Il Risveglio - Lo specchio dell'anima

di Alena18
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Il nulla. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno: Occhi gialli. ***
Capitolo 3: *** Capitolo due: Scappa! ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre: Chiusa dentro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro: Nelle segrete. ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque: Specchio. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei: Complicato. ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette: Chi è lui? ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto: Angelo o demone? ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove: Pericolo. ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci: Nero. ***
Capitolo 12: *** Capitolo undici: Uccidimi. ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodici: Veleno. ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredici: Stregoneria. ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordici: Sotto controllo. ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindici: Illusione. ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedici: Gli Elementi. ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassette: Amare è distruggere. ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciotto: Congelato. ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannove: Riflesso. ***
Capitolo 21: *** Capitolo venti: Eclissi. ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventuno: L'ibrido. ***



Capitolo 1
*** Prologo: Il nulla. ***


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                                                                      “Adesso, ovunque fosse, con chiunque si trovasse, lei era costantemente in pericolo.”
 
                                                                        
-Oh, cavolo- sbottò Charlotte bloccandosi improvvisamente nell’atrio della scuola –Ma sta diluviando!- batté stizzita un piede per terra indicando con occhi fuori dalle orbite il paesaggio completamente bagnato oltre le porte spalancate dell’istituto.
-E dov’è la novità?- chiesi retorica dirigendomi in cortile, sorridevo anche se sapevo che Lottie non poteva vedermi –Questa è Londra, ricordi?- alzai il viso al cielo chiudendo gli occhi e godendomi la fresca, ovviamente umida, sensazione della pioggia sulla pelle accaldata.
-Come dimenticarlo con te che non fai altro che ripeterlo- roteò gli occhi al cielo e mi si avvicinò coprendo la testa con un quaderno la cui copertina aveva sicuramente visto tempi migliori.
Era vero, io non facevo altro che ribadire il fatto che vivessi a Londra, ma era la mia città ed io l’amavo: amavo le sue luci calde e le caratteristiche cabine telefoniche di un rosso così acceso da ricordarmi quello di un semaforo, i palazzi altissimi che mi davano la sensazione di essere ancora più bassa, la gente che non si fermava mai, amavo il caos perché era in esso che io potevo nascondermi e passare inosservata. –Ecco mio padre finalmente- sospirò di sollievo tentando di coprire quanto più poteva la sua massa di capelli ricci –Vuoi un passaggio?- si affrettò a chiedere mentre camminava a ritroso verso la grande auto scura.
Scossi la testa e i capelli bagnati mi si appiccicarono sul viso facendomi solleticare la pelle –No, grazie. Farò una corsa a casa-.
-D’accordo- la sua mano sbucò da dentro la grossa giubba blu salutandomi velocemente –Fatti sentire, secchiona!- mi urlò prima di scomparire all’interno dell’abitacolo. Sorrisi contenta di avere unicamente lei come amica, nessuno poteva capirmi e allo stesso tempo prendermi in giro al di fuori di Lottie, forse per una sedicenne era strano avere una sola amica, ma non sentivo il bisogno di essere costantemente circondata da persone, soprattutto se quelle persone erano i miei coetanei presi unicamente dal sesso e dal divertimento. Io volevo una vita autonoma e felice, una carriera come insegnante e magari una famiglia. Volevo adottare un bambino di colore e vivere in un’umile casa di città, sarebbe stata la vita ideale e avrei lavorato sodo per averla. Studiare era l’unica cosa in cui eccellevo, oltre all’essere invisibile: entrambe le cose non mi dispiacevano.
Adesso, mentre correvo per strada rischiando di scivolare e cadere col sedere per terra, pensavo che non avrei voluto essere in nessun altro posto, Londra era così giusta per me, forse una delle poche cose esatte della mia vita.
Un improvviso strombazzare di clacson mi fece sobbalzare e per poco non persi l’equilibrio. Quando mi voltai fui abbagliata da due grossi fari puntati su di me, la velocità con cui quell’auto si avvicinava mi tolse il fiato, i piedi erano come incollati all’asfalto mentre il mio cuore batteva all’impazzata. Un secondo dopo ero stesa sul marciapiede e una figura massiccia al mio fianco si alzò facendomi sentire uno scricciolo. Le sue grandi mani pulirono il soprabito nero sporco di acqua piovana ed i suoi occhi evitavano i miei. Ripresi a respirare poggiandomi una mano sul petto: i battiti rimbombarono perfino nel mio palmo sudato.
-Mi… mi ha salvata- realizzai ancora sotto shock per la paura che avevo provato –Grazie- esordii infine con tono riconoscente. L’uomo si limitò a farmi un cenno del capo e, proprio un attimo prima che andasse via, riuscii ad incontrare il suo sguardo.
 
Pensavo ancora a quegli occhi azzurri mentre facevo le valige. Appena saputa la notizia mia madre aveva preteso che la raggiungessi a Dawson City dove si era fermata da circa un mese per badare a nonna Genna malata. Aveva sempre avuto fiducia in me e fu proprio per quel motivo che prendere la decisione di lasciarmi sola a casa per qualche settimana non le fu difficile, ovviamente non mancavano le telefonate giornaliere con le solite raccomandazioni. Mi comportavo bene, la mia coscienza era pulita in merito, ma quell’unica, piccola distrazione quel pomeriggio dell’ultimo giorno di scuola aveva scatenato tutto il senso materno di mia madre troppo ansiosa per rischiare di darmi un’altra possibilità. Così adesso mi ritrovavo a fare i bagagli per un posto sperduto ai confini del Canada, dove l’estate era praticamente inesistente, be’, non che a Londra splendesse il sole, ma almeno le temperature superavano i venti gradi. Seppur ci avessi vissuto per i primi anni della mia vita, di Dawson non ricordavo nulla, nessun ricordo felice, né triste, forse ciò era dovuto al fatto che era lì che mio padre ci aveva abbandonate. In effetti io avevo sempre associato quel piccolo paesino a mio padre e al suo tradimento, probabilmente era per questo che odiavo quel posto. Tornare lì dopo che mia madre aveva fatto tanto per andarsene e condurre una vita migliore in città mi sembrava ingiusto, era come distruggere il lavoro di quasi un’intera vita. A riscuotermi dai miei pensieri fu la suoneria del mio cellulare buttato sul letto ancora sfatto. Scossi la testa e chiusi la valigia, recuperai il telefono e, senza nemmeno leggere il nome della persona che mi stava cercando, risposi alla telefonata.
-Pronto?- dissi e quando il mio interlocutore parlò non mi sorpresi affatto.
-Maya, sono io- rispose Lottie con tono basso, quasi grave. Era la stessa Charlotte che se ne andava saltellando per la scuola quando scopriva di aver passato un test? Era la stessa che aveva festeggiato per interi giorni il suo primo bacio? Lei non aveva mai usato quel tono, mai in due anni che la conoscevo.
-Ci sono i ladri in casa tua?- chiesi stranita da quella sua strana voce chiusa, roca. Non ero preoccupata, qualcosa mi diceva che stava scherzando, ma chiedere non costava nulla.
-No, che ti salta in mente?!- squittì e riuscivo ad immaginarmela, la vedevo seduta sul letto, la fronte corrugata e l’espressione del volto stizzita. Sorrisi perché mi sembrava di avercela davanti.
-Mi salta in mente che tu, Charlotte Virginia Martin, non hai mai usato quel tono di voce così… spento- ribattei rotolando sul letto fino ad affondare la faccia nel cuscino.
-Ma si tratta della partenza della mia migliore amica, migliore amica, comprendi?- proseguì e risi nell’udire quella frase. Ricordai velocemente il messaggio di sfogo che le avevo mandato quella mattina all’alba, non pensavo lo avrebbe letto dopo solo un’ora.
-Non usare giochetti di parole con me e, ancor più importante, non tentare di imitare Jack Sparrow, sai che fai letteralmente schifo- la incalzai tornando a guardare il soffitto rivestito dalla colorata carta da parati dove, all’età di otto anni, ci avevo attaccato un chewingum.
-Non posso darti torto, ma… ehi! Non provare a cambiare discorso, signorina- quasi vedevo il suo dito ondeggiare davanti al mio viso, come una madre quando sgrida sua figlia.
-Chiedo umilmente perdono, mammina- dissi fintamente dispiaciuta.
-Ah-ah- rise senza divertimento –Ora, puoi per piacere dirmi perché parti per quella desolazione che chiamano città?-
-Ti ho raccontato già del mio incidente barra salvataggio di qualche giorno fa, ricordi?- chiesi retorica –Be’, quando ne ho parlato a mia madre la sua reazione oltre ad essere esagerata è stata sorprendente, quasi mi aspettavo che collassasse mentre eravamo a telefono- spiegai senza ingigantire la situazione, mia madre era davvero così fissata, alle volte non mi capacitavo di come avesse fatto a lasciarmi da sola in una città che per lei era per lo più pericolo e rischio di essere derubata.
-Addirittura?- A Charlotte tutte le reazioni di mia madre sembravano esagerate, forse perché la sua non era poi così presente, ma la mia… be’, la mia era quella che si definiva “mamma chioccia”.
-Proprio così ed è per questo che devo partire. Nonna Genna sta ancora male ed io ho paura che non si riprenderà mai. A quel punto non solo dovrò restare lì per chissà quanto tempo, ma quel posto mi porterà un altro brutto ricordo da aggiungere alla mia collezione!- sbottai passandomi una mano sul viso per tentare di contenere il mio disappunto.
-Ehi, secchiona, cosa dico sempre io?- domandò con voce sottile e calma, proprio come una sana di mente si sarebbe rivolta ad una potenziale psicopatica.
-Voglio un ragazzo?- chiesi non sapendo dove volesse andare a parare.
-No, quell’altra cosa che dico sempre-.
-Perché la scuola non crolla?- dissi ancor più stranita.
-Oh, santo cielo, quell’altra!- esclamò esasperata.
-Ho fame?- continuai più confusa che mai.
-Mio Dio- sibilò dall’altro capo del telefono –Pensa positivo, ecco quello che cercavo di farti capire-.
-Ma non hai mai detto una cosa del genere- commentai sconcertata, lei che diceva di pensare positivo? Tsé!
-Shh!- mi ammonì –Sicuramente ci sarà stata una circostanza in cui te l’ho detto- si stava arrampicando sui muri.
-Ehm… no- risposi secca.
-Senti, cara Maya, vuoi pensare positivo sì o no?- domandò con voce più alta di un’ottava, mi piaceva punzecchiarla.
-D’accordo, penserò positivo allora- mi arresi. Forse però l’idea di essere positiva non era poi così male, fino a quel momento non avevo fatto altro che ripensare ai brutti non-ricordi, al fatto che la mia vita da rovinata sarebbe passata a distrutta, ma perché non vedere un po’ il lato positivo? Be’, prima dovevo trovarlo.
-Perfetto. Ora devo andare, devo mettermi qualcosa nello stomaco, ho fame- quando pronunciò quelle parole scoppiai a ridere e lei, dopo una serie di imprecazioni, mi attaccò in faccia.
Terminata la chiamata sospirai, un sospiro vuoto e inutile se nessuno poteva sentirlo e chiedermi perché l’avessi fatto. Pensare positivo, pensare positivo, pensare… no, non ci riuscivo, in quel momento non dovevo neanche pensare, meglio leggere. Mi alzai dal letto con la delicatezza di un ippopotamo ed afferrai il libro sul comodino, sprofondando nuovamente tra le coperte. Aprii a pagina centosessanta e in un secondo la mia realtà scomparve, ed io mi ritrovai nel sedicesimo secolo descritto in Amleto da uno dei miei scrittori preferiti: William Shakespeare. E mentre leggevo il sonno che quella notte mi aveva abbandonata si fece sentire. Le mie palpebre divennero improvvisamente pesanti il triplo, gli occhi erano asciutti, la mente sgombra. Un secondo dopo mi ritrovai in una realtà di figure vorticanti e opache, non c’era nulla di definito, solo ombre che piano svanivano lasciando spazio a quello che sembrava un grosso cartello. C’era scritto qualcosa in grande e le lettere erano colorate in diverse tonalità di blu. L’immagine finalmente divenne più nitida e riuscii a leggere solo due uniche parole: DAWSON CITY.
Quella scena scomparve e d’un tratto vidi solo verde, una foresta in penombra, la pioggia battente, il vento che piegava i rami appuntiti, poi un rumore sgradevole mi fece tremare le viscere e… mi svegliai. Avevo il fiato corto e la fronte sudata anche se non ne capivo bene il motivo, quello non era un incubo, era soltanto Dawson City, una trappola per tutte quelle che si chiamavano Maya Gordon e, sfortunatamente, quello era proprio il mio nome.
Mi strofinai gli occhi riuscendo a mettere a fuoco la mia stanza: il libro era chiuso al mio fianco, le coperte erano finite in terra e l’orologio sul comodino segnava le nove e quindici, ovviamente del mattino. Merda!
Scattai in piedi e mi catapultai in bagno, feci una doccia veloce e mi limitai ad asciugare i lunghi capelli castani solamente in parte, scelsi velocemente qualcosa di leggero da indossare e recuperai un paio di scarpette da ginnastica. Quando passai di corsa davanti allo specchio mi immobilizzai. Tornai lentamente indietro sperando che l’immagine che avevo visto fosse solo una sorta di illusione ottica, ma quando mi specchiai la disperazione si impossessò di me. Mi ero praticamente vestita da spiaggia per andare in un paese dove bastava appendere qualche decorazione per poter pensare di essere a Natale, cavolo, cavolo! Mi spogliai infilando quegli abiti in un cassetto e procurandomi qualcosa di più pesante. Alle nove e quaranta ero pronta e il taxi avrebbe dovuto già essere lì, davanti casa mia, ma evidentemente anche il tassista si era appisolato sul volante. Qualche minuto dopo un’auto gialla sbucò da dietro l’angolo ed io mi sbracciai per farmi vedere, probabilmente stavo facendo una figura di cacca, la gente mi guardava come se fossi matta, ma poco importava. L’impresa stava nel far arrivare il mio bagaglio tutto intero fino all’aeroporto, quel tipo sapeva sicuramente cosa significava il termine “guida spericolata”, quando avevo detto che doveva partire a razzo non intendevo proprio a razzo, sembrava di volare e le curve erano la parte peggiore, pareva di essere su una di quelle giostre a forma di gigantesca tazza che girano e girano fino a farti vomitare. Era in momenti come quello che avrei tanto voluto non essere una sedicenne e avere la patente e un’auto tutta mia.
 
La corsa in auto era servita a qualcosa, ora almeno potevo rilassarmi sul mio comodo, per niente mobile, sediolino d’aereo. Mi aspettava un volo lungo ore e ore, così avevo ricordato di portare una borsa con tutto il necessario. Dentro c’erano panini al prosciutto, panini al tonno e, ovviamente, panini al salame, qualche snack e un sacchetto di noccioline, le mie preferite. Uh, e avevo anche qualche ricambio e il mio cellulare con le mie fidate cuffiette che non persi tempo ad infilare nelle orecchie. La musica partì al massimo ed il mio sguardo vagò fuori dal finestrino, oltre quella massa di nuvole, sognando Londra che spariva dietro di me.
 
Una volta scesa dall’aereo fui investita da una folata di vento più fredda che semplicemente fresca, parecchio diversa dalla brezza estiva. L’aeroporto era qualcosa di così strano e desolato, sembrava di essere in mezzo al nulla, ma forse ero io che ero abituata alla grandezza di Londra, alle centinaia di persone sempre in movimento, però cavolo! Lì almeno c’era vita, qui sembrava di essere su un pianeta alieno.
Recuperato il bagaglio divenni una mina vagante e trovare un taxi sembrava difficile quanto cercare un ago in un pagliaio. Camminare a piedi per arrivare al centro che distava chilometri da dov’ero era fuori discussione. Erano le undici di sera ed io ero stanca morta, non c’era nulla intorno a me oltre la strada e anche se avessi voluto fare l’autostop –cosa che decisamente non era da me-, non avrei potuto dato che per farlo avrebbero dovuto esserci le macchine. Afferrai il cellulare dalla borsa trascinandomi dietro la valigia, sbloccai la tastiera e, come per magia, non c’era campo. Puff , sparito! Maledizione. E adesso cosa faccio?, si lamentò una vocina nella mia testa.
D’un tratto, nel silenzio più totale, il lontano eco del rombo di un motore mi fece illuminare lo sguardo. Qualche secondo dopo entrò nella mia visuale un’auto grossa e gialla con degli strani ghirigori e un numero segnato sulla portiera del guidatore: un taxi. Forse dopotutto non ero così sfortunata come credevo. Mi trattenni dal gettarmi in mezzo alla strada per fermarlo e mi limitai a sventolare una mano.
Messo il bagaglio sul sediolino accanto a me tirai lo sportello che si chiuse con uno cigolio sferragliante. Comunicai la mia meta all’uomo al volante e solo dopo oltre dieci minuti di viaggio mi resi conto che non si trattava di un uomo, affatto. Era un ragazzo sopra la ventina, lo si capiva dal suo profilo spigoloso che, oltretutto, era  l’unica cosa, a parte i capelli corvini, che riuscivo a vedere di lui. Mi sorpresi della sua giovinezza, forse perché non avevo mai visto un tassista così giovane e apparentemente carino, ma mi affrettai a distogliere lo sguardo, non osavo immaginare quanto le mie guance sarebbero potute divenire rosse se lui mi avesse beccata a fissarlo come una ragazzina in preda agli ormoni… be’, in un certo senso ero una ragazzina, ma gli ormoni sapevo tenerli a bada io. Guidava veloce, ma quasi non si percepiva, così mi feci cullare dalle flebili note che venivano fuori dalla radio e smisi di combattere il sonno.
 
Un improvviso balzo, seguito da una frenata piuttosto brusca, mi fece risvegliare senza fiato e mi sentii del tutto disorientata. Sbattei le palpebre asciutte e ricordai di essere in un taxi che mi conduceva verso la rovina della mia vita. Perfetto, avrei voluto dormire ancora.
Realizzai, forse in ritardo, di essere arrivata a destinazione, così aprii la borsa e armeggiai col portafogli tirando fuori venti dollari e poggiandoli sul sedile del passeggero. Scesi per poi portare fuori i bagagli e, prima di chiudere la portiera, ringraziai. Vidi la sua testa muoversi in un cenno di risposta alla mia affermazione, quel tipo non sembrava proprio il modello dell’educazione. Mise nuovamente in moto e fu in quel momento che si voltò a guardarmi attraverso il finestrino opaco, i suoi occhi di uno scintillante azzurro, le sue labbra piegate in un mezzo sorriso. Un secondo dopo rimasi sola in una nuvola di smog e, quando il taxi fu fuori dalla mia visuale, mi voltai ritrovandomi letteralmente davanti il nulla.  
 
 
 
 
 
Sciaaao!!
 
Salve a tutti, per quelli che non mi conoscono già dalle mie precedenti fan fiction io sono Alena18 e sono un po’ fuori, quindi questo dovrebbe aiutarvi a capire che questa ff sarà molto strana e soprattutto diversa, molto diversa. Aspettatevi di tutto!
Questo è solo una specie di prologo introduttivo e, vi avverto, la storia andrà avanti più o meno così, in modo piuttosto solitario, durante i primi capitoli, poi ovviamente accadrà quel fatidico “di tutto”:)
Spero davvero che vi possa piacere, fatemi sapere, accetto tutto, anche le critiche purché siano costruttive, si intende;)
Grazie in anticipo!:)
Baci
Alena18 xxx


Maya Gordon

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Capitolo 2
*** Capitolo uno: Occhi gialli. ***


 

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                                                                           “E fu dal primo sguardo, quando lei rabbrividì, che il terrore entrò nella sua anima.”
 
 
Non c’era niente, assolutamente niente che ricordasse la civiltà, o che facesse pensare che lì ci fosse anima viva. Non sapevo cosa pensare, né cosa fare, ero impiantata lì come uno spaventapasseri, con il vento che mi alzava i capelli pungendomi il naso, la valigia storta posata al mio fianco e la borsa a tracolla, solo io e… io. Davanti a me una fitta distesa di alberi alti tre, quattro volte me, alle mie spalle la stradina scoscesa dove un attimo prima c’era il taxi e oltre di essa lo stesso identico scenario che avevo di fronte. In quel paesaggio c’era qualcosa di familiare, credevo di averlo già visto, ma probabilmente l’avevo solo immaginato.
Non riuscivo a capacitarmi di dove fossi, insomma, sapevo che Dawson scarseggiava di abitanti, ma credevo che ci fossero le case, o per lo meno le indicazioni. Cavolo, quel posto era deserto nel vero senso della parola!
-Ehilà!- urlai e a rispondermi non ci fu nemmeno l’eco della mia stessa voce –C’è qualcuno in questa specie di città fantasma?- Inutile, non c’era nessuno. Ma dove cavolo ero finita? Quella non sembrava neanche Dawson City, che diamine di indirizzo avevo dato a quel tipo? E possibile che a lui non paresse strana la mia destinazione? Già, era tutta colpa di quel tassista dei miei stivali!
-Ehi, idiota!- sbottai d’improvviso –Torna indietro e metti uno stupido navigatore in quella vecchia ferraglia!- gridai al nulla, era bello potersi sfogare, scaricare la colpa su qualcun’altro, ma non c’era sfizio se nessuno era lì per ribattere. Non ero mai stata tanto fuori di me, era piuttosto evidente che il panico cominciava a farsi sentire.
-Okay, Maya- mi dissi –Respira- ispirai ed espirai –E adesso, pensa positivo- Stavo passando in rassegna ogni angolo del mio cervello alla ricerca di un pensiero positivo, ma ne ero a corto –Pensa positivo- ripetei –Un attimo!- le mie sopracciglia scattarono verso l’alto ed i miei occhi si spalancarono –Pensa positivo. Lottie. Il cellulare- esplosi facendo un salto ed aprendo la cerniera della mia borsa. Trovato il cellulare non mi restava che comporre il numero, meglio chiamare Charlotte piuttosto che far preoccupare mia madre inutilmente, la mia migliore amica era un tipo pieno di risorse. Ovviamente il mio momento di gloria fu rovinato da quel sadico del mio cellulare al quale piaceva continuare a sbattermi in faccia che in quel posto sperduto non c’era campo.
-Cavolo!- esclamai passandomi una mano fra i capelli gelidi –E adesso che faccio, adesso che faccio- presi ad andare avanti e indietro come un pendolo impazzito, dovevo farmi venire un’idea, qualsiasi cosa meno che farsi sopraffare dalla paura.
-Ci sono!- dissi fermandomi di colpo –Seguirò il sentiero- mi sembrava la cosa più intelligente da fare, oltre che l’unica. Afferrai il manico della mia valigia e tirai fin sotto il mento la zip del mio giubbotto scuro, incamminandomi verso Dio solo sapeva cosa.
Dopo oltre venti minuti di cammino ininterrotto cominciò a piovere, una pioggia diversa da quella di Londra, questa era più leggera e fresca.
-Oh, bene!- strillai al cielo –Hai altro il serbo per me?- chiesi, ovviamente retorica, sempre al nulla mentre mi infilavo un cappuccio. Qualche minuto dopo i tuoni rimbombarono tutt’intorno e un lampo illuminò il cielo coperto di nubi. Mi fermai di botto, non a causa del temporale, ma perché ero arrivata ad un bivio.
-Vuoi scherzare?!- urlai, ma il vento censurò la mia affermazione strappandomi via il cappuccio. Lo rincorsi ritrovandomi, sempre e letteralmente, ad un soffio dal prenderlo. Probabilmente passarono minuti prima che, finalmente, si fermasse. Si posò delicatamente al suolo umido e arido, ed io lo afferrai repentina infilandolo in borsa. Ero fradicia di acqua, bagnata dalla testa ai piedi nel bel mezzo di una foresta, lontana chissà quanto dalla strada. Fantastico. Quando mi voltai vidi una grossa quercia ombrosa, ma con una chioma fitta e quasi impenetrabile: un buon riparo. Trascinai la valigia con me e mi parve così lontano quell’albero in quel momento, il vento mi spingeva indietro rendendomi quasi impossibile camminare a passo d’uomo. Finalmente arrivai e immediatamente lasciai andare il mio bagaglio, avevo le dita intorpidite. Quella quercia era affascinante, doveva essere vecchia di secoli, era interessante poterla osservare, almeno impegnavo la mente e imparavo qualcosa. Oh, quanto avrei voluto essere a scuola! Toccai la corteccia ruvida della quercia, la accarezzai come in cerca di conforto, ma subito mi ritrassi. Quando aprii la mano destra, sul palmo c’era inciso un lungo taglio, era profondo a giudicare dal sangue che già colava lungo il polso per poi gocciolare sulla terra. Solo in quel momento mi resi conto che il suolo era completamente ricoperto di neve, anche se non stava nevicando. Che strano, pensai mentre tentavo di ignorare il bruciore spostando lo sguardo altrove, il sangue mi faceva senso. Velocemente mi strappai un pezzo di stoffa dalla mia canotta e lo utilizzai per fasciarmi la mano così da fermare il sangue che pulsava sotto la pelle, intorno alla ferita. La testa cominciò a girarmi, la vista mi si appannò, il sangue aveva proprio un brutto effetto su di me. Piano mi lasciai cadere al suolo, infischiandomi della neve macchiata di rosso che mi congelava il fondoschiena, dovevo riposare, o almeno riacquistare le forze. Chiusi gli occhi nella speranza che il mondo smettesse di vorticare e restai così a lungo, fino a quando un rumore secco mi costrinse a spalancare gli occhi. Mi irrigidii di colpo, forse a causa del freddo, forse no, ma c’era qualcosa… qualcosa che si muoveva tra i cespugli di fronte e mi diede i brividi. D’un tratto colsi un movimento ed assottigliai lo sguardo ancora un po’ offuscato per tentare di vedere qualcos’altro, ma non ne ebbi il tempo. Qualcosa di tremendamente grande sbucò fuori dai cespugli puntando verso di me. Mi tirai su il più velocemente possibile, correndo in nessuna direzione, senza alcuna meta, con il cuore a mille e la paura tatuata negli occhi che schizzavano da una parte all’altra in cerca di un aiuto, un’idea. Un ringhio disumano mi fece urlare e corsi più forte. Voltai la testa per vedere da cosa stessi scappando, anche se avevo una paura tale a scoprirlo. Inizialmente non vidi nulla a causa della vista appannata dalle lacrime, poi riuscii a cogliere uno scintillio in un paio di occhi gialli come l’oro. Era qualcosa di enorme e peloso, una bestia affamata della quale non volevo assolutamente essere lo spuntino di mezzanotte. Ma come sfuggire a tanta velocità, tanta forza e tanta fame se ero completamente sola? 
 
 
 
 
Ehilà, bella gente!
Prima di tutto vi voglio ringraziare tutte per aver letto e recensito il primo capitolo, ho molti progetti e idee per questa ff, ci tengo molto e ho bisogno di sapere voi cosa ne pensate.
Trovo questo mio nuovo stile sia di scrittura che per quanto riguarda il genere della storia diverso e piuttosto particolare, credo che andando avanti potreste davvero appassionarvi, o almeno lo spero lol:)
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto come il primo, non accade molto, ma questi primi capitoli si concentreranno molto su di lei, per dare un’idea della sua vita e di cosa sta per cambiare.
Ora la smetto di rompere e mi dileguo. Ah! Scusatemi per questo ritardo, ma la scuola mi ha assorbita negli ultimi giorni e non ho avuto tempo, scusate anche se non sono ripassata ancora da alcune di voi, provvederò a farlo sicuramente nei prossimi giorni:)
Grazie ancora a tutte e recensite mi raccomando, anche se non vi piace, almeno capisco cosa devo cambiare;)
Alla prossima:)
Baci
Alena18 xxx

 

La foresta
 
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Capitolo 3
*** Capitolo due: Scappa! ***


 
 

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                                                                                                       “Poteva essere la sua salvezza, ma restava sempre la sua condanna.”
 
 
 
Avrei potuto arrampicarmi su di un albero e sperare che quella specie di mostro lasciasse perdere andando via, ma… io non sapevo arrampicarmi! Ma dove diamine ero andata a finire? Che cavolo di posto era quello?! Non avevo mai sentito di bestie così… così grandi. Pensare positivo diceva Lottie, e io dove la andavo a prendere la positività in quella storia?! Non c’era niente intorno a me, niente, il nulla. Alberi, alberi ovunque, rami appuntiti quanto spade che mi strappavano il giubbotto lacerandomi addirittura la maglia al di sotto di esso, nebbia fitta attraverso la quale non riuscivo a scorgere nulla, neve scivolosa e pioggia battente: quel posto non era normale. Un altro ringhio, questa volta più alto e rabbioso, esplose alle mie spalle facendomi perdere il controllo sul mio corpo che tremò violentemente. I miei piedi incapparono in una buca e le mie gambe cedettero. Caddi al suolo con un tonfo sordo, sentii le pietre forare il cappotto che indossavo proprio sul petto. Il dolore mi andò alla testa, la vista si colorò di tante macchie dalle tinte sgargianti e un forte rumore di rami spezzati seguito da un respiro caldo e affannoso mi fece voltare di scatto. Percepivo i muscoli delle gambe tesi e intorpiditi, il dolore sul seno causato dalle rocce mi dava una fastidiosa sensazione di oppressione, ad ogni lato dei miei piedi c’era una grossa zampa artigliata e ricoperta di peli scuri, sopra di me un gigantesco torace peloso si alzava ed abbassava velocemente, oltre di esso il volto rabbioso munito di bocca con tanto di zanne affilate di quello che pareva un lupo, un po’ cresciuto, ma pur sempre un enorme, carnivoro, terribilmente affamato lupo. Strinsi i denti per non urlare, ma qualche lacrima scivolò sul mio viso sporco mentre le mie mani stringevano quel misto di neve e foglie secche nella disperata speranza che un dolore più grande potesse cancellare quell’immagine orrida dalla mia mente. L’ululato che fece eliminò ogni genere di mio pensiero positivo o negativo che fosse, trattenni il fiato mentre lo guardavo alzare il muso al cielo per ululare più forte, fu in quel momento che avvertii qualcosa di duro e gelido nella mia mano. Spostai velocemente lo sguardo su di essa e notai che stavo stringendo una grossa pietra terribilmente appuntita, ricordava un piccolo stalagmite. Senza pensare alle conseguenze, con l’aiuto anche dell’altra mano ferita, la alzai. Le braccia mi tremarono, non credevo fosse così pesante e il terrore che quella specie di lupo potesse accorgersi di ciò che stavo tentando di fare mi fece gemere per la frustrazione. Chiusi gli occhi, raccolsi tutte le mie forze e conficcai la roccia in quella che pensavo fosse la sua spalla, poi una fitta acuta al braccio mi fece perdere la presa sulla pietra che restò all’interno del corpo del lupo. Lo vedevo dimenarsi, ringhiare furioso ed emettere bassi lamenti mentre strisciavo indietro tenendomi il braccio dolorante. All’improvviso smisi di sentire i rumori strazianti che mi circondavano, adesso avvertivo solo il mio cuore battere nelle orecchie, nel petto, nello stomaco, in gola, nelle mani, persino nei polpastrelli, ma non riuscivo a togliere gli occhi da quella scena. D’un tratto il lupo si arrestò e punto i suoi occhi gialli nei miei marroni, aveva i denti digrignati e la bava gli colava da un lato della bocca. Trattenni il fiato incapace di muovermi e, mentre un secondo prima sentivo solo il palpito del mio cuore, quello dopo ecco una voce disumana sovrastare il rumore dello scorrere del mio sangue nelle vene, più forte del suono del vento, più insistente della pioggia. Scappa!, diceva, Scappa!.
Quell’esortazione mi mise i brividi, ma riuscii a riscuotermi dal mio stato di shock e barcollando mi rimisi in piedi. Corsi evitando a malapena gli alberi, tentai di prendere strade diverse per cercare di disorientarlo, ma il suo ululato, non molto lontano da me, mi fece dimenticare ogni tattica ideata al momento e pensai solo a correre. Per quanto ancora avrei dovuto continuare a farlo? E soprattutto, ne valeva la pena? Dopotutto non volevo vivere in quel posto e se lì era tutto così orribile, forse era meglio se la facessi finita subito. Ecco il mio lato pessimista, sempre più forte di quello ottimista, ma negare il pericolo e la puzza di morte che alleggiava intorno a me sarebbe stato come mentire. Io non mentivo.
Nella follia, nella paura, nell’adrenalina del momento mi sembrò di scorgere qualcosa oltre quel manto bianco-grigio e mi ci diressi a razzo, forse era un’uscita. Ogni muscolo del mio corpo voleva cedere, il mio cuore ormai aveva superato i cento battiti al minuto, ma la paura era più forte. Mi lanciai nella nebbia con la speranza di trovare aiuto oltre di essa, ma ciò che vidi fu solo una distesa verde scuro e, più avanti, la sagoma ombrosa di un enorme castello. Le torri svettanti sembrava quasi che toccassero quella coltre di nubi, i colori scuri erano sbiaditi donando al palazzo una nota ancor più tetra e quando raggiunsi il cancello lo trovai chiuso. Mi voltai sperando di non vedere nulla, nessuna bestia o lupo, niente, ma non fu così. Lui era ancora lì, più furioso che mai e caricava verso di me. mi lasciai sfuggire un lamento di frustrazione, perché diamine non si apriva?! Quando ormai le speranze mi avevano abbandonata e stavo cominciando a tenere in considerazione l’idea di arrampicarmi lungo l’inferriata, sganciai un calcio diritto nel cancello che si aprii con uno stridulo cigolio. Mi catapultai all’interno, ma nella sorpresa, nella felicità inciampai lasciando l’inferriata socchiusa. La figura del lupo si avvicinava sempre di più e rimettermi in piedi sembrava essere diventata la cosa più difficile al mondo. Sferrai un altro calcio che chiuse temporaneamente il cancello, ma una testata da parte della bestia e avrei giurato che sarebbe crollato tutto. D’un tratto notai una grossa catena lasciata per terra, la afferrai, mi trascinai fino alle sbarre che un attimo dopo avvolsi nella catena sigillando tutto con un lucchetto piuttosto massiccio. Quando il lupo raggiunse l’inferriata ci si gettò contro. Il cancello tremò ed io indietreggiai impallidendo, e se fosse riuscito a buttarlo giù? Un altro colpo mi fece trasalire, strinsi i pugni e lo guardai mentre caricava e caricava, se avesse continuato così probabilmente l’avrebbe distrutto quel cancello. Ma inaspettatamente si fermò sconfitto, puntò i suoi occhi nei miei guardandomi minaccioso. Un brivido corse lungo la mia spina dorsale, ma almeno potevo dire di essere salva. Per il momento.
 
 
 
 
Buonasera, mondo!
Spero davvero tanto che il capitolo vi sia piaciuto. Scusatemi davvero per il ritardo con cui aggiorno, ma la scuola e tante altre cose mi portano via parecchio tempo. 
Voglio ringraziare tutte voi che recensite la storia aiutandomi così a capire cosa va bene e cosa invece no. Grazie anche a chi segue/ricorda/preferisce l’ff e naturalmente anche ai lettori silenziosi. Ripeto, qualsiasi cosa, anche critica o neutra, scrivetemela attraverso una recensione, mi aiuterebbe molto a migliorare. 
So bene che questi primi capitoli non sono il massimo, non accade nulla di ‘WOW!’ lo so, ma in questa ff dovete fare attenzione anche ai particolari più banali e scontati perché ogni cosa ha una causa e una conseguenza, ricordate. Anche se questi primi capitoli non possono sembrare chissà quanto entusiasmanti voi non immaginate quanto invece sia già accaduto, e lo capirete solo leggendo. Ci saranno moltissimi colpi di scena e intrecci e se la storia non la si legge dall’inizio riuscirà difficile interpretare alcuni fatti. 
Ora la finisco di rompere e mi dileguo, voi però recensite sempre che mi fa molto piacere:)
A prestoo:)
Baci
Alena18 xxx

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Capitolo 4
*** Capitolo tre: Chiusa dentro. ***


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                                                         “Qualcosa le sfuggiva ed era davvero qualcosa di molto, troppo vicino.”
 
 
 
Restai a fissare il profilo ombroso e sbiadito dalla nebbia della foresta per quelli che parvero infiniti minuti, la pioggia continuava a battere forte e insistente sul mio corpo stanco e gelido, il vento mi graffiava il viso e le mani cominciavano a diventarmi violacee, come mi accadeva spesso quando faceva freddo. Presi un respiro profondo e mi voltai ignorando la scarica di brividi che mi diede la vista di quel castello così sinistro e malandato. Mossi dei passi verso di esso, ma poi presi a correre freneticamente, avevo la sensazione che più tentavo di avvicinarmi alla dimora più essa si allontanava da me. Ma probabilmente era tutto nella mia testa. Quando raggiunsi l’uscio del castello mi fermai di colpo. Chi avrei trovato all’interno? Mi avrebbero ospitata? Anche se l’avessero fatto ero sicura che mi sarei sentita a disagio e costantemente in pericolo. Mia madre mi aveva insegnato a diffidare degli estranei, ma io puntualmente riponevo fiducia in chi non meritava nulla, e se ora fosse successo lo stesso? Se io mi fossi fidata troppo delle persone che mi avrebbero aperto? Non importava, niente importava in quel momento, volevo solo smettere di avere paura e di sentire freddo. Afferrai il grosso anello in ottone e lo sbattei più volte contro il portone scuro e dall’aria vecchia, in confronto ad esso io ero una specie di formica. Passarono i secondi, lunghi e interminabili, ma nessuno venne ad aprirmi. Sperando di non sembrare insistente e maleducata buffai di nuovo, ma ancora la porta restò chiusa. E se non mi sentissero? Dopotutto il castello doveva essere enorme, forse erano in un’altra sala, o su un altro piano e forse non avevano la servitù, o qualcuno il cui compito era aprire la porta. Ma perché una persona tanto ricca che viveva in un castello come quello non aveva la servitù? Di certo i soldi non mancavano a chiunque abitasse lì dentro. Scossi la testa, stavo divagando. Indecisa sul da farsi lasciai che il mio corpo mi guidasse. Mi sporsi in avanti poggiandomi con tutto il mio peso sul legno liscio del portone, spinsi, ma restò immobile. Misi i piedi più lontani rispetto al corpo e continuai a spingere fin quando non sentii la porta muoversi. Con entrambe le mani aprii per metà l’anta del portone entrando all’interno. Ad accogliermi fu il buio più totale, l’umidità e l’aria infestata di polvere. Tossii agitando una mano davanti al viso per scacciare il pulviscolo che sembrava entrarmi nelle narici soffocandomi, poi un rumore secco mi fece sobbalzare e tutto cadde nel buio più totale. La porta si era chiusa alle mie spalle ricordandomi una di quelle scene da film dell’orrore. Deglutii e mi feci coraggio.
-Salve- dissi a gran voce –C’è nessuno?- domandai mentre potevo quasi sentire l’eco della mia voce echeggiare in tutto il castello –Mi spiace essere entrata senza invito, ma ho bussato e…- mi interruppi con la strana sensazione che nessuno mi sentisse –Ehilà?- chiamai più forte, ma non ebbi risposta –C’è nessuno?- chiesi di nuovo, stavolta aspettando una risposta che però non arrivò –Okay- dissi respirando a fondo –Se il castello è disabitato nessuno si muova!- affermai roteando gli occhi al cielo per scacciare le lacrime mentre stringevo i pugni tentando di reprimere la paura. Nessuno si mosse, non ci fu alcun suono ed io mi sentii sprofondare. –Be’, devo ammetterlo- risi senza emozione muovendo qualche passo in avanti, nel vuoto buio –Siete bravi a questo gioco e credo che… Ah!- esclamai quando andai a sbattere contro qualcosa di duro e freddo. Indietreggiai facendo aderire la schiena alla porta tentando di calmare il mio respiro affannoso –Pensa positivo. Pensa positivo- continuavo a ripetermi. D’improvviso ricordai di avere il cellulare nella borsa che indossavo a tracolla, con quello avrei potuto fare un po’ di luce. Fu in quel momento che mi resi conto di aver lasciato la valigia nella foresta, sotto quella dannata quercia. –Merda- sibilai armeggiando con il cellulare appena trovato. Sbloccai lo schermo e cercai l’applicazione torcia che avevo scaricato mesi prima dopo che eravamo rimaste senza luce per un’intera giornata. Finalmente vidi qualcosa oltre il mio naso e, con sollievo, notai che la cosa dura e fredda contro la quale ero andata a sbattere era lo spigolo di un mobile. Sopra di esso c’era poggiato un centrino piuttosto lungo e di un tessuto diverso, non sembrava lana, era qualcosa di più raffinato, più avanti c’erano diversi cofanetti e quella che sembrava una lanterna spenta. Forse avevo trovato la luce, ma come si accendeva quella cosa? Non c’era un interruttore, né una presa, né uno di quei piccolissimi pulsanti che mettono sul fondo dei giocattoli, proprio accanto alle batterie. –Come ti accendo?- sussurrai tra me e me. Cominciai ad sbatterla di qua e di là, su e giù –Dai- m innervosii –Accenditi!- D’un tratto una fiamma bruciò all’interno della lanterna illuminandomi il viso di una luce giallo-verde piuttosto che arancione come invece sarebbe dovuta essere una normale fiamma. Non sapevo come, ma avevo trovato il modo per accenderla, probabilmente avevo pigiato qualcosa senza rendermene conto e… puff! Luce sia. Mentre stavo ancora osservando il bizzarro colore della fiamma qualcosa brillò alla mia destra, poi alla mia sinistra e alle mie spalle, nell’angolo infondo, sopra di me, su un altro mobile, affianco al muro. Schiusi le labbra e spalancai gli occhi guardandomi intorno stupita da quello strano fenomeno e rapita dalla bellezza della sala, oltre che dalla sua grandezza. C’era un lampadario di cristallo proprio al centro del soffitto, una sfilza di quadri che ricopriva le pareti, un lungo tappeto color bordeaux che terminava davanti ad una grossa finestra che prendeva quasi tutta la parete, poi c’erano candele, lanterne, luci ovunque tutte dello stesso colore tra il verde e il giallo. Era piacevole come tinta, non stancava la vista e poi le luci erano flebili, non abbaglianti. Quella doveva essere l’entrata, praticamente grande quanto casa mia, ma un po’ spoglia e polverosa. I quadri erano affascinati ed erano ovunque, anche quando raggiunsi la sala affianco ne vidi di altri, tutti raffiguravano uomini fieri in groppa a splendidi cavalli, donne raffinate con lo sguardo di ghiaccio. Dall’abbigliamento dei protagonisti dei dipinti potei affermare che si trattava di un castello ottocentesco, le donne indossavano abiti eleganti stretti da togliere il fiato dal petto alla vita e incredibilmente ampi dalla vita in giù. Gli uomini, invece, portavano calzoni dalle tonalità diverse, stivali alti fino a metà gamba, camice pompose sotto cappotti che terminavano dietro con due lunghe code. Amavo i loro costumi, erano affascinanti, ma cavolo! come faceva a respirare una donna con il corsetto che le spezzava le costole? Più proseguivo nelle diverse sale più ne restavo incantata, c’era persino un enorme salone con un pavimento perfettamente liscio e lucido da potersi specchiare che probabilmente faceva da sala per i ricevimenti, o per i balli, quanto amavo i balli in vecchio stile, peccato che fossi troppo timida per prendere parte ad uno di essi quando capitava che ne facessero uno a Londra, o per la fine dell’anno scolastico. Scossi la testa ritornando al presente, dove ero bagnata come un pesce e infreddolita, mi sarei presa un’influenza. Cercai le camere da letto, ma dovetti salire la fantastica scalinata in legno per poterne trovare una. Era un corridoio lunghissimo colmo di porte, ne aprii molte ed all’interno era tutte simili: letto a baldacchino, gigantesco armadio, finestra con balcone e bagno personale. A catturare la mia attenzione fu una stanza separata dalle altre, molto più ampia e spaziosa ed elegante. Feci spallucce e decisi di sistemarmi lì, ignorando il fatto che mi trovassi in un castello disabitato all’interno del quale probabilmente era vietato entrare dato che tutto era rimasto intatto, sembrava che mi fossi tuffata in un mondo a parte. Poggiai il borsone sul pavimento accanto al grande letto a baldacchino a due piazze: era un sogno con quelle tende color caffelatte, i ricami d’oro, i cuscini ammassati ordinatamente contro la spalliera in legno abbellita da disegni scolpiti tutt’intorno e ai piedi del letto c’era una panca dall’aria comoda. Una delle cose che mi aveva colpita in quella camera erano i colori, caldi e accoglienti, e il bagno privato, avevo sempre desiderato un bagno tutto mio nella mia stanza. Scavai nella mia borsa sperando di averci messo come ricordavo qualche vestito di ricambio e fortunatamente trovai un pantalone largo, una t-shirt e una felpa con dell’intimo. Ringraziai mentalmente mia madre e tutte le sue raccomandazioni sulla sicurezza e la prevenzione, e mi diressi al bagno. Appena aprii la porta il buio mi ingoiò.
-Oh, fantastico!- esclamai roteando gli occhi al cielo –Spero proprio che non si siano fulminate le lampadine- borbottai cercando lungo il muro un interruttore –Dov’è la luce?!- sibilai tra i denti mentre tastavo il vuoto davanti a me, ci mancava soltanto che andassi a sbattere nel muro. D’un tratto la stanza si colorò di quella strana luce giallo-verde che caratterizzava quel castello. Tentai di capire cosa avessi fatto, da dove proveniva la luce, ma per quelle due domande trovai solo una risposta: delle candele poste su alcune mensole si erano accese dando alla sala un tocco di luce, calda e flebile, come piaceva a me. Chissà se le fiamme erano artificiali, insomma, come poteva comparire d’improvviso una fiamma senza che qualcuno l’avesse accesa? Forse si trattava di tecnologia avanzata… improbabile dato che era un perfetto castello dell’ottocento. Non mi ci soffermai più di tanto, cosa mi importava, l’indomani sarei andata via di lì, Dawson doveva essere poco distante da dov’ero, probabilmente era oltre la foresta. Al pensiero di tutti quegli alberi fitti, i rami appuntiti, il gelo e il pericolo un brivido mi attraversò la schiena. Mi liberai di quegli indumenti fradici e mi diressi verso la grande vasca infondo al bagno. Prima però mi specchiai, avevo un aspetto orrendo, faccia sporca di fango, capelli gocciolanti all’interno dei quali si erano incastrate delle foglie, un penetrante odore di terra: sembravo un cane bagnato. Afferrai la manovella della vasca e, con molta forza, riuscii ad aprirla. Inizialmente uscì solo acqua giallognola, poi fortunatamente divenne pulita e calda al punto giusto. Qualche secondo dopo ero sommersa dalle bolle e l’aria profumava di cocco e cacao, il mio shampoo preferito. Avvertii i nervi sciogliersi e il corpo si rilassò, il dolore alla spalla si alleviò finalmente e forse dopo quel bagno sarei riuscita ad addormentarmi.
 
Correvo nel bosco, fuggivo nonostante la pioggia battente e il vento tagliente, scappavo dal mostro che voleva divorarmi. Una bestia più forte di venti uomini, più veloce dei leoni, più affamata di uno squalo mi stava rincorrendo e voleva me. Nel terrore del momento persi l’equilibrio e caddi al suolo rovinosamente e quella cosa che pareva essere un gigantesco lupo si fermò sopra di me ululando alle luna. Non ci fu il tempo necessario per rendermi conto di ciò che stava per accadere che le mie mani afferrarono una grossa roccia la cui punta si conficcò nella spalla della bestia. Lo vidi contorcersi dal dolore, indietreggiare e ringhiare, fino a quando non si arrestò di colpo puntando i suoi occhi nei miei. Fu in quel momento che il giallo che riempiva le sue iridi divenne marrone-verde, era come se vedessi la foresta nei suoi occhi che mi fissavano minacciosi. Scappa!, sentii d’improvviso, Scappa!.
Mi svegliai di soprassalto con il cuore a mille e il respiro affannoso, rivivere quell’esperienza era stato letteralmente un incubo. Non capivo perché diamine continuavo a fare sogni del genere, io in genere non sognavo, o più probabilmente dimenticato tutto. Adesso no, adesso era come se fossi nei miei incubi, come se fossero reali e tatuati nella mia mente per non andare via mai più.
 
Quando aprii gli occhi non potevo affatto dire di sentirmi riposata, dopo quell’incubo in piena notte era stato difficile ritrovare il sonno, avevo sempre la dannata sensazione che ci fosse qualcuno appostato dietro un angolo della stanza, pronto a balzarmi addosso per uccidermi. Quella giornata mi avrebbe segnata a vita, lo aveva già fatto.
Mentre mi strofinavo gli occhi, ancora impastati dal sonno che non avevo potuto fare, scesi dal letto e raggiunsi lo specchio, posto poco più sopra al cassettone colmo di oggetti dall’aria incredibilmente costosa. C’erano cofanetti con gioielli dal valore inestimabile, pietre così grandi le avevo viste solo quella notte, nella foresta. Un pettine era posato affianco ad una candela accesa, anche di giorno la stanza non era molto illuminata, probabilmente a causa delle tende tirate. Il mio riflesso era stanco e sotto i miei occhi c’erano profonde ombre scure. Senza curarmi più di tanto del mio aspetto recuperai la felpa dalla borsa e la indossai, era due volte più grande rispetto alla mia taglia, ma era la mia preferita e probabilmente l’unica che mi era rimasta dato che la valigia l’avevo abbandonata al suo destino nella foresta, ma ehi! Meglio lei che io. Ripescai gli stivaletti da sotto al letto ed ignorai il leggero languorino che sentivo alla bocca dello stomaco, non avevo voglia di mangiare, lì probabilmente non c’era nulla e i panini che avevo in borsa non mi andavano. La verità era che non vedevo l’ora di mettere più distanza possibile tra me e quel posto, non mi importava se era pieno giorno e probabilmente faceva davvero caldo fuori… oh, quasi dimenticavo.
-Che stupida, Maya!- mi dissi dandomi un buffetto sulla tempia –Questo posto è fuori dal mondo, sicuramente fuori sembrerà Natale- commentai mentre posavo in borsa il giubbotto e i vestiti ancora freddi della sera precedente. Quando fui pronta, mi guardai intorno sospirando, dopotutto volevo ricordare quel castello ed imprimermi ogni particolare nella mente, magari potevo portar via qualcosa, ma forse era meglio non toccare nulla, era già abbastanza aver accesso in modo del tutto inspiegabile le luci di mezzo palazzo, non volevo mettermi nei guai.
Camminare nei corridoi infinitamente lunghi del castello mi fece sentire ancora più strana della sera prima, stonavo in mezzo a tanto lusso ed eleganza. Scendere le scale invece mi faceva sentire una principessa, ma preferivo tornare a casa mia, piccola ma grande abbastanza per me e mia madre, mi bastava quello.
-Be’, come ha detto un cappellaio di mia conoscenza: buon viaggio-a-vederci, castello solitario- dette quelle parole mi sentii una stupida, con chi parlavo? Scossi la testa e presi un respiro profondo. Poco importava se fossi matta o meno, adesso dovevo affrontare quella foresta, di nuovo, con anche solo una possibilità di imbattermi ancora nella bestia e, questa volta, non mi avrebbe fatta scappare. Ma dovevo vedere il lato positivo, ecco. Fuori era giorno e probabilmente il bosco non era poi così pericoloso… Avevo sempre trovato strano il fatto che le persone si rifugiassero nella luce, era come mettere la testa sotto le coperte per scacciare via incubi e passare inosservati, era inutile quanto ingannevole, ma era proprio quello che stavo per fare, stavo per affrontare il pericolo nascosto nella luce che aspettava solo me. Ma avevo altra scelta?
-Devi farlo, Maya- mi incoraggiai riempiendo i polmoni d’aria e spalancando il portone che cigolò fastidioso. Fuori non era poi così luminoso come me lo aspettavo, il cielo era coperto di nuvole grigio-bianche che impedivano ai raggi del sole di filtrare e illuminare il mondo, l’aria era fredda e pungente mentre camminavo verso il cancello.
Quando fui a metà strada però, una sensazione travolgente si insinuò in me, dandomi l’impressione di star dimenticando qualcosa, di aver lasciato in quel castello qualcosa di troppo importante, ma sfuggente, tremendamente sfuggente se non riuscivo a capire di cosa si trattasse. Avevo tutto con me: la mia borsa e… nient’altro, non avevo null’altro con me. Stranita scrollai le spalle e ritornai con la mente al presente. Fu in quel momento, quando osservai il cancello più da vicino, che mi si gelò il sangue nelle vene. Sentivo di essere incapace di respirare, o di fare qualsiasi altra cosa, ero immobile mentre guardavo con espressione stravolta la grossa catena e il lucchetto che mi tenevano chiusa lì.
-Non è possibile- sussurrai prima di cadere in ginocchio con le mani tra i capelli.
 
 
Buonsalve!
Come va ragazze? A me una mezza chiavica ahahah, sono un po’ incasinata
ultimamente e mi scuso per il mio ritardo nell’aggiornare.
Allora, in questo capitolo non succede molto, anzi quasi nulla, ma è un po’
un capitolo che introduce quello che accadrà nel prossimo. Adesso può
sembrare tutto un po’ noioso perché non accade nulla di ‘WOW!’, ma più
avanti vi ci dovrete applicare per capire molte cose. Vi ripeto di stare
attente a tutto, anche alle cose più insignificanti. L’ff andrà avanti
concentrata per la maggior parte sulla nostra protagonista per qualche
altro capitolo. Accadranno cose parecchio strane non solo intorno a lei, ma
anche dentro di lei.
Ora la smetto di parlare e vi saluto, ma prima voglio ringraziare tutti quelli
che leggono e recensiscono l’ff, che l’hanno messa tra le
preferite/seguite/ricordate e anche un grazie ai lettori silenziosi che come
sempre invoglio a recensire per farmi sapere cosa ne pensano, più
commenti leggo, anche negativi e neutri, più sono determinata ad andare
avanti:)
Ora vi lascio sul serio;)
Alla prossima:D
Baci
Alena18 xxx 

 
 
 
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo quattro: Nelle segrete. ***


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                                                         “Quegli occhi neri la stavano studiando, quasi sembravano umani.”
 
 
Cercare di aprire quel maledetto cancello si era rivelata un’impresa inutile. Avevo provato tutto: calci, spinte, spallate, mi ero persino arrampicata procurandomi soltanto dolore alla schiena e un grosso livido sul braccio. Per la disperazione ero addirittura arrivata a prendere un pezzo di ramo, caduto all’interno del prato davanti al castello a causa del temporale della notte precedente, e ad usarlo per bastonare il lucchetto nella speranza di romperlo in qualche modo.
-Maledizione!- sbottai lasciando cadere la presa sul bastone. Non riuscivo a credere a ciò che i miei occhi vedevano, mi ero praticamente chiusa fuori dal mondo pensando di salvarmi la pelle, e invece? Mi ero cacciata in un altro guaio, verso un altro tipo di tortura, una fine diversa. Perché? Perché quel maledetto giorno doveva sbucare quell’auto dal nulla? Perché avevo dovuto dirlo a mia madre? Perché ero andata lì? Se solo avessi accettato il passaggio di Lottie, ora non sarei stata bloccata in un castello con il nulla intorno! Perché?!
-Aiuto!- urlai con il viso tra due sbarre –Mi sentite?- gridai più forte –Aiuto!- strillai sentendo la gola bruciare per via delle urla, ma anche a causa delle lacrime che sentivo solleticarmi gli occhi. –Merda- sibilai, normalmente non ero il tipo da linguaggio volgare, ma adesso sentivo di poter gridare di tutto, dalle peggiori bestemmie agli insulti più orribili. Mi strofinai forte gli occhi imponendo a me stessa di non piangere, piangere ora significava solo arrendersi, non dovevo, non ancora. Doveva pur esserci un’altra via d’uscita, doveva per forza. Mi voltai sentendomi improvvisamente mancare il fiato, avevo quasi rimosso l’immagine del castello, così dannatamente grande, troppo. Ma avevo altro di cui preoccuparmi, dovevo trovare il modo per uscire da quel posto. Attraversai il prato dirigendomi verso destra, magari sul retro del castello c’era qualcosa, una porta che utilizzava la servitù, o qualcos’altro. Ma una volta raggiunto il retro vi trovai solamente un sentiero erboso con un lungo arco di fiori che andavano dal lilla, al bianco e al viola. In un altro momento avrei trovato quella vista meravigliosa, ma ora mi sembrava solo vuota e spenta, terribilmente monotona. Poco più avanti mi ritrovai di fronte un’alta parete fatta interamente di foglie che un tempo dovevano essere state verdi, ma che ora erano ingiallite dal tempo, ridotte a un mucchio di quelle che erano solo gli scheletri delle foglie profumate e piene di vita. Era tutto così tetro e spaventoso, persino quel labirinto metteva i brividi, non avevo alcuna intenzione di attraversarlo. Proseguii verso sinistra e più avanti mi sembrò di notare qualcosa, un piccolo spostamento in un recinto. Accelerai il passo e mi bloccai quando mi resi conto che si trattava di un cavallo, quel movimento che avevo colto era soltanto l’ombra di un grosso cavallo nero, nero completamente, anche i suoi occhi, che quasi sembrava volessero parlarmi, erano neri. Da un lato era inquietante, quello sguardo così penetrante pareva quasi umano, ma era pur sempre un animale ed io amavo gli animali. Chissà com’era arrivato fin lì, però… se era riuscito ad entrare sapeva anche come uscire ed io… io potevo seguirlo.
-Sì- affermai tra me e me. In quel momento presi la mia decisione, gli avrei dato da bere, l’unica cosa che potevo offrirgli e, dopo essermelo fatto amico, lo avrei seguito fuori di lì. Poteva funzionare. –Non muoverti- dissi indietreggiando –Non. Muoverti.- scandii bene ogni parola prima di correre via. Quando ritornai al castello, all’interno era tutto buio. Sbuffai e cercai a tastoni una lanterna –Dannato castello. Vorrei che le luci si accendessero automaticamente- mormorai sperando di non rompere nulla. Il secondo dopo una fiamma si levò dallo stoppino di una candela proprio alle mie spalle, su di un mobile e così fu per tutte le altre –Ci capisco sempre meno- borbottai scrollando le spalle e raggiungendo la cucina, recuperai un piccolo secchio da uno scaffale e lo riempii d’acqua, nel correre persi quasi metà di essa e quando arrivai alla recinzione il secchio era mezzo pieno. Poco importava. Quando alzai lo sguardo restai spiazzata, il secchio mi cadde dalle mani rovesciando l’acqua, tremai nel constatare che il cavallo era scomparso nel giro di un minuto, senza lasciarsi tracce alle spalle. Tutto ciò era inconcepibile. Come aveva fatto? Era come se si fosse dissolto nel nulla, ma era impossibile. Mi sarebbe tanto piaciuto non avere davanti agli occhi la prova che probabilmente era davvero andata così. Senza pensarci su due volte ritornai di corsa al castello sotto quel cielo che non prometteva nulla di buono.
 
La notte era calata fin troppo velocemente ed io ero ancora rannicchiata in quell’angolo del grande salone a rimuginare su tutto quello che era accaduto: ero stata scaricata in mezzo al nulla sotto la pioggia e il vento, ero stupidamente entrata nella foresta che con sé non aveva portato nulla di buono, prima il taglio in mezzo alla mano che ancora bruciava, poi il gelo e il lupo, quella gigantesca belva i cui occhi iniettati di sangue erano ancora tatuati nella mia mente, e ora il castello, praticamente ero in trappola. Senza via d’uscita e con lo stomaco che cominciava a brontolare. Svogliatamente mi rimisi in piedi raggiungendo il borsone che avevo lasciato su uno dei divani sparsi per la sala, lo aprii e presi un panino. Contai mentalmente quanti me ne restavano. Quattro, solo altri quattro panini e una mezza busta di snack, nient’altro. Magari avrei resistito per una settimana, ma io avevo bisogno del cibo, non c’era momento che passasse in cui non mangiassi. Merda, avrei dovuto impiegare il tempo in altro, avevo già divorato il panino e la tentazione di prenderne un altro mi solleticava le mani che strinsi a pugno.
-Devo trovare qualcosa da fare- affermai –Magari potrei leggere- era una buona idea, sicuramente mi avrebbe portato con la mente altrove per un po’. Mentre cercavo la biblioteca pensavo a quanto grande potesse essere, a quanti libri contenesse, in che lingua erano scritti? Chi erano gli autori? In che condizioni si trovavano? La curiosità prese possesso di me e già mi sentii meglio.
Stavo vagando per uno dei tanti corridoi del secondo piano, quasi cominciavano a farmi male i piedi quando scorsi più avanti un grosso mobile le cui mensole erano piene di libri. Be’, non avevo trovato la biblioteca, ma in un solo mobile contavo più libri di quanti ne possedessi a Londra.
-Mmm…- feci scorrere le dita su di essi e ne presi uno a caso –Tu- dissi come se potesse rispondermi. La copertina era in buone condizioni, ma piena di polvere. Non sembrava uno di quei libri adatti a me, troppo storici. Lo posai e ne scelsi un altro –Troppo spaventoso- lo archivia, mi andava qualcosa di romantico e travolgente, non un racconto dell’orrore mentre magari sorseggiavo tè nella camera da letto appartenuta al possibile fantasma che infestava il castello. Perché ne ero quasi certa, quel posto aveva qualcosa di profondamente… sinistro e la cosa non mi tranquillizzava affatto. Repressi un brivido e presi un altro libro, ma appena lo tirai verso di me il pavimento tremò sotto i miei piedi. Indietreggiai all’istante proprio un secondo prima che il mobile si muovesse spostandosi con un stridio agghiacciante. Quando tutto ritornò fermo davanti a me c’era un’entrata buia e tremendamente fredda che emanava un odore che era un misto tra umido e muffa. Mi schiacciai contro la parete alle mie spalle come se potesse improvvisamente uscire qualcuno o qualcosa da quella specie di cella frigorifera direttamente dal passato. Quando realizzai che niente e nessuno sarebbe arrivato per portarmi nel regno dei morti ripresi finalmente a respirare e i miei nervi si rilassarono. Forse avevo trovato una via d’uscita, magari era davvero così ed ero stata già abbastanza fortunata da trovare una possibile strada per la salvezza.
-Devi rischiare, Maya- mi dissi –Va lì dentro e pensa positivo- mi convinsi annuendo per farmi coraggio. Ma praticamente era buio pesto, dovevo procurarmi una lanterna o avrei fatto a meno di oltrepassare quel muro. Ne trovai una su un tavolino infondo al corridoio, si accese non appena la afferrai. Non badai molto alla stranezza di quel fatto, pensai invece a respirare più aria pulita che potevo. Quando entrai lì dentro fui di fatti investita da una folata d’aria gelida, penetrò fino alle ossa e mi fece venire la pelle d’oca. Tenni la lanterna alzata davanti al mio viso mentre scoprivo un'unica stretta via con qualche porta qui e lì posta su entrambe le pareti. Non ne aprii nessuna, un po’ per paura di cosa potesse esserci dietro, un po’ perché non volevo distrarmi e perdermi. Ne sarei stata capace ed io non volevo restare più di quanto era necessario lì dentro, dove in ogni angolo crescevano le ragnatele e gli scheletri dei topi morti.
-Che schifo- mormorai disgustata. Non mi lasciai condizionare da ciò che i miei occhi vedevano e l’aria che il mio naso aspirava, tentai invece di focalizzarmi su ciò che potevo scoprire, sul viso di mia madre quando mi avrebbe vista arrivare a casa da lei, su Lottie e i suoi commenti su tutta questa faccenda e mi rilassai. Forse ero troppo presa dai miei pensieri perché fui sul punto di cadere per quella che sembrava un’affascinate quanto tetra scala a chiocciola senza fine.
-Continua, Maya. Sono solo delle scale- mi incoraggiai a proseguire, funzionava. Con molta attenzione poggiai il piede sul primo scalino, sembrava reggere. Avrei voluto correre e farla finita, lasciarmi alle spalle le scale, ma il marmo di cui erano fatte aveva delle crepe profonde e alle volte scricchiolava in modo allarmante.
-Dio, ma non finiscono più?- domandai a nessuno in particolare, perché nessuno era proprio l’unica cosa che avessi intorno. Mi girava la testa con tutte quelle curve, sentivo il sapore del panino al tonno tornarmi su e deglutii per liberarmene. Quando finalmente scesi l’ultimo scalino tirai un sospiro di sollievo, ma quando, per un attimo, la luce giallo-verde della lanterna tremò smisi di respirare. Quell’unico secondo di totale buio mi bloccò la circolazione facendomi tremare le gambe. Se la luce non fosse tornata probabilmente mi sarei immobilizzata rimanendo lì pietrificata per chissà quanto, ma fortunatamente il mio volto fu nuovamente illuminato e potei proseguire lungo uno stretto corridoio dove l’ossigeno scarseggiava. Il mio respiro tremò insieme alla mia mano e quando qualcosa mi strisciò sui piedi scalzi urlai barcollando indietro e lasciando cadere la lanterna. Un secondo dopo la luce illuminò un topo che correva attaccato alla parete del muro cementato.
-È solo un topo- respirai a fondo mettendomi la mano libera sul cuore mentre l’altra afferrava la lanterna, odiavo quel continuo battere nelle mie orecchie. –Ma perché sono scesa qui sotto?!- mi rimproverai, era risaputo che le segrete di un castello non portavano nulla di buono. E quella mia teoria fu confermata dalla strana luce bianco-azzurra che spuntava fuori da una stanza senza porta più avanti. Chi c’era lì dentro? Volevo saperlo? Oh, certo che volevo, ma quanto sano era quel mio folle desiderio? Evidentemente non ascoltavo più neanche le mie stesse paure, farmi sopraffare dalla curiosità era sempre stato il mio punto debole e chissà se proprio quello non mi avesse fatta uccidere. Stavo già procedendo verso l’entrata e quando la raggiunsi poggiai in terra la mia lanterna dato che la camera era già abbastanza illuminata. La prima cosa che entrò nel mio campo visivo era il piccolo mobile infondo a destra. Era malandato e alcune mensole erano rotte, ma su quella più alta vi scorsi un grosso libro dalla copertina impolverata e scura. Saltai più volte per afferrarlo e alla fine, più o meno, ci riuscii. Cadde a terra in una nuvola di polvere che mi fece tossire. Sventolai le mani per scacciare il pulviscolo e pulii la copertina che scoprii essere rilegata in cuoio nero e argentato. La mia attenzione però fu catturata dallo strano simbolo inciso in argento proprio al centro, sul davanti della copertina. Era un intrico di linee e curve, ma la cosa più insensata era che mi era familiare, tremendamente familiare. Percorsi con un dito l’intera figura e fu come se la mia mente si illuminasse, come se il vetro opaco che mi impediva di capire cosa rendesse quel segno tanto familiare si fosse frantumato, ma la sensazione di improvvisa comprensione fu subito rimpiazzata da quella di profonda sorpresa, una sorpresa che mi gelò il sangue. Portai una mano al petto e le mie dita vennero a contatto con il familiare freddo liscio della mia collana. La strappai in fretta e furia dal mio collo stringendola nella mia mano chiusa a pugno, presi un respiro profondo e mi decisi a sciogliere la  mia presa. Sul palmo della mano avevo quella stessa collana che mi fu donata da piccola, appartenuta a chissà quante generazioni di Gordon ed era mia adesso, non me n’ero mai separata. Ora stavo guardando quello stesso simbolo stampato su quel libro sconosciuto e terribilmente pesante. Per poco non mi cedettero le gambe. Troppe coincidenze ed io neanche ci credevo, come diamine era possibile che lo stesso segno della mia collana fosse rilegato sulla copertina di un libro di un’altra epoca per giunta?! Avrei voluto aprirlo e leggere cosa c’era scritto, ma il freddo mi stava congelando le ossa. Era ormai ovvio che lì sotto non avrei trovato una via d’uscita, meglio ritornare su nel castello, dove non rischiavo di incontrare fantasmi, né topi scheletrici. Allacciai di nuovo la collana al mio petto e presi il libro tra le braccia schiacciandolo al petto come fosse una specie di scudo. Mi diressi verso l’uscita, ma non riuscivo a fare a meno di studiare in ogni minimo dettaglio la figura sulla copertina per trovare la più piccola delle differenze e poter dire che la mia collana non avesse niente a che fare con tutto ciò, che io non c’entrassi nulla con quel posto. Ma d’un tratto la mia attenta osservazione fu bloccata bruscamente dato che andai a sbattere contro qualcosa di, ancora una volta, duro e freddo. Quando alzai lo sguardo, però, non vidi come l’ultima volta un mobile, questa volta si trattava di qualcosa di ben diverso quanto agghiacciante. Il respiro mi si fermò di colpo e il cuore mi salì in gola a quella vista inaspettatamente lugubre.
 
 
 
Ma saaalve!
Come va? Io non mi lamento;)
Bene, cosa ne pensate del capitolo?
Qui cominciano a succedere fatti strani, prima il cavallo misterioso, poi la collana e ora  questa
cosa fredda e dura che la terrorizza. Di cosa si tratterà?
 Vi lascio ad immaginarlo;)
Nel prossimo capitolo accadranno fatti ancora più strani, il che vuol dire che la storia sta
cominciando finalmente, yeee!
Fatemi sapere cosa ne pensate attraverso una recensione, anche quelle neutre o negative sono

ben accette;)
Mi raccomando, ci tengo molto a questa storia, credo sia originale e molto intrecciata, ovviamente
nei prossimi capitoli soprattutto;)
Grazie a chi mette l’ff tra le preferite/seguite/ricordate e un grazie anche alle lettrici silenziose
che invoglio ancora a darmi un loro parere:)
Grazie mille a tutti e alla prossima!
Baci
Alena18 xxx

 

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Capitolo 6
*** Capitolo cinque: Specchio. ***


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                                                       “Vedeva, ma non capiva che in realtà stava guardando nel mondo delle tenebre.”
 
Deglutii senza sapere che fare, ero paralizzata, ogni singolo nervo dei mio corpo era teso come una corda di violino. Le mani tremavano talmente tanto forte che rischiai quasi di perdere la presa sul libro, il cuore era a mille mentre sentivo il sangue darmi alla testa. Potevo affermare con certezza che le gambe avrebbero potuto cedere da un momento all’altro, le sentivo improvvisamente pesanti, anche volendo non sarei riuscita a fuggire, erano come due grossi sacchi di zavorra. Chiusi gli occhi, anche se nel farlo mi sentii completamente nuda, fragile, disarmata, impreparata a tutto, presi un respiro profondo, strinsi i pugni per cercare di calmarmi e piano mossi un piede in avanti, cauta, come se quel posto stesse per crollare. Quando fui più vicina mi fermai ad osservarlo, infondo non c’era nulla di così macabro in un ragazzo apparentemente morto nascosto nelle segrete di un castello dell’ottocento. Avrei voluto urlare per la disperazione, per la paura: era quella la fine che avrei fatto anch’io?
-No- sussurrai –Smettila, Maya- sapevo cosa stava per accadere, stavo per autoconvincere  me stessa della mia morte imminente e se ci fossi riuscita allora sì che sarebbe stata la fine. Ma era così dannatamente immobile e cereo, pareva una statua, una di quelle esposte ai musei, solo… vestita e anche in un modo piuttosto strano, indossava abiti simili a quelli degli uomini che avevo osservato nei quadri appesi ai muri di tutto il castello, ma i suoi erano più scuri e semplici. Tutto quel nero che portava indosso era in netto contrasto con la sua carnagione terribilmente bianca, terribilmente… morta. Il suo petto era fermo e quando trovai il coraggio di avvicinare una mano, le dita che lo sfiorarono si ritrassero di colpo per quanto era freddo. Non potevo inventarmi scuse per convincermi del fatto che stesse solo dormendo: lui era morto. Mi dispiacque tanto quanto ne avevo paura, era così giovane, lo si vedeva dai sui tratti spigolosi, ma gentili, dalle sue labbra carnose, dai capelli chiari, biondo cenere, dalla pelle liscia come il marmo. Probabilmente aveva massimo vent’anni, non uno in più, ma perché era morto?
Quando le mie dita accarezzarono in modo quasi impercettibile la sua camicia di seta tremai al pensiero che mi attraversò la mente.
-Ma tu da quanto sei qui?- mormorai con gli occhi che bruciavano e le mani sudate. Lui era completamente integro, non c’erano segni di decomposizione, né puzza di cadavere. –Una… una cosa del genere non è possibile- balbettai, non era neanche lontanamente pensabile che una persona morta secoli prima si fosse conservata così bene negli anni, quasi come se non fosse mai morto, ma lui lo era, lo era in tutti i sensi. Il suo viso ricordava quello di un Angelo, ma era spento, nessuna luce, nessun colore, solo un incredibile e candido pallore cadaverico. Era morto, assolutamente morto, più lo guardavo più ne ero certa. La mia mano salì e tracciò il profilo del suo zigomo, ma a quel tocco, così leggero e innocuo, qualcosa balenò nella mia mente: un’accecante luce bianca si accese davanti ai miei occhi per poi scomparire, esattamente come il flash di una macchina fotografica. Ritirai la mano di scatto come se fossi stata bruciata, ma non ebbi il tempo di soffermarmi sull’accaduto che uno squittio mi fece sobbalzare: un topo correva attraverso la stanza dirigendosi verso la bara di marmo, sulla quale notai fosse inciso lo stesso simbolo che era sul libro e al mio collo, che faceva da letto di morte al ragazzo privo di vita. Lo osservai e quando fu ad un passo dietro di me lo vidi rimbalzare via. Ci fu un lampo azzurro, poi tutto tornò normale. Il topolino scosse la testa e fece retromarcia scappando via, lasciandomi confusa e completamente immobile.
-Ma cosa…- le parole non vollero uscire fuori dalla mia bocca, semplicemente feci qualche passo a ritroso ed osservai bene il punto dove il topo sembrava essere stato respinto da qualcosa di luminoso, ma… non c’era niente, come non c’era quando ero arrivata. Senza che me ne rendessi conto mi ero già abbassata a raccogliere un piccolo pezzetto di cemento. Lo lanciai verso il ragazzo, ma rimbalzò su qualcosa che per un solo secondo si illuminò. Una cupola, era una cupola invisibile. L’avevo vista chiaramente, era inspiegabile, ma vero e teneva fuori tutto.
-Ma allora perché non me?- mi chiesi tra me e me. Forse non lo avevo oltrepassato come invece credevo. Feci qualche passo avanti chiudendo un occhio nella speranza di evitare di avvertire l’impatto con la cupola in modo brusco, ma l’altro lo tenni aperto per vedere dove stessi andando. Sospirai di sollievo e tremai di paura quando constatai di poter superare la cupola. Pensare che mi trovassi all’interno di qualcosa progettato per tenere fuori ogni cosa mi faceva sentire un po’ un’intrusa, un’intrusa con una buona dose di paura. Era inutile pormi milioni di domande alle quali non avrei potuto rispondere, mi seccava quella situazione di costante terrore e pericolo e confusione e solitudine. Già, mi sentivo completamente, totalmente, indiscutibilmente sola e vedere dopo giorni il volto di qualcuno, di un essere umano mi faceva sentire meno come se fossi l’unica persona rimasta sulla terra. Ma lui era all’altro mondo e di certo non mi sarei messa a parlare con lui come una completa matta, no… be’, forse se avessi lasciato passare qualche altro giorno avrei anche potuto prendere in considerazione l’idea di farci quattro chiacchiere, magari mi sarei anche immaginata una sua risposta, avrei passato il tempo a fantasticare su come potesse essere la sua voce, o il colore dei suoi occhi, o il suo sorriso.
-Maledizione- sibilai asciugandomi una lacrima calda –Sto già impazzendo- pronunciai tra i denti arrabbiata con me stessa che non facevo altro che rovinarmi da sola, non avevo mai parlato con nessuno al di fuori di mia madre e Lottie e adesso, proprio adesso dovevo sentire il desiderio di farlo con qualcuno? Al diavolo Londra, al diavolo Dawson, al diavolo quell’idiota che quasi mi aveva messo sotto, al diavolo il tizio che mi aveva salvata e al diavolo quello stupido tassista.
-Al diavolo tutto- dissi passandomi le mani sul viso, avevo le guance umide e avrei scommesso fossero arrossate per il freddo che faceva lì sotto. –Basta- mormorai per poi correre via, via da quel posto così maledettamente negativo e gelido, così dannatamente pieno di congelato mistero, mi dava solo la sensazione di essere insignificante ed estranea anche a quel luogo nel quale dovevo apparentemente passarci il resto dei miei giorni. C’erano solo altri punti interrogativi ai quali non potevo dare alcuna risposta, come spiegavo a me stessa la presenza di un ragazzo morto da secoli ancora in un stato perfetto circondato da una cupola invisibile in una stanza sotto un castello dell’ottocento che conservava un libro con lo stesso simbolo che da anni portavo al collo? Non potevo farlo, punto. Inutile girarci intorno.
-Maya- un sibilo ovattato mi giunse alle orecchie e smisi all’istante di correre –Maya- ripeterono più voci scoordinate e stridule, era come se improvvisamente ci fosse l’eco che mi risuonava nelle viscere. Tremai violentemente. -Non andartene, Maya- bisbigliò ancora una voce femminile. Respiravo come se non avessi più aria nei polmoni, avevo il terrore di voltarmi, cosa c’era alle mie spalle? D’improvviso fui colpita da una travolgente sensazione di curiosità e desiderio, desiderio di raggiungere quella voce, fare quello che mi diceva, restare con lei. E mi voltai senza però trovare nulla, né un terribile mostro con tre occhi e quattro braccia, né una fantastica donna dall’aspetto incantevole. Ero semplicemente circondata dal buio, solo in quel momento ricordai della lanterna lasciata davanti all’uscio della stanza con il ragazzo. L’avevo scordata, cavolo! -Vieni da me, Maya- sapeva alla perfezione il mio nome, chi era? Cos’era? Perché stavo esattamente facendo ciò che mi diceva? Era come se sapessi dove dovessi andare, mi sembrava così ovvio e semplice che neanche il buio riusciva a costituire una minaccia, ma sentivo ancora la paura aggrappata al mio corpo. Svoltai a destra ed arrivai in un altro stretto corridoio, più avanti c’era l’accesso luminoso ad un’altra stanza. Non mi spiegavo da dove venisse quella luce bianco-azzurra, identica a quella nella camera con il ragazzo, ma accelerai il passo impaziente di entrare in quella pozza di luce ed uscire dal buio gelido. Quando varcai la soglia fui invasa da una forte sensazione di familiarità e mi sentii intimorita. A differenza della camera del biondo qui c’era una porta, anche se spalancata, fatta di quello che sembrava impenetrabile ferro e l’intera stanza era completamente spoglia, fatta eccezione per uno specchio posto esattamente al centro, come il letto di marmo sul quale riposava il ragazzo. Mi avvicinai lentamente tenendo gli occhi, incredibilmente spalancati e secchi, puntati sullo specchio dalla forma allungata e ovale, il bordo era probabilmente in ottone e la lastra di vetro nella quale mi specchiai era pulita e lucida. Poi d’un tratto la mia immagine cominciò a lampeggiare, andando e venendo, come una lampadina sul punto di fulminarsi, poi si fermò di colpo mentre io avevo ancora una volta smesso di respirare. Iniziò a diventare sempre più trasparente e sfocata sotto il mio sguardo impietrito. Ma dov’era finita la voce?
Il mio riflesso scomparve del tutto e mi si mozzò il fiato quando il vetro divenne completamente nero.
 
 
Boo!
Salve a tutte ragazze! Sono tornata. Come va?
Sono finalmente riuscita a postare il capitolo. Lo so che ho fatto tardi, ma a scuola ci bombardano
di compiti, interrogazioni e verifiche… una noia infernale.
Che ve ne pare del capitolo? Secondo voi chi è il bel tipo al piano di sotto? E la voce? Lo
specchio? Cosa credete stia accadendo?
Mi raccomando recensite così io sono più motivata a continuare questa storia e scusatemi se non
rispondo spesso ai commenti che lasciate, ma davvero a volte non trovo neanche il tempo di
leggerli, vi ringrazio molto, ringrazio tutti quelli che hanno recensito i capitoli precedenti e li
invoglio a farlo ancora per farmi sapere cosa ne pensate, qualsiasi cosa, positiva o negativa che sia,
ditemela attraverso una recensione;)
Grazie mille anche a tutti quelli che mettono l’ff tra le preferite/seguite/ricordate, grazie mille
a tutti:D
A prestoo:)
Baci
Alena18 xxx
 



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Capitolo 7
*** Capitolo sei: Complicato. ***


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                            Non sapeva che ciò che stava sfiorando, ciò che toccava, ciò che vedevano i suoi occhi, era la sua storia.”
 
 
Scattai indietro con gli occhi spalancati, le labbra schiuse e il cuore a mille, le gambe molli come cera sciolta e le braccia flaccide come gelatina. Ma in che diamine di posto posseduto ero capitata?!
Volevo scomparire, desideravo chiudere gli occhi, darmi un pizzico e risollevare le palpebre ritrovandomi di nuovo a casa mia, a Londra. Ma non avevo il coraggio di abbandonarmi al buio, non avrei chiuso gli occhi, meno che mai in quel momento. Volevo guardarmi intorno per cercare di capire cos’era che mi dava quell’orribile sensazione di gelo, ma il mio corpo non rispondeva ai comandi, ero paralizzata. Non riuscivo a deglutire, la mia bocca era secca come sabbia in un deserto e le ginocchia mi tremavano. In quel momento, mentre ogni singola cellula del mio corpo era congelata, capii che seppur pochi io dovevo passare sul serio il resto dei miei giorni lì dentro, ma non volevo vivere così, nella paura, in quel castello, nel terrore di avere proprio sotto i piedi qualcosa che con molte probabilità era sovrannaturale.
Gli sbuffi d’aria bianca che venivano fuori dalle mie labbra screpolate mi diedero l’impressione di non essere più in quella che avrebbe dovuto essere una stanza in una sotterranea, piuttosto sembrava di essere in Antartide. C’era qualcosa che non andava. Cos’altro stava accadendo?
-Accidenti- sibilai, odiavo quando non si sentiva nulla, praticamente mi faceva sentire come sotto un gigantesco riflettore, tutti gli occhi puntati su di me ed io che non sapevo cosa fare meno che guardarmi intorno intontita. Il mio respiro si fece più affannoso, più pesante: l’ansia era vicina. Ispirare diventava sempre più doloroso circondata da quel freddo, era come se stessi fumando qualcosa di stupefacente, sentivo i polmoni bruciare mentre tornavo a fissare i miei occhi sullo specchio ancora nero come un televisore spento. D’improvviso, ovviamente direttamente dal nulla, spuntò quel simbolo d’argento. Brillava in mezzo a tutta quell’oscurità ed era grande, fiero, il mio opposto. Perché continuavo a vederlo ovunque? Perché portavo ancora quella collana? Perché non riuscivo a strapparla via? Era quello che avrei dovuto fare, toglierla e lasciarla in una buca a metri sottoterra, ma aveva un significato per me, specialmente per la mia famiglia. 
Nel gelo del momento ideai una teoria: forse quello stupido specchio non era altro che una specie di schermo di proiezione, nulla di più e magari ora trasmettevano un film. Oh, ma chi volevo prendere in giro?
Nella mia disperazione riuscii a vedere il simbolo mentre lentamente spariva, dissolvendosi in una nuvoletta grigia, ma qualcos’altro prese il suo posto. Qualcun’altro. L’immagine pallida che avevo davanti si faceva sempre più chiara mentre io sbiancavo dalla paura. Indossava un vestito sgualcito e strappato dell’ottocento, ma si vedeva perfettamente quanto fosse stato bello, quanto probabilmente le aveva donato quell’abito. Le gambe e le braccia scoperte erano ossute e bianchissime come il viso scarno dai lineamenti fini e delicati. Un’improvvisa pressione alla mia mente mi diede l’impressione di familiarità, come se qualcuno stesse tentando di spingere una porta per aprirla, mentre invece bisognava tirare; quella porta nascondeva qualcosa. Non mi feci prendere dalle mie supposizioni e tornai ad osservare quella sagoma nello specchio. I suoi lunghi capelli un po’ arruffati le cadevano sul volto nascondendolo, ma quando alzò finalmente il capo non potei più trattenere un grido. Indietreggiai ancora alla vista di quella ragazza troppo simile a me, ma così diversa per certi versi. Aveva profonde occhiaie violacee che le contornavano gli occhi e le labbra sembravano nere come le sue pupille, ma nonostante tutto non riuscivo ad averne paura, o almeno non la esternavo. Il suo viso, seppur spettrale, mi trasmetteva una certa inquietudine mista ad un pizzico di sollievo e sicurezza, ma forse ero disperata in quel momento, probabilmente tutto mi sembrava un buon motivo per continuare a combattere e sperare, ma così impazzivo. Tuttavia però, non respiravo, né mi muovevo, nonostante avesse probabilmente la mia stessa età lei mi sembrava così saggia e severa, mi intimoriva come mai nessuno aveva fatto prima. Però lei era lì, di fronte a me, a fissarmi, squadrandomi dall’alto in basso con i suoi occhi spenti, spenti come il suo viso fatto solo di ombre. Ma era difficile poter leggere la sua espressione nelle condizioni di shock in cui ero, al momento mi risultava tutto troppo luminoso per poter anche solo pensare che fosse vero, magari avevo battuto la testa, magari era tutto solo un incubo. Quanto avrei voluto darmi un pizzicotto, se solo non mi fossi sentita come il bersaglio di un arciere. Sbattei le palpebre e finalmente riuscii a distinguere meglio i contorni degli oggetti, di lei. E di nuovo qualcosa nel suo volto macabro mi ricordò… me.
Forse per miracolo e per pura natura umana, scossi la testa e sentii le ossa del collo scricchiolare. Tutte quelle riflessioni inutili e banali mi avevano distratta, impedendomi di affrontare il vero aspetto critico della situazione. Quella ragazza era in uno specchio! Non era una cosa normale, niente affatto. Più curiosa di quanto avessi dovuto essere, ora mi avvicinavo lentamente a lei, ogni mio movimento era cauto e la ragazza non smetteva di studiarmi, quasi sembrava mi stesse leggendo dentro. In certi istanti mi sfiorò il pensiero che forse sarebbe stato meglio se non stesse così immobile, mi dava la sensazione che potesse fare qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Tra le mie riflessioni ci fu anche l’ipotesi di essere finita nella favola di Biancaneve, modificata in “Biancaneve e il Lupo cattivo”. A quell’idea avrei voluto schiaffeggiarmi da sola, distrarmi non mi avrebbe portato a nulla. Cercai di mantenere il controllo di me stessa, regolarizzando il respiro e frenando i continui movimenti del mio petto. Provai ad assumere uno sguardo più sicuro e duro, ma probabilmente non mi riuscii molto bene. Cosa c’era di temibile in me? Nulla, ma comunque mi feci coraggio, presi un respiro profondo, strinsi i pugni preparandomi al peggio e alzai lo sguardo posandolo sui suoi occhi scuri.
-Chi sei?- chiesi in un sussurro. Intorno a me sentivo respiri leggeri che sussurravano il mio nome ad ogni brivido che mi saliva lungo la schiena. Non riuscivo a vedere nessuno, ma sapevo che c’era qualcosa, qualcosa o qualcuno di incredibilmente… distorto. Deglutii rumorosamente e pregai di non svenire.
-Sono colei che conosce la storia di quella collana- rispose alla mia domanda con voce soave, anche se il suo aspetto malridotto non aveva nulla di grazioso. Al suono di quelle parole mi mancò il fiato: lei sapeva qualcosa, poteva aiutarmi. Ma in quel momento non era quella la mia priorità poiché la curiosità vinceva su tutto.
-Perché sei in uno specchio?- domandai, quella volta in tono più sicuro, ma pur sempre tremolante. Non avevo mai visto niente del genere, stavano capitando soltanto fatti sovrannaturali e avevo il sospetto che la mia vita non sarebbe mai tornata quella di una volta. Quel posto aveva distrutto il mio piccolo mondo di logica e realtà.
-Troppo complicato- rispose semplicemente, lo sguardo freddo, ma per un secondo attraversato da uno scintillio curioso, non lasciava trapelare alcun tipo di emozione.
-Farò uno sforzo- anche se tutte quelle vocine che sentivo intorno a me mi facevano tremare di paura, volevo sapere di più su di lei, misteriosa e strana, che aveva scelto me. Drizzò il capo e mi fissò intensamente negli occhi, avevo paura di quello che stava per dire.
-Io sono morta- il tono della sua voce si fece più duro e sentivo che le mie gambe mollicce avrebbero ceduto da un momento all’altro. Avevo calcolato una possibilità del genere, ma non l’avevo tenuta molto in considerazione. D’altronde che mi aspettavo? Era cadaverica quanto il ragazzo nell’altra camera.
Serrai le labbra per trattenere un urlo, dovevo sfogarmi, ma non era quello il momento più adatto per farlo. Tenevo i pugni talmente stretti da far diventare le nocche bianche e le unghie per poco non mi perforavano la pelle.
-Perché sei lì?- chiesi, speravo solo di non sembrarle troppo insistente, avevo il timore di farla arrabbiare. Ma lei manteneva sempre la stessa espressione neutrale.
-Per vederti, Maya- si mosse in avanti. Per un istante pensai stesse per uscire dallo specchio e il mio cuore perse un battito, ma per fortuna non fu così. –Avvicinati, Maya- sussurrò poggiando una mano sul vetro nero. Le mie labbra erano schiuse a voler dire qualcosa, ma non ne uscì niente.
La mia testa si muoveva lenta da destra a sinistra, non volevo crederci, non potevo crederci.
Indietreggiai anziché fare come mi aveva detto, il suo sguardo quasi mi implorava nel suo essere sempre così duro e fermo, ed io mi sentii peggio: mi sentii in colpa. Fu in quel momento che nella stanza il freddo aumentò ed il vento mi colpì come uno schiaffo in pieno viso. Percepivo quei sussurri girarmi intorno come vortici.
-Non andartene, Maya-.
-Resta qui, Maya-.
-Non puoi scappare, Maya-.
Non avevo intenzione di restare in quella camera un secondo di più. Mi voltai di scatto e fuggii via di lì il più veloce possibile, i miei piedi nudi quasi non toccavano terra. Non mi importava delle schegge di cemento e chissà cos’altro conficcate nelle piante dei piedi, non mi importava dei graffi che mi procuravo sulle braccia quando andavo a sbattere contro un muro, non mi importava se il cuore mi fosse esploso, né se il mio respiro si fosse fermato, non mi importava e basta. Volevo solo andare via.  Mi ritrovai a salire le scale due alla volta, di tanto in tanto persino a tre. La paura mi divorava. Troppe cose, troppi fatti. Lei aveva ragione, tutto era troppo complicato, troppo spaventoso per una semplice ragazza come me. Avrei dovuto darle retta, avrei dovuto stare zitta e smettere di fare domande se sapevo che le conseguenze potevano essere queste, e quando si trattava di me e della paura ciò che sarebbe venuto non poteva essere altro che quello che stava accadendo: io fuggivo via, avevo sempre fatto così e così avrei continuato, si viveva meglio stando da soli, senza troppi legami.
 
Ero in un angolo della mia nuova camera da letto, piangevo senza interruzione da svariati minuti. Mi piacevano gli angoli, non mi facevano sentire troppo scoperta, tenevano insieme i pezzi di me quando decidevano di staccarsi, davano l’illusione di spingere e stringere le mie ossa fino a bloccare il flusso di dolore e confusione che mi circolava nel sangue, rendevano tutto più ovattato e meno intenso, la nitidezza spariva, tutto spariva. Ma quella volta la debolezza restava, le immagini non sbiadivano, i ricordi riaffioravano, l’ansia scorreva veloce come un fiume in piena. Improvvisamente gli angoli erano troppo stretti, la camera era troppo piccola, il castello pareva minuscolo, così mi sentii soffocare da tutto quel flusso di emozioni, mi sommersero rendendomi impossibile respirare, l’aria mancò e i colori sbiadivano mentre la mia fronte si bagnava di sudore freddo. Poi il buio si impossessò di me. Era un’oscurità strana, claustrofobica, il nero non sembrava nero, il nero sembrava solo vuoto e infinito, ma neanche quello mi bastava, persino quell’apparente ampiezza non mi dava pace, non mi restituiva l’aria fin quando il buio si dissolse e fui abbagliata da una luce accecante, la luce della libertà, della pace, della vita: la luce del sole. Quanto mi mancava, ma seppur vedessi quel pallone giallo illuminare la Terra, non riuscivo a sentirne il calore. In altre circostanze mi sarei preoccupata, posta mille domande senza avere alcuna risposta, ma in quel momento la mia attenzione fu catturata da altro, da qualcun’altro. Assottigliai lo sguardo e improvvisamente mi ritrovai più vicina a qual qualcuno che ora riuscii a riconoscere. Stesa in mezzo a quel grande prato verde c’era la ragazza dello specchio. Era molto più colorata e umana mentre teneva gli occhi chiusi e accoglieva con un mezzo sorriso i raggi del sole, lei era… viva e mi somigliava in una maniera incredibile. Non riuscivo a staccare gli occhi da lei, come se continuando a fissarla avessi potuto trovare le risposte a tutti i miei quesiti, come se fissarla mi avesse data la stessa libertà che aveva. Poi la vidi mentre voltava il capo verso sinistra e sorrideva allegra a qualcuno che probabilmente era al suo fianco. Non riuscii a capire di chi si trattasse, percepii solamente una terribile sensazione alla bocca dello stomaco, un brivido corse lungo la mia spina dorsale e d’un tratto fui sbalzata via da quella scena. Mi risvegliai con il fiato corto e l’impressione di cadere. Quando fui abbastanza lucida mi resi conto di avere una guancia spiaccicata sul pavimento, avevo dormito per terra tutta la notte e ora la mia spina dorsale aveva assunto la forma di una S.
-Accidenti- borbottai tirandomi su e tenendomi la testa fra le mani tentando di evitare che tutto girasse, ma ovviamente fu tutto inutile. Barcollai e trovai un appiglio sul comodino risparmiandomi una caduta e altri dolori. Andai al bagno e mi lavai il viso con l’acqua gelida riuscendo a svegliarmi definitivamente. Prima di andare in corridoio e uscire da quelle quattro mura afferrai un panino al prosciutto da mangiare sul prato, avevo voglia di stare all’aperto, mi serviva un po’ d’aria. Quando però aprii la porta non c’era molta luce come mi ero aspettata, in effetti non c’era neanche in camera mia, tutto era illuminato solo ed esclusivamente da alcune candele sparse qui e lì.
-Ma che ore sono?- domandai a me stessa e istintivamente alzai il polso dove lessi l’orario. Le sei del pomeriggio. Spalancai gli occhi, avevo dormito per quasi un intero giorno. Da un lato non ne ero per niente stupita, dormire mi piaceva, era dormire su un pavimento che non era da me, ma mi serviva riposare, non avevo chiuso occhio la notte precedente e le mie occhiaie non erano mai state tanto scure. Quando lo stomaco brontolò scesi di corsa le scale e attraversai il salone e l’entrata, per la prima volta odiai tutto quello spazio, mi sembrava di essere sempre più lontana dal mondo esterno, ero così ansiosa che quando aprii il portone quasi inciampai nei miei stessi passi nel precipitarmi fuori con tanta foga.
-Oh, cavolo- dissi appena realizzai che fuori pioveva a dirotto –Ma non mi dire!- esclamai ironica alzando le mani al cielo. Mi sentivo così frustrata, così persa e in trappola, come se fossi in una cella di isolamento a metri di profondità sotto i mari. Quando sentii gli occhi pizzicarmi ricacciai giù le lacrime e deglutii ripetutamente. Mi imposi di fissare un punto preciso e focalizzarmi solo su di esso, mi riusciva semplice distrarmi e divagare, venivo spesso catturata da ogni piccolo dettaglio e riflettere su ciò che poteva apparire e ciò che poteva invece essere veramente mi catapultava in un mondo fatto di realtà e immaginazione, due punti completamente diversi, ma che amavo intrecciare ed utilizzare per i miei resoconti. Solo che in quel momento non fu un uccellino nascosto tra i rami a catturare la mia attenzione, né lo strano balletto di foglie nell’aria, bensì una ragazza, la stessa dello specchio. Rammentai di lei stesa sull’erba di un prato, ricordai il suo sorriso.
-Ma allora è vero- realizzai, era vera tutta quella storia: il ragazzo morto e la ragazza nello specchio, non me l’ero immaginati, erano davvero lì sotto, giusto? O erano solo alcune delle mie tante follie? La mia immaginazione era fervida, ma non mi credevo capace di inventare cose simili. Improvvisamente mi tornò alla mente il libro, la collana, il simbolo. Un modo per sapere se tutto quello fosse reale o solamente il frutto della mia mente c’era ed io sapevo qual’era.
Forse per lo spavento, o forse era semplicemente opera del mio subconscio ciò che avevo fatto, ma non ci avevo pensato su due volte. Ed ora ero in camera accovacciata sul pavimento con una mano impegnata a tenere sollevato il bordo delle lenzuola in merletto e l’altra che tastava il suolo polveroso sotto al letto. D’un tratto le mie ditta vennero a contatto con qualcosa di duro e ruvido: il libro. Era lì e quasi avevo dimenticato quanto fosse pesante. Lo riposi sul materasso tra le mie gambe mentre con una mano stringevo un panino e con l’altra sfogliavo con estrema delicatezza le pagine ingiallite di quel manoscritto. Le lettere erano così eleganti e fini, immaginavo una mano leggera passare aggraziata su quei fogli, tra le dita una di quelle vecchie piume con la punta tinta di inchiostro nero. Ma chiunque avesse scritto tutto ciò doveva parlare in un’altra lingua, qualcosa di simile al latino. Alcune parole mi suonavano familiari grazie alle lezioni di mia madre che da giovane aveva studiato la materia, altre invece erano del tutto sconosciute, altre ancora mi pareva di conoscerne il significato da sempre, leggevo la parola e nello stesso istante la traduzione mi si parava davanti agli occhi. Potevo dire una cosa con certezza: quello non era un libro di favole. Piuttosto era qualcosa di più oscuro alla mia mente, qualcosa di estraneo ai miei pensieri, qualcosa di incredibilmente antico e contorto, ricordava i rituali vudù dei vecchi film sugli indigeni che trasmettevano sui canali in bianco e nero. In un qualche modo tutto ciò mi affascinava e tutto divenne di gran lunga più interessante quando i miei occhi si posarono sui resti a zig zag al centro del libro, dove una volta c’erano delle pagine, pagine che erano state strappate da qualcuno che le voleva tutte per sé, pagine importanti, pagine che potevano contenere un enorme segreto ed io volevo scoprire di cosa si trattasse.
 
 
 
Salve!
Eccomi ancora qui a rompere!:))
Dovete perdonare il mio terribile ritardo, ma negli ultimi giorni ci hanno massacrati a scuola.
E poi Maya si lamenta, pff, che dovrei dire io. Mi sono beccata il raffreddore andando al cinema! 
In quante avete visto “Maleficent”? 
Io sììì #alzalamano!!
Tornando alla storia… che ve ne pare del capitolo? 
Spero vi sia piaciuto:))
Chissà la nostra Maya che scoprirà, vi lascio all’immaginazione;)
Voglio ringraziare tutte le persone che leggono e recensiscono la storia, grazie di cuore, mi aiutate molto:))
Spero continuerete a farlo, ho bisogno di voi, non abbandonatemi #falafacciadacucciololol;)
Come sempre vi ribadisco che accetto di tutto, anche critiche, purché siano costruttive!
Grazie anche a chi mette l’ff tra le preferite/ricordate/seguite, mi fa davvero tanto piacere:)
Grazie a tutti per tutto lol;)
Alla prossima;)
Baci
Alena18 xxx
 
 

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Capitolo 8
*** Capitolo sette: Chi è lui? ***


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                                                                                   “Non tutto ciò che vedeva era come sembrava.”
 
-Non mi resta che una cosa da fare- esordii respirando a fondo e smettendo di farlo quando ebbi il petto gonfio e i nervi saldi. Era arrivato il momento di tornare lì sotto, di mettere in chiaro le cose, non potevo continuare a fingere che tutto andasse bene come non potevo autoconvincermi che la situazione fosse assolutamente normale. Diamine, non c’era la benché minima traccia della normalità in quel posto! Forse stavo solo cercando di distrarmi da quello che sapevo mi sarebbe capitato se fossi restata lì ancora per molto, ed ero consapevole del fatto che lì ci sarei rimasta, non poteva essere altrimenti. Quindi mi stava bene, accettavo il fatto che tentassi di impegnare la mente correndo dietro fatti inspiegabili e pericolosi, e non mi importava se era tutto nella mia testa, se niente di tutto quello che avevo visto era reale, mi bastava illudermi. –Perciò, sì!- esclamai serrando i pugni e portando lo sguardo verso il soffitto –A tutti voi spiritelli in ascolto- affermai a gran voce, forse mi stavo lasciando trasportare troppo dal finto entusiasmo –Io scenderò di nuovo lì sotto-.
 
Potevo ancora tornare indietro, potevo ancora essere realista e fare marcia indietro, potevo ancora tornare in camera e infilarmi sotto le coperte, ma non volevo. Cosa avrei fatto se avessi scelto di essere lucida e saggia? Sarei tornata di su e avrei affogato la testa tra i cuscini nel folle e disperato tentativo di suicidarmi, ma sapevo bene che mai avrei potuto fare una cosa simile, quindi meglio fare la persona insana e rischiare la vita lì sotto, tra polvere e insidie, che restare a girarmi i pollici mentre provavo ogni singolo divano del castello testandone la morbidezza.
-Sei tornata, Maya- sussurrò una voce lontana. Rabbrividii a quel suono così roco e gracchiante, sembrava la voce di una di quelle vecchie streghe dei cartoni animati.
-Stai facendo la cosa giusta, Maya- in realtà non era solo una la voce che parlava, erano di più e arrivavano alle mie orecchie una dopo l’altra, come un eco di sibili terribilmente viscidi.
-Continua a camminare, Maya- Maya, Maya, Maya, ma perché continuavano a sbattermi in faccia il fatto che sapevano il mio nome mentre io invece non sapevo nulla, niente di ciò che stava accadendo! E poi, non mi serviva che loro mi dicessero cosa fare, anzi, se magari fossero state zitte forse avrei smesso di pensare di correre via urlando come una forsennata e avrei proceduto sempre più sicura.
Quando arrivai alla stanza dello specchio per un istante provai sollievo, ma fui spaventata da quella mia reazione, era chiaramente uno svantaggio per me, una sorta di punto debole quella sicurezza che avevo avvertito, ero davvero così certa che non mi fosse accaduto nulla lì dentro? Raggiunsi lo specchio e mi ci posizionai davanti aspettando che accedesse di nuovo, che la lastra diventasse nera, che il simbolo si disegnasse al centro lasciando poi posto a lei, comparsa dal nulla, come per magia. E così fu. Strinsi le mani l’una nell’altra, poggiando prima la lanterna che avevo portato con me sul suolo malandato. Deglutii, sapevo che dovevo essere io ad aprire il discorso, dopotutto ero scesa lì di mia spontanea volontà… a proposito, perché l’avevo fatto? Per un attimo sentii la mente vuota e annebbiata, mi mancava la forza di fare qualsiasi cosa, tutto il coraggio si era dissolto come una nuvola di fumo. Poi strinsi i denti e respirai col naso affondo. Risposte, ecco cosa cercavo.
-Voglio sapere la storia della collana- dissi tutto d’un fiato con uno strano tono di sicurezza, ma era palese che stavo in tutti i modi tentando di non osservarla più del necessario. Sapevo cosa sarebbe accaduto se avessi preso a fissarla: quegl’occhi vuoti e bui, quel viso scavato e pallido, era impressionante. Per un secondo la ricordai come l’avevo vista nel mio sogno, difficile adesso poterla immaginare così felice e spensierata. A quelle parole lei passò in modo quasi impercettibile il suo sguardo sul mio petto ed io feci lo stesso, guardando con più attenzione del necessario la catenina appena al mio collo.
-Quella collana è stata forgiata secoli fa e solo una Gordon può indossarla-cominciò ed istintivamente mi portai la mano al petto toccando delicatamente il fresco metallo sul mio collo. –È stata tramandata di generazione in generazione, ma il ciclo si deve rompere- il suo sguardo intenso posato su di me mi fece sorgere il dubbio di aver rotto quel ciclo, ma io non sapevo nemmeno di cosa stesse parlando –E tu sei la prescelta- esordì ed ecco che cominciavo a perdermi. A quanto pare il secondo stadio della mia paura era l’incomprensione, parlava come se fosse tutto così chiaro, ma non lo era, non per me. Prescelta, una parola semplice, normale, ma suonava così pericolosa per me. Tutto ciò a cui stavo pensando si interruppe non appena vidi lei mettersi di profilo. Istintivamente mossi un passo indietro, intimorita dall’idea che quella ragazza tanto strana, quella ragazza morta potesse uscire dallo specchio e attaccarmi. Ma una cosa del genere era impossibile. Be’, impossibile era anche poter vedere una persona morta e parlarci attraverso uno specchio. Impossibile era anche trovare la tomba di un ragazzo morto decenni prima più in forma di un qualsiasi essere ancora vivente. Perciò perché lei non poteva saltarmi addosso distruggendo lo specchio e uccidendomi con le schegge di vetro?
La osservai mentre si abbassava piano la manica del vestito che indossava scoprendosi così la spalla sinistra. Mi mostrò quella che doveva essere una voglia, poi assottigliai lo sguardo e lo vidi, vidi il simbolo stampato sulla sua pelle e trattenni il fiato. Ma che voleva dire quel segno? –Tira giù la manica della tua maglia- disse restando immobile. Ci misi qualche secondo per riprendermi e riuscire a muovermi senza sembrare un robot. Feci come mi aveva detto e scoprii la spalla sinistra scrutandola con occhi attenti. Un istante dopo li sentii riempirsi di lacrime e le labbra mi tremarono, non potevo fare a meno di essere spaventata. Io avevo la collana, avevo la sua stessa voglia: io ero una Gordon e lo era anche lei. –Tu sei la mia discendente, Maya- rivelò togliendomi ogni dubbio. Ma dove diamine ero finita?! 
-Cosa…- iniziai, ma per un attimo la voce mi mancò. Tirai su col naso tentando di riacquistare il mio contegno e puntai i miei occhi su di lei che si era appena ricomposta –Cosa sei realmente?- chiesi asciugandomi una lacrima con il dorso della mano.
-Questo non è importante- tagliò corto con tono neutro e disinteressato. Io avevo diritto di sapere, io ero sangue del suo sangue, ciò che era lei probabilmente ero anch’io. Ma non riuscivo a tirare fuori la voce per arrabbiarmi, non riuscivo a non pensare alle tante altre domande che mi frullavano in testa, non riuscivo, non potevo frenare la mia curiosità, la mia voglia di sapere.
-E il ragazzo?- domandai muovendo un passo avanti, mi sentivo così… così coinvolta da lui e cavolo! Perché lo ero? –Anche lui è morto, no? Com’è successo?- sentivo il cuore battere a mille, forse anche più forte della notte della fuga dal lupo.
-Lui non è morto- annunciò come se fosse ovvio e, se non fossi stata tanto sconvolta, tutta quella faccenda mi avrebbe fatta infuriare. Io non le credevo, insomma, lui non respirava, non si muoveva, aveva la pelle cadaverica e gelida, c’era tutto… quasi tutto, mancava il tanfo tipico dei morti, quello di muffa e cimitero con qualcosa che ricordava l’incenso. Non si era nemmeno decomposto e avevo da subito trovato la cosa alquanto strana e surreale. Okay, forse non mi stava mentendo, ma se non era morto allora cos’era?
-Io l’ho visto bene, lui sembra morto-.
-Non tutto ciò che vedi è come sembra- disse con voce saggia, di chi aveva vissuto esperienze che avevano dimostrato quanto quelle parole fossero vere.
-Questo vuol dire che lui è vivo- sussurrai abbassando lo sguardo sui miei piedi nudi cercando di riordinare le idee. Lui era vivo. –Quindi può svegliarsi?- chiesi riportando i miei occhi nei suoi che mi guardavano impassibili, nessuna emozione traspariva dal suo volto scarno, mentre io tentavo di regolare il respiro.
-Sì- fu la sua risposta, semplice e breve, un’unica sillaba che aveva sconvolto tutto quello in cui credevo. Il mio cuore perse un battito e la paura cominciò a dissolversi, l’ansia sparì e ora ero quasi certa che quella ragazza, la mia antenata, potesse solo aiutarmi, non mi avrebbe fatto del male.
-C-come?- balbettai sciogliendo le mie dita intrecciata in grembo e portandole lungo i fianchi. Il suo sguardo era paralizzante e qualcosa mi diceva che non avrei gradito la sua risposta, ma quel silenzio mi uccideva.
-Con il tuo sangue- sibilò. Un brivido corse lungo la mia spina dorsale e serrai i pugni irrigidendomi al suo di quelle parole. La mia mente respingeva quell’idea, quell’immagine di me che dovevo risvegliare qualcuno usando il mio sangue.
-C-cosa?- mormorai e pareva che non riuscissi a far altro che balbettare. Quello che volevo di più in quel momento era restituire la possibilità di vivere a quel ragazzo e lei mi diceva che la soluzione ero proprio io, che era esattamente dentro di me, nelle mie vene.
-Ne bastano poche gocce- mi informò, come se quella notizia rendesse tutto meno inquietante e disgustoso. Ma cos’era qualche goccia di sangue paragonata a ciò che poteva essere poi, paragonata alla vita.
-Lo farò- mi sentii dire, non avevo pensato di pronunciarlo ad alta voce, ma era quello che volevo.
-Ricorda che questa è una tua scelta- precisò e suonava quasi come un avvertimento, ma se voleva spaventarmi non ci riuscì, mi bastava solo sapere un’ultima cosa.
-Chi è lui?- domandai questa volta con tono più curioso che ansioso.
-Lo scoprirai presto- esordì. Non mi aveva detto nulla e la cosa avrebbe dovuto preoccuparmi da un lato, ma dall’altro trovavo tutto incredibilmente misterioso. Per un istante mi fermai a pensare a quanto potessi apparire penosa e stupida, una ragazzina. Sì, lo ero, ma tutto ciò che stavo facendo andava contro quello che ero sempre stata, avevo davvero così bisogno di qualcuno nella mia vita? Ero davvero così disperata? –Ma non credere che sia così facile risvegliarlo- continuò interrompendo il flusso di pensieri che, per un attimo, mi aveva deconcentrato.
-Cos’altro c’è?- chiesi un po’ timorosa della risposta, il solo fatto del mio sangue nella sua bocca era abbastanza rivoltante per me che non sopportavo la vista di quel liquido scuro.
-Dovrai illuminare la stanza con delle candele e, dopo avergli fatto bere il tuo sangue, dovrai mettere due dita sulle sue tempie e pronunciare Rursus- spiegò ed io dovetti trattenermi dallo spalancare gli occhi e fare una risata isterica e senza alcuna traccia di divertimento. Tutta quella situazione non mi piaceva molto –Ricorda che la concentrazione è alla base di tutto. Devi focalizzare il tuo obbiettivo- terminò. Sembrava di stare a lezione di arti sataniche, odiavo quella sensazione, era la stessa che avevo avvertito mentre ero nel bosco: pericolo misto a confusione. Avrei voluto chiederle cosa significava quella parola che mi aveva subito solleticato la mente appena l’aveva pronunciata, era come se sapessi cosa significasse, ma al momento non riuscivo a essere abbastanza lucida per poter anche solo spiccicare parola. –Ricorda- riprese d’un tratto –È una tua scelta- riuscii a sentirla a stento dato che la sua voce era diventata un tutt’uno con quel vento. Perché cavolo c’era vento in una stanza sotto un castello?
-È una tua scelta, Maya- ripeterono delle voci.
-A tuo rischio e pericolo, Maya- gracchiarono altre.
-Sta attenta, Maya- sibilarono altre ancora e in qualche modo fu come se mi sentissi spinta via. Un secondo dopo stavo già correndo su per le scale a chiocciola, sapevo qual’era il mio obbiettivo e l’avrei raggiunto quella sera stessa.
 
Ero di nuovo lì sotto, questa volta però la mia meta era diversa. Era da quando avevo attraversato il passaggio nel muro, con un cestino malandato pieno di tutte le candele che ero riuscita a trovare nei cassetti della cucina in una mano e nell’altra una lanterna, che continuavo a farmi la stessa domanda: cosa sentivo? Be’, avrei potuto riempire pagine e pagine su come mi sentissi in quel momento, ma alla fine non avrei saputo dire quale emozione prevalesse in me. Entusiasmo, perché finalmente non sarei più stata sola, fierezza, perché avrei restituito la vita a qualcuno, rabbia, perché non mi bastavo e non mi sarei mai bastata. Non stavo correndo, preferivo arrivarci con calma, forse perché una parte di me non era affatto sicura di ciò che stavo facendo, forse perché sapeva che l’intera situazione era assurda e potenzialmente distruttiva, ma l’altra parte, quella curiosa e testarda, ebbe la meglio. Quando riuscii a scorgere l’entrata alla stanza del ragazzo mi riempii i polmoni d’aria e camminai a passo deciso, dandomi l’illusione di essere convinta e assolutamente pronta a qualsiasi cosa fosse accaduta. Entrai e feci in modo di non guardarlo, non mi servivano distrazioni, meno mi perdevo ad osservare il suo volto meglio era. Presi a sistemare le candele intorno al letto di marmo, rimettendole a posto quando si abbattevano rotolando per la camera. Quando terminai e guardai il mio lavoro un pensiero mi attraversò la mente facendomi schiudere le labbra.
-Cavolo!- esclamai passandomi una mano tra i capelli –E adesso come accendo queste cose?!- sbottai pestando un piede per terra facendo così cadere diverse candele. Sbuffai e mi accovacciai per sistemarle di nuovo al loro posto, poi i miei occhi si posarono sul cestino al mio fianco. Dentro c’era il libro che mi ero portata dietro. Non sapevo perché l’avessi fatto, ma un po’ mi dava sicurezza averlo con me… -Un momento- affermai iniziando a ricordare qualcosa. Immagini di disegni, disegni di fiamme, corsero veloci nella mia mente. Afferrai il libro e lo sfogliai in fretta –Qual’era la pagina- sibilai tentando di mantenere la calma. Poi la trovai. C’era un paragrafo in alto dov’era disegnato un fuoco, accanto tante parole in latino. Riuscii a decifrarne  qualcuna, ma l’unica cosa che capii era che il fuoco dava forza. Notai però che più volte si ripeteva una parola e forse era proprio quella che avrebbe potuto aiutarmi.
Senza pensarci su troppo riposi il libro nella cesta e mi rimisi in piedi, proprio affianco al ragazzo. Mi guardai intorno, osservai attentamente ogni singola candela spenta e mi feci coraggio prima i parlare.
-Ignis- dissi, ma non accadde nulla. Neanche una scintilla, eppure avevo fatto ciò che diceva il libro. Portai una mano alla fronte, ma davvero lo stavo facendo? Davvero stavo tentando di evocare il fuoco? –Sono ufficialmente impazzita- mormorai scrollando le spalle. Ricorda che la concentrazione è alla base di tutto. Devi focalizzare il tuo obbiettivo. Le parole della mia antenata mi rimbombarono nella mente, divenendo poi un eco lontano. Sbuffai perché sapevo dove stessi andando a parare. Mi arresi decidendo che mi avrei combattuto contro me stessa, dovevo imparare ad essere più impulsiva. Così chiusi gli occhi e la mia mente disegno la figura massiccia di una candela e, sopra di essa, una fiamma rossa brillava nel buio. Era questo ciò che volevo.
-Ignis- pronunciai di nuovo. Aprii un occhio, uno soltanto, tenendomi così pronta per quanto avessi visto il fiasco che avevo fatto, ma d’improvviso un tenue bagliore si accese e poi un altro, e un altro ancora, e quello affianco, e così fino a quando ogni singola candela non fu accesa. Spalancai gli occhi e trattenni il fiato sorpresa e scioccata da ciò che era accaduto, ciò che era accaduto per mano mia. Avevo davvero fatto una cosa del genere? Mi osservai le mani, non c’era nulla di strano in esse, nulla di diverso dal normale, nulla di magico, eppure…
Scossi la testa, non era quello il momento per pensare a me e a come avessi fatto, ora era finalmente tutto pronto. Ricordai però un particolare che avevo dimenticato: un coltello.
-Non ci posso credere!- esclamai alzando le mani al cielo esasperata da me stessa –Stupida, stupida, stupida- mi colpii ripetutamente alla fronte. Be’, a quello sarebbe stato più facile rimediare. Mi guardai intorno e trovai ciò che cercavo. Afferrai dal pavimento una pietra all’apparenza appuntita e seghettata, la portai sul palmo della mano destra, ma lo trovai già ferito, diviso in due a causa di quella quercia. Così spostai la pietra sull’altra mano e deglutii forte prima di premere la punta contro la carne della mano. Strinsi i denti mentre mi procuravo un taglio lungo un paio di centimetri e mi trattenni dal chiudere gli occhi quando vidi il sangue fuoriuscire dalla ferita. Bruciava, ma bastava non pensarci troppo. Lasciai cadere la pietra e mi diressi verso il ragazzo, posizionandomi proprio dietro la sua testa. Con la mano sana aprii piano la sua bocca reprimendo un lamento di disgusto e orrore, stavo comunque toccando uno apparentemente morto. Quando ebbi fatto portai la mano ferita a qualche centimetro d’altezza dalle sue labbra e strinsi forte il pugno facendo colare diverse gocce di sangue nella sua bocca. Ne contai sei, potevano bastare. Velocemente portai due dita sulle sue tempie e feci come la ragazza nello specchio mi aveva detto.
-Rursus- dissi. Aspettai qualche secondo, ma non accadde nulla, di nuovo. Forse dovevo comportarmi esattamente come avevo fatto per il fuoco, così chiusi gli occhi, ignorando la sensazione di pericolo che mi dava il buio, e focalizzai il mio obbiettivo. Immaginai lui che apriva gli occhi, che sorrideva, che si muoveva. Presi un respiro profondo e mi decisi.
-Rursus- affermai e quando aprii gli occhi attesi ancora, ma non successe come invece era accaduto per le candele, i secondi continuavano a scorrere divenendo minuti e trasformandosi in ore, ma nulla accadde. Lui restava sempre lì, immobile e… morto, perché era così, lui era morto ed io ero una stupida. Che sciocchezza credere di poter riportare in vita qualcuno, credere che addirittura la sua fosse una morte apparente! Ero rimasta lì per intere ore ad aspettare, ormai bisognava ammettere che era stato tutto un enorme fallimento, un fiasco totale, una gigantesca illusione. Così, prima di poter cedere alle mie emozioni, raccolsi le mie cose corsi via.
 
Il mio sonno era irrequieto e infestato dagli incubi. Stavo correndo, fuggivo da qualcosa, qualcosa che era nel bosco. Il lupo. era tornato a prendermi, era tornato per uccidermi. Sentivo le mie gambe molli come gelatina, la stanchezza si stava impadronendo del mio corpo prima ancora che potessi trovare una via di fuga. Poi le ginocchia tremarono violentemente e caddi a terra rovinosamente. Quando mi voltai la figura del lupo torreggiava su di me, assetata, affamata. Ululò alla luna per poi tornare in fretta su di me. Si avvicinò mostrandomi una schiera di denti lunghi e affilati come la lama di una spada. Mi ringhiò contro, poi si lanciò su di me con le sue enormi fauci spalancate.  
-Ah!- urlai svegliandomi di soprassalto. Sentivo un velo di sudore sulla fronte, respiravo a stento. Era stato l’incubo più brutto e realistico che avessi mai avuto.
Mi passai una mano sul viso mentre mi metteva a sedere al centro del letto, poi percepii qualcosa, non sapevo bene che cosa, ma era come una forza magnetica che mi attirava a sé dandomi i brividi e costringendomi a voltarmi. Il freddo riempiva la stanza e sentivo mani e piedi gelidi mentre giravo il capo verso destra lentamente.
Nel profondo buio della stanza il mio sguardo riuscì ad intravedere solamente un paio di occhi rossi come il sangue che mi stavano fissando minacciosi.  
 
 
Hola!
Salve a tutte!:))
Come va la vita? Vi state godendo le vacanze? 
Io no, prima l’influenza e ora il ciclo, la sfortuna mi perseguita, peggio di Maya ahahah:)
Scusate per il ritardo, ma sono stata male, avevo tante storie da leggere e recensire, l’altra mia ff da scrivere e poi mi si è rotto il mouse #sfortunaportamivia!
Comunque, vi è piaciuto il capitolo? 
Fatemi sapere cosa ne pensate, qualsiasi cosa, consigli, cose da modificare, suggerimenti, supposizioni… fatemi sapere quello che vi passa per la testolina attraverso una recensione, mi serve sempre il vostro parere e mi farebbe anche molto felice!:))
Grazie mille a chi ha recensito il capitolo precedente, a chi mette tra le preferite/seguite/ricordate l’ff, grazie di cuore:D
Be’ io ora mi dileguo, a prestoo:)
Baci
Alena18 xxx
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo otto: Angelo o demone? ***


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                                                                                      “Fu come un richiamo ululato alla luna, ma sussurrato ad un orecchio.”
 
Spalancai gli occhi quasi a volerli far uscire dalle orbite per la paura, per l’ansia, per il desiderio che quello fosse ancora un incubo. Volevo urlare, gridare a squarciagola fino a farmi venire meno la voce, volevo correre via da quel posto, andarmene il più lontano possibile e non tornare mai più. E lo avrei fatto, se non fossi rimasta del tutto paralizzata. Non riuscivo neanche a respirare, né volevo farlo, il mio petto era fermo, ma il cuore andava a mille, cercavo di non turbare la cosa che avevo davanti. Non erano occhi umani, nessun essere normale aveva degli occhi così rossi. Mettevano i brividi e volevo prendermi a schiaffi perché quello doveva essere un incubo, volevo che fosse un incubo, non poteva essere altrimenti. L’unico rumore che avvertivo era quello dei tuoni, ma tutti i suoni giungevano alle mie orecchie ovattati, come il vento che graffiava le imposte, o come la pioggia che batteva insistente contro le pareti del castello. L’atmosfera non era delle migliori e se quello era un incubo, ed era così, era il peggiore che avessi mai fatto. Non riuscivo a vedere altro che quegl’occhi, né un viso, o una mano, una gamba o qualsiasi altra cosa. Era tutto dannatamente buio. Uno dei miei primi pensieri fu quello di schiaffeggiarmi per cercare di svegliarmi, poi mi ritrovai a desiderare di svenire, tutto pur di sfuggire a quella vista pietrificate. La cosa più logica da fare, però, sarebbe stata trascinarmi indietro e accendere la lampada, ma avevo il terrore di quello che poteva accadere, di quello che potevo vedere, di quello che potevo scatenare.
Sentii le lacrime salirmi agli occhi, non era un buon segno, avrei perso la calma se avessi continuato così. Mi sarebbe venuto un infarto e avrei preferito quell’opzione piuttosto che finire uccisa dalla cosa, perché era piuttosto ovvio, nessuno con delle buone intenzioni, nessuno di normale, aveva delle iridi così sanguigne. In quel momento sentivo di non essere curiosa, curiosa di sapere cosa ci fosse dietro quegli occhi, ma fu la paura invece che mi spinse a fare la cosa più insensata. Gattonai velocemente indietro sul letto, allungai il braccio e i miei occhi cercavano nell’oscurità la lampada mentre le mie dita tastavano il comodino affianco. Quando finalmente riuscii ad accendere la luce, la stanza si illuminò di un tenue bagliore tra il giallo e l’arancio, quindi riportai in fretta il mio sguardo a destra del letto, ma non vi trovai nulla. Sentii i nervi sciogliersi per il sollievo, ma c’era qualcosa che ancora mi turbava, in qualche modo sapevo di non essermi immaginata tutto, ormai mi conoscevo abbastanza bene da sapere che quando mi ritrovavo in situazioni così drammatiche e spaventose io facevo di tutto per convincermi dell’esatto contrario, oppure mi imponevo di credere che tutto fosse solo un sogno. E fu per quel motivo che non mi rimisi sotto le coperte, fu per quel motivo che non spensi le luci, fu per quel motivo che presi a guardarmi intorno mentre il silenzio improvviso inghiottì la camera. D’un il fragoroso boato di un tuono mi fece sobbalzare violentemente ed i miei occhi scattarono verso la finestra, con il terrore che quella potesse essere distrutta dalla tempesta stessa. Non era stato così, era tutto normale, forse troppo. Tentai però di calmarmi, di prendere fiato e tranquillizzarmi, ma quando riportai il mio sguardo davanti a me i miei occhi si imbatterono in altri, rossi e desiderosi. Serrai le labbra e trattenni un urlo, indietreggiai freneticamente sbattendo così con le spalle contro la spalliera del letto. Accolsi di buon grado il dolore alla schiena, nella speranza che esso mi fosse stato in qualche modo d’aiuto per tenere sotto controllo la situazione, ma non fu così. Mentre trattenevo il respiro i miei occhi si spalancarono pieni di gelido stupore, le mie mani sudate strinsero i cuscini e il mio corpo si immobilizzò completamente. Non riuscivo a credere a ciò che stavo vedendo: era lui, era il ragazzo, era quello che a me piaceva definire Angelo, ma adesso il suo sguardo bramoso non aveva tracce angeliche, né conteneva nulla che potesse ricordarmi il ragazzo che mi ero immaginata fosse. Ma tutto il resto era lì, proprio di fronte a me, le sue labbra piene e rosee, il suo viso un po’ lungo e delicato, le sue mani grandi, ma la pelle era ancora dello stesso bianco cadaverico, il suo corpo ancora emanava lo stesso gelo di sempre e sentivo ancora quei brividi, quella terribile sensazione di morte. Era tutto esattamente come non lo avevo immaginato, era completamente l’opposto. Nelle mie fantasie io gli lanciavo le braccia al collo chiedendogli come si sentisse, ora invece quella domanda mi sembrava così sciocca e fuori luogo, in realtà qualsiasi cosa mi fosse venuta in mente di dire probabilmente sarebbe stata sciocca e fuori luogo. Ma come diavolo potevano essere quelli i suoi occhi? Mi domandai mentalmente, ma non ebbi il tempo di pensare ad una risposta logica e plausibile che la mia mente si illuminò di un bagliore bianco quasi accecante e di colpo il ragazzo scomparve, tutto sparì inghiottito dalla luce. Poi tutta quella luminosità fu sostituita da un buio quasi totale, un silenzio quasi tombale. Tra le sagome scure degli alberi d’un tratto riuscii a scorgere un movimento, poi tutto divenne più chiaro e fu come se avessi zoomato dieci volte. Lo vidi, era il ragazzo, lo stesso delle segrete, lo stesso che era un attimo prima in camera mia. Era nascosto dietro un albero, gli occhi incredibilmente neri e cerchiati a capillari violacei: era il volto di un mostro quello. D’improvviso la scena si sposto poco più avanti, alle spalle di quell’albero dove lui si nascondeva, lì c’era una vecchia tenda da campeggio grigia dalla quale proveniva schiamazzi. Una luce illuminava l’interno e l’ombra di una ragazza sorridente e di un ragazzo con una sigaretta in mano era posata sul telo sporco della tenda, erano l’immagine della spensieratezza, ma chissà perché avevo un brutto presentimento. Riecco il ragazza, quella volta, però, lo vidi mentre usciva da dietro l’albero con passo svelto e sguardo famelico.
Ci fu un lampo di luce improvviso e poi tutto tornò a quella che era diventata la mia normalità. Lui era ancora lì, davanti a me, che mi fissava con l’unico sguardo che gli avevo visto fino a quel momento: minaccioso. Avrei dovuto sentirmi felice e ci stavo provando, mi stavo sforzando di ignorare le apparenze e sorridere, ma sarebbe stata una cosa così idiota e senza senso. La vicinanza con il suo corpo mi dava i brividi, avrei potuto alzare un braccio e toccargli una spalla per quanto fosse vicino e l’avrei fatto se solo la sua espressione fosse stata un po’ più amichevole e grata, insomma! Gli avevo salvato la vita, no? Ed ora tutto ciò che riusciva a mostrarmi erano i denti, una schiera di denti bianchi e perfetti, sopra di essi il suo labbro era arricciato, come se stesse per ringhiarmi contro, ma perché una persona doveva ringhiare contro un’altra? Perché una persona doveva avere gli occhi rossi? Perché una persona aveva bisogno di sangue per risvegliarsi? Forse lui non era una persona, era arrivato il momento di guardare letteralmente in faccia la realtà e smettere di negarla. Avevo paura, una tremenda e logorante paura che mi divorava dall’interno, ma nonostante tutto, nonostante ciò che avevo appena visto, ciò che stavo vedendo, nonostante gli avvertimenti della mia antenata e di tutte quelle voci, io non riuscivo a pentirmi di avergli di nuovo fatto riaprire gli occhi, per quanto essi potessero essere spaventosamente terribili.
Ad un certo punto lo vidi avvicinarsi lentamente, troppo lentamente. I suoi occhi erano puntati nei miei, mi scrutavano e per un attimo crebbi che lui potesse leggermi nel pensiero. Quello sguardo mi inchiodò alla spalliera, alla quale mi ostinavo di restare appiccicata, senza muovere un muscolo, senza battere ciglio: immobile. Lo osservai mentre prendeva tra le dita lunghe una ciocca dei miei capelli. Il suo tocco era leggero, quasi impercettibile mentre si portava la ciocca castana alle labbra, strofinandola leggermente prima sul labbro inferiore poi su quello superiore. Dalla bocca la fece salire al naso e potei sentirlo annusare, aspirare a fondo il mio profumo. Vidi le sue palpebre chiudersi lentamente per un secondo, pareva rilassato e al contempo su di giri. A sorpresa lo vidi muoversi piano verso di me, fino a trovarsi a pochissimi centimetri dal mio viso. Io non azzardavo un movimento, sudavo freddo mentre il sangue che mi scorreva nelle vene era un misto di paura e adrenalina. Abbassò lo sguardo e subito dopo anche il capo rivolgendolo verso la mia spalla destra, scoperta a causa della larga canotta. La sua bocca sfiorò la mia pelle delicatamente, poi fece lo stesso con la punta del naso. Continuò così, divulgandosi per interminabili secondi, alternando labbra e naso, sfiorandomi a stendo, lento e dolce. Potevo percepirlo, riuscivo a percepire il suo respiro che saliva, gelido come la neve, leggero e allo stesso tempo affannoso. A quel piccolo contatto non potei fare a meno di chiudere gli occhi e abbandonarmi a quel delicato piacere che mi stava causando. Non riuscii a trovare risposta alla mia domanda sui brividi che mi correvano lungo la schiena: erano tremiti di terrore o di qualcos’altro? Prima però che potessi rispondermi da sola avvertii la punta del suo naso tracciare il profilo del mio collo, poi d’un tratto non sentii più nulla. Riaprii gli occhi di scatto, intimorita e spaventata dall’idea di aver fatto un passo falso, un movimento sbagliato, anche se mi sembrava di non essermi mossa. Quando il mio sguardo si posò sul suo viso, lo trovai di fronte a me, solo più lontano, poggiato sul bordo del letto in posizione difensiva, pronta a scattare, la fronte corrugata, le labbra schiuse, il naso arricciato e gli occhi  spalancati improvvisamente neri puntati sul mio petto. A quel punto non potei trattenere più il fiato, dopo ciò che era successo, quel poco che era accaduto, mi sentivo terribilmente scossa e disorientata, ansiosa e timorosa della sua reazione. Il suo sguardo mi incatenava, mi attirava come una calamita e ne ero spaventata, non poteva essere altrimenti, prima li vedevo rossi e adesso neri come la pece, chi era lui davvero? Per un attimo, un solo secondo, il suo non respirare, il suo essere così immobile mi ricordò quando credevo fosse morto. Fu proprio per paura di come lui avrebbe reagito che restai immobile, ma, attenta e cauta, feci scivolare una mano sulla coscia lasciandoci poi un pizzico. Sì, era tutto reale. La consapevolezza di ciò non fece altro che alimentare la mia paura e il respiro si fece più pesante e difficile da controllare. Ma lui restava sempre lì, fermo come una statua, a fissare ancora lo stesso punto. D’un tratto la mia mente si illuminò e compresi cosa avesse catturato la sua attenzione: la collana. Ormai era diventata un simbolo che mi ritrovavo d’ovunque e qualcosa mi diceva che lui conoscesse alla perfezione quel segno e, da qual che potevo vedere, era stato quello stesso ciondolo a farlo allontanare con così tanta foga da me. Guardava quella catenina con sguardo intimorito, ma allo stesso tempo furioso e avrei voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma la paura mi bloccava. Il suo non era più l’innocuo e innocente faccino che avevo osservato nelle segrete, ora tutto ciò che riusciva a trasmettermi la sua vicinanza era una strana sensazione che mi riempiva lo stomaco, come se sentissi di precipitare. Non era strano, era tremendo. Fu per quel motivo che mi decisi ad aprire bocca, fu per quel motivo che mi costrinsi a non richiuderla, fu per quel motivo che diedi vita ai miei pensieri.  
-Chi sei?- domandai in un sussurro quasi impercettibile, tanto che all’inizio pensai che non avesse sentito, ma poi alzò lo sguardo e puntò i suoi occhi nei miei, le sopracciglia quasi unite. Riuscì a intimidirmi, sembrava volesse perforarmi l’anima e cancellarmi dalla sua vista. Non mi sorpresi più di tanto quando non mi rispose, invece si limitò a sostenere il mio sguardo. Fu breve scambio di occhiate dato che reggere il peso dei suoi occhi vuoti e bui era quasi doloroso.
D’improvviso l’assordante rumore di un tuono sembrò far tremare la Terra. Al seguito si sentì un tonfo sordo vicino, tanto vicino che avrei giurato provenisse da quella stessa stanza. Così, senza pensarci, mi voltai di scatto e vidi la finestra spalancata. La pioggia bagnava il pavimento e il vento congelava la camera, i lampi illuminavano di una pallida luce bianca il mio volto, le imposte sbattevano contro le pareti in modo violento e fragoroso. Poi un ululato proveniente dalla foresta di fronte mi fece raggelare il sangue nelle vene. Deglutii, era il lupo, quell’enorme bestia che era quasi riuscita ad uccidermi, ma che aveva deciso di risparmiarmi. Era lì fuori e forse voleva me, forse mi stava aspettando.
Continuò senza smettere di ululare e restai per qualche secondo immobile con gli occhi puntati verso il nero della notte. D’un tratto si levò una leggera folata al lato opposto della stanza e non avvertii più quella sensazione di morte che mi faceva tremare le viscere. Velocemente mi voltai e lui era scomparso, la porta lasciata socchiusa. Se n’era andato. Ero sul punto di tirare un sospiro di sollievo, ma mi sentii subito in colpa, il perché mi era sconosciuto. Mi sembrò infinito il numero di volte che rividi quella scena nella mia mente: il bosco buio, lui appostato dietro un albero, il volto disumano, i ragazzi che si divertivano e poi lui che usciva allo scoperto con quello sguardo… tremendo. Mi sembrava tutto così surreale, sotto ogni punto di vista, avrei dato tutto per poter far si che quel ragazzo si risvegliasse e l’avevo fatto, avevo fatto impensabile, eppure una parte, piccola parte, dentro di me non riusciva a non pentirsene. E fu sempre quella parte che in quel momento desiderò che il ragazzo fosse davvero andato via, anche se non potevo immaginare dove dato che eravamo chiusi dentro grazie a me. in ogni caso il sonno aveva completamente abbandonato la mia mente e dormire era fuori discussione, non volevo e comunque non ci sarei riuscita. Così rimasi ferma lì, con le spalle poggiate alla spalliera del letto e le coperte che mi avvolgevano il corpo tremante.
Forse passarono ore prima che riuscissi a tranquillizzarmi, il tempo fuori non era migliorato molto ed era arrivato il momento di chiudere quella finestra altrimenti rischiavo una bronchite. Quando misi i piedi a terra rabbrividii e per un attimo pensai di tornare sotto le coperte, non per riscaldarmi, ma per trovare un po’ di conforto, quello che avevo sempre rifiutato da quand’ero piccola perché lo reputavo inutile, ora invece mi sembrava fosse l’unico modo per distaccarmi da quel mondo folle e terribilmente spaventoso. Scacciai via quell’idea e resistei alla tentazione di urlare, perché ne avevo bisogno, mai come in quel momento avrei voluto gridare a squarciagola con la consapevolezza di non risolvere nulla, ma sapendo comunque di dare sfogo alla frustrazione che avevo dentro. Mi alzai e corsi alla finestra, spostai velocemente le tende umide e gelide, chiusi i vetri rischiando di distruggerli per quanto forte avessi sbattuto, ma poco mi importava. Una volta fatto tornai alla svelta sul letto, il mio cuore era a mille, non mi spiegavo il perché, ma tentare di fermarlo era impossibile. Fu in quel momento che mi parve di avvertire un rumore provenire dal corridoio e il cuore si fermò di botto lasciandomi senza fiato, con la curiosità nella mente e il timore negli occhi. Quel brivido che mi aveva attraversata mi diede la strana certezza di sapere di chi si trattasse e i miei pensieri subito mi riportarono a lui. Gattonai giù dal letto trascinando con me la coperta bordeaux e posandola sulle spalle, raggiunsi la porta socchiusa e infilai la testa nella fessura. Il corridoio era immerso nella penombra, solo qualche lampada infissa nel muro emanava un fioco bagliore giallastro dando l’impressione di un corridoio senza fine e pieno di insidie nascoste, ma quelle erano tutte fantasie che mi riempivano la mente. Non mi ero resa conto di essere uscita dalla stanza, uno strano freddo mi investì e mi strinsi nella coperta camminando a passi lenti e silenziosi. Ogni porta, ogni vetrata era chiusa e lo stesso identico scenario mi aspettava una volta girato l’angolo. Il corridoio era uguale al precedente, lungo e quasi per niente illuminato, ma d’un tratto colsi un movimento, poi lo vidi. Stava uscendo da una delle tante stanze, camminava a passo svelto e leggero con indosso una camicia nera e un paio di pantaloni del medesimo colore. Mi immobilizzai sul posto aspettando che lui si allontanasse abbastanza da permettermi di seguirlo senza essere vista e cercando al contempo di ritrovare la giusta dose di coraggio che mi permetteva di pedinarlo senza alcun ritegno e andando contro tutte le logiche, rischiando Dio solo sapeva cosa. Quando ci furono metri e metri a separarci, quando lui era quasi giunto alla fine del corridoio mentre io non ero neanche a metà, all’ora mi decisi a muovere i primi passi, i primi e anche gli ultimi dato che lui si fermò di colpo, il capo dritto, le spalle irrigidite, i pugni serrati. Fu una cosa talmente inaspettata che barcollai sentendo di essere stata sul punto di cadere col sedere a terra. Riportai lo sguardo su di lui e lo vidi voltare piano la testa, così riuscii a vedere il suo profilo, la fronte corrugata, le narici dilatate, il labbro superiore leggermente arricciato. Mi aveva sentita?
-Stammi alla larga- mi intimò con tono duro e minaccioso, le prime parole che mi diceva ed erano persino degli avvertimenti piuttosto espliciti di non avvicinarmi a lui. Evitai di chiedermi il perché, sapevo di non avere alcun tipo di spiegazione. Non disse nient’altro, né io ebbi il tempo di farlo perché tornò con lo sguardo rivolto davanti a sé riprendendo a camminare per andare chissà dove. Aveva dimostrato nel modo più diretto e palese possibile il suo rifiuto, il suo fastidio nei miei confronti, inspiegabile e freddo fastidio. Provai un moto di irritazione che fu subito sostituito dalla mia solita curiosità, ma anche dal diritto che sentivo di avere delle risposte. Una semplice domanda gli avevo posto quella notte e lui non mi aveva degnata di una sola parola, forse l’avrei fatto soltanto arrabbiare, ma doveva darmi una spiegazione, io la meritavo.
-Chi sei?- dissi a gran voce, in modo da far arrivare le mie parole a lui forte e chiare, incredibilmente ferme. Lo vidi bloccarsi sul posto, di nuovo, e, mentre un attimo prima era a metri di distanza da me, quello dopo il suo petto quasi sfiorava il mio. Mi resi conto di quanti centimetri d’altezza avessi in meno di lui che si era materializzato davanti a me in meno di un secondo, tanto velocemente che neanche lo avevo visto muoversi. Non potei impedirmi di deglutire improvvisamente intimorita da quella figura imponente e quando portai il mio sguardo nel suo, trovai i suoi occhi più chiari, più umani e meno inceneritori, ma in compenso erano terribilmente vuoti. La sua bellezza era tale da far paura, nel vero senso della parola, e trattenni il fiato aspettando una sua reazione, impreparata a tutto. Abbassò lentamente il suo volto portandolo all’altezza del mio, poi percepii le sue labbra sfiorarmi l’orecchio regalandomi una scarica di gelidi brividi proprio un secondo prima che lo sentii parlare in un sussurro.
-Sono il tuo peggior incubo-.
 
Hiii!
Come va ragazze?
Be’ da me sempre uguale, il tempo è una mezza chiavica:/
Come vi è parso il capitolo? Vi è piaciuto?
Succedono parecchie cose e vi chiedo solo di non tralasciare nessun particolare di questo nuovo capitolo:)
Grazie mille a tutti quelli che hanno recensito il capitolo precedente, I Love You:D
Mi fa tanto piacere sapere che l’ff vi piace, non sapete quanto:))
Grazie anche a chi mette l’ff tra le preferite/seguite/ricordate, vi adoro;)
Io ora scappo a cenare che ho fame ahah:)
Recensite mi raccomando, ci tengo molto;))

A prestooo:)
Baci
Alena18 xxx
 
 

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Capitolo 10
*** Capitolo nove: Pericolo. ***


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                                                                                       “Correva in cerca della libertà, qualcosa che non avrebbe più avuto.”
 
Sono il tuo peggior incubo.
Sono il tuo peggior incubo.
Sono il tuo peggior incubo.
Quella frase mi rimbombava nella testa come un’eco senza fine. I suoi occhi vuoti e spenti erano ancora impressi nella mia mente e un brivido mi attraversò il corpo. La fredda aria che aveva alzato quando era letteralmente scomparso dalla mia vista, così com’era comparso, mi aveva ghiacciata e sentivo ancora la pelle d’oca sulle braccia. La paura, la sorpresa, lo shock nell’avercelo davanti un secondo prima e di  non vedere altro che il corridoio buio il secondo dopo mi aveva immobilizzata in quel luogo per chissà quanto tempo, non avevo avuto più nemmeno paura di essere lì da sola, anzi, forse ne ero quasi sollevata, qualcosa, non sapevo cosa, mi diceva che sarebbe stato meglio se fossi rimasta sola piuttosto che in sua compagnia. 
Forse ero pazza ma stavo tornando da lei. Avevo bisogno di risposte, era tutto troppo strano e inconcepibile per me che tentavo di non infuriarmi con me stessa che sembravo cercare risposte in ogni cosa e in qualunque momento, non mi ero mai preoccupata di qualcosa fino a quel punto, non ero mai stata neanche coinvolta da qualcuno fino a quel punto, ma stava accadendo qualcosa di inspiegabile ed io ne facevo parte, ormai era ovvio.
Camminavo a passo svelto lungo le strette e umide vie di quelle sotterranee sporche e inquietanti. Il buio era ovunque, pronto a saltarmi addosso avvolgendomi e risucchiandomi, proprio come lui, come i suoi occhi, lo vedevo dappertutto. L’unica luce era quella fioca della lampada che stringevo tra le mani, ormai scendere lì sotto stava diventando un’abitudine, ma ancora non riuscivo a controllare la mia paura che si accendeva come un interruttore automatico non appena varcavo il passaggio attraverso il muro. La coperta che avevo addosso era praticamente inutile dato che il freddo sembrava penetrarmi persino nelle ossa. Cercavo di non battere i denti e stringevo i pugni, quel posto dava l’aria di diventare ogni volta più buio e gelato, e non riuscivo a fare a meno di pensare che qualcosa di orribile mi potesse attaccare da un momento all’altro, sfruttando anche una mia piccola distrazione, era per quel motivo che tenevo gli occhi spalancati come una civetta e le orecchie drizzate come un gatto. La mia vita stava diventando un continuo incubo e avevo la sensazione di essere appena all’inizio.
Raggiunta la mia meta non mi fermai a prendere coraggio prima di entrare, tenni la testa alta e il passo spedito mentre raggiungevo lo specchio e mi ci fermavo davanti. Come le volte precedenti quello divenne completamente nero, poi comparve lo stemma che, da quanto diceva la ragazza nello specchio, era il simbolo dei Gordon da intere generazioni ed infine ecco la figura minuta e ossuta della mia antenata si parò davanti ai miei occhi. Chissà come impegnava le sue giornate, cosa c’era dall’altra parte, cosa pensava di me… .Scossi la testa in modo impercettibile cancellando tutte le domande che mi sorgevano meno che una.
-Cosa ho risvegliato?- chiesi diretta, forse con tono un po’ alto e troppo agitato. Ma non mi sarei scusata, né mi sarei sentita in colpa o altro, io dovevo sapere con chi avevo a che fare. In  quel momento cercai di non dare a vedere il fatto che il mio respiro fosse pesante, trattenni il fiatone ed ignorai il battito perforante del mio cuore in gola e il leggero tremolio delle gambe. Dalla mia bocca fuoriuscivano sbuffi d’aria gelata, bianca come lo zucchero filato, c’era ancora quel maledetto freddo gelido lì dentro.
Mi soffermai su di lei, eliminando ogni distrazione e notai che non sembrava tanto sorpresa dalla mia domanda, aveva la solita aria di discreta sufficienza, il solito sguardo spento, ma quella volta potei cogliere un pizzico di preoccupazione sul suo volto.
-Un freddo- rispose con sguardo incredibilmente serio. Un freddo. E cos’era di preciso? Dalla mia espressione confusa la ragazza intuì che non avevo alcuna idea di cosa stesse dicendo. -Un figlio della notte, un immortale- sibilò. Un immortale. Non poteva morire, non era mai morto. Un non morto. Un brivido mi percosse la schiena e un’ondata di consapevolezza mi riempì la mente. Mi si mozzò il fiato, gli occhi erano spalancati e fissavano un punto di fronte a me senza però vedere davvero.
Schiusi le labbra e pronunciai le due parole che mai avrei creduto di poter dire con tanta convinzione -Un vampiro- sussurrai più a me stessa che a lei. Ogni cosa coincideva, la freddezza del suo corpo, il pallore della sua pelle, il colore rosso poi nero dei suoi occhi, quei terrificanti capillari che gli avevo visto la sera prima in quella specie di visione, la sua incredibile velocità, l’oscurità che mi trasmetteva, i ringhi che gli avevo sentito cresce nel petto. Lui… lui era un vampiro ed io avevo risvegliato il mio incubo personale.
-Sì- mi diede la conferma finale. Chiusi gli occhi strizzandoli forte, poi li riaprii nella speranza che tutto fosse un terribile sogno, ci speravo ancora, ma ero sempre lì, bloccata in quell’oscura realtà. Mi riusciva difficile credere a tutto ciò, io che ero sempre stata realistica, io che cercavo sempre una spiegazione logica a tutto, ma non potevo ignorare i fatti, potevo provarci, ma a quale scopo?
-M-mi… mi ucciderà?- balbettai alzando lo sguardo. Tremavo e non per il freddo. Nonostante non sapessi nulla di quella specie di creature avevo visto abbastanza film e letto un discreto numero di libri fantasy da poter avere una vaga idea di come conducessero la loro esistenza essi come il vampiro che tanto avevo voluto risvegliare.
-L’avrebbe già fatto se avesse voluto- quella risposta non mi tranquillizzò affatto, praticamente mi aveva confermato che lui era capace di commettere un omicidio, che era uccidere ciò che faceva e cercavo di essere furiosa con lei che aveva sempre saputo su di lui, ma non potevo per il semplice fatto che lei mi avesse più volte avvertita della scelta che avevo preso.
-Ma può farlo. Appena ne avrà voglia non esiterà a succhiarmi fino all’ultima goccia di sangue- feci un passo verso di lei, la voce mi mancava, mi sentivo svenire, avevo la pressione bassa e le vertigini, sentivo caldo e freddo allo stesso tempo, pregavo di perdere i sensi e di non riacquistarli mai più. 
-Non lo farà- mi ripeté con tono fermo, ma stranamente invece di confortarmi non fece altro che irritarmi.
-È un vampiro!- urlai con voce strozzata dalle lacrime che minacciavano di rigarmi il viso. Lui sarebbe stata la mia morte, in quel momento vedevo solo nero, sentivo la paura ovunque, la solitudine affliggermi, l’impotenza distruggermi. Ora non riuscivo a vederlo come un Angelo perché adesso sapevo cos’era veramente e lui era un demonio.
-Lui non lo permetterà!- esclamò ferma, per la prima volta con tono alto e sicura di ciò che diceva. La confusione che sentivo, mista alla paura, rendeva tutto una macchia incolore e indistinta.
-Lui chi?- chiesi tentando di calmarmi e tirando su col naso.
-Justin- disse e in quel momento, per un istante, riuscì a convincermi che tutto sarebbe andato bene.
-È così che si chiama il… il vampiro?- domandai cercando di trattenere le lacrime.
-Sì…- rispose esitante. Justin, il nome di un assassino. Era strano come le cose stavano cambiando, solo il giorno prima volevo vederlo sveglio e ora desideravo non aver mai fatto quell’incantesimo. Con strano stupore mi resi conto di aver definito ciò che avevo fatto la sera precedente un incantesimo ed era vero, quella era una magia, come lo era accendere il fuoco, inutile negarlo, quindi ora che sapevo cos’era Justin, volevo sapere cos’ero io.
-Cosa sono?- chiesi con voce tremante. Ma perché nella mia testa tutto suonava più determinato e forte e invece non appena aprivo bocca le poche parole che riuscivo a dire si spezzavano come ramoscelli?
-Sei la prescelta- rispose ferma. Il suo tono così vuoto non trasmetteva nulla, non lasciava trapelare la minima emozione mentre io invece traboccavo di ansia e paura. 
-Cosa cavolo vuol dire questo?!- sbraitai gesticolando. Era la seconda volta che mi diceva che ero la prescelta, ma che significava? Il cuore era come un martello pneumatico, non lo controllavo, non controllavo la mia paura.
-Che appartieni a questo mondo- rispose senza scomporsi. Mi saltavano i nervi, io morivo per il terrore, odiavo la sensazione di bruciore che mi lacerava dentro, odiavo l’orrore che attraversava il mio corpo e lei non sapeva dirmi altro?
-Di quale mondo parli?!- urlai ancora. Volevo prendere a pugni il muro e allo stesso tempo piangere e urlare contro quello schifo di posto in cui ero capitata. Era da bambini? Forse, ma era anche da persone normali e lei in quel momento sembrava stesse cercando solamente di confondermi e innervosirmi con la sua aria neutra e calma.
-Del mondo a cui sei sempre appartenuta. Del mondo che ti ha scelta. Del mondo in cui ciò che vedi non sempre è la realtà- spiegò. Una scarica di brividi mi invase il corpo. –Benvenuta, Maya- sibilò immobile, solo le sue labbra si muovevano, il resto era come se non funzionasse. Srenza rendermene conto cominciai ad indietreggiare. Dove mi trovavo? Cos’era il mondo? Cos’ero io? Cos’era la mia vita? Solo un cumulo di falsità, un teatrino riuscito male, una copertura. Un inganno. Scuotevo la testa, mi rifiutavo di credere a ciò che le mie orecchie avevano sentito, scacciavo via le tante domande alle quali probabilmente non c’erano risposte. Io non facevo parte di quel posto, io non c’entravo niente con quegli esseri. Io non ero come loro.
-Devo andarmene di qui- sussurrai tremante. Alzai il capo e vidi la mia antenata che mi fissava. Io cosa c’entravo con lei? Vedevo solo una tipa in uno specchio, un’estranea. Io ero una ragazza semplice, addirittura banale, niente a che fare con quell’universo surreale.
Lei lesse la paura nei miei occhi, ma non le diedi il tempo di dire niente che mi voltai correndo via, alzando un polverone grigio e lasciando cadere la coperta. Salii le scale talmente tanto veloce da rischiare di non vedere più i piedi. Uscii da quel posto e chiusi il passaggio, quasi m’impressionai della mia forza, ma era la paura che mi stava guidando. Repressi i singhiozzi e continuai a correre raggiungendo così il portone e aprendolo utilizzando tutta la forza che avevo in corpo. L’aria gelida del pomeriggio mi investì. Dovevano essere le quattro o le cinque, ma il sole ovviamente non c’era, quegli orrendi nuvoloni grigi non lasciavano trapelare neanche il più fioco e timido raggio solare, ma non mi lasciai intimidire certo dal tempo. Ripresi con la mia corsa, non mi preoccupavo neanche di prendere fiato, volevo solo andarmene. Raggiunsi il cancello, in confronto sembravo uno scarafaggio, cominciai a scuoterlo, a dargli calci, pugni, ma quasi non si muoveva. Presi una roccia più grande della mia mano, ma un bruciore improvviso mi fece gemere dal dolore. La ferita al centro del palmo destro si stava riaprendo, sembrava non volesse sparire, ma non ci diedi molta importanza. Afferrai saldamente il grosso masso, mi sfuggì qualche gemito sforzato, ma era tutto ciò che mi concedevo, niente lacrime inutili. Con tutta la forza che avevo colpii il lucchetto una, due, tre volte, ma quello non si graffiava neanche. Mollai quel peso inutile e tentai di arrampicarmi, ma il ferro era scivoloso. Strinsi i denti e riprovai sentendo le mani bruciare ogni qualvolta strisciavano lungo le sbarre, ma quella volta ci riuscii. Mi stavo davvero arrampicando lungo un cancello, potevo farcela.
Forse avevo parlato troppo presto dato che dopo pochi metri caddi schiantandomi al suolo con un tonfo sordo. Avevo gli occhi semichiusi e un dolore lancinante mi correva lungo tutta la schiena. Mi girava la testa, vedevo il mondo ruotare ad una velocità pazzesca, avevo persino i conati di vomito. Stetti in quella posizione per svariati minuti, dovevo arrendermi all’idea di essere intrappolata lì, ma perché dovevo rendere la mia fine ancora più lunga e sofferta? Se quel tipo doveva uccidermi perché non lo faceva e basta? Forse la ragazza nello specchio aveva ragione, forse non era lui quello da cui dovevo scappare… o forse sì?
La mia vista tornò ferma e fu in quel momento che entrò lui nel mio campo visivo. Sembrava ancora più alto e imponente, mi metteva i brividi ora che sapevo cos’era.
-Alzati- ordinò in tono neutro, fermo. Cosa mi aspettavo, che mi aiutasse forse? No, non di certo, probabilmente voleva uccidermi. Lo guardavo e ancora cercavo il ragazzo che avevo osservato nelle segrete, senza però avere successo. -Alzati!- tuonò con voce alta e dura. Non me lo feci ripetere, pareva adirato. Ci impiegai qualche secondo per rimettermi in piedi e speravo che non si irritasse più di quanto non lo era già. Era ironico pensare che io lo avessi aiutato usando solo qualche goccia del mio sangue mentre ora lui probabilmente lo reclamava tutto.
Ero ferma di fronte a lui più forte di me, più informato di me, più capace di uccidere di me. Non lo guardavo, non negl’occhi, chissà com’erano adesso. Poco importava, mi avrebbero messo i brividi lo stesso. Continuavo a giocherellare nervosamente con le dita cercando di coprire il mio volto con i capelli. Avevo le labbra serrate e attendevo che lui mi saltasse addosso uccidendomi una volta per tutte. -Sei ridicola- esordì, sempre con quel suo tono freddo. Non mi aspettavo che lui mi dicesse quelle cose, non mi aspettavo che lui mi dicesse niente. Forse non voleva uccidermi. Quel pensiero mi rese più tranquilla, ma era inevitabile aspettarsi la morte in ogni singolo istante quando si aveva un vampiro di fronte. -Una codarda. Scappi via da qui come se solo questo posto fosse la cosa irreale, come se solo io fossi la cosa sovrannaturale. E alla fine sei tu quella più anormale- sibilò cinico mentre sentivo il suo sguardo scrutare il mio volto in ogni singolo dettaglio. Non capivo, cosa sapeva, o pensava di sapere, su di me che gli permetteva di parlare in tono così sicuro? La paura si mischiò alla confusione e schiusi le labbra, ma senza intenzione di parlare. -Sei stupida perché sai che ritorneresti, tu lo sai. Ormai ci sei dentro- pronunciò e per qualche strana ragione non potei dargli tutti i torti. -Tu sei attratta da questo posto, tu sei attratta da me- disse e la sua sicurezza, il suo atteggiamento non fecero altro che far cresce la mia confusione e l’immancabile curiosità che ebbe la meglio su di me.
-Tu cosa ne sai invece?- domandai alzando la testa di scatto. Lui rimase lì, immobile, i suoi occhi erano scuri, ma riuscivo ad intravedere il marrone. Improvvisamente scattò verso l’inferriata e con un semplice movimento della mano spezzò le catene facendo così spalancare il cancello. Spalancai la bocca strabiliata dalla sua forza e allo stesso tempo intimorita, poi guardai la foresta: la mia libertà. -Sei libera. Ma sai che qui azzarderesti la morte come la rischieresti se oltrepassi quel cancello. E sai anche che io potrei darti protezione, risposte- continuò avvicinandosi –Tu non te ne andrai- finì sicuro e sembrava sapere quello che io ancora non avevo compreso. Aveva ragione, io ero legata a quel posto e lui… lui seppur pericoloso poteva aiutarmi. Era come se avesse sempre saputo cosa io volessi. Ero piena di insicurezze, ma lui faceva sembrare tutto così ovvio e facile che per un istante mi dimenticai cos’era.
Presi la mia decisione. Sarei restata. Dovevo, avevo bisogno di sapere cosa fossi in realtà, ma avevo una brutta sensazione che mi mise ansia. Cercai di ignorarla prendendo un respiro profondo e lui tradusse dal quel gesto che sarei rimasta lì, lo capii dal sorrisetto quasi malvagio e allo stesso tempo compiaciuto che si stampò sulle labbra. Avevo ancora paura, ormai ero certa che se avessi voluto sopravvivere avrei dovuto imparare a conviverci, ma la mia scelta l’avevo fatta. La tensione che provavo era palpabile, mi sudavano le mani, non dovevo lasciarmi sopraffare dall’ansia, non di nuovo, ma reprimere quella forza che sentivo crescere improvvisamente dentro di me era troppo difficile. Poi d’un tratto udii un’eco nella mia mente. Scappa! Corri via!, esclamava con voce vellutata, la stessa che avevo sentito quando ero in balia del lupo, nel bosco. Quell’avvertimento rimbalzò contro le pareti della mia mente facendo scattare in me l’allarme del pericolo, un pericolo contro il quale avrei dovuto combattere se fossi rimasta. E ancora una volta ascoltai le parole di quella voce così, senza farmelo ripetere due volte, scattai oltrepassando il cancello, più veloce di una gazzella. Verso la foresta, verso l’ignoto. Verso il pericolo.
 
 
 
Heeey!
Come va ragazze??
Innanzitutto scusate il mio ritardo, ma ultimamente sono stata un po’ impegnata e non ero in vena di scrivere:/
Be’ vi è piaciuto il capitolo? Che ne pensate?
Alcune cose sono state rivelate, ma la maggior parte sono rimaste nel mistero e la storia si baserà principalmente su questo aspetto/genere:)
Dal prossimo capitolo sarà tutto più interessante e soprattutto, ci saranno i dialoghi!! Yeee:D ahahaha:))
Cosa ne pensate della scelta di Maya? Ha fatto bene? Cosa accadrà secondo voi? 
Se avete da farmi delle domande, fate pure, io sono qui per voi lol;)
GRAZIE MILLE a chi ha letto e recensito il capitolo precedente e a chi continua a farlo dandomi sempre una propria opinione, spero continuerete a farlo, è importante per me sapere cosa avete da dirmi:))
Un GRAZIE anche a chi ha messo l’ff tra le preferite/seguite/ricordate, mi fa davvero tanto piacere:)
Bene, io vado e recensiteee;))
A presto:)
Baci
Alena18 xxx

 

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Capitolo 11
*** Capitolo dieci: Nero. ***


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                                                             “Nero. Come la morte che la seguiva”
 
 
 
La foresta era imponente e tenebrosa sotto quel cielo grigio, vedevo sfocato a causa delle lacrime che mi riempivano gli occhi, respiravo a fatica e dalla mia bocca uscivano gemiti strozzati.
Il vento mi tagliava il viso, forte e pungente, ma quasi non sentivo tutto quel freddo che mi circondava, nonostante avessi indosso un semplice vestito tanto leggero da farmi sembrare d’essere nuda. Non volevo voltarmi, avevo paura di trovarlo alle mie spalle, ma forse mi aveva lasciata davvero libera, forse ero salva. Ma era quello che volevo?
In quell’esatto istante non riuscivo a pensare ad altro, l’idea di poter finalmente fuggire, scappare via da quel mondo che forse mi aveva scelta era per me la più grande liberazione, ma la paura non mancava.
Cosa avrei trovato una volta entrata in quella foresta? Il Lupo? O qualche altro mostro di cui non sapevo l’esistenza?
L’unica cosa che mi consolava era la luce, seppur nascosta, del sole.
Finalmente riuscii a raggiungere il bosco; con le mani mi feci spazio tra l’alta erba e quegl’orribili e lunghi rami. Il mio sguardo volava ovunque, era da giorni che non uscivo, che non vedevo il mondo e quello sembrava essere così cambiato. Vedevo la paura che mi seguiva come un’ombra, il terrore era sempre dietro l’angolo.
Correvo, cercavo di restare lucida ma il cuore mi martellava nel petto, lo sentivo nelle orecchie, nei polsi e persino nelle gambe. Il percorso cominciava ad essere in discesa e la paura non mi concedeva di fermarmi. Sbattei contro rami appuntiti che mi graffiarono gambe e braccia nude, procurandomi bruciore, ma nonostante tutto continuavo a cercare una via d’uscita a quell’inferno.
Più scendevo, più la discesa era ripida e più tutto si faceva ombroso.
Lanciai un urlo strozzato. Persi l’equilibrio, inciampai in un masso facendomi male al piede e cadendo al suolo ricoperto d’erba e sassi. Rotolavo, rotolavo e rotolavo senza freni. Sbattevo contro alberi ma non avevo la forza di tentare d’aggrapparmi ad essi; la terra era fredda, dura e irregolare, la discesa della morte sembrava non finire più.  Gemiti di dolore fuoriuscivano dalle mie labbra, sentivo male alla testa. Sarei morta? Forse. E sarebbe stata anche una morte degna di una come me, una fine sciocca e stupida. Ero sopravvissuta a cose peggiori eppure una semplice discesa probabilmente mi avrebbe dato la morte.
Non capivo più nulla, non vedevo più nulla. Tutto era troppo veloce, il bruciore, il dolore era tutto troppo insopportabile. Venivo sbattuta da una parte all’altra e di certo non ero fatta di pezza.
Il dolore pulsava dentro di me e d’un tratto, il buio.
 
 
Nero. Quello che sognavo spesso negli ultimi giorni.
Nero. Il colore che riempiva la mia vita.
Nero. Ciò che vedevo in quel momento.
Il dolore lancinante che avevo alla testa non mi permetteva di pensare a niente. Sentivo il fruscio del vento accarezzarmi, il canto lontano degli uccellini, il gracchiare dei corvi, l’odore della terra umida, tutto, anche il minimo sibilo in quel momento mi provocava dolore, una sofferenza che rimbombava nella mia testa.
Sentivo tutto il mio corpo indolenzito, pesante, distrutto. Muovere anche solo un dito in quell’istante era causa di dolore. Ero morta? Dovevo sperare di essere morta?
Quando riuscii a trovare il coraggio finalmente mi decisi ad aprire gli occhi. Sbattei le palpebre più volte, vedevo ombrato, tutto sembrava raddoppiarsi e girare più forte di una giostra.
Aggrottai la fronte e chiusi gli occhi. Li riaprii e fortunatamente tutto era fermo, o si stava fermando. Il cielo era scuro e tutto intorno a me era avvolto nella penombra. Alzai leggermente la testa ma me ne pentii, mi faceva ancora male. Tornai a guardare il cielo nuvoloso, avevo il vestito strappato e sporco e probabilmente il mio corpo era ricoperto di lividi e tagli. Forse avrei fatto meglio a restare al castello, forse Justin poteva darmi davvero protezione… o forse no. Non mi pentivo della mia scelta ma ero conciata male, prima di ricominciare a correre dovevo riprendermi e cercare di rilassarmi; quell’odioso groppo in gola non era scomparso, la paura dominava ancora il mio corpo.
Per un attimo non sentii più nulla, solo il battito accelerato del mio cuore e i miei respiri profondi.
Poi un sibilo.
Le foglie si mossero leggermente. Spalancai gli occhi. C’era qualcosa o io mi stavo immaginando tutto?
Ancora il sibilo. Il mio sguardo scattò e senza fare movimenti bruschi mi guardai intorno.
Spalancai la bocca ma ne uscì un piccolo gemito represso. Riuscii fortunatamente a trattenere le urla ma non potevo controllarmi se quella cosa restava lì.
Era una vipera nera lunga più o meno mezzo metro. Strisciava lenta verso di me. Restai immobile. Era orribile, non ne avevo mai vista una così. Nera, completamente nera.
Si avvicinò al mio braccio disteso verso di lei, era scoperto e la paura cominciò a farmi sudare le mani. Salì lentamente sulle mie dita, serrai le labbra, gli occhi mi pizzicavano, respiravo a fatica.
Entrò strisciando nel palmo della mia mano, era viscida e fredda. Non mi faceva neanche schifo, avevo solo paura. Continuò il suo cammino arrivando al mio polso rivolto verso l’alto e salendo ancora, piano, molto piano. Si attorcigliò intorno al mio braccio e strinse. Non potei fare a meno di urlare. Il mio corpo era dolorante, alzarmi era un’impresa ardua. Cominciai a muovermi, a scuotere il braccio, ma invano. Gridai ancora. Era come se avessi un enorme masso al posto delle gambe, continuare a muovermi non sarebbe servito a nulla, solo ad indebolirmi di più. Sentivo il cuore a mille, il petto si alzava e abbassava irregolarmente. Mi voltai a guardarla e lei fissò i suoi occhi nei miei pieni di lacrime. Avevo già visto quegl’occhi, erano così strani e familiari, quasi umani.
Stringeva in una maniera sovrannaturale, urla soffocate continuavano ad uscire dalla mia bocca, ero invasa dalla paura. Poi la vidi fermarsi e… mi morse. Sentii i suoi piccoli e affilati denti penetrare nella mia carne con la facilità e l’abilità di un ago. 
Fui presa da un dolore tanto forte che credevo mi stesse corrodendo, lacerando la pelle. Il bruciore mi invase dapprima solo in quel punto ma poi cominciò ad espandersi, avevo il fuoco dentro.
La vipera se ne andò e dove prima era posata la sua testa ora c’erano due piccoli buchi dai quali fuoriusciva del sangue. Sentivo caldo e freddo allo stesso tempo, il mio corpo fu scosso da tremiti incontrollabili, urlavo dal dolore, dalla paura di morire, non sentivo più nulla a parte le mie grida, continuavo a dimenarmi, il mio respiro era affannoso, il mio organismo cercava aria ma sembrava non bastare mai. Bruciore e ancora bruciore, lo sentivo espandersi e più quello aumentava più le mie urla si facevano forti. I miei occhi si riempirono di lacrime bollenti, stringere i denti non serviva a nulla.
La mia voce si fece sempre più bassa, non avevo più la forza né di urlare né di muovermi. Il mio corpo cominciò a rilassarsi, a calmarsi, ma il dolore dentro era talmente tanto forte da rendermi incapace di battere persino le ciglia.
Cominciai a vedere ombrato, singhiozzavo, avevo gli occhi spalancati, quasi sembravano uscire dalle orbite e per qualche istante non riuscii neanche a respirare. Guardavo il cielo nella speranza di trovare la pace e per un attimo vidi il volto della mia antenata, ma subito scomparve.
Il mio corpo era ormai immobile, mancavano pochi secondi alla fine di quell’orribile tortura. Sentivo il veleno concentrato nel mio braccio, scottava la pelle, ghiacciava il sangue, si disperdeva lentamente per darmi una fine sofferta, si assicurava di distruggere ogni mia speranza, ogni mio movimento, mi aveva resa impotente, inutile. 
Sentii dei passi pesanti e veloci avvicinarsi, forse era il lupo che era venuto per il gran finale. Che morte orribile! Devastata dal dolore, impotente e straziata da una belva. Speravo solo che finisse presto, non meritavo di soffrire così tanto.
Avevo la fronte imperlata di sudore, la mia vista stava per andarsene del tutto, il cielo, gli alberi, ogni cosa era diventata una forma indistinta.
Avvertii d’improvviso una presa sul mio braccio. Pareva una mano ma forse era la mia immaginazione che mi stava giocando un brutto scherzo.
-Cazzo!- sentii una voce forte e profonda al mio fianco.
-Resta sveglia!- disse ancora quella voce tanto forte da rimbombarmi nella testa. Non mi mossi, sentivo il cuore rallentare, la sensibilità delle gambe sparire.
Avvertii qualcosa di morbido e caldo posarsi sul braccio dov’ero stata morsa, e quel qualcosa succhiava e succhiava sempre più forte. Poi si staccava e riprendeva.
Il cuore era sempre più lento.
Piano spostai il mio sguardo, i miei occhi non videro molto, solo dei capelli neri e la pelle olivastra di quello che doveva essere un ragazzo o un uomo. Stava tirando, succhiando il sangue misto al veleno dal mio braccio per poi sputarlo. Ma era troppo tardi. Le mie palpebre si fecero pesanti, la mia vista scura e la sua voce era sempre più lontana.
-Resisti!- quell’ultima parola risuonò nella mia mente come un’eco e man mano scomparve.
Il pulsare pesante e lento del mio cuore mi riempì e all’ultimo battito i miei occhi si chiusero.
 
 
 
Nero. Il colore delle tenebre.
Nero. Il colore che riempiva il vuoto abisso che avevo dentro.
Nero. Ancora nero.
Un forte mal di testa mi impediva di capire se ero morta. Le palpebre erano più pesanti di due grossi massi, le gambe piano cominciavano a risvegliarsi, il braccio ferito era freddo e immobile a differenza dell’altro. Qualcosa di umido mi ricopriva la fronte e il mio corpo era disteso su qualcos’altro di duro e gelato. Sentivo il mio cuore battere normalmente ma il dolore non era scomparso del tutto.
Cercavo di aprire gli occhi, mi sforzavo di farlo ma quella sembrava essere diventata la cosa più difficile al mondo, era peggio del sollevamento pesi. Mossi un dito, il che doveva essere un buon segno, ma ancora non riuscivo a capire dove cavolo mi trovavo. L’aria era fredda e pungente, il vento leggero, sentivo l’odore di terra e fango, e il rumore delle foglie che piano rotolavano sul suolo. Ero ancora viva? Ed era un bene o un male?
Volevo arrendermi, i miei sforzi non servivano a nulla, il mio corpo non rispondeva ai comandi, il mio volto era congelato come anche le mie mani, mi sentivo vuota, ma era un vuoto stranamente pesante, quasi opprimente. Respiravo a fatica e avevo come la sensazione che qualcosa mi impedisse di deglutire, avvertivo un groppo in gola incredibilmente fastidioso, mi facevano male i muscoli e le ossa, la testa mi dava un dolore acuto indescrivibile, era come si avessi fatto uno sforzo enorme.
Mi tornò in mente la fuga dal castello e da lui, l’interminabile caduta, la vipera nera e il suo morso velenoso, mortale. Tutte quelle scene mi fecero rivivere l’incubo che era stata la mia giornata e che probabilmente sarebbe diventata la mia vita.
D’un tratto ecco gli imponenti alberi pieni di rami appuntiti e foglie scolorite, i nuvoloni grigi che riempivano il cielo, carichi di pioggia e tempesta, e riecco il gracchiare dei corvi, il fruscio del vento… ero ritornata all’irrealtà che aveva riempito i miei precedenti giorni, forse preferivo quel nero, forse preferivo essere morta.
Respirai a fondo, ero desiderosa d’aria, il miei polmoni, come ancora la maggior parte del mio corpo, sembravano bruciare. Il cuore riprese vita e accelerò poiché la paura non era scomparsa.
I miei occhi fissarono il mio braccio e lo trovarono fasciato con degli stracci umidi. Sentivo il sangue gelato nel punto esatto in cui ero stata morsa e cercai di muoverlo ma senza avere risultati. L’altro braccio era messo meglio, molto meglio, a parte qualche livido era a posto, potevo muoverlo. Portai lentamente una mano alla fronte, anche quel punto era ricoperto da uno straccio fresco che riusciva un po’ ad aiutarmi, ma, purtroppo, non scacciava via il mal di testa.
Mi domandavo chi era la persona che mi aveva salvata, ne avevo un ricordo vago. Gli ero riconoscente, non mi aveva lasciata morire, ma avevo anche una strana sensazione.
Stava cominciando a nevicare, la temperatura del mio corpo era bassa, morivo di freddo.
Con l’unico braccio al momento funzionante cercai di tirarmi su, sollevare la testa era un’impresa alquanto complicata, più la muovevo più tutto il mondo veniva stravolto, tutto cominciava a vorticare davanti ai miei occhi, mi veniva da rigettare.
Poggiai il mio peso sul gomito, sbattei le palpebre per tentare di mettere a posto le cose intorno a me.
-Finalmente! Cominciavo a credere che fossi andata in letargo- sentii d’improvviso una voce maschile, roca e profonda, e sobbalzai. Il suo tono era leggermente ironico ma incredibilmente fermo. Un brivido mi percosse la schiena, quella voce aveva toccato un punto preciso dentro di me, mi aveva smossa.
Trattenni il fiato, spalancai gli occhi e mi sforzai di restare lucida e di non svenire ancora. Intorno a me non c’era nessuno, solo alberi e una leggera nebbia. Tutto era in penombra e il cielo era piuttosto scuro. Si stava facendo notte ed ero ancora bloccata in quel mondo surreale. Avevo freddo, i crampi allo stomaco erano tornati. Misi il braccio intorno alla pancia per tentare di darle calore.
Di chi era quella voce?
-Cosa c’è? Te la stai facendo sotto?- lo sentii sogghignare.
Continuavo a guardarmi intorno e continuavo a non vedere nessuno. Non muovevo un solo muscolo, quella voce aveva ragione, avevo paura, volevo farmela sotto sul serio. Respiravo affannosamente e mi sentivo mancare, ero ancora una volta impotente.
-Scusa tesoro ma qui non abbiamo il bagno. Usa l’albero di fronte- scherzò ancora, ma non riuscivo a tranquillizzarmi, sentivo di essere in pericolo. –Non preoccuparti bambolina, chiuderò gli occhi- concluse. Sapevo che quel qualcuno non era nulla di buono, lo percepivo, non potevo tranquillizzarmi.
-D-dove sei?- balbettai con voce bassa e roca. Non riuscire a vederlo mi metteva ansia, lui aveva un vantaggio su di me, poteva saltarmi addosso in qualsiasi momento. Ero più che sicura che quel ragazzo non era normale, lo avvertivo nell’aria, era come una presenza oscura, simile a quella di Justin… ma non era il vampiro quello.
-Proprio sopra di te- sibilò, il suo tono era cambiato, sembrava serio, duro, inespressivo. Quella risposta mi fece rabbrividire, doveva essere su un albero, alzare lo sguardo non rientrava nelle mie cose da fare, volevo vederlo ma ne avevo paura.
Strinsi un pugno, dovevo trattenermi, cercare di riprendermi il più in fretta possibile e darmela a gambe, correre fino al limite delle forze e tentare di salvarmi. Era l’unico piano che avevo, lì di certo non sarei rimasta.
-Cosa sei?- chiesi aspettandomi l’inaspettato, ormai dovevo aver capito che di reale e logico in quel posto non c’era nulla, ma non mi sentivo pronta, non ero preparata a quella risposta.
Per un attimo calò il silenzio e io mi sentii così maledettamente indifesa e inutile da farmi sfuggire una lacrima. Dalle mie labbra uscivano sbuffi d’aria bianca, le temperature continuavano scendere, la notte era vicina. Mi stavo congelando; quanto avrei voluto che si congelasse anche la mia paura, la sentivo scorrere in ogni parte del mio corpo, era la fonte principale dei miei incubi, la causa dei miei problemi. Forse sarebbe stata anche la mia morte, ma nel frattempo aspettavo una risposta.
Avvertii la sua voce come un avvertimento, un sibilo tagliente. 
-Sapere cosa sono non ti piacerebbe-
 
 
 
 
 
Ehiehiehi:)
Salve a tutte ragazze!
Come ve la passate? Qui il tempo è più lunatico di me e sono ancora bianca come una mozzarella lol:)

Scusatemi per il ritardo, lo so, sono terribile, ma ultimamente non ho molto tempo:/
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione;)
Allora, chi è secondo voi il tipo misterioso sull’albero?

IMPORTANTE: NON sottovalutate nulla, NON date niente per scontato, questa NON è una storia come un’altra, proseguo piano appunto per cercare di farvi comprendere tutto, non sono precipitosa e non lo sarò MAI altrimenti rischiate di non capire un caciocavallo, è un genere un po’ contorto e particolare, quindi, come vi dico sempre, fate ATTENZIONE e NON tralasciate nulla;)
Bene, dopo le diverse raccomandazioni, ringrazio tutti quelli che leggono la storia e che la recensiscono, grazie mille, mi fate felice, ho bisogno di voi per andare avanti con la storia<3
Grazie anche a chi mette l’ff tra le preferite/seguite/ricordate, vi amo!:D
Se avete domande, opinioni, dubbi, supposizioni, critiche, pareri, ecc… scrivetemelo in una recensione;)
Grazie di tutto a tutti lol:)
A prestooo:D
Baci
Alena18 xxx
 

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Capitolo 12
*** Capitolo undici: Uccidimi. ***


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                                                             “ Una richiesta che non avrebbe potuto soddisfare”
 
 
       -Sapere cosa sono non ti piacerebbe-
Un violento brivido mi percosse lungo tutto il corpo, non prometteva niente di buono, cosa diamine era? Speravo non un vampiro. Sentivo la sensazione del pericolo forte e palpabile, avvertivo la sua presenza, oscura e terribile, da qualche parte sopra di me. Mi misi lentamente a sedere, stringendo i denti per il dolore che ancora avvertivo al braccio, maledetta vipera, pensai.
Mi sentivo scoperta, come un enorme zucca in mezzo ad un campo di meloni, attiravo l’attenzione, non passavo inosservata. Mi trovavo costantemente in pericolo e forse ero proprio io che andavo a cercarlo.
Nonostante avessi paura, nonostante sapevo che le probabilità di morire per mano di quello sconosciuto erano molte, io volevo sapere cos’era.
-Non m’importa, dimmelo- dissi alzando leggermente gli occhi al cielo, non sapevo a chi rivolgermi, dove guardare, ma sapevo che lui era lì a studiarmi.
-Prova ad indovinare- mi sollecitò con una punta di divertimento nella voce. Abbassai il capo e fissai le mie dita impegnate a giocherellare con un filo d’erba. Sentivo la testa pesante e il pulsare del cuore nelle tempie, colpa di quel veleno e di tutte le botte che avevo preso. Tirai un respiro profondo, dovevo mettere da parte la paura altrimenti non sarei andata molto lontano, non se mi trovavo in quel posto. Mi alzai, piano, era come se tentassi di non far scattare l’allarme di un negozio, come quando ci si ritrova un enorme squalo davanti e si fa il possibile per non muoversi, per non fare rumore. Ed io ora mi trovavo nel negozio di quel tipo, era lo squalo attento che non doveva attaccarmi.
Una volta in piedi sentii le gambe mollicce e pesanti allo stesso tempo, mi sembrava di cadere da un momento all’altro, avevo le mani che ancora tremavano. Per un istante, quando alzai il capo, il mondo prese a vorticare ed io barcollai riuscendo però a restare in piedi. I miei occhi si posarono sull’albero proprio sopra di me, ma vidi solo un’ombra sparire.
-Dimmi cosa sei- le mie non erano domande, né ordini, era la mia curiosità a parlare. 
-Concentrati- disse, la sua voce pareva un suono lontano, non capivo dov’era –Infondo lo sai già- continuò, sembrava un indovinello. Io non sapevo niente, era proprio quello il problema! –Noi due ci siamo già incontrati- un’ombra nera passò veloce da un albero all’altro per poi sparire –Non ricordi?- non capivo di cosa stesse parlando, io non conoscevo i tipi come lui. Mi voltai veloce appena sentii un fruscio alle mie spalle e riuscii ancora ad intravedere soltanto quell’ombra. Spalancai la bocca ma non ne uscì suono, sembrava che mi stesse girando intorno come si fa con le prede. –Eri così sola- cominciò in tono inespressivo. –Così indifesa e innocente- trattenni il fiato quando lo vidi sfrecciare da un albero più alto ad uno più basso. –Così spaventata- lo sentii sogghignare. –Una così facile preda- terminò e potei giurare di averlo avvertito passarmi di fianco, ma quando mi girai non c’era niente. Un’immagine orribile mi balenò nella testa. Sentii i ringhi feroci, il respiro affannoso, l’aria fredda, gli ululati, rividi gli occhi gialli, inespressivi e duri, il manto peloso e scuro, le enormi fauci dilatate, i denti affilati e bianchissimi, lo rividi sopra di me pronto a divorarmi. Spalancai occhi e bocca, il mio cuore perse un battito e mi sentii come sprofondare.
-Sei lui. Sei… Sei il Lupo!- mi uscirono quelle parole come un sussurro, si dispersero nell’aria ghiacciata e io rimasi lì, come bloccata.
-Bingo!- lo sentii esclamare in tono soddisfatto. Deglutii, lui,  il lupo era… era un ragazzo e mi aveva salvato la vita. Perché? Perché non uccidermi subito? Perché girarci intorno?
Sarei voluta scappare di corsa e urlare a più non posso, ma c’era una cosa che dovevo chiedergli.
-Se ero una preda facile, perché non mi hai uccisa?- mi sembrava una domanda logica, ma anche sciocca, avrei dovuto ringraziare il cielo che non mi avesse sbranata e darmela a gambe, ma ancora una volta la curiosità prese il sopravvento.
-Perché sei la prescelta- rispose semplicemente rimanendo sempre nell’ombra. Odiavo quella parola, Sono la prescelta per cosa?!, avrei voluto urlare.
-E questo cosa significa?- cercai di restare calma. Ormai non sopportavo più che mi rifilassero quella risposta.
-Significa che sfortunatamente servi da viva- disse con tono un po’ seccato –Ma a quanto pare non riesci a tenerti lontana dai guai ragazzina!- pronunciò l’ultima parola con tale aria di superiorità che per un attimo mi dimenticai cosa fosse e mi venne voglia di schiaffeggiarlo, se solo l’avessi potuto vedere.
-Non sono una ragazzina!- sbottai mantenendo il controllo della voce. Lo sentii sogghignare, era davvero fastidioso e spaventoso allo stesso tempo.
-Il fatto che tu lo neghi lo rende vero- ribatté –Ti comporti come una bambina- mi stava irritando. Cosa si aspettava? Che lo salutassi col sorriso in faccia e gli dicessi: “Ehi ciao, tu sei il Lupo che mi ha quasi uccisa? Diventiamo amici?”. Non sarebbe mai accaduto. Sì, forse questo mi rendeva una codarda, una fifona, ma non una bambina!
-E tu che ne sai?- sibilai irritata. Lo vidi passare da un ramo all’altro, lo seguii con lo sguardo ma poi scomparve.
-So molto più di quanto tu creda bocconcino- c’era qualcosa nel suo tono di voce che mi mise i brividi, il solo fatto che mi avesse chiamata  bocconcino mi faceva pensare che fossi una specie di antipasto per lui. Mi costrinsi a restare immobile e inespressiva.
-Allora illuminami, ti prego!- alzai le sopracciglia, forse ero stata un po’ arrogante. Mi morsi l’interno della guancia e aspettai.
-Sai tesoro, sto ripensando all’idea di ucciderti- sibilò, era forse arrabbiato?
-Ma tu non lo farai- dissi sicura di me ricordando quello che mi aveva detto poco prima.
-E tu cosa ne sai?- mi ritornò la domanda. Spalancai gli occhi improvvisamente non molto sicura di me. Deglutii e mi scrocchiai le dita.
-Dove sei?- chiesi agitata.
-Seguimi- pronunciò sibilando.
-Fatti vedere- dissi con lo sguardo che volava ovunque.
-Trovami- mi incitò con voce quasi suadente.
 -Fermati!- esclamai vedendolo correre da un albero all’altro.
-Convincimi- fu quasi provocante.
-Come?- domandai esasperata.
-Sorprendimi-
-Uccidimi- Silenzio. Nessuna risposta. Sapevo di aver fatto una richiesta azzardata, ma quelle parole avevano sorpreso anche me, non volevo che mi uccidesse, non sapevo cosa cavolo mi fosse passato per la testa, ma evidentemente avevo attirato la sua attenzione. Rimasi ferma, immobile, gli occhi persi a fissare il bosco che avevo di fronte; si udiva solo il fischio sottile e acuto del vento freddo, rabbrividii, nessun’ombra, nessun ragazzo, nessun lupo, niente. Era come se ci fossi solo io e il corvo, nascosto da qualche parte su un albero.
Sentii d’improvviso una folata di vento che fece smuovere ciò che restava del mio vestito, le mie narici si riempirono di un forte odore di muschio che mi fece venire la pelle d’oca, la presenza oscura che avvertii alle mie spalle mi fece rizzare i peli sulla nuca. Lo sentivo, era vicino. Poi un leggero tocco sulla schiena e un sussurro al mio orecchio mi fecero sussultare.
-Proposta allettante, Dolcezza- nella sua voce c’era divertimento, ma allo stesso tempo dava l’aria di parlare sul serio. Non poteva volermi uccidere davvero, giusto? Nulla era più sicuro, forse neanche il mio nome, ma la cosa certa era la paura che provavo in quel momento, niente poteva impedirmi di tremare, negli ultimi tempi era come se mi alimentassi della stessa paura, mi colpiva come un’onda quando meno me l’aspettavo.
Avevo il terrore di guardare in faccia la creatura alle mie spalle, ma dovevo e anche se non avessi voluto farlo, mi voltai.
Credevo che sarei morta sul colpo, pensavo di ritrovarmi davanti una bestia alta quasi due metri, col pelo nero e gli occhi gialli assetati, affamati di me. Ma invece i miei occhi ne incontrarono un paio di un colore verde-marrone così intenso da darmi l’impressione di poter distruggere una montagna con la semplice forza di volontà. E ora io mi sentivo perforare da quegli occhi tanto familiari. Poi ricordai. Mi tornarono alla mente quei pozzi verdoni che avevano riempito uno dei miei incubi, rammentai come le iridi gialle del licantropo divennero improvvisamente così verdi e umane. Finalmente qualcosa cominciava a quadrare, peccato solo che il colore dei suoi occhi non serviva molto alla mia causa. Notai subito la sua pelle olivastra, un leggero taglio sullo zigomo gli conferiva un’aria misteriosa e allo stesso tempo micidiale, i suoi capelli corvini erano alzati in un ciuffo disordinato, era vestito di nero, il colore che ormai caratterizzava quel posto, portava un paio di pantaloni stretti neri e leggermente strappati e una maglietta di cotone leggero talmente sottile da apparire quasi trasparente, ovviamente in tinta nera; sulle spalle aveva un leggero mantello leggermente sgualcito. Ai piedi portava un paio di stivali apparentemente di pelle alti fino al ginocchio, erano sporchi di terra. Sul suo viso era stampato un sorrisetto cinico che mi mise i brividi. Non potevo negare di essere stupefatta, era stranamente bello, ma non contava nulla se si era in punto di morte, e ormai era giunta la mia ora, forse.
 
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Ero arrabbiata con me stessa, perché non ero fuggita quando potevo? Perché rimanevo lì, ferma, imbambolata, con gli occhi spalancati e le labbra schiuse? Volevo lanciare un urlo e sfogare la mia paura, ma dalla mia bocca non uscì suono.
-Pronta a morire?- alzò un sopracciglio e il suo sorriso scomparve, mosse un passo verso di me ed io incominciai ad indietreggiare.
-Tu non… tu non puoi…- non riuscivo a mettere insieme una frase di senso compiuto, mi mancava la voce, desideravo solo non aver mai detto quello che avevo pronunciato un istante prima. Per punirmi mi morsi la lingua tanto forte da farla sanguinare. Sentivo in bocca il sapore metallico del sangue e pensai di star per vomitare. Scuotevo la testa, mi avrebbe uccisa, ma come? A mani nude? O sarebbe diventato lupo? Il pensiero di rivedere ancora quella creatura mostruosa oggetto dei miei incubi mi mise i brividi.
-Posso eccome- camminò verso di me e sembrava così leggero e morbido nei movimenti che per un attimo riuscì a calmare l’alzarsi e l’abbassarsi irrefrenabile del mio petto.
Sentivo le lacrime bollenti che minacciavano di rigarmi il viso, ma le ricacciai dentro e presi un respiro profondo. Mi bloccai e lui con me. Lo fissai diritto negli occhi e poi corsi via, zoppicavo leggermente, mi maledissi per essere tanto imbranata, ma non mi fermai, gemevo per il dolore alle gambe pesanti come due enormi sacchi di zavorra.
Era il crepuscolo, la notte era vicina e l’ansia alle stelle, guardavo diritto di fronte a me e d’improvviso smisi di correre, lanciai un urletto di stupore, il mio cuore perse un battito. Come aveva fatto? Io… lui, lui era dietro di me e… e ora era proprio lì, di fronte a me che avanzava lento, un sorriso sghembo stampato in viso.
-Hai paura di me? Mi offendi!- disse fintamente risentito. Non parlai, mi voltai e fuggii ancora. Le gambe ora erano più leggere, fortunatamente non sentivo più molto dolore. Forse era la paura che mi faceva scordare il resto. Mi bloccai ancora e trattenni il fiato.
-Non puoi fuggire da me- affermò, ma rifiutavo quell’idea, io potevo scappare, potevo solo se lo volevo, ed io lo desideravo con tutta me stessa, o almeno credevo, non ero convinta di poter pensare lucidamente. Corsi via di nuovo, cambiando ancora direzione, ma cominciavo a stancarmi, avevo il fiato corto e quando me lo ritrovai davanti non mi meravigliai più di tanto.
-Hai fatto una richiesta!- esclamò in tono duro. Mi arresi indietreggiando, respiravo a fatica, sentivo la gola secca e i lunghi capelli mi infastidivano. Tenevo gli occhi spalancati, la paura era tale che quando andai a sbattere contro un albero non mi accorsi del dolore alla testa. Sentivo il sangue pulsare nelle tempie e per un attimo lui divenne sfocato. Sbattei le palpebre e riacquistai la vista. Strinsi le mani in pungo e attaccai la mia schiena al tronco ruvido e umido. Più lontano ero da quel tipo più sicura mi sentivo, anche se lui mi si avvicinò velocemente. Pareva adirato.
-Una richiesta stupida!- sibilò a due centimetri dal mio viso, le labbra contratte in una smorfia di rabbia e fastidio.
-Una richiesta disperata- lo corressi sussurrando. Teneva i suoi occhi puntati nei miei e lo vidi poggiare una mano sull’albero, al lato della mia testa. Trattenni il respiro seppur i miei polmoni bruciassero.
-Non così tanto visto che sei scappata- pronunciò in tono severo ma senza alzare la voce, come invece aveva fatto due secondi prima. Abbassai lo sguardo per un attimo e notai sulla sua spalla leggermente scoperta, un segno, una cicatrice. Era bianca-argentea, rotonda ma dai bordi irregolari. Mi venne in mente la notte del mio arrivo, ero… ero stata io. Con quella pietra l’avevo ferito ed ero riuscita a scappare, avevo ferito un licantropo, avevo ferito quel ragazzo.
Mi ripresi dal mio stato di trans e con cautela, come se lui potesse infastidirsi e polverizzarmi con uno sguardo, riportai i miei occhi sul suo viso.
-Cosa cambia? Tu non mi ucciderai- non sapevo dire se nel mio tono ci fosse dispiacere o sollievo, mi sentivo soltanto scombussolata e impaurita. Avvertivo il cuore tamburellare senza freni, lo vidi avvicinarsi ancora, fece aderire il suo petto al mio, il suo naso sfiorò la punta del mio e per un solo brevissimo istante pensai volesse baciarmi, ma la sua espressione non tradiva emozioni.
-Forse- disse con voce roca. Alzai lo sguardo per incontrare il suo, era più alto di me di diversi centimetri. Sentivo il suo respiro caldo sfiorarmi la pelle.
-Perché mi hai salvata?- dissi in tono serio e stranamente fermo. Forse non dovevo avere paura di lui, dovevo solo tentare di tranquillizzarmi.
-Te l’ho detto. Da morta non servi a molto- continuò, il tono di voce stranamente controllato. Il suo petto era duro e freddo contro il mio morbido, non dava segni di volersi allontanare, mi sentivo un po’ in soggezione e, ovviamente, in pericolo.
-E da viva? A cosa servo?- domandai. Cercai di essere il più calma possibile per non irritarlo, temevo di infastidirlo con tutte quelle domande.
-Fattelo spiegare dal tuo nuovo coinquilino- disse con una punta di sdegno nella voce.
-Non tornerò in quel castello- dissi ferma, non volevo rimetterci piede, volevo solo andarmene e riprendere la mia vita in mano lasciandomi quell’esperienza da incubo alle spalle.
 -Non ci credi neanche tu- sussurrò al mio orecchio, un altro brivido. Mi costrinsi a deglutire prima di rispondere.
-Lui mi ucciderebbe- pronunciai abbassando lo sguardo, sapevo che l’avrebbe fatto. Mi avrebbe fatto fuori senza pensarci su due volte.
-Probabile- ammise.
-Anche tu vorresti farlo- dissi con un filo di voce, ed era proprio quella certezza che mi incuteva terrore.
-Cosa te lo fa credere?- domandò lui, per un istante mi sembrò di cogliere una scintilla di sorpresa nel suo sguardo, ma ovviamente era solo una falsa impressione. Quel tipo non poteva essere più serio, aveva la tipica espressione noncurante che mi faceva saltare i nervi, ma nello sguardo si intravedeva quanto letale potesse essere.
-I tuoi occhi- li fissai per un tempo che parve infinito. Era così strano quello che mi trasmettevano, era un misto di paura e sicurezza, entrambe le sensazioni erano in netto contrasto. –Lasciami andare- sentivo che quella era l’occasione giusta, non sopportavo il silenzio e lui non dava l’aria di essere arrabbiato, così avevo deciso di tentare. –Ti prego- lo supplicai. Lui sembrò studiarmi per qualche istante, ed io, nervosa per l’attesa, mi mordicchiavo il labbro.
Lo vidi spostarsi leggermente, la sua espressione restava immutata.
-Non riuscirai a scappare- lo disse con tale sicurezza che quasi convinse anche me. Lo guardai un’ultima volta e poi scappai. Dopo qualche metro tirai un sospiro di sollievo, lui non si era materializzato di fronte a me e quello doveva essere un buon segno. Ero libera. Avevo quasi paura a pensarlo, di solito quando credevo di poter finalmente andare via c’era sempre qualcosa o qualcuno ad impedirmelo.
Correvo senza fermarmi, senza sapere esattamente dove stessi andando. L’unica fonte di illuminazione era la fioca luce bianca-argentea della luna. Il cielo era di un blu intenso, privo di stelle, con qualche nuvola qui e là. La mia paura non era per niente scomparsa, l’ultima volta che mi ero ritrovata in quel bosco di notte, un lupo aveva cercato di sbranarmi. Forse del licantropo non dovevo preoccuparmi, ma ero quasi certa che in quella foresta si nascondessero esseri anche peggiori di un lupo.
Guardavo diritto di fronte a me, ma d’improvviso non capii più nulla. Ero inciampata in qualcosa e automaticamente caduta a terra di faccia. Prima o poi mi sarei rotta il naso.
Tenevo la fronte poggiata sul braccio, dalla mia bocca uscirono piccoli lamenti, non poteva essere possibile, ero davvero tonta! Quando alzai il capo, lo feci con cautela, avevo il timore di svenire o avere un altro capogiro. Il mio sguardo si posò sulla cosa orribile a un centimetro dal mio viso, mi paralizzai all’istante, ma non potei fare a meno di lanciare un urlo tanto acuto da infastidire anche me. Ero terrorizzata, urlai ancora. Quello che prima era stato un cervo ora era ridotto ad un ammasso di ossa e brandelli di carne deformi, gli occhi spalancati dell’animale erano coperti da un velo di paura ed erano lì a fissarmi. Urlando nuovamente mi alzai, strinsi i pugni, sentivo mille brividi percorrermi lungo tutto il corpo, l’orrore di quella scena mi faceva battere forte il cuore. Non ero al sicuro, non sarei mai potuta esserlo. Feci qualche passo indietro con ancora gli occhi fissi sulla carcassa putrida, le labbra erano piegate in una smorfia di disgusto e paura, sentivo le lacrime bruciarmi la gola. Calpestai qualcosa e quel qualcosa sembrò spezzarsi, mi voltai di scatto lanciando un altro grido, ma era soltanto un ramoscello. Mi passai una mano tra i capelli e deglutii, respiravo a fatica. Poi un lieve rumore attirò la mia attenzione, proveniva dal bosco di fronte a me. Mi guardai intorno e mi resi conto di trovarmi in una specie di piccolo prato circondato da alberi, un’area dai bordi irregolari. Di nuovo il rumore. Mi voltai ma non c’era niente, stavo rivivendo la situazione di poco prima, ma ora faceva più paura.
Una sagoma nera comminava verso di me, mi si mozzò il fiato e il cuore perse un battito. Chi era? Cos’era?
Poi la luce della luna lo illuminò e vidi una scena orribile e spaventosa. I capelli biondo cenere leggermente alzati in un ciuffo, le mani strette in un pugno, la pelle bianchissima, sotto agli occhi rossi i capillari neri sembrava cambiassero colore in viola, ai lati della bocca arricciata colava del sangue  e i canini affilati e sottili erano scoperti. Justin. Tutto quello era opera sua, era lui che aveva straziato quella bestia. Un sorrisetto cattivo gli attraversò il viso, ma subito scomparve e un’espressione furiosa prese il suo posto.
Improvvisamente ebbi le vertigini e mi si abbassò la pressione, ero in trappola. Feci un passo indietro e lui uno verso di me, serrai le labbra ma non riuscii ad impedire ad una lacrima di rigarmi il viso.
D’un tratto un ringhio mi attraversò la mente, severo e ansioso.
-Va via!- urlò nella mia testa, non era la voce dolce e gentile che spesso sentivo, ma più profonda e disumana, più pesante e ferma, quello era un ordine. Stetti a sentire quel ringhio che avevo udito solamente io, mi voltai con un urlo e corsi via, pregando che Justin non mi seguisse.
La mia vista cominciò ad offuscarsi per via delle lacrime, avevo il fiato corto e la paura mi circondava come fosse una bolla. Evitavo alberi, spezzavo rami e di tanto in tanto lanciavo un grido di dolore e disperazione. Non ce la facevo più, mancava poco che le gambe non mi rispondessero più, e udivo dietro di me dei passi svelti e felini. Sentivo il sangue freddo, la circolazione  congelarsi, le temperature si abbassavano a vista d’occhio ed era come se fossi nuda, il mio bel vestito lilla lungo fino a metà coscia ormai era ridotto ad uno straccio sporco e sudato. I capelli umidi mi si appiccicavano al collo e ciocche ribelli si incastravano nei rami strappandosi poi dalla testa e provocandomi un leggero bruciore. Per un attimo pensai di poter chiedere aiuto, ma a chi?
Dietro di me non sentii più nulla, ma non smisi di correre. Mi voltai leggermente per cercare di vedere se il vampiro fosse ancora alle mie spalle, ma non vidi nulla. Tornai a guardare avanti e mi ritrovai ad urlare e fermarmi bruscamente.
Era comparso dall’alto, atterrato con una grazia mai vista facendomi sussultare dalla paura. Avrei dovuto aspettarmelo, Justin era troppo veloce per le mie gambe corte e umane. Indietreggiai cauta, scappare era fuori discussione.
-Sei solo una mocciosa- sputò freddo come un pezzo di ghiaccio, le sue parole mi ferirono ma non abbastanza, la paura dominava su tutto. Poteva dire quel che gli pareva, volevo solo che non mi uccidesse, ma a giudicare dalla sua espressione e dai canini scoperti era sicuro che la sua intenzione fosse quella di succhiarmi il sangue. Rabbrividii immaginandomi la scena. Lanciai un urlo per la sorpresa quando mi ritrovai stesa per terra con lui sopra di me. –E avrai la fine che meriti- sibilò, sentivo il suo alito freddo, sapeva di ruggine, di sangue. Sentii uno strano calore sul viso e mi resi conto di star piangendo.
-Justin, no!- lo supplicai con voce rotta dalle lacrime. Lo vidi allargare le labbra che quasi scomparvero, i suoi denti affilati e macchiati di sangue stavano per bucarmi il collo, non volevo guardare. Serrai occhi e bocca aspettando la fine. Poi non sentii più nulla a parte un ringhio d’attacco. Ero morta?
Piano riaprii le palpebre ritrovandomi davanti il cielo coperto da qualche nuvola e gli alti alberi semispogli. Il vento mi sferzava il viso, ero come paralizzata, terrorizzata dall’idea che lui potesse ripiombarmi addosso e uccidermi. Ma non fu così.
Sentii poco distante da me ringhi e colpi, stava accadendo qualcosa e dovevo sapere cosa, ma la paura di rimanere nuovamente immobile dal terrore mi invase.
Presi un respiro profondo, dovevo trovare un po’ di coraggio, potevo farcela, ormai cosa avevo da perdere?
Lentamente mi voltai su di un lato, sentii le ossa della spina dorsale scricchiolare, odiavo quel rumore. Con un lieve gemito di dolore alzai il capo. Di fronte a me un lupo mannaro e un vampiro combattevano incessantemente. Allora era grazie a quel ragazzo che ero salva, ancora una volta mi aveva salvato la vita. Ma perché? Sentivo il cuore martellare nel petto e ogni battito era come ricevere un pugno.
 Guardandoli non seppi dire chi potesse avere la meglio, se il lupo enorme e peloso o il vampiro rabbioso. Un attimo prima dominava il grosso animale, l’attimo seguente il ragazzo dalla forza sovrumana. Erano come un vortice di pura furia, sembrava si odiassero. I loro movimenti erano quasi indecifrabili, velocissimi e scattanti. D’un tratto il lupo riuscì a bloccare Justin al suolo, ma quello continuava battersi tirando pugni e calci, pochi secondi e si sarebbe liberato. Vidi il lupo voltarsi con un movimento scattante e fissarmi con i suoi occhi gialli, poi mi ringhio contro e quel ringhio automaticamente mi rimbombò nella mente e fu come se riuscissi a tradurlo. Diceva: -Fuggi via! Corri!-. Pareva deciso e mi chiesi cosa fosse accaduto se non avessi ascoltato quel che mi diceva, ma non persi tempo a riflettere e, ancora una volta, scappai.
Ero stanca di correre, stanca di continuare a fuggire. Sicuramente sarebbe spuntato fuori qualcosa di orribile facendomi morire definitivamente di infarto, e forse era la cosa migliore che potesse accadermi. Ormai mi aspettavo di tutto, ma ancora non riuscivo a controllare la paura.
Non poteva definirsi correre quello che facevo, ma semplicemente camminare velocemente. Ero stremata e dolorante, non mangiavo né bevevo da ore e ore, sarei svenuta da un momento all’altro.
I ringhi della battaglia si facevano sempre più lontani e mi sentii leggermente più tranquilla, i due mostri erano impegnati ad uccidersi e forse potevo concedermi di fermarmi per riprendere fiato. Mi arrestai e posai le mani sulle ginocchia piegandomi leggermente in avanti, avevo il fiatone e sentivo il cuore battermi nella testa. Alzai lo sguardo, se non fosse stato per la luce della luna non avrei potuto vedere a un palmo dal mio naso. Mi guardai intorno, c’erano alberi dappertutto e avevo paura di girare in tondo.
-Maya- mi sentii chiamare, era una voce bassa, un sussurro quasi impercettibile.
-Maya- ripeté la voce stavolta più decisa, era un timbro maschile, basso e roco, e conosceva il mio nome. I miei occhi scattarono e passarono in rassegna tutto ciò che mi circondava. Poi ecco un’ombra nera. Sembrava mi perseguitasse. Quella però era diversa, più alta e magra e un cappuccio gli ricopriva la testa nascondendo il volto.
-Maya- continuò passando da un albero all’altro, era a pochi metri da me, potevo raggiungerlo e scoprire di chi si trattasse, o potevo correre via urlando. Non scelsi nessuna della due opzioni, rimasi lì, immobile.
Lo vidi fermarsi dietro un albero e si voltò a guardarmi. La luce della luna illuminò una piccola parte del suo viso. Riuscii a vedere soltanto degli occhi azzurri e uno zigomo spigoloso.  
 
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Anche se era poco ciò che avevo visto, mi incantai ugualmente. C’era qualcosa nei suoi occhi che mi attirava, un luccichio strano e misterioso, ammaliante.
-Vieni Maya- lo vidi muovere le labbra rosee e carnose quasi impercettibilmente. Aveva la pelle leggermente abbronzata e i capelli coperti per la maggior parte dal cappuccio nero sembravano di un colore biondo-oro che alla luce bianca della luna pareva diventare quasi argenteo.
Mi ritrovai a muovere i piedi verso di lui, camminavo calma e tranquilla, era come se la mia mente si fosse svuotata e il mio petto alleggerito, la paura era scomparsa, il pensiero di poter morire non esisteva più nella mia testa, ora c’era soltanto quel ragazzo, i suoi occhi e la sua voce.
-Vieni con me Maya- il mio nome appariva così bello pronunciato da lui, quel tono di voce basso era melodioso per me, pareva quasi seducente. Non me lo feci ripetere due volte, continuai a camminare, gli occhi fissi su di lui che piano si voltò dandomi le spalle. Voleva che lo seguissi ed io l’avrei fatto. Mi sentivo come incantata.
Camminai dietro di lui, seguendolo senza mai chiedermi dove stessimo andando, non volevo saperlo, non mi interessava, volevo solo seguirlo. Talvolta si girava e mi lanciava un’occhiata veloce e rassicurante e ogni volta un brivido mi percorreva lungo la schiena, quel luccichio quasi violetto dei suoi occhi era come una droga per me. E quando alle volte mi ripeteva di andare con lui, mi sentivo al sicuro, come se esistessimo solo io e lui, come se fossi circondata da una campana di vetro e lui ne fosse il guardiano.
Lo vidi attraversare un ponte in legno, i suoi movimenti erano leggiadri, magnifici. Era silenzioso e morbido mentre camminava lungo quel ponte tutto rotto attraversato al di sotto da un piccolo ruscello.
 
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Tutt’intorno era buio, ma quel ragazzo per me costituiva la via da prendere, la luce in fondo al tunnel.
Uscimmo dalla foresta, il mio sguardo era fisso su di lui, non battevo neanche le palpebre. Ci trovavamo in un prato abbastanza grande, era all’aperto, non c’erano alberi a soffocarci. La mia espressione era neutra, mi importava di lui, di andare dove andava lui. Dovevo seguirlo, come mi aveva detto di fare. Indossava una giacca di cuoio nera con il cappuccio ancora sollevato, degli stivaletti neri, pantaloni neri, tutto nero. Mi piaceva, dovevo raggiungerlo, perché non si fermava? Volevo vederlo in faccia, ma al momento la mia priorità era quella di restargli dietro. C’era qualcosa dentro di me che mi spingeva verso di lui, qualcosa che non potevo ignorare, qualcosa più forte e più grande di me.
Ad un certo punto lo vidi camminare nell’aria dato che il prato era ormai giunto al termine. Era così aggraziato mentre si muoveva sospeso nel nulla. Lo seguii, io dovevo raggiungerlo.
Camminai nell’aria con lui che mi stava poco più avanti, era così piacevole essere lì, era come galleggiare, non pensavo a nulla oltre che seguirlo. La mia mente mi diceva costantemente Vai, raggiungilo. Seguilo. Ed io lo facevo.
Il vento freddo e pungente mi scompigliava i capelli, ma quasi non lo sentivo, il suo odore, dolce e aspro allo stesso tempo, mi riempia le narici e la mia voglia di raggiungerlo aumentò.
Lo vidi arrivare a destinazione. Davanti a lui si ergeva un enorme castello sospeso nell’aria, era formidabile, bellissimo, affascinante, ma mai quanto quel ragazzo. Il castello fluttuava nell’aria su un’enorme roccia dalla forma di un triangolo a testa in giù.
 
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Poteva sembrare impressionante, e lo era, ma era anche spettacolare.
La sagoma scura del ragazzo toccò leggera, con la punta del piede,  il ponte fatto interamente di pietra. Copiai i suoi movimenti, ne ero completamente affascinata; camminai a passo normale, non sapevo perché ma non riuscivo a fermarmi, non ero mai stata tanto rapita, tanto incantata.
Le porte dell’enorme castello si spalancarono senza neanche bisogno di bussare o altro. Tenni il mio sguardo sul tipo davanti a me e senza esitare entrai. Il clima all’interno era freddo , ma non come lo era all’esterno. Tutto era avvolto nella penombra, lo vidi salire delle scale e, come una perfetta ragazza ipnotizzata, feci lo stesso.
-Andiamo Maya- mi disse, e quasi sperai che parlasse ancora, per poter riascoltare la sua voce.
Camminavo, camminavo e camminavo. Non sentivo la stanchezza, non sentivo la paura, non sentivo nulla a parte la sua voce, non vedevo nulla a parte lui. Il suo volto mi era ancora sconosciuto, fremevo dalla voglia di vederlo, sapevo che doveva essere bellissimo.
D’un tratto una fitta acuta al braccio destro mi fece paralizzare sul posto. Con la mano sinistra strinsi forte la parte superiore del braccio, un urlo di dolore mi morì in gola. Fui percossa da una scarica di fuoco, la sofferenza mi fece vibrare dentro di una strana sensazione di pienezza; mi crollò tutto addosso, era come se fossi andata in uno stato di shock, come se fossi svenuta per chissà quanto tempo e solo all’ora mi stessi risvegliando. Milioni di immagini mi si presentarono davanti, veloci, quasi non riuscivo a capirle. Prima un’ombra, poi il bosco, e il prato, e ancora un ponte ridotto male, di nuovo la sagoma nera, la mia voglia di toccarlo, e poi la sensazione di leggerezza mentre vedevo me stessa che fluttuavo nell’aria. Cosa… cosa era accaduto?
La testa mi scoppiava, tutte quelle immagini mi avevano colpito come una palla demolitrice colpisce un palazzo troppo vecchio e malridotto per essere ancora utile.
Posai il mio sguardo sul braccio che faceva ancora male e scoprii che stavo sanguinando, c’era uno squarcio aperto poco più su del gomito, era orribile alla vista. Come me l’ero fatto? Il sangue di un rosso quasi nero era denso e caldo, un piccolo gemito di dolore mi sfuggì. Alzai lo sguardo e notai che il tipo davanti non si era accorto di niente. Tentai di respirare e calmarmi, ma il dolore era insopportabile, strinsi i denti per trattenere un grido, volevo urlare e lasciarmi cadere a terra. Ero in un lungo corridoio dalle pareti scure e le luci basse, un lungo tappeto rosso scuro ricopriva il pavimento, le tende erano tirate e nell’aria alleggiava un odore di mobili vecchi e sangue. Mi resi conto che il ragazzo si stava voltando e così nascosi il braccio e ripresi a camminare. Ancora una volta vidi solo il suo occhio azzurro come il cielo in estate e uno zigomo scolpito. Non sembrò notare il braccio, tornò a camminare diretto chissà dove. Credevo di essere stata in qualche modo colpita e che poi fossi svenuta, ma lì sembrava ci fossi arrivata con i miei piedi, ma allora cosa mi aveva fatto quel ragazzo? Era sua la colpa di tutto?
Un’altra fitta mi scosse e subito portai una mano alla bocca ricacciando giù l’urlo.
-Non trattenerti. Urla pure, se vuoi- quella voce bassa e suadente echeggiò nella mia testa facendomi immobilizzare, lui sapeva, lui aveva capito. Avevo paura, chi o cosa era quel tizio?
-Sono un po’ maldestri i tuoi amichetti- disse in tono leggermente divertito. Cosa? Cosa stava dicendo? Mi stava mettendo davvero paura, era pazzo? Era forse un maniaco? Cosa voleva farmi?
Avrei voluto farle a lui tutte quelle domande, ma proprio non riuscivo a parlare. -Ma nessuno può battere te, cara Maya-. Be’ forse aveva ragione, io ero più che maldestra. Come faceva a sapere il mio nome? E dove mi stava portando?
-Chi… chi sei?- domandai con un filo di voce, mi sentivo mancare il respiro e a poco a poco il braccio diventava sempre più pesante e debole.
-Bene, vedo che sai parlare- il cappuccio alzato non mi permetteva di vedere nulla, né il suo volto, né i suoi capelli e la cosa mi fece venire un brivido.
-Dove mi stai portando?- continuai, quella volta con tono più fermo.
-Fai un sacco di domande, lo sai?- disse, il tono di voce calmo e roco.
-Cosa mi hai fatto?- continuai, mi stavo liberando di tutte le domande che mi venivano in mente, ma forse l’avrei solo fatto arrabbiare.
-Sei decisamente troppo curiosa- lo sentii affermare con voce ferma. Perché non si voltava? Perché cavolo non si faceva vedere? Un gemito di dolore sfuggì alle mie labbra, avevo la mano sulla ferita zuppa di sangue caldo e viscido, quasi mi sentivo svenire.
-E a quanto pare, anche l’effetto del veleno è svanito- sospirò quasi impercettibilmente. –Tutta colpa di quel sacco di pulci- sibilò con voce tagliente, si riferiva a cosa di preciso? Al ragazzo-lupo? E che ne sapeva lui del veleno?
-Come?- domandai confusa. Il braccio ormai era completamente addormentato, stavo perdendo troppo sangue e la cosa mi mise agitazione.
Lui sembrò non aver sentito la mia domanda, si fermò davanti ad una porta e finalmente si voltò abbassandosi il cappuccio. La prima cosa che notai furono i suoi capelli, di un biondo color oro con dei riflessi più chiari, poi il suo viso. Era così spigoloso, gli zigomi pronunciati, gli occhi di un azzurro penetrante, le labbra sottili ma carnose. Era davvero bello, i suoi tratti sembravano duri e le ombre che aveva sotto agli occhi e sulle guancie lo facevano sembrare più determinato di quanto potessi pensare, ma cosa voleva da me?
Per un attimo mi guardò curioso, come se avesse notato in me qualcosa che prima non aveva visto, poi però la sua espressione tornò neutra.
 
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-Eccoci qui- disse con tono di voce pacato. Aprì la porta e aspettò che lo raggiungessi. Piano mi avvicinai fino a ritrovarmi di fronte a lui, aveva un odore diverso da come lo avevo immaginato, un odore frizzante, fresco, ma anche forte, dolce e aspro allo stesso tempo. Voltai il capo verso la stanza che mi stava mostrando, credevo volesse che io entrassi. Feci un passo e superai la soglia della porta, era una normale camera, come ne avevo già viste al castello di Justin. C’era un grande letto a baldacchino, un tavolo sulla parete di fronte al letto con uno specchio e poi uno scaffale pieno di libri. I colori erano caldi e stranamente accoglienti, in un altro momento mi avrebbero trasmesso una sensazione di pace, ma in quell’istante, con il fiato caldo del ragazzo sul mio collo, era impossibile calmarsi. Lo sentii avvicinarsi, il suo petto sfiorò la mia schiena.
-Benvenuta nella tua nuova camera- sussurrò con quel suo tono di voce basso.
 
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Aveva davvero detto nuova camera?
-Che cosa?- quasi sussurrai aggrottando le sopracciglia, alzai lo sguardo ed incontrai il suoi occhi che, per un istante, si fecero neri. Trasalii e delle immagini si fecero spazio nella mia mente. Erano occhi neri, vedevo solo occhi neri, poi quel cavallo e ancora quella vipera. Trattenni il respiro.
-Eri tu…- dissi con un filo di voce, cercavo di capire se quello che credevo corrispondesse alla verità, ma non era possibile…
-Lo sai, sei piuttosto lenta nel capire certe cose- non si mosse di un passo, ma continuava a tenere lo sguardo fisso nel mio.
-Ma non è possibile, una… una cosa del genere è…- impossibile, avrei voluto dire, ma quella parola non c’era più nel mio dizionario ormai. Fui pervasa da un’ondata di consapevolezza e le sue parole mi tornarono in mente. E a quanto pare, anche l’effetto del veleno è svanito.
-Perché?- dissi soltanto, non riuscivo a parlare, mi mancava l’aria, perché mi aveva morsa? Mi stava osservando? Mi voleva uccidere?
-Per portarti qui, da me- avevo paura di quel tizio. Sul mio volto si dipinse un’espressione confusa e spaventata allo stesso tempo.
-Ma se mi hai quasi uccisa?- il mio tono era incerto, credevo di poterlo irritare con tutte quelle domande, ma io dovevo sapere.
-Non era previsto che morissi, non ancora- disse con voce bassa e suadente. Un brivido mi percosse lungo tutta la colonna vertebrale, portai il mio sguardo sul suo viso e lo trovai intento a fissarmi con fare compiaciuto e allo stesso tempo serio. Sapevo che quelle non erano parole dette tanto per dire.
-Che cosa intendi dire?- domandai mandando giù quel groppo in gola.
-Quello che hai capito. Ma prima ti aiuterò a comprendere chi sei- la sua voce roca mi rimbombava nella mente, cosa stava dicendo? Voleva uccidermi o no? Che cosa sapeva lui? –Accomodati- allungò una mano verso la stanza e, quasi senza rendermene conto, entrai. In quella stanza tanto grande io mi sentivo piccola e insignificante. Il rumore della porta che si chiudeva mi fece sussultare e mi voltai automaticamente. Lui era lì, fermo, in piedi a pochi passi da me, un paio di pantaloni stretti e un giubbotto di pelle nero sopra una leggera maglietta grigia. Fino a quel momento era quello con l’abbigliamento più colorato e moderno, ma la cosa poco mi importava.
-Cosa hai intenzione di farmi?- chiesi con tono abbastanza fermo e la cosa mi stupì.
-Per ora nulla, voglio solo aiutarti- pronunciò l’ultima parola con un tono così basso e seducente che quasi mi incantò.
-Aiutarmi? A fare cosa?- ero confusa e spaventata, quel tizio era talmente strano, nei suoi occhi c’era una strana scintilla, un luccichio furbo, malizioso.
-A capire chi sei- rispose semplicemente.
-E tu cosa ci guadagni?- domandai preoccupata per la risposta.
-Preoccupati per te ora, e per quello che sei- rispose un tantino irritato da tutte quelle domande.
-Sono Maya, ecco chi sono- affermai, ma la mia voce tradiva un piccolo dubbio.
-Non sei solo Maya, ma Maya Gordon, tu sei una Gordon, sei la prescelta- mi trattenni dall’urlargli in faccia, mi ero stancata di essere chiamata la prescelta e di non sapere neanche cosa diavolo significasse!
-Questo lo so bene, da quando sono arrivata in questo posto tutti non fate altro che dirmi che sono la prescelta, ma la prescelta per cosa?!- sbottai alzando il tono di voce. Lui sorrise leggermente e non potei fare a meno di pensare che era bello, davvero bello. Aveva dei tratti così spigolosi e ben definiti, la pelle di un colore caffellatte chiaro, chiarissimo, gli occhi azzurri spiccavano sotto quei capelli oro, le ciglia di una tonalità di biondo più scura dei capelli riproducevano delle ombre scure sotto i suoi occhi. Era alto molto più di me, muscoloso ma non troppo.
-Hai tanto da imparare Maya ed io posso insegnartelo- la sua espressione restava immutata e da quel punto di vista mi ricordava la mia antenata, sempre così seria, dura e impassibile, come se tutto le scivolasse addosso come acqua, ecco, lui sotto quell’aspetto era simile a lei.
-Insegnarmi cosa?- restavo calma per il semplice fatto che una sua reazione mi spaventava, qualsiasi essa fosse stata.
-A maturare, ad essere più forte, a conoscerti- quasi mi sembrava di parlare con un robot, solo più carino. Quel tipo era così inespressivo. Repressi l’istinto di urlargli contro che io non avevo bisogno di nessuno per capire chi fossi, ma a quel punto niente era più sicuro nella mia vita.
-E tu? Tu invece chi sei?- speravo che quella volta mi rispondesse, ma sviare le domande sembrava essere il suo forte. Però avevo paura della sua risposta, sapevo benissimo che anche lui non era un ragazzo come un altro, tra vampiri, licantropi, ora non sapevo più cosa aspettarmi, cominciavo ad avere paura persino di me stessa. Cosa significava essere la prescelta?
-Sono la sua unica speranza- fissò i suoi occhi nei miei. Cosa stava dicendo? Perché non si spiegava meglio? Perché tutti non facevano altro che darmi rispose senza senso?
-Che cosa? Di cosa parli? Sei la speranza di chi?- domandai a raffica con un’espressione di completa confusione stampata in viso. Lo vidi camminare e attraversare la stanza, i movimenti sciolti, la postura rigida, l’espressione neutra, gli occhi di fuoco, non riuscivo davvero ad inquadrarlo fino infondo quel ragazzo. Si fermò vicino alla libreria sulla parete opposta della stanza e mosse un libro. Come era accaduto precedentemente al castello di Justin il mobile si aprì: dietro di esso c’era l’entrata per un’altra stanza, ma al di là dell’uscio non riuscivo a vedere nulla dato che tutto era immerso nel buio. Un brivido mi percosse lungo il corpo quando lo vidi farmi cenno di avvicinarmi. Spinta da un forza più grande della mia volontà, lo affiancai. Fui pervasa da un odore di muffa misto a quello di mobili vecchi e l’aria che veniva fuori da quella stanza era gelida. D’improvviso la voce di lui nella mia testa mi ordinò di entrare, ed io lo feci. Avevo il cuore a mille, detestavo il buio, soprattutto da quando avevo scoperto l’esistenza del sovrannaturale. Le luci si accesero senza che io facessi nulla; era una camera simile a quella che avevo visto poco prima, le luci erano soffuse ma abbastanza forti da permettermi di vedere ciò che c’era sul letto al centro della stanza. Inerme sotto le bianche lenzuola c’era il corpo morto della mia antenata.
-La sua- sibilò lui alle mie spalle.
Il cuore mi si fermò nel petto, tutto cominciò a girare, sentivo la pressione calare, la vista offuscarsi.
E svenni.
 
 
Salve a tuttiiii:)
Bene, vi sono mancata?
Lo so, sono in ritardo, ancora, chiedo umilmente perdono lol:)
Il capitolo è lunghetto eh?! Be’ era necessario, altrimenti la storia non va avanti, dovevo far entrare in scena questi due nuovi personaggi… che ve ne pare? Vi piacciono? A me tanto:D
Chi, o meglio, cosa sospettate che sia il bel ragazzo biondo che l’ha portata al castello? Vi dico solo che è un tipo strano;)
Mentre il nostro licantropo è un tipo dalla battuta pronta e pungente, vi posso dire che anche lui è un tipo strano, ma soprattutto misterioso. È uno dei personaggi più importanti, non sottovalutatelo;))
Be’ e che ne pensate di quello che Justin stava per fare alla povera Maya?
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate, è davvero importante per me, quindi se siete arrivate/i fin qui perché non lasciate una recensione?
Grazie mille a chi mette l’ff tra le preferite/seguite/ricordate, mi fate davvero felice:)
E un grazie anche a chi recensisce sempre, in particolar modo a

True_Dreamer , Belieber_aPromis_Believe , Francesca___13 , Apatya , Alice Huang , SheDontLikeTheLights ,  heartstyles , e tante altre:)) è grazie a voi che mi motivate con le vostre recensioni che la storia va avanti<3
Io ora scappo, a prestooo:)
Baci
Alena18 xxx


Il ragazzo-licantropo:
 
 
 
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Il tizio biondo ancora senza identità;) :
 
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Pubblicità: leggete Alabaster skin di shedreamsbieber, è davvero bella:D
 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo dodici: Veleno. ***


 
 

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                                                             “Era il più insidioso, quello più ingannatore, il più tentatore, il peggiore dei veleni ”
 
 


Il buio mi riempiva la mente soffocandomi. Mi sentivo persa nel vuoto, una sensazione di solitudine mi invase, ero morta?
Ormai troppe volte mi ero posta quella domanda e, ci avrei scommesso, quando sarebbe arrivata davvero la mia ora non ci avrei creduto. Era strano, ma sapevo di essere viva ed ero certa che oltre il buio c’era qualcosa ad attendermi, non sapevo di che si trattasse, ma mi metteva i brividi.
Finalmente il nero sfumò e davanti ai miei occhi si presentò una candida distesa di neve bianca; era un prato, probabilmente lo stesso del mio sogno passato, solo che ora era spoglio e freddo. Gli alberi ai margini erano privi di foglie e i rami somigliavano a dei lunghi aghi, come spade pronte ad infilzarti, il cielo era coperto di nuvoloni grigi carichi d’acqua. Poi istintivamente voltai il capo verso sinistra e lentamente anche il resto del corpo.
Vidi la mia antenata, bella e viva, l’abito, lo stesso che indossava nello specchio, era antico, di un colore bordeaux con dei ricami d’oro, il corsetto stretto le metteva in risalto il petto dove brillava lucida la collana, la mia collana; a differenza di come l’avevo vista nello specchio, ora non aveva il vestito sporco e nessun livido o ferita. La pelle leggermente ambrata, le labbra carnose e scure, i lineamenti sottili e spigolosi, i capelli di un castano scuro resi mossi e raccolti in una pettinatura all’apparenza difficile e contorta, qualche boccolo le contornava il viso contratto in una smorfia di ansia e leggera paura. Gli occhi vigili erano di un marrone profondo, quasi nero, ed erano impegnati a fissare intensamente qualcuno o qualcosa.
Non ebbi il tempo di poter capire ciò che stava fissando che un pugnale d’argento bucò lo stomaco della ragazza. I suoi occhi si spalancarono, colmi di stupore e dolore, le sue gambe tremarono e dalle sue labbra fuoriuscì un gemito di sofferenza.
Lanciai un urlo di terrore e mi portai una mano tremante alle labbra, nessuno si accorse di me. Mentre vedevo la mia antenata morire lentamente mi costrinsi a guardare chi fosse l’assassino.
Gli occhi pieni di odio, un sorrisetto diabolico stampato in faccia, la pelle bianchissima, i canini scoperti. 
Justin.
 
Mi svegliai di soprassalto e alla mia bocca sfuggì un gridolino. Avevo i capelli leggermente sudati e appiccicati al collo, il braccio destro mi dava un lieve bruciore, lo sentivo rigido e debole. Respiravo a fatica, avevo il cuore che mi pulsava nella testa. Le immagini del mio incubo erano vivide nella mia mente, poi altre si fecero spazio tra i miei pensieri: una camera dall’aspetto antico, ma accogliente, un letto al centro e la mia antenata morta dentro. Era troppo in una sola volta, era tutto così terribilmente orribile, non potevo credere che quello che io chiamavo Angelo si era rivelato il peggiore dei demoni. Il modo in cui l’aveva uccisa era… era orrendo.
Mi guardai intorno, avevo la vista ancora appannata per via della stanchezza, ma riuscii a capire dove mi trovavo. Ero nella mia stanza, anche se non sentivo che mi appartenesse. Credevo che non l’avrei più rivista, che non avrei più dormito in quel letto, e invece eccomi di nuovo lì. Seduta al centro del letto avevo una visuale completa della camera che era immersa nella penombra per via delle imposte chiuse. Come c’ero arrivata lì? Ricordavo a malapena quello che era successo la notte precedente. Il ragazzo-lupo, Justin che voleva uccidermi, il salvataggio inaspettato del licantropo, il ragazzo biondo che si era rivelato essere il cavallo e la vipera, il suo castello, il suo essere così sfuggente e infine la mia antenata nel letto, morta. Dopo quell’immagine, buio. Più nulla, dovevo essere svenuta.
Rivolsi il mio sguardo al braccio e lo trovai fasciato, le bende leggermente macchiate di sangue. Tentai di non muoverlo e portai la mano sulla medicazione, la sfiorai a stento, ma tanto bastò a farmi sussultare.
Il mio corpo fu invaso da mille brividi e la mia mente si svuotò riempiendosi di una scintilla bianca quasi accecante. Poi davanti ai miei occhi comparve quel maledetto bosco dove svariate volte avevo rischiato di morire. Era tutto buio, la luce della luna era fioca e argentea, ma bastò per permettermi di vedere due figure alte e ombrose. Mi concentrai su di loro e l’immagine sembrò schiarirsi. Li vedevo perfettamente; Justin, i capelli spettinati, la bocca insanguinata e la mano premuta contro un fianco, e poi il ragazzo-lupo con i vestiti sporchi e i capelli arruffati. Avevano l’aria affannata, probabilmente stavo vedendo il seguito del loro scontro della notte precedente.
Vidi Justin sorridere cinicamente e il ragazzo moro scuotere impercettibilmente la testa.
-Ehi, hai visto? Sembra che abbiamo un’ospite!- cominciò il vampiro con tono provocatorio –La tua amichetta è tornata. È più ingenua di quanto mi aspettassi, si sta già innamorando di me- sorrise beffardo, ma subito tornò alla sua espressione neutra. Provai una sensazione di rabbia e disgusto verso di lui.
-Francamente non mi importa, ma andiamo! Sappiamo entrambi quale sarà la sua scelta- ribatté il moro assottigliando lo sguardo e sorridendo soddisfatto. Perché avevo la sensazione che parlassero di me?
-Lei non è Ester!- sbottò Justin adirato. Ester? Chi era Ester? La mia antenata forse?
-Buon sangue non mente- vidi il ragazzo-lupo avanzare di un passo –Non basta semplicemente un po’ di fascino da vampiro per conquistare una Gordon- alzò un sopracciglio scuro.
-Lei non è degna di quel cognome- sputò il biondo digrignando i denti. Lo odiavo, odiavo il fatto che pensasse quelle cose di me, che mi trovasse sciocca e ingenua, e forse odiavo di più me stessa per averlo risvegliato.
-Cosa c’è? Ti vuoi illudere dell’idea che lei possa scegliere te?- rise leggermente il moro prendendolo in giro e scuotendo la testa. Mi infastidiva che parlassero di me come se sapessero già cosa avrei fatto o se mi fossi innamorata di loro, la presunzione era una dote che non mancava ad entrambi.
-Lei sceglierà me, peccato che non saprà mai la verità- disse Justin scrollando le spalle, nel suo sguardo c’era cattiveria.
-Mi fai quasi pena, povero illuso- cominciò l’altro –Be’, io sarò in prima fila a godermi lo spettacolo quando farai fiasco, di nuovo- i lati della sua bocca si sollevarono in un sorriso sghembo.
-La ucciderò, sai che lo farò, e non vedo l’ora di vedere la tua faccia- ringhiò il biondo con sguardo diabolico.
-Ed io la tua, Figlio di…- il moro si bloccò di colpo, lo sguardo perso a fissare un punto impreciso davanti a sé, le labbra schiuse; lo vidi chiudere gli occhi per un istante, pareva concentrato, poi riaprì di scatto le palpebre, uno strano luccichio gli brillava nello sguardo: tensione, rabbia, ansia, e un velo di preoccupazione. –Dannazione- sibilò a denti stretti prima di voltarsi e correre via, inoltrandosi nella fitta foresta con Justin al seguito.
Sbattei le palpebre e con la mente tornai al presente. Presi un respiro profondo, avevo il cuore a mille. Non mi spiegavo perché vedessi quelle cose, né come potesse essere possibile, ma era così. Grazie a quelle visioni avevo un quadro leggermente più preciso della situazione, di ciò che stava diventando la mia vita. Di due cose ero abbastanza certa, primo: quella conversazione tra il ragazzo-licantropo e il vampiro risaliva alla notte precedente, dopo lo scontro; secondo: loro parlavano di me. Ma cosa significava quel Lei non è Ester? Cosa era accaduto con quella ragazza? Che fosse lei la mia antenata? E di quale verità parlava Justin? Perché avrebbe dovuto fare fiasco? Perché quel di nuovo? E poi, fare fiasco in cosa? Chi ucciderà Justin? Ester? Ma se Ester fosse stata la mia antenata, allora lei era già morta quindi… voleva uccidere me? Perché? E cosa aveva fatto bloccare il ragazzo-lupo? Perché aveva detto quel Dannazione? Dove stavano correndo?
Mille domande mi riempivano la mente, così tante da farmi girare la testa. E la cosa che mi infastidiva di più, la cosa che mi fece sbuffare di frustrazione, era che non avevo neanche una risposta, ero completamente all’oscuro di tutto, ignara di ciò che stesse accadendo dentro e fuori di me. Forse Justin aveva ragione, forse ero davvero una povera sciocca.
Ripensare al vampiro mi fece venir voglia di prendere qualcosa, qualsiasi cosa, e distruggerlo.
Istintivamente voltai il capo con uno scatto veloce del collo, i capelli mi svolazzarono sulle spalle ed entrò nel mio campo visivo un bicchiere mezzo pieno posto sul comodino accanto al letto. Fissai il mio sguardo su di esso, strinsi le lenzuola in un pugno e mi concentrai sui miei sentimenti. Ero piena di emozioni contrastanti: paura, rabbia, delusione, sofferenza, curiosità, impotenza. Odio. Improvvisamente il bicchiere andò in frantumi con un rumore secco di vetri che si infrangevano. L’acqua schizzò e per un istante vidi la scena a rallentatore, mille goccioline brillavano nell’aria, schegge di vetro si spargevano ovunque sul pavimento.
I miei pugni si sciolsero, avevo le mani che tremavano leggermente. Per un solo breve istante mi sentii meglio, più libera. Avevo appena distrutto un bicchiere con la forza dello sguardo!
Dentro di me sentii l’eccitazione, la forza del potere che avvertivo scorrermi nelle vene e una scarica di adrenalina mi percosse lungo tutto il corpo. Fu breve, ma mi fece sentire piena, viva.
Poi tutto scomparve e capii che quello che era appena accaduto, ciò che avevo fatto, non era per niente normale, come non lo era il fatto che riuscissi a fare un incantesimo in grado di accendere il fuoco, e un altro con la capacità di svegliare un morto vivente, e cavolo, avevo capito il linguaggio di un licantropo e ancora mi capitava di sentire nella mia testa la voce di una persona.
Mi avevano detto di essere la prescelta, ma io non volevo esserlo.
C’era solo un modo per mettere fine a tutto quello. Scappare. Ancora.
Scattai in piedi e scesi dal letto ignorando il fastidioso, lieve bruciore alla spalla, mi catapultai al bagno, sciacquai il viso e sistemai velocemente i lunghi capelli castani, infilai lo stesso vestito color panna e beige dal tessuto leggero che avevo messo qualche giorno prima, tornai in stanza, presi il borsone e ci ficcai dentro la mia roba mettendolo poi in spalla. Mi diressi verso la scrivania e aprii ogni cassetto; mi resi conto di aver perlustrato ogni stanza, ma non avevo mai aperto gli armadi o i cassetti della mia camera.
Trovai la maggior parte dei cassetti vuoti e polverosi, ma uno di quelli nascondeva qualcosa, l’avevo capito quando, dopo aver poggiato la mano sul fondo, un rumore secco mi fece arrestare. Qualche secondo dopo aprii quello che doveva essere un doppio fondo e i miei occhi furono catturati dallo scintillio di un pugnale d’argento, simile a quello del mio sogno, ma non lo stesso. Aveva l’elsa lavorata da strani ed intricati ghirigori, era freddo al tatto e non molto grande, meno di due palmi di mano. Lo strinsi tra le dita ed un brivido corse lungo la mia schiena; lo infilai nello stivale destro, mi poteva servire, ormai quel posto costituiva solo un pericolo per me, non ero mai al sicuro, né dentro, né fuori, mi serviva qualcosa che mi desse un po’ di fiducia in me stessa, e di sicurezza. 
Mi bloccai davanti alla porta chiusa e, inspiegabilmente, mi portai una mano sul petto per stringere il ciondolo d’argento, come se potesse infondermi sicurezza. Presi un respiro profondo e aprii la porta cautamente, senza fare rumore, con il cuore a mille e la paura di incontrare Justin in corridoio. Non mi avrebbe mai lasciata andare, forse avrebbe tentato di uccidermi di nuovo. Un brivido mi attraversò il corpo.  
Una volta fuori dalla camera mi ritrovai nel lungo corridoio, un lieve bagliore filtrava dalle tende tirate, segno che fuori, forse, c’era qualche traccia di sole. Raggiunsi le scale e le scesi, stando attenta a dove mettevo i piedi. Una volta arrivata al piano di sotto mi ritrovai nella sala da pranzo, era enorme. La attraversi di corsa respirando a stento ed entrai in soggiorno, vidi il grande portone e focalizzai il mio obbiettivo. Marciai a grandi passi, ma d’un tratto un brivido freddo mi corse lungo la schiena facendomi immobilizzare. Chiusi gli occhi per un istante e avvertii ancora quella presenza oscura. Era lì, in quella stanza.
-Correvi via con la coda tra le gambe, mocciosetta?- pronunciò Justin in tono viscido. Il cuore mi si fermò nel petto e, deglutendo, mi voltai. Lo vidi sul divano, seduto scomposto con una coscia accavallata, indossava solo un paio di jeans scuri, nient’altro. Era a torso nudo. Il mio sguardo non poté non cadere sui suoi pettorali scolpiti per poi spostarsi sui muscoli delle braccia ben definiti ma non troppo grossi. Sentii le mani cominciare a sudare e il cuore perdere un battito. Infine notai che sul fianco sinistro c’erano dei segni di buchi incisi nella carne, sangue scuro sgorgava fuori dalla ferita. Un morso. Il licantropo, era stato lui.
Non seppi capire se quello che provai fosse dispiacere o soddisfazione.
Quella ferita aveva un brutto aspetto, la pelle intorno ad ogni singolo buco era rossa e pareva come bruciata, si sarebbe staccata.
Nonostante quello schifo che gli ricopriva il fianco, sul viso di Justin c’era fastidio e una punta di disgusto, e fissava me. Mi resi conto che mi aveva appena chiamata mocciosetta, avrei voluto ribattere ma non mi uscì una parola.
-Mi spiace piccola ingenua, ma resterai qui- sibilò. Aveva la fronte sudata e gli occhi neri, spenti e vuoti. I capelli leggermente umidi e il resto del corpo velato di sudore.
Parve annusare l’aria e poi sorrise leggermente mostrando i canini affilati. –Cosa sei? Zero positivo?- si leccò le labbra. Sussultai leggermente. Il mio silenzio fece intendere che era giusto. Ero zero positivo. –Mmm… il mio preferito- sembrò godere di quella certezza e le sue ciglia sfarfallarono per eccitazione. –Lo sento scorrere veloce nelle tue vene, salato e frizzante. Lo sento pulsare ad ogni battito del tuo fragile cuoricino, e mi sta chiamando- la sua voce era bassa e ruvida, mi mise i brividi. –Ho intenzione di rispondergli sai?- tornò a fissarmi con espressione neutra. –Sfortunatamente per te, devi darmi il tuo sangue, farmelo succhiare fino a quando non sparirà questa schifezza- indicò con un cenno del capo il morso diventato di un rosso scuro. –Sarà piacevole…- cominciò – soprattutto per me- finì con un sorrisetto malvagio stampato in viso. –Ora a te la scelta, piccola, fastidiosa ragazzina. O mi dai il tuo sangue con le buone- pronunciò in tono calmo –o ti saltò al collo e ti buco una vena con le cattive- terminò con voce buia e minacciosa. Serrai le labbra per non urlare. Non poteva, no, io… io non l’avrei fatto. Scacciai la paura per quanto mi fosse possibile e presi un respiro profondo.
-Mi sa che dovrai cercarti una altra sacca di sangue ambulante- dissi stringendo i pugni e costringendo la mia voce a non tremare.   
-È così che mi ringrazi per averti medicato?- sorrise sfacciatamente puntando il suo sguardo sul mio braccio. Poi la sua espressione ritornò dura.–Mi serve il tuo sangue e tu me lo darai o verrò a prenderlo personalmente, solo che non potrò garantirti che sopravvivrai- concluse con espressione assetata e furiosa.  Tremai violentemente, il mio cuore pulsava paura, la mia anima si cibava soltanto di terrore ormai.
I miei piedi fecero tutto da soli, quasi non mi resi conto di star correndo verso l’imponente porta. Non riuscivo né a deglutire, né a prendere fiato. L’avrei fatto solo quando fossi stata certa di essere al sicuro, veramente al sicuro. Le mie mani afferrarono il grande anello in ottone e tirarono. Il portone emise un leggero scricchiolio, simile ad un lamento e un timido raggio di sole, insieme ad una folata di vento freddo, mi investirono. Poi tutto scomparve con un rumore sordo. E la porta tornò chiusa.
Una mano dalle dita lunghe e affusolate era poggiata sul legno scuro e vecchio della porta per tenerla chiusa. Mi voltai di scatto e mi ritrovai davanti il viso pallido e malato di Justin. Ricacciai giù un grido ed indietreggiai di un passo.
-Non dovevi farlo- sibilò –Non posso credere che tu sia una Gordon- si avvicinò –Sei un completo disastro, una sciocca ragazzina che pensa solo a salvarsi la pelle, che ha paura anche della sua stessa ombra, tu disonori il tuo cognome!- sbraitò, gli occhi si fecero rossi, le sue parole taglienti mi arrivarono come uno schiaffo e sentii gli occhi pizzicarmi. –Metterò fine alla tua vita, ci puoi giurare- sputò e vidi lo scintillio dei canini bianchi e affilati appena spuntati pronti a succhiarmi tutto il sangue che avevo in corpo.
Istintivamente alzai la gamba ed afferrai il pugnale che avevo nascosto nello stivale, non pensai a nulla tranne al fatto che dovevo tentare di difendermi, e così glielo infilzai nello stomaco. Sentii il leggero scricchiolio delle costole e il sangue, scuro e viscido, cominciò a sgorgare dalla ferita. Nei suoi occhi c’era stupore e il suo viso si contrasse come il resto del corpo, lo vidi piegarsi in due trattenendo i gemiti di dolore. Era così debole, non lo avevo mai visto in quello stato, dovevo approfittarne. Tirai via il pugnale con tutta la forza che avevo ignorando le imprecazioni di Justin, ed aprii il portone stringendo forte la lama tra le mie mani.
Non mi voltai neanche una volta, corsi senza sosta. Avrei voluto dirgli: Adesso ti sembro una Gordon?; oppure: È questo che farebbe una Gordon, assassino?. Era stato più forte di me, lui aveva ucciso una ragazza, una ragazza che forse era la mia antenata. Meritava di morire.
Superai il grande cancello di ferro arrugginito e fu all’ora che mi decisi a voltarmi. Nulla, nessuna traccia di Justin. Non mi sentii molto sollevata dato che avevo perso la borsa nel castello per poter pugnalare il vampiro ed ora con me avevo solo quel piccolo pugnale imbevuto di sangue quasi nero. L’ultima volta che avevo tentato di fuggire non era andata molto bene, ma dovevo tentare ancora, ci doveva pur essere un modo, una via d’uscita per andarmene di lì?!
Non mi pentivo di quello che avevo fatto, sapevo di non averlo colpito a morte, o almeno ci speravo, l’idea di averlo sulla coscienza non mi piaceva molto, però mi ero rifiutata di aiutarlo e forse sarebbe morto dato che non aveva bevuto il mio sangue, ma, se io glielo avessi permesso, allora quella morta sarei stata io. E poi io lo avevo già salvato una volta, l’avevo risvegliato e lui come mi ripagava? Trattandomi come il pranzo e infierendo nei miei sentimenti! Avevo già fatto troppo per lui, non gli dovevo nulla.
Il sole freddo tipico dell’inverno era alto nel cielo, l’aria era quasi gelida e un enorme ammasso di nuvoloni grigi marciava lentamente coprendo a poco a poco l’azzurro del cielo. Cominciavo a credere che in quello strano luogo il tempo fosse sempre così: vento fresco e qualche raggio di sole al mattino presto e per il resto del giorno nuvole su nuvole e pioggia, con l’aggiunta della neve, eppure eravamo in estate no? O forse lì l’aria era perennemente così, senza alcun cambiamento a seconda delle stagioni?
Pensare alle condizioni climatiche era un modo per distrarmi dal vero problema: dove stavo andando? Cosa mi sarebbe successo? Chi o cosa avrei incontrato?
A Londra se uscivo di casa a malapena mi chiedevo se era necessario portare o no l’ombrello, mentre lì, nel bel mezzo di quel luogo sconosciuto la mia unica e grande domanda era se sarei morta. Un bel cambiamento.
Attenta a non cadere come l’ultima volta corsi attraverso il bosco evitando di ferirmi con i rami appuntiti degli alberi; stringevo fra le dita il manico d’argento del pugnale, non avrei esitato ad usarlo se qualcuno avrebbe tentato di ostacolarmi.
Le gambe cominciavano a farsi pesanti e le forze mi stavano abbandonando, non vedevo cibo da oltre un giorno, avevo fame ma poco importava, tornata a Londra mi sarei abbuffata di ogni genere di schifezza a mia disposizione, ora però dovevo restare lucida e non fermarmi, anche se pensandoci probabilmente era da oltre un’ora che correvo ininterrottamente e l’idea di star girando in tondo mi metteva ansia, quel posto ce l’aveva un uscita no?! Io ci ero entrata e quindi potevo uscirne, ma qual’era la strada giusta da percorrere?
D’un tratto vidi uno spiraglio di luce e un barlume di speranza mi riempì lo sguardo, il cuore accelerò come anche le mie gambe e finalmente uscii fuori di lì buttandomi letteralmente in ginocchio. Con ancora il capo basso tentavo di riprendere aria, le gambe formicolavano e il sudore mi brillava sulla fronte. Cosa avrei dato per un bicchiere d’acqua!
Alzai lo sguardo, ma ciò che vidi non era per niente quello che mi aspettavo di vedere. Davanti a me non c’era il sentiero dove qualche giorno prima ero stata scaricata da quel taxista, ma una radura punteggiata di zone verdi e marroni con al centro un grande lago, l’acqua cristallina catturò la mia attenzione e l’idea di poter finalmente rinfrescarmi riuscì a cancellare in parte la delusione.     
Mi rimisi in piedi a fatica e attraversai lo spazio di terra che mi separava da quello che poteva essere un miraggio. Mi inginocchiai sul bordo del lago e aspettai di vedere l’immagine dell’acqua azzurra sparire, ma non fu così. Mi sentii sollevata, non ero ancora impazzita completamente e avevo la possibilità di bere quell’acqua così luminosa e limpida da sembrare quasi un sogno, non avevo mai visto un lago così bello, e l’acqua pareva che mi stesse chiamando, quasi mi sfidasse a berla, guardare quel liquido azzurro era come ascoltare il canto delle sirene, e come quest’ultime quell’acqua per me rappresentava una tentazione. Non persi tempo a riflettere sul perché mi sentivo così tanto affascinata da quel lago e unii le mani a formare una coppa sporgendomi poi per riempirle d’acqua. Il contatto con quel liquido mi rinfrescò le mani e mi mandò una scarica lungo tutto il corpo. Chinai il capo per poter bere, ma la sensazione di non essere sola mi invase.
-Se fossi in te non berrei quell’acqua, a meno che tu non stia tentando il suicidio- sussultai lasciando cadere l’acqua e armandomi del mio pugnale. Mi voltai di scatto e alzai lo sguardo brandendo la mia arma. Non riuscii a rimettermi in  piedi, ero come immobilizzata e dal basso la figura alta e scura del ragazzo-licantropo sembrava più ombrosa e imponente che mai. Era a pochi metri di distanza da me e il cuore già mi batteva forte nel petto.
-Stammi lontano- dissi tentando di non balbettare e allungando il braccio facendo intendere che se non avesse fatto quello che avevo detto, avrei usato quel pugnale contro di lui.
-Prego- cominciò ironico –Ma no, non ringraziarmi troppo, infondo ti ho soltanto salvato la vita innumerevoli volte- fece spallucce. Lo vidi muovere un passo verso di me e mi agitai.
-Non avvicinarti- gli intimai tenendo gli occhi spalancai per l’ansia aspettandomi che mi colpisse da un momento all’altro.
-Quando riuscirai a convincere te stessa di non volermi accanto, allora me ne andrò- mi fissò, gli occhi scuri non lasciavano trapelare alcun tipo di emozione, ma sulle sue labbra si era dipinto un sorrisetto compiaciuto nel vedermi trasalire a quelle parole –Fino a quel momento credo che mi toccherà continuare a fare il tizio che salva la vita alla giovane donzella che, guarda caso, è costantemente in pericolo- terminò.
-Quindi tu saresti un eroe?- allentai la presa sul manico del pugnale.
-E perché non un supercattivo?- scrollò le spalle –Dopotutto sei tu quella che mi sta puntando un pugnale contro- la sua voce roca mi rimbombò nella testa e capii che non ero in pericolo, non veramente, non con lui. Abbassai lo sguardo e con esso anche l’arma poggiandola in grembo.
-Be’, non è da tutte le giovani donzelle in pericolo impugnare un’arma- alzai le sopracciglia senza però guardarlo.
-Quello lo chiami impugnare? Oh andiamo, sembravi un bambino alle prese con la sua prima vera forchetta!- puntualizzò con voce leggermente divertita. Lo sentii sedersi proprio di fronte a me.
-Perché non posso bere quest’acqua?- chiesi alzando titubante lo sguardo e portandolo sul lago.
-Moriresti-
-Perché?- 
-Perché quello è veleno, non acqua- rispose in tono neutro.
-Veleno?- ero confusa, quella era acqua, o almeno era uguale ad essa.
-Non un veleno qualsiasi, ma veleno di fata- precisò.
-Cosa?- strabuzzai gli occhi. Mi prendeva in giro?
-È il veleno più potente esistente. Ti uccide piano dandoti una sofferenza maggiore. La sua bellezza è ingannevole, tentatrice e quando lo bevi il suo sapore è tanto buono da portarti a ingerirne ancora, e più ne bevi peggio è. Comincerai a star male, sentirai freddo poi caldo, perderai le forze, avrai la sensazione che nella tua testa ci sia il fuoco, vivo e bollente, crederai di star annegando in quel veleno che avidamente stavi bevendo e tenterai di ricacciarlo fuori, ma la sola cosa che uscirà dalla tua gola sarà sangue. Ed è qui che arriva la parte peggiore, le allucinazioni. Vedrai i tuoi ricordi più belli diventare il tuo incubo peggiore e le cose che più temi realizzarsi. Nell’istante prima di morire ti sarà rivelata una piccola parte della più orribile delle verità regalandoti una fine dolorosa e sconvolgente- raccontò in tono assorto, come se stesse vedendo ognuna delle cose che mi aveva elencato. Un brivido mi percosse la schiena, che storia terribile.
-Ma… ma come è possibile?- domandai con voce tremante.
-Le fate sono creature bellissime e incantevoli quanto subdole e maligne. Loro hanno sempre un secondo fine, il loro potere è grande e insidioso. Mai abbassare la guardia con loro-
-Tu hai mai incontrato una… una fata?- era strano pronunciare quelle parole come era strano credere che non solo le fate esistevano, ma che erano anche delle creature crudeli.
-Sì, ma è stato molto tempo fa. Ero molto diverso da come sono adesso- spiegò in tono leggermente malinconico.
-Diverso in che senso?- domandai.
-Diverso nel senso di diverso. Diverso e basta- era chiaro che non volesse approfondire l’argomento ed io non l’avrei fatto. –Forse un giorno potrai capire- mormorò. Cosa intendeva dire? In ogni caso cambiai discorso.
-Anch’io sono diversa?-
-Diversa?- fece lui e una smorfia di confusione gli si dipinse in volto. Stavo per chiedergli se fossi diversa da Ester e se lei fosse la mia antenata, ma non potevo farlo.
-Diversa dalle altre ragazze- dissi quasi in un sussurro.
-Dici?- disse ironico –Sai, sei la prescelta più lenta della storia!- esclamò annuendo.
-Perché? Ce ne sono state altre?- chiesi d’un fiato.
-No- scrollò le spalle –Ma se ci fossero state, tu le avresti battute tutte-
-Perché?- chiesi.
-Biscottino, potresti essere più specifica? Sai non leggo ancora nel pensiero, ma mi manca poco per arrivare al capitolo Leggere abilmente la mente delle persone del mio manuale Come diventare un eroe professionista-
-Perché proprio io? Perché devo essere io la prescelta?- avevo il sospetto di sapere già la risposta, io ero la discendente di quella ragazza nello specchio e tutto portava a lei, quel tizio biondo ne conservava perfino il corpo.
-Vuoi farmi credere di non saperlo già?- mi incalzò. Per qualche strana ragione non volevo dirgli di aver parlato con la mia antenata, né avevo intenzione di raccontargli delle mie “visioni”.
-Almeno dimmi cosa diamine vuol dire essere la prescelta?!-
-Dipende, essere la prescelta può voler dire diverse cose- pronunciò.
-Dimmene una-
-Essere la prescelta comporta degli sforzi e del tempo, tempo che tu utilizzerai per capire chi e cosa sei veramente- rispose vago.
-E cosa sono, veramente?- lo vidi riflettere un attimo, la sua espressione non lasciava trapelare alcun tipo di emozione, poi tirò un sospiro e parlò.
-Sei una Figlia di Lilith- rivelò. Non potei nascondere l’espressione più che confusa che mi si dipinse in viso.
-Eh?- mi sporsi col capo leggermente più avanti, forse avevo capito male. Figlia di chi? Roteò gli occhi al cielo leggermente seccato.
-Sei una Figlia di Lilith, una strega-
-Mia madre si chiama Melissa, non Lilith e…- mi bloccò.
-Sei davvero la persona più ottusa che io abbia mai conosciuto!- sbottò –Tutti gli stregoni e le streghe hanno in parte sangue del demone Lilith ed è per questo che prendono il nome di Figli di Lilith- spiegò con tono impaziente.
-Demone?- chiesi stranita. Il ragazzo-licantropo sbuffò e si portò una mano alla fronte.
-Di tutto quello che ho detto tu hai sentito solo la parola demone?!-
-Fammi capire- ignorai il suo commento –Mi stai dicendo che io sono una Figlia di Lilith, che non è mia madre ma un demone, ed io ho il suo sangue dentro di me, il che mi rende una strega…- feci una pausa –Bella storia, ma non mi pare il momento di scherzare-
-Ti sembro uno che ha l’aria di voler scherzare?- si indicò.
-In effetti no, ma andiamo! Io, una strega? Non penso proprio-
-Tu non pensi e basta, perché se l’avessi fatto avresti capito che non è da tutti accendere il fuoco e risvegliare un vampiro pronunciando due parole. O vuoi dirmi che nel tuo mondo invece di sezionare le rane resuscitate i morti viventi?!- il suo viso era contratto in un’espressione dura e ironica e le tenui luci del tardo pomeriggio creavano giochi di ombre sotto ai suoi occhi e sugli zigomi.
-No, ma…- non sapevo proprio come ribattere, ma non volevo credere di essere quello che diceva che fossi. –Okay, mettiamo che io sia una strega…-
-Tu sei una strega- affermò.
-Sono una strega- sbuffai –che cavolo c’entra con l’essere la prescelta?-
-Sei la discendente di una delle più potenti streghe mai esistite e non sai praticamente nulla sulla magia-
-E tu come fai a dirlo?- ribattei.
-Se avessi avuto almeno un quarto delle capacità e dell’astuzia della tua antenata avresti potuto risparmiarti di pugnalare il vampiro e metterlo fuori gioco con un semplice cenno del capo-
-Tu come sai che l’ho pugnalato?- domandai stranita.
-Hai il pugnale sporco e non è difficile intuire a chi possa appartenere quel sangue- fissò prima la mia arma poi me –Davvero non vuoi dargli il tuo sangue, vuoi davvero lasciarlo morire?- sibilò quasi in tono di sfida.
-Se morirà non sarà per colpa mia, tu lo hai morso e per quel che ne so il morso di un licantropo uccide i vampiri-
-Già, un vero peccato- disse ironico –Ma non sono io quello che può salvarlo-
-Ma non ci hai pensato su due volte quando lo hai morso- esordii, era strano, ma non provavo più molta paura.
-No, e lo rifarei ancora, e ancora, e ancora…- fece roteare l’indice con un sorrisetto bastardo stampato in viso. –Tu invece? Lo salveresti ancora?-
Non risposi, restai in silenzio. Non sapevo cosa rispondere, non avevo la risposta per quella domanda.
-Be’, credo che il tuo silenzio dica molto- intuì con tono pieno di un misto di amarezza e sollievo, due emozioni più che contrastanti.
-Cosa vuoi che faccia eh? Dovrei tornare in quel castello e dimenticare che ha tentato di uccidermi per ben due volte? E poi cosa accadrà? Gli darò il mio sangue e magari per miracolo sopravvivrò, ma la mia vita sarebbe breve comunque dato che appena guarito il suo unico pensiero sarà quello di dissanguarmi, sai vorrei ricordarti che l’ho pugnalato!- sbottai, era improbabile che tornassi in quel posto.
-Credimi, non ti ucciderà- disse, ma nella sua voce c’era qualcosa che mi fece pensare che quella non era proprio la verità.
-Quindi mi stai consigliando di andare a morire, fantastico- affermai in tono pungente.
-Arrivando qui, in questo posto, sei venuta a morire!- alzò la voce –Non c’è via d’uscita, pasticcino. Ti conviene adattarti, questa ora è casa tua-
-Non darò il mio sangue a quel tipo- voltai il capo a guardare l’acqua che si scuriva sotto le ombre causate dalle nuvole e quando riportai il mio sguardo davanti a me, lui non c’era. Era sparito, come se non fosse mai stato lì.
Poi fui investita da una folata di vento e un sibilo al mio orecchio mi fece sussultare.
-Sicura?-
E poi più nulla, se n’era andato, ormai non avvertivo nemmeno la sua presenza.
 
 
Era il tramonto ed io, forse per principio, o forse per pietà, stavo tornando al castello di Justin. Non mi andava di lasciarlo morire, se non avessi saputo che per aiutarlo a vivere sarebbe servito il mio sangue forse abbandonarlo al suo destino sarebbe stato più semplice, ma io sapevo. Sapevo che potevo salvarlo dalla morte e, anche se lui non era stato particolarmente gentile nei miei confronti, anzi aveva dimostrato di detestarmi e di volere la mia morte, il senso di colpa e la consapevolezza di aver contribuito alla morte di una persona, se così si poteva definire, mi divoravano e, conoscendomi, mi sarei pentita e rimproverata per tutta la vita.
Dopo averci rimuginato su per svariati minuti avevo deciso di tornare, ed ora eccomi ancora una volta davanti ai cancelli aperti del castello che per giorni era stato la mia prigione. Un brontolio alla pancia seguito da un bruciore di stomaco mi fecero intuire che mi serviva cibo.
Scacciai dalla mia mente l’immagine di un bel piatto di pasta e di un enorme fetta di carne con patate, e mi incamminai verso il grande portone. Toccare quel legno freddo e umido mi dava i brividi e ancora più pauroso era il terribile cigolio stridulo della porta, mi dava l’aria di essere in uno di quei castelli dei film dell’orrore. Be’, forse io c’ero davvero in un film horror.
Entrai e la stanza principale, ampia e deserta, era illuminata dai flebili bagliori di un paio di lampade accese. In sala da pranzo non c’era anima viva, o morta, e l’enorme salone che mi aveva sempre ricordato una sala da ballo, di quelle usate per i ricevimenti, come anche la cucina e la libreria, erano vuote, nessuna traccia di Justin. Forse era uscito, forse stava già meglio.
Ripetei quella frase nella mia mente svariate volte finché non me ne convinsi. Poi però pensai che potesse trovarsi al piano di sopra, presi un respiro profondo e salii i tanti scalini di legno liscio ricoperto dal tessuto pesante di un tappeto rosso scuro. Arrivata nel lungo corridoio l’ambiente sembrava lo stesso di qualche ora prima, i quadri rappresentanti le vecchie battaglie, le battute di caccia, le cerimonie, erano tutti appesi ai muri. I dipinti di donne dall’aspetto regale e gli uomini seduti su poltrone enormi ed eleganti erano ancora lì. Le poche lampade accese conferivano a quel luogo un qualcosa di tetro e misterioso che mi mise i brividi. Mossi qualche passo aspettandomi di vedere Justin materializzarsi davanti a me, ma non accadde. La casa era immersa nel silenzio più oscuro e insidioso. Non sopportavo più la sensazione di sentirmi costantemente in pericolo, avevo bisogno di parlare con qualcuno, di sputare fuori tutto ciò che avevo scoperto e di sentirmi dire che era solo un brutto sogno, che nulla era vero.
Qualche istante dopo mi ritrovai a scendere gli scalini rotti e stretti delle segrete. Dovevo vederla, volevo parlarle.
Mentre raggiungevo la stanza dello specchio milioni di sibili tetri mi riempirono la mente.
Bentornata Maya. Non aver paura Maya.
Se continuavano a sussurrarmi nella testa così, allora sì che avrei avuto paura. Come potevano dirmi di non provare paura se la mia vita non era più la stessa, se tutto ciò che mi circondava non era più normale ma sovrannaturale.
Entrai a grandi passi nella stanza che stavo cercando e mi fermai nell’esatto centro, proprio davanti allo specchio che, stranamente, aveva un’aria del tutto normale, pareva uno specchio come un altro. Strano, di solito lei sentendomi arrivare si faceva trovare già lì.
Un piccolo barlume di speranza mi invase; e se fosse stato davvero tutto un sogno? Forse quello dello specchio era il primo segno del fatto che mi ero immaginata tutto.
Ormai però non mi illudevo più, così non ci sperai tanto.
-Ester?- quel nome mi era uscito fuori senza che me ne rendessi conto. Trattenni il fiato e aspettai. Lo specchio divenne nero e un vento impetuoso si alzò nella stanza, i miei capelli svolazzavano liberi davanti al mio viso e, disperse nell’aria, milioni di vocine sussurravano: Ester. Maya. Erano talmente tante che quasi non distinguevo cosa stessero dicendo.
Poi ecco lei. Ester.
-Maya- disse neutra in segno di saluto.
-Allora… allora eri tu. Eri sempre tu. Loro… loro parlavano di te… di me… Il licantropo…-
-Peter- mi informò.
-Lui ha parlato di… di una scelta e… e poi il tuo corpo nel castello… nel castello di quel pazzo…-
-Jace- mi riprese in tono leggermente irritato –Si chiama Jace, Jace Griffiths-
-Justin- dissi in tono quasi sconvolto –Lui… lui ti ha uccisa… io l’ho visto. Lui… l-lui ti ha pugnalata e… tu sei… sei…- un rumore improvviso arrestò il mio continuo balbettio e il mio cuore si fermò per un istante.
L’attimo dopo stavo correndo su per la scalinata a chiocciola e poi fuori dal passaggio, chiudendomelo alle mie spalle. Sentivo la sua presenza, lui era lì, Justin era vicino.
Correvo e non ne capivo il motivo, semplicemente non riuscivo a fermarmi.
Senza neanche bussare entrai in una stanza, una delle poche in cui non ero mai entrata. Appena varcai la soglia mi ritrovai davanti una camera molto ampia e ben arredata, era nello stesso stile del resto del castello, ma con un tocco di eleganza in più che mi affascinava. Il letto era enorme e a baldacchino ed era contornato da tende beige e rivestito da lenzuola dello stesso colore.
 
 
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Al centro, tra un mucchietto di cuscini, la figura sanguinante e priva di sensi di Justin era a dir poco impressionante.
Corsi al suo fianco e da quella piccola distanza potevo vedere la sua pelle ricoperta di sudore, il morso sul fianco era peggiorato, la carne era di un rosso-violaceo e la cute in quel punto era inesistente, come se si fosse bruciata. La ferita che io stessa gli avevo provocato non si era del tutto rimarginata e il suo addome era ricoperto di chiazze di sangue scuro e secco.
In quello stato appariva quasi vulnerabile, debole e… mi fece pena. Sapevo che stava per morire o che almeno mancava poco. Dovevo decidermi in fretta.
Non mi resi neanche conto di star correndo in camera mia. Appena entrata mi fiondai sulla sedia dove quella mattina avevo visto delle bende, le stesse che lui aveva usato per medicarmi, l’unica buona azione che aveva fatto per me. Le afferrai ed uscii per tornare nella sua stanza; corsi lungo tutto il corridoio in penombra, svoltai a sinistra e camminai a passo svelto in un altro corridoio, la sesta stanza era la sua.
Trattenni il fiato per non sentire l’odore metallico del sangue e mi feci coraggio. Delicatamente ricoprii con le bende lo stomaco e la pancia del ragazzo passando le fasce anche sotto, sulla schiena. Era pesante e difficile da sollevare, ma inspiegabilmente non mi sforzai molto.
Una volta terminato il lavoro lui non sembrò migliorare, era sempre lì, immobile. Speravo si potesse evitare, ma a quanto pareva non era così.
Recuperai un bicchiere rovesciato dal comodino accanto al letto e lo odorai, puzzava di alcool. Per terra, infatti, c’era una bottiglia vuota di whisky che ancora gocciolava. Scossi il capo e sul mio viso si dipinse un’espressione di disgusto, non amavo l’alcool, più che altro non lo reggevo.
Mi riscossi dai miei pensieri e tornai a ciò che stavo facendo. Afferrai il pugnale che avevo fatto scivolare nello stivale, ovviamente ripulito da tutto quel sangue, presi un respiro profondo e aprii la mano destra dove mi ero ferita accarezzando la corteccia di una quercia la notte del mio arrivo. Con sguardo incredulo notai che non si era ancora rimarginata completamente, era una cosa insolita.
Mi liberai anche di quella distrazione e strinsi l’elsa del pugnale nella mano destra sollevandola sulla mano sinistra. Tentai di far smettere di tremare la mano che teneva l’arma ed inspirai ancora.
Con fermezza abbassai la lama sul palmo sinistro e con la punta gelida tracciai una linea obliqua proprio al centro della mia mano. Strinsi i denti e smisi di respirare quando vidi fuoriuscire il sangue, vivo, caldo, viscido e scuro. Portai la mano sul bicchiere e feci colare il liquido rosso al suo interno ignorando il bruciore sotto la pelle. Strinsi un pugno per far fuoriuscire il sangue più velocemente e finalmente riuscii a riempire mezzo bicchiere. Poteva bastare.
Fasciai velocemente la mano, poi mi abbassai su di lui e tenendogli leggermente aperta la bocca con una mano e con l’altra ci versavo dentro il sangue a poco a poco.
Una volta che ebbi finto posai il bicchiere sul comodino e mi voltai a guardarlo. Respirava a stento, era immobile, e per un attimo mi tornarono alla mente i giorni in cui pensavo che lui fosse morto. Non ero riuscita a non salvarlo e così anche adesso, ovviamente non volevo che morisse. Ma lui? Lui cosa voleva?
Mi sedetti sul bordo del letto e lo fissai, notai le profonde occhiaie sparire, il sudore asciugarsi e i capelli riacquistare la luminosità che sempre mi aveva affascinata, stava già migliorando.
Avevo paura, paura di restare lì, sapevo che a momenti si sarebbe svegliato ed io non gli sarei sfuggita ancora. Mi avrebbe uccisa? O magari mi avrebbe lasciato vivere per saldare il debito nei miei confronti?
I minuti passavano e lui restava ancora privo di sensi, il sole era scomparso da tempo, ormai fuori era buio pesto e le tenui luci giallo ocra che illuminavano la grande stanza creavano giochi di ombre sul suo viso, sul suo addome, sulla clavicola e non potei fare a meno di pensare che fosse bellissimo. Non riuscivo a negare di sentirmi attratta da lui, dopotutto era un vampiro, il loro fascino raramente lasciava indifferenti le persone.
Con lui c’era stata una certa attrazione, da parte mia, fin da subito, amavo i suoi tratti delicati e allo stesso tempo spigolosi, il suo corpo robusto e snello, le sue mani grandi, il suo naso a punta…
Mi resi conto di essermi accostata al suo corpo e che con un dito stavo tracciando il profilo del suo viso pallido come una cera. Non potevo smettere di fissarlo e quando il tocco leggero del mio indice sfiorò le sue labbra rosee e carnose deglutii forte.
Abbassai il mio volto sul suo lentamente e sentii il suo profumo dolce e frizzante invadermi la mente.
Il mio respiro si unì al suo, i nostri nasi si sfiorarono e chiusi gli occhi poggiando le mie labbra sulle sue. 
 

 
Ma ciao!
Okay, chi odia Alena alzi la mano *alzalamano*
Perdonatemi, lo so, sono incredibilmente in ritardo, quasi un mese! Avevo il capitolo in testa (ho tutta la storia in testa) ma l’inizio della scuola mi ha portato via molto tempo…
Spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo, allora… come vi è parso? Terribile, illeggibile, carino, da far cagare…?!? Be’ almeno si è scoperto il nome del ragazzo-lupo ahahah;)
Cosa ve ne pare dei personaggi? Di Justin e di Peter? E di Maya e Ester?
Mi raccomando, non date mai niente per scontato, in questo capitolo ci sono molte frasi con doppi sensi…
Che ve ne pare della conclusione di questo capitolo?
Chi è il vostro personaggio “preferito’’? E quello che vi incuriosisce di più? Chi non vi piace?
Be’, dopo tutte queste domande, vi lascio in pace e corro a dare cibo al mio povero stomaco, cioè, io a mezzogiorno ho mangiato solo un piatto di pasta, la salsiccia, i pomodori, un po’ di pane e la frutta! Che vergogna! Ahahah okay sclero:))
Grazie come sempre a tutti quelli che leggono e recensiscono l’ff, vi lovvo(?) e un grazie anche a chi la mette tra le preferite/ricordate/seguite, e ovviamente ai lettori silenziosi<3
Vi saluto con un grosso abbraccio e recensiteee:D
Baci
Alena18 xxx


 
Ester


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Capitolo 14
*** Capitolo tredici: Stregoneria. ***


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                                                             “La vera speranza, la promessa di un futuro buio”
 
 


    Il mio respiro si unì al suo, i nostri nasi si sfiorarono e chiusi gli occhi poggiando le mie labbra sulle sue. 
Un brivido mi percosse la schiena, la vicinanza al suo corpo freddo era pochissima, non potevo fare a meno di pensare a quanto fosse bello e a quanto mi attraesse. Ma non avvertii esattamente le farfalle allo stomaco come invece mi ero immaginata, così, lentamente, staccai le mie labbra dalle sue, morbide e fredde, e misi fine a quel bacio casto e muto.
Riaprii gli occhi quando ancora i nostri nasi si sfioravano, poi non capii più nulla. Fu come se la camera girasse così in fretta quasi da non farmene rendere conto.
L’istante dopo ero con la testa schiacciata sui cuscini e il corpo completamente disteso sul letto. Sbattei le palpebre per tentare di fermare quel vorticare di immagini e sentii un peso sul mio corpo. Poi i miei occhi incontrarono quelli marrone scuro, quasi neri, di Justin e il cuore mi si fermò nel petto. Un sorrisetto sghembo gli si formò sul viso pallido e bellissimo mentre mi fissava compiaciuto, soddisfatto, trionfante.
-Guarda un po’ chi abbiamo qui- sibilò ad una distanza pericolosamente minima dal mio viso –Zero positivo- sfiorò il mio naso col suo –Ti sono mancato?- fece aderire il suo corpo al mio e sentii il respiro mozzarsi. Con una mano bloccava le mie sulla mia testa, mentre l’altra stringeva il mio fianco sinistro. Ma non avrebbe fatto alcuna differenza, non sarei riuscita a scappare comunque. Io avevo scelto di salvarlo, io ne pagavo le conseguenze.
Deglutii e non risposi alla sua domanda –Hai un odore così buono- commentò socchiudendo le palpebre e abbassandosi per annusare il mio collo. Sentii le sue labbra sfiorare la mia spalla e piano salivano fino ad arrivare alla base del collo. Da lì prese a baciarmi la pelle, ma nel suo gesto non c’era nulla che ricordava la delicatezza o l’intimità. Era così rude che pareva volermi divorare; non baciava, mordeva, non annusava, leccava, non toccava, graffiava. Ed io subivo in silenzio. Non avevo la forza di muovermi, di spingerlo via, una parte di me era eccitata, ma l’altra mi urlava di toglierlo dal mio corpo e correre  via. Non sapevo spiegare come mi sentivo, ma non bene, non provavo il piacere che avevo immaginato di sentire. Forse perché  sapevo che lui non voleva  davvero ciò che stava facendo, o al massimo lo faceva per divertimento.
Quando sentii la sua mano stringere forte il mio fianco facendolo strusciare contro il suo violentemente e la sua bocca succhiare un punto debole nell’incavo del mio collo, quasi non riuscii a trattenere un gemito di piacere e disgusto al tempo stesso. Chiusi gli occhi e morsi il labbro inferiore tanto forte da farlo sanguinare, era troppo per me, le mie mani gridavano di voler toccare il suo corpo e accarezzare il suo viso, il mio cuore urlava per paura di fermarsi definitivamente.
Sentii i capelli del vampiro solleticarmi il viso, odoravano di vaniglia e di morte. Rabbrividii quando avvertii il corpo di lui irrigidirsi e i suoi baci sul mio collo cessare; era arrivata la mia ora.
Tenevo ancora gli occhi chiusi quando sentii un respiro freddo sul mio viso. Piano alzai le palpebre e mi ritrovai il volto di Justin a pochi centimetri dal mio, i suoi occhi fissi sulla mia bocca.
Solo all’ora mi resi conto del calore liquido sul mio labbro inferiore; avvertii in bocca il sapore metallico del mio stesso sangue e il mio cuore prese a martellarmi nelle orecchie.
La vista del sangue fece scurire lo sguardo del vampiro che schiuse le labbra avvicinandole alle mie. Cosa aveva intenzione di fare? Baciarmi? Leccare via il sangue?
Non l’avrei mai scoperto, perché in quel preciso istante le finestre si spalancarono e il vento freddo riempì la camera. Poi un ululato mi arrivò alle orecchie e fu come sentire la voce di Peter, il ragazzo-licantropo. Era lui, ne ero certa. Se possibile il mio cuore cominciò a palpitare ancora più forte e insistente, come se stesse tentando di uscire fuori dal petto.
Justin digrignò i denti, il suo sguardo buio era furioso.
Appena l’ululato cessò il vampiro diede un forte pugno al muro sopra la mia testa dove poi si formarono delle crepe.
-Bastardo di un cane- sibilò a denti stretti. Mi infastidì e allo stesso tempo impaurì quella sua reazione, quel suo commento. Pensai che si sarebbe sfogato su di me, probabilmente concentrandosi sul mio sangue. Quell’idea mi fece trattenere il respiro.
-J-Justin…- balbettai richiamandolo, volevo tentare di calmarlo, ma chi avrebbe calmato me?
-Sta zitta- sputò puntandomi un dito contro, sotto ai suoi occhi comparvero milioni di capillari neri e i canini luccicavano contro le sue labbra rosse –Esci da questa stanza!- urlò adirato levandosi dal mio corpo, io però restai ferma, immobile, come paralizzata, avevo paura che il minimo movimento potesse turbarlo –Fuori di qui!- ringhiò, quasi non riconoscevo più la sua voce. Scattai in piedi correndo via e rischiando di inciampare nelle lenzuola.
Non mi fermai nemmeno quando fui fuori da quella camera, continuavo a correre con gli occhi che mi pizzicavano e la paura alle stelle. Poi raggiunsi la porta che stavo cercando e la aprii con violenza, una volta dentro la chiusi a chiave e, solo all’ora, mi concessi di respirare. Avevo il fiato corto e le gambe pesanti, ero sfinita.
Cosa gli era preso? Perché Peter gli faceva quell’effetto? Perché si odiavano?
Mi resi conto che non c’era stata una sola volta, a parte quando dormiva, in cui Justin non mi avesse fatto paura, da quando aveva aperto gli occhi era come vivere in un vero incubo con sangue, morte e mistero. Era lunatico, ma più che altro era cattivo, malvagio, forse qualche minuto prima in camera avevo creduto di essermi fatta un’idea sbagliata di lui, che forse avrebbe meritato una possibilità, ma appena le finestre si erano spalancate e l’ululato del lupo aveva fatto il suo ingresso nella situazione allora quel briciolo di umanità, di sentimento, qualsiasi esso fosse, era scomparso, dissolto nel nulla, e il gelo lo aveva pietrificato di nuovo.
Tentai di concentrarmi sul silenzio che avvolgeva il castello, ero attenta a captare ogni piccolo rumore, ma niente. Se Justin era uscito allora era stato davvero silenzioso.
Non riuscivo a capire se avessi avuto più paura di restare sola in quel posto, di nuovo, o se passare una notte sotto lo stesso tetto di un vampiro. In entrambe le opzioni un brivido di terrore mi percosse la schiena. Improvvisamente mi sentii scoperta e osservata, come quando ero nel bosco, subito dopo l’episodio della vipera. Lì fuori, da qualche parte, c’era Peter.
Scacciai il pensiero di lui trasformato in lupo che mi azzannava squartandomi e mi infilai sotto le coperte spegnendo le luci. Il mio orologio segnava le ventitre e quindici, era ora di dormire.
Anche sotto le pesanti lenzuola di un colore rosso scuro mi sentivo esposta, così feci quello che avevo sempre fatto da bambina, tirai le coperte fin sopra la testa e chiusi gli occhi quasi a costringerli a non aprirsi. Strofinai i piedi contro il materasso per riscaldarli dato che erano ghiacciati e strinsi le mani a pugno sotto al cuscino. Dormi, mi ripetevo, dormi!
Mi girai e rigirai nel letto un milione di volte, sbuffavo e respiravo affannosamente, avevo la sensazione che qualcuno stesse per sbucare dal buio pronto ad uccidermi. Se avessi continuato così avrei perso la testa, dovevo solo imparare a conviverci dato che ormai pareva essere diventata quella la mia vita; probabilmente avrei avuto vita breve, sarei morta di colpo per un infarto e… addio mondo. Preferivo quel genere di morte al tipo sbranata da un licantropo, o dissanguata da un vampiro.
Passarono ore, era ormai notte fonda e il silenzio regnava, quando d’un tratto un rumore sordo mi fece scattare a sedere. Strinsi l’orlo delle coperte tra le mani e trattenni il fiato. La finestra era spalancata. Le tende bianche e rosse si gonfiavano e sgonfiavano ricordandomi degli spettri e facendomi rabbrividire, fuori il vento soffiava, forte e freddo, riempiendo di gelo la stanza. Poi, sul davanzale della finestra, dove un secondo prima non c’era nulla, ecco Peter illuminato solo in parte dalla flebile e argentea luce lunare.
Sussultai e lui si voltò a guardarmi con un sorrisetto sghembo stampato in faccia.
-Ti ho svegliata, biscottino?- domandò retorico. Prima di rispondere mi assicurai di prendere un respiro profondo.
-Cosa… cosa ci fai tu qui?- tentai di non balbettare.
-Sono felice di vederti anch’io pasticcino- alzò un sopracciglio mettendo su un sorriso finto. Aspettai che il mio cuore si calmasse, non dovevo avere paura di lui, lui non mi avrebbe uccisa, ma cosa ci faceva di notte in camera mia?
-Non dovresti essere qui, se Justin ti vede, lui…-
-Lui cosa? Neanche appartiene a lui questo castello- pronunciò con una punta di cattiveria nella voce.
-Sono convinta che lui la pensa diversamente- affermai riuscendo a parlare senza far tremare la voce.
-Sai quanto conta per me quello che pensa quel bastardo?- si avvicinò al letto a grandi passi per poi abbassarsi leggermente verso di me. –Niente- sibilò incatenando il suo sguardo al mio, un luccichio di rabbia gli colorava le iridi scure e per un istante rimasi ferma a fissarle.
-Dovrebbe importarti invece. Se scopre che sei stato qui ti ucciderà- ribattei facendo volare lo sguardo per la stanza come per accertarmi che fossimo soli. Lo vidi sorridere beffardo.
-Mi stai dicendo questo perché ti preoccupi per me, o perché sai che nessuno in questo posto a parte me ti vuole viva?-
-Credo che anche tu voglia la mia morte- risposi deglutendo, nelle sue parole c’era un fondo di verità, ma qualcosa mi diceva che lui non era tanto contento della mia presenza, solo che… con lui era sempre tutto così confuso, non sapevo cosa aspettarmi.
-Cosa te lo fa pensare?- chiese neutro ancora in piedi davanti al mio letto.
-Perché sei venuto?-domandai a mia volta.
-Credi che io sia qui per ucciderti?- sul suo viso mi sembrò di cogliere sorpresa, ma anche soddisfazione.
-E per quale altro motivo saresti entrato nella mia camera dalla finestra in piena notte?-
Si avvicinò sibilando a denti stretti. -Se avessi voluto ucciderti l’avrei fatto la notte del tuo arrivo, o magari in un’altra delle tante notti che hai passato da sola in questo castello- poi sorrise cinicamente –Ucciderti sarebbe troppo facile e insoddisfacente, non è proprio nel mio stile-
-Cosa ci fai qui?- ripetei ferma tentando di reggere il suo sguardo. Lo vidi indietreggiare, poi si voltò e camminò verso il davanzale della finestra. Quando tornò a guardarmi stringeva tra le mani dei vestiti e li sfoggiava mentre alzava un sopracciglio.
-Quelli sono miei!- mi alzai e frettolosamente scesi dal letto raggiungendo il moro e levandogli i miei abiti dalle mani. Peter infilò una mano nella tasca posteriore dei pantaloni scuri e stretti e ne tirò fuori qualcosa. Poi sul suo volto si allargò un sorriso malizioso.
-Sexy queste mutandine di pizzo- affermò facendo roteare le mie mutandine nere su un indice. Gliele strappai di mano e lui rise.
-Questi non sono gli unici vestiti che avevo portato con me- dissi tentando di nascondere il rossore che mi macchiava le guance –Dove sono gli altri?-
-Poche pretese, bocconcino- roteò gli occhi al cielo.
-Dove sono i miei vestiti?- ripetei fissandolo diritto in faccia.
-Sei irritante, e non ti conviene farmi arrabbiare- disse minaccioso. Improvvisamente mi tornò in mente quello che lui era realmente e quasi sussultai.
-Voglio solo sapere dov’è il resto della mia roba- pronunciai con un filo di voce.
-Ho distrutto tutto quella notte stessa. Non ero particolarmente entusiasta del tuo arrivo- spiegò duro.
-Cosa?- sussurrai retorica.
-Smettila di lagnarti!- sbottò aspro –Non ti sarebbero serviti comunque quei vestiti-
-Cosa vuoi dire? Certo che mi servivano, come…-
-No, non ti servivano- mi interruppe –Ti spiego una cosa, tesoro. Il tizio che hai appena salvato ha già pronto tutto un guardaroba per te- si avvicinò –Qui non siamo a Londra. Qui si vive all’antica dolcezza- sibilò a pochi centimetri dal mio viso.
-E cosa dovrei indossare?- domandai deglutendo per la vicinanza dei nostri volti.
Sorrise sfacciatamente. –Non hai mai guardato in quell’armadio?- indicò con un cenno del capo il grande mobile alla nostra sinistra.
Scossi il capo. –No- risposi.
-Be’, fallo adesso- si allontanò ed io potei voltarmi e raggiungere l’armadio. Un po’ restia aprii le ante di legno scuro e quello che vidi mi affascinò. Decine di vestiti riempivano ogni scomparto di quell’enorme mobile; c’erano abiti di tutti i tipi, formali ed informali, semplici ed eleganti, ognuno aveva un colore diverso e tutti erano adatti alla mia carnagione leggermente ambrata. E sembravano anche della mia taglia!
Feci scorrere le dita sui tessuti lisci e setosi, ero come incantata, mi avevano sempre affascinata gli abiti dal corsetto stretto e la gonna larga dalla vita in giù. E c’erano anche scarpe di ogni genere, molte erano sfarzose e alte, ma altrettante erano basse e dall’aria comoda.  I costumi delle altre epoche li avevo sempre adorati, indossare quegli abiti era una specie di sogno per me. Notai anche alcuni cassetti, ma non ebbi il tempo di aprirli dato che la voce di Peter mi risvegliò dal mio sogno ad occhi aperti.
-Sono appartenuti alla tua antenata- spiegò senza badare troppo a quello che le sue parole potevano significare per me. Mi bloccai all’istante e sentii il sangue raggelarsi nelle vene.
-C-cosa?- domandai sperando di aver capito male.
-Questa era la stanza della tua antenata, Ester. È rimasto tutto come lo aveva lasciato lei- continuò. Ritrassi di scatto la mano e d’improvviso mi sembrò di invadere l’intimità di un’altra persona, di entrare in una vita che non era la mia.
-Io… io non posso- balbettai indietreggiando.
-Non puoi fare cosa?- chiese lui confuso.
-Non posso mettere questi vestiti, né restare in questa camera- mi voltai a guardarlo e inspiegabilmente sentii le lacrime agli occhi.
-Per l’amor del cielo, ora cos’è che non va?- sbuffò.
-Io- dissi –Non sono fatta per una vita come questa, una vita dove sono costretta a fare ed essere ciò che mi dicono altre persone, una vita che non sento mia, perché non lo è! Io non sono così, non sono una strega. Non sono come te!- continuavo a scuotere la testa per scacciare via l’idea di me bloccata per sempre in quel posto con la paura di morire che mi faceva da ombra.
-Se tieni alla tua incolumità resterai- pronunciò con sguardo severo –Tu lo sai che non puoi andartene, lui ti ucciderà se solo provi a fuggire ancora- sibilò, il suo sembrava un avvertimento ed aveva ragione. Stavo per ribattere quando presi a tossire forte, sentivo un pizzicore fastidioso alla gola e quasi mi lacrimavano gli occhi. Non riuscivo a smettere di tossire.
-Hai bisogno d’acqua- intuì Peter senza smettere di fissarmi. Solo all’ora mi resi conto della sete opprimente che mi faceva bruciare la gola e andare a fuoco gli occhi.
D’improvviso mi ricordai del bicchiere che avevo visto sul comodino quella mattina e senza pensarci su due volte corsi verso il mobiletto, ma non c’era traccia d’acqua. L’istante dopo rammentai con angoscia che l’avevo distrutto, e la scheggia di vetro che sentivo conficcarsi nella pelle del tallone ne era la conferma.
-Maledizione- mormorai alzando il piede e togliendo con cautela la piccola scheggia dalla carne. Qualche goccia di sangue sporcò il pavimento e una leggera fitta al tallone mi fece stringere i denti, ma quello non era niente in confronto alla sete che persisteva.
Tornai a fissare il comodino sperando che il bicchiere tornasse lì, che fosse ancora intero, ma niente.
-Non scenderò giù- dissi –Non ho intenzione di imbattermi in Justin- terminai il mio pensiero ad alta voce. Incontrare il vampiro era l’ultima delle cose che avrei voluto fare.
D’un tratto sentii sulla mia schiena un leggero calore e il petto di Peter mi sfiorò. Abbassò la testa fino a portarla all’altezza della mia, sentivo la sua bocca vicina al mio orecchio e i suoi capelli corvini solleticarmi la guancia. Fui percossa da un brivido e, anche se non potevo vederlo in faccia, sapevo che lui stava sogghignando.
-Concentrati dolcezza- mi irrigidii di colpo quando le sue mani si poggiarono sulle mie spalle, il suo tocco era leggero e fresco –Chiudi gli occhi- suggerì in un sussurro. Un po’ titubante abbassai le palpebre –Ora focalizza il bicchiere. Immagina che si ricomponga, ogni scheggia che torna al suo posto. Lo vedi?-
-Sì, lo vedo- davanti alle mie palpebre chiuse c’era un pavimento pieno di vetri che si univano a formare un bicchiere.
-Bene. E ora pensa all’acqua, pensa ad ogni goccia che riempiva quel bicchiere, pensa alla freschezza e alla purezza dell’acqua. Pensa a come potrebbe dissetarti- continuava a sussurrare le stesse parole al mio orecchio –Immagina che sia di nuovo integro e dove l’avevi lasciato, proprio sul comodino- lo vedevo, lo sentivo e il pensiero dell’acqua che correva giù, lungo la mia gola era insopportabile, ne avevo bisogno, troppo bisogno.
-Aquam- mormorai quasi senza rendermene conto. Era come se la stessi invocando, continuavo a ripetere la stessa parola, poi d’un tratto avvertii qualcosa dentro di me che mi portò a smettere. Così lentamente aprii gli occhi e quello che vidi fu il bicchiere mezzo pieno che avevo distrutto quella mattina. Mi fiondai su di esso e bevvi tutto in due sorsate frenetiche. Quando finalmente mi sentii meglio mi resi conto di ciò che avevo fatto, ancora. Possibile che io, Maya Gordon, la secchiona della classe, fossi una strega?
Mi voltai lentamente con quella domanda che mi rimbombava nella mente e portai lo sguardo davanti a me. Vidi il petto di Peter alzarsi e abbassarsi velocemente sotto la maglietta nera leggerissima seppur fuori tirava un vento capace di farmi volare, la pelle ambrata del suo collo, i muscoli delle braccia lasciati scoperti, poi qualcosa catturò la mia attenzione. Sul suo braccio destro una cicatrice bianca, lunga e netta, era in completo contrasto con la sua carnagione bronzea. Aveva l’aria dolorosa, mi ricordava la mia ferita, probabilmente se l’era procurata durante lo scontro con Justin.
Improvvisamente compresi che lui era l’unica persona che mi aveva dato delle spiegazioni, che mi aveva parlato veramente, senza farmi sentire costantemente in pericolo di morte. Lui, in un modo tutto suo, mi aveva aiutata e dovevo riconoscerglielo.
-Ehm…- mi morsi il labbro in imbarazzo mentre tentavo di trovare le parole giuste. Alzai lo sguardo e vidi sul suo viso l’accenno di un sorriso, non un ghigno, ma un sorriso e le parole mi uscirono senza che me ne accorgessi –Grazie, Peter- accennai anch’io ad un sorriso, ma lui di colpo si irrigidì e dal suo volto scomparve quella piccola traccia di fierezza e gentilezza. Tornò duro, serrò i pugni e mi voltò le spalle. Cosa gli prendeva? Avevo detto o fatto qualcosa di sbagliato?
Vederlo andare via mi fece deglutire forte e inspiegabilmente mi ritrovai a desiderare che restasse. Ma non mi mossi, non gli andai incontro, non dissi nulla, restai semplicemente immobile non sapendo cosa fare.
Con un balzo salì sul davanzale della finestra e quando lo vidi piegarsi pronto a saltare il cuore mi si fermò.
-Aspetta!- esclamai di botto. C’era qualcosa che volevo ancora chiedergli. Lui non si voltò, ma si limitò a voltare di lato la testa così che io potessi vedere solo il suo profilo leggermente illuminato dalla luce bianca-argentea della luna; il capelli erano scompigliati dal vento, lo sguardo perso a fissare la finestra, l’espressione neutra. –Prima, alla finestra di Justin, eri… eri tu?- chiesi con un filo di voce ricordando il rumore sordo delle imposte che sbattevano e l’aria fredda che entrava veloce. Lui non rispose, semplicemente accennò ad uno dei suoi soliti mezzi sorrisi sghembi.
Poi si voltò e saltò giù, nel buio.
 
 
Mi svegliai con la stanchezza che ancora mi era appiccicata addosso, l’assenza di luce nella stanza non aiutava molto, dalle imposte non filtrava neanche un raggio di sole. Un’altra giornata nuvolosa.
Mi strofinai gli occhi tanto forte da farmi male, ma volevo ancora sperare, per un’ultima volta, che quello fosse un sogno. La delusione non mi colse di sorpresa, ormai quasi più nulla poteva farlo.
Con un vuoto nel petto mi alzai lentamente dal letto e quando i miei piedi nudi vennero a contatto con il pavimento freddo rabbrividii.
Legai i capelli con un elastico preso dalla borsa che per fortuna ero riuscita a ritrovare e mi diressi in bagno. Sospirai di sollievo quando mi ricordai che era solo per me, un bagno privato dove non bisognava uscire per raggiungerlo. Così potevo evitare di incontrare Justin.
Guardai il mio riflesso allo specchio, avevo dei segni violacei sotto gli occhi e le guance scavate, avrei quasi detto di aver perso più di due chili. Il pensiero del cibo mi fece brontolare forte lo stomaco e mi tenni stretta al lavandino per non cadere, avevo un po’ di nausea. Poi la mia mano toccò le mie labbra e ricordai quella specie di bacio della sera precedente. Le sue labbra erano morbide e fredde, bellissime, ma non avevo provato nulla, a parte una forte attrazione fisica. Non avrei mai potuto sentire qualcos’altro per un mostro come lui. Qualcosa mi diceva che lui non aveva sentimenti, che dovevo stargli alla larga, ma come facevo se ci vivevo insieme? Non potevo scappare, ormai avevo capito che sfuggire a Justin era praticamente una missione irrealizzabile e potenzialmente suicida. Mi toccava subire in silenzio, ma cosa voleva realmente da me?
Scossi la testa per scacciare tutte quelle domande e mi sciacquai il viso. L’acqua fredda mi diede sollievo e finalmente mi sentii sveglia. Su di me sentivo ancora l’odore di muschio che caratterizzava Peter, mi piaceva, mi faceva sentire libera, ma dovevo sbarazzarmene altrimenti Justin se ne sarebbe accorto. Così decisi di fare un bagno veloce. Riempii la vasca d’acqua tiepida e mi ci infilai dentro, mi sentii sollevata, era come se l’acqua mantenesse uniti tutti i pezzi di me, che mi stavo frantumando lentamente. Strofinai il sapone su tutto il corpo e ripulii per bene ogni ciocca di capelli.
Una volta asciutta infilai le mutandine nere che Peter mi aveva portato la sera precedente e un secondo reggiseno che avevo in borsa. Misi l’intimo sporco nel lavandino pieno d’acqua calda e sapone lasciandolo in ammollo.
Tornai in stanza e lanciai un’occhiata al paio di jeans e alla felpa che il lupo mi aveva restituito la sera prima. Il tizio che hai appena salvato ha già pronto tutto un guardaroba per te, aveva detto Peter, Qui non siamo a Londra. Qui si vive all’antica dolcezza.
Mi incamminai a grandi passi verso l’enorme armadio e respirando profondamente aprii le ante. Il mondo di costumi antichi mi si parò davanti e mi mozzò il fiato. La voglia di indossare uno di quegli abiti era allettante, ma mi sembrava di entrare definitivamente in una vita non mia…
Basta, mi dissi tra me e me. Potevo fare ciò che volevo e vivere la mia vita, prenderla come sarebbe venuta e accettarla, o almeno provare a farlo.
Passai in rassegna ogni abito, uno più bello dell’altro, ma alla fine scelsi un vestito semplice rosso scuro, con il corpetto stretto e la gonna che arrivava a sfiorare terra. Non era pomposo né elegante, semplice e leggero. Indossai i miei stivaletti così da poterci infilare dentro il pugnale e sistemai i capelli raccogliendo solo qualche ciocca e lasciando ricadere le altre mosse sulle spalle.
Forse stavo impazzendo, ma mi sentivo più a mio agio di quanto avessi potuto immaginare. Poi una domanda mi riempì la mente.
E adesso? Cosa succede ora?
Volevo tornare da Ester, magari parlare con lei mi avrebbe fatto bene, ma se non avesse gradito che indossassi i suoi vestiti?
Qualsiasi cosa volessi fare avrei prima dovuto accertarmi che Justin non fosse nel castello.
Lisciai il vestito di seta rosso e respirai a fondo. La collana d’argento spiccava sul mio petto nudo, quasi la sentivo bruciarmi la pelle.
Finalmente mi decisi ed uscii. Camminai lentamente e silenziosamente lungo il corridoio infinito e ombroso, svoltai l’angolo e il mio cuore accelerò, ma appena vidi che non c’era nessuno sospirai di sollievo. Qualche minuto dopo stavo scendendo le scale per arrivare in un altro corridoio che si divideva in due strade; scelsi quella che portava alla sala da pranzo e appena entrai oltre la lunga tavola come sempre ben apparecchiata, c’era Justin. Era poggiato distrattamente contro il muro, le braccia conserte e mi guardava dall’alto in basso con un’espressione dura in viso.
Il cuore mi si fermò per un istante, poi prese a tamburellare freneticamente contro il petto.
-B-buongiorno- balbettai con un filo di voce, ero leggermente in imbarazzo per quello che era accaduto la sera precedente, ma soprattutto ero intimorita e spaventata, e credevo proprio che lui l’avesse capito.
-Mangia- si limitò a dire in tono freddo, quasi fosse un ordine, una cosa che gli dava altamente fastidio ma che doveva dire. Solo a quel punto mi resi conto che, in un piatto leggermente scheggiato, c’erano dei pezzi di carne. Mi venne l’acquolina in bocca e lo stomacò brontolò.
-Ho detto: mangia!- affermò con voce di un tono più alta e palesemente infastidita. Senza farmelo ripetere due volte raggiunsi la sedia e mi sedetti guardando attentamente il piatto. Mi resi conto che più che carne erano ossi. Due grossi pezzi di ossi ricoperti di carne non molto cotta; chissà di quale animale si trattava. Non mi importava poi molto, avevo fame, avrei mangiato qualsiasi cosa. Mi accorsi che c’erano delle posate riposte su un tovagliolo, ma probabilmente non era stato Justin a mettercele visto che ogni singolo posto aveva il suo bicchiere e la sua posata. Non badai molto ai particolari e afferrai coltello e forchetta. Era un po’ difficile tagliare la carne e l’impulso di prendere l’intero osso con le mani era forte, ma Justin mi osservava come un falco, ed era fastidiosamente imbarazzante.
-Siete così simili- lo sentii dire neutro, alzai lo sguardo e vidi stamparsi sul suo viso un sorrisetto cinico –Ma c’è un abisso di ingenuità e di ignoranza che ti separa da lei- sputò infine. Mi aveva quasi tolto l’appetito, ma volente o nolente dovevo mangiare, non avrei retto un’altra giornata senza cibo. Le parole di Justin mi infastidivano parecchio, mi trattava come una stupida, come se non valessi nulla, odiavo che mi paragonasse alla mia antenata, odiavo lui. Ma dovevo tenermelo per me.
-Muoviti! Dobbiamo uscire- sbottò all’improvviso. Avevo ripulito un osso e stavo per mangiare gli ultimi pezzetti di carne del secondo e quando sentii quel dobbiamo uscire quasi mi andò di traverso il boccone.
-Dove andiamo?- chiesi titubante ripulendomi la bocca e tentando di apparire disinvolta, cosa che non mi riuscì affatto bene.
-Lo vedrai- rispose semplicemente uscendo e recandosi in salotto. Lo raggiunsi e nel farlo mi resi conto che mi muovevo cauta, come se anche un minimo movimento più veloce, più brusco potesse far scattare i suoi canini sul mio collo.
Quando lo misi a fuoco era in piedi davanti al grande portone con una mantella nera in mano. Capii al volo che dovevo avvicinarmi e, senza guardarlo negli occhi, lo feci. L’istante dopo mi aveva già avvolta dentro quel tessuto scuro e pesante che stranamente mi fece sentire al sicuro, protetta.
Legò i lacci sotto al mio collo e poi alzò il cappuccio largo sulla mia testa. Sembrava mi stesse aggiustando i capelli, ma forse avevo solo visto male.
Un minuto dopo Justin era già fuori con me alle spalle che lo seguivo titubante. Ero felice di avere con me quella mantella, fuori faceva freddo ed erano appena le due del pomeriggio. Solo all’ora mi concessi di studiare il vampiro. Indossava pantaloni neri aderenti e camicia dello stesso colore. Sentii freddo io per lui, ma probabilmente Justin non avvertiva il gelo, al massimo un leggero venticello.
Camminammo per quelle che mi parvero ore e lui era palesemente stufo di tenere il mio passo mentre tentavo di non inciampare. Poi ecco che il fitto bosco, pieno di alberi dai rami taglienti e buche a non finire, lasciò spazio ad una distesa di erba. Quando alzai lo sguardo mi si mozzò il fiato.
Davanti a me, sospeso nel nulla su un pezzo di roccia, c’era il castello di Jace Griffiths. Sussultai al ricordo di quella notte e la scena di lui che mi osservava con i suoi occhi azzurri lampeggianti e la sua espressione curiosa, ma anche dura e determinata, mi fecero rabbrividire. Le mie gambe avrebbero voluto correre via, ma il mio cervello sapeva che non potevo permettermelo.
Quando raggiungemmo il bordo del precipizio che conduceva al nulla, se non alla morte, decisi di chiedere a Justin come avremmo fatto ad arrivare dall’altra parte che pareva lontana chilometri.
Nel momento esatto in cui aprii bocca sentii una forte presa sotto le mie gambe e la terra mi scomparve da sotto i piedi regalandomi così una sensazione di vuoto. Un sferzata di vento gelido mi fece mancare l’aria e una leggera fitta alla spalla che era stata ferita mi fece battere forte il cuore.
Accadde tutto in un secondo, forse meno, poi i miei piedi toccarono di nuovo terra ed io mi sentii vacillare, come se avessi le vertigini. Non avevo avuto neanche il tempo di poter realizzare cosa stesse accadendo, o di urlare.
Quando mi voltai vidi Justin che si sistemava la camicia leggermente spiegazzata. Ansimai per riprendere fiato, affascinata e al tempo stesso spaventata per ciò che aveva appena fatto.
Mi voltai e il punto in cui ero stata fino a due secondi prima era deserto, nulla lasciava pensare che lì ci fosse stato qualcuno.
Non ebbi il tempo di fare domande che lui disse: -Sbrigati-. Il suo tono sempre gelido, i suoi occhi duri, i suoi movimenti eleganti ma aggressivi, tutto quello doveva bastare a convincermi che dovevo stare lontana da lui, ma c’era questa forte attrazione fisica che mi attirava a lui come una calamita.
Scossi il capo liberandomi la mente da tutte quelle riflessioni e lo seguii quasi correndo per restargli dietro. Le porte si spalancarono silenziose dandoci libero accesso e, alla vista dell’enorme salotto, il ricordo di quella notte balenò davanti ai miei occhi.
In piedi davanti ad un tavolino, vestito completamente di nero e con un mantello sulle spalle uguale al mio, c’era Jace intento a sorseggiare quello che doveva essere un liquore.
-Benvenuti- esclamò alzando il bicchiere di vetro in contemporanea col suo chiaro sopracciglio. –Gradite?- indicò con un movimento veloce della mano la bottiglia di alcolico sul tavolino.
-Non siamo qui per bere. Prima cominciamo e prima metteremo fine a questa storia- rispose Justin ad un passo da me, il suo tono sempre vuoto. –È quello che vogliamo entrambi- concluse il vampiro con una nota di mistero nella voce. La situazione mi spaventava, loro due mi spaventavano. A cosa alludeva Justin? E perché sul volto di Jace era comparso un  ghigno maligno e tagliente?
-Allora, cominciamo- detto ciò si volto e attraversò a grandi passi il salone immenso e ombroso del castello, raggiunse una porta altrettanto massiccia e imponente, e quest’ultima si aprì senza che il ragazzo facesse nulla. Justin lo seguii lanciandomi un’occhiata fredda che diceva chiaramente “Muoviti!”. Sussultai, ma mi affrettai a raggiungerlo.
Una volta arrivati ciò che vidi mi fece probabilmente brillare gli occhi. Era una biblioteca enorme, una di quelle in cui mi sarei persa volentieri. Tentai di cogliere ogni singolo particolare di quella stanza, al castello del vampiro ce n’era una, ma molto più piccola, niente in confronto a ciò che stavo osservando adesso. File e file di mobili che arrivavano a sfiorare il soffitto a cupola, tutti colmi di libri di ogni colore e genere, libri che non avevo mai visto, libri che potevo solo immaginare esistessero. Mi sembrava di essere in La Bella e la Bestia, dove la protagonista si ritrovava davanti un mondo tutto nuovo e dove la Bestia sorrideva per averla resa felice.
Ma nel mio caso nessuno sorrideva, nessuno sembrava volermi rendere felice. Al centro della grande sala c’era una lunga tavola rotonda bandita dei più strani aggeggi, libri e fogli sparsi ovunque in un discreto ordine. Lì, Justin e Jace attendevano che io li affiancassi, ma cosa stava accadendo?
Un po’ titubante mi avvicinai mantenendo sempre una certa distanza.
Poi il ragazzo dagli occhi azzurri prese parola.
-Maya Gordon, tu sei una Figlia di Lilith, una strega, come me- cominciò quello che avevo appena scoperto essere uno stregone. Fui presa da una sensazione di sollievo per non essere la sola… strega e allo stesso tempo un brivido freddo corse lungo la mia schiena. –Sei la discendente di una delle più potenti streghe mai esistite, dentro di te c’è magia, tanta magia, ed io ti aiuterò a ritrovarla, ti aiuterò a ritrovare te stessa- la sua voce bassa voleva suonare rassicurante e amica, ma non fu così. Sebbene la preferissi a quella del tutto inespressiva di Justin, Jace non mi convinceva, c’era qualcosa in lui di minaccioso che mi rendeva inquieta.
-E perché lo faresti?- mi sentii dire in tono stranamente deciso, quasi non mi riconoscevo, e a quanto pareva anche quei due erano rimasti leggermente stupiti dalla mia domanda.
-Quella notte ti dissi che io ero la sua unica speranza, ed è così, ma sei tu la sua vera speranza- spiegò fissando i suoi occhi nei miei, sentii il mio cuore tamburellare forte al ricordo della mia antenata.
-Io?- sussurrai.
-Sei la prescelta ed in quanto tale hai un compito preciso, delle qualità che ti permettono di fare cose che nessun altro può fare- continuò lo stregone, dietro di lui non c’era una parete, ma una lunga vetrata che si apriva sul cielo coperto di nuvole, la sua sagoma sembrava incollata su uno sfondo vuoto –Tu puoi salvarla-
-Come si può salvare qualcuno che è morto?- domandai con un filo di voce, era illogico ciò che diceva Jace.
-Ci sono cose che non sai Maya e che probabilmente non saprai mai. Ma io posso assicurarti che tu sarai capace di riportare in vita la tua antenata- le sue parole suonavano sicure, nulla lasciava pensare che si stesse inventando tutto, che mi stesse prendendo in giro, perché riuscì a convincermi.
-Sarò?- chiesi aggrottando la fronte.
-Sì, sarai. Ora è troppo presto, tu non sai praticamente nulla della magia o di questo mondo, non sai più neanche chi sei veramente. Ed è per questo che sei qui- disse fermo e la sua sicurezza in qualche modo mi affascinava e mi portò a dire:
-Cosa devo fare?-
 
-Concentrati Maya, chiudi gli occhi e visualizza il libro che ti ho chiesto- eravamo nel cuore della biblioteca e quelle parole mi ricordarono inevitabilmente Peter con una fitta al cuore inspiegabile, anche lui mi aveva aiutata la notte precedente, anche lui aveva pronunciato quelle parole, ma perché mi mancava che fosse lui a dirle?
Scacciai meglio che potevo quei pensieri dalla mia testa e feci come mi era stato detto. Il libro di Astronomia, dovevo trovare quel libro. Lo immaginai con la copertina di un colore blu notte quasi nero a rappresentare lo spazio punteggiato di pianeti e stelle, costellazioni e buchi neri. La sua immagine si fece sempre più vivida nella mia mente e ora lo vedo con chiarezza. Lo vidi davanti  me, davanti ai miei occhi, e quando li aprii eccolo che fluttuava immobile tra lo spazio che divideva me e Jace. L’incantesimo era riuscito. Justin non disse nulla, non aveva quasi aperto bocca e la cosa un po’ mi faceva piacere dato che la sola sua presenza mi rendeva nervosa e agitata, sentirlo mentre mi rimproverava o mi minacciava non era proprio il massimo dell’incoraggiamento che mi serviva in quel momento.
-Bene- disse Jace e vidi l’ombra di un mezzo sorriso farsi spazio sul suo viso, era quasi impossibile riuscire a strappare un’emozione a quei due. Probabilmente lo stregone considerava quella magia inutile e semplicissima, ma era stato proprio lui a dirmi che dovevo cominciare dal principio ed incantesimi facili come quello segnavano il mio inizio.
Lo vidi mentre afferrava il libro e lo posava sul tavolo. –Ora spostalo con lo sguardo- non mi sentivo poi tanto agitata, avevo distrutto un bicchiere con la forza del pensiero, risvegliato un vampiro con un incantesimo e accesso il fuoco, Justin sapeva del fuoco e della magia per farlo tornare tra i vivi, ma non sapeva del bicchiere che avevo prima rotto e poi ricostruito ed io non glielo avrei detto, né a lui, né a Jace. Non mi fidavo di loro, non del tutto, soprattutto di Justin, credevo mi volesse usare, credevo che mi considerasse un giocattolino da poter maneggiare a proprio piacimento, credevo mi vedesse come una preda facile, una ragazza stupida e ingenua e parlagli di ciò che ero riuscita a fare da sola non mi sembrava una buona idea, lui non era niente per me, non era nessuno, io non sapevo chi era in realtà Justin, perché avrei dovuto raccontargli di me? Dirgli ogni singola cosa che mi capitava?
Avevo anche una domanda da fargli, dei dubbi che volevo chiarire, ma non potevo farlo in presenza di Jace, dovevo trovare il momento adatto.
Mi riscossi dai miei pensieri e mi concentrai sul libro. Spostarlo non fu difficile, pochi secondi e il blocco dalla copertina rigida si spostò a destra, poi a sinistra, e riuscii persino a sollevarlo di qualche centimetro, poi decisi di metterlo giù appena cominciai a sentirmi sotto sforzo.
-Guardarti sollevare libri è più noioso che essere rimasto pietrificato per quasi due secoli in una sotterranea puzzolente- mi trafisse con lo sguardo Justin –Passa oltre, Griffiths- quasi ordinò il vampiro.
-Seguitemi- disse l’altro rigido e leggermente infastidito da quell’interruzione.
Se non fossi stata tanto impaurita da Justin lo avrei mandato a quel paese, ma il suo viso d’angelo era il demone peggiore che caratterizzava i miei incubi.
 
Eravamo arrivati in quello che doveva essere il giardino, uno spazio enorme, una distesa di verde quasi del tutto spoglia. Jace si bloccò ed io feci lo stesso seguita da Justin. Avevo tolto il mantello e ora me ne pentivo, lì fuori faceva freddo. Non  capivo cosa ci facessimo lì, come poteva aiutarmi ad imparare a fare magia nel bel mezzo del niente?
-Ci siamo. Adesso un incantesimo un po’ più complicato. Dovrai far crescere una pianta, una qualsiasi, ma sta attenta- Far crescere una pianta? E come diavolo si faceva?
Probabilmente Jace capì cosa stavo pensano ed aggiunse: -Non preoccuparti, non è nulla di tanto difficile, ma serve concentrazione, molta concentrazione- aveva tentato di rassicurarmi ma non ci era riuscito molto bene, dalla sua bocca uscivano delle parole, ma il suo tono di voce non andava mai d’accordo con loro. –Ora inginocchiati- feci come mi era stato detto –Adesso infila le mani nella terra, devi sentirla, come se fosse parte di te e immagina una pianta- infilai le mani nel terriccio umido e freddo, poi chiusi gli occhi e respirai a fondo. Immaginai le rose rosse, i miei fiori preferiti, ammiravo la loro bellezza che mascherava quanto invece pericolose fossero, ero affascinata dal loro colore e in mezzo a quel giardino ci sarebbero state bene. Le immaginai in ogni singolo particolare, i petali soffici e rossi come il sangue, lo stelo lungo e verde. Le spine appuntite e taglienti… Quando aprii gli occhi però non c’era nulla, nessuna rosa. Ci riprovai.
Mi concentrai, ma sembrava più difficile del solito farlo, ed ancora una volta non era cresciuto niente. Tentai di nuovo, ma finivo solo con lo stancarmi inutilmente.
-Ma è possibile che tu non ti renda conto che sono nella tua mente?! Blocco ogni tuo tentativo e tu non te ne rendi neanche conto!- sbottò d’improvviso Jace, le guance leggermente arrossate. Quindi era lui che mi impediva di fare quell’incantesimo. Era arrabbiato, nervoso, teso e, come Justin, infastidito da me. Ora mi sentivo completamente inutile e stupida, una completa incapace. –Riprova! E questa volta tenta di combattermi invece di fare dietrofront- sibilò in tono duro. Ma cosa gli prendeva? Perché lì erano tutti così dannatamente lunatici? Così terribilmente aggressivi?
Decisi di fare come mi aveva detto, misi le mani nuovamente nella terra e rividi davanti alle mie palpebre chiuse le rose rosse, giovani, il bocciolo che si schiudeva, le foglie che si dividevano sui lati del gambo, le spine sottili e pungenti… nulla. Sentivo quel blocco, quella forza estranea dentro di me, ma per quanto la respingessi non riuscivo a mandarla via.
Ci provai ancora, e ancora, e ancora. Stringevo i denti, sentivo le ossa pensanti, come se fossi appena caduta da una rampa di scale, la testa mi girava, le orecchie fischiavano e poi avvertii un liquido caldo colare lento dal mio naso e raggiungere silenzioso le mie labbra, infine un sapore metallico mi riempì la bocca. Senza pensarci con il polso mi liberai di quel rivolo di sangue. Lo sforzo che stavo facendo era immenso e dannatamente pesante, ma non volevo cedere, non volevo ancora aprire gli occhi, potevo farcela, io potevo…
-Maledizione! Sei un’incapace!- urlò qualcuno poco distante  da me. Quelle parole mi costrinsero a sollevare le palpebre, il mondo vorticava davanti ai miei occhi, poi alzai lo sguardo e vidi tre Justin e diversi Jace in piedi di fronte a me. Sbattei ripetutamente le palpebre ed ecco che tutto tornò alla normalità. Il vampiro aveva un luccichio furioso nello sguardo e mi stava puntando un dito contro, era stato lui a darmi dell’incapace. –Sei una buona a nulla! Non riesci a respingere neanche un banale contro incantesimo. Sei una frana, non meriti di portare quel cognome, non meriteresti neanche di essere qui!- strillò lui adirato, mi sentivo piccola come una formica, mi sentivo inutile, mi sentivo umiliata, ma una strana sensazione mi stava crescendo nel petto e mi faceva bruciare le mani e battere forte il cuore. –Sono stufo di te, dei tuoi stupidi modi di fare da umana che non sei- strinsi i denti, stavo sentendo l’odio che ribolliva nelle mie vene -Della tua costante ed irritante paura di ogni singola cosa, della tua maledetta ingenuità- chiusi le mani sotterrate a pugni stringendo forte la terra -E soprattutto, sono stanco della tua completa inutilità!-
-Basta!- urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, serrando gli occhi e liberando il mio petto da quel peso irritante. Sentivo tutta la negatività che avevo accumulato disperdersi lungo tutto il mio corpo ed infine arrivare alle mani che bruciavano nella terra.
Due secondi dopo mi resi conto che quella stessa terra stava tremando sotto di me e mi decisi ad aprire gli occhi. Quello che vidi mi fece mozzare il fiato: enormi, neri e massicci aghi di legno appuntiti sbucavano dal sottosuolo salendo verso il cielo le cui nuvole grigie formavano una specie di vortice scuro, il vento soffiava forte e impetuoso intorno a me.
Rovi, quelle piante assassine erano rovi e stavano circondando Justin e Jace come se volessero risucchiarli, rinchiuderli.
I due parevano sorpresi almeno quanto me, ma non ci fu tempo per le domande o per qualsiasi altra cosa dato che quelle gigantesche spine sembrava stessero cercando in tutti i modi di infilzare il vampiro e lo stregone che furono costretti a difendersi balzando via, ma invano. I rovi non gli davano tregua ed io non volevo che lo facessero. Dovevo andarmene di lì e quello era il momento adatto per svignarmela.
Con gli occhi ancora sbarrati per lo stupore e il cuore in gola mi rimisi in piedi. Corsi via tentando di non inciampare nel vestito rosso sangue, i capelli volavano liberi nell’aria talvolta schiaffeggiandomi.
D’un tratto vidi il nulla e mi costrinsi a frenare. Un altro passo e sarei precipitata nel vuoto. E adesso? Cosa avrei fatto? Io non sapevo mica volare!
Alle mie spalle non c’era traccia dei due ragazzi e la cosa mi diede un po’ di sollievo, così presi un respiro profondo e pensai, pensai a cosa potevo fare, ci doveva pur essere un qualche incantesimo!
Mi scervellai, ma Justin aveva ragione, ero una buona a nulla, non sapevo niente di magia. Però sapevo abbastanza per poter dire che la parola chiave di ogni incantesimo era la concentrazione.
Okay, dovevo provarci.
Chiusi gli occhi e mi concentrai. Immaginai di volare, fluttuare libera nel cielo, l’aria fresca che mi scompigliava i capelli e il profumo della vita che mi circondava. Immaginai di essere una piuma, leggera ed elegante.
-Fuge- sussurrai senza neanche rendermene conto e quando aprii gli occhi i miei piedi non toccavano più terra, sotto di me il nulla. Persi un battito, soffrivo di vertigini e quella vista non era affatto delle migliori, così abbassai nuovamente le palpebre e mi abbandonai alla fantasia della mia immaginazione. Mi vidi mentre danzavo libera nell’aria, delicata e leggiadra, e con quanta raffinatezza poggiavo i piedi sulla soffice erba con la consapevolezza di essere arrivata a destinazione.
Sollevai le palpebre ed ero di nuovo sulla terra ferma. Mi voltai, il castello me l’ero ormai lasciato alle spalle. Sorrisi leggermente, ero fiera di me quel tanto che bastava da convincermi, o quasi, che le parole di Justin non avessero alcun significato.
E con quel sorrisetto sparii nel folto del bosco.
 
Avevo i piedi doloranti e il fiato corto, il vestito era sporco e leggermente strappato ai piedi, e talvolta ci inciampavo procurandomi tagli e lividi vari che ormai non mi davano più alcun dolore.
Era ormai il crepuscolo, il cielo di un colore grigio quasi nero faceva impressione e un velo di nebbia rendeva quella foresta ancor più agghiacciante.
Credevo di aver già visto quel percorso, ricordavo quell’albero più piccolo dei altri che sbucava proprio al centro dello stretto sentiero e solo quando fui fuori dal groviglio di rami e foglie mi resi conto di essere tornata alla radura.
Di notte aveva un aspetto diverso, più terrificante, un forte odore di erba e fango impregnava l’aria circostante e, più avanti, proprio nel bel mezzo dello spiazzo verde e marrone, c’era il lago, affascinante come lo ricordavo. Le sue acque erano di un blu così intenso e allo stesso tempo così diverso, la sua immobilità gli conferiva l’aria di uno specchio, solo più ombroso.
Era incredibile come, pur non avendo sete, quell’acqua costituiva un richiamo per me, avevo l’acquolina in bocca.
Ma quello spettacolo non mi aiutò a dimenticare ciò che era accaduto, ciò che stavo diventando, ciò che avrei dovuto fare.
Mi sedetti in riva al lago e affondai di nuovo le mani nella terra fredda sperando potesse aiutarmi a sfogare la rabbia, la paura, l’ansia. Con la mente ripercorsi la mia giornata, ricordando ogni incantesimo imparato, ogni parola magica, ma soprattutto ogni insulto. Justin era così diverso da come lo avevo immaginato la prima volta che l’ebbi visto in quelle segrete. Era l’opposto di come avevo creduto che fosse e faceva così male, faceva male stare con lui e avere la sensazione di non sapere chi avessi davanti, perché io vedevo un viso meraviglioso e un’anima orribile, dannata.
Strinsi i pugni nel terreno, poi d’un tratto qualcosa mi punse il dorso della mano e mi costrinsi ad aprire gli occhi.
La notte era ormai arrivata, ma non me ne curai molto dato che la mia attenzione fu subito catturata dalle piccole spine nere che stavano pian piano crescendo intorno alle mie mani.
Mi sentii forte, ma allo stesso tempo ebbi l’impressione di sprofondare nel mio vuoto personale. Ero consapevole di aver appena fatto un incantesimo, ma non era quello che volevo, non era la magia che desideravo fare. Io aspettavo ancora le rose rosse, ma sembrava che l’idea fantastica, esotica e perfetta che avevo di quei fiori non avesse nulla a che fare con quel posto tanto che quelle si rifiutavano di sbocciare. O magari ero solo io il problema, non potevo far crescere qualcosa di così bello in un luogo tanto terribile, era come se non avessi l’ispirazione. E la cosa, stranamente, mi agitava, mi infastidiva.
Improvvisamente i miei pensieri furono interrotti da un fruscio quasi impercettibile, un piccolo movimento che mi fece scattare lo sguardo diritto di fronte a me.
Avevo gli occhi spalancati e il cuore in gola, ero allerta, pronta a captare il prossimo spostamento, il prossimo rumore.
Davanti a me la distesa di acqua quasi nera era immobile. Poi, esattamente al centro del lago, vidi l’acqua vibrare e, lentamente, il volto vitreo e pallido di qualcuno, o qualcosa, salì in superficie.     
 
 
 
 
Buonsalve!!:)
Okay, il 100% di voi vorrà uccidermi, ma quando vi sarete munite di torce e forconi ricordatevi che, se mi farete fuori, non saprete mai come andrà a finire la storia:P
Ahahah, oookay, Alena è ufficialmente impazzita! Yeee!!
Seriamente, perdonate il mio ritardo di un mese, oddio, sono davvero IN RITARDOOO!!

Spero che il capitolo vi abbia soddisfatto, d’ora in poi saranno tutti abbastanza lunghi altrimenti poi la storia non va avanti…
Allora, come vi è parso questo capitolo? Brutto, orrendo, carino, leggibile, un mezza chiavica, una completa chiavica?!?
Voglio chiarire anche alcuni punti, quindi sgranate gli occhietti belli belli e leggete attentamente quello che ho da dirvi:
-NON date nulla per scontato, NULLA!
-NON focalizzatevi solo su un personaggio, qui nessuno è “Il Protagonista”, qui tutti hanno una storia precisa e un passato oscuro, anche se l’ff è su Justin questo non vuol dire che tutto debba girare intorno a lui, o che lui debba per forza essere il tipico ragazzo stronzo e aggressivo che poi diventa migliore grazie alla bella e dolce protagonista, NO! Se volete un’ff così, be’ allora questa non fa per voi, Justin è così come l’ho descritto fino ad adesso, egoista, cattivo, diabolico e perfido, praticamente un mostro, lo so, ma un po’ migliorerà, voglio solo farvi capire che non dovete pensare che lei debba per forza innamorarsi di lui o che lui debba a tutti i costi cambiare per amore, perché resterete deluse. È per questo che vi ripeto sempre di non dare nulla per scontato. 
Questa storia sarà concentrata sull’azione e il mistero, più che sul romanticismo, un po’ come nei libri di Cassandra Clare, lei è fantastica ed io non le faccio neanche le scarpe, ma una cosa, piccola cosa, l’abbiamo in comune, il fatto che l’amore non sia l’elemento caratterizzante della storia.

Perciò, fate finta di leggere un vero libro, dove Justin è un personaggio come Peter e come Jace, mentre l’unica vera protagonista è Maya;)
Vi assicuro che la sorpresa finale sarà sconvolgente ahahah, le storie di tutti loro verranno svelate, almeno in parte e Dio, forse vorrete uccidermi, forse no ahahah:D
Be’, ora mi dileguo e smetto di rompere!
Spero di essere stata chiara, ma per qualsiasi cosa ecco i miei account Facebook e Twitter:
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Fatemi sapere come vi è parso il cap. con una recensione, sono davvero curiosa di leggere ciò che avete da dire!:))
Grazie mille a chi ha recensito il cap. precedente e alle 90 persone che hanno messo l’ff tra le preferite, alle 13 che l’hanno inserita tra le ricordate e alle 87 che l’hanno messa tra le seguite!:) Grazie di cuore <3

A prestooo:)
Baci
Alena18 xxx

 

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordici: Sotto controllo. ***


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                                                             “Credeva avesse la situazione sotto controllo, ma non sapeva che non era affatto così”
 
 


Davanti a me la distesa di acqua quasi nera era immobile. Poi, esattamente al centro del lago, vidi l’acqua vibrare e, lentamente, il volto vitreo e pallido di qualcuno, o qualcosa, salì in superficie.
Era magnifica e terribile al tempo stesso e avanzava verso di me con parte del corpo ancora immersa nell’acqua. Era completamente bianca, diafana quanto una lastra di ghiaccio, non un tocco di colore la macchiava, nulla. Solo sulle gote e sulle spalle riuscivo ad intravedere cicatrici non del tutto rimarginate, molte ancora aperte di un colore violaceo dall’aria dolorosa, ma avrei quasi detto che le donavano.
Dentro la mia testa si fece spazio un sussurrò, una flebile melodia, dolce ed incantevole.
Mi senti, son qui.
Sto arrivando lì.
Non disperare che
io ti darò un perché.
La sua voce soave mi mise i brividi, ero incantata dalla sua canzone, dai suoi occhi chiarissimi, quasi bianchi, dai suoi capelli simili ad alghe. Ora potevo vederla meglio, il mezzo busto che adesso era fuori dall’acqua era nudo, solo due foglie le coprivano i seni. Lei avanzava verso di me, con la sua melodia che mi riempiva la mente.
Paura non avrai più
se con me verrai giù.
Resterò con te.
Vieni via con me.
Ormai la vedevo completamente, era lì, sospesa nell’aria di fronte a me, quasi pareva trasparente. Il suo corpo terminava in una coda di pesce e la sua mano, delicata e dalle lunghe unghia, era tesa verso di me, che nel frattempo mi ero rimessa in piedi. Doveva essere una sirena, era meravigliosa e capiva cosa sentivo, lei poteva darmi sicurezza, pace.
Dovevo solo andare giù, andare via con lei e non avrei avuto più paura.
Piano allungai la mia mano posandola delicatamente sulla sua, avevo il timore che potesse dissolversi, pareva così fragile, ma allo stesso tempo così sicura di sé.
Non ci sarà più magia
se con me verrai via.
Solo un istante sarà
e poi tutto finirà.
Camminavo nell’acqua fredda del lago rapita dalla sua voce, incantata dalle sue parole, con entrambe le mie mani unite alle sue. Sentivo il peso del vestito che galleggiava sulla superficie. Ero una macchia rossa in mezzo ad una pozza nera.
Paura non avrai più
se con me verrai giù.
Resterò con te.
Vieni via con me.
L’acqua mi arrivava appena sopra l’ombelico, ma non ne sentivo il freddo, era come se ci fossimo solo io e lei, ero pronta ad andare giù e seguirla. Era come un magnete, mi attirava, mi intrigava e non volevo andare via da lei, lei che mi stava offrendo una via di fuga, lei che…
-Va via!- tuonò una voce roca e furiosa, poi sentii una forte stretta sul mio braccio e qualcuno che mi tirava indietro. Il secondo dopo ecco la torreggiante figura di Peter che sembrava farmi da scudo. Cosa stava facendo? Io dovevo seguirla!
La sirena emise un verso tra il sibilo di un serpente e il ringhio di attacco di un gatto. Il lupo di tutta risposta le ringhiò contro costringendola ad allontanarsi. Qualche secondo dopo la sirena sparì tra le acque nere del lago.
Avevo trattenuto il fiato, ero confusa, sentivo gli arti deboli e pesanti. Poi Peter mi sollevò posando un braccio sotto le mie gambe e l’altro dietro la mia schiena. Restai immobile, l’espressione immutata, era come se avessi scollegato il cervello.
-Certo che sei davvero attratta dalla morte- cominciò il licantropo, ma quasi non lo sentii –Ed io che pensavo lo fossi da me- riuscii a percepire un accenno di risata, un verso che veniva dal suo petto e che mi fece tremare. Strinsi i pugni e cominciai a batterli sui suoi pettorali che parevano duri come l’acciaio, gli urlai di mettermi giù, di farmi tornare da lei, ma lui mi ignorò completamente. Sentivo la mente sgombra e un vuoto nel petto ed improvvisamente mi sentii esausta, presa da una stanchezza che quasi mi tolse il respiro.
E svenni.
 
Nonostante desiderassi riposare ancora decisi di aprire gli occhi. Le palpebre erano pesantissime, gli occhi asciutti e sentivo sul mio corpo l’umidità che mi penetrava nelle ossa. Ma quasi subito mi resi conto che un dolce calore mi impediva di tremare e il mio sguardo si posò sul fuoco che ardeva a pochi passi da me. I suoi colori erano forti, quasi accecanti, l’arancio spiccava tra il giallo ed il rosso.
Ma cosa era accaduto?
Avevo male alla testa, forse perché ero stata stesa chissà per quanto tempo con la tempia poggiata sull’erba bagnata e il suolo arido, ma cosa ci facevo lì?
Alzai lentamente il capo, ma la fitta di dolore non mancò. Mi misi a sedere e mi resi conto di quanto quelle fiamme fossero alte e ardenti, c’era la possibilità che se mi fossi messa in piedi quelle quasi mi avrebbero superato in altezza.
Quando, oltre i colori abbaglianti di quel fuoco, vidi il volto spigoloso, gli occhi scuri, la pelle ambrata, i capelli corvini alzati in un ciuffo disordinato di Peter, quasi mi mancò il fiato. La mascella tesa mi fece notare la sua leggera tensione, ma i suoi occhi lampeggiavano come fulmini nel bel mezzo di una tempesta.
-Cosa… cosa è successo?- deglutii, i miei occhi vedevano quanto era bello, ma tutte quelle fiamme gli davano l’aria di un demonio.
-Stavi per rispondere alla chiamata sconosciuta della morte- rispose dall’altra parte del fuoco alzando un sopracciglio scuro.
-Eh?- sussurrai non capendo a cosa si riferisse.
-Una sirena ha tentato di affogarti- tagliò corto con tono neutro, come se fosse una cosa normale. Però quelle parole mi aiutarono a ricordare ogni cosa.
-No, lei… lei voleva aiutarmi- spiegai annuendo.
-Sbagliato. Lei voleva divertirsi- sporse leggermente il suo viso in avanti e, anche se le fiamme mi impedivano di vederlo con chiarezza, sapevo che sul suo volto si era dipinto il suo solito ghigno di strafottenza e superiorità.
-Lei capiva come mi sentivo- ribattei dura.
-No, lei aveva il controllo su ciò che sentivi- precisò in tono pungente.
-Perché l’hai fatto?- quasi urlai alzandomi in piedi –Perché l’hai mandata via?-
Lui mi imitò alzandosi con uno scatto repentino, era molto più alto di me, ma le fiamme ci tenevano ancora separati.
-Dovresti ringraziarmi per averti salvato la vita, ancora- sibilò puntandomi un dito contro.
-Non voleva uccidermi!-
-Ti stava immergendo nel veleno, non credo volesse invitarti a bere un tè- insisté usando il suo solito sarcasmo.
-Io ero… ero distrutta, ero arrabbiata e poi… poi ho guardato la terra e ci ho immerso le mani… è cresciuta una pianta. E poi è apparsa lei. Voleva solo aiutarmi!- spiegai e con un gesto nervoso mi passai le mani tra i capelli.
-Le sirene non aiutano, specialmente quelle di quel lago, rare sono le volte in cui si mostrano agli esseri della terra. Sono poche e servono le fate, dovevano per forza avere un secondo fine. Loro sanno chi sei e conoscono il tuo potere, poi hai fatto quell’incantesimo e ne hanno avuto la conferma…- lo vidi calmarsi per un istante e riflettere su qualcosa, poi tornò quel luccichio nervoso nel suo sguardo –Sì, tutto torna, probabilmente volevano portarti dalla Regina delle Fate e renderti loro schiava- puntò i suoi occhi nei miei e quasi non potevo credere alle sue parole, possibile che quella magnifica creatura volesse la mia morte? Ma Peter probabilmente aveva ragione, lui l’aveva sempre.
-Cosa?- mormorai più a me stessa che mi stavo rendendo conto del pericolo in cui mi ero cacciata.
-Non si faranno più vedere per un po’, ma mai abbassare la guardia- tentò di tranquillizzarmi e allo stesso tempo mi avvertì. Ormai tutti mi volevano morta e forse solo il lupo costituiva l’eccezione.   
-Quindi tu… mi hai salvata, di nuovo- realizzai sentendomi finalmente libera dalla confusione e muovendo qualche passo intorno al fuoco.
-Già- disse e mi imitò camminando attorno alle fiamme. Lo vidi abbozzare un sorriso e aggiungere: -Quello del SuperLicantropo è un lavoro a tempo pieno-
Mi fermai non appena a dividerci restavano solo pochi centimetri. –Grazie, SuperLicantropo- affermai guardandolo da sotto le ciglia. Poi si avvicinò ancora, quel tanto che bastava a far sfiorare i nostri petti.
-Dovere, Dolcezza- sussurrò ad una distanza minima dalle mie labbra. Le mie dita sfiorarono le sue ed un brivido corse lungo la mia schiena. Sentii il cuore battere forte come un tamburo contro il petto, lo stomaco attorcigliarsi e una strana sensazione che mi rendeva titubante, confusa, incerta,disorientata, ma la ignorai. Avvertii il suo fiato sul mio viso e il suo naso sfiorò il mio. Fissavo le sue labbra e lui faceva lo stesso con le mie. Mi sentivo così leggera, così euforica che per un momento non desiderai altro che essere esattamente dove mi trovavo.
E quando finalmente le sue labbra sfiorarono le mie avvertii il calore ribollirmi nelle vene ed arrivare alle mani per poi disperdersi nelle dita, fino a raggiungere i polpastrelli. Ed il fuoco arse vivo e tre volte più alto scoppiettando forte e divorando l’aria; poi d’un tratto qualcosa si attorcigliò lungo il mio braccio, pungente e fresca, e mi costrinse a tirarmi indietro.
Non c’era stato nessun bacio, solo dei leggeri e quasi impercettibili tocchi, eppure era bastato a far esplodere di vita un normale fuoco e, quando abbassai lo sguardo, notai anche che il gambo di una rosa si arrampicava sul mio braccio terminando con un bocciolo rosso.
Rimasi immobile ed a bocca aperta consapevole di ciò che avevo appena fatto, di ciò che ero appena riuscita a fare. Quello che tanto desideravo crescesse era arrivato e quasi non mi resi conto che Peter stava osservando la scena con in viso l’espressione di qualcuno che si fosse appena svegliato.
-Dovresti tornare- lo sentii dire quasi sussurrando e quando alzai lo sguardo vidi i suoi occhi puntati nei miei.
-Dove?- mormorai a mia volta ancora stordita e presa da altro.
-Al castello-
-Non posso, lui sarà furioso- spiegai tremando all’idea di Justin e dei suoi canini appuntiti.
-Ma se non torni ora domani verrà a cercarti e girerà ogni angolo di questo mondo, fidati, ti troverà- pronunciò deglutendo e facendosi improvvisamente serio –All’ora sì che sarà furioso-.
Riflettei su quelle parole e mi resi conto di non potergli dare torto, il vampiro era capace di tutto.
-D’accordo- annuii e lo seguii per il bosco, lontano da quella radura.
 
Era ormai notte fonda e per tutto il tragitto di ritorno era stata anche silenziosa in un modo sinistro. Non una parola avevo detto, né l’aveva fatto Peter. Escludevo a priori che lui fosse imbarazzato per quello che stava per accadere tra noi, ma chissà perché si era ammutolito così all’improvviso.
In quegl’infiniti minuti ripensai a ciò che era accaduto quel giorno: prima Justin e Jace che mi “addestravano” per riportare in vita la mia antenata, poi quella specie di esplosione che aveva generato una foresta di rovi e dopo ancora la sirena, l’arrivo di Peter e il nostro quasi bacio. Ed infine la rosa, finalmente.
Eravamo appena arrivati ai margini della foresta e oltre quella tenda di rami e foglie dalla forma strana c’era il castello e dentro di esso, Justin. Un brivido di terrore corse lungo la mia schiena.
Il moro spostò con un movimento del braccio l’unica cosa che mi separava dalla vista delle torri quasi oscure del castello che ormai era diventato casa mia. Lo superai facendomi strada verso il cancello, poi decisi di chiedere ancora una volta aiuto al ragazzo licantropo.
-Peter…- sussurrai voltandomi, ma alle mie spalle non c’era nient’altro che buio e alberi. Nessuna traccia del lupo. Mi diede uno strano dolore al petto sapere di essere sola e il mio corpo fu scosso da un fremito di freddo misto a paura.
Deglutii e a grandi passi mi avvicinai all’inferriata, ma qualcosa mi fece bloccare. La mia bocca si aprì a formare una O e trattenni il fiato. Sulle sbarre di ferro leggermente arrugginito del castello c’era inciso lo stemma che avevo capito caratterizzasse i Gordon, quello che portavo al collo. E quella fu l’ultima prova del fatto che quel posto non apparteneva al vampiro, ma alla mia famiglia.
Non seppi capire se mi sentissi più carica e fiduciosa per quando avessi visto il biondo o se il fatto che le gambe mi tremassero fosse segno che sarei potuta svenire, ancora, da un momento all’altro. In qualunque caso, stare lì fuori non aiutava per niente e volente o nolente, dovevo tornare da lui.
 
Il portone cigolò rumorosamente per poi chiudersi definitivamente alle mie spalle con un tonfo sordo che annunciava a tutto il castello il mio arrivo.
Trattenni il fiato e serrai le labbra per non urlare nel caso mi fossi ritrovata davanti il vampiro, poi avanzai nel salotto in penombra. Era vuoto, ne ero sicura. Ma non ero per niente tranquilla, avrei preferito trovarlo subito, avrei preferito che le luci fossero accese, avrei preferito che lui non ci fosse. Ma c’era, io sapevo che c’era. Era lì, da qualche parte, che mi osservava aspettando il momento giusto per entrare in scena e farmi morire d’infarto.
La cucina era completamente spoglia e vuota, così come anche la sala da pranzo e la libreria. Non lo chiamavo per il semplice fatto che sapevo che solo una parola avrebbe potuto infastidirlo e a quel punto non ci avrebbe messo molto a squarciarmi la gola. Ma lui era sempre dietro di me, sopra di me, accanto a me, davanti a me e si nascondeva confondendosi con le ombre. Non stava scappando, stava soltanto creando la giusta atmosfera. Si divertiva a farmi impazzire, a farmi morire di paura, godeva quando mi vedeva trattenere le urla, quando mi osservava salire cauta le scale continuando a guardarmi intorno, quando ad ogni passo mi voltavo con gli occhi spalancati e le mani strette a pugno. La sua presenza era come una scia nera di petrolio sul mare, era evidente ma restava nascosta all’occhio umano che non voleva vedere. Ed io non volevo vederlo neanche in foto.
Camminavo lungo uno dei tanti corridoi di quel castello illuminato solo dalla luce lunare, l’unica cosa che si sentiva era il mio respiro affannoso, quando d’improvviso udii uno spostamento seguito dal rumore sordo del vetro infranto, poi fui colpita da una sferzata d’aria gelida. L’istante dopo ero contro il muro, il respiro mozzato a causa del forte impatto con la parete, il corpo immobile bloccato da quello freddo del vampiro.
-Bentornata- sibilò al mio orecchio con cattiveria mista a divertimento.
Le urla mi morirono in gola e dalle mie labbra uscì solo un gemito strozzato. Non potevo guardarlo in viso, non ce la facevo, sapevo quanto il suo sguardo potesse essere spaventoso, così spostai i miei occhi appannati per le lacrime oltre di lui, sul pavimento. Lì vidi i frammenti di quella che era stata una bottiglia di alcool. Era ubriaco.
Strinsi i denti e il mio sguardo cadde sul suo torace nudo dove erano ben visibili tagli che ancora si stavano rimarginando e segni vari che lo rendevano ancor più terribile, ma dannatamente sexy. Lui si accorse che lo stavo osservando e abbassò il suo viso all’altezza del mio, i suoi occhi neri contro i miei.
-Sai, è strano quanto delle semplici piante possano diventare tanto grandi- sussurrò ad una distanza minima dalle mie labbra –Tanto forti- continuò bisbigliando al mio orecchio –Tanto micidiali- sibilò sul mio collo sfiorandolo quasi impercettibilmente con le sue labbra. Fui colta dalla consapevolezza che quelle ferite gliele avevo causate io, io e la mia magia e, forse, non ne ero affatto dispiaciuta. 
-Justin, io…- provai a spiegare, ma lui mi interruppe.
-Tu, sei solo una stupida ragazzina viziata!- sbottò tornando a fissarmi, sentivo il suo alito che puzzava di alcool misto a qualcos’altro di metallico. Sangue.
-Io ero arrabbiata, tu mi stavi urlando contro…- tentai di giustificarmi, ma qualsiasi cosa avessi detto lui non mi avrebbe creduta.
-Ed hai pensato bene di uccidermi- concluse con tono tagliente.
-No…- mi bloccò ancora.
-Ci hai provato mocciosetta, ma non ti è andata bene purtroppo-
-Io… Io non volevo…-
-Menti!- sbraitò con voce orrendamente sovrumana, poi avvertii il suo corpo rilassarsi ed il suo viso avvicinarsi nuovamente al mio –Lezione numero uno: mai prendermi in giro- sibilò minaccioso. D’un tratto le sue narici si dilatarono e il suo viso divenne duro, gelido –Dove sei stata?-
-Io… Da nessuna parte- mormorai sapendo di non essere affatto credibile.
-Stai mettendo a dura prova la mia pazienza- disse quasi avvertendomi, come se stesse cercando di trattenersi dall’uccidermi e probabilmente era proprio così.
-Sto… Sto dicendo la verità- balbettai con un filo di voce. Ma perché non gli dicevo tutto e basta?!
-Sento la sua puzza fra i tuoi capelli e su ogni centimetro della tua pelle- rivelò a denti stretti –Siete disgustosi- terminò sibilando schifato, arrabbiato.
-Non abbiamo fatto nulla- mi affrettai a dire senza saperne bene il motivo, ero a conoscenza del fatto che loro due si odiassero a morte, ma a lui cosa importava se passavo del tempo con Peter?
-Quel cane bastardo ha sempre qualcosa in mente- quelle parole fecero scattare in me qualcosa che mi fece sentire in dovere di difendere il lupo.
-E tu?- chiesi ferma –Tu cos’hai in mente?- forse quella era la domanda che non si sarebbe mai aspettato che io gli ponessi, ma era quella che mi facevo ogni giorno e volevo una risposta, anche se averla significava morire.
-Non cercare di entrare nella mia mente- mi avvertì con sguardo severo.
-Chi ha ucciso Ester?- continuai, era come se non riuscissi a fermarmi e seppur sapessi già la risposta a quella domanda volevo sentirlo dire da lui.
-Sono stato io. Il motivo non ti riguarda- ero stupita dal fatto che me lo avesse detto subito e con tanta noncuranza, come se fosse la cosa più normale, ma irritante, a quel mondo.
-Ma ora vuoi resuscitarla- dissi, non era una domanda, ma un’affermazione. Ed era completamente illogico che lui volesse far tornare in vita una persona che lui stesso aveva ucciso chissà quanti decenni prima.
-Non so dove vuoi arrivare mocciosetta, ma ti assicuro che stai superando il limite- poi si allontanò rigido dal mio corpo guardandomi con sguardo maligno, assetato –Se non vuoi diventare la mia cena ti consiglio di smettere di giocare al detective e di uscire dal mio campo visivo- sibilò inchiodandomi con il suo sguardo nero –Ora-
Non me lo feci ripetere due volte, feci ripartire il cervello riprendendomi da quel momento di sicurezza che avevo avuto.
E corsi via.    
 
Mi svegliai trovandomi ancora rannicchiata su me stessa stretta ad un cuscino. Il mio corpo era scosso da brividi dovuti al freddo, poi ricordai che la notte precedente ero stata attratta da una sirena nel lago, ricordai Peter, il quasi bacio e le rose, e poi Justin e la paura che mi aveva fatto provare, i segni sul suo corpo, la rabbia nei suoi occhi. Mi ci erano volute ore per riuscire ad addormentarmi, eppure il mio sonno non era stato per niente tranquillo. Avevo ancora indosso il vestito rosso del giorno precedente, era gelido come ghiaccio sulla mia pelle.
Strofinai gli occhi e battei più volte le palpebre mettendo a fuoco la stanza. Ogni giorno, al mattino, una piccola parte di me sognava di aprire gli occhi e trovarsi di fronte la finestra che affacciava sulle strade di Londra, la scrivania piena di fogli, matite e colori, il mobile zeppo di libri che ormai conoscevo a memoria e tutto il resto della normalità della mia vecchia, vera camera. Ma puntualmente, ogni mattino, restavo delusa. Devo abituarmi, mi ripetevo, ma non avrei mai smesso di credere che un giorno sarei tornata ad essere Maya la secchiona.
Mi alzai dal letto dirigendomi al bagno, sciacquai il viso e lavai i denti, sentire la menta forte del mio dentifricio mi diede la nausea. Avevo ancora fame.
Ignorai quel fastidioso brontolio allo stomaco e mi immersi nell’acqua calda della vasca. I miei nervi si rilassarono, ma non mi concessi più di qualche minuto.
Tornai in camera, scelsi un vestito blu, semplice come quello che avevo indossato il giorno precedente, ma che lasciava le spalle scoperte, e lo infilai. Misi gli stivaletti e lasciai scivolare dentro uno di essi il mio pugnale. Non mi curai di legarmi i capelli, preferii lasciarli sciolti, poi uscii dalla stanza scendendo in cucina e pregando di non incontrare Justin. Come il giorno precedente però, eccolo appoggiato al muro in sala da pranzo che aspettava me. Non ebbi il tempo di dire e fare nulla che lui disse: -Mangia in fretta, torniamo da Jace- affermò duro guardandomi con freddezza, poi si voltò dirigendosi nella stanza affianco. Ero sul punto di tornare a respirare quando il vampiro si girò di nuovo –E stavolta, non provare ad uccidermi- sibilò, ed andò via.
 
-Bentornati- la voce bassa e melodiosa in un modo sinistro di Jace mi arrivò alle orecchie come da lontano. Si era fatto trovare nello stesso punto del giorno precedente, il cappello della mantella abbassato e un drink in mano –Suppongo non vogliate nulla da bere, vero?- chiese sorridendo sghembo.
-Supponi bene, Griffiths- disse Justin con la sua solita aria infastidita.
-D’accordo- posò il bicchiere e si voltò a guardarmi strofinando le mani l’una contro l’altra –Allora, dove eravamo rimasti?-
 
-Quello che hai fatto ieri è stato potenzialmente omicida- rivelò lo stregone al mio fianco. Stavamo camminando verso una stanza precisa del castello e più mi allontanavo dall’uscita più mi sentivo soffocare, chissà cos’altro avevano in mente di farmi fare –Devi imparare a controllarti. I tuoi poteri stanno cominciando a sbocciare e contenerli sarà la cosa più importante che dovrai fare- spiegò ed il suo tono di voce era tanto calmo che quasi mi convinse che tutta quella storia fosse semplice, ma perché mi sentivo presa in giro? –Non devi mai perdere la calma. Se senti di esplodere respira a fondo e controllati- ma come facevo a restare calma se avevo lo sguardo omicida di Justin puntato addosso? –Come sei riuscita a fuggire da qui ieri?- chiese d’improvviso, ma il suo tono mi lasciava intendere che già conoscesse la risposta.
-Ho usato un incantesimo, credo- risposi incerta, ma la cosa più strana era che, escludendo il tema, io e Jace stavamo avendo una discussione apparentemente normale, senza minacce o ordini, e la cosa un po’ mi spaventava.
-Levitazione, precisamente- sottolineò congiungendo le mani dietro la schiena –È lo stesso che hai fatto la prima volta che sei stata qui. Eri sotto il mio controllo certo, ma il tuo desiderio di raggiungermi è bastato a farti galleggiare nell’aria anche senza bisogno del mio aiuto- spiegò ed una ruga apparve sulla sua fronte facendomi intuire che stesse ricordando quella notte che ormai sembrava lontana anni –È piuttosto notevole- terminò e potei giurare che l’ombra di un sorriso compiaciuto gli increspò le labbra.
-Già, ma resta il fatto che non è riuscita a portare a termine uno stupido incantesimo di germogliazione- intervenne Justin voltandosi quel tanto che bastava da gelarmi con lo sguardo.
-Voglio riprovare- dissi d’un fiato improvvisamente presa da una scarica di adrenalina e dalla voglia matta di sbattere in faccia al vampiro il mio incantesimo di germogliazione.
-D’accordo- acconsentì Jace –Ma sta attenta a quello che fai- si raccomandò lo stregone il quale sembrava non aver accusato nulla dei colpi del giorno precedente, non un graffio sfregiava la sua pelle immacolata.
Non dissi nulla, mi limitai ad annuire cercando di mostrarmi il più sicura possibile.
 
-Ricorda: concentrazione- mi ripeté ancora una volta Jace.
Chiusi gli occhi e infilai le mani nella terra familiare del giardino dello stregone respirando affondo e portando a galla i ricordi del pezzo di notte passato con Peter.
Rividi il suo volto tra le fiamme, i suoi occhi marroni bruciare di rabbia, fastidio, preoccupazione, ansia, sentii di nuovo il suo corpo aderire al mio ed il suo naso sfiorare la punta del mio mentre le nostre labbra quasi si toccavano, avvertii il fuoco che ci riscaldava ardere della passione e della magia che mi infuocava ogni singola cellula del corpo. E poi la rosa, una delle più belle che io avessi mai visto.
Sollevai le palpebre e cacciai fuori tutto il fiato che avevo trattenuto fino a quel momento sentendomi finalmente libera. Poi sentii il punzecchio di qualcosa lungo le mie braccia e vidi una pianta di rose che cresceva dal terreno attorcigliandosi ai miei arti.
-Bene, sei riuscita a combattermi e a far crescere una pianta di rose. Stai migliorando- la voce di Jace mi riportò alla realtà dove finalmente ero riuscita a far vedere ad entrambi di cosa ero capace.
Poi strinsi forte le gambe improvvisamente presa da un forte bisogno.
-Grazie. Ehm… dovrei andare in bagno- dissi arrossendo. Udii Justin sbuffare, ma l’ultima cosa che volevo fare era voltarmi a guardarlo.
-Appena entri svolta a destra e percorri il corridoio, poi ancora a destra. Il bagno è la terzultima porta sulla sinistra- spiegò Jace con nonchalance, mentre io ci avevo capito poco.
-Okay- mormorai ripetendomi i vari passaggi di quello che sembrava un percorso ad ostacoli. Entrai nel castello, ma prima che potessi essere abbastanza lontana sentii la voce del vampiro urlarmi: -Sbrigati!-
 
Il bagno era enorme e le sue dimensioni erano maggiori di quelle del salotto della mia casa a Londra. Anche quello personale della mia nuova camera al castello di Justin era grande, quello di Jace però, aveva un’eleganza particolare.
Mi chiusi la porta alle spalle sentendomi un po’ più leggera, dovevo proprio farla. Chissà se quei due sentivano mai il bisogno di andare al bagno, di lavarsi, di mangiare… insomma mi sembravano così tanto diversi, così perfettamente sovrannaturali che proprio non riuscivo ad immaginare Justin seduto al gabinetto, o Jace che si faceva la barba!
Sorrisi leggermente a quel pensiero rendendomi conto che era da molto che non facevo riflessioni… umane.
-Cominciavo a credere che avessi tentato ancora di fuggire- una voce sottile, ma allo stesso tempo doppia, mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto ritrovandomi davanti il vampiro con uno strano sorrisetto stampato in viso.
-Cosa c’è? Non ti fidi?- alle volte non sapevo da dove prendessi tutta quella sicurezza, erano attimi in cui la paura si prendeva una pausa di pochi istanti lasciandomi respirare, peccato durasse così poco.
-No- rispose secco avvicinandosi –E la cosa è reciproca, non è vero?- chiese alzando un sopracciglio. Non risposi, il mio silenzio parlava da solo e poi lui sapeva perfettamente che non mi fidavo per niente di lui. Ma allora perché mi faceva quella domanda? –Non hai fiducia in me, ma sei così ingenua da fidarti di un lupo mannaro- commentò corrugando la fronte facendomi intendere che non capisse il motivo della mia scelta.
-Lui almeno non tenta continuamente di uccidermi- ribattei tendendo un tono di voce moderato, non si sapeva mai con Justin, lui poteva scattare da un momento all’altro. Ora era calmo, apparentemente aperto all’idea di una civile conversazione, ma il secondo dopo era pronto a dissanguare chiunque gli capitasse a tiro. E sembrava proprio ci fossi io al centro del suo mirino.
Sorrise arricciando leggermente le labbra in una smorfia di fastidio mista a quella che sembrava una leggera, leggerissima invidia -È furbo, questo glielo concedo-
-Mi ha salvato la vita diverse volte- assottigliai lo sguardo non capendo perché lui vedesse sempre tutto nero credendo di essere superiore a tutto e a tutti –Non è furbo, è solo più umano di te- sibilai irritata dal suo atteggiamento, dalle sue parole.
-Ed è da me che ti avrebbe salvato?- si indicò muovendo un passo verso di me con finto fare innocente.  Lui non capiva, lui non vedeva oltre sé stesso e i suoi maledetti piani.
-Da me stessa- rivelai e sul suo viso apparve un’espressione leggermente stupita –Lo hai detto anche tu. Sono ingenua, sono impulsiva e attiro disgrazie-
-Non serviva un cane per intuirlo- sibilò tagliente a pochi centimetri da me.
-Quel cane mi ha salvata dal veleno di Jace e da quello delle fate, mi ha salvata dall’incantesimo di una sirena e soprattutto, mi ha salvata da te- strinsi i pugni per contenere la voce mentre Justin sembrava essere confuso dalle mie parole.
-Cosa?!- forse dovevo segnarmi quel giorno dato che molto probabilmente non lo avrei più rivisto così sorpreso –Cosa c’entrano le fate e le sirene in tutto questo?!- chiese nervoso, arrabbiato. Non sapevo precisamente come mi aspettassi che reagisse, forse una parte di me credeva che lui già sapesse tutto, ma ovviamente non era così.
-Quella mattina, quando…- tornai indietro con la mente, dovevo raccontargli ogni cosa, altrimenti mi avrebbe costretta in chissà quale modo a farlo –quando ti ho pugnalato e sono scappata, ho raggiunto una radura e c’era un lago-
-Lo so, lo conosco- disse stranamente attento a ciò che dicevo.
-Avevo sete e stavo per bere quell’acqua, ma è arrivato Peter. Mi ha parlato del veleno e delle conseguenze che ci sarebbero state se lo avessi ingerito- rivelai deglutendo al ricordo di quell’acqua.
-E cosa è successo con le sirene?- il vampiro pareva nervoso e desideroso di maggiori informazioni, ma mi spaventava dargliele.
-Ieri sera sono tornata al lago, ero… ero arrabbiata e avevo paura, così ho messo le mani nella terra; qualche secondo dopo sono cresciute delle spine e dopo… dopo è comparsa lei. Immaginavo fosse una sirena, ma continuava a cantarmi parole che alle mie orecchie risultavano rassicuranti. Ero incantata dalla sua voce ed era riuscita a convincermi a seguirla- poi fissai i miei occhi nei suoi completamente neri –Se Peter non fosse arrivato a quest’ora sarei morta-
Justin si passò teso una mano tra i capelli biondo cenere, le sue narici si dilatarono e per la prima volta lo vidi respirare –Maledizione- mormorò a denti stretti mentre nel suo sguardo brillava una scintilla di rabbia. Per un attimo ebbi la sensazione che lui sapesse qualcosa che a me era oscuro… be’, chissà di quante cose io non fossi a conoscenza.
-Perché dici così?- gli chiesi quasi senza rendermene conto –Dopotutto tu hai tentato di farmi fuori più volte- dissi ovvia non capendo il perché di quella sua affermazione, come se in qualche strano e contorto modo lui fosse preoccupato per me, ma non nello stesso modo in cui lo era Peter.
Si voltò a guardarmi, mi fissò per svariati secondi meditando su chissà cosa, poi il suo viso si distese rilassandosi –Anche se può sembrare la più grande delle menzogne, non voglio che tu muoia, Maya- rivelò, ma perché mi sembrava che non credesse davvero a ciò che diceva?
Con una sicurezza che non sapevo possedessi mi avvicinai a lui facendo sfiorare i nostri petti e sfidandolo con lo sguardo –Davvero Justin? Ne sei sicuro?- poi tornai da Jace.
 
La giornata sembrava essere giunta al termine. Eravamo al castello di Justin diretti in camera mia. Il vampiro si era mostrato più… affabile nei miei confronti da quando gli avevo parlato di Peter e di ciò che aveva fatto per me. Ora mi stava accompagnando in stanza e dopo ci aspettava una cena. Non sapevo perché mi avesse invitata a cenare con lui, né perché io avessi accettato, né tantomeno cosa avremmo mangiato, ma una parte di me tentava ancora disperatamente di trovare in Justin l’Angelo che avevo sempre immaginato fosse.
Entrai in camera mia respirando di nuovo l’aria fresca e antica di quel posto, poi un clic mi giunse alle orecchie e mi voltai per capire cosa il vampiro stesse combinando.
Una volta girata non mi ritrovai davanti Justin che armeggiava con la mia spazzola per capelli, o con chissà cos’altro, ma vidi la porta d’uscita chiusa e di lui nemmeno l’ombra.
Corsi ed afferrai la maniglia, tentai di aprire la porta, ma non ci fu verso. Che diamine aveva in mente quel tizio?
-Justin? Justin, che stai facendo?- chiesi sbattendo i pugni contro il legno freddo.
-Devo assicurarmi che le fate non ci creino più problemi e tu dovrai restare qui- lo sentii dire dall’altra parte dell’uscio.
-Ma perché chiudermi in camera mia?- domandai confusa sentendomi anche un po’ presa in giro, credevo davvero che volesse cenare e… parlare.
-Tenteresti di seguirmi se ti lasciassi gironzolare libera per il castello- rispose con naturalezza e assoluta sicurezza.
-No. Io…-
-Tu niente- affermò con tono fermo –Ti ho lasciato la cena sul tavolino. Mangia e risposati- poi silenzio. Era andato via.
Un po’ mi aveva sorpreso il fatto che a quel Mangia avesse aggiunto un E riposati, come se volesse in qualche modo avere cura di me. Ma dove sarebbe andato lui? Cosa aveva intenzione di fare? Cosa gli sarebbe accaduto?
Non volevo restare lì, non volevo mangiare, né risposarmi. Non me ne sarei restata con le mani in mano.
Sarei andata da Justin e sapevo anche come arrivarci.
Avevo tutto sotto controllo.
 
 
 
 
Buonsalve!
Quante stanno bestemmiando contro Alena? #èscentificamenteprovatochelostatefacendotuttelol
Mi dispiace tantissimo, giuro, ma è stato un mese pieno questo, tra verifiche, interrogazioni, corsi e non scordiamoci la mia vita sociale, ho completamente trascurato le mie ff:/
Ma ora sono qui e spero davvero tanto che mi perdoniate #falafacciadacucciolo
Cosa ne pensate del capitolo? È abbastanza lungo e accadono diverse cose, nulla di importantissimo, ma ci sono sempre i famosi particolari da cogliere;)
Ho già qualche idea per il prossimo capitolo solo che credo sarà più breve di questo e più descrittivo, ma molto, molto, importante!
Come vi avevo accennato Justin sta cominciando a cambiare, non aspettatevi che si presenti in camera di Maya con un mazzo di rose perché è escluso che accada ahaha:D
E cosa ne pensate del quasi bacio con Peter?
Be’, io spero davvero che vi sia piaciuto questo capitolo e mi farebbe piacere leggere le vostre recensioni per conoscere un po’ le vostre opinioni;))
Quindi recensite mi raccomando;) Grazie mille a chi ha recensito il capitolo precedente, alle 92 persone che hanno messo l’ff tra le preferite e alle 87 che l’hanno inserita tra le seguite, spero sarete sempre in più a seguire la mia storia, mi farebbe davvero tanto piacere:))
Adesso smetto di blaterare, a prestooo:)

Baci
Alena18 xxx

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Capitolo 16
*** Capitolo quindici: Illusione. ***


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                                                             “L’illusione di poter ricominciare dalla sua stessa morte”
 
 


Sarei andata da Justin e sapevo anche come arrivarci.
Avevo tutto sotto controllo.
O quasi.
Un incantesimo di germogliazione, ecco quello che mi serviva, ma quella volta non sarebbe bastata semplicemente un po’ di concentrazione. Avevo bisogno di un vero e proprio incantesimo e sapevo dove trovarlo.
Corsi e mi accosciai sul pavimento, infilai il braccio sotto il mio letto e cercai a tastoni la mia unica possibilità di uscita. La mia mano toccò qualcosa di duro, freddo e spigoloso. Il libro.
Lo tirai fuori, era più pesante di quanto ricordassi. Mi sedetti a gambe incrociate sul letto con quel mattone davanti e la cena affianco. Ad ogni pagina che giravo pregavo che non mi si sbriciolasse tra le mani, ognuna di esse conteneva incantesimi preziosi, uno più potente dell’altro. Incantesimi con i quali bastava anche solo concentrazione ed un piccolo gesto della mano, come ad esempio bloccare le vie respiratorie, spezzare ossa ai licantropi, far vomitare sangue, distorcere la mente dei vampiri, creare un onda di potenza e far volare via persone, dare la sensazione di annegare, dare vita ad un incendio tanto grande da distruggere un’intera città, creare trombe d’aria… c’era di tutto e di più ed io ero intenzionata ad imparare ogni cosa. Poi finalmente trovai ciò che mi serviva.
Presi il libro impolverato e corsi alla finestra spalancandola. Nell’aprirla mi venne in mente Peter, lui lo faceva sempre.
Scossi la testa e stesi il braccio davanti a me con il palmo della mano rivolto verso la terra sotto, presi un respiro profondo, memorizzai l’incantesimo per poi chiudere gli occhi e concentrarmi. Immaginai un piccolo germoglio che diventava sempre più grande e pian piano cominciava ad assumere le sembianze di un albero, non un albero come un altro, ma uno formato da intrichi di rami e rampicanti che potevano concedermi un appiglio.
-Aperī terra, venī natura, crescĕ albor- mi ritrovai a sussurrare la frase che avevo già imparato e che ero sicura non avrei più dimenticato.
Qualche secondo dopo aprii gli occhi e, a mezzo metro da me, era cresciuta una pianta che pareva l’incrocio tra un albero e qualcosa di magico, affascinante. Fui fiera di me stessa, ma ora arrivava la parte più pericolosa. Nascosi nuovamente il libro sotto al letto in modo che nessuno lo trovasse, poi cautamente salii sul davanzale della finestra e costrinsi le mie gambe a non tremare ed i miei occhi a non guardare giù. Riempii d’aria i polmoni e mi sporsi leggermente, quel tanto che bastava da farmi afferrare un ramo sporgente con entrambe le mani. Mi accertai che tenesse, poi mi affrettai a portare prima un piede, poi l’altro oltre la finestra, sul tronco. Il sole era quasi del tutto tramontato e speravo che riuscissi a scendere prima che sparisse definitivamente. Quel silenzio era opprimente, non si udiva nulla oltre il mio respiro ed i battiti del mio cuore.
-Okay, Maya- dissi –Puoi farcela- mi incoraggiai, ormai c’ero dentro, non potevo più tornare indietro. Con attenzione mossi un piede verso lo spazio tra un ramo e l’altro, poi di nuovo il primo e ancora il secondo. Continuai così per diversi minuti e solo all’ora mi resi conto che la mia camera si trovava davvero in alto. Ma ormai dovevo essere vicina al suolo; quel pensiero mi rese ansiosa e desiderosa di toccare di nuovo terra tanto da deconcentrarmi.
Sbagliai a posizionare il piede e caddi. Il volo sembrò breve e allo stesso tempo infinito. Lanciai un urlo, ma la paura di schiantarmi al suolo mi fece morire la voce in gola. Atterrai di schiena con un tonfo sordo ed un gemito strozzato. Un’altra botta in testa, altri dolori, il mondo che girava come un vortice, ma respiravo ancora.
Per un attimo il mio cuore cessò di battere, ma poi riprese ad una velocità pazzesca. Strizzai gli occhi e mi portai le mani alle tempie, poi mi abbandonai per alcuni secondi al buio della mia mente. Di solito non era quello il momento in cui arrivava Peter? Lui c’era sempre quando più ne avevo bisogno, era sempre lì se dovevo essere salvata, ed il fatto che ora non mi avesse presa al volo o che non fosse al mio fianco mi fece capire di essere sola davvero.
Mi decisi a rialzare le palpebre, il cielo era fermo e non avevo più le vertigini, solo un leggero dolore alla schiena. Ero sorpresa di come con quanta facilità adesso riuscissi a sentirmi meglio, a mettere da parte il dolore.
Piano mi rimisi in piedi e, barcollando, raggiunsi il cancello. Finalmente ripresi il controllo del mio corpo e riuscii a correre. Mi insinuai nel fitto della foresta alla ricerca del sentiero che portava al lago, Justin doveva essere lì. Corsi e corsi, ormai il cielo era di un blu-grigio quasi nero da fare impressione ed il bosco, completamente buio, mi metteva i brividi come la prima volta.
D’un tratto scorsi uno spiraglio tra i rami e le foglie che fino ad all’ora mi avevano coperto la visuale. Tirai un sospiro di sollievo quando capii che finalmente ero arrivata, ma il sollievo scomparve quando vidi qualcosa di ancora più sconvolgente e meraviglioso del lago incantato.
Oltre quello spiraglio non c’era la radura fatata, ma un paesaggio mozzafiato, qualcosa che non mi sarei mai aspettata di vedere in quel luogo tetro e terribile. C’erano alberi alti e dalla chioma folta ricca di foglie verdi dall’odore fresco, cespugli con fiori di ogni tipo e colore, il cielo era pulito e colmo di stelle, non una nuvola copriva quella coperta blu, e quasi riuscivo ad udire il cinguettio degli uccellini nascosti lì, da qualche parte. Nonostante il vestito leggero e scollato non sentivo più neanche freddo, era tutto così meraviglioso e splendido che dimenticai la mia vera meta. Molto lentamente mi feci avanti in quel posto del tutto nuovo e sorprendente, avevo il timore che quello fosse solo un sogno, o un miraggio, che sarebbe tutto scomparso da un momento all’altro. Ma non accadde, rimase tutto immobile mentre io sembravo essere l’unica creatura vivente oltre agli uccellini che canticchiavano di tanto in tanto.
Respirai a fondo quell’aria fresca e pura, era da giorni che non sentivo quel profumo di libertà, sempre costretta a quel castello o a quell’orribile foresta che ora mi ero lasciata alle spalle. Mi avvicinai ad un cespuglio ed annusai un fiore color pesca dalle sfumature dorate, meraviglioso, ma quello si mosse in un ondeggio delicato ed elegante, e così fecero anche i suoi simili. Ero affascinata e sorridevo godendomi lo spettacolo che mi offrivano quei fiori, mentre il dolce canto degli uccellini faceva da accompagnamento alla magica danza che quelle piante avevano intrapreso.
Cominciai a guardarmi intorno dondolandomi a ritmo di musica, mai avrei creduto di poter sentire ancora quel dolce suono. Più avanti vidi non solo alberi sempre più alti e fiori che sbocciavano, ma anche ciuffi d’erba che ondeggiavano come rapiti dalla melodia e le foglie degli alberi muoversi all’unisono. Poi la mia attenzione fu catturata da un enorme masso al centro del sentiero. Era un pezzo di roccia alto due volte me, di un colore grigio scuro, levigato alla perfezione, non una scheggia fuori posto. Ma non aveva una vera forma, se non quella di un triangolo dai lati irregolari.
Una grande I era incisa nella pietra dall’aria imponente e la mia curiosità aumentò. Mi avvicinai e, con la punta delle dita, sfiorai la lettera, da vicino pareva ancora più grande. Quel tocco leggero bastò a far tremare la roccia, d’improvviso tutto cessò di muoversi ed il canto degli uccellini s’interruppe di botto. Il silenzio regnò e, seppur la terra stesse tremando sotto i miei piedi, restai immobile dov’ero con lo sguardo rivolto verso l’alto. Una scossa più decisa sembrò arrestare i movimenti della roccia e, dalla punta di quest’ultima, salì un piccolo vortice di un colore smorto che fece alzare un leggero venticello tutt’intorno, poi al suo posto comparve la figura esile, ma imponente, di quella che doveva essere una ragazza, ma non lo era ovviamente. Aveva la pelle di un colore violaceo, sulle spalle e le braccia nude riuscii a notare dei segni che potevano ricordare dei tatuaggi, ma che erano del tutto diversi; erano strane linee argentee intrecciate tra loro a formare dei disegni che probabilmente avevano un significato. Uno ad esempio mi ricordava una spirale. I capelli erano un intrico di fiori dorati e rampicanti, i suoi grandi occhi erano completamente bianchi. Il suo vestito sembrava fatto di foglie color verde scuro ed i suoi piedi scalzi sospesi nell’aria erano ornati di ramoscelli spinosi che si avvolgevano fino al polpaccio, e così anche per le mani e le braccia. Poi notai che la cosa che stavo guardando aveva qualcosa che riuscii a farmi rabbrividire; la sua pelle, oltre ad essere leggermente opaca, come evanescente, in alcuni punti non c’era per niente. Sulla sua coscia sinistra lasciata scoperta dal vestito, ad esempio, non c’era carne, ma ossa, così anche su uno zigomo e sulla clavicola destra.
Avrei voluto distogliere lo sguardo, ma non riuscivo a farlo, quell’essere mi incuriosiva, come ormai facevano tutte le creature pericolose.
-Illusio sum, Mendacii et Veritatis fata, Animarum Amissarum custos - disse con voce metallica, quasi sembrava amplificarsi, come accade quando si parla al microfono, pareva vicina, ma allo stesso tempo lontana. Ero tanto presa dalla bellezza di quel posto che neanche capii cosa mi avesse appena detto; avevo soltanto afferrato il fatto che lei fosse una fata, un essere di cui probabilmente non dovevo fidarmi, ma non volevo fare di tutta l’erba un fascio, magari era diversa, dopotutto si trovava in un luogo dove dei corvi non c’era traccia e dove l’aria era profumata.
Non sapevo che dire, ero soltanto consapevole che quel posto mi metteva felicità, che mi faceva respirare finalmente.
-Venī mecum- la creatura non mutò la sua espressione, era neutra, quasi come se non le importasse che fossi lì, ma mi interessava ciò che aveva da mostrarmi. Così la seguii.
 
La fata camminava molto più avanti di me che le stavo dietro a fatica. Avrei voluto fluttuare nell’aria come lei, ma non potevo, almeno credevo.
Ci inoltrammo nel fitto di quel posto magico e dovunque la fata passasse ogni fiore, ogni uccellino, ogni pianta, ogni ciuffo d’erba si inchinava a lei.
Gli alberi in quel punto del sentiero erano più scuri e parevano incutere timore anziché felicità. Ma non me ne curai molto, avevo attenzione solo per lei.
D’un tratto la fata si fermò davanti una quercia enorme ed allungò la mano verso di essa facendomi segno di guardare. Un po’ titubante avanzai superando la creatura e mi voltai verso l’albero, lo osservai, ma non capivo cosa ci fosse da vedere; poi qualcosa attirò la mia attenzione. Una riga rossa dava un tocco di colore a quella quercia rugosa e vecchia. Era un rivolo di sangue che scorreva libero sulla corteccia. Corrugai la fronte confusa, ma l’improvviso bruciore alla mano destra mi fece sussultare. Guardai il palmo della mano e vidi la ferita che mi ero procurata la notte del mio arrivo aprirsi e sanguinare. Ora non soltanto ero confusa, ma anche spaventata. Quella doveva essere la stessa quercia che avevo toccato quella notte, sotto la quale mi ero riparata, ma cosa c’entrava adesso? Cosa voleva dirmi quella fata? Mi stava prendendo in giro?
Volevo delle risposte, altrimenti sarei impazzita, ma quando mi voltai per fare la prima domanda, quello che vidi mi fece indietreggiare fino a sbattere contro l’albero. Il fascino che avevo colto all’inizio in quella creatura era scomparso, lasciando spazio ad un mostro. Gli occhi enormi scavati nel cranio erano bianchissimi, del naso non c’era neanche l’ombra, solo due piccoli fori, le labbra sottili quasi non erano visibili, la pelle del volto e di gran parte del corpo era inesistente, al suo posto c’erano solo ossa. Il colore verde e oro dei suoi capelli era diventato nero, i rampicanti parevano morti, il suo vestito era fatto di stracci sporchi ed i ramoscelli che aveva intorno alle mani e ai piedi ora si erano trasformati in serpenti che le salivano fin sulle ossa dei gomiti e delle ginocchia. Il mostro che adesso era quella fata emanava un odore di terra di tomba e muffa, disgustoso.
La magia incantevole di quel luogo stava sparendo, era come se qualcuno avesse lanciato un secchio d’acqua sui colori freschi di una tela, era come sangue che colava giù da un muro, come la pioggia che rigava i vetri. Tutto era scomparso lasciando posto a qualcosa di ancor più terribile della foresta a cui ero abituata, un luogo desolato, spoglio, tetro, che mi dava la certezza di non poterne più uscire.
-Venĭte- sibilò quel mostro aprendo le braccia.
Avevo le urla bloccate in gola, la voce di quella terribile fata era un lamento lontano e non ero sicura di ciò che aveva detto, ma un velo bianco mi sfrecciò davanti, seguito da un altro e un altro ancora, venendomi contro e fu all’ora che cominciai ad urlare e a dimenarmi.
Sussurri, intorno a me era pieno di sussurri di voci vecchie, taglienti e provenivano da quelle cose vitree e senza forma che mi volavano attorno, passandomi perfino attraverso.
Spettri, anime, era quello che erano? Probabilmente sì, ma non riuscivo a pensare, la paura si era impossessata del mio corpo e le gambe si mossero da sole, correndo via, lontano da quel luogo.
Né i sussurri, né le amine però smettevano di seguirmi e più mi si avvicinavano più mi sentivo gelare il sangue nelle vene. Quelle voci mi entravano nella testa, quasi a volerla far esplodere ed urlavo nonostante avessi la gola in fiamme. Mi facevo spazio tra i rami che sembravano crescere ogni qualvolta tentassi di spezzarli, pareva che stessero facendo di tutto per bloccarmi; anche i tronchi sembravano aver preso vita ed io avevo la sensazione che si muovessero.
-La Prescelta- sussurrò un’anima nella mia testa.
arrivata- sibilò un’altra.
-Hai paura- affermò un’altra ancora, estremamente sicura di ciò che diceva.
-Non riuscirai a fuggire- attaccò poi un altro spirito.
-Resterai qui per sempre- bisbigliò uno sogghignando –Sei la Prescelta-.
Era orribile la sensazione che provavo nell’avvertire tutte quelle presenze nella mia mente, manipolandomi a loro piacimento, ma più urlavo più i sussurri si facevano forti. Quelle voci ricordavano quelle delle streghe nei cartoni animati, solo più stridule e graffianti. E quando quelle finalmente cominciarono a cessare, tentai di voltarmi, ma quella volta non avevo speranze, quel luogo me le aveva portate via tutte. Con gli occhi che mi uscivano dalle orbite mi voltai senza smettere di correre, ma quello che vidi mi fece urlare di terrore. Alle mie spalle, con i canini scoperti e i capillari neri che spiccavano sul viso pallido, c’era Justin più infuriato che mai. Vedevo la sua immagine leggermente sfocata che mi correva dietro assetata del mio sangue. Gridai ancora, ma lui era sempre più vicino, ringhiava in modo sovrumano.
-Maya!- una voce roca e alta catturò la mia attenzione ed il mio sguardo si spostò a destra. Vidi Peter che mi chiamava a gran voce rincorrendomi. Pareva nervoso, teso, preoccupato, la sua figura più distinta di quella del vampiro. Poi i miei occhi lo videro trasformarsi in un grosso lupo rabbioso ed affamato. Un lupo che continuava ad urlare il mio nome.
Lanciai nuovamente un grido, urlando come non mai, la paura e la consapevolezza di essere sul punto di morire fecero scattare in me il terrore più assoluto. Mi sembrò però di essere più energica, forse per l’adrenalina, era una scarica di qualcosa che mi dava l’aria di una gazzella, una gazzella in fuga da un leone però.
I rami mi si impigliavano nel vestito stracciandolo e tirandomi di nuovo indietro rallentandomi il passo, mi dimenavo per spezzarli e stringevo i denti rifiutando il dolore dei tagli, ignorando il sangue ed il bruciore che pulsava fuori dalle ferite.
-Maya!- continuò a chiamare la voce ormai irriconoscibile del licantropo. Mi voltai e vidi i denti scintillanti ed affilati del lupo a pochi metri da me. Dalle mie labbra uscì un urlo, ormai sentivo di non controllare più ciò che stavo facendo, ciò che provavo.
Corsi più veloce saltando tronchi abbattuti ed evitando rami, poi avvertii un peso improvviso sul mio corpo e l’istante dopo ero contro un albero.
-No! Lasciami!- gridai con voce stridula, le mie mani che cercavano di raggiungere il volto deformato di Peter per graffiarlo, o per cavargli gli occhi.
-Maya, Maya guardami! Sono io- strinse il mio volto fra le sue mani fissando gli occhi nei miei.
-Lasciami bestia!- urlai ancora dimenandomi.
-Maya, non è reale ciò che vedi, sono entrati nella tua testa- tentò di spiegare il licantropo.
-Lasciami andare!- continuai dando pugni al suo petto.
-È un’illusione Maya, sono io, non ti farò del male- provò ancora il ragazzo, mentre oltre di lui la figura di Justin svaniva, dissolvendosi nell’aria come fumo.
-Sei un mostro e l’unica cosa che vuoi è uccidermi- sibilai a denti stretti. Il mio corpo contro il tronco era preso da scatti nervosi, così come anche le mie mani.
-Sai che non è così- disse sicuro il moro.
-So soltanto che è quello che volete tutti- pronunciai tagliente, era come se non riuscissi a controllare più niente di me stessa.
-Non io. Ti ho salvata, Maya e lo rifarei ancora-
-Perché sprechi tempo? Perché non mi uccidi e basta?!- sbottai sfidandolo con lo sguardo, c’era qualcosa dentro di me che mi faceva essere irrequieta, matta.
-Non ho mai voluto ucciderti!- sbraitò Peter.
-Menti!- gridai più forte.
-Io non mento- mi disse piano per poi prendermi il viso tra le mani –Prova a guardarti dentro Maya, prova a fidarti di te, di me. Prova a capire come ricordare ciò che già sai- sussurrò quella frase, di cui non capivo fino in fondo il vero significato, in modo quasi supplicante.
Poi d’un tratto unì le sue labbra alle mie in un bacio che da casto diventava sempre più intenso. Mi sentii finalmente libera da quell’oppressione che mi distruggeva da dentro, ma c’era ancora qualcosa che non andava.
Mi abbandonai al bacio e lasciai scivolare la mano sulla mia gamba mentre poggiai l’altra sulla spalla di Peter, poi avvertii la magia del fuoco dentro di me bruciare ed arrivare bollente alla mano poggiata sul lupo, il quale emise un gemito di dolore sulle mie labbra.
E fu in quel momento che mi staccai da lui senza mai mollare la presa sulla sua spalla puntando il pugnale alla gola di Peter.
 
 
 
Buone feste a tutti!!
Ehilà, come va ragazze? Avete passato un buon Natale?
Questa volta sono leggermente in anticipo sul ritardo lol;)
Allora, che ne dite del capitolo? Vi avevo detto che c’era molta descrizione e così è stato, ma ci sono dei particolari importanti… il prossimo capitolo è uno dei miei preferiti:D
Vi piace il nuovo banner? Me lo ha fatto una ragazza, ecco il suo account EFP: Ciozzy , grazie ancora a te!!:)
Cosa ne dite di quello che ha passato Maya nel bosco? E del bacio con Peter? Cosa ne pensate del finale?
Ora ragazze un attimo di attenzione, ho una cosa importante da dire…
BUON COMPLEANNO frauhl97!!! TANTISSIMI AUGURI DA ALENA18<3
Spero che il regalo ti sia piaciuto;))
È forse il compleanno anche di qualcun’altra di voi?? Il mio è passato da un po’ ahah
Bene, che dire, grazie per aver recensito il cap. precedente e per aver messo l’ff tra le seguite/preferite/ricordate, continuate a farlo mi raccomando che non potrete far altro che rendermi felice:D
Ancora grazie, tanti auguri a te di nuovo frauhl97 e buon anno a tutte!!:)
Baci
Alena18 xxx

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Capitolo 17
*** Capitolo sedici: Gli Elementi. ***


 

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                                                                                                          “Acqua. Fuoco. Terra. Aria. Sto arrivando.”
 
 
E fu in quel momento che mi staccai da lui senza mai mollare la presa sulla sua spalla puntando il pugnale alla gola di Peter.
Aveva il viso contratto in una smorfia di sofferenza a causa della mia presa infuocata sulla sua spalla e nei suoi occhi vedevo la tensione mista a quello scintillio di sfida che non lo abbandonava mai.
Come mi sentivo? Non lo sapevo nemmeno io. Avevo le labbra brucianti che desideravano toccare ancora quelle del moro, il cuore a mille ed il fiato corto. Ma la mia mente era in completa confusione, era come essere nel bel mezzo dell’oceano accerchiata da squali, non sapere dove andare, né cosa fare; era esattamente come mi sentivo io.
Cosa stavo facendo? Bella domanda, avrei tanto voluto avere una risposta plausibile al fatto che stessi puntando la lama di un pugnale alla gola di un licantropo mentre gli riempivo le vene di fuoco. Ma il mio cervello mi ordinava di ucciderlo ed io gli obbedivo.
-Avanti- disse d’un tratto con il fiato corto –Fallo!- esclamò più forte, i suoi occhi illuminati da uno strano luccichio folle –Uccidimi- sibilò infine ad un centimetro dal mio viso. La mia mano, che fino a quel momento era rimasta ferma, tremò e piano sentii la mia mente svuotarsi, liberarsi.
-Non farlo, Maya- una voce bassa mi fece rabbrividire ed il mio sguardo si spostò oltre Peter, verso il buio della foresta. Due occhi rossi erano puntati su di me poi, a poco a poco, il viso e l’intero corpo di Justin furono visibili. Ero immobile, ma non mollavo il lupo il quale sbuffò dalle narici infastidito da quell’intervento.
-Non ti immischiare- ribatté il licantropo.
-Adesso ti piacerebbe tagliare la gola al cane- disse ovvio il vampiro –E posso capirti, credimi- aggiunse ironico –Ma poi domani, quando sarai di nuovo nel pieno delle tue facoltà mentali, desidereresti soltanto morire- concluse serio. Cosa stava cercando di fare? Dove voleva arrivare? –Ed io non permetterò che la morte di un bastardo uccida anche te- sibilò infine ma, anche se stavo appena ricominciando a sentirmi me stessa, percepivo che la morte di Peter per lui non significava solo perdere me… Ma forse stavo ancora delirando. –Lascialo andare e vieni via con me- si mosse verso di me allungandomi la mano. Sentii improvvisamente gli occhi umidi ed incominciai a rendermi conto di ciò che stavo per fare quando vidi Peter sofferente ed infuriato accasciarsi piano davanti a me. Tolsi immediatamente la mia mano dalla sua spalla e lui cadde al suolo stremato, ancora un po’ di magia e sarebbe morto.
La luce del fuoco continuava a brillare nelle mie mani, una delle quali stringeva ancora il pugnale, quando mi sentii d’improvviso afferrare per la vita. Vidi la foresta scorrere veloce, era come una macchia nera indistinta. Tutta quella situazione mi aveva tanto sconvolta che non mi preoccupai di domandarmi chi mi stesse portando via, o dove stessi andando.
Peter, l’avevo quasi ucciso, volevo ucciderlo. Perché? Io… io non avrei mai potuto fare una cosa del genere. Cos’era accaduto realmente? Tentai di ricordare le parole del lupo, ma non ci fu verso, mi sentivo vuota. In quel momento ero solo un corpo senza nulla dentro.
 
Justin mi aveva lasciata in camera mia, aveva insistito per restare, ma io avevo bisogno di stare sola. Dovevo togliermi quell’odore di morte di dosso. Andai nel bagno e riempii la vasca d’acqua calda, legai i capelli in uno chignon disordinato e mi svestii. Un brivido di freddo mi investì e subito entrai nella vasca. Con uno straccio bagnato cominciai a grattare via dal mio corpo terra e sangue ignorando il leggero bruciore, ma quando assottigliai lo sguardo notai che gran parte dei miei tagli si era già rimarginata, di molti restava solo un piccolo segno sbiadito. Ero stranita, guarivo davvero così velocemente? Be’, forse essere una strega portava qualche vantaggio. Ma ero pur sempre stanca, quella giornata era stata troppo lunga e faticosa per me. Chiusi gli occhi e tentai di calmarmi e di dimenticare, ma un’improvvisa folata di vento ed il tremolio della superficie dell’acqua mi fecero immobilizzare. Il tocco leggero di una mano fredda salì lungo il mio braccio, poi avvertii un paio di labbra sfiorarmi l’orecchio e sussurrare: -Ti stavo osservando-.
Deglutii forte quando fui assolutamente certa che la persona alle mie spalle fosse Justin –Stai molto meglio senza vestiti, sai?- i suoi denti morsero il lobo del mio orecchio e serrai le labbra per non gemere o urlare di spavento. Ero così confusa.
In un secondo mi ritrovai contro la parete della vasca e davanti a me c’era il suo viso angelico sul quale era stampato un sorrisetto compiaciuto: dovevo essere arrossita. Il suo volto era vicinissimo al mio, i nostri nasi si sfioravano –So che mi vuoi- mormorò facendo toccare impercettibilmente le nostre labbra. Non dissi nulla, come potevo ribattere se quello che diceva era vero? Il mio silenzio lo fece sogghignare, poi si lanciò sulla mia bocca baciandola con foga. Portai la mia mano sulla sua nuca mentre la sua correva lungo tutto il mio corpo che aderiva al suo, gelato e pallido. Le sue labbra scesero sul mio collo leccandolo per poi raggiungere il mio petto. Morsi il labbro inferiore attenta a non farlo sanguinare e le mie unghie si conficcarono nella schiena del vampiro quando, con mia sorpresa, lo sentii entrare in me con tanta decisione. Non potei trattenere un gridolino che lo fece inevitabilmente sorridere e, mentre si muoveva contro di me, alzò il suo viso all’altezza del mio, i capillari viola gli cerchiavano gli occhi neri e vidi crescergli i canini, lunghi e sottili, mentre scendeva sul mio orecchio. Se volevo urlare? Ovviamente, ma qualcosa mi diceva che non volava farmi esattamente del male. Serrai gli occhi, avevo il respiro affannoso ed il cuore a mille. –Giochiamo un po’- sussurrò per poi leccare ancora il mio collo dove subito dopo si conficcarono i suoi canini. Mi feci sfuggire un piccolo grido ed il mio corpo si dimenò sotto il suo, ma poi un’ondata di piacere mi riempì le vene facendomi gemere mentre lui succhiava avidamente il mio sangue. Lo tenni stretto a me, non doveva fermarsi, stavo troppo bene. Ma lui sogghignando si allontanò dal mio collo e riprese a spingere fino a quando entrambi non raggiungemmo il culmine. 
 
-È stato divertente, non credi?- mi chiese retorico alle mie spalle mentre esaminavo delicatamente i due fori sul mio collo, facevano un po’ male, ma come aveva detto lui, era stato divertente e piacevole, speravo però che per lui non fosse stato solo sesso, perché per me non era così, o almeno non completamente. –Sento che sei quasi pronta per riportare in vita la tua antenata- aggiunse improvvisamente –Sei migliorata con la magia- quanto avrei voluto registrarlo per poterlo sentire quando magari mi avrebbe di nuovo insultata –Ma devi stare attenta e proteggerti da attacchi come quello di stanotte- continuò, mi limitavo ad ascoltare e dargli le spalle dato che mi sentivo un po’ in imbarazzo –Devi imparare a difenderti- terminò e l’istante dopo le sue grandi mani premettero sulle mie spalle spingendomi sott’acqua. Mi dimenai tentando di salire in superficie, mille bolle fuoriuscirono dalla mia bocca mentre stavo finendo l’aria. Un secondo dopo eccomi di nuovo con la testa fuori dall’acqua mentre sputavo e tossivo. Justin mi tirò indietro e sibilò al mio orecchio: -Difenditi!- ordinò spingendomi ancora sotto. Non seppi dire quanto ancora bevvi, ma parecchio dato che il mio corpo si dimenava come preso da scatti nervosi. Le sue mani mi riportarono su con violenza –Reagisci!- sbottò di nuovo e, senza darmi tempo di riprendere fiato e sputare fuori l’acqua, mi ritrovai di nuovo sommersa. E mentre affogavo riprovai per il vampiro l’odio di quegli ultimi giorni e desiderai di avere con me il pugnale.
Se avessi avuto almeno un quarto delle capacità e dell’astuzia della tua antenata avresti potuto risparmiarti di pugnalare il vampiro e metterlo fuori gioco con un semplice cenno del capo. Mi ritornarono in mente le parole di Peter mentre mi muovevo come un pesce fuor d’acqua sul fondo della vasca. L’incantesimo per distorcere le menti dei vampiri! Potevo provarci, infondo bastava concentrazione e un cenno della mano, o del capo. Improvvisamente le orecchie cominciarono a fischiare, la gola bruciava come fuoco e gli occhi mi pizzicavano maledettamente. Dovevo tentare o mi avrebbe affogata. Mi concentrai ed avvertii l’odio scorrermi nelle vene, immaginai il vampiro piegato in due dolorante, la mente traboccante di grida e sofferenza. Strinsi i denti e aprii le mani, e in quell’esatto istante Justin mollò la presa su di me. Risalii in superficie tossendo e respirando a stento mentre concentravo tutto il mio odio sul vampiro che urlava con le mani alla testa.
Uscii dalla vasca ed in fretta mi avvolsi nell’asciugamano attenta a non inciampare negli abiti di Justin sul pavimento. Non mi voltai a guardarlo, i suoi gemiti di dolore erano sufficienti, stavo male per quello che stavo facendo, ma lui aveva tentato di uccidermi dopo quello che era accaduto tra noi, si meritava la mia furia.
Corsi fuori dal bagno ed afferrai il pigiama che avevo lasciato sul letto infilandolo velocemente, poi uscii da quella stanza diretta nelle segrete. Ero quasi sicura che lì non sarebbe venuto a cercarmi. Mentre correvo continuavo a sputare acqua, il naso e la gola mi pizzicavano e barcollavo da una parte all’altra a causa della vista offuscata. Mi tornarono alla mente gli attimi che avevo passato con il vampiro, io avevo fatto sesso con lui dopo aver baciato Peter, dopo aver provato la sensazione più bella di tutta la mia vita. Ero un’idiota per il solo fatto di aver pensato che Justin tenesse a me quanto il lupo. Ma quella notte ciò che era successo mi aveva fatto capire che c’era qualcosa che non andava nel vampiro, qualcosa di estremamente sbagliato.
 
I sussurri che mi accolsero mentre correvo per gli stretti corridoi delle segrete erano più fastidiosi del solito, quasi ne ero spaventata. E piano mi tornarono alla mente le scene di poche ore prima, la desolazione, la morte, la sofferenza, le mie grida e poi Peter, i suoi occhi scuri nei miei, le sue mani calde sul mio viso, la sua voce roca nella mia mente, le sue labbra morbide sulle mie. Ed io l’avevo quasi ucciso.
Non sapevo con esattezza cosa avevo intenzione di fare, né perché sentissi il bisogno di andare da Ester, ma forse parlare mi avrebbe fatto bene.
Entrai nella stanza illuminata da una flebile luce bianca, era fredda, come sempre d'altronde. Il largo pantalone di cotone e la t-shirt che indossavo come pigiama lasciava parte della mia pelle scoperta e brividi corsero lungo il mio corpo. Mi posizionai di fronte allo specchio e qualche secondo dopo apparve la mia antenata; nulla nel suo viso era cambiato, la solita espressione neutra e lo stesso colore vitreo della pelle.
-Avevo bisogno di parlarti- spiegai cominciando a camminare avanti e indietro per la stanza. Con una mano giocherellavo nervosa con una ciocca di capelli, mentre con l’altra tastavo delicatamente la parte lesa del mio collo –Io credo che impazzirò! Sta accadendo tutto troppo velocemente, fino a qualche settimana fa vivevo una banale vita in una normale casa di Londra e adesso mi ritrovo a fare magie e a imparare incantesimi. Sono stata morsa da una vipera che non era realmente una vipera, sono quasi stata avvelenata dalle fate ed una loro sirena ha tentato di affogarmi per rendermi loro schiava e, ultime notizie, un’altra fata ha tentato di farmi impazzire, Peter è quasi morto per questo! Non reggerò questa situazione ancora per molto e Justin non aiuta per niente- strinsi le mani a pugno tra i capelli mentre riprendevo fiato –Continuo a chiedermi: mi vuole uccidere o magari mi risparmierà? Fino a pochi minuti fa eravamo nella vasca da bagno- arrossii leggermente –e dopo aver passato momenti molto intimi sai cos’ha fatto? Ha provato ad affogarmi! Voleva a tutti i costi che imparassi a difendermi e ha avuto la brillante idea di farmi avere un altro incontro ravvicinato con la morte. Io ho paura!- sbottai, rischiavo di impazzire, o di morire per infarto e sembrava non avessi altra scelta che stare a guardare e aspettare, cosa non lo sapevo nemmeno io.
-Maya, adesso prova a calmarti- disse Ester con leggera preoccupazione nel tono di voce –Posso solo immaginare quanto sia difficile per te affrontare pericoli uno dopo l’altro, ma comincerai ad essere più potente e sarai autonoma, imparerai a difenderti e a vedere le cose, le persone, in un’altra prospettiva- spiegò con tono di voce calmo, rassicurante –Devi soltanto essere paziente e forte, studiare la magia ed imparare a praticarla- tentò di consolarmi, ma io sapevo di non essere capace di quelle cose, mantenere il controllo e allo stesso tempo studiare la magia era un’impresa ardua, difficile da portare a termine, forse lei ci sarebbe riuscita, ma io…
-Non posso, non posso restare calma e praticare la magia, io non ne so nulla, non sono capace di fare incantesimi. Io non sono fatta per questo mondo- mi fermai di fronte allo specchio guardando il viso scarno della mia antenata.
-Tu sei nata per essere ciò che sei: una strega. Devi solo accettarlo- la sua voce pareva sincera, sicura di ciò che diceva. Poi la sua immagine cominciò a sparire –Guardati, Maya- il mio riflesso apparve nello specchio e vidi il mio volto sconvolto, stanco –Ecco quello che sei: una ragazza forte, coraggiosa, intelligente, magica- per un attimo mi vidi come Ester mi stava descrivendo e gli occhi cominciarono a pizzicarmi –Questo specchio non mostra semplicemente il riflesso di un volto, questo specchio ti scava dentro e trova la tua anima, poi la riflette- rivelò riapparendo davanti a me, oltre la lastra di vetro –Quella che hai visto eri e sei tu, Maya- terminò, nella sua voce c’era sicurezza, determinazione e mi sentii subito più forte, in grado di affrontare Justin.
-Grazie- sussurrai sorridendole leggermente. Le sue parole mi fecero aprire gli occhi su quella che ormai era la realtà della mia vita, accettarla era il passo decisivo per diventare abbastanza forte da essere una strega, e per riportare in vita Ester, io glielo dovevo.
Mentre lei scompariva piano andai via; mi preparai mentalmente per l’incontro con Justin che probabilmente era tanto arrabbiato da volermi uccidere, ma ora sapevo come rispondere, conoscevo l’incantesimo giusto. Qualche minuto prima la sua mente sarebbe andata in fumo se avessi continuato con il mio incantesimo, ma non avevo intenzione di rendere poltiglia il suo cervello, io non uccidevo, né avevo intenzione di fare del male a qualcuno, ma se non mi fosse rimasta scelta l’avrei fatto. Una volta arrivata nel corridoio del castello richiusi alle mie spalle il passaggio e mi avviai in camera. Giunta davanti alla porta ignorai il cuore che andava a razzo e la spalancai. Quello che vidi fu la normalità della mia stanza, era tutto come l’avevo lasciato. L’anta dell’armadio socchiusa, il borsone aperto sul letto con affianco il mio asciugamano bagnato e la porta del bagno spalancata. Che fosse ancora lì dentro? Un brivido corse lungo la mia schiena e per un istante sentii il sangue andarmi alla testa, rendendola pesante e rischiando di farmi cadere. Ripresi il controllo di me stessa e respirai profondamente dirigendomi a passo deciso verso il bagno. Entrai, ma la vista della stanza vuota mi fece sussultare. Lui non c’era.
In quel momento mi accorsi di non avvertire la sua presenza oscura, ciò significava che Justin se n’era andato. Tirai un sospiro di sollievo, stare sola era tutto ciò di cui avevo bisogno. Dovevo riflettere, anzi no. Dovevo studiare la magia. Recuperai il libro da sotto al letto, mi avvolsi in una coperta e cominciai a leggere.
 
Fu un’ora intensa, avevo imparato diversi incantesimi e molti già sapevo praticarli. Ester aveva ragione, non era tutto così nero, così difficile, bastava solo crederci ed accettarlo.
Stavo memorizzando un incantesimo di guarigione quando la mia mente si svuotò di botto facendomi deglutire forte. Il secondo dopo, il mio cervello sembrava volesse esplodere e l’aria mi mancò per il dolore. Urlai portandomi le mani alla testa, mi alzai di scatto barcollando ed il libro cadde. Con un calciò lo spinsi sotto al letto, poi indietreggiai stringendo i denti. Che mi stava capitando?
Persi il conto delle cose che distrussi vacillando da una parte all’altra della stanza, c’era solo dolore. La vista era offuscata e le forze sembrava volessero abbandonarmi. Una fitta più acuta mi fece gridare e nella mia mente si susseguirono immagini sfocate della foresta in tempesta caratterizzata dal suono del vento che d’improvviso fu sostituito da un rumore stridulo che si allontanava sempre di più causandomi contrazioni lungo tutto il corpo. Poi la mia mente si annebbiò definitivamente, dentro di essa solo un sussurro si ripeteva, un sussurro che si trasformava in un ordine: -Veni-.
E le mie gambe si mossero da sole conducendomi fuori dal castello mentre sulle mie labbra si formò un’unica parola: -Perventurus-.
 
Il portone si chiuse alle mie spalle con un tonfo sordo ed il vento gelido che mi colpì non bastò a fermarmi, nulla poteva riuscirci. Dovevo andare, dove non lo sapevo nemmeno io, l’unica certezza era quella di dover andare dove quella voce mi portava.
-Perventurus- continuavo a ripetere mentre il cielo scuro si copriva di nuvole cariche d’acqua. Continui lampi illuminavano di un flebile bagliore bianco il mio cammino e ad ogni tuono corrispondeva una scossa, la terra tremava come una foglia sotto i miei piedi, ma io dovevo andare.
Sentivo le mani congelarsi, così come anche le gambe, e la mia faccia, le mie guance, il mio naso quasi non li avvertivo più ma, anche se faceva male, io dovevo andare.
D’improvviso il sussurro nella mia mente scomparve, come anche il dolore che fino a quel momento ero stata costretta da chissà chi, o cosa, a reprimere. Respirai a fondo, erano stati solo pochi minuti di trans, ma mi sembrava non prendessi aria da secoli. Ma cos’era capitato? Dov’ero finita? Perché ero lì?
Ero confusa, stavo congelando ed intorno a me c’era solo una distesa di terra umida circondata da alberi. Paura, ecco quello che provavo, paura di non riuscire a tornare al castello, paura di non riuscire ad uscire da quella situazione. La sensazione di non essere sola, di essere in quell’esatto istante osservata da chissà cosa, si faceva sempre più forte, ma intorno a me c’era il nulla.
Ero decisa a correre e non fermarmi, ma proprio quando stetti sul punto di muovere il primo passo la terra emise un suono simile ad un lamento, si mosse sotto di me mentre il vento batteva forte, tagliente. Il secondo dopo un rumore simile a quello di una frana mi riempì le orecchie costringendomi ad abbassare lo sguardo. Una piccola crepa si stava formando nel terreno e la terra cominciò a dividersi sotto i miei piedi. Una scossa più decisa provocò un enorme squarcio nel suolo e saltai lontano, lanciandomi verso sinistra. Un terremoto? Probabilmente no.
Mi passai una mano tra i capelli pregando che tutto fosse finito, ma vidi centinaia di crepe formarsi nel terreno e puntare verso di me. Mi rimisi in piedi e corsi, corsi fino a quando un albero infuocato non mi cadde davanti, ad un metro da me, sbarrandomi la strada. Lanciai un urlo quando delle scintille di fuoco mi bruciarono la pelle. Cambiai direzione, lampi e tuoni risuonavano illuminando di un bianco accecante la foresta, e la pioggia prese a battere forte, più insistente di quella della folle notte del mio arrivo, più pungente di mille aghi, più sottile dei fili di spago. Uno scricchiolio quasi impercettibile ed ecco una massa di fuoco cadere ai miei piedi, ero abbastanza vicina da poter sentire il forte calore bruciante delle fiamme di un colore più matto di quello solito del fuoco.
Il vento tirava forte, troppo e alimentava le fiamme che sembravano moltiplicarsi mentre la terra continuava a tremare. Poi un rumore, alzai lo sguardo e vidi un albero sradicarsi dal suolo e volare via; un altro ancora cadde abbattuto dalla sovrannaturale forza dell’aria. I miei capelli mi schiaffeggiarono coprendomi la visuale; con un gesto veloce li spostai dal mio viso e quello che vidi mi fece urlare. Mi voltai di scatto e corsi ancora mentre l’ombra nera dell’albero si faceva sempre più vicina, più grande. Morire schiacciata non era ciò che volevo e dovevo saltare. Sulla mia destra fuoco, sulla mia sinistra un burrone. I miei piedi fecero tutto da soli lanciandomi davanti. Quello che sentii fu un tonfo sordo mentre ancora rotolavo al suolo, poi avvertii un bruciore acuto al fianco. Quando trovai il coraggio di riaprire gli occhi un ramo infuocato stava volando giù dal cielo in tempesta. Rotolai di nuovo evitando per qualche centimetro il fuoco. D’un tratto una fitta al fianco sinistro; portai la mano su di esso e quando poi la tolsi la trovai imbevuta di sangue, abbassai lo sguardo e mi vennero i conati di vomito nel vedere tutto quel liquido color ruggine che bruciava maledettamente a causa dello sforzo fisico, la pioggia che scorreva lungo il mio corpo fungeva solamente da acido per la ferita.
D’improvviso il vento aumentò di potenza trascinando via tutto ciò che trovava. Non riuscivo a vedere molto a causa dell’acqua piovana nei miei occhi, ma mi sentivo improvvisamente così leggera, avevo la sensazione che se non avessi trovato un appoggio sarei volata via come una foglia. Vacillando mi rimisi in piedi ed abbracciai il tronco di un albero stringendomi forte ad esso. Un secondo dopo le mie gambe si alzarono da terra; urlai quando sentii delle schegge di legno conficcarsi nella pelle. Persi la presa e rotolai sul suolo irregolare procurandomi solo ferite. Poi la mia schiena sbatté contro un masso e, prima che il vento potesse sollevarmi da terra, afferrai la roccia aggrappandomi ad essa. Avevo polvere e acqua negli occhi ed in bocca, l’aria mi mancava. Intorno a me i rumori del terreno che si frantumava, lo scoppiettio del fuoco, la pioggia che aveva preso il suono di milioni di monetine buttate su un pavimento e l’ululato assordante del vento mi riempivano le orecchie rimbombando nella mia mente. Passarono solo pochi secondi che a me parvero infinite ore, poi il vento si calmò e le mie gambe tornarono a toccare terra. Sentivo la testa girare e girare, se fossi sopravvissuta a quella notte mi sarei considerata immortale, ma avevo scarse possibilità di continuare a vivere. Mi guardai intorno assottigliando lo sguardo, lo spazio che mi circondava era in fiamme, avvolto dal vento e bagnato dalla pioggia, distrutto. Poi qualcosa non molto lontano da me attirò la mia attenzione. Era giallo e nero, aveva la forma allungata e leggermente schiacciata. Mi alzai e, barcollando, mi avvicinai a quella che capii fosse un auto, ma non un auto qualsiasi: era un taxi. Sentii un tuffo al cuore nel constatare da un banale e familiare adesivo colorato sulla portiera che quello era il taxi che mi aveva portata in quell’inferno. Deglutii forte e fui presa da spasmi irregolari, cosa significava quello? Era forse un’altra allucinazione? Dovevo toccare per sapere che era tutto reale, se ogni cosa fosse sparita allora era soltanto un incubo. Avvicinai la mano e la punta delle mie dita sfiorò il metallo freddo; c’era davvero, era lì!
Un istante dopo fui scaraventata a metri di distanza e ciò che vidi fu solo un misto di colori tra il rosso e l’arancio, ciò che sentii fu il rumore di un’esplosione. Mi schiantai al suolo, il respiro mozzato e il corpo dolorante,  la vista offuscata e le orecchie pervase da un fischio assordante. Gemendo e tossendo alzai il capo e ciò che vidi, seppur fosse ombrato, mi fece accapponare la pelle. Il taxi era esploso lasciando solo fuoco. Da quelle fiamme spuntò una sagoma nera la quale veniva proprio verso di me. Assottigliai lo sguardo per tentare di distinguere il volto di quello che doveva essere un uomo; quando riuscii a leggere i tratti spigolosi del suo viso, quando riuscii a vedere i suoi capelli corvini e quando riuscii ad incontrare i suoi occhi tanto azzurri la consapevolezza di chi fosse mi fece tremare di paura e mi portò a sussurrare:
-Tu-   
 
 
 
Hola Papagenos(?)!!
Bene, bene, bene, da quanto tempo! Sembra l’anno scorso che non pubblico… oook questa era squallida ahahah:))
Allora, che ve ne pare del capitolo?

Maya si è data da fare con Justin, ah birbatella! E lui ovviamente l’ha affogata, mi sembra giusto, mica poteva baciarla e accarezzarla, noo ma che scherziamo!
Non sottovalutate la chiacchierata con Ester, lei le dice molto più di quanto sembri;)
E che ne pensate del finale? I 4 elementi mi affascinano e ho voluto usarli per questo capitolo… chi pensate sia il ragazzo dagli occhi azzurri uscito dalle fiamme? Una cosa è sicura, non è un papageno!!
In sintesi, Maya è stata ancora una volta, per due volte, in pericolo di morte, meraviglioso:D
Grazie mille a chi ha recensito il capitolo precedente, spero continuerete a farlo, un grazie anche a chi ha messo l’ff tra le preferite/seguite/ricordate, grazie a tutti!:))
Vi informo che non manca molto alla fine, ma neanche poco;) oddio non vedo l’ora di scoprire la vostra reazione alla fine, sarò tipo Maya quando si chiede se continuerà a vivere: “Mi uccideranno? Mi faranno vivere? Chi lo sa!”
Ma se vorrete eliminarmi passate a questo indirizzo: Via Lattea, sono sulla stella di fronte a sorseggiare caffè con George Clooney;)
Ora la smetto di sparare boiate e mi dileguo:)
A presto e recensite;))
Baci
Alena18 xxx
 
P.s. noi saremo tipo così:
 
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Ahahahaha!

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Capitolo 18
*** Capitolo diciassette: Amare è distruggere. ***


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                                                                                                          “Ama e sarai dannato ovunque ed in eterno.”
 
 
Ero in macchina con un ragazzo affascinante che non aveva per niente l’aria di un tassista. Era molto carino, occhi azzurri, capelli neri corvini, lineamenti perfetti e labbra sottili che si aprivano in un sorriso ammiccante, dannatamente sexy. I suoi occhi scintillavano di una strana luce e mi fissavano attraverso lo specchietto retrovisore, avevano un’aria così… così consapevole, assetata, sicura di sé. Mi sentii nuda per un istante.
Sbattei le palpebre e, in quell’unico mezzo secondo, mi ritrovai al castello. Sembrava diverso, c’era più luce. L’immagine era sfocata, ma riconobbi subito la mia antenata Ester seduta su uno dei divani nel salone. Aveva un’aria così regale, così principesca e allo stesso tempo così letale. Anche il suo modo di sorseggiare il tè la rendeva elegante, affascinate. Poi d’un tratto un rumore secco e nella sala fece irruzione un giovane alto, capelli corvini e splendide iridi azzurre, il suo bel volto contratto in una smorfia di ira. Si posizionò di fronte ad Ester tentando di calmarsi, ma invano.
-Perché?!- sbottò spalancando gli occhi pervasi da uno strano luccichio folle.
-Buongiorno anche a voi, cugino- salutò la mia antenata mettendo su un  sorriso cordiale.
-B-Buongiorno dite? Questa non è per niente una buona giornata!- continuò irritato il ragazzo stringendo i pugni. Con estrema calma e naturalezza Ester posò la tazza fumante sul tavolino in cristallo, tornando poi alla sua posizione diritta, quasi sembrava una bambola di porcellana.
-William, vi prego, lasciateci soli- fece un cenno di congedo al ragazzo alle sue spalle, non lo avevo nemmeno notato. Era alto, camminava con una grazia felina, l’accenno di un sorriso tagliente. Girò intorno al divano e prese la mano di Ester baciandola.
-A domani- e con un leggero inchino se ne andò.
-Posso sapere cosa avete, cugino?- fece con noncuranza la mia antenata.
-Mi state davvero chiedendo cosa ho? Ester, le nostre famiglie esigono che combattiamo per poteri che ci dovrebbero spettare di diritto!- esclamò rosso in viso.
Ester si alzò e sorrise, un sorriso apparentemente innocente. Con una mano esile accarezzò il viso del ragazzo –E allora combattiamo-.
Sbattei ancora le palpebre e d’improvviso eccomi nella foresta, circondata da alberi. Il vento soffiava forte, la pioggia pungeva la pelle, la terra si divideva ed il fuoco mi circondava mentre le fiamme si moltiplicavano. Un’esplosione improvvisa mi causò un forte dolore alla testa e, sotto il fischio continuo nelle mie orecchie, una sagoma nera spuntò dalla montagna di fuoco avvicinandosi. Capelli corvini, lineamenti spigolosi perfetti, occhi azzurri e il suo ora familiare sorrisetto compiaciuto stampato sulle labbra.
-Tu-
 
-No!- la mia voce risuonò nelle mie orecchie, sottile e affannosa, sconvolta. Le scene del mio incubo-visione erano come marchiate a fuoco nella mia mente. Sembrava così poco, ma era davvero troppo scioccante. Il tassista, lui era la causa di tutto, era il motivo per cui io mi trovavo lì. E l’impressione di non essere un autista che mi aveva dato all’inizio era fondata. Probabilmente era il mio subconscio che mi suggeriva di non fidarmi di lui, ma l’aveva fatto talmente tanto silenziosamente che io non l’avevo sentito. Ma cosa voleva lui da me? Cosa c’entrava Ester? Di quale combattimento parlavano? E poi… cugini?
No, non poteva essere, non aveva alcun senso. Ma cosa poi non aveva senso? Cosa sapevo io in realtà? Niente, ecco cosa. Quando mi sembrava di cominciare a capire, quando finalmente le cose prendevano una loro forma, seppur strana, accadeva sempre qualcosa che smontava le mie teorie, le mie quasi certezze. E sarebbe stata quella la causa del mio impazzire se non avessi chiesto delle risposte. Ma chi era in grado di darmele? Chi voleva fornirmele? Fino a quel momento nessuno si era dimostrato minimamente interessato a rivelarmi tutta la verità.
Dovevo scoprirla da sola, allora. Ma come? Forse Ester poteva aiutarmi a capire, forse. Ormai non sapevo più nulla.
Mi guardai intorno, la stanza era invasa dalla luce biancastra del sole, ma l’aria era fredda e le coperte che mi avvolgevano dalla vita in giù non erano abbastanza calde. D’un tratto un rumore proveniente dal piano di sotto richiamò la mia attenzione, sembrava una voce. La mia curiosità crebbe e seguii l’impulso alzandomi dal letto con uno scatto repentino che mi fece vibrare le viscere. Una fitta acuta al fianco e il pulsare della mia testa mi fecero barcollare, così tornai a sedermi. Mi osservai e notai che non indossavo più pantalone e t-shirt o, come lo definivo io, pigiama. Avevo una canotta di seta color avorio e un pantalone dello stesso colore e tessuto. Era bellissimo e incredibilmente morbido, adoravo la seta anche se la indossavo molto raramente. Alzai un lembo della canotta e vidi delle bende macchiate di sangue avvolte alla bell’e meglio attorno al mio fianco. Avevo le braccia piene di lividi e mi facevano male le ossa di tutto il corpo, mi sentivo come un’enorme palla da bowling.
Quei dolori però non mi avevano fatto passare la curiosità, se dovevo capire qualcosa di tutta quella storia allora tanto valeva cominciare subito. Dato che il mio corpo era invaso da fitte continue decisi di ascoltare ciò che stava accadendo al piano di sotto utilizzando un incantesimo.
Sfogliai le pagine del mio libro e trovai quello che faceva al caso mio. Mettere in pratica la magia mi riuscì stranamente facile, stavo cominciando a prendere dimestichezza con l’arte della stregoneria.
Quando pronunciai l’ultima parola dell’incantesimo, le voci che fino a quel momento mi erano parse lontane ed ovattate, ora mi giungevano pulite e chiare alle orecchie.
-Cosa ci fai qui?- era la voce di Justin. Quel tono duro mi fece tornare in mente la notte passata e tutto quello che l’aveva seguita. Ma con chi stava parlando il vampiro?
-Oh, andiamo! È così che accogli chi ti ha salvato la vita?- ironizzò l’altro, la sua voce era identica al tizio del mio sogno, quello che Ester chiamava cugino e quello che io avevo creduto fosse un tassista. Ma… salvato la vita?
-Tu, non mi hai affatto salvato la vita. Sono stato addormentato, imprigionato per oltre due secoli in uno schifo di ripostiglio mentre tu invece giravi il mondo godendoti la vita- sputò adirato Justin.
-Stavo aspettando. Aspettavo che arrivasse lei, perché forse l’hai dimenticato, ma solamente il suo sangue poteva risvegliarti- ribatté il ragazzo in tono irritato.
-E adesso cosa vuoi? Perché diavolo sei qui?!- sbottò il vampiro, era sempre così facilmente irritabile.
-Voglio ciò che mi spetta. Abbiamo un patto-
-Tu hai pensato di avere un patto con me, ma la verità è che io non ti ho mai detto di essere d’accordo, sai, ero troppo impegnato ad essere condannato al sonno eterno per poterti dare una risposta!- la situazione stava diventando tesa, Justin ribolliva di rabbia, le sue parole traboccavano d’ira.
-Oh, Justin- pronunciò quel nome con una strana enfasi nella voce, quasi divertita –Tu mi sottovaluti, io so qual è il tuo punto debole, la falla nel tuo sistema, l’intoppo nel tuo piano- c’era qualcosa nel suo tono di voce che mi fece rabbrividire. Avvertii il rumore leggero dei suoi passi camminare per il salone al piano di sotto –Lo vedi questo- Be’, io non vedevo un bel niente -È un pugnale incantato, l’ho realizzato io. Ti piace?- Un pugnale… incantato? Avevo paura di scoprire a cosa gli servisse.
-Va al punto, Cameron- minacciò Justin con voce irritata, ma tesa. Cameron, era quello il suo nome allora.
-Quanta impazienza!- scherzò il ragazzo –Vedi, se adesso scaglio questo pugnale, lui setaccerà ogni angolo di questa foresta, ogni angolo di questo e dell’altro mondo fino a quando non scoverà il tuo punto debole e lo colpirà infliggendogli le più orribili delle pene fino ad ucciderlo, a meno che io non spezzi l’incantesimo- spiegò con nonchalance il ragazzo, ma forse lui non sapeva con chi aveva a che fare. Justin non si sarebbe lasciato manipolare così, giusto? Ma poi, il vampiro che aveva un punto debole? Quasi mi sembrava impossibile.
-Tu non sai niente- sibilò Justin facendomi rabbrividire, la sua voce sembrava quella di un serpente, le parole velenose.
-Io so molto più di quanto tu creda- ribatté estremamente calmo e sicuro di sé il ragazzo –Dì ciao ciao ai tuoi piani- Detto ciò un rumore secco di vetri infranti mi risuonò nelle orecchie e, prima di poter riflettere su quello che stesse accadendo, raggiunsi la finestra e guardai fuori. Un pugnale volava spedito verso la foresta ed un secondo dopo si insidiò al suo interno.
Mi mancò il respiro perché io sapevo dove fosse diretto, sapevo a chi puntava ed io non potevo permettere che lo raggiungesse.
Deglutii forte, Pensa, mi ripetevo, Pensa, maledizione!, cosa potevo fare?
Senza concedermi tempo per trovare un’altra soluzione, salii sul davanzale della finestra e saltai afferrando la pianta che io stessa avevo creato il giorno prima. Ero stata impulsiva, troppo e quasi perdevo la presa su di un ramo, ma ora sapevo come muovermi, dovevo solo ignorare il dolore all’addome. Scesi lungo quella specie di albero e toccai terra dopo pochi secondi. Non pensai a riprendere fiato, sapevo solo che dovevo correre il più veloce possibile. Sentivo il corpo spingersi in avanti e l’aria fredda che lo accarezzava mi diede una scarica di adrenalina tanto forte da farmi sentire leggera come una piuma. Ed i miei piedi quasi non toccarono più terra.
Dovevo trovarlo. Dovevo salvarlo.
Mi insinuai nella foresta, ero migliorata nello schivare gli alberi, ma il pericolo ormai camminava a braccetto con la sottoscritta.
I miei piedi nudi sfioravano il soffice strato di neve che si era posato sul terreno, sentivo le dita congelarsi e nuvole di fumo bianco fuoriuscivano dalle mie labbra. Dove poteva essere? Dove?!
Io speravo davvero tanto di star sbagliando, desideravo con tutta me stessa che il punto debole di Justin non fosse lui. Ma se fosse stato così, allora perché? Perché proprio lui? E cosa sarebbe accaduto se non fossi riuscita ad intervenire? Ma poi, intervenire come? E come sempre nessuna risposta, niente. Odiavo quella sensazione di impotenza, in quel momento solo l’adrenalina mi dava la forza di continuare.
Non trovare nemmeno una traccia del pugnale e del percorso che aveva potuto intraprendere mi rendeva nervosa.
-Peter!- chiamai a gran voce senza smettere di cercare –Peter!-
Mi guardavo intorno, ma sembrava tutto uguale. Ero già passata di lì, oppure no?
-Peter!- Tutto inutile, nessun segno di vita, non avvertivo il minimo rumore –Peter, rispondimi! Peter!- Correvo in ogni possibile direzione senza mai arrivare da nessuna parte, mi sembrava che girasse tutto e ignorare il dolore al fianco era sempre più difficile.
-Pet…- Un paio di mani mi strinsero le spalle bloccandomi e la voce mi morì in gola.
-Maya, cosa c’è?- la sua voce arrivò alle mie orecchie prima che io potessi inquadrare il suo viso –Che succede?- chiese allarmato scuotendomi, i suoi occhi spalancati.
-Peter…- la mia mano raggiunse il suo volto e scese lungo il suo collo, ed il cuore mi martellò due volte più forte contro il petto –Devi nasconderti- lo avvertii con fiato corto –Sta… sta arrivando-.
-Cosa? Chi sta arrivando, Maya?- mosse un passo verso di me, i suoi occhi confusi, i miei lucidi di lacrime, vederlo mi riportò alla mente il dolore che gli avevo causato mentre lui aveva cercato solo di aiutarmi.
-Il…- Fu in quel momento che lo vidi, oltre la spalla del lupo che mi era davanti; sfrecciava veloce tagliando l’aria, puntava diritto a Peter. Feci tutto senza rendermene veramente conto, spinsi da parte il moro muovendomi per coprirlo ed il secondo dopo il pugnale si conficcò nel mio stomaco. L’impatto fu agghiacciante, tremai prima di cadere con le ginocchia sulla neve macchiata già del mio sangue.
-Maya!- la voce di Peter mi giunse lontana, ma terribilmente assordante, poi entrò nel mio campo visivo, nel suo sguardo c’era paura. Riuscì ad afferrarmi prima che mi abbattessi su di un lato e piano mi adagiò sul suolo freddo. –Maya… che hai fatto? Che hai fatto, Maya?- le sue mani incredibilmente calde riuscirono a darmi un po’ di conforto, sentivo tutti i muscoli paralizzati, non riuscivo neanche a deglutire. D’improvviso la sua presa scomparve e rabbrividii di colpo. Lo vidi tirare con forza il pugnale, ma quello non si sfilava, era come se fosse diventato un tutt’uno col mio corpo.
Urlai e lui si fermò all’istante.
-È un pugnale incantato…- la voce mi mancò per un secondo -Non puoi toglierlo finché l’incantesimo non verrà spezzato da chi l’ha fatto- Un bruciore acuto mi pervase, il cervello sembrava volesse esplodere ed il dolore fisico era molto peggio di quanto io avessi mai potuto immaginare, mi toglieva il fiato, mi accelerava il battito cardiaco, mi dava le vertigini, mi bruciava la pelle.
-Chi? Chi è stato?- la sua voce divenne sempre più ovattata, il suo viso una macchia indistinta –Non chiudere gli occhi, Maya. Guardami…- e ciò che venne dopo fu un doloroso e vuoto buio.
 
Peter
 
Le sue palpebre si chiusero e la sua testa cadde su di un lato.
-Maya- la scossi –Maya, svegliati. Apri gli occhi, Maya!- Nulla, nessun segno di vita oltre l’alzarsi e l’abbassarsi lento ed irregolare del suo petto. Strinsi i denti e diedi un pugno al suolo emettendo un ringhio rauco. Mi sembrava di sentire il pugnale nel mio di stomaco perché ero io il bersaglio, non lei. Il suo sangue, rosso come i petali di una rosa, si stava espandendo a vista d’occhio. –Maledizione!- urlai. Stava morendo, lei stava morendo ed io non potevo fare nulla per impedire che accadesse. Finalmente lei era arrivata, dopo secoli di attesa la prescelta era comparsa sulla terra riportando speranza, ed ora moriva a causa mia, moriva per proteggere me. Non doveva andare così, non poteva finire tutto così, c’era ancora bisogno di lei. Io avevo bisogno di lei. In quel momento non riuscii a decifrare con esattezza il vero significato che aveva assunto quella frase per me, io avevo bisogno di lei come? Ma ora non valeva neanche la pena domandarselo date le circostanze. Se fosse morta almeno mi sarei messo l’anima in pace, me ne sarei andato per sempre, cercando conforto nell’uccidere, nel cacciare, nei piaceri di quella vita di merda. Ormai non mi rimaneva altro da fare che aspettare che esalasse l’ultimo respiro, non potevo andarmene e lasciarla morire lì, da sola, dopo quello che aveva fatto per me.
Guardarla però, mise a tacere i miei pensieri, la mia negatività sul futuro. Avevo mille difetti da poter elencare su di lei, come ad esempio la sua ingenuità, la sua testardaggine, il suo involontario desiderio di morte –molto simile al mio-, il suo irrefrenabile istinto di aiutare le persone… tutto quello l’aveva portata a dov’era adesso, alla morte. Ma in quel momento, mentre la osservavo come mai avevo fatto, vidi di lei solo i suoi pregi: il sacrificio, la forza, il coraggio. Non meritava quello che le era accaduto, non meritava di essere usata, né di essere illusa, o ferita, ma era esattamente ciò che le era capitato in quelle ultime settimane. Tutti, io compreso, avevamo fatto qualcosa che l’aveva inevitabilmente spezzata a poco a poco, ma lei aveva in qualche modo salvato tutti, me compreso… forse ero proprio la persona che lo meritava di meno.
Abbassai lo sguardo, non mi ero neanche reso conto di averle preso la mano. D’un tratto qualcosa attirò la mia attenzione; ci fu un lampo di luce che illuminò l’addome di Maya e mi sembrò di vedere il pugnale inclinarsi leggermente. Le mie mani furono subito intorno all’elsa, sentivo la speranza riaffiorare piano mentre sfilai l’arma via dal corpo della ragazza. Lanciai lontano il pugnale che andò a conficcarsi nel tronco di un albero: l’incantesimo era stato spezzato.
Un secondo dopo il battito nuovamente regolare del cuore di Maya giunse alle mie orecchie. Sorrisi e mi tolsi la maglietta, non ero bravo con le medicazioni, ma sapevo come fermare l’uscita del sangue. Legai il tessuto intorno alla ferita che si stava già rimarginando; mai avevo visto una strega guarire così in fretta, né mi era mai capitato di sentire il cuore battere così forte contro la gabbia toracica.
La prescelta era ancora viva, c’era ancora una speranza. 
 
Maya
 
Quando riaprii gli occhi fui certa che la mia agonia fosse davvero finita. Ero stata sul punto di morire in mille diversi modi solo in quei pochi minuti che a me erano parsi giorni. Mentre ero in quella specie di limbo mi sentivo capitare di tutto, ma sapevo che tagli, pugnalate, bruciature, annegamenti, sangue, nulla di tutto quello era veramente reale, a parte il dolore e la consapevolezza di dover morire. Forse fu il sole, che brillava nascosto tra le foglie degli alberi, a farmi sentire meglio, o forse fu lui con il suo accecante sorriso che mi fece tornare a respirare. Ma subito dopo il dolore fece capolino e una smorfia mi si dipinse in volto.
-Non muoverti- mi ammonì subito il moro –Stai già guarendo- mi sorrise rassicurante e tentai di ricambiare. Mi sentivo ancora un po’ stordita, ma percepivo la reazione positiva del mio organismo, lo avvertivo ricucire le ferite. Portai la mia mano sulla parte lesa del mio addome ed un secondo dopo quella di Peter fu sulla mia. Intrecciò le sue dita alle mie e d’improvviso mi sentii invadere dal sollievo. Potevo respirare meglio, potevo muovere gli arti con più fluidità, potevo deglutire. Percepivo la forza delle nostre mani unite scorrermi nelle vene, era qualcosa di straordinariamente sorprendente e mi fece sorridere.
-Mi dispiace- sussurrai.
Il suo viso si contrasse in un’espressione sorpresa: -Di cosa?-
-La scorsa notte ti ho quasi ucciso- gli ricordai con fare ovvio.
-Mi dispiace- sussurrò. Okay, ora ero io a non capire.
-Di cosa?-
-Diverse volte ti ho quasi uccisa- Mi guardava in un modo diverso dal solito, la maggior parte delle volte nei suoi occhi c’era fame, ma ora… ora qualcosa era cambiato.
-Finiremo per distruggerci a vicenda- constatai guardando il suo viso inespressivo. –Sento che accadrà qualcosa di terribile, sento che sarò costantemente tra la vita e la morte. E quando sono con te avverto queste sensazioni più forti, più vive, più reali- mi scrutava, il viso teso. Non sapevo cosa stavo dicendo, le parole uscivano senza che me ne rendessi conto. –Ma la cosa più strana è che non m’importa. Non m’importa se sarò continuamente in pericolo di morte, se dovrò continuare a scappare per il resto della mia vita e non m’importa se la persona da cui fuggirò sei tu- Dal suo viso notavo stupore, ma nei suoi occhi spalancati c’era colpevolezza. Lo vidi deglutire forte ed un attimo dopo portai la mia mano al suo viso; lo sentii irrigidirsi per un momento. Avvicinai il mio volto al suo, il cuore andava a mille. -So solo che adesso ci siamo noi due, ed io non ho paura di te- sussurrai, i nostri respiri si unirono e, prima che potessi farlo io, la sua bocca catturò la mia muovendosi con lenta decisione. Tutto il resto svanì, il dolore era solo un lontano ricordo. La mia mano si insidiò fra i suoi capelli corvini e le sue dita sfilarono la mia canotta ed eliminarono il reggiseno con estrema facilità. Non pensavo, sapevo solo che lo volevo e per la prima volta sentivo che non era sbagliato provare ciò che stavo provando.
-Brucerò all’Inferno per questo- mormorò sorridendo leggermente sulle mie labbra.
-Allora bruceremo insieme- sussurrai con il fiato corto -Perché io verrò con te-. Una risata silenziosa vibro nel suo petto premuto contro il mio. Faceva freddo eppure il mi sentivo bruciare; tentai di sbottonare velocemente i suoi pantaloni, ma non ero molto pratica, così lui mi diede una mano. E poi, senza sapere come, ci ritrovammo nudi sulla neve. Solo qualche giorno prima mai avrei pensato di potermi ritrovare in una situazione del genere, ma ora… ora non desideravo altro che quello. Peter non era come Justin, non era rude, né violento, era delicato, ma allo stesso tempo deciso, consapevole di ciò che faceva. Fu forse una delle sensazioni più belle che avessi mai provato, ma qualcosa dentro di me mi diceva che quella poteva essere l’ultima volta che mi sarei sentita così.
 
Mentre stavo tornando al castello guidata da Peter ebbi un dejà-vu. L’ultima volta che lui mi aveva riaccompagnata c’era lo stesso silenzio che ora riempiva l’aria, solo che adesso era ricco di imbarazzo, almeno per me. Ed il suo non parlare non era semplicemente normale come la volta precedente, era più un silenzio ostinato, quasi furioso, ma con sé stesso.
Una volta giunti al cancello non ci fu bisogno che mi voltassi per capire che lui se n’era andato; non avvertivo più la sua presenza imponente che sembrava farmi da scudo, non sentivo più il suo profumo di foglie secche e muschio. Abbassai lo sguardo, probabilmente si era pentito, ma volevo credere che non fosse così, che magari era solo distratto da pensieri al momento più importanti.
E con quella convinzione aprii il portone il cui cigolio risuonò come un eco. Quando lo richiusi alle mie spalle le luci improvvisamente si abbassarono colorando la stanza di un flebile colore arancione, come quello di un sole ormai tramontato. Ma i tramonti trasmettevano pace e serenità, perché io allora stavo tremando?
Un brivido corse lungo la mia spina dorsale, poi avvertii un rumore quasi impercettibile, ma non c’era nessuno, nessuno che volesse farsi vedere. D’un tratto un cerchio di fuoco mi circondò e sobbalzai trattenendo il respiro. Le fiamme andavano ad estendersi verso il centro, come dei rami, e infine formarono un simbolo. Il marchio dei Gordon. Ed io ero nell’esatto centro. La paura che le fiamme potessero divorarmi mi fece scattare, ma fui subito respinta da una forza sconosciuta. Aprii le braccia e le mie mani toccarono una parete invisibile che mi teneva prigioniera. Mi guardai intorno, quello era un incantesimo, ma la domanda importante era: di chi era opera?
Le fiamme crebbero improvvisamente, interrompendo i miei pensieri; le vidi arrampicarsi lungo le mie gambe fino a raggiungere i miei fianchi e d’istinto urlai. Solo un istante dopo mi resi conto di non star bruciando. No, io stavo congelando. Le fiamme gelate catturarono i miei polsi, poi d’improvviso si serrarono immobilizzandosi. Tentai disperatamente di liberarmi da quella morsa gelida, ma quando abbassai lo sguardo non era più il fuoco a dominare su di me, ma il ghiaccio, il quale mi impediva di muovermi.
Un secondo dopo ricordai di essere una strega, così strinsi forte i pugni e mi concentrai, raccolsi tutta la rabbia per me stessa che mi stavo facendo umiliare da qualcuno nascosto nell’ombra ed un attimo dopo il rumore secco, come di un vetro rotto, mi riempì le orecchie. Quando riaprii gli occhi mille schegge ricoprivano il pavimento; tirai un sospiro di sollievo e mi passai una mano tra i capelli, poi notai i pezzetti di ghiaccio tremare e smisi di respirare. Cosa mi aspettava ancora?
Qualche secondo dopo le schegge si sciolsero e tutto tacque. Falso allarme, forse era finita. Non ebbi neanche il tempo di terminare il mio pensiero che un vortice d’acqua mi catturò. L’attimo dopo ero sommersa dall’acqua, ma restavo comunque intrappolata in quello spazio ristretto. Non avevo neanche preso fiato e la mancanza d’ossigeno al cervello non mi aiutava a pensare ad un modo per poter cavarmela di nuovo. Mi muovevo guardandomi intorno, ma d’un tratto una voce ovattata giunse alle mie orecchie.
-E tu dovresti essere la prescelta? Francamente non so se ridere o piangere- il suo tono era doppio e tagliente. Assottigliai lo sguardo e oltre l’acqua vidi una figura alta e scura avvicinarsi. Ed io francamente non sapevo più se fosse meglio morire piuttosto che continuare a condurre quella vita. –Non ti viene in mente nulla per sfuggire a questo incantesimo, streghetta?- mi provocò, ma sinceramente non aveva molta importanza, i crampi lungo tutto il corpo mi impedivano perfino di essere arrabbiata. –A quanto pare ti ho sopravvalutata, non sei molto sveglia, il che è perfetto- poi lo vidi muovere il capo e l’istante dopo un forte rumore mi fece tremare l’anima. Avvertii una forza immobilizzante lanciarmi lontano, poi le mie spalle si scontrarono col muro ed il mio cuore smise di battere. Dolore, dolore ovunque. Per qualche secondo rimasi spiaccicata contro la parete, poi caddi al suolo, intorno a me decine di piccoli frammenti di cemento. Respirare faceva male, mai avrei pensato di poter desiderare di non doverlo più fare. –Se tu non perdessi tempo a correre dietro quel cagnaccio ora non saresti ridotta così- sibilò al mio orecchio; d’un tratto mi sentii afferrare per le spalle ed il mio corpo, oltre ad essere percosso da fitte acute di dolore, si ritrovò nuovamente contro il muro. Una mano, capace di coprirmi il volto, mi afferrò il viso facendolo alzare. Sentii lo scrocchio delle ossa rimbombarmi nella testa dopodiché i miei occhi incontrarono due iridi azzurre come il mare e non ebbi più dubbi. Lui era il ragazzo che la sera precedente mi aveva quasi distrutta, era il ragazzo del mio incubo-visione, era la causa di tutto quello che mi stava capitando, di quel folle e continuo massacro che era diventata la mia vita. Lui era il cugino di Ester, Cameron, era il tassista. –Credi davvero che lui possa amarti, o anche solo provare dei sentimenti per te?- dopo quella domanda retorica rise di gusto –Ci credevi? Oh, che peccato. Sai, non mi piace fare il guastafeste, non voglio che tu ci rimanga male quindi tenterò di essere delicato, d’accordo?- sorrise ancora, mi prendeva in giro, lui mi aveva portata fino a quel punto e se ero ancora viva era già abbastanza, poi si permetteva anche di fare ironia. –Tu per lui sei il nulla, ti sta usando e non te ne accorgi. Devo ammettere che è piuttosto bravo, ma sai, non vedo l’ora di vedere le vostre facce quando finalmente tu aprirai gli occhi-.
-Sei un bastardo- riuscii a dire tra i denti.
Lo vidi avvicinarsi, spostare una ciocca dei miei capelli e sussurrarmi all’orecchio: -Almeno io non fingo- poi si allontanò –Ma sono pronto a dire che non mi credi. Scommetto che ti sei convinta che lui possa provare qualcosa per te, be’ indovina un po’? Sto per far cadere il tuo piccolo mondo costruito intorno ad un bugia- sorrise cinico prima di bloccarmi la testa e poggiare la sua fronte contro la mia. Tentai inutilmente di liberarmi, ma quando fitte acute mi riempirono la mente, non potei fare a meno di urlare e chiudere gli occhi.
Inizialmente c’era solo buio, poi riuscii a scorgere macchie scure di colori quasi indistinti. Qualche secondo e nella mia mente si formò l’immagine vivida della foresta. Nevicava e tra tutto quel bianco qualcosa di ancor più pallido saltava all’occhio: il volto scarno di Justin. Nel suo sguardo vedevo rabbia mista a qualcosa che ricordava il sollievo.
-Sei vivo- le sue parole erano vuote e quella frase sembrava detta a sé stesso per tentare di convincersi di qualcosa. Non feci in tempo a chiedermi a chi si stesse rivolgendo che i miei occhi videro Peter in piedi di fronte a lui.
-Ho un cuore che batte, ma ho smesso di vivere tempo fa- ribatté prontamente il lupo con disgusto nella voce.
-A me serve che tu continui a respirare, se la tua vita è o meno soddisfacente non m’importa- la sua freddezza era ogni volta un colpo al cuore e sempre mi riportava alla mente i giorni non molto lontani in cui lo vedevo come una specie di angelo.
-E se sarà il respiro di qualcun altro a fermarsi prima che tu abbia raggiunto ciò per cui vivi da secoli?- il suo tono era palesemente allusivo e provocante, e Justin sembrò notarlo dato che strinse i pugni. Io non ci capivo più nulla. Peter era il punto debole di Justin? Probabilmente, ma perché? Non ne avevo la più pallida idea. Il vampiro odiava il licantropo? Era palese che se avesse potuto ucciderlo l’avrebbe fatto anche subito, ma era proprio quello il punto, cosa gli impediva di distruggerlo, di mettere Peter fuori gioco una volta per tutte?
-Credi di spaventarmi? Forse tu non mi conosci abbastanza, ma io sì. So perfettamente che lei non corre pericolo perché ci sarà sempre la sua ombra a proteggerla- il tono del vampiro si enfatizzò sulla parola ombra. La certezza che quella lei fossi io mi colpì al petto e quella che Peter fosse l’ombra mi diede una sensazione strana, quasi di sicurezza.
-Le ombre nascondono le più temibili delle insidie- sibilò il licantropo e subito fui scossa da un fremito, cosa intendeva dire?
-Le ombre come te che possiedono un cuore, non hanno insidie così temibili- Justin si avvicinò a Peter, i suoi movimenti ricordavano un serpente sul punto di attaccare –Sei così umano da provare sentimenti per una stupida ragazzina e negarlo poi a te stesso-.
-Io semplicemente sono più bravo a giocare- affermò il lupo -Ama il tuo nemico e perderai la guerra- sentenziò il moro, quelle parole furono una coltellata allo stomaco.
-Ama e morirai- lo corresse il vampiro.
-Io non corro questo rischio- le parole di Peter erano sempre più lontane, forse perché mi sentivo la testa così pesante ed il cuore distrutto, o magari il motivo era un altro. Che stupida! Credere che lui potesse provare qualcosa per me, arrivare a nutrire dei sentimenti per uno sconosciuto senza scrupoli. Idiota, ero solo un’idiota.
-Puff! Ti ho distrutta- la voce di Cameron sussurrata al mio orecchio mi irritò, ma anche se avevo capito di aver appena assistito in diretta alla conversazione che quei due stavano avendo là fuori, da qualche parte, non potevo capacitarmi di ciò che avevo sentito. –Sei così prevedibile- lo sentii ridere sul mio orecchio –Così fragile- avvertivo il suo viso distante pochi centimetri dal mio che mi imponevo di tenere gli occhi chiusi e restare calma. –Così disgustosamente sentimentale- disse con disprezzo. Strinsi i pugni e serrai le labbra –Tu sei una banale, stupida, inutile umana-.
-No!- urlai quella parola che aspra mi ribolliva in gola, le mie mani automaticamente scattarono in avanti e tutto accadde in un secondo. Sentii il rumore di mille vetri frantumati, un grido di sorpresa e un tonfo sordo. Poi i miei occhi si aprirono e vidi il ragazzo spiaccicato contro una colonna. Le finestre erano distrutte, il vento regnava nella sala e quasi non mi resi conto di essere completamente presa dalla rabbia. Sollevai il palmo della mano e immaginai di vendicarmi utilizzando esattamente ciò che mi scorreva nelle vene: fuoco. Un istante dopo la colonna dove ai piedi era piegato il ragazzo fu avvolta dalle fiamme, ma non mi bastava. Chiusi la mano in un pugno e, con un movimento secco, la piegai su di un lato. Il ragazzo urlò di dolore e si portò una mano alla spalla, poi mi avvicinai. Ira, era tutto ciò che sentivo. Quando gli fui davanti con un solo cenno del capo lo rimisi in piedi, bloccandolo contro la parete. Feci tutto senza ragionare, poggiai la mia mano sul suo petto e mi concentrai sul movimento cardiaco. Premetti il palmo con forza contro la cassa toracica di Cameron ed avvertii il battito diminuire, rallentare.
Portai il mio sguardo sul suo viso sibilando: -Io non sono umana-.
Puntai i miei occhi nei suoi e vidi il velo della morte cominciare a coprire l’azzurro delle sue iridi. Fu in quel momento che mi resi conto di ciò che stavo per fare e tolsi subito la mano. Lui cadde sul pavimento mentre io non sapevo più chi fossi. Ma come ero arrivata a fare una cosa del genere, per la seconda volta? Perché? Cosa stavo diventando? Come ci ero riuscita?
Spaventata da tutto, da me stessa, corsi su per le scale diretta in camera mia. Stavo diventando un mostro, un’assassina.
Io ero uguale a loro.
 
 
 
Ehiehiehiii!
Oh, non ditemelo, lo so: sono in ritardo per… ehm, la millesima volta? O erano 1001…?
Ahaha okay, come potete leggere sono sempre io, la pazza che posta gif di minions e passa il suo sabato sera in una sala cinema a vedere Spongebob, particolari;)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, è entrato in scena un nuovo personaggio che in realtà era già comparso all’inizio e questo ci riporta a quello che ormai è lo slogan di questa ff: NIENTE è COME SEMBRA!
Allora, come vi sembra questo Cameron? E che mi dite di quello che è accaduto tra Maya e Peter? E che ne pensate di quello che ha detto il lupo a Justin nel bosco?
Il prossimo capitolo sarà più breve, ma ugualmente importante, come lo sono quasi tutti in questa storia:)
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito il capitolo precedente, spero che continuerete a farlo in tante, e un grazie anche a chi solo legge la fan fiction. Grazie anche a chi mette l’ff tra le preferite/seguite/ricordate, siete fantastici:))
Be’, allora a presto:D
Baci
Alena18 xxx
 
 
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Cameron:

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Peter & Maya:

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Capitolo 19
*** Capitolo diciotto: Congelato. ***


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                                                                                                          “Distruggere l’unica cosa che le impediva di annegare nel passato.”
 
 
Sempre più giù, sempre più buio, sempre più persa.
Tentare di rinsavire era inutile, una forza estranea mi trascinava in fondo. Sentivo la testa terribilmente pesante, gli occhi bruciavano ed in bocca un sapore amaro. I polmoni stavano per esplodere e muovermi mi causava solo maggiore debolezza. Mi resi conto che stavo tentando di liberarmi da qualcosa e quando abbassai lo sguardo vidi l’immagine sfocata dei miei polsi legati insieme da una corda, per i piedi lo stesso identico scenario. Cosa stava succedendo? Perché ero legata così? Perché ero sommersa?
Provai disperatamente a liberarmi, ma ormai ogni sforzo era inutile, avvertivo già il sangue pulsare forte nella testa.
D’improvviso però la mia vista appannata notò il blu delle acque, di quello che avevo compreso fosse il lago fatato, colorarsi di una strana luce dorata. Non riuscivo a capire più nulla, dentro di me sentivo come una forza disarmante, troppo grande per me. Così tornai a guardare le mie braccia legate e rimasi scioccata nel constatare che la fonte di luce fossi io, o meglio, le mie vene. Il mio corpo praticamente era decorato da capillari e vasi sanguigni dorati che si diramavano assumendo un colore sempre più forte che man mano divenne  viola, poi nero, poi ancora tornò alla tinta iniziale. Persino i miei capelli erano come tanti filamenti colorati, una macchia, un faro nelle fredde e scure acque del lago.
E mentre mi illuminavo sempre di più, sentivo l’aria scarseggiare ed il cuore perdere di velocità. L’ultima cosa che vidi furono delle ombre nere che si facevano sempre più vicine.
 
Mi svegliai con il fiato corto e una terribile sensazione di annegamento, sentivo la gola secca bruciare come accadeva nell’incubo. Ma ora non capivo, non capivo cosa significasse quella specie di visione. Cos’era? Un sogno premonitore forse?
Immediatamente i miei occhi corsero lungo tutto il corpo e le mie mani lanciarono via le coperte. Nessuna strana luce, nessun inspiegabile brillare. Ma cosa voleva dirmi quel sogno? Oh, come odiavo quella sensazione! La stessa da settimane ormai, opprimente ed angosciante, detestavo essere impotente. La mia vita si era trasformata in un grosso punto interrogativo, se mi fossi guardata allo specchio non mi sarei riconosciuta. Erano cambiate così tante cose, mi pareva di non ricordare cosa ci fosse prima della notte del mio arrivo.
Improvvisamente un brivido gelido corse lungo il mio corpo e l’irrefrenabile impulso di saltare giù dal letto ed andare al lago si fece spazio in me. Avvertii una strana sensazione correre fra le dita di mani e piedi, era gelida e paralizzante. Non era per niente piacevole, né prometteva nulla di buono. Ma come sempre la mia stupida curiosità e il mio persistente senso suicida ebbero la meglio su di me che fui in un batter d’occhio davanti alla finestra, ormai quella per me era come un’uscita d’emergenza, una scappatoia, un passaggio breve, ma pericoloso, che mi forniva una scorciatoia per il mondo distorto dal quale oramai sapevo di essere odiata.
Scesi cautamente quella specie di grosso, magico albero e, dopo essermi concessa un piccolo sorriso compiaciuto per come avessi disceso quella che mi ricordava la pianta della fiaba Giacomino e il fagiolo magico, mi allontanai velocemente dal castello, pregando che nessuno mi scoprisse.
E mentre fuggivo il viso di Cameron si fece spazio nella mia mente, era una maschera d’odio e risentimento misto a qualcos’altro, ma la risposta a tutto era solo nel passato. Un passato di cui io non ero a conoscenza. Probabilmente ero ingenua a pensare che in Cameron ci fosse qualcosa di buono, ma era una delle sensazione che mi aveva dato, oltre alla paura e al dolore. Forse avevo un problema, forse mi fidavo troppo facilmente senza rendermene conto, forse volevo trovare bontà in chi il cuore lo aveva nero come la pece.
E tra una riflessione e l’altra giunsi al lago. Strano, non avevo dovuto neanche sforzarmi di ricordare la strada, era come se i miei piedi fossero comandati. Mi tolsi dalla mente quel pensiero ed attraversai la radura. Spalancai occhi e bocca quando vidi la superficie del lago coperta da una spessa lastra di ghiaccio cristallina. Mi lasciai cadere al suolo poggiando tutto il peso sulle ginocchia ed un nodo allo stomaco mi fece intuire che il mio lato compassionevole stava per emergere. Ma chi mai avrebbe potuto fare una cosa del genere? E perché? E come?
Magia, non c’era altra spiegazione.
Misi le mani sul ghiaccio e lo tastai, era resistente e gelido da far male. Un sottile strato di polvere ghiacciata era posato sullo specchio duro come la pietra, era pungente, tagliente. Poi la mia attenzione venne catturata da un quasi impercettibile stridio proveniente dal centro del lago. Alzai lo sguardo e… le mie supposizioni erano esatte. Delle enormi lettere si disegnarono sulla lastra, ma non c’era nessuno visibile che stesse scrivendo. Non provai paura, né timore, solo curiosità.
Misi insieme le lettere distorte e ne uscì fuori una parola: Deles eum.
Nei miei occhi si tatuò quella parola, era come un ordine, un compito che ora dovevo assolutamente portare a termine. Io dovevo distruggerlo.
Sfogliai mentalmente il mio libro d’incantesimi alla disperata ricerca di una magia che facesse al caso mio.
Distruggere.
Strinsi i pugni per il nervoso, non ricordavo nulla che potesse essermi d’aiuto in quel momento, ma dovevo distruggerlo.
Nulla, nessun contro-incantesimo, ma mi era stato affidato un compito e distruggere il ghiaccio era diventato il mio obbiettivo.
Se non c’era nessuna magia utile, allora dovevo inventarmi qualcosa, qualcosa legato maggiormente alla logica, qualcosa che fosse semplice, ma efficace. Qualcosa come gli elementi. Se li avessi uniti tutti e quattro creando un unico, potente elemento, la sua forza avrebbe potuto ridurre la lastra di ghiaccio in polvere. Bastava solo che io mi concentrassi tenendo ben presente quello che doveva essere il risultato finale.
Mi rimisi in piedi scrollandomi di dosso la tensione, chiusi gli occhi e focalizzai l’acqua. Immaginavo un getto limpido ed avvolgente crearsi dalle stesse schegge del ghiaccio che ricopriva il lago.
-Aquam- dissi ed un secondo dopo le mie orecchie udirono lo scrosciare dell’acqua poco lontano da me.
Era il turno del fuoco. Lasciai emergere la rabbia che era in me, l’avvertii scorrere veloce fino ai polpastrelli.
-Ignis- ed un calore bollente si sprigionò dal mio corpo. La terra era il prossimo elemento. Allungai le mie braccia verso l’esterno e tenni i palmi delle mani rivolti verso il basso richiamando a me ogni granello –Terra-. Percepii il suolo vibrare sotto i miei piedi scalzi, il terreno che mi obbediva. Era la volta dell’aria. Il mio udito catturò il soffio leggero e lontano del vento che sfiorava le foglie rendendolo più forte, più assordante. –Aer- sibilai ed un secondo dopo l’impatto gelido e tagliente del vento quasi mi fece perdere l’equilibrio. Sorrisi tra me e me, mancava poco. Ma adesso arrivava la parte più difficile, ora dovevo…
-Non farlo!- una voce roca mi giunse alle orecchie, ansiosa, preoccupata. –Non farlo, Maya- ripeté il lupo, il legame che avevo creato con la natura era così forte da permettermi di misurare l’esatta distanza tra me e Peter. Erano solo pochi metri.
-Non immischiarti!- lo ammonii senza preoccuparmi di voltarmi a guardarlo.
-Ti stanno usando, Maya. Ricordi? Loro vogliono te- il suo piede destro si mosse verso di me cautamente, avvertii l’erba schiacciarsi sotto il peso del suo corpo che avanzava, milioni di piccoli insetti morire all’impatto con la suola degli stivali del licantropo.
-Smettila! Stai solo perdendo tempo- non sarebbe riuscito a depistarmi, a farmi cambiare idea, io dovevo distruggerlo.
-Sei sotto il loro controllo, non sai quello che fai. Ti prenderanno, Maya!- affermò facendosi sempre più vicino. Aprii gli occhi. E se avesse avuto ragione? Se mi stessero usando?
Alzai lo sguardo, davanti a me troneggiava un unico, grande elemento, un enorme vortice in grado di divorare qualsiasi cosa avesse incontrato. Era davvero quello che volevo?
Abbassai lo sguardo, sulla lastra di ghiaccio erano ancora incise le stesse lettere. Distruggilo. Sì, era quello il mio compito, nessuno doveva intralciare i miei piani, dovevo portare a termine ciò che avevo iniziato. –Vieni via con me- quasi sussurrò, il suo corpo a pochi passi dal mio, la sua mano che si posava sulla mia spalla.
-No!- urlai voltandomi di scatto e scaraventando Peter dall’altra parte della radura con un solo movimento della mano. Gridò per la sorpresa, per il dolore prima di schiantarsi contro un albero ed accasciarsi al suolo.
Tornai a ciò che stavo facendo, chiusi gli occhi, ispirai profondamente e focalizzai il mio obbiettivo. Ignorai i lamenti e gli avvertimenti del lupo che tentava di rimettersi in piedi e portai quell’uragano di elementi proprio sopra al lago. Era tutto pronto, mancava solo che pronunciassi l’incantesimo.
-Deles eum- pronunciai a gran voce, prima di sentire il rumore secco simile a quello di mille vetri rotti, come l’esplosione di una bomba. E l’istante dopo i miei piedi non toccarono più terra, il mio cuore prese a palpitare sempre più forte contro il petto, la paura si riaccese in me che urlai dimenandomi contro quella forza estranea che mi faceva volare come una piuma.
Poi precipitai e l’ultima cosa che udii prima di essere risucchiata dall’acqua fu il mio nome gridato da Peter: -Maya!-.
 
 
Salve, Baldracchi e Baldracche!;)
Bene, bene, bene, Alena è ancora in ritardo, se lo fossi così di frequente anche a scuola mi avrebbero già espulsa lol:)
Come vi avevo anticipato al mio ultimo aggiornamento questo capitolo è venuto fuori abbastanza breve, come sempre da non sottovalutare, ma credo che ormai abbiate capito che funziona così per questa storia;)
Allora, cosa ve ne pare? Cosa pensate accadrà a Maya? E riguardo la sua “visione” cosa avete da dire? Il prossimo capitolo sarà abbastanza sconvolgente, forse comincerete a capire qualcosa su qualcuno…

Be’, sarei felice di leggere i vostri commenti, quindi recensite:)
Grazie mille a chi ha letto e recensito il capitolo precedente, ai lettori silenziosi, a chi mette l’ff tra le preferite/seguite/ricordate, grazie a TUTTI come SEMPRE!:D
A prestoo:))

Baci
Alena18 xxx
 
P.s. Per chi non avesse visto nel capitolo precedente chi interpreta il personaggio di Cameron, ecco a voi:
 
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Capitolo 20
*** Capitolo diciannove: Riflesso. ***


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“La morte è facile, veloce.
Smetti di respirare, il cuore cessa di battere, tutto appare surreale.
Il suo riflesso invece,
è spietato, lento, reale.”


 
 
Stavo bruciando. E mentre la mia pelle veniva lacerata, divorata, carbonizzata dalle fiamme, il sangue che mi scorreva nelle vene si congelava, bloccando la circolazione, impedendomi di respirare. Avevo gli arti paralizzati dal freddo, mi sembravano pesanti e gelati come un enorme iceberg, la mia testa pareva una gigantesca pentola a vapore sul punto di esplodere, avvertivo ogni vaso sanguigno rompersi e causarmi fitte alle tempie. Urlai, e urlai, e urlai. Non speravo in un aiuto, non c’era nulla intorno a me oltre il vuoto più buio, ma gridavo, non potevo evitarlo.
D’un tratto anche dare sfogo al mio dolore divenne impossibile. Sentivo i polmoni riempirsi di quel veleno così buono e affogavo, tossivo, non respiravo. Portai le mani al petto, bruciava, quella roba bruciava come acido di batterie nel mio organismo. Infilai due dita in gola ed abbassai la testa, doveva uscire tutto, non volevo che restasse dentro di me un secondo di più. Tentai di sopprimere le urla e finalmente sentii un liquido caldo risalire su per l’esofago, feci diversi colpi di tosse e quando tolsi la mano dalla bocca la ritrovai ricoperta di sangue. Era ovunque, sulle dita, sulle labbra, sul mento raggiungendo poi il collo. Era denso e scuro, il suo odore era stomachevole. La paura si impossessò di me, le lacrime rigarono il mio volto, avevo la bocca piena del mio sangue, rosso e amaro, che cominciò a fuoriuscire perfino dal naso.
Continuai a sputare, mi ricordavo un gatto che tentava di cacciar fuori una palla di pelo, poi il sangue sembrò cessare di scorrere e potei di nuovo respirare. Un istante dopo vidi il nero intorno a me sfumare ed il familiare prato verde del castello prese il suo posto. Fui investita da una sensazione di pace ed agitazione al tempo stesso, poi la vidi. Camminava con un andamento elegante attraverso la distesa d’erba, il suo sguardo perso ad immaginare qualcosa di così bello da indurla a sorridere. Indossava un raffinato vestito blu notte decorato con dei ricami d’oro, le mani unite dietro la schiena, i suoi passi leggeri, gli occhi luminosi rivolti verso l’alto, il sorriso timido che tradiva l’imbarazzo dovuto probabilmente ai pensieri che le attraversavano la mente. E quando riuscii ad inquadrarla mi mancò il fiato: quella ragazza ero io. Ero io, io che passeggiavo, io che sorridevo, io che mi allontanavo dal castello, io che mi dirigevo verso il bosco pensando a chissà cosa. Non seppi spiegare il perché di tutto ciò, ma vedere quella scena mi aveva fatto bene, mi aveva sollevata da tutte le preoccupazioni, cancellando il dolore.
D’improvviso qualcuno affiancò la mia me dall’aria più antica, più giovane, più regale. Era un ragazzo alto, con dei capelli corvini legati insieme da un nastro marrone, gli occhi azzurri come zaffiri ed un sorriso smagliante disegnato sulle labbra rosee.
-Salve, Maya!- esclamò con tono più alto di un ottava. La ragazza… io sobbalzai spaventata e sul mio viso l’espressione di chi doveva per forza tornare alla realtà.
-Cameron, mi avete spaventata- dissi portandomi una mano al petto.
-Siete andata via dal ricevimento, ho pensato che steste male- spiegò facendosi serio, ma solo per un secondo –Ma dal vostro sguardo si direbbe il contrario- continuò accennando ad un sorriso malizioso.
-Cosa dite? Vi state sbagliando- replicai frettolosamente, tentando di apparire disinvolta.
-Le vostre guance rosse raccontano ben altro- sussurrò al mio orecchio. Abbassai lo sguardo provando a ricompormi. –Raccontate, potete fidarvi di me, lo sapete bene- si stampò in faccia un sorriso rassicurante, gentile e seppi che aveva ragione, che non mentiva.
-Adesso vorrei solo un vostro abbraccio- rivelai senza alcuna nota di imbarazzo. Sembrava che ci conoscessimo da sempre, io che mi fidavo di lui, lui che si comportava da amico, io che gli chiedevo di abbracciarmi.
-Qualcuno potrebbe fraintendere, sapete come ragionano alcuni individui- mi avvertì, ma qualcosa mi diceva che a lui non importasse nulla di ciò che potevano credere gli altri.
-Siamo lontani dal castello, nessuno ci vedrà qui nel bosco-. Non ci volle molto per convincerlo ed un secondo dopo mi ritrovai fra le sue braccia forti e così stranamente rassicuranti per me che venivo da una realtà in cui tra me e lui c’era solo odio reciproco. La sua presa si fece sempre più stretta, più ferrea intorno alla mia vita sottile. –Cameron, stringete un po’ troppo- dissi facendo un colpo di tosse, ma il ragazzo non accennò a voler lasciare la presa –C-Cameron…- avvertii una sensazione di oppressione invadere il mio corpo –Non re… non respiro- sussurrai tentando di spingerlo via. D’improvviso le sue braccia scomparvero ed in un solo secondo mi ritrovai contro un albero, i miei piedi che non toccavano terra, la sua grande mano che circondava il mio collo. Gli occhi pizzicavano a causa delle lacrime che mi appannavano la vista, ma quando alzai lo sguardo sul volto di Cameron vidi perfettamente che quello non era lo stregone dagli occhi color zaffiro che poco prima si era mostrato gentile, non più. Quello era Jace, il volto disumano, gli occhi azzurri ora neri, i capelli biondi gli ricadevano sugli occhi conferendogli un’aria ancor più letale, nella sua espressione non un segno di titubanza, nessuna emozione, a parte l’odio, gli attraversava il viso.
-Io la rivoglio!-esclamò tra i denti. Sentivo la gola secca bruciare, la testa pesante ed il corpo vuoto. Era così sbagliato tutto ciò, sentivo che lui non sarebbe dovuto essere lì. Tutt’intorno niente sembrava più come lo ricordavo. Il bosco era un ammasso di alberi rugosi e vecchi privi di bellezza, c’era solo fango e umidità. La paura di qualche istante prima si insediò nella mia mente ed il cuore cominciò a martellarmi forte contro il petto, gli occhi pizzicavano in modo insopportabile, le orecchie che ronzavano, l’aria che mancava. Nell’ansia percepii un liquido caldo colare dall’angolo della mia bocca, lo stesso sapore del veleno, acido che mi corrodeva la pelle. Mi dimenai cercando di togliere quella mano dalla mia gola prosciugata da ogni goccia di saliva. Boccheggiai in cerca d’aria, ma la sensazione che ebbi fu identica a quella che avevo ogni qualvolta prendevo un sorso dalla bottiglia di Coca Cola, sentivo solo l’anidride carbonica riempirmi le narici, otturarmi le orecchie, annebbiarmi la vista, fino a morire.
Il nero tornò, la scena sparì dalla mia vista e avevo ancora la bocca piena di veleno fatato. Qualcosa mi diceva che l’incubo non era finito. Quando alzai lo sguardo vidi le pareti vuote e buie scomparire lentamente, e al loro posto si presentò la scena di pochi minuti prima. C’era il lago, ma non era più congelato, il ghiaccio volava ancora libero nell’aria ed andava a posarsi sul terreno umido dove finì per sciogliersi. Il cielo grigio copriva il colore sbiadito del sole che ricordava la tinta scolorita di un evidenziatore giallo scarico, il vento soffiava forte e Peter si rimise in piedi a fatica. Vidi sul suo volto ferito la paura, nei suoi occhi l’ansia e le sue gambe scattarono verso il lago.
-No! Maya!- continuava ad urlare disperato mentre raggiungeva la riva.
-Sono qui!- gridai io e corsi verso di lui –Sono qui. Peter!- Arrivò al lago e si arrestò di colpo, scrutò le acque, aveva il fiato corto e i pugni tanto stretti da rendergli le nocche bianche. Finalmente lo affiancai, non pensai neanche a riprendere aria, non pensai e basta, dovevo solo fargli sapere che stavo bene. –Peter, sono qui. Sto bene- sussurrai sorridendo rassicurante. Il suo sguardo era fisso a guardare le calme acque del lago, così tranquille da risultare terrificanti, la sua mascella contratta ebbe un guizzo. Mi piazzai davanti a lui e alzai i miei occhi per incontrare i suoi –Peter- lo richiamai –Peter, sono qui- mi alzai sulle punte, forse era ancora sotto shock per quello che era appena accaduto. –Peter, guardami- lo implorai con il cuore che cominciava a battere forte come un tamburo –Guardami!- sbottai a gran voce, ma non servì a nulla. Tentai di afferrargli la mano, ma la mia ci passò attraverso. Restai senza fiato. Ci riprovai, ma lui non accusava niente, non mi vedeva, non poteva toccarmi, né sentirmi. La paura cominciò a scorrere nelle mie vene, ma quando vidi Peter sorridere cinico mentre ancora fissava il lago qualcos’altro prese il suo posto: il terrore. Cominciò a sogghignare, nello sguardo vuoto brillava uno strano luccichio maligno, l’inquietante risata era per me come una coltellata al cuore. Sentii gli occhi pizzicare, le guance arrossire mentre tentavo di trattenere le lacrime.
-Hai avuto ciò che meritavi…- sibilò con riso tagliente –La morte- sputò ed una goccia calda rigò il mio viso gelido, le labbra che tremavano, le gambe mollicce come gelatina. Non poteva essere, io… io mi fidavo di lui, quello che stava accadendo non poteva essere vero. Abbassai lo sguardo e nonostante la vista offuscata riuscii a catturare il riflesso distorto tra le acque cristalline del lago di qualcuno che non ero io, né Peter. E d’un tratto un liquido colò fuori dalla mia bocca lungo il mento, sulla lingua il meraviglioso sapore del veleno fatato.
Fui inghiottita nuovamente dal buio, le lacrime che ora scorrevano libere sul mio volto per poi cadere nel vuoto nero. Le gocce si fermarono a mezz’aria ed il nero cominciò a sbiadire, come vernice fresca. Il cuore era sul punto di bucarmi il petto, sentivo la delusione e la paura più forti di qualsiasi altra cosa.
-Il momento è giunto- una voce mi rimbombò nelle orecchie e mi costrinsi ad alzare lo sguardo. Ero in un salone dall’aria familiare, i colori scuri, le pareti dipinte, le luci soffuse: era il castello di Jace, ma chi aveva parlato non era lo stregone. Justin era in piedi davanti al tavolo di vetro, lo sguardo attento, l’espressione concentrata, stringeva qualcosa fra le mani, ma non riuscivo a vedere di cosa si trattasse.
-Ricordati i patti- ribadì Jace versandosi un bicchiere di un qualche tipo di alcool.
-È una minaccia?- domandò il vampiro alzando un sopracciglio, ma senza scomporsi più di tanto.
-Un consiglio- lo corresse lo stregone. Lo fissava con i suoi occhi azzurri scintillanti di una luce che, diversamente dalla sua risposta, era palesemente minacciosa. –Se fossi in te, lo accetterei. Non credere che io non sia capace di ucciderti, sarebbe un errore- la sua voce era insieme morbida e affilata come la lama di un rasoio.
-Tu ne sai qualcosa di errori, vero? Chissà che questo non ne sia un altro- le allusioni di Justin fecero scattare Jace che gli fu davanti in un batter d’occhio, gli occhi due fuochi ardenti. Sussultai, forse per paura che potesse accadere qualcosa a Justin, forse per paura di dover assistere alla morte di Jace. Se c’era una cosa che avevo imparato era che Justin era una creatura letale, imprevedibile, inaffidabile, pronta a tutto.
-Non provocarmi. Potrei scegliere di non aiutarti più-. Non capivo nulla, non capivo di cosa stessero parlando, quale fosse il punto della conversazione.
-Potrei ammazzarti e prendermi quel che mi serve anche senza il tuo aiuto- sibilò il vampiro con occhi neri come la pece.
-Io non ci giurerei- ribatté lo stregone, mettendo su un sorrisetto compiaciuto. Sembrava soddisfatto, come se fosse certo di aver incastrato Justin.
-Avremo presto tutto quello che desideriamo- disse. Lasciò cadere lo straccio che teneva in mano ed alzò la lama affilata e lucida di un pugnale davanti al suo viso. Fu all’ora che un rivolo caldo mi colò ai lati della bocca, il sapore del veleno fatato che piano scompariva –Il momento è giunto-.
 
Spalancai gli occhi e boccheggiai tentando di respirare più aria possibile. Mi portai una mano alla gola, sentivo ancora un pizzicore fastidioso che mi correva lungo l’esofago. Percepivo i rumori della natura lontani, ovattati. Mi sentivo appiccicaticcia, come se fossi in trappola e scoprii che si trattasse dei vestiti incollati al mio corpo, ancora umidi dall’acqua del lago.
-Maya!- la voce di Peter mi tranquillizzò, ma allo stesso tempo mi sentii spaventata. Vidi il suo volto chino sopra di me, i capelli bagnati che gocciolavano sul mio petto, gli occhi colmi di speranza, le labbra piegate in un sorriso sollevato. –Sei viva- disse quasi come se gli fosse impossibile crederlo. Ma ne era felice, lo avvertivo. Si era gettato in acqua per me, per salvarmi, sapeva che avrebbe potuto morire, ma l’aveva fatto lo stesso ed ero sopravvissuta grazie a lui. –Stai bene? Ricordi qualcosa dopo che sei caduta in acqua?- domandò frettolosamente. Se ricordavo? Certo, forse non tutto, ma rammentavo il dolore, la confusione, l’agonia, la morte, la delusione, la paura. Ricordavo tutti i sintomi causati dal veleno, era come tempo prima mi aveva anticipato Peter. Avevo vissuto la sofferenza in centinaia di modi diversi e, come aveva detto lui, le cose che più temevo si erano realizzate. Ma non era quello che avevo visto su Cameron, Jace e Peter a preoccuparmi tanto, ciò che mi metteva in ansia era la visione che corrispondeva alla piccola parte della più orribile delle verità. Il viso di Justin riflesso nel pugnale mi tormentava ancora rendendomi irrequieta. –Maya?- mi richiamò il lupo con voce tesa. Avrei voluto dirgli qualcosa, dirgli che era senz’altro chi di più vicino avessi in quel momento, che senza di lui sarei morta, ma Justin… io, io avevo una brutta sensazione.
Mi rimisi in piedi barcollando, ignorai le mani di Peter allungate verso di me e la sua voce ansiosa che continuava a chiamarmi, mi voltai e corsi via. All’iniziò incespicai nei miei stessi passi, il mondo però cominciava a smettere di girare così veloce ed evitai di andare a sbattere contro gli alberi. Non sapevo se Peter mi stesse seguendo, ma non mi preoccupai di voltarmi. Dovevo tornare al castello.
 
Non ci misi molto a raggiungere la grande inferriata arrugginita, ma la distesa di prato che mi separava dal castello sembrava sconfinata, così vuota, troppo, tanto da farmi sentire scoperta come un bersaglio appeso al muro. Quando fui davanti al portone però, mi paralizzai. Un brivido gelido mi corse lungo tutta la spina dorsale, freddandomi il sangue nelle vene, ebbi paura persino di respirare. Con le dita che prudevano dal nervoso spinsi forte la porta, attenta a non farla cigolare. Una volta dentro il buio mi circondò, l’unica fonte di illuminazione era la fioca luce grigiastra del tardo pomeriggio filtrata dai vetri perfettamente puliti delle finestre. Andai al piano di sopra, i passi leggeri, il respiro corto, il corpo teso, tutto per non causare il minimo rumore. Non sapevo esattamente dove stessi andando, o cosa avessi intenzione di fare, stavo soltanto seguendo i brividi che mi facevano tremare le viscere. Poi lo vidi, tenebroso e freddo, vuoto e buio, quella piccola fessura tra la libreria ed il muro mi fece rizzare i peli sulla nuca. Qualcuno era lì sotto, qualcuno era nelle segrete. Un’inspiegabile, folle paura mi fece tremare violentemente. Ester.
Senza riflettere un secondo di più su quello contro cui stessi andando varcai la soglia attraverso la parete dipinta di un bordeaux che conferiva a quel posto un’aria ancor più tetra. I miei occhi si abituarono presto al buio, il mio corpo invece sembrava risucchiasse tutta l’umidità gelida che rilasciavano i muri di cemento. I vestiti, così come anche i capelli, erano umidi e appiccicaticci, delle fitte alle tempie annunciavano che era in arrivo il mal di testa, ma le ignorai concentrandomi sulla pista da seguire: sempre diritto, la terzultima porta. Non sapevo cosa esattamente mi aspettassi di trovare o vedere, ma quella che avvertivo era senza alcun dubbio la sensazione più brutta che avessi mai provato, un misto di ansia palpitante e paura fredda, vertigini e capogiri. Mille ipotesi mi riempivano la mente: qualcuno era lì sotto, oppure qualcuno ne era uscito? Poteva essere una creatura mostruosa, o dannatamente bella e pericolosa? Perché non avevo mai una risposta alle mie domande? Una risposta certa, sicura? Ero costretta a vivere nel dubbio, nell’incertezza? Quanto sarei sopravvissuta a tutto ciò? Di una cosa ero sicura, se fossi rimasta lì, ciò che stavo provando sarebbe ritornato ancora e ancora, sempre più insopportabile.
Un forte brivido mi fece ritornare con la mente a ciò che stavo facendo. Sentii il sangue scorrere più veloce nelle vene, la tensione crescere. Mi appiattii contro il muro, proprio accanto all’entrata, smisi di respirare. Conoscevo quella sensazione, quando l’avvertivo era come se un velo si abbassasse sui miei occhi, come se ci fosse solo tanta oscurità. Ora ne ero certa, qualcuno, nulla di buono, era nella stanza dello specchio. Espirai lentamente con la bocca, chiusi gli occhi e piano mi voltai con il viso contro il muro. Con delicatezza poggiai le mani sulla parete ruvida e mi concentrai. Pronunciai l’incantesimo in mute parole che alle orecchie della vecchia Maya, quella con una squallida vita mondana, sarebbero risultate confuse e incomprensibili. Quando alzai le palpebre mi meravigliai del fatto che il mio incantesimo fosse riuscito alla perfezione, potevo vedere ogni cosa attraverso il muro, senza dover entrare nella camera. Inizialmente non trovai nulla di diverso, era vuota, spoglia, illuminata da un’inspiegabile luce biancastra, ma quando portai lo sguardo in direzione dello specchio lo vidi. Camminava attraverso la stanza con passo leggero e felino, i movimenti aggraziati di un gatto. Justin sembrava sempre più bello e al contempo più letale, ma c’era quell’alone, a miei occhi di un colore viola, che lo circondava, mi aveva sempre messo i brividi. Ma cosa ci faceva lui lì? Sembrava sicuro di sé mentre camminava, come se niente potesse coglierlo di sorpresa o spaventarlo. Poi avanzò verso lo specchio, ci si fermò davanti specchiandosi e mettendo su un sorrisetto cinico, tagliente. Dovetti trattenermi dall’urlare quando mi resi conto che nello specchio c’era il riflesso di un’altra persona, un essere che non era il vampiro, né Ester. Una creatura che mi era fin troppo familiare, ma che in quel momento mi risultò sconosciuta.
E quella creatura era Peter.
 
 
SAAALVE:)
Come va, bella gente? La scuola è finalmente finitaaa!
Potrò dedicare più tempo alle storie da scrivere e leggere, e tenterò di essere più puntuale, ma non vi prometto niente;)

Allora, io non posso capire se voi avete capito quello che c’era da capire, ma se non si è capito quello che c’era da capire fatemelo capire attraverso una recensione, comunque non preoccupatevi, non era nei miei piani farvi capire subito tutto quello che c’è da capire, però se avete capito capirò il vostro desiderio di uccidermi, sono una persona comprensiva io! Spero di essere stata chiara…
Sta di fatto che dal prossimo capitolo si scoprirà la parte più importante dell’ff:)
Be’, grazie mille a tutti quelli che leggono e recensiscono l’ff, a chi la mette tra i preferiti/seguiti/ricordati, grazie a TUTTI!:D

A presto, allora… e recensite!:)
Baci
Alena18 xxx

 
Per chi non avesse ancora ben presenti i personaggi della storia, ecco a voi…
 
Peter:
 
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Jace:

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Cameron:
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Ester:
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E (credo che questo si fosse capito) Justin:


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Maya:
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Alla prossima:D
P.s. Ahahaha


 
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Capitolo 21
*** Capitolo venti: Eclissi. ***


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“Molti dicono che la luna nasconde i più grandi segreti della vita.
Molti altri sostengono che in essa si trovino le risposte a tutte le domande.
Questo perché la luna non mente.”


 
 
Questo specchio non mostra semplicemente il riflesso di un volto, questo specchio ti scava dentro e trova la tua anima, poi la riflette.
Le parole di Ester echeggiarono nella mia mente in un pallido sussurro, come una verità bisbigliata ad un orecchio all’ora incapace di ascoltare veramente. Ed in quel momento, mentre il mio petto si stringeva dandomi l’impressione di non poter respirare per lo shock, nello specchio vedevo un’anima: l’anima di Peter nel corpo di Justin.
Questo specchio non mostra semplicemente il riflesso di un volto, questo specchio ti scava dentro e trova la tua anima, poi la riflette.
Quel corpo era una bugia, tutto quanto lo era stato, fin dall’inizio. Uno sporco gioco di potere, vendetta e chissà cos’altro. Ed io, la pedina semplice da gestire, facile da ingannare. 
Non tutto ciò che vedi è la realtà. Ester, quelle parole erano venute sempre dalla sua bocca, niente era come sembrava, un avvertimento che non avevo colto.
Lei sceglierà me, peccato che non saprà mai la verità. Mi ritornarono alla mente le parole di quello che credevo fosse Justin in una delle mie prime visioni. Quei ricordi riaffioravano e correvano veloci nella mia mente, seguendo il ritmo del mio cuore.
-Tu hai mai incontrato una… una fata?-, -Sì, ma è stato molto tempo fa. Ero molto diverso da come sono adesso-, -Diverso in che senso?-, -Diverso nel senso di diverso. Diverso e basta. Forse un giorno potrai capire-. La scena di me seduta sulla riva del lago a parlare con quello che pensavo fosse Peter mi si parò davanti agli occhi, rammentai quanto le sue parole riguardo a ciò che era stato un tempo mi erano sembrate strane ed ora sapevo il perché. Mi sentii maggiormente stupida, ebbi la sensazione di aver appena cominciato a vedere, come se adesso stessi aprendo gli occhi su quel mondo sovrannaturale.
Ricordai quando avevo chiamato il licantropo per nome. Era stata la prima volta ed ero rimasta indifferente al suo istantaneo cambio d’umore nell’udire quella parola.
Ho un cuore che batte, ma ho smesso di vivere tempo fa. Era ciò che aveva detto il lupo nella visione mostratami da Cameron, era così palese il suo tormento, il suo odio verso il vampiro e talvolta anche verso sé stesso, e adesso conoscevo il motivo. Adesso ricordavo il riflesso di Justin nelle acque del lago quando ero ancora sotto l’effetto del veleno fatato, non quello di Peter, ma quello di Justin. Era per tutto ciò che il punto debole del vampiro in realtà era il ragazzo-lupo? Erano forse legati? Qualcosa li vincolava? Questo però avrebbe spiegato il perché Justin, che in realtà era Peter, voleva mantenere in vita Peter, che in realtà era Justin. Oh, se stavo impazzendo! Mi sembrava di essere sempre stata da sola, mi sentivo presa in giro ed usata.
Le gambe tremavano violentemente, la paura che potessero cedere mi invase, chissà quell’essere nella camera cosa mi avrebbe fatto se avesse scoperto che ero lì. Mi misi una mano sulla bocca per accertarmi che non mi lasciassi sfuggire nulla, nessun gemito di dolore, né di frustrazione, nessun grido, anche se desideravo urlare con tutta me stessa. Più guardavo il riflesso di Peter nello specchio muoversi in contemporanea con il corpo di Justin, più non riuscivo a credere a ciò che vedevano i miei occhi.
D’un tratto il vampiro fece un passo indietro, allontanandosi dalla lastra di vetro. Quando il volto di Peter scomparve per un attimo pensai di poter riuscire a convincermi di essermi immaginata tutto, ma era inutile.
Mi voltai di scatto, alla disperata ricerca di un nascondiglio. Non potevo scappare, né fare movimenti bruschi, avrebbe potuto sentire il mio odore, o i miei passi, o la mia paura, per quelle cose lui aveva fiuto. Una parte di me si chiedeva se non mi avesse già scoperta. Dovevo pensare, pensare ad un incantesimo semplice, ma efficace. Avevo la fronte madida di sudore freddo, le mani appiccicaticce e l’inarrestabile battere del mio cuore mi faceva male alle ossa del petto.
Occultamento, un incantesimo di occultamento era ciò che faceva al caso mio. Dovevo solo ricordare le parole. Natura protege me… No, non era così, o forse sì? Non mi restava che provare. Chiusi gli occhi, pronunciai l’incantesimo e strinsi le palpebre pensando che magari se io non avessi visto lui, lui non avrebbe visto me. Avvertii la sua presenza uscire dalla stanza e di colpo fermarsi all’entrata, poco distante da me. Il mio cuore si arrestò, quasi come se si aspettasse che standosene fermo, lui non mi avrebbe vista. E sembrò funzionare perché udii i passi del vampiro procedere lungo il corridoio freddo; così mi decisi a riaprire gli occhi. Lo vidi mentre veniva risucchiato dal buio, il volto per metà voltato, le labbra piegate in un sorriso, lo stesso che aveva pochi istanti prima, quando era davanti allo specchio.
Poi scomparve.
 
Ero accovacciata sul pavimento ruvido e cementato della camera di Ester da quando il vampiro se n’era andato, le gambe tirate al petto, le braccia che circondavano le ginocchia, il volto nascosto dai capelli ancora umidi dell’acqua fatata. Sapevo che le mie labbra stavano tremando, ma tentare di fermarle sarebbe stato inutile, come lo era anche smettere di piangere. Dovevo farlo, in un certo senso era come se stessi aspettando una motivazione sufficientemente valida per poterlo fare. Piangere, finalmente. Non mi sarebbe servito a molto, ma dopotutto nulla in quel momento poteva aiutarmi, tanto valeva abbandonarmi a me stessa almeno per un po’. Avrei voluto rimanere lì sotto per sempre, avrei voluto addormentarmi e non svegliarmi più, mai più. Troppo tragico? No, per me sarebbe stato liberatorio. Mi era stato detto più volte ed in maniera piuttosto esplicita che non sarei tornata a casa, che dovevo abituarmi a quel mondo e ci avevo provato, ma come potevo credere che tutto quello che stavo vivendo potesse diventare per me una cosa quotidiana? Nel momento in cui pensavo di potercela fare, nell’istante in cui riuscivo a convincermi di essere abbastanza forte automaticamente accadeva l’inimmaginabile, ed ero di nuovo al punto di partenza. Nuove domande, zero risposte. Quando il vampiro se n’era andato, quello sguardo che aveva lanciato significava che mi aveva vista? Sapeva che ero lì? Se sì, allora perché lasciarmi andare senza far nulla? Cos’altro aveva in mente?
E dopo le domande arrivava la delusione, un’emozione che non riguardava il vampiro, ma il lupo. Alla fine, in un modo o nell’altro, le fate avevano ragione, il falso Justin aveva confermato di essere spietato, mentre il falso Peter era un bugiardo di cui non avrei dovuto fidarmi.
Pensare a Justin come Peter e a Peter come Justin mi risultava difficile, forse era una delle cose più impossibili che avessi mai pensato di fare da quando ero lì. Ciò voleva dire che in realtà era stato Peter, la sua anima, a maltrattarmi tutte quelle volte, a tentare di uccidermi, a minacciarmi e a spaventarmi. Ed era stato invece Justin, la sua anima, chi mi aveva salvato innumerevoli volte, chi mi aveva divertita e allo stesso tempo spaventata, chi mi aveva rassicurata e aiutata. Era tutto il… contrario, un inganno, una maschera ed io ci ero cascata in pieno. Ma stranamente non ero tanto arrabbiata con me stessa quanto lo ero con Peter, o meglio, con Justin. Aveva avuto tante di quelle occasioni per parlarmi e dirmi la verità, più di quante non ne avesse avute Peter, quello vero, quello che credevo fosse un angelo, ma che si era rivelato tutto meno che una creatura celeste.
Istintivamente, quasi senza rendermene conto, afferrai una pietra lì accanto e la scagliai con un  urlo strozzato contro il muro, riducendola a milioni di piccole schegge che rimbalzarono sul pavimento.
-Maya- una voce leggera come una carezza mi giunse alle orecchie. Solo all’ora mi resi conto di quanto in realtà tutta quella faccenda mi avesse scossa. Ero accucciata al suolo con i denti digrignati, il volto bagnato di lacrime, gli occhi in fiamme, il respiro affannoso ed una mano ferma a mezz’aria, in direzione del muro dove si era frantumata la pietra. –Calmati, Maya. Non lasciare che le tue emozioni prendano il sopravvento- mi consigliò con tono dolce, che mi ricordò tanto quello di una madre preoccupata per gli amici immaginari del figlio. Riuscii però a tranquillizzarmi, respirai a fondo e rallentai il battito cardiaco, ma le sue parole, il modo in cui le aveva pronunciate mi irritò.
-Smettila!- sbottai rimettendomi in piedi e voltandomi a guardare il suo riflesso evanescente –Smettila di parlarmi a quel modo, sempre così delicata. Sapevi cos’erano loro in realtà, ma hai preferito che lo scoprissi da sola- le puntai un dito contro, il mio tono di voce era deciso, ma moderato –Ebbene, ecco. La sorpresa è riuscita perfettamente, complimenti. Peccato che io non riesca ad accendere e spegnere le mie emozioni come fate tutti voi, esseri senza un cuore. Credi che sia ancora troppo umana? Troppo debole? Be’, indovina un po’, quest’umana se ne tornerà subito a casa, la sua vera casa, piena di persone con sentimenti- il sapore delle mie parole era amaro sulle mie labbra. Non avrei voluto prendermela con Ester, ma non si poteva certamente dire che lei fosse stata sempre di supporto per me –Mi dispiace, ma non meritate che io resti qui per aiutarvi in quello che credevo fosse un modo per riportarti in vita, adesso chi può dirmi che non si tratti di un’altra menzogna?- domandai retorica. Il fatto che sul suo volto non passasse quasi mai la minima espressione, il minimo segno di un’emozione non mi sorprendeva, ora l’unica cosa che le vidi fare prima che parlasse fu deglutire, senza neanche scomporsi.
-Non puoi andartene di qui- furono le sue parole. Non una frase di conforto, né di dispiacere per avermi tenuta nascosta la verità per tutto quel tempo, solo fredde parole vuote.
Prima di voltarle le spalle ed andarmene la guardai un’ultima volta, gli occhi mi bruciavano per via delle lacrime che minacciavano di rigarmi ancora il volto, i pugni stretti per ricacciarle dentro.
-Addio- sussurrai per poi uscire dalla stanza.
 
Quando uscii dal castello non seppi se essere più sorpresa o sollevata del fatto che quest’ultimo fosse apparentemente vuoto. Ero sfilata via attraverso camere e corridoi, silenziosa e attenta, ma sapevo che se lui fosse stato lì mi avrebbe sentita ed automaticamente fermata all’istante, magari facendomi perdere i sensi, infondo il vampiro non era mai stato tipo da crearsi troppi problemi se si trattava di togliere di mezzo le persone. Eppure ero sopravvissuta alla prima parte della mia fuga. Ora stavo attraversando il bosco in penombra, coperto dai rami appuntiti degli alberi oltre i quali si stagliava un cielo interamente rivestito di nubi grigie che non lasciavano presagire nulla di buono. Faceva freddo, più del solito, ed il mio vestito era ormai asciutto e gelido come una foglia in inverno, i miei lunghi capelli si increspavano ed arricciavano sulla fronte e sulle tempie impedendo alle mie mani di poterci passare attraverso. Non avevo pensato a portare nulla, non volevo niente con me che mi ricordasse di quell’esperienza, di quel castello e di ciò che aveva portato con sé. Ero pronta, decisa a tornare a casa. Seguendo la logica, se c’era un’entrata c’era per forza anche uscita e dovevo trovarla. Potevo utilizzare un incantesimo, se solo ne avessi conosciuto uno, ma d’altra parte volevo tornare ad essere una perfetta umana e insomma, non era proprio da normali ragazze neodiplomate fare magie.
D’improvviso il vestito si impigliò in qualche ramo, sbuffai mentre mi voltavo per liberarmi e pensai che avrei potuto cambiarmi prima di andarmene, mettere qualcosa di più appropriato per quando sarei tornata a casa, nel mondo civile e pieno di normalità. Ma cambiarmi d’abito avrebbe richiesto troppo tempo ed io non ne avevo molto, dovevo sbrigarmi e riuscire ad uscire da quella foresta prima che qualcuno si accorgesse della mia assenza. Quando tornai sul sentiero che stavo percorrendo mi ritrovai davanti dei piccoli esseri alti più o meno mezzo metro, con orecchie a punta e strani occhi colorati -non avevano né pupilla, né iride!-, nasi lunghi e stretti, labbra sottili e denti affilati. I capelli erano dello stesso colore degli occhi ed ognuno di loro aveva una tinta tutta sua, c’era chi aveva lunghe ciocche ondulate e blu, chi invece le aveva verdi, chi bianche. Non erano in molti, meno di dieci, ma ne fui ugualmente spaventata. Barcollai indietro fino a che le mie spalle non toccarono la corteccia ruvida di un albero. Il mio petto si alzava ed abbassava velocemente, quegli occhi erano inquietanti e i loro sorrisi taglienti lo erano ancor di più. Per un attimo pensai di chiamare aiuto, in realtà pensai a Peter che non era Peter, ma che era Justin, lui interveniva sempre in situazioni del genere.
Fu come se quelli avessero avvertito la mia paura perché uno di loro fece un piccolo passo verso di me, le mani alzate davanti al viso e la testa che si muoveva a destra e a manca.
-No- disse con voce sottile, quasi stridula –Non devi aver paura di noi- tentò di rassicurarmi con un mezzo sorriso, ma io vedevo solo i suoi occhi neri ed i suoi dentini affilati come lame di rasoio.
-Chi… chi siete?- domandai con il corpo schiacciato contro il tronco dell’albero, le dita strette intorno al legno che mi si conficcava nella carne.
-Siamo elfi- disse con estrema gentilezza, era garbato come tutte le creature del bosco che avevo incontrato fino ad all’ora e probabilmente aveva secondi fini, dovevano essere creature spietate come tutti gli altri.
-Volete uccidermi?- chiesi e subito dopo mi resi conto di quanto fosse stupida la mia domanda. Di certo loro non mi avrebbero chiesto il permesso per farlo, a nessuno era mai importato di me e di ciò che provavo, di ciò che volevo, perché loro sarebbero dovuti essere diversi?
-Oh, no. Certo che no. Noi ci dedichiamo ad altro- la pausa che seguì dopo quella frase mi fece rabbrividire –Vedi, Maya…- era mai possibile che tutti conoscessero il mio nome?! –Ecco, noi scopriamo ciò che tu vuoi di più al mondo e te lo doniamo- A quelle parole mi calmai di colpo. Finalmente qualcuno con un dono utile anche agli altri, qualcuno che poteva capirmi ed aiutarmi veramente. C’era solo una cosa che volevo.
-Voglio andarmene di qui, voglio tornare a casa mia. Potete fare questo?- mi affannai a domandare sperando davvero che quegl’elfi non mi stessero prendendo in giro.
-Noi ti doneremo ciò che tu adesso vuoi di più al mondo- pronunciate quelle parole tutti mi diedero le spalle e si incamminarono. Supposi che a quel punto avrei dovuto seguirli e così feci.
Li osservai attentamente, il loro aspetto bizzarro mi incuriosiva ed invidiavo la loro altezza in quel momento dato che stavamo attraversando una zona piuttosto umida, dove pareva che la vegetazione si concentrasse specialmente su muschi, rampicanti, edere e chissà cos’altro di appiccicoso e molliccio. Oltretutto quella parte della foresta era per me un territorio del tutto nuovo ed inesplorato. Attraversare quel punto del bosco metteva i brividi ed ero indecisa se considerarmi fortunata per essere lì in compagnia o se fosse stato meglio essere sola. Se mi fidavo di quelle creature chiamate elfi? No, o meglio, non completamente, ma infondo perché avrebbero dovuto mentirmi? Erano sembrati tutti così sinceri ed i loro volti, seppur pallidi e affilati, parevano amichevoli. E adesso se ne andavano saltellando qui e lì per il sentiero arido e poco illuminato, canticchiando strane melodie sconosciute. Non mi sembrava una situazione particolarmente pericolosa o allarmante.
Mi sorpresi a canticchiare con loro, avrei dovuto smettere all’istante e trovare la cosa alquanto strana, ma al contrario sorrisi ed offrii la mano ad un elfo accanto a me. Era così divertente e del tutto privo di logica o pericolo che mi lasciai trasportare completamente dalla situazione, abbozzavo qualche saltello qui e lì, qualche sillaba senza senso e qualche giravolta traballante. I sorrisi che ora mi mostravano non apparivano più così perfidi e subdoli ai miei occhi, piuttosto erano dolci e gentili, adorabili avrei osato dire.
Tra balli improvvisati e canzoni stonate pensai che forse loro, quelle piccole creature strambe, mi sarebbero mancate. Quella riflessione fu come un impulso, era come se sentissi che provare affetto verso quegli elfi fosse un sentimento ovvio e del tutto normale, così non provai a reprimerlo.
-Siamo arrivati- La stessa voce che svariati minuti prima mi aveva rassicurata ed aiutata, ora mi giunse alle orecchie riportandomi alla realtà. Scossi ripetutamente la testa come a volermi liberare di quella melodia incredibilmente contagiosa e mi guardai intorno. La luce che mi brillava negli occhi, l’entusiasmo che mi riempiva lo stomaco piano scomparve, lasciando spazio alla delusione. Vedevo solo alberi dal profilo inquietante, rami appuntiti, fango e terra, nessun raggio di sole, niente luce, solo ombre.
-Ma qui non c’è…- l’ultima parola non volle uscire perché quando tornai con lo sguardo sugli elfi, quelli non erano più lì –niente- sussurrai indecisa se essere più sorpresa, confusa o spaventata. Non sapevo che fare, se chiamarli a squarciagola o semplicemente darmela a gambe, ma volli cercarli, dare loro una possibilità. Sbirciai dietro qualche albero, guardai tra i cespugli, cercai persino tra le pietre, ma nulla. –Dove siete finiti?- dissi aggrappandomi alla speranza di poter sentire una loro risposta –Tornate indietro- affermai con tono supplicante. Quando non mi giunse nessuna risposta lasciai che il panico mi invadesse –Non è questo quello che voglio!- urlai mentre continuavo a guardarmi a destra e a manca, perdendo sempre di più il controllo sul mio respiro, sui battiti del mio cuore. C’erano alberi, alberi ovunque. Solo ed esclusivamente alberi. Era come se avessi appena scoperto di soffrire di claustrofobia, come se tutto mi si stringesse attorno.
Noi scopriamo ciò che tu vuoi di più al mondo e te lo doniamo. Quelle parole giunsero alle mie orecchie come da lontano, mi sembrava di essere in un’enorme bolla di vetro dove tutto era troppo sfocato e distante da poter raggiungere.
-No!- urlai scuotendo la testa tanto forte da farmi male –Non è vero- ribattei infuriata, mi sentivo presa in giro per la centesima volta, dicevo di essere una che non si fidava mai ed invece ero l’esatto opposto, terribilmente ingenua e stupida.
È questo il tuo posto, Maya. La voce ovattata del piccolo elfo tornò e le sue parole cancellarono ogni mia speranza di ritorno a casa.
-Smettetela!- sbottai barcollando e finendo contro un albero. Stavano mentendo, non poteva essere altrimenti, ma allora perché sentivo di aver torto? Perché avvertivo quella strana sensazione al petto che mi diceva che stavo solo prendendomi in giro? Ero arrivata davvero a quel punto? Adesso mentivo a me stessa?
È qui che vorresti essere. Quella voce si affievolì sempre di più fino a sparire completamente lasciandosi indietro solo l’ombra di un eco lontano.
Consapevole di essere rimasta sola in un posto dove le probabilità di morire erano piuttosto elevate, pensai di fare ciò che mi riusciva meglio: fuggire, ma mi ritrovai senza forze, né speranze, ero sola con la paura di restare lì per sempre, combattendo me stessa mentre mi raccontavo di voler qualcosa che in realtà non desideravo, nascondendomi ciò che veramente volevo. Cos’era che gli elfi avevano visto in me? Perché mi avevano lasciata lì, nel bel mezzo del niente?
Improvvisamente fui assalita dal terrore di ciò che mi aspettava, perché se gli elfi avevano detto che quello era il mio posto un motivo c’era sicuramente, il motivo stava in ciò che desideravo di più e probabilmente non lo sapevo nemmeno io. Mi appoggiai ad un albero piangendo lacrime silenziose e reprimendo l’impulso di urlare per evitare di fare scelte sbagliate, ma d’un tratto un rumore mi fece bloccare il respiro, la mia mano poggiata sull’albero premette più forte contro la corteccia rugosa procurandomi centinaia di piccoli tagli ed infliggendomi un dolore dieci volte più acuto alla mano destra ancora segnata dalla cicatrice che mi portavo dietro dalla notte del mio arrivo.. Per un attimo pensai di essermelo immaginata, probabilmente era solo la mia immaginazione che mi giocava brutti scherzi. Provai a pensare ad un posto dove avrei potuto essere felice, vivere senza preoccupazioni, ma le mie fantasie cedettero il posto ad un rumore, lo stesso di un istante prima, solo più vicino, così tanto da far tremare i sassolini ai miei piedi. I miei occhi si puntarono su di essi ed il mio corpo si immobilizzò, poi un ringhio si fece spazio nella mia mente scuotendo il mio cuore fino a raggiungere lo stomaco che ora aveva sicuramente assunto la forma di un nodo. Con le labbra schiuse e gli occhi spalancati portai lo sguardo davanti a me proprio nel momento in cui il nulla lasciava il posto alla figura massiccia e mostruosa di un gigantesco lupo dal manto scuro e le zanne sporche di sangue. Il cuore mi batteva così forte che sembrava volesse strapparsi dal petto, la bocca si prosciugò da ogni goccia di saliva mentre nei miei occhi si tatuò l’immagine del grosso animale saltare metri di altezza sulla mia testa ed atterrare proprio davanti a me. Conficcò i suoi artigli nella terra, digrignò i denti affilati e grondanti di sangue fresco, ringhiò contro di me che feci un balzo indietro riprendendomi da quella sorta di stato di trans in cui ero caduta. Improvvisamente mille pensieri mi assalirono riempiendomi la mente con l’intento di convincermi del fatto che non mi sarebbe accaduto nulla di male, ma il dubbio che quelle fossero altre bugie mi sovrastò come un’ombra estremamente grande. Mi sorpresi vedendo la mia mano muoversi in avanti, verso il lupo apparentemente furioso e famelico.
-Sono io…- avrei voluto dire qualcosa di più, ma le parole mi morirono in gola, quello non sembrava affatto Peter, anzi, Justin, era persino più spaventoso della prima volta che lo avevo visto. Spalancò le fauci ed ululò tanto forte da farmi male alle orecchie, non mi servì altro per capire che era arrivato il momento di scappare. Con strana prontezza saltai il cespuglio alla mia sinistra e, ignorando la fitta che mi procurai alla caviglia, corsi via, con il licantropo alle calcagna. Dovevo farmi venire un’idea, era troppo veloce per me, mi avrebbe raggiunta in un batter d’occhio ed ora non ero più tanto sicura della sua clemenza, non ero neanche sicura di ciò che volevo io, ormai non sapevo più nulla, nel vero senso della parola. In tutta quella situazione che tanto mi ricordava la notte del mio arrivo, riuscii a trovare una differenza: ora ero una strega. Il problema era che ero talmente spaventata che non mi veniva in mente nulla, ma forse il vero motivo era che infondo non volevo fare realmente del male a Justin… faceva così strano pensare al lupo come il ragazzo alto e biondo e non come quello alto e moro.
Non sapevo cosa di preciso, ma qualcosa mi portò a voltarmi ed automaticamente rallentai, così ebbi la possibilità di vedere in primo piano lo slancio che il lupo prese e la sua zampa artigliata muoversi verso di me. Il secondo dopo mi ritrovai ad urlare per il dolore acuto al braccio, ma tentai con tutte le mie forze di ignorarlo e di pensare in fretta. Ricordai di avere con me, nascosto nel mio stivaletto, il pugnale di cui mi ero già servita diverse volte in passato, ma prenderlo avrebbe significato fermarsi e così avrei solo perso tempo inutilmente.
D’un tratto una lucciola entrò nel mio campo visivo e la mia mente si illuminò.
-Ignis- pronunciai, ma non accadde nulla. Perché non accadeva nulla? –Ignis- ripetei più forte aspettandomi di vedere almeno una foglia infiammarsi, ma non accadde. Mi invase il panico, proprio in quel momento i miei poteri dovevano abbandonarmi?
Non mi ero resa conto della mia mano premuta contro la ferita sanguinante al braccio, né delle mie dita che ci si stavano conficcando dentro. Avvertii un pizzicore fastidioso correre lungo la mia gola e giungere alle mie labbra che trasformarono quell’urlo nell’incantesimo che disperatamente stavo tentando di far funzionare –Ignis!- gridai puntando la mia mano bagnata e appiccicosa di sangue verso un albero. Quello all’istante prese a bruciare e cadde, sbarrando la strada al mio inseguitore. Un secondo dopo anche il tronco che lo seguiva prese ad ardere con la facilità in cui bruciava un pezzo di carta accanto alla flebile fiamma di una candela. Nel giro di qualche istante si stabilì il caos, tutto cominciava ad essere divorato dal fuoco, dovunque puntassi i miei occhi, ovunque il mio sguardo si posasse quel punto veniva istantaneamente divorato da fiamme che sembravano duplicarsi, triplicarsi tra loro. Tossii ripetutamente, misi il braccio davanti alla bocca e sotto il naso respirando il meno possibile quel fumo nocivo. D’un tratto, qualche metro davanti a me, cadde ormai carbonizzato dalle fiamme, un albero. Davanti avevo il fuoco, alle mie spalle la bestia fuori controllo. Non ebbi il tempo di valutare quale fosse la cosa migliore da fare, il mio corpo reagì automaticamente e la terra mi scomparve da sotto i piedi. Il balzo che feci terminò con un tonfo sordo, ma non finì lì perché inspiegabilmente presi a rotolare e rotolare, e il mondo girava e girava. Non potei impedirmi di urlare in preda a dolori, ferite e panico. Non era la prima volta che scappavo da un lupo, non era la prima volta che la foresta prendeva fuoco e non era nemmeno la prima volta che mi ritrovavo a cadere rotolando come una di quelle ruote per criceti lungo un pendio.
Improvvisamente il suolo sparì e volai schiantandomi poi al suolo come un aeroplanino di carta fatto male. Inizialmente muovermi mi spaventava, il pensiero di avere ogni singolo osso del mio corpo rotto mi terrorizzava e preferii restare incollata al terreno pungente e freddo. Il rumore che poi risuonò nella terra, facendola tremare sotto di me, mi risultò orrendamente familiare. Capii che avevo covato la segreta speranza di aver seminato il licantropo e compresi di essere solo una povera illusa. Tentai di mettermi sui gomiti senza fare movimenti bruschi o rumori troppo forti, strisciai verso un albero circondato da qualche cespuglio e mi ci nascosi. Piano mi misi a sedere scoprendo con sollievo di non avere nulla di rotto. Il tonfo secco che sentii e il respiro affannoso che ne seguì mi fecero trattenere il fiato. Mi attaccai al tronco come se avessi potuto essere una specie di camaleonte e camuffarmi diventando qualsiasi cosa meno che Maya Gordon. Mi concentrai sui suoi passi pesanti, sui suoi ringhi, li sentivo rombare nel suo petto e automaticamente rimbombavano nelle mie orecchie, più forti del battito, veloce in modo sovrumano, del mio cuore.
Quando pensai che Justin fosse andato via mi sporsi con la testa oltre l’albero aspettandomi di vedere due occhi gialli iniettati d’odio e fame fissi su di me, ma non andò così. Il mio petto, prima fermo, prese ad alzarsi ed abbassarsi sotto i già più regolari battiti del mio cuore mentre i pugni che stringevo si ammorbidivano lasciando scoperti i palmi delle mie mani segnati da piccoli tagli. Ispirai con la bocca e chiusi gli occhi tentando di calmarmi, tornai a voltare il capo davanti a me, ma l’alternarsi irregolare di quelle strane e calde folate di vento che avvertivo sul mio viso mi turbò. Un brivido corse lungo la mia schiena e lentamente alzai le palpebre. Mi paralizzai all’istante: l’enorme testa e il gigantesco (più di quanto non mi aspettassi) muso del lupo erano ad una distanza troppo ridotta per quanto mi riguardava e la sua espressione non era certo delle più amichevoli. Ringhiò tra i denti e lo vidi muoversi verso di me spinto da una forza e una velocità mai viste, ma, per qualche strano caso o grazie ad un qualche miracolo, riuscii a spostarmi prima che la testa del licantropo mi schiacciasse. Acquistai un piccolo vantaggio da quella mossa che mi concesse di rimettermi in piedi, ma non andai molto lontano, infatti dopo pochi passi le mie gambe cedettero ed io caddi rovinosamente a terra. Mi voltai, poggiando tutto il peso del mio corpo sui gomiti, giusto in tempo per vedere un’ultima volta la neve bianca svolazzare nell’aria gelida mentre il lupo più infuriato che mai caricava verso di me. Strisciai indietro, ma con mia sorpresa la mia schiena si ritrovò contro un tronco. Incapace di pensare lucidamente mi lasciai guidare dal mio corpo. Le mie mani si posarono sulla corteccia ruvida e mi aiutarono ad alzarmi, mentre scuotevo la testa in un ultimo tentativo di svegliarmi da quell’incubo.
-No- sussurrai con le lacrime che presero a scorrere sulle mie guance –No, no- ripetevo terrorizzata mentre il lupo correva spedito verso di me –No! Justin!- gridai con la gola in fiamme e gli occhi serrati per evitare di guardare la scena di lui, la persona dalla quale pensavo di non dover temere nulla, che mi saltava addosso per sbranarmi.
Un istante dopo il silenzio regnava, l’odore che mi circondava sembrava essere lo stesso e la neve che sentivo posarsi sul viso era ancora lì. Forse la morte era così, o forse no, c’era solo un modo per scoprirlo. Piano aprii gli occhi e la scena ad attendermi era quella di pochi secondi prima: c’era la foresta coperta di bianco, il cielo più limpido di quanto ricordassi e davanti a me, immobile, con lo sguardo sorpreso fisso su di me, c’era il lupo. Non seppi dire se mi sentii più sollevata per essere ancora viva o più traumatizzata per tutto quello che era accaduto e che poteva ancora accadere. E solo in quel momento mi resi conto di quanto il cuore battesse a razzo nel mio petto, risuonando in tutto il mio corpo, solo all’ora notai quanto le mie gambe tremassero e quanto mi sentissi tremendamente nauseata. Ma prima di riuscire a realizzare tutte quelle cose avvertii il sangue andarmi al cervello che si coprì di macchie colorate, come tanti fuochi d’artificio. Poi svenni.
 
Riaprire gli occhi e ritrovarmi con il mal di testa e le vertigini era ormai diventato per me un risveglio abituale, quasi quotidiano. Avevo il corpo indolenzito e non mi sentivo per niente come invece avrebbe dovuto sentirsi una persona dopo aver dormito, be’, non che il sonno che avevo fatto potesse essere definito dormire, ultimamente tendevo a svenire… già, passavo quasi tutto il mio tempo svenuta e a volte avrei preferito restarci. Però la vista che mi attendeva oltre il buio che fino a qualche secondo prima mi aveva avvolta riuscì a farmi sentire meglio, sembrava di stare di nuovo a casa. Ma non ero così sciocca, oramai non ci speravo più, ma quel cielo stranamente limpido era un evidente, per me, ricordo di Londra, anche se dopotutto il cielo era sempre lo stesso ovunque andassi, forse era l’unica cosa invariata rimasta nella mia vita. Tentai di perdermi dentro di esso come facevo da bambina stesa sul portico davanti casa, con le mani sotto la testa e il sorriso stampato in faccia fingevo di essere una stella, mi convincevo di essere nello spazio e di poter volare anche oltre, ma era finito il tempo delle fantasie, questa ora era la realtà. Una realtà surreale dove avevo appena scoperto che le poche persone che mi circondavano non erano per niente ciò che pensavo fossero, dove ero stata quasi divorata da un lupo mannaro che credevo buono, per la seconda volta, dove la persona che definivo angelo era il peggiore dei demoni, dove io non ero più la stessa, banale e normale Maya di un mese prima. E quella irreale realtà mi colpì come un secchio d’acqua gelida. Trasalii a quei pensieri, ma almeno seppi di essere ancora tutta intera, niente ossa rotte o gravi ferite. D’improvviso però mi assalì la raccapricciante paura di essere ancora in balia del lupo, la sensazione di non essere sola mi riempì lo stomaco di terrore serrandomi la gola ed impedendomi di respirare. Grazie ad un po’ di coraggio misto a quel pizzico di immancabile, stupida curiosità che mi caratterizzava distolsi lo sguardo dalla splendida luna piena e sollevai il busto poggiando tutto il peso sui gomiti. Inizialmente vidi solo un vortice di tetri colori, poi cominciai a mettere a fuoco il profilo degli alberi rigidi e imponenti, la distesa di prato ricoperta di soffice neve, i batuffoli bianchi che fluttuavano nell’aria e… Justin. Per la decima volta in tutta la giornata, mi riuscii difficile pensare a quel nome ed associarlo alla figura di Peter lì, in piedi davanti a me, con lo sguardo fisso sulla superficie del lago fatato che rifletteva nitido l’immagine della luna rotonda. Sembrava perso in chissà quali pensieri, il volto più serio del solito, i lineamenti severi e inespressivi, il corpo perfettamente immobile. Sperai con tutta me stessa che non si fosse accorto del fatto che mi ero svegliata, serrai la bocca, smisi di respirare e rallentai il battito cardiaco per evitare di provocare alcun rumore. Ero quasi sicura che ciò che stavo facendo non sarebbe servito a nulla, ma ero fiduciosa che non mi sentisse strisciare via.
-Ben svegliata, Maya- una voce roca e bassa mi giunse alle orecchie più nitida di quanto mi aspettassi, solo dopo alcuni secondi compresi di essere stata beccata. D’istinto indietreggiai incapace però di alzarmi per correre, avevo le gambe intorpidite. Alzai lo sguardo e la figura alta di Peter si voltò a guardarmi. La luce della luna lo illuminò più chiaramente lasciandomi modo di poter vedere come era conciato: era a torso nudo, indossava solamente dei pantaloni neri strappati, i piedi erano scalzi e sporchi di terra, il petto punteggiato di sangue e di quelle che sembravano ustioni, il sopracciglio ferito, gli occhi di fuoco e le labbra piegate in un mezzo sorriso ironico –Vai già via?- la sua domanda retorica mi irritò profondamente, alle volte avevo amato il suo sarcasmo, lo avevo trovato addirittura sexy, ma adesso avrei solo voluto prenderlo a schiaffi.
-Per quanto sono stata incosciente?- domandai mantenendo i miei occhi fissi nei suoi e il tono di voce duro.
-Non molto. Un’ora circa, minuto più, minuto meno- rispose e questa volta non c’era traccia di ironia nella sua voce. Mi alzai barcollando e mi sembrò di vederlo muovere un passo verso di me, ma io mi allontanai prontamente. Tenendomi la testa fra le mani mi guardai intorno come ad accertarmi che fossi davvero dove pensavo di essere.
-Perché siamo qui?- ora il mio tono era diventato irritato, oltre che duro.
-Perché tu mi ci hai costretto a portarti- disse con un’ombra di fastidio nella voce.
-Io avrei fatto cosa?- persino alle mie orecchie la mia voce risultò squillante, ma non avevo potuto evitarlo.
-Sei venuta mentre ero a caccia. Non si disturba un lupo quando sta cacciando- ribatté freddo, con tono rimproverante, acido e mi stupì tanto che mi zittii di colpo –Cosa speravi di sentirti dire?- chiese senza aspettarsi veramente una risposta –Magari delle scuse per averti ferita? Speravi che ti avrei stretta a me dicendoti che non avrei mai potuto farti del male? Mentirei se lo facessi, perché io ti avrei fatto molto più che male. Io ti avrei distrutta, straziata, sbranata se ti avessi raggiunta, non mi importava di nulla, ti volevo. Eri come il rosso per un toro, come l’acqua in mezzo ad un deserto, come la luce nel buio. Eri la preda per il predatore- aveva la mascella rigida, le mani strette a pugno, le nocche bianche come il latte, gli occhi spenti mentre mi fissava apatico. Ricacciai giù quelle stupide lacrime che mi facevano apparire ogni volta debole e infantile, e giocai le mie carte.
-E tu? Cosa speravi di sentirti dire?- sibilai muovendomi morbida verso di lui.
-Non capisco cosa intendi- ora aveva smesso di guardarmi, il suo sguardo si era posato altrove, all’improvviso per lui gli alberi erano diventati particolarmente interessanti.
-So che lo sai- continuai lontana pochi passi da lui. Avevo i nervi saldi, ero completamente rigida, ma sorprendentemente sicura.
-So che cosa?!- affermò con tono molto più basso, le parole gli uscirono taglienti mentre serrava i denti. Al contrario, i suoi occhi erano ben aperti ed attenti a fissare la ferita quasi del tutto risanata sul mio braccio, continuando a non guardarmi in faccia.
-Sai che io lo so- la distanza che avevo creato fra me e lui era breve, un passo e gli sarei stata addosso.
-Parla chiaro, Maya!- esclamò piccato dal mio continuo girare intorno al punto della conversazione.
-Quanto ti sei divertito? Quanto vi siete divertiti tutti quanti a prendermi in giro? Parte di un piano dall’inizio, è questo quello che sono stata, ne sono certa. Quale sarebbe stato il tuo prossimo passo con me? In quale altro modo mi avresti mentito spudoratamente, eh?!- il mio tono di voce si alzò di un’ottava ed il mio sguardo divenne gelido –Sai, sono quasi convinta del fatto che tu voglia qualcosa da me, d’altronde la vogliono tutti e tu non sei da meno, non è vero, Justin?- il suo nome uscì dalle mie labbra con un suono sgradevole, come se avessi pronunciato una bestemmia. Fu all’ora che i suoi occhi tornarono sui miei, luminosi, vivi. Mi risultò difficile riuscire a mantenere in piedi la corazza impenetrabile di ghiaccio, la sua espressione era così compiaciuta e sollevata che mi spiazzò.
-Dillo di nuovo- il suo tono non era gentile, né implorante, ma riuscivo a sentire il bisogno che avesse di udire di nuovo quel nome.
-No, dimmi tu piuttosto cosa vuoi da me- ero arrabbiata con lui, avrei voluto colpirlo con tutte le mie forze, ma sentivo che mi stava costando tanto trattarlo a quel modo.
-Tu sai cosa vuol dire vivere maledetto? Vivere per oltre due secoli in un corpo non tuo con addosso la maledizione del licantropo? No, non lo sai e mi auguro non lo saprai mai- la sua voce era dura, ma al contempo lasciava percepire che ciò che diceva in un qualche modo lo pensava sul serio.
-Non cercare di impietosirmi- dissi stringendo i denti per restare fredda.
-Impietosirti non è mai stato nei miei piani- ribatté gonfiando il petto d’aria come se stesse cercando di calmarsi –Ti ho odiata fin dal primo istante in cui ti ho vista- non potei non trasalire a quelle parole così dirette –Eri parte dei miei guai, la parte che mi impediva di poter tornare ad essere ciò che ero. Come potevi tu, una stupida mortale, essere la mia cura?-.
-Non sono una mortale- lo contraddissi in maniera repentina, anche se non era la questione di cosa fossi io ad interessarmi.
-No, non lo sei. Ma sei rimasta stupida. Quale matto si inoltra nel fitto della foresta di notte?- domandò retorico, era evidente che non sapeva cosa era successo prima, ma d’altronde come poteva esserne a conoscenza lui?
-Sono stati gli elfi, loro mi hanno portata da te con l’inganno. Mi hanno detto che mi avrebbero dato ciò che di più desideravo ed io volevo andare via, non farmi uccidere da te- dette ad alta voce quelle parole cominciavano ad avere un senso e mi sentii in imbarazzo.
-Evidentemente desideravi di più me- mise su un largo sorriso decisamente esagerato ed il rossore sulle mie guance divenne più intenso.
-Non è questo l’importante adesso. Dimmi perché siamo qui e, per favore, spiegami cosa intendi per “essere la mia cura”!- mimai con le mani delle virgolette, poi mi misi a braccia conserte aspettando le sue parole.
-Tu non capiresti- accantonò la questione con un gesto della mano voltando il capo.
Strinsi i pugni e mi rimisi davanti a lui –Io credo di sì, invece-.
-Peter voleva essere un vampiro, non si accontentava di restare ciò che era, mi odiava e così mi ha tolto tutto, letteralmente- restai in attesa di altre informazioni, dovevo sapere –Mi ha ancorato a questo corpo sigillando l’incantesimo, fatto con l’aiuto di queste acque velenose, con la maledizione del licantropo, il nemico giurato dei vampiri. C’è un unico modo per poter tornare ad essere come prima e quel modo sei tu, il tuo sangue e un incantesimo- terminò d’un fiato. Restai scioccata, erano troppe notizie da apprendere e un colpo allo stomaco nell’udire l’ultima frase.
-Quindi io sarei il tuo unico modo per riprenderti la tua vita?- chiesi accigliata, ci capivo sempre meno e la logica spariva mano a mano che passava il tempo in quel posto.
-In breve sì, posso tornare nel mio vero corpo solo ed esclusivamente se deciderai di dare il tuo sangue di tua spontanea volontà a me e a quel bastardo che si fa chiamare col mio nome, a quel punto dovresti recitare un incantesimo e spezzare definitivamente la maledizione- spiegò scrutandomi attentamente. Sapevo come dovevo apparire: una ragazza completamente confusa, delusa e arrabbiata, io odiavo quella vita, odiavo quelle persone e ciò che mi avevano fatto. Come avrei potuto fidarmi ancora di lui?
Deglutii rumorosamente, mandando giù tutte quelle informazioni, anche se avevo il sospetto che ci fosse dell’altro, ma ne avevo abbastanza.
Fissai i miei occhi nel vuoto senza sapere più da chi fossi circondata –Non dovevo fidarmi di te- dissi in tono deluso, ma freddo. Sentii il suo sguardo sul mio viso, era troppo pesante da sopportare.
-Io non mento- pronunciò fermo cercando di sostenere il mio sguardo mentre io tentavo di sostenere il suo. Non seppi dire se mi sentissi ancor più presa in giro da quelle parole o se ci credessi.
-Allora mostrami chi sei veramente-.
Non mi aspettavo di essere presa così alla lettera, ma fu questione di pochi secondi e, mentre un attimo prima stavo osservando il viso di Peter, quello seguente vedevo il volto di Justin che mi guardava ansioso. Mi si fermò il cuore, il respiro si bloccò in gola, le lacrime salirono agli occhi che bruciavano al sol sfiorare l’immagine di Justin.
-Cosa… perché sei diventato… insomma perché sei così… sei tu?- farfugliai con gli occhi spalancati e la sorpresa stampata in faccia.
-È l’eclissi. Solo durante un’eclissi di luna posso mostrarmi per ciò che sono, ma posso farlo solo stando qui, al lago- dopo averlo ascoltato portai il mio sguardo verso il cielo dove la luna stava piano scomparendo. Tornai ad osservare la sua nuova, vecchia faccia e mi ritrovai ad indietreggiare, forse per paura, forse no, semplicemente non sapevo più chi avevo davanti. Riuscivo solo a vedere il volto di un bugiardo del quale forse ero innamorata, ma adesso che senso aveva provare qualcosa per una persona così orribile?
-Ma tu chi sei?- dissi con disgusto allontanandomi sempre di più. –Non posso dare il mio sangue ad una persona come te- sibilai con la rabbia negli occhi –Io non lo farò mai- pronunciai quelle parole con l’intento di fargli del male, volevo distruggerlo come lui aveva fatto con me, togliergli ogni speranza. E forse ci riuscii perché il suo volto divenne una smorfia di orrore, la stessa espressione che avevo io da quando ero in quel mondo.
Per un motivo o per un altro non godei tanto come mi ero immaginata nel vederlo così, quindi scappai via da lui, ormai era quello che mi riusciva meglio.
Corsi nella foresta, non avevo una meta, sapevo di non poter andar via, ma come avrei potuto tornare al castello? Non mi fidavo di Peter, non sarei neanche stata in grado di guardarlo in faccia senza averne paura, perché di una cosa ero certa, Justin, quello vero, era un bugiardo egoista, ma Peter era senz’altro un bugiardo egoista senza cuore.
Ero così tanto furiosa da poter pensare di andare comunque al castello ed affrontare Peter e Cameron per distruggerli definitivamente, ma mi restava ancora un po’ di lucidità, quel tanto che mi bastava per comprendere quando era tempo di guardare in faccia la realtà ed accettare il fatto che loro sarebbero stati sempre più forti di me. Dalla loro parte avevano potere ed erano senza pietà, io probabilmente non sarei riuscita a fargli più di un taglio.
Ancora non potevo credere a tutta quella faccenda, mi avevano tutti presi in giro, tutti sapevano di Peter e Justin, compreso Jace, be’, non che da lui mi aspettassi qualcosa, praticamente non eravamo neanche conoscenti. Ma ero sicura che anche lui era coinvolto in quella storia. Oh, accidenti! Perché ero stata così cieca?!
Percepii calore sulle guance ed accolsi con strano sollievo quelle lacrime, ma non mi sentii meglio, ero solo più arrabbiata, infuriata con il mondo intero. Per un attimo pensai fosse stato meglio morire fin da subito, perché adesso stavo comunque morendo, ogni giorno di più.
D’un tratto, mentre correvo alla cieca schivando alberi e buche, una dolorosa fitta alla testa mi fece bloccare sul posto. Il mio volto si trasformò in una maschera di sofferenza, la mia bocca si aprì in un grido muto, le mie mani corsero alle tempie ed il mio corpo, in seguito a spasmi incontrollati, prese a contorcersi sul terreno umido e gelido. Il dolore continuava a colpirmi e mi sentivo come se mille lame incandescenti mi stessero forando il cervello. L’impatto che inizialmente ebbe tutto ciò su di me mi tolse il fiato, ma adesso ero abbastanza distrutta, abbastanza terrorizzata da poter gridare.
Continuai ad urlare a squarciagola, lasciando che le lacrime mi rigassero il viso e permettendo al dolore di prendere il sopravvento su di me fino a quando anche gridare divenne insopportabile e le lacrime finirono per prosciugarsi. Fu all’ora che il buio mi ingoiò.    
 
 
 
I AM HERE!:)
Rieccomi, forse in anticipo, ma probabilmente in ritardo;)
Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto e che ora non mi odierete dopo aver fatto questa scoperta. Ma ricordatevi che io vi avevo avvertite, questa non è una storia come un’altra, non per altro mi piace sempre ricordarvi che lo slogan è: NIENTE È COME SEMBRA!

Ho tentato di rendervi al meglio la situazione di Peter e Justin… credo abbiate capito che fin dall’inizio loro non erano ciò che pensavate fossero: quello che sembrava Justin in realtà era Peter e quello che era Peter in realtà era Justin, ciò vuol dire che, come ha pensato Maya, è sempre stato Peter a comportarsi da stronzo con lei, mentre invece era stato Justin a salvarla e proteggerla… vedetela come una cosa positiva lol:)
Questo capitolo si è concluso con un altro fatto misterioso e strano, la nostra Maya, dopo essersi contorta inspiegabilmente dal dolore, è ovviamente svenuta. Cosa le capiterà ancora ora che è sola?

Scoprirete questo e molto, molto altro nel prossimo capitolo:))
Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito il mio capitolo precedente, spero continuerete a farlo:) Grazie anche a chi semplicemente legge la storia e a chi la mette tra le preferite/seguite/ricordate, GRAZIE!:D
A presto allora;)
Baci
Alena18 xxx  

 

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Capitolo 22
*** Capitolo ventuno: L'ibrido. ***


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“La storia si ripete.”


 
     Gelo. Non riuscivo a pensare ad altro oltre al pungente freddo e al terribile dolore alla testa. C’era soltanto il vento tagliente che mi graffiava la pelle e le solite, fastidiose, incredibilmente acute fitte alle tempie, erano forti come un cuore pulsante. Mi sentivo completamente pietrificata, rigida come un manico di scopa, ghiacciata come la neve in montagna: era esattamente come immaginavo la morte, buia e vuota, agghiacciante e tremendamente spenta, come le macerie di una casa abbandonata. A quel pensiero il cuore batté veloce nel petto e l’orribile sensazione di sprofondare mi sommerse, ma riemersi quasi subito, quando si è morti non si sente nulla: ero viva. Alle volte pensavo che essere vicina alla morte mi avrebbe dovuta aiutare a scacciarla, avrei dovuto avere una vita più lunga, ma io non mi ero mai avvicinata alla morte, no, io la morte l’avevo vista in faccia e ne avevo un’idea così precisa da poterci fare un ritratto, o magari scriverci su un libro.
D’improvviso la presenza viva di qualcuno in movimento al mio fianco mi riscosse. Avrei voluto non dover aprire gli occhi, sentivo le palpebre sottili come un foglio di carta da stampante, congelate e spesse come la superficie ghiacciata di un lago, ma una forte scarica di brividi mi fece sentire come se stessi cadendo in una buca senza fine, la luce sempre più lontana. Era anche questa la morte, precipitare senza mai fermarti, sprofondare nell’oscurità con la terribile sensazione che non ci sarebbe stato nient’altro che quella caduta infinita a riempire il tuo dolore.
Spalancai gli occhi e aprii la bocca in cerca d’aria. Quando ebbi preso un respiro profondo fu come aver mandato giù gas nocivo, come aver bevuto un sorso di veleno, o come aver mangiato un piatto di chiodi vecchi, ma terribilmente taglienti. I miei polmoni sembrava stessero bruciando, non avevo mai trovato così insopportabile respirare prima di all’ora. L’accenno dell’alba chiara era l’unica cosa che riuscivo a vedere e quando strinsi le mani a pugno, me le ritrovai colme di neve, quasi non sentivo la differenza di temperatura tra quest’ultima e il mio corpo. Tentai di voltare il capo per capire dove mi trovassi, ma la testa era così pesante che pareva fosse incollata al suolo.
-Non agitarti- una voce morbida e bassa mi riprese rompendo il silenzio totale in cui mi ero risvegliata facendomi perdere un battito per la sorpresa –Serve solo a farti star peggio- quella voce non mi era nuova, sapevo a chi apparteneva, così quando voltai lentamente il capo a sinistra e i miei occhi asciutti incontrarono quelli azzurri di Jace non mi sorpresi più di tanto. La cosa che veramente mi spiazzò, quando riuscii a metterlo a fuoco, fu l’espressione stampata sul suo viso che non era rivolto verso di me. Era dolce, triste e allo stesso tempo duro il suo sguardo mentre fissava come tormentato qualcosa sul terreno. Quando spostai il mio sguardo verso terra notai che, a livello del mio viso, c’era qualcosa, era un intreccio di ciocche scure e incolori, stracci vecchi e sporchi, mi ci volle solo un altro istante per rendermi conto che la cosa inerte vicino alla quale Jace era accovacciato era Ester. Dilatai le narici e serrai le labbra, sentii gli occhi riempirsi di lacrime calde, tanto calde da farmi pizzicare il naso. Cominciai a muovermi freneticamente in cerca della forza necessaria per potermi tirare su ed allontanarmi di lì, avevo un brutto presentimento ed ero quasi certa che la sensazione di morte che avevo avvertito poco prima era legata a lei, al suo essermi così vicina. –Sprechi solo le tue forze così e credimi quando ti dico che adesso non puoi permetterti affatto una cosa del genere-. La calma con cui parlava, la tranquillità con cui sfiorava il volto scarno di Ester mi mise tutt’altro che a mio agio, mi sentivo come se fossi in presenza di un matto sul punto di uccidermi con la forza delle sue stesse mani.
-J-Jace…- balbettai e la vista mi si appannò a causa delle nuvolette d’aria bianca che fuoriuscivano dalle mie labbra secche –che… che sta succedendo?- non riuscii a trattenere una lacrima che scivolò via cadendo sulla neve ghiacciata al suolo. Un istante dopo scomparve divenendo un’unica cosa con la terra bianca: era esattamente ciò che avrei voluto fare io, mimetizzarmi, cambiare aspetto, diventare invisibile, sparire.
-È giunto il momento, Maya- il suo non guardarmi negli occhi mi inquietava, mi serviva qualcosa alla quale potessi aggrapparmi, qualcosa che mi trasmettesse familiarità e pace, qualcosa che potesse cancellarmi dalla mente l’orribile scenario di sangue che avevo tatuato negli occhi. Ma lui non mi vedeva e la cosa mi fece inspiegabilmente male.
-Per cosa?- Dov’era finita la mia rabbia? Dov’era il coraggio e la magia? Per un attimo desiderai che Jace se ne andasse, avrei voluto che ci fosse Peter lì (quello vero), avrei voluto guardarlo in faccia e odiarlo, morire nei suoi occhi ingannatori e trascinarlo giù con me. Jace era solo quanto di più vicino potessi sentire, non avevo motivo per odiarlo, o per mostrarmi forte con lui, era una sorta di inappropriata debolezza.
-Tornerà, Maya- la sua voce si illuminò di un sentimento che ormai non sentivo né vedevo da tempo: amore. –In questo giorno Ester tornerà alla vita- le strinse una mano mantenendo il suo volto basso e nascondendo i suoi occhi lucidi. Tutto ciò non faceva che indebolirmi, mi annebbiava la mente come fitto fumo grigio impedendomi di capire che la cosa realmente importante era che io restassi lucida e sapessi chi era il vero nemico.
-Jace, ti prego…- soffiai deglutendo forte –Ti prego, dimmi cosa mi succederà- lo implorai con un filo di voce incapace di controllare la paura che mi ribolliva nelle vene.
-Maya, tu…-
-Sei ancora qui, Griffiths?- sbottò rude Cameron che non avevo sentito arrivare –Hai fatto la tua parte, no? Dovresti già essere lontano, erano questi i patti, dico bene?- il ghigno sprezzante che aveva dipinto in viso mentre fissava divertito Jace che teneva la mano della mia antenata fissandola con muto desiderio, mi irritò e strinsi i pugni per frenare l’impulso di urlargli contro.
-Dici bene, Poniard- esordì Jace con tono così inespressivo che fui costretta a strizzare gli occhi per accertarmi che ci vedessi ancora bene. Jace aveva lo sguardo di un uomo appena tornato da una guerra incredibilmente lunga e sanguigna, un uomo che aveva combattuto per arrivare dov’era adesso: accanto a lei. Ecco, era quel suo sguardo ad andare in contrasto con la sua voce terribilmente spenta –Fossi in te non mi sentirei troppo sicuro di sé, i tuoi piani potrebbero crollare- si voltò a guardarlo e un secondo dopo era già in piedi davanti a Cameron, un sorriso tagliente gli si disegnò in volto –Ma io sarò lontano e tu sarai morto- chinò leggermente la testa di lato prendendo a ridere senza gusto. Vidi Cameron avvicinarsi a lui pericolosamente, gli occhi di fuoco, le labbra un linea netta e bianca che gli divideva il viso.
-Va via- sibilò e potevo vedere una vena pulsare sul collo dello stregone dai capelli corvini.
-Con piacere- terminò Jace prima di superare il suo nemico con grosse falcate che quasi non lasciavano orme sulla neve pallida. Improvvisamente desideravo che restasse, il fatto di essere sola con un’antenata morta che stava per risorgere e un potenziale stregone serial killer mi inquietava. Non potevo permettermi di essere debole e spaventata, ma lo ero.
-Perché sono qui?- chiesi improvvisamente odiando mentalmente la mia posizione, era già abbastanza terrificante guardarlo mentre ero in piedi dovendo comunque alzare lo sguardo, ma ora che ero stesa mi sentivo uno scarafaggio di fronte ad un gigante. Lo vidi irrigidire le spalle mentre continuava ad andare avanti e indietro evitando di guardarsi intorno.
-Alle volte è così irritante la tua ingenuità, poi tu hai la grande capacità di essere al contempo ignorate e quasi la situazione diventa comica, ma ovviamente non è questo il caso dato che non sto ridendo- sul suo viso si era dipinta un’espressione di disgusto e disprezzo, per un attimo mi parve di vedere Justin, ovvero Peter, mentre mi trattava come uno zerbino. Era così umiliante.
-Ti ho fatto una domanda e non sono così stupida sai? Ma forse, dato che voi tutti credete di conoscermi così bene da poter sputare sentenze e giudicare senza un minimo di esitazione, un tempo, in una specie di universo alieno lo sono stata, magari credevo di potermi fidare cecamente di te e ti chiedevo un abbraccio perché mi bastava quello. Allora sì, hai ragione, forse davvero una parte di me è tanto stupida e ingenua- sputai lasciando che le parole mi uscissero taglienti e folli dalle labbra, rammentando il sogno che avevo fatto quando ero ancora sotto il controllo del veleno fatato. Probabilmente Cameron avrebbe cominciato a ridere sul serio, ci avrei scommesso, ancora qualche altro secondo per raccogliere tutto quello che avevo detto senza un briciolo di lucidità e si sarebbe piegato in due dalle risate. Ma come mi era venuto in mente di dire certe cose?!
-Cosa hai detto?- portò i suoi occhi spalancati nei miei timorosi, odiavo i suoi alti e bassi e odiavo anche i miei, un secondo prima ero in procinto di farmela addosso, quello dopo ero tanto sicura di me che avrei potuto pensare di farla fare a lui addosso.
-Io…- cominciai bagnandomi le labbra con la lingua mentre lui avanzava lento verso di me, guardandomi come se fossi stata una specie di rara creatura –Non ho detto nulla, lascia perdere- tagliai corto sperando che lui lasciasse cadere la conversazione, ma non fu così.
-Tu hai detto che c’era un tempo in cui potevi fidarti di me e volevi abbracciarmi- mi puntava un dito contro e la sua espressione era simile a quella di un matto delirante.
-Non ho mai detto questo- ribattei rivolgendo nuovamente il mio viso in direzione del suo, più vicino di quanto mi aspettassi –Ho detto che in un altro universo questo sarebbe potuto accadere, per quanto impensabile è il fatto che io possa voler abbracciare proprio te su sette miliardi di persone al mondo- sbottai roteando gli occhi al cielo e provando ancora una volta a tirarmi su causandomi solo altre fitte.
-So quello che ho sentito e tu hai detto delle cose così…- si arrestò di colpo e lo vidi respirare a fondo –Perché hai detto quelle cose?- chiese infine, ma la sua più che una domanda pareva un’affermazione.
-Perché dovrei risponderti?- chiesi a mia volta non capendo perché lui fosse tanto interessato a quella faccenda –Tu devi ancora farlo-.
-Dovresti sapere perché sei qui, hai la risposta al tuo fianco- indicò Ester accanto a me passandosi una mano sul volto –Lei tornerà, è per questo che sei stata preparata, è per lei che tutti ti vogliono. Tu puoi ridarle la vita- esordì in tono assente e stanco, improvvisamente non sentivo più di dover difendermi, sembrava più calmo adesso.
-Ma perché? Perché deve tornare?- domandai con la disperazione nella voce, tutta quella storia mi aveva distrutta e solo a causa di Ester. Mi morsi la lingua per aver pensato a lei in modo così cattivo ed egoista.
-Diciamo che ha lasciato delle cose in sospeso quando è morta- disse, ma sapevo che c’era dell’altro sotto.
-Ah, tu intendi dire quando Justin l’ha pugnalata a tradimento uccidendola senza un vero motivo- affermai ironica notando che avevo detto Justin anziché Peter, ma poi mi fermai a pensare. E se il motivo lo avesse avuto? Impossibile, si trattava di Justin, o meglio, di Peter, lui era capace di tutto.
-Ester non era certo una santa, ma Justin è sicuramente uno degli esseri più insidiosi e spietati mai esistiti- disse senza espressione nella voce, poi lo vidi fissare un punto impreciso sopra la mia testa, lo sguardo perso nei ricordi. Quando parlò ancora quasi sobbalzai per la sorpresa –Ho scoperto che l’aveva uccisa solo qualche ora dopo. Quando arrivai lui era incosciente. Era steso proprio qui- indicò un punto del suolo di fronte ad Ester. Non riuscivo ad immaginarmi il vampiro in uno stato di incoscienza, non più –Accanto a lui c’era un pugnale sporco di sangue. Ricordo che mi apparve tutto così strano, avevo le idee così confuse e mi sentivo ansioso, terribilmente ansioso. Così mi servii di un incantesimo per entrare nella mente di Justin e vedere cosa gli era accaduto. Ho praticamente visto morire Ester, ma una cosa mi fu chiara come l’acqua: era lei che lo aveva fatto addormentare, lei gli aveva lanciato un incantesimo. Era furba, probabilmente si aspettava una cosa del genere da parte di Justin, forse non pensava di morire, ma sapeva che lui era pericoloso. Così la sua morte aveva reso effettivo il suo incantesimo che poteva essere spezzato solo dal sangue della prescelta. Ti ho cercata per così tanto tempo, ma questo tu lo sai già- affermò rivolgendomi un’occhiata torva –Sai anche che il corpo di Ester lo ha sempre avuto Jace, quindi puoi immaginare chi lo avesse preso duecento anni fa per tenerlo nascosto fino ad oggi. Era una delle cose che all’inizio non mi spiegavo, se Ester era morta lì, davanti a Justin, perché il suo corpo non c’era? Avrei dovuto immaginare che si trattasse di Jace, Griffiths l’ha sempre amata ed io non ho mai capito il perché- sibilò. Un po’ mi faceva pena, Cameron sembrava che non conoscesse affatto quel sentimento, invece trovavo Jace incredibilmente sentimentale, forse troppo –Portai Justin nelle segrete del castello dei Gordon e lo protessi con un impenetrabile, tranne che per te, scudo magico. Sapevo che poteva sentirmi, così gli spiegai quali erano le mie intenzioni: trovare te, liberare lui, addestrarti e far tornare in vita Ester. Serviva ad entrambi che lei rivivesse e lui non era affatto nella posizione di rifiutare- spiegò con un sorrisetto cinico –Duecento anni- sospirò –Sono passati oltre duecento anni e finalmente ci siamo. Grazie a te, Maya, Ester tornerà, questo te lo riconosco- esordì quasi come se mi stesse facendo un complimento, o un favore, ma non mi fermai a rimuginarci su troppo, quello che mi interessava era il resto della storia, perché il vampiro la rivoleva? E perché anche Cameron? Ero sul punto di chiederlo quando una sensazione agghiacciante mi fece serrare le labbra, sapevo chi era.
-Bene, bene, bene- udii alle mie spalle, poi vidi le scarpe nere di quello che in realtà era Peter fermarsi davanti a me, ma io non alzai lo sguardo –Interrompo qualcosa?- chiese sghignazzando.
-Possiamo smetterla con i preliminari e darci una mossa?- sbuffò Cameron che si meritò un’occhiataccia da parte del vampiro.
-Prima di tutto allontanati, potresti mandare all’aria tutto- ordinò il biondo e Cameron, non prima di avergli lanciato un’occhiata di fuoco, fece qualche passo indietro –Aiutami con queste- lanciò una sacca tra le mani dello stregone che la aprì con fare stranito. Era come se io non fossi lì, il ché da un lato non mi dispiaceva affatto.
-Candele?- disse incredulo Cameron tirandone fuori una –Non sono necessarie- esordì infine.
-Danno forza e concentrazione maggiore. Vuoi o no mettere fine a questa storia una volta per tutte?- sbottò il vampiro voltando il capo in direzione di Cameron che non rispose –Come pensavo- terminò con un piccolo sorriso che di divertito non aveva nulla. Cominciarono a disporle tutt’intorno, circondando me ed Ester. Mi ritrovai ad essere il centro di un cerchio estremamente preciso, rabbrividii perché mi sembrava di essere un sacrificio umano.
-Dovrò fare un incantesimo?- chiesi tenendomi in equilibrio sui gomiti.
-Ma tu hai davvero creduto che potessi mettere nelle tue mani la vita di Ester?- domandò retorico il biondo, voltandosi con aria divertita e allo stesso tempo infastidita.
-Tu hai detto che…- fui interrotta dalla sua risata priva di alcun tipo di emozione.
-Sono poche le verità che ti ho detto- esordì cupo.
-Hai ragione- dissi alzando il tono di voce –Solo la tua faccia è la più grande delle menzogne. Dico bene, Peter?- sputai e la nota di ironia che avevo usato sul suo nome lo fece voltare di scatto verso di me. Anche Cameron per un attimo smise di sistemare le candele e si voltò con gli occhi spalancati. Sapevo che fargli capire che io ero a conoscenza del suo segreto era un rischio e mi aspettavo che mi urlasse contro, che mi insultasse, persino che mi colpisse, ma non lo fece.
Sul suo viso si allargò un sorriso cinico, compiaciuto e al contempo divertito -Vedo che ci sei arrivata alla fine. Giusto prima di morire-.
Restai di sasso a quelle parole, sentivo le orecchie otturate e gli occhi asciutti, improvvisamente non avvertivo più il freddo. Ero immobile anche mentre pregavo di aver sentito male.
-M-Morire?- balbettai quando riuscii a trovare il coraggio di respirare di nuovo.
-Morire- confermò senza far cadere quel suo inquietante sorriso –Sai, la tua ignoranza in campo magico mi è tornata utile, infondo. Se fossi stata una vera strega avresti saputo che nessuno torna dal regno dei morti senza che qualcuno con lo stesso sangue che gli scorre nelle vene prenda prima il suo posto. In poche parole, sei merce di scambio. Tu muori, Ester vive- concluse mettendosi di fronte, esattamente tra me e la mia antenata. Allora era quella la verità, era a quello che ero servita, dovevo morire per una persona che neanche conoscevo, per una sconosciuta che tra l’altro non mi aveva mai avvertita di nulla.
-Ma…- cominciai deglutendo prima di continuare, era come se qualcosa incredibilmente grande mi riempisse la gola, era una sensazione di oppressione orribile –Ma allora perché aiutarmi con la magia se devo solo morire?- domandai, in parte volevo sapere, in parte stavo cercando di prendere tempo per tentare una delle mie folli fughe. Qualcosa però mi diceva che quella volta non me la sarei cavata semplicemente scappando.
-Vedi, la persona che devi far tornare non era esattamente una principiante con la magia. Parliamo di una delle streghe più potenti, tu in confronto scompari. Ecco, per far sì che tutto filasse liscio ho dovuto farti fare un po’ di pratica, così avrai una possibilità in più di morire dopo che l’incantesimo per lo scambio venga pronunciato e non prima, com’è già accaduto in passato- sembrava assente mentre mi parlava, era come se fosse preso da altro mentre osservava con attenzione il cerchio di candele, come se mi stesse raccontando una barzelletta per niente divertente. Non sapevo se era la confusione a sopraffarmi o la paura, da un lato avevo appena compreso che il tizio più spaventoso che avessi mai conosciuto aveva intenzione di uccidermi, dall’altro c’era la questione dello scambio, della magia, del passato, degli incantesimi. Un mare di ragionamenti mi frullava in testa, tutti mi portavano ad un punto morto, forse ero davvero troppo stupida per poter comprendere, ma non ci riuscivo e volevo sapere.
-È già accaduto cosa?- chiesi con voce tremante mentre mi trascinavo un po’ più indietro, cercando di essere silenziosa. Il suo viso tornò rivolto verso il mio, un sorrisetto tagliente gli attraversò il viso e i suoi occhi rossi come il sangue si illuminarono di un luccichio malvagio.
-Ignis- sibilò e improvvisamente la penombra che alleggiava tutt’intorno lasciò spazio alle fiamme. Le candele vennero divorate dal fuoco, un fuoco terribilmente sovrannaturale, un fuoco il cui colore variava dal giallo al verde, era tremendamente spaventoso e conferiva al volto del vampiro un’aria ancor più letale. In meno di due secondi mi ritrovai nell’esatto centro di un cerchio di fiamme vive e ardenti. Ai lati percepivo il calore straziante del fuoco, ma sotto avevo il gelo della neve. Smisi di distrarmi pensando alle temperature non appena vidi il biondo muovere un passo verso di me –Proprio non ci arrivi, ragazzina- sputò –Lo vedrai con i tuoi stessi occhi allora!- esclamò e prima che potessi mettere insieme le idee la figura del vampiro scomparve assieme al fuoco e a Cameron, cedendo il posto allo stesso prato ricoperto da una candida distesa di neve. Al centro una sagoma. Ebbi come la sensazione di un déjà-vu quando misi a fuoco l’elegante abito color bordeaux con sottili ricami d’oro, il corsetto stretto, i capelli castani che ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle scoperte: Ester.
-Justin?- chiamò con voce incerta mentre si guardava intorno –Justin?- ripeté voltandosi. Accadde tutto così velocemente che anch’io, esterna a quella situazione, non lo vidi arrivare. Si materializzò davanti ad Ester che non si scompose più di tanto, probabilmente io al posto suo come minimo avrei lanciato un urlo. –Volevate vedermi, Justin?- domandò con aria composta e regale. Ma quello non era Justin, giusto? Doveva essere Peter, per forza, ma lei diceva il contrario.
-Sì, avevo voglia di passare un po’ di tempo con voi, Ester- le sorrise senza troppa convinzione.
-Vi conosco abbastanza bene da poter dire che non mi avete portata fin qui solamente perché vi mancavo- esordì la mia antenata sorridendo a sua volta, ma c’era qualcosa nel suo sguardo che era teso.
-Voi riuscite sempre a sorprendermi, Ester. Non vi conosco da molto, ma sono subito rimasto colpito da voi, lo confesso- disse il vampiro portandosi le mani dietro la schiena. Fu in quel momento che mi sentii invadere da un mucchio di pensieri ed emozione che non mi appartenevano, per un attimo non vidi più nulla, poi il secondo dopo ecco che gli occhi di Ester erano anche i miei. Era strano essere nel corpo di un’altra persona e poterne sentire le emozioni, anche se ovattate. –Avete così tanta forza con voi, siete apparsa ai miei occhi come un fuoco ardente e ho subito pensato che non avrei potuto lasciarmi sfuggire un’occasione del genere- terminò mentre sentivo il corpo di Ester irrigidirsi a quelle parole piuttosto che essere lusingata –Voglio tutto ciò che avete- sibilò infine e nel giro di mezzo secondo un lama trapassò lo stomaco della mia antenata. Percepivo il dolore irradiarsi nel resto del corpo mentre Ester spalancava gli occhi e la sorpresa invase la sua mente, e anche la mia, e il viso di Justin si trasformò piano in quello più spigoloso di Peter.
-Tu- le sentii sussurrare mentre le gambe tremavano come foglie. Lui neanche sembrava ascoltarla.
-Quidquid suum est, meum erit, sua...- cominciò a sibilare mentre teneva gli occhi chiusi. Ma lo shock non ebbe la meglio su Ester e la udii ripetere mentalmente la stessa frase più volte, sempre più spietata e fredda, più decisa e cattiva. Tra il dolore e la sorpresa io fui più debole e meno concentrata di lei così mi persi gran parte delle parole che costituivano l’incantesimo. Capii che era contro Peter quella magia, che riguardava una specie di morte apparente, ma non ebbi il tempo di rifletterci su che sentii il corpo di Ester cedere e cadere al suolo. Un secondo dopo anche il vampiro si accasciò inerme poco più avanti. Poi il dolore sopraggiunse più forte e acuto, le forze sparirono e improvvisamente anche tenere gli occhi aperti faceva male, respirare rendeva tutto solo più doloroso e il buio cancellò il mondo ricoperto di sangue e neve.
Mi misi a sedere sul terreno gelido con la fronte sudata, il respiro corto e il cuore a mille mentre le mie mani correvano al mio stomaco; cercavo il pugnale, la ferita, il sangue, ma era tutto sparito. Era quello ciò che era accaduto ad Ester ed era quello che ora attendeva me. Era questo ciò che voleva Peter allora, lui voleva poteri perché lui era… era uno stregone e quelle parole che stava sibilando, quelle erano l’inizio di un incantesimo di passaggio dei poteri, lo avevo capito subito ed ora era tutto più chiaro, ma c’erano ancora delle cose che avrei voluto chiedergli, ma lo shock era forte, avevo davvero vissuto con una persona del genere? Avevo davvero creduto che fosse un Angelo? Io ero stata con un assassino, con l’assassino di Ester, con l’assassino della vita di Justin, con il mio assassino.  Avrei voluto piangere, urlare fino a morire d’infarto, ma non ci riuscivo, non riuscivo a mettere fine a tutto, non ci riuscivo perché sapevo che non potevo, c’era molto ancora che avrei dovuto fare.
Respirai a fondo e chiusi gli occhi, regolando il battito cardiaco, poi mi decisi a parlare.
-Perché? Perché prendersi il corpo di Justin se ciò che volevi era solo il potere, la magia più forte al mondo, la forza di Ester?- chiesi con voce tremante mentre cingevo con un braccio la mia pancia e con l’altra mano libera scendevo lenta sulla mia gamba, cercando di non singhiozzare perché sì, sentivo che da un momento all’altro avrei preso a rimbalzare ovunque a causa del singhiozzo. Lo vidi darmi le spalle per poi sfilare qualcosa di luccicante da una tasca e prendere ad osservarla.
-Sai, io sono un tipo che punta in alto senza mai guardarsi indietro, non mi è mai importato di dover uccidere per ottenere ciò che volevo, io voglio essere il migliore, voglio essere invincibile e immortale, quale corpo migliore di quello di un vampiro?- domandò retorico mentre raccontava con estrema calma del sangue delle persone che aveva versato in passato solo per essere un mostro. –Non è stato facile prendere il corpo di Justin e confinare la sua anima nel mio, ho dovuto chiedere aiuto alle fate e sigillare tutto con la maledizione del licantropo, solo così sono riuscito ad ottenerlo e la sensazione è stata magnifica. Sentivo il potere scorrermi nelle vene, la forza e la sete erano finalmente parte di me e potevo avere ciò che volevo, le vite di tutti erano nelle mie mani. Ero l’ibrido, il primo della mia specie, il solo e l’unico, non mi importava nemmeno di essere legato a Justin, la sua morte avrebbe causato la mia, non dovevo far altro che tenerlo lontano da essa. Non poteva esistere creatura più forte di me, ma io potevo essere di più e potevo diventarlo grazie ad Ester, la poveretta si era presa una cotta per me, ma per una qualche ragione alla fine preferì quel bastardo- sibilò digrignando i denti, ma subito quell’espressione adirata fu sostituita da un ghigno maligno. La mia mano era impegnata a sollevarle l’orlo del vestito, ma quanto avrei voluto distruggerlo in quel momento –Mi rese tutto più semplice, infilarle quel pugnale nello stomaco fu soddisfacente, ma quella stronza era furba, avrei dovuto aspettarmi una cosa del genere. Così, prima che potessi terminare il mio incantesimo di passaggio dei poteri, lei mi fece una magia e mi addormentò lasciando alla prescelta il modo e l’onore di risvegliarmi- esordì sospirando mentre finalmente io avevo raggiunto lo stivaletto. Pregai che non si accorgesse di nulla, né lui, né Cameron, quella era la mia unica possibilità –E così arriviamo a te, insulsa e inutile. Sarà un piacere levarti di mezzo e togliere ad Ester tutto quello che ha, come avrei già dovuto fare da tempo. Ironica come situazione, infondo sei stata tu a ridarmi la vita- sogghignò e quel qualcosa fra le sue mani brillò di nuovo e quella volta riuscii a vedere di cosa si trattasse: un pugnale, lo stesso che aveva usato per uccidere Ester, lo avrei riconosciuto fra mille, me l’ero impresso nella mente. Trasalii, ma cercai di essere forte e determinata, come lo era stata la mia antenata, così sfilai rapida il pugnale che avevo nella scarpa e mi misi in piedi ignorando lo scricchiolio delle mie ossa stanche e addolorate. Scattai verso l’ibrido e urlai, gridai il mio odio, il mio disprezzo, il mio disgusto, la mia rabbia, sguainai la mia arma, ma lui fu più veloce di me, lui sarebbe sempre stato più veloce di me. Un secondo dopo il suo braccio era sotto la mia schiena inclinata e l’altra sua mano impugnava il pugnale conficcato nel mio stomaco, spinto infondo fino all’elsa. Mi si mozzò il fiato per il dolore acuto, ma non urlai, era impossibile farlo anche se avessi voluto con tutta me stessa, era anche peggio di quello che avevo provato attraverso il corpo di Ester. I miei occhi si erano spalancati e le labbra erano schiuse per la sorpresa, ma infondo sapevo che sarebbe andata a finire così, non poteva permettersi di fallire di nuovo e se Ester non era riuscita a sopraffarlo, io allora non avevo chance.
Peter puntò i suoi occhi nei miei, erano rossi e penetranti, terribili, sembrava che fossi già morta e che mi trovassi a cospetto del diavolo. Sorrise e si avvicinò al mio volto –E sarò io a togliertela, mocciosetta- sibilò al mio orecchio lasciandomi poi andare. Caddi al suolo con un tonfo sordo, incapace di muovermi. Il dolore che mi provocò quella botta echeggiò in tutto il mio corpo e si ripeteva infinito. Vidi l’ibrido afferrare il pugnale ancora nel mio stomaco e sfilarlo via con lentezza mentre sorrideva compiaciuto e cinico osservandomi mentre serravo le labbra per trattenere le urla, sentivo la lama muoversi dentro di me sfiorandomi gli organi e bruciandomi il sangue. Non volevo respirare, non potevo, faceva troppo male muovere qualsiasi muscolo, ma il mio corpo non poteva fare a meno di reagire alle fitte di dolore e muoversi convulsamente, tremiti incontrollabili scuotevano le mie gambe, le mie braccia, il mio busto ed era difficile non urlare. Cercai di non pensare, di far finta di essere da qualche altra parte, ma le parole di Peter mi distraevano e più andava avanti con il suo incantesimo più mi sentivo male. Riuscii a vederlo mentre teneva gli occhi chiusi, fermo tra me e Ester che sibilava come posseduto parole senza senso. Probabilmente stava effettuando lo scambio per far tornare Ester ed io non avevo scampo, era finita.
-Maya!- sentii urlare in lontananza mentre il fuoco divampava intorno a me rendendo quel dolore ancora più insopportabile –Maya! No!- percepii ancora, questa volta più vicino. Poi avvertii una presa sollevarmi da sotto la schiena, non avevo più neanche la forza di reagire al dolore, ma incontrare gli occhi del lupo mi tranquillizzò un po’. Quello per me non era Peter, quello era Justin e meritava di esserlo completamente, meritava di essere ciò che era veramente. Mi attirò al suo petto mentre Peter quasi sembrava non essersi reso conto che Justin fosse arrivato, ma probabilmente non gli importava molto. Vidi gli occhi marroni del ragazzo che mi stringeva tra le sue braccia diventare lucidi e brillare di rabbia, ma tentai di sorridergli rassicurante, forse però non mi riuscì tanto bene. –Non morire, Maya- implorò mentre mi accarezzava il viso pulendolo anche dalla terra sporca. Il mio sorriso si allargò, mi sentivo in colpa per come l’avevo trattato, non meritava il mio odio, non lui, forse quel viso era appartenuto ad un essere senza cuore, ma lui non era Peter, lui era Justin, solo Justin e doveva esserlo fino infondo.
-M-mi disp… mi dispiace- farfugliai cercando di respirare più aria possibile per poter parlare e dire tutto quello che sentivo di dover comunicare. Lo vidi aprire la bocca per protestare, ma gli misi una mano sul viso e lui capì tornando ad ascoltarmi. In lontananza sentii Peter esclamare contento di avercela fatta, quindi non avevo molto tempo –Tu p-per me sei… s-sei Justin, ma questo n-non basta, lo so. Per q-questo tu d-devi tornare- riuscii a dire deglutendo ogni qualvolta mi fosse possibile per respingere il dolore –Devi t-tornare per restare ed e-essere te stesso- conclusi sotto il suo sguardo attento e triste, vedevo la rabbia nei suoi occhi, vedevo la tristezza nell’espressione del suo viso e mi convinsi di fare ciò che andava fatto. Portai una mano alla pancia e quella subito si sporcò di sangue caldo. Piano la alzai verso il suo viso facendogli intendere che doveva prenderlo, ma lo vidi prima spalancare gli occhi, poi rifiutare scuotendo la testa.
-No, non posso. Non voglio, non così, non adesso- affermò guardandomi diritto negli occhi, sapevo cosa gli costava dire una cosa del genere e mi fece sorridere il fatto che volesse rinunciare alla sua vita per me, ma io non ero così importante, lo sapeva anche lui, non valevo la sua sofferenza, la sua anima.
-Voglio c-che tu lo prenda, Peter lo ha g-già, lo ha bevuto d-diverse volte…- mi fermai per riprendere fiato, non avrei retto ancora per molto –Sono s-sicura che è ancora nel s-suo corpo. Ora prendilo, fallo p-per me. Fallo per te-mormorai avvicinando la mia mano alle sue labbra. Dopo un istante di titubanza si abbassò e prese la mia mano tra le sue portandola sulla sua bocca. Leccò la punta delle mie dita, poi le intrecciò con le sue stringendole forte. Accennai ad un sorriso, era assolutamente la cosa giusta. D’un tratto notai che si stava avvicinando, il suo viso era a pochi centimetri dal mio, sentivo il suo fiato sulla mia pelle gelida, io smisi di respirare mentre avvertivo il cuore perdere qualche battito e farmi trasalire. Poi le sue labbra si posarono sulle mie catturandole in un bacio breve, ma meraviglioso. Quando si staccò il suo naso sfiorava ancora il mio. Aprii gli occhi e lo trovai ancora con le palpebre chiuse: era il momento. L’incantesimo si formò nella mia mente, lo vedevo nitido, ogni singola parola era parte di me. Sussurrai la frase in modo quasi impercettibile sulle labbra di Justin tentando di non fermarmi, di non sbagliare, di restare concentrata. Era ciò che volevo di più, era la cosa migliore da fare. Quando lui capì cosa avevo fatto aprì gli occhi e mi fissò con consapevolezza, sapevamo entrambi cosa sarebbe accaduto, ma andava bene così, doveva andare bene. Mi lasciai sfuggire una lacrima che lui asciugò prontamente prima di adagiarmi sul suolo ricoperto di neve e del mio sangue. Fu in quel momento che avvertii la terra vibrare sotto di me e diventava sempre più forte, tanto da far cadere Cameron un attimo prima in piedi davanti a Peter.
-Cosa diavolo succede?!-  sentii urlare adirato al vampiro mentre le mie orecchie si otturavano sempre di più. Stava accadendo, il mio incantesimo stava facendo il suo effetto. Il vento si alzò impetuoso, il rumore dei tuoni rimbombava tutt’intorno mentre sentivo la forza crescere proprio sotto di noi, saliva sempre più veloce e potente e un momento dopo un’incredibile e violenta scossa colpì l’intera zona con un boato terrificante. Quando riuscii a trovare quel tanto di forza la usai per voltarmi e guardarmi intorno. Peter, così come Cameron, erano stesi inermi per terra, momentaneamente privi di sensi. Girai il capo respirando a stento verso destra e lì trovai, a pochi centimetri da me, Justin anche lui incosciente.
Gli sorrisi leggermente anche se non poteva vedermi, poi portai il mio sguardo verso il cielo chiaro e annuvolato –Addio, Justin. Buona fortuna- bisbigliai mentre sentivo le palpebre sempre più pesanti, era come se piano stessi perdendo il mio corpo, pezzo dopo pezzo. Ero stanca di combattere, così mi lasciai cullare dal fruscio del sangue che mi scorreva nelle vene e, mentre percepivo l’ultimo debole battito del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie, il buio cancellò tutto.
Questa era la morte
 
 
Fine primo nucleo.
 
 
Hola Papagenos (?)!
Sono di nuovo qui, forse anche in orario, e credo abbiate capito che questo era il capitolo conclusivo di questa prima storia. Ebbene sì, ci sarà il seguito, c’è ancora molto da scoprire, altri ostacoli da superare. Direi proprio che a Maya non è andata molto bene dato che ci ha rimesso la vita…
Spero di aver reso al meglio il capitolo e che questa parte della storia vi sia chiara, alla fine Peter si è rivelato molto, molto cattivo oltre ad essere un mago nel corpo di un vampiro (quindi un vero e proprio ibrido)! È riuscito ad uccidere Maya per far tornare Ester, ma forse la nostra strega che lui ama definire inutile e stupida è riuscita a rovinargli i piani con quel suo incantesimo di scambio di anime;)
Ho un po’ di cose da dirvi, parecchie cose in effetti. Partiamo da quelle più semplici:
  1. Ho cambiato il titolo di questa prima storia in ‘Il Risveglio – Lo specchio dell’anima’;
  2. Il seguito si intitolerà ‘Il Risveglio – Ritorno dal passato’ e verrà pubblicato il prologo tra un paio di mesi (vi avviserò con un messaggio);
  3. In questi mesi ho intenzione di dedicarmi, oltre che alla scrittura del seguito, anche alle mie pagine facebooktwitter (dove posterò, oltre che ai link dei capitoli, anche dei brevi momenti ritagliati dal passato, cose che neanche nella seconda parte saranno dette e che dovrebbero aiutarvi a chiarirvi le idee), instagram (dove posterò foto e… altre cose), wattpad (dove da oggi stesso comincerò a postare il primo capitolo di questa prima parte di storia). Quindi vi aspetto anche lì:) ;
  4. Rileggendo i capitoli iniziali di questa storia mi sono resa conto di quanto il mio stile ultimamente sia migliorato e di quanti errori in meno facessi, così ho pensato di aggiustarli e di postarli di nuovo, ma modificati, ovviamente non ci sarà nulla di diverso, forse solo dei piccoli scleri ad alta voce di Maya, descrizioni più dettagliate, forse il primo capitolo è un po’ diverso, ma nulla di importante che cambi in qualche modo il corso delle cose. E niente… pensavo dovevate saperlo, anche se probabilmente non vi importerà di rileggerli, ma volevo dirvelo.
Credo di aver detto tutto, mi mancherà arrivare ogni mese in ritardo con un nuovo capitolo, ma vi ritroverete un mio messaggio fra la posta prima di quanto possiate aspettarvi;)
Mi raccomando continuate a seguirmi, anche sulle mie altre pagine, e spero vi piacerà il seguito:)
Grazie a TUTTI, siete stati fantastici in quest’ultimo anno e mezzo:D
A presto!
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Alena18 xxx
 
 
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