Sorgon, il Dominatore

di Taila
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Titolo: Sorgon il Dominatore.
Autore: Taila.
Serie: ambientata cent’anni dopo ‘Il primo re di Shannara’.
Genere: avventura, fantasy.
Tipo: long-fic.
Rating: verde (per ora, per il futuro non so)
Note: a furia di leggere tanti libri di Terry Brooks mi è venuta in mente questa fic, non ho mai scritto fic a capitoli di genere fantasy quindi non sono molto sicura del risultato, di sicuro c’è la mia buona volontà e la voglia di divertirmi. Ho deciso di ambientare la fic cent’anni dopo la battaglia tra Brona e Jerle Shannara perché mi sono chiesta spesso come abbia impiegato quei cinquecento anni Allanon: e se qualcun altro avesse tentato di dominare le Quattro Terre? La risposta è questa fic. Spero che il risultato sia decente e che riesca a non stravolgere troppo il personaggio di Allanon, è molto complesso ed ho paura di non riuscire a coglierne bene le varie sfaccettature…
Ringrazio tutti coloro che leggeranno e commenteranno.
Non mi resta che auguravi buona lettura ^.^




Capitolo 1.



Cho Black camminava nella foresta delle Streleheim con passo sicuro e calmo, godendosi il tepore di quel tardo pomeriggio di fine settembre. Il sole tramontando aveva colorato di riflessi ambrati le foglie morenti sugli alberi, insanguinando il morbido tappeto d’erba su cui stava camminando. A Cho piaceva l’autunno: nonostante aprisse la strada all’inverno, era una stagione dai colori caldi del cremisi e del dorato, e si potevano avere ancora giornate come quella, che facevano credere che si fosse ancora in estate.
La gente credeva che le Foreste di Streleheim fossero pericolose, addirittura maledette, apparivano impenetrabili ed oscure con la loro massa di alberi serrati l’uno sull’altro, e poi circondavano la rocca abbandonata su cui sorgeva l’antica Paranor, il maniero dove avevano vissuto ed operato i Druidi, abbandonato un secolo prima durante la cosiddetta Seconda Guerra delle Razze. Cho Black non aveva paura delle Streleheim. Erano anni che aveva abbandonato Varfleet per vivere li in solitudine lontano dalla civiltà, e pian piano aveva imparato a conoscere quel luogo misterioso, a rispettarne gli abitanti sia animali che vegetali. Ormai anche Cho Black era diventato un abitante delle Streleheim, passava le sue giornate in quel mondo fantastico fatto di alberi secolari dalle cortecce rugose e dalle foglie dai colori vivi e brillanti, spostandosi continuamente da un luogo all’altro, raccogliendo rami e radici, tendendo le trappole che aveva costruito il giorno prima: era una vita semplice la sua, fatta sempre della stessa routine, ma che vissuta in quel luogo era eternamente fantastica e stupefacente.
Cho stava tornando al luogo dove aveva posto il suo accampamento, la lepre che aveva catturato gli dondolava sulla schiena, ancora calda. Ringraziò mentalmente il vecchio Baruk che le aveva insegnato tutte quelle cose interessanti utili alla sua sopravvivenza: le aveva insegnato ad usare i coltelli dalla lama lunga che le dondolavano ai lati opposti del cinturone, a lottare corpo a corpo, a cacciare e tendere trappole, a riconoscere bacche e radici per i periodi di magra. Era così che era sopravvissuto fino a quel momento.
Era quasi arrivata all’accampamento che avvertì che c’era qualcosa di strano, l’aria sembrava scossa da una strana sensazione, un brivido le serpeggiò lungo la nuca: non era sola, c’era qualcun altro li, nascosto da qualche parte. Cho Black sorrise: era da tanto che non riceveva visite! Continuò ad avanzare tranquillamente, come se non si fosse accorta di nulla, fino a raggiungere il circolo di pietra che circondava la legna per il fuoco che aveva costruito prima di andare a caccia in una piccola radura che aveva scovato qualche settimana addietro, dove scorse un’enorme ombra nera poggiata mollemente contro uno degli alberi. Sentendo i suoi passi lo straniero sollevò la testa completamente coperta da un cappuccio, Cho Black rabbrividì sotto lo sguardo fiammeggiante di quegli occhi neri che si scorgevano nell’ombra che oscurava il volto: era occhi così penetranti e profondi che sembravano strappare la pelle di dosso. [*]
Evitando movimenti bruschi e senza mai staccare lo sguardo da quell’inquietante uomo, Cho Black si tolse la lepre dalle spalle e la depose accanto alle pietre. L’aria attorno a loro sembrava addensatasi all’improvviso, carica di tensione ed aspettativa. Cho Black fece scivolare la mano fino all’elsa del pugnale che portava a destra.
- Chi sei?- chiese cercando di nascondere la nota minacciosa che voleva colorare le sue parole.
- Solo un viandante che sta cercando te!- rispose l’altro con calma, per nulla turbato dalla lama che la ragazza stava sfilando dal fodero.
La voce dell’uomo era forse più profonda del suo sguardo, densa e potente, dava l’idea di poter raggiungere tutti i toni più bassi, trasmettendo inquietudine e sicurezza allo stesso tempo, così autoritaria da sembrare impossibile anche solo sfiorare l’idea di contraddirla.
- Chi sei?- ripeté Cho Black stavolta calcando pesantemente le parole usate.
- Il mio nome è Allanon!- .
Perfino una come Cho Black, dispersa in quel mondo isolato da anni, conosceva il nome di Allanon, era uno storico che percorreva in lungo ed in largo le Quattro Terre, conosceva qualsiasi evento reale o mitologico si fosse scatenato nel loro mondo. La stessa figura di Allanon si muoveva a metà tra il reale e l’irreale, pochi giuravano sulla sua esistenza ed ancora meno erano quelli che affermavano di averlo incontrato. La persona che aveva davanti era veramente chi diceva di essere?
Quasi come se avesse lette nella sua mente, l’uomo sollevò le braccia, rivelando un paio di mani dalle dita lunghe e sottili, simili ad artigli, che fecero scivolare il cappuccio all’indietro con un movimento fluido, quasi ed elegante, rivelando un volto scarno e pallido, spigoloso, ciuffi sparsi di capelli gli piovevano sulla fronte, le orecchie ed il collo, mentre un sottile strato di barba gli decorava il mento. Cho fissò il proprio sguardo in quello dell’uomo ancora seduto davanti a lei, cercando di reggerne l’intensità. Erano un paio d’occhi impenetrabili, come se spesse barriere fossero state erette davanti ad essi per impedire che i segreti che custodivano fossero svelati, ma, come se fosse stata in qualche modo filtrata, Cho Black vi lesse un profonda sincerità, istintivamente si fidò di quell’uomo, in quello sguardo scoprì che egli era veramente chi diceva di essere, anzi, avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa che lei gli avrebbe creduto all'istante.
- Rinfodera quel pugnale e siediti: non voglio farti del male!- la sua voce era pacata ma era impossibile dirgli di no.
Riluttante Cho Black si sedette di fronte ad Allanon, posando il pugnale sull’erba, accanto alle sue gambe incrociate, pronto per essere impugnato.
- Cosa vuoi da me?- chiese ancora, sempre guardinga.
- Mi serve la tua capacità di vedere la vera natura delle cose, figlia delle fate!- .
Sentendo quella risposta Cho sobbalzò: come faceva a sapere del suo potere? Si diceva che la famiglia Black discendesse direttamente dal regno fatato, per questo possedeva la magia, una maga spesso indesiderata, a volte innocua a volte violenta, mai cercata e mai voluta. Cho aveva il potere di vedere al di la delle cose, poteva guardare al di la del muro di una casa come leggere quello che si nascondeva dietro le pareti delle menti degli altri, una volta le era capitato di osservare cosa ci fosse dietro la magia di un’altra persona. Quando ancora viveva a Varfleet era vista con sospetto, tutti avevano paura che potesse scoprire quali vergognosi segreti custodissero dietro le pareti delle loro menti o, più semplicemente, delle loro case. Uno dei tanti motivi per cui aveva proferito andarsene. Da allora non ne aveva mai più parlato, nessuno era a conoscenza che possedeva la magia. Ora il suo sguardo è decisamente ostile!
- Come sai queste cose?- .
- Io so molte cose! Guarda nella mia mente, allora saprai che puoi fidarti di me!- la invitò poggiando la testa contro il tronco, come se si stesse abbandonando alle sue mani.
Cho Black rimase immobile per un lungo istante, indecisa su come agire, cercando di convincersi che se era stato lui a darle il permesso di farlo non c’era problema. La sua anima portava ancora i segni di tutte le volte in cui era penetrata nella mente degli altri senza permesso, scoprendo che le persone che credeva di conoscere fin dalla nascita in realtà non erano mai esistite, che erano solo una facciata per nascondere desideri ed esigenze inconfessabili. Cosa avrebbe letto nella mente di un uomo come Allanon?
Alla fine prese la sua decisione: abbassò le palpebre per un istante, rallentando il respiro fino a renderlo impercettibile, quando le sollevò esse rivelarono due iridi d’oro da cui non traspariva alcuna forma di coscienza, sembrava lo sguardo vacuo di una persona priva d’anima.
Cho Black tese la sua coscienza oltre la propria mente ed il proprio corpo, fino a che non raggiunse Allanon, in quella situazione gli apparve come un groviglio intricatissimo di nervi e vene sospesi nel vuoto; aumentò la propria concentrazione fino a toccare l’essenza stessa dell’uomo, Cho si sentì risucchiare verso un punto preciso del corpo davanti a lei, era così tutte le volte, le sembrava di essere trascinata da un fiume fino a quando non diventava una cascata che l’agguantava e la risucchiava facendola cadere nel vuoto, fino ad inghiottirla. Quando riaprì gli occhi, Cho si ritrovò in una stanza buia con le pareti ricoperte da quadri. Si avvicinò alla parete e la sfiorò: lo comprese subito, quello era l’unico spazio in cui Allanon aveva concesso che entrasse, schermando tutto il resto. Quell’uomo era molto potente se riusciva a scegliere accuratamente quali pensieri farle leggere, proteggendo tutti gli altri… Rimase ancora un attimo con la mano sulla parete, dominata dalla curiosità di scoprire quali importanti segreti celasse dietro quelle mura, magari sarebbe riuscita a forzarle con la sua magia…
… scosse la testa come per scacciare quella curiosità: se c’era una cosa che aveva imparato era quella che azioni del genere erano una mancanza autentica di rispetto, Allanon si era fidato a lasciarla entrare nella sua mente, certo non fino al punto da lasciarle libero accesso ad ogni angolo della sua mente, ma restava comunque una concessione eccezionale, quanti in futuro avrebbero potuto vantarne una simile? Si staccò dalla parete ed iniziò ad osservare i quadri, la maniera scelta da Allanon per raccontarle il suo passato. Nel primo quadro vide un ragazzino di dieci, forse dodici anni, magro e pallido, con capelli nerissimi lunghi fin sulle spalle ed occhi penetranti, che spingeva con forza un aratro trainato da un bue bianco mentre il padre, sul fondo, spargeva semi sulla terra appena smossa. Nel secondo quadro vide un villaggio bruciare mentre figure nere e deformi sciamavano dalla pianura circostante portando morte e distruzione. Vide lo stesso ragazzo, ora più grande, rannicchiato tremante in un rifugio di fortuna. Nel terzo c’era un uomo anziano vestito di una tunica nera, la pelle raggrinzita e bruciata dal sole, quello che rimaneva dei suoi capelli era una nuvola che gli circondava la nuca da un orecchio all’altro, gli occhi grigi erano lo specchio della sua anima ancora lucida e vigile, tormentata, i tratti con cui era raffigurato trasmettevano un grande affetto, quell’uomo era stato molto importante per Allanon. Nel quarto c’era l’uomo anziano che trovava il ragazzo nascosto e cercava di vincerne la reticenza, e nel quinto si vedevano i due camminare fianco a fianco. Cho continuò la sua lettura vedendo l’uomo anziano che consegnava una spada dall’elsa forgiata a forma di mano che stringeva una fiaccola, ad un giovane elfo dallo sguardo fiero e determinato; li vide prendere parte ad una tremenda battaglia, contro un essere che si nascondeva sotto uno spesso mantello e che guidava uno sterminato esercito di Troll, Gnomi ed esseri mostruosi; vide l’elfo impugnare la spada e fronteggiare l’essere incappucciato; gli ultimi due quadri mostravano il vecchio che indicava qualcosa su un libro al ragazzo seduto dietro un ampio tavolo, ed il ragazzo che guardava il vecchio che veniva portato via da un’ombra verso un lago dalle acque agitate. Fu in quel momento che una sensazione indefinita iniziò a diffondersi dentro di lei, suggerendole l’interpretazione di quello che stava guardando, per poi trascinarla via da quel luogo, come se improvvisamente si fosse trovata al centro di un tornado. Cho ritornò alla realtà riemergendo con un profondo ansito, come se fosse stata a lungo immersa sott’acqua, sentiva la testa confusa, le immagini che aveva scorto nella mente dell’uomo le turbinavano in testa mischiandosi e confondendosi. Rimase ad occhi chiusi a rincorrere il suo respiro irregolare, mentre si chiedeva come fosse possibile quello che aveva visto: l’uomo che aveva davanti, Allanon, era nato più di cent’anni prima, aveva combattuto al insieme a Bremen la cosiddetta Seconda Guerra delle Razze quando Jerle Shannara aveva usato la mitica spada contro il Signore degli Inganni, per poi essere addestrato dallo stesso Bremen come Druido in modo che gli succedesse. Allanon era l’ultimo Druido presente nelle Quattro Terre! Sollevò lentamente le palpebre svelando un paio di iridi verdi tormentate e lucide, quasi febbricitanti: era stato stravolgente vagare in quel poco della sua mente che le aveva concesso di visitare, ed ora ne stava pagando il prezzo. Dopo un altro attimo di smarrimento portò il suo sguardo sul Druido.
- Cosa vuoi da me?- gli chiese con la voce roca e le labbra secche, la gola arida.
Dal suo sguardo Allanon capì che quella ragazza avrebbe seguito qualsiasi sua direttiva ora.
- Conosci Sorgon il Dominatore?- .
- Chi non lo conosce?! È una delle tante favole che si raccontano ai bambini prima di andare a letto per farli stare buoni!- sbuffò lei.
- E se ti dicessi che Sorgon è reale come e più di me e te?- le chiese con un sorriso furbo.
Cho Black fissò Allanon come si guarda un folle.
- Direi che ti sei bevuto il cervello! È solo un mito, un racconto!- .
- Ed invece Sorgon il Dominatore esiste e si sta preparando a sferrare l’attacco definitivo alle Quattro Terre per dominarle. Sorgon è un essere antichissimo, più antico del Re del Fiume Arcobaleno, egli nacque insieme al nostro mondo dalla concentrazione delle energie naturali, è tanto vecchio quanto potente. Nessuno sa con esattezza la sua vera natura ed i suoi poteri, ma dai pochi accenni che si posseggono su di lui, si sa che può modificare la morfologia del nostro mondo e scatenare gli elementi dell’aria. All’inizio non era un essere votato al male, era solo la personificazione di forze della natura e per questo era amorale, la natura non è né buona né cattiva, è solo se stessa; ma con il passare del tempo Sorgon è stato corrotto dalle passioni negative degli esseri umani e si è trasformato nell’essere che sta tramando per impadronirsi delle Quattro Terre. Per millenni è rimasto nascosto accumulando quanta più energia possibile ed aspettando l’occasione più propizia, che è venuta a crearsi dopo la guerra contro il Signore degli Inganni: il nostro mondo porta ancora le ferite di quello scontro, l’aria è rimasta ancora impregnata dell’energia demoniaca usata da Brona e dai Messaggeri del Teschio, ci vorranno secoli prima che questa scompaia, è il momento ideale per attuare il suo piano di conquista. Con la magia nera è riuscito a richiamare dagli Inferi dagli esseri demoniaci chiamati Incubi, creature potenti e crudeli che impersonano il male puro, esseri che contaminano ed infettano il nostro mondo, e che devono essere ricacciati al più presto nel loro mondo.- la voce di Allanon si fermò, come per dare modo a Cho Black di riflettere su quello che aveva appena detto.
Cho spostò lo sguardo verso un punto indefinito alle spalle del Druido e rimase ferma così per una manciata di minuti, incapace di comprendere fino in fondo quello che voleva da lei.
- Non capisco qual è il mio ruolo in questa storia: credi seriamente che la mia misera abilità possa qualcosa contro un essere simile, Druido?…- .
- ‘La tua misera abilità’? È questo quello che pensi del tuo potere ragazzina? Ti sbagli! Non hai idea di cosa puoi fare con ‘la tua misera abilità’! Nemmeno puoi immaginare cosa potresti fare con un simile potere!- la veemenza delle parole di Allanon attirò l’attenzione di Cho che comunque lo fissò perplessa.
- Come pretendi che io possa crederti? Io ho sempre usato la mia abilità per sondare la mente altrui, non ho mai saputo di poterla usare in un altro modo!- .
- Il tuo potere, come qualsiasi altro potere magico, è un’arma a doppio taglio: può essere usata per fini sostanzialmente innocui, come spiare i segreti nella mente degli altri, oppure può essere usata come un’arma ed allora ha effetti assolutamente devastanti!- .
Sentendo quelle parole un lampo passò negli occhi verdi di Cho Black ed il suo volto si oscurò in una maschera di tristezza. Il suo sguardo si fece vacuo mentre sembrava rincorrere chissà quale doloroso pensiero. Allanon rispettò quel momento e rimase pazientemente in silenzio, attendendo la sua risposta.
- Ancora non mi hai detto come vuoi che usi la mia abilità!- le parole erano state pronunciate in tono atono, meccanicamente, mentre lei continuava a fissare il vuoto davanti a sé.
- Sorgon è immortale e non può essere ucciso né dalla magia né dalle armi del nostro mondo, forse avremmo potuto fare qualcosa con le armi del Mondo Antico, ma ormai sono andate completamente perdute. L’unico modo per sconfiggerlo è imprigionarlo in una scatola di diamante viola, una scatola magica costruita dagli abitanti del mondo fatato. È come la porta di una prigione che relega i suoi occupanti in un’altra dimensione dalla quale non potrà mai fare ritorno. Questa scatola è custodita in un labirinto di specchi protetto da una potente magia: tu dovrai usare il tuo potere per eludere la magia e trovare la strada fino alla scatola.- .
Era una follia, un suicidio! Avrebbe dovuto dire di no e mandare via quell’uomo che le proponeva di prendere parte ad un’impresa simile, avrebbe dovuto continuare la sua esistenza isolata e tranquilla fregandosene di questo Sorgon che voleva conquistare il mondo…
… sarebbe stato molto più facile, invece qualcosa dentro di lei si agitava spingendola a seguire Allanon: erano sei anni che si nascondeva in quella foresta, che sperava di sfuggire da se stessa, che cercava di dimenticare. Forse quella era l’occasione di verificare se il suo era un dono o una maledizione, se la magia che la famiglia Black si tramandava da generazione serviva veramente a qualcosa. Sentiva il bisogno di mettersi in gioco, avvertiva il bisogno di usare la magia per fare qualcosa di più che salvarsi la vita. Forse non era potente come le aveva detto Allanon, ma poteva esserci davvero qualcosa di più oltre la lettura della mente.
Si morse il labbro inferiore: le Streleheim erano diventate ormai un rifugio sicuro per lei, come un guscio protettivo che conteneva tutto il mondo che conosceva; aveva paura di varcarne i confini e ritornare nel resto del mondo, era un’idea che la rendeva insicura, aveva paura di abbandonare quel luogo dopo tanti anni: le foreste delle Streleheim l’avevano accolta benevolmente quando era solo una profuga in fuga dalla sua città, dalla sua famiglia e da se stessa, l’avevano sempre protetta facendola sentire a casa, cosa avrebbe trovato una volta fuori da quella schiera di alberi e foglie? Il resto del mondo l’avrebbe ugualmente accettata?
Per sei anni era scomparsa dal mondo, cancellata come se non fosse mai esistita, uscire di li le sembrava come un ritorno alla vita dopo una lunga morte: era pronta? Lo sarebbe mai stata?
Un piccolo sorriso mesto le incurvò appena le labbra: Baruk l’avrebbe buttata fuori da quella foresta a suo di calci, urlandole che non l’aveva allevata così duramente per farla diventare una rammollita, ma perché fosse forte, sempre davanti a qualsiasi situazione!
La decisione era stata presa.
Sollevò le sue iridi verdi sul Druido ancora in attesa della sua risposta, piantandogli negli occhi neri uno sguardo determinato.
- Verrò con te Druido: farò quanto in mio potere per aiutarti!- parlò decisa, con il tono di chi non vuole e non può tornare indietro.
Un sorriso compiaciuto incurvò le labbra del Druido, increspando i lineamenti del suo volto.


[*] Nel 'Primo re di Shannara' Bremen stesso afferma che gli occhi di Allanon sono inquietanti e capaci di strappare la pelle di dosso.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Eccomi qui con il secondo capitolo delle avventure di Cho Black ed Allanon alla ricerca del Labirinto di Specchi. La protagonista di questo capitolo è Cho. Ho cercato di attenermi quanto più possibile alla Paranor originale, ma alla fine ha prevalso la mia visione del castello dei Druidi. Ho anche innalzato il livello della rocca per poter ottenere quelle viste panoramiche che adoro, ma forse ho un po’ esagerato… ^^’’’ Piccola confessione: non sono molto brava a descrivere scene di combattimento, ma ho voluto lo stesso provarci, spero quindi che il risultato sia accettabile ^^’’
Ringrazio tutti coloro che hanno letto il primo capitolo.
Non mi resta che augurarvi buona lettura, al prossimo capitolo ^.^



Capitolo 2.



- E così questa è Paranor! È stupenda!- esclamò Cho Black sorridendo entusiasta.
Allanon si fermò un attimo ad osservarla di sottecchi, prima di rivolgerle uno guardo perplesso.
- Ho sempre visto Paranor dall’esterno, non sono mai riuscita ad entrare all’interno, era come se fossi stata bloccata da una barriera che mi impediva l’accesso.- spiegò lei rivolgendo al Druido uno sguardo titubante, come se temesse la sua reazione.
- Sei riuscita a salire fin quassù evitando le trappole tese attorno alla base della rupe?- chiese Allanon stupito: forse quella ragazzina era più potente di quello che pensasse.
- Certo! Usando la mia abilità sono riuscita a scorgere le siepi avvelenate e tutto il resto, ed a trovare il passaggio nascosto dal lato dei Denti del Drago, certo ho dovuto penare alcuni giorni, ma alla fine ce l’ho fatta e l’ho trovato, così sono riuscita a salire fin sulla cima della rupe.- .
Il Druido la osservò a lungo, scrutando nelle profondità di quegli occhi verdi come smeraldi e limpidi come pozze d’acqua, cercando qualcosa che solo lui poteva vedere, mettendola fortemente a disagio. Finito il suo esame Allanon le diede le spalle e si incamminò verso un portone di legno scuro chiuso.
- Devo consultare le Storie dei Druidi per trovare notizie su dove sia stato costruito il labirinto di specchi.- dal tono usato sembrava volerle dire che a lei era precluso l’accesso al luogo dove si stava recando.
Ma Cho era più che soddisfatta: aveva l’occasione che stava aspettando da anni di entrare dentro Paranor e non se la sarebbe fatta scappare.
- Posso fare un giro per il castello mentre tu fai la tua ricerca?- chiese con un tono così speranzoso che Allanon si fermò sul primo gradino che aveva sceso per chiedersi a cosa fosse dovuto tanto interesse per quelle quattro mura fredde e vuote.
Le accordò comunque il permesso, raccomandandole di essere prudente perché i vecchi poteri erano ancora vivi li dentro, un po’ perché non ci vedeva nulla di male un po’ perché in questo modo avrebbe fatto la sua ricerca da solo senza dover dare spiegazioni né subire interferenze.
- Grazie!- esultò Cho con un sorriso così solare che Allanon si sentì come se l’avessero frustato.
Quindi sapeva ridere anche in quel modo…
Subito la ragazzina si allontanò correndo per il corridoio vuoto, i suoi passi che risuonavano sulla pietra. Ascoltò quello che gli sembrava un allegro scalpiccio che ridava vita a quel castello morto finché non scomparve e poi scese le scale fino a raggiungere la biblioteca.

Cho Black passeggiava per gli enormi corridoi vuoti guardandosi intorno con aria estasiata: le pareti erano in blocchi di pietra squadrata incassati uno sull’alto e salivano per almeno tre metri, il soffitto formava una volta a botte con capriate a vista stranamente intatte, di un legno scuro e lucido su cui risaltavano il monaco e la staffa in ottone. Ad intervalli regolari finte colonne con capitelli corinzi spuntavano dalle pareti per sorreggere maestosi archi a tutto sesto. Cho si avvicinò alla parete e la sfiorò con le dita: dopo un lampo di luce bianca che l’abbagliò, il corridoio si riempì di figure incappucciate che sfilavano in un frenetico andirivieni, alcune trasportando pesanti tomi dalla copertina consunta, altri camminando con una postura altera e ieratica. Le figure scomparvero appena lei scostò le mani dalla pietra. Era riuscita a vedere uno sprazzo della Paranor di cent’anni prima, quando ancora i Druidi vi vivevano ed operavano. Cho Black era sempre stata affascinata da quel luogo mistico, non sapeva perché ma aveva nutrito una profonda attrazione per quel maniero dalla prima volta che lo aveva visto. Ricordava ancora benissimo quel giorno, era come impresso a fuoco nella sua mente: si nascondeva nelle Streleheim da un paio di settimane ed aveva deciso si addentrarsi maggiormente nella foresta; muovendosi nell’ombra nata dall’intreccio di rami e foglie degli alberi, saltando radici sporgenti e cespugli di rovi, evitando animali selvaggi, era arrivata ad una radura in cui gli alberi si aprivano a cerchio lasciando libera la vista di una grossa fetta di cielo. Cho allora aveva sollevato lo sguardo lasciandosi accecare dall’azzurro intenso di quel cielo simile a lapislazzuli, solo quando lo aveva spostato aveva incrociato la rocca di Paranor: il castello con i suoi pinnacoli che svettavano verso il cielo, le sue potenti guglie, e la sua mole rigida e perfetta, staccandosi netta e cupa sullo sfondo lucente del cielo. Con il sole alle spalle sembrava che tutto il castello risplendesse della luce dorata di mezzogiorno. Quella visione l’aveva soggiogata, da quel momento Cho aveva tentato in ogni modo di superarne le difese ed entrare nella rocca, ma fino a quel momento non c’era mai riuscita. Sorridendo si avvicinò alla gigantesca finestra ad arco acuto trilobato: ai suoi piedi si stendeva la parte meridionale delle Streleheim, più in la spuntavano i picchi aguzzi e minacciosi della catena dei Denti del Drago, ad est, in lontananza, poteva addirittura scorgere il fiume Mermidon tagliare la pianura del Callahorn come un nastro argenteo. Era una vista mozzafiato, di quelle che davano la sensazione di poter dominare il mondo intero, ed era pronta a scommettere che quella stessa sensazione dominava le emozioni dei Druidi quando l’osservavano. Provò una netta fitta d’invidia al pensiero che i Druidi potessero goderne ogni volta che volevano mentre lei si sarebbe dovuta accontentare del ricordo che avrebbe conservato dentro di sé. Si allontanò dalla finestra dopo un ultimo sguardo, ritornando a percorrere il corridoio. Non riuscì a contare le stanze che si aprivano sui corridoi, rimase a bocca aperta quando entrò nella sala del consiglio, con il lungo tavolo di legno e gli scranni ancora bene allineati, il tutto inondato dalla luce del sole. Paranor era magnifica, era un tesoro in quelle terre! Continuò la perlustrazione stupendosi per il lusso degli ambienti comuni che si alternava a quello severo ed austero di piccoli studioli assegnati a ciascun Druido. Evitò il locale caldaie ed i livelli più bassi come le aveva detto Allanon, e si dedicò completamente a quelli superiori. Ad un tratto arrivò in un corridoio stranamente in penombra, in cui la temperatura era notevolmente più bassa rispetto al resto del castello. Si guardò intorno ed alla fine scorse una lama di luce illuminare la parete di fronte in un disegno trapezoidale. Senza fare rumore si avvicinò, man mano si rendeva conto della presenza di un brusio di sottofondo, poi le vide: le ombre di due figure ripugnanti, ingobbite e contorte, che sibilavano tra loro in maniera inquietante. Non avvicinandosi troppo e tenendosi nascosta, riuscì a cogliere una parte della conversazione.
- Sei riuscito a scovare il Druido?- chiese impaziente l’ombra a destra.
L’altra figura tremò appena, poi sollevò la testa e si decise a rispondere.
- L’ho perso quando ha abbandonato il Perno dell’Ade.- rispose titubante, temendo la reazione di quello che doveva essere il suo capo.
- Sei solo un buono a nulla!- ringhiò.
Non aveva urlato né lo aveva minacciato, ma in qualche modo aveva trasmesso tutta la collera che provava, e Cho si trovò suo malgrado a rabbrividire di terrore, come l’ombra sul muro.
- Non preoccuparti Padrone: ho già provveduto a mettere a punto una trappola dalla quale non potrà scappare!- ghignò l’ombra a sinistra come se già avesse la sua preda morta.
- Attento! Il Druido è molto potente ed astuto, ricorda che è stato allievo di Bremen, il Druido che ha creato la Spada di Shannara!- lo ammonì l’altro.
- Neanche lui potrebbe sfuggire alla trappola che ho preparato per lui!- la risata che seguì alle sue parole fece accapponare la pelle a Cho.
- Lo spero per te: dobbiamo assolutamente evitare che il Druido contatti quella ragazzina, con il suo aiuto riuscirebbe a trovare lo scrigno, ed è una cosa che dobbiamo evitare a tutti i costi!- .
Cho Black sussultò appiattendosi ancora di più contro il muro: sapevano anche di lei! Voleva andare via da li, scappare da quel castello e tornare nella sua foresta, dimenticare tutta quella storia…
… ma sapeva che era impossibile: una volta intrapresa quella strada non poteva tornare indietro! Quindi rimase acquattata al buio, cercando di scoprire cosa avessero architettato quelle cose contro Allanon.
L’ombra a sinistra riprese a parlare, con la sua voce sibilante e stridente.
- Sono sicuro che il Druido verrà prima qui per cercare notizie sul Labirinto di Specchi, solo dopo andrà dalla ragazza: non vorrà certo perdere tempo in ricerche una volta che l'avrà convinta, vorrà partire immediatamente. Ed è per questo che ho ordinato alle mie creature di aspettarlo nella biblioteca. Quando avranno finito di lui non resterà niente!- rise.
Una risata che si insinuò sotto la pelle della ragazza, scatenando la sua ansia: Allanon era in pericolo, doveva andare ad avvertirlo immediatamente! Si alzò in piedi con un movimento tanto rapido quanto imprudente: i tacchi dei suoi stivali batterono sul pavimento di marmo, ed il suono secco rimbombò nel corridoio vuoto rivelando la sua presenza. Le due ombre si interruppero all’istante comprendendo che un intruso aveva spiato la loro conversazione. Nella penombra del corridoio appena rischiarato dalla pallida luce che proveniva dall’interno della stanza, Cho vide una creatura ricurva, asimmetrica, piena di bozzi, fissarla con il suo stesso terrore stupito dalla soglia. Cho Black vedendo quell’essere riuscì a recuperare abbastanza presenza di spirito da costringersi a voltarsi ed a scappare. Questo fece risvegliare anche l’essere.
- La ragazza delle Streleheim!- lo sentì urlare alle sue spalle per poi ordinare a qualcuno di seguirla.
Nel giro di pochi secondi avvertì la presenza di qualcosa dietro di sé, che correva battendo i pesanti passi sul pavimento, ansimando pesante e rauco, respirandole gelido e fetido sul collo. Continuando a correre senza mai voltarsi, la ragazza usò quell’istinto da cacciatore che aveva sviluppato ed affinato nei sei anni che aveva vissuto nella foresta di Streleheim e riuscì a contare che i suoi inseguitori erano almeno dieci. Decisamente troppi per lei sola, nonostante la sua abilità. Demoralizzata iniziò a scendere l’enorme scalone il più velocemente possibile, saltando anche alcuni scalini. Ma quando si rese conto che la distanza tra lei ed i suoi inseguitori era diminuita, scavalcò il passamano e saltò nel vuoto atterrando al piano di sotto. Solo mentre percorreva un corridoio che curvava ad L e per poi ritornare bruscamente verso l’alto con un altro scalone, si rese conto che nella corsa aveva sbagliato strada e perso l’orientamento, e che ora si trovava in una parte di Paranor che non conosceva. Digrignò i denti maledicendo la sua stupidità e quei cosi che la stavano seguendo. Era questo che le aveva insegnato il vecchio Baruk? Aveva speso mesi per inculcarle che gli appostamenti si basavano sulla discrezione ed il silenzio assoluto, che ogni volta doveva muoversi lentamente con piccoli movimenti, che non doveva essere brusca o avventata altrimenti sarebbe stata scoperta e la preda sarebbe scappata. E lei cosa aveva fatto? Appena aveva sentito che Allanon era in pericolo si era dimenticata di ogni prudenza ed era scattata su per correre da un uomo che probabilmente aveva già sistemato i suoi avversari. Era solo una stupida. Una stupida che rischiava di fare un brutta fine, per giunta! Cho Black aumentò la velocità della sua corsa nella disperata speranza di aumentare la distanza tra lei ed i suoi inseguitori e seminarli. Tutto inutile. Più lei correva più loro avanzavano. Ormai era allo stremo, sentiva i muscoli delle gambe bruciare come se fossero immersi nell’acido, le articolazioni cominciavano a cedere alla stanchezza e più di una volta era inciampata rischiando di cadere e finire tra le grinfie dei suoi inseguitori. Correndo in un corridoi decorato da una fila di nere armature lucide da un lato e dall’altro aperto per tutta la sua lunghezza da una vetrata, gettò uno sguardo al di fuori della finestra, la sua corsa si spense lentamente per la disperazione per ciò che stava guardando: in lontananza si ergevano le oscure punte delle montagne della Lama del Coltello, avvolte da una sinistra coltre di nebbia, separate dal nastro grigio cupo del fiume Lete dalla propaggine settentrionale delle Streleheim, a sinistra risaltava opaco il Deserto di Kierlak, a destra si stagliavano impenetrabili le vette dei Charnal. Era finita nell’ala settentrionale del castello! Per ritornare da Allanon avrebbe dovuto tornare indietro, nella parte meridionale, e questo significava due cose: o continuava a correre cercando un passaggio che portava in quell’ala e che sicuramente esisteva, oppure tornava indietro ed affrontava quelle cose che la inseguivano nella speranza di eliminarle tutte ed uscirne sana quel tanto che bastasse a trovare il Druido ed avvertirlo del pericolo che correva. Un ruggito richiamò la sua attenzione: i suoi inseguitore avevano raggiunto la metà corridoio e per la prima volta si concesse di osservarle. Il sangue le si gelò nelle vene: erano creature mostruosamente deformi, alcune avanzavano correndo sui quattro arti come lupi, altri strisciando e contraendosi sul marmo gelido, erano rivestiti da una specie di sostanza gelatinosa nera che acquisiva riflessi violetti sotto la luce che filtrava dalla vetrata e che rivelava più che nascondere le escrescenze sotto le loro pelli. Sentì il coraggio dentro di lei affievolirsi fino a spegnersi, e dovette richiamare tutto il suo coraggio e la sua volontà di sopravvivere per riprendere quella folle corsa, chiedendosi ancora una volta in che guai si fosse cacciata.
Svoltando l’angolo di un altro corridoio si trovò davanti una figura enorme completamente avvolta in un mantello nero. Cho si arrestò bruscamente portando le mani sulle else dei lunghi coltelli, pronta a sguainarli al primo movimento della persona davanti a sé, consapevole della presenza sempre più vicina dei suoi inseguitori. La figura, con un movimento rapido e fluido, scostò il cappuccio dalla sua testa rivelando il volto di Allanon. Cho sospirò sollevata abbandonando subito la sua presa sui coltelli.
- Dannazione a te Druido: mi hai spaventata a morte!- protestò lei vivamente.
Allanon le scoccò un’occhiata così gelida che avrebbe fatto arretrare impaurito anche l’uomo più coraggioso e sfrontato delle Quattro Terre, ma che lei ignorò completamente, continuando ad inveire contro di lui. Il raspare di ansiti nell’aria e di artigli sulla pietra le ricordò che fino a pochi istanti prima creature ripugnanti stavano inseguendola per ucciderla. Afferrò il Druido per il braccio con l’intenzione di spingerlo avanti per correre insieme e trovare una via di fuga da quell’incubo. Ma appena toccò il corpo dell’altro una scossa le percorse la spina dorsale, facendole rizzare i capelli sulla nuca in un muto avvertimento. Lentamente frenò la sua corsa e la presa sul braccio dell’altro diminuì di intensità, si volse lentamente fronteggiandolo con i suoi occhi ora divenuti di un intenso color oro che le svelavano la vera natura dell’essere in piedi davanti a lei: sotto le sembianze del Druido si celava una creature simile ad un crostaceo privo di corazza, molle e trasparente, con lunghe braccia e gambe, che la fissava con occhietti di un azzurro pallido trasudanti malvagità. Ora Cho Black era davvero nei guai: alle sue spalle si accalcavano le creature che l’avevano inseguita per mezzo castello, davanti c’era quell’essere che aveva tutta l’aria di non volerla lasciare passare. Pian piano arretrò impugnando i coltelli che dondolavano ai lati della sua cintola e ne estrasse le lame dal fodero in uno stridio fastidioso che risultò ancora più forte nell’eco prodotto da quel luogo silenzioso. Si mise in posizione di guardia e fronteggiò i suoi avversari sperando davvero di uscirne viva.
Le creature si contrassero come se fossero percorsi da un unico brivido, emettendo contemporaneamente uno sbuffo che alle sue orecchie assunse una tonalità decisamente divertita. Non la temevano, per loro era solo un insetto con cui divertirsi un po’ prima di schiacciarla definitivamente. Il falso Allanon le si avvicinò con andamento flemmatico e sicuro, ghignando sinistramente.
- Avresti potuto avere una morte rapida ed indolore se solo non mi avessi toccato, ma ora…- lasciò la frase a metà, ma il sorriso che gli aprì le labbra spiegava accuratamente il suo pensiero.
- Non è così facile eliminarmi!- ribatté lei spavalda.
- Non lo metto in dubbio…- rispose sarcasticamente – Ma come pensi di farcela contro tutti loro?- e con un gesto teatrale indicò gli esseri che scalpitavano attendendo il momento in cui avrebbero ottenuto il permesso di divorarla.
Quella volta Cho non rispose, si limitò a restare immobile nella posizione assunta ed a fissare torva il falso Allanon, cercando di convincerlo e convincersi che non aveva paura. Il sorriso sul volto dell’essere si accentuò assumendo tinte inquietanti e malvagie.
- Se è questo quello che vuoi…- e si scostò di lato con un gesto veloce facendo frusciare il mantello.
Ottenuto l’assenso gli altri esseri invasero il corridoio gemendo di soddisfazione. Cho Black si impose di stare calma, di rilassare i muscoli e rallentare il respiro. Se prima si era comportata avventatamente, ora non voleva assolutamente ripetere l’errore. Non aveva mai combattuto realmente contro qualcuno, solo delle simulazioni durante l’allenamento con Baruk, aveva usato quello che aveva imparato sempre e solo per cacciare, non per altro. Quando quelle cose erano ormai a pochi passi da lei si chiese se fosse veramente in grado di sopravvivere ad un simile scontro…
… ma ormai era tardi per qualsiasi riflessione o ripensamento, poteva solo rammentare gli insegnamenti ed i trucchi appresi e buttarsi nella mischia senza ripensamenti.
L’impatto fu terrificante. Le sue lame erano cozzate contro i loro artigli violentemente e si sentì scuotere fin dentro le ossa, mentre l’urto la spingeva indietro, le suola dei suoi stivali stridevano sul marmo lucido del pavimento. Cho strinse i denti forte e facendo leva sulle ginocchia si spinse avanti cercando di respingerli indietro. Erano così vicini che poteva sentire il puzzo del loro alito, e lei aveva bisogno di spazio per muoversi. Scartò di lato il più rapidamente possibile, puntando la lama destra in modo che durante lo spostamento ferisse quelle cose. Si allontanò quanto più possibile cercando di riprendere fiato e di ragionare il più lucidamente possibile, ma aveva appena toccato il muro con le spalle che si ritrovò nuovamente circondata da quelle cose affamate. Un sorriso increspò le labbra di Cho: il vecchio Baruk non le aveva sempre ripetuto che la miglior difesa è l’attacco? Strinse la presa sulle due else e, rapida come un felino, partì alla carica, ma quando una delle sue lame sprofondò nella massa gelatinosa di uno di quei corpi, si rese conto che non sortiva alcun effetto, anzi: quell’essere ripugnante continuava a fissarla tranquillo e divertito, come se non avesse un pugnale piantato nel petto.
- Gli Incubi non possono essere uccisi dalle comuni armi umane, solo la magia può distruggerle!- le spiegò la voce divertita del falso Allanon.
Intanto la sorpresa l’aveva distratta talmente tanto, che Cho non si rese conto dell’Incubo che le era strisciato alle spalle. Tutto quello che avvertì fu un intenso bruciore in tutto il corpo e qualcosa di appiccicoso che le stava lentamente impregnando la pelle. Abbassò titubante lo sguardo e vide quello che non avrebbe mai voluto vedere: il suo corpo era stato trapassato da parte a parte da una massa di tentacoli induriti come punte di lance, vedeva quelle estremità verdastre e trasparenti, dure come diamanti, che le spuntavano da ogni parte del corpo. Il sangue le stava fuoriuscendo velocemente dalle ferite, imbrattandole i vestiti e succhiandole via le forze. Con uno sforzo immane riuscì ad ordinare ai suoi arti di contorcersi e piegarsi in una serie di acrobazie che le permisero di liberarsi e battere in ritirata. A fatica raggiunse il muro e ci si appoggiò contro, imbrattandolo con diverse strisce cremisi. Aveva il fiato corto e la vista appannata, sentiva il mondo scivolarle dai sensi mentre le forze l’abbandonavano sempre più velocemente. Il sorriso sulle sue labbra si accentuò, diventando strano, vuoto, forse ancora più inquietante di quello che aleggiava sul volto del falso Allanon, mentre prendeva la sua decisione: era ferita gravemente ed il tempo a sua disposizione stava scivolando via ad una velocità stupefacente, stava perdendo troppo sangue e doveva sbrigarsi ad arginare l’emorragia; purtroppo per lei quelle creature erano invulnerabili alle armi umane, quindi i suoi coltelli non le servivano a molto in quell’occasione…
Aveva paura! Non voleva morire per mano di quelle cose!
Ad ogni passo avanti degli Incubi avvertiva la paura crescere dentro di lei, gonfiarsi come un’onda sotto l’influsso della marea, ingigantirsi fino a diventare terrore.
Avvertiva le sue membra tremare violentemente, il cervello era come congelato, mentre un sottile senso d’angoscia e paura le dilagava nel petto paralizzandola, in una replica già vista e vissuta. Quando l’onda di terrore toccò e superò l’apice, qualcosa dentro di lei si spezzò, mentre panico e follia si mescolavano in una miscela esplosiva. Quando riportò lo sguardo sugli Incubi, che ormai erano a pochi passi da lei, le iridi di Cho avevano assunto un colore nero pece, denso e colloso, così simile a quello degli abissi privi di fondo.
E poi fu tutto come quella volta a Varfleet!
Cho digrignò i denti fino a far sanguinare le gengive, mentre la sua magia traboccava dal suo corpo come un velo di un color perla trasparente, e si modellava, pian piano, in un paio di enormi e deformi mani, protese verso la massa febbricitante degli Incubi. Appena questi furono sfiorati da quelle dita invisibili, iniziarono a dimenarsi furiosamente, urlando deliranti per un dolore che non avevano mai sperimentati prima. Cho serrò ancora di più la presa della sua magia su di loro, moltiplicando quelle mani ed insinuandole nelle loro teste. Con i suoi occhi di pece poteva vedere la grigia carne pulsante che sembrava quasi ritrarsi davanti a lei. Tese ancora di più le mani, fino a stringere in una debole presa quei cervelli, ancora un attimo di stasi, poi esplodendo in un urlo rabbioso, ordinò alla sua magia di stritolarli. Gli Incubi tesero i loro corpi in archi innaturali, in un ultimo grido di vita, prima di accasciarsi sul pavimento in tante forme esanimi. Dopo Cho rivolse il suo sguardo nero all’essere che aveva cercato di ingannarla prendendo le sembianze di Allanon ed i suoi occhi promettevano solo una morte ancora più lenta ed atroce di quella che aveva riservato agli altri. Ma fu sono un istante, era la prima volta che usava la sua magia in quel modo su tante persone, ne aveva usata troppa e le forze le mancarono di colpo: cadde sulle ginocchia come una marionetta dai fili tagliati, mentre il sudore ed il sangue le si asciugavano addosso creando una crosta umida ed appiccicosa sulla sua pelle, lo sguardo opaco fisso davanti a sé, il cervello intasato da immagini e domande senza risposta, il fiato spezzato: in quel momento Cho Black si sentiva svuotata completamente! Il falso Allanon avanzò ghignando: contro la magia di quella mocciosa non avrebbe potuto fare molto, doveva approfittarne ora che era senza forze ed eliminarla. Estrasse la mano destra dalle pieghe dell’ampio mantello nero e, dopo una lieve contrazione della pelle, le unghie si allungarono di parecchi centimetri, divenendo taglienti come rasoi. Si fermò davanti alla ragazza e sollevò la mano pregustandosi il momento della sua morte e le calò su di lei velocemente, dopo aver disegnato un arco invisibile a mezz’aria.
Cho Black neanche si rese conto di quanto le fosse vicina la Morte in quel momento.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Eccomi di ritorno con il terzo capitolo. Qui vedremo cosa fa Allanon mentre Cho Black è inseguita dagli Incubi nella parte settentrionale di Paranor. Voglio ringraziare Stefania (Stefy_81): hai colto benissimo le miei intenzioni per ‘come un falco’, quello che c’è stato tra Jair e Jax non avrebbe mai potuto ripetersi oltre quella notte, anche se Jax fosse sopravvissuto (ricordi bene: è morto combattendo contro il mostro che aveva sempre sognato), forse sembra spezzata perché l’ho scritta in due momenti diversi perché non sapevo come descrivere la scena del loro rapporto, non volevo essere grafica e nemmeno scadere nel volgare. Ti ringrazio anche per il commento lasciato al primo capitolo di ‘Sorgon’: sono contenta di essere riuscita ad avvicinarmi almeno un pochino al maestro, e sono contenta che ti sia piaciuta Cho Black; confesso che per quanto riguarda il suo scetticismo mi sono ispirata a Brin: ricordi quando Allanon le dice di usare la canzone magica per dividere due alberi intrecciati e lei li distrugge? Allanon è il mio problema più grande perché ho sempre paura di non riuscire a rispecchiare il suo carattere originale, quindi sono sollevata nel sapere che tu abbia trovato il mio nella parte.
E spero di averti incuriosita ancora un altro po’ sul potere di Cho dopo questi altri due capitoli… per quanto riguarda l’origine fatata della famiglia Black… si, mi è venuta una certa ideuzza…
Ringrazio ancora tutti coloro che hanno letto i primi due capitoli e leggeranno questo.
Non mi resta che augurarvi buona lettura, alla prossima ^.^



Capitolo 3.


Allanon scendeva l’ampio scalone diretto alla biblioteca, lentamente, in maniera quasi solenne, come una sorta di immersione in quel luogo carico di ricordi che era diventato casa sua dopo la morte di Bremen.
Bremen. L’uomo che gli aveva teso la mano nel baratro in cui era caduto, che lo aveva tirato fuori e gli aveva fornito una nuova strada, un nuovo scopo per cui vivere e morire. Lo aveva reso il difensore delle Quattro Terre. Prima di morire Bremen lo aveva incaricato di vigilare su quel mondo giovane e fragile, costantemente preda delle ambizione di essere potenti e deviati, che vedevano come massima aspirazione delle loro vite, quella di dominare quelle terre. Poco prima di venire portato via dall’ombra di Galaphile al Perno dell’Ade, Bremen gli aveva rivelato che la minaccia del Signore degli Inganni non era stata completamente estinta, che Jerle Shannara nel momento decisivo aveva dubitato sull’effettivo potere della sua spada e questo aveva offerto una via di scampo al suo avversario; ferito ed indebolito Brona era scappato lasciando dietro di se solo uno sbuffo di fumo nero, i Messaggeri del Teschio erano scomparsi come nebbia al sole ed aveva perso il totale controllo su gnomi e troll che formavano il grosso del suo sterminato esercito. Ora Brona era tornato a rintanarsi al nord, a leccarsi le ferite ed a recuperare le forze, avrebbero avuto ancora qualche anno di pace prima del suo ritorno. Era questo quello che aveva pensato prima di abbandonarsi al Sonno del Druido, un sonno magico che consentiva di ringiovanire e quindi di vivere più a lungo di tutte le altre creature viventi; ma anche quell’espediente non sarebbe servito a tenere la morte lontana per sempre, a lungo andare non avrebbe più fatto effetto, togliendo anche gli effetti collaterali che portava su un organismo creato per vivere una vita breve. Allanon non si aspettava di certo di venire svegliato dopo appena cent’anni da suo padre. Bremen gli aveva inviato dei sogni premonitori per mostrargli il pericolo che stavano per correre le Quattro Terre, incubi terrificanti in cui aveva visto quel mondo messo a ferro e fuoco dall’esercito di Sorgon e la razza umana usata come bestiame dagli Incubi. Della dolcezza delle foreste rigogliosi che contendevano terreno alle alte montagne dall’aspetto arcigno, delle pianure che si aprivano a perdita d’occhio e della fertile campagna ricca di frutti non restava niente, solo un immenso arido deserto. Sorgon, a differenza di Brona, non voleva solo dominare le Quattro Terre, voleva distruggerle, umiliarle, cancellarle, per poi riplasmarle secondo il suo volere. Voleva creare un nuovo mondo per sé e per i suoi sudditi, secondo i suoi voleri. Quando si era risvegliato era corso al Perno dell’Ade ed aveva evocato l’ombra di suo padre per chiedere spiegazioni. Bremen aveva proiettato nella sua mente immagini per spiegargli che tutto quello che aveva visto stava per accadere, che avevano poco tempo, che doveva trovare il Labirinto di Specchi e prendere lo Scrigno di Diamante Viola in cui imprigionare Sorgon fino alla fine dei tempi, che l’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo nell’impresa era una ragazzina spaventata che si nascondeva dalle Streleheim per sfuggire a se stessa ed al suo potere, un potere immenso e pericoloso che aveva imparato a dominare solo in parte e che le faceva tanta paura. Cho Black era molto più potente di quello che suo padre gli aveva detto, era così potente da scorgere le trappole che aveva piazzato alla base della rupe ed eluderle e da riuscire a salire fin su la rocca; Allanon era certo che se avesse insistito un po’ di più Cho sarebbe stata in grado anche di penetrare all’interno di Paranor. Suo padre gli aveva predetto che un giorno avrebbe trovato un successore che possedeva una magia potentissima con cui avrebbe protetto le Quattro Terre dal male, che quel successore fosse proprio Cho Black? Era già arrivato per lui il momento di scegliere la persona che gli sarebbe succeduta come Druido ed avrebbe difeso con e come lui le Quattro Terre?
Eppure sentiva che sarebbe rimasto solo ancora a lungo…
Intanto era arrivato davanti la porta di spesso legno chiaro della biblioteca. Non aveva senso cercare di osservare al di la del ventaglio di possibilità che era stato aperto davanti a lui, non era concesso agli esseri umani di guardare il futuro, poteva solo aspettare e vedere cosa sarebbe successo. Lui aveva un compito da portare a termine, solo a questo doveva pensare, tutto il resto sarebbe stato rivelato al momento debito. Sollevò la pallida mano adunca ed abbassò la maniglia di ottone. La porta si aprì docilmente ruotando sui cardini senza cigolare, come se fosse usata quotidianamente. Il forte odore di chiuso ed umido gli penetrò le narici, infiltrandosi fin dentro i polmoni. Era a casa. Quel luogo, più che Paranor stesso, Allanon riconosceva come casa sua, era in quella stanza dall’alto soffitto a volta a vela sorretto da finte colonne, con le pareti coperte completamente da scaffali di legno pieni di tomi polverosi, che aveva trascorso la parte migliore della sua giovinezza. Se chiudeva gli occhi poteva ancora sentire la voce di Bremen mentre gli spiegava qualche regola alla base della magia. Quasi poteva rivedersi, un ragazzo magro e dinoccolato, seduto ad uno dei tavoli, curvo su uno dei tomi delle Storie dei Druidi, mentre suo padre sedeva poco distante da lui e lo osservava con sguardo dolce, la vecchiaia e la morte che reclamavano i diritti che avevano su di lui, in un’intima atmosfera familiare. Sentì un moto di commozione risalirgli la gola e si affrettò a scacciarlo, indirizzando la sua attenzione al motivo per cui era sceso fin li, per i ricordi ci sarebbe stato sempre tempo, dopo, una volta finito tutto. Si diresse verso una parete e la sfiorò con il palmo della mano destra aperta, mentre pronunciava a fior di labbra una formula magica, ed il muro si dissolse come se fosse stato costituito da nebbia. Davanti ad Allanon apparve la stanza che conteneva gli scaffali delle Storie, abilmente occultate da Bremen, con l’aiuto di Khale Rese, suo vecchio e fedele amico, e custode della biblioteca dei Druidi, per impedire che il Signore degli Inganni potesse impossessarsene una volta conquistata Paranor ed eliminati tutti i Druidi, che erano rimasti sordi ai suoi avvertimenti. Allanon ricordava ancora il profondo dolore che aveva inumidito gli occhi del vecchio mago quando gli aveva raccontato quella che considerava la sconfitta peggiore della sua vita, perché non era riuscito a convincere degli innocenti, si considerava ancora responsabile della loro morte, anche se era stato rifiutato e scacciato da loro, anche se era stata solo una loro scelta. Il Druido mosse un passo in avanti ed entrò in quell’ambiente umido e buio, impregnato dell’odore di carta vecchia, dove era conservata la storia dell’umanità dal primo Consiglio dei Druidi indetto dall’elfo Galaphile, incantesimi, invocazioni ed esorcismi, i pochi esperimenti della vecchia scienza che erano riusciti a salvare dall’oblio portato dalle Grandi Guerre che avevano sconvolto il vecchio mondo, tutto il sapere che i Druidi avevano raccolto e tramandato nel loro periodo di attività, e che, dopo il tradimento di Brona, avevano occultato per paura che la magia potesse corrompere un altro di loro. Si avvicinò alla libreria e prese il primo volume che gli capitò a portata di mano, stava per estrarlo, quando una particolare vibrazione dell’aria gli fece correre un brivido lungo la colonna vertebrale, avvertendolo che c’era qualcosa di poco amichevole in agguato. Un ghigno increspò le labbra di Allanon mentre estraeva il pesante tomo e lo portava ad uno dei tavoli della biblioteca dove si sedette ed iniziò a leggere come se nulla, tendendo, in realtà, una maglia di magia in tutto il castello, un sistema d’allarme che avrebbe sondato ogni angolo di Paranor svelando eventuali intrusi. Era molto lenta come magia, ci avrebbe impiegato molto per coprire completamente quel labirinto di scale e corridoi e stanze, ma era comunque quella che ritenne il più sicuro. Il tempo scorreva lento e viscoso mentre il Druido passava da un volume delle Storie all’altro, nascosti nel buio continuavano pazientemente a spiarlo, come se attendessero un segnale, sentiva i loro respiri ansanti vibrare debolmente da qualche parte nel buio. Alla fine comprese quello che volevano: stavano aspettando che scoprisse l’ubicazione del Labirinto di Specchi! E questo svelava anche la loro identità: erano Incubi al servizio di Sorgon! Il loro signore li aveva inviati li per poter impossessarsi dell’unico oggetto che avrebbe potuto rappresentare per lui un pericolo e quindi scongiurare la sua sconfitta una volta e per sempre. Allanon imprecò tra i denti mentre si rendeva conto della trappola in cui si era messo volontariamente: era circondato da Incubi, esseri demoniaci quasi invulnerabili, non era nemmeno sicuro che il suo fuoco magico potesse qualcosa contro di loro. L’unico modo per sbloccare quella situazione di stallo era far capire loro che aveva terminato la sua ricerca. Con un tonfo sordo chiuse il libro che aveva letto solo per metà ed un sorriso vittorioso si riusciva ad intravedere sotto la peluria dalla barba. Rimise il tomo al suo posto ed uscì dalla stanza ripristinando la magia protettiva: qualsiasi cosa sarebbe accaduto nessuno, ad eccezione di lui e dei suoi successori, avrebbe dovuto mettere le mani su tutto quel sapere che nelle mani sbagliate avrebbe portato solo morte e distruzione. Quando si volse si ritrovò circondato da ripugnanti esseri gibbosi e contorti, alcuni ricoperti da una peluria irta e stopposa, altri da scaglie che rilucevano sinistramente nella debole luce delle torce, tutti con gli occhi animanti da una luce perfida e malata, che gli ringhiavano mentre snudavano artigli e zanne. Volevano ucciderlo lentamente e tra atroci torture. Erano i primi Incubi che Allanon incontrava e poteva affermare che erano molto meno inquietanti i Messaggeri del Teschio che aveva visto da ragazzo. Quelli erano i primi nemici che affrontava da solo, erano un po’ come un test di prova in cui avrebbe dovuto mettere in pratica tutto quello che suo padre gli aveva insegnato. Per un istante provò il forte desiderio di averlo ancora al suo fianco, di poter avvertire ancora una volta la sua presenza rassicurante accanto a sé… Gli occhi dolci e severi di suo padre gli si affacciarono alla mente come se avesse ascoltato il suo richiamo e gli rammentarono quanto si fosse sacrificato per apprendere l’arte druidica e il perché lo avesse fatto, gli comunicarono, come ogni volta, che si fidava ciecamente di lui e delle sue capacità, per questo lo aveva scelto come suo successore. Allanon sorrise. Un essere piccolo e ricurvo, simile ad una grossa rana porpora, con un paio di balzi gli fu davanti, dondolò per qualche secondo gli occhi grigi per poi porli sul Druido che continuava a fissare impassibile gli esseri davanti a sé.
- Umano, dicci dove è conservato lo Scrigno di Diamante Viola se vuoi una morte rapida ed indolore.- aveva gracchiato l’Incubo distorcendo la bocca in una smorfia arrogante.
Allanon a quelle parole abbassò lo sguardo verso quella creatura, che indietreggiò spaventata di fronte la gelida furia che li animava. Quegli occhi neri erano inquietanti schegge di vetro nero che sembravano poter perforare l’anima di chi osservavano fino a piantarsi nel suo cuore e farlo a brandelli. Per tutta risposta il Druido sollevò le mani tenendole a coppa, con i palmi verso l’alto, al cui interno, dopo un guizzo, iniziò a bruciare il fuoco magico. La fiamma blu brillava intensa, sfrigolando in decine di scintille arancione. Allanon unì le mani davanti al suo viso per qualche istante, quando le allontanò per riportarle ai lati del suo corpo, erano unite da un sottile arco di fuoco che vorticava e scintillava minaccioso. Il filo si tese fino a spezzarsi, esplodendo in una fiammata che investì la prima fila di Incubi. Vedendo la fine che avevano fatto i loro compagni gli altri Incubi ruggirono furiosamente, raspando con gli artigli sulla pietra lasciando profondi solchi, schioccando le fauci irte di zanne affilate ed acuminate. Una nuova fiammata blu sfavillò tra le mani del Druido. Davanti quella luce azzurrina gli Incubi divennero ancora più nervosi ed agitati, iniziarono ad avanzare verso di lui a piccoli passi, osservando guardinghi i movimenti delle sue mani. Temevano il fuoco magico ora che avevano visto alcuni di loro consumati da esso. Poi un Incubo a quattro zampe, una creatura a metà tra un lupo ed un essere umano, caricò sulle zampe posteriori e si slanciò su Allanon, questi si scansò appena prima dell’impatto e l’essere atterrò contro il muro, per un istante rimase attaccato alla parete verticale, sospeso a tra metà tra pavimento e soffitto, poi si diede un’altra spinta e si scagliò nuovamente contro il Druido, che sotto il suo peso cadde a terra. Allanon picchiò violentemente la schiena contro il pavimento di marmo e sibilò tra i denti per il dolore, ma non poteva distrarsi: le pesanti zampe dell’Incubo lo inchiodavano contro il pavimento senza possibilità di movimento, mentre cercava di tenere lontane quelle fauci dalla sua gola stringendogli le mani sul collo. Allanon stava usando tutta la sua forza ma quella del demone su di lui era disumana, incontenibili, talmente potente da poterlo piegare, e le sue braccia stavano cedendo velocemente, tanto che all’improvviso si ritrovò il muso dell’Incubo a pochi centimetri dal suo volto, tanto che una luce vittoriosa brillò nei suoi occhi. Raccogliendo le sue forze, Allanon lo spinse violentemente lontano da sé, fino a riuscire a mettersi semiseduto, quindi con un ringhio sordo fece esplodere dalle sue mani aggrappate alla pelliccia una fiammata blu che in pochi istanti divorò l’Incubo. Ansante il Druido si rimise in piedi, poggiandosi pesantemente contro il muro: la magia lo stava logorando, doveva chiudere quello scontro il più velocemente possibile, altrimenti non gli sarebbe rimasta energia sufficiente per svolgere l’incarico che gli aveva affidato suo padre. Digrignò i denti cercando di soffocare quel senso di furia ed impazienza che lo stava divorando: doveva rimanere lucido e razionale se non voleva soccombere. Stava per passare all’attacco quando la sua magia iniziò a vibrare violentemente, avvertendolo che c’erano altri intrusi a Paranor e che si erano concentrati tutti in uno dei corridoi della zona settentrionali. Fu solo allora che si ricordò di Cho Black e della sua richiesta di visitare Paranor. Quella sciocca mocciosa, sibilò tra i denti furibondo e preoccupato. Ora chiudere al più presto quella faccenda era diventato una necessità. Allanon chiuse gli occhi e si concentrò, evocando dalle profondità del suo potere altro fuoco magico, più potente di quello che aveva usato fino a quel momento. La sentì ribollire furiosamente sul fondo della sua anima e risalire velocemente verso l’esterno, un’ondata impossibile da arginare, che voleva solo esplodere all’esterno e spazzare via tutto quello che gli si opponeva. Riaprì gli occhi di scatto, tendendo con un rapido gesto le mani davanti a sé e dai palmi sprizzò un velo di polvere blu che a contatto con l’aria si incendiò dando fuoco agli Incubi. Fiamme blu cupo che bruciavano crepitando sinistramente, riflettendosi negli occhi neri del Druido, incupiti dalla stanchezza. Allanon si appoggiò solo un attimo con la schiena contro il muro per riprendere fiato, quella che aveva usato era uno dei modi più efficaci di usare il fuoco magico, ma allo stesso tempo era quello più sfinente, gli ci sarebbe voluto tempo per riprendersi completamente da quello scontro magico. Riaprì gli occhi staccandosi lentamente dalla parete: non era quello il momento delle elucubrazioni mentali, c’era una mocciosa da trovare e salvare. Lanciò un’ultima occhiata ai mucchi di cenere fumante che erano stati i suoi avversari e poi si slanciò in avanti, ordinando ai suoi muscoli di farlo correre più velocemente che potevano. Seguendo la maglia di magia che aveva intessuto all’interno del castello seppe esattamente dove Cho Black si trovava. Allanon sfrecciava per i corridoi tagliando all’interno delle stanze, scavalcando gli immensi scaloni, coprendo in pochi istanti scorciatoie quasi dimenticate, pregando di fare in tempo. Sentiva le forze venirgli meno, si sentiva prosciugare man mano, ed a denti stretti pregava suo padre di concedergli di arrivare in tempo. Cho Black era l’unica persona in tutte le Quattro Terre che avrebbe potuto affrontare e portare a termine quella missione, se fosse morta tutto sarebbe terminato ancora prima di iniziare e non poteva permetterselo. Si maledì per averle permesso di andarsene in giro per il castello senza prima essersi accertato che non ci fossero pericoli… ma chi poteva pensare che gli Incubi si erano infiltrati all’interno di Paranor e lo stavano aspettando tendendogli una trappola quasi mortale? Una vibrazione più forte dell’altra nella magia lo avvertì che stava accadendo qualcosa di terribile: per la prima volta dopo tanto tempo, Allanon provò nuovamente la paura di perdere qualcuno. E non capiva perché, Cho Black era solo uno strumento, un mezzo per raggiungere il suo scopo, non doveva affezionarsi a lei, non quando conosceva il destino che l’attendeva. Per questo si impose di correre ancora più velocemente, ignorando il dolore alle gambe ed i polmoni che bruciavano, spingendosi sempre più in avanti. Quando giunse al corridoio indicatogli dalla magia, si ritrovò inchiodato al pavimento dallo stupore: Bremen lo aveva messo in guardia dal potere della ragazza, ma mai avrebbe creduto che potesse essere così pericoloso. Sconvolto osservò Cho Black in piedi al centro del corridoio, in un lago formato dal suo stesso sangue, orrendi occhi di un nero cupo, spento, oleoso scattavano da un lato all’altro cercando freneticamente i suoi avversari, valutandone la forza, avvolta da una sconvolgente aura magica che aveva preso le sembianze di un paio di enormi mani che si libravano dalla sua schiena e si protendevano minacciosamente avanti, con gli artigli tesi, pronti a ghermire le sue prede. La sua confusione aumentò quando vide quelle mani chiudersi sugli Incubi, insinuandosi nelle loro teste, facendoli fremente ed arcuare in spasmi di un lacerante dolore inimmaginabile. Che terribile potere, si ritrovò a pensare quando li vide cadere senza vita uno dopo l’altro. Un potere simile non poteva, non doveva esistere al mondo! Era una forza inimmaginabile, contro cui niente sarebbe stato efficace, un potere selvaggio ed indomabile che non poteva essere controllato, solo scatenato. Quando Cho volse i suoi neri occhi inferociti verso l’Incubo che aveva assunto le sue sembianze, Allanon immaginò cosa sarebbe potuto accadere se quella ragazzina avesse perso il controllo del suo potere e la magia avrebbe preso il sopravvento: sarebbe iniziata l’era più oscura che quel mondo aveva conosciuto, un’era di terrore dove la morte avrebbe banchettato allegramente con le vite che Cho avrebbe strappato con il suo potere, fino a che la terra non sarebbe diventata un immenso deserto privo di qualsiasi forma di vita. E per la prima volta si chiese anche se avesse fatto la cosa giusta a trascinarla fuori dalle Streleheim…
Poi tutto come era iniziato così era terminato, la magia aveva abbandonato improvvisamente Cho, non più capace di sostenerla, e l’aveva lasciata a terra come un burattino dai fili tagliati, svuotata di tutto. Allanon sospirò sollevato: sarebbe stato difficile anche per lui avere ragione di quella ragazzina in preda alla sua furia omicida, ridotto in quelle condizioni! Vide il falso se stesso avvicinarsi a lei snudando lunghi artigli e ghignando vittorioso, assaporando già la vita che avrebbe reciso a momenti. Quando vide quegli artigli affilati come falci fendere l’aria con l’intento di decapitarla, Allanon si fece avanti bloccando il polso dell’altro in una presa salda. Quando l’Incubo si volse per vedere chi aveva osato intromettersi, sentì il sangue sciogliersi nelle vene: non riusciva a credere di avere davanti il Druido! Nessun essere umano avrebbe mai potuto sopravvivere ad un Branco Nero, nemmeno un Druido, come ci era riuscito?
Sorrise divertito mentre si liberava dalla stretta dell’altro: evidentemente li avevano sottovalutati entrambi! Allanon si frappose tra Cho e l’essere demoniaco che aveva preso il suo aspetto, pronto ad un nuovo scontro, ma, improvvisamente, le mura di Paranor cominciarono a tremare dalle fondamenta, come se un gigante sepolto sotto di esso si fosse ridestato all’improvviso scrollandosi il sonno di dosso. Il Druido impiegò pochi istanti per capire cosa stesse succedendo: la magia liberata da Cho era stata così potente da aver destato gli Antichi Poteri che Bremen aveva posto a difesa al castello cent’anni prima, un potere magico davanti al quale era fuggito anche il potente Signore degli Inganni quando aveva preso il castello. Dovevano scappare da li al più presto, se non volevano incorrere in un brutto destino. Anche l’Incubo dovette avere un sentore di quello stava accadendo perché si inchinò scherzosamente prima di sparire in uno sbuffo di fumo, lasciandoli con un poco amichevole “Ci rivedremo!”. Allora il Druido, seppur sorpreso da quella fuga, rivolse la sua attenzione alla ragazza ancora inginocchiata alle sue spalle, le braccia abbandonate contro il corpo finito e la pozza formata dal suo sangue si allargava sempre più. Qualcosa dentro di lui vibrò quando incrociò i suoi occhi spenti e pallidi, di un colore indistinto, malato, come se avessero dimenticato il loro colore verde scuro. Allanon fu riscosso dalla sua magia che lo avvertiva che il pericolo si faceva sempre più vicino. L’uomo si avvicinò a Cho e la sollevò per un braccio, nella speranza che riuscisse a restare in piedi, ma le gambe le cedettero di colpo facendola cadere pesantemente in avanti; grazie a quel colpo le ferite avevano preso a sanguinare maggiormente. Allanon osservò quel corpo disarticolato che penzolava dal suo braccio: c’era una sola cosa da fare se non volevano morire entrambi! Con un gesto veloce la sollevò tra le braccia, stringendola contro di sé, stupendosi per un attimo di quanto fosse leggera, iniziando a correre la sua folle corsa per uscire dal castello.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Eccomi di ritorno con il quarto capitolo. Questo è un capitolo particolare in cui verrà raccontato un po’ del passato di Cho Black e, durante un incontro particolare, verranno insinuati dentro di lei alcuni dubbi che però saranno sciolti molto più avanti.
Ringrazio Stefania: sono contenta che i due capitoli ambientati a Paranor ti siano piaciuti, non ero molto sicura, devo dirti la verità… ^^ come anche che abbia indovinato la descrizione degli Incubi. Mi risolleva sentirti dire che sto facendo un buon lavoro con Allanon e Cho… grazie! Spero quindi che anche questo capitolo ti piaccia ^.^ E ringrazio anche tutti coloro che hanno anche solo letto i primi tre capitoli e quelli che leggeranno questo.
Non mi resta che augurarvi buona lettura, al prossimo capitolo \^.^/



Capitolo 4.



A Cho Black sembrava di galleggiare nel nulla. Come se un denso, riposante strato di tenebra accogliesse le sue membra stremate. Sentiva che sarebbe potuta rimanere per sempre il quel posto. Era tutto quello che aveva, ora lo capiva benissimo, sempre desiderato: un posto in cui riposarsi, un luogo in cui fermarsi e sentirsi libera e rilassata, un territorio dove poter dimenticare tutte le lacrime che aveva versato, tutto il dolore che gli aveva spremuto il cuore, tutto il rimorso per quello che aveva fatto e la paura per quello che avrebbe potuto fare. Desiderò che nessuno la venisse a cercare, che la lasciassero li dimenticandosi di lei…
Eppure dentro di sé era consapevole che quella pace non sarebbe mai durata in eterno. Glielo sussurrava quella leggera sensazione di mani che la sfioravano e di una voce familiare che la chiamava. Ma lei non voleva svegliarsi, voleva solo lasciarsi andare sempre di più, amalgamarsi con quel buio fino a scomparire in esso.
Ricordava benissimo quello che aveva fatto, aveva di nuovo perso il controllo e fatto appello a quel potere, un potere malvagio capace solo di portare morte e distruzione, su cui lei non aveva mai avuto il minimo controllo; ogni volta le sembrava che la magia si animasse di vita propria e prendesse il sopravvento, imprigionandola e relegandola in qualche angolo della sua mente e prendendo il controllo del suo corpo. Ed ogni volta quel giogo che le veniva imposto dalla magia diventava sempre più pesante e difficile da togliere, e l’intorpidimento che ne seguiva sempre più denso e sfinente. Ogni volta diventava sempre meno in grado di riemergere dalla sua coscienza e riprendere il controllo su se stessa, e questo la spaventava al punto di preferire la morte piuttosto che venire dominata dalla magia, diventare un suo giocattolo. Aveva sempre odiato quella faccia della sua magia, fin dal giorno in cui aveva scoperto di possederla. Ricordava ogni colore e profumo, ogni sfumatura di quel giorno: era un sonnacchioso pomeriggio di fine maggio del suo settimo anno d’età, la terra cominciava già a surriscaldarsi dei raggi del giugno che si avvicinava ed il vento profumava dei fiori appena sbocciati e dei frutti che stavano maturando sugli alberi. Faceva molto caldo e Cho aveva pensato di nuotare un po’, conosceva quel punto del fiume come le sue tasche, come anche quella regione, che poteva accaderle di male? Risalì il Mermidon per un tratto, fino a trovarsi quasi sotto le cime dei Denti del Drago, quindi si spogliò e si immerse nelle acque piacevolmente tiepide del fiume. Si rilassò a lungo, nuotando e cercando di sciogliere i muscoli tesi delle spalle, ma quando uscì dall’acqua trovò uno Sharp ad attenderla. Gli Sharp erano grossi felini, più grossi, agili e potenti dei lupi, con il manto ramato ed arabescato di nero, artigli simili ad affilate falci e fauci piene di acuminate zanne; si diceva che fossero nati dalla magia che aveva scatenato il Signore degli Inganni cent’anni prima, e che aveva modificato fatalmente gli animali da cui avevano avuto origine. L’animale evidentemente aveva sentito il suo odore mentre era a caccia nei dintorni ed aveva deciso di non perdere l’occasione di banchettare con la tenera carne di un cucciolo umano. Si era posizionato con la sua spropositata mole fra lei e gli abiti che aveva lasciato sul prato, puntandosi sulle zampe anteriori, snudando le zanne e arricciando la pelle attorno al muso, iniziando a muoversi in circolo per cercare un varco nelle sue difese ed attaccarla per finirla. La piccola Cho era terrorizzata, si muoveva seguendo le mosse della belva, ma dentro di sé il terrore dilagava sconvolgendola al punto da farle dimenticare tutti gli insegnamenti che aveva ricevuto dal vecchio Baruk. Non era più in grado di pensare lucidamente né sapeva cosa fare per sopravvivere, sapeva solo seguire i suoi movimenti per non farsi sorprendere. Ad un tratto, con uno scatto improvviso ed imprevedibile, lo Sharp si slanciò verso di lei, facendola ricadere pesantemente a terra, di schiena. Cho si sentì soffocare sotto la pesante mole dell’animale che premeva sul suo esile corpo e la pelle delle spalle e dell’addome strapparsi sotto la pressione degli artigli, provò a divincolarsi, a spingerlo via, ma l’animale era troppo forte e pesante per la sua debole forza di bambina. Ed anche quella volta aveva sentito la paura crescere dentro di lei come l’onda della mare, gonfiarsi fino a sommergerla; ed era stato a quel punto che aveva avvertito qualcosa di diverso dentro di sé, come se il terrore avesse aperto e spalancato una porta dentro di sé di cui fino a quel momento aveva ignorato l’esistenza, e da quella porta era scaturita una forza sconosciuta, simile alla corrente impetuosa di un fiume in piena, che aveva irrobustito il suo corpo e moltiplicato la sua forza. Poi si era sentita rivoltare come un calzino e quella forza misteriosa aveva preso il sopravvento su di lei, guidando i suoi movimenti, fuoriuscendo dal suo corpo come un paio di mani trasparenti ed uccidendo quello Sharp con una sola carezza. Aveva visto tutto quello che aveva fatto come se fosse stata imprigionata dietro un velo di nebbia, poteva assistere, ma non poteva né parlare né muoversi, il suo corpo era totalmente fuori controllo e solo la paura per quello che aveva fatto aveva potuto liberarla e ridarle il controllo del suo corpo. Con uno spasmo violento era ritornata padrona del suo corpo sfinito e dolorante, scombussolato per quanto accaduto, ma ancora eccitato dalle sensazioni appena provate. Non ricordava nemmeno più quanto tempo era rimasta ferma al suo posto a piangere per la paura… Allora, come a Paranor, aveva provato una forte sensazione di potere, si era sentita onnipotente, sapeva che poteva fare qualsiasi cosa con quel potere e niente avrebbe potuto ostacolarla, avrebbe potuto persino fare suo quel mondo piccolo e traballante… un ubriacante languore che la seduceva lentamente, inesorabilmente, ogni volta più difficile da contrastare… una sensazione di euforia crescente che la liberava progressivamente di ogni limite e freno…
In quei momenti era lei la morte!
Non voleva mai più provare niente del genere, lei non era fatta per quelle sensazioni di dominio e per questo voleva solo scivolare nel nulla ed annullarsi, sparire per sempre…
Attraverso le palpebre chiuse Cho vide quel mare nero schiarire e sfumare, aprì gli occhi e lo vide assumere man mano tonalità di grigio sempre più chiare, fino a diventare una flebile nebbiolina argentea, sotto il cui brillio si intravedevano i contorni appena accennati di case. Quando il paesaggio che la circondava divenne netto e reale, nonostante un debole velo di quella nebbia che continuava a persistere, sentì qualcosa dentro di lei pulsare riconoscendo il luogo in cui si trovava. Le case di mattoni e legno attaccate le une sulle altre nel circolo delle mura, la strada in terra battuta umida e ricoperta da chiazze sparse di muschio, l’odore di acqua che impregnava i polmoni, il cielo grigio che prometteva pioggia, l’immensa mole nera contro il cielo dei Monti di Runne alle spalle, il ruggire del fiume gonfio d’acqua in lontananza come sottofondo…
… era a Varfleet! Era a casa!
Rimase immobile a lungo a fissare incredula quello che la circondava, non riuscendo a capire se fosse la realtà o uno splendido sogno… Quanto, quanto aveva desiderato ritornare a casa, rivedere la sua famiglia, respirare di nuovo l’aria pura ed umida di quelle zone… Un’unica lacrima solitaria le scivolò fuori dall’occhio destro ed iniziò la sua rapida corsa disegnando con una scia di cristallo la sua guancia… In quel momento decise che non le importava sapere cosa le fosse veramente accaduto, voleva solo godere quell’attimo fino in fondo…
Con il cuore che le pulsava impazzito nel petto, Cho iniziò ad avanzare a piccoli passi timidi, guardandosi intorno, gioendo nel riconoscere quei luoghi familiari. Non riconoscendo una nota stonata in quello che stava vedendo. Solo dopo molto tempo, quando giunse nella piazza del mercato, si rese conto del profondo, innaturale silenzio che impregnava quella città. Si fermò improvvisamente, ricordando il vociare delle donne, le urla dei venditori, i pianti e le risate dei bambini, tutti i rumori che ne facevano una città viva, attiva; in quel momento Varfleet sembrava un città morta: cos’era accaduto? Dov’era tutta la gente? Rifiutava di credere che fosse stata sterminata, non aveva sentito alcuna notizia in questo senso. Un brivido che le scorse lungo la spina dorsale la avvertì di un pericolo che si stava avvicinando sempre più velocemente. All’istante portò le mani alla cintura, nel punto in cui portava i lunghi coltelli, trovando invece i foderi vuoti. Imprecò tra i denti maledicendosi. Da un viottolo che passava tra due case al margine della piazza comparve una figura avvolta in un mantello verde scuro, che rimase in piedi, allo sbocco ad osservarla. Cho fece altrettanto, notando che indossava abiti da cacciatore grigi come i suoi, comodi stivali di camoscio al ginocchio in cui erano infilati degli stiletti come quelli che portava lei, ed anche il mantello era come il suo, chiuso dalla stessa spilla a forma di aquila dalle ali spiegate che le aveva regalato il vecchio Baruk quand’era piccola. Si strofinò gli occhi scuotendo la testa, possibile che fosse il suo riflesso sulla nebbia? Ma la figura continuava a restare immobile, nello stesso punto, quasi come se la stesse studiando. Cho si sentiva a disagio in quella situazione: non sapeva chi era né cosa aspettarsi dall’altro e questo la innervosiva molto, come non le piaceva sentirsi sotto quello sguardo indagatore che percepiva da sotto il cappuccio. Per di più era la prima volta dopo tanti anni che si ritrovava senza i suoi fedeli coltelli e questo la faceva sentire nuda e vulnerabile. Vedere la figura che avanzava di un passo verso di lei la distolse dai suoi pensieri, portandola a concentrarsi solo su di essa che continuava ad avvicinarsi, un’immagine onirica, appena sfumata, che sembrava apparire e scomparire nel velo di nebbia che la circondava. La persona misteriosa si fermò a pochi passi da lei, ancora coperta dal mantello, ancora in silenzio, ancora studiandola immobile. Poi la sua voce la sorprese all’improvviso, femminile, bassa, densa e roca, così simile alla sua.
- Non devi temermi, non voglio farti del male, ma solo parlarti: è da tanto tempo che desidero farlo.- un tono divertito e tranquillo aveva colorato quella voce.
Cho non abbassò la guardia, le era sempre stato insegnato a non fidarsi degli altri: la fiducia era un bene troppo prezioso per poterlo concedere ciecamente a chicchessia, questo le aveva ripetuto fino alla nausea il vecchio Baruk, e per questo rimase immobile, aspettando la mossa successiva dell’altra persona, cercando di prevederla leggendo le variazione nel respiro e nel tipo di movimenti che eseguiva. Nel complesso era un tipo controllato, forse fin troppo, dava l’idea di essere finto…
- Chi sei? Cosa vuoi da me?- chiese dopo un altro lungo silenzio.
Sentì provenire uno sbuffo divertito da sotto il cappuccio che ancora inghiottiva il volto dell’altra.
- Ancora non hai capito chi sono?- chiese di rimando usando un tono sarcastico e retorico.
Cho aggrottò le sopracciglia, cercando di scrutare nel buio che circondava quel volto per scorgerne un particolare familiare, qualsiasi cosa che potesse farle capire chi aveva davanti. La risata dell’altra risuonò chiara e limpida ed un brivido le scorse lungo la schiena quando si rese conto che quella risata era così simile alla sua, neanche sua sorella aveva un tono di voce così affine al suo…
… Un’idea fece capolino nella sua testa, ma era così assurda che la respinse subito.
- Io sono te!- quella voce tranquilla annunciò quella verità scandendo le parole una ad una per non permettere che fossero confuse e fraintese, mentre le mani facevano cadere indietro il cappuccio, svelando sotto di esso il suo volto.
Lo stupore la sommerse lasciandola stordita. Le sembrava di essere davanti uno specchio, erano identiche! Non riusciva a credere di non essere davanti al suo riflesso in uno specchio, ma davanti ad una persona vera e reale come lei, era troppo assurdo! Ad una seconda occhiata, appena più calma e razionale, notò un particolare che le gelò il sangue nelle vene, ancora più sconvolgente della situazione che stava vivendo: quella ragazza era identica a lei in ogni più piccolo particolare ad eccezione degli occhi, le iridi con cui la stava guardando erano di un nero pece profondo, freddo e vuoto, oleoso e denso, privo di qualsiasi scintilla di vita… La stessa tonalità di nero che assumevano i suoi occhi quando usava la parte sbagliata del suo potere…
- Che… che significa…?- riuscì a chiedere forzando le parole in gola e pronunciandole a fatica.
- Esattamente quello che ho detto: io sono te! – rispose l’altra con un sorriso cordiale ma privo di qualsiasi calore, così freddo da farla rabbrividire – O meglio: io sono l’altra parte di te, quella più vera e potente… capisci ora?- quegli occhi neri le scivolarono addosso come due schegge di ghiaccio.
Cho scuoteva la testa in un’infantile negazione di quello che aveva davanti, indietreggiando di alcuni passi, rifiutando quella verità troppo scioccante per chiunque; semplicemente non poteva esistere una cosa simile! Tremava in tutto il corpo mentre il suo cervello si stava sforzando di trovare una via di fuga da quella follia.
- Non scapperai proprio adesso, vero?! Il caro vecchio Baruk sarebbe davvero molto, molto deluso di te, lo sai?!- il sorriso sulle sue labbra divenne un ghigno derisorio.
Il suo doppio spostò lo sguardo verso il cielo per un istante, e Cho si sentì come se delle catene invisibile l’avessero liberata di colpo: era bastato il suo solo sguardo per incatenarla a sé, come un potentissimo incantesimo. Deglutì cercando di forzare il nodo che le aveva serrato la gola, chiuse gli occhi e inspirò lentamente, riempiendosi i polmoni ed il cervello di quell’aria fredda che aveva il potere di sciogliere qualsiasi dubbio: doveva recuperare se stessa, ricacciare indietro la paura per quella situazione insolita e ritrovare la sua proverbiale freddezza e calma, per ragionare lucidamente e trovare un spiegazione logica a tutta quella follia…
Quando risollevò le palpebre le sue iridi erano cambiate, erano decise e brillanti, a dimostrazione che era ritornata padrona di se stessa e della situazione.
- Chi sei?- chiese questa volta calma e sicura, ma la paura della risposta continuava, nonostante tutto, ad aleggiare nei recessi della sua anima.
L’altra riportò le sue iridi su di lei e sorrise divertita e compiaciuta per il nuovo stato d’animo che percepiva in lei.
- Te l’ho già detto: io sono te!- rispose paziente.
- Non è possibile una cosa simile! Io sono io, non ci può essere un’altra me stessa al mondo!- ribatté Cho categorica.
La sua sosia sbuffò come se avesse davanti una bambina cocciuta che non voleva capire le verità più ovvie.
- Te lo spiegherò più semplicemente: io sono quella parte di te che è nata quando hai usato per la prima volta la parte distruttiva della tua magia, io impersono i tuoi desideri più nascosti, quelli che ti neghi continuamente per sciocco perbenismo, per seguire gli insegnamenti di un vecchio sentimentale, io sono quella che vorresti essere, che potresti essere se solo volessi, e che rifiuti di essere… Io sono la vera ed autentica Cho Black!- .
Quelle parole ebbero il potere di gelare sul posto Cho: la magia poteva veramente fare una cosa simile? Non riusciva a credere che la sua magia, seppure quella parte sbagliata e malvagia, avesse creato qualcosa dentro di lei, un essere animato e senziente che poteva fare le sue scelte ed agire come voleva a dispetto suo. Un lampo attraverso il suo cervello con la potenza di un fulmine, rischiarando un’idea ancora più terribile della precedente: era forse lei la presenza che avvertiva prendere il suo posto ogni volta che usava quel potere maledetto? Una presenza simile ad un sussurro che l’avvolgeva nelle sue spire, incantandola ed intorpidendo la sua mente… Una presenza indistinta ed indefinita, più un’idea astratta che concreta…
Il sorriso sul volto del suo doppio si ampliò, diventando più inquietante e ferino: aveva intuito in qualche modo che stava arrivando alla verità.
- Che cosa vuoi da me?- chiese Cho appena riuscì a ritrovare la forza per parlare.
- Il tuo corpo. – rispose con una semplicità disarmante, come se stesse esprimendo un’ovvia verità – Io voglio mettere in ginocchio questo mondo ed ho il potere per farlo, purtroppo mi manca un corpo tangibile, con cui muovermi a piacimento… è per questo che voglio il tuo corpo! Sono stanca di restare dietro le quinte ad osservare quanto stupidamente sprechi l’enorme potere che ti è stato concesso, voglio poter agire in prima persona, liberamente, fare tutto quello che più mi piace…- .
- E tu credi che io te lo permetta?- ribatté Cho Black sfoggiando un coraggio che non possedeva.
In quel momento si sentiva come sul ciglio di un burrone, ad ogni istante poteva cadere e perdersi per sempre, oppure mantenersi in piedi e continuare a lottare per la sua salvezza.
- Mi dispiace ammetterlo ma per ora non sono abbastanza forte da poter avere ragione di te, la personalità primaria del corpo; ma io sono un tipo paziente e prima o poi sarai costretta ad usare ancora ed ancora ed ancora quel potere che odi tanto ed allora io sarò pronta per affrontarti e sconfiggerti. Ancora non ti sei chiesta perché ti sono apparsa proprio ora e non anni fa?- ed il suo si trasformò in un sorriso saputo, crudele.
Cho Black ebbe paura del significato che intuì nascondere sotto quel discorso. Il suo doppio prese il suo silenzio per un invito a continuare la sua spiegazione, e lei lo fece con un piacere perverso.
- Ogni volta che usi la tua magia io divento più forte, mi nutro di quell’eccezionale energia che sprigioni ogni volta che ti trovi in sua balia e divento sempre più forte. Anche quando ti intrufoli nella mente degli altri riesco a rubare un po’ di energia, ma è sempre insufficiente rispetto a quando usi il tuo vero potere. – quella verità piombò su Cho con la forza di un fulmine, lasciandola sconvolta, senza respiro né parole – Per questo mi sono mostrata a te ora, prima non avevo l’energia necessaria per farlo, e neanche ora ad essere completamente sincera, ma sono stata aiutata dalle ferite che hanno indebolito ed infettato il tuo corpo.- .
Si interruppe gustandosi l’effetto delle sue parole sull’altra, trovandola sconvolta, sfinita, vacillante, sul punto d’infrangersi…
… aveva instillato il primo dubbio dentro di lei, un tarlo che l’avrebbe corrosa e tormentata incessantemente, portandola al punto di rottura, e quando sarebbe arrivato quel momento si sarebbe abbandonata volentieri alle sue braccia pur di non soffrire più.
Ora doveva darle l’ultima stoccata.
- Unisciti a noi, Cho, non ha senso seguire quel patetico Druido in una guerra che praticamente abbiamo già vinto.- .
- Noi?- chiese curiosa abboccando all’esca lanciata dall’altra, che sorrise soddisfatta.
- A noi, si! Al nostro sovrano Sorgon ed ai suoi Incubi!- e si fermò lasciando che quell’ultima verità si insinuasse dentro di lei.
- Ti sei alleata con Sorgon? – chiese senza più fiato – Ma come…?- .
- Come ho fatto, vuoi dire?! Ricordi quell’uomo che quand’eravamo ancora a Varfleet ti chiese di entrare al suo servizio? Era un emissario di Sorgon inviato per reclutarti, ma tu scioccamente rifiutasti l’offerta e scappasti da quel vecchio idiota. Ma lui aveva comunque percepito la mia presenza dentro di te, esattamente come un embrione nel ventre della madre,è entrato in contatto con me, ed io sono entrata al suo servizio come tutti gli altri hanno fatto prima di me. Noi non siamo il male, volgiamo solo ridare un volto nuovo a questo mondo devastato, gli uomini sono un cancro che presto o tardi si distruggerà portandosi via questo meraviglioso pianeta. Già innumerivoli volte è scampato alla distruzione a causa degli uomini. Ti assicuro che gli Incubi non sono gli esseri abominevoli che ti ha descritto quel Druido, sono solo creature spaventate, deformate e perse dalla magia con cui tanto si sono divertiti a giocare i Druidi. – Si fermò in una pausa ad effetto, trovando Cho sconvolta, ancora incapace di comprendere appieno la verità che si nascondeva dietro le sue parole – Dimenticavo che il Druido non ti ha spiegato l’origine degli Incubi. Sono umani piccola Cho, semplici esseri umani! – rivelò con un sorriso trionfante per quell’ultimo tiro andato a segno – A Paranor hai ucciso decine di esseri umani solo perché il Druido ti ha detto che sono esseri infernali; sei anche tu un essere malvagio, mi dispiace!- .
A Cho mancarono le forze di botto, crollò a terra premendosi le mani sulle orecchie per evitare di ascoltare quelle parole, urlandole con tutto il fiato che aveva in corpo di smetterla, di lasciarla in pace…
… non voleva sentire più niente! Voleva solo essere lasciata in pace…
L’altra Cho ormai aveva esaurito tutte le sue forze, perdendo la padronanza sull’incantesimo che aveva tessuto, ed attorno a Cho la falsa Varfleet aveva iniziato a vorticare, le case risucchiate nel turbine si allungavano come se qualcuno le stesse tirando per sradicarle, i colori si mischiavano diventando un unico indistinto colore. Su tutto regnava la risata dell’altra se stessa che stava svanendo come se fosse stata fatta di polvere rossa che veniva dispersa da una potente folata di vento.
Cho Black serrò gli occhi per scacciare tutto il resto, non voleva vedere né sentire altro, mentre le parole del suo doppio le scivolavano lentamente sottopelle, radicandosi nella sua anima ed iniziando ad avvelenarla.
La città attorno a lei si era dissolta ed ora era ritornata nell’accogliente buio della sua mente, mentre qualcuno invocava il suo nome con insistente dolcezza, richiamandola indietro.

Cho Black riaprì gli occhi all’improvviso, dimenandosi violentemente, scattando a sedere a mezzo busto, ancora urlando, ignorando il dolore delle ferite appena ricucite e bendate ed il sangue che aveva ripreso a scorrere inumidendole la pelle. Si sentiva intontita e stremata, aveva la gola arsa dalla sete, e brividi gelidi le serpeggiavano sotto la pelle arroventata dalla febbre. Nella mente e davanti agli occhi ancora le immagini di quanto aveva appena vissuto.
Subito mani ferme e gentili le si serrarono sulle spalle e le braccia, forzandola a distendersi nuovamente. Come una belva in trappola Cho si volse ritrovandosi circondata da gnomi vestiti di tonache bianche, i loro volti ed occhi gialli la fissavano tranquilli e severi, mentre la sospingevano verso il giaciglio. La sua mente stremata non riusciva a capire come fosse finita nella mani degli Gnomi e questo la spaventò enormemente, ricominciò a scalciare ed urlare, invocando invano il nome di Allanon, mentre attorno a lei stavano cercando di immobilizzarla. La ragazza avvertì il bordo di un calice posarsi sulle sua labbra secche ed una sostanza che odorava di erba medica scivolarle in gola, mentre il dolce del miele ne stemperava il sapore amaro, ingannandola.
Subito sentì venirle meno le forze ed il mondo scivolò via dai suoi sensi riportandola nel buio…

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Finalmente sono riuscita a ritornare con un nuovo capitolo. Il fatto è che non riuscivo a fare un inizio soddisfacente, mi sembrava sempre troppo prolisso e pesante; alla fine ho scritto questo… speriamo bene! ^^ Allora, come nella migliore tradizione del maestro, in questo capitolo entreranno in scena due nuovi personaggi, uno dei quali è… no menglio se lo scoprirete da soli^^.
Voglio ringraziare Stefania: sono contenta che ti sia piaciuto l’altro capitolo ed il doppio di Cho. Esatto: la magia è un’arma a doppio taglio, può salvare o dannare chi la usa… E tutti coloro che hanno anche solo la fic: Grazie!!!! ^o^
Non mi resta che augurarvi buona lettura, alla prossima gente \^o^/



Capitolo 5.



La coscienza di Cho riemerse lentamente dal limbo nero in cui aveva riposato fino a quel momento. La prima che avvertì fu un morbido tepore che le scaldava la pelle del volto e delle braccia, da sotto le palpebre riusciva a vedere un brillante chiarore. Si sentiva sfinita, confusa e dolorante; sentiva la mente impastata e un sapore amaro impregnarle la bocca. Cho rimase immobile a lungo a godersi quella dolce immobilità, senza pensare o provare nulla, come se avesse la mente ed il cuore svuotati; semplicemente si sentiva bene, come se quella luce avesse avuto il potere di disperdere, momentaneamente, le tenebre che le avviluppavano il cuore. Perché ricordava fin troppo bene la fuga dagli Incubi a Paranor e l’incontro con il suo doppio da qualche parte all’interno della sua testa. A quel pensiero un’ondata di dolore la sommerse, mozzandole il fiato in gola, e, per riflesso, serrò la mascella fino a sentire il sapore ferroso del sangue in bocca. Il sonno non aveva cancellato i suoi ricordi, li aveva solo tenuti a bada fino al suo risveglio, non le aveva permesso di dimenticare: dentro di lei la paura, l’angoscia e la disperazione erano più che tangibili. Le parole del suo doppio le martellavano nella testa e nel cuore, diventando come tanti aghi che la pungolavano senza sosta, in un dolore continuo. No, non poteva credere che quelle creature contorte e disarticolate che aveva spazzato via nella rocca dei Druidi fossero uomini! Non poteva reggere una simile responsabilità, sarebbe stato molto più facile credere che le parole del suo doppio erano menzogne per farla crollare e condurla alla pazzia. Eppure quella voce melliflua identica alla sua non la smetteva di sussurrarle da qualche parte nelle profondità della sua mente, che un fondo di verità doveva pur esserci! Infondo Allanon non le aveva spiegato nulla, le aveva solo ordinato di armarsi e partire, ma non le aveva svelato alcuna verità… Se la magia aveva avuto il potere di creare un’entità autonoma e senziente dentro di lei, perché non poteva degenerare un corpo umano fino a farlo diventare l’essenza stessa del male?
Cho spalancò gli occhi di scatto, la risposta a quella domanda era una verità troppo pericolosa per lei in quel momento ed aveva preferito sfuggirle. La luce del sole ferì i suoi occhi ormai abituati al buio e fu costretta a richiuderli infastidita. Dopo qualche secondo batté le palpebre per poter affrontare la doccia di luce dorata che pioveva dalla finestra sotto cui era posto il suo letto, il cielo ad di là del vetro era di un azzurro così limpido da accecare, su cui riposavano qua e la nuvole candide e sfilacciate. Era una splendida giornata, una di quelle in cui avrebbe corso in tutte le Streleheim, libera come il vento che tiepido che giocava con le tende bianche, sollevandole appena e lasciandole ricadere. Le mancava la sua Foresta! Avrebbe voluto tornare indietro e rifiutare l’incarico di Allanon, continuare a vivere la sua vita semplice e ripetitiva, senza minacce né paure…
Ed invece eccola li, distesa in un letto chissà dove, dopo essere sfuggita per miracolo alla morte ed al suo potere. Qualcosa dentro di lei era cambiata irrimediabilmente, qualcosa che nemmeno quanto accaduto a Varfleet aveva potuto intaccare e che, invece, in pochi giorni era avvizzita fino a morire, senza più la speranza di rifiorire.
Socchiuse gli occhi cercando di rilassarsi e di calmare la sua mente in subbuglio, era ancora troppo stanca e quelle sensazioni sembravano avere il potere di prosciugare quelle poche energie che era riuscita ad accumulare con il riposo. Quando riuscì quantomeno ad imporsi di non pensare a cose sgradevoli in quel momento, nella mente di Cho balenarono le immagini di facce ed occhi gialli, di piccole e tozze mani dello stesso colore che si aggrappavano alle sue spalle ed alle braccia per costringerla a sdraiarsi di nuovo… facce di Gnomi!
Fu in quel momento che ricordò del suo brusco risveglio e del liquido amaro che le avevano fatto bere e che l’aveva fatta scivolare in un pesante sonno senza sogni. Come aveva fatto a finire in mano agli Gnomi? Di certo gli Incubi avrebbero dovuta ucciderla senza pietà invece di consegnarla a quel popolo primitivo e superstizioso; probabile che, come durante l’attacco del Signore degli Inganni cent’anni prima, si fossero schierati con l’essere più potente per paura di venire spazzati via? Eppure non le sembrava di essere una prigioniera… sollevò le braccia trovandole effettivamente prive di ceppi e catene, stessa cosa per le caviglie; le avevano pulito e curato le ferite che aveva riportato nello scontro e dato qualcosa che la aiutasse a riprendere le forze… non era così che si trattavano i prigionieri!
Spinta dalla curiosità di scoprire dove fosse e cosa le fosse accaduto, Cho, lottando contro la debolezza ed il dolore, riuscì a mettersi seduta sulla sponda del letto, e scoprì di indossare solo un camicione bianco. Si guardò intorno: si trovava in una capanna di mattoni e legno, con una sola stanza che conteneva il letto su cui era distesa con accanto un comodino su cui era poggiata una brocca con un catino, e più dentro l’ambiente c’era un tavolo rettangolare con accostate un paio di sedie di paglia e su cui erano poggiati, ordinatamente, i suoi pugnali e coltelli, non c’era traccia dei suoi vecchi vestiti da cacciatrice. Cho sorrise sollevata di non averle perse durante lo scontro, era particolarmente affezionata alle sue armi, rappresentava tutto quello che le rimaneva della sua vita a Varfleet. Cautamente si sollevò sul letto, sentendo subito le gambe deboli e tremanti, ed appoggiandosi a tutto quello che incontrava riuscì a raggiungere la porta. L’aprì e si trovò davanti le strade accuratamente pulite e mantenute di un piccolo villaggio, su cui si affacciavano ordinatamente piccole case a due piani costruite con legno e pietre squadrate e perfettamente incastrate l’una con l’altra. Sforzando ancora di più il suo fisico, costrinse le sue gambe ad avanzare ancora, la breccia che crepitava sotto i suoi piedi tagliandole la carne. Sentiva i polmoni così pesanti da non riuscire a pompare sufficiente aria, il villaggio iniziò ad ondeggiare e sfumare davanti i suoi occhi, e le gambe le cedettero di colpo. Sarebbe caduta pesantemente al suolo se due braccia non l’avessero sorretta. Cho si ritrovò premuta contro un torace ampio e forte, dai contorni stranamente familiari, sollevò lentamente la testa, fino a trovarsi ad incrociare il volto severo di Allanon.
- Perché non sei rimasta buona a letto se non ti reggi in piedi?- la rimproverò aspramente mentre cercava di rimetterla in piedi.
Cosa ci faceva Allanon davanti a lei? Era veramente riuscito a sfuggire alla trappola che gli avevano teso gli Incubi nella biblioteca di Paranor? Incredula, ignorando il rimprovero del Druido, staccò una mano che stringeva la stoffa della tunica nera e la sollevò fino a che le punte delle sue dita non toccarono il volto arcigno dell’uomo. Attraverso la pelle sentì il suo calore e la morbida consistenza delle sue guance: era vivo davvero! Il sollievo che l’attraversò fu così doloro da farle salire le lacrime agli occhi, ed avrebbe veramente pianto se solo avesse ricordato come si faceva. Sorrise riportando la mano ad appoggiarsi sul braccio che ancora la sosteneva per i fianchi.
- D… dove siamo?- la sua voce era un flebile sussurro, incerta come la stabilità delle sue gambe.
- Dove vuoi che siamo? A Storlok!- rispose con il suo solito tono burbero.
- A Storlok?- chiese stupita.
- Certo! Eri ferita così gravemente che sei stata ad un passo dalla morte, gli Gnomi hanno impiegato sei ore per rattopparti a dovere, ma hai perso ugualmente molto sangue e sei stata quattro giorni in coma.- .
Il vecchio Baruk le aveva parlato spesso di Storlok e dei suoi abitanti: era un gruppo di Gnomi che avevano rifiutato ogni forma di violenza, avevano lasciato le rispettive tribù ed avevano fondato quel villaggio dove curavano chiunque ne avesse bisogno, a prescindere dalla propria origine. Erano i veri benefattori delle Quattro Terre, nemmeno i Druidi potevano avere un simile vanto!
- Riesci a rimetterti in piedi?- la voce di Allanon la strappò ai suoi pensieri.
Cho batté un attimo le palpebre, come se dovesse assimilare e percepire le sue parole, prima di annuire. Puntandosi sugli avambracci dell’uomo si fece forza per rimettersi dritta, cercando di raddrizzare anche le gambe che sembravano non voler rispondere ai suoi comandi.
- Devo parlarti di quello che ho scoperto a Paranor, ce la fai a venire nel refettorio?- chiese appena la vide in un equilibrio un po’ più stabile.
- Dammi solo qualche minuto per togliermi questa cosa di dosso.- annuì Cho.
Aveva scioccamente sperato di non dover più sentir parlare di quella missione, di non dover più essere costretta ad usare la sua magia, ed invece…
Scosse la testa dandosi della stupida: Allanon non avrebbe mai rinunciato alla sua ricerca né avrebbe acconsentito a lasciarla andare, ma era anche lei stessa a non voler tornare indietro in quel momento: aveva ricevuto una pesante sveglia che l’aveva costretta a rendersi conto che non stavano giocando, ma aveva anche aperto anche molti interrogativi ai quali era decisa a dare una risposta, primo fra tutti la verità sull’origine degli Incubi; e poi voleva anche scoprire se c’era qualcosa che Allanon o chiunque altro nelle Quattro Terre potesse fare per aiutarla a liberarsi del suo doppio. Rientrò nella sua baracca e notò delle cose che prima non c’erano: degli abiti da cercatore sul tavolino accanto alle sue armi, ed un vassoio contenente un po’ di pane e formaggio, ed un boccale di birra sul letto. Cho si sedette sul letto scoprendo improvvisamente di avere una gran fame; man mano che mangiava sembrava che le forze le tornassero. Quando ebbe finito indossò i comodi abiti ed assicurò i foderi con i suoi due pugnali al cinturone, prese un profondo respiro d’incoraggiamento, ed uscì. Camminava lentamente prendendo ampie boccate d’aria, era ancora molto debole e la vista ogni tanto le si offuscava, ma almeno non si sentiva più le gambe tremare così tanto da costringerla a cadere.
Il refettorio era una costruzione a pianta rettangolari, con i muri in mattoni rivestiti di intonaco bianco e zoccolo in pietrame squadrato grossolanamente, il tetto a spiovente era costituito da grossi travi di legno ricoperti da paglia secca. Cho si fermò un attimo sotto il pergolato che ombreggiava l’ingresso dell’edificio, ancora tormentata da quegli occhi nero pece che le lampeggiavano ad intervalli irregolari nella mente in una muta miccia e dalla voglia di scappare da tutto quello; ma gli insegnamenti del vecchio Baruk erano troppo ben radicati dentro di lei per farle sopportare un simile atto di vigliaccheria. Inspirò profondamente, abbassò la maniglia spingendo il battente della porta ed entrò nel refettorio.
L’ambiente appariva più grande rispetto all’esterno, era percorso longitudinalmente da quattro lunghi tavoli rettangolari ai quali erano affiancate da un lato e dall’altro degli scranni altrettanto lunghi; fece un passo all’interno guardandosi intorno ed i tacchi dei suoi stivali batterono sul terreno duro del cocciopesto, le travi del soffitto invece erano a vista, incastrate perfettamente l’una all’altra in un delicato equilibrio. Allanon era seduto al tavolo più appartato infondo alla sala, Cho notò sorpresa che non era solo, dall’altra parte erano seduti un giovane elfo dai capelli colore del grano maturo ed una corporatura stranamente imponente per uno della sua razza; ed un nano dall’aspetto duro e severo, dava l’idea di essere sopravvissuto a mille battaglie e di aver vissuto altrettante vite. A passi misurati li raggiunse e si sedette accanto al Druido, guardando sempre gli sconosciuti.
- Per prima cosa facciamo le presentazioni – esordì il Druido – Lui è Graham Wood, uno dei migliori guerrieri di cui disponga la Nazione dei Nani.- .
Cho scrutò a lungo negli occhi nocciola del Nano simili a schegge di vetro sotto cui si agitavano sentimenti e pulsioni che non riusciva a capire, ma che dovevano essere insopportabili. Lo salutò con un piccolo cenno della testa, evitando inutili e vuoti formalismi. E che il nano ricambiò con gesto simile, ma secco.
- Lui invece è Mael Shannara, attuale capitano della Guardia Elfa.- ed il Druido la fissò con un’espressione quasi divertita, attendendo la sua reazione.
- Shannara?- chiese con un piccolo stiramento di labbra, deludendolo un po’.
- Sono il pronipote del più famoso Jerle.- rispose l’elfo con un sorriso dolce.
Cho lo scrutò a lungo, cercando nemmeno sapeva bene lei cosa, prima di presentarsi a sua volta. Dalle loro espressioni curiose capì che Allanon doveva avergli spiegato almeno l’essenziale su di lei.
- Li ho mandati a chiamare io mentre eri in stato d’incoscienza, per farci aiutare nella nostra ricerca. – spiegò il Druido a Cho – Consultando le Storie dei Druidi ho scoperto che il popolo fatato aveva costruito lo Scrigno come una sorta di prigione per i membri della loro comunità che avevano smarrito il cammino e che, quindi, erano un pericolo per il resto della comunità; quando si resero conto che la razza umana stava prendendo il sopravvento, nascosero lo Scrigno per impedire che cadesse nelle mani sbagliate, ed ancora oggi si trova nel suo nascondiglio. – si fermò per scrutare uno ad uno i presenti – Lo Scrigno di Diamante Viola è custodito nell’Oasi dell’Illusione.- .
Ci fu un momento di silenzio perplesso, Mael e Graham si guardarono cercando l’uno risposte nello sguardo dell’altro.
- Non ho mai sentito parlare di quest’oasi… dove si trova?- chiese l’elfo.
- È proprio questo il punto, le Storie non forniscono un’ubicazione precisa, dicono solo che si trova oltre i territori meridionali, al centro esatto di quello che dalla descrizione sembra un deserto. Il punto è che in quella regione ci sono molti deserti vasti e letali, e non possiamo certo setacciarli uno ad uno!- rispose il Druido scuotendo la testa.
- Prova a chiedere al vecchio Baruk.- propose Cho durante una nuova pausa silenziosa.
Allanon si volse verso di lei, piantando i suoi occhi incandescenti nei suoi.
- Chi sarebbe questo Baruk?- chiese cercando di nascondere la nota di impazienza che minacciava di colorargli la voce.
- È l’uomo che mi addestrato, prima che lasciassi Varfleet; e molto saggio e conosce molte cose che la maggior parte delle persone ignorano. Non so se potrà dirti con esattezza dove si trovi quest’oasi, ma sono più che sicura che potrà indicarti la strada giusta.- .
Il Druido non poté fare a meno di notare che aveva parlato solo di lui, che non aveva incluso anche se stessa; qualcosa dietro quegli occhi verdi era cambiata e non gli piaceva non sapere a cosa fosse dovuto.
- Allora andremo da questo Baruk sperando che possa dirci qualcosa di utile.- sospirò l’uomo passando uno sguardo interrogativo sugli altri due componenti della squadra.
- Per me va bene!- rispose con un altro sorriso Mael.
- Da qualche parte dobbiamo pur iniziare…- grugnì Graham.
- Solo una cosa – intervenne di nuovo Cho – Io a Varfleet non posso entrare, dovrete farlo voi.- e distolse lo sguardo da loro.
- E perché?- chiese il Nano con tono sospettoso.
Cho riportò lentamente lo sguardo sul Nano, uno sguardo impenetrabile, in cui poteva leggere che non avrebbe mai fatto concessioni né a lui né a nessun altro dei presenti.
Allanon intervenne per evitare il peggio: quei due erano entrambi spiriti forti, abituati ad imporsi su se stessi e gli altri, e sarebbe stata dura costringerli a convivere civilmente durante tutta la spedizione…
- Se Cho starà bene, partiremo dopodomani prima dell’alba. – decretò il Druido – Ci sono domande?- .
- Si, io!- rispose Cho dopo una piccola pausa di silenzio.
Il Druido si volse verso di lei, invitandola a parlare con lo sguardo.
- Qual è la vera natura degli Incubi?- chiese con un lampo di sfida negli occhi.
Sapeva che chiedere quello ad Allanon era equivalente ad un suicidio, ma non aveva potuto esimersi dal farlo. Sperava che il Druido si lasciasse sfuggire una briciola di verità che potesse alleviare il suo dolore, perché il dubbio era atroce, la stava corrodendo dall’interno, e forse era proprio quello che voleva il suo doppio…
- Perché mi fai una simile domanda?- chiese l’uomo sospettoso.
- La loro origine è umana, vero?!- insistette consapevole di camminare su un terreno pericoloso.
Un lampo passò sul volto teso di Allanon, mentre i suoi occhi neri si facevano sempre più impenetrabili; nel complesso l’espressione sul suo volto era raggelante!
- Chi ti ha detto una cosa simile?- chiese con furia malcelata nella voce.
Ad Allanon non piaceva che le cose sfuggissero al suo controllo! Prima di lasciare il suo rifugio al Perno dell’Ade aveva pianificato attentamente ogni cosa, scegliendo accuratamente cosa potesse dire e cosa no, e quella era decisamente una delle cose che quella ragazzina non avrebbe conoscere. La conoscenza era un potere illimitato, ma poteva anche essere devastante per chi l’apprendeva… per questo la dispensava a piccole dosi.
- Non è questo il momento per rispondere alla tua domanda, ti spiegherò l’origine degli Incubi a tempo debito!- rispose e senza darle tempo di ribattere si allontanò da loro con un ampio svolazzo del suo nero mantello.
Cho rimase a lungo a fissare la porta dalla quale era uscito Allanon. Anche se non aveva parlato in qualche modo aveva risposto alla sua domanda: c’era qualcosa di imbarazzante dietro la nascita degli Incubi, e probabilmente, da come aveva reagito, erano veramente esseri umani… A quel pensiero strinse la mani a pugno così forte da trapassarsi i palmi con le unghie: era una prospettiva agghiacciate quella! Aveva già sperimentato quanto insopportabile fosse il peso di aver tolto la vita ad una persona, quello l’avrebbe uccisa…

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Mi scuso per questo enorme ritardo, ma sto scrivendo la tesina per la triennale… che stressssss!!!!!!!! >.< Voglio ringraziare come sempre Stefania: sono molto contenta che ti sia piaciuto l’altro capitolo, ho avuto un po’ di difficoltà a scriverlo perché mi sembrava un po’ pesante, quindi sono contenta che ti sia sembrato ben scritto! ^^ Vedrai che ti combino con Graham e Cho *.* poveri Allanon e Mael che dovranno fare da paciere ^^’’’ Scommetti che Allanon li ucciderà prima di arrivare all’Oasi? -__^ Questo capitolo è ancora ambientato a Storlok, il prossimo sarà a Varfleet ^^; Alaide: il mio ego sta saltellando tutto allegro per il tuo commento, sai?! -_^ Scherzi a parte: sono sempre sollevata quando mi dicono che sto facendo un buon lavoro con Allanon e la storia tutta, perché ho sempre paura di fare qualcosa di sbagliato e scadere nel ridicolo, quindi grazie di cuore ^^ Sono contenta anche che ti piaccia Cho (sono molto affezionata a lei ^^) e ti ringrazio per aver inserito questa fic tra i tuoi preferiti ^^ ; Ringrazio anche Vodia che ha inserito la fic tra i suoi preferiti, e tutti coloro che hanno letto fin qua e leggeranno e commenteranno questo capitolo! ^^
Non mi resta che augurarvi buona lettura, alla prossima gente \^o^/



Capitolo 6.



La pioggia scrosciava pacata dalle grosse nubi grigie che coprivano il villaggio da un orizzonte all’altro, squarciate ad intervalli irregolari da lampi che le tagliavano illuminando per un attimo tutt’attorno, mentre in lontananza si udiva il minaccioso brontolio dei tuoni. Nonostante fosse metà mattina, la luce era bassa e cupa, quasi crepuscolare, mentre un leggero velo di nebbia si iniziava a sfumare i contorni delle case e degli alberi; l’aria era impregnata dell’odore di legno ed erba umida. A tratti un vento gelido e penetrante spazzava il villaggio, facendo piegare pericolosamente in avanti gli alberi e sollevando piccoli vortici di umide foglie gialle. L’autunno era infine giunto a reclamare quello che gli spettava.
Cho stava seduta sulla sponda del laghetto che si trovava ai margini di Storlok, a gambe incrociate e mani abbandonate il grembo, apparentemente inconsapevole della temporale che la stava infradiciando. Osservava apaticamente le acque appena increspate del ritmico tamburellio della pioggia, come se non le stesse guardando davvero, ignorando i vestiti umidi ed il fango che le si attaccavano addosso rubandole calore: era come se in quel momento non fosse realmente li.
Un lampo illuminò la campagna a giorno, seguito dal rimbombo di un tuono così forte che fece tremare il terreno sotto di lei; come se questo l’avesse destata, Cho sollevò lentamente il viso verso il cielo, i capelli fradici incollati ai lati del viso e del collo, a formare intricati arabeschi neri, in uno strano contrasto con il colore abbronzato della sua pelle, socchiudendo le palpebre e lasciando che le gocce le scorressero sulla pelle come affilate lame ghiacciate.
Si sentiva sbattuta e persa esattamente come quelle foglie si salice cadute sulla superficie del laghetto che venivano sballottate da un lato all’altro dalla furia del vento…
… Si sentiva come se stesse cadendo a corpo libero in una voragine immensa e buia ed attendesse soltanto di arrivare alla fine…
Una sensazione di soffocamento le stringeva la gola, strappandole tutta l’aria dai polmoni; le vertigini la colpivano all’improvviso accompagnate da un violento senso di nausea, che la sommergevano piegandola in due e le rivoltandole lo stomaco con contrazioni dolorose.
Per la prima volta nella sua vita si sentiva persa e confusa, non riusciva a risollevare le sue difese, a scacciare i cattivi pensieri per concentrarsi solo su quello che l’attendeva da quel momento in poi; le sembrava di essere attraversata dalle scariche di corrente dei fulmini, di essere percorsa da una sottile ansia, come se fosse in attesa di qualcosa che sarebbe dovuta accadere da un momento all’altro…
Che mi sta succedendo? Non poté fare a meno di chiedersi, scoprendo quanto fosse cambiata, in peggio, da quando aveva lasciato le foreste di Streleheim. Era come se fosse ritornata la bambina spaurita che sei anni prima aveva abbandonato Varfleet…
Quella mattina era uscita dal suo alloggio molto presto e, ignorando la debolezza che sentiva ancora piegarle le gambe e le nubi che minacciavano piogge, aveva iniziato a vagabondare per le strade del villaggio in cerca di un luogo in cui stare sola e pensare un po’. E poi, per caso, si era imbattuta in quel laghetto, la cui superficie liscia ed immobile sembrava un enorme specchio di metallo incassato nel terreno, un solo, vecchio e saldo salice tendeva il suo tronco arcuato verso le sue acque, mentre i lunghi rami pendenti ne sfioravano appena le acque. Le era bastato avvicinarsi a quel luogo e poggiare il palmo di una mano su quel tronco per capire che quel luogo l’aveva invocata da quando aveva messo piede al villaggio.
Per questo si era seduta sull’erba fredda ed umida, e si era messa in paziente attesa di quella calma che sempre la colmava quando si trovava in luoghi mistici come quello; una calma che in quel momento tardava ad arrivare. Di solito le bastava abbandonarsi alla natura per poter ritrovare se stessa, perché dubbi e paure svaporassero da dentro di lei come nebbia al sole…
… Eppure quella volta i pensieri sembravano davvero troppi e tenaci, sembravano aver messo salde radici dentro di lei e si rifiutavano di abbandonarla…
Quella volta sembrava che quel legame che riusciva sempre a creare tra sé e la natura non servisse a nulla…
Si era spesso chiesta da dove venisse quella strana sensazione di poter far parte del mondo naturale, era un qualcosa che aveva sempre provato, a volte era così tangibile da convincerla che era nient’altro che la rosa avviticchiata al muro che stava guardando, altre volte era solo un debole sussurro, una labile voce dentro di lei simile all’eco di passato lontano…
… come una canzone, una melodia dolce ed intensa che le vibrava sottopelle, allargandosi in modo ritmico e regolare a tutto il corpo, sprofondando in ogni recesso della sua mente e della sua anima, sprofondandola in un torpore ipnotico e viscoso…
Non sapeva nemmeno come funzionasse per la verità, era come un qualcosa che si accendeva dentro di lei senza alcun preavviso né controllo; all’inizio l’aveva spaventata, come per ogni altro aspetto del suo potere magico, ma col tempo aveva imparato a conviverci ed a trovarla decisamente piacevole, come sensazione.
Aveva provato a chiedere consiglio al vecchio Baruk una volta, ma anche lui non aveva saputo darle una vera e propria spiegazione, l’aveva ascoltata a lungo, attentamente, descrivere in modo confuso tutto quello che provava in quei momenti di intontimento ed abbandono totali, prima di ipotizzare una possibile influenza di quella parte del suo sangue che ancora derivava dalle fate. Infondo anche se erano passate troppe generazioni, la magia del mondo fatato influenzava ancora gli eredi della famiglia Black con la magia, perché non poteva incidere su di loro anche in altri modi?
Una raffica gelida la investì violentemente alle spalle increspando la sua pelle umida in decine di brividi. Cho riaprì gli occhi ed abbassò lentamente il volto fissando i rami del salice dondolare violentemente e le foglie sbattere l’una contro l’altra producendo un piacevole suono secco e vuoto.
Un’abitante del mondo fatato ed un essere umano.
Come era potuta avvenire un’unione simile?
Le avevano sempre raccontato che le fate non si mescolavano con gli esseri umani, erano creature superiori dedite solo alla cura della natura, legate esclusivamente alla propria natura puramente magica che li aveva messi su un piano più elevato rispetto a quello umano, quasi immateriale…
… Gli esseri umani appartenevano ad una razza inferiore nella loro natura tangibile che non permetteva loro di elevarsi al di sopra della propria condizione, erano i responsabili delle catastrofi che avevano causato gli sconvolgimenti di quel mondo e che erano arrivati a modificarne addirittura la geografia…
Appartenevano a due mondi diversi ed incompatibili tra loro, per questo le era sempre sembrata un’unione impossibile!
Se non ci fosse stata la prova tangibile ed inconfutabile dei suoi poteri, avrebbe creduto che fosse solo una leggenda, niente più di una delle favole che la mamma le raccontava prima di andare a dormire…
… Invece il sangue fatato era una realtà, una terribile eredità che ogni Black doveva affrontare, accettare e sopportare senza potersi ribellare.
Se ora si trovava in quella situazione lo doveva alla scelta dei suoi antenati, pensò con un moto di rabbia immotivata; il suo potere terribile ed innocente insieme, il peso che ora portava sulle spalle e la minaccia sempre presente del suo doppio… doveva tutto a loro!
Chinò la testa in avanti, come in un inconscio atto di resa, lasciando che la pioggia le bagnasse la nuca e scivolasse lungo la sua schiena, sperando quasi che quei brividi potessero scuoterla in qualche modo dallo stato depressivo in cui era piombata.
Troppe domande senza risposta si affollavano attorno a lei, assediandola, soffocandola con la loro impalpabile, onnipresente presenza. La paura stava lentamente prendendo possesso di lei, confondendola sempre di più, impedendole di ragionare razionalmente.
Si sentiva come se si trovasse in piedi sull’orlo sdrucciolevole di un profondo abisso e non ci fosse nessuno che potesse aiutarla a salvarsi.
Si sentiva spaventata ed infinitamente sola.
Tutto il mondo spiegato davanti a lei, in tutta la sua vastità e pericolosità, e nessuno al suo fianco che potesse indicarle la via per percorrerlo indenne.
Il morbido ripetersi dei rumori di quell’acquazzone fu interrotto da un altro rumore diverso, per nulla intonato agli altri: era come il fruscio di una veste appesantita dall’umidità.
A Cho bastò chiudere gli occhi per capire chi fosse il disturbatore delle sue riflessioni.
- Ti prenderai un malanno se continuerai a restare sotto la pioggia.- l’avvertì, infatti, la voce secca e disinteressata di Allanon.
La ragazza riaprì gli occhi tenendoli sempre puntati nel grigio cupo delle acque dello stagno. Come faceva a comparire sempre nei momenti in cui stava peggio? Era un caso oppure possedeva un vero sesto senso che lo portava nel posto giusto al momento giusto? Preferì non rispondere a quella domanda, il solo pensare che avesse una simile qualità l’irritava! La vedeva come una violazione della sua intimità, una limitazione ai suoi diritti di stare da sola con se stessa, di sentirsi male…
Vedendo che la ragazza continuava a restare in silenzio osservando qualcosa di indefinito davanti a sé, il Druido sospirò di fronte alla sua cocciutaggine, per poi spostarsi accanto a lei e sedersi sull’erba opportunamente avvolto nel suo mantello.
Osservò il volto di Cho di sottecchi e scoprì nei suoi lineamenti tirati e pallidi un tormento straziante che minacciava di farla annegare nella disperazione; non era rimasto quasi nulla della ragazzina ferita ma serena che si nascondeva nelle Streleheim.
Davanti quegli occhi verdi cupi e persi, i suoi sospetti che fosse accaduto qualcosa di grave a Paranor prima del suo arrivo si acuirono fino a diventare delle certezze. Durante lo scontro con gli Incubi era accaduto qualcosa che aveva mutato qualcosa dentro di lei, qualcosa che la stava corrodendo dall’interno lentamente ed inesorabilmente.
E poi quella domanda che gli aveva fatto il giorno prima sulla vera natura degli Incubi…
… ancora non era riuscito a trovare una spiegazione logica al come lo avesse saputo, era un segreto che i Druidi avevano celato gelosamente per secoli e che persino a lui era stato svelato da un riluttante Bremen poco prima che lasciasse il Perno dell’Ade…
Dal modo in cui aveva posto la domanda sembrava che Cho sapesse solo che originariamente erano esseri umani e questo poteva essere un male: le mezze verità erano ancora più dannose delle verità più sconvolgenti apprese per intero!
Gli mancava un tassello del mosaico per capire appieno cosa le stesse accadendo e lui, in quel momento, capì di odiare il non poter far nulla per lei, odiava vederla in quello stato!
Avrebbe potuto chiederle cosa le stesse accadendo, ma sapeva già che non avrebbe ottenuto alcuna risposta, quella mocciosa era così ostinata che era sicuro che avrebbe cercato di risolvere tutto da sola, rifiutandosi di chiedere aiuto anche quando si sarebbe trovata impossibilitata a procedere…
- Allanon – la voce di Cho lo raggiunse attutita dallo scrosciare della pioggia e dall’ululato del vento, dopo un lungo, pesante silenzio – La mia magia è malvagia?- gli chiese con una nota di esitazione a velarle la voce.
Il Druido osservò a lungo il suo profilo teso ed inquieto, ostinatamente tenuto fermo davanti a sé, cercando di comprendere cosa si nascondesse in realtà dietro quella domanda: sapeva che era uno dei nodi fondamentali che la stavano torturando, per questo non avrebbe mai osato sperare di arrivarci così presto, era stato più propenso a credere che avesse deciso di dare da sola una spiegazione a quella domanda, anche se avesse dovuto pagarne il prezzo in lacrime e sangue. Allanon spostò lo sguardo verso il laghetto, voleva concedersi qualche momento per ponderare accuratamente le parole con cui risponderle; perché lui aveva visto cos’era capace di fare quando dava ascolto alla metà sbagliata del suo potere, cosa potesse diventare quando cadeva preda di quella furia gelida ed implacabile. Un brivido gli serpeggiò lungo la schiena al ricordo di quegli occhi neri gelidi ed oleosi, annuncio di una morte imminente e per nulla pietosa; occhi di demone!
- La magia non è mai buona o cattiva, è solo se stessa!- rispose alla fine, con un lungo sospiro, scandendo bene le parole.
- Questa non è una risposta!- protestò debolmente Cho.
- È l’unica che posso darti.- rispose lui con calma tornando a voltarsi verso di lei.
Il Druido vide Cho chiudere gli occhi, come se volesse allontanarsi da tutto e tutti, trovare un angolo di pace dalla tempesta che la stava straziando dentro e fuori, per potersi permettere di riflettere con tranquillità. L’intensità della pioggia diminuì non riuscendo più a stemperare il soffio gelido e rabbioso del vento che in quel momento aveva ricominciato a soffiare; il velo di nebbia continuava a sollevarsi in banchi sempre più grossi e spessi, dando l’idea di enormi batuffoli di cotone che si stavano sfilacciando nella campagna circostante.
Cho risollevò le palpebre e riportò lo sguardo sul Druido, svelando il verde dei suoi occhi che poteva rivaleggiare con quello puro dell’erba, al cui interno vorticavano dolorosamente in tortuosi arabeschi luminosi, lampi dalla malia quasi ipnotica.
- Mi stai dicendo che la natura della magia è data dall’uso che se ne fa?- chiese in un basso mormorio che lo raggiunse a fatica.
Allanon non riuscì a riconoscere il tono di voce che aveva usato: c’era sicuramente ansia, ed anche speranza, ma gli altri sentimenti che l’avevano tinta a spesse pennellate cos’erano?
- Esatto! La magia è un’energia che nasce e si sviluppa dalle forze naturali, se ne può attingere un po’ alla volta e con grande attenzione, perché è altamente instabile e si rigenera con lentezza; depredare la terra di quest’energia provocherebbe danni quasi irreparabili, porterebbe ad un’alterazione del delicato equilibrio che regola questo mondo. Per questo motivo se si usa la magia in rispetto delle sue leggi allora può essere definita buona; se invece se ne fa l’uso contrario, sovvertendo qualsiasi legge e controllo, questa è una magia malvagia. Ma allo stato naturale la magia non ha alcun carattere, è solo se stessa, un concentrato di energia che può essere plasmato in migliaia di modi differenti, ma sempre con cautela perché l’uso della magia comporta sempre un prezzo da pagare.- .
- … Già…- rispose Cho con un piccolo sorriso ironico sulle labbra.
Al Druido diede l’impressione di sapere esattamente cosa volesse dire con quelle parole…
… che stesse già pagando il suo prezzo?
Una raffica di vento li colpì di fronte, facendogli scivolare il cappuccio del mantello dalla testa e sollevando ed ingarbugliando i lunghi capelli neri di Cho, che rimase impassibile, come se quelle invisibile dita gelide non le scivolassero lungo la pelle strappandole brividi e calore; quando il vento si allontanò da loro continuando la sua corsa più lontano, la pioggia cessò quasi completamente di cadere, lasciando che poche gocce continuassero a scendere su di loro aritmicamente. Le nuvole cominciarono a diradarsi perdendo il loro colore grigio cupo, permettendo così alla luce di filtrare più carica, facendo scintillare di deboli riflessi argentei le gocce di pioggia intrappolate sulle foglie e tra i fili d’erba.
Sotto lo sguardo indefinibile di Allanon, Cho si rimise in piedi vacillando un po’, intorpidita dalla posizione tenuta a lungo e dal freddo che si era impossessato dei suoi arti. Riportò lo sguardo sul Druido ancora seduto sull’erba ed un pallido sorriso le stirò le labbra, illuminando appena il suo sguardo; un sorriso così diverso da quello entusiasta, da bambina che aveva appena ricevuto il regalo che desiderava da tanto tempo, che gli aveva rivolto a Paranor…
- Grazie!- mormorò senza distogliere lo sguardo dal suo.
Uno sguardo privo di imbarazzo, che parlava più di un discorso intero, carico di significati e sottintesi, uno sguardo con cui cercava di raccontargli tutto quello che stava provando e niente in particolare.
Mentre si allontanava ad Allanon sembrò che le sue spalle fossero innaturalmente curvate in avanti, come se stesse sopportando un peso così gravoso da non riuscire a sorreggerlo completamente.

Controllò per l’ultima volta il contenuto della sua sacca quindi tirò il laccio e lo chiuse con un solido nodo. Lasciò la sacca sul letto e si volse per prendere il cinturone che legò in vita sopra la camicia scura da cacciatore; agganciò i due foderi di cuoio duro alla cintura ed impugnò uno alla volta i suoi due coltelli, si assicurò che le lunghe lame fossero sufficientemente affilate passandoci il polpastrello del pollice su, quindi li infilò nei foderi. Infilò un altro paio di pugnali negli stivali alti fino al ginocchio, quindi afferrò il mantello e, passandoselo attorno alle spalle con un ampio volteggio, se lo chiuse sul collo con la solida spilla a forma di aquila, che brillò debolmente quando fu colpita dalla luce perlacea di quella debole alba. Osservò il suo riflesso nello specchio dell’armadio di fronte al letto: era sempre la stessa, era sempre lei, eppure ad un’occhiata più attenta si potevano notare sottili ma innegabili differenze, soprattutto nello sguardo ora più cupo e meno sereno; era cambiata, un cambiamento più profondo e meno visibile, ma che l’aveva inevitabilmente cambiata. Quante volte ancora sarebbe mutata prima della fine di quella storia? Sospirò chiedendosi se alla fine sarebbe riuscita a riconoscere ancora il suo riflesso…
Si guardò un’ultima volta intorno per assicurarsi che ogni cosa fosse in ordine e che avesse preso tutto, sollevò il cappuccio sulla testa fin quasi a coprire il viso ed uscì da quell’alloggio che l’aveva ospitata fino a quel minuto prima; si richiuse la porta alle spalle senza fare rumore, mentre il cuore le martellava nel petto impaurito da quello che l’attendeva al di fuori di essa.
La ghiaia umida che ricopriva la via scricchiolava sotto i suoi passi, sulla sua testa il cielo era ancora coperto da pesanti nuvole grigie, ma sembravano non minacciare pioggia, almeno per il momento.
I suoi compagni di viaggio l’attendevano già all’ingresso di Storlok, per un istante si chiese cosa provassero nell’iniziare quel viaggio che sembrava solo un incosciente salto nel vuoto.
- Alla buon’ora! Cos’è, non riuscivi a svegliarti stamattina?!- chiese sarcastico Graham appena avvertì il suo arrivo.
- Sono arrivata perfettamente puntuale, né un minuto in più né uno in meno!- rispose lei con una leggera sfumatura d’irritazione nella voce, senza distogliere lo sguardo da quello del Nano.
Immobili l’uno di fronte all’altro, i loro occhi fiammeggianti e fieri piantati in quelli dell’altro, affrontandosi e provocandosi in una sfida su chi avrebbe ceduto per primo all’altro; nessuno dei due aveva accettato completamente la presenza dell’altro, per motivi diversi ma ugualmente tenaci, ed entrambi erano più che disposti a sfruttare qualsiasi occasione per ribadirlo.
- Su, su: non iniziate già di prima mattina!- si intromise Mael, con il suo solito sorriso dolce e rassicurante.
Cho distolse lo sguardo da quello dell’altro sbuffando sonoramente; Graham incrociò le braccia nodose al petto borbottando animatamente.
Allanon sospirò vedendoli, chiedendosi per l’ennesima volta se avesse fatto la cosa giusta a metterli nello stesso gruppo; di sicuro c’era che lui e l’elfo avrebbero avuto un gran daffare a tenerli a bada.
- Se avete finito con i vostri battibecchi…- esclamò ironicamente il Druido indicando la strada che si snodava davanti a loro che avrebbero dovuto percorrere.
Lanciandosi di sottecchi sguardi rabbiosi, incolpandosi a vicenda di quel rimprovero, i due si aggiustarono la sacca in spalla e si incamminarono precedendo gli altri.
Cho non si voltò mai, continuò a tenere lo sguardo fisso in avanti: i dubbi e le paure non erano spariti, anzi, continuavano a restare ben presenti e radicati dentro di lei, ma aveva promesso a se stessa che avrebbe dato una risposto ad ognuno di quei quesiti che le stavano marcendo dentro.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Finalmente sono riuscita a ritornare! Chiedo venia per il vergognoso ritardo, ma, purtroppo, mi ero impantanata sulla parte conclusiva di questo capitolo. Inizialmente l’avevo scritto in un modo, ma era insoddisfacente. Ho rimuginato a lungo su come chiuderlo ed alla fine… è finito così! Comunque i nostri eroi sono finalmente riusciti a raggiungere Varfleet! ^^ Voglio ringraziare Alaide: Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo precedente (me tanto, tanto emozionata ^//^) e che ti sia piaciuto il modo in cui ho gestito le cose. Spero di essere riuscita a mantenere Allanon IC anche in questo capitolo -.- Stefy: Sono contenta che ti sia piaciuta l’altalena tra i sentimenti di Cho ed il temporale attorno a lei ^^ Eh si, infondo l’inattaccabile Allanon si è un po’ affezionato a lei ^o^ In questo capitolo sono riuscita a farli stare un po’ calmi quei due… ma non so quanto durerà! -.- Lo ripeto: poveri Allanon e Mael!
Ringrazio Alaide, Sesshoyue, Stefy_81 e Vodia che hanno inserito questa fic tra i loro preferiti (me inchino) ed anche tutti coloro che hanno anche solo letto: GRAZIEEEE!!!!!
Adesso vi lascio al capito, al prossimo gente, baciotti -____^



Capitolo 7.



La luce ambrata del tramonto illanguidiva i contorni del paesaggio dando a tutto un aspetto onirico. Un soffice strato di nuvole violacee copriva il cielo, tagliato da lame di luce insanguinata. Il sole, ridotto ad una chiazza sanguigna al di la delle Montagne di Runne, allungava le ombre di alberi e cespugli, mentre la pianura ondeggiava dorata sotto la spinta del freddo vento serale. Ad oriente stavano già brillando nel cielo indaco le prime stelle.
Cho, seduta davanti al fuoco che scoppiettava allegro nel circolo di pietre, osservava quel panorama così dolorosamente familiare. Era nata in quelle regioni e tutte le sere della sua infanzia avevano goduto di una simile bellezza. In tutti gli anni dell’esilio che si era autoimposta non aveva mai dimenticato quanta bellezza struggente potesse esserci in un tramonto autunnale, quanta nostalgia avesse dell’oro e dell’ambra che coloravano la pianura in quel periodo dell’anno.
Eppure provava anche una fastidiosa sensazione di disagio, che contribuiva a peggiorare il suo umore già tetro. Avevano marciato per una settimana intera, rallentati ed intralciati dalle sue condizioni fisiche ancora non proprio ottimali, che costringevano gli altri a frequenti soste. Non era mai stata veramente malata e quella sensazione di debilitazione la irritava, soprattutto se ad essa si aggiungeva lo sguardo di Graham, uno sguardo sdegnoso in cui poteva leggere tutta la sua disapprovazione: il Nano credeva fermamente che le donne non erano affatto tagliate per quella vita, per affrontare lunghe marce e pericoli costanti, ed il suo comportamento glielo stava solo confermando. Per questo Cho, colpita nell’orgoglio, aveva iniziato ad ignorare caparbiamente la spossatezza, a costringersi ad andare avanti anche quando sentiva le gambe piegarsi sfinite sotto il suo peso e la vista annebbiarsi in un vortice ovattato che confondeva tutti i colori.
Cho sospirò riportando l’attenzione su ciò che la circondava in quel momento: Allanon era seduto con la schiena contro una roccia al limitare estremo dell’accampamento, la testa china e nascosta dall’ombra del mantello, le mani intrecciate e nascoste dentro le ampie maniche; il Nano era seduto dall’altra parte del fuoco, quasi di fronte a lei, ed era intento ad affilare con una cote le lame della sua micidiale alabarda.
Mael si era allontanato più di una mezz’ora prima alla ricerca di altra legna per il fuoco, la ragazza sospettava che si volesse semplicemente allontanare dalla pesante atmosfera che gravava su di loro. Man mano che si avvicinavano alla loro meta, il suo umore era divenuto sempre più suscettibile e, per conseguenza, anche quello di tutti gli altri. Spostò lo sguardo ad occidente, sull’inaccessibile muraglia rocciosa delle Montagne di Runne, come se già potesse scorgere al di la di esse le possenti mura turrite di Varfleet. Il giorno successivo sarebbero giunti davanti le porte della città. A quel pensiero un crampo di paura le contorse le viscere. Chiuse gli occhi come per sottrarsi a quella vista, ma, come se evocati dai suoi stessi pensieri, i ricordi ruppero l’argine dietro cui li aveva rinchiusi per tanti anni e si riversarono nella sua mente travolgendo ogni cosa, strappandole il respiro.
Risentì nelle orecchie i sussurri accusatori di chi parlava alle sue spalle, il battere metallico delle catene sulle pietre, il fruscio della corda prima legata e poi strappata, il violento rimbombo delle urla, il serrato scalpiccio degli stivali che correvano sull’acciottolato, il ritmo scoordinato del suo respiro, il cupo vorticare del sangue dentro le sue vene, il lugubre lamento di coloro che avevano assistito…
Rivide quegli occhi grigi guardarla con paura e disprezzo, quelle mani indesiderate spingerla contro il legno ed immobilizzarla, rivide il fuoco liberarsi violento e vorace sotto i suoi occhi…
Una mano gentile si poggiò sulla sua spalla e Cho riemerse dai suoi pensieri con un singulto spezzato, spaventata portò istantaneamente la mano all’impugnatura del pugnale, e solo in un secondo momento riuscì a districare nella nebbia che le velava lo sguardo, il volto gentile e preoccupato di Mael. Gli occhi dell’elfo scrutarono attentamente il suo viso contratto e teso, la pelle imperlata di sudore gelido. Qualcosa nell’espressione di Cho lo convinse a non fare domande. Le sorrise e le porse la rosa che teneva stretta tra le dita.
- Il sorriso ti dona di più.- le disse mentre le labbra gli si schiudevano nel sorriso più dolce che avesse mai visto e che la trapassò da parte a parte come una stilettata.
Cho osservò i suoi occhi color miele, sentendo uno strano, doloroso calore colarle nel petto, stringere il suo cuore in una morsa bollente che le fece rallentare il respiro. Un imbarazzante pizzicore ai lati degli occhi le ricordò che era tantissimo tempo che non riceveva più una gentilezza disinteressata…
Spostò lo sguardo imbarazzato sulla rosa, osservandone i petali bianchi come la neve screziati di venature sanguigne. Non ricordava nemmeno più quando era stata l’ultima volta che qualcuno aveva avuto un pensiero per lei, qualcuno che le aveva sorriso gentilmente dandole qualcosa. Forse era stato il vecchio Baruk quando le aveva forgiato per lei i pugnali che ancora portava alla cintola. Passò la punta delle dita sulla vellutata consistenza dei petali, il più leggermente possibile, come se temesse di poterli rompere.
- Grazie.- un sussurro imbarazzato troppo difficile da pronunciare.
Sotto lo sguardo dolce e contento di Mael, depose delicatamente la rosa in una scatola di latta che teneva costantemente nella sua sacca e che conteneva i pochi ninnoli che era riuscita a portare con sé nella sua fuga. Quindi Cho riportò lo sguardo sulle fiamme che danzavano elegantemente davanti al suo sguardo.
Della sua vita a Varfleet ricordava soprattutto il profondo, gelido silenzio che l’avvolgeva. Per le sue capacità magiche, ovunque andasse era guardata sospetto, era temuta per quello che immaginavano avrebbe potuto fare loro con i suoi poteri. Da piccola soffriva per questo isolamento incomprensibile, sputando in faccia a chiunque la guardasse con disprezzo tutto il suo odio e dolore; spesso, dopo aver scoperto la duplice natura del suo potere, si era immaginata a scagliarlo contro tutte le persone che le avevano fatto del male, pentendosene appena dopo: in quel modo avrebbe solo avvalorato le loro ipotesi sulla sua pericolosità.
Non capiva perché ce l’avessero tanto con lei che non aveva mai fatto del male a nessuno.
Il vecchio Baruk aveva provato a spiegarle che la loro era solo paura. Cento anni prima la magia era stata la causa scatenante di miserie e devastazioni che avevano portato le Quattro Terre sull’orlo della distruzione. Il Signore degli Inganni, nella sua marcia di conquista verso le terre degli Elfi, aveva attraversato, con il suo sterminato esercito, quelle terre. Varfleet non aveva potuto nulla contro l’avanzata di Gnomi, Troll e creature demoniache: era stata razziata e rasa al suola, i suoi abitanti massacrati ed ogni cosa era stata data alle fiamme. Il ricordo di quella devastazione era rimasto nella mente dei pochi superstiti che erano riusciti a mettersi in salvo oltre le mura e lo avevano tramandato ai loro discendenti. Per questo gli abitanti di Varfleet temevano la magia. Era una paura ancestrale, profondamente radicata dentro di loro, acuita dalla superstizione. L’unica colpa di Cho era quella di essere nata con quella terribile eredità. Un marchio indelebile che l’avrebbe accompagnata fino alla morte, che l’avrebbe resa un elemento di disturbo tra la sua gente, una pericolosa creatura indesiderata.
Era cresciuta con una fame disperata di qualcosa dentro di sé. Voleva che gli altri riconoscessero il suo valore e l’accettassero nella loro comunità, ma ogni volta che tentava falliva miseramente.
Più urlava forte per reclamare la loro attenzione più loro voltavano la testa dall’altro lato, ignorandola, ingigantendo a dismisura il silenzio ed il gelo che la circondava.
Poi la paura che i suoi concittadini provavano per lei raggiunse il suo acme, esplodendo violenta ed inarrestabile, tramutandosi in cieco terrore e lei aveva dovuto abbandonare Varfleet per salvare la propria vita. Aveva abbandonato tutto e tutti, e si era nascosta come una lepre braccata dai cacciatori nelle foreste di Streleheim. Sola ed impaurita aveva dovuto mettere a frutto tutte le conoscenze che gli aveva trasmesso il vecchio Baruk, quasi avesse previsto che prima o poi sarebbe accaduto qualcosa di simile, ed imparare a badare a se stessa, a sconfiggere lo sconforto e la nostalgia, a vivere solo di se stessa dimenticandosi di tutto il resto del mondo. Ed ora eccola di nuovo li, a pochi passi dalla sua città natale, da quegli uomini che sicuramente la stavano ancora cercando dopo tanti anni.
Era solo un’incosciente, come soleva dirle ridendo il suo maestro.
- Parlami di questo Baruk.- la voce secca ed incolore di Allanon ruppe il silenzio.
Cho sollevò la testa di scatto battendo alcune volte le palpebre, come se fosse appena emersa da un sogno. Spostò i suoi occhi verdi sulla figura avvolta dalla penombra del Druido, i cui occhi la scrutavano dall’ombra del cappuccio scintillando nella luce del fuoco. Anche Mael e Graham si volsero a guardarlo.
Increspando le labbra in una smorfia dubbiosa, la ragazza allontanò a fatica lo sguardo da quello dell’uomo, come se fosse stato impigliato in spesse catene, per poi spostarlo davanti a sé, sulle fiamme che scoppiettavano allegramente. Rimase per un lungo istante in silenzio, come per raccogliere le idee: stranamente si ritrovò incapace di fornire dettagli sull’uomo che l’aveva addestrata per tanti anni.
- Il vecchio Baruk non mi ha mai parlato di sé, mi ha sempre detto che non era così importante, che l’unica cosa che conta davvero è il futuro. – parlava lentamente, scandendo bene le parole e fissando le lingue di fuoco che danzavano sinuose nell’aria della sera, come se avesse potuto trovare in esse tutte le risposte – E’ sempre stato al mio fianco, fin da bambina, non ricordo un solo giorno in tutta la mia vita a Varfleet che non lo abbia avuto accanto. È comparso una notte di pioggia quando è nata mia sorella, la mamma era morta nel darla alla luce e non avevamo altri parenti; mio padre era partito per una battuta di caccia qualche mese prima e non l’ho mai più rivisto. Mi ha detto di essere un vecchio amico di mio nonno e che era li per aiutarci, doveva saldare un vecchio debito con lui. Così ha iniziato ad insegnarmi tutto quello che sapeva ed ad allenarmi con i coltelli ed i pugnali. Facendo tutto quello che era in suo potere per proteggerci. – si perse in un’altre lunga pausa di silenzio.
Poi lentamente Cho sollevò la mano destra e la portò al fianco, impugnando il lungo coltello ed estraendolo dal fodero. Lo portò davanti a sé, lasciando che il fuoco strappasse bagliori insanguinati dal piatto della lama ben lucidata ed affilata.
- Questi coltelli li ha forgiati lui per me, ha detto che mi sarebbero stati utili al momento opportuno.- mormorò appena udibile.
I penetranti occhi neri del Druido studiarono a lungo il suo volto teso e lo sguardo malinconico, illuminati dalla luce del fuoco.
- Posso vederne uno?- chiese poi allungando una mano, che emerse dal buio come gli artigli di una belva feroce.
Cho fissò quella mano diffidente: non le piaceva separarsi dai suoi coltelli, come non le piaceva che fosse qualcun altro ad impugnarli, era come se quelle lame fossero diventate un’estensione del suo corpo, come se fossero diventati parte integranti di lei. Passò uno sguardo veloce da quella mano ancora protesa verso di lei all’arma che stringeva tra le dita. Quindi impugnò la lama per la punta e tese il suo coltello al Druido. Appena quelle dita si strinsero sull’elsa allontanando la lama da lei, un ruggito furioso esplose nella sua testa, improvviso e violento, facendola allontanare di scatto. Guardò sconvolta e spaurita il Druido, che la stava esaminando di rimando con un’espressione accigliata.
- Tutto bene Cho?- le chiese la voce gentile dell’elfo seduto al suo fianco.
La ragazza si volse verso di lui, il volto pallido e sudato, lo sguardo quasi febbricitante.
- Si… si… non preoccuparti: va tutto bene!- rispose con un pallido sorriso per nulla convincente.
Il Nano, continuando a passare la cote sul filo della propria alabarda, borbottò qualcosa di indistinto contro l’inaffidabilità delle donne.
Cho si raggomitolò su se stessa incassando la testa tra le spalle in un inconscio gesto di difesa, nella speranza che la luce delle fiamme spazzasse via le tenebre che sentiva dilagare dentro di sé, mentre cercava di arginare l’inquietudine che le stava impregnando il petto. Aveva riconosciuto quella voce, ad urlare era stata l’altra Cho, come la chiamava lei, e non doveva aver gradito che il Druido impugnasse il coltello. Se ne chiese il motivo. Da quando le si era rivelata stranamente riusciva a sentirla dentro di sé con molta chiarezza, come una presenza al margine della sua anima, un sussurro ai confini della sua mente. Istintivamente sapeva che si trovava li, dentro di lei, che osservava tutto quello che faceva e che rideva di lei. Si chiese quanto ancora sarebbe durato quell’avanzare in equilibrio precario sulla lama di un rasoio, per quanto ancora sarebbe riuscita a tenerla a bada. Una cosa l’aveva decisa: avrebbe usato il suo potere solo in caso di estrema necessità, non poteva permettersi di fornirle altra energia, di diventare sempre più forte. Aveva paura. Si sentiva sempre più sull’orlo di un abisso che avrebbe potuto inghiottirla da un momento all’altro. Si sentiva persa e sola, incapace di fare qualsiasi cosa.
Intanto l’attenzione di Allanon era completamente concentrata sul coltello che teneva fra le mani: era un’arma semplicemente perfetta! La lama era perfettamente temprata e bilanciata, era leggera e facile da brandire, l’elsa era sagomata in modo da essere facilmente impugnata dal palmo sottile di una donna. I suoi occhi neri scintillarono mentre passava il pollice sul filo, come per saggiarne l’affilatezza.
- Abbine molta cura!- disse a Cho con uno strano tono mentre le restituiva l’arma.
Cho annuì osservando il druido perplessa: perché le aveva detto una cosa simile? Osservò ancora una volta i bagliori ambrati che danzavano sulla lama, quindi la ripose con cura nel fodero di cuoio, sorridendo sicura allo scatto secco e familiare della chiusura.

Il cielo dell’alba era limpido e di un azzurro chiarissimo, l’aria fredda e secca. Varfleet emergeva dalla nebbia morbida ed opalescente che si innalzava dal terreno come una serie di cuspidi e torri.
Allanon li aveva svegliati poco dopo mezzanotte, pretendendo che arrivassero alla città prima che le porte venissero aperte: Sorgon ed i suoi scherani erano sulle loro tracce, avevano poco tempo ancora per scoprire l’esatta collocazione dell’Oasi e recuperare lo Scrigno. Così a marce forzate, avvolti dal buio di quella notte senza luna, con il freddo e l’umidità che penetravano fin dentro le ossa, avevano coperto l’ultimo tratto che li separava dalla meta.
Ed orano erano li, nascosti nella boscaglia umida di rugiada e nebbia, in attesa che venisse suonato il corno e che venissero aperte le porte.
Dopo tanti anni di lontananza Cho si ritrovava nuovamente a casa. Riassaporò ogni particolare familiare di quel paesaggio, ogni suono ed odore. Riuscì quasi a percepire il momento esatto in cui la luce di quel pallido sole sorto da poco, aveva iniziato a disperdere la nebbia. Poco alla volta le mura sorsero la mare fumoso che le avvolgeva, rivelandosi alla vista in tutta la loro imponenza.
Una dolorosa nostalgia iniziò a pulsare nel cuore di Cho. Desiderava ripercorrere quella piana erbosa, che tante volte aveva attraversato da bambina a piedi nudi, fino a trovarsi sotto le mura. Desiderava varcare la grande porta di bronzo ed entrare nel dedalo intricato di quelle case sorte disordinatamente dopo la distruzione operata dal Signore degli Inganni. Desiderava riempirsi i polmoni di quel mare di odori familiari e sfuggenti, pungenti e caratteristici di Varfleet. Desiderava percorrere quel piccolo vicolo che conduceva all’officina del vecchio Baruk e riabbracciare lui e sua sorella.
Desiderava l’impossibile.
Con un sospiro pesante rientrò nel folto della boscaglia, quasi a nascondersi, e poggiò la schiena contro il tronco di un albero.
- Tra poco potremo entrare!- annunciò la voce autoritaria del Druido.
Graham e Mael annuirono all’unisono assicurando le armi nei foderi.
- Io non verrò con voi!- la voce di Cho provenne decisa, bassa e cupa da oltre il fogliame.
Allanon si girò verso di lei ed i suoi occhi neri lampeggiarono pericolosamente.
- Tu verrai con noi! – il tono con cui pronunciò quelle parole non ammetteva repliche – Entrerai in città con noi e ci guiderai da questo Baruk!- .
Cho in qualche modo riuscì a sostenere lo sguardo infuriato del Druido, uno sguardo che sembrava volerle strappare la pelle di dosso e perforarle l’anima.
- Non posso entrare a Varfleet! – ripeté scuotendo la testa – Il perché lo capirai una volta dentro la città!- .
Allanon fece in tempo a vedere un lampo di disperazione illuminare quegli occhi verdi, prima che Cho abbassasse lo sguardo ed iniziasse a rovistare nella sua tasca.
- Il vecchio Baruk vive nel quartiere degli artigiani, costruito all’altro capo della città, proprio sotto le mura orientali. È un fabbro e la sua officina si trova sulla sponda del fiume che hanno incanalato in città per servire il quartiere. Appena entrate prendete la prima svolta a destra e proseguite dritti, sotto la porta orientale svoltate a nord, dopo poco entrerete nel quartiere degli artigiani. Il vecchio Baruk è un uomo diffidente, difficile da trattare, quindi mostragli questo e digli che sei con me. Solo allora ti crederà!- e gli tese un qualcosa di luminoso che teneva nel palmo.
Il Druido allungò la mano dalle dita adunche e prese l’oggetto che gli veniva porto: poteva essere solo il capolavoro di un mastro gioielliere, tanto era perfetto! La collana in oro bianco dalla maglia sottilissima riluceva come raggi di luna, sostenendo un ciondolo dello stesso materiale a forma di orchidea dalla bellezza straordinaria. Osservandolo il Druido si accigliò.
- Lo ha fatto il vecchio Baruk per il mio compleanno. In tutte le Quattro Terre non ne esiste un altro simile. Per questo capirà che te l’ho dato io e si fiderà di te.- spiegò Cho.
- Se non si può proprio fare altrimenti…- sospirò Allanon infilando il ciondolo nelle pieghe del mantello.
- Grazie! Vi aspetterò qui!- sorrise davvero riconoscente la ragazza.
- Donne! Non ci si può mai fidare di loro: creano più problemi di un intero esercito di Gnomi!- borbottò Graham scuotendo la testa disgustato.
Cho stava per ribattere a tono, quando Mael si frappose tra loro.
- Allanon io vorrei restare qui con lei.- propose con il solito tono gentile.
- E per quale motivo?- chiese tra i denti serrati il Druido.
Il Nano borbottò qualcosa di incomprensibile mentre si allontanava verso lo sbocco della boscaglia.
- Gli Incubi saranno sulle nostre tracce, l’hai detto tu stesso, quindi per la nostra incolumità è necessario attirare il meno possibile l’attenzione degli altri. Credi che un elfo passerebbe inosservato li dentro? È raro che il popolo abbandoni le terre occidentali e scenda a sud, attireremmo sicuramente l’attenzione di tutti ed è proprio quello che dovremmo evitare.- .
Davanti la logica dell’elfo, Allanon dovette dare a malincuore il suo assenso: il successo della loro missione dipendeva dal grado di invisibilità con il quale riuscivano a rivestirsi.
Un suono alto e lamentoso squarciò il silenzio in cui era immersa la boscaglia e la valle: il corno annunciava l’apertura delle mura.
Con un ultimo sguardo di avvertimento il Druido ed il Nano si congedarono, dirigendosi verso l’immensa porta urbica. Cho li seguì con lo sguardo finché non si mescolarono con la massa di artigiani, contadini ed allevatori venuti a vendere le loro mercanzie in città. La nostalgia e la rabbia si acuirono in lei che poté soltanto dare le spalle al luogo in cui era nata, la patria che le era stata strappata per ignoranza e paura, costringendola ad una precaria vita da vagabonda.
Sogni…
…Non erano altro che stupidi sogni, i suoi…
… e tali sarebbero rimasti!

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Salve, salvino gente ^O^ Mi scuso per il mostruoso ritardo con cui ho aggiornato questa fic, ma questo capitolo mi ha creato non pochi problemi. All’inizio avevo pensato di concentrarvi molte rivelazioni su Cho, ma, rileggendolo, mi era sembrato saturo, così alla fine ho dovuto cancellarlo e riscriverlo, calibrando le altre notizie in capitoli posteriori. Spero quindi che adesso vada meglio ^^ Ringrazio Stefy: Mi scuso per averti fatto aspettare tanto per il nuovo capitolo. Sono contenta che il VII ti sia piaciuto e spero che ti piaccia anche il Mael di questo capitolo, non era programmato, è uscito da solo, baciooo ^O^ Ringrazio Alaide, Sesshoyue, Stefy_81 e Vodia che hanno inserito la fic tra i preferiti, Vodia che ha inserito la fic tra i seguiti e tutti coloro che hanno anche solo letto( me tanto, tanto commossa ç_ç).
Adesso vi lascio alla lettura, al prossimo capitolo gente -____^



Capitolo 8.



Oltrepassare la porta urbica di Varfleet procurò ad Allanon un brivido lungo il collo. Era la prima volta in un secolo che ritornava nella sua città natale, ed una sottile, insistente malinconia gli invase lo stomaco. Nella sua mente sfrecciarono i ricordi di quel giorno di tanti anni prima in cui la città venne distrutta per capriccio dall’esercito del Signore degli Inganni. Rivide i suoi genitori venire dilaniati dai demoni, scomparire in un lampo di sangue rosso. Sentì nuovamente il sapore della polvere e della cenere impastargli la bocca, l’odore di carne bruciata nelle narici. Le urla terrorizzate e colme di dolore dei suoi concittadini riecheggiarono strazianti nelle sue orecchie e nel suo cuore, addolorandolo. Credeva che dopo cent’anni quei ricordi si fossero offuscati, invece stava ritrovando ogni suono, ogni odore, ogni sentimento pulsare vivo dentro di lui. Si guardò attorno incuriosito constatando che non era cambiato niente dalla sua infanzia. L’unico elemento estraneo ai suoi ricordi era l’imponente cerchia delle mura che ora cingeva la città, segnando un confine netto tra la parte interna ed il mondo interno, segno della paura degli abitanti di un nuovo attacco. Tutto il resto era rimasto immutato. Le case in pietre squadrate incastrate l’una con l’altra che si innalzavano su uno zoccolo di pietrisco e malta, ed il tetto di grossi tronchi di legno, che si ammassavano confusamente sulle strette vie in terra battuta e ghiaia che tagliavano irregolarmente il perimetro urbano.
- Allanon guarda qui!- la voce di Graham lo distolse dai suoi pensieri.
Il Druido si volse lentamente, trovando il Nano fermo a pochi passi da lui, in piedi avanti un pannello di legno scuro su cui erano affissi gli avvisi cittadini. Si avvicinò e seguì lo sguardo del compagno di viaggio. Su un foglio di pergamena ingiallito e logoro, si scorgeva un ritratto a carboncino di una Cho bambina. Non era cambiata molto dalla ragazza introversa che conosceva, lo vedeva dagli occhi che cercavano di nascondere un profondo dolore dietro uno sguardo impenetrabile, che sembrava più adulta della sua età. Fece scorrere lo sguardo sul foglio e, tra le lettere sbiadite vergate con tratto rapido ed elegante, scoprì che era un avviso di taglia per omicidio. Corrugò la fronte non riuscendo a far coincidere l’immagine della ragazza che conosceva con quella di un’assassina. Eppure lui stesso aveva visto la creatura oscura ed incontrollabile in cui si trasformava quando era in preda alla parte malvagia del suo potere, aveva visto con i suoi occhi la facilità con cui poteva uccidere. Una bambina spaventata avrebbe potuto perdere facilmente il controllo su di un potere così vasto e sconosciuto.
- Che ne pensi?- chiese il Nano.
- Andiamo. Il vecchio Baruk potrà darci le risposte che cerchiamo!- e senza accertarsi che l’altro lo stesse effettivamente seguendo, imboccò uno dei vicoli.
Camminarono a lungo seguendo le indicazioni di Cho, attraversando quartieri tutti uguali che ripiegavano su se stessi in prossimità delle mura. Varfleet era una città relativamente nuova, non ancora immessa nei grandi traffici commerciali, soffocata dal controllo della più grande e potente città di Tyrsis. Si intuiva dal livellamento delle risorse economiche su tutti gli abitanti: ancora non era emersa una potente classe elitaria che avrebbe preso il controllo della città. Ma Varfleet sarebbe diventata davvero una grande città lontana com’era dalla rotta commerciale del Mermidon o con la sua posizione nascosta alla base delle montagne di Runne?
Il quartiere degli artigiani era caotico ed affollato, l’aria era satura di odori vari e contrastanti sui quali dominava quello della legna bruciata, da ogni parte provenivano urla ed il battere del maglio sul ferro. Seguirono le indicazione fornite loro da Cho e raggiunsero una modesta casetta a due piani in legno addossata alle mura orientali. Fermi davanti la recinzione di paletti di legno, notarono che tutto il pianoterra era adibito ad officina. Allanon aprì il cancello d’ingresso e si diresse deciso verso l’entrata. L’ambiente era surriscaldato dalle alte temperature raggiunte del divampare delle fiamme nella fornace, saturo di fumo, un uomo piuttosto anziano, con indosso solo un paio di pantaloni sdruciti ed un grembiule di cuoio conciato, era in piedi davanti ad cuneo, teneva fermo con delle tenaglie un pezzo di ferro incandescente sul quale batteva ad intervalli regolari con il martello. Sempre tenendolo per le tenaglie immerse l’oggetto metallico nell’acqua fredda, facendola sfrigolare ed evaporare. Approfittando di quel momento di pausa, il Druido entrò nell’officina, mentre Graham si tenne in disparte, intuendo che quella era una trattativa che doveva portare avanti da solo.
- Sei tu colui che chiamano Baruk?- domandò a voce alta sfrattando tutta l’autorità che gli era propria.
Il fabbro si volse verso di lui, scrutandolo con circospezione. I muscoli delle braccia e del collo si gonfiarono automaticamente, mettendo in mostra tutta la potenza acquisita da lunghi anni di quel lavoro. Era pronto a difendersi da qualsiasi minaccia.
- Dipende da chi lo chiede!- rispose togliendo quella che ora capirono essere la lama di una spada dall’acqua.
- Mi chiamo Allanon e sono qui per avere delle risposte.- .
L’uomo sollevò ancora una volta gli occhi neri su di lui, palesemente sorpreso nell’udire quel nome. Una strana corrente scaturì da quel lungo scambio di sguardi, ed ognuno imparò qualcosa sull’altro.
- Come puoi vedere sono un fabbro, le risposte non fanno parte del mio mestiere. Per quelle vai da un maestro.- e prese a picchiare con il martello il nuovo pezzo di metallo incandescente che aveva appena tolto dal fuoco.
- Mi era stato detto che solo tu potevi darmi le risposte che cerco.- insistette il Druido.
Il vecchio Baruk rise di gusto sentendo quelle parole.
- Davvero? E chi ti avrebbe detto questo?- .
- Cho Black.- rispose semplicemente Allanon.
Il fabbro si volse di scatto verso di lui, pronto a cacciarlo a pedate dalla sua officina, ma ogni traccia di rabbia sfumò quando vide quello che l’altro teneva nel palmo della mano che teneva tesa verso di lui. Avrebbe riconosciuto quel ciondolo tra mille altri. Abbandonò il suo lavoro e si avvicinò al Druido, con una mano tremante prese il pendete tra le dita, osservandolo attentamente, come se temesse che fosse tutto un sogno destinato a dissolversi da un momento all’altro.
- Dov’è?- chiese con la voce spezzata dall’emozione.
- Nel bosco ai margini della città, non è voluta entrare.- spiegò sbrigativamente.
- Come mai Cho si trova con te?- chiese con una punta di sospetto nella voce.
- C’è una cosa che devo fare e solo Cho Black può aiutarmi.- Allanon non era tipo da rivelare i suoi segreti a chicchessia.
- Cosa vuoi sapere Druido?- sospirò Baruk.
Allanon trasalì appena: come faceva a sapere chi era in realtà? I Druidi era scomparsi da un secolo, il loro ricordo era rimasto, ma quasi nessuno ormai sapeva che uno di loro era sopravvissuto e continuava a difendere le Quattro Terre… Quell’uomo non era ciò che sembrava, comprese all’improvviso, come un lampo che aveva illuminato il buio della sua mente.
- Sto cercando l’Oasi dell’Illusione e Cho mi ha detto che tu potresti dirmi dove si trova.- .
Un lampo attraversò gli occhi neri del fabbro, un misto di sorpresa e paura che incuriosì molto il Druido. Il vecchio Baruk fece per aprire la bocca e rispondere quando uno scalpiccio rapido ruppe il pesante silenzio in cui erano piombati attraendo la loro attenzione. Sulla porta, dopo pochi istanti, comparve una ragazza con lunghi capelli biondi legati in due trecce, occhi castani dal taglio allungato e pelle candida che indossava una tuta da lavoro logora e sporca. Allarmata passò uno sguardo dal fabbro ai due stranieri.
- Sta’ tranquilla Tamyra è tutto a posto, sono clienti.- le disse con un sorriso gentile.
- Ho sentito discutere…- insistette osservando sospettosa il Druido.
Baruk tentennò un istante, indeciso se fosse la cosa giusta da fare, ma, infondo, Tamyra aveva tutto il diritto di sapere.
- Cho è tornata.- le rivelò in un basso sussurro, come se nessun altro dovesse scoprirlo.
La ragazza sgranò gli occhi e socchiuse le labbra, mentre meraviglia e stupore si miscelavano sul suo volto.
- Sul serio?- chiese incredula, gli occhi già umidi di felicità.
L’uomo annuì con la testa.
- È arrivata con queste persone ed ora è fuori dalla città.- le spiegò.
- Voglio vederla!- esclamò guardando intensamente Allanon.
- Non si può e lo sai Tamyra!- sospirò stancamente Baruk.
- Non mi interessa nulla: Cho è mia sorella ed io voglio vederla!- strillò pestando il piede a terra, sfidando i presenti a contraddirla.
Baruk si guardò attorno allarmato, temendo che qualcuno di quelli che affollavano la via avesse potuto sentirla. Solo quando fu sicuro che nessuno stesse guardando sospettosamente la sua officina tornò a rivolgersi a Tamyra: le mise le mani sulle spalle e si chinò fino a poterla guardare negli occhi.
- Cerca di capire, piccola. Anche se sono passati tanti anni Cho è ancora ricercata dai gendarmi, se solo sospettassero che si trova nei dintorni verrebbero a prenderla e l’arresterebbero. È questo che vuoi? – attese il cenno di diniego della ragazza – Allora per favore accontentati di sapere che sta bene.- quasi la implorò a denti stretti.
Tamyra annuì con un gesto brusco della testa, mordendosi il labbro per trattenere i singhiozzi e scappando subito dopo per non mostrare le lacrime che avevano iniziato a rigare le guance. Il vecchio Baruk scosse la testa sospirando tristemente: la capiva, comprendeva il suo desiderio di rivedere Cho perché lo stava provando anche lui, ma sapeva che non si poteva, era troppo pericoloso per tutti.
Un’espressione strana animava gli occhi del Druido in quel momento: Cho Black aveva una sorella…
… aveva avvertito qualcosa di strano quando i suoi occhi castani avevano fissato i propri, aveva provato la sensazione che fosse diversa da Cho, e non solo nel fisico…
- Posso farti una domanda fabbro?- la voce baritonale di Graham lo strappò ai suoi pensieri.
- Dipende da cosa vuoi sapere.- rispose l’uomo ritornando sulla difensiva.
- Voglio sapere se è vero l’avviso di taglia che abbiamo letto entrando in città!- spiegò spiccio il Nano.
Senza rispondere il vecchio Baruk impugnò nuovamente il martello e, dando loro le spalle, ricominciò a battere il metallo.
- Si, Cho ha ucciso alcune persone, è per questo che ha dovuto lasciare Varfleet!- rispose quando ormai nessuno credeva che avrebbe più parlato.

- Ho ucciso dieci persone sei anni fa, per questo non posso entrare a Varfleet.- spiegò la voce incolore di Cho mentre rimestava nelle ceneri con un ramo per riattizzare il fuoco.
Mael sgranò gli occhi, rifiutandosi di credere a quello che aveva appena ascoltato. Quella ragazza timida e ferita non poteva essere un’assassina, era una cosa ridicola, inconcepibile. Quando le aveva chiesto il motivo del suo ferreo rifiuto ad entrare in città, mai si sarebbe aspettato di dover udire una simile confessione. Aveva creduto che Cho si sarebbe rifiutata di rispondere, che si sarebbe rinchiusa in un ostinato silenzio…
… ma non era preparato a quello!
- Non è possibile…- sussurrò più a se stesso che alla ragazza.
Un sorriso amaro schiuse le labbra della ragazza mentre continuava a fissare il fuoco.
- Quando tutti pensano che sei un mostro anche tu alla fine ti convinci di esserlo e fai la stupidaggine che conferma tutti i loro sospetti. Tutti a Varfleet credevano che fossi uno dei demoni del Signore degli Inganni a causa dei miei poteri, vedevano solo quelli, non riuscivano a scorgere me sotto di essi. All’inizio bisbigliavano alle mie spalle e cambiavano strada quando mi incrociavano, ma, con il passare del tempo, divennero più espliciti e violenti. Un giorno il figlio del capo villaggio, che era scomparso da alcune settimane, venne ritrovato trucidato: tutti pensarono che ero stata io e, quando, con un atto di forza, perquisirono la mia stanza, trovarono il suo coltellino nascosto nella paglia del mio letto. Venni incatenata e condannata a morte senza un processo, senza indagare, solo perché ero io! Era il pretesto che cercavano per eliminare una volta per tutte un problema. Venni trascinata di peso in strada, verso la piazza centrale, e durante il tragitto fui bersagliata continuamente da pietre. Avevo paura, una paura folle che non mi faceva ragionare e che raggiunse il suo apice quando, dopo avermi legata ad un palo, appiccarono il fuoco alle fascine che avevano gettato ai miei piedi. La paura divenne terrore e persi il controllo, abbandonandomi alla parte oscura del mio potere.- .
Cho si fermò un attimo per riprendere fiato e dare tempo a Mael di assorbire ed elaborare ciò che gli stava svelando. Forse all’interno della città il vecchio Baruk stava facendo la stessa cosa con Allanon e Graham. Per la prima volta sollevò lo sguardo su di lui, incrociando gli occhi color miele dell’elfo con i suoi di un verde opaco e spento, ancora animati da una scintilla di quel panico che aveva provato quel giorno.
- Tu non mi hai mai vista in quello stato, ma perdo completamente il controllo, non riconosco gli amici dai nemici, e quando riesco a ritornare i me non ricordo nulla di quello che ho fatto. Quando ripresi conoscenza di me stessa, mi ritrovai libera dalle corde ed inginocchiata nel centro della piazza, attorniata dai cadaveri dilaniati di quanti ero riuscita a raggiungere con la mia magia. Per le strade c’era il caos. Gente che scappava urlando terrorizzata da me. Per un istante ammetto che provai una certa soddisfazione, mi sentii come vendicata di tutte le angherie che ero stata costretta a subire a causa loro. Ma quando compresi cosa avevo fatto, quante vite avevo spezzato in un istante… mi sentii indegna di vivere. Avevo tradito tutti gli insegnamenti del vecchio Baruk, dimostrando loro che ero davvero il mostro che credevano fossi. Completamente terrorizzata rimasi immobile senza sapere cosa fare. Il vecchio Baruk arrivò all’improvviso, mente già echeggiava nel silenzio il passo cadenzato dei gendarmi che venivano ad arrestarmi. Sollevandomi di peso mi rimise in piedi e mi trascinò via, come se fossi una bambola di pezza. Corremmo a lungo per vicoletti bui, cercando di nasconderci allo sguardo degli abitanti di Varfleet. Poi, non so come, mi ritrovai in questo stesso boschetto. Il vecchio Baruk mi mise la mia sacca sulla spalle e, consegnandomi i pugnali, mi disse che dovevo andare via, che da quel momento in poi avrei dovuto sopravvivere da sola. Non mi sono mai sentita così sola come in quel momento.- .
Cho riportò lo sguardo sulla danza sinuosa delle lingue di fuoco, contro il buio della sera incipiente. Si sentiva svuotata, come se raccontare la sua storia a Mael le avesse portato via tutto. E si sentiva stanca, tanto, troppo stanca…
… cosa sarebbe successo se in quel momento sarebbe entrata in città e si sarebbe consegnata ai gendarmi? Sarebbe solo stata la fine di ogni dolore…
Dopo un lungo istante di pesante ed imbarazzato di silenzio, Mael le si avvicinò con un movimento sinuoso e rapidamente, prima che potesse opporre qualsiasi resistenza, l’abbracciò. Cho si irrigidì immediatamente e provò a divincolarsi imbarazzata, per nulla abituata al contatto fisico, perché, neanche prima dei lunghi anni di isolamento nelle foreste delle Streleheim, c’erano stati abbracci per lei.
- Non è stata colpa tua. – le sussurrò all’orecchio dolce ed accorato – Tu non hai alcuna colpa. Eri solo una bambina spaventata, nient’altro.- e la strinse ancora di più contro di sé, facendole poggiare la testa sulla sua spalla.
E quella voce calda e melodiosa riuscì a sciogliere ogni sua resistenza, e Mael sorrise nel sentire il suo corpo rilassarsi contro il proprio. Cho chiuse gli occhi, artigliandogli la casacca, lasciandosi cullare da quelle braccia forti e delicate, e da quel lieve odore fruttato che le solleticava il naso.
Era incredibile, ma sembrava che la dolcezza ed il calore di Mael potessero risanare le sue ferite, si sentiva come se tra quelle braccia potesse rinascere.
Una risata sarcastica e minacciosa risuonò nel fondo della sua mente, in risposta al suo pensiero.

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