Mutanti ed eroi di laura_souffle_girl (/viewuser.php?uid=632563)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Eroi e mutanti - parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 2 ***
Capitolo 3: *** Parte 3 ***
Capitolo 1 *** Eroi e mutanti - parte 1 ***
eroe
Prefazione: una piccola introduzione...
La storia che avete di fronte è ambientata nell'universo
della "Whateley Academy", una ambientazione inventata da un gruppo di
scrittori online di storie a tema transgender.
Sostanzialmente è quello che salterebbe fuori se buttaste
X-Men ed Harry Potter in uno shaker con un pizzico di Miti di Cthulhu e
una sana dose di temi LGBT.
Si, è esattamente folle quanto sembra.
A questo proposito, riporto qui il disclaimer ufficiale per le
fanfiction su Whateley:
"This is fan fiction for the Whateley Academy series. It may or may not
match the timeline, characters, and continuity, but since it's fan
fiction, who cares?"
Il che dovrebbe dire molto.
Ci tengo a sottolineare che nulla, in questa storia, è da
considerarsi canon nell'ambientazione.
Capitolo 1: Eroi e mutanti
Ottobre 2011, da qualche
parte nella periferia di Washington DC, USA
"Ancora con quei fumetti?"
Alex alzò gli occhi dall'ultimo numero di Avengers, facendo
cenno all'altra persona di sedersi accanto a lui. Ellen si
aggiustò i corti capelli castani e accettò
l'invito.
"Non troverai mai una donna a forza di perdere tempo su quella roba
sai?" disse, posando il vassoio della mensa sul tavolo, e scartando le
posate di plastica.
Alex posò il fumetto sul tavolo accanto al proprio vassoio,
appena in tempo per veder arrivare il terzo elemento del loro
gruppetto: Richard, un ragazzo alto e grasso dagli spessi occhiali.
Loro tre erano il gruppo fisso degli outsider in classe, dato che non
erano per nulla parte dei gruppi socialmente "in". Richard
perchè era notoriamente gay, Ellen per via del suo
atteggiamento
da "ragazza ribelle punk" e Alex a causa della sua ossessione per due
cose: i fumetti e la storia.
In effetti, non è che fossero proprio un gruppo bene
assortito.
Ma la loro sorte comune li aveva spinti a stare insieme e col tempo
erano diventati amici.
"Avete sentito di Detroit?" chiese Richard.
Gli altri annuirono. La sera prima, un gruppo di terroristi mutanti
aveva attaccato una scuola a Detroit. Avevano preso in ostaggio gli
alunni e i negoziati per il loro rilascio erano ancora in corso.
"Ci vorrebbe qualche squadra di supereroi come si deve. Loro si che li
tirerebbero fuori dai guai." commentò Alex.
"Cosa? Quella è gente matta. Mutanti che si montano la
testa, si
sbattono addosso un costume e giocano a fare gli eroi. Follia." rispose
Richard.
"Eppure qualche volta vengono bene, anche alla polizia."
"Bah. Leggi troppi fumetti Alex. Torna alla realtà: quelli
non sono eroi. Sono ragazzi che scherzano con la loro vita."
Ellen nel frattempo stava mangiando il suo purè di patate,
guardando la scena divertita.
"Uff. Maschi." ridacchiò. "Sempre a pensare a eroi e
cattivi..."
I due ragazzi la guardarono con un'aria esageratamente ferita.
"Comunque i mutanti eroici esistono." disse Alex.
"Oddio adesso non ricominciare, eh?" disse Ellen, aspettandosi
l'ennesimo sproloquio su quanto sarebbe bello avere i superpoteri.
"Che schifo. Come faranno mai a piacervi i mutanti!" disse una voce
femminile. Era Carey, la sorella gemella di Ellen. Tanto identiche
erano nell'aspetto, tanto diverse erano nella personalità.
"Lo sanno tutti che i mutanti sono pericolosi. Non mi avvicinerei
nemmeno per sbaglio a gente così. Una volta in TV ne ho
visto
uno con il corpo di lumaca! Era orribile!"
"Oh povera sorellina. Cosa farai quando il mutante cattivo ti
verrà a mangiare?" le disse Ellen, sprezzante.
"Già. Dicono che David, il mio vicino di casa, sia un
mutante
sai? Dicono che è per quello che non viene più a
scuola e
non esce mai. Però aveva un debole per te una volta." disse
Richard con un ghigno. "Secondo me, un giorno ti troverai i suoi
tentacoli viscidi nel letto."
Carey lo guardò con un'espressione a metà tra
l'orrore e lo sdegno.
"Voi siete malati, ve lo dico io." ripetè, prima di voltarsi
e allontanarsi a passo rapido.
I tre si guardarono e scoppiarono a ridere sguaiatamente. Prendere in
giro Carey era l'attività preferita di Ellen, e le riusciva
benissimo.
Sfortunatamente, loro tre erano tra i pochi a non avere un'opinione
negativa dei mutanti. La maggior parte del mondo la pensava esattamente
come Carey, e si premurava di far notare questa opinione ad ogni
occasione. I mutanti venivano scacciati dalle famiglie, dalle scuole,
non trovavano lavoro nè partner. Erano reietti.
Richard guardò l'orologio a muro. "Meglio finire di
mangiare, prima di fare tardi alle lezioni."
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Tornato a casa Alex si alzò dalla poltrona ed aggiunse il
fumetto appena finito alla lunga fila di albi che, in perfetto ordine,
si susseguivano nella libreria di camera sua. Con la massima cura si
assicurò che non potesse cadere, sgualcendosi.
Sullo stesso scaffale stavano, fianco a fianco, fumetti di ogni genere
e libri. La maggior parte parlavano della seconda guerra mondiale.
I suoi occhi caddero sullo scaffale più alto. Un piccolo
spazio
dedicato al suo eroe, l'uomo che più aveva adorato al mondo.
Prese in mano una vecchia foto in bianco e nero in una semplice cornice
di legno, ritraeva cinque uomini in uniforme da paracadutisti. Seconda
guerra mondiale. Francia, dintorni di Bastogne. Al centro della foto,
seduto sui resti di un Panzer tedesco, un ragazzo con i capelli
scompigliati: suo bisnonno, il Sergente Rupert Hess. Meglio noto con il
nome in codice di Stalker.
Non è che al tempo di suo bisnonno i mutanti godessero di
fama
molto migliore che nell'anno 2014, ma gente con le loro
capacità
era un "male" necessario in guerra. E Rupert Hess era il miglior
soldato mutante degli Stati Uniti.
Tanto per cominciare, era della 101ma paracadutisti: una leggenda della
guerra, duri come roccie e pronti al peggio. In più suo
bisnonno
aveva il potere di diventare invisibile nelle ombre e sgusciare alle
spalle di chiunque.
L'avevano messo a capo di una unità speciale all'interno
della
compagnia. Tutti mutanti. I "Cacciatori di Hess" li chiamavano.
Alla sua destra, nella foto, un uomo di colore alto e snello. Nome in
codice: Deadeye. I suoi riflessi sovrumani lo rendevano il miglior
cecchino della compagnia. Poi c'era Tank, tre metri di altezza e
così forte da sradicare un albero. Blaster, capace di
sparare
raggi di energia. E infine Gearhead, l'esperto di demolizioni
nonchè in grado di mettere insieme qualunque congegno
meccanico
a partire dalle cose più improbabili.
Alex fissò la foto per un momento, poi la posò di
nuovo
al suo posto, vicino ad un'altra cornice che conteneva la mostrina
della 101ma, con la testa d'aquila, che era appartenuta a suo bisnonno.
Un giorno
sarò come te. Pensò. Sarò alla tua altezza.
La maggior parte dei suoi familiari non volevano pensare a Stalker.
Discendere da un mutante era per loro una vergogna da nascondere. Ma
non per lui. Lui ricordava i lunghi pomeriggi passati a parlare con sua
bisnonna Betty, quando gli raccontava dei pochi mesi trascorsi con suo
bisnonno.
Era una storia quasi da film. Nelle settimane dopo il D-Day, i
Cacciatori si erano mossi davanti alla forza principale tagliando le
linee nemiche come burro. Avevano fatto saltare casematte e catturato
ponti. Alla fine, i tedeschi avevano dovuto mandare loro contro
un'altra unità di mutanti. Lo scontro, a detta dei
testimoni, fu
epico. E i Cacciatori ebbero la meglio, anche se suo bisnonno rimase
ferito.
Passò un mese in un ospedale da campo e lì
conobbe sua
bisnonna. Il soldato e l'infermiera, un classico senza tempo. Fu amore
a prima vista e il giorno prima del suo ritorno al fronte, Rupert Hess
sposò Betty Hamilton.
Fu l'ultima volta che si videro. Rupert combattè a Bastogne,
in
Belgio, partecipando alla storica difesa della cittadina. Pochi giorni
dopo aver scattato quella foto, Rupert morì. Dove fallirono
i
tedeschi e l'inverno, riuscì un bombardamento d'artiglieria
alleata fuori bersaglio.
Con tutta l'ironia del mondo, a uccidere Rupert Hess, detto Stalker, fu
un proiettile calibro 105, 100% made in USA.
Alex aveva sempre desiderato seguire i passi del bisnonno. Una volta
diplomato, voleva entrare nell'esercito. Un metro e ottantuno, ben
piantato sui piedi, vista impeccabile. L'avrebbero ammesso di sicuro. E
una volta lì, avrebbe servito il suo paese come Stalker
prima di
lui.
Ma a volte, la sera, nel buio della sua camera, immaginava
qualcos'altro. Sognava un giorno di scoprire di avere i poteri di suo
bisnonno. Dove altri avrebbero rabbrividito all'idea di diventare un
mutante, Alex la accarezzava come un sogno proibito. Come sarebbe stato
scivolare tra le ombre, inosservato, alle spalle di qualche
supercriminale? Oppure volare nel cielo, o scagliare raggi di luce come
i compagni di Stalker?
Una volta, a otto anni, sua madre gli chiese cosa voleva fare da
grande. Lui rispose: "Il supereroe.". A volte rideva ancora della sua
ingenuità, eppure... A sedici anni il sogno, in fondo, non
era mai morto davvero.
"Forza Alex, alzati. Farai tardi a scuola!" gli gridò sua
madre.
Alex imprecò tra sè e sè alla fitta di
mal di testa che quella frase gli provocò. Si sentiva solo
vagamente sveglio, aveva la testa nel pallone, le tempie che gli
pulsavano e tutti i muscoli indolenziti. Sembrava quasi come la
mononucleosi che aveva avuto l'anno precedente, solo mille volte peggio.
Tentò di alzarsi a sedere, ma la stanza prese a girare e
ricadde pesantemente sul cuscino.
"Mamma non sto bene." biascicò. "Credo di essermi beccato
qualcosa. A scuola gira l'influenza."
Sua madre Lara si sedette vicino a lui e come ogni chioccia che si
rispetti gli posò la mano sulla fronte esclamando "Sei
caldo! Devi avere la febbre!"
Alex rispose solo grugnendo.
"Resta a casa, chiamerò io la scuola. Io devo andare al
lavoro, fammi sapere se peggiora."
Lui si girò dall'altra parte e si riaddormentò.
Oscillò per un lungo periodo di tempo tra sonno e veglia.
Era solo vagamente cosciente del suo corpo dolorante ed ogni tanto
delle voci gli arrivavano dal mondo della veglia, un luogo che sembrava
un altro universo.
Alla fine, perse i sensi completamente.
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Quando Alex si riprese, si rese conto di essere perfettamente sveglio e
che il corpo non gli faceva più male. Tutti i dolori erano
passati. Eppure, qualcosa non andava.
"Alex" disse sua madre, da qualche parte alla sua destra. "Sei
cosciente. Stai calmo, chiamo il dottore."
Lui aprì gli occhi e vide bianco ovunque. Una camera
d'ospedale. Cosa era successo? Era così grave?
Girò la testa e guardò sua madre. I suoi lunghi
capelli rossi erano scompigliati, e aveva gli occhi cerchiati di scuro.
Sembrava stanchissima. E preoccupata.
Una donna di mezza età, di colore, fece il suo ingresso
nella stanza. Aveva un camice bianco e un badge di plastica al
taschino. Il medico, evidentemente.
"Alex, sei cosciente. Bene! Ora rilassati. Hai avuto... un brutto
episodio."
Lui la guardò, poi si sollevò a sedere. Subito
avvertì un peso strano sul suo petto, e una cascata di
capelli gli cadde davanti al viso.
"Cosa... Che..." mormorò, spostandoli di lato. Poi
guardò giù e vide... un corpo...
Era il suo corpo. OK. Ma al contempo non lo era. Era un corpo di donna,
e lui lo stava guardando dal di dentro!
"Ma che diavolo!" esclamò, in una voce che non gli
apparteneva. "Sono..."
"Alex calmati, è tutto ok." disse sua madre preoccupata.
"Cosa? Ma sono... sono una..." ripetè
"Si, immagino tu l'abbia notato. Ora ascoltami." iniziò il
medico. "Sono la Dottoressa Tanya Grant. Ti hanno ricoverato qualche
giorno fa. All'inizio avevi la febbre alta ed eri incosciente. Non ci
capivamo molto. Poi però... hai cominciato a cambiare."
Un pensiero si fece strada nella mente di Alex. Un'idea spaventosa e al
contempo stranamente attraente.
"Sono... sono un mutante?"
La dottoressa lo guardò, poi dopo un attimo annuì.
"Così pare. Deve essere dura."
"Quanto... sono cambiato?" disse, poi azzardò di nuovo uno
sguardo in basso. Era una ragazza. Una vera e propria donna.
Sollevò due braccia più esili di quelle che
ricordava, senza peli. Il peso sul suo petto era esattamente
ciò che temeva: un paio di seni. Più
giù non poteva vedere, coperto com'era dalle lenzuola.
"Beh credo tu abbia notato che ora sei... una ragazza..." disse la
dottoressa. "Mi dispiace, sul serio."
Alex si alzò dal letto ancora incredulo. Poteva sentire
tutte le sue nuove curve spostarsi coi suoi movimenti. Non sentiva la
stanchezza o la spossatezza che si sarebbe aspettato dopo quello che
aveva passato. Al contrario, si sentiva al massimo della forma fisica,
pieno di energia, come se in qualche modo il suo nuovo corpo fosse una
macchina perfettamente progettata.
Si diresse ad uno specchio alla parete e guardò il suo
riflesso.
Lo colpì la somiglianza con sua madre. In qualche modo, il
suo cambiamento doveva aver dato libero sfogo ai suoi geni irlandesi,
perchè di fronte ad Alex stava una ragazza dai folti ricci
rossi e dai penetranti occhi verdegrigi. Una spruzzata di lentiggini
decorava un piccolo naso. Poteva vedere la somiglianza col vecchio
Alex, certo. Ma nel complesso, la sensazione era quella di guardare un
fiore appena sbocciato. Dove prima c'era un ragazzo bruttino, ora stava
una ragazza che avrebbe certamente attirato la sua dose di sguardi.
Specialmente con quel seno appena più generoso del solito
per una persona della sua età.
"Sono... davvero io? E' così incredibile..."
Alex sapeva che avrebbe dovuto sentirsi inorridire dalla prospettiva di
essere una donna. Eppure non riusciva a staccare la mente da un
pensiero fisso:
Sono un mutante. Probabilmente ho dei poteri.
Sua madre gli si avvicinò, adesso solo di pochi centimetri
più bassa di lui.
"Va tutto bene tesoro?" chiese, visibilmente preoccupata.
Alex si voltò, con uno sguardo ancora incredulo. "Credo...
credo di si. Per ora."
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Alex venne dimesso la sera del giorno stesso, dopo un attento esame
medico.
Aveva scoperto che il suo periodo di incoscienza era durato ben tre
giorni. Alla fine della prima giornata, sua madre era tornata a casa
dal lavoro e l'aveva trovato in una pozza di sudore, con i primi
cambiamenti già visibili. Aveva chiamato immediatamente i
medici ed era stato ricoverato.
Dalla visita medica, decisamente più scrupolosa di quel che
avrebbe gradito dato che comportò anche un esame
ginecologico, Alex apprese di essere ora alto un metro e settanta, di
essere in linea con le tappe della pubertà di una ragazza
(sigh) della sua età, di doversi aspettare che lì
sotto tutto funzionasse a dovere, compreso un probabile ciclo (doppio
sigh) e la possibilità di restare incinta (triplo sigh). Ah,
scoprì anche di essere completamente una rossa.
In compenso, nonostante alcuni test di base, nessuno riuscì
a dimostrare che Alex avesse dei poteri.
All'uscita dall'ospedale, gli sembrava di essere stato sputato fuori da
una lavatrice. Era anche un po' deluso dal fatto di non aver scoperto
ovvi poteri, non che avesse intenzione di gettare la spugna: avrebbe
sperimentato un po' una volta a casa.
"Alex, bisogna che mi ascolti bene." disse sua madre con un tono grave,
una volta in viaggio verso casa.
"Se tu raccontassi cosa è successo, saremmo immediatamente i
bersagli di tutta la città. Dobbiamo andarcene. Domani
chiederò il trasferimento a un'altro ufficio. New York,
probabilmente. Una volta là, ci comporteremo come se nulla
fosse successo, e tu sia esattamente quello che sembri: una normale
ragazza adolescente."
Alex la guardò colpito.
"Cosa? Ma mamma... e i miei amici? La scuola?"
"Devi capire che la tua vecchia vita è finita, Alex. Non
possiamo permetterci che la gente sappia che sei un mutante. A questo
proposito, finchè resteremo in città tu sarai per
tutti tua cugina Daisy. Non è mai venuta a trovarti qui e
nessuno la conosce di persona." proseguì lei.
"Ah, e un'altra cosa. Da questo momento, voglio che tu impari a
riferirti a te usando il femminile. Devi abituarti finchè ne
hai la possibilità, o qualcuno rischierebbe di sospettare
qualcosa."
In auto cadde il silenzio, mentre Alex contemplava la fine della sua
vita come la conosceva.
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Alex sedeva sul letto di camera sua, rigirandosi tra le mani la foto
del bisnonno, desiderando ardentemente che lui fosse vivo. Lui si che
avrebbe potuto consigliarlo.
Il suo sogno proibito si era avverato. Aveva ricevuto la sua
benedizione, e la sua maledizione.
Aveva perso il suo corpo, avrebbe perso i suoi amici e il suo luogo di
nascita.
Ma aveva guadagnato la possibilità di seguire davvero i
passi del suo eroe.
Non nell'esercito, certamente. Oggigiorno i mutanti non erano
praticamente mai ammessi. Uno che avesse cambiato sesso, poi? Insensato.
Ma se avesse davvero scoperto di avere dei poteri...
Sua madre era al lavoro, così come i vicini. Era il momento
perfetto. Gettò la foto sul letto e corse in giardino, sul
retro della casa. E iniziò a sperimentare.
Il primo e più ovvio tentativo fu di accucciarsi nell'ombra
della casa, chiudere gli occhi, e desiderare di scomparire.
Gli parve di sentire qualcosa, come se le tenebre lo avvolgessero. Che
stesse funzionando?
Poi sentì un miagolìo. Era Red, il gatto dei
vicini, intento come al solito a strusciarsi sulle sue gambe.
Si sentì un perfetto idiota. Accarezzò il gatto,
poi si alzò e decise di tentare qualcos'altro.
E subitò gli venne in mente un'idea. Cosa potevano fare, gli
eroi dei suoi fumetti, che valesse davvero la pena di tentare?
Sorrise, poi iniziò a concentrarsi sull'idea di sollevarsi
in aria.
Di colpo tutto il suo mondo finì sottosopra. Persino
più di quello che non fosse già, si intende. Per
un breve momento sentì la gravità sotto i suoi
piedi ridursi, poi improvvisamente si ritrovò a cadere. Di
testa. Verso l'alto! Entrò in panico, e perse la
concentrazione. Di colpo, si stava muovendo dritto verso il muro della
casa. Lo colpì con la schiena, poi ricadde al suolo di
faccia.
Si alzò in piedi, la testa che girava in tutte le direzioni,
barcollò, poi svuotò il suo stomaco in un
cespuglio.
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E va bene, così posso volare, pensò. O almeno
scegliere in che direzione cadere...
Stava per accendere il computer di camera sua per dare un'occhiata a
una certa idea quando sentì la voce di sua madre chiamare
dal piano di sotto.
"Daisy, scendi. Forza."
Alex soppresse un moto di rabbia a sentirsi chiamare come quella testa
vuota di sua cugina, che odiava cordialmente da quando aveva dichiarato
di vergognarsi di discendere da uno "schifoso mutante".
Scese al piano di sotto, ancora in pigiama.
"Che c'è mamma?" chiese
"Dobbiamo andare a fare acquisti. Non hai più un vestito che
ti vada bene."
Alex la guardò come se fosse matta.
"Cosa? Non ti aspetterai che..."
"Niente storie. Una giovane ragazza come te ha bisogno di un guardaroba
adatto."
Gettò ad Alex un sacchetto di carta. Conteneva un insieme di
vestiti che dovevano essere appartenuti a sua sorella Heather, prima
che andasse al college. Top bianco, gonna di jeans e scarpe da
ginnastica. Più un set di reggiseno e mutandine nuovi di
pacca.
"Una gonna? Ma mamma!"
"I jeans di tua sorella non ti andrebbero, lei è
più bassa. Ora vatti a cambiare, su."
Alex obbedì riluttante e si preparò per andare al
macello.
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Di ritorno da una estenuante sessione di shopping, Alex era sdraiato a
faccia in giù sul suo letto.
Era stato terribilmente umiliante.
Sua madre non gli aveva risparmiato nulla. Dall'intimo alle scarpe, dai
vestiti ai trucchi, l'aveva trascinato in giro senza tregua. Insistendo
per tutto il tempo che non era normale per una ragazza della sua
età non godersi un'uscita per negozi, e che avrebbe dovuto
fare di più per fingere che gli piacesse o la gente avrebbe
sospettato qualcosa.
L'aveva persino trascinato in un salone di estetista, dove l'aveva
costretto a farsi sistemare i capelli, le unghie e persino a forarsi le
orecchie.
Si sollevò dal letto maledicendo il dio che gli aveva
giocato questo brutto tiro, poi decise che era ora di consolarsi con
qualcosa di meglio e accese il computer.
Col suo interesse per il bisnonno, Alex si era informato molto sui
mutanti. Non solo quelli del passato, ma anche quelli del presente. Era
bene a conoscenza del fatto che esisteva un sistema di classificazione
dei poteri, e che le mutazioni spesso comportavano enormi cambiamenti
fisici. E anche che non era così raro che un mutante
cambiasse sesso, come successo a lui.
Ricordò un certo sito internet e lo richiamò sul
browser.
Oh si, mamma. Adesso sono io a divertirmi.
E mandò in stampa.
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"COSA?" disse la mamma incredula. "Una... scuola per mutanti?"
Alex annuì, agitando la brochure che aveva in mano davanti
alla madre. Era scritta in chiare lettere sullo sfondo di una foto di
un palazzo, in un paesaggio collinare.
Era intitolata: "Whateley Academy - il posto giusto per il vostro
figlio mutante"
"E' la soluzione migliore, no? Avrei intorno gente come me, e mi
insegnerebbero a scoprire i miei poteri. E ad usarli senza far del male
a nessuno."
"Mia figlia non andrà in una scuola piena di... quella gente!"
"Tua figlia è
una di quella gente!" rispose Alex, esasperato. "Voglio dire...
pensaci! Non avrei bisogno di fingere di essere mia cugina!"
Aprì la brochure e mostrò a sua madre una foto.
Rappresentava un gruppo di studenti in abiti formali, il logo della
scuola bene in vista sul petto. La didascalia diceva: Diplomi, anno 2011.
Puntò il dito su una ragazza dai capelli rossi in prima fila.
"Questa è come me. Ha cambiato sesso con la sua mutazione.
Fino ai tredici anni era un maschio. L'ha detto lei stessa quando le
hanno chiesto di raccontare di sè."
Sua madre guardò la foto intensamente, poi prese la brochure
dalle mani di Alex.
"E va bene, ci penserò su. Ma non ti prometto nulla, ok?"
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Capitolo 2 *** Parte 2 ***
Mutanti ed eroi - parte 2
Qualcuno scriveva che a prendere la svolta sbagliata dalle parti di
Dunwich si finisse in un luogo strano e orribile.
La realtà, pensava Alex mentre la macchina arrancava su per
la sconnessa strada sterrata, era di certo meno avventurosa ma molto
più squallida. In un'ora di viaggio per le strade di
montagna della valle del Miskatonic tutto quello che avevano incontrato
erano paesi semidisabitati e capannoni in disuso. La zona viveva di
turismo, e la crisi economica aveva messo tutti in ginocchio.
Si chiese cosa mai avesse trovato Lovecraft in quel luogo per
ambientarvi le sue storie.
L'unica eccezione era stata Dunwich, l'ultimo paesino che avevano
attraversato, che sembrava ancora abitato e sopravvivere, probabilmente
aggrappandosi alla vicina scuola.
La natura, almeno, era piacevole, con le colline coperte dei colori
bruni dell'autunno.
Svoltarono finalmente in una strada meglio curata e in pochi minuti
giunsero in vista del campus.
"Eccoci. Certo che bisogna essere matti per costruire una scuola in
questo posto dimenticato da Dio" disse Lara, alla guida.
"Tiene lontani i curiosi per garantire la privacy degli studenti"
rispose Alex.
"Tiene lontani anche i genitori col mal di schiena."
commentò lei con una smorfia.
Parcheggiarono in uno spiazzo in terra battuta davanti ai cancelli.
Alex aprì la portiera e scese calcando gli occhiali da sole
sul naso. Si aggiustò una spallina del reggiseno, che dopo
una settimana da donna aveva imparato ad odiare sempre di
più, poi venne raggiunta dalla madre. Era buffo come dopo
solo una settimana avesse preso a riferirsi a sé al
femminile, il fatto è che sua madre teneva alla sua
“copertura” fino all’eccesso e si
preoccupava di non usare mai il maschile, e di correggerla ogni volta
che era lei a farlo. Risultato, ormai persino nei suoi pensieri
formulava le frasi con “lei”.
Si avviarono lungo un vialetto lastricato in direzione di un gruppo di
edifici, il più grande dei quali aveva una forma
semicircolare. Alla sua sinistra, Alex vide un paio di ragazzi, a
occhio e croce più piccoli di lei, studiare
all’ombra di un albero.
Proseguirono in direzione dell'edificio principale, una costruzione di
mattoni a due piani con tre ali, quando improvvisamente Alex fu
avvicinata da uno strano oggetto.
Una piccola sfera di metallo cromato, delle dimensioni di un pugno,
rotolò rapidamente fino ai suoi piedi con un
ronzìo acuto, poi si arrestò di colpo e numerosi
sportelli si aprirono sulla sua superficie rivelando un complesso
sistema di braccia meccaniche. Infine si sollevò su quattro
zampe impossibilmente lunghe ed estese un insieme di strumenti dalla
funzione ignota in verso Alex, studiandola da capo a piedi.
"HAL! Quante volte ti ho detto di non infastidire gli sconosciuti?"
gridò una voce femminile.
Una ragazza circa della stessa età di Alex corse incontro
alla "cosa", che ritirò tutte le proprie appendici su se
stessa. Pareva un cagnolino appena rimproverato. Alex pensò
che, se la cosa avesse avuto una faccia, sarebbe stata paonazza.
"Ciao!" disse la ragazza, sistemando la lunga coda di capelli castani.
Non sembrava minimamente a disagio nel suo vestito a balze, uno che
avrebbe imbarazzato una principessa Disney. "Io sono Emily. Devi
scusare HAL, è un po' troppo socievole. Credo debba chiedere
a mia sorella di lavorare un altro po' sulla sua programmazione. Non
credo di averti mai vista qui, sei nuova?"
HAL ritornò alla sua forma sferica e rotolò
rapidamente tra i piedi della padrona.
"Più o meno... sto visitando la scuola, vorrei iscrivermi.
E' tuo?"
"Già, l'ho costruito tra un progetto e l'altro. Una ragazza
deve pur divertirsi no?" rispose Emily, ridacchiando.
"Immagino di si... devo preoccuparmi del fatto che porti il nome di un
computer assassino?"
Emily rise. "Non particolarmente... E' solo che mi piace la vecchia
fantascienza."
"Allora Alex, vuoi venire o no? Abbiamo un appuntamento!"
chiamò sua madre, infastidita, dalla porta del complesso
principale.
"Arrivo mamma!" rispose. "Devo andare. Piacere di averti conosciuta!"
"Piacere nostro! HAL, saluta." disse Emily sorridendo, mentre il
piccolo robot estendeva un braccio meccanico per salutare Alex.
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La donna dimostrava una quarantina d’anni, era alta e
atletica e vestiva in un completo grigio formale, adornato dal logo
della scuola. Portava i capelli biondi legati in una coda. Sedeva nel
suo ufficio dietro una scrivania elegante, e fece cenno alle due nuove
entrate di accomodarsi.
“Benvenute. Voi dovete essere Lara Chapman e Alex Desmond.
Piacere di conoscervi. Io sono Elizabeth Carson e sono la preside di
questa scuola.”
La madre di Alex, senza nemmeno sedersi, le porse la mano per
presentarsi.
"E' un piacere..." disse lei, estremamente nervosa.
"Spero abbiate fatto buon viaggio. Al telefono mi avete accennato il
fatto che sua figlia è appena andata incontro alla sua
mutazione" disse la preside, indugiando con lo sguardo su Alex.
Lei si sedette ed iniziò a tamburellare nervosamente le dita
sulla scrivania.
"Vero. Anche se non abbiamo capito esattamente se e quali poteri
possieda Alex è... molto cambiata. Nel giro di pochi giorni."
Cadde un momento di silenzio imbarazzato.
"Puoi anche dirlo, mamma." sbottò Alex stizzita. "Ero un
maschio. Un giorno mi sento male e bam, una settimana fa mi sveglio in
un letto d'ospedale con tutto l'equipaggiamento cambiato."
Lara sussultò di fronte alla crudezza della frase, ma la
preside non apparve per nulla sorpresa. Si limitò ad annuire.
"Probabilmente un tratto da Exemplar. Non preoccuparti, Alex. Qui siamo
a Whateley, strano è un concetto molto relativo. Non sei la
prima studentessa a cambiare spontaneamente sesso."
Sua madre sembrò sollevata a questa dichiarazione, e
iniziò a tempestare la preside Carson con una lunga fila di
domande.
Alex apprese che la scuola si trovava in realtà nel
territorio di una tribù di nativi, cosa che la rendeva una
sorta di terreno neutrale rispetto ai governi. Gli studenti venivano da
tutto il mondo per imparare a controllare i propri poteri nel migliore
dei modi, senza correre il rischio di far del male a qualcuno per
errore. Oltre alle solite materie di una scuola, come la letteratura e
le scienze, c'erano corsi di arti marziali, magia, poteri psichici...
persino dei poligoni di tiro.
Più Alex ascoltava, più si rendeva conto di aver
trovato esattamente la scuola dei suoi sogni.
Immaginò sè stessa in un costume attillato,
intenta a battersi con gli altri studenti. L'idea la rendeva
estremamente felice. Se solo non avesse dovuto preoccuparsi del seno,
sospirò.
"Uh?" disse, rendendosi conto che la preside le stava parlando
direttamente.
"Avete mutanti in famiglia, Alex?" ripetè.
Gli occhi di Alex si illuminarono.
"Mio bisnonno lo era. Un eroe di guerra. Rupert Hess, lo chiamavano
Stalker." disse, gonfia d'orgoglio.
La fronte della preside si alzò in un'espressione sorpresa.
"E così tu saresti la bisnipote di Stalker. Non sapevo
avesse avuto figli. Lo conoscevo."
Alex rimase perplessa. "Ma... è morto nel '45..."
"E io sono nata negli anni '30" rispose tranquillamente la preside
Carson.
Alex e Lara erano a bocca aperta. "Ma... ma... lei avrebbe..."
"Non tutti i mutanti invecchiano allo stesso modo" dichiarò.
"Allora, sai già quali sono i tuoi poteri?"
Alex scosse la testa. "Non mi sono ancora chiari. Avete un modo per
aiutarmi a scoprirlo?"
"Ti porterò dal dottor Polland, abbiamo un intero sistema di
laboratori per testare i nuovi mutanti."
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I test consistevano in attività delle più varie,
ma cominciarono con quelle più semplici. Un team di medici
la osservarono mentre provava numerose macchine da palestra, prendendo
nota delle sue massime prestazioni fisiche. Scoprì che la
sua performance, pur molto modesta per un mutante, era comunque
paragonabile a quella del suo vecchio corpo e certamente superiore a
quel che ci si poteva aspettare visto il suo attuale aspetto.
La prova di scatto, però, fu una sorpresa: quando
tentò di accelerare al massimo delle sue capacità
il mondo intorno a lei sembrò rallentare e quasi fermarsi.
Quando smise di correre, un tecnico di laboratorio le disse che aveva
accelerato fino a oltre 120 chilometri all'ora in meno di tre secondi.
I test sulla magia e i poteri psichici rappresentarono un totale
fallimento, così come i tentativi di evocare energia grezza
oppure oggetti.
La parte più interessante dei suoi test arrivò
con gli esercizi di controllo della realtà.
Alex scoprì di essere in grado di modificare la
gravità intorno a sè, riducendola o aumentandola,
oppure modificandone la direzione. Dopo numerosi tentativi
riuscì non solo a restare appesa al soffitto a testa in
giù, ma anche a modificare la gravità intorno ad
altri oggetti, permettendole di far "cadere" una palla parallelamente
al pavimento e in direzione della sua mano. Sfortunatamente, la nausea
che le causava il continuo spostamento dei suoi punti di riferimento
era un serio limite alle sue abilità, ma i medici le dissero
che si sarebbe abituata.
Infine, vennero i test di combattimento. I risultati furono intermedi:
mentre Alex non sembrava avere speciali capacità offensive,
riuscì a difendersi da ognuna delle palle di gommapiuma
sparatele contro da una speciale macchina, rallentando il tempo per
schivarle oppure deviandone la traiettoria in volo.
Un'ora dopo, Alex sedeva al tavolo del Dottor Polland, che stava
rivedendo i risultati dei suoi test.
"Bene. Hai dimestichezza col sistema di classificazione dei poteri?"
chiese
"Un po'. Ho letto qualcosa. Sono classificati in differenti tipi, e per
ognuno la potenza è identificata in sette classi, giusto?"
Il medico annuì. "Più o meno è
così. Dal risultato dei tuoi test, ti classificherei come
Exemplar 1 e Warper 2" iniziò.
"Il tuo tratto di Exemplar 1 significa che il tuo corpo si è
trasformato per adattarsi a un modello detto BIT, che
rappresenta la tua idealizzazione di un essere umano. Però a
differenza di qualcuno di livello superiore, non hai caratteristiche
fisiche particolarmente migliori di un umano base." disse prima di
guardarla. "Se non nell'aspetto."
Alex arrossì.
"E perchè la mia idealizzazione di un essere umano dovrebbe
essere una donna?"
Il dottor Polland scrollò il capo.
"Non sappiamo perchè così tanti maschi hanno dei
BIT femminili. E' oggetto di un importante dibattito in ambito
scientifico."
"La parte interessante, però, sono i poteri di Warper. Come
livello 2, i tuoi poteri sono sopra la media anche per una mutante, e
sembrano avere a che fare con la manipolazione dello spaziotempo. Cosa
sai della relatività generale di Einstein?" chiese Polland
"Uhm... temo molto poco. Ha a che fare con quella cosa del paradosso
dei gemelli?"
"In parte" rispose Polland. "In sostanza, Einstein ha formulato una
teoria che descrive come lo spazio e il tempo siano modificabili dalla
presenza di massa. Il tuo potere principale sembra essere quello di
manipolare la forza di gravità, simulando un eccesso o una
riduzione della massa degli oggetti. Senza entrare nel tecnico, questo
ti permette di distorcere la geometria dello spazio. Linee che
dovrebbero essere dritte, come le traiettorie delle palline, diventano
curve. Il basso diventa l'alto. E tutto questo può anche
influenzare il tempo: come hai notato, sei capace di accelerare lo
scorrere del tuo tempo soggettivo e, sospetto, anche di rallentarlo."
Alex si stava perdendo, a sentir parlare di tutta quella fisica.
"In sostanza, mi sta dicendo che posso applicare una forza di
gravità sulle cose, e posso accelerare o rallentare il
tempo."
"Per dirla semplicemente..." disse Polland, sospirando. Evidentemente,
sperava di aver trasmesso qualche nozione in più alla
giovane.
"E... pensa che potrei manipolare questa gravità in modo da
volare?" chiese lei
"Beh, con adeguato controllo, non vedo perchè no."
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Quando Alex raggiunse la madre nel parco, si sentiva stranamente
felice. Le avevano appena confermato i suoi poteri di mutante! Poteva
muovere gli oggetti semplicemente desiderandolo, correre velocissima
e... persino volare! Ricacciò in un angolo della propria
mente la fastidiosa consapevolezza del prezzo pagato per i suoi poteri.
"Mamma, guarda questo!" disse, appena le si avvicinò. Poi
prese a correre e un istante dopo era al suo fianco. La madre la
guardò a bocca aperta. Subito dopo si concentrò
su di un sasso ai loro piedi e lo fece muovere verso l'alto. Rideva
come una bambina, fino a che...
Perse il controllo del sasso, ormai salito a tre metri d'altezza, e
quello cadde dritto addosso a sua madre, colpendola su una spalla.
"Ahia! Ehi ma cosa..."
"Ooops! Scusami mamma, credo di non saper ancora usare bene questo
trucco..." disse Alex, rossa per l'imbarazzo.
"Uff. Vieni dai, è ora di andare." disse Lara. Si avviarono
verso l'uscita.
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"Non so se sia il caso che tu vada a studiare a Whateley, Alex."
proclamò solennemente sua madre.
Alex la guardò come se l'avessero presa a calci, e si
strinse le ginocchia al petto sul divano del salotto.
"Prendi questa cosa come un gioco. Voglio dire... superpoteri? Eroi in
costume? Lo dimostra cosa hai fatto con quel sasso."
Alex sentì gli occhi bagnarsi di lacrime. Aveva sempre
sognato una opportunità come questa, e ora...
"Mamma, ti prego. Non sono una bambina. E a Whateley hanno tutti i
corsi necessari per insegnarmi a usare i miei poteri. Proprio per
evitare che succedano cose come quell'incidente ."
Sospirò per un momento.
"Mamma, tu mi hai sempre insegnato che una persona deve mettere a
frutto i propri talenti. A te è sempre piaciuta la
fotografia, come credi ti saresti sentita se tuo padre non ti avesse
permesso di usare una macchina fotografica?"
"Tesoro, quando scatto una foto non rischio niente. Se sbaglio, la
butto semplicemente via. Ma qui... la tua vita potrebbe essere in
pericolo."
"Mamma, sai benissimo che sarei entrata nell'esercito una volta
diplomata. Credi che Whateley sia tanto peggiore di Baghdad?"
"Ma Alex, hai solo sedici anni!" implorò lei, guardando Alex
dritta negli occhi. Le faceva male pensare al dolore che le stava
causando...
"Uff!" sbottò la teenager. "Voi adulti siete sempre
così." Corse in camera sua e si chiuse dentro sbattendo la
porta.
Le passerà, pensava Lara, con una fitta al cuore, mentre
usciva per andare a lavorare.
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"E' in ritardo. Non è da lui." disse Richard, guardando
nervosamente l'orologio.
"Si farà vivo. Sarà successo qualcosa. Il posto
è questo: il boschetto dietro la casa del vecchio Flanders."
rispose Ellen, accendendosi una sigaretta.
Sedevano su un ceppo in una radura dentro ad una macchia di alberi. Il
posto puzzava di urina ed era decisamente sporco, il tipo di luogo dove
gli ubriachi andavano a smaltire la sbronza la notte. Quando non vedi
il tuo migliore amico per dieci giorni, un messaggio per un
appuntamento in un luogo del genere era davvero strano.
Un rumore di foglie smosse rivelò la figura di una ragazza
dai capelli rossi, vestita con un paio di jeans e una camicetta.
"Ciao ragazzi. Sono io... uhm... Alex" disse, arrossendo.
Richard la guardò a bocca aperta. "Alex? Ma come...
è uno scherzo?"
"Temo di no" disse lei. "Pare che io sia una mutante. Dieci giorni fa
mi sono sentita male e... bam. Cambio di sesso spontaneo."
"Te l'avevo detto che era un mutante, Richard!" disse Ellen,
sghignazzando. "Mi devi dieci dollari."
"Aspetta, come facciamo a sapere che non ci prendi in giro?"
azzardò Richard.
"Vogliamo parlare di quella sera in cui avevi fumato una canna di tuo
fratello e volevi baciarmi?"
Richard la guardò offeso. "Ehi! Avevi promesso che non
avremmo mai parlato di quella sera a nessuno!"
Ellen diede un tiro di sigaretta e rise, con Alex che la
seguì.
"E così sei delle nostre adesso?" chiese Ellen. "Anche..."
Alex arrossì. "Già. I medici dicono che dovrei
aspettarmi anche di avere... uhm... sai, una volta al mese..."
"Ti sta bene. Così impari a prendermi in giro quando ho
l'umore sballato!" Ellen le diede un colpetto sulla spalla. "Benvenuta
nella squadra."
Alex si sedette vicino agli amici e raccontò degli eventi
degli ultimi tempi, e in particolare di Whateley e di come sua madre
non volesse che lei la frequentasse.
"Una vera scuola per supereroi..." disse Ellen alla fine. "Che figo.
Pensi che non riusciresti a convincere tua madre? In nessun modo?"
"A dire la verità non lo so. Credo sia soprattutto
preoccupata che mi possa succedere qualcosa." rispose lei.
"Che ne diresti di farci vedere i famosi poteri?"
Alex sorrise, poi puntò le mani a un gruppo di foglie secche
a terra. Concentrandosi, le sollevò in aria e le fece
accelerare verso l'alto. Poi disattivò il suo potere ed esse
ricaddero in tutte le direzioni in una pioggia bruna.
"E'... incredibile. Semplicemente!" disse Ellen, afferrando una delle
foglie che stavano cadendo.
"Mi hanno detto che un giorno potrei anche volare." rispose Alex. "Te
lo immagini? Librarsi nell'aria soltanto col pensiero..."
"Un po' ti invidio Alex" disse Ellen. "E secondo me anche Rick".
Guardò il ragazzo, che era ancora a bocca aperta dopo lo
spettacolo.
"Senti, che ne pensi di andare a festeggiare? Non si scopre tutti i
giorni di avere dei superpoteri!" propose Ellen.
Alex la guardò con un'espressione indecisa. "Non saprei. Mia
madre dice che dovrei evitare di farmi vedere in giro, non attirare
l'attenzione, insomma."
"Beh, non vedo come potresti farlo se non usi i tuoi poteri. Voglio
dire, hai un aspetto del tutto normale." incalzò lei.
"Si dai, andiamo!" si aggiunse Rick.
Alex sorrise, e i tre si avviarono al centro commerciale.
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"Come stai?" chiese Ellen, mentre Rick era in coda per comprare dei
nacho. "Voglio dire... per qualcuno che ha cambiato sesso di punto in
bianco una settimana fa, mi sembri fin troppo normale."
Alex sapeva che il momento di parlare dell'argomento sarebbe arrivato,
nonostante i suoi tentativi di evitarlo. Emily non era una stupida.
"Boh... mia madre è stata molto attenta a farmi usare
soltanto il femminile, e a farmi comportare come una ragazza qualunque.
Si vede che mi sto abituando. E poi voglio dire... non è che
faccia tanta differenza no? Metà del mondo è una
donna e tira avantti benissimo."
"Ah si?" commentò l'amica. "Quindi non avresti nessun
problema a farti portare a letto da quel bel ragazzo al bancone. Ho
visto come ti guarda il seno. E ho visto come lo guardi tu."
Alex diventò paonazza. Era vero. Non solo il ragazzo non le
staccava gli occhi di dosso, ma nemmeno lei sembrava riuscire a
liberarsi dal pensiero delle sue grandi e atletiche spalle, o del suo
sguardo penetrante...
NO! Non era così... Non poteva trovare attraente un uomo!
Lei era... era... un maschio!
"Allora, Miss? Sempre così sicura che la cosa sia semplice?"
"Ok, Ellen, hai vinto. Magari non è tutto facile. Ma non
è che possa farci molto, sai? Tanto vale tirare avanti come
se niente fosse."
"Questo è il punto, Alex. Non puoi far finta di nulla. Hai
vissuto un cambiamento drastico, e la cosa si ripercuoterà
per forza sulla tua vita in modo enorme. Più forte tenterai
di resistere, più duro sarà il colpo
quando crollerai. Sii elastica, e potrai assorbirlo."
"E questa vena filosofica da dove ti salta fuori?" chiese Alex
Ellen scrollò le spalle, e camminò in direzione
di Rick che stava tornando con il cibo.
"Mi sono perso qualcosa?" chiese lui, percependo la tensione nell'aria.
"Cose da donne" rispose Ellen.
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Alex era felice di aver passato un pomeriggio con gli amici, dopo tutto
questo tempo. Finalmente aveva potuto parlare della sua situazione con
qualcuno al di fuori delle chat tra mutanti su internet, e si sentiva
veramente sollevata. Sapeva che loro due non avrebbero avuto alcun
problema con la sua trasformazione.
Stavano chiacchierando amabilmente mentre attraversavano la strada,
quando un'auto spuntò improvvisamente da una curva a tutta
velocità, diretta dritta verso di loro.
Alex reagì istintivamente. Il tempo intorno a lei
rallentò. La parte anteriore dell'auto si
deformò, come stirata da una forza invisibile, poi
improvvisamente il veicolo cedette e si strappò in due dal
davanti al dietro. Pezzi di metallo e vetro volarono in tutte le
direzioni, e il viso del conducente si piegò in una smorfia
quando il suo braccio destro fu coinvolto nella distorsione.
Poi tutto finì, e Alex si trovò a terra, il
braccio sinistro sanguinante, circondata dagli amici, i resti dell'auto
e una folla di passanti terrorizzati. Si guardò intorno
terrorizzata, e scoppiò a piangere.
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Per la seconda volta in meno di due settimane Alex era seduta su un
letto d'ospedale. Questa volta, un infermiere stava bendandole il
braccio, che era stato ferito in differenti punti dalle schegge di
metallo. Si vergognava di aver pianto, non lo faceva mai. Ma ora era
una ragazza, pensò. Avrebbe pianto più spesso?
Ringraziò l'uomo, si alzò ed uscì nel
corridoio. Aveva voglia di un caffè.
Tuttavia non fece in tempo a raggiungere i distributori automatici,
perchè incontrò immediatamente sua madre che le
gettò le braccia al collo.
"Stai bene! Grazie al cielo. Ho avuto tanta paura per te!"
"Non è nulla mamma. Ma... anche io ho avuto paura" ammise.
Emily e Rick, illesi, spuntarono da dietro Lara.
"E' bello vederti. Ci hai fatto prendere un bello spavento!" disse Rick
"Alex, ci sono dei poliziotti. Vogliono parlarti riguardo
all'incidente." aggiunse sua madre.
Alex annuì e si lasciò guidare fino a una piccola
stanza dove attendevano due uomini in uniforme e una terza persona in
borghese: una donna di bassa statura e di mezza età, vestita
in abiti seri e formali.
"Miss Alex Desmond, immagino." disse la donna freddamente. Non era una
domanda. Le porse la mano. "Deanne Westmond, dell'Ufficio Commissione
Mutanti"
Alex sussultò. MCO. Ufficialmente un'organizzazione
internazionale per il monitoraggio delle attività dei
mutanti. Ma negli ambienti dei forum che frequentava, giravano voci
molto più sinistre. Difficile capire quanto fossero vere e
quanto teorie complottiste.
"Prego, si sieda." disse, indicandole una sedia.
"Credo dovremmo parlare della sua situazione. Immagino che lei abbia
manifestato i suoi poteri da poco, vero?"
Alex annuì. "Una decina di giorni."
"Sa controllarli?" chiese lei
"Non ancora." disse Alex. "L'incidente... sono stata io a ridurre
così quell'auto? E il suo occupante?"
"Il pilota era talmente pieno di cocaina che non avrebbe distinto un
uomo da un palo. E comunque si riprenderà. Però
direi che abbiamo avuto tutti quanti una dimostrazione di cosa
può fare..." rispose la donna. "e dei danni che potrebbe
causare."
Lo sguardo della donna avrebbe potuto gelare il sangue ad uno Yeti.
"Non è pratica standard per noi lasciar andare in giro
tranquillamente una mutante senza controllo sui propri poteri. Sa cosa
succederebbe? L'incidente di oggi si ripeterebbe. Una volta. Due volte.
Finchè qualcuno potrebbe farsi male. Lei stessa, o una
persona a lei cara. Oppure un innocente sfortunato."
Si sedette. "Ho parlato con sua madre. So che avete contattato la
Whateley Academy. E' una buona scuola. Vada a studiare
laggiù, Alex. Sapranno tenere lei, e chi le sta intorno,
fuori pericolo."
"Ma... mia madre pensa che sia pericoloso!"
"Mi creda, restare qui lo è molto, molto di più.
Oh, mi sono preoccupata di farle avere una carta di identificazione per
mutanti, con l'indicazione di tutti i suoi poteri, come misurati dal
dottor Polland."
Alex lasciò la stanza, ancora intimidita da quella strana
donna, trovando la madre e gli amici ad attenderla.
"Ci ho pensato meglio." disse sua madre. "E ho parlato con quella
donna. Credo che, tutto considerato, Whateley sia il posto migliore per
te." e la guardò con un sorriso forzato. "Promettimi
soltanto che farai attenzione, ok?"
Alex sorrise mentre Ellen e Rick le mostrarono il pollice in su da
dietro le spalle di Lara
--------------------------------------------------
"Mi dispiacerà vederti andare via." disse sua madre,
guardandola fare le valige. Alex si fermò di fronte alla sua
collezione di fumetti, indecisa su quali portarsi dietro.
"Tra meno di un mese sarò di ritorno, per natale."
"Lo so. E' solo che... sarò sola qui. Fatti sentire. E mi
raccomando, fai attenzione."
Lei annuì, poi afferrò i cimeli di Stalker e li
sistemò con cura nello zaino. Era pronta.
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Capitolo 3 *** Parte 3 ***
Domenica 30 ottobre 2011
Ferrovia per Dunwich, New
Hampshire
Il viaggio verso Whateley
era lungo e noioso. La prima settimana di freddo si era abbattuta sul
New Hampshire annunciando un inverno duro e nonostante il riscaldamento
della cabina Alex si trovò a rabbrividire. Si strinse nel
maglione invernale a collo alto e sbirciò fuori dal
finestrino del treno. Neve ed alberi, nient'altro.
Stava per tornare al suo libro, un saggio sulla Resistenza italiana
durante il regime fascista, quando il suo telefono squillò.
"Ciao mamma" rispose. "Come va?"
"Tutto bene. Tu dove sei?"
"Ho preso il treno per Dunwich. Tra un'oretta dovrei essere
lì."
"Bene. Senti Alex, c'è una cosa importante. Ho parlato con
tuo padre, vorrebbe vederti." disse Lara, con la voce nervosa.
Alex sentì una fitta di dolore, come ancora succedeva ogni
volta che veniva nominato suo padre Robert. Era un poliziotto della
SWAT, uno di quelli a cui toccavano sempre le missioni più
pericolose. Mutanti fuori controllo, terroristi, cose del genere.
Sua madre lo amava, ma non sopportava di restare col fiato sospeso
durante ogni missione, sapendo che suo marito avrebbe potuto non fare
ritorno. Aveva tentato spesso di convincerlo a trovare un lavoro meno
pericoloso, ma lui amava quel che faceva.
Poi un giorno successe il disastro. Suo padre rimase ferito in una
missione e restò una settimana tra la vita e la morte. E
quando si riprese, i suoi genitori decisero che sarebbe stato meglio
per tutti se si fossero lasciati. Alex aveva sei anni.
Non lo vedeva da allora, anche se talvolta riceveva delle sue lettere.
E le mancava, da morire. Era stupita che sua madre l'avesse contattato,
anche se probabilmente la situazione lo meritava. Ma era ancora
più stupita del fatto che, dopo dieci anni, avesse
improvvisamente intenzione di incontrarla.
"Quando vorrebbe vedermi?" chiese
"Oggi stesso. Si trova dalle tue parti per una questione di lavoro, e
ha detto che potrebbe passare a prenderti in stazione a Dunwich."
Il cuore di Alex le saltò in gola. Suo padre? Oggi? E cosa
avrebbe detto del suo aspetto?
"Mamma, è proprio necessario? E' tutto così
improvviso... Non possiamo organizzare qualcosa con più
anticipo?"
"Non so se ripasserà da quelle parti. E ci terrebbe davvero
molto."
Alex chiuse gli occhi, poi sospirò.
"Va bene. Digli che ci sarò."
"Ottimo. Gli ho già fatto avere una tua foto,
così ti riconoscerà. Ah e... anche lui
è cambiato. Molto."
Alex rimase a fissare il vuoto bianco oltre il finestrino, pensando a
quella persona con cui aveva diviso così tanti momenti in
passato. Buffo, suo padre avrebbe avuto bisogno di una sua foto per
riconoscerla. L'idea di rivederlo era al contempo eccitante e
terrorizzante. Come tutta la sua vita, di questi tempi.
Sospirò di nuovo, poi tornò a immergersi nella
lettura.
-------------------------------------
Alex scese dal treno
nella neve che copriva il marciapiede, e si avviò verso
l'uscita guardandosi intorno. Dunwich, avvolta nella sua coltre bianca,
sembrava ancora meno abitata dell'ultima volta che l'aveva vista.
"Alex Desmond?" chiese una voce alla sua destra, appena lei
uscì dalla porta principale della stazione.
Lei si voltò. A parlare era stata una donna alta, avvolta in
un piumino col cappuccio. I capelli biondi e ricci incorniciavano due
occhi color oro, e i tratti del viso le ricordavano qualcosa che non
riusciva a definire.
"Si? Sono io. Lei chi è?"
"Robyn Desmond. Ma un tempo ero Robert." disse, poi fece una pausa. "A
quanto pare, entrambe siamo un po' cambiate."
Alex quardò la donna esterrefatta. Era davvero possibile
che... poi si rese conto di qual'era la somiglianza che l'aveva
colpito: somigliava a lei, alla sua nuova sè stessa!
"Pa... Papà?"
La donna annuì. Aveva le lacrime agli occhi. "Vieni, andiamo
a prendere qualcosa di caldo. Abbiamo molto di cui parlare."
----------------------------------
Si sedettero in un
caffè, vicino alla finestra. Nel tepore del locale la donna
si tolse la giacca, rivelando un corpo atletico, dalle curve perfette.
Alex osservava con curiosità la donna che, a suo dire, era
stata suo padre. Un lato di lei lo trovava assurdo, ma dopo quello che
le era successo nelle ultime settimane non si sentiva di escludere
nulla. E poi nessun'altro avrebbe potuto riconoscerla.
Ordinarono due cioccolate calde.
Fu Robyn a rompere il silenzio. "Immagino avrai molte domande."
Alex ne aveva moltissime, ma nella confusione della sua testa una era
la domanda fondamentale. "Cos'è successo?"
"Mi dispiace di essere sparita così. Ho pensato fosse la
cosa migliore per tu e tua sorella." disse. "Per spiegarti cosa
è successo devo partire da lontano. E da una cosa che non ti
ho mai detto. Sono una mutante." disse
Lasciò un momento ad Alex per assorbire l'affermazione.
Aveva senso. Suo padre era il nipote di Stalker.
"Sono un Energizer, posso manipolare campi di forza e migliorare la mia
performance fisica. Quando ho scoperto i miei poteri ho voluto metterli
al servizio della società. Diventai poliziotto, e
rapidamente entrai nella SWAT. Un mutante nell'elite della polizia,
è per questo che prendevo continuamente parte alle missioni
peggiori. Ero il loro uomo migliore. Potevo proiettare un campo di
forza capace di proteggere un'intera squadra, strappare una porta a
mani nude e sopravvivere a una fucilata sparata da un metro di distanza.
Poi siete arrivati voi, e tua madre voleva che smettessi di fare quel
mestiere. Pensava fosse troppo pericoloso. Io ero giovane, e mi sentivo
onnipotente ed invulnerabile. Vivevo per l'adrenalina che l'azione mi
lasciava addosso, per il senso di invincibilità che provavo
quando uscivo dall'ennesima missione senza un graffio addosso."
Sospirò. "Che ingenuità."
Diede un sorso alla propria cioccolata.
"Poi, quel giorno fatidico del 2000, cambiò tutto. Ci
avevano chiamati per un attacco all'università. Una squadra
di mutanti aveva assaltato la biblioteca in cerca di alcuni libri molto
preziosi che servivano al loro mago, Negromante. Avevano preso in
ostaggio dieci persone mentre facevano a pezzi l'edificio per trovare
quello che cercavano.
La situazione precipitò quando uno degli ostaggi, in panico,
tentò la fuga e gli spararono nella schiena.
Arrivò l'ordine di fare irruzione senza aspettare i rinforzi
dall'MCO. Era una follia e lo sapevamo tutti, ma non potevamo ignorarlo.
Attaccammo con la solita procedura, lacrimogeni e fucili in mano.
Sapevamo che nessuna delle nostre armi sarebbe stata letale contro di
loro.
Solo che i mutanti erano molti di più del previsto, e meglio
armati. Alzai il mio scudo e pregai Dio mentre i miei compagni
scortavano gli ostaggi lontano dalla zona. Non so quanto tempo restai
lì ad assorbire proiettili e attacchi magici, ad un certo
collassai a terra e persi coscienza.
"Burnout" mormorò Alex. Robyn annuì.
"Tre ostaggi morti, due feriti, un agente ferito e uno ricoverato per
burnout grave. Questo dovresti ricordarlo."
Alex annuì. Sua madre era andata a trovare suo padre quasi
tutti i giorni, lei e Heather erano terrorizzate.
"Dopo un burnout" Robyn continuò "non è raro che
un mutante si ritrovi con un differente set di poteri. Apparentemente,
devo avere dei geni da Exemplar, perchè sviluppai un BIT."
"Un BIT femminile!" disse Alex "E' per questo che te ne sei andato!"
Robyn annuì. "Secondo i medici, sarei stata una donna in
meno di un mese. Non volevo costringervi a convivere con uno shock
simile. Non quando io, per prima, dovevo trovare il modo di conviverci.
Così me ne andai, e chiesi un lavoro un po' meno stressante."
Cadde il silenzio. Alex aveva mille pensieri, e non sapeva come
comportarsi.
"Heather lo sa?" chiese
"No" rispose Robyn. "Non avevo intenzione di parlarne nemmeno con te.
Ma visto che ora siamo nella stessa barca, ho pensato non avesse senso
tenertelo nascosto."
Alex e Robyn si guardarono a lungo, avevano entrambe le lacrime agli
occhi. Si abbracciarono.
"E' bello ritrovarti. Mi mancavi" disse Alex
"Anche tu, Alex" rispose lei, con la voce rotta dall'emozione.
Si strinsero per un po', poi Alex si ritirò per bere un
altro sorso di cioccolata.
"Sei ancora in polizia?" chiese
"Si. Ora faccio l'istruttrice per i nuovi agenti, specialmente i
mutanti. E a volte, Whateley mi chiede di fare delle lezioni.
Sopravvivenza, soprattutto. Sono qui proprio perchè ieri ero
alla scuola."
Alex si accigliò. "Vuoi dire che avrò mio padre
come insegnante?" disse "... o madre? come devo chiamarti?" aggiunse,
incerta.
Robyn rise. "Solo di tanto in tanto. E puoi chiamarmi come ti viene
meglio..."
"OK. Beh, chiamarti papà o mamma sarebbe troppo strano
credo. Posso chiamarti Robyn e basta?"
"Certo! E tu hai già pensato come chiamarti?"
"Alex va bene sia per un maschio che per una femmina. Vorrà
dire che sarò Alexandra sui documenti." disse Alex.
Guardò Robyn con uno sguardo malinconico. "Come
sarà? Come è stato per te? Abituarti, voglio
dire."
"E' stato difficile all'inizio. Tutto il mio corpo mi sembrava
sbagliato. Mi odiavo. Ci sono voluti anni di psicoterapia, ma ce l'ho
fatta." sembrava incerta se aggiungere qualcosa, poi disse, quasi
imbarazzata "Ora... vedo un uomo."
Alex restò a bocca aperta. Non solo aveva due mamme adesso,
ma la sua mamma/padre usciva con un uomo?
"No... aspetta... questo non lo voglio sapere!" esclamò,
inorridita.
"Ok, ok, scusa." disse Robyn. "Dai, raccontami come vanno le cose. Hai
già scoperto i tuoi poteri?"
Alex annuì, ed estrasse il suo MID dal portafogli. Lo
passò a Robyn.
"Exemplar 1 e Warper 2. Wow! A quanto pare hai preso sia da me che da
tuo bisnonno."
"Già" confermò Alex. "Posso modificare direzione
e intensità della forza di gravità e accelerare o
rallentare lo scorrere del mio tempo soggettivo." disse, con gli occhi
che le brillavano. "Dicono che posso anche imparare a volare!"
Robyn sorrise orgogliosa. "Ah, come sei cresciuta! E dimmi, hai
già un nome in codice?"
Alex scosse il capo. "Non ancora, quelli interessanti sono
già registrati. Ho pensato a Warp, ma esiste già.
Forse Grav? Devo lavorarci su. E' una cosa importante per un supereroe."
Il viso di Robyn si incupì e si fece serio. "Supereroe? Sei
sicura di voler prendere quella strada?"
Alex si trovò di colpo confusa. Certo che lo desiderava!
Perchè mai avrebbe dovuto rinunciarvi?
"Alex, voglio fare tutto tranne che una paternale, ma devi capire che i
tuoi poteri non sono un gioco. Io non l'ho capito in tempo ed eccomi
qui. Ho perso la mia famiglia, il mio corpo, e sono stata fortunata a
non perdere anche la vita."
"Ma papà... Robyn... Io voglio farlo, sul serio! Ho questi
poteri, queste capacità. Non voglio che vadano sprecate!
Voglio fare la differenza, come ha fatto tuo nonno. E come hai fatto
tu."
Robyn la abbracciò di nuovo.
"E' per questo che tua madre era così reticente a mandarti a
Whateley. Lei l'ha visto, tu sei come me. Abbiamo il sangue di Stalker
nelle vene. Il pericolo e l'avventura ci chiamano. Ma voglio che tu mi
prometta che non farai nulla di stupido, che non tenterai qualcosa di
rischioso senza avere prima preso le giuste precauzioni. Vai a
Whateley, studia, impara tutto quello che puoi. Anche io ti
aiuterò il più possibile. Se questa è
la strada che prenderai, avrai bisogno di ogni briciolo di
abilità."
Alex annuì. Capiva il senso di quelle parole.
Pensò a sua madre e a sua sorella, e a quanto avrebbero
sofferto se le fosse successo qualcosa.
"Te lo prometto. Farò attenzione." rispose. "Ci terremo in
contatto?"
"Certo. Ti lascio il mio numero di cellulare e la mia mail, per ogni
evenienza. Chiamami, e ricorda che un paio di volte al mese di solito
sono a Whateley."
Alex annuì. "Lo farò. E... grazie."
Continuarono a chiacchierare ancora un po', sorseggiando la cioccolata,
ed Alex aggiornò Robyn sugli ultimi fatti della sua vita,
sugli amici, sulle sue difficoltà.
Lei l'ascoltò con pazienza e affetto.
Quando si alzarono dal tavolo il sole era ormai tramontato.
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