Diario di un Dottore

di Marra Superwholocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'idea di River ***
Capitolo 2: *** Corri, Dottore ***
Capitolo 3: *** Breve, semplice, diretto ***
Capitolo 4: *** Non è domenica ***
Capitolo 5: *** Ci serve un piano ***
Capitolo 6: *** La verità lungo la scia ***
Capitolo 7: *** Un'invenzione a dir poco straordinaria! ***
Capitolo 8: *** Questione di DNA ***
Capitolo 9: *** Dietro l'arazzo ***
Capitolo 10: *** Non qui, non ora ***
Capitolo 11: *** Adii e riconciliazioni ***
Capitolo 12: *** Sono Ghationus II ***
Capitolo 13: *** Particelle di luce ***



Capitolo 1
*** L'idea di River ***


L'idea di River


Amy e Rory camminavano tranquilli, mano nella mano, lungo la riva del lago, mentre il Dottore se ne stava seduto su una panchina a lato del Tardis. Era felice per quella coppia, strana e meravigliosa nel contempo: le discussioni si annullavano non appena si guardavano negli occhi. Una coppia avvolta da un alone di mistero, che induceva il Dottore e chiunque altro li incontrasse ad indagare, a scoprire di più sul loro conto. Ed è proprio questa voglia di sapere che portò il Dottore a venire a conoscenza del fatto che quelli non erano altri che i suoi suoceri.
Amy sorrise al suo compagno e, insieme, continuarono a camminare girando poi l'angolo e sparendo, così, alla vista del Dottore.
“E siamo rimasti soli, io e te” disse lui rivolto al Tardis.
Era il pomeriggio più caldo mai registrato a Londra in quell'estate; il Dottore dovette slacciare i polsini della camicia e arrotolarsi le maniche fin sopra i gomiti che ancora non trovava sollievo.
Sbirciò alle sue spalle e notò una bambina intenta giocare a palla con la madre mentre un ragazzino correva con un aeroplanino in mano mimandone il volo. Tornò a guardare il Tardis e gli venne in mente un'idea.
“Sì, perché no? I Pond saranno di ritorno fra un paio d'ore.. Ce la posso fare” si disse tra sé e sé.
Si alzò dalla panchina ed atterrò sul prato dopo un leggero salto, come quelli che si fanno saltando giù dall'altalena quando è ancora alta: una mamma col passeggino lo guardò incuriosita, ma tirò dritto in direzione del bar del parco.
Il Dottore batté le mani, si tirò indietro i capelli e si diresse in fretta verso il Tardis; vi entrò e corse per i suoi corridoi fino ad arrivare di fronte all'entrata di una stanza in cui non metteva piede da molto tempo. Col cuore in gola, aprì lentamente la porta che, a differenza del resto del Tardis, era appositamente di legno, perché quella stanza racchiudeva tutto ciò che egli stesso raccoglieva nei suoi viaggi sulla Terra, e sentiva che avere del legno in casa lo rendeva più umano.
Fotografie sbiadite e autografi di personaggi importanti come Abraham Lincoln, Arthur Conan Doyle, Leonardo da Vinci, Isaac Newton e Albert Einstein; un ritratto in carboncino della sua quinta incarnazione fatta dal Caravaggio in persona; una ciocca di capelli del Conte Vlad che il Dottore gli tagliò dopo un lungo combattimento.
Passò veloce davanti a una teca di vetro chiusa a chiave, contenente una coppa d'oro, e si chiese come abbia fatto a mantenere il segreto per tutti quei secoli..
Ma ora eccolo: il diario.
Da quando aveva conosciuto River in quella biblioteca, aveva deciso di cominciare anche lui a mettere per iscritto le sue avventure; ma, poiché nemmeno lui era in grado di numerare e sintetizzare i suoi viaggi, optò per la soluzione migliore: quel diario avrebbe assaporato un'unica storia, la più difficile da raccontare, perché la protagonista non era come tutti gli altri suoi compagni di viaggio ma, bensì, una creatura del mare: lei apparteneva alla razza gemella degli esseri umani che decise di continuare a vivere tra coralli e delfini.
Un'unica storia: quella di Anna.
Prese in mano il diario rilegato in pelle e lo sfogliò, giusto per sentire un fresco e leggero odore di carta. La copertina era molto semplice, marrone e senza alcun simbolo o scritta; prese penna e calamaio dal cassetto del comodino in stile barocco di fronte a lui. E per penna intendo una piuma perfettamente bianca, sottile ma abbastanza resistente da permettergli di scrivere velocemente.
Col giusto materiale in mano, ripercorse a ritroso i corridoi fino alle porte del Tardis. Quando le spalancò, sulla panchina dove prima si era accomodato lui, ora vi era una ragazzina con due belle trecce nere come la pece e una frangetta che le arrivava alle sopracciglia.
Il Dottore chiuse il Tardis con uno schiocco delle dita e la bambina si voltò di scatto, spaventata dall'improvvisa comparsa di quell'uomo.
“Ciao!” la salutò lui. “Oh, tranquilla, non aver paura” aggiunse poi, vedendola scivolare verso l'altra estremità della panchina per allontanarsi da lui.
“Io non parlo con gli sconosciuti” chiarì subito la bambina, pronta a scappare.
“Be', non sono proprio uno sconosciuto. Io sono il Dottore. Mai sentito parlare del Dottore?”
“Come un medico?” chiese lei, arricciando il labbro superiore.
Il Dottore si morse la lingua, ma non poteva stare zitto: “No, io sono il Dottore, non un medico. Probabilmente, con tutti i viaggi che ho fatto, avrò conosciuto, anche solo casualmente, un tuo avo..”
“Un mio ..che? Parli in modo strano.”
Il Dottore non sopportava le persone che non capiscono nemmeno le cose più semplici, ma aveva di fronte una bambina: doveva avere pazienza e non fare cose che potevano traumatizzarla.
Riorganizzò le idee e si spiegò: “Un tuo parente che ha vissuto tanti anni fa.”
“Oh..”. La bimba, ancora seduta, si mise a guardare per terra, a ragionare sul nome Dottore, ma lui non ci fece caso: era tutto impegnato a mantenere in equilibrio penna, calamaio e diario mentre si siedeva sul lato libero della panchina.
La bambina si girò verso di lui e gli allungò la mano destra: “Esme!” disse con un sorriso.
“Piacere di conoscerti” rispose lui con lo stesso sorriso e stringendo la manina rosea e morbida. “Quanti anni hai?” le chiese.
“Otto e mezzo, e tu?”
“Secondo te, quanti ne dimostro?”
“Mhm.. Quaranta?”
Il Dottore si rattristò. “Come, quaranta? Ne dimostro così tanti?”
“Scusa.. Ne hai.. Ventisette? Ventotto?”
Gli tornò il sorriso, ma non era proprio la verità. “Attenta: ne dimostro tra i venticinque e i trenta. Ma, in realtà ne ho molti di più!”
“Allora avevo ragione! Ne hai quaranta!”. Cominciava ad innervosirsi.
Molti di più..”
“Sessanta? Ottanta?”
“Tombola!”. Alzò di scatto le mani al cielo e una scia nera volò sul prato alle loro spalle.
La bambina seguì con lo sguardo l'inchiostro per poi tornare a fissarlo negli occhi.
“Ops.. Non è che hai una penna?”
Esme sollevò da terra una sacca per i giochi, ci rovistò dentro e ne estrasse una grossa penna rosa con in cima un gattino bianco e ammiccante. “Tieni, va bene Hello Kitty?”
Il Dottore mise da parte piuma e calamaio, ormai vuoto; poi, con riluttanza, prese in mano la penna che gli porgeva Esme ed aprì il diario.
“Senti un po'..” ricominciò Esme. “Non mi hai detto quanti anni hai.”
Il Dottore rimase a guardare la prima pagina bianca del diario mentre giocava con la penna di Hello Kitty. “Quasi mille” rispose e cominciò a scrivere la data di quel giorno.
“Sì, certo, e io sono Marilyn Monroe.”
Lui si girò di scatto per guardarla meglio e si domandò, pensando, se avesse sbagliato anno.
“Stavo scherzando..”
“Oh, be'.. Sì, certo, l'avevo capito. Ovvio che l'avevo capito..”
“Mh-mh..”
Entrambi si sentirono in imbarazzo; Esme vide il Dottore mangiucchiarsi il gattino, poiché non riusciva a trovare le parole per un giusto inizio.
“Ehi, quella penna non è mia. Non mangiarla, è di Jenna, una mia amica!”
“Pardon, non volevo.. È che non so come cominciare.”
“Parti dall'inizio!” suggerì lei.
Lui la guardò dritta negli occhi: non aveva tutti i torti quella bambina.
Si mise più comodo, accavallò una gamba per creare un supporto su cui scrivere e cominciò descrivendo la tempesta di quella notte.

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Capitolo 2
*** Corri, Dottore ***


Corri, Dottore


Quella notte faceva freddo e lui, addosso, non aveva che il suo solito giaccone lungo. La pioggia cadeva senza sosta e filtrava attraverso il tessuto rosso fuoco delle sue scarpe che facevano uno strano rumore a contatto con la sabbia.
Il signor Mare era molto arrabbiato, poiché una delle sue Figlie aveva rifiutato la sua natura.
Il Dottore camminava lentamente, con gli occhi ridotti a piccole fessure e i capelli che non avevano voglia di contrastare il volere del vento. Pensava a Rose: quella maledetta spiaggia gli ricordava la baia di Bad Wolf.
A venti metri da lui, un fagotto ricoperto da alghe e sabbia giaceva inerte, ma lui non se ne accorse subito.
Si avvicinò sempre di più pensando sempre a quell'universo parallelo; qualcosa si mosse ed emise un gemito. Il Dottore le stava passando proprio accanto quando una mano gli afferrò la caviglia; lui si fermò di scatto, interrompendo i suoi pensieri, e si guardò il piede: era buio ma poté immediatamente notare che quella non era certo una mano come tutti la immaginano. Non era sicuro delle sue supposizioni, ma il suo istinto gli disse che doveva aiutare quella creatura e che, chiunque fosse stata, gli avrebbe regalato un'esperienza unica.
Si chinò facendo in modo che il suo amato cappotto non venisse a contatto con la sabbia bagnata; toccò la mano gelida e marmorea di quella creatura: al tatto era porosa come la roccia, perlacea e ricca di escrescenze.
Il mare sembrò calmarsi; le onde, ora, si infrangevano più silenziose sul molo, a poca distanza dal Dottore e da quella creatura simile e, allo stesso tempo, diversa dagli umani.
Cercò di rincuorarla, accarezzandole la mano che, pian piano, allentava la presa. Si sentì un altro gemito e la creatura cercò di alzare la testa, ma era troppo affaticata e ricadde nuovamente nel groviglio di alghe.
Nel cielo si aprì uno squarcio da cui penetrò la luce della luna e, grazie ad essa, il Dottore poté scorgere quelle che a lui sembrarono essere le sembianze...di una sirena. Ora capiva perché era così debole: doveva riportarla al più presto in mare.
Con la stretta attorno la caviglia che si attenuava sempre di più, riuscì ad allontanare la mano della sirena e a spostarsi a lato della medesima: in questo modo, era più semplice togliere le alghe. Una volta liberata da quell'intrico verdognolo e appiccicoso, poté alzarla da terra mettendole un braccio dietro il collo e uno sotto le ginocchia esili ed ossute.
La testa di li lei ciondolava ad ogni passo del Dottore, diretto verso il mare; erano sempre più vicini...
Lei, che aveva scelto di avvicinarsi ai suoi fratelli umani anziché continuare ad essere una leggenda creduta ormai solo dai bambini, sentì l'odore familiare dell'acqua marina: spalancò gli occhi e si dimenò con tutta la forza che aveva in corpo.
Il Dottore barcollò, preso alla sprovvista, e arrestò il passo con il suo solito sguardo a forma di punto interrogativo. “No, no, no!” continuava a ripetere, terrorizzata, la sirena. “Non un'altra volta, ti prego!” concluse, poi, avvinghiandosi a lui come un koala su una pianta di eucalipto.
Lui, certamente, si sentì a disagio: se ne stava solo, su una spiaggia del tutto vuota, con la Creatura del mare più bella a cui Dio abbia mai pensato.. E per di più, era nuda.
Lei nascose il viso nel giaccone del Dottore che, lentamente, rimettendola a terra e assicuratosi che potesse stare in equilibrio da sola, se lo tolse di dosso. Moriva di freddo, aveva i brividi, ma non gli importava: probabilmente, i suoi simili l'avevano esiliata e lui sapeva come ci si potesse sentire. La coprì con un gesto paterno e, nell'attimo in cui lei alzò lo sguardo da terra per sorridergli, il Dottore fece caso alla sua testa – sembrava essere interamente ricoperta da coralli e conchiglie, più o meno sporgenti, mentre su entrambi i lati del collo si aprivano tre tagli che non smettevano di muoversi – per poi portarla all'interno del Tardis, parcheggiato a pochi metri da loro.
“Grazie” disse l'oramai ex sirena, con i tagli delle branchie ben chiusi ma ancora visibili, come cicatrici: segni evidenti di un passato che non si può cancellare. “Ma chi sei?”.
Il Dottore non si stancava mai di sentirsi ripetere quella domanda: lo esaltava vedere la confusione negli occhi dei suoi interlocutori.


“Già! Chi sei esattamente?” lo interruppe Esme, guardandolo di traverso.
Man mano che scriveva, il Dottore raccontava per filo e per segno tutta la storia ed Esme pendeva dalle sue labbra. Ma quando aveva riportato la domanda della sirena, Esme si ricordò di quello che le aveva confidato la sua amica Jenna proprio qualche settimana prima...
Ti prego Esme, non dirlo a nessuno.. Credo che mia nonna non sia impazzita come tutti dicono. È troppo convinta di quel che dice e dipinge. Mi racconta ogni sera un dettaglio in più e, mentre dimentica sempre quand'è il suo compleanno, ricorda tutti i viaggi che ha fatto!” le aveva detto Jenna.
Allora perché non andiamo a cercare quell'uomo?”
E come facciamo? Andiamo in giro per tutta Londra in cerca di un uomo col cappotto che si fa chiamare Dottore?”
Esme lo guardò fisso fisso negli occhi: sembrava non sbattere nemmeno le palpebre da quanto era concentrata. “Jenna mi ha parlato..” cominciò a dire, ma lui, sfortunatamente, la interruppe.
“La proprietaria di questa..bellissima..penna?” le chiese guardando il gattino.
In quel preciso istante, una donna sull'ottantina con i capelli di un rosso fuoco sbiadito dal tempo e tenuti legati in una rigida coda di cavallo, sfrecciò davanti a loro senza far caso al Tardis.
Esme la notò e, senza dire una parola, si alzò dalla panchina dirigendosi verso la nonna di Jenna.
Il Dottore squadrò bene quella signora: i suoi capelli avevano un colore che gli era familiare. Ma qualcosa di più importante richiamò la sua attenzione: la carta psichica.. L'aprì e quella fece apparire un'unica parola:

 

R U N


Non molto per far sì che potesse comprendere appieno il tipo di pericolo a cui si stava esponendo, ma comunque sufficiente da convincerlo a darle retta.
Senza farsi notare né da Esme né dalla donna, chiuse il diario con all'interno la penna e si diresse verso il Tardis; aprì, sempre prestando attenzione a non far alcun rumore, le sue porte e ci si infilò dentro. In un millesimo di secondo era a capo della consolle, impegnato a maneggiare leve e pulsanti, per poi sparire nel nulla.
La donna chiese ad Esme conferma per il suo invito a cena con lei e la nipote Jenna; la bambina si girò verso la panchina ormai vuota e si morse la lingua per il suo senso di colpa: avrebbe dovuto chiamare subito la sua amica, come lei le aveva raccomandato..
“Allora, Esme? La tua mamma ha detto che puoi?” le chiese la donna.
Esme fece cenno di sì, distrattamente, mentre continuava a fissare la panchina. Richiamarono all'unisono la piccola Jenna, che saltò velocemente giù dall'altalena.
“Ciao, Jenna!” la salutò sua nonna.
“Ciao, nonna. Ciao, Esmy” rispose una bambina di nove anni con lunghi boccoli rosso fuoco.
Chiunque avesse visto insieme Jenna, la madre e la nonna, avrebbe riconosciuto senza alcuna difficoltà le tre generazioni: Jenna aveva preso lo stesso colore della nonna e i suoi capelli avevano un'aria ancor più ribelle grazie alle molle prese dalla madre.
“Andiamo?” la donna richiamò l'attenzione delle due bambine, che si erano messe a spettegolare sulle ultime novità di gossip.
Tutte e tre si incamminarono verso l'uscita del parco del lago: Jenna ed Esme davanti con la nonna che le seguiva a pochi passi di distanza.
“Esmy, la mia penna?” chiese sottovoce Jenna all'amica.
“Ehm, la tua penna?”. Esme guardò altrove cercando una scusa, ma non le riusciva di mentirle: “L'uomo con la cabina..” cominciò a spiegarsi.
“Che?!”. Jenna strabuzzò gli occhi.
Esme era preoccupata; non riusciva a leggerle il volto: aveva una strana espressione, un misto tra paura e gioia con un pizzico d'invidia. “L'uomo con la cabina era al parco.. Gli ho prestato la tua penna e poi..è semplicemente sparito! Però non aveva nessun cappotto lungo né cravatta, ma un bel farfallino e le bretelle.”
“Bretelle? Farfallino?”. Jenna continuava a camminare guardando per terra, senza capire; la nonna che la seguiva con lo sguardo per aria, verso l'universo: l'ultimo posto in cui era stata col Dottore.


Le porte del Tardis si aprirono in un tranquillo vigneto toscano circondato da brillanti campi di girasoli.
Tutt'intorno a lui regnava il silenzio, interrotto solamente da qualche ronzio e cicaleccio.
Gli si appollaiò sulla spalla sinistra uno scricciolo: lo guardò con la coda dell'occhio e quello, subito dopo, gli punzecchiò il lobo dell'orecchio.
Il Dottore fece qualche passo sul terriccio umido, col diario e la penna in mano, dirigendosi verso un albero con foglie a lamina palmata poco distante.
Prese lo scricciolo, lo mise su un ramoscello poco sopra la sua testa e si sedette ai piedi dell'albero, che aveva un'ombra tanto imponente da poter coprire due auto parcheggiate l'una accanto all'altra.
Si mise comodo e continuò a scrivere, mentre una parte del suo cervello continuava a pensare all'avvertimento ricevuto dalla carta psichica.

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Capitolo 3
*** Breve, semplice, diretto ***


Breve, semplice, diretto


Il Dottore si presentò alla sirena col suo consueto monologo che ripeteva con un certo orgoglio e giusto un pizzico di autostima. “E tu, invece? Qual'è il tuo nome, ex sirena?”
Lei gli rispose dall'interno di una stanzetta del Tardis adibita a spogliatoio: “Io mi chiamo Ƀʖʊɰɏ Ϩяехћɮɒ”. Il Tardis non aveva tradotto; il Dottore rimase un po' a pensarci e poi arrivò alla sua conclusione: “Giusto! Il Tardis mi ha portato sulla Terra ma tu non sei una terrestre – o meglio, lo saresti stata se tutti voi aveste scelto di vivere all'asciutto – e non potrebbe comunque tradurre i nomi!” Un ragionamento contorto ma sorprendentemente senza pieghe. “E, dato che non riuscirei a pronunciare il tuo nome,” aggiunse, “penso che ti chiamerò Anna! Breve, semplice, diretto” e concluse con un gran bel sorriso.
La porta della stanzetta cigolò lentamente e ne emerse Ƀʖʊɰɏ, o meglio, Anna che, con lo sguardo basso, contemplava i suoi primi abiti: jeans, un paio di riserva delle amate scarpe di tela del Dottore, una semplice maglietta color prugna e una giacca di pelle color sabbia. “Anna? Sì, mi piace!”
Mentre la riaccompagnava verso l'uscita, il Dottore pensò alla sua prossima meta: Hawaii? Venezia? Il Louvre? Oppure Las Vegas? “Ora cosa farai?” le chiese.
“Ho rifiutato la mia natura di sirena. Secondo te cosa farò una volta uscita da qui?”
“Be'.. Non so.. Potresti..” balbettò lui.
Lei, con la mano sulla maniglia della porta, era già pronta ad evadere. “Potrei cosa, Dottore, salvatore dell'Universo?”
“Ehi! Vedo che i miei viaggi hanno raggiunto anche gli abissi! Che onore” cercò di mimare un inchino. “Comunque, be'.. Non mi piace viaggiare da solo. Che ne dici?”
Anna rimase qualche istante a guardare il soffitto a perdita d'occhio, per riflettere, mentre lui continuava a parlare.
“Potremmo andare ovunque tu voglia, incontrare gente comune o personaggi storici! Vedere albe e subito dopo tramonti, salvare vite e punire i cattivi! Allora? Da dove vorresti iniziare?” chiese lui con un'espressione che non desiderava altro che un cenno d'assenso.
“Ovunque io voglia?” gli chiese con un sorrisino ammiccante.
“Oh, sì! Ovunque.” Le si avvicinò di qualche passo; entrambi i cuori gli battevano all'impazzata.
“Potrei incontrare un re?”
“Un r.. Ehm, sì, perché no?”
“Vivremo avventure mozzafiato?”
“Ovviamente!”
Anna rifletté qualche istante prima di abbassare lo sguardo sui suoi piedi ancora infreddoliti. “Alcuni parenti mi hanno descritto l'aurora boreale” disse quasi in un sussurro. “È davvero così bella come dicono?”
“Vieni con me” le tese una mano per attirarla a sé, “e potrai risponderti da sola” le propose con la luce della speranza che gli brillava negli occhi color nocciola.
Avrebbe assaporato con i suoi occhi le meraviglie del mondo a cui, millenni prima, i suoi simili avevano rinunciato; avrebbe visto i fiori, la neve e gli esseri umani da vicino, finalmente!
Anna staccò piano la bianca mano porosa dalla liscia maniglia argentea. Lo guardò con i suoi occhioni che, lentamente, stavano diventando blu come l'oceano e gli sorrise. “Mi stai offrendo qualcosa di...di..” Non sapeva come terminare la frase.
“Sì, conosco quella sensazione” disse, vedendola con le lacrime di gioia agli occhi.
Anna era distante dal Dottore di sette passi, percorribili in circa cinque secondi. Ma era talmente felice di averlo incontrato che, nonappena iniziò la corsa verso di lui, il Dottore se la ritrovò attaccata al collo, in una stretta forte e dolce al medesimo istante.
“Portami ovunque ci sia qualcosa di bello da vivere!” gli sussurrò all'orecchio, con gli occhi chiusi.
“Bello da..vivere?” le chiese.
“Vivere, sì! Perché è esattamente quello che voglio fare! Vivere, vivere, vivere!”
Il Dottore la rimise a terra e la guardò con un sorriso sghembo.
“Dunque, dove vuole che la porti, signorina?”
“La Luna!”
“La Luna? Sul serio? Fra tutti i luoghi visitabili sulla Terra, scegli il suo satellite?”
“Sono secoli che, di notte, mi rifugio sulla battigia di una spiaggia abbandonata e sogno di vivere su quel meraviglioso puntino bianco latte..”
“Ok, bene. Si comincia, allora!”
“Sì!”
Il Dottore la prese per mano e la tirò, correndo come faceva sempre, verso la consolle. Cominciò a spingere, sollevare, digitare, ruotare manopole, pulsanti e leve, finché non alzò lo sguardo sapendo di aver dimenticato una cosa.
“Ehi, Dottore, perché ti sei fermato? Siamo già arrivati?” gli chiese un po' perplessa.
Il volto di lui si illuminò in uno splendido sorriso in cui si potevano contare tutti i denti ed esclamò: “Ho dimenticato la parola magica!” Mise una mano su un bottone della consolle, poi tornò a guardarla. “Sulla Luna, eh?”
Anna fece un cenno col capo: sì.
“Be', allora... Allons-y!” e spinse il famoso pulsante che diede inizio all'avventura della nostra ex sirena.

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Capitolo 4
*** Non è domenica ***


Non è domenica


“Davvero incredibile!” esclamò Anna appena messo piede sul suolo lunare bianco come lei stessa. “Semplicemente favoloso.”
Staccò la mano dal Tardis e si lasciò cullare nel vuoto, senza sentire ai piedi tutto quel peso del suo corpo a cui si era appena abituata, mentre il Dottore la teneva per una mano.
“Potassio.. Magnesio.. Ferro e titanio.. Ah, silicio!” esclamò il Dottore con occhi sognanti e la lingua penzoloni come un cucciolo di cane per assaggiare l'aria che, col vento appena percettibile, sollevava le polveri sottili delle sostanze che componevano la crosta lunare.
“Come, scusa?” chiese Anna ridendo.
“Ah, niente.. Non avevo mai fatto caso a che sapore avesse la Luna!” esclamò lui.
Anna si guardò attorno: la crosta lunare rifletteva la luce calda del Sole, alla loro sinistra, e creava un effetto magico con lo sfondo nero dell'universo, bucherellato qua e là da milioni di stelle, alle loro spalle e la bellezza, estremamente semplice e perfetta, della Terra davanti ai loro occhi. In fin dei conti, ciò che aveva difronte non era molto diverso dal mare.
“Dottore?”
“Sì, Anna?”
“Ora basta.. Voglio vedere un umano in carne ed ossa!” disse volteggiando a una spanna da terra.
Il Dottore la tirò verso di sé, le cinse i fianchi con le mani lunghe e sottili e lei poté nuovamente mettere piede nel Tardis.
Da qualche parte, era domenica e, come già il Dottore sapeva, di domenica non succedeva nulla di speciale. Quindi, perché no: una meta diversa dalle solite.
“Anna, ora voglio portarti in un posto colorato e pieno di vita!” le disse mentre chiudeva le porte del Tardis con cautela. “Si tratta di una città di sognatori, artisti e.. Oh, lo vedrai tu stessa!”
Anna era in trepidazione; le sudavano le mani e le gote le erano diventate calde e rosse come un pomodoro. Non smetteva di sorridere e non faceva altro che guardare il Dottore per imprimere bene quell'immagine nella sua testa.
“Solo che non ci andremo in questo periodo storico. Bensì, visiteremo quella del Diciannovesimo secolo!” affermò lui spingendo con calma una leva bianca e rossa.
Un attimo dopo si sentì come un respiro metallico, ripetuto tre volte. Ed erano arrivati.
Il Dottore andò di fretta a cambiarsi e a prendere un abito diverso anche per Anna, adatto a quell'epoca; quando tornò, la trovò col naso appiccicato alla consolle, affascinata da tutte quelle luci.
“Anna, lo sai che cos'è uno spettacolo teatrale?”
“Ehm.. No.” Si voltò così velocemente che il Dottore non poté non notare che le mancava qualcosa.
“È un po' come vedere un film, solo che gli attori recitano dal vivo!” le disse mentre prendeva una parrucca da una botola sotto la consolle.
“Vedere un..cosa? ..Chi? Com.. Cosa?!”
Il Dottore le sistemò una grossa parrucca riccia e castana sulla nuca calva e porosa, poi corse verso l'uscita del Tardis e, col sorriso di un bambino stampato in volto, aprì le porte e..
“Cos'è questo profumo? È..un incanto!” chiese Anna, inspirando profondamente.
Poteva sentire nettamente il profumo dolce dei fiori di primavera, l'odore del Sole di un caldo pomeriggio, il lieve ronzio delle api in festa... Era talmente affascinata da tutto ciò che le stava di fronte, che quasi si dimenticò di respirare.
“Questa è Parigi!” esclamò lui, voltandosi.
“Parigi?”
“Parigi” le rispose.
“Parigi..”
“Sì, ma diventerà notte se continui a ripeterlo” scherzò, poi le fece l'occhiolino e la invitò ad uscire.
Mentre lei era intenta ad assaporare con gli occhi tutto ciò che la circondava, il Dottore chiuse bene le porte del Tardis. Erano in una via buia e la strada era ricoperta di cartacce, segno che non vi passava nessuno da molto tempo: la cabina sarebbe stata al sicuro fino al loro ritorno.
“Allora, Anna, com'è stato viaggiare col Tardis?”
Anna passeggiava al fianco del Dottore, imitando il suo passo leggero e disinvolto. “Molto meglio che nuotare in mezzo agli squali..”
“Ah! Non ho dubbi! Sono alquanto arroganti..”
Anna si fermò di colpo. “Tu..” Lo squadrò da capo a piedi. “Tu hai nuotato con gli squali?!”


Lo scricciolo rimase ad ascoltare attentamente ogni singola parola del Dottore, e sembrava perfino capirlo. Chinava il piccolo capo una volta a destra e una a sinistra e ogni tanto apriva le ali o emetteva un versetto come per dare la sua approvazione a ciò che gli diceva.
Ma sembrava anche dirgli qualcos'altro..
“Dottore! Dottore!” gli urlò, cinguettando, lo scricciolo. “Dottore! Voltati!”
Ma lui era talmente impegnato a scrivere di Anna, che non si accorse né dell'avvertimento del suo piccolo amico né della ragazza che lo stava spiando a pochi metri di distanza da dove era seduto.


Lui sorrise guardando a terra e continuò a camminare per uscire dalla via.
Anna rimase a metà tra un sorriso di meraviglia e un'espressione attonita mentre lo vedeva arrivare in fondo alla via isolata, girarsi e voltare l'angolo. Rimase qualche istante a pensare a ciò che poteva fare quell'individuo: i racconti giunti fino alle sue orecchie, parlavano di uno strano vagabondo che viaggiava nell'essenza della storia dell'Universo, con volti e compagni ogni volta diversi.
Fino a poche ore prima erano solo leggende, mentre ora si trovava parte integrante di qualcosa di talmente grande che si chiese se stesse sognando. Esattamente come farebbe una bambina, si pizzicò il braccio sinistro. “Ahi!” sussurrò, ma ne fu sollevata. Ricominciò a camminare e quando, anche lei, svoltò l'angolo, si ritrovò in una meravigliosa piazza governata da eleganti carrozze nere trainate da splendidi cavalli bianchi come le nuvole. Rimase a bocca aperta nel vedere così tanti esseri umani riuniti in un unico luogo, sotto le piante a leggere un libro o a piccoli gruppetti per chiacchierare.
Raggiunse il Dottore e, solo quando fu lui a indicarglielo con un ampio gesto della mano, notò il teatro che troneggiava alto e maestoso su tutta la piazza: l'Opéra National de Paris.
Anna si gustò ogni singolo istante di quella giornata: vide una rappresentazione che la fece commuovere talmente tanto che, per un attimo, non capì che cosa le stesse scendendo dagli occhi.
Quando lo spettacolo terminò in un fragoroso applauso, Anna e il Dottore uscirono dal teatro – protetto da uno strato di cielo blu notte – più emozionati di prima, perché sapevano che li attendeva una nuova avventura.
Rientrarono in fretta nel Tardis e si cambiarono nuovamente d'abito. Anna stava guardando con ammirazione il suo Dottore, che correva tutt'intorno alla consolle, quando improvvisamente vennero entrambi catapultati a terra, sulla griglia gelida.
“Che cosa succede?” chiese Anna quasi urlando per sovrastare il rumore assordante del Tardis messosi in moto.
“Stiamo..partendo!” le rispose a denti stretti, per poi riderci su dicendo: “Con la mezzanotte, non è più domenica e, da qualche parte, c'è bisogno di me!”
Anna non riusciva nemmeno a stare in pedi da quanto il Tardis barcollasse nel tentativo di atterrare su suolo sicuro. La testa le vorticava furiosamente e senza tregua mentre gli ultimi scossoni parlavano chiaro: erano arrivati.
Sì, ma dove?
Anna voleva conoscere un re; forse il Tardis l'aveva accontentata.

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Capitolo 5
*** Ci serve un piano ***


Ci serve un piano


Il Dottore era ancora paralizzato a terra, incastrato tra i vari cavi che si erano riversati a terra e che ora gli impedivano di alzarsi normalmente in piedi, avendo rotolato sulla griglia come un sacco di patate. Aveva gli occhi sbarrati e pronti al peggio: quei colpi alla porta li aveva sentiti bene. Chiunque vi era fuori li aveva ripetuti più volte e le sue orecchie non si erano mai sbagliate nel contarle: batterono alla porta quattro colpi veloci ogni quattro secondi, per quattro volte.
Ansimava, terrorizzato e impietrito, con lo sguardo sulla porta e le mani tremanti che cercavano di capire l'intreccio dei cavi attorno alle sue gambe.
“Dottore! Che succede?!” gli urlò Anna.
Non la sentì: aveva il sangue che gli pulsava forte nelle orecchie, che diventarono bordeaux in pochi secondi.
Knock, knock, knock, knock.
La quinta volta che bussarono, il Dottore parve tranquillizzarsi un po'. Forse non era chi pensava fosse.


“Oh, caro mio scricciolo. Voglio dirtelo subito: non era lui” chiarì subito il Dottore.
Il povero animaletto stava ancora cinguettando freneticamente nel tentativo di impedirgli di perdere di vista un'altra volta la sua predatrice. La ragazza, una bionda con gli occhi da gatta, se ne accorse e si nascose meglio tra i girasoli.
“Dottore, voltati, per favore!” Lo scricciolo non aveva quasi più voce da come urlava per farsi sentire.
Lui, finalmente, lo guardò negli occhi e aggrottò la fronte. “Come dici? Voltarmi?”
La bionda sentì le parole del Dottore e come una pantera albina camminò nel campo in direzione opposta alla sua preda: non era ancora pronto.
Lo scricciolo spiccò il volo per mostrargli da che parte dovesse guardare e il Dottore si alzò in piedi, si girò subito, ma non vide nessuno.
Solo, ancora una volta.
Senza capire cosa stesse succedendo, il Dottore tirò fuori il suo cacciavite sonico e lo puntò di fronte a sé; se lo riportò davanti al viso e lo analizzo bene. Tutto normale, zero pericoli. Tornò alla sua cabina, vi entrò – lì si sentiva più al sicuro – e ricominciò a scrivere.


Anna si diresse verso il Dottore con passo deciso ed il cuore colmo di paura; lo aiutò a liberarsi dai cavi così come lui aveva fatto con lei sulla spiaggia.
“Anna, stai indietro. Non ho idea di chi, o cosa, ci sia là fuori” la ammonì lui. Si rialzò in piedi, confortato nell'udire una sesta volta battere alla porta, e si avviò verso l'uscita. Spalancò velocemente le porte e dovette abbassare di molto lo sguardo per guardare in faccia chi lo stava chiamando. Ci mise un po' a capire dove si trovasse e subito dopo spalancò gli occhi.
“Dottore, allora?” bisbigliò Anna da dietro la consolle del Tardis.
Lui era quasi paralizzato dalla meraviglia e dalla paura nel medesimo istante. Era di fronte a degli ominidi con la pelle quasi rocciosa, secca e piena di crepe, arida. Pensava che i Pikeyani si fossero estinti anni addietro e, invece, eccoli là che gli puntavano addosso le loro armi-laser, pronti a farlo fuori una volta per tutte. Li aveva sconfitti già una volta, con un volto differente, ma la curiosa cabina attirò la loro attenzione e la riconobbero immediatamente.
Il Dottore alzò subito le mani in un gesto di arresa, cercando anche di limitare la visuale dell'interno del Tardis, dove c'era ancora Anna: non voleva metterla in pericolo.
“Chi c'è lì dentro?” grugnì un soldato con l'arma ben salda tra le mani quando sentì un leggerissimo fruscio degli abiti della ex sirena.
“Ah, nessuno, è solo la cons-..” ma il Dottore non riuscì nemmeno a terminare la frase che lo stesso soldato che poco prima aveva parlato lo spinse di lato e accennò ad un passo verso l'entrata. Lui lo fermò.
“L'ultima volta che hai mandato in aria i nostri piani con te c'era una biondina che chiamavi Polly. Ora chi hai convinto a rovinare altre popolazioni?” gli chiese il soldato, alto la metà del Dottore.
Lui rimase in silenzio; in parte, il soldato aveva ragione.
Anna aveva aiutato una giovane tartaruga a liberarsi da un anello di plastica buttato in mare dagli umani, rischiando così di farsi mordere, lottato contro baleniere e contro squali bianchi: dunque, non aveva nulla da temere. Raccolse tutto il coraggio che aveva in corpo e rizzò la schiena; fece qualche passo avanti. “Eccomi” disse guardando dritto negli occhi il piccolo alieno dai minuscoli occhi asciutti. Il cuore le batteva all'impazzata mentre camminava decisa verso il soldato che le fece segno di tendere i polsi. Lei eseguì l'ordine e dopo un paio di secondi si ritrovò con le mani unite da un lampo azzurrognolo che fungeva da manette. Tremava dalla testa ai piedi e non si seppe spiegare il motivo di quel gesto finché lei e il Dottore, entrambi ammanettati, non furono scaraventati all'interno di un veicolo fluttuante per trasportarli al Palazzo di Giustizia.
“Perché l'hai fatto? Potevi rimanere al sicuro fino al mio ritorno!” le chiese con un filo di voce.
“Non ti lascio solo” replicò lei guardandosi i piedi. “Dove ci stanno portando?”
Il Dottore staccò lo sguardo dai suoi occhi blu e fissò le sue mani; sudava freddo al ricordo delle urla di Polly, ma non disse nulla.
Quello fu un silenzio che Anna fiutò come un ricordo molto doloroso e il suo istinto di sirena, che le era rimasto nonostante la trasformazione, non si sbagliava.
“Stiamo andando.. al Palazzo di Giustizia” sbottò lui con il tono della voce abbassato di un'ottava.
Giustizia. Quella parola non prometteva nulla di buono.
Scesero dal veicolo facendo un leggero salto prima di toccare terra. Dopodiché un altro soldato, del tutto uguale a quello che li aveva ammanettati, li scortò dritti dritti in un'ampia sala dalle pareti grigie e tristi, con drappeggi di velluto nero che pendevano dall'alto soffitto impreziosito da grossi diamanti – unico punto luce in quella specie di tomba. I Pikeyani credevano che vedendo quell'ambiente, luogo di numerosissime cerimonie pubbliche chiamate Supplizi in cui i detenuti venivano picchiati a mani nude o frustati, la gente evitasse di compiere crimini, i quali comprendevano anche guardare negli occhi il re.
Il Dottore ricordava bene le ore passate in questo luogo di tortura e, per i cinquecento anni successivi, le urla di Polly gli risuonarono in testa. Non poteva permettere che tutto ciò accadesse di nuovo. Non glielo avrebbe permesso.
Il soldato passò il testimone ad una guardia che li condusse, minacciandoli con la stessa arma dei militari, per un intricato labirinto di corridoi finché non giunsero ad una porta totalmente nera e liscia come marmo appena levigato. La guardia bussò col battente a forma di diamante e subito dopo aprì la porta. Abbassò lo sguardo e presentò i due prigionieri come il Dottore e la ragazza venuta dall'oceano terrestre.
Il re alzò gli occhietti pallidi. Non era per nulla diverso dagli altri suoi simili; indossava un abito lungo che lo faceva sembrare più alto, ma quando mise piede a terra Anna poté notare che, in realtà, l'altezza era dovuta ad uno sgabello di velluto nero.
“Guarda a terra!” le suggerì il Dottore bisbigliando e lei obbedì subito.
Anna e il Dottore si fecero sempre più vicini man mano che il re avanzava per studiarli e, con loro grande sorpresa, quando gli fu ad un passo di distanza i suoi occhi arrivarono all'altezza di quelli dei due prigionieri grazie ad una molla che cresceva sotto le sue scarpe. Un'invenzione che il Dottore aveva sempre ammirato di questa specie aliena.
“Dottore.. Finalmente ci conosciamo!” cominciò il re. “Sono re Frynjuan XVII, ma a voi concedo l'onore di chiamarmi semplicemente Maestà.” Fece una piroetta in modo da far svolazzare l'abito ma quello, lungo circa tre metri, si arrotolò su se stesso facendolo sembrare un idiota mentre tentava di ricomporsi. “SMETTETELA DI RIDERE!” urlò in direzione dei due prigionieri che stavano ridacchiando sotto i baffi. Spostò il vestito con non poche difficoltà poi richiamò una guardia: “Portateli nelle carceri! Subito!”
Anna e il Dottore furono spinti con forti manate lungo gli oscuri corridoi di prima. Nella mente del Gallifreyano venivano elaborati complessi calcoli e ragionamenti. “Come possiamo scappare? Come posso fermarli?” continuava a chiedersi.
E poi gli venne in mente l'acqua.

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Capitolo 6
*** La verità lungo la scia ***


La verità lungo la scia


Il Dottore posò a terra il diario e la penna col gattino, si stiracchiò ben bene e andò verso la consolle: non poteva abbandonare i Pond.
Quando tornò a Londra e mise piede fuori dal Tardis, era buio e su una panchina poco distante da lì vi erano appollaiati Amy e Rory. Il Dottore fece comparire un sorriso sulle sue labbra, si avvicinò lentamente alle loro spalle e con un balzo atterrò dalla parte opposta della panchina per sedersi davanti agli occhi atterriti dei due piccioncini.
“Dottore! Ma dov'eri finito?!” gli urlò in faccia Amy tirandogli anche qualche sberla sul braccio, che non guasta mai.
“C'è stato un imprevisto del mestiere” scherzò lui di rimando in un tono un po' freddo. Pensava ancora al messaggio sulla carta psichica, l'avvertimento dello scricciolo... Stava succedendo qualcosa, ne era sicuro. “Amy, Rory: poco distante da qui ci sono delle giostre. Andateci. Io.. Devo fare una cosa.” Si alzò e raggiunse il Tardis senza voltarsi, con gli occhi increduli della sua coppia preferita puntata sulle sue spalle.

“Anna, quando te lo dico io, corri” le bisbigliò il Dottore mentre percorrevano i lunghi corridoi dei sotterranei che portavano alle carceri, accompagnati da un paio di guardie armate – una davanti e una dietro di loro.
Anna aveva sepolto la paura e adesso era carica di adrenalina; avrebbe potuto fare di tutto, in quello stato. Annuì piano.
Sotto il cappotto, il Dottore teneva stretto un leggero rigonfiamento. In quel periodo, senza saperne il vero motivo, aveva notato una certa utilità delle bottiglie di plastica. Se le portava in giro ovunque andasse e si erano rivelate davvero indispensabili. Poteva tirarla in testa a qualcuno per rimproverarlo, bere, fare scherzi a Rose.. E, se si fosse trovato di fronte ad una tecnologia aliena che avrebbe potuto mettere in pericolo la Terra, avrebbe svuotato la bottiglietta sui loro congegni. L'acqua può salvarti la vita.
Ora, con i polsi legati insieme dal lampo, tentava l'impossibile, e cioè far scappare Anna per poi usare la sua arma segreta.
“CORRI!” le urlò il Dottore. Ma lei rimase lì, impietrita.
E poi successe tutto molto velocemente: il Dottore prese dall'interno del suo cappotto la bottiglietta piena d'acqua e l'aprì, si voltò e con un sorriso un po' maligno ne scaricò metà addosso alla guardia. Quella che, invece, stava davanti a loro si girò, ma non seppe mai la verità, perché il Dottore lo annaffiò ben bene partendo dalla testa rinsecchita.
I due alieni tremarono, si mossero come in preda a delle convulsioni e poi si sciolsero davanti agli occhi spalancati di Anna.
“Troppa acqua tutta insieme, fa male” disse il Dottore in un ghigno. Nonostante lui non abbia mai voluto uccidere nessuno, a volte è indispensabile compiere quel gesto per salvare la vita delle persone a cui tieni e che se lo meritano.
In lontananza si udì un assordante allarme e tutti i corridoi si colorarono di rosso.
“Vieni!” Il Dottore la prese per mano e la trascinò fino ad una porta di metallo molto fredda; vi entrarono senza sapere dove fossero e si chiusero la porta alle spalle.
Poi qualcuno accese una candela.

Quando il Tardis atterrò, lui rimase qualche secondo attaccato alla consolle con lo sguardo basso. I suoi capelli non gli erano sfuggiti. A lui non sfugge mai nulla. Il colore era molto simile ai capelli di una ragazza di sua conoscenza. Ancora una volta era tormentato dalla voglia di sapere tutto.
Ma non era pronto.
Infatti, quando uscì lentamente dal Tardis, si trovò di fronte soltanto girasoli. Gli stessi girasoli che poco prima lo avevano visto sparire accompagnato dai rimproveri dello scricciolo, che ora non c'era più. Fece qualche passo guardandosi ogni tanto alle spalle; tirò fuori il cacciavite sonico e lo azionò.
Il suo volto non mutò molto nel venire a conoscenza di un fatto che aveva previsto da tanto tempo.
Dovete sapere che quando si compie un viaggio spazio-temporale ci si porta dietro una scia. È invisibile all'occhio umano ma, come ho detto prima, non si può ingannare il Dottore.
Ancora non sapeva chi fosse quella ragazza; l'aveva già incontrata – a Milano, a Londra , in un cratere lunare e persino nella biblioteca più grande dell'Universo – ma tutto ciò non aveva molto senso senza sapere la sua identità; perché lo seguiva in ogni dove?
Seguì la scia mentre il cacciavite sonico gli indicava la strada. Lui camminava; i suoi cuori correvano.
Si stava avvicinando al bosco. Una goccia di sudore gli attraversò fronte, naso, mento. Il tappeto di aghi di pino attutivano i suoi passi ma non poterono nulla contro il suo battito cardiaco; stava scoprendo la verità?
Lo sperava così tanto..

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Capitolo 7
*** Un'invenzione a dir poco straordinaria! ***


“Chi siete? Correte un enorme pericolo, lo sapete?!” si sentì da dietro la candela.
“Alphius!” Il Dottore quasi sobbalzò nel riconoscere un vecchio amico.
Alphius rimase in silenzio. Avvicinò la candela al volto del Dottore, che non faceva altro che sorridere con la bocca spalancata per la sorpresa. “Dottore.. È lei?” chiese stupefatto.
Qualche gridolino sommesso, abbracci e strette di mano di amici incontrati tempo addietro. Quanto tempo era passato dall'ultima volta? Trecento anni? Settecento?
“Oh, Alphius! Lujas! Vashòa! Che bello rivedervi! Quanto tempo, eh?” Il Dottore nascose l'angoscia dietro un altro sorriso, ma il tremolio della mascella e delle mani, no, quello non poteva sparire.
Alphius e gli altri si scambiarono qualche sguardo incerto nella penombra. Poi la femmina, Vashòa, prese a parlare: “Dottore, qui, nulla è diverso dalla vostra partenza. Solo il nostro sovrano è cambiato, ma le intenzioni del governo sono rimaste quelle di sempre.” Esitò un attimo, prima di continuare. “Sono passati quattro secoli senza che cambiasse una minima cosa nella mente dei re.”
“Ma.. Ma eravate prossimi all'estinzione! L'oracolo l'aveva visto chiaramente!”
“Dottore,” disse Lujas, compagno di Vashòa, avvicinandosi ad Anna per studiarne il volto sconosciuto, “l'oracolo ha detto un sacco di menzogne. Disse che avremmo conquistato diciassette pianeti in sole dieci decadi. La verità è che, in più di cinque secoli, siamo a malapena riusciti a scappare dalla ragazza dal volto luminoso.” Lasciò in pace la povera Anna e si mise al fianco della moglie.
Il Dottore aveva conosciuto personalmente l'oracolo. Gli aveva detto delle cose molto importanti; intendeva metterlo in guardia. La maggior parte delle sue profezie si erano avverate. Anche quella che riguardava il numero tre. Una volta, a Milano, aveva accompagnato una ragazza, Eleonora, in un parco; appena arrivati, avvertì che c'era qualcosa di diverso, qualcosa di anomalo. A poca distanza tra loro, vi erano ben tre Tardis: il suo, quello della sua successiva incarnazione e uno che non rientrava nei parametri regolamentari registrati dal suo cacciavite.
“Che gli fecero, dopo?” chiese il Dottore.
“Supplizio pubblico.”
“Lujas, ti assicuro che ciò che disse a me, si avverò. Io, che non credo a queste cose..” Poi si bloccò. Lujas aveva detto che erano riusciti a fuggire da... “Lujas, da chi hai detto che siete scappati?!” gli chiese prendendolo per le spalle.
Anna parve turbata e si sentì messa un po' da parte; dunque, approfittò della confusione per girare all'interno di quella stanza. I suoi occhi da sirena vedevano tutto, nonostante il buio, e una macchina in fondo alla parete attirò la sua attenzione. Si voltò, ma il Dottore era impegnato con la storia di quella ragazza luminosa, e si avvicinò sempre di più alla macchina che avrebbe messo fine alla sete di conquista di re Frynjuan XVII.
“Che cosa intendi dire con ragazza dal volto luminoso?!” gli chiese, più spaventato che curioso.
Lujas e gli altri lo guardarono come se fosse impazzito. “Intendo dire esattamente quello che ho detto, Dottore!”
“Ha ragione!” confermò Vashòa. “Quando arrivò qui, sul nostro pianeta, disse di star svolgendo il compito che non eravate riuscito a portare a termine voi stesso. Faceva le vostre veci, disse proprio così. Disse di conoscervi quasi di persona! Voleva distruggerci ma ci lasciò andare con un conto alla rovescia e un patto, che re Frynjuan XVII non rispettò: dovevamo lasciare in pace la Terra e i suoi abitanti, in cambio lei ci avrebbe lasciati vivere.”
“Ma perché la chiamate in quel modo?” chiese in un tono più pacato.
Alphius, che fino ad allora aveva detto poco e niente, uscì dall'ombra portandosi la candela al viso, e si schiarì la voce. “Fui l'unico a vederla. Poco dopo il suo discorso, noi eravamo già in fuga. Aspettavano solo me. Davanti alla sua astronave, cadde a terra. Poi mi guardò e mi fece cenno di tacere: capii che, in quello stato, era vulnerabile. Feci quello che mi disse solo perché ci aveva risparmiati. Poi il suo corpo cominciò a brillare di una luce dorata, bellissima. Durò pochi istanti e quando finì io ero già al sicuro tra i miei simili. Da lontano, vidi che quella ragazza stava rientrando nella sua astronave e svanì nel nulla. Proprio come voi, Dottore.”
Il Dottore lo ascoltò come ipnotizzato. Una ragazza che sapeva di lui, senza che lui la conoscesse. “Che cosa? Lei sapeva di me? C-come ha fatto a svanire nel nulla?!”
I tre Pikeyani si guardarono sbigottiti l'un l'altro, alla debole luce della candela.
“Dottore?” lo chiamò Anna all'improvviso. “Dottore, vieni qui. C'è.. Qualcosa..” Toccò, anzi, sfiorò la macchina che stava osservando.
Il Dottore perse di vista i suoi pensieri e si precipitò al fianco della sua compagna di viaggio. “Dimmi.”
“Che macchina è?”
Il Dottore inforcò i suoi amati occhiali e con gesti teatrali studiò la strana macchina col suo cacciavite sonico. “È una macchina che..” Non fece neanche in tempo a spiegare la sua funzione che due raggi ultrasottili partirono dalla macchina e viaggiarono in due direzioni diverse: uno andò dritto al petto del Dottore, l'altro centrò in pieno la mano bianca di Anna.
“NOOOO!!” urlarono all'unisono i tre Pikeyani, coscienti di quel che sarebbe successo di lì a breve.
“Oh, no! No, no, no!” Il Dottore aveva capito e tentava con tutte le forze di sottrarsi a quel raggio che gli avrebbe rubato l'intelligenza. “Si mette male!”
Poi il doppio raggio terminò il suo operato e i due si sentirono come vuoti e persi. La macchina aveva fatto tabula rasa delle loro menti, ma non era ancora finita.


Il Dottore col farfallino si addentrò furtivo nel bosco. Aveva paura, ma anche tanta voglia di sapere. Stava pensando alla possibile identità di quella ragazza, quando dei passi affrettati gli fecero voltare la testa. A pochi metri da lui, tra i fitti rami, vide un groviglio di capelli biondi sparire lentamente nel buio di una specie di scatola verde.
Corse più veloce che poté, ma, quando varcò la soglia della piccola radura, si accesero dei motori che alle sue orecchie erano molto più che familiari.
E si ritrovò di nuovo solo.

Quando la ragazza atterrò, era sera. Non c'era motivo di occultare la sua astronave: era nel bel mezzo del nulla. Il deserto rosso, luogo di pace. Chiuse le porte e allungò le braccia per tirare via dalla cabina i rami e le foglie che dovevano nascondere il suo mezzo di trasporto da occhi indiscreti.


Un altro paio di raggi, più forti di prima, partirono contemporaneamente: entrambi, dalla fronte di uno arrivavano a quella dell'altro. Anna e il Dottore spalancarono gli occhi e da essi fuoriuscì una luce bianca, celestiale, che illuminò l'intero ambiente.
La luce bianca lasciò i loro occhi e i raggi smisero di lavorare. La macchina aveva svolto la sua funzione in modo ottimale.
“Ehi!” Anna cominciava a capire, mentre il Dottore la guardava con fare inquisitorio.
“Cosa? Dimmi! Che cosa succede?” le chiese in preda al panico.
“Dottore.. Che cosa avete fatto..” Alphius si mise le mani sulla testa vecchia e screpolata. “Che cosa avete fatto!”
“Un'invenzione a dir poco straordinaria!” esordì Anna.

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Capitolo 8
*** Questione di DNA ***


Questione di DNA


Ci fu un attimo di silenzio. Un attimo che sembrò durare un'eternità, per Anna. O meglio, per il Dottore. “Wow! Non ci credo! Chi l'ha inventata?” chiese Anna stupefatta.
“Anna, vorresti, per favore, darmi qualche spiegazione?!”
“Oh, Dottore, per l'amor del cielo! Non hai ancora capito?” si lamentò lei.
“No!”
I tre Pikeyani, disperati, tentarono di ripristinare l'ordine in quella salettina. La macchina era rimasta lì per anni – forse secoli, chi lo sa? – e mai utilizza. Un certo Setio l'aveva dapprima disegnata sulla pergamena più economica che possedeva, per poi trasportare gli stessi progetti sui pregiati Diamanti Neri donatigli dal re in persona, Demetrus XIV, per farne un'arma potentissima. I lavori iniziarono subito, ma il povero Setio non aveva idea di ciò che frullava nella testa del suo sovrano. Sebbene riponesse fiducia in lui, Setio diede comunque in pasto alle fiamme i suoi progetti su pergamena e scalfì due lineette in più qua e là sui Diamanti Neri, in modo tale da modificare l'intero progetto. Infatti, l'idea iniziale di Setio – secondo un complicatissimo processo fisico – era che due corpi, due menti, si fondessero assieme, creando una nuova persona unica nel suo genere e più intelligente di chiunque altro. Mettendo insieme più persone, pensava Demetrus, avrebbe potuto creare il suo popolo utopico. Fortunatamente, Setio ebbe una notevole intuizione e, con le sue modifiche ben pianificate, i due soggetti usati dalla macchina vengono mantenuti tali: vi è solo uno scambio di menti. Il suo piano non venne mai scoperto, ma dopo una prova finita nel peggiore dei modi, Setio venne condannato a morte e la macchina a raccoglier polvere.
Quindi, Anna era il Dottore ed il Dottore era Anna. In poche parole, erano nei guai fino al collo.


La ragazza prese dal marsupietto in pelle di daino la sua penna tuttofare. La azionò e con un trillo spostò di qualche metro la sua astronave, giusto per toglierla dal sentiero. Il vento faceva volare i suoi capelli profumati al miele ed un brivido la fece sorridere senza che se ne accorgesse.
« Sto arrivando, amico mio » disse tra sé e sé a quel dolce ricordo di lei ed il suo compagno di viaggio mentre correvano per salvarsi dalla vista del Dottore. Il suo capitano sapeva. L'ha sempre saputo. Per questo era il suo preferito.
Aprì le porte dell'astronave e vi entrò, ne toccò le pareti metalliche che si estendevano infinite davanti ai suoi occhi. “Pareti labirintose” le aveva chiamate suo padre, la prima volta che le vide.
“Ehi, tesoro” sussurrò avvicinandosi alla sala di pilotaggio. “Che ne dici di andare a trovare il nostro Jack?”
Per tutta risposta, le porte del Tardis sbatterono e si accesero i motori.


“Ma è così semplice, Dottore!” Si voltò verso i Pikeyani che nel frattempo si erano stretti tra di loro, facendosi piccoli piccoli in un angolino. Guardò di nuovo in faccia l'alieno che l'aveva portata lì. “Come fai a non capire?”
“Tu comincia a parlare e poi vedremo.” Incrociò le braccia al petto. Si sentiva impotente.
“Quei lampi luminosi! Sono stati loro a fare questo! Raggi alfa ad alta intensità che viaggiano nello spazio sottraendo il DNA di una persona per proiettarlo in un'altra! Geniale!”
La faccia del Dottore era indescrivibile. Per la prima volta nella sua vita non capiva un'acca di quel che gli si diceva. Ed il bello era che non aveva la ben che minima idea di cosa fosse un raggio alfa.
Vedendo la faccia esterrefatta dell'altro, Anna continuò col suo discorso da cervellona. “Sono formati da due protoni e da due neutroni legati insieme dalla forza nucleare forte e, a causa della loro carica elettrica, interagiscono fortemente con la materia che li assorbe facilmente. Li abbiamo interiorizzati! Entrambi abbiamo assorbito il DNA dell'altro! Ora hai capito?”
Il Dottore spalancò la bocca e rimase senza fiato. “Hai pronunciato tante parole senza che io abbia capito nulla.” Era estremamente frustrante. Mai e poi mai pensò che una tal cosa potesse succedere, specialmente a lui. All'ultimo Signore del Tempo non era concesso perdersi in queste cose. Certo, poteva rimanere intrappolato in un sottomarino russo, tenuto come ostaggio per un anno intero dal più crudele dei suoi nemici o costretto a vedere morire per due volte la sua stessa famiglia. Ma non questo, non l'ignoranza.


Aveva conosciuto Jack quando aveva solo centocinquantasei anni. Era ancora giovane. Conservava ancora il ricordo di quel giorno.
Era atterrata nella Londra del XXI secolo, decisamente la meta preferita dal Dottore e dalle minacce che si porta costantemente dietro. Jack e i suoi avevano appena evitato l'ennesima catastrofe e, in assenza dell'eroe Gallifreyano, dovettero fare tutto da soli. Certo, pensò Jack, per lui, le domeniche sono noiose, sì.. Ma perché ci siamo noi!
Lei li aveva spiati da dietro una via, da come era abituata con la sua preda. Aveva riconosciuto Jack dalle storie che venivano raccontate in famiglia. Jack di qui, Jack di là.. L'argomento alternativo a Jack era il Dottore. Fu questo a spingerla a cercarli.
Quel giorno fu lo stesso Jack a vederla. Lei tentò di nascondersi, ma, con un passo felpato, le fu accanto in un batter d'occhio. “Chi sei?” le aveva domandato puntandole la pistola alla tempia.
“Conosco il Dottore” le uscì.
Lui si sentì debole e fragile come una montagna priva di alberi. Le chiese di dirgli di più, se aveva un messaggio per lui, ma nulla. Solo una proposta di viaggio. Senza meta, senza inganno.


Anna rimase in un silenzio che significava rispetto. Ma non poteva starsene con le mani in mano ora che tutto quel ben di Dio le circolava in testa. Dunque, prese una decisione. “Dottore, meglio che tu rimanga qui, insieme a loro.” Indicò Alphius e gli altri che, quando Anna si rivolse a loro, scattarono sull'attenti. “Voi, invece.. Vi prego di fare attenzione a lui.”
I tre Pikeyani annuirono in silenzio.
Anna lasciò il fianco del Dottore ancora ammutolito per quello che era successo. “Io.. Andrò là fuori e farò il necessario perché tutto questo finisca.”
“Ma non puoi andarci da sola. Vengo con te!” si propose il Dottore.
“No, meglio di no. Loro pensano che io sia soltanto una sirena, la minaccia, qui, sei tu.”
“E cosa intendi fare?”
“Quello che hai sempre fatto tu per tutta la tua vita: affronto il pericolo.” Gli andò vicino e lo abbracciò. Ad Anna sembrò di stringere tra le braccia un bambino infreddolito. “Dottore, non combinare pasticci, intesi?”
Annuì. “Anna, ti servirà questo, qualunque cosa sia.” Allungò una mano nel suo cappotto e ne estrasse il suo amato cacciavite sonico.

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Capitolo 9
*** Dietro l'arazzo ***


Dietro l'arazzo


Uscita da lì, Anna si ritrovò sola. Il suo obiettivo era semplice: farsi acciuffare ed essere portata davanti al re. Era l'unico modo per riuscire a scappare da lì. Se ce l'aveva fatta quella strana ragazza luminosa, allora poteva farcela anche lei. In qualunque caso, aveva scoperto un altro macchinario all'interno di quella camera e aveva capito perché era stata nascosta agli occhi di tutti. Nessuno, specialmente il nemico, doveva mettere le mani su quell'invenzione; questo perché conteneva l'arma per cui tutti i Pikeyani sarebbero morti: l'acqua.
Si guardò attorno, ma, per sua sfortuna, non vide nessuno; nessuna testa pelata. Mise il cacciavite sonico del Dottore in un taschino della giacca di pelle e partì per il lungo corridoio. Quando vide uno sportello sulla parete su cui terminava la via, non ci pensò due volte e cominciò a premere qualche pulsante, apparentemente a caso. Di fronte a lei, infatti, si aprì un varco largo un paio di metri e, senza indugiare, lo oltrepassò entrando in un luogo freddo e buio.


Il Tardis atterrò in prossimità di un lago e la ragazza uscì dall'astronave con un bel sorriso radioso stampato in faccia, forse un po' ebete come quello di suo padre. Chiuse dietro di sé le porte e tirò fuori i suoi occhiali da sole, inforcandoli come solo Horatio Caine sa fare.
“Mhm.. Inghilterra.. Lago di Windermere.. Sì, decisamente” sussurrò la ragazza camminando verso un uomo in riva al lago con la canna da pesca tesa. Affianco a sé teneva un grosso secchio color ghiaccio stracolmo di luccicanti pesci d'acqua dolce. Seguì il sentiero che già altri pescatori avevano tracciato per arrivare alla migliore postazione della domenica pomeriggio. La canna ebbe un guizzo e si inarcò talmente tanto che l'uomo pensò si stesse spezzando. La carpa venne presa alla sprovvista: aveva scambiato l'esca per un innocuo chicco di mais – il che era vero – ma non aveva fatto caso all'altro pezzo di amo che spuntava dal chicco stesso. Si dimenò con tutte le sue forze: se ce l'aveva già fatta una volta, perché non due? Ma non fece neanche in tempo a pensarlo che l'uomo l'aveva tirata fuori dall'acqua, mettendo in mostra tutti i suoi muscoli e, gocciolante, la stava per riporre nel secchio insieme alle altre.
Il gilet di jeans nero della ragazza era ricoperto di borchie smaltate e brillanti, ma in quella giornata di sole la faceva sudare come non mai. Fortuna che sotto aveva solo una semplice maglietta di cotone bianco con una stampa da figli dei fiori. Si stava sempre più avvicinando all'uomo. “Belle carpe, sir.”
L'uomo si spaventò talmente tanto che scattò in piedi come se avesse sentito dei bombardamenti e la povera carpa ne approfittò per scivolargli di mano e ritornare trionfante in acqua col suo chicco di mais in bocca. Il cuore dell'uomo sembrò smettere di battere quando si rese conto che la ragazza che aveva di fronte era.. “VALERY!” urlò di gioia l'uomo, spalancando le braccia.
“JACK!” Valery gli corse incontro per abbracciarlo e lui la tirò su di peso facendola svolazzare un po'.
Al diavolo la pesca, ora c'è la mia Valery!, pensò Jack Harkness, pazzo di gioia.


Anna percorse un lungo ed interminabile tunnel scavato nella roccia ed illuminato solo dalla luce del cacciavite sonico che, essendo blu, le permetteva una discreta visibilità. Le gocce di umidità – l'intero palazzo reale (che comprendeva anche quello di Giustizia) era costruito sotto la Montagna della Sapienza – la stavano bagnando da capo a piedi quando un lampo di genio le fece rizzare la schiena. “Ma certo! Perché non ci ho pensato prima?! Stupida, stupida Anna!” si disse colpendosi la fronte ripetutamente. Staccò dalle pareti del tunnel una piccola quantità di roccia e la ammonticchiò per terra, vi puntò sopra il cacciavite sonico e, con un unico trillo di una ventina di secondi, le rocce si sciolsero come per magia. Anna, sempre col cacciavite in funzione, modellò con l'altra mano la poltiglia nera e puzzolente per farne un recipiente. Cambiò tasto del cacciavite e la fanghiglia si indurì fino a diventare forte ed impenetrabile come il diamante. “Bang! Roccia diamantina! Molto sensibile agli ultrasuoni. Prenditi questa, Einstein!” Poi si fermò un istante a riflettere. “Momento. Chi diavolo è questo Einstein? ..Boh!” e continuò il suo cammino con la scodella rudimentale in mano.
Il tunnel che stava percorrendo veniva spesso usato dai Pikeyani per le fughe di emergenza. Di solito sono, appunto, detti scorciatoie perché devono portare in salvo degli individui in poco tempo, ma questo ne era un'eccezione. Ad Anna parve, infatti, di girare in tondo: non vedeva nulla di nuovo, solo pareti di roccia e acqua che, man mano che camminava, raccoglieva nella scodella.
All'improvviso, il cacciavite sonico smise di funzionare. Lo sbatacchiò più volte senza riuscire a rimetterlo in sesto. Si decise, quindi, a camminare nel buio, ma i suoi occhi non vedevano altro che nero pece a causa del suo cambiamento genetico. “Se i miei calcoli sono giusti...” Sospirò. Cacciavite in tasca e scodella colma d'acqua in mano, Anna strusciava lungo le pareti. Poi, quelle finirono e sollevò l'arazzo.

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Capitolo 10
*** Non qui, non ora ***


Non qui, non ora


“GUARDIEEEEEEEEEEE!” Il re fece volare la tazza da cui stava bevendo uno strano intruglio verdognolo contro Anna che la schivò prontamente.
“Ehi! È così che si accoglie un'ospite?” esclamò Anna, pimpante come non mai.
Nella stanza del re piombarono ben quattro guardie armate di pistole laser, pronte a sparare per salvare la vita di un pluriomicida. A Strax sarebbero piaciute.
“Fermi.. Calma, gente!” Anna alzò le mani al cielo mettendo così in mostra la scodella colma d'acqua. “Non vorrete certo morire.”
“Le nostre razze sono simili.” Re Fryunjuan stava letteralmente tremando da testa a piedi. “Da quando le sirene riescono a tenere in mano un recipiente con dentro la sostanza più pura e più letale.. senza timore?”
“Non sono una sirena. O meglio, lo sono, ma solo in teoria. Vedete, io e il Dottore abbiamo trovato quel macchinario per lo scambio del DNA e..”
Sul volto degli alieni rinsecchiti si disegnò una strana espressione; il loro piano stava per sciogliersi nuovamente. Ma l'arrivo di quella sirena si rivelò molto utile.. Il re chiamò una guardia con la sua mano svolazzante e gli sussurrò qualcosa all'orecchio.
“Oh..” disse Anna, intuendo il pasticcio in cui era finita.
La guardia sparì dalla sala in pochi istanti, comunicando l'ordine alle altre appostate al di fuori delle porte nere e lucide.
“Dov'eravamo rimasti? Ah, sì. L'acqua.”
Anna si rabbuiò. “Dove l'hai mandato?”
“Carina, dove pensi che l'abbia mandato, dopo quello che mi hai detto?”
“Frynjuan, per favore..” lo implorò.
“PER TE, SONO RE FRYNJUAN! In ginocchio!” ruggì il re.
“Ma neanche per sogno!” azzardò lei.
“Come osi ins-”
“Alt. Guarda cos'ho in mano.”
Il re si ricompose, assumendo l'aria di un intellettuale. “Ovviamente, hai un'arma, vedo.”
“Già. E cosa succederebbe al tuo popolo se comunicassi all'intero universo il vostro punto debole?”
Re Frynjuan rimase in silenzio.
“Esatto” continuò Anna. “Stammi bene a sentire. Dai a me e al Dottore la possibilità di andarcene da qui sani e salvi e io non dirò una parola di tutto ciò.”
“Come posso fidarmi?”
“Non puoi fare altro che prendermi in parola.” Il tono della voce le era sceso talmente tanto che, a stento, la si poteva udire.
“Affare fatto, sirena.”
“Ƀʖʊɰɏ Ϩяехћɮɒ.”
“Cosa?!”
“§¥¥ķû a¢ðʍʨɶʅɤ!!” Anna spalancò i suoi grandi occhioni. Non aveva idea di come, ma sapeva che se loro due non riuscivano a capirsi, la colpa era del Tardis e, dato che il Tardis era legato al Dottore, allora era successo qualcosa al Dottore stesso. Come se vi fosse stato il richiamo di un tritone, Anna fuggì dietro l'arazzo e ripercorse tutto il tunnel in un terzo del tempo che ci aveva impiegato prima. Da tempo, la scodella era rimasta vuota a causa della corsa sfrenata, quindi, si premurò di rallentare e raccogliere dell'acqua per sicurezza.
Uscì dal tunnel senza preoccuparsi di visionare se lì intorno vi fosse qualche guardia e, quando vide la porta spalancata del loro nascondiglio, le venne un sentore di nausea.


Affranto, si allentò il cravattino. Correre gli era sempre piaciuto, ma quella ragazza lo stava facendo impazzire: non appena la scorgeva, la inseguiva senza sosta e, quando era ad un palmo da lei, spariva. Poof!
Forse stava davvero invecchiando, forse doveva prendersi una pausa. Amy e Rory non si sarebbero accorti di nulla, questo è ovvio, ma aveva bisogno di loro. Però, non poteva parlargli di una cosa del genere. E non poteva starsene fermo senza far nulla per capire.
“Stress da super genio” spiegò a se stesso. Ipotesi accettabile, del resto. “È ovvio che è frutto della mia incredibile immaginazione! Miseriaccia.. Odio la fantasia.. Non ha senso! A parte Harry Potter, s'intende. Quello, sì, che è un capolavoro.”
Il tappeto di aghi di pino nascondeva il rumore dei suoi passi, ora più leggeri e tranquilli di quando era entrato nel bosco. I girasoli gli diedero il ben tornato. Ma la carta psichica no: ancora una volta, gli indicava di fuggire. Il Dottore dal volto da fanciullo si guardò attorno spaventato.
Una donna mulatta e riccia portava in braccio un tenero fagottino che emetteva strilli uno dopo l'altro per la fame. Affianco a lei, camminava un uomo che le cingeva le spalle con un solo braccio, mentre dietro di loro camminava felice una coppia anziana mano nella mano.
Il Dottore rimase immobile per qualche istante finché non realizzò che la donna anziana era colei che lo aveva dimenticato. Ma allora perché la carta psichica gli diceva di fuggire da lei, se non vi era alcun pericolo? In fin dei conti, aveva anche cambiato faccia.


Spalancata. La porta era spalancata. Da dentro provenivano pianti soffocati e rantoli disperati di un uomo che non poteva urlare per via del suo DNA mutato. Con quelle grida, il Dottore avrebbe rotto i timpani a tutti nel giro di qualche miglia. Il Dottore. Il Dottore stava soffrendo! Ed era colpa sua! Vai, Anna, corri, per l'amor del cielo! Salvalo!, le disse il cervello. Ma le gambe non rispondevano ai comandi. Cosa poteva fare? Aveva già sentito le urla di una sirena e non voleva sentire quelle di un uomo non geneticamente adatto alla trasformazione: il suo corpo sarebbe stato fatto a pezzi. Nonostante lo scambio di DNA, il Dottore rimaneva pur sempre un Signore del Tempo. Avete mai visto o anche solo sentito parlare di un Signore del Tempo con la coda da pesce? Esatto.
Qualcosa, in Anna, la fece scattare in avanti. In pochi istanti raggiunse l'entrata del loro rifugio e vide quello che era successo. Taniche da sette litri erano cosparse a terra e abbandonate dalle guardie mandate dal re. Anna si chinò e col dito raccolse una goccia del liquido caduto a terra per poi portarlo alla bocca. Acqua. Abbandonò ogni pensiero, ogni speranza di uscire viva da lì. Doveva salvarlo, fosse stata l'ultima azione della sua breve seppur bellissima vita all'asciutto.
Le gambe le si mossero da sole, come una macchina azionata da un'altra persona. Lungo i fianchi, le braccia le caddero molli e pesanti, la scodella che roteava per terra con la velocità di una trottola.
Dopo che Anna ebbe varcato la soglia, Alphius, Vashòa e Lujas rimasero ammutoliti, lasciando spazio ai lamenti strazianti del Dottore che si contorceva, coperto di sudore. O forse era acqua.
Sì. Era acqua.
I tre Pikeyani, udendo le sirene di cessato allarme, chiusero la porta per rendere l'ambiente più tranquillo.
Non doveva morire. Non qui, non ora, pensò Anna con le lacrime già sulle gote perlacee che le assorbevano con avidità.
Non potevano parlare, prima doveva mettere fine a quella sofferenza. Nei suoi occhi, Anna lesse una domanda – anzi, una richiesta – ed il suo DNA le impediva di tirarsi indietro di fronte ad un grido d'aiuto.
Gli pose le mani una sulla fronte e l'altra sulla carotide. “Come sei debole” disse nella sua lingua. Senza perdere altro tempo, asciugò il volto del Dottore e si alzò barcollante, ma, allo stesso tempo, molto sicura di quanto stava per fare. In poche mosse mise il Dottore in piedi e fece cenno ai tre Pikeyani di sostenerlo per lei di fronte alla stessa macchina di prima, mentre Anna andava a posizionarsi dalla parte opposta.
Anna tirò fuori il cacciavite sonico e lo puntò sul marchingegno; lo azionò. Sapeva cosa stava per fare, a cosa andava in contro e le conseguenze la spaventavano. Ma lui si stava disidratando ed era colpa sua; doveva prendersi le sue responsabilità.
Il silenzio nella stanza fu interrotto dai raggi alfa provenienti da macchinario alieno e che tagliarono l'aria fermandosi sui petti dell'ex sirena e del dio solitario.
Ecco i raggi di rilancio. La fronte del Dottore era corrugata, i denti stretti, gli occhi serrati; Anna era felice di ritornare in sé e allargò ancor di più il suo sorriso perché stava salvando il suo eroe. Pensò che avrebbe voluto essere in tutt'altro luogo, un posto sereno, libera di correre nell'aria..
Entrambi, poi, caddero a peso morto sul freddo pavimento.

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Capitolo 11
*** Adii e riconciliazioni ***


Adii e riconciliazioni


Silenzio. Un terribile silenzio.
I tre Pikeyani non sapevano cosa fare se non coprirsi gli occhi con le mani secche e rugose. Poi, il Dottore fu il primo ad alzarsi. “Woah!” esclamò con gli occhi sbarrati e i capelli ricadenti sulla fronte. Era come se fosse entrato nella sua testa nello stesso momento in cui lei pensò alla libertà e, con quel piano ben strutturato in mente, si precipitò dalla sua compagna di viaggio. “Ehi, Anna.” Le sue labbra, ora ricche di acqua corporea, sfiorarono la fronte screpolata di lei.
Ne aveva viste tante, in vita sua. In molti si sacrificarono per lui, per uno sconosciuto, per uno che aveva quasi abbandonato il suo stesso popolo al suo crudele destino. I suoi nemici lo definivano vigliacco, codardo. La verità era che, per lui, morivano troppe persone. Anna come tutti gli altri non se lo meritava. Cielo, no! Ma, ormai, era troppo tardi per compiere quel gesto colmo di saggezza e amore. L'unica cosa che poteva fare era donarle la libertà più totale. Ma prima.. “Alphius” disse in tono serio.
Quest'ultimo gli si mise al suo fianco.
“Alphius, sai meglio di me come funziona la vostra legge. Sono più che sicuro che non diventerai un tiranno, mi fido di te. Sii coraggioso e guida il tuo popolo.”
“Ma... Cosa..?” Era atterrito. “I-io.. non p-posso, Dottore” continuò con voce tremante.
Lui lo guardò tagliente, con una luce rubina nelle dolci iridi incandescenti che non ammettevano repliche.
Alphius prese baracca e burattini e si avviò all'uscita. “Voi due rimanete qui.. Non. Un solo. Sospiro” ordinò ai suoi due simili. Poi, partì nell'impresa per salvare la sue gente dalla tirannia e dalla sete di potere.
Vashòa ringhiò in direzione del Dottore, che teneva ancora la mano fragile di Anna. “L'hai mandato a morire! Traditore!”
“Dimentichi che ho una macchina del Tempo. Molto prima di venire con Polly, sono giunto qui da solo, nel vostro futuro. Ho visto splendere il vostro popolo. Ed era sotto un sovrano di nome Ghationus II, che nella vostra lingua significa portatore di pace” rispose il Dottore senza staccare gli occhi da Anna che si stava avvicinando al suo ultimo respiro.
La tensione, divenuta nettamente più solida, lasciò spazio alle parole di Anna. “Dottore?”
“Oh, no, Anna, non sforzarti.”
“Dottore” insistette, “vorrei solo ringraziarti. Senza di te, sarei morta tra le alghe, su quella spiaggia. Ora, invece, sono felice. Ed è solo merito tuo, mio Dottore.”
“Scherzi?! Anna, se tu non avessi sfiorato la macchina, non sarei rimasto qui, con loro, a pensare ad una soluzione che avrebbe portato la luce su questo pianeta finora senza equilibrio! Grazie a te, perché non mi hai mai lasciato veramente solo. Anna, tu non meriti di..”
“Non importa, è il mio destino e lo accetto. Sono stata bene con te.”
“Ma, Anna, ci dev'essere una soluzione..”
“Sì, c'è. Lasciami volare.”
Il Dottore le strinse ancor di più la mano, le lacrime cominciarono a sgorgargli dai suoi stanchi occhi.
“Tu sai cosa fare. Quel posto.. Te lo ricordi, Dottore?”
“Sì, me lo ricordo.”
“Bene, allora. Liberami.” Alzò leggermente la testa per guardarlo meglio negli occhi. “Fai il bravo” scherzò lei, accennando un sorriso malconcio. Poi i suoi occhi fissarono il vuoto.

Quando Jack abbracciava Valery, gli sembrava di toccare il cielo con un dito. Assieme a lei, aveva visto cose meravigliose, mondi straordinari. I viaggi col Dottore erano simili, ricchi di adrenalina e pericolo, ma nulla in confronto alla sua dolce Valery. “Qual buon vento, Val!” disse stringendola ancor più forte.
“Oh, Jack! Non hai idea di quante cose siano successe dall'ultima volta che ci siamo visti! Ma non posso raccontarti tutto, ahimé..”
Jack sciolse l'abbraccio e la guardò come se stesse delirando. “L'hai trovato? Glielo hai detto? In mia assenza?!”
“Calmo, calmo.. Certo che no! So quanto ci tieni al Dottore. Comunque.. Ho costruito questo, è un localizzatore di vita aliena.” Alzò il braccio sinistro e mostrò a Jack un grosso oggetto di metallo legato al polso come un orologio. “Quest'affare mi permette di individuarlo se per caso è nei dintorni. Basta azionarlo e lui lavora per me, tutto qui. Fa una semplice scansione dell'ambiente e in poco tempo capisce se c'è una forma di vita diversa dalle altre che vivono in quel preciso luogo, o meglio: pianeta. In più, mi suggerisce di nascondermi se è quello sbagliato o di mettermi in mostra se è quello giusto.”
“In pratica, hai detto addio al buon vecchio cacciavite sonico.”
“Oh, no, Jack. Quello è molto utile, credimi. E ho anche avuto modo di migliorarlo.” Valery si guardò attorno, circospetta. Poi continuò con voce più bassa: “Ora, funziona anche col legno.”
Jack la fissò un po' dubitante. In fondo, lei aveva solo duecento anni o giù di lì: perfino lo stesso Dottore non era riuscito a migliorarlo in più di nove secoli! “Ragazza mia, sei un portento! E, dimmi, finora cos'hai combinato con quel localizzatore?”
“Solo beep negativi.” Valery fece un giro su se stessa, quasi una piroetta. “Fino all'altro giorno, però.”
Jack si illuminò in volto. Un'altra avventura!
“Qualche ora fa, lo stavo inseguendo in toscana. Ma non era pronto. Poi uno stupido uccellino gli fa notare la mia presenza e sono stata costretta a scappare. Ma per fortuna! Perché mai e poi mai mi sarei accorta del messaggio che mi stava mandando il localizzatore. Lo ha trovato, Jack. L'ha trovato! È lui!” urlò in estasi.

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Capitolo 12
*** Sono Ghationus II ***


Sono Ghationus II


Alphius era diretto verso le sale del re e portava con sé coraggio, giustizia e una piccola ascia poggiata sulla spalla. Negli occhi gli scorrevano le immagini della sua famiglia, massacrata quando aveva solo una manciata di anni. La sua non era vendetta, ma equità per l'intero popolo dei Pikeyani che per millenni avevano vissuto nel terrore. Ghationus I: egli fu il re – l'unico fino ad allora – che seppe migliorare la vita dei sudditi del minuscolo pianeta PK-98 ed il fatto che, dopo così tanto tempo, ci sarebbe stato un Ghationus II, accendeva una piccola speranza nei loro cuoricini.
I passi di Alphius risuonavano per il corridoio lasciato isolato dalle guardie, impegnate a ripristinare l'ordine nella città di Melph-124, a poca distanza dal Palazzo Reale.
Quello che stava per fare faceva parte di un'antica tradizione e nessuno poteva impedirglielo, nemmeno la Legge.
“Alphius” disse il re quando lo sentì entrare nella sua camera. Era di spalle, ma se lo aspettava. “Alphius caro, pensi che ti farò agire indisturbato?” Rimanendo in quella posizione, si versò un altro po' di intruglio verde in una nuova tazza e cominciò a sorseggiarla. “Per ben tre mila anni la tirannia ha fatto di questo popolo il migliore tra tutti gli altri. Io sono rimasto al trono per tre secoli.” Fece una pausa e sorrise nel ricordare il re che lo precedette, morto dopo essere stato spinto giù da un burrone ripido quanto la Tour Eiffel. “Tre secoli di gloria e onore per noi Pikeyani! E non sarà di certo uno come te a togliermi tutto questo.”
Il soldato buono, il salvatore della sua gente, avanzò vedendo la situazione come una sfida; alzò l'ascia e la fece roteare a mezz'aria. Bastò un solo colpo netto – zac! – e la testa del re rotolò senza tanti complimenti fino ai piedi del suo letto. Gli occhi gli rimasero spalancati, così come la bocca, immortalata in un urlo muto che ricordava l'espressione della Medusa di Caravaggio.
Alphius ansimava ancora. Era la sua prima vittima e sarebbe stata anche l'ultima. “Stupido fanfarone” aggiunse dopo qualche istante.


Il Dottore pose le sue labbra ancora una volta sulla fronte di Anna, che ora risultava più serena. Gli si formò un leggero sorriso amaro: gli aveva donato la vita e non era mai stato in grado di pronunciare il suo vero nome. “Bene” sbottò rompendo il rumore del silenzio che gli faceva fischiare le orecchie. “Voi siete salvi e Ghationus II ci farà andar.. Mi farà andar via di qui senza problemi.” Che immenso dolore al petto...
“Aspetta un attimo! Chi è Ghationus II? Chi sarà?!”
Il Dottore le rispose con un mezzo sorriso che produsse una profonda fossetta sulla guancia mentre il sopracciglio sinistro si inarcava a dismisura come per dire: “Ehi, non hai ancora capito che sono un genio?” Prese in braccio Anna come aveva fatto la prima volta, cercando, però, di evitare di guardarla: per lui, stava semplicemente dormendo. “Lujas, apri la porta” gli ordinò. “Oh, tranquillo. Il vecchio re cattivo non c'è più, puoi uscire senza alcuna preoccupazione. Avanti, andate fuori a respirare aria fresca! Hop, hop, hop!” li incitò vedendo il disagio dipinto sui loro volti. “Andiamo in Piazza.”
Vashòa lo guardò torva, non del tutto convinta, ma pur sempre fiduciosa in quell'uomo strano e misterioso. S'incamminò dietro agli altri due nei corridoi labirintosi del Palazzo, nella speranza che il Dottore dicesse la verità.


Dopotutto, è stato facile, pensò Alphius. Meglio affrettarsi, ora. Nonostante le finestre chiuse a doppia mandata, riusciva a sentire le urla confuse del popolo che aspettava con ansia l'esecuzione quotidiana di qualche cittadino che aveva detto una sillaba di troppo. Le spalancò e, con la testa sanguinante del re in mano, varcò la soglia del Balcone del Discorso.
Nessuno fece caso alla sua uscita e dovette, per cui, infastidire la coppia di fardavelle, un incrocio tra un canarino e uno scoiattolo, per farle cantare. Entrambe – il maschio di colore verde con striature gialle e la femmina color carbone – emisero il loro verso più acuto della storia e tutta la Piazza dell'Ascolto rimase in un silenzio composto, ma non si inchinò.
Mentre le due fardavelle si risistemavano le piumette morbide e arruffate con la coda pelosa e fluttuante, Alphius vide tra la folla anche Lujas, Vashòa ed il Dottore con Anna tra le braccia, talmente pallida che risultava essere un frammento di specchio in un lago di petrolio.
“Io” cominciò Alphius, “Alphius Lyer Démiphres Pollae, dichiaro con onore di essere asceso al trono regale!” L'intera Piazza rimase in silenzio, sbigottita, tranne il Dottore che si agitava come un bambino di fronte ad una giostra con zucche incantate e cavallini. Dato che nessuno prese l'iniziativa di inchinarsi di fronte al nuovo re, Alphius alzò la testa di Fryunjuan e pronunciò le parole che avrebbero scatenato di lì a poco un clamore generale: “Popolo di PK-98, inchinatevi di fronte al vostro nuovo sovrano: Ghationus II.”

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Capitolo 13
*** Particelle di luce ***


Particelle di luce


La Piazza rimase sconvolta per qualche istante per poi esplodere in un fragoroso entusiasmo. Molti si guardavano ancora attorno senza capire: era uno scherzo o avevano le allucinazioni? No, era tutto vero, erano liberi! Alphius, l'umile Alphius, era riuscito a porre fine alle sofferenze del suo popolo.
In fondo alla Piazza i suoi amici agitavano le braccia al cielo, felici per quella gloriosa vittoria. Vashòa mandava baci; Lujas saltellava sul posto; il Dottore guardò Anna con malinconia.
Era tutto a posto, aveva salvato ancora una volta gli umani e.. ed era rimasto solo. Un'altra vita sulla sua coscienza. Senza fare alcun rumore, l'uomo in trench si ritrasse lentamente lasciando i Pikeyani alla loro gioia. Con qualche difficoltà, prese dal cappotto il suo amato cacciavite sonico e chiamò la sua nave. Le porte, quando le aprì, scricchiolarono come sempre e Vashòa vide il suo Dottore svanire nel nulla, per sempre.


Swish.. swish.. swishhh...
Il Tardis atterrò su una spessa lastra di ghiaccio norvegese perfettamente liscia. Era quasi ora, il cielo si stava preparato ad accogliere il trionfo di luce che ammalia ogni cuore e il Dottore stava sistemando gli ultimi pezzi di legno sistemandoli con cura per creare una sorta di letto. Precedentemente, aveva avvolto il corpo senza vita di Anna in un grosso telo di puro cotone ed ora la stava ponendo sull'ammasso rettangolare di tronchi e rametti secchi.
Un altro addio. L'ennesimo atroce addio.
Sapeva che tutto ciò che gli accadeva aveva un suo perché. Il Destino aveva prescritto la sua vita, la sua linea temporale, per impartirgli determinate lezioni e donargli gioia o dolore in base all'evenienza. Ma perché? Perché non un altro? Che cosa aveva lui più di un altro Signore del Tempo? Avrebbe voluto farla finita in quel preciso istante, insieme ad Anna, ma il suo corpo non glielo avrebbe permesso: l'istinto di sopravvivenza è più forte di qualsiasi altra cosa. Si sentì egoista, sia nei confronti della sua gente sia in quelli dei suoi compagni di viaggio: lui poteva voltare pagina e continuare a vivere, mentre vedeva morire o sparire, una dopo l'altra, tutte le persone con le quali aveva condiviso gran parte della sua vita. Forse era proprio questo il fulcro di tutto, il senso stesso della sua esistenza: era condannato a vivere nel dolore più puro per le sue azioni passate che avevano messo in pericolo molti dei suoi compagni di avventure.
Con questi tristi pensieri che gli navigavano in testa, riuscì a dare in pasto alle fiamme il letto di legno. Il fuoco si dimenava e crepitava nel buio, ma non riusciva a coprire il sibilo dell'aurora boreale che, in quel preciso istante, stava dando il meglio di sé. Suoni elettrofonici dovuti alle perturbazioni del campo magnetico terrestre causate da un aumento progressivo di ionizzazione dell'atmosfera sovrastante, pensò con orgoglio il Dottore con un dolce sorriso sulle labbra. “Elettroni che eccitano gli atomi dell'atmosfera i quali, tornando al loro stato iniziale, emettono fotoni – particelle di luce – di varie lunghezze d'onda. O, più semplicemente: particelle solari che collidono con i gas atmosferici dando vita a scie luminose dai colori più strabilianti.” Come se Anna fosse ancora lì accanto a lui, si mise a spiegare il fenomeno a cui stava assistendo. Oh, giusto, pensò con amara tristezza, tornando alla realtà.
Le sue converse bianche si colorarono ora di blu, ora di verde acqua. Lui gettò uno sguardo profondo al fagotto bruciacchiato: aveva appena perso la sua Rose, la qualche gli aveva promesso che avrebbe viaggiato con lui per sempre, fino alla fine. E ora Anna. I suoi cuori e il suo stomaco non potevano reggere un secondo di più. Guardò in alto nel cielo, alla ricerca del dio che aveva permesso tutto questo. Con estremo coraggio, decise di voltargli le spalle.
Poco più in là, nascosta tra le gelide lastre di ghiaccio, si nascondeva la sua cacciatrice personale, la pantera albina che lo seguiva in tutti i suoi viaggi.
Entrambi ignari di ciò che li attendeva nell'immediato futuro, scivolarono nelle loro rispettive cabine, pronti per una nuova avventura.


Messo via il diario e la penna di Hello Kitty, il Dottore-capellone rimase a fissare il vuoto con le lacrime che gli invadevano il volto. Oh, Anna, perdonami..
Gli mancavano tantissimo i Pond, doveva tornare da loro, a Londra.
Ma, alla fine, è il Tardis che comanda..

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