Il Grimm e la Cacciatrice

di Avah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***
Capitolo 7: *** 7. ***
Capitolo 8: *** 8. ***
Capitolo 9: *** 9. ***
Capitolo 10: *** 10. ***
Capitolo 11: *** 11. ***
Capitolo 12: *** 12. ***
Capitolo 13: *** 13. ***
Capitolo 14: *** 14. ***



Capitolo 1
*** 1. ***



«C’era una volta un uomo che viveva una vita così assurda che doveva essere vera. Era l’unico a vedere cose che nessun’altro vedeva: l’oscurità interiore, il mostro dentro di noi. Ed è l’unico a doverli fermare. Questa è la sua vocazione, questo è il suo dovere. Questa è la vita di un Grimm.»
 
L’uomo correva a più non posso nella notte buia, ormai senza più forze. Ciononostante, continuava ad andare avanti, consapevole del fatto che, se si fosse fermato, non avrebbe più visto la luce del giorno. Sentiva quella presenza dietro di sé, sempre più vicina, e ogni secondo sembrava guadagnare terreno.
Ormai non ce la faceva più, il fiato corto lo stava stroncando; ancora qualche passo e sarebbe crollato a terra, facile preda di quell’essere che gli stava alle calcagna. Ancora un centinaio di metri neanche e l’uomo cadde, stremato per lo sforzo. Fece appena in tempo a voltarsi che vide la linea tracciata nel cemento arrivare a lui, poi una vampata accecante lo investì completamente.
 
Il mattino seguente, Nick e Hank arrivarono subito sulla scena del crimine, chiamati dal sergente Wu. Il corpo carbonizzato si trovava nel bel mezzo di un parcheggio a ridosso del molo, completamente deserto; la zona era già stata delimitata con il nastro giallo ed era ben sorvegliata da agenti in uniforme.
-Si sa chi è?- chiese Hank, avvicinandosi.
-Ancora no- rispose il sergente -Niente documenti e, anche se ci fossero, probabilmente sarebbero bruciati con lui- concluse, osservando attentamente il corpo con le braccia portate davanti al volto in un gesto disperato di salvezza.
-Ehi, avete notato questa traccia?- disse Nick, inginocchiandosi di fianco alla spaccatura nel cemento -Cosa può averla causata?-.
-Un accelerante combustibile?- azzardò Wu.
-No, non credo- riprese Hank, controllando il terreno -Nessun combustibile sarebbe in grado di provocare una cosa del genere-.
-Beh, direi che questo è compito della Scientifica- disse Nick, tirandosi su -Dì loro che cerchino di capire di chi si tratta e cosa può fare una spaccatura simile-.
-Agli ordini- il sergente scattò sull’attenti, poi si diresse verso altri agenti in uniforme.
Nick e Hank si guardarono intorno per studiare meglio la situazione; a parte il cadavere carbonizzato e quella fenditura nel cemento non sembrava esserci niente di strano. I due agenti continuarono la loro perlustrazione, fino a posare lo sguardo sull’agente in uniforme che stava interrogando una donna, probabilmente colei che aveva fatto la macabra scoperta.
Nick concentrò la sua attenzione su di lei, cercando qualche segno di cambiamento; in effetti, poco dopo, vide il suo volto trasformarsi. Non ci volle molto per riconoscere il tipo di essere che vedeva: il viso era ricoperto da corti peli castani, il naso era diventato un piccolo tartufo nero da cui spuntavano lunghi baffi bianchi e i due incisivi anteriori erano sporgenti. Non c’erano dubbi: era un’Eisbiber, terrorizzata e innocua.
-Vedi qualcosa?- chiese Hank, notando lo sguardo del collega.
Nick annuì -E’ un’Eisbiber, ma non credo che sia lei la colpevole-.
-Ne sei sicuro?-.
-Ne ho già incontrati in passato, un intero branco- spiegò l’agente -Sono pacifici e sembra che abbiano paura della loro stessa ombra. Non sono in grado di commettere un omicidio-.
-Beh, andiamo comunque a sentire cos’ha da dirci- Hank si diresse a passo deciso verso la donna tremante.
Non appena i due detective si avvicinarono, l’agente in uniforme si allontanò, lasciando la testimone ai due.
-Signora, siamo i detective Griffin e Burkhardt- si presentò Hank, mostrando il distintivo -Lei è…?-.
-Ehm, mi chiamo Amanda Johnson- rispose lei con stringendosi nella coperta che le avevano dato due paramedici.
-Cosa ci faceva qui così presto?- intervenne Nick.
-Abito qui vicino, stavo andando al lavoro-.
-Dove?-.
-Qui al porto, sono impiegata in un’azienda di carico scarico al molo- la sua paura si fece più palpabile e Nick vide ancora una volta il suo cambiamento -Dico la verità, potete controllare-.
-Le crediamo, signora Johnson- la tranquillizzò Nick e, detto questo, si allontanò prima che la donna potesse scoprire il suo segreto.
-Allora, che si fa adesso?- chiese Hank, andando verso la macchina.
-Torniamo in centrale e aspettiamo che il sergente Wu ci faccia sapere qualcosa-.

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Capitolo 2
*** 2. ***


-Nick, Hank, venite nel mio ufficio- disse il capitano Renard quando vide i due agenti fare il loro ingresso alla centrale.
I due colleghi si scambiarono un’occhiata veloce e, lasciate le giacche sulle loro sedie alle loro scrivanie, seguirono il capo fino al suo ufficio, separato dal resto dell’open space occupato dagli agenti della polizia di Portland.
-Signori, vi presento l’agente Ellen Ward, dell’FBI- spiegò Renard -Ci affiancherà nelle indagini sull’omicidio di questa mattina-.
I due uomini posarono lo sguardo sulla donna seduta alla scrivania del capitano che, prontamente, si voltò e si alzò per salutarli. Era piuttosto alta, con una corporatura slanciata, dalla pelle chiara; i lunghi capelli biondi le ricadevano morbidamente sulle spalle e un grosso ciuffo le copriva in parte i grandi occhi verdi. Indossava la tipica uniforme delle donne federali: un semplice tailleur con camicetta bianca e giacca e pantaloni neri.
-Piacere di fare la vostra conoscenza, agenti- disse la donna, tenendo una mano dalle dita affusolate -Ma non credo di aver capito i vostri nomi-.
-Oh, siamo i detective Nick Burkhardt e Hank Griffin- disse Nick per entrambi.
-Bene, agenti. Da questo momento collaboreremo- riprese Ellen, stringendo la mano ai due uomini -Sapete qualcosa?-.
In quel momento, come per rispondere alla domanda della donna, il sergente Wu fece il suo ingresso nell’ufficio del capitano, reggendo un fascicolo in mano.
-La Scientifica ci ha appena mandato i risultati delle analisi sul corpo- disse -L’uomo si chiamava Juan Gonzales, un immigrato spagnolo. L’abbiamo trovato con le impronte dentali-.
-Cos’hai scoperto su di lui?- chiese Renard.
-Non c’è molto. Si è trasferito qui da Barcellona un paio di mesi fa. Nessun precedente penale, nemmeno una multa per divieto di sosta- a un cenno del capitano, Wu passò il fascicolo all’uomo, che poi lo diede all’agente federale.
-Non le dice niente questo nome, agente Ward?- chiese Nick.
-No- rispose lei, leggendo le due pagine scarse del fascicolo -Ma sono sicura che faccia parte delle vittime del seriale che sto cercando-.
-Cosa glielo fa pensare?- intervenne Hank.
-Beh, a parte il modo di uccidere particolarmente cruento, questo… uomo sceglie sempre persone straniere. Sembra che voglia fare una sorta di pulizia etnica, diciamo così-.
-Quante altre vittime ci sono state?- chiese Renard.
Ellen ci pensò un attimo su -In tutto cinque, in tre stati diversi: Washington, Nebraska e Oregon- disse infine -Il caso mi è stato affidato solo quando abbiamo recuperato la terza vittima. Prima se ne occupava un collega-.
-E non avete mai scoperto nulla?- riprese Nick.
L’agente alzò le spalle -Abbiamo solo stilato un profilo psicologico e trovate le affinità tra le vittime, ma questo tizio è furbo. Non ha lasciato niente dietro di sé, a parte quella strana spaccatura nel terreno-.
-Non siete riusciti a identificare come riesce a farlo?- disse Hank.
La donna scosse la testa.
-Bene, allora questo è tutto. Nick, Hank, tenete al corrente l’agente Ward- concluse Renard, alzandosi in piedi.
-Certo- risposero i due poi, a un cenno del capo, uscirono tutti dall’ufficio, ognuno sotto lo sguardo indagatore del capitano.
Nick e Hank raggiunsero subito le loro scrivanie e si misero all’opera, mentre l’agente Ward prendeva una copia del fascicolo dell’omicidio di Portland; aveva il sospetto che se non si fosse mossa presto ci sarebbe stato un altro cadavere su cui indagare.
-Vi ringrazio per la collaborazione- disse Ellen, andando verso i due colleghi -Questo è il mio numero, in caso aveste delle novità- porse loro un cartoncino bianco.
-Lo faremo senz’altro- rispose Nick, mentre la donna si allontanava.
 
La donna fece ritorno nella sua stanza al motel in periferia. Buttò le sue cose sul letto poi andò in bagno a sciacquarsi il viso; guardandosi allo specchio fece scivolare un dito in mezzo alla ciocca azzurra che le ricadeva sull’occhio destro. Ricordava ancora quando l’aveva fatto, quando il suo mentore le aveva detto che doveva trovare un segno distintivo per districarsi in quel mondo così strano. E ora eccola lì, con quel ciuffo colorato che contrastava con la folta chioma rossa che le arrivava alle spalle.
Tornò in camera, sistemò le sue cose e poi tirò fuori dallo zaino una grossa cartellina piena di stampe, fotografie, rapporti di polizia rubati e ritagli di giornali. C’era qualcosa dietro quell’orrore, ma lei non riusciva ancora a capire di cosa si trattasse. Non che si sarebbe arresa, comunque.
“Tanto ti prendo, prima o poi” pensò, prendendo fuori il portatile e iniziando le sue solite ricerche. “I tuoi giorni sono contati, bastardo”.

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Capitolo 3
*** 3. ***


-Signori, ecco le copie dei rapporti dell’FBI- disse il sergente Wu, reggendo cinque cartelline gialle che posò in mezzo alle due scrivanie dei due detective.
-Finalmente- Nick allungò una mano e prese il primo fascicolo in cima alla pila -Hai già fatto qualche controllo?-.
-Ho lasciato il piacere a voi, ragazzi- rispose lui, tornando a sedersi alla sua scrivania dall’altra parte dell’ufficio.
Nick e Hank lo seguirono con lo sguardo, poi tornarono ad occuparsi delle pagine davanti a loro; scorsero ogni singola parola di ogni foglio, dal referto autoptico del medico legale dell’FBI fino al profilo delle vittime stilato dagli esperti che avevano raccolte le testimonianze di parenti e amici.
-Qui dentro non c’è niente- fece Hank a un certo punto, lasciando cadere il fascicolo -A parte paroloni insulsi che solo uno strizzacervelli potrebbe capire-.
-Nemmeno qui- anche Nick ripose i referti -Più cose sappiamo e meno certezze abbiamo-.
-Secondo te è stato un Wesen?- chiese Hank, abbassando la voce e sporgendosi verso il collega.
L’altro scrollò le spalle -Forse, ma non ho mai visto niente di simile- fece una pausa -Dovrei dare una controllata nei libri alla roulotte-.
-Vuoi che ti accompagni?-.
-Sì, così faremo più in fretta- Nick si alzò dalla sedia, si infilò la giacca e prese il telefono in mano per far partire una chiamata, ma poi si fermò.
Notando quel comportamento, Hank non poté trattenersi -Juliette non si ricorda ancora di te?-.
Il detective scosse la testa -No. E con Rosalee fuori città non so dove sbattere la testa. Solo lei sa cosa potrebbe aiutarla a ricordare-.
L’amico gli posò una mano sulla spalla -Vedrai che tutto si sistemerà. Eravate e siete ancora una coppia, sono certo che prima o poi ricorderà quanto vi siete amati-.
Nick si lasciò scappare un sorrisetto -Grazie Hank. Ora andiamo a controllare di nuovo quella spaccatura, poi ci dirigiamo verso la roulotte-.
 
La volante nera frenò a un centinaio di metri dal nastro giallo che stava ancora delimitando la scena del crimine al porto. Si vedevano ancora i segni di gesso lasciati dai tecnici della Scientifica là dove avevano fatto i rilievi, mentre al posto del cadavere carbonizzato c’era solo la sua sagoma bianca disegnata a terra.
Hank e Nick scesero e, con calma, avanzarono verso la spaccatura nel terreno ancora ben visibile nel cemento del molo; lì vicino c’erano ancora tracce di gesso e alcuni cartellini gialli con numeri neri, ma niente di più. Chiunque (o qualunque cosa) l’avesse provocata, era stato ben attento a non lasciare alcun segno che potesse aiutare gli agenti nelle indagini.
Con passo lento, i due detective si avvicinarono, guardandosi intorno; mentre avanzano, Nick vide una figura femminile all’interno dell’area delimitata dal nastro giallo. Vista da lontano sembrava non avere più di trent’anni, aveva lunghi capelli rossi e vestiva in modo piuttosto semplice e sportivo: un top rosso con i bordi bianchi, un paio di shorts e leggings neri che coprivano le lunghe gambe e ai piedi calzava scarpe da ginnastica azzurre. Nel momento in cui si inginocchiò, dando loro le spalle, riuscirono a intravedere un tatuaggio appena al di sopra della linea dei jeans, ma da quella distanza era difficile capire cosa raffigurasse; un altro, più grande, era sul suo braccio destro.
-Ehi!- gridò Hank non appena si accorse della sua presenza -Che sta facendo?-.
La ragazza scattò subito in piedi, voltandosi verso la voce che aveva udito; lanciò un’occhiata ai due agenti che le stavano andando incontro a grandi passi, poi iniziò a correre, senza voltarsi indietro.
A Nick e Hank non rimase altro che inseguirla, anche se la ragazza aveva già un bel vantaggio e sembrava ben allenata alla corsa; nel giro di pochi secondi era riuscita ad allungare la distanza tra lei e i detective.
-Dividiamoci!- esclamò Nick, separandosi dal collega ed estraendo la pistola.
Si erano addentrati in un labirinto di container dietro ognuno dei quali si poteva nascondere un pericolo; Nick avanzava lentamente, il braccio armato teso davanti a sé, non sapendo a cosa stava andando incontro. Mentre stava per girare l’angolo, la ragazza gli sfrecciò davanti, cogliendolo di sorpresa; il tempo di riprendersi e lei era già sparita di nuovo all’interno del dedalo di metallo. Poco dopo arrivò anche Hank, con il fiatone e la pistola in mano.
-L’hai vista?- chiese lui, raggiungendolo.
-E’ andata da quella parte- rispose Nick, riprendendo a correre nella direzione della ragazza -Non può essere molto lontana!-.
Seguendo l’istinto e una certa logica, i due arrivarono sulla banchina del molo, deserta. Si guardarono intorno, ma di lei non c’era nessuna traccia, ed era praticamente impossibile che si fosse buttata in acqua senza che loro sentissero il tonfo. I due agenti si scambiarono uno sguardo; non rimaneva che fare un identikit e sperare di riuscire a trovarla.
 
La donna aveva chiuso il portatile di scatto, esausta; aveva passato al setaccio ogni sito internet che aveva trovato, consultato i suoi appunti, aveva persino fatto alcune chiamate, senza successo. Qualunque cosa ci fosse a Portland, non risultava tra le sue conoscenze, e ciò era un punto a suo svantaggio.
Si passò le mani sul volto stanco; doveva assolutamente vedere coi suoi occhi quello che la creatura aveva fatto. Senza pensarci su due volte, si alzò e uscì dalla stanza, poi si incamminò verso il molo. Quando arrivò, iniziò a ispezionare la spaccatura nel cemento, misurando la profondità con le dita. All’interno della fenditura sembrava che fosse tutto sciolto, e il cemento era diventato nero lungo i bordi. C’era solo una spiegazione per quello: qualunque cosa fosse stata, era dotata di poteri che le permettevano di controllare il calore.
Mentre stava esaminando la traccia, non si accorse dell’auto che era arrivata alle sue spalle e dei due uomini che le andavano incontro; se ne rese conto solo quando sentì la voce diretta a lei. Scattò immediatamente, vedendo i volti dei due agenti che le andavano incontro. Nel giro di pochi secondi stava già correndo via, diretta verso il labirinto di container in cui poteva facilmente nascondersi.
Quando pensò di aver messo abbastanza terreno tra lei e i suoi inseguitori si fermò, con il respiro corto; rimase in attesa con la schiena incollata alla parete di metallo, ascoltando ogni singolo rumore. Infine, udì dei passi che si avvicinavano; quando ormai stava per essere scoperta, scappò di nuovo, sparendo alla vista dei due. Agilmente, s issò sulla cima di un container e si appiattì sulla superficie, sperando di non essere vista, anche se lei riusciva a vedere i suoi inseguitori.
Rimase nascosta finché i due non se ne andarono, poi si lasciò scivolare a terra, sospirando. Doveva fare più attenzione, o non avrebbe visto l’alba del nuovo giorno.

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Capitolo 4
*** 4. ***


Nick e Hank avevano rinunciato; avevano cercato la ragazza con i capelli rossi per tutto il molo, ma di lei non c’era più alcuna traccia. Ovviamente era riuscita a scappare; non era difficile scomparire in quel labirinto dalle pareti di metallo.
Alla fine, non senza delusione, fecero ritorno alla macchina e tornarono indietro, verso il parcheggio abbandonato dove giaceva la roulotte, come sempre chiusa a chiave per evitare intrusioni di sconosciuti. Hank si fermò a pochi metri di distanza e scese, subito imitato dal collega che tirò fuori una chiave e aprì la porta della roulotte.
Come la prima volta che aveva messo piede lì dentro, Hank si guardò intorno con un’aria a metà tra l’ammirato e il terrorizzato. Nick si diresse con passo sicuro verso il tavolo su cui giacevano gli enormi libri antichi di proprietà della sua famiglia da generazioni; con un cenno invitò il collega a sedersi e insieme iniziarono a sfogliarli, guardando attentamente le figure fatte a mano decine di anni prima.
-Che stiamo cercando esattamente?- chiese Hank a un certo punto, rompendo il silenzio.
-Qualunque cosa che sia in grado di provocare danni del genere e che sappia controllare il fuoco- rispose il Grimm, senza staccare gli occhi dalla pagina davanti a lui.
Non passò nemmeno un minuto che Hank riprese a parlare, girando il libro verso di lui -Potrebbe essere questo?-.
Nick posò lo sguardo sull’immagine a carboncino che risaltava sulla carta ingiallita: ritraeva una creatura che poteva essere associata a un drago. Aveva la pelle squamata come quella di un rettile, lunghe corna sulla testa, un naso aquilino e dalla bocca spalancata usciva una lingua biforcuta che nascondeva in parte i piccoli denti aguzzi.
-No, non è un Daemonfeuer- disse Nick, scuotendo la testa -Ne ho già incontrato uno, e non fa questo tipo di cose. Però potrebbe essere qualcosa di simile-.
Non fecero nemmeno in tempo a rimettersi sui libri che il cellulare di Hank vibrò nella tasca della giacca; lo tirò fuori e rispose -Griffin-.
Seguì una breve conversazione con il sergente Wu dall’altra parte, dopodiché riattaccò.
-Che succede?- chiese Nick, che aveva guardato il collega per tutto il tempo della chiamata.
-Abbiamo un altro cadavere- rispose lui, alzandosi -Credo sia un regalo del nostro amico-.
-Andiamo a vedere- anche il Grimm si alzò e uscì dalla roulotte -Torneremo più tardi, magari stavolta ha lasciato qualcosa dietro di sé-.
-Chiamo la Ward, vorrà sapere gli ultimi sviluppi-.
 
La ragazza era riuscita, dopo un’attesa interminabile, a tornare nella sua stanza al motel. Il sopralluogo sulla scena del crimine non aveva rivelato dettagli utili per risalire alla specie di quella creatura, ma non si era persa d’animo. Sapeva che prima o poi l’avrebbe catturato, era una sua capacità innata.
“Dono o dannazione, sta a te decidere come considerare questo sesto senso”. La voce del suo mentore le rimbombò nella mente mentre si sciacquava il viso. Erano state tra le ultime parole che il vecchio le disse prima di passar a miglior vita, sempre che ce ne fosse davvero una. Ricordava benissimo il volto di quell’uomo che per lei era stato come un padre, che l’aveva accolta nella sua misera dimora quando era solo una bambina, che le aveva insegnato tutto ciò che sapeva riguardo alla caccia. Molto presto era diventata più abile di quanto il vecchio si aspettasse, e ogni volta che la vedeva tornare era una gioia.
Scacciò quei pensieri dalla mente; non poteva abbandonarsi ai ricordi, non mentre era immersa nell’ennesimo caso. Era una delle sue regole: non farti distrarre, o sarà l’ultima volta che aprirai gli occhi. Le era già capitato, le prime volte che andava a caccia, di perdere la concentrazione, e se non fosse stato per quell’uomo a cui era così legata probabilmente non sarebbe mai arrivata a oggi.
Mentre usciva dal bagno con qualche goccia che ancora scivolava sul volto bagnato, il suo cellulare squillò sul letto. Lo prese in mano e lesse il numero che lampeggiava sul display; schiarendosi la voce, rispose.
 
Nick e Hank arrivarono a Willamette Park venti minuti più tardi; lasciarono l’auto in Macadam Avenue e si inoltrarono a piedi lungo il vialetto sterrato che si addentrava nel parco sulla riva dell’omonimo fiume.
Il corpo si trovava all’interno di un’area piuttosto boscosa, che lo proteggeva agli occhi dei passanti sul sentiero che si snodava di lì a un centinaio di metri, ma abbastanza vicino alla riva da poter sentire lo sciacquio delle piccole onde che si infrangevano sulle rocce poco più in là. Quando arrivarono, c’era già una buona squadra di poliziotti che stava mettendo al setaccio la zona, oltre a un piccolo gruppetto di vigili del fuoco che stava finendo di caricare le attrezzature sui loro camion. Superato il nastro giallo, il sergente Wu andò loro incontro.
-Non sembra anche a voi un deja vu?- disse, scortandoli fino al punto in cui giaceva il cadavere carbonizzato.
A differenza del precedente, questo era disteso carponi, ma con il volto rivolto leggermente verso destra, come se fosse inciampato e si fosse guardato indietro per vedere la morte scagliarsi contro. Teneva le mani chiuse a pugno, come se volesse conservare qualcosa di prezioso.
-Avete notato come sono le mani?- disse Hank, che fu il primo ad accorgersene.
-Sembrerebbe che stringa qualcosa fra le dita- rispose Nick, inginocchiandosi, e rimanendo sovrappensiero per un momento.
-Già, ma sarà impossibile recuperarlo senza rompergli qualche dita- commentò Wu, con voce appena cinica.
-A cosa stai pensando di Nick?- lo richiamò Hank.
-Forse possiamo risalire alle impronte- rispose, alzando lo sguardo verso i colleghi -Forse la pelle non è stata bruciata dalle fiamme-.
-Chiamerò la Harper per avvisarla della vostra ipotesi- concluse il sergente, allontanandosi.
Mentre l’uomo faceva ritorno alla volante, si fece largo tra la folla l’agente Ward, appena arrivata. Aveva i capelli scomposti rispetto a qualche ora prima, e si era cambiata il tailleur nero con uno sui toni del grigio. Immediatamente si avvicinò ai due per essere ragguagliata circa il nuovo corpo.
-Questo non me l’aspettavo- disse, guardando il corpo -Almeno non così presto-.
-Sa dirci qualcosa di più? Ha chiamato a Washington?- chiese Nick.
-Sì, ma non c’era niente da aggiungere a quello che avete letto nei fascicoli- fece una pausa -Voi che mi potete dire?-.
-Sconosciuto, stessa modalità dell’omicidio di questa mattina- le rispose Hank.
Fece vagare lo sguardo intorno al cadavere, fino a trovare ciò che cercava -E c’è anche la stessa spaccatura nel terreno-.
-Sì, stavamo per esaminarla-.
La donna fece un cenno di assenso, poi seguì la fenditura, assorta nei suoi pensieri; un centinaio di metri più in là, si inginocchiò, notando una traccia strana rispetto al contesto.
Senza che lei se ne accorgesse, Nick e Hank la seguirono; nel momento in cui si accucciò a terra, il tessuto della giacca si alzò, rivelando il disegno di un tatuaggio. I due si scambiarono uno sguardo, sapendo già cosa fare. Cautamente le si avvicinarono, disponendosi uno di fronte e uno dietro di lei.
-E’ sicura di non aver niente da dirci, agente Ward?- iniziò Nick.
Lei sobbalzò, sorpresa, e alzò lo sguardo verso l’uomo dinnanzi a lei -Non capisco a cosa si riferisce, detective-.
Hank, rimasto dietro, si accorse di una piccola ciocca di capelli rossi sotto alla massa bionda; istintivamente, allungò una mano e le strappò di dosso la parrucca, facendo scivolare fuori un’acconciatura fulva e una ciocca azzurra che le ricadde sull’occhio destro.
-Mi riferisco a questo, Ellen. Sempre che questo sia il suo vero nome-.
Lei sospirò, amareggiata dal fatto di essere stata scoperta -Mi chiamo Amber Moore e sono una cacciatrice-.

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Capitolo 5
*** 5. ***


-Una… cacciatrice?- esclamarono entrambi, quasi all’unisono.
Lei si rialzò in piedi e sospirò -E’ una cosa complicata, non potreste capire- fece per andarsene, ma Hank la afferrò per un braccio, costringendola a rimanere dov’era.
-Sarà meglio che inizi a spiegare, invece-.
-Mi prendereste per pazza- sbuffò, liberandosi dalla presa.
I due detective si scambiarono uno sguardo eloquente; cosa poteva esserci di più pazzesco rispetto a quello che poteva vedere Nick?
-Non lo faremo, te lo prometto- asserì lui, con sguardo serio.
Amber gli lanciò una lunga occhiata, non sapendo se fidarsi o meno; alla fine decise di vuotare il sacco, dal momento che non aveva nulla da perdere -Non sono una cacciatrice come potreste pensare voi. Caccio… cose diverse, non umane. Fantasmi, demoni, vampiri… Cose del genere-.
-Anche tu sei una Grimm?- chiese Hank, sconcertato da quella rivelazione -Puoi vedere i Wesen?-.
-Cosa?- ribatté l’altra, non capendo a cosa si stesse riferendo -E poi, perché “anche tu”?-.
Nick alzò uno sguardo penetrante sul collega, poi capì che non poteva più nascondersi -Io sono un Grimm- rivelò.
-E che diamine significa?-.
-E’ una specie di cacciatore, immagino- rispose lui, inarcando un sopracciglio -Posso vedere il mostro dentro le persone, ed è mio dovere cacciarle. Sai, Blutbaden, Daemonfeuer, Hexenbiest…-.
Amber lo guardò malissimo; e lei che credeva di essere pazza! Invece era più che evidente che quel Nick aveva qualche rotella fuori posto; chi altri darebbe dei nomi del genere ai mostri che lei quotidianamente cacciava?
-Tu hai sbattuto la testa da qualche parte, vero?- domandò, aggrottando la fronte.
Stavolta fu il detective a guardarla male -Perché scusa?-.
-Chi mai darebbe dei nomi tanto strani a esseri il cui istinto è quello di uccidere? Tanto vale classificarli tutti come mostri, come farebbe la gente normale-.
-Ma non tutti uccidono- obiettò Nick -Per esempio gli Eisbiber o i Reinigen…-.
L’altra sbuffò -Tutti prima o poi uccidono. Sono tutti della stessa risma, non puoi decidere chi lasciare in vita e chi no. Sono esseri diversi, e come tali vanno eliminati-.
-Sei davvero sadica- mormorò Hank, convinto di non farsi sentire, ma non fu così.
Amber alzò le spalle -Che ci vuoi fare. Sono fatta così- detto questo, si voltò di nuovo e, strappata di mano a Hank la parrucca e se la rimise, allontanandosi.
I due guardarono la donna che se ne andava senza dire una parola, solo scambiandosi uno sguardo di tanto in tanto; chi l’avrebbe mai detto che sotto quelle sembianze così eleganti si nascondeva una terribile macchina da distruzione? Nick non aveva guardato in profondità in lei, ma aveva avuto la curiosa sensazione che non avesse detto loro tutto e che taceva un terribile segreto.
-Che ne pensi?- la voce del collega lo fece riprendere dalle sue meditazioni.
-Non ne sono sicuro- rispose lui, avviandosi per tornare alla centrale -Ma se è davvero quello che dice, potrebbe darci una mano con questa cosa-.
 
Amber era tornata nella sua stanza del motel dopo essere stata sulla riva del fiume. Si cambiò velocemente quegli abiti così eleganti con la sua solita divisa da caccia: top corto e shorts di jeans. Guardò il proprio riflesso nello specchio, osservandosi attentamente: era la prima volta che qualcuno la smascherava. Di solito era lei che rivelava la propria identità, com’era successo in passato quando aveva conosciuto altri cacciatori; quella volta invece la situazione si era capovolta. Forse quel Nick diceva davvero la verità, forse riusciva davvero ad intuire la vera natura di una persona. Rabbrividì, pensando a cosa avrebbe potuto scoprire su di lei.
Con un sospiro, tornò al suo tavolo di lavoro e osservò i fogli sparpagliati sopra. Era vicino, ne era sicura; laggiù, nel parchetto vicino al fiume, ne aveva captato l’odore, ma non si era arrischiata a seguirla per paura che quei due potessero farle domande sconvenienti.
Ripensò al detective e al suo dono; era come lei, dotato di un sesto senso come era capitato a lei. Forse era tempo che unisse le forze con qualcuno che poteva capire bene cosa voleva dire vivere con un fardello del genere.

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Capitolo 6
*** 6. ***


-Prima o poi dovrete trovarvi un altro galoppino a cui affidare tutti questi compiti da novellino!- disse il sergente Wu andando verso le scrivanie di Nick e Hank reggendo in mano l’ennesimo fascicolo giallognolo.
-Ma tu sei insostituibile, Wu!- gli rispose Hank, con un sorriso.
-Mi sembra il minimo!- ribatté l’altro, inarcando un sopracciglio -Comunque, sono arrivati i risultati dell’autopsia dalla Harper. Stesso modus operandi dello spagnolo-.
-Sappiamo il nome della vittima?- chiese Nick, leggendo il rapporto.
-E’ per questo che sono insostituibile!- rise il sergente, con una punta di orgoglio nella voce -Si chiamava Matias Koskinen, di origine finlandese. L’abbiamo identificato grazie a una ricostruzione digitale comparata con le foto delle persone arrivate a Portland negli ultimi giorni-.
-Era un turista?- domandò Hank, confuso.
-Sembrerebbe di sì, a meno che l’assassino non sia fuggito con la sua ventiquattrore- il sergente alzò le spalle, poi li lasciò al loro lavoro -E’ tutto per voi!-.
I due detective iniziarono a scavare nella vita dell’ennesima vittima, senza però trovare nulla, dal momento che sembrava non risiedere a Portland.
Ben presto Nick non riuscì più a concentrarsi e continuava a fissare il monitor davanti a sé senza vederlo; stava ancora ripensando a quella ragazza, Amber. C’era qualcosa che l’aveva colpito; non sapeva nemmeno lui cosa fosse, però aveva intuito che c’era qualcosa di più. Non era normale, sembrava emanare un’energia diversa; che fosse anche lei una Grimm senza che lo sapesse? D’altronde anche lui all’inizio vedeva certe cose senza sapere quale significato avessero.
-Ehi Nick, tutto ok?- la voce del collega lo riportò alla realtà -Stai bene?-.
-Sì sì, tutto bene- si affrettò a rispondere lui, scacciando quei pensieri -Che stavi dicendo?-.
-Che abbiamo qualcosa di nuovo, ovvero ciò che stringeva la vittima in mano quand’è morta-.
-Ah già, ora ricordo- Nick si sovvenne di quel particolare che Hank aveva notato per primo -Di che si tratta?-.
L’uomo sorrise, appoggiandosi allo schienale della sedia -Qui la storia si fa interessante. Si tratta di un diamante. Puro al cento per cento-.
Nick sgranò gli occhi a quella rivelazione -Un diamante? E che se ne faceva?-.
L’altro alzò le spalle -Non ne ho idea. Comunque la Harper ce lo sta mandando insieme agli altri effetti personali della vittima-.
Il collega annuì -Bene. Chiamo Amber e le chiedo di venire qui, non vorrà perdersi la notizia-.
 
La ragazza dai capelli rossi, al momento vestita da agente federale, fece il suo ingresso alla centrale di polizia mezz’ora più tardi; quando aveva ricevuto la chiamata di Nick stava ancora lavorando sull’essere che si aggirava per Portland e, anche se controvoglia, aveva raggiunto i due detective al distretto.
-Che succede stavolta?- chiese lei, cercando di sembrare abbastanza formale -Perché mi avete chiamato con tanta fretta?-.
-C’è una cosa che dovresti vedere- rispose Hank.
Nick stava per mostrarle l’ultima novità, quando Renard uscì dal suo ufficio e si diresse verso di loro, con aria distratta, ma vedendo i suoi agenti si riscosse.
-Agente Ward, c’è anche lei- disse, notando la presenza della donna -Bene, volevo parlare proprio con voi tre. Venite nel mio ufficio- detto questo, fece dietrofront e tornò nel suo spazio.
I tre agenti lo seguirono e Amber, che era rimasta dietro tutti, chiuse la porta alle sue spalle, bloccando il resto del comando fuori da lì. Subito l’aria si fece pesante e tesa, e lei non sapeva per quanto tempo sarebbe riuscita a mantenere il controllo dei suoi istinti.
-Signori, il punto della situazione- chiese Renard, andando a sedersi alla sua scrivania.
Il primo a prendere la parola fu Hank -Abbiamo due vittime, uno spagnolo e un finlandese. Entrambi senza precedenti, il secondo era un turista. Morti allo stesso modo, bruciati vivi-.
A quel punto intervenne Nick -L’unica differenza è che nella mano della seconda vittima abbiamo trovato un diamante. Sembra ancora grezzo- porse al capo una bustina gialla, da cui fece uscire una piccola pietra scintillante.
-C’è un’altra somiglianza, che accomuna tutte le altre vittime- la voce di Amber risuonò appena pensierosa -Tutti quanti sono stati ritrovati vicino a una zona umida. Il porto…-.
-E la riva del fiume- concluse Renard -Negli altri stati ci sono stati due omicidi, poi questo pazzo si è spostato. Crede che qui abbia finito?- si rivolse direttamente alla donna.
Lei alzò le spalle -E’ probabile. Ha già fatto due vittime, non credo che si arrischierebbe a farne fuori un’altra. Sa che siamo sulle sue tracce-.
Ora l’aria era davvero irrespirabile; avrebbe tanto voluto avvicinarsi alla finestra e spalancarla per prendere una boccata d’aria, ma sapeva che quel comportamento sarebbe stato subito notato. Cercando di non fare respiri profondi, tentò di rimanere in apnea il più a lungo possibile, ma sapeva che non sarebbe servito a molto. Sentiva già che il suo corpo stava tentando di prendere il sopravvento sul raziocinio.
-D’accordo- disse infine Renard, soffermandosi per un momento a guardare gli occhi della donna che avevano improvvisamente virato al dorato -Al momento va bene così. Tenetemi informato se scoprite qualcosa- così dicendo, fece un cenno con la mano per congedarli.
Amber sospirò; finalmente poteva uscire di lì e riprendere il controllo. Senza farselo ripetere due volte, aprì la porta e, mantenendo un certo contegno, si precipitò fuori. Non stette nemmeno a sentire i due detective che le chiedevano cosa le stesse succedendo; si precipitò giù dalle scale e corse in strada, aspirando a grandi boccate l’aria del pomeriggio.

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Capitolo 7
*** 7. ***


-Che le sarà preso questa volta, secondo te?- chiese Hank a Nick, sedendosi alla sua scrivania.
L’altro alzò le spalle -Quella è tutta strana. Forse ha avuto solo un capogiro, o qualcosa di simile-.
Il collega annuì, pensieroso; iniziarono entrambi a sfogliare i vari fascicoli che avevano raccolto, senza però arrivare a una conclusione. Tutto quello che avevano li conduceva in una strada senza via d’uscita, e loro non potevano fare altro che starsene lì con le mani in mano.
-Io torno alla roulotte- annunciò Nick a un certo punto -Chiedo a Monroe di raggiungermi, forse lui sa di cosa si tratta-.
-Vengo con te- anche Hank si alzò, indossando la giacca appesa allo schienale della sedia -Vuoi che chiami anche Amber? Forse può darci una mano-.
Nick rifletté per un secondo, poi annuì -Un paio d’occhi in più non ci possono fare male. Andiamo-.
 
Amber aveva vagato per una buona mezz’ora prima di trovare il posto in cui era parcheggiata la roulotte della zia di Nick. La zona sembrava completamente abbandonata a se stessa, con i rottami delle auto e i cattivi odori che arrivavano sia dal fiume che dal ponte lì vicino.
Quando arrivò, Nick e Hank erano già lì e la stavano aspettando davanti alla porta. Vista da fuori aveva l’aria di una comunissima roulotte ormai decadente, ma se Nick aveva scelto quel posto per nasconderla c’era sicuramente un buon motivo. Ed era proprio così: secoli di caccia ai mostri erano racchiusi in quello spazio angusto, disposti ordinatamente per poter raccogliere più informazioni possibili.
-Accidenti!- si lasciò sfuggire Amber con un moto di ammirazione -Come fai ad avere tutta questa roba?-.
-Era dei miei antenati- rispose Nick, sedendosi al tavolo dove consultava i libri dei Wesen.
La donna continuò a guardarsi intorno, meravigliata: nella sua vita non aveva mai visto una raccolta così grande, nemmeno dai cacciatori più anziani ed esperti. Passò una mano sul tavolino su cui erano posate diverse ampolle di vetro, ognuna con un liquido e un’etichetta diversa, rigorosamente scritta in tedesco. Senza sapere cosa aspettarsi, aprì l’armadietto delle armi, ritrovandosi di fronte un vero e proprio arsenale: dalle asce micidiali alle mazze ferrate, dalle spade taglienti come rasoi alle balestre con frecce dalle punte sottili e letali.
-Questa sì che è una vera e propria attrezzatura!- esclamò lei, soppesando un fucile a canne mozze -Nemmeno io riuscirei a mettere insieme tante armi… Anche perché non saprei come fare a portarmele in giro senza farmi scoprire-.
-Tu non hai una residenza fissa?- le chiese Hank.
Lei rimise a posto l’arma e chiuse le ante dell’armadietto -A dire il vero avrei una specie di capanna nel North Dakota, ma ci vado pochissime volte all’anno-.
-Come mai così poco?-.
Fece spallucce -Sono sempre in giro, c’è sempre qualcosa a cui dare la caccia. E di solito non viene a bussare alla mia porta, quindi…-.
-Vi dispiace se ci concentriamo sul caso, per favore?- intervenne allora Nick -Non vorrei ritrovarmi un altro cadavere-
Amber raggiunse i due uomini al tavolo -Sai che esiste internet, vero?- gli chiese, guardando i grossi libri antichi che stava sfogliando.
-Non credo che si trovino queste cose su internet- le rispose lui.
Amber sbuffò; sembrava che vivesse in un altro secolo. Tutto quello che aveva sembrava vecchio di secoli, eppure si serviva di tutto. Se lei avesse dovuto vivere in quel modo, probabilmente avrebbe lasciato perdere quasi subito.
-Voi riuscite a capire il perché di quel diamante?- chiese Hank a un certo punto, ricordandosi di quel particolare.
-Per quanto ne so, il diamante è la pietra dell’innocenza e della purezza- rispose Amber -Anche se quei tipi non mi sembravano esattamente dei santi-.
-Forse non era della vittima, ma del Wesen- disse Nick, ma vedendo gli sguardi interrogativi degli altri due continuò -Da qualche parte ho visto che c’è una specie di semidio che se la prende con chiunque si impossessi delle sue pietre-.
-Quindi, stai dicendo che queste sei vittime sono morte perché avevano rubato dei diamanti a questo Wesen?- fece l’altro uomo.
-Ha senso, per un mostro- replicò Amber -Ora non ci resta da capire di che cosa si tratta-.
In quel momento la porta della roulotte si aprì ed entrò Monroe, che aveva chiuso in fretta e furia l’erboristeria e, per quanto il suo maggiolino potesse correre, si era precipitato lì.
-Scusa per il ritardo, Nick- disse subito lui, poi notò la presenza di Amber -E tu saresti…?-.
-Lei è Amber, una specie di Grimm- spiegò Nick.
Monroe apparve subito turbato e spaventato -Allora… Forse… Non credo che dovrei essere qui…-.
-Non ti preoccupare, non ti farà del male. Sta dalla nostra parte- lo rassicurò l’amico -Amber, lui è Monroe, un amico. E’ un Blutbad, ci può aiutare-.
Lei fece appena un cenno di assenso a causa del suo corpo irrigidito; non appena ne aveva percepito l’odore, i suoi muscoli si erano contratti, e stava lottando contro se stessa per non esplodere. Ma era tutto troppo difficile: il posto era piccolo e l’aria si stava caricando di quel profumo così succulento. Chiuse gli occhi, ma ormai era troppo tardi; quando li riaprì, avevano preso quella tinta dorata, e il suo respiro era affannato.
-Amber, ti senti bene?- le chiese Hank che era vicino a lei.
Non rispose nemmeno; le bastò un unico, agile scatto per balzare addosso a Monroe e metterlo al tappeto; quando aprì la bocca, le labbra scoprirono un paio di canini appuntiti che si conficcarono in profondità nella carne del braccio dell’uomo, che stava cercando di togliersela di dosso. Il dolore gli fece emettere un lungo ululato angosciato, accompagnato dall’inevitabile trasformazione del volto.
Il sangue le offuscava completamente il cervello, dandole una sensazione di estasi; anche se non era riuscita ad arrivare alla carotide come sperava, si accontentava di quello che la vena basilica le poteva offrire. Nonostante tutto, sapeva che quello che stava facendo era sbagliato, ma il suo corpo non riusciva a smettere di dissetarsi con quel liquido rosso che le scivolava deliziosamente in gola.
Alla fine, Monroe riuscì a spingerla via da sé, stringendosi immediatamente la ferita da cui sgorgava ancora il sangue. Amber, invece, riuscì a mettersi in piedi, con gli occhi che brillavano di furore; prima che qualcuno potesse fermarla, si prese la testa tra le mani e, lanciando un grido disumano, cadde a terra priva di sensi.

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Capitolo 8
*** 8. ***


Nick e Hank erano rimasti basiti per quello che era successo; era accaduto tutto talmente in fretta che quando avevano finalmente realizzato ciò che era avvenuto era ormai tutto finito. Ora erano entrambi in piedi, con le pistole in mano, senza sapere cosa fare; Monroe era ancora steso a terra e si teneva il braccio ferito, mentre Amber era ancora priva di sensi, con le labbra velate di sangue che pian piano diventava sempre più scuro.
-Monroe, stai bene?- il primo a riscuotersi fu Nick che si avvicinò all’amico con il volto trasfigurato da Blutbad.
Lentamente il dolore iniziò a diminuire, così come il sangue che usciva dalla ferita; quando il peggio fu passato, il suo viso tornò ad essere quello solito, quello umano.
-Quella… Quella è pazza!- esclamò Monroe appena riuscì a parlare -Che razza di ragazze frequenti?!-.
-E’ una lunga storia- replicò Nick, anche perché lui ne sapeva almeno quanto lui riguardo ad Amber -E’ meglio se ti fai vedere, non vorrei che fosse una cosa grave-.
-Non ti preoccupare- l’uomo si rialzò appoggiandosi alla parete -Credo che andrò fino al negozio, dovrei avere qualcosa per curarmi-.
-Ti accompagno io- si offrì Hank, sorreggendolo -Tu che fai Nick?-.
-E’ ora di avere qualche spiegazione- fece lui, deciso, guardando il corpo della ragazza inerte steso sul pavimento.
-Stai attento- lo mise in guardia il collega, uscendo -Potrebbe essere pericolosa-.
L’altro fece un cenno per allontanare quel pensiero -Ho un armadietto pieno di armi. So come difendermi-.
I due uomini lo guardarono per un secondo prima di chiudere la porta della roulotte, poi si decisero ad andarsene; Nick era un Grimm, sicuramente se la sarebbe cavata anche contro una svitata come quella.
Appena si richiuse la porta, Nick si passò una mano tra i capelli; che doveva fare con Amber? Aveva assolutamente bisogno che lei svelasse tutte le sue carte, non poteva continuare a mentirgli. Era pericolosa, per se stessa e per gli altri, e non poteva lasciare che lo prendesse alla sprovvista. Perciò, prese le manette e l’ammanettò a una solida maniglia fissata alla parete, dopodiché si lasciò cadere su una sedia. Riflesse per qualche minuto, ma poi tornò alla consultazione dei suoi libri; avrebbe aspettato finché lei non si fosse svegliata. Aveva pensato di tirarle addosso una secchiata d’acqua fredda, ma come poteva sapere che era tornata in sé? Aveva visto coi suoi occhi con che velocità era riuscita ad atterrare uno come Monroe. Certo, c’era stato anche l’elemento della sorpresa, ma per qualche secondo era riuscita a tenere il sopravvento su un Blutbad accecato dalla rabbia e dal dolore, e non era cosa da tutti.
Sospirando, riprese a sfogliare i suoi antichi libri; quella volta non aveva nemmeno uno schizzo da confrontare, poteva trovarlo solo leggendo tutte le descrizioni che trovava. Passarono almeno venti minuti prima di individuarlo: Steinkinder era scritto in alto. Subito sotto c’erano due disegni del Wesen, uno di come si presentava a tutti e uno di com’era realmente quando si trasformava in una macchina da distruzione. A prima vista, nella prima immagine era raffigurato un normalissimo bambino di forse dieci anni, mentre nella seconda sembrava una creatura fatta di fuoco dal viso deformato e gli occhi neri come pece. Ancora più sotto c’era un testo in tedesco, che per fortuna era stato tradotto anche in inglese, risalente al 1867. Diceva:
“Gli Steinkinder sono Wesen che rimangono bambini imprigionati all’età in cui riescono ad impossessarsi di un diamante che riflette il loro essere puro e innocente. Sono docili e tranquilli, fino al momento in cui qualcuno non ruba le loro pietre. Mio fratello Gottfried ha avuto la sfortuna di incontrarli nel momento della loro rabbia: si trasformano in esseri di fiamme vive, e uccidono ciò che si impossessano delle loro pietre. Dietro di loro lasciano una spaccatura nel terreno, causata dal forte calore che emanano. È anche grazie a questo calore che si formano i diamanti che tanto cercano, per fare in modo che la loro specie continui ad esistere.
L’unico modo per estirparli da questo mondo è farlo mentre sono occupati ad uccidere; le loro energie sono concentrate sulla combustione della vittima, e li rende facili bersagli per il soffocamento”.
Quindi l’unico modo che aveva Nick per uccidere quel Steinkind era soffocarlo, ma doveva farlo mentre lui uccideva. Non poteva permettersi di avere altre vittime… Cosa poteva fare allora? In quel momento lo sguardo gli cadde su Amber che stava dando i primi segni di ripresa.
 
Hank aveva riportato Monroe all’erboristeria per aiutarlo a curare il morso di Amber; ormai non gli faceva più tanto male, ma si sentiva come offeso dalla sua aggressione. Per la miseria, lui era un Blutbad, uno dei Wesen ai vertici della catena alimentare sovrannaturale, e si era fatto prendere alla sprovvista da una ragazzina! D’altra parte, lui non avrebbe mai reagito; era un riformato, aveva giurato di non bere mai più sangue, e non poteva trasgredire il suo stile di vita, nemmeno per tutto l’oro del mondo.
-Eccoci arrivati- la voce di Hank fece riscuotere Monroe dalle sue riflessioni, e guardando fuori dal finestrino riconobbe l’edificio che ospitava l’erboristeria di proprietà di Rosalee in cui lui lavorava di tanto in tanto.
-Grazie per avermi accompagnato- fece lui, scendendo dall’auto.
-No, io starò con te finché non ti sentirai meglio, o Nick me la farà pagare- anche Hank scese e raggiunse la porta.
-Non dovresti andare da lui? Insomma, è da solo con quella svitata…-.
-E’ un Grimm, se la saprà cavare-.
Monroe annuì; Hank aveva ragione, in qualche modo sarebbe sicuramente riuscito a tirarsi fuori dai guai, qualora ce ne fossero stati. Tirò fuori la chiave del negozio, ma quando la inserì girò a vuoto e la porta si aprì senza resistenza.
-Che strano- mormorò -Ero sicuro di averla chiusa quando sono uscito…-.
Si fece avanti e la campanella attaccata allo stipite lanciò il suo segnale che qualcuno era arrivato; all’interno sembrava tutto in ordine. A un certo punto, dal retro si fece avanti un’ombra; i due erano già pronti ad agire, ma alla fine comparve Rosalee.
-E tu che ci fai qui?- le chiese Monroe, sorpreso -Credevo che fossi ancora da tua zia!-.
-Si è ripresa, quindi sono tornata per farti una sorpresa- rispose lei con un sorriso, poi notò il suo braccio ferito -Ma che ti è successo?-.
-Eh un piccolo contrattempo con un’amica di Nick- riprese lui, andando a sedersi sulla poltrona che si trovava nell’ufficio adiacente.
Rosalee controllò la ferita che non era molto profonda, sparì per qualche minuto e tornò con delle bende e una sostanza scura all’interno di un’ampolla di vetro.
-Ma è una Wesen?- chiese lei, iniziando a detergere la pelle dal sangue rappreso -E come ha fatto a sopraffarti?-.
Hank scosse la testa -Ancora non lo sappiamo, ma lo scopriremo presto-.

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Capitolo 9
*** 9. ***


Amber si risvegliò perché qualcuno la stava scuotendo, chiamando ansiosamente il suo nome. Si stropicciò gli occhi, mettendo a fuoco l’uomo che aveva davanti.
-Oh Amber, grazie al cielo stai bene!- l’uomo la strinse forte tra le braccia, trattenendo a forza le lacrime.
Non capiva a cosa si stesse riferendo; si sentiva solo un po’ intontita, ma non stava male. Quando si staccò da lui, vide la sua camicia macchiata di rosso; guardò i suoi vestiti, e con orrore si rese conto di essere coperta di sangue dalla testa ai piedi. Alzò lo sguardo terrorizzato sul ragazzo di fronte a lei, con gli occhi gonfi di lacrime; non capiva più niente, non sapeva cosa stesse succedendo.
Lui la tranquillizzò un po’, poi si alzò e si allontanò da lei di qualche passo; di nuovo lei abbassò gli occhi su di sé, sulle sue piccole mani da bambina di cinque anni macchiate di rosso, e cercò di capire dove si trovasse. Era in un vicolo cieco di chissà quale grande città; dalla strada arrivavano i rumori del traffico notturno e le forti luci al neon riuscivano a rischiarare appena l’imbocco del viottolo.
A un centinaio di metri da lei, l’uomo si chinò sopra a un ragazzo che non poteva avere più di trent’anni, morto; il suo volto era estremamente pallido, e il suo corpo era pieno di piccoli segni di morsi da cui usciva ancora qualche goccia di sangue che si stava già rapprendendo. Lui gli chiuse gli occhi spalancati ed esaminò la sua bocca, poi tornò dalla bambina tremante che se ne stava seduta sul cemento in mezzo al vicolo.
-Amber, come ci sei finita qui?- le chiese lui, inginocchiandosi di fronte a lei.
Lei scosse la testa con veemenza -Non lo so- rispose un vocetta infantile.
-Ricordi cos’è successo? Chi era quel ragazzo?-.
Di nuovo fece segno di no, poi scoppiò a piangere.
 
Amber si rizzò a sedere, improvvisamente sveglia e con la fronte imperlata di sudore freddo. Era stato tutto così realistico, tanto che le sembrava di sentire ancora il sapore ferroso e dolce del sangue sulle labbra. Un momento… le sue labbra erano davvero insanguinate! Spalancò gli occhi, sconcertate, e si portò una mano alla bocca; a primo acchito non capì dove si trovasse, poi riconobbe l’interno della roulotte. Provò ad alzarsi, ma si ritrovò ammanettata a una delle pareti; voltandosi, si trovò lo sguardo di Nick puntato addosso.
-L’ho… L’ho fatto, vero?- mormorò, con gli occhi di nuovo verdissimi e pieni di disperazione.
-Se intendi che hai aggredito Monroe, sì, l’hai fatto- rispose lui con tono glaciale.
I suoi occhi si fecero ancora più grandi e si riempirono ulteriormente di paura -Oh no… Di nuovo no…- chinò la testa e iniziò a piangere lacrime silenziose.
Non poteva credere che le fosse successo di nuovo. Pensava di riuscire a resistere, di non commettere più lo stesso errore, ma la parte più oscura aveva preso il sopravvento. E di nuovo non ricordava nulla di quello che era successo, se ne accorgeva quando ormai era tardi.
-Hai condotto questo gioco troppo a lungo- riprese Nick, torreggiando sopra di lei -Ora è il mio momento-.
-Ti dirò tutto ciò che vuoi- replicò lei con un filo di voce -Ma prima voglio solo sapere una cosa: per quanto tempo ho… l’ho morso?- alzò gli occhi per vedere il suo volto nel momento della verità.
-Solo pochi secondi. È riuscito a liberarsi subito di te-.
Amber sospirò -Per fortuna, non l’ho avvelenato-.
-Che intendi dire?- Nick inarcò un sopracciglio.
Lei sospirò di nuovo -E’ una storia lunga, ma immagino che tu abbia tutto il tempo del mondo per ascoltarla-.
Lui annuì, sedendosi di fronte a lei.
-Come avrai capito, io non sono umana. Perlomeno, non completamente- iniziò a raccontare -Sono per metà un vampiro, ed è una cosa di cui non mi piace vantarmi. Solo poche persone al mondo lo sanno, e ora tu sei uno di quelli- fece una pausa, aspettandosi un qualche genere di interruzione, ma poi proseguì -Mia madre era rimasta incinta di un suo amico, ma non so per quale ragione si lasciarono. Quando arrivò il momento del parto, lui si fece rivedere, ma era stato trasformato in un vampiro. Quando ero ormai nata, lui la morse, ma il suo veleno non arrivò a me, se non in una piccola parte. Non ho mai conosciuto nessuno dei due, sono entrambi morti quel giorno-
-E tu come fai a sapere queste cose?- le chiese Nick.
-Mi è stato raccontato tutto da Rick. È stato lui ad uccidere i miei genitori, era un cacciatore. Per loro non c’era più niente da fare, ma mi ha preso con sé, insegnandomi quello che sapeva sulla caccia. Voleva che per me ci fosse un altro destino a parte quello da mostro-.
-Beh, questa è davvero bella- commentò cinico lui -Un mostro che caccia i mostri. Ora credo di averle viste tutte-.
-Credi che sia una vita facile la mia?- Amber alzò leggermente la voce, come sempre accadeva quando veniva toccato quel nervo scoperto -Credi che sia facile convivere con questa dipendenza? Credi che mi diverta fare del male?-.
-Dimmelo tu, visto che non hai esitato un secondo ad aggredire il mio amico-.
Lei scosse la testa -Io cerco di trattenermi, ma è più forte di me. Il sangue non umano è come una droga per me: appena ne percepisco l’odore vado fuori di testa. E quando mordo, poi non ricordo più nulla. È come se fossi sotto l’effetto di cocaina o roba del genere-.
-Se davvero non ti piace aggredire la gente, perché non tenti di cambiare vita?- continuò lui, imperterrito.
Amber alzò gli occhi al cielo -Non posso. Non conosco niente al di fuori della caccia- fece una pausa, poi continuò -Non ho nemmeno finito la scuola, ho solo imparato a leggere e a scrivere. Non potrei fare nient’altro della mia vita. E ho anche tentato di uccidermi, a quindici anni-.
Nick la guardò attentamente, soprattutto i polsi, ma non vide niente di ciò che cercava -Non hai nemmeno una cicatrice. Mi riesce difficile crederti-.
Con la mano libera, lei si tirò su leggermente i jeans che portava, scoprendo metà della coscia su cui si vedevano chiaramente i segni bianchi delle ferite -Chi si taglia i polsi vuole essere salvato- riprese lei con un sospiro -Se vuoi davvero ucciderti, devi colpire l’arteria femorale. Nel giro di pochi minuti sei già nell’aldilà-.
Nick rimase a fissare quei segni per parecchi istanti, cercando di contarli, ma era quasi impossibile, dal momento che si accavallavano uno sull’altro in una rete di sofferenza -Però tu sei ancora qui- disse infine.
-Ero morta, sai? C’ero riuscita. Ma Rick ha venduto la sua anima per farmi vivere. Sul suo letto di morte gli ho promesso che non l’avrei più fatto, e ho intenzione di mantenere quella promessa. È stato la cosa più vicina a un padre che abbia mai avuto, non potrei mai tradire la sua memoria- il suo sguardo vagò per un momento nel passato, in cerca di quell’uomo che l’aveva tenuta con sé nonostante fosse una sconosciuta, poi abbassò gli occhi.
Nick rimase pensieroso al sentire quelle parole; per quanto tutta la vicenda potesse sembrare assurda, le credeva. Non era possibile che si fosse inventata tutto su due piedi, qualcosa di vero doveva pur esserci. Magari la storia che era morta e tornata in vita era un tantino esagerata, ma in fondo ci credeva. D’altronde, lui vedeva cose assurde ogni giorno, e quella non poteva essere che una di tante altre.
-Tu sei fortunato- fece a un certo punto la voce di Amber in un sussurro.
-Che vuoi dire?- le chiese lui, sorpreso.
-Hai tutto ciò che una persona può desiderare. Hai un lavoro che hai scelto tu, una casa, una donna che ti ama. Decidi tu per te stesso, sei tu il creatore del tuo destino- sospirò -Io non ho niente, vivo con quello che trovo, sono vittima di me stessa-.
-Juliette non si ricorda di me- confessò lui, appoggiandosi alla parete dietro di lui -Non ricorda nulla di tutto quello che abbiamo passato insieme-.
-Noi cacciatori siamo condannati a una vita di solitudine-.
-Io sono un Grimm- la corresse lui.
-Come ti pare- Amber fece un gesto per dire che non era importante -Grimm o cacciatori, questo è il nostro destino. Nella nostra esistenza non c’è spazio per una famiglia o per gli amici, ci renderebbero troppo vulnerabili. Sarebbero il nostro punto debole, e quelli a cui diamo la caccia non aspettano altro. La nostra vita è fatta solo di caccia e solitudine, niente di più-.
Nick ripensò a sua zia Marie, di come gli avesse intimato di lasciare Juliette per salvarla, e a quella notte uggiosa in cui aveva tentato di spiegare alla sua ragazza di cose fosse in realtà. Era stato anche per quello che lei si era allontanata da lui, credendolo pazzo, e Adalind aveva colto l’occasione per mettere in atto la sua vendetta.
Amber aveva ragione; se non ci fosse stata Juliette come bersaglio, forse Adalind si sarebbe scagliata direttamente contro di lui. Dopotutto, Amber non era poi così un mostro.

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Capitolo 10
*** 10. ***


Nick aveva riaccompagnato Amber alla sua stanza al motel, visto che lei era del tutto incapace di arrivarci da sola. Il sangue di Monroe le aveva dato alla testa, e sembrava in preda ai postumi di una sbornia potentissima, talmente forte da non riuscire a fare più di tre passi senza inciampare da qualche parte. La lasciò sulla soglia e se ne andò solo quando lei fu all'interno della stanza, dopodiché riprese a guidare. Quando era ormai a metà strada sulla via di casa, si ricordò che Juliette ancora non gli permetteva di dormire con lei, perciò fece dietrofront e si diresse verso la casa di Monroe.
Quando arrivò, la luce del salotto era accesa, perciò si decise a bussare immediatamente. Il Blutbad arrivò quasi subito ad aprire, con il braccio ancora fasciato per l’incidente di qualche ora prima.
-Sei arrivato finalmente!- disse l’amico, sollevato dopo la sua lunga assenza -Che è successo con quella pazza?-.
-Nulla di che- Nick entrò, subito seguito da Monroe -Abbiamo chiarito un paio di cose-.
-Del tipo?- l’uomo tornò al suo tavolino da lavoro su cui erano appoggiati i minuscoli e complicati meccanismi di un antico orologio da tasca che stava riparando e riordinò il piano, trasferendo tutto in un cassettino.
Nick si lasciò cadere esausto sul divano, passandosi una mano sul volto -Mi ha spiegato perché ti ha aggredito-.
-Sul serio? Sentiamo, quale sarebbe il motivo?-.
-Dice di essere per metà vampiro o qualcosa del genere, ma non so se crederci… Lo so, vivo ogni giorno in mezzo alle stranezze, però questa… Non so, non mi convince-.
Monroe sparì per qualche istante in cucina, poi tornò con due bicchieri dallo stelo alto e sottile e una bottiglia di vino rosso -Per quello che ne so, possono esserci dei Wesen che sono per metà umani. Non so bene come si facciano chiamare, forse lo sa Rosalee, ma sono quasi certo che esistano-.
-Quindi mi stai dicendo di crederle?- allungò una mano e prese un calice panciuto che Monroe riempì con liquido color rubino.
L’altro si sedette sulla poltroncina posta di fronte al divano e bevette un sorso di vino -Ha senso, anche se è strano, Nick. Ormai dovresti esserci abituato, o sbaglio?-.
Lui fece solo un cenno d’assenso, vuotando il bicchiere; quella giornata era stata talmente intensa e caotica che non sapeva più cosa pensare. Anche se viveva in mezzo alle assurdità, ancora non riusciva ad abituarcisi. In fondo, era anche difficile: ogni giorno c’era sempre qualcosa di nuovo, e ci volevano almeno un paio di giorni prima che riuscisse ad assimilare le nuove scoperte.
-Comunque, se posso essere sincero con te, Nick- la voce profonda di Monroe lo riscosse dai suoi pensieri -Dovresti fare un controllo su di lei, giusto per essere sicuri-.
-Cosa dovrei cercare secondo te?- chiese lui.
-Non so, sei tu il detective qui- ribatté l’altro -Fai una normale indagine di polizia, come se fosse una sospettata-.
Nick ci rifletté qualche momento; forse non era una cattiva idea -Credo che tu abbia ragione. Domani controllerò-.
 
Quando Amber si risvegliò, si sentiva ancora tutta intontita e con un dolore inverosimile alle articolazioni. Si passò entrambe le mani sul volto devastato, tentando di ricordare qualcosa della sera precedente. Quando finalmente riuscì ad aprire gli occhi, riconobbe la stanza del motel; a passi tentennanti si recò in bagno e si dette una rinfrescata, poi si preparò ad uscire per fare colazione.
Quando aprì la porta, non c’era più l’interstatale come ricordava; ora si trovava sotto un’intricata rete di strade sopraelevate. Era notte fonda, e la luce dei lampioni sulle arterie trafficate arrivava a malapena dove si trovava lei. In lontananza, si sentivano i rombi dei motori e qualche sirena occasionale; ascoltando più attentamente, udì delle grida. Da quello che poteva intuire, sembravano di una donna che stesse soffrendo molto; forse c’era qualcuno che le stava facendo del male.
Senza pensarci su due volte, iniziò a correre verso quegli urli, sempre più strazianti; alla fine la trovò. Era seduta a terra, con la schiena appoggiata a un pilone che sorreggeva il ponte; le mani era strette in pugni, talmente forte che le nocche erano bianche. Quelle che lei aveva creduto urla di sofferenza erano invece dovute al parto imminente; aveva la fronte imperlata di sudore e il respiro corto, piuttosto regolare per una donna che stava partorendo da sola in un luogo buio e sporco.
Amber voleva fare qualcosa, chiamare aiuto, soccorrerla come poteva, ma era come inchiodata a terra; non riusciva a fare un passo oltre la linea su cui era ferma, e non poteva fare altro che assistere impotente alla scena davanti a sé. All’improvviso, sentì dei passi davanti a sé; cercò chi si stava avvicinando, ma fu distratta da un urlo più acuto degli altri, subito seguito da un pianto fatto di strilletti e singulti. Tornò a guardare la donna che aveva appena dato alla luce una bambina che piangeva disperatamente, coperta di sangue e liquido amniotico.
Nessuna delle due ebbe il tempo di fare un solo movimento: dall’ombra sbucò fuori un uomo che doveva avere più o meno la stessa età della donna, i lineamenti del volto contratti in una smorfia d’ira. Nel buio della notte, Amber vide i suoi canini aguzzi che, in un batter d’occhio, si conficcarono in profondità nel collo della donna.
Il resto si svolse tutto in fretta: quando ancora il vampiro stava attaccando la sua preda, alle sue spalle arrivò qualcun altro. Vide solo un baluginio di una lunga lama, poi il colpo scricchiolante di ossa rotte e la testa dell’uomo che rotolava a terra, vicino alla bambina piangente. Ci fu un altro balenio, poi il machete colpì con forza il cemento, tagliando a metà il cordone ombelicale che ancora legava la piccola alla sua mamma. Infine, l’ultimo impatto letale: anche la testa della donna rotolò via, fermandosi a pochi metri dal corpo senza vita. Ci fu il suono sordo della lama che cadeva a terra, poi l’uomo fu finalmente visibile: prese in braccio la bambina e la pulì come meglio poté; la guardò per qualche momento, mentre lei si calmava tra le sue braccia, e la portò via con sé nella notte.
Amber sentì una stretta fortissima al cuore: non aveva alcun dubbio, quella bambina era lei. E quei due cadaveri suoi genitori, uccisi da Rick, lo stesso Rick che l’aveva tirata su come se fosse sua figlia. Aveva voglia di piangere e urlare, ma non riuscì a fare niente perché l’oscurità si impossessò di lei.

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Capitolo 11
*** 11. ***


Nick era rimasto a parlare con Monroe in salotto per un’oretta e mezzo, poi entrambi si erano ritirati nelle loro stanze per passare la notte. Così, mentre era steso sul letto in mansarda e osservava il soffitto con le mani incrociate dietro la nuca, si ritrovò a pensare a quella strana ragazza e a quello che si erano detti nella roulotte. Aveva ancora parecchi dubbi riguardo alla sua storia di morta e risorta, così come sul fatto che fosse una mezzosangue. Certo, le stranezze non mancavano nella sua vita quotidiana, ma c’era un limite a tutto.
Ripensò anche a quello che aveva detto riguardo alla sua vita, che non era mai andata a scuola e che fin da bambina era andata a caccia nei boschi da sola. Per lei non doveva essere stato affatto facile, e forse era anche per quello che aveva tentato di togliersi la vita. Non la poteva di certo biasimare: non aveva mai avuto un’infanzia, i suoi genitori naturali erano stati barbaramente uccisi e non aveva mai avuto amici al di fuori di quel Rick che l’aveva cresciuta. Persino lui, che aveva perso i suoi genitori alla tenera età di nove anni, aveva vissuto in un modo migliore: aveva scelto il suo lavoro e amava la sua Juliette. A lei invece era stato imposto tutto, probabilmente si era trasferita spesso e viveva solo di notte, come un gufo.
Nonostante tutto quello che aveva passato, il dolore delle perdite, era diventata una ragazza sveglia e tosta, sicura di quello che faceva e ben intenzionata ad ottenere ciò che voleva. Era forte, di una tenacia fuori dal comune, che non aveva paura di niente, che affrontava ogni cosa con la testa alta. In quel momento, provò ammirazione per il suo coraggio e per la sua intraprendenza, oltre a un barlume di simpatia. Forse l’aveva giudicata male. Probabilmente era più umana lei che tante altre persone che aveva conosciuto nella sua lunga carriera in polizia.
 
Amber balzò a sedere sul letto, le mani che stringevano con forza le lenzuola dai colori tenui, il respiro accelerato e la fronte imperlata di sudore freddo che le faceva appiccicare i capelli ai lati del volto. La sveglia digitale sul comodino lì accanto segnava le 2.06.
“E’ stato soltanto un incubo” pensò, scacciando quelle immagini dalla sua memoria e cercando di darsi una regolata “E’ stato solo un fottutissimo incubo”. Provò a stendersi di nuovo, ma la paura che quelle visioni tornassero a darle il tormento le impedì di prendere sonno. Perciò, si alzò e si fece una doccia fredda, poi tornò nella sua stanza e si guardò intorno. Sul tavolino nell’angolo vicino alla porta d’ingresso c’erano ancora tutti i suoi appunti, quello che aveva trovato nel corso di quell’indagine. A quel punto non aveva più senso continuare a cercare; Nick aveva detto che aveva trovato il nome di quella bestia, e sapeva come ucciderlo. Voleva appuntarsi quelle informazioni, ma non ricordava praticamente nulla a causa dei postumi di quella simil-sbronza da sangue non umano.
Controllò di nuovo l’orologio e constatò che erano soltanto le 3.04. Tornare a dormire era praticamente fuori discussione, ma non poteva nemmeno starsene lì con le mani in mano fino al mattino. Perciò, decise di riordinare un po’ la stanza; se la notte seguente fosse andata a caccia, probabilmente avrebbe lasciato Portland nel giro di quarantotto ore. Cosa avrebbe fatto poi non lo sapeva; forse sarebbe tornata a casa, in North Dakota, e sarebbe rimasta lì per un po’, sempre che qualche essere non incrociasse la sua strada verso est.
 
Il mattino seguente, Nick arrivò leggermente in ritardo rispetto al solito; si era addormentato tardi, in più aveva fatto un salto alla roulotte per ripassare le informazioni che sapeva riguardo gli Steinkinder. Una volta raggiunto l’ufficio, trovò Hank già seduto alla sua scrivania che lavorava.
-Buongiorno- lo salutò mentre Nick si toglieva la giacca e la poggiava sullo schienale della sedia -Com’è andata ieri sera con Amber?-.
-Abbiamo parlato- replicò l’altro, sedendosi -Mi ha raccontato un paio di cose interessanti-.
In breve gli riassunse la conversazione con Amber, poi lo scambio di battute tra lui e Monroe quando era rincasato, evitando però di raccontargli i pensieri che gli erano vorticati nella testa prima di andare a dormire.
-Che era strana l’avevo capito, ma non pensavo fino a questo punto!- esclamò Hank alla fine del racconto -Quindi hai intenzione di scovare qualcosa su di lei?-.
Nick fece un cenno di assenso -Voglio solo sapere con chi sto avendo a che fare, anche se è una cacciatrice, come si definisce lei-.
-Beh, fai quello che vuoi, stai solo attento a non farti scoprire da Renard. Non credo che la prenderebbe bene se sapesse che siamo stati fregati da una ragazzina-.
-Non lo saprà, fidati- gli fece l’occhiolino, poi si immerse nelle ricerche su Amber Moore.
Dopo più di un’ora di controlli, non aveva ricavato molto di più di quello che già non sapeva: era nata venticinque anni prima a Fargo, in North Dakota, dove possedeva un piccolo appartamento in cui si recava di tanto in tanto. I nomi dei genitori non erano mai stati registrati, c’era solo un certo Richard White, dichiarato suo tutore legale che però era deceduto cinque anni prima. A parte questo, non aveva trovato molto, finché non trovò qualcosa che risvegliò il suo interesse. In un articolo di giornale del The Forum che aveva fatto scalpore si parlava di un duplice omicidio in cui un uomo e una donna erano stati decapitati e trovati sotto un ponte dell’interstatale. La polizia aveva dichiarato che il movente probabilmente era legato al rapimento di un bambino, portato via subito dopo l’accaduto, ma non era mai stato trovato il colpevole.
Quando arrivò in fondo alle colonne dell’articolo, Nick rimise insieme tutti i pezzi: doveva essere Amber il neonato portato via, dal momento che il giornale era datato solo una settimana prima della dichiarazione della sua nascita all’anagrafe. I due malcapitati dovevano essere i suoi genitori e l’assassino doveva essere quel Richard White, che in seguito si era preso cura di lei e l’aveva iniziata alla caccia.
-Nick, tutto ok?- la voce di Hank lo fece riscuotere dai suoi pensieri.
-Sì, perché?- rispose lui, confuso e stordito da quella storia.
-Sei pallido. Sicuro di stare bene?-.
L’altro sospirò e gli passò quello che aveva appena trovato; anche Hank sbiancò in volto.
-Mio Dio, è una storia terribile- commentò, riponendo il foglio.
-Ed è la conferma di quello che mi ha raccontato ieri- fece una pausa, poi continuò -Forse non dovevo ficcanasare nel suo passato. È pur sempre la sua vita-.
-Forse, ma lei ti ha taciuto troppe cose per troppo a lungo. È un tuo diritto sapere-.
Nick rifletté per qualche momento -Credo che ne riparlerò con lei quando ci vedremo più tardi per metterci d’accordo per questa notte-.

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Capitolo 12
*** 12. ***


Amber arrivò all’appuntamento con Nick al bar con venti minuti di ritardo; aveva passato la notte in bianco, e solo verso le 9 del mattino era riuscita a dormire per un paio d’ore, senza che altri incubi la tormentassero. Si era data una sistemata frettolosa ed era andata alla ricerca del bar, trovandolo poi dopo un lungo vagabondare.
-Non potevi scegliere un posto più facile?- gli chiese lei, sedendosi al tavolino di fronte a lui.
Nick scrollò le spalle -Non posso permettermi che ci vedano insieme-.
Lei rise -Che c’è, hai paura che qualcuno pensi che tradisci la tua ragazza con me, cacciatore?- allungò una mano verso di lui e la posò sulla sua, ma lui l’allontanò immediatamente.
-Sono un Grimm- sbottò lui -E per piacere, parla a bassa voce. Non voglio che ci sentano-.
Amber alzò le mani come segno di resa -Come ti pare. Allora, perché volevi parlarmi?- domandò, ricordando il vero motivo per cui si erano incontrati.
Nick non riuscì a rispondere perché in quel momento una cameriera con un grembiule azzurro si avvicinò al loro tavolo; l’uomo ordinò per sé un caffè nero, mentre Amber prese una birra ghiacciata. Non tentò nemmeno di iniziare a parlare, perché la ragazza fu immediatamente di ritorno con le loro ordinazioni che posò con un sorriso sul tavolo. I due fecero un cenno di ringraziamento, poi aspettarono finché non si fu allontanata.
-Allora?- lo incalzò lei, bevendo un sorso di birra -Si può sapere che vuoi?-.
-Ho bisogno del tuo aiuto- disse lui in un soffio.
Amber quasi si strozzò con la birra; tossì un paio di volte, poi riprese a parlare -Tu vuoi un aiuto da me? Questa sì che è bella!-.
Nick lasciò che si sfogasse prima di riprendere in filo del discorso -Senti, nemmeno a me piace questa storia, ma a questo punto non ho altra scelta. Se voglio uccidere questo Wesen, ho bisogno di qualcuno che sappia cosa sta facendo-.
-Allora hai trovato la persona giusta, cacciatore- gli fece l’occhiolino, appoggiandosi allo schienale della sedia -Che devo fare?-.
L’uomo era sul punto per ribadire per l’ennesima volta che lui era un Grimm, ma alla fine decise di lasciar perdere e passare a cose più importanti -Ho letto nei miei libri che questo Steinkind può essere ucciso strangolandolo…- disse, incerto su come proseguire.
-Ma…?- chiese lei, intuendo che non poteva essere così semplice.
Nick sospirò, preparandosi al peggio -Ma si può fare solo mentre sta uccidendo- sbottò velocemente.
Amber non disse nulla; continuò a sorseggiare la sua birra con gli occhi fissi in quelli dell’uomo -Mi stai chiedendo di farmi ammazzare per far fuori quel… coso?- disse infine senza tradire alcuna emozione dal tono di voce.
-Non esattamente… Diciamo piuttosto che saresti adatta come esca-.
Lei continuò a guardarlo senza pronunciare una parola; i suoi grandi occhi verdi erano del tutto privi di espressione, e sembravano soltanto un pozzo senza fondo. Nick iniziò a sentirsi a disagio; non gli piaceva essere osservato a quel modo, soprattutto da una ragazza di soli venticinque anni.
-D’accordo- disse lei alla fine, poggiando sul tavolo il suo boccale di birra vuoto.
-Come… d’accordo?- l’uomo non era sicuro di aver capito bene.
-Sei sordo per caso? Ci sto, ti aiuto- sbottò infastidita e, detto questo, si alzò e lasciò cadere un paio di biglietti da un dollaro -Ci vediamo questa sera per la caccia-.
 
Erano ormai le undici di sera, e a Portland sembrava tutto tranquillo. Per strada il traffico era ormai del tutto assente, e il vento soffiava leggero nelle vie deserte, alzando con il suo tocco vecchie foglie e brandelli di giornali. Era una tipica notte di metà settembre. Nick e Amber erano seduti nell’auto di lui, aspettando il momento opportuno per agire; avevano già messo a punto i dettagli del piano, e adesso erano lì in silenzio, mentre lei giocherellava con il diamante che doveva attirare il Wesen.
-Devo farti una confessione- fece Nick a un certo punto, interrompendo il silenzio che regnava sovrano nell’auto.
Amber si voltò verso di lui -Sarebbe a dire?-.
Fece un respiro profondo -Oggi, prima di chiederti di aiutarmi, ho fatto delle ricerche su di, sul tuo passato- andò a cercare i suoi occhi, e di nuovo li trovò freddi e privi di espressione -Non è che sia interessato a te… E’ solo che volevo essere sicuro di potermi fidare- si affrettò ad aggiungere poi.
Passò un lungo minuto di silenzio prima che lei riprendesse a parlare -Lo hai fatto perché sono per metà mostro? Perché quelli come me mentono sempre?-.
-Oh no… Ma il fatto è che mi sembrava tutto talmente assurdo…-.
-Ma è tutto talmente assurdo da essere vero- il suo tono virò vagamente al rimprovero, poi si addolcì un po’ -Beh, non me ne importa. Puoi fare quello che vuoi durante il tuo orario di lavoro- tornò a guardare fuori dal finestrino, con tutti i sensi in allerta.
Nick non sapeva cosa pensare; credeva che gli avrebbe gridato contro, che gli avrebbe dato del ficcanaso e che, magari, lo avrebbe pure aggredito come aveva fatto con Monroe.
Tentò di riprendere il discorso, ma lei lo zittì; si sporse leggermente in avanti e iniziò a respirare in un modo strano, a intervalli brevi e veloci, e le sue labbra si schiusero appena, come se fosse pronta a saltare alla gola a qualcuno.
-E’ qui vicino, lo sento- disse lei alla fine, continuando a respirare in quel modo.
Nick la osservò per un momento -Sembri un cane da tartufo quando respiri così-.
Non stette nemmeno ad ascoltare; tutto il suo corpo e i suoi sensi erano concentrati su quella traccia che era riuscita a captare e che si stava avvicinando.
-Credo che abbia percepito che abbiamo noi il diamante- disse lei, aprendo lo sportello -Io vado, tieniti pronto- detto questo, richiuse la portiera con un colpo secco e iniziò a incamminarsi come se stesse facendo una passeggiata.
Un centinaio di metri più avanti, da una stradina laterale uscì una piccola figura scura; sembrava un bambino di dieci anni, con i capelli e gli occhi scuri e un’espressione determinata in volto. L’odore del suo sangue pizzicò le narici di Amber, che si fermò di fronte a lui per niente impressionata.
-Ti sei perso?- gli chiese lei, tenendo in mano il diamante, sapendo che non avrebbe resistito alla tentazione di sottrarglielo.
Lui evitò la domanda, attratto dalla piccola pietra scintillante con cui lei stava giocherellando -Quello è mio- disse la sua voce profonda, del tutto inadatta a una figura così minuta.
-Non credo proprio- replicò lei, mettendoselo in tasca -Non sono giochi per bambini questi-.
-Io non sono un bambino- la sua figura si trasformò e divenne fuoco puro, dentro cui si vedeva appena l’ombra dell’essere che l’animava.
Amber reagì in un batter d’occhio; si voltò e iniziò a correre più che poteva, sentendo dietro di sé il calore del fuoco e lo scricchiolio del cemento che si tagliava. “E’ bastato davvero poco per farlo incazzare” pensò, passando davanti all’auto di Nick e facendogli cenno che la seguisse.
Lo sforzo era grande, ma lei era ben allenata, e non le era nemmeno venuto il fiatone quando raggiunse il suo obiettivo. La strada che aveva imboccato era un grande viale alberato su entrambi i lati leggermente in pendenza che arrivava fino al fiume.
Si guardò alle spalle e, oltre la cortina di fuoco, vide Nick che la stava seguendo; continuando a correre, vide davanti a sé il punto perfetto per l’imboscata. Fece un salto di prova, poi, un centinaio di metri più avanti, spiccò un balzo più grande, e riuscì ad afferrare il ramo più basso di un acero che si protendeva sulla strada. Rimase così a penzoloni e guardò in giù, verso il fuoco che si era fermato; qualche secondo più tardi, però, le fiamme iniziarono a propagarsi sul tronco, e poi sui rami.
-Ora!- gridò Amber, senza mollare la presa e con il fuoco che le lambiva le dita.
Nick, che era sceso dall’auto non appena aveva visto Amber fare il primo salto come d’accordo, tirò fuori una corda e la passò intorno al collo dell’ombra di fuoco che era rimasta ai piedi dell’acero. Le fiamme dapprima impazzirono, poi lentamente iniziarono a ritirarsi, finché non rimase che il corpo senza vita del bambino.
Amber si lasciò cadere a terra, con le nocche delle dita leggermente arrossata per le bruciature, e tossì un po’ per il fumo della combustione del tronco che si era annerito.
-Stai bene?- le chiese Nick, un po’ preoccupato.
-Certo- rispose lei, soffiando sulle mani -Sei stato bravo-.
-Anche tu- ammise lui -Bella idea quella dell’albero. In un certo senso stava uccidendo quello-.
Lei alzò le spalle -Credevi davvero che ti avrei permesso di farmi ammazzare, Grimm?- detto questo si voltò e se ne andò, senza più guardare indietro.
Nick la guardò allontanarsi con un sorriso: era la prima volta da quando la conosceva che l’aveva chiamato nel modo giusto

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Capitolo 13
*** 13. ***


Qualcosa non era andato nel verso giusto, qualcosa non quadrava in tutta la faccenda. Era stato tutto fin troppo facile, avevano impiegato meno di quarantotto ore per capire chi c’era dietro quegli omicidi e infine neutralizzarlo.
Nick si rigirò ancora una volta nel letto, incapace di prendere sonno: c’era qualcosa che non gli permetteva di addormentarsi, perché sapeva che c’era qualcosa di sbagliato, ma non capiva cosa. Aveva ripassato gli ultimi due giorni minuto per minuto, passando al setaccio ogni dettaglio di quelle giornate. Avevano trovato il primo corpo, era arrivata Amber, poi c’era stato il secondo corpo, le ricerche nella roulotte, l’aggressione di Monroe e infine la caccia al Wesen. Sembrava tutto rientrare nella solita routine, se si escludeva tutto ciò che riguardava personalmente Amber.
Sospirò, chiudendo gli occhi; forse era solo stanco, forse aveva solo bisogno di una lunga dormita. Dopotutto, non era facile avere una doppia vita, da Grimm e da poliziotto. Probabilmente, con un altro lavoro sarebbe stato tutto più semplice, visto che era così difficile nascondere omicidi di cui il responsabile era proprio lui. Meglio non pensarci, o non avrebbe mai preso sonno.
Si girò di nuovo sul fianco e chiuse gli occhi, cercando di svuotare la mente; era ormai sul punto di addormentarsi quando capì cos’era che non quadrava. Purtroppo, non riusciva a trovare una soluzione a quel problema. Tentò di farsi venire qualche idea, ma la sua mente rimase completamente deserta; avvilito, afferrò il telefono e compose il numero di Amber.
-Pronto?- rispose la voce assente di lei dall’altra parte.
-Amber sei ancora sveglia?- chiese lui, non soffermandosi a pensare che la risposta era piuttosto scontata.
-Secondo te perché avrei risposto al telefono, scusa?- si udì un fruscio, come di fogli che cadevano a terra -Piuttosto, che vuoi ancora? Hai visto che ore sono?-.
-Sì lo so, scusa se ti ho disturbato- si giustificò lui -Ma c’è una cosa che mi preoccupa, per quello che è successo stasera con quello Steinkind-.
Amber sbuffò -Ti decidi ad arrivare al nocciolo della questione?-.
-Il fatto è che non posso dire a Renard che ad uccidere quelle persone è stato un bambino, men che meno un Wesen- disse lui -Mi prenderebbe per pazzo-.
-Beh, questa non sarebbe una novità- commentò lei, con una punta di ironia nella voce -Comunque, perché no? È la verità che conta, o sbaglio?-.
-Non in questo caso- Nick si passò una mano sul volto -Questa storia deve rimanere sepolta. Ma ho anche bisogno di qualcuno a cui dare la colpa degli omicidi, ma non saprei come fare-.
Silenzio dall’altro capo del filo; Nick immaginò Amber che rifletteva, con lo sguardo vuoto privo di espressione, probabilmente seduta sul letto con l’abatjour accesa sul comodino accanto a lei. Rivide davanti a sé i suoi grandi occhi verdi che lo scrutavano, nel più assoluto silenzio, immobili nella loro posa di studio.
-Me ne occupo io- la sua voce sembrava venire da lontano.
-Che hai detto?- Nick si riscosse all’improvviso dai suoi pensieri.
-Ho detto che mi occupo io della questione. Tu piuttosto fatti vedere da un dottore, stai diventando sordo- detto questo, riagganciò.
 
Amber si preparò nel giro di pochi minuti; anche se era già tardi, non riusciva a dormire, perciò era rimasta alzata per preparare le valige dal momento che l’indomani sarebbe ripartita. Quando aveva ricevuto la telefonata di Nick, però, aveva dovuto fare dietrofront e rivedere le sue priorità.
Uscì nella notte fresca e dal bauletto fissato alla sua moto prese una piccola sacca che portava sempre con sé; controllò il contenuto e, accertatasi che ci fosse tutto il necessario, infilò il casco, montò in sella e si allontanò velocemente.
Portland era una città piuttosto grande, e trovare un angolo tranquillo lontano da occhi indiscreti non era molto semplice, anche all’una di notte; dovette uscire dalla periferia e continuare per almeno una decina di chilometri, prima di trovare il luogo ideale. Lasciò la moto sul ciglio della strada, tenendo però i fari accesi per riuscire a vedere quello che faceva nell’oscurità della notte rischiarata appena da una falce di luna.
La strada su cui si era fermata era poco più di un sentiero di campagna e in cui l’incrocio più vicino si trovava a chilometri di distanza. Non molto lontano da lì c’era anche una specie di capanna che sembrava essere fatta apposta per il suo scopo.
Amber prese la sacca dal bauletto e, dopo aver scavato una piccola buca proprio al centro dell’incrocio, vi sotterrò una scatolina di legno. Si allontanò di un centinaio di metri, avviandosi verso il capanno, quando sentì la presenza di qualcuno alle sue spalle.
-Ma tu guarda chi è venuto a cercarmi- disse una voce maschile con ironia -Non sai che non si devono chiamare i demoni, Amber Moore?-.
-Sono contenta che tu sia qui- gli rispose lei, senza nemmeno voltarsi -Devo parlarti-.
-Immagino che tu voglia fare un patto con me- l’uomo le andò dietro, guardandosi intorno, circospetto -Altrimenti non mi avresti chiamato-.
Amber non rispose; si limitò ad entrare nel capanno e aspettò che anche lui entrasse, ma non lo fece; si fermò sulla soglia e fece un ghigno, mostrando i suoi occhi completamente rossi.
-Credevi davvero che sarei caduto nella trappola?- con un piede spostò un po’ di segatura che ricopriva il pavimento, rivelando una specie di disegno fatto con una bomboletta spray rossa.
-Hai ragione, è stato stupido- lei si fece avanti e grattò via un po’ di vernice, in modo che la linea fosse interrotta.
L’uomo avanzò, senza più aver paura di qualche trappola -Che vuoi da me, Amber?-.
Lei lo fissò per un momento, con le braccia conserte -Riporta indietro Rick-.
Lui rise di gusto, fin quasi ad avere le lacrime agli occhi -Oh ragazzina, sai bene anche tu che non è possibile. Il tuo Rick ha venduto l’anima per te, non posso farlo tornare- sogghignò.
Amber rispose al ghigno e tirò fuori dalla tasca un piccolo coltello dalla lama lucente -Allora dovrò passare alle maniere forti-.
Lui non si scompose -Che credi di fare con quello? Non ti hanno insegnato che quelli come me non si uccidono con un coltellino da burro?-.
-Oh ma questo non è un coltello qualsiasi- fece passare un dito sul filo della lama, controllando l’affilatura -Questo è diverso. E’ stato forgiato giù all’inferno, e uccide quelli come te. Vuoi provare?- si avvicinò a lui, sogghignando.
-Prima devi prendermi- provò ad uscire dal corpo che stava possedendo, ma non ci riuscì; si guardò intorno, preso dal panico.
Lei gli indicò il soffitto, dove era dipinto un’enorme stella inscritta in un cerchio, insieme ad alcuni strani simboli -Non te l’aspettavi, eh?-.
Lui la guardò, sbigottito, incapace di concepire che una ragazzina fosse riuscito a catturarlo con tanta facilità.
Amber gli si avvicinò ancora e, senza dire una parola, affondò con violenza il coltello nel suo torace, fino all’impugnatura; quando lo fece scivolare fuori, la lama era coperta da un luccicante strato di sangue rosso vivo.
L’uomo cadde a terra in ginocchio, poi finì bocconi ai suoi piedi, e dalla sua bocca uscì del fumo nero che si infiltrò nel pavimento e sparì per sempre nel buio degli inferi.
Amber ripulì tutto quello che poteva e portò fuori il cadavere, pensando a come poteva portarlo in città senza farsi scoprire. Per quello c’era sicuramente una soluzione; l’importante era avere il capro espiatorio degli altri delitti.

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Capitolo 14
*** 14. ***


Il mattino seguente, subito dopo essere arrivati alla centrale, Nick e Hank ricevettero una chiamata per il ritrovamento di un cadavere non molto lontano dal posto in cui era stata rinvenuta la seconda vittima, vicino alla riva del fiume. Mentre stavano per uscire, si imbatterono in Renard che stava arrivando e, saputo cosa era successo, si aggregò a loro.
Là trovarono Amber nelle fattezze di Ellen Ward, con la parrucca bionda e il tailleur elegante macchiato di sangue, in piedi di fianco al cadavere di un uomo pugnalato al torace. Il suo volto era stravolto, buona parte del trucco era scivolata via; aveva i capelli scompigliati, i vestiti spiegazzati e le mani le tremavano.
-Ha tentato di uccidermi- disse lei non appena vide i poliziotti avvicinarsi -Ho dovuto difendermi-.
Nick sapeva perfettamente che razza di messinscena fosse quella, e dovette dar atto ad Amber che era un’attrice davvero niente male. L’unica cosa che lo colpì fu il fatto che avesse davvero ucciso un uomo per coprirgli le spalle.
-Lei sta bene?- le chiese Hank, appoggiandole una mano sul braccio.
Annuì, poi tese loro un coltello dalla lunga lama, pulita, anche se incrostata di sangue vicino all’impugnatura -Questa è l’arma-.
Renard infilò un paio di guanti in lattice blu e lo prese cautamente in mano -Perché lo ha ripulito?-.
Amber alzò su di lui uno sguardo perso -Non so. Sono stata presa dal panico- mormorò -Mi spiace-.
-Chi era l’uomo?- chiese Nick, anche se più o meno conosceva la risposta che sarebbe arrivata.
-L’assassino che cercavamo- rispose lei, senza mai uscire dal suo personaggio sotto shock -L’ho rintracciato mentre stava seguendo la sua terza vittima. Abbiamo lottato, mi ha disarmato e mi sono difesa con il coltello-.
Renard sembrò piuttosto soddisfatto della spiegazione; consegnò l’arma a uno della Scientifica, poi se ne andò, seguito da Hank e, più indietro, Nick e Amber.
-Sei brava come attrice- le sussurrò lui -Ma non mi aspettavo che uccidessi davvero qualcuno-.
-Avevi bisogno di un capro espiatorio, no?- la sua voce tornò la solita, sicura e senza tentennamenti -Avevo detto che me ne sarei occupata io e l’ho fatto-.
-Era un Wesen?- volle sapere ancora lui.
Lei scrollò le spalle -Una specie- poi, vedendo il suo sguardo, aggiunse -Nessuno lo verrà a cercare, fidati. Non abbiamo dato inizio a una faida tra mostri. Filerà tutto liscio-.
 
-E così anche questa è finita- Hank finì di firmare gli ultimi fogli del fascicolo su cui era stata apposta la scritta “caso chiuso”.
-Così pare- Nick prese uno scatolone che aveva appoggiato a terra vicino alla scrivania e iniziò a trasferirci dentro tutte le prove del “caso della spaccatura”, come l’avevano ribattezzato i media.
In quel momento fece il suo ingresso Amber, ancora vestita da agente federale, ma con abiti puliti e un aspetto più ordinato; si avvicinò e tese loro la mano.
-Signori, è stato un piacere lavorare con voi- disse, stringendo la mano ai due detective.
-Sei in partenza?- le chiese Hank.
Annuì -Già. Mi prenderò una vacanza, per riprendermi dallo shock- virgolettò l’ultima parola con un gesto.
-Dove te ne vai?-.
Scrollò le spalle -Non lo so. Ovunque mi porterà la mia moto-.
-Beh, è stato un piacere anche per noi- anche Nick le strinse la mano -Grazie di tutto-.
In quel momento dal suo ufficio uscì il capitano; non appena vide Amber parlare con i suoi sottoposti, le fece cenno di raggiungerlo. Lei eseguì l’ordine, e chiuse la porta alle sue spalle.
-Che cosa voleva dirmi, capitano?- chiese lei.
-Volevo solo ringraziarla per il suo aiuto, agente Ward- fece una pausa -O forse dovrei chiamarla Amber Moore?-.
Lei si irrigidì immediatamente; dovette respirare profondamente per mantenere la calma -Come fa a saperlo?-.
-Ho fatto un controllo, e ho scoperto che la vera Ellen Ward è rimasta uccisa durante un’operazione antidroga- andò a sedersi alla sua scrivania e guardò la donna dritto negli occhi -E poi, Nick ha fatto delle ricerche su di te-.
Amber si morse violentemente il labbro inferiore; lo sapeva che quello lì l’avrebbe messa nei guai!
-Quindi che vuoi fare?- chiese lei, passando a un tono meno formale -Denunciarmi? Arrestarmi?- tese le braccia davanti a sé, come per farsi ammanettare.
-Lo confesso, l’avevo pensato- ammise Renard -Ma non lo farò. C’è del potenziale in te, e credo che potresti aiutarmi in una mia faccenda-.
Lei incrociò le braccia sul petto -Non se ne parla. Io lavoro solo per me stessa-.
Il capitano no sembrò sorpreso dal suo rifiuto -Se non lo fai allora sarò costretto a denunciare il fatto che hai rubato l’identità a una donna morta. Vuoi davvero passare il resto della tua vita in carcere?-.
Amber sembrò riflettere su quelle parole, ma alla fine si andò a sedere di fronte a lui e lo guardò dritto negli occhi -Se lo farai, io dirò a Nick che sei per metà mostro-.
Questa volta fu lui a irrigidirsi sulla sua poltrona -Come lo sai?-.
-Istinto femminile- rispose lei vagamente -E credimi, non esiterà un secondo ad ucciderti se venisse a sapere che te la fai con la sua ragazza-.
Renard non disse niente; diventò rosso in viso per l’imbarazzo, ma non proferì parola.
-Vedi, siamo pari- Amber si alzò -Io so un segreto su di te, e tu uno su di me. Nessuno dei due parla e siamo tutti e due salvi. Ci stai?-.
Lui non ebbe altra scelta che accettare l’accordo -Ricordati che non finisce qui-.
-Prima dovrai trovarmi- detto questo, uscì dall’ufficio di Renard, fece un cenno di saluto a Nick e Hank e prima di scendere in strada, si cambiò i vestiti e si tolse la parrucca, tornando ad essere la vera Amber Moore.
Dall’altra lato della strada c’era la sua moto che l’aspettava; mise le sue cose nel bauletto e mentre stava per accenderla, vide Nick venirle incontro.
-Grazie di nuovo, Amber- le disse.
-Mi hai già ringraziato abbastanza- la sua voce era più profonda a causa del casco integrale -Ci si vede, Grimm-.
-A presto, cacciatrice-.
Lei sorrise appena; avviò il motore e nel giro di pochi secondi sparì alla sua vista, veloce come era arrivata.
***THE END***

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