Immortal Seals

di FairyLumberjack_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I mossa ***
Capitolo 3: *** II mossa ***



Capitolo 1
*** Prologo ***



Prologo
 

di FairyLucy94

 

Una leggera brezza notturna muoveva piano le tende del balcone che dava sul giardino, circondato da una spessa recinzione. Le foglie degli alberi frusciavano delicatamente alla luce della luna, accompagnate dal frinire dei grilli e, ogni tanto, da qualche nuvola solitaria che osava celare il meraviglioso spettacolo che offrivano le stelle in cielo, quella sera. Appoggiata al balcone, stava una minuta figura femminile, i grandi occhi rivolti alla luna e i capelli neri scompigliati dal venticello fresco della notte. 
Neanche quella sera era riuscita a farlo, neanche quella sera aveva avuto il coraggio di fare ciò che avrebbe dovuto fare molto tempo prima. Perché semplicemente non se ne andava da quel posto? Perché non poneva fine a tutte quelle sofferenze?

Sei una codarda, ecco perché.

Una stella cadente illuminò per un istante il cielo notturno. Anche se avesse espresso il desiderio che le premeva dentro da qualche tempo, non si sarebbe avverato, era impossibile. La ragazza si ritrasse con aria triste dal balcone e socchiuse la porta-finestra, per poi distendersi stancamente su un morbido materasso dai colori tenui. Era spossata e stanca di dover spolverare e servire ogni giorno ricchi e altezzosi signori di Regni lontani di cui non conosceva il nome e con i quali non le era concesso parlare. Voleva solo essere libera e felice. Era forse chiedere troppo?
Con quell'ultima domanda, le palpebre portarono definitivamente l'ombra sulla piccola figura e il sonno prese il sopravvento su di lei, portandole una quiete senza sogni.
Prima di addormentarsi, però, ebbe il tempo di un ultimo innocente pensiero.

Stella cadente, ti prego, fa che la mia vita cambi.



***



Un rumore improvviso di oggetti pesanti che cadevano a terra ruppero il silenzio che si era andato a creare e un gran disordine occupò la stanza. La ragazza sgranò gli occhi e si lasciò sfuggire un piccolo urlo, tirandosi a sedere di scatto e guardandosi intorno terrorizzata. 
Tutti i suoi oggetti personali, comprese alcune parti della mobilia, erano distribuiti in malo modo sul pavimento di ebano scuro. Al centro del gran mucchio, si agitava qualcosa dal colore non ben definito.
La ragazza si mordicchiò il labbro, incerta sul da farsi, per poi allungarsi e recuperare la sua personale mazza da baseball, brandendola come se fosse una spada. Mosse qualche passo nel panico più totale e con le gambe tremanti, mentre quel qualcosa continuava a dibattersi per libersi da tutti gli oggetti caduti. 

«N-non muoverti» balbettò la ragazza, cercando di apparire sicura «Non ho p-paura di te».

Le rispose solo una specie di gracchiare appena accennato. Scostò alcuni libri e oggetti vari, cercando di scoprire da dove provenisse quel rumore. 
Si maledisse mentalmente per aver lasciato la porta-finestra aperta quella notte.
All'improvviso, una testa piumata sbucò da un mucchio di matite colorate e cartacce; la ragazza sgranò gli occhi, restando a bocca aperta. Il volatile sbatté un paio di volte le palpebre e la fissò in silenzio con i suoi grandi occhi gialli e striati. Aveva un piumaggio particolare che andava dal grigio perla al nero, mentre sul dorso e sulle ali appuntite il colore sembrava tendere ad uno strano blu elettrico. Sul petto, aveva un marchio simile ad una saetta.

E' solo uno stupido falco pellegrino, sospirò di sollievo la ragazza.

Abbandonò la mazza e, cercando di essere più delicata possibile, lo liberò dal mucchio, appoggiandolo sul suo letto. Si accorse subito del perché non era riuscito a liberarsi prima: aveva una ferita alla zampa. Corse a prendere i medicamenti e le bende che le occorrevano dall'armadietto dei medicinali e iniziò a curarlo come meglio sapeva fare, mentre il falco non le staccava gli occhi di dosso. Aveva uno sguardo intelligente, furbo a tratti, come se volesse dirle qualcosa. 
La ragazza lo accarezzò distrattamente mentre controllava di aver usato correttamente le bende, quando si accorse del fiocco rosso appeso al collo del falco. Era un nastro dorato adornato da un fiocco color del fuoco a cui era appeso un piccolo rotolo di pergamena. 
Presa dalla curiosità, la corvina lo estrasse dal fiocco e lo srotolò lentamente, provocando una nuvoletta di vapore bluastro. 


Alla gentile signorina Tsuki Nakamura:
in quanto Maga della Scacchiera e detentrice dei Sigilli, è pregata di venire alla convocazione ufficiale da parte del Concilio della Magia e del Master Erza Scarlett domani notte al porto di Hargeon. A tempo debito, ogni suo dubbio verrà chiarito.
A presto,
Gerard Fernandes, capo del Concilio della Magia



La ragazza aprì e richiuse la bocca un paio di volte, senza parole. La sua mente era nella confusione più totale, mille domande si sovrapponevano fra loro. 
Come faceva il Concilio a sapere chi era? E come avevano saputo dei Sigilli di sua madre? Nessuno era a conoscenza della Scacchiera tranne lei, ed il fatto che quel Gerard lo avesse scoperto la inquietava. 
Non aveva la minima idea di come avessero fatto, ma di una cosa era certa: non sarebbe mai potuta andare. Per quanto desiderasse andarsene da quel posto, non poteva lasciarlo. Lì aveva la sua vita, il suo lavoro, la sua casa. Odiava quella vita, ma non era ancora pronta a lasciarla.
Tsuki sospirò e prese in braccio il falco, uscendo sul balcone giusto in tempo per godersi gli ultimi bagliori della luna prima che il sole sorgesse.

«Su è ora di andare, piccolo» sussurrò la ragazza, appoggiando il falco al balcone e dandogli una spintarella gentile. Il falco, per tutta risposta, rimase a fissarla con il suo sguardo furbo, non accennando a muoversi.
 
«Ehm, grazie della pergamena ma ora puoi andare» le passò in mente di buttarlo giù per farlo andare via, ma non avrebbe potuto essere così cattiva con un animale. «Pussa via!» esclamò, gesticolando con le mani nel tentativo di spaventarlo. Tuttavia, il falco non si spostò di un millimetro e sbatté le palpebre, fissandola con fare furbo. 

La ragazza drigrignò i denti. Quel falco iniziava a darle sui nervi.

«Senti bello, non posso andare alla convocazione ed è inutile che resti qui» sbuffò, con le mani sui fianchi. 

Il falco non distolse lo sguardo e scosse le ali, come a voler dire che da lì non si sarebbe smosso.
Tsuki borbottò qualcosa sottovoce e lo riprese in braccio, portandolo nuovamente sul suo letto. 

«Tu non sei solo uno stupido falco pellegrino, dico bene?» la ragazza non si sorprese di vederlo annuire come se fosse una cosa normale «Facciamo un patto: io aiuto te e tu aiuti me, d'accordo?».

A quelle parole, il falco si allungò verso di lei e, senza darle il tempo di capire cosa stava succedendo, la colpì sulla spalla destra con la zampa. Una nuvoletta di vapore bluastro pervase l'intera stanza e Tsuki cadde a terra, storidita dalla mancanza d'aria. 
Il falco non se ne curò e zampettò esuberante accoccolandosi accanto a lei, a terra, consapevole di aver appena marchiato a vita la Maga della Scacchiera.



***



Un urlo agghiacciante si disperse nei corridoi della villa, svegliando la sevitù.

«Non c'è! Non c'è!» il grido si ripeteva, mentre tutti accorrevano dalla donna robusta, ormai in lacrime e circondata da paggi e donne di compagnia che cercavano di aiutarla.

Nella confusione più totale, nessuno si accorse delle lenzuola dai toni tenui calate dal balcone di Tsuki.


Grazie, Stella cadente.



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Buona sera! *evita un frigorifero*
Chi è arrivato fino a qui tutto intero è da stimare, i miei complimenti v.v
Dunque dunque dunque, il 5 marzo ho fatto un anno su EFP *saltella* e volevo festeggiare con questa fic -in RITARDO, ovviamente v.v
Per questa storia, sceglierò personalmente gli OC secondo alcuni criteri e, se avete un'anima tanto buona da recensire questa "cosa", vi chiedo di scrivere anche il sesso ed il potere del vostro OC.


Riguardo agli OC, ho alcune richieste da farvi:

1) l'originalità! Siate originali! è.é

2) niente Mary Sue o Gary Sue

3) accetto al massimo tre coppie di gemelli (due femmine, due maschi, una femmina e un maschio)

4) per favore, ve lo chiedo PER FAVORE, usate la mia scheda OC

5) gli OC saranno maltrattati :D

6) lo so che è difficile ma vi chiedo di cercare un equilibrio fra maschi e femmine, o sarò costretta a far cambiare sesso a qualcuno eheh 

7) l'OC va mandato tramite messaggio privato con oggetto "OC per Immortal Seals"

8) niente fratelli o sorelle

9) ogni OC avrà il suo spazio, prima o dopo che sia, e l'ordine in cui saranno presentati è casuale; nessuna preferenza!

10) non c'entra con gli OC, ma tenete bene  mente che sono una ritardataria assurda! Ergo, gli aggiornamenti non saranno veloci mi dispiace T.T



Ebbene, ecco qui la scheda OC, usatela! :D


*I punti con l'asterisco non sono obbligatori.


Nome:

Cognome:

*Soprannome (o secondo nome):

Età: 

Sesso: equilibrio, vi prego

Descrizione fisica: ben dettagliata per favore

Vestiario:

Carattere: anche questo ben dettagliato. Più lo descrivete, più io lo rendo al meglio 

Difetti caratteriali: nessuno è perfetto v.v uno può essere un permalosone assoluto, uno possessivo, quell'altro manico del pulito (?) fate voi

*Segni particolari:

Potere: è ammesso solo un potere, niente lost magic secondarie o altro

Passato: tragico quanto volete, ma evitate di aver avuto contatti con una Gilda

Ama:

Odia:

*Rimorsi: ad esempio non aver aiutato una vecchietta o.o (?) qualcosa di cui si pente non aver fatto in passato

*Rancori:

*Sogni: 

Punti deboli:

Capacità: una cosa in cui l'oc è molto bravo! Stratega, spia, cucinare torte... 

Storia d'amore: i vostri oc soffriranno. Oh sì. Rimpiangerete i triangoli e Beautiful. Eheh. Ma il lieto fine resta sempre un lieto fine :D 

Rapporti: ad esempio le amicizie, le rivalità, le inamicizie -e BLA BLA- che avete

Paure/fobie: 

Vizi: ad esempio mangiarsi le unghie (?)

Abitudini: una cosa che l'oc fa sempre in una determinata situazione. Quando è nervoso si gratta il braccio distrattamente, quando è triste ascolta musica, ecc.

Spirito animale: questo lo capirete con il corso della storia non vi posso dire di più u.u scegliete un animale che vi accompagni, possibilmente non troppo grande. Tutto quello che volete, ma non dinosauri xD

Marchio: scegliete la posizione del marchio della Gilda e il colore

Altro: 




Che dire, spero vogliate partecipare! Paceamoreeunicorni!
Aye, Sir! ^^
FairyLucy94


PS: questa storia, in realtà, voleva essere un ringraziamento a: AngelWings_DfarfGigi4, 46fede, andry_94_hell, Edward_Yoshina, Tachibana Yokey (lo so che stai leggendo, tu e il tuo poccile!) e pit12 per tutto quello che hanno fatto e che fanno.

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Capitolo 2
*** I mossa ***



Immortal Seals:

Parte Prima 


~

I mossa 

Il portatore, le maghe e lo scambio
 

 
 
 
Il fischio stridulo del treno risuonò nell'aria, accompagnato da un gran vociare dei passeggeri in attesa e della voce all'altoparlante. La stazione dei treni, solitamente molto trafficata a quell'ora, si stava lentamente svuotando man mano che gente da ogni dove saliva sui vari vagoni colorati del treno in attesa di ripartire. L'aria era fresca e dava una tregua dal caldo afoso che dominava durante l'estate.
Una figura minuta correva tutta trafelata, imprecando a bassa voce ogni volta che inciampava nei suoi stessi piedi. Davanti a lei, un falco pellegrino la guidava attraverso quel labirinto che era la stazione, tirandola ogni tanto per i capelli corti e neri.

«Chiudi il becco piccoletto, so benissimo dove devo andare e che sono in ritardo!» sbottò Tsuki innervosita, nonostante continuasse a seguire l'animale. Salì rapidamente una scalinata riuscendo a non cadere e sbucò nello spiazzo che dava sui binari ritrovandosi davanti al treno.

C'era una gran folla davanti ai vari vagoni che attendeva di salire, maghi e persone così diversi, e Tsuki ringraziò il cielo - il falco, in realtà - per essere arrivata in tempo. Si mise in coda aspettando di salire sul treno e si sistemò meglio in spalla il piccolo zaino che conteneva i pochi averi che possedeva ora. Il falco le si appoggiò sulla spalla, senza emettere suono. La ragazza tamburellò le dita sul braccio impaziente di partire e si guardò attorno nella speranza di distrarsi, finché lo vide, poco distante da lei.
Era d’un viola scuro, quasi nero, e inquietante ad un solo sguardo. Era lì sul braccio in bella vista, mentre il resto del corpo era nascosto da un mantello nero come la pece. I ghirigori delicati si attorcigliavano fin quasi al polso, quasi con eleganza.
Tsuki rimase immobile, senza riuscire a respirare, ad occhi sgranati.              
Alla sua sinistra, c'era la strana figura di un uomo imponente girato dalla sua parte quel tanto che permetteva a Tsuki di vedere il tatuaggio. Quell'uomo aveva tatuato il Secondo Sigillo sul braccio, e lei non poteva permetterlo. Non era come aveva sempre pensato, allora. Sua madre le aveva mentito. Sbatté le palpebre più volte, incredula di quello che vedeva.
Incurante degli sguardi altrui su di sé, inizio a correre verso la figura. Aveva una brutta sensazione che le attanagliava lo stomaco e il portatore del Sigillo di certo aveva le risposte che cercava.
L’uomo si mosse rapidamente nella direzione opposta come se l’avesse notata, gesto che incoraggiò Tsuki ad aumentare il passo.Vide l’uomo nascondere il braccio con il Sigillo nel mantello e mescolarsi nella folla con abilità.
La ragazza si fermò un istante non sapendo che direzione prendere e si guardò intorno. C’era un uomo col mantello nero che si dirigeva verso l’uscita, uno nel ristorante appariscente della stazione, uno che faceva i biglietti e uno che saliva sul treno.
La corvina inarcò un sopracciglio.

«Sentiamo genio, che dovrei fare?» brontolò Tsuki, voltando il capo verso il falco. In risposta, l’animale si limitò a darle un colpetto sulle braccia con il becco guadagnandosi un’occhiata stralunata «Sei pazzo piccoletto? Non sono ancora così idiota da mostrarlo in pubblico» il falco ripeté il gesto una seconda volta e, dopo un attimo di esitazione, a Tsuki non rimase che borbottare qualcosa di incomprensibile sottovoce ed eseguire.
Si alzò la manica del mantello da una parte e tese il braccio davanti a sé. All’inizio non accadde nulla, poi la figura dentro il ristorante scomparve.

«Stupide copie da due soldi…» imprecò ancora Tsuki. Mirò successivamente alla copia che faceva i biglietti; fece per seguire la copia che si dirigeva verso l’uscita, quando il falco la tirò per una manica verso il treno. Che stupida, era ovvio che cercasse di salire.

La ragazza si fiondò dietro di lui senza scusarsi con i passanti che urtava e saltò sul treno un attimo prima che si chiudessero le porte. Il treno iniziò a muoversi sempre più velocemente e Tsuki maledisse mentalmente quel ragazzo. Doveva assolutamente trovarlo. Ora che era sul treno, non avrebbe potuto sfuggirgli. Tsuki girò l’angolo determinata a trovare l’uomo, ma fu costretta a bloccarsi di colpo quando una pantera nera sinuosa ed elegante iniziò a ringhiarle minacciosamente contro.
 

***
 

«Guarda che si mette dall’altra parte, idiota» abbaiò una voce femminile rivolta ad una bassa ragazza, intenta nella grande impresa di obliterare un paio di biglietti.

«Fatti i cavoli tuoi, Ireth» sbuffò irritata la ragazza girando immediatamente i biglietti dall’altra parte «Lo sapevo benissimo». A fianco a lei, un bellissimo esemplare di leopardo delle nevi lanciò un breve ringhio verso Ireth, la quale ringhiò divertita a sua volta.

Becky sospirò spostandosi una ciocca di capelli argentati, quasi bianchi, dalla fronte. Non riuscire ad obliterare uno stupido biglietto la innervosiva. Provò ancora, mettendosi anche sulle punte data la sua altezza, ma non ci fu nulla da fare.

«Per caso hai bisogno di un aiuto, nanetta?» la stuzzicò Ireth, con uno sguardo folle negli occhi rossi come il sangue.

Un nervo pulsò sulla fronte della piccola ragazza, che si girò con uno sguardo assassino verso la compagna «Non. Chiamarmi. Nanetta».

Ireth assunse il suo solito sorriso psicopatico e si passò la lingua sui canini appuntiti, ghignando «Oh, pardon. Volevo dire nanerottola!».

Dentro di sé, Becky provava una grande ammirazione verso Ireth, sua compagnia e amica di vecchia data, ma in quel momento avrebbe tanto voluto strozzarla. Sospirò una seconda volta cercando di mantenere la calma. A quella pazza sclerata piaceva farle saltare i nervi. Bene, le avrebbe dimostrato che stavolta non ci sarebbe cascata.
Rebecca indossò una maschera d’indifferenza e si diede da fare per obliterare i biglietti, dando le spalle all’amica. Salì su Yoru, il suo fidato leopardo delle nevi, e riuscì a raggiungere la macchinetta. Si assicurò di aver messo il biglietto dalla parte giusta e lo obliterò con successo, complimentandosi con se stessa come una bambina.

Stava per mettersi a saltellare, quando un sussurrò agghiacciante le soffiò sul collo «Guarda un po’, allora ce la fai».

Tutte le buone intenzioni di Rebecca andarono in malora e la vena di rabbia tornò a pulsare sulla sua fronte. Ireth non fece neanche in tempo a scansarsi.

«Questa me la paghi psicopatica da quattro soldi!». Le due rotolarono sul pavimento del vagone del treno, Ireth ridendo e Becky imprecando.

La ragazza dai capelli argentati si alzò in piedi e rimodellò i numerosi gioielli d’argento in uno spadone a due mani affilato e maneggevole «In piedi Ir-chan, non combatto con una mezza cartuccia a terra!»

Ireth si alzò agilmente, i grandi occhi rossi spalancati ed il sorriso inquietante stampato in volto. Il suo corpo iniziò a sfumare e diventò sfocato, i colori si sbiadirono e la pelle diventò lattea. Ireth era formata da milioni di granelli di sabbia che mutavano a suo piacimento, avrebbe potuto assumere qualunque forma volesse e di qualsiasi materiale desiderasse. E fra tutte le scelte possibili, scelse forse quella meno opportuna.
Becky ritrovò se stessa di fronte a sé. Gli occhi grandi dalle mille sfumature blu scuro, i lineamenti dolci e delicati del viso del viso, lo stesso top nero e la gonna lunga con i due enormi spacchi laterali ed i ricami bianchi.
La ragazza esitò un istante, un’espressione di stupore sul volto, poi si avvicinò lentamente ad Ireth trasformata.

«Adesso ti faccio secca».

Tutto il treno poté udire chiaramente le urla e le risate delle due ragazze mentre combattevano senza badare al mondo attorno a loro. Le minacce assassine di Rebecca fecero venire la pelle d’oca a quasi tutti i passeggeri. Ireth, dal canto suo, si stava divertendo un mondo.

Fendente. Parata. 

Entrambe si muovevano con un'agilità felina, aggraziata e letale al tempo stesso. La loro sembrava una danza.

Affondo. Stoccata.

La fatica iniziava a farsi sentire, ma nessuna delle due era disposta a cedere prima dell'altra. L'orgoglio o forse il divertimento erano troppi.
Gli spadoni a due mani cozzarono violentemente uno contro l'altro, si muovevano talmente veloci che i loro movimenti erano sfocati all'occhio umano. Durante il combattimento distrussero sedili, porte, vetri, urtando i passeggeri e pure il personale che inutilmente cercava di fermarle.
Continuarono a combattere selvaggiamente, quando udirono un frastuono. Ireth e Becky fermarono le spade a mezz'aria, girando il capo alla loro destra.
A terra c'era una ragazza minuta che si massaggiava il capo con aria dolorante. La prima cosa che si notava di lei erano i capelli neri, disordinati e corti che andavano in tutte le direzioni. Accanto a lei c'era un piccolo volatile che le zampettava attorno con aria preoccupata, beccandole il braccio ogni tanto per attirare la sua attenzione. La ragazza spalancò i grandi occhi viola in quelli dalle mille sfumature blu di Becky e quelli rosso sangue di Ireth.

«Oh, scusaci, non ti avevamo vista» si riscosse Rebecca dopo un momento di esitazione abbassando lo spadone.

«No scusatemi voi, stavo correndo di fretta e non ho visto dove andavo» la corvina accettò con un piccolo sorriso la mano offertale da Rebecca e si rimise in piedi «Comunque sia, io sono Tsuki. Piacere!».

Rebecca si presentò a sua volta, sorridendole cortese.
Ireth, nel frattempo, aveva riassunto il suo aspetto naturale stava fissando Tsuki. Si avvicino piano a lei ed inspiegabilmente... la annusò.

«Ireth, smettila subito!» la sgridò Rebecca con sguardo severo, al quale l'amica scoppiò a ridere istericamente.

Tsuki indietreggiò abbozzando una risatina imbarazzata.

«Oh non preoccuparti, è normale, se si può definire così» rise Becky «Comunque, questa canaglia è Ireth!».

L'azzurra sorrise ancora, mostrando i canini appuntiti, e si sposto il ciuffo dall'occhio «Sei proprio un bel bocconcino da spaventare, ghihi».

Tsuki fece un altro passo indietro, mentre un gocciolone stile manga le cadeva in testa «G-grazie, lo prendo come un complimento, ehm-ehm».

Rebecca si passò una mano sul viso e sospirò. Ireth per lei era come una sorella, ma certe volte non capiva i suoi comportamenti «Ehm dunque, dove stavi andando così di fretta? Magari ti possiamo aiutare» le chiese con gentilezza.

La corvina si riprese e sorrise cortese «Sono diretta al porto di Hargeon, prima stavo scappando da una pantera nera che mi inseguiva per un motivo a me oscuro».

«Oh, ecco perché avevi quell'odore strano!» esclamò Ireth, mordicchiandosi il labbro inferiore, coperto da una tonalità di rosso piuttosto scuro che andava in contrasto la pelle lattea.

«Già... l'avete vista per caso?» chiese la ragazza.

«Mmm temo di no, non avevamo notato nemmeno te» ammise Becky «Comunque, anche noi siamo dirette ad Hargeon! Siamo state convocate dal Concilio stesso».

Tsuki spalancò gli occhi a quella notizia, non pensava fosse stato chiamato qualcun'altro oltre a lei. Ciò la confortò almeno in parte, non era sola.
Stava per parlare, quando il treno subì un forte scossone. Il fischio improvviso le costrinse a tapparsi le orecchie ma l'enorme frastuono dello schianto si udì chiaramente. I vagoni si riempirono di fumo ed alcuni scoppiarono sull'impatto. L'incendio si stava propagando velocemente, i passeggeri strillavano, il fumo cresceva impedendo di respirare.
Tsuki si aggrappò ad una maniglia per non cadere per mancanza d'aria. Venne trascinata da Ireth e Becky fuori dal vagone un attimo prima che anche il loro vagone esplodesse in una miriade di scintille di fuoco.
Regnava la confusione più totale. Forse fu proprio per quello che Tsuki lo vide, in mezzo alla calca di gente disperata. Era lui la causa di tutto; aveva provocato l'incidente del treno e fatto esplodere i vagoni. Era lui, l'uomo con il mantello e il Sigillo sul braccio.

«Muovetevi idioti, trovatelo!!!» sbraitava. Mimetizzati alla meglio fra la folla, l'uomo comandava uomini in divisa tutti marchiati con lo stesso simbolo sul mantello nero.
Tsuki non aveva mai visto quel segno prima. Che fosse una setta? Una Gilda Oscura? All'improvviso venne strattonata all'indietro da Rebecca «Muoviti qui non si respira!».

Aveva ragione: il fumo stava riempiendo velocemente lo spazio attorno a loro e respirare era quasi impossibile. La folla era troppa e avanzavano troppo poco in troppo poco tempo. Ireth iniziò a cedere, mentre Becky cercava di sostenere entrambe.
In un lampo di lucidità, Tsuki le agguantò per un braccio, mormorò qualcosa e sparirono in una nuvola di vapore.
 

Caddero rumorosamente su un cuscino di fieno sparso a terra. Respirarono finalmente grandi boccate d'aria, ancora in terra.

«Se becco quel bastardo gli faccio il culo nero!» strillò Ireth, arrabbiata e senza fiato.

«C-calmati Ir-chan» mormorò Rebecca boccheggiando «E' già tanto se siamo qui».

Tsuki tossì, mettendosi in ginocchio e stringendo i pugni fino a sbiancare le nocche «Grazie ragazze... devo fermare quel tizio assolutamente».

«Io lo spacco in due, altro che fermarlo!» continuò Ireth, senza placarsi.

«L'importante è che stiamo bene, ora. Ma... dove siamo finite?» domandò Becky guardandosi intorno smarrita. Si alzò in piedi, provocando un dolce tintinnare con i gioielli d'argento, e si sistemò la gonna.

«Ecco... è il primo posto che mi è venuto in mente, scusate» balbettò Tsuki, abbassando il capo mortificata. Avrebbe potuto scegliere direttamente Hargeon come direzione, ma trasportare più persone in un luogo lontano l'avrebbe uccisa per mancanza di potere magico. In compenso, in quel vecchio fienile conosceva la persona che avrebbe potuto aiutarle.
Il grande portone in legno del fienile si aprì cigolante e sbucarono due occhi curiosi che conosceva troppo bene.

«Mira-san!».
 

***

 
Ombre scure si disegnavano sulla poca neve rimasta, illuminata dalla luna piena. Immobili, nella radura circondata dalle foreste ancora innevate, in cima alla montagna.
Le spiò dall’alto, poi tornò a nascondersi. Fece un cenno al ragazzo che gli stava accanto. Quello spinse indietro il cappuccio che lo celava e si sollevò per sbirciare oltre le rocce che nascondevano lui e Ashuros «La ragazza?» sussurrò Edward.

«La ragazza» annuì l’altro, dietro di lui.

«Non riesco a distinguerla» Edward tornò ad accucciarsi dietro le rocce, accanto al compagno «In quanti sono?».

Ashuros alzò la mano aperta a dita tese.

«Tre?».

«Tre in tutto».

«Hanno il vento contrario, non possono sentire il nostro odore» notò Edward, estraendo due corte lame celate dalle maniche.

«Tu credi? Io no» Ashuros si alzò, sistemandosi lo scaldacollo nero in modo da coprirsi il viso fino al naso «Quelli sanno benissimo che siamo quassù. Sanno che siamo in due. Sanno perché siamo qui» la voce fredda del ragazzo si levò in una nuvoletta di condensa nella notte.

«Magari sanno anche cos’ho da offrirgli» Edward estrasse dal mantello un involto piccolo e scuro, legato da un laccio di cuoio. Nell’aria gelida il respiro gli si rapprendeva davanti al viso.

Il silenzio tornò nella radura, così chiaro che era possibile udire lo scricchiolare della neve gelata sui rami degli abeti mossi dal vento. Qualche passo scosse la quiete che si era andata a creare. Ashuros si affacciò nell’Ombra per controllare, dietro di lui Edward a poca distanza.
Una figura femminile, minuta ma formosa, si fermò al centro della radura. Ashuros distinse due occhi brillanti diretti nella loro direzione. I boccoli neri e viola, che sfumavano in un viola più chiaro sulle punte, erano mossi dal vento sopra la stretta camicetta bianca. Sopra portava un cardigan nero che si allargava verso il fondo delle maniche, mentre sotto indossava una gonna nera e larga adornata da qualche ricamo, leggermente a forma di campana.
La ragazza mosse ancora qualche passo verso le rocce in alto esponendosi alla luce della luna e mettendo in risalto la pelle chiara. I due assassini rimasero immobili senza batter ciglio, finché non videro l’oggetto che estrasse la ragazza. Era un involto scuro e lungo che le arrivava dai piedi fino alla vita. Da come lo sosteneva, sembrava pesare parecchio.
Con un rimbalzare di boccoli, la ragazza si avvicinò ancora per poi fermarsi definitivamente davanti alle rocce. Un occhio attento avrebbe notato due ombre nascoste dietro di lei. L’occhio di Ashuros, ad esempio.
I due compagni non ebbero bisogno di consultarsi che sapevano già quale scelta prendere. Edward avanzò cautamente a passo felpato. Dietro di lui, Ashuros lo seguiva nell’Ombra senza esporsi ai tre.
Il lieve venticello che soffiava prima aumentò leggermente, gli alberi frusciavano più forte, la neve si fece più bianca alla luce della luna piena.
Edward arrivò subito alla fine della breve discesa che separava le rocce dalla radura ed estrasse il piccolo involto, come a voler dire che lo scambio era possibile. I due si studiarono da qualche metro di distanza, senza fiatare. Lui voleva quello che aveva lei, e lei voleva quello che aveva lui. Fece per dire qualcosa, quando la ragazza lo batté sul tempo. Si mosse con eleganza e compostezza, per poi porgergli la mano accennando un sorriso convincente «Il mio nome è Whiteney Black, molto piacere».

Edward ignorò bellamente il tutto e mormorò in tono piatto «Io ti do la Pietra e tu mi dai la Spada. Prima però vorrei accertarmi che abbia il marchio che cerco» senza aspettare conferma tolse di mano alla ragazza l’incarto della spada e ne aprì velocemente la base con la lama celata. Whiteney inarcò un sopracciglio, ma lo lasciò fare. Appena sopra l’elsa, Edward osservò attentamente lo strano simbolo che vi era stato impresso. I ghirigori viola scuro, quasi nero, si diradavano lungo le scanalature complicate ed il filo della lama.

E’ perfetta, pensò Edward con ammirazione.
 

***
 

«Potevate metterci ancora un po' visto che c'eravate!» sbuffò una voce femminile. Era minuta, ma nonostante lo scrosciare della cascatella allegra vicino a lei si udiva senza problemi.

Ashuros arrivò in cima ad una specie di scalinata naturale formata da roccia livellata raggiungendo la ragazza. Non disse nulla, limitandosi a posare lo sguardo indifferente sulla foresta di pini scuri e la grande montagna ancora innevata, dalla quale erano appena scesi, che si poteva ammirare alle spalle della ragazza.

Poco dopo, Edward raggiunse i due compagni. Poggiò a terra i bagagli e si stiracchiò mormorando «Finalmente! Ciao nana, da quanto tempo».

La ragazza sfoderò il suo solito sorriso ed abbracciò entrambi, ignorando l'indifferenza di Ashuros e il sarcasmo di Edward, ai quali ormai era abituata.

«L'avete trovata?» chiese impaziente Giada, incrociando le braccia al petto prosperoso. Portava una canotta bianca, larga e grigia che lasciava mezza pancia scoperta mentre sopra vi era la scritta "Beatles". Sopra, una camicia blu, grigia e rossa a mosaico con le maniche arrotolate fino al gomito. Per comodità indossava degli shorts in jeans blu scuro, con degli strappi nella zona delle tasche, e delle scarpe da ginnastica nere.

«Abbiamo trovato la Spada di Diamante, in cima a quella montagna» Edward indicò la cima con l'indice «Tu hai scoperto niente invece?».

«E siamo a tre Spade con questa!» esclamò Giada, i lunghi boccoli biondo miele che le incorniciavano il volto «Proprio ieri, ho scoperto dove si trova la Spada di Zaffiro. E' infondo al mare in una grotta, possiamo arrivarci dal porto di Hargeon. Ho sentito che una nave partirà presto da lì, potremmo infiltrarci a bordo!».

I due soppesarono l'idea per qualche attimo. Se quello che aveva scoperto Giada era vero, allora era fattibile. Non era molto lontano e se riuscivano a salire a bordo erano già a metà dell'opera. Entrambi annuirono, concordando.

La ragazza sorrise iniziando a saltellare «Vi do dieci minuti per riposarvi pigroni, si parteeeee!».
 
Tre paia di occhi scintillarono interessati, nascosti fra i pini.
 

 
 
 
*ding dong*
COMUNICAZIONI DI SERVIZIO:

- la lista dei personaggi ha subìto alcune variazioni

- questo è il luogo dove Ashuros e Edward arrivano ed incontrano Giada :D




- un ringraziamento speciale va ad andry_94_hellEdward_Yoshina AngelWings_DwarfGigi4 per tutti gli aiuti e le idee che inconsapevolmente mi hanno dato.

- i personaggi che mi appartengono sono Tsuki Nakamura e Edward Yoshina (contento vecchietto? ^^). I personaggi presenti appartengono ai loro proprietari:
  • Ireth Alcarìn, di Alice953
  • Rebecca Mithril, di StelladelLeone
  • Ashuros Bleeder, di andry_94_hell
  • Whiteney Black, di Whiteney Black
  • Giada Angeles, di AngelWings_DwarfGigi4
 
- le ragazze diversamente alte - basse è una parolaccia eheh - come Becky, Gigi, Tsuki (o me u_u”) sono da rispettare *occhiataccia cattiva agli stangoni*

- non ho la minima idea di quando arriverà il prossimo aggiornamento, gomen. Chiedo scusa anche per il ritardo di questo capitolo, fra scuola e conservatorio non ho un attimo libero purtroppo...

- ammetto che da questo primo capitolo non si sarà capito molto, anzi forse poco niente, ma tutti i dubbi seminati pian piano si andranno a svelare :D

- grazie ancora a tutti quelli che hanno voluto partecipare, che hanno inserito la storia fra le seguite/preferite/ricordate e alle anime buone che recensiscono. Siete fantastici.

- infine, vi chiedo di farmi sapere cosa ne pensate, detto ciò ci vediamo al prossimo capitolo!

 
*ding dong*
 
FairyLucy94
 

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Capitolo 3
*** II mossa ***


 

II mossa

I due gemelli, i nove uomini,
una ragazza nascosta ed il segreto
 
 


Il battito costante riempiva il vuoto del grande condotto buio e maleodorante. Le gocce d’acqua picchiettavano ritmicamente a terra, accompagnate dal vento freddo e sottile che passava da alcune fughe. La quiete apparente era immobile, solo un orecchio fine avrebbe udito il fruscio quasi inesistente di passi felpati. Due figure, agili e silenziose, si muovevano di soppiatto nell’ombra. Davanti vi era un ragazzo abbastanza alto, non eccessivamente muscoloso ma che comunque dava l’idea di essere piuttosto forte. Nella scarsa penombra risaltavano le punte rosso fuoco dei capelli che sfidavano la forza di gravità, mentre gli altri castani se ne stavano comodamente scompigliati sul capo grazie ad una fascia verde bosco legata in fronte.


Poco dietro di lui, lo seguiva una ragazza meno imponente, ma non per questo minuta. Si mimetizzava bene grazie alla carnagione olivastra, nonostante gli occhi dalle iridi rosse e le cornee nere, coperti però da qualche ciocca castano scuro, brillassero anche in assenza di luce.
Entrambi si muovevano in fretta e con un’agilità quasi innaturale, passando da un condotto all’altro senza scivolare sull’acqua che tintinnava; nonostante la rapidità non destavano alcun rumore.

All’improvviso il ragazzo arrestò il passo e si accucciò in ascolto, subito imitato dalla compagna.

«Ci siamo, dovrebbe essere qui sopra» mormorò lui, alzando gli occhi sopra di loro. C’era una grossa botola in ghisa di quelle vecchie e ormai rovinate, ma ancora resistenti. Dai fori quadrati entravano dei sottili fasci di luce chiara, che infastidiva i loro occhi per il troppo tempo passato al buio, nel condotto.

«Verithas… Non sono molto convinto di questo piano,» sussurrò poco dopo il ragazzo, un gran sorriso stampato in volto «Ma mi fido di te!» Nella sua voce si poteva cogliere un tono esitante, per qualche strano motivo. Fin da piccoli, lui era il braccio e lei la mente, ma dopo quello che era successo a loro ed a Makarov aveva iniziato a preoccuparsi di più. Non poteva più permettersi la leggerezza di una volta, nonostante la necessitasse come l’aria per respirare. E quel piano campato in aria che li aveva spinti a partire senza troppe elucubrazioni e pensieri gli appariva improvvisamente bislacco e poco sicuro.

Osservò attentamente il viso della gemella. Le efelidi che le costellavano il viso le conferivano un aspetto infantile che andava in netto contrasto con le sopracciglia scure e marcate, che segnavano il suo essere testarda ed orgogliosa. Conosceva bene la maniacalità della sorella verso la comodità e la semplicità, e in un certo senso la apprezzava. Proprio per questo la ragazza indossava una corta tunica color del fuoco che andava in contrasto con i capelli, castano scuro alla radice e fucsia dalle orecchie in giù. La tunica era senza maniche ed a collo alto, con la schiena scoperta.

«Yared, come ti ho detto è la nostra unica possibilità. Questa è la sola occasione in cui riusciremo ad avvicinarci al Concilio e scoprire quello che hanno fatto al nonno» mentre parlava, Verithas si alzò agilmente, imitata dal fratello. Nella sua vita era sempre stata occupata, aveva sempre avuto un incarico da svolgere o un tesoro da trovare. Non era mai stata sola, e la cosa non le era mai importata più di tanto, ma ora che le rimaneva solo Yared non intendeva di certo perderlo alla prima occasione.

Il fratello abbozzò un ghigno di convinzione e incrociò le braccia al petto, sulla casacca leggera e da una curiosa tonalità verde bosco. Nella penombra sorridevano anche i caldi occhi color miele, brillanti. Spostò le mani dai lacci, più scuri, della casacca ai pantaloni marrone fango, tenuti con dei lacci sui fianchi.
«Allora andiamo, angioletto» ghignò Yared, e le si avvicinò. La strinse in vita e sorrise sotto i baffi per la smorfia che si era appena dipinta sul volto di Verithas.
Non sopportava gli abbracci ed il contatto fisico in genere.La ragazza brontolò soltanto un «Tieniti stretto», prima di sollevarsi da terra.

Sulla sua schiena, erano apparse delle grandi ali color del fuoco e le sbatteva librandosi sempre più in alto. Avevano un piumaggio particolare, delicato. Alla prima occhiata era possibile accorgersi della loro grazia, pari alla loro enorme potenza.

A Verithas bastò sbattere un paio di volte le grandi ali per raggiungere la botola di ghisa e fermarsi in volo, ad almeno cinque metri da terra. Librarsi la faceva sentire bene; libera. Appena furono vicini alla botola - da sfiorarla entrambi con le orecchie leggermente appuntite -  Yared estrasse rapido un piccolo oggetto e si mise ad armeggiare con la serratura. Era un minuscolo cacciavite che lui utilizzava per rimettere a posto le viti del suo flauto traverso, qualora uscissero. Un sonoro “clack” ruppe il silenzio immobile e Yared aprì la botola verso l’alto e, una mano e poi l’altra, si issò fuori.

L’odore salmastro del mare e delle bancarelle di pesce fresco lo investì in pieno e lui lo accolse con piacere, inspirando finalmente grandi boccate d’aria fresca. Davanti a lui, lo spettacolo della sera iniziava. Il sole dipingeva di sfumature arancioni e gialle il mare davanti a lui, mentre l’azzurro ed il blu lo incorniciavano ai lati. A quell’ora della sera, vi erano solo un paio di pescatori che tornavano dopo una lunga giornata. Nessun altro. Le onde sbattevano ritmicamente su una grande nave, bagnandola con la schiuma. Yared la osservò meglio e capì di aver trovato quello che cercavano: la nave del Concilio. Era enorme, la più grossa del porto, verniciata di un rosso scuro fino a metà fiancata e poi grigio chiaro. Sulla destra si leggeva chiara la scritta “First Ship – Peace depends on us”.
Stava per avviarsi, pronto a fingere, quando una voce lo richiamò alla realtà.

 «Non aspettarmi tu, eh!» Verithas si issò agilmente fuori dalla botola, e rimase qualche istante seduta a terra, osservando l’ambiente attorno a sé. Il porto di Hargeon.

Si era immaginata un posto rumoroso, turisti e maghi numerosi,  bancarelle di pesce e merce ovunque. Invece, regnava una strana calma. Troppa calma. Il silenzio perfetto era interrotto periodicamente dalle onde. La ragazza si alzò in piedi con rapidità e raggiunse il fratello. La loro altezza era quasi uguale.
Si avvicinarono piano alla grossa navi, intimiditi quanto determinati. Yared strinse forte la spalla della gemella come a volerla salutare prima di esser costretto a fingere, poi si avviò a testa alta sul pontile in legno, un po’ consumato dalle alghe e dal sale. Camminò con passo sicuro sulle assi traballanti fino a scorgere due figure, rallentando il passo.

Erano alte e, già da quella distanza, si potevano notare i muscoli tonici. Entrambe dimostravano più di vent’anni, un po’ meno di trenta.
Il primo, il più alto, lo inquadrò subito con gli occhi color ghiaccio che spiccavano sulla pelle cinerea; i capelli bianchi, setosi ma ribelli, superavano le spalle ed erano tenuti sciolti.
Il secondo, di qualche centimetro più alto di Yared, aveva i lineamenti più delicati. Alzò la lancia appuntita che teneva con entrambe le mani; i capelli neri e setosi si mossero al suo gesto, i due pozzi color ebano che aveva al posto degli occhi non si staccarono un istante da lui. Con la luce della sera, il gemello notò qualche sfumatura rossa che provava a contrastare il loro nero brillante.
Yared sbatté le palpebre un paio di volte: era curioso come quei due apparissero identici pur essendo totalmente diversi. Li osservò attentamente, fino a notare lo stemma impresso sulla loro armatura. Capì all’istante: erano due guardie del Concilio.

Il primo fece un passo verso di lui, mettendo la lancia in posizione di difesa. «Presentati» disse, secco.

«Io sono Douglas Kawasawa, il Creatore» mentì Yared, con un sorriso. Tenne le mani congiunte al petto, pronto a dimostrare le sue – false – parole.

«Mostraci la lettera» abbaiò la guardia, continuando a fissarlo con insistenza e squadrandolo dall’alto in basso. Yared la sfilò la busta dalla casacca verde bosco con un gesto naturale, quasi se lo aspettasse. Assieme alla gemella, avevano preparato tutto nei minimi dettagli.

«Kesian, sii gentile» la seconda guardia redarguì il compagno, che gli rispose con un ghigno saccente.

«Fatti gli affari tuoi, Zasel» abbaiò l’altro con strafottenza.

Improvvisamente Yared ricordò i loro nomi, li aveva già sentiti. Kesian e Zasel Lennox, i gemelli capi delle guardie del Concilio, anche detti Souls Brothers. Erano famosi per aver catturato alcuni dei maghi più potenti del Regno di Fiore ed aver salvato la vita a Morgan Cloudlocks, un membro importante del Concilio.
Yared si morse la lingua per non lasciarsi sfuggire una piccola risata mentre pensava a quel che stava per fare.

Intanto le due corpose guardie avevano iniziato a leggere la lettera finta, mormorando “mmm” o “interessante” di tanto in tanto. Sapevano bene che ogni lettera mandata era diversa a seconda del mago che la riceveva, ma quella era piuttosto bizzarra.

Yared, mentre i due leggevano, si sedette a terra sul pontile e tirò fuori quella che sembrava una custodia in pelle. Era piccola e rettangolare, ma dai lati arrotondati. L’aprì e si mise ad armeggiare con tre pezzi di metallo molto raffinati dalle lunghezze differenti.

Un flauto traverso.

Portò il foro alla bocca ed iniziò a suonare una musica lenta, dolce. La melodia risuonava delicata nel porto di Hargeon, incantando i due fortunati che riuscivano ad udirla. La musica era triste, a tratti malinconica, ma era una musica di quelle che ti colpiscono dentro dalla loro bellezza. Era una ninna nanna.
Yared suonava con espressione, con il cuore. E, appena la ninna nanna finì, Kesian e Zasel crollarono a terra.

Da sotto il pontile spuntò Verithas, che era lì in ascolto da chissà quanto tempo, e diede il cinque al gemello. «Visto? Tutto secondo i mieeei piani».

«Chiudi il becco, angioletto» ribatté il ragazzo, un sorriso spensierato sul viso che lo caratterizzava.

Iniziarono a trascinare i corpi con l’intento di nasconderli per bene, quando Verithas sgranò gli occhi. Yared la guardò confuso e si girò.

«Tsuki!!!».
 

***
 

Il primo uomo, seduto a capotavola della lunga tavolata in ebano scuro, si alzò in piedi.

«Come primo uomo e capo del Concilio, dichiaro aperta la settecentotrentaduesima riunione del Concilio» dichiarò con voce profonda ed autoritaria. Aveva la barba e i baffetti biondi pettinati alla perfezione, mentre fissava uno ad uno i nove uomini davanti a lui con i piccoli, scuri e severi occhi neri. Aveva l'aria di una persona ricca e potente, aveva l'aria di uno a cui non interessa nulla se può comprare ciò che vuole con la ricchezza.
Il primo uomo si sedette sulla grande poltrona di velluto rosso. Quasi tutto in quella stanza lo era; velluto rosso e oro. L'uomo si lasciava trasportare dal lusso che poteva concedersi. In realtà, si era rifugiato nella grande e vuota residenza ricoprendosi d'oro per non sentire la nostalgia della moglie defunta. Poco importava allora, che avessero anche una figlia. Ciò che contava di più per Jude Heartfilia in quel momento erano i soldi, e qual era la persona più adatta da sfruttare per guadagnare soldi? Era lei, proprio di fronte a lui, dall'altro capo del tavolo.

Erza Scarlett lo fissava gelida. La sua espressione portava ad avere stima, rispetto e paura di lei allo stesso tempo. Forse la maga aveva capito il gioco di Jude, intuiva che ciò che realmente lo interessava era il denaro e non la sicurezza del Regno, tuttavia assecondava quello strano gioco. Erza era furba e intendeva volgere la cosa a suo vantaggio. Era un po' come una partita a scacchi, quella. Erza era la regina e Jude il re; e lei intendeva mangiare il re.

«Dalla precedente riunione sono successe molte cose, come voi ben sapete.» Erza prese parola e avanzò nella sua casella immaginaria, passeggiando lentamente per la lussuosa sala e soppesando con cura le parole da usare «La cosa più importante in questo momento è mantenere la sicurezza nel Regno ed è nata l'idea della Gilda del Concilio, che incontreremo fra poche ore. Ma, mi permetta signore, i Sigilli non sono un problema secondario».

Un vociare confuso si diffuse nella stanza grande e sfarzosa. I nove uomini confrontarono subito le loro idee fra di loro incuranti del fastidio di Erza, la quale stava parlando.

«E se fossero un bene?».

«Qualcuno dovrebbe controllarli!».

«Al rogo lei e i suoi Sigilli, pfft».

Erza sbatté un piede a terra. Non doveva arretrare nella sua scacchiera, non proprio ora che riusciva ad avanzare «Silenzio!». Qualcuno borbottò una scusa accennata, prima di volgere nuovamente il capo verso di lei. «Nessun mago al mondo è in grado di controllare i Sigilli, perciò dobbiamo trovare un'altra soluzione» decretò Erza, la fronte corrugata.

La rossa riuscì appena a finire la frase che il grosso portone, anch'esso di ebano scuro, si spalancò all'improvviso. Una risata scoppiò da fuori, una risata di quelle saccenti, di chi si crede superiore.

«Baggianate».

Un uomo piuttosto alto e barcollante entrò senza fretta, ridacchiando sommessamente.

«Baggianate!» ripeté, più forte.

Si scostò un ciuffo nero come la pece che gli dava fastidio e continuò a camminare, sorseggiando qualcosa di strano da una piccola bottiglietta in vetro scuro.

«Credete davvero che non esista nessuno? Non avete pensato nemmeno per un secondo che là fuori da qualche parte ci fosse qualcuno? Eh?».

Erza all'inizio era rimasta in silenzio, interdetta e esitante, ma a quella frase si riscosse «Quella ragazza non è all'altezza del compito! Lei è in ritardo e per di più ubriaco, si sieda e prenda parte alla riunione anziché...» Erza venne interrotta nuovamente da quello strano uomo, che fece un gesto inaspettato.

Con un movimento sicuro l'uomo aveva sollevato la manica e aveva proteso il braccio sinistro verso l'alto. Tutti i presenti nella stanza sgranarono gli occhi.

«Ammirate, cani! Io l'ho trovato e lui si è impresso su di me, ora io lo controllo e lui vive nella mia carne» l'uomo rise ancora una volta e si rivolse alla scarlatta «Hai paura dei Sigilli dolcezza? Vai in contro alla tua paura e distruggila, falla parte di te».

Tutti tacquero tranne lui, che beveva con gusto e rideva con amarezza. Lui avanzava, e Erza retrocedeva. Ma lei aveva intenzione di mangiare il re, non di retrocedere, no?

Erza sapeva bene che negli scacchi esisteva una sola regina, una soltanto. In quella partita non potevano essercene due, e uno dei due doveva andarsene. Se quell'uomo aveva tatuato il Secondo Sigillo sul braccio, voleva dire che era possibile sopravvivere con essi. «E mi dica... lei intende forse andare alla ricerca di ogni singolo Sigillo? E' una pazzia questa, non ha alcun senso» sentenziò Erza, incrociando le braccia al petto, pronta a mangiarsi viva quella seconda regina in campo.

L'uomo rise ancora ma stavolta con eleganza, il viso candido che ricordava quello di un angelo «La pensavo così anche io fino a ieri, quando ho capito che non c'è gusto. Perché non godersi la vita e aspettare che li cerchi qualcun'altro?».

Con disgusto, Erza lo guardò accendersi un sigaro magico, di quelli pesanti e poco costosi «Siamo gli unici a sapere della loro esistenza» obbiettò.

«Tu credi?» le sussurrò lui ad un centimetro dall'orecchio.

«Sei il nono uomo del Concilio e sei in ugual modo tenuto a portare rispetto, tienilo bene a mente» Jude intervenne, snervato da quella situazione.

L'uomo ghignò ed andò a sedersi sulla sua poltrona in modo scomposto e con le gambe incrociate sul tavolo in ebano scuro. Prese un lungo tiro dal sigaro, prima di mormorare «Mi creda, Scarlett, mi creda... esiste quella persona».

Erza si girò verso di lui, quando finì la frase.

«E non è l'unica».
 

***
 

Una figura alta e chiara si fece largo fra le felci, che tappezzavano quel fazzoletto di terra più di quanto servisse. Crescevano numerosissime a causa di una magia messa in atto lì vicino, poco tempo prima. Il territorio intorno era coperto da grossi alberi piuttosto alti e caratterizzati da foglie grigiastre e scure, a causa della cenere vulcanica che scendeva come pioggia quasi tutte le notti su quell’isola. A causa del grande vulcano - decisamente in attività - che la occupava, nessuno si era azzardato a colonizzare in quella zona. Tranne qualcuno.

La figura superò quel mare di felci grigie ed arrivò ai piedi del vulcano. Non aveva paura. Spostò alcuni arbusti ormai inceneriti e s’incamminò in quella che sembrava una specie di grotta naturale dentro al vulcano.

Dentro era scuro, la luce scarsa che illuminava poco l’isola lì dentro era sparita, mangiata dal vulcano. La figura non ci fece caso e procedette sicura: saltò due pozze d’acqua stagnante con agilità, di fronte all’incrocio prese il cunicolo a sinistra, tenne sempre l’orecchio teso per prevedere una qualche spia. Nulla. Gesti abituali e meccanici.

Finalmente, dopo qualche minuto, si ritrovò faccia a faccia con una parete di roccia quasi totalmente liscia. La conosceva bene, ormai. Scottava, perciò doveva fare in fretta ad entrare.

Tastò piano la parete ruvida e bollente sotto le dita, cercando nell'oscurità, finché non trovò quel che voleva. Spinse con l'indice una piccola sporgenza sulla parete rocciosa; introvabile per chi non conoscesse la sua posizione, ma lui vi si era dovuto abituare.
Quando la sporgenza rientrò completamente nella roccia, una luce chiara lo investì. Lo spazio angusto e soffocante venne sostituito da un'atmosfera calda abbastanza luminosa. La figura del ragazzo entrò, costretta a piegarsi di qualche centimetro per varcare la soglia troppo bassa dell'entrata. Nonostante la porta fosse scomoda, non poteva essere cambiata e sistemata. Dopotutto, vivevano dentro ad un vulcano.

«Ma guarda un po' chi si rivede!» ridacchiò una voce maschile. Il proprietario squadrava divertito il nuovo arrivato, con gli occhi dall'iride rossa che brillavano. Era seduto su un divano color avorio, al centro del salotto. Era una stanza non troppo piccola, ma resa luminosa grazie ad una magia. Era accogliente, una grossa libreria in legno dava il benvenuto sulla sinistra. Già dalla porta si potevano scorgere alcuni grandi titoli, come “Mille e più erbe medicamentose – come sopraffare il tuo nemico” o “Magia Nera, 100 leggende”. Una piccola lacrima-TV era stata appoggiata ad un tavolino in vetro, davanti al divano. Il pavimento dal legno chiaro e la grande vetrata che separava il salotto dalla cucina contribuivano alla luminosità della sala.

Il ragazzo rispose all'ironia con un'espressione indifferente. Non replicò, non che gli importasse realmente farlo, e continuò a camminare, gli stivaletti bianchi che producevano un eco nella grande sala.

«Lascialo in pace, Shun» lo redarguì una piccola ragazza, con gentilezza. Era una figura sottile, dai capelli lunghi e ricci di un deciso color rosso rame. L'incarnato color avorio risaltava nella luce chiara, così come gli occhi verde mare grandi ed espressivi. Era minuta ma graziosa, e si sarebbe potuta paragonare ad un folletto.

«Naaah, perché dovrei Seyly?». Shun ghignò strafottente, senza curarsi delle parole della ragazza che lo riprendeva spesso. Il ragazzo si sistemò meglio sul divano, appoggiando le scarpe nere sul bordo ed incrociando le mani dietro alla nuca.

La ragazza sospirò e alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. I lineamenti del viso, dolci e delicati, mutarono in un piccolo sbuffo. Lasciò perdere, come la maggior parte delle volte, si sistemò il grembiule e tornò a spolverare il salotto.

Shun accennò un altro sorriso, e si rivolse nuovamente al nuovo entrato con curiosità «E dimmi Isaac, hai scoperto qualcosa di nuovo?».

Totalmente indifferente, Isaac piantò le iridi giallo scuro, quasi dorato, nelle iridi rosse di Shun. «Dov'è Zeref?» domandò, piatto. Le sue pupille erano più piccole del normale, di circa 5 millimetri, e Shun perse il suo solito ghigno.

«Oh, ehm... tornerà fra poco c-credo... cosa devi dirgli di tanto importante?» chiese Shun inquieto, scompigliandosi distrattamente i capelli neri e disordinati.
Isaac non gli rispose nemmeno, non gli interessava. Stava per andarsene via, quando il rumore dell'entrata che si scostava lo fece voltare.

Zeref cadde sul pavimento in modo scomposto e vomitando sangue. La tunica nera ornata dal largo drappo bianco era completamente imbrattata di sangue.
Dalla cucina, Seyly lo raggiunse terrorizzata e gli s'inginocchiò a fianco «Maestro!» urlò «Cosa vi è successo?».

I grandi occhi verde mare della ragazza erano spalancati in un'espressione spaventata. Zeref provò a mettersi seduto, aiutato da lei.
«Shun» tossì Zeref, parlando con difficoltà, e tese una mano verso di lui.

Shun si avvicinò; lo sguardo era determinato e incerto allo stesso tempo. Scostò Seyly con gentilezza e, come le tante altre volte precedenti, si preparò a tenerlo fermo. Chiuse le braccia di Zeref da dietro in una presa d'acciaio, e chiuse gli occhi, pronto.

«M-Mi dispiace, Maestro» riuscì a balbettare Seyly. Gli prese il viso fra le mani, portando i loro occhi alla stessa altezza. Avrebbe potuto perdersi in quei due pozzi neri, carichi d'odio verso se stesso.

Tese l'indice e il medio della mano destra e sfiorò la tempia di Zeref.
Urla di dolore scattarono all'istante, divorandolo senza pietà. Il corpo di Zeref si contrasse in modo tutt'altro che naturale, mentre spasmi lo percuotevano ed il sangue sulla tunica si aggiungeva copioso.
Seyly premette le due dita con più forza e le urla s'intensificarono. Farfugliava mortificata scuse su scuse incurante del fatto che Zeref non potesse sentirla, immobilizzato dalla presa ferrea di Shun.

Qualche passo più in là, in piedi vicino al divano color avorio del salotto luminoso, Isaac assisteva alla scena senza darci importanza. Semplicemente, non scaturiva in lui il minimo interesse. Seyly e Shun aiutavano Zeref, ogni tanto, a rilasciare l'energia oscura che albergava dentro di lui e che si era accumulata in quattrocento anni. Zeref possedeva l'immortalità, ma ciò poteva essere fatale per gli altri, e dopo secoli di distruzione odiava se stesso. Voleva liberarsene, o si sarebbe liberata da sola uccidendo altri innocenti.

Seyly portò anche l'indice e il medio della mano sinistra alla tempia di colui che chiamava Maestro, se non padre. Shun rafforzò la presa, tenendo chiusi gli occhi. Ad entrambi dispiaceva dover fare quel gesto, ma era praticamente l’unico modo.
Le urla di Zeref, ormai, erano sempre più forti. Gli occhi felini erano due pozze d’un rosso scuro ed intenso, si spalancavano innaturali sotto la scura cascata dei capelli.
Un ultimo urlo, un’ultima contrazione dolorosa.

Seyly corrugò la fronte imperlata di sudore e finalmente si permise un mezzo sorriso. Staccò le quattro dita dalle tempie del corvino e lasciò penzolare le braccia dolenti. «Lascialo pure, Shun» mormorò dolcemente, a corto di fiato.

Il ragazzo obbedì e si distese un attimo sul pavimento. Ogni volta diventava sempre più difficile liberare la sua mente e ogni giorno era peggio del precedente… prometteva guai. Shun rotolò su un fianco e si mise seduto, per poi chinarsi su Zeref. «Maestro…» provò a chiamarlo, piano. Girò il suo corpo a pancia in su e gli liberò il viso, candido e bloccato dal tempo, dai capelli spettinati. Zeref abbozzò un sorriso carico di gratitudine, schiudendo le labbra.

«Ragazzi, figli miei…» farfugliò con voce rotta «Abbiamo il Terzo Sigillo». Non senza qualche  difficoltà, si sollevò la manica del braccio sinistro. Il simbolo del Sigillo gli percorreva elegantemente tutto il braccio, ed era ricco di ghirigori delicati che gli si attorcigliavano fin quasi attorno al polso. Il viola scuro, quasi nero, risaltava sulla pelle chiara di Zeref, che lo mostrava con orgoglio.

Il Terzo Sigillo. Possesso del cuore altrui.
Sarebbe riuscito a controllarlo? Non ne aveva idea.

Entrambi i ragazzi smisero di respirare dall’emozione, sembrava un sogno. Ce l’avevano fatta.
Carhan, immobilizzata dalle catene, non poté far a meno di sentire ogni cosa.
 

***
 

«Io dico di no, testone!» asserì lei.

«Io invece di sì, nanerottola!» ribatté lui.

«Non sono una nanerottola!» ringhiò lei.

«Invece sì! SEI BASSA!» ghignò lui.

«Piantatela» Ashuros sedeva davanti a loro in silenzio come sempre, ma bastò un sussurrò e il loro battibecco cessò.

Ashuros, Edward e Giada si conoscevano da tempo immemore ormai. Avevano imparato, non senza qualche difficoltà, a fidarsi l’uno dell’altro col tempo. Per certi periodi si erano anche divisi, ma alla fine sentivano il bisogno di riunirsi, attratti come calamite.

Giada borbottò qualcosa di incomprensibile e incrociò le braccia al petto. Accanto a lei, Edward non dette segno di fastidio. Lui scherzava, amava infastidire quella nanetta, come la chiamava lui. Prese un pezzo di focaccia ancora calda dal piccolo cestino e mangiò velocemente. L’aria fresca della sera gli solleticava il collo, lasciato scoperto dai capelli castani legati sulla nuca in una crocchia. Si trovavano in un immenso prato verde e morbido, all’ombra di un grande albero. Si potevano vedere le montagne in lontananza, con ancora qualche macchia di neve. Di fronte a loro c’era una strada di terra battuta formata dall’andirivieni dei carri da Magnolia verso Hargeon. Era un paesaggio particolare, dalla bellezza sottile.

«Questa è la torta alle bacche blu più buona che io abbia mai mangiato!» Giada divorò un paio di fette con noncuranza, leccandosi le dita alla fine.

«La cucinava spesso mia madre, una volta. Sai qual è l’ingrediente segreto?» le chiese Edward, osservandola mentre ne addentava una terza.

«Ehm… l’amore con cui si cucina?».

«Gli scarti del giorno prima».

A quelle parole Giada assunse un’espressione inorridita e sputò tutto in faccia ad Ashuros, che alzò un sopracciglio. Se gli sguardi potessero uccidere…
Il ragazzo creò un tentacolo d’Ombra, fino e stranamente senza riflessi di alcun colore, semplicemente nero. Con quello afferrò velocemente un vasetto di salsa dal colore violaceo e “per sbaglio” lo spalmò in faccia a Giada strappandole un gridolino di sorpresa.

«Razza di… » la bionda non finì la frase, si alzò e fece la doccia ad Ashuros con una brocca di limonata che lo rese tutto appiccicoso.

I boccoli biondo miele di Giada – che quasi toccavano terra dalla loro lunghezza – erano imbrattati di salsa viola, mentre Ashuros era sporco di bacche blu in viso e la sua pelle era ormai attaccaticcia.

Entrambi si buttarono uno addosso all’altro finendo a terra, e iniziarono a darsele di santa ragione.

Ancora immobile all’ombra del grande albero, Edward li vide rotolare e picchiarsi al contempo per mezzo prato, sentendo ogni tanto commenti come “CENSURA, era il mio piede idiota!” o “ahia, nana CENSURA del CENSURA!”. Si coprì il viso con una mano, ridendo fra sé e sé. Quei due erano incredibili.
Li seguì con lo sguardo finché non li vide cadere entrambi nel ruscello che scorreva lì vicino e sentì la risata allegra di Giada.

«La prossima volta ti faccio nero» ridacchiò Gigi, alzandosi e schizzando il compagno.

«Credici» mormorò Ashuros, issandosi in piedi e incamminandosi verso l’albero dov’era seduto Ed.

«Stavolta mi sono trattenuta» Giada lo seguì strizzandosi i capelli, per poi sedersi accanto ai due.

Ashuros sbuffò, come a voler dire che non ce l’avrebbe fatta neanche fra anni, poi il silenzio. Ma non un silenzio imbarazzante e scomodo. Un silenzio piacevole, calmo, rilassante. Da giorni non si concedevano una pausa, ed era bello poter chiudere finalmente un attimo gli occhi e ascoltare. Il cinguettio degli uccelli, il vento fresco e sottile che li salvava dal caldo soffocante e muoveva le foglie, il piccolo ruscello che rinfrescava.

Ad un certo punto, però, Edward tossì e chiese l’attenzione degli altri due. «Comunque sia, non possiamo sostare ancora molto!» ribadì, tornando al discorso di prima «Abbiamo ancora qualche ora di luce per arrivare al porto, non c’è molto tempo».

«Il tempo c’è benissimo! E poi dobbiamo riposarci, è più di ventiquattro ore che non faccio un pisolino» sorrise Giada, portando le mani alla nuca e distendendosi sull’erba.

«Gigi, non abbiamo tutto questo tempo» le fece notare lui. Il tono di voce suggeriva che stavolta non stava scherzando, era serio.
Ashuros mantenne il suo solito silenzio. All’apparenza indifferente, era attento alla conversazione. Quando l’avrebbero finita quei due? Era usuale che scherzassero, non che litigassero.

«Perché no? Sei tu quello che non tiene il passo» Gigi cercò di sciogliere la tensione buttandola sul ridere. Mentre parlava si era tirata a sedere e aveva addentato una lucida mela verde.

«Giada… » sospirò Edward, incrociando le braccia «Dobbiamo partire subito».

«Io dico di no» affermò Giada.

«Io dico di sì» rispose Edward.

Eccoli che ricominciano… pensò Ashuros, con un sospiro.

«Ti ho detto che dobbiamo andare adesso!».

«E io ti ho detto che adesso non ci andiamo!».

«Invece sì! Mannaggia a te e alla tua testa dura!» sbottò Edward, ormai arrabbiato.

A quelle parole, Giada si alzò lentamente in piedi. Buttò lontano nell’erba il torsolo di mela e gli si avvicinò fino a che i loro nasi non si sfiorarono. «No» sussurrò, con tono che non ammetteva repliche.

Il ragazzo si tirò indietro, storcendo le labbra rosee e sottili. «Non mi interessa! Adesso partiamo!».

«Sai una cosa? Puoi benissimo andarci da solo allora! E tieniti quella spada del cavolo, io sono stufa di te! Vieni Ash, andiamo» urlò lei. Trascinò Ashuros per un braccio costringendolo ad alzarsi e si diresse sulla strada battuta a passo di marcia. Lui la trattenne un istante e si voltò verso il compagno.

Edward sapeva bene che quando Giada si metteva in testa qualcosa non c’era verso di farla ragionare. Decise che li avrebbe raggiunti ad Hargeon, seppur a malincuore. Mimò soltanto un “prenditi cura di lei” ad Ashuros, che annuì, creò un tentacolo d’Ombra e si caricò la ragazza sulle spalle. Edward sparì fra gli arbusti dietro di lui, nella direzione opposta alla loro.

Tre figure gli vennero incontro, le stesse che li avevano spiati ai piedi della montagna, Edward ne era consapevole.

Levy gli venne incontro di corsa e lo abbracciò, prima di staccarsi e guardarlo in viso. «Mi dispiace, nii! Sono sicura che farete pace, non disperare!» mormorò.

Era minuta, e la sua sottile figura la faceva sembrare ancora più piccola. Sopra gli occhi vivaci, la fronte aggraziata era libera dai capelli turchini tenuti indietro da una fascia arancione con dei dettagli colorati. Da quando Levy lavorava nella grande biblioteca del Concilio era sempre indaffarata, era normale che fogli o libri tascabili spuntassero dalla piccola borsa argentea che le aveva regalato Gajeel.

Dietro di lei, vi erano un ragazzo e una ragazza, entrambi facenti parte del Concilio.
La ragazza lo squadrò con aria inquietante e fece una risatina a metà fra il sarcastico e il tenebroso. Fece per dire qualcosa - che si prospettava di sicuro mordace o derisorio - ma Edward la anticipò. «Ah no, non ci provare Morgan. Non sono in vena di battutine».

Morgan richiuse le labbra controvoglia, muovendo con uno sbuffo gli insoliti capelli color lilla. Erano mossi, tenuti corti e arruffati, nonostante la frangetta era liscia e alcune ciocche più lunghe sulle tempie arrivavano a sfiorarle la mascella.

Il ragazzo, a quel punto fece un passo avanti e gli diede un'amichevole pacca sulla spalla «Non è colpa tua, amico».

Era decisamente alto, troppo alto, e raggiungeva almeno il metro e novanta. I capelli neri, non troppo lunghi, incorniciavano perfettamente il volto dalla carnagione chiara in cui spiccavano gli occhi azzurri come il ghiaccio, profondi. Era paragonabile ad un angelo. Il suo nome, Hisoka Evans, era ben leggibile sulla targhetta posta sul petto a sinistra che lo identificava come membro ufficiale del Concilio, così come che per Morgan.
La piccola Levy cercò di consolarlo come poteva, considerava Edward come un fratello maggiore ormai. Morgan non gli risparmiò commenti derisori come suo solito, mentre Hisoka omaggiava il proprio "tempio", o meglio, il proprio corpo con frasi come “Ed, amico, la perfezione purtroppo non esiste. Certo, io sono una rara eccezione!”.

Edward stava per arrivare all'esasperazione, quando Hisoka, con una bottiglietta di vino fra le mani, gli fece una domanda cruciale.

«Ma perché Giada è così importante per te?».

Il ragazzo esitò, incerto. Era davvero il caso di rivelarlo?
Tre paia di occhi curiosi lo fissarono.


«Giada, ecco... Giada è mia sorella».
 
 
 
 
 
*ding dong*
COMUNICAZIONI DI SERVIZIO:

Per quanto riguarda la storia:
- questi, aimé, sono ancora capitoli di “introduzione”, perciò non ci sarà chissà che. Nei prossimi a venire, quando la situazione si sarà un po’ stabilizzata, capirete senza problemi

- Come sempre, un grazie più che meritato ad  andry_94_hell  per gli aiuti e le idee. Fate una statua a quel ragazzo! Dimenticavo: ho superato le tue 15 pagine di capitolo, ha!

- se avete domande, inerenti alla storia o no, potete chiedere qui --> http://ask.fm/Fairy_chanella

- consigli/pareri/critiche/affermazioni demenziali sono bene accette/i

- questo è il posto in cui si trovano inizialmente Giada, Edward e Ashuros :D

 

Per quanto riguarda gli OC:
- I personaggi che mi appartengono sono solo Tsuki Nakamura e Edward Yoshina, mentre i personaggi del manga/anime sono di proprietà di Hiro Mashima, il loro creatore. I personaggi presenti appartengono ai loro proprietari:
  • Verithas Retasth, di Ronnie Stregatto
  • Yared Retasth, di Ronnie Stregatto
  • Kesian Lennox, di TheWerewolf
  • Zasel Lennox, di TheWerewolf
  • Isaac Dragernax, di Riki_94_Pphs
  • Seyly Alcarìn, di Alice953
  • Shun Suzuki, di PRINCE_OF_THUNDER
  • Carhan Loster, di Eden891
  • Morgan Cloudlocks, di LenK
  • Hisoka Evans, di 46fede/Alphias95 (come devo chiamarti? ^^")
Spero di averli resi IC, sennò qualunque segnalazione è ben accetta! Nel prossimo capitolo appariranno tutti coloro che finora non sono stati presentati.

- Alice mi ha detto che il nome "Seyly" si pronuncia semplicemente "Sili". Ameeen.

E infine:
- Grazie ancora a tutti quelli che hanno voluto partecipare, che hanno inserito la storia fra le seguite/preferite/ricordate e alle anime buone che recensiscono.

-Vi prego anche di farmi sapere cosa ne pensate di “questo”, grazie!

 
*ding dong*
 
FairyLucy94
 

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