cena, le sarebbe toccato un lungo discorso sul fatto che non doveva assolutamente preoccuparsi se Luke era il suo fidanzato, dopotutto era un ragazzo per bene. Luke l’aiutò a rialzarsi e le si avvicinò. «Dovresti proprio vedere la tua faccia, mogliettina
 
 
 
 
 
 
 
 

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Angolo di Marianne
Sono di nuovo quiii, saaaalve! :3 Oggi mi sento paricolarmente felice: ho preso un voto decente a greco e, cosa più importante, sono iniziate le vacanze di Pasqua. LIBERTAAAAAA'
Quindi, dato che sono felice ho deciso di pubblicare il capitolo oggi. Cioè, volevo farlo domani, ma mi sono detta "oggi non ho niente da fare, revisiono e pubblico" so here I am! Dunque, mi sto rendendo conto di non avere nulla da dire ç_ç Scopriamo un altro particolare della vita di Ashton, un particolare non del tutto bello: la psicologa. Fondamentalmente, il nome è scelto un po' a cavolo, lo so. Non mi sono data il pensiero nemmeno di trovarle un cognome, a questa povera dottoressa, ma c'est la vie.. u.u Però. Ash decide di entrare nella band e siamo tutti felici e contenti perché, diciamocelo, è ovvio che Ashton entrarà nella band u.u la Thaluke (?), parlando di bromance, è bellissima e io amo questi due quasi quanto amo la Thashton *-* Da qui si evince quanto sia mentalmente disturbata la vostra autrice... Il mio cervello ha qualche serio problema, me lo ripeto ogni giorno. 
Vi avviso: il prossimo capitolo sarà completamente, unicamente e solamente dedicato a Thalia e Ash perché sì. Ho in mente troppe cose asdjgfhj.
EEE niente, la canzone del capitolo è "This" del mio ginger preferito (quattro parole: 23. giugno. nuovo. album.), spero che il capitolo vi sia piaciuto e non dimenticate di farmi sapere cosa ne pensate, lasciando un commento qui sotto :D
Vedere i numerini salire mi riempie di gioia, non sapete la soddisfazione *-* Vi ringrazio per i 18 seguiti, 11 preferiti e 3 ricordati e un grazie speciale, come al solito, a chi ha recensito lo scorso capitolo:  DarkAngel1,  Nanek, Kikka_Mrs_Styles, Aletta_JJ, animanonimy e BeaClifford07
Love ya, alla prossima! :3
Marianne

 
 


 

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Capitolo 7
*** Two pieces ***


 
 

 
Capitolo 6
 
«We fit together like two pieces of a broken heart.»
(Demi Lovato – Two pieces)
 
Ci sono quelle persone che incontri una volta sola nella vita, che te la cambiano anche rivolgendoti un solo sguardo o un saluto; ci sono quelle persone che conosci praticamente da sempre, ma di cui non ti accorgi mai; e poi ci sono quelle persone che continui a vedere, anche se hai paura dei loro occhi e dei loro sorrisi.
Per Thalia, Ashton Irwin era tutte queste persone. Era quel ragazzo che le aveva capovolto il mondo con le sue risposte brusche e i suoi jeans neri strappati sulle ginocchia, quello che era sempre stato dietro l’angolo, in quel parco intriso di ricordi per lui e di pace per lei. Era quel ragazzo che Thalia incontrava ogni giorno, una volta sull’autobus, un’altra al supermercato con sua madre, e ancora nel parco in cui l’aveva conosciuto. Era il ragazzo con gli occhi uguali ai suoi e i capelli strani, che teneva per sé tutti i suoi meravigliosi sorrisi.
E di quei sorrisi, chiunque ne sarebbe morto.
Ashton Irwin continuava a ronzarle fastidiosamente nella testa. Thalia voleva vederlo più spesso, senza sapere come. Non poteva continuare a fare affidamento sul destino che li faceva sempre incontrare, né sui vani tentativi di cercare di instaurare una conversazione con lui. Non avrebbe mai funzionato, perché Ashton era uno di poche parole, che non andava molto d’accordo con le conversazioni. Parlava con gli occhi, lui. Parlava con gli occhi e amava con parole mai dette.
Ashton teneva per sé i suoi sorrisi per una ragione ben precisa, Thalia non sapeva quale, esattamente, ma aveva intenzione di scoprirlo, di togliere quel buio dal suo viso e di vederlo sorridere più spesso, perché sì, quel giorno, nel garage di Michael, Thalia catalogò ufficialmente i sorrisi di Ashton Irwin tra le meraviglie del mondo conosciuto.
Aveva un modo particolare di sorridere, lui. Prima incurvava semplicemente le labbra, abbassando lo sguardo, poi le schiudeva leggermente e rialzava il capo. E la sua risata... la sua risata era tutta un’altra cosa. L’aveva sentita solo una volta, sempre quel pomeriggio.
Quando Ashton rideva, il mondo si annullava e lui riusciva a contagiare chiunque gli stesse attorno. Forse era solo perché Ashton non era un tipo che rideva spesso, per questo le sue erano le risate più preziose.
Alla fine delle prove, lo sguardo di Luke tradiva la loro decisione: volevano Ashton nella band, e anche Thalia riconobbe che era semplicemente straordinario, alla batteria. Era quello che cercavano, tuttavia, Luke gli disse solo un «Ti chiamo entro la prossima settimana.» e Ashton lo salutò con una pacca sulla spalla.
Ragazzi.
Thalia insistette per accompagnare Ashton alla fermata dell’autobus, sapendo che l’uso della moto era stata un’eccezione e che lui non girava per Sydney a bordo di una grossa motocicletta nera. Sentì una cosa strana allo stomaco quando pensò che aveva fatto quello strappo alla regola solo per lei.
«Hai talento.» buttò lì la ragazza, camminando lentamente. La fermata dell’autobus distava solo poche centinaia di metri da casa di Michael, per questo cercava di metterci il meno possibile. Voleva tanto, troppo tempo per conoscere Ashton Irwin. Un tempo troppo difficile da ottenere.
«Grazie.» rispose Ashton apatico, senza alcuna espressione. E dire che solo pochi minuti prima l’aveva visto ridere spensierato, come se non avesse quel peso invisibile sulle spalle. Quel peso che gli incurvava le labbra verso il basso e gli faceva precipitare il cuore.
«Mi dirai mai cosa ti passa per la testa, Ashton Irwin?» sospirò Thalia, avvicinando impercettibilmente il braccio al suo, non si toccavano ancora.
«E tu mi dirai mai perché continui a chiamarmi anche per cognome?» ribatté Ashton, s’infilò le mani in tasca e continuò a camminare guardando dritto di fronte a sé. Evitava di proposito lo guardo di Thalia, perché sapeva che guardarla negli occhi era un po’ come guardare se stesso allo specchio, e la sua immagine riflessa gli faceva male quanto il ricordo che aveva di Lilian, perché dopo quel giorno lui non era più riuscito a guardarsi sotto la stessa luce. Si sentiva in macchiato, si sentiva sporco, perché non era riuscito ad intervenire in nessun modo, nonostante una piccola parte di lui sapesse che non era certo stata colpa sua. Ashton si rifiutava di accettarlo. Si riteneva, in qualche modo, uno dei colpevoli della morte di Lilian, insieme al destino.
E lui ritornava sempre lì, sempre al punto di partenza, sempre sulla spiaggia umida di una sera di Aprile: ritornava sempre sopra i ricordi, ritornava sempre da Lilian, dal fantasma che non lo lasciava dormire. Ashton credeva che lei fosse stata il suo tutto che lo fosse tuttora, ma non si rendeva conto che l’immagine sbiadita di lei lo uccideva e lo trascinava nel limbo. Lilian, che era così buona, Lilian che era stata il suo primo vero amore, il suo primo vero bacio e la sua prima volta. Lilian era stata la prima in tutto, anche dove non lo era davvero. Lilian era la sua prima scelta ed era il suo primo ritorno a casa. Lilian era il suo primo pensiero. Lilian le ricordava terribilmente Thalia, e nonostante sapesse che quella ragazza le lacerava il cuore anche solo guardandolo, doveva al contempo riconoscere che fosse anche la sua unica medicina. Perché Thalia era esuberante, era forte, era tutte le cose che era anche Lilian. Ma Thalia era lì, adesso, era viva e sorridente. Rossa in viso e aveva le mani bollenti, mani che Ashton avrebbe voluto stringere per riscaldarsi un po’. Ma non lo faceva perché era schifosamente combattuto dentro: una parte di lui lo trascinava nel buio, dove Lilian era sempre presente, a ricordargli che c’era ancora anche se non c’era più; l’altra lo voleva portare alla luce del sole, dove i fatti apparivano senza alcuna maschera o inganno, la realtà era palpabile e Lilian non c’era, sotto il sole c’erano solo Thalia e i suoi Ray-Ban neri. Ray-Ban che, però, non appartenevano più a Lilian, non si incastravano più nei suoi capelli biondo scuro.
«Non rispondermi con un’altra domanda!» riprese Thalia. Ashton ebbe l’impulso di sorridere divertito. Rimase in silenzio, come a dire “Sì, forse un giorno te lo dirò”. Pensandolo, forse, avrebbe mentito solo a se stesso, anche perché non lo sapeva nemmeno lui cosa gli passasse per la testa. Per questo andava dalla psicologa, per questo era in terapia da due anni e non era ancora riuscito a risolvere niente.
«Comunque, suonano bene il tuo nome e il suo cognome insieme. Sono belli.» rispose Thalia, sconfitta. Di nuovo, lui aveva avuto la meglio e lei aveva ceduto. Si era ripetuta un’altra volta: lei gli rivelava pezzi della sua vita, storie che aveva lasciato nel dimenticatoio e che non aveva mai raccontato nemmeno a Luke, aneddoti sulla sua vita di prima, in Pennsylvania, di come fosse stato difficile per un periodo, di come fosse stato brutto lasciare lì ogni cosa. E lui? Lui cosa le aveva detto? Ashton non le aveva lasciato alcun pezzo che gli appartenesse, nemmeno in minima parte. L’anima di Ashton era ancora un grande, insuperabile punto interrogativo. Si era limitato a definirsi in termini di età, luogo di nascita e tutte informazioni varie, completamente inutili al fine di scoprirlo, anche lentamente, con pazienza, pezzo per pezzo.
«Secondo te sono una specie di eccezione, Ashton?» chiese Thalia, fermandosi di punto in bianco in mezzo al marciapiede. La fermata era lì, a soli pochi metri da loro: nessuno stava aspettando l’autobus, come se fosse appena passato.
«Che cosa?»
«Sono una specie di eccezione, per te?» chiese ancora Thalia. Non sapeva dove l’avesse trovato, il coraggio di dire quelle cose, forse era chiuso in qualche cella della sua anima, forse ci era rimasto per troppo tempo. Ma Ashton aveva una corazza troppo impenetrabile per essere scalfita solamente da sguardi, doveva andarci pesante, doveva guardarlo negli occhi e chiedergli le cose come stavano. Ashton voleva sembrare invincibile, insensibile anche. Voleva dare l’impressione che niente lo toccasse, eppure Ashton le dava il coraggio che le serviva, anche se era la stessa persona a darle insicurezza.
Voglio salvarti, Ashton, credi che sia stupida? Credi che sia come le altre, sempre a pensare ad altro, sempre con la testa tra le nuvole? Fai tanto il duro ma poi crolli come un muro senza fondamenta; ti nascondi dietro quegli sguardi tristi e glaciali e dietro i tuoi pensieri che non vuoi rivelare; stai schifosamente male ma sei troppo orgoglioso per ammetterlo; tieni nascosto qualcosa che ti distrugge giorno dopo giorno, ma non te ne vuoi liberare, sei sempre seduto su quell’altalena a pensarci, l’ho notato la prima volta che ti ho visto. Ti senti invincibile, nonostante tutto quello che hai passato e che ti tieni gelosamente dentro, ma in realtà sei solo debole e ferito, in attesa che qualcuno ti trovi, che ti aiuti. Io ti ho trovato, ma tu sei testardo: non vuoi lasciarti aiutare.
Nessuno si salva da solo, nemmeno tu, Invincibile Ashton.
«Ho conosciuto tante persone in vita mia. Con alcune ho tagliato tutti i ponti, le altre le ho escluse. Parlo a stento con la mia famiglia. So di essere strano, da questo punto di vista, ma non voglio far entrare nessuno nel mio piccolo spazio di universo» rispose Ashton, scrutava Thalia curioso, perdendosi nella confusione dei suoi occhi. Si avvicinò di un passo o due e le scompiglio i capelli, sfruttando la sua altezza su di lei. «Ma tu ci sei entrata nonostante la porta fosse chiusa a chiave. Sei speciale, piccola Thalia.»
Thalia credette di essere arrossita, sperò di non averlo fatto veramente. Odiava quando Luke o sua madre la consideravano piccola, odiava quando glielo dicevano e odiava quando la trattavano come tale. Ma l’autobus sfrecciò sulla strada, Ashton lo seguì con la coda dell’occhio e poi riposò lo sguardo su Thalia che lo guardava proprio come fosse una bambina; la gente passava, li guardava, e loro non se ne accorsero nemmeno, la mano di Ashton era ancora sulla testa di Thalia e lei lo osservava sorridendo, gli occhi puntati in quelli di lui: per la prima volta le piacque essere piccola.
Le piacque sapere di dover essere lei a proteggere lui, nonostante Ashton la considerasse piccola, perché Ashton era una di quelle persone che, anche se gli avessi dimostrato il contrario, lui avrebbe continuato a sostenere il suo pensiero in silenzio, perdendosi nelle immagini di un universo in cui aveva più che ragione. Fu allora che capì che, da quel momento, lei era diventata semplicemente la piccola Thalia, e niente avrebbe potuto cambiarlo. Non sapeva con esattezza quante persone Ashton chiamasse in quel modo, forse nessuna. Ciò, forse, la rendeva automaticamente un’eccezione.
«Speciale quanto?» domandò Thalia.
«Quanto basta.» Ashton non ritrasse la mano.
«Quanto basta per cosa?»
«Stai facendo troppe domande, adesso.»
E in quel momento, Thalia sentì di esserci affogata ormai da tanto tempo, in quegli occhi verdi. Se ne rese conto solo allora, con Ashton a pochi centimetri di distanza; con Ashton  che non la voleva lasciare andare; con Ashton che aveva appena perso l'autobus solo per rimanere lì a guardare proprio lei, lei e nessun altro. Ashton era tutto da scoprire, era un mistero intricato. Lo vide chiudere gli occhi e sospirare per un istante: percepì il ricordo buio che gli attraversò la mente, e lo vide cacciarlo via con insistenza. Lo vide avere forza e dolore negli occhi come la prima volta. Vide Ashton, che alla fin fine conosceva da appena due settimane, e lo vide perso nei suoi pensieri. Era proprio vero che gli occhi erano lo specchio dell'anima.
«Sono felice di essere speciale.» mormorò piano, con appena un velo di imbarazzo, perchè nessuno le aveva mai detto una cosa del genere, nessuno l'aveva fatta sentire così importante. Non aveva mai incontrato uno come Ashton, uno che ti parlava con gli occhi, e solo se voleva.
Ashton, infatti, non rispose. Rimase lì a scrutarla senza un motivo ben preciso, perdeva la cognizione del tempo. Non gli importava più di tornare a casa presto e iniziare a studiare seriamente quel capitolo di storia. Non più.
«Un’ultima domanda» disse Thalia. «Chi sei Ashton Irwin? Non chiedo altro.»
Ashton si rabbuiò all’improvviso, puntando lo sguardo a terra. Era stato troppo azzardato, forse, chiederglielo? Thalia si morse il labbro fino a farlo sanguinare, non avrebbe dovuto esporsi così troppo, metterlo così in difficoltà. Così lo allontanava solamente, se lo faceva scivolare via come sabbia tra le dita. Voleva tornare indietro nel tempo. Continuò a guardare Ashton con un moto di speranza negli occhi verdi, lo vide sollevare la testa, guardarla con sguardo vuoto e freddo – tanto gelido da ferire – sospirò e si voltò a guardare la strada, il tramonto.
«Sta arrivando l’autobus.» disse infine, senza un tono vero e proprio di voce. Sembrava sconfitto, quasi confortato da quell’imprevisto. Thalia annuì.
«Scusa.» mormorò la ragazza, indietreggiò, guardandolo un’ultima volta con uno sguardo carico di amarezza.
«E di che?» Ashton la salutò con la mano e affrettò il passo verso la fermata dell’autobus. Non aveva sorriso, aveva finto un’altra volta. Thalia lo vide salire a bordo del mezzo e seguì la vettura con lo sguardo finché non svoltò ad una curva. Allora sospirò e mandò un messaggio a Luke, dicendogli che sarebbe andata direttamente a casa. Aveva già avuto la sua dose quotidiana di Ashton Irwin, spingersi più in là era stato dannoso, sperava che anche lui l’avrebbe dimenticato presto e, intanto, si annotò mentalmente una cosa: mai chiedere ad Ashton Irwin chi fosse veramente.

 
 
 
 
 

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Angolo di Marianne
Eccomi finalmente! Mi dispiace per l'attesa, ma tra Pasqua, pranzi infiniti, taaaanta cioccolata e compiti da fare non ho avuto molto tempo ^_^
Allora, ecco qui, come vi avevo promesso, il capitolo dedicato interamente ai Thashon *--* finora credo sia il mio capitolo preferito, semplicemente lo adoro. Non succede molto, ma è abbastanza introspettivo e mi piace proprio per questo. Conosciamo ancora più cosa su Ashton e su Thalia, c'è una visione generale dei loro pensieri :)
Bene, sarò breve perché devo andare a mangiare tra meno di trenta secondi: sono in una profonda crisi esistenziale tra Cake e Muke, voi non potete capire. Credo che alla fine mi ritroverò a shippare OT3 come sempre, ma non temete, non stravolgerò la storia. Ha già la sua bellissima scaletta ordinata (?) e precisa sul suo bel quadernino *^*
Bene, spero vi sia piaciuto questo capitolo perché, come ho già detto, io lo amo e spero con tutto il cuore che sia di vostro gradimento. Ringrazio tantissimo le sette persone che hanno recensito lo scorso capitolo (SETTE! Mi farete venire un infarto ♥): _Sogni_of_Bea_, xKikka (ma cambiate tutti nick? u.u) leli_n, DarkAngel1, perriedwards, animanonimy, e Aletta_JJ. Grazie di cuore!
Ultima cosa ma importantissima, presa da un momento di pazzia, ho realizzato una "cacchetta" comunemente chiamata trailer. Non ho idea di come sia uscito fuori, è una cosa modesta, fatta con Movie Maker che sanno usare anche i bimbi. Non è un lavoro professionale, però a me piace. Spero vi piaccia perché sono stata un pomeriggio intero su Tumblr a cercare gif. LOL Cliccate sul link e vi si aprirà YouTube :) 
https://www.youtube.com/watch?v=iazSAxkiIDI
Alla prossima! Un bacio,
Marianne

 
 
 


 

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Capitolo 8
*** Little black dress ***


 
 

 
Capitolo 7
 
 
«Little black dress, who you doing it for?»
(One Direction – Little black dress)
 
«Scordatelo» Thalia puntò i piedi per terra e Luke alzò un sopracciglio. «Io non ci vengo al ballo di fine anno.»
Era sempre la stessa storia, quando c’era una sottospecie di evento, a scuola o altrove che fosse, Thalia cominciava a selezionare i film da vedere già dalla sera prima. Se si parlava, poi, del ballo di fine anno che ci sarebbe stato tra meno di due settimane, Thalia aveva già pronti i dvd.
«Andiamo!» protestò Luke. «Ti accompagno a comprare il vestito, è il tuo terzo anno, devi andare al ballo.»
«Non voglio nessun vestito e nessun ballo, Luke. Piuttosto, tu cerca ti tirare fuori le palle e invita Calum.» ribatté Thalia. Camminare per il centro di Sydney a volte poteva essere terribilmente stancante, e quando erano passati davanti a quel negozio di vestiti, a Luke era venuto in mente il ballo e Thalia non ne voleva parlare.
Aveva sempre considerato i balli, o le feste in generale, pretesti per fare casino. Lei si annoiava, finiva per appiccicarsi al muro a sorseggiare chissà quale schifezza, ed ecco che diventata la classica ragazza da parete. Aveva Luke, sì, c’erano anche Calum e Michael, ma magari loro riuscivano a trovarsi bene alle feste, e non voleva di certo rovinare il loro umore con la sua malinconia, la sua noia e tutte le volte in cui gli avrebbe chiesto quando sarebbero tornati a casa. Insomma, Thalia e le feste non andavano d’accordo da quando, a  undici anni, ne aveva organizzata una e nessuno era venuto.
«No.» rispose fermamente Luke. Non avrebbe invitato Calum, non solo perché sarebbe sembrato leggermente strano, ma  anche perché Calum aveva sicuramente già provveduto ad invitare la sua  ragazza. Anzi, proprio perché era la sua ragazza era scontato che venisse al ballo con lei.
«Io non vengo al ballo se tu non inviti Calum.» lo ricattò Thalia. Luke le lanciò uno sguardo arrabbiato e poi puntò gli occhi sul marciapiede di fronte a lui. Il centro di sabato pomeriggio era semplicemente invivibile: clacson, decisamente troppa gente e nemmeno un quadratino d’asfalto libero dove fermarsi un momento senza rischiare di venir travolti.
«Questo si chiama ricattare.»
«Ed è qui che ti sbagli, Lukey, questo si chiama negoziare.»
«Non credo proprio.»
Luke sbuffò e si concentrò sulle vetrine dei negozi, mettendo le mani nelle tasche dei jeans. Trattare con Thalia era davvero impossibile, ora si era inventata questa cosa. Non avrebbe invitato Calum per nessuna ragione al mondo, tuttavia, sapeva che se non l’avesse fatto lei non sarebbe venuta al ballo. E lui voleva portarcela, perché sarebbe stato il suo primo ballo scolastico da quando era a Sydney e voleva dimostrarle che non tutte le feste facevano schifo. Lui ad esempio ai balli scolastici si era sempre divertito, se si esclude, ovviamente, quello del suo primo anno in cui era andato a finire dritto nella ciotola del punch. Oppure quando, l’anno prima Emily Walker l’aveva semplicemente scaricato davanti la porta di uno dei gabinetti del bagno delle ragazze con i pantaloni mezzi sbottonati e la rappresentante di istituto era entrata in bagno. Va bene, i balli scolastici non erano mai stati un granché per Luke, ma quell’anno sarebbe stato diverso, se lo sentiva.
Thalia, accanto a lui, continuava a camminare spedita, ignorando vetrine che contenevano abiti da sera di qualsiasi tipo. Puntava alla fermata dell’autobus, voleva tornare a casa il più presto possibile e togliere quelle idee strane dalla testa di Luke.
Lei ad un ballo scolastico, dove la gente si gettava addosso il punch e il fotografo ingaggiato e pagato chissà quanto scattava foto alle coppiette. Semplicemente disgustoso.
Si sentì improvvisamene tirare per un braccio e finì con il naso spiaccicato contro il vetro di un negozio: un altro negozio d’abbigliamento, per l’esattezza. Solo che, fortunatamente, stavolta Luke non l’aveva trattenuta per farle notare quanto quel vestito color pesca s’intonasse alla sua carnagione – che poi, lei odiava i colori chiari – e quindi convincerla ad entrare e provarselo, infatti, l’attenzione del biondo era tutta rivolta verso un paio di pantaloni.
«Sono bellissimi.» mormorò Luke.
«Mi sembrano i tuoi soliti jeans…» buttò lì Thalia, osservando i pantaloni neri su cui Luke stava sbavando sopra. Non le sembravano niente di eccezionale, a dir la verità.
«Non voglio sentire queste eresie, questi non sono i soliti jeans, questi sono i re dei jeans, questi sono scontati del cinquanta per cento, dobbiamo entrare!» esclamò Luke. Thalia sbuffò e rivolse un’ultima occhiata ai pantaloni esposti in vetrina e al cartellino. Se a Luke andava di pagare cinquanta dollari – anziché cento – solo per un paio di pantaloni, che facesse pure, fatto sta che venne letteralmente trascinata di peso dentro il negozio.
«Luke Hemmings, questa me la paghi…» mugugnò Thalia, ma Luke sembrava non ascoltarla. La ragazza si chiese se Calum non c’entrasse in qualche modo. Chissà, magari gli aveva detto quanto gli piacessero quei pantaloni e Luke aveva automaticamente pensato che, indossandoli, magari gli sarebbe piaciuto anche lui. La cosa non aveva esattamente un senso preciso, ma Luke era così, si disse Thalia. Si costruiva in testa situazioni improbabili e queste non si avveravano quasi mai, ecco perché riportarlo sulla Terra, da quando aveva scoperto che gli piaceva Calum, era sempre più difficile.
Si mise seduta su una sorta di panchina fuori dal camerino e cominciò a perdersi nei suoi pensieri. Odiava ballare, non era nemmeno capace, perché avrebbe dovuto partecipare ad un ballo? Inoltre, non aveva nessun accompagnatore, certo, se avesse accettato ci sarebbe andata probabilmente con Luke, ma come amici, anche perché dubitava che Luke avesse veramente il coraggio o la buona volontà di presentarsi da Calum e chiedergli di venire al ballo con lui servendosi di un’assurda nonchalance. Diciamocelo, Luke e la nonchalance non andavano d’accordo. Luke balbettava, quando era nervoso, incespicava nelle sue stesse parole e cominciava a gesticolare.
Poi i suoi pensieri si riversarono su Ashton, chiederlo a lui sarebbe stata una pazzia. Qualcosa le diceva che avrebbe accettato, forse per soddisfazione personale, o forse solo perché Ashton era una persona buona. Ma gran parte di lei, quella che evidentemente possedeva ancora un briciolo di buon senso, continuava a ripetere che Ashton non la conosceva abbastanza, né lei conosceva lui, nonostante avesse l’impressione di conoscerlo da tutta una vita.
Sospirò e appoggiò la schiena al muro, dovevano essere passati almeno cinque minuti da quando Luke era entrato in camerino.
Finalmente il ragazzo uscì e «Come sto?» chiese, facendo una mini-sfilata per il corridoio del negozio che era stranamente vuoto.
«Come sempre, solo che hai i jeans neri invece di quelli blu.» rispose Thalia, osservandolo per bene. Luke aggrottò le sopracciglia.
«Non si può fare shopping con te…» borbottò, dirigendosi di nuovo verso i camerini per cambiarsi.
«Li prendi?»
«Sì.»
«Allora vado alla cassa, ti aspetto lì.»
Thalia si alzò e cominciò a camminare lentamente, guardandosi un po’ attorno. Decise di farsi un giretto nel reparto donna del negozio, magari avrebbe trovato anche lei qualche cosa di carino. Girava per gli scaffali e faceva la facce più strane: era sempre così, quando faceva shopping. Se qualcosa le piaceva la osservava a lungo e poi trovava quella cosa che finiva per non fargliela piacere più, aggrottava la fronte e storceva la bocca ogni volta che vedeva qualcosa di strano o di particolarmente orrendo. Non era decisamente un bello spettacolo.
La suoneria del suo cellulare la fece sobbalzare, anche se era solamente un messaggio. Il numero non lo conosceva, ma il mittente si era firmato: Ashton.
 
“Blu o nero?”
“Blu o nero cosa?”
“Uno smoking che in realtà non è uno smoking, ma solo un completo di mio padre”
 
Thalia aggrottò le sopracciglia a sospirò. Quel ragazzo era davvero strano, forse aveva chiesto a tutti i suoi amici e non gli avevano risposto, così Thalia era stata la sua ultima scelta. Ovviamente. Doveva essere per forza così.
E mentre cercava una qualsiasi cosa da dire, l’attenzione di Thalia venne attirata da un abito da sera color tortora su un manichino: lungo fino al ginocchio, a chiffon, una fascia che stringeva sulla vita. Girò attorno allo scaffale e vide che c’era anche nero.
 
“Non so, nero o tortora?”
“Non so cosa sia il tortora, quindi nero”
“Allora anche tu nero”
“Ci stiamo coordinando per qualcosa?”
 
Luke arrivò in quel preciso istante, con i jeans sottobraccio. «Ecco dov’eri, ti ho cercata per tutto il negozio!» sbuffò, raggiungendola. «Che cosa stai guardando?»
Thalia indicò timidamente il vestito sul manichino vicino a loro e Luke inarcò le sopracciglia, visibilmente sorpreso.
«Ah.»
«Sarà orribile su di me.» borbottò Thalia, riprendendo a messaggiare.
 
“Sei tu che hai iniziato”
“Okay, allora tutti e due nero”
 
«Non lo saprai mai se non lo provi.» le disse Luke, sbuffando. Afferrò un vestito a caso dallo scaffale e glielo passò.
«Quello nero» disse Thalia, scansando il vestito che le aveva passato Luke. «E poi, non credo di portare la XL, Luke. Va bene che dovrei mettermi a dieta…»
Luke rise e prese una S, ma nemmeno questo, evidentemente, sembrava andarle a genio. «Non mi entrerà mai…»
«Non fare storie, vai a provarlo.»
E così la spinse non molto gentilmente verso il camerino, e Thalia si ritrovò a sperare che Luke non leggesse nemmeno uno dei messaggi che lei e Ashton si erano scambiati in quei minuti, anche perché avrebbe sicuramente frainteso e… no, non voleva sentire le prediche di Luke, mentre tornavano a casa.
Sbuffò, per provarselo doveva togliersi i jeans, la maglietta e le scarpe, ci avrebbe semplicemente messo un’eternità e tutto quello che voleva era buttarsi sul divano e ingozzarsi di pop-corn fino a svenire.
Di certo, provare un vestito per un ballo a cui non voleva andare non rientrava nei suoi più grandi desideri.
«Thalia ti è arrivato un messaggio!» esclamò Luke da fuori il camerino. Lei capì subito chi l’aveva mandato  proibì categoricamente a Luke di leggerlo.
«Perché no? Hai dei segreti con me?» domandò ancora il ragazzo. Thalia se lo immaginava con il labbro inferiore tremante, mentre faceva la cosiddetta faccia da cucciolo a cui lei non avrebbe mai resistito, per fortuna si trovava in un camerino.
«Puoi leggere solo il mittente.» sbuffò Thalia mentre cercava di capire come si allacciasse la zip di quel maledetto vestito, sempre se ce l’aveva, una zip.
«Non ce l’hai in rubrica.» disse Luke, Thalia sospirò, sapendo già chi aveva mandato il messaggio. Si arrese: Luke l’avrebbe letto comunque, che fosse stato di Ashton oppure di sua madre, non aveva mezzi per impedirglielo e, di certo, non l’avrebbe rincorso per il negozio in calzini, con un vestito elegante addosso.
Non rispose e cercò di infilarsi il vestito il più velocemente possibile. Una volta completata la sua impresa aprì con impeto la tenda del camerino, ritrovandosi davanti Luke alle prese con il suo telefono – ovviamente – ed esclamò: «Come sto?»
Luke alzò gli occhi, nascondendo il telefono dietro la schiena e la guardò. «Benissimo. Ti faccio una foto.»
«Mi fai cosa?» chiese Thalia.
«Una foto, Ashton vuole una foto di te col vestito.» spiegò Luke.
«Non azzardarti nemmeno, Hemmings. Inoltre i miei calzini viola solo abbastanza imbarazzanti, dammi quel telefono.» Thalia si avvicinò pericolosamente a Luke e gli tolse il cellulare portandoselo in camerino. Controllò i messaggi ed effettivamente ce n’era veramente uno di Ashton che diceva:
 
“Fa vedere come stai (:”
“Sembri una sorta di maniaco, lo sai?”
“Non farmi sentire in colpa…”
“Mi dispiace, principe azzurro, dovrai aspettare”
 
Ripose il telefono nella borsa e ti tolse il vestito con estrema attenzione, gli andava leggermente stretto, ma aveva l’impressione che una taglia in più le sarebbe stato troppo grande, quindi decise di tenere quello che aveva appena provato. Rimise i jeans e la maglietta più velocemente possibile e si dimenticò di allacciare le scarpe.
«Allora andrai al ballo con Ashton?» chiese Luke mentre si dirigevano verso la cassa.
«No» rispose Thalia. «Ci andrò con te perché tu non inviterai Calum e io ormai ho comprato il vestito.»
«Tecnicamente ancora no.»
«Ma sto per farlo, e sai che non cambierò idea.»
Il ragazzo sbuffò e accelerò il passo: Thalia 1 – Luke 0.
Thalia non voleva andare al ballo con Ashton. Cioè, sì, ovvio che lo voleva, ma non voleva chiederglielo, anche perché sapeva che le conseguenze sarebbero state abbastanza disastrose. Ashton aveva la sua vita, i suoi amici, la sua scuola e il suo ballo. Non avrebbe perso tempo dietro ad una del terzo anno come lei, ad una strana. Lui aveva diciannove anni, un diploma quasi tra le mani e la patente. Lei il corso per la patente doveva ancora finirlo, aveva sedici anni e a malapena la sufficienza in tutte le materie: appartenevano a due mondi completamente differenti. Il fatto che ora Ashton fosse entrato quasi a pieno titolo nella band non le dava certo il pretesto per fare nulla. Era amico di Luke, non suo.
E anche se Luke era dell’idea che mi casa es tu casa, sarebbe stato davvero poco carino usare il proprio migliore amico per arrivare ad Ashton.
«Per chi lo stai facendo, Thalia?» sospirò Luke, gettandosi sul sedile azzurro dell’autobus. Thalia gli si mise seduta accanto e non rispose, rivolgendo tutta la propria attenzione sul traffico cittadino.
«Cosa?» chiese dunque lei, dopo qualche secondo di silenzio.
«Il ballo, il vestito, il non minacciarmi più se non mi muovo con Calum… per chi lo stai facendo?» disse ancora Luke.
«Per me stessa, Lukey. L’hai detto anche tu, no? Devo partecipare al ballo, è il mio terzo anno, sono ancora nei miei sweet sixteen.» mentì lei, e per la prima volta in vita sua, credette di aver finto un sorriso, e d’averlo fatto pure male. Luke la conosceva.
Luke se ne accorse ma rimase in silenzio. Lui lo sapeva, o almeno credeva di saperlo, voleva solo confermare le proprie teorie. Sospirò, sarebbe stata un’impresa molto ardua: Thalia non era una persona facile da capire.

 
 
 

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Angolo di Marianne
Here I am! Ero convintissima che oggi fosse domenica e che quindi avrei dovuto mettermi a studiare come una pazza, ma ho scoperto che è sabato quindi keep calm u.u Sono tipo esaltatissima perché ieri è iniziato il WWA Tour degli One Direction e dopo aver visto qualche video io sono convintissima che dovranno raccogliermi col cucchiaino non appena sarà finito il concerto perché io da quello stadio non ci esco viva. E poi ci saranno i nostri quattro australiani, Tra tutti e nove avrò un infarto, me lo sento. Anyway, ecco qui il capitolo 7. Capitolo abbastanza inutile e di passaggio, lo so, ma è assolutamente necessario per introdurre il prossimo. Luke ha incastrato Thalia, così andranno al ballo insieme, ma mai dire mai, soprattutto con me come autrice OuO Spero vi piaccia anche se è abbastanza inutile ç_ç vi prometto che nel prossimo ci sarà un BOOM (?) forse non tanto "boom", ma di sicuro sarà più emozionante di questo lol-
Ringrazio, come al solito, chi ha recensito lo scorso capitolo: DarkAngel1, xKikka, _Sogni_of_Bea_, leli_n, animanonimy, perriedwards, Aletta_JJ e _Melodia_ siete dolcissime ♥ E grazie anche ai 25 seguiti, 17 preferiti e 4 ricordati, e a chi legge silenziosamente.
Alla prossima! :3
Marianne

 
 


 

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Capitolo 9
*** Holy ground ***


 
 

 
Capitolo 8
 
  
«But I don’t wanna dance if I’m not dancing with you.»
(Taylor Swift – Holy ground)
 
Clic.
Il flash della macchina fotografica invase il salotto di casa Reed dove Thalia e Luke sorridevano abbracciati, entrambi in abiti eleganti. La madre di Thalia ripose la macchinetta nella sua custodia e Luke sciolse l’abbraccio. Erano finiti per andare al ballo insieme, com’era prevedibile. Thalia non aveva demorso fino all’ultimo minuto, solo quando Luke si era opposto per l’ennesima volta alle sue richieste di invitare Calum, lei aveva ceduto e aveva sospirato sconsolata, dicendo che Ashton da quel giorno nel negozio  non le aveva più fatto sapere niente.
Allora la cosa era scattata automaticamente: «Andiamoci insieme.» aveva detto Luke, ed eccoli all’ingresso, pronti per uscire.
«Luke, non bere se poi devi guidare, guarda che lo dico a tua madre.»
«Sì, Marie, mi terrò lontano da ogni tipo di alcolico.» sospirò Luke.
«E tornate per le undici.» aggiunse.
«Mamma!» Thalia protestò, afferrando Luke per il braccio e trascinandolo verso la porta.
«E va bene, le undici e mezza.»
Dopo le solite raccomandazioni, Thalia e Luke uscirono, respirando l’aria calda e umida. Luke aveva avuto il permesso di prendere la macchina per una sera, così i due si diressero verso il garage.
«Tua mamma è un po’ pressante.» disse Luke, cercando le chiavi nella tasca dei pantaloni.
«E lo noti solo ora?» chiese Thalia ironica, camminava piano per non cadere. Le scarpe erano di sua madre, ed erano alte, decisamente troppo per i suoi gusti.
«Non staremo mai a casa per le undici e mezza.» disse Luke.
«Lo so.» rispose Thalia, scrollando le spalle. Non si preoccupava dell’orario, sapeva che non ci sarebbe stato nessuno sveglio ad aspettarla, sarebbero crollati tutti prima.
Luke tolse l’antifurto all’auto e proprio mentre stava per aprire la portiera, il rombo di un motore attirò la sua attenzione. Lui e Thalia si voltarono verso la strada nello stesso momento, e pensarono la stessa identica cosa quando scorsero un moto nera sul ciglio della strada. Il guidatore si tolse il casco e «Andate al ballo?» chiese Ashton Irwin, cercando di rimettersi a posto i capelli.
«Esattamente.» rispose Luke.
«Posso rubarti la ragazza, Luke?» domandò Ashton, poggiando il casco sul sellino della moto. Non si aspettava una vera e propria risposta, e sapeva anche che fare quella domanda era stata una cosa abbastanza stupida ma Luke «Thalia non è-» provò a dire, Thalia lo interruppe.
«Certo!» esclamò, si allontanò dalla macchina di Luke velocemente e riuscì a non perdere l’equilibrio sui tacchi.
«Sono contento che ti sia messa un vestito abbastanza lungo.» mormorò Ashton.
«Di solito i ragazzi sono contenti del contrario.» rispose Thalia.
«Altrimenti non saresti potuta salire in moto.» continuò il ragazzo.
«Scusate se vi interrompo, io dovrei andare da solo?» s’intromise Luke, incrociando le braccia al petto, lo sportello della macchina ancora aperto.
Thalia e Ashton si guardarono e poi lei scrollò le spalle. «Mi dispiace, Lukey, stasera parliamo.» Allora, il ragazzo entrò in macchina e partì, non aveva affatto intenzione di rimanere lì a vedere la sua migliore amica e il loro nuovo batterista flirtare come una schifosissima coppietta di quattordicenni.
«Andiamo, prima che mia madre esca.» disse Thalia frettolosa. Salì sulla moto senza troppi problemi e Ashton le passò il casco senza dire niente.
«Spero che tu abbia imparato ad allacciarlo» scherzò, sulla fronte goccioline perlacee cominciavano ad affiorare. «Questa giacca mi sta distruggendo.»
Thalia gli fece la linguaccia e mise il casco senza troppi problemi. «Pronta.» allacciò le braccia attorno alla vita di Ashton come l’ultima volta, nonostante avesse capito come fosse fatta una moto e sapesse dunque dove fossero le maniglie per reggersi. Però, stare attaccati ad Ashton era molto più piacevole.
Ashton non obiettò, si rimise il proprio casco e partì a tutta velocità verso la scuola. I capelli castani di Thalia fuori dal casco svolazzavano dietro le spalle nude. Aveva il mento appoggiato alla spalla di Ashton e non si era mai sentita meglio in vita sua. Voleva solo che Ashton andasse più lento, così da passare più tempo in quel modo, solo loro due, e le parole urlate perché il vento se le portava via.
«Perché partecipi al ballo della mia scuola?» chiese Thalia scostando un po’ la testa, in modo da guardare Ashton di profilo. Lui manteneva gli occhi fissi sulla strada, tuttavia sorrise.
«Sarebbe stata la sesta volta che partecipavo al mio, volevo vedere se in giro ci fosse qualcosa di meglio» rispose il ragazzo ad alta voce. «Così ho invitato te.»
«Non mi hai invitata.» lo corresse Thalia, sbuffando. Dire quelle cose le pesò parecchio, perché avrebbe davvero voluto rimanere in silenzio, perché avrebbe davvero voluto che Ashton l’avesse chiamata e le avesse chiesto di venire al ballo con lui. A qualsiasi ballo, non importava se quello della sua scuola o meno.
«Giusto. Sei tu ad aver invitato me.» Ashton alludeva ai messaggi che si erano scambiati due settimane prima e Thalia lo sapeva. Lei si morse il labbro costringendosi di non ridere, e poi strinse la presa sul ragazzo. Ashton ne rimase sorpreso: riusciva a sentire il calore della pelle di Thalia anche con la camicia di mezzo.
Si sciolse in un sorriso, perché quella sera faceva caldo, con la giacca addosso stava letteralmente morendo, eppure, sentire le mani calde di Thalia sulla pancia non gli diede alcun fastidio, anzi, avrebbe voluto che non si staccassero più.
«Ti sei presentato davanti casa mia con una moto. E ti ho detto che mia madre non vuole che…» Thalia non riuscì a finire la frase.
«Stai infrangendo un po’ troppo spesso le regole, non trovi, piccola Thalia?» la prese in giro Ashton, lei sorrise divertita, perché quel nuovo nomignolo l’adorava da morire. «Prima sali in moto con uno sconosciuto, e poi lo rifai, scommetto che stasera non ritornerai nemmeno entro il coprifuoco, sbaglio?»
«Se continuo a stare con te, Ashton Irwin, non tornerò mai a casa.» rispose Thalia, rendendosi conto solo dopo di quello che aveva detto. Non se ne pentì. Era giunto il momento di fare sul serio.
Ashton rimase in silenzio per alcuni secondi, provò a dire qualcosa, ma tutto quello che uscì dalla sua bocca fu: «Siamo arrivati.»
Thalia si rabbuiò per un momento, poi si slacciò il casco ancor prima che Ashton potesse fermare la moto nel parcheggio della scuola. Quando Ashton spense il motore, aiutò Thalia a scendere e lei gli fu grata che l’avesse fatto: sentiva già i piedi a pezzi, e aveva camminato pochissimo.
Dopo un po’ arrivò anche Luke in macchina. Quando scese aveva un’espressione un po’  arrabbiata e scocciata. Thalia lo seguì con lo sguardo ma si ritrovò incapace di muoversi, le sue gambe non si spostavano, rimaneva ancorata lì. Attaccata alla sua calamita, incollata all’asfalto sotto i suoi piedi. Una folata di vento e il rumore del portapacchi che si chiudeva, dietro di lei, la fecero scattare sull’attenti e tornò dì finalmente alla realtà.
«Tutto bene, Thalia?» chiese Ashton, passandosi una mano tra i capelli.
«Scusa» mormorò lei, mettendosi le mani sui fianchi. Guardò l’entrata della palestra, Luke si era appena chiuso la porta alle spalle. «Devo parlare con Luke.»
Allora, si lanciò in una corsa verso la palestra e si pentì d’aver lasciato Ashton nel parcheggio. Si stava odiando per averlo fatto, insomma, lui l’aveva accompagnata, era il suo cavaliere per il ballo, per un ballo scolastico che a lui non interessava nemmeno. Si morse il labbro: era più importante rimanere con Ashton o andare a vedere cosa avesse Luke? Odiava quei bivi, odiava quelle situazioni. Tuttavia, quando finì di sentirsi in colpa per Ashton, capì Luke era più importante. Anche perché la festa doveva essere iniziata sì e no da dieci minuti e lui aveva già una bottiglia di birra in mano.
«Luke, che ci fai qui da solo?» gli domandò, togliendogli la bottiglia verde dalle mani, la sbatté con forza sul tavolo di plastica.
«Mi ubriaco a dovere, vai dal tuo Ash.» rispose brusco Luke, cercando di riprendersi la bottiglia. Thalia l’ammollò in mano ad uno del quarto anno e si mise seduta davanti a Luke.
«Uno, non puoi ubriacarti. Due, se ti fa piacere ho appena mollato il mio Ash – e qui Thalia mimò le virgolette con le dita – da solo nel parcheggio.» disse lei.
Luke alzò lo sguardo e cercò di reprimere un sorriso, Thalia sospirò e lo fece alzare in piedi, spingendolo nella mischia di persone che già avevano affollato tutto il centrocampo.
Non l’avesse mai fatto.
Lei non si trovava bene alle feste, questo lo sapeva. E sapeva anche che non avrebbe mai dovuto infilarsi nella folla che costituiva la cosiddetta pista da ballo, perché in genere, in pista si ballava. Cercò di ignorare tutte quelle persone che la spingevano, la schiacciavano e le facevano perdere Luke di vista. Per fortuna, la mano di lui era stretta al suo polso, così non si sarebbero mai persi.
«Thalia» iniziò Luke, cercando di sovrastare la musica. «Che ci facciamo qui in mezzo?»
«Non lo so.» rispose lei, fermandosi. Aveva trovato uno spazio non troppo pieno di gente, dove l’aria era respirabile.
«Dove sono gli altri?»
«Non ne ho idea! Luke, smettila di farmi domande a cui non so-» e poi qualcuno le diede una pacca un po’ troppo forte sulla spalla, facendola sobbalzare. E chi poteva essere, se non Calum?
«Eccovi! Chissà perché vi aspettavo appoggiati al muro a fare gli asociali.» disse il ragazzo.
«Sarebbe stato meglio.» borbottò Luke permettendosi di dare uno sguardo veloce a Calum
«Dov’è Michael?»
«Bloccato nel traffico, dovrebbe essere qui tra…» Calum guardò l’orologio. «Quattro minuti. »
Luke sbuffò e fece per allontanarsi, ma Thalia lo trattenne, avvicinandosi all’orecchio di Calum. «Non farlo bere, non farlo andare in bagno, trattienilo finché non torno, puoi farlo?»
Calum fece OKAY con il pollice, mettendo un braccio attorno alle spalle di Luke per non farlo andare chissà dove e Thalia si allontanò.
Ora doveva cercare Ashton, peccato che non avesse la più pallida idea di dove andarlo a trovare. Era impossibile che fosse rimasto nel parcheggio, però Thalia provò comunque. Si sorprese quando lo trovò seduto su una panchina, vicino alle aiuole.
«Ashton» iniziò lei, avvicinandosi con cautela. Lui alzò lo sguardo, non era sorpreso. «Mi dispiace.»
«Luke non era contentissimo che fossi venuta con me, vero?» chiese Ashton, riabbassando lo sguardo sull’asfalto.
«Non è quello il punto. Luke… è una faccenda complicata.» rispose Thalia, mettendosi seduta vicino a lui.
«Mi piacevano le feste.» buttò lì Ashton.
«Perché parli al passato?»
«Ho smesso di farmele piacere due anni fa.»
«È successo tutto due anni fa. Ogni cosa che mi racconti, l’hai fatta due anni fa» disse Thalia, pensierosa. «È come se due anni fa avessi smesso di esistere. È come se fossi morto.»
Ashton sorrise amaramente. Thalia aveva capito tutto di lui, pur conoscendolo da meno di un mese. Era riuscita a cogliere quello che le persone che conosceva da tutta una vita non erano mai state capaci di fare.
«Quando sorridi in quel modo vuol dire che ho ragione.» disse di nuovo la ragazza, dandogli una gomitata.
«Come fai?» domandò Ashton, girando la testa di lato per guardarla.
«Come faccio a fare cosa?»
«A scavarmi dentro.»
Thalia sgranò gli occhi per un nanosecondo, poi tornò a guardare Ashton normalmente, come se niente fosse e si morse il labbro. Avrebbe voluto dirgli che si sbagliava, che lei non scava proprio niente. Non era riuscita a capire nulla di lui, Ashton non le aveva ancora permesso di entrare. E la cosa la faceva arrabbiare, la rendeva carica di frustrazione… era ingiusto.
Ed era sbagliato.
Ashton non le doveva niente. E lei non doveva niente a lui. Allora, perché aveva tutto questo interesse, perché si preoccupava così tanto di togliergli quella maschera? Quella maschera di ferro che nemmeno lui riusciva più a sollevarsi dal viso.
«Io non ti scavo dentro. Tu non mi fai vedere niente.» Thalia sospirò.
«È difficile per me. Non ho un gran rapporto con l’umanità.»
«Ma due anni fa ce l’avevi, giusto?»
«Giusto.»
«Non sei obbligato a dirmi cos’è successo. Né chi sei e perché ti interesso così tanto» disse Thalia. «Mi va bene così.»
Avrebbe sopportato ogni cosa pur di non perdere Ashton. Lui inarcò le sopracciglia, sorpreso di quelle parole.
«E tu, ti interessi così tanto di me da accettarmi anche senza conoscermi veramente?»
Sì.
Thalia abbassò lo sguardo. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirgli la verità, semplicemente perché la verità era che avrebbe accettato Ashton comunque. Lo sapeva che era una persona buona a cui erano capitate cose cattive. Lo sapeva che Ashton aveva bisogno di qualcuno. L’aveva visto il dolore nei suoi occhi, così come aveva sentito l’impegno di star bene nelle sue parole. E le sue erano tutte parole selezionate con cura. Parole caute. Parole vere e sussurrate sotto voce, perché Ashton aveva un muro di mattoni attorno a sé, ma era stato costruito male e frettolosamente. Se non vi stava attento, chiunque l’avrebbe potuto buttare giù.
Thalia si alzò di scatto. «Andiamo» gli prese la mano e lo fece alzare in piedi, cominciò a camminare verso la palestra. «Nemmeno a me piacciono le feste.»
«Allora perché stiamo entrando?» Ashton strinse il suo polso e la trattenne a pochi metri fuori dall’entrata della palestra.
«Perché starsene seduti su una panchina a parlare per enigmi è noioso.» rispose Thalia, accennò un sorriso d’incoraggiamento.
«Mi hai fatto tornare la voglia di ballare.» disse Ashton. Aveva dimenticato l’ultima volta che aveva ballato ad una festa, che si era comportato come un suo coetaneo.
«E allora vai, buttati nella mischia.» Thalia rise e per un attimo il mondo si fermò, si cristallizzò tutto in quell’istante: le loro mani intrecciate, il rossore delle guance di lei e le fossette su  quelle di lui.
«Però non voglio ballare, se non ballo con te.» e allora Ashton attirò Thalia contro di sé, ed erano così vicini, adesso, che lei doveva alzare la testa per guardarlo negli occhi. Non ci aveva pensato a quella frase. L’aveva detta così, di getto. Era stata spontanea, non aveva misurato le parole e, per un attimo, il muro aveva tremato.
«Hai mai ballato in un parcheggio?» gli chiese Thalia sottovoce, sentendo che la situazione le stava sfuggendo di mano.
«No» rispose lui. «Ma la vita è fatta di prime volte, non trovi?»
«Il tuo spazio di universo comincia a piacermi, Ashton Irwin.»
 
 
 

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Angolo di Marianne
Hello sweethearts! ♥ Ecco il capitolo sul ballo dove, non sembra, ma succedono taaante cose. Ashton viene a prendere Thalia (con la moto fdhjfdhj e voi sapete che io ho un debole per il motorcyclist!Ashton, cioè...), Luke è semi-irritato del fatto che la sua migliore amica lo abbia piantato in asso per Ashton, ma poi Thalia lo lascia con Calum e siamo tutti felici e contenti (potrei scriverci un missing moment, in futuro... who knows.. e_e). E alla fine abbiamo ancora i Tashon che, fhgfhjd, mi faranno morire prima o poi, lo so. Maledetti. ç_ç
Bien, la canzone è "Holy ground" della mia Tay ♥ e se non la conoscete, sentitela perché è davvero bellissima. Una volta che entra in testa non esce più, ve lo dico per esperienza persoale AHAHAHA. Detto questo, spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto e ringrazio chi ha recensito quello precedente: _Sogni_of_Bea_, xKikka, DarkAngel1, ashtonlaugh, perriedwards, animanonimy, Aletta_JJ. Ovviamente, grazie anche a chi segue/preferisce/ricorda e a tutti i lettori silenziosi (I'm watching you u.u). Se volete alcuni chiarimenti sulla storia, oppure volete solamente sclerare con una povera matta, potete aggiungermi su Facebook

 
 


 

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Capitolo 10
*** Paradise ***


 
 

 
Capitolo 9
 
  
«… she closed her eyes. In the night, the stormy night, away she flied.»
(Coldplay – Paradise)
 
 
Quella sera era stata una sorta di boccata d’aria fresca, per Ashton. Non si lasciava il passato, il mondo, e i ricordi alle spalle da tantissimo tempo, e quella sera, per la prima volta dopo due anni, l’aveva fatto. Si era dimenticato perfino il suo nome, aveva riso senza motivo, aveva chiuso fuori dalla sua testa ogni preoccupazione. E non si ricordava nemmeno come ci fosse arrivato a casa, però, si rese conto che, una volta passata l’ebbrezza iniziale, la ricaduta era anche peggio della solita normalità.
Durante la notte si era svegliato circa due volte, in preda a fortissimi mal di testa. Era andato in bagno e aveva vomitato anche l’anima, ma in fondo, prendersi una sbronza vuol dire quello.
Ma la cosa peggiore, era stata quando si era rimesso a dormire: incubi. Non aveva incubi da un sacco di tempo.
Sognava Lilian, quello sì, ma erano dei bei sogni. Erano ricordi, erano episodi di cose successe tempo prima. Erano pugnalate dritte al cuore, che lo facevano svegliare col viso bagnato e la mente sconvolta. Per questo avere un incubo su Lilian fu anche peggio.
Era strano, perché non riusciva a ricordare i dettagli nel particolare. Le immagini laterali sembravano sfocate sbiadite, circondate da una sorta di aura luminosa che le rendeva irreali. Mentre quello che Ashton vide dritto per dritto sembrava terribilmente vero. A volte vedeva se stesso come se fosse uno spettatore esterno, a volte viveva l’incubo in prima persona, guardando con i propri occhi e sentendo con le proprie orecchie. Diceva cose che non pensava, che il vero Ashton non avrebbe mai detto. Cose senza senso.
Ashton si trovata in un lunghissimo corridoio, il soffitto e le pareti erano bianchi, il pavimento azzurrino. Lui era completamente vestito di bianco e camminava anche se non voleva farlo. Non vedeva la fine del corridoio, davanti a sé c’era solo bianco. Forse era morto.
Ad un certo punto, una minuscola porticina azzurra catturò la sua attenzione. Ashton vi entrò senza nemmeno pensarlo, e quando vide chi c’era dentro ebbe la certezza di essere morto soffocato nel sonno.
Lilian era in piedi vicino alla finestra. Anche lei era vestita di bianco, non aveva nessun tubo collegato al corpo, nessuna bombola d’ossigeno in vista. Aveva la pelle rosea e gli occhi luminosi, sembrava rinata, sembrava che non fosse mai morta.
Forse quello era il Paradiso – non l’aveva mai immaginato come una sorta di ospedale infinito –  e Ashton ci era finito proprio dentro. Perché Lilian non poteva trovarsi altrove, lei era buona, era morta ingiustamente.
Ashton provò a parlare, ma scoprì di non poterlo fare. Urlò, ma la voce non usciva. E Lilian se ne rimaneva lì, vicino alla finestra, con un sorriso dolce sul volto. Sei tulipani bianchi in mano, gli stessi fiori che lui aveva messo sulla sua tomba, durante il funerale.
Improvvisamente, Ashton non fu più padrone di se stesso. Si sentì come se fosse spiaccicato al muro e vedeva la scena da un altro punto di vista. Lui era di fronte a Lilian, e scoprì di non poter controllare le proprie azioni. Quando se stesso fece un passo in avanti, tutto si trasformò: Lilian assunse un’espressione minacciosa, i fiori che teneva in mano appassirono, tutto divenne buio, la luce proveniente dalla finestra sparì e si trasformò in fiamme. Vedeva tutto sempre come fosse un’altra persona. Vedeva Lilian attraversarlo da parte a parte come un fantasma, vedeva il ricordo di lei – non più sbiadito, ma vivido e forte – trafiggerlo e ucciderlo. Poi il buio. Questa fu la prima parte dell’incubo, quando riprese conoscenza era di nuovo nel suo corpo ed era seduto su una sedia. Adesso indossava i suoi abiti normali, sentiva ogni rumore e le immagini non erano più sfocate, anzi era tutto così vivido da sembrare vero.
Il letto vicino a lui era occupato. Lilian. Il suo corpo sembrava  fragile ed estremamente piccolo anche da sotto le coperte. Il viso pallido e giallastro, la flebo collegata al braccio. Gli occhi chiusi. Ma la cosa peggiore era che lei sembrava non accorgersi di lui. Nessuno sembrava farlo, né gli infermieri né i dottori che entravano ed uscivano da quella porta azzurra.
Era lui il fantasma, adesso.
Le lancette dell’orologio si rincorrevano più velocemente di quanto avrebbero dovuto fare, Lilian aveva ancora gli occhi chiusii, e lui stava lì senza cambiare né espressione né posizione. Guardava Lilian, e la vedeva come non l’avrebbe mai voluta vedere. In fin di vita.
Allora entrò un medico in camice bianco, accompagnato da due infermiere e dai genitori di Lilian, Ashton li riconobbe nonostante fossero diversi da come se li ricordava. Sembrano invecchiati di dieci anni tutti insieme, la donna era in lacrime.
«Non c’è più niente da fare» disse il dottore, la sua voce suonava come un eco lontano, ma la sua immagine era realistica al massimo. «Vivrebbe in stato vegetativo, per un altro anno al massimo.»
«Non ci sono davvero modi per… nemmeno uno?» chiese il padre di Lilian, cercando di mantenere una voce composta.
«No, signore. Li abbiamo provati tutti, il tumore è troppo esteso, l’acqua nei polmoni è impossibile da togliere, ormai.» rispose il medico. «La scelta sta a voi, tenerla qui per un anno, in coma perenne o…  – il dottore esitò – staccare la spina.»
La madre di Lilian soffocò in un singhiozzò più forte degli altri.
Ashton allora scattò in piedi. «No! Non lasciatela morire, vi prego!» lo urlò con tutte le sue forze, ma nessuno lo degnò nemmeno di uno sguardo. «Non lasciatela morire!»
Sì ritrovò a prendere a pugni il muro e a piangere, la stanza divenne vuota, poi si riempì. Lui non si mosse. Quando il tempo tornò a scorrere di nuovo, nella stanza c’era solo Lilian, ancora nel letto. Bianca in volto, il macchinario a cui era collegata non dava più segni di vita, e lei nemmeno.
Rimase con gli occhi spalancati di fronte a tutto quello. Allora capì di non essere morto per davvero durante il sonno, quell’incubo era ben peggiore. Voleva svegliarsi, voleva andarsene da lì, da quell’ospedale che non esisteva,  ma c’era qualcosa che lo teneva legato al mondo dei sogni.
Thalia sbucò quasi dal nulla, tant’è che Ashton pensò che avesse attraversato il muro. Gli mise una mano sulla spalla, a quanto pare, era l’unica a notarlo in quel maledetto incubo.
«Ha chiuso gli occhi» sibilò lei con voce calma e pacata. «È volata via, Ashton.»
Lui deglutì un grosso groppo di saliva. «Voglio andarmene.»
«Sta sognando il Paradiso.» mormorò ancora Thalia, vestita completamente di bianco.
«Tu sei un angelo?»
«Oh, no» rispose la ragazza, sorridendo. «Non importa chi sono qui. L’importante è che tu capisca chi sono dentro la tua testa.»
A quel punto ogni cosa svanì e Ashton si svegliò. Il cuscino era zuppo di sudore così come la sua fronte e la sua maglietta. Fuori pioveva a dirotto, la luce di un lampo invase la sua stanza: il primo temporale estivo, anche se, tecnicamente, non era ancora estate. La radiosveglia segnava le dieci del mattino.
Raggiunse la cucina e notò un biglietto sul tavolo, scritto da sua sorella, ne riconosceva la calligrafia frettolosa e arrotondata.
 
“Harry e mamma sono andati dall’oculista, papà è a lavoro e io all’università. In frigo c’è la torta di fragole”
 
Ashton lo lasciò lì e se ne ritornò in camera, non aveva fame né sonno. Era da un po’ che non aveva fame, in effetti. Era da un po’ che cominciava a lasciare sempre più cibo nel piatto. Voleva solo smettere di esistere, di provare qualsiasi cosa. Se non riusciva a trovare pace nemmeno mentre dormiva, era tutto finito.
Sprofondò sul letto e per la prima volta in due anni, abbassò la foto di Lilian. Il vetro rivolto verso il legno del comodino. Adesso lei non lo guardava più con gli occhi dolci che aveva in quella foto, e lui non guardava più lei per paura delle immagini vissute quella notte. Paura che si trasformasse in una sorta di demone pronto ad ucciderlo, a trafiggerlo, a farlo rimanere senza aria nei polmoni e senza ragione nella testa.
Aveva paura di diventare pazzo.
Era tutto sbagliato, non aveva mai fatto incubi di quel genere. E cosa c’entrava Thalia in tutto quello?
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dal telefono che squillava, non l’aveva messo in carica e la batteria doveva essere al minimo, tuttavia, era sorpreso di vederlo ancora acceso e funzionante.
Non riconobbe il numero della chiamata, comunque «Pronto?» rispose, cercando di mantenere un tono calmo e tranquillo.
Inizialmente, si sentirono solamente suoni confusi, gridolini strani e poi la voce squillante di Thalia che «Luke, vaffanculo!» inveiva chiaramente contro Luke, chissà per quale ragione.
«Thalia?» provò Ashton, ma lei continuava a parlare con Luke.
«Ho solo chiamato Ashton con il tuo telefono» si giustificò il ragazzo. «Dai, parlaci.»
«Ti odio» adesso la voce di Thalia era più vivida e forte. «Odio Luke, non te, Ashton.»
«Questo mi rincuora.»
«Come va?»
«Ho mal di testa.»
«Volevamo solo accertarci che stessi bene, sai, ieri sera abbiamo dovuto trascinarti di peso a casa… per fortuna ho proibito a Luke di bere e ricordavo dove fosse casa tua!»
Ashton sbatté le palpebre un paio di volte, confuso. In che senso avevano dovuto trascinarlo a casa? Va bene che si era un po’ lasciato andare al banco degli alcolici, ma non credeva di essere messo tanto male da non riuscire nemmeno a reggersi in piedi.
Tuttavia, nonostante la cosa fosse abbastanza preoccupante, l’unica cosa che Ashton riuscì a dire. «Come ci sono finito in mutande nel mio letto?»
Thalia scoppiò a ridere. «Tranquillo, io sono rimasta in macchina, ha fatto tutto Luke.»
«Oh, va bene. La moto? Cazzo, mio padre mi ammazza.»
«Anche quella è al sicuro, l’ha portata Luke.»
«E tu che hai fatto?»
«Ti ho caricato in macchina e ti ho portato a casa. Anche se tecnicamente non ho ancora la patente, mi manca l’esame finale, però so guidare!»
«Hai guidato senza patente.» affermò di nuovo Ashton, sbalordito.
«Esatto.» disse Thalia. Ashton se la immaginò mentre annuiva con un sorrisetto divertito sulle labbra.
«E non ti hanno beccato?» chiese ancora lui.
«No, per fortuna no.»
«Era pericoloso…»
«Non potevo lasciarti lì.»
«Ehm… grazie, allora.»
Poi ci fu un momento di imbarazzante silenzio. Non sapeva più che cosa dire. Thalia l’aveva riportato a casa nonostante avesse corso il rischio di farsi beccare dai vigili a guidare senza patente, in genere, quando più scuole organizzavano un ballo lo stesso giorno le strade pullulavano di agenti. Lei era stata fortunata e lui non aveva idea di come ringraziarla.
«Be’, allora… io vado ad ammazzare Luke.» sospirò Thalia, soffocando una risata.
Ashton invece si sciolse in un sorriso e si chiese come avessero fatto quei due a costruire un rapporto così forte in pochi mesi.
«Se lo uccidi poi entri tu nella band al posto suo?» chiese Ashton mettendosi a gambe incrociate sul letto.
«Se sapessi cantare e suonare sì, forse potrei sostituirlo. Magari iniziate anche a scrivere qualche canzone.» rispose Thalia divertita.
«Salutamelo.» disse Ashton.
«Ci vediamo, Ash.» e così dicendo, lei chiuse la chiamata. Ashton si rese conto dopo qualche secondo di essere rimasta con l’orecchio attaccato al dispositivo a sentire “tu-tu-tu”, nella speranza di risentire la voce di lei anche solo per una frazione di secondo. Si rese conto anche del fatto che Thalia l’avesse chiamato Ash. Poche persone usavano quel soprannome con lui, la prima era stata Lilian. E da quando lei era morta nessuno lo chiamava più Ash, ma questo Thalia non poteva saperlo, ecco perché, stavolta, lui non ebbe alcun tuffo al cuore e nessuna pugnalata dai ricordi. Dopotutto, l’incubo di quella notte era stato abbastanza.
Si chiese però cosa sarebbe successo se non fosse stata proprio Thalia a chiamarlo Ash. A lui piaceva sentire il proprio nome pronunciato da Thalia. Lei aveva quel modo di parlare incantevole che Ashton non riusciva a spiegarsi, e poi, il modo in cui pronunciava la esse e la acca, facendone uscir fuori un suono così dolce, era semplicemente irresistibile. Era un po’ come un ossimoro.
Il suo nome gli ricordava troppe cose brutte, aspre, che raschiavano quando la gente lo richiamava; eppure, detto da lei, il suo nome era una delle cose più dolci del mondo e gli faceva dimenticare persino a chi appartenesse, lo faceva sentire come un nuovo Ashton. Uno che aveva iniziato a vivere dal momento in cui l’aveva incontrata.
«Che cosa mi hai fatto, Thalia Reed?» disse tra sé e sé, mentre lanciava il telefono sul cuscino. Si prese la testa tra le mani e cominciò a pensare a quante cose erano cambiate da quando aveva incontrato Thalia.
Si disse che, sì, forse era davvero nato un nuovo Ashton da quando l’aveva incontrata, perché lui aveva cercato di tagliarla fuori dalla sua vita come faceva un po’ con tutti, eppure lei non aveva ceduto. Fu proprio questo, forse, a motivare Ashton. A convincerlo che ricominciare da capo avrebbe potuto avere qualche vantaggio, perché se al mondo c’erano persone così determinate come Thalia, allora doveva essere un posto in cui valeva ancora la pena di vivere.
Un altro tuono lo fece sobbalzare e ritornare alla realtà. Si alzò in piedi e mise il telefono in carica, poi si fiondò verso l’armadio alla ricerca di qualche vestito da mettere. Optò per qualcosa di smesso che gli andava anche piccolo, non ce l’aveva il coraggio di uscire di casa quel giorno. Non voleva nemmeno fare la sua solita passeggiata al parco, e non perché il temporale lo intimoriva. Aveva affrontato anche la grandine per andare nel loro posto speciale, nell’unico posto che gli ricordava Lilian. In realtà, però, Ashton prese un’importante decisione senza nemmeno rendersene veramente conto, quella domenica mattina, mentre credeva di impazzire: non sarebbe mai più andato al parco per Lilian.
Prima di Thalia quel posto era loro, era quel luogo dove riusciva a trovare quella pace interiore a cui ambiva da quando Lilian era morta. Era un posto che gli lacerava il cuore ma che lo faceva stare bene allo stesso tempo: lì poteva immaginare Lilian stesa sull’erba accanto a lui, poteva immaginare se stesso divertito mentre intrecciava delle margherite nei suoi capelli biondo scuro. Poi, però, era arrivata Thalia con le margherite disegnate sui pantaloni, non ne voleva tra i capelli, e quel posto aveva cominciato a sbiadirsi, a perdere ogni significato, perché adesso gli ricordava solamente Thalia che, con la sua esuberanza, aveva definitivamente – o quasi – sepolto Lilian.
E se lui andava lì per pensare a chi era tre metri sotto terra, andarci e pensare a Thalia non avrebbe avuto molto senso: lei era lì, poteva vederla sempre. Era viva, era reale, non era un fantasma che Ashton non riusciva a dimenticare.
Quella domenica mattina, Ashton non lo capì nemmeno, ma aveva appena compiuto il primo grande passo verso la guarigione.
 
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Angolo di Marianne
Here I am, beautiful people! Okay, allora ho davvero troppe cose da dire su questo capitolo. Partiamo dai Coldplay e ringraziamoli di fare musica così bella, perché senza le loro canzoni che mi trasmettevano calma non ce l'avrei mai fatta a scrivere. Poi, aspettavo da troppo tempo di poter scrivere un capito incentrato totalmente su Ashton. Essenzialmente, in questo capitolo è racchiuso tutto. Ogni singolo elemento dell'incubo ha una sua ragione e un suo perché, è un indizio per capire Ashton è... di fondamentale importanza u.u Thalia che appare nel sogno... eheh, Ash, mi sa che devi rivalutare un po' il mondo che ti circonda u.u Per farla breve, questo è uno dei capitoli a cui tengo di più, e spero da morire che vi piaccia almeno un pochino :)
Passiamo ora alle cose belle: Il prossimo capitolo sarà dedicato completamente ai Cake, specialmente a Calum ;) Ho già una cosa bellissima in mente fdhjkfdhgj, vi posso spoilerare solo la canzone che darà il titolo al capitolo, ovvero "Whenever I call you friend di Kenny Loggins (sia benedetto Glee per farmi scoprire canzoni nuove), anche perchè per ora c'è solo quella AHAHAHA
E niente, vi ringrazio di cuore per le 24 preferite, 6 ricordate e  28 seguite, siete l'amore ♥ E ovviamente, grazie anche alle sei persone che hanno recensito lo scorso capitolo: DarkAngel1, xKikka, ashtonlaugh, _Sogni_of_Bea_ , AlettaJJ e Winter_Is_Coming che ha votato la storia per le scelte (tu sei pazza e io non smetterò mai di ringraziarti ♥)
Ho fatto troppi cuoricini in questo NdA, non vi ci abituate troppo AHAHAHAH
Spero di nuovo che vi sia piaciuto, ditemelo con una recensione: consigli, critiche, ecc. sono sempre ben accetti :)
Baci,
Marianne

 
 


 

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Capitolo 11
*** Whenever I call you friend ***


 
 

 
Capitolo 10
 
  
«Everything that I do always takes me home to you.»
(Kenny Loggins – Whenever I call you friend)
 
Calum aveva le mani nelle tasche dei Bermuda di jeans che indossava. Non sapeva come, ma si era ritrovato a vagare per Sydney da solo, senza una meta ben precisa. Dalla sera del ballo erano successe troppe cose strane. Luke era sparito proprio a metà serata, così come Thalia e Ashton, anche se Calum non aveva ben capito il perché. Sospettava che a Luke piacesse Thalia. Aveva quella sensazione da un bel po’… dopotutto, lei e Luke erano migliori amici all’apparenza, passavano un sacco di tempo insieme e da soli, inoltre, ogni volta che Ashton si avvicinava a lei, Luke li guardava e assottigliava gli occhi, come se fosse geloso.
Sospirò, anche Jules era diventata sempre più strana. Insomma, prima del ballo lo chiamava praticamente sempre, Calum finiva per non avere mai un momento libero, se non di notte e a volte nemmeno quello; adesso, invece, Jules si era leggermente distaccata, ma Calum non se ne preoccupava più di tanto.
Forse era solo l’ansia per gli esami finali, ansia che aveva anche lui. Gli esami erano l’ultimo dei suoi problemi, eppure, il ballo c’era stato e loro avevano avuto l’ultimo divertimento prima del grande incubo di ogni diciottenne durante il mese di Dicembre: il diploma.
Calum avrebbe desiderato essere Luke, che era ancora al quarto anno e che doveva solamente preoccuparsi di eventuali debiti da recuperare durante l’estate, cosa impossibile perché Luke riusciva a strappare la sufficienza in tutte le materie senza particolari sforzi. Quel ragazzo avrebbe potuto essere un genio se solo si fosse applicato un po’ di più. Qualcuno in cui Calum non avrebbe voluto trovarsi per nulla al mondo era Thalia, primo anno di scuola a Sydney, solo terzo anno di liceo, era convinta che non ce l’avrebbe fatta, anche se a scuola andava benissimo, se si escludono la chimica e la matematica in cui, all’inizio dell’anno c’era stato qualche intoppo.
Sospirò e si fermò di punto in bianco in mezzo al marciapiede. Per la prima volta in vita sua, Calum si era messo a pensare al grande punto interrogativo che lo attendeva e incombeva sempre più minaccioso e oscuro proprio in mezzo alla strada: il suo futuro. Calum si era sempre chiesto dove sarebbe andato a finire, cosa avrebbe fatto dopo essersi diplomato. L’università oppure avrebbe cercato subito lavoro? Sarebbe rimasto a Sydney o avrebbe girato il mondo? Nessuno poteva saperlo, tantomeno lui. Calum non lo sopportava, il futuro. Era anche peggio del passato. Quello si poteva sempre dimenticare, cancellare. Ci si poteva passar sopra facendo finta di niente, lì stava e lì rimaneva. Non cambiava. Il futuro, invece, secondo Calum era un’incognita incostante: cambiava continuamente, non rimaneva mai la stessa e mai nello stesso posto. E stava anche nelle cose quotidiane, nelle cose più stupide. Come dire “stasera mangerò pizza”, ma non puoi saperlo con certezza finché non lo fai. Chissà, potresti cambiare idea all’improvviso e ordinare cinese, non sai mai cosa succederà tra due minuti, due giorni o due mesi. Così come Calum non poteva sapere dove sarebbe andato a finire quel pomeriggio quando era uscito di casa.
Aveva l’intento di fare una passeggiata, di schiarirsi le idee su tutto quello che stava succedendo. Non gli era mai capitato di pensare alla grande incognita che lo angosciava in situazioni come quelle, da solo e su un marciapiede deserto. Sì, perché il futuro angosciava terribilmente Calum. Gli metteva un’ansia indescrivibile, lo terrorizzava. Aveva paura di cadere in un fossato che non aveva fine e, soprattutto, aveva paura di caderci da solo. Solo lui con i suoi tormentosi pensieri.
Una volta, Luke gli aveva detto: «Sai, Cal, i pensieri e le persone sono due cose opposte. Facci caso. Le persone ti aiutano a dormire, i pensieri ti tengono sveglio.»
E solo adesso, fermo su un marciapiede fin troppo familiare, Calum riconosceva che Luke aveva ragione. Che lui ce l’aveva sempre, ragione, anche se non lo dimostrava mai. Anche se gliela lasciava sempre vinta.
Continuò ad incamminarsi verso la schiera di cancelli neri e di case bianche col tetto rosso, camminò finché non arrivò davanti al numero 6: casa di Luke.
Scavalcò il muretto come gli aveva insegnato Luke anni prima e salì titubante le scale della veranda, e ad ogni gradino gli venivano in mente mille scene diverse. Tutti litigi con Luke, comunque. Salite le scalette, giunse davanti la porta ed esitò prima di suonare. Si chiese se non fosse lui il problema che c’era tra di loro. Insomma, Calum lo sapeva di sbagliare. Sapeva che Luke lasciava correre ogni volta che litigavano, sapeva che era lui a creare tutti i casini e sapeva che era Luke a rimettere sempre tutto a posto, a fare da collante tra di loro e ad impedire che tutto andasse in pezzi.
Si morse il labbro, Calum. Perché lui trascurava la band, lui rispondeva male a tutti, lui litigava con Luke. Luke non aveva mai fatto niente di male, se non rimanere in silenzio anche quando aveva ragione e Calum torto.
Finalmente, si decise a suonare il campanello, e dopo una manciata di secondi venne ad aprirgli Luke come non lo aveva mai visto. Il ragazzo era in tiro: indossava dei jeans neri e una camicia, i capelli erano perfettamente curati e il ciuffo era probabilmente retto da litri di gel. L’unica cosa che gli mancava erano le scarpe.
«Calum?» domandò confuso, aggrottando le sopracciglia non appena lo vide. Stava aspettando qualcuno, e quel qualcuno non era chiaramente Calum.
«Vedo che ti ricordi ancora il mio nome…» mormorò Calum, maledicendosi subito dopo aver fiatato. Dio!, perché rovinava sempre tutto?
«No… cioè sì! Voglio dire, entra!» cercò di dire Luke, impacciato come non mai. Non si aspettava Calum, a dir la verità. Non pensava nemmeno che volesse parlargli, dopo il litigio della settimana precedente, a cui aveva assistito anche Ashton per la prima volta.
«Stavi aspettando una persona in particolare?» chiese Calum, rimanendo sulla soglia di casa per un po’. Luke era già entrato e lo fissava.
«No, figurati» mentì, girandosi dall’altra parte. «Faccio una telefonata, tu.. ehm, c’è la crostata sul tavolo della cucina, se ti va.»
Calum annuì ed entrò in casa, chiudendosi la porta alle spalle. Lo conosceva meglio di casa sua, quel posto. Ci era praticamente cresciuto, e col tempo non era cambiato niente, se non qualche foto in più sui ripiani. Il colore delle pareti era sempre lo stesso, le scale con il loro sesto gradino rotto erano sempre le stesse, i quadri erano sempre stati lì da quando Calum aveva memoria. L’unica cosa a cambiare lì dentro, oltre alla stanza di Luke, era proprio Luke. E Calum non sapeva se fosse una cosa positiva o no, perché negli ultimi tempi Luke era cambiato e si era allontanato, e a Calum cominciava a mancare il Luke delle scuole medie. Quello con cui passava tutti i pomeriggi, non importava dove o come.
Luke ritornò in salotto e riportò Calum sulla terra.
«Non pensavo volessi vedermi.» mormorò il ragazzo, lasciandosi cadere sul divano.
«Sei ancora il mio migliore amico, no?»
«Già.»
«Non so come ci sono arrivato qui. Camminavo e mi sono ritrovato davanti casa tua. Credo che il mio subconscio voglia dirmi qualcosa.»
«Qualcosa tipo…?»
«Tipo che se ogni cosa che faccio mi porta da te, Luke, una ragione c’è. Ed è perché siamo amici.»
«Sì…»
Luke sospirò quel “sì” come fosse la cosa più sofferta del mondo. Calum l’aveva detto, per ben due volte. Amici. Nulla di più, insomma, perché mai avrebbe dovuto andare oltre? Calum non sapeva niente di tutto quello e, forse, era meglio che ne restasse all’oscuro.
«Che c’è? Non vuoi più essere mio amico?» chiese Calum, notando il tono sconfitto e poco convinto di Luke.
«Non è questo il punto, Cal.»
«E allora cosa?»
«Ti sento distante rispetto a prima. Come se mi stessi scivolando dalle mani, ma non potessi fare niente per riportanti indietro. È… orribile.»rispose Luke. Poco prima aveva chiamato Susan Kyle e le aveva appena dato buca inventandosi una scusa assurda. Quindi, per farla breve, Calum si era presentato a casa sua senza un vero motivo, ma dopotutto non ne aveva realmente bisogno, Luke aveva disdetto i programmi con una delle ragazze più belle della scuola per rimanere con Calum a fare lo sfigato e a dirgli pian piano tutta la verità, come si sentiva in quegli ultimi tempi.
«Ho fatto qualcosa che non va?» chiese Calum.
Era arrivato il momento.
«Mi piaci, Cal.» lo disse forte e chiaro, al contrario di come ci si potrebbe immaginare. Lo disse ad alta voce perché ad ascoltarlo c’era solo il diretto interessato, lo disse ad alta voce perché non voleva né vergognarsene né averne paura. E per la prima volta, si sentì sicuro di se stesso, di quello che faceva. Per la prima volta, sentì di poter chiamare Calum “amico” e non starci male.
«Che?» domandò l’altro.
«Ho detto che mi piaci.» ribadì Luke con enfasi.
Calum lo guardò con la testa inclinata, in cerca di qualcosa da dire, ma l’unica cosa che gli venne in mente fu: «In che senso?»
«Nel senso che… che a te piace Jules e a me piaci tu.» rispose Luke, non trovando un esempio vero e proprio che rendesse bene il casino che aveva in testa.
«È un modo alternativo per dirmi che sei gay? Perché io non lo sono.» chiese ancora Calum, grattandosi la testa.
Luke sorrise divertito. «Non sono gay. Insomma, stavo per uscire con Susan Kyle prima che arrivassi tu.»
«E perché  diamine sei ancora qui?» Calum si alzò in piedi a dir poco sconcertato. Insomma, Susan Kyle era… era semplicemente l’obiettivo di qualsiasi ragazzo della loro scuola.
«Perché tu mi piaci, lei no. O almeno, non come mi piaci tu. Poi, che abbia due tette da paura, su quello non ci piove» rispose Luke calmo. «Però, il mio problema sei tu. Sei la mia ossessione. Di notte non riesco a dormire. E sai cosa? Adesso tu che vieni qui a casa mia, quando so che tra meno di un’ora probabilmente sarai con lei… fa male. Non puoi nemmeno immaginarlo.»
Calum sospirò e si rimise seduto sul divano. «Okay» disse. «Dammi un secondo.»
«Ho tutto il pomeriggio, tanto ormai l’appuntamento con Susan è saltato.» Luke si stravaccò sul divano e si mise a fissare il soffitto. Gliel’aveva detto e le conseguenze non erano disastrose. O meglio, ancora non c’erano state conseguenze.
«Devo andare… ho dei casini con Jules da sistemare e…» iniziò Calum, si alzò in piedi. Stava fuggendo. Stava per rimanere di nuovo solo, e con un pensiero in più a girargli per la testa. Il problema era che da solo Calum non ci voleva stare, ma quella situazione era diventata troppo strana, per questo pensò che fosse meglio finirla lì e andarsene senza guardare Luke negli occhi. Fuggiva e se ne pentiva allo stesso tempo. Luke lo seguì con lo sguardo e solo dopo un po’ capì quello che stava cercando di dirgli: a me non piacciono i ragazzi, e nemmeno tu. Sei il mio migliore amico e basta.
Non poteva permetterglielo. Scattò in piedi e lo prese per un braccio.
«Manda Jules a quel paese e rimani qui. Facciamo una cosa normale, da migliori amici, ci stai? Non lo so, giochiamo FIFA, rubiamo due birre dal frigorifero di mio padre in cantina, ma rimani con me» disse, guardandolo negli occhi. «Non te lo ricordi? Non mi piace stare da solo con i pensieri, se devo affrontarli, voglio che ci sia anche tu.»
Calum sgranò gli occhi e si avvicinò impercettibilmente a Luke. «Solo se è vero che hai sbloccato Messi.»
E Luke sorrise.
 
«Sai, Lukey, credo che tu abbia ragione.»
«Su cosa?»
«Su quella roba dei pensieri e della solitudine.»
«Anche tu odi rimanerci da solo?»
«Terribilmente.»
Calum posò la bottiglia di birra sul pavimento, vicino al cuscino dov’era seduto. Non sapeva da quanto tempo stavano giocando, sapeva che era già la terza birra che stavano bevendo, però, e non era una cosa abbastanza bella prendersi una sbronza alle sei del pomeriggio.
Luke non aveva bevuto moltissimo, invece, anche se continuava a ridere senza motivo ad ogni cosa che diceva Calum. In tutta onestà, non seppe dire se fosse per l’alcool o semplicemente per il fatto che Calum gli piacesse.
«Quindi, sei tipo innamorato di me?» chiese Calum, buttandosi completamente sul pavimento, fissava il soffitto azzurrino, gli sembrava il cielo, gli ricordava gli occhi di Luke.
«Non lo so, forse… e mi odio per questo.» Luke sorrise di sottecchi, alzando solo un angolo della bocca e abbassando lo sguardo.
«Non sorridere così, Lukey.» sibilò Calum, abbandonando il joystick.
«E perché?»
«Perché altrimenti mi innamoro pure io… e poi chi la sente Jules che sbraita come una matta?»
E, strano a dirsi, ma Luke sorrise un’altra volta nello stesso identico modo. Forse per provocare Calum, forse perché lui sorrideva così e basta ed era una cosa che gli veniva spontanea, che non poteva cambiare volontariamente. Sapeva solo che non voleva perdere Calum ed era riuscito nel suo intento; sapeva solo che gli aveva confessato la sua cotta, ma Calum era ancora lì con lui a giocare a FIFA e a perdere. Non voleva perdere la grande amicizia che li legava, perché Calum era prima di tutto il suo migliore amico… il suo primo migliore amico. E se mai in futuro ci fosse stato qualcos’altro, Luke avrebbe aspettato. Era un tipo paziente, lui. Aveva tutto il tempo del mondo.
 
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Angolo di Marianne
Ecco qui il tanto agognato capitolo (agognato solo da me stessa, ma vabbé) sui nostro meravigliosi, dolciosi, fantastici *elenca altri  100 aggettivi* Cake! *w* Scusate, ma quando si comincia a parlare di questi due io comincio a sclerare e smetto di parlare seguendo un filo logico perché, dopo varie riflessioni e angosciosi pomeriggi passati a chiedermi "To ship Cake or to ship Muke?", rovinando inscenando una versione alternativa dell' Amleto, sono giunta alla conclusione che OT3 è la cosa migliore da fare 0:)
Passando al capitolo che è interamente Cake. Luke trova finalmente il coraggio di "dichiararsi", ma come potete ben vedere, la vostra perfida autrice ha deciso di non riportare le conseguenze, perché di conseguenze non ce ne sono state. Però, il fatto che Calum sia rimasto suggerisce qualcosa, eh... ma qualcosina piccina picciò.
Comuuuunque, ora scappo perché la mia interrogazione di storia incombe minacciosa e DEVO studiare, ma prima ringrazio infinitamente le sette persone che hanno recensito il nono capitolo: DarkAngel1, xKikka, animanonimy,  Aletta_JJ, _Sogni_of_Bea_ , Thesperance_99 e Winter_Is_Coming, siete tutte meravigliose ♥
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e come al solito, le recensioni non mordono e rendono felice la sopracitata autrice depressa per l'interrogazione di storia, e sì, sta scappando per studiare proprio quella materia. Quindi nada, fatemi sapere cosa ne pensate :)
Love ya ♥
Marianne

 
 


 

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Capitolo 12
*** What the hell ***


 
 

 
Capitolo 11
 
  
«All my life I’ve been good, but now I’m thinking:“What the hell!”»
(Avril Lavigne – What the hell)
 
 
«In punizione, Luke. Ti rendi conto? Sono in punizione!» Thalia era decisamente nervosa. Non solo perché il rimprovero e il seguente castigo erano arrivati con almeno ventiquattro ore di ritardo, ma anche perché non riusciva a credere che i suoi genitori l’avessero messa in punizione dopo che lei si era giustificata con argomenti più che sufficienti a testimoniare la sua innocenza.
«Per cosa?» chiese Luke, dall’altra parte del telefono.
«Per essere tornata tardi dal ballo. Gli ho spiegato che abbiamo dovuto riportare Ashton a casa. Lì mio padre si è arrabbiato ancora di più, e non oso pensare cosa avrebbero fatto se gli avessi detto che ho guidato io…» rispose la ragazza. «Ma non è questo il punto! Ora sono chiusa in casa, posso uscire solo per andare a scuola e stop. Non vogliono nemmeno che tu venga a casa mia… se gli dico che ti piace Calum secondo te ti lasceranno entrare? Sai, dopo che mia mamma ha detto a papà che mi ha vista in moto con Ashton sono entrambi prevenuti nei confronti di qualsiasi essere umano di sesso maschile che…»
«Thalia, respira. Non ho capito un accidente di quello che hai detto.» sospirò Luke. Thalia si rabbuiò. Non era totalmente colpa sua. Quando era arrabbiata o irritata per qualcosa in particolare tendeva a parlare velocemente, senza mettere freni alla lingua. «Primo, credo che il fatto di non farmi venire a casa tua sia legato alla punizione, e non è perché sono un ragazzo.»
«Vogliono farmi diventare una monaca di clausura, per caso?»
«Secondo, anche io se fossi in loro sarei prevenuto nei confronti di ogni essere umano di sesso maschile.»
«Non mi sei d’aiuto, Luke. Dovresti tirarmi fuori da questa situazione.» sbuffò la ragazza, buttandosi sul letto. Se c’era una cosa che odiava più d’aver torto, quella era quando Luke era d’accordo con chi, effettivamente, aveva realmente ragione. Insomma, era il suo migliore amico, non doveva forse supportarla nel bene e nel male? Si morse il labbro inferiore: no. Luke era il suo migliore amico, ma non doveva assecondarla quando aveva torto. Doveva, più che altro, farle notare i suoi errori senza essere eccessivamente crudele, solo ch, in quella conversazione, Luke e la delicatezza sembravano aver fatto a pugni.
«Per quanto tempo sei in punizione?» chiese Luke.
«Fino a all’ultimo dell’anno» rispose lei. «escluso.»
«Quindi, se ti invitassero ad una festa di Capodanno tu potresti venire.» affermò Luke.
«Teoricamente sì, basta che ritorno a casa in tempo. Altrimenti mi spediscono sul serio in un monastero di clausura.» disse Thalia. Sentì la risata soffocata di Luke e pensò al tono distaccato e nervoso della sua voce. Era successo qualcosa che non le aveva detto e moriva dalla voglia di saperlo, quindi: «Luke, devi dirmi qualcosa?»
«Che? Io?» la sua voce si era alzata notevolmente, e no, non era un difetto dovuto alla cattiva recezione del telefono.
«Sì, proprio tu. Luke Hemmings.» ribatté Thalia.
Luke sospirò. «Ho detto a Calum che… be’, gli ho detto come stanno le cose.» confessò Luke, con un tono di voce ancora più basso. Thalia saltò in piedi. Non capiva come aveva fatto da sdraiata ad alzarsi in una frazione di secondo, ma poco importava: Luke aveva fatto il primo passo e, di sicuro, era stato molto più lungo della sua gamba. Aveva rischiato di rompersi in due e precipitare da un burrone, ma il suo tono di voce non le dava quest’impressione. Anzi, la voce di Luke era tranquilla, sfiorata appena da uno strano tono di sufficienza.
«E…?» domandò Thalia, avida di curiosità.
«E niente. È rimasto tutto com’era prima.» rispose Luke.
«Che cosa?»
«Gliel’ho detto. È rimasto a fissarmi come fossi un alieno con la pelle verde per una manciata di secondi. Poi ha cercato una scusa per andarsene e io l’ho letteralmente supplicato di rimanere. Lui è rimasto, si è scolato almeno tre birre e poi…» Luke s’interruppe, Thalia sentì un colpo di tosse prima di sentire la voce del ragazzo riprendere il discorso, incrinata e incerta, stavolta. «Mi ha chiesto se fossi innamorato di lui, sul serio, capisci? E poi ha cominciato a sparare cavolate sul fatto che anche lui potrebbe innamorarsi di me. Ma… credo che fosse troppo brillo per pensarlo veramente.»
«Hai fatto grandi progressi, Luke. Sono fiera di te.» disse Thalia.
«Devo andare a cena, ci vediamo domani a scuola.» tagliò corto il ragazzo, ma doveva essere una cosa normale per i due, dato che Thalia non si scompose minimamente.
«A domani, Lukey.»
 
Per la seconda volta in meno di ventiquattro ore, Thalia desiderò essere un’altra persona. O meglio, desiderò non essere in punizione per almeno un’ora. Poi l’avrebbe scontata in seguito, quell’ora saltata, magari con gli interessi. Eppure sua madre era stata chiara: all’uscita da scuola, autobus e dritta a casa. Nessuna sosta, nessun distrattore. Peccato che quel giorno Ashton Irwin avesse deciso di mettersi seduto sul muretto proprio di fronte al cancello della sua scuola, con lo zaino su una spalla e gli occhi fissi sulla massa di studenti che stava uscendo. Aveva deciso di essere un distrattore coi fiocchi. Istintivamente, Thalia si sistemò i capelli dietro l’orecchio e controllò che la propria maglietta fosse a posto. Non erano cose che faceva abitualmente, ma Ashton la mandava in tilt, e a quel punto il suo cervello partiva e cominciava a fare come gli pareva, facendole fare gesti che non le appartenevano del tutto. Chiuse gli occhi per una frazione di secondo, mentre camminava. Aveva perso di vista Luke nella folle corsa verso l’uscita, ma non poteva trattenersi ad aspettarlo, perciò uscì immediatamente dal cancello e attraversò la strada, convincendosi che stesse solamente andando a prendere l’autobus, di certo non stava andando incontro ad Ashton.
«Hey, Thalia!» esclamò lui, alzandosi di scatto dal muretto. Thalia si bloccò di colpo e lo osservò, era il solito Ashton: jeans stretti, e canottiera nera. Senza camicia sopra, stavolta. Era iniziato Dicembre e così anche il caldo asfissiante.
«Ciao!» rispose lei radiosa. «Come mai qui?»
«Oggi sono uscito un’ora prima e ho pensato di venire a trovarti…» disse Ashton, per poi aggiungere prontamente: «Cioè, te e gli altri.»
Thalia accennò un sorrisetto imbarazzato. Ashton era venuto lì appositamente per lei. Lei e basta. Gliel’aveva sentito nella voce, nel modo in cui aveva aggiunto “gli altri” come se fossero una toppa per chiudere qualche buco che Ashton non poteva permettersi di scoprire.
«Non posso aspettarli. Devo tornare a casa immediatamente.» disse Thalia sconsolata, iniziando a camminare verso la fermata dell’autobus.
«Perché?» domandò Ashton. Dapprima non si mosse, ma quando vide che Thalia non accennava a fermarsi, cominciò ad andarle dietro e si adattò quasi subito al suo passo, a tenerle testa come se la loro andatura fosse uguale e identica.
«Sono in punizione.» sospirò Thalia. Era giusto dirlo ad Ashton? Sì, certo che lo era. Era suo amico, in qualche modo sarebbe uscito fuori.
«E per che cosa?» chiese ancora il ragazzo, visibilmente curioso. Intanto, Thalia l’aveva superato e, saltellando, si era avvicinata alla panchina accanto alla fermata. Ci poggiò sopra lo zaino, senza mettersi seduta.
«Per aver riportato te a casa e di conseguenza per aver fatto tardi, l’altra sera.» disse Thalia. Poi se ne pentì. Nel modo in cui l’aveva detto aveva fatto ricadere la colpa su di lui. Come se fosse solo per lui che aveva fatto tardi. In realtà, la situazione era sfuggita di mano a tutti. Anche se non avesse accompagnato Ashton avrebbe tardato.  «Voglio dire, mi avrebbero messa in punizione comunque perché non sarei mai tornata a casa all’orario giusto, ma…»
«Capisco, e non gliel’hai spiegato?» chiese Ashton, mettendosi le mani in tasca.
Thalia sospirò. «Sì, ma non c’è stato verso.» sorrise, nonostante l’argomento non proprio felice. Ashton inarcò le sopracciglia e rimase in silenzio, a guardarla mentre un rumore attirava la sua attenzione, dietro di lei. Mentre arrivava l’autobus e Ashton smise semplicemente di pensare secondo logica. Salì con lei e le si mise seduto proprio di fronte.
Thalia l’aveva osservato confusa, e poi «Questo va a casa mia.» disse.
«Lo so.» rispose Ashton. E Thalia sorrise di nuovo, senza sapere il perché.
«Teoricamente, non potrei invitare persone a casa…» buttò lì la ragazza, tanto per avvertire Ashton.
«In pratica, ti offro il mio aiuto in francese.»
«Vado benissimo in francese.»
«Questo non ha importanza.»
Quando arrivarono davanti al vialetto di casa di Thalia, lei cominciò a considerare seriamente le conseguenze di quello che stava per fare. Non le era stato categoricamente ed esplicitamente proibito di invitare amici a casa, ma gliel’avevano fatto capire, in un certo senso.
Comunque, non poteva tornare sui propri passi, né dire ad Ashton di andarsene – non l’avrebbe fatto comunque – quindi suonò il campanello e fece un grande respiro.
Ad aprire venne sua madre che, non appena vide Ashton sorridente e fermo sulla porta, aggrottò la fronte e spostò lo sguardo su Thalia. «Mi da una mano in francese.» tagliò corto la ragazza, entrando in casa. Fece cenno ad Ashton si seguirla e lui «Salve, signora.» disse, mentre entrava.
Nella sua vecchia scuola, in America, Thalia tornava a casa per pranzo. Per cui, se si fosse trovata ancora là, sua madre l’avrebbe sgridata per non averle detto niente e, di conseguenza, averle fatto fare brutta figura non preparando niente da mangiare per il suo amico, ma fortunatamente ora Thalia pranzava a scuola, per questo non appena Ashton si richiuse la porta dietro le spalle salì di corsa le scale verso la sua stanza, e lui, dopo aver gettato un’occhiata al salotto, non esitò a seguirla.
«Hai una sorella?» chiese Ashton, notando i due letti nella stanza di Thalia. «O un fratello… ma a giudicare dalle coperte fucsia…»
«Sorella. Si chiama Bonnie ed è nove anni di pura malvagità.» rispose Thalia, mettendosi seduta sul letto attaccato al muro, il suo, evidentemente.
«Non tutti i fratelli vengono per nuocere, scommetto che stai esagerando.» disse Ashton, rimanendo in piedi. Quella situazione lo imbarazzava. Era nella stanza di una ragazza, da solo con lei. O meglio, era con la ragazza che gli mandava il cervello in subbuglio, erano da soli nella stanza di lei. Cosa avrebbe mai dovuto fare? Sedersi vicino a lei o sulla sedia della scrivania? Oppure rimanere in piedi senza far nulla?
«E tu hai fratelli o sorelle?» chiese Thalia, scalciando via le scarpe, poi batté una mano sulla trapunta del letto. «Mettiti seduto.»
Ashton annuì, imbarazzato e rispose: «Una fratello e una sorella.»
«Povero te!» esclamò Thalia.
«Mia sorella è più grande di me, è al college quindi non sta molto a casa. Invece mio fratello, Harry, ha otto anni.» disse Ashton.
«Allora, professor Irwin, iniziamo o no a studiare francese?» scherzò Thalia, Ashton rise. Era così bello vederlo sorridere, vederlo ridere. Vedere il suo volto illuminarsi e i suoi occhi verdi brillare. Sentire la sua risata e venirne contagiati. Era bellissimo, era così bello che Thalia sentiva di poterci vivere, nelle risate di Ashton.
«Purtroppo, io sono specializzato in spagnolo, signorina Reed. Mi dispiace.» rispose Ashton, con un tono da finto intellettuale.
Rimasero in silenzio per un po’, senza sapere perché. Thalia si sentiva in imbarazzo, non sapeva cosa dire precisamente. Ashton si sentiva in colpa. Gli sembrava troppo strano lasciarsi andare così con qualcuno che conosceva da poco tempo, da poco più di un mese. Allo stesso tempo si sentiva un estraneo dentro al suo stesso corpo e dentro la sua stessa mente. In quei due anni aveva vissuto così in silenzio, sempre all’ombra di un ricordo che non voleva dimenticare del tutto, che agire in modo così spensierato gli sembrava una cosa nuova. Sospirò, non poteva lasciarsi sopraffare in questo modo.
«Sei libera domani pomeriggio?» chiese Ashton all’improvviso. Non ragionò. Non mise alcun freno alla lingua.
«Sono in punizione…» sospirò Thalia. «Fino alla fine del mese.»
«E allora?»
«Che?»
«Sei in punizione, okay. E quindi?» disse Ashton, sorridendo. «Da quando ti ho vista per la prima volta non mi sei sembrata una persona che fa quello che le viene imposto.»
«Mi stai chiedendo di infrangere le regole per uscire con te?»
«Non ti ho chiesto di uscire, ti ho chiesto solo se hai da fare.»
«Il che equivale alla stessa cosa.»
«Be’, allora?» domandò Ashton. «Sto provando a farti entrare nella mia testa. Sei l’unica persona con cui riesco a... ad aprirmi, con cui esporsi così tanto non fa poi così schifo.»
Thalia aprì la bocca per parlare, ma riuscì solo a fare un respiro profondo. Come poteva rispondere a quello che le aveva appena detto Ashton? «Io…» iniziò titubante. «Non lo so…»
Ashton, tuttavia, non si diede per vinto. «Ne sei sicura?»
«Non del tutto.» sospirò Thalia.
Ashton sorrise di nuovo. «Abbiamo un lungo pomeriggio davanti, ti aspetto.» si appoggiò con la schiena al muro e mise le braccia dietro la testa.
«Però credo che tu abbia ragione. Insomma, faccio spesso di testa mia, ma sono stata buona finora.» disse Thalia. «Per tutta la vita ho fatto quello che le persone si aspettavano da me, ma adesso basta.»
«Qual è il verdetto finale?»
«Ci sto. Infrangerò le regole per te, Ash.»
 
 
 
 
 
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Angolo di Marianne
Hola! Diciamo che un professor Irwin per studiare spagnolo a me non farebbe schifo, eh. Mi scuso tantissimo per avervi fatto aspettare una settimana piena, ma è un periodo pieno d'impegni e non so nemmeno come sono riuscita a scrivere questo capitolo. Per il prossimo non ne ho la più pallida idea, da qui a venerdì ho tutti i giorni un'interrogazione o un compito, e nel mentre devo studiare per filosofia che è tutto il programma del 2 quadrimestre, da martedì ricominciano i compiti e non ho un momento libero. Scusate anche se vi ho risposto così tardi alle recensioni. :( 
Se tornerò a pubblicare ad un ritmo regolare, sarà verso il 4-5 Giugno, comunque, con la fine della scuola. Allora, parlando di cose più o meno felici. Capitolo un po' di passaggio, lo so, ma che lascia benissimo immaginare cosa succederà nel prossimo. EHEHEH *-* io sto già sclerando, e dato che c'è il rischio che ritardi una volta vi do alcune minuscole anticipazioni per la storia.
• Thashton shippers, brace yourselves. Preparatevi, insomma perché nel prossimo capitolo le cose saranno BOOM e.e
• Per chi me l'ha chiesto, sì, prossimamente ci sarà uno spazio tutto dedicato al nostro Michael, pensavate che me ne fossi dimenticata? Come facevo a dimenticarmi proprio del mio chitarrista preferito? u_u
Ya, detto questo. Ringrazio di cuore le sette persone che hanno recensito lo scorso capitolo:  SkyscraperWrites, DarkAngel1, xKikka, Winter_Is_Coming,  ashtonglaugh, animanonimy e _Sogni_Of_Bea_
Spero vivamente che vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate: tranquilli, né io né l'editor per le recensioni uccidiamo ^_^
Alla prossima! ♥
Marianne

 
 


 

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Capitolo 13
*** Neutron star collision ***


 
 

 
Capitolo 12
 
  
«And our hearts combined like a neutron star collision.»
(Muse – Neutron star collision)
 
In alcuni momenti della nostra vita ci sentiamo in bilico tra la terra e il cielo sopra di noi, ci sembra di cadere dalle nuvole, ma non di aver paura dell’impatto, perché siamo troppo impegnati a sentire il vento riempirci i polmoni, lo stomaco contrarsi e la pace assoluta dilagare nel nostro corpo. Era così che si era sentita Thalia quel pomeriggio, quando Ashton se n’era andato.
Però, ci deve essere sempre qualcosa a fermare la nostra corsa verso la terra, e quel qualcosa è proprio la terra stessa. Non ci uccide, ma fa male, e il dolore è talmente più forte della pace e dei momenti vissuti poco prima che non riusciamo quasi a ricordare come fosse mentre eravamo in caduta libera.
Ed era così che si era sentita Thalia il giorno dopo, appena uscita da scuola, mentre si dirigeva con calma verso la solita fermata, ad aspettare il solito autobus che l’avrebbe portata a casa a passare un’altra giornata di punizione. Il fatto è che stavolta non avrebbe seguito le regole. Gliel’aveva promesso e non poteva tirarsi indietro. Non dopo che Ashton le aveva detto di essere unica. Non speciale.
Non era la stessa cosa, ricordava ancora quando, dopo le prove, lui le aveva detto di essere una delle eccezioni della sua vita, una delle poche cose che riuscivano a farlo sentire bene, a farlo sentire vivo. Ma mai le aveva detto di essere l’unica persona che poteva fare una cosa in particolare. Thalia non si era mai sentita unica. Aveva sempre fatto parte di un qualcosa di grande ed era sempre stata grigia come tutti gli altri, erano poche le situazioni in cui si era ritrovata ad essere in mezzo a poche persone e a spiccare tra queste. Ma essere unica... quello non le era mai capitato.
Pensava a cosa avrebbero fatto quel pomeriggio, se fosse riuscita a non farsi scoprire e a tutte le conseguenze che avrebbe comportato un eventuale fallimento del suo piano perfetto. Sospirò, mentre entrava in casa, doveva trasparire un’assoluta tranquillità, o sua madre si sarebbe accorta di qualcosa.
«Mamma!» esordì, entrando in cucina. «Devo dirti una cosa... »
«Già non mi piace il tono.» disse sua madre, mettendosi seduta.
«No, nulla di grave... il mio amico Ashton ieri si è portato via per sbaglio il mio libro di francese e a me serve per studiare oggi» iniziò. «Allora mi chiedevo se potessi andarlo a riprendere.»
«Va bene» disse Marie. «Vai e torna.»
«Abita un po’ lontano quindi con gli autobus ci metterò un po’.» disse Thalia prima di afferrare la borsa già preparata sul divano. Per fortuna, nessuno aveva fatto al caso che, per una volta tanto, si era vestita quasi come una ragazza e che aveva mezzo un po’ più trucco del solito mascara e correttore. Non sapeva perché, e cercava di reprimere l’idea fastidiosa che le ronzava in testa già da qualche giorno ormai.
Fu proprio mentre stava per uscire che, sua madre, con un’espressione divertita le disse: «Ti piace davvero tanto questo Ashton?»
«No, mamma. È solo un amico.»
Sì. Da morire.
Fece un sorrisetto innocente e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. La domanda di sua madre l’aveva fatta pensare, e Thalia aveva capito due cose: la prima, non poteva mentire a sua madre. Una mamma sa riconoscere ogni cosa, i vecchi trucchi non ingannano nessuno, tantomeno lei; due, Ashton le piaceva.
Tanto. Troppo. E per lui era stata disposta a ribellarsi, ad infrangere ogni cosa.
E il tutto era successo in un mese e mezzo. Poteva mai essere possibile? Ci si poteva affezionare così tanto a qualcuno, si poteva cadere nel tranello di Cupido in così poco tempo?
Sì. E Thalia c’era caduta con tutte le scarpe e con tutta la testa.
Si erano dati appuntamento qualche isolato dopo casa di Thalia. Non appena lei svoltò l’angolo trovò Ashton appoggiato ad un palo della luce, col cellulare in mano. Deglutì e gli si avvicinò a grandi passi, cercando di apparire naturale, come sempre, anche se dopo la domanda di sua madre la convinzione che gli piacesse Ashton era diventata ancor più forte e ancor più presente. Così tanto che sentiva le farfalle nello stomaco.
«Hey.» disse lei per attirare l’attenzione del ragazzo.
Ashton alzò la testa e rimise il telefono in tasca, poi sorrise e Thalia credette di potersi liquefare da un momento all’altro proprio lì, su quel marciapiede. «Hey! Come va?» le chiese.
«Benissimo» rispose Thalia, sospirò. «E tu?»
«Sorprendentemente bene, grazie.» rispose il ragazzo.
«Dove andiamo di bello?» chiese Thalia. Non riusciva a trattenere la sua curiosità, moriva dalla voglia di sapere a cosa avesse pensato Ashton per quella sorta di... appuntamento? Era davvero ad un appuntamento con Ashton Irwin? Lo realizzava solo adesso, mentre cercava di calmarsi, di mettere a tacere quell’ansia ingiustificata.
«Sorpresa!» esclamò Ashton. Le porse la mano col cuore in gola, sperando che Thalia l’afferrasse. «Devi solo fidarti di me.»
Thalia sorrise e strinse forte la mano di Ashton. «Certo che mi fido di te, andiamo!»
 
«Il Luna Park, sul serio, Ash?» chiese Thalia, mentre la sua mano era ancora ben stretta a quella di Ashton.
«Non ti piace? Se non ti va andiamo da un’altra parte, io... » iniziò il ragazzo, colto di sorpresa. Non aveva considerato che a Thalia potesse non piacere il Luna Park, non l’aveva neanche pensato lontanamente. Solo che gli sembrava squallido andare al cinema o in qualche altro posto da coppiette normali, semplicemente perché Thalia era diversa e andava portata in un posto diverso.
«Sì, lo adoro.» rispose la ragazza, Ashton rilassò i muscoli. Lei sorrise e s’incamminò verso l’entrata. Ashton pagò due biglietti – era un gentiluomo, lui! -  e si ritrovarono nello spiazzo gremito di persone: genitori con i propri figli, bambini con lo zucchero filato in mano, ragazzi come loro in gruppo. Era un bel posto, a Thalia era sempre piaciuto, anche se l’ultima volta che ci era andata aveva dodici anni e viveva in America. In effetti non ricordava molto, se non il pianto isterico dovuto al fatto che non l’avevano fatta salire sulle montagne russe.
«Cosa facciamo?» chiese Ashton. «Cioè, cosa ti va di fare?»
«Montagne russe. Ti prego!» esclamò la ragazza, puntando col dito l’enorme struttura di metallo.
Ashton abbozzò un sorriso. «Non ti fanno paura?»
«Dovrebbero?»
«Perché mi rispondi sempre con un’altra domanda?»
«Lo stai facendo anche tu» gli fece notare Thalia. «E poi è divertente.»
Ashton sorrise di nuovo. Due volte in un giorno, era un bel traguardo. Si misero in fila e dopo circa dieci minuti passati a chiacchierare del più e del meno, a scherzare,  a farsi prendere dal panico perché «Non avevo pensato che tra pochi minuti potrei morire spiaccicata sull’asfalto!», salirono finalmente sull’ottovolante. Misero le protezioni come indicato e queste si serrarono automaticamente . Thalia stringeva ancora la mano di Ashton.
«Sei nervosa adesso, eh?» domandò lui divertito.
«Assolutamente no.» mentì lei.
«Da quanto non sali sulle montagne russe?»
«Da mai, però mi sono sempre piaciute.»
«Adesso si spiega tutto.»
«Che cosa vorresti insinuare?»
«Assolutamente niente.»
La macchina partì e cominciò a salire sempre più in alto. Thalia era tranquilla finché vedeva i binari davanti a lei, ma quando arrivarono in cima al punto più alto trattenne il fiato. L’ottovolante si fermò per due secondi e poi iniziò la sua folle discesa. Nonostante sentisse che avrebbe potuto vomitare lo stomaco, Thalia non chiuse gli occhi, bensì guardò il panorama della città scorrere veloce attorno a lei. Si voltò e il capelli le andarono tutti in faccia a causa del vento, riusciva comunque a vedere Ashton, con i capelli all’indietro che urlava come un pazzo. Non si era resa conto di star urlando anche lei finché l’ottovolante non fece un’altra discesa mortale.
Durò meno di quanto Thalia si aspettasse, una volta di nuovo a terra non sentiva più le gambe, però era felice, euforica. Sprizzava elettricità da tutti i pori, era esaltata, ecco il termine giusto. Era così fuori di sé che prese Ashton sottobraccio quasi senza accorgersene, mentre camminavano per il Luna Park. Lui però trasalì per un momento e osservò Thalia attentamente. Era così piena di gioia, quella ragazza, che non poteva  far altro che riempirsi di gioia a sua volta, perché credeva che troppa felicità in una persona potesse portare alla distruzione, e non voleva che Thalia si autodistruggesse. Non voleva perdere anche lei, non adesso che sentiva di potersi buttare, di potersi lanciare nel vuoto con solo la convinzione che ci sarebbe stato qualcosa ad attutire la caduta. E sentiva di potercela fare perché sapeva che, se mai avesse saltato, Thalia l’avrebbe fatto con lui.
Fu allora che «Ti va di salire sulla ruota panoramica?» chiese Ashton, dopo essersi schiarito la voce.
Thalia avrebbe voluto dirgli che con lui sarebbe andata ovunque, però si limitò a rispondere con un semplice «Sì.»
La ruota panoramica era un’attrazione che Thalia non aveva mai apprezzato molto. Forse perché, come diceva il nome  stesso, serviva ad ammirare il panorama, e a parte le immense campagne non c’era molto panorama da vedere, a Coudersport, la sua vecchia città. Però a Sydney era ancora tutto da vedere. Era la città in cui viveva, ma che non considerava ancora sua.
Fu Ashton a guidarla verso la ruota, a stringere delicatamente il suo polso, a camminare velocemente con lei che rideva dietro di lui e cercava di stare al suo passo.
Arrivarono proprio prima che iniziasse il giro, una ragazza aprì loro una cabina libera e i due entrarono. C’erano due specie di divanetti, nella cabina, uno di fronte all’altra. Thalia prese posto accanto ad Ashton, ignorando completamente i posti di fronte a loro. La ruota iniziò a salire, e più andava in alto e più rallentava, per permettere a tutti di guardare quello che c’era fuori. I primi momenti furono silenziosi, poi Thalia fu vinta dalla curiosità, perché se voleva scoprire qualcosa di Ashton, quello era il momento giusto per chiederglielo.
«Sei nato qui?» gli chiese puntando gli occhi dentro ai suoi. Ci si specchiò, ma invece di vedere se stessa, vide un sacco di altre cose, ed erano tutte meravigliose.
«No. Ad Hornsby, una città poco lontana da Sydney.» rispose Ashton tranquillamente, sentiva che quella era un’informazione che poteva darle, che non svelava poi così tante cose di lui, e conoscendo Thalia, quasi si stupì della semplicità di quella domanda.
«Capisco... quindi nemmeno tu senti Sydney come se fosse tua?» continuò la ragazza. Ashton represse una risata: eccola, la vera domanda di Thalia
«Ci vivo da quando sono piccolo, comunque. Sono cresciuto tra quelle strade, » con un dito indicò i palazzi che si vedevano da fuori il finestrino. «e ho conosciuto tutte le persone a cui voglio bene in questa città. Quindi sì, Sydney la considero mia.»
Ho conosciuto tutte le persone a cui voglio bene in questa città.
Anche Thalia rientrava tra quelle persone? Non gliel’avrebbe mai chiesto, ma sorrise compiaciuta al pensiero, preferì tenersi dentro quell’idea dolce che la fece sorridere all’improvviso. Le piaceva pensare di essere tra quelle persone.
«Wow... » mormorò la ragazza, sospirando.
«Ho lasciato Thalia Reed senza parole?» domandò Ashton scherzoso, per poi scoppiare a ridere.
«Non è mica la prima volta.» rispose lei, rialzando lo sguardo verso di lui.
«Invece a me sembra proprio di sì... » disse lui.
«È che ogni volta che mi guardi negli occhi il mio cervello smette di pensare, non è la prima volta. Sapessi quante volte mi hai guardato e non te ne sei nemmeno accorto. Sapessi quante volte mi hai lasciato senza parole. È curioso che tu ci stia facendo caso proprio adesso che siamo a quasi cinquanta metri da terra, non trovi?»
Ashton non trovava una cosa abbastanza sensata per replicare, era lei ad averlo lasciato senza parole adesso. Era sempre lei che creava disordini nel suo cervello. Quei disordini in cui Ashton amava perdersi. Quei disordini in cui smetteva di pensare e in cui vedeva solamente il proprio presente.
Allora decise di non dire niente, perché non era il momento di parlare, quello. Bisognava solamente agire e non curarsi delle conseguenze. Gli serviva solo un disordine in cui perdersi e Thalia gliene aveva appena creato uno.
E mentre cercava di non perdersi troppo, mentre si avvicinava lentamente a Thalia, Ashton si dimenticò di tutto il passato, di quello recente e di quello remoto. Si dimenticò della strana sensazione provata sulle montagne russe, mentre Thalia gli stringeva la mano per la paura e si dimenticò per un lunghissimo istante del sapore dei baci di Lilian, perché sapeva di stare per baciare Thalia e non Lilian. E che come le persone, i baci erano tutti diversi.
Ma poi eccola, una canzone ritmata, veloce, che Ashton non aveva mai sentito. Proveniva dalla borsa di Thalia. Vide lei stringere gli occhi, non sapeva per cosa.
«Scusa...» mormorò piano, a pochi centimetri dalle sue labbra. Ashton si ritrasse confuso.
«Non rispondi?» le chiese.
Thalia annuì lentamente, e come se fosse un gesto meccanico afferrò la borsa e prese il cellulare. Osservò il display per una manciata di secondi, prima di rispondere.
«Spera di avere un motivo valido per chiamarmi prima che io ti trovi e ti uccida, Lucas.» disse con il suo solito sorriso sulle labbra, solo che aveva un non so che di inquietante. Era Luke. Ashton non poté che reprimere un sorriso. Sentiva solamente dei suoni metallici, troppo poco per capire quello che stava dicendo Luke dall’altra parte del telefono.
«Ascolta, sei il mio migliore amico e ti voglio davvero bene, ma in questo istante non me ne frega niente che sei riuscito a riparare la vecchia macchina di tuo padre... » sospirò la ragazza, mettendosi una mano sulla fronte.
Altro momento di silenzio.
«Sì, ero impegnata... no! Non fa niente che sono in punizione, ero impegnata!» esclamò la ragazza. «Una cosa importante... stavo studiando.»
Ashton dovette mettersi una mano davanti alla bocca per non ridere.
«Okay, non stavo studiando... Dio!, Luke, puoi chiamarmi dopo. Anzi no. Ti chiamo io, okay?» disse ancora un’ultima volta, poi terminò la chiamata e rimise il telefono in borsa.
Sospirò e si spostò i capelli all’indietro.
«Allora» esordì come se non fosse successo niente. «Dove eravamo rimasti?»
«Dobbiamo scendere.» disse Ashton guardando fuori dal finestrino.
«Davvero?» chiese Thalia avvicinandosi. Con disappunto notò che si stavano abbassando velocemente e che tra poco avrebbero dovuto scendere veramente.
Accidenti a Luke e al suo maledetto tempismo. Doveva chiamarla proprio mentre Ashton cercava di baciarla?
La ragazza cercò di mascherare il suo disappunto e scese dalla cabina dopo di Ashton, che le aveva teso una mano per aiutarla. Adesso la situazione era diventata abbastanza imbarazzante, lui aveva cercato di baciarla e, dannazione!, anche lei l’avrebbe baciato se solo Luke non l’avesse chiamata.
Maledetto il giorno in cui le avevano regalato un cellulare.
 
Il resto del pomeriggio l’avevano passato tra zucchero filato e giostre di vario tipo, Ashton non aveva provato a baciarla di nuovo e Thalia aveva fatto finta di niente. Si erano comportati come due amici qualunque, con l’unica eccezione di tenersi per mano quando capitava. Non presero autobus per tornare a casa, bastava camminare un po’ e metterci qualche minuto in più. A dir la verità, a Thalia piaceva la sensazione provocata dalle loro dita intrecciate, e cercava di non pensare più di tanto, di godersi il momento. E soprattutto, cercava di non pensare a quando sarebbe tornata a casa. Forse era un po’ inverosimile metterci due ore e mezza per andare a riprendere un libro e tornare a casa. Parlarono del più e del meno, mentre scivolavano sul marciapiede, svoltavano angoli e attraversavano la strada.
«Io giro qui.» disse Ashton fermandosi, aveva un’espressione serena sul volto. Thalia gli si avvicinò, perché intanto aveva continuato a camminare.
«Oh, okay.» disse imbarazzata. Non aveva pensato a niente in quei minuti, nemmeno a cosa sarebbe successo quando si sarebbero dovuti salutare, e adesso se ne pentiva.
«Bene, allora... ehm» iniziò il ragazzo.
«Mi sono divertita» lo interruppe Thalia. «Davvero, sono stata davvero benissimo. Dovrei infrangere le regole con te un po’ più spesso.»
Ashton sorrise, abbassando il capo. Erano a quota tre sorrisi, quel pomeriggio. «Ci vediamo, uno di questi giorni.» disse lui.
Thalia esitò un momento prima di rispondere. «Aspetta un attimo!» lo trattenne per il polso e lui si voltò.
«Che c’è?» chiese confuso, ma mantenendo sempre quel tono gentile e delicato che aveva avuto per tutto il giorno.
«Io volevo... dirti che...» Thalia abbassò lo sguardo a terra, fece un passo in avanti, rialzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Ashton, più vicini di quanto avesse previsto. E fu un momento, un alzarsi sulle punte, allacciare le braccia dietro al collo di Ashton, le mani di lui che andarono a posarsi istintivamente sulla schiena di lei, uno sfiorarsi di labbra.
Ashton sorrise prima di baciare veramente Thalia. Le loro labbra si adattarono perfettamente le une alle altre. Quello di Thalia e Ashton era un bacio urlato in silenzio, richiesto tante volte senza nemmeno rendersene conto. Non era un bacio romantico come avrebbe potuto esserlo quello mancato sulla ruota panoramica. Era voluto da entrambe le parti, aspettato forse per troppo tempo. Thalia smise di cercargli una definizione quando Ashton sembrava essere presente in ogni particella di lei; Ashton smise di cercargli una definizione quando il profumo di Thalia gli attraversò il corpo e gli annebbiò la mente.
Il primo bacio di Thalia era stato un vero schifo. Aveva quattordici anni e non era del tutto sicura che Jeremy Steele le piacesse. Ma in quel momento, quel bacio era tutta un’altra cosa. Forse il primo bacio non è il primo bacio in assoluto, è quello che senti di non poter mai dimenticare un secondo dopo averlo dato. E Thalia sentiva che non avrebbe mai potuto scordarsi di quel bacio ancor prima che questo finisse.
Ashton era stato colto alla sprovvista. Pensava che l’occasione di baciare Thalia fosse sfumata per sempre dopo la ruota panoramica, l’aveva portata in un posto diverso proprio per non sembrare squallido e adesso eccoli lì, ad un angolo della strada, a baciarsi in piedi sotto gli occhi dei passanti. Proprio lui, che odiava gli sguardi della gente e i loro pensieri; proprio lui che non desiderava altro che rimanere nel suo angolino d’ombra.
Ma Thalia è luce pura.
E si disse che andava bene così, che finalmente qualcosa, pur non andando secondo i suoi piani, era stata meravigliosamente bella.


 
 
 
 
 
 
 
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Angolo di Marianne
Saaaalve gente! Spero di non aver tardato troppo, anche perché questo capitolo rispetto ai precedenti mi è uscito lunghissimo °O°, quindi dai, i sei giorni sono giustificati u.u
Allora, avrei tantissime cose da dire su questo capitolo: che mentre lo scrivevo awwhavo come una povera idiota, cercando di non pensare ad Aristotele e le sue quattro cause, o ai sollogismi o al fatto che mi manca ancora mezzo di libro di filosofia da studiare. *piange* ma ce la farò.
Dunque, dicevo che avrei moltissime cose da dire, di cui sclerare e tutto il resto, ma non dirò nulla, semplicemente perché il capitolo si è spiegato da solo. Se non mettevo la telefonata di Luke mi sarei insultata fa sola per il resto della mia vita perché bacio per strada >>>>> bacio sulla ruota panoramica. Almeno io la penso così u.u 
Anche se ogni cosa è meglio di un bacio sul tram a capolinea.. *coff* di questo non ci interessa. 
Oh, la canzone è bellissima e io vi obbligo seriamente ad ascoltarla e a scaricarvi l'intera discografia dei Muse perché sì.
Dopodiché, mi scuso se non rispondo subito alle bellissime recensioni che mi lasciate e se quindi rispondo dopo qualche giorno, ma sappiate che le leggo tutte appena ne ho l'occasione e che mi riempiono sempre il cuore di gioia. A tal porposito vorrei ringraziare chi ha recensito il capitolo precedente: DarkAngel1, SkyscraperWrites, xKikka, cjnnamon, Winter_Is_Coming, Aletta_JJ e perriedwards
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto perché io, personalmente, lo adoro. Quindi niente, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione, vi prometto che stavolta cercherò di rispondervi presto u.u
Alla prossima! ♥
Marianne

Ps: Siete tutti pronti per Michael nel prossimo capitolo?

 
 


 

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Capitolo 14
*** Misguided ghost ***


 
 

 
Capitolo 13
 
  
«But now I’m told that this is life and pain is just a simple compromise.»
(Paramore – Misguided ghosts)
 
Quella notte il cielo non aveva stelle né luna, era semplicemente un’infinita distesa di nero che Michael faceva fatica a metterne a fuoco un punto preciso solo a causa del lampione sopra la sua testa. La luce non era molta, ma andava bene così. Doveva ancora capire perché lei gli avesse chiesto di incontrarsi a quell’ora e in quel posto leggermente inquietante, ma continuava ad andare bene così. Michael aveva recentemente imparato che non stava bene fare troppe domande. Si appoggiò con la schiena al lampione e incrociò le braccia al petto, guardò il cellulare: erano le dieci e lui era in perfetto orario.
Qualche istante dopo, sentì dei passi provenire dalla sua sinistra e si voltò. Quando la vide, sul suo volto nacque un sorriso spontaneo: non poté fare a meno di pensare a quanto fosse bella nelle sue solite Vans bordò, nei pantaloncini neri e la canottiera dei Guns N’ Roses . I capelli biondi ricadevano in ciocche disordinate sotto il cappellino grigio. E poi, lei aveva sempre quella sigaretta tra le labbra che lo faceva impazzire.
«Alla fine sei venuto, Michael.» disse lei. Aspirò dalla sigaretta e poi la gettò a terra, la spense calpestandola.
«Certo che sono venuto, cosa credevi?» disse lui, soffocando un risata. La ragazza lo raggiunse sotto la luce tremolante del lampione e tirò fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette. Michael aggrottò le sopracciglia, ne aveva appena finita una. Con grande sorpresa, lei tese la mano e Michael si ritrovò il pacchetto aperto sotto il naso. Sorrise di sottecchi.
«Grazie.» disse lui, prese una sigaretta e dopo qualche momento lei gli porse anche un accendino rosso.
Michael accese la sigaretta e «Allora... non mi hai ancora detto dove andremo.» soffiò fuori insieme al fumo.
«Se te l’avessi detto, tu non saresti mai venuto stasera.» rispose la ragazza, dondolandosi sui talloni.
«Ma adesso sono qui... » mormorò Michael.
La vide sorridere, sentì la mano di lei intrecciarsi alla sua. «Lo scoprirai presto.»
Michael si ritrovò a correre per strade di Sydney che non aveva mai visto, certo, il buio non aiutava. Ma lei sapeva esattamente dove stessero andando, si muoveva sicura e armoniosa tra i vicoli che a Michael non piacevano affatto, lei non aveva paura. Era sicura di sé ed era una delle cose che Michael più adorava di lei.
Gli riusciva ancora difficile credere che una come lei avesse scelto proprio lui, proprio Michael. Ancora non credeva alle circostanze in cui l’aveva incontrata, figuriamoci al fatto che tra di loro sarebbe potuto nascere qualcosa.
Attraversarono un’ultima volta la strada e si ritrovarono davanti ai cancelli chiusi di un parco. Non era illuminato e il ferro era forzato in alcuni punti.
«Che ci facciamo in un parco abbandonato, Lene?» chiese Michael. Lei gli riservò un’occhiataccia.
«Non chiamarmi per nome.» mormorò lei, infilandosi agilmente nel buco tra le sbarre del cancello.
«Non era il tuo vero nome.»
«Non darmi nemmeno soprannomi, soprattutto qui.»
Michael sospirò e imitò la ragazza, entrando nel parco. Lene si scostò dal sentiero in terra battuta e tagliò per il prato, leggermente umido. Michael la seguiva senza dire niente. Quel posto non preannunciava niente di buono.
Raggiunsero una schiera di panchine disposte in cerchio, quando il parco era stato costruito, forse quella non era la loro disposizione originale. C’erano delle persone sedute sopra gli schienali. Lene accelerò il passo e Michael si ricordò mentalmente di non rivolgersi a lei chiamandola in quel modo, tantomeno col suo vero nome. Capì perché solo quando un ragazzo seduto su una delle panchine la salutò.
«Hey, Helen, chi c’è con te?»
Helen. Chissà perché l’aveva chiamata Helen. Forse era per quello che gli aveva detto di non chiamarla col suo vero nome. Aveva troppe domande in testa, troppe domande e nessuna risposta. Gli piaceva tutto quel mistero, ma fino ad un certo punto. Gli piaceva Lene, e non sapere fino a che punto fosse disposto a spingersi per lei lo terrorizzava.
«Un mio amico» rispose lei, fece un passo indietro e si avvicinò a Michael, accostò la bocca al suo orecchio e il ragazzo fu scosso da un brivido. «Ti consiglio di dirgli un nome falso... »
Michael aggrottò le sopracciglia, non fece in tempo nemmeno a realizzare quello che gli aveva detto che il ragazzo gli chiese: «Come ti chiami?»
«Uh?... Mi chiamo Gordon.» rispose, forse era stato stupido dargli il suo secondo nome, ma non aveva avuto tempo per pensare, e se voleva farglielo credere doveva essere sicuro di sé.
«Gordon?» ripeté il ragazzo poco convinto.
«Sì.»
«Chi si chiama ancora Gordon?»
Tutti scoppiarono a ridere e Michael registrò la presenza di più o meno otto persone, più lui e Lene.
«Non fare l’idiota, Bobby» lo riprese Lene. «Passamene una.»
E Michael vide quello che doveva essere Bobby tirare fuori dalla tasca una cosa che somigliava ad una sigaretta, ma era più grande ed era rollata a mano, poi la passò a Lene, che l’accese con lo stesso accendino rosso che aveva prestato prima a Michael. Lui mandò giù il groppo che aveva in gola e cercò di mantenere la calma, il suo brutto presentimento si faceva sempre più presente.
«Vuoi, Gordon?» gli chiese Bobby, porgendogli la stessa cosa che aveva dato a Lene un secondo prima.
«Che cos’è?» chiese ingenuamente, e un'altra cascata di risate s’infranse sulle sue orecchie, notò che anche Lene rideva, ma la sua era una risata dolce, intenerita. Si mise seduta accanto a lui, sullo schienale di una panchina.
«Ma chi ti sei portata dietro?» chiese qualcuno dal gruppo, Lene lo ignorò e porse la sottospecie di sigaretta a Michael, che cominciava a capire cosa fosse veramente.
«Fidati, ti piacerà.»
Michael lo sospettava, quel fumo era troppo dolce per essere fumo di sigaretta. In compenso, tutte le domande nella sua testa si annullarono all’istante. Tutte le sue preoccupazioni diventarono nulle quando il viso di Lene si trovava a pochi centimetri dal suo, rimanendo sempre maledettamente distante, pur essendo così vicino.
 
Luke se ne stava seduto sul muretto appena fuori scuola, si guardava le scarpe da ginnastica bianche da almeno venti minuti. Per lui e per Thalia, la scuola era finita da qualche giorno, mentre Michael e Calum erano ancora lì dentro per sostenere gli esami di fine anno. Una settimana dopo ci sarebbero stati i risultati e poi subito la cerimonia dei diplomi. Alcune persone cominciavano ad uscire, i visi stravolti. Luke sospettava che gli esami non fossero facili. Dopo qualche minuto, i suoi due amici uscirono con lo zaino in spalla. Luke scese dal muretto e si avvicinò al grande cancello verde, salutandoli con la mano.
«Sei sicuro che alla domanda 17 la risposta giusta fosse la B?» chiese Michael, grattandosi la testa, da poco aveva tinto i capelli, stavolta li aveva fatti biondi con una striscia nera in mezzo, Luke gli rideva ancora dietro.
«Sicurissimo. Me l’ha passata Boyd della classe di informatica, hai presente?» rispose Calum.
«Perfetto allora.» disse ancora Michael.
«Hey ragazzi! Com’è andato?» s’intromise Luke, avvicinandosi ai suoi amici.
«Mah... » mormorò Calum. «Spero bene.»
«Di sicuro ho la sufficienza.» disse Michael, stiracchiandosi. Poi sbadigliò e si strofinò gli occhi. Si sentiva uno straccio, non sapeva nemmeno dove avesse trovato la forza di alzarsi, quella mattina, e di venire a scuola a dare l’esame.
«Tutto bene, amico? Non hai una bella cera…» disse Calum, guardando Michael.
«Sto benissimo, ho solo un po’ sonno. Ci vediamo!» Michael girò verso sinistra, mentre Luke e Calum continuarono a camminare in silenzio, dritto per dritto verso la macchina di Calum, che aveva la patente già da un bel po’. Luke trovò quel silenzio quasi imbarazzante. Non avevano più parlato di loro due da quando Calum si era presentato a casa di Luke, da quando Luke gli aveva fatto più o meno capire che non era solo amicizia, quella che provava per Calum. Forse, la cosa che stupiva Luke più di tutto era che non c’era stato nessun cambiamento. Tutto era rimasto esattamente com’era.
Luke si aspettava di tutto. Che Calum si arrabbiasse con lui e che troncasse la loro amicizia all’improvviso, nonostante questa durasse da quando erano bambini; che Calum capisse, che cominciasse ad accorgersi di tutti quei particolari che Luke sceglieva con estrema cura apposta per farsi notare; che iniziasse a cambiare dentro, a notare Luke per quello che sentiva e non quello che diceva. Ma Calum non aveva fatto niente di tutto ciò. Lui aveva continuato con la sua vita e basta. Aveva fatto semplicemente quello che era abituato a fare: le prove con loro, scrivere canzoni, giocare a calcetto, uscire con la sua ragazza...
Niente era cambiato. Nemmeno un po’.
«Allora» Luke si mise le mani in tasca, mentre cercava di evitare lo sguardo di Calum. «Hai finito la scuola.»
«Già.» rispose Calum a bassa voce.
«Come ci si sente?»
«Non lo so.»
Ed era vero. Calum non lo sapeva ancora. Il grande punto interrogativo della sua vita incombeva minaccioso e non aveva ancora trovato una sua risposta.
«E che farai? Voglio dire, mica rimarrai qui, a farti seppellire da questa città.» disse Luke. Lui credeva che il mondo esistesse per essere visto. Per viaggiare, per incontrare persone nuove. Per scoprire pezzi di vita che non si potevano nemmeno immaginare.
«Io senza di voi non vado da nessuna parte.» ribatté Calum fermamente.
«Che?»
«Non ti ricordi quello che ti ho promesso un anno fa?»
Luke si morse un labbro. Sì, se lo ricordava eccome. Lui, Michael e Calum avevano formato la band esattamente un anno prima, si erano promessi che sarebbero rimasti insieme per sempre, qualsiasi cosa fosse accaduta.
«Cal... tu e Michael avete finito adesso. Siete liberi di fare quello che volete. Io starò qui per altri due anni... »
Le scarpe di Calum fecero rumore quando si fermarono bruscamente sull’asfalto. Luke continuò per un passo o due, poi si arrestò anche lui. Si voltò verso Calum e cercò di guardarlo negli occhi, ma il viso del moro era rivolto a terra.
«Ti aspetto, Luke. Non vado da nessuna parte senza di te.»
Luke aprì la bocca per ribattere, ma non ne uscì altro che aria. Era a corto di parole, sentiva la gola secca e il cervello vuoto.
Calum alzò lentamente il capo e incontrò gli occhi azzurri di Luke persi in un angolo, sul ciglio della strada. Stava pensando a qualcosa di importante, oppure stava semplicemente fluttuando nel vuoto con la mente. Entrare dentro la testa di Luke era impossibile, a volte.
Anzi, quasi sempre.
«Hai capito?» chiese Calum, avvicinandosi a Luke.
Il biondo non rispose, la voce di Calum sembrava estranea a tutto quello che lo circondava, come se facesse parte di un sogno. La percepiva vicina, ma allo stesso tempo distante, trovò comunque la forza di annuire.
Aveva capito fin troppo bene.
Calum, però, ignorò il gesto di Luke. «Non voglio inseguire i miei sogni da solo. Tu sei il mio migliore amico e, in un modo o nell’altro, ne farai sempre parte.»
«Farò sempre parte di cosa?» chiese Luke bruscamente. Sembrò ritornare alla realtà per un breve momento.
«Della mia vita.» rispose Calum con semplicità, continuando a guardare Luke negli occhi azzurri. Pezzi rubati al cielo, ecco cos’erano gli occhi di Luke.
«Non voglio che perdiate l’occasione della vostra vita per me.» sospirò Luke.
«L’occasione della nostra vita, Luke, sarà anche tua.  Questo te lo posso anche giurare.»
Luke abbozzò un sorriso e continuò a camminare. L’auto di Calum si faceva sempre più vicina, e Luke credeva che quel passaggio l’avrebbe accettato, questa volta, anche se Calum non gliel’avesse chiesto. Perché alla fine, forse era meglio che non fosse cambiato niente tra di loro: non avrebbe sopportato di perdere l’amicizia di Calum. Perdere Calum sarebbe stato davvero troppo da sopportare, avrebbe fatto più male di una coltellata e l’avrebbe tenuto sveglio per troppe notti, l’avrebbe tenuto sveglio a pensare a qualche stratagemma per rimediare all’errore.
«Ci vai alla festa di Capodanno di Emily Walker?» chiese Luke, cambiando improvvisamente argomento. Calum tolse l’antifurto e Luke aprì la portiera del passeggero, per poi fiondarsi in macchina.
Quando anche Calum si mise seduto al posto di guida «Non credo di essere sulla lista degli invitati.» rispose, infilando la chiave nella toppa, mise in moto.
«Sbaglio,  o Juliet... Jules  fa parte del suo giro?» domandò ancora Luke, riferendosi alla ragazza di Calum. Non aveva mai imparato il suo nome.
«Be’, vedi... io e Jules ci siamo mollati.»
«Che?»
«Voglio dire, io ho mollato lei. Abbiamo semplicemente smesso di... sentirci e ho deciso di darci un taglio.»
«Capisco... »
«Credo sia meglio così, insomma, non mi piaceva poi così tanto... »
Luke non riuscì a non sorridere.

 

 
 
 
 
 
 
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Angolo di Marianne
Eccomi! Dopo più di una settimana, cavolo, sono davvero una persona orribile, ma ho dovuto studiare per l'interrogazione di filosofia, e ho passato tutto il week-end e il 2 iugno a ripetere e sclerare come una matta. ç__ç
Ma ora sono qui con il tanto atteso (solo dalla sottoscritta) capitolo su Michael! *-*
Non ho voluto dare molti chiarimenti sulla cosa, per non trattare l'argomento in modo esplicito dato che, se ho fatto un buon lavoro - cosa di cui dubito, ma vabbè - e se non l'avete capito ora, sicuramente nei prossimi capitoli capirete questa situazione. Che ne pensate di questa Lene? Qual è il suo vero nome? Zaaan zaaan zaaan. È un personaggio che approfondirò in seguito, lo farò perché mi piace davvero tanto e spero di farvelo piacere altrettanto. E se ora non vi piace, sappiate che poi l'adorerete. Cioè, è quello che succederebbe a me se fossi una lettrice (?) Anyway, il mio cervello di sta arrovellando per trovare un nome a questa coppia, perciò lascio a voi l'arduo compito u.u son curiosa di sapere cosa uscirà fuori, il più gettonato sarà il nome ufficiale :') Ah, ho aumentato di un po' la grandezza della scrittura perché qualcuno mi aveva detto che era troppo piccolo, così va meglio? :)
As usual, ringrazio le otto persone (otto!) che hanno recensito lo scorso capitolo: Holesinside87, SkyscraperWrites, DarkAngel1, Winter_Is_Coming, shakjra, xKikka, animanonimy e Aletta_JJ, siete bellissime ♥ Ora rispondo a tutte u.u
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ditemi cosa ne pensate. Mi scuso ancora per il ritardo ç__ç
Alla prossima!
Marianne


 
 


 

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Capitolo 15
*** Wake me up when September ends ***


 
 

 
Capitolo 14
 
  
«As my memory rests, but never forgets what I lost.»
(Green Day – Wake me up when September ends)
 
Thalia non sapeva se la cosa fosse possibile, ma era fermamente convinta che ogni essere umano sulla Terra avesse un’anima gemella. Una persona che capisce al volo qualsiasi cosa ti passi per la testa, anche solo guardandoti. Qualcuno le cui dita s’intrecciano perfettamente con le tue, senza sforzi necessari. Conosceva Ashton davvero da troppo poco tempo, credeva anche che la loro storia fosse un’avventura, un colpo di follia. Conoscersi da così poco e dirsi di essere felici l’uno con l’altra, era davvero possibile? Thalia non lo sapeva, così come non sapeva la risposta a tante altre domande, ma le sue dita e quelle di Ashton sembravano allacciarsi senza alcun problema, sembravano due metà perfette, e allora le andava bene così. Le andava bene anche quel mercoledì pomeriggio, seduta su una panchina dello stesso parco in cui aveva visto Ashton per la prima volta.
Ora che era estate e le scuole avevano chiuso, le altalene erano occupate dai bambini, com’era giusto che fosse. Ashton li osservava e si chiedeva quale adolescente se ne stesse tutto solo a dondolarsi piano su un’altalena. Si chiese perché lui l’avesse sempre fatto e perché anche Thalia avesse deciso di farlo, quel giorno di primavera, mentre i fiori nascevano e la terra si risvegliava. Mentre, senza accorgersene, era rinato anche lui. Più o meno.
Credeva che, se una persona era pronta a condividere con qualcuno il motivo della propria infelicità, se era pronta a parlare dei propri demoni, degli incubi che di notte non la facevano dormire, allora quella era la fase della rinascita. Era lo sbocciare sotto i raggi del sole e capire che, nonostante tutto, il mondo era una cosa bella.
E Ashton si sentì davvero bene per la prima volta dopo tanto tempo. Si sentì rinato e pronto ad affrontare tutto, solo che non avrebbe permesso ad un altro autunno di farlo appassire lentamente, non avrebbe permesso ad un altro inverno di farlo morire di nuovo. Sarebbe stato come uno di quegli alberi di cui dimenticava sempre il nome, quegli alberi che non perdevano mai le loro foglie a meno che qualcuno non le staccasse dai rami.
Thalia quel pomeriggio indossava una camicetta bianca senza maniche e degli shorts, il tutto abbinato a quelle Converse nere sgangherate con mille scritte colorate sulla parte bianca e con i lacci anneriti. Era semplice e bella, e Ashton si sentì fortunato a stringerle la mano, mentre cercava di capire dove fosse posato il suo sguardo. Gli occhi di Thalia erano verdi, quel pomeriggio, a causa del sole. Ashton immaginò che anche i suoi dovevano essere di quel colore, perché i loro occhi erano uguali, ed erano una di quelle cose complementari che non cambiano mai, che stanno sempre bene insieme.
«Thalia?» Ashton deglutì  e si schiarì la voce, la ragazza si voltò verso di lui, facendo ondeggiare i lunghi capelli castani, poi gli rivolse un sorriso dolce.
«Dimmi.» rispose Thalia, stringendo la presa sulla mano di Ashton. Era una sensazione bella, quella che provava in quel momento. Era una sensazione indescrivibile, mai sentita prima. Thalia immaginò che quello fosse l’amore, o almeno  una piccola parte. Stare bene solo perché quel qualcuno è al nostro fianco.
Ashton si sorprese a non avere nulla da dire, non in quel momento, almeno. Perché nella sua testa, Ashton aveva un intero mondo alle spalle da raccontare. Scosse la testa confuso, e poi sorrise abbassando leggermente il capo. Thalia inclinò la testa per guardarlo meglio degli occhi. Il tempo di avvicinarsi e Ashton l’aveva già baciata.
Perché non sapeva cos’altro fare. Perché gli sembrava l’unica cosa giusta da fare in quel preciso istante, su quella panchina, quell’esatto giorno. Era questione di un momento, ma era sorprendentemente bello.
Thalia aprì gli occhi un secondo prima che le sue labbra si separassero da quelle di Ashton e si ritrovò a ridere come una bambina, con le guance rosse e gli occhi luminosi. «Per cos’era?» chiese divertita.
Ashton scrollò le spalle. «Devo avere un motivo per baciare la mia ragazza?»
Quella frase avrebbe potuto sembrare semplice e normale per qualsiasi altra persona sulla Terra, ma per Thalia e Ashton ebbe un suono totalmente diverso. Quella frase significò rispettivamente gioia e coraggio.
Thalia sentì il cuore riempirsi, si sentì importante, si sentì finalmente qualcosa che prima non era mai stata, ed era felice che a pronunciare quelle parole fosse stato proprio Ashton; lui, d’altra parte, aveva cercato quelle stesse parole nel profondo della sua anima, le aveva inseguite e alla fine era riuscito ad acciuffarle. Erano parole pericolose, per Ashton. Parole che non diceva a nessuno da due anni, da quando Lilian non c’era più. Erano parole che non avrebbe mai immaginato di poter dire di nuovo a qualcuno che non fosse Lilian.
Ashton si alzò dalla panchina e prese Thalia per mano, sollevandola, attirandola verso di sé.
«Dove vuoi andare?» gli chiese Thalia, aggrottando le sopracciglia.
«Qui c’è troppa gente... vieni.» sussurrò Ashton, si diresse con Thalia verso l’uscita del parco. Lei lo seguiva divertita, adorava quando era Ashton a prendere qualche iniziativa, le sembrava che stesse bene, che non avesse più quel peso misterioso sul cuore, anche se sapeva che in realtà era l’esatto contrario. Sembrava bello, qualche volta, poter pensare che tutto fosse perfetto, che nella propria vita non ci fosse alcuna ombra.
Ashton doveva averlo pensato e desiderato diverse volte, ma poi si era ritrovato sempre al solito punto di partenza, a quel punto che Thalia non era ancora riuscita a scoprire.
Camminarono così tanto, quel pomeriggio, che dopo un po’ Thalia non riconobbe più le strade che stavano percorrendo. Non chiese dove stessero andando, si fidava ciecamente di Ashton e poi, quella aveva tutta l’aria di una sorpresa. Svoltarono verso il fiume, ma non presero la strada che avrebbe preso Thalia. Virarono per una strada sterrata, una che non prendeva mai nessuno.
Forse, in quelle situazioni, farsi prendere dal panico sarebbe stato più che lecito. Ma Ashton era Ashton, non era il tipo di ragazzo che faceva cose del genere, per questo Thalia continuò a seguirlo senza nemmeno un briciolo d’ansia o preoccupazione. La strada finiva a ridosso di una roccia e si diramava in due sentieri diversi, Ashton prese quello di destra, che portava ancora più giù sulle sponde del fiume.
Thalia doveva ammetterlo, quel posto era bellissimo. Il Parrammatta era l’unico fiume che passava per Sydney e Thalia ed Ashton erano vicinissimi alla foce, da quello scorcio, tra arbusti e piante acquatiche, riuscivano a vedere il Pacifico. Era un piccolo angolo ignorato da tutti, da cui si aveva una vista inusuale e bellissima, non la solita foto che girava per tutte le cartoline. Quello era un posto che apparteneva solo a chi sapeva avere pazienza ed indagare fino in fondo delle cose per trovare la parte migliore. Era un posto che apparteneva a quelli come Ashton, che provavano a cercare il lato positivo delle cose, ma che raramente avevano successo.
«Ash, questo posto è meraviglioso!» esclamò Thalia, sedendosi su una roccia che pareva abbastanza stabile e sicura. Ashton le si mise accanto e sorrise.
«Hai presente quando al ballo mi hai detto che ogni cosa di cui ti parlo risale a due anni fa?» chiese lui, guardandola negli occhi. Thalia annuì energicamente.
«Bene, ho deciso ti raccontarti cos’è successo due anni fa e perché sembra che da quel momento io abbia smesso di vivere.»
Thalia si rabbuiò all’improvviso. Di certo, non immaginava che Ashton fosse davvero pronto a raccontarle quel segreto che gli aveva visto negli occhi sin dal primo momento in cui l’aveva visto.
«Ash, io non voglio che tu ti senta obbligato a dirmelo. Te l’ho detto anche al ballo, per me va bene anche se non conosco ogni cosa di te.»
«Ma io voglio che tu conosca ogni singola cosa di me» le prese la mani e le strinse nelle proprie, continuando a guardarle negli occhi. «Cioè, ti sembrerò un pazzo. Ma tu... sei davvero importante e non voglio mandare tutto all’aria perché prima o poi verrai a sapere cose su di me da qualcuno che non sono io. Faccio schifo ad esprimermi, ma...»
Thalia fece un sorriso dolce. «Non sono il tipo di ragazza che ti sta col fiato sul collo perennemente.»
«Lo so.» rispose Ashton.
«Bene, sono tutta orecchi.»
Ashton annuì e fece un colpo di tosse per schiarirsi la voce. Era giunto il momento di non avere paura e di fidarsi ciecamente di qualcuno che non fosse la sua psicologa. Era giunto il momento di comportarsi da persona normale e di condividere tutto con la persona di cui credeva essere innamorato.
«Quando avevo più o meno quindici anni, nella mia classe c’era una ragazza. Veniva a scuola trascinandosi la bombola d’ossigeno come un zaino a rotelle e a mensa sedeva sempre da sola. Lilian, si chiamava Lilian. Non so perché tutti la evitassero, ma io ero curioso» iniziò Ashton. Thalia aveva assunto un’espressione concentrata e ascoltava attentamente.
«Forse lo ero troppo, ma un giorno mi sono seduto accanto a lei e l’ho guardata finché lei non mi ha chiesto se per caso avesse del sugo in faccia. Le ho detto di no e sono scoppiato a ridere. Da quel giorno siamo diventati amici, più o meno. Un anno dopo l’ho invitata al ballo. Non abbiamo ballato, perché lei aveva sempre la sua bombola d’ossigeno con sé, siamo rimasti in cortile. Abbiamo guardato le stelle, e mentre lei cercava di insegnarmi i nomi di ogni singola costellazione, io l’ho baciata.
«Ora, so che può essere irritante sentir parlare della mia ex, e se te lo stai chiedendo, no, non sto così male perché ci siamo lasciati.» Thalia abbozzò un sorriso.
«Sto così perché il destino ha deciso di separarci. Quando non stavamo ancora insieme, ho trovato il coraggio di chiederle perché si portasse sempre dietro quella cosa, da bravo idiota qual ero. Dopo avermi detto che aveva un tumore ai polmoni mi sono sentito schifosamente in colpa, le ho chiesto scusa per la domanda impertinente, lei invece mi ha sorriso e mi ha ringraziato, perché la curiosità non era di certo un crimine.
Be’, un anno e mezzo fa è stata l’ultima volta che ho visto Lilian, eravamo su una spiaggia ed era l’ultima sera che avrei passato con lei. Il giorno dopo sarebbe andata in California, in una clinica prestigiosa dove stavano studiando un farmaco sperimentale che l’avrebbe potuta aiutare... »
Ashton s’interruppe per un momento, inspirò profondamente e chiuse gli occhi per un po’, cercando di controllare le proprie emozioni, perché si conosceva abbastanza bene da sapere che era capace di scoppiare a piangere da un momento all’altro.
«Sei mesi dopo io avevo trecento dollari e stavo per comprare i biglietti per Los Angeles, per andarla a trovare, mia madre è entrata in camera mia. Non l’avevo mai vista in quel modo, mi sono spaventato. Si è seduta sul letto vicino a me e mi ha abbracciato. Poi mi ha detto che Lilian era... che quel farmaco non aveva funzionato.
«Questo è tutto. Mi sembrava giusto che tu lo sapes-» E prima che Ashton potesse finire la frase, Thalia lo aveva stretto a sé e aveva affondato il viso nell’incavo del suo collo, mordendosi con forza il labbro inferiore per trattenersi. C’erano miliardi di cose che avrebbe voluto dire e fare in quel momento, oltre ad abbracciarlo forte. Avrebbe voluto guardarlo negli occhi, dirgli che le dispiaceva da morire per quello che gli era successo, che lui era stato fin troppo forte a tenerselo dentro per tutto quel tempo, che lo ammirava, che lei non sarebbe mai stata capace di sopportare una cosa del genere. Ma tutto quello che fece fu continuare a stringerlo con tutta la forza che aveva, fino a sentire il suo cuore battere contro il proprio petto.
«Ashton, io non so che cosa dire... insomma.» iniziò lei.
«Non devi dire niente. Volevo svelarti una parte di me che non conosce quasi nessuno.»
«Se solo... se solo l’avessi saputo... io avrei... Mi dispiace davvero tanto.» mormorò ancora Thalia, staccandosi di poco da Ashton per guardarlo negli occhi.
«Non avresti potuto saperlo... »
«Fa male?» chiese lei all’improvviso. «Scusa... »
«È una domanda lecita, credo...» rispose Ashton sorridendo. «Comunque sì, parecchio. Ma sta passando.»
Thalia gli accarezzò la guancia e lo guardò con un’espressione dolce. «Sicuro?»
Ashton annuì poco convinto, anche se cercava di lasciar trasparire quanta più determinazione possibile. «Il tempo guarisce tutte le ferite, no?»
Thalia sospirò. «Forse.» Gli prese di nuovo la mano e si voltò verso l’entroterra. Rimasero così, senza dire una parola, mentre guardavano il sole tramontare e tingere il cielo di rosso.

 
 
 
 
 
 
 
 
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Angolo di Marianne
Holaaaa! Aspettavo di postare questo capitolo dall'alba dei tempi. È la svolta, secondo me. Ashton che decide di rivelare a Thalia il suo segreto, la cosa che lei ha cercato in tutti i modi di scoprire. Non è una cosa facile e Ashton ha avuto il coraggio di farlo *abbraccia il suo bimbo* e che ve ne pare? Spero con tutta me stessa che sia piaciuto anche a voi perchè tengo tanto a questo capitolo. D'ora in poi ne vedremmo delle belle, ve lo assicuro. Teoricamente, non ci saranno più moltissimi capitoli di passaggio, forse uno o due, perchè in ogni capitolo succederà qualcosa di BOOM. A volte più a volte meno. Ho una scaletta dove ho scritto per filo e per segno quello che deve succedere, sono una persona organizzata, io. E sì, in teoria ho anche il numero totale del capitoli, ma su quello mi taccio u.u La canzone di oggi è Wake me up when September ends dei Green Day, che è bellissima, come tutte le loro canzoni. (avete sentito la Cover dei ragazzi di American Idiot? *__*) Dunquee, ora passo ai ringraziamenti perché ho davvero troppe cose da dire.
100 recensioni totali. Mi sto commovendo, ve lo giuro. È un traguardo importantissimo, e sono felicissima di averlo raggiunto. Ma il merito è solo vostro e delle vostre bellissime parole che mi fanno sciogliere ogni volta.
Le 11 recensioni allo scorso capitolo, per cui ringrazio Holesinside87,  SkyscraperWrites, heronswift, animanonimy, DarkAngel1, ashtonlaugh,  Aletta_JJ, Thesperance_99, xKikka, Jade_Horan e Winter_Is_Coming. Grazie ad ognuna di voi ♥
Ringrazio poi tutti quelli che leggono silenziosamente la storia, che la seguono, ricordano, preferiscono. E ricordate sempre che potete scrivermi sempre, non mordo né io né l'editor per le recensioni.
Grazie di tutto e spero a presto! (salvo inconvenienti, il prossimo dovrebbe arrivare lunedì :3)
Love ya
Marianne


 
 


 

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Capitolo 16
*** Amnesia ***


 
 

 
Capitolo 15
 
  
«Forget about the stupid little things, like the way it felt to fall asleep next to you.»
(5 Seconds Of Summer – Amnesia)
 
 
Dopo gli esami, Calum era diventato molto più tranquillo e trattabile. Non aveva ottenuto il massimo dei voti, ma non aveva nemmeno rasentato la sufficienza. Era nella media, non si poteva lamentare del suo risultato e, in tutta onestà, era davvero felice di aver finito la scuola. Si sentiva più leggero, e sospettava che la scuola non influisse poi così tanto. Forse era il fatto di aver lasciato Jules, di poter passare più tempo con i suoi amici, più tempo con Luke. Aveva sentito la mancanza dei lunghi pomeriggi estivi che passava con lui al parco dietro casa, al bar vicino scuola perché c’era l’aria condizionata e verso fine Dicembre cominciava davvero a fare troppo caldo per starsene fuori all’aria aperta, delle mattinate passate al supermercato per fare la spesa alla madre di Luke. Erano tutti particolari, pezzi di vita presi e congelati, così da rimanere per sempre nella memoria. Mancava una settimana esatta all’evento dell’anno: la festa di Capodanno di Emily Walker. Era invitato chiunque rientrasse nelle sue conoscenze o in quelle delle sue amiche, ma da quando Calum aveva rotto con Jules, non si aspettava di ricevere un invito. Fu per questo che, trovare un bigliettino fucsia fosforescente nella cassetta della posta lo sorprese parecchio, quel giorno. Eppure c’era scritto lì sopra, chiaro e tondo che era stato invitato. Scrollò le spalle e rientrò in casa.
Come da programma, mezz’ora dopo Luke si presentò con un biglietto fucsia in mano.
«Ci hanno invitato?» chiese Luke, seduto sul divano del soggiorno. Il suoi occhi azzurri erano fissi sull’invito appariscente.
«A quanto pare...» rispose Calum.
«Spero solo di non finire con la faccia nel punch» sospirò il biondo, si alzò dal divano e accartocciò il biglietto in tasca. «Andiamo?»
Calum annuì e prese il telefono. Da quando la scuola era finita, uscire con Luke per Sydney era diventata un’abitudine. Anche se, principalmente, le argomentazioni erano sempre le stesse e dopo un po’ cominciavano a diventare noiose, a Calum piaceva passare del tempo con lui. Solitamente, Luke gli parlava di Thalia. Calum credeva che fosse geloso, ma non seppe dire esattamente in che senso. Forse era geloso come amico, dal momento che qualche settimana fa avevano avuto un’imbarazzante conversazione sui sentimenti confusi di Luke. Glielo confermò ulteriormente Luke stesso, quel giorno, quando «Sai, la capisco. Insomma, ha un ragazzo adesso. È giusto che passi del tempo con lui, anche se mi mancano le nostre chiacchierate fino a mezzanotte in cui lei, per l’appunto, si lamentava del non avere un ragazzo... »
«È solo innamorata, Luke.» disse Calum, mettendosi le mani in tasca.
«Che?»
«È innamorata. Si vede a miglia di distanza.»
«Ne sei sicuro?»
«Al cento per cento.» rispose Calum. «Non fare il migliore amico geloso, su.»
«Non sono geloso. Sono preoccupato. Insomma, non lo sappiamo nemmeno noi com’è Ashton veramente, voglio dire, è un fenomeno alla batteria e questo non lo escludo, ma... » riprese Luke.
«Ma dovresti essere un po’ meno prevenuto nei confronti delle persone, non credi?» il ragazzo sorrise e Luke rimase spaesato per qualche secondo. Era davvero quella la concezione che Calum aveva di lui? Oppure era stata solamente una battuta? Sospirò, e continuò a camminare affianco a Calum in silenzio. Era venerdì, e il venerdì era giorno di prove. Perciò svoltarono a sinistra, verso casa di Michael, e continuarono a parlare dei mille progetti che avevano per quell’estate, che erano davvero tanti. Strani, impossibili, apparentemente irrealizzabili. Non appena sentirono un ritmo veloce, capirono che Ashton doveva essere già arrivato, difatti, la porta del garage era spalancata, e mentre Michael scriveva messaggi con la schiena appoggiata al muro, Ashton suonava la batteria un po’ a caso. L’unica cosa che non rientrava negli schemi delle solite prove settimanali, era Thalia seduta sul tavolo, con le Converse nere slacciate, che aveva occhi solo per Ashton e un largo sorriso luminoso sul viso. Quando si accorse che Luke e Calum erano entrati, scese velocemente dal tavolo e corse a salutarli, alzandosi sulle punte per abbracciare Luke, che era diventato più alto tutto insieme e lei non se n’era nemmeno accorta.
«Come mai sei qui?» chiese Luke rivolto alla sua migliore amica.
«Sono stata invitata da un certo batterista.» rispose Thalia con le braccia incrociate al petto, e qui rivolse un’occhiata ad Ashton, seduto sullo sgabello dietro la batteria, che sorrise colpevole.
Calum stava accordando il suo basso quando Michael decise finalmente di posare il cellulare sul tavolo e di prendere la chitarra. Luke seguì l’esempio dei suoi amici e Thalia si mise seduta su una sedia di fronte a loro.
«Sono la vostra prima spettatrice, sorprendetemi.» disse sorridendo.
«Ashton non ti ha mai fatto sentire nessuna delle nostre canzoni, nemmeno quella che ha scritto lui?» chiese Luke sorpreso. Thalia scosse la testa.
«Che sono aumentate a quattro, per l’esattezza.» aggiunse Michael.
«Quando le abbiamo scritte altre due canzoni?» chiese Calum.
Luke scoppiò a ridere. «Be’, una l’ha scritta Ashton, l’altra l’abbiamo finita l’altra settimana, Cal.»
Calum annuì ancora confuso, e a quel punto le prove iniziarono ufficialmente. Luke prese la chitarra acustica, mentre Michael contemplava la sua elettrica come fosse un reperto di estremo valore e Calum prese ad accordare il basso. Thalia intanto li osservava, in attesa che cominciassero.
Allora Luke «Miss Reed, siamo lieti di dedicarle queste prove» disse, fingendosi un grande presentatore. «La prima canzone che canteremo è... rullo di tamburi, prego» E Ashton, sorridendo, fece ciò che gli era stato richiesto. «Amnesia!»
«Questo sembra molto un titolo da Michael.» commentò Thalia.
«Ma non l’ho scritta io.» rispose il diretto interessato, facendo un impercettibile passo indietro, più vicino alla batteria. Allora Thalia capì, ma non disse nulla. Si limitò a rivolgere un sorriso ad Ashton pochi secondi prima che Luke cominciasse a suonare. Iniziò una melodia dolce e poco dopo Luke cominciò a cantare e al ritornello fu accompagnata da quelle di Calum e Michael.
E man mano che le parole scorrevano, Thalia trovava incredibile che le avesse scritte Ashton, proprio lui. E non solo per la loro sconfinata bellezza, per il significato, ma per quello che si celava dietro quelle parole. Perché gli altri potevano anche non saperlo, gli altri potevano immaginare che si trattasse di una semplice canzone, scritta con ricordi che non facevano poi così male. Ma Thalia sapeva la verità, sapeva con quali ricordi in particolare era stata scritta, sapeva che scriverla forse aveva riportato tutto a galla e che forse aveva fatto male. È pur vero, però, che le cose non si dimenticano tanto facilmente. A volte è davvero impossibile. I ricordi possono rimanere accantonati in un angolo della nostra mente, seppelliti nel profondo del nostro cuore, ma basta un nonnulla per riportarli in vita e farli brillare come non mai. Thalia sapeva che lei non avrebbe mai cancellato l’indelebile ricordo di Lilian e che non avrebbe mai avuto lo stesso posto che aveva occupato lei nel cuore di Ashton. Poteva prendere quello accanto, quello uguale in tutto e per tutto, ma non l’avrebbe mai rimossa completamente. Lei non sarebbe mai riuscita in quell’impresa, ma Ashton poteva. Con la sua forza di volontà e con molte altre cose, Ashton aveva tutte le capacità di farlo. E forse, quella canzone era l’inizio. Forse, si deve sempre iniziare in modo doloroso.
 
“Vorrei svegliarmi con l’amnesia e dimenticare tutte le piccole e stupide cose. Come la sensazione di addormentarsi accanto a te, e ai ricordi da cui non riesco a fuggire.”
 
E no, Thalia non la sentiva la gelosia che avrebbe dovuto provare. Non aveva alcuna sensazione strana all’altezza dello stomaco, non era arrabbiata o nervosa. L’unica cosa che sentiva era solo una gran voglia di interrompere tutto quanto e di far capire ad Ashton che lui poteva farcela, perché se Thalia era stata attratta da lui, se era amore quello che provava ogni volta che lo vedeva, quello che aveva fatto scattare il tutto era stato vedere la forza di Ashton combattere contro il dolore riflesso negli occhi di lui.
 
“Perché io non sto bene per niente.”
 
Thalia non si rese nemmeno conto che avevano tutti smesso di suonare e che Luke le aveva chiesto più volta cosa ne pensasse della canzone, di loro in generale e di tutto il resto. E l’unica cosa che uscì dalla bocca di Thalia fu: «Così perfetto che potrei mettermi a piangere.»
E non era una bugia, un compiacimento, un falso complimento fatto per non dire altro. Era la pura verità. Ogni singola parola della sua frase conteneva la sua parte di verità. Si alzò dalla sedia con le gambe tremanti e si avvicinò ad Ashton, seduto ancora sullo sgabello dietro la batteria. Lui alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Thalia, che quel giorno avevano assunto una sfumatura più dorata che verde. Li osservò a lungo, come lei si perse in quelli di lui. «Possiamo parlare un attimo? Appena finite, intendo.» gli chiese.
Ashton le sorrise e le prese la mano. «Certo.»
 
Dopo le prove, Thalia aveva sentito tutte e quattro le loro canzoni almeno due volte, era la prima volta che assisteva a qualcosa del genere. E il primo pensiero che ebbe fu che qualcosa di così bello non meritasse di stare chiuso in un garage. Nonostante Luke dicesse che prima o poi avrebbero trovato la loro occasione, Thalia nella sua voce aveva sempre notato un po’ di malinconia, perché sì, loro erano strabilianti anche singolarmente. E forse Luke, tutto quel tempo, aveva sempre detto che Michael avrebbe potuto sfondare come chitarrista, Calum entrare a far parte di qualche cosa famosa; Ashton e la batteria sembravano essere una cosa sola, mentre Luke credeva che la strada per essere un cantante di successo aspettava solo di essere percorsa. Tuttavia, erano quattro fenomeni che uniti insieme risultavano come una vera e propria esplosione. Era impossibile che, fino a quel momento, nessuno li avesse notati.
I ragazzi stavano smontando la batteria e rimettendo a posto gli altri strumenti quando Thalia cercò di avvicinarsi ad Ashton per parlare della canzone, ma il quel momento, sentì il cellulare vibrare nella tasca dei jeans: sua madre la stava chiamando. «Mamma?» rispose.
«Tesoro, sono qui a casa di Michael con la macchina, vieni?» disse sua madre dall’altra parte del telefono, Thalia sgranò gli occhi.
«Ma che ore sono?» chiese Thalia.
«Le sei, avevamo detto che ti venivo a prendere, no?»
Thalia si morse un labbro. «Sì, arrivo subito» ripose il telefono in tasca, e si rivolse ai ragazzi. «Devo andare, mia madre è qui fuori.»
«Qui fuori?» domandò Ashton, aggrottando le sopracciglia.
«Sono in punizione... ancora.» sospirò lei.
Ashton annuì confuso e un momento dopo si ritrovò Thalia a meno di un centimetro di distanza, lei gli lasciò un bacio dolce e veloce sulle labbra e poi andò a salutare gli altri. Ashton la osservava muoversi aggraziata. Era sorprendente di come lei non si accorgesse della bellezza che metteva in ogni gesto o movimento.
Uscì dal garage, chiudendosi la porta alle spalle. Ashton sospirò, posando le bacchette su uno dei tamburi.
«Ragazzi, credo che andrò anche io adesso. Devo stare con mio fratello.» disse Ashton. Tutti e tre si girarono verso di lui e lo salutarono. Luke lo osservò mentre si dirigeva verso l’uscita, non pensò alle parole che disse.
«Ashton» lo richiamò prima che potesse andarsene. Il ragazzo si girò verso di lui. «Per qualsiasi cosa noi siamo qui. Siamo amici adesso, dobbiamo fidarci l’uno dell’altro.»
Ashton annuì e sorrise. «Lo terrò a mente.»  Poi sparì, mentre attaccava gli auricolari al telefono.
Luke sospirò e spostò lo sguardo sul pavimento, quando lo rialzò, Calum aveva appoggiato la mano sulla sua spalla e lo guardava confuso. «Va tutto bene, Luke?» gli chiese.
Luke annuì debolmente. «Ragazzi, vi dico una cosa, ma voi promettetemi di mantenere il segreto. »
«Spara.» disse Michael, accertandosi che in tasca avesse qualcosa in particolare.
«Più volte mi avete chiesto perché Ashton fosse così chiuso, no?» iniziò. Gli altri due annuirono. «Credo di saperlo.»
«Acqua in bocca, dicci tutto.» lo incalzò Calum.
«Mia cugina è stata in classe con lui per tutto il liceo, lei mi ha detto che qualche anno fa lui stava con una ragazza. La prima volta che l’ho visto glielo stavo per chiedere, ma lui mi ha zittito subito – ed è stato inquietante – e sono venuto a sapere solo da poco che quella ragazza da qualche tempo è... insomma, morta.» disse il ragazzo.
«È uno scherzo» asserì Michael. «Non puoi uscire da una cosa del genere.»
«Vorrei che lo fosse, Mike... davvero.» rispose Luke.
Michael sospirò e Calum strinse la presa sulla spalla di Luke. Fino a poco prima, Luke era l’unico custode di quel segreto, e si chiese se per caso non lo sapesse anche Thalia. Lei era innamorata persa di Ashton, questo lo vedeva, ma come poteva essere sicuro che lui provasse le stesse cose? Se lo chiese perché, se anche Ashton era veramente innamorato di lei, allora Thalia doveva già sapere tutto.

 
 
 
 
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Angolo di Marianne
Non so che cosa dire ed è la prima volta che mi capita çwç perciò direi di iniziare con un bel Salve people! È il secondo giorno che diluvia con tanto di tuoni e fulmini, la metro è allagata e io sono chiusa in casa a far niente - aka a vedere serie tv, leggere e cazzeggiare come non mai *-* 
Però è lunedì, e come vi avevo promesso, ecco qui il capitolo :3 Allora, chiariamo un cosa: io non sono assolutamente il tipo di persona che va a cercarsi su Internet vita, morte e miracoli dei personaggi famosi (?) Nel senso, non ho la più pallida idea di quale sia... che ne so, il colore preferito di Luke o il piatto preferito di Ashton, tanto per fare degli esempi. Quindi, data la mia smisurata pigrizia, non avevo davvero voglia di andare a cercare chi dei ragazzi avesse scritto Amnesia perché sono una band e una canzone si scrive tutti insieme uwu Però in questo capitolo mi serviva che l'avesse scritta Ashton quindi pace ♥
Detto questo, i Cake si avvicinano sempre di più, i Thashton continuano ad essere perfetti (ma non temete, se mi avete su Facebook saprete che tramo qualcosa..) e Luke svela a Calum e Michael quello che sa.
Ora, il prossimo capitolo sarà quasi interamente Milene (ho deciso il nome della ship B|), e... basta non vi dico più nulla. Okay, non so più che dire, sarà che questa pioggia mi fonde il cervello e che sono stanchissima perché vado a dormire tardi e non riesco a dormire oltre le nove del mattino, perciò passo ai ringraziamente che è meglio.
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito lo scorso capitolo, stiamo parlando di ben dodici recensioni e io ho una faccia del genere --> *OOO*. Quindi, grazie a _Lautwart_Licantropa_, Winter_Is_Coming, DarkAngel1, heronswift, shakjra, xKikka, Thesperance_99, Jade_Horan, SkyscraperWrites, EezaScarlet_, Aletta_JJ e xlodosmile
Spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto e ricordate sempre che né io né l'editor delle recensioni seguiamo una dieta a base di esseri umani uwu
Proverò ad aggiornare sabato, anche perché domenica non sono a casa. Au revoir ♥
Baci,
Marianne


 
 


 

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Capitolo 17
*** Born to die ***


 
 

 
Capitolo 16
 
  
«The road is long, we carry on. Try to have fun in the meantime.»
(Lana Del Rey – Born to die)
 
 
Michael non poteva immaginare che un semplice e disattento gesto avesse potuto portare a quella che, in quell’istante, gli pareva la fine del mondo. L’inizio della sua fine. Non poteva immaginare che quel pacchettino sistemato male nella tasca potesse portare ad un casino così grande. Eppure, ci era stato attento, aveva cercato di non far trasparire nulla mentre era con gli altri, si lasciava andare solo con Lene, quando nessuno gli faceva notare che in lui ci fosse qualcosa di diverso o di sbagliato. La prima ad accorgersi di qualcosa – di troppo poco per capire, comunque – era stata sua madre, quando gli aveva chiesto perché avesse sempre così tanto sonno. Michael aveva liquidato la cosa rispondendole che era semplicemente stanco per gli esami. Ma adesso non aveva nessuna scusa, adesso Luke guardava insistentemente la sua tasca, e prima che potesse chiedergli cosa gli prendesse, Michael capì.
«Cos’è quella roba?» chiese Luke, avvicinandosi lentamente a Michael.
«Niente.» rispose il ragazzo, sistemando la bustina di plastica nella tasca, così che Luke non potesse vederla. Non doveva scoprirlo. Non poteva lasciarsi scoprire, doveva farlo per Lene. Gliel’aveva promesso. Deglutì sonoramente prima che Luke ricominciasse a parlare.
«La cosa che ho detto ad Ashton vale anche per te, Mike» disse il ragazzo. «Devi fidarti di noi.»
«Non è niente, davvero.» riprese Michael.
«Stai sudando freddo.»
«Non è vero.»
«E hai il respiro affannato.»
Calum assisteva al tutto senza capire cosa stesse veramente succedendo. Non sapeva cosa avesse visto Luke nella tasca di Michael e non sapeva perché Michael si ostinasse a tenere tutto nascosto.
«Michael...» tentò il ragazzo, avvicinandosi ai due. «Luke ha ragione.»
Michael strinse i pugni e fece un passo indietro. «Voi non capireste.» disse a bassa voce, con lo sguardo rivolto a terra. Nessuno avrebbe capito, nessuno di loro sarebbe stato in grado di farlo. Perché Michael la riteneva una cosa sua, da non condividere con nessuno se non con chi era nella sua stessa situazione, nonostante conoscesse Luke e Calum da sempre. La vita era sua e decideva lui quello che poteva o non poteva fare. Quello che poteva e non poteva fare. E in quel momento, vedeva la sua esistenza poggiata su una base troppo debole per rimanere in piedi, perché se qualcuno avesse scoperto il suo segreto, sarebbe stato tutto finito.
Nessuno doveva sapere che Michael inventava delle scuse per poter vedere Lene ogni sera, che lei a volte lo portava in quel parco abbandonato insieme ai suoi amici, e che ridevano e fumavano erba fino a perdere la cognizione del tempo, dello spazio... fino a perdersi completamente anche in se stessi, fino a perdere ogni briciolo di lucidità. Fino a perdersi negli occhi grigi di Lene, dando la colpa all’erba che gli fondeva e gli annientava i neuroni, ma sapendo dentro di sé che era semplicemente amore. E tutto questo gli piaceva, era diventata la sua nuova vita, e a lui andava bene una vita in cui teneva Lene per mano e in cui dimenticava di averla baciata una volta o due. Di certo, non poteva permettere che tutto finisse a causa di una piccola distrazione e di un occhio troppo attento ai particolari.
Luke fece un respiro profondo e si avvicinò al ragazzo con calma e cautela. «Fammi vedere cos’hai in tasca, Michael. Non lo diremo a nessuno» mentì. A seconda della gravità di quello che stavano per scoprire, avrebbero dovuto avvertire qualcuno. «Siamo i tuoi migliori amici, l’hai dimenticato?»
Michael rilassò le spalle e s’infilò la mano tremante in tasca, tirò fuori la bustina di plastica, tenendola in pugno, e poi aprì la mano, facendo vedere a Luke quello che stava tenendo.
Il ragazzo sussultò appena, e poi chiuse gli occhi. Non poteva essere possibile. Non Michael.
«Da quando ti fai le canne, Mike?» sospirò. Calum, dietro di lui, inarcò le sopracciglia e aprì la bocca, sorpreso, riscoprendosi incapace di dire qualcosa. Qualsiasi cosa.
Michael rimase in silenzio. Luke riformulò la domanda: «Ti ho chiesto da quanto tempo va avanti questa storia e perché non ce l’hai mai detto.»
 «Un po’, a dir la verità.» rispose Michael a bassa voce. «E voi sareste saltati a conclusioni troppo affrettate, come lo state facendo adesso. Ho i miei motivi e voi non dovete esserne per forza partecipi.»
«Ci stai dicendo che non dobbiamo intrometterci nella tua vita?» riprese Luke. «Siamo amici dalle medie, Michael, ci siamo sempre detti ogni cosa.»
«Stavolta è diverso.»
«Non lo è.» Calum s’intromise nella conversazione, facendo un passo avanti. Non avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe trovato ad affrontare una situazione simile. Non gli era mai capitato e non sapeva come comportarsi. Michael era uno dei suoi più grandi amici, un membro della band, una persona con cui sia lui che Luke avevano sempre condiviso qualsiasi cosa, dalla più seria alla più stupida. E sapere che li stava lentamente tagliando fuori dalla sua vita, costruendosene un’altra con altre persone, da qualche altra parte, lo stava facendo riflettere. Si chiese se non fosse a causa loro che stesse accadendo tutto quello. Forse avevano fatto qualcosa di sbagliato? Qualcosa che aveva spinto Michael a cercare il proprio posto altrove?
«Smettetela.» sibilò Michael con voce grave. Gli girava la testa, le voci dei suoi amici le sentiva amplificate dieci, cento, mille volte. Stava impazzendo.
«Vogliamo solo aiutarti...» mormorò Calum.
Michael cominciò a respirare velocemente. «Non ho bisogno del vostro aiuto. Sto benissimo.» mentì.
Luke s’irrigidì. «E allora sai che ti dico? Che puoi anche andarti a lamentare dai tuoi nuovi amici drogati, se non ti serviamo noi!» esplose, urlò, c’era qualcosa di terrificante nella sua voce, ma Michael rimase impassibile di fronte a tutto quello. Non mosse un muscolo. Calum si avvicinò a Luke e provò a farlo ragionare, ma il biondo non voleva ascoltare niente e nessuno.
«Hai sentito, Mike? Vattene, a quanto ho capito di noi ti fidi più.»
Michael alzò lo sguardo e lo puntò in quello di Luke, a dir poco furente. «Va bene, ciao.» disse piano, rimise la chitarra nella sua custodia e rientrò in casa per posarla nella sua stanza. Prima di vederlo rientrare in garage, Luke guardò Calum in una disperata richiesta d’aiuto, ma Calum era in alto mare, quasi quanto lui. La testa di Michael fece capolino in garage e «Anche se teoricamente questa è casa mia, quindi dovreste essere voi ad andarvene, non fa niente.» disse. Dopodiché sparì di nuovo e uscì di casa dalla porta principale, controllando di avere le chiavi con sé.
Era strano a dirsi, ma Michael credeva di non provare niente, in quel momento, se non un piccolo fastidio per le gambe indolenzite. Aveva litigato con Luke e Calum e se n’era andato via. Loro avevano scoperto il suo segreto e adesso si sentiva un po’ in pericolo, forse avrebbe dovuto dirlo a Lene, ma aveva paura che lo abbandonasse anche lei. Aveva però bisogno di vederla, perché era uno di quei momenti in cui si sentiva schiacciato da qualcosa di troppo ingestibile per lui, uno di quei pochi momenti in cui se ne accorgeva veramente, appena prima di dimenticare dove lo stesse portando la sua nuova vita. Le mandò un messaggio, con scritto di vedersi al solito posto, Lene gli rispose subito dopo con un “Okay”. Rimise il cellulare in tasca e dopo un po’ – Michael non seppe dire quanto, ma aveva camminato molto – arrivò a destinazione, e Lene era lì, appoggiata al lampione rotto. Stavolta aveva dei jeans e una semplice maglietta bianca con qualche scritta sopra, i capelli biondi legati in uno chignon veloce, mancavano il solito strato di matita nera e sigaretta tra le labbra. Doveva essersi preparata di fretta. Solo per lui.
Non appena lo vide, si precipitò da lui. «Michael, è successo qualcosa di grave?» gli chiese, la sua voce era delicata e soffice.
Michael esitò per un momento e poi sospirò. «Shailene... » iniziò lui. Si sorprese di se stesso quando la chiamò col suo nome completo. Di solito la chiamava semplicemente Lene, e quando erano al parco con gli altri, lei diventava Helen e lui diventava Gordon, perché lei gli aveva spiegato che era sempre bene stare attenti e farsi furbi, quando si aveva a che fare con giri del genere. Perché Lene poteva anche sembrare una cattiva ragazza, fuori dagli schemi, colei che l’aveva introdotto in quel mondo buio e pieno di ostacoli, ma di certo non era stupida. «Shailene... Lene, mi hanno scoperto.»
Lei lo osservò confusa, prendendogli il viso tra le mani. «Cosa? Michael, respira e spiegati meglio.»
«I miei amici» riprese Michael. «Hanno scoperto tutto. Mi dispiace, io... »
«Shh. Va tutto bene. Va tutto bene.» gli sussurrò dolcemente, poi gli accarezzò la guancia e lo guardò negli occhi, un attimo dopo Michael la baciò perché in quel momento non gli veniva in mente nient’altro.  Quella era l’unica cosa che avesse un minimo di senso, perché ogni volta che baciava Lene, gli sembrava che la terra sotto i suoi piedi svanisse e dimenticava tutto durante quegli istanti che Michael avrebbe voluto non finissero mai. Aveva deciso di fidarsi di lei, di rivelarle quello che era accaduto e lei non lo aveva abbandonato. Fu allora che dentro di lui nacque la certezza che Lene avrebbe potuto rimanere per sempre, che sarebbe stata una di quelle persone che lasciano il segno, ma che non se ne vanno mai per davvero. «Mi dispiace.» mormorò ancora, staccandosi per un momento dalle labbra di lei, un momento che gli parve senza fine. Vide Lene sorridergli e avvicinarsi per baciarlo di nuovo. Evidentemente, non ce l’aveva con lui e non aveva avuto bisogno di nessuna ragione per perdonarlo. Credeva che l’essere scoperti, in quella sua nuova vita, fosse una cosa a dir poco tragica, quasi apocalittica, considerando il modo in cui l’aveva presa, ma Lene gli stava dimostrando che forse non lo era. Oppure stava addolcendo semplicemente il tutto. Il secondo bacio gli sembrò ancor più speciale e magico del precedente. In quella strada non c’era nessuno, esistevano solamente loro due e i loro sorrisi sconnessi, le braccia attorcigliate, Shailene in punta dei piedi e Michael che si sentiva talmente piccolo, ma allo stesso tempo così infinito da non capire più niente.
«L’importante è che non lo dicano a nessun altro. Capisci cosa intendo?» disse Shailene.
Michael scosse la testa, visibilmente confuso.
«Non devono dirlo ai tuoi, ad esempio. Oppure ai tuoi professori, o a chiunque altro potrebbe metterci nei casini con la polizia, va bene?» continuò la ragazza, sempre mantenendo quel tono di voce dolce e delicato, quasi sognante, che faceva sembrare il tutto come una favola.
Michael allora annuì. «Va bene.» mormorò.
«È solo una precauzione: anche se ci scoprissero, solo Bobby e gli altri si caccerebbero nei guai. È per questo che ti ho detto di usare un altro nome» iniziò Lene. «In caso gli chiedessero di noi, non troveranno mai nessun Gordon e nessuna Helen. Così come non ci troverà Bobby, non preoccuparti.»
Michael ascoltò con attenzione. Era a dir poco geniale, era studiato nei minimi dettagli e Michael rimaneva affascinato da Lene ogni giorno do più. Ogni giorno quella ragazza era una piacevole scoperta, ogni giorno finiva per farlo rimanere a bocca aperta. Shailene era unica, non credeva che avrebbe mai trovato di nuovo una ragazza come lei. Era semplicemente perfetta. Le sorrise, più convinto stavolta, perché si sentiva il ragazzo più fortunato del mondo in quel momento. Sembrava un paradosso, un enorme ed insensato paradosso, ma a Michael sembrava non importare.
«È difficile, Michael. Lo so, ci sono passata prima di te. E per di più ero da sola, ma tu puoi farcela, tu sei forte e io sarò qui ad aiutarti. Si tratta solamente di abitudine» disse Lene, sospirando. Sembrava dispiaciuta. «È colpa mia, dovevo tenerti fuori. Non avrei mai dovuto permettere tutto questo.»
«E come avrei fatto io ad innamorarmi di te?» ammise Michael, non ci pensò prima di dirlo. Lo disse e basta.
Lei sorrise imbarazzata. «Mi piaci, Michael. Dico sul serio, e ho paura di buttare tutto all’aria con la mia... non so nemmeno io cosa.»
«Non succederà.»
«La tempesta è appena cominciata. Cerca di tener duro per me, okay?»
«Okay.»

 
 
 
 
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Angolo di Marianne
Holaaaaa! Come promesso, ecco sabato ed ecco il capitolo.
Allora, come vi avevo detto, è quasi completamente dedicato ai Milene. E qui scopriamo anche il vero nome di Lene, ovvero Shailene. Mi serviva un nome particolare, e l'ho deciso qualche tempo fa, mentre rivedevo Divergent, dato che l'attrice che interpreta Tris si chiama Shailene. Il soprannome avrebbe potuto essere anche "Shai" ma mi sembrava un cane quindi Lene è decisamente meglio ahahahaha. In questo capitolo non ci sono i Thashton, ma vi giuro che arriveranno nel prossimo.
Poi, lo so che non vi do più Cake dal capitolo dieci e mi dispiace tantissimo, ma nella mia testa ci sono così tante idee che si sono sovrapposte tutte. I Cake ci saranno nel capitolo 18, la mia scaletta parla chiaro: c'è scritto "Cake" con un cuoricino vicino u_u È una promessa.
Okay, ringrazio le 45 preferite, le 46 seguite e le 8 ricordate *O* e poi, come al solito, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: DarkAngel1, Winter_Is_Coming, Thesperance_99, animanonimy, Aletta_JJ, Jade_Horan, shakjra e jessiessmile
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere con una recensione.
Alla prossima! :3
Marianne



 
 


 

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Capitolo 18
*** Guardian ***


 
 

 
Capitolo 17
 
  
«No more holding still the hailstorm. Now enter your watchwoman.»
(Alanis Morissette – Guardian)
 
 
«Finalmente sono libera, mi sento rinata!» Thalia si buttò sull’erba, accanto ad Ashton. Lui rise divertito e girò la testa per guardarla. Ogni giorno si chiedeva se tutto quello non fosse un sogno. Thalia, stare con lei, essere quasi felice... Sua madre gli aveva detto che lo vedeva diverso, ma Ashton si guardava allo specchio e vedeva lo stesso ragazzo di sempre. Solo che erano sparite le occhiaie e il suo viso non aveva più un colorito poi così giallastro. E adesso, mentre Thalia aveva girato la testa verso di lui e lo guardava con quegli occhi dorati, che riflettevano la luce del sole, si disse che se quello non era un sogno, allora lui era un ragazzo decisamente fortunato.
«Domani è il trentuno...» buttò lì Ashton, incrociando le braccia dietro la testa.
«Calum e Luke sono stati invitati alla festa di Emily Walker.» disse Thalia, sospirando.
«Quindi?»
«Quindi o ci imbuchiamo, o andiamo a fare qualcosa per conto nostro.»
Ashton si girò sul fianco, sovrastando Thalia parzialmente. La sua ombra era proiettata su di lei e adesso i suoi occhi sembravano più verdi che mai. Thalia lo guardò divertita. «Io opterei per fare qualcosa per conto nostro.» Sorrise prima di chinarsi e di baciarla. Thalia era dolce, le sue labbra sapevano di  fragola e qualche altro sapore che Ashton non riusciva ad identificare. Forse era semplicemente Thalia, la sua essenza, quel qualcosa di agrodolce che la rendeva unica. A metà strada da due categorie di persone che Ashton aveva visto tante volte. A metà strada tra bianco e nero. Thalia era una via di mezzo. Era una cosa unica e nuova per Ashton, perché da quando era morta Lilian per lui non c’erano più stati mezzi termini. Le cose erano bianche o nere, il mondo era a colori oppure grigio; le persone o erano vive o erano morte. Non c’erano mezze misure.
Ma con Thalia era cambiato tutto. Le giornate non avevano più lo stesso colore e il mondo sembrava molto più bello, se Ashton lo affrontava mano nella mano con lei. Spesso si chiedeva come avesse fatto Thalia ad innamorarsi di uno come lui. Sempre che lo amasse. Non glielo aveva mai chiesto, né se lo erano detti apertamente, ora che ci pensava. Però in quel momento non gliene importava poi così tanto.
«Mh, okay» mugugnò Thalia,  Ashton avvertì una leggera punta di disapprovazione nella sua voce non appena interruppe il bacio. «Comincia a farti venire in mente qualche idea perché mancano ventiquattro ore.»
«Tu che mi suggerisci?» chiese Ashton. Non si spostò di un millimetro, comunque. Rimase sempre appoggiato su un gomito, con il viso di Thalia a pochi centimetri da lui. Lei sorrise e ruotò la testa di lato, guardando con molta attenzione qualcosa verso la fontana.
«Pizza e film?» azzardò. Mirava a cose semplici. Di certo, almeno dal suo punto di vista, era meglio quello che la festa in piscina di Emily Walker. Luke le aveva detto che forse ci sarebbe andato, che era molto indeciso... comunque, Thalia aveva pensato che avrebbe voluto passare il capodanno con Calum come lei voleva passarlo con Ashton.
«Ho un’idea migliore.» ribatté lui.
«Sarebbe?» Thalia aggrottò le sopracciglia, assumendo un’espressione abbastanza confusa. Le piacevano le idee di Ashton, le erano sempre piaciute, voleva solo aspettare di essere sorpresa un’altra volta.
Ashton cominciò a giocare con una ciocca dei suoi capelli castani. «Io direi pizza, film e poi al mare.»
«Al mare?»
«Hai qualcosa contro il mare, Thalia Reed?»
«Assolutamente no!»
Allora Thalia si alzò a sedere sull’erba e gli mise le braccia attorno al collo, attirandolo a sé. Sorrise prima di baciarlo un’altra volta, sorrise quando finirono di nuovo entrambi a terra.
Era bello passare i pomeriggi al parco e in quel modo. Era bello non avere preoccupazioni per la testa. Era bello per la prima volta vivere e sentirsi appieno una ragazza della sua età, senza troppe responsabilità sulle spalle, senza intoppi, con degli amici e un ragazzo che teneva a lei. Aveva difficilmente immaginato che la sua vita potesse andare così bene, e ora le sembrava tutto così irreale e distante, le sembrava di vivere così velocemente che aveva paura di risvegliarsi all’improvviso e non ricordarsi più niente. Perché tutto quello aveva le sembianze di un bellissimo sogno destinato a finire.
 
Il film faceva a dir poco schifo. Thalia se l’era fatto consigliare dalla ragazza che lavorava in videoteca, con una punta di imbarazzo aveva specificato che era per una serata romantica e lei le aveva consigliato quel polpettone rosa di tre ore che non era piaciuto né a Thalia né ad Ashton.
Lei si era addormentata qualche volta sulla spalla di Ashton, mentre lui mangiava pop-corn per rendere la visione di quel film meno angosciante. Sostanzialmente, tutta la storia era basata su questi due ragazzi, amici d’infanzia, che crescendo avevano preso strade diverse e avevano finito per incontrarsi di nuovo quando entrambi avevano una famiglia e una vita che non gli piaceva. E ovviamente avevano buttato tutto all’aria per poter stare insieme, e dopo varie peripezie, pianti e altre cose tragiche, l’amore aveva trionfato. Il solito cliché.
Ma adesso, mentre camminava con Ashton verso la spiaggia, non le importava più di tanto. Aveva detto a sua madre che era andata alla festa di Capodanno di Emily Walker, perché tutti nel quartiere sapevano che i Walker erano persone per bene e che la graziosa Emily non poteva essere da meno, ma la motocicletta di Ashton era parcheggiata dall’altra parte della strada, e la festa pareva lontana anni luce.
La spiaggia era deserta, non c’è anima viva. C’erano solo i residui di un falò, qualche fiamma che scoppiettava ancora tra la legna. Qualcuno doveva essere appena andato via. Comunque, ad Ashton basò poco per far aumentare il fuoco, così da avere la giusta illuminazione. Thalia non l’aveva mai visto l’oceano di notte, ma era semplicemente meraviglioso. I riflessi rossi e arancioni del fuoco sull’acqua, il buio e non capire dove iniziasse il mare e finisse la sabbia. Era un po’ quello le succedeva ultimamente: non capire dove finisse lei e iniziasse Ashton. Thalia si buttò sulla sabbia fredda e Ashton la imitò quasi immediatamente, cingendole le spalle con un braccio. Guardò l’orologio. «Mancano solo dieci minuti all’anno nuovo.» disse piano.
Thalia sorrise. «Cosa ti aspetti da quest’anno?» chiese Thalia, portando le ginocchia al petto.
«La stessa cosa che mi aspettavo l’anno scorso.» rispose lui.
«Ovvero?»
«Essere felice. Non avere più gli incubi. Smettere di andare dalla psicologa perché sono finalmente riuscito a risolvere tutti i miei problemi.»
Thalia sorrise tristemente e appoggiò la testa alla sua spalla, poi sospirò. «Be’, sono già cambiate un po’ di cose, no?»
«Già...» disse Ashton, visibilmente sovrappensiero. «Comunque, non voglio annoiarti con le mie manie da depresso cronico. Tu che ti aspetti da quest’anno?»
«Voglio che Luke trovi il coraggio di cui ha bisogno, che voi sfondiate come band. Come te, voglio che tu sia felice, che riesca finalmente a lasciarti alle spalle tutto senza dimenticarlo sul serio. Voglio che mia madre smetta di preoccuparsi così tanto e poi...» La ragazza fu interrotta di nuovo dalla voce di Ashton.
«E per te stessa?» chiese il ragazzo.
«Che vuoi dire?»
«Per te stessa non vuoi niente? Hai nominato Luke, noi, me, i tuoi genitori. Ma non hai accennato a quello che vuoi per te.»
Ashton la guardò negli occhi e Thalia deglutì, ringraziando che la luce del fuoco non fosse abbastanza da far capire ad Ashton di essere arrossita.
«Io voglio... stare con te, aiutarti. Voglio essere felice e vederti sorridere, perché il tuo sorriso che fa nascere la mia felicità. Non sopporterei mai vederti stare male.»
Ashton sospirò e abbracciò Thalia con tutta la forza che aveva. Quella ragazza era più preziosa di qualsiasi altra cosa al mondo, non l’avrebbe lasciata andare per nessun motivo. Non avrebbe permesso al suo muro di ricostruirsi e di escluderla dalla sua vita. Perché una vita senza Thalia non sarebbe stata propriamente vita, sarebbe stata la sopravvivenza in cui aveva sempre vissuto; sarebbe stata vedere il mondo in bianco in nero anziché a colori; sarebbe stata una vita vuota.
«Allora ti prometto che cercherò di stare bene.» mormorò Ashton, affondando il viso nei capelli di Thalia.
«Non me lo devi promettere» rispose lei. «Io so già che tu starai bene.»
Thalia allontanò un po’ il viso per ritrovare gli occhi di Ashton vicinissimi ai suoi. Erano scuri quella sera, ma erano ugualmente fantastici, così belli da mozzare il fiato. Accennò un sorriso convinto, e si avvicinò per baciarlo. Quando le loro labbra si toccavano, era come se una scintilla le percorresse tutto il corpo. Era una sensazione bella e strana, e perfino in quel momento, Thalia dovette ammettere che ogni bacio con Ashton era come se fosse il primo, perché ogni bacio la lasciava confusa e piacevolmente persa. Si trasformò in qualcosa di più, Thalia si alzò sulle ginocchia, ritrovandosi per un momento ad essere più alta di Ashton, in viso di lui tra le mani. Ashton aveva gli occhi chiusi e non pensava a niente, poi anche lui si alzò e Thalia finì per ridere non appena ricadde con la schiena a contatto con la sabbia. Continuarono a baciarsi come se il tempo e lo spazio non fossero mai esistiti, come se in quel momento esistessero solo loro e nient’altro, come se all’orizzonte non si scorgessero i primi fuochi d’artificio. Ashton si staccò all’improvviso, così velocemente da sembrare brusco. Thalia lo guardò spaesata, aveva fatto qualcosa di sbagliato? Non voleva spingersi troppo in là, ed evidentemente non lo voleva nemmeno lui. Respirava affannosamente, alzò lo sguardo e incontrò quello di Thalia. «Sto bene.» la rassicurò con un sorriso.
Lei incurvò le labbra, mentre nella sua testa vorticavano davvero troppe cose.
Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto dalla suoneria del suo cellulare. Ma perché quel coso squillava sempre nei momenti meno opportuni?
«Pronto?»
«Thalia, devi assolutamente venire a casa di Michael, è successo un casino.» la voce di Luke, dall’altra parte del telefono, era agitatissima.
«Che succede?» chiese Thalia, allarmata. Ashton si alzò a sedere sulla sabbia e cominciò a guardare Thalia confuso.
«Si tratta di Michael, io e Calum dobbiamo dirvi una cosa, in più è successa un’altra cosa qualche giorno fa che...»
«Okay, arriviamo subito. Ciao.» Thalia chiuse bruscamente la chiamata e si alzò in piedi, tendendo le mani ad Ashton per aiutarlo ad alzarsi.
«È successo qualcosa di grave?» chiese lui, togliendosi la sabbia dai jeans.
«Pare si tratti di Michael. Luke non mi ha detto i particolari ma a giudicare dal suo tono di voce era molto preoccupato.» rispose Thalia.
«Andiamo.» disse Ashton. Thalia gli prese la mano e cominciarono ad incamminarsi verso la moto. Il viaggio dalla spiaggia a casa di Michael fu freddo per il vento che sferzava violentemente contro i loro visi e silenzioso per il timore di quello poteva essere successo. Perché Luke non era stato più specifico?
Quando arrivarono, Ashton parcheggiò velocemente e Thalia si fiondò subito verso il garage, dove Luke e Calum stavano in piedi, entrambi con le braccia incrociate al petto.
«Ragazzi» iniziò senza fiato. «Che succede?»
«Michael è scappato di casa.» disse Calum.
«Che cosa?» intervenne Ashton, ancora con il casco in testa.
«Io e Cal eravamo alla festa di Emily Walker, sua madre ci ha chiamati per chiederci se fosse con noi. Allora ci siamo allarmati perché Michael non c’era, siamo venuti qui e poi abbiamo trovato un biglietto con scritto che se n’era andato. Ora lei è al commissariato.» disse Luke con lo sguardo rivolto a terra. Thalia si portò una mano davanti la bocca.
«E sapete perché? Insomma, che motivo aveva?» chiese ancora Ashton.
«Ecco... so che avremmo dovuto dirvelo prima, ma non volevamo farvi preoccupare» iniziò Luke. Calum gli mise una mano sulla spalla. «Michael si droga.»
«Che cazzo significa?» sbottò Thalia. Tutti i presenti la guardarono sorpresa. Luke e Calum sapevano che Thalia non imprecava quasi mai, e Ashton non l’aveva mai sentita dire una parolaccia, Thalia stessa si sorprese delle sue parole, ma non importava. Michael si drogava e non e era il momento di pensare a certe cose.
«Dopo le prove, l’altra settimana, gli abbiamo trovato dell’erba in tasca.» rispose Luke.
«E sapete bene che in questi giri non ci si entra da soli. Deve avere qualche amico che l’ha trascinato in questa roba, sicuramente è andato dal suo gruppo. Il problema è che non abbiamo idea di chi possa trattarsi.» continuò Calum.
«Non vi ha mai parlato di qualcuno che non conoscevate?» chiese Ashton.
I due ragazzi scossero la testa.
«So che non è una cosa carina da fare, ma dobbiamo controllare il suo computer, dato che il telefono l’avrà sicuramente con sé.» disse Thalia.
Allora si apprestarono tutti ad entrare in casa, ma Thalia trattenne Luke per un braccio, accodandosi dietro a Calum e Ashton. «Sua madre lo sa? Della droga, intendo.»
«Non vogliamo metterlo nei casini, lo andrebbe a dire alla polizia, potrebbe odiarci a vita se lo facciamo scoprire.»
«Dovete dirglielo.»
«Dobbiamo prima fare quello che possiamo, dirlo agli adulti sarà quello che faremo quando non avremo più possibilità.»
Thalia sospirò.
«Hai idea del perché abbia cominciato a farsi?» chiese Thalia.
«Ti ricordo che sono passati solo due mesi da quando suo padre ha praticamente cambiato Stato, quindi...» rispose Luke.
Thalia annuì e sospirò sconsolata. «Sappiamo tutti che è stato un bene.» disse lei, incrociando le braccia al petto. Si ricordava di quando aveva conosciuto Michael, aveva un vecchio livido sulla mascella e Luke gli aveva detto che dopo scuola aveva fatto a botte con dei ragazzi più grandi per chissà quale motivo. Non l’aveva bevuta, ovviamente, perché Luke faceva schifo a dire le bugie, ma il sorriso di Michael era così largo da mascherare ogni cosa. Solo ad Ottobre, Luke le aveva detto la verità, ovvero che quel livido non se l’era procurato in una rissa, ma mentre cercava di togliere una bottiglia di mano a suo padre. Così come tanti altri lividi di cui Michael parlava raramente, a volte non visibili, perché non si trovavano solo sulla pelle, ma anche sul cuore.
In seguito, la madre di Michael era ricorsa alle minacce, dicendo al marito che se non se ne fosse andato subito l’avrebbe trascinato in tribunale, allora lui aveva fatto le valige ed era partito per l’Inghilterra e ora si trovava a ventiquattro ore di volo da Sydney.
«Forse gli voleva ancora bene, Thalia, è comunque suo padre.» le fece notare Luke.
«Io non riuscirei a volere bene a mio padre se facesse una cosa del genere.» ribatté sprezzante la ragazza.
«Non lo si può sapere» disse Luke. «Almeno finché non lo si prova.»
Thalia rimase in silenzio e poi compose il numero di sua madre per dirle che avrebbe tardato un po’ quella notte. Non poteva dirle della droga, ma poteva informarla che Michael era scappato e che loro lo stavano cercando. Questa volta, avrebbe fatto tardi per una buona causa.

 
 
 

 
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Angolo di Marianne
Heeeeey people! Eccomi qui ad aggiornare 48 fottute ore prima del concerto. 
ODDIO, non so cosa ci sia di anormale in me. Ho l'ansia quindi mi sfogo scrivendo. Sono esaltatissima. Sabato a Milano farà il temporale ma non me ne frega assolutamente nulla, posso anche tornare a casa con la febbre so solo che... aghjgshjk.
Oaky, faccio la persona seria. Ecco il capitolo diciassette. Vi giuro sul mio biglietto che nel prossimo ci saranno i Cake, quindi non uccidetemi. Cioè, se volete uccidermi fatelo il ventinove, non ora. LOL
Però per farmi perdonare ho messo i Thashton, visto che sono una brava autrice? O:)
No, oddio, non lo sono per niente perchè sto cercando affrontare la situazione di Michael in modo serio, ma ci sto riuscendo di merda e me ne rendo conto, quindi tiratemi pure tutti gli ortaggi che volete, so di meritarmelo. Lene non ha riscosso molta simpatia ed era proprio l'effetto sperato, forse un po' esagerato perché se la odiate adesso, non oso immaginare più avanti LOL
Comuuunque, perdonatemi l'angolo autrice molto sclerato oggi, ma è una settimana che non riesco a contenermi. Non mi viene proprio in mente da dire, forse sembro una squilibrata çwç perciò passo ai ringraziamenti, che è meglio ♥
Grazie infinite a chi ha recensito lo scorso capitolo: DarkAngel1, 5sossaveme, Winter_Is_Coming,  Aletta_JJ, Bea_Clifford_1D, shakjra, Jade_Horan, animanonimy, SkyscraperWrites e Thesperance_99, poi, grazie a Annachiara99 per aver recensito il prologo.
Quindi niente, spero vivamente che vi sia piaciuto, grazie per tutto il supporto che mi date ogni volta ♥
Marianne



 
 


 

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Capitolo 19
*** This love ***


 
 

 
Capitolo 18
 
  
 
«I was so high I didn’t recognize the fire burning in her eyes.»
(Maroon 5 – This love)
 
 
Quella festa era decisamente troppo opprimente. Luke l’aveva capito quando erano ancora in macchina, ancor prima di entrare in casa di Emily. La musica era altissima, e le persone stavano soprattutto in giardino perché Calum gli aveva detto solo all’ultimo momento che, teoricamente, quella era una festa in piscina.  E ovviamente Luke non aveva indossato il costume.
Tutti avevano un bicchiere in mano. No, non sarebbe andata a finire per niente bene.
Adesso, Calum l’aveva di nuovo mollato in un angolo del giardino per andare a prendere da bere, e Luke si trovava appoggiato al muro, vicino alla porta sul retro, con le braccia incrociate e guardare tutti quelli che si buttavano in piscina. Osservava attentamente tutte le persone che gli passavano davanti e li riconobbe tutti: Vanessa, co-capitano delle cheerleader; Jules, l’ex ragazza di Calum; Thomas, capitano della squadra di basket e il suo migliore amico Robert. Erano tutte persone che contavano, nella sua scuola, per questo Luke non poté far altro che chiedersi cosa ci facessero lì lui e Calum. Insomma, forse Calum aveva una ragione di essere lì, in quanto ex-ragazzo di una cheerleader, ma lui? Il nome di Luke non era mai stato sulla bocca della scuola. E a lui era sempre andato bene così, non ci si vedeva proprio a far parte di una squadra, ad essere una persona importante a scuola. A lui andava benissimo il suo anonimato. In lontananza riconobbe Will Perkins e John Lawson che sghignazzavano, erano due ragazzi che stavano in classe con lui, entrambi bocciati e con più muscoli che materia grigia, per questo erano un anno più grandi. Luke si guardò attorno, cercando di scorgere Calum da qualche parte, ma sembrava svanito nel nulla, inghiottito dalla folla al bancone degli alcolici. Quando si rigirò Will e John si erano avvicinati rispetto a prima, e continuavano a farlo. Gli venivano pericolosamente incontro.
Insomma, Luke neanche voleva bere, dove si era cacciato Calum?
«Hey, frocetto, come te la passi?» esordì John, Will scoppiò a ridere e poi Luke si sentì spintonare. I due ragazzi lo superarono e andarono in mezzo al tumulto di persone che ballavano. Luke li seguì con lo sguardo finché non vennero inghiottiti dalla folla e poi si voltò ancora alla ricerca di Calum. Che quei due fossero degli stupidi patentati, lo sapevano tutti: Luke ancora non riusciva a credere che fossero addirittura riusciti a farsi promuovere, quell’anno. Ed era proprio per questo che le loro parole non avrebbero dovuto nemmeno toccarlo, ma era difficile la cosa... soprattutto se continuava a negarlo a se stesso, ma allo stesso tempo si ritrovava ad essere innamorato di Calum. Si voltò ancora e Cal era lì con due bicchieri in mano, probabilmente birra.
«Devo guidare...» borbottò Luke con un filo di voce, riscoprendo di riuscire a parlare difficilmente.
«Com’è che ti hanno chiamato quei due?» chiese il moro con un’espressione serie in volto. Li aveva sentiti.
Luke aggrottò le sopracciglia. «Chi?» Era meglio fare finta di niente, in quei casi.
«Perkins e Lawson.» rispose Calum.
«Oh, in nessun modo. Davvero, Cal. Fregatene, okay?»
«No che non me ne frego!» esclamò il ragazzo. Calum appoggiò i bicchieri da qualche parte e Luke sospirò. L’aveva detto lui che non sarebbe successo niente di buono a quella festa, sperava solo che Calum non andasse lì  a scatenare una rissa, anche perché, conoscendolo, sarebbe stato assolutamente capace di farlo.
«Cal, sono solo dei coglioni,  per me non conta niente quello che dicono, e non dovrebbe importare nemmeno a te.» provò ancora Luke, con il cuore a mille.
«Ti danno del gay? Dimostragli che lo sei.»
«Ma io non sono gay, Calum. Te l’ho spiegato. È una cosa complicata.» Luke non sapeva che suono avessero le bugie, ma era già la seconda volta che sentiva il battito accelerare.
«Be’... dimostraglielo a basta.»
«Non ti seguo.»
E Luke ebbe appena il tempo di vedere Calum fare un sorrisetto non molto rassicurante. Prese Luke per mano e lo trascinò verso la pista, proprio dove erano andati Will e John. A ogni passo che facevano, Luke sentiva di dover vomitare, ma stringere la mano di Calum era bello e a tratti strano. Era calda e morbida, la mano di Cal, e mentre la stringeva sentiva di essere più forte di un gigante e, in quel momento, più forte di qualsiasi cosa, nonostante si sentisse impotente quanto una formica. Anzi, forse una formica poteva fare più cose di lui.
«Adesso che mi hai trascinato qui, cosa hai intenzione di fare?» chiese Luke quasi urlando, per quanto la musica fosse alta e assordante. Calum non rispose, non disse niente. Si avvicinò solo abbastanza da non vedere altro se non gli occhi di Luke, e poi chiuse i suoi, perché gli occhi azzurri e cristallini di Luke li conosceva bene. Li conosceva così bene da immaginarli ad ogni ora del giorno e a volte anche di notte. Li conosceva così bene da perdercisi dentro anche se non erano veramente lì, immaginando quel mare in cui sarebbe volentieri affogato. E Luke d’altra parte non ci capiva più niente, e si disse che lì in mezzo c’era davvero troppa gente perché qualcuno potesse notarli per davvero. Allora annullò la distanza che li divideva e appoggiò le labbra su quelle di Calum, o forse fu Calum che baciò lui. Le dinamiche della cosa non avevano importanza. No, non importava perché, dannazione!, Luke aspettava quel bacio davvero da troppo tempo per poter capire come stessero andando veramente le cose. E poi tutto divenne un intreccio di braccia, mani, dita tra i capelli e abbracci così stretti da togliere il fiato. Divenne Luke che stringeva Calum e che posava la mano sulla sua, ignorando le grida del mondo, perché in quel momento gli sembrò di essere circondato da un silenzio quasi inumano, un dolce silenzio che era interrotto solo dal suono di un sorriso; divenne Calum che circondava il viso di Luke con le mani e che sembrava di poter passare il resto della sua vita a baciarlo, a mordergli le labbra, a sentirlo così vicino da pensare che prima o poi si sarebbero fusi in un unico corpo. Poi non sarebbero stati più in grado di separarsi, e anche se l’avessero fatto, pensò Calum, forse avrebbero sentito troppo la mancanza di quella parte che avevano assimilato in quei momenti e senza la quale non avrebbero saputo come sopravvivere. Se tutto quello non avesse funzionato, Calum avrebbe sentito la mancanza di Luke amplificata di almeno cento volte, perché prima di allora non aveva idea di quanto fosse bello baciare quelle labbra timide. Luke annegò nel profumo di Calum e tutti i suoi sensi si annullarono. A staccarsi fu proprio il moro, nonostante la sua testa gli dicesse di non porre fine a quel momento, i suoi polmoni richiedevano ossigeno.
Luke guardò Calum con una confusione totale negli occhi, tutto quello che era appena successo gli sembrava un sogno. Ma sognare ad occhi aperti non era di certo proibito.
«Io... cioè, okay.» mormorò il biondo, passandosi una mano tra i capelli. Anche Calum sembrava parecchio spaesato.
«Vorrei avere qualcosa da dire.» disse Calum.
«Non credo ti servirà.» E Luke spinse Calum fuori dalla folla, verso il muro, verso il lato posteriore della casa, dove non c’era nessuno. E poi lo baciò ancora, perché sembrava non essere ancora sazio di Calum, perché per tutto quel tempo gli aveva resistito, ma dopo il primo assaggio, baciare Calum era diventato assuefacente. Era un costante averne bisogno.
«Bacio meglio di Jules?» gli chiese a bassa voce, appoggiandosi completamente a Calum, che era praticamente spalmato contro il muro.
«In confronto, quelli con Jules sembravano più scambi di saliva che baci.»
Luke scoppiò a ridere e «Che schifo, Cal!» E venne seguito a ruota dal suo migliore amico.
Dopodiché sentì il telefono squillare e si portò una mano in tasca per tirarlo fuori e rispondere. Non conosceva il numero. Calum lo osservò, e la sua espressione divenne interrogativa quando sentì Luke dire: «Salve, signora Clifford.»
Dall’altra parte del telefono, la madre di Michael aveva una voce preoccupata. «Michael è lì con voi? O rimane a dormire da qualcuno di voi?»
«No signora, Michael non è qui. Perché?»
«Il suo armadio è semi-vuoto e il telefono è irraggiungibile. Sapete dove potrebbe essere?»
«No, ma arriviamo subito.»
Calum continuò a guardare Luke, e non ebbe bisogno di fare nessuna domanda per avere la risposta che cercava. «Michael è scappato.»
Allora si avviarono verso la macchina, lasciandosi alle spalle tutto il resto: la festa, il bacio, la confusione nel non capire cos’erano diventati esattamente. Perché i loro pensieri vorticavano solo su Michael.
«Credi che c’entri con quella cosa?» chiese Calum entrando in macchina.
«È ovvio che c’entra con quella cosa.» rispose Luke, mettendo in moto.
Entrambi sospirarono e in meno di dieci minuti furono davanti casa di Michael, sua madre era sulla porta di ingresso e si rabbuiò per un momento quando dalla macchina uscirono loro due e non Michael.
«Grazie per essere venuti, vado al commissariato, voi...» iniziò la donna.
«Rimaniamo qua e se abbiamo notizie le faremo sapere.» finì Calum.
Guardarono la madre di Luke salire in macchina e andare via, Luke tirò fuori il cellulare. «Che fai?» gli chiese Calum.
«Chiamo Thalia e Ashton.»
 
Quando i due erano arrivati, Luke e Calum gli avevano spiegato tutta la situazione ed erano entrati in casa. Thalia era rimasta in silenzio dopo che Luke l’aveva presa da parte. Come aveva detto prima, dovevano controllare il computer. Calum si augurava che da quando avesse aiutato Michael a farsi Facebook, in terza media, lui non avesse mai cambiato la password. E per fortuna non l’aveva fatto.
«I messaggi» disse Thalia. «Se dobbiamo scoprire qualcosa non lo scopriremo su cose che possono vedere tutti.»
Calum annuì e aprì la casella di posta, sentendosi abbastanza a disagio per quello che stava facendo: non si sarebbe mai immaginato di dover violare in quel modo la privacy di uno dei suoi più cari amici, ma andava avanti convincendosi che fosse per una giusta causa, dopotutto.
«Eccoci» sospirò Calum. «Voi avete idea di chi sia questa Shailene K.?»
«Non ha un cognome questa tipa?» chiese Luke.
«Non fu Facebook.»
«L’ultimo messaggio è di ieri.» disse Thalia indicando lo schermo.
«Vediamoci al solito posto» lesse Luke per tutti. «Cal, scorri indietro e vedi dov’è questo solito posto.»
Ashton osservava il tutto in silenzio, e non appena lesse il nome della via che cercavano, si portò una mano tra i capelli e «Vicino casa mia, come ho fatto a non pensarci?» esclamò. «Lo sanno tutti che c’è un parco abbandonato dove... be’, sono sicuro che è lì.»
«Allora andiamo!»
 
Michael era steso sull’erba e non vedeva le stelle, gli bastava girarsi per vedere Lene che gli sorrideva, e la cosa gli andava bene così. Non sentiva le mani e aveva tutti i sensi un po’ annebbiati, ma Lene era accanto a lui, e gli andava bene così. Forse quella sera aveva esagerato un po’, ma era troppo poco cosciente e in sé per ammetterlo, tuttavia, con uno sforzo che gli sembrò quasi sovraumano, riuscì ad alzarsi a sedere sull’erba, ma Lene era rimasta ferma e non sapeva se la cosa gli andasse bene o meno.
«Hey, Gordon!» esclamò Bobby seduto sullo schienale della panchina accanto a lui. «Vuoi? Me le ha appena passate Justin.»
Michael non riusciva a capire cosa stesse tenendo in mano Bobby, si strofinò gli occhi e mise a fuoco un barattolino di plastica, come quello delle medicine.
«Che roba è?» chiese allora Michael.
«Una bomba, parola mia.» rispose Bobby.
Michael gli lanciò un’occhiata un po’ confusa e poi si fece passare il barattolino di plastica colorata. Fu allora che Lene si alzò a sedere  e gli si avvicinò. Michael non riconobbe la sua espressione, perché era troppo fatto per capire cosa dicessero gli occhi grigi di Lene quella notte, ma aveva il sospetto che fossero preoccupati.
«Mic― Gordon, non credo che dovresti prenderle...» disse lei, aveva quasi sbagliato il suo nome. Lo stava per chiamare Michael ed era uno sbaglio che non si sarebbe mai perdonata se mai l’avesse commesso.
«E perché no?» Michael aveva tirato fuori una pasticca e aveva ridato il contenitore a Bobby. «È roba da sballo.»
«Perché...» iniziò Lene, asciugandosi le mani sudate sui jeans. «Perché devi fare a metà con me.»
«Helen, ce n’è per tutti.» esclamò Bobby.
«Ma io e lui abbiamo un patto, deve fare a metà con me per ogni cosa.» disse la bionda di rimando, con un tono che non le apparteneva davvero. Si alzò e prese Michael per un braccio, trascinandolo velocemente dietro un albero, allontanandosi dalle panchine. Riuscì a sentire gli schiamazzi di qualcuno – probabilmente Caroline – dire «Avvertiteci quando finite di limonare», ma li ignorò.
Spinse Michael contro la corteccia dell’albero. «Michael, dammi la pasticca. Stai già delirando.»
Michael sbadigliò e non si oppose, mettendo la piccola pillola bianca in mano a Lene. «Questa roba ti manda al tappeto quando sei lucido, figurati quando sei strafatto in questo modo. Potevamo finire entrambi su un’ambulanza» esclamò, passandosi una mano tra i disordinati capelli biondi. «O peggio.» 
«Non dire cavolate, Lene.»
«Ho più esperienza di te e―» Lene si bloccò a metà della frase e Michael non capì mai quello che gli volesse dire. Vide solo i suoi occhi grigi ingrandirsi e bruciare di paura. Aveva lo sguardo rivolto verso qualcosa dietro di lui, dietro l’albero, ma non riusciva a girarsi perché lei lo costringeva a stare con la schiena contro la corteccia, le mani sulle sue spalle.
«Lene?» le chiese però, curioso di sapere perché la ragazza avesse quello sguardo terrorizzato.
«Michael, devi scappare.»
«Non capisco...»
«Corri, Michael Devi correre. Da quella parte c’è un muretto facilmente scavalcabile, vattene!» esclamò lei, scuotendolo per le spalle. Michael annuiva, ma non si muoveva di un centimetro. «Hai sentito Michael? Te ne devi andare di qui, c’è la polizia, vattene subito!» Lo spinse via e Michael sembrò svegliarsi.
«Ma tu…»
«Non ti preoccupare per me. Tu corri e non perdere tempo.»
Michael cominciò a correre a perdifiato verso la direzione che gli aveva indicato Lene. Mentre correva il vento estivo gli sferzava sul viso e ricominciava ad acquistare il controllo dei suoi sensi. Vedeva i pochi lampioni illuminare il buio, i fuochi d’artificio scoppiare in cielo e, quando si voltò per un minuscolo istante, vide tanti fari illuminare la zona dove erano loro prima. Arrivò al muretto, lo scavalcò. Si gettò sul marciapiede e decise di attraversare la strada senza controllare se da entrambe le parti passasse un mezzo o meno.
Era a metà del suo percorso, proprio sulle due righe bianche dipinte sull’asfalto, quando un rumore attirò la sua attenzione, facendolo rimanere in mezzo alla strada a fissare due fari accecanti che si avvicinavano pericolosamente. Assottigliò gli occhi, gli parve di vedere Luke alla guida, ma forse era un’allucinazione dovuta a tutta la droga che aveva assunto. Poi però, anche il profilo dell’automobile diventò familiare.
La macchina di Luke inchiodò a dieci centimetri di distanza dal corpo di Michael.

 
 
 

 
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Angolo di Marianne
Ehilà! Tutto bene? Io credo di ver recuperato tutto il sonno arretrato, tra venerdì e domenica ho dormito al massino sei ore, perché il giorno prima del concerto non riuscivo a prendere sonno e il pullman era scomodissimo xD In più ho la febbre (il primo luglio) ma sinceramente non me ne frega nulla HAHAHA
Allora, ve l'avevo detto che c'erano i Cake! *w* AWWWWW, sono morta scrivendo. Sono fantastici e forse Calum sta capendo come stanno le cose. Sono abbastanza soddisfatta della loro parte e la cosa è molto strana. LOL
Ora sono psicologicamente pronta per le cascate di insulti per Lene. Oddio, sarò cattiva e insensibile, ma mi diverto davvero troppo a leggere i vostri pensieri su di lei ♥ 
Ringrazio tantissimo chi ha recensito lo scorso capitolo DarkAngel1, Jade_Horan,  ashton_irwin94, shakjra, SkyscraperWrites, Aletta_JJ, Annachiara99, heronswift e Thesperance_99 e grazie a chi ha inserito la storia nelle preferite/ricordate/seguite.
Spero vi sia piaciuto, non esistate a farmi sapere cosa ne pensate e ci sentiamo al prossimo capitolo! :3
Baci,
Marianne





 
 


 

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Capitolo 20
*** People help the people ***


 
 

 
Capitolo 19
 
  
 
«People help the people and nothing will drag you down.»
(Birdy – People help the people)
 
Luke si lanciò letteralmente fuori dall’auto, non curandosi nemmeno di spegnere il motore o di chiudere la portiera. Mezzo minuto dopo, lo seguirono anche Calum, Ashton e Thalia. Michael, intanto, continuava a fissare i fari della macchina come se al mondo non esistesse nient’altro. Il ragazzo prese Michael per le spalle e lo costrinse a guardarlo negli occhi. «Mikey, finalmente ti abbiamo trovato.» sospirò Luke e poi lo abbracciò. Aveva avuto così paura per Michael che in quel momento importava solo averlo ritrovato.
«Mi scoppia la testa.» si lamentò il ragazzo, abbandonandosi sulla spalla di Luke.
«Cal, mi dai una mano?» chiese Luke. Calum lo raggiunse e si portò un braccio di Michael dietro le spalle, Luke l’altro. Lo trascinarono fino ai sedili posteriori della macchina dove Michael si accasciò completamente. Thalia si appoggiò ad Ashton e lui l’abbracciò mentre si concesse di liberare un sospiro di sollievo.
«Se Michael si stringe entriamo tutti―» iniziò a dire Luke, ma Ashton lo bloccò.
«Non importa» disse il ragazzo. «Casa mia è a due isolati da qui, possiamo andare a piedi.»
Thalia non seppe cose successe dentro di lei in quell’istante, ma la consapevolezza che Ashton aveva parlato di andare a casa sua e aveva usato il plurale, includendo quindi anche lei, la faceva sentire come non si era mai sentita prima. Era passata la mezzanotte e Ashton la stava invitando a casa sua. Improvvisamente, divenne nervosa al pensiero. Eppure, si sentiva anche felicemente strana.
«Ma la tua moto...»
«Me l’hai già riportata una volta, no?»
«Sei sicura di non voler venire con noi?» chiese Luke, stavolta rivolto esclusivamente a Thalia. Lei trovò il coraggio di dire che sì, era sicurissima, e che si fidava ciecamente di Ashton. Abbastanza da passare la notte a casa sua.
Allora Luke e Calum erano saliti di nuovo in macchina e si erano lasciati alle spalle quel parco, mentre adesso Thalia e Ashton camminavano mano nella mano verso casa di lui, che distava ormai non più di cinquanta metri.
Thalia mandò un messaggio a sua madre, dicendo che avrebbe passato la notte a casa di Luke, usando come scusa sempre la faccenda di Michael. Da un po’ di tempo, Thalia odiava mentire così ai suoi genitori. Però loro non sapevano ancora che la storia con Ashton fosse seria, e sua madre credeva ancora che fosse solo una cotta e nulla di più, ma Thalia, se avesse avuto veramente il coraggio di farlo, avrebbe gridato al mondo che non si poteva avere solo una cotta per Ashton Irwin, perché di lui ci si innamorava e basta.
«Siamo arrivati.» le sussurrò gentilmente Ashton. Thalia strinse la presa sulla sua mano e insieme salirono le scale della veranda, Ashton tirò fuori un paio di chiavi e aprì la porta. La casa era buia e silenziosa e Thalia si rese conto di non averla mai vista veramente.
«Non c’è nessuno?» chiese Thalia.
«Mia sorella e mio fratello che dormono, di sopra.» disse piano Ashton. Thalia ricordò che gliene aveva parlato, una volta. Sua sorella era più grande e aveva ventun anni, si chiamava Lauren e andava al college; suo fratello invece era più piccolo, Harry aveva solo otto anni.
«Vieni, andiamo in camera mia.» disse ancora il ragazzo. Prese Thalia per mano e salirono le scale che portavano al piano di sopra. La seconda porta a destra era la stanza di Ashton, quando accese la luce, vide ogni particolare: le pareti azzurrine, un letto a ridosso della parete di sinistra, una scrivania in legno chiaro su quella frontale, proprio sotto la finestra. Sulla parete opposta c’era una grande libreria che, oltre ai libri, conteneva anche CD e mille altre cianfrusaglie. Attaccati alle pareti c’erano diversi fogli e diverse fotografie. Sul comodino c’era una cornice rivolta verso il basso e Thalia non ebbe il coraggio di chiedere ad Ashton perché la tenesse in quel modo o cosa raffigurasse.
«Hey» Ashton le accarezzò la guancia e cercò di capire cose stesse succedendo a Thalia. «Va tutto bene?»
«No» rispose secca la ragazza, forse usò un tono troppo tagliente perchè quando guardò Ashton negli occhi, lo vide ferito. «Tutta questa storia mi spaventa da morire, Ashton.»
«Cos’è che ti spaventa?» Ashton si mise seduto sul letto e Thalia lo imitò.
«Che Michael è sempre stato una persona normalissima. Lo conosco da quando sono arrivata qui a Sydney. È il migliore amico di Luke e Calum. È simpatico, divertente, solare. Eppure... eppure, si è andato a ficcare in questo casino e questa cosa mi fa pensare.» disse Thalia, tirandosi indietro i capelli.
«Non ti capisco.» disse Ashton.
«Quello che voglio dire è che poteva succedere a chiunque. Luke mi ha detto che forse ha cominciato a farsi perché è ancora scosso dall’abbandono del padre, anche se lo picchiava, ma...»
«Sarebbe potuto succedere anche a me? È questo quello a cui volevi arrivare?» Il tono di Ashton s’indurì e Thalia ebbe paura a guardarlo negli occhi. Non voleva discutere, non a quell’ora, non in casa sua. Però sì, era proprio quello il fine del suo discorso, ma Ashton non pareva averla presa bene.
«Ashton...» tentò Thalia, alzandosi dal letto, ma lui l’aveva già preceduta e adesso era di fronte a lei.
«Se non credi in me non è un mio problema.»
«Non sto dicendo questo.»
«Credere che qualcuno possa finire nel giro della droga è non avere fiducia.»
«Tutti ci fidavamo di Michael ma lui ci è finito dentro lo stesso.»
«Io non sono Michael!»
«Ma la morte di Lilian è stata una cosa ben peggiore del padre di Michael che cambia Stato!»
Ci fu silenzio. Ashton la guardava con gli occhi spalancati, come se Thalia avesse appena lanciato una bomba, e ogni secondo che passava, la miccia si consumava e la bomba si avvicinava all’esplosione. Entrambi respiravano silenziosamente e si guardavano come se il mondo stesse per finire da un momento all’altro.
«Non credo proprio. Tu non sai cosa è peggio e cosa no, per quanto ne so, non hai mai provato nessuna delle due cose.» sibilò Ashton.
«Mi stai accusando di non avere una vita che va a rotoli?» domandò Thalia, incrociando le braccia.
«Cosa hai detto?» mormorò Ashton, sembrava furente. Thalia riconobbe il suo sguardo, era lo sguardo tipico di chi, se avesse avuto qualcosa sotto mano, non avrebbe esitato a lanciarlo.
«Io...» iniziò Thalia, rendendosi conto di non avere nessuna parola da dire. Aveva detto la cosa sbagliata e non sapeva come tirarsene fuori. Era la prima volta che nominava Lilian e la sua morte, era la prima volta che parlava senza pensare, presa soltanto dall’agitazione del momento.
«Credo che tu non possa restare qui.»
Un rumore di ghiaia che scricchiolava provenne dalla finestra aperta della stanza di Ashton, con la coda dell’occhio Thalia vide Luke scendere dalla moto di Ashton e Calum al posto di guida della macchina del biondo.
«Hai ragione, non posso restare. Non ho tempo da perdere nel cercare di farti ragionare.» mormorò lei, afferrò la borsa da sopra la scrivania di Ashton e uscì dalla stanza, corse per le scale, uscì di casa e si ritrovò sul vialetto, dove Luke stava per risalire in macchina.
Quando la vide, aggrottò le sopracciglia. Thalia stava facendo di tutto per non piangere.
«Thalia...» mormorò il ragazzo, visibilmente confuso.
Allora Thalia si fiondò tra le braccia di Luke e scoppiò in lacrime. «Portami a casa, Luke.» singhiozzò contro la sua maglietta nera.
«È successo qualcosa? Ashton ti ha fatto qualcosa?» chiese lui, stringendola forte.
Thalia scosse la testa, incapace di fare altro. «Portami a casa e basta.»
 
 
«Starò via per una settimana, mamma ha detto che c’è un centro di recupero qui a Sydney, sono bravi e... il mio caso non è tanto grave, è da poco tempo che... insomma, lo sapete. Quindi devo stare una settimana lì per dei controlli e se la terapia va bene, posso continuarla qui a casa e ritornare a comportarmi come una persona normale.» La voce di Michael era a tratti assente, come se stesse recitando a memoria un copione. Luke sospirò, l’importante era riaverlo lì e non a girare per la città senza un posto dove stare. Michael non aveva voluto dirgli cosa era successo quella notte, quando l’avevano ritrovato, forse nemmeno se lo ricordava ed era meglio così. Aveva l’impulso di chiedergli chi fosse Shailene K., la ragazza dei messaggi, probabilmente quella che l’aveva introdotto nel giro. Nonostante la sua enorme curiosità, Luke rimase in silenzio, se Michael avesse voluto dirglielo, lo avrebbe fatto di sua spontanea volontà.
«E poi, le visite sono aperte tutti i giorni dalle nove alle tre del pomeriggio, tranne il sabato che sono solo di pomeriggio, dalle tre alle sette.» aggiunse ancora Michael.
Nella stanza, oltre a lui c’erano Calum, Luke ed Ashton. Luke aveva provato a chiamare anche Thalia, ma teneva il cellulare spento. Forse lo teneva spento di proposito, forse non voleva che una persona in particolare la chiamasse. Luke non sapeva ancora cosa fosse successo di preciso tra lei e Ashton, non aveva ancora avuto l’occasione di parlare con lei faccia a faccia e farselo raccontare, come ai vecchi tempi. Come quando c’erano solo Luke e Thalia e non c’erano ragazzi di mezzo. Come quando Calum ancora non lo considerava sotto quell’aspetto, e quando Thalia non era ancora caduta ai piedi di Ashton.
Per un certo verso, era meglio che fosse così. Tornare alle origini a volte non può che far bene, ma Luke nutriva uno strano nervosismo. Non voleva un ritorno alle origini con Thalia che stava male.
«Saremo sempre lì a romperti, sia chiaro, non avrai pace!» scherzò Luke, beccandosi di conseguenza un cuscino in faccia.
«Ti rivogliamo più carico di prima, Mike, un chitarrista come te non lo troviamo mica tutti i giorni.» disse Calum, e Michael sorrise un po’ timidamente. Da quando erano tornati a casa, sembrava sempre perso nel suo mondo. Camminava sulle nuvole e non si rendeva conto che sotto di lui c’era un mondo in fermento, che gli urlava di ritornare giù e di non staccare più i piedi dalla terra, perché non si può volare senza correre il rischio di cadere.
«Sul serio, senza di te i 5 Seconds of Summer non esistono, né ora né mai.» disse Ashton.
«Mi darò da fare mentre sono lì...» mormorò piano il Michael, adesso aveva smesso di recitare e stava dando voce ai propri pensieri. «Magari riesco a buttare giù qualche verso. Non vi preoccupate per me, starò bene.»
Michael ripensò a Lene e a come gli aveva urlato di andarsene. La sua testa continuava a dirgli che l’aveva fatto per il suo bene, ma allora perché non era venuta con lui? Perché non avevano abbandonato Bobby e gli altri e non avevano corso a perdifiato fino all’uscita del parco?
Lene l’aveva abbandonato, non c’era da rimuginarci sopra. L’aveva ingannato, l’aveva baciato, gli aveva fatto credere che tra di loro esistesse un legame di forte intesa, un reciproco bisogno. Michael credeva che grazie a lui Lene fosse cambiata rispetto a come era prima: lo vedeva nella confusione nei suoi occhi e nell’incertezza dei suoi gesti, l’incertezza di chi fa qualcosa per la prima volta. Ripensò alla notte precedente. Stava arrivando la polizia, se solo fosse stato un po’ più lucido, avrebbe potuto prendere Lene per mano e scappare insieme a lei. I suoi amici li avrebbero trovati entrambi e allora Michael avrebbe riportato Lene a casa. Avrebbero potuto farcela insieme, avrebbero potuto uscirne e vivere la vita di due ragazzi normali, avrebbero potuto essere felici.
Ma Lene l’aveva lasciato andare e non si era più fatta sentire. Non una chiamata, non un messaggio. Era sparita nel nulla, schizzata via come un foglia d’autunno, trasportata dal vento per chilometri e chilometri, fino a ritrovarsi sperduta in un posto sconosciuto.
Lene era scappata dalle dita di Michael come un palloncino che un bambino lascia andare erroneamente, ed era andata via, era volata in alto e Michael non sapeva che fine potesse aver fatto. Una parte di lui aveva l’impulso di uscire a cercarla per tutta la città, di urlare a perdifiato il suo nome nella speranza che lei uscisse dal suo nascondiglio e gli dicesse che andava tutto bene, l’altra parte gli diceva di lasciar perdere: se Lene avesse voluto farsi trovare, l’avrebbe fatto, in un modo o nell’altro. Gli avrebbe lanciato dei segnali, come era solita fare. Ma qualcosa, in quel momento, diceva a Michael che Lene non voleva farsi trovare da nessuno, specialmente da lui.
 
 

 
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Angolo di Marianne
Prima di trasformare questo Angolo Autrice in qualcosa di serio, vorrei esprimere tutto il mio amore per Ashton e cantargli un "Happy Birthday" di gruppo. Avete cantato? Bene, se volete ora potete deprimervi con me perché... my babe's not a teen anymoreee çwç *si rotola piangendo*
Ora passiamo a fare le persone serie.
Sì.
Dunque, sarò sincera con voi perché vi voglio bene, ho pianto. Vi giuro, quel cazzo di litigio è durato due minuti, ma ho pianto. AAAAAAAAAAAH çWç I miei Thashton. Non dovevate farmelo fare, perché prendete il controllo di colei che vi ha creati? Opportunisti. Ecco cosa siete.
La smetto di parlare con i miei personaggi che è meglio, ho paura di ricevere pomodori e rastrelli in testa. Soprattutto perché ora Michael ha acceso il cervello e, come tutti noi, si è chiesto: "Se mi ha detto di scappare perché c'era la polizia, perchè non è venuta con me?" ZAAN. Eh... perché? Lo scopriremo nei prossimi episodi, cioè non so quando. Perdonate lo sclero, ma ho Tumblr invaso da Ashton che ha 20 anni e i One Direction bagnati ieri a Torino, non sto bene :))
Ringrazio come sempre chi ha recensito lo scorso capitolo: Jade_Horan, DarkAngel1, ashton_irwin94, mahoneismyhero, shakjra, Aletta_JJ, Annachiara99, SkyscraperWrites, Winter_Is_Coming e Fraye95. Siete dolcissime e io non me lo merito ♥

Ditemi cosa ne pensate e a presto! Nel prossimo capitolo dovrei fare una stima di quanti capitoli ci saranno ancora, più o meno. Comunque non moltissimi çwç Stay tuned!
Baci.

Marianne




 
 


 

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Capitolo 21
*** It's time ***


 
 

 
Capitolo 20
 
  
 
 
«Don’t you understand? I’m never changing who I am.»
(Imagine Dragons – It’s time)
 
Era dalla notte di Capodanno che Thalia non metteva piede fuori di casa. Erano passati otto giorni e non sentiva Luke da quella notte stessa, quando l’aveva riaccompagnata a casa in lacrime. Non sentiva nessuno, a dir la verità. Era l’ottavo giorno che passava in pigiama, con i capelli arruffati, senza trucco e una perenne scatola di gelato tra le braccia. Aveva confessato tutto a sua madre: di Ashton, del fatto che stavano più o meno insieme, della litigata e lei le aveva detto che non era mai stata così male per un ragazzo, nemmeno per quel Jeremy Steel, e allora Thalia aveva risposto che era stata lei a lasciare Jeremy e non il contrario.
«Alla tua età una lite con il fidanzato sembra la fine del mondo» le aveva detto sua madre. «Ma ci sono cose ben peggiori di questa, Thalia. Litigi che non si risolvono mai, perdere qualcuno di importante, faccende davvero serie. Goditi la tua adolescenza finché puoi, quando si diventa adulti le cose sono tutte più difficili.»
Ma Ashton le conosce tutte queste cose, mamma, lui le cose da adulti le sta già vivendo, avrebbe voluto rispondere Thalia.
Ancora non riusciva a credere che Ashton l’avesse lasciata. Insomma, era stato tutto molto confuso, avevano passato cinque minuti ad urlarsi addosso e poi lui le aveva detto di andarsene, il che equivaleva all’essere lasciati. Fortunatamente, Luke aveva riportato la moto al momento giusto, altrimenti sarebbe rimasta seduta sulla veranda finché non avrebbero cominciato a passare gli autobus.
Erano le tre del pomeriggio e Thalia si era appena piazzata di fronte al televisore con la sua fidata vaschetta di gelato che da giorni era la sua unica amica e aveva tutta l’intenzione di vedersi un film senza storie d’amore, magari con tanto sangue e tante risse. Fu allora che suonò il campanello e che Thalia lo ignorò bellamente, lasciando che sua madre andasse ad aprire.
«Thalia, c’è Luke!» esclamò sua madre dall’ingresso. Thalia posò la vaschetta di gelato sul tavolino e andò a recuperare il suo migliore amico, sottraendolo alla marea di domande che sua madre gli stava probabilmente facendo.
«Hey!» esclamò lui, vedendola. «Stai... un vero schifo.»
«Grazie ancora per la tua sconfinata gentilezza, Luke, hai il tatto di un ippopotamo.» sbuffò lei, buttandosi di nuovo su un divano.
«Abbiamo cominciato a dirci la verità da quando ci siamo incontrati, quindi adesso ascoltami» iniziò Luke, mettendosi seduto accanto a lei. «Non puoi stare così per un ragazzo, va bene? Sei Thalia Reed, maledizione! Ridi sempre, ovunque tu vada le persone diventano felici, hai una specie di super-potere che aiuta le persone, se fossimo in un fantasy probabilmente saresti la fata, o la maga o  non-so-che-ente-sovrannaturale della gioia e della felicità, quindi io ti ordino di alzarti da questo divano e smettere di essere depressa, perché nessuno, tantomeno Ashton Irwin, può ridurti in questo stato da casalinga cronica, sono stato chiaro?»
Thalia guardò Luke con un sopracciglio alzato e, per tutta risposta, accese il televisore e affondò il cucchiaio nel gelato, senza fiatare.
«A quanto pare no...» sospirò il ragazzo, abbandonandosi sullo schienale del divano.
«L’hai studiato questo discorso prima di venire qui?» domandò Thalia.
Luke avvampò e rimase in silenzio, prendendo il telecomando e cominciando a fare zapping.
«Vediamoci un film, magari ti distrae.» disse.
«È quello che stavo per fare.»
Incapparono in un film iniziato da circa dieci minuti, sembrava allegro e la scena che stavano vedendo mostrava una festa in riva al lago con tanta musica. Luke lesse la trama e preferì non averlo fatto.
Prima che potesse cambiare canale, Thalia lesse le prima riga tutte d’un fiato. «Richard è un batterista senza band, squattrinato e vive in un monolocale di New York in cerca di fortuna...» Poi sospirò e Luke si preparò al peggio. «Davvero, un film su un batterista era proprio quello che mi ci voleva!» esclamò, prese il cucchiaio pieno di gelato e se lo infilò in bocca.
«Okay, niente film» sospirò Luke. «Vado a prenderti il gelato alla fragola, è il tuo preferito.»
«È anche il suo!» piagnucolò Thalia, portandosi le ginocchia al petto.
«Vuoi dirmi cos’è successo con esattezza?» chiese Luke.
Thalia sospirò e posò il gelato. «Quando eravamo a casa sua, gli ho detto che quello che è successo a Michael poteva succedere a chiunque, lui compreso, soprattutto perché... sai, quando si attraversa un periodo difficile queste cose possono succedere. E lui si è arrabbiato, e io che sono ancora più testarda ho continuato a parlare finché non ho sganciato la bomba; la bomba è esplosa e mi ha praticamente cacciata di casa e... e poi c’eri tu.» disse Thalia a bassa voce e velocemente, dicendosi che non soffermandocisi troppo avrebbe fatto meno male. «Quindi la colpa è di entrambi e non sarò io a chiedere scusa, almeno non per prima.»
«Lasciamo perdere, sono qui per darti due bellissime notizie.» disse Luke, cercando di cambiare discorso.
«Cosa?»
«Qualche giorno fa ci hanno chiamati per un provino, Michael ha finito ieri la settimana di riabilitazione e quindi ora è di nuovo tra noi.»
«Luke, ma... è fantastico! E quando sarebbe questo provino?»
«Tra due ore e mezza.»
«Stai scherzando.»
«No, per questo adesso fili in bagno e ti rendi presentabile.» Luke la prese per entrambe le mani e la tirò su dal divano.
«Non posso...» mormorò Thalia, opponendo resistenza, ma Luke era più forte di lei e la tirò su con pochissimo sforzo.
«E perché?» chiese Luke.
«Ci sarà anche lui.» rispose lei, guardandosi le pantofole colorate. Sentì Luke sospirare perché non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi. Lo stava deludendo e lo sentiva, quel provino era l’occasione più importante della sua vita e lei non voleva andarci per paura di incontrare Ashton.
«Vieni per me. Le cose con Ashton si risolveranno, ma oggi tu vieni per me. Ti prego» iniziò Luke, prendendole le mani. «Sei la mia migliore amica e voglio avere un appiglio per quando stonerò come una campana.»
«Non stonerai, Lukey...»
«Se non vieni non potrai mai saperlo.»
Thalia sorrise. «Aspetta qui e vediti pure il film sul batterista squattrinato. Proverò ad essere veloce.» Detto questo, Luke sorrise soddisfatto e Thalia scomparve per le scale.
 
«Qual è la seconda cosa che dovevi dirmi, Luke?» chiese Thalia mentre le portiere dell’autobus si aprivano automaticamente. Il luogo del provino era dall’altra parte della città, in un quartiere che Thalia conosceva molto bene, lo stesso quartiere dal quale era scappata la notte di Capodanno.
«Che cosa?» chiese a sua volta il ragazzo, confuso.
«A casa mia mi hai detto che dovevi darmi due notizie. La prima era quella del provino, e le seconda?»
«Oh! Be’, alla festa di Emily è successa una cosa...» iniziò il ragazzo, mettendosi le mani in tasca. L’edificio che dovevano raggiungere distava qualche isolato dalla fermata in cui l’autobus li aveva scaricati. Sarebbero stati al massimo cinque di camminata e Luke avrebbe avuto tutto il tempo di spiegare per filo e per segno quello che era successo alla festa, però si limitò ad andare direttamente al punto interessante della situazione. «Calum mi ha baciato. Credo, forse sono stato io a baciare lui... no, quello è stato la seconda volta. All’inizio mi ha baciato decisamente lui.»
«Aspetta, cosa?» esclamò Thalia con gli occhi spalancati.
«Io e Calum ci siamo baciati.» riaffermò Luke.
«E me lo dici così su due piedi? Oh, Luke! È una cosa fantastica! E poi tu lo hai baciato ancora? Insomma, ci è stato. Non era ubriaco, lui voleva farlo e... Luke, dovresti essere felice!» gridò la ragazza, non curandosi di trovarsi per strada. Qualche signora le lanciò uno sguardo carico di disapprovazione.
«Io sono felice.» disse Luke.
«Non mi sembra.» rispose lei, dandogli una gomitata.
«Solo che non sono un pazzo isterico come te, e soprattutto, non sono una femmina.» Il ragazzo rise piano, scompigliando i capelli castani di Thalia.
«Cosa vorresti insinuare?» brontolò Thalia, incrociando le braccia al petto.
E Luke non ebbe il tempo di rispondere, perché erano arrivati davanti ad un edificio di almeno otto piani, e davanti l’entrata c’erano gli altri ragazzi. C’erano davvero tutti. Tutti e tre, e Thalia si ritrovò a stringere forte la mano di Luke quando il suo sguardo si posò su Ashton che, con un cappellino in testa nonostante fosse estate e le mani nelle tasche dei jeans, faceva di tutto per di guardare a terra e non alzare lo sguardo. Perché sapeva benissimo cosa sarebbe successo se l’avesse fatto. Avrebbe incontrato quegli occhi uguali ai suoi che, esattamente come i suoi, esprimevano le stesse emozioni e le stesse paure. Brillavano allo stesso modo e cambiavano nello stesso istante. E non aveva paura di guardare Thalia negli occhi a causa quello che era successo, aveva paura di guardarla per timore di ritrovarsi a guardare se stesso con gli occhi di lei, e aveva paura di vedere qualcosa di cattivo, di meschino. Qualcosa di distrutto perché qualcuno gli aveva tolto l’unica cosa che lo faceva stare bene, e qualcosa di impossibile perché alla sua distruzione ci era arrivato con le sue stesse mani.
«Finalmente siete arrivati!» esclamò Calum ad alta voce. Luke guardò Thalia che aveva assunto un colorito cadaverico, lei lasciò la mano del ragazzo e accelerò il passo.
«Siete pronti?» chiese Thalia, cercando di calmarsi un pochino. La presenza di Ashton a pochissimi metri da lei la innervosiva. E se le avesse parlato? Cosa avrebbe dovuto fare Thalia? Lo sapeva che, in parte, era stata colpa sua, ma la testardaggine di Ashton aveva fatto il resto. Lui non aveva voluto sentire altre ragioni, si era semplicemente offeso, e Thalia non aveva alcuna intenzione di chiedere scusa per prima. Se Ashton poteva agire d’impulso a causa del suo orgoglio, lei poteva non scusarsi proprio per lo stesso orgoglio che li aveva portati a tutto quello.
«Mai stati così pronti in vita nostra, vero ragazzi?» rispose Michael, tutti gli altri annuirono convinti, Luke e Calum si diedero il cinque, rivolgendosi uno sguardo complice.
A quel punto, Thalia si mise in mezzo ai due, appoggiando un braccio sulle spalle di Calum e uno su quelle di Luke, allora entrarono, e mentre Thalia rideva e scherzava con Luke e con il “non-so-ancora-cosa” del suo migliore amico, cercava di non pensare alla strana sensazione che sentiva alla base della schiena. La sensazione di essere osservata.
 
Il provino era andato alla grande. Luke non aveva stonato e nessuno di loro aveva avuto la minima esitazione nonostante degli occhi estranei li stessero giudicando. Thalia aveva osservato tutto da dietro la porta, perché non l’avevano fatta entrare ad assistere. E nonostante avesse una gran voglia di dire a Luke che, alla fin fine, non era necessario che venisse, non disse niente e si limitò a guardare il sorriso felice sul volto dei suoi amici quando le avevano detto che era filato tutto liscio.
Aveva sorriso anche lei quando Luke l’aveva presa in braccio all’improvviso e l’aveva portata fino all’uscita dell’edificio, rimettendola a terra solo quando furono tutti e cinque sul marciapiede. E aveva cercato lo sguardo di Ashton tra quelle risate rumorose, trovandolo di nuovo rivolto da qualche altra parte. Infine, si fermò sul posto, credendo di non poter respirare, quando proprio Ashton disse: «Andiamo  tutti da me a festeggiare, abito qui vicino!»
Non credeva di essere capace di poter rimettere piede in quella casa, non dopo quello che era successo.
Ma Thalia non ebbe voce in capitolo perché non disse niente, si limitò a seguire Luke e a cercare di parlargli, gli disse che voleva tornare a casa, ma lui le fece notare che quello sarebbe stato un comportamento infantile. Thalia allora si sentì in colpa, perché era come se non fosse contenta del successo dei ragazzi, allora si limitò a sospirare e a continuare a camminare, chiacchierando talvolta con Michael, talvolta con Calum, ma mai con Ashton. Pensò che era stato proprio a causa del suo essere infantile che aveva finito per litigare con Ashton, fu per questo che si fece forze e decise di comportarsi da persona matura e razionale: avrebbe passato qualche ora con i suoi amici a ridere, scherzare e ad essere felice per loro. Rovinarsi tutto solo a causa di un paio di occhi che voleva guardare ma che voleva evitare allo stesso tempo non era un comportamento maturo e razionale.
Arrivati a casa di Ashton, si mise seduta sul divano accanto a Luke, proprio davanti ad Ashton. L’universo ce l’aveva con lei, poco ma sicuro. Dopo circa un quarto d’ora in cui le avevano raccontato tutto il provino per filo e per segno, Thalia decise di andare in bagno, perché sentiva uno sguardo su di sé, e quando spostava gli occhi sulla fonte di quello sguardo, lo trovava sempre rivolto da qualche altra parte.
Dopo che si fu chiusa la porta del bagno, Luke guardò Calum con uno sguardo complice e «Ashton, hai qualcosa da bere per caso?» chiese il moro.
«Niente alcolici.» precisò Michael.
«Dovrei avere dei succhi di frutta in cucina, vado a vedere.» rispose il diretto interessato, sparendo per il corridoio. Trenta secondi dopo, Thalia uscì dal bagno e fece per avvicinarsi al divano.
«Thalia, mi fai un favore? Ti prego.» esclamò Luke, per poi abbassare il tono di voce. «Ho lasciato il telefono sul tavolo della cucina, puoi andarlo a prendere già che sei in piedi?»
Thalia annuì confusa, non ricordando che Luke si fosse mai alzato da quel divano, e svoltò in direzione della cucina. Fu allora che Calum e Luke si alzarono contemporaneamente e si avviarono verso la cucina con passo felpato, non riuscendo nemmeno a sentire Michael dire «Siete da rinchiudere.» mentre cercava di trattenere una risata.
Aspettarono che Thalia fu entrata nella stessa stanza di Ashton, poi Calum chiuse la porta e fece scattare immediatamente la serratura, infilandosi la chiave in tasca. Si diedero il cinque e Luke, qualche minuto dopo, cercò di ignorare la voce di Thalia che con un tono molto minaccioso urlava qualcosa a proposito di microfoni infilati in posti molto improbabili.
 

 
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Angolo di Marianne
Eccomi qui, con un capitolo che fa schifo, totalmente di passaggio, SENZA ALCUNA LOGICA. Mi odio per averlo scritto, ma era necessario.  L'unica parte che mi piace, se così si può dire, è quando Luke prova a fare il suo discorso sui fantasy e sulle fate della felicità, poi mi sono resa conto che gli ho trasmesso la mia demenza. Scusa, Lukey.
Vi giuro che il prossimo sarà un capitolo come si deve. Ritorneremo al nostro caro vecchio fluff, al nostro caro e amato angst e a tutte le cose mescolate che avete visto finora. 
Cielo, per parlare così questo capitolo deve farmi davvero schifo. Non avrei voluto che uscisse così, insomma, nella mia testa Calum e Luke che li rinchiudono in cucina aveva un'accezione molto più figa, ma pazienza.
Ora, come vi avevo promesso, ho una scaletta ufficiale dei capitoli e il numero esatto. 24, più l'epilogo, ovviamente. Calcolando che questo è il 20, scriverò solo altri 4 capitoli + 1 prima della fine di questa storia D:
Mi viene da piangere.
So che per rimanere solo quattro capitoli ci sono troppe questioni da risolvere: il litigoio, Ashton, i Cake, Michael e Lene, ma non vi preoccupate, HO TUTTO SOTTO CONTROLLO :D
Finisco di fare la demente e ringrazio davvero di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo: DarkAngel1, Winter_Is_Coming, ashton_irwin94, Annachiara99, Aletta_JJ, xitsmaj, Silversa, Jade_Horan, _Lautwart_Licantropa_ e mahoneismyhero siete tutte dolcissime e mi fate nascere un sorriso sul volto ogni volta che vi leggo, sul serio. Grazie, senza di voi non esisterebbe questa storia ♥
Spero di poter aggiornare presto.
Baci,
Marianne





 
 


 

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Capitolo 22
*** I'm lost without you ***


 
 

 
Capitolo 21
 
 
«Are you afraid of being alone? ‘Cause I am, I’m lost without you.»
(Blink 182 – I’m lost without you)
 
Thalia abbatté i pugni sul legno della porta della cucina, smaniando come non mai, in attesa che Luke, impietosendosi o magari avendo paura di lei, aprisse quella serratura.
«Non è affatto divertente, apri immediatamente la porta! Poi sarei io quella infantile, Luke? Io queste cose le facevo all’asilo!» urlò Thalia per l’ennesima volta, ormai con la guancia e l’orecchio premuti sulla porta, in attesa di un miracolo.
«Avevi una mente così diabolica da chiudere due persone in una stanza finché non facevano pace?» chiese Ashton scioccato. Thalia si limitò a guardarlo storto e a sbuffare. «Perché in tal caso, adesso siamo io, te e due succhi di frutta.»
«Quel succo all’ananas sembra essere davvero molto socievole.» disse la ragazza con finto entusiasmo.
«Non era divertente.» osservò Ashton.
«Tutto questo non è divertente a prescindere» ribatté Thalia e poi sospirò, staccandosi dalla porta e sedendosi al tavolo davanti ad Ashton. Prese il succo di frutta e ne bevve metà tutto d’un sorso. «Quindi non ci faranno uscire finché non facciamo pace?»
«Allora ammetti che abbiamo litigato.»
«Non è forse così?»
«Sì» rispose Ashton. «Solo che sentirselo dire fa più male di quanto avessi immaginato.»
Thalia abbassò lo sguardo, perché nella sua testa vorticavano così tante domande e c’era così tanto nervosismo contemporaneamente che, se avesse incontrato quello di Ashton, probabilmente sarebbe crollata e sarebbe scoppiata a piangere per poi chiedergli scusa e pregarlo di tornare come prima, ma aveva ancora una dignità e un orgoglio da difendere, ragion per cui si limitò a stringere la bottiglietta di succo finché le nocche delle dita non divennero bianche per lo sforzo.
«So che non avrei dovuto dire quello che ho detto: ero sconvolta e non ho pensato. Ho parlato senza nemmeno riflettere un momento, e per questo volevo dirti che...» iniziò Thalia, andando contro ogni suo ideale, ma Ashton le impedì di finire la frase.
«Mi dispiace.» disse a voce abbastanza alta per sovrastare Thalia.
«Anche a me.» aggiunse lei, sospirando.
«Il fatto è che siamo uguali e quindi abbiamo la stessa testa dura da non scusarci per primi...»
«E hai ben pensato di scusarti mentre lo stavo facendo io?»
«Non vorremmo litigare anche per questo, vero?»
A Thalia scappò una risata divertita. Appoggiò il mento sui palmi delle mani e si permise di guardarlo negli occhi: era bello come ricordava e le era mancato da morire potersi perdere negli occhi di Ashton. Lo guardò per un’eternità, ma riscoprì che fu solo per pochi secondi, poi finì definitivamente quel che rimaneva nel suo succo e cercò di dire qualsiasi cosa, perché quel silenzio stava diventando un po’ imbarazzante e troppo imprevedibile. Ashton avrebbe potuto fare qualsiasi cosa e lei non avrebbe avuto la più pallida idea di come reagire e di come comportarsi. Allora, notando che anche lui aveva finito il suo succo, prese entrambe le bottigliette di vetro e si alzò, dirigendosi verso il lavandino per sciacquarle. Almeno avrebbe fatto qualcosa di utile e che le impegnasse la mente.
«Non avrei dovuto mandarti via, considerando che era l’una di notte e che se Luke non fosse stato lì... sai,  se ti fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonato.» disse Ashton.
Thalia sentì la sua sedia stridere contro il pavimento e capì che si era alzato.
«E io non avrei dovuto urlare tutte quelle cose così... brutte» rispose lei. «Ho creduto... di non essere più importante per te. Ho pensato di non essere alla tua altezza, come se dopo aver passato più due mesi insieme a me avessi capito come sopravvivere senza qualcuno che ti ama. Una volta ti avrei detto che nessuno si salva da solo, nemmeno tu, ma oggi, vederti così allegro e felice con gli altri mentre io ti guardavo di nascosto mi ha fatto sentire strana. Era come se ci fossi passato sopra, come se non avessi avuto più bisogno di me. Come se ormai fossi invincibile e pronto a salvarti senza l’aiuto di nessuno.»
L’acqua continuò a scorrere finché Ashton non ruotò la manopola, interrompendola. Thalia sentì il suo respiro sulla pelle, ma si convinse che si fosse avvicinato involontariamente solo per chiudere l’acqua.
Dovette ricredersi quando due braccia forti le cinsero la vita e quando sentì il petto di Ashton aderire completamente alla sua schiena, quando sentì il mento di lui appoggiarsi alla clavicola e quando sentì il suo cuore battere forte e all’impazzata contro le ossa.
«Non pensarlo mai più.» E le labbra di Ashton sfiorarono delicatamente la pelle di Thalia. Lei chiuse gli occhi, tremando: continuava a credere che tutto quello non fosse vero.
«Sei la mia luce in fondo al tunnel.» Un altro bacio, un altro brivido. «La mia bussola.» Ashton risalì sul collo di Thalia, a pochi centimetri dal suo lobo, poi staccò le labbra per un momento e le accostò all’orecchio di Thalia. Lei si sentì spingere contro il lavello e si rese conto che tutto quello stava succedendo per davvero e che sarebbe andata fuori di testa se non l’avesse baciato subito, ma le braccia di Ashton le impedivano di muoversi.
«Io sono perso senza di te.»
E fu un attimo fatale quello in cui Ashton allentò la presa sulla sua vita, perché Thalia si rigirò immediatamente, andando a sbattere la base della schiena contro il mobile della cucina, con le mani di Ashton che erano appoggiate delicatamente sui suoi fianchi, Thalia lo baciò come se non avesse dovuto fare altro per il resto della sua vita, come se il mondo le stesse crollando addosso e l’unico appiglio fossero le labbra di Ashton. Come se lui fosse la sua unica via di salvezza.
Le sue labbra erano soffici e morbide, sapevano di casa e capì che le erano mancate come l’ossigeno, tant’è che si chiese come avesse fatto a vivere senza per tutto quel tempo. Che era stato solo poco più di una settimana, ma che a lei era parso un tempo infinito, erano sembrati secoli e millenni, quei giorni che aveva passato senza Ashton.
Si alzò sulle punte e cercò di mettersi seduta sul piano della cucina, sulle labbra di Ashton nacque un sorriso spontaneo e divertito e lui l’aiutò a salirci sopra.
Thalia incrociò le gambe attorno al bacino di Ashton, e se dapprima il bacio era dolce e lento, quasi volesse chiedere scusa da sé, senza aver bisogno di parole, adesso si era trasformato in qualcosa di più impetuoso e bisognoso. Come se stessero urlando senza riuscire a farsi sentire. Le labbra di entrambi erano rosse per la foga e per i morsi, nessuno dei due riusciva a capire fino a dove fossero pronti a spingersi ma a nessuno dei due importava.
Tutto quello che esisteva era l’essersi finalmente ritrovati, perché forse se ne stavano accorgendo solo in quel momento, ma erano due metà che non potevano essere separate. Erano uguali e come tali non potevano allontanarsi perché avrebbero sempre sentito l’uno la mancanza dell’altro. Il mondo poteva anche dire che gli opposti si attraevano, ma Thalia era fermamente convinta che nulla si attraesse di più di loro due, in quel preciso istante. Le cose uguali potevano respingersi, ma avrebbero sempre ritrovato la strada per ricongiungersi.
E loro due l’avevano ritrovata, l’avevano percorsa e quando si erano riconosciuti in lontananza, avevamo cominciato a correre anche se la strada che li divideva ancora sembrava lunga chilometri. Avevano corso fino a non avere più fiato nei polmoni, come non lo avevano adesso, costretti a separarsi un attimo per non morire d’amore.
«Mi sei mancato così tanto.» sospirò Thalia, cercando di riprendere fiato. Non si mosse di un millimetro.
«Anche tu, mi sei mancata da morire.» Ashton appoggiò la fronte a quella di Thalia e le circondò il volto con le mani. Era bella e i suoi occhi brillavano di felicità pura e cristallina. Era come se non avesse mai conosciuto la sofferenza e Ashton voleva che rimanesse così. Ignara di quello che si provava quando succedeva un qualcosa di tragico.
«Okay, ragazzi. È un’ora che siete lì dentro, noi dobbiamo tornare a casa ed evidentemente il mio piano non ha funzionato―» la voce di Luke si fece più chiara quando la porta della cucina venne finalmente aperta. Solo che né Thalia né Ashton vi avevano fatto caso, e Luke era entrato in cucina insieme a Calum, trovandoli stretti in quel modo che suggeriva tutt’altro che una litigata.
«O forse sì...» mormorò Calum.
«Be’, noi andiamo. Ciao! Buon... proseguimento.» esclamò Michael, trascinando Luke fuori dalla stanza, mentre Calum scoppiava a ridere.
Ashton sorrise e salutò i suoi amici mentre Thalia sembrava aver perso l’uso della parola. Quando sentì la porta di casa chiudersi un po’ troppo forte, Ashton si rigirò verso Thalia e «Dove eravamo rimasti?»
«Credo che fossimo sul punto di andare di sopra.» rispose lei, giocando con i lembi della maglietta di Ashton.
«Risposta esatta.»
Thalia scese dal piano della cucina, ritornando con i piedi per terra, e non fece neanche in tempo a muovere un passo che Ashton l’aveva presa per mano e un momento dopo si ritrovarono a salire le scale cercando di non inciampare, a baciarsi contro il muro, contro la ringhiera. Arrivarono al piano di sopra e Thalia ricordò che la stanza di Ashton era la seconda porta a destra. Superata la prima, decise che la maglietta grigia che indossava lui era diventata un elemento superfluo, allora, sperando di essere il meno impacciata possibile – perché aveva sempre saputo che in quella situazione avrebbe fatto una grandissima figuraccia – cercò di toglierla e quando ci riuscì, dopo qualche risata, fu Ashton stesso a lanciarla da qualche parte in corridoio.
Aprì la porta e porta e la richiuse subito, Thalia si appoggiò al legno che era freddo al tatto e si lasciò baciare come una ragazza doveva essere baciata.
Si aggrappò ad Ashton con tutta se stessa, con il corpo e con l’anima. Sentì i polpastrelli di Ashton affondare nella pelle della schiena, c’era solo la canottiera azzurra di lei  a dividerlo da Thalia. La ragazza gli mise entrambe le mani sul petto e lo sentì caldo, sotto il suo tocco. Sentì il cuore di Ashton battere e giurò a se stessa che non avrebbe mai dimenticato quella sensazione. Lo spinse all’indietro, staccandosi dalla porta. Tenevano gli occhi chiusi, ma Ashton non si sorprese affatto quando si ritrovò catapultato sul suo letto, con i capelli di Thalia che gli facevano il solletico sul collo. Lei scoppiò a ridere, mentre cercava di tenersi sui palmi delle mani, ma Ashton la fece cadere sopra di sé e ribaltò le posizioni, sempre ridendo.
Thalia si ritrovò ad inspirare il profumo delle lenzuola, sapevano di pulito e di Ashton. Ricominciarono a baciarsi e il mondo sembrò svanire un’altra volta.
«Dov’è la tua famiglia?» chiese Thalia, sospirando.
«I miei sono a lavoro» rispose Ashton tra un bacio e l’altro. «Mia sorella è all’università e mio fratello è da mia nonna.»
«E quando ritorneranno tutti?» chiese ancora Thalia, immergendo le dita nei capelli di Ashton. Erano morbidi e soffici.
«Non prima delle otto.»
«Perfetto, allora.»
Ashton le baciò il collo e Thalia credette di morire. Erano sensazioni strane quanto belle, che non credeva avrebbe provato così presto, ma si disse che non importava, perché lei amava davvero Ashton, lo amava come non aveva mai amato nessuno altro, lo amava per la prima volta e si augurò di amarlo abbastanza. Di essere abbastanza per lui. E sperava che anche per lui fosse così.
«Ash...» ansimò Thalia, stringendolo a sé. Ashton si tirò su e Thalia lo seguì, mettendosi a sedere sul letto, senza staccare la labbra dalle sue. Senza nemmeno pensarci, si sfilò la canottiera azzurra, abbandonandola lì sul letto e abbracciò il ragazzo con tutte le forze che aveva. E mentre teneva il viso di Ashton tra le mani, sentì all’improvviso un freddo strano entrarle nelle ossa. Non sentiva freddo sulla pelle, lo sentiva dentro, era come un presentimento, una sensazione negativa che stava rovinando quel momento. Le braccia di Ashton smisero di circondarle la schiena e lei aprì gli occhi, cercando di capire cosa stesse succedendo.
Lo sguardo di Ashton era rivolto verso il pavimento, in più, lui aveva cominciato a respirare velocemente, come la notte di Capodanno sulla spiaggia, poco prima che Luke e Calum la chiamassero.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato? Ash, ti senti bene?» domandò preoccupata. Non era la prima volta che succedeva.
Ma stavolta, invece di dare una risposta affermativa e di rassicurarla, dicendole che stava bene e che non doveva preoccuparsi per lui, Ashton scosse la testa e nascose il proprio viso tra le mani.

 
 
 

 
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Angolo di Marianne
Salve! Ecco qui che i nostri due eroi fanno pace! Aww, questo capitolo mi piace -stranamente- quindi festeggiamo! Oddio, sto morendo di caldo..D: con una mano scrivo  con l'altra mi sventolo, credo che non sopravviverò a lungo. IERI DILUVIAVA °-°
Anyway, come avrete ben visto, tutto ciò che si avvicina al lime e all'arancione non fa per me. disse quella che ha scritto una os rossa  sui Muke. Taci, coscienza. Quindi mi scuso se quella parte, ovvero metà capitolo, è uscita male. A me soddisfa, ma preferisco di gran lunga la prima parte. E ora, si accettano scommesse... che è successo al nostro Ash? u__u
E adesso devo fare un discorsetto a voi.. 17 recensioni nell'ultimo capitolo *-* Io non so davvero che dire, mi stupite ogni volta di più e ogni volta io non posso che ringraziarvi. Mi rendete felice e mi fate credere sempre di più in quello che faccio, nella mia passione. So che esistono tantissime persone migliori di me, e se mai vorrò raggiungere il loro livello dovrò solo impegnarmi ed esercitarmi, ma grazie di cuore A VOI per tutte le bellissime parole che mi dite, a chi preferisce, ricorda, segue e a chi legge in silenzio siete tutti importantissimi per me. ♥
I ringraziamenti speciali vanno a: shakjra, Silversa, DarkAngel1, animanonimy, jessiesmile, ashton_irwin94, mahoneismyhero, cjnnamon, Annachiara99, sofiiita00, heronswift, xitsmaj, Jade_Horan. SkyscraperWrites, _Lautwart_Licantropa_ onesecondofdirection e Aletta_JJ
So che ci avviciniamo alla fine e che molti sono tristi - io in primis, credo che quando scriverò l'epilogo morirò - ma vi confesso che le storie troppo lunghe che tirano avanti addirittura fino ai 40 capitoli non mi sono mai piaciute troppo. :)
Un bacio enorme,
Marianne






 
 


 

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Capitolo 23
*** Uguale a lei ***


 
 

 
Capitolo 22
 
 
«Lei, la tua ragione, il tuo perchè, il centro del tuo vivere.»
(Laura Pausini – Uguale a lei)
 
 
Erano passati dieci minuti e Thalia non aveva ancora capito cosa fosse preso ad Ashton, gli accarezzava I capelli di tanto in tanto, per confortarlo, perchè non riusciva a fare nient’altro. Provò a chiedergli cosa fosse successo un paio di volte, ma lui non rispose mai. Solo quando Thalia sospirò e fece per alzarsi, Ashton diede segni di vita.
«Ti prego, non te ne andare.» mormorò, afferrandole il polso.
«Non me ne vado, recupero solo la mia maglietta.» gli sussurrò dolcemente, stringendogli forte la mano prima di lasciarla.
«Puoi metterne una mia, sono nel primo cassetto.» disse Ashton. Il suo tono di voce era assente, aveva la testa da tutt’altra parte e a Thalia sarebbe piaciuto capire dove. Gli sorrise e aprì il cassetto dell’armadio. Prese una maglietta a caso e se la infilò, era semplicemente nera, nessuna scritta o disegno.
Ritornò a sedersi sul letto e guardò Ashton negli occhi, adesso lo sguardo di lui era fisso su qualcosa alle spalle di Thalia, sul comodino. Lei si girò e vide solamente quella fotografia rivolta verso il basso. Allora si fece coraggio e allungò la mano, afferrandola, la rimise nella sua posizione originaria. C’era Ashton che sorrideva e abbracciava una ragazza minuta, aveva i capelli biondo scuro e le lentiggini sul viso. Anche lei sorrideva e indossava un vestito arancione, mentre Ashton una camicia bianca con la cravatta nera. Thalia non ci mise molto a capire chi fosse: Lilian. Deglutì e lasciò la foto rivolta verso l’alto, come era giusto che fosse. Poi si girò di nuovo verso Ashton, che adesso la guardava. Il suo sguardo era indecifrabile: Thalia non sapeva se fosse dispiaciuto, triste, impaurito o cos’altro.
«Era... era la sera del ballo?» chiese Thalia, spezzando quel silenzio malinconico che si era venuto a creare.
Ashton annuì, non aprì bocca e non sprecò fiato. Non riusciva a capire cosa sentisse in quel momento. Si odiava per essere così debole e in quel momento avrebbe voluto crollare, ma non l’avrebbe fatto, perché Thalia gli impediva di finire a terra. Era come se fosse le sue fondamenta e lui le era grato per questo.
«Era molto bella, sai?» continuò la ragazza, con il cuore in gola. Non sapeva cosa dire, tutti i suoi pensieri si annullavano. Thalia sapeva di non essere brava a confortare le persone, ma ci stava mettendo tutta se stessa per riuscirci. Non era gelosa e non era arrabbiata, era solo triste, perché vedere Ashton in quello stato le scavava una voragine incolmabile nel cuore.
«Sì» sospirò Ashton, non sapendo dove avesse trovato la forza di parlare. Si passò di nuovo una mano sul viso, per accertarsi di non aver pianto. «Mi dispiace.»
«Di cosa?» chiese Thalia.
«Di aver pensato di nuovo a lei, di essere stato di nuovo male, di non essere stato così forte come credevo... e mi dispiace perché è successo mentre stavamo... non sarebbe dovuto accadere in quel momento.» disse Ashton, gesticolando. Non riusciva ad esprimersi come avrebbe voluto, ma sperava che Thalia avesse capito.
Lei rimase in silenzio, cercando di capire cosa dire, e Ashton ricominciò a parlare.
«E quello che non sopporto è che mi sento in colpa. Mi sento in colpa perché ti amo. Ti amo da morire, Thalia, ma mi sembra di tradire la fiducia di Lilian in qualche modo. E so che non dovrei, ma non ci riesco.»
«Non devi sentirti così. Credo sia normale... lo supereremo insieme, comunque. Te lo prometto, Ash» disse Thalia, accarezzandogli la guancia. «Avremo tutto il tempo per amarci, ora pensiamo a risolvere i problemi, va bene?»
Ashton annuì e incurvò le labbra in quello che doveva essere un sorriso, Thalia gli si avvicinò e lui poggiò le labbra sulle sue e rimasero così per un tempo indefinibile. Non si baciarono sul serio, rimasero solo a sfiorarsi delicatamente le labbra.
«Vado a prenderti un po’ d’acqua.» disse Thalia, alzandosi dal letto.
«Grazie.» le rispose lui.
Thalia uscì dalla stanza rivolgendogli un sorriso, poi si avventurò per le scale e si lasciò sfuggire quel sospiro distrutto che tratteneva da troppo tempo. Stare con Ashton era complicato, ma Thalia amava le sfide. Mostrarsi forte quando non lo si era affatto era complicato, ma se Thalia non l’avesse fatto, Ashton sarebbe crollato di nuovo. L’unica cosa di cui lui aveva bisogno era qualcosa su cui contare, su cui appoggiarsi per non rischiare di cadere, e se Thalia non fosse stata forte per entrambi, sarebbe stato tutto inutile. Ma Thalia era una persona buona ed altruista, e come tale avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di veder star bene le persone che amava.
Entrò in cucina e cercò di ricordarsi dove fossero i bicchieri, mentre mentiva a se stessa dicendosi di stare bene. La verità è che stava male per Ashton e non sapeva fino a quanto avrebbe resistito.
Versò un po’ d’acqua fresca nel bicchiere e rimise la bottiglia in frigorifero. Uscendo dalla cucina, per poco con si scontrò con u e rovesciò l’acqua addosso ad una ragazza un po’ più alta di lei.
La ragazza aveva i capelli ricci e arruffati come quelli di Ashton, però ce li aveva più scuri di lui. Indossava un paio di occhiali da vista sul naso e aveva in spalla una borsa che sembrava piena di libri. Thalia non trovò un nome da associarle né un’identità. In quel momento non le importava poi così tanto sapere chi fosse.
«Scusa!» esclamò Thalia, stringendo il bicchiere al petto.
«Tu devi essere Thalia.» disse la ragazza, facendo un passo indietro per far uscire Thalia dalla cucina. Lanciò la borsa del libri sul divano.
«Sì.» rispose Thalia con circospezione. Avrebbe voluto chiederle chi fosse, ma le sembrava scortese. Poi le venne in mente che una volta Ashton le aveva detto di avere una sorella più grande di nome Lauren che studiava all’università e Thalia trovò improvvisamente la risposta alle sue domande.
«Ashton a volte parla di te» disse Lauren. Thalia fece una strana espressione, molto confusa, tant’è che Lauren riprese di nuovo il discorso. «Non te lo aspettavi?»
Thalia scosse la testa. Ashton che raccontava di lei alla sua famiglia era l’ultima cosa che si era aspettata, forse perché lei per prima non lo faceva con la sua. Non aveva mai detto apertamente ai suoi genitori di avere un ragazzo, e sua madre era venuta a saperlo solo dopo che avevano litigato, per riuscire a consolarla appena un po’. Thalia non riteneva che le sue relazioni potessero interessare la sua famiglia, preferiva di gran lunga tenere per sé ogni piccolo momento che condivideva con Ashton, come un segreto importante. Solo allora realizzò di quanto lei dovesse contare per Ashton, se lui aveva detto alla sua famiglia di loro.
«Io... io stavo portando questo di sopra» disse Thalia mostrando il bicchiere. «Ashton non si sente molto bene, ma non è niente di grave.»
Lauren annuì e sorrise, mettendoci poco impegno nel farlo sembrare un sorriso vero e Thalia si defilò immediatamente. L’ultima cosa che voleva era fare un’imbarazzante conversazione tra donne con la sorella maggiore di Ashton. Inoltre, notò Thalia mentre saliva le scale, quella maglietta era talmente lunga che le copriva anche i pantaloncini, e non volle nemmeno pensare a cosa fosse passato per il cervello di Lauren non appena l’aveva vista.
Rientrò in camera e porse il bicchiere ad Ashton, lui bevve e poi lo posò sul comodino, ringraziando un’altra volta Thalia.
«Perché tua sorella è a casa?» gli chiese Thalia, rimettendosi seduta accanto a lui.
«Non lo so, avrà finito prima all’università...» rispose Ashton, sbadigliò. Si sentiva stanco morto, in quella giornata erano successe tantissime cose: il provino, riappacificarsi con Thalia, ricordare Lilian... voleva semplicemente dormirci su. «Mi dispiace davvero.»
«Shh.» Thalia baciò Ashton chiudendo gli occhi e aprendo il cuore. L’aveva baciato così tante volte nelle ultime due ore che ogni bacio le sembrava un po’ come facesse parte di un sogno. Ashton rispose al bacio con calma, con estrema lentezza, e Thalia si sentì bruciare. Odiava quando lo faceva, ma allo stesso tempo non poteva che bearsi di quei momenti che parevano piacevolmente infiniti; odiava sentirsi così impotente da risolvere le questioni solo baciando Ashton, ma in quel momento non aveva bisogno d’altro, perché per essere le fondamenta di qualcuno, ci si deve tenere in piedi, e l’unico modo per farlo in quel momento era sentire le labbra di Ashton sulle sue.
«E questo per cos’era?» domandò lui, abbracciandola.
«Devo avere un motivo per baciare il mio ragazzo?» ribatté Thalia, scrollando le spalle.
«Non puoi rubarmi le battute.»
«L’ho appena fatto.»
Ashton sorrise e cominciò a farle il solletico. Thalia cadde all’indietro sul letto, di nuovo con i capelli sparsi sul cuscino e le guance rosse. Ashton finalmente rideva di nuovo, ma Thalia aveva dei sospetti su quanto fosse durato quel sorriso.
E intanto, con le lacrime agli occhi per le troppe risate, diceva: «Ash, basta! Dai...» E continuava a ridere, come se in realtà non volesse davvero che Ashton smettesse.
Quando Ashton si allontanò, Thalia si ritirò nuovamente su a sedere, mettendosi accanto a lui ed ebbe l’improvviso impulso di abbracciarlo.
«Ti prometto che risolveremo ogni cosa, abbiamo solo bisogno di tempo, e di quello ce n’è abbastanza, no?» gli sussurrò all’orecchio.
«Di tempo ne è passato fin troppo. Il problema è tutto dentro la mia testa» rispose Ashton. «Non voglio più aspettare e sentirmi dire che ci penserà il tempo a farmi guarire.»
«Il tempo non guarisce niente, è solo una stupida frase di conforto che le persone non pensano sul serio. A guarire puoi essere solo tu, magari con l’aiuto di qualcuno.» disse Thalia.
«E tu puoi aiutarmi?»domandò Ashton, stringendola forte a sé
«Certo che sì.»
«Da quand’è che passiamo dal solletico ai discorsi così profondi?»
«Da quando passiamo dal non parlarci al pomiciare sul lavello della tua cucina.»
Ashton scoppiò a ridere e allentò la presa su Thalia. Lei si alzò e guardò la maglietta che indossava, per poi afferrare la canottiera azzurra che giaceva sulla spalliera della sedia, si voltò verso Ashton. «Posso tenerla?»
Lui sorrise e annuì, Thalia allora rimise la canottiera nella borsa rimase con la maglietta nera di Ashton addosso, profumava ed era così bello indossare i suoi vestiti.
«Credo che andrò via... ho l’impressione di non piacere a tua sorella.» mormorò.
«Ma a Lauren piacciono tutti.» disse Ashton.
«Forse è solo una mia impressione, comunque, sono le sei e devo tornare a casa, ci metto un po’ da qui.»
«Vuoi che ti accompagni?» fece Ashton, alzandosi dal letto.
«Rimani qui e riposati, okay?»
Ashton sospirò e annuì. «Ti accompagno almeno giù, che razza di fidanzato sarei altrimenti?»
Thalia rise, aprì la porta e si ritrovò di nuovo Lauren davanti. Ma perché dovevano sempre finire per scontrarsi, in un modo o nell’altro?
«Scusate! Ash, ero venuta a chiederti come stavi... Thalia mi ha detto che ti sentivi un po’ male e‒» iniziò la ragazza più grande, guardando il fratello.
«Sto bene, accompagno Thalia alla porta.» disse immediatamente lui. Thalia salutò educatamente e poi, insieme ad Ashton, scese velocemente le scale.  Arrivati davanti alla porta, Thalia si alzò sulle punte per abbracciare Ashton e poi se ne andò.
Non riusciva a crede a tutto quello che era successo in meno di sette ore. Luke l’aveva convinta a venire a vedere il loro provino, lei aveva accettato e poi si era ritrovata a casa di Ashton a festeggiare con tutti gli altri. Non si volevano ancora parlare, ma Luke e Calum li avevano rinchiusi in cucina e lì... be’, a Thalia non importava che non fosse successo niente, alla fine. Credeva di essere pronta per quel passo, e forse anche Ashton lo credeva, solo che era lui quello a non essere pronto. Era convinto di poter andare avanti e basta, dimenticare Lilian in due mesi dopo essere rimasto fermo per due anni era impossibile. Sarebbe stata una cosa graduale, e per loro due non era ancora arrivato il momento, non era quel pomeriggio che avrebbero compiuto quel passo importante. Il momento sarebbe arrivato da sé e loro non ci avrebbero nemmeno fatto caso. Thalia era ottimista, credeva appieno nelle capacità di Ashton, e avrebbe aspettato anche tutta la vita pur di vederlo sereno e senza alcuna preoccupazione per la testa. Dopotutto, non le avevano sempre detto che l’amore consisteva nell’essere felici quando lo era la persona amata?
 
 

 
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Angolo di Marianne
Annotate questo giorno come il giorno in cui Marianne ha messo una canzone italiana a inizio capitolo.
Non mi riconosco più, ma qualche settimana fa a canto ho fatto questa canzone e mi è piaciuta così tanto che mi ha fatto subito pensare ai Thashton *---* Ashton ha bisogno di Thalia e loro due sono uguali, so...
La smetto di parlare a vanvera. Duuunque, la storia ha raggiunto e superato le 200 recensioni e vi giuro che io non potrei essere più contenta. Voi siete semplicemente fantastici e ogni giorno mi fate awwhare come una perfetta idiota. Davvero, grazie di cuore per tutto ciò che fate, perché mi date lo sprint giusto per aprire Word e continuare a scrivere.
Vi avverto già che nel prossimo capitolo ci saranno i Cake! :D
Ora, passo a ringraziare in primis Letizia25 che ha avuto un gran pazienza a recensire ogni capitolo, io e la mia prigrizia non ce l'avremmo mai fatta. E poi, ovviamente, un grazie enorme a chi ha  recensito il capitolo 21: Jade_Horan, Aletta_JJ, DarkAngel1, Annachiara99, ashton_irwin94, onesecondofdirection, xitsmaj, animanonimy, SkyscraperWrites, mahoneismyhero, shakjra e di nuovo Letizia25 
Grazie per sopportarmi ogni volta. Alla prossima! ♥
Marianne


PS: Volevo dirvi due cose.
1) Spammo la storia di una mia fantastica amica: The Liar Friend
2) Ho iniziato a tradurre una storia sui ragazzi, ma è su un altro account per via del regolamente, se voleste leggerla, eccola qui: Silence






 
 


 

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Capitolo 24
*** Soulmates ***


 
 

 
Capitolo 23
 
 «We’ve got a special bond that’ll never break. ‘Cause darling, you and I are soulmates.»
(Josh Turner – Soulmates)
 
Non appena Thalia tornò a casa, stanca, con una maglietta che non era sua e che le andava troppo grande, sua madre non fece domande. Thalia sparì in camera e afferrò il telefono per chiamare Luke, sperando che fosse a casa. Doveva assolutamente raccontare tutto al suo migliore amico, era una cosa che la faceva sentire la solita Thalia di sempre, perché dentro di sé avvertiva una sensazione strana, come se stesse cambiando all’improvviso, e la cosa la turbava un po’.
Inoltre, se Luke credeva di chiuderla in una stanza con Ashton e non pagarne le conseguenze, be’, si sbagliava di grosso.
Le rispose proprio lui, e Thalia non sapeva nemmeno come iniziare. Intanto si limitò con un «Ciao, Luke» e il suo tono non doveva essere troppo benevolo, perché il biondo, dall’altra parte, le rispose balbettando.
«T-Thalia, a casa così presto?» le chiese. Thalia sbuffò.
«Sono quasi le otto, Luke. Non è presto.» rispose la ragazza.
«Pensavo che saresti rimasta a cena da Ashton, sai...» iniziò il ragazzo.
«Mi puoi spiegare come diavolo vi è venuta in mente quell’idea folle? Tu sei pazzo, e Calum anche! Ci avete chiusi in cucina. A chiave. Ti rendi conto, Luke? In cucina!» esclamò Thalia, adirata, si buttò sul letto e calciò via le scarpe, rimanendo però con la maglia di Ashton addosso. Profumava di lui ed era meraviglioso.
Luke tacque per qualche secondo, poi rispose. «Uhm, ma almeno ha funzionato, no? Non puoi negarlo, vi abbiamo beccati spalmati sul lavello, non mi pare che steste ancora litigando.»
«Sì, ha funzionato.» ammise Thalia.
«Sesso rappacificatore?» domandò il ragazzo, con un tono furbo.
«No! Luke, sei un depravato» disse la ragazza. «Lasciatelo dire.»
Ci fu un momento di silenzio, poi Thalia riprese a parlare.
«Cioè, quasi. Non mancava molto, a dir la verità. Dopo che ve ne siete andati, noi siamo saliti in camera sua e―» iniziò a dire Thalia, ma venne bruscamente interrotta dalla voce squillante di Luke.
«Non voglio i dettagli, grazie. Dimmi solo cosa vi ha trattenuti da... be’, insomma...»
Thalia represse un sorriso. Amava quando Luke era imbarazzato, soprattutto quando, essendolo, si contraddiceva da solo. Luke era così fantasticamente strano, era la persona adatta a capire Thalia, l’unico che l’avrebbe mai sopportata e sostenuta, non importava cosa fosse successo. Thalia sapeva che chiunque altro, al posto di Luke, l’avrebbe abbandonata e lasciata lì in preda a tutte le domande e a tutti i dubbi. Luke invece rimaneva. La chiudeva nelle cucine sperando che facesse pace con il suo ragazzo, ma rimaneva. Faceva cose stupide, ma si faceva perdonare. Anzi, non aveva nemmeno bisogno di farsi perdonare, perché Thalia non era mai veramente arrabbiata con lui.
Luke era una delle persone più importanti della sua vita, e non avrebbe sprecato un secondo della loro amicizia essendo arrabbiata. Loro non litigavano mai. Almeno non sul serio.
Da quando Thalia lo conosceva, le uniche discussioni che avessero mai avuto erano sul film da vedere, sulla musica da mettere in macchina e su quali pop-corn comprare al cinema.
«Lilian, ma è una lunga storia. Noi... non sono arrabbiata. Va bene, insomma, credo che stessimo per fare entrambi il passo più lungo della gamba, non eravamo pronti, e va bene così. Piuttosto, parliamo di te.» disse Thalia, evitando l’argomento e cambiando abilmente discorso.
«Me?» chiese Luke.
«Sì, te. Mentre ci chiudevate in cucina, tu e Calum avrete parlato, no? Insomma, cosa siete?» domandò Thalia.
«Non lo so. Siamo migliori amici, come al solito.»
«Oh, no, caro mio. Tu e Calum non potete essere migliori amici. O vi chiarite, o finirete per essere scopamici, il che è un tantino diverso.» asserì la ragazza.
«Non so quali problemi tu abbia, ma a me e Cal va bene così.» disse Luke risoluto.
«Menti. Tu con Calum nemmeno ci hai parlato a proposito di quella cosa. Non capisci, Luke? Dovete assolutamente DTR!»
«Dobbiamo fare cosa?»
«Cielo, ma nessuno di voi qui vede “Diario di una nerd superstar”?»
«Spiegati meglio, devo andare a cena.»
«Definire il Tipo di Relazione, Luke. Domani vai da Calum, ci parli e vi definite, poi vieni a casa mia e mi racconti.» spiegò la ragazza.
«Sissignora» mormorò Luke sarcastico. «Devo andare, a domani!»
«Buona fortuna, Lukey.»
 
Luke sapeva benissimo che quel momento sarebbe arrivato, prima o poi. Non c’era  bisogno che Thalia glielo ricordasse. Aveva ancora in testa le parole che la sua migliore amica gli aveva detto la sera prima: definire il tipo di relazione, che poi, quanti tipi di relazione esistevano al mondo? Era nervoso da morire, sentiva ogni muscolo del proprio corpo teso come una corda di violino, credeva che sarebbe morto da un momento all’altro. Poi Calum entrò in camera sua e Luke parve rilassarsi. Lo guardò negli occhi e capì che dovevano assolutamente chiarirsi. Nonostante gli avvertimenti di Thalia. Deglutì, a volte quella ragazza gli faceva un po’ paura.
«Sai, a volte tua madre è un po’ pressante.» disse Calum, con un tono piuttosto scherzoso, sicuramente gli aveva fatto una miriade di domande sugli esami, su come erano andati, su cosa volesse fare ora che aveva finito scuola... e Luke sapeva quanto Calum fosse spaventato da quegli argomenti. Si mise seduto sul letto, accanto a Luke, che intanto aveva represso un sorriso.
«Solo a volte?» domandò sarcastico Luke. Poi tirò un sospiro e si perde negli occhi scuri di Calum. Si buttò sui cuscini e tirò l’altro per la maglietta facendolo finire addosso a lui, scoppiarono a ridere e si persero nella naturalezza di quel gesto, nello stare così vicini e così a proprio agio. Calum si sentiva bene tra le braccia di Luke e non avrebbe cambiato quel momento per nient’altro al mondo. Per un po’ stettero così, in silenzio, a guardare punti fissi della camera di Luke e a cercare di parlare, anche per dire qualcosa di stupido.
Ma Luke pensava che Calum, con la testa poggiata sul suo petto, sentisse il suo cuore battere velocemente, e che non ci fosse affatto bisogno di parole.
Tuttavia «Cal, credo che dovremmo parlare.» disse il biondo.
«Sapevo che l’avresti detto.» Calum sorrise e chiuse gli occhi.
«Thalia mi ha detto che dobbiamo DTR e poi ha cominciato a dare di matto dicendo che nessuno si vede non so che telefilm, ma sai―» iniziò Luke, portando istintivamente le mani tra i capelli di Calum, un po’ arruffati e ribelli, quel pomeriggio.
«Dobbiamo fare cosa?» chiese il moro, confuso. Luke sorrise.
«Semplicemente dirci cosa vogliamo essere.» rispose Luke. Fece un grande sospiro e Calum percepì il suo petto alzarsi e poi abbassarsi tutto insieme, incurvò gli angoli della bocca e ci pensò su. Lui non lo sapeva cosa voleva essere, odiava definirsi e appiccicarsi un’etichetta addosso, ma se Luke ci teneva, allora lui si sarebbe definito, si sarebbero definiti insieme, e allora sarebbe importato solo a loro, ma era quello l’importante. Calum teneva a Luke, era stato lui ad insegnargli, in poco tempo, le cose più importanti della vita. O almeno, della sua vita. Gli aveva insegnato a non avere paura e a sorridere sempre, proprio lui che tremava sempre come una foglia prima esibirsi, proprio lui che a volte si lasciava buttare giù da ogni folata di vento.
Luke era speciale, e per lui Calum avrebbe fatto qualsiasi cosa. Qualsiasi. Se Luke gli avesse detto di buttarsi da un ponte – e sperava che non lo facesse mai, insomma, non era una cosa esattamente normale chiedere a qualcuno di buttarsi da un ponte – lui l’avrebbe fatto senza esitazioni.
«Non lo so, Luke. Tu che vuoi essere?» chiese Calum. Luke spalancò gli occhi e questi brillarono, al suono di quella domanda. Non pensava che Calum gli chiedesse cosa volesse che fossero. Aveva sempre pensato che fosse impossibile stare insieme a Calum, che in qualche modo avrebbero trovato una soluzione per volersi bene, amarsi talvolta, ma senza impegnarsi l’uno con l’altro. Calum gli sembrava troppo insicuro mentre percorrevano quella strada e Luke non voleva creargli alcun disagio, ma adesso era proprio Calum stesso a lasciargli carta bianca sul loro rapporto.
Cosa vuoi essere?
Luke avrebbe voluto essere tutto, per Calum. Avrebbe voluto essere suo fratello, il suo migliore amico, le braccia da cui tornare a casa, le labbra da baciare quando ne aveva bisogno e la persona da amare, quella con cui confidarsi, quella con cui condividere ogni singolo istante.
Proprio per questo fu spiazzato nella risposta, come si poteva riassumere tutte quelle cose in un unico termine, in una definizione sola?
«Voglio essere la tua anima gemella.» mormorò. Calum smise di respirare per un momento e si prese degli istanti per rifletterci.
La voce di Luke era stata bassa, poco più di un sospiro, ma Calum l’aveva sentito bene. Forte e chiaro, e ora sapeva che quelle parole avrebbero riecheggiato nelle pareti della sua mente per sempre.
«Che cos’è l’anima gemella, Luke?» chiese Calum.
Luke ci pensò un momento, prima di rispondere. «È tipo il tuo migliore amico, ma di più di quello. L’anima gemella è collegata a te da sempre, da prima che nascessi. Tu devi solo accorgertene. Esiste e basta, non puoi fare altro. È quella persona che ti sopporta come un fratello, che ti vuole bene come un amico e che ti ama come un―»
«Fidanzato?» provò Calum, alzando la testa. Vide il viso di Luke  sottosopra e gli venne da ridere. Poi la ruotò e tutto si fece più nitido: il sorriso imbarazzato di Luke, le sue fossette, gli occhi azzurri e profondi.
«Sì» rispose il ragazzo. «Cal, hai presente quando ti ho detto che tu mi piacevi perché eri semplicemente tu?»
Calum annuì e si fece un po’ più serio in volto.
«Be’, ripensandoci, mi sono reso conto che non aveva molto senso. Cioè, sì! Tu mi piaci perché sei Calum e nessun altro, ma... ma io credo che non sia solo per questo.» disse ancora Luke, mordendosi nervosamente il labbro.
«Luke, che stai cercando di dirmi?» Calum si tirò su e poggiò la schiena contro lo schienale, le loro braccia si toccavano e adesso i loro visi erano vicini.
«Che credo che tu mi piaccia anche perché sei un ragazzo e... che ho paura.» mormorò Luke.
«Lukey, non devi aver paura. Perché mai dovresti averne? Insomma, me l’hai detto tu una volta che noi siamo quello che siamo e che non dobbiamo vergognarcene, no?» domandò il moro.
«Non lo so, è questo il punto.» La voce di Luke tremava, come se avesse freddo. Eppure faceva caldo. Luke deglutì rumorosamente e Calum sospirò.
«Ma ci sono io con te, okay?» Gli accarezzò la guancia e poi chiuse gli occhi. Luke fece lo stesso e tutti i suoi nervi si sciolsero quando Calum gli sfiorò delicatamente le labbra con le proprie. Luke non si tirò indietro perché quel bacio valeva più ogni altra promessa, di ogni altra parola e di ogni altro gesto. Si limitò solo a portare una mano dietro la nuca di Calum per attirarlo di più a sé e sentirlo vicino come quella sera alla festa di Emily.
«Comunque sì» sospirò Calum, staccandosi per un momento dalle labbra di Luke. Aprì gli occhi e aspettò che lo facesse anche lui, per poi annegare nell’oceano stesso. Anzi no, gli occhi di Luke erano meglio dell’oceano. Erano il cielo, e invece di affogare, a Calum parve di star volando. Oltre le nuvole e oltre il sole. Si sentiva leggero e senza aria nei polmoni.
«Sì cosa?» chiese Luke, spaesato e ancora con la testa sulle nuvole per il bacio.
«Voglio essere la tua anima gemella, ma per gli altri possiamo stare semplicemente insieme. Sai, credo sia un po’ strano andare in giro a dire “Hey, io e Luke siamo anime gemelle”» scherzò il moro, appoggiandosi alla fronte dell’altro.
«Oh, e perché? Sarebbe una cosa così originale» replicò Luke ridendo. «Però forse hai ragione, va benissimo così.»
Calum rise dolcemente e poi seppellì il viso nel collo di Luke, scivolando giù con la schiena. Luke fece lo stesso e si tolse le scarpe, fu imitato da Calum un momento dopo.
E rimasero semplicemente così per tutto il pomeriggio. Niente baci né sguardi. Rimasero abbracciati tutto il tempo, consapevoli che, qualsiasi cosa avessero detto, ci sarebbe stato qualcuno ad ascoltarli e a rispondergli. Tuttavia, non dissero niente. Il suono dei loro respiri regolari era più che sufficiente.
Luke si addormentò, ad un certo punto, più facilmente di quanto avesse mai fatto in vita sua. Riscoprì che Calum era il suo ritorno a casa e il posto dove essere tranquilli. Si addormentò con il suo respiro sul viso, con le gambe intrecciate a quelle di Calum, e con le braccia di quest’ultimo attorno alla vita, come se avesse voluto proteggerlo da ogni insidia e paura.
Oh sì, Calum era decisamente la sua anima gemella.
 
 
 
 
 
 
 
 

 
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Angolo di Marianne
Here I am! Dopo solo quattro giorni. Odio ricordarvelo e ricordarmelo ogni volta, ma adesso è davvero necessario. Ora, abbiamo - quasi - sitemato Ashton e Thalia e abbiamo sistemato i Cake. Il prossimo capitolo sarà l'ultimo capitolo effettivo, poi ci sarà l'epilogo che sarà più corto di un capitolo normale. E indovinate un po' su chi sarà quest ultimo capitolo? Ma ovviamente su l'unica coppia che non abbiamo sistemato, ovvero Michael e Lene. A me sono mancati troppo ç_ç e mi sento cattiva perché me li sono trascinati fino alla fine. Q__Q
Anyway, io dal basso della mia opinione da ""scrittrice"" amo questo capitolo, asdfhjkfg. E spero che a voi piaccia allo stesso modo, perché è una di quelle poche cose che mi rendono orgogliosa di me stessa. Davvero, a scriverlo mi sono divertita e ci ho messo il cuore, perché i Cake sono i miei due bambini e meritano tutto l'amore del mondo. Quindi niente, spero vi sia piaciuto :3
Ringrazio le nove fantastiche persone che hanno recensito lo scorso capitolo: DarkAngel1, shakjra, Annachiara99, Letizia25, Aletta_JJ, mahoneismyhero, animanonimy, xitsmaj e ashton_irwin94. Grazie davvero ♥ E ovviamente un ringraziamento enorme anche per le 66 preferite, le 12 ricordate e le 71 seguite ♥

Alla prossima e grazie ancora di esserci e di supportarmi sempre. 
Marianne

Ps: Anche se non ve ne frega niente, vi ricordo la storia che sto traducendo: Silence. Se volete passare a dare un'occhiata mi farebbe molto piacere :3







 
 


 

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Capitolo 25
*** We found love ***


 
 

 
Capitolo 24
 
  
«It’s the way I’m feeling I just can’t deny, but I’ve gotta let it go. We found love in a hopeless place.»
(Rihanna – We found love)
 
 
Michael, da qualche settimana a quella parte, si era soffermato spesso a pensare alla sua vita e al suo futuro, agli alti e bassi che avevano costituito il suo passato e al fatto che si era ripromesso di iniziare una nuova vita, una volta uscito dal centro di riabilitazione.
Doveva dire che c’era riuscito. Non fumava più, nemmeno tabacco. Non si avvicinava a nessun tipo di alcolico – non che avesse quel problema, ma i dottori del centro l’avevano a dir poco terrorizzato sull’alcool -, aveva consultato tutti i depliant per le migliori università della città e aveva cominciato a studiare per i test d’ammissione. Continuava le prove con i ragazzi, dava il meglio di sé e scriveva canzoni a più non posso. Le parole sembravano fuoriuscire dalla penna e sembravano scriversi da sole dovunque Michael trovasse spazio. Su un biglietto della metro, un fazzoletto di carta, un pezzo di carta strappato e talvolta anche sulla pelle stessa.
Michael non poteva certo mettere in dubbio che l’abbandono di Lene, anche se gli aveva spezzato il cuore, avesse giovato molto alla sua capacità di compositore.
Quel pomeriggio era solo in casa. Calum e Luke avevano finalmente risolto i loro problemi di coppia e adesso avevano provato ad uscire insieme, Thalia e Ashton erano a casa di Thalia, a quanto gli pareva d’aver sentito, erano entrati nella fase dell’ufficializzazione della relazione. Ergo, Ashton era andato lì a conoscere la famiglia di Thalia.
Sentì suonare il campanello, e per un attimo pensò che fosse sua madre, ritornata dal lavoro. Poi guardò l’orologio e capì che era decisamente troppo presto, così andò ad aprire chiedendosi chi potesse essere, dato che tutti i suoi amici – almeno i più stretti – erano altrove e avevano ben altro da fare.
Quando aprì la porta, si ritrovò davanti l’ultima persona che si era aspettato di vedere. Pantaloncini, Vans bordò ai piedi, una canottiera larga, dei capelli biondi e un cappellino grigio, il solito strato di matita nera sotto gli occhi, il solito rossetto rosso, nessuna sigaretta tra le labbra, però. Lene.
«Ciao Michael.» disse, la sua voce delicata e sognante era diversa da come Michael se la ricordava, sembrava più spenta, ma allo stesso tempo era piena di vita.
«Che ci fai qui?» chiese Michael. Un attimo dopo si pentì d’essere stato così brusco, ma era da più di un mese che non vedeva Lene, e credeva d’averla persa per sempre. Lei soffocò una risata divertita, forse se lo aspettava.
«Sono venuta a rimettere in paro i conti. Volevo parlarti, sempre se a te andava...» rispose Lene, dondolandosi sui talloni.
«Va bene, accomodati.» le disse Michael aprendo completamente la porta.
«Grazie.» Lene sorrise ed entrò in casa, guardandosi attorno curiosa. Quella casa trasudava normalità ovunque, proprio come la sua: c’erano fotografie sui mobili, sulle pareti, era tutto in perfetto ordine. Su una porta c’era scritto KEEP OUT a caratteri cubitali e Lene pensò che quella fosse la stanza di Michael. Solo in quel momento si rese conto di quanto fossero simili, pur non assomigliandosi affatto. Giunsero proprio davanti quella porta e Michael l’aprì.
«Non fare caso al disordine... non metto a posto finché mia madre non mi minaccia.» disse Michael. Lene rise e rimase in piedi, mettendosi seduta sul letto, accanto a Michael, solo quando lui la invitò a farlo.
«Mi dispiace» esordì Lene, mettendo le mani sulle ginocchia. «So di essermi comportata da stronza, so che non avrei dovuto lasciarti quella notte, e so anche che non avrei mai dovuto trascinarti con me in quel giro. Non meritavi tutto questo e io non merito te. Sono venuta qui a chiederti scusa, anche se so che probabilmente non mi perdonerai mai per quello che ho fatto.»
Michael la osservò, non sapeva come rispondere. Teneva così tante cose dentro che gli risultava impossibile sceglierne una e dirla, anche perché erano così confuse e non inerenti al discorso che erano impossibili da dire.
«Ma io ti ho già perdonato.» mormorò lui, con un sorriso insicuro sulle labbra. Lene lo guardò rapita, con gli occhi grandi e sembravano pronti a piangere da un momento all’altro, le brillarono di una luce nuova, di un bagliore di speranza.
«Davvero?» chiese incredula.
«Sì.»
«Oh, Michael... io mi sento davvero una persona orribile. Tu mi hai sempre detto tutto, mentre di me non sai niente. Mi hai detto che mi amavi e io non ti ho mai risposto sul serio. Non credo di meritarmi tutto questo, ma tu sei una persona buona e... mi dispiace tanto.» disse ancora Lene. Michael si morse un labbro, era la seconda volta che ribadiva quel concetto e non era affatto da Lene. Lei non diceva mai le stesse cose due volte. Lene aveva cominciato a respirare affannosamente, e aveva tutta l’aria di una persona che stava per scoppiare a piangere. Michael le posò una mano sulla spalla, aspettando, ma Lene non versò una lacrima.
«Cosa hai fatto tutto questo tempo?» le chiese Michael.
«La domanda giusta sarebbe cosa non ho fatto... Non ho più visto Bobby. Quella sera non avevo preso nessuna sostanza, avevo solo fumato un po’, così mi hanno tenuta in commissariato solo la notte. La mattina dopo sono tornata a casa e ho cercato di parlare con mia madre, inutilmente. Me ne sono tirata fuori da sola, ho preso tutta l’erba che avevo e l’ho buttata via. È stato difficile, scoppiavo a piangere tutte le notti, non riuscivo a dormire. Sentivo il bisogno di farmi ad ogni ora, non so nemmeno io come ho fatto a resistere. Però ho deciso di ricominciare, andrò a comprare i libri e mi segnerò in una nuova scuola e rifarò l’ultimo anno, poi mi diplomerò e chissà...» lo disse senza alcuna punta di imbarazzo, andò spedita, come se fosse una recita scolastica. Era sempre pallida in viso e aveva gli occhi acquosi, ma non si scompose affatto.
«Sono venuta qui anche per dirti ogni cosa» riprese. «Tu mi chiedevi sempre della mia vita e io sono qui per raccontarti proprio come la mia vita mi ha portata in quel parchetto con Bobby e gli altri.»
«Lene... non sei davvero obbligata a farlo.» disse Michael.
«Ma io voglio farlo, capisci?» esclamò, poi fece un grande respiro. «Sento di doverlo fare, so che non riparerà mai gli errori che ho fatto, ma è il minimo.»
«Va bene, ti ascolto.»
«Più o meno un  anno fa andai ad una festa con una mia amica, in riva al lago. Quando arrivammo era tardi, perché per convincere i miei ci avevo messo dei secoli, ed erano già quasi tutti ubriachi. La mia amica era fidanzata, ora non ricordo con precisione il nome del suo ragazzo, ma dopo aver ballato un po’ e bevuto qualche birra, rimasi da sola di fronte al falò. Non ricordo quanti ragazzi ci provarono con me, so solo che li rifiutai tutti, mi mettevano... a disagio. Allora andai a recuperare la mia amica, ma lei mi disse che avrebbe passato la notte lì con il suo ragazzo, dato che avevano allestito delle tende e allora feci dietrofront e me ne ritornai al falò. Chiamai mio fratello e gli chiesi se poteva venirmi a prendere, il coraggio di chiamare mia madre o mio padre non ce l’avevo, dopo averci quasi litigato per poter andare...» Lene s’interruppe all’improvviso e chiuse gli occhi, per poi fare un altro respiro profondo.
«Mio fratello si chiamava Tyler » continuò. Michael aggrottò le sopracciglia. Si chiamava? Come mai Lene aveva usato il passato? «Lui era... è la cosa più importante della mia vita. Mi è venuto a prendere e io mi sono messa sui sedili di dietro perché sul posto del passeggero c’erano degli scatoloni che dovevamo portare a casa da giorni, ma ci dimenticavamo sempre e ogni volta rimanevano lì. – rise tristemente – Gli raccontai della mia amica e del suo ragazzo e lui ci scherzò sopra, dicendo che se mai avessi avuto un ragazzo, prima di passarci la notte in tenda avrei dovuto farglielo approvare – Lene mimò le virgolette con le dita – Eravamo non molto lontani da casa quando andammo a sbattere contro un’altra automobile. Il guidatore era ubriaco e mio fratello non ha fatto nemmeno in tempo a fare inversione o a cercare di evitarlo che ci fu addosso. Io finii in ospedale, perché ero seduta dietro. Mi ruppi non so che osso e rimasi a letto per due mesi. Mio fratello invece... lui non l’hanno nemmeno ricoverato perché... c’era sangue ovunque e non c’era più niente da fare.»
E poi eccola, un’unica lacrima silenziosa solcò la guancia marmorea di Lene. Se l’asciugò in fretta e tirò su con il naso. Si appoggiò involontariamente alla spalla di Michael e lui lasciò fare.
«Mi dispiace tanto.» le sussurrò contro i capelli. Rimasero così per qualche minuto, poi Lene si tirò su e ricominciò a parlare, mentre Michael si chiedeva dove la trovasse, tutta quella forza.
«Mia madre non mi parla da quel giorno. Crede che sia io la causa della morte di Tyler e lo credo anche io. Mio padre non c’è quasi mai a casa, credo che tradisca mia madre e credo anche che lei lo sappia, e vederli mentre fingono di fare i genitori fa più male che saperli separati, ma mia madre si ostina ad andare avanti con la storia della famiglia perfetta, anche se Tyler è morto e dal quel giorno non c’è più nessuna famiglia. Tenevo un diario prima di iniziare a drogarmi. Più che un diario era una raccolta di lettere a Tyler, gli parlavo della mia giornata e delle settimane che si susseguivano tutte uguali. Gli raccontavo che avevo smesso di studiare, che un giorno avevo conosciuto un tipo strano in un parco abbandonato, che lui mi faceva stare bene. C’è stato un momento in cui ho smesso di scrivergli, ma quando ti ho incontrato ho ricominciato a farlo. Gli ho parlato di te, di quanto fosse strano per me riavere qualcuno a cui importava quello che facevo, gli ho detto che eri a cosa più vicina ad un amico che avessi avuto in tutto quel tempo. Gli ho detto che eri diverso e che mi piacevi, ma che avevo paura di mandare tutto all’aria, come ho fatto con il resto della mia vita. Michael, tu mi hai salvata mentre io ti trascinavo giù con me e non sai quanto ti sono grata per questo.»
«Lene...» provò Michael. Lui si immaginava ancora cosa gli avrebbe detto un mese prima. Gli avrebbe detto che lui era forte per entrambi e solo in quel momento si rendeva conto di cosa volesse veramente dire. Michael non se ne accorgeva nemmeno, pensava di essere una persona con dei problemi da dimenticare e da lasciarsi alle spalle, ma Lene gli stava dicendo che il vero eroe, in quelle quattro mura, era proprio lui.
E avrebbe voluto contraddirla, perché riteneva che nessuno potesse avere più coraggio di Lene, in quell’istante. Gli venne voglia di abbracciarla e sentirla di nuovo vicina, cuore contro cuore, ma tutti i suoi muscoli sembravano non rispondere agli impulsi. Era paralizzato e tenuto prigioniero da quegli occhi grigi che, anche senza volerlo, avevano un incredibile potere su di lui.
Ricordò le parole di Lene una volta al parco. «Hai degli occhi particolari.» le aveva detto lui. Lene aveva sorriso tristemente.
«Il grigio spegne il sole, Michael.» aveva risposto lei, con i capelli sparsi sull’erba e gli occhi chiusi. E Michael non aveva capito, così come non capiva gran parte delle risposte enigmatiche ma belle che Lene gli dava ogni volta.
«Non chiamarmi Lene. Da oggi chiamami col mio vero nome. Non voglio più avere niente a che fare con le vecchia me. Sono Shailene Kingston e voglio ricominciare tutto dall’inizio.» La voce di lei lo riportò alla realtà e Michael la guardò. Si era alzata in piedi e aveva aperto la porta.
La seguì fino alla porta di casa, la seguì fino alle scale della veranda, le seguì fino al marciapiede. Michael sapeva che ci sarebbe stato un addio se avesse continuato a comportarsi così passivamente, come se fosse un osservatore esterno, come se fosse estraneo a tutto quello, mentre il cuore gli balzava in gola e gli diceva di non lasciarla andare.
«Grazie per avermi ascoltata, non potevo sparire dalla tua vita senza farti sapere tutto questo. Ora posso farlo, ti auguro il meglio, ti meriti ogni cosa bella.» disse lei, si sforzò di sorridere, Michael lo capì che quello non era un vero sorriso.
«Non voglio che tu sparisca dalla mia vita» disse lui, senza nemmeno pensarci un po’. Fu istintivo. Shailene aggrottò le sopracciglia. «Non dico di ricominciare da dove abbiamo interrotto, ma almeno dall’essere amici. Così capiremo veramente se quello che c’era tra di noi era vero oppure era tutto un sogno, un’allucinazione. Ricomincia con me, Shailene. Ti prometto che andrà tutto bene.»
La ragazza aprì la bocca per rispondere, ma non riuscì a produrre un suono. L’unica cosa che disse, dopo attimi che sembrarono infiniti, fu: «Sul serio?» Il suo sguardo era lo specchio dell’incredulità.
Michael annuì. «Sì, sul serio.»
«Ma tu... tu non mi odi?» chiese ancora Shailene.
«Dovrei?» Michael sorrise e le si avvicinò.
«Sì! Io... ti ho trascinato in un giro in cui non saresti dovuto finire. E l’ho fatto solo perché mi sentissi meno sola. Tu hai detto di amarmi e ho sempre evitato quel discorso. Io non provo sentimenti, Michael. Il mio cuore è morto con Tyler... io non ne sono capace. Non voglio ferirti, voglio che tu sia felice, perché io non ti merito.» esclamò, nascondendosi il visto tra le mani, i capelli biondi le ricaddero sulla fronte quando il cappellino le scivolò dalla testa.
«Smettila di dire fesserie» Michael le prese la mano. «Forza, andiamo ad iscriverti a scuola.»
 

 
 
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Angolo di Marianne
IL MIO CUORE. Lo avete sentito? Ha fatto crack. Ebbene, mi pareva strano che nessuna di voi si fosse chiesta come avesse fatto Lene a finire in quel giro. Be', ecco qua la risposta ouo. Prima che me lo facciate notare, ehm, ammetto che non avevo la più pallida idea di come far morire questo Tyler, e non volevo che fosse una cosa troppo elaborata, quindi diciamo che potrei essermi ispirata alla morte dei genitori di Elena in Tne Vampire Diaries. Spero non me ne vogliate ç__ç
E sì, questo era ufficialmente l'ultimo capitolo. Ora c'è rimasto solo l'epilogo. Oh mio Dio, mi viene da piangere. Però non disperate (soprattutto, non mi dispero io), ho una piccola sorpresina che mi frulla per la testa  e quando pubblicherò l'epilogo ve lo dirò ;)
Ora, vi ringrazio infinitamente per tutte le splendide recensioni che mi lasciate ogni volta. In particolare, grazie a: Letizia25, ashton_irwin94, Silversa, shakjra, DarkAngel1, Annachiara99, animanonimy, FreeSpirit_ (ma tu cambi continuamente nick, moglie?), Aletta_JJ, cjnnamon, Eleobelieber99, Alex_Horan, KleineJAlien e xitsmaj siete tutte fantastiche.
Prima che me ne vada a deprimermi perché questa storia è quasi finita, volevo dirvi che ne ho pubblicata un'altra! :D Non riesco a stare ferma io, che volete farci? u.u Si chiama Indaco ed è  - ovviamente - di nuovo sul nostro Ashton. E' il mio primo esperimento di pseudo-thriller (dico pseudo perché non so se sono all'altezza ahaha), quindi niente, se volete darci un'occhiata vi basta cliccare lì, sul titoletto in blu u.u Mi farebbe molto piacere.
Ora scappo. Ci risentiremo presto :c
Baci,
Marianne







 
 


 

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Capitolo 26
*** Epilogo ***


 
 

 
Epilogo
 
   
«Now my heart is open and I can finally breathe.»
(Alicia Keyes – Brand new me)
 
 
La scuola era ricominciata da circa un mese, era Aprile e a Sydney cominciava a tirare il tipico vento autunnale. Thalia si strinse nella sua sciarpa rossa non appena scese dalla motocicletta di Ashton. Lui si tolse il casco e lo mise nel porta-oggetti, appiattendosi un po’ i capelli. Splendeva il sole nonostante fosse la stagione delle piogge, ma faceva comunque freddo. Ashton aveva parcheggiato vicino ad un imponente cancello in ferro battuto, un cartello sul muro accanto ad esso recitava: Rookwood Cemetery
Thalia era stata poche volte in un cimitero, non le piacevano i cimiteri. Erano posti in cui si sentiva soffocare, il silenzio la schiacciava e le tombe la facevano diventare ansiosa. Quando vi passava accanto, non faceva che ripetersi “Un giorno anche io sarò qui”, e di nuovo una morsa allo stomaco. Quando varcò quel cancello avvertì la stessa sensazione, ma Ashton le cinse le spalle con un braccio e Thalia parve rilassarsi.
«Tutto bene?» le chiese. E Thalia annuì, sorridendogli dolcemente.
Si incamminarono per il parco e raggiunsero una parte del cimitero caratterizzato da file di tombe in marmo bianco, tutte ben curate. Mentre camminavano, Thalia notò che ad ognuna non mancavano fiori freschi.
Quando Ashton si fermò, Thalia capì che erano arrivati alla loro meta. Lui stringeva in mano un mazzo di rose rosse, anche se Thalia gli aveva detto che con quel freddo sarebbero subito appassite, lui aveva sorriso e aveva scrollato le spalle, rispondendole che Lilian amava le rose.
Si abbassò all’altezza della tomba e la fissò con i fiori in mano per qualche minuto. Thalia si inginocchiò accanto a lui, sporcandosi i jeans di terra e sospirò, per poi rimanere in silenzio tutto il tempo. Ashton tolse i vecchi fiori dal vaso e li sostituì, sfiorò la foto, appena sopra il nome che era inciso sul marmo.
Lilian Satchwell
17.05.1994 – 03.04.2011
Thalia mise una mano sulla spalle di Ashton e lui sospirò, pulendosi le mani sui jeans neri.
«Sono già due anni.» mormorò con un filo di voce.
Thalia non rispose, in qualche modo, sapeva che Ashton non era rivolto a lei, bensì a Lilian. Lo osservò mentre parlava, senza ascoltarlo veramente. Vide una patina lucida formarsi nei suoi occhi, ma nessuna lacrima gli solcò il viso. Ashton era cambiato così tanto da quando l’aveva conosciuto... in quei mesi erano successe tantissime cose. Thalia si era innamorata davvero per la prima volta e aveva trovato qualcuno che la ricambiasse, aveva accettato ogni cosa che la vita le offriva anche se era difficile da superare, anche se tutte quelle cose si erano concluse con Ashton che piangeva tra le sue braccia e che le prometteva che sarebbe andato tutto bene, mentre doveva essere lei a prometterlo a lui. Si era ritrovata ad essere abbastanza forte per due persone e ce l’aveva fatta, senza sapere veramente come. E intanto, il mondo attorno a lei era cambiato, il suo migliore amico era cresciuto e lei l’aveva visto affrontare tutte le sue paure, e anche se Luke continuava a dirle che era in gran parte merito suo, Thalia era fermamente convinta che ce l’avesse fatta completamente da solo. Michael si era rivelato la persona più coraggiosa tra tutti loro, però, perché era riuscito a perdonare chi gli aveva spezzato il cuore, buttandosi di nuovo a capofitto tra le braccia della persona che, se fosse stata sincera, sarebbe stata l’unica a poterlo rendere veramente felice, e Thalia lo ammirava tantissimo.
Quando tornò alla realtà, Ashton si era alzato in piedi e la stava richiamando da qualche minuto.
«A che pensavi?» le chiese, facendole scivolare la mano nella sua.
«Al tempo.» rispose Thalia, ancora sovrappensiero.
«Al tempo?» domandò ancora Ashton, facendole eco.
Thalia sorrise. «Sì. Sai, quella cosa che il tempo guarisce ogni cosa. Ci ho pensato spesso negli ultimi mesi e... e forse è vero. Solo che deve avere un piccolo aiuto esterno per funzionare davvero.» disse lei.
«E suppongo che l’aiuto esterno del mio tempo sia stata tu?»
«Forse.»
Soffocarono entrambi una risata, quando furono abbastanza vicini all’uscita del cimitero.
«Cosa ti ha detto Sally, ieri?» chiese Thalia. Ashton aveva smesso di andare dalla psicologa. Aveva preso quella decisione da solo, senza il parere dei suoi genitori. Era abbastanza grande e maturo per decidere per se stesso, soprattutto se si trattava di una situazione delicata come quella.
«Ha detto che quando i pazienti vengono ad interrompere le sedute è la parte migliore del suo lavoro. Perché vuol dire che allora hai fatto davvero la cosa giusta e sei riuscito ad aiutare qualcuno» rispose Ashton. «In particolare, ha detto che non vedeva l’ora che andassi lì ad annullare gli appuntamenti. Mi vuole bene, si è affezionata a me e credo che non le facesse piacere vedermi distrutto.»
«Oh, a nessuno faceva piacere vederti distrutto, scemo!» scherzò Thalia. «E a nessuno farà mai piacere, lo sai.»
Varcato il grande cancello, i due s’incamminarono di nuovo verso la moto, in totale silenzio. Non c’erano tantissime cose da dire. Thalia si era sentita così partecipe alla vita di Ashton, quando lui le aveva chiesto di accompagnarlo al cimitero, che avrebbe voluto ringraziarlo per il resto della sua vita. Ashton le aveva insegnato così tante cose... non se ne era mai accorto, ma lei gli era grata per averle fatto conoscere il vero amore.
«Dove vuoi andare? Abbiamo tutto il giorno.» Era sabato e Thalia non aveva scuola.
«Al mare.» esclamò lei.
«Con questo freddo?»
«Sì, con questo freddo.»
Ashton sorrise e le porse il casco nero, appena prima di salire sulla moto. «Reggiti forte, allora!»
Thalia rise e si mise in sella alla motocicletta, cinse per l’ennesima volta la vita di Ashton con le braccia, perché sin dal primo istante era una sensazione che le dava i brividi, appoggiò la testa sulla sua spalla e poi Ashton mise in moto. Partirono con un gran rombo, per far capire che forse quando si sta male non bisogna rimanere nell’ombra e aspettare in silenzio che il tempo lenisca i graffi e i lividi. Ashton l’aveva imparato a sue spese, rimanere impassibile di fronte ai giorni che si susseguono portando con loro nient’altro che dolore è inutile.
Il tempo funziona solo se siamo noi a muovere le lancette a nostro favore, e se non ci riusciamo, ci sarà sempre qualcuno pronto a darci una mano. Bisogna solo trovarlo.
Ashton aveva trovato Thalia, e lei era indiscutibilmente stata la più bella scoperta della sua vita, o il più bel regalo che la vita gli avesse offerto.
Rimaneva il fatto che prima di incontrare Thalia, Lilian era un chiodo fisso nella sua mente, un ricordo indelebile, un dolce incubo che non riusciva a dimenticare. Ma Thalia aveva spostato le lancette della sua vita e aveva rimesso in moto l’orologio, e adesso Lilian non era altro che un nome a cui rimanere affezionati e al cui suono sorridere tristemente.
E sulla stessa spiaggia a cui aveva detto addio a Lilian, Ashton guardava l’orizzonte assieme a Thalia e la stringeva perché faceva davvero troppo freddo. Lui era una persona totalmente nuova, e ci era riuscito solo grazie ad una ragazza dai capelli scuri e gli occhi verdi uguali ai suoi; e sperava che lei potesse essere sul serio il suo per sempre. Dopotutto, lei glielo aveva promesso e Ashton ne era pienamente convinto. Thalia era il suo nuovo inizio.

 


 
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Angolo di Marianne
Okay, ragazze. Mi scuso già in anticipo se questo spazio autrice sarà il più lungo fatto finora, ma la storia è ufficialmente finita. Ho cliccato su "Completa" e ora non si torna indietro. Oddio, la mia bambina! ç___ç *piange*
Mi sono affezionata troppo a tutti i personaggi, nessuno escluso. Sul serio, mi mancheranno anche... che ne so, la ex fidanzata di Calum, la mamma di Michael e i due coglioni alla festa che onestamente così su due piedi non ricordo nemmeno come li ho chiamati. Sono scema, lo so, ma boh... ç__ç
Tutto sommato sono... felice (?) di essere arrivata a questo punto. Insomma, non ho buttato tutto al vento al terzo capitolo e sono arrivata fino in fondo. Ho cambiato 189189 volte la fine, lasciando sempre una virgola dopo l'ultima frase, e quando mi sono decisa a mettere il punto... boh, ho provato una sensazione strana. Mi sono detta: "Finisce qui" EBBENE NO! :D Ricordate la sorpresa di cui vi avevo parlato l'altra volta? Perfetto, non dico che sarà un vero e proprio sequel, con tanto di capitoli, ma diciamo che avrei potuto iniziare a scrivere una One-Shot (grazie alla mia mogliah che mi ha quasi costretta ehm, spronata) u__u, sarà abbastanza lunga perché ho una cosa un po' contorta in mente - e quando mai io faccio le cose semplici -, e al momento ho un sacco di cose da scrivere, tra cui un'originale per un contest, aaaargh, quindi con tutta onestà, non ho la più pallida idea di quando la finirò e la pubblicherò, quindi, se volete leggerla ditemelo in una recensione così vi avverto quando la metto :)
Questo per dirvi che le avventure dei Thalia e tutti i nostri ragazzi non sono ancora ufficialmente finite :3
Quindi facendo le persone serie, questo Epilogo ce lo avevo in mente da un sacco di tempo, a dir la verità. Credo che per superare davvero tutto, Lilian avrebbe dovuto fare un'ultima "comparsa" - anche se non è una vera e propria comparsa. Se ricordate bene, ho sempre detto che Ashton non avrebbe mai dimenticato completamente Lilian e mai lo farà: è stata parte integrante della sua vita e credo che sia giusto così :)
La finisco qui e passo a ringraziarvi. Alloraaaa, grazie ad ognuno di voi. Grazie a chi c'è dall'inizio, grazie a chi si è aggiunto dopo, grazie a chi ha letto silenziosamente, grazie a chi leggerà anche dopo che questa storia sarà finita. Grazie a tutti voi che avete messo questa storia nelle preferite/ricordate/seguite, grazie a tutti voi che avete recensito, in particolare a: shakjra, Annachiara99, animanonimy, Letizia25, KleineJAlien, Jade_Horan, FreeSpirit_, Eleobeliever99, DarkAngel1, Alex_Horan,  Aletta_JJ, ashton_irwin94 e xitsmaj per aver recensito lo scorso capitolo. Grazie perché è solo merito vostro se questa storia è entrata a far parte delle storie più popolari della sezione! ♥
Vi lascio con le bellissimi immagini che FreeSpirit_ ha creato (ciao tesoro ♥), ricordate di dirmi se volete leggere la OS che vi segno (?) e poi vi avverto!
Un grande bacio,
Marianne
  

 





 
 


 

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