-In the end-

di Kveykva
(/viewuser.php?uid=655050)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'arrivo ***
Capitolo 2: *** La formula ***
Capitolo 3: *** E' ora ***
Capitolo 4: *** Nuovi nemici ***
Capitolo 5: *** Wiol ono ***
Capitolo 6: *** Primavera anche nel cuore ***
Capitolo 7: *** Nelle braccia di chi ama ***
Capitolo 8: *** Tradimento ***
Capitolo 9: *** Sconfitta ***
Capitolo 10: *** Nuovi Cavalieri ***
Capitolo 11: *** La soluzione ***
Capitolo 12: *** Le armi dei Cavalieri ***
Capitolo 13: *** Endiriri, Campanilięs e Margaritas? ***
Capitolo 14: *** I Diamanti ***
Capitolo 15: *** La voce ***
Capitolo 16: *** Resistenza Nera ***
Capitolo 17: *** Separazione ***
Capitolo 18: *** Occhi in cui perdersi ***
Capitolo 19: *** Il segreto di Dorien ***
Capitolo 20: *** Gelosia ***
Capitolo 22: *** Sorprese ***
Capitolo 22: *** Un nuovo amore ***
Capitolo 23: *** Il piano ***
Capitolo 24: *** Inizio della battaglia ***
Capitolo 25: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 26: *** La fine di tutto ***
Capitolo 27: *** ~Epilogo~ ***



Capitolo 1
*** L'arrivo ***


Su, giù. su, giù.  Tirava un'aria leggera, un venticello umido che solleticava 
la pelle di Eragon.
Su giù, su giù.
Il sassolino che si ostinava a lanciare e rilanciare in aria era di un bel 
colore verde. Un verde chiaro, sfumato verso striature  chiare. L'aveva subito 
colpito per la brillantezza del colore, e su un lato il verde si diramava in un 
bianco panna. 
Gli ricordava davvero tanto Fir...no.
Non gli ricordava proprio nessuno. 
Da quando era arrivato nei territori dell'oltreoceano Eragon non aveva più 
avuto notizie da nessuno. Anzi, lui si 
ostinava a volerle troncare: non che gli fosse arrivata un qualsiasi 
messaggio, da nessuno, ma non si permetteva neanche più di pensare a qualunque 
cosa gli ricordasse la sua vita passata.
Paesaggi, dialoghi, persone. Nessuno. 
Avrebbe rischiato di piombare nella follia se si fosse permesso di rimuginare 
su ciò che aveva perso.
"Tutto" si disse. Aveva perso tutto. 
Il sole era ormai prossimo al suo zenit, e le poche nuvole sembrarono sparire 
totalmente.
Saphira era da qualche ora a caccia, oltre la catena montuosa 
Aerse.
Quando drago e cavaliere erano arrivati, avevano setacciato in lungo e in 
largo il territorio.
Il viaggio era stato lungo, lunghissimo.
Si erano 
trasferiti nella regione più a sud, ribattezzata da Eragon come Telnarae, 
eppure lontanissima da chiunque.
Erano irraggiungibili. 
Avevano attraversato il mare, quella grande distesa d'acqua limpida, che si 
estendeva per chilometri e chilometri.
Poi, dopo esso, più nulla: solo grandi distese pianeggianti, che si ripetevano e si ripetevano.
Ci erano voluti Sei giorni per attraversare il mare, e altrettanti per arrivare a 
destinazione.
Telnarae, era formata da una serie di dolci altipiani verde, con 
alberelli e cespugli sparsi.
C'era un piccolo lago verso Nord, il Lago di 
Greenere, di un brillante color verde.
Eragon e Saphira avevano eretto il loro 
palazzo, sopra una collinetta che era un innalzamento dell'altopiano 
pincipale, perchè il più grande, l'Altopiano Maegisti. 
Era un palazzo  semplice, ma al tempo stesso, spiccava coi suoi colori dorati 
e ambrati 
nella monotonia verde del paesaggio.  
Più ad ovest, si trovava invece un picchio di un altezza vertiginosa, 
formato da dura e nera roccia.
Si chiamavano "Il Picchio di Feilì".
Sulla sua vetta, c'erano forse due metri di spazio piano, la larghezza 
perfetta per contenere una persona seduta.
Era su quella vetta che Eragon meditava ogni giorno.
Era li oramai, da due ore, seduto a lanciare in aria quel piccolo sassolino  verde.
Erano passati quattro anni. Quattro interminabili anni, si ritrovò a pensare.  Erano soli, soli in 
una delle infinite 
pianure, di quella landa desolata.
Erano soli.
Erano soli perchè nessun 
cavaliere era ancora giunto loro,  e sebbene Blodgharm e gli altri elfi lo 
rassicurassero, Eragon se ne domandava il motivo ogni singolo giorno, con 
crescente preoccupazione.
"Perchè le uova non si sono schiuse?  Arya avrebbe dovuto fare in modo che lo  
facessero!"
Arya. L'aveva pensata. Pur cercando di non farlo, l'elfa riaffiorava sempre 
nei  suoi pensieri,in un modo o nell'altro.
Da quattro anni non ne vedeva il viso.
Da quattro anni non ne 
sentiva la risata, limpida, cristallina,seppur rara.
Quella risata che avrebbe sentito per sempre.
Il  suo profumo di aghi di pino.
La sua camminata, il suo modo di parlare.
Lei non l'aveva cercato.E lui non aveva il coraggio di farlo.
I primi tempi in cui era arrivato a Telnarae la divinava ogni giorno, o anche 
più volte al  giorno.
Poi aveva smesso di farlo.
Sarebbe impazzito sul serio se avesse continuato.
Gli era quasi sembrato che l'elfa avesse cambiato idea su di lui, che provasse, seppur minimamente, ciò che lui provava per lei. Un'illusione, si era detto.  

"Carne fresca, piccolo mio!" con un ruggito Saphira gli volò davanti, con ben 
due carcasse di animali morti tra le fauci, interrompendo il Cavaliere nei suoi 
pensieri.
Eragon non pote'  che sorridere, e con un agile balzo saltò sulla sella 
di Saphira.  
Saphira gli trasmise immagini di quando era andata a caccia, mentre lui gliene 
inviava alcune  del suo periodo di meditazione.
Dopo qualche minuto di volo tranquillo Eragon le chiese:
"Quando arriveranno i Cavalieri?", la stessa domanda malinconica che rivolgeva alla 
dragonessa praticamente ogni giorno-
" Il nostro futuro in mano al destino, Eragon. Lascia che la vita faccia il  
suo corso." rispose Saphira, dolce.
Arrivarono al Palazzo di Elves, ma si fermarono nel giardinetto rigoglioso 
che lo costeggiava.
Saphira mangiò subito la carcassa più grande, e stava per addentare anche la seconda 
quando si ricordò che anche il suo copagno di cuore e di mente, doveva mangaire, ma lui rispose che non aveva fame, così Saphira banchettò allegramente.

Ad Eragon si era chiuso lo stomaco.
Aver pensato cosi intensamente ad Arya l'aveva sconvolto, dopo cosi tanti anni.
Saphira ovviamente, intervenne­: 
"Eragon.." incominciò bonaria.
Lui si alzò fulmineo e disse brusco:
"Lascia perdere Saphira"
Si sentiva così fragile, così spento e triste.
Non aveva nessuno scopo.
Non sapeva cosa doveva farne della sua vita immortale ora, perchè sono le persone 
che ami che rendono la tua vita felice e degna d'essere vissuta, come Brom gli 
aveva raccomandato.
Perse le persone a lui care, cosa gli restava da fare? 
"Scusa", disse accostando il viso al muso di Saphira.
"Va tutto bene piccolo mio, sono sicura che tutto si risolverà presto. Me lo 
sento"
"Lo spero" 
Detto questo,Eragon camminò fino ad arrivare all'inizio della pianura, ed 
estrasse Brisingr dal fodero: la mulinò sopra la testa, e si allenò come se ci 
fossero schiere di nemici attorno a lui.
Poi, sentì qualcosa, un filamento di pensiero distante, molto molto lontano, ma pur sempre presente.
Anche saphira lo aveva percepito perchè quando lui si girò verso di lei, essa 
stava guardando nella direzione da cui proveniva la coscienza. Un puntino 
comparve all'orizzonte, in alto nel cielo, dopo due minuti.
Forse, l'ora era giunta.
Eragon trasse un profondo respiro, e si accinse ad 
avvisare gli elfi.

Il compito suo e Saphira stava per cominciare. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La formula ***


 

-Mia signora, Faelis e il suo drago sono arrivati a destinazione.
Arya guardava smarrita in fondo alla grande sala del trono, con gli occhi 
persi. Fissava un  punto in lontananza, senza accorgersi di ciò che le stavano 
dicendo. 
-Mia signora?
Solo quando l'elfo si ripete' dovette distogliere lo sguardo, e prestargli 
attenzione, con egli ancora inginocchiato dinnanzi a lei. Era Taelì, l'elfo che 
aveva nominato come suo consigliere. I lunghi capelli di filigrana gli 
incorniciavano il volto spigoloso e appuntito.
-Grazie Taelì, puoi andare.- rispose lei con voce monocorde, accennando alla 
fine ad un breve sorriso forzato.
L'elfo si inchinò un altra volta, poi, uscì dalla sala.
Solo in quel momento, Arya si lasciò cadere sul trono, improvvisamente stanca, 
lasciando trasparire tutta la debolezza, pur non essendoci nessuno vicino a 
lei.
Non lo ammetteva neppure a se stessa, ma la verità le era chiarissima. Era da 
quattro anni che aveva assunto il comando del popolo degli elfi, quattro anni 
da quando era diventata un Cavaliere dei Draghi, quattro anni da quando Eragon 
era partito.
Lei si sforzava di non pensarlo, ma non ci riusciva. Non riusciva a non 
provare un immenso senso di perdita, che la attanagliava prima di coricarsi, e 
che le faceva pensare:
-E se lui fosse qui?-
-Se lui fosse qui, tu non ti saresti ridotta così.- le rispose il drago smeraldino nella sua mente. Arya sentì che stava volando verso Ellesmera, dopo un giorno intero di caccia. 
-Basta Firnen, non sono cose che ti interessano.- disse improvvisamente stizzita.
Firnen non replicò ma Arya sentì il drago schermare la mente. Si sarebbe scusata più tardi.
Ogni volta che finiva per pensare al Cavaliere la assaliva un'enorme malinconia;ma poi pensava che era solo una stupida a pensare ad un ragazzo, di così tanti anni in meno di lei.
Eppure non era più un bambino, lui era...
Si alzò dall' intrarsiato trono, un capolavoro di intaglio, e camminò in tondo 
lungo l'ampia sala.
L'abito verde che indossava le ricadeva morbidamente sui fianchi, e il lungo 
strascico di un color bosco era intarsiato con pietre preziose dal fucsia al 
bianco. Era bellissima. Fiera, altera. Ma triste. Triste per il destino che le 
era capitato, triste per aver lasciato andare una delle persone più importanti 
per lei. Nessun Cavaliere era stato finora inviato ad Eragon perchè le cinque 
uova che avevano viaggiato fra tutti i popoli di Alagaesia non avevano trovato 
il compagno adatto, ed era anche per quel motivo che Arya era sempre più 
frustata.  Ora,però, un elfo, un bambino, era divenuto Cavaliere. Da quando 
l'Ordine dei Cavalieri dei Draghi si era ripristinato il popolo elfico aveva 
dato alla luce molti più bambini. Faelis, il bambino scelto, era un giovane 
elfo dai capelli neri, come un pozzo senza fine, e Arya si ricordava 
perfettamente di quando l'uovo le si era schiuso davanti, alla presenza del 
nuovo Cavaliere.
Era stato quattro mesi prima. Lei era seduta sul trono, esattamente come ora, 
e tutti i bambini del suo popolo, che ora ammontavano a circa una quindicina, 
le erano dinnanzi. Sapeva che sarebbe stato difficile che un drago si fosse 
legato ad uno di quei bambini, perchè la scelta era troppo ristretta, ma tanto 
valeva provare.
L'uovo che avevano scelto di provare a far schiudere era un esemplare di media 
grandezza, di un bellissimo color violetto. Era un incrocio fra un viola scuro, 
carico, che sfumava in  un lillà, molto chiaro e leggero. Era uno dei colori 
più belli che Arya avesse mai visto per un uovo di drago. Molte uova erano di 
colori scuri, come marrone terra, o di un color fango.
Questo invece era completamente diverso. Aveva parlato molto con quell'uovo, 
come in passato aveva fatto con Saphira; a fine giornata gli raccontava i suoi 
crucci e le sue preoccupazioni; ed ora era arrivato il momento della verità. 
Quell'uovo era passato nelle mani di Urgali, nani ed umani, e gli elfi erano 
l'ultima speranza. Se non si fosse schiuso per un elfo l'uovo avrebbe dovuto 
aspettare ancora molto, molto tempo.
Era ancora mattina presto quando i bambini cominciarono a mettersi in fila 
l'uno dietro l'altro, ad avvicinarsi all'uovo e a poggiare le manine sopra di 
esso. Dopo la prima decina di bambini che avevano tentato senza successo, Arya 
aveva ormai perso la speranza. Poi però, all'undicesimo bambino accadde 
qualcosa.
Faelis, si era avvicinato cauto, aveva fatto come tutti gli altri bambini, ma 
purtroppo non era accaduto nulla. Si era inchinato,visibilmente deluso,e aveva 
preso congedo dalla regina, ma proprio mentre muoveva i primi passi verso 
l'uscita una piccolissima crepa si era formata sulla superficie liscia 
dell'uovo. Poi si era schiuso, con grande stupore, onore e meraviglia del  
bambino. Il drago, come Faelis aveva annunciato, si chiamava Ere, ed era un 
esemplare maschio. Era stupendo, di tutti i colori del viola, dal più scuro al 
più delicato. Appena era stato abbastanza grande da sostenere un viaggio così 
lungo, ovviamente con molte pause, era stato mandato da Eragon, nelle terre 
oltre confine.
-Mia regina, mia regina!!
Taelì correva a perdifiato lungo il corridoio della stanza. Poche volte un 
elfo perdeva la calma, o rimaneva sorpreso o stupito davanti a qualche notizia. 
Ma ora il consigliere della regina era letteralmente senza fiato, in tutti i 
modi possibili.
-Mia regina, l'abbiamo scoperta, l'abbiamo scoperta!
Il contegno che aveva sempre caratterizzato Taelì sembrava svanito, ed Arya 
era sempre più incredula.
-Cosa avete scoperto? Parla Taelì. Cosa è successo?- disse scandendo bene 
l'ultima frase.
-L'abbiamo trovata, la formula!
-La formula? Di cosa?
-Di un incantesimo. Mia regina, abbiamo scoperto l'incantesimo che risanerà 
Vroengard. L'abbiamo scoperto! Sappiamo come togliere tutto il veleno che si è 
diramato!
Ora anche Arya era senza parole. L'incantesimo in grado di fare ciò doveva 
essere potentissimo. Ma se Vroengard  poteva ritornare all'antico splendore, 
ciò significava che i draghi potevano vivere ed essere allenati lì, quindi 
doveva chiamare..
-ERAGON! 


------------------------------------------------------------------
Spero vi sia piaciuto questo capitolo, e fatemi sapere cosa ne pensate lasciando una recensione.
Un bacio

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** E' ora ***


 

-Svuota la mente. Svuotala-

Gli occhietti a mandorla di Faelis si socchiusero ancor più, per lo sforzo della concentrazione.

La piccola bocca era digrignata, e le mani delicate si torcevano l'una con l'altra continuamente.

-Non così. Non devi diventare nervoso.

-Ce la faccio.- disse a fatica l'elfo, come se provasse un enorme fatica ogni volta che pronunciava una parola.

-No, per oggi abbiamo finito. Va' a riposarti.

-Ci riesco!.- grugnì Faelis.

Eragon mantenne la calma, il viso sereno, quasi con assenza di espressione ma il suo tono non ammetteva repliche:

-Ho detto basta. Faelis se continui così sarà solo controproducente. Vedrai, col tempo ci riuscirai, ma ora sei stanco e sono convinto che quei lividi abbiano bisogno di un bel massaggio.

Concluse un po' più dolce, accennando ad un breve sorriso.

Il bambino borbottò qualcosa, s'inchino, e si incamminò verso il palazzo.

Eragon bevve un altro po' del suo infuso di menta, e attese.

Dopo un quarto d'ora, eccolo. Il sole, morente, stava per cadere dietro le montagne.

Il rosso che irradiava, tingeva tutto di sfumature cremisi.

Si alzò con calma, e si stiracchiò per bene.

Si era allenato tutto il giorno con Faelis, e dopo così tanto tempo ammise che era davvero fuori forma, ma per quanto fosse stato cauto aveva inflitto al bimbo più lividi di quanti volesse.

Quattro anni senza un combattimento vero, metterebbero fuori gioco chiunque.

Erano passate due settimane dall'arrivo dell'elfo.

Arrivato era crollato, svenuto sul suolo, appena aveva poggiato piede sul Maegisti.

Si era svegliato due giorni più tardi. Eragon lo capiva: persino lui aveva faticato ad arrivare, e si stupiva di come il piccolo avesse potuto sopportare un simile viaggio.

Anche Ere era arrivato sfinito, e Saphira l'aveva accudito tutto il giorno come un madre col proprio bambino, mentre Eragon curava le piccole ferite che si erano procurati nel viaggio.

Dopo che i due si erano svegliati, avevano mangiato, e si erano ristabiliti completamente Eragon e Saphira porsero loro alcune domande: se Faelis era già pratico di combattimenti con spada, o se combatteva con qualche arma in particolare, e, soprattutto, se sapeva schermare la propria mente.

Con sorpresa di Eragon, il bambino fece segno di no: la cosa stupì molto il Cavaliere, pensando che ogni bambino elfo dovesse saperlo fare, e pensando che a tutti venisse insegnato.

Trovava Faelis un ragazzino molto brillante, ostinato, e puntiglioso, ma nel complesso un ottimo cavaliere, tutto da formare certo, ma con buone capacità.

Quindi, aveva prestabilito che gli allenamenti sarebbero stati così: la mattina avrebbero studiato l'antica lingua nonostante Faelis ne fosse, ovviamente, già pratico, mentre dopo il pranzo, avrebbero combattuto e lavorato sulla mente.

Era ormai tardi, ed il sole era ormai scomparso. L'aria frizzante della notte premeva contro la pelle di Eragon, dandogli i brividi.

Si accinse a tornare verso Palazzo Elves, quando qualcosa lo distrasse. Si rigirò, coi riflessi pronti e scattanti, già con Brisingr sguainata a metà dal fodero: un piccolo oggetto stava arrivando lontano, ma Eragon non capiva ancora cosa fosse, nonostante la sua vista acuta.

Mano a mano che si avvicinava, Eragon la riconobbe ed ebbe un tuffo al cuore.

Lasciò cadere Brisingr al suolo, cosa che mai avrebbe fatto in circostanze normali, e cadde sulle ginocchia: la piccola nave di steli d'erba gli atterrò sul palmo aperto della sua mano.

Era sua, lo sentiva. Se la ricordava perfettamente: eccellente ed impeccabile in ogni suo dettaglio.

Era la barca che Arya aveva costruito quella notte. La notte di ritorno dai Varden, dall' Helgrind.

Attento a non disfarne neanche un pezzo,la osservò ancora più attentamente: poteva ancora vedere le lunghe e abili dita di Arya mentre la costruiva.

La tenne stretta a se' ancora per un istante, un instante pieno di ricordi, di quando tutto era perfetto o quasi, un ricordo dove almeno, accanto a lui, c'era lei.

Con un soffio, la lasciò andare. Fu come lasciare andare una parte di se'.

La piccola nave veleggiò per qualche altro minuto poi, si dissolse nell'orizzonte buio, ed Eragon ne riuscì più a scorgerla.

Dopo un minuto, il ragazzo era già arrivato a Palazzo Elves, dove Saphira lo attendeva nella loro grande ed immensa stanza.

-Stai bene piccolo mio?

Eragon le inviò le immagini di quanto accaduto qualche minuto prima.

Saphira non nascose una certa sorpresa, ma cercò di infondere nel loro legame mentale quanto più affetto provava, per consolarlo.

-Verrà il giorno in cui vi rincontrerete, non perdere mai la speranza.

L'Ammazzaspettri non replicò, ma nonostante fosse felicissimo della vicinanza con Saphira sentiva che una parte del suo cuore era lontana, lontana, nel verde della Du Wendelvarden.

Si cambiò e si accoccolò accanto alla dragonessa.

Ad un tratto sentì la blusa che aveva indosso diventare rovente. In fretta estrasse il piccolo oggetto bollente , e riconobbe la collana donatagli un tempo lontano, che aveva il potere di impedire a chi la indossasse, di venire divinato.

Chi lo stava divinando? Perchè?

Decise in un attimo: si tolse la collana e la gettò lontana. Chiunque lo stesse divinando, buono o malvagio che fosse, non avrebbe di certo tratto nessun vantaggio a vederlo accanto a Saphira, in un ignota terra.

Provò a ritoccare l'oggetto ma scoprì che era ridiventato di una temperatura normale.

Si tranquillizzò, e fece per schiacciare un pisolino quando venne interrotto, nuovamente.

Sentiva una coscienza premere sulla sua, in modo eccessivamente forte come se si trovasse a pochi metri da lui, eppure non c'era assolutamente nessuno.

Eppure lui la conosceva. Conosceva benissimo quella coscienza.

L'aveva percepita miliardi di volte, e attraverso essa aveva individuato lei.

Lei. Era Arya.

Lasciò un piccolo spiraglio, nella sua mente, sentì subito Arya entrarci.

-Abbiamo bisogno di te Eragon...

Era la sua voce, ma lontana, lontana,che svanì appena dopo aver pronunciato quella frase

-Cosa? Arya?! Perchè? Ma tuu..cosa...ma..

-Vieni da me Eragon, vieni da me..

Dopo le poche parole, la coscienza di Arya si ritirò da quella di Eragon e svanì in un nanosecondo.

Eragon era stupefatto, felice a dismisura, ma con un crescente senso di sospetto.

Arya non lo avrebbe mai distolto dal suo lavoro di maestro, per nessuna ragione. Eppure l'aveva fatto.

E sapeva che non poteva essere un imbroglio, perchè nessun mago, per quanto potente possa essere, può ricreare l'essenza di una coscienza non propria.

Saphira era sbalordita come lui.

Dopo tutti quegli anni...venirlo a cercare. Perchè?

Eragon ne era convinto: doveva tornare. E con lui ovviamente anche il piccolo Faelis.

Ma come avrebbe fatto ad allenare i nuovi Cavalieri? Sarebbe dovuto ritornare nelle terre oltre confine una seconda volta?

Il debolissimo equilibrio mentale creatosi col passare degli anni era appena stato piegato. E se fosse tornato in Alagaesia si sarebbe definitivamente spezzato.

Eppure lo sapeva: sapeva che quella era la cosa giusta da fare.

Non si consultò nemmeno con Saphira, perchè sentì che condivideva tutte le sue idee: chiamarono Faelis e gli spiegarono a grandi linee il progetto. Il ragazzino non nascose una certa sorpresa, ma aveva fiducia nei suoi maestri e acconsentì, andando a fare immediatamente le valigie.

-E' ora piccolo mio?

Passò un minuto, dopo la domanda delle dragonessa, un minuto di silenzio. Infine Eragon rispose:

-E' ora. 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Nuovi nemici ***


Erano in volo oramai da ore, e solamente verso le dieci di mattina riuscirono a scorgere la costa. La costa! Finalmente, dopo giorni di paesaggio rappresentato solo dal mare, entrambi i Cavalieri diventarono euforici alla vista di qualcosa di fermo ed immobile. Anche Ere e Saphira non erano da meno: avevano le membra doloranti, le ali stanche. Erano affamati e non si fermavano da giorni.

Eragon e Faelis avevano anch'essi qualche acciacco, ma quello messo peggio era decisamente il ragazzino: Eragon ormai era adulto, sapeva sopportare anche di peggio, mentre Faelis era ancora alle prime armi e la stanchezza del volo si faceva sentire.

Entro quanto saremo sulla terraferma?

Entro sera potremmo riuscirci, se il vento non ci andrà contrario- rispose Saphira proiettando i pensieri a tutti e tre.

Eragon non stava più nella pelle: si agitava inquieto sulla sella, stando attento alla punta cervicale di Saphira. Non sarebbe stato il massimo se si fosse presentato ad Arya senza una gamba..o senza qualche arto...

Una nuvola di fumo uscì dalle narici della dragonessa,assieme ad un suono grutturale che Eragon riconobbe risata.

Già, forse è meglio che ti metti tranquillo!- lo riprese ancora ridendo Saphira

Pensa a volare, ficcanaso!- rispose Eragon, contagiato dall'ilarità della sua compagna.

Come le previsioni di Saphira avevano annunciato, verso tarda sera giunsero sulla costa: per Eragon era un 'emozione fortissima, ritornare nelle terre dove era nato, la sua vera patria, era una sensazione indescrivibile, e anche Saphira le condivideva allo stesso modo. Anzi, forse ancora di più.

-Non vedo l'ora di vedere Firnen!- esclamò, fremente di eccitazione.

-Forse è meglio che ti metti tranquilla eh?- la canzonò con le sue stesse parole Eragon.

Per tutta risposta la dragonessa lo sbalzò di sella, ma il Cavaliere riuscì a non franare a terra.

-Attenta!- ,ma già rideva.

Assieme all'alunno, Eragon si incamminò verso il centro della città: erano in una nuova cittadina costruita sulla costa, di nome Milien, un piccolo paesino dedito esclusivamente alla pesca, come sottolineavano le reti fuori dalle case, o l'odore di pesce che aleggiava nell'aria.

Le persone, ogni volta che Eragon passava si inchinavano e gli rivolgevano saluti o cenni del capo al quale il ragazzo rispondeva cortesemente.

Alcuni lo avvicinavano chiedendogli consigli, soltanto per sapere della ragione del suo ritorno. Eragon rispondeva a tutte le domande, ma in modo vago.

Alla vista di ere e di Saphira invece, le persone rimanevano assolutamente abbagliate: alcune si chinavano fino a raggiungere terra col capo, e alcuni, i bambini, vinta la paura, giocavano assieme alle due creature.

Fra un incontro e l'altro, riuscirono ad arrivare in una locanda, indicata da un vecchio marinaio del porto:

-Andate alla Quercia Antica, lì troverete tutto ciò di cui avrete bisogno.-

Era davvero un piccolo locale, ma pulito e ordinato: fecero una cena veloce ed andarono tutti in stanza. Ovviamente non i due draghi: maestra e alunno si dileguarono verso fuori città, e si accordarono con i loro Cavalieri, che si sarebbero rincontrati il giorno dopo alle sette, fuori dai cancelli di Milien.

Faelis era stanco morto e in poco tempo si era già addormentato: Eragon invece non riusciva a prender sonno: la sua mente vagava, e finì col perdersi nel verde liquido degli occhi di Arya, e con la loro immagine stampata nella mente riuscì ad addormentarsi, un sorriso in volto.



_________________________________________________________________________________________________________________________

 

-Signora, sono alle porte! Stano varcando i confini!

Arya sentì la porta aprirsi, e una voce squillante chiamarla. Era Taelì.

Il suo sonno vigile fu subito interrotto, e la regina si mise ritta sul letto a velocità sovrumana.

Gli rivolse uno sguardo interrogativo e l'elfo raddrizzò le spalle, si diede un contegno e rispose, stavolta con più calma:

-Regina, ci sono..ci sono..cento, o forse più , Ra'zac che stanno per attaccare!

Arya era sconvolta.

Per un attimo aveva pensato che fossero Eragon e Saphira, e che la stessero raggiungendo.

Ma quando Taelì aveva pronunciato quella parola...

Ma i Ra'zac erano estinti! Eragon aveva distrutto tutte le uova!

Com'era possibile che ora ce ne fossero ben cento? Erano passati solo quattro anni da quando Eragon se ne era andato, e con lui la convinzione che quella razza infernale fosse finita.

-Gilderien-elda non li farà mai passare.

-Arya, il Saggio è morto.

Nero. Nero più assoluto. Gilderien-elda, l'elfo depositario della Fiamma Bianca di Vàndil, colui che proteggeva gli elfi di Ellesméra era morto. Non era possibile.

-Manda duecento elfi al confine, io li raggiungerò fra poco. Chiama Mandréil, digli di guidare il battaglione nord, io comanderò quello est.

-Come desideri, mia Regina- ed uscì.

Cosa stava succedendo? Più di cento Ra'zac? Era un'impresa impossibile batterli, anche se a combattere erano gli elfi.

Come avevano fatto ad uccidere Gilderien? L'elfo era protetto da migliaia e migliaia di difese magiche, nessuno in così tanto tempo era mai riuscito ad arrivare ad Ellesméra senza il suo consenso. Figurarsi ferirlo, od ucciderlo.

Eragon! Dove sei?



_________________________________________________________________________________________________________________________

 

 

-Maestro, quando arriviamo?- disse Faelis, che ormai era già chino su ere, senza forza.

-Abbi pazienza.

-Saphira, entro quando...

Mezz'ora, forse poco di più se il vento ci viene contrario, come in effetti sta facendo- lo precedette la dragonessa, inviando i suoi pensieri a i suoi compagni.

Mezz'ora dopo infatti non erano ancora minimamente arrivati nelle terre elfiche.

Le ali di Saphira si facevano sempre più stanche, affaticate, e le membra dolevano ad ogni battito.

Così anche per Ere, ma il drago violetto aveva una struttura molto resistente, e riusciva quindi a contrastare, anche se solo entro un certo limite, la stanchezza del viaggio.

Faelis invece era bello che cotto: forse dormiva, forse no: sta di fatto che Eragon dovette formulare un incantesimo che non facesse cadere il ragazzino dalla sella, e che non lo facesse trafiggere dalla punta cervicale del suo compagno.

L'unico ad essere in forma quasi smagliante, nonostante le fatiche del viaggio avessero provato anche lui, era Eragon. Il ragazzo era sempre più impaziente di arrivare e quando i primi tratti di verde si scorsero non riuscì a trattenere un gridolino: più che un gridolino era stato un urlo e aveva svegliato dallo stato di dormiveglia tutti i viaggiatori, Faelis compreso

-Ooops- fece Eragon, ancora estasiato.

Faelis si rimise quasi subito a sonnecchiare, e cadde il solito e monotono silenzio che li accompagnava nelle ore di viaggio, da giorni ormai.

Piano piano erano sempre più vicini.

-Cerca Gilderien- consigliò Saphira.

Eragon sapeva, ovviamente, cosa fare: senza il consenso dell'elfo nessuno poteva sperare di accedere alle città elfiche.

Espanse la mente, portando la sua coscienza giù, giù in basso alla ricerca del saggio, pur sempre rimanendo all'erta in caso di attacco mentale nemico.

Con sua sorpresa non trovò nulla: nulla, se non contiamo la coscienza dell'intera Weldenvarden, ma dell'elfo nessuna traccia.

Sqaphira era sorpresa come lui: tutti e quattro si impegnatrono alla ricerca del protettore degli elfi, lo chiamarono in tutti i modi, invano.

Decisero di scendere per provare a capire meglio cosa stesse succedendo.

Ad un tratto, grazie al suo udito super sviluppato, Eragon sentì dei rumori provenire dal centro della foresta: sembrava il rumore di metallo che cozza con altro metallo. Delle grida. L'odore del sangue gli arrivò persino al naso.

Una battaglia? Nella Du Wendelvarden? Impossibile. Nessuno poteva entrare ad Ellesméra senza chiedere a....Gilderien. Era morto. Ecco perchè non erano riusciti a trovarlo ed ecco perchè erano riusciti a passare incontrastati nei territori elfici, perchè ormai avevano ampiamente oltrepassato il luogo dove c'era sempre stato il saggio.

Veloce, volate! - gridò mentalmente a Ere ed a Faelis; Saphira aveva già capito e, come lui, era preoccupatissima.

-Eragon. Forse è per questo che Arya ci ha chiamato. Per aiutarla in battaglia.-

-Può darsi, anche se una semplice battaglia non avrebbe mai indotto Arya dal chiamarci dal nostro compito.

-Dobbiamo scoprire cosa sta succedendo.

-Vola Saphira, vola!-

A poco a poco che l'erba verde scorreva velocissima sotto di loro, i quattro erano arrivati al centro dell'enorme foresta e lo spettacolo che gli si presentò era immondo.

Corpi accatastati fino a costruire delle montagne, sangue che aveva quasi formato un fiume e che imbrattava tutto il terreno, centinaia di centinaia di elfi che combattevano e puntualmente, morivano, uccisi da...no. Non poteva essere.

Quelle creature che saltavano emettendo sibili orribili non erano..Ra'zac.

Erano loro. Quei mostri disgustosi erano sopravvissute e si erano moltiplicati. Ma lui aveva distrutto le uova! Le aveva distrutte tutte! Ora c'erano centinaia di Ra'zac che combattevano e sterminavano gli elfi uno a uno, a velocità impressionante.

E la', in mezzo alla mischia, affannata nel combattere c'era Arya.

Eragon perse di vista tutto quanto, i contorni sfumarono, non sapeva nemmeno dove si trovasse: era cosciente soltanto di quella stupenda fanciulla elfa che danzava roteando la spada, e mutilando e uccidendo chiunque le passasse accanto. Pure i Ra'zac trovavano difficile metterla in difficoltà.

I capelli corvini le scivolavano sulle spalle, e si muovevano come al ritmo di una danza frenetica.

Infilzò con la sua spada un mostro con il quale stava duellando da diversi minuti, e ne trafisse un altro con un agile colpo della mano destra.

Per quell'infinitesimo attimo di tregua, alzò gli occhi in cielo.

Lei lo vide. Lui la vide. E Saphira scese in picchiata, veloce come il vento.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Wiol ono ***


E c'era sangue, sangue dappertutto.

E c'erano grida, c'erano urla.

E c'erano spade contro spade, spade contro uomini, spade contro carne.

E c'erano morti, morti ovunque.

Per quanto i suoi artigli dilaniassero, per quanto le sue fauci mutilassero, per quanto la sua coda schiacciasse, Saphira vedeva i nemici moltiplicarsi.

E ce n'erano cento, e ce n'erano duecento.

Firnen, come lei, stava uccidendo sempre più Ra'zac ma erano troppi, e troppo forti.

E c'era il cielo livido, e c'erano sempre più nuvole.

Ere stava aiutandola con tre Ra'zac che l'avevano accerchiata, ma appena li ebbero uccisi altri quattro presero il loro posto.

Neppure la gioia di rivedere Firnen riusciva a farla andare avanti: non aveva neanche avuto il tempo di parlargli perchè era dovuta entrare subito in battaglia.

E c'era la sua coda sanguinante, e il quadricipite destro squarciato.

Eragon era così impegnato nella lotta, che la dragonessa non riusciva più a contattarlo con la mente.

Il Cavaliere si trovava accerchiato: quelle creature sibilavano, emettevano strani versi, schioccavano freneticamente le lingue bluastre.

Si muovevano a scatti, troppo velocemente per la vista, seppur perfetta, del Cavaliere.

Un salto, e sentì uno squarcio aprirsi nel suo polpaccio.

E ne sentì un altro sulla spalla destra.

Le due ferite erano larghe, ma poco profonde.

E mentre si muoveva, ginocchia flesse, occhi fissi, si curò velocemente.

Avvertì istantaneamente il calo di energia, ma nei quattro anni di solitudine lui e Saphira ne avevano immagazzinata un quantitativo notevole.

Perciò non aveva ancora, dopo almeno due ore di battaglia, riportato ferite.

E purtroppo non aveva ancora visto Arya.

O meglio, dopo che si erano visti e Saphira era scesa nel campo di battaglia non si erano mai più incrociati, ed Eragon ovviamente non si azzardava ad espandere la mente in cerca della sua.

Un Ra'zac gli passò accanto, sfrecciando velocissimo: Eragon si girò, Brisingr già levata a mezz'aria, e con un grido disumano spaccò il cranio del mostro, quasi fosse d'argilla.

Uno dopo l'altro, i Ra'zac che gli si avvicinavano morivano, privati della vita dalla micidiale spada forgiata dal Cavaliere stesso.

Sarò anche stato stanco, saranno stati troppi i nemici, ma lui era Eragon Ammazzaspettri, colui che aveva ucciso il Tiranno e aveva ripristinato e dato nuova vita alla stirpe dei cavalieri dei Draghi, e per quanto la battaglia potesse durare, per quanto il dolore sarebbe stato intenso, niente l'avrebbe fermato. Ora che era così vicino ad Arya, l'idea di perderla per sempre sembrava troppo vicina di quanto lui volesse.

Incrociare una nuova volta quegli occhi obliqui, di quel verde in cui cento e cento volte ancora si era perso, era stato come un sogno. Distrutto dall'immagine di ciò che realmente stava accadendo vicino all'elfa.

Un rivolo di sudore gli cadde nell'occhio e gli accecò la vista per un secondo: in quello stesso istante un altro Ra'zac si preparò a colpire.

-I nosssstri padri hanno pagato cara la loro vita, per caussssa tua. Ma ora tu morirai, sssssi!-

Lo stesso, ripugnante essere che aveva pronunciato quelle parole si lanciò alla carica del fianco destro di Eragon. Egli capì l'intenzione del mostro, ma quella del Ra'zac era stata soltanto un finta:

puntò all'ultimo istante alla spalla sinistra, ed Eragon lo capì troppo tardi: la dentatura, o qualunque cosa in bocca avessero quegli esseri, penetrò a fondo e a lungo nella carne del Cavaliere.

Un dolore lancinante. Nero, buio, una macchia bianca in lontananza, debole, si stava quasi per spegnere.

E il Cavaliere cadde.

 

 

I capelli mossi le solleticavano le dita, mentre li accarezzava, con movimenti ripetitivi.

Prese una delle sue mani e ammirò la perfezione di quelle lunghe e affusolate dita.

Qualche volta, scappava al ferito un gemito o un sospiro, quasi stesse sognando.

Intorno a lei era tutto un gran vociare, un gran fare, un gran “ricostruire la nostra amata foresta”.

Ma lei aveva occhi solo per lui.

Si era dimenticata quanto bello fosse Eragon.

Il suo viso era un ovale perfetto: la forma degli occhi, le nuove linee più maschili, la mascella marcata, la bocca a cuore leggermente schiusa.

Le palpebre gli tremolavano, e di tanto in tanto, il viso gli si deformava in un'involontaria smorfia di dolore.

Ad Arya scappò una lacrima: era la prima da molto tempo; neppure quando lui se ne era andato, ne aveva versate. Ma ora non riusciva a trattenersi.

L'argentea goccia cadde sulla guancia del ragazzo.

-Arya, dobbiamo andare.-

-No-

-Arya, non c'è più niente da fare. Sei stanca dalla battaglia, gli altri elfi stanno controllando il campo in cerca dei feriti. Lascialo a loro.- disse Taelì.

-Vattene!- disse lei -Vattene, t-ti p-prego.- ormai singhiozzava.

Una mano le toccò la spalla, in senso di solidarietà e poi svanì.

Svanirono tutti.

C'erano solo lei e il corpo di quel ragazzo.

Che forse amava, o forse no. Che forse era morto, o forse no. Che era appena ritornato, e già partito.

 

 

Era sospeso in un non luogo. Non era proprio uno spazio, ma era pur qualcosa.

Era tutto nero, non c'era luce da nessuna parte. E faceva caldo, un caldo opprimente.

Camminava su una superficie, che non era una superficie, eppure c'era.

E sentiva le gambe, le braccia, il suo corpo, eppure esso non c'era.

Non c'era niente in quel luogo. C'era solo caldo, tanto caldo.

Era cosciente del suo spirito, riusciva a pensare lucidamente e per questo la consapevolezza di non essere ne' vivo ne' morto lo terrorizzava.

Quanto avrebbe dovuto stare li'?

La temperatura ora era salita. Da dove proveniva? In quello spazio non c'era niente e nessuno.

Si sentiva schiacciato da un enorme peso, come se si stesse facendo carico di una montagna inesistente sulle spalle. E quella forza lo schiacciava, lo portava giù. Lui provava a resistere, ma l'energia invisibile che lo stava calpestando, lo spingeva, lo comprimeva, lo pressava.

Pensò ad Arya.

Quell' Arya che aveva potuto vedere per una frazione di secondo, prima della fine.

Chissà dov'era lei ora. E la battaglia? Era già finita? Magari non si era neanche accorta che lui era morto. In effetti ancora non lo era.

Ma quella furia schiacciante, di cui portava il peso addosso, lo stava spezzando.

Si sarebbe abbandonato volentieri all'abisso senza fine. Si sarebbe buttato nelle braccia della morte come una grazia, la fine del supplizio.

Ma poi pensò a Saphira: la sua compagna che mai lo aveva abbandonato,e che mai l'avrebbe fatto.

Mai....mai. Mai! La verità arrivò al cavaliere come una scossa di energia.

Se lui fosse morto, anche lei sarebbe caduta con lui! No,non poteva permetterlo; non poteva permetterlo.

E con l'immagine di Saphira e di Arya stampate nella mente, ricominciò la sua scalata per la vita, finchè non sentì un leggero alito di vento sul viso. E aprì gli occhi.

 

 

 

 

Arya si ritrovò a fissare uno dei profondi occhi grigi di Eragon, appena spalancati.

Era vivo. Aveva aperto gli occhi, era vivo. Non riusciva ancora a crederci.

Eragon forse era ancor più sorpreso di lei, perchè gli si stampò un maschera di incredulità sul viso, così comica che Arya incominciò a ridere e a singhiozzare insieme.

Era vivo.

Vedere il viso di Arya, accanto al suo, appena risvegliato, era stato come una scarica di adrenalina.

Lei era stata lì accanto a lui tutto il tempo.

Eragon non pensò neanche a cosa stava per fare. Qualunque cosa fosse successo dopo lo avrebbe accettato, ma ora doveva farlo. Perchè troppo tempo era passato.

Di slanciò si tirò su, sugli avambracci e premette le sue labbra su quelle di Arya.

Si aspettava uno spintone, un calcio, qualche serie di pungi, o una magia improvvisa che l'avrebbe reso immobile.

Invece Arya non fece nulla di tutto ciò. Strinse Eragon ancor più forte vicino a se'.

Non se l'era aspettato un gesto del genere. Era stato improvviso. Ma ormai aveva capito.

Era stata così vicina al perderlo, che aveva concepito solo ora l'attaccamento che provava nei confronti di quel ragazzo, e lo baciò con più passione.

Rimasero così,l'uno nelle braccia dell'altro, l'uno nell'anima dell'altro per minuti interi.

Quando alla fine si staccarono, i loro visi erano vicinissimi, le fronti a contatto fra loro.

-Sei qui- sussurrò Eragon all'elfa.

Seguì un minuto

-Wiol  ono-              Per te

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Primavera anche nel cuore ***


Eragon si sentiva fresco e riposato; certo, un bel po' ammaccato, ma le ferite e i dolori della battaglia erano scomparsi.

Aprì piano piano gli occhi, e alzò una mano per proteggerli quando un'improvvisa luce li trafisse: fu in quel momento che sentì di avere del ghiaccio in testa.

Se la tolse e l'appoggio di fianco al letto. Era su un letto? Quindi dovevano averlo portato lì.

Da quando aveva incontrato Arya ed era svenuto non ricordava più niente. Anzi pensava fosse tutto un sogno.

Mentre perdeva conoscenza gli era sembrato di sentire Arya dire qualcosa nell'antica lingua, come 'Wiol ono' o qualcosa del genere, ma aveva preso una gran botta e probabilmente si stava sbagliando.

Riuscì a mettere a fuoco la stanza attorno a lui: si trovava ad Ellesméra, ne era certo, perchè lo stile architettonico era esattamente elfico.

E poi gli intarsi, e i colori usati per le pareti erano gli stessi che dominavano l'intero palazzo Tialdarì, quindi non sbagliava.

Aveva in parte a se' un comodino di legno dalle mille striature, il quale era una specie di 'prolungamento' della parete.

Gli elfi avevano probabilmente cantato il legno, in modo da far compiere ad esso una specie di treccia e di fargli prendere la forma desiderata.

Il resto della stanza era molto semplice, una finestra era posta esattamente davanti a lui e si spiegava perciò la forte luce che lo aveva investito.

Cercò di alzarsi ma una fitta terribile alla testa lo costrinse a sedersi. Prese un respiro profondo, e ci riprovò, stavolta con molta più calma.

Una volta alzato, andò in bagno, che scoprì era una piccola stanzina collegata alla sua da una porta praticamente invisibile.

Trovo già lì dei vestiti puliti.

Si lavò, si vestì con la bella blusa bianca candida e dei pantaloni, ed uscì dalla stanza.

Forse si trovava in un'ala sconosciuta del Palazzo ma non ricordava proprio quell'area. Fortunatamente un elfo stava passando di lì.

Chinò il capo quando passò il cavaliere, e gli spiegò come arrivare alla sala principale.

Eragon, seguite le indicazioni, arrivò in pochi minuti: la sala del trono era deserta.

C'era solo una piccola figura, che era seduta al trono.

-Eragon!

-Arya!

Si andarono incontro, e quando lei gli fu vicina abbastanza, Eragon la prese in un abbraccio lunghissimo, a cui lei partecipò senza paura.

Pensava solo a chi stava stringendo, il suo profumo di aghi di pino, fresco, inebriante. Sembrava un sogno averla così vicina a se'.

In quel momento non si ricordò ne' della forma di saluto, ne' che quella che stava stritolando era la regina degli elfi!.

Quando se ne ricordò si staccò, e pronunciò il consueto saluto.

-Mi sei mancato Eragon.

-Anche tu Arya-drotting.

-Abbiamo molto di cui parlare. Vieni, andiamo nei giardini.

Lo prese per mano, e lo guidò fuori.

Fra fiori stupendi, di tutti i colori, piante rigogliose e rampicanti, tutto immerso in un infinito verde brillante.

-Prima che tu cominci a raccontarmi le tue avventure, voglio pronunciare le mie scuse. Non ti ho mai cercato, neanche per un saluto.

Avevo paura che se avessi risentito la tua voce sarei corsa lì da te.

Se avessi visto i tuoi occhi ti avrei implorato di tornare.- gli occhi ora le brillavano di lacrime

-Io non potevo permetterlo- continuò dura, raddrizzando il capo. -io sono la Regina degli elfi, ho delle responsabilità che nemmeno immagini Eragon.

O forse sì, le immagini.

E non potevo, ne' posso ne potrò mai farmi distrarre da niente e nessuno.

Dovevo ricostruire tutto il mio regno, eravamo alla fine di una guerra, Della Guerra, dovevo riorganizzare e riparare tutto il possibile.

E poi non potevo distrarre nemmeno te.

I Cavalieri non arrivavano, io ero sempre più frustata, le uova non si schiudevano. Eragon, insomma capisci che..-

-Arya. Basta- la interruppe Eragon

-So benissimo tutte le cose che hai da fare qui, so cosa hai dovuto sopportare. Non hai niente di cui farti perdonare- anche se nella sua testa, Eragon pensava a quanto dolore aveva provato nei quattro anni di solitudine.

Arya lo guardò, sembrava..commossa.

-Grazie- disse semplicemente.

Cominciarono a chiaccherare, non di un argomento preciso, ma di tutto. Era così bello poterlo fare, stava pensando Eragon.

Non era più imbarazzato dalla presenza di Arya.

O meglio, certo che lo era, ma in modo molto più lieve e giusto di prima.

L'elfa ancora lo metteva in soggezione, quando si aspettava una sua opinione riguardo a qualcosa ed Eragon faceva diverse pause prima di finire una frase, avendo paura di fare la figura del rimbambito.

A poco a poco però la situazione si sciolse, camminavano a braccetto, sentivano il profumo dei fiori, vedevano la primavera sbocciare ovunque.

Anche nei loro cuori.

Ma entrambi sapevano benissimo cosa si stava svolgendo là fuori, oltre il palazzo. Sapevano benissimo che un numero esorbitante di elfi era caduto il giorno prima, ma il momento era troppo bello per essere rovinato perciò entrambi facevano finta di niente.

-Ti chiederai perchè ti ho chiamato qui, vero?

Eragon sgranò gli occhio. Aveva COMPLETAMENTE dimenticato del perchè era tornato.

Con tutte le cose che erano successe, la battaglia, l'incontro con Arya, che gli era proprio sfuggito di mente.

Si lasciò scappare un risolino.

Che imbecille che era, si dimenticava le cose più importanti.

-Che c'è ?- domandò Arya, curiosa di capire cosa facesse ridere Eragon.

-Mh, ehm , cosa? Oh no niente, dì pure. - si incartò il Cavaliere.

Arya gli scoccò un'occhiata furtiva, ma riprese.

-Noi, o meglio, alcuni nostri elfi, hanno scoperto un incantesimo in grado di risanare Vroengard dai gas malefici che la rendono inabitabile; quindi, se tu e i tuoi futuri Cavalieri vorreste trasferirvi lì a studiare, appena sarà pronta ovviamente...

-Si si si si!- non la lasciò finire Eragon.

Era una notizia strabiliante! Poteva stare vicino ad Arya, più o meno, ma adempiere lo stesso al suo compito. Era la notizia migliore che riceveva da un sacco di tempo.

-Ovviamente, le opere non sono ancora completate. Alcuni nostri elfi sono già lì e stanno risanando il territorio. Ma l'isola è grande: ci vorrò del tempo prima che sia di nuovo abitabile. Si stima che entro due mesi, massimo, potrete stabilirvici.

Però dovremo organizzarci.

-In che senso?

-Con i Ra'zac.

Ecco. Sembrava tutto troppo felice. La nota sbagliata c'era sempre, e stavolta non era tardata ad arrivare.

Eragon si incupì subito.

-Quindi non possiamo.

-No! Certo che potete! Ma, come detto prima, dovremo organizzarci. L'allenamento dovrà durare poco se i nuovi Cavalieri vorranno scendere in battaglia e..

-Cosa? Non posso istruirli in pochissimo tempo! Devono avere il tempo di maturare, non solo fisicamente, ma mentalmente. Certe cose non si possono imparare in pochi mesi e questo lo sai Arya.

-Ma Eragon, noi abbiamo bisogno dei nuovi Cavalieri! E' vero, ce ne sono già tre compresi io e te, ma siamo in pochi, molto pochi. Quelle creature infernali non ci lasceranno pace!

-Mi rifiuto di dare ad un Cavaliere un addestramento peggiore di quello di qualcun altro solo perchè capitato in un periodo infelice. Come è capitato a me. Devi rallentarli Arya. Devi cercare di tenere i Ra'zac a bada intanto che io addestrerò i nuovi Cavalieri.

Potrebbe definire l'esito di questa guerra, il completo o meno addestramento dei cavalieri.

Ci fu un minuti di silenzio, le parole di Eragon ancora sospese nell'aria.

L'elfa lo guardava come volesse sondargli l'anima. Alla fine disse:

-Sei cambiato. Ora prendi le decisioni da solo. E sono decisioni giuste.-

Ad Eragon sembrò quasi che un lampo d'orgoglio le avesse attraversato gli occhi.

-Sono fiera di te.-

Eragon non sapeva cosa ribattere.

La stima dell'elfa era qualcosa che avrebbe voluto mai perdere.

Era più importante di qualsiasi altra cosa, oltre a Saphira ovviamente.

Saphira! Dove si era cacciata!

-Saphira! Riesci a sentirmi? - le domandò con la mente.

-Eragon! Sei sveglio, scusami io ero occupata e..- Eragon sentì delle emozioni non proprio tranquille provenire da Saphira e decise di non indagare oltre.

-Va bene, va bene, tu e Firnen ho capito.

-Torneremo fra poco.

-Vi aspettiamo

-Saphira e Firnen torneranno fra poco- comunicò all'elfa-

Lei annuì

Ed insieme tornarono verso Palazzo Tialdarì, mentre ognuno pensava a quanto era fortunato a stare accanto all'altra.

Solo che nessuno dei due lo disse.

-Da domani potrai allenare qui Faelis, mentre Saphira e Firnen aiuteranno Ere.

Vi stabilirete al capanno di Oromis.

E' tempo che tu prenda il suo posto.-

Eragon non si sentiva pronto per una cosa del genere.

Pronto sì ad insegnare, ma proprio in quel luogo, dove aveva vissuto una parte così importante della sua vita..E poi gli ricordava troppo il Maestro scomparso.

Temeva che l'emozioni potesse sopraffarlo.

-Eragon so quanto sia difficile per te. Credimi.

Io ti appoggerò qualunque cosa tu decida, ma sappi che quello è il luogo migliore dove insegnare.

Ora hai solamente un drago col suo Cavaliere da istruire.

C'è abbastanza spazio.

Finchè Vroengard non sarà risanata, dovrai stare qui.

Io intanto guiderò il mio popolo contro i Ra'zac. O almeno, li terremo a bada. E ti aiutwerò non appena tu ne avrai bisogno. Sarò sempre accanto a te, magari non di persona, ma il mio cuore sì.-

Lo sguardo di Eragon però era fisso al suolo.

Ancora era uno shock sapere che avrebbe dovuto insegnare proprio dove Oromis e...

Arya lo baciò inaspettatamente.

Si era accorta della espressione sofferente di Eragon , e sapeva benissimo a cosa stava pensando, cosa stava provando, e non aveva esitato.

Lo amava.

Lui amava lei.

Erano uno nell'altro, uno dell'altro, uno per l'altro.

Dal canto suo il ragazzo non si era spettato quel gesto.

Ma quel bacio fu bello come il primo.

La strinse forte forte a se'.

Infine quando si separarono sentì di avere energia per radere al suolo una città, o per costruirne una nuova in qualche minuto.

Era pronto per il suo ruolo. Ora, la storia cominciava davvero a compiersi.

 

 

 

 





 

-Angolo-

Ciao a tutti! Questo capitolo ci ha messo un po' ad arrivare, ma perchè ho davvero avuto zero tempo. Appena ho potuto mi sono messa a scrivere. Non è proprio un capitolo importantissimo, ma volevo un po' di dialogo fra i due 'piccioncini', volevo che si chiarissero un po' di cose.

Aspetto le vostre recensioni, buona Pasqua a tutti!

Kveykva

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Nelle braccia di chi ama ***


Il sole era alto nel cielo quando Eragon si levó.
Si stiracchió per bene, assieme ad un lungo sbadiglio. 
Il suo pensiero corse subito a Saphira, e si accorse che era nel giardino del Palazzo fiancheggiata da Firnen.
Era da giorni che non riusciva a parlarle, e questo gli dispiaceva un po'.
Peró era comprensibile che volessero stare insieme per il tempo rimasto prima di partire per...
-Cosa?! Partire? Dove?!
L'urlo mentale di Saphira lo trafisse come un pugnale.
I suoi pensieri erano scivolati anche nella mente della dragonessa.
Eragon pensó che avrebbe dovuto saperlo, visto che il giorno prima aveva parlato con Arya della partenza senza schermare la mente, ma si vede che Saphira era troppo concentrata su Firnen per ascoltare i suoi pensieri.
-Calmati Saphira. Ti raggiungo giù di sotto.- cercó di infonderle calma, ma la risposta della dragonessa arrivó glaciale:
-Ti aspetto.-

Eragon si fiondó giù, non si era neppure vestito, era ancora con i pantaloni del pigiama, e li raggiunse.
-Saphira noi dobbiamo andare ad insegnare ai Cavalieri, non potremo restare qui a lungo, lo sai e...
-Ora che ho ritrovato Firnen dovrei andarmene? Perchè? Perchè dovrei farlo Eragon? Non pensi che abbia diritto anche io alla felicità dopo anni di isolamento?
-Ti capisco Saphira. Lo sai. Ti sono stato accanto nei quattro anni nell'oltreoceano come tu lo sei stata con me.
E sappiamo entrambi che abbiamo condiviso tutto.
Lo dobbiamo fare per i Cavalieri. È come quando siamo dovuti partire: non volevamo ma dovevamo. È così anche ora.
E non credere che voglia lasciare Arya, dopo che l'ho ritrovata. E ricorda che il mio legame con lei è molto più antico del vostro.-
L'ultima frase avrebbe dovuto risparmiarsela.   La dragonessa si alzó sulle zampe e lanció un ringhio lunghissimo. 
-Tu non capisci.- fu la sola cosa che disse, e assieme a Firnen, che era rimasto in silenzio tutto il tempo, voló via.
Eragon si lasció cadere a terra, e nascose il viso fra le mani. Cosa aveva fatto?
Non voleva dire che il rapporto fra Saphira e Firnen non fosse intenso ma solo che anche per lui, e soprattutto per lui, la partenza sarebbe stata sofferta. Ma l'avrebbe fatto.
Cercó di parlare mentalmente con la dragonessa, ma quella aveva eretto un muro impenetrabile.
Rimase lì ore, senza sapere cosa fare, quando alla fine sentì una mano sfiorargli la spalla.
-Shurtugal, il primo ministro Taelì mi ha mandato a chiamarla. 
Era un elfo colui che aveva parlato, che Eragon non aveva mai visto.
Al posto della pelle aveva un ammasso di piume, di un colore delicatissimo che andava sfumando dal bianco al verde chiaro.
Gli occhi erano gialli, intensi, mentre la bocca era più orientata verso un colore arancione.
Pur essendo scioccato, Eragon lo nascose bene.
Ringrazió l'elfo,che scoprì si chiamava Gaeliem, e si diresse assieme ad esso nella sala dove il primo ministro lo attendeva.
Aveva incontrato Taelì poche volte, ma sapeva che era una delle persone più fidate di Arya, e quindi era convinto fosse degno di fiducia e rispetto.
Era stato eletto ministro due anni dopo la sua partenza.
Appena arrivarono nella stanza del ministro, 
Gaeliem si dileguó.
-Buongiorno Shurtugal, vedo che hai accettato il mio invito.
-È un onore.
E si scambiarono il consueto saluto degli elfi.
Taelì fece accomodare il ragazzo su una poltroncina dinnanzi alla sua scrivania, e cominció a parlare.
-Mi dispiace dissuaderti dai tuoi impegni, ma ho bisogno di parlarti di Vroengard.
Dato che Eragon non replicava, l'elfo continuó.
-Raesel e Manuelì, i due elfi che coordinano le attività di bonifica sull'isola, si sono messi in contatto con me stamattina.
Hanno detto che l'operazione sta procedendo per il meglio, che il terreno sta assorbendo alla perfezione l'incantesimo. 
Perfino con gli alberi, si è riuscito a trovare una soluzione.
Si riscontrano problemi peró con gli animali che ci vivono. Sono deformi, non pensano ne' vivono come un essere normale, e soprattutto, non sappiamo come contrastarli.
Hanno chiesto il tuo aiuto Eragon. Se tu volassi fin là, col tuo alunno, sono convinto che troveresti una soluzione in poco tempo e potresti già cominciare l'addestramento.
Sei già stato una volta a Veoengard e so che hai incontrato ed avuto esperienze con quegli animali. 

Eragon aveva ascoltato tutto con la massima attenzione.
Avrebbe dovuto partire subito. Questa era una complicazione. Se Saphira già prima si era indispettita per due mesi con Firnen, cosa ne avrebbe pensato di..
-Qualche giorno? 
-Come scusa?- si riscosse Eragon dai suoi pensieri.
-Dovreste partire fra qualche giorno, stavo dicendo.
Il Cavaliere avrebbe preferito sprofondare. Qualche giorno? Ma era troppo poco tempo!
-Temo che sia troppo presto e..
-Eragon. Hanno bisogno di te. - disse con voce ferma Taelì, fissandolo attentamente negli occhi. 
-Io e Saphira...
Eragon sapeva che dietro quella frase c'era un'accusa. Un'accusa perchè l'elfo sapeva che l'unico motivo dell'esitazione di Eragon era un motivo personale.
Ma il proprio bene andava messo dopo il bene del Paese. E lui e Saphira avrebbero fatto ció che fosse stato il giusto. Come sempre.
-Partiremo.
Il volto di Taelì si rilassó
-Te ne siamo grati Shurtugal. La tua partenza è programmata fra due giorni. 
Eragon prese congedo, e tornó nei giardini del palazzo.
Aveva come il sospetto che Taelì fosse stato sicuro che avrebbe accettato l'incarico.
Come se fosse tutto un 'intricata partita e...ma chi li capisce gli elfi!
Cercó di raggiungere Saphira con la mente ma quella, ostinatamente, gliela teneva sigillata.
Si sentiva perso. Era convinto che quella di andare a Vroengard fosse la strada giusta, ma Saphira la pensava diversamente.
Era solo un pensiero dettato dalla vicinanza con Firnen o perchè non era il loro destino?
A questo non sapeva rispondersi.
________________________________________

Arya era occupata nella sala del trono. Era stanca, la testa le stava per scoppiare, e le rughe attorno agli occhi si facevano ogni minuto più profonde, per scomparire poi quando rilassava il viso in un raro momento di pausa.
Tutta la mattina era stata sballottata da un luogo all'altro, da un impegno all'altro:
già all'alba era stata convocata dal Gran Consiglio per parlare dell'attacco dei Ra'zac, poi a metà mattina era stata da Taelì per la faccenda di Vroengard ed ora stava parlando con Mandrëil, il generale.

-No! Non possiamo attaccarli da Nord! Ci scoprirebbero subito! Dovremmo accerchiarli partendo da est, e con un battaglione di sessanta-settanta elfi costringerli a ripiegare verso ovest dove il resto dell'esercito li attenderà. Solo così li avremo in pugno, Arya-drotting.
-Capisco il tuo punto di vista, Mandrëil, ma i Ra'zac non vanno sottovalutati. Capirebbero subito il nostro piano e attaccherebbero l'ala est, dove siamo più vulnerabili. Ma attaccare frontalmente un esercito di quella portata sarebbe una follia.
Lascio a te la strategia, non so più cosa dire. Se dovessi aver trovato qualcosa di utile chiedi udienza, e se avró tempo ti riceveró.
Puoi andare-
Appena l'elfo scomparse, Arya prese un gran respiro. Cosa doveva fare ora? Qualche altro incontro coi nobili, qualche tra riunione militare?
Era stanca. Doveva riposare. Ora che ci pensava era da un bel pezzo che non vedeva Eragon, ma non poteva distrarsi. Non l'avrebbe visto, o l'avrebbe distratto dal suo lavoro. Sarebbe partito due giorni dopo. Appena arrivato e già partito. 
Perchè la sua vita doveva essere così difficile?
________________________________________

Piano piano il sole calava, fino a scomparire. Le tinte cremisi lasciarono il posto ad un mondo fatto di buio.
Saphira e Firnen si trovavano in una zona appartata della Du Wenderlvarden.
-Non avrei dovuto fare così. L'ho trattato ingiustamente. 
-Ti avrà già perdonata, non temere.
-Tu non sai quanto ha sofferto per Arya. Il suo è un amore che continuerà finchè lui non morirà. È il suo grande amore.
 Affronterebbe da solo l'esercito dei Ra'zac se Arya glielo chiedesse. Io ho condiviso con lui tutte queste cose.
Sono stata una stupida a trattarlo così.-
Firnen non ribattè ma le andó più vicino, e la consolò al meglio che poteva. Odiava vederla soffrire.
-Andiamo da lui?- le chiese dolcemente.
-Andiamo.-
E si alzarono in volo fino a raggiungere palazzo Tialdarì.
Trovavano Eragon che ancora dormiva ai giardini. Probabilmente si ara addormentato
 da qualche minuto. 
Saphira si strusció dolcemente su Eragon, che si sveglió.
-Eragon mi dispiace, mi dispiace di essermi arrabbiata così davvero e..
Eragon le saltó al collo. Era così felice di poterla riabbracciare. 
Le loro menti si incontrarono, così come il corpo.
Eragon s'accorse di essere stato a metà fino a quel momento, solo ora con la dragonessa era completo. Ma poi penso a cosa avrebbe dovuto dirle e si rattristó immediatamente.
Senza bisogno di spiegazioni, la dragonessa rivide tutto il pomeriggio di Eragon, soffermandosi sulla chiaccherata con Taelì e quando apprese fece un moto di sorpresa.
-Due giorni?
Eragon prese subito a scusarsi come se fosse colpa sua ma Saphira lo fermó, e gli disse dolcemente.
-Nessuno ti sta incolpando, piccolo mio. Hai fatto la cosa giusta. Solo che ormai manca un solo giorno, e poi dovremo partire. E non rivedremo più Arya e Firnen.
Quando Firnen capì, lanció un lungo grido disperato. 
-Mi dispiace Firnen, ma la vita di me e Saphira sarà sempre così.
Piena di morte e di abbandoni.-
Disse tristemente Eragon.
-Non dire così, Shurtugal. Io ed Arya verremo con voi. Parleró io con lei- affermó con la sua voce cavernosa Firnen.
-Temo che nulla la convincerà- disse Eragon con un sorriso amaro in volto, rassegnato.
-È una regina, e continerà ad esserlo.-
Saphira, purtroppo era d'accordo con lui, mentre Firnen era di un altro avviso.
-Ora devo andare dal mio Cavaliere, la regina. Ma torneró, con lei, e partiremo insieme.
-Siamo con te.- dissero in coro Eragon e Saphira, e sia avviarono nella loro camera, e in pochi minuti dormivano già.
________________________________________

Il sole era la suo zenit quando Drago e Cavaliere si destarono. Ma quanto avevano dormito? Era già il giorno della partenza?
Saphira, svegliatasi con Eragon, era sorpresa allo stesso modo. 
-Chiediamo a qualcuno-
Così, scesero le scale e andarono dritti nell'ufficio di Taelì.
-Aah eccovi qui! I vostri bagagli sono già nella sala del trono dove la nostra regina vi aspetta per darvi la sua benedizione.-
Eragon e Saphira erano sgomenti. Avevano dormito..due giorni? Da pazzi.
Comunque, sperando che la sorpresa non si vedesse, il Cavaliere ringrazió il ministro.
-Ed andate anche con la mia benedizione: che le stelle ti proteggano Eragon Ammazzatiranni, e che il vento soffi favorevole sulle tue ali, Saphira bjarstkular.
I due si avviarono.
-Quindi Arya ha deciso di non accompagnarci- dedusse Eragon.
-E come poteva?- disse Saphira.
Eragon annuì piano.
Quando entrarono nella sala, lei li stava aspettando sul trono con accanto Firnen.
Arya si alzó, e venne incontro al Cavaliere tendendogli le mani.
Eragon le prese e le strinse forte a sé, assaporando tutto degli ultimi istanti con l'elfa.
-Mi mancherete.- pronunció piano la regina.
-Allo stesso modo, voi a noi.- disse in tono piatto Eragon. 
Stava cercando di trattenere dentro se' le emozioni, che sarebbe esplose se lui non l'avesse fatto. Era il secondo addio che dava all'elfa e proprio non lo sopportava.
-Che cosa hai?- disse l'elfa, accorgendosi del comportamento di Eragon.
-Non amo particolarmente gli addii.- disse lui, sforzandosi di sorridere.
-Ma questo non sarà un addio! Io e Firnen verremo da voi appena possibile e..
-E sappiamo entrambi che non lo farai. Hai troppe responsabilità qui.
-Non doveva andare così- riuscì a dire in un sussurro Arya.
-Vieni con noi-
-Lo sai che non posso-
Ad Eragon tornó in mente il momento dell'addio di quattro anni prima e riuscì solo a sperare che quel tormento finisse.
-Ci sono persone che si buttano da migliaia di metri, e persone che non hanno il coraggio di buttarsi nemmeno tra le braccia di chi ama.
Addio Arya-
Lasciando sgomenta l'elfa, Eragon se ne andó con Saphira.
 E le porte della sala si chiusero.
________________________________________

Erano passate più o meno cinque ore da quando Eragon e Saphira erano partiti.
Arya era rimasta tutto il tempo seduta sul trono.
Le ultime parole di Eragon le rimbombavano nella mente.
"-Ci sono persone che si buttano da migliaia di metri, e persone che non hanno il coraggio di buttarsi nemmeno tra le braccia di chi ama."
Cosa intendeva dire? 
Aveva rifiutato ogni singola udienza che avevano chiesto con lei.
Firnen era silenzioso, silenzioso come non mai.
L'elfa non sapeva cosa fare.
Poi, decise.
Arya prese carta e penna e lasció un messaggio sul tavolo di quercia della Sala Grande.
Chiamó Firnen, lo selló. Il drago non chiese nulla. Ma prese la direzione presa da Eragon e Saphira.


Lei si sarebbe buttata. 
Si sarebbe buttata nelle braccia di Eragon. 
________________________________________



Aggiornato prestiiissimo! Questo capitolo mi piace davvero un sacco.  
Ditemi la vostra nelle recensioni! (E ancora buona Pasqua) 
Kveykva 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Tradimento ***


Arya era andata dagli elfi a parlare, mentre Eragon e Saphira stavano passeggiando per l'isola.
Erano passati tre giorni da quando erano arrivati e non avevano smesso di stupirsi.
Innanzitutto, l'arrivo a Vroengard era stato il doppio più piacevole fiancheggiato da Arya.
L'elfa era riuscita a raggiungerli mezz'ora prima del loro atterraggio.
Era stato come vedere arrivare un raggio di sole nel mezzo della tempesta, una piscina d'acqua in mezzo al deserto.
Purtroppo Arya aveva risentito del viaggio stremato, e anche Firnen. Eragon e Saphira avevano viaggiato non velocemente, di certo non come l'ultima volta che erano andati a Vroengard; la regina e il suo drago invece avevano volato velocissimi per tentare di raggiungerli, e pensare che avevano un distacco di quattro-cinque ore.
Quando l'aveva vista aveva capito davvero cosa voleva dire amare.
Eragon era ancora meravigliato dai cambiamenti dell'antica Città dei Draghi: era completamente cambiata.
O meglio, l'isola era rimasta uguale, ma tutto ció che prima la usurpava e la peggiorava era stato estirpato.
Il veleno non c'era più, e l'aria era non solo più leggera, ma di una tonalità violetta, e nemmeno gli elfi sapevano spiegarsi; di certo, peró, non era nociva e se doveva esser viola, che viola fosse.
-E gli alberi? Rinati!- gli disse Saphira.
Eragon annuì. La vegetazione ora, era rigogliosa: gli alberi scuri, spettrali che prima ornavano gran parte dell'isola erano di un verde acceso, con germogli che spuntavano qua e là. Ovviamente c'erano alberi o arbusti che, troppo impregnati di veleno, non erano riusciti a rinascere come gli altri. Ma per fortuna, erano molto pochi.
-Ora tocca a noi Saphira, raggiungiamo Arya e gli altri e cominciamo il lavoro- disse Eragon, alludendo ovviamente al compito che li aspettava.
Salì su Saphira, e in pochi minuti arrivó in uno spiazzo erboso, il quale l'ultima volta non era riuscito a vedere.
Atterrarono, attirandosi gli sguardi di tutti. Ma lui fissava solamente Arya, che contraccambió il suo sguardo, e sorrise. 
-Bene, Shurtugal. - cominció Raesel possiamo cominciare?
Raesel era un elfo molto schivo, come tutti gli altri. 
Ma aveva una strana luce negli occhi. Eragon non capiva il perchè, ma ogni volta che lo guardava si sentiva sprofondare in quegli occhi erano neri. 
Neri come un pozzo senza fine. 
Si sentiva risucchiato se lo guardava troppo a fondo.
-Siamo qui per questo-, disse lui chinando la testa.
Raesel lo fissó a lungo. 
Quasi volesse carpirgli l'anima. 
Forse era solo una sua impressione, ma quello sguardo emanava odio. 
La voce non era cristallina come quella degli altri elfi, ma più scura. Una voce dura, fredda.
-Abbiamo rilevato sei forme animali sull'isola. 
Un paio delle quali sappiamo che hai già incontrato. 
Vorremmo che partissi da quelle.-
Eragon ricordava benissimo gli animali dell'isola: si ricordava quelle rane toro, che avevano una sporgenza a funzione di lampada.
Quegli strani uccelli-ombra: avevano la testa nera, ovale, da cui spuntavano larghi ciuffi di piume arruffate. Nessuna profondità. 
Gli vennero in mente quei bruchi bianchi, che emettevano un suono da accapponare la pelle.
Si ricordava perfettamente le parole di Glaedr:
"Non dovrebbero esistere".
Ed infine le snalglì, delle lumache enormi, provviste di guscio.
E con quelle facevano già quattro specie.
E le altre due?
Riferì la domanda a Manuelì stavolta. Non voleva riguardare in quegli occhi, negli occhi di Raesel.
-Abbiamo trovato dei rettili: sono verde scuro e viola quasi nero, sono coperti da uno strato viscido, che è corrosivo al massimo. Basta toccarlo per perdere un dito. Non ci siamo potuti avvicinare di più, ma come dimensioni possiamo dire che non sono più grandi di un cane di media statura.
Le abbiamo chiamate Sliserer, almeno per classificarle.
Eragon non era ne' intimoriti ne' impaurito: strada facendo avrebbe trovato una soluzione.
L'ultima specie era invece abbastanza preoccupante: il veleno aveva fuso due specie di animali.
La prima era un simil ragno: avevano un corpo peloso, a forma di rombo, mentre le zampe erano sottilissime, alte e lunghe e completamente rivestite di uncini aguzzi che se toccati emettevano veleno.
Si chiamavo Talesn, come li avevano battezzati gli elfi.
L'altra specie era difficile da definire: si poteva chiamare 'razza dei serpenti' ma non erano propriamente serpenti.
Erano ricoperte da scaglie durissime, rosso acceso.
Un elemento a loro favore, pensó Eragon, visto che anche nel buio sarebbero rimasti riconoscibili.
Velocissimi, erano in grado di colpire ancor prima di sentirli arrivare. 
Nella loro bocca non c'era veleno, ma i loro denti erano affilati più di Brisingr.
Erano stati battezzati Frisiel. 
-Queste due razze vivevano in territori vicini- cominció Manuelì - probabilmente, vivendo così a stretto contatto, il veleno a fuso le due razze insieme. Anche se mi sembra improbabile che vivessero così vicini da poter essere legati assieme. Qualunque cosa sia successa, ora il corpo dei Frisiel è diviso a metà, e letteralmente attaccato al rombo centrale dei Talesn, il loro corpo.
Questa unione puó rappresentare un vantaggio e uno svantaggio: ovviamente dovremo annientare due razze invece che una.
Peró i nemici saremo di meno: avremo due razze in una. Due nemici condensati in uno.
Capite? Se ne uccidiamo uno ne uccideremo due.
Io direi di lasciarli per ultimi. 
Eragon tu andrai con Arya e comincerai con le rane, poi i draghi andranno dalle snalglì ed infine andrete dagli uccelli-ombra.
Se il compito sarà portato a termine, penseremo alle altre due razze. 
Ovviamente ti abbiamo chiamato per dirci come contrastarle, dato che siamo sicuro che tu, Eragon Ammazzaspettri, lo sappia-  e lanció ad Eragon uno sguardo supponente. Raesel trattenne un risolino, convinto di aver messo in ombra il Cavaliere. 
Eragon non fece una piega:
-Lo faró di sicuro. Sono certo che saprete apprenderle, come ogni elfo dovrebbe fare.
Concluse con un sorrisetto, il quale invece era sparito dalla faccia di Raesel.
Dietro sentì Arya che rideva spensierata, lasciando tutti di stucco.
-Forza, mettiamoci al lavoro- e prese Eragon per un braccio e lo portó verso i loro primi nemici.
Cominciarono ad addentrarsi nell'isola.
-Ma che ti salta in mente?- disse a Eragon ancora ridendo.
-Be, io...insomma..- borbottó lui.
Era ancora confusa dal comportamento di Arya, sembrava...rinata, esattamente come l'isola, ed ai suoi occhi era la cosa più bella che avesse mai visto.
________________________________________

Il primo compito era concluso. 
Le rane toro erano state eliminate senza problemi. 
Erano animali non aggressivi, l'unica loro 'arma' era la protuberanza luminosa che attirava le loro prede.
Eragon era confuso: gli era bastato solamente entrare nella mente di quegli animali, immobilizzarla e pronunciare una delle parole di morte. E quelle erano subito cadute.
Arya era strabiliata quanto lui: Manuelì e Raesel erano due maghi esperti, sarebbe bastato loro fare come avevano appena fatto loro. Avrebbero già potuto eliminare tutte le specie animali sull'isola.
-Qualcosa non torna - diede voce ai suoi pensieri Eragon.
Senza bisogno di spiegazioni Arya aveva già capito.
-Gli sarebbero bastati due minuti. Ma non l'hanno fatto e ci hanno chiamato sull'isola per uccidere qualche insignificante rana. 
E poi quel Raesel ha qualcosa che non mi piace...
-Questa è tutta suggestione Eragon: lui è un elfo che vive ad Ellesmera da secoli. Ci fidiamo tutti di lui.
Ma concordo con te sul fatto delle rane..
Eragon lasció cadere il discorso. Non aveva senso arrovellarsi su cose che non poteva capire. Ma avrebbe scoperto.
-Saphira? Firnen? Avete finito con le snalglì?- domandó lui mentalmente .
-Si, e abbiamo anche già cenato!- gli rispose lei, la quale gli invió tutti i dettagli e la povera fine delle lumache giganti. Il pasto prediletto dai draghi.
Comunicó ad Arya cosa aveva appena saputo. Lei fece un sorriso.
-Sono felice di essere qui - disse sottovoce, mentre camminavano.
Arya rare volte dimostrava il suo affetto, o men che meno mostrava le sue emozioni.
Ora l'aveva fatto. Ed era felice.
Eragon la bació. Non poteva andare meglio.
________________________________________

Arya ed Eragon ora erano davanti alla rocca di Kuthian e stavano parlando con i due elfi.
-Questo è l'incantesimo - disse Eragon, finito di recitarlo.
- Purtroppo gli Svinv (nome elfico che indicava i bruchi bianchi) sono sparsi.
E non sappiamo quanti ce ne siano. Ne abbiamo contati una trentina ma potrebero essercene altri. Chiediamo se i due draghi possano venire con noi. Potrebbero darci manforte in caso di attacco.
-Attacco ...di un bruco? - domandó sorpreso Eragon
L'elfo, per la prima volta, sembrava essere a corto di parole.
-Potrebbero...riservarci sorprese - disse, ma Arya, Eragon e i due draghi non erano affatto convinti.
-Vuoi andarci?- chiese mentalmente a Saphira
-Non mi fido di lui- e gli invió l'immagine di Raesel - ma non siamo più cuccioli. Staró ben attenta.
-Va bene, i draghi hanno acconsentito ad accompagnarvi.
Sul volto di Raesel comparve un ghigno trionfante, mentre Maneulì annuiva.
-Vi ringraziamo- fece una pausa 
-La posizione degli uccelli-ombra è la seguente: stimando che sono una decina, circa la metà si trova ad est e l'altra metà a nord.
Noi saremo a sud. A dopo- chinó la testa, e se ne andó.
Eragon guardó Arya. 
Se lei era decisa ad andare, lui sarebbe stato con lei.
Negli occhi dell'elfa vide solo determinazione, e si incamminarono ben sapendo che avrebbero dovuto dividersi ad un certo punto.

________________________________________

Camminavano ormai da un'oretta ed Eragon sperava che il momento non arrivasse mai, ma ad un certo punto la regina si fermó. 
-Io vado di là - indicó il nord Arya,- 
 ci vediamo qui fra due ore.
- Dobbiamo proprio dividerci? - disse Eragon in un tono così malinconico da sembrare comico, mettendo il broncio.
Arya gli si avvicinó e gli sorrise, posandogli una mano sulla guancia.
-Vai- sussurró.
Eragon, pur a malincuore, si incamminó.
Dopo un'altra ora di cammino, trascorsa a parlare mentalmente con Saphira, la quale stava a sua volta camminando, arrivó alla sua meta.
Manuelì gli aveva descritto che sarebbe dovuto arrivare ad un pianoro poco prima delle due colline Seliem.
Era arrivato.
Come da descrizione, il covo degli uccelli-ombra era esattamente lì: uno degli alberi a destra delle Seliem. In effetti, grazie alla sua vista più che perfetta, individuó subito il nido: si trovava sul ramo più alto di un albero verde scuro, col tronco di legno chiaro.
Si stava avvicinando, quando un ringhio fortissimo gli attraversó la testa:
-Eragon! Ci attaccano!!-
Era Saphira!
-Cosa sta succedendo? Chi?
-I Ra'zac stanno invadendo l'isola e stanno entrando da sud! Ci hanno separati!
Eragon capì in un istante.
I due elfi li avevano fatti separare tutti e quattro, ma soprattutto i draghi dai cavalieri.
Il potere di entrambi diminuisce se non si è vicini.
Ecco perchè Raesel e Manuelì volevano i draghi con loro!
Li avevano traditi!
Eragon pensó subito ad Arya, e si mise a correre più veloce del vento. 
-Corri Eragon- disse con voce tombale Saphira.
-Qui ci ammazzano.- 




~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
Chiedo pietà per il ritardo, ma come al solito super impegnata.
Nuovi personaggi...ditemi la vostra!
Un saluto a tutti! 
Kveykva

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Sconfitta ***


Saphira e Firnen continuavano a mordere e a dilaniare. 
Sentivano le grida acute dei loro nemici, ma nulla potevano contro di loro: erano dei topi in gabbia.
Con un gesto della coda, Saphira colpì un Ra'Zac in pieno, che non si mosse più.
Vedeva Firnen che lottava con tutte le sue forze, artigliava il terreno e scaricava tutta la sua furia su quegli esseri.
Ma erano in difficoltà lo stesso: due draghi contro cento Ra'Zac non è una passeggiata.
Non è decisamente una passeggiata.
Quegli elfi-traditori-della-razza li avevano ingannati: appena erano arrivati sul pianoro era sbarcati i Ra'Zac. 
Ed Eragon e Arya erano distanti.
Nonostante le difese che aveva accumulato durante gli anni, Saphira già riportava alcune ferite: due tagli lunghi ma poco profondi sulla coda, una ferita sul fianco sinistro, e mille altre ammaccatura sul resto del corpo.
Le era difficile alzarsi in volo, visto che il pianoro era delimitato da alti alberi che a volte le ostacolavano i movimenti.
Un Ra'Zac l'attaccó da dietro, e lei lo vide appena in tempo con la coda dell'occhio, si giró e cercó di arpionarla con gli artigli ma quello era troppo veloce.
Con un grido lancinante, il mostro si slanció in avanti, e dilanió con i suoi denti infernali il tricipite destro della dragonessa.
Quest'ultima lanció un ruggito terrificante.
E inizió il fuoco.
________________________________________

Arya stava correndo come mai in vita sua: i piedi quasi non toccavano terra e da fuori sembrava stesse volando.
I capelli le si muovevano confusamente attorno al viso, sferzati dal vento.
Come avevano potuto?  
Come avevano potuto tradire la loro razza?
Ció che avevano compiuto sarebbe rimasto una macchia sull'onore degli eli per sempre.
Allearsi con dei mostri.
Perchè?
Era la sola domanda che le veniva.
Appena le era arrivato l'allarme mentale di Firnen aveva subito invertito la rotta e ora correva come non mai.
Cercó di fare mente locale: Eragon stava arrivando da est, lei da nord, mentre la battaglia era a sud.
Come minimo le mancavano ancora un paio di chilometri, ma se avesse corso più veloce...
Si fermó: alzó la pianta del piede destro.
Sanguinava.
'Barzûl' imprecó, e si rimise a correre.
Già grazie all'udito sviluppatissimo sentiva i rumori della battaglia: spada contro spada (o artigli se mai) , urla acute, ringhi, ruggiti.
Come avrebbero fatto a vincere?
Due draghi contro un esercito di Ra'Zac e due elfi?
Speró solo che Eragon stesse arrivando veloce come lei.
E corse più veloce.
________________________________________

Eragon si buttava ora nella battaglia.
Era stato più veloce dell'elfa perchè ci aveva messo molto di più a raggiungere la meta ad est, quindi era stato più fulmineo e l'aveva preceduta nell'arrivo.
La prima cosa che vide fu l'immensa fiamma arancio-bluastra che emettevano ininterrottamente i due draghi.
Era una fiammata davvero immensa: i Ra'Zac che non riuscivano a spostarsi in tempo venivano semplicemente bruciati vivi.
Estrasse brisingr dal fodero, e con un micidiale colpo spaccó il cranio ad un Ra'Zac che non aveva sentito il suo arrivo.
Subito gli furono addosso: in due, in quattro, poi in sei.
Il loro fiato pestilenziale non sortiva alcun effetto su di lui, grazie ad un incantesimo che aveva formulato poco prima, ma non era lo stesso per i draghi.
 Loro ne erano ancora esposti. 
Speró solo che il fuoco tenesse i Ra'Zac a bada.
Con una torsione del polso trapassó il tricipide di un Ra'Zac mentre un altro si slanció avanti per colpirlo.
Eragon colse l'attimo: giró su se' stesso velocissimo, e tranció di netto la testa dei due Ra'Zac.
Altri tre presero il loro posto: le loro urla acute perforavano le orecchie di Eragon.
Aveva l'impressione i non sentire altro che quei devastanti suoni.
Si abbassó, e schivó l'attacco del Ra'Zac di destra, mentre dovette scivolare a sinistra per evitare quello del mostro a sinistra.
Erano troppi. 
Fece ordine nella sua testa:
I Ra'Zac rimasti saranno stati più o meno un centinaio, ora forse un'ottantina.
I conti tornavano: nel primo scontro nella Du Weldenvarden erano almeno tre centinaia, ed erano riusciti a sterminarne circa duecento.
Ed ora i cadaveri di quelle immonde bestie crescevano, così anche il loro sangue bluastro che imbrattava il terreno.
Eragon si ritrovó subito madido di sudore.
Ne rimanevano ottanta, forse meno.
Ma non potevano resistere ancora molto.
La fiammata dei draghi era sempre più discontinua, e i Ra'Zac accerchiavano Eragon in numero sempre maggiore.
Dov'era Arya?
________________________________________

L'elfa era arrivata.
Sentiva sulla pelle il calore del fuoco emesso dai due draghi.
Individuó subito Eragon nel mezzo della mischia: era accerchiato da almeno dieci Ra'Zac.
Era in difficoltà: i suoi colpi si stavano facendo maldestri, tirava a caso, sperava di colpire.
Si buttó subito accanto al Cavaliere, e lui la riconobbe.
Cominciarono a combattere schiena contro schiena.
La fatica della corsa sparì in un attimo, sostituita dalla ferocia, dalla voglia di combattere.
Maledetti mostri, non avrebbero dovuto esistere.
Salto in alto di qualche centimetro, e quando i piedi ritoccarono il terreno tranció via un braccio e una gamba a due Ra'Zac che subito si allontanarono dallo scontro.
Fece un giro intero su se' stessa e impugnando con entrambe le mani taglió la testa a due di essi, e anche quelli caddero immobili.
Cominció a combattere davvero, qualunque nemico le si presentasse davanti moriva prima o poi.
La pila dei cadaveri cresceva.
Ma i mostri c'erano sempre.
Diminuivano certo, ma ogni qualvolta che se ne eliminava uno, un altro ne prendeva il posto.
Continuó a tranciare, uccidere, finchè non ci fu più nessun nemico da combattere.
Si giró.
Eragon stava fronteggiandosi con quattro Ra'Zac. Subito Arya si gettó nella mischia.
Vide Eragon pronunciare velocemente una serie di parole, e dal suono sembravano  nella lingua elfica.
Dopo un minuto, un Ra'Zac cadde a terra stretto da liane invisibili, mentre quelle funi gli rompevano le ossa.
-Usa la magia- le urló Eragon.
Lei sapeva che quei mostri erano protetti da chissà quante difese, non a caso Eragon aveva dovuto formulare un incantesimo lunghissimo per aggirarle.
Doveva provare qualcosa di diverso.
-Kveykva!
Un fulmine, kveykva nell'antica lingua, scaturì dalla punta della sua spada e colpì quattro Ra'Zac un contemporanea.
Ary era assolutamente sconcertata: cosa era appena successo?
Lei voleva solamente evocare un fulmine, sfruttare la sua carica elettrica, ed indirizzarlo verso i Ra'Zac. 
Ma non aveva previsto che fosse partito da Támerlein.
Eragon si giró. Aveva una faccia sconvolta e felice allo stesso tempo.
Con uni sguardo le comunicò tutto e mentre lui falciava gli ultimi esseri rimasti, lei usava Tamerlein.
________________________________________

-Dobbiamo andarcene.
-Ma potremmo sempre...
-Li hanno uccisi tutti! Guarda!
Raesel indicó a Manuelì le montagne di cadaveri sul pianoro, con l'indice.
Erano riusciti a sabotare un altra volta i loro piani.
I suoi piani. 
Manuelì non era che un fantoccio.
Era lui, lui la vera mente del piano: lui era riuscito a far accadere la prima battaglia.
Ed Arya che non sospettava niente.
Stupida.
Credeva davvero che un qualsiasi Ra'Zac sarebbe riuscito a sconfiggere Gilderien?
No, lui lo conosceva molto bene.
Era stato un gioco da ragazzi farlo fuori, la lama sul suo collo la ricompensa per mesi di progettazione.
Ma il Cavaliere era arrivato.
Non ci sarebbe stato scampo se non avesse combattuto.
Ma l'aveva fatto.
Ed era tutti sfumato.
Ed ora, anche la seconda battaglia era andata persa.
Ma lui , o meglio loro , sarebbero tornati.
Per ucciderlo tutti. Tutti i Cavalieri.
________________________________________

-C'è la luna piena, guarda. 
Eragon alzó lo sguardo. 
Dalla collina dov'erano potevano vedere tutto.
Tutta Vroengard si estendeva sotto di loro.
Ma tutto quello splendore impallidiva di fronte a ció che stava tenendo fra le braccia.
-Dovremo ricominciare tutto daccapo. Un'altra volta. Sembrava che andasse tutto bene..
-Gli animali non saranno un problema.
-Lo so. 
-Allora cosa ti preoccupa?
Arya sospiró. 
Abbassó gli occhi.
Per un minuto nessuno fiató.
Poi la risposta arrivó dolce come il vento tra le foglie:
-Non voglio che ricominci tutto. 
Le battaglie erano finite.
Il sangue non imbrattava più la nostra via.
E non lasciavamo dietro morti su morti.
Ma sta riaccadendo. E io non voglio.-
-Se ne sono andati. Torneranno, è vero.
Ma saremo pronti, ci organizzeremo. 
L'elfa sorrise tristemente. 
-Le nuvole possono arrivare anche in una notte stellata.- disse lei amaramente.
Eragon la bació. 
-Ma una stella come te le manda via tutte.-

________________________________________

Nuovo capitolo!
Scusate (millesima volta) il ritardo, ma sono una grande scema e ho cancellato il capitolo una volta finito ed ho dovuto riscriverlo tutto.
Un bacio!
Kveykva

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Nuovi Cavalieri ***






________________________________________


Erano passati due mesi dalla battaglia di Vroengard.
L'impresa dei due Draghi e dei due Cavalieri sopravvissuti a duecento Ra'zac si era sparsa come vento.
Eragon e Arya, assieme ai loro draghi ora, insegnavano a Vroengard.
A Faelis ed Ere si erano aggiunti Ambrea, col suo drago Miliar, e un Urgali, un maschio di nome Krashta, col rispettivo drago Vrango.
I due Maestri avevano chiesto di non far girare le uova per un po' di tempo, perchè non c'era l'immediato bisogno di un gran numero di Cavalieri.
I Ra'Zac erano stati sterminati, e anche se i Manuelì e Raesel avessero voluto tornare non l'avrebbero fatto certamente da soli, e per ricostruire un esercito di portata sufficiente per sconfiggerli, ci sarebbe voluti moltissimi mesi, se non anni e anni.
Perció Arya ed Eragon erano tranquilli, anche perchè ai tre allievi sarebbero riusciti a dare un adeguato addestramento senza fretta.
I Cavalieri erano uno molto diverso dall'altro.
Ambrea era una bambina elfa, slanciata e bellissima, viso simile a tutti gli efi, ma con un particolare: degli occhi che, al contrario di tutti gli elfi, erano gialli come ambra. 
Rilucevano di energia propria, era difficile fissarli per più di qualche secondo ; era come guardare un raggio di sole: dopo un attimo fa male agli occhi. Stessa cosa.
Miliar era la sua dragonessa: Saphira ne era molto contenta.
Finalmente una dragonessa: non era più l'unica femmina della sua specie.
Miliar adorava Saphira: era come un'ombra, la seguiva ovunque, pronta ad apprenderne qualunque segreto.
Era un drago che assomigliava molto al suo Cavaliere: era di un color ambrato, quasi oro colato ma più sull'arancione.
 Infine c'era un Urgali: finalmente .
Fra le tre razze erano già nate tensioni: fino ad allora erano divenuti Cavalieri solo due elfi.
Umani, Urgali, e knurlan no. 
Ora, con la nascita di Vrango tra gli Urgralgra si erano ristabiliti i rapporti ma erano pronti a rientrare i conflitti se il successivo Cavaliere fosse stato un elfo.
Krastha aveva dodici anni: ancora non aveva le corna, ma il suo coraggio era presente lo stesso. 
Era un Urgali normale, non un Kull.
Purtroppo, c'erano state molte complicazioni per l'avvio dell'Urgali agli studi: come è noto per trovare la compagna, un Urgali deve compiere azioni valorose.
Ma Krashta non avrebbe potuto farlo, perchè sarebbe stato impegnato per molti anni nell'apprendimento delle arti magiche e nel combattimento. 
Si era quindi stabilito che, essendo già Cavaliere, Krashta non avrebbe dovuto fronteggiare alcuna prova. 
Così avrebbe sia potuto trovare compagna, e sia continuare gli studi.
I tre nuovi Cavalieri erano molto diffidenti all'inzio: gli elfi, si sa, lo sono per natura; l'urgralgra ,invece, era perchè non si sentiva affatto pronto.
Era stato il primo Cavaliere della sua razza: un compito che pesa non poco sulle spalle.
-Potrei non esserne degno - aveva detto lui.
Arya ed Eragon erano quasi commossi.
Dal canto loro, che avevano conosciuto a poco a poco l'Urgali, gli si erano subito affezionati : era un "ragazzino" così timido.
Nei suoi occhi brillava sempre la luce della speranza, di una domanda, di una continua conferma di essere quello che Vrango aveva creduto di cercare.
-Sai- cominció Eragon -io sono stato trattato per anni da bambino. Saphira è giunta da me quando avevo pochi anni in più di te: tutti aspettavano un Cavaliere forte, valoroso, pronto a sconfiggere Galbatorix in pochi giorni.
E si sono trovati me: un ragazzino che al massimo sapeva falciare il grano-
Krashta rise.
Era una serata d'estate, il caldo faló acceso proiettava ombre sul viso di tutti.
Ogni Cavaliere era accoccolato sul proprio drago.
-Ma ho imparato. Ho continuato a combattere, continuato a crederci ed è successo ció che è successo.
Nessun drago sceglie un Cavaliere a caso: ogni persona ha dentro di sè qualcosa di diverso.
Ogni drago sceglierà la persona che si avvicina di più al proprio essere, al proprio io.
Faelis è Cavaliere già da qualche mese: lui ha già sperimentato cosa vogliono dire intensi pomeriggi di studio.
Voi due, Krashta e Ambrea siete Cavalieri da meno tempo, ma avete già appreso moltissimo.
Non sarà facile, nessuno l'ha mai detto: ma quello a cui arriverete sarà indescrivibile.- 
Caló un silenzio. Un silenzio riempito dal crepitio del fuoco, dal rumore dei respiri, quel silenzio dolce che si crea quando nessuno ha più niente da dire, e non c'è niente da contestare.
-A letto ora, domani sveglia all'alba. - disse Arya, con un sorrisetto malizioso.
Eragon ridacchió.
Strano.
E si spense la luce.
________________________________________

-A destra, a destra! No! No! Sinistra! No, aspetta, forse di la'! Si. No, scherzavo, ad est!
E cosa cavolo è l'est?- 
Ambrea strepitava così da un'ora.
-La vuoi finire? Non capisco più niente! - sbottó Faelis infastidito.
-Vuoi forse leggerla tu questa cartina, signore mio Grande Mente Geniale?-
-Saremmo già arrivati da un'ora se l'avessi fatto!-
-La volete piantare? Mi fate scoppiare la testa.- s'intromise Krashta.
-Qui c'è scritto Est! O c'è una O? Magari è ovest. Ma che ne so, Faelis non sa copiare!
-Avrei voluto veder te! Si capiva forse qualcosa?
-Avrei potuto farlo in due minuti!
-Si, peccato che fossi a farti il bagno al Lago Rosae!- l'accusó l'Urgali.
-Qualcuno si lava qui, a differenza vostra...- ribattè lei.
-Oh insomma! Avete finito? Siamo in volo da ore, i Maestri ci aspettano e noi non sappiamo minimamente come raggiungerli- sbraitó Vrango.
-Secondo me, se lasciaste guidare noi, forse avremmo già concluso- proiettó Miliar i suoi pensieri a tutti.
Tutti tacquero. 
- SquamaLuce ha ragione. Lasciamoli guidare. Il vento lo sentono meglio loro- sentenzió burbero Karshta.
Seguirono borbottii sommessi di disappunto.
Nessuno dei tre Cavalieri voleva farsi trasportare come bambole dai Draghi.
Quella mattina i Maestri avevano deciso di giocar loro un brutto scherzo: appena i tre Cavalieri si erano svegliati non li avevano trovati. Sembravano scomparsi, assieme a Saphira e Firnen. 
Nessun biglietto.
Troppo tardi si erano accorti che il messaggio dei maestri era sotto i loro piedi : una scritta con delle indicazioni.
Peccato che il tutto fosse mischiato dalle suole degli stivali dei ragazzini, coperto per metà da polvere e terra sollevati dagli stessi Cavalieri.
La scritta era facilmente decifrabile, perchè non era stata rovinata più di tanto:
'Domani mattina saremo al Picco Di Serfie.
Raggiungeteci, la strada a voi! Qui le indicazioni'
Peccato che le indicazioni fossero completamente pasticciate.
C'erano volute quasi due ore solamente per interpretare quegli strani segni, e solo allora si era potuto partire.
Ora peró, si aveva il sospetto che le informazioni copiate da Faelis non fossero proprio esatte...
-Scusate, quello non è il Picco?- domandó Krashta dopo mezz'ora di volo.
-Non ci credo! È vero! - si meraviglió l'elfo.
-Certo che è vero, razza di...- comició Ambea
-Taglia corto perfettina, atterriamo laggiù - concluse Faelis, lasciando schiumante d'ira la piccola elfa.‬
Appena atterrati, videro subito Firnen e Saphira, accoccolati in un angolo, e Arya ed Eragon.
In piedi, mani sui fianchi.
-Vi sembra questa l'ora di arrivare? Vi avevamo dato un margine di due ore, massimo! E sapete quanto ci avete messo? Tre ore e mezza.-
I ragazzi non avevano mai visto l'elfa così arrabbiata.
Severa, sì.
Rigida, sì.
Ma così, no mai.
Eragon che di solito era sempre bonario e tranquillo aveva un' espressione indecifrabile: era serio, i lineamenti duri, mascella contratta.
Non disse nulla, lasció che Arya si sfogasse.
Alla fine disse a bassa voce :
-Mi avete deluso- andó incontro a Saphira, le salì sul dorso e andó con lei in cima al Picco.
Arya rimase altri cinque secondi a fissare gli allievi intimoriti con sguardo di fuoco, poi fece la stessa cosa di Eragon.
I ragazzi si guardarono. Passó un minuto.
Poi, esplose un coro di voci, una sovrapposta all'altra.
-Hai visto? Ecco cos'hai combinato! 
-La cartina avresti dovuto farla meglio!
-Se qualcuno non avesse fatto il bagno per due ore qui, ci saremmo risparmiati tutto questo!
-Ora basta- intervenne una voce.
Apparteneva a Vrango.
-Adesso saliremo sul Picco, chiederemo scusa e apprenderemo ció che c'è da apprendere. 
Siamo qui per questo, non certo per urlarci addosso. Non siamo bambini.
-Noi siamo esattamente bambini- disse Faelis.
-Non qui! - urló mentalmente Vrango - Non in questo mondo dove ogni momento c'è qualcuno da salvare, qualcuno da uccidere, qualcosa da imparare. 
Siamo fatti per proteggere Alagaesia.
Ma non lo faremo certo restandocene così, a litigare.-
-Ha ragione Vrango. Prima saliamo, prima faremo. - sentenzió Ere.
Così fecero.
Quando arrivarono i cima, Saphira e Firnen non c'erano.
C'erano solo i due Cavalieri.
Ci fu un momento di indecisione e poi , come prima, scoppió un coro di scuse.
Subito Ambrea raccontó come erano andate le cose, come i draghi avevano suggerito di procedere.
Sembrava che i maestri sapessero già tutto, sapessero cosa fosse successo dall'inizio del viaggio alla fine.
Arya alzó una mano, per fermare quel flusso.
-Lo sappiamo. Sappiamo che non era vostra intenzione. 
Ma dovete imparare a fidarvi gli uni degli altri.
Se aveste avuto prima l'idea di far guidare i Draghi, invece che ostinarvi a voler fare la vostra parte, sareste arrivati qui molto prima.
I Draghi sono fatti per volare, voi non siete i loro capi. Loro sanno cosa fare.
Fidatevi di loro. 
Finchè non imparerete questo, non ci sarà un unica entità , ma solo un Drago e un Cavaliere, ma ricordate che la vostra forza non sarà mai al massimo così divisa.
Ora in sella: si ritorna- 
Eragon si limitava ad annuire. 
Poi aggiunse:
-Era una prova. Evidentemente non superata, ma confido che saprete fare del vostro meglio. Non deludetemi, non ancora.
-Si Maestro!- dissero in coro
Si giró e guardó in lontananza, e dopo pochi minuti arrivarono i due Draghi.
I quattro Maestri partirono, lasciando soli gli allievi.
-Forse hanno ragione.- ammise Faelis.
-Certo che hanno ragione. - commentó puntigliosa Ambrea.
-Ma quando la finirete? - disse esausto l'Urgali.
Ere, Miliar e Vrango, pur esausti, riportarono indietro i loro Cavalieri fino alla radura di Juma, mentre pensavano che non avrebbero mai più deluso così i loro Maestri.
Stanchissimi dopo una lunga giornata del genere, i ragazzi salirono sulle proprie amache e furono rincuorati dalla carezza dell'erba soffice sotto di loro. 
'Anche a costo di andare d'accordo con Ambrea' pensó Faelis prima di addormentarsi.
________________________________________


~precisazioni sulle abitazioni~

Il palazzo, che avrebbe ospitato gli alunni a Vroengard, in rovina da secoli, non era ancora in fase di ricostruzione e per il momento non era nei progetti immediati. 
In quel momento gli alunni abitavano nella Radura di Juma: questo spiazzo si trovava esattamente al centro di Vroengard.
Tutta l'isola, come sapete, era ricoperta d rigoglioso verde, sempre più florido dopo le opere di risanamento.
La Radura di Juma era esattamente un punto dove l'erba veniva tagliata, con un incantesimo perenne che non la faceva ricrescere, ed era perció molto più bassa rispetto al resto.
Era costeggiata da tutto il resto del 'bosco' con alberi, e foglie, rampicanti altissimi, quindi era ,diciamo, completamente nascosta.
Nascosta anche perchè nella radura di ergeva un albero secolare, con un tronco enorme ancorato al terreno, che copriva con le sue enormi fronde tutta la radura. 
Era come stare sotto una cappa, un cappa peró fresca ed arieggiata.
L'albero, ora che era estate, era coperto da fiori rosa chiaro e bianco. 
Assomigliava molto ad un pesco, e perció l'albero era chiamato 'Il grande Pesco'.
Dai rami, molto grossi e resistentissimi, Arya ed Eragon avevano cantato delle liane che scendevano a qualche metro dal suolo, e che andavano a formare delle amache fatte di rami, sulle quali si era formato uno strato di erba rada e sofficissima che fungeva da coperta.
Se ne erano formate tre, ognuno per ogni ramo portante dell'albero: su queste amache quindi, dormivano Ambrea, Krashta e Faelis.
I Draghi restavano sdraiati al suolo, in parte ai loro Cavalieri. 

________________________________________






Buoooonasera a tutti!
Ecco un nuovo capitolo: qui vi presento i nostri tre personaggi.
Non ci sono moltissimi avvenimenti, ma dovevo per forza definire i tre 'pestiferi', anche i luoghi e tutto, così da darvi esattamente l'ambientazione.
Vorrei davvero sapere cosa ne pensate, soprattutto dei luoghi e dei personaggi!
Grande bacio,
Kveykva

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** La soluzione ***


Le possenti ali dei Draghi che sferzavano l'aria erano l'unico sottofondo che c'era.
I cinque Cavalieri erano in viaggio da oramai due giorni, e non si erano fermati neppure una volta, ma sotto di loro continuava a scorrere quella distesa d'acqua scura che sembrava non finire mai.
Il vento non aveva dato troppi intralci, ma anzi, in alcuni momenti, era stato anche favorevole.
Arya stimava che adesso potessero mancare una manciata di ore, ma i ragazzi erano davvero troppo stanchi: dato che non c'era fretta di arrivare, almeno non come la prima volta, rallentarono di molto l'andatura.
-Tenete duro ragazzi, mancano ancora tre ore- li incoraggió Eragon.
-Tre ore ad Ellésmera o alla terra ferma?- domandó diffidente Vrango.
-Alla terra ferma. Una volta arrivati lì ci fermeremo ad Ael una notte, e poi andremo dritti ad Ellesméra, volando.- concluse Eragon.
I ragazzi sospirarono: erano così stanchi.
I muscoli dolenti dei draghi erano come se fossero i loro, il mal di testa, la fame, il sonno.
Ma la voglia di arrivare ad Ellesméra per confezionare la propria arma era più forte di qualsiasi fatica; e nonostante tutto, i ragazzi andarono avanti.
________________________________________

Pane stantio e latte avariato. 
Bel modo di iniziare una giornata.
Nella Taverna delle Imprese , quella mattina, i ragazzi avevano mandato giù a fatica la colazione, se così si puó chiamare quell'ammasso di pane duro più di una roccia mischiato a del latte più verde che bianco.
Ael era un paesino sulla costa, dove a tarda notte i ragazzi e i maestri erano approdati: dalla stanchezza non avevano neanche notato la cittadina, ma era andati dritti e filati nella prima taverna che avevano trovato.
Purtroppo, quello era un periodo di festa in Alagaesia: si festeggiava un'antichissima tradizione, che riguardava il culto della famiglia.
Perció tutti i commercianti erano via, e così anche le baracche o gli alberghi: erano tutti con le proprie famiglie.
L'unica  aperta era la squallidissima Taverna delle Imprese, la quale si trovava quasi all'uscita del paesello.
Dopo una notte di sonno profondo, nonostante i materassi quasi inesistenti, i dieci passeggeri avevano ripreso il viaggio.
Da Ael ci volevano circa quattro ore per giungere nella città elfica: finita la colazione era partiti con molta fretta, anche perchè temevano un' aggressione da Manuelì e Raesel.
Ora, erano in viaggio da circa due ore: Alagaesia non era cambiata da quando l'avevano lasciata.
Veloce come il vento, i paesaggi si succedevano: passarono per la Grande Dorsale, seguirono il Fiume Ninor, e vicino alla cima del Marna si riposarono.
Eragon si ripromise che al ritorno verso Vroengard avrebbe fatto una tappa da suo cugino Roran, con tutta la sua famiglia.
Dopo la notte, all'alba erano già in viaggio: da lì si apriva davanti a loro il Deserto di Hadarac, ma lo costeggiarono puntando dritti verso Osilon, e da lì ad Ellesméra che si trovava a nord della Due Weldenvarden.
Verso le cinque del mattino, videro la città elfica avvicinarsi: erano arrivati.
________________________________________

-Se non si sveglia ora le tiro un vaso in testa- sentenzió Faelis.
-Prova a scrollarla, se no usa l'acqua- mugugnó Krashta.
Faelis ci provó una, due, anche tre volte ma Ambrea sembrava non voler tornare dal mondo dei sogni.
-Io chiamo Miliar, magari lei riesce a farla resuscitare.
Fra dieci minuti l'appuntamento è ai Giardini, e lei non si è neppure svegliata!-  grugnì l'elfo, mentre mentalmente chiamava la dragonessa della sua compagna.
Non si sa ancora come, ma appena Miliar ebbe ricevuto la supplica mentale di Faelis, Ambrea si sveglió. 
In seguito, la dragonessa confessó a Krashta e Faelis di aver provocato un enorme ruggito, e di averlo poi inviato mentalmente al suo Cavaliere.
I ragazzi avevano dormito a Palazzo Tialdarì come Eragon e Arya, ma avevano chiesto se per i giorni seguenti avrebbero potuto ricavare uno spazio come quello Vroengard.
-Nell'ala nord dei Giardini, la parte più remota, potremmo trovare una sistemazione- aveva detto pensosa Arya.
-Sì- disse convinta - nell'ala nord c'è un piccolo giardino, grande quanto la vostra stanza a Palazzo Tialdarì...
-Sì mi ricordo! Mi ci avevano portato una volta i miei genitori per ammirare un fiore che cresce solo lì..di cui ora, peró, mi sfugge il nome- la interruppe Ambrea.
-Hai ragione Ambrea-Finiarel.
 Lì cresce l'Endiriro, un fiore con i petali neri per la loro lunghezza, mentre verso la loro fine si illuminano del colore del tramonto. 
Hanno capacità curative verso quasi la totalità dei morsi di serpente.
Gli alunni annuirono colpiti.
-Questi speciali fiori peró, devono essere tenuti sotto una cappa, una cupola di vetro opaco perchè se esposti alla diretta luce del sole si sbriciolerebbero, ma senza luce completa morirebbero senz'altro.
Per questo quella zona non è visitata da nessuno e tenuta strettamente controllata: gli Endiriri sono estremamente rari.
Poche persone sanno che cresce proprio qui ad Ellesméra. 
-Come vi dicevo prima, comunque, potremmo ricreare senza problemi lo stesso vostro alloggio di Vroengard: basterà cantare le liane, l'erba, i fiori, e il legno. Penso che potrebbe dare una struttura un po' più robusta; comunque ci proveremo.
Per ora, peró, dovreste dormire in una stanza del Palazzo Tialdarì: è tardi, aspetteremo domani mattina per cominciare.
Buona notte, Ambrea, Krashta, e Faelis, e auguratela da parte mia anche ai vostri Draghi.
-Buonanotte- dissero i ragazzi in coro, ma l'elfa si era già dileguata nel buio.
Avendo ricevuto prima le indicazioni, trovarono facilmente la loro stanza e in poco tempo erano crollati. 
L'appuntamento avrebbe dovuto essere di prima mattina, proprio nell'ala Nord per cominciare i lavori, ma Ambrea sembrava non volerne sentire; ora, peró, anche Ambrea era finalmente sveglia.
-Qui non c'è il tuo caro Lago Rosae eh?- la punzecchió Faelis.
-No, ma c'è una meravigliosa sala da bagno che useró senza dubbio in questo istante- disse con un sorriso che costrinse quello di Faelis a ritirarsi subito in un broncio.
-Aah, donne!
________________________________________

-Finalmente ragazzi, temevamo che non sareste più arrivati! - li rimproveró Eragon.
I ragazzi cominciarono a balbettare, cercando di dare spiegazioni, ma videro che non usciva una sola parola sensata quindi si fecero zitti zitti.
Piuttosto, notarono la bellezza del luogo in cui erano arrivati: era bello come lo aveva descritto Arya.
Certo, non era nulla a che vedere con Juma, magari per il legame affettivo, magari per l'effettiva bellezza di quella radura, ma era davvero grazioso: era un giardino molto molto piccolo, rinchiuso in una cupola di vetro opaco, ma comunque molto luminoso, il suolo, coperto da soffice erba verde acceso, era disseminato di Endiriri.
Quei fiori erano di una bellezza rara: il tramonto sui petali era sconvolgente. 
Ambrea pensó subito che quello era l'esatto colore di Miliar, ed era vero: appena la luce toccava i petali, quelli si illuminavano come non mai. 
Al centro del giardino, c'era un albero, uni tipico della Du Weldenvarden, anche se molto più piccolo, perchè era più giovane.
-Oggi, come vi avevo detto ieri sera, canteremo la vostra abitazione. - disse Arya.
-Peró non lo faremo tutti insieme: Eragon, Ambrea, Miliar, Faelis ed Ere andranno da Rhunön a chiedere aiuto per le armi.
Krashta e Vrango rimarranno qui con me così potrete imparare a cantare gli alberi , cosa che poi condivideranno con voi- disse indicando Ambrea e Faelis
-Bene, ora andate. Tornate qui all'ora di pranzo: mangeremo nel Palazzo- e detto questo, si giró e si incamminò veloce verso l'albero, seguita dai due alunni, mentre gli altri seguivano Eragon.
________________________________________

-Non vedo come io possa esservi d'aiuto considerato il mio giuramento - stava dicendo Rhunön, alle prese con una cotta di maglia dagli anello finissimi.
Eragon la fissava, aspettando che forse avrebbe aggiunto qualcosa, ma se conosceva Rhunön anche solo la metà di quanto la conosceva realmente, avrebbe saputo che non sarebbe più uscito nulla da quella bocca.
-Rhunön-elda, non abbiamo tempo: il tuo giuramento potrebbe essere raggirato come l'ulti...
-So dive vuoi arrivare Eragon: non prendiamoci in giro. - disse Rhunön voltandosi verso gli ospiti, e lasciando perdere per poco il suo lavoro.
I suoi occhi scrutavano a fondo quelli di Eragon.
Vorresti far forgiare a questi ragazzini le loro armi?- 
Il Cavaliere era impassibile.
-Pensavo fossi più sveglio dopo tutti questi anni- commentó con un sorriso amaro, riprendendo in mano la cotta.
-Lo sono abbastanza da rendermi conto che le loro braccia sono ancora troppo corte, i muscoli non sono ancora pienamente sviluppati, la fatica li costringerebbe a fermarsi dopo poco, non riuscirebbero a portare a termine nemmeno la costruzione del forno- sbottó tutto d'un fiato Eragon.
Rhunön si fermo, lo sguardo ancora fisso sul suo lavoro.
-E sono abbastanza cresciuto, da sapere che il tuo giuramento era valido solo per le Spade dei Cavalieri. Non per altre armi.
-Non pensare di poterti prender gioco di me ragazzo. - lo interruppe Rhunön alzando un indice-
Lo so cosa ho giurato ed ho giurato di..-
-Di non forgiare più Spade dei Cavalieri. 
Sì, lo so- 
Eragon si avvicinó, si inginocchió, e prese le mani di Rhunön tra le sue.
Lei lo lasció fare.
-Sei il fabbro più capace di tutta Alagaesia.
Le migliori spade mai forgiate sono frutto delle tue mani.
Come faremo quando sorgeranno nuovi Cavalieri? Per ora, e per ancora un po' di tempo, ci saranno solo loro tre.
Ma quando ci sarà bisogno di dare un'arma degna ad ognuno di loro cosa faremo?
A chi ci rivolgeremo? 
Sei la sola che puó farlo, Rhunön-elda.
Per favore-
L'elfa aspetto qualche secondo e poi sospiró rumorosamente.
-Non è che non voglia aiutarvi. 
Sai meglio di me che amo questo lavoro, e amo aiutare le persone con quello che faccio, ancor di più se Cavalieri.
Ma il mio giuramento me lo impedisce, e tu lo sai.
Hai ragione, forse potrei costruire l'ascia e l'arco per i due, ma per l'altro non saprei cosa fare: una Spada ha chiesto e una Spada avrà. Ma non potrà uscire da questa fucina.
Sono le mie ultime parole Eragon, mi dispiace- 
Rhunön tornó al suo lavoro, facendo intedere che il tempo dedicato agli ospiti era decisamente finito.
Faelis ed Ambrea non avevano avuto il coraggio di intromettersi nel discorso: tutto ció che avrebbero detto era stato pronunciato da Eragon; aggiungere altre parole era inutile.
Uscirono dal laboratorio dell'elfa.
I due Cavalieri erano abbattuti come non mai: neppure Ambrea che aveva sempre da ridire e commentare, riusciva a proferire parola.
Ma l'ultima frase di Rhunön era stata recepita benissimo: l'arco e l'ascia sarebbero state forgiate, la spada no.
Ambrea guardó Faelis: probabilmente era già arrivato alla sua stessa conclusione.
-Chiederó a qualcun altro..- cominció lui.
-No- alzó una mano Eragon.
-No- ripetè. - O da lei o da nessun altro.- 
-Hai sentito meglio di me, Ebrithil: non posso condannare i miei due compagni per una sola pretesa.
Sono sicuro che ci saranno altri  in Alagaesia che..-
-Io penso che ci sia una soluzione- lo interrupe Ambrea, con lo sguardo fisso e l'aria pensosa.
Faelis nemmeno l'ascoltó ma continuó a blaterare di quanti fabbri potessero esistere, e che non avrebbe fatto differenza se fosse una spada elfica o meno, anche se dal tono di voce si intuiva che pensava l'opposto di quello di cui stava parlando.
-Io ho in mente un'idea- disse a tono più alto, ma sempre abbastanza basso da permettere alla voce di Faelis di sovrastarla.
-Insomma! - esplose Ambrea.
-Se non fossi così impegnato a lagnarti su come o cosa farai, potresti ascoltarmi per un solo, piccolissimo, minuto!-
Eragon e Faelis ammutolirono.
Ambrea, contenta di aver finalmente ottenuto l'attenzione, parló con calma.
-Quando i nostri Ebrithilar giunsero fin qui per il loro addestramento, io ero piccola, ma c'ero.
Fu l'anno dell' Agaetì Blöhdren: in una di quelle sere, successe una cosa, un avvenimento senza precedenti.
Fu evocato lo Spirito dei Draghi: sono sicura che tu, Maestro, te lo ricorderai.
Io ero piccola -ripetè- ma c'ero.
E ricordo cosa successe: ti cancellarono tutte le cicatrici, la tua ferita sulla schiena scomparve, assomigliasti sempre più ad un elfo.
Ma so, e sappiamo tutti, cosa siano in grado di fare gli spirito dei Draghi congiunti: hanno poteri enormi, compiono magie che vanno oltre la nostra comprensione.
Ed io sono sicura, che possano aiutarci anche questa volta: potrebbero...-
-...anullare il giuramento di Rhunön...- continuó Faelis, con gli occhi spalancati perchè aveva già capito dove voleva arrivare la compagna
-...e poter ripristinare, completamente, l'Ordine: con delle spade vere, le Spade dei Cavalieri, che furono nostri padri ed antenati- concluse l'elfa.
Eragon era rimasto impassibile fino ad allora: una maschera di granito.
-Io...- sembrava incerto. -Io non penso che si possa fare una cosa del genere...
Pur dopo tutti i miei studi, e le mie conoscenze non sono arrivato ad una spiegazione logica per ció che fu quella sera: nessuno lo ha mai capito.
Ma senza le Spade i Cavalieri potrebbero non adempiere al loro compito.-
Ci stava pensando.
I ragazzini, intrepidi e sempre più impazienti riguardo a cosa avrebbe scelto il loro Maestro, fremevano.
-Sì. Si potrebbe fare ma..
Non riuscì a concludere la frase perchè entrambi gli alunni gli si buttarono al collo in un abbraccio.
Eragon, dapprima sorpreso, poi commosso, li strinse a sè.
Dopo un minuto sciolse l'abbraccio.
-Si puó fare, ma dobbiamo rivolgerci a qualcuno che ne sa molto più di noi su questo argomento: e questa persona la conosciamo tutti benissimo...
-Arya!- esclamarono Ambrea e Faelis.
________________________________________

-E con questo abbiamo concluso! Spero che possa piacere agli altri..- sospiró la Regina.
Krashta mugugnó il suo compiacimento.
Era venuta decisamente bene, anzi perfetta: la loro sistemazione era quasi al livello di Veoengard.
Il risultato era uguale a quello del progetto originale, e forse anche meglio.
Le tre amache erano una accanto all'altra: tutte erano rivestite di soffice erba lucida, mentre le liane che collegavano i letti ai rami erano punteggiate di Endiriri: erano attorcigliati.
Per il resto, Arya aveva solamente compiuto un incantesimo, sia per la riservatezza dei Cavalieri, sia, e soprattutto, per la sicurezza.
Chiunque fosse passato di lì, (cosa comunque impossibile vista la zona inaccessibile, vista la presenza delgli Endiriri), avrebbe visto solo un muro con dei rampicanti intrecciati tra loro, fittamente, e non l'accesso alla dimora dei nuovi Cavalieri.
Era un incantesimo illusionistico, che faceva vedere un muro quando in realtà c'era una cupola di vetro opaco: avrebbe tenuto alla larga chiunque avesse cercato i Cavalieri, un possente muro di pietra non avrebbe invitato nessuno ad indagare oltre.
Per rimuovere l'illusione sarebbe bastato toccarlo e l'incantesimo sarebbe svanito, ma Arya sapeva che nessuno sarebbe mai potuto arrivare fin lì, date le misure di sicurezza adottate.
Sempre meglio non rischiare comunque, e salvare le apparenze era ancora meglio. Anche se visto da lontano sarebbe sembrato sempre e comunque un muro di pietra.
- Mi sento a casa- si lasció sfuggire in un grugnito.
Arya si giró sorpresa da questa inaspettata rivelazione del Cavaliere: era sempre stata convinta che il ragazzo fosse troppo acerbo per il compito assegnatogli, ma ora capiva che si sbagliava: era solo troppo timido e riservato.
Krashta, che aveva gli occhi della Regina puntati su di sè, si giró di spalle, come se si fosse accorto di aver svelato troppo di sè.
Una mano gli si posó sulla spalla.
-Non devi aver paura. 
Io sono qui per aiutarti. 
Tutti sono qui per aiutarti.- disse Arya.
Krashta si voltó.
-Ma non riuscirai mai a battere i tuoi nemici, se prima non batti le tue paure. 
E non credere che le tue paure siano qui- disse, puntandogli un dito sul petto.
-Vivono tutte qui dentro- concluse ticchettandogli sulla tempia sinistra.
Lui si lasció andare per la prima volta: sentiva che poteva fidarsi, i suoi Maestri erano lì per lui.
-Non ho mai voluto un compito del genere: non avrei mai voluto fare tutto questo, andar via dalla mia casa, via da quelli che conoscevo.
Avrei voluto soltanto una vita come quella di ogni Urgali.
Ma il grande destino aveva per me altri progetti: Vrango è la cosa più bella che abbia mai avuto.
È come se fossi io...un'altra volta.- disse incerto.
-Ora peró so che posso contare su di voi, sui miei Maestri e su Ambrea e Faelis. 
Posso diventare ció che il fato ha voluto per me.-
- E lo sarai. - disse semplicemente Arya, con un piccolo sorriso.
________________________________________

La notte era scesa. Ellesmera era piombata nel silenzio.
-Ho paura che non funzionerà- disse Arya.
Eragon la stringeva delicatamente: erano nel letto della stanza principale, quella che un tempo era appartenuta ai genitori di Arya.
Le coperte erano così fini da sembrare inesistenti, di un bianco candido che riluceva  quando la luce della luna, alta nel cielo, le colpiva, ma faceva davvero caldo quindi non c'era bisogno di coperte più pesanti.
Eragon le depositó un bacio sulla spalla destra: la pelle dell'elfa era morbidissima, perfetta.
-Io ne sono sicuro. Abbiamo già chiamato le Gemelle, ormai. Non possiamo più tornare indietro.
-Perchè se potessi, cambieresti la decisione presa?- chiese lei.
-Per nulla al mondo. È la cosa giusta da fare.- disse lui deciso.
Ci fu silenzio. Il solo rumore che si sentiva era quello del respiro due Cavalieri e della carezza della seta sulla pelle.
A poco a poco, il sonno vinse la paura per ció che si sarebbe compiuto da lì a qualche giorno.
Le palpebre dell'elfa si chiusero sempre più, mentre chiedeva:
-Perchè sei qui con me dopo tutto quello che ti ho fatto?-
Eragon si irrigidì.
Aveva sperato che Arya non ricordasse certi dolorosi avvenimenti del passato.
Era vero, Arya gli aveva fatto male, male come nessun altro mai, male come nessuna spada o freccia avrebbe potuto fare.
Ma lei aveva capito, ed era tornata da lui. 
E lui non aveva bisogno d'altro.
-L'amore della vita non si puó dimenticare.
Un amore passeggero sì.
Un amore non profondo non ti cambia la vita.
Il vero amore te la stravolge la vita-
E dopo quelle parole, l'elfa si abbandonó al sonno con un sorriso felice sulle labbra.
________________________________________

Iduna e Nëya stavano correndo.
Le custodi erano state richiamate da una disperata ricerca di aiuto.
Avevano soltanto carpito poche informazione, ma abbastanza per costruire una storia.
Dovevano evocare ancora una volta lo Spirito dei Draghi. 
L'ultima volta che l'avevano fatto era stato all'Agaetì Blöhdram, pochissimi anni prima.
Ed, ora non a distanza di secoli, che erano comunque un tempo davvero breve, ma a qualche anno le avevano richiamate. 
I piedi a malapena toccavano terra, avrebbero potuto spiccare il volo.
Purtroppo, si trovavano a parecchia distanza da Ellésmera: erano state richiamate per un Consiglio di sicurezza a Ceunon, ed era lì che erano state contattate.
In due giorni avrebbero potuto raggiungere la capitale, ma non prima.
Ora, avrebbero solamente corso, e veloce: la Regina non le avrebbe mai chiamate se non per un valido motivo.
E con questa convinzione, le Custodi continuarono ad avanzare.
________________________________________




Buongiorno a tutti!
Oggi capitolo un po' lunghetto, ma ricco ricco di eventi, dopo qualche capitolo statico era anche ora!
Comunque passiamo al capitolo: come avrete capito le Custodi, sono richiamate, ler infrangere il giuramento di Rhunön e permetterle di forgiare nuove armi per i Cavalieri.
Avrei voluto condensare il prossimo capitolo con questo ma vista la lunghezza , ho pensato che sarebbe meglio dividerli.
Ditemi tutto, aspetto i vostri commenti e recensioni.
Un bacio a tutti,
Kveykva

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Le armi dei Cavalieri ***


-Vi prego, ditemi che non è lunedì..- disse Ambrea appena svegliata, con voce a metà fra un sussurro e un grugnito.
Faelis, la cui amaca si trovava in mezzo fra quella dei due compagni, rispose con un altro grugnito:
-ho paura di sì..-
Krashta, come al solito il più silenzioso, non disse niente ma mugugnó il suo disappunto: il lunedì era il giorno peggiore della settimana; ricominciavano gli studi, gli allenamenti.  
Ai ragazzi sembrava che quella routine non finisse mai
Ambrea fu la prima a saltar giù dall'amaca, dicendo:
-Volete forse fare tardi? Ci stanno aspettando.
-Dovresti essere l'ultima a parlare di velocità, dato che andrai a farti un bagno di due ore come al solito...
-Insomma, il Lago Rosae per cosa è messo a fare se no? Io vado la', mi cambio e torno: mezz'ora massimo, promesso!- trilló  lei saltando via.
-Facciamo più due ore e mezza eh?- rise Faelis, imitato da Krashta.
-Sveglia i Draghi: qui a Juma si dorme troppo bene per essere svegliati così presto- si lamentó l'elfo.
E in effetti era vero: l'aria violetta trasportava con se' un profumo fresco, fruttato ma dolce. 
La brezza era leggera e frizzante, e sembrava che nell'aria aleggiasse una profonda nota, una nota che risuonava sempre e che era parte integrante di Vroengard.
Una voce flautata e dolce, che si perdeva nel leggero vento che spirava da ovest.
Svegliati i Draghi, i due ragazzi si vestirono in fretta.
Ere fu il primo ad essere pronto, poi Vrango e infine Miliar: certo che drago e Cavaliere si assomigliano proprio..
-A proposito di Cavalieri - cominció Faelis - va' a prendere Ambrea, che la mezz'ora è passata da qualche secolo!
-Vado e torno!- invió scattante la risposta la dragonessa, e si avvió verso nord dove si trovava il Lago Rosae: in pratica, era situato su una collinetta appena fuori la radura di Juma che, comunque, era piccola. 
Il Lago era molto vicino alle abitazioni dei ragazzi, e Ambrea lo usava come bagno personale (con grande disappunto di Faelis): grazie all'erba altissima il lago era nascosto, ed era stato chiamato Rosae perchè era costeggiato da rose fiorite.
Sembrava un paradiso terrestre.
Mentre Faelis borbottava che Ambrea era la peggior ritardataria del mondo, eccola tornare in groppa a Miliar.
Erano tutti pronti, quindi si diressero verso i loro maestri.
________________________________________

Arya ed Eragon aspettavano i ragazzi da qualche minuto.
Erano appena arrivati nel pianoro dove si allenavano di solito, qualche decina di minuti da Juma per gli alunni, per loro forse un quarto d'ora.
-Queste,quindi, potrebbero essere le risposte; ma ne abbiamo già parlato tanto, e io sono sicurissimo della mia ipotesi.- affermó sicuro Eragon. 
-Quindi sei proprio deciso? Dici che Kveykva è il vero nome della mia spada? - domandó Arya.
Eragon annuì deciso.
-Non c'è altra soluzione.
Come per la mia spada, appena la chiamo per nome esplodono lingue di fuoco.
Anche Rhunon aveva ipotizzato questo, e sono più che sicuro che la tua spada abbia reagito così al suono del suo vero nome.-
Arya rimase pensosa sul masso dove era seduta; pian piano inizió ad annuire.
-Che coincidenza peró: la mia spada Kveykva e la tua Brisingr. 
Fulmine e fuoco.- mormoró divertita l'elfa, contagiando Eragon, il quale dopo un minuto sbuffó:
-Ma cosa dobbiamo fare con quei tre?
Pensano di arrivare alla prossima estate?-
-Guarda che le donne hanno bisogno del loro tempo...
-Quindi è colpa di Ambrea! 
Aah, lo sapevo che un'altra donna Cavaliere non avrebbe portato nulla di buono..
Arya lo spintonó, a metà tra l'arrabbiato e il divertito:
-Sei peggio di una Snaglì della peggior specie!
Entrambi risero al suono dell'offesa (non proprio offesa) dell'elfa.
Dopo qualche minuto, Miliar, Ere, e Vrango comparvero all'orizzonte: erano davvero bellissimi.
Con la chiara luce del mattino, Miliar splendeva come non mai: sembrava una gemma d'oro, riflettendo tutti i raggi del sole.
Ere, dalle sue delicate sfumature violette, si trovava in mezzo  tra i compagni, mentre Vrango, che era di un color grigio, ma un grigio opaco elegantissimo, come velluto morbido, volava all'ala est. 
Atterrarono con calma e ,dopo il consueto saluto degli elfi, Eragon chiese:
-Allora, avete dormito bene?-
-Forse troppo, non vorrei mai alzarmi dalla mia amaca!- rispose, con uno sbadiglio galattico, Faelis.
-Come ti capisco..- mormoró Eragon, lanciando uno sguardo ad Arya, la quale arrossì violentemente, suscitando l'ilarità di tutti.
-Se volete mangiare, lì c'è la colazione- indicó Eragon il tavolino di legno, sul quale erano posizionati diversi cibi - mentre voi, Ere, Miliar e Vrango potete andare a caccia, ma tornate entro un'ora.- 
Ambrea e Faelis si avventarono subito, racimolando frutta, pane, verdura e burri di vario genere.
 Krashta, invece, si fermó pensoso ed esclamó con un forte accento:
-Io non capisco Maestro! Siamo qui da mesi e non c'è traccia di carne!
Arya fece un sorriso, e gli rispose:
-Forse ora sarà difficile, ma vedrai, fra qualche mese non ne sentirai più la mancanza.-
Risposta piuttosto enigmatica , che lasció infatti l'Urgali piuttosto confuso.
La dieta dei Cavalieri era semplice: frutta e verdura in quantità, pane di diverso tipo, accompagnato da altrettanti burri, e acqua fresca oppure infusi.
Il pane si divideva tra: pane alle nocciole, noci e mandorle, pane con scaglie di Cocoit ( una 'pietra' morbida che si estraeva dai monti dei nani e che veniva inviata a Vroengard tramite speciali incantesimi, dal forte sapore dolce), ed infine pane con frutta secca all'intero.
Il burro era invece o di nocciola, o alle more, oppure alla menta.
Nei pasti più importanti invece, si mangiavano zuppe di cereali o di verdure.
Dopo una lauta colazione, i ragazzi si sedettero per terra e ascoltarono Eragon che cominciava a parlare.
-Siete qui da un paio di mesi, oramai, ma il nostro cammino è ancora molto, molto lungo.
Ancora tanti anni si prospettano davanti a noi e, come saprete, per ora non avete dovuto combattere nessun nemico reale.
Ma verrà il tempo in cui dovrete sapervi difendere e uccidere, e ho paura che questo momento arriverà troppo presto.
È per questo che io, dopo averne parlato con Arya, ho deciso che avete bisogno di armi adatte. 
Ma non armi qualunque: armi di Cavalieri.-

I tre ragazzi erano scioccati: Ambrea e Faelis avevano la bocca aperta e lo sguardo fisso, mentre Krashta si era permesso solo un'espressione di pura sorpresa.
-Armi dei Cavalieri? Quelle vere?- balbettó Ambrea.
Eragon le fece un sorriso tenero.
-È tempo che abbiate una degna arma.
Ormai siete combattenti abili, e quei bastoni non sono più utili.
Lo sono stati certo, ma ora non più: ora avete bisogno di armi vere.
I ragazzi sembravano confusi.
-Ma...i Cavalieri possedevano le spade quindi..anche noi avremo delle spade giusto? - chiese Faelis.
Eragon ed Arya si scambiarono un'occhiata, mentre entrambi abbozzavano un sorriso.
-Siete arrivati al punto -  cominció Arya -molto prima di quanto ci aspettassimo.
Hai ragione, Faelis-Finiarel: i Cavalieri, come del resto anche io ed Eragon, possedevano delle spade.
La maggior parte, come voi tutti purtroppo saprete, sono andate perse o distrutte.
Le uniche che sono rimaste in vita sono Brisingr, Támerlein e Zar'roc.
-Anche se non sappiamo dove possa ora trovarsi quest'ultima spada- bisbiglió Eragon, e parve a tutti e tre gli alunni che gli fosse passato un lampo di tristezza negli occhi, un lampo che i ragazzi non riuscirono a capire.
-Nonostante le spade non possano più essere forgiate come quelle di una volta - riprese Arya - non sarà assolutamente un problema costruirne una, con un procedimento che Eragon vi svelerà, ma che dovrà compiersi esclusivamente ad Ellésmera.
-Tuttavia - continuó l'Ammazzaspettri - nei mesi che avete trascorso qui, io e Arya abbiamo constatato che non tutti avete una naturale propensione per l'utilizzo della spada, ma piuttosto vi trovate meglio con altre armi.
Quindi, vorremmo chiedervi: ora che avete la possibilità di avere un'arma dei Cavalieri, accetterete una spada, come tradizione e come tutti i Cavalieri finora hanno fatto, oppure sceglierete di forgiare un'arma con la quale vi trovate meglio?
Puó essere qualsiasi cosa: una lingua di bue, un martello, un pugnale...qualsiasi cosa riterrete più adatto al vostro stile di combattimento.-
-Ma riflettete con attenzione - li ammonì Arya - perchè avrete una sola opportunità, e ció che sceglierete rimarrà a voi per sempre.
Avete ancora un giorno per decidere ma domani mattina esigeremo da voi una risposta. 
Non siate precipitosi: il tempo è vostro, fatene buon uso.
________________________________________

Quel giorno i ragazzi arrivarono a Juma distrutti.
Ambrea rinunció perfino al suo secodno bagno quotidiano, perchè era troppo stanca anche solo per fare qualche minuto di strada.
Arya ed Eragon li avevano fatti allenare fino allo stremo con qualsiasi arma avessero a loro disposizione.
I ragazzi non capivano come mai li avessero pressati così tanto, e anche perchè li avessero fatti provare cosi tante armi.
O meglio, il perchè lo capivano: era meglio provare tutte le armi a disposizione prima di scegliere, così da essere sicuri di aver scelto con saggezza.
Peró molti di quelle armi le avevano già usate come i bastoni per esempio.
-Muovi quelle gambe, finchè non le pieghi non riuscirai mai ad essere flessibile e scattante.
Uno stelo d'erba si piega al vento, non rimane ritto se no verrebbe spazzato via.
Sei uno stelo d'erba, piega le ginocchia, molleggia, molleggia!- 
Quel giorno quelle erano state le uniche parole pronunciate da Eragon, perchè il resto era stato solo sudore e fatica.
Per quanto i ragazzi fossero abili per la loro età i Maestri li battevano sempre come se fosse la cosa più facile al mondo: i combattimenti non duravano più di qualche minuto, perchè già nei primi secondi Eragon o Arya toccavano gli alunni , con le spade o i bastoni, un'infinità di volte.
Per i due elfi e l'Urgali tutto ció era molto stressante: per quanta ferocia ci mettessero, per quanto impegno non riuscivano mai a resistere per più di tre minuti.
-Se domani qualcuno mi sveglia, giuro che gli mozzo la testa- sibiló Ambrea, sdraiata per terra.
-Con tutto quel combattere e piegare le gambe, non ho pensato neanche un attimo all'arma che dobbiamo scegliere.
È una cosa pazzesca, ci pensate: un'arma tutta nostra, potremmo averla come vogliamo noi, che risponda alle nostre esigenze...
-Sì, ma non sappiamo ancora cosa scegliere.- precisó Ambrea. -Voi avete qualche idea?-
-A me piacerebbe qualcosa di pesante e grosso. Sarà più facile colpire i nemici - borbottó Krashta.
-Sì, ma una spada puó trapassarti in un attimo. Potrebbe essere più utile, di un rozzo martello- disse Ambrea.
-Fate come volete, io ci penso su. - rispose l'Urgali, mentre saliva sulla sua amaca, e si metteva a pensare in silenzio.
-Magari un mazzafrusto...sarebbe divertente usarlo- si entusiasmó Faelis.
-"Divertente" non è la parola che userei quando stai uccidendo qualcuno"- disse Ambrea.
-Insomma...decidi quello che vuoi, io ho tutta la notte per pensarci. - e detto questo l'elfo si accoccolò per bene nel suo letto.
Quella notte nessuno dei tre chiuse occhio.
________________________________________

-Non possiamo tornare adesso, saranno ancora in allarme.
-Ma sono già passati quasi tre mesi!- esclamó esasperato Manuelì.
-Ho detto di no - taglió corto Raesel.
-Dobbiamo prima avere un piano d'attacco. Senza di esso rifiuto di muovermi.-
-È una follia! Man mano che aspettiamo diventano più forti! Ed ora sono in sei in più: o ti sei scordato dei tre Cavalieri che sono andati a Vroengard?- gridó Manuelì
-Certo, che me lo ricordo. Certo.- sibiló Raesel.
-Ora dobbiamo soltanto aspettare. Ma torneremo più forti di prima: ho in mente un'idea..- sogghignò l'elfo.
La sua rivincita era cominciata, e niente l'avrebbe più fermato.
________________________________________

Verso le cinque e mezza i ragazzi decisero che era l'ora di alzarsi.
Avevano pensato e ripensato tutta la notte, ci avevano rimuginato sopra, avevano valutato le varie armi e cosa potesse adattarsi meglio alle loro necessità.
E alla fine ognuno di loro aveva preso una decisione, anche se nessuno ne era più sicuro: l'occasione era così importante che la notte sembrava troppo piccola.
Per tacito accordo, nessuno dei tre spiccicò parola perchè il cervello era già pienissimo di altri pensieri.
In pochi minuti furono pronti, Draghi compresi, anche perchè Ambrea aveva rinunciato, un'altra volta, al Lago Rosae.
-Hai preso una saggia decisione, piccola mia.- invió mentalmente Miliar ad Ambrea.
Lei sembró risvegliarsi da un sogno, come quando si sveglia un sonnambulo e pensó:
-Lo spero- .
Ere e Vrango vedevano benissimo quale caos ci fosse nella mente dei loro Cavalieri, eppure non potevano aiutarli se non per dar loro qualche veloce consiglio durante il volo.
Il verde scorreva sotto di loro troppo veloce, il venticello umido lo sfiorava come una carezza e poi volava via, e in pochi minuti avvistarono già Saphira e Firnen, con accanto i rispettivi Cavalieri.
Piano, discesero sul terreno e con movimenti a rallentatore si avvicinarono ad essi: le notti insonni non portano mai nulla di buono se non mal di testa, e ancora più sonno.
-Buongiorno Ambrea-Finiarel, Faelis-Finiarel e Krashta-Finiarel - li salutó mentalmente Saphira.
-Buongiorno- riuscirono a tirar fuori i tre, accompagnando il saluto da uno sbadiglio.
-Avete dunque preso una decisione?- domandó con la sua voce profondissima Firnen.
I ragazzi si guardarono: nessuno di loro ne aveva parlato con l'altro, ma sapevano tutti che avevano preso una decisione.
Annuirono decisi.
Nessuno parló.
Arya ed Eragon rimasero in silenzio, e solo allora i ragazzi capirono che era il loro turno di parlare.
-Io ho pensato molto questa notte- cominció Faelis - e ho valutato tutto quello che c'era da valutare. Ho ripensato alle armi che, anche ad Ellesméra avevo provato.
Pur avendo la possibilità di scegliere un' arma diversa io chiedo in dono una spada.
Ogni volta che ne impugno una la sento come fosse parte integrante di me, mi risulta facile maneggiarla e combattere con essa.
Quindi, se possibile, desidero una spada, una Spada dei Cavalieri.- concluse il ragazzo.
Ambrea e Krashta erano sorpresi, ma fino ad un certo punto: anche loro si erano accorti quanto fosse bravo con la spada Faelis.
Era un elfo, abituato fin da piccolo a maneggiare armi del genere, e si vedeva che quando impugnava una spada si sentiva libero e riusciva a sconfiggere Krashta e Ambrea con relativa facilità.
I Maestri sembravano compiaciuti.
-Come desideri, Faelis-Finiarel. 
Dopo ti sveleró il procedimento per la costruzione della spada ma che ripeto, dovrà essere eseguito ad Ellesméra.
Faelis annuì. Ora toccava ad Ambrea.
-Ho valutato anche io in queste ore, e sono giunta a una conclusione.
Appena ci avevate annunciato questa notizia era sicura che avrei scelto una spada: avrei voluto onorare tutta la stirpe dei Cavalieri, non volevo essere la prima a non seguire la tradizione.
Eppure, mentre mi convincevo di questa scelta, mi è ritornato in mente un momento, di quando ero piccola.
Ero andata nel folto della Du Wendelvarden con mio padre, e ricordo che mentre eravamo in esplorazione un orso ci aveva aggrediti.
Purtroppo mio padre non riuscì a calmarlo mentalmente, e fu costretto ad abbatterlo.
Lo fece con un arco, un arco donatogli da suo padre e via dicendo. 
Ero così affascinata che chiesi di poterlo provare: scoccai una freccia, senza colpire nulla, ma nell'istante esatto in cui presi in mano quell'arco seppi esattamente cosa avrei voluto maneggiare per sempre.
Questo è il mio desiderio: un arco dei Cavalieri.- concluse la sua storia chinando il capo.
Eragon ed Arya erano molto sorpresi, così come i due compagni: Ambrea non aveva mai mostrato questa sua propensione per l'arco, eppure anche solo nel modo che aveva di parlarne si capiva quanto amasse quello strumento.
-La tua proposta è accettata, Ambrea-Finiarel. Quando torneremo ad Ellésmera chiederemo consiglio a Runon, la quale, sono certo, te ne fabbricherà uno degno di qualsiasi altra spada- disse Arya.
L'ultimo rimasto era l'Urgali.
Krashta fece un passo avanti e con il solito accento marcato e il tono burbero disse:
-Un'ascia; grande,così da colpire più facilmente i nemici ma leggera da maneggiare. -
Krashta disse solo queste ma dietro ad esse c'era stata una lunga e profonda meditazione.
Arya ed Eragon rispettarono il suo silenzio riguardo al perchè della scelta, e dissero che per loro non c'era alcun problema.
-Io ed Arya siamo molto soddisfatti. 
Avete scelto con attenzione e premura, siete stati cauti: la vostra saggezza sarà ricompensata.- sorrise il Cavaliere.
-La partenza per Ellesméra è programmata fra due giorni, per cui fino ad allora non ci alleneremo. Avete bisogno di riposare, tutti e sei.
Nell'intanto potrete fare quello che volete, ovviamente all'ora dei pasti dovrete tornare qui.- 
Era stato come donare un quintale di caramelle ad un bambino solo : i tre alunni erano così felici da scoppiare.
-Grazie, grazie, grazie!- urlarono in coro e si allontanarono in groppa ai loro draghi, mentre ritornavano a Juma.
________________________________________

Eccoci qui! 
Avevo promesso di aggiornare presto, e quindi ecco qui il nuovo capitolo.
Il prossimo arriverà prestissimo, penso che o domenica o lunedì verrà pubblicato.
Intanto ditemi se vi è piaciuto, cosa vi aspettavate, e se le armi sono per voi appropriate o se pensavate qualcosa d'altro.
Un bacio e a presto, anzi prestissimo
Kveykva.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Endiriri, Campanilięs e Margaritas? ***


-Bene, accomodatevi lì. Forza, forza, veloce- li incitó Rhunön.
Quanto tempo si perdeva per convenevoli e gentilezza utili quanto una buona cotta addosso ad un maiale.
-Allora, possiamo iniziare.
-Ma le Custodi...-cominció Faelis.
-Sì, le Custodi saranno qui tra due giorni , ma intanto studieremo e progetteremo le vostre armi, visto che ho accettato di infrangere il mio giuramento, cosa che non faró mai più in vita mia.
Ritenetevi fortunati, ragazzi.
-Si Rhunön-elda.- dissero in coro quelli.
Eragon ed Arya erano andati a far visita ad un vecchio amico ad Ellésmera, di cui peró non avevano voluto fare il nome, ed avevano lasciato i tre alunni nelle mani della vecchia elfa.
-Da chi cominciamo? Va bene, da te- acconsentì lei.
Ovviamente, la prima ad alzare la mano, trepidante ed impaziente, era stata Ambrea.
Faelis, seduto accanto a lei sugli sgabelli di legno dove Rhunön li aveva fatti accomodare, le scoccó uno sguardo pieno di odio: più perfettina di così si muore.
-Dimmi, Ambrea-Finiarel. So che hai chiesto un arco: ottima scelta se sai maneggiarlo, ma confido che nessuno di voi sia così stupido da scegliere un'arma per il suo aspetto esteriore, mi sbaglio?- domandó inarcando un sopracciglio, guardando i tre Cavalieri.
-No, Rhunön-Elda.
-Bene. Allora, innanzitutto saprai che non useró l'acciaioluce per la tua arma.
Non vedo come potrebbe esserci utile in un arco del genere, e non ne abbiamo certo una grande quantità per sprecarlo.
Dovró peró sostituire la mancanza del metallo con un legno, un legno pregiatissimo. 
Penso che potremmo utilizzare il pioppo, o l'olmo che sono i più indicati anche se avrei un'altra idea.
Il procedimento necessiterà di tempo, soprattutto per la stagionatura del legno, la quale varia peró da specie.
Per la costruzione dell'arco, invece, dai tre ai sei giorni: vedremo di far qualcosa di curato ma veloce.
Intanto penseró al materiale più adatto; per quanto riguarda la grandezza, lunghezza e tutto, quindi dovresti scrivermi le tue misure su un foglietto, anche se...non importa, scrivile lo stesso- disse incerta, porgendole un pezzo di carta spiegazzato e malmesso.
Ambrea eseguì rapidamente: si ricordava perfettamente le sue misure, perchè appena arrivata a Vroengard erano state necessarie ai suoi maestri per la creazione delle sue armature, e abiti su misura.
Ambrea glielo riconsegnó.
-Purtroppo, anche se esatte, queste misure mi serviranno a poco. 
Siete ancora piccoli, dovete ancora crescere,  non posso fabbricare un'arma che andrà ricostruita una volta che sarete cresciuti!- si lamentó a voce alta Rhunön.
-Ma gli elfi hanno tutti la stessa altezza e, più o meno, lo stesso peso una volta cre..
-Appunto, una volta cresciuti: voi lo siete? Direi proprio di no.- taglió corto lei.
-Be'...vedró cosa fare anche se dovró chiarirmi con i vostri Ebrithilar dopo.
I ragazzi annuirono.
-Saprai che ci dovrà essere incastonata una pietra, una dello stesso colore del tuo Drago: in teoria la lama dovrebbe esserlo, ma visto che tu non avrai una spada...- sbuffó il suo disappunto Rhunön.
-Ho pensato che questa volta avrei potuto fare qualcosa di diverso: oltre che a trasferire nella pietra dell'energia in futuro, vorrei racchiudervi dentro un incantesimo...ma non proprio...un'essenza..-ora sembrava star parlando a sé stessa, visto che i Cavalieri non stavano capendo più un accidenti di quello che stava dicendo l'elfa.
-Oh, non mi aspetto che voi capiate, siete così piccoli...
La faretra sarà semplicissima comunque, e come ultima cosa le frecce.
Non saranno un problema, penso che useremo quel legno di cui parlavo prima, ma dovrei andare a verificare. 
Saranno piuttosto leggere, impennaggio di piume di cigno per bilanciarle.
Bene, non ho tempo da perdere.
Vedi di decidere la pietra, mi raccomando.
-Quale pietra?- chiese stupita Ambrea.
-Oh, quella che vuoi non è un problema mio. Ma sceglila accuratamente: tutto vive, nulla finisce. Anche le pietre hanno particolari poteri: sceglila con attenzione.
E penso che, quando arriveranno le Custodi, dovrai portarmi anche un fiore di Endiriro, sì, penso proprio che ci servirà, anche perchè so che ne sei rimasta molto colpita.- disse con una strana espressione.
I ragazzi fecero un verso sorpreso.
-Non vi aspettavate che sapessi dell'esistenza di quei fiori, dico bene?-
-Ma..Arya aveva detto che solo pochissime persone....
-Be', io sono una di quelle, mi pare ovvio no? - sbuffó Rhunön.
-Sì, ma a cosa serve un Endiriro se..- cominció Ambrea.
-Oh, quante domande! Vuoi il tuo arco? Allora fammi fare il mio lavoro. 
Ed ora va', informati sulle pietre: sono curiosa di sentire la tua scelta.-
Ambrea andó, seppur riluttante.
Mille domande le frullavano in testa: come avrebbe potuto scegliere la pietra adatta? Chi avrebbe potuto consigliarle? E se anche la pietra fosse stata scelta, dove sarebbe stata presa? Avrebbe dovuto essere inviata dai nani, ma ci sarebbe voluto troppo tempo...
Intanto avrebbe rintracciato i suoi Maestri, avrebbe chiesto loro consiglio e poi sarebbe andata da Miliar: le serviva il suo consiglio più di qualunque altra cosa.
________________________________________

-Mi rallegro di trovarti ancora qui- disse Eragon.
Aveva davanti un uomo segnato dalla vecchiaia e da tutte le tempeste fra cui era passato: profonde rughe gli solcavano gli occhi, di un colore azzurro come il cielo, e contornavano anche le labbra, sottili e rattrappite, di un color marroncino.
-Speravo di non vederti mai più- disse l'uomo.
Eragon lanció una risata priva di ironia.
-Mi sembrava scortese essere ad Ellésmera senza salutarti. Allora, come stai Sloan?- disse il Cavaliere.
L'uomo chiamato Sloan si trovava ancora nello stesso luogo dove Eragon lo aveva lasciato molti anni prima: pur avendo riacquisito la vista non aveva più voluto lasciare quel posto.
-Vivo, sopravvivo, resisto. Cos'altro dovrei fare? - borbottó scorbutico
-Avanti, hai visto le meraviglie del posto in cui ti trovi?
-Sì, solo una volta e se mi ci portano ancora giuro che li uccideró uno ad uno.- disse ancora più maleducatamente.
Arya, che si trovava al fianco di Eragon, gli strinse un braccio.
Non avrebbe voluto far visita a Sloan: era così scorbutico ed intrattabile che solo qualche elfo parlava ancora con lui. Ma Eragon aveva tanto insistito...
-Vedo che la nostra presenza ti infastidisce..ti lasciamo Sloan. Stacci bene- disse dolcemente Eragon.
Sloan grugnì, e si rigiró nella stessa posizione di prima.
Eragon ed Arya fecero per andarsene quando l'uomo li fermó:
-Aspettate, aspettate!- gridó.
I due si girarono, con aria interrogativa.
-K-katrina...lei...s-sta bene?- riuscì solo a balbettare.
Eragon, comprensivo, gli si fece vicino, l'altro nemmeno se ne accorse.
Eragon fissó i suoi occhi: erano densi di paura, disperazione, ansia, curiosità, mancanza. 
-Lei sta bene. È sposata con Roran, ha una bellissima figlia, forse ora anche più di una- mormoró il Cavaliere.
Sloan si irrigidì al nome del cugino di Eragon, e quest'ultimo lo notó.
-Roran è un gran uomo: sempre le farà onore e la rispetterà.
Sloan non riuscì a reprimere un grugnito di disapprovazione.
-Questo è ció che ti è stato inflitto: ma ricorda, potresti ancora...
-Non mi interessa! Non ti basta quello che hai già fatto? Vuoi tormentarmi? 
Ad Eragon parve di rivivere un tremendo flashback..l'ultima volta che era stato lì , Sloan gli aveva rivolto le stesse parole.
Aveva notato con rammarico che il vecchio aveva conservato il suo antico nome, il quale lo teneva inesorabilmente legato all'incantesimo: in quel momento ,Eragon capì che il macellaio non avrebbe mai potuto cambiare.
-Addio Sloan- riuscì solo a dire.
L'altro non disse nulla, li fissó con gli occhi ancora aperti, la bocca stretta in una smorfia.
E così, lo lasciarono alla sua triste e solitaria vita: vita che si sarebbe spenta da lì a poche settimane.
________________________________________

-Allora, dimmi tutto- lo incoraggió Rhunön.
-Come vorresti la tua spada?- chiese
-Ad una mano e mezza sarebbe l'ideale perchè per i colpi di taglio solitamente utilizzo le due mani. Peró a due mani intera sarebbe davvero troppo grande.
Rhunön scrisse qualcosa sul foglietto che aveva in mano.
Le sue mani erano diverse da qualunque altro elfo: si vedeva che erano aggraziate e affusolate, ma erano coperte di calli e di sporcizia derivate dal lavoro.
Faelis la conosceva bene: quante volte era passato davanti alla sua fucina, sperando di poter guardare più da vicino, e quante volte era stato cacciato via.
E quante volte sarebbe ritornato per una spada dei Cavalieri? La sua? Solo una, e voleva godersela fino in fondo.
-Capisco..- mormoró l'elfa ancora alle prese con la carta.
-E l'elsa? Hai particolari desideri?- chiese lei.
Lui scosse la testa: bastava fosse comoda e maneggevole, la bellezza passava in secondo piano.
-Abbastanza grande, per una presa salda- specificó infine.
-Ovviamente la lama sarà di acciaioluce, e se ne abbiamo ancora per te e per il tuo amico è solo grazie ad Eragon.
I due Cavalieri annuirono.
-Come Brisingr, Tamérlein, Zar'Roc e tutte le
spade già forgiate, anche la tua avrà un pomolo formato da una pietra: penso che potrebbe essere rotonda, così da non darti complicazioni di impugnatura, ma anche questo potrebbe essere variabile.
Preferisci la pietra di un'altra forma?-
-No no, va bene. Ovale magari.-
Rhunön lo scrutó, poi annuì distrattamente e continuó a scrivere.
-Ovviamente la pietra potrai sceglierla tu: ma ricorda lo stesso avvertimento che ho dato alla tua compagna, non sottovalutare mai il potere che possono avere le pietre. Mai.- disse severa l'elfa.
-Comunque, la lama...mm...un metro ho paura che sia troppo lunga, peró crescerai sicuramente..Aah, maledetto Eragon che mi ha trascinato in questo garbuglio!- urló lei.
-Peró tu e Ambrea siete già molto sviluppati per la vostra tenera età: fra qualche anno, forse anche meno, raggiungerete il peso, l'altezza e la corporatura di ogni elfo.
Inoltre avete i muscoli già abbastanza sviluppati: la tua spada dovrà essere comunque abbastanza pesante...e non vorrei sbagliarmi sul peso quindi..-
Rhunön si fermó e si alzó dal suo sgabello: si avvicinó al tavolo di lavoro e cominció a trafficare coi suoi arnesi, lanciando imprecazioni ogni volta che le cadeva qualcosa.
Krashta e Faelis erano quasi divertiti.
L'Urgali si stava davvero cominciando ad aprire: Faelis ed Ambrea erano diventati i suoi migliori amici, anche se non lo diceva mai. 
E quanto gli faceva ridere guardarli litigare e bisticciare, anche se nascondeva la sua risata in un grugnito di disappunto. 
Era abituato così fin da piccolo.
Con un sorriso trionfante, Rhunön riemerse con una sbarra di metallo, o qualcosa di molto simile, in mano, e lo lanció a Faelis.
-Ecco, questo dovrebbe richiamare il peso, circa della tua spada. Allora, com'è?-
Faelis con riflessi perfetti e scattanti afferró la sbarra: era pesante sì, ma non più degli oggetti con il quale era abituato a maneggiare.
Era una semplice barra liscia, di forma rettangolare, lunga circa un metro: la soppesó per qualche secondo, e poi prese la posizione di attacco, fece qualche affondo, la roteó un paio di volte e poi abbassó la abbassó.
-È perfetta- annuì soddisfatto.
-Bene- rispose Rhunön. 
Puoi andare, anche tu ragazzo. - lo congedó frettolosamente.
Faelis uscì velocemente: anche lui, come Ambrea, aveva molte domande in testa, ma la maggior parte riguardava la pietra: quale avrebbe scelto? Quale si sarebbe adattata meglio a lui?
E cosa avrà voluto intendere poi Rhunön quando aveva chiesto ad Ambrea di portarle un Endiriro? Valeva solo per lei?
Mentre tornava verso il centro di Ellésmera notó un piccolo giardinetto dove dentro crescevano dei bellissimi fiori: erano di un color violetto, ma di diverse sfumature, e all'interno il pistillo era di un bianco candido.
Si ricordava perfettamente quei fiori: erano Campanilięs, fiori meno rari degli Endiriri, ovviamente, ma altrettanto speciali: il loro nettare era in grado di disinfettare qualsiasi ferita, dalla più piccola abrasione al taglio più profondo.
Ne rimase particolarmente affascinato, anche perchè il colore gli ricordava tremendamente quello di Ere: era quasi uguale.
-Belli eh?- gli chiese una voce roca, vicino a lui.
Con sua sorpresa notó che era Rhunön.
Sul viso dell'elfa si era dipinta una nota pensosa , di curiosità.
-M-molto , ma...non eri nella fucina?- le domandó senza pensare.
Lei sbuffó infastidita.
-Quante domande voi ragazzi: sembra che non finiscano mai! 
Se proprio lo vuoi sapere, comunque, sto andando a controllare un legno qui nella foresta e a prendere...oh ma che ti importa?- 
L'elfa lo seminó rapidamente, lasciando Faelis un po' interdetto.
Come mai quell'aria furbetta sulla faccia di Rhunön quando l'aveva visto osservare i Campanilięs? Sembrava che stesse pensando a qualcosa...la stessa espressione di quanto aveva chiesto ad Ambrea degli Endiriri. Ma cosa stava tramando l'elfa?
E intanto non aveva ancora pensato alla pietra: come avrebbe fatto a decidere? 
"Il Palazzo è il posto giusto per scoprirlo" si disse, e verso quello si incamminó.
________________________________________

-Ed è per questo che sono qui- finì ansimando Ambrea.
Arya ed Eragon rimasero a guardarla.
-Capisco- disse Eragon.
-Be' mi stupisco che tu non ci abbia già pensato Ambrea-Finiarel, dopo tutti gli studi...- disse Arya.
Ambrea sembrava un po' confusa: a cosa non aveva pensato?
-Rhunön vi ha detto di trovare una pietra da incastonare nella vostra arma giusto?- chiese gentile lui.
-Be'...si certo ma..- disse incerta l'elfa.
-Ere, Vrango e Miliar sono di colore viola, grigio e arancione/ambra no?- domandó ancora Eragon.
-Ma sì, è ovvio...peró- continuó Ambrea che cominciava a spazientirsi.
Sapeva benissimo il colore del suo e degli altri due Draghi, voleva solo sapere che pietra scegliere per lei.
-Non ti ricordi lo studio che avevamo fatto sulle varie gemme? - 
Ambrea annuì.
-E non ti ricordi che il diamante puó avere proprio quei tre colori?- arrivó Eragon al punto.
Ambrea rimase di stucco.
In effetti, ora che ci pensava, le venne in mente un lungo pomeriggio a Vroengard a catalogare le gemme, e le pietre preziose, e solo ora ricordava il diamante.
Ma certo!
-Ma il diamante è trasparente non... Oh-
Si era ricordata una cosa: il diamante veniva estratto solo in pochi luoghi in Alagesia: dai nani, in un luogo della Du Weldernvarden, e nel Sud. 
Dai nani e nel Sud erano trasparenti, mentre in quel luogo (del quale non le veniva proprio in mente il nome) nella foresta elfica, i diamanti erano di diversi colori, che comprendevano anche quelli dei loro draghi.
-Ma certo!- esclamó- mi ricordo!
-I diamanti estratti qui nella Du Weldenvarden assumevano diverse sfaccettature e colorazione perchè si trovavano in una...cava?-
Eragon annuì.
-...in una cava dove la luce li colpiva in modo diverso e particolare durante la giornata, e, in combinazione con l'antica sistemazione magica, faceva nascere quei diamanti speciali.- concluse.
-Molto bene Ambrea-Finiarel, vedo che ti sei ricordata al meglio i nostri insegnamenti. 
-Quindi, Ebrithil, stai dicendo che tutti e tre dovremmo incastonare un diamante?- chiese lei.
Questa volta fu Arya a rispondere:
-Secondo me sarebbe una cosa molto particolare e sensata: il perchè lo scoprirai da te, andando in libreria qui a Palazzo.
C'è un libro che potrebbe tornarti molto utile- 
-Che libro?- domandó curiosa Ambrea.
-Lo stavo giusto sfogliando ieri sera: mi è venuto in mente che certamente avreste dovuto avere una gemma per la vostra arma, e così sono andata a cercare informazioni: 'Gemme: catalogazione e poteri'. Chiedi a Selvriëre, è lui che conserva e preserva i libri elfici. Saprà sicuramente aiutarti- le sorrise la Regina,
Ambrea annuì.
Da quando Rhunön le aveva dato quella notizia era andata su di giri: continuava a pensare alla pietra, che sarebbe stata per lei un punto di forza, diversa da tutti gli altri...
Ed ora i suoi Ebrithilar proponevano la stesa pietra per tutti: era rimasta un po' delusa e...
-Maestro!- squilló una voce fastidiosamente familiare da dietro.
-Faelis-Finiarel! Come mai qui? Hai finito anche tu con Rhunön?- domandó Eragon, mentre il ragazzo li raggiungeva.
-Sì, ero venuto qui per cercare qualcosa su...
-Sulle pietre?- chiese con un sorriso Arya.
-Ma come...?- farfuglió confuso l'elfo.
Eragon e Arya si permisero una breve risata.
-Non sei l'unico! Ambrea ti ha preceduto, e già a lei abbiamo dato preziosi consigli: conducilo in libreria e spiegagli tutto- disse poi rivolta all'elfa.
-Perchè io? Aah- si lamentó Ambrea, sgranando i grandi occhi color tramonto.
Non attese una risposta e, sbuffando, prese Faelis per un braccio e lo condusse verso la libreria.
Eragon ed Arya li guardarono andar via.
-Certo che son proprio carini insieme- disse Arya.-
-Cosa? - si sorprese Eragon.
-Io direi che sono più buffi che altro...- sottolineó lui.
-Aah, non avete proprio occhi voi uomini..- rise lei.
Lui, ammaliato dalla bellezza della risata di Arya non seppe cosa dire, l'unica cosa che fece fu baciarla e ricordarsi quanto l'amava.
________________________________________

Saphira e Firnen erano con Ere, Vrango e Miliar.
Si trovava sulla rupe dove una volta abitavano Glaedr e Oromis.
"Non li potró mai più rivedere" pensó mentalmente Saphira, proiettando il suo pensiero unicamente a Firnen.
Lui si strusció contro di lei, e le invió:
"Ci sono io, qualunque cosa succeda"
La sua voce profonda fu come un balsamo per Saphira, che subito si riprese e si rivolse agli alunni:
"Come saprete, su questa rupe vivevano uno dei più grandi elfi che la storia abbia mai conosciuto, ed uno dei Draghi più valorosi e sapienti."
I draghi annuirono con il grosso muso.
"D'ora in poi noi ci alleneremo qui e..sì Vrango?"
"Ma ci alleneremo separatamente dai nostri Cavalieri?".
Saphira rimase un attimo interdetta.
Era così ogni volta che sentiva la voce di Vrango, e sapeva che era così anche per Firnen e per chiunque lo ascoltasse.
Il suo timbro era qualcosa di unico: era pastoso, denso, scuro, carezzevole, quasi come velluto.
Per un caso raro l'aspetto esteriore ed interiore del Drago si assomigliavano moltissimo: anche l'essenza, l'anima di Vrango che traspariva ogni volta quando contattava mentalmente qualcuno, sembrava un abisso, un grande cuore ma avvolto in molti strati di paura e timidezza.
Saphira si chiedeva sempre come mai: aveva notato che i loro allievi, erano uguali ai rispettivi Cavalieri, e non sempre ció accadeva.
Firnen le diede un colpetto col muso, e solo in quel momento si rese conto che erano passati diversi secondi.
"Per ora sì, Vrango. Miliar, Krashta e Faelis hanno bisogno di studiare per conto loro, ora che stanno progettando le loro armi ancora di più, ma ogni sera potrete raggiungerli nel vostro spazio, come sempre.
"Grazie Maestro" risposero in coro tutti i Draghi.
Ere, poi domandó:
"Per quanto resteremo qui ad Ellesméra?"
Stavolta fu Firnen a rispondere:
"Purtroppo gli eventi presenti allungheranno la nostra presenza qui: forse un mese, forse di più ma non certo di meno"
I draghi chinarono la testa.
"Bene" dichiaró Saphira " se le domande sono finite, io e Firnen vi mostreremo le correnti ascensionali ottime per...
________________________________________

-Ti giuro che le ho viste, sono passate di qui qualche ora fa!- insistette.
-Non è possibile: le Custodi sono state chiamate solo qualche anno fa, non si mobiliterebbero un'altra volta se non fosse..- Raesel si interruppe.
Ció che gli aveva riferito Manuelì era difficile da credere, ma non impossibile.
Se Iduna e Nëya erano state chiamate voleva dire che stava succedendo qualcosa di grosso.
-Dove stavano andando?- chiese interessato a Manuelì.
-Verso nord- gli rispose.
-Verso Ellésmera- concretizzó Raesel.
Se stavano andando verso Ellésmera voleva dire che la Regina le aveva chiamate: solo lei avrebbe potuto emettere un richiamo officiale ed obbligatorio per le gemelle, e ció voleva dire che...che la Regina era nella capitale elfica! E se lei era lì, ci saranno stati anche quell'allocco del Cavalieri detto Ammazzaspettri e quei tre mocciosetti.
-Finalmente...sono qui- sibiló con un ghigno malefico.
-Dobbiamo raggiungerli.- dichiaró.
-Cosa? Con le Custodi anche? Neanche per sogno. Saremo morti senza neanche arrivare a toccarli.
-Ed il piano che avevamo realizzato? Te lo sei dimenticato?- rispose furente Raesel.
-Dividerli ed attaccarli separatamente non funzionerà: sono troppo forti e io so che...
-Tu- sottolineò Raesel facendosi vicinissimo al viso impaurito di Manuelì- non sai niente. 
Io decido. Hai capito? -
Manuelì mugoló un assenso.
-Raccogli la tua roba. - gli disse come se stesse trattando con il peggiore essere di tutta Alagaesia
-Ce ne andiamo di qui.- 
________________________________________

-Sì direi che così andrà sicuramente bene, fammi ricapitolare:
la tua ascia avrà una stecca di legno duro, lunga più o meno un metro, dove all'inizio ci sarà una parte striata dalla quale potrai impugnarla.
Alla fine della barra si aprirà una doppia ascia, come abbiam detto prima: una lama a destra ed una a sinistra, entrambe a forma rotonda all'esterno e curvilinea all'interno.
Le due lame, che saranno di acciaioluce, si andranno ad un unire in un punto centrale, che poi vedró come decorarlo.
La gemma verrà incastonata in quel punto. 
Giusto? - 
Krashta grugnì:
-Sì, così è perfetta- 
Nonostante cercasse di non darlo a vedere, era molto eccitato: a Rhunön piaceva molto quell'Urgali.
Era silenzioso ma spiccio, e sopratutto intelligente: ottima scelta quella dell'ascia ; gli Ulgragra sono noti per la violenza dei colpi, non certo per essere degli abilissimi spadaccini.
-Che bei fiori- si lasció sfuggire Krashta.
Aveva notato un mazzo di fiorellini freschi, a giudicare dall'aspetto, posati sul tavolo degli attrezzi del fabbro.
A Rhunön scappo un sorrisetto.
-Ma davvero? Oh sì, li ho trovati per caso prima quando stavo andando a prendere il legno.-
-Si chiamano Margaritas vero?-
L'elfa annuì.
-Mi ricordo di averle studiare con Arya e Eragon a Vroengard. Crescono solo qui ad Ellésmera, così come gli Endiriri e i...mm...Campanilięs?- domandó incerto se avesse azzeccato il nome.
-Corretto! Quelle tre specie crescono solo qui, ad Ellésmera e...oh ma questo lo scoprirai.- disse vaga, accennando ad un sorriso.
Krahsta non capiva a cosa esso era dovuto.
-Sono molto belli, comunque: oltre al loro colore, grigio, hanno la capacità di rendere lucide le menti annebbiate da qualsiasi incantesimo. È da quei fiori che si deriva il fluido chiamato Raril...scommetto che lo si usa anche da voi.
-Oh certo! Il Raril viene usato spesso da noi quando qualcuno viene attaccato da un mago o da uno stregone, oppure ha semplicemente preso una gran botta.
Rhunön annuì.
-Be', direi che abbiamo finito. Il tuo compito è solamente quello di pensare alla pietra, io faró il resto.- concluse e con un cenno congedó Krashta, e sparì dietro alla sua fucina.
Oramai era quasi sera: l'Urgali si incamminó verso il Palazzo Tialdarì, voleva trovare gli altri ed andarsene a dormire, tutto quel discutere di armi, di legni, di peso e non peso lo aveva stancato.
La pietra? E chissene frega della pietra!
Per quanto lo riguardava avrebbe potuto metterci anche un sassolino che per lui sarebbe stato lo stesso.
Sbadiglió e aumentó il passo.
Quasi si mise a sorridere quando pensó alle liti selvagge che dovevano stare affrontando  Faelis e Ambrea: cattiva idea lasciarli da soli.
Ma in fondo, erano così e così sarebbero rimasti: ed era per quello che era così affezionato a loro, ma di certo, non l'avrebbe mai detto ad alte voce.
________________________________________


Okay, questo capitolo è immenso: non volevo scrivere così tanto in un solo capitolo peró ho dovuto!
Ho voluto approfondire molto Krashta, e di conseguenza Vrango, cosa che mi avete richiesto.
Abbiamo visto dei momenti con Rhunön, alcuni con quei guastafeste di Raesel e Manuelì, ed altri con i Draghi.
Avete forse capito qualcosa del discorso di Rhunön sull'essenza da trasferire nella pietra? E suo fiori?
Qualcuno ha intuito qualcosa? Se sì fatemelo sapere! 
Comunque verrà tutto chiarito nei prossimi capitoli, anche perchè mi rendo conto che è un po' vago come capitolo ma tutto fatto apposta!
Purtroppo saró molto impegnata in questi giorni e ho paura che il prossimo capitolo arriverà tardi, siate pazienti.
Non dico altro, fatemi sapere tutto!
Un grande bacio
Kveykva

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** I Diamanti ***




Thun.
Thun.
Era cominciata.
Thun.
I piedi di Iduna e di Nëya rimbalzavano febbrili sul suolo.
Thun.
A ritmo del tamburo, suonato da un elfo in un angolo, i corpo sinuosi delle due elfe continuavano a danzare, ballare, muoversi, dimenarsi ad un ritmo innaturale.
Thun. 
Sovraumano.
Thun. Thun. 
La musica divenne così veloce, così intensa, così incalzante che le due elfe sembravano spiritate: le gambe si intrecciavano, si dimenavano, battevano contro il suolo.
Thun. Thun. Thun. 
Il drago tatuato sui due corpi cominció lentamente a muoversi, strisciando, muovendosi piano sulle custodi.
Si trovavano in una piccola radura nel cuore della Du Weldenvarden : c'erano solo Rhunön, i quattro Maestri ed i sei allievi.
Al centro Iduna e Nëya stavano per completare la loro danza: erano arrivate da poche ore, nel tardi pomeriggio; erano stanchissime e affaticate dal viaggio ma alla proposta di riposo Iduna aveva alzato una mano.
-Il nostro compito è di richiamare lo Spirito dei Draghi: è per questo che siamo state convocate e lo faremo adesso, stanotte.- aveva dichiarato impassibile.
Eragon ed Arya avevano dovuto accettare.
Thun. Thun. Thun. Thun.
Quando il ballo divenne così sfrenato il luminoso Drago blu sembró quasi staccarsi dalla pelle delle due gemelle: era una figura di un Drago, ovviamente, ma era imprecisa aveva i contorni sfumati: nel buio della notte elfica, esso risplendeva come mille stelle concentrare in una.
La sua coscienza non era neppure paragonabile a quella di nessun essere vivente, era superiore perfino a quella della Du Weldenvarden.
Faelis, Ambrea, e Krashta erano accucciati in un angolo ed osservavano la scena con occhi spalancati, espressioni rapite.
Avevano assistito già una volta, Ambrea e Faelis, all' Agaetì Blöhdren, ma erano piccoli e se lo ricordavano davvero poco.
Krashta, invece, non aveva mai assistito a nullai del genere: limitato nel suo piccolo villaggio, non avrebbe mai potuto pensare che la magia potesse arrivare fino a lì.
Il Drago ondeggiava in aria, ora: il suo corpo si contraeva ad ogni passaggio della brezza leggera che tirava quella notte.
-Di nuovo salute a te, Eragon-Ammazzaspettri.- pronunció l'essere.
La sua voce era, anch'essa un qualcosa di indescrivibile: era composta da centinaia e centinaia di voci, ma tutte si raggruppavano in una sola, una voce che incuteva timore e rispetto.
Eragon chinó la testa.
-Onorato di rivedervi- pronunció.
Il Drago lo guardó per un ultimo istante, prima di voltarsi verso Rhunön quale era  centro della radura.
Non era ne' intimorita ne' spaventata: provava solo un enorme rispetto.
Il Drago non parló più.
Si avvicinó all'elfa, fluttuando nel suo corpo di vento.
Rhunön sentì un caldo alito di vento sul viso, e una strana sensazione nel corpo, come una catena che si rompe, come un laccio slegato, prima di svenire.
L'ultima cosa che ricordó fu la voce del Drago:
- Il nostro dono affinchè tu compia ció che devi.-
E si fece buio.
________________________________________

-Non riusciremo mai a esprimere quanto vi siamo grati- disse Eragon stringendo le mani di Iduna.
-Nessun debito: ció era necessario.- rispose gentilmente Nëya.
Il Cavaliere sorrise ad entrambe.
Era mattina presto: Rhunön ancora non si era svegliata, e le Custodi avevano acconsentito a fermarsi una notte ad Ellésmera.
Avevano dormito nella Du Weldernvarden: nonostante la regina le avesse pregate di riposare nel Palazzo, loro avevano respinto la proposta.
Arya non c'era: appena era sorta l'alba era partita per Siliq, un villaggio minuscolo della Du Weldenvarden dove avrebbe estratto i dimanti per gli allievi.
-Sarebbe troppo lungo e troppo rischioso mandar loro- aveva detto lei.
-Andró io: Firnen mi accompagnerà: ci vorranno poche ore ad arrivare, altre ore per estrarre i minerali e poi il ritorno.
Potrei far tutto in un giorno.
Eragon scosse il capo:
-No, prendila comoda. Rhunön non ha fretta di costruire le armi, e comunque per un primo momento non serviranno pietre.
-Allora due giorni: al tramonto saró di nuovo qui- 
Lo aveva baciato, aveva preso uno zainetto e con Firnen era partita.
Saphira non ne era stata eccessivamente contenta.
-Ora,  Ammazzaspettri - disse Iduna chinando il capo - noi dovremmo andare.
Il nostro compito qui è finito: c'è altra ragione per trattenerci?-
-Nessuna. La vostra partenza è accordata- rispose.
-Porta i nostri saluti alla Regina.- 
Le due elfe si inchinarono per l'ultima volta, salutarono Ambrea, Faelis e Krashta e i Draghi e corsero via, sparendo in pochi attimi.
Eragon si lasció andare con un sospiro, e si fece cadere sulla verde erba.
-Stanco?- gli chiese Saphira accoccolandosi accanto a lui.
Lui increspó le labbra in un sorriso.
-Abbastanza. Andiamo a vedere come va Rhunön?- 
Lei annuì, e si incamminarono nella sua fucina dove, prima del ballo delle Custodi, Rhunön aveva espressamente chiesto di essere messa.
-Aah, la coperta ruvida e la mia brandina andranno benissimo. - aveva detto.
-Ma a Palazzo potrai riposare molto meglio e ci saranno degli elfi a sorvegliarti e..- aveva tentato Eragon.
-Bah...storie! Non farmi arrabbiare ragazzo, dormiró forse un'ora massimo.- aveva replicato.
Eragon non aveva insistito sapendo che la convinzione dell'elfa era più forte di qualsiasi adulazione.
Purtroppo Rhunön non dormiva da un'ora, ma da tutta la mattina.
Ambrea, Krashta e Faelis si erano subito incamminati dietro i loro maestri: non vedevano l'ora di avere le loro armi.
Oramai erano quasi davanti alla fucina del fabbro.
-Ma..Rhunön si metterà subito al lavoro vero? Be ' si penso che..- cominció titubante Ambrea.
-Neanche per sogno, Ambrea-Finiarel!- disse Eragon, mani ai fianchi ed espressione di rimprovero.
Ambrea si fece piccola, piccola. Cos'aveva detto di male?
-Rhunön deve riposare! Almeno un paio di giorni così che..
-Ma quali giorni e giorni! Mettiamoci al lavoro, forza tutti dentro.- disse una voce roca terribilmente familiare.
-Rhunön!- esclamarono gioiosi tutti e tre gli alunni, e i due elfi corsero ad abbracciarla mentre Krashta restó indietro, più timido.
Rhunön barcolló quando i bambini le furono addosso.
-Ei ei piano!- li ammonì, ma nella sua voce non c'era traccia d'accusa o di rabbia.
Ambrea e Faelis si staccarono dopo qualche attimo.
Eragon era molto sorpreso.
-Come ti senti Rhunön? - disse apprensivofacendo qualche passo avanti.
-Meglio di quanto sia mai stata da oltre un secolo: mi sento...libera! - e con questo entró nel suo laboratorio, seguita a ruota dai tre alunni.
Eragon e Saphra si guardarono esasperati, come a dire 'l'abbiamo persa'.
Ed entrarono anche loro, o meglio Eragon entró, me tre Saphira restó fuori.
La fucina era caotica come sempre: arnesi sparsi ovunque, attrezzi sopra e sotto il tavolo di lavoro.
Eragon guardó i suoi alunni: erano così agitati e felici che trasmettevano pure ondate di gioia.
-Bene, comincerò da te, ragazza: l'arco giusto?- 
Ambrea annuì.
-Ottimo. Mentre voi salutavate le Custodi, io ero all'albero di Menöa: per il tuo arco, Ambrea-Finiarel, volevo utilizzare proprio il suo legno-
Tutti fecero versi sorpresi: Rhunön voleva prendere il legno dell' albero di Menöa? Ma era da pazzi! 
-R-Rhunön nessuno ha mai tranciato quell'albero, io ci ho già parlato, non ti lascerà mai...
-Oh, lo farà invece. O meglio, l'ha già fatto: Krashta vammi a prendere il legno, dietro nella stanza.
Krashta strabuzzó li occhi ma si limitó ad eseguire ció che le aveva comandato l'elfa.
Eragon invece non riuscì proprio a trattenersi:
-Ma come ci sei riuscita? Come sei anche solo riuscita a parlargli io non...
-Io abito qui da molti anni ragazzo.
Forse ora non più, ma da giovane ho passato molti anni a passeggiare nella Du Weldenvarden. Conosco la foresta, e ció implica che io conosca anche l'albero di Menöa. Non sottovalutarmi Eragon: so cose che tu non puoi immaginare.-
Il ragazzo strinse forte i pugni: non era un bambino.
Le 'cose' le aveva viste e conosciute anche lui, non gli andava di farsi trattare così dall'elfa.
Rhunön, quasi gli avesse letto nel pensiero, lo guardó teneramente e disse solo:
-Non sarà sempre così-.
Eragon non capì, ma in quell'attimo l'Urgali ritorno con, fra le braccia, due ceppi di legno.
Erano di un legno davvero particolare: per tutta la sua estensione era di un colore molto chiaro, mentre all'esterno aveva sfumature più scure, quasi rossicce.
Sembrava emanare una potente aurea.
Invece che essere spigolosi, appuntiti, rozzi erano perfettamente levigati.
All'espressione incredula dei bambini, alzó le spalle e disse solo:
-Non ho dormito così tanto come pensavate- e si rifiutó di dare altre spiegazioni, ma visto le schegge e i trucioli di legno sul pavimento capirono tutti che era stata lei a levigarle, probabilmente appena svegliata.
-Abbiamo già discusso la forma del tuo arco Ambrea?- chiese .
Ambrea scosse il capo. Avevano parlato principalmente dei materiali, ma della forma no.
Rhunön tacque ed Ambrea capì che toccava a lei parlare,
-L'arco mi piacerebbe fosse leggero, maneggevole. Mi serve qualcosa facile da prendere e con cui combattere all'istante. 
All'impugnatura magari potrebbe esserci un doppio strato di legno , comunque più resistente. 
Per i flettenti fai tu.- concluse.
Rhunön annuì.
-La corda? Solitamente è di crini di Unicorno ma ho paura di averne pochissimi...li ho finiti tutti per l'interno di una lancia, ma suppongo di averne abbastanza.- disse soddisfatta.
-E la pietra? Dove andrà messa?- chiese incuriosita Ambre.
-Avevo in mente un'idea: se noi mettessimo il diamante sull'impugnatura? 
Sarà completamente aderente ad essa, non sarà in rilievo ma avrai subito accesso alla fonte di energia perchè la stai già toccando!-
La ragazza era entusiasta.
-Inoltre, non ti darà nessun fastidio: sentirai solamente una parte più liscia rispetto al legno.
Ambrea era conquistata: riuscì solo a far di sì con la  testa.
-Di te abbiamo già parlato mmm..- disse pensierosa indicando Faelis -...anche di te...be' direi che ci siamo!-
-Comincerò con la spada che è la più lunga da fare, poi l'ascia ed infine l'arco, per il quale ci vorrà meno tempo-
-Su su, andate andate: volete lasciarmi lavorare? 
In pochi secondi sia gli alunni sia Eragon erano stati scaraventati fuori dalla fucina.
Eragon alzó le spalle, sorridendo.
-È fatta così! -
________________________________________

-Assolutamente. Ci vogliono un paio d'ore.- disse Gijel.
-Va bene- disse Arya esasperata. 
-E due ore siano !-
Gijel, fortemente soddisfatto, accennó a un sorriso e disse:
-Ti faccio strada-
Si trovavano ad un chilometro dalla cava dei diamanti.
Arya era arrivata da meno di un'ora, e aveva vagato per Siliq per un altro quarto d'ora.
Aveva chiesto a tutti informazioni su un vecchio amico che, come sapeva, era uno studioso della Grande Cava, ma tutto quello che aveva ottenuto erano stati borbottii sommessi e espressioni stupite, di fronte alla presenza della Regina.
Finalmente aveva trovato l'uomo che cercava: l'elfo Gijel.
Gijel era un antico conoscente: era un elfo davvero molto vecchio: i capelli splendenti di filigrana incorniciavano un volto che, seppur particolare, era segnato dall'età.
Nonostante essa, peró, era ancora molto attivo: il fisico era slanciato e atletico come quello di un giovane, e non aveva alcuna dificoltà a muoversi o a praticare azioni di qualsiasi genere.
Lei gli aveva chiesto aiuto: lui, pur sorpreso di vederla dopo così tanto tempo, aveva accettato.
Qualunque elfo sapeva della Cava: si trovava nei libri, e in qualunque scritto.
Ma, ovviamente, se non fosse stata protetta, tutti avrebbero potuto profanarla per scopi personali.
Pochi infatti, sapevano che la Grande Cava era introvabile: alcuni, resi folli dalla disperata ricerca dei Diamanti, l'avevano cercata in lungo e in largo a Siliq e nei dintorni.
Ma si poteva accedere solo in un modo ad essa: con il custode segreto.
E, guarda caso, il custode era proprio Gijel: oltre ad essere un grande studioso della Cava era anche l'unico a sapere dove era posizionata.
Arya sapeva di questo perchè, come Regina, questi segreti si trasmettevano per discendenza.
Da sola, non sarebbe mai riuscita ad accedere al luogo magico.
Ora si stavano incamminato proprio verso la Grande Cava, che distava una decina di minuti.
-Cosa sei venuta a fare qui, Arya?- domandó lui, con lo sguardo fisso in avanti, sul sentiero polveroso.
-Te l'ho già detto, Gijel. Sono qui per i diamanti dei Cavalieri.- ripetè lei.
L'elfo scosse impercettibilmente il capo.
-Perchè non sei ad Ellésmera? A svolgere i compiti di una Regina? Perchè hai lasciato tutto?-
Arya divenne furiosa, piantó i piedi a terra e disse in tono profondamente ferito e schiumante di collera.
-Non ho affatto 'lasciato tutto'.
Il governo di Ellésmera procede senza intoppi, e io sono chiamata anche al mio dovere di Cavalliere.-
Nel pronunciarlo Arya si ricordó di Firnen: purtroppo lui avrebbe dovuto aspettarla al villaggio.
Nella cava non sarebbe stato di molto aiuto: ma non ne era così preoccupata, vista l'accoglienza festosa quando gli abitanti avevano visto il Drago.
Ripresero a camminare.
-Capisco- disse solo Gijel.
Era un elfo così enigmatico che era difficile comprendere le sue frasi, o peggio, i suoi silenzi.
Nessuno parló più per il resto del viaggio, ma le domande del vecchio l'avevano turbata.
Stava facendo davvero la cosa giusta? Abbandonare, anche se non completamente, il comando governativo?
-Stai adempiendo al tuo compito in modo egregio. Non lasciare che parole ti facciano mettere in dubbio ció- risuonó la voce cavernosa di Firnen nella sua testa, il quale, probabilmente, aveva ascoltato tutta la conversazione.
-Siamo arrivati- disse Gijel.
Arya si fermó.
-Ma qui non c'è niente- 
-Oh- sorrise il vecchio - secondo te.-
Arya osservó meglio: si trovavano ormai oltre Siliq. 
Le colline che fungevano da suo confine erano il paesaggio che la Regina guardava: semplici, verdeggianti colline, molto piccole, basse e rotonde. Ma pur sempre colline.
Non c'era nulla.
Non se ne stupì: la Grande Cava era nascosta da un potente incantesimo.
-Mostrala- disse lei.
-Non posso- 
-Come sarebbe a dire 'non puoi'? Sono la tua Regina, ho bisogno di quei diamanti, mostramela- si infervoró lei.
Gijel alzó le mani in segno di resa.
-Il mio compito mi vincola: nessuno puó vedere la Cava se non il custode. Mi dispiace, Arya.-
Lei era furiosa.
-Be' allora cosa intendi fare?- 
-Dovró bendarti gli occhi Arya. 
Dovrai eliminare qualunque senso ti possa far capire dove ti sto guidando. 
 Poi ti trasporteró io nella Cava, dopo aver tolto l'incantesimo che la cela-
Lei doveva essere bendata e privata del suo senso di orientamento: si fidava abbastanza di Gijel?
Sì. La risposta era sì. Quindi annuì, distrattamente e rigidamente.
Gijel le passo un panno scuro sopra gli occhi e lo legó stretto sulla nuca.
Poi pronunció qualche frase nell'Antica Lingua.
Subito Arya si sentì spaesata: barcolló cercando di trovare l'equilibro. Piantó i piedi per terra e riuscì a star ferma.
Non capiva più nulla: non avrebbe saputo dire quale fosse la destra o la sinistra.
L'incantesimo di Disorientamento era stato applicato.
Arya sentì Gijel allontanarsi. 
Almeno l'udito funzionava, ma non avrebbe saputo dire dove i passi dell'elfo stavano andando.
Odiava quella sensazione: di sentirsi estranea, chiusa al mondo esterno. Avrebbero potuto colpirla e lei non avrebbe sospettato nulla.
-Ho fatto, mia Regina. Lascia che ti guidi.- disse Gijel. 
Le prese un braccio e la guidó: era come una bambina in mano a qualcuno.
Sentì l'atmosfera cambiare: i suoi piedi non erano più appoggiati sul terreno polveroso di prima.
Ora le sembrava di camminare su una roccia, tutta disuguale. 
L'aria non era più calda e afosa come prima, ma era più fresca, più elettrica.
Più magica.
L'elfo le slegó il panno e con un contro incantesimo le restituì i sensi.
Appena aprì gli occhi vide uno spettacolo maestoso: la Grande Cava era davvero enorme.
Essa era tutto un alzarsi e discendersi di rocce: erano massi acuminati, come picchi che scendeva dal soffito o dal pavimento.
Il materiale di cui  erano formati era roccia ma molto particolare: era di un colore blu,e sembrava che rilucesse, emanasse un bagliore azzurrino, come un'aurea.
Il terreno era discendente, prima c'era, poi non c'era, massi di qui, spuntoni di la'.
Nel 'soffitto', se così si puó chiamare quell'immensa parete di roccia, c'erano delle scanalature, come dei tagli.
Da lì partivano nove raggi di luce, ognuno colpiva una determinata parte della sconfinata grotta, e dove essa arrivava c'erano i diamanti: piccole pietre incastonate nella roccia, brillavano come oro fuso. 
Per ogni parte colpita i diamanti erano di diverso colore: giallo, rosso, verde, grigio, nero, violetto, trasparente, azzurro e rosa.
Arya era incantata.
-Bene- disse Gijel guardandola sorridente - cominciamo.-
________________________________________

"I Diamanti della Grande Cava di Siliq sono di nove colori diversi, anche se con diverse sfumature per ognuna: sono rossi, gialli, rosa, azzurri, trasparenti, grigi, neri, verdi e  violetti.
-Hanno grandi poteri magici, che tuttavia posso alterarsi, in bene o i peggio, considerato chi li utilizza.-
-Davvero? Pensa se ce li avesse avuti Galbatorix- interrupe Faelis.
Krashta rise.
Ambrea, seccata, disse:
-Vuoi star zitto? Sto cercando di leggere.-
Faelis ammutolì, anche se si vedeva che si sforzava di non ridere.
-Il Diamante, indipendentemente dal suo specifico colore, è simbolo di coraggio, ma soprattutto di intelligenza: chi ne possederà uno puro avrà la mente rischiarata e limpida, e sarà in grado di pensare più chiaramente.-
-Sì, penso che ad Ambrea servirebbe proprio...- fece Faelis.
L'Urgali scoppio a ridere con la sua risata rauca.
-Insomma! La volete smettere?
Tu l'hai già letto questo testo, ma Krashta no e se continui a distrarlo giuro che te lo do' in testa!- sbottó Ambrea.
Krashta e Faelis continuavano a ridere, facendo un frastuono assordante.
-Siamo in una biblioteca! State zitti!
-Mmh, ok ok- mugoló Faelis.
Ambrea li fissó tutte e due e quanto fu certa di aver la loro attenzione ricominció a leggere.
-Il Diamante Rosso...
-E chissene frega di quello rosso, leggi dei nostri tre.- disse Faelis, stavolta serio.
Lei non fece una piega, ma giró un paio di pagine.
-Il Diamante grigio è considerato simbolo di forza e mistero.
Il suo colore è di un grigio chiaro di base, con sfumature più scure sopra.
Chi possiede un Diamante Grigio riuscirà a battersi con facilità, i colpi saranno potenti e precisi.
Purtroppo, non è infallibile: il Diamante Grigio aiuterà ,chi lo indosserà, nella lotta ma non potrà garantire la vittoria assoluta.
Un'altra capacità di questa rara pietra, è di donare alle menti annebbiate lucidità: questa è una caratteristica base dei Diamanti ma è particolarmente esaltata in questa variazione grigia.-
-Ei, ma Rhunön mi aveva fatto vedere dei fiori...dei Margaritas: il loro potere era di rischiarare le menti proprio come..
-Certo, ma cosa centrano dei fiori adesso?- chiese scettica Ambrea.
-Be', è interessante che il diamante corrisponda allo stesso fiore che Rhunön mi aveva fatto vedere...anche perchè sono dello stesso colore.
A me sembrava che lei avesse una strana espressione, ha fatto una faccia...-
-Anche a me è successo! Quando ho visto i Campanilięs! Sembrava nascondesse qualcosa.- disse Faelis.
-Aspetta: vai un attimo a vedere la descrizione del Diamante Viola- disse ancora l'elfo.
Ambrea non pronunció una parola, e andó a cercare.
-I Diamanti Viola, di uno spiccato lillà con venature chiare e scure, sono forse i più rari che...
-Si si, vai al punto- taglió corto Faelis.
Ambrea fece scorrere il dito più in giù.
-Questi diamanti sono famosi perchè, assieme a quelli gialli, forniscono una protezione a chi li porta.
-Cioè che impediscono che chi lo possiede venga colpito?- chiese scettico Faelis.
Ambrea scosse il capo.
-No...qui dice che quando si sta per essere colpiti da un arma il diamante comincia a...illuminarsi..e ...ma è impossibile!
 Quale pietra puó illuminarsi da sola?-
-Ricordati che non stai parlando di diamanti normali.-le ricordó Krashta.
-Quindi fornisce protezione solo per un attacco fisico- disse lei.
-Non puoi pretendere che fermi anche quelli mentali!-
-Vai a quello gialli- la esortó Faelis, serissimo.
Lei eseguì.
-Qui dice che proteggono in caso di avvelenamento e si comportano allo stesso modo di quelli viola.
-Tutto torna!- esclamó l'elfa.
-Non vi ricordate che a me ha chiesto di portarle degli Endiriri?
-Si ma...
-Proteggono dall'avvelenamento!- strilló lei eccitata
-Rhunön ci ha fatto vedere quei fiori perchè sapeva che si sarebbero adattati alle nostre pietre!-
-Sì, ma come faceva lei a sapere quale pietra avremmo scelto? Non gliel'avevamo ancora detto!- osservó Krashta.
Questo era vero, e complicava le  cose: come era riuscita Rhunön a saperlo? Semplice colpo di fortuna?
-Magari gliel'hanno detto Arya ed Eragon, quando noi...ma certo!
Io e Ambrea eravamo nella biblioteca ma i Maestri non ci hanno seguiti: e mi ricordo che Rhunön era uscita dalla fucina perchè mi aveva raggiunto e mi aveva detto dei Campanilięs.
Secondo me aveva intuito qualcosa, e ha  visto che eravamo così interessati a quei fiori. Poi è andata da Eragon e Arya, che le hanno comunicato la nostra scelta, e lei ha fatto quindi vedere i Margaritas a Krashta-
Era un ragionamento complesso ma tutto tornava.
Mentre Faelis andava a castello Rhunön l'aveva  raggiunto e poi era sparita.
Probabilmente aveva preso i Margaritas dopo la chiacchierata con Eragon e Arya.
-Avete ragione ma...cosa vorrà mai fare con quei fiori?- chiese Ambrea.
A questo nessuno dei tre sapeva rispondersi.
________________________________________

Arya era tornata.
Finalmente.
Ci aveva messo anche meno del previsto: con Gejil come guida i diamanti erano stati presi con estrema facilità. 
Lui aveva sussurrato delle parole in antica lingua e uno giallo, uno viola ed uno grigio erano usciti dalla roccia, con un 'crack'.
Erano rimasti sospesi per aria ed erano andati a posarsi sulle mani aperte del Custode.
Arya lo aveva ringraziato in ogni modo possibile, aveva ricoperto i diamanti , ancora grezzi ma sorprendentemente lucenti, con un panno di lino e li aveva assicurati nel suo zainetto. 
Firnen era molto impressionato dalle immagini che il suo Cavaliere gli mandava riguardo alla Cava.
In qualche ora erano tornati ad Ellésmera: Firnen si era precipitato da Saphira che lo attendeva sulla rupe, ed Arya aveva fatto lo stesso con Eragon.
Ora camminavano verso la fucina di Rhunön, mentre la Regina raccontava ad Eragon riguardo alla Cava.
-Sei stata fortunata: poche persone potranno dire di aver visto la Grande Cava- .
Lei sorrise.
Quando arrivarono da Rhunön furono sorpresi: c'erano i loro alunni che parlavano con l'elfa.
Come mai?
-Avete capito quindi...siete molto astuti, più di quanto pensassi.
Be' ragazzi, avete capito cosa voglio fare con i fiori?- stava dicendo il fabbro.
I ragazzi fecero di no.
-Vorrei...oh, ciao Arya.- disse quando la vide.
-Eragon- lo salutó.
I due chinarono il capo.
-Come mai qui? Non dovevate essere in biblioteca ? Vi avevamo detto si non disturbare Rhunön...- comició Arya.
-Nessun disturbo. I ragazzi hanno capito dei fiori.
I due fecero un'espressione sorpresa. 
-Davvero?- dissero insieme.
-Sì, e hanno anche ricostruito tutta cronaca, da quando mi avevate detto che Ambrea era rimasta molto affascinata dagli Endiriri, fino a quando mi avete detto dei diamanti.
Comunque- disse rivolta ai ragazzi- voglio trasferire l'essenza, il potere di quei fiori nelle gemme.
Nei diamanti! È una cosa che non ho mai fatto prima, ma vorrei provare: oltre che ai poteri della pietra, avrete in aggiunta quelli del fiore. Come avrete notato i poteri combaciano.
I ragazzi annuirono.
-Bene. Ora dovreste andare: ho del lavoro da sbrigare. Arya, hai le pietre?-
Lei gliele consegnó.
I ragazzi cercarono di sbirciarle ma erano chiuse in un panno, con loro grande delusione.
-Su, via via: le vedrete.
Tornate qui fra una settimana e le armi saranno pronte.-
I maestri e gli allievi uscirono.
Si guardarono tutti e fecero un gran sorriso: entro poco avrebbero avuto le loro armi.
________________________________________

Eccomii, allora:
capitolo ingarbugliato ma spero di essere stata chiara.
Rhunön quando aveva detto ad Ambrea degli Endiriri non sapeva che la pietra che avrebbe scelto avrebbe avuto poteri simili, e solo quando Arya ed Eragon glielo hanno detto ha preso forma la sua idea, ed è perció che ha fatto vedere i Margaritas a Krashta.
L'idea dei fiori c'era già ma che combaciassero con la pietra è fortuna, anzi no...magia!
Ditemi cosa ne pensate, tanti abbracci
Kveykva

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** La voce ***


-Mamma!- esclamó Ambrea, mentre salutava   con un abbraccio una bellissima elfa, dai capelli corvini come quelli della figlia.
Dopo qualche secondo Ambrea si staccó.
-Buongiorno Lêila!- disse Faelis, imitato da Krashta.
-Buongiorno ragazzi.- disse scompigliando i capelli ad entrambi.
Era una dei pochi elfi che non guardava con sospetto l'Urgali.
Per quanto Arya ed Eragon potessero dire, Krashta si accorgeva della diffidenza che provavano tutti verso di lui ma, in un certo senso, era abituato. 
Faelis aveva già incontrato i suoi genitori quella stessa mattina, sul presto ed aveva accompagnato Ambrea da Lêila, la quale conosceva già da quando era piccolo essendo amica dei suoi genitori.
-Oggi andremo a prendere le armi dei Cavalieri sai?- chiese impaziente Ambrea.
-Sí amore, me lo hai detto ieri e anche l'altro ieri e anche l'altro l'altro ieri e anche...-
-E smettila!- rise Ambrea, imitata dal Lêila.
-Dov'è papà?- chiese l'elfa.
-È al Palazzo Tialdarì! Doveva svolgere alcune cose.-
Ambrea annuì, mentre addentava un pane con Cocoit con sopra del burro di menta, posto su un tavolino nel giardinetto della casa di Ambrea. 
-Come state ragazzi?- si rivolse Lêila ai compagni della figlia.
-Benissimo, grazie. E lei?-
-Oh, come al solito. Sto finendo gli ultimi lavori.-
Si intravedevano, dentro casa, dei bellissimi gioielli, incastonati assieme a pietre, in stupefacenti montature di tutti i colori: il lavoro di Lêila era infatti di orafa.
Si diceva fosse la più brava fra gli elfi, per la sua maestri ed eleganza delle creazioni.
-Be' è meglio che andiamo: Arya ed Eragon ci aspettano.
Torno per salutarti dopo cena!- disse Ambrea, mentre scoccava un bacio sulla guancia alla madre, e si allontanava con gli amici.
-Buona giornata!- li salutó Lêila con la mano, rientrando in casa.
________________________________________

Due ore.
Due ore ed il suo piano sarebbe finalmente riuscito.
Due ore e la Regina e il suo fidanzatino sarebbero morti.
I draghi con loro.
Anche quei mocciosetti.
-A nord: seguiamo il vento- 
Manuelì annuì.
Si trovavano a in una zona remota della foresta elfica, a sud di Ellésmera.
Era bastato così poco: dei complici elfi nel popolo di Ellésmera, dimestichezza nelle arti magiche.
Perchè quella stupida di Arya pensava che le fossero tutti devoti, tutti fedeli.
Ah, illusa!
Non sapeva per caso che almeno un cinquantino di elfi l'aveva tradita per passare alla Resistenza Nera?
-Guarda- indicó Raesel un albero.
C'era una scritta, due lettere incise sulla corteccia: RN.
Il loro simbolo, il simbolo con le iniziali del loro movimento.
Due ore.
Due ore e sarebbe tutto finito.
Per loro.
________________________________________

-Non ci credo che tu ci sia riuscita. 
Tre armi in sette giorni. - disse ammirato Eragon.
Sentì il rispetto verso Rhunön accrescersi, una Rhunön stanca, appoggiata al piano da lavoro con una mano, ma felice.
Lei rispose con un sorriso fievole.
I bambini non parlavano: erano muti.
Osservavano le tre armi riposte nei tre cofanetti sul tavolo, ma nessuno dei tre dava l'impressione di volerli prendere.
Erano immobili.
Anche i Draghi, sia Ere, Miliar, e Vrango che Saphira e Firnen erano presenti.
Trattenevano tutti il fiato.
La prima che si alzó, dopo un minuto, fu Ambrea: con passi incerti si avvicinó.
Arya strinse il braccio ad Eragon.
L'elfa aprì il panno dove l'arma era riposta e la sollevó: le tremavano le mani.
Sollevó l'arco in alto: era uno spettacolo mozzafiato.
Era di un legno mai visto prima in un'arma, un legno intriso di antica magia elfica. 
L'impugnatura era rinforzata da un doppio strato di legno: tutta la struttura era stata impregnata di incantesimi durante la formazione, quali non avrebbero permesso la sua rottura, nemmeno sotto estrema pressione.
Sempre sull'impugnatura era posizionata la pietra: Rhunön l'aveva modificata e sistemata a forma di rettangolo morbido, non preciso ,esattamente dove le mani di Ambrea impugnavano l'arma.
Il diamante era uno spettacolo; aveva assunto tutti i colori di Miliar, dal giallo chiaro al topazio ma aveva delle nuovo sfumature: color tramonto intenso e una o due sfumature nere.
L'elfa capì subito: era stato l'Endiriro.
Miliar le disse mentalmente:
-È perfetta per te-
-Per noi- la corresse Ambrea.
La corda era fatta di crine di unicorno: un unico, spesso crine, di un bianco lucido che rifletteva tutti i colori, anch'esso impossibile da rompere.
Le frecce erano molto semplici: di legno, piumaggio di cigno, contenute in un corno bianco.
Ancora non aveva capito come il fabbro avesse potuto mettere il potere del fiore lì dentro.
Al centro della pietra, nel fondo c'erano un fenomeno assai strano: si vedeva come una sfera rotante, pulsante, di un color dorato e nero. 
Sembrava racchiudere una fortissima energia.
Ambrea si giró spiazzata, chiedendo con gli occhi cosa fosse: Rhunön le sorrise.
-È l'Endiriro: i suoi poteri sono lì dentro.-
Sembrava un mini-pianeta, dove attorno giravano i suoi anelli.
-Grazie, grazie davvero.-
Rhunön fece un cenno col capo.
Anche Faelis si alzó, e si avvicinó alla sua arma, la estrasse e la ammiró.
Era un capolavoro: uguale come maestria alle altre Spade dei Cavalieri, l'arna di un colore violetto che appena mossa, rivelava tutte le sfumature di Ere.
La pietra era incastonata nell'elsa della spada e anch'essa aveva nel suo più profondo strato quell'atomo di pura energia, con dentro tutto il potere dei Campanilięs. 
Lo stesso per Krashta: la sua ascia era esattamente come l'aveva immaginata assieme a Rhunön.
La doppia lama in alto era, come nel caso di Faelis, dello stesso colore di Vrango, e la pietra era incastonata nell'impugnatura.
-Non abbiamo parole per ció che hai regalato ai nostri allievi Rhunön. Te ne siamo molto grati. Siamo in debito-
-Nessun debito. D'ora in poi le armi dei Cavalieri le forgerò io, come un tempo - aggiunse con aria fiera.
-Solo una cosa...come faremo ad utilizzare i poteri del diamante?- chiese Ambrea.
In effetti Rhunön non aveva spiegato questo dettaglio.
-Hai ragione: come faremo?- la sostenne Faelis.
Rhunön si alzó.
-I poteri del diamante saranno già attivi quando impugnerete la vostra arma: essendo posizionati già sull'impugnatura avrete un contatto costante con essi.
Per quanto i riguarda i fiori dovrete semplicemente dire:
-Böllr - Campanilięs (ad esempio) - Ládrin.-
-Volete provare?- chiese lei.
I ragazzi annuirono emozionati.
Si disposero larghi nella fucina, ognuno con la propria arma in mano.
-Dovrete tenere la mano sulla pietra,in modo  leggero. -
-Dopo che avrete pronunciato l'incantesimo potrete toglierla.
Ambrea eseguì, così come Faelis e Krashta.
Nello stesso istante, dopo un respiro profondo, dissero assieme la formula, ovviamente cambiando il nome dei fiori per ognuno.
Piano piano, il globo rotante dentro il diamante si fermó, rimase immobile.
Poi sembró emergere, come se volesse uscire dalla pietra: quando arrivó al limite, si schiuse.
Un minuscolo globo, esattamente come quello orginale ma molto più piccolo, uscì dal Böllr primario, e si andó a posare sulla mano dei ragazzi.
Era tiepido, di un dolce tepore.
Gli allievi non credevano ai loro occhi: tutta Ellésmera sembrava aver fatto silenzio per loro.
-Se vi servirà per curare una ferita da arma o da avvelenamento dovrete ripetere la parola 'Ládrin' ed esso riverserà un fluido denso. 
Sì ragazzi: il nettare dei fiori-
-Se invece, come nel tuo caso Krashta, il potere servirà per schiarire la mente dovrete berlo, come un normale liquido.-
-Ma...- cominció Faelis.
-Sì, anche nei primi due casi potreste berlo, funzionerebbe lo stesso, ma è più indicato versare il liquido sulla ferita.
-Ci costerà energia azionare questi poteri?- chiese Krashta.
-Ovviamente è un incantesimo, e come tale una parte della vostra energia ne risentirà, ma la utilizzerete solo per far emergere il böllr, poi esso agirà da solo.
Quindi, è molto più semplice e molto meno faticoso che curare una ferita unicamente con la magia.
I ragazzi annuirono.
-Rhunön-Elda ma il nettare non finirà prima o poi? -domandó Arya.
-Siamo arrivati al punto dolente, ragazzi: il nettare contenuto ora nelle vostre armi è moltissimo. 
Pur concentrato, è presente in quantità che potrebbero durarvi per un anno almeno. 
Dopo lo scadere dell'anno peró, che partirà dalla prima volta che userete i poteri dei fiori, dovrete fare ritorno qui e io vi riforniró.
Questo è quanto.- sbrigó velocemente l'elfa.
-Ho una domanda- enunció Eragon.
-Dimmi Eragon.- 
-Qualcuno non potrebbe sfruttare a suo vantaggio questi poteri? Mi spiego meglio.
Se per caso i ragazzi dovessero venire catturati, e qualcuno scoprisse come accedere al nucleo di energia, potrebbe sfruttarli anche per scopi orrendi.
I poteri dei diamanti si alterano con la persona che li possiede.- 
-Buona domanda ma no, non credo che nessuno potrà mai usufruire di questi poteri.
L'incantesimo si attiva solo se pronunciato dal possessore dell'arma, non a caso è necessario toccare la pietra.
Tutto vive, ragazzi. Anche le pietre.
Esse riconosceranno il vostro tocco.-
Ci fu un minuto di silenzio.
-Be' ragazzi, se questo è tutto manca un ultima cosa: il nome delle armi.- disse Rhunön.
I ragazzi strabuzzarono gli occhi: non ci avevano minimamente pensato!
Passarono in rassegna tutti i nomi dell'antica lingua che conoscevano, eppure nulla si adattava perfettamente alla loro arma.
Talvolta, i maestri intervenivano per dispensare consigli, ma si rimaneva quasi sempre in silenzio.
-Penso che...- cominció Krashta, ma venne interrotto da un suono.
Era un rumore prolungato e allarmante, come di un corno: i ragazzi non sapevano bene cosa fosse, ma Rhunön, Eragon ed Arya strabuzzarono gli occhi, e si guardarono allarmati.
-Cosa succede? Cosa c'è? Cos'era quel suono?- strepitó Ambrea.
-È il LumiaMorte, il corno dell'orrore. - fece con voce tombale Arya.
-Stanno arrivando- disse profondamente Eragon.
Krashta e Faelis non avevano ancora inteso, ma Ambrea si era fermata, era immobile.
-Manuelì e Raesel: sono qui.-
-Impossibile: li avevamo sconfitti noi...- cercó un appiglio Faelis.
Rhunön scosse il capo.
-Traditori....pagheranno- 
-Stanno arrivando- ripetè Eragon.
Per la prima volta, intervenne Vrango, proiettando a tutti i suoi pensieri. 
-Impugnate le vostre armi ragazzi: è ora- 
________________________________________
-Ere, Miliar e Vrango: andate in ricognizione sull'ala est, diteci cosa sta succedendo.
Saphira, tu e Firnen monitorate la zona ovest- ordinó Eragon.
I draghi partirono.
Si sentiva solo il rumore delle armi  che fabbro stava già dispensando agli elfi , i quali si erano radunati tutti attorno al laboratorio di Rhunön, che non ne possedevano.
Erano già tutti in stato di allarme, e si stavano preparando per la battaglia.
-Bene, bene: vedo che state già impugnando le vostre armi.-
Quella voce era arrivata dal nulla.
Risuonava così forte, in tutta Ellésmera, che era impossibile ignorarla: era come amplificare un milione di volte una voce normale.
I ragazzi erano appena usciti dalla fucina di Rhunön con le loro nuove armi, assieme ai maestri.
-Oh, io posso vedervi tutti. Vi state già preparando. Illusi!- tuonó ancora la voce.
-E voi, piccoli Cavalieri...cosa credete di fare? Volete forse...combattere?
Faelis strinse con forza l'impugnatura della sua spada, tanto che gli si sbiancarono le nocche.
Ambrea contrasse la mascella.
Krashta ridusse gli occhi a due fessure.
-Non penso vorrai ancora combattere, Ambrea, quando saprai che tua madre è prigioniera qui con me- disse quasi come fosse un gioco Raesel.
-Impossibile! - gridó allarmata l'elfa.
-L'ho vista stamattina lei...
-Ambrea! Non venire! Ti prego! Aiuto io...- un urlo.
Agghiacciante, sembrava ai limiti della potenza del normale.
Ambrea lo sapeva: era la voce di sua madre.
-Siamo nell'ala est della Du Weldenvarden, ella radura di Miaszi.
Liberala, oppure...- la voce si interruppe, ma la conclusione della frase era chiara a tutti.
Silenzio.
L'elfa diventó pallida, tutto d'un tratto.
-Non penserai di andare...- disse Arya.
-Vuoi che noi ci vada? Vuoi che la uccida? Cosa credi che possa fare?- sbottó lei.
-Non sai nemmeno come trovarla! Non sei così esperta da sapere ogni angolo della Du Weldenvarden!- sbottó Arya.
-So benissimo dove sia la radura di Miaszi: si da' il caso che tu ce l'abbia fatta studiare!-
-Troveremo un modo di liberarla, ma ora non puoi separarti.- replicó dura Arya.
Ambrea fece un passo.
-Io- disse mentre inchiodava con i suoi occhi dorati l'elfa - posso fare quello che voglio-
Detto questo, impugnato l'arco e attaccata la faretra alle spalle, se ne andó verso ovest, senza mai più girarsi.
Inutili furono le grida di Krashta, le suppliche di Faelis. Lei non tornó.
-È tutta colpa tua! Guarda cosa hai fatto!- sbraitó Krashta contro Arya.
-Non ti permette Krashta. Non ti permettere di parlarmi così io..-
-Tu non hai il diritto di dire quelle cose. 
Io vado da Ambrea. Dovunque sia andata la raggiungeró.
Eragon fece un passo avanti, e gli bloccó un braccio.
-Krashta ti prego sii ragionevole: Ambrea ha fatto uno sbaglio. Non commetterlo anche tu. Ci servi qui.
-Io servo dove so che posso aiutare. E Ambrea è da sola.
Qui ci sono tutti gli elfi: non c'è bisogno di dire che nessuno combatterebbe al fianco di un Urgali.-
-C-cosa stai dicendo? Questo non è vero, sarebbero onorati di...- cominció la Regina.
-Per favore, Arya: so benissimo come stanno le cose.-
Diede un ultimo sguardo a Faelis, che lo implorava in silenzio di non andare, e sparì nella stessa direzione della compagna.
Arya scosse il capo.
-Inseguili, e digli di ritornare. A te daranno ascolto- disse a Faelis.
Lui peró sembrava assente.
-Hanno ragione- pronunció con un fil di voce.
-Cosa?- chiese Eragon.
Prese un piccolo respiro e ripetè:
-Hanno ragione. Lêila è in pericolo. I-io vado da loro.
-Faelis non vedi: ci stiamo dividendo tutti! Così perderemo di sicuro! È quello che  vogliono Raesel e Manuelì.-
-Mi dispiace- disse con sincera commozione l'elfo, e poi chiedendo ancora scusa muovendo solo le labbra se ne andó.
Arya si lasció cadere per terra.
-Ci hanno già sconfitti.-
Eragon, per quanto volesse dire il contrario, stette in silenzio.
Era vero.
Erano già sconfitti.
________________________________________






Scusate il ritardo ma ho avuto, come al solito, un miliardo di cose da sbrigare.
Capitolo fondamentale: arrivo delle armi e inizio della battaglia.
Vi piace? Che ve ne pare?
Domanda: come vorreste chiamare le spade dei nuovi Cavalieri?
Io ho già un'idea ma vorrei sentire le vostre opinioni!
Bacio,
Kveykva

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Resistenza Nera ***


-Dove sono tutti gli elfi? Dove sono?- sbraitó Arya ai pochi elfi che si erano radunati intorno a Rhunön, gli stessi che avevano assistito al litigio dei Maestri con gli allievi.
Quella quindicina di elfi sembrava tutto ció che rimaneva nella Du Weldenvarden, assieme a paura e silenzio.
Le rispose un elfo giovane, di appena un centinaio di anni, coi capelli chiari e lo sguardo morbido.
-Mia Regina, ci hai mandato via tu.-
Arya sgranó gli occhi.
-Regina, hai dato l'ordine di evacuare Ellésmera per un pericolo. 
La maggior parte, anche se con molta riluttanza, hanno eseguito i tuoi ordini: una minoranza, quella che tu ora vedi, è rimasta qui. Per combattere.-
Arya non parlava: restava immobile, mentre il suo cervello lavorava.
-Io non ho dato nessun ordine...mai. Non l'ho mai fatto!-
-Abbiamo disobbidito ai tuoi ordini, Governatrice: puniscici, ma fallo dopo che la battaglia finirà.
Forse saremo morti, forse no: ma lascia che combattiamo assieme a te. - imploró il giovane, in tono coraggioso.
-Tu- indicó Arya un vecchio dall'aria sapiente- dimmi: chi vi ha riferito l'ordine di evacuazione?-
Chiunque avesse dato quell'ordine l'aveva tradita: aveva fatto in modo che tutti gli elfi andassero via in modo che, quando l'attacco sarebbe cominciato la resistenza sarebbe stata nulla.
-Oh, mia Regina. Tu mi chiedi chi ce l'ha detto? - disse, con un sorriso allo stesso tempo furbo e intelligente.
-Il tuo braccio destro.-
Silenzio.
-Il suo Consigliere, Maestà: Taelì.
________________________________________

-Andatevene- disse Ambrea.
I due non replicarono. Lei si fermó.
-Andatevene: state facendo la cosa sbagliata. Ritornate da Arya e scusatevi.
-Noi non andiamo da nessuna parte- replicó Krashta.
-Voi non capite!- sbraitó l'elfa girandosi verso di loro, gli occhi dorati fiammeggianti. 
-Se davvero lì c'è Raesel vorrà uccidermi: non posso trascinare anche voi in questa cosa.-
-Non ti lasciamo sola.- disse flebile Faelis.
Lo sguardo di Ambrea si addolcì. 
-Siamo troppo importanti in questo mondo per morire così. Non preoccupatevi: sapró difendermi, ve lo giuro.
-Potresti aver bisogno di aiuto- tentó Krashta.
-Facciamo così: venite con me solo finchè non vediamo se c'è realmente qualcuno, e in quanti sono. Se dovessero essere in troppi...- 
-Noi staremo con te- concluse Faelis.
-Ma promettetemi una cosa: se lì ci dovesse essere solo mia madre voi ve ne andrete, e raggiungerete Arya ed Eragon nella battaglia. Servite più la' che qui.
-E tu cosa farai?-
-Porteró mia mamma in salvo, poi vi raggiungeró.-
-Ma ci sono un milione di cose che potrebbero andare storte e...- 
-Faelis non c'è più tempo: bisogna agire ora o sarà troppo tardi. E non solo per mia madre.-
I tre Cavalieri si guardarono.
-Andiamo.-
________________________________________


Con un grido selvaggio un elfo si avventó su Arya.
Lei rimase spiazzata, e per poco non riuscì a parare il colpo.
Quell'elfo era Taelì, il suo consigliere.
Cosa stava facendo? Perchè l'aveva colpita?
-Stupida!- le gridó, continuando a colpirla.
Lei si difendeva ma non provava ad attaccare.
Non ci riusciva: sarebbe stato come trafiggere un amico. Non l'avrebbe mai potuto fare.
-Cosa diamine stai facendo, Taelì?- gli gridó mentre duellavano.
Lui le stoccó un colpo al polso mentre lei, roteando la spada, gli colpì un ginocchio.
L'altro strinse con forza la mascella, ed il suo  sguardo si assottiglió.
Girarono in tondo, sfidandosi.
Intorno a loro la battaglia infuriava.
-Stupida!- ripetè lui.
-Perchè lo stai facendo? Non ti bastava la tua carica? Volevi qualcos'altro ancora?- urló lei, mentre si slanciava in avanti attaccando al fianco destro dell'elfo.
Lui paró senza difficoltà, e rigiró la spada quattro volte nelle mani.
-La Resistenza Nera ti schiaccerà Arya: lo farà.-
Lei si bloccó, continuando a fissare.
-Anzi lo sta già facendo, e l'ha già fatto, da millenni quasi.-
Ripresero a muoversi in circolo.
-Resistenza Nera?- domandó lei, sibilando.
Lui la guardó con aria beffarda.
-Non tutti ti sono fedeli Arya.
Ne' a te, ne' a tuo padre, ne' a tua madre- 
Nel sentire il nome del padre Arya trafisse l'elfo con gli occhi, ma egli non dimostró alcun segno di paura.
-Non ti sei mai chiesta come mai proprio Raesel e Manuelì sono stati mandato a Vroengard? Puro caso?- disse l'elfo.
Arya poteva sentire gli ingranaggi del suo cervello lavorare.
Puro caso? Era stato un caso che proprio gli elfi che l'avrebbero tradita fossero quelli inviati a Vroengard?
Eppure non li aveva scelti lei, aveva dato il compito a..
-Taelì!- 
Quella voce sembró arrivare da lontano per Arya, ma era una voce che conosceva benissimo. 
Eragon abbatté Brisingr sulla spalla del Consigliere: lui capì l'intenzione del ragazzo, e paró facendo oscillare la spada.
Ripreso il controllo di essa, la roteó cercando di colpire il Cavaliere alla testa ma quello si abbassó, e la spada gli passó vicina ma non abbastanza.
Nella radura si stava ammassando gente: la trentina di elfi rimasti combatteva contro l'interminabile fila degli elfi della Resistenza Nera che si riversavano come un fiume.
Sembravano non finire mai.
Arya esplose.
-Sei stato tu! Da sempre! Stai programmando questo momento da...-
-Millesettecentodue anni. Sì, Arya.
Sono Consigliere da molto tempo, e in tutti questi anni ho manomesso e comandato quasi tutti gli elfi che si sono succeduti. 
Siete stati dei burattini nelle mie mani: anzi, nelle nostre. L' RN esiste da molto più tempo di quanto tu pensi.-
Eragon, ansante, si era staccato dal Consigliere e lo guardava malignamente.
-Sei un traditore.- sibiló.
L'altro lanció una risata beffarda.
-Sei un traditore, hai commesso una terribile insubordinazione!- strilló la Regina.
Taelì rise una seconda volta.
-Oh, proprio tu mi parli di insubordinazione, piccola Arya?-
-Cosa vuoi dire?- disse come uno sputo lei.
-Dimmi...dove sono ora i tuoi Cavalieri? Ti sono stati accanto nella battaglia? Non li vedo. Neanche loro ti sono stato fedeli, Arya-
La Regina sentì montarle dentro una rabbia enorme, e con un grido disumano si gettó su Taelì.
________________________________________

Mancava un metro o poco più prima della radura di Miaszi.
Erano quasi arrivati.
-Ambrea, anche se lì ci fosse davvero Lêila, dovrai aspettare fino a che non siamo sicuri che non ci sia più nessuno.- le aveva ripetuto Faelis durante il tragitto.
Lei aveva sempre annuito.
Era quasi certa che non avrebbe trovato sua madre: era davvero improbabile.
Sapeva che era una trappola, lo sapeva perfettamente: eppure non poteva essere sicura che sua madre non fosse lì per davvero.
Se non ci fosse stata sarebbero andati via prestissimo, per aggiungersi alla battaglia.
Se sua madre fosse...no, Ambrea non riusciva nemmeno a pensarci.
In quella zona l'aria era più umida e afosa, gli alberi avevano grandi e larghe foglie, grandi quanto il torace di un uomo robusto.
L'elfa scostó una foglia, poi un'altra, e un'altra ancora.
Mancava l'ultima.
La levó.
-Mamma!-
Il suo grido si levó al cielo, e ancor prima che i due Cavalieri potessero fermarla, l'elfa corse al centro della radura.
Lêila era imbavagliata e legata alle mani e ai piedi da dure corde di canapa: i polsi e le caviglie erano arrossati e piagati.
Ambrea la raggiunse e il frette e furia pronunció:
-Jierda- e le corde che legavano sua madre si ruppero.
Lêila continuava a scuotere la testa, sembrava quasi un tic nervoso: si dimenava, sembrava voler comunicare qualcosa, ma riusciva soltanto a mugolare e a fare cenno di no.
Finalmente Ambrea le levó il panno che aveva legato sulla bocca, e Lêila respiró a pieni polmoni, lo sguardo sofferente.
Sembrava debole, come se le costasse un'immane fatica anche solo tener ritta la testa.
-T-tesoro mio...va' via. Vattene- farfugliava, ma si vedeva che era confusa.
-Shh, va tutto bene. Ti portiamo via da qui. Mamma, hai capito? Guardami! Non ti addormentare mamma, guardami!- .
Ora Ambrea urlava e scuoteva la madre. 
Krahsta e Faelis le stavano dietro, vigilando la zona e aspettando un comando da Ambrea.
L'Urgali si avvicinó.
-È stata avvelenata Ambrea.-
Lei fece segno di no.
-Non è vero, no: è solo confusa, è stanca, le avranno fatto bere qualcosa di..
-Ambrea, ti prego: guardale le mani.-
Per la prima volta, la giovane elfa distolse lo sguardo dal viso stravolto della madre, e rimase sconcertata.
Le dita, belle e affusolate, di Lêila erano completamente annerite: sembrava che le avesse immerse in un inchiostro denso e scuro. 
Le unghie erano nere allo stesso modo.
-No..no..- riuscì solamente a dire, ma fu sovrastata dalla voce di Faelis.
-Ambrea guardami: il tuo Diamante, usa il tuo Diamante.-
L'elfa annuì.
-Böllr Endiriro Ládrin- pronunció con voce rotta.
-I-io non so se andrà bene anche per questo, protegge dall'avvelenamento ma sapevo solo per quello dei serpenti e..
-Funzionerà anche per questo: ne sono certo. L'Endiriro è specializzato per i casi di avvelenamento da serpente, ma non scordarti che funziona anche per altri tipi di avvelenamento.- disse Krashta.
Il globo rotante era uscito ora dall'elsa della spada di Ambrea, e le si era posato sul palmo della mano.
Lêila aveva smesso di rispodere.
Delicatamente, l'elfa posó il böllr sulle labbra della madre, ed esso si sciolse in un fluido dorato.
La donna lo ingerì a fatica.
Ora non restava che aspettare.
-Come mi aspettavo: Cavalieri per caso, di certo non per intelligenza.-
Un uomo era entrato nella radura.
Raesel.
________________________________________

Il corpo di Taelì giaceva per terra, in una pozza di sangue, come quello di pochissimi altri elfi traditori. 
I loro cadaveri stavano venendo portati via.
Arya ed Eragon, assieme a tutti gli altri elfi rimasti, erano stati legati e lasciati nel centro di Ellésmera con tantissimi elfi della RN di guardia.
Avevano provato di tutto: avevano cercato di contattare il resto degli elfi mandati fuori dai confini della Du WeldenVarden ma non c'era stato verso.
Già dall'inizio della battaglia si era cercato di chiamarli mentalmente ma, puntualmente, chi ci provava si trovava a dover penetrare un solido muro.
Non era come una coscienza, era come una barriera, un confine impenetrabile.
La Resistenza Nera aveva fatto le cose per bene, chissà da quanto tempo aspettavano quella battaglia.
Avevano eretto una soglia magica, come quella che impediva a chiunque di parlare mentalmente con gli abitanti della Du Weldenvarden, appena dopo Ellésmera.
Gli elfi evacuati erano stati condotti proprio oltre quella linea, ed inutili erano state i loro tentativi: ne' chi dentro, ne' chi fuori riusciva a contattare l'altro.
Inoltre, appena passata la barriera non si poteva tornare indietro: oltre che magica era anche fisica, ma impossibile da intercettare perchè attentamente celata.
Nessun incantesimo riusciva a scalfirla.
Intanto ad Ellésmera, Rhunön cercava inutilmente di strattonare le sue catene ma la sola cosa che riceveva era rumore del ferro.
Le armi erano state ritirate. 
-Alzatevi- ordinó inflessibile una guardia.  
Era un giovanissimo elfo, dimostrava una ventina d'anni: capelli lunghi d'oro.
-Lįœli? - una voce, quasi un sussurro giunse da un lato.
Era una domanda, un richiamo fatto da donna elfica, anche lei molto giovane.
L'elfo chiamato Lįœli giró il viso verso la sua direzione.
-Lįœli sei tu?- chiese ancora l'elfa, la voce rotta dal pianto.
Il giovane le rivolse uno sguardo pieno d'odio e di disprezzo.
-Fratello mio, aiutaci! Liberaci!-
Eragon si chiese se non avesse visto l'armatura del giovane: una scritta, che recava la sigla RN, era impressa proprio sulla parte centrale di essa.
Era una guardia della Resistenza Nera, era ovvio.
L'elfo esitó: le labbra tremarono.
-Che stai facendo, fratello: sei passato dalla loro parte! Come hai potuto?- 
Le lacrime scendevano copiose suo viso della ragazza.
-Stai zitta, illusa. Sei dalla parte del torto.- disse lui.
L'elfa singhiozzó.
-Come puoi dire una cosa del genere? Sono tua sorella! Sei così cieco! -
-Ho detto stai zitta, o saró costretto a ferirti.- 
La donna prese un respiro.
-Non oseresti.- 
-Non c'è più nulla che non oserei.- replicó lui duro.
-Lįœli, con chi stai parlando? Conosci questa donna?-
Manuelì era appena arrivato, e si era rivolto all'elfo.
Lui volse il capo e fece segno di no, ma Manuelì non era convinto.
Fece scorrere uno sguardo sulla fila di prigionieri, disgustato.
-Ne sei sicuro Lįœli?- chiese nuovamente.
L'elfo negó una seconda volta.
-Chi sei, donna?- si rivolse Manuelì direttamente all'elfa.
-Non parleró mai con un traditore come te, mai.- pronunció dura.
Manuelì digrignó i denti.
-Verrai punita per ció che hai appena fatto, stupida.-
Fece un cenno a due altre guardie.
-Portatela via: uccidetela.- 
Le guardie presero la donna e cominciarono a trascinarla via.
-No!- si lasció sfuggire Lįœli. 
A Manuelì si dipinse un sorriso maligno sul volto.
-Stavi mentendo..lo sapevo. Conosci questa donna...chi è?- domandó brusco.
La guardia fissava la sorella con gli occhi sbarrati, sembrava vivere un tormento interiore enorme.
-Non lo so- disse chinando la testa.
Manuelì ai avvicinó.
-Non la conosci?-
-No.- 
Manuelì rise di gusto.
-Quindi non ti importa se la uccideremo, no?
Qualcuno deve pur dare l'esempio di cosa succede a chi si oppone a noi.-
-Lįœli aiutami! Tu mi conosci! Ti prego! - strepitó la donna, fra il blocco delle guardie.
Lįœli non la guardó mai più.
-Uccidetela.- 
La donna venne trascinata via, dietro un gruppo di alberi, fra urla e grida della stessa.
Ci fu un attimo di silenzio. 
Un urlo.
Uno schizzo di sangue arrivó nel pianoro da dietro gli alberi.
La donna era morta: Lįœli rimase impassibile.
Arya ed Eragon provarono una stretta al cuore.
Non pensavano che il male potesse arrivare a quel punto: al punto tale che un fratello lascia morire la sorella per due diverse ideali, facendo finta di non riconoscerla. 
"Dove siamo arrivati." pensó Arya.
________________________________________

"Tieni duro Lêila" pensó Faelis, prima di alzarsi e raggiungere i due compagni, schierati uno in parte all'altro.
-Ere...raggiungeteci- chiamó l'elfo, e invió al suo Drago immagini di dove si trovavano e cosa stava succedendo.
Il Drago non rispose subito, dopo qualche secondo invió a Faelis immagini della battaglia.
-Faelis stiamo combattendo. Non riusciamo a muoverci!-
-Dove siete?-
-Nell'ala est, come ci aveva detto Arya, lei ed Eragon dovrebbero essere dall'altra parte, al centro di Ellésmera-
Guardando i pensieri e le immagini che il Drago gli inviava, Ere capiva che avrebbero dovuto cavarsela da soli: tutti e tre i draghi erano troppo occupati per raggiungerli.
-Ti cerco dopo- aggiunse, e schermó la mente.
Raesel era rimasto immobile tutto il tempo.
-Poveri, piccoli stupidi bambini..incapaci! Credevate davvero di poterla aiutare?
Ti poterla...salvare?- 
-Tu non ci conosci.- dichiaró abbassando la testa Ambrea, ancora scossa dalle condizioni della madre.
-Oh, vi conosco meglio di quanto pensiate: ingenui, arroganti, irrispettosi, avete abbandonato i vostri insegnanti, avete commesso un'insubordinazione.
-Non parlarci di tradimento, sporco elfo traditore.- sputó Krashta.
Un momento dopo era per terra, piegato con la testa all'indietro, in preda all'agonia.
La bocca contratta in una smorfia emetteva gemiti di dolore, gli occhi spalancati esprimevano terrore.
Raesel puntava gli occhi su di lui, e non lo distoglieva neanche per un attimo.
-Smettila! Smettila!- strilló Ambrea.
Assieme a Faelis, cominció a forzare la difesa mentale dell'elfo.
Trovarono una dura e forte barriera, ma loro erano in due contro uno.
"Concentrati. Concentrati e colpisci: passa sotto le sue difese" pensó Faelis, ma il muro eretto dal traditore era forte e solido.
Krashta continuava a tremare e a gemere.
A Faelis rivenne in mente un momento della sua infanzia: si trovava ad Ellésmera e giocava con altri suoi amici sotto un tronco d'albero caduto per una tempesta.
"Passa sotto, passa sotto!" gli aveva gridato un amico.
Lo spiraglio era davvero piccolo, sottilissimo.
Si era appiattito, abbassato, era diventato parte della terra, era scivolato sotto senza rumore ed era uscito dall'altra parte.
Non sapeva come gli era potuto venire in mente, eppure gli era balenato nel cervello da un momento all'altro.
E capì cosa doveva fare.
Pensó di essere di nuovo ad Ellésmera, dove passare un 'altra volte il tronco d'albero e fece le stesso cose.
Fece un respiro, si concentró unicamente sulla coscienza di Raesel.
Sentiva che Ambrea stava ancora provando a spezzarla.
Isoló tutto, i lamenti di Krashta, il debole respiro di Lêila.
Scivoló sotto la barriera dell'elfo, e si trovó dall'altra parte del tronco.
Interruppe il flusso di magia che alimentava la tortura di Krashta, e prese controllo della mente del nemico.
Sentì Ambrea aggiungersi alla sua stretta, poi ne sentì un'altra stanca ma pronta, quella di Krashta.
Raesel emise un gemito di dolore, ma resistette.
Così concentrati sulla mente dell'avversario, i ragazzi non si resero minimamente conto che esso si stava muovendo.
Passo dopo passo, egli strisció fino al giaciglio di Lêila.
-Fermi o l'ammazzo.- 
Il contatto mentale si ruppe e l'elfo fu di nuovo libero di pensare.
I ragazzi si voltarono e videro l'errore commesso: Raesel teneva Lêila, semisvenuta, stringendola con un braccio attorno alla vita e l'altro attorno al collo con un coltello.
-Giù le armi.- pronunció, ancora ansante per lo sforzo.
I ragazzi esitarono, soprattutto Ambrea.
-Giù le armi ho detto!-.
Gli occhi di Raesel spalancati e iniettati di sangue.
Le armi caddero.
-Bene, così ragioniamo.- ghignó.
-Cosa pensavate di fare eh?!-
Con una parola sussurrata nell'antica lingua, la donna si sollevó in cielo.
Aveva le braccia spalancate, era immobile.
Ambrea lanció un grido di terrore, vedendo la madre inerte.
-Lasciala andare!- strilló Ambrea, tentando di spezzare l'incantesimo che teneva Lêila incatenata, senza riuscirci.
-Oh, va bene.- disse Raesel.
-La lasceró andare- pronunció piano, con un ghigno sul viso.
Guardó in alto.
I ragazzi compresero troppo tardi, e l'incantesimo fu rotto dallo stesso Raesel.
I contro incantesimi dei ragazzi non scalfirono assolutamente la caduta di Lêila, perchè protetta da un incantesimo bloccante di Raesel.
L'elfa cadde senza freni al terreno, e non servirono le grida di Ambrea, i sussulti di Krashta le preghiere di Faelis.
Il corpo di Lêila giaceva a terra, spezzato per sempre.
________________________________________



~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

Aiuto, quante cose in questo capitolo super lungo.
La vittoria della Resistenza Nera, la morte di Lêila, il tradimento di Taelì.
Con l'esempio di Lįœli e sua sorella, volevo dare davvero l'idea di come il male fosse arrivato a fondo nelle anime degli elfi.
Spero vi sia piaciuto, e vorrei davvero sapere cosa pensavate sarebbe accaduto, riflessioni su ció che è realmente successo, e idee su ció che verrà.
Un bacio,
Kveykva.  

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Separazione ***


-Dobbiamo andarcene.-
Ambrea non rispondeva: scuoteva il corpo della madre, cercava in lei una risposta, un suono, una conferma che non fosse morta davvero, che il suo corpo non fosse spezzato, rotto com'era.
E invece l'unica cosa che ricevette fu il silenzio.
Il corpo di Raesel giaceva lì accanto.
Crogiolandosi nella soddisfazione di avere ucciso Lêila, non aveva sentito il movimento della spada di Faelis: un colpo netto, ed era caduto.
Si era messo a ridere, Raesel, alla vista della madre di Ambrea: gli occhi divertiti dalla morte e dalla sofferenza, occhi ciechi, vuoti.
Quando la spada si era fatta largo tra la sua cotta di maglia, aveva emesso un suono strozzato: aveva fissato i ragazzi uno ad uno, come se fosse impossibile che davvero fosse stato ucciso da quei giovanissimi, ed era caduto com un tonfo sordo.
-Faelis...- una voce giunse nella testa dell'elfo, una voce tremendamente familiare ma velata da tristezza profonda.
-Ere! Dove siete? Come stanno tutti? E la battaglia? 
-Siamo stati catturati. Non cercateci. La battaglia è finita, abbiamo perso.- 
Ere parlava distaccato, freddo: sembrava che stesse raccontando un fatto che non lo riguardava.
-C-cosa? Cosa stai dicendo?- esclamó Faelis, sbalordito.
Ere non parló più, ma gli invió delle immagini: tutto il campo di battaglia era occupato da Guardie della RN, una fila di elfi incatenati sfilava derisa dal nemico. I tre Draghi erano incatenati: venivano punzecchiati ripetutamente da lance e spade.
-Veniamo a salvarvi.-
-No, per favore: non venite. Siete la nostra unica speranza: verreste uccisi senza nemmeno penetrare nella barriera.
-Barriera?- domandó stranito Faelis.
-Una linea fisica e mentale invalicabile costruita dalla RN in modo da separare gli elfi emarginati da quello dentro Ellèsmera. 
Tu puoi sentirmi perchè sei dentro quel muro: se dovessi allontanarti ancora un po' non potrai mai più ne' rientrare, ne' contattarmi.
-E non lo faró- promise l'elfo.
-Invece è proprio quello che voglio che tu faccia.- ribattè l'altro con voce cupa.
-Cosa? Non ci penso nemmeno! Come sarebbe a dire? -
-Faelis ascoltami, non ho molto tempo: tra poco saró scortato nel Palazzo e non potrai mai più sentirmi. Devi andartene, scappa. 
Trova un modo, assieme a Krashta e Ambrea di liberare Ellésmera. Siete forti abbastanza.-
-Non più.-
-Cosa intendi dire?- 
Faelis invió un' immagine del corpo senza vita di Lêila.
Ci fu silenzio nella sua mente.
-Abbiamo subìto un grande lutto. Ma non potete seppellirla. Un plotone di Guardie è sulle vostre tracce. Andate, gánga!-
-Dove parte esattamente la barriera?- s'informò il ragazzo.
-Esattamente non si sa, ma non dovrete uscire da Ellésmera: voi siete ancora nel territorio concesso, ma muovetevi con cautela, se il vostro desiderio è di restare qui.
Ma io ti dico di andare.-
-Non posso!-
-Devo andare Faelis: dovrete aiutarci, aiutarci tutti.-
-Ci proveró Ere.-
-Ti voglio bene, cucciolo d'uomo. Addio.-
-Addio.- 
Il contatto s'interruppe. A Faelis venirono le lacrime agli occhi: non poteva essere l'ultima volta che avrebbe sentito il suo Drago. 
Non poteva.
Quando si giró verso i suoi compagni, seppe esattamente che una conversazione come quella fra lui ed Ere era avvenuta tra Ambrea e Krashta con i rispettivi Draghi.
L'elfa peró aveva lo sguardo velato: qualunque cosa Miliar le avesse detto, lei non avrebbe mai lasciato il corpo della madre lì.
-Ambrea ti prego. Stanno venendo a cercarci!- gridó Faelis.
-Voglio seppellirla. Per favore.-
Da lontano arrivarono grida concitate.
Krashta rivolse a lei una sguardo implorante.
-Frethya Rëisa Dieida.- sussurró Ambrea.
Il corpo di Lêila si innalzó come aveva fatto sotto incantesimo di Raesel, ma stavolta in modo leggero e aggraziato.
Arrivato ad una decina di metri dal suolo si fermó: qualche attimo dopo si formó attorno ad esso una bolla di cristallo, splendeva al sole come fosse un diamante. 
Poì, sparì, divenne completamente invisibile: l'unica cosa che si notava era un leggero luccichio, un brillio a mezz'aria.
-Un Diamande: era...era la sua pietra preferita.- mormoró assente la ragazza.
- Andiamocene.- ripete' un'altra volta Faelis.
Le grida delle Guardie divennero più forti.
-Dobbiamo decidere- cominció Krashta - se uscire dalla barriera o restare nel territorio elfico.-
-Saremmo comunque in territorio elfico.- ribatte' Faelis.
-Sì, ma non quello di Ellèsmera.-
-Consideriamo le opzioni: se restiamo ci troveranno presto e ci uccideranno ancora prima: se fossimo così fortunati da non essere trovati subito, dovremmo nasconderci continuamente. Se uscissimo avremmo più possibilità di muoverci.-
-Sì ma non potremmo più rientrare e se anche trovassimo un piano non potremmo aiutare la gente dentro Ellésmera.-
-Sono qui, li sento! Li sento!- gridó una guardia.
Entro meno di due minuti li avrebbero raggiunti.
Ambrea non parlava.
-Fuori ci sarà tutta la popolazione emarginata: con loro troveremo una soluzione. Poi vedremo il da farsi.
-E Miliar? Ed Ere, e Vrango? Come faremo senza di loro? Il nostro potere sarebbe decimato!- esplose Ambrea.
-Sii ragionevole Ambrea: noi siamo in tre, loro a centinaia e ammettiamolo, sono tutti elfi più potenti di noi. Avremmo forse qualche speranza di liberarli?- replicó Faelis
Ambrea tacque. Non le piaceva, ma sapeva che il discorso dell'elfo non faceva una piega.
I passi si avvicinavano: i sensi sviluppatissimi dei due elfi li avvertivano.
-Quindi ce ne andiamo?-
Silenzio.
-Ce ne andiamo.-
E corsero verso sud.
________________________________________

-Non m'importa di quanto tempo occorrerà.
Voglio che sia fatto, e come lo dico io.-
-Ci proveremo, mio Signore, ma ci vorrà del..
-Tempo, sì lo so, Mandrenien, basta. 
-Vuole che chiami Lêila, l'orafa?-
-Dici che riuscirebbe a svolgere il compito? A me non servono i suoi stupidi orecchini o collanine: mi serve lo stemma della RN.- disse stizzito Manuelì.
Si trovava nella Sala Del Trono, quella che una volta era appartenuta ai sovrani del popolo elfico.
Stava parlando con il suo comandante in seconda, Mandrėniēn.
Esso rispose con calma, nonostante il comportamento del superiore lo infastidisse parecchio.
-Ti assicuro, Mio signore, che è la più abile elfa di tutto il popolo. Saprà soddisfarti pienamente.-
-Allora mandatemela a chiamare.-
-Mio Signore, non vorrei che fosse nel gruppo degli Emarginati e...
-Non lo sarà, so che Raesel aveva in serbo una...sorpresina con lei.
A proposito dov'è Raesel? Non lo vedo da tempo.- concluse pensieroso Manuelì.
-Un plotone di guardie è stato inviato poc'anzi per acciuffare i Cavalieri. 
Da quel che mi hai detto, Manuelì, Raesel si trovava con loro.
-Ottimo.- battè le mani Manuelì, entusiasta.
-Fai veloce.- 
Mandrėniēn si inchinó, e uscì dalla sala.
Finalmente Manuelì era solo, e poteva concedersi il lusso di riposarsi.
Avevano vinto. Lo sapeva.
Li avevano schicciati, come si fa con degli insetti insignificanti.
Che soddisfazione era stata vedere Arya in catene. Condurla nelle segrete, assieme ad Eragon.
Ora, aveva convocato Lêila perchè pensava che la RN avesse bisogno di qualcosa di più, un simbolo, un segno che facesse capire a chiunque lo vedesse, che la Resistenza Nera era arrivata fino a lì.
Lo voleva vedere tatuato sulle guardie, pitturato sui muri, inciso sulle armi e sulle armature, stampato sugli stendardi. 
Lo voleva ovunque.
Solo così tutti avrebbero finalmente capito che...
-Mio Signore! Chiedo udienza, mio Signore!- domandó una voce familiare piuttosto nervosa.
-Concessa- rispose lui.
Entró con passo svelto Mandrėniēn, seguito da due guardie.
-Parla, servo.-
L'altro era così agitato che nemmeno fece caso al termine.
-Il corpo di Raesel giace senza vita nella Radura di Miaszi. Il corpo di Lêila scomparso. I ragazzi fuggiti.- finì riprendendo fiato.
Le guardie dietro annuirono, essendo quelle, Manuelì le riconosceva, mandate a catturare i ragazzi.
L'elfo era sconvolto: i ragazzi, Raesel...
-Signore le porgo le mie più sentite condoglianze.- disse Mandrėniēn con un inchino.
-Grazie.- rispose lui assente, mentre il suo cervello lavorava.
Pensavano davvero che gli importasse della morte di Raesel? Ah, sciocchi!
Aveva sempre desiderato la sua morte, il suo modo di comandarlo non gli...piaceva.
Piuttosto era colpito dai ragazzi: essendo gli unici nella radura con Raesel dovevano essere stati loro ad ucciderlo; escludeva Lêila perchè era a conoscenza del suo avvelenamento, ma pensava che Raesel volesse usarla solamente come esca, non pensava volesse davvero ucciderla...
Peccato. 
-Vuole che avviamo ricerche per trovare i ragazzi, mio Signore?- chiese Mandrėniēn.
-Assolutamente no, sarebbe inutile: per quanto ne so, potrebbero essere ancora nel territorio elfico. Se questa ipotesi fosse esatta, una stretta guardia attorno al Palazzo basterà: non potranno tentare di liberare nessuno, ne' elfo ne' drago, figuriamoci.
Se, al contrario, fossero usciti dalla Barriera Grande non potranno mai più rientrare.-
-Sì, mio Signore.-
-Trovami un altro orafo, non mi importa chi sia. Voglio che sia abile e veloce.-
-Ma Signore, non dovremmo annunciare la mort...-
-Fai come ti dico. Non azzardarti a darmi ordini. Esci. Adesso.-
Lo sguardo dell'altro si raggeló.
Un inchino, e dopo il terzetto uscì.
Ora avrebbe potuto cominciare il suo Regno.
Da solo.
________________________________________

Era scesa la sera: la luna era coperta da grosse nubi grigiastre, e l'aria era pesante.
Ambrea, Faelis e Krashta si trovavano in un angolo remoto della foresta elfica: era un minuscolo spazio verde, chiuso a riccio da alti e grandi alberi, un minirifugio personale.
L'atmosfera era piena di tensione: nessuno dei tre parlava, ripensando a ció che da poche ore si erano lasciate alle spalle.
Ambrea non aveva più versato una lacrima per sua madre: i due compagni la guardavano ammirati.
L'elfa era riuscita a superare il trauma, era riuscita a capire che non era quello il momento di disperarsi, aveva una priorità.
-Vado a prendere un po' di legna.- annunció Krashta.
-Ti aiuto.- disse Faelis, ed entrambi si fecero largo tra le fronde nodose degli alberi.
In pochi attimi sparirono.
Avevano concordato che, dopo una notte di sonno, si sarebbero messi in marcia verso gli Emarginati: purtroppo, viste le circostanze frettolose con cui era dovuti scappare, erano usciti dalla Barriera molto più ad ovest rispetto a quanto volessero.
Gli Emarginati, facendo un breve calcolo, dovevano trovarsi a molti chilometri di distanza, visto che, i ragazzi ne erano sicuri, nella fretta dell'attacco, la RN aveva usato la via principale per cacciare gli elfi.
A meno che non si fossero repentinamente mossi, si sarebbero trovati ancora lì.
Cominció a piovere.
Ambrea, scura in volto, si alzó e si arrampicó su un ramo di un albero: le fitte foglie non le facevano arrivare nemmeno un goccio d'acqua.
Guardó all'orizzonte e ripensó a tutte le persone che aveva perso, in quanto, poche ore?
E chi era la bambina arrivata ad allenarsi mesi addietro a Vroengard?
Di certo era un'altra persona: sembrava una vita fa'.
-Accidenti a questi tempo, adesso farà solo fumo questa legna.- fece Faelis, con le braccia piene di legna, appena entrato nel rifugio.
-Fai fare a me.- disse Ambrea, saltando con agilità e leggerezza dal ramo.
-Plantorum Relieve.- mormoró toccando la radice di un albero.
In un attimo i rami di tutte le piante e alberi che costeggiavano la radura si unirono, si intrecciarono fra loro, fino a costruire una specie di tetto che proteggeva i tre Cavalieri.
Krashta annuì e cominció a disporre la legna.
-Brisingr.- grugnì, e un bel faló scoppiettó davanti a loro.
Si scaldarono le mani, e mangiarono le poche bacche e radici trovate.
Quel silenzio era peggio di qualsiasi altro rumore.
-Dieida.- sussurró Ambrea, con gli occhi assenti mentre fissava il sua arco.
Krashta e Faelis la guardarono confusi.
-Si chiama Dieida, il mio arco.- spiegó a voce bassa.
Stavolta i due capirono: dieida , ovvero Diamante, era la pietra preferita di Lêila, quando doveva costruire un gioiello o maneggiare una pietra.
Ambrea l'aveva detto, quando stava seppellendo la madre, e non a caso la bara di Lêila era un diamante: era tutto collegato.
Ambrea voleva ricordare la madre così, e così aveva fatto. 
Con un lieve movimento del polso, incise la
parola sull'arco, esattamente sull'impugnatura: muoveva le mani come se avesse una penna, quando in realtà non l'aveva.
Piano piano, in grafia obliqua e perfetta il nome fu completo.
-Io non so come chiamarla: non ne ho la più pallida idea.- mugoló Faelis.
-Devi sceglierlo tu: non possiamo farlo noi per te.- disse Ambrea.
-Lo so.- replicó lui.
-La mia si chiama Zandir: coraggio.
Io penso...penso di saperlo dall'inizio che questo era il suo nome ma non... non l'avevo ancora capito.- disse incerto Krashta.
Si vede che pensava di aver detto qualcosa di stupido o insensato, perció nascose la faccia fra le ginocchia.
-Zandir..è un bel nome. Davvero.- cercó di sorridere Faelis.
Krasha grugnì qualcosa, sembrava un ringraziamento, mentre incideva il nome sull'ascia.
Ricadde il silenzio.
-Me ne vado a dormire.- disse Krashta dopo qualche minuto, e si accoccolò in un angolo coprendosi con una coperta improvvisata.
Ambrea guardó Faelis: era sicura che nei loro sguardi ci fossero gli stessi sentimenti, le stesse preoccupazioni.
-Buonanotte.- pronunció stanca Ambrea, e si arrampicó sullo stesso ramo alto di prima.
Qualche momento prima di addormentarsi le parve di sentire un movimento, un rumore indesiderato provenire dal basso.
Eppure Krashta e Faelis dormivano.
Avrebbe dovuto svegliarsi, scendere e controllare ma le palpebre le si chiudevano pian piano.
"Sarà un animaletto del bosco, qua ce ne saranno a bizzeffe." pensó.
E alla fine si lanció vincere dal sonno, non sapendo che quel rumore non era affatto di un topo selvatico.
________________________________________







Buonasera a tuttii!
Nuovo capitolo:
Non accadono molte cose a dire la verità, ma volevo far capire come adesso la situazione si presentava.
Idee su chi possa essere il "topolino selvatico"?
Fatemi sapere,
Bacio!




Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Occhi in cui perdersi ***


L'alba era appena sorta: Ambrea fu la prima a svegliarsi.
Si sentiva tutta indolenzita dopo una nottata piuttosto insonne, passata su un ramo scomodissimo.
Nonostante tutto, peró, si sentiva più fresca, rinata: stava cercando di rimarginare la ferita causata dalla morte della madre.
Scese velocemente: vide Faelis e Krashta dormire come angioletti e si inoltró nel bosco per cercare qualcosa da mettere sotto i denti.
Trovó un frutto verde mela con al centro, un nucleo morbido arancione: controlló che non fosse velenoso con un incantesimo, e assieme a qualche foglia commestibile, si mise a mangiare accanto al faló spento.
Il temporale della notte prima si era placato: rimaneva soltanto un' aria frizzante. 
Appena finita colazione, decise di prendere qualcosa da mangiare anche per Krashta e Faelis: si incamminó nella via opposta rispetto a quella intrapresa prima, per pura curiosità e per vedere se a che in quella via c'erano i deliziosi frutti verdi.
Uscì di una ventina di metri dalla radura:  la strada era un minuscolo sentierino affollato dagli stessi enormi alberi di prima.
Ne avvistó uno carico del succulento frutto e tiró un calcio fortissimo (essendo un'elfa non si fece male) che scosse violentemente tutto l'albero.
Sentì un urlo.
Invece che cadere un frutto le cadde addosso qualcosa di grande e pesante.
Cadde a terra in preda al panico: sapeva che  ció che era appena volato al suolo era una persona.
Si rialzó di scatto in piedi.
Strabuzzó gli occhi.
Davanti a lei si trovava un umano di qualche anno in più di lei:  capelli scuri, riccioli disordinati incorniciavano un viso dove due grandi occhi grigi facevano da protagonisti.
Rimase senza fiato: era bellissimo.
Nonostante fosse umano, era così aggraziato nei lineamenti che possedeva lo stesso fascino degli elfi.
Il ragazzo aveva un'espressione a metà colpevole e a metà sorpresa.
Troppo tardi Ambrea si rese conto che aveva dimenticato l'arco nella radura; si maledisse per tanta sfacciataggine: per quanto ne sapeva lei, quello sconosciuto poteva essere un nemico.
Si ricordó del suo pugnale di riserva nello stivale e lo alzó minaccioso verso lo straniero.
Il ragazzo aveva un pugnale a sua volta nella mano, che peró non alzó. Accanto a lui si trovava la sua bisaccia, con dentro, visto che erano usciti tutti dalla caduta, degli averi.
-Chi sei?- domandó lei con tono diffidente.
Il ragazzo la fissó con uno sguardo incatenante.
-I nomi sono pericolosi di questi tempi.-
-Anche i ragazzi caduti dagli alberi lo sono, sai?- lo sfotte' lei.
Lui si concesse una risata breve, e ritornó silenzioso.
Sembrava non voler essere intenzionato a dire nulla, perció fu Ambrea a parlare di nuovo.
Non voleva essere così apertamente curiosa, ma quel ragazzo la intrigava.
-Da dove vieni?- incalzó.
-Potrei dirti dal ramo da cui mi hai fatto cadere ma immagino che non sia quello che vuoi sentire quindi..sì, vengo da molto lontano.-
-E mi vuoi spiegare perchè diamine eri su quell'albero a dormire?-
-Mi risulta che anche tu dormissi su un albero.- mormoró l'altro con fare colpevole.
-Ci hai seguito...e ci hai spiato. Cosa vuoi da noi?-
-Non vi ho seguito ne' spiato..sono solo capitato nello stesso luogo vostro, allo stesso momento.-
-Be' mister. "Il mio nome è un pericolo", sei capitato nel luogo sbagliato al momento sbagliato, quindi se non ti serve nulla ti consiglio di andartene.- disse sarcastica l'elfa.
-Sono solo di passaggio. Ho visto un fuoco e ho pensato di fermarmi a riposare.-
-Bene, sono contenta che ti sia piaciuto il nostro faló. Addio.- salutó aspra Ambrea.
Il ragazzo rise un'altra volta, e la inchiodó con lo sguardo.
-Attenta a non cascare un' altra volta.- sorrise sinceramente.
-Attento a trovarti un nascondiglio migliore. - ribatte' sorridendo lei, mentre lo sorpassava.
Fece due o tre passi fino a quando la voce del ragazzo non la raggiunse di nuovo.
-Posso aiutarti.-
Lei si fermó.
-A fare cosa?- domandó sempre girata.
-A prendere i frutti per i tuoi amici.-
Lei si giró sbalordita.
-Come fai a..- boccheggió.
-Erano buoni vero, quei frutti? Li ho mangiati anche io.- pronunció con la sua voce suadente.
Lei sbuffó sorridendo. Si fidava. Non sapeva perchè.
Si giró e riprese a camminare, e seppe che dietro di lei il ragazzo la stava seguendo: le scappó un sorriso.
________________________________________

-Dorien.-
-Cosa?- 
-Dorien. È il mio nome.- disse il ragazzo.
Ambrea annuì.
-Io mi chiamo..-
-Ambrea.- concluse lui per lei.
-La smetti di anticipare tutto quello che ho da dire? Mi innervosisci. E poi come fai a saperlo?-
-Direi che il tuo amico Urgali ha una voce piuttosto potente.-
Si trovavano vicino ad una cascata: passeggiando erano arrivati fino a lì, guidati dal sentiero.
Erano seduti su delle rocce poste per terra, e attraversata da un basso livello d'acqua fredda.
-Chissà quante altre cose hai sentito..- mormoró lei pensando alle cose dette la sera prima.
-Nulla, ti assicuro. Sono arrivato quando ve ne stavate andando a dormire.-
-Mi vuoi spiegare come mai sei capitato da queste parti?- chiese lei addentando un frutto.
Lui la squadró a lungo, incerto se fidarsi o no.
-Sono in viaggio da molto tempo: devo recapitare un messaggio da parte degli umani . Fra poco riprenderó la mia strada.-
-Come mai hanno scelto proprio te, per questo incarico?- domandó lei, curiosa e timorosa allo stesso tempo.
-Nasuada ha scelto me perchè sono uno dei pochi che sa esercitare la magia.-
Gli occhi di Ambrea si illuminarono.
-Davvero?- 
-Davvero!- rise lui.
-Ma sappi che non sono nulla in confronto ad un Cavaliere dei Draghi.-
-Ei, come hai fatto a sape..-
Lui indicó con l'indice il palmo della mano. 
Ambrea si guardó il gedwey ignasia, e annuì.
Il ragazzo era un buon osservatore.
-Dov'è la tua meta, quindi?-
-Ad Ellésmera.- sospiró lui.
-Ad Ellésmera?! Non puoi!- gridó lei allarmata.
Lui sembró piuttosto confuso.
-Perchè no, scusa?-
Lei gli raccontó tutto quello che era successo negli ultimi tempi, comprendendo l'ascesa al potere della RN e la barriera invalicabile.
Tralasció accuratamente la morte di Lêila.
-Non riusciresti nemmeno a scalfirla quella muraglia lì!- concluse lei.
Lui sembrava cupo, buio.
-Cosa faró adesso?- domandó, scuro in volto.
-Di certo non porterai il messaggio ad Arya: è tenuta prigioniera da Manuelì.
-Potresti..potresti venire con noi.- disse incerta lei.
Doveva essere diventata rossa e doveva aver balbettato perchè il ragazzo rispose con un grande sorriso divertito.
-Cosa potrei mai fare io? Se tutti voi elfi non riuscite a sorpassare la Barriera, non vedo cosa potrei inventarmi. No, sarei solo d'intralcio.
Ritorneró a casa, e avvertiró Nasuada di cosa sta accadendo. Vi arriveranno rinforzi, non preoccupatevi.-
Ambrea era visibilmente delusa, ma cercó di nasconderlo con un sorriso forzato.
-Be' sarà meglio che ti sbrighi allora.- sussuró a capo chino lei.
Quando alzó gli occhi, il ragazzo era già in piedi.
Lui la fissó un'ultima volta con quegli occhi grigi, profondi.
-La prossima volta sii un po' più gentile con gli alberi.- le disse sorridendo.
Lei arrossì, e rise a sua volta.
-Me ne ricorderó. Ma sappi che non è il luogo ideale per nascondersi.-
-Be', questa volta mi ha portato fortuna.- disse Dorien sorridendo.
Ambrea perse un battito.
Il ragazzo abbassó il capo.
In un attimo era sparito.
Ambrea sospiró: era stato bello, per un attimo, dimenticarsi di tutto ció che aveva patito e di tutto ció che ancora doveva affrontare.
Come se il futuro degli elfi non dipendesse da lei e da Krashta e Faelis.
Si alzó, piano, e ritornó al nascondiglio, pronta per un'altra, faticosa, giornata di viaggio.
________________________________________

Dorien era in viaggio da almeno un paio d'ore.
Stava riprendendo la strada di casa.
Da quando aveva lasciato la Du WeldenVarden non faceva che pensare ad Ambrea.
Più che altro gli era sembrata interessante: quegli occhi d'oro, così intensi lo facevano vacillare al solo pensiero.
E poi, quanto era bella: aveva visto poche volte degli elfi, ma lei era davvero di un fascino e di una bellezza rari.
Era così...particolare. Anche nei modi di fare.
Sapeva che probabilmente non l' avrebbe mai più rivista.
Ma lui non poteva farsi distrarre: aveva una missione da compiere, dove a ritornare a casa, e anche in fretta.
Scacció tutti quei pensieri, e si mise a caminare ancora più in fretta.
________________________________________


-Si puó sapere DOVE DIAMINE ERI?!- 
La voce di Faelis la accolse quando Ambrea entró nel loro rifugio.
-Nulla di importante...- rispose vaga, cominciando a raccattare le sua cose.
-Nulla di importante? Stai scherzando? Pensavamo ti avessero presa!- l'accusó seguendola Faelis.
-Si certo, e chi poi? La RN? Ma per favore!- rise spensierata lei.
-To', vi ho portato dei frutti. Provali.
Sono ottimi.- ne mise in mano uno ad una Faelis ancora infuriato, ed a un Krashta già sereno.
Tenendo ancora il muso, Faelis addentó il frutto: in effetti era delizioso, ma non voleva dare nessuna soddisfazione ad Ambrea.
-Dai muoviamoci.- grugnì.
Si vestirono in fretta e, raccolte le loro cose, si incamminarono.
Viaggiarono tutto il giorno, senza mai fermarsi, e quando arrivó la sera decisero di non accamparsi ma di proseguire: in effetti erano ancora abbastanza lucidi.
Camminarono fino alle prime luci dell'alba, fino a quando sul sentiero che stavano percorrendo non ci fu un qualcosa a bloccare la strada.
Ambrea aguzzó lo sguardo: lanció un urlo quando si rese conto che quel qualcosa era Dorien
Un Dorien steso a terra: più morto che vivo.
-Oh mio Dio!- strilló e corse come il vento accanto al ragazzo, sotto agli sguardi perplessi dei due compagni.
-Lo conosci?- disse stranito Faelis, ma lei non lo ascoltava.
Si era inginocchiata vicino a Dorien, e gli stava togliendo delicatamente i capelli dal viso: la faccia era piena di lividi, aveva una ferita sul labbro inferiore, e una tumefazione sullo zigomo.
Tutti i suoi averi erano scomparsi: il pugnale non c'era più, e la piccola bisaccia che si portava dietro era sparita.
Aveva gli occhi chiusi, ma il cuore ancora batteva.
-Aiutatemi..forza!- disse  Ambrea faticosamente mentre cercava di alzare il ragazzo.
Krashta e Faelis le rivolsero un ultimo sguardo stupido e poi presero il ragazzo sotto le spalle, e lo guidarono dietro agli alberi.
Ambrea estrasse una lozione solida di mandorlo, e cominció a spalmarla sullo zigomo tumefatto del ragazzo.
-Guardate se ha altre ferite: non capisco perchè non si svegli se ha solo queste due.- disse Ambrea.
Faelis estrasse la sua spada: la passó come un metal detector sul corpo del ragazzo a lui ancora sconosciuto, e ad un certo punto si fermó.
La pietra si era scaldata in prossimità della coscia destra: voleva dire che c'era una grave ferita da curare.
Lo sapeva perchè il suo Diamante aveva il potere di curare qualsiasi ferita.
-Allora?- incalzó nervosa l'elfa, sempre intenta a curare il viso di Dorien. 
Faelis indicó la gamba.
Lei si alzó e lo raggiunse: strappó i pantaloni solo in quel punto e rimase senza fiato.
Un grosso, enorme taglio partiva dall'alto coscia fino ad arrivare quasi al ginocchio.
Era lunga e discretamente profonda: aveva perso moltissimo sangue, e ancora ne perdeva.
Cercó di ignorare l'odore di carne maciullata che le arrivava grazie al suo olfatto acutissimo e si rivolse a Faelis.
-Faelis lo so che non conosci questo ragazzo e per quanto ti riguarda potrebbe essere un nemico o chissà cos'altro ma...io so chi è. E ti giuro..è con noi. L'ho conosciuto stamattina, mentre voi dormivate e...-
-Ecco dov'eri allora! Perchè non ce l'hai detto?- l'aggredì lui.
-Era importante?! Non l'avrei rivisto più in vita mia!- ribatte' mentre un'ombra scura le attraversava il volto.
-Ti chiedo solo di aiutarlo, solo questa volta. Perfavore.- imploró l'elfa.
Lui la osservó con lo sguardo vacillante.
-Levati.- grugnì, e si posizionó al posto della ragazza.
-Böllr Campaniliês Ládrin.- 
Subito il globo di nettare uscì dalla gemma, e con un gesto della mano, Faelis lo indirizzó verso la gamba ferita.
Appena il böllr fu a contatto con la carne si sciolse, e il color violetto del suo nettare invase il taglio di Dorien.
-Non si curerà immediatamente.- disse Krashta.
Faelis e Ambrea si girarono a guardarlo.
-Ferite come quelle si rimarginano col tempo.- disse ancora.
-Ma noi abbiamo usato il nettare e ...-
-Lo so. Ma dovrà comunque essere fasciata, e cambiata più volte.- aggiunse l'Urgali.
Ambrea annuì e andó a cercare foglie larghe abbastanza per una fasciatura.
Alla fine ne trovó una specie verde scuro con venature rosse, e fu sicura che non fosse nocive: erano le Riral, le aveva studiate con Arya ed Eragon.
Appena pensó a loro, provó una fitta terribile al cuore: le mancavano.
Cercó di arginare tutto il resto che non fosse la salute di Dorien.
Fasció la gamba con tre o quattro di quelle foglie e le bloccó con uno stelo d'erba rafforzato magicamente. 
-Grazie ragazzi: grazie davvero. Se non ci foste stati voi io..-
-Tranquilla. Siamo qui per questo.- le mise una mano sulla spalla Faelis.
-Ti lasciamo sola un attimo: andiamo a cercare cibo. Ci accampiamo qui, mi sembra abbastanza protetto.- disse Krashta.
Rimasta sola, si concesse di pensare alle cause di come era ridotto il ragazzo: come si era procurato quella ferita? L'avevano attaccato? E chi poi?
L'avrebbe saputo appena si fosse svegliato.
Se, si fosse svegliato.
________________________________________






Angolo:
Questa volta ho davvero postato prestissimo, è che non vedevo l'ora di farvi vedere la nuova svolta del racconto.
Nuovo personaggio...Dorien!
Che ne pensate? In verità è davvero buono quanto bello, ma si scoprirà più avanti.
Ditemi cosa ve ne pare, un bacio
Kveykva

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Il segreto di Dorien ***


-Come sta?- chiese Faelis, raggiungendo Ambrea.
-Sta ancora dormendo. Prima ha parlato nel sonno, ha borbottato qualcosa e poi più nulla.- rispose lei.
-La fascia? L'hai cambiata? - le ricordó Krashta.
-Sì, è ancora pulita. Comunque è una fortuna che le Riral crescano ovunque nella Du WeldenVarden. - disse contenta Ambrea.
-Be', allora noi andiamo: dovremmo tornare tra un paio d'ore.- disse Krashta.
-Va bene, ma non fate tardi!- si raccomandó lei.
Detto questo, i ragazzi uscirono.
Avevano deciso che sarebbero andati in perlustrazione del territorio, sia per trovare un posto giusto per accamparsi, e sia per trovare sentieri sicuri e rapidi, anche perchè si sarebbero portati dietro un ferito.
Dorien dormiva ancora: il colorito della pelle si era trasformato, era molto più vivace, le labbra si erano fatte di un bel colore vivo, invece del languido rosa di quando lo avevano trovato.
Il campanilięs aveva proprio fatto il suo dovere: la ferita si stava richiudendo pian piano, ma necessitava di continue cure per evitare che si infettasse.
Sul viso di Dorien comparse una smorfia e poi, piano piano, aprì gli occhi.
Ambrea era girata, stava mettendo in ordine le provviste e non stava guardando, quindi non si accorse di nulla.
-Ma che..- farfuglió Dorien spaesato.
Ambrea si giró di scatto e sorrise.
-Buongiorno.- lo salutó.
Lui si guardó intorno confuso, spalancando i suoi grossi occhi grigi.
-Cosa ci faccio qui?- domandó con voce impastata.
-Sei stato ferito.- rispose lei avvicinandosi. 
-Non ricordi proprio niente?- 
Lui assunse un'espressione pensosa, e poi sbuffó infastidito.
-Briganti.- disse come se stesse pronunciando una gran brutta parola.
-Briganti?- 
-Già: gruppi di uomini che rubano ai viaggiatori. Ce ne sono a bizzeffe ovunque. Strano peró che ce ne fossero nella Du WeldenVarden. Solitamente non si trovano in quei territori.- 
-Mai sentito di certi gruppi- ammise Ambrea.
-Forse sei stata chiusa nella foresta un bel po'- le disse Dorien con uno sbuffo di fatica mentre cercava di tirarsi su.
-Quanti erano?- chiese Ambrea.
-Da quel che mi ricordo, in tantissimi: saranno stati una ventina.
Solitamente sono molti di meno: non capisco perchè ce ne fossero così tanti.
Sono riuscito a ferirne una paio, ma gli altri hanno avuto la meglio. Accidenti.- borbottó.
-Ecco cos'erano!- si battè una mano sulla fronte l'elfa.
-Cos'era cosa?-
-Le strisce di sangue. Da dove ti avevano lasciato partivano numerose piste: probabilmente erano gli uomini che avevi ferito.-
-Ah, sì, penso di sì.- disse lui.
Ci fu un attimo di silenzio.
-Come avete fatto a trovarmi?- chiese.
- Eri esattamente sulla strada che stavamo percorrendo: ti abbiamo trovato lì e...-
-Il mio pugnale! La mia bisaccia!- esclamó terrorizzato, come se si ricordasse solo ora, tastando in giro nella speranza che fossero lì.
-Mi dispiace, ma non le troverai di certo qui.- disse sinceramente Ambrea.
-Te le hanno rubate.-
-No, no, non possono averla rubata, no!- cominció a urlare dimenandosi.
-Dorien, stai fermo! Ti farai male!- strilló lei cercando di tenerlo fermo,
-Tu non capisci.- sussurró lui, ad un palmo di mano dal viso dell'elfa, incatenandola con gli occhi grigi spalancati.
-Posso sempre imparare.- rispose lei, sostenendo il suo sguardo.
Lui stette zitto, ridusse le labbra ad una linea sottile.
-Dentro la mia bisaccia avevo...un uovo di drago.- mormoró a testa bassa.
-Cosa?!- esclamó allontanandosi di scatto Ambrea.
-E non ce l'hai detto?- sibiló lei.
-Era un'informazione segreta! Non doveva saperlo nessuno: neppure io avevo mai visto quell'uovo, era protetto da un incantesimo che lo rendeva invisibile e eliminava il suo peso; chiunque avesse preso, o guardato dentro la borsa non avrebbe ne' visto ne' sentito nulla.- 
-Questo non giustifica il fatto che tu non ce l'abbia detto.- replicó dura lei.
-Non sapevo ancora se potevo fidarmi. Avreste potuto essere nemici, per quanto ne sapevo io!- disse lui in tono di accusa.
-Ambrea ti prego.- 
Si avvicinó e le sollevó il mento: lei si divincoló.
-Ora so che posso fidarmi: lo so perfettamente. Ma prima..-
-Lo so, lo so ho capito: ma se ce l'avessi detto..avremmo protetto meglio l'uovo.- borbottó lei.
-Hai ragione, ma Nasuada mi aveva impedito di farne parola con qualcuno, tranne che con Arya.-
-Ma perchè ne stavi trasportando uno?- chiese lei, ormai non più arrabbiata.
-Quell'uovo era destinato a schiudersi: questa volta il giro sarebbe partito dagli elfi, poi dagli umani, e poi dalle due razze rimaste. -
-E lei ti ha fatto partire così, senza cavallo, ne' protezione?- domandó sbalordita.
-Il cavallo ho dovuto lasciarlo appena mi sono addentrato nella foresta elfica: ordini di Nasuada.- si giustificó lui. 
-Per quanto riguarda la protezione lei si fidava di me..e io l'ho delusa.- disse con voce improvvisamente bassa.
-Lei- scandì bene le parole Ambrea -non poteva sapere che avresti trovato una banda così di briganti.- 
-L'hai detto anche tu che non si sarebbero mai aggirati per la Du Weldenvarden: forse è per questo che ti ha detto di lasciare il cavallo; sapeva che non avresti avuto problemi.- 
Lui tiró su le spalle, senza alzare lo sguardo. 
-Dovunque siano i briganti li troveremo e prenderemo la tua bisaccia e il tuo pugnale, non dubitarne.- promise l'elfa.
Lui le sorrise, pieno di gratitudine.
-Ma davvero non hai mai toccato quell'uovo?- chiese .
-Mai. Non so perchè, eppure è stata molto ferrea su questo. Me l'ha consegnato quando era già stato reso invisibile e tutto.-
-Capisco..- mormoró Ambrea.
-Come va la gamba?- chiese, cambiando argomento. 
-In effetti, non la sento neanche: è come se non fossi mai stato ferito.-
Poi assunse un'espressione strana, come se stesse ragionando su qualcosa.
-Voi...- cominció.
-Noi non abbiamo fatto nulla, ti abbiamo solo preso e..
-E mi avete curato. E con qualcosa di speciale anche.-
Ambrea fece un'espressione stupita.
-Non credere che non sapessi le condizioni della mia gamba: sentivo che era messa male, molto male. Eppure adesso non è più così grave..-
-Ti sbagli..abbiamo fatto ció che era necessario.- ribatte' lei, quasi offesa.
-Avete fatto ció che potevate benissimo non fare.- rispose Dorien.
Ambrea non ribatte'.
Lui la fissó e lei sostenne il suo sguardo, poi con una smorfia di dolore si rimise sdraiato.
-Ti fa male la gamba. Riposati.- osservó lei.
-Non merito quello che avete fatto.- ignoró quello che aveva detto l'elfa.
- Dormi.- ripete' Ambrea.
-Tu non sai cosa stai facendo.- insiste' un'altra volta Dorien.
-Sì, forse hai ragione!- esplose la ragazza.
-Quindi smettila di dirmelo oppure ti scaravento di nuovo sulla strada!- concluse indignata.
Lui non reagì, ma Ambrea vide gli angoli della bocca del ragazzo incresparsi in un sorriso.
Peró quello che le aveva detto il ragazzo la faceva pensare: perchè Dorien non meritava quello che gli stavano facendo? 
Forse diceva la verità quando le aveva detto che non sapeva cosa stava facendo.
Anzi, aveva perfettamente ragione.
Ma non le importava.
________________________________________

-Eccoci!- gridarono Krashta e Faelis quandi arrivarono nell'accampamento. 
Dorien si tiró su a fatica per osservarli.
-Ops..ti abbiamo svegliato?- chiese Faelis.
-No tranquilli, ero già sveglio.- rispose Dorien.
-Volevo solo ringraziarvi per avermi curato, davvero. Sarei forse già morto senza di voi.-
-Non preoccuparti , era ció che andava fatto.- rispose l'elfo.
-Visto? Era quello che andava fatto!- gli rinfacció Ambrea.
Dorien fece una smorfia, come per dire "causa persa".
-Comunque non devi ringraziare noi: è Ambrea che ti ha salvato.- la indicó Krashta.
Ambrea arrossì, e Dorien annuì.
-Le sono molto grato per questo.- rispose serio.
Ambrea si giró facendo finta di mettere a posto, quandi invece era già tutto in ordine.
-Allora,- cercó di rompere il ghiaccio lei - cosa avete trovato?- domandó.
-Se proseguiamo verso est il sentiero sarà dritto per un po', ma poi non so, potrebbe anche prendere una via diversa.-
-Potrebbe andare dritto dagli Emarginati.-
-Non lo escludo, ma potrebbe portarci fuori strada.-
-Potremmo fare invece il giro largo: dovremmo curvare verso sud, e risalire dopo, passato il monte Tėuri, a sud-est di Osilon.-
-Vuoi dire che quando abbiamo sorpassato la Barriera ci trovavamo vicino a Osilon? Così lontano?- esclamó Ambrea.
-Be', ricordati che ci abbiamo messo un bel po' per arrivare alla Radura di Miaszi e..-
Cadde il silenzio: era sicuro che ai tre Cavalieri era venuto in mente la stessa cosa, ovvero la morte di Lêila.
Fu Krashta a riprendere in mano il discorso.
-Da lì siamo usciti ancora più a ovest, quindi sì, eravamo vicini a Osilon.
Ora siamo quasi vicini al Tėuri: da lì dovremmo tirare dritto e arriveremmo all'uscita di Ellèsmera, dove ci sono gli Emarginati.-
Lui annuì.
-Io vi rallenterei. Dovete andare: appena saró in grado di camminare partiró anche io.- affermó Dorien.
-Non se ne parla!- esclamó Ambrea.
-Non ti abbiamo curato per poi lasciarti ancora una volta.- borbottó.
-Avete ragione entrambi...se solo avessimo i Draghi...- disse Krashta.
-Io direi di prendere il sentiero dritto: è il più sicuro, e il più veloce secondo me.- propose Faelis.
Tutti gli altri annuirono.
-Perfetto: aspetteremo ancora due giorni, per vedere come va la tua gamba. Poi peró dovremmo partire in qualunque caso: non c'è tempo da perdere.-
________________________________________


Era pomeriggio inoltrato: i quattro camminavano velocemente verso Est.
Ambrea aveva già spiegato, con il consenso di Dorien, tutta la faccenda dell'uovo di Drago a Krashta e Faelis.
Pur rimanendo molto impressionati, promisero di cercare i briganti e recuperare la borsa.
Krashta e Ambrea in testa, Faelis nel mezzo e Dorien per ultimo: egli aveva ancora problemi alla gamba, ma non si era lasciato sfuggire nemmeno un lamento.
Ambrea si bloccó, imitata da Faelis.
-Che cosa succede?- chiese allarmato Krashta.
L'elfa si chinó e posó un orecchio a terra.
-Sono una quindicina, ma alcuni di loro sono feriti: stanno venendo verso di noi.- annunció Ambrea rivolta per lo più a Faelis, quasi per chiedere conferma.
Lui annuì.
Dorien guardava colpito i due elfi: lui non sentiva nulla, e nemmeno l'Urgali percepiva niente, ma aveva sentito parlare molte volte dei sensi ultra sviluppati degli elfi, e quindi non se ne stupì più di tanto.
-Chi?- chiese.
-Non capisco...parlano poco. - ammise Faelis.
-Ma da dove arrivano?- domandó Krashta.
-Non lo so! Non Riesco a capire! E se la smettesti di battere quel dannato piede per terra te ne sarei grata.- sbottó Ambrea all'Urgali.
Lui si guardó i piedi e poi con un grugnito stette fermo.
-C'è troppo rumore: sotto terra, se non ricordo male, scorre il Ranr. Mi confonde.- sospiró la ragazza.
-Ambrea dove andavano le piste di sangue dei briganti, quando mi avete trovato?- chiese Dorien cupo.
L'elfa cercó di ricordare.
-A Sud..sud-ovest.- disse lei.
-Allora non ci precedono: ci sono dietro.-
________________________________________

-Tu dici che..che sono briganti?- 
-Ne sono certo.- rispose Dorien.
-Non possiamo affrontarli: siamo solo quattro.- disse Krashta.
-Tre.- precisó Faelis scoccando un'occhiata a Dorien.
-Combatteró al meglio delle mie capacità lo stesso.- si difese lui.
-Non so quanto potrai esserci utile.- disse Ambrea, a malincuore.
-Potremmo sempre non combattere, nasconderci, e lasciare che ci precedano.
Prima o poi dovranno fermarsi.- propose sempre lei.
-Sì, e magari trovarceli accanto quando ci riposeremo: preferirei una Snalglì come vicina di casa piuttosto.- sbottó Krashta.
-E allora li aspetteremo: tanto alcuni di loro sono feriti.-
-Cinque sono feriti ad un arto inferiore: sento la camminata irregolare. Potrebbero essercene altri feriti ad un braccio, o ad una mano.- disse Ambrea.
-Abbiamo buone possibilità: possediamo le nostre armi e..- 
L'elfa scoccó una occhiata a Dorien, e poi gli lanció il suo pugnale, il quale il ragazzo afferró agilmente al volo.
-Grazie.- mormoró.
-Saliamo su questi alberi: lasciamoli passarci davanti, e poi li attaccheremo da dietro, più avanti.- propose l'elfa.
-Qualunque cosa, ma l'uovo va recuperato.- disse Dorien.
-L'uovo va recuperato.- ripete' Faelis.
________________________________________

La banda dei briganti arrivó, come previsto, dopo qualche decina di minuti.
Erano vestiti di abiti luridi, sbrandellati, i visi sporchi e sudici mentre le lame erano affilate e lucide come argento.
Due della comitiva erano donne, mentre il resto era composto da soli uomini.
-Erano questi questi che ti hanno attaccato?- chiese Faelis all'umano.
Lui fece un cenno di assenso, rabbioso in viso.
Una donna, la più robusta e alta, aveva al fianco il pugnale di Dorien, e la sua borsa attaccata al collo.
-Le mie cose!- mormoró Dorien.
-Shh!- gli fece Ambrea.
-Adesso ci supereranno, noi scenderemo e li attaccheranno: come da piano.- sussurró lei.
-Finch, non riusciamo più a proseguire. Fermiamoci qui.- disse uno del gruppo, un uomo minuto e storto.
-Nemmeno per sogno! Potrebbero attaccarci in qualunque momento.- rispose l'uomo che doveva essere Finch, un essere enorme e tarchiato, dalla testa rasata.
-Nart ha ragione! Noi siamo stanchi e poi non abbiamo incontrato nessuno nella via. Non ci attaccheranno di sicuro.- disse una delle due donne.
Finch rimase immobile, e poi cominció a buttare tutti i loro zaini e provviste sul terreno, esattamente sotto l'albero su cui si erano sistemati i quattro ragazzi.
Dorien guardó con occhi spalancati Ambrea: e adesso?
Lei scosse il capo, con la stessa espressione.
-Aspettiamo che si addormentino,prendiamo la roba e ce la filiamo.- sussurró ad un volume minimo Faelis.
Gli altri, pur sapendo che era un piani rischiosissimo, annuirono.
-Nanga cosa ti porti dietro quella stupida bisaccia? Non vedi che è vuota?- gridó qualcuno alla donna che possedeva la preziosa borsa, ignara di ció che c'era al suo interno.
-Non vedi tutti i ricami? Potremmo venderla. Ed è comunque una borsa in più per nascondere le nostre cose.- replicó, con aria imbambolata la donna.
-Mmm..- rispose la voce.
Poi, piano piano, tutti e quindici si addormentarono: senza far rumore, scesero dall'albero prima Faelis e Krashta e poi Ambrea, aiutando Dorien.
L'elfa si mise l'indice alle labbra.
-Riecipi Rëisa- mormoró.
Sotto gli guardi stupefatti dei compagni, la borsa si staccó magicamente dal collo della donna.
-Ti prego, ti prego, fa che non si svegli, fa che non si svegli..- continuava a ripetere Faelis.
Con un ultimo movimento, la borsa andó in mano all'elfa, senza aver svegliato nessuno: le espressioni stupefatte e gioiose dei ragazzi erano quasi comiche.
Ambrea decise di parlare mentalmente ai suoi amici, contemporaneamente.
-Andate, soprattutto tu Dorien: se si dovessero svegliare mentre recupero il coltello, saresti molto più lento degli altri.-
Lui cercó di protestare, di convincere Ambrea del contrario,  ma era evidente che l'elfa aveva ragione.
-Recupera il pugnale ma ti prego, torna più veloce che puoi.- le disse serio.
Lei annuì.
-Non preoccuparti. So badare a me stessa.- 
Lui le rivolse un ultimo sguardo, e si dileguó con gli altri due.
Ambrea rimasta sola, chiamó a se' il coltello: esso sgusció fuori dal fodero a velocità e silenzio impressionanti.
Stava quasi per andarsene, quando vide le immense provviste di cibo: sarebbero stati loro così utili...un pasto decente dopo mesi di radici e frutta che, per quanto buona, non era come tutto il ben di Dio che c'era.
Piano, si avvicinó alla rete e con il pugnale, cominció a tagliare le funi che tenevano legato il cibo: riuscì a prendere un paio di fette di pane di noci, un po' di burro.
Si ritrovó a correre a perdifiato lontano dai briganti, le sembrava un posto cupo e cattivo: sentiva la loro aurea di buio espandersi attorno a lei.
Chiamó mentalmente i compagni, e quando li trovó si fermarono a riposare per una notte.
La meta era vicina. Un giorno e sarebbero arrivati.
________________________________________

-Oh Cielo.- mormoró Ambrea, che precedeva tutti sulla collinetta erbosa dove erano arrivati.
-Cosa c'è?- si agitó Faelis raggiungendola.
Poi quando vide si bloccó.
-Oh.- fece.
Sotto di loro, si estendava un' infinità di elfi, intenta a procurarsi cibo, tenersi in forma, oppure solamente a parlare.
Avevano eretto piccole capannine di legno morbido, probabilmente cantate dagli alberi.
-Li abbiamo trovati! Sono loro!- gridó lui.
-Sì, sono gli Emarginati.- sospiró sorridedo Ambrea.
-Scendiamo.- grugnì Krashta.
I quattro discesero velocemente dalla collinetta, e corsero fino all'accampamento.
Gli elfi, sentendoli arrivare già da lontano, si bloccarono, e si girarono tutti verso di loro.
Ancora da molto lontano, più di un centinaio di metri, un elfo parló.
-Altolà: chi siete?- domandó un elfo alto e scuro, che i Cavalieri riconobbero come Bloodgharm, uno dei compagni di Eragon nell'oltre-oceano, alzando la spada.
Nonostante la vista acuta, a quella distanza era difficile riconoscere delle persone, e viste le condizioni di quegli elfi, Ambrea non si stupì di vederli provati.
-Siamo i Cavalieri Ambrea, Faelis e Krashta: portiamo con noi un umano.- rispose da lontano Ambrea.
Ci fu silenzio: poi tutti gli elfi si incamminarono verso di loro.
I ragazzi stettero immobili.
Quando si avvicinarono, i ragazzi si accorsero che non erano più gli elfi di un tempo, quelli che vivevano felici nella florida Ellésmera.
Questi, avevano i volto scavati, le mani ossute, gli occhi vuoti: la mancanza di cibo e di acqua li aveva prosciugati.
-Kvetha fricäya.
Imploriamo il vostro perdono, Shur'tugals: non vi avevamo riconosciuti.- si scusó Bloodgharm.
-Atra du evarínya ono varda.- risposero in coro i ragazzi e, con molta sorpresa di tutti, anche Dorien.
-Dove sono i vostri Draghi? Speravamo non veniste catturati, e così è stato.-
-Purtroppo, i Draghi sono stati fatti prigionieri, assieme a tutto il resto della popolazione.- disse a voce bassissima Faelis.
-Compresi Eragon ed Arya.- finì sussurrando Krashta.
Dalla folla si levó un mormorio di sorpresa e terrore.
Bloodgharm sembrava turbato.
-Le nostre speranze sono state vane, popolo di Ellésmera. Ma non turbiamoci: tre Cavalieri sono qui pronti ad aiutarci. Kausta.- 
Venite.
I ragazzi seguirono l'elfo, che era quindi diventato il capo degli Emarginati, fino al centro del pianoro.
Tutti si sedettero, e così fecero i Cavalieri e Dorien, posizionati al centro.
-La Barriera non è stata scalfita in alcun modo, nonostante i nostri incessanti sforzi.- disse il capo.
-Noi non sappiamo come poterla penetrare, o almeno solamente aggirare: sembra indistruttibile. - mormoró Dorien.
-Stiamo radunando quanti più libri possediamo per cercare di trovare una situazione simile nel passato: ci dovrà essere un modo per distruggerla. Neppure i nostri pensatori più grandi qui riuniti sono riusciti a dirci qualcosa ma...-
-Ci sono! Ci sono! - urló una voce.
I ragazzi si girarono verso l'origine di quel suono, e videro un'elfa uscire da una tenda posta sul fondo dell'accampamento, l'unica tenda presente: probabilmente quella contenente i libri.
-Darinda, cosa succede?- domandò turbato Bloodgharm, mentre la donna si avvicinava correndo con un libro in mano.
-So come aggirare la barriera! Ho svolto il compito da te assegnatomi, sui libri, e l'ho trovato!-
-Parla.- disse un elfo dal fondo.
-Serve una Bolrnian: una sfera di luce.-
________________________________________







Angolo:
Bene, sono sicura che il finale sia un po' misterioso, ma vedrete che nel prossimo capitolo (che dovrebbe davvero arrivare presto) capirete meglio.
Secondo voi cosa potrebbe essere? Lascio a voi i commenti.
Intanto vi lascio un bacio, e prometto che il prossimo capitolo verrà postato presto presto.
Kveykva. 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Gelosia ***


-Ripetimelo di nuovo Darinda.- disse assorto Bloodgharm.
Nell'accampamento era sceso un silenzio di tomba.
-Già nel passato era stata eretta una barriera del genere: tempi lontani, luoghi ancor più lontani, che non rientrano neppure nei territori di Alagaesia. Questo libro, il Victimus, racconta proprio questo, dalle parole di un cantastorie che ha viaggiato tanto lontano, quanto a lungo.-
-È un libro di storie, di favole per bambini! Come potrebbe mai, una cosa del genere, aiutarci? - obiettò qualcuno dal fondo. 
-Ascolta, Lêdręïa, prima di parlare: è l'unica opzione che ho trovato, l'unica che potrebbe essere vera.-
-Ma è una favola!- disse ancora Lêdręïa-
Stavolta Darinda non rispose, la fulminó con uno sguardo e riprese a parlare.
-Questa è la storia:
-In un tempo lontano, e in un luogo lontano, il popolo dei Piumi fu sconvolto dall'arrivo della tribù Zurugu.
I territori delle due popolazioni erano vicine: i Piumi, esseri pacifici e contro la guerra, avevano sempre dovuto arginare i bellicosi e sempre pronti a dar battaglia, Zurugu.
Il Re dei Piumi fu rapito dalla tribù nemica: come obiettivo, essi volevano invadere ed ottenere tutto il territorio dei Piumi.
Il re, e la sua popolazione, non opposero resistenza: non volevano la guerra, e non sapevano nemmeno come farla.
Il re fu portato appena fuori il territorio dei Piumi, e attorno a lui fu eretta una barriera come mai nella storia.
Era fisicamente e mentalmente impossibile da varcare, era completa e solidissima.
Chi usciva da quel territorio non poteva più entrarci, e viceversa.-
-Sembra proprio la nostra muraglia!- bisbiglió Faelis a Krashta, il quale annuì.
-Il grande mago dei Piumi, fu incaricato dalla popolazione, disperata per la perdita, di  costruire un oggetto magico in potere di varcare la barriera.
Lo stregone, se pur esperto e infallibile, stentava a trovare una soluzione quando un giorno...gli venne l'ispirazione.
Decise di costruire una sfera, un globo di cristallo, contenente la luce.-
-Cosa vorrebbe dire 'contenente la luce'?- domandó Faelis.
Krashta gli diede una gomitata per farlo stare zitto. Darinda riprese.
-La sua idea era di concentrare in quel globo, grande quanto una mano, un'immensa quantità di luce.
Cos'era la magia senza energia? Cos'era l'energia senza calore? E il calore non poteva forse essere tratto dalla luce?
Grazie ad essa, il mago pensava che avrebbe potuto trasportare in qualunque posto la popolazione dei Piumi, oltre la barriera, per reclamare il re.
Sulla sfera impresse con la magia, una mappa del territorio, in un disegno di cristallo opacizzato.
Funzionava così: se si toccava con precisione il punto in cui si voleva arrivare e si pronunciava 'trasferiemen' grazie alla stratosferica quantità di luce, si veniva trasportati.
Grazie ad esso, i Piumi riuscirono a penetrare la barriera e a salvare il loro re.- 
Darinda tacque.
-Be' che aspettiamo? Andiamo a prenderlo!- esclamó sempre Faelis, beccandosi un'altra gomitata di Krashta.
-Ehii, ma che ho det...-
-La faccenda è che la Bolrnian, se mai sia esistita, è andata persa! E comunque i territori impressi su di essa non sono quelli di Alagaesia, quindi sarebbe inutile.- disse Bloodgharm.
-Sì, ma se ne costruissimo una?- disse Dorien.
-Sei pazzo? Chissà quanto c'è voluto per immagazzinare tutta quella luce!- gli disse Ambrea.
Lui scosse la testa.
-Ti dimentichi per caso in che giorni siamo?- riprese lui.
-Fra quattro giorni, se i miei calcoli sono esatti, ci sarà l'ImporiumLus. Il giorno della luce.- 
Ambrea non aveva capito un accidenti, e dalle facce, nemmeno Krashta e Faelis.
Ma Bloodgharm e gli elfi sì.
-Ma certo...il ragazzo ha una mente molto brillante!- esclamó.
-Sisi, penso che si potrebbe fare anche se dovremmo costruire in poco tempo la sfera, ed inciderci sopra qualcosa prenderà ancora più tempo.-
-Ehm...- disse Faelis.
-ti dimentichi che siamo elfi? Potremmo riuscirci in un giorno!- le rispose Lêdręïa.
-Insomma: ci ho capito meno di Krashta quando si tratta di fare un discorso con più di tre parole!- sbottó Faelis.
Dorien ridacchió.
L'espressione di Darinda si rilassó in un sorriso.
-L'ImporiumLus capita una volta ogni duemila anni: la luce del sole sarà amplificata in modo incredibile solo per dieci secondi, poi più nulla.
Strano, che il tuo amico la conosca: sono solo gli elfi, solitamente, ad esserne informati.- concluse sospettosa.
Dorien alzó le spalle.
-Fa parte della mia istruzione.- 
-Mi domando chi sia il tuo insegnante.- borbottó contrariato Bloodgharm.
-Oh, si chiama Angela. Angela l'erborista, per molti.- rispose tranquillo, quasi aspettandosi la reazione degli elfi.
Tutto l'accampamento fece silenzio, e infine il capo rispose.
-La Venerabile..- sospiró.
-Sei fortunato, o sfortunato, ad averla come insegnante.- disse.
Dorien non replicó: sapeva che non sarebbe stato saggio.
-Comunque, se noi riuscissimo a porre la sfera nell'esatto punto in cui la luce colpisce avremo immagazzinato abbastanza energia.-
-Dobbiamo solamente costruirlo.- sospiró Ambrea.
-Lêdręïa: tu sei un'orafa. Do'a te, e a chiunque tu sceglierai come assistente, il compito di costruire la sfera. Poi io provvederó al disegno della mappa.- 
-Allora, chi scegli come tuo assistente? Comincerete il lavoro dopo il pranzo. -
 Lêdręïa si era alzata in piedi, pronta a lavorare.
Vista meglio, era un' elfa pazzescamente bella: era sensuale e accattivante.
Gli occhi così carichi, di un verde intensissimo, i capelli neri come la pece, che le svolazzavano attorno.
Guardandola meglio, Ambrea si accorse che aveva più o meno la sua stessa età, sui sedici o forse diciassette anni, ma come lei aveva già raggiunto la forma fisica elfica definitiva.
-Ehm...- disse suadente - sì, scelgo il ragazzo.- 
E non c'era dubbio: 'il ragazzo' era Dorien.
________________________________________

-Tu non ci vai con quella.- borbottó Ambrea a Dorien, quando si trovavano in un punto lontano dall'accampamento, in "pausa pranzo" .
-E perchè no? È solo per darle una mano!- ridacchió lui.
-Lei è..è cattiva si, ed è anche maleducata. Ti farà fare il lavoro sporco mentre lei si fa le unghie!- borbottó lei.
-Non è che sei..gelosa?- sorrise lui.
-Coooosa?- ammiccó lei. 
-Neanche per sogno, lo dico per te..se vuoi sgobbare tutto il giorno- 
-E poi perchè ha scelto te? Insomma, non è che sei un fabbro...-
-Sì, ma ho studiato la tecnica quindi potrei essere d'aiuto. Eddai Ambrea!- rise lui.
L'elfa tenne il broncio, anche se con un'ombra di sorriso.
-Hai deciso con Bloodgharm quando comincerete la schiusa?-
-Domani. Raduneremo tutti i bambini verso le tre, e si procederà.- rispose lui.
-Di certo un Cavaliere in più non farebbe male.- 
-Già.- 
-Dai, salta su: vediamo come "combatti".- gli disse lei.
-Cos'è..- cominció lui facendo un salto e alzandosi, - pensi che non sia alla tua altezza?- 
Impugnarono le armi entrambi e fecero un incantesimo che rendesse smussate le lame.
-Fatti sotto.- 
Dorien partì in anticipo, senza preavviso:  colpì di taglio il ginocchio di Ambrea.
-Sopresa?- le chiese beffardo.
In effetti, era stata colta di sorpresa: nonostante si fosse ripreso dalla ferita, Dorien avrebbe comunque potuto essere più lento del solito.
Si fronteggiarono pochi attimi: i piedi di Ambrea decisero per lei, e lo stesso accadde per quelli di Dorien visto che in pochi attimi si ritrovarono a combattere ferocemente.
I colpi dell'umano erano netti e precisi, mai una mossa che non portasse a qualcosa di concreto, tanto che l'elfa si domandó come facesse a combattere cosi bene.
Eppure lei era un Cavaliere dei Draghi, avrebbe dovuto essergli superiore.
Poi peró si ricordó che essendo lontana dal suo Drago, essendo anche di qualche anno più piccola del ragazzo non era cosi strano che lui fosse al suo stesso livello.
Parecchie volte si distrasse dal combattimento guardando il viso di Dorien: sembrava davvero impossibile che fosse solamente umano, perchè era bello come pochi.
I capelli gli si paravano sempre davanti agli occhi, quei capelli ricci scarmigliati, nerissimi.
Non si stupiva affatto che Lêdręïa lo avesse scelto: affascinante, intelligente, pratico.
Un'altra cosa che amava era che quando combattevano lui non le faceva sconti: il ragazzo dava sempre il cento per cento, e se c'era da stoccare, stoccava senza paura.
Ci fu un attimo di pausa.
Girarono in tondo per dieci secondi e poi Ambrea partì: con una finta alla spalla confuse Dorien, e facendo una piroetta gli tolse l'arma di mano.
L'altro fece un'espressione sorpresa.
-Va bene, va bene, imparato la lezione: mai fare arrabbiare un Cavaliere dei Draghi.- rise lui.
-Già, forse hai ragione.- rise Ambrea.
________________________________________

-Ce la stanno facendo Eragon. Ne sono sicura.- 
La voce di Arya rimbombó nella cella umida e solitaria. 
-Non è possibile che dobbiamo stare rinchiusi qui quando saremmo già potuti uscire!- sibiló lui a voce bassa.
- È necessario. Se avessimo buttato giù la cella e fossimo evasi, la nostra strada sarebbe comunque pieni di Guardie e sai che non c'è modo di uscire dalla Grande Barriera. Sarebbe tutto inutile.- sussurró lei.
-Arya io non riesco a starmene fermo quando so che potremmo aiutare tutto il Paese. Pensa: se i ragazzi hanno raggiunto gli Emarginati, cosa probabile, avranno già organizzato un modo per entrare e..-
-Non esiste un modo per entrare!- esclamó lei a voce troppo alta.
-Ehi, voi due! Volete fare silenzio o devo chiamare il Re?- ghignó ridendo la Guardia fuori dalla cella.
-L'unico sovrano che conosco è seduto in parte a me!- sibiló maligno Eragon.
La Guardia rise.
- E tu la chiami Regina una zoticona rinchiusa in una segreta? Ma fammi il piacere..- e detto questo se ne andó, sempre ridendo.
Eragon tornó a rivolgersi ad Arya.
-Ti prego Arya. Lo sai che se stessero trovando un modo per entrare, un diversivo non farebbe loro che piacere.-
Lei sembró pensarci su.
-Ci ho ragionato molto, Eragon: anche se noi facessimo da diversivo, come potremmo mai  indovinare il giorno in cui i ragazzi colpiranno? Potrebbe essere domani o fra un mese!- 
-Lo so, lo so. Anche io mi sono fermato su questo punto. Bisogna solo sperare che in qualche modo si mostrino o si mettano in contatto con noi. 
- Non ci riusciranno mai.- mormoró lei.
- Dobbiamo sperare.- 
________________________________________

-Quindi...ti chiami Dorien, non è così?- chiese con un sorrisetto Lêdręïa, attorcigliandosi una ciocca di capelli intorno ad un dito.
Dorien la guardo per un attimo e un po' impacciato rispose:
-Io ehm..mm, si.- intanto che sistemava gli attrezzi nella fucina a loro due assegnata.
I Cavalieri erano andati con Bloodgharm.
-Capisco. Be', non ho mai visto un umano così...COSÌ. - sorrise lei, mostrando tutti i denti perfetti.
Dorien un po' spazientito disse:
-Non è meglio che ci mettiamo al lavoro Lêdręïa?- 
E subito cominció a levigare il cristallo che aveva lì posizionato.
-Va bene, va bene..scusa.- disse con un finto broncio l'elfa.
Lui non rispose e continuó a levigare.
Nonostante Lêdręïa non gli andasse troppo a genio, Dorien riconosceva il talento innaturale dell'elfa, e non si stupì del perchè Bloodgharm l'avesse scelta.
Era velocissima e attentissima a tutti i particolari, agile e scattante, tanto che parecchie volte Dorien si trovó indietro rispetto a lei.
-Ti serve per caso una..pausa?- chiese lei suadente avvicinandosi a Dorien, e posandogli una mano sulla spalla destra.
-Sì, ehm forse è meglio.- ci pensó su lui, imbarazzato dal comportamento dell'elfa.
E meno male che solitamente era lui a mettere a disagio gli altri!
L'elfa si avvicinó ancora di più.
-Un quarto d'ora spero sia abbastanza, no?- chiese ad un centimetro dalla bocca del ragazzo.
Lui stava per staccarsi quando una voce allegra e familiare arrivó da dietro.
-Dorien..dove sei? C'è la pausa, ma..-
Ambrea si bloccó alla vista dei due avvinghiati così. 
Dorien si staccó e cominció a balbettare.
Lei rimase impassibile.
-Almeno risparmiami la bugia Dorien. Per favore.- disse con voce tombale Ambrea, e con gli occhi pieni di lacrime se ne andó.
________________________________________







Angolo:
Beeene, insomma che finale! 
Che ne pensate di Lêdręïa? Direi che è interessante quando fastidiosa...
Ditemi le vostre opinioni!
Spero che abbiate capito qualcosa di più sulla Bolrnian.
Be', aspetto i commenti.
Bacio,
Kveykva. 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Sorprese ***


Pov. Ambrea.


-Ah...pensi che con questo sarai perdonato eh?- risi , tenendomi stretta tra le braccia di Dorien.
-Mi hai scoperto..- sorrise a sua volta lui.
Mi concessi una risata,  spensierata: da quando Dorien era entrato nella mia vita tutto era cambiato. In meglio.
-Devi consegnare la cartina a Lêdręïa: deve disegnarla sulla bolrnian.- dissi aspra.
Lui sospiró, altrettanto contrariato.
-Lo so, lo so. Ei, ma se tu venissi con me?- esclamó.
-Io? Ma...uhm, ok va bene. Almeno girerà alla larga.- conclusi amara.
Ci incamminammo entrambi, e la faccia di 
Lêdręïa appena ci vide me la sarei stampata come poster e appesa in camera.
-Che-ci- fa-lei-qui?- chiese facendo un'espressione tragica ad ogni parola.
Non potei evitare di scoppiare a ridere: e questa cosa voleva fare? Ma perfavore!
-Tu 'carina', disegna la cavolo di cartina sulla sfera oppure...-
-Oppure stiamo tutti tranquilli, eh?- intervenne Dorien col sorriso forzato di chi cerca di salvare una situazione.
-Avanti Lêdręïa, diamoci da fare. Ambrea non infastidirà.- disse lui avvicinandosi a lei e porgendole la cartina.
-Questo lo dici tu, tesoro.-
Strabuzzai gli occhi.
-Tesoro?- dissi incredula.
Dorien si giró e mi scoccó un'occhiataccia: 
e va bene, mi sarei contenuta.
I due si misero al lavoro, ed effettivamente ammisi che veloci come Lêdręïa ne avevo visti pochi. Ma non le avrei mai dato la soddisfazione di dirlo.
Dopo un po' di lavoro, mentre calava la sera, Dorien si tolse una mascherina che aveva usato come protezione per gli occhi, e alzó la bolrnian.
-Finito.- disse soddisfatto.
La sfera era completa: forma e dimensioni perfette, e la cartina impressa sopra era stupenda.
La Du Weldenvarden era stampata con cristallo opaco, e risaltava benissimo sullo sfondo trasparente del globo.
-Bene, diamola a Bloodgharm.- dissi decisa.
-Vado io.- mi sorrise asprissima Lêdręïa, prese dalla mano di Dorien la bolrian e si incamminó, ondeggiando i lunghi capelli.
Io rimasi a bocca aperta fissandola.
-Ma fa sul serio? No, perchè ne ho viste poche deficienti come lei.-
-Io ne vedo un'altra.- mi disse Dorien
-Dove?-
-Davanti a me.-
-Grazie.-
-Scherzavo.-
-Lo so.- 
Ridemmo entrambi e ci incamminammo da Bloodgharm.
________________________________________


Pov. Krashta


Dorien e Ambrea arrivarono da me, Faelis e Bloodgharm abbracciati.
Cos'è, era il giorno "Vogliamoci Tutti Tanto Bene e Teniamoci Per Mano"?
Ma chi li capisce gli umani: peggio gli elfi.
E poi Dorien e Ambrea non avevano litigato? 
Bah, meglio così non avrei dovuto sorbirmi tutte le sfuriate di Ambrea su quanto fosse stupido, vigliacco, traditore, cretino, rimbambito Dorien. Meglio, mooolto meglio.
Vidi Faelis accantó a me diventare fucsia, blu, giallognolo e poi raggiungere una delicata sfumatura di verde acido. Insomma come quelli che stanno per vomitare dal maldimare.
-Ti dona il verde, sai?- gli dissi.
Non mi sentì neanche: era troppo impegnato a guardare le mani intrecciate di Ambrea e Dorien.
A me Dorien stava simpatico, era un tipo a posto. Anche secondo Faelis era okay, ma mi era sembrato un 'molto okay' quando lui e Ambrea avevano litigato.
Geloso? Probabile.
Davanti a loro c'era Lêdręïa: aveva in mano la sfera rifinita e completa.
-Ecco signore, io e Dorien abbiamo ultimato la commissione.- disse porgendo la bolrnian a Bloodgharm.
Lui osservó a lungo il globo, lo scrutó a fondo e poi annuì soddisfatto.
-Benissimo.- disse.
-Faelis...- disse con voce noncurante mentre si rigirava la sfera tra le mani -spiega cosa abbiamo scoperto questa mattina.-
Faelis si sorprese un po': strinse forti i pugni, tanto che gli si sbiancarono le nocche, e cominció a parlare.
-Abbiamo scoperto il punto in cui arriverà la luce.-
-Fantastico! - esclamó Dorien.
Faelis fece una smorfia.
-Si si, meraviglioso: il problema è che è sulla collina, nel punto più alto. Da lì saremmo facilmente visibili dai nemici e...-
-Quali nemici scusa? L'RN è dentro i confini.- si stupì Ambrea.
-Non per forza la RN. Non sono gli unici a volerci morti.- rispose lui.
-Secondo me- cominciai -basterà innalzare una barriera protettiva fuorviante. Come quella utilizzata nel nostro rifugio di Ellésmera.- 
Gli altri si trovarono d'accordo.
-Va bene, va bene - incominció Bloodgharm - l'ImporiumLus si terrà domani esattamente alle undici, quindici minuti e tre secondi di mattina. Voglio tutti qui un'ora prima. Buonanotte.- e se ne andó.
Non è che non mi piacesse Bloosgharm, era un buon capo, ma quando se ne andava così di punto in bianco avrei voluto ammazzarlo.
Peró mi fece notare una cosa: era già notte. Avevamo lavorato così tanto e tutto il giorno che le ore erano volate.
-Be' io me ne vado a dormire.- dissi stiracchiandomi con un grande sbadiglio.
Un materasso e una bella dormita era quello che ci voleva. 
-Già.- disse forzato Faelis, rivolse uno sguardo di fuoco a Dorien e se ne andó.
-Che ho fatto?- chiese lui, sinceramente dispiaciuto.
-Ah, lascialo perdere: le sue scenate. Buonanotte.- gli dissi, salutandolo con una pacca sulla spalla.
-Notte.- dissero lui e Ambrea in coro.
Mi incamminai verso la mia tenda: ad un certo punti mi ricordai che Bloodgharm mi aveva detto di portare l'uovo al sicuro, visto che era rimasi nell'accampamento dalla schiusa.
-Ei!- gli feci.
Lui si giró.
-Dovevo portare l'uovo nella tenda-dispensa: puoi pensarci tu visto che è proprio in parte a te?-
- Nessun problema!- gridó di rimando.
Perfetto. Ora solo letto. Finalmente.
________________________________________

Pov. Dorien

Io e Ambrea ci stavamo incamminando verso l'uovo per portarlo nella mia tenda, poi lei avrebbe raggiunto Krashta e Faelis.
-Mi è sembrato un tantiiino fuori di se'.- mi disse.
-Chi?-
-Faelis.-
-Ah. Già. - risposi.
In effetti l'avevo visto un po' sconvolto, ma non avrei saputo dire il perchè.
Alla fine lui e Ambrea erano solo buoni amici: o almeno, lo speravo.
Non ci tenevo ad avere un Cavaliere dei Draghi contro: mi bastava Ambrea con le sue sfuriate.
Vidi l'uovo nello stesso punto di quel pomeriggio, alla schiusa.
Lo presi, e ammisi che era davvero pesante: grazie al cielo Nasuada aveva imposto l'incantesimo che annullava il peso mentre dovevo trasportarlo.
-Peccato che non si sia schiuso per nessuno oggi.- dissi.
Lei annuì, seria.
-Già: potrebbe essere uno di quelle uova che non si schiuderanno mai. Sai, sarebbe un vero peccato. Un Cavaliere adesso...sarebbe perfetto.- 
In effetti ci avrebbe fatto comodo. 
-Ah, Dorien io pensavo che...-
Crack.
Silenzio.
-Cos'è stato?- chiese
-Non lo so.- 
-Magari era qualcosa nel bosco.- si disse.
Crack.
-Ambrea forse dovremmo controllare.- dissi un po' in preda al panico.
Lei era sbiancata, e scuoteva la testa.
-No.- mormorava.
-Cosa c'è? Ei, Ambrea?- 
Lei mi fissó, e rimasi impressionato da cosa vidi nei suoi occhi: sorpresa, incredulità assoluta.
-Non viene dal bosco. Viene da lì.- indicó ció che tenevo in mano.
Quando abbassai lo sguardo, vidi un altro paio di occhi fissarmi e capii che non sarei stato più lo stesso da allora.
________________________________________





Angolo:
Questa volta ho voluto fare qualcosa di totalmente diverso: invece della terza, ho usato la prima persona nella narrazione.
L'ho usata perchè volevo far capire perfettamente il pensiero dei diversi personaggi, e mi sono divertita troppo a scrivere quello di Krashta, perchè ha un modo di pensare tutto suo.
Comunque, quante cose sono successe?
Allora, innanzitutto la sfera è pronta, e poi..magia!
Dorien Cavaliere?
Chi se lo aspettava? 
Ho cercato di postare presto, ma il prossimo capitolo sarà abbastanza lungo quindi arriverà tardino. Pietà.
Un bacione,
Kveykva.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Un nuovo amore ***


-La bolrnian è quasi pronta, Bloodgharm. 
La sfera è terminata, manca solo il disegno della Du WeldenVarden sopra, opaco.- disse Lêdręïa.
-Benissimo: puoi occuparti tu di questo? - le chiese lui.
-Ehm..signore, avrei bisogno di un aiutante. Sa dov'è finito Dorien? È da tutta mattina che lo cerco ma non riesco a trovarlo.- disse lei con voce suadente, battendo le ciglia.
-Ho incaricato personalmente il ragazzo di fabbricare una cartina della foresta, comprese tutte le città elfiche. Finirà il lavoro a mezzogiorno.- le rispose.
-Capisco...be' vuol dire che lo aspetteró.- sorrise lei, mostrando (come faceva sempre) una chiostra splendente di denti bianchissimi e perfetti.
-Va bene. Intanto raduna i bambini: la schiusa avverrà tra dieci minuti.- 
-Certo signore.- disse lei, e si giró andando a cercare i piccoli elfi che, in tutto, erano circa una quindicina.
-Ah, mi raccomando: la sfera deve, e ripeto 'deve', essere pronta entro stasera: domani ci sarà L'ImporiumLus e noi stiamo già lavorando per cercare il punto esatto in cui colpirà la luce. 
La bolrnian dovrà essere terminata assolutamente.-
Lêdręïa si fermó contrariata: non si fidava di lei? Lei, così abile nella sua arte? 
-Ma certamente.- sorrise, mettendoci un pizzico di malvagità.

________________________________________


L'uovo era al centro dell'accampamento: i bambini erano davanti ad esso in fila indiana, mentre tutti gli elfi formavano un cerchio attorno ad essi.
Erano presenti anche i Cavalieri: Ambrea sempre a distanza da Dorien, il quale doveva sopportare la presenza di Lêdręïa, che da quando lo aveva trovato non lo mollava più e la cosa non faceva di certo rabbonire Ambrea.
-Ilęnia.- pronunció ad alta voce Bloodgharm, leggendo da un foglio di pergamena spiegazzato.
La prima bambina della fila si fece avanti, testa alta e sguardo fiero e si avvicinó piano.
L'uovo, stavolta, era di un blu scurissimo, venato di grigio e di nero, ed era piuttosto grande.
Ilęnia poggió la piccola manina sull'uovo, aspettó qualche secondo, eppure non cambió nulla.
Facendo un piccolo inchino se ne andó.
Piano, la fila dei bambini si ridusse e con essa, anche la speranza di tutti: un Cavaliere, per giunta elfo, sarebbe stato utilissimo.
-Erīene.- sospiró Bloodgharm, chiamando stancamente l'ultimo maschio.
Tutti trattennero il fiato quando le dita sottili del bimbo toccarono la liscia superficie dell'uovo, ma niente.
Nessun rumore, nessuna crepa. Niente.
Il Cavaliere non era stato trovato.
________________________________________



-Che bel casino...-
-Lo so, ma non è colpa mia!- esclamó Dorien.
-Ei calmati amico, non sto dicendo che hai fatto tutto tu: solo che sapendo come è fatta Ambrea...- disse Faelis con una smorfia.
-Le ci vorranno un paio di giorni per digerirla.- sospiró l'elfo.
-Ma io direi anche un paio di anni!- borbottó Krashta.
-Forse le passerebbe più in fretta se tu...- cominció Faelis.
-Non ho intenzione di scusarmi. Insomma, ha fatto tutto Lêdręïa!- sbottó il ragazzo.
-Questo l'abbiamo capito tutti.- mugugnó l'urgali.
-E inoltre ci ho già provato a parlarle...se ne andava ancor prima che riuscissi ad aprire bocca.-
-Secondo me dovresti solo andare lì e farle capire che non è stata colpa tua e...che non c'è bisogno che tu ti scusi.-
-Falle solamente capire che ci tieni.- 
-Ma è ovvio che ci tengo.- borbottó Dorien.
-Conoscendola, se ne sarà già dimenticata.- rise Faelis.
-D'accordo, io vado ma se incomincia ad urlare...-
-Dovrai sorbirtela finchè non smette.- concluse Faelis..
Dorien sembró esitare, poi, sbuffando, disse:
-Aah, e va bene!- , e si diresse verso la tenda  nord, dove sapeva che Ambrea stava studiando il Victimus.
Attraversó tutto l'accampamento, evitando accuratamente  Lêdręïa, che sembrava non volerlo lasciare più.
Raggiunse la tenda, e silenziosamente entró: Ambrea era seduta su una sedia di legno, china su un tavolo intenta a leggere e a rilegge il Victimus. 
-Puoi anche andartene se sei qui per scusarti.- disse forte l'elfa senza girarsi ne' muoversi.
-Ehm..io volevo solo..parlarti?- disse quasi come una domanda.
-Sono piuttosto occupata al momento se non l'avessi notato e inoltre...-
-Inoltre mi sono stancato di non potermi nemmeno avvicinare per parlarti! Insomma ti stai comportando come una bambina!- sbottó tutto d'un fiato Dorien.
Ambrea si giró di scatto, con gli occhi spalancati e un'espressione che lui non le aveva mai visto fare, tanto che si domandó se avesse fatto bene a urlare in quel modo.
-Io? Io sono una bambina Dorien? Io? Ah ma hai ragione, sarà sicuramente meglio quell'elfa lì...com'è che si chiamava? Ah sì, Lêdręïa!- 
-Lo sai che stai esagerando.- la riprese lui severo.
-Non sto esagerando! - diventó paonazza lei.
-Non sono venuto qua per scusarmi perchè non ho fatto proprio nulla di male, ma volevo solo parlarti Ambrea. Solamente questo.- disse con voce un po' più dolce.
-E sarebbe molto più facile- si avvicinó, parlando con voce morbida - se tu mi ascoltassi.- 
Ambrea sembró esitare, mentre il giallo dei suoi occhi si scioglieva nel grigio di quelli del ragazzo.
Poi, riprese ad urlare.
-No che non ti ascolto, perchè se tu - e battè un indice contro il petto di Dorien - mi conoscessi sapresti benissimo che queste cose mi fanno impazzire!-
-Ambrea...-
-Ambrea un bel cavolo! Quella Lêdręïa puó benissimo andare...-
Dorien si buttó in avanti e la bació.
La voce di Ambrea tacque di colpo, e lei smise di dibattersi.
Il tempo sembró fermarsi per entrambi: era da tempo che Dorien voleva farlo, ma dopo il pasticcio successo non ne aveva assolutamente avuto occasione.
Ma ora lei era lì con lui, e tutto sembrava immobile: sembrava che le voci fuori si fossero interrotte, che il vento si fosse fermato, in modo da far sentire solo il battito di due cuori vicini, che battevano allo stesso,  folle ritmo.
________________________________________







Angolo:
Aiutoooo, da quanto volevo scrivere questo capitolo?! Penso un migliaio di anni, anno più, anno meno. 
Finalmente Dorien si è deciso, e ne sono troppo contenta: non so, io amo la coppia Ambrea-Dorien.
Ditemi che ne pensate!
Bacionii,
Kveykva.






Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Il piano ***


-Certo che sei proprio un cucciolo eh...si si, ma sei bellissssimo sii!- continuava a strillare Ambrea giocando col draghetto di Dorien.
Era un maschio.
-Mi farai venire il diabete se continui così- rise Dorien.
Ambrea mise il broncio.
-Certo che sei proprio insensibile: guarda com'è cariiino.- ed era già ritornata a giocare.
-Aah, sei senza speranza.- sospiró sorridendo.
Poi si chinó accanto all'elfa, e cominció anche lui ad accarezzare il cucciolo.
-Allora, come lo chiami?- chiese lei.
-Te l'ho detto, non lo so.- 
-Avrai pure un'idea.- 
-Un paio.-
-E...?- fece lei.
-Che curiosa!- esclamó lui ridendo.
Lei gli diede un bacio sulla guancia e si alzó.
Era vestita  da guerra: stivali ai piedi, pantaloni neri, resistenti e una cotta d'argento finissima. Sulla schiena aveva la sua faretra e l'arco in mano.
 I capelli erano legati stretti in una coda altissima: ovviamente non era truccata. 
Ambrea non lo era mai, mentre molte altre elfe (vedi una certa Lêdręïa ) non ne potevano fare a meno.
Era davvero bella: splendeva anche se erano le sei di mattina, e tutti erano già in piedi per prepararsi all'ImporiumLus.
-Vado al comando: hanno bisogno di me.
-Tu vedi di muoverti, ci servi anche tu.- gli raccomandó severa, e sparì in un attimo.
Dorien sospiró, e si lasció sfuggire un sospiro.
-Perchè mi guardi così? Non so come chiamarti.- sussurró al draghetto che aveva in braccio.
Era grande come un cucciolo di cane, le squame non erano lucide, ma opache: era come vetro patinato, di un colore pazzesco.
Non era ne' blu, ne' nero, ma era un insieme dei due, i quali creavano sfumature e linee particolari.
Ma gli occhi, quegli occhi erano la parte più assurda del drago: non perchè fossero di chissa' quale forma, o colore.
O meglio, sì erano enormi e grigi.
Ma erano uguali, identici, spiaccicati a quelli di Dorien: assolutamente indistinguibili.
-Ustin?
Silenzio.
-Meque?-
Silenzio.
-Avanti! Dimmene uno che ti piace.- esclamó frustrato Dorien.
Il drago lo guardó con occhietti intelligenti, e poi entró nella mente del suo padrone, senza dire nulla.
Dorien continuó.
-Turos? Sulud? Friel? Ias?-
All'ultimo nome il cucciolo alzó il crapino.
-Ias? Ti piace?-
-Sì.- rispose con voce pastosa il drago.
Il viso di Dorien si illuminó di un sorriso raggiante.
-Va bene:  che Ias sia.-
________________________________________

-E qui ci ritroveremmo tutti assieme, almeno che non si verifichino imprevisti.- concluse Bloodgharm indicando un punto sulla cartina di Ellèsmera stesa sul tavolo al centro.
-Scusate! Sono in ritardo!- esclamó una voce maschile.
Tutti i presenti si girarono ad osservare Dorien entrare nella tenda principale.
-Scusate.- mormoró di nuovo a disagio sotto lo sguardo di tutti. 
Bloodgharm lo scrutó a lungo, senza muoversi.
-Il ritardo non è ben accetto da queste parti: nemmeno se si è un Cavaliere dei Draghi.- pronunció con voce come l'acciaio.
-Potrebbe ripetere?- 
Silenzio.
-Voi quattro Cavalieri verrete trasportati tramite la bolrnian all'entrata di Ellèsmera. Una volta lì entrerete senza farvi vedere ( tramite un incantesimo di dissolvenza) nelle prigioni e libererete Arya ed Eragon. Supponiamo che si trovino nelle segrete est.-
-Come fate a saperlo?- domandó Krashta.
-Le prigioni ovest erano in disuso da moltissimo tempo.- rispose Ambrea -Penso sia impossibile che le abbiamo riattivate.- 
-Anche perchè il numero dei prigionieri non era altissimo, visto che tutta la popolazione è stata spedita qua.- concluse Faelis.
-Giusto.- confermó Bloogharm. 
-Da lì, voi resterete a liberare tutti i prigionieri rimasti e con essi andrete da Eragon e dalla Regina.-
-E una volta lì?- chiese Dorien.
-Una volta lì eliminerete chiunque vi sbarri il passo e vi dirigerete verso il Palazzo dove è probabile che troverete Manuelì e...-
-Ehi ehi, fermi un attimo: è possibile, è probabile, se troveremo.. Questo piano ha troppi 'se'! Potremmo sbagliarci su quasi tutto!- esclamó Faelis.
-Hai un piano migliore? - domandó Krashta.
L'elfo tacque: no, non ce l'aveva, ma non gli sembrava la strada giusta da seguire.
-Lì- riprese il capo - minaccerete Manuelì fino a che non vi dirà come rimuovere la barriera e a quel punto farete entrare noi che uccideremo il resto della RN.-
-Cosa? Ma state scherzando, vero?- chiese Faelis.
Bloodgharm rimase impassibile.
-Manuelì preferirebbe morire piuttoso che dirci come abbattere la barriera! Non lo dirà mai. E poi, se anche fosse tanti stupido da dircelo, come elimineremmo la RN? Solamente con le armi?- 
-È l'unica strada possibile.- replicó serissimo
Bloodgharm.
-No che non lo è.- 
Quella voce arrivava dal fondo della tenda: una voce flebile e sottile.
La folla si diramó e Bloodgharm e i quattro Cavalieri riuscirono a scorgere Darinda, l'elfa che aveva scoperto la bolrnian.
-Cosa vorresti dire Darinda?- domandó brusco Bloodgharm.
Lei si fece piccola piccola, ancor più di quanto già non fosse.
-La quantità di luce contenuta nella bolrnian è enorme, giusto?- disse con una vocina minuscola.
-Certo, e quindi?-
-Non avevamo detto che la magia era l'energia? E l'energia non era forse luce?- 
-Non capisco dove vuoi arrivare.- ammise Bloodgharm.
L'elfa fece una piccola smorfia infastidita, e Faelis la trovó subito molto graziosa.
-Potremmo usare la luce contenuta nella bolrnian come arma!-
Ambrea non aveva ancora capito, Dorien, Faelis e Krashta men che meno ma Bloodgharm sembrava aver recepito qualcosa.
-E quindi se noi liberassimo tutta la luce d'un colpo...- cominció.
-Stermineremmo direttamente tutta la RN.- concluse lei.
-No, non si puó fare.- disse Ambrea.
-Potrebbe essere l'unica possibilità per distruggerli.- replicó Bloodgharm.
-Distruggeremmo l'intera Ellèsmera e tutte le persone presenti all'attacco.- esclamó l'elfa.
-Come puoi pensare di fare una cosa del genere?- disse scioccata.
-È l'ultima cosa che voglio ma non vedo alternative.- 
-Insomma, ti rendi conto che...-
-Ehi! Aspettate!- urló Darinda.
Tutti si girarono nuovamente verso di lei.
-Be' ehm...io pensavo che avremmo potuto portare le guardie della RN in un luogo esterno. Guidarle con un diversivo e poi attivare la sfera, in modo da non distruggere tutta la nostra città.-
-Non si sposteranno mai tutte: alcune rimarranno a fare la guardia.- obiettó Dorien.
Si dipinse un'espressione curiosa sul volto dell'elfa.
Poi sorrise e con voce sicura disse: 
-Non con sei draghi alle calcagna- 
________________________________________

Il consiglio si era aggiornato: il piano, con qualche modifica, era pronto.
Tutti erano riusciti a mettersi d'accordo: era un piano rischiosissimo perchè non si sapeva assolutamente se avesse potuto funzionare ma era la loro unica possibilità e per realizzarlo avrebbe avuto bisogno non di una, ma di due bolrnian.
-Lêdręïa voglio che tu costruisca una sfera uguale a quella che hai già realizzato: dovrai farlo in due ore.- ordinó Bloodgharm.
-Cosa? Due ore? Ma è impossibile!- obiettó scioccata l'elfa.
-No, che non lo è.- taglió corto il capo.
-Fra tre ore ci sarà l'ImporiumLus e voglio la sfera pronta. Nessuna eccezione.- aggiunse.
-Va bene.- brontoló Lêdręïa e si mise subito al lavoro.
-Dorien?- chiamó Bloodgharm.
-Sì, signore.- rispose il ragazzo, arrivando correndo.
-Mi serve un separatore della luce: dovresti costruire un'asta (di materiale super resistente)  che divida il raggio di luce e lo incanali verso le due sfere.-
-Certamente, signore.- rispose lui, e si incamminó verso la fucina.
Bloodgharm doveva trovare Darinda: l'idea che l'elfa aveva avuto era stata assolutamente eccezionale.
Non solo aveva trovato un modo per sterminare direttamente la resistenza, ma anche per abbattere la barriera. O meglio, quello era in forse. 
Bloodgharm giró tutto l'accampamento cercando di trovare Darinda e la trovó fuori dalle fucine est, a dare spiegazione a Lêdręïa.
-Muoviti Lêdręïa non abbiamo tempo per parlare, mancano pochissime ore all'ImporiumLus e la seconda sfera non è pronta.- la sgridó severamente.
-Mi sto soltanto facendo spiegare un po' meglio il piano visto che lei non si perde certo in spiegazioni utili...- borbottó lei ed entró nella fucina.
-Darinda, volevo solamente ringraziarti. Ci hai salvati.- elargì Bloodgharm. 
-Non ancora: non si sa se funzionerà.- rispose lei.
-Dobbiamo sperare.- 
L'elfa annuì. 
Bloodgharm le rivolse un cenno del capo e se ne andó, lasciandola sola.
-Se-sei stata grande!- balbettó una voce.
Darinda si giró si ritrovó davanti Faelis.
-Faelis! Ah, ehm..grazie ma se non l'avessi pensato io l'avrebbe pensato anche qualcun altro quindi...-
-No, fidati. Ci sei stata di grande aiuto.- disse lui.
Sperava che col caldo che faceva l'elfa non notasse che era diventato bordeux. 
-Si insomma..grazie. Ora devo andare, ehm..ci..ci vediamo.- 
-Oh, ehm certo. Ci vediamo.- 
________________________________________

La luce fu così forte che tutto l'accampamento dovette distogliere lo sguardo.
-Aah!- gridarono in molti, soprattutto gli elfi, per la loro vista acuta.
L'ImporiumLus era cominciato. 
Esattamente alle undici, quindici minuti, e tre secondi un raggio di luce purissima colpì perfettamente le due bolrnian sulla collina, passando per il divisore.
-Sta funzionando!- esclamó Faelis, più sorpreso che per effettiva felicità.
-Sii!- rispose qualcuno ma con gli occhi chiusi era praticamente impossibile stabilire chi avesse parlato.
Dopo undici secondi esatti la luce si spense, lasciando un silenzio irreale fra tutti i presenti.
Avevano paura di aprire gli occhi, e scoprire che magari la magia non aveva funzionato, ma il cambiamento era evidente.
Le sfere ora, rilucevano di un'enorme quantità di luce e di calore: era di un colore bianco e oro, sembrava un concentrato densissimo di energia.
Sembrava impossibile, ma nessuno aveva mai visto tanta luce concentrata in cosi poco spazio. Era completamente assurdo.
Il primo che si mosse fu Krashta: si avvicinó lentamente ad un globo, e avvicinó una mano.
-Non toccarlo, ragazzo, a meno che tu non voglia essere trasportato dall'altra parte di Alagaesia.- lo avvertì Bloodgharm.
-Ma io voglio essere trasportato.- replicó Krashta.
Bloodgharm fece un verso di scherno.
-Molto divertente.- disse.
-Ora, un panno...presto!- 
-A lei.- si inchinó un'elfa, porgendogli uno spesso fazzoletto azzurrino.
Bloodgharm lo prese e avvolse stretto il globo di sinistra e ordinó ad un elfa di fare lo stesso con l'altro.
-Bene. - cominció -E ora invadiamo quei profanatori.- 
________________________________________






Angolo:
Ok, nessuno ci avrà capito nulla ma non preoccupatevi: nel prossimo capitolo sarà tutto più chiaro, anche perchè sarà spiegato il piano per intero.
Come avevo detto, si sono chiarite un paio di cose: oltre alla tattica della battaglia, anche per quanto riguarda Faelis che sembrava tanto geloso nell'ultimo capitolo.
Breve descrizione di Ias, volevo un po' caratterizzarlo e dargli un nome quindi..
Scusate per il ritardo, ma era un capitolo lunghetto e con le vacanze me la prendo comoda qui al mare.
Un bacione,
Kveykva.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Inizio della battaglia ***


-Hai l'armatura storta. Faccio io.-
Ambrea cominció ad armeggiare con la cotta di Dorien, spostandola e aggiustandola.
-Grazie- sospiró il ragazzo.
-Non funzionerà mai il piano.- disse lei.
-Smettila. Se parti così non finirà molto bene.- la riprese lui.
-Dorien. Avanti. Lo sai anche tu. Oltre al fatto che Ias è troppo piccolo per questa battaglia. È nato da tre giorni! - 
-Vuoi che non lo sappia? Vuoi che non sappia che probabilmente non ne uscirà vivo? E io con lui? E noi tutti!- urló Dorien.
Ambrea si ritrasse.
Lui espiró profondamente, si mise una mano sulla tempia, come se avesse il mal di testa.
-Scusami. Davvero, io sono preouccpato e...-
-Non fa niente. Non è successo nulla. È colpa mia. L'hai addestrato al meglio che hai potuto in questi pochi giorni. Sarà pronto.- promise lei.
-Vorrei che fosse vero.- sospiró.
Fra i due scese il silenzio, interrotto solo dalle dita di Ambrea che sistemavano l'armatura d'argento del ragazzo.
-Ambrea io non posso pensare di perderti. Non posso e basta.- mormoró lui.
Lei smise quasi di respirare.
Il momento che lei aveva temuto era arrivato: aveva sperato che Dorien non le dicesse cose del genere solamente perchè non voleva affrontare la realtà. Solamente perchè era quasi sicura di rimetterci la pelle in quella guerra e un addio da Dorien, in qual momento, l'avrebbe spezzata ancora di più.
Non per il fatto di morire: se era per la giusta causa, avrebbe combattuto al meglio. Ma l'idea di perdere le persone a lei care era ció che la spaventava di più.
Eppure doveva farlo. Doveva dirgli che se fosse morta e lui no, lei gli sarebbe stata in qualche modo sempre accanto.
-E non mi perderai, te lo giuro.- sussurró, pur essendo quasi sicura del contrario.
Probabilmente lui se ne accorse e disse:
-Non puoi saperlo con certezza.- 
-No, non posso. Ma ti prego, promettimi che se io dovessi...-
-No. 'se tu dovessi' niente. Domani sera saremo di nuovo qua.- la interruppe lui, mentre si girava e la fissava negli occhi.
C'era preoccupazione e dolore puro nei suoi occhi.
Il Lumiamorte, il corno di battaglia, risuonó in lontananza.
-Devo andare. Ci vediamo sulla collina con la bolrnian.- disse lei. 
Lui annuì serio.
-Addio.- disse lei mentre usciva
-Addio un bel niente.-
________________________________________

Erano tutti pronti. 
Quattro del mattino, il cielo cosparso di nubi. Niente stelle quella notte.
-Ricordatevi: attenetevi al piano e non succederà nulla.- raccomandó Bloodgharm.
I quattro Cavalieri annuirono. 
-Bene. Ora: il sacchetto con dentro la seconda bolrnian ce l'ha Ambrea, giusto?-
-Sì.-
-Non toccarlo mai. Mai. O rovineresti l'intero piano. Comunque: poggiate tutti la mano su questo punto della sfera. Si, esatto lì, all'entrata di Ellèsmera.-
I quattro si prepararono.
-Potrebbe non funzionare. Se doveste essere trasportati da qualche altra parte, per un errore, cercate di materializzarvi con la magia, o fate qualsiasi cosa ma voi quattro dovrete essere all'entrata a qualunque costo. Chiaro?- 
Dorien annuì distrattamente, gli altri Cavalieri borbottarono un assenso.
Bloodgharm si avvicinó a Dorien.
-Ti prometto- gli sussurró -che Ias arriverà. - 
Dorien strinse i pugni tanto da sbiancarsi le nocche.
-Grazie.- disse con voce sforzata.
Bloodgharm lo guardó ancora per pochi istanti e poi annuì.
-Bene. Il futuro è nelle vostre mani: potete farcela.-
-'Il futuro è nelle nostre mani': dici poco.- pensó Faelis.
-Non potete fallire.- ribadì.
-È il peggior discorso d'incoraggiamento mai sentito.-  sussurró Krashta ad Ambrea, che nonostante la tensione ridacchió.
Bloodgharm sembró non accorgersene.
-La prima parte del piano è assolutamente sicura, il resto...- 
Faelis sgranó gli occhi: ma lo faceva apposta? Comodo, lui non avrebbe dovuto entrare e fare tutto quel casino...ah.
I quattro Cavalieri posizionarono il dito e sussurrarono:
-Vęrneiâ.- 
Ambrea guardó Dorien un ultimo, minuscolo istante.
E sparirono.
________________________________________


-Eragon.-
-Mmh?- 
-Svegliati.-
-Mmh..si si...tutto quello che vuoi....- e ricominció a russare.
-Eragon!!- strilló Arya.
Lui saltó su come una molla, con gli occhi sgranati.
-Finalmente! Pensavo non ti saresti più alzato.- 
-Cosa c'è di così importante? Sono le tre di notte: non ci sono neanche le guardie.- biascicó ancora mezzo addormentato.
-Oggi è venerdì.- gli disse Arya con un tono di voce che si usa per annunciare una splendida notizia.
Lui la guardó confuso: cosa c'era di così emozionante? 
-Ehm..bene. Stupendo: adoro il venerdì. Ora posso dormire?-
Lei aprì la bocca scioccata.
-È venerdì! È il giorno che avevamo fissato per evadere.- 
-Ah, giusto. Hai ragione scusami, sono solo mezzo addormentato.- si scusó.
Lei gli rivolse un breve sorriso: le ossa del viso della Regina erano così in rilievo che sembravano bucare la pelle, la quale era sporca e tirata. La prigionia l'aveva completamente prosciugata.
Eragon si era offerto moltissime volte di curarla con la magia ma Arya lo aveva convinto: una prigioniera a cui si da' poco più di mezza pagnotta stantia al giorno sarebbe risultata poco credibile in salute e florida.
Ovviamente la magia per i prigionieri era stata revocata, ma conoscendo il nome dell'Antica lingua, Eragon avrebbe potuto tranquillamente fare qualsiasi incantesimo, anche se per ora non aveva ancora voluto rischiare.
Lui era ridotto allo stesso modo di Arya, anche se lei rimaneva lo stesso la persona più bella che lui avesse mai visto.
-Sei sicura di volerlo fare? Sono certo che i ragazzi stanno arrivando, dobbiamo solo pazientare un po' e...-
-No! Sono stanca di aspettare! Insomma, avremmo potuto uscire di qui un sacco di tempo fa, ma ho fatto come mi hai detto tu. Ho 'aspettato' i Cavalieri, ho sperato anche io che avessero trovato gli Emarginati e che si sarebbero messi in contatto con noi. E dopo tutto questo tempo? Dove sono? Eh?- 
Arya lo fissó come a sfidarlo a contraddirla. 
Eragon la guardó di rimando: l'unica cosa leggibile nei suoi occhi era l'indecisione.
-Io...- balbettó lui.
Lei alzó il mento, e le prese un cipiglio severo negli occhi. Lui sospiró.
Cosa avrebbe dovuto fare? 
________________________________________

Era come stare chiusi assieme ad una trentina di persone in una cabina telefonica.
Sembrava che le gambe fossero finite nel cervello, e il cervello nei piedi. 
Le facce si allungavano, il calore era insopportabile, sembrava non diminuire mai e riusciva solo a salire.
Dopo dieci secondi di quell'agonia (che ai ragazzi era sembrata una vita e mezza) tutto ció finì: piano la temperatura ritornó normale, il cervello ritornó al suo posto, e tutto il corpo si assestó e poi, con un freddo schiaffo di vento, i Cavalieri atterrarono.
-Oh per tutti i Cavalieri, mai più! - strilló Ambrea.
-È un miracolo che siamo tutti interi: pensavo mi si stesse staccando la testa da corpo!- si lamentó Faelis.
Gli altri tossicchiarono e respirarono a grani boccate.
-Be', almeno siamo arrivati: questa è l'entrata di Ellésmera.- constató Ambrea.
-Questa non è l'entrata di Ellésmera.- borbottó Krashta.
-Come no? Dobbiamo seguire quella via, e poi svoltare a destra! Non ti ricordi?- chiese stupito Faelis.
-No, non sono nato qui come te.- replicó Krashta.
-Veloci! Non abbiamo tempo!- bisbiglió Dorien.
Si acquattarono tutti e quattro dietro un albero e si scambiarono un cenno.
-Frethya- sussurrarono.
In un attimo erano diventati invisibili.
-Ok, andiamo.- disse Dorien.
Si diressero verso la città: dopo qualche minuto si fermarono.
-Ecco, ora la riconosci?- chiese Faelis.
Krashta borbottó qualcosa simile ad un sì.
Ovviamente, come avevano pensato, non c'erano sentinelle: e come biasimarli? Chi mai avrebbe potuto entrare? 
Fecero un gran respiro e si addentrarono.
All'inizio pensarono tutti di essere capitati in un'altra città.
Di aver sbagliato posto. Che quella non fosse la capitale elfica, quella che un tempo era uno dei posti più belli di tutta Alagaesia.
Eppure adesso non era più nulla.
Le strade erano deserte, ne' persone ne' guardie camminavano per quei sentieri bui.
Enormi stendardi neri, oro e rossi tappezzavano ogni singolo angolo lo ero del luogo: RN stampato ovunque.
Tutti gli alberi dai quali un tempo si sviluppavano magnifiche strutture, ora erano spogli, non più verdi e sani.
Le poche foglie rimaste erano marroni, secche, alcune nere e la maggior parte erano cadute a terra, dove nessuno si prendeva la briga di spazzarle via.
 Il solito costante cinguettio degli uccellini era completamente sparito. C'era solo silenzio.
-Questa non è Ellésmera- mormoró quasi sull'orlo delle lacrime Ambrea.
-Non lo è più.- sussurró di rimando Faelis.
Per loro era il triplo più difficile essendo nati e cresciuti in quel luogo.
Krashta e Dorien erano dispiaciuti, ma il piano veniva prima di tutto. 
-Tornerà tutto a posto. Ma ora dobbiamo andare.-
Camminarono un altro po' senza incontrare nessun ostacolo.
-Ok, le segrete sono di la': ricordatevi che potrebbero essere protette.- ricordó Dorien.
Raggiunsero le segrete, chiuse da un cancello: come da piano, si arrampicarono sui pilastri che lo sorreggevano e in pochi secondi erano dentro il cortile.
-Guardate.- sussurró Krashta.
Davanti alla porta che portava direttamente alle prigioni erano posizionate due guardie.
Ambrea si avvicinó piano e sferró un pugno a quello di sinistra, mentre Dorien assestava un calcio nello stomaco all'altro.
Entrambe, colti di sorpresa, svennerono.
Presero le chiavi e aprirono: le segrete erano lì.
Cominciarono a guardare tutte le celle, ma tutti i prigionieri (addormentati) non erano ne' Arya ne' Eragon.
Arrivarono all'ultima cella, con fuori scritto 'alta protezione': sembrava esser stata appena scardinata.
Il lucchetto era rovente.
-Avrebbero dovuto essere qui!-  sussurró Ambrea.
-Impossibile. Forse sono in un'altra...-
-Alta Protezione ma con lucchetto scardinato? No, qui c'erano loro.- replicó Krashta.
-Allora siamo finiti: il piano non ha più senso.-
________________________________________

-Li troveremo.- disse preoccupata Ambrea.
-Sì, e come? L'esercito,intanto, sta aspettando fuori e noi dovremmo già usciti di qui!- esclamó Krashta.
-Andiamo fuori e cerchiamoli. Se non troveremo Eragon non riusciremo mai ad abbattere la barriera, e l'esercito resterà fuori.- propose Dorien.
-E meno male che questa parte del piano era 'assolutamente sicura'.- borbottó Faelis.
-Chiamiamoli mentalmente.- propose Krashta.
-Potrebbero intercettarci!- esclamó l'elfa.
-Non mi importa, Ambrea.- comició Dorien.
-Dobbiamo trovarli e prima o poi la Resistenza Nera ci scoprirebbe comunque quindi..-
Lei sembró essere molto indecisa, ma quando vide che Krashta e Faelis erano d'accordo dovette arrendersi.
-E va bene, andiamo a trovare questi cavolo di ebrithilar.-
________________________________________

I ragazzi uscirono dalle segrete e rimasero nel cortile: la notte dava loro vantaggio, ma erano dovuti tornare visibili perchè era troppo il dispendio di energia sia per mantenere l'incantesimo di invisibilità e contattare i maestri.
'Maestro...Ebrithil...Eragon' .
'Maestro...Ebrithil...Eragon' .
Le stesse parole ripetute all'infinito: i messaggi mentali che i ragazzi mandavano recavano sempre la stessa composizione.
Eppure Eragon non rispondeva, e neppure Arya. 
-Forse sono nei sotterranei. Non si sa mai.- cercó di convincersi Faelis.
-Be', magari...-
-Intrusi!!-
I ragazzi si girarono al suono di quella voce: il grido era di una guardia a circa venti metri di distanza, seguita da altre sette, e stavano correndo esattamente verso di loro. Otto contro quattro. Evviva.
-Bene- disse calmissimo Dorien -Si comincia.-
Con un grido i Cavalieri si slanciarono sui nemici: Ambrea uccise subito tre guardie col suo arco, mirandole perfettamente.
Quando le arrivarono addosso, estrasse il suo pugnale e cominció a combattere: si aspettava che le guardie fossero forti e potenti. Ma non COSÌ forti e potenti.
Sembrava quasi di combattere contro il doppio delle persone: Ambrea uccise con un colpo alla trachea una guardia, ma purtroppo il colpo le procuró un fiotto di sangue (ovviamente del nemico) in viso che la accecó per qualche istante.
La guardia di destra, approfittandone, le sferró un potente calcio nello stomaco,facendole vedere tante stelline colorate e spedendola venti piedi lontano.
Si rialzó barcollando e notó che adesso, le guardie in piedi e capaci di combattere erano solamente tre: una per ogni Cavaliere.
La distanza le permetteva di usare l'arco, cosa che in un combattimento corpo a corpo era impraticabile: estrasse  una freccia dalla faretra, nel momento in cui l'uomo che l'aveva colpita prima corse verso di lei.
Braccia nel punto esatto, arco ben bilanciato: la freccia non sbaglió.
La guardia finì a terra con un grido, stringendosi con le mani la sottile stecca nello stomaco che era scivolata sotto la cotta.
Ambrea guardó i compagni e notó che non erano più alle prese con gli assalitori, e che quelli giacevano immobili a terra.
-Tutto bene ragazzi?- chiese lei.
-Pochi graffi: e tu?- rispose Faelis.
- A posto: andiamo prima che ne arrivino altri-
In lontananza, risuonó il corno d'allarme.
I ragazzi si guardarono, sbuffando anche se un po' divertiti.
-E ti pareva.- 
________________________________________






Eccocii qui:
Ok, so di avervi lasciato un po' sul più bello peró mi sembrava meglio dividere se no veniva fuori un romanzo.
Allora, i nostri riescono ad entrare (finalmente) peró Eragon e Arya, si capisce, sono evasi.
Nella prossima ci sarà la restante parte della battaglia, un po' più movimentata: questa prendiamola più come un'introduzione.
Poi, nello scrivere, mi è venuta in mente una cosa stra scema peró volevo chiedere: avete visto il film ispirato ad Eragon? Lo so che ha rispettato 'na cippa del libro peró come film "a sé" era carino secondo me, anche perchè l'avevo visto prima di leggere la saga e poi mi ero praticamente innamorata dell'attore hahahahaha. Opinioni?
Ok ho finito, buone vacanze a tutti e a presto.


Kveykva

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Di nuovo insieme ***




-Dorien.-

Le frecce di Ambrea partivano ogni secondo e trafiggevano sempre l'obbiettivo: ora peró, essendo a così stretto contatto con gli avversari la ragazza era obbligata ad usare il pugnale.
-Ambrea!! Siamo in ritardo!- urló Dorien alle prese con una guardia. Con un calcio in petto, il Cavaliere lo spedì lontano.
-Lo so! Muoviamoci!- strilló di risposta lei, e con un unico e fluido movimento conficcó la lama nello stomaco della guardia, la quale non si mosse più.
-Aaaah!- con un grido Faelis si abbattè su un'altra guardia, colpendolo sull'elmo: il soldato un po' stordito barcolló inciampando sui suoi stessi piedi e il Cavaliere lo finì con un pugno.
Dorien era alle prese con due elfi: li fronteggiava con la spada alta mentre quelli strillavano:
-Non potete vincere, illusi!- 
-E questo chi te l'ha detto? Quel deficiente di Manuelì?- ribattè stringendo i denti Dorien.
-Di certo è più intelligente di voi: entrare qui sapendo che l'intera città pullula di guardie...non sopravviverete nemmeno un minuto quando..- il soldato non finì la frase perchè il secondo gli diede un colpo nelle costole.
-Stai zitto, Nadesî. Hai già detto troppo.- gli intimó.
Dorien sentiva che si stava lasciando scappare qualcosa di importante.
-Cosa...?- cominció ma il soldato che aveva zittito l'altro lo interruppe.
-lo vedrai...anzi no, non lo vedrai: sarai già morto!- e detto ció si avventó su di lui roteando la spada, e colpendolo di taglio sul mento: un rivolo di sangue scuro scivoló sul viso del ragazzo.
Tutti e tre cominciarono a duellare, e , pensando che erano due elfi contro un umano (per giunta un ragazzo) non era difficile immaginare come stesse procedendo lo scontro.
Erano troppo veloci, troppo reattivi.
Spinse via con la lama il soldato che si chiamava Nadesî e stoccó l'altro, ma, inarrestabili, quelli si ripresero.
-Ragazzi! Questo sarebbe un ottimo momento per aiutarmi!- urló disperato, sperando che i compagni lo sentissero.
Si azzardó a guardare di lato: erano tutti alle prese con guardie, ma la cosa terrificante era che nel cortile stavano arrivando interi battaglioni di soldati.
-Per tutti i Cavalieri- pensó.
I due con cui stava duellando si slanciarono su di lui, ma Dorien ne aveva abbastanza: con una rotazione del polso infilzó Nadesî e lo scaglió lontano con un colpo in bocca: dal rumore gli aveva dolcemente tolto dieci o venti denti.
Prima con un pugno, e poi con un calci finì l'altro.
Si fermó a guardare i due morti, quando si accorse che Nadesî respirava ancora, impercettibilmente.
Gli si avvicinó.
-Cosa...- riprese fiato -cosa stavi dicendo prima? Quando vedró...-
Il soldato proruppe in una debolissima e tetra risata, mostrando i pochi denti rimasti completamente sommersi dal sangue.
-Non vivrai, umano...Manuelì ha...- si interruppe per tossire e sputare il sangue in eccesso.
Ora non respirava quasi neanche più.
-Manuelì ha...?- riprese Dorien, impaziente.
-'La grande ala'- sussurró la guardia e con un sospiro, gli si rivoltarono indietro gli occhi e non parló più.
Dorien imprecó nell'Antica Lingua.
Cosa diamine era la Grande Ala? Non aveva tempo per pensarci.
Un'altra ondata di guardie si riversó nel cortile, urlando a più non posso.
"Ma beneee, un miliardo di soldati non bastavano, noo' pensó.
Adesso erano letteralmente sopraffatti. 
Quel battaglione li avrebbe raggiunti entro dieci secondi. Non avevano speranze: erano troppi.
Dorien riuscì a scorgere Ambrea che stava ancora duellando con due soldati: scaraventó uno a terra con un grido selvaggio, e colpì l'elmo dell'altro con l'impugnatura del suo pugnale.
Aveva i capelli che volavano dappertutto, gli occhi d'oro accesi di una luce selvaggia, un brutto taglio sullo zigomo e l'armatura ammaccata: cioè era la cosa più bella che Dorien avesse mai visto.
Lei si voltó verso di lui, e si capirono senza parlare: "Se quelli attaccano siamo morti".
Sette secondi. Sei. Cinque.
Erano vicini.
Una goccia di sudore imperló la fronte del ragazzo.
Strinse forte l'impugnatura della spada, pregando qualsiasi dio ci fosse lassù.
Tre. Due.
I nemici erano ad un passo, finchè un'enorme fiammata rossa e blu non li carbonizzó tutti.
________________________________________

Dorien era ed era sempre stato un ragazzo dalla scorza dura e non si sorprendeva quasi più per nulla.
La sua infanzia non era stata esattamente un'infanzia felice: probabilmente sarebbe stato diverso se i suoi genitori fossero stati vivi. 
E ne aveva viste tante, ma tante davvero: eppure quando un drago azzurro cielo ed un drago verde smeraldo sorvolarono il cortile riducendo in pezzettini di pollo abbrustolito tutte le guardie davanti a loro..be'. 
Sarebbe preso un colpo a chiunque.
Con gli occhi spalancati dallo stupore si giró verso i compagni: sembravano l'identica copia di Dorien.
-Eragon!- urló Faelis, che non era quasi in se' dalla felicità.
-Arya!- trilló Ambrea.
Dorien rimase di stucco: non aveva mai incontrato i famosi Arya ed Eragon, dei quali dagli Emarginati si faceva un gran parlare.
Tutti e quattro corsero verso i due draghi e la gioia di rivederli assieme ai loro maestri superava addirittura la sorpresa per il loro intervento.
Fieri, su Saphira e su Firnen, Arya ed Eragon erano freschi e pronti per la battaglia, nonostante qualche taglio recente e vecchio si scorgesse sulla loro pelle.
Il primo impatto su Arya fu che era sorprendentemente bella: i lunghi capelli corvini e gli occhi verdissimi con un taglio asiatico le conferivano quasi un aspetto regale. Anzi, non quasi. Lei era la Regina.
Aveva un portamento così fiero, altero: nonostante la prigionia sembrava pronta a qualsiasi cosa.
Eragon invece era molto più umano: be', si era umano in effetti, ma aveva qualcosa in viso che lo faceva assomigliare anche ad un elfo. Dorien non aveva mai visto nulla del genere.
-Per tutti i draghi, siete voi!- strilló Ambrea correndo ad abbracciare l'elfa e in seguito Eragon.
Arya si lasció andare ad una breve risata.
-E voi siete ancori vivi!- 
-Be'...meno male.- sorrise Eragon.
Era un sorriso così puro e sincero, il sorriso di un ragazzo, che Dorien si chiese come mai tutto lo trattassero con tale rispetto e reverenza.
Aveva si e no diciotto, diciannove anni? E chi poteva dirlo!
Dopo che tutti gli abbracci e saluti furono finiti, Arya sembró vedere solo allora Dorien. Alzó un sopracciglio.
Ambrea arrossì un poco e si affrettó ad aggiungere:
-Oh..ehm...Arya, Eragon lui è Dorien. Ci ha aiutato per gran parte della missione e..ehm, si ecco.- concluse, balbettando.
Lo sguardo severo di Arya lo stava quasi trapassando, come volesse sondargli l'anima.
-È un Cavaliere dei Draghi.- aggiunse Krashta.
Gli occhi di Arya scintillarono di sorpresa
-Questo cambia le cose.- disse semplicemente, nessuna inflessione nella voce.
-Onorato di conoscervi, Arya-elda ed Eragon-elda.- pronunció Dorien nella lingua degli elfi chinando il capo in segno di rispetto.
Arya rimase di stucco.
-Conosci l'Antica Lingua, vedo. Benvenuto a bordo allora.- gli sorrise. 
Gli zigomi sembrarono uscire dal volto dell'elfa.
-Felice di conoscerti.- disse a sua volta Eragon.
-Ne stanno arrivando altri.- cominció, sempre pragmatico, Krashta.
Lo sguardo dei maestri si incupì.
-Lo sappiamo. Siamo riusciti ad evadere per pura fortuna.- borbottó Eragon.
-Noi siamo venuti a cercarvi, ma non abbiamo trovato nessuno!- si lamentó Ambrea.
Eragon si guardó alle spalle nervoso, poi si chinó al terreno, posando un orecchio.
-Quattro battaglioni di soldati. Arrivano da Palazzo. Fra dieci minuti saranno qui. Dobbiamo andarcene-
Dorien era impressionato dai sensi del Cavaliere: lui non sentiva un accidenti di niente! Figuriamoci un battaglione a dieci minuti di distanza.
-Questo non è il posto adatto per parlarne, Ambrea-Finiarel. Se saremo ancora vivi, stasera, ci sarà tutto il tempo - riprese Arya. -Adesso venite: dovete raccontarmi molte cose-
________________________________________

-Arya-

Guardando il modo in cui Dorien e Ambrea si muovevano, Arya capì che c'era qualcosa fra loro. 
Dorien si muoveva, Ambrea si muoveva. Camminavano vicini, di tanto in tanto Ambrea alzava lo sguardo sul viso del ragazzo, e sembrava restare ammaliata ogni volta, come se fosse la prima volta che lo vedeva.
E Arya, tutto sommato, non poteva biasimarla: Dorien era davvero bello. Ma davvero: e per aver vissuto tra gli elfi, che erano secondo lei la razza più pura,potente e bella che ci fosse, era strano sorprendersi dell'aspetto di un comune umano. 
-Bene, fermiamoci qui.- disse la regina, infine posizionandosi dietro una piccola radura di alberi.
-Ora, spiegatemi il piano. Voglio sperare che ne abbiate uno.- 
In pochi minuti, i ragazzi narrarono per filo e per segno tutto quello che avevano programmato.
-Ambizioso. Molto ambizioso.- commentó Arya.
-La bolrnian, eh? Non avrei mai pensato a una cosa del genere eppure...- disse Eragon.
-Bene: io ed Arya ci stiamo.- concluse.
L'elfa annuì decisa. 
-Vedete quel sentiero costeggiato dalle bandiere con lo stemma della RN?- domandó Arya.
I ragazzi annuirono.
-Porta alle segrete. Le altre segrete, dove sono prigionieri i vostri draghi.- 
-Ma...non erano in disuso quelle segrete? Pensavo le avessero chiuse tempo fa.- si intromise Faelis.
-Hai ragione, Faelis-Finiarel: ma erano le uniche abbastanza grandi per custodire tre draghi.- spiegó Eragon.
Faelis si limitó ad annuire convinto.
-Seguite quella via- disse Saphira, inviando a tutti i propri pensieri.
-Ma attenti: avranno sicuramente aumentato il numero di guardie a difesa della prigione e si aspetteranno un vostro attacco. Sanno che siete qui.- li avvertì Firnen.
-Ora andate: ritroviamoci nella piazza centrale. Ho l'impressione che ci sarà parecchio da combattere- ordinó la regina.
-E voi cosa farete intanto?- chiese Krashta.
Arya ed Eragon si guardarono, e sul volto del ragazzo comparve un sorriso tenero e feroce allo stesso tempo.
-Andiamo a stendere qualche bel faccino elfico.-
________________________________________


-Krashta-

-Krashta, stai facendo troppo rumore!- sibiló Ambrea.
Krashta guardó a terra con un'espressione da bambinone, come se scoprisse solo ora di avere due protuberanze chiamate piedi.
Aveva fatto rumore? 
Ambrea probabilmente colse la sua sorpresa e spiegó indicandogli i piedi:
-Li trascini sulle foglie.- 
-Insomma, ce ne sono a migliaia qua! Non sono come voi elfi ultra leggiadri.- si lamentó.
-Zitti, voi.- intervenne Faelis. -Siamo arrivati.- 
-I ragazzi guardarono davanti a loro e videro le otto guardie appostate sulle due porte che davano accesso alla prigione.
-Quattro soldati per porta!- esclamó l'Urgali.
-Be', cosa ti aspettavi?- chiese Faelis, con un tono odioso.
In quei momenti, Krashta avrebbe davvero voluto strangolarlo.
-Nah, ci penseranno le guardie a farlo.- borbottó senza pensarci.
-Cosa?-
-Oh niente.- 
L'elfo lo guardó in cagnesco.
-Bene, possiamo andare ora?- domandó spazientito Dorien.
-Io e Faelis prendiamo quella di desta, voi la porta sinistra.- 
-Nessun piano?- chiese un po' sgomenta Ambrea.
-E quando mai ne abbiamo uno! Forza!-
Al via di Dorien, Ambrea scoccó una freccia che trafisse la guardia centrale della porta sinistra. Purtroppo, l'effetto sorpresa era troppo breve: gli altri soldati capirono subito l'attacco e si misero in fase difensiva.
I Cavalieri corsero allo scoperto e andarono in contro agli avversari, ma ormai niente poteva fermarli: i loro draghi erano lì dentro, e la voglia di rivederli era così forte da spingere i ragazzi a disarmare e ad uccidere ad una velocità sovraumana.
Krashta alzó la sua ascia al cielo e la caló sull'elmo della guardia, che cadde inerme.
Con la coda dell'occhio, l'urgali scorse Dorien disarmare due guardie contemporaneamente.
Non potè osservare di più, perchè i tre soldati che erano rimasti di guardia alla loro porta gli si avventarono addosso.
Ambrea accorse subito, e riuscì a staccargliene di dosso, con la quale cominció a combattere.
Krashta roteó l'ascia ma una guardia miró alla sua spalla, e lo stoccó con un abile colpo di polso.
L'Urgali riusciva quasi a percepire l'enorme livido che si formava.
Arretró di pochi passi, mormoró una frase nell'antica lingua, e guarì la piccola ammaccatura. Il calo di energia fu minimo.
Con un urlo, si avventó sul soldato che lo aveva colpito e gli assestó un pugno su uno zigomo, mentre colpiva con l'asta della sua arma l'altro nemico.
Con una piroetta, saltó di scatto, proprio mentre i due uomini lo caricavano, e con un movimento fulmineo delle gambe fece cozzare gli elmi delle guardie, che caddero al suolo con un tonfo sordo.
Si giró, e vide che anche i compagni avevamo finito:
-Dentro!- gridó.
Strapparono le chiavi ai soldati appena sconfitti, ed entrarono correndo.
-Di là, di là!- strillava continuamente Ambrea, ma già Krashta sapeva dove andare perchè sentiva una sorta di formicolio alla base del cranio.
Sembrava una fune, un filo che gli dicesse dove andare: il collegamento mentale con Vrango si stava riaccendendo? La semplice impazienza di rivederlo lo guidava? Forse.
Fatto sta che in pochi minuti raggiunsero la cella, un'enorme cella sotterranea e dentro ad essa tre draghi.
Grigio, ambra e viola: quei colori si stagliavano come la tavolozza di un pittore nel grigio cupo di quella prigione.
Krashta pensó di non essere mai stato più felice che in quel momento, e sembrava avere davvero le ali ai piedi perchè quando corse verso Vrango, gli sembró di volare.
________________________________________

-Faelis-

"Non riesco a credere di essere qui con te" disse mentalmente Faelis a Ere, mentre sorvolavano Ellèsmera in volo.
"Mi sei mancato così tanto, cucciolo d'uomo." gli rispose il drago.
Da tanto, troppo tempo Faelis non si sentiva così completo.
Era come se metà parte della sua mente, della sua anima gli fosse stata restituita dopo settimane.
Appena l'aveva visto in quella cella aveva provato un colpo al cuore: Ere sembrava così stanco, magro, e portava alcune ferite da tortura. 
"Ci vuole molto più per spezzarmi, cucciolo. Molto di più" gli aveva ripetuto Ere, eppure brividi freddi gli correvano ancora sulla schiene a ripensarci.
Avevano usato i poteri racchiusi nelle pietre sulle loro armi per restituire loro la potenza e l'energia necessaria per affrontare la battaglia. 
-Forza: dobbiamo far entrare un esercito.- si disse.
L'incantesimo di invisibilità li proteggeva dai dardi nemici, ma presto avrebbero dovuto eliminarlo: troppa energia serviva ad alimentarlo.
In pochi minuti, durante il volo, Faelis aveva spiegato a Ere il piano: ora che avevano i draghi ( eccetto Dorien, che stava volando assieme ad Ambrea) avrebbero raggiunto Eragon e Arya, e da lì sarebbe cominciata la parte secondaria del piano.
-Eccoli! Sono laggiù!- strilló la voce di Ambrea da un punto imprecisato.
Guardando in basso, a Faelis mancó il respiro: centinaia di soldati della RN si stavano radunando nella grande piazza centrale, ma non combattevano. 
Aspettavano un ordine.
Saphira e Firnen, erano all'estremo lato del campo di battaglia, con sul loro dorso Eragon e Saphira, e non si sa come trattenevano le orde di nemici davanti a loro. 
Stavano parlando forse? I ragazzi erano ancora troppo distanti per scoprirlo.
"Scendiamo, Ere. Si comincia".
Discesero velocemente al suolo, ma si tennero comunque a distanza dal centro e atterrarono, sempre invisibili, dietro una siepe alta e fitta dal lato di Arya ed Eragon
Come da piano, appena arrivati, Arya li stava aspettando. Un'altra Arya: quella sulla groppa di Firnen era un'abile illusione magica, che stavano mantenendo sia Eragon sia la stessa Arya.
-Ottimo.- li accolse la regina, e salutó cordialmente tutti i Draghi.
-Andiamo: abbiamo sì e no cinque minuti. Eragon non potrà trattenerli per sempre con le sue chiacchere.- disse sbrigativa, mentre si incamminava verso l'uscita di Ellèsmera, a pochi passi da lì.
Appena arrivarono la Regina si fermó, e così anche i Cavalieri: allungó una mano, e poi, come se avesse preso la scossa, la ritiró indietro.
-È qui.- sentenzió.
Faelis non aveva bisogno di chiedere per sapere che stava parlando della Grande Barriera.
-La bolrnian, Ambrea.- chiese l'elfa.
Ambrea tiró fuori dalla sua sacca uno spesso  panno che conteneva la sfera magica e la diede ad Arya, la quale prese un gran respiro.
-Non so se funzionerà, ma bisogna tentare.- mormoró.
"Ottimo!" pensó Faelis "Se anche la Regina degli elfi pensa che non funzionerà siamo messi proprio bene".
Alzó un lembo del panno e osservó la bolrnian, dopodiché inspirò nuovamente.
Caricó il braccio indietro, e con tutta la forza che aveva scaraventó la sfera dritta contro la barriera, mentre gridava la Parola.
I ragazzi sapevano cosa l'elfa stesse dicendo, eppure la loro mente non riuscì a fermarla. Sembrava aria. Puoi cercare di trattenerla, ma essa scapperà sempre: e così anche io nome dell'Antica Lingua.
Nel momento in cui il globo colpì la muraglia ci fu un'esplosione: non una vera e propria esplosione, come quelle quando fuoco e benzina si uniscono. 
Più come allo scoppio di una bomba in aria: un rumore sordo, e onde d'aria turbinanti che li travolsero: e in quel momento, Faelis seppe con certezza che aveva funzionato.
La muraglia non c'era più.
E quando sentì le grida degli Emarginati ne fu ancora più sicuro.
L'esercito era entrato: ora era lo scontro finale.
________________________________________















Angolo:
Santo cielooo, ce l'abbiamo fatta a finire questo capitolo.
Intanto so di avervi fatto aspettare un pochino, ma oltre al fatto che era un capitolo difficilino e complicato da scrivere ero in Inghilterra in college, quindi il tempo di tornare a casa dopo una giornata sfiancante ed ero già bella e cotta a dormire.
Allora:  Eragon ed Arya e i draghi si riuniscono ai Cavalieri, e Dorien viene presentato ai maestri.
La Grande Ala...altra sorpresa. Nel prossimo capitolo. 
Okey, mi sento come nelle pubblicità delle serie tv "alla prossima puntata" ma non importa.
Ditemi se vi è piaciuta questa parte un po' più movimentata e d'azione.
Un grande abbraccio a tutti,
kveykva.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** La fine di tutto ***




-Tradimento! Tradimento! - cominciarono a gridare le Guardie.
-Ci ha ingannato parlandoci!- urlarono diversi soldati, ma ormai Eragon non li ascoltava più. 
L'ologramma di Arya scomparve da Firnen, cosa che sconcertó non di poco la RN, e la vera Regina salì sul drago, seguita dall'intero esercito degli Emarginati.
Gridando e incitandosi, i due eserciti si scontrarono.
Numericamente gli Emarginati erano completamente sfavoriti ,e non erano nemmeno meglio addestrati della RN.
-Fuoco!- gridó Eragon.
 "meglio non dirlo nell'Antica Lingua, o mi va a fuoco la spada" pensó.
Saphira evocó una fiammata gigantesca, blu e azzurra e la indirizzó verso l'esercito nemico, polverizzandone una quantità gigantesca.
Ovviamente, la fiammata era stata indirizzata verso le ultime file dell'esercito, se no Saphira avrebbe potuto abbrustolire anche parte degli Emarginati.
-Com'è che anche se ne ho bruciacchiati un po' ce ne sono tanti lo stesso?- chiede Saphira.
Arya, raggiungendo in volo Eragon, rispose:
-Ne sono arrivati tanti, anche oltre agli elfi di Ellésmera. I traditori c'erano anche nelle altre città.- 
Eragon scorse un lampo di furia sul viso dell'elfa, e non fu difficile comprenderla: il tuo paese, il tuo orgoglio, tutta la tua vita ti si rivoltano contro, come traditori.
Arya stava probabilmente pensando la stessa cosa perchè aggiunse:
-Piccoli sacchi di spazzatura.- 
-Comunque, io vado a creare la bolla: mi raccomando, sarà dietro la radura di Tryele, la più grande di Ellésmera. Suppongo che sarà abbastanza grande.- 
Eragon annuì.
-Andrà bene.- confermó, e Arya, velocissima, scomparve verso nord.
"Forza, mettiamo in atto la seconda parte del piano." trasmise Eragon a Saphira.
"Ambrea, Faelis, Krashta!" li chiamó mentalmente.
Notó con piacere che i draghi dei ragazzi erano arrivati, compreso quello di Dorien.
Gli alunni lo raggiunsero in men che non si dica.
-Seconda parte?- chiese Ambrea, un'aria feroce in viso.
Eragon ne fu impressionato.
-Seconda parte.- confermó.
 _______________________________________

I due eserciti si stavano scontrando ancora, ma il conflitto era esteso ancora solo alle prime file dell'esercito. 
In quelle centrali, e nelle ultime, rimanevano ancora tanti tanti soldati.
Cinque erano i Cavalieri e i Draghi, e cinque erano le fazioni suddivise per ciascuno per il piano, ovviamente nella parte nord dove c'era l'esercito nemico.
Ambrea e Dorien scesero verso ovest, Krashta e Faelis verso est,  e Eragon e Arya (tornata dalla radura di Tryele) verso nord, dove ancora c'erano moltissimi combattenti.
Si posizionarono davanti e fecero fuoco, non tanto per ucciderli ma per metterli in guardia e per farli raggruppare strettamente.
I soldati agitavano le lance, cercavano di colpire i draghi ma la verità era semplice: nessuno era tanto coraggioso per farlo.
"O tanto devoto alla causa" pensó Eragon.
-Troppo ottimista- gli invió di rimando Saphira.
-Forse- concesse lui.
Piano piano, tutta l'ala nord, est ed ovest era ridotta a gruppi di soldati della Resistenza Nera assolutamente terrorizzati.
-Via!!- urló Dorien.
Come da piano, i draghi avanzarono, continuando a muovere le ali, e a ringhiare e, esattamente come pensato, le guardie impaurite retrocedevano velocemente, levandosi in poco tempo dal campo di battaglia. 
Ambrea cominció a restringere ai lati ancora di più, e così fecero anche Krashta e Faelis, e in qualche minuto le fazioni diverse erano state ristrette tutte in un solo, enorme, gruppo.
"Continuate a spingere! Devono arrivare dietro quella radura!" raccomandó Saphira mentalmente ai ragazzi.
-Ma quanto sono scemi? Indietreggiano come polli e nemmeno se ne accorgono!- strilló ridendo Ambrea.
Dorien rise con lei, e con lui anche tutti gli altri.
Finchè Ambrea non urló una seconda volta, ma non scherzando.
Eragon si giró, e la vide con una freccia nello stomaco, gli occhi meravigliati e spalancati, di chi non ha ancora capito bene cosa stia succedendo.
-No!- urló Faelis, ma era troppo tardi.
Ambrea era caduta dalla sella, e precipitava verso terra.
________________________________________

Dorien imprecó ad alta voce e si catapultó verso l'elfa.
-No! Rimanete nelle posizioni! Perderemo il vantaggio!- ordinó Arya, ancora al suo posto.
Krashta e Faelis si costrinsero a non muoversi.
-Stai scherzando?- esclamó Dorien -sta per morire!- disse.
E quando  pronunció quelle parole si accorse di quanto fossero vere, e si trattenne dall'urlare.
Prese  fra le mani i la testa di Ambrea, gli occhi praticamente chiusi.
Il respiro era debole.
Arya aveva l'indecisione negli occhi. Le guardie della RN stavano avanzando e guadagnavano già terreno senza due Cavalieri a bloccarli.
'Bloodgharm!" chiamó mentalmente con tutta la forza che disponeva.
'Vieni qui. Subito. Non mi interessa cosa stai facendo.' ordinó la Regina, inviando all'elfo, ancora frastornato, la loro posizione.
-Dille di tenere duro per qualche minuto.- disse a Dorien.
-Ambrea. Ambrea. Guardami.- la chiamó.
Lei aprì un poco gli occhi.
-Ascoltami: adesso stanno arrivando i rinforzi, hai capito? Stanno arrivando.- 
Lei annuì impercettibilmente.
-Adesso ti esamino la ferita, va bene?- 
-Sono sicuro che si potrà curare, non preoccuparti.- disse con voce strozzata.
Alzó di un poco la maglietta nera dell'elfa e dovette trattenersi dal non gridare.
Emise un verso strozzato.
La ferita della freccia non era rossa, non c'era nemmeno sangue.
Era nera. 
Come le radici di un albero, quella sostanza nera le scorreva nelle vene, si vedevano in evidenzia sotto la sua pelle così pallida e sottile.
-Veleno.- 
Voleva gridarlo a gran voce ma tutto quel che gli era uscito era un sussurro.
-Veleno!- ripetè alzando la voce.
Stavolta gli altri lo sentirono.
In quell'esatto momento arrivó Bloodgharm dalla battaglia: aveva un polpaccio insanguinato, e parecchi lividi sulle braccia ma sembrava star bene abbastanza.
-Mia signora.- esordì.
-Sali su Firnen, prendi il mio posto. Eragon ti spiegherà il piano.- 
Detto questo, scese dal suo drago e si posizionó vicino a Dorien.
Una freccia le passó ad un millimetro dai capelli neri.
Con un'espressione infastidita, alzó il braccio e formuló qualcosa nell'Antica Lingua.
Un secondo dopo era dentro una specie di bolla, di pellicola per proteggerli.
-Per tutti i Cavalieri.- esclamó la Regina.
-L'hanno avvelenata.-
Ambrea emise un gemito roco e poi appoggió la testa a terra.
Arya si piegó sul petto della ragazza.
-Respira ancora. È svenuta.- 
-Cosa facciamo quindi? Puoi curarla?- chiese lui.
Lei lo fissó, senza espressione.
-Ci vorrebbe un dispendio di energia tale che sia io che te verremmo uccisi.- cominció.
-Quindi la vuoi lasciare così?- esclamó lui sbalordito.
-Non ho detto questo. Per curarla servono il nettare della sua arma e anche di quello di Krashta e Faelis.
È stata avvelenata, e per questo serve il nettare contenuto nell'arco di Ambrea. Per la ferita serve il campaniliês di Faelis, e per svegliarla dalla perdita dei sensi quello di Krashta. Ma non possiamo adesso. Dobbiamo prima eliminare la parte di esercito, come da piano. Tu dovresti...-
-Alimentare il suo corpo con parte della mia energia in modo da tenerla viva finchè voi non tornerete.- concluse Dorien.
Arya alzó un sopracciglio.
-Esatto. Ma il massimo che puó aspettare sono cinque, massimo sei minuti.- 
-Dovete fare in fretta.- constató il ragazzo.
-Lo so.- disse lei, e detto questo estrasse con la magia, senza toccarla, la seconda bolrnian dalla tasca di Ambrea.
Arya rivolse un ultimo sguardo al ragazzo.
-Non lasciarla morire.- e sparì, lasciando Ambrea e Dorien nella bolla riparatrice, a lottare contro la morte.
________________________________________

-Forza! Siamo quasi arrivati!- gridó Arya.
Una lancia le arrivó in parte al viso, schizzó di lato per deviarla ma la lama colpì lo stesso il viso, lasciandole un taglio poco profondo ma lungo sullo zigomo destro.
Strinse i pugni per non urlare.
I soldati della RN stavano cominciando a capire che non era poi così difficile sfidare quei Cavalieri, dato che ben due di essi non c'erano più.
-Ci stanno sfuggendo!- urló Krashta.
Pur cercando di arginare il flusso dei soldati, molti di essi riuscivano ad uscire nella parte ovest, dove Krashta faceva il possibile per non far pesare l'assenza di Dorien e Ambrea.
Ma invano.
Un dardo lo colpì al braccio, e Krashta si piegó in due dal dolore.
'Ancora poco, ancora poco e sarà tutto finito'.
-Dentro!- 
Finalmente erano arrivati nella radura.
Le guardie non avevano ancora capito di essere entrati nella bolla costruita da Arya.
Ora la seconda parte del piano poteva essere messa in atto.
-Sicura che reggerà? Il danno sarà limitato solo a questa zona, giusto?- le chiese Eragon, preoccupato.
-Si, Eragon. La seconda bolrnian li distruggerà, e con loro questa radura ma non oltre. La faremo ricrescere.- 
La sua voce si incrinó un poco nel pronunciare l'ultima frase.
La Regina voleva farla sembrare una cosa da poco, ma per un elfo distruggere la natura era sempre un peccato gravissimo.
Stavolta, la bolrnian non sarebbe stata scagliata. Sarebbe solamente stata posizionata dentro la bolla.
Dopo averlo fatto, tutti i Cavalieri uscirono.
Arya cominció a parlare, e a pronunciare frasi nell' Antica Lingua.
-Verma Böllr, verma böllr, verma böllr.-
A poco a poco, si vedeva la bolrnian surriscaldarsi, da trasparente stava diventando di colore oro, sempre più calda, sempre più calda.
I soldati della RN erano immobili, inorriditi.
Non osavano avvicinarsi.
Si spintonavano, urlavano, cercavano di rintanarsi il più lontano possibile dalla sfera.
-Naina Ládrin Böllr!- gridó con tutte le sue forze alla fine.
E la bolrian esplose.
________________________________________

Il flusso di energia che Dorien stava passando ad Ambrea era agli sgoccioli.
Si sentiva strano, debole, pronto a cadere e a svenire in pochi secondi.
Ma ogni volta che sentiva di stare per cadere guardava il volto di Ambrea e aveva un buon motivo per continuare a donarle tutto ció che aveva.
Un minuto prima aveva sentito un tonfo sordo, come dopo un grandissima esplosione e aveva tirato un sospiro di sollievo. Ce l'avevano fatta. La bolrian aveva compiuto il suo dovere ed era esplosa eliminando la maggior parte dell'esercito nemico.
-Come sta? È viva? Respira?- sentì la voce ansiosa di Faelis dietro di lui.
-Ora puoi recidere il flusso Dorien.- gli disse Arya, con voce calma.
Piano tiró su la maglietta.
Faelis inorridì e Krashta spalancó gli occhi.
-Non è possibile.- disse.
-È lo stesso veleno. Hanno usato lo stesso veleno.- balbettó Faelis.
-Lo stesso veleno?- ripetè Eragon.
-Quello che ha ucciso Lēila. La madre di Ambrea.- spiegó con voce tombale Krashta.
Ci fu un secondo di silenzio.
Poi, sia Krashta che Faelis, estrassero le loro armi e misero la mano di Ambrea sulla pietra.
Allo sguardo interrogativo di Dorien, Faelis rispose:
-Si puó accedere al potere delle pietre solo se si è il possessore. In teoria servirebbe anche la sua voce. Spero che il tocco basterà.-
Dorien annuì.
Faelis e Krashra fecero un profondo respiro.
-Böllr Campaniliēs Ládrin.-
-Böllr Margaritas Ládrin.- 
Sotto gli occhi incantati di tutti i presenti, uscirono dei globi lucenti da ogni pietra, quella di Ambrea compresa.
Come spinti dal vento, quello grigio di Krashta andó verso la bocca dell'elfa, mentre gli altri due si posizionarono sulla ferita.
-Ládrin.- ripeterono i Cavalieri.
I due nettari si riversarono dentro la ferita, e Dorien aiutó Ambrea, ancora incosciente, a bere l'altro nettare.
Passó un minuto. Sessanta secondi di agonia, dove il respiro dei Cavalieri era lo scandire del tempo.
La ferita si stava curando: il veleno nero cominció a ritirarsi fino a sparire completamente, e il buco lasciato dalla freccia si rimarginó, lasciando solamente una brutta cicatrice rossa.
E gli occhi di Ambrea si aprirono.
________________________________________

-Grazie ai Cavalieri!- urló Faelis.
Dorien si abbassó sul viso dell'elfa, e la bació come non aveva mai fatto in tutta la sua vita, la bació a lungo, non importava il fatto di avere persone vicine.
Non importava.
Eragon ed Arya ridevano.
-Be'..direi che...-
La frase di Eragon fu interrotta.
Un rombo, come quello di un tuono, il più fragoroso e potente tuono mai sentito, squarció l'aria.
-Ei, ma cosa succede?- chiese Ambrea.
Eragon scosse il capo.
Non lo sapeva, e all'orizzonte non si vedeva nulla finchè...
-Oh Dei.- esclamó Krashta.
-E quello cos'è?- indicó Faelis, terrorizzato.
Una figura enorme completamente fatta di fumo scuro, grigio e denso era appena spuntata da una nuvola, giù a sud-ovest.
E aveva la forma di un drago.
Aveva il corpo basso e largo, le ali così lunghe da non riuscire nemmeno a misurarle, gli occhi neri famelici e bramosi di morte.
A Dorien sembrava di starsi perdendo qualcosa ma non riusciva a capire. Come se sapesse ma non riuscisse a ricordare.
-C'è qualcuno la' sopra.- disse Ambrea, a denti stretti.
-E scommetto che non è difficile immaginare chi.- ammise Eragon.
-La Grande Ala! Ecco il progetto di Manuelì! Un soldato me l'aveva accennato.-
-Vado io.- cominció Ambrea.
Tutti si girarono verso di lei.
-Sei impazzita?-
-No. Manuelì ha ucciso mia madre. Voglio andare io. È quello che avrei dovuto fare già tempo fa.- disse lei, annuendo con forza.
-Non ce la farai mai, Ambrea, avanti. Verremo tutti.- propose Faelis.
-No. La battaglia la' dietro non è finita. Aiutate gli Emarginati a finire la RN.- 
Ci fu un silenzio duraturo dopo l'affermazione.
-Non puoi andare, ti farai ammazzare io..- cominció Dorien, ma la mano di Arya si strinse attorno al braccio del ragazzo.
-È la sua battaglia.- gli sussurró.
Lui la fissó ancora, gli occhi che non riuscivano a stare fermi, ma a poco a poco di calmó. Aveva capito.
-Sappi che conosco Manuelì. A volte ci siamo addirittura allenati. Lui è più un elfo da corpo a corpo. Quando cercherà di arrivare a quello, dovrai fermarlo. Non riusciresti a vincerlo altrimenti.- le ricordó Arya.
Lei annuì.
Dorien la guardó con quasi le lacrime agli occhi, e non le era difficile capirne il perchè.
L'aveva appena persa, non voleva farlo una seconda.
-Mi dispiace.- gli sussurró.
Lui si giró di scatto dalla parte opposta. Ambrea capì che non l'avrebbe perdonara facilmente per stare andando incontro alla morte, a ne' Eragon ne' Arya si erano opposti. Lui non poteva farlo.
-Miliar, andiamo.-
Salì sulla sua dragonessa, rivolse un ultimo sguardo ai suoi compagni e maestri.
E partì.
________________________________________

-Ma chi si vede! La piccola Ambrea...- disse Manuelì.
L'elfa storse la bocca in una smorfia di disgusto.
Manuelì aveva lo stesso viso e la stessa espressione di cattiveria dipinta sul volto, ma c'era qualcosa i cambiato in lui.
La pelle del viso era quasi trasparente, pallida, gli occhi acquosi, folli.
Sentì Miliar agitarsi sotto di lei.
-Sei un pazzo se pensi di poter fermare tutto questo. Hai perso il tuo esercito.- lo sfidó lei.
Il sorriso beffardo sulla bocca di Manuelì sparì.
-Non ancora.- disse a denti stretti.
Ambrea non riuscì a trattenere una risata di scherno.
-E per te, dieci uomini sopravvissuti vuol dire che il tuo esercito non è stato sconfitto?- 
-Dovresti imparare a tenere chiusa la bocca, ragazzina. Non te l'ha insegnato la mamma?- le chiese lui insolente.
Ambrea si irrigidì di colpo, gli occhi così duri da trafiggere chiunque.
-Non parlare di mia madre, vigliacco.-
Il sorriso crudele di Manuelì ricomparve.
-Oh, hai ragione, piccola Ambrea. È morta prima di poterlo fare!!-
Con un grido Ambrea si slanció in avanti cercando di pugnalare il tiranno, ma quello si spostó a velocità disumana di lato.
"La distanza, Ambrea. Ricordati." le gridó mentalmente Miliar.
Vero, da vicino non poteva tirare con l'arco.
Ma vista la velocità del nemico come pensava di poterlo abbattere da distanza? 
Impossibile.
"Azzannalo al collo. È la zona dove non è corazzato al massimo" consiglió a Miliar, riguardante il drago di nebbia.
-Cosa succede, piccolina? Paura della mia bestiolina?- la sfottè gridando Manuelì.
-Mai.- e incoccó una freccia.
Prese la mira, ma aveva una possibilità su mille di colpirlo: tiró.
Manuelì scartó così velocemenre che la freccia lo passó di lato senza nememno sfiorarlo.
-Smettiamola di giocare. Non ho tutto il tempo.- e Manuelì le si scaglió contro.
La forza dell'impatto quasi la sbalzó di sella, ma si resse forte con le braccia e riuscì a recuperare l'equilibrio un attimo prima che l'elfo cercasse di mozzarle la testa con un colpo netto orizzontale.
Lei si abbassó di scatto, ma riuscì comunque a notare un particolare della lama: la gemma incastonata sull'elsa.
Quella era una spada dei Cavalieri.
-Chi te l'ha data quella spada? Non è tua!- gli urló contro.
Lui fece un affondo, ma lei lo schivó torcendo il busto.
Piegó il collo, ed evitó un pugno, e riuscìad assestargli un calcio sullo stomaco.
Miliar sotto cercava di mordere il collo del drago avversario, ma era come tentare di mangiare il fumo. Nel momento in cui peró la bestia doveva colpire, pesava come una montagna.
-È mia, invece! L'ho presa da una famiglia elfica...i discendenti di uno dei Cavalieri, e l'ho riadattata..- le rispose lui.
-Tu non sei un Cavaliere. Sei un pazzo.- disse lei quasi in un sussurro, la voce piena di disgusto.
Miliar diede una testata fortissima al drago di fumo, il quale cominció a perdere l'assetto di volo, cercando di raddrizzarsi sbattendo le poderose ali.
Ambrea molló un pugno a Manuelì, che roteó la spada e la colpì ad un fianco. 
Il dolore era martellante. Il sangue cominció ad uscire, denso, scuro.
Lei trattenne un gemito, ma non si fermó, non aveva ancora finito.
Duelló per qualche secondo con Manuelì, poi torse il polso, e fece volare via la spada del nemico, ma lui le strinse l'avambraccio con le mani, così forte che lei dovette per forza lasciar cadere il pugnale.
Con un altro calcio, lo spinse via. 
Si ritrovó disarmata, come Manuelì.
Lo fissó negli occhi, senza sbatterli.
-Meriti di morire. Per tutto quello che hai fatto. Per mia madre. E per me. Adesso!-
Lui saltó dal suo drago verso di lei. Ecco il momento che aspettava. Il momento in cui lui avrebbe cercato il corpo a corpo. Ma lei era pronta.
Estrasse una freccia e la posizonó davanti al suo stomaco, ferma.
Non la tiró.
Manuelì fu colpito alla gola. Era andato lui direttamente incontro alla propria morte.
La guardó con occhi vacillanti, e poi cadde.
Il suo drago di nebbia si dissolse, come se non fosse mai esistito. Era stata solamente magia nera, oscura.
Ma ora era tutto finito.
Guardó in basso e vide che gli Emarginati esultavano. La stavano guardando, e la aspettavano giù.
Poi una fitta dolorosissima le partì dal fianco e le si irradió lungo tutto il corpo.
"Sei ferita, piccola mia. Andiamo."
Scesero, planando dolcemente verso terra. 
"Dorien" pensó solamente.
Lei corse verso di lui, si riuscì quasi a dimenticare della ferita al fianco. 
Lui la attiró verso di se', e le prese il viso fra le mani.
Lei lo guardó con i suoi occhioni ambrati. Era così bello, così perfetto.
Si baciarono.
Arya ed Erago si baciarono.
Faelis e Krashta si abbracciarono, un abbraccio quasi tra fratelli.
La guerra era finita. E loro avevano vinto.
________________________________________



Angolo:
Ciao a tuttiii, abbiamo finitoo, hanno vintoo, sii.
Allora, questo non è l'ultimo capitolo, ma penso ce ne saranno ancora uno o forse due.
Comunque, scusate il ritardo ma è stato piuttosto complicato da scrivere. Non volevo farlo diventare così lungo, ma ciao ciao bei propositi.
Ditemi cosa ne pensate, un bacione a tutti!
Kveykva.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** ~Epilogo~ ***


~Epilogo~



-2 mesi dopo-


Il sole sbirciava dai rami di uno dei vertiginosi alberi di Vroengard. 
L'aria violetta e frizzante che caratterizzava quel luogo era perfetta per avere un po' di fresco, sotto quel caldo cocente.
-No, no, no! Non è così!- strilló Ambrea, mettendosi a ridere fortissimo.
-Insomma! È la settantesima freccia che tiro e ho quasi ammazzato Eragon, quasi cavato un occhio a Krashta, quasi colpito Arya e non ho centrato nemmeno lontanamente il bersaglio!- si lamentó Dorien.
-La scena di Arya mi ha divertito un sacco.- sorrise lei.
-Certo, stava per strangolarmi!- 
Ambrea rise, e gli gettó le braccia al collo da dietro.
-Per me con un po' di pratica...- 
-Ah no eh, non ci provare. Con queste frecce e freccettine ho chiuso.- mise lui in chiaro.
-Sai? Sei proprio un maleducato.- disse lei, ma dal modo in cui l'aveva detto Dorien capiva che stava sorridendo.
Lui si giró e la bació a lungo, sentendo odore di fiori e di vento sulle labbra di Ambrea. 
Quando alla fine si staccarono, lei lo fissó.
-Sono ancora un maleducato?- chiese lui.
Lei sembró pensarci su.
-Mm...sì, ma se questo vuol dire essere maleducati non è esattamente un problema, ecco.- 
Scoppiarono a ridere entrambi.
-Ti perdono solo perchè sei bello.- 
-Il più bello del mondo.-
-E perchè sei molto modesto.-
-Se non la pianti ti prendo in braccio e ti porto così.- la minacció.
-Azzardarti e ti costringo a far pratica con l'arco ogni giorno!- rise lei, correndo.
-Mai!- promise lui e la rincorse ridendo.
________________________________________

-Senti amico, piantala di lamentarti. Ti sto per buttare giù dall'amaca.- 
Krashta e Faelis erano nella radura di Juma, ognuno accoccolato sulla propria amaca di fiori e d'erba, sotto il Grande Pesco.
-La vedrai fra tre giorni. Rilassati.- continuó l'Urgali.
Faelis se ne stava pensieroso, sdraiato con le braccia piegate sotto la testa, ad osservare le fronde degli alberi.
-Ma deve fare un lungo viaggio da sola! Insomma ci pensi, da Ellésmera a Vroengard!- ribatte' lui.
-Ma sei scemo? Sarà con gli altri cinque Cavalieri!- 
-Ah già. Be', comunque è pericoloso.- ribatte' Faelis.
-Quando mai l'hai conosciuta, quella Darinda, quando mai!- si disperó Krashta.
-Dovresti conoscere anche tu qualcuno, Krashta. Dico sul serio.- diventó improvvisamente serio l'elfo.
Krashta si mosse a disagio sulla sua amaca, e borbottó qualcosa.
-Oh no! Il mugugnoso Krashta è tornato fra noi! Lungi da me!- scherzó Faelis.
-Comunque, davvero.- riprese.
-Non deve arrivare una Urgali qui? Come Cavaliere?- 
-Mm.- disse Krashta.
-Com'è che si chiama...Napir...Nafil...-
-Narir!- rise Krashta.
-La conosci?- chiese l'elfo.
-Be', da piccoli giocavamo assieme e...-
-Sii! Quando arriva le devi parlare! Capito?-
-Sisi, ho capito. Ora, se alzi quel sedere da elfo schizzinoso e maniaco del pericolo per la sua ragazza, andiamo da Eragon e Arya che hanno indetto una riunione.
-Aah, e va bene.- concesse Faelis, cominciando ad andare.
________________________________________

-Eccovi qui!- li salutó Eragon quando arrivarono Krashta e Faelis.
Dorien ed Ambrea erano già sul posto.
-Bene- disse Arya -volevamo solo parlarvi dei nuovi Cavalieri e quindi, delle modifiche che saranno apportate qui a Vroengard.-
I ragazzi annuirono.
-Fra poco arriveranno cinque altri Cavalieri, come sapete.- riprese Eragon - e la radura di Juma non riuscirà a contenere ben nove draghi! Quindi abbiamo deciso di portarvi con noi in volo per farvi capire cosa abbiamo in mente. Venite.- 
I ragazzi chiamarono i rispettivi draghi, che arrivarono entro poco, e con essi si alzarono in volo assieme ai Maestri.
-Verso la radura di Juma, ma dovete volare alto!- si raccomandó Eragon.
Il viaggio duró più o meno cinque minuti.
Quando arrivarono sopra la radura, cercarono di alzarsi ancora di più, fino a vedere la radura molto più piccola di quanto fosse.
-Vedete la radura? E la zona che la circonda? Vorremmo fare altre otto radure così, posizionate come in un cerchio, ovvero un cerchio suddiviso in nove radure. Come..un grafico a torta, avete presente?- spiegó Arya.
Gli alunni annuirono.
-Possiamo scendere. Il resto ve lo spiegheremo a terra. -
Ritornarono alla zona della riunione, e scesero dalle selle.
-Pensiamo che nove radure siano abbastanza: se teniamo conto che per ogni radura ci stanno al massimo cinque Cavalieri e cinque Draghi dovrebbero poter ospitare circa 45 Cavalieri.- continuó Eragon.
-Che bell'idea!- commentó Ambrea.
-E..- riprese Eragon - vorremmo che ognuna delle radure avesse una sua caratteristica. Per esempio, la vostra, quella di Juma, ha il Grande Pesco. Be', io ed Arya pensavamo che magari in quella dove andranno ad abitare i vostri compagni fra pochi giorni potrebbe essere piantato un ulivo, e così via.-
-Ma è fantastico!- 
Arya sorrise dolcemente.
-Siamo contenti che vi piaccia. Dovremo darci da fare per costruire il cerchio di radure, quindi...al lavoro!- 
-Cosa? Ma dai!- strilló Faelis
-Ditemi che sta scherzando.- disse Krashta
-Non penso proprio ragazzi, muovetevi.- rise Arya.
I ragazzi, rassegnati, si incamminarono verso Ere, Ias, Miliar e Vrango e ci salirono.
Si librarono in volo, con i maestri al seguito, e, con l'aria che accarezzava loro la pelle, sentirono che finalmente ce l'avevano fatta.
Stava per cominciare un nuovo periodo di addestramento, avrebbero conosciuto nuovi Cavalieri e altre battaglie si sarebbero sicuramente svolte nel loro futuro.
Ma ora, in quel momento, era tutto sospeso: era come se ogni respiro, ogni minuto, ogni battito avesse portato a quell'istante.
Avevano combattutto, avevano ucciso, avevano provato cos'era il dolore vero, si erano innamorati, si erano persi, e ritrovati.
Ma soprattutto si erano amati. Tutti quanti. 
Ed ora, guardandosi negli occhi, sfuggiva un sorriso triste.
Triste per tutti i momenti passati assieme a e volati via, ma altri stavano per arrivare.
-Grazie ragazzi. Grazie di tutto.- sussurró Ambrea.
Nessuno riuscì a risponderle, perchè nessuno si fidava della propria voce, per paura di sentirla spezzarsi.
Ma anche se quella risposta non arrivó mai a parole, arrivó nel cuore.
E tanto bastava.




                                 FINE 









________________________________________

Angolo Autrice Disperata per Aver Finito la Storia:
Siamo arrivati alla fine, quindi. Mi dispiace troppo dover finire questa fanfic, che mi ha accompagnato per quasi un anno scolastico.
Mi ha preso tantissimo, ma è stato anche grazie alle persone che l'hanno seguita che ho avuto ancora più voglia di continuare, grazie alle idee, ai consigli, alle critiche.
Voglio ringraziare con un grande grande GRAZIE tutti gli utenti che hanno recensito questa storia, quindi OriginalPrankster, ND23XD, Erro00, sennster03, Frarya, Marta_LOTR, Vitto_chan01, Lupo90 e se ho dimenticato qualcuno chiedo perdono.
Firnen Bjarskular, a te un bacione grande per aver recensito sempre ed essere ogni volta gentilissima e un po' pazza (viva le tue faccine! ) 
Grazie anche a quello che hanno seguito la storia, grazie mille davvero.
Ora vi lascio che non la smetto più di ringraziare, e penso che andró a farmi un panino.
Un bacione,
Kveykva.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2522044