Crescere insieme: Katniss e Peeta

di Tina77
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ricominciare a crescere ***
Capitolo 2: *** Il libro dei ricordi ***
Capitolo 3: *** Progressi ***
Capitolo 4: *** Una nuova quotidianità ***
Capitolo 5: *** Sei mesi dopo... ***
Capitolo 6: *** Dubbi ***
Capitolo 7: *** Viaggio verso Capitol City ***
Capitolo 8: *** Capitol City ***
Capitolo 9: *** Di nuovo a casa ***
Capitolo 10: *** Johanna e Annie ***
Capitolo 11: *** Risveglio alternativo ***
Capitolo 12: *** Il temporale ***
Capitolo 13: *** Confronti ***
Capitolo 14: *** Più che amici ***
Capitolo 15: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 16: *** Un giorno speciale ***
Capitolo 17: *** Luna di miele ***
Capitolo 18: *** Il Distretto 4 ***
Capitolo 19: *** La canzone ***
Capitolo 20: *** Famiglia ***
Capitolo 21: *** Telefonata dall'Undici ***
Capitolo 22: *** Natale ***
Capitolo 23: *** Il Distretto Undici ***
Capitolo 24: *** Gale ***
Capitolo 25: *** Michelle ***
Capitolo 26: *** Sincerità ***
Capitolo 27: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 28: *** Vecchi tempi, nuove prospettive ***
Capitolo 29: *** La (sconvolgente) positività di Katniss ***
Capitolo 30: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Ricominciare a crescere ***


 

Ricominciare a crescere

 

Sento che potrei perdermi nei suoi occhi e non riuscire più a tornare in superficie. Lui mi fissa di rimando e scorgo una tenerezza tanto forte che so che sarà quella la mia ancora nei giorni a venire. Vorrei potergli dire quanto io sia felice di averlo qui accanto a me, quanto davvero apprezzi la sua presenza. Ma la verità è che sono ancora troppo confusa e troppo spaventata dall'effetto che le mie parole potrebbero avere su di lui, così mi limito a stare in silenzio e a distogliere lo sguardo dal suo volto. Da quando ci siamo incontrati qualche settimana fa, quando lui è ritornato dalla capitale e ha iniziato a piantare i fiori che portano il nome della mia sorellina perduta, questa è la prima volta che siamo completamente soli. Con noi ci sono sempre stati Sae o Haymitch. Per questo motivo mi sento in imbarazzo, indecisa sul da farsi. Mi rendo conto improvvisamente di quanto lui mi sia mancato, di quanto, sebbene depistato, lui resti comunque la persona migliore che io conosca. Forse lo sto fissando da un po', perché lui mi guarda per qualche secondo con aria interrogativa, finché io non scuoto lievemente la testa, le guance imporporate. Lui mi sorride dolcemente, e questo sorriso mi riporta a quello che sembra un secolo fa, dopo la parata dei nostri primi giochi. E come quella volta, mi alzo leggermente sulle punte dei piedi e gli do un piccolo bacio sulla guancia, sussurrando -Grazie per i fiori, Peeta.-, con gli occhi lucidi.

Lui per un attimo sembra confuso, come se stesse cercando di capire se io sia o meno sincera, poi bisbiglia dolcemente fra i miei capelli -Non c'è di che, dolcezza.-, asciugando con l'indice una lacrima scesa sul mio volto. Ha capito il mio imbarazzo e per evitarmene altro ha cambiato discorso con una battuta. Grazie Peeta. Com'è possibile che sappia sempre cosa dire, al momento giusto? In questo momento i nostri scontri avvenuti nel Distretto 13 sembrano solo una parentesi stonata rispetto a tutti gli altri bei ricordi vissuti insieme, e non apprezzati realmente quando avrei dovuto.

Quando lui mi lascia per tornare a casa, per un minuto mi sento spiazzata. Che fare? Il salotto sembra così freddo senza di lui. Decido di farmi una bella doccia calda. Salgo al piano di sopra e sorprendo me stessa quando mi ritrovo a scegliere canticchiando e con cura l'abito che indosserò stasera per l'inaugurazione della nuova locanda di Sae. Devo dire che nella ricostruzione Peeta ha avuto un ruolo fondamentale: ha lavorato duramente e questo suo impegno è stato positivamente giudicato dal Dottor Aurelius, il quale non fa altro che lodarne i miglioramenti a vista d'occhio. Sembra poi che la mia presenza sia per lui altrettanto importante, dato che non passa giorno che lui non venga a trovarmi, fino ad oggi sempre accompagnato, anche solo per portarmi del pane e scambiarci qualche frase di circostanza. Sento crescere sempre più forte dentro di me la nostalgia, e le do libero sfogo cantando una canzone, un'antica ballata d'amore che parla di una donna che ferendo l'uomo amato ha finito per odiarsi e pentirsi. Non so perché ma quest'immagine è troppo familiare, così cambio velocemente aria e mi ritrovo a ripercorrere il vecchio repertorio di canti di montagna di mio padre. Dopo la doccia, indosso l'abito azzurro che ho preparato. È molto semplice, con le maniche leggermente arricciate e la gonna che arriva morbida fino a sopra le ginocchia. Una larga fascia in vita mi allunga la figura. Quest'abito mi ricorda moltissimo quello giallo che Cinna mi fece indossare quasi più di un anno fa. Al ricordo mi si inumidiscono ancora una volta gli occhi, ma reprimo le lacrime, per evitare di vanificare il trucco che ho steso delicatamente sul mio viso. Come allora, sembro ancora molto giovane, come dovrei essere, se non fosse per una particolare ruga d'espressione che mi attraversa la fronte e che mi dà un'aria, come dire, vissuta.

Quando bussano alla porta per un momento mi immobilizzo, poi, pensando sia Haymitch, urlo rivolta alla porta- Entra pure, è aperto!-. Sento i passi su per le scale e non posso impedirmi di pensare a quanto assurda sia la situazione. Perché sta salendo? Con i suoi modi burberi è già tanto che abbia bussato per chiamarmi e non mi abbia lanciato qualche imprecazione dalla finestra di casa sua. Perciò tutto riacquista un senso quando, affacciandomi dalla mia stanza, trovo Peeta. D'istinto, gli sorrido, ricordando l'ultima volta che lui è stato qui, nelle settimane dopo il mio incidente nei boschi. Lui ricambia e mi guarda in modo strano, soffermandosi sulla cicatrice nel mio avambraccio sinistro. È decisamente migliorata, grazie all'intervento dei medici di Capitol City, ma resta ancora, sul mio corpo, il segno più evidente della sofferenza. Con delicatezza, al rallentatore come per non spaventarmi, allunga le mani verso il mio braccio, sollevandolo e sfiorando con i polpastrelli i segni irregolari lasciatemi dalla ferita di Johanna. Poi, inspiegabilmente, vi posa un breve e leggero bacio. Sento i brividi percorrermi la schiena, e una strana sensazione nello stomaco. Lui interrompe il contatto tra noi e mi dice semplicemente – Sei pronta per andare, Katniss?- io mi limito ad annuire e a fare strada scendendo le scale. Non è ancora il momento di cercare di dare un nome alle mie emozioni, è troppo presto. Andiamo insieme a chiamare il nostro mentore e ci stupiamo nel vedere che per l'occasione non solo è sobrio, ma si è pure lavato e pettinato a dovere. Ed eccoci qui, i tre sopravvissuti del Distretto 12. Contro ogni più rosea previsione ce l'abbiamo fatta, anche se nella nostra lotta all'ingiustizia ci siamo lasciati alle spalle solo sofferenza e distruzione. Non so perché, ma da qualche giorno a questa parte, non sento più la disperazione che si fa strada dentro di me quando meno me l'aspetto. È più una sorta di confusione, o meglio di vuoto, che mi blocca quando sono sola. Ma non è questo il momento, perché è come se riuscissi a percepire il calore e la presenza di Peeta attraverso l'aria che ci separa. Come abbiamo fatto moltissime altre volte, incerta, gli sfioro una mano, aspettando che sia lui a ricambiare il gesto e ad afferrarla nella sua. Solo che non accade. Mi guarda, sconvolto, come se lo avessi attaccato. Poi, come se nulla fosse successo, si volta a parlare con Haymitch, avendo cura di fare in modo che camminando verso la piazza il nostro mentore si trovi frapposto tra noi. Offesa, decido di passare più tempo possibile lontano da lui. È così facile dimenticarsi della tortura da lui subita, quando lo vedo sorridente al mio fianco.

Non parlo e cerco di mimetizzarmi nel lastricato sul quale cammino, ricordando altre mimetizzazioni...basta, Katniss! Mi chiamo Katniss Everdeen, ho 17 anni. Sono tornata al Distretto 12 per cercare di andare avanti. Non posso farlo senza il mio amico Peeta, che però è stato depistato. Devo smetterla di sperare e superare il momento da sola.

Persa nei miei pensieri, a mala pena mi accorgo di essere arrivata a destinazione. Sae ci viene incontro con una sorriso raggiante e ci abbraccia. Deve essere un sogno, questo, per lei. È stato grazie a Plutarch che questo ha potuto realizzarsi. O meglio, grazie alla guerra e a Plutarch, che hanno reso me una creatura sperduta che ha bisogno di una balia a giorni alterni e che mi prepara da mangiare due volte al giorno. Sono sinceramente felice per lei, il mio sorriso è tutt'altro che forzato. Ci fa accomodare e dentro incontriamo altre persone del Distretto: Delly, alcuni compagni di miniera di Gale...mi aspetto che anche lui salti fuori da un momento all'altro. Ma certo, questo non è possibile, lui è nel Distretto 2. E non posso dire che mi dispiaccia, in realtà. Al pensiero non provo tristezza, semmai sollievo. Perché è chiaro come il sole che lui adesso si sta rifacendo una vita, ed è la cosa migliore per tutti che lo stia facendo lontano dal Dodici e da me, dove la sua presenza non farebbe altro che ricordarmi l'assenza di Prim. Passano circa un paio d'ore, mangiando dell'ottimo cibo a buffet e bevendo succhi freschi e dissetanti. Quando ormai non riesco più a buttare giù nulla, decido di ritornarmene a casa. -Ti accompagno, Katniss. - mi blocco con la mano sul pomello della porta. Mi volto, e cerco di interpretare la sua espressione. Sembra tranquillo, sereno. -Ok, grazie-. Esco e aspetto che lui mi raggiunga nell'aria primaverile. Mi sorride timidamente, prima di dire – Volevo scusarmi per prima, Katniss. Non ti volevo respingere, credimi. È solo che prima avrei voluto parlarti, e con Haymitch lì con noi non avrei potuto farlo. Scusami, davvero.- allora si era accorto della delusione nei miei occhi, e io che pensavo di aver mantenuto una certa dignità. Mi volto, imbarazzata. Sussurro, rivolta al terreno – E di cosa volevi parlarmi?- prende un respiro profondo prima di iniziare quello che deve essere un discorso già preparato: - Sono cambiate moltissime cose negli ultimi mesi, Katniss. Ci sono momenti in cui non ti capisco. A volte mi capita di non riuscire bene a identificare le miei emozioni verso di te. Ma sono solo attimi, davvero. Per il resto del tempo sono sicuro di amarti, Katniss. In un modo forse più consapevole di prima, anche. Quindi la situazione è piuttosto simile a quella prima dei nostri ultimi giochi, da questo punto di vista. Proprio come allora non voglio farti pressione. Ti chiedo solo un favore: non allontanarmi.. Insieme riusciremo a ricomporre le nostre vite. È una certezza.-. A questo punto dovrei rispondere a tono, facendogli sapere che sono perfettamente d'accordo, che anche io lo voglio con me. Ma io non sono brava con le parole, e mentre penso a cosa rispondergli, Haymitch fa capolino alle nostre spalle -Oh, bene, vi ho trovati!- in silenzio torniamo a casa. I chiarimenti dovranno aspettare.  

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Capitolo 2
*** Il libro dei ricordi ***


 

2. Il libro dei ricordi

 

Al risveglio provo una strana sensazione, come se fossi sospesa a qualche metro dal terreno e rischiassi da un momento all'altro di precipitare. Ci metto qualche secondo per capire che a farmi sentire in questo modo è la dichiarazione di Peeta di ieri. Non posso negare che il fatto che lui abbia detto di amarmi mi faccia sentire bene, diversamente dal passato quando mi sentivo solo in colpa. Ovvio, anche adesso lo sono. Ma ad un qualche livello capisco che non sono sola, per quanto lui sia stato torturato. Ed è questa consapevolezza che, come nel 13, rischia di spezzarmi e farmi precipitare. Mi alzo e vado in bagno. Mi fisso allo specchio per qualche secondo prima di decidere di farmi nuovamente una doccia, unico modo per sentirmi in qualche modo meno sporca e colpevole. Mentre mi trovo sotto il getto d'acqua calda, cerco di organizzare i miei pensieri. Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho 17 anni. Sono tornata al distretto 12. anche Peeta è qui con me. L'hanno depistato e lui ancora mi ama. Io non lo merito. Prim è morta ma io posso amare solo lei. Lo scopo rilassante del bagno si rivela assolutamente inutile. Mentre il getto d'aria calda mi asciuga il corpo e i capelli, rendendoli setosi e lucenti, sento il freddo penetrare nelle mie ossa. Indosso dei semplici jeans e una camicetta gialla, poi scendo in cucina. Immediatamente il profumo della cannella invade le miei narici e mi blocca sulla porta. Trovo Peeta seduto al tavolo, intento a sfogliare delicatamente le pagine del nostro libro delle piante. Non mi nota. Quando arriva ad un foglio bianco, prende un fiore da un mazzolino poggiato sulle sue gambe e lo posiziona al centro della pagina. Con un sospiro, richiude il libro e si prende il volto tra le mani. D'istinto, mi avvicino a lui. Quando gli sfioro una spalla, lui rabbrividisce, ma non alza lo sguardo su di me. A quel punto mi faccio più vicina e apro il libro. Una primula. Oh, Peeta. Lo abbraccio stretto, temendo che lui mi allontani. Ma non lo fa. Lentamente sposta le mani dal suo viso al mio, mescolando così le nostre lacrime. Mi guarda fisso negli occhi, come per chiedere il permesso, poi mi lascia un lieve bacio a stampo sulle labbra. Sorride, prima di dire -Ho preparato la colazione. Hai fame?- mi sposto, così da permettergli di alzarsi. Non posso fare a meno di sorridere a mia volta, vedendo come qui lui si senta a suo agio. Sto bevendo la cioccolata calda a piccoli sorsi, quando lui riprende il discorso di ieri. -Katniss- dice, - Ieri non abbiamo finito di parlare. Forse non sai bene cosa dire e hai paura di ferirmi. Io so cosa provi: sei confusa e lo rispetto. Desidero solo una risposta al favore che ti ho chiesto. Ti chiedo solo di vincere la diffidenza e la paura che provi nei miei confronti per aiutarmi a guarire.- . -Io...ma certo, Peeta. Non ti voglio allontanare.- sospiro e arrossisco mentre, guardandomi le mani che stringono la tazza bollente, mormoro -Resta con me, Peeta.- dopo alcuni secondi che paiono infiniti, sento le sue labbra vicine al mio orecchio sinistro. Il suo fiato sul collo mi provoca un brivido, quando dice -Sempre.-.

Un lento sorriso mi affiora sulle labbra. - Che ne dici di continuare il nostro libro Peeta?-

-Non abbiamo già descritto tutto quello che sapevi?- mi guarda disorientato. Medito mordendomi il labbro inferiore. -Ecco, ho un'idea!- dice lui. -potremmo scrivere un libro diverso, non necessariamente di botanica.- è un'idea così carina che mi trovo ad appoggiarla con entusiamo. -Sì! Che ne dici di un libro di ricordi?-. Lui mi guarda dolcemente. -Credo sia un'ottima idea, Katniss.-.

 

Il mattino seguente mi alzo con una nuova energia. Il che è curioso visto che stanotte ho fatto almeno tre incubi. La casa è stranamente silenziosa, deve essere ancora molto presto. Mangiucchio del pane avanzato dal giorno prima e mi affaccio alla finestra. L'alba sta iniziando a spuntare proprio ora. La bellezza di questo spettacolo mi fa ripensare alle persone care che non ci sono più ma che continuano a vivere. Non so dove, non so se credere al una dimensione superiore. Quello che so per certo è che vivranno per sempre nei ricordi. Ed è in questo momento che realizzo quanto l'idea di questo nuovo libro sia perfetta. Loro resteranno per sempre, il loro sacrificio non sarà inutile. Questa scoperta mi spinge nello studio, verso il telefono. Cerco di entrarci il meno possibile: il ricordo di mia madre che tiene i conti e di Prim che fa i compiti mi colpisce sempre, togliendomi il fiato e la lucidità per parecchi secondi. Questa volta non è diverso. Prendo un sorso d'acqua da una brocca appoggiata sulla scrivania. Quando mi sento meglio, compongo il numero del Dottor Aurelius. Dopo quella che sembra un'eternità, mi risponde. -Pronto.- -Dottore, sono Katniss Everdeen.-. La sua voce sembra pittosto stanca ed infastidita, quando replica -Fantastico. A cosa devo l'onore signorina Everdeen?-inspiegabilmente, rido. -Dottore, credo di aver capito cosa fare.-. Si fa più attento. -Ebbene?- -Vorrei scrivere un libro di ricordi, insieme a Peeta.- -Credo sia un'idea piuttosto efficace, Katniss. Provvederò io stesso ad inviarti il materiale necessario con il prossimo treno. Peeta è d'accordo?- -Sì, ne abbiamo parlato ieri.- Un lieve rossore mi imporpora le guance. -Come vanno le cose tra voi?- -Ehm, bene. Abbiamo deciso di comune accordo che riproveremo a ricostruire un rapporto d'amicizia. Per andare avanti.- -Molto bene, molto bene. Mi aspetto grandi cose da questi vostri progetti. Ci sentiamo tra due giorni per la prossima “seduta”, Katniss. Buona giornata.-. Mormoro un saluto in risposta e riattacco. Il dottore mi ha consigliato di cercare di ripartire dalle cose più semplici. Di farle in modo anche ripetitivo, non ha importanza. Riprendere la quotidianità al momento mi sembra impossibile, ma decido comunque di provarci. Che fare? Cosa avrebbe fatto ora la vecchia Katniss? Sarebbe andata a caccia, ovviamente. E così senza fermarmi troppo a riflettere, mi vesto ed esco attraversando il Prato. L'aria mattutina mi fa sentire viva. E quando, attreverso la recinzione, entro nei boschi, i miei boschi, penso che l'edea di ripartire da zero non sia più tanto assurda. Passano diverse ore. Quando termino la caccia, il volto arrossato per lo sforzo e i capelli in disordine, mi sento me stessa. Passo da Sae alla locanda, lasciandole il mio bottino in ringraziamento per tutto ciò che lei fa per me. Sono certa che almeno la metà delle mie prede, comunque, finirà per ritrovarsi ben cotta e gustosa sulla mia tavola, nei prossimi giorni. Rientro a casa. Una doccia adesso è necessaria, dato che la terra e il sudore sporcano la mia pelle. Mi lavo con cura, rilassandomi. Quello che solo ieri sembrava impossibile ora non lo è più. Me la prendo con comodo, approfittandone per sonnecchiare un po' aspettando che sia l'aria tiepida del mezzogiorno ad asciugare i miei capelli. Quando scendo, ad aspettarmi per il pranzo trovo sia Haymitch che Peeta. Come previsto, Sae è passata da entrambi a portare uma bella zuppa, la quale al momento si trova ben impiattata a pochi metri da me. -Dolcezza-, mi saluta Haymitch con un cenno del capo. -Ciao Katniss-, fa eco Peeta. Io rispondo con un generico -Buongiorno-, prima di accomodarmi a tavola. -Stamattina ho telefonato al Dottore. Approva la nostra idea del libro, sai.- mi rivolgo al ragazzo alla mia destra. Lui mi sorride -Davvero? Ottimo.- poi si sente in dovere di spiegare la situazione ad Haymitch. Lui per un attimo sembra confuso, poi gli si inumidiscono gli occhi e dice -Credo mi ci voglia una bottiglia.- si alza e torna a casa sua. -Mi dispiace.-. sussurro io. -Hei, non piangere. Andrà tutto bene.-. Peeta ancora una volta mi stringe, facendomi appoggiare il capo sulla sua spalla. Ora sono io a farmi più vicina e a dargli un bacio sulla guancia, per vera amicizia. -Ti andrebbe di fare una passeggiata, Katniss?- spiazzata per un momento, poi acconsento. Questa volta ci teniamo per mano.  

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Capitolo 3
*** Progressi ***


 

La prima cosa che gli chiedo è come si senta ad essere tornato a casa. -Non è molto diverso da Capitol City, in realtà.- di fronte al mio sguardo interrogativo, prosegue – Voglio dire che più o meno le cose che faccio sono le stesse: cucino e dipingo. Anche gli incubi sono una costante, diciamo. La differenza maggiore sta nel fatto che il dottore lo sento e basta, senza vederlo.-. Sorride, triste. Non posso non ammirare la sua forza. Sembra che anche adesso, lui, ridotto a pezzi peggio di me, sia comunque in grado di affrontare la cosa con un coraggio dieci volte maggiore rispetto al mio. -Tu come ti senti, Katniss? Riesci a dormire?-. Basta un mio sguardo affranto a fargli intendere la situazione. -Peeta- -Sì?-. -E se anche io ti chiedessi un favore?- -Ma certo, dimmi.-. -Dormiresti con me?-. Non sa subito come rispondermi. Per un attimo ci pensa su, poi dice -E se perdessi il controllo, sentendoti urlare?- -Non lo farai.- -Non puoi saperlo, Katniss.-. Ora la sua voce esprime una tristezza infinita. -Io so per certo che tu non puoi farmi del male, Peeta. Me l'hai dimostrato cento volte nelle ultime settimane.- -Sì, ma negli ultimi mesi ho anche cercato di ucciderti un paio di volte, Katniss.- -Ora è diverso. Hai detto di amarmi.-. Mi blocco, come se avessi appena confessato qualcosa di estremamente stupido. Ma lui si limita a dire – E' vero, l'ho detto. Ok, ci proverò, ma è meglio che tu faccia come Haymitch e tenga un'arma a portata di mano, non si sa mai.-.

A cena si unisce a noi anche Sae, insieme a sua nipote. Ha occhi molto intelligenti che ti scrutano con l'innocenza e il candore che solo un bambino può ancora avere, dopo tutta la distruzione che si è abbattuta su di noi. La sua presenza è in qualche modo tranquillizzante. E questo è quasi certamente dovuto al fatto che la sua innocenza mi ricorda Rue e Prim.

Dopo aver finito di riassettare la cucina, Sae e la bambina ci lasciano. Per un secondo Peeta sembra volerle seguire, poi ricorda la promessa e dice – Ti spiace se prima faccio una telefonata?-. -Certo che no, fai pure.- Gli mostro lo studio e lo precedo nella mia stanza, al piano di sopra. Dopo una doccia veloce, fatta più per abitudine che per reale necessità, lavo i denti e indosso la vestaglia per la notte. Mi sto scioglindo la treccia quando lui fa capolino dalla porta. - Se vuoi puoi farti una doccia, qui.-. Non risponde.-. -Peeta?- -Abbiamo dormito insieme molte volte. Vero o falso?- -Vero.- -E' mai successo qualcosa tra noi? Il Dottor Aurelius ha detto di non saperlo.-. E così è a lui che ha telefonato! Povero dottore, credo che per oggi ne abbia avuto abbastanza di noi due. -Certo che no, Peeta. Abbiamo dormito insieme molte volte solo per affrontare insieme gli incubi.-. Annuisce, sembra ricordare. -Vado a prendere il pigiama, l'ho dimenticato.-.

Passano dieci minuti e ancora non è tornato. Inquieta, mi sporgo dalla finestra aperta per cercare di vedere la sua casa e cercare di capire perché lui ritardi così tanto. Sobbalzo quando sento la porta di casa chiudersi. Chiudo le imposte e mi metto a letto. Lui si cambia velocemente nel bagno adiacente la mia stanza e poi mi raggiunge. -Scusami se ho tardato, stavo finendo di impastare il pane per domani mattina.-. So che sta dicendo la verità, il profumo di cannella sulle sue mani è inconfondibile. Come sempre, gli appoggio la testa sul petto e, cullata dal suo calore, mi addormento. Sembrano passati pochi minuti, quando mi sveglio. Non ho avuto uno dei miei soliti incubi. A popolarlo non sono stati i visi di Rue, Cato, Finnik o Prim. Questa volta era Peeta ad essermi strappato dalle braccia. Era lui a sprofondare nel fuoco dell'esplosione che ha rubato la mia sorellina. Ed è così che capisco quello che diceva lui l'anno scorso, sui suoi incubi. Sul fatto che sognasse di perdere me e si sentisse subito meglio non appena mi vedeva. Ed è questo che provo io. Un immediato senso di sollievo e gratitudine. Se non fosse stato qui con me, stanotte, probabilmente ora sarei disperata. Così lo abbraccio più saldamente, affondando il viso nel suo collo. Forse sono stata troppo decisa nel mio movimento, perché lui si riscuote appena. Sento il battito del suo cuore accelerare, ma non credo sia dovuto alla paura, dato che non si scosta da me e non cerca di aggredirmi. Tranquillizzata dalla sua presenza, mi addormento di nuovo ed è già metà mattina quando mi sveglio, di nuovo, finalmente riposata dopo notti e notti d'inquetudine.  

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Capitolo 4
*** Una nuova quotidianità ***


 

4. Una nuova quotidianità

 

-Hei.-. Mi saluta quando vede che ho aperto gli occhi. -Come ti senti?-. Lui mi guarda un po' per capire bene cosa io intenda. Quando ci arriva mi dice -Sì, tranquilla. È stato più facile del previsto.-. Sorride. Mi stringo a lui, che distrattamente mi accarezza i capelli, intrecciandoli e scompigliandoli. -Grazie per essere rimasto qui, stanotte.-. In tutta risposta mi tiene più stretta. Restiamo a letto per un'altra mezzora abbondante. Lui che mi accarezza e io che guardo distrattamente fuori dalla finestra. Poi ci alziamo per fare colazione. In cucina è già tutto pronto. Inizialmente credo sia stata Sae, poi Peeta si scusa per non aver trovato il cestino del pane che era solito usare l'anno scorso. -Deve averlo preso Sae, credo.-. Mangiamo parlando del più e del meno, lui mi racconta dei compagni di lavoro alla locanda di Sae e mi confessa di desiderare di riaprire la bottega del padre. Poi però aggiunge -Non subito, magari l'anno prossimo. Secondo Aurelius non mi devo prendere troppe responsabilità già da ora. Secondo lui la cosa migliore che io possa fare adesso è passare il mio tempo con te.-. Gli sorrido di rimando. Trascorriamo una giornata tranquilla, un po' alla locanda e un po' tra i boschi. Passiamo anche dal nostro mentore, che sembra essersi ripreso abbastanza bene e in uno sprazzo di lucidità ci dice di voler contribuire al nostro libro, ricordando molti altri tributi uccisi durante gli Hunger Games. Questo mi fa commuovere molto, ma trovo Peeta a sostenermi. Come quando scappavamo nel sottosuolo di Capitol City, sembra che quando le cose si mettono male l'unico a mantenere una certa tranquillità sia lui. Anche questa notte dormiamo insieme. Non credo di avere incubi. La notte seguente però sì, e quando mi sveglio urlando vengo ulteriormente presa dal panico dalla mano di Peeta che mi blocca la bocca con una mano. È steso sopra di me e con l'altra mano mi blocca i polsi, tenuti sopra la testa. Non so che fare. Dovrei urlare, colpirlo e scappare via da lui. Ma non posso. E a impedirmi di muovere non è il suo corpo, ma la paura di perderlo. La consapevolezza che non potrò mai abbandonarlo e che devo restargli vicino, mantenendo la mia promessa. Di colpo mi rendo conto che è come se fossimo ancora nella seconda Arena: io lo devo salvare. I suoi occhi sono delle pozze nerissime, chissà quale orribile flashback si è impossessato della sua mente. La presa della sua mano sinistra è troppo forte, non posso liberarmi senza spaventarlo ancora di più. Così mi limito a spostare un po' di lato la testa, fino a baciargli il palmo della mano destra, e poi più giù il polso, quando lui allenta la pressione, confuso. Lo guardo fisso negli occhi. Piano piano ritornano del loro colore naturale, azzurro e bellissimo. Come una volta, resto ipnotizzata dalle sue ciglia. Poi vengo distratta da una sua lacrima, che dall'alto del suo viso ricade sulla mia guancia. Questo è il suo incubo. Adesso tocca a me. Per quanto il suo corpo me lo permette, cerco di spostarmi. Così avvinghiati, è difficile capire dove inizi uno e finisca l'altra. Dolcemente lo allontano da me, spingendolo di lato. Adesso è lui, steso al mio fianco, ad appoggiare il capo sul mio petto, proprio sopra il cuore. Adesso batte all'impazzata, per il timore che possa succedere ancora qualcosa del genere, che l'incubo di due notti fa diventi realtà. E forse per qualche altra sensazione che ancora non riesco bene a decifrare. Gli accarezzo i ricci, lisciandoli all'indietro. Dopo poco, lui si riaddormenta. Distrattamente penso -Forse ha ragione, non dovrei permettergli di restare la notte con me, è da egoisti.-. Mi ripropongo di farglielo presente il mattino seguente. Ma so già cosa mi risponderà lui. Che l'importante è che sia serena io, che ce la farà a resistere. Per me. Ed è con una profonda sensazione di vergogna che mi stringe che mi lascio avvolgere dal sonno.

Quando apro gli occhi capisco immediatamente che qualcosa è cambiato. A suggerirlo è una fastidiosa sensazione di freddo che viene dalla mia sinistra. Quando dormo con Peeta questo non mi succede, c'è lui a tenermi al caldo anche senza il bisogno delle coperte. Quindi mi giro, di scatto, improvvisamente inquieta. Mi metto a sedere e sto già per alzarmi quando la sua voce mi blocca. -Dove vai così di fretta?- in mano tiene un piccolo vassoio con la colazione. -Oh.- abbasso lo sguardo, imbarazzata. -Che c'è, Katniss?-. -Niente, scusa.- ma il suo sguardo si fa più intenso e capisco che vuole una risposta, per quanto la situazione possa sembrare assolutamente banale per me, per lui non è così. Sta ancora cercando di capirmi. Di recuperare i pezzi di un passato distorto e confuso. Perciò, per quanto imbarazzante possa essere per me, mi costringo ad essere sincera -Mi sono preoccupata quando non ti ho sentito al mio fianco. Stavo venendo a cercarti.- annuisce., come se ricordasse che anche la “vecchia Katniss” avrebbe potuto fare qualcosa del genere -Dovevi dirmi qualcosa?- mi sorride. Si aspetta qualcosa in particolare? Scuoto la testa.

La sua voce interrompe il filo dei miei pensieri. -Hai fame?-. La risposta sincera sarebbe un sonoro “no”, ma non posso spiegargli che il mio stomaco si è chiuso per quello che sto per dirgli. Così mi limito ad annuire e sorridere. Ma anche da depistato lui mi conosce troppo bene. Mi scruta intensamente, finché non sono costretta a distogliere lo sguardo imbarazzata. “Non sei brava a mentire. Non giocare d'azzardo, perderesti sicuramente”. Come allora, anche adesso queste parole mi suscitano un senso di irritazione parecchio forte. Ma non posso rischiare di allontanarlo da me più di quanto non sia già successo, così cerco di migliorare la mia posizione per quanto possibile -Cose di donne.-. Ora è lui ad essere imbarazzato. Quasi mi pento, ma poi il mio lato più egoista ha il sopravvento, come sempre. Decido di parlargli del fatto di dormire insieme più tardi, verso sera, quando questa conversazione non sarà più importante. È assurdo dover programmare tutto in questo modo. Mi chiedo quanto ci vorrà per riuscire a recuperare la spontaneità che ci è stata sottratta in questi mesi.

Quando ormai è ora di cena, sento che il tempo sta scorrendo fin troppo velocemente. E la situazione è imbarazzante, dato che siamo soli. Haymitch è stato così impegnato con le sue oche oggi che è crollato dalla stanchezza dopo una bottiglia.

Peeta ha preparato delle cosce di pollo al succo di limone e del pane ai semi di girasole, mentre io mi occupavo delle verdure. Riscopro in questi semplici gesti un nuovo significato, più profondo. Non una mera meccanicità. Ed è lui a portare tutto questo. È lui a rendere così ricca di luce e sfumature anche la cosa più banale. Ed è per questo che, da persona approfittatrice quale sono, non posso rinunciare alla sua presenza. Non potrò mai. Il senso di colpa viene velocemente soppiantato da una nuova consapevolezza. Se prima non avevo speranza per il mio futuro, se la vita con Peeta era un progetto di Capitol City, ora non è più così. Lui è qui e io lo voglio qui, con me. Semplicemente perché tengo a lui, perché siamo amici. Ma una semplice amica non si arrabbierebbe al sentirsi dire -Sai, prima ho visto Delly. Ha detto di salutarti.- provo la stessa irritazione che mi aveva assalita al pensiero di Gale e Madge. Ed è una cosa così stupida che me ne vergogno immediatamente. Così le mie labbra sembrano muoversi automaticamente quando dico -Oh, grazie. Come sta?-. Lui, inaspettatamente, ride. -Non devi essere gelosa, lo sai, Katniss?-. Rossa come un peperone, sussurro -Cosa? E di chi dovrei essere gelosa, scusa?- Lui ride ancora e mi volta le spalle per tirare fuori la teglia con la nostra cena dal forno. Sta ancora sorridendo quando mi porge i piatti ben colmi di cibo. Io metto il broncio, come una bambina capricciosa. I nostri occhi si incontrano e non posso fare a meno di rispondere al suo sorriso. Per il semplice fatto che è lui. Questo ragazzo dolce, ironico e gentile è davvero il mio Peeta. -Perché mi fissi?- -Non lo faccio.-, rispondo indispettita. Questa mia affermazione suscita in lui ancora più risate. Faccio per andarmene, indignata, dalla cucina. Ma lui, ancora ridendo, mi blocca spingendomi dolcemente verso il ripiano della cucina. Mi tiene le mani legate dietro la schiena e poggia delicatamente la sua mano sinistra sul mio collo. Si sforza di rimanere serio, ma è troppo felice per avere successo. Sento che il mio cuore potrebbe esplodere da un momento all'altro. Siamo troppo vicini e troppo distanti allo stesso tempo. Così, come ho già fatto una volta nei sotterranei di Capitol City, mi sporgo verso di lui e lo bacio. Lui inizialmente resta immobile, poi mi ricambia, esitante. È strano. E poi vedo i suoi occhi blu e il suo sorriso appena accennato e capisco che niente sta andando storto. Sembra triste. Lo guardo interrogativa, ma lui scuote il capo e si scosta da me. A questo punto sono io a trattenerlo, afferrandolo per un braccio con molta meno grazia di quanta non ne abbia usata lui verso di me. -Katniss...-. -Non capisco, qual'è il problema se ci baciamo Peeta?- Lui sospira. Brutto segno, sarà un discorso lungo. -Non c'è nessun problema. Quello che provo per te non è cambiato e non cambierà mai, lo sai benissimo. Il fatto è che non voglio accelerare le cose e farti pressione. Capisco di aver sbagliato, ti ho messa in una brutta situazione, forse, ma sappi che davvero non stavo cercando di...di...-. Approfitto di questo suo attimo di esitazione per rispondere a tono. -Io lo volevo fare, Peeta. La situazione non avrebbe potuto essere migliore di così-. Abbasso lo sguardo a terra, rossa in viso. Ed è dal porpora sulle mie guance che lui capisce che sono sincera. Incoraggiato dalle mie parole si avvicina nuovamente e mi sussurra all'orecchio -Allora, Mrs. Everdeen, da questo devo dedurre di piacerle davvero?- -Può darsi-, rispondo evasiva. Lui ride ancora una volta e mi dà un bacio sulla fronte, invitandomi poi a seguirlo a tavola.  

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Capitolo 5
*** Sei mesi dopo... ***


 

5. Sei mesi dopo... 

 

Dal nostro ultimo scambio in cucina non ci sono stati altri baci. Se devo essere sincera, non li ho mai desiderati tanto quanto in queste settimane, ma ho paura di infrangere una sorta di equilibrio che si è venuto a creare tra noi, così aspetto che sia lui a prendere l'iniziativa. Va detto che i miglioramenti sono stati così straordinari che a volte dimentico tutto quello che ha passato. Di colpo vengo gettata di nuovo nella realtà quando, alla sera, si cambia per venire a dormire e vedo i segni delle bruciature sul suo corpo. Lui sembra essersi accorto del disagio che provo di fronte alle mie cicatrici e così, con una scusa o l'altra, fa sempre in modo di trovarsi in un altra stanza quando sono io a dovermi preparare per la notte. Per quanto riguarda gli incubi, ormai sono sicura che non se ne andranno mai. Ci sono notti in cui niente interrompe il mio riposo, ma sono relativamente poche se confrontate con le altre. Ma Peeta è sempre al mio fianco. Mi addormento protetta dal suo calore e sono poche le mattine in cui lui non è ancora al mio fianco ma si è alzato per preparare la colazione.

Nelle ultime settimane tutto è trascorso molto tranquillamente. Le giornate si susseguono serene, tra caccia e ricordi. Io e Peeta abbiamo iniziato a scrivere il nostro libro una settimana dopo la mia telefonata al Dottor Aurelius. Come sempre a Capitol non sanno darsi una misura: ci sono stati recapitati non meno di mille fogli e una confezione di 30 penne. Come se volessimo scrivere un romanzo e non un diario! Ci siamo gettati in questo progetto con grande entusiasmo. All'inizio però è stato molto difficile. Più cercavamo di trovare memorie felici, più i momenti cupi si facevano sentire in tutta la loro pesantezza. I primi pomeriggi quindi non abbiamo scritto nulla. Siamo rimasti semplicemente in silenzio, abbracciati, per sconfiggere insieme gli incubi. Peeta sta lentamente tornando quello di sempre: cucina e mi sta vicino, proprio come durante il nostro Tour di un anno fa. Da qualche tempo poi ha iniziato a lavorare seriamente al progetto di riaprire la panetteria del padre. Per lo più passa il tempo a disegnare quello che vorrebbe. Ma ancora non ha avuto il coraggio di andare direttamente sul posto a dare un'occhiata ai danni effettivamente subiti dai locali durante il bombardamento.

Quando gli ho propongo di accompagnarlo lui scuote la testa tristemente, mormorando -No, Katniss. Sarebbe troppo pericoloso se tu venissi con me, e comunque ancora non me la sento di andare.-. Non mi interrogo più di tanto sul suo rifiuto alla mia presenza, pensando lui si rifersica a pericoli ti tipo strutturale, che lui stia cercando di proteggermi da possibili cedimenti di quanto resta del panificio. Poi capisco, e una stretta al cuore mi blocca per alcuni secondi. Ha paura di farmi del male lui stesso, che la tortura infertagli da Snow possa avere il sopravvento sul suo amore per me. Lui deve accorgersene perché mi dice -Ma se davvero ci tieni...vedremo, Katniss, vedremo...-. Sorrido come una sciocca alle sue parole e lui mi lascia un breve bacio sulla tempia. Mi saluta per tornare nella sua vecchia casa al Villaggio. Ormai ci va solo per dipingere, dato che passa la maggior parte del suo tempo con me. Solitamente approfitto di questi momenti per tornare nei boschi. Ogni volta mi stupisco dell'effetto che la natura ha su di me. Quando caccio non esiste altro, solo il fruscio degli animali tra le foglie e il lento scorrere dell'acqua nei ruscelli. A volte non tento nemmeno di cacciare, mi limito a sedermi su un ramo basso e a cantare, finchè le Ghiandaie non iniziano a riprodurre la mia voce alterandola e trasformandola nella più soave delle melodie. Ed è proprio quello che sto facendo oggi, quando sento dei passi alle mie spalle. Immediatamente i miei sensi si fanno più vigili e io scatto, voltandomi. Peeta mi sta cercando, non deve avermi vista. Però deve essersi accorto del canto degli uccelli quindi sa che sono qui nei dintorni. Aspetto che si avvicini di più prima di rispondere in un sussurro alla sua chiamata. Semplicemente non volevo che la melodia si interrompesse. Alza lo sguardo verso la mia posizione e mi sorride. Tende le braccia verso di me, per invitarmi a scendere. Di rimando, gli dico -Prendimi!-. Prima che lui possa pensare troppo alle conseguenze di un gesto che, so per certo, lui reputa inutilmente pericoloso, mi sporgo e mi lascio scivolare a terra. Peeta mi afferra saldamente, ma poi perde l'equilibrio e cade all'indietro. Ridendo, restiamo sdraiati a terra, io sopra di lui. Sbalzata indietro di quasi due anni, impulsivamente lo bacio. Ed ecco che i buoni propositi di aspettarlo e dargli tempo sono svaniti in due secondi. Lui risponde con intusiasmo, tenendomi stretta e facendo scorrere le sue mani sulla mia schiena e portandole poi ad incornicirmi il viso. Mi guarda così intensamente da non farmi capire più niente. Sento dentro di me una strana sensazione e desidero solo continuare a baciarlo. Come in un sogno lontano gli dico – Vorrei fermare il tempo e vivere così per sempre.- Lui al ricordo ride, ma poi, dopo un altro lungo bacio mi risponde -Io non vado da nessuna parte senza di te. Adesso però dobbiamo tornare a casa, Haymitch vuole vederci.-. Sbuffo, spazientita, perché non mi sarei voluta staccare dalle sue labbra, ma poi lo seguo, lasciando che i miei passi si adeguino al suo ritmo.

Non appena il nostro mentore ci vede entrare esclama -Era ora! Stavo cominciando a pensare che vi foste rintanati in qualche parte del bosco per...-. -Piantala, Haymitch!-. Sbotto, irritata. Lui sogghigna. Faccio strada verso il salotto e ci sediamo, lui sulla poltrona, io e Peeta uno di fianco all'altra sul divano. -Allora, qual è il motivo di tutta questa fretta?-. -Calma, calma, dolcezza! Sempre questi modi burberi...Peeta non ti ha insegnato niente?-. Metto il broncio e decido di non partecipare a questa conversazione assurda a meno che io non venga espressamente interpellata. Peeta invita Haymitch a continuare. E questo è quello che ci dice: la Paylor vuole incontrarci. Inoltre ci sarà un'intervista in diretta nazionale allo scopo di rassicurare il popolo e far vedere che noi due siamo riusciti a ricostruirci una vita nonostante tutto. I miei buoni propositi vanno in fumo, mentre mi alzo in piedi di scatto gridando -No! Non ho intenzione di essere usata un'altra volta...-. Il panico nella mia voce è percepibile. Peeta non dice nulla, si limita a piazzarsi di fronte a me e a prendermi il volto tra le mani. Incolla i suoi occhi ai miei e pian piano sento la disperazione dileguarsi, svanire in piccoli sbuffi come la nebbia velenosa dell'Arena. -Haymitch, quello che dice Katniss è verissimo. Finché si trattava degli Hunger Games e della Rivoluzione le interviste avevano un senso. Ma adesso sono passati molti mesi, non vedo come potremmo avere ancora una qualche influenza.- -Te lo spiego io, ragazzo. A quanto pare il caro dottor Aurelius ha parlato del vostro libro. Questa iniziativa è stata vista così positivamente che Plutarch ha convinto la presidente a farvi chiamare per parlarne davanti a tutto Panem.-. Appunto mentalmente di non rispondere al telefono per i prossimi dieci anni. No. Non posso rivivere tutto questo davanti al Paese. A mia madre, che mi ha abbandonata. A Gale, che ha dedicato e sta dedicando tutt'ora tutta la sua vita alla rivoluzione e alla ricostruzione. Non posso. Ma Peeta sta dicendo ad Haymitch che ci penseremo. La sua voce mi ricorda che non sono da sola. E se lui è con me forse ce la posso fare. Quello che continuo a ripetermi è che è troppo presto. Non sono pronta a condividere con il resto del mondo le mie paure, le mie sofferenze e i ricordi più dolorosi. E più di ogni altra cosa non voglio che loro sappiano dei momenti più belli, che vivono nel mio cuore e che per voglio condividere solo con Peeta, al massimo con Haymitch.

Siamo a letto quando lo faccio partecipe dei miei pensieri. -Non credere che io ne abbia tanta voglia, Katniss.- con la testa appoggiata sul suo petto non lo vedo in volto, ma sento chiaro il battito accelerato del suo cuore e percepisco il tono duro della sua voce. -E allora perché hai detto ad Haymitch che ci avremmo pensato?- -Perché se tutta questa storia non avesse coinvolto noi, se al posto nostro ci fossero state altre due persone, probabilmente vedere i loro miglioramenti, essere partecipi della loro quotidianità, mi avrebbe tranquillizzato e invogliato ad andare avanti.-. Non può pensarlo veramente. - E la fatica che abbiamo fatto noi fino ad adesso? Nessuno ci ha aiutati.- -Non direi, Katniss. Fermati un minuto a pensare a quello che Plutarch e Aurelius hanno fatto per noi.- faccio come mi suggerisce. Si sono serviti di me per la Rivoluzione, è vero. Ma poi sono riusciti a farmi assolvere nel processo a mio carico per aver trafitto il cuore della Coin. Mi hanno rispedito nel Dodici e hanno mandato Haymitch e Sae perché mi stessero vicino. Hanno fatto tornare a casa Peeta e mi hanno mandato un blocco di fogli per scirvere il libro. Questi sono stati indubbiamente degli aiuti notevoli. Ma per Peeta cos'hanno fatto? -Perchè hai detto “noi”? Per te non hanno fatto niente.-. Mi solleva il viso così che io possa guardarlo negli occhi mentre mi dice- Ti hanno salvata, Katniss. Mi hanno dato un motivo per continuare a lottare e a vivere.-. -No. Sei tu che mi hai salvata, Peeta, quel giorno. Sempre.-. Le emozioni mi travolgono e ancora una volta mi ritrovo a baciarlo. E questi baci sono così simili a quelli sulla spiaggia...mi sembra quasi di sentire sulla pelle i granelli di sabbia, l'odore della salsedine sul collo di Peeta. Questa volta niente ci interrompe, nemmeno l'albero del fulmine. Restiamo abbracciati per quelle che sembrano ore. Porto le mani tra i suoi ricci e mi blocco di colpo quando lui inverte le nostre posizioni e si mette sopra di me. Non c'è bisogno che io dica niente, lui conosce il mio corpo meglio di me. Si rialza e scivola al mio fianco, dandomi in ultimo bacio sulla tempia e augurandomi la buonanotte.  

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Capitolo 6
*** Dubbi ***


CAPITOLO 6. Dubbi

 

La notte passa senza che io abbia incubi. Va detto che sarebbe impossibile anche per me sognare, dato che proprio non riesco a chiudere occhio. Sento al mio fianco il respiro regolare di Peeta, ma non mi calma per niente. Lui si è addormentato quasi subito e di certo non posso svegliarlo per dirgli che sono inquieta. E soprattutto non posso dirgli che è a causa sua che mi sento così. Forse è perché per la prima volta mi rendo conto dei miei sentimenti. Prima era tutto confuso. Non sapevo mai fino a che punto arrivava l'amicizia. Per non parlare del rapporto con Gale, che ha decisamente complicato le cose. Diciamo pure che fino a questo momento ho fatto di tutto per non pensare all'amore. Perché non mi voglio sposare. Non permetterò a nessuno di portarmi via qualcuno un'altra volta, e avere figli non farebbe che rendermi più vulnerabile. Ma se dicessi di sì a Peeta adesso chissà cosa potrebbe portare il futuro. La verità è che sono egoista e non posso rinunciare a lui. E se per averlo al mio fianco devo cedere all'amore, quasiasi cosa questa parola voglia dire, non so se avrò la forza di resistergli. Al momento non riesco ancora a capire fino a che punto si siano spinte le mie emozioni. Certo, questi baci sono stati incredibilmente piacevoli e io voglio molto bene a Peeta. È grazie a lui se ho ricominciato a sperare nel futuro e ho iniziato a riprendere in mano la mia vita. Che sia amore? Non lo so. Devo solo provare a lasciarmi andare, solo così riuscirò a capirci qualcosa sul serio. Questi sono i pensieri che mi accompagnano per tutta la notte. Se a tutto questo aggiungiamo il fatto di un'imminente visita a Capitol City con tanto di intervista, è facile capire come prendere sonno mi sia oramai impossibile. È appena spuntata l'alba quando non ce la faccio più e mi alzo per fare una doccia, sperando che almeno l'acqua bollente riesca a sciogliere magicamente i miei nervi tesi. Inutile dire che non ho successo. Esco dal bagno con i capelli che mi bagnano la schiena provocandomi la pelle d'oca lungo le braccia e con indosso una leggera vestglia di seta sopra alla biancheria. Stravolta da questa notte insonne, con la mente offuscata e tutt'altro che lucida, scendo al piano di terra e mi piazzo davanti alla stufa sedendomi su un morbido cuscino. Pian piano cedo alla stanchezza e mi sdraio a terra sul tappeto. Sento le palpepre farsi pesanti e mi addormento. Quando riapro gli occhi è primo pomeriggio. La mia testa è appoggiata sul braccio di Peeta. Mi muovo piano per non svegliarlo, ma i miei movimenti sono impediti da una pesante coperta di lana che mi avvolge completamente e che mi sta facendo sudare. È assurdo che io non mi sia svegliata mentre lui mi riportava al piano di sopra e mi metteva a letto. Ovviamente Peeta è già sveglio e quando sente che mi muovo cerca di aiutarmi a liberarmi dal mio bozzolo. Quando più nulla impedisce i miei arti, mi riposiziono più comodamente appoggiando il capo sul suo petto. -Potresti spiegarmi come ho fatto a finire di nuovo a letto senza svegliarmi? Mi sembra impossibile- gli dico sinceramente. Lui ride piano e si limita ad alzare le spalle. Mi sollevo per guardarlo negli occhi. Non devo avere un bell'aspetto perché lui si incupisce un po'. Velocemente mi sottraggo alla sua vista e riacquisto la mia posizione iniziale. -La vera domanda è perché tu sei finita in salotto.- dal tono sento che sta sorridendo. -Non riuscivo a dormire.-. -Beh, certo, adesso è tutto molto più chiaro!- dice lui enfatizzando l'avverbio. Prima di riuscire a trattenermi gli lancio un cuscino sul viso. Lui lo afferra e scherzosamente ricambia il gesto. Ridendo iniziamo una lotta che finisce con me vincitrice, seduta comodamente sul suo bacino. - Hai vinto, hai vinto! Pietà!- grida per gioco lui. Haymitch entra due secondi dopo, con il fiato corto. -Che cosa diamine sta succedendo qui?- mi sposto velocemente e scendo dal letto, rossa in faccia. La situazione potrebbe anche sembrare equivoca. Anche Peeta si alza, ma più lentamente rispetto a me. -Buongiorno anche a te, Haymitch! Non sta succedendo niente comunque, stavamo solo giocando un po'-. -Lo vedo, ragazzo. Ma alla vostra età dovreste iniziare ad occuparvi di giochi un po' diversi, non so se si capisce...-. Alzo gli occhi al soffitto. -Certo, come dici tu. Comunque se sei venuto qui per riproporci il favoloso invito della presidente sappi che non abbiamo ancora deciso. O almeno, io non l'ho fatto.-. -Calma, dolcezza. Ero passato solo per vedere se andava tutto bene. Ieri eri particolarmente scossa e quando stamattina non vi ho visti pensavo ci fossero problemi.-. -Grazie, Haymitch. È tutto apposto.- anche questa volta è Peeta a prendere le redini della conversazione e a dare voce alle parole che restano mute nella mia gola. -Lo vedo. Comunque, Katniss, non è che voi abbiate molta scelta. Come dire, lei è pur sempre la Presidente. Giovedì arriverà Effie per accompagnarci tutti a Capitol.- esce dalla stanza prima che io possa ribattere.

 

 

 

Grazie a chi segue la mia storia, spero continui a piacervi!

Mi dispiace che questo capitolo sia più breve del solito, mi farò perdonare con il prossimo (spero)... Ciao, a presto :)

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Capitolo 7
*** Viaggio verso Capitol City ***


 

Mi accorgo che nell'aria c'è qualcosa di diverso ancora prima di aprire gli occhi. Cerco di rimandare questo momento seppellendo la testa sotto il cuscino e rintanandomi il più possibile sotto le coperte, ma una voce mi chiama per dirmi che una nuova “grande, grande, grande giornata!” sta per cominciare. Come faccia Effie a sembrare ogni volta così pimpante fin dal mattino resterà per me sempre un mistero. Sbuffando, mi obbligo ad alzarmi e mi indispettisco immediatamente a non ritrovare Peeta al mio fianco. Deve essere sceso prima per darle il benvenuto. Ancora mezza addormentata vado in bagno e poi mi vesto svogliatamente indossando vestiti a casaccio, ben sapendo che comunque dopo mi dovrei cambiare per affrontare il nostro viaggio in grande stile.

Dopo la colazione, come previsto, Effie mi accompagna al piano di sopra per aiutare a sistemarmi. Come avrebbero fatto i miei preparatori, anche lei inizia a lamentarsi per il degrado della mia bellezza. -Oh, Katniss! Guarda che occhi!- si interrompe per ammirare il mio viso alla luce diretta che penetra dalla finestra aperta. -Tesoro, una donna deve sempre prendersi cura del suo aspetto, lo sai.-. Mi limito ad annuire. Non voglio avere un battibecco con lei.

Mi fa indossare un semplice abito in lino azzurro, con una fascia blu in vita, e mi trucca quel tanto che basta per coprire le occhiaie e rendermi più carina. Mi lego i capelli nella solita treccia e sono pronta per andare. Non è necessario che io prenda oggetti personali da casa, a Capitol troverò tutto quello che mi serve.

 

-L'ultima volta che ho preso questo treno non pensavo che sarei più tornato indietro.-. Mi dice Peeta sovrappensiero non appena ci ritroviamo soli nella mia stanza. -Nemmeno io.- sussurro in risposta sul suo collo. - Non ho mai capito perché tu volessi salvarmi a tutti costi, Katniss. Nel mio caso era evidente, ma tu...-. Lo interrompo sollevandomi e appoggiandogli due dita sulle labbra. Lui continua a guardarmi intensamente finché io non cedo alla sua domanda. -Non potevo sopportare l'idea che una persona buona come te fosse costretta a rivivere quell'incubo un'altra volta.- abbasso lo sguardo. -Ma quello era inevitabile, Katniss. Sarei comunque dovuto venire nell'Arena. Spiegati meglio, per favore.- -No che non avresti dovuto. Haymitch si sarebbe offerto al tuo posto e tu...tu...-. - Io sarei morto al pensiero di non poterti proteggere e di non poter passare con te ogni minuto che mi restava-. Conclude lui. Ci fissiamo per dei secondi interminabili, poi, come a rallentatore, mi sporgo verso di lui e ci baciamo. Vengo sopraffatta dalle emozioni e provo una sensazione di calore che si diffonde in tutto il corpo, fino alle punte dei capelli. Mi sento leggera, tranquilla. Niente potrebbe rovinare questo momento. Le sue labbra morbide sembrano fatte apposta per combaciare con le mie. I nostri respiri accaldati e le guance in fiamme mi fanno rivivere mentalmente quei momenti sulla spiaggia...mi stringo di più a lui, intrecciando le dita tra i suoi capelli, mentre le sue mi incorniciano il viso nella più dolce delle strette. Come qualche notte fa, lui si sposta fino a trovarsi sopra di me. Solo che adesso io faccio in modo che i nostri corpi stiano più vicini, attirandolo a me e facendo scorrere le mie mani lungo la sua schiena. Lui continua ad accarezzarmi il viso, il profilo del corpo. E tutto sembra così giusto, in questo momento. Non ho dubbi sul fatto che tutto questo sarebbe successo comunque. Perché solo Peeta riesce a dare alla mia vita la luminosità di cui ho bisogno per andare avanti. Perché lui è al mio fianco sempre e comunque. Perché il suo amore è l'unica cosa bella al mondo. Per questo non potrò più sottarrmi alle sue mani e ai suoi baci, perché la mia stessa sopravvivenza è legata a lui. Come il dente di leone di quel giorno di tanti anni fa, lui mi ricorda che una possibilità e una speranza per il futuro ci saranno sempre, che non importa se ci saranno delle difficoltà, perché insieme potremo affrontare qualsiasi cosa, superando il passato senza però dimenticarlo.

Sento che non riuscirò più a fermarmi, che la fame che sento in questo momento mi porterà alla deriva. E non desidero altro che lasciarmi andare e farmi avvolgere dalle onde. Sto per toglierli la maglietta del pigiama, quando lui mi blocca i polsi. Incerta, mi fermo. Temo stia avendo uno dei suoi episodi, quindi resto immobile per dargli il tempo di calmarsi. Ma quando mi parla la sua voce è già tranquilla. -No, Katniss, ferma.-. Delusa, mi sposto e mi metto a sedere al suo fianco. Lo guardo truce e per vederlo meglio accendo la lampada sul comodino. Non riesco a credere che lui mi abbia allontanata. Lui sospira e abbassa lo sguardo sulle sue mani intrecciate, visibilmente nervoso. Sento la rabbia accendermi le guance e davvero non capisco. Insomma, sono io quella che è sempre stata etichettata come quella pura e adesso che per una volta volevo lasciarmi andare ecco che divento incosciente. Aspetto che lui dica qualcosa, anche se so già il motivo di tutto questo. La spiegazione di Peeta comunque non tarda ad arrivare – Io ti voglio, lo sai. Ma questo non è il momento giusto, Katniss. Voglio dire, dopo averlo sognato per così tanti anni, e questo ti giuro che me lo ricordo perfettamente, non voglio rischiare di rovinare tutto con la mia instabilità. È troppo presto.-. -Ma tu stai bene!- sbotto, quasi urlando. -Cosa c'è di sbagliato se stiamo più vicini?- il suo sguardo è tristissimo adesso. È evidente che sta pensando che io sia egoista a volerlo forzare. Lui, ancora una volta, sta facendo tutto questo per me. È la prima volta che la sua generosità mi sembra così sbagliata. Evidentemente con il depistaggio non sono riusciti a cancellare questa parte del suo carattere. So che non dovrei prendermela, anzi, dovrei addirittura essere contenta. Il problema è che una parte del mio cervello, quella vicino al punto dove mi ha colpito la spoletta di Johanna probabilmente, non riesce ad evitare di farmi sentire rifiutata. Ed è una sensazione completamente nuova. Forse per la prima volta mi trovo nei panni di Peeta, che ha passato anni ad amarmi a distanza. E adesso che sono io a provare certe cose...be', in un certo senso me lo merito. Tutti questi pensieri attraversano la mia mente in una frazione di secondo, poi lui dice – Io non sto ancora bene, Katniss, lo sai benissimo. Il fatto che io non cerchi più di farti del male non vuol dire che io sia quello di prima. Eravamo d'accordo che avremo ricominciato insieme daccapo, ed è esattamente quello che ti chiedo ancora. Ma ho bisogno di più tempo per rimettermi, per essere sicuro di riuscire a stare con te in quel modo. Il dottor- . - Oh, al diavolo il Dottore!- Esplodo io, alzandomi sulle ginocchia. Non dovrei arrabbiarmi così, lo so. E in realtà è piuttosto imbarazzante, perché è probabile che qualche inserviente si trovi proprio fuori dalla porta e che quindi riesca a sentire ogni parola che esce a fatica dalle mie labbra. -Perchè? Perché tutti devono intromettersi nelle nostra vita, Peeta? Abbiamo fatto tutto quello che volevano. Facciamo sempre quello che vogliono. Anche adesso, guarda dove siamo!- mi alzo di scatto dal letto e mi avvicino alle tende per scostarle nervosamente e mostrare così il susseguirsi di luci fuori dal finestrino. Anche lui si alza e mi viene vicino, zoppicando un po', come fa sempre quando tiene la gamba ferma troppo a lungo. Mi mette le mani sulle spalle e mi guarda dritto negli occhi. -Qui non si tratta di fare quello che dicono loro, Katniss. Qui si tratta di iniziare un nuovo futuro. E per mettere delle basi solide dobbiamo procedere passo passo, tutto qui. E comunque, quello che mi ha detto il dottore non si discosta molto dal tuo di pensiero, quindi non arrabbiarti tanto con chi, in un modo o nell'altro, cerca di aiutarti. In effetti lui mi ha detto che devo cercare di viverle fino in fondo, le emozioni positive che mi susciti...-. Si blocca, imbarazzato quanto me dalla confessione. -Ma?- faccio io, con gli occhi bassi. -Ma-, esita – Ho paura di rovinare tutto, Katniss. Che tu ti renderai improvvisamente conto che non sono più la stessa persona di prima, che non puoi più fidarti di me-. Adesso mi guarda spaurito, come un bambino. Non riesco a descrivere il fiume di emozioni che mi travolge in questo momento. Spicca notevolmente la tenerezza però, questo è certo. Piano, per non indurlo ad allontanarsi, mi avvicino di più e porto le mani dietro alla sua nuca. Lo attiro in basso verso di me, costringendolo dolcemente a respirare il profumo dai miei capelli slegati. Lui per un po' esita, poi si lascia andare e mi stringe i fianchi, prima dolcemente, poi con un po' più di passione, ma sempre ben attento a non spingersi troppo vicino a me. Un'ora più tardi, poco prima che si addormenti, gli sussurro all'orecchio – Non potresti mai rovinare nulla, Peeta.-.

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Capitolo 8
*** Capitol City ***


CAPITOLO 08- Capitol City

 

Quando il mattino seguente raggiungiamo gli altri per la colazione veniamo accolti da un Haymitch particolarmente di cattivo umore. -Hai ritrovato la voce, eh, Ragazza in Fiamme?-. In tutta risposta le mie guance vanno a fuoco. Indispettita, faccio per ribattere, ma una mano di Peeta sulla schiena mi fa mordere la lingua. -Dai, non arrabbiarti.-. Sbuffo. -Come fai ad essere sempre così tranquillo?- allontano stizzita la sua mano dal mio fianco e vado verso il finestrino. Si limita a seguirmi e a darmi un bacio sulla testa. Poi entra Effie ad informarci che tra meno di un'ora saremo a Capitol e che quindi è il momento di iniziare a prepararsi.

Al nostro arrivo non ci sono telecamere ad aspettarci, per fortuna. Non che le aspettassi, a dire la verità, ma ero così abituata a fare entrate di scena che questo per un attimo mi sembra impossibile. Un'automobile dai vetri oscurati ci aspetta per accompagnarci ai nostri alloggi. Non più al Centro di Addestramento, bensì nella residenza della Presidente. Per l'occasione, che pure non sarà pubblicizzata se non da domani, quando appariremo brevemente in tv al fianco della Paylor per annunciare l'intervista di domenica, sono state preparate per noi le stanze più belle del palazzo. Effie dice che preferisce restare a casa sua per non causare disturbo. In realtà capisco benissimo che questo posto le ricordi episodi troppo negativi. Il suo modo per superare gli eventi degli ultimi anni è molto semplice: dimenticare tutto. Ma non la posso biasimare, dopotutto lei è sola ad affrontare la vita, mentre io ho Peeta al mio fianco.

A cena veniamo raggiunti anche dai miei preparatori, la cui presenza non si era resa necessaria prima dato che nessuno mi avrebbe vista e riconosciuta. Sono così contenti di vedermi che ancora una volta provo nei loro confronti al tempo stesso un senso di tenerezza e di pietà, come se io fossi migliore di loro. -Oh, Katniss! Che bello vederti ancora, così felice, così...-. Come un tempo, iniziano a parlare a più non posso per l'intera serata, discutendo con Effie delle ultime novità in fatto di moda mentre io e Peeta parliamo del più e del meno. Haymitch non si fa vedere e posso solo essere grata a qualunque liquore l'abbia tenuto lontano da me. Diciamo che nemmeno per lui qui ci sono dei bei ricordi. Io dovrei essere quella più toccata da questo luogo, dove mi è stata strappata la mia famiglia, e invece mi sorprendo nel rendermi conto che non è così. E so perfettamente chi devo ringraziare per questo.

Il giorno dopo, non basta la presenza di Peeta al mio fianco per calmare il mio nervosismo. Ci troviamo in una sala con solo una trentina di addetti ai lavori. Il pubblico segue l'intervista in diretta da particolari schermi e noi possiamo sentire la loro reazione attraverso dei sofisticati microfoni. Tutto mi ricorda la prima intervista fattami da Ceasar. L'agitazione, le mani che mi sudano. Ma ci sono parecchie cose che sono decisamente diverse. Non sono da sola su questo palcoscenico. Non sto rischiando la morte. Non sto fingendo il mio amore per Peeta.

La voce di Ceasar interrompe il filo dei miei pensieri. -Chi l'avrebbe detto, ragazzi! Che colpo l'intervento della Presidente di ieri sera. Vedervi al suo fianco ad annunciare a tutti questo incontro mi ha letteralmente tolto il fiato, siete d'accordo?- il pubblico lo acclama. Non è cambiato molto. Mi sforzo di sorridere. -Ve lo devo chiedere assolutamente! Come stanno andando le cose tra di voi, al Dodici?-. Arrossisco quasi immediatamente. Da ieri sera faccio fatica a guardare Peeta negli occhi. Mi sento tremendamente imbarazzata per come mi sono comportata, anche perché è evidente che il motivo del mio atteggiamento è l'interesse verso di lui. E adesso che lui sa che non sto fingendo tutto è più difficile. E come al solito è Peeta a rispondere. -Meglio, grazie. Tornare alla quotidianità è stata dura, lo ammetto, ma insieme è possibile.-. Mi prende la mano e io sorrido, lo sguardo rivolto al pavimento. -So che è chiedervi molto, ma il popolo di Panem ha bisogno di sapere. Vorreste raccontarci brevemente quello che successe il giorno in cui la Capitale fu presa dai Ribelli?-. A sorpresa, sono io a parlare. -Eravamo in missione in una squadra di tiratori scelti. Non era in programma che noi arrivassimo fino a Capitol ma, sovvertendo gli ordini, lo abbiamo fatto lo stesso. Per alcuni giorni siamo rimasti nascosti, poi ci siamo ritrovati coinvolti nei disordini senza saper nemmeno noi dove andare.-. -Grazie, Katniss. Va bene così.- si è accorto della mia voce commossa e ha capito che la mia prossima frase avrebbe dovuto essere “E poi ho visto morire mia sorella Prim”. Ceasar mi lascia tranquilla per un paio di minuti, mentre chiacchiera amabilmente con Peeta. Ritorno ad interessarmi alla conversazione solo quando Ceasar chiede a Peeta delle torture subite, di come sia stato ritrovarmi dopo tanto tempo. Allora non sa del depistaggio. Mi volto verso il ragazzo alla mia destra. Sorride tristemente e mi stringe ancora di più la mano, prima di dire -La tortura è stata terribile proprio perché basata sui miei ricordi di Katniss. Rivederla è stato altrettanto difficile, perché mi avevano indotto a credere che il suo amore per me fosse falso. Ma adesso so che è vero.-. Si volta a guardarmi per darmi un breve e inaspettato bacio a stampo, che mi provoca comunque un fremito lungo la schiena. L'ha capito davvero? O lo sta dicendo solo per le telecamere? Non lo so. Questo è esattamente quello che gli spettatori si aspettano da noi, ma sono certa al cento per cento che questo bacio fosse vero. E, forse per la prima volta in pubblico, da parte di entrambi. Arriva il momento di parlare del nostro libro dei ricordi. Spiego brevemente di cosa si tratta e Ceasar è così commosso che è costretto a prendere dell'acqua e ad interrompere l'intervista per alcuni minuti. La reazione del pubblico non è altrettanto esagerata, ma si vede che il nostro messaggio di speranza è stato recepito con successo.

 

Quando alla sera ci ritroviamo nella nostra stanza (che sarebbe la mia, ma che ovviamente condividiamo), mi sento come svuotata. Abbiamo raccontato al mondo la verità questa volta, senza filtri dati da bugie allo scopo di salvarci la vita. Da quando tutto quest'incubo è cominciato, questa è la prima volta che mi succede. Cinna mi aveva già spinto ad essere sincera durante le interviste, ma questa è tutta un'altra cosa. Non ho per niente voglia di parlare, così mi stendo su un fianco, lontana anche da Peeta. La felicità mi sembra in qualche modo un sentimento sbagliato. È giusto andare avanti, lo so. E so anche che mia sorella e tutti gli altri caduti vorrebbero questo per me. E allora perché mi sento così svuotata? Una lacrima silenziosa si fa strada lungo la mia guancia e io la caccio via con stizza.

Peeta mi stava chiaramente guardando, perché il mio movimento non gli è sfuggito. Si alza sulle ginocchia e mi costringe a guardarlo negli occhi. Capisce subito e mi stringe tra le braccia, come fa quando ho gli incubi. Lui mi ha chiesto di ricominciare e io glielo devo. Ed è così naturale questo contatto, che proprio non posso tirarmi indietro adesso. Ma non posso spiegargli che io davvero tengo a lui e che lo voglio aiutare ma che in alcuni momenti mi sento così spezzata ed egoista che vorrei solo nascodermi dal mondo intero. Come dirgli che penso che la mia presenza per lui sia solo negativa? Eppure io lo amo, a mio modo. E sono troppo egoista per lasciarlo libero dai miei problemi. Possibile che basti un solo momento di sconforto da farmi bloccare così? Dato che sono già a Capitol, credo basterà che io chieda al Dottore di farmi avere di nuovo il mio vecchio braccialetto. Non smetterò mai di essere “mentalmente confusa”, probabilmente. Che comunque è sempre meglio che essere “instabile”, mi dico per tranquillizzarmi.

È una telefonata di mia madre che ci sveglia il mattino seguente. Mi chiede se, questo pomeriggio, me la sento di fare una passeggiata con lei. Non mi propone di vedere l'Ospedale perché sa benissimo che non lo sopporterei. Troppo ricordi. Prima di uscire lascio un biglietto ad Haymitch, così non si preoccuperà e avviserà Effie. Trascorriamo la giornata insieme, la prima volta che la vedo da quando sono partita per la guerra. Va detto che il nostro rapporto a distanza funziona benissimo. Credo di non essermi mai sentita tanto vicina a lei come in questo momento. Ci sentiamo una volta alla settimana, lei mi racconta dei suoi pazienti e io della vita nel Dodici. Inutile aggiungere che lei, come Ceasar, è stata particolarmente toccata dall'idea del libro.Tanto che in qualche modo ha deciso di contribuire. Con le lacrime agli occhi, mi consegna una lettera che risale a pochi mesi prima del suo matrimonio. Mio padre le chiedeva il permesso di parlare ai suoi genitori della loro unione, ben sapendo che loro non sarebbero stati contenti della differenza sul piano sociale. Ma le parole erano così dolci, così piene di sentimento, che nessuna madre avrebbe potuto portare via alla figlia un amore tanto forte. Dopo essersi aperta così con me, mi sento così a mio agio in sua compagnia che per la prima volta parlo con mia madre di Peeta. Lei mi confessa di aver sempre pensato che lui fosse un ragazzo speciale. Mi racconta di essere andata spesso a trovarlo in Ospedale, mentre eravamo al 13. Le ricordava così tanto suo padre, che per amore l'aveva lasciata libera, che non poteva fare a meno di provare per lui un sentimento protettivo, quasi materno. Non parlavano, lei si limitava a controllare i suoi valori e a restarsene seduta lì vicino per qualche minuto, fingendo di studiarne la cartella. Poi si alzava e tornava alle sue occupazioni. Solo una volta lui le rivolse la parola – Perché lo fa?- -Non lo so, Peeta. Ma se la mia presenza ti mette a disagio non tornerò.-. Queste visite si ripeterono per le due settimane successive, finché Peeta non si unì alla nostra squadra.

-Penso che avrei dovuto parlartene prima.-. -Forse. Ma non sarebbe servito a molto, in ogni caso.-. Vengo sopraffatta dal disgusto per me stessa mentre le racconto cos'è successo negli ultimi giorni.

- E' normale essere spaventate, Katniss. Oh, sapessi quanto lo ero io prima di sposare tuo padre! Ma fidati,- mi prende il volto tra le mani. - Le cose importanti in un rapporto, che si tratti solo d'amicizia o no, sono la fiducia e la sincerità. E, ricorda, la prima non può esserci se la seconda manca. Quindi il mio consiglio è: parlagli apertamente. Lui saprà capire.-.

Questi discorsi mi mettono a disagio, ma sono contenta di averne parlato con qualcuno, specialemente con mia madre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Di nuovo a casa ***


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 9- Di nuovo a casa

 

Torno alla Residenza e la prima cosa che faccio è cercare Peeta nella sua stanza, ma a quanto pare è uscito. Così mi siedo ai piedi del letto ad aspettarlo, sperando in un'illuminazione che mi permetta di chiarirmi con lui definitivamente.

Quando sento aprirsi la porta sobbalzo. Evidentemente nell'attesa mi sono addormentata, perché mi ritrovo stesa su un fianco ai piedi del letto, senza averne il benché minimo ricordo. Sento la risata di Peeta al mio fianco e subito dopo le sue braccia che mi sollevano e mi depositano delicatamene sulle lenzuola profumate. Si siede al mio fianco e io immediatamente lo attiro verso il basso per farlo sdraiare accanto a me. Come sempre, appoggio il capo sul suo petto e mi faccio cullare dal suo respiro. Impiego qualche minuto a ricordarmi della conversazione con mia madre, ma decido di aspettare un altro po' per godermi questo momento fino in fondo. -Che ore sono, Peeta?-. -Tranquilla, è presto per la cena, sono solo le sei.-. -E' quasi il tramonto allora.-. Ci rifletto un paio di secondi prima di aggiungere -Ti va di uscire per vederlo?- non ho bisogno di sollevare lo sguardo per sapere che sta sorridendo. Sono le sue labbra appoggiate sulle mie per un piccolo bacio che me lo fanno capire, anche se tengo gli occhi chiusi. Prima che lui possa rispondermi mi sposto. Lui si alza e mi prende per mano, voltandosi verso la porta finestra alla sua destra. Non mi ero accorta che si aprisse su un giardino. È ampio e ricco di piante rampicanti che si inerpicano su per le pareti che delineano questo cortiletto interno. Un piccolo sentiero acciottolato conduce ad un grande ulivo recintato, attorno al quale sono disposte circolarmente delle panchine. Peeta mi guida verso una di queste e si siede. Io mi sdraio con la testa sul suo grembo, poi entrambi aspettiamo che il cielo si tinga d'arancio per preparare la strada alle stelle.

È lui ad interrompere il nostro silenzio, quando, dopo cena, ci ritroviamo a letto. -Non mi hai raccontato cos'hai fatto oggi pomeriggio.-. -Prima tu.-. Lui sbuffa, a metà fra il divertito e lo spazientito. -Sono andato da Aurelius. Poi sono passato da Plutarch, che mi aveva chiesto di incontrarlo: a quanto pare vorrebbe ideare un nuovo programma di cucina da alternare a quello canoro e mi ha chiesto se sono interessato.- -E lo sei?-. Mi stringe un po' di più tra le braccia. -Mmm, direi che sto bene al 12 per adesso.- -Per adesso?-. Gli faccio eco, un lieve panico nella voce. -Be', forse è meglio che dica “per sempre”- sospiro di sollievo e involontariamente porto il braccio destro più in alto, fino ad appoggiare la mano alla base del suo collo. Da qui, sento ancora meglio la vibrazione della sua risata leggera.

-Comunque oggi sono solo rimasta con mia madre. Abbiamo parlato molto.- -Posso chiederti di cosa?- -Di te, in realtà.- lo sento irrigidirsi sotto di me. -Perché?- la sua voce ha un tono un po' aspro che mi mette in allarme. No, Peeta, non avere una crisi proprio adesso. -Non sapevo venisse a trovarti, quando non stavi bene.- evidentemente il fatto che io gli abbia risposto subito lo rassicura un poco, lo sento rilassare le spalle. -E' stato perché mi ha mostrato una lettera di mio padre in cui lui diceva di amarla più della sua stessa vita, comunque. A quel punto abbiamo parlato di te e di come tu per me sia importante.-. Le sue dita tracciano dei brevi cerchi sulle mie braccia. -Quanto importante?- ci rifletto su. -Ehm, aspetta un minuto.-. Voglio dirlo nel modo più conciso e completo possibile, così questa conversazione potrà finire al più presto. - Ecco, direi che al momento sei la persona più importante.- -Non ho nessuna concorrenza, quindi?-. Rido piano al ricordo. -No, proprio nessuna.-. -Bene, allora siamo pari.-.

Lascio passare qualche minuto prima di riprendere il discorso. - E poi ti volevo dire che l'altra sera avevi ragione, su tutto. Aspettare a conoscerci meglio è l'unica cosa che possiao fare. Il problema è che il nostro rapporto è stato così guastato dai Giochi e dalla guerra che davvero a volte non so come comportarmi-. Lui mi mette una mano sulla fronte per gioco, come pensando che io stia delirando. La allontano con malagrazia, facendolo ridere ancora una volta. -Non ti preoccupare, comunque. Questa situazione è difficile e nuova per entrambi, le incomprensioni sono normalissime. L'importante è cercare di essere il più sinceri possibile uno verso l'altra, non credi? Per imparare a conoscerci di nuovo.-. Queste sono di fatto le parole di mia madre, e anche le stesse che lui mi ha rivolto il giorno della prima tappa del nostro Tour. Mi limito ad annuire e a stringermi un po' di più a lui. -Quindi, dimmi una cosa Katniss. Una cosa importante su di te e che pensi io non ricordi.- sorrido sulla sua pelle. -Ricordi il mio fiore preferito?- lui non risponde. Si morde il labbro inferiore, pensieroso, e quindi capisco che anche questo particolare gli è stato strappato dalla memoria. -È il dente di leone.- -Veramente? Non pensavo ti piacesse il giallo.-. -Non è il fiore di per se a piacermi, ma...- mi blocco di colpo. Una confessione a sera è più che sufficiente, Katniss. -Ma?- incalza lui. -Be', è stato il segnale che mi ha spinta ad andare avanti dopo la morte di mio padre-, dico, sorvolando sul fatto che il mio ricordo sia legato specialemente a lui. -Ne hai raccolto uno, a scuola, il giorno dopo il nostro, ehm, incontro alla panetteria. Vero o falso?-. Le guance mi vanno a fuoco. -Ehm, vero.- -Grazie, Katniss.-. Mi sussurra commosso. -Ora forse è meglio dormire. Domani mattina Effie sarà qui all'alba per assicurarsi che siamo pronti a partire per tornare a casa, probabilmente.-. Grata per il fatto che lui abbia deciso di interrompere la conversazione, mi addormento in pochi minuti.

 

Il nostro arrivo alla stazione passa inosservato, fortunatamente.

-Grazie per essere stata con noi, Effie.- è Peeta a parlare, naturalmente. Lei, commossa, ci abbraccia velocemente e si allontana. Sospiro, sperando di non dover più tornare in questa città. Sono già salita e il treno ha già avviato i motori quando sento delle urla fuori dal finestrino. -Fermi! Fermi, idioti!- conosco una sola persona al mondo a parte Haymitch, che però è qui al mio fianco, che non si fa problemi a dare dell'idiota a qualcuno. Quando mi sporgo sto già pronunciando il suo nome. -Johanna!-. La vedo correre, trascinandosi dietro un borsone e una Annie seriamente confusa. Quest'ultima cerca di mantenere un passo quanto meno saltellante possibile, per non disturbare il bambino che tiene tra le sue braccia. Non appena mi vede, Johanna smette di sbracciarsi e di urlare, ma continua a procedere lungo il treno con passo sostenuto. Alcuni inservienti scendono per aiutarle con la valigia e il bambino, poi, come se niente fosse successo, si chiudono le porte e finalmente partiamo per tornare a casa. -Dannazione.- impreca Johanna. -Ho dimenticato a casa le pastiglie per la nausea. Odio viaggiare. - Peeta si fa avanti. -Ciao, ragazze! Non per essere scortese, ma...- -Cosa ci facciamo qui? Be', Ragazzo pseudo-Innamorato, Capitol non piace a voi quanto non piace a noi. Avevamo giusto bisogno di una pausa.-. Non mi piace il tono in cui Johanna gli si è rivolta, ma evito i commenti e mi rivolgo ad Annie, che fissa un punto imprecisato della parete alle mie spalle e, distrattamente, culla tra le braccia il suo bambino. - Ciao, Annie. Ti trovo bene. Come sta il piccolo?- si riscuote appena ma non risponde. Si limita ad allontanarsi un poco da tutti noi e a sedersi in una poltrona vicino al finestrino, poi inizia a mormorare frasi sconnesse sottovoce. Johanna ride sprezzante nel vedere la mia espressione delusa. -Non sei mai stata brava a fare conversazione, lo sai no? Comunque il bambino sta bene, se ti interessa davvero.- sto per ribattere, perché mi sembra assurdo che lei pensi che non mi importi del figlio di uno dei miei più cari amici, ma Peeta mi appoggia una mano dietro la schiena e poi la fa scivolare sul mio fianco sinistro, e io mi blocco. -Quanto pensate di fermarvi?- continua lui. -Non abbiamo niente da fare a Capitol. Io pensavo di restare per qualche mese.- Peeta annuisce un poco e sovrappensiero mi stringe un po' di più, avvicinandosi. Questo suo gesto involontario non passa però inosservato. -Oh-oh! Finalemente! E io che pensavo che aveste finto anche ieri all'intervista!- Avvampo immediatamente ma Peeta mi salva. Adesso che è tutto vero mi sembra impossibile riuscire a mascherare le mie emozioni. -Non è come credi tu, Johanna, ma ci stiamo lavorando.- -Be', tu in realtà ci lavori da anni, ragazzo. E francamente hai ottenuto gran poco- questa volta è Haymitch a parlare, venendoci incontro traballante con un bicchiere in mano. Dato che è chiaro che è ubriaco, Peeta sta al suo gioco per evitare una discussione -Già, ma il depistaggio mi ha trasformato e adesso ho dei super poteri.- mi strizza l'occhio e io stupidamente sorrido, ma lo stesso mi stacco da lui, per evitare ulteriori commenti.

Il viaggio trascorre in modo relativamente tranquillo, tra pianti del piccolo (di cui non mi hanno ancora detto il nome) e conseguenti scatti d'ira di Johanna, il cui senso materno sembra essere anche minore rispetto al mio. Guardando fuori dal finestrino vedo che è già tarda sera, le dieci passate.

Quando scendiamo dal treno mi sembra di riuscire a respirare di nuovo veramente. Prima, fatta eccezione per i momenti passati da sola con Peeta, avevo sempre questa fastidiosa sensazione di sentirmi osservata e tenuta in qualche modo sotto controllo. È assurdo, probabilmente, ma due Arene e la guerra hanno contribuito a rendermi particolarmente sospettosa.

Il bambino sembra essersi finalmente addormentato, quindi ci incamminiamo verso il Villaggio dei Vincitori nel modo più silenzioso possibile. Va detto che questo posto non ha mai contenuto così tanti vincitori come adesso, che siamo ben cinque. Distrattamente, con Annie qui al mio fianco assieme a suo figlio, mi ritrovo a pensare ad una delle conversazioni avute con Finnik, nella nostra seconda Arena. -Perché il passato è passato. E nessuno in quest'arena è stato vincitore per caso. A parte forse Peeta.-. Al ricordo del mio amico morto una strana sensazione mi prende il petto, rendendomi più difficile far passare l'aria attraverso i polmoni. Dentro di me mi maledico perché la mia mente riesce a variare così facilmente da un pensiero all'altro, rendendomi impossibile censurare i ricordi più dolorosi, che poi, quasi immancabilmente, mi si ripresentano ancora più vividi durante la notte. 

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Capitolo 10
*** Johanna e Annie ***


CAPITOLO 10

Al momento di prepararci per la notte mi sento notevolmente in imbarazzo. La mia casa è un disastro. Le stanze sono così tante che tenerle sempre tutte pronte sarebbe solo uno spreco di tempo ed energie, tanto più ora che vivo da sola. Certo, Sae viene solo per i pasti e Peeta ed io dormiamo insieme, quindi non ha bisogno di una camera tutta per sé. Non si può dire la stessa cosa della sua, di abitazione. È l'incarnazione dell'ordine: i cuscini del divano perfettamente allineati, le sedie con lo schienale appoggiato al bordo del tavolo, gli ingredienti per fare il pane ordinatamente riposti sul ripiano della cucina. Decidiamo comunque per casa mia, solo perché è più vicina.

-Scusate il disordine...- comincio, sussurrando nella luce ridotta dell'entrata. Ma Johanna si limita a zittirmi con un cenno della mano. Faccio cenno di seguirmi su per le scale. Le accompagno in quella che in teoria sarebbe la più bella camera per ospiti mai concepita: grande porta finestra con eleganti tendaggi color pesca, due ampi letti ad una piazza e mezza e lucida mobilia in legno di ciliegio. -Vi posso preparare un tè, finché Katniss sistema la stanza.- dice Peeta. Così come sono salite, le ragazze tornano al piano di sotto assieme a lui. Mi sento piuttosto stupida per non averci pensato prima, ma adesso devo concentrarmi per ricordare dove sono state riposte le lenzuola pulite quindi presto accantono questo pensiero. Le ho appena trovate quando Peeta entra, avvicinandosi a me. -Ti serve aiuto?- -No, grazie. Torna pure di sotto con le ragazze se preferisci.-. Mi guarda con un sorriso sghembo appena accennato. -Se preferisco?- mi si avvicina ancora e mi abbraccia da dietro, affondando il viso nell'incavo del mio collo e procurandomi un brivido lungo la schiena con il semplice calore del suo respiro. Fa passare le braccia attorno alla mia vita, stringendomi piano a sé. Lentamente faccio scivolare le mie mani lungo le sue braccia intrecciate, poi mi fermo sulle sue. Restiamo così, fermi, per qualche secondo ma poi lui mi mormora dolcemente -No, non preferisco.- questa semplice frase scatena dentro di me una marea, ma cerco di controllarmi. Siamo sempre stati fisicamente molto più vicini di quanto io non lo sia mai stata con qualcun altro, ma questi contatti sono completamente diversi. Noi siamo diversi. Deglutisco e mi giro verso di lui, che così porta le mani sulla mia schiena, senza mai perdere il contatto con il mio corpo. Nascondo il viso nell'incavo tra il suo collo e la spalla. Gli lascio un breve bacio sulla pelle morbida e poi mi stacco. Lui sembra un po' deluso, ma non dice niente e si avvicina per aiutarmi a cambiare la biancheria. Dopo meno di dieci minuti la stanza è perfettamente pulita e in ordine, cosa che invece non era stata per mesi.

Quando scendiamo veniamo accolti da una Johanna ridacchiante e una Annie confusa che dà comunque corda alle sue battute su me e Peeta. Mi avvicino a quest'ultima, ignorando i commenti, e mi siedo al suo fianco sul divano del salotto, prendendo dal tavolino la mia tazza colma di cioccolata densa e ancora fumante, dato che Peeta me l'ha appena versata. -Credo sia meglio salire, Annie, così puoi mettere a letto Finnick Junior.-. Dice Johanna. La tazza ha un sussulto tra le mie mani, ma la mia voce è ferma quando incoraggio a mia volta la giovane donna e suo figlio a sistemarsi al piano di sopra. Ci augurano velocemente la buonanotte e ci lasciano soli a sorseggiare le nostre calde bevande. Dopo alcuni minuti Peeta si alza dalla poltrona e si siede al mio fianco, facendo passare un braccio intorno alla mia vita mentre io nascondo il viso tra il suo petto e il collo. -Non piangere. Andrà bene. Stiamo bene.- cerco di dire qualcosa, ma ho la gola annodata, per cui mi limito a stringermi di più a lui. Lo sento sospirare. Faccio per allontanarmi, pensando di dargli fastidio, ma lui mi tira più vicina e mi bacia. È un gesto dolce proprio come il gusto della cioccolata che ancora sento in bocca. Quando si allontana le sue mani corrono al mio volto bagnato e lo accarezzano, asciugandomi le lacrime. -Sei stanca?- -Un po'-, alzo le spalle mentre lo dico. Lui mi guarda serio per un secondo, poi mi sorride e dice -Posso avere l'onore di portarla nella sua stanza, allora?- io sorrido a mia volta, tenendo gli occhi bassi per l'imbarazzo. -Certo.-. Si alza in piedi e tende le braccia verso di me. Io lo guardo interrogativa per un istante, poi lui mi sorride e mi incoraggia ad aggrapparmi al suo collo. Mi solleva dolcemente e io mi stringo a lui abbracciandolo. Il suo profumo caldo è una delle cose che più mi piacciono, una di quelle che potresti sentire costantemente e che ancora non sarebbe abbastanza. Quando arriviamo in camera resta fermo, aspettando forse che io mi stacchi da lui. Ma questo chiaramente non accade, perché il suo abbraccio è troppo piacevole. -Mmm, Katniss?- sollevo lo sguardo nella sua direzione e con l'indice sinistro seguo il profilo delle sue labbra. Mentre lo bacio indietreggia fino a chiudere la porta alle sue spalle spingendola con la gamba sana. Poi vi si appoggia con la schiena e mi tira più in su, senza staccarsi dalla mia bocca. Faccio scivolare le dita tra i suoi capelli e mi stringo sempre di più a lui, scendendo dalle sue braccia e facendomi più vicina al tempo stesso. Le sue mani seguono il profilo del mio corpo e io mi sento le guance completamente in fiamme. Riesco solo a pensare a lui e a quanto io lo desideri, ma quello di cui ha bisogno Peeta è il tempo. Mi riesce difficile pensarlo in questo momento, dato che riesco a percepire piuttosto chiaramente che anche lui vuole me. Nonostante questo, per evitare di sentirmi rifiutata ancora, sono io a interrompere il nostro contatto. -Vado a casa a fare una doccia. Torno presto.- lo osservo mentre si passa le mani tra i capelli per rimetterli in ordine, dato che io glieli ho scompigliati parecchio. -Resta qui, Peeta. Non ha senso che tu vada via, puoi usare il mio bagno come sempre, lo sai.-. Non sembra convinto, poi però prende dei vestiti puliti da un cassetto che ho liberato per lui e esce dalla stanza.

Quando torna sono già a letto. Non ha asciugato i capelli, così quando mi lascia un bacio sulla fronte, assieme al suo sussurrato ”Buonanotte, Katniss” restano anche delle piccole gocce d'acqua a bagnarmi la pelle. Poi continua ad accarezzarmi la schiena, le braccia, i capelli sciolti...-Ehm, Peeta...- -Sì?- fa lui, innocente, ma continuando a far scorrere le mani sul mio corpo. - Era questo che intendevi per “conoscerci meglio”? No, perché al momento non mi sembra che tu stia facendo molto per parlare con me.-. Lui ride piano, seriamente divertito dalle mie parole e dal mio tono imbarazzato. -Scusami, forse hai ragione. Volevo solo distrarti un po' dai tuoi pensieri, ma se di dà fastidio...-. Fa per allontanarsi da me, ma io lo trattengo. Mi giro su un fianco e tiro un suo braccio verso di me, così da farmi abbracciare ancora una volta. Adesso è Peeta a nascondere il viso nel mio collo, a darmi un piccolo bacio. -Cosa ne pensi? Di Johanna ed Annie, intendo.- la mia voce è appena un sussurro. -Penso che sia bello che si siano volute allontanare dalla città per un po' e che le aiuterà a staccare dai brutti ricordi, come una specie di vacanza. Ma credo anche che quando torneranno a casa sarà ancora più difficile andare avanti.-. Annuisco nel buio. -Sì, sono d'accordo con te. E poi non riesco a togliermi dalla testa che ci sia anche un altro motivo per cui sono volute andar via così, tutto d'un colpo.- mi giro verso di lui e Peeta sposta una ciocca dal mio viso portandola dietro il mio orecchio. -Non credo. Ma penso che di questo se ne potrà parlare. Da quanto mi hanno detto, hai legato abbastanza con Johanna, mentre eravamo nel Tredici. Vero o Falso?-. A volte tendo a dimenticare questo gioco. -Entrambi, credo.-. Mi interrompo, pensando al mio rapporto con Johanna per la prima volta, forse. Mi mordo il labbro inferiore prima di aggiungere – Mi ha aiutato, quando credevo di averti perso. Voglio dire, dopo che ti avevamo liberato ma tu...-. Ancora una volta mi stringe. Non vuole forzarmi a parlare, sembra quasi che voglia proteggermi da me stessa. Ma io continuo: - ...ma tu pensavi volessi ferirti. Ci siamo allenate insieme, abbiamo condiviso l'alloggio. Non posso dire di essere sua amica completamente, ma è di certo una delle poche persone con cui sono riuscita a condividere le mie preoccupazioni n quei giorni.-. Lui annuisce. Non so se sia perché crede di aver ricordato qualcosa o se sia solo per incoraggiarmi. -È strano. Anche io ho condiviso con lei momenti terribili, eppure continuo a sentirla distante.-. Sembra quasi che non stia nemmeno parlando con me, ma con se stesso. Sento una nota di amarezza e tristezza nella sua voce. Pensa che questo sia un effetto del suo depistaggio, che se non gli fosse stato fatto nulla adesso proverebbe un affetto molto più grande nei confronti di una donna che, a modo suo, nell'Arena mi ha salvato la vita. Si sente in colpa. -Non...-. Mi guarda fisso, nella penombra della stanza. La luce della luna passa attraverso la mia finestra aperta senza incontrare ostacoli e illumina il suo viso. Anche così riesco a vedere abbastanza distintamente che i suoi occhi sono lucidi. Non voglio che si trattenga. Vorrei tanto che si fidasse di me, che avesse il coraggio di mostrarsi debole di fronte a me senza la paura che io possa abbandonarlo o giudicarlo. Con la semplice consapevolezza che io posso essere per lui quello che Peeta già rappresenta per me: un punto saldo, un inizio. Questo è quello che lui vuole, me l'ha già detto chiaramente, ma la pratica è sempre più difficile. Allungo una mano verso il suo viso e lui chiude gli occhi. Piano, prendo ad accarezzargli lo zigomo destro con il pollice, seguendo dei movimenti leggeri. Dopo un po' mi interrompo e appoggio la testa sul suo cuore, pronta per dormire. -Ecco, direi che per oggi abbiamo parlato più che a sufficienza, Peeta.-.

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Capitolo 11
*** Risveglio alternativo ***


 

CAPITOLO 11

 

Sono le urla del piccolo Finnick a svegliarmi, la mattina dopo. Guardo l'orologio, che indica solo le cinque e trenta del mattino. Vorrei restare a letto, ma mi costringo ad alzarmi per vedere se Annie ha bisogno di qualcosa. Peeta dorme ancora, quindi scendo senza disturbarlo. La porta della stanza degli ospiti è aperta e vedo Johanna che dorme tranquillamente: dopo svariati mesi deve essersi abituata a questi pianti. Mi accorgo che qualcosa non va quando vedo il bambino da solo, sul divano. Di Annie nessuna traccia. Per quanto questo mi destabilizzi, mi avvicino piano, incerta sul da farsi. L'ultima volta che mi sono presa cura di qualcuno è stato con mia sorella, e non è finita molto bene. Faccio un respiro profondo, rilasso le spalle e lo prendo in braccio. È così piccolo e indifeso...sarebbe così facile per qualcun altro fargli del male. Cerco di costringermi a non pensare al fatto che di male gliene hanno fatto prima ancora che nascesse, il che è assurdo. Cammino avanti e indietro per la stanza per dieci minuti prima che Finnick smetta di piangere e dimenarsi tra le mie braccia. Quando lo fa mi fermo per permettermi di osservarlo. Assomiglia più che altro a sua madre, a dire la verità. L'unica cosa che ha preso dal suo papà sono ovviamente gli occhi. Verde mare. Indimenticabili. Distrattamente lo accarezzo piano sulla guancia, come se fosse l'oggetto più delicato al mondo, solo con l'indice della mia mano sinistra. È così presto che l'idea di restare alzata, da sola, per altre tre ore mi sembra insopportabile. E poi c'è la faccenda di Annie che è scomparsa nel nulla. Mi affaccio alla finestra che da sul giardino e la trovo, appena illuminata dalla luce esterna della veranda. È seduta tranquilla e sembra aspettare il sorgere dell'alba, con la schiena appoggiata ad un vecchio albero e il viso rivolto nella mia direzione. Tra le mani ha delle margherite e le sta intrecciando per farne una piccola corona. Non appena mi vede mi fa un sorriso e un cenno con la mano. Le chiedo se sta bene, sussurrando, e le si limita ad annuire. Ormai non più preoccupata per questo, torno al piano di sopra, portando il bambino con me. Peeta è disteso su un fianco, un braccio piegato sotto il cuscino e l'altro abbandonato sul materasso, alla sua destra. Facendo attenzione a non disturbarlo mi sdraio al suo fianco. Adagio il piccolo fra noi due e resto ferma a guardarlo per un paio di minuti, poi mi decido a rimettermi a dormire. È la mano di Peeta tra i miei capelli a costringermi ad aprire di nuovo gli occhi. -Mmm-. Seppellisco la testa sotto il cuscino, ma lui lo prende dalle mie mani e lo sposta. -Svegliati, Katniss. Sono quasi le undici, tra poco arriverà Sae. E dovremmo spiegarle perché questa casa sarà più affollata del solito per un po' di tempo.-. La sua voce è dolce e cantilenante, ma non riesce comunque a rendere più piacevole il messaggio. Spazientita, mi metto a sedere. Quello che vedo basta a farmi tornare il sorriso. Peeta è seduto sul bordo del letto e rivolto verso di me, ancora in pigiama, i capelli scompigliati e gli occhi gonfi di sonno. In realtà in questo momento non sembra molto più sveglio di quanto non sia io. Quello che mi distrae è il fagotto che tiene tra le braccia. O meglio, in modo in cui lui lo guarda. È come guardava me. Come ancora lo fa ogni tanto. La consapevolezza mi stringe il petto in una morsa, ma mi riscuoto velocemente. Il suo viso trasmette semplicemente pace, gioia. È vero, sono mesi che ha perso la sua espressione tormentata, quella che lo allontanava da me. E in tutto questo tempo abbiamo vissuto momenti tranquilli e felici insieme, anche. Ma questa è un'altra cosa. Questa è di fatto l'incarnazione di quello che penso di Peeta. Del fatto che credo che lui rappresenti la vita, il futuro. Che si tratti del mio di futuro al momento non è importante. Conta solo il suo sguardo. Mi inginocchio e mi avvicino a lui, dandogli un bacio sulla guancia. Mi siedo sui talloni e poi mi rivolgo a Peeta. -Secondo te farà storie? Voglio dire, già si occupa di noi. Contando Haymitch, con questo faremo due bambini in una stessa casa.-. -Sei sempre così gentile la mattina, dolcezza, o è solo che devi ancora prendere il caffè?-. Non l'ho sentito arrivare. Strano. Gli lancio un sguardo di sfuggita, prima di voltarmi dal mio lato del letto e alzarmi in piedi. Indosso la vestaglia sopra alla camicia da notte. -Dovresti conoscermi, Haymitch, io non bevo il caffè.- replico, stizzita. Lui ride. -Vero.-. In circostanze normali non l'avrebbe fatto, ma oggi è diverso. Vedo un vero sorriso, sincero, sul suo volto. Credo che il suo buon umore sia legato alla presenza di Johanna, più che a quella del bambino. Lui non ha un animo particolarmente tenero, diciamo. Ed è anche vero che noi due ci assomigliamo molto. Più volte abbiamo dimostrato di riuscire a capirci a di avere una buona intesa. Ma con lei è diverso. Johanna sa essere sgradevole esattamente quanto Haymitch, a volte. Il che è un bene per loro, ma non per chi sta con loro, in particolare la sottoscritta, che di certo dovrà subirsi le loro battute per diverse settimane. Ma non posso negare che mi faccia piacere vederlo contento, così quando mi volto nella sua direzione sorrido e dico -Ti serve qualcosa? Perché disturbarsi a salire?-. -Ero venuto a vedere se per caso voi non aveste cominciato a cercarne uno vostro.- dice, beffardo, indicando il piccolo Finnick con un cenno del capo. Peeta si limita a scuotere la testa. È strano che lui non dica niente, così vado avanti io nel tentativo di farmi dire il motivo reale della sua improvvisata. -E se anche fosse stato, dopo tu avresti avuto qualcosa da dirci?- -Certo, che avreste dovuto chiamarlo “Haymitch” in mio onore, dato che vi ho salvato la pelle due volte.- lo dice ridendo ancora. -Benissimo. Come vuoi.- La voce di Peeta è tesa. Immediatamente mi allunga il bambino, che durante il nostro scambio di battute si è svegliato ma che per fortuna non piange. Non ancora, almeno. -Calma, calma. Ragazzo. Scherzavo. Va tutto bene.-. Haymitch si avvicina e gli stringe piano una spalla, lui si riscuote e annuisce. Poi, senza guardarmi, esce e va in bagno per cambiarsi. Restiamo in silenzio per alcuni secondi, per assicurarci che Peeta non senta. -Gli capita spesso?-. -No. Nelle ultime tre settimane questa è solo la seconda volta, in realtà. E sono episodi molto lievi, i suoi occhi restano quasi normali e si riprende praticamente subito. Il problema è che dopo si sente così in colpa che fa di tutto per evitarmi-, dico sconsolata. -Mmm. Quindi sembra stare meglio. Ora scendiamo, Sae è arrivata in anticipo. È lei che mi ha chiesto di venirvi a chiamare.-. Annuisco e lo seguo lungo le scale.

-Oh, bene, ragazza! Pensavo di doverti venire a tirare giù dal letto!-. Poi vede Finnick tra le mie braccia e si intenerisce. -Oh, ma come sei bello. Proprio uguale alla tua mamma.-. Lo prende e inizia a cullarlo, canticchiando. E chi l'avrebbe detto che Sae fosse una romantica. A quanto pare in questa casa ci sono fin troppe persone ad amare i bambini. L'argomento “matrimonio e figli” è sempre stato particolarmente delicato, per me. Resto sempre convinta che non mi succederà, che non diventerò il tipo di persona che si lascia trascinare dal sentimentalismo. Che resterò lucida abbastanza e che non condannerò me stessa alla paura di vedermi strappare dalle braccia qualcun altro. E, francamente, dopo quello che è successo a Prim sono sempre più dell'idea di avere ragione. Ma poi vedo Peeta...lui vorrebbe tanto dei figli. Allontano il pensiero dalla mente. Se mai ci sarà dell'altro tra noi di certo quell'amore non porterà alla famiglia, questo è sicuro. Ma davvero il mio egoismo mi spingerà a tanto? Il filo dei miei pensieri viene interrotto da Sae, che mi chiede di aiutarla con le verdure. Poi aggiunge -E ti sarei grata, signorina, se andassi a caccia. Non vorrai costringere le tue ospiti a mangiare solo i dolci e il pane di Peeta, no?-. Rido piano e la rassicuro. -Non ti preoccupare, Sae. Anche se non è il momento migliore della giornata, posso sempre andare a caccia già oggi pomeriggio.-. -Forse è meglio se aspetti domani. Il tempo non è dei migliori, Katniss.-. Interviene Peeta. Non sembra davvero preoccupato, in realtà. Mi chiedo se questi alti e bassi nella nostra relazione-amicizia prima o poi finiranno. Io sono assolutamente disposta a stare con lui e affrontare insieme i problemi, ma se lui mi allontana di nuovo non posso fare molto per aiutarlo. Ma sì, avrei dovuto immaginare che tutte le battute su noi due, proprio adesso che stiamo cercando di rimettere insieme i pezzi e capire davvero i nostri sentimenti per lui sono molto più difficili da sopportare che per me. Sospiro e non rispondo, prendendo il mio posto a tavola, tra Johanna e Peeta. Quando Sae se ne va, trascinandosi dietro Haymitch, anche Johanna misteriosamente sparisce portandosi dietro Annie e il piccolo. Restiamo solo io e Peeta, a finire di riassettare la cucina e lavare i piatti. Io insapono e sciacquo e lui asciuga. Vedo i suoi muscoli tesi e cerco di evitare il contatto fisico tra noi per non dargli fastidio. Eppure ogni parte del mio corpo non vorrebbe altro che toccarlo, fargli sentire che sono qui e che non lo lascerò. Ormai gli episodi sono così rari che ogni volta che ritornano so sempre meno come comportarmi e ho solo paura di peggiorare la situazione. Lui dopo questi momenti non dice niente, quindi non riesco mai a capire se gli sono stata d'aiuto o no e provo sempre questo senso di inadeguatezza. Poi passa qualche ora, si tranquillizza e ritorna il ragazzo gentile di sempre, quello che dice la cosa giusta nel momento giusto. Restiamo per lo più in silenzio, passandoci le stoviglie tenendo gli occhi bassi. Ad un certo punto il mio sguardo si perde fuori dalla finestra e vedo che il cielo è solo un po' nuvoloso e non minaccia pioggia. -Peeta?- si volta a guardarmi e aspetta che io parli. -Credo sia meglio che io esca subito, così eviterò la pioggia.-. Normalmente lui avrebbe cercato in tutti i modo di convincermi a restare, ma oggi non lo fa. Annuisce. Di fronte al suo disinteresse resto chiaramente delusa, sento il petto gonfiarsi un po' più del solito. Ma poi sfodero il mio sorriso formale, quello da telecamere, e lo saluto nel modo più cortese e gentile che mi riesce. Indosso gli stivali e una nuova giacca di pelle, più leggera rispetto a quella di mio padre e quindi più adatta a questa stagione primaverile. Infilo l'arco in spalla ed esco. La neve è scomparsa da circa un mese e le primule che Peeta ha piantato l'anno scorso lungo il fianco della mia casa ora si presentano in tutta la loro bellezza. Ce ne sono alcune viola, altre dai colori ancora più sgargianti, gialle e arancioni. Resto ferma un minuto, in completo silenzio, a guardare tutto ciò che mi resta della mia sorellina. Le lacrime minacciano di scendere lungo le guance ma questa volta non provo nemmeno a ricacciarle indietro. Non è il dolore a stringermi il petto. Di fronte alla bellezza dei fiori, alla sua bellezza non posso che sentirmi in pace con me stessa. E non importa che adesso le cose siano ancora così complicate, prima o poi si sistemeranno.

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Capitolo 12
*** Il temporale ***


CAPITOLO 12

Attraverso il Prato velocemente. Cerco sempre di evitare questa strada perché mi fa inevitabilmente pensare a tutte le persone che non possono più farlo ormai, e che vi riposano al di sotto. Ma dato che il tempo non è dei migliori devo inevitabilmente scegliere il cammino più veloce per raggiungere il bosco. Non appena arrivo nel bosco lascio giù alcune trappole, sperando di riuscire a prendere almeno un tacchino o un coniglio. Poi mi siedo ad aspettare, senza nemmeno provare a cacciare con l'arco. Mi continuo a ripetere che va tutto bene, ma sento sempre di più la tristezza che mi opprime. Dopo circa due ore passate seduta su un masso mi alzo e ripercorro a ritroso il percorso. Riesco a procurarmi ben due tacchini. Dato che a casa non avrei comunque niente da fare e che indicativamente sono solo le quattro del pomeriggio, trovo un'altra roccia sulla quale accomodarmi. Mi siedo a spennare i tacchini e, una volta finita l'operazione, mi limito a restare con la schiena appoggiata al tronco di un albero, a guardare il cielo scuro e carico di grosse nuvole. Di sicuro pioverà, penso. Ma non mi importa realmente, un po' di pioggia non mi farà niente. E poi, ne ho passate di peggio. Il fatto è che solo qui mi sembra di riuscire davvero ad essere me stessa. Sola, senza nessuno da deludere o da rassicurare. Non posso dire di andarne fiera, certo. Distrattamente mi domando se Peeta sarà in pensiero per me. Poi ricordo il suo tono assente e decido che non è importante. Ma siccome sento dentro una strana inquietudine, decido di alzarmi e incamminarmi verso il Villaggio. Sono a metà strada quando comincia a piovere. Dopo nemmeno due minuti la pioggia diventa tanto intensa che faccio fatica a vedermi attorno. La giacca è senza cappuccio quindi mi inzuppo completamente, con l'acqua fredda che sembra arrivarmi fin dentro le ossa. Lascio a terra i tacchini, perché con le mani impegnate mi è impossibile riuscire ad avanzare. Mi tolgo la giacca e la uso come se fosse un ombrello. Così riesco a muovermi molto meglio. Mancano meno di duecento metri alla recinzione quando lo sento che mi chiama. E così, al semplice suono della sua voce preoccupata, mi dimentico di tutto, ancora una volta. -Peeta, sono qui!-. Grido di rimando. -Resta ferma, vengo a prenderti.-. Non mi sembra abbia senso, ma lo accontento. Un fulmine colpisce un albero, più o meno verso il centro del bosco. Sento le emozioni sfuggirmi di mano e senza rendermene conto mi ritrovo a chiamare di nuovo il suo nome. Inizio a correre, sperando di incrociarlo il più presto possibile, perché non vederlo, non toccarlo, mi sta facendo impazzire. Quando ci troviamo ci buttiamo una nelle braccia dell'altro. La mia giacca cade a terra, ma io non la raccolgo. Non ho bisogno di altro per coprirmi, perché c'è il suo di calore a scaldarmi. Lui muove freneticamente le mani sulle mie braccia bagnate e poi sulla mia schiena, tenendomi stretta. Io mi limito ad affondare il viso nel suo collo, tenendomi salda a lui circondandolo con le braccia. Siamo in questa posizione da diverso tempo, ma nessuno dei due dice niente o si sposta. Io mi rendo conto di essere scoppiata in lacrime, ma non capisco nemmeno io bene il perché. Né se il pianto sia di sollievo o di angoscia, in realtà. Mi ritrovo a sussurrare il suo nome, ancora singhiozzando. Lui si stacca da me e cerca di guardarmi in faccia, tenendo le mani attorno al mio viso, che è arrossato nonostante il freddo. Non aveva capito che stavo piangendo, ma adesso che vede i miei occhi sembra come risvegliarsi dallo strano torpore in in cui era caduto oggi pomeriggio. Invece che coprirmi e correre verso casa perché io non mi ammali, lui mi trascina sotto un albero, così da essere leggermente più riparati dalle grandi foglie dei suoi rami. Io mi limito a farmi condurre, perché non capisco cosa voglia fare. Il vecchio Peeta mi avrebbe di sicuro portata a casa alla velocità della luce. Tutto acquista un senso quando lui fa scontrare le nostre labbra. E adesso lo sento davvero il sollievo di averlo qui. Tutta la tristezza viene allontanata dal mio petto come una nuvola spostata dai venti. E mi stringo a lui come se ne andasse della mia stessa vita, come se lontano da lui nulla avesse senso. Lui mi solleva, così io mi ritrovo a stare in braccio a lui come l'altro giorno, con le gambe attorno alla sua vita. Sento la fame crescere dentro di me, le nostre mani stringono il corpo dell'altro come non hanno mai fatto, con foga. Lui si allontana un poco dalla mia bocca per parlare, ma io mio aggrappo a lui ancora con più forza, costringendolo a baciarmi ancora. La pioggia continua a scorrere su di noi, incessante. Ma ormai non sento più il freddo. È qui ed ora che davvero mi sento il fuoco dentro, che pian piano mi consuma dolcemente. Il mio cuore batte all'impazzata e credo che anche lui possa sentirlo. Che anche gli animali del bosco riescano a percepire come ormai io sia fuori di me e abbia perso ogni controllo. Le nostre mani diventano sempre più insistenti e sì, adesso credo di essere davvero sul punto di scoppiare. Sto per bruciare, senza fiato, quando un tuono ci riscuote e mi fa sussultare. Lui sembra ricordare improvvisamente dove ci troviamo e, senza lasciarmi andare, prende a camminare verso la recinzione. Io mi nascondo sul suo collo per tutto il tragitto, rossa di vergogna. Non ho mai provato queste sensazioni in modo così chiaro, così forte. Anche la notte del treno ho sentito la fame, è vero. Ma questa era dieci volte più intensa. Non so a quanti livelli del mio io io desideri Peeta. Ormai è evidente che non mi basta più la sua semplice compagnia. È il mio corpo a dirmelo, sono le mie labbra sul suo collo, che non vorrebbero far altro che prolungare il bacio di poco fa. E poi chiaramente c'è lui con il suo carattere e il suo animo meraviglioso, che lotta contro se stesso per tornare da me ogni volta. Ad un certo punto lui mi fa scendere e io prendo a seguirlo, tenendoci per mano. Siamo appena arrivati alla recinzione quando mi lascio sfuggire dalle labbra, in un sussurro, la spiegazione di quello che provo per Peeta, il riepilogo di tutti i miei pensieri – Credo di amarti.-. Lui mi fissa. La pioggia che accarezza la sua pelle in mille piccole dita mi distrae per qualche istante. Abbasso lo sguardo sospirando, incapace di sostenere il peso delle mie stesse parole confessate a mezza voce. Dopo alcuni secondi mi costringo a guardarlo, perché mi sembra assurdo che lui non dica niente. E lo vedo. Lo stesso sguardo di questa mattina. Quell'amore incondizionato, quella tenerezza che mi spezza il cuore da quanto è intensa. -Grazie.- lo dice accarezzandomi piano una guancia con il dorso della mano e poi facendola scivolare fino a portare le dita sulla mia nuca. Questa è l'ultima parola che avrei creduto di poter sentire da lui. Non so cosa mi aspettassi, forse un “Anche io ti amo, Katniss”, ripetuto per la millesima volta ma pur sempre meraviglioso, oppure un bacio appassionato come quelli di prima. Invece lui mi sta ringraziando, come se fosse lui quello fortunato ad avermi. Vorrei fargli vedere quello che io riesco ad apprezzare di lui, ma le parole non mi escono. Così ancora una volta agisco e io in ogni bacio cerco di trasmettergli una parte dei miei sentimenti. O forse lo faccio semplicemente perché ho bisogno di sentirlo vicino, non lo so. L'unica cosa che capisco è che doveva andare così. Forse questo non era il momento migliore per una dichiarazione. Forse non la si può nemmeno considerare tale, dato che non gli ho detto “Peeta, ti amo”, perché forse non lo so bene nemmeno io. Forse avrei dovuto cercare di preparare un discorso, non saprei. Ma non sono mai stata brava in queste cose. È come quando cercavo qualcosa da dire su Rue e Tresh, e le parole restavano bloccate tra la penna e il foglio bianco, incapaci di prendere forma. E così mi ritrovo a tenermi stretta a lui, come in un sogno, la mente offuscata dalla chiara percezione del suo corpo. Potrebbero essere anche passati giorni da quando abbiamo iniziato e io non me ne sarei comunque accorta. E tutto sembra così strano...io non ho mai avuto bisogno di stare con qualcuno in questo modo. Ero io a dovermi prendere cura della mia famiglia e non o a dover essere protetta. Ma qui, tra le sue braccia, mi sento una bambola di pezza completamente dipendente dalle sue mani, dalle sue labbra. E sì, sono felice.

Quando rientriamo a casa, i volti arrossati e i vestiti completamente bagnati, la prima cosa da fare è evitare di prendersi una polmonite. Lascio che sia Peeta a usare il bagno al piano di sopra, quello della mia stanza, nonostante lui abbia insistito a voler tornare a casa sua così da lasciarmi tranquilla.

Faccio una doccia bollente, perché adesso comincio davvero a sentirmi poco bene. Passato l'entusiasmo di mezz'ora fa, ora che non sono più in compagnia di Peeta e posso riflettere, non posso fare a meno di sentirmi un'idiota. Ti ha chiesto tempo, Katniss. E adesso, dopo la tua splendida confessione, non si può tornare indietro. Ovviamente lui aveva già capito che qualcosa era cambiato. Non mi sono fatta molti problemi a stargli vicina fisicamente in queste settimane. Eppure...questa è un'altra cosa. Dopo il bagno il mio viso è ancora più arrossato. Asciugo con cura i capelli e indosso dei semplici jeans e una maglia morbida in cotone verde. Mi guardo allo specchio e noto subito qualcosa di diverso in me. Gli occhi grandi e luminosi, uno strano sorriso imbarazzato stampato in volto. Calmati, Katniss. Faccio un respiro profondo e esco. L'aria più fresca del corridoio mi colpisce immediatamente e mi fa rimpiangere di non aver indossato una felpa. Ma ormai è ora di preparare la cena e quindi non ho tempo di salire a cambiami. E poi al piano di sopra c'è Peeta. Il mio cuore inizia involontariamente a battere più velocemente. Scuoto la testa per scacciare i pensieri e il mio sguardo incontra quello di Johanna. -Devi dirmi qualcosa, Katniss?- il suo sguardo malizioso mi dice subito che aveva già capito tutto molto prima di me. 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Confronti ***


Scuoto la testa per scacciare i pensieri e il mio sguardo incontra quello di Johanna. -Devi dirmi qualcosa, Katniss?- il suo sguardo malizioso mi dice subito che aveva già capito tutto molto prima di me.

 

Io resto ferma come una sciocca, fissandola. Che io non sappia mentire è una certezza da tempo, ma che io proprio non riesca a controllarmi è una novità. Che effetto mi fai, Peeta? Sospiro ancora una volta e prendo delle carote dal frigorifero, così da avere qualcosa da fare. Ma Johanna sa essere estremamente ostinata. Si avvicina al lavello e afferra da un cassetto l'arnese per pelare le verdure. Poi tende la mano verso di me e inizia ad aiutarmi. -Allora?- incalza. -Vi siete messi insieme sì o no?-. La guardo sconvolta, il viso in fiamme. Lei scoppia a ridere. Ma è una risata sincera, non sarcastica o denigratoria. Stranamente questa volta non sembra prendermi in giro. Al contrario, sembra contenta. -Io...- comincio, perché stare zitta mi sembra un'ammissione troppo evidente e mortificante. Ma non è una buona idea, dato che non so proprio cosa dire. Questo è il classico discorso tra ragazze. E io non sono fatta per queste cose. -Non lo so.- boccheggio alla fine. Ed è ancora più imbarazzante ammetterlo ad alta voce. Lei smette di ridere e torna seria, guardandomi direttamente negli occhi. -Cos'è successo?- -Ehm.- la voce mi si spezza e faccio un piccolo colpo di tosse per riprendermi. -Sì?- -C'era il temporale. Il fulmine ha colpito un albero e tutto sembrava così...come una volta.- dico, agitata. Lei si limita ad annuire e mi invita ad andare avanti. -E poi ho sentito che mi chiamava e quando ci siamo trovati...-. Non riesco a finire la frase ma lei capisce. E questa volta ride ancora più di gusto, vedendo che le mie guance hanno raggiunto una tonalità di rosso da fare invidia ad un peperone. Per fortuna la parte più intensa del discorso non può nemmeno essere accennata, interrotta dal provvidenziale arrivo di Haymitch in cucina. Sto per sospirare di sollievo quando realizzo che questo può essere solo che un male. Johanna e Haymitch nella stessa stanza con me. Sono già alla porta, ben decisa a mettere quanta più distanza possibile tra me e quei due, quando sento Peeta scendere le scale. Era dall'annuncio dell'Edizione della Memoria che non desideravo scappare dalla mia stessa casa. Cerco di trovare un modo dignitoso per togliermi dall'imbarazzo, ma non mi viene in mente di meglio che salire le scale con la scusa di cambiarmi la maglia troppo leggera. Io e Peeta mormoriamo insieme un piccolo -Ciao-. Tenendo gli occhi bene fissi al pavimento. O almeno questo è quello che faccio io e che non mi dà modo di vedere la sua, di espressione. Ci sfioriamo appena le braccia mentre ci stringiamo per far passare l'altro lungo il corridoio. E sento come una piccola scarica, un'ondata di calore provenire dal punto in cui i nostri corpi si sono appena toccati. Ci guardiamo un secondo, giusto il tempo che io riesco a sopportare prima di salire le scale nel modo più veloce possibile e fiondarmi in camera mia. Quasi non me ne accorgo quando, diversi minuti più tardi, la porta si apre piano alle mie spalle. L'istinto mi dice che questa conversazione, a prescindere dal con chi sarà, sarà tremendamente imbarazzante. Non saprei dire se preferirei parlare con Johanna o con Peeta. Ma per fortuna la persona che mi si presenta davanti è Annie, da sola. -Ciao Katniss, mi dice.-. Le sorrido timidamente ricambiando il saluto. -Posso? Non vorrei disturbare, mi hanno chiesto di salire a chiamarti per la cena ma prima vorrei parlarti.- mi chiede. Invece che risponderle, le faccio un sorriso e un cenno con la mano, invitandola ad entrare e a sedersi accanto a me sul letto ordinatamente rifatto. - Mi dispiace se la nostra presenza ti sta causando dei problemi, Katniss.- Ha lo sguardo così triste mentre lo dice che mi sento pervadere dalla tenerezza. Subito mi sento in dovere di rassicurarla, dicendole che davvero non è un problema e che sono sinceramente felice che lei e il suo bambino passino del tempo qui. -Finnick mi diceva sempre che non ti piace stare in mezzo a molte persone. Che preferisci la solitudine.-. Sento gli occhi inumidirsi, ma lei è così tranquilla che decido di continuare la nostra conversazione. -In un certo senso è così. Non mi piace trovarmi con degli sconosciuti. Ma non è questo il caso, Annie. Davvero, sono felice di ospitarvi.- le rispondo. Poi però non posso trattenermi dall'aggiungere -Posso farti una domanda un po' personale?- -Ma certo, Katniss.-. -Perché avete deciso di venire qui?-. Lei resta in silenzio. Si guarda attorno spaesata e incerta, mordendosi il labbro inferiore, prima di dire, dopo un breve sospiro -Per accertarci che tu stessi bene.- ok, ammetto che questo non me lo aspettavo. Credevo che fosse successo qualcosa a Capitol City e che per questo avessero deciso di allontanarsi, e invece ancora una volta sono costretta a smentire me stessa. E poi devo ammettere che l'idea che Annie, Annie, si preoccupi per me è decisamente folle. Un moto di vergogna si fa strada dentro di me. Odio sentirmi superiore, ma è qualcosa che mi succedeva così spesso con i miei preparatori...e ora anche con lei. Poi lei aggiunge -Finnick avrebbe voluto che ti stessimo vicino, io e il nostro piccolo. Avrebbe voluto che ti aiutassimo ad andare avanti, sai. A non arrenderti. E quando io e Johanna abbiamo visto l'intervista abbiamo pensato che una visita fosse necessaria, per accertarci che non fosse tutta una recita imposta da Capitol-. Adesso faccio davvero fatica a trattenere le lacrime. Innanzitutto perché solo adesso capisco quanto in realtà Finnick tenesse a me. E poi perché mi rendo conto di aver sottovalutato questa ragazza fragile, sì, instabile, anche, ma dalla grande sensibilità. E anche il fatto che Johanna abbia deciso di accompagnarla mi smuove. Per quanto io sia convinta che tutta questa storia sia abbastanza assurda ( come balia che si occupa di me ho già Sae) non posso non provare riconoscenza nei loro confronti. Sbatto le palpebre un paio di volte prima di dire. -Grazie, Annie. Io..-. Mi blocco perché noto qualcosa di strano nei suoi occhi. Aggrotta le sopracciglia e si alza di scatto, prendendosi la testa tra le mani e premendo le dita contro le tempie, come le ho visto fare innumerevoli volte. Poi si volta verso di me. In piedi al suo fianco, le sussurro quello che di solito dico a Peeta -Non è reale, Annie, qualsiasi cosa sia passerà. Stai tranquilla.-. Lei si riscuote e mi rivolge un sorriso stanco e riconoscente. Mi sfiora la guancia con una mano e poi la sposta sulla mia spalla, indirizzandomi con delicatezza verso la porta rimasta aperta e invitandomi a scendere con lei. Le sorrido a mia volta e la seguo. Penso che dovrò proprio dedicare una pagina speciale ad Annie dopo questa conversazione. Cercare di capire un po' di più di lei. Fino a questo momento mi è bastato sapere che Finnick avesse visto in lei qualcosa di speciale. Ma adesso sento davvero il bisogno di conoscerla, proprio per onorare la memoria del mio amico. Sono così sovrappensiero che a malapena mi accorgo di essere arrivata in cucina. Prendo posto alla tavola ben apparecchiata, sedendo al mio posto accanto a Peeta. Lui mi sorride timidamente e io lo guardo appena, le guance rosse e la fronte abbassata, mordicchiandomi il labbro inferiore. Johanna ed Haymitch ci intrattengono ancora una volta con divertenti aneddoti su persone a me sconosciute, presi da svariate interviste e pettegolezzi degli anni passati. Ridiamo e scherziamo e in un men che non si dica ci ritroviamo a sistemare la cucina e a chiacchierare in salotto. Come al loro solito Peeta ed Haymitch giocano a scacchi. Io invece mi siedo sul divano di fianco ad Annie, che dopo un po' mi mette tra le braccia il suo bambino e mi incoraggia a giocare con lui. Finnick prende l'estremità della mia treccia e inizia a tirarla verso il basso, facendomi ridacchiare. Gli accarezzo una guancia, provocando un sorriso dolcissimo sul viso di sua madre. E uno altrettanto sincero sul quello di Johanna, che ne approfitta per tornare alla carica strizzandomi un occhio e ammiccando in direzione di un inconsapevole Peeta. Io avvampo, ma non dico niente e mi limito a spostare il bambino così da stare più comoda. La sua attenzione viene catturata da una fotografia appoggiata sul tavolino al mio fianco. Si sporge per afferrarla e io lo aiuto prendendola in mano e mostrandogliela. È la stessa foto che recuperai dalla mia vecchia casa del Giacimento prima di trasferirmi nel Villaggio. I sorrisi dei miei genitori ne fanno spuntare uno involontario anche a me. Adesso che io e mia madre abbiamo chiarito, ora che siamo tutto ciò che rimane della nostra famiglia, mi sento molto più pronta rispetto al passato ad apprezzare anche queste piccole cose. Finnick afferra la cornice con entrambe le manine paffute e la muove ritmicamente verso l'alto e verso il basso, accompagnando il movimento con piccoli gridolini di contentezza. Continua così per diversi minuti, guadagnandosi diversi baci dalla sua mamma e sguardi di rimprovero da una infastidita Johanna. Poi all'improvviso si blocca e getta di lato la foto facendola cadere sul cuscino del divano al mio fianco. Tende le braccia verso Annie, che alzandosi lo culla tra le braccia. -E' ora della nanna, amore mio.- cantilena lei. Si scusa, ci augura la buonanotte e si avvia al piano di sopra. Guardo l'orologio per la prima volta dopo ore e vedo che sono già de dieci passate. Sbadiglio involontariamente, portandomi una mano alla bocca. Peeta mi vede e, facendo finta di non essersene accorto, esclama sommessamente -Che sonno! Forse è il caso di seguire tutti il piccolo Finnick nel mondo dei sogni.- un piccolo sorriso è stampato sul suo volto e qualcosa mi dice che non ha per niente voglia di dormire subito. Il nervosismo mi aggredisce all'improvviso e mi tendo. Saliamo insieme le scale, lasciandoci alle spalle due ridacchianti Haymitch e Johanna che, in una pausa tra una battuta e l'altra, ci rassicurano dicendo che dopo una partitina a carte lui se ne tornerà a casa chiudendo a chiave la porta di casa mia. Mormoro un grazie prima di sparire dalla loro vista e prepararmi ad un altrettanto imbarazzante confronto con il ragazzo che mi segue. 

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Capitolo 14
*** Più che amici ***


CAPITOLO 14

 

Appena entrata in camera prendo dal cassetto la camicia da notte e vado in bagno. Mi lavo i denti con cura, mi cambio e sciolgo la treccia. Quando esco lui è già in pigiama, seduto sul bordo del letto. Mi guarda dolcemente, mi tende una mano e, mormorando piano il mio nome, mi incoraggia a sedermi accanto a lui. È strano, ma adesso sono tranquilla. Forse perché tanto di conversazioni sul nostro rapporto ne abbiamo affrontate più in queste settimane di quanto non faremo per il resto della vita. Lo raggiungo e prendo la mano che mi tende, portandomela in grembo e tenendola stretta finché lui parla. -Katniss.- richiama la mia attenzione. Io alzo lo sguardo e per l'ennesima volta mi perdo nei suoi occhi. -Quello che mi hai detto...ecco, volevo solo dirti che ti credo.-. -Cosa?- mi esce. -Sì. Ti credo. Lo so che mi vuoi bene.-. Allora non ha capito proprio niente. Ok, ammetto che non sono stata splendida, ma credevo che i baci successivi gli avessero fatto capire piuttosto chiaramente che per lui non provo solo amicizia. Lascio andare la sua mano e stringo le braccia attorno al torace, prima di dire -Non intendevo in quel senso, Peeta. Io...proviamoci. Ad essere più che amici, intendo.-. Non so con che coraggio io lo dica. Ma evidentemente funziona e lui è d'accordo, perché in un mentre mi ritrovo di nuovo incollata alle sue labbra e con poca voglia di staccarmene. Cosa che avviene piuttosto presto purtroppo, perché lui mi allontana dolcemente. Mi fa stendere al mio posto e mi lascia un breve bacio sulla fronte, sussurrandomi -Torno in un attimo.-. Prima di alzarsi e andare a lavarsi i denti. Forse lui voleva solo sistemarsi prima di ricominciare a baciarmi. Quello che è certo è che non lo scoprirò a meno che io non glielo chieda, perché un minuto dopo sto già dormendo.

Il risveglio non è dei migliori. Mi sembra che qualcuno stia prendendo a martellate la mia testa e sento la fronte bollente. I capelli mi si sono incollati alla nuca sudata e la gola mi brucia. Splendido. E come se non bastasse Peeta non è qui. Meraviglioso. Mi alzo a fatica e raggiungo il bagno. Nonostante io abbia dormito a lungo, le occhiaie sono più marcate del solito e la pelle del viso è decisamente pallida. Temo di svenire da un momento all'altro. Non riesco a far altro se non sciacquarmi il volto velocemente e passarmi un asciugamano bagnato sul collo, prima di tornarmene a letto remissiva. Mi addormento di nuovo, solo per risvegliarmi qualche ora dopo in un bagno di sudore. Mi tolgo la camicia da notte e mi copro solo con il lenzuolo, scossa dai brividi ma sentendomi andare a fuoco. Quando Peeta viene a controllare per capire per quale motivo io non sia ancora scesa a fare colazione, e mi vede, si affretta a chiamare il medico. Passo la settimana successiva relegata a letto, nella mia stanza, per evitare di far ammalare anche gli altri e in particolare il bambino. La febbre non vuole saperne di andarsene e trascorro la metà delle notti in bianco, scossa dai brividi. Quando propongo loro di trasferirsi per sicurezza a casa di Peeta non mi prendono nemmeno sul serio, sostenendo di non potermi lasciare da sola. Annie non mi si avvicina se non per chiedermi dalla porta se sto un po' meglio e poi svignarsela velocemente. Johanna ed Haymitch sono tutto fuorché bravi infermieri. Ma Peeta è semplicemente perfetto, ovviamente. Si assicura che io mangi e prenda sempre le medicine. Apre le finestre per un cambio d'aria quando mi trovo in bagno a lavarmi e le chiude sempre prima che io esca così da non farmi peggiorare con la corrente. L'unico problema è che adesso nemmeno lui mi si avvicina troppo. Non dorme con me per paura di poter contagiare Finnick e si è trasferito in una delle altre camere degli ospiti. Nel complesso, sono sette giorni di triste isolamento. Non posso dire però di essere dispiaciuta per la causa della mia malattia. Se non mi fossi presa la pioggia e tutto probabilmente adesso non “starei” nemmeno insieme a Peeta. Anche se forse è presto per parlare di una vera e propria coppia, visto che questa settimana si è limitato a qualche occasionale bacio a stampo. La mattina in cui finalmente il termometro torna a segnare una temperatura normale mi alzo barcollando decido di vestirmi, indossando dei pantaloni della tuta e una maglia di cotone leggero, perché la primavera si sta facendo sentire e ci sono già una ventina di gradi. Mentre mi guardo allo specchio noto di non avere un aspetto tanto orribile. Certo, non posso dire di essere al livello di Bellezza Zero, ma non sono nemmeno così impresentabile come pensavo. Scendo le scale lentamente e vedo che Peeta sta preparando la colazione e sistemando piattini colmi di pane e focaccine e tazze sul solito vassoio che in questi giorni ha usato per portarmela a letto. Quando mi vede si blocca. -Oh, buongiorno Katniss! Stai meglio?-. Mi si avvicina e mi appoggia le labbra sulla fronte, scostandomi una ciocca di capelli e portandola dietro il mio orecchio destro. Resta fermo per un paio di secondi, prima di dire -Sì, sei decisamente più fresca. Quindi il vassoio non serve più, direi.- mi sorride e io ricambio. Mi versa del latte e aggiunge del cacao in polvere. L'effetto che si ottiene non è lo stesso della cioccolata calda, ma il gusto è buono e la preparazione molto più veloce. Prepara una tazza uguale anche per sé e poi si siede accanto a me a tavola. -Peeta.- -Sì?-. Si gira a guardarmi finché non aggiungo -Più tardi ti va di uscire a fare due passi? Sono stanca di restare chiusa qui dentro.-. -Ma certo. In effetti oggi dovrei passare al palazzo di giustizia per vedere il sindaco.- lo guardo confusa e lui aggiunge -Per la panetteria, sai.-. Non ci avevo più pensato. Sono passati mesi dall'ultima volta in cui lui me ne ha parlato. Se se la sente di lavorare vuol dire che sta molto meglio di quanto io non creda. Un lento e ampio sorriso mi spunta sul volto. -Oh, Peeta, è meraviglioso!- accompagno le parole con un bacio sulla sua guancia. Faccio per tirarmi indietro ma lui mi trattiene, spostando le labbra sulle mie. È un bacio piuttosto casto, ma molto più deciso di quelli di questi ultimi giorni. Con gli occhi che ancora brillano appena, Peeta mi dice – Non ha senso trattenersi ora che sei guarita, no?- le sue parole, come è logico, mi fanno avvampare. Distolgo in fretta lo sguardo, giusto in tempo per vedere Johanna sulla soglia della cucina, con Finnick tra le braccia. -Oh-oh! Lo sapevo! Lo sapevo! Aspettate che lo dica ad Haymitch...-. Sussurra appena, per non svegliare il piccolo. Prima di uscire lo passa a Peeta, che non può far altro che tendere le braccia e iniziare a cullare il bambino. -Vuoi che andiamo già adesso, Katniss? Così ne approfittiamo per portare anche Finnick a prendere una boccata d'aria prima di pranzo.-. -Sì, certo. Vado a vestirmi e ti raggiungo. Forse sarebbe meglio avvertire Annie, prima, però.-. Mi sorride. -Tranquilla, tu cambiati. Qui ci penso io.-. Non me lo lascio ripetere due volte e salgo le scale. Sono ancora un po' debole, quindi evito di muovermi troppo velocemente. Appena entrata in camera capisco che non ho la minima idea di cosa indossare. Mi siedo ai piedi del letto. Poi, sconsolata, mi butto all'indietro e mi metto a fissare il soffitto. Non so quanto tempo rimango in questa posizione. So solo che ad un certo punto il bussare alla porta mi riscuote e io mi tiro su di scatto. -Avanti.-. Peeta mi guarda inarcando le sopracciglia, come per chiedere perché io no sia ancora pronta. In tutta risposta mi limito a sbuffare, abbassando lo sguardo al pavimento. -Dai, ti aiuto io a scegliere qualcosa.- Si avvicina alla mia parte dell'armadio e dopo qualche secondo tira fuori un paio di jeans scuri abbinati ad una semplice maglia di cotone spesso, decorata con lo stesso motivo a foglie autunnali del mio abito arancione. Cinna. Tutto il mio guardaroba sembra richiamarmelo alla mente tutte le volte. Per questo indosso sempre le stesse cose e faccio fatica anche solo ad aprire le ante dell'armadio. Incrocio lo sguardo di Peeta quando lui mi porge i vestiti. Un sorriso timido è stampato sul suo volto e io lo ricambio. Lui esce così che io possa cambiarmi e prima di chiudere la porta alle sue spalle si volta verso di me e mi dice -Ti aspetto in giardino, così nel frattempo preparo Finnick nel passeggino.-. Mormoro un piccolo “ok”. Mi preparo velocemente e quando lo raggiungo lui è già pronto per andare. Quando mi vede mi rivolge uno sguardo di apprezzamento, prima di dirmi -Vuoi spingerlo tu?- , indicando la carrozzina del bambino. -Sì, certo.-. Mi avvicino e lascio una breve carezza sulla testolina scoperta di Finnick, tranquillamente addormentato e avvolto in più strati di coperte leggere. -Non ce la facevo più a restare chiusa in casa, è un sollievo poter sentire di nuovo l'aria fresca!- esclamo sommessamente. Lui ride un po'. -Non dirmi che ti è dispiaciuto farti portare la colazione a letto tutti giorni però.-. Dice lui malizioso. Rispondo a mia volta con una breve risata – Pensi che questa posa non possa continuare, a proposito?-. -Fammici pensare.-. Proseguiamo in silenzio per qualche minuto, poi siamo costretti a fermarci perché Finnick ha iniziato a piangere. Lo prendo in braccio e inizio a cullarlo, mentre Peeta gli accarezza piano i capelli, usando la punta delle dita. Una coppia di anziani sta passeggiando nella nostra direzione. Quando ci raggiungono, -Buongiorno.- inizia Peeta, e io lo imito. I due restano spaesati per un momento, prima di ricambiare il saluto. Poi la donna non riesce a trattenersi e dice, confusa -Credevamo l'avessi perso.-. Io riesco a pronunciare solo un imbarazzato e farfugliato -Oh. Sì, lui non...non è...-. Peeta mi salva proseguendo -Katniss ha realmente perso il nostro bambino. Il piccolo che vedete è il figlio di due nostri cari amici.-. La signora, incoraggiata dalla risposta, torna all'attacco chiedendo se per caso noi siamo intenzionati a sposarci ufficialmente o vogliamo aspettare ancora. Le mie guance hanno preso una sfumatura che tende pericolosamente al rosso. Io stessa sono curiosa e spaventata al tempo stesso dalla risposta che Peeta darà alla donna. Il sorriso non abbandona il suo volto mentre dice -Oh, non c'è fretta. Ma di certo prima o poi glielo chiederò.-, fa una piccola pausa prima di correggersi e aggiungere -di nuovo.-. I due sembrano soddisfatti e riprendono tranquilli la loro passeggiata mattutina in direzione del nuovo mercato cittadino. Peeta sembra assolutamente a suo agio e non sembra dare peso al mio rossore. Ma a me non è sfuggita la sua piccola pausa. È chiarissimo che Peeta vuole davvero costruire la sua vita insieme a me. Quando Finnick si calma, lo rimetto nel passeggino e poi lascio che sia Peeta a spingerlo avanti, prendendo posto al suo fianco. Raggiungiamo il nuovo comune in pochi minuti e per il tragitto lascio che Peeta mi racconti come ha in mente di ricostruire la panetteria. È così entusiasta e felice che io non posso non esserlo a mia volta. Veniamo accolti da una ragazza sorridente che non ricordo di aver mai visto, probabilmente una delle poche dei più benestanti che è riuscita a raggiungere il Tredici lo scorso anno. Ci saluta, presentandosi come Clare Jordan, e ci invita ad aspettare qualche minuto in sala d'attesa mentre lei va ad avvisare il sindaco che Peeta è arrivato. -Avevi preso appuntamento, Peeta?- gli chiedo, mentre mi siedo su una morbida poltroncina. -Oh, sì. È stato ancora diverse settimane fa, prima di partire per Capitol . Il nostro sindaco è molto impegnato con la ricostruzione.- fa lui, facendo scorrere la carrozzina avanti e indietro per addormentare il bambino. Mi rendo conto improvvisamente di non sapere nemmeno il nome del successore del padre di Madge, il sindaco Undersee. Sto per porre la domanda a Peeta, quando Clare torna da noi e ci invita ad entrare in una stanza che si apre sulla parete di fondo.

 

 

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Capitolo 15
*** Un nuovo inizio ***


 

CAPITOLO 15

 

Seguo Peeta, spingendo il passeggino e tenendomi a qualche passo di distanza. Sono parecchio restia ad incontrare un'altra persona di potere, un dirigente come tanti altri prima di lui. Temo di essere usata ancora, per qualche stupida ragione. - E' un piacere incontrarvi di persona ragazzi!-. Non ho mai visto quest'uomo che ci ha appena rivolto la parola. È sulla cinquantina, con pochi capelli ancora scuri, pettinati ordinatamente. Tende la mano prima a Peeta e poi a me, invitandoci a sederci alla sua scrivania. -Piacere tutto nostro, Signor Crave. La ringrazio per essere riuscito a riceverci in tempi così brevi-. Lascio che siano loro due a condurre i convenevoli e la conversazione, limitandomi per lo più a guardarmi intorno. L'ufficio è piuttosto sobrio, con alcune librerie di legno scuro ricolme di libri, un caminetto con due poltroncine e, immancabilmente, il tavolo a cui siamo seduti. La mia attenzione viene appena scossa quando sento parlare il signor Crave del suo nuovo incarico, da lui definito come “stimolante e completamente diverso da essere un semplice assistente nel Distretto 8!”. E così si spiega il perché della sua presenza qui. La Paylor deve averlo scelto personalmente fra i suoi uomini più fidati. E francamente credo che abbia preso la decisione giusta perché, oltre ad essere un uomo amichevole, il nuovo sindaco si è occupato in maniera eccellente della ricostruzione: la scuola è stata completamente ristrutturata e fornita di attrezzature più che idonee ed efficienti, i proprietari di alcuni negozi hanno già ripreso in mano la loro attività, come ad esempio il commerciante di stoffe, il macellaio e l'ortolano.

In pochi minuti Peeta e il sindaco si accordano: la panetteria verrà ricostruita da zero e il sindaco stesso provvederà ad affidarne la ricostruzione a operai di fiducia, rimanendo nello stesso luogo di quella andata distrutta, ma potendo perfino espandersi di una decina di metri e permettendo così l'inserimento nel progetto di Peeta di una nuova stanza. Questa notizia lo rende così felice che quando lasciamo il palazzo di giustizia lui ancora sorride. Lui non smette di parlare in modo entusiasta di come in questo modo avrà la possibilità di dedicare molto più spazio e potrà quindi dedicarsi anche alla produzione di biscotti e dolci vari, non solo di torte classiche. Io assecondo il suo entusiasmo, ma non posso fare a meno di pensare che così lo vedrò si e no all'ora di cena. Cena. Pranzo. Oh, no. Johanna avrà di certo parlato con Haymitch e adesso dovremmo sorbirci le loro pessime battute ancora più del solito. Peeta però è così rilassato che mi impongo di imitarlo, sperando di riuscirci almeno un po'. Come sospettavo, quei due non la smettono un secondo di punzecchiarci, finché io non ne posso più e li mando entrambi a quel paese. A questo punto però ridono così tanto che io mi alzo e inizio a sparecchiare il mio lato della tavola anche se Annie sta ancora imboccando Finnick dalla parte opposta. Peeta mi segue in cucina e mi sussurra -Mi dispiace che ti mettano a disagio. Parlerò con Haymitch da solo, più tardi, se vuoi.-. Mentre mi parla non mi giro, lasciando che lui mi raggiunga da dietro. -Ok.- è tutto quello che dico, sospirando, mentre lui, prima di tornare in sala da pranzo, mi lascia un lieve bacio sul collo.

Questo è solo uno dei centinaia di gesti di affetto che Peeta mi riserva nei due mesi successivi. Ormai sono così abituata alla sua presenza e al contatto fisico con lui che mi sembrano assolutamente naturali. E, diversamente dal passato, li desidero sinceramente e spesso sono io stessa a cercare le sue labbra. Anche se di fatto non è un segreto, io preferisco comunque limitare i nostri contatti quando siamo in pubblico, perché, sì, voglio che adesso sia una cosa solo nostra. Nonostante Peeta abbia parlato con Haymitch le frecciatine che ci lanciano lui e Johanna sono notevolmente aumentate. Prevedo che smettano piuttosto velocemente, perché è giunto il momento per le ragazze e il piccolo Finnick di lasciare la mia casa. Sono rimaste a lungo con noi, e ora che siamo a giugno, Annie non vede l'ora di portare il bambino in spiaggia, al Distretto 4. Passeranno lì la stagione estiva e poi torneranno di nuovo a Capitol City. Hanno acquistato lì una casa subito dopo la fine della guerra, “per accertarsi di persona che le cose sono cambiate”, mi ha detto Johanna quando le ho chiesto il perché dell'aver lasciato i propri Distretti.

In queste settimane ho apprezzato molto la compagnia di Annie. Spesso mi ricorda Madge, nella sua forza. Per questo motivo, quando io e Peeta abbiamo scritto di lei e del piccolo Finnick sul Libro, ho proposto di affiancare due fotografie delle mie amiche. Per ricordarmi sempre che il coraggio può nascere anche nelle persone apparentemente più deboli e manifestarsi nei più svariati modi. Ammiro la forza con cui Annie sta crescendo suo figlio. Certo, a volte ritorna nel suo mondo e si distrae per un attimo. Ma quando su tratta di Finnick sembra quasi rinascere, le si illumina il viso come succedeva quando era insieme a suo padre. Devo ammettere che in tutto questo tempo ho rivalutato positivamente anche il comportamento di Johanna. Non nei miei confronti, su questo non c'è dubbio, ma quando è insieme a Annie e al bambino è molto più tranquilla e misurata. Sembra che finalmente abbia trovato una nuova famiglia a cui volere bene.

La sera prima della loro partenza ceniamo tutti insieme, con anche Sae la Zozza e sua nipote. Il treno sarà domattina presto e i loro bagagli sono già pronti e messi in salotto. Annie è entusiasta e così felice di tornare a casa che riesce a contagiare tutti con il suo sorriso. In quei momenti in cui sembra perdersi sono i bambini a riportarla alla realtà e a renderla nuovamente radiosa. Haymitch, nonostante non abbia fatto altro che lamentarsi del fatto che la loro presenza abbia cambiato la sua routine e l'abbia costretto fin troppo alla sobrietà, adesso parla a malapena. Ma, d'altronde, stiamo pur sempre parlando di Haymitch. Dato che si tratta di una sorta di festa d'addio, Peeta ha preparato una torta, che serviamo in salotto. Trascorriamo così le due ore successive, poi, alle undici circa, le ragazze tornano nella loro stanza, Haymitch e Sae a casa loro. Io e Peeta restiamo a sistemare la cucina, muovendoci in silenzio. Ho appena finito di impilare i piatti e di riporli nella credenza quando lui fa scorrere le sue dita lungo le mie braccia, facendomi il solletico. Io ridacchio appena, per poi girarmi e buttargli le braccia al collo. Lui mi avvicina e mi bacia la tempia sinistra, poi scorre verso il basso ricoprendo di piccoli baci il mio zigomo, la mascella, il collo. Quando ormai il mio respiro è notevolmente accelerato sento il sorriso sulle sue labbra quando fa incontrare le nostre bocche. Quasi involontariamente dischiudo la mia, dandogli modo di approfondire il bacio. Trascorriamo diverso tempo in questa posizione, finché non inizia a farmi male il collo e lui, dopo una mia piccola falsa protesta, mi fa sedere sul ripiano della cucina, di fianco al lavandino. Le sue mani scorrono sulle mie cosce, ma non mi toccano mai più insistentemente di quanto dovrebbero. Lui aspetta sempre che sia io a fargli capire fino a che punto si può spingere, ed è chiaro ad entrambi che per ora le cose vanno benissimo già così come sono. L'intimità del nostro rapporto è notevolmente aumentata negli ultimi mesi, ma più che il contatto fisico non cerchiamo di ricostruirci a vicenda, di conoscerci davvero. Ci sono giorni in cui, quando ci ritroviamo a leggere o scrivere alcuni passi del nostro libro, in cui poi restiamo a parlare per ore, del futuro, dei suoi progetti, delle nostre paure. Ma è piuttosto evidente che stasera nessuno dei due ha voglia di parlare. Ci trasferiamo in silenzio al piano di sopra e, dopo esserci cambiati e lavati, ricominciamo da dove ci eravamo interrotti. Dopo qualche altro bacio io mi risistemo sul suo petto e, mentre lui mi sta ancora accarezzando i capelli, mi addormento. 

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Capitolo 16
*** Un giorno speciale ***


CAPITOLO 16

 

E' passato quasi un anno da quel giorno. Ma il ricordo è ancora così vivo nella mia mente che ogni volta mi sembra di essere sbalzata all'indietro, di sentire il profumo della cannella sulle dita di Peeta attorno al mio viso...

È un giorno come un altro, io sono stata a caccia e lui è di ritorno dalla panetteria. Gli affari vanno così bene che Peeta ha dovuto assumere a tempo pieno un' impiegata. Io gli faccio spesso compagnia o lo aiuto con la contabilità, anche se il più delle volte mi limito ad osservarlo mentre decora dolci e torte dai colori sgargianti. Mi trovo in giardino, e sto sistemando delle sedie attorno ad un tavolino in bambù che Effie ha mandato ieri. Mi si avvicina e come sempre mi dà un bacio. Poi mi prende per mano e mi fa sedere sulle scale davanti a casa. -Oggi è successa una cosa strana.- inizia. Aspetto che continui e nel frattempo inizio a giocare con la punta della mia treccia. Ma lui mi prende il viso tra i palmi e mi guarda intensamente. -Mi è venuta in mente una cosa che è successa parecchio tempo fa, può darsi che tu nemmeno te ne ricordi.- rido appena e ribatto -Ma come? Non dubitare della mia intelligenza, signor Mellark.- Lui mi lascia andare appena, spostando le mani attorno al mio collo e provocandomi non poche sensazioni. -Ecco, sei già arrivata al punto. Sai quando siamo andati per la prima volta nell'ufficio del sindaco per discutere della panetteria, circa un anno fa...-. Si interrompe quando mi vede avvampare e così sa che non deve proseguire e che mi ricordo perfettamente dell'incontro con i due anziani e quello che aveva detto riguardo al matrimonio. -Quindi...Mi sposeresti, Katniss? Diventeresti la Sg.a Mellark? Lo so che forse è presto per te, ma sono passati quasi tre anni dalla guerra e, bè, io proprio non riesco a vedere un modo migliore per essere felici insieme. Ci siamo aiutati così tanto, Katniss, e io ti amo adesso forse più di prima. E sono pronto a giurare che non smetterò mai di farlo. Mai.-. Poi resta in silenzio mentre io fatico a trattenere le lacrime e cerco di fare ordine nella mia mente. Mi chiamo Katniss Everdeen. Ho 21 anni. Panem è in pace e stiamo tutti bene. Peeta mi ama...Annuisco appena, sentendo il pianto incastrato in gola, l'aria che fatica ad uscire per la gioia. Lui avvicina i nostri visi e mi bacia come non ha mai fatto, mettendoci tutto l'amore incondizionato di cui è capace. Poi si allontana e mi prende la mano destra. -L'ho comprato da un po'...- mi infila al dito un anello con una piccola gemma arancione centrale e mi sussurra a fior di labbra -Così ti ricorderai sempre di me-. Io rido appena e asciugo velocemente una lacrima dalla mia guancia. -Ti amo, Peeta.-.

 

-C'è nessuno?-. La voce di mia madre mi fa sobbalzare leggermente. -Sono in cucina, mamma.-. Lei mi viene incontro e mi sorride dolcemente. -Nervosa?-. Non c'è da stupirsi se mi sono persa nei miei pensieri fino a questo momento, dato che il “gran giorno” è oggi. Se fosse stato per noi ci saremmo limitati davvero alla tostatura, ma a quanto pare alla Ghiandaia Imitatrice la privacy non è concessa. Ci saranno moltissime persone, che io nemmeno conosco. Faccio un respiro profondo e chiudo gli occhi. -Parecchio.-. Lei ride e mi si avvicina ancora, abbracciandomi. -Dai, tesoro, è ora di prepararsi. Effie non me lo perdonerà mai se arriveremo in ritardo al suo ricevimento!-. Sbuffo sonoramente, per poi seguire mia madre su per le scale fino ad arrivare nella mia stanza. Questa volta la preparazione sembra richiedere il doppio del tempo perché a quanto pare non è sufficiente che io sia bella solo per qualche ora. -Domani ci ringrazierai.-. Flavius ride sommessamente e anche le ragazze trattengono a stento una risatina. Io alzo gli occhi al cielo. Ok, non posso dire di essere miss purezza, ma ammetto di essere nervosa per questa notte. In tutto questo tempo abbiamo aspettato, perché, sì, volevo fare le cose con un certo ordine. A volte non era facile fermarsi, soprattutto dormendo insieme ogni notte, ma non rimpiango la mia scelta. Voglio che questo momento sia speciale per Peeta, che succeda la notte in cui gli prometto che staremo insieme per sempre, che lo amerò per sempre.

Il mio abito non ha nulla a che vedere con quelli che ho provato anni fa, questo mi rispecchia e mi fa emozionare anche solo a guardarlo. È molto semplice, in lucido raso bianco e con un'ampia gonna a trapezio. Il corpetto mi fascia stretta e la scollatura è a cuore. Per la cerimonia indosserò anche un copri spalle in finissimo tulle trasparente, decorato da piccoli fiori argentati e luccicanti. Solo a guardarlo smetto di respirare per un paio di secondi. Sono Katniss Everdeen, probabilmente la ragazza meno romantica di tutto Panem, ma questo abito...sospiro, e l'aria esce tremolante dalle mie labbra appena tinte di una chiara tonalità di rosa. Prima di uscire mi guardo allo specchio, curiosa. La prima cosa che noto sono le guance in fiamme, poi gli occhi luminosi, infine i capelli morbidamente acconciati in boccoli in parte raccolti e tenuti fermi da fiori che richiamano il mio abito e in parte lasciati liberi sulla nuca. Non sono mai stata un'amante della bellezza e non mi sono mai curata eccessivamente del mio aspetto ma ammetto che di fronte a quest'abito mi è impossibile non rimanere ammirata. Ma non è per me che voglio essere bella. Realizzare che sto davvero per sposarmi fa si che le mie mani inizino a sudare. Ma Haymitch stranamente non dice nulla quando mi afferra saldamente per condurmi all'altare. Mi faccio trascinare e tengo gli occhi bassi. Ci sono troppe persone che mi guardano e la cosa non mi piace ora come non lo faceva anni fa. Arrivare davanti al prete è strano. È la seconda volta che vedo quest'uomo e devo ammettere di ammirare molto la sua fede. Anche io vorrei credere così tanto in qualcosa da renderlo lo scopo ultimo della mia vita. Al momento il mio fine però è qui al mio fianco, che mi guarda come se fossi una stella. I nostri occhi si incontrano e nessuno dei due riesce a mascherare la gioia di questo momento. È una cerimonia tradizionale, con tanto di promesse, scambio di fedi e bacio finale. Ma tutto scorre così velocemente che non riesco nemmeno a realizzare di essere sposata fino a quando più tardi non mi ritrovo nel mio salotto, ad un passo dal caminetto, con Peeta che mi guarda con lo stesso viso di poche ore fa. -Prendi.- mi dice, allungando verso di me un piccolo piatto in ceramica. Poi prende la fetta di pane che vi aveva tagliato sopra e la mette sulla griglia a cuocere. -Non mi sembra neanche vero.- le parole mi escono di bocca senza che io me ne sia accorta. Subito abbasso lo sguardo, le guance rosse. Lo sento ridere a pochi sentimenti dal mio naso e istintivamente mi avvicino di più a lui, come faccio sempre. Le nostre bocche si trovano per un lento bacio, prima che lui si separi da me per togliere il pane dal fuoco e appoggiarlo sul piatto tra le mie mani. -Prima tu, Signora Mellark.-. Ci imbocchiamo a vicenda, secondo la tradizione del nostro Distretto, e in un niente mi ritrovo nuovamente tra le sue braccia. La consapevolezza di questo momento mi colpisce con la forza di un'onda e adesso sì, sono libera di affogare. Saliamo le scale e non appena ci troviamo alla porta lui m guarda sorridente. -Permetti?-, tendendo le mani verso di me. Io rido, gettandogli le braccia al collo e facendomi sollevare. Il vestito causa qualche problema, e quando oltrepassiamo la soglia finiamo entrambi a terra, io sopra di lui. -Tutto apposto? Scusami, questo abito è un bel fardello.-. Lui mi mette un dito sulla bocca. -Smettila di preoccuparti. È tutto meraviglioso.-. Lo guardo persa per qualche secondo, prima di tentare di alzarmi in qualche modo. Alla fine sono costretta a rotolare su un fianco, rinunciando a qualsiasi altro tentativo. Ridiamo entrambi, guardandoci negli occhi. -Forse è il destino che vuole che tu resti sdraiata qui accanto a me...-. Sussurra lui al mio orecchio, facendomi venire i brividi. Mi odio perché non riesco a dire niente, ma solo ad avvicinarmi a lui quanto basta perché le nostre bocche si tocchino ancora una volta. Adesso le sue mani sono decise sul mio corpo, non ci sono scrupoli o precetti morali a tenerci lontani. Slaccia con facilità i bottoni bombati del mio corpetto, mentre io resto inerme ed immobile come una bambola, il viso rivolto verso i piedi del letto. È terribilmente imbarazzante. Quando mi libera dal mio abito, lasciandomi con indosso solo la sottoveste e il completo in pizzo che mi hanno costretto ad indossare, decido di facilitargli il compito ed alzarmi. Le mie braccia sono ancora una volta attorno al suo collo, poi le mie mani scendono fino ad allentargli e toglierli la cravatta. Quando anche Peeta non indossa altro che la biancheria, mi fermo di colpo. -Peeta...-. Sento l'ansia montare dento di me. Ora che tutto è reale non sono più sicura di niente.-Stai tranquilla. Cercherò di non farti del male, te lo prometto.-. -Sì...-. Annuisco lentamente, più per autoconvincermi che per altro. Poi lo prendo per mano e insieme facciamo quei due passi che ci fanno raggiungere il nostro letto.

 

Nota dell'autrice:

Ciao! Non sono molto soddisfatta di questo capitolo, per quanto io sia romantica credo di aver esagerato un po'. Spero che vi piaccia comunque. Non ho molto tempo per scrivere ultimamente, quindi approfitto di questo spazio anche per ringraziare delle ultime recensioni che mi avete mandato e a cui non ho avuto modo di rispondere. Grazie ancora e a presto.

Tina77

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Capitolo 17
*** Luna di miele ***


CAPITOLO 17

 

-Non essere nervosa.-. Rido sommessamente. -Non lo sono. Ti amo.-. Non mi risponde subito come fa di solito, ma fa in modo che le nostre labbra si incontrino di nuovo. È un bacio tanto intimo da farmi battere il cuore all'impazzata. Prendo la sua mano e me l'appoggio sul petto. -Senti?-, gli chiedo piano. Lui si ferma per un attimo, poi la sua mano risale fino al mio collo. Mi guarda negli occhi prima di dirmi per l'ennesima volta che mi ama. Poi le sue mani iniziano a muoversi con decisione per sfilarmi la sottoveste, slacciarmi il reggiseno. Un piccolo moto di vergogna mi colpisce e per un attimo mi copro, istintivamente. Ma Peeta continua a baciarmi dolcemente e non c'è nulla che non farei per quelle labbra. Mi tranquillizzo, lasciando che lui si avvicini di più e intrecci le nostre gambe. Quando anche i nostri indumenti più intimi sono ai piedi del letto assieme al mio abito da sposa, so che non è più il tempo dei ripensamenti e lascio che la mia stessa fame piano piano prenda il sopravvento sulla mia ragione. Quello che succede dopo è tanto intenso da togliermi il respiro, da farmi comprendere forse per la prima volta fino a che punto arrivi il mio amore per Peeta, fin dove si spinga il suo. Se solo penso a quanto sono stata vicino a perderlo, a non poterlo sentire così...

 

 

E' mattina quando mi dice -Vorrei fermare il tempo e vivere così per sempre.-. Come allora, gli rispondo semplicemente -Va bene.-. Sento la sua risata leggere vibrare sul mio collo nudo. Siamo ancora a letto, io tra le sue braccia, lui che disegna piccoli cerchi immaginari sulle mie e mi accarezza i capelli. Anni fa credevo che tutto questo non avrebbe mai potuto essere reale, che la felicità mi sarebbe stata sottratta totalmente dalla morte imminente. Ma questo...no, questa è un'altra cosa. Le sue mani, la sua bocca, queste sono diventate la mia ancora, la mia vita. Mi sollevo appena facendo leva sui gomiti e lo guardo negli occhi prima di dire – Non vorrei rovinare il momento ma c'è una cosa che devo assolutamente chiederti.-. Mi guarda appena, gli occhi ancora socchiusi, un braccio piegato vicino alla testa sul cuscino. -Come hai fatto a innamorarti di me una seconda volta? Lo so, avrei dovuto chiedertelo anni fa, ma...mi sembrava una domanda troppo invadente, ecco.-. Peeta si mette seduto e incrocia le braccia. -Be', sì, ammetto che è una domanda che non mi aspettavo.-. -Se non vuoi rispondere lascia stare, davvero. Non preoccuparti. Faccio per alzarmi, trascinandomi dietro il lenzuolo, ma lui mi prende una mano e se la porta alle labbra per baciarla. -In realtà non mi sono innamorato di te due volte. La prima è stata a cinque anni, la seconda a undici, la terza a sedici, la quarta a diciassette...e adesso, Katniss, mi innamoro di te ogni giorno. Ogni giorno.-. Accompagna ogni frase ad un bacio alla mia mano e finisce per farmi perdere il controllo. Gli getto le braccia al collo e finisco per ritrovarmi sdraiata sopra di lui, il viso affondato tra il suo collo e la spalla. -Ti ho già detto che ti amo, di recente?-. Lui ride ancora, prima di capovolgere la situazione e tenersi sollevato sopra di me. Con il naso e le labbra inizia a seguire il profilo della mia mascella, poi scende più giù fino ad arrivare alla pancia. -Mmm. Credo tu me l'abbia detto ieri, sai. Ma non sono sicuro, potrei anche avere sognato tutto stanotte. Se solo tu potessi dimostrarmi che mi sbaglio mi faresti un fav-. Lo interrompo subito con un bacio e sento il sorriso sulle sue labbra, mentre lo ricambia. Non passano molti altri baci che ci ritroviamo nuovamente avvinti l'uno all'altra.

 

 

-Oh, buongiorno piccioncini! Cominciavo a temere di dovervi venire a chiamare...-. Ieri è stato un giorno tanto perfetto che nulla avrebbe potuto rovinarlo, ma le battute di Haymitch sono sempre irritanti, per cui lo guardo storto per un attimo. Ma sento Peeta ridacchiare al mio fianco, per cui mi rilasso. Effettivamente poi Haymitch ha ragione, sono le undici passate. Ci sediamo a tavola e Peeta prende due tazze colme di latte per me e per lui. -Non per essere scortese, Hay, ma tu di preciso cosa ci fai qui? Non che non mi faccia piacere vederti, per carità, ma...-. -Ah! Ragazzo, non è colpa mia. Effie, Johanna, Annie e il suo mostriciattolo si sono letteralmente impossessate di casa mia. Hanno deciso di renderla più accogliente. Sono stato costretto a fuggire.-. -E perché hai deciso di venire proprio qui?- sbotto io. -Vedi, dolcezza, questo è uno dei motivi per cui ti voglio bene: sei sempre così gentile e disponibile...non preoccupatevi, comunque, vi lascio soli! Vedete solo di non passare tutta la giornata in camera!-. Non facciamo in tempo a replicare che lui è già fuori. Quando sento la porta d'entrata sbattere leggermente, sobbalzo. Per un secondo ci guardiamo negli occhi, entrambi imbarazzati, poi scoppiamo a ridere. Il bussare alla porta ci riscuote dai nostri pensieri. -Avanti!-. Grida Peeta in direzione dell'entrata. -Buongiorno, ragazzi.-. Saluta mia madre, entrando con un vassoio tra le mani contenente una gran quantità di pasticcini e biscotti. -Effie ha davvero esagerato con il buffet ieri!- esclamo io scandalizzata. -Oh, non esagerare tesoro! Lo sai che ci teneva molto a farvi come regalo una festa indimenticabile.-. -Lo so, mamma. Vorrei solo che non fossero avanzate tutte queste cose.-. -In realtà questo è tutto ciò che rimane.-. Dice lei e, di fronte al mio sguardo stupito aggiunge – Ho appena finito di fare un giro per il villaggio insieme ai tuoi preparatori, Katniss. Abbiamo distribuito un po' di cibo a tra le famiglie.-. Anche se ormai non si può più parlare di poveri che muoiono di fame, ci sono comunque le persone meno fortunate. -Grazie, Jane. È stato un gesto molto nobile da parte tua, sono sicuro che Effie ne sarà entusiasta.-. Mia madre rivolge a Peeta un sorriso smagliante. -Le vecchie abitudini sono difficili da lasciare, no? Comunque, ragazzi, a che ora partirete? Ieri mi sono dimenticata di chiedervelo.-. -Partiremo?-. Mi volto confusa verso mio marito. Confusa e infastidita. -Avevi promesso, Peeta! Non possiamo andarcene proprio ora...la panetteria va alla grande, come facciamo a lasciare tutto così all'improvviso?-. Mia madre non dice nulla, evidentemente non sapeva che la luna di miele sarebbe stata un tasto dolente. Si ritira in un angolo della cucina, con la scusa di sistemare in vari contenitori i dolci che ha portato poco fa. -Oh, andiamo, Katniss! Non preoccuparti per la panetteria. Sono certo che Clara saprà occuparsene egregiamente. Ho già chiesto a Sae se potrà aiutarla e lei è d'accordo.-. -Ma Sae ha il suo ristorante, Peeta, non può farsi carico anche di questo.-. -E allora chiuderemo per qualche settimana, non è la fine del mondo. Se proprio sei così contraria posso anche partire da solo, non c'è problema...-. Conclude lui con un sorriso ammiccante. -Peeta!-. Mi volto a guardare mia madre, sperando che almeno lei mi appoggi. Invece la trovo che mi guarda divertita. Questo mi fa arrabbiare ancora di più. Incrocio le braccia al petto e metto su il broncio. È proprio mia madre ad intervenire, dicendo -Io posso prendermi un paio di settimane di permesso, se sei più tranquilla. Non è un problema aiutare Clara, lei può occuparsi dei dolci e io del pane. E Sae potrebbe aiutarci quando non è impegnata al ristorante.-. Vedo un sorriso trionfante stampato sul volto di mio marito. Sbuffo sonoramente, ma non posso fare a meno che capitolare. - Partiamo alle quattro, Jane.-, conclude lui raggiante, prendendomi tra le braccia e dandomi un piccolo bacio sulla tempia. -Posso almeno sapere dove mi porterai?-. -Mmm. Ti dico solo che ti servirà un costume da bagno.-. Lo guardo sconvolta. -Non ti preoccupare, niente bagni in mare. O meglio, navigheremo per un po', ecco.-. -Seriamente, ragazzo? Una crociera?-. Haymitch fa capolino dalla porta della cucina. - Esatto.- fa lui, soddisfatto. Io sono ancora incapace di parlare, e non so se essere felice o no. Mi sembra tutto così assurdo! Non ho mai fatto viaggi di piacere e non ne sento assolutamente il bisogno. A quanto ne so nemmeno Peeta ha mai viaggiato. Vorrei proprio sapere come gli è venuta in mente quest'idea della crociera. Non devo aspettare molto per scoprirlo, dato che durante il pranzo Effie e i miei preparatori si mostrano ancora più soddisfatti e eccitati di quanto mi sarei aspettata secondo i loro standard. Bene, a questo punto non mi resta altro che preparare le valige. 

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Capitolo 18
*** Il Distretto 4 ***


Ciao! Mi scuso tantissimo per il ritardo. Prometto che la prossima volta aggiornerò prima, ho già iniziato il nuovo capitolo. Grazie a tutti quelli che hanno la pazienza di leggere e seguirmi. Un bacio, a presto

Tina77

 

CAPITOLO 18

 

E' tutto pronto per il viaggio. Peeta non ha voluto dirmi dove andremo, mi ha solo suggerito di prendere vestiti freschi e leggeri ma anche alcuni indumenti un po' più pesanti. Prenderemo il treno questo pomeriggio e posso solo immaginare che andremo nel Distretto 4, visto che in questa prima parte del viaggio saremo accompagnati anche da Johanna, Annie e il bambino.

-Sei pronta, tesoro?-. Mi chiama Peeta dalle scale. -Sì, arrivo. Ho quasi finito di sistemare i vestiti.-. Pochi minuti dopo lo vedo entrare in camera nostra, raggiante, e prendere la mia valigia sollevandola con facilità. All'ultimo però si blocca sulla porta e si volta verso di me. -Sono sicuro che la luna di miele ti piacerà.-. Mormora al mio orecchio, a un soffio dalla mia pelle. Arrossisco vistosamente -Ma piantala!-. Lui ride e io lo seguo al piano di sotto. In salotto trovo mia madre e le ragazze, ancora trafelate per aver messo a soqquadro la casa di Haymitch e aver preparato le loro valige. Mia madre con i bambini diventa un'altra persona. Quando nella stanza c'è lei, non c'è verso di staccare Finnick dalle sue gambe o strapparlo dalle sue braccia: comincia subito a piangere e anche a sua mamma ci vogliono parecchi minuti per calmarlo. Questa volta non è diversa dalle altre, anzi è peggio visto che non la vedrà per parecchi mesi. Quando finalmente la casa non rimbomba più per i suoi capricci, salutiamo velocemente mia madre, Effie ed Haymitch e raggiungiamo la stazione. Adesso che è possibile viaggiare liberamente tra i distretti i treni non sono più vuoti, e nemmeno gestiti dalla Capitale per quanto riguarda i nomi dei passeggeri: chiunque può viaggiare senza problemi. Basta pagare un biglietto e si è apposto. Tutto è così diverso dall'ultima volta che sono stata qui che per un momento mi perdo nel via vai ed è solo la mano di Peeta che mi guida che mi conduce fino alla nostra carrozza.

Il Distretto 4 è esattamente come me lo ricordavo: clima caldo e arieggiato, e caratterizzato da un dolce profumo di frutti esotici e fiori dai colori sgargianti. La vecchia casa di Annie non dista che qualche centinaio di metri dal mare, per cui prima di proseguire per il nostro viaggio Peeta propone di fermarci qui per qualche giorno. Se non sapessi che è stato tutto programmato accuratamente potrei quasi pensare che sia una decisione presa all'ultimo e dettata dalla bella stagione estiva. Annie ci mostra la nostra camera e ci lascia soli qualche minuto, mentre Johanna ci urla -Non è il momento, eh! Per quello avrete tempo stanotte.-. Ma perché tutti pensano che da sposati importi solo il sesso? Questi riferimenti mi innervosiscono parecchio. Se prima già dovevo sopportare le battute d Haymitch e Johanna, adesso non avrò più pace. Voglio dire, stanotte è stato meraviglioso, non c'è dubbio, e mentirei spudoratamente se dicessi che non vedo l'ora di ritrovarmi di nuovo da sola con Peeta. Ma ci sono mille modi per amare una persona, no? Se dovessi dare una risposta a mente lucida direi “Sì” senza esitazioni, ma adesso Peeta è qui, di spalle rispetto a me, che si cambia per indossare il costume da bagno. E allora lasciamo perdere i grandi ragionamenti perché tanto è inutile. Non mi sono mai concessa di pensare a lui in questo modo. Mi sono sempre impedita di pensare al sesso in generale, in realtà, visto la mia idea sul non avere bambini. So che stanotte Peeta ha preso delle precauzioni, ma non ho la certezza che prima o poi qualcosa non vada storto. Mi giro dalla parte opposta, imitandolo e cambiandomi.

-Sei bellissima-. -E tu sei di parte come sempre.-. -Non direi. Comunque andiamo dai, sono già le sei.-. Non ho mai preso il sole in spiaggia. Fatta eccezione per la nostra seconda Arena e il Tour, in effetti, non ho mai passato del tempo al mare. E comunque non si può dire che siano stati soggiorni di piacere. Camminiamo mano nella mano fino a raggiungere l'acqua tiepida, mentre Johanna sistema i teli qualche metro più indietro. -Peeta.-. Lo chiamo. -Si volta a guardarmi, già sorridente. -Sì?-. -Perché mi hai portata qui? Avremmo potuto trascorrere una luna di miele anche nel Dodici.-. Lui sorride ancora e scuote la testa. -Lo so. Ma volevo che per una volta facessimo una cosa normale, un viaggio per rilassarci e stare bene. Non c'è un motivo, voglio solo stare con te. E poi, perché mai dovremmo andare contro la tradizione?-. Aggiunge, ironico. Poi, all'improvviso, mi trascina dentro l'acqua, buttandosi all'indietro a facendoci cadere entrambi e facendomi ridere. Mi prende il volto tra le mani e mi dà un bacio. -E poi volevo anche dimostrarti che per stare bene ti basto io, non importa dove siamo.-. -Oh! Dove avresti trovato tutta questa sicurezza, S.gn. Mellark?-. -Tra le tue braccia.-. Adesso sono io a baciarlo, senza farmi problemi per il fatto che siamo in pubblico e a pochi passi da una ridacchiante Johanna.

I tre giorni seguenti trascorrono più o meno allo stesso modo. Peeta ed io passiamo la maggior parte del tempo da soli, chiaramente, tranne per i pasti e per le ore che passiamo a giocare con il piccolo Finnick.

-Mi raccomando, ragazzi, divertitevi e appena tornate a casa fate una telefonata!-. Annie ci saluta calorosamente e abbraccia entrambi. Ho appena posato un bacio sulla testa di suo figlio, quando sento Johanna dire a Peeta -Senti, se fa la difficile e non ci sta, legala al letto.-. Fingo di non averla sentita e ringrazio Annie per l'ospitalità. Peeta mormora qualcosa sottovoce, ma so che sta ridacchiando. -Ci si vede, Colombella-. Mi saluta la mia amica. -Ciao, Johanna. Anche tu mancherai.-. 

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Capitolo 19
*** La canzone ***


CAPITOLO 19

 

Siamo partiti ieri da San Juan e passeremo i prossimi dieci giorni a navigare tra i Caraibi. Alla fine Peeta non ha dovuto dirmi niente perché all'imbarco la nostra destinazione era diventata evidente. La cosa bella di una crociera, a detta sua, è che possiamo rilassarci e prendere il sole senza dover per forza fare il bagno. Entrambi siamo ancora piuttosto restii a questo proposito. Il suo sguardo, ora, è così sereno da farmi dimenticare tutte le mie ansie. Chiudo gli occhi, pensando a quanto successo poche ore fa.

-Katniss, stai bene, tesoro?- sussurra Peeta nel buio della nostra cabina. Gli do le spalle nel nostro letto, e stanotte non ho risposto alle sue carezze. Lo sento farsi più vicino, quando non gli rispondo, e mettermi una mano sulla guancia bagnata, costringendomi a voltarmi sul fianco così da ritrovarmi con gli occhi fissi nei suoi. -Sì...-. Sussurro piano. -Vorrei poterti dire che andrà per sempre tutto bene, Katniss, che non ci saranno altri problemi e che vivremo per sempre felici, ma mentirei. Qualunque cosa sia la affronteremo insieme, ok? Se sei triste, io lo sarò con te. Se avrò un episodio e penserò che tu voglia farmi del male, tu mi bacerai e io tornerò da te. Sempre.-. -Lo so.-. -E allora baciami e dimostramelo.-.

Non so come faccia a farmi sempre sentire così. Per lui sono meravigliosa a prescindere, lo so, qualunque cosa io dica e faccia. Non me lo merito, come non merito questa felicità. Eppure sono qui, e un motivo dovrà pur esserci. Passo i giorni seguenti a chiedermi quale sia e quando ci arrivo mi sento una stupida per non essermelo chiesto prima. Tutti meritano di cercare qualcosa che li faccia stare bene, anche chi ha sbagliato in passato. Perché io dovrei essere diversa e vedere problemi anche dove non ce ne sono? Ricordo quando pensavo che gli Hunger Games avessere guastato il mio rapporto con Peeta. Non permetterò che influiscano anche sul nostro futuro.

 

È l'ultima sera della nostra luna di miele e ci troviamo nel porto di Saint Croix. Le luci si riflettono nell'acqua limpida e l'aria è pervasa dallo stesso profumo di salsedine e fiori che ho sentito negli altri porti in cui abbiamo attraccato in questi giorni. Peeta mi prende per mano e insieme scendiamo per la cena. So che ha organizzato qualcosa, una sorpresa per noi due. Mi ha costretta ad indossare un lungo e scintillante abito da sera blu scuro e anche lui si è vestito elagante. Ci viene servita una deliziosa cena a base di pesce e per tutta la sera un pianista suona e canta intrattenendo gli ospiti. Sono le dieci quando i commensali vengono fatti alzare e i tavoli spostati per ricavare una pista da ballo al centro della sala. -Balliamo?-. Peeta mi prende per mano e mi guida in un angolo, per poi intrecciare le nostre dita all'altezza del suo cuore e mettermi una mano sulla schiena. -Che ne dici della serata?-. -Dico che è perfetta.-. -Mmm.-. -Non sei d'accordo?-. Lo guardo confusa. -In realtà speravo che la musica fosse diversa. Sai, con una bella cantante o qualcosa del genere.-. -A me il pianista sembra bravo. Cos'ha che non va?-. -Niente, hai ragione. Però continuo a pensare che sarebbe meglio se su quel palco ci fossi tu.-. Rido, perché sicuramente sta scherzando. Penso che come sempre mi stia adulando, ma poi vedo un elegantissimo signore venirci incontro. Ci stacchiamo e Peeta gli tende una mano. -Buonasera, signor Suarez.-. -Buonasera. Spero che vi stiate godendo la serata. Tra cinque minuti il palco sarà libero per la sua signora, come promesso. Peeta sorride soddisfatto e ringrazia mentre io guardo mio marito con aria truce. Adesso è il suo turno di ridere. -Oh, andiamo! Sarà divertente!-. -Sì, per te. Guarda quanta gente, Peeta! Non posso credere che t-. non faccio in tempo a fiire, perché mi ritrovo le labbra impegnate a rispondere al suo bacio improvviso. -Sarai splendida. Su, adesso vai. Non vorrai fare tardi al tuo debutto.-. Mi avvio avvilita verso il retro del palco, dove trovo un secondo pianista. -Oh, signora Mellark, che piacere conoscerla!-. -Buonasera.-. -Non si preoccupi, può scelgliere lei cosa cantare. E il pubblico non è mai molto esigente, quindi nessuno farà caso a qualche piccola stonatura. Non che nel suo caso io tema che questo possa succedere, chiaramente.-. Ha paura di me, per caso? Continua a parlare a macchinetta, neanche lo stessi minacciando. Sorrido, pensando a quello che Peeta deve aver detto loro sul mio conto. Ci accordiamo brevemente riguardo alla canzone che eseguirò e quando il primo pianista scende dal palco, saliamo entrambi e prendiamo posto. Mi avvicino lentamente al microfono. Non c'è molta gente, solo una cinquantina di persone, niente a che vedere con le folle urlanti davanti a cui sono stata costretta a parlare in passato. Il pianista attacca e io mi schiarisco piano la voce prima di cominciare.

 

Sweet love, sweet love

trapped in your love

I've opened up, unsure I can trust

my heart and I were buried in dust

free me, free us.

 

You're all I need when I'm holding you tight
If you walk away I will suffer tonight.

 

I found a man I can trust,

and, boy, I belive in us

I am terrified to love for the first time

Can you see the I'm bound in chains?

I finally found my way

I am bound to you, I am bound to you

 


So much, so young
I've faced on my own
Walls I built up became my home
I'm strong and I'm sure there's a fire in us
Sweet love, so pure

 

I catch my breath with just one beating heart
And I brace myself, please don't tear this apart

I found a man I can trust
And boy, I believe in us
I am terrified to love for the first time
Can't you see that I'm bound in chains?
I finally found my way
I am bound to you
I am bound to

Suddenly the moment's here
I embrace my fears
All that I have been carrying all these years
Do I risk it all?
Come this far just to fall, fall


Oh, I can trust
And boy, I believe in us
I am terrified to love for the first time
Can you see that I'm bound in chains?
And finally found my way
I am bound to you


 

 

L'applauso finale mi riscuote dal senso di straniamento in cui cado tutte le volte che mi ritrovo a cantare. Quando scendo dal placo vengo rapidamente sostituita da una donna sulla cinquantina, che prende il microfono e attacca con una ballata, sempre accompagnata dallo stesso pianista.

Raggiungo Peeta. Sorride ancora, proprio come quando l'ho lasciato dieci minuti fa. Adesso il suo sgaurdo è malizioso, però, e non ne capisco il motivo. Abasso lo sguardo e mi stupisco quando sento le sue labbra sulle mie per un piccolo bacio a stampo. -Passeggiamo? Abbiamo ancora un po' di tempo prima di ripartire.-. Lo seguo fuori dal locale, ma prima di uscire ci fermiamo a salutare il proprietario, che ci saluta amabilmente e abbondando con i complimenti sulla mia esibizione. È tutto tremendamente imbarazzante, e Peeta lo sa. Ma quando mi prende la mano e mi conduce tra le piccole vie piene di luci e colori, non me la sento di allontanarlo. Perché quello che ho detto poco fa nella canzone è vero, nel bene e nel male.

Can you see that I'm bound in chains?

 

 

 

Ciao!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e non abbiate trovato troppo forzata o scontata l'idea della crociera e della sorpresa finale di Peeta. Personalemente adoro la canzone che ho scelto per Katniss (Vi consiglio vivamente di ascoltarla, è “Bound to you” dell'Aguilera). Quando l'ho sentita mi sono messa subito a scrivere e n'è uscito questo capitolo. Forse non avrei dovuto riportarla tutta, ma il testo secondo me è perfetto per esprimere i sentimenti di Katniss e quindi ho preferito non tagliarlo. Fatemi sapere cosa ne pensate! Vi dico già che i prossimi capitoli li pubblicherò ogni due settimane perché devo studiare parecchio. A presto!

Tina77

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Capitolo 20
*** Famiglia ***


 

CAPITOLO 20

 

Non faccio nemmeno in tempo a rientrare in casa che sento lo squillo del telefono richiamarmi in salotto. Lascio cadere a terra le buste della spesa e corro a rispondere. -Pronto?-. -Eccoti, finalmente. È la terza volta che chiamo.-. -Ciao anche a te, Johanna. Come stai?-. -Mi annoio. Che ne dici di un sano viaggetto fino alla Capitale per festeggiare il Natale? Sono mesi che il marmocchio non ha il privilegio di vedere la tua brutta faccia.-. -Non credo che riusciremo a muoverci, in realtà. Ma se volete, qui il posto non manca. A meno che non dobbiate restare in negozio, ovviamente.-. Un paio di anni fa Johanna ha scoperto il suo talento per la moda. Lei ed Annie hanno aperto un piccolo atelier, dove lei si occupa degli abiti femminili e Annie di quelli per bambini. Effie si occupa della loro campagna pubblicitaria e sembra aver ritrovato così il brio che l'ha sempre caratterizzata. Le vendite vanno bene e il negozio si è ingrandito parecchio, ma a loro interessa solo tenersi occupate e fare qualcosa di utile. Lo scorso Natale Peeta e io le abbiamo raggiunte per le feste, ma pensare di lasciare di nuovo la panetteria senza nessuno a gestirla è impensabile. Mia madre è partita per una missione umanitaria nel Distretto 11, non la vedo da circa un anno. Haymitch ormai è definitivamente parte della famiglia, viene a cena da noi quasi ogni sera. Tutto si è evoluto così rapidamente...sembra ieri che Peeta e io tornavamo dalla luna di miele, invece sono già passati tre anni. Quello che ha detto Peeta è vero: ci sono stati momenti difficili, ma insieme li abbiamo affrontati uno a uno. I miei incubi non se ne andranno mai, è una certezza, ma non ho più paura. Quando mi sveglio di colpo so che non sono sola e questo basta a calmarmi. -Fammi parlare con Peeta, ok? Ti chiamo tra un paio d'ore.-. -Va bene. Come vanno le cose tra voi piccioncini? Sempre tutto rose e fiori? Oh, scusa, lascia perdere le rose, è meglio.-. -Ehm, ok. Sì, va tutto bene. È felice, sai, il lavoro lo riempie di soddisfazione.-. -Spero che gliene dia un po' anche tu!-. -Johanna!-. Sbotto, indignata. -Ok, scusa, scusa. Mi chiedevo solo quando avrai intenzione di darmi un bel nipotino, tutto qui.-. Il suo tono non è per niente dispiaciuto in realtà, ma faccio finta di niente e rispondo -Lo sai che non sono ancora pronta.-. Mormoro imbarazzata. -Pronta per cosa?-. La voce di Peeta mi fa sobbalzare. Non l'ho sentito, entrare, il che è molto strano. -Niente, lascia perdere. Sono al telefono con Johanna.-. -Oh, che bello. Passamela, dai.-. Faccio come mi dice. -Johanna?-. -Oh, Peeta. Finalmente qualcuno che mi apprezza. Dicevo poco fa alla tua mogliettina che vorrei tanto poter coccolare un piccolo Mellark, un giorno. Possibilmente prima di aver raggiunto la menopausa anche io, sai.-. -Ehm, ci sto lavorando.-. Non do peso alla loro conversazione, pensando che stiano parlando della panetteria e degli affari. Dopo qualche altra battuta Peeta riaggancia e mi raggiunge in cucina, dove sto sistemando la spesa, dando le spalle alla porta. Lo sento arrivare, ma non mi volto. -Mi aiuti? Non ci arrivo.-. Dico, indicando dei barattoli posati sul ripiano di fronte a me e che da sola non riesco a riporre nella credenza. -Certo...-. Ma invece che prendere il pomodoro, sono io a finire tra le sue mani. Mi abbraccia da dietro, baciandomi il collo. Espiro con un tremito, mentre le sue braccia si stringono attorno al mio corpo e le sue mani raggiungono il mio seno. -Peeta...-. -Mmm.-. Mormora lui, continuando ad accarezzarmi. -Haym-...-. -Stiamo per fare l'amore e parli di Haymitch?-. Mi fa girare di scatto e senza darmi modo di rispondere alla sua provocazione mi bacia dritto sulla bocca. Schiudo le labbra e getto le braccia attorno al suo collo, aggrappandomi a lui con forza. Per la foga mi solleva appena e io mi inarco involontariamente. Ormai è chiaro che nessuno dei due ha intenzione di fermarsi, così saliamo in camera. Fare l'amore con Peeta è sempre una nuova scoperta. Ogni volta mi rendo conto di colpo di amarlo come non credevo fosse possibile. Anche dopo tre anni ogni volta che mi spoglio o che lo vedo le mie guance vanno a fuoco. Lui scherza e mi dice che ormai lui è l'unico a farmi diventare “la ragazza in fiamme”. Anche adesso trattengo il respiro mentre lui mi sfila il maglione e mi lascia una scia di baci partendo dal collo e scendendo fino al ventre. È sempre così lento, sembra che si diverta a torturarmi in questo modo. A vedermi arrossire, a sentirmi tremare sotto i suoi baci lievi. Lo prendo per il colletto della camicia e lo attiro su di me, impaziente. Ricomincio a baciarlo con foga e niente esiste più. Solo i suoi occhi, le sue mani sul mio corpo ormai nudo, le mie attorno ai suoi capelli. Un'ora più tardi sono sdraiata accanto a lui, con la testa sul suo braccio e le sue labbra sui miei capelli. -Katniss.-. Mi chiama, sussurrando. Mi sollevo appena per guardarlo negli occhi e lui mi sposta una ciocca di capelli dalla fronte. -Prima ho parlato con Johanna.-. -Oh, sì. Le ho detto che preferiamo aspettare prima di lasciare di nuovo il Distretto. Spero riescano a venire loro, qui.-. -Non è di questo che parlavo. Comunque sono d'accordo con te.-. Mi sdraio di nuovo, questa volta sul suo petto. Appoggio il mento all'altezza del suo cuore. -E di che parlavi, allora?-. -Lo sai.-. -Peeta...-. Distolgo lo sguardo dai suoi occhi e appoggio la guancia sulla sua pelle calda. -Sì, lo so che ne abbiamo parlato solo qualche mese fa. Ma lo sai come la penso, Kat. Io vorrei che ti convincessi che saresti davvero una madre fantastica. Lo penso davvero.-. -E' questo il punto. Tu sei sempre così positivo, Peeta. Pensi che io possa fare tutto quello che voglio, ma non è così. Non sarà mai così.-. -Non lo sarà mai, è vero, se continui in questo modo. Fare l'amore con te è stupendo, Katniss. E io ti amo per come sei. Te l'ho detto mille volte, a me basti tu per essere felice. Ma...a volte non posso fare a meno di pensare che avere un bambino sarebbe stupendo. Quale modo migliore per amarsi, se non formare una famiglia con la persona che passerà il resto della vita accanto a te?-. -Smettila, Peeta. Ti prego. Sai perché non posso avere figli. Noi due siamo una cosa, una famiglia è...diversa. Ogni volta che ne parliamo finiamo per litigare, non ne vale la pena.-. -Non ne vale la pena, dici?-. Si mette seduto, costringendomi così a spostarmi e a fare altrettanto. -Peeta...-. -Tengo gli occhi bassi e sospiro. -Davvero pensi di non essere in grado di prenderti cura di una persona?-. Non rispondo. -Katniss, parlami.-. -Io...-. -Guardami.-. Mi prende il viso tra le mani e mi asciuga una lacrima. -Peeta, perché non ti basto io? Ti prego, non insistere...-. -Sciocca. Tu sei la mia vita. Quello che dovresti capire è che le tue paure sono infondate perché tu sei perfettamente in grado di accudire qualcuno. Se non lo sapessi fare a quest'ora non ci ritroveremmo qui, né tu, né io.-. Mi dà un bacio sulla punta del naso e si alza. Quando sento chiudersi la porta del bagno e aprire l'acqua della doccia, mi accascio sul letto, portando le gambe al petto. Stringo forte il suo cuscino, inspirando il suo profumo. Non può avere ragione. Non questa volta. Lui convince sempre tutti quando parla, no? Ma se avesse ragione...mi alzo di scatto. Non riesco a stare ferma nel nostro letto, non adesso. Vado alla finestra e vedo la neve che ha imbiancato il portico della casa di Haymitch. Cosa mi disse anni fa? Oh, giusto. Che io non potrei essere degna dell'amore di Peeta nemmeno tra cento vite. Lui merita di avere dei figli, io so che sarebbe un padre perfetto. Ma io sono davvero in grado di dargli questo? Una famiglia. È questo quello di cui lui ha bisogno, lui a cui sono stati portati via tutti. E io ho bisogno solo di lui. La risposta sembra così chiara nella mia mente ma non voglio accettarla. Non so quanto tempo passo guardando fuori, senza riuscire a fermare le lacrime e sentendomi impotente. È sempre così. Ogni volta che ne parliamo è come se mi si staccasse un pezzo di cuore. Lui mi salva, sempre. Dovrei essere io a rassicurarlo del mio amore, e invece finisce sempre per essere il contrario. Quando lo sento uscire mi asciugo le lacrime e mi giro piano. Mi viene incontro e in meno di un secondo mi ritrovo tra le sue braccia. -Non piangere, amore. Scusami.-. -Non...-. Provo a dire con voce incerta. -Shh.-. Mi accarezza piano i capelli, come fossi una bambina. Sciolgo l'abbraccio e lo guardo, prendendo una sua mano. -So che hai ragione. Lo so. Io...ti prometto che ci penserò.-. -Va bene, ma ti prego...-. Si interrompe e porta la mia mano alle labbra. -Non piangere più.-. -Promesso.-. Mi alzo in punta di piedi e lo bacio per un attimo. Dopo lui si gira verso la finestra e guarda il cielo. -Che ore sono?-. -Mmm. Quasi le nove, credo. Tu scendi pure, io mi faccio una doccia veloce e ti raggiungo.-.

Mezz'ora dopo siamo a tavola di fronte ad un fumante spezzatino di carne e patate che ho preso prima da Sae. Le mie abilità culinarie non si sono sviluppate un granché in questi anni. Impossibile con Peeta in giro per casa e Sae con un ristorante. I miei tentativi vengono sempre apprezzati però. O almeno ci spero. Solo Haymitch ha da ridire, quando qualche volta a pranzo ci ritroviamo soli a mangiare. Una volta mi ha accusato di volerlo avvelenare, ma spero non fosse troppo serio. A me la zuppa piaceva. 

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Capitolo 21
*** Telefonata dall'Undici ***


CAPITOLO 21

 

-Katniss, mi aiuti?-. Seguo la voce di mio marito e mi ritrovo sul portico. Lo vedo trascinare un abete insieme a Haymitch. È una scena tanto insolita che scoppio a ridere, prima di raggiungerli per cercare di far passare l'albero dalla porta d'entrata. -Perché non mi hai detto che volevi decorare oggi la casa per il Natale, Peeta?-. -Ottima domanda, dolcezza. Avresti dovuto aiurtarlo tu. Venite sempre da me quando c'è da sfaticare.-. -Macchè! Haymitch, ti rendi conto che sono passati anni da quando ti abbiamo chiesto una mano per portare qui le cose di Peeta, vero?-. -Lo ricordo come fosse ieri, però.-. -Ehm, scusate.-. Ci interrompe Peeta. -Ma l'albero da solo non entra quindi...-. -Sì, scusami.-. Dico piano, spostando il tappeto d'entrata per non bagnarlo con la neve rimasta attaccata all'albero. Ci vogliono più di venti minuti per sistemare tutto e asciugare il pavimento, ma alla fine l'abete è ben saldo nel nostro salotto, vicino al caminetto. -Che ne dici?-. Fa Peeta, con il fiato corto per lo sforzo. -Perfetto. Le ragazze e Finnick ne saranno entusiaste. Domani mattina dovremmo comprare delle luci, però...quelle dell'anno scorso sono tutte bruciate. -.

-Non contare su di me per quello. Vi saluto!-. Il nostro mentore ci liquida in questo modo e se ne va. Sento abbastanza distintamente un rumore di vetri di bottiglia mentre si allontana. -Vieni qui.-. Mi sussurra Peeta, abbracciandomi. -Mi sei mancata stamattina, al negozio.-. -Sì, scusami.-. Mi giro verso di lui. -Avevo promesso a Lucy di accompagnarla a comprare il regalo di Natale per Sae.-. -Sae diventerà la nonna più viziata del mondo. Quella bambina continua a regalarle disegni e braccialetti di perline.-. -Sei invidioso?-. Scherzo io. -Bè, sì. Ho sempre desiderato avere una collana di caramelle.-. -Ne terrò conto per il prossimo compleanno.-. -Molto gentile.-. -Sempre.-. La sua risata mi vibra sul collo, mentre mi bacia. -Comunque credo che dovresti farti perdonare per avermi lasciato da solo al lavoro...-. Un altro bacio. -Mmm.-. -C'è stato così tanto da fare...-. Il suo naso mi solletica dietro l'orecchio. -Ah, sì?-. Tengo gli occhi chiusi, la testa all'indietro e appoggiata al suo petto. Sobbalzo quando il telefono squilla. Peeta si stacca da me sbuffando e borbottando tra sé per andare a rispondere, mentre io mi siedo sul divano. -Pronto? Oh, Jane, che piacere sentirti. Sì, grazie sto bene. Katniss è qui con me, te la passo?-. Una pausa piuttosto lunga, durante la quale vedo mio marito annuire più volte. -Ma è meraviglioso! Sono sicuro che lei sarà felicissima. Di già? Ok, sì, te la saluto io. A presto e grazie!-. -Che dice mia madre?-. Si siede accanto a me, con il sorriso negli occhi. -Peeta?-. -Ha trovato la più piccola delle sorelline di Rue, all'11. Era in un orfanotrofio, ma è lei di sicuro, ci sono i documenti che lo attestano e...-. si blocca, quando vede che sono sbiancata in viso. Sento l'aria comprimermi i polmoni, fa fatica ad uscire e mi costringe ad aprire la bocca alla sua disperata ricerca. -Ehi. Shh, tranquilla.-. Le sue mani mi scivolano lungo le braccia. -Non credi sia stupendo? Sta bene.-. Certo, ma gli altri? Morti, ovviamente. Un orfanotrofio. Probabilmente adesso avrà tutto ciò di cui ha bisogno: cibo, un letto pulito, un'istruzione. Ma è sola. E nessuno potrà farle dimenticare quello che ha perso, né tanto meno ridarglielo. Ma Peeta non vede la distruzione, solo la vita. Dopo un minuto di silenzio da parte mia, riesco finalmente ad aprire bocca. -Non ricordo nemmeno come si chiama.-. -Possiamo chiamare il centro quando vuoi, amore.-. -Mi odia, ne sono sicura.-. -Cosa stai dicendo? E perché mai dovrebbe avercela con te?-. -Peeta, le hanno portato via tutto.-. -Katniss, dovresti smetterla di addossarti le colpe di ogni disgrazia che succede nel mondo. Sono passati anni, adesso va tutto bene.-. -Ma le persone non tornano indietro, Peeta!-. Esclamo, scattando in piedi. -Credi che non lo sappia?-. Mi chiede, triste, con voce roca. -Peeta...scusa. Sì, scusami.-. Mi avvicino a lui nuovamente. Lui appoggia il viso contro il mio ventre e io gli accarezzo i capelli. -Non volevo litigare. Pensavo solo che ne saresti stata felice.-. Mormora contro la mia pancia. Mi inginocchio, trattenendo il suo viso tra le mani e guardandolo negli occhi. -Lo sono, credimi. È solo che non posso fare a meno di pensare che sia tutta sola, ad aspettare che qualcuno un giorno abbia pietà di lei e decida di adottarla. E forse non accadrà mai, Peeta.-. Vedo bene dai suoi occhi accesi quello che sta pensando. -No, Peeta, non pensarci nemmeno.-. Mi alzo e lo lascio lì, tornando in cucina. Resto ferma parecchi minuti con i palmi appoggiati sul ripiano della cucina. Faccio dei respiri profondi, prima di mettermi ad apparecchiare la tavola per la cena. Lui non viene a cercarmi. So di averlo ferito, ma al momento non me ne importa. No, decisamente non ho voglia di parlare di nuovo di questo. Stavo davvero pensando di fare a Peeta un regalo speciale per il Natale, dicendogli che avrei potuto provarci. Ad avere un figlio, a farlo felice. E lo sto facendo ancora, davvero. Ma lui non può seriamente pensare che io possa adottare la sorella di Rue. No. Ammesso che sia fattibile, poi, cosa di cui non sono affatto sicura. Il fatto di aver ammazzato la neo presidentessa potrebbe crearmi qualche problemino. Sono notevolmente sollevata quando sento suonare il campanello. Sae, sua nipote Lucy e Haymitch fanno capolino dalla porta della cucina. Mi volto con un sorriso tirato e cerco di comportarmi nel modo più naturale possibile. Peeta stranamente non sembra averne molta voglia. Di solito lui è sempre gentile e socievole, ma stasera no. Lo vedo che cerca di sorridere, ma che vorrebbe solo restare solo. Solitamente si siede di fianco alla bambina, la aiuta a tagliare la carne o cose così, invece stasera sembra ben deciso a chiudersi nel suo mondo, con gli occhi spesso fissi nel piatto. Nessuno fa domande. Non appena finito di risistemare la cucina, loro se ne vanno lasciandoci soli. Quando faccio per avvicinarmi a lui e prendergli la mano si gira appena dandomi le spalle e salendo al piano di sopra. Io resto bloccata, confusa. Non può essere tanto arrabbiato con me da non volermi nemmeno parlare, non si è mai comportato così. Sembra un bambino a cui sia stato tolto il giocattolo del cuore. Bambino. No, quella infantile qui sono io. Mi lascio cadere sulla sedia più vicina e appoggio i gomiti sul tavolo, coprendomi gli occhi con le dita. Sono scappata da lui e Peeta mi ha ripagato allo stesso modo, non lo posso certo biasimare. Non è la prima volta che litighiamo e so benissimo che la colpa il più delle volte è mia, ma di solito è per cose di poco conto. Non so perché all'improvviso lui senta così forte il bisogno di avere un figlio. Non ha mai insistito tanto, ma da quando ha chiamato Johanna il mese scorso e abbiamo parlato non è passata volta in cui abbiamo fatto l'amore che lui non mi abbia guardata negli occhi chiedendomi se ci avessi pensato.

Quando lo raggiungo in camera lui ha già spento la luce e si è già infilato a letto, per farmi capire chiaramente che non ha voglia di parlare con me. Sospiro, ma non posso dargli torto. Dopo essermi cambiata faccio il più silenziosamente possibile e mi metto accanto a lui.

Quando apro gli occhi è buio. La sveglia sul comodino segna le quattro del mattino e so che Peeta tra poco si alzerà. Mi metto seduta e annaspo, cercando disperatamente di mandare aria ai polmoni. Credo di essermi agitata parecchio, ma l'altro lato del letto è immobile. Mi alzo per raggiungere il bagno e bere un po' d'acqua e cercare di calmarmi. Sapevo benissimo che stanotte le avrei sognate entrambe, mia sorella e la mia piccola amica. Mi tolgo la camicia da notte sudata e mi siedo sul bordo della vasca da bagno, mentre le lacrime iniziano a scendere silenziose lungo le me gote. Guardandomi allo specchio vedo un uccello dalle ali spezzate a cui è stato tolto tutto tranne il cuore. E allora dovrà essere quello a farmi andare avanti. Vorrei disperatamente non aver chiuso fuori Peeta dai miei pensieri per l'ennesima volta. Adesso vorrei solo che si svegliasse e mi stingesse come fa sempre quando gli incubi mi perseguitano. Improvvisamente mi ritorna in mente la vecchia canzone che gli ho dedicato durante il nostro viaggio di nozze. You're all I need ...If you walk away I will suffer tonight. Mi sono appena alzata per andare a svegliarlo e scusarmi, quando lui entra in bagno. Appena mi vede, in lacrime e mezza nuda, sbianca. -Stai bene?-. Scuoto appena la testa. -Mi dispiace così tanto, Peeta.-. -Non importa. Che succede? Hai avuto un incubo? Non ti ho sentito urlare, scusami...-. Il suo tono è agitato e pressante. Vedo bene dai suoi occhi che pensa sia colpa sua. Prende il suo accappatoio dal gancio attaccato alla porta e me lo infila, scaldandomi le braccia e posandomi un bacio sulla testa. -Avevi ragione tu, Katniss, non avrei dovuto insistere. Ti amo.-. Sprofondo nel suo abbraccio, cercando di assorbire tutto il suo calore, il suo profumo. -No...-. Mormoro contro il suo collo. Mi prende il viso tra le mani e mi dice, triste -Mi dispiace lasciarti in questo momento, Katniss, ma tra poco devo essere in panetteria...-. Poi mi stringe più forte, quasi sollevandomi da terra. -Portami con te.-. -Non scherzare, devi riposare.-. Penso di poter sopportare un po' di stanchezza.-. Mi guarda fisso negli occhi prima di concludere -Ok. Preparo il caffè e ti aspetto in cucina.-. Mi dà un altro piccolo bacio prima di lasciarmi e scendere al piano inferiore.

 

 

NOTA AUTRICE:

 

Ciao a tutte! Spero di non essere diventata ripetitiva con i drammi di Katniss, ma non potevo proprio farne a meno. Come vediamo dai libri, lei non riuscirà mai a lasciarsi completamente il passato alle spalle e su questo punto ho dovuto insistere. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere :)

A presto,

Tina77

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Capitolo 22
*** Natale ***


 

CAPITOLO 22

 

-Arrivederci, signora Evans! Buon Natale!-. La voce di Peeta è allegra come sempre, mentre serve i nostri clienti. È il 23 Dicembre e, visto che per i prossimi due giorni saremo chiusi, oggi Peeta ha deciso di preparare dei piccoli sacchetti di biscotti come omaggio. Sono quasi le sei e tra poco chiuderemo, quindi inizio a raccogliere il pane rimasto invenduto. Solitamente Peeta lo gratta per poi usarlo per cucinare, oppure lo dà da mangiare agli animali della fattoria dei signori Glyn. -Adoro quest'aria festosa.-. Esclama lui ad un certo punto. -Lo sospettavo.-. -Oh, andiamo! Non dirmi che non ami le feste, Katniss. Tanto non ti credo.-. Metto su una finta espressione offesa, prima di dire -Certo, ma tu esageri sempre!-. -Prova a ripeterlo.-. Fa lui con un sogghigno strano. -Come?-. Lo guardo confusa, così lui mi mostra le mani tutte sporche di farina, avvicinandosi a me. -Oh, no!-. Faccio il giro del bancone, fingendo di essere terrorizzata. Lui ride, prima di pulirsi e dirmi -A volte mi fai dimenticare di non essere più un ragazzino, sai.-. Torno al suo fianco, riprendendo a lavorare. -E ti dispiace?-. -Tu che dici? Ti sembro dispiaciuto, forse?-. Mi guarda con gli occhi luminosi fissi nei miei. Fingo di studiarlo per qualche secondo. -Non direi, no.-. -E sai cosa mi farebbe ancora più felice?-. -Ho una mezza idea.-. -E?-. alzo gli occhi al soffitto e mi avvicino a mio marito, scuotendo leggermente la testa e sorridendo. Gli appoggio i palmi sul petto e gli do un bacio. -Incredibile. Mi leggi nel pensiero, Kat.-. -Prova tu, adesso.-. Lui aggrotta le sopracciglia e si concentra. Nel silenzio del negozio si sente il mio stomaco brontolare appena. -Vediamo...Hai fame?-. Rido. -Questo non vale, mi dispiace. Hai imbrogliato.-. -Dici? E come avrei fatto?-. Mi prende in giro lui, simulando un'aria sconcertata. Gli do un piccolo schiaffo sul braccio e poi mi giro. -Dai, su, dobbiamo andare. Domani arriveranno le ragazze e dobbiamo sistemare la casa. E non credo che Haymitch si offrirà di andarle a prendere in stazione.-.

Quando arriviamo a casa, infatti, il nostro mentore è tranquillamente disteso sul divano del nostro salotto. Nella mano destra tiene un bicchiere mezzo vuoto, nella sinistra il telecomando della televisione. -Oh, oh! Bentornati!-. Il tono dice subito che è un po' brillo. Io e Peeta ci scambiamo uno sguardo complice, poi lui si avvicina al nostro mentore e lo aiuta ad alzarsi. -Su, Hay, ti porto a fare una doccia.-. -Mi hai scambiato per Dolcezza? Portaci lei.-. Arrossisco e vado in cucina ad appoggiare il cesto di pane che tenevo tra le braccia. Sento Peeta mormorare qualcosa e poi la porta di casa che si chiude alle loro spalle.

-Eccomi. Scusa se ho fatto tardi. Hai già preparato tu la cena? Avresti dovuto aspettare.-. Come sempre quando è nervoso, Peeta inizia a parlare a raffica, facendomi sorridere mentre gli do le spalle. -Tranquillo. Ho solo riscaldato la carne di ieri sera. La cena è salva.-. Lui ride e si avvicina a me, dandomi un bacio tra i capelli per poi prendere i piatti dalle mie mani e portarli in tavola. La giornata è stata piuttosto faticosa, dopo cena crolliamo letteralmente a letto, esausti e felici di poter finalmente riposare.

Gli occhi grandi e luminosi. La pelle scura. I capelli ricci e vaporosi. Non mi ci vuole molto per riconoscere la bambina al seguito di mia madre. Per un attimo sono sconvolta. Vorrei scappare, ora, e non tornare più. Apro la bocca alla ricerca di più ossigeno e me la ritrovo chiusa all'improvviso da un bacio di Peeta. Apro gli occhi da scatto, girandomi nel letto e appoggiandomi al suo petto. -Scusa.-. Mormoro. -Va tutto bene, stai tranquilla.-. Mi asciuga una lacrima. -Ho urlato?-. Lui scuote la testa in segno di diniego. -No, no. Ti stavo guardando e ho visto che ti agitavi, tutto qui. Vuoi parlarne?-. -Ho sognato sua sorella. Veniva qui con mia madre.-. Lui non mi risponde, si limita ad accarezzarmi i capelli. -Penso davvero che dovresti telefonarle. A Jane, intendo. Credo che vedere tua madre sia importante. È passato un anno, Katniss. Sono sicuro che anche lei non vede l'ora di abbracciarti-. -Lo sai che non può venire. Non lascerà mai quei bambini solo per venire qui a consolarmi. Lo sai. E consolarmi per cosa, poi? Non posso chiederle di rinunciare al suo lavoro.-. -E se andassi tu da lei?-. -Assurdo.-. -Perché? Ascoltami. Io non posso per via della panetteria, ma tu non hai niente che ti impedisca di partire.-. -Ma verranno le ragazze, Peeta. Non posso andarmene così, non essere assurdo.-. -Capiranno.-. Mi prende per le spalle e mi solleva, costringendomi a guardarlo negli occhi. -Vai da tua madre, amore. Parla con lei. Chiedile della bambina, che cosa voglia dire essere madre, raccontale le tue paure. Ti prego.-. Nella mia testa inizio a rielaborare quello che mi ha detto e so che non riuscirò a trovare una scusa per non ascoltarlo. -Devo smetterla di stare ad ascoltarti.-. -E' un sì?-. Chiede con un sorriso ingenuo. -E' l'ultimo sì. Vedi di ricordartelo.-. Ride sottovoce, prima di accogliermi nuovamente sul suo petto.

 

-Zia Katniss! Zio Peeta!-. La voce squillante ci guida attraverso la banchina affollata. Quando li vediamo aumentiamo il passo e raggiungiamo i nostri amici. Il piccolo Finnick si getta in braccio a Peeta, che lo solleva e gli scompiglia i capelli. -Ciao ragazze-. Mi fa eco mio marito. -Com'è andato il viaggio?-. -Noioso come sempre. E poi non c'era nemmeno Effie da prendere in giro, almeno con quello mi sarei distratta. Chissà perché proprio adesso si è messa in testa di passare le feste con i suoi nipoti.-. Sbuffa Johanna. Annie la riprende dolcemente -Johanna! Non è stato affatto un viaggio spiacevole. Abbiamo chiacchierato con una coppia di anziani molto simpatica.-. -Sì, così simpatica che poi il vecchio si è messo a russare a dieci centimetri dalla mia faccia. Emozionante-. Ridiamo tutti, prima di incamminarci verso casa. -Zio Haymitch è a casa?-. Chiede il bambino. -Oh, sì, piccolo. Non vede l'ora di vederti.-. Lo rassicura Peeta. Quando arriviamo Haymitch è già a casa nostra. Non credevo fosse un tipo da regali, ma a quanto pare quest'anno ha deciso di fare uno strappo alla regola. Negli anni passati solo Finnick è riuscito a godere delle sue attenzioni, ma sembra che quest'anno anche noi riceveremo qualcosa. Il tappeto alla base dell'abete è ricoperto di pacchetti dai colori sgargianti, per buona metà opera di Haymitch. Non appena entriamo Finnick si libera dalle braccia di Peeta per lasciarsi prendere dallo “zio Hay”. -Ehi, mostriciattolo, quanto tempo! Hai fatto il bravo? Hai già la fidanzatina vero?-. La madre interviene, nella voce divertita una piccola nota di disappunto. -Ehm, no, Haymitch. Grazie per l'interessamento.-. Un rumore di pentole ci richiama verso la cucina, dove troviamo una Sae ancora affaccendata. Peeta le ha chiesto il favore di controllare parte della cena, mentre noi andavamo alla stazione. -Oh, siete già tornati! Che bello vedervi!-. -Ehi, Sae! Come va?-. La donna si rivolge a Johanna per risponderle -Me lo chiedi davvero, ragazza? Il vapore mi ha fatto diventare i capelli come una scopa.-. -Ma non è vero, Sae. Stai benissimo.-. Peeta...è sempre Peeta. Inutile specificare che mi dice che sono bellissima anche quando indosso una tuta da giardinaggio. Sae gli risponde con un semplice sorriso imbarazzato prima di rassicurarlo -Oh, non adularmi, caro. Ho seguito le tue istruzioni, mescolando il risotto continuamente.-. -Grazie mille, Sae, non so come avremmo fatto senza di te! Mi dispiace molto che tu non ti possa fermare con noi a cena...spero che da tua sorella vi divertiate.-. -E' stato un piacere, Peeta, ci mancherebbe. Ti ringrazio! Adesso infatti è meglio che vada...prima devo passare da casa a cambiarmi.-. -Ma certo. Grazie ancora! Prima però Katniss e io vorremmo darti una cosa...-. Sae ci segue in salotto, dove le porgo il pacchetto con il nostro regalo per lei e per sua nipote. -Aprilo pure a casa insieme agli altri. É solo un libro di ricette, ma speriamo ti piaccia e ti sia utile al ristorante.-. Le dico io con un sorriso. -Grazie ragazzi! Lo aprirò dopo insieme a Lucy. Non avreste dovuto disturbarvi tanto...-. -E' stato un piacere, Sae, lo sai.-. Fa Peeta con un sorriso incoraggiante. Poi Sae ci saluta e augura buon Natale, prima di uscire.

La cena non avrebbe potuto essere più perfetta di così. Peeta si è superato, cucinando un risotto con la carne, le lasagne al forno, l'arrosto con le patate, una torta glassata al cioccolato e more. Ho messo su quasi cinque chili da quando ci siamo sposati, e la colpa non è mia. Il momento dei regali è stato emozionante: Haymitch ha stupito tutti con un sacco di giocattoli per Finnick (che si ritrova letteralmente sommerso, dopo aver aperto anche i nostri e quello lasciato per lui da Sae).

Peeta riceve dalle ragazze un costoso paio di scarpe e una cintura in pelle, io un set di creme e prodotti per viso e corpo e un abito disegnato appositamente da Johanna per me, rosa e senza spalline, lungo fino al ginocchio. È leggermente arricciato in certi punti e la fascia nera sotto al seno è stupenda. -E' bellissimo...questa volta ti sei superata, Jo'.-. Lei arrossisce e mormora un grazie, prima di prendere dalle mie mani il nostro regalo e trovarsi tra le mani un dipinto fatto da Peeta. Quando scoprono la tela, Johanna ed Annie trattengono il fiato. Siamo noi, tutti insieme, come eravamo esattamente un anno fa, comprese Effie e mia madre. Sembra un enorme fotografia. Io ho personalmente raccolto nel bosco i viticci per intrecciare la fine cornice del quadro, che poi Peeta ha reso dorata con un particolare gel. Ad Haymitch non potevamo fare un regalo tanto sentimentale, probabilmente ce lo avrebbe tirato dietro. Così ci siamo limitati ad una rarissima collezione di monete antiche, di cui abbiamo scoperto lui essere un appassionato.

Sembrano passati giorni da quando è iniziata la serata. È quasi l'una di notte quando ci mettiamo a dormire e domani mattina dovremmo alzarci presto per assistere alla funzione religiosa. Peeta lo faceva sempre con la sua famiglia, così cerco di assecondarlo. Annie verrà con noi, insieme al piccolo. Haymitch e Johanna...loro sono un po' come me, non hanno ancora trovato certe risposte. Chissà, magari prima o poi anche io riuscirò a trovare le mia. Per ora mi limiterò ad accompagnare mio marito e a tenerlo per mano mentre ci incamminiamo verso la chiesa.

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Capitolo 23
*** Il Distretto Undici ***


 

CAPITOLO 23

 

Guardando fuori dal finestrino mi sembra impossibile di essere davvero salita su questo treno. Quando ho detto a Peeta che sarei partita per raggiungere mia madre nell'Undici una parte di me continuava a convincersi che sarei rimasta tranquilla a casa. E poi devo ammettere che è stranissimo ritrovarsi qui senza di lui. È la prima volta che viaggio senza Peeta e la cosa non mi piace. Può sembrare una sciocchezza, è vero, ma mi manca quella sorta di calma che solo lui riesce ad infondermi. Il viaggio sarebbe più tranquillo, forse, se non mi ritrovassi seduta accanto un'intrattabile Johanna. Quando le ho chiesto il motivo per cui avesse insistito tanto a venire con me ha detto solo che aveva paura che io mollassi tutti e non tornassi più. Ma dato che sa benissimo che non lo farei mai, posso solo immaginare che avesse solo voglia di farlo. Lei non è il tipo di persona che fa qualcosa solo per compiacere un altro. In ogni caso, in questo momento preferirei davvero che non l'avesse fatto. Continua a lamentarsi perché quando siamo salite un tizio per sbaglio le ha schiacciato un piede e poi non si è scusato. Quando si calma è ormai ora di scendere dal treno e cercare di raggiungere mia madre.

Non l'ho avvertita del mio arrivo. Se l'avessi fatto avrei dovuto spiegarle per telefono il motivo del mio viaggio e mi sarei sentita una stupida. Johanna e io passiamo l'ora successiva a raggiungere l'orfanotrofio. L'unico modo per arrivarci è un malandato pullman che passa ogni mezz'ora. Passiamo attraverso enormi distese di coltivazioni. Ricordo abbastanza chiaramente di essermi già trovata qui, di aver visto gli stessi luoghi e una strana ansia inizia a farsi strada dentro di me. Ma, d'altronde, sapevo perfettamente che sarebbe successo. Il motivo per cui sono qui è proprio quello di liberarmi del mio passato, di tenerlo legato a me senza che mi distrugga ogni volta che ci penso. E l'unico modo per farlo, Peeta ha ragione, è incontrare questa bambina. Una bambina che nemmeno mi conosce, che mi ha visto una volta e che quasi sicuramente mi odierà. Devo vederla e accertarmi che stia bene, parlare con mia madre e farmi dire che questo sentimento di incertezza che provo è normale e che non sto impazzendo. Questo è l'ennesimo atto di egoismo di cui mi macchio, ma non lo faccio per me. È per lui. Se non lo faccio, non riuscirò mai a dare a Peeta la famiglia che lui desidera tanto.

-Ben arrivate. Posso aiutarvi?-. La donna all'accoglienza del centro ci rivolge un sorriso stanco, guardandoci distrattamente e rivolgendo tutta la sua attenzione allo schermo del computer di fronte a lei. -Buongiorno. Sì, grazie, cerchiamo Jane Everdeen.-. -Chi devo annunciare?.-. -Ehm. La figlia ed un'amica.-. La donna si riscuote e alza gli occhi di scatto, rivolgendomi un'occhiata al tempo stesso curiosa e incredula. -Certo. Torno subito Mrs. Everdeen. Accomodatevi-. Si alza, lasciandoci sole nella piccola entrata che odora di ospedale, indicandoci con un gesto della mano delle precarie sedie di plastica blu. Sento Johanna ridacchiare al mio fianco. -Piantala.-. Sbuffo. -Mi scusi, Mrs. Everdeen.-. Prendo da un tavolino alla mia destra una rivista e inizio a sfogliarla. Non è interessante, in realtà, ma è l'unico modo per far passare il tempo senza andare fuori di testa. Al rumore di passi lungo il corridoio di sinistra mi alzo, tenendo gli occhi bassi e facendo un respiro profondo. Quando, alzando la testa, vedo mia madre che mi corre incontro con un gran sorriso stampato sul viso, so di aver fatto la scelta giusta. -Katniss.-. Mormora tra i miei capelli slegati, quando mi abbraccia. -Ciao, mamma.-. Dopo aver salutato anche Johanna e ringraziato la propria collega, ci guida in un giardino che si trova sul retro. -Beh, che dire. Questo sì che è un bel regalo di Natale, Katniss. Ma non credo tu sia venuta fin qui solo per fare un saluto. Mi sbaglio?.-. -No, non sbagli. Ma non parliamone adesso, è un discorso lungo e non vorrei annoiare Johanna. Raccontaci di te, mamma.-. Mi guarda fisso negli occhi per alcuni secondi, giusto il tempo per afferrare il sottinteso della mia frase e capire che ho bisogno di parlare privatamente con lei.

-Oh, non potrei essere più soddisfatta di così. Qui tutti lavoriamo sodo, ma c'è sempre moltissimo da fare. Bisogna dare assistenza ai bambini malati e insegnare alle nuove infermiere, dare una mano con i compiti e occuparsi delle cucine e della pulizia. É faticoso, ma poi vedi i sorrisi sulle faccine che ti circondano e sei già pronta per ricominciare una nuova giornata.-. -Sembri innamorata, Jane.-. Interviene Johanna. Mia madre ride. -E' come se lo fossi. Erano anni che non mi sentivo così viva.-. Si interrompe bruscamente, mordendosi il labbro inferiore. Crede di aver detto qualcosa che possa avermi turbato, ma non è così, così le sorrido per incoraggiarla e aggiungo -Tutto questo è fantastico, mamma. Sul serio.-. -Lo è ancora di più se vissuto. Per quanto vi fermerete? Mi piacerebbe mostrarvi come vanno le cose. A parole non è facile descriverlo.-. Ammette con un piccolo sorriso. -Non abbiamo programmi. Possiamo restare quanto vogliamo, Jane.-. Risponde la mia amica. -Splendido! Dai, vi faccio fare un giro.-. Si alza e noi la seguiamo in quelli che sembrano infiniti corridoi tutti uguali e dalle pareti verde acqua. Ci mostra la sala da pranzo, la lavanderia e la cucina, la sala studio e la “scuola”, che non è altro se non una fila di cinque stanze adiacenti in cui vengono affrontati temi e spiegati argomenti in base all'età. -Tra secondo e quarto piano ci solo le stanze dei bambini e quelle di noi volontari. Non credo ci siano problemi a trovarne una per voi due, il mese scorso sono stati adottati ben tre bambini quindi si sono liberati dei posti. Se invece preferite restare in città, possiamo chiamare l'albergo quando volete.-. -Ma no, mamma. Stare qui andrà benissimo.-. -Esatto, Jane. Così possiamo anche dare una mano, se serve. Anche se sconsiglio vivamente di far fare a Katniss il turno in cucina, non so se mi spiego.-. Prima che io possa ribattere indignata, entriamo in un salottino occupato da una decina di poltrone e panche rivestite con morbidi cuscini. -Questa è la sala letture. I bambini più grandi ci vengono per studiare o leggere senza che i più piccoli li disturbino. Amo questo posto, ci vengo sempre quando non sono occupata.-. Mia madre bisbiglia, dato che ci sono alcune ragazze alla nostra destra, in fondo alla sala. Ma quando ci vedono interrompono la loro lettura. Una alza una mano e chiama sottovoce. -Ms. Jane!-. Mia madre ci rivolge un cenno con il capo e si avvicina alla ragazza. -Hai bisogno di una mano Juliette? Non capisci qualcosa?.-. -No, no. Ma...è davvero lei? Cioè, sono loro?.-. Vedo mia madre ridere appena, ma non sento quello che si stanno dicendo. -Sì. Sono mia figlia e la sua amica Johanna. Resteranno con noi per qualche giorno.-. -Oh! E Peeta non c'è?-. fa lei. -Ehm, no. Lui sta lavorando. Ma non è molto carino che tu chieda queste cose, sai, Juliette? Dai, torna a studiare.-. La giovane arrossisce appena, poi mormora un “grazie” e rivolge a me e Johanna uno sguardo curioso, prima di riprendere la sua lettura silenziosa.

-La gente dovrebbe smetterla di vedere Katniss come un'eroina. Se non si fossi stata io saremmo ancora in alto mare, non credi anche tu Jane?-. -Ehm. Sì, certo, cara. Adesso è meglio affrettarci, sono già le quattro e tra poco finiscono le lezioni. Non credo che voi due abbiate molta voglia di trovarvi sommerse da bambini urlanti già al primo giorno.-.

Dopo alcuni minuti passati in Direzione per conoscere la responsabile dell'orfanotrofio, Ms. Nixton, una signora bonaria e amante delle lunghe passeggiate all'aria aperta, ritorniamo al punto accoglienza e riceviamo le prime istruzioni sulla nostra permanenza e ci viene assegnata una stanza all'ultimo piano, di fianco a quella di mia madre. Una volta salite in camera, sistemiamo i nostri abiti e ci diamo un'occhiata intorno. -Katniss.-. Johanna richiama la mia attenzione, ora che siamo rimaste sole. Mi volto verso di lei, che mi sta guardando tristemente. -Che c'è? Stai male?.-. -No, no. Tranquilla. Mi stavo solo chiedendo una cosa.-. -Dimmi.-. -Noi, esattamente, perché siamo qui?-. Scoppio a ridere. -Sono seria!-. -Scusami, Jo', davvero. Beh...c'è una questione importante che devo affrontare con mia madre, ecco. E devo vedere una persona.-. -Dovresti vedere anche uno strizzacervelli una volta o l'altra, sai, così magari inizieresti anche a fidarti delle amiche e a sputare il rospo.-. -Non è...scusami.-. Abbasso lo sguardo, imbarazzata. -Non preoccuparti. So che sei “Mrs, Everdeen la ragazza che distrugge e ammazza tutti”, ma forse, e dico forse quindo non montarti la testa, se ci sono persone che ti vogliono bene per come sei, non sei così male.-. -Io...hai ragione. Non sull'ultima parte, ma per il resto sì. Il fatto è che qui si trova una delle sorelle di Rue. Ormai dovrei dire “unica” però.-. -Oh. E quindi sei qui per vedere lei! Non era così difficile, no?-. Le rivolgo un sorriso timido e mi riprometto di cercare di parlarle un po' di più. 

Due ore dopo, nel silenzio della camera, sentiamo bussare alla porta e io mi alzo per aprire. Il saluto già pronto tra le mie labbra si blocca quando mi trovo di fronte gli occhi del mio migliore amico.

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Capitolo 24
*** Gale ***


Ciao! Scusatemi tantissimo per il ritardo spaventoso, ma davvero non ha mai tempo per scrivere..

spero di riuscire a pubblicare prima la prossima volta e che continuerete a seguirmi.

A presto! :)

 

Tina77

 

 

CAPITOLO 24

Resto bloccata a fissare gli occhi del mio migliore amico. Non riesco nemmeno a ricordare quanti anni sono passati dall'ultima volta che l'ho visto. Non ci sono state visite o telefonate, solo il tacito accordo a lasciare le cose come stavano. Di sicuro lui si è rifatto una vita, proprio come me. Lui mi sorride e si abbassa per stringermi tra le braccia e io non posso che ricambiare il gesto. -Ehi, Catnip. Stai bene?.-. -Gale. Lavori qui?-. È tutto quello che mi riesce di dire e arrossisco per la mia stupidità. Ci sono troppe cose in sospeso, non so se riuscirò ad affrontarle tutte, soprattutto non in questo posto che mi urla in faccia “Prim” ovunque mi volti. Lui infatti sembra capire il mio disagio e si rivolge a Johanna, che ha assistito alla scena seduta sul letto della nostra camera. -Ciao, Johanna.-. -Oh, ciao. Pensavo ti fossi dimenticato di me, sai? Non mi hai mai chiamata.-. Dice lei sorridendo maliziosamente e girandosi una ciocca di capelli tra pollice ed indice. Questa volta è il turno di Gale di arrossire. -Ehm, no.-. Sospira appena. -Comunque sono venuto a chiamarvi per la cena.-. -Grazie.-. Dico, riprendendomi. -Sei pronta, Jo'?-. -Sì, sì, scendo subito. Voi intanto andate pure.-. -Ok.-. Chiudo la porta alle mie spalle e raggiungo Gale sul pianerottolo. -Allora?-. Inizia lui. -”Allora” cosa?-. -Che ci fai qui, Katniss?-. Non riesco a fare a meno di notare che mi ha chiamata con il mio nome. -Una gita, direi. Tu?-. -Stiamo riorganizzando l'amministrazione locale e c'era bisogno di Pacificatori che sovraintendessero alle operazioni. Io e la mia squadra risiediamo in città, sono passato per fare un saluto a Jane, che mi ha detto che eri qui solo quando sono arrivato.-. -Oh, capisco.-. -Mi dispiace, forse non sarei dovuto venire da te così all'improvviso.-. -No, va bene. Gale...-. -Dimmi.-. -Mi sei mancato, credo.-. Lui ride appena. -Anche tu.-. Siamo quasi arrivati alla mensa, quando chiede -Come sta Peeta? Tua madre mi ha detto che al lavoro le cose vanno alla grande.-. Ancora una volta le mie guance si imporporano. -Sì, sta bene. Gale, ma da quando mia madre è diventata la tua migl- -. mi mordo il labbro. Lui mi afferra piano per un braccio e mi costringe a guardare verso di lui. -La mia migliore amica sei sempre tu. Non mi sono fatto sentire per lasciarti tempo. Per riflettere, per perdonarmi o dimenticarmi. Se avessi saputo che saresti stata qui non sarei nemmeno venuto stasera, te lo giuro. Ma quando Jane mi ha chiesto di venire a chiamarti non ho pensato che ti avrei scosso, ma solo che non vedevo l'ora di rivederti.-. MI mordo il labbro inferiore pensando che dovrei rispondere, ma non riuscendoci. Non dico niente, mi limito a sollevarmi sulle punte e ad abbracciarlo, constatando con disappunto che il suo profumo è cambiato. Chissà come devo essere cambiata io ai suoi occhi. Sento le sue mani calde attorno ai fianchi e non posso fare a meno di pensare che questo è il contatto più naturale del mondo. Forse ha ragione lui. Può darsi che la lontananza ci abbia fatto bene e che la nostra amicizia possa riprendere come una volta. Forse. Ci stacchiamo nello stesso momento e poi, senza dire niente, entriamo nella sala da pranzo. Molti ragazzini e ragazzine mi si avvicinano entusiasti, mi chiedono di Peeta non facendo anche che farmi sentire la sua mancanza sempre di più.

Dopo due interminabili ore riesco a ritornare nella nostra stanza per telefonare a mio marito(prima di partire l'ho fatto giurare di chiamarmi alle nove in punto, pena la pulizie per un mese quando sarei tornata), mentre Johanna rimane con mia madre e alcune ragazzine simpatiche in sala lettura, che evidentemente dopo cena viene usata come salottino. Mi sono appena chiusa la porta alle spalle, seduta sul letto e tolta le scarpe, quando sento bussare alla porta. Siccome so già di chi si tratta, mi limito a dire -Avanti!-. -Ehi.-. Sorrido in direzione di Gale e lo invito ad entrare e a sedersi sul letto di fronte al mio. Lui mi guarda alcuni secondi prima di dirmi :-Ho pensato mille volte a come sarebbe stato questo momento, sai? Quello in cui tutti i pezzi tornano al loro posto.-. -Quando qualcosa si rompe ci sono sempre pezzi che si perdono però.-. Lui scoppia a ridere. -Ah, sì? E questa chi te l'ha detta?-. -Devo averla letta su una rivista.-. Dico con uno strano accento da capitale. -Oh, bene. Anche perché, a essere sincero, è la più grande cavolata che ti abbia mai sentito dire.-. Abbasso lo sguardo. -Non riuscirai a convincermene, però. Ne sono certa, Gale. Ci cono pezzi che si perdono sempre, ma con le colle giuste...-. -Ho sempre odiato le metafore.-. -Non sarà mai come prima, anche se lo vorrei con tutto il mio cuore.-. -Lo so.-. Restiamo in silenzio, finché il telefono della mia stanza non inizia a squillare, facendoci sobbalzare entrambi. -Peeta?-.Mmi chiede Gale. -Sì.-. -Vuoi che esca?-. Gli faccio segno di no con la testa e rispondo. -Pronto?-.

-Mi manchi già.-. Rido appena.

-Anche tu.-. Lo sento sospirare dall'altro capo del ricevitore.

-Come sta andando?-.

-Oh, bene. Johanna è stata insopportabile tutto il giorno, ma a parte questo va tutto alla grande.-.

Scambio un piccolo sorriso d'intesa con Gale, che la conosce fin troppo bene da questo punto di vista e che alza gli occhi al cielo.

-Tesoro, devo andare. Credo che Haymitch stia cercando di buttare giù la porta sul retro. Ti chiamo domani alla stessa ora, ti amo.-.

-Anche io, Peeta. A domani.-.

-Una chiamata breve. Colpa mia?-.

-Ma no, figurati. Doveva andare ad aprire la porta.-.

-Oh. La prossima volta che chiama salutamelo.-.

-Certo.-. In realtà non sono sicura di volerlo fare. O meglio, non so come Peeta prenderebbe questa cosa. Conoscendolo, penserebbe che Gale ci volesse allontanare. Conoscendo Gale, so per certo che non lo farà. E anche se ci provasse, comunque, non ci riuscirebbe. Dopo anni, dei dubbi sui miei sentimenti per lui non è rimasto niente.

-Avevo ragione, hai visto?-.

-Su cosa?-.

-Non hai bisogno di me per sopravvivere.-. Non sento tristezza nella sua voce. Le sue labbra sono increspate da un sorriso un po' tirato, ma pur sempre un sorriso.

-Cosa te lo fa pensare?-.

-Beh, non sei qui per vedere me, tanto per cominciare. E poi ormai lavori, ti sei sposata, probabilmente è solo questione di tempo perché tu abbia dei figli...la tua vita va avanti benissimo senza di me.-. Conclude, sempre sorridendo.

-Sembra che la cosa non ti dispiaccia.-. Commento io.

-No, infatti. È meglio così. Lui ti fa felice, no?-.

-Sì.-. Abbasso lo sguardo.

-E allora hai fatto la cosa giusta. Comunque, Catnip, c'è una cosa che devo chiederti.-.

-Vai.-.

-Tua madre mi ha accennato che qui si trova una certa persona.. La tua visita...-. Lascia la frase in sospeso, ben sapendo che ho capito benissimo cosa intende dire.

-Sì, sono qui per lei. Anche per lei. Beh, sì, devo anche parlare con mia madre. -. Mi correggo immediatamente.

-Lo immaginavo. Quindi ti fermerai per un po', credo, no?-.

-Dipende...io...beh, sinceramente mi manca già casa.-.

-Certo. Non so se ci vedremo ancora nei prossimi giorni, ma comunque cerchiamo di tenerci in contatto, dai. Non voglio perderti di nuovo.-.

-Non succederà, te lo prometto.-.

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Capitolo 25
*** Michelle ***


CAPITOLO 25

 

-Andiamo, Katniss! Se non ti muovi il tuo bell'amichetto se ne andrà senza salutare!-. Vengo trascinata giù per le scale da un'urlante Johanna, che a quanto pare non ha intenzione di perdersi la partenza di Gale più di quanto non farebbe un'innamorata. La seguo contrariata, mentre le scale si snodano sotto di noi facendomi girare la testa. Quando arriviamo all'entrata principale Gale è lì assieme ad alcuni colleghi che ci ha presentato due giorni fa. È straordinario notare come tutti loro si assomiglino: alti, spalle larghe, schiena dritta e l'aria di chi è pronto a salvare il mondo da un momento all'altro. Non appena ci vedono arrivare, di corsa e con le guance accaldate, uno di loro, un certo Sam, si volta verso Johanna e le fa un piccolo inchino. Lei ride e io mi limito ad osservare la scena, ben contenta che sia successo a lei e non a me.

Raggiungo Gale, che in divisa sembra ancora più imponente. Mi aspetterei che mi prendesse tra le braccia, ma non lo fa. In questi giorni abbiamo ritrovato molta della naturalezza degli anni passati, ma lui aspetta sempre che sia io a fare la prima mossa e io sono contenta. Per cui sta a me avvicinarmi di più e dirgli, mentre lo abbraccio, -Non lavorare troppo e chiamami ogni tanto.-. Ride, mentre si stacca da me. -Certo, Catnip. Buon ritorno a casa.-. Mi dice maliziosamente. Gli do un piccolo schiaffo sul braccio per allontanarlo. Ride ancora quando mi dà le spalle e si allontana. Johanna, al mio fianco, mi guarda interrogativa. -Oh, lascia stare.-. Dico sbuffando. Il fatto è che ho avuto la brillante idea di dirgli che uno dei motivi per cui sono venuta qui è stato per parlare a mia madre del desiderio di Peeta di avere un figlio e delle mie altrettanto grandi insicurezze. La cosa l'ha divertito fin troppo. “Sapevo che ti avrebbe convinto” è stata la frase che sogghignando ha ripetuto più volte. Purtroppo non ho ancora trovato una soluzione ai miei dubbi, dato che mia madre è quasi più impegnata adesso di quanto non lo fosse quando lavorava in ospedale. Da quando sono arrivata, quattro giorni fa, non siamo ancora riuscite a ritagliarci un momento solo per noi, anche se ci vediamo sempre in mensa o quando la aiuto a riordinare in infermeria. Nei momenti che non passiamo con lei, Johanna ed io aiutiamo nelle cucine, ma più che altro nelle pulizie delle aule.

In ogni momento i pensieri che mi preoccupano sono due. Il primo chiaramente è la questione del bambino. E la seconda è lei, Michelle. La prima volta l'ho vista da lontano, il giorno successivo al nostro arrivo. Non mi ci è voluto molto per riconoscerla. Nonostante qui ci siano anche altri bambini dalle pelle scura, lei è l'unica a portare i capelli sciolti, proprio come faceva Rue. Non ero pronta a vederla così presto, così mi sono infilata nella prima aula libera, sperando che lei non mi vedesse. La seconda volta è andata meglio, lei era nel salotto e quando sono entrata, assieme a Johanna e Mary, una delle nuove infermiere che avrà più o meno la mia età, ha sorriso appena nella nostra direzione. Ancora una volta, però, non mi sono avvicinata. Johanna pensa che io abbia qualche serio problema. Dice che dovrei buttarmi e smetterla di preoccuparmi. Parlarle, forse. Ieri sera Peeta, al telefono, non si è risparmiato in incoraggiamenti. “Le farà piacere parlare con te, sei stata l'ultima amica di sua sorella ecc.”.

E questo è esattamente quello che mi dice lei, la settimana dopo. È venuta lei a cercarmi, proprio come aveva fatto Rue. -Ciao.-. Ha mormorato in mia direzione, mentre io raccoglievo dei pastelli lasciati sui banchi dai bambini della prima classe. -Ciao.-. -Piacere, mi chiamo Michelle.-. -Piacere mio.-. -Devi lavorare?-. Mi ha chiesto ingenuamente, sedendosi a pochi passi da me. -Ho quasi finito, devo solo raccogliere i colori.-. Faccio una breve pausa prima di aggiungere -Vorresti aiutarmi?-. -Certo!-. Si allontana appena, per prendere le matite colorate dei tavoli in fondo all'aula. Sto per dirle che stasera a cena ci sarà il pollo, quando lei inizia a parlare, facendomi vergognare di me stessa e della mia poca fantasia. -Mia madre diceva sempre che se fossimo mai riuscite a vederti avremmo dovuto ringraziarti.-. Lo dice così, senza guardarmi. Mi blocco a metà nel mio movimento, lasciando cadere il braccio lungo il fianco. Mi volto verso di lei, che da distante sembra più grande dei suoi 12 anni e che adesso ha lo sguardo serio, molto diverso da quello di pochi minuti fa. Vorrei dirle che mi dispiace, che avrei voluto salvare sua sorella e impedire che alla sua famiglia venisse tolta la vita durante la guerra, ma non mi esce niente. Come nelle mie migliori performance, resto zitta a cercare di trovare un modo per risponderle senza farla scappare dalla stanza. E invece scoppio a piangere. Non è subito evidente, credo, perché Michelle resta a guardarmi qualche secondo prima di capire e avvicinarsi a me. Splendido, adesso sono io a farmi consolare da lei. Lei, che nella mia mente era qui a soffrire indicibilmente a causa mia. Mi prende una mano, molto dolcemente, quasi temesse che io decida di allontanarla, e mi tira piano per farmi sedere su un banco lì accanto. -Scusami. Non devi...sto bene, davvero. Scusami, Michelle.-. -Non c'è problema. Sono brava con le persone che soffrono. Mi piace aiutare gli altri. Però mi dispiace essere stata io a farti piangere, Katniss.-. Abbassa lo sguardo, abbattuta. -No...-. Alzo una mano e le sfioro una spalla. -Non è colpa tua, davvero. È che sono parecchi nervosa in questo periodo e non sono abituata a stare lontana da casa così tanto. Comunque..non mi devi ringraziare. Anzi, io dovrei scusarmi con voi. Con tutti voi.-. -Voi chi? La mia famiglia? Mia sorella? Sai, quando qualcuno mi dice che è colpa tua se sono morti io rispondo che se non fosse stato per te saremmo comunque morti tutti di fame, prima o poi.-. -Da quanto sei qui, Michelle?-. -Tre anni, più o meno, da quando hanno aperto il centro. Sai, prima dovevamo stare da alcune famiglie che si offrivano di tenerci con loro, ma poi alla fine qualcosa andava sempre storto e ci mandavano via. Troppo rumore, troppi soldi, le solite cose. In realtà però ricordo poco di quel periodo. A volte faccio fatica a ricordarmi anche i loro nomi.-. -Quindi qui sei felice?-. Mi libero di questa frase come se fosse un macigno nel mio petto. Tolto questo, mi sembra di riuscire a respirare di nuovo dopo settimane. -Sì. La scuola mi piace. E poi qui è tranquillo, non si deve lavorare nei campi e tutti sono gentili. Quasi tutti.-. Sorride imbarazzata prima di ammettere di aver litigato con una certa Susy per un libro. Cose da bambine. Mi sembra di parlare con Prim. Chiudo gli occhi e sorrido appena. Appena li riapro, vedo che Michelle si è seduta accanto a me, facendo appena forza con le braccia sottili per sollevarsi. E poi inizia a parlare di tutto. Di come le piacerebbe poter viaggiare e tenere un diario delle città visitate, della sua bambola preferita, del colore della sabbia della clessidra che tiene sul comodino e mi chiede se sono mai stata al mare. -Sì, in luna di miele.-. Le dico. -Veramente?-. Spalanca i suoi occhioni marroni, che, accesi dall'entusiasmo, sembrano ancora più luminosi. Salta giù e batte una volta le mani tra loro. Poi fa una piccola piroetta e dice -Oh, sarebbe bellissimo andarci! Ti prego, dii che parlerai con la direttrice e mi porterai via con te!-. -Non so se...-. Mi prende le mani tra le sue -Ti prego!-. -Certo, le parlerò.-. -Grazie, Katniss! Adesso davo andare a fare i compiti, sennò domani mi prendo un'altra nota dalla maestra Vilma.-. Si allontana saltellando appena e facendo una seconda giravolta prima di uscire, agitando la mano per salutarmi. Vedendola così, felice e serena, come posso ancora rimproverarmi? Dovrei correre a telefonare a Peeta, a parlare con mia madre e Johanna. Invece resto seduta ancora per qualche minuto a pensare a quello che mi ha detto. Sarebbe da folli chiedere alla direttrice di portare via una delle bambine. Se aggiungiamo il fatto che a chiederlo sono io e che lei è la sorella di una mia amica morta, le probabilità di riuscita sono minime. D'altronde, non potrei nemmeno guardarmi allo specchio se nemmeno ci provassi. Faccio ondeggiare le gambe e alla fine incrocio i piedi, rimanendo con lo sguardo fisso sulla punta delle scarpe e chiedendomi cosa vorrei e senza pensare tanto a cosa sarebbe possibile o giusto. Io voglio conoscere questa bambina che vede tutto con la gioia e l'ingenuità che solo i bambini dimostrano, che ride e piroetta o voglio solo trovare un modo per riscattarmi, farla felice per liberarmi dai sensi di colpa? Spregevole, ma possibile. Sospiro, sentendo l'ansia montarmi dentro e stirando le braccia in avanti, tormentandomi le mani. Mi alzo e vado verso la porta. Prima di raggiungerla sono presa dalla curiosità per quella bambina. Faccio qualche passo indietro verso il centro della stanza. Apro le braccia e chiudo gli occhi, poi faccio un passo in avanti e giro su me stessa, aprendo gli occhi solo dopo essermi fermata. Rido appena, portandomi una mano alla bocca, con il sorriso ancora stampato sul volto. Non mi resta che chiamare mio marito per chiedergli se pensa che io sia pazza a voler tornare nel Distretto 4 con la sorellina di Rue.

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Capitolo 26
*** Sincerità ***


CAPITOLO 26

 

-Katniss, tesoro, stai bene?-. La voce di mia madre mi riscuote appena dai miei pensieri e io mi volto verso di lei. Evidentemente non ho una bella faccia perché lei esclama -Oh!-, sedendosi sul letto accanto a me. -Che succede? Quando non ti ho vista a cena mi sono preoccupata...-. -Mi dispiace mamma, avrei dovuto avvisarti.-. Dopo poco aggiungo, -E parlarti. Sono qui da due settimane e non sono ancora riuscita a trovare il coraggio per dirti una cosa.-. -Coraggio? Katniss, è l'ultima cosa che ti manca, tesoro.-. Mi metto a sedere e distolgo lo sguardo da lei. E adesso come inizio? -Allora...è complicato, quindi facciamo che tu resti in silenzio finché non avrò finito, ok?-. Lei annuisce, così io inizio a parlare. Non ricordo quando è stata l'ultima volta che ho avuto una conversazione così importante con mia madre, anni, con ogni probabilità. -Ecco, mamma, il punto è questo. Peeta vuole un bambino e io non so se ce la faccio. E poi c'è tutta la storia di Michelle...Le ho parlato, ieri, e mi ha..stupito. E sconvolto. E chiesto di portarla al mare, dove sono stata in luna di miele, sai. Ed è una bambina sorprendente, mamma, davvero. Mi ricorda così tanto Prim da far male. E quindi più penso a tutte queste cose più mi convinco che sarei una pessima madre.-. Faccio un sospiro profondo, prima di riprendere il mio discorso. -Ieri sera ho chiamato Peeta, gli ho detto della bambina e lui è semplicemente entusiasta, ovviamente, come se non vedesse l'ora di fare una vacanza noi tre insieme come una famigliola felice. Per lui sembra sempre tutto facile.-.

Quando mi blocco mia madre capisce che ho finito. Vedo che sorride appena, come si fa con un bambino piccolo, con condiscendenza e tenerezza allo stesso tempo. Mi sento nuda in questo momento, forse perché a lei posso parlare anche di Peeta, mentre con lui il più delle volte faccio ancora fatica a parlare del nostro rapporto.

-Partirò dalla fine del tuo discorso, Katniss, perché credo che la chiave di tutto e il punto in cui tu sbagli stia proprio lì. Non pensare che per Peeta sia facile. È impossibile che lo sia, soprattutto dopo tutto quello che entrambi avete passato. Il punto è che lui vuole andare avanti, tesoro. E ci vuole molta forza e determinazione in questo, però per farlo dovete essere in due. Da soli...no, da soli non ha senso. Certo, in qualche modo si va avanti, ma non è la stessa cosa. Io per ritrovare me stessa e il coraggio di andare avanti e di dare una svolta alla mia vita sono dovuta scappare a chilometri di distanza dalla mia casa, ma per voi è diverso. Lui è la tua casa, e viceversa. Quindi quello che posso dirti e che tutti i dubbi sull'essere o meno una buona madre li potrai risolvere solo ed esclusivamente provandoci. Sono certa che saprai amare il tuo bambino, che tu te ne senta degna o no. E se ci saranno giorni in cui ti sentirai stanca e avrai voglia di chiuderti in te stessa potrai farlo, ma con la consapevolezza che poi ricomincerai e proverai di nuovo ad essere felice.-.

Distolgo lo sguardo da lei perché mi fa troppo male sentirmi dire in faccia la verità. -Non ce la faccio, mamma.-. -Smettila.-. Il tono è sempre dolce, ma la parola troppo ferma perché io non mi giri a guardare mia madre dritto negli occhi. -Katniss, ricordi come ti sentivi dopo la morte di tuo padre? Quando io non riuscivo a fare altro che restarmene a letto a piangere?-. Annuisco. - Tutto nasceva semplicemente dal fatto che io non credevo abbastanza in me stessa. Pensavo che la mia vita fosse finita, che non avrei mai più potuto essere felice. Per capire che quella era solo una mia idea c'è voluta la Mietitura, Katniss.-. -In che senso?-. -L'idea di poter perdere una delle mie figlie mi ha distrutto, è vero. Ma vedere che nonostante tutto ciò che avevamo passato tu avevi preso il posto di tua sorella..l'amore non si cancella mai, tesoro, può succedere qualsiasi cosa, è vero, ma quando di fianco a te hai qualcuno che ami tutto diventa possibile. Se mi fossi accorta prima di avere sempre avuto accanto a me due figlie meravigliose le cose sarebbero andate diversamente-. -Perché non mi hai mai detto tutte queste cose?-. -Non lo so. Forse non ero pronta nemmeno io.-. Mi prende la mano e mi dà un piccolo bacio. -Oh, e per la gita al mare con Michelle...Bé, fossi in te non ci spererei tanto, amore mio. Purtroppo la direzione è abbastanza severa a proposito dei permessi e delle uscite. Il nostro compito è dare ai bambini sicurezza e un posto dove si sentano a casa. Per quanto la bambina sia sveglia e brava a scuola, credo che dovrai essere piuttosto convincente con Ms. Nixton prima che ti dica di sì.-.

 

Odio ammettere che mia madre aveva ragione. Dopo essermi fatta un esame di coscienza abbastanza approfondito sono arrivata alla conclusione che la risposta ai miei problemi è sempre stata una sola, ovvero Peeta stesso. Se essere arrivata a questo punto per me è stata una conquista più che soddisfacente, altrettanto non posso dire per la questione di Michelle. Quando ho cercato di parlarne per la prima volta con Ms. Nixton mi è mancato il coraggio e mi sono inventata una scusa qualsiasi per uscire dall'ufficio direzione. Ma evidentemente non sono stata abbastanza convincente nella mia recita, perché qualche giorno dopo mi sono sentita chiamare in corridoio proprio da Ms. Nixton.

-Katniss!-. Mi blocco al centro del corridoio e mi volto lentamente.

-Buongiorno, Ms. Nixton. -.

-Mi piacerebbe riprendere la nostra ultima chiacchierata. Sai, sono un'educatrice e ho imparato a capire abbastanza bene quando un bambino o un adolescente mentono. Questo caso è lievemente diverso, ma facciamo finta che tu abbia qualche anno in meno. Che ne dici di accompagnarmi fuori per una passeggiata all'aria aperta?-. Conclude bonariamente. Non so se sentirmi intimorita o meno da questa donna. È sempre così gentile da darmi l'impressione che sia meglio starle lontani quando si innervosisce. In ogni caso non posso rifiutarmi di seguirla, e così lo faccio. Non aspetta nemmeno che io abbia messo piede nel cortile che mi dice -Bene, Katniss. Qui nessuno ci disturberà, quindi inizia pure.-. -Ecco, Ms. Nixton, avrei una richiesta. Un favore, in realtà.-. Mi correggo subito, facendola sorridere. -Parla, ti ascolto.-. Nel frattempo si volta ad accarezzare con la punta delle dita le foglie di alcune piante alla nostra sinistra. -Riguarda Michelle. Per me non è stato facile incontrarla, per via di tutti i ricordi legati a lei, a Rue e a mia sorella. Quando è successo mi ha scosso molto, ad essere sincera. É una bambina così piena di vita...-. -Hai ragione. Con tutto quello che le è successo a volte me ne meraviglio io stessa. Ma va pure avanti, Katniss, dimmi del favore che vorresti da me.-. -Michelle vorrebbe che la portassi al mare, del Distretto 4.-. -Capisco.-. Il silenzio che segue mi mette decisamente a disagio. -Mi dispiace, Ms. Nixton, non avrei nemmeno dovuto chiederglielo.-. -Non è questo. Sono contenta che tu l'abbia fatto, in realtà. Spero che non ti offenda se ti dico che come idea mi sembra abbastanza assurda, soprattutto per i vostri trascorsi. Nonostante questo però non metto in dubbio che con te la bambina sarebbe al sicuro.-. Mentre parla, distrattamente, mi prende a braccetto come se fossimo vecchie amiche. -Tu cosa vorresti, Katniss? Perdona la domanda così diretta.-. -Io vorrei solo conoscere questa bambina.-. -E non credi che sia egoista da parte tua?-. Deglutisco. -Sì, lo credo.-. -Ma nonostante questo adesso sei qui con me a parlarne. Non è solo questo che vuoi, vero?-. -Vorrei che fosse felice, almeno lei. Non ho salvato sua sorella e nemmeno la mia. Ma lei stessa mi ha chiesto di portarla a vedere il mare, e se questo è quello che la può far felice, allora ben venga. Se anche lei, Ms. Nixton, dovesse negarmi il permesso io comunque saprò di aver fatto quanto potevo.-. -Apprezzo la tua sincerità. Non credevo che saresti stata così diretta con me. Purtroppo uno dei tanti difetti degli Hunger Games è che ha consegnato alla storia un'immagine dei ragazzi diversa da quello che sono stati – e sono- realmente.-. Abbasso lo sguardo imbarazzata e lo fisso sui nostri piedi. La direttrice si ferma sulla prima panchina che troviamo e mi invita a sedermi accanto a lei. -Bene, Katniss. A questo punto non ci resta che compilare qualche carta, non ti pare? Credo che un paio di settimane durante le vacanze estive siano più che sufficienti per rispondere alla curiosità di quella bambina.-. Aggiunge sorridendo. La ricambio, -Credo che sarà perfetto, Ms. Nixton.-. 

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Capitolo 27
*** Ritorno a casa ***


CAPITOLO 27

 

 

-E così parti domani...-.

-Jo', sei sicura di non voler tornare a casa con me? Scusami, so che è la millesima volta che te lo chiedo, ma mi sembra ancora strano che tu voglia restare qui.-.

-Perché ti sembra così assurdo?-. Mi guarda accigliata. -Credi che io non ci sappia fare con i bambini, vero?-.

-Non ho detto questo. E non lo penso. È solo che ho sempre pensato che tu stessi bene tra poche persone e che il lavoro con Annie ti piacesse, tutto qui. -.

-Hai ragione, Everdeen, è così. Ma si può provare a cambiare, no? Comunque adesso è meglio che ci diamo una mossa o inizieranno a cenare senza di noi come sempre.-.

 

Non riesco a ricordare da quanto tempo mi trovo qui. È strano come io sia riuscita ad ambientarmi (in quello che credo comunque essere relativamente poco tempo) in un posto tanto diverso da casa mia. Se penso al Distretto Tredici...Bé, posso dire in tutta sincerità che lì non ho mai trovato il mio posto. Certo, è al Dodici che appartengo. E a Peeta. Il pensiero di rivederlo dopo queste settimane mi emoziona non poco e la cosa mi fa sentire una sciocca. Certo le telefonate sono state fondamentali in questi giorni, ma mi sono mancate le sue carezze, il colore dei suoi occhi, i piccoli gesti. Non vedo l'ora di tornare.

Così, dopo aver salutato e ringraziato tutti in modo molto più affettuoso di quanto io non faccia di solito, vengo accompagnata in stazione da Johanna e mia madre, dove sono costretta a promettere solennemente di chiamare non appena arrivata a casa. Essendo marzo, dovrò aspettare che finiscano le lezioni prima di rivedere Michelle e poter partire con lei, Peeta e Johanna per il Distretto Quattro, dove troveremo Annie e il figlio per le vacanze estive. Il fatto di essere riuscita a convincere la direttrice mi fa sentire potente, in qualche modo, come se avessi realizzato un obiettivo di importanza mondiale. Se penso a come vola il tempo, mi sembra che tutto questo accadrà tra pochi giorni. Ma ora devo concentrarmi solo su quello che impiegherà questo treno per riportarmi da mio marito. Già immagino la sua gioia quando gli racconterò a voce della mia esperienza, in particolare dell'ultima chiacchierata con mia madre. Al pensiero arrossisco. Vorrei non essere più così imbarazzata a parlare d'amore, ma è più forte di me. Credo di essermi addormentata per svariate ore, cullata dai miei pensieri tranquilli. È strano che mi succeda, ma credo di aver dormito per svariate ore perché quando apro gli occhi attorno a me non vedo più distese di coltivazioni, ma alberi. E basta questo a farmi sorridere e a desiderare ancora di più di tornare da Peeta. Per fortuna manca poco, me ne accorgo guardando dal finestrino e vedendo alcune case sulla mia sinistra. Ricordo perfettamente di averle notate durante il viaggio d'andata, non molto dopo la partenza. E infatti la memoria non m'inganna, perché meno di mezz'ora dopo mi ritrovo sulla banchina, abbracciata a Peeta. - Oh, Katniss.-. Io lo stringo e basta, senza dire nulla. Avrò così tanto da dirgli una volta arrivati a casa che per ora è meglio se risparmio il fiato. Anche perché mi sta stringendo così forte che per parlare mi dovrei impegnare non poco. -Ti amo, Katniss, ti amo.-. -Mi sei mancato anche tu.-. Ride piano e mi lascia andare. Quando vede che sono tutta spettinata e rossa in viso si scusa velocemente e mi prende per mano, trascinando con l'altro braccio la mia valigia, ma non prima di avermi dato un bacio. -Com'è stato il viaggio? Sei riuscita a riposare un po'?-. -Ho dormito quasi per tutto il tempo a dir la verità.-. Ammetto imbarazzata. -Hai chiuso prima il negozio solo per venirmi a prendere?-. -No, no. C'è Sae che mi sostituisce. Ha deciso di prendere un giorno fisso di chiusura per il suo ristorante, così al lunedì aiuta noi. Dice che non riesce a stare con le mani in mano, ma che è costretta a tenere chiuso perché le cameriere e il lavapiatti si meritano un po' di riposo.-. -Mi sembra molto sensato da parte sua. Non riusciremo mai a ringraziarla abbastanza per tutto questo. Pensaci, sono anni che sopporta noi tre.-. -Tre? Parli di sua nipote? Bé, non direi che lei sia un peso.-. -Ma no, intendevo Haymitch! Sentiamo, perché non è venuto ad accogliermi a braccia aperte?-. Peeta ride piano, mentre entriamo nel vialetto di casa. -Ha detto che il viaggio in treno ti avrebbe stancata e resa impresentabile e più intrattabile del solito e che avrebbe aspettato che tu ti sistemassi e facessi una doccia prima di avvicinarsi a te.-. -Che esagerazione! È solo che non ne aveva voglia di uscire di casa.-. -Mmm, credo l'abbia fatto solo per lasciarci un po' da soli, sai?-. -Oh.-. È tutto quello che mi esce. Che stupida. Non so perché, ma sono cresciuta con l'idea che certe cose vadano fatte solo di notte. E adesso sono le tre del pomeriggio. Ma mentirei a me stessa se dicessi che Peeta non mi è mancato anche il quel senso e che il pensiero di fare l'amore con lui adesso non mi disturba, anzi. Ma Peeta cambia velocemente argomento, come se non volesse farmi imbarazzare più di quanto io già non sia. -Hai dei vestiti da lavare, Katniss? Ho aspettato che tornassi prima di far andare la lavatrice con i capi scuri, nel caso avessi qualcosa.-. Lo dice guardando verso la mia valigia. Fa per aprirla, ma poi si blocca, come se se ne vergognasse. -Che cosa stupida, no? Ormai sono diventato un perfetto uomo di casa. Ricordati di non lasciarmi più da solo per più di due giorni la prossima volta.-. Sospira poi. -Non direi che è stupida, amore.-. Lo prendo per un braccio e mi metto di fronte a lui. -In effetti potresti lavarmi questi.- mormoro a bassa voce, portando la sua mano sul mio fianco, per indicare i jeans, facendola poi scivolare indietro. Ma è chiaro per tutti e due che non è l'unica cosa che intendo. Il ruolo da seduttrice non fa per me, ma evidentemente funziona abbastanza da spingere Peeta a baciarmi con passione. I miei pantaloni non impiegano molto tempo prima di ritrovarsi scomposti sul pavimento del salotto. È tutto così diverso dal solito che faccio fatica a trattenere le mie emozioni. Non so perché sono così nervosa. Forse perché è da settimane che non mi trovo così vicina a lui, forse perché per la prima volta ho deciso che non priverò Peeta della possibilità di diventare padre. Presa dalla foga, però, ancora non gliel'ho detto. Abbiamo appena raggiunto la nostra camera quando glielo bisbiglio all'orecchio. -Sei sicura?-. Annuisco appena, prendendo le sue mani tra le mie e baciandole lievemente. -Ti amo, Peeta. E questo è l'unico modo in cui potrei amarti ancora di più.-. E credo che questo sia il sorriso più meraviglioso che lui mi abbia mai fatto. Più euforico di quello di quando gli ho detto di volergli bene, più di quando ci siamo scambiati i voti nuziali e abbiamo fatto l'amore per la prima volta. Mi sento una stupida per averci rinunciato per tutto questo tempo. Mi appunto mentalmente di ringraziare mia madre. E anche Haymitch, perché no?

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Capitolo 28
*** Vecchi tempi, nuove prospettive ***


CAPITOLO 28

 

Quando mi sveglio sbatto gli occhi più volte nel tentativo di mettere a fuoco la stanza in cui mi trovo. Non appena mi rendo conto che è casa mia, casa nostra, e ricordo cosa è successo ieri pomeriggio un piccolo sorriso mi si stampa sul viso. Per un momento mi sento una sciocca a pensare a queste cose ma poi..beh, smetto di sentirmici e penso solo a quanto sono fortunata ad avere un marito come lui. Peeta però deve essere uscito presto questa mattina per andare al lavoro. Mi dispiace non averlo sentito, probabilmente sarei andata con lui per recuperare il tempo perso in queste settimane e riprendere la nostra quotidianità. Penso che comunque non è troppo tardi e che una passeggiata non mi farà male. Distrattamente ricordo però che devo ancora vedere Haymitch, visto che alla fine ieri sera non è passato per la cena. Quindi decido che la prima cosa che farò oggi è proprio questa: vestirmi e andare a trovare il mio vecchio mentore. Passo parecchio tempo in bagno, affascinata dai giochi che i raggi di luce che entrano dalla finestra riflettono sui miei occhi. E per la seconda volta di oggi mi sento una stupida a soffermarmi su un dettaglio così. Mi viene in mente di colpo quello che io stessa dissi a Peeta anni fa, prima dei nostri secondi Giochi, Perchè tu hai un debole per le cose belle e io no. Mi sono resa conto, stando assieme a lui, che questa mia battuta non è poi tanto vera, purtroppo. Ci sono davvero volte in cui mi perdo ad osservarlo solo per il piacere di farlo.

Quando finalmente mi riscuoto da questi pensieri, esco dal bagno e mi vesto, per poi fare quei pochi metri che mi separano da Haymitch. Come al solito, al mio bussare lui non risponde e quindi io entro senza farmi problemi. Lo trovo sul divano, intento a studiare le doppie punte dei suoi capelli con più intensità del dovuto.

-Oh, Dolcezza! Non mi aspettavo di vederti così presto.-.

-Mi avresti visto ieri sera, se fossi passato per la cena.-.

-Oh, certo certo. Ma così vi avrei sottratto tempo prezioso e vi avrei tenuto lontani dalla camera da letto, no?-.

Arrossisco appena, prima di dire: -Questo non vuol dire niente.-.

Lui mi fa un sorrisetto malizioso e poi borbotta ammiccante un -Ah, no, dici?-. A cui io non rispondo.

-Ero passata a chiederti se ti andava di venire a fare una passeggiata-,- mi fermo e, rendendomi conto che noi due non facciamo passeggiate, aggiungo in fretta: -fino alla panetteria.-.

-Il maritino ti manca proprio eh? Spero che la permanenza lontana dalla casa coniugale ti abbia fatto capire cosa ti sei persa in questi anni. Intendo quando eri impegnata a far cadere sulle tue spalle il peso di tutte le disgrazie dell'universo.-. Il tono è quello che usa sempre con me, ironico e canzonatorio. Ma ormai lo conosco così bene che so che, sotto a questa veste superficiale si nasconde un Spero che sia davvero così, Dolcezza. Per questo mi limito ad un sorriso e ad un -Sì, Haymitch, grazie. Comunque non hai risposto alla mia domanda, ti va di venire o no?-.

-A pensarci bene, in realtà preferisco restare qui se non ti dispiace.-.

-Ok. Allora ci vediamo a cena? Chiederò anche a Sae se vuole venire. Come ai vecchi tempi.-.

-Ci sto, Dolcezza.-.

Lo saluto ed esco. Mi sembra impossibile che da un giorno all'altro la vita mi possa apparire così diversa. Più che quella di sposare Peeta, credo che quella di dargli un figlio sia stata la decisione più importante della mia vita. Una famiglia. Le paure non se ne andranno mai, ma per ora non riesco a vedere cosa potrebbe andare storto. Non sono riuscita a salvare molte persone, ma se posso prendermi cura anche di una sola avrò comunque fatto del bene. E per me deve essere Peeta. Con il sorriso stampato in faccia, arrivo alla panetteria.

-Buongiorno.-. Dico, entrando, rivolta a Clara e ad alcune clienti.

-Oh, Katniss! Finalmente sei tornata, che bello vederti!-. Risponde lei.

-Vorresti dire che lavorare solo con me è noioso?-. Scherza Peeta, mentre mi si avvicina e mi dà un piccolo bacio. La ragazza ride, prima di porgere il sacchetto alle clienti e augurare loro una buona giornata.

-Oh, no, capo. Ma negli ultimi giorni non facevi che dire “Tra poco torna a casa” e sembravi uno di quei bambini che entrano qui sperando di convincere le madri a comprare qualche dolcetto.-. Sia io che lei scoppiamo a ridere, mentre Peeta la guarda offeso.

Peeta nega tutto con grande dignità, ma so che Clara ha ragione.

-Ti assicuro che è una bugia. Non mi sei mancata neanche un po'.-. La luce dei suoi occhi e il sorriso trattenuto sono in contrasto con quello che mi sta dicendo.

Rido ancora e esclamo -Non ne dubito, infatti.-, mentre vado verso il retrobottega a prendere il camice. Poi prendo il mio posto al bancone al fianco di mio marito, e, in un momento in cui nessuno ci può vedere, mi alzo appena sulle punte per dargli un altro bacio sulle labbra. Adesso è il suo turno di ridere.

-Si, ok, mi sei mancata anche tu.-.

 

 

In cucina Sae ha dato il meglio di sé: una squisita torta salata alle verdure ed un arrosto di carne succoso e morbidissimo. Peeta, ovviamente, si è occupato del dolce. Io ho apparecchiato la tavola e tagliato le verdure. Haymitch...beh, non c'era altro da fare no? Ceniamo in grande tranquillità, parlando inizialmente di come abbiamo trascorso la nostra giornata. Mi stupisco quando, dopo un momento di silenzio, sono io a prendere la parola. -Vi devo dire una cosa.-. Peeta si gira confuso a guardarmi e, quando mi vede arrossire, capisce e sorride, prendendomi la mano. -Io..Beh, noi in realtà...Abbiamo deciso di provare ad avere un figlio, ecco.-. Non guardo in faccia nessuno mentre lo dico. In effetti nessuno mi ha costretto, ma non potevo stare zitta. Haymitch e Sae sono di famiglia dopotutto e non potevo non condividere anche con loro questo momento così importante.

-Ma è meraviglioso!- esclama Sae. -Dobbiamo festeggiare!-.

-Grazie, Sae.-. Risponde Peeta, mentre un sorriso enorme si fa largo sul suo viso.

Haymitch non dice nulla. Inizialmente penso solo che la notizia non lo stupisca più di tanto, dopo la nostra conversazione di stamattina. Poi, quando lo sento tirare sul con il naso e lo scopro a cercare di asciugarsi una lacrima, scoppio a ridere. Peeta mi stringe la mano ancora, per farmi capire qualcosa del tipo“Katniss, non essere maleducata”, ma io non riesco proprio a trattenermi dal dire :-Non ti preoccupare, Hay, nessuno prenderà il tuo posto. Verremo a coccolarti ogni volta ne avrai bisogno.-.

-Piantala, Dolcezza. Non è per me che...-. Sposta lo sguardo su un punto indefinito alle spalle di Peeta. -Sono contento per voi.-, riesce a dire alla fine. E così viene il momento anche per me di rinunciare all'ironia, alzarmi e andare ad abbracciare Haymitch. Perché, se davvero c'è qualcuno che può dire di aver condiviso fino in fondo la sorte mia e di Peeta, può essere solo lui. Certo, è un abbraccio strano, forse il primo che ci scambiamo così, solo per affetto. Ma non è un segreto che per noi Haymitch sia stato, a modo suo, un padre.

Finiamo di mangiare e l'atmosfera si è fatta ancora più allegra, come se fosse coperta da un telo di positività. È una serata perfetta come poche altre, e non ci preoccupiamo di nulla. Quando Haymitch e Sae lasciano casa nostra, io inizio a sistemare la cucina.

-Puoi farlo domani mattina, non credi? Dai, vieni.-. Peeta non deve insistere molto con le parole, visto che nel frattempo si è avvicinato fino ad arrivare a baciarmi la pelle dietro all'orecchio destro. Sono io, dopo aver ricambiato per un po' i suoi baci, a prenderlo per mano e a condurlo al piano di sopra.

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Capitolo 29
*** La (sconvolgente) positività di Katniss ***


CAPITOLO 29

 

Nota autrice:

Prima di tutto mi scuso per il ritardo. Tra vacanze e esami universitari imminenti faccio sempre più fatica a trovare del tempo per scrivere con calma. Come scusa non è molto originale, ma purtroppo è la verità:( Vi confesso che più volte negli ultimi mesi mi sono seduta al computer senza sapere cosa scrivere, un po' scoraggiata anche dal fatto che i miei ultimi capitoli siano stati meno letti e recensiti rispetto all'inizio; alla fine però, con un po' di fatica, sono comunque riuscita a fare del mio meglio e spero di non deludervi. Vi anticipo che il prossimo capitolo che posterò sarà l'epilogo, quindi se vi va fatemi sapere cosa pensate della storia e datemi qualche consiglio prima che io la chiuda, per favore:)

 

Detto questo, spero di non avervi annoiato e vi auguro una buona lettura!

Martina

 

 

Giovane. È così che mi sono sentita in queste settimane. Spensierata come credo di non essere mai stata. O forse lo ero quando mio padre era ancora vivo, ma questo non lo potrei dire con certezza. È passato quasi un mese da quando sono tornata a casa nel Distretto 12. La primavera è già iniziata e le primule del nostro giardino sono più belle e profumate che mai. In realtà credo che siano sempre state così in questi anni, sono io a vederle in una diversa prospettiva. Quando condivido con Peeta questa mia riflessione lui si limita a sorridermi e a stringermi la mano. Posso dire di non essere la sola ad essere cambiata, questo è certo. Sembra che anche Peeta stia vivendo in un mondo dai colori completamente diversi: me ne accorgo da come lo vedo sorridere, a volte, mentre mi guarda, dalla passione che mette nel lavoro. Non che prima queste cose non le facesse, ma adesso è diverso. Il suo sorriso è diverso. Nei primi anni del nostro matrimonio ho imparato ad accorgermi di quei momenti in cui lui sembra scivolare via da me, preda di un brutto ricordo alterato dal veleno. La differenza rispetto ai primi mesi in seguito al depistaggio è che Peeta non ha episodi durante i quali mi allontana da sé, ma semplicemente smette di sorridermi e di guardarmi negli occhi. Ecco, da quando sono tornata a casa, questo non è più successo.

È da molto che non mi capita di vivere uno di quei giorni strani, quando mi perdo a guardare fuori dalla finestra senza sapere cosa fare della mia giornata. Per quanto banale, la quotidianità sembra fatta apposta per me. Mi ritrovo a pensare al futuro, sì, ma senza paura. E questo è così nuovo per me che devo ancora abituarmi a convivere con questo nuovo stato di positività che mi ha contagiato.

-Katniss?-. Sollevo lo sguardo e incontro quello di Peeta. Siamo appena rientrati dalla panetteria, i vestiti che ancora profumano. Mio marito mi scoppia a ridere in faccia e io lo guardo scioccata. -Smettila! Cosa c'è? Perché ridi?-.

-Sei tu.-. Riesce a dire a fatica.

-Io?-. Lo guardo malissimo. E poi getto qualche sguardo furtivo a me stessa, riflessa nella finestra della cucina, per controllare che per caso io non abbia farina ovunque o una qualche scritta sulla fronte. Ma lui rintraccia il mio sguardo e ride ancora di più, uscendo dalla stanza e infilandosi in salotto. -Fermati! Dimmi cos'ho, o stanotte dormi sul divano. Te lo giuro.-. Aggiungo, minacciosa.

-E' che sei così serena e sovrappensiero...hai messo il tubetto del dentifricio in frigorifero, poco fa.-.

-Stai scherzando.-.

Lui non risponde, si siede sul divano togliendosi le scarpe. Così io vado a controllare. La prova evidente è la confezione di cartone azzurrina che sembra sorridermi dal ripiano più alto. -No!- esclamo, senza riuscire a trattenermi.

-Tranquilla, amore, il numero del Dottor Aurelius è sempre nello studio.-. Mi sorride ammiccante e io gli tiro addosso un cuscino. Poi mi siedo accanto a lui. -E comunque è colpa tua.-. Sbotto.

-Colpa mia se?-.

-Se sono felice.-. Ma il tono è così brusco che sembra mi stiano costringendo a dirlo.

-Oh, bene. Allora, prego.-. Ride lui. Poi mi abbraccia e io non posso evitare di appoggiare la testa sul suo petto come sempre. Offesa o no, lui è pur sempre Peeta.

-A proposito di felicità, Katniss.-.

Mi sembra così serio mentre pronuncia queste poche parole che per un momento mi volto a guardarlo in viso.

-Sì?-. Chiedo, sulla difensiva.

-Niente, mi chiedevo se per caso avessi ricevuto notizie da Johanna e tua madre. Su Michelle, intendo.-.

-Oh, no. Non ancora. Ma quando ho parlato l'ultima volta con mia madre mi diceva che le lezioni sarebbero finite il 31 maggio.-.

-Johanna torna qui con Michelle, quindi?-.

Annuisco sul suo petto, inspirando il suo profumo, che negli anni è diventato un po' anche mio.

-Non vedo l'ora di partire.-.

-Sicuro?-. Dico ridendo. -Secondo me sentirai moltissimo la mancanza della signora Grompe.-

Lui storge il naso. Da quando lei gli ha confessato il suo amore(la signora ha settantacinque anni), Peeta cerca sempre di mandare me a servirla la banco del pane.

 

 

Lo so che non vuoi festeggiare, Katniss. Sono anni che sento la stessa storia e ormai mi sono stancato di insistere. Non ti preoccupare, il tuo compleanno sarà il giorno più normale di sempre. Solo una torta, promesso.”.

Com'è che si dice? Oh, sì, che tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Non posso dire che abbia fatto le cose in grande. Ammetto che per i suoi standard si è trattenuto (l'anno scorso ha invitato a cena, oltre ad Haymitch e Sae ed altri amici, anche metà delle clienti più assidue alla panetteria. Solo quelle sotto la cinquantina, per evitare i soliti commenti del tipo “Oh, quando avevo io la tua età...”).

Quest'anno invece si è limitato a rendere la nostra casa l'ambiente più romantico che io potrei riuscire a sopportare. Dopo la cena con Haymitch, con tanto di torta ovviamente, il nostro ospite si congeda, dicendo “Questo è il mio regalo per te, Dolcezza. Sono sicuro che il ragazzo ha pensato a tutto.”. Poi, esce, ammiccante come sempre, lasciandoci soli. E così posso vedere cosa ha preparato Peeta mentre io mi facevo la doccia, prima di cena. Ha steso sul piccolo prato privato dietro a casa nostra vari strati di coperte e lenzuola colorate, circondandole con una cinquantina di grandi candele profumate. E la serata aiuta sicuramente, dato che spira una brezza leggerissima e in cielo iniziano già a vedersi le prime stelle.

-Mmm, Peeta?-. Sono uscita in giardino a buttare nella spazzatura delle confezioni di plastica.

-Dimmi, amore.-. La sua voce mi arriva, innocente al punto giusto, dalla cucina. Due secondi dopo, mi è accanto e mi cinge la vita con le braccia.

-Avevi detto che sarebbe stata una giornata normale, lo sai vero?-.

-Infatti lo è stata. Adesso è quasi notte, non vedi? Ci sono le stelle.-. Puntualizza lui, facendomi ridere.

-Bene. Allora a questo punto credo che potremmo anche rilassarci un po', ti va?-. La luce maliziosa dei suoi occhi mi dice ben altro, ma visto che entrambi sappiamo come andrà a finire questa serata (sono circa due mesi che cerchiamo di avere un bambino e ancora non ci sono state novità), prima di raggiungere le coperte, gli getto le braccia al collo e lo bacio. Mormoro un grazie tra i suoi ricci, lasciandomi andare.

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Capitolo 30
*** Epilogo ***


CAPITOLO 30 - EPILOGO

 

Per prima cosa, ancora una volta, ci tengo a scusarmi per il ritardo. Non cercherò scuse varie, vi dico solo che per mancanza di tempo e di ispirazione, solo ora sono riuscita a concludere la mia storia. Ringrazio in anticipo chi ha avuto la pazienza e la voglia di seguirmi in questo mio piccolo esperimento e spero davvero di non avervi deluso. Grazie davvero e buona lettura!

Martina

 

 

Resto a fissare la faccina sorridente per un minuto interminabile, chiedendomi cosa ci sia da ridere in questa situazione. Una donna deve essere pazza a pensare che sia divertente avere un figlio. Emozionante, forse. Divertente? Decisamente no. Sono chiusa in bagno da più di un'ora, ed è una fortuna che Peeta e gli altri siano ancora in spiaggia. Con tutto quello che ho mangiato in questi mesi, i chili di troppo non sembravano attribuibili ad una gravidanza. Il mese scorso sono stata regolare come sempre. Non me lo aspettavo così presto. Non ora. Questa prima settimana passata al mare con Michelle, Johanna ed Annie non avrebbe potuto farmi più felice. Sembra di essere tornata indietro alla mia luna di miele, dove nulla avrebbe dovuto preoccuparmi e tutto avrebbe dovuto essermi concesso. Passeggiate al chiaro di luna. Canti in riva al mare. Cene di famiglia sul molo...tutto perfetto, fino ad ora. Eppure è da circa due mesi che io e Peeta cerchiamo di avere un figlio, quindi la cosa non dovrebbe sconvolgermi più di tanto, no? Dovrebbe, sì. E invece sento nascere dentro di me la paura folle di venire trascinata sul fondo di un precipizio, di essere risucchiata da una qualche potenza sovrannaturale. Una sensazione che mi prende lo stomaco, rendendomi difficile restare in piedi e costringendomi a sedere sul bordo della vasca da bagno della stanza dove alloggiamo Peeta ed io. Peeta....Dovrebbe essere qui con me ora, vorrebbe sapere subito che il suo più grande desiderio si realizzerà tra non molto. Eppure una parte di me è immensamente grata al fato per non avermi costretto a simulare felicità dal primo istante. Mi alzo di nuovo, percorrendo avanti e indietro la lunghezza del bagno per un tempo che mi sembra infinito. Poi, quando mi sembra di essere sufficientemente calma e presentabile, torno nella stanza e telefono a Johanna( È l'unica tra noi ad aver un telefono cellulare, credo le serva per mantenersi in contatto con i vari spasimanti che ha incontrato nel distretto 11.).

-Ehi, colombella. Ci raggiungi? Il tuo bel maritino ha promesso di cucinarti una torta speciale se ti decidi a tornare tra i comuni mortali.-. Dalle proteste in sottofondo deduco che Peeta non abbia promesso proprio niente a nessuno. Rido appena, prima di chiederle di passarmelo al telefono.

-Hei Kat. Non crederle. Torni?-.

-Potresti venire tu? Devo parlarti di una cosa.-. La missione “sii calma e serena, non farlo agitare” è appena fallita miseramente, direi. Chiude la chiamata in tutta fretta e in meno di dieci minuti me lo ritrovo davanti.

-Stai bene?-. Lo sguardo allarmato sul suo viso mi rende impossibile restare seria. Scoppio a ridere, isterica. Mi raggiunge e mi prende per le braccia, costringendomi poi a sedermi sulle sue ginocchia, mentre mi culla dolcemente.

-Katniss.-. Cerco di guardarlo negli occhi e sorridergli, come a dire “Sto bene, dammi un secondo”, e invece scoppio a piangere. Lo stringo così forte a me da farmi male e da sentire il cuore premere contro il torace, martellante. Lui non parla e qualcosa mi dice che forse ha già capito cosa gli devo dire. Dopo quella che sembra un'eternità riesco a calmarmi e mi ritrovo a fissarlo dritto negli occhi.

-Dimmelo, Katniss. Ti prego.-.

L'aspettativa, il desiderio nel suo sguardo..non c'è nulla che potrei negargli, non importa quanto io sia sconvolta.

-Aspettiamo un bambino, Peeta.-.

Mi fa alzare dalle sue ginocchia e prende a camminare attorno al letto, portandosi le mani nei capelli e al volto, di tanto in tanto. Quando penso che ormai lui sia più sconvolto di me, lo vedo tornare a sedersi al mio fianco, il sorriso stampato sul volto. Mi prende le mani tra le sue.

-Scusami, amore. Scusami. Ti amo.-. Per ogni frase mi dà un bacio sul dorso della mano destra.

Rido ancora, questa volta senza dare di matto.

-Per un attimo ho temuto ci avessi ripensato, Peeta.-.

-Non scherzare!-. Sembra davvero sconvolto dalla mia idea. -Sono l'uomo più felice del mondo.-. A questo punto mi bacia, ed è tutto fuorché un bacio casto. Quando ormai non ci sono dubbi sulle sue intenzioni, mi decido a facilitargli il compito e mi sfilo il vestito leggero che indossavo. Quando mi vede Peeta si blocca. Tremante appena, ma di gioia, allunga una mano verso il mio ventre e vi fa scorrere le dita. Quando vedo una lacrima scivolare lenta dall'angolo esterno del suo occhio, mi avvicino appena e la bacio, assaporando sulle labbra il sapore della sua felicità.

-Hai paura?-.

Le sue mani hanno ripreso a vagare sul mio corpo, le sue labbra sono insistenti sul mio collo nudo.

-Di questo?-. Sussurro appena, senza fiato. Lui ride piano, facendosi ancora più vicino e sfilandomi la biancheria.

-Di questo.-. Mormora, mentre la sua mano indugia sul mio grembo.

-Non se siamo io e te.-.

-E allora non ti lascerò sola nemmeno un secondo.-.

Dopo, restiamo abbracciati a lungo. I nostri respiri sono sincronizzati, ma sento bene che il suo cuore, sotto il mio orecchio sinistro, batte all'impazzata. Quando parla, capisco il motivo del suo nervosismo. -Katniss, devo chiederti una cosa.-. Resto in silenzio per dargli modo di porre la domanda. Prende un respiro profondo. -Tu mi ami. Vero o falso?-. La prima cosa che penso è che questa di fatto è un'affermazione. Per quanto dolce e sussurrata resta comunque una certezza, soprattutto dopo gli anni trascorsi assieme e le volte in cui gliel'ho detto. Poi mi riscuoto e mi rendo conto che lui invece sta aspettando. Evidentemente la mia reazione alla gravidanza lo ha spaventato, così decidi accontentarlo. Ma una semplice parola, soprattutto dopo quello che è appena successo, non può esprimere davvero quello che provo, per cui avvicino il viso al suo, lasciando che i miei capelli creino una sorta di capanna per estraniarci dal resto del mondo. Avvicino la bocca alla sua con una lentezza esasperante. Il mio cuore potrebbe anche esplodere, se io non colmassi questo divario. È lui a cedere, però, e a darmi quello che desidero. Quando ci separiamo per prendere aria, avvicino le labbra al suo orecchio e mormoro -Vero.-.

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