Sweet golden eyes di Roxyz (/viewuser.php?uid=49495)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incrocio di sguardi ***
Capitolo 2: *** Nuove emozioni ***
Capitolo 3: *** Strani incontri ***
Capitolo 1 *** Incrocio di sguardi ***
Prologo
Non
era certo la prima volta
che mi trovavo faccia a faccia con la morte. Una parte di me la
bramava,
prima di lei tutto il mio essere la
aspettava ogni giorno. Adesso invece provavo persino paura. Tutto era
successo
così velocemente che non ero riuscito a controllarlo.
Sentivo
che non avrei provato
dolore, e il dolore non mi avrebbe comunque mai terrorizzato. Tuttavia
un dolore
profondo pulsava nel mio cuore, sapendo che mi trovavo di fronte ad un
abbandono più importante per me di qualsiasi altro momento.
Ma non c’era più
nulla da fare. Chiusi gli occhi e, con un sospiro, attesi quasi
impaziente che l'angoscia finisse, con la morte nel
cuore.
1
Un incontro inaspettato
Dannata
pioggia.
Come al
solito non stavo sognando, ma dormire era una delle mie
attività
preferite ed
essere interrotto, oltretutto da semplice pioggia, una delle cose che
odiavo.
Pensai con rammarico che il letto non era mai stato più
comodo e
la casa più calda e accogliente, nonostante non amassi
particolarmente il mio striminzito appartamento. Fortuna che c'era
l'indispensabile, e dopo aver sistemato la maggiorparte delle mie cose,
potevo almeno dire che era una riproduzione in miniatura della mia
vecchia casa. Ovviamente niente di paragonabile, visto che la mia
precedente abitazione era una splendida enorme villa. Sbuffai e andai
alla finestra. “Che tempaccio”, pensai. Mi voltai e
alla
vista
del calendario sperai di non averlo mai fatto. Era il primo giorno di
scuola in
quella stupida cittadina, Forks.
...”Perchè vuoi andartene?” Che
richiesta stupida...e irritante. Ma in
fondo lo comprendevo. Mia madre l’aveva già
abbandonato tempo fa, ed ora io lo
lasciavo nuovamente solo. Ma non ero tipo da sensi di colpa. Dovevo
andarmene.
E poi era ovvio che non avrebbe potuto mai capire era il mio bisogno di
libertà, anzi di solitudine. Mio padre era un uomo
semplice...
Mi
riscossi dai
miei
pensieri, pensando che non volevo prediche da professori o roba simile,
soprattutto non nel primo giorno di scuola. A dire il vero ero
leggermente
infastidito, non avevo il minimo desiderio di incontrare una mandria di
stupide pecore. Se non altro, la massa era sicuramente ridotta rispetto
alla mia metropoli nativa. Avevo passato l’estate in quell'
appartamento che era di mia madre,
evitando di fare conoscenze inutili, evitando di comportarmi da persona
educata quando non mi andava. Meno persone vedevo, meglio stavo. Mi
guadagnavo da vivere lavorando la sera
come pianista in locali. Amavo suonare il piano e quando udivo le dolci
melodie capaci di sprigionarsi nell'aria dalla semplice pressione sui
tasti, una pace quasi irreale m’inondava e non
m’importava più del resto del mondo.
Feci
colazione e lasciai
tutto sul tavolo. Per quel che poteva interessarmi, nella remota
possibilità che
qualcuno fosse venuto a casa mia, l’unica persona di cui mi
sarebbe importato
era colei che riposava in Paradiso, mia madre. Almeno questo era
ciò che
speravo. Com’era possibile che fosse diverso?
Girai
le chiavi nel pick up e
un assordante rumore mi inondò le orecchie. Amavo i motori,
ma per sopravvivere
i primi tempi avevo venduto la mia favolosa auto, ormai unico ricordo
della mia
vecchia vita, e con una parte mi ero comprato quel
“nuovo” orrendo rottame.
D’altronde la cittadina era fin troppo piccola e a poco
serviva una vera auto.
Però c’era qualcosa che amavo di Forks. Amavo quei
boschi fitti e oscuri, quell’aria
così pulita e silenziosa rispetto alla grande, per
dimensioni non certo perchè migliore, New York.
Arrivai
a scuola.
Avevo ovviamente previsto che non sarebbe stata come un liceo della
Grande Mela, e la cosa non mi dispiaceva. Un agglomerato di costruzioni
rosso scuro circondata dall' immancabile vegetazione, con l'insegna
"Forks High School". Niente di
diverso da ciò che avevo immaginato, e tutto sommato mi
piaceva,
con tutto quel verde e quella pace per me nuova. Di certo non avevo
avuto aspettative di alcun tipo. Ero sicuro che non ci sarebbe stato
niente di attraente nel mondo per me, da quandomia madre mi aveva
lasciato.
Mi
diressi verso la
segreteria, una donna dai capelli esageratamente rossi e grassoccia
attirò la mia
attenzione. “Ciao, posso esserti utile?”
“Buongiorno.
Mi chiamo Edward
Masen.”
“Ah
si certo, capisco. Riporta questi
moduli firmati alla fine della giornata. Benvenuto”.
Sul tavolo erano infatti sparsi, in un modo fastidiosamente
disordinato, una gran quantità di inutili carte, che mio
malgrado fui costretto a raccogliere. Mi dileguai velocemente dicendo
che non volevo essere in ritardo alle lezioni proprio il primo giorno.
Presi
la mappa della scuola e
la memorizzai velocemente. Prima ora, inglese. Ottimo, amavo la
letteratura.
Feci la conoscenza del professore e mi sedetti ad un posto vuoto senza
nessuno
accanto. Che fortuna, pensai. Niente scocciatori.
Il
tempo passò abbastanza
velocemente, riuscivo ad evitare chi cercava di attaccar bottone e
degli sguardi curiosi da cittadina di provincia non me ne importava
granchè. Vagavo distrattamente con la mente fingendo
attenzione mentre seguivo le lezioni, finché non fu ora di
pranzo. Giunsi in una sala piuttosto grande
rispetto alle aule che avevo visto sino ad allora. Andai a sedermi in
un posto vuoto, contento che ce ne fossero, incurante degli sguardi di
quasi tutta la scuola.
Una ragazza bruna e snella, dai tratti dolci ed evidentemente sicura di
sé, forse troppo, venne a
sedersi al mio tavolo. Doveva essere una popolare, perché
molti ragazzi si
girarono a guardarci infastiditi. A me tuttavia non interessava.
Stranamente,
le ragazze mi trovavano sempre attraente, nonostante non rivolgessi
loro la
minima attenzione. La ragazza si presentò e
cominciò a ciarlare incurante del
fatto che non le davo retta. Improvvisamente il mio sguardo
incrociò due occhi
profondi neri come la notte, grandi e meravigliosamente dolci.
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Capitolo 2 *** Nuove emozioni ***
Ringrazio chi ha recensito e
messo tra i preferiti..grazie sono stata a saltare per la contentezza
un bel pò! In effetti avevo paura che Edward fosse un
pò troppo depresso ma non ho potuto evitare di metterci un
qualcosa del mio stile...
2
Nuove
emozioni
Mi
sentii strano. Le occhiate
di chiunque mi infastidivano, ma non questa. E non fu la sola cosa ad
attirare
la mia attenzione. Non riuscivo a percepire le sue emozioni. Era un mio
sesto
senso, di cui andavo molto fiero, una delle poche cose di cui andavo
fiero, per
essere precisi. Lei era una pagina bianca, e nello stesso tempo una
pagina che
mi attirava come mai prima d’allora. Mi stupii di come una
perfetta sconosciuta
fosse in grado di scatenare in me tante emozioni nuove, diverse
dall’odio e
dall’indifferenza che mi accompagnavano da ormai troppo
tempo, che rivolgevo al
mondo intero e a me stesso, e anche di come in realtà
perdendomi nel buio dei
suoi occhi non mi importava nulla di questi che ero arrivato a
considerare
dettagli.
Ero
pericolosamente incantato
dalla sua bellezza. Sentendo gli altri occhi puntati su di me non avevo
alzato
la testa, ma questo era diverso, i suoi occhi erano una calamita. E non
riuscivo ad abbassare lo sguardo. Avvertii
inoltre un’istintiva sensazione di pericolo, come quando
metti una mano nel
fuoco e devi staccarla, e mi chiesi perché. Come potevo
essere in pericolo di
fronte ad un angelo così bello da mozzare il fiato?
Due
occhi grandi e profondi
di un nero scuro come la notte, capelli setosi che la luce risaltava in
un modo
spettacolare, pieni di boccoli candidi, labbra rosse e carnose, pelle
chiarissima e lineamenti perfetti. Era una visione paradisiaca, e
soprattutto speciale,
in qualche modo che non compresi. Diventò ancora
più bella ai miei occhi, se
possibile, quando mi accorsi della sua tremenda e tremendamente
irresistibile goffaggine.
La
vidi voltarsi di scatto e
sorridere a una ragazza bionda seduta di fronte a lei. Mi
sembrò che stesse
parlando, ma non ne ero sicuro. Non capii perché fossi
dispiaciuto, era una
ragazza qualsiasi, del resto. Almeno questo era ciò che mi
suggeriva la
ragione, ma nel profondo sapevo che non era come le altre. Un solo
sguardo
durato appena un istante era bastato a cancellare le mie sicurezze, la
barriera
di ghiaccio intorno al mio cuore era diventata improvvisamente fragile.
La
bionda si girò a guardarmi.
Era statuaria, impossibile negarlo, una bellezza algida, sovrumana. Ma
per me era
una qualsiasi. I suoi occhi, dello stesso colore dell’altra,
neri come la pece,
non mi attraevano. Notai che era infastidita, irritata, ma
poiché non mi interessava,
tornai alla realtà. Nel frattempo al mio tavolo era arrivato
un altro ragazzo,
che, distratto com’ero, non avevo avuto il tempo di notare.
“Accipicchia, primo
giorno e catturi già l’attenzione delle belle
della scuola. Grande Edward.
Dammi il cinque!” Nonostante sentissi il bisogno impellente
di lanciargli
un’occhiataccia, gli rivolsi un sorriso. Non mi era mai
risultato difficile
mentire, perché non c’era niente e nessuno capace
di coinvolgermi o intimorirmi,
e non lo fu neanche stavolta. Decisi di assecondarlo, per scoprire
qualcosa
dell’angelo seduto così distante. “E
dimmi, cosa sai delle belle della scuola?”
domandai nascondendo il tono ironico nella mia voce e fingendo un certo
interesse,
in parte era vero perché stranamente volevo sapere di quegli
occhi dolci e
profondi. La risposta non tardò ad arrivare. “Loro
sono Emmett, Alice e Bella
Cullen e Rosalie e Jasper Hale. Sono tutti figli adottivi del dottor
Cullen e
di sua moglie Esme. Rosalie Hale è proprio uno schianto,
vero?”
“Già.
Interessante...e dimmi,
chi è quella con i capelli castani?”
“Bella
Cullen...sì è una
favola anche lei, ma non pensarci nemmeno. E’ già
fin troppo strano che ti
abbiano rivolto un’occhiata.” Istintivamente la
ricercai con lo sguardo, e vidi
che cercava di trattenersi dal ridere. Che strano. Non
c’è dubbio che la
situazione mi apparisse anche un po’ divertente, anche
perché mi ero accorto
del fatto che il ragazzo, che avevo scoperto chiamarsi Mike, era un
po’ irritato,
ma era possibile che lei avesse ascoltato tutto? No, probabilmente
rideva per
fatti suoi.
Comunque,
la pausa pranzo era
finita, perciò mi alzai e andai a lezione. Biologia. Entrai
in classe, il
professor Banner mi presentò agli altri alunni e mi disse di
prendere posto,
dopo aver firmato il modulo. Notai con rammarico che non vi erano posti
completamente liberi, ma il dispiacere scomparve, non appena rividi
l’angelo
dagli occhi dolcissimi. Sentii di nuovo quella
strana sensazione, gli
occhi che
mi attraevano con la stessa forza con cui una calamita attira il ferro.
Si
stava accomodando con infinita grazia ma anche con la sua
caratteristica
goffaggine al suo posto, accanto a me. Non riuscivo a captare alcun
sentimento
sul suo viso paradisiaco, ma notai che stringeva i pugni e che
allontanò il suo
banco da me ulteriormente. Mi chiesi il motivo. Ero forse stato troppo
invadente? Pensai di scusarmi, ma mi trattenni. Cosa mi stava
accadendo? Perché
m’importava di questa ragazza?
La
curiosità occupava tutte
le zone del mio cervello, e non capii nulla della lezione, ma comunque
mi
sforzai di apparire intento a seguire.
Per
tutta l’ora rimase
impassibile, e mi sembrò che non respirasse, così
cercai di non badare a lei,
per quanto mi risultasse praticamente impossibile. Al suono della
campanella si
alzò dal banco a velocità inaudita, quasi stesse
scappando.
Prima
di riuscire a scappare
via evitando di essere travolto da tutta quella gente, la guardai
incantato e
curioso uscire dalla classe, e così rimasi impalato pochi
istanti davanti alla
porta. Mossa sbagliata. Mike fece la sua ricomparsa e mi diede una
pacca sulla
spalla. Avrei voluto prenderlo a pugni, chi diavolo era questo
irritante
ragazzo che si comportava come se mi conoscesse da una vita? Ma pensai
che non
era colpa sua se ero così irritabile, perciò
alzai gli occhi al cielo e
sospirai.
“Ti
piace proprio quella
Bella.”
Che
ragazzo fastidioso. “No,
mi è solo sembrata...strana. Volevi qualcosa,
Mike?”
“In
effetti volevo invitarti
a una minigita che sto organizzando. Edward, questo fine settimana
andrò a La Push con degli amici. Ti
va
di unirti a noi?”
Mentalmente
risi, pensando che
se mi chiedeva qualcosa del genere proprio non mi conosceva. Era
palesemente ovvio
che avrei rifiutato.“La Push?
Uhm...Non saprei...probabilmente dovrò lavorare,
sai...”
“Non
fare il difficile. Ci
sono la spiaggia, il bosco, le ragazze! Ci sarà da
divertirsi, te l’assicuro.
Allora, ci hai ripensato?”
Ma
sì, mi dissi. Forse avrei
potuto divertirmi, o almeno avrei potuto provare a rilassarmi un
po’. “Ci sto.
Sembra una bella idea. Grazie per l’invito, Mike.”
“Ti
farò sapere presto i
dettagli. Devo scappare adesso.”
‘Scappai’
anch’io, in modo da
non incappare in altri spiacevoli inconvenienti. Mi misi in macchina e,
con la
bruciante sensazione di uno sguardo penetrante, combattendo con il
desiderio di
sapere chi fosse, irrazionalmente sapendo che era lei,
tornai a casa con la massima velocità consentita dal mio
rottame.
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Capitolo 3 *** Strani incontri ***
Wow, quante recensioni!! Sono
commossa...scusate per i
miei errori, ma non sono mai stata una grande scrittrice sigh
;(...grazie anche
a chi ha messo tra i preferiti, un bacione grande grande.
3
Strani
incontri
Mentre mi trascinavo semi
incosciente verso il mio
appartamento, non riuscivo a levarmela dalla testa. Chi era questa
ragazza?
Perché mi attirava in un maniera tale da suscitare in me
tutt’altro che la
solita inevitabile freddezza? Concentrato nei miei pensieri cercando
disperatamente di capire cosa stesse accadendo, quasi non mi accorsi di
essere
arrivato a casa.
Avevo ormai capito che era inutile
tentare di
distrarmi, perciò decisi di confidarmi con la sola persona
che aveva sempre
avuto libero accesso al mio cuore e alla mia mente. Presi la foto di
mia madre,
con mano incerta, avevo paura di rovinarla. Rividi i suoi occhi verde
smeraldo,
più brillanti e preziosi di diamanti puri, rivelare un
calore e un amore per la
vita straordinari, persino nei giorni bui, persino nelle sofferenze. I
suoi occhi
erano uguali ai miei, era l’unico ricordo vivo che avessi di
lei, ma i miei
erano freddi, tristi, indifferenti, glaciali, talvolta persino
sprezzanti.
Se gli occhi sono lo specchio
dell’anima, la dicevano
lunga su di me. Un bravo osservatore avrebbe capito
senz’altro che non vivevo,
ma tiravo avanti nell’attesa della Morte,
nell’attesa del momento in cui
speravo ardentemente di raggiungere l’unica persona che
avessi mai amato. Ma
l’angoscia m’invadeva struggente, quando pensavo
che non sarei mai stato degno
di un tale premio. Con la mente viaggiai nei felici momenti passati.
Ormai,
disgraziatamente da sin troppo tempo, era l’unico modo per
trovare un po’ di
serenità, nonostante fosse mista alla nostalgia. Del resto
ero umano, e provavo
dolore.
Cullato dal suo dolce ricordo mi
incamminai verso il
cimitero. Un’altra cosa che amavo di Forks è che
la tomba di mia madre si
trovava lì. Il cimitero poteva apparire spettrale, era
ancora più verde del
resto della cittadina e in alcuni momenti quando era deserto poteva
sembrare
che il vento sussurrasse, ma a me trasmetteva un senso di speranza e
familiarità, e soprattutto non credevo alle leggende
soprannaturali e a varie
altre sciocchezze. Qualora ci fossero stati dei pericoli, la morte non
mi
preoccupava, non la fuggivo, non la scongiuravo. Accompagnato da un
debole
vento giunsi alla tomba di mia madre. Cercai di ricordare il suo dolce
e caldo
profumo, e cominciai a parlarle.
All’improvviso sentii una
strana risata stridula, e
vidi spostarsi una figura, con due occhi di un abbagliante e spaventoso
rosso
sangue. Cominciai a preoccuparmi, ma mi resi conto che forse non ero
davvero
immune all’atmosfera misteriosa e suggestiva del cimitero di
Forks. Tuttavia
una parte di me suggeriva che non era stata la mia immaginazione,
perciò,
ancora un po’ sconvolto, decisi di abbandonare il luogo che
mi stava
addirittura provocando spaventose allucinazioni e mi diressi verso
casa.
Accidenti. Qualcuno mi stava osservando, lei mi
stava osservando.
Combattendo con il desiderio bruciante di voltarmi e perdermi nel buio
dei suoi
occhi, evitai di controllare e alzai il passo.
Arrivato a casa, pensai di
pranzare, forse era la fame
a farmi vedere i fantasmi. Poiché non mi andava di mettere a
soqquadro la
cucina per avere in cambio qualcosa di misero e disgustoso vagamente
somigliante a del cibo, decisi di andare in un qualche posto fuori da
Forks,
chissà, magari un’aria nuova mi avrebbe giovato.
Mi stupii di come stavo
cambiando. Solo qualche giorno fa non avrei nemmeno preso in
considerazione una
simile eventualità. Perciò sperando che il
rottame ce la facesse imboccai
l’autostrada per Port Angeles. Mi fermai alla prima pizzeria
che trovai
davanti, sicuro che non facesse molta differenza. Errore, grave errore.
Entrai in un postaccio dalle
dimensioni quasi uguali a
quelle della mia cucina, umido e sicuramente il contrario del buon
gusto.
Chissà se non era meglio tornare a casa, pensai, se non
altro lì sapevo cosa
potevo aspettarmi. Ancora incerto sul da farsi, una voce che ormai
avevo imparato
a sopportare mi distolse dai miei pensieri.
“Che ci fai qui? Ti
facevo un tipo solitario,
Ed.”.
Ed? Come mi aveva chiamato?
L’irritazione stava per
farmi scattare i muscoli. Respirai e cercai di non essere troppo
scortese,
almeno non più del necessario, mi dissi.
“Buonasera anche a te.
Non avevo proprio voglia di
cucinare, oggi.”.
Ma forse era meglio se ci avessi
ripensato prima,
invece di finire in questa bettola e incontrarti, pensai evitando
accuratamente
e soprattutto faticosamente di tradurre ad alta voce le mie reali
intenzioni.
“Grandioso, allora!
Vieni, sono con degli amici. Ti
piaceranno, vedrai.”.
Certo, come no. Se erano suoi
amici, come avrebbero
potuto non piacermi? Mi feci trascinare ad un altro tavolo, dove
sedevano fin
troppe persone per i miei gusti. Qualcuno avevo già avuto il
‘piacere’ di
incontrarlo a scuola, ma gli altri erano tutti sconosciuti.
Emanavano un’aura diversa
dalla gente comune,
sembravano in simbiosi tra di loro, come fossero tutti fratelli. Erano
tutti
altissimi e muscolosi, con la pelle abbronzata e rossastra, parevano
quasi
degli orsi. Sicuramente mi incuriosivano più degli altri, ma
sentii da subito
di non poterci avere molto in comune. Ovviamente Mike non
tardò a presentarmeli
uno ad uno. Erano giovani Quileute della riserva indiana di La Push,
quasi
tutti di sedici anni, tranne due di diciassette ed uno di diciannove.
Faticai a
crederlo possibile, dimostravano tutti almeno venticinque anni. Pensai
che
forse ero troppo sconvolto per formulare considerazioni coerenti, e
probabilmente era anche per questo che avevo avuto l’assurda
idea di andare a
mangiare in un locale. Controvoglia ma inevitabilmente, mi sedetti al
loro
tavolo.
Una cameriera accorse al tavolo.
Una ragazza come le
altre, evidentemente sicura di sé, banale come non mai. Che
noia questa gente.
Mi venne in mente di nuovo lei, ma mi scossi dai
miei pensieri sentendo
la voce bassa e che tentava di essere attraente della
cameriera.
“Ciao. Cosa posso
portarti?”
“Buonasera. Mi scusi,
signorina, potrei avere un
menu?”
“Certo, arrivo
subito.”. Probabilmente tentando di
fare colpo, sfoderò un sorriso che probabilmente per
chiunque altro sarebbe
stato coinvolgente, ma che con me non faceva alcun effetto. Come al
solito
lasciai stare, ma non avevo calcolato Mike e le sue uscite
irritanti.
“Ehi Edward, hai visto
quella sventola?”
“Mh? Ah la cameriera.
Allora?”
“Ti ha lanciato
un’occhiata...”
Impiccione. Fatti gli affari
tuoi.“Non è proprio il
mio tipo.”
“Bè,
è un vero peccato. Sapete ragazzi, Edward attira in
un modo incredibile le ragazze. Beato lui, eh?”
“Già.”
“Dì la
verità, sei rimasto folgorato dalla splendida
Cullen? Non c’è che dire, ti accontenti di
poco!”
Colpito e affondato. Forse questo
Mike non era poi
così stupido. Certo che se credeva di zittirmi, non aveva
ancora capito chi era
Edward Masen... “Può darsi, Mike. E’ un
problema?”
“Ehi, ehi, tipo da
compagnia, sciogliti un po’, non è
il caso di scaldarsi troppo.” Questa voce era nuova,
com’era prevedibile. Mike
non sarebbe certo stato in grado di rispondere così.
Nonostante fossi un po’
sorpreso, trovai da subito irritante quel tono da controllore. Lo
guardai
istintivamente torvo, ma non volevo risse, per fortuna la voce di un
altro del
suo “branco” intervenì. “Su
calmiamoci, siamo tra amici qui, no?”
Certo, tra amici. Inaspettatamente
l’altro si calmò,
come avesse ricevuto un ordine da un suo superiore. Che strani tipi.
Dopo aver
ordinato ed essere rimasto ad ascoltare passivamente i noiosi soliti
discorsi
dei ragazzi con cui ero costretto a stare in quel momento
nell’attesa della
maledetta pizza margherita che sembrava non arrivare mai, mangiai
immerso nei
pensieri che quel giorno mi tormentavano senza sosta e tentai di
ripensare
lucidamente a quella strana visione al cimitero.
Finita la pizza, che non era poi
così immangiabile, ma
forse solo per la fame, decisi che potevo anche levarmi di torno questi
tipacci.
“Mike, devo proprio
andare adesso. Non vorrei far
tardi a lavoro. Spero che tu capisca.”
“Oh, certo. Ah comunque
sei sempre dei nostri per
sabato?”
“Come no. Potrei mai
rifiutare?”
“Certo che no”
Rise sguaiatamente. “Vieni davanti al
mio negozio sabato mattina. Pensi di potercela fare?” Ero
forse stupido? No,
era lui che era indecentemente seccante. “Sicuro. Ci vediamo,
ciao.”
Uscii sentendomi finalmente libero
e tornai
immediatamente al mio pick up. Per quel giorno ne avevo avute
abbastanza di
seccature, perciò alla massima velocità che
potevo ottenere dal mio mezzo
ripresi la strada del ritorno al paese che mi stava cominciando a
preoccupare
seriamente.
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