Quando i sogni rispecchiano il passato

di Marra Superwholocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quadri ***
Capitolo 2: *** Il Messaggio ***



Capitolo 1
*** Quadri ***


Quadri


Quel giorno, per Jenna, era stato così pieno d'impegni che fino a tarda sera non aveva trovato un briciolo di pace. In quel momento, stava camminando su un marciapiede sporco e umidiccio; le luci dei lampioni erano molto basse e regalavano all'intero quartiere una strana luce bluastra; le stelle si intravedevano a malapena al di là del confine dell'inquinamento atmosferico.
Jenna era arrivata alla sua auto, parcheggiata davanti all'entrata di un palazzo con mattoni a vista e alto tre piani. Regnava il silenzio: non un frinito; non uno stridio. Aprì la portiera e scivolò all'interno dell'auto; accese motore e luci e queste illuminarono qualcosa che attirò la sua attenzione: un parallelepipedo scuro ai margini della strada.
Ad una parte di Jenna, a quel punto, vennero in mente alcuni sogni che sua nonna le raccontava sino a tre anni prima.. e le sue gambe si mossero in modo automatico: spense subito il motore senza toccare le luci e scese lentamente dall'auto. Si guardò furtivamente attorno, ma erano tutti nei loro caldi letti.
Ma cosa...? ..Allora è vero:, pensò Jenna, mia nonna non era diventata matta...
Si stava avvicinando di soppiatto a quel parallelepipedo quando quest'ultimo emise una luce e, dall'alto, si intravide una piccola lanterna. Poco sotto la fonte di luce, c'era una scritta che recitava: Police Public Call Box.
La lanterna... La scritta... Coincidevano entrambe con i sogni di sua nonna e Jenna sperò di incontrare, da un momento all'altro, l'uomo misterioso.
Allungò una mano e tentò di sfiorare la cabina ma, dal nulla, sbucò un ragazzo.
“Ehi!” la minacciò da lontano il capellone.
Jenna fece un balzo all'indietro e per poco non inciampò nei suoi piedi; i suoi riccioli rossi ballarono come molle mentre lui si avvicinava quasi di corsa. “Ehi...” ripeté, questa volta più amichevolmente.
Jenna passò da un radioso entusiasmo ad una totale delusione nel vederlo avvicinarsi sempre di più. Studiò bene il suo volto alla debole luce che emanavano i fari della sua auto. “Non sei come..” si interruppe lei, pensando di aver commesso un errore; poi tentò di rimediare: “Credo di aver sbagliato persona, mi scusi.” Fece per andarsene quando il ragazzo le afferrò un braccio facendola frenare all'improvviso, obbligandola anche a guardarlo in faccia.
“Chi sei?” chiese lui, accigliato.
Jenna lo guardò negli occhi: erano luminosi e piccoli, le sopracciglia sembravano quasi non esserci, ma ciò che, più di tutto, la fece sorridere era il mento.. Non aveva mai visto un mento così pronunciato e dovette frenare con molta fatica la voglia di afferrarglielo.
“Chi sei?” ripeté il ragazzo.
Possibile che fosse avvenuto veramente? Eppure non era la persona descritta da sua nonna... “Ho decisamente sbagliato persona.. Insomma.. Non eri vestito così e..” cercò di spiegarsi Jenna, ma era impossibile in quella situazione. Prima doveva esserne certa.
Riuscì a divincolarsi dalla sua stretta, aprì la borsetta per prendere carta e penna e scrisse indirizzo e data per un appuntamento:


Troika1rst Floor
40 Whitfield Road                20 luglio 2068                 8.45 a.m.
London, EC1M 2RH
UK


Al Dottore quei riccioli ricordarono qualcuno, ma non si azzardò a fare domande. Tranne una, mentre quella strana ragazza gli porgeva il foglietto: “Qual'è il tuo nome?”
Jenna lo guardò negli occhi grandi come noccioline. “Jennifer Sharp. Ma preferisco Jenna. E non fare Tardis all'appuntamento.”
Il Dottore stava ancora studiando l'indirizzo quando, a quella battuta, gli si gelò il sangue nelle vene; alzò lo sguardo ma non la vide più: era già tornata in auto. Tornò, allora, a studiare il foglietto e si rese conto della data: era l'indomani! “Perché devo aspettare domani” si chiese tra sé il Dottore mentre Jenna girava l'angolo per tornare a casa “se ho un.. Tardis?” Spalancò le porte e si precipitò dentro cominciando a tirare leve e pigiare pulsanti in una sequenza che solo un Signore del Tempo può comprendere..
Un ultimo sussulto e arrivò.
Ma chi era quella ragazza? Chi era Jennifer Sharp? Jenna.. L'aveva già sentito quel nome...
Era assolutamente certo che, chiunque fosse, lo avrebbe sorpreso.


Era un mattino caldo e soleggiato di un'estate londinese: le rondini volteggiavano allegre rincorrendosi tra i palazzi; le pensionate si salutavano a vicenda attraversando le vie per arrivare al mercato; i bambini sfrecciavano, tra la gente, sui loro skate o roller con i loro cagnolini.
Ma il Dottore era diretto verso un palazzo bianco come la neve, verso il quale andavano tante altre persone, tutte molto eleganti. Si fermò di fronte al portone di legno lucido di una casa per sistemarsi il ciuffo e il suo bel cravattino bordeaux in pandan con le bretelle per poi mischiarsi tra gli altri invitati.
Oltrepassato l'atrio, l'interno era molto spazioso, con i soffitti alti e le pareti candide e lisce, tappezzate di quadri che rappresentavano campi di fiori e di grano, case isolate in mezzo alla campagna o semplici laghi.
Il Dottore fu tanto affascinato e rapito da quelle tele così luminose e ricche di colori che rimase circa dieci minuti davanti ad un'opera raffigurante un semplicissimo telefono blu su un tavolino rotondo con accanto una candela ardente.
Improvvisamente, Jenna fu al suo fianco, ma lui non si spaventò: rimase col viso rivolto verso la tela, schiuse appena la bocca e spostò lentamente lo sguardo verso di lei, che sorrideva.
“Jenna.. Mi ricorda vagamente qualcosa..”
“Buongiorno anche a te!”
“Perdonami..”
“Tranquillo. Sembri stanco, ti va una tazza di tè?”
“Tè inglese! Sempre ben accetto!”
Così, Jenna gli fece segno di seguirlo lungo un interminabile corridoio, fino a sbucare in una cucina improvvisata: uno sgabuzzino con un fornelletto elettrico, miracolosamente funzionante. Scaldò il tè precedentemente preparato, gli porse un bicchiere e, versandoci dentro la bevanda tiepida, l'aroma di essa si diffuse nell'aria. Il Dottore circondò il suo bicchiere con entrambe le mani ed inspirò profondamente per poi bere il tutto in un sorso solo, senza bruciarsi la lingua.
Jenna lo fissava con un sorriso che nascondeva un silenzioso segreto.
“Chi sei? Insomma.. Riconosci il Tardis, riconosci me e mi inviti a questa mostra.. Che, peraltro, è magnifica.” Cominciò a guardarla accigliato: quei capelli.. “R-River?” chiese, con le lacrime agli occhi.
“Chi?”
Il Dottore represse il dolore provocato dalla domanda di Jenna. Si voltò per nascondere gli occhi lucidi e disse: “Vedo che non vuoi dirmi chi sei, quindi, ti chiedo: di chi sono quei quadri là fuori?”
A Jenna spuntò un sorriso per l'alone di mistero che era riuscita a creare, ma che non avrebbe mantenuto a lungo. “I quadri sono tutti di mia nonna. È morta circa tre anni fa e ad ogni anniversario organizzo una mostra commemorativa.”
“Mi spiace..”
“Oh.. Credo abbia avuto una vita più che felice.”
“Perché?” le chiese mentre riprese a guardarla negli occhi con sguardo ardente.
“Ha viaggiato molto” disse Jenna, con un leggero sorriso provocatorio.
A quelle parole, il Dottore sembrò quasi illuminarsi e capire tutto: spalancò gli occhi e la bocca e rimase a fissarla con le mani a mezz'aria, ma non osò pronunciare quel nome; Jenna sembrò comprendere: gli si avvicinò lentamente, lo prese per le spalle e lo guidò fuori dalla stanza, sempre più lontano dagli altri invitati.
L'ambiente divenne più silenzioso e, per certi versi, intimo. Infatti, trovarono una coppietta tutta indaffarata a sbrigare le loro faccende amorose e Jenna dovette tossire ben due volte per farsi notare e mandarli via (“Hop, hop, hop!” urlò alla loro uscita).
Lui era ancora tormentato dal nome di... Aveva viaggiato con lui! E ora aveva conosciuto sua nipote!
Jenna lo condusse davanti ad una porta di legno chiusa a chiave; l'aprì mentre osservava il Dottore che aveva lo sguardo perso nel vuoto nel tentativo di recuperare il senno. La porta cigolò verso l'interno di quella nuova stanza buia. Jenna vi entrò ed accese la luce con uno scatto improvviso dell'interruttore.
Il Dottore sembrò sul punto di svenire..
Le pareti di quella stanza erano un po' giallastre, scrostate e tempestate di tele: alcune avevano come soggetto l'universo, altre un'ampia sala molto luminosa con una grande torre al centro di essa, altre ancora pianeti di altre galassie o enormi saliere a pois.
Ma Jenna voleva mostrargli un quadro in particolare. Un quadro che teneva lontano, in un angolo, coperto da un telone grigio; l'unico quadro che le avrebbe permesso di sapere se la persona che aveva davanti era davvero l'uomo di cui le parlava sua nonna.
Lasciò, quindi, il Dottore ai suoi pensieri – ipotesi sempre più concrete – e andò a scoprire il quadro: una nuvola di polvere si liberò nell'aria, irritando la gola di Jenna e arrivando fino al Dottore; le venne da sorridere nel notare che non gli diede alcun fastidio.
È lui, pensò Jenna, è lui... Non so come abbia fatto a cambiare aspetto, ma è lui...
In quel momento, il Dottore si girò per chiedere conferma delle sue congetture ma, alla vista di quel quadro, le sue domande risultarono vane. La tela ritraeva due persone: un uomo e una donna. Lui, alto e magro, con i capelli per aria e arruffati; lei, rossa, con una specie di frangetta e un sorriso sincero e contagioso. Erano abbracciati e sorridevano guardando il cielo.
Il Dottore non faceva che contemplare la sua decima incarnazione con una delle sue tante compagne di viaggio. Una volta ripresosi, tornò con lo sguardo su Jenna: era così tanto scioccato che riuscì solo a dire: “Sei...la nipote di Donna!”.

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Capitolo 2
*** Il Messaggio ***


Il Messaggio


Ecco, l'aveva detto. Il nome di Donna gli era uscito come un uragano e ora si sentiva meglio. O peggio? Non riusciva a capire; sentì solo entrambi i cuori correre come matti.
Lei lo guardava col mento all'insù e le braccia incrociate: sembrava sapesse tutto.
“Tu sei.. Sei sua nipote!” Un sorriso prese il posto dello sgomento; si sistemò il cravattino e i capelli per poi stropicciarli nuovamente lanciandosi in un abbraccio che prese Jenna alla sprovvista, lasciandola senza via di fuga.
Il Dottore, in quella stretta, poté sentire il profumo d'agrumi dei suoi capelli e la strinse ancor più forte, perché era lo stesso di quelli di Donna.
Jenna, d'altro canto, poté finalmente abbracciare, o meglio, essere stritolata dall'uomo che cambiò la vita di sua nonna: la stravolse, coinvolgendola in un'avventura straordinaria. Le ripeteva ogni giorno, da quando aveva recuperato la memoria, che era grata nei confronti del Dottore, perché l'aveva resa folle ma, al tempo stesso, felice.
Dopo alcuni istanti, il Dottore sciolse l'abbraccio e Jenna capì che voleva sapere tutto: pendeva dalle sue labbra.
“Da quel che ricordo, quando aveva sessantatré anni, ha cominciato a fare sogni strani. All'inizio pensava fossero soltanto incubi, ma un giorno mi guardò dritta negli occhi e mi descrisse con particolare attenzione la cabina, chiamandola Tardis e spiegandomi il suo significato. Ma non le credetti: ero troppo piccola per capire. Così lei trasformò quei sogni in favole della buona notte.”
“Tipico di Donna” la interruppe con un sorriso quasi triste.
“Già.. Mi parlò di Ood, Dalek, Sontaran e di mille altri alieni immaginabili. Di un uomo che si faceva chiamare Dottore e che, con uno strano documento, poteva andare ovunque. E poi una biblioteca misteriosa: si spaventò molto lì, nonostante cercasse di mostrare sempre il suo lato forte e combattivo.. Ah! Agatha Christie! È stato un meraviglioso incubo, ecco come definì quella giornata.”
Il Dottore, a quel punto, non riuscì più a trattenere l'emozione: abbassò gli occhi e una lacrima gli scivolò sul viso fino a raggiungere la camicia.
Jenna lo vide coprirsi il volto con una mano per strofinarsi la guancia per poi tornare a guardarla negli occhi.
“Ma c'è un particolare che mi sfugge..” continuò lei. Il Dottore fece un cenno di assenso e Jenna proseguì: “Come hai fatto a cambiare aspetto?”
“È..un processo a cui..ti auguro di non assistere mai.”
“Perché?”
“È..triste” sintetizzò lui, perché, in realtà, non ci sono parole per descrivere una sensazione come quella.
Jenna non capì ma non fece altre domande: lui era il Dottore e questo le bastava.
“Mi chiedo, però, come abbia fatto a ricordare..” si chiese lui, tra sé e sé.
“In che senso, scusa?”
Gli faceva male pensare a quel momento della sua vita: dirle addio in quel modo era stato come ricevere una pugnalata ad entrambi i cuori. “Era diventata come me, ma la sua mente non poteva sopportare un tale peso e..impazzì. L'unica soluzione fu toglierle parte della memoria, purtroppo.” Non ce la faceva a rimanere in piedi: le ginocchia gli tremarono e scivolò a terra; il dolore era troppo forte.
Jenna gli andò vicino: sapeva quanto fosse emotivo e, quindi, lo cinse con un braccio; lui scoppiò in un pianto che le sembrò infinito.
“Dottore, mia nonna era felice di ricordare! È vero, ha visto molte cose orribili.. Ma era con te! Lei era felice perché ti aveva conosciuto, perché l'avevi involontariamente rapita! O meglio, salvata” cercò di confortarlo lei concludendo con un sorriso.
Funzionò: smise di piangere, anche se continuò a singhiozzare per alcuni istanti. Ma era confuso.. Se Donna era riuscita a ricordare, significava che stava arrivando al capolinea e che i suoi poteri perdevano efficacia col passare del tempo: doveva fare molta attenzione.
“Dottore, c'è un'altra cosa che devi sapere.”
Lui continuò a guardare il pavimento in parquet, singhiozzando.
“Ti va di venire a casa mia?” proseguì lei.
“Sì” fu l'unica cosa che riuscì a dirle.
Jenna lo aiutò a rialzarsi e gli sistemò gli abiti; poi prese dalla sua borsetta un fazzoletto di carta e gli asciugò le ultime lacrime. Spense la luce, lo prese per mano e, una volta fuori dalla stanza, richiuse a chiave la porta.
Uscirono dal retro per sbucare in un cortile quadrato. Ora faceva più caldo e le loro ombre erano più piccole e tondeggianti: era quasi mezzodì. Quel cortile era pieno di piante, sia per terra che sui balconi: era un po' buio a causa dell'altezza delle mura, ma qua e là vi erano degli spruzzi di rosso, giallo e turchese; una bougainvillea bianca cresceva, imperterrita, arrampicandosi sulla tubatura attaccata al muro. La pavimentazione era costituita da sassi incastrati nel terreno per formare dei fiori astratti; ai quattro angoli vi erano altrettanti vasi con dei gladioli fucsia.
“'Giorno, Jenna!” la salutò una signora da un balcone alle loro spalle. “Chi è quel bel giovanotto, il tuo nuovo fidanzato?”
Jenna strizzò gli occhi per il sole alzando lo sguardo. “Oh, ciao Meg! Ehm..è un amico. Ci vediamo” tagliò corto lei, mentre spingeva con una mano il Dottore per fargli aumentare il passo.
Quando furono fuori dal portone, Jenna tirò un sospiro di sollievo. “Mamma mia, che impicciona!” esclamò, continuando a camminare.
“A me sembrava simpatica!”
“Simpatica?” Jenna si fermò di scatto e lo guardò con un sopracciglio alzato.
Il Dottore riconobbe in lei il carattere determinato di Donna e gli scappò un ghigno. “Sì, simpatica. Perché no?”
“Senti, qui tutti sanno che sono lesbica, ma lei pensa da sempre il contrario. Stupida di un'omofoba.”
“Wow..” rimase di stucco.
“Già, senza parole, eh? Quella ficcanaso continua a chiedermi quando mi sposerò: non ha altro da fare tutto il giorno che spiare ogni mio movimento. Quindi.. Non la sopporto, ecco!”
“Ok.”
“Ok, cosa?”
“Ok, sei lesbica!”
“Grazie.”
Continuarono a camminare, in silenzio, per sei isolati, fino a raggiungere una piazza contornata da alberi di ciliegio alternati a panchine di ferro. Attraversarono tutta la piazza passando per il centro ed arrivarono di fronte ad un palazzo color miele con le inferriate alle finestre del primo piano. Jenna tirò fuori dalla borsetta le chiavi di casa ed aprì il portone di acciaio e vetro.
Quando entrò, il Dottore sentì un forte profumo di rose: segno che l'impresa di pulizie era passata quella stessa mattina.
Entrati nel cortile, girarono a sinistra e lei lo guidò fino alla porta centrale del secondo piano.
Il suo appartamento era accogliente a spazioso, tipico di quegli anni: il divano era posizionato al centro della sala con davanti una TV al plasma; alla sua destra vi era la cucina e le due zone erano divise solo da un semplice muretto sormontato da numerosi vasetti contenenti piante d'ogni genere. “Vieni, entra pure e accomodati” lo invitò lei.
Il Dottore si sedette pesantemente sul divano di pelle nera e cominciò a scivolare in avanti. Jenna lo guardò divertita cercando, nel frattempo, un vecchio DVD che aveva registrato con sua nonna.
“Sono un po' confuso. Cosa vuoi farmi vedere?”
Lei cominciò a scartare vari CD e DVD che non c'entravano niente con quello che cercava lei. “Quando mia nonna mi ha chiesto di registrare, anche io ero parecchio confusa. Continuava a ripetermi che un giorno ci saremmo incontrati e che, una volta visto il video, avresti capito tutto. Anche solo leggere la sigla ti avrebbe aiutato.”
“Quale sigla?”
Jenna trovò ciò che stava cercando. “Questa.” Si rialzò in piedi e gli porse un DVD che aveva come copertina un cartoncino con quattro lettere scritte con inchiostro rosso.
La vista della sigla gli raggelò il sangue. “Y.A.N.A. ..” disse a stento.
“Già. Io non ho ancora capito..”
“Faccia di Boe.. Aveva ragione. Forse.. Credo. Spero!”
“Calma, calma.. Quella sigla ha un senso?”
“Certo che sì! You Are Not Alone! Faccia di Boe..”
“Chi?”
“Faccia di Boe! Mi disse più volte che non ero solo, ma non ho mai afferrato appieno le sue parole! Ora, invece, è tutto più chiaro! Be', più o meno.. È sorprendente!”
Jenna capì solo metà delle sue parole, quindi, gli rubò di mano il DVD, accese il vecchio lettore di sua madre e fece partire il video.


Jenna, cara, hai tolto il tappo alla videocamera?”
Sì, nonna, sto già registrando. Ma non capisco: non potevi scrivergli una semplice lettera?”
No, tu somigli a me: la perderesti.”

Alla Jenna diciassettenne scappò un sospiro, mentre quella ventenne sorrise insieme al Dottore.


Vai pure, nonna, puoi parlare.”
Ok, allora..”


Il Dottore vide la sua Donna più timida di quanto ricordasse; era emozionata e sembrava titubante. Quei capelli che un tempo furono rosso fuoco, ora risultavano essere bianchi e raccolti in un mollettone prestatole da sua nipote.


Allora..” riprese Donna. “Ciao, Dottore! È inutile che io ti racconti il resto della mia vita dopo la tua partenza, perché quello che sto per dirti è molto più importante.. Ho cominciato a ricordare dopo i primi sogni, anche se Jenna tutt'ora non mi crede..”
Nonna!” la rimproverò lei.
Donna sorrise inclinando la testa e proseguì: “Dopodiché ci sono stati dei momenti in cui potevo vedere, con i tuoi occhi, i tuoi ricordi..e ho visto la sua morte, la partenza di Faccia di Boe, in quell'ospedale pieno di gatti.. Lui ti disse che non sei solo.. Ebbene, Dottore: aveva ragione! Non sei mai stato solo! Io lo so perché l'ho vista, si è presentata da me un giorno e ha chiesto dove fossi! Ma tu te ne eri andato da circa quarant'anni e non avevo la più pallida idea di dove fossi..
È così, Dottore. Credimi. Tu non sei solo e, chiunque essa sia, ti sta cercando con l'aiuto del suo Tardis!” Sospirò, poi concluse il suo messaggio: “Non ti ringrazierò mai abbastanza per quello che hai fatto per me e la mia famiglia. Continua a correre per me!” Mimò un bacio, mentre una lacrima le scese lungo la guancia; poi fece segno a Jenna di spegnere tutto.


Jenna tirò fuori il DVD e lo rinfilò nella sua custodia. Quando si girò, lui la guardava con tanto d'occhi, incredulo e ancora confuso: fino a quel momento pensava che Faccia di Boe si riferisse al Maestro. Ma le parole di Donna gli riecheggiavano ancora in testa: “... l'ho vista, si è presentata da me... ...chiunque essa sia, ti sta cercando con l'aiuto del suo Tardis!” Donna non parlava al maschile, ma al femminile: una ragazza..che lo cercava...con un Tardis. Cominciava a capire. “Jenna, tua nonna non ti ha mai detto nulla di più di ciò che mi hai già riferito? Non so, magari il nome di questa ragazza?”
“Dottore, tu vuoi la vita facile.”
“Facile? Non mi conosci abbastanza” rispose con un ghigno. “Ah, ora che mi ricordo:” aggiunse, mettendosi una mano nella giacca ed estraendone una penna rosa “questa dev'essere tua.”
Jenna guardò incredula quella penna, la sua penna vecchia di quindici anni, quella con Hello Kitty in alto, che aveva prestato ad Esme un giorno al parco, quando aveva solo nove anni. La prese in mano e le sembrò di tornare indietro nel tempo; gli saltò al collo e lo strinse forte, tanto da non farlo respirare; non riuscì a resistere e gli schioccò un bacio in piena fronte.
“Grazie, a nome mio e della nonna!” Jenna sciolse poi l'abbraccio e si allontanò andando verso la sua camera da letto per riporre la penna in un luogo sicuro. Ma quando tornò in sala, il Dottore se n'era già andato. Guardò giù dalla finestra e lo vide correre verso la via in cui aveva lasciato il Tardis, con le parole di Donna che gli aleggiavano ancora in mente.
“Ti troverò, ragazza!” disse tra sé e sé il Dottore mentre svoltava l'angolo e spariva definitivamente dalla vista di Jenna. “Ti troverò. Chiunque tu sia!”


Swishh.. Swishh.. Swishh..

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