Le rubis rose

di Reginadicuori94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ottobre ***
Capitolo 2: *** Novità I ***
Capitolo 3: *** Novità II ***
Capitolo 4: *** Lo sapevano. Loro lo sapevano ***



Capitolo 1
*** Ottobre ***


Parte prima
The choice we made, they define who we are

 
1
Ottobre

La prima volta che lo sentì stava chiacchierando con la sua amica Diana, nel cortile della Scuola Privata che frequentavano.

Era una croccante giornata dei primi di Ottobre, gli alberi avevano perso tutte le foglie che si erano depositate a terra a formare un tappeto dai colori caldi che tanto Valerie amava: l'arancio, il giallo, l'ocra, il magenta, il vermiglio e il marrone; i tipici colori dell'autunno, e che scricchiolava sotto i passi degli studenti che si affaccendavano nel Cortile della Couronne* portandosi i libri pensanti e le borse traboccanti di conoscenza appresso. Stavano parlando dell'imminente compito di biologia che, se Diana non avesse preso una A, avrebbe definito l'intero percorso scolastico della sua amica, bloccandolo al quinto anno delle superiori. 

Diana Louise Paroix era la figlia di Monsieur François Paroix (primario di cardiologia) e della signora Andrea Smith (nota diplomatica inglese) e voleva proseguire gli studi per diventare una giornalista di cronaca, Valerie la conosceva dal primo giorno di scuola della sua vita: sebbene Diana abitasse nel cosiddetto Quartiere Inglese della città (ovvero agli antipodi rispetto a lei) aveva frequentato sin dalla prima elementare i collegi Couronne che seguivano l'istruzione dei giovani rampolli della Ginevra per bene da generazioni, fin dai più piccoli sino alla laurea. Diana era una ragazza solare ed estroversa, molto combattiva ed eccessivamente permalosa, aveva la corporatura minuta e la pelle ambrata (gentile concessione della madre) mentre i capelli erano di una tonalità di rosso che ricordava un po' i ritratti degli Irlandesi che avevano studiato a scuola; sulla sua pelle così scura rispetto al normale stagliavano due grandi occhi blu (ereditati dalla nonna paterna), era la sua migliore amica da anni, sebbene per i primi dodici anni della loro vita le due si fossero bellamente ignorate. Diana parlava in continuazione, tanto che raramente nei loro discorsi Valerie spiccicava parola, ma le andava bene così, non era una persona estremamente chiacchierona anzi stava spesso in silenzio e si sentiva molto più a suo agio in biblioteca a leggere in silenzio che in una festa della Scuola. Così non le parve strano che l'amica si fosse momentaneamente distratta dalle sue chiacchiere, visto che (specialmente negli ultimi tempi) accadeva di continuo: Valerie era una ragazza introversa e timida, estremamente testarda e orgogliosa, una volta che la conoscevi bene potevi scoprire che era molto dolce e buona e che raramente serbava rancore anche verso coloro che maggiormente l'avessero ferita e Diana spesso si ritrovava ad ammirarne la forza d'animo nello stare vicino alla vecchia prozia malata e definita da tutta la famiglia come una "squinternata", ma Valerie non aveva altra aspirazione nella vita oltre all'essere utile alle persone come meglio poteva. 

Ma la distrazione di Valerie, questa volta, non era dovuta né alla noia né al disinteresse dei pettegolezzi che l'amica aveva tirato fuori dopo che aveva liquidato l'argomento "compito di biologia" con due parole. Ultimamente la ragazza soffriva di forti mal di testa, tanto intensi, che aveva temuto che si trattasse di emicranie da stress, ma questa volta non si trattava dei soliti dolori: era come se qualcuno le avesse spinto un pungiglione sulla tempia e continuasse a farlo penetrare nel suo cranio, era terribile e la ragazza si ritrovò costretta a chiudere più volte gli occhi per cercare di sopportare il dolore. Sentiva come se avesse le vene in fiamme e poteva quasi avvertire gli spostamenti d'aria intorno a lei. 

Basta sussurrò a se stessa, stremata.

«Ma 'Lie! -la richiamò alle realtà Diana -mi stai ascoltando? Che cos'hai?» ma il pungiglione continuava a premere contro le sue tempie e continuava a sentire come se il suo corpo fosse in fiamme. La ragazza si alzò a fatica dal muretto sul quale erano sedute e stringendosi notevolmente il colletto dell'impermeabile beige, visto che si era alzato un vento parecchio forte:

«A dire il vero no, Diana -disse d'un fiato -forse è meglio che vada a casa…»

«Ma non puoi andarci da sola in queste condizioni!» protestò la sua migliore amica visibilmente preoccupata «Ma dannazione perché si è alzato tutto questo vento!» imprecò stringendosi nel giubottino viola (contro regolamento) che indossava, ma che mal la proteggeva dalle folate gelide. Gran parte degli studenti erano rientrati oppure si erano allontanati dal cortile e in pochi impavidi ancora restavano ad osservarsi intorno. 

«Io… non lo so, Diana -disse la ragazza -ma non mi sento per niente bene… deve essere quell'influenza di cui hanno parlato al telegiornale l'altro giorno… domani andrò dal Signor Sanders, magari qualche giorno di riposo mi farà solo bene.» cercò di rassicurare l'amica. 

Si voltò verso l'edificio gotico che faceva loro da scuola: era stato un tempo un Maniero appartenente ad una famiglia caduta in disgrazia, poi un orfanotrofio e infine una scuola, alto appeso al balconcino della Presidenza si stagliava lo stendardo della Couronne, una corona attraversata da una rosa rossa su sfondo scuro e ricamato in oro che svolazzava con aria poco stabile. Per un attimo le parve di vedere una figura affacciata alla porta finestra della Presidenza, una figura che non poteva appartenere alla vecchia Preside che era una donna piuttosto bassa e ben piazzata, ma fu un momento, un momento in cui le parve di incrociare lo sguardo della persona e il mal di testa d'improvviso svanì, così come si calmò il vento che si era alzato tutto d'un colpo. 

«Che strano» borbottò tra sé Diana guardandosi intorno circospetta, Valerie spostò lo sguardo dalla porta finestra per guardare la sua migliore amica e quando lo rialzò verso la Presidenza trovò solo il vetro a riflettere il suo sguardo curioso. 

«Davvero strano -concordò tornando ad osservare Diana -però forse è meglio che vada a casa, in fondo, anche se ora mi sento meglio credo mi stia salendo la febbre, meglio che vada al caldo.» 

«Ma certo! Mi raccomando, riposati e non stressarti anche se perdi il compito di domani hai tutte A e B!» le ricordò sorridendo e dandole una gentile pacca sulla testa: «La mia secchiona» Valerie sorrise e recuperata la tracolla da per terra si diresse verso il cancello di ferro battuto ormai arrugginito dal tempo, per poi sentirsi chiamare da dietro.

«Ehi, Valerie, aspetta!» si voltò. A chiamarla era stato un ragazzo alto, dai corti capelli biondi e dagli occhi scuri che ora si stava sbracciando come un matto per attirare la sue attenzione, correva con la giacca aperta verso di lei, tenendosi a stento la tracolla piena di libri sulla spalla sinistra. La raggiunse abbastanza in fretta e Valerie poté scambiarsi uno sguardo di intesa con Diana prima che il ragazzo riprendesse il fiato.

«Ciao Mathieu -lo salutò sorridendo -dove vai così di corsa?» nonostante fosse un giocatore di soccer della squadra della scuola la resistenza non era ancora il suo forte. Le sorrise, era un bel ragazzo e indubbiamente (nonostante la reticenza della diretta interessata a crederci) aveva una cotta per lei e aggiustandosi la postina sulla spalla le fece un piccolo, elegante inchino:

«Madamoiselle Croix -disse con tono pomposo -mi potreste concedere l'onore di accompagnarvi a casa?» Valerie si lasciò scappare un risolino e poi fingendosi altrettanto pomposa alzò il mento dicendo: «Ma certo Monsieur Villiars» Mathieu le sorrise ancora e le fece un cenno con la mano di uscire pure per prima (per cavalleria) dal cortile. 

«Allora -le domandò d'un tratto -ho saputo che hai tutte A e B quest'anno come tuo solito, che indirizzo vuoi prendere dopo quest'anno?» Mathieu aveva un anno in più di lei e stava studiando Fisica passando gli esami con il massimo dei voti, tanto da avere già ottenuto una cospicua (quanto inutile, visto la ricchezza della sua famiglia) borsa di studio. «Pensavo Sociologia o Medicina -rispose prontamente Valerie -sono ancora incerta su quale delle due, perché desidero aiutare le persone come mestiere e, sebbene Sociologia mi intrighi molto, ho paura che mi risulti poi noiosa, così come ho il terrore di non possedere le doti adatte per essere un ottimo medico. A tal proposito pensavo di chiedere anche il parere del Signor Paroix, però temo che l'affetto che provi per me possa indurlo a non ragionare lucidamente» gli spiegò. Le veniva facile parlare con Mathieu, era molto capace ad ascoltare e sapeva dare consigli sinceri. 

«Beh se vuoi un parere esterno, mia cugina Lucy, ha appena terminato il suo tirocinio come neurochirurgo - Valerie si ricordava di Lucy, era una bellezza ed era stata per anni nominata Reginetta della Couronne, aveva otto anni più di lei e si era sposata da poco con il suo fidanzato d'epoca che era diventato un notaio -magari potreste incontrarvi per un the e parlare.» le suggerì.

«Davvero…? Cioè pensi che riuscirebbe a trovare un po' di tempo per me?» domandò congiungendo le mani, come in preghiera. Mathieu sorrise e fece finta di pensarci:

«Beh mia cugina è molto impegnata, ma magari per fare un favore al suo cuginetto preferito, potrebbe trovare un buco tra i suoi impegni» Mathieu non fece in tempo a sentire il suo "Grazie" che si ritrovò a stringere la ragazza che gli era saltata al collo in un gesto di improvviso affetto. 

Una Lamborghini nera lucida si fermò di fianco a loro e uno dei vetri oscurati (che a cosa serviranno poi in pieno autunno) si aprì: all'interno dell'auto stava la persona più arrogante, orgogliosa e prepotente che Mathieu e Valerie avessero mai avuto il dispiacere di conoscere nei molti gala ai cui le loro famiglie li avevano costretti a partecipare: Julien Rempoire:

«Valerie -disse, prendendosi un po' troppa confidenza, più di quanto la ragazza stessa non volesse, e decisamente più gradita di quanto fosse disposta ad ammettere -ho incrociato Diana in cortile mi era sembrato non stessi bene - Ma che fa, ora? Si domandò Valerie mi controlla? -e mi ha detto che ti sta arrivando l'influenza, sali, tanto devo passare a casa tua per parlare con Victor, ti do un passaggio» Valerie stava già per declinare dicendo che tanto ora si sentiva meglio e che il tempo era troppo bello per non godersi una passeggiata all'aperto, quando una folata di vento gelido improvvisamente li colpì sferzando i loro visi. 

«Dai Valerie, vai -le intimò Mathieu, che aveva più a cuore la salute della ragazza, abbastanza da decidere di lasciarla nelle mani della persona che forse più disprezzava nell'ambito scolastico -se ti sta arrivando l'influenza è meglio non rischiare un viaggio a piedi. Sta sera telefono a Lucy e domani ti dico quando vi potete incontrare» Valerie non voleva salire in macchina con quell'essere che ora la guardava da sopra gli occhiali da sole con quegli occhi color liquirizia e ghignava: «Dai retta al fidanzatino, 'Lerie -la apostrofò -è meglio per te» Valerie inarcò un sopracciglio si voltò verso Mathieu e gli stampò un bacio sulla guancia, un po' più ungo di quanto non fosse opportuno:

«Grazie, Mathieu» disse sinceramente, prima di voltarsi e salire in macchina, che ovviamente partì tempestivamente. Notò a malapena la mandibola serrata di Julien, mentre continuava a guardare fuori. Arrivarono davanti a casa sua in un batter d'occhio. 

«Grazie del passaggio» disse acida, mentre raccoglieva la tracolla e se la sistemava in spalla prima di scendere.

«Hey e a me non lo dai un bacio?» domandò mimando il bacio con le labbra carnose, Valerie non sapeva se sentirsi oltraggiata o lusingata da questa sua richiesta: optò per la prima soluzione e inarcò un sopracciglio con fare saccente. 

«Non dovevi salire a vedere Victor?» domandò, retorica.

«A dire il vero no -rispose lui -semplicemente non mi piaceva quanto ti stava appiccicato il biondino» si scrollò nelle spalle e tornò a guardare davanti a sé, Valerie alzò gli occhi al cielo e uscì dall'auto sbattendo con forza la portiera: non poté vedere, dati i finestrini scuri, il ghigno che era apparso sul viso del conducente. 

 

 

A casa non c'era nessuno sennon la Signor Lennox, la governante, che comunque era affaccendata con dei problemi causati da una delle cameriere, la sera precedente al Gala d'Autunno che la famiglia Croix organizzava ogni anno. 

Valerie la salutò e salì in camera sua a cambiarsi. La sua camera non era, come ci si sarebbe aspettati dalla camera di una persona chiusa e introversa, oltre che elegante come lei, di quel classico color panna, o glicine che tutti si aspettavano quando la incontravano: era bensì di un verde lime molto acceso e le pareti erano piene di foto e di disegni, sul letto, che si trovava sotto una finestra rialzata spiccava un biglietto con una margherita di campo: la prese in mano e lesse il biglietto: era di suo fratello minore Hans, che aveva solo cinque anni. 

Era un bambino davvero dolcissimo, così come suo fratello Victor, che si stava per laureare in Filologia, per il quale era e sarebbe sempre rimasta la sua piccola principessa.  Poggiò il biglietto col fiore sul comodino e si slegò i capelli castano dorati che aveva tenuto raccolti in una coda alta tutta la giornata, facendoli ricadere ondulati fino a metà schiena. Si tolse la divisa e indossò la sua tuta preferita e decise di andare in biblioteca e leggere un bel libro. 

Nella biblioteca il caminetto era spento, ma si stava ancora caldi così raggiunse la sua sezione preferita e recuperò quel libro che aveva già letto milioni di volte, ma che continuava ad appassionarla: Orgoglio e Pregiudizio, aveva in mano una tazza di latte fumante. Si diresse verso la sua poltrona preferita: di stoffa verde-oro e si sedette poggiando sul davanzale della stanza la tazza e il libro. Si sistemò sulla poltrona portando una gamba appoggiata sul bracciolo sinistro e recuperando il libro per leggerlo di nuovo, dopo che lo aveva abbandonato meno di due settimane fa. Cominciò a leggere.

 

È una verità universalmente riconosciuta, che uno scapolo in possesso di un'ampia fortuna debba avere bisogno di una moglie. 

Per quanto poco si possa sapere circa i sentimenti o i punti di vista di un uomo del genere al suo primo apparire nel vicinato, questa verità è così saldamente fissata nelle menti delle famiglie del circondario, da considerarlo di legittima proprietà di una o l'altra delle loro figlie.

                                                                                 ***

 

Mr. Bennet era un insieme talmente bizzarro di acume, animo sarcastico, riserbo e fantasia, che l'esperienza di ventitré anni non era bastata alla moglie per capirne il carattere. La mente di lei era meno difficile da cogliere. Era una donna di scarsa intelligenza, di poca cultura e di temperamento mutevole. Quando non era contenta si immaginava nervosa. Lo scopo della sua vita era di far sposare le sue figlie; la sua consolazione erano le visite e i pettegolezzi.

 

Si era addormentata e quando si sveglio pioveva. Pensò inconsciamente di doversi sfregare le braccia per proteggersi dal freddo che avrebbe dovuto regnare sovrano nella stanza il cui fuoco era stato spento tutto il giorno: invece si stava bene e un fuocherello scoppiettante riscaldava e illuminava la stanza. La Signora Lennox doveva essere venuta a cercarla e aver deciso di non disturbarla, accendendole però il fuoco perché evitasse di avere freddo. Che cara signora!

Decise di chiudere il libro, che aveva letto fino a pagina 10, e di andare subito in cucina a ringraziarla, ma non la trovò: probabilmente era uscita per andare a prendere Hans all'asilo visto che erano le 18.00 e alle 17.30 il suo fratellino usciva dalla scuola materna, come ricordava orgogliosamente lui, stringendosi il suo orsacchiotto di peluche al petto, ogni volta. Sorrise al pensiero e decise di salire in camera sua a dare una ripassata a biologia, sebbene sapesse di aver studiato minuziosamente ogni dettaglio dell'apparato cardiocircolatorio. 



Eccoci con il primo capitolo! Questa è la mia prima storia originale e spero di avervi interessato! :-) Comunque sono bene accette critiche e consigli! Così come anche le recensioni positive ;-P quindi beh, fatemi sapere, se vi va, lasciando anche solo due righe di commento cosa ne pensate! Alla prossima.

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Capitolo 2
*** Novità I ***


«Allora? -domandò Diana il giorno dopo, appena la vide -Com'è andata col principe azzurro, ieri?» Valerie sorrise tra sé e guardò l'amica negli occhi azzurri:

«Buongiorno anche a te, Diana. Tutto bene, si ho studiato biologia e tu?» domandò retorica. Diana alzò gli occhi al cielo, ma ghignò colpevole, cosciente di essersi fatta prendere la mano dall'eccitazione: raramente Valerie si tratteneva da sola con un ragazzo, così a lungo. 

«Bene. Fino a quando non è arrivato quello spocchioso di Repoire… -rispose la ragazza, mentre entravano nell'edificio e si dirigevano verso l'aula di biologia -figurati che Mathieu mi ha addirittura promesso di combinare un incontro con sua cugina per avere un parere esterno, ti ricordi di Lucy, no? -domandò ancora -Diana ma mi stai ascoltando?» ma Diana si era fermata alla menzione di "Rempoire".

«Secondo me gli interessi» enfatizzò, mentre si intrattenevano fuori dalla porta della classe di biologia. Valerie alzò gli occhi al cielo:

«Certo Diana, come no! -disse entrando e scuotendo la testa divertita mentre si dirigeva verso il suo posto -secondo me tutte quelle commedie romantiche che leggi ti stanno facendo male, non riesci più a ragionare lucidamente» l'amica, ancora sull'uscio, allargò le braccia in segno di frustrazione ed esclamò:

«Ma se sei tu quella che continua a leggere Orgoglio e Pregiudizio nonostante tu lo sappia a memoria!»

«Per quanto questo scambio sia -disse la voce atona e profonda dietro di Diana -interessante, signorina Paroix, credo troverò più interessante il suo compito di quest'oggi. Si vada a sedere» Diana abbassò la testa sconsolata e fece per dirigersi verso il suo solito banco dietro a Valerie, ma il professore, un uomo sulla trentina dal viso solcato da profonde cicatrici d'acne e con gli occhialetti piccoli e rettangolari, le ordinò di scambiare il posto con Adele Dumpoire, una ragazza dai corti capelli biondo cenere con grandi occhioni smeraldini e il viso puntinato di lentiggini. Era spesso sola, ed era molto silenziosa. Diana tentò di protestare, ma un'occhiattaccia agghiacciante da parte del professore la convinse a non dilungarsi oltre. Lanciò un'occhiata disperata nella sua direzione, ma Valerie anche volendo non avrebbe potuto fare nulla.

 

«Julien… -fece la voce, cristallina e suadente -Julien mi stai ascoltando o no..?»

«Hai visto, piccolo? -disse la voce profonda -è la tua sorellina» il bambino dai corti capelli neri si voltò: poco più in là, vicino al letto di degenza di sua zia stava un'intera famiglia. I suoi genitori lo stavano bellamente ignorando e pensò che l'avevano addirittura lasciato da solo nella stanza, seduto sul letto della zia con le gambe a penzoloni, mentre guardava quella famigliola felice.

«E' così piccola papà!» rispose una voce infantile.

«Certo che è piccola, tesoro -rispose l'uomo -ecco perché dovrai proteggere la tua sorellina da tutti i maschietti che si avvicineranno» una risata cristallina riempì la camera: aveva riso la donna, che teneva in braccio un fagottino rosa.

«Smettila Gerard -disse la donna -neanche cammina e già pensi a quando avrà il ragazzo?» continuarono a chiacchierare per un po' e lui si trovò sempre più incuriosito del fagottino rosa. Era solo un bambino infondo. 

«Hey tu piccolino -lo chiamò la donna d'un tratto -vorresti venire a vederla anche tu?» arrossì. L'aveva colto in flagrante mentre li osservava, ma non sembrava arrabbiata, anzi, gli sorrideva gentile. Gli fece posto e indicò un posticino sul letto accanto a lei. Si avvicinò titubante.

«Qual è il tuo nome?»

«Julien»

«Allora vieni Julien siediti vicino a me, quanti anni hai?»

«Sei» rispose, sedendosi un po' imbarazzato di fianco alla donna: l'altro bambino lo osservava, il padre era in corridoio al telefono.

«Ah beh allora sei grande, mio figlio è poco più grande di te, ha otto anni» le sorrise: era una bella donna dalla lunga chioma ramata e dai simpatici occhi verdi. 

«Vorresti prenderla in braccio?» gli domandò, ma non gli diede diritto di replica, gliela mise in braccio: sembrava molto più grande fra le sue braccia così piccole.

La bambina aveva un viso tondo e levigato, il nasino era all'insù e aveva le manine piccole e paffute. Gli occhi erano chiusi, ma quando la prese in braccio aprì un occhietto incuriosita: anche lei aveva gli occhi verdi, ma erano picchiettati di marrone. La bambina sorrise e senza un motivo preciso allungo la manina e afferrò il bavero della sua camicia, emettendo un lungo sospiro. 

La donna lo osservava sorridendo mentre lui guardava sua figlia meravigliato.

«E' bella, non è vero?» Julien annuì, in silenzio.

«JULIEN!» questa volta sentì la voce richiamarlo alla realtà e farlo scendere dal treno dei ricordi. Una donna, con indosso un tailleur pantalone nero, con le braccia incrociate davanti al seno e un sopracciglio nero (decisamente più scuro del resto della capigliatura tinta) alzato quasi fino a sfiorare il ciuffo di capelli rossi che le cadeva impertinente davanti al viso. 

«Scusami, Lèa, -si scusò infatti, sorridendole e passandosi una mano tra i capelli color pece -non era mia intenzione distrarmi» la donna gli sorrise comprensiva.

«Ho detto che devi andarla a recuperare, Julien, se quello che hai detto è vero, allora non c'è tempo da perde la prima manifestazione potrebbe essere troppo difficile da controllare, se non sa almeno cosa aspettarsi» Julien annuì e fatto un breve cenno col capo uscì dall'ufficio, dirigendosi verso l'aula di biologia.

 

Qualcuno bussò alla porta: il compito era iniziato da qualche minuto e Diana in fondo alla classe si dimenava come una pazza cercando di copiare qualcosa dal suo vicino di banco, inutilmente. 

«Avanti» tuonò il professore, appoggiando con scarsa eleganza il giornale che stava leggendo sulla cattedra; ad entrare per la gioia della popolazione femminile della classe fu Julien Rempoire, che con passo sicuro e felpato si diresse vicino al professore e si abbassò per sussurrargli qualcosa all'orecchio. Quel giorno non si era ingellato i capelli, come era suo solito fare, ma li aveva lasciati cadere disordinatamente sul viso pallido a incorniciargli gli occhi pece. 

L'uomo annuì con vigore e gli permise di fare ciò per cui era venuto.

Valerie tentò invano, di mantenere la sua attenzione al compito in classe, ma era troppo difficile, soprattutto visto che lo aveva già completato quasi totalmente e l'ultimo esercizio era di una facilità tale da non essere neanche considerabile come "compito in classe". Sarebbe stato comunque inutile cercare di ignorarlo visto che aveva raggiunto il suo banco e portandosi le mani dietro la schiena si era abbassato abbastanza da fare in modo che i loro visi fossero alla stessa altezza. I loro sguardi si incontrarono: nero e verde, e Julien rimase per un attimo meravigliato nel leggervi anche quel giorno, in quell'occhio verde picchiettato di castano, la stessa curiosità del giorno che era nata. Ghignò, spostandole un ciuffo dietro l'orecchio assorto.

«Che vuoi, Julien?» domandò lei a quel punto.

«Ti aspettano nell'ufficio C -spiegò -sono venuto a recuperarti» detto questo prese la sua tracolla da terra e se la mise in spalla (un gesto molto galante, che non passò inosservato a nessuna della femmine della classe) e le tese la mano.

Valerie guardò per un attimo titubante il professore, che però annuì con convinzione e quindi, scuotendo la testa desolata, prese la mano tesa del ragazzo aiutandosi ad alzarsi e consegnato il compito incompleto al professore, seguì Julien fuori dalla classe, chiudendosi la porta alle spalle.


Eccoci qua! Volevo ringraziare tutti i lettori per essere passati a dare un'occhiata! Così come vorrei ringraziare i tre lettori/lettrici che hanno recensito! Grazie delle vostre belle parole e spero che questo secondo capitolo non vi abbia deluso. So che è un po' più corto del primo, ma nel capitolo originale era troppo lungo ed era più logico dividerlo in due parti, quindi presto aggiornerò con il terzo capitolo! Vi volevo inoltre porre una domanda :-) QUALE PREFERIRESTE FOSSE IL "POTERE" (avrete tutto più chiaro col prossimo capitolo) DI VALERIE? LA PIROCINESI o L'ELETTROCINESI? Fatemi sapere! Un bacio!

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Capitolo 3
*** Novità II ***


 

Valerie aveva sempre pensato che il silenzio fosse rilassante, che ti facesse sentire a casa, non pensava però che potesse farti sentire così a tuo agio. Sembrava normale passeggiare per i corridoi deserti della scuola con di fianco a sé Julien. Nonostante tutto lo conosceva praticamente da quando era nata perché lui e Victor erano amici d'infanzia, ma col passare del tempo i due avevano preso ad ignorarsi, erano troppo diversi per tentare di costruire una qualsiasi amicizia: lui sempre in mezzo alla mischia, provocante, egocentrico, sicuro di sé; lei introversa, timida, testarda e dolce. Non erano due caratteri che si potessero mischiare bene senza far detonare una bomba ad orologeria che avrebbe portato alla distruzione di qualsiasi rapporto venutosi a creare. 

Col passare del tempo, poi, Victor e Julien si erano allontanati, Victor era diventato un medico legale e Julien stava terminando i suoi studi in legge. 

«Perché mi aspettano nell'ufficio?» domandò d'un tratto, Julien le rispose senza neanche guardarla. «Lo scoprirai presto» a Valerie non piacevano le sorprese, di nessun genere e che Julien non le volesse dire per quale ragione volevano che si dirigesse dell'ufficio della Signorina Charleston, allora di certo lei non ci sarebbe andata! Quindi si fermò e incrociò le braccia al petto, inarcando un sopracciglio e osservandolo con quanto più distacco possibile. Julien alzò gli occhi al cielo.

Valerie passava sempre per la ragazzina dolce, insicura, fragile e poco combattiva quando in verità era tutto l'opposto. Era terribilmente permalosa, lo era sempre stata, e di sicuro sapeva come risponderti a tono, ma raramente Julien aveva visto questa parte del suo carattere: sembrava che si trattenesse di continuo che cercasse di mantenere quella facciata di ragazza perfetta, e sinceramente, temeva il momento in cui sarebbe esplosa. La osservò con i suoi occhi color liquirizia e imprecò tra sé. 

«Non fare la bambina, Valerie -le disse, sapendo bene che tasti spingere per farla obbedire -ti ho detto che lo scoprirai presto, non mi costringere a trascinarti di peso» Valerie però cominciò a battere ritmicamente il piede a terra e inarcò le labbra in un ghigno che Julien aveva visto spesso dipinto sul suo volto da bambina.

«Sul serio -fece lui porgendole la mano -mi farai ammattire. Dai vieni. Ti prometto che non ti succederà nulla» disse divertito. Alché Valerie alzò il mento indispettita e lo superò precedendolo mentre lui rimaneva con la mano tesa verso dove, fino a pochi secondi fa c'era lei.

 

Il modo migliore per fargli dispetto è non chiedergli nulla. ~ Lizzie Bennet

 

Julien rimase basito, ma sorrise, seguendo poi la ragazza a ruota.

 

L'ufficio era buio, illuminato solo da una sinistra lampada, i mobili di mogano scuro lucido contribuivano a rendere tetra, insieme alle pareti bordeaux, la camera. Valerie non ci era mai stata… nessuno studente,  a dire il vero, aveva il permesso di entrare in quell’ala dell’edificio, apparte un gruppo. Li chiamavano gli studenti S+ (Special plus) perché erano gli unici con diritti “speciali” come l’entrata nell’Ala Nord della Vecchia scuola. Julien, che era uno di quegli studenti, le fece un cenno e avvicinandosi ancora poté notare una figura slanciata in piedi dietro la scrivania. Era una donna, indossava un tailleur pantalone, aveva il viso a cuore, le labbra sottili erano stirate in un sorriso tirato, i capelli erano di un rosso quasi irreale che però non stonava con la pelle diafana della donna, i suoi occhi erano scuri o almeno tali apparivano alla luce fioca che albeggiava nell’ufficio.

Sulla scrivania spiccava una targhetta intarsiata: Lèa Mulier e sotto a caratteri meno evidenti consulente scolastico. La donna doveva essere sulla trentina come dimostravano le rughe ai lati delle labbra e quelle ai lati degli occhi, ma le iridi erano illuminate da un lampo quasi inquietante che non metteva per nulla a suo agio Valerie.

«Prego -disse con voce vellutata -vuoi del the?» 

«No grazie… -rispose educatamente Valerie -posso sapere per quale ragione mi avete fatta chiamare?» domandò sedendosi, mentre Julien restava in piedi dietro di lei.

«Certamente cara, pensavo che Julien ti avesse già anticipato qualcosa» disse, facendo l’occhiolino nella direzione di quest’ultimo che di fronte all’occhiata omicida che gli rivolse Valerie si scrollò nelle spalle con un’espressione innocente. 

«No» sibilò la ragazza riportando la sua attenzione sulla donna. Solo in quel frangente notò una leggera somiglianza tra i due, non era fisica, ma di atteggiamento avevano la stessa eleganza. Dovevano essere imparentati in qualche modo, ne era certa. La donna si versò del the e dopo averlo sorseggiato per qualche secondo, poggiò la tazza ancora fumante sulla scrivania, congiungendo le mani palli e dalle dita scheletriche e, finalmente domandando: «Valerie, cosa sai di tua cugina Aphrodite?» 

La domanda ebbe l’effetto di una bomba su di lei. In casa non si parlava mai di quella fantomatica cugina, che quando lei era a malapena una bambina, era morta in circostanze sospette; si era parlato perfino di overdose, ma i suoi famigliari, che la conoscevano bene, sapevano che non poteva essere questo il caso. 

«Non molto a dire il vero» ogni volta che provava a pensare ad Aphrodite, era come se ci fosse un buco nero nella sua memoria, come se semplicemente non avesse ricordi di quella, che a detta di tutti, le aveva praticamente fatto da babysitter nei suoi primissimi anni. 

«In casa -aggiunse -non parliamo spesso di lei» Aphrodite era un argomento tabù. «Credo non ci siano neanche più sue foto in giro…» disse pensierosa. La donna annuì.

«Beh certo -disse con tono mieloso -dopo una disgrazia del genere io credo sia impossibile per una famiglia mantenere intatto il ricordo di una così sventurata ragazza» ma a Valerie quella frase sembrava frutto di una falsa gentilezza… era curiosa di ciò che questa donna sembrava volesse metterla al corrente, benché non si fidasse dei suoi occhi inquietanti. 

«Tuttavia -aggiunse, alzandosi in piedi e cominciando a passeggiare per la stanza -non è stato né un attacco animale, né un overdose a stroncare Aphrodite Croix» Valerie lanciò uno sguardo a Julien che se ne stava in piedi dietro le due donne, con le braccia conserte in quella che sembrava la posizione di riposo di uno di quei guerrieri greci rappresentati in mille e una statua di marmo romana… I suoi occhi color liquirizia erano come un pozzo senza fondo, di una tonalità talmente scura da sembrare quasi surreale, ma non c’era tempo per perdersi in quegli occhi, doveva pensare a uscirne incolume da questo innocente incontro.

«Suppongo lei voglia che le chieda cosa, allora, abbia stroncato in giovane età Aphrodite Croix» disse e la donna le rivolse un sorriso malizioso:

«Avevi proprio ragione, Julien -disse, facendogli l’occhiolino -la ragazza è scaltra»

«Preferisco il termine ‘intelligente’… -disse con un sorriso stirato -sa com’è… scaltro sa di negativo» la donna scoppiò in una sonora risata.

«E permalosa… accidenti più ti conosco ragazzina e più somigli a tua cugina!»

«Lei la conosceva?»

«Certo. E’ grazie ad Aphrodite non solo che sono viva, ma anche che ricopro il ruolo che ricopro. Io e Aphrodite eravamo migliori amiche e sebbene abbia cercato di tenermi all’oscuro dal Segreto alla fine fui talmente curiosa da seguirla e cacciarmi in un guaio, in questo modo sono diventata la prima persona estranea al Concilio a conoscere il Segreto».

«Di che segreto sta parlando?»

«Di quel segreto che le più facoltose famiglie europee tentano di tenere nascosto dall’albore dei tempi. Dimmi, Valerie, cosa sai della cinetica? Julien mi dice che sei brava a scuola, quindi qualcosa saprai pur dirmela» Valerie ci pensò su, e troppo presa che era non notò che Julien si era visibilmente imbarazzato all’affermazione della donna.

«La cinetica è la forza del “movimento” -spiegò -che intercorre tra le molecole di un determinato composto…» la donna ghignò soddisfatta.

«Corretto -disse -e ora dimmi cosa sai delle cosìdette capacità cinetiche?» Valerie rimase interdetta da questa domanda, ma rispose comunque:

«Sono le capacità mentali di controllare il mondo attorno al noi… ma perché? Non vorrà mica dirmi che adesso Aphrodite aveva qualche capacità cinetica?!»

«Come ti è saltato in mente, cara?» domandò, sogghignando e facendo capire che quello era, effettivamente, il nocciolo della situazione. 

«Comunque è corretto -disse spostandosi un ciuffo rosso dal viso -Aphrodite aveva una capacità molto importante e rara riusciva a concretizzare i pensieri propri o altrui» continuava a passeggiare «Non un dono particolarmente combattivo… ma particolarmente importante» aggiunse Julien.

Valerie lo fissò basita, poi tornò a guardare la donna che sorrise verso il ragazzo, dicendo:

«Julien perché non le dai una dimostrazione?» Julien annuì e si portò di fronte a lei. Le sorrise colpevole e allungò una mano verso di lei.

Davanti agli occhi sbalorditi di Valerie apparve una rosa rossa evanescente, quasi come se fosse una proiezione mentale. Così come era apparsa, la rosa scomparve e Valerie lo fissò sbalordita per poi tornare a guardare la donna.

«Perché mi state dicendo tutto questo?»

«Perché abbiamo percepito delle fluttuazioni magnetiche vicino a te, segnale che hai qualche tipo di capacità ancora latente… e quando scoppierà potrebbe essere molto pericoloso se ti fai prendere dal panico. Per questo Julien ti terrà d’occhio, sarà il tuo referente diciamo, e se ciò che pensiamo si rivelerà vero, beh ne parleremo nel Concilio».

 

Era ormai scuro fuori, quando Valerie, in macchina con Julien arrivò a casa. Aveva sette chiamate perse di Diana, ma quando l’aveva richiamata l’amica, dispettosa, non le aveva risposto. Il viaggio si svolse in silenzio.

«So che ti abbiamo detto cose a cui non crederai oggi… ma c’è ancora così tanto da sapere… -spense l’auto e si sporse dalla sua parte, le portò un ciuffo di capelli dietro l’orecchio -non ti preoccupare… ti aiuterò» Valerie annuì e stile automa uscì dall’auto ed entrò a casa.

Ignorò le prediche di madre e padre e si chiuse in biblioteca mentre fissava il fuoco scoppiettare, era sempre stata affascinata dal paranormale e dalla fiamma che danza riscaldando la pietra del caminetto… ipnotizzata quasi da quel danzare si addormentò in biblioteca di nuovo. 

Eccoci con il nuovo capitolo! Ho finalmente deciso quale sarà la capacità cinetica di Valerie, che ne dite invece di quella di Julien? Inoltre spero di avervi incuriosito col personaggio, non solo, di Lèa, ma anche di Aphrodite :-) Come sempre fatemi sapere che ne pensate! Ringrazio chi legge questa storia e chi l'ha recensita :-) Qualsiasi cosa vi passi per la testa mentre la leggete siete liberissimi di scrivermela! Sarò lieta di chiarvivi dubbi o di accettare critiche costruttive come anche complimenti! xD Un bacio, alla prossima.

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Capitolo 4
*** Lo sapevano. Loro lo sapevano ***


Julien era sdraiato sul suo letto, le braccia dietro la testa lo sguardo fisso sul soffitto. Ricordava abbastanza bene Aphrodite, Valerie le assomigliava molto senno caratterialmente molto fisicamente. Aphrodite era una pacifista, nonostante tutti gli allenamenti e le tecniche di combattimento apprese, lei era per il dialogo: odiava le sue missioni, e in una di queste era rimasta uccisa e tutto per proteggere quell’unica persona che forse avrebbe dovuto proteggere loro e non viceversa. Aphrodite aveva sempre i suoi grandi occhi marroni aperti con curiosità al mondo, se ti fissava negli occhi non potevi sentirti a disagio, invece Valerie con i suoi occhi verdi pieni di curiosità era anche capace di incutere un certo timore e sebbene, per qualche strana ragione, negli ultimi dieci anni era riuscita a nascondere la sua vera natura il suo vero carattere forte e combattivo ci si accorgeva dal modo in cui camminava o da come non fosse mai nervosa, non davvero, che doveva avere un carattere estremamente forte. Da bambina lo aveva dimostrato più volte. Ora che ci pensava Valerie doveva aver subito uno shock con la perdita di Aphrodite che per lei era stata una sorella maggiore amorevole e dolce, era da quel fatidico giorno in cui arrivò la notizia che Valerie non era stata più la stessa e il suo carattere era diventato apparentemente più remissivo, pudico, timido ed introverso. Si alzò di scatto, i muscoli erano intorpiditi a causa del duro allenamento che, dopo aver accompagnato a casa Valerie, si era imposto: doveva mantenersi in forma, doveva essere in grado di continuare a svolgere senza errori il suo compito. 

 

 

«Valerie» la voce era dolce, nel suo sogno non faceva né caldo né freddo, era in biblioteca, il fuoco scoppiettava allegro e la stanza era quasi immersa nel buio. Valerie si stringeva le ginocchia al petto e sapeva che stava piangendo e che ad un certo punto di quella settimana doveva aver compiuto quattro anni. Non vedeva bene la faccia della persona che le parlava, era come se fosse una reminiscenza e non riusciva proprio a capire con chi steste parlando. 

«Valerie ricordati che ti devi fidare solo e sempre del tuo istinto, quello, tesoro, non sbaglia mai. Cercheranno di controllarti, come hanno fatto con me, cercheranno di manipolarti e proveranno a farti provare vergogna e rammarico per non essere come loro. Tu non cedere, non temere» a uscire dalla sua bocca infantile però furono parole di adulta, domande a cui finalmente dava una voce.

«Chi sei?»

«Lo sai»

«No. Altrimenti non te lo avrei chiesto»

«Lo sai»

«No» la testardaggine per cui era ben conosciuta in tutta la sua famiglia, prese il posto della gentilezza e con uno scatto spostò con violenza la mano gentile e fredda che le era appoggiata sulle ginocchia sbucciate. Una risata gentile e cristallina la sorprese.

«Sei sempre la solita Valerie, non cambierai mai».

«Se mi conosci così bene, chi sei allora?» domandò. Allora la nuvola che nascondeva con luce abbagliante il viso della persona che aveva di fronte si diradò e poté vedersi riflessa nelle iridi verdi di una se stessa più grande, e probabilmente più matura. Aveva i capelli in una piega ondulata che le ricadevano setosi lungo le spalle, indossava un abito anni venti a stampa floreale. 

«Chi sei?» domandò ancora.

«Sono te e non sono te. Sono quello che tu pensi che io sia, sono la persona che tu hai salvato e che salverai».

 

Valerie si svegliò sudata da quel sogno: era ancora in biblioteca, il fuoco si era spento e sul davanzale c’era un biglietto sul quale spiccava la calligrafia perfetta di Victor “Sorellina, dormivi così bene che non me la sono sentita di svegliarti. Un bacio, Victor” sorrise fra sé e si alzò cercando di mantenere il calore del suo corpo si avvicinò ai tizzoni ancora ardenti per cercare di ravvivare il fuoco. E fu allora che lo sentì di nuovo, quel richiamo, quella specie di pungiglione questa volta più gentile che la spingeva a guardare verso la libreria nello scaffale più polveroso e oscuro: lì quasi la chiamasse notò un libro rilegato in cuoio scuro e si alzò quasi spinta da una forza superiore e si avvicinò estraendolo dal posto in cui doveva essere rimasto, non toccato, per anni. Al tatto era freddo e rabbrividì nel toccarlo. Lo aprì. Era un album di fotografie. Erano principalmente di Victor da piccolo e qualcuna di lei. Mentre sfogliava quel libro vide anche delle foto più vecchie e una, ancora in bianco e nero che ritraeva una giovane donna, che e somigliava terribilmente, che si teneva una mano sul ventre rigonfio, la data era 15 Maggio 1953. Dietro la fotografia una scritta a inchiostro scuro, ormai quasi completamente sbiadito dal tempo, recitava: “Alla mia dolce moglie, Marie Croix” e sotto portava una firma, che purtroppo Valerie non fu in grado di decifrare, ma sapeva che Marie era la sua nonna paterna. 

 

Era ormai notte fonda quando Valerie, non riuscendo a prendere sonno, e dopo aver passato le ultime due ore a rigirarsi nel letto cominciò a cercare di ricordare il più possibile di Aphrodite. Si rivelò un compito difficilissimo. Era come se cercare di ricordare le facesse male, come se tutte le volte che le sembrava di sfiorare i contorni evanescenti del viso della cugina un dolore lancinante le opprimeva il petto e il capo, costringendola a pensare ad altro a qualcosa di calmante a qualcosa di lenitivo, che fosse un ricordo e una persona. Alla fine, distrutta, ma ancora non stanca abbastanza da addormentarsi si sedette sulla sponda del letto, le gambe nude a penzoloni, i piedi scalzi che sfioravano terra; si passò una mano tra i capelli castano-dorati spostandoseli indietro rispetto al viso e con sospiro si alzò. Scendendo i quattro gradini che rendevano il suo letto sopraelevato rispetto al resto della camera, raccolse la prima felpa che le capitò a tiro e indossando le ciabatte si diresse fuori dalla camera cercando di fare meno rumore possibile. Vagò per un po’ senza meta per poi ritrovarsi in salotto, eppure il salotto avrebbe dovuto essere buio. Invece una lampada era accesa: c’erano sua madre e suo padre ancora in piedi a parlare.

Gerard Croix era un uomo alto e austero, dalla capigliatura ormai brizzolata e dalle folte sopracciglia che mal celavano gli occhietti vispi di un azzurro quasi irreale, indossava ancora la sua camicia e i pantaloni, segno che doveva essere rientrato da poco, Valerie diede un’occhiata all’orologio batteva quasi le tre di notte, cosa ci facevano i suoi in piedi a quest’ora? 

Suo padre era seduto su una poltrona carminia e stava fumando un sigaro cercando di tranquillizzare sua madre che invece camminava avanti e indietro, ancora avvolta nella vestaglia di seta lilla: Isabelle era ancora una bella donna come quella che immortalata nelle foto del matrimonio sorrideva dal quadro della cucina: aveva preso qualche chilo, certo, ma rimaneva una donna alta e slanciata, qualche ruga in più le rigava il volto regale, ma i suoi occhi rimanevano quello specchio trasparente di acqua verdazzurra che tanto ammaliavano ancora oggi suo marito. 

«Calmati, Isabelle -disse sua padre con voce cavernosa, ancora impastata dal fumo che aveva appena finito di espirare -sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato. Non potevamo davvero credere di poterla tenere all’oscuro della verità ancora per molto. Dovrà compiere ciò per cui è venuta al mondo» suo padre sembrava molto sicuro di quello che diceva e in genere questo bastava a calmare sua madre, ma con sua somma sorpresa notò che la madre ancora camminava avanti e indietro preoccupatissima e aveva quasi le lacrime agli occhi:

«E’ mia figlia Gerard! -esclamò, alzando impercettibilmente la voce -non permetterò che me la portino via come hanno fatto a Sophie!» Sophie era la nonna di Aphrodite che era stata allontanata dalla figlia perché ormai vedova non voleva che la sua unica nipote frequentasse quelle scuole che lei definiva da sempre “oscure e luogo di morte” l’avevano fatta internare e Valerie spesso la andava a trovare nonostante il resto della famiglia ne rimasse distante. 

«Lei è la mia bambina! Non qualche specie di arma -enfatizzò quella parola con tanto di quell’odio che quasi stupì Valerie, sua madre era incapace di odiare qualcuno -cinetica che possono usare a loro piacimento e poi disfarsene! Non le permetterò di subire lo stesso destino di Aphrodite!». 

«Isabelle -rispose con calma suo padre, come se parlasse con una bambina capricciosa -lo so che è nostra figlia, ma abbiamo sempre saputo che questo giorno sarebbe arrivato, non potevamo tenere le sue capacità nascoste molto a lungo! L’altro giorno ha ringraziato la Signora Lennox per averle acceso il fuoco in libreria e grazie al cielo quella donna ha vissuto abbastanza tempo con noi per ricordarsi cosa doveva fare, e mentirle, ma non possiamo farlo oltre.».

Le avevano mentito. Tutta la sua vita era stata una bugia. Loro sapevano. Loro sapevano che lei aveva queste capacità… quali fossero ancora non l’aveva capito, ma sicuramente c’erano. 

Silenziosa, senza riuscire a versare una lacrima si diresse in camera sua, si chiuse la porta alle spalle e scivolò lungo di essa fino a trovarsi seduta a terra con la schiena poggiata alla porta. 

Lo sapevano. Loro lo sapevano.

 

 

 

«Buongiorno tesoro! Sei pronta per una nuova giornata?» Valerie si costrinse a trattenere una smorfia di disgusto mentre sua madre, la stessa madre che l’aveva messa al mondo solo per mentirle tutta la vita, le sorrideva mentre premurosa le preparava la colazione per poi rimanere delusa quando la figlia recuperò la giacca e dicendo solo “Non ho fame” uscì dalla cucina. 

In corridoio incrociò il suo adorato fratellino, Hans, che con i capelli biondi tutti spettinati, l’orsacchiotto stretto al petto e gli occhi ancora assonnati, si aprì in un sorrisone perfetto per la sua sorellona. 

«Hey ciao, Topo -disse lei scompigliandogli i capelli -mi raccomando fai il bravo alla scuola materna e proteggi sempre l’orsacchiotto. Io vado a scuola» il bambino annuì e lei gli stampò un bacio sulla guancia, evitando anche il padre mentre usciva, assolutamente in anticipo rispetto suo solito da casa. 

Nel cortile Diana stava leggendo un giornalino con Mathieu, e quando la vide si sbracciò ancora un po’ imbarazzata per non averle risposto il giorno prima, visto che la ragazza sembrava non aver dormito tutta la notte, nonostante avesse cercato di nascondere con il fondotinta e il copri-occhiaie il disastro che aveva al posto degli occhi. Valerie si strinse nelle spalle e li raggiunse.

«Buongiorno ragazzi, come va?»

«Tutto bene, tu? -le domandò Diana -sembri uscita da un film dell’orrore, hai dormito sta notte?»

«Non molto ero un po’ agitata… tutto qua.» Mathieu le carezzò una spalla in segno di conforto, o almeno avrebbe dovuto esserlo, era ciò che voleva essere confortata da qualcuno che tenesse a lei, eppure non era quello di cui aveva bisogno o comunque non si sentiva come se avesse ottenuto ciò di cui aveva bisogno.

«Hai litigato con i tuoi? -domandò Diana -mi sembra l’unica opzione eppure, non litigate praticamente mai» Valerie scosse la testa, ben conscia di non poterle raccontare nulla e si sentì male a pensare che non si fidava della sua migliore amica e del ragazzo che chiaramente aveva una cotta per lei e che, per un certo periodo, aveva creduto che le piacesse, eppure era come se semplicemente non potesse essere lui. Punto. 

Fu allora che lo vide e che lui si fermò. I capelli erano di nuovo lasciati disordinati a incorniciare il volto pallido: anche lui sembrava non aver dormito molto. E allora non seppe esattamente cosa accadde semplicemente tutte le lacrime che non era riuscita a piangere quella notte cominciarono a sgorgare dai suoi occhi verdi rincorrendosi lungo le guance rigandole il volto di scie salate. Lasciò cadere la borsa dalla spalla e ignorando completamente i due amici attraversò con passi decisi la distanza che li separava e senza chiedere permesso o scusa si fiondò tra le sue braccia singhiozzando convulsamente, mentre sentiva le sue braccia muscolose avvolgerla in una stretta che sapeva di casa e di sicurezza. 

«Lo sapevano… loro lo sapevano…» sentì la sua stretta farsi più forte, più ferrea e non si preoccupò di tutte le persone che probabilmente si erano fermate incuriosite dalla scena. Lui annuì sulla sua spalla e disse:

«Shh… lo so, va tutto bene, sei al sicuro» non c’entrava molto, pensò Valerie, non gli aveva mai detto di essersi sentita vulnerabile, come l’aveva capito? Lo sentì scioglierle i capelli che ricaddero a nascondere il suo volto rigato dalle lacrime e già seminascosti dal suo petto. 

Ho paura. Non lo disse, ma Julien lo percepì chiaramente e posò un bacio sulla sua spalla, quasi fosse un riflesso naturale.

Ci sono io adesso. Non lo disse, ma il respiro di Valerie si fece più regolare e le lacrime cominciarono ad asciugarsi. Non era sola. E anche se loro sapevano, c’era lui. 


Sinceramente sono rimasta un po' male di non vedere neanche un commentino per il capitolo precedente, e comincio ad avere l'impressione che forse questa fic non valga la pena, ma siccome sono più sicura di me di così, o forse semplicemente più cocciuta, ho voluto provare a postare anche questo capitolo e probabilmente ne posterò ancora un paio, ovviamento se anche questi capitoli non verranno assolutamente recensiti mi toccherà gettare la spugna vuol dire che non sono in grado di scrivere un fic originale e mi metterò l'anima in pace (più o meno) :-P  Quindi per favore, fatemi sapere che ne pensate anche se non vi piace fatemolo sapere, magari posso migliorare! In fondo scrivo solo per divertimento e non sono di certo una scrittrice di "valore" diciamo, quindi non pretendo di piacere per forza, ma posso migliorare. Un bacio e alla prossima. 

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