Cosa farei senza di te?

di AmyDuDy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'ultima partita ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Ogni animale ha il suo habitat: i leoni nella savana, le scimmie nella giungla, le balene nell’oceano… Bene, il mio è la palestra. Sono una specie rara, che vive per lo sport e soprattutto per il mio sport, la pallavolo. Potessi mi trasferirei in un palazzetto e vivrei lì, senza uscirne mai. Sarebbe sicuramente meglio che vivere in quel buco che è la mia camera, con quel gorilla di mio fratello. In palestra mi sento me stessa, come fossi libera di fare tutto ciò che mi piace senza essere giudicata dagli altri. Io, il pallone, il pavimento e rete. Tutto ciò che mi serve.
Peccato che non sia ancora arrivato il mio tempo di fare la barbona, ma devo vivere la mia vita da normale diciassettenne annoiata dalla scuola, dai genitori, dagli amici… dal mondo intero insomma.
E mi ritrovo a pensare a tutto questo mentre torno a casa da un’altra giornata di scuola durata fin troppo per i miei gusti. Sempre la solita routine: alzarsi alle 6, correre per prendere il bus, aspettare 20 minuti al freddo prima di entrare in quel luogo tanto adorato dagli adulti ma meno dagli studenti, passare 6 ore all’orlo di tagliarsi le vene, tornare a casa e mangiare all’ora beata per poi arrivare alla parte migliore, che consiste in una sana siesta e in un pesante allenamento in palestra. Ovviamente si sa che quando ti diverti il tempo vola mentre quando ti annoi sembra non passare mai. Come in questo momento: in piedi su un autobus troppo pieno, in bilico a ogni frenata. Ma chi me l’ha fatto fare di iscrivermi a una scuola così lontana?! Anche se la mia scuola non mi dispiace: l’indirizzo che ho scelto mi va a genio e i miei voti sono alti senza un grande sforzo. Ho sempre avuto la grande fortuna di una memoria fotografica, quindi senza studiare molto riesco ad arrivare al massimo dei risultati. Ovviamente non conta il fatto che vorrei fondare un nuovo indirizzo come si deve, con materie che veramente alimentano i sogni. Musica, storia della musica, che ai giovani d’oggi farebbe parecchio bene, al posto che ascoltare perennemente musica tunz tunz (che non sto dicendo non piacermi, solo dovrebbe essere integrata con musica seria), storia della pallavolo, teoria di pallavolo, pratica di pallavolo, più ginnastica, lingue straniere. Queste sarebbero le materie per una scuola di successo. Ma ancora non ho esposto la mia idea a nessuno, quindi devo accettare ciò che c’è.
Una frenata brusca mi fa risvegliare dai miei pensieri e quasi dare una facciata al vetro anteriore del bus. Sono stufa di viaggiare in questo modo! Fortunatamente due fermate e scendo.
A casa dopo un pranzetto fatto dalla mia mamma, un pisolino di un’ora e mezza non me lo toglie nessuno. Se non dormo arrivo ad allenamento a mo’ di zombie e ciao ciao che faccio qualcosa di buono. Già questo non è un buon periodo per me: ho avuto diversi problemi con un allenatore e ho dovuto cambiare squadra a metà anno, ma quel deficiente mi ha buttato talmente giù che ormai non ho più fiducia in me stessa, e gli allenamenti delle ultime due settimane non hanno aiutato. Come palleggio sono peggiorata, come libero peggio ancora. E perché tutto questo? Perché negli ultimi mesi mi sono allenata da libero cambiando i miei modi di fare in peggio e ho perso la buona manualità che avevo da palleggiatrice. È stata una catastrofe insomma. Così ho perso tutta la voglia che avevo di uscire di casa e andare in palestra a farmi il mazzo tanto. Per cosa poi? Essere criticata qualsiasi cosa io faccia. Non fraintendetemi: non ho perso l’amore per la pallavolo, solo ho perso il mio sogno. Perché poi è di questo che si parla: se viene infranto un sogno, chi può ritirarti su? Nessuno, se non te stesso. Ma in questo momento non ho proprio la forza di tirarmi su. Mia madre è triste, perché vede che mi manca la voglia di fare ciò che ho sempre amato e che mi ha sempre spinto ad andare avanti negli ultimi anni, ma non posso farci molto. Ormai il gioco è fatto. Ho deciso di smettere l’anno prossimo e risparmiare un po’ di soldi per l’università. Ovviamente sarà dura, ma è la cosa più giusta. Sono stanca di stare male per qualcosa che posso evitare.
E ora sono in palestra, come al solito in anticipo, ad aspettare le mie compagne, mentre guardo l’allenamento prima del nostro dei ragazzi. Hanno un’allenatrice fantastica e sono uno squadrone. E poi è ovvio che guardare ragazzi della mia età alti di media un metro e ottantacinque con dei fisici fantastici non mi fa mica male. Con alcuni di loro ci conosciamo già di vista a forza di incrociarci in palestra, ma non ho mai parlato con nessuno di loro.
Quando i ragazzi hanno finito vado a vedere a che punto sono le mie compagne in spogliatoio, e come al solito le trovo a fumare. Non ho problemi con chi fuma, ma non si fa subito prima e subito dopo l’allenamento, si rovinano i polmoni il triplo! Poi io sono dell’idea che se fai uno sport a livello agonistico non bisognerebbe fumare; ma ormai lo fanno tutti, persino in nazionale.
Inizio a entrare in palestra da sola, mi siedo a terra in un angolo e fisso il campo. Non posso credere che tra qualche settimana tutto questo sarà finito… Mi salgono le lacrime agli occhi solo a pensarci. Le partite, gli allenamenti, le lunghe trasferte, la felicità di un ace, di una grande alzata, di una difesa impossibile. Tutto. Mi sale il magone.
Per evitare di pensare prendo una palla medica e mi metto a muro mentre allenatore e compagne iniziano ad arrivare. Inizia l’ennesimo allenamento…

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Capitolo 2
*** L'ultima partita ***


Un altro allenamento di merda, un’altra serata in cui mi sento uno straccio. Ecco cosa comporta la mia vita negli ultimi tempi.
Fortunatamente sabato pomeriggio abbiamo l’ultima partita del campionato, in casa.
Il mio migliore amico tutte le volte che gli espongo questo mio problema la fa facile: mi dice che basta che smetto per un po’ e poi andrà meglio, che devo impegnarmi… Facile per lui, non ama ciò che fa quanto me, non può capire. Mi ha comunque promesso di esserci sabato, in caso avessi bisogno di un sostegno morale. Lui c’è sempre quando ho bisogno. Porterà anche quella rompipalle della sua ragazza. Non fraintendetemi: non la sopporto non perché stia con lui, ma perché è stupida, superficiale e snob. Non so proprio come faccia a sopportarla. Non so neanche come faccia a sopportarsi da sola! Vabbeh, basta che ci sia lui e tutto andrà bene.

 
****

Sabato, ore 17. Sono davanti al palazzetto e non riesco ad entrare. Sono bloccata dal pensiero fisso che questa sarà l’ultima partita della mia vita, e probabilmente non metterò neanche piede in campo. Fantastico.
Le mie compagne sono appena entrate a cambiarsi. So che prima di noi c’è una partita di una delle maschili, come tutti i sabati. Almeno posso prendermi un po’ di tempo qui fuori, seduta su una panchina sotto il piccolo salice piangente davanti al palazzetto. Ho sempre adorato sedermi qui sotto, ti estranea un po’ dal mondo vedere un po’ di verde intorno. La prima volta che ho visto questo salice avevo 10 anni, ed è stato uno dei motivi per cui ho iniziato a giocare a pallavolo in questa società. Poi crescendo le palestre sono cambiate e ormai facciamo solo più le partite qui, e il mio alberello lo vedo poco. Ma da domani in poi non lo vedrò più se non da lontano, passando fuori dai cancelli e riguardando quel posto che mi ha sempre dato tante emozioni. Senza accorgermene un groppo mi sale in gola, e una lacrima scappa dai miei occhi. Mannaggia alla mia sensibilità. Forse è meglio entrare.
Mi alzo per andare in spogliatoio e mi accorgo della presenza dei ragazzi della maschile già cambiati che stanno andando via. Bene, sono in ritardo. Ma le mie gambe si rifiutano di entrare in quel dannato palazzetto per l’ultima volta. Sono qui, in piedi, a 10 metri dalla porta d’ingresso che guardo in alto e ammiro quella struttura come fosse la Cappella Sistina. Sì, devo proprio sembrare una deficiente. Ma quante volte sono stata lì dentro senza ammirarlo mai da fuori? Un’altra lacrima mi riga il volto. Muovo subito la mano per asciugarla ma in un attimo un ragazzo alto il doppio di me esce di corsa dalla palestra e mi travolge con il borsone facendomi quasi cadere.
<< Ehi! >> gli grido. Mi ha fatto male!
Lui prontamente si gira a guardarmi per chiedermi scusa, ma inizia a fissarmi con uno sguardo stralunato e la bocca aperta. Che ha da fissarmi a quel modo questo tipo! Non sono una bellezza californiana, ma neanche un mostro, quindi potrebbe anche evitare di fare quella faccia.
<< Beh, che hai da guardare? >> gli chiedo stizzita, accorgendomi solo ora che il mio tono di voce è quello di un trans con il mal di gola. Bella figura Loia, bella figura. Oltretutto con un figo del genere! Perché sì, ho avuto il tempo di guardarlo già in allenamento, ed è uno dei più attraenti della sua squadra. E sta continuando a fissarmi, ma almeno ha chiuso la bocca. Fa un passo verso di me con fare incerto, mentre io lo guardo fare senza capire.
<< Ma stai piangendo? >> mi chiede. Cavolo! La sua spinta mi ha impedito di asciugarmi, e sicuramente ho gli occhi che sembrano due palline rosse da biliardo.
<< No no! È solo un po’ di allergia... >> gli rispondo passandomi la manica della tuta sugli occhi. Continua a fissarmi, non è convinto della mia scusa. Poi improvvisamente, come spinto da un fantasma, si riallontana di un passo e sorride.
<< Okay >> dice, alzando le spalle ed andandosene. Okay, quel tipo è decisamente strano. Lo fisso finchè non arriva dai suoi amici, poi la mia attenzione viene richiamata dal mio allenatore che, uscito dalla palestra, mi sbraita contro il fatto che io non mi sia ancora cambiata e le altre stiano già facendo riscaldamento. Vengo strattonata dentro e vado a cambiarmi di corsa. Quando esco dagli spogliatoi sugli spalti ci sono alcuni ragazzi della squadra maschile che era appena uscita. Perché devono stare qui? Chi li ha invitati? Ma alla fine non ci bado più di tanto.
Fatto riscaldamento, il saluto e poi fischio d’inizio. I ragazzi non si smuovono dalle loro sedie.
Come previsto non sono nel sestetto iniziale, ma ormai non mi dà neanche più fastidio stare in panchina. Primo set perso 25 a 18. Nel secondo l’allenatore decide di mettermi in campo. Quando gioco non penso a nulla se non “palla in 4”, “primo tempo”, “dietro”, “tesa”. E il secondo set passa, vinto 25 a 23. Nel terzo sono di nuovo in panchina, ma al disastroso punteggio di 23 a 14 per le avversarie, vengo inserita. Certo che non posso fare miracoli e il set è perso. Fortunatamente l’allenatore ha capito che forse è meglio se sto in campo, e i due set successivi li vinciamo, arrivando a finire il tie break per 15 a 11. E i ragazzi ancora non si sono smossi da lì, anzi hanno guardato tutta la partita e ora non accennano a muoversi, al contrario di tutti gli altri spettatori che stanno imboccando la via d’uscita. Non ci sto a pensare molto, magari avranno una partita con la squadra degli adulti più tardi.
Appena finito lo stretching corro dal mio migliore amico e lo abbraccio di slancio. La sua ragazza mi fissa in cagnesco, ma chissene, c’ero prima io e per lui sarò sempre più importante. Mi fa i complimenti per come ho giocato, e senza farsi sentire fa apprezzamenti sui fondoschiena delle mie compagne. Quanto lo adoro quando fa così il pervertito, perché in realtà è la persona più dolce del mondo e lo fa solo per sembrare figo. Purtroppo però deve scappare a casa e se ne va con la sua ragazza. Mia madre sta parlando con altri genitori. Dovrei andarmi a cambiare, ma la voglia di togliermi questa divisa di dosso è proprio poca. Mi siedo al posto in seconda fila dove stava prima il mio migliore amico e fisso la palestra. Lo so di essere sentimentalista, ma non ce la faccio proprio a lasciare questo posto che per me ha voluto dire così tanto. E così i ricordi iniziano a scorrere, e tutto quello che ho intorno scompare, e con i ricordi scorrono anche le lacrime. Lacrime silenziose che sfuggono dai miei occhi e che non ho tempo nè forza di asciugare. Che gli altri mi vedano pure piangere, non mi importa, perché lo sto facendo per la cosa che più amo al mondo, l’unica cosa per cui vale davvero farlo. Come avesse un timer e una calamita, il tipo “strano-figo” di prima mi passa davanti. E figurati se non mi vede.
<< Allora vedi che stavi piangendo? >> mi dice con tono canzonatorio. Non posso far altro che sorridere. Lui continua a fissarmi, ci pensa un attimo e poi si siede accanto a me.
<< Tutto a posto? >> mi chiede un po’ più serio di prima. Non riesco a girarmi a guardarlo e neanche a rispondergli, ma continuo a fissare il campo.
<< Beh, è ovvio che qualcosa non va, a meno che tu non sia una fontana >>. Sorrido di nuovo spontaneamente, e finalmente mi giro a guardarlo. Il sorriso che aveva sul volto si spegne. << Vuoi parlarne? >>. Come può aspettarsi che io racconti tutta la mia vita a un estraneo?
<< No, grazie >> gli dico senza sembrare scontrosa, e torno a fissare il campo. Lui non si muove, ma gira lo sguardo e fissa il campo con me. E rimaniamo lì, per un tempo che a me sembra lunghissimo, a fissare il campo, uno accanto all’altro, come due ciechi che guardano davanti a loro con occhi assenti. Quando mi accorgo che ancora non si è mosso, inizio a fissarlo.
<< Che ci fai ancora qui? >> gli chiedo con la faccia impassibile.
<< Sto aspettando qualcosa di eclatante sul campo: visto che lo guardi vuol dire che prima o poi dovrà succedere qualcosa. E da qui c’è un’ottima visuale >> dice tranquillamente. Non capisco se questo tipo ha dei seri problemi o sta solo cercando di tirarmi un po’ su il morale. Anche se non sono affari suoi di come sto. Però questo suo starmi affianco, è un gesto carino da parte sua.
<< Allora stai aspettando invano: non accadrà nulla di nulla fino alla prossima partita >> gli rispondo tranquillamente, ormai con un sorriso stampato in faccia.
Sorride anche lui. << Beh, peccato. Anche perché la prossima partita devo giocare e mi perderò lo spettacolo >>. Sì, sta decisamente cercando di tirarmi su il morale, e ci sta riuscendo alla grande.
<< Tranquillo, anch’io me lo perderò >>. Il mio sorriso scompare. << E per sempre… >>. Un’altra lacrima.
<< E no, dai! Ce l’avevo fatta a farti smettere! >> mi dice lui contrariato. Non posso far altro che tornare a sorridere. << E poi se proprio hai tutta questa voglia di vedermi giocare, basta che me lo dici e ti invito alla prossima partita! >>. Gli tiro un buffetto sulla spalla. << Ahi! Con questa tua violenza non potrò più giocare, poi! >>. Ora non posso far altro che ridere. Come ha fatto un estraneo a farmi cambiare umore così rapidamente?
<< A parte gli scherzi, posso sapere perché piangevi? Ed ho capito che centra la pallavolo… >> mi chiede lui smettendo di ridere. Torno a fissare il campo.
<< Scusa, ma proprio non ho voglia di parlarne in questo momento >>.
<< Sicura? >>. Annuisco.
Sospira. << Va bene, allora facciamo così >> dice tirando fuori dalla tasca il telefono. << Dammi il tuo numero, così ti faccio uno squillo e hai il mio,e quando avrai voglia di parlarne basta che mi chiami >>. E così faccio, gli dico il mio numero ma una domanda gli sorge spontanea: << Con che nome ti devo salvare in rubrica? >>.
<< Loia >>.
Mi guarda stralunato. << Che nome è? >>.
<< Il mio! Non è colpa mia se i miei genitori hanno troppa fantasia >> gli rispondo stizzita.
<< Scusa… è un bel nome comunque. Inusuale, ma bello >> dice sorridendomi.
<< E io come ti devo salvare? >>
<< Andrea-il-superfigo-che-mi-tira-su-il-morale >>
<< Poco modesto, mi dicono >>
<< Bisogna essere oggettivi nella vita >>. Ridiamo entrambi.
<< Comunque, ti va di fermarti a vedere la partita? Inizia tra un’ora e mezza. Ho mezz’ora di niente da fare ora. >> mi chiede. Penso seriamente di rimanere, anche perché mi viene difficile uscire volontariamente dal palazzetto, ma è meglio se taglio il cordone ombelicale e me ne vado una vola per tutte.
<< Grazie, ma non posso proprio >>
<< Sarà per la prossima volta >>. Non lo contraddico. Non gli dico che per molto tempo non ho intenzione di entrare in una palestra per vedere una partita di pallavolo. Dirglielo comporterebbe dovergli spiegare anche tutto il resto, e riiniziare probabilmente a piangere.
<< Ora è meglio che mi vada a cambiare >> gli dico alzandomi. << Grazie per... beh, per avermi tirata un po’ su >>
<< Di nulla >> mi risponde lui con un sorriso.
Mi avvio verso gli spogliatoi, ma prima di voltare l’angolo mi giro a guardarlo. È ancora lì seduto che mi fissa, in una posizione più che comoda e con un ghigno sul viso. Gli sorrido e vado a cambiarmi.

 

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