Mutanti ed eroi

di laura_souffle_girl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eroi e mutanti - parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***



Capitolo 1
*** Eroi e mutanti - parte 1 ***


eroe Prefazione: una piccola introduzione...

La storia che avete di fronte è ambientata nell'universo della "Whateley Academy", una ambientazione inventata da un gruppo di scrittori online di storie a tema transgender.
Sostanzialmente è quello che salterebbe fuori se buttaste X-Men ed Harry Potter in uno shaker con un pizzico di Miti di Cthulhu e una sana dose di temi LGBT.

Si, è esattamente folle quanto sembra.

A questo proposito, riporto qui il disclaimer ufficiale per le fanfiction su Whateley:

"This is fan fiction for the Whateley Academy series. It may or may not match the timeline, characters, and continuity, but since it's fan fiction, who cares?"


Il che dovrebbe dire molto.

Ci tengo a sottolineare che nulla, in questa storia, è da considerarsi canon nell'ambientazione.

Capitolo 1: Eroi e mutanti

Ottobre 2011, da qualche parte nella periferia di Washington DC, USA

"Ancora con quei fumetti?"

Alex alzò gli occhi dall'ultimo numero di Avengers, facendo cenno all'altra persona di sedersi accanto a lui. Ellen si aggiustò i corti capelli castani e accettò l'invito.

"Non troverai mai una donna a forza di perdere tempo su quella roba sai?" disse, posando il vassoio della mensa sul tavolo, e scartando le posate di plastica.

Alex posò il fumetto sul tavolo accanto al proprio vassoio, appena in tempo per veder arrivare il terzo elemento del loro gruppetto: Richard, un ragazzo alto e grasso dagli spessi occhiali.

Loro tre erano il gruppo fisso degli outsider in classe, dato che non erano per nulla parte dei gruppi socialmente "in". Richard perchè era notoriamente gay, Ellen per via del suo atteggiamento da "ragazza ribelle punk" e Alex a causa della sua ossessione per due cose: i fumetti e la storia.
In effetti, non è che fossero proprio un gruppo bene assortito. Ma la loro sorte comune li aveva spinti a stare insieme e col tempo erano diventati amici.

"Avete sentito di Detroit?" chiese Richard.

Gli altri annuirono. La sera prima, un gruppo di terroristi mutanti aveva attaccato una scuola a Detroit. Avevano preso in ostaggio gli alunni e i negoziati per il loro rilascio erano ancora in corso.

"Ci vorrebbe qualche squadra di supereroi come si deve. Loro si che li tirerebbero fuori dai guai." commentò Alex.

"Cosa? Quella è gente matta. Mutanti che si montano la testa, si sbattono addosso un costume e giocano a fare gli eroi. Follia." rispose Richard.

"Eppure qualche volta vengono bene, anche alla polizia."

"Bah. Leggi troppi fumetti Alex. Torna alla realtà: quelli non sono eroi. Sono ragazzi che scherzano con la loro vita."

Ellen nel frattempo stava mangiando il suo purè di patate, guardando la scena divertita.
"Uff. Maschi." ridacchiò. "Sempre a pensare a eroi e cattivi..."

I due ragazzi la guardarono con un'aria esageratamente ferita.

"Comunque i mutanti eroici esistono." disse Alex.

"Oddio adesso non ricominciare, eh?" disse Ellen, aspettandosi l'ennesimo sproloquio su quanto sarebbe bello avere i superpoteri.

"Che schifo. Come faranno mai a piacervi i mutanti!" disse una voce femminile. Era Carey, la sorella gemella di Ellen. Tanto identiche erano nell'aspetto, tanto diverse erano nella personalità.

"Lo sanno tutti che i mutanti sono pericolosi. Non mi avvicinerei nemmeno per sbaglio a gente così. Una volta in TV ne ho visto uno con il corpo di lumaca! Era orribile!"

"Oh povera sorellina. Cosa farai quando il mutante cattivo ti verrà a mangiare?" le disse Ellen, sprezzante.

"Già. Dicono che David, il mio vicino di casa, sia un mutante sai? Dicono che è per quello che non viene più a scuola e non esce mai. Però aveva un debole per te una volta." disse Richard con un ghigno. "Secondo me, un giorno ti troverai i suoi tentacoli viscidi nel letto."

Carey lo guardò con un'espressione a metà tra l'orrore e lo sdegno.
"Voi siete malati, ve lo dico io." ripetè, prima di voltarsi e allontanarsi a passo rapido.

I tre si guardarono e scoppiarono a ridere sguaiatamente. Prendere in giro Carey era l'attività preferita di Ellen, e le riusciva benissimo.

Sfortunatamente, loro tre erano tra i pochi a non avere un'opinione negativa dei mutanti. La maggior parte del mondo la pensava esattamente come Carey, e si premurava di far notare questa opinione ad ogni occasione. I mutanti venivano scacciati dalle famiglie, dalle scuole, non trovavano lavoro nè partner. Erano reietti.
Richard guardò l'orologio a muro. "Meglio finire di mangiare, prima di fare tardi alle lezioni."

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Tornato a casa Alex si alzò dalla poltrona ed aggiunse il fumetto appena finito alla lunga fila di albi che, in perfetto ordine, si susseguivano nella libreria di camera sua. Con la massima cura si assicurò che non potesse cadere, sgualcendosi.

Sullo stesso scaffale stavano, fianco a fianco, fumetti di ogni genere e libri. La maggior parte parlavano della seconda guerra mondiale.
I suoi occhi caddero sullo scaffale più alto. Un piccolo spazio dedicato al suo eroe, l'uomo che più aveva adorato al mondo. Prese in mano una vecchia foto in bianco e nero in una semplice cornice di legno, ritraeva cinque uomini in uniforme da paracadutisti. Seconda guerra mondiale. Francia, dintorni di Bastogne. Al centro della foto, seduto sui resti di un Panzer tedesco, un ragazzo con i capelli scompigliati: suo bisnonno, il Sergente Rupert Hess. Meglio noto con il nome in codice di Stalker.

Non è che al tempo di suo bisnonno i mutanti godessero di fama molto migliore che nell'anno 2014, ma gente con le loro capacità era un "male" necessario in guerra. E Rupert Hess era il miglior soldato mutante degli Stati Uniti.

Tanto per cominciare, era della 101ma paracadutisti: una leggenda della guerra, duri come roccie e pronti al peggio. In più suo bisnonno aveva il potere di diventare invisibile nelle ombre e sgusciare alle spalle di chiunque.
L'avevano messo a capo di una unità speciale all'interno della compagnia. Tutti mutanti. I "Cacciatori di Hess" li chiamavano.

Alla sua destra, nella foto, un uomo di colore alto e snello. Nome in codice: Deadeye. I suoi riflessi sovrumani lo rendevano il miglior cecchino della compagnia. Poi c'era Tank, tre metri di altezza e così forte da sradicare un albero. Blaster, capace di sparare raggi di energia. E infine Gearhead, l'esperto di demolizioni nonchè in grado di mettere insieme qualunque congegno meccanico a partire dalle cose più improbabili.

Alex fissò la foto per un momento, poi la posò di nuovo al suo posto, vicino ad un'altra cornice che conteneva la mostrina della 101ma, con la testa d'aquila, che era appartenuta a suo bisnonno.

Un giorno sarò come te. Pensò. Sarò alla tua altezza.

La maggior parte dei suoi familiari non volevano pensare a Stalker. Discendere da un mutante era per loro una vergogna da nascondere. Ma non per lui. Lui ricordava i lunghi pomeriggi passati a parlare con sua bisnonna Betty, quando gli raccontava dei pochi mesi trascorsi con suo bisnonno.

Era una storia quasi da film. Nelle settimane dopo il D-Day, i Cacciatori si erano mossi davanti alla forza principale tagliando le linee nemiche come burro. Avevano fatto saltare casematte e catturato ponti. Alla fine, i tedeschi avevano dovuto mandare loro contro un'altra unità di mutanti. Lo scontro, a detta dei testimoni, fu epico. E i Cacciatori ebbero la meglio, anche se suo bisnonno rimase ferito.

Passò un mese in un ospedale da campo e lì conobbe sua bisnonna. Il soldato e l'infermiera, un classico senza tempo. Fu amore a prima vista e il giorno prima del suo ritorno al fronte, Rupert Hess sposò Betty Hamilton.

Fu l'ultima volta che si videro. Rupert combattè a Bastogne, in Belgio, partecipando alla storica difesa della cittadina. Pochi giorni dopo aver scattato quella foto, Rupert morì. Dove fallirono i tedeschi e l'inverno, riuscì un bombardamento d'artiglieria alleata fuori bersaglio.

Con tutta l'ironia del mondo, a uccidere Rupert Hess, detto Stalker, fu un proiettile calibro 105, 100% made in USA.

Alex aveva sempre desiderato seguire i passi del bisnonno. Una volta diplomato, voleva entrare nell'esercito. Un metro e ottantuno, ben piantato sui piedi, vista impeccabile. L'avrebbero ammesso di sicuro. E una volta lì, avrebbe servito il suo paese come Stalker prima di lui.

Ma a volte, la sera, nel buio della sua camera, immaginava qualcos'altro. Sognava un giorno di scoprire di avere i poteri di suo bisnonno. Dove altri avrebbero rabbrividito all'idea di diventare un mutante, Alex la accarezzava come un sogno proibito. Come sarebbe stato scivolare tra le ombre, inosservato, alle spalle di qualche supercriminale? Oppure volare nel cielo, o scagliare raggi di luce come i compagni di Stalker?

Una volta, a otto anni, sua madre gli chiese cosa voleva fare da grande. Lui rispose: "Il supereroe.". A volte rideva ancora della sua ingenuità, eppure... A sedici anni il sogno, in fondo, non era mai morto davvero.

"Forza Alex, alzati. Farai tardi a scuola!" gli gridò sua madre.

Alex imprecò tra sè e sè alla fitta di mal di testa che quella frase gli provocò. Si sentiva solo vagamente sveglio, aveva la testa nel pallone, le tempie che gli pulsavano e tutti i muscoli indolenziti. Sembrava quasi come la mononucleosi che aveva avuto l'anno precedente, solo mille volte peggio.

Tentò di alzarsi a sedere, ma la stanza prese a girare e ricadde pesantemente sul cuscino.

"Mamma non sto bene." biascicò. "Credo di essermi beccato qualcosa. A scuola gira l'influenza."

Sua madre Lara si sedette vicino a lui e come ogni chioccia che si rispetti gli posò la mano sulla fronte esclamando "Sei caldo! Devi avere la febbre!"

Alex rispose solo grugnendo.

"Resta a casa, chiamerò io la scuola. Io devo andare al lavoro, fammi sapere se peggiora."

Lui si girò dall'altra parte e si riaddormentò.

Oscillò per un lungo periodo di tempo tra sonno e veglia. Era solo vagamente cosciente del suo corpo dolorante ed ogni tanto delle voci gli arrivavano dal mondo della veglia, un luogo che sembrava un altro universo.
Alla fine, perse i sensi completamente.

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Quando Alex si riprese, si rese conto di essere perfettamente sveglio e che il corpo non gli faceva più male. Tutti i dolori erano passati. Eppure, qualcosa non andava.

"Alex" disse sua madre, da qualche parte alla sua destra. "Sei cosciente. Stai calmo, chiamo il dottore."

Lui aprì gli occhi e vide bianco ovunque. Una camera d'ospedale. Cosa era successo? Era così grave?
Girò la testa e guardò sua madre. I suoi lunghi capelli rossi erano scompigliati, e aveva gli occhi cerchiati di scuro. Sembrava stanchissima. E preoccupata.

Una donna di mezza età, di colore, fece il suo ingresso nella stanza. Aveva un camice bianco e un badge di plastica al taschino. Il medico, evidentemente.

"Alex, sei cosciente. Bene! Ora rilassati. Hai avuto... un brutto episodio."

Lui la guardò, poi si sollevò a sedere. Subito avvertì un peso strano sul suo petto, e una cascata di capelli gli cadde davanti al viso.

"Cosa... Che..." mormorò, spostandoli di lato. Poi guardò giù e vide... un corpo...

Era il suo corpo. OK. Ma al contempo non lo era. Era un corpo di donna, e lui lo stava guardando dal di dentro!

"Ma che diavolo!" esclamò, in una voce che non gli apparteneva. "Sono..."

"Alex calmati, è tutto ok." disse sua madre preoccupata.

"Cosa? Ma sono... sono una..." ripetè

"Si, immagino tu l'abbia notato. Ora ascoltami." iniziò il medico. "Sono la Dottoressa Tanya Grant. Ti hanno ricoverato qualche giorno fa. All'inizio avevi la febbre alta ed eri incosciente. Non ci capivamo molto. Poi però... hai cominciato a cambiare."

Un pensiero si fece strada nella mente di Alex. Un'idea spaventosa e al contempo stranamente attraente.

"Sono... sono un mutante?"

La dottoressa lo guardò, poi dopo un attimo annuì.

"Così pare. Deve essere dura."

"Quanto... sono cambiato?" disse, poi azzardò di nuovo uno sguardo in basso. Era una ragazza. Una vera e propria donna. Sollevò due braccia più esili di quelle che ricordava, senza peli. Il peso sul suo petto era esattamente ciò che temeva: un paio di seni. Più giù non poteva vedere, coperto com'era dalle lenzuola.

"Beh credo tu abbia notato che ora sei... una ragazza..." disse la dottoressa. "Mi dispiace, sul serio."

Alex si alzò dal letto ancora incredulo. Poteva sentire tutte le sue nuove curve spostarsi coi suoi movimenti. Non sentiva la stanchezza o la spossatezza che si sarebbe aspettato dopo quello che aveva passato. Al contrario, si sentiva al massimo della forma fisica, pieno di energia, come se in qualche modo il suo nuovo corpo fosse una macchina perfettamente progettata.

Si diresse ad uno specchio alla parete e guardò il suo riflesso.
Lo colpì la somiglianza con sua madre. In qualche modo, il suo cambiamento doveva aver dato libero sfogo ai suoi geni irlandesi, perchè di fronte ad Alex stava una ragazza dai folti ricci rossi e dai penetranti occhi verdegrigi. Una spruzzata di lentiggini decorava un piccolo naso. Poteva vedere la somiglianza col vecchio Alex, certo. Ma nel complesso, la sensazione era quella di guardare un fiore appena sbocciato. Dove prima c'era un ragazzo bruttino, ora stava una ragazza che avrebbe certamente attirato la sua dose di sguardi. Specialmente con quel seno appena più generoso del solito per una persona della sua età.

"Sono... davvero io? E' così incredibile..."

Alex sapeva che avrebbe dovuto sentirsi inorridire dalla prospettiva di essere una donna. Eppure non riusciva a staccare la mente da un pensiero fisso:

Sono un mutante. Probabilmente ho dei poteri.

Sua madre gli si avvicinò, adesso solo di pochi centimetri più bassa di lui.

"Va tutto bene tesoro?" chiese, visibilmente preoccupata.

Alex si voltò, con uno sguardo ancora incredulo. "Credo... credo di si. Per ora."

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Alex venne dimesso la sera del giorno stesso, dopo un attento esame medico.
Aveva scoperto che il suo periodo di incoscienza era durato ben tre giorni. Alla fine della prima giornata, sua madre era tornata a casa dal lavoro e l'aveva trovato in una pozza di sudore, con i primi cambiamenti già visibili. Aveva chiamato immediatamente i medici ed era stato ricoverato.

Dalla visita medica, decisamente più scrupolosa di quel che avrebbe gradito dato che comportò anche un esame ginecologico, Alex apprese di essere ora alto un metro e settanta, di essere in linea con le tappe della pubertà di una ragazza (sigh) della sua età, di doversi aspettare che lì sotto tutto funzionasse a dovere, compreso un probabile ciclo (doppio sigh) e la possibilità di restare incinta (triplo sigh). Ah, scoprì anche di essere completamente una rossa.
In compenso, nonostante alcuni test di base, nessuno riuscì a dimostrare che Alex avesse dei poteri.

All'uscita dall'ospedale, gli sembrava di essere stato sputato fuori da una lavatrice. Era anche un po' deluso dal fatto di non aver scoperto ovvi poteri, non che avesse intenzione di gettare la spugna: avrebbe sperimentato un po' una volta a casa.

"Alex, bisogna che mi ascolti bene." disse sua madre con un tono grave, una volta in viaggio verso casa.

"Se tu raccontassi cosa è successo, saremmo immediatamente i bersagli di tutta la città. Dobbiamo andarcene. Domani chiederò il trasferimento a un'altro ufficio. New York, probabilmente. Una volta là, ci comporteremo come se nulla fosse successo, e tu sia esattamente quello che sembri: una normale ragazza adolescente."

Alex la guardò colpito.

"Cosa? Ma mamma... e i miei amici? La scuola?"

"Devi capire che la tua vecchia vita è finita, Alex. Non possiamo permetterci che la gente sappia che sei un mutante. A questo proposito, finchè resteremo in città tu sarai per tutti tua cugina Daisy. Non è mai venuta a trovarti qui e nessuno la conosce di persona." proseguì lei.

"Ah, e un'altra cosa. Da questo momento, voglio che tu impari a riferirti a te usando il femminile. Devi abituarti finchè ne hai la possibilità, o qualcuno rischierebbe di sospettare qualcosa."

In auto cadde il silenzio, mentre Alex contemplava la fine della sua vita come la conosceva.

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Alex sedeva sul letto di camera sua, rigirandosi tra le mani la foto del bisnonno, desiderando ardentemente che lui fosse vivo. Lui si che avrebbe potuto consigliarlo.

Il suo sogno proibito si era avverato. Aveva ricevuto la sua benedizione, e la sua maledizione.

Aveva perso il suo corpo, avrebbe perso i suoi amici e il suo luogo di nascita.

Ma aveva guadagnato la possibilità di seguire davvero i passi del suo eroe.

Non nell'esercito, certamente. Oggigiorno i mutanti non erano praticamente mai ammessi. Uno che avesse cambiato sesso, poi? Insensato.

Ma se avesse davvero scoperto di avere dei poteri...

Sua madre era al lavoro, così come i vicini. Era il momento perfetto. Gettò la foto sul letto e corse in giardino, sul retro della casa. E iniziò a sperimentare.

Il primo e più ovvio tentativo fu di accucciarsi nell'ombra della casa, chiudere gli occhi, e desiderare di scomparire.

Gli parve di sentire qualcosa, come se le tenebre lo avvolgessero. Che stesse funzionando?

Poi sentì un miagolìo. Era Red, il gatto dei vicini, intento come al solito a strusciarsi sulle sue gambe.

Si sentì un perfetto idiota. Accarezzò il gatto, poi si alzò e decise di tentare qualcos'altro.

E subitò gli venne in mente un'idea. Cosa potevano fare, gli eroi dei suoi fumetti, che valesse davvero la pena di tentare?
Sorrise, poi iniziò a concentrarsi sull'idea di sollevarsi in aria.

Di colpo tutto il suo mondo finì sottosopra. Persino più di quello che non fosse già, si intende. Per un breve momento sentì la gravità sotto i suoi piedi ridursi, poi improvvisamente si ritrovò a cadere. Di testa. Verso l'alto! Entrò in panico, e perse la concentrazione. Di colpo, si stava muovendo dritto verso il muro della casa. Lo colpì con la schiena, poi ricadde al suolo di faccia.

Si alzò in piedi, la testa che girava in tutte le direzioni, barcollò, poi svuotò il suo stomaco in un cespuglio.

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E va bene, così posso volare, pensò. O almeno scegliere in che direzione cadere...

Stava per accendere il computer di camera sua per dare un'occhiata a una certa idea quando sentì la voce di sua madre chiamare dal piano di sotto.

"Daisy, scendi. Forza."

Alex soppresse un moto di rabbia a sentirsi chiamare come quella testa vuota di sua cugina, che odiava cordialmente da quando aveva dichiarato di vergognarsi di discendere da uno "schifoso mutante".

Scese al piano di sotto, ancora in pigiama.

"Che c'è mamma?" chiese

"Dobbiamo andare a fare acquisti. Non hai più un vestito che ti vada bene."

Alex la guardò come se fosse matta.

"Cosa? Non ti aspetterai che..."

"Niente storie. Una giovane ragazza come te ha bisogno di un guardaroba adatto."

Gettò ad Alex un sacchetto di carta. Conteneva un insieme di vestiti che dovevano essere appartenuti a sua sorella Heather, prima che andasse al college. Top bianco, gonna di jeans e scarpe da ginnastica. Più un set di reggiseno e mutandine nuovi di pacca.

"Una gonna? Ma mamma!"

"I jeans di tua sorella non ti andrebbero, lei è più bassa. Ora vatti a cambiare, su."

Alex obbedì riluttante e si preparò per andare al macello.

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Di ritorno da una estenuante sessione di shopping, Alex era sdraiato a faccia in giù sul suo letto.

Era stato terribilmente umiliante.
Sua madre non gli aveva risparmiato nulla. Dall'intimo alle scarpe, dai vestiti ai trucchi, l'aveva trascinato in giro senza tregua. Insistendo per tutto il tempo che non era normale per una ragazza della sua età non godersi un'uscita per negozi, e che avrebbe dovuto fare di più per fingere che gli piacesse o la gente avrebbe sospettato qualcosa.

L'aveva persino trascinato in un salone di estetista, dove l'aveva costretto a farsi sistemare i capelli, le unghie e persino a forarsi le orecchie.

Si sollevò dal letto maledicendo il dio che gli aveva giocato questo brutto tiro, poi decise che era ora di consolarsi con qualcosa di meglio e accese il computer.

Col suo interesse per il bisnonno, Alex si era informato molto sui mutanti. Non solo quelli del passato, ma anche quelli del presente. Era bene a conoscenza del fatto che esisteva un sistema di classificazione dei poteri, e che le mutazioni spesso comportavano enormi cambiamenti fisici. E anche che non era così raro che un mutante cambiasse sesso, come successo a lui.
Ricordò un certo sito internet e lo richiamò sul browser.

Oh si, mamma. Adesso sono io a divertirmi.

E mandò in stampa.

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"COSA?" disse la mamma incredula. "Una... scuola per mutanti?"

Alex annuì, agitando la brochure che aveva in mano davanti alla madre. Era scritta in chiare lettere sullo sfondo di una foto di un palazzo, in un paesaggio collinare.

Era intitolata: "Whateley Academy - il posto giusto per il vostro figlio mutante"

"E' la soluzione migliore, no? Avrei intorno gente come me, e mi insegnerebbero a scoprire i miei poteri. E ad usarli senza far del male a nessuno."

"Mia figlia non andrà in una scuola piena di... quella gente!"

"Tua figlia è una di quella gente!" rispose Alex, esasperato. "Voglio dire... pensaci! Non avrei bisogno di fingere di essere mia cugina!"

Aprì la brochure e mostrò a sua madre una foto. Rappresentava un gruppo di studenti in abiti formali, il logo della scuola bene in vista sul petto. La didascalia diceva: Diplomi, anno 2011.

Puntò il dito su una ragazza dai capelli rossi in prima fila.

"Questa è come me. Ha cambiato sesso con la sua mutazione. Fino ai tredici anni era un maschio. L'ha detto lei stessa quando le hanno chiesto di raccontare di sè."

Sua madre guardò la foto intensamente, poi prese la brochure dalle mani di Alex.

"E va bene, ci penserò su. Ma non ti prometto nulla, ok?"

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Capitolo 2
*** Parte 2 ***


Mutanti ed eroi - parte 2

Qualcuno scriveva che a prendere la svolta sbagliata dalle parti di Dunwich si finisse in un luogo strano e orribile.

La realtà, pensava Alex mentre la macchina arrancava su per la sconnessa strada sterrata, era di certo meno avventurosa ma molto più squallida. In un'ora di viaggio per le strade di montagna della valle del Miskatonic tutto quello che avevano incontrato erano paesi semidisabitati e capannoni in disuso. La zona viveva di turismo, e la crisi economica aveva messo tutti in ginocchio.

Si chiese cosa mai avesse trovato Lovecraft in quel luogo per ambientarvi le sue storie.

L'unica eccezione era stata Dunwich, l'ultimo paesino che avevano attraversato, che sembrava ancora abitato e sopravvivere, probabilmente aggrappandosi alla vicina scuola.

La natura, almeno, era piacevole, con le colline coperte dei colori bruni dell'autunno.

Svoltarono finalmente in una strada meglio curata e in pochi minuti giunsero in vista del campus.

"Eccoci. Certo che bisogna essere matti per costruire una scuola in questo posto dimenticato da Dio" disse Lara, alla guida.

"Tiene lontani i curiosi per garantire la privacy degli studenti" rispose Alex.

"Tiene lontani anche i genitori col mal di schiena." commentò lei con una smorfia.

Parcheggiarono in uno spiazzo in terra battuta davanti ai cancelli.

Alex aprì la portiera e scese calcando gli occhiali da sole sul naso. Si aggiustò una spallina del reggiseno, che dopo una settimana da donna aveva imparato ad odiare sempre di più, poi venne raggiunta dalla madre. Era buffo come dopo solo una settimana avesse preso a riferirsi a sé al femminile, il fatto è che sua madre teneva alla sua “copertura” fino all’eccesso e si preoccupava di non usare mai il maschile, e di correggerla ogni volta che era lei a farlo. Risultato, ormai persino nei suoi pensieri formulava le frasi con “lei”.

Si avviarono lungo un vialetto lastricato in direzione di un gruppo di edifici, il più grande dei quali aveva una forma semicircolare. Alla sua sinistra, Alex vide un paio di ragazzi, a occhio e croce più piccoli di lei, studiare all’ombra di un albero.

Proseguirono in direzione dell'edificio principale, una costruzione di mattoni a due piani con tre ali, quando improvvisamente Alex fu avvicinata da uno strano oggetto.

Una piccola sfera di metallo cromato, delle dimensioni di un pugno, rotolò rapidamente fino ai suoi piedi con un ronzìo acuto, poi si arrestò di colpo e numerosi sportelli si aprirono sulla sua superficie rivelando un complesso sistema di braccia meccaniche. Infine si sollevò su quattro zampe impossibilmente lunghe ed estese un insieme di strumenti dalla funzione ignota in verso Alex, studiandola da capo a piedi.

"HAL! Quante volte ti ho detto di non infastidire gli sconosciuti?" gridò una voce femminile.

Una ragazza circa della stessa età di Alex corse incontro alla "cosa", che ritirò tutte le proprie appendici su se stessa. Pareva un cagnolino appena rimproverato. Alex pensò che, se la cosa avesse avuto una faccia, sarebbe stata paonazza.

"Ciao!" disse la ragazza, sistemando la lunga coda di capelli castani. Non sembrava minimamente a disagio nel suo vestito a balze, uno che avrebbe imbarazzato una principessa Disney. "Io sono Emily. Devi scusare HAL, è un po' troppo socievole. Credo debba chiedere a mia sorella di lavorare un altro po' sulla sua programmazione. Non credo di averti mai vista qui, sei nuova?"

HAL ritornò alla sua forma sferica e rotolò rapidamente tra i piedi della padrona.

"Più o meno... sto visitando la scuola, vorrei iscrivermi. E' tuo?"

"Già, l'ho costruito tra un progetto e l'altro. Una ragazza deve pur divertirsi no?" rispose Emily, ridacchiando.

"Immagino di si... devo preoccuparmi del fatto che porti il nome di un computer assassino?"

Emily rise. "Non particolarmente... E' solo che mi piace la vecchia fantascienza."

"Allora Alex, vuoi venire o no? Abbiamo un appuntamento!" chiamò sua madre, infastidita, dalla porta del complesso principale.

"Arrivo mamma!" rispose. "Devo andare. Piacere di averti conosciuta!"

"Piacere nostro! HAL, saluta." disse Emily sorridendo, mentre il piccolo robot estendeva un braccio meccanico per salutare Alex.

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La donna dimostrava una quarantina d’anni, era alta e atletica e vestiva in un completo grigio formale, adornato dal logo della scuola. Portava i capelli biondi legati in una coda. Sedeva nel suo ufficio dietro una scrivania elegante, e fece cenno alle due nuove entrate di accomodarsi.

“Benvenute. Voi dovete essere Lara Chapman e Alex Desmond. Piacere di conoscervi. Io sono Elizabeth Carson e sono la preside di questa scuola.”

La madre di Alex, senza nemmeno sedersi, le porse la mano per presentarsi.
"E' un piacere..." disse lei, estremamente nervosa.

"Spero abbiate fatto buon viaggio. Al telefono mi avete accennato il fatto che sua figlia è appena andata incontro alla sua mutazione" disse la preside, indugiando con lo sguardo su Alex.

Lei si sedette ed iniziò a tamburellare nervosamente le dita sulla scrivania.

"Vero. Anche se non abbiamo capito esattamente se e quali poteri possieda Alex è... molto cambiata. Nel giro di pochi giorni."

Cadde un momento di silenzio imbarazzato.

"Puoi anche dirlo, mamma." sbottò Alex stizzita. "Ero un maschio. Un giorno mi sento male e bam, una settimana fa mi sveglio in un letto d'ospedale con tutto l'equipaggiamento cambiato."

Lara sussultò di fronte alla crudezza della frase, ma la preside non apparve per nulla sorpresa. Si limitò ad annuire.

"Probabilmente un tratto da Exemplar. Non preoccuparti, Alex. Qui siamo a Whateley, strano è un concetto molto relativo. Non sei la prima studentessa a cambiare spontaneamente sesso."

Sua madre sembrò sollevata a questa dichiarazione, e iniziò a tempestare la preside Carson con una lunga fila di domande.

Alex apprese che la scuola si trovava in realtà nel territorio di una tribù di nativi, cosa che la rendeva una sorta di terreno neutrale rispetto ai governi. Gli studenti venivano da tutto il mondo per imparare a controllare i propri poteri nel migliore dei modi, senza correre il rischio di far del male a qualcuno per errore. Oltre alle solite materie di una scuola, come la letteratura e le scienze, c'erano corsi di arti marziali, magia, poteri psichici... persino dei poligoni di tiro.

Più Alex ascoltava, più si rendeva conto di aver trovato esattamente la scuola dei suoi sogni.

Immaginò sè stessa in un costume attillato, intenta a battersi con gli altri studenti. L'idea la rendeva estremamente felice. Se solo non avesse dovuto preoccuparsi del seno, sospirò.

"Uh?" disse, rendendosi conto che la preside le stava parlando direttamente.

"Avete mutanti in famiglia, Alex?" ripetè.

Gli occhi di Alex si illuminarono.

"Mio bisnonno lo era. Un eroe di guerra. Rupert Hess, lo chiamavano Stalker." disse, gonfia d'orgoglio.

La fronte della preside si alzò in un'espressione sorpresa. "E così tu saresti la bisnipote di Stalker. Non sapevo avesse avuto figli. Lo conoscevo."

Alex rimase perplessa. "Ma... è morto nel '45..."

"E io sono nata negli anni '30" rispose tranquillamente la preside Carson.

Alex e Lara erano a bocca aperta. "Ma... ma... lei avrebbe..."

"Non tutti i mutanti invecchiano allo stesso modo" dichiarò. "Allora, sai già quali sono i tuoi poteri?"

Alex scosse la testa. "Non mi sono ancora chiari. Avete un modo per aiutarmi a scoprirlo?"

"Ti porterò dal dottor Polland, abbiamo un intero sistema di laboratori per testare i nuovi mutanti."

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I test consistevano in attività delle più varie, ma cominciarono con quelle più semplici. Un team di medici la osservarono mentre provava numerose macchine da palestra, prendendo nota delle sue massime prestazioni fisiche. Scoprì che la sua performance, pur molto modesta per un mutante, era comunque paragonabile a quella del suo vecchio corpo e certamente superiore a quel che ci si poteva aspettare visto il suo attuale aspetto.

La prova di scatto, però,  fu una sorpresa: quando tentò di accelerare al massimo delle sue capacità il mondo intorno a lei sembrò rallentare e quasi fermarsi. Quando smise di correre, un tecnico di laboratorio le disse che aveva accelerato fino a oltre 120 chilometri all'ora in meno di tre secondi.

I test sulla magia e i poteri psichici rappresentarono un totale fallimento, così come i tentativi di evocare energia grezza oppure oggetti.

La parte più interessante dei suoi test arrivò con gli esercizi di controllo della realtà.

Alex scoprì di essere in grado di modificare la gravità intorno a sè, riducendola o aumentandola, oppure modificandone la direzione. Dopo numerosi tentativi riuscì non solo a restare appesa al soffitto a testa in giù, ma anche a modificare la gravità intorno ad altri oggetti, permettendole di far "cadere" una palla parallelamente al pavimento e in direzione della sua mano. Sfortunatamente, la nausea che le causava il continuo spostamento dei suoi punti di riferimento era un serio limite alle sue abilità, ma i medici le dissero che si sarebbe abituata.

Infine, vennero i test di combattimento. I risultati furono intermedi: mentre Alex non sembrava avere speciali capacità offensive, riuscì a difendersi da ognuna delle palle di gommapiuma sparatele contro da una speciale macchina, rallentando il tempo per schivarle oppure deviandone la traiettoria in volo.

Un'ora dopo, Alex sedeva al tavolo del Dottor Polland, che stava rivedendo i risultati dei suoi test.

"Bene. Hai dimestichezza col sistema di classificazione dei poteri?" chiese

"Un po'. Ho letto qualcosa. Sono classificati in differenti tipi, e per ognuno la potenza è identificata in sette classi, giusto?"

Il medico annuì. "Più o meno è così. Dal risultato dei tuoi test, ti classificherei come Exemplar 1 e Warper 2" iniziò.
"Il tuo tratto di Exemplar 1 significa che il tuo corpo si è trasformato per adattarsi a un  modello detto BIT, che rappresenta la tua idealizzazione di un essere umano. Però a differenza di qualcuno di livello superiore, non hai caratteristiche fisiche particolarmente migliori di un umano base." disse prima di guardarla. "Se non nell'aspetto."

Alex arrossì.

"E perchè la mia idealizzazione di un essere umano dovrebbe essere una donna?"

Il dottor Polland scrollò il capo.
"Non sappiamo perchè così tanti maschi hanno dei BIT femminili. E' oggetto di un importante dibattito in ambito scientifico."

"La parte interessante, però, sono i poteri di Warper. Come livello 2, i tuoi poteri sono sopra la media anche per una mutante, e sembrano avere a che fare con la manipolazione dello spaziotempo. Cosa sai della relatività generale di Einstein?" chiese Polland

"Uhm... temo molto poco. Ha a che fare con quella cosa del paradosso dei gemelli?"

"In parte" rispose Polland. "In sostanza, Einstein ha formulato una teoria che descrive come lo spazio e il tempo siano modificabili dalla presenza di massa. Il tuo potere principale sembra essere quello di manipolare la forza di gravità, simulando un eccesso o una riduzione della massa degli oggetti. Senza entrare nel tecnico, questo ti permette di distorcere la geometria dello spazio. Linee che dovrebbero essere dritte, come le traiettorie delle palline, diventano curve. Il basso diventa l'alto. E tutto questo può anche influenzare il tempo: come hai notato, sei capace di accelerare lo scorrere del tuo tempo soggettivo e, sospetto, anche di rallentarlo."

Alex si stava perdendo, a sentir parlare di tutta quella fisica.

"In sostanza, mi sta dicendo che posso applicare una forza di gravità sulle cose, e posso accelerare o rallentare il tempo."

"Per dirla semplicemente..." disse Polland, sospirando. Evidentemente, sperava di aver trasmesso qualche nozione in più alla giovane.

"E... pensa che potrei manipolare questa gravità in modo da volare?" chiese lei

"Beh, con adeguato controllo, non vedo perchè no."

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Quando Alex raggiunse la madre nel parco, si sentiva stranamente felice. Le avevano appena confermato i suoi poteri di mutante! Poteva muovere gli oggetti semplicemente desiderandolo, correre velocissima e... persino volare! Ricacciò in un angolo della propria mente la fastidiosa consapevolezza del prezzo pagato per i suoi poteri.

"Mamma, guarda questo!" disse, appena le si avvicinò. Poi prese a correre e un istante dopo era al suo fianco. La madre la guardò a bocca aperta. Subito dopo si concentrò su di un sasso ai loro piedi e lo fece muovere verso l'alto. Rideva come una bambina, fino a che...

Perse il controllo del sasso, ormai salito a tre metri d'altezza, e quello cadde dritto addosso a sua madre, colpendola su una spalla.

"Ahia! Ehi ma cosa..."

"Ooops! Scusami mamma, credo di non saper ancora usare bene questo trucco..." disse Alex, rossa per l'imbarazzo.

"Uff. Vieni dai, è ora di andare." disse Lara. Si avviarono verso l'uscita.

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"Non so se sia il caso che tu vada a studiare a Whateley, Alex." proclamò solennemente sua madre.

Alex la guardò come se l'avessero presa a calci, e si strinse le ginocchia al petto sul divano del salotto.

"Prendi questa cosa come un gioco. Voglio dire... superpoteri? Eroi in costume? Lo dimostra cosa hai fatto con quel sasso."

Alex sentì gli occhi bagnarsi di lacrime. Aveva sempre sognato una opportunità come questa, e ora...

"Mamma, ti prego. Non sono una bambina. E a Whateley hanno tutti i corsi necessari per insegnarmi a usare i miei poteri. Proprio per evitare che succedano cose come quell'incidente ."

Sospirò per un momento.

"Mamma, tu mi hai sempre insegnato che una persona deve mettere a frutto i propri talenti. A te è sempre piaciuta la fotografia, come credi ti saresti sentita se tuo padre non ti avesse permesso di usare una macchina fotografica?"

"Tesoro, quando scatto una foto non rischio niente. Se sbaglio, la butto semplicemente via. Ma qui... la tua vita potrebbe essere in pericolo."

"Mamma, sai benissimo che sarei entrata nell'esercito una volta diplomata. Credi che Whateley sia tanto peggiore di Baghdad?"

"Ma Alex, hai solo sedici anni!" implorò lei, guardando Alex dritta negli occhi. Le faceva male pensare al dolore che le stava causando...

"Uff!" sbottò la teenager. "Voi adulti siete sempre così." Corse in camera sua e si chiuse dentro sbattendo la porta.

Le passerà, pensava Lara, con una fitta al cuore, mentre usciva per andare a lavorare.

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"E' in ritardo. Non è da lui." disse Richard, guardando nervosamente l'orologio.

"Si farà vivo. Sarà successo qualcosa. Il posto è questo: il boschetto dietro la casa del vecchio Flanders." rispose Ellen, accendendosi una sigaretta.

Sedevano su un ceppo in una radura dentro ad una macchia di alberi. Il posto puzzava di urina ed era decisamente sporco, il tipo di luogo dove gli ubriachi andavano a smaltire la sbronza la notte. Quando non vedi il tuo migliore amico per dieci giorni, un messaggio per un appuntamento in un luogo del genere era davvero strano.

Un rumore di foglie smosse rivelò la figura di una ragazza dai capelli rossi, vestita con un paio di jeans e una camicetta.
"Ciao ragazzi. Sono io... uhm... Alex" disse, arrossendo.

Richard la guardò a bocca aperta. "Alex? Ma come... è uno scherzo?"

"Temo di no" disse lei. "Pare che io sia una mutante. Dieci giorni fa mi sono sentita male e... bam. Cambio di sesso spontaneo."

"Te l'avevo detto che era un mutante, Richard!" disse Ellen, sghignazzando. "Mi devi dieci dollari."

"Aspetta, come facciamo a sapere che non ci prendi in giro?" azzardò Richard.

"Vogliamo parlare di quella sera in cui avevi fumato una canna di tuo fratello e volevi baciarmi?"

Richard la guardò offeso. "Ehi! Avevi promesso che non avremmo mai parlato di quella sera a nessuno!"

Ellen diede un tiro di sigaretta e rise, con Alex che la seguì.

"E così sei delle nostre adesso?" chiese Ellen. "Anche..."

Alex arrossì. "Già. I medici dicono che dovrei aspettarmi anche di avere... uhm... sai, una volta al mese..."

"Ti sta bene. Così impari a prendermi in giro quando ho l'umore sballato!" Ellen le diede un colpetto sulla spalla. "Benvenuta nella squadra."

Alex si sedette vicino agli amici e raccontò degli eventi degli ultimi tempi, e in particolare di Whateley e di come sua madre non volesse che lei la frequentasse.

"Una vera scuola per supereroi..." disse Ellen alla fine. "Che figo. Pensi che non riusciresti a convincere tua madre? In nessun modo?"

"A dire la verità non lo so. Credo sia soprattutto preoccupata che mi possa succedere qualcosa." rispose lei.

"Che ne diresti di farci vedere i famosi poteri?"

Alex sorrise, poi puntò le mani a un gruppo di foglie secche a terra. Concentrandosi, le sollevò in aria e le fece accelerare verso l'alto. Poi disattivò il suo potere ed esse ricaddero in tutte le direzioni in una pioggia bruna.

"E'... incredibile. Semplicemente!" disse Ellen, afferrando una delle foglie che stavano cadendo.

"Mi hanno detto che un giorno potrei anche volare." rispose Alex. "Te lo immagini? Librarsi nell'aria soltanto col pensiero..."

"Un po' ti invidio Alex" disse Ellen. "E secondo me anche Rick".

Guardò il ragazzo, che era ancora a bocca aperta dopo lo spettacolo.

"Senti, che ne pensi di andare a festeggiare? Non si scopre tutti i giorni di avere dei superpoteri!" propose Ellen.

Alex la guardò con un'espressione indecisa. "Non saprei. Mia madre dice che dovrei evitare di farmi vedere in giro, non attirare l'attenzione, insomma."

"Beh, non vedo come potresti farlo se non usi i tuoi poteri. Voglio dire, hai un aspetto del tutto normale." incalzò lei.

"Si dai, andiamo!" si aggiunse Rick.

Alex sorrise, e i tre si avviarono al centro commerciale.

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"Come stai?" chiese Ellen, mentre Rick era in coda per comprare dei nacho. "Voglio dire... per qualcuno che ha cambiato sesso di punto in bianco una settimana fa, mi sembri fin troppo normale."

Alex sapeva che il momento di parlare dell'argomento sarebbe arrivato, nonostante i suoi tentativi di evitarlo. Emily non era una stupida.

"Boh... mia madre è stata molto attenta a farmi usare soltanto il femminile, e a farmi comportare come una ragazza qualunque. Si vede che mi sto abituando. E poi voglio dire... non è che faccia tanta differenza no? Metà del mondo è una donna e tira avantti benissimo."

"Ah si?" commentò l'amica. "Quindi non avresti nessun problema a farti portare a letto da quel bel ragazzo al bancone. Ho visto come ti guarda il seno. E ho visto come lo guardi tu."

Alex diventò paonazza. Era vero. Non solo il ragazzo non le staccava gli occhi di dosso, ma nemmeno lei sembrava riuscire a liberarsi dal pensiero delle sue grandi e atletiche spalle, o del suo sguardo penetrante...

NO! Non era così... Non poteva trovare attraente un uomo! Lei era... era... un maschio!

"Allora, Miss? Sempre così sicura che la cosa sia semplice?"

"Ok, Ellen, hai vinto. Magari non è tutto facile. Ma non è che possa farci molto, sai? Tanto vale tirare avanti come se niente fosse."

"Questo è il punto, Alex. Non puoi far finta di nulla. Hai vissuto un cambiamento drastico, e la cosa si ripercuoterà per forza sulla tua vita in modo enorme. Più forte tenterai di  resistere, più duro sarà il colpo quando crollerai. Sii elastica, e potrai assorbirlo."

"E questa vena filosofica da dove ti salta fuori?" chiese Alex

Ellen scrollò le spalle, e camminò in direzione di Rick che stava tornando con il cibo.

"Mi sono perso qualcosa?" chiese lui, percependo la tensione nell'aria.

"Cose da donne" rispose Ellen.

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Alex era felice di aver passato un pomeriggio con gli amici, dopo tutto questo tempo. Finalmente aveva potuto parlare della sua situazione con qualcuno al di fuori delle chat tra mutanti su internet, e si sentiva veramente sollevata. Sapeva che loro due non avrebbero avuto alcun problema con la sua trasformazione.

Stavano chiacchierando amabilmente mentre attraversavano la strada, quando un'auto spuntò improvvisamente da una curva a tutta velocità, diretta dritta verso di loro.

Alex reagì istintivamente. Il tempo intorno a lei rallentò. La parte anteriore dell'auto si deformò, come stirata da una forza invisibile, poi improvvisamente il veicolo cedette e si strappò in due dal davanti al dietro. Pezzi di metallo e vetro volarono in tutte le direzioni, e il viso del conducente si piegò in una smorfia quando il suo braccio destro fu coinvolto nella distorsione.

Poi tutto finì, e Alex si trovò a terra, il braccio sinistro sanguinante, circondata dagli amici, i resti dell'auto e una folla di passanti terrorizzati. Si guardò intorno terrorizzata, e scoppiò a piangere.

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Per la seconda volta in meno di due settimane Alex era seduta su un letto d'ospedale. Questa volta, un infermiere stava bendandole il braccio, che era stato ferito in differenti punti dalle schegge di metallo. Si vergognava di aver pianto, non lo faceva mai. Ma ora era una ragazza, pensò. Avrebbe pianto più spesso?

Ringraziò l'uomo, si alzò ed uscì nel corridoio. Aveva voglia di un caffè.
Tuttavia non fece in tempo a raggiungere i distributori automatici, perchè incontrò immediatamente sua madre che le gettò le braccia al collo.

"Stai bene! Grazie al cielo. Ho avuto tanta paura per te!"

"Non è nulla mamma. Ma... anche io ho avuto paura" ammise.

Emily e Rick, illesi, spuntarono da dietro Lara.

"E' bello vederti. Ci hai fatto prendere un bello spavento!" disse Rick

"Alex, ci sono dei poliziotti. Vogliono parlarti riguardo all'incidente." aggiunse sua madre.

Alex annuì e si lasciò guidare fino a una piccola stanza dove attendevano due uomini in uniforme e una terza persona in borghese: una donna di bassa statura e di mezza età, vestita in abiti seri e formali.

"Miss Alex Desmond, immagino." disse la donna freddamente. Non era una domanda. Le porse la mano. "Deanne Westmond, dell'Ufficio Commissione Mutanti"

Alex sussultò. MCO. Ufficialmente un'organizzazione internazionale per il monitoraggio delle attività dei mutanti. Ma negli ambienti dei forum che frequentava, giravano voci molto più sinistre. Difficile capire quanto fossero vere e quanto teorie complottiste.

"Prego, si sieda." disse, indicandole una sedia.

"Credo dovremmo parlare della sua situazione. Immagino che lei abbia manifestato i suoi poteri da poco, vero?"

Alex annuì. "Una decina di giorni."

"Sa controllarli?" chiese lei

"Non ancora." disse Alex. "L'incidente... sono stata io a ridurre così quell'auto? E il suo occupante?"

"Il pilota era talmente pieno di cocaina che non avrebbe distinto un uomo da un palo. E comunque si riprenderà. Però direi che abbiamo avuto tutti quanti una dimostrazione di cosa può fare..." rispose la donna. "e dei danni che potrebbe causare."

Lo sguardo della donna avrebbe potuto gelare il sangue ad uno Yeti.

"Non è pratica standard per noi lasciar andare in giro tranquillamente una mutante senza controllo sui propri poteri. Sa cosa succederebbe? L'incidente di oggi si ripeterebbe. Una volta. Due volte. Finchè qualcuno potrebbe farsi male. Lei stessa, o una persona a lei cara. Oppure un innocente sfortunato."

Si sedette. "Ho parlato con sua madre. So che avete contattato la Whateley Academy. E' una buona scuola. Vada a studiare laggiù, Alex. Sapranno tenere lei, e chi le sta intorno, fuori pericolo."

"Ma... mia madre pensa che sia pericoloso!"

"Mi creda, restare qui lo è molto, molto di più. Oh, mi sono preoccupata di farle avere una carta di identificazione per mutanti, con l'indicazione di tutti i suoi poteri, come misurati dal dottor Polland."

Alex lasciò la stanza, ancora intimidita da quella strana donna, trovando la madre e gli amici ad attenderla.

"Ci ho pensato meglio." disse sua madre. "E ho parlato con quella donna. Credo che, tutto considerato, Whateley sia il posto migliore per te." e la guardò con un sorriso forzato. "Promettimi soltanto che farai attenzione, ok?"

Alex sorrise mentre Ellen e Rick le mostrarono il pollice in su da dietro le spalle di Lara

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"Mi dispiacerà vederti andare via." disse sua madre, guardandola fare le valige. Alex si fermò di fronte alla sua collezione di fumetti, indecisa su quali portarsi dietro.

"Tra meno di un mese sarò di ritorno, per natale."

"Lo so. E' solo che... sarò sola qui. Fatti sentire. E mi raccomando, fai attenzione."

Lei annuì, poi afferrò i cimeli di Stalker e li sistemò con cura nello zaino. Era pronta.

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Capitolo 3
*** Parte 3 ***


Domenica 30 ottobre 2011
Ferrovia per Dunwich, New Hampshire

Il viaggio verso Whateley era lungo e noioso. La prima settimana di freddo si era abbattuta sul New Hampshire annunciando un inverno duro e nonostante il riscaldamento della cabina Alex si trovò a rabbrividire. Si strinse nel maglione invernale a collo alto e sbirciò fuori dal finestrino del treno. Neve ed alberi, nient'altro.

Stava per tornare al suo libro, un saggio sulla Resistenza italiana durante il regime fascista, quando il suo telefono squillò.

"Ciao mamma" rispose. "Come va?"

"Tutto bene. Tu dove sei?"

"Ho preso il treno per Dunwich. Tra un'oretta dovrei essere lì."

"Bene. Senti Alex, c'è una cosa importante. Ho parlato con tuo padre, vorrebbe vederti." disse Lara, con la voce nervosa.

Alex sentì una fitta di dolore, come ancora succedeva ogni volta che veniva nominato suo padre Robert. Era un poliziotto della SWAT, uno di quelli a cui toccavano sempre le missioni più pericolose. Mutanti fuori controllo, terroristi, cose del genere.
Sua madre lo amava, ma non sopportava di restare col fiato sospeso durante ogni missione, sapendo che suo marito avrebbe potuto non fare ritorno. Aveva tentato spesso di convincerlo a trovare un lavoro meno pericoloso, ma lui amava quel che faceva.
Poi un giorno successe il disastro. Suo padre rimase ferito in una missione e restò una settimana tra la vita e la morte. E quando si riprese, i suoi genitori decisero che sarebbe stato meglio per tutti se si fossero lasciati. Alex aveva sei anni.
Non lo vedeva da allora, anche se talvolta riceveva delle sue lettere. E le mancava, da morire. Era stupita che sua madre l'avesse contattato, anche se probabilmente la situazione lo meritava. Ma era ancora più stupita del fatto che, dopo dieci anni, avesse improvvisamente intenzione di incontrarla.

"Quando vorrebbe vedermi?" chiese

"Oggi stesso. Si trova dalle tue parti per una questione di lavoro, e ha detto che potrebbe passare a prenderti in stazione a Dunwich."

Il cuore di Alex le saltò in gola. Suo padre? Oggi? E cosa avrebbe detto del suo aspetto?

"Mamma, è proprio necessario? E' tutto così improvviso... Non possiamo organizzare qualcosa con più anticipo?"

"Non so se ripasserà da quelle parti. E ci terrebbe davvero molto."

Alex chiuse gli occhi, poi sospirò.

"Va bene. Digli che ci sarò."

"Ottimo. Gli ho già fatto avere una tua foto, così ti riconoscerà. Ah e... anche lui è cambiato. Molto."

Alex rimase a fissare il vuoto bianco oltre il finestrino, pensando a quella persona con cui aveva diviso così tanti momenti in passato. Buffo, suo padre avrebbe avuto bisogno di una sua foto per riconoscerla. L'idea di rivederlo era al contempo eccitante e terrorizzante. Come tutta la sua vita, di questi tempi.

Sospirò di nuovo, poi tornò a immergersi nella lettura.

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Alex scese dal treno nella neve che copriva il marciapiede, e si avviò verso l'uscita guardandosi intorno. Dunwich, avvolta nella sua coltre bianca, sembrava ancora meno abitata dell'ultima volta che l'aveva vista.

"Alex Desmond?" chiese una voce alla sua destra, appena lei uscì dalla porta principale della stazione.

Lei si voltò. A parlare era stata una donna alta, avvolta in un piumino col cappuccio. I capelli biondi e ricci incorniciavano due occhi color oro, e i tratti del viso le ricordavano qualcosa che non riusciva a definire.

"Si? Sono io. Lei chi è?"

"Robyn Desmond. Ma un tempo ero Robert." disse, poi fece una pausa. "A quanto pare, entrambe siamo un po' cambiate."

Alex quardò la donna esterrefatta. Era davvero possibile che... poi si rese conto di qual'era la somiglianza che l'aveva colpito: somigliava a lei, alla sua nuova sè stessa!

"Pa... Papà?"

La donna annuì. Aveva le lacrime agli occhi. "Vieni, andiamo a prendere qualcosa di caldo. Abbiamo molto di cui parlare."

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Si sedettero in un caffè, vicino alla finestra. Nel tepore del locale la donna si tolse la giacca, rivelando un corpo atletico, dalle curve perfette.
Alex osservava con curiosità la donna che, a suo dire, era stata suo padre. Un lato di lei lo trovava assurdo, ma dopo quello che le era successo nelle ultime settimane non si sentiva di escludere nulla. E poi nessun'altro avrebbe potuto riconoscerla.
Ordinarono due cioccolate calde.

Fu Robyn a rompere il silenzio. "Immagino avrai molte domande."

Alex ne aveva moltissime, ma nella confusione della sua testa una era la domanda fondamentale. "Cos'è successo?"

"Mi dispiace di essere sparita così. Ho pensato fosse la cosa migliore per tu e tua sorella." disse. "Per spiegarti cosa è successo devo partire da lontano. E da una cosa che non ti ho mai detto. Sono una mutante." disse

Lasciò un momento ad Alex per assorbire l'affermazione. Aveva senso. Suo padre era il nipote di Stalker.

"Sono un Energizer, posso manipolare campi di forza e migliorare la mia performance fisica. Quando ho scoperto i miei poteri ho voluto metterli al servizio della società. Diventai poliziotto, e rapidamente entrai nella SWAT. Un mutante nell'elite della polizia, è per questo che prendevo continuamente parte alle missioni peggiori. Ero il loro uomo migliore. Potevo proiettare un campo di forza capace di proteggere un'intera squadra, strappare una porta a mani nude e sopravvivere a una fucilata sparata da un metro di distanza.
Poi siete arrivati voi, e tua madre voleva che smettessi di fare quel mestiere. Pensava fosse troppo pericoloso. Io ero giovane, e mi sentivo onnipotente ed invulnerabile. Vivevo per l'adrenalina che l'azione mi lasciava addosso, per il senso di invincibilità che provavo quando uscivo dall'ennesima missione senza un graffio addosso." Sospirò. "Che ingenuità."

Diede un sorso alla propria cioccolata.

"Poi, quel giorno fatidico del 2000, cambiò tutto. Ci avevano chiamati per un attacco all'università. Una squadra di mutanti aveva assaltato la biblioteca in cerca di alcuni libri molto preziosi che servivano al loro mago, Negromante. Avevano preso in ostaggio dieci persone mentre facevano a pezzi l'edificio per trovare quello che cercavano.
La situazione precipitò quando uno degli ostaggi, in panico, tentò la fuga e gli spararono nella schiena. Arrivò l'ordine di fare irruzione senza aspettare i rinforzi dall'MCO. Era una follia e lo sapevamo tutti, ma non potevamo ignorarlo.
Attaccammo con la solita procedura, lacrimogeni e fucili in mano. Sapevamo che nessuna delle nostre armi sarebbe stata letale contro di loro.
Solo che i mutanti erano molti di più del previsto, e meglio armati. Alzai il mio scudo e pregai Dio mentre i miei compagni scortavano gli ostaggi lontano dalla zona. Non so quanto tempo restai lì ad assorbire proiettili e attacchi magici, ad un certo collassai a terra e persi coscienza.

"Burnout" mormorò Alex. Robyn annuì.

"Tre ostaggi morti, due feriti, un agente ferito e uno ricoverato per burnout grave. Questo dovresti ricordarlo."

Alex annuì. Sua madre era andata a trovare suo padre quasi tutti i giorni, lei e Heather erano terrorizzate.

"Dopo un burnout" Robyn continuò "non è raro che un mutante si ritrovi con un differente set di poteri. Apparentemente, devo avere dei geni da Exemplar, perchè sviluppai un BIT."

"Un BIT femminile!" disse Alex "E' per questo che te ne sei andato!"

Robyn annuì. "Secondo i medici, sarei stata una donna in meno di un mese. Non volevo costringervi a convivere con uno shock simile. Non quando io, per prima, dovevo trovare il modo di conviverci. Così me ne andai, e chiesi un lavoro un po' meno stressante."

Cadde il silenzio. Alex aveva mille pensieri, e non sapeva come comportarsi.

"Heather lo sa?" chiese

"No" rispose Robyn. "Non avevo intenzione di parlarne nemmeno con te. Ma visto che ora siamo nella stessa barca, ho pensato non avesse senso tenertelo nascosto."

Alex e Robyn si guardarono a lungo, avevano entrambe le lacrime agli occhi. Si abbracciarono.

"E' bello ritrovarti. Mi mancavi" disse Alex

"Anche tu, Alex" rispose lei, con la voce rotta dall'emozione.

Si strinsero per un po', poi Alex si ritirò per bere un altro sorso di cioccolata.

"Sei ancora in polizia?" chiese

"Si. Ora faccio l'istruttrice per i nuovi agenti, specialmente i mutanti. E a volte, Whateley mi chiede di fare delle lezioni. Sopravvivenza, soprattutto. Sono qui proprio perchè ieri ero alla scuola."

Alex si accigliò. "Vuoi dire che avrò mio padre come insegnante?" disse "... o madre? come devo chiamarti?" aggiunse, incerta.

Robyn rise. "Solo di tanto in tanto. E puoi chiamarmi come ti viene meglio..."

"OK. Beh, chiamarti papà o mamma sarebbe troppo strano credo. Posso chiamarti Robyn e basta?"

"Certo! E tu hai già pensato come chiamarti?"

"Alex va bene sia per un maschio che per una femmina. Vorrà dire che sarò Alexandra sui documenti." disse Alex. Guardò Robyn con uno sguardo malinconico. "Come sarà? Come è stato per te? Abituarti, voglio dire."

"E' stato difficile all'inizio. Tutto il mio corpo mi sembrava sbagliato. Mi odiavo. Ci sono voluti anni di psicoterapia, ma ce l'ho fatta." sembrava incerta se aggiungere qualcosa, poi disse, quasi imbarazzata "Ora... vedo un uomo."

Alex restò a bocca aperta. Non solo aveva due mamme adesso, ma la sua mamma/padre usciva con un uomo?

"No... aspetta... questo non lo voglio sapere!" esclamò, inorridita.

"Ok, ok, scusa." disse Robyn. "Dai, raccontami come vanno le cose. Hai già scoperto i tuoi poteri?"

Alex annuì, ed estrasse il suo MID dal portafogli. Lo passò a Robyn.

"Exemplar 1 e Warper 2. Wow! A quanto pare hai preso sia da me che da tuo bisnonno."

"Già" confermò Alex. "Posso modificare direzione e intensità della forza di gravità e accelerare o rallentare lo scorrere del mio tempo soggettivo." disse, con gli occhi che le brillavano. "Dicono che posso anche imparare a volare!"

Robyn sorrise orgogliosa. "Ah, come sei cresciuta! E dimmi, hai già un nome in codice?"

Alex scosse il capo. "Non ancora, quelli interessanti sono già registrati. Ho pensato a Warp, ma esiste già. Forse Grav? Devo lavorarci su. E' una cosa importante per un supereroe."

Il viso di Robyn si incupì e si fece serio. "Supereroe? Sei sicura di voler prendere quella strada?"

Alex si trovò di colpo confusa. Certo che lo desiderava! Perchè mai avrebbe dovuto rinunciarvi?

"Alex, voglio fare tutto tranne che una paternale, ma devi capire che i tuoi poteri non sono un gioco. Io non l'ho capito in tempo ed eccomi qui. Ho perso la mia famiglia, il mio corpo, e sono stata fortunata a non perdere anche la vita."

"Ma papà... Robyn... Io voglio farlo, sul serio! Ho questi poteri, queste capacità. Non voglio che vadano sprecate! Voglio fare la differenza, come ha fatto tuo nonno. E come hai fatto tu."

Robyn la abbracciò di nuovo.

"E' per questo che tua madre era così reticente a mandarti a Whateley. Lei l'ha visto, tu sei come me. Abbiamo il sangue di Stalker nelle vene. Il pericolo e l'avventura ci chiamano. Ma voglio che tu mi prometta che non farai nulla di stupido, che non tenterai qualcosa di rischioso senza avere prima preso le giuste precauzioni. Vai a Whateley, studia, impara tutto quello che puoi. Anche io ti aiuterò il più possibile. Se questa è la strada che prenderai, avrai bisogno di ogni briciolo di abilità."

Alex annuì. Capiva il senso di quelle parole. Pensò a sua madre e a sua sorella, e a quanto avrebbero sofferto se le fosse successo qualcosa.

"Te lo prometto. Farò attenzione." rispose. "Ci terremo in contatto?"

"Certo. Ti lascio il mio numero di cellulare e la mia mail, per ogni evenienza. Chiamami, e ricorda che un paio di volte al mese di solito sono a Whateley."

Alex annuì. "Lo farò. E... grazie."

Continuarono a chiacchierare ancora un po', sorseggiando la cioccolata, ed Alex aggiornò Robyn sugli ultimi fatti della sua vita, sugli amici, sulle sue difficoltà.
Lei l'ascoltò con pazienza e affetto.
Quando si alzarono dal tavolo il sole era ormai tramontato.

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