Sweet golden eyes

di Roxyz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incrocio di sguardi ***
Capitolo 2: *** Nuove emozioni ***
Capitolo 3: *** Strani incontri ***



Capitolo 1
*** Incrocio di sguardi ***


Prologo

Non era certo la prima volta che mi trovavo faccia a faccia con la morte. Una parte di me la bramava, prima di lei tutto il mio essere la aspettava ogni giorno. Adesso invece provavo persino paura. Tutto era successo così velocemente che non ero riuscito a controllarlo.

Sentivo che non avrei provato dolore, e il dolore non mi avrebbe comunque mai terrorizzato. Tuttavia un dolore profondo pulsava nel mio cuore, sapendo che mi trovavo di fronte ad un abbandono più importante per me di qualsiasi altro momento. Ma non c’era più nulla da fare. Chiusi gli occhi e, con un sospiro, attesi quasi impaziente che l'angoscia finisse, con la morte nel cuore.

1

Un incontro inaspettato

Dannata pioggia. Come al solito non stavo sognando, ma dormire era una delle mie attività preferite ed essere interrotto, oltretutto da semplice pioggia, una delle cose che odiavo. Pensai con rammarico che il letto non era mai stato più comodo e la casa più calda e accogliente, nonostante non amassi particolarmente il mio striminzito appartamento. Fortuna che c'era l'indispensabile, e dopo aver sistemato la maggiorparte delle mie cose, potevo almeno dire che era una riproduzione in miniatura della mia vecchia casa. Ovviamente niente di paragonabile, visto che la mia precedente abitazione era una splendida enorme villa. Sbuffai e andai alla finestra. “Che tempaccio”, pensai. Mi voltai e alla vista del calendario sperai di non averlo mai fatto. Era il primo giorno di scuola in quella stupida cittadina, Forks.

...”Perchè vuoi andartene?” Che richiesta stupida...e irritante. Ma in fondo lo comprendevo. Mia madre l’aveva già abbandonato tempo fa, ed ora io lo lasciavo nuovamente solo. Ma non ero tipo da sensi di colpa. Dovevo andarmene. E poi era ovvio che non avrebbe potuto mai capire era il mio bisogno di libertà, anzi di solitudine. Mio padre era un uomo semplice...

Mi riscossi dai miei pensieri, pensando che non volevo prediche da professori o roba simile, soprattutto non nel primo giorno di scuola. A dire il vero ero leggermente infastidito, non avevo il minimo desiderio di incontrare una mandria di stupide pecore. Se non altro, la massa era sicuramente ridotta rispetto alla mia metropoli nativa. Avevo passato l’estate in quell' appartamento che era di mia madre, evitando di fare conoscenze inutili, evitando di comportarmi da persona educata quando non mi andava. Meno persone vedevo, meglio stavo. Mi guadagnavo da vivere lavorando la sera come pianista in locali. Amavo suonare il piano e quando udivo le dolci melodie capaci di sprigionarsi nell'aria dalla semplice pressione sui tasti, una pace quasi irreale m’inondava e non m’importava più del resto del mondo.

Feci colazione e lasciai tutto sul tavolo. Per quel che poteva interessarmi, nella remota possibilità che qualcuno fosse venuto a casa mia, l’unica persona di cui mi sarebbe importato era colei che riposava in Paradiso, mia madre. Almeno questo era ciò che speravo. Com’era possibile che fosse diverso?

Girai le chiavi nel pick up e un assordante rumore mi inondò le orecchie. Amavo i motori, ma per sopravvivere i primi tempi avevo venduto la mia favolosa auto, ormai unico ricordo della mia vecchia vita, e con una parte mi ero comprato quel “nuovo” orrendo rottame. D’altronde la cittadina era fin troppo piccola e a poco serviva una vera auto. Però c’era qualcosa che amavo di Forks. Amavo quei boschi fitti e oscuri, quell’aria così pulita e silenziosa rispetto alla grande, per dimensioni non certo perchè migliore, New York.

Arrivai a scuola. Avevo ovviamente previsto che non sarebbe stata come un liceo della Grande Mela, e la cosa non mi dispiaceva. Un agglomerato di costruzioni rosso scuro circondata dall' immancabile vegetazione, con l'insegna "Forks High School". Niente di diverso da ciò che avevo immaginato, e tutto sommato mi piaceva, con tutto quel verde e quella pace per me nuova. Di certo non avevo avuto aspettative di alcun tipo. Ero sicuro che non ci sarebbe stato niente di attraente nel mondo per me, da quandomia madre mi aveva lasciato.

Mi diressi verso la segreteria, una donna dai capelli esageratamente rossi e grassoccia attirò la mia attenzione. “Ciao, posso esserti utile?”

“Buongiorno. Mi chiamo Edward Masen.”

“Ah si certo, capisco. Riporta questi moduli firmati alla fine della giornata. Benvenuto”. Sul tavolo erano infatti sparsi, in un modo fastidiosamente disordinato, una gran quantità di inutili carte, che mio malgrado fui costretto a raccogliere. Mi dileguai velocemente dicendo che non volevo essere in ritardo alle lezioni proprio il primo giorno.

Presi la mappa della scuola e la memorizzai velocemente. Prima ora, inglese. Ottimo, amavo la letteratura. Feci la conoscenza del professore e mi sedetti ad un posto vuoto senza nessuno accanto. Che fortuna, pensai. Niente scocciatori.

Il tempo passò abbastanza velocemente, riuscivo ad evitare chi cercava di attaccar bottone e degli sguardi curiosi da cittadina di provincia non me ne importava granchè. Vagavo distrattamente con la mente fingendo attenzione mentre seguivo le lezioni, finché non fu ora di pranzo. Giunsi in una sala piuttosto grande rispetto alle aule che avevo visto sino ad allora. Andai a sedermi in un posto vuoto, contento che ce ne fossero, incurante degli sguardi di quasi tutta la scuola. Una ragazza bruna e snella, dai tratti dolci ed evidentemente sicura di sé, forse troppo, venne a sedersi al mio tavolo. Doveva essere una popolare, perché molti ragazzi si girarono a guardarci infastiditi. A me tuttavia non interessava. Stranamente, le ragazze mi trovavano sempre attraente, nonostante non rivolgessi loro la minima attenzione. La ragazza si presentò e cominciò a ciarlare incurante del fatto che non le davo retta. Improvvisamente il mio sguardo incrociò due occhi profondi neri come la notte, grandi e meravigliosamente dolci.

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Capitolo 2
*** Nuove emozioni ***


Ringrazio chi ha recensito e messo tra i preferiti..grazie sono stata a saltare per la contentezza un bel pò! In effetti avevo paura che Edward fosse un pò troppo depresso ma non ho potuto evitare di metterci un qualcosa del mio stile...

2

Nuove emozioni

Mi sentii strano. Le occhiate di chiunque mi infastidivano, ma non questa. E non fu la sola cosa ad attirare la mia attenzione. Non riuscivo a percepire le sue emozioni. Era un mio sesto senso, di cui andavo molto fiero, una delle poche cose di cui andavo fiero, per essere precisi. Lei era una pagina bianca, e nello stesso tempo una pagina che mi attirava come mai prima d’allora. Mi stupii di come una perfetta sconosciuta fosse in grado di scatenare in me tante emozioni nuove, diverse dall’odio e dall’indifferenza che mi accompagnavano da ormai troppo tempo, che rivolgevo al mondo intero e a me stesso, e anche di come in realtà perdendomi nel buio dei suoi occhi non mi importava nulla di questi che ero arrivato a considerare dettagli.

Ero pericolosamente incantato dalla sua bellezza. Sentendo gli altri occhi puntati su di me non avevo alzato la testa, ma questo era diverso, i suoi occhi erano una calamita. E non riuscivo ad abbassare lo sguardo. Avvertii inoltre un’istintiva sensazione di pericolo, come quando metti una mano nel fuoco e devi staccarla, e mi chiesi perché. Come potevo essere in pericolo di fronte ad un angelo così bello da mozzare il fiato?

Due occhi grandi e profondi di un nero scuro come la notte, capelli setosi che la luce risaltava in un modo spettacolare, pieni di boccoli candidi, labbra rosse e carnose, pelle chiarissima e lineamenti perfetti. Era una visione paradisiaca, e soprattutto speciale, in qualche modo che non compresi. Diventò ancora più bella ai miei occhi, se possibile, quando mi accorsi della sua tremenda e tremendamente irresistibile goffaggine.

La vidi voltarsi di scatto e sorridere a una ragazza bionda seduta di fronte a lei. Mi sembrò che stesse parlando, ma non ne ero sicuro. Non capii perché fossi dispiaciuto, era una ragazza qualsiasi, del resto. Almeno questo era ciò che mi suggeriva la ragione, ma nel profondo sapevo che non era come le altre. Un solo sguardo durato appena un istante era bastato a cancellare le mie sicurezze, la barriera di ghiaccio intorno al mio cuore era diventata improvvisamente fragile.

La bionda si girò a guardarmi. Era statuaria, impossibile negarlo, una bellezza algida, sovrumana. Ma per me era una qualsiasi. I suoi occhi, dello stesso colore dell’altra, neri come la pece, non mi attraevano. Notai che era infastidita, irritata, ma poiché non mi interessava, tornai alla realtà. Nel frattempo al mio tavolo era arrivato un altro ragazzo, che, distratto com’ero, non avevo avuto il tempo di notare. “Accipicchia, primo giorno e catturi già l’attenzione delle belle della scuola. Grande Edward. Dammi il cinque!” Nonostante sentissi il bisogno impellente di lanciargli un’occhiataccia, gli rivolsi un sorriso. Non mi era mai risultato difficile mentire, perché non c’era niente e nessuno capace di coinvolgermi o intimorirmi, e non lo fu neanche stavolta. Decisi di assecondarlo, per scoprire qualcosa dell’angelo seduto così distante. “E dimmi, cosa sai delle belle della scuola?” domandai nascondendo il tono ironico nella mia voce e fingendo un certo interesse, in parte era vero perché stranamente volevo sapere di quegli occhi dolci e profondi. La risposta non tardò ad arrivare. “Loro sono Emmett, Alice e Bella Cullen e Rosalie e Jasper Hale. Sono tutti figli adottivi del dottor Cullen e di sua moglie Esme. Rosalie Hale è proprio uno schianto, vero?”

“Già. Interessante...e dimmi, chi è quella con i capelli castani?”

“Bella Cullen...sì è una favola anche lei, ma non pensarci nemmeno. E’ già fin troppo strano che ti abbiano rivolto un’occhiata.” Istintivamente la ricercai con lo sguardo, e vidi che cercava di trattenersi dal ridere. Che strano. Non c’è dubbio che la situazione mi apparisse anche un po’ divertente, anche perché mi ero accorto del fatto che il ragazzo, che avevo scoperto chiamarsi Mike, era un po’ irritato, ma era possibile che lei avesse ascoltato tutto? No, probabilmente rideva per fatti suoi.

Comunque, la pausa pranzo era finita, perciò mi alzai e andai a lezione. Biologia. Entrai in classe, il professor Banner mi presentò agli altri alunni e mi disse di prendere posto, dopo aver firmato il modulo. Notai con rammarico che non vi erano posti completamente liberi, ma il dispiacere scomparve, non appena rividi l’angelo dagli occhi dolcissimi. Sentii di nuovo quella strana sensazione, gli occhi che mi attraevano con la stessa forza con cui una calamita attira il ferro. Si stava accomodando con infinita grazia ma anche con la sua caratteristica goffaggine al suo posto, accanto a me. Non riuscivo a captare alcun sentimento sul suo viso paradisiaco, ma notai che stringeva i pugni e che allontanò il suo banco da me ulteriormente. Mi chiesi il motivo. Ero forse stato troppo invadente? Pensai di scusarmi, ma mi trattenni. Cosa mi stava accadendo? Perché m’importava di questa ragazza?

La curiosità occupava tutte le zone del mio cervello, e non capii nulla della lezione, ma comunque mi sforzai di apparire intento a seguire.

Per tutta l’ora rimase impassibile, e mi sembrò che non respirasse, così cercai di non badare a lei, per quanto mi risultasse praticamente impossibile. Al suono della campanella si alzò dal banco a velocità inaudita, quasi stesse scappando.

Prima di riuscire a scappare via evitando di essere travolto da tutta quella gente, la guardai incantato e curioso uscire dalla classe, e così rimasi impalato pochi istanti davanti alla porta. Mossa sbagliata. Mike fece la sua ricomparsa e mi diede una pacca sulla spalla. Avrei voluto prenderlo a pugni, chi diavolo era questo irritante ragazzo che si comportava come se mi conoscesse da una vita? Ma pensai che non era colpa sua se ero così irritabile, perciò alzai gli occhi al cielo e sospirai.

“Ti piace proprio quella Bella.”

Che ragazzo fastidioso. “No, mi è solo sembrata...strana. Volevi qualcosa, Mike?”

“In effetti volevo invitarti a una minigita che sto organizzando. Edward, questo fine settimana andrò a La Push con degli amici. Ti va di unirti a noi?”

Mentalmente risi, pensando che se mi chiedeva qualcosa del genere proprio non mi conosceva. Era palesemente ovvio che avrei rifiutato.“La Push? Uhm...Non saprei...probabilmente dovrò lavorare, sai...”

“Non fare il difficile. Ci sono la spiaggia, il bosco, le ragazze! Ci sarà da divertirsi, te l’assicuro. Allora, ci hai ripensato?”

Ma sì, mi dissi. Forse avrei potuto divertirmi, o almeno avrei potuto provare a rilassarmi un po’. “Ci sto. Sembra una bella idea. Grazie per l’invito, Mike.”

“Ti farò sapere presto i dettagli. Devo scappare adesso.”

‘Scappai’ anch’io, in modo da non incappare in altri spiacevoli inconvenienti. Mi misi in macchina e, con la bruciante sensazione di uno sguardo penetrante, combattendo con il desiderio di sapere chi fosse, irrazionalmente sapendo che era lei, tornai a casa con la massima velocità consentita dal mio rottame.

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Capitolo 3
*** Strani incontri ***


Wow, quante recensioni!! Sono commossa...scusate per i miei errori, ma non sono mai stata una grande scrittrice sigh ;(...grazie anche a chi ha messo tra i preferiti, un bacione grande grande.


3

Strani incontri

Mentre mi trascinavo semi incosciente verso il mio appartamento, non riuscivo a levarmela dalla testa. Chi era questa ragazza? Perché mi attirava in un maniera tale da suscitare in me tutt’altro che la solita inevitabile freddezza? Concentrato nei miei pensieri cercando disperatamente di capire cosa stesse accadendo, quasi non mi accorsi di essere arrivato a casa.

Avevo ormai capito che era inutile tentare di distrarmi, perciò decisi di confidarmi con la sola persona che aveva sempre avuto libero accesso al mio cuore e alla mia mente. Presi la foto di mia madre, con mano incerta, avevo paura di rovinarla. Rividi i suoi occhi verde smeraldo, più brillanti e preziosi di diamanti puri, rivelare un calore e un amore per la vita straordinari, persino nei giorni bui, persino nelle sofferenze. I suoi occhi erano uguali ai miei, era l’unico ricordo vivo che avessi di lei, ma i miei erano freddi, tristi, indifferenti, glaciali, talvolta persino sprezzanti.

Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, la dicevano lunga su di me. Un bravo osservatore avrebbe capito senz’altro che non vivevo, ma tiravo avanti nell’attesa della Morte, nell’attesa del momento in cui speravo ardentemente di raggiungere l’unica persona che avessi mai amato. Ma l’angoscia m’invadeva struggente, quando pensavo che non sarei mai stato degno di un tale premio. Con la mente viaggiai nei felici momenti passati. Ormai, disgraziatamente da sin troppo tempo, era l’unico modo per trovare un po’ di serenità, nonostante fosse mista alla nostalgia. Del resto ero umano, e provavo dolore.

Cullato dal suo dolce ricordo mi incamminai verso il cimitero. Un’altra cosa che amavo di Forks è che la tomba di mia madre si trovava lì. Il cimitero poteva apparire spettrale, era ancora più verde del resto della cittadina e in alcuni momenti quando era deserto poteva sembrare che il vento sussurrasse, ma a me trasmetteva un senso di speranza e familiarità, e soprattutto non credevo alle leggende soprannaturali e a varie altre sciocchezze. Qualora ci fossero stati dei pericoli, la morte non mi preoccupava, non la fuggivo, non la scongiuravo. Accompagnato da un debole vento giunsi alla tomba di mia madre. Cercai di ricordare il suo dolce e caldo profumo, e cominciai a parlarle.

All’improvviso sentii una strana risata stridula, e vidi spostarsi una figura, con due occhi di un abbagliante e spaventoso rosso sangue. Cominciai a preoccuparmi, ma mi resi conto che forse non ero davvero immune all’atmosfera misteriosa e suggestiva del cimitero di Forks. Tuttavia una parte di me suggeriva che non era stata la mia immaginazione, perciò, ancora un po’ sconvolto, decisi di abbandonare il luogo che mi stava addirittura provocando spaventose allucinazioni e mi diressi verso casa. Accidenti. Qualcuno mi stava osservando, lei mi stava osservando. Combattendo con il desiderio bruciante di voltarmi e perdermi nel buio dei suoi occhi, evitai di controllare e alzai il passo.

Arrivato a casa, pensai di pranzare, forse era la fame a farmi vedere i fantasmi. Poiché non mi andava di mettere a soqquadro la cucina per avere in cambio qualcosa di misero e disgustoso vagamente somigliante a del cibo, decisi di andare in un qualche posto fuori da Forks, chissà, magari un’aria nuova mi avrebbe giovato. Mi stupii di come stavo cambiando. Solo qualche giorno fa non avrei nemmeno preso in considerazione una simile eventualità. Perciò sperando che il rottame ce la facesse imboccai l’autostrada per Port Angeles. Mi fermai alla prima pizzeria che trovai davanti, sicuro che non facesse molta differenza. Errore, grave errore.

Entrai in un postaccio dalle dimensioni quasi uguali a quelle della mia cucina, umido e sicuramente il contrario del buon gusto. Chissà se non era meglio tornare a casa, pensai, se non altro lì sapevo cosa potevo aspettarmi. Ancora incerto sul da farsi, una voce che ormai avevo imparato a sopportare mi distolse dai miei pensieri.

“Che ci fai qui? Ti facevo un tipo solitario, Ed.”.

Ed? Come mi aveva chiamato? L’irritazione stava per farmi scattare i muscoli. Respirai e cercai di non essere troppo scortese, almeno non più del necessario, mi dissi.

“Buonasera anche a te. Non avevo proprio voglia di cucinare, oggi.”.

Ma forse era meglio se ci avessi ripensato prima, invece di finire in questa bettola e incontrarti, pensai evitando accuratamente e soprattutto faticosamente di tradurre ad alta voce le mie reali intenzioni.

“Grandioso, allora! Vieni, sono con degli amici. Ti piaceranno, vedrai.”.

Certo, come no. Se erano suoi amici, come avrebbero potuto non piacermi? Mi feci trascinare ad un altro tavolo, dove sedevano fin troppe persone per i miei gusti. Qualcuno avevo già avuto il ‘piacere’ di incontrarlo a scuola, ma gli altri erano tutti sconosciuti.

Emanavano un’aura diversa dalla gente comune, sembravano in simbiosi tra di loro, come fossero tutti fratelli. Erano tutti altissimi e muscolosi, con la pelle abbronzata e rossastra, parevano quasi degli orsi. Sicuramente mi incuriosivano più degli altri, ma sentii da subito di non poterci avere molto in comune. Ovviamente Mike non tardò a presentarmeli uno ad uno. Erano giovani Quileute della riserva indiana di La Push, quasi tutti di sedici anni, tranne due di diciassette ed uno di diciannove. Faticai a crederlo possibile, dimostravano tutti almeno venticinque anni. Pensai che forse ero troppo sconvolto per formulare considerazioni coerenti, e probabilmente era anche per questo che avevo avuto l’assurda idea di andare a mangiare in un locale. Controvoglia ma inevitabilmente, mi sedetti al loro tavolo.

Una cameriera accorse al tavolo. Una ragazza come le altre, evidentemente sicura di sé, banale come non mai. Che noia questa gente. Mi venne in mente di nuovo lei, ma mi scossi dai miei pensieri sentendo la voce bassa e che tentava di essere attraente della cameriera.

“Ciao. Cosa posso portarti?”

“Buonasera. Mi scusi, signorina, potrei avere un menu?”

“Certo, arrivo subito.”. Probabilmente tentando di fare colpo, sfoderò un sorriso che probabilmente per chiunque altro sarebbe stato coinvolgente, ma che con me non faceva alcun effetto. Come al solito lasciai stare, ma non avevo calcolato Mike e le sue uscite irritanti.

“Ehi Edward, hai visto quella sventola?”

“Mh? Ah la cameriera. Allora?”

“Ti ha lanciato un’occhiata...”

Impiccione. Fatti gli affari tuoi.“Non è proprio il mio tipo.”

“Bè, è un vero peccato. Sapete ragazzi, Edward attira in un modo incredibile le ragazze. Beato lui, eh?”

“Già.”

“Dì la verità, sei rimasto folgorato dalla splendida Cullen? Non c’è che dire, ti accontenti di poco!”

Colpito e affondato. Forse questo Mike non era poi così stupido. Certo che se credeva di zittirmi, non aveva ancora capito chi era Edward Masen... “Può darsi, Mike. E’ un problema?”

“Ehi, ehi, tipo da compagnia, sciogliti un po’, non è il caso di scaldarsi troppo.” Questa voce era nuova, com’era prevedibile. Mike non sarebbe certo stato in grado di rispondere così. Nonostante fossi un po’ sorpreso, trovai da subito irritante quel tono da controllore. Lo guardai istintivamente torvo, ma non volevo risse, per fortuna la voce di un altro del suo “branco” intervenì. “Su calmiamoci, siamo tra amici qui, no?”

Certo, tra amici. Inaspettatamente l’altro si calmò, come avesse ricevuto un ordine da un suo superiore. Che strani tipi. Dopo aver ordinato ed essere rimasto ad ascoltare passivamente i noiosi soliti discorsi dei ragazzi con cui ero costretto a stare in quel momento nell’attesa della maledetta pizza margherita che sembrava non arrivare mai, mangiai immerso nei pensieri che quel giorno mi tormentavano senza sosta e tentai di ripensare lucidamente a quella strana visione al cimitero.

Finita la pizza, che non era poi così immangiabile, ma forse solo per la fame, decisi che potevo anche levarmi di torno questi tipacci.

“Mike, devo proprio andare adesso. Non vorrei far tardi a lavoro. Spero che tu capisca.”

“Oh, certo. Ah comunque sei sempre dei nostri per sabato?”

“Come no. Potrei mai rifiutare?”

“Certo che no” Rise sguaiatamente. “Vieni davanti al mio negozio sabato mattina. Pensi di potercela fare?” Ero forse stupido? No, era lui che era indecentemente seccante. “Sicuro. Ci vediamo, ciao.”

Uscii sentendomi finalmente libero e tornai immediatamente al mio pick up. Per quel giorno ne avevo avute abbastanza di seccature, perciò alla massima velocità che potevo ottenere dal mio mezzo ripresi la strada del ritorno al paese che mi stava cominciando a preoccupare seriamente.

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