L'elfo di Gondor

di Martyx1988
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dai giardini di Gondor ***
Capitolo 2: *** Nella sala del trono ***
Capitolo 3: *** Canto di morte, canto di speranza ***
Capitolo 4: *** L'inizio della battaglia ***
Capitolo 5: *** Verso la guerra ***



Capitolo 1
*** Dai giardini di Gondor ***


Dai giardini di Gondor

Quell'attesa la stava facendo morire. Stare lì, affacciata alla terrazza del giardino del palazzo reale di Gondor ad aspettare qualche segno di lui, qualcosa che le dicesse che era ancora vivo, che era riuscito a fuggire da Osgiliath, dalle grinfie degli orchi e dalla furia dei Nazgul. Aspettare. Ma di Faramir e della sua compagnia nemmeno l'ombra. Maledetto Denethor, non è un padre colui che manda il suo ultimo figlio a morire per le proprie ambizioni. E intanto Elanor aspettava, la veste color pesca in balia del vento che soffiava forte, i capelli castani che le svolazzavano davanti agli occhi, scoprendo ogni tanto le sue appuntite orecchie da elfo. Perchè questo era Elanor, un elfo in terra di uomini. Il ricordo del suo arrivo a Gondor era rimasto indelebile nella sua mente.

I soldati che le aprirono il grande portone la guardarono con diffidenza finchè non sparì dalla loro vista, concentrandosi soprattutto su quelle orecchie appuntite, lasciate scoperte dall'elaborata treccia in cui teneva raccolti i capelli, che la rendevano diversa da chiunque abitasse in quella città. Elanor, un elfo esiliato per una colpa inesistente, allontanata da ciò che amava per un bene superiore, mandata nell'inferno del mondo degli uomini, corrotti, attratti dal potere, senza un sovrano degno di sedere sul trono. Uomini che la guardavano con disprezzo, che l'avrebbero trattata da estranea, che probabilmente non le avrebbero nemmeno detto come arrivare a palazzo, la sua nuova e detestata dimora. Si incamminò a testa bassa per la via principale della città, che saliva su in cima, fino alla rocca. Le occhiate della gente si facevano sempre più pesanti, così Elanor accelerò il passo, passando leggiadra tra la folla. Fortunatamente la strada non si diramava molto e in breve raggiunse la scalinata che l'avrebbe condotta nei giardini del palazzo. Poggiò il piede sul primo scalino, ma procedere le risultò molto più difficile di quanto pensasse.
"Fa paura anche a me" le disse una voce maschile da dietro.
La fanciulla si voltò e incrociò il primo sguardo gentile. Un giovane dai capelli castano chiaro, lunghi fino alle spalle, col viso adornato da un po' di barba incolta, le stava sorridendo.
"Col tempo però ci si fa l'abitudine" continuò, per poi passarle a fianco ed iniziare la salita.
Si arrestò circa a metà per voltarsi indietro.
"Visto? Ora provate voi" le porse la mano in segno di invito a salire.
Elanor si sistemò la sacca coi suoi pochi averi sulla spalla e lo raggiunse. Faramir, l'unico uomo ad averla guardata con uno sguardo diverso, l'unico che l'aveva accolta.

Due figure nere alate si stagliarono contro il cielo grigio, emettendo i loro stridenti versi. Sotto di esse, un piccolo gruppo di cavalieri tentava di fuggire ai loro attacchi. I suoi occhi di elfo permisero ad Elanor di vedere Faramir in testa al gruppo. La fanciulla si sentì solo in parte risollevata, perchè i Nazgul continuavano ad attaccare i cavalieri senza tregua.
Un fascio di luce bianca colpì, però, in viso le bestie, arrestando la loro avanzata all'inseguimento dei cavalieri, i quali, sotto la protezione di Gandalf e della sua magia, riuscirono ad entrare in città senza subire ulteriori perdite. Elanor abbandonò la terrazza e corse giù per la scalinata fino alla città, per poi prendere la strada che tante volte aveva percorso e che l'avrebbe portata da Faramir e le avrebbe permesso di abbracciarlo. L'impeto della sua corsa obbligò la gente a scansarsi per non essere travolta dalla giovane, che in breve giunse nella piazza dietro la porta della città, dove Gandalf e i cavalieri si erano radunati. Proprio con lo stregone stava parlando Faramir, il giovane hobbit che cavalcava Ombromanto aveva attirato la sua attenzione e gli aveva ricordato delle due creature che egli stesso aveva incontrato nel suo viaggio verso Osgiliath, Frodo Baggins e Sam Gamgi.
"Faramir, amico mio! Sei vivo, che gioia rivederti!" esclamò Elanor, quando incrociò lo sguardo del figlio più giovane del sovrintendente. Questi scese da cavallo per andare incontro all'amica e abbracciarla con tutta la forza cehe aveva in corpo.
"Perdonami, Elanor, per averti fatta stare in pensiero"
"L'importante è che tu sia tornato"
I due giovani si staccarono e lo sguardo di Faramir si rivolse subito alla cittadella. La gioia disegnata sul suo volto dopo aver rivisto l'amica scomparve del tutto. Elanor intese i suoi pensieri e poggiò una mano sul braccio dell'uomo.
"Capirà" gli disse, sperando vivamente che Denethor comprendesse la situazione e non mandasse più il figlio in missioni suicide.

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Questa è la mia prima fic sul signore degli anelli. So che già qualcun'altro ha usato il nome Elanor per il suo personaggio, ma questa storia ce l'avevo in mente da prima che mi iscrivessi al sito e non me la sono sentita di cambiare il nome del personaggio.
Mi raccomando, commentate e criticate a più non posso, tutti i pareri sono ben accetti :-)

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Capitolo 2
*** Nella sala del trono ***


Peccato, nessuno ha recensito :-( Vabbè non mi arrendo!!
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Nella sala del trono

"Faramir ha fatto del suo meglio, ha combattuto con coraggio, come anche tutti i suoi uomini, ma il nemico che si è trovato di fronte non è uno qualunque. Forse nessun uomo è in grado di affrontare un Nazgul"
Elanor si prodigò a lungo perchè Denethor non rimproverasse il figlio a causa dell'abbandono del fronte di Osgiliath, ma il vecchio era ostinato e testardo, guidato da una misteriosa cecità che gli impediva di vedere i meriti del figlio secondogenito, per troppo tempo rimasto nell'ombra del defunto Boromir, suo fratello maggiore e figlio prediletto del sovrintendente.
"Non ha adempiuto ai suoi doveri di capitano e si è comportato da vigliacco"
"Voi chiamate vigliaccheria evitare un'atroce morte? Voi, che non avete mai mosso un dito per difendere questa città, lasciando tutto il peso delle battaglie nelle mani dei vostri due figli"
Denethor si irrigidì, lo sguardo rivolto verso il grande portone d'ingresso, come se stesse aspettando l'imminente arrivo di qualcuno che però non sarebbe mai arrivato. Una mano scorse veloce verso il corno spezzato in due, sempre a fianco del suo piccolo e rozzo trono.
"Avete già perso Boromir, volete che Sauron si prenda anche Faramir?" incalzò la fanciulla.
"Faramir eseguirà il mio ordine e riprenderà Osgiliath" decretò infine Denethot, lapidario.
"E' una follia!! E questa follia vi farò perdere tutto!"
"Basta! Non voglio sentire altro, elfo! Mi stai solo rubando del tempo prezioso che dovrei dedicare a chi, diversamente da te, desidera essermi fedele"
Lo sguardo corrugato del vecchio si concentrò su un punto dietro la spalla sinistra di Elanor, esattamente dove Pipino attendeva di essere ricevuto. La creatura tremava nella piccola casacca decorata dall'albero bianco di Gondor,
Denethor lo invitò ad avanzare con un gesto della mano e un ghigno soddisfatto sul volto. Lo hobbit sorpassò a piccoli passi l'elfo, che potè sentirlo ripetere freneticamente la formula del giuramento che di lì a poco avrebbe pronunciato ad alta voce.
Altri passi alle sue spalle, e Faramir le fu vicino, con lo sguardo mesto di chi conosce già il suo destino.
"Con l'aiuto di Gandalf potrei riuscire a convencerlo" sussurrò Elanor all'amico, ma questi le fece cenno di lasciar perdere con la mano.
"Grazie, ma sarebbe inutile. Comunque hai già fatto molto. Sei un'amica preziona" rispose l'uomo, senza voltarsi a guardarla negli occhi.
Da quando suo fratello era morto, Elanor era stata l'unica a preoccuparsi di lui, a prendere le sue difese, a elogiare le sue gesta. L'unica ad esserle stato accanto nella sua solitudine. Sapeva quello era il loro ultimo incontro, che non l'avrebbe più rivista, perchè sarebbe morto per fare ciò che più desiderava: compiacere suo padre, tentando di essere almeno in parte come Boromir, il suo beneamato figlio. Faramir non era come il fratello, ma se Denethor voleva questo, allora vrebbe fatto il possibile per accontentarlo, per diventare il guerriero che Boromir era.
Pipino aveva terminato il giuramento, il più grande sbaglio della sua vita, come lo definì nella sua mente Elanor, perchè essere fedeli a Denethor voleva dire dover eseguire ogni suo ordine o capriccio. Per questo motivo lei si era rifiutata di giurare. Era stata mandata per tenere a freno la sua follia, non per assecondarla.
Il sovrintendente si sedette alla piccola tavola imbandita per il pranzo davanti al trono e, mentre si riempiva il piatto di leccornie, prese a criticare l'operato del figlio, ad evidenziare la sua mancanza di coraggio, a pensare che Boromir avrebbe fatto meglio.
"Avresti preferito che io fossi morto e che lui fosse qui ora, al posto mio" azzardò Faramir, sperando che un po' dello spirito paterno del vecchio si risvegliasse a quelle parole.
"Sì, vorrei questo" rispose Denethor, distruggendo per sempre le speranze del giovane uomo nelle cui vene scorreva il suo stesso sangue.
Faramir acconsentì a guidare una spedizione verso Osgiliath che sarebbe partita quello stesso pomeriggio.
La rabbia ribolliva nel corpo di Elanor, avrebbe volentieri trafitto quel vecchio pazzo senz'anima, per salvare il suo Faramir, la sua unica ancora in quella città diffidente. Ma tutta quella rabbia dovette trasformarla in una piccola lacrima cristallina che le rigò il viso pallido di elfo, e che a Pipino non passò inosservata.
Faramir si voltò per uscire dalla sala del trono, lo sguardo rivolto davanti a sè, per non incrociare quello distrutto di Elanor.
"Ti prego, non andare" lo supplicò con voce mozzata quando furono spalla contro spalla. Ma l'uomo si arrestò solo per un secondo, quindi procedette verso il suo destino. Elanor era ormai il passato.

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Capitolo 3
*** Canto di morte, canto di speranza ***


Canto di morte, canto di speranza

Casa é alle spalle, il mondo avanti. Le strade da seguire, tante. Nell'ombra il mio viaggio va finché luce nel cielo sarà. Nebbia e ombra, oscurità, tutto svanirà. Tutto svanirà.


La voce di Pipino riecheggiava attraverso i muri di pietra della cittadella di Minas Tirith. Un canto di sollazzo per il vecchio Denethor , impegnato a mangiare ciò che la tavola imbandita gli offriva. Un canto di cordoglio per la gente della città, che aveva assistito alla sfilata dei pochi cavalieri valorosi che andavano incontro a morte certa. Un canto di morte per Faramir, che per compiacere un padre fuori di senno stava conducendo quei valorosi e se stesso verso una fine immeritata. Un canto di rassegnazione per Gandalf, le cui parole non erano riuscite a fermare il giovane capitano, nè a convincere Denethor della follia dei suoi gesti. Un canto di dolore per Elanor, affacciata nuovamente alla terrazza, gli occhi chiusi e le mani giunte intorno ad un ciondolo a lei molto caro. Non una lacrima solcava il suo viso, piangere non serviva a nulla, bisognava solo sperare.

La voce di Pipino svanì lentamente tra le cerchie di mura della città, dei cavalli al galoppo non si udì più nulla, tutta la pianura era pervasa da un lugubre silenzio.
Elanor si lasciò cadere a terra, la schiena contro il muretto della terrazza, le mani sempre strette intorno al monile. Il fruscio dei piccoli passi del mezz'uomo le fece aprire gli occhi. Pipino si arrestò a pochi metri da lei.
"Hai visto cosa vuol dire essere fedeli a Denethor, Peregrino Tuc?"
Lo hobbit abbassò il viso rigato dalle lacrime "Era mio dovere, mi sentivo in debito" rispose sommessamente.
"Lo so, giovane hobbit. Il tuo è stato un gesto onorevole, ma giurare fedeltà a un folle può voler dire essere mandati a morire"
La creatura non rispose, ma abbassò ulteriormente lo sguardo.
"Siedi qui con me, Pipino" disse Elanor, intenerita dal mezz'uomo "Voglio farti vedere che si può ancora sperare"
Subito Pipino si sorprese dell'invito, ma il sorriso sul volto dell'elfo lo rassicurò e lo convinse a muovere il primo passo verso di lei, quindi a sedersi al suo fianco. Com'era calda, Elanor. Non sembrava un elfo, qualcosa di umano vi era in lei, qualcosa che non la rendeva fredda ed irraggiungibile. Non era come dama Galadriel, nè come Arwen. La sua non era diafana bellezza, ma fascino terreno. Eppure le orecchie a punta erano chiaro simbolo della sua appartenenza alla razza degli elfi.
Lentamente, la fanciulla dischiuse le mani, lasciando vedere a Pipino il tesoro in esse contenuto. Un ciondolo a foma di foglia, di colore verde come i suoi occhi, come le foglie di Lothlorien, come le colline della Contea. Tutte immagini che al piccolo hobbit fecero inspiegabilmente rinascere speranza e voglia di vivere.
"Si può ancora sperare, Peregrino Tuc" parlò allora l'elfo, guardando anch'essa il ciondolo.
"In cosa sperate voi, mia signora?" domandò Pipino.
"Nel ritorno di un re, che possa occupare con onore il trono di Gondor e riportare la pace"
E nel ritorno di un principe...concluse tra sè la fanciulla, e i pensieri di lei vagarono verso lande lontane, posti mai visti. E il ciondolo si illuminò di una leggera luce verde.

Seimila uomini. L'esercito che Rohan avrebbe portato in soccorso a Gondor. Troppo pochi.
Legolas li osservava dall'altura dove il re e gli alti ufficiali avevano preso dimora per la notte. Il sole stava tramontando su Dunclivio, e degli uomini che si sarebbero dovuti aggiungere alle seimila lance accampate sotto i suoi occhi nemmeno l'ombra. Aragorn era stato chiaro "Abbiamo fino all'alba, poi dobbiamo andare"
Verso Minas Tirith pensò il giovane elfo, e i suoi occhi verdi presero a brillare. La mano destra si poggiò sul petto, all'altezza del cuore, dove la stoffa nascondeva un piccolo ciondolo a forma di foglia verde. Non manca molto si disse, ripensando a lei, ai suoi occhi, ai suoi capelli, al suo calore non elfico, ma tipico di chi, come lei, era anche umana. Tutto di lei l'aveva fatto palpitare.

Legolas Trandhuilion, principe del Bosco Atro. Tra le creature più belle che la Terra di Mezzo avesse mai visto. Una bellezza che molti desideravano ma a cui pochi potevano veramente aspirare. Tra le dame elfiche del suo popolo, Legolas non aveva trovato in nessuna colei che potesse prendere il suo cuore. Molte si erano presentate al suo cospetto, tutte di indescrivibile bellezza, ma nessuna era riuscita a prendersi il cuore del principe. A tutte mancava qualcosa di cui Legolas sentiva di aver bisogno. Un qualcosa che nemmeno lui sapeva identificare, ma che era certo fosse da qualche parte.
Poi un giorno la vide. Così diversa, così calda. Era giunta nella dimora reale per un'udienza col re, vestita del suo povero abito che caratterizzava la sua razza, i Mezzelfi, i capello castani raccolti in una disordinata treccia, l'insicurezza che si faceva largo nei suoi occhi di smeraldo. Eppure Legolas vide in quella piccola creatura per molti insignificante il tesoro più grande che potesse trovare. La fanciulla brillava di una luce calda, umana, una luce che forse solo lui vedeva, ma che la rendeva splendida ai suoi occhi.
Le prese la mano mentre vagava spaurita in attesa dell'udienza, la fece sobbalzare, provò un brivido. Anche la sua pelle era calda, rosea, accogliente. Lo guardò con occhi spaventati, tentò di ritrarsi, ma la presa di Legolas era forte e allo stesso tempo delicata. Come non poter restare abbagliate da tanta bellezza. Ma era una bellezza troppo lontana e irraggiungibile per lei. Eppure non riusciva a distogliere lo sguardo, si sentiva come ipnotizzata. L'elfo le sorrise e le guance di lei si colorarono tenuamente di rosa, un chiaro segno della sua parziale appartenenza alla razza umana. La fanciulla si portò le mani al viso per tentare di nascondere quel deplorevole colorito e fuggì via, il principe la inseguì e fu più veloce, le si parò davanti. Ancora quello sguardo, ancora quel rossore sulle guance, la giovane si coprì il viso con entrambe le mani, ma l'elfo le afferrò i polsi e la costrinse ad abbassarle.
"Perchè nascondere ciò che vi rende così bella e irresistibile ai miei occhi?" le disse dolcemente, per poi appoggiare le sue stesse mani sulle gote di lei e godere del calore che emanavano.
La fanciulla chiuse gli occhi,sussultò al tocco freddo dell'elfo, ma poi lo sentì lentamente scaldarsi sulla sua pelle.
"Come vi chiamate, mia dama?" domandò gentile Legolas.
"Elanor" rispose in un flebile sussurrò la fanciulla, ritornando ad osservare quello sguardo magnetico.
Poi l'arrivo delle guardie reali, era proibito ai Mezzelfi parlare coi reali senza un'udienza o un permesso. Elanor si scansò dal tocco gentile del principe e fuggì via, nel bosco.
"Elanor" ripetè Legolas tra sè e sè "Ti ho trovata"

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Capitolo 4
*** L'inizio della battaglia ***


L'inizio della battaglia


I soldati erano pronti, ogni cerchia di mura era protetta. Ma non avrebbero resistito. Gli orchi erano troppi. Senza contare i Nazgul.
Quanto resisteremo? Pensò Elanor tra sè e sè, mentre davanti a lei brillava alla flebile luce di una torcia un'arma unica nel suo genere. Una lancia a doppia lama forgiata dai fabbri di Elrond appositamente per lei e per la sua missione, che il signore di Granburrone le aveva consegnato il giorno stesso della sua partenza per tornare a Gondor, da cui era partita per inseguire Boromir. Lo stesso giorno in cui la Compagnia dell'Anello era partita per la sua missione.

"Per quando accadrà il peggio" le disse Elrond mentre le consegnava quella magnifica arma. Le lame leggermente ricurve sembravano ancora impregnate del fuoco delle fucine, il manico finemente lavorato era dotato di un'impugnatura su misura per la mano della fanciulla. Elanor si scansò dal signore di Granburrone per provarla. Ne saggiò il peso, e la trovò leggera e maneggevole. Ne studiò il perfetto equilibrio. Infine testò il filo delle lame su un ceppo lì vicino. Lo divise in due metà perfette. Elanor era estasiata da tanta potenza e magnificenza.
Elrond le si avvicinò e le porse un panno in cui la fanciulla avvolse con cura la lancia, prima di mettersela a tracolla.
Elrond parlò ancora. "La presenza di Boromir nella compagnia può essere di buono o di cattivo auspicio. Il futuro non è chiaro. Le sue gesta potrebbero portare alla salvezza o alla rovina di Gondor. E anche della Terra di Mezzo. Tu sei l'ultimo baluardo per il regno degli uomini, in attesa del re"
L'elfo annuì, conscia della grande responsabilità che le era stata affidata, una missione che fin dal primo giorno le era apparsa difficile da portare a termine con successo.
Montò a cavallo, pronta per tornare a Gondor, ma prima c'erano gli ultimi brevi saluti da fare. Salutò i quattro giovani hobbit, ancora poco consapevoli del pericolo cui stavano andando incontro; salutò Gimli il nano, che si fidava ancora poco degli elfi; salutò Boromir, che, come il fratello, l'aveva aiutata durante la sua permanenza a Gondor, e iniziò a temere per la sua vita, come se quello fosse più un addio che un arrivederci; salutò Aragorn, il Ramingo, il re di cui avrebbe tanto aspettato il ritorno; salutò Gandalf, che le ricordò ancora una volta la missione che lui stesso le aveva affidato. Infine il saluto più doloroso. Salutò Legolas, il suo principe, pronto anche lui per un viaggio da cui non sapeva se sarebbe tornato. Come per gli altri, non scese da cavallo nemmeno per salutare lui, perchè sarebbe stata una separazione ancora più dolorosa. Non si dissero nulla, ma si guardarono negli occhi come la prima volta, e come la prima volta Elanor arrossì leggermente, perchè non sapeva resistere a quello sguardo magnetico. Legolas si portò una mano sul petto, sul ciondolo che si erano scambiati prima della partenza di Elanor per Gondor, e la fanciulla fece altrettanto, abbozzando un malinconico sorriso. Quindi spronò il suo destriero e voltò le spalle al suo principe. E una lacrime le rigò il viso.

"
Aprite il cancello! Presto! Presto! In fretta!" urlò Iorlas dalla prima cinta di mura.
Elanor si riscosse, appoggiò la lancia contro il muro e corse fuori dalla sua stanza. Percorse rapidamente i corridoi del palazzo, fino alla sala del trono e poi fuori, nei giardini. Alcuni soldati stavano poggiando una barella ai piedi di Denethor. Sopra di essa Faramit giaceva esanime, con un colorito pallido che lo faceva sembrare morto. Ma il soffio della vita, seppur flebile, non si era ancora estinto in lui. Anche Pipino, accorso al capezzale del giovane capitano, se ne accorse, e tentò di dirlo al sovrintendente. Ma Denethor non ascoltava nessuno, farneticava sull'estinzione della sua famiglia, vagava come un folle per il giardino, lo sguardo rivolto ai campi del Pelennor, dove un esercito nero stava circondando la cittadella. Un orco gorgogliò un ordine ai suoi sottoposti, i quali fecero scattare le catapulte, lanciando dentro le mura lugubri proiettili: le teste dei compagni d'armi di Faramir. Esclamazioni di orrore e disgusto si alzarono dalle fila di soldati appostati dalle mura, e la rabbia iniziò ad imperversare nel cuore di Elanor, già pronta per la battaglia imminente.
Ma i folli ordini del sovrintendente furono altri.
"Abbandonate i vostri posti! Scappate! Mettetevi in salvo!"
Vecchio folle e vigliacco! Gridò nella sua mente l'elfo, prima che Gandalf lo mettesse a tacere e prendesse il comando.
Elanor raggiunse allora lo stregone, in attesa di ordini. Gandalf la guardò negli occhi e vi trovò determinazione.
"Prendi il comando dei soldati qui alla settima cerchia. Sei l'ultimo baluardo"
Elanor annuì e fece per andare a prendere cavalcatura e armi, quando Gandalf la trattenne.
"Proteggi Pipino e Faramir dalla follia di Denethor"
Gli occhi di lei andarono al sovrintendete, ancora steso a terra, poi allo hobbit, sempre al capezzale di Faramir.
"Farò del mio meglio" rispose risoluta.
"Come sempre" aggiunse il vecchio, prima di correre insieme a lei alle stalle per prendere Ombromanto.
Elanor invece montò su Uthièl e la spronò con forza giù per la scalinata e lungo l'ultima cerchia di mura, mentre chiamava a gran voce gli ufficiali e impartiva loro ordini.
La battaglia imperversava davanti al cancello, i troll spingevano ritmicamente le torri di legno brulicanti di orchi, la marea nera si stava abbattendo con forza su Minas Tirith e lei era pronta. Portò istintivamente la mano alla schiena, ma non trovò la lancia.
Dannazione!
Ripercorse le mura fino a che non trovò Iorlas e gli affidò momentaneamente il comando, quindi risalì la scalinata fino ai giardini, galoppò dentro il palazzo fino alla sua stanza, dove aveva lasciato l'arma, ma non la trovò. La paura la colse, senza quell'arma era perduta.
"TU! LURIDO MEZZELFO!" urlò una voce dietro le sue spalle.
Elanor si voltò e oncrociò lo sguardo stralunato di Denethor, il quale la stava minacciando con la sua stessa lancia.
"Sei stata la rovina della mia famiglia. I miei figli sono morti per colpa tua! Li hai circuiti coi tuoi subdoli discorsi, li hai messi contro di me! E ora sono morti!"
Denethor tentò un affondo, ma l'elfo lo evitò senza difficoltà.
"Tu e quello stregone ci avete portati sull'orlo del baratro! Moriremo tutti per causa vostra!"
Un altro affondo, e stavolta Elanor ne approfittò per afferrare la lancia e toglierla con estrema facilità dalle mani del sovrintendente, prima di assestargli un calcio nel petto e mandarlo schiena a terra.
"Se volete accusare qualcuno delle vostre disgrazie, accusate voi stesso! La vostra follia ha portato Boromir alla morte, avete mandato voi stesso Faramir a morire in una missione suicida. Siete voi la causa del vostro fallimento e morirete per questo, mentre io moritò per salvare Gondor"
Elanor spronò Uthièl e sorpassò Denethor. La battaglia l'attendeva.

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Capitolo 5
*** Verso la guerra ***


Verso la guerra


Fuori dal Dimholt regnava un'atmosfera surreale. Il cielo grigio e denso di nubi lasciava a stento passare qualche timido raggio di sole in lontananza. Il silenzio era tetro e lugubre, molto simile a quello della montagna. La via è chiusa. Fu creata da coloro che sono morti, e i morti la custodiscono. La via è chiusa. Così citavano i pitogrammi sopra l'entrata. Eppure ce l'avevano fatta e ora Gimli il nano, Aragorn e Legolas potevano respirare nuovamente aria fresca. La loro però era l'unica presenza in quella landa desolata. I morti non avevano risposto alla chiamata del re, avrebbero continuato a vivere da maledetti per l'eternità. Aragorn cadde a terra sconsolato, portandosi una mano al petto, sul monile ormai sempre meno luminoso. La speranza stava morendo insieme a lei, insieme alla Terra di Mezzo. La gentile mano di Legolas si appoggiò sulla spalla dell'uomo, mentre gli occhi dell'elfo presero a scrutare l'orizzonte.
La guerra imperversava a Minas Tirith, tutti coloro che potevano combattere avevano imbracciato le armi per difendere l'ultimo avamposto degli uomini contro Mordor. Centinaia di migliaia di orchi contro qualche migliaio di uomini, forse meno. Tra loro anche un elfo stava rischiando la vita per tenere alta la speranza. L'ultimo avamposto, l'ultimo baluardo. Forse non sarebbe giunto in tempo per vederla ancora viva, per vederla combattere come la prima volta.

Caras Galadhon era in fermento come non lo era mai stata. Dama Galadriel e Sire Celeborn avevano invitato per l'occasioni illustri ospiti da tutti i reami elfici della Terra di Mezzo. Elrond di Granburrone coi suoi figli, tra cui spiccava per grazia e bellezza Arwen Undomièl, Thranduil signore del Bosco Atro e il suo primogenito Legolas, il più impaziente, e Gandalf il Grigio, presenza inaspettata ma gradita. L'occasione era stata una speciale dimostrazione di due giovani guerrieri addestrati a Lothlorien, i migliori secondo Haldir, il loro comandante. A loro sarebbero stati affidati importanti compiti, in relazione alla pericolosa situazione in cui versava la Terra di Mezzo. Sauron stava risorgendo, Barad-dur era stata quasi interamente ricostruita, l'anello stava chiamando il suo signore. Le terre più in pericolo erano quelle degli uomini, confinanti con Mordor, dimora dell'Oscuro Signore, Gondor specialmente. Caduta Minas Tirith, la sua capitale, sarebbe caduta la Terra di Mezzo. Uno di quei due guerrieri sarebbe stato inviato in quella città, per proteggerne la caduta dall'interno, per mano di Denethor, il sovrintendente. L'altro sarebbe partito alla ricerca della creatura chiamata Gollum, colui che per più tempo aveva tenuto l'anello per se e ne era stato logorato.
Un elfo si fece largo tra gli ospiti, seduti in cerchio intorno all'arena dove si sarebbe svolto il combattimento, ed entrò in essa per annunciare gli sfidanti, che atterrarono elegantemente sul campo, vestiti di una semplice camicia smanicata e di un paio di pantaloni corti al ginocchio, nulla ai piedi, una maschera a coprire gli occhi. I capelli castani di uno erano intrecciati sulla nuca, quelli biondi dell'altro raccolti in una semplice coda. Unica regola del combattimento: non uccidere l'avversario.
Al segnale dell'elfo, i due sfidanti iniziarono a studiarsi, occhi negli occhi, poi il biondo prese l'iniziativa ed estratto un pugnale dalla cintura dei pantaloni attaccò l'avversario, che però fu lesto a parare anch'esso con un pugnale e a contrattaccare. I due diedero inizio ad uno spettacolo mai visto, la loro bravura era superiore a quella di qualsiasi altro guerriero vivente, si schivavano, paravano e attaccavano con ordine, armonia e forza allo stesso tempo. Tutti i presenti espressero la loro meraviglia nel vedere la bravura di entrambi, eccetto il principe Legolas e Haldir, i cui occhi erano solo per il combattente moro. Probabilmente nessuno se ne era accorto, ma quel guerriero combatteva in modo diverso dall'avversario. Il biondo era un freddo calcolatore, razionale e preciso, mentre il moro ci metteva sentimento, qualcosa che nel mondo elfico era poco conosciuto e che entrambi gli spettatori avevano imparato a conoscere in quel guerriero.
In breve, il biondo venne immobilizzato a terra dall'avversario, disarmato e col pugnale puntato alla gola. Il respiro di entrambi era affannoso, ma negli occhi c'era ancora voglia di combattere. L'elfo arbitro del combattimento lo dichiarò sconfitto, annunciando quindi la vittoria dello sfidante dai capelli castani, che subito venne portato al cospetti di Dama Galadriel e degli altri ospiti illustri. La signora di Lorien si alzò in piedi ed invitò il vincitore a togliersi la maschera. Eseguì l'ordine, seppur con riluttanza, scoprendo così il suo viso di donna e le sue fattezze di Mezzelfo. All'inizio lo stupore pervase gli spettatori, ma l'oggettiva bravura della fanciulla, elogiata anche dalla loro signora, mise a tacere qualsiasi maldicenza su di lei.
"Tuttavia ho ancora una curiosità da soddisfare" continuò Galadriel, guardando intensamente la ragazza "Cosa ha portato il fedele Haldir a trasgredire la regola e ad insegnare l'arte del combattimento ad un Mezzelfo?" lo sguardo della donna si posò sul suo ufficiale, che fu però anticipato da Legolas.
"E' stata una nostra richiesta speciale" spiegò il principe "Dopo aver visto la predisposizione di Elanor per il combattimento in un attacco di Orchetti, durante il quale ha prontamente salvato la vita a me e re Thranduir mio padre, ci siamo rivolti al generale Haldir affinchè la prendesse sotto la sua custodia"
"E Haldir ha sfruttato appieno le sue potenzialità, oserei dire" intervenne Gandalf, alzandosi dal suo seggio con l'aiuto del suo bastone "Da quanto ha messo in mostra sotto i nostri occhi, ha imparato molto bene a combattere, quasi avesse imparato segreti di cui nessuno era mai venuto a conoscenza"
Gli occhi di Elanor volarono subito al suo maestro, concentrato ad osservare ogni mossa e a sentire ogni parola dello stregone.
"Indubbiamente sei diventata l'allieva prediletta del tuo maestro, Elanor" continuò il vecchio.
"Io...ho solo cercato di mettere a frutto i suoi insegnamenti" cercò di giustificarsi.
"E lo hai fatto egregiamente, direi" continuò Gandalf "Più che egregiamente"
Elanor sembrava quasi spaventata dalle parole dello stregone e lentamente si stava allontanando dal suo interlocutore, quando una mano le si poggiò sulla schiena. Legolas, vedendo il suo smarrimento, era entrato nell'arena.
"Propongo che Elanor sia mandata a Gondor. Sebbene a lei spetti il compito di rintracciare Gollum, sono convinto che il suo essere Mezzelfo potrebbe andare a nostro vantaggio" parlò nuovamente Gandalf, ma un "NO" secco da parte di Haldir interruppe il suo discorso.
"Per quale motivo ti opponi a questa proposta, Haldir? Dopotutto, le verrebbe affidata la mansione meno pericolosa" domandò Celeborn, incuriosito dalla reazione del suo soldato.
Haldir non rispose subito, il suo sguardo viaggiò più volte da Elanor a Gandalf al suo re, prima che decidesse di dire qualcosa.
"Elanor è stata addestrata in maniera diversa, si è visto. Ha caratteristiche diverse di combattimento rispetto agli altri giovani elfi, la sua parte umana le conferisce caratteristiche peculiari che la rendono una guerriera unica nel suo genere. Si è dimostrata un'allieva speciale ma non solo per questo ho preso a cuore il suo destino. Sono infatti orgoglioso di essere anche il padre di questa fanciulla che avete davanti, un padre che l'ha destinata ad essere considerata inferiore per tutta la durata della sua vita, che l'ha abbandonata e rinnegata in quanto per metà di razza umana, ma che comunque l'ha sempre amata ed è stato fiero di vedere nascere in lei un guerriero quale adesso è. Mi oppongo alla proposta di Gandalf il Grigio con la semplice motivazione che, ora che ho ritrovato mia figlia, non la voglio perdere di nuovo"
Il silenzio calò tra gli elfi di Lorien, stupiti dalla rivelazione del loro ufficiale, la cui risolutezza però non vacillò mai di fronte a quel silenzio. Solo un singhiozzo riuscì a romperlo, un pianto umano proveniente da colei che in parte umana era e che per questo era stata misconosciuta da un padre che anni dopo le aveva fatto da mentore tenendo nascosta la sua identità.
Elanor corse via dall'arena ad una velocità considerevole, seguita a ruota dal principe Legolas. l'unico che l'avesse veramente apprezzata per quello che era.

Un ventata d'aria gelida, più fredda della sua glaciale pelle di elfo, gli sfiorò il collo e lo costrinse a voltarsi. La figura opaca del re dei Morti era lì, dietro di loro, in attesa.
"Aragorn..." chiamò semplicemente l'elfo, senza distogliere mai lo sguardo dalla possente armata del Dimholt. L'uomo si voltò anch'esso, per poi alzarsi velocemente davanti a ciò che vide. Si avvicinò persino Gimli, pur mantenendo salda la presa sull'ascia.
"Avete scelto" disse Aragorn, con la speranza che cresceva nel cuore.
"Non ancora. Devi assicurarci che manterrai il giuramento" biascicò il re dei Morti.
"Avete la mia parola di re. Qualsiasi sia l'esito della battaglia alle porte di Gondor, alla fine di essa voi sarete liberi"
"Molto bene, Aragorn figlio di Arathorn, il mio esercito è ai tuoi ordini"
L'uomo si inchinò in segno di gratitudine, imitato in parte da Gimli e da Legolas. Il cuore dell'elfo era nuovamente ricolmo di speranza, forse non era tutto perduto e si poteva arrivare in tempo per salvare Minas Tirith. I moli di Umbar attendevano i tre compagni e la loro armata. Lì avrebbero trovato le navi dei pirati pronti a partire per combattere contro gli uomini, le avrebbero prese e con esse sarebbero giunti a Gondor via fiume, per poi combattere lungo tutto il Pelennor fino alle mura della città. Il regno degli uomini avrebbe avuto ancora qualche giorno di vita, avrebbe retto come ultimo baluardo dei popoli ribellatisi al male, sarebbe stata il punto di partenza per l'esercito diretto verso l'ultima battaglia alle porte del Nero Cancello.

La battaglia imperversava, gli orchi si riversavano sulle mura come l'edera, inarrestabili e interminabili, aiutati dai Nazgul, seminatori di terrore dall'alto delle loro cavalcature nere. I soldati all'ultima cerchia, stanchi di assistere al massacro dei loro compagni, avevano insistito per andare a combattere al loro fianco ed Elanor aveva accettato, lasciando ai loro posti solo i soldati più giovani. Ora anche lei combatteva, lancia in mano e capelli al vento, si abbatteva sugli avversari come una furia, urlando la sua rabbia al cielo nero. La notte stava calando sul Pelennor, di Rohan nessun segno. Le mura resistevano, ma il cancello sarebbe presto crollato sotto i colpi dell'ariete, Grond.
Gandalf ordinò la ritirata dentro la seconda cerchia, lasciando agli orchetti la possibilità di dilagare all'interno della prima. Le porte delle mura si chiusero dietro le spalle di Elanor, rimasta in fondo per proteggere la fuga ai soldati.
"Quanto resisteremo?" domandò la fanciulla mentre riprendeva fiato.
"Non lo so, forse è meglio non pensarci. Disponi le truppe lungo la cerchia, noi continueremo comunque a contrastarli"
Elanor stava per impartire gli ordini quando la voce di Pipino giunse alle fini orecchie di entrambi.
"Gandalf! Denethor è uscito di senno! Sta bruciando vivo Faramir!"
L'elfo e lo stregone si guardarono allarmati.
"Precedici al mausoleo dei re e dei sovrintendenti, io impartisco gli ordini e vi raggiungo" ordinò Gandalf, facendo salire Pipino in groppa a Ombromanto e iniziando a percorrere il perimetro delle mura.
Elanor non se lo fece ripetere e, montata su Uthièl, prese la strada verso il palazzo.

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