PREQUEL Battle Spirits Brave - Seconda Parte

di HikariMoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Molti mesi erano passati dal giorno della prima “riunione” dei Maestri della Luce e altrettanti erano passati dal momento in cui i sei ragazzi erano diventati famosi. E ben presto, i sei Guerrieri si erano resi conto della difficoltà di gestire tutta quella fama. Girare per le strade della città o anche semplicemente andare a scuola era diventato un’impresa. Finiva sempre che sbucava fuori qualche ragazzo che chiedeva loro l’autografo o qualche giornalista che insisteva per fare loro l’ennesima intervista. I loro volti erano anche apparsi su numerose riviste ed erano stati scritti decine di articoli. Erano diventati delle star, ma, allo stesso tempo questo aveva reso più difficile l’organizzazione di altri momenti tra loro.

Ognuno di loro aveva reagito in modo diverso: tra tutti, Mai sembrava all’apparenza quella che aveva metabolizzato meglio l’inaspettato ed enorme successo, forse grazie al fatto che era già stata famosa. Che fosse vero o no, era quella che meno sembrava essere stata destabilizzata dal tutto: andava a scuola, gestiva “Parole Violette”, trovava sempre il tempo per chiamarli o organizzare pomeriggi da passare tutti insieme e aveva ripreso a seguire il corso di arti marziali che aveva già frequentato negli anni passati. Molte volte gli altri Maestri della Luce si erano chiesti come facesse. Il tutto accompagnato da una nuova pettinatura: al posto dei codini, Mai lasciava quasi sempre i capelli sciolti, capelli che aveva cominciato a far crescere. Infatti le ciocche più lunghe avevano già superato le spalle e la ragazza, seppur non avesse detto a nessuno il motivo, non sembrava per nulla intenzionata a tagliarli.

Dan, invece, era quello che aveva accolto più positivamente il successo: rimpiangeva un po’ la vita di prima, ma era più che mai convinto che sarebbe stato utile per la loro causa. Non sempre era riuscito a gestire il tutto, con vari ritardi che Mai puntualmente gli aveva rinfacciato. Dall’altro lato, però, Dan era riuscito ad insegnare alla sorella Hinata come si giocava a Battle Spirits, evitando altri pomeriggi in cui la piccola lo obbligava a giocare alle bambole con lui. E, per il resto, Dan era rimasto Dan, come era rimasta tale la sua più grande passione: Battle Spirits. Infatti, partecipava ad ogni torneo possibile e non perdeva attimo per sfidare gli altri Maestri della Luce. La maggior parte delle volte, però, il suo sfidante era Yuuki, che non si tirava mai indietro, anzi: i due sembravano aver tutta l’intenzione di non far finire mai la serie di sfide e rivincite iniziata in quel giorno di settembre.

E il Guerriero Bianco come aveva preso il successo? Tra tutti, forse, era quello che gli era rimasto più indifferente. Ma, allo stesso tempo, era quello più determinato ad affiancare Dan nelle varie interviste con i giornalisti: entrambi pronti a difendere a spada tratta Gran RoRo e, principalmente Yuuki, l’onore di Kajitsu. Quello che, però, sollevava gli altri era il fatto che Yuuki stesse cercando di ricostruirsi una vita, nonostante tutto e nonostante un velo di malinconia non abbandonasse mai il suo sguardo. Ma a questo, ogni volta che potevano, ponevano a rimedio gli altri, organizzando varie uscite collettive. E poi c’erano, appunto, i duelli con Dan: ormai, tutti gli altri, avevano rinunciato a tenere il conto delle sfide reciproche che i due Maestri della Luce si erano lanciati.

Clarky continuava la ricerca della sua anima gemella. Nonostante storcesse il naso ogni volta che i gruppi di ragazze gli venivano incontro, aveva preso filosoficamente la cosa: chi poteva dire che tra quelle ragazze non si celasse anche la sua? E così sorrideva ogni volta, sospirando tristemente poi, quando vedeva che neanche quella volta l’aveva incontrata. Per il resto, Clarky aveva accettato di buon grado le difficoltà del successo, dopotutto, come diceva lui, que cera cera: c’est la vie. C’erano poi i pomeriggi trascorsi con il fratello Andrew che, come Kaoru la sorella di Mai, qualche volta si era anche unito alle uscite dei Maestri della Luce: con le immancabili “dimostrazioni” di Andrew su come si conquistasse una ragazza...

Hideto aveva ripreso la sua collezione di carte e gli altri Maestri della Luce dubitavano ci fosse qualcuno con una raccolta più completa della sua. Anche se ogni tanto, bonariamente, gli altri gli dicevano che avevano paura che lui di notte venisse a rubare le loro carte X-Rare. Accanto a questo, Hideto aveva molta più fiducia in sé ed era molto più sicuro. Il fatto che quei quattro bulli non lo prendessero più di mira era stata la ciliegina. Anche se, poi, Hideto non aveva avuto nessuna intenzione di approfondire la sua amicizia con loro. Gli bastavano i Maestri della Luce. E poi passava un sacco di tempo anche con il nonno che, nonostante l’età, ogni tanto gli chiedeva di fare una sfida con lui.

E poi c’era Kenzo. Il piccolo del gruppo aveva dimostrato una volta di più le grandi capacità del suo cervello. Oltre ad essere il migliore della sua scuola, gli era stata anche offerta la possibilità di partecipare ad una sorta di “tirocinio” nelle principali equipe di scienziati del paese… cosa che lo aveva mandato in visibilio. Ma, nonostante questo, cercava di esserci sempre agli incontri con gli altri. Anche i rapporti in famiglia erano migliorati e Kenzo stava lentamente riscoprendo il rapporto con la madre, che era sempre stata troppo impegnata per dedicare molto tempo a lui. Non che le cose fossero andate sempre al meglio, ma Kenzo era più che mai deciso a riprendersi i propri genitori: alla faccia di banche e politici.

E così era arrivato Natale, che i sei Maestri della Luce erano riusciti a passare tutti insieme, anche se la cosa aveva suscitato più di una difficoltà. Ma, alla fine, grazie anche alla collaborazione dei coniugi Hyoudo, erano riusciti a passare una giornata memorabile con anche le loro famiglie. Il Natale più bello che avessero passato tutti loro. Molto confusionario, ma bellissimo. Hinata era riuscita a sfinire tutti, ma alla fine era crollata addormentata sotto l’albero sognando i regali della mattina dopo. Mai aveva dribblato con grande nonchalance qualsiasi cosa che potesse ricordare anche vagamente il vischio, soprattutto quando nelle vicinanze c’era un certo Maestro della Luce dai capelli rossi. Hideto e Kenzo si erano sfidati a qualsiasi videogioco immaginabile. Clarky aveva animato la festa con i suoi trucchi (anche se ogni volta guardava tristemente lo stesso vischio che Mai evitava). Dan e Yuuki, che era stato preso in simpatia dalla famiglia Bashin, avevano fatto il loro ennesimo duello, sordi agli sbuffi esasperati degli altri Maestri della Luce. E infine, Kaoru e Andrew si erano conosciuti un po’ meglio.

Poi era arrivato Capodanno, trascorso anche quello nel confusionario e allegro clima creato dalle cinque famiglie dei Maestri della Luce. Ed era così iniziato un nuovo anno, il 2009. Anno che si prospettava come il precedente, se non meglio: perché era quello il primo anno che vedeva dall’inizio la loro amicizia. Finì l’inverno e iniziò la primavera. E tutti insieme festeggiarono la fioritura dei ciliegi. In quell’occasione, Clarky e Mai, i cui capelli viola avevano ormai raggiunto le scapole, avevano affermato (ridacchiando e beccandosi le occhiate omicide dei rispettivi fratelli) che c’era qualcuno che passava, da qualche mese, un po’ troppo tempo insieme.

Nel frattempo, un altro anno scolastico stava per finire. E per questo, un pomeriggio di maggio, i sei Maestri della Luce organizzarono un’uscita insieme. Era stata Mai, come tante volte, a proporlo con la motivazione che dovevano festeggiare l’imminente fine della scuola. Alla fine delle lezioni, perciò, i sei ragazzi si diedero appuntamento vicino all’edifico dove, circa un anno prima, c’era stato il Torneo di carte che aveva dato il via alla loro avventura. Una volta arrivati tutti, con Dan che era riuscito ad arrivare puntuale e non aveva dato a Mai la possibilità di rimproverarlo, i sei ragazzi si diressero verso una gelateria. La prima meta del pomeriggio.

Perché i sei ragazzi erano pieni di progetti, incuranti dei giornalisti e dei fan che li assediavano. E anche quel giorno, seduti al tavolino della gelateria, iniziarono a discutere del progetto che più premeva loro: l’organizzazione dell’estate. La loro idea era riuscire a pianificare una vacanza da passare tutti insieme, come minimo una settimana. Era per questo che, ogni volta che potevano, discutevano su quale sarebbe potuto essere la meta ideale: mare o montagna? Non riuscivano mai a decidersi, continuando a trovare pro e contro per entrambe le destinazioni.

Mai sbuffò. “Ma perché non andiamo in entrambi i posti?”

Clarky sorrise divertito. “Mai, non sappiamo neanche se riusciremo a convincere le nostre famiglie per una settimana…”

Dan si inserì nel discorso. “Ma perché ci dovrebbero essere problemi? Siamo stati per mesi a Gran RoRo e non ci è successo nulla… cosa dovrebbe succederci in una settimana di vacanza?”

Mai si voltò verso di lui ironica. “Vorrei ricordarti che non siamo propriamente andati a Gran RoRo con il permesso dei nostri genitori.”

Kenzo leccò il suo gelato pensieroso. “Cerchiamo di vedere la cosa obbiettivamente. Yuuki sarà maggiorenne quest’estate… e poi nel caso possiamo trovare qualcuno che ci accompagni.”

Clarky ridacchiò voltandosi verso Mai. “Io avrei una mezza idea. Mai, sei d’accordo anche tu che se invitiamo Andrew e Kaoru loro non dicono di no?”

Mai scoppiò a ridere. “Ci metto una mano sul fuoco!”

Hideto, che fino a quel momento si era dedicato a gustarsi il gelato e a sistemare nell’album una nuova carta, alzò lo sguardo e guardò i due scuotendo la testa.

“Siete peggio di due vecchie pettegole!”

Mai alzò le spalle ridendo. “Perché? Stiamo loro dando una mano!”

Clarky annuì sorridendo. “Già, diamo loro la possibilità di stare insieme… dovrebbero solo ringraziarci!”

Kenzo, come Hideto, scosse la testa rassegnato. “Vorrei vedervi se fossero loro ad organizzarvi il matrimonio!”

Clarky lo guardò sbuffando. “Guarda che mio fratello mi chiede da quando ho cominciato ad andare all’asilo se ho incontrato la mia anima gemella!”

Dan spostò lo sguardo su ciascuno degli altri, perplesso. Continuava a chiedersi come fossero riusciti a passare dall’organizzazione della vacanza alle chiacchiere sulla possibile storia tra i fratelli di Mai e Clarky.

“Ragazzi… ma non eravamo venuti qui per parlare d’altro? Che cosa vi interessa della possibile storia d’amore tra Kaoru e Andrew?”

Mai si voltò verso di lui, fissandolo per qualche istante. Poi si voltò stizzita.

“Lo sappiamo Dan, che tu di queste cose non capisci un’acca… ma non esiste solo Battle Spirits!”

Dan fissò sbalordito la reazione di Mai, voltandosi verso Yuuki, seduto accanto a lui.

“Ma che ho detto?”

Yuuki stava per dirgli qualcosa, quando la sua attenzione venne attirata dal movimento di qualcuno dall’altra parte della strada. Qualcuno che altri non era che un gruppo di giornalisti. Prevedibili come sempre. Il ragazzo si voltò verso gli altri.

“Abbiamo visite.”

A quelle parole, tutti si voltarono e quasi tutti sbuffarono: i giornalisti sapevano essere veramente irritanti. Ma ancora non si erano stufati di intervistarli? Continuavano a chiedere loro le stesse cose: mica potevano cambiare risposte solo per farli contenti... I sei Maestri della Luce finirono velocemente quel che rimaneva dei loro gelati e si alzarono: la miglior difesa era l’attacco. Mai parlò per tutti.

“Rispondiamo alle loro domande il più velocemente possibile, così sono contenti e se ne vanno… poi troviamo un altro posto dove poter parlare in pace!”

Gli altri annuirono e uscirono dal gruppo di tavolini della gelateria. Non fecero neanche pochi passi che vennero raggiunti dal gruppetto di giornalisti: quattro microfoni, quattro telecamere e due macchine fotografiche vennero puntati verso di loro. Non restava che far buon viso a cattivo gioco. Nella speranza che se ne andassero presto.

“Maestri della Luce, possiamo farvi qualche domanda?”

“Come gestite la vostra vita da star?”

Mai li guardò sorridendo sarcastica. “Come la scorsa settimana, direi. Però potreste anche trovare domande un po’ più originali!”

I giornalisti non sembrarono prestare molta attenzione all’accusa di monotonia. E subito un’altra domanda venne rivolta ai sei ragazzi.

“Siete contenti di essere tornati sulla Terra o dopo tutti questi mesi sentite nostalgia per il Mondo Altrove?”

“Ci tornereste?”

A quelle domande fu Dan il primo a rispondere con entusiasmo. “Certo che ci piacerebbe tornare a Gran RoRo. Qui ci sono tutte le nostre famiglie e i nostri amici, però Gran RoRo ci manca. Però sappiamo che un giorno Magisa riaprirà i portali!”

Kenzo annuì. “Certo, come ha detto Magisa: quando in entrambi i mondi si supererà la paura iniziale… i due mondi verranno riuniti!”

Un altro giornalista si fece avanti. “Questo non potrebbe comportare dei pericoli alla Terra? Gli abitanti del Mondo Altrove possiedono dei poteri con cui potrebbero cercare di dominare la Terra…”

Yuuki li fissò ironico. “A parte il fatto che sono stati gli esseri umani a dominare Gran RoRo… se si riuscirà a creare un rapporto di collaborazione, non ci sarà nessun pericolo. Per nessuno.”

Clarky annuì sorridente. “Dopotutto siamo tutti popoli civili…”

“Non vi siete mai pentiti delle scelte che avete fatto?”

Quella domanda prese alla sprovvista tutti e sei i ragazzi che si voltarono perplessi verso il giornalista che aveva fatto la domanda. Come potevano essere pentiti di essere diventati Maestri della Luce o di essere stati pronti a fare qualsiasi cosa per salvare la Terra e Gran RoRo? Dan fu il primo ad esprimere i dubbi di tutti.

“Pentirci? Perché? Abbiamo salvato Gran RoRo e la Terra dal Re del Mondo Altrove…”

Il giornalista non sembrava aver intenzione di desistere. “Il Re del Mondo Altrove aveva promesso alla Terra il Sistema dei Nuclei.”

La giornalista accanto a lui annuì. “Esatto. E aveva mostrato allo stesso presidente le grandi potenzialità e i vantaggi di quel potere… lui stesso lo ha affermato in un’intervista dopo la vostra vittoria.”

Kenzo cercò di parlare poco convinto. “Si, ma…”

Il primo giornalista riprese la parola. “Perché avete deciso di togliere alla Terra questa opportunità?”

Mai lo guardò infastidita. “Ma siete sordi? I due mondi non erano ancora pronti per convivere!”

Il giornalista non badò al tono battagliero del Guerriero Viola. “Ci sarebbero potuto essere altre alternative… e simili decisioni sarebbero state più adeguatamente discusse in altre sedi, come l’ONU. Non da un gruppo di ragazzi.”

Clarky li guardò scioccato. “Ci state accusando di aver preso una decisione superficiale?”

Il giornalista li guardò tranquillamente. “Sto solo dicendo che forse le cose sono successe un po’ troppo in fretta… visto che siete stati voi, degli essere umani, a liberare Gran RoRo, avreste potuto chiedere questo favore al Mondo Altrove.”

Yuuki fissò il giornalista con uno sguardo indecifrabile.

“Dopo tutto quello che gli esseri umani avevano fatto al Mondo Altrove, l’umanità non aveva nessun diritto di chiedere favori. E in ogni caso il Sistema dei Nuclei avrebbero comunque potuto non funzionare senza il Nucleo Progenitore.”

I Maestri della Luce erano rimasti allibiti di fronte a quelle domande. Speravano che le loro risposte avessero convinto quei giornalisti. Ma subito si resero conto che non ci erano riusciti.

“Dunque non vi sentite in colpa di aver impedito una risoluzione dei problemi ambientali e sociali della Terra? Voi in ogni caso avete guadagnato il successo…”

I sei ragazzi sgranarono gli occhi: stavano accusando loro di essere la causa dei problemi della Terra? Kenzo insorse fissandoli arrabbiato.

“Ehi, non potete dare a noi la colpa! Il Sistema dei Nuclei non può cambiare le persone! E non ci interessava di certo la fama!”

Il giornalista li guardò per nulla convinto. “Sì, ma voi…”

Mai puntò le braccia ai fianchi fissando il gruppo di giornalisti con sguardo deciso.

“Signori, penso che le vostre domande terminino qui. Se non avete meglio da fare, girate al largo e andate ad importunare qualcun altro!”

Clarky annuì. “Sì ragazzi, andiamocene.”

Kenzo, Hideto e Yuuki annuirono subito. Dan non sembrava molto convinto di andarsene, ma Mai lo prese per un braccio cominciando a strattonarlo. I Maestri della Luce cominciarono ad allontanarsi. Mai fumava dalla rabbia e incrociò le braccia indignata.

“Ma come si permettono!”

Hideto si voltò verso gli altri stupito. “Chissà perché ci hanno fatto tutte quelle domande!”

Mai sbuffò. “Perché secondo te? Perché ci sono giornalisti che si divertono a tirare fuori scandali e idiozie del genere!”

Clarky annuì scuotendo la testa. “Probabilmente è come dici tu…”

Dan li guardò poco convinto. “Se rimanevamo, potevamo spiegargli come è la verità!”

Kenzo scosse la testa. “Gente simile non ascolta.”

I giornalisti, e soprattutto il primo che aveva cominciato a fare quel genere di domande, non sembravano però voler demordere. Dovevano aver fiutato un argomento interessante.

“Maestri della Luce, aspettate! Rispondete ancora a qualche altra domanda!”

Il giornalista di prima accelerò per raggiungerli e arrivò a pochi passi da loro.

“Come potete essere sicuri delle scelte che avete fatto? E come potete essere certi che gli abitanti del Mondo Altrove non potrebbero in nessun modo essere un pericolo?”

I sei Maestri della Luce si fermarono tornando a voltarsi. Dan fece un passo avanti guardando deciso il giornalista.

“Gran RoRo non è un luogo pericoloso! Quante volte dovremo ripeterlo?”

Il giornalista non sembrò neanche ascoltarli. “Molte cose possono apparire in modo diverso, quando le si conoscono meglio…”

Dan li guardò indispettito. “Appunto! E non ci siamo vissuti mesi a Gran RoRo!”

Prima che potesse avvicinarsi di più al giornalista, la mano di Yuuki si posò sulla sua spalla, fermandolo. Dan si voltò verso di lui.

“Dan lascia stare. È inutile.”

Mai annuì fulminando i giornalisti con lo sguardo. “Giusto, andiamocene!”

I Maestri della Luce stavano per voltarsi di nuovo, quando il giornalista spinse avanti di nuovo il microfono, tirando fuori un argomento che non avrebbe mai dovuto tirare fuori.

“Come giustificate allora la vostra affermazione che Kajitsu Momose non era un pericolo? I fatti hanno dimostrato il contrario!”

Yuuki si immobilizzò. Dan e gli altri si voltarono, fissando stufi il gruppo di giornalisti. Questa volta fu Clarky a parlare.

“Abbiamo già detto che era stata tutta una messa in scena del Re del Mondo Altrove!”

Il giornalista rimase muto un attimo, poi una luce indecifrabile brillò nel suo sguardo.

“Anche ciò che successe dodici anni fa in casa Momose?”

Yuuki a quelle parole si irrigidì. Gli altri Maestri della Luce sgranarono gli occhi scioccati: come aveva fatto quel giornalista a scoprire quella storia? L’uomo proseguì imperterrito.

“Secondo la documentazione, nel 1997 la casa venne semi distrutta da un’esplosione. Vennero coinvolti e persero la vita i vostri genitori, Guerriero Bianco, e anche alcuni agenti di polizia. Secondo il rapporto la causa dell’esplosione è stata attribuita ad un corto circuito. Strano che però siano sopravvissuti solo due bambini…”

Mai fece un passo avanti, indignata dal tono del giornalista. Sembrava godesse dei particolari di quella storia.

“Che cosa vuole insinuare?”

Dan la affiancò, più che mai deciso a difendere l’amico. “Che cosa c’entra questa storia?”

L’uomo non prestò loro attenzione e voltò lo sguardo verso Yuuki che, ancora immobile, teneva lo sguardo basso.

“Abbiamo tutti visto i poteri di cui era dotata Kajitsu Momose. E se li ha sempre posseduti, una bambina di pochi anni potrebbe anche aver perso il controllo…”

Clarky affiancò a sua volta Dan e Mai. “Dovreste vergognarvi di parlare così di lei!”

Il giornalista ignorò le sue parole. “Ho fatto delle ricerche a tal proposito. E ho scoperto che il giorno dell’esplosione Kajitsu Momose doveva essere portata in una clinica specialistica, per scoprire le cause dei strani poteri che possedeva. Strano che proprio quel giorno sia avvenuta l’esplosione… e strano che proprio quel giorno lei e voi, Guerriero Bianco, siate scomparsi. Non lo ritenete una prova più che sufficiente della perico…”

Il giornalista, però, non riuscì a finire di parlare. Yuuki, infatti, era scattato avanti senza preavviso e lo aveva colpito in pieno viso con un pugno. Gli altri Maestri della Luce e gli altri giornalisti sgranarono gli occhi dalla sorpresa e, questi ultimi, furono rapidi a inquadrare tutta la scena con le telecamere.

Il giornalista, a cui era caduto il microfono, si rialzò tenendosi una mano sul mento e si vedeva che era rimasta spiazzato anche lui dalla reazione di Yuuki. Mentre si stava per rimettere in piedi, il Guerriero Bianco lo afferrò per il bavero della camicia sollevandolo a una decina di centimetri dal viso. I loro occhi si incrociarono e il giornalista faticò a reprimere un brivido di paura. Gli occhi di Yuuki erano diventati di ghiaccio. Vi si leggeva rabbia, odio, anche frustrazione. I muscoli delle braccia erano tesi e i tratti del viso erano duri, vibranti di collera, le mani stringevano con forza il colletto della camicia dell’uomo. Il giornalista deglutì.

“Non ti permettere… non ti permettere mai più di parlare di lei in questo modo…”

Yuuki faceva paura e anche gli altri giornalisti reputarono più sicuro non avvicinarsi troppo. Alcune persone che camminavano lungo la strada si fermarono guardando la scena stupiti e incuriositi. I Maestri della Luce, a pochi passi da Yuuki, erano ancora immobili, colti alla sprovvista da ciò che era successo. Non avevano mai visto Yuuki pervaso da una simile rabbia. Non avevano mai visto nei suoi occhi quello sguardo glaciale. Quando però si resero conto della rabbia di Yuuki, Mai si portò una mano al viso sgranando gli occhi. Kenzo e Hideto si guardarono stupiti. Dan e Clarky raggiunsero Yuuki. I due ragazzi non sapevano se Yuuki potesse usare i poteri che aveva mostrato di possedere a Gran RoRo o se potesse far apparire la sua spada, dato che i portali con Gran RoRo erano chiusi. Ma era molto meglio, soprattutto per il giornalista, non scoprirlo.

A fatica, Dan e Clarky riuscirono a separare Yuuki dal giornalista che arretrò con gli occhi sbarrati e senza avere la forza di parlare. Decisamente non sapeva quanto oltre si era spinto.

Il Guerriero Rosso e il Guerriero Giallo tenevano Yuuki per le braccia, nell’eventualità che potesse cercare di colpire di nuovo il giornalista. Non che difendessero l’uomo, che se lo era cercato, ma era meglio non peggiorare ancora la situazione. Yuuki, però, non sembrava voler attaccare di nuovo il giornalista. Clarky e Dan non dovevano neanche sforzarsi per tenerlo fermo. Il Guerriero Bianco sembrava aver ripreso il controllo di sé, ma riuscivano a sentire i suoi muscoli fremere ancora di rabbia. E il suo sguardo, il suo sguardo era ancora gelido e furioso. Yuuki respirava lentamente, quasi cercasse di controllarsi. Nessuno dei giornalisti aveva ancora detto nulla, limitandosi a filmare tutto. Uno dei fotografi si avvicinò al giornalista che continuava a passarsi una mano sul guancia.

Lentamente, Mai si avvicinò a Dan, Yuuki e Clarky e posò una mano sulla spalla di Dan. Sembrava tranquilla, ma si leggeva nei suoi occhi tutta la sua ansia. Ansia e preoccupazione che era nello sguardo di tutti.

“Meglio che andiamo…”

Nessuno degli altri Maestri della Luce replicò. Lo stesso Yuuki fu il primo. Liberatosi lentamente dalla presa di Dan e Clarky, il ragazzo si era voltato e aveva cominciato ad allontanarsi senza dire una parola. Uno dopo l’altro, tutti i restanti Maestri della Luce lo seguirono. Nessuno dei giornalisti cercò, quella volta, di convincerli a rispondere ad altre domande. Mentre i sei ragazzi si allontanavano, cominciò alle loro spalle un brusio di voci che stupite si domandavano e spiegavano che cosa era successo.

Dopo quello che era successo, nessuno dei Maestri della Luce aveva più il buonumore di mezz’ora prima. E i progetti dell’estate erano caduti nel dimenticatoio. Senza dirsi nulla, andarono alla metropolitana e si fermarono in attesa del treno. Per tutta l’attesa nessuno spicciò parola. Yuuki sfuggiva i loro sguardi e gli altri, del resto, perdevano la forza di parlare non appena incrociavano gli occhi ancora sgranati e preoccupati degli altri. Non riuscivano ancora a credere a che cosa era successo. In tutti quei mesi non era mai accaduto niente di simile. Per la prima volta ebbero paura del loro successo. Ebbero paura della loro fama e si resero conto di non esseri in grado di affrontarlo come le battagli di Gran RoRo. Per la prima volta, una strana inquietudine li pervase. Kenzo continuava a fissarsi la punta delle scarpe, Hideto aveva iniziato a mordersi le unghie delle mani, Clarky teneva lo sguardo basso e le mani in tasca, Mai continuava a giocherellare nervosamente con una ciocca di capelli e Dan continuava ad alternare lo sguardo da uno all’altro. Yuuki era immobile e fissava il tunnel della galleria.

Sempre in silenzio, il gruppo salì sulla metropolitana. Si sedettero tutti, tranne Yuuki che non aveva ancora aperto bocca dopo quello che era successo. Gli altri si guardarono senza saper cosa fare: erano sconsolati per quello che era successo a Yuuki. Sapevano del profondo legame che li aveva uniti e sapevano quanto ancora, in fondo, Yuuki soffrisse per la perdita di Kajitsu. Sinceramente, ciascuno di loro avrebbe picchiato quel giornalista.

La situazione non era cambiata quando scesero alla solita fermata. Tutte le volte, dopo quelle uscite, andavano a casa di Yuuki dove potevano stare ancora un po’ insieme senza la presenza di genitori o fratelli più o meno curiosi. Di solito, percorrevano quella strada ridendo e chiacchierando sereni di quello che era successo loro nei giorni in cui non si erano visti oppure facendo progetti. Quel giorno, invece, percorsero la strada che li separava dall’appartamento di Yuuki in silenzio, ciascuno sprofondato nei propri pensieri. Più di una volta, si chiesero se Yuuki forse non avrebbe preferito che loro non venissero. Ma non se la sentivano di lasciarlo solo.

Arrivati al condominio pochi minuti dopo, Yuuki si diresse senza una parola verso le scale, nonostante l’appartamento che la direttrice dell’orfanotrofio gli aveva prestato fosse al quarto piano. Nessuno, però, disse nulla o protestò e seguirono lentamente Yuuki. Tutta quella situazione era irreale, assurda. Sarebbe stato bello svegliarsi e accorgersi che era stato solo un sogno. Ma non lo era.

I cinque ragazzi finirono le ultime scale nel momento in cui Yuuki apriva la porta. Per un attimo temettero che il Guerriero Bianco li chiudesse fuori. Non lo avrebbero neanche rimproverato. Era più che legittimo che volesse stare solo. Ma non lo fece. Dopo essere entrato, Yuuki lasciò la porta aperta e gli altri furono almeno un po’ sollevati.

Quando entrarono, videro Yuuki sul balcone e decisero perciò di non disturbarlo. La cosa migliore era che si calmasse. Per questo motivo, Mai si diresse subito verso la cucina. Gli altri quattro ragazzi si sedettero nel salotto, lanciando ogni tanto uno sguardo verso la cucina e verso il balcone. Un paio di minuti dopo, si sentì il fischio del tè, Dan si alzò e andò in cucina. Lì vide Mai che stava versando il tè nelle tazzine. Lentamente la affiancò.

“Tutto bene? Serve una mano?”

Mai lo guardò e annuì. Sembrava che entrambi non parlassero da una vita.

“Perfettamente. Questa domanda dovresti farla a Yuuki. Però, sì mi servirebbe una mano. Grazie.”

Dan aiutò Mai a portare di là il vassoio con il tè e un pacco di biscotti trovati nella dispensa. Quando arrivarono nel salotto, trovarono il televisore accesso. Proprio in quel momento, stava venendo trasmesso l’istante in cui Yuuki colpiva il giornalista. Mai, senza esitazione, posò il vassoio e andò a spegnere il televisore.

“Credo che abbiamo già visto…”

In quel momento sentirono la porta del balcone aprirsi. Tutti i Maestri della Luce si voltarono di scatto verso quella direzione. Yuuki entrò lentamente. La rabbia sembrava averlo abbandonato, ma nel suo sguardo non c’era più la serenità dei mesi precedenti. Quando Yuuki si sedette, anche Mai e Dan lo fecero. Per lunghi minuti nessuno disse nulla. Poi, fu proprio Yuuki a parlare per primo, abbozzando un sorriso.

“Credo di aver esagerato…”

Non sapevano il perché, ma tutti gli altri Maestri della Luce sorrisero di sollievo. Quasi che avessero sollevato loro un peso. Mai scosse la testa e mosse una mano.

“Sciocchezze. Io avrei fatto di peggio!”

Yuuki alzò lo sguardo e sorrise. Anche gli altri sorrisero. Clarky annuì ridendo.

“Hai ragione Mai! Quel giornalista se l’è proprio cercata!”

Kenzo rise. “Avete visto la faccia che ha fatto? Probabilmente temeva che Yuuki lo facesse fuori!”

Clarky annuì divertito. “Beh, lo avevo creduto anche io… Yuuki, non ti avevo mai visto così!”

Dan si voltò sorridendo verso Yuuki. “Mi sa che quel giornalista non farà mai più domande simili in futuro…”

Una risata liberatoria pervase tutti i Maestri della Luce (anche se Yuuki si limitò a sorridere). Per fortuna tutto sembrava essersi normalizzato e il peggio di quell’episodio spiacevole lasciato alle spalle. Uno dopo l’altro presero il proprio tè cominciando a berlo accompagnato dai biscotti. Finalmente il clima tra di loro era tornato a distendersi. Dopo qualche minuto, Hideto guardò perplesso i propri amici.

“Però… mi chiedo una cosa. Perché ha tirato fuori quel discorso?”

Kenzo annuì abbassando la mano che teneva il biscotto che aveva appena morso.

“Già… vi siete accorti che facevano di tutto per farci innervosire?”

Dan annuì infastidito. “Continuava a ripetere che Gran RoRo è pericoloso e che noi abbiamo combattuto per interesse!”

Mai sbuffò. “Penso che per certa gente sia genetico… si divertono a tirare fuori qualsiasi assurdità pur di creare qualche scoop!”

Clarky si posò al divano alzando le spalle. “Probabilmente è un episodio così… come ha detto Mai, certi giornalisti di fanno venire spesso questi grilli per la testa!”

Hideto scoppiò di nuovo a ridere. “Sì, però questa volta i grilli sono stati colpiti in pieno!”

Di nuovo scoppiarono a ridere. Il buonumore era tornato. Sì, doveva per forza essere un episodio isolato. Bisognava imparare a convincerci quando si era famosi. Non dovevano preoccuparsi. Piano piano, i sei ragazzi tornarono a parlare dei loro progetti continuando a discutere sulla meta delle loro vacanze. Quell’episodio sarebbe presto stato dimenticato e nessun gli avrebbe più accusati di aver accresciuto i problemi della Terra. Erano tornati a ridere e ad essere i Maestri della Luce. Mai aveva ripreso a rimbeccare Dan per il fatto che pensava solo a Battle Spirits, Kenzo, Hideto e Clarky a discutere animatamente sul fatto che fosse meglio il mare o la montagna e Yuuki era tornato il controllato e serio Guerriero Bianco che avevano conosciuto. Nessuno di loro pensava più a quello che era successo poche ore prima.

Ma i Maestri della Luce non sapevano che un’ombra si stava avvicinando loro, mentre ignari ridevano e discutevano delle loro vacanze. Ombre di cui quello che era successo era solo l’inizio.

Salve a tutti! ^-^ Rieccomi qui con l’inizio di un nuovo episodio… e come annunciato cominciano i problemi. ;) Come pianificato dal Governo Invisibile, i Maestri della Luce si sono goduti la loro fama (ho descritto velocemente i mesi di passaggio, ho ritenuto che avrebbe fatto solo perdere tempo… anche se non ho potuto non farmi coinvolgere un po’ dall’imminente Natale e descrivere  vagamente come lo hanno passato. Chissà magari il prossimo Natale farò una OS natalizia… ^-^). Ma ride bene chi ride ultimo… e i giornalisti hanno cominciato ad insinuare dubbi su di loro (dubbi che presto, come sappiamo, diventeranno accuse). Che ne pensate? Aspetto le vostre recensioni! ^-^

Siamo al primo capitolo, quindi penso sia meglio non dilungarmi troppo… e quindi passo subito alle anticipazioni del PROSSIMO CAPITOLO: i Maestri della Luce, mentre le accuse contro di loro crescono, dovranno affrontare le loro famiglie. Che cosa succederà?

Detto questo, vi do appuntamento alla prossima settimana. :) Uno per tutti e tutti per uno. XD Hikari/D’Artagnan

P.S: ricordo come sempre che questa storia è frutto del lavoro mio (scrittura) e di mio fratello (duelli)... e ovviamente le trame le abbiamo pensate insieme. ^-^

P.P.S: ho fatto richiesta di aggiungere come personaggio Clarky! ^-^

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Erano passate un paio di settimane da quell’intervista finita male e ben presto i Maestri della Luce si erano resi conto che quello non era stato un episodio isolato. I dubbi sollevati nei loro confronti da quell’intervista non erano stati dimenticati. Anzi, sempre più persone avevano cominciato a crederci e, di conseguenza, avevano cominciato a dubitare di loro. I sei ragazzi non se ne erano accorti subito. I primi giorni dopo quell’episodio tutto era rimasto come prima, con i compagni di classe che continuavano a chiedere di duellare con loro o di essere loro amici. Le insinuazioni di quei giornalisti non sembravano aver sortito alcun effetto. Ma era stata un’illusione. E i Maestri della Luce capirono troppo tardi di aver sottovalutato quello che era successo.

Il campanello d’allarme arrivò dai mezzi di comunicazioni. Lentamente ma in modo inarrestabile, cominciarono ad essere pubblicati articoli in cui si metteva in dubbio l’“eroismo” dei Maestri della Luce. Che subito vennero seguiti dai servizi televisivi, dove persone di tutti i generi (da personaggi famosi a persone fermate per le strade) venivano interrogate su cosa pensavano dei loro. Inutile dire che, sempre più persone in tutto il mondo cominciavano a dubitare dei sei ragazzi. E attecchiva sempre più l’idea che i Maestri della Luce avessero combattuto solo per tornaconto personale, solo per la fama e il successo. E che, per ottenerlo, avessero di proposito impedito alla Terra di ottenere il Sistema dei Nuclei, promesso dal Re del Mondo Altrove. Addirittura, qualcuno insinuava che fossero stati gli stessi Maestri della Luce a far sembrare il Sovrano del Mondo Altrove un nemico, solo perché altrimenti non sarebbero potuti essere acclamati come eroi.

Dan, Mai, Yuuki, Clarky, Hideto e Kenzo erano rimasti, inizialmente, scioccati da tutto quello. Rapidamente erano stati trasformati in star, altrettanto rapidamente ora stavano venendo dipinti come nemici della Terra. Le loro voci, alzate nel momento in cui avevano preso piena coscienza di quello che stava succedendo, non servirono a nulla. Pian piano, tutti coloro che si erano professati “amici” o “fan” presero di nuovo le distanze. C’era chi, addirittura, li guardava con disprezzo, ignorandoli quando camminavano tra i corridoi della scuola. Questo, però, non aveva indebolito i Maestri della Luce che aveva ripreso a combattere. Era una nuova battaglia, ma erano più che determinati a vincerla. Per far trionfare la verità, per tutti i loro amici di Gran RoRo e per tutti i sacrifici che avevano fatto.

Ma non erano a Gran RoRo, erano sulla Terra. La battaglia che stavano affrontando non si sarebbe decisa a Battle Spirits. E loro non potevano sapere quanto inesperti fossero per un simile scontro. Lo avevano già visto con il Re del Mondo Altrove: era riuscito a convincere l’opinione pubblica sfruttando l’inganno e loro non avevano potuto fare nulla. La loro vittoria era dipesa solo da Battle Spirits.

E lo capirono in quei giorni, in quelle settimane di fine maggio e inizio giugno. Fu allora che si resero conto del potere che potevano avere i mass media e l’opinione pubblica: potere che si estendeva su tutto, anche su quei legami che i sei giovani ragazzi avevano dato per scontati e che avevano creduto così solidi da poter resistere a tutto quello. Sbagliando anche in questo, perché, se anche erano nate delle discussioni tra i Maestri della Luce e i loro familiari, mai avrebbero creduto di poter essere lasciati soli.

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Mai era di cattivo umore. Continuava a pensare alla sera prima e alla discussione che aveva avuto con i propri genitori. Volevano che lei la smettesse. Volevano che non continuasse insieme agli altri Maestri della Luce a far sentire la loro voce, a combattere. Avevano paura che le potesse succedere qualcosa. Mai si fermò e fissò il via vai di persone sul marciapiede, dirette a lavoro o a scuola come lei. Con rabbia strinse il manico della borsa in cui teneva il suo inseparabile computer. Come potevano tutte quelle persone credere a quelle insinuazioni? Non avevano visto quello che era successo in agosto? Non avevano visto il cielo nero, la distruzione imminente della Terra? Come potevano pensare che fossero loro i cattivi? La ragazza sbuffò e colpì con un piede un sasso che si trovava davanti a lei che, dopo un piccolo volo, finì contro un cassonetto dei rifiuti. A quel punto Mai, di umore nero come prima, riprese a camminare. Anche sul suo blog. La maggioranza dei contatti erano sfumati e la maggior parte di chi ancora inseriva discussioni lo faceva solo per deridere lei e i Maestri della Luce… o peggio offenderli. Perché? Che cosa era successo? Mai si morse un labbro per non far uscire le lacrime che le pungevano gli occhi. Un attimo dopo scosse la testa: non poteva arrendersi. Non doveva cedere. Altrimenti faceva solo il loro gioco.

Mentre camminava verso la scuola, Mai tornò a pensare ai suoi genitori. Li capiva. L’anno prima avevano creduto che le fosse successo qualcosa o, ancora peggio, di averla persa. Era logico e normale che si preoccupassero. Ma perché non capivano che era la cosa giusta continuare a lottare per far trionfare la verità? Anche Kaoru aveva provato a presentare la cosa sotto quella luce, ma non era servito. Ma Mai non accusava la sorella di non aver parteggiato per lei. Kaoru aveva fatto fin troppo. Sapeva benissimo che anche lei cominciava ad avere problemi all’università: c’era anche lì chi se la prendeva con lei solo perché era sorella di Mai Viole, il Guerriero Viola. L’unico lato positivo era che Kaoru non era certo una che si faceva mettere i piedi in testa tanto facilmente. Ma cosa sarebbe successo in futuro? Se dopo la loro vittoria aveva avuto dubbi su quello che l’avrebbe aspettata nei mesi successivi, ora ne aveva quasi paura. Non voleva che chi le stava vicino soffrisse per causa sua… o meglio per la stupidità dilagante.

Finalmente era arrivata. La ragazza ignorò le occhiate dei compagni di scuola. Era da giorni che aveva imparato a convivere con quell’indifferenza e con il tono derisorio con cui qualcuno l’apostrofava (o come la pensava lei, aveva imparato perfettamente ad ignorare quegli stupidi che abboccavano a quelle idiozie). Fu per questo che cercò subito con lo sguardo i suoi amici. Non appena li vide, Mai sorrise e accelerò il passo per raggiungerli: quel week-end non si erano sentiti e non vedeva l’ora di parlare con qualcuno che era rimasto accanto a lei nonostante tutto e che sapeva pensare con la sua testa. Daichi, Ayako e gli altri stavano entrando nell’edificio insieme alla maggior parte degli studenti, dato che mancavano una decina di minuti all’inizio delle lezioni.

Rendendosi conto che i cinque ragazzi non si erano accorti di lei, Mai alzò il braccio muovendo la mano per farsi notare.

“Daichi, Ayako… ragazzi!”

Quello che successe dopo, fu per Mai come una pugnalata alle spalle. Daichi, Ayako e gli altri si voltarono appena verso di lei. I loro occhi si incrociarono e Mai vide nei loro sguardi una grande incertezza. Per un istante i cinque si scambiarono delle occhiate con cui muti si interrogavano. Poi, alla fine, la guardarono ancora un istante e Mai ebbe l’impressione che in qualche modo cercassero di chiederle scusa. E si voltarono entrando nell’edificio.

Il sorriso morì sulle labbra di Mai, che per un istante ebbe l’impressione che il pavimento le venisse a mancare sotto i piedi. L’avevano ignorata. L’avevano vista e si erano voltati dall’altra parte, come se non la conoscessero. Per lunghi istanti Mai fissò con gli occhi sgranati il portone della scuola. E in quegli istanti capì che cosa era successo: l’avevano abbandonata. Forse credevano ai mass media, forse avevano paura delle conseguenze… ma qualunque fosse la ragione, era bastata quella per cancellare la loro amicizia: un’amicizia che era nata fin da quando erano bambini. Fu in quel momento che sentì una lacrima scivolarle lungo la guancia.

Con rabbia, Mai asciugò le lacrime con il dorso della mano. Non l’avrebbero vista piangere. Non meritavano le sue lacrime. Se quella era la loro scelta, lei non avrebbe fatto nulla per farla cambiare. Lei era Mai Viole… poteva farcela benissimo da sola e insieme a quelli che erano i suoi veri amici. Se loro non volevano più avere nulla a che fare con lei, tanto meglio. Almeno ora sapeva chi erano veramente le persone di cui potersi fidare.

Mai entrò nell’aula a testa alta e non guardò neanche una volta i cinque ragazzi, che invece tenevano lo sguardo basso, forse vergognandosi di quello che avevano fatto. Una volta calmata, Mai decise di dar loro ancora una possibilità. Durante la prima pausa, aspettò speranzosa che loro venissero da lei per scusarsi o per lo meno parlare con lei come ogni giorno. Ma non successe. La delusione fu fortissima, ma Mai era decisa a non farlo vedere. Durante le pause successive, la ragazza finse di essere sempre impegnatissima al computer e fece di tutto per stare alla larga dai cinque ragazzi. Alla fine delle lezioni, Mai prese rapidamente le sue cose e uscì con passo deciso. Non aveva alcuna intenzione di parlare con loro. Ma Daichi, Ayako e gli altri le corsero dietro e riuscirono a raggiungerla fuori dal cancello.

Mai, sentendoli arrivare e sentendo che la chiamavano, fece finta di niente continuando imperterrita a camminare. Quando la mano di Daichi le afferrò un braccio, Mai si voltò liberandosi bruscamente dalla presa.

“Che cosa volete?”

Mai non cercò neanche di diminuire il tono brusco con cui parlò e lo sguardo ametista che lanciò ai cinque ragazzi rivelava tutta la sua furia e la sua delusione. Daichi la guardava imbarazzato e sia da lui, sia dagli altri traspariva la loro vergogna.

“Mai, permettici di spiegarti…”

Mai incrociò le braccia fissandoli indignata e sorrise sarcastica.

“Che cosa? Che siete stati anche voi così stupidi da credere a tutte quelle idiozie? Che questo è bastato per distruggere la nostra amicizia? Che cosa dovrei lasciarvi spiegare, Daichi?”

Ayako fece un passo avanti con gli occhi lucidi, sul punto di scoppiare a piangere.

“Mai scusaci… per favore… noi… noi siamo stati stupidi… credevamo che…”

La ragazza non poté continuare perché scoppiò a piangere. La bionda la abbracciò voltandosi verso Mai.

“Mai, per favore.”

Mai scosse la testa con decisione. “Non posso scusarvi. Non voglio scusarvi. Ma vi ringrazio… almeno ora so chi sono veramente miei amici.”

Daichi la guardò sconsolato. “Mai, ti prego ascoltaci…”

Mai gli impedì di proseguire. “L’amicizia è esserci sempre… soprattutto quando uno ne ha bisogno. E voi questo non lo avete fatto. Quando sono diventata famosa c’eravate. Ma questa mattina mi avete ignorata, come se non mi conosceste. Per un po’ ho sperato che voi cambiaste idea… ma anche dopo avete continuato ad ignorarmi: probabilmente vi vergognate di farvi vedere con una dei Maestri della Luce. Non preoccupatevi: È finita.”

La mora cercò di avvicinarsi a lei. Ma lo sguardo di Mai la fece fermare.

“Credevo di avere degli amici in voi, ma mi sbagliavo. Mi avete deluso.”

Mai non aggiunse altro e si voltò allontanandosi velocemente, impedendo loro di dirle qualcos’altro. Era arrabbiata, ferita, ma non piangeva. Non aveva nessuna intenzione di piangere. Avrebbe continuato a combattere, alla faccia di tutti quelli che li volevano far cadere. Arrivò a casa senza quasi accorgersene. Non appena entrò nell’atrio, sentì provenire dal salotto il rumore della televisione. Toltasi le scarpe, Mai si avvicinò per sentire meglio e capì subito di che cosa si trattava.

“Ed è per questo che io sono qui, a correre per essere eletto Presidente. Per riparare agli errori di chi, investito di un ruolo fondamentale da tutto il mondo, investito dalla fiducia di tutti, ha lasciato invece decidere ad un gruppo di ragazzi…”

Mai non aspettò oltre ed entrò nella stanza, raggiungendo il televisore e spegnendolo. La voce di sua madre, ferma sul vano della cucina, fu la prima a farsi sentire.

“Mai!”

La ragazza si voltò lanciando uno sguardo combattivo verso i genitori e la sorella.

“Mi sembrava che le stupidaggini dette da quel tipo le avessimo già sentite ieri sera.”

Suo padre la guardò con rimprovero. “Mai, non è un delitto guardare il telegiornale.”

La ragazza incrociò le braccia. “No. Ma è un delitto contro l’intelligenza credere a tutto questo!”

Kaoru, prevedendo guai in arrivo, si alzò cercando di calmare la sorella.

“Mai, lascia stare… lo sai che le persone parlano senza pensare.”

Mai scosse la testa con decisione. “No, non lascio stare. E non m’importa nulla di quello che dicono le persone, m’importa delle persone che, senza pensare, ascoltano!”

La madre entrò nella stanza sgridandola. “Mai, penso che non meritiamo questo trattamento da te.”

Il padre si alzò dal divano e annuì. “Sono d’accordo. Tu ci accusi, ma non possiamo fare niente noi!”

Mai li fissò. “Potreste credermi.”

La madre sospirò rassegnata. “Noi ti crediamo…”

La ragazza scosse la testa. “No, non mi credete. Altrimenti non cerchereste di impedirmi di combattere insieme ai miei amici!”

Il padre la guardò, parlando con tono duro. “Mai, noi vogliamo solo proteggerti. Dove credete di poter arrivare continuando così, me lo dici? Pensi che saremo contenti se qualcuno ti facesse del male per la tua ostinazione?”

Mai fissò i genitori con astio. “Non è ostinazione. I nostri non sono capricci. Noi faremo trionfare la verità, che voi lo vogliate o no!”

L’uomo alzò una mano pe zittirla. “Basta, Mai. Non ti permetteremo di mettere in gioco la tua vita e il tuo futuro. Ti vieto di incontrare ancora gli altri Maestri della Luce!”

Mai lo fissò con gli occhi sgranati per qualche istante. Kaoru si voltò verso i genitori, cercando di calmarli. La voce del Guerriero Viola, però, la fece di nuovo voltare. Quando Kaoru si voltò vide Mai immobile: sembrava calma mentre parlava.

“Io continuerò a combattere.”

Mai non disse altro e impedì ai genitori di negarglielo di nuovo. Non diede loro il tempo di dire nulla, si voltò, afferrò la borsa del computer e corse verso la porta d’entrata. Mentre indossava di nuovo le scarpe, Mai ignorò le voci dei genitori e di Kaoru che la chiamavano. Uscì dalla casa di corsa e si fiondò giù per le scale. Le lacrime, che tutta la giornata avevano minacciato di uscire, le bagnarono le guance mentre correva giù per le scale. Ai piani superiori, sentì i genitori chiamarla. Voleva andarsene lontano, lontano da tutti quelli che non credevano veramente in lei e nei suoi amici. Raggiunse la strada e continuò a correre lasciandosi dietro la propria casa. Lei voleva combattere. Voleva far trionfare la verità. Doveva farlo. Per tutte le persone che contavano su di loro, per Gran RoRo.

Mai continuava a correre e solo dopo vari minuti riuscì a calmarsi a sufficienza per pensare con lucidità. Non sarebbe tornata a casa, non per il momento almeno. I suoi genitori non volevano appoggiarla, le avevano voltato le spalle: anche loro erano riusciti a deluderla. Ma allora dove andare? Ferma ad un semaforo, Mai si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Poteva andare soltanto dai suoi amici. Dai suoi veri amici: i Maestri della Luce.

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Hideto non ne poteva più. Prima c’era stata la fama. Era stato divertente, gli era sembrato di essere una star, era stato piacevole essere ammirato da tutti. Poi era tornato tutto come l’anno prima. Il ragazzo, mentre camminava nel corridoio della scuola, venne improvvisamente spintonato. Hideto sbattè contro il muro e per poco tutti i libri che teneva in mano non gli caddero per terra. Quando alzò lo sguardo, vide i tre soliti bulli superarlo ridendo.

“Guarda dove vai… idiota.”

Altre risate risuonarono nel corridoio. Hideto li ignorò, tanto reagire in qualche modo non serviva a niente. E poi, presto l’anno scolastico sarebbe finito. Il ragazzo fece vagare lo sguardo sui compagni di scuola, riconoscendo molti di quelli che lo avevano riempito di elogi fino a qualche settimana prima. Già, fino a quando i giornalisti, le televisione e pian piano l’opinione pubblica avevano cominciato a presentarli come coloro che avevano impedito alla Terra di risolvere i suoi problemi. Hideto sospirò e riprese a camminare, ignorando le occhiate dei compagni di scuola. Non che propriamente gli mancasse tutto quello che era venuto con la fama. Era già da mesi che non gli sembrava più di essere sé stesso. Avrebbe voluto più di una volta parlarne con gli altri, ma non voleva sembrare il solito ragazzino incapace che ha bisogno degli altri per cavarsi dai guai. E poi non era neanche certo che per loro fosse così. Anche se era certo che qualcosa era cambiato veramente da qualche settimana a quella parte: non c’era più quell’armonia, quella serenità che aveva contraddistinto le loro riunioni. Di fondo aveva percepito una tensione, un’inquietudine che velava ciascuno di loro. Tranne forse Dan e Yuuki. Sì, loro sembravano riuscire a farsi scivolare addosso tutto quello: avevano un obbiettivo e non si sarebbero arresi. Non si era mai dimenticato di ciò che aveva pensato duellando con Dan dopo aver duellato con Yuuki: c’era una luce simile nei loro occhi. E anche adesso lo stavano dimostrando.

Hideto uscì dall’edificio, come la maggior parte degli studenti. Il sole splendeva alto nel cielo e faceva caldo. Si vedeva che l’estate stava per arrivare. Ma Hideto non riusciva a gioirne. La “vacanza dei Maestri della Luce” era andata in fumo. Con il clima generale, nessuno di loro aveva più voglia di andarsi a divertire. Per fare cosa, poi? Andare in un posto dove tutti li avrebbero derisi? Piuttosto era meglio rimanere e combattere… ma anche quello era difficile.

Hideto continuava a pensare agli scarsi risultati raggiunti in quelle settimane. Nessuno li stava ad ascoltare. Nessuno credeva loro. I primi ad abbandonarli erano stati tutti quei falsi amici che erano arrivati dopo la loro vittoria. Come i tre bulli, che avevano rapidamente dimenticato di averlo chiamato “amico” da mesi a quella parte. Non che gli cambiasse qualcosa averli amici o no… ma il fatto era che anche le persone che erano più vicine loro, cominciavano a faticare a credere loro. Hideto sospirò ripensando alle discussioni che erano nate a casa sua.

Suo padre, quando aveva visto quello che era successo in quell’intervista, si era arrabbiato con lui, gridando che i suoi nuovi amici erano dei violenti che lo avrebbero traviato. Hideto aveva provato in tutti i modi a fargli capire che era stato il giornalista ad istigare, che Yuuki non avrebbe potuto trattenersi sentendo qualcuno parlare male dell’amata sorella. Ma era stata una causa persa. Anche sua madre aveva cercato di calmarlo, dicendo che poteva essere stato un caso isolato. Dopotutto li avevano conosciuti anche loro gli altri Maestri della Luce ed erano sembrati tutti dei bravi ragazzi. La donna insieme al nonno era riuscita a calmare l’uomo. Ma la cosa non era finita.

Discussioni sempre più frequenti erano nate, successivamente agli articoli, ai servizi e alle interviste pubblicate e trasmesse ai telegiornali. E pian piano, anche la madre di Hideto aveva cominciato a preoccuparsi di quello che gli sarebbe potuto succedere continuando a frequentare i Maestri della Luce. Hideto sentiva che un giorno gli avrebbero imposto di non incontrarli più. Come facevano a non capire che era grazie a Dan e agli altri se era diventato un ragazzo migliore? Come facevano a credere a quello che dicevano nei telegiornali? Quello che più lo faceva soffrire era che non credevano neanche a quello che lui mesi prima aveva loro raccontato. L’unico che ancora stava dalla sua parte era suo nonno, ma poteva fare ben poco. Suo padre non avrebbe certo dato retta al suocero se si sarebbe convinto che per Hideto era più sicuro non rivedere più i Maestri della Luce.

Quella vita stava diventando soffocante. Tokyo stava diventando soffocante. Sembrava che non ci fosse più nessuno disposto a stare dalla loro parte. Come avrebbero fatto in modo che Magisa aprisse di nuovo i portali?

Hideto vide davanti a sé il cancelletto di casa. Prese le chiavi ed entrò. Quando arrivò alla porta, sentì subito la voce di suo padre. Il ragazzo sospirò: stavano di nuovo discutendo. Hideto entrò e, attraverso la porta che dava sul soggiorno, vide la scena che ormai da giorni gli si presentava davanti: suo padre e suo nonno che discutevano e sua madre che cercava di calmarli, senza prendere le parti di nessuno dei due.

“Sono io suo padre non tu! Avrò il diritto di proteggere mio figlio!”

Il nonno lo guardò infastidito. “Non lo proteggi, portandolo via dai suoi amici.”

L’uomo, in piedi, si voltò esasperato verso il suocero. “Non è questo il punto! Maledizione, ma non l’hai visto anche tu il telegiornale?”

Il nonno sbuffò, scuotendo la testa. “Se crederei a tutte le cose che dice quella scatola…”

Il padre di Hideto si passò una mano tra i capelli, guardando la moglie.

“Tesoro, fa ragionare tuo padre! Hai sentito cosa dicono tutti, anche uno dei due candidati alla presidenza americana… non possiamo far rischiare nostro figlio per lasciarlo andare in giro con quelli là!”

La donna sospirò. “Lo so… neanche io non voglio che gli succeda niente. Ma sono pur sempre i suoi amici.”

Hideto ascoltava tutto, da dietro il muro. I tre adulti non si erano accorti di lui, troppo impegnati a discutere. Se solo anche sulla Terra tutto avesse funzionato con Battle Spirits… tutto si sarebbe risolto molto più facilmente. La voce di suo padre tornò ad attirare la sua attenzione.

“Amici o non amici, se la situazione rimane questa, sai benissimo che la cosa migliore è…”

Hideto si staccò dal muro entrando di corsa dentro al soggiorno. “No!”

I due uomini e la donna si voltarono sorpresi, accorgendosi solo in quel momento della presenza del figlio. La madre di Hideto lo guardò, cercando di sorridere.

“Hideto, non ti avevamo sentito entrare. Fra poco pranzeremo… perché non vai a sistemare le tue cose in camera tua?”

Hideto inspirò e scosse la testa con decisione. “No… non potete impedirmi di vedere i miei amici!”

Il nonno lo guardò comprensivo, ma non poté dire niente perché il genero iniziò a parlare prima di lui.

“Hideto, capisco che può essere difficile per te, ma…”

Hideto guardò il padre con espressione determinata. “Niente ma, papà. Tu non riesci a capire. Qualcuno si è mai preoccupato di qualcosa, quando a scuola dei bulli continuavano a prendermi in giro o a rubarmi le mie carte?”

Il padre e il nonno di Hideto sgranarono gli occhi e anche la madre, che portò una mano al viso.

“Tesoro, perché non ci hai mai detto niente?”

Hideto alzò le spalle. “Perché non volevo preoccuparvi, anche se avevo paura di andare a scuola… perché credevo che così mi sarei mostrato debole e loro mi avrebbero preso di mira ancora di più. Ma adesso non mi importa. Possono esserci tutti i bulli che vogliono a scuola, ma io non ho più paura. Perché so di avere degli amici su cui contare… amici veri che sono sempre dalla mia parte!”

Il nonno, seduto sulla poltrona, sorrise. Il padre invece sospirò.

“L’amicizia è una bellissima cosa… ma non possiamo lasciarti fare, con il rischio che ti succeda qualcosa!”

Hideto deglutì: non sapeva neanche lui da dove gli veniva tutto quel coraggio.

“Io invece sono pronta a qualsiasi cosa, finché sentirò che combattere con i miei amici è giusto… e finché mi sentirò in grado di farlo. A Gran RoRo sono cambiato, sono cresciuto… ed è anche per questo che voglio combattere.”

Il nonno si voltò verso il genero. “Se il ragazzo è convinto, perché non gli lasciamo seguire la sua strada? È abbastanza grande per prendersi le responsabilità delle sue scelte.”

Il padre di Hideto si voltò verso di lui, scuotendo la testa. “Hideto ha solo quattrodici anni. E qui non stiamo parlando dello sport o dell’università che un giorno vorrà frequentare! Qui la questione è diversa. Non lascio che mio figlio vada là fuori per essere schernito dai giornalisti se non peggio!”

Hideto strinse le mani attorno alle cinghie dello zaino.

“Ma noi stiamo difendendo la verità!”

Il padre si voltò verso di lui esasperato. “Hideto, ora basta. Tu e i tuoi amici siete solo dei ragazzi. La realtà non è un gioco! Quello che a voi sembra la verità, potrebbe non esserlo!”

Hideto lo guardò ad occhi sgranati per qualche secondi, poi i suoi occhi vennero attraversati da un velo di delusione.

“Questa non ci sembra la verità… è la verità. Ci vogliono solo togliere dalla circolazione. Io continuerò a combattere con i miei amici!”

L’espressione del padre di Hideto si fece dura. “No che non lo farai. E adesso fila in camera tua. Ne riparleremo più tardi… e forse allora ti convincerai anche tu che è la scelta migliore.”

Hideto non rispose e fece dietro front correndo su per le scale. Neanche i suoi genitori gli credevano, neanche loro. Ma c’era qualcuno sulla faccia di quel pianeta che era disposto a credere loro? Il ragazzo entrò nella sua stanze e si chiuse dentro, cominciando a sfogliare i suoi album di carte seduto sul letto. Era l’unica cosa che lo rilassava. Quando sua madre lo venne a chiamare, Hideto le disse che non aveva fame. La donna cercò di convincerlo per lunghi minuti, ma alla fine si arrese e scese dicendogli che, non appena avesse avuto fame, poteva venire a chiederle qualcosa da mangiare. Hideto si morse un labbro: voleva bene ai suoi genitori e loro ne volevano a lui. Ma allora perché non gli credevano? Perché il mondo degli adulti doveva essere così difficile?

Hideto posò la testa al muro e fissò il soffitto. Lui non voleva arrendersi. Si era arreso troppo volte nella vita. E finché ci credeva, voleva continuare a lottare. Quasi non credette a quello che faceva, quando si alzò e prese da sopra l’armadio il borsone che usava quando andavano in vacanza. E neanche quando cominciò a riempirlo con il minimo indispensabile. Chiusa la zip, Hideto prese un foglio dalla scrivania per lasciare un messaggio ai suoi genitori.

Poi, lentamente aprì la porta e scese. Sua madre stava lavando i piatti e suo padre doveva essere nello studio perché lo sentiva parlare al telefono. Non era felice di fare quella scelta, ma era l’unica possibilità: voleva restare con i suoi amici. Quel pomeriggio dovevano incontrarsi, avrebbe potuto chiedere ospitalità a qualcuno di loro. Forse così avrebbero capito che i suoi non erano capricci.

Mentre apriva la porta, la voce di suo nonno lo bloccò. “Che fai?”

Hideto si voltò deglutendo. “Vado dai miei amici… nonno, non chiamare mamma e papà.”

L’uomo lo fissò e alla fine annuì sospirando. “Fai attenzione…”

Hideto sorrise e allungò una busta al nonno. “Gliela puoi dare? Dì loro che non si preoccupino.”

L’anziano annuì prendendo la busta. Hideto lo abbracciò e uscì, correndo verso la fermata del bus. Era arrivato il  momento, per lui, di trovare la sua strada. I suoi genitori avrebbero capito.

Salve a tutti! ^-^ Scusate il ritardo, ma i preparativi natalizi mi hanno portato via più tempo di quanto credessi! Ma ora sono qui… e come annunciato i nostri Maestri della Luce hanno avuto a che fare con le proprie famiglie. Anche sta volta ho diviso il capitolo… scusate, non so perché ma ogni volta che faccio le scene con i Maestri della Luce e le loro famiglie mi vengono capitolo lunghissimi. ^-^’ Spero, però, che sia i due pezzi di oggi sia i pezzi del prossimo capitolo non risultino troppo monotoni o simili: ho cercato di far venir fuori i diversi caratteri dei Guerrieri, aspetto i vostri commenti per sapere se ci sono riuscita. Piccolo commento sulla parte di Hideto: ho cercato di far venire fuori i suoi dubbi, quelli che poi (come lui racconta in Brave) lo hanno portato a decidere di partire lasciando tutti senza una parola. Spero di essere riuscita a rendere, in queste parti e nelle prossime, il tutto più realistico possibile (impresa non facile secondo me: per quanto in disaccordo, come è possibile che delle famiglie se ne freghino dei figli minorenni?) E per quanto riguarda Mai… spero di non aver reso troppo “cattiva” la sua famiglia o troppo “aggressiva” Mai. Però, secondo me, il nostro Guerriero Viola si trova in una fase molto delicata della sua crescita: dopotutto molte cose sono cambiate nella sua vita e anche il “vuoto” che la fine delle loro avventure a Gran RoRo le ha lasciato ha contribuito. Senza contare che ora tutte le sue certezze stanno sfumando… e poi ammettiamolo Mai è un’adolescente con un bel caratterino. U.U Beh… Ditemi che ne pensate, mi raccomando. ^-^
Ora, però passiamo ai ringraziamenti:

Per le preferite: Lacus Clyne e ShawnSpenstar

Per le seguite: Osaki Kitsune e Reb e Ju

Per le recensioni del capitolo 1: Lacus Clyne, martinacaboni, Osaki Kitsune e ShawnSpenstar

E siamo arrivati alle anticipazioni sul PROSSIMO CAPITOLO: vedremo come invece va la situazione con Dan, Clarky e Kenzo (ah, per chiarezza… chi dovesse essere in questo capitolo e chi nel prossimo, lo scelto estraendo a sorte XD). Anche loro dovranno confrontarsi con le loro famiglie (chiedo ancora scusa se con questo gruppo di episodi Prequel sto andando un po’ a rilento… però voglio spiegare le cose per bene).
Beh, penso di avervi detto tutto. Grazie ancora a tutti (anche a chi solo legge).

Tra oggi 24 e domani 25 cercherò in tutti i modi di mettere la OS natalizia che avevo ipotizzato… il clima natalizio ha colpito. ^-^ Spero che vi faccia piacere… è una specie di regalino da parte mia e un modo per farvi gli auguri. ;)

Nell’eventualità che metta domani la OS, io e mio fratello vi auguriamo un lieto e felice Natale insieme alle vostre famiglie o a chi volete bene. Tanti auguri di BUON NATALE! ^-^
A presto, Hikari

P.S. vi avviso già da ora che i prossimi aggiornamenti (escluso quello di questo sabato) potrebbero subire delle variazioni. Alcuni di voi probabilmente avranno intuito il motivo: si sta avvicinando il periodo degli esami universitari e quindi, con lo studio, non so se riuscirò a trovare sufficiente tempo per scrivere con regolarità. Questo, però, non significa che mi dimentico di questa serie… dovrete avere solo un po’ di pazienza. ^-^

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Dan era seduto nell’automobile e alternava lo sguardo tra suo padre che guidava e la sorellina che, imbronciata, teneva le braccia incrociate rischiando di stritolare il braccio del proprio orsacchiotto e dondolava le gambette avanti e indietro. Si sentiva in colpa per quello che era successo. La voce di suo padre ruppe il silenzio.

“Hinata, mi spieghi come ti è venuto in mente di colpire il tuo compagno d’asilo?”

L’espressione di Hinata divenne ancora più imbronciata. “Ha detto che Dan è cattivo!”

Dan sospirò. Le cose erano andate così. Quel giorno il padre di Dan doveva venirlo a prendere, ma quando il ragazzo era salito aveva trovato anche la sorellina, nonostante lei dovesse essere ancora all’asilo fino al primo pomeriggio. Una volta in macchina, suo padre gli aveva spiegato che la maestra di Hinata aveva chiamato a casa dicendo che la bambina aveva colpito in viso un compagno d’asilo con il proprio giocattolo. Fortunatamente non era successo niente di grave, ma secondo la maestra sarebbe stato meglio che la bambina venisse portata a casa e calmata. E così suo padre, prima di venire a prendere lui, era passato a prendere Hinata.

Il padre guardò la bambina attraversò lo specchietto retrovisore.

“Non giustifica il fatto che tu abbia colpito quel bambino!”

Hinata sbuffò. “Sì, invece! Dan non è cattivo! Quel bambino è un bugiardo!”

L’uomo rinunciò a cercare di convincere la bambina. Dan guardò la sorellina sospirando. Tutto quello che era successo in quelle poche settimane, stava avendo conseguenze anche sulla sua famiglia. Il Guerriero Rosso si sentiva in colpa, soprattutto perché non riusciva a fare nulla per impedirlo. Era incredibile come in così poco tempo, la maggior parte delle persone avesse smesso di credere nelle loro parole. Perché quando il tempo passava, le persone dimenticavano quello che era successo? Se loro non avessero vinto, la Terra sarebbe stata in mano del Re del Mondo Altrove, che l’avrebbe distrutta per permettere una nuova “evoluzione”. Non riusciva a capire come potesse essere possibile che non lo ricordassero. Dan guardò fuori dal finestrino e l’espressione sconfortata lasciò lo spazio ad un’espressione determinata. Lui non si sarebbe arreso. Avrebbe continuato a combattere per far trionfare la verità su Gran RoRo.

Pochi minuti dopo arrivarono a casa. Un delizioso odorino si spandeva fuori dalle finestre aperte. Dan sorrise: aveva una fama da lupi e non c’era niente di meglio dei manicaretti di sua madre. Tranne forse… mentre entrava in casa, Dan pensò con nostalgia al riso al curry di Zungurii. Era anche per lui che non doveva arrendersi. Appena entrati, Hinata corse a salutare la madre che la rimproverò per quello che aveva fatto. La piccola rimase ferma sulla sua convinzione di essere stata pienamente nel giusto a punire le bugie del suo compagno d’asilo e non ci fu verso di convincerla del contrario.

A quel punto, la famiglia Bashin si sedette a tavola cominciando a pranzare. Dopo le solite domande su come era andata quella mattinata, il padre di Dan accese il televisore. Il telegiornale era già iniziato e stata venendo trasmessa un servizio che commentava i pronostici dell’imminente corsa alla presidenza americana. Dan sospirò: era giorni che ne sentiva parlare. E la maggior parte di essi dava per favorito l’avversario dell’attuale Presidente, George Truman. Il Presidente che aveva aiutato i Maestri della Luce. Ed era per questo che, nelle ultime settimane, la maggior parte dell’opinione pubblica americana si stava indirizzando verso l’avversario. Dopotutto, con le accuse ai Maestri della Luce di aver impedito alla Terra di godere dei benefici del Sistema dei Nuclei per arrivare alla fama, anche il Presidente Truman aveva dovuto fare i conti con simili accuse: lui era stato nominato rappresentante della Terra e lui aveva permesso che fossero dei ragazzini a decidere su una questione così importante per tutto il mondo. Dan, quando sentiva simili ingiustizie, aveva ancora più voglia di combattere, per far sentire a tutti quale fosse la verità. Soprattutto per non far finire in mezzo persone che non c’entravano niente, come la sua sorellina o i fratelli di Mai e Clarky, o persone che invece veramente avevano cercato di proteggere, insieme a loro, la Terra, come il Presidente.

Non ci furono molti commenti tra di loro durante il telegiornale e i quattro membri della famiglia Bashin (escluso il più piccolo che stava dormendo nel suo lettino) si limitarono a mangiare in silenzio. Quando finì il telegiornale, avevano finito il pranzo e la madre di Dan si alzò iniziando a raccogliere i piatti. Dan stava per aiutarla quando la voce della donna lo fermò.

“Dan, forse sarebbe meglio… sì, sarebbe meglio che tu veda un po’ meno i tuoi amici.”

Dan alzò lo sguardo verso la madre, sorpreso. La donna gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla.

“Non prenderla male. I tuoi amici sono dei bravi ragazzi… ma, forse sarebbe meglio che lasciate un po’ stare. Così dopo un po’ si stuferanno e tutto tornerà come prima…”

Dan si alzò. “Mamma, io e i miei amici non possiamo lasciare che vincano le loro bugie!”

Hinata, sentendo la parola “bugie”, annuì dondolando le gambette e sorridendo.

“Sì, sono dei bugiardi… se dicono ancora che Dan è cattivo, se la devono vedere con me!”

Il padre di Dan si voltò verso la bambina con un’espressione che cercò di essere il più possibile di rimprovero.

“Hinata, non si risolvono così i problemi!”

La bambina lo fissò un po’ imbronciata, ma poi sorrise voltandosi verso il fratello.

“Allora con Battle Spirits! Tutto si risolve così, vero fratellone?”

Dan sorrise: non credeva che sua sorella si sarebbe appassionata così tanto. Non era ancora in grado di giocare… anche se per essere sinceri, Hinata aveva trovato un modo tutto suo per giocare a Battle Spirits: e guai a contraddirla.

“È un po’ più complicato, sorellina…”

La bambina, che suo padre aveva preso in braccio per farla scendere dalla sedia, sbuffò e corse nel salotto a giocare. Nel soggiorno rimasero solo Dan e i suoi genitori. Suo padre si risedette e lo guardò comprensivo.

“Capisco come ti senti. Ma sarebbe meglio per tutti. Quello che tua madre voleva farti capire, era che qualche volta bisogna scendere a compromessi.”

Dan scosse la testa. “Non è vero. Lo aveva detto anche il Presidente, ma non è vero. Bisogna sempre lottare per la verità. Noi lo abbiamo promesso a tutti i nostri amici di Gran RoRo!”

Il padre sorrise. “È ammirevole quello che volete fare… ma non pensi a tua sorella? Guarda ad esempio quello che è successo oggi. Anche lei risente di tutto quello che sta succedendo. E ne risentiamo noi come tutte le famiglie dei tuoi amici.”

Dan sospirò. “Lo so… non vorrei che succeda. Ma voi dovreste supportarci! Vi abbiamo raccontato come sono andate veramente le cose!”

La madre di Dan si sedette accanto a lui e gli prese una mano.

“Cerca di capire Dan, siete solo dei ragazzi. Certe cose sono molto più grandi e complesse di come le potete vedere voi.”

Dan scosse la testa. “Non si tratta di punti di vista, mamma! La verità su Gran RoRo è solo una! Il Re del Mondo Altrove aveva soltanto ingannato tutti… erano le sue le bugie!”

Il padre sospirò posandosi allo schienale della sedia.

“Dan quando sarai grande capirai… non sempre la verità trionfa.”

Dan tolse la mano da quella si sua madre e si allontanò di qualche passo dal tavolo.

“Allora non voglio diventare grande come volete voi… io voglio combattere perché so che questa è la verità. Voi adulti pensate solo alla convenienza.”

Il padre di Dan si alzò in piedi. “Non è come pensi tu Dan. Noi adulti, noi genitori abbiamo delle responsabilità… nei tuoi confronti, in quelli dei tuoi fratelli. Un giorno lo capirai anche tu.”

Dan tornò a voltarsi guardando determinato i suoi genitori.

“Io non voglio arrendermi. Io e i miei amici continueremo a combattere come abbiamo fatto fino adesso… anche senza il vostro appoggio. Come abbiamo fatto a Gran RoRo.”

Lo sguardo di sua madre si velò d’ansia voltandosi verso di lui.

“Dan, mi rifiuto di farti correre dei pericoli. Pensi che se avessimo potuto, io e tuo padre ti avremmo lasciato andare da solo in quel luogo pericoloso?”

Dan fissò i genitori in silenzio, per lunghi istanti. Strinse le mani a pugno.

“Vedete? Neanche voi mi credete. Credete a loro.”

Il padre di Dan lo guardò scuotendo la testa. “Non è vero.”

Dan annuì deciso. “Sì, invece. Anche voi pensate che Gran RoRo è un luogo pericoloso…”

I due genitori si guardarono senza riuscire a dire nulla. Sapevano che Dan aveva in parte ragione. Quando avevano ascoltato i racconti del figlio, ci avevano creduto ricacciando indietro le impressioni poco piacevoli lasciate da quella brutta storia, finita fortunatamente bene. Ma tutto quello che era successo in quelle poche settimane, aveva fatto riaffiorare i dubbi. E non riuscivano a stare tranquilli sapendo il clima teso che si stava creando tra articoli e interviste. Avrebbero preferito di gran lunga che Dan lasciasse stare. La donna si voltò verso il figlio.

“Dan…”

La voce del Guerriero Rosso, però, le impedì di proseguire.

“So che voi siete preoccupati. Ma non potete chiedermi di arrendermi o di non vedere più i miei amici. Ma non voglio neanche che Hinata o qualcun altro possa risentirne. Se per voi va bene… io posso stare qualche giorno da uno dei miei amici.”

I due genitori sgranarono gli occhi. Anche la madre si alzò in piedi affiancando il padre. L’uomo si voltò verso Dan.

“Dan non è questo che vogliamo. Non vogliamo cacciarti di casa.”

Dan sorrise, cercando di rassicurarli.

“Non penso questo. Vedrete che non succederà niente. Sarà solo per qualche giorno. Come quando da piccolo andavo a dormire dai miei amici. Vi chiamerò ogni sera… così almeno Hinata potrà calmarsi. Sarà meglio per tutti.”

I due genitori tornarono a fissarsi. La madre continuava a torturarsi le mani. Passarono lunghi minuti e alla fine i due genitori annuirono lentamente, rassegnati. Il primo a parlare fu il padre di Dan.

“Se è questo che vuoi… Dan…”

La madre corse da lui e lo abbracciò con gli occhi lucidi.

“Non fare sciocchezze… e scusaci, bambino mio.”

Dan si allontanò da lei sorridendo. “Non devo scusarvi. Siete i migliori genitori del mondo. Ma io devo combattere.”

A quel punto, Dan corse in camera sua. Anche lui aveva gli occhi lucidi, ma era più determinato che mai a non arrendersi: per tutti gli amici di Gran RoRo. Dan prese lo zaino che usava quando andavano in vacanze e cominciò a riempirlo. Qualche minuto dopo, anche sua madre salì e tirando su con il naso lo aiutò a preparare al meglio la borsa. Dan la ringraziò e la donna tornò ad abbracciarlo, continuando a chiedergli scusa.

Alla fine, Dan scese e andò a salutare il fratellino che ancora riposava. Poi andò in salotto dove Hinata stava giocando con le sue bambole. Il ragazzo sorrise e, lasciata la borsa vicino alla porta, le si avvicinò alla sorellina inginocchiandosi accanto a lei. Non appena la bambina si accorse di lui, si voltò sorridendo.

“Dopo giochiamo a Battle Spirits?”

Dan sorrise e scosse la testa. “Oggi non posso, Hinata. Magari un altro giorno.”

Hinata sembrò un po’ delusa, ma sorrise subito tornando a voltarsi. “Va bene…”

Dan sorrise. “Hinata.”

La bambina si voltò verso di lui guardandola interrogativo. Dan le arruffò i capelli facendola imbronciare.

“Mi prometti che ti prendi cura di mamma, papà e del nostro fratellino?”

Hinata lo guardò senza capire. “E tu?”

Dan sorrise e prese una cosa dalla tasca. “Io vado via per qualche giorno, ma torno presto. E questo è un regalo per te.”

La bambina prese curiosa quello che le stava passando Dan: era una carta.

“Roto… sauro… grazie fratellone!”

Hinata si alzò in piedi e gettò le braccia attorno al collo di Dan. Il ragazzo la abbracciò. Dopo qualche istante, la lasciò e la salutò uscendo dal salotto. Poi salutò anche i suoi genitori che gli raccomandarono di nuovo di chiamarli ogni sera e di non fare sciocchezze.

Quando Dan uscì dalla porta e si diresse verso la fermata dell’autobus, prese un profondo respirò. Avrebbe combattuto: non avrebbe deluso nessuno.

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“Brutti palloni gonfiati… quel giorno mi ascoltavate però!”

In quel momento, entrò nella stanza la governante che sorridendo lo raggiunse e gli passò una mano tra i capelli.

“Non te la prendere Kenzo: il mondo va così. Tutti fanno la voce grossa quando ne hanno la possibilità… salvo mostrarsi completamente inutili nel momento del bisogno.”

Kenzo si alzò e sbuffò ancora una volta. “Però allora non possono accusare a noi!”

La governante sospirò. Quella era anche la sua idea, ma non poteva fare niente. Conosceva Kenzo da quando aveva pochi mesi e aveva anche conosciuto gli altri Maestri della Luce qualche mese prima: le erano tutti sembrati dei bravi ragazzi.

“Che vuoi farci… dai vieni, il pranzo è pronto.”

Kenzo annuì e i due andarono nel ampio soggiorno. Kenzo si sedette e la governante gli mise davanti un fumante piatto di riso. Il Guerriero Verde cominciò a mangiare continuando a pensare a quello che era successo in quelle poche settimane. E a come tutto fosse improvvisamente cambiato: la loro fama come Maestri della Luce si era trasformata nella fama di quelli che avevano impedito la risoluzione dei problemi della Terra. Kenzo sbuffò. Ogni volta che pensava a quello, gli montava una rabbia… era come dire che l’energia elettrica, quando era stata scoperta, avrebbe dovuto risolvere tutti i problemi! Aveva avuto proprio ragione Dan: gli adulti pensano veramente solo alla loro convenienza. E a quanto pare molti dovevano aver trovato utile alleggerirsi la coscienza: come se potessero essere dei ragazzi a impedire la risoluzione dei problemi. Si mettessero un po’ d’impegno loro!

In quel momento, nella casa risuonò lo squillo del telefono. Kenzo sorrise e si alzò.

“Deve essere mamma o papà!”

La governante sorrise vedendo Kenzo uscire dal soggiorno. Era felice che lui avesse recuperato parte del rapporto con i genitori: sperava solo che tutto quello che stava succedendo non lo incrinasse di nuovo. In effetti in quei giorni c’erano state alcune discussioni, ma alla fine i coniugi Hyoudo si erano mostrati piuttosto comprensivi delle ragioni del figlio a voler continuare a combattere insieme i suoi amici. Forse neanche loro volevano perdere quel nuovo rapporto con Kenzo, forse volevano rifarsi di tutti gli anni in cui non c’erano stati. Sperava veramente che fosse così, per tutti e tre.

Kenzo prese in mano la cornetta e prese un profondo respiro.

“Pronto?”

“Kenzo, sono papà. Come va?”

Kenzo sorrise. “Tutto bene. Stavo pranzando.”

L’uomo dall’altra parte della cornetta rise. “Allora scusami. Ma qui non mi lasciavano un minuto… pensa che mi aspettano per pranzare.”

Kenzo annuì comprensivo. “Lo so, non ti preoccupare. Anche lì…”

La voce del padre si rabbuiò. “Sì… anche qui ci sono molti che vi credono responsabili di aver impedito all’umanità di avere una soluzione ai suoi problemi.”

Kenzo sospirò e dall’altra parte del telefono ci fu per qualche istante silenzio.

“Kenzo… non sarebbe meglio che voi… che voi lasciate stare per un po’?”

Kenzo strinse la cornetta. “Non possiamo papà, te l’ho già spiegato. Non possiamo arrenderci: altrimenti la verità su Gran RoRo verrà distorta!”

L’uomo, dall’altra parte della cornetta, sospirò. “Se pensi sia giusto così… però promettimi che se la situazione peggiora, la smetti. Non voglio che ti succeda qualcosa.”

Kenzo sorrise. “D’accordo, papà.”

Dopo un attimo di silenzio, Kenzo riprese a parlare. “Papà, posso chiederti una cosa?”

“Dimmi.”

Kenzo deglutì per farsi coraggio. “Visto che siete via per qualche giorno… non è che posso andare da uno dei miei amici?”

Kenzo incrociò le dita, in attesa della risposta del padre che si fece leggermente attendere.

“Dovresti sentire anche tua madre… però se mi prometti che non ti cacci nei guai per questa storia, va bene.”

Kenzo sorrise. “Tranquillo, papà. Grazie. Lo chiederò di sicuro alla mamma.”

“Adesso ti devo salutare. A presto.”

Kenzo sospirò. “Va bene. Ciao.”

A quel punto il ragazzino abbassò la cornetta. Sapeva bene che i suoi genitori non vedevano proprio di buon occhio la sua scelta di continuare a combattere. Però cercavano di non farlo vedere e cercavano di capire le sue ragioni. E sapeva altrettanto bene che, se la situazione fosse peggiorata, non gli avrebbero più permesso di continuare. Mentre si allontanava verso il soggiorno, il telefono suonò di nuovo. Kenzo fece dietro front e riprese in mano la cornetta.

“Pronto?”

“Sono la mamma. Avevo già chiamato, ma suonava occupato. Tutto bene, tesoro?”

Kenzo sorrise divertito. “Sì, tutto bene. Stavo parlando con papà.”

La donna dall’altra parte della cornetta sorrise sollevata. “Ah, capisco. Stavi pranzando?”

Kenzo annuì. “Sì, Shizuko ha preparato il riso.”

“Ummh, che buono. Quanto vorrei essere anche io lì con te e non…”

La donna abbassò il tono della voce e probabilmente aveva avvicinato anche una mano al cellulare.

“… con questi vecchi barbosi.”

Kenzo rise e anche sua madre. “Kenzo, anche tu un giorno capirai che, per quanto uno ami il proprio lavoro, ci sono dei giorni in cui proprio lo cambieresti!”

Kenzo iniziò a giocherellare con il filo del telefono.

“Mamma, posso chiederti una cosa? L’ho già chiesto anche a papà.”

“Sentiamo.”

Kenzo cercò di mostrarsi il più sicuro possibile.

“MI chiedevo… visto che voi starete via per un paio di giorni, non potrei andare da uno dei miei amici? Così anche Shizuko potrebbe riposarsi un po’.”

Dall’altra parte della cornetta ci fu silenzio. Probabilmente sua madre stava pensando. Kenzo sperava che gli dicesse sì. Dopo qualche secondo si risentì la voce di sua madre.

“Lo sai che molti dei miei colleghi mi consigliano di convincerti a lasciar stare questa battaglia?”

Kenzo sospirò. “Mi dispiace… ma io non posso arrendermi. È troppo importante.”

Anche la madre, dall’altra parte della cornetta, sospirò.

“So già che me ne pentirò, perché anche io preferirei di gran lunga che tu decidessi di smetterla… ma va bene. Però non cacciarti nei guai, d’accordo? E pensaci… qualche volta è meglio fermarsi per un po’.”

Kenzo lasciò andare il filo del telefono. “Ci penserò, te lo prometto…”

La madre, nonostante Kenzo non la potesse vedere, sorrise.

“Adesso devo andare. Ci sentiamo presto. Ti voglio bene, tesoro.”

Kenzo sorrise. “Anche io. Ciao, mamma.”

Quando abbassò per la seconda volta la cornetta, Kenzo sospirò e si avviò di nuovo verso il soggiorno dove lo stava aspettando Shizuko. La donna appena lo vide, lo guardò preoccupata.

“Ci sono problemi?”

Kenzo si sedette e scosse la testa. “No, niente. Stavano ancora pensando a quello che sta succedendo in queste settimane.”

Sì, continuava a pensarci. Gli dava fastidio il fatto che, proprio ora che stava recuperando l’affetto dei suoi genitori, arrivassero i giornalisti a rovinare tutto. Senza contare che tutti i loro amici di Gran RoRo non meritavano quello che stava succedendo. Non era giusto che molti credessero loro “cattivi” e, invece, il Re del Mondo Altrove quello che aveva dato loro una speranza. Nessuno sembrava voler ricordare quello che era successo.

“Shizuko… mamma e papà mi hanno permesso si stare qualche giorno da uno dei miei amici.”

La donna si voltò verso di lui, smettendo di mettere le pentole dentro la lavatrice.

“Davvero? Beh, allora dopo ti aiuto a preparare la borsa… sai già…”

Kenzo scosse la testa, mandando giù un boccone.

“Non so ancora. Oggi mi devo incontrare con loro… poi ti chiamo per farti sapere. Va bene?”

La donna annuì e tornò a voltarsi. Era anche lei un po’ preoccupata, ma non dovevano essere le sue preoccupazione a bloccare Kenzo, proprio ora che aveva trovato degli amici veri. E poi Kenzo era un bambino assennato e maturo. Non aveva nulla di cui preoccuparsi.

Kenzo finì di pranzare e salì in camera sua per iniziare a preparare la borsa. Sperava solo di non aver corso troppo… e se poi nessuno poteva ospitarlo? Dopotutto, anche gli altri Maestri della Luce avevano avuto i loro problemi con le famiglie. Ne avevano parlato le altre volte che si erano incontrati dopo quel giorno. Magari i loro genitori non sarebbero stati così contenti. Kenzo chiuse la borsa e scosse le spalle. Era inutile fasciarsi la testa prima di rompersela. Al massimo sarebbe tornato a casa.

Kenzo alzò lo sguardo per guardare l’orologio. Se voleva arrivare puntuale all’appuntamento con gli altri Maestri della Luce, gli conveniva muoversi. Il ragazzino scese e andò in cucina a salutare la governante. Poi uscì.

Mentre andava a prendere l’autobus, Kenzo tornò a pensare a quello che stava succedendo. Continuava a farlo perché si ostinava a voler trovare una spiegazione. Non riusciva a capire come tante persone potessero credere loro un giorno sì e quello dopo no. E non riusciva neanche a capacitarsi che anche tutte le loro famiglie  potessero dubitare di quello che loro avevano raccontato. Pure i suoi genitori, per quanto cercassero di mostrarsi comprensivi, in fondo in fondo non gli credevano. Kenzo sospirò e in quel momento arrivò l’autobus. Mentre saliva si trovò a pensare che era tutto così diverso da Gran RoRo: l’ almeno bastava Battle Spirits.

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Clarky non aveva mai prestato molta attenzione al detto “solo come un cane bastonato”. Ora, invece, lo sapeva fin troppo bene. Se all’inizio era stato letteralmente assediato e rincorso da tutte le ragazze della sua scuola (anche quelle che lui non aveva mai neppure incrociato lungo i corridoi), con il rischio di dover fare i conti con i loro ragazzi, da qualche settimana non aveva più nessun problema di quel tipo. Anzi, gli stava succedendo l’esatto contrario.

Dal giorno di quell’intervista, quando Clarky passava nei corridoi, le ragazze lo ignoravano completamente, voltandosi dall’altra parte. E in più, molte volte, le aveva sentite bisbigliare ridacchiando. Ma non era solo quello che sconfortava il Guerriero Giallo. Dopotutto, da un certo punto di vista, era sollevato dal non venire rincorso ogni giorno. La cosa peggiore era che non soltanto le sue “ex-fan” lo ignoravano o cercavano di avere il meno a che fare possibile con lui. Anche tutti quelli che gli avevano chiesto un duello, o che già prima del loro successo lui credeva suoi amici, cercavano di evitarlo. Senza contare le battute e le prese in giro su loro Maestri della Luce.

Clarky sospirò e si posò al muro della scuola, con le mani in tasca. Anche quel giorno le lezioni erano finite. Mancavano così pochi giorni alla fine della scuola… tra gli studenti si respirava la voglia di mare, riposo e divertimento. Ma non per loro. La loro spensieratezza di era lentamente dissolta da quel giorno. Come potevano pensare alle vacanze, nel momento in cui la verità su Gran RoRo veniva messa in dubbio? Come potevano far finta di niente di fronte alle accuse che stavano loro venendo rivolte? Si erano messi in azione, aveva cominciato a provare a contrastare tutte quelle voci. Ma sarebbe bastato? Clarky guardò gli altri studenti che passavano davanti a lui, ridendo e chiacchierando tra loro. Ogni tanto, guardandoli, si chiedeva perché non poteva essere come loro. Perché lui e i suoi amici non potessero comportarsi come ragazzi qualunque. Senza pensare alle accuse a cui opporsi o alle bugie da combattere. In confronto, a Gran RoRo era stato tutto molto più facile… Clarky sorrise e scosse la testa. In realtà non era vero. Avevano avuto, anche nella battaglia contro il Re del Mondo Altrove, i loro momenti difficili, quelli in cui avevano creduto di non poter vincere in nessun modo. Ma alla fine avevano vinto. Sarebbe andata così anche quella volta?

In quel momento la sua attenzione fu attratta dalla frenata di una moto che si fermava vicino al marciapiede. Clarky si staccò dal muro e si avvicinò cercando di sorridere. In quelle settimane, molto volte aveva chiesto a Andrew di accompagnarlo o di venirlo a prendere. Non che gli fosse cominciata a piacere la moto, questo no. Ma era sempre meglio che andare in autobus, dove ragazzi o anche adulti ti lanciavano degli sguardi di rimprovero e di biasimo.

“Come è andata, Clarky?”

Il ragazzo, a quella domanda, alzò le spalle e si mise il casco.

“Come vuoi che sia andata, Andrew… come i giorni precedenti: mi evitano come se avessi la peste.”

Il fratello non gli chiese e la visiera del casco mascherò uno sguardo triste. Clarky si sedette dietro di lui. A quel punto, Andrew mise in moto. Per lunghi minuti nessuno dei due disse nulla. Alla fine, fu Clarky a rompere il silenzio.

“Andrew… posso farti una domanda?”

Il fratello maggiore, senza voltarsi per non far andare Clarky in crisi isterica, annuì. “Certo.”

Clarky non sapeva bene come iniziare. “Ecco… tu… tu hai detto che vorresti entrare nella NASA, vero?”

Andrew aggrottò le sopracciglia, sorpreso da quella domanda. “Sì, perché?”

Prima, per, che Clarky gli rispondesse, Andrew sorrise divertito. “Vuoi venire anche tu?”

Clarky si staccò da lui indignato. “Certo che no!”

Andrew rise e Clarky tornò ad afferrarsi saldamente alla schiena del fratello. Poi riprese a parlare.

“Perché… pensavo… non è che essere mio fratello… sì, essere fratello di uno dei Maestri della Luce potrebbe crearti dei problemi?

Andrew sgranò gli occhi e non rispose subito. Clarky voleva fargli quella domanda da un po’. Parlando anche con gli altri, si era reso conto di come tutto quello che stava succedendo influisse anche sulle loro famiglie. Non avrebbe voluto che suo fratello dovesse rinunciare al suo sogno per colpa sua.

“Clarky, come ti vengono in mente queste domande?”

Clarky alzò lo sguardo, fissando il fratello attraverso lo specchietto retrovisore. Andrew continuò.

“Preferirei mille volte dover vedere la NASA solo nei film, piuttosto che perdere te, fratellino. E non avrei nessun rimpianto.”

Clarky sorrise e non disse altro. Era in momenti come quelli che ci si rendeva conto del legame che si aveva con qualcuno. Non avrebbe potuto avere un fratello migliore, anche se lo prendeva in giro e gli chiedeva sempre se aveva trovato l’anima gemella.

Pochi minuti dopo arrivarono sotto il condominio dove abitavano. Clarky scese e si ricordò solo in quel momento che quel giorno a casa non avrebbe trovato suo padre. Chissà quale era la rotta dell’aereo che stava pilotando in quel momento…

Andrew, vedendo il fratello con lo sguardo fisso in cielo, li diede un colpo sulla spalla sorridendo.

“Ti sei addormentato?”

Clarky sbuffò e insieme ad Andrew si diresse verso l’ascensore.

“No. Stavo pensando a dove si trovi adesso papà.”

Andrew alzò le spalle sorridendo. “Mamma aveva detto qualcosa stamattina… ma ero troppo stanco. Non ricordo. Probabilmente oltreoceano.”

Mentre i due si trovavano nell’ascensore, Andrew si voltò verso il fratello.

“Penso sia un bene che papà stia via per lavoro.”

Clarky si voltò verso di lui con uno sguardo interrogativo. “Perché?”

Il fratello maggiore sospirò. “Per le discussioni…”

Clarky sospirò a sua volta e mise le mani in tasca. Ogni volta cercava di non pensarci. In quei giorni aveva discusso più volte con i suoi genitori. Da quando si era cominciato a diffondere il clima di accuse e di derisione sui Maestri della Luce, i due coniugi Ray, come del resto le altre famiglie dei cinque ragazzi, avevano rivalutato l’opinione che si erano fatti su tutto quello che era successo. Non che credessero che Clarky e gli altri avessero fatto credere che il Re del Mondo Altrove fosse un nemico. Ma non erano più tanto d’accordo sulla decisione del gruppo di farsi valere per far sentire a tutti quella che era la loro verità. Dopotutto erano soltanto dei ragazzi che non sapevano veramente come andavano le cose nel mondo. E non volevano certo che loro figlio rischiasse qualcosa. E per questo paura e apprensione da una parte, determinazione dall’altra avevano reso inconciliabili le due opinioni, facendo finire ogni volta le discussioni con un nulla di fatto. Senza contare che la corsa alle elezioni americane non stava aiutando…

Clarky, mentre aspettava che Andrew aprisse la porta di casa, si chiese se sua madre avrebbe di nuovo tirato fuori quei discorsi anche senza la presenza del marito. Conoscendola era molto probabile. Unica donna in una casa di uomini si era sempre fatta valere e non si era mai fatta mettere i piedi in testa: avrebbe cercato sicuramente di provare di nuovo a dissuaderlo dal combattere insieme ai suoi amici.

Quando i due ragazzi entrarono sentirono i soliti rumori provenire dalla cucina. Clarky e Andrew portarono le cose nelle loro stanze e quando entrarono in soggiorno, la donna stava riempiendo i piatti.

“Eccovi qua…. Giusti giusti per mangiare. Come è andata a scuola e all’accademia?”

Andrew alzò le spalle e si sedette al suo posto. “Boh, il solito… non vedo l’ora che inizino le esercitazioni pratiche.”

Clarky sorrise e si sedette. “Mica ti faranno guidare uno space shuttle dall’inizio!”

Andrew si voltò verso di lui fingendosi offeso. “Lo so. Ma dovrò pur iniziare da qualche parte, no?”

Clarky rise e alzò le mani in segno di resa. “Come vuoi tu.”

Poi i tre membri della famiglia Ray cominciarono a mangiare. Nessuno dei tre diceva qualcosa e l’unico rumore che rompeva il silenzio era quello delle posate. Dopo lunghi minuti, fu la donna  a parlare per prima.

“Oggi pomeriggio cosa fate?”

Andrew inghiottì un boccone, pensieroso. “Mi sono messo d’accordo per vedermi con degli amici… prima andiamo al cinema e poi andiamo a mangiare una pizza.”

La donna sorrise e si voltò verso il figlio minore. “E tu Clarky?”

Il Guerriero Giallo non rispose subito e quando lo fece continuò a fissare il piatto.

“Oggi io e gli altri ci siamo messi d’accordo per vederci…

La donna, sapendo benissimo chi fossero gli “altri” di cui parlava, sospirò.

“È proprio necessario?”

Clarky alzò lo sguardo e incontrò gli occhi azzurri di sua madre.

“Mamma, lo sai che è importante per me… e poi sono i miei amici.”

La donna sorrise conciliante. “Non dico che non lo siano, tesoro. Ma potresti anche non vederli così spesso… forse sarebbe meglio. Non trovi?”

Clarky scosse la testa. “No. Non posso lasciarli da soli. Questa battaglia e anche la mia.”

La donna sospirò. “Clarky…”

Il ragazzo si voltò verso di lei quasi supplicante. “Perché tu e papà non capite che noi non possiamo arrenderci?”

La donna sbuffò alzandosi e iniziando a raccogliere i piatti vuoti.

“Vorrei proprio sapere se tutti i vostri amici di Gran RoRo faranno qualcosa se vi faranno del male!”

Clarky si alzò e guardò la madre con espressione determinata.

“Noi combattiamo per far valere la verità. Siamo pronti a tutto.”

La donna posò i piatti sul tavolo e fissò il figlio con uno sguardo preoccupato e arrabbiato.

“E noi dovremmo guardare mentre ti rovini la vita? Clarky, che cosa pensate di ottenere da tutto questo?”

Clarky non distolse lo sguardo. “Dobbiamo farlo perché è giusto.”

La donna si avvicinò e gli mise una mano sulla spalla.

“Clarky, ascoltami. Continuando così perderete tutto: gli amici, la possibilità di farvi una vita in futuro… non lo capisci? Perché non lasciate stare una buona volta. Siete solo dei ragazzi!”

Clarky si scostò da lei. “Insieme riusciremo a vincere. Anche a Gran RoRo eravamo solo dei ragazzi… ma abbiamo vinto.”

Andrew guardava quella scena senza saper che cosa dire. Capiva sua madre e capiva suo fratello… ma non riusciva a trovare un compromesso tra i due punti di vista.

“Clarky, qui non siamo a Gran RoRo! Sei ragazzi non posso convincere sette miliardi di persone!”

Clarky si voltò arrabbiato. “E noi ci proveremo lo stesso!”

Subito dopo uscì dalla stanza diretto verso la propria camera. Mentre percorreva il corridoio, sentì la voce di sua madre.

“Noi vogliamo solo proteggerti, Clarky!”

Entrato nella stanza, il Guerriero Giallo si guardò attorno senza saper che cosa fare. Qualcosa però doveva decidere. Non poteva smettere di combattere. Non poteva abbandonare i suoi amici. Fu con questo pensiero che Clarky iniziò a riempire disordinatamente un borsone. E non si fermò neppure quando sentì la voce di suo fratello, fermo sulla porta.

“Che pensi di fare, fratellino?”

Clarky mise una maglia nella borsa e chiuse la zip. Poi, si mise il borsone in spalla e si voltò verso il fratello.

“Vado da uno dei miei amici per un po’… almeno così mamma e papà capiranno che non stiamo solo giocando.”

Il fratello maggiore sospirò e si avvicinò a lui. “Perché dovrei lasciarti passare?”

Clarky lo fissò. “Andrew… lo sai che devo farlo. Cerca di spiegarlo a mamma.”

Andrew sospirò. “Lo sa. Ma ha paura che ti succeda qualcosa… anche io ne ho.”

Clarky sorrise e si avviò alla porta.

“Non vorrei che soffriste. Ma io devo combattere con i miei amici.”

Andrew non disse nulla per qualche istante e poi sospirò ancora una volta.

“Chiamami e dimmi dove sei… chiaro? Se no ti vengo a prendere e ti faccio fare sulla moto il giro della città per tutto il pomeriggio!”

Clarky sorrise e uscì. Aveva paura anche lui che la loro lotta fosse inutile. Ma doveva continuare, al fianco dei suoi amici.

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Quando Dan scese dall’autobus, si sorprese di vedere a qualche metro di distanza, tutti i suoi amici seduti su un muretto. C’erano Hideto, Clarky e Kenzo con un borsone simile al suo e anche Mai, con un’espressione arrabbiata e triste, che aveva solo il computer. Dan non faticò molto a capire che a tutti doveva essere successo qualcosa di simile a quello che era successo a lui: avevano tutti le stesse espressioni deluse e tristi. Rapidamente li raggiunse.

“Ciao, amici.”

Gli altri Maestri della Luce risposero con un cenno o con dei monosillabi. Dan esitò un attimo prima di porre la domanda successiva.

“Anche voi discussioni a casa?”

Clarky annuì. “Sì… tutte le nostre famiglie vorrebbero che noi smettiamo di opporci ai giornalisti.”

Mai sospirò tristemente. “E in poche parole nessuno di loro ci crede.”

Dan ridacchiò per sdrammatizzare. “Il divertente è che la mia idea era chiedere ospitalità a qualcuno di voi…”

Gli altri ragazzi sorrisero. Hideto scese dal muretto. “Lo pensavamo tutti… mi sa che la faccenda si complica.”

Kenzo sospirò. “Io non è che abbia propriamente litigato con i miei genitori… ma non vorrei creare loro problemi, facendovi venire tutti a casa mia.”

Mai sorrise e gli posò una mano sulla spalla. “Ti capiamo, Kenzo. E poi dobbiamo restare tutti uniti, come a Gran RoRo.”

Hideto scosse la testa ridendo. “Secondo voi, Yuuki ci chiude la porta in faccia quando ci vede con i borsoni?”

Mai incrociò le braccia. “Spero di no. Io non ho nessuna intenzione di tornare a casa per il momento!”

Gli altri quattro ragazzi si guardarono in faccia: Mai aveva ragione. Tornare a casa sarebbe stato come arrendersi e i genitori non avrebbero dato loro la possibilità di tornare a combattere.

Clarky si alzò alzando le spalle. “Intanto andiamo. Dovevamo comunque incontrarci oggi… poi si vedrà.”

Gli altri annuirono e insieme si diressero verso la palazzina poco distante. Non passarono neanche pochi minuti che i cinque ragazzi suonarono al campanello di Yuuki. La situazione era piuttosto comica e anche mentre aspettavano che il Guerriero Bianco venisse ad aprire, faticarono a non mettersi a ridere.

Quando Yuuki aprì la porta, sgranò gli occhi leggermente perplesso notando i borsoni.

“Credo di essermi perso qualche dettaglio…”

Dan sorrise imbarazzato, passandosi una mano tra i capelli. “Ecco, Yuuki sarebbero successo un po’ di cose…”

Mai si fece avanti sorridendo. “Non è che ci dai ospitalità per qualche giorno?”

Yuuki non rispose subito a quella domanda fissando piuttosto stupito i cinque amici che gli sorridevano supplicanti. Per un attimo si chiese chi glielo facesse fare… ma era in debito nei loro confronti. Loro in tutti quei mesi non lo avevano abbandonato e lo avevano aiutato a superare la perdita di Kajitsu. E così, Yuuki si spostò di lato per farli passare.

“Non credo ci staremo tutti…”

Gli altri cinque Maestri della Luce entrarono sorridendo. Mai fu la prima e si voltò verso gli altri.

“Ci faremo piccoli, vero?”

Gli altri annuirono convinti. Yuuki non replicò e chiuse la porta. La loro riunione di Maestri della Luce si stava trasformando nella riunione dell’organizzazione logistica della sistemazione temporanea dei Maestri della Luce. Ma insieme avrebbero superato anche tutto quello che stava succedendo.

Salve a tutti! ^-^ Finalmente sono qua, anche se leggermente in ritardo rispetto a quanto prevedessi.  Come annunciato, anche Dan, Clarky e Kenzo hanno avuto il loro da fare con le proprie famiglie. Spero che troverete anche questa volta le varie reazioni realistiche… e non monotone. Per Kenzo il risultato è venuto leggermente diverso dagli altri: dopotutto lui e i suoi genitori avevano appena recuperato il rapporto tra di loro… e quindi avrei avuto due alternative: fare che il rapporto creatosi fosse troppo debole per resistere o fare che i genitori cerchino di “mandar giù il rospo” per non rischiare di perdere di nuovo l’affetto del figlio. Io e mio fratello abbiamo scelto l’ultima. Voi che dite? Aspetto i vostri commenti! ;)

E a proposito di recensioni, passiamo ai ringraziamenti:

Per le preferite: Lacus Clyne e ShawnSpenstar

Per le seguite: Osaki Kitsune e Reb e Ju

Per le recensioni del capitolo 1: Lacus Clyne, martinacaboni e ShawnSpenstar

E per quando riguarda il PROSSIMO CAPITOLO: si concluderà la vicenda di questo e del precedente capitolo e vedremo i nostri Maestri della Luce alle prese con la loro lotta solitaria. Le difficoltà, però, si faranno sentire minando la determinazione dei nostri eroi. E infatti dovremo salutare per un po’ uno di loro. Avrete già indovinato, vero? Eh, sì… nel prossimo capitolo dovremo salutare il nostro Guerriero Blu, Hideto che per un po’ scomparirà dalla nostra storia.

Beh, con questo vi saluto. E approfitto di queste note per fare una cosa. Dato che molto probabilmente (se non sicuramente) non aggiungerò niente altro prima di domani 31 Dicembre (e di dopodomani 1 gennaio XD)… mio fratello ed io vi facciamo gli auguri di BUON ANNO! ^-^

Alla prossima, Hikari/D’Artagnan

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Kaoru continuava ad alternare lo sguardo tra l’orologio e la strada, torturando il manico del borsone che teneva in mano. Istintivamente i suoi occhi si alzarono a guardare le finestre della sua casa, illuminate dal rosso del sole che tramontava. Non riusciva a credere a quello che era successo poche ore prima. Si sentiva in colpa: perché non era riuscita a sostenere Mai, perché non era riuscita a convincerla a restare. Quanta fatica aveva fatto la ragazza per convincere i genitori a non chiamare la polizia! Le aveva fatto davvero male vedere il dolore di Mai prima e  quello dei suoi genitori dopo.

Fortunatamente lei era convinta di sapere dove poteva essere andata Mai: nell’unico posto dove sapeva di avere qualcuno su cui contare. A quel pensiero provò una stretta al cuore: non era riuscita a dare alla sorellina il sostegno necessario, costringendola a trovare altrove il supporto di cui aveva bisogno. E di quello si incolpava.

In quel momento, il rumore di una moto attirò la sua attenzione. Quando si voltò, il ragazzo che era in sella al mezzo si fermò vicino al marciapiede, davanti a lei. Un attimo dopo scese e tolse il casco, lasciando liberi i capelli biondi. Kaoru si gettò tra le sue braccia: lei era sempre stata una ragazza che voleva contare solo sulle sue forze, ma tutto quello che stava succedendo era troppo. Per fortuna non era sola. I due ragazzi rimasero abbracciati per lunghi istanti.

“Kaoru, come stai?”

Kaoru si staccò dal ragazzo sospirando. “Andrew… grazie per essere venuto. Avrò rovinato l’uscita con i tuoi amici…”

Il ragazzo sorrise e scosse la testa. “Non serve che mi ringrazi. E i miei amici possono aspettare. Sarei venuto anche se tu non fossi la mia ragazza.”

Kaoru sorrise: quando era con Andrew riusciva sempre ad essere più serena. Forse perché affrontare le cose insieme era più facile.

“Mai…”

Andrew sospirò. “Allora non serve che mi racconti. È successo anche da noi.”

Kaoru sgranò gli occhi. “Anche Clarky?”

Andrew annuì e le passò il casco che Kaoru iniziò ad indossare. Poi rimise in testa il suo e si sedette sulla moto, seguito da Kaoru che strinse le braccia attorno al suo busto. Andrew premette il pedale dell’accelerazione.

“Possono essere andati solo in un posto.”

Kaoru annuì, mentre Andrew cominciava a guidare la moto tra le macchine delle strade di Tokyo.

“Lo pensavo anche io.”

Non ebbero bisogno di dirsi altro. Sapevano benissimo entrambi che c’era un unico posto dove potevano essere andati: il luogo dove, da quasi un anno, organizzavano le loro “riunioni”. E dove lo stesso Andrew era andato a prendere qualche volta Clarky.

Arrivati a destinazione, i due ragazzi non persero tempo. Andrew parcheggiò la moto e a passi rapidi i due raggiunsero l’entrata del condominio. Mentre erano sull’ascensore i due si guardarono rassegnati. Kaoru parlò per prima. La sua voce fatica a mascherare la rassegnazione.

“Non ci daranno mai ascolto.”

Andrew annuì. “Già… l’importante adesso è sapere che sono qui e stanno bene. Anche le nostre famiglie saranno più sicure sapendo che noi li teniamo d’occhio.”

Kaoru annuì lentamente posandosi alla parete dell’ascensore e fissando la lucetta che si spostava sui vari pulsanti dei piani.

“Vorrei solo che tutto questo non stesse succedendo veramente…”

Nessuno dei due aggiunse altro. Non avevano mai provato, in tutta la loro vita, un senso di impotenza così forte. Quello che stava succedendo stava sfuggendo dalle loro mani e la consapevolezza di non potere aiutare veramente i fratelli li schiacciava.

Pochi istanti dopo raggiunsero finalmente il quarto piano. Arrivati di fronte alla porta si fermarono incerti sul da farsi. Da dentro l’appartamento si sentivano rumori di voci e di oggetti spostati. Alla fine fu Andrew a prendere l’iniziativa e bussò un paio di volte con decisione. Poi arretrò e strinse una mano di Kaoru che continuava a stringere il manico del borsone. I rumori dall’altra parte si attenuarono. Pochi istanti dopo la porta venne aperta e Kaoru e Andrew videro apparire davanti a loro Yuuki.

I due ragazzi non sapevano bene come iniziare a parlare. Yuuki, però, non chiese loro niente e sembrò capire benissimo il motivo per cui erano venuti. Infatti, tornò indietro senza dire una parola e si sporse nel salotto dove c’erano gli altri.

“Mai, Clarky. Venite.”

I due Maestri della Luce si alzarono guardandosi leggermente perplessi, cominciando forse ad intuire il motivo per cui Yuuki aveva chiamato loro due. Il Guerriero Bianco, però, non diede risposta ai loro sguardi interrogativi e, dopo che erano usciti dalla stanza ed andati nel corridoio, entrò nel salotto.

Mai e Clarky raggiunsero la porta d’entrata e, durante il tragitto, l’espressione sul loro volto divenne sempre più dura. Mai si fermò sulla soglia e incrociò le braccia.

“Che cosa siete venuti a fare? Se è per convincerci a tornare, avete fatto strada a vuoto.”

Mai finì appena di parlare che si ritrovò stretta tra le braccia di Kaoru che aveva lasciato cadere il borsone. Gli occhi della maggiore erano lucidi.

“Sono così contenta che tu stia bene, Mai. Quando sei uscita di casa di corsa, ho temuto che ti potesse succedere qualcosa.”

Il Guerriero Viola deglutì lentamente e, dopo un attimo di esitazione, ricambiò l’abbracciò della sorella chiudendo gli occhi per non piangere.

“Scusami, Kaoru…”

La maggiore si staccò dalla sorella sorridendo e scuotendo la testa.

“No, siamo noi che dobbiamo chiedere scusa a voi. Scusarci perché non siamo in grado di starvi vicino come dovremmo.”

Andrew annuì sospirando. “Kaoru ha ragione…”

Clarky sorrise. “Non dovete dire così. Sappiamo che voi non potete fare più di quello che già fate per noi. Noi non vi diamo la colpa. È la nostra battaglia e se c’è da dare la colpa a qualcuno, è di chi si lascia abbindolare.”

Kaoru sospirò e raccolse il borsone porgendolo a Mai.

“Immaginavo non saresti voluta tornare… ho cercato di metterci dentro tutto lo stretto necessario.”

Mai prese la borsa dalle mani della sorella sorridendo. “Grazie.”

Per lunghi istanti, tra i quattro calò il silenzio. Poi fu Andrew a parlare di nuovo.

“Che cosa pensate di fare adesso?”

Clarky e Mai si guardarono incerti su cosa dire. Nonostante la decisione di tutti di andarsene di casa per poter restare insieme a combattere, si rendevano benissimo conto di trovarsi su un filo appeso sopra un baratro. Mai fu la prima a voltarsi e guardare decisa la sorella.

“Combattere. Per la verità. Per Gran RoRo.”

Cercò di essere convinta mentre parlava, anche se dentro sentiva una fiducia sulla riuscita della loro battaglia molto minore della metà di quella che cercava di dimostrare. Kaoru la guardò per qualche istante prima di sospirare.

“Cercherò di parlare con mamma e papà. Tenterò di convincerli a farti stare per un po’ qui… forse farà bene a tutti. Ma ti prego, Mai… non cacciarti nei guai.”

Mai sorrise e annuì. “Ci proverò.”

Andrew posò una mano sulla spalla di Clarky.

“E sappiate che, per qualsiasi cosa, potete contare su di noi. Questo non scordatevelo mai.”

Clarky sorrise e i due ragazzi si abbracciarono. “Grazie, Andy. La cosa più importante che potete fare per noi è crederci.”

Il maggiore lo colpì con una pacca sulla testa. “Ma quante volte te lo devo ripetere che non mi piace quel nomignolo?”

I due risero. Kaoru sorrise e si voltò verso Mai.

“Noi vi crediamo…”

Mai sorrise. “Lo sappiamo.”

Poi, dopo che le due ragazze si erano abbracciate ancora una volta, Kaoru e Andrew arretrarono di qualche passo. Il ragazzo guardò i due Maestri della Luce con fermezza.

“Ora dobbiamo andare… ricordatevi di chiamarci, altrimenti ti riporto a casa di peso Clarky. Chiaro?”

Clarky annuì. I quattro si salutarono ancora per qualche istante. Poi Andrew e Kaoru si allontanarono verso l’ascensore e, prima di entravi, li salutarono con la mano con espressione triste.

Quando le porte dell’ascensore si chiusero, Clarky e Mai rientrarono con la stessa espressione abbattuta. Poi lentamente raggiunsero gli altri in salotto. Vedendoli rientrare, Dan alzò lo sguardo.

“Erano i vostri fratelli?”

Mai annuì posando il borsone accanto il divano e tornandovi a sedere a gambe incrociate. La ragazza, prima di riprendere a parlare, prese uno dei cuscini e lo strinse tra le braccia posandovi il viso.

“Kaoru mi ha portato la borsa con lo stretto necessario… volevano controllare che stessimo bene.”

Clarky tornò a posarsi al bracciolo della poltrona. “Ci hanno detto di non cacciarci nei guai e che avrebbero cercato di parlare con le nostre famiglie.”

In quel momento, Yuuki rientrò nella stanza portando una pila di coperte e cuscini che posò sul divano accanto a Mai.

“Auguratevi soltanto che non mi arrestino per sequestro di minori…”

Gli altri sorrisero alla finta minaccia delle parole di Yuuki. In effetti il clima stava diventando leggermente pesante. Dan sorrise.

“Vedrai che non succederà…”

Mai annuì. “E al massimo diciamo che ti abbiamo obbligato minacciandoti.”

Yuuki li guardò poco convinto. “Dubito vi crederebbero…”

Kenzo tornò a rialzarsi dallo schienale della poltrona in cui era sprofondato.

“Dai, riprendiamo al discorso di prima… riepiloghiamo. Quindi noi dormiamo qui sistemandoci come possibile e Mai sta in camera da letto.”

A quel punto, la ragazza tornò a voltarsi verso Yuuki.

“Yuuki, te lo ripeto… non è necessario. Dopotutto questa è casa tua…”

Yuuki in tutta risposta le porse una chiave. “Appunto. Quindi decido io. Tu sei l’unica ragazza e quindi vai in camera da letto. Questa è la chiave.”

Mai a quel puntò si rassegnò e prese la chiave sorridendo. “Grazie.”

Prima che qualcun altro dicesse qualcosa, Dan li guardò sorridendo.

“Che ne dite se ora prepariamo qualcosa da mangiare? Io comincio ad avere un po’ di fame.”

Mai lo fulminò con lo sguardo. “Dan pensi solo a mangiare!”

Gli altri risero e alla fine fu Hideto, che era rimasto per tutto quel tempo in silenzio, a parlare.

“Potremmo ordinare delle pizze…”

Clarky annuì. “Ottima idea. Vado ad ordinare. Che gusti volete?”

Mai si alzò e prese il borsone. “Allora finché arrivano, io vado a sistemarmi.”

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Era ancora presto. Fuori dalle finestre il cielo si stava schiarendo rivelando l’alba imminente. Lentamente i primi raggi di sole iniziarono ad illuminare la facciata dell’edificio, filtrando tra le tende e i vetri delle finestre. Un raggio di sole raggiunse il bordo del divano su cui Dan, Clarky e Hideto stavano dormendo seduti. Pian piano si spostò, arrivando ad illuminare i capelli rossi e il viso del ragazzo. Il Guerriero Rosso si mosse del sonno, infastidito dalla luce che lo colpiva sugli occhi, e mosse una mano nel vano tentativo di scacciare la fonte del fastidio.

Nello stesso tempo, nel corridoio risuonarono il rumore di passi leggeri. Pochi istanti dopo, Mai si sporse nel salotto e verificò che tutti stessero ancora dormendo. Poi, la ragazza si diresse verso il bagno cercando di chiudersi dietro la porta cercando di non fare rumore. Impresa piuttosto difficile, dato che Yuuki gli aveva avvisati che la serratura era leggermente scassata e bisognava usare un po’ di forza per fare in modo che la chiave scattasse veramente. In caso contrario la porta, anche se apparentemente chiusa, si poteva aprire spingendo con un po’ di decisione la maniglia. Mai, pregando in tutti i modi che non facesse rumore, tentò un paio di volte fino a quando la porta sembrò finalmente scattare. A quel punto, la ragazza posò spazzolino, dentifricio e spazzola sul bordo del lavandino e si guardò allo specchio.

Anche quella notte aveva fatto fatica ad addormentarsi. Ogni volta che chiudeva gli occhi aveva l’impressione che ci fosse qualcuno che la osservava, qualcuno che di nascosto rideva e si prendeva gioco di lei. E non poteva far altro che aprire gli occhi di scatto. Mai sospirò e fissò l’immagine che lo specchio le rifletteva.

Vedeva una ragazza spaventata. Quella non era più lei, non si riconosceva più. Con gli altri fingeva, cercava di mostrarsi forte… e invece non si era mai sentita più fragile di come si sentiva in quel momento. Per quanto sarebbe riuscita ad andare avanti? Per quanto avrebbe resistito? Ore? Giorni? Anni? Mai abbassò lo sguardo e faticò a reprimere le lacrime. Quelle poche settimane l’avevano spezzata. E presto, come un vaso incrinata, sarebbe andata in pezzi.

Aveva così tanta paura. Una paura che neppure a Gran RoRo aveva mai provato: lì almeno aveva potuto combattere. Ora, invece, le sembrava di star solo aspettando: aspettando di venir spazzata via. Riusciva a resistere solo perché c’erano i suoi amici, perché c’era Dan… ma temeva che neanche quello, presto, non sarebbe bastato.

Mai allungò la mano e aprì il rubinetto. Riempitasi le mani d’acqua, le passò sulla faccia mentre un solo pensiero le vorticava nella mente: il Guerriero Viola stava scomparendo.

Contemporaneamente, nel salotto, Dan, dopo aver sbuffato, tentò inutilmente di spostarsi e sfuggire al fastidio della luce.

“Mamma… è presto… ancora cinque minuti…”

Il raggio di sole non poteva, però, certo ascoltarlo. E così Dan, qualche secondo dopo, aprì lentamente le palpebre. Recuperate sufficienti capacità mentali, il ragazzo faticò qualche istante a capire dove fosse e perché non si trovasse nel suo letto. Poi, il suo sguardo cadde su Kenzo e Yuuki che dormivano sulle due poltrone e su Clarky che dormiva accanto a lui. Finalmente tutti gli avvenimenti del giorno prima gli tornarono in mente. Sbadigliando, Dan si tirò su rimpiangendo un po’ la comodità del letto: Mai era proprio fortunata.

Poi, ancora insonnolito e con gli occhi che tentavano ancora di chiudersi, il ragazzo si avviò verso il bagno strascicando i piedi. Arrivato lì, stropicciandosi gli occhi con una mano e sbadigliando per l’ennesima volta, Dan afferrò la maniglia e cercò di aprire la porta. Fallendo nel primo tentativo, Dan usò un po’ d più forza riuscendo finalmente ad avere la meglio sulla maniglia…

Un secondo dopo, un grido, che probabilmente riuscì a svegliare non soltanto tutto il condominio ma anche quelli vicini, si alzò ben sopra la soglia di decibel sopportabili dall’orecchio umano.

In pochi istanti, Dan, bruscamente scosso dal suo stato di dormiveglia, si vide arrivare addosso un barattolo di shampoo. Il ragazzo fece appena in tempo a sgranare gli occhi che si ritrovò colpito sulla fronte. Per la sorpresa arretrò di qualche passo inciampando e ritrovandosi seduto per terra.

Nella stanza accanto, invece, l’urlo ebbe altre conseguenze. Il grido, infatti, fece svegliare di colpo gli altri quattro ragazzi: Clarky, che quando Dan si era alzato si era semi disteso posandosi al bracciolo, capitombolò a terra con un grido di sorpresa; Kenzo aveva sgranato gli occhi e aveva gridato terrorizzato “Che cosa sta succedendo?”; Hideto si era riscosso guardandosi attorno confuso e iniziando a fare domande a raffica “Chi? Cosa? Dove? Quando?”; Yuuki, invece, si era alzato di scatto cercando di capire che cosa stava succedendo.

Quando Dan alzò lo sguardo confuso e stupito, vide nel vano della porta Mai. La ragazza lo fissava come se volesse fulminarlo con lo sguardo: faceva più paura di uno dei suoi Spirits e ci si aspettava quasi che i suoi capelli diventassero simili a serpenti, come una moderna Medusa. Se l’avessero potuta vedere, anche tutti i suoi Signori Infernali si sarebbero nascosti per la paura.

“BASHIN, RINGRAZIA CHE ERO IN PIGIAMA!!!!!!”

Dopo avergli sbraitato contro quella che ha tutti gli effetti era una minaccia, la ragazza richiuse la porta con tutta la forza che aveva facendola sbattere sui cardini e fece scattare la serratura.

“Stramaledettissima porta!!!!”

Dan, allo stesso tempo, continuava a fissare la porta sbattendo le palpebre, senza riuscire ancora a capire bene che cosa era successo. Qualche istante dopo, cominciò a sentire un po’ di dolore sulla fronte e, passandovisi sopra le dita, si accorse che stava spuntando un bernoccolo. Appunto mentale: doveva decisamente migliorare i riflessi.

“Ma si può sapere che cosa è successo?”

Il Guerriero Rosso si voltò verso chi parlava e si ritrovò davanti Clarky, Hideto, Kenzo e Yuuki. I quattro lo guardavano in attesa di qualche spiegazione. Dan li fissò per qualche istante senza aprire bocca.

“Io volevo andare in bagno… la porta si è aperta…”

Nello stesso momento, da dietro la suddetta porta, si alzò la voce arrabbiata di Mai.

“È difettosa! Uno però può bussare!”

Dan si voltò verso la porta balbettando. “Ma io…”

Clarky sospirò esasperato, voltandosi verso il divano e lasciandovisi cadere sopra. La voce del Guerriero Giallo era lamentosa.

“Abbiate pietà! È ancora presto… io ho sonno!”

Kenzo e Hideto si guardarono mezzi assonati, mentre Dan si rialzava continuando a massaggiarsi la fronte. Yuuki, invece, si voltò andando verso la cucina.

“Io vado a farmi un caffè…”

Era ufficialmente iniziata la convivenza dei Maestri della Luce. E, mentre Hideto, Kenzo e Dan tornavano il salotto, Mai, seduta con la schiena posata alla porta sorrideva: per fortuna c’era Dan che l’aiutava a far uscire il Guerriero Viola che era in lei.

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Hideto sospirò, posato con le braccia allo schienale della sedia. Alla televisione stavano trasmettendo le solite notizie. Le stesse notizie che continuavano a riempire i giornali, come avevano constatato anche quel giorno. La pila di giornali buttata in un angolo del divano sembrava volerglielo ricordare.

Avevano appena finito di pranzare e avevano così ripreso i discorsi iniziati prima. Come sempre, Dan insieme a Yuuki cercava di spronare e motivare gli altri, di trovare un nuovo modo per far sentire la loro verità. Mai cercava di mostrarsi determinata e concordava con gli altri due. Ma tanto aveva capito che anche lei stava cominciando a vacillare… non aveva più lo sguardo dei primi tempi. E anche Clarky e Kenzo faticavano ogni giorno di più a resistere a tutto quello che stava succedendo.

Hideto sospirò, posando il volto sulle braccia. Era inutile. Anche stando tutti insieme, in quelle settimane non era cambiato nulla. Era quasi passato un mese, ma non avevano fatto nessun progresso.

Forse neanche lo stare tutti insieme serviva. Prima almeno, potevano affrontare i propri genitori, scontrandosi con loro riuscivano a sentirsi determinati, combattivi… ora, invece, non facevano altro che riflettersi l’uno nell’altro. Era terribile. Sembravano dei naufraghi su una nave che sarebbe affondata, anche se cercavano di non pensarci. Solo Dan e Yuuki sembravano non aver perso la determinazione e, anzi, le difficoltà sembravano averli rafforzati. Li invidiava:.

Lui, invece, si sentiva sempre più fiaccato: il riflesso del fallimento. In quelle settimane, ogni volta che loro avevano tentato di far sentire la loro voce, gli attacchi si erano fatti più forti. Qualcuno addirittura aveva minacciato di trascinarli in tribunale…

E gli attacchi continuavano, contro di loro, contro Gran RoRo… a favore del progetto del Re del Mondo Altrove che loro avevano bloccato. Non ne poteva proprio più. E non riusciva più a sentire nulla mentre lottava al fianco degli altri. Lo faceva solo perché sapeva che doveva farlo. Ma ormai la determinazione si era spenta, soffocata dalle bugie e dai fallimenti.

Dopotutto a cosa serviva? Uscivano nelle strade e venivano guardati e indicati come criminali, nel peggiore dei casi derisi. E sentiva la bruttissima sensazione di essere un burattino, come se stesse facendo quello che altri volevano… come quella volta che avevano combattute alle Scale dell’Orizzonte e poi scoprire che avevano fatto il gioco del Re del Mondo Altrove.

“Hideto, ci sei?”

La voce di Dan lo riportò alla realtà. Guardò gli altri per qualche istante e poi abbozzò un sorriso.

“Scusate, mi sono distratto un attimo… continuiamo pure.”

Dan riprese a parlare. E Hideto a pensare. Gli sembrava che, ormai, un vetro trasparente lo dividesse dagli altri. Era come essere chiusi in una prigione… voleva scappare. Doveva scappare. Sì, quella era l’unica possibilità. Doveva andarsene e trovare qualcuno che finalmente lo volesse ascoltare, qualcuno che finalmente lo lasciasse parlare. Hideto, per un attimo, ebbe quasi paura di quella decisione… il ragazzo che si chiudeva nei bagni voleva veramente lasciare tutti e tutto? Sì. Perché non era più quel ragazzo. Ma non era più neanche il Guerriero Blu… era per quello che doveva fuggire e partire. Per ritrovare sé stesso.

Hideto alzò lo sguardo e fissò i suoi amici. E, nel farlo, ebbe una stranissima sensazione: gli sembrava già di guardali da lontano, come se già se ne fosse andato. E forse era così… Tokyo non era più il suo posto. Era nel mondo che doveva cercare un nuovo posto per lui, un nuovo posto per il Guerriero Blu.

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Hideto aprì gli occhi. Gli altri stavano ancora tutti dormendo. Cercando di fare il minor rumore possibile, il Guerriero Blu si alzò dal divano e in punta di piedi andò a prendere il borsone delle sue cose. Fortunatamente, molte delle cose erano ancora là dentro perché nell’appartamento non ci sarebbe stato spazio sufficiente per tutti.

Lentamente il ragazzo raccolse i pochi oggetti che ancora mancavano, tra cui i suoi album, e li mise insieme alle altre cose. Poi si vestì, sempre tentando di essere il più silenzioso possibile. Più di una volta, si ritrovò a pensare che avrebbe preferito che qualcuno si svegliasse e lo fermasse. Ma nessuno sembrava averlo sentito muoversi per la casa. E forse era meglio così… ormai aveva preso la sua decisione. Tokyo era diventata troppo soffocante, il Giappone era diventato troppo soffocante. Aveva bisogno di trovare un luogo dove nessuno lo conoscesse, dove nessuno lo avrebbe usato come era successo in tutti quei mesi. Perché solo ora capiva veramente il motivo di tutto quello che era successo loro: qualcuno li aveva usati. Forse per pulirsi la coscienza, forse per proprio interesse… ma lui non ne poteva più. Era arrivato il momento di andare in cerca della sua strada, per ritrovare di nuovo la sua determinazione… e soprattutto per fuggire da tutto quello. Anche se significava dove lasciare gli altri senza una parola.

Hideto si mise il borsone in spalla e si avviò verso la porta. Quando mise la mano sulla maniglia, si voltò ancora una volta. Dan, Clarky, Yuuki, Kenzo… e Mai nell’altra stanza. Quanto gli sarebbero mancati i suoi amici. L’ottimismo e la determinazione di Dan, il tono saccente di Kenzo, e tutti i pregi e difetti di quei fantastici amici che aveva conosciuto grazie a Gran RoRo, grazie a Battle Spirits. Hideto sorrise: chissà se un giorno lo avrebbero perdonato. E chissà quando li avrebbe rivisti…

Hideto si voltò: doveva andare o non avrebbe più trovato il coraggio per farlo. Il ragazzo aprì la porta quel tanto che gli bastava per uscire e, prima di chiudersela alle spalle, posò un foglietto piegato in quattro sul mobile vicino alla porta. Poi, uscì.

Quando sentì lo scatto della serratura, Hideto ebbe quasi l’impressione che un capitolo della sua vita si fosse concluso. E forse era così. Il ragazzo si voltò e osservò la città di fronte a lui, illuminata dai raggi del sole appena sorto. Il mondo non gli era mai sembrato così grande… e lui non si era mai sentito così piccolo.

Hideto scosse la testa e inspirò profondamente. Non doveva arrendersi già ora. E iniziò a scendere le scale. I suoi passi risuonavano nel silenzio del palazzo. Solo in strada i rumori delle macchine e della città di fecero più forti. Mentre percorreva il marciapiede verso la fermata del bus, Hideto si impose di non voltarsi. Alla fine, però, quando stava per salire sull’autobus quasi vuoto, il ragazzo si voltò ancora una volta a fissare l’edificio dove si trovavano i suoi amici.

Quando individuò le finestre dell’appartamento, sorrise tristemente.

“Arrivederci, amici miei.”

Poi, salì e le porte vetrate si chiusero dietro di lui. L'autobus si allontanò lungo la strada, scomparendo pochi istanti dopo.

Solo un paio d’ore dopo, quando si svegliarono, i Maestri della Luce si resero conto di quello che era successo. Inizialmente, non vedendo il Guerriero Blu, avevano pensato che fosse uscito a prendere una boccata d’aria e a fare quattro passi. Poi, però, si erano accorti che i suoi album non erano posati sul tavolino del salottino, che mancavano il suo spazzolino e che era scomparso anche il suo borsone.

Di fronte a quell’evidenza, i cinque ragazzi si guardarono senza capire, senza essere più in grado di muovere un muscolo. Clarky si sedette scioccato sul divano.

“Non può essere vero…”

Dan scosse la testa guardando gli altri con decisione.

“Clarky ha ragione. Non posso credere che Hideto se ne sia andato. Sono certo che c’è una spiegazione…”

Kenzo annuì, guardando gli altri speranzoso. “Forse è solo tornato a casa…”

Yuuki scosse la testa. “Non se ne sarebbe andato via di nascosto, senza dirci nulla.”

Yuuki aveva ragione. Ma allora quale poteva essere il motivo? Dan, però, non voleva arrendersi.

“Beh, allora andiamo a cercarlo… non sarà andato lontano. Può capitare ha tutti un momento di difficoltà. Forza, andiamo!”

Il Guerriero Rosso si avviò verso la porta e l’aprì. Prima, però, che potesse uscire la voce di Mai lo fermò.

“Dan, aspetta…”

Il ragazzo e anche gli altri si voltarono verso di lei. Mai, lentamente, si avvicinò al mobile accanto alla porta e prese in mano un foglietto di carta. Lentamente lo aprì. Tutti gli altri trattennero il fiato per la tensione. Gli occhi ametista di Mai scorsero velocemente le poche righe vergate sul pezzetto di carta. E, ogni parola che leggeva, i suoi occhi si sgranavano di più.

“Mi dispiace non avervi detto niente, ma era l’unico modo affinché voi non cercaste di fermarmi. In queste settimane ho cercato di combattere con voi per la verità di Gran RoRo… e mi sono reso conto di non riuscirci più con la determinazione di un tempo.

Per questo ho preso questa decisione: partire. Perché ho bisogno di ripartire da zero, perché ho bisogno di ritrovare me stesso.

Spero che mi possiate capire e per favore non venitemi a cercare. Starò bene.

Vi auguro buona fortuna. Hideto.”

Mai alzò lo sguardo e incrociò quello degli altri. La ragazza rimase muta per lunghi secondi, mentre gli altri erano in trepidante attesa. Un silenzio irreale regnava nell’appartamento, mentre sembravano lontanissimi i rumori della città. Quando iniziò a parlare, la voce le tremava e gli occhi le si inumidirono leggermente.

“Hideto… è andato via…”

Salve a tutti! ^-^ Sono di nuovo qui… e non sapete quanto sia contenta nel dirlo: mi mancava così tanto scrivere su Battle Spirits! Però finalmente, dopo quasi due mesi, questo nuovo capitolo è concluso.
Come annunciato, abbiamo salutato il nostro Guerriero Blu… e perdonatemi se non sono andata troppo nei dettagli su come faccia Hideto a lasciare il Giappone: c’ho provato, ma non sono riuscita a trovare niente di plausibile per giustificare che un ragazzo di quattrodici anni riesca a lasciare un paese da solo! O.O Forse come clandestino… boh, ma in ogni caso non era quella la parte che mi interessava: ho preferito di gran lunga dedicarmi alle motivazioni che lo portano a lasciare gli altri.

E a proposito di abbandoni… questo è solo l’inizio. Infatti, nel PROSSIMO CAPITOLO: arriverà il momento di salutare anche Mai, Clarky e Kenzo che non riusciranno più a proseguire la battaglia. E sarà proprio così che si concluderà questa Seconda Parte del Prequel e con la Terza Parte vedremo la battaglia solitaria di Dan e Yuuki, che cosa succederà e come i nostri eroi verranno chiamati nel futuro… ci ricollegheremo a Brave. E poi… finalmente la nostra avventura avrà inizio! ^-^ Prometto che cercò di scrivere il più velocemente possibile la Terza Parte (ho già un sacco d’idee… non so perché, ma sono molto ispirata quando descrivo il travaglio dei nostri eroi… U.U tralasciamo…)

E ora… ovviamente i ringraziamenti:

Per le preferite: chicca12lovestory, Lacus Clyne e ShawnSpenstar

Per le seguite: martinacaboni, Osaki Kitsune e Reb e Ju

Per le recensioni del capitolo 1: chicca12lovestory, Lacus Clyne, martinacaboni, Osaki Kitsune e ShawnSpenstar

Vi ringrazio di cuore! ^-^ E ovviamente grazie anche a tutti quelli che solo leggono.
Non so se riuscirò a dare di nuovo un giorno fisso per gli aggiornamenti, sono in una fase di riassestamento e ho bisogno di un po’ di tempo per riprendere mano… quindi è probabile che aggiornerò ogni volta che finirò un capitolo.
Concludo con un piccolo AVVISO: chi non lo avesse ancora notato, ho iniziato una raccolta dei momenti che nelle serie di Battle Spirits hanno tralasciato o solo accennato. Se vi va, dateci un’occhiata. ^-^

Ok, ora vi saluto. Grazie ancora e a presto. Hikari

P.S. non sono riuscita a rileggere… se ci sono degli errori, ditemi che così li correggo! ^-^

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

Era stato un colpo duro da superare. La partenza di Hideto, così improvvisa, li aveva colpiti molto più di quanto avrebbero mai potuto credere. Per la prima volta in tutti quei mesi la realtà, così come stava veramente, era stata loro sbattuta in faccia. E, quando i loro sguardi si erano incrociati, vi avevano letto per la prima volta la paura e la sconfitta.

Non era successo quando tutti avevano cominciato ad attaccarli, non era successo quando si erano visti voltate le spalle da amici e famiglie… era stato difficile, erano stati cambiati e resi più fragili, ma insieme erano riusciti a resistere. Ma dover separarsi da uno di loro era molto diverso: loro erano i Maestri della Luce, i sei Guerrieri di Gran RoRo, non uno di più non uno di meno, dovevano restare insieme come nella battaglia contro il Re del Mondo Altrove. Era quello che si erano ripetuti in tutti quei mesi. Ora, si stavano rendendo veramente conto che non sarebbe bastato. Forse lo avevano saputo da sempre, qualche volta, quando erano stati soli, probabilmente lo avevano anche ammesso… ma nessuno di loro aveva mai avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, per paura che si potesse avverare davvero. Ma anche quello non era servito.

Ed ora, con la partenza di Hideto, dovevano affrontare la dura realtà: era una battaglia troppo grande per loro. Si sentivano svuotati. Clarky, seduto sul divano, si era preso la testa tra le mani fissando il pavimento. Kenzo, con lo sguardo perso, si era seduto accanto a lui. Mai aveva abbassato la mano che teneva il foglietto di Hideto, ancora non in grado di capacitarsi di quello che era successo. Ma era soprattutto Dan che non riusciva a credere a quello che era accaduto e continuava a camminare avanti e indietro per la stanza. Yuuki, in piedi, guardava i suoi amici: aveva temuto che sarebbe successo, aveva sempre sospettato che potesse essere quello l’obbiettivo, separarli. Ma si era sempre detto che i Maestri della Luce che aveva conosciuto a Gran RoRo sarebbero riusciti a superare anche quella difficoltà…

Un’unica domanda si ripeteva nelle loro cinque teste: cosa avrebbero fatto ora?

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Dopo la partenza di Hideto, era passato luglio ed era iniziato agosto. Molti andavano in vacanza e loro combattevano una battaglia che sembrava ormai inutile. Come Don Chisciotte contro i mulini a vento. Avevano cercato di far finta che la partenza di Hideto non fosse stato un colpo così forte. Se continuavano a combattere, si ripetevano, presto sarebbero stati di nuovo in sei perché Hideto sarebbe tornato.

Ma ormai praticamente nessuno gli ascoltava più. Gridavano al vento con il solo risultato di far riaccendere per qualche giorno le critiche e gli attacchi contro di loro. La loro battaglia si stava trasformando in un qualcosa che loro portavano avanti solo perché non sapevano cos’altro fare… senza più nessuna convinzione.

Era a questo che pensava Kenzo mentre fissava il ventilatore che si muoveva rinfrescando l’aria della stanza. Era frustante. Si sentiva così inutile. Quando a scuola non riusciva a risolvere un qualche problema, bastava che si impegnasse un paio di giorni e alla fine trovava la soluzione. Ora, invece, gli sembrava di continuare a dibattersi nel nulla.

Un nulla pesante come l’aria di quel giorno di agosto. Soffocante era la parola esatta. Cominciava a capire quello che doveva aver provato Hideto, perché ora lo provava anche lui. Ma dubitava che avrebbe avuto il coraggio del Guerriero Bli: lui non sarebbe mai riuscito a partire e vagare per il mondo senza una meta. Fin da quando era bambino, il suo rifugio era lo studio, i libri. Era il suo piccolo mondo in cui non c’era niente che lui non potesse risolvere: lì poteva trovare una risposta ad ogni cosa. O poteva partire da lì per trovare la risposta che mancava… Mentre invece, ormai, lì non riusciva a fare più niente.

Sì, aveva bisogno di rimettersi a studiare. Di sentire di nuovo di avere la possibilità di avere tutte le soluzioni possibili, di sapere che da qualche parte c’era una soluzione e che lui la poteva trovare. Cosa che non sarebbe successa nella loro battaglia, che era diventata ormai una via senza uscita.

Kenzo sospirò e guardò gli altri. Mai stava leggendo in un angolo del divano. Clarky stava sfogliando malvolentieri un giornale. Dan e Yuuki stavano parlando. Kenzo tornò a sospirare: come facevano quei due? Lui se lo chiedeva proprio. Un’altra di quelle cose a cui non riusciva a trovare risposta. Lui non ce l’aveva più la loro determinazione. Era evaporata senza lasciare traccia.

Tra poco meno di due mesi, poi, sarebbe anche riiniziata la scuola. Aveva ancora un sacco di compiti da fare. Però non voleva abbandonare la battaglia per la verità di Gran RoRo… Non si era mai sentito così combattuto.

“Presto inizierà di nuovo la scuola…”

La sua voce attirò l’attenzione degli altri che annuirono o pronunciarono qualche monosillabo. Kenzo sospirò.

“Ho ancora un sacco di compiti da fare…”

Il ragazzino si chiese se stava parlando con gli altri o con sé stesso. Era da un po’ di tempo che aveva come l’impressione che si fosse creata una sorta di barriera invisibile tra di loro. Ciascuno immerso nei propri pensieri, nelle proprie difficoltà…

Una mosca ronzò attorno al viso di Kenzo che, di scatto, si alzò in piedi attirando l’attenzione degli altri, che si voltarono guardandolo con espressione interrogativa.

“Basta.”

Sì. Voleva gridarlo. Non riusciva più ad andare avanti così. Hideto aveva avuto ragione. Sentiva che anche lui aveva bisogno di ripartire, di ritrovare di nuovo sé stesso. La voce di Dan lo distrasse dai propri pensieri.

“C’è qualcosa che non va, Kenzo?”

Il ragazzino passò lo sguardo da uno all’altro e, alla fine, prese un enorme respiro prima di parlare.

“Devo studiare… torno a casa.”

Le sue parole furono accolte da un silenzio quasi surreale, reso ancora più irreale dal rumore delle pale del ventilatore. Kenzo si rese conto di averli leggermente scioccati: forse avevano sperato che nessun altro se ne sarebbe andato. Anche lui lo aveva sperato…

“Ho un sacco di compiti. Devo finirli prima che inizi la scuola…”

Dan lo guardò sbattendo le palpebre. “Ma devi proprio andartene? Puoi farli qui i compiti.”

Kenzo sospirò. “Vi sarei solo d’impiccio… quando studio, non riesco a dedicare molto tempo ad altro. Non riuscirei a continuare la nostra battaglia.”

Quelle parole gli suonavano come le più ipocrite di tutte. Non ci credeva neanche lui che le aveva dette. Però, doveva andarsene…

“Se è quello che vuoi…”

Kenzo si voltò verso Clarky che lo guardava tranquillo. Chissà che cosa gli passava per la mente… chissà che cosa riusciva a tenerlo lì. Avrebbe voluto avere anche lui quel qualcosa per cui continuare a lottare…

“Mi dispiace, che tu vada via…”

Mai parlò tenendo lo sguardo basso sulle pagine del libro. Kenzo vedeva quanto dispiaceva a ciascuno di loro. Per questo cercò di sforzarsi a sorridere.

“Non è mica un addio… mi prendo solo una pausa.”

Dan e gli altri non dissero nulla, forse perché non sapevano che cosa dire. A quel punto, Kenzo si diresse verso il borsone e in pochi minuti lo aveva riempito. Poi tornò a voltarsi verso gli altri.

“Beh… io vado.”

Clarky e Mai si alzarono e lo abbracciarono. Dan, leggermente triste al vedere un altro amico che se ne andava, lo salutò sorridendo.

“Spero che tornerai a presto, Kenzo.”

Kenzo annuì e fece un cenno di salutò verso Yuuki. Poi si diresse lentamente verso la porta. Sapeva già che i suoi amici gli sarebbero mancati, ma ormai sapeva anche che era quello che doveva fare. Aveva bisogno di tornare alla vita di prima. Kenzo tirò su con il naso mentre usciva dalla porta e salutava ancora una volta gli altri. Per fortuna che era stato un saluto veloce. Sembrava più che altro che stesse uscendo per fare un giro. Sarebbe stato molto più difficile, altrimenti…

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Shizuko stava preparando le ultime cose per la cena di quella sera. Improvvisamente si sentì il rumore di chiavi che giravano nella serratura.

“Sono arrivata!”

La donna si riscosse e posò nel lavabo le verdure che stava pulendo. Asciugatasi le mani, Shizuko si diresse velocemente verso l’ingresso dove incrociò Atsuko che stava indossando le pantofole.

“Signora…”

Atsuko sorrise guardandola interrogativa. “C’è qualcosa che non va, Shizuko?”

La donna cominciò a torturarsi le mani, lanciando ogni tanto delle occhiate al piano superiore. La signora Hyoudo la guardò senza capire.

“Shizuko?”

La governante sospirò. “Al piano di sopra…”

Atsuko inarcò un sopracciglio. “Non mi dirai che c’è di nuovo uno spandimento! L’idraulico è venuto un mese fa!”

Shizuko scosse la testa. “No… Kenzo…”

Atsuko ammutolì e si voltò anche lei verso il piano superiore.

“Kenzo? È tornato? Quando?”

Shizuko mosse le mani per sistemarsi il grembiule. “Da poco prima dell’ora di pranzo… è tutto il pomeriggio sui libri.”

Atsuko rimase per qualche istante senza sapere cosa fare. Non era mica una cosa facile. Per anni aveva delegato ad altri la cura di suo figlio. Poi, quando era scomparso a Gran RoRo (come avevano saputo poi) se ne era pentita. Ma in un solo anno era difficile recuperare un rapporto madre-figlio che praticamente non era mai esistito. La donna sospirò: era arrivato il momento di ricoprire il ruolo di madre. Atsuko passò la giacca a Shizuko.

“Vado a parlarci.”

La governante annuì e Atsuko si diresse verso le scale. Ogni gradino si sentiva sempre più insicura. Che cosa doveva dirgli? E se non voleva parlarle? Se le chiedeva di uscire dalla stanza e lasciarlo in pace? Arrivata davanti alla porta di Kenzo, Atsuko scosse la testa: avrebbe affrontato ogni cosa. In quel momento si sentì la voce di Kenzo provenire dall’altra parte della porta.

“No… uffa, non era questa la formula.”

La donna sorrise. Quanti momenti si era persa… Preso un altro respiro, Atsuko aprì la porta ed entrò lentamente nella stanza. La finestra era aperta e si vedeva il cielo che cominciava ad incupirsi con l’arrivo della sera. Un venticello piacevole stava rinfrescando l’aria calda di quella giornata di agosto appena trascorsa. Kenzo era chinò su un quaderno aperto sulla scrivania e, ai suoi lati, c’erano due pile di libri. La donna sorrise e si avvicinò posandogli una mano sulla testa.

“Ciao, Kenzo.”

Kenzo rimase zittò un secondo. Poi le rispose. “Ciao, mamma.”

La donna esitò un attimo prima di continuare. “E così sei tornato…”

Kenzo annuì continuando a guardare gli appunti sul suo quaderno.

“Come mai?”

Atsuko rimase in trepidante attesa, quasi temendo che Kenzo le dicesse di farsi gli affari suoi come aveva fatto in tutti quegli anni. Ma Kenzo non glielo disse.

“Fra poco più di un mese riinizia la scuola… devo finire i compiti e riguardare gli ultimi argomenti dell’altro anno.”

La donna lo guardò tristemente. Anche lei riusciva a percepire il tono deluso del proprio figlio. Non era certo quello il motivo… studiare era semplicemente il modo di Kenzo per non pensare ad altro. Atsuko inspirò: doveva continuare. Suo figlio aveva bisogno di avere qualcuno che lo confortasse… almeno questo glielo doveva, visto che non era riuscita a supportarlo nella sua battaglia come avrebbe dovuto.

“Tu come stai?”

Kenzo sospirò e voltò una pagina. “Come vuoi che mi senta, mamma? Sto bene, non ti preoccupare.”

Atsuko sorrise e gli passò una mano tra i capelli.

“Non è vero. Sarò anche la peggiore madre di questo mondo, ma riesco ancora ad accorgermi, se voglio, quando hai qualcosa che non va.”

Il Guerriero Verde si morse un labbro. “No… sono solo molto impegnato con questi compiti.”

La donna sospirò con l’aria di credergli.

“E va bene, se lo dici tu. Non ti dispiace se rimango qui, vero? Devo controllare dei dati su una relazione.”

Atsuko non attese risposta e si sedette sul bordo del letto di Kenzo, tirando fuori dalla borsa una cartelletta da cui estrasse un plico di fogli pinzati.

“Così se hai voglia di dirmi come stai davvero, sono qui.”

Kenzo non disse niente. Atsuko finse di leggere il contenuto del plico, ma in realtà continuava a lanciare occhiate al figlio. Era terrorizzata dall’idea di essersi sbagliata: e se Kenzo invece stava bene veramente? Magari era lei che si sbagliava… non poteva certo vantare un chissà quale intuito di madre. Ma, poco dopo, Kenzo posò la penna e si fermò. La madre rimase in attesa. Passò qualche minuto e poi si sentì la voce del Guerriero Verde.

“Mamma…”

La donna sorrise. “Sì, Kenzo?”

Il ragazzino si voltò. Sembra imbarazzato e sul punto di chiederle qualcosa, senza però riuscirci. Forse era anche per lui difficile abituarsi all’idea di avere una madre che aveva il tempo di starlo a sentire. Atsuko sorrise e allargò le braccia posando sul comodino il plico di fogli.

“Vieni qui.”

Kenzo sorrise sollevato e non se lo fece ripetere due volte. Si alzò dalla sedia e raggiunse velocemente la madre. La donna lo abbracciò iniziando a cullarlo. Quanto si pentiva della sua stupidità in tutti quegli anni… chissà quante altre volte il suo bambino aveva avuto bisogno di lei.

Rimasero così per lunghi minuti. Kenzo sembrava voler soltanto sentire la vicinanza della madre, la sensazione delle sue braccia che lo stringevano.

“Ho paura che gli altri mi odino…”

Atsuko venne colta di sorpresa quando Kenzo iniziò a parlare. Sentire la sua amarezza le fece male.

“Perché dovrebbero odiarti?”

Kenzo sospirò. “Perché me ne sono andato… penseranno che sono solo un bambino capriccioso.”

La donna sorrise e scosse la testa. “Secondo me ti sbagli. Mi hai sempre detto che sono i migliori amici che tu abbia mai avuto… allora facevo bene a pensare che tu non dovessi vederli.”

Kenzo scosse la testa. “No… loro sono veramente i migliori amici che avrei mai potuto avere.”

Atsuko gli accarezzò i capelli. “E allora sai benissimo anche tu che non diranno niente di male di te. Ti capiranno.”

Un altro silenzio calò tra i due. Questa volta, però, venne rotto dalla voce di Atsuko.

“Come mai hai deciso di tornare?”

Kenzo sospirò rimanendo in silenzio lunghi istanti prima di parlare.

“Un paio di settimane fa Hideto se ne è andato. Non ce lo aveva neanche detto… ci ha solo lasciato un biglietto in cui ci diceva che aveva bisogno di ripartire da zero, di ritrovare la determinazione di un tempo. Chissà dov’è adesso…”

La donna lo guardò tristemente. “Mi dispiace…”

Kenzo si voltò verso di lei guardandola speranzoso. “Pensi che presto tornerà?”

Atsuko sorrise e annuì con convinzione. “Ne sono certa. E, se non lo fa, posso sempre sfruttare i miei contatti… conosco un po’ di gente alle ambasciate.”

Kenzo scoppiò a ridere. “Non voglio mica farlo arrestare!”

La donna lo guardò con gli occhi sgranati. “Ma io non ho mai detto questo!”

Poi Atsuko scoppiò a ridere e, alla fine, anche Kenzo la seguì a ruota. Dopo qualche momento, la donna tornò seria.

“Ti dispiace aver lasciato gli altri tuoi amici, vero?”

Kenzo annuì. “Sì. Dopotutto questa era anche la mia battaglia… e io ora gli ho lasciati da soli.”

Atsuko gli sfiorò la fronte con le labbra.

“Non si può combattere sempre… anche il guerriero più forte, qualche volta, deve fermarsi per riposare. Ne avete passate così tante… credo che tutti voi vi meritiate un po’ di riposo.”

Il ragazzino non sembrò molto convinto. “Ma non siamo riusciti nel nostro intento…”

La donna sospirò. “Kenzo, nessuno può fare qualcosa che va oltre le sue forze… e nessuno può farsi del male per non deludere gli altri. Se tu sentivi che dovevi fermarti, è giusto così. Loro lo capiranno.”

Kenzo sembrò pensarci un attimo, poi si voltò verso di lei.

“Ti dispiacerebbe rimanere ancora un po’ qui… mentre finisco di studiare?”

Atsuko sorrise, leggermente commossa. “Certo…”

Kenzo sorrise e si alzò tornado a sedersi alla scrivania. Dopo qualche istante, tornò a voltarsi verso la madre.

“Mamma…”

Atsuko alzò gli occhi dal plico di fogli. “Si?”

Kenzo sorrise. “Grazie.”

La donna faticò a trattenere delle lacrime e sorrise. Finalmente sentiva di essersi comportata veramente da madre. “Di nulla, tesoro mio.”

Kenzo riprese a studiare e, finalmente, si sentì un po’ più leggero. Ora che aveva parlato con qualcuno si sentiva molto meglio. E il fatto che fosse stata sua madre, lo aveva fatto sentire bene. Forse avrebbe continuato a sentirsi in colpa, ma sapere di non essere solo lo rassicurava. Sua madre aveva ragione. Doveva ricaricarsi. Poi, sarebbe tornato dagli altri e avrebbe ripreso a combattere con loro. Kenzo sorrise e riprese a concentrarsi sugli appunti.

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Settembre era iniziato. L’estate stava finendo e le scuole presto sarebbero riiniziate. Ma le cose per i Maestri della Luce non erano migliorate. Anzi… dopo che anche Kenzo se ne era andato, si erano fatte più difficili.

Clarky se ne era reso conto. E la cosa peggiore non era dover affrontare la loro battaglia in quattro, ma era dover sopportare il pensiero di due amici che si erano arresi. Era facile dire che tutto sarebbe andato meglio, che era solo un momento difficile che insieme avrebbero superato… ma non era così. Clarky se ne rendeva ben conto. Lo vedeva soprattutto in sé stesso e negli occhi di Mai. Dan era un discorso a parte. Sembrava che più le cose si facevano difficili, più lui si mostrava determinato ad andare avanti, a non mollare. Qualche volta si trovava a pensare che il Guerriero Rosso cercasse di essere determinato anche per gli altri. Forse era così… Dan cercava di lottare anche al posto di Hideto, al posto di Kenzo… E poi c’era Yuuki. Anche lui era un discorso a parte. Come Dan, aveva qualcosa per cui lottare. E, se il Guerriero Rosso non voleva mollare per tutti i loro amici e la promessa che aveva fatto loro, il Guerriero Bianco non voleva arrendersi in ricordo di Kajitsu.

Avrebbe voluto essere come loro. Ed era cero che anche Mai si sentisse così. Anche lui voleva riuscire ad essere immune a tutto quello che stava succedendo, riuscire a non essere scalfito dalle cadute, riuscire a rialzarsi con la stessa determinazione. Ma lui non ci riusciva. Era inutile mentirsi. E ogni giorno che passava se ne rendeva conto sempre di più. Si sentiva sempre più stanco di combattere, senza più uno scopo… e quella volta non ci sarebbe stato un duello con Leon che gli avrebbe schiarito le idee.

E così tirava avanti. In attesa di trovare il coraggio di prendere una decisione qualsiasi. Decisione che, ogni giorno che iniziava, lui non riusciva a prendere. Rimaneva sempre fermo di fronte al bivio: trovare di nuovo la determinazione o tornare a casa e smettere di fingere di riuscire a sopportare tutto.

Anche quella mattina ci stava pensando, mentre facevano colazione. Girando il cucchiaino nel caffelatte, Clarky guardò di sottecchi i suoi amici. Dan e Yuuki stavano discutendo delle notizie apparse sui giornali, cercavano di decidere quale sarebbe potuta essere la loro prossima mossa. Mai, invece, seduta a gambe incrociate sulla sedia, sembrava ascoltarli, mentre inzuppava un biscotto nella sua tazza. Ma si vedeva che, in realtà, non li stava ascoltando. Ogni tanto lanciava loro un’occhiata triste e poi tornava subito ad immergersi nei propri pensieri.

Forse era anche per quello che avevano cominciato ad andarsene. Tutto quello che era successo stava riuscendo a separarli. Ognuno cercava di affrontare i propri fantasmi da solo, senza parlarne con gli altri. Si erano tutti costruiti dei gusci in cui speravano di riuscire a resistere. Anche quello con scarsi risultati…

Clarky sospirò e finì di bere il caffelatte. Non riusciva più ad andare avanti così. Era come in un duello… bisognava avere anche la forza di capire quando il tuo avversario, ormai, aveva vinto. Inutile fingere di avere ancora la vittoria in pugno. Tanto valeva alzare bandiera bianca prima di essere mandati K.O. definitivamente. Tanto, nella realtà, non si poteva avere una rivincita come in Battle Spirits. Sì, doveva trovare il coraggio di fare un passo indietro.

Clarky alzò lo sguardo e fissò i tre amici. Poi si schiarì la voce per attirare la loro attenzione. I tre si voltarono verso di lui incuriositi.

“Devo dirvi una cosa.”

Dan annuì inghiottendo il boccone che aveva in bocca. “Cosa c’è Clarky?”

Il ragazzo sospirò e poi li guardò con espressione determinata.

“Ho deciso di tornare a casa…”

A quelle parole, Dan e Mai sgranarono gli occhi. A parlare fu per prima la ragazza.

“Anche tu…”

Clarky sorrise con rassegnazione. “Chi combatte deve anche sapere quando è il momento di fermarsi…”

Mai strinse le labbra, colpita da quelle parole. Dan, invece, scosse la testa.

“Ma noi non abbiamo ancora perso.”

Clarky si voltò verso di lui sorridendo. “Tu no, Dan. Ma io sì. Questa volta non posso continuare questo duello fino all’ultima vita.”

A quel punto, Clarky si alzò posando la salvietta vicino alla tazza.

“Mi dispiace. Vado a preparare le mie cose.”

Clarky si diresse verso il salotto, consapevole degli sguardi degli altri tre. Lui, però, finalmente era riuscito a prendere una decisione. In un certo senso si sentiva più leggero, meno preda dell’ansia che lo aveva tormentato in quelle ultime settimane. In realtà, si sentiva anche più svuotato… ma a quello ci avrebbe fatto l’abitudine e, alla fine, sarebbe passato.

Gli sembrava così strano star per lasciare quell’appartamento. Era diventata un po’ la sua casa in quei pochi mesi trascorsi da giugno. Ma sarebbe stato ancora più bello se, quei mesi passati insieme ai suoi migliori amici, si fossero svolti in un’atmosfera migliore…

Ma chissà, forse anche per quello ci sarebbe stato tempo. Quando chiuse la zip del borsone, sentì qualcuno fermarsi alle sue spalle. Clarky si voltò e si vide di fronte Mai.

“Perché Clarky?”

Il ragazzo sorrise. “Perché credo che sia la cosa migliore per me.”

La ragazza sospirò. Clarky sollevò il borsone. “Pensa tu a quei due… soprattutto a Dan.”

Mai alzò lo sguardo smarrito. “Io non se ce la faccio…”

Clarky le posò una mano sulla spalla, sorridendo. “È una decisione che devi prendere tu, Mai. A presto.”

La ragazza annuì cercando di sorridere. In quel momento, sulla porta che dava sulla cucina, apparvero Dan e dietro Yuuki. Il Guerriero Rosso fece qualche passo avanti.

“Clarky… non te ne puoi andare. Abbiamo sempre combattuto insieme.”

Il Guerriero Giallo lo raggiunse sorridendo e gli diede una pacca sul braccio.

“Te la caverai benissimo da solo, Dan. Io ho bisogno di fermarmi per un po’… chissà magari presto tornò. Chi può dirlo… que cera, cera.”

Yuuki sorrise e annuì. “Allora, arrivederci Clarky.”

Clarky alzò una mano in segno di saluto. “Ci si vede. Buona fortuna a tutti… Dan continua così.”

Il Guerriero Rosso non sembrava aver molta voglia di arrendersi, ma alla fine sospirò e cercò di sorridere.

“Torna presto, Clarky. I Maestri della Luce devono stare uniti. Dobbiamo farlo per Gran RoRo.”

Clarky annuì e si diresse verso la porta. Gli altri rimasero fermi a fissarlo, finché il Guerriero Giallo non si chiuse la porta alle spalle. A quel punto, Mai si voltò e andò nella propria camera chiudendosi la porta alla spalle. Dan si voltò, continuando a chiedersi come era possibile che tutti volessero andarsene e se c’era qualcosa che lui potesse fare.

Clarky, intanto, era ancora fuori dalla porta, posata ad essa. Teneva lo sguardo basso e un sorriso amaro piegava le sue labbra. Sembrava quasi che non riuscisse a trovare la forza per lasciare definitivamente quella casa. Rimase lì per lunghi minuti, poi si spinse in avanti e si diresse verso l’ascensore, le cui porte, poco dopo, si chiusero davanti a lui. Era arrivato il momento di tornare a casa.

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Andrew fece girare le chiavi della serratura sbadigliando. Quel giorno all’accademia era stato faticosissimo. Non vedeva l’ora di farsi una doccia. Non avrebbe dovuto neanche litigarsi il bagno con Clarky… il ragazzo sorrise tristemente. Quanto gli mancavano anche quei momenti che prima non sopportava… quelle settimane d’estate erano state così difficili, come quelle dell’anno prima quando non avevano avuto notizie di Clarky per tanto tempo.

Andrew sospirò ed entrò, chiudendosi dietro la porta. La casa era avvolta dal silenzio. Sua madre non doveva essere ancora rientrata. Suo padre invece sarebbe tornato il giorno dopo per qualche giorno, forse una settimana e poi sarebbe tornato a pilotare i suoi aerei in qualche parte lontana del mondo. Il ragazzo si diresse verso la propria camera per posare lo zaino. Si sarebbe andato a fare una bella doccia e poi sarebbe andato a mangiare qualcosa. Pensandoci, avrebbe dovuto anche chiamare Kaoru.

Lungo il corridoio, quando passò davanti alla stanza di Clarky, lanciò uno sguardo distratto e tirò dritto. Fatti solo pochi passi, però, Andrew si fermò e tornò indietro guardando con stupore dentro alla stanza. Ai piedi del letto era gettato un borsone e, sul letto, c’era disteso Clarky con un braccio sul viso.

Andrew si fermò fissandolo, senza capire. Da quando era tornato? Stava bene?

“Non sto dormendo, Andy…”

Andrew si riscosse nel sentire la voce di Clarky, che nel frattempo aveva spostato il braccio posandolo sul materasso. Era stato quasi sul punto di rimproverarlo per aver usato di nuovo il nomignolo che odiava, ma poi qualcosa nella voce di Clarky lo aveva fermato. Lentamente, aveva posato lo zaino vicino alla porta e si era avvicinato al letto. Clarky era disteso ad occhi chiusi e sarebbe potuto benissimo sembrare addormentato. Andrew si sedette sul bordo del letto.

“Come va?”

Clarky abbozzò un sorriso. “Sono tornato a casa…”

Andrew gli diede un colpetto sul braccio sorridendo.

“Lo vedo. Non sono ancora arrivato al punto di avere le visioni…”

Clarky rise. “E chi te lo dice che io non sia una tua immaginazione?”

Andrew aprì la bocca ma non seppe cosa dire. Poi sbuffò. “Lasciamo stare… io ti avrei fatto una domanda. Come stai?”

Clarky alzò le spalle. “Come vuoi che stia? Ho capito che era arrivato il momento di arrendersi.”

Andrew lo guardò tristemente. “Mi dispiace. Ti ha fatto male salutare i tuoi amici? Da quanto sei qui?”

Clarky sorrise amaramente. “Da questa mattina… tranquillo, ho mangiato qualcosa a pranzo.”

Andrew lasciò vagare per qualche istante lo sguardo sulla stanza di Clarky e poi tornò a guardarlo.

“Hai… pianto?”

Per lunghi istanti Clarky rimase immobile, poi scosse la testa e sorrise.

“No, non ho pianto… ho pensato. A Gran RoRo, ai nostri amici, a chissà dove è adesso Hideto, a cosa starà facendo Kenzo, come l’avranno presa Dan, Mai e Yuuki… in queste ore avevo troppo cose a cui pensare per piangere.”

Andrew lo guardò tristemente. “Adesso che cosa farai?”

Clarky, a quel punto, aprì gli occhi e si alzò, fissando la parete di fronte a lui.

“Non lo so… è l’unica cosa a cui non ho pensato.”

Il ragazzo rise, ma si sentiva che non era una risata felice, piena di gioia. Era piuttosto una risata carica di rassegnazione.

“Mamma e papà adesso saranno contenti… non combatterò più per la verità di Gran RoRo…”

Andrew lo fissò. “Mamma e papà non si sono mai augurati che tu fallissi per vederti tornare a casa… volevano solo che tu non corressi dei pericoli.”

Clarky annuì. “Lo so… ma alla fin fine avevate ragione. Siamo solo dei ragazzi… non potevamo vincere contro il mondo.”

Andrew lo colpì su una spalla. “Non dovresti abbatterti così… se lo avessero fatto anche i primi che hanno costruito un razzo, alle prime difficoltà, non saremmo mai arrivati sulla Luna.”

Clarky lo guardò scuotendo la testa.

“Tu non riesci proprio a non pensare al tuo spazio, vero?”

Andrew sorrise. “Piacerebbe anche a te… devi solo vederlo da un’altra prospettiva.”

Il Guerriero Giallo alzò le spalle. “Sarà…”

I due ragazzi rimasero zitti per qualche minuto. Poi, Andrew abbracciò Clarky cogliendolo di sorpresa.

“Che fai?”

Andrew sorrise. “Mi sei mancato, fratellino…”

Clarky sorrise e lo guardò poco convinto. “E serviva abbracciarmi?”

Andrew ridacchiò. “Non mi è venuto in mente un modo più intelligente per dirti che ti sono vicino. Mi dispiace che non siate riusciti a far trionfare la verità.”

Clarky sospirò abbracciando a sua volta il fratello. “Dispiace anche a me… ma c’est la vie.”

Rimasero fermi per lunghi istanti, poi Andrew si staccò sorridendo.

“Basta abbracci… far durare troppo questi momenti sdolcinati è controproducente.”

Clarky sghignazzò parlando con tono allusivo.

“Te lo ricorderò quando sarai con Kaoru…”

Il maggiore sgranò gli occhi e colpì con uno scappellotto la nuca di Clarky che sorrise divertito.

“Ti vieto di impicciarti nella mia vita sentimentale, Clarky Ray.”

Il Guerriero Giallo si posò sulle braccia e alzò la testa a fissare il soffitto.

“Stavo scherzando… sono contento che in tutta questa faccenda, ci sia stata almeno una cosa positiva. Intendo tu e Kaoru…”

Andrew sorrise. “Quanto siamo gentili, fratellino. Ma non essere così pessimista…”

Clarky annuì e chiuse gli occhi. “È solo un momento… fra poco passerà. Devo solo riabituarmi alla vita di prima, senza battaglie…”

Andrew si alzò sistemandosi i pantaloni.

“Mi cambio e poi vieni ad aiutarmi a preparare la cena. Così facciamo una sorpresa a mamma.”

Clarky si lasciò cadere sul letto a braccia aperte. “Va bene…”

Quando Andrew uscì dalla sua stanza, Clarky rimase immobile a fissare il soffitto. Si sentiva così strano. In un anno quante cose erano successe, quante volte la sua vita era cambiata… prima Gran RoRo, poi il ritorno a casa, il successo, il cambio di vento e gli attacchi dei mass media e, infine, di nuovo a casa. Prima che riiniziasse la scuola, doveva mettere un po’ d’ordine nella sua vita, capire quello che era rimasto del vecchio Clarky. Improvvisamente, il ragazzo sorrise e mise una mano in tasca tirandone fuori una carta, che portò all’altezza del suo viso.

“Cambiano tante cose, ma tu rimani sempre con me… vero, mia adorata Sophia?”

Per lunghi istanti, Clarky fissò l’immagine sorridente dell’angelo raffigurato sulla carta di Battle Spirits, Grande Angelia Sophia. Era la sua amica, la sua migliore confidente… almeno qualcosa del suo passato era rimasto immutato.

Improvvisamente, Clarky sentì provenire dalla cucina un rumore di pentole che cadevano. Mentre si metteva a sedere sul letto con un’espressione perplessa, sentì la voce di Andrew.

“Clarky… non ti sarai mica addormentato?”

Era tecnicamente impossibile con tutto quel rumore. Il ragazzo rise e si alzò, tornando a sistemare la carta insieme alle altre del mazzo.

“Arrivo, Andrew… cerca di non distruggere la cucina nei secondi che mi servono per arrivare.”

“Spiritosone! Muoviti!”

Clarky sospirò sorridendo e raggiunse il fratello. Arrivato in cucina, vide Andrew che stava finendo di raccogliere le pentole cadute. Raggiuntolo, lo aiutò a tirare su le ultime.

“Sentiamo, cosa dovremmo preparare?”

Andrew alzò le spalle. “Non lo so… qualcosa che ti tiri su di morale.”

Clarky sorrise. “Forse meglio qualcosa con cui non rischiamo di bruciare la cucina… sai che bella sorpresa per mamma.”

Senza altri indugi, i due ragazzi si misero all’opera con pentole, utensili ed ingredienti. Usando il doppio degli oggetti che normalmente una persona usa, ma giustamente erano in due, e sporcando cucina e credenze come se avessero preparato da mangiare per un reggimento, Clarky e Andrew ci misero tutto il loro impegno per preparare qualcosa che fosse almeno mangiabile.

Dopo un’oretta, i due ragazzi si sedettero attorno al tavolo e si guardarono soddisfatti (e leggermente sporchi). Davanti a loro troneggiava, spartito in tre piatti, il risultato del loro impegno. Andrew sorrideva soddisfatto.

“Dai, non è andata così male…”

Clarky rise. “No… la cucina non è bruciata.”

Andrew lo guardò di traverso. “Sempre a guardare il lato negativo… e poi siamo anche riusciti a finire in tempo, mamma presto sarà qui.”

Quel commento fu seguito da un momento di silenzio, poi Andrew tornò a voltarsi verso Clarky.

“Ti senti meglio?”

Clarky sorrise e annuì. “Sì, grazie… però, Andrew…”

Il maggiore gli fece cenno di continuare. “Si?”

Clarky scoppiò a ridere. “La prossima volta che mi devi tirare su di morale, puliamo la casa… penso che mamma apprezzerà molto di più.”

Andrew lo guardò senza capire e poi lanciò un’occhiata alla cucina. Dopo pochi istanti, tornò a voltarsi verso Clarky ridendo.

“Forse hai ragione… magari siamo ancora in tempo per sistemare un po’…”

In quel momento si sentì il rumore della porta aprirsi e, subito dopo, la voce della madre.

“Che cos’è questo odore? Andrew?”

Clarky sorrise. “Mi sa che è tardi…”

Andrew si alzò e lo obbligò ad alzarsi in fretta. “Vai a salutarla… così magari non si accorge…”

Clarky lo guardò scuotendo la testa. “Illuso…”

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Le ore sembravano non passare mai da quando anche Clarky se ne era andato. Aveva lasciato l’appartamento quella mattina, appena si erano svegliati. Ormai, i Maestri della Luce non esistevano praticamente più. Rimanevano solo Dan, Yuuki e Mai. Il primo, quando uno dei suoi migliori amici era andato via, aveva cominciato a guardare le proprie carte. Quell’attività lo aiutava a concentrarsi e a pensare. Non riusciva a capire perché Hideto, Kenzo e poi Clarky avessero deciso di arrendersi. Certo, era una battaglia difficile… ma arrendendosi non sarebbero comunque arrivati da nessuna parte.

Dan alzò lo sguardo. Yuuki era fuori sul terrazzo e guardava la città, immerso nei propri pensieri. Chissà a che cosa stava pensando… forse anche lui si sentiva in colpa. Ogni volta che pensava a Gran RoRo, Dan si sentiva in colpa per non essere riuscito a far trionfare la verità. Forse anche Yuuki si sentiva così… neanche lui era riuscito a ristabilire l’onore di Kajitsu, che tutti ancora consideravano l’emblema dei pericoli di Gran RoRo. Dan sospirò e si voltò verso l’interno della casa. Nel corridoio si intravedeva la porta della camera da letto. Mai si era chiusa dentro da quando Clarky se ne era andato. Probabilmente soffriva anche lei per tutte quelle separazioni.

Dan tornò a fissare le carte. Si stavano separando come era successo a Gran RoRo… ma questo non doveva farli arrendere. Anche lì, non si erano arresi e alla fine erano tornati tutti insieme. Sì, avrebbe fatto di tutto perché anche gli altri tornassero a combattere con loro.

Improvvisamente, la porta della camera si aprì e, quando alzò lo sguardo, Dan si vide davanti Mai che posò a terra il borsone, continuando a tenere sul braccio il computer. Un’espressione confusa e interrogativa si dipinse sul volto del Guerriero Rosso.

Mai non distolse lo sguardo da Dan. “Me ne vado.”

“Che cosa?”

La voce sorpresa, venata da una punta di delusione, di Dan fece perdere a Mai tutta la sicurezza che avrebbe voluto mostrare comunicando a Dan e Yuuki la sua decisione. La ragazza abbassò lo sguardo fissando il computer che aveva sul braccio.

“Me ne vado…”

La voce di Mai fu poco più alta di un sussurro. In quel momento, anche Yuuki rientrò e si fermò sulla porta tra salotto e terrazza. Dan, invece, si alzò guardando Mai senza capire.

“Questo lo avevo capito, Mai. Ma… perché?”

Mai alzò lo sguardo, ma lo distolse quasi subito continuando a spostarlo da un oggetto all’altro della stanza. Non riusciva proprio ad incrociare gli occhi di Yuuki e soprattutto di Dan. Come poteva reggere il suo sguardo deluso Lo sguardo di uno che non si era mai arreso…

“Perché sì, punto. Ho deciso così e basta.”

Dan la guardò costernato. “Come ho deciso così e basta? E la nostra battaglia? Cosa pensi che direbbero gli altri? Da te non me lo sarei mai aspettato… non pensi a tutti i  nostri amici, a Serjou…”

Mai alzò lo sguardo su di lui e interruppe con rabbia le sue parole.

“Cosa pensi che non lo sappia da sola? Credi che sia una tale insensibile, Dan Bashin?”

Dan non seppe cosa rispondere. “Ecco io…”

Mai non lo lasciò parlare, doveva dire quello che aveva in testa prima che le lacrime, che ormai le pungevano gli occhi, riuscissero ad uscire.

“Ci penso sempre invece! E proprio perché ci penso, mi sento così male… mi vergogno anche io per questa decisione, ma non posso fare altro, Dan. Io non ce la faccio più. Mi dispiace.”

Mai non gli lasciò tempo di replicare e prese il borsone, dirigendosi a passo spedito verso la porta. Doveva uscire da lì, andarsene via prima di scoppiare a piangere, prima di non avere più il coraggio di farlo. Dan e Yuuki rimasero immobili a guardarla uscire. Poi, Dan si riscosse e corse verso la porta. Uscito sul pianerottolo, raggiunse Mai e la fermò per un braccio.

“Mai, aspetta…”

La ragazza non disse una parola e non si voltò. Dan riprese a parlare.

“Ti chiedo scusa, ecco… ho sbagliato a dirti quelle cose. Ti prego, Mai. Continua a combattere con noi, almeno tu. Io non penso che tu sia una persona insensibile…”

Mai voltò leggermente la testa sorridendo tristemente, gli occhi lucidi delle lacrime che presto avrebbero rigato le sue guance.

“Lo so, ma non è colpa tua, Dan. È colpa mia. Mi mancherai… spero che mi potrai perdonare…”

Dan fece per dire qualcosa, ma Mai scosse la testa. “Addio, Dan.”

La ragazza sciolse il braccio dalla prese di Dan e si voltò iniziando a correre giù per le scale. Dan rimase immobile con il braccio alzato, finché i capelli viola di Mai scomparvero alla sua vista. Poi, abbassò il braccio continuando a fissare il punto in cui era scomparsa. Dopo qualche minuto, sentì una mano posarsi sulla sua spalla. Dan si voltò e vide Yuuki accanto a lui.

“Hanno bisogno di tempo.”

Dan guardò verso le scale. “Ma siamo i Maestri della Luce… dobbiamo affrontare anche questa battaglia insieme.”

Yuuki sorrise. “Ognuno ha un modo diverso per affrontare una battaglia. Per loro questo è il modo migliore… noi dobbiamo rispettare questa scelta.”

Dan rimase muto per qualche istante ripensando a Hideto, chissà dove nel mondo, a Kenzo e Clarky nelle loro case, a Mai che stava correndo via da lì. Si avvicinò al parapetto e guardò sulla strada dove, pochi secondi dopo, apparve la figura di Mai, inconfondibile con i suoi lunghi capelli viola che si muovevano nell’aria a causa della corsa. Poi un’espressione risoluta attraversò il volto di Dan che si voltò verso Yuuki con le mani strette a pugno. I suoi occhi brillavano di determinazione.

“Io continuerò a combattere. Anche per loro. Così, quando se la sentiranno, potranno tornare. Io non posso arrendermi... Gran RoRo e tutti i nostri amici contano su di noi.”

Yuuki sorrise con la stessa determinazione. “E io combatterò al tuo fianco… se mi arrendessi, non potrei onorare la memoria di Kajitsu.”

Dan sorrise e tornò a voltarsi verso la strada.

“Sono certo che un giorno torneranno… e, a quel punto, riusciremo a far trionfare la verità. Ma noi dobbiamo continuare, non possiamo fermarci. Dobbiamo continuare la battaglia dei Maestri della Luce.”

Dan si voltò verso Yuuki sorridendo. “Grazie, amico mio.”

Yuuki annuì e si voltò a guardare la città. Dan lo imitò. Erano rimasti solo in due, ma avrebbero continuato… solo così gli altri avrebbero avuto qualcosa a cui tornare. Dan era più che mai determinato: era certo che così, anche Mai, Clarky, Hideto e Kenzo avrebbero ritrovato la determinazione. E, allora, sarebbero tornati ad essere i Maestri della Luce.

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Kaoru stava finendo di mettere nella borsa gli ultimi libri. Allo stesso tempo, stava parlando al cellulare tenendolo vicino all’orecchio con la spalla.

“Sì, dai… speriamo vada bene. In questo periodo ho fatto abbastanza fatica a studiare…”

Kaoru rimase alcuni secondi in ascolto e poi sospirò.

“Era un argomento difficile… comunque fra poco esco e vi raggiungo all’università. Allora a dopo. Ciao.”

Kaoru chiuse la chiamata sospirando. Non era colpa solo dell’argomento difficile. Lei in quel periodo non aveva proprio la testa. Da quando Mai aveva deciso di andare via, la situazione era diventata più difficile. I loro genitori erano sempre in ansia e lei non era da meno: si sarebbe sentita estremamente in colpa se fosse successo qualcosa alla sorellina. E adesso che erano riiniziati i periodi d’esame…

La ragazza inspirò profondamente e si mise la borsa in spalla. Ora, però, doveva cercare di concentrarsi, almeno per quelle poche ore che le servivano per dare l’esame. Dopotutto era solo una mattina. Dopo aver dato un’occhiata alla casa, Kaoru si avviò verso il corridoio d’entrata dove si mise le scarpe.

Proprio in quel momento, Kaoru sentì rumore di passi davanti alla porta. Alzato lo sguardo incuriosita, la ragazza si chiese se potessero essere i suoi genitori che si erano dimenticati qualcosa. Sperava solo che non fosse qualche piazzista: non aveva proprio tempo da perdere.

Improvvisamente la porta si aprì e Kaoru sgranò gli occhi dalla sorpresa vedendosi davanti Mai.

“Mai…”

La maggiore fece appena in tempo a pronunciare il nome che Mai lasciò cadere a terra il borsone e il computer e le gettò le braccia al collo scoppiando a piangere. Kaoru per alcuni istanti faticò a capire che cosa stesse succedendo. Poi, abbracciò a sua volta la sorella e si sedette insieme a lei sul gradino del corridoio.

Kaoru lasciò scivolare la borsa dalla spalla per terra e iniziò ad accarezzare i capelli di Mai, cullandola dolcemente tra le braccia, mentre il corpo di Mai continuava ad essere scosso dai singhiozzi. Per lunghi minuti, nessuna delle due parlò. Poi fu Kaoru a decidersi: doveva sapere.

“Mai, che cosa è successo?”

Per lunghi istanti, Kaoru attese in ansia una qualsiasi risposta di Mai. Non l’aveva mai vista in quello stato, neanche una volta da quando era bambina. La maggiore si morse un labbro: come potevano esistere delle persone che se la prendevano con un gruppo di ragazzi? La voce di Mai, rotta dal pianto, la riscosse dai propri pensieri.

“Non ce la faccio più, Kaoru… non ce la faccio più…”

La voce di Mai morì nella sua gola, sopraffatta di nuovo dalle lacrime e dai singhiozzi. Kaoru la abbracciò ancora più stretta senza sapere cosa fare. Solo di una cosa era certa: ora, Mai, aveva bisogno di lei. Dopo qualche istante, Kaoru inspirò profondamente e si voltò sorridendo dolcemente verso la sorella.

“Ti preparò un bel tè, vuoi?”

Mai annuì e le due ragazze si alzarono lentamente e si avviarono verso il salotto dove Kaoru fece sedere Mai. Poi, la maggiore tornò nel corridoio d’entrata dove raccolse borsa, borsone e computer e chiuse la porta. Kaoru posò le borse vicino al divano e nel farlo fissò Mai. La ragazza aveva gli occhi rossi e le guance ancora bagnate di lacrime, il corpo ancora scosso dai singhiozzi, ma con il dorso di una mano stava cercando di asciugarsi le lacrime. Kaoru sorrise tristemente di fronte al tentativo di Mai di reagire e andò verso la cucina.

“Faccio il tuo tè preferito, ti va?”

Mai annuì lentamente. Kaoru entrò nella cucina e mise l’acqua a bollire. In quel momento il suo sguardo andò verso l’orologio. Lo fissò per lunghi istanti e poi prese il cellulare su cui velocemente scrisse poche righe, inviandolo alla compagna di corso con cui aveva parlato prima.

Non riesco a venire, darò l’esame un’altra volta. Buona fortuna.

Quella decisione le avrebbe incasinato abbastanza i mesi successivi, ma non aveva importanza: ora doveva pensare a Mai.

Quando l’acqua iniziò a bollire, Kaoru versò il liquido caldo nelle tazze e vi immerse le bustine. Poi le prese in mano e tornò nel salotto. Mai era ancora seduta sul divano, aveva sollevato le gambe e le teneva strette con le braccia, il volto era posato alle ginocchia. Kaoru si fermò per qualche istante ad osservarla, senza che Mai desse il più piccolo segnale di essersi accorta di lei. I lunghi capelli viola che le arrivavano quasi a metà della schiena erano leggermente arruffati e cadevano ai lati del viso. Gli occhi ametista fissavano il vuoto davanti a lei. Kaoru non l’aveva veramente mai vista così. Facendosi forza, la ragazza si sedette accanto a lei e le posò la tazza sul tavolino davanti a lei.

“Attenta, è bollente.”

Mai annuì e la sua voce uscì in un sussurro. “Grazie…”

Kaoru, a quel punto, passò un braccio attorno alle spalle di Mai e la attirò delicatamente a sé.

“Te la senti di parlarne? Sfogarti potrebbe farti bene, ma se non te la senti io sono comunque qua. Prenditi tutto il tempo che ti serve.”

Mai abbozzò un sorriso e prese la tazza che avvicinò alle labbra. Dopo aver soffiato un paio di volte, bevve alcuni sorsi.

“Stavi uscendo?”

Kaoru venne colta di sorpresa da quella domanda e per un istante nella mente le balenò la parola esame. La ragazza, però, la scacciò rapidamente e sorrise.

“Sì, ma non era niente di importante. Dovevo solo incontrarmi con un’amica.”

Mai abbassò lo sguardo. “Mi dispiace…”

Kaoru sorrise, sorprendendosi per la propria faccia tosta. “E di cosa? Non preoccuparti, le ho già detto che possiamo vederci un altro giorno.”

Le due ragazze ripresero a bere il tè, mentre il silenzio tornava ad avvolgere la stanza, silenzio rotto solo dal ticchettio delle lancette dell’orologio e dal rumore del traffico che si sentiva fuori dalle finestre aperte. Alla fine, Mai posò la tazza e prese un respiro.

“Li ho abbandonati, Kaoru. Mi vergogno così tanto…”

Kaoru sorrise comprensiva. “Mai, tu non ti devi vergognare. In tutti questi mesi hai fatto del tuo meglio, impegnandoti al massimo. Ad un certo punto, arriva il momento in cui uno non c’è la fa più. È naturale.”

Mai sospirò. “Ma eravamo compagni di squadra, eravamo amici. E gli io ho voltato le spalle anche io.”

Kaoru le posò le mani sulle spalle e la fece voltare. “Se sono davvero tuoi amici, Mai, ti capiranno.”

Mai abbassò lo sguardo velato di tristezza.

“Mi ero promessa che non mi sarei arresa, che avrei combattuto fino a quando la verità di Gran RoRo sarebbe trionfata…”

Mai abbozzò un sorriso rassegnato.

“Poi, però, ho cominciato ad avere paura, Kaoru. Non riuscivo più ad essere me stessa, mi sentivo in trappola e senza vie d’uscita. Continuavo perché ero convinta che non ci potesse essere un’altra scelta, ma non riuscivo più ad essere determinata…”

Mai si morse un labbro per non piangere. Kaoru sorrise e tornò ad abbracciarla. Mai sospirò e si godette per qualche istante la sensazione di protezione che provava, sensazione che ormai non aveva più provato da tanti mesi.

“La cosa più brutta è stata rendersi conto che voi avevate tutti quanti ragione… era una battaglia troppo grande per noi… forse, se ci fossimo fermati prima, Hideto non se ne sarebbe andato  e nessuno di noi avrebbe dovuto passare tutto quello che abbiamo passato in questi mesi…”

Kaoru sospirò. “No, Mai. Ti sbagli. Certo, noi avevamo ragione quando vi dicevamo che era una battaglia troppo grande, ma voi avevate più ragione di noi. Avete fatto la cosa giusta a combattere per ciò in cui credevate. Nonostante tutto.”

Mai sorrise tristemente. “Nonostante il fatto che abbiamo fallito?”

Kaoru scosse la testa. “Forse, per il momento… ma vedrai che un giorno riuscirete a far trionfare la verità. Penso che per tutti fosse ancora troppo presto per accettarlo.”

Mai non rispose. Per qualche altro minuto rimase abbracciata alla sorella, poi si alzò e si voltò verso Kaoru.

“Sai, dopo l’avventura a Gran RoRo ero ormai convinta di conoscermi. Di sapere quello che volevo, quali erano i miei limiti… questi mesi sulla Terra, invece, sono riusciti a cancellare tutto. Non so più quale sia io veramente, non so più che cosa voglio… mi sembra di aver perso tutti i punti di riferimento.”

Kaoru sorrise e si alzò, stringendola ancora una volta tra le braccia. Mai era sempre stata una ragazza indipendente, molto più matura della sua età, determinata in ogni sua scelta… ma in realtà era ancora una ragazzina e insieme ai suoi amici aveva dovuto affrontare una sfida troppo grande per loro.

“Allora è da qui che devi ripartire, Mai. Devi cercare di ritrovare un equilibrio che ti permetta di capire veramente chi sei, quello che vuoi fare, come vuoi comportarti con gli altri. Sono certa che è la stessa cosa che faranno tutti i tuoi amici. E vedrai che quando sarete più grandi riuscirete a vincere.”

Mai annuì e si separò dalla sorella. “Vado a sistemare le mie cose in camera…”

Kaoru non la fermò e Mai prese borsa e computer, dirigendosi verso la propria camera. Una volta lì, iniziò a svuotare lentamente il borsone. Ad un certo punto, si fermò e si voltò verso la scrivania dove aveva posato il computer. Lo fissò per lunghi istanti, immobile.

All’improvviso, si diresse verso la scrivania e si sedette accendendo il computer. Aveva deciso: era arrivato il momento di dire addio a Mai Viole e di ritrovare sé stessa, ritrovare Mai Shinomiya. E per farlo, doveva cambiare. Senza altra esitazione, prima che potesse cambiare in qualche modo idea, iniziò la procedura per chiudere il suo blog, Parole Violette. Doveva allentare i legami con il passato: ora doveva pensare al suo presente, solo poi avrebbe potuto tornare ad occuparsi del passato. E, solo allora, forse, sarebbe stata pronta per capire che cosa provasse veramente per Dan. Sì, era arrivato il momento di capire chi fosse veramente Mai Shinomiya.

… TO BE CONTINUED …

Salve a tutti! ^-^ Eccomi di nuovo tornata con un nuovo capitolo, capitolo che conclude la Seconda Parte del Prequel… e come annunciato anche Mai, Clarky e Kenzo hanno mollato la spugna. Spero di non avervi fatto troppo piangere o essere troppo tristi… ^-^ Ma un altro episodio è concluso, non siete contenti? Vabbè che se avessero trasmesso Battle Spirits con questa velocità… XD

Ma passiamo alla parte più importante: i ringraziamenti che come sempre vanno a tutti coloro che hanno letto (emozionandosi e divertendosi, spero) questo episodio. E in particolare a chi ha seguito e recensito facendomi sentire tutto il supporto per continuare a scrivere:

chicca12lovestory, LacusClyne, martinacaboni, Osaki Kitsune, Reb e Ju e  ShawnSpenstar

Le difficoltà però non sono ancora finite per i nostri Maestri della Luce. Ad affrontarle, nel prossimo episodio saranno Dan e Yuuki (che saranno anche i protagonisti della parte iniziale dell’episodio… e sì, Mai e gli altri non si vedranno per un po’)… e saprete già come andrà a finire la battaglia dei nostri due Guerrieri. Poi, mentre Dan si riprendere dalle ferite, vedremo come Kenzo, Hideto, Clarky e Mai sono andati nel futuro. A questo punto saremo arrivati finalmente a Brave… e con la conclusione del Prequel, inizierà la vera avventura.

Augurandomi che continuerete a seguirci in questa avventura, vi do appuntamento al prossimo episodio.

Varco Apriti, Energia!

Alla prossima, Hikari

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