This is war

di Tury
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Un fischio, il silenzio e dopo l’esplosione. Se dovessi dare un suono alla mia vita, darei quello prodotto da una bomba. Da quel che ricordo la guerra è sempre stata la mia realtà. Correre, nascondersi, uccidere. Uccidere, uccidere, uccidere. Perché questa è la politica che vige sul campo di battaglia, perché è sempre il più forte a sopravvivere, perché…
 
Non so dove mi trovi. Sento il mio corpo leggero ma le mie palpebre pesanti. Non riesco ad aprirle. Intorno a me aleggia un nuovo suono. Nessun fischio, nessuna esplosione. Sembra quasi… quiete. È… forse il silenzio questo? Nessun grido disperato, nessun ordine urlato, solo pace. Mi rilasso un po’, cullata da questa nuova realtà. Ma qualcosa è diverso, non c’è logica in questo nuovo mondo. Decido di aprire gli occhi. La luce improvvisa me li fa chiudere subito dopo, tutto quel bianco per poco non mi ha accecato. Piano, gradualmente, li riapro, facendoli abituare al nuovo ambiente. E ciò a cui assisto è un qualcosa di troppo grande da descrivere. Ciò che sto vedendo non può essere che l’infinito. Abbasso lo sguardo sul mio corpo. È ricoperto da una tunica bianca. Che strano, che fine ha fatto la mia divisa? Mi tocco il viso, ma le mie mani non trovano quelle cicatrici che prima lo ricoprivano. I miei capelli neri, tagliati per poter indossare con più comodità l’elmetto, sono stranamente ricresciuti. Avanzo, senza conoscere la mia meta ma ad un tratto il mio passo è interrotto. Una voce mi richiama. Parla una lingua a me sconosciuta ma, stranamente, capisco ogni parola. Devo trovare la ragazza e guidarla nella vita. Ragazza? Quale ragazza? Vorrei chiederglielo ma le mie labbra non si muovono e la voce non esce. La luce aumenta la sua intensità, chiudo di scatto gli occhi per proteggermi. Quando li riapro mi ritrovo in mezzo a tante persone vestite diversamente. Dove sono i miei compagni? E chi è la ragazza che devo cercare. Un uomo avanza verso di me. Gli dico di spostarmi, ma lui imperterrito continua il suo tragitto. Gli urlo di fermarsi ma sembra non udirmi e non vedermi. Mi preparo all’impatto che però non arriva. Mi giro e noto che l’uomo mi ha superata. Ma come ha fatto? Io ero sulla sua traiettoria, com’è possibile che non ci sia stato nessun urto… Improvvisamente le persone spariscono. Resto solo io su questa distesa grigia. Un mostro di metallo mi insegue. Corro, corro come non ho mai corso in vita mia, rischio di inciampare più volte ma non posso cadere, devo salvarmi. Ma il mostro dalla facciata rossa è troppo veloce e mi raggiunge. È la fine! Chiudo gli occhi, quasi come se privandomi della vista quel mostro potesse sparire. Ma come successo prima con quell’uomo, anche il mostro passa oltre. Che cosa sta succedendo?
“Sophie a che pensi?”
Mi volto subito e il mio sguardo si incrocia con quello di una ragazza. Pelle bianca, occhi azzurri e capelli castano chiaro. Che sia solo una coincidenza? Però continua a guardarmi…
“Sophie!”
La ragazza sobbalza appena e si volta verso i suoi amici, forzando un sorriso.
“Scusate ero distratta…” ed eccola che torna a guardarmi. Ma perché solo lei può vedermi? Corro nella sua direzione, voglio parlarle. Probabilmente lei sa in che posto sono finita e come tornare dai miei compagni!
“Ehi!” si irrigidisce ma non si volta. Insisto, ma nemmeno questa volta mi degna della sua attenzione. La supero e le sbarro la strada. Lei mi guarda un po’ sorpresa e viene verso di me. So che, come è già successo, mi attraverserà, quindi non mi sposto. Ma non è così. Ci urtiamo e lei barcolla un po’. Ci guardiamo stupefatte, entrambe non troviamo una spiegazione logica per ciò che sta succedendo. Siamo solo noi, mentre il mondo che ci circonda non sembra accorgersi della nostra presenza. O meglio della mia. I suoi amici la richiamano, lei mi guarda per un’ultima volta per poi superarmi. Mi giro e la guardo allontanarsi. Si può sapere chi è quella ragazza e che sta succedendo qui?

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Capitolo 2
*** 2 ***


Dopo un attimo di esitazione torno da lei ma questa volta non le parlo. Lei si accorge che la sto seguendo, è infastidita dalla mia presenza ma non dice nulla, ovviamente non può. Arriviamo ad un portone chiuso. Ci sono tanti ragazzi di età diverse che ridono e scherzano. Non indossano divise e non impugnano fucili, forse qui la guerra non esiste. Un rumore improvviso interrompe i miei pensieri. È stridulo, sembra quasi una tromba. Tutti i ragazzi entrano e io faccio altrettanto. Seguendo la ragazza mi ritrovo in una stanza. Le pareti sono grigie, forse un tempo erano bianche. In questo spazio limitato sembra mancare l’aria, quasi rimpiango gli infiniti spazi del campo di battaglia.
“Dove siamo qui?” chiedo alla ragazza. Lei mi rivolge uno sguardo che non lascia alcun dubbio al caso: non mi sopporta.
“Potresti anche rispondermi.” insisto, tanto che ho da perdere? Mi guarda in cagnesco, di nuovo. Ma che si aspetta che mi spaventi per una ragazzina?
“Sophie…”
“Non chiamarmi Sophie!” sibilla. Almeno ha risposto.
“Sai parlare allora! Vuoi dirmi dove siamo?”
in quel momento la porta si apre e ne entra una donna di mezz’età. I ragazzi si siedono subito. Sembra quasi...
“È il vostro generale quella donna?” mi guarda con occhi sbarrati. Ma allora qui la guerra davvero non esiste…
 “Signorina Le Preau sarebbe così gentile da degnarci della sua attenzione?”
“Mi scusi!” detto questo mi rivolge un’occhiataccia.
“Ho capito, devi prestare attenzione alle sue parole.” Annuisce piano, ma non passa nemmeno un minuto che comincia a scherzare con i suoi amici.
“Sophie…” non mi risponde.
“Ehi, Sophie, devi ascoltarla!” ancora nessuna risposta.
“SOPHIE!”
“CHE VUOI?!” mi urla.
“Ora basta signorina Le Preau, per favore si accomodi fuori!”
La ragazza esce sbuffando ed io la seguo.
“Immagino tu sia felice adesso! Ma si può sapere chi diavolo sei?”
“Farah.”
“Farah?”
“Sì, mi chiamo Farah.” Sposto la mia attenzione, che era stata precedentemente attratta dagli alberi, su di lei.
“Che vuoi da me?”
“Nulla.”
“E allora perché mi segui!”
“Perché stranamente tu sei l’unica persona in grado di vedermi. Che posto è questo?”
“Siamo a Lione.”
“Dove si trova?”
“Come dove si trova! Ma sei mai andata a scuola?”
“Cos’è la scuola?” mi guarda esterrefatta. Che hanno le mie parole di tanto anomalo?
“Scherzi?”
“No, assolutamente. Allora mi dici cos’è?”
“La scuola è una prigione!”
“Allora siete dei prigionieri di guerra.” Di nuovo quello sguardo! “Ma si può sapere che hai da guardare? Qui non esiste la guerra?”
“Certo che esiste, la storia è piena di guerre!”
“Allora spiegami perché ti sorprendi ogni volta se sai cos’è una guerra!”
“Inutili sparatorie, morti e tanto casino. Ecco cos’è una guerra.”
“Non sei mai stata sul campo…”
“Ovvio che no! Ho diciannove anni, che ti aspetti che mi diano un fucile e mi mandino a combattere?”
“No, prima devi affrontare delle prove. Se non sei in grado di superarle vieni ucciso.”
“Stai scherzando?”
“No. Sai come posso tornare dai miei compagni?”
“I tuoi compagni?”
“Sì, loro stanno ancora combattendo. Devo andare da loro e aiutarli.”
Mi fissa, senza parlare. E riecco di nuovo quel suono stridulo.

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Capitolo 3
*** 3 ***


La donna di prima esce.
“Signorina Le Preau l’avverto, non tollererò oltre questi suoi comportamenti.”
“Mi scusi. Non si ripeterà più…”
“Lo voglio sperare. Ora ritorni in classe e presti attenzione alle prossime lezioni.”
“Certamente.”

Appena la donna si allontana, Sophie mi dice di andarmene, di lasciarla in pace.
“E dove dovrei andare?”
“In qualsiasi posto, basta che sia lontano da me. Mi stai solo causando danni, i miei amici mi credono pazza. E tutto per colpa tua!”
“Non l’ho mica deciso io. E poi devi aiutarmi, devo tornare dai miei compagni!”
“Tornaci da sola dai tuoi compagni, sai quanto me ne importa?”
“Sophie…”
“Ho lezione.”
Entra nella stanza. Non la seguo. Sono fuori dall’edificio, mi giro verso quelle mura di vetro e la vedo. Appena si accorge che la sto osservando volta il suo sguardo. Ha detto che non vuole altri problemi a causa mia, ma io adesso che faccio? Non so dove andare e qui nessuno mi vede.
Cammino tra le persone. Non mi preoccupo nemmeno di scansarli, tanto tutti mi passano attraverso. Tutti tranne Sophie…che sia lei la ragazza? Se fosse realmente così sarebbe una gran seccatura. Ragazza più capricciosa e superba non poteva capitarmi. Qualcosa mi spinge a fermarmi. Questo… è il suo profumo? Mi fermo di fronte ad un ammasso di cemento. Decido di entrare, guidata dalla scia di quell’odore, ma qualcosa sul portone mi impedisce di attraversarlo. Dopo vari tentativi decido di passare attraverso il muro. Ma perché prima non sono riuscita ad attraversare il portone? Tutto questo è troppo strano. Salgo le scale, seguendo ancora quell’odore. Un attimo… sto salendo delle scale? Io non dovrei riuscirci, dovrei passarvi attraverso, non salirle. Non ci capisco nulla. All’improvviso il profumo si fa più intenso e mi ritrovo di fronte ad un’altra porta. Provo ad attraversarla ma, come successo prima, non ci riesco. Passo di nuovo attraverso il muro. Mi ritrovo in una stanza. Due occhi attirano la mia attenzione. Sulla parente che mi fronteggia c’è il suo viso: Sophie. Sorride, che sorpresa, non la credevo mica capace di tanto. Sorrido appena al pensiero. Questa deve essere la sua base, anche se è più colorata di quelle a cui ero abituata. Molto più colorata… Al centro della stanza c’è un letto ma, diversamente a quelli a cui ero abituata, di legno, questo sembra morbido. Mi avvicino e mi siedo sopra. È proprio morbido. Presa dall’euforia inizio a fare capriole e tra una risata e l’altra non mi accorgo del tempo passato.
“Che ci fai in camera mia?” eccola, la sua dolce e melodiosa voce. Scoppio a ridere a questo pensiero, ovviamente sarcastico.
“Che cavolo hai da ridere?” mi volto verso di lei, so che la farò innervosire ancora di più ma non riesco a trattenere un’altra risata.
“FUORI DA CASA MIA!”
“Scusa.” Ho ancora voglia di ridere ma mi trattengo. Penso che sia la prima volta che rido così tanto.
“Cosa?”
“Ti ho chiesto scusa. Immagino non sia piacevole tornare a casa, trovare un’estranea sul tuo letto che ti ride in faccia e non ti degna della minima attenzione.”
“Già, non è piacevole, anzi alquanto irritante.”
“Scusa, è che non avevo mai riso così tanto. Sai, in guerra non puoi permetterti distrazioni, figurati se puoi ridere. Devi essere concentrata sul nemico, mirarlo, ucciderlo e nello stesso tempo devi assicurarti di non essere nel mirino di qualcuno.”
“Mi fai quasi paura quando parli della guerra, il tuo sguardo diventa di ghiaccio. Non ci posso credere che l’hai vissuta davvero. Guardati! Quanti anni avrai? Diciannove, venti massimo?”
“Non lo so. Sul campo di battaglia l’età non conta molto. Siamo tutti umani, tutti capaci di uccidere ed essere uccisi.”
La vedo tremare appena. Forse sono stata troppo dura con lei. Per chi non la conosce, la guerra appare orribile, terrificante. Pensandoci bene, lo è anche per chi la combatte. E allora perché gli uomini si uccidono se la morte fa così paura? Rivolgo di nuovo la mia attenzione alla ragazza. È ancora in piedi e non ha aperto bocca. Provo a farle dimenticare quanto le ho detto.
“Allora! Come è andata la giornata?”
“Bene, dopo la prima ora.” e detto questo mi lancia un’occhiataccia. Io le sorrido di rimando. Sì, lo so, è stata colpa mia, ma lei mica si è stata zitta quando io ho smesso di parlarle!
“La colpa non è totalmente mia. Se avessi seguito la spiegazione, come ti era stato richiesto, non avresti  fatto quella fine.” detto questo mi lascio andare sul letto.
“TI piace?” mi alzo appena per guardarla.
“Cosa?”
“Il letto.” Le rispondo con un sorriso.
“Deduco che la tua risposta sia un sì.”
“Deduci bene.”
“Se vuoi puoi dormirci.” La guardo sorpresa.
“Mi stai lasciando il tuo letto?”
“C’è un divano di là, posso dormire lì.”
“E, sentiamo, perché lo staresti facendo?”
“Tu grazie non lo sai dire?”
“No, ma se continui così mi sa che imparerò presto.”
“Domani dovrai andartene.”
“Dicevo io che era troppo bello per essere vero. Sophie Le Preau è gentile con me. No, troppo surreale. Impossibile!” la vedo abbassare la testa e sospirare. Credo di aver esagerato ancora.
“Ehi… scherzavo! E poi il letto è abbastanza grande per ospitare entrambe. A proposito, vivi da sola qui?”
“I miei genitori sono morti quando ero giovane- dicendo questo si siede al mio fianco- e mia nonna da quel momento si prese cura di me.”
“E ora lei dov’è?”
“È morta…” ho sbagliato ancora. Ho nettamente sbagliato ancora.
“Mi dispiace...” mi guarda e mi dice di non preoccuparmi, quasi come se avesse letto nel mio pensiero. L’ho ferita facendole quella domanda, inutile che provi a nasconderlo. Io non ho mai avuto una famiglia, però sul campo avevo un amico. Il mio unico vero amico. Eravamo come…fratelli? Sì, forse eravamo così. Ed è morto tra le mie braccia. Io non so cosa significhi avere una famiglia ma, forse, so cosa significa perdere qualcuno di caro. Sophie si accorge del mio strano silenzio e mi distrae dai miei pensieri invitandomi in cucina. Se solo sapessi cos’è una cucina!
“Ehm… Sophie, cos’è una cucina?” mi guarda un attimo stupita, poi mi sorride. Forse si è ricordata che nel mondo in cui ho vissuto non c’era nulla di tutto questo. Mi prende per mano e mi sussurra un semplice “ti faccio vedere”.
Mi porta in un’altra stanza. C’è un tavolo con quattro sedie e sulla nostra destra una cassa metallica rossa. Mi ricorda qualcosa… sembra il mostro che stamattina mi inseguiva, pronto a mangiarmi.
“Sembra quel mostro…” Sophie mi rivolge uno sguardo interrogativo.
“Ti ricordi? Stamattina, il mostro che mi inseguiva. Dove ci siamo incontrate.”
“Ti riferisci al camion?” la guardo perplessa e lei scoppia a ridere.
“Farah, quello che ti inseguiva stamattina era un camion. Anche se in realtà non ti inseguiva per nulla.”
“Come no! Mi correva dietro!”
“No, eri tu ad essere sulla strada quando è scattato il verde.”
“Il verde?”
“Farah-è la seconda volta che mi chiama per nome- quei mostri ci permettono di spostarci con più facilità e di impiegare minor tempo per raggiungere un determinato luogo. Se usassimo le nostre gambe come mezzo di trasporto impiegheremmo certamente più tempo. Ma, come hai notato, quei mostri sono pericolosi per noi, così per evitare incidenti e morti inutili hanno creato un semaforo. Il semaforo ti fa capire quando puoi passare senza il rischio di uccidere persone e quando devi fermarti, per permettere a chi cammina di attraversare la strada. La strada è il luogo che i mostri sono autorizzati ad usare per spostarsi.”
“Ah, capisco. Cosa sono quelli?” indico dei cerchi su una lastra grigia.
“Quello è il piano cottura. -tenendomi ancora la mano mi porta vicino a quello strano oggetto- Vedi questi fori? Da qui esce il gas, che se messo a contatto con una fiamma prende fuoco.”
“Straordinario!” ride a questa mia esclamazione.
“Scusa… “
“Sì, capisco, non sei abituata.” mi interrompe lei. “Beh, hai fame?”
Da quando mi trovo in questo strano mondo non ho mai avuto fame.
“Veramente no.”
“Allora mi fai compagnia?” le sorrido e annuisco.
La vedo cucinare, mettere la sua cena in un piatto e mangiare il frutto del suo lavoro. Dopo aver lavato tutto ed essersi cambiata, andiamo nella sua stanza e ci stendiamo sul letto. Dopo qualche risata lei si addormenta, lasciandomi sola con i miei pensieri.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Il mio sguardo si perde in quel cielo pieno di lucciole. Mi alzo piano, per non svegliarla, e mi avvicino a quelle pareti di vetro. Alzo il mio sguardo, lo faccio incrociare con quell’universo infinito. Mi sento così piccola… Dei passi. Non mi volto, so che è lei.
“Bello vero?”
“Bello è anche riduttivo…” sono catturata da quella visione.
“Sai cosa sono quelle piccole luci?”
“No, sembrano lucciole.”
“Sono stelle. Anche il sole è una stella.”
“Che belle le stelle.” lei sorride, abbracciandomi da dietro e poggiando la sua testa sulla mia spalla.
“Non le avevi mai viste?”
“No, in guerra…”
“Non fai più parte di quella realtà Farah e voglio che non ne parli più. Ti farò vedere il mondo, ti porterò a vedere le stelle! Sai che si può?”
“Si possono vedere più vicine?”
“Certo! Poi ti ci porterò.”
“Va bene.” appoggio la mia testa alla sua e restiamo così per un po’.
“Farah?”
“Sì?”
“Come mai quel camion non ti ha investita?” mi stacco dal suo abbraccio, lei mi osserva preoccupata. Non conosco il motivo, ma ho un sospetto. Appoggio la mia mano al muro. Non trovo impedimenti, la mia mano lo attraversa. La ritiro.
“Sophie, appoggia la tua mano al muro per favore.” lei non capisce ma fa come le ho chiesto. Subito dopo anche io compio il medesimo gesto. Questa volta il muro non lo attraverso.
“Come immaginavo.”
“Che sta succedendo Farah?”
“Sophie io sono legata a te. Tu sei l’unica persona che io posso toccare, l’unica che riesce a vedermi. Ma posso anche toccare il tuo ricordo, il tuo passaggio. Credo… che io stia vivendo attraverso te.”
“Mi stai dicendo che sono il tuo collegamento a questo mondo?”
“Mi sa di sì. Mi dispiace Sophie.” scoppia a ridere. A volte non la capisco questa ragazza, mi correggo, quasi mai.
“Cos’hai da ridere?”
“Beh, non comprendo il motivo delle tue scuse. Non ti sei mica impossessata della mia vita e non mi hai uccisa. E poi non è tanto male stare in tua compagnia.” ti sorrido e questa volta sono io ad abbracciarti.
“Ehi, piano piano! Non sono mica abituata a tutte queste dimostrazioni d’affetto da parte tua.”
“Nemmeno io, in guerra …”mi fulmina con lo sguardo e capisco che forse è più saggio restare in silenzio.
“Bene, ora che siamo sveglie cosa facciamo?”
“Tu dovresti dormire, domani hai scuola.”
“Domani è domenica, niente scuola.”
“E la domenica non si va?”
“No, è la nostra giornata di libertà.”
“Ma se la scuola è una prigione non dovrebbe concedervi alcuna libertà.”
“Farah, la scuola è una prigione in modo metaforico. La scuola è il luogo dove formiamo la nostra cultura. Aspetta.” Si alza e prende uno strano mattone.
“Vedi questo? Questo è un libro- lo apre e vedo gli strani simboli che ci sono sopra- e queste sono delle lettere. Le lettere, se disposte in un dato ordine, formano delle parole. La scuola ci aiuta a saper interpretare questi segni. L’interpretazione dei simboli viene chiamata lettura. Invece l’utilizzo delle lettere e delle parole scrittura. Questo è quello che ci insegnano da piccoli, insieme ai calcoli primari come l’addizione, la moltiplicazione, la divisione e la sottrazione. I numeri e questi calcoli prendono il nome di matematica. Più cresci, più la matematica e la lingua, che sarebbe l’unione di scrittura e lettura, diventano complessi. E devi pensare che si aggiungono sempre nuove materie.”
“Sembra bello. È come i gradi, più diventi bravo, più sali di grado.”
“Già, più o meno è così.”
“E perché non ti piace la scuola?”
“Non è che non mi piaccia la scuola, non mi piace dover essere oggetto delle critiche dei professori. Quella donna che mi ha cacciata dall’aula era una professoressa. Hai visto come si è comportata?”
“Nemmeno io sopportavo i generali. Ordinano, come se loro sapessero tutto, come se fossero certi che attraverso quel piano la vittoria sarebbe assicurata. E non accettano consigli.” Sophie mi sorride. È stupenda quando sorride.
“Vuoi vedere un film?”
“Un film?”
“Sì. È difficile spiegarti cosa sia un film ma credimi, ti piacerà.”
“Va bene, voglio fidarmi.”
“Perfetto!”
Mi porta davanti ad una scatola nera, prende un cerchio e lo infila in un’altra scatola. La guardo un po’ perplessa mentre mi siedo sul divano. Ma che è successo? Sophie scoppia a ridere mentre io mi ritrovo seduta per terra.
“Scusa Farah, ma io quel posto non lo uso mai. Aspetta- si siede dove io avevo intenzione di mettermi e poi si rialza- Ecco ora dovresti essere in grado di sederti.” Ci riprovo e questa volta funziona. Le sorrido e lei mi risponde nello stesso modo. Improvvisamente la scatola si accende e compaiono delle immagini.
“Questo più che un film è un cartone. Si tratta del Re Leone, era il mio cartone preferito da piccola.” la guardo mentre si stringe le gambe al petto, sembra quasi una bambina così.
Seguo con attenzione il film. È stupendo! Ora capisco perché le piaccia tanto. Improvvisamente sento un peso sulla mia spalla, mi volto e vedo che vi ha poggiato la sua testa. Le inizio ad accarezzare i capelli, sono davvero morbidi. Il suo respiro diventa pesante, si è addormentata. La prendo in braccio e la porto a letto. Il film continua nella stanza accanto ma non me ne curo. Voglio solo starle vicina.

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Capitolo 5
*** 5 ***


Un campo di battaglia. Mi guardo, porto la divisa addosso. Sparatorie… cavolo devo trovare un riparo. Aspetta, quello è un nemico! Calma Farah, mira e uccidi. Aspetta, ancora un secondo… no…no… NO!

“FARAH!”
Apro di scatto gli occhi, trovandomi di fronte Sophie. La guardo per un istante che pare interminabile.
“Farah” mi sussurra, prima di stringermi in un caloroso abbraccio al quale rispondo immediatamente. La stringo forte, come se fosse la mia unica ancora di salvezza, come se fosse l’unico motivo per cui vivo ancora.
“Sophie…”
“È tutto passato Farah, tutto passato.”  E mentre lo sussurra mi accarezza piano i capelli. Non so il perché, ma le mie guance sono solcate da lacrime.
“Ho avuto paura”
“Tranquilla Farah, è tutto passato.” Annuisco piano mentre affondo il mio viso nella sua spalla continuando quel pianto che non ha alcun senso apparente.
“Maledetta guerra!” la sento sibilare. Alzo la testa quanto basta per incrociare i suoi occhi, anch’essi bagnati dalle lacrime.
“Sophie…”
“Ma come si può permettere ad una ragazzina di prendere in mano un’arma e mandarla a combattere? E non solo con gli uomini, ma anche contro quei demoni che la notte sopraggiungono. Guarda cosa ti hanno fatto. Bastardi!”
“Calmati Sophie.” Sta tremando tanto è nervosa.
“Farah sono rimasta sola, sola per colpa di quegli stessi uomini che hanno mandato te a combattere. I miei genitori erano nell’esercito, sono morti entrambi in una missione. Ero troppo piccola per comprendere cosa fosse successo, è vero, ma l’idea che una stupida guerra me li abbia portati via mi logora dentro. E poi ecco che compari tu improvvisamente, tu insieme alla tua realtà che è anche la mia. Ed ecco di nuovo la guerra, di nuovo lei a tormentarmi, a portare ancora sofferenze. Perché gli uomini sono incapaci di parlare? Perché bisogna ricorrere sempre alla morte per superare i propri problemi?” piangi anche tu ora. Mi alzo e ti guardo, mentre ti asciugo le lacrime.
“Non lo so Sophie…”
“Non mi lascerai vero? Non tornerai sul campo di battaglia. Ti uccideranno… morirai Farah!”
“No Sophie, non preoccuparti, resterò qui con te.” Ti sorrido. Quanto può valere un sorriso se bagnato dalle lacrime? La vita è strana, noi ci odiavamo Sophie. Troppo diverse, eppur così uguali nella nostra diversità. La guerra ha segnato entrambe. A te ha portato via i tuoi cari, a me… a me ha portato via la vita, Sophie. Io sono morta Sophie. Mi guardi e nel tuo sguardo si legge solo preoccupazione. Si nota che sono turbata? Come te lo dico? Come posso dirti che la guerra ti ha portato via un’altra persona cara ancor prima che tu la conoscessi? Come posso dirti che la guerra mi ha portata via da te? Forse il nostro incontro è stato uno sbaglio, ma non voglio crederlo, non voglio accettarlo. Sei la cosa più importante che mi sia capitata, la più bella. Perdonami per tutte le parole orrende che ti ho rivolto. Sento le lacrime cadere di nuovo, porto la mano a sfiorare il tuo viso, la trattiene con la tua.
“Farah?”
“Perdonami Sophie.”
“Perdonarti? Perché che hai fatto? Che succede Farah?”
“Nulla Sophie, perdonami per non averti capita prima e per averti ferita.”
“Ehi tranquilla. Era destino.”
“Destino?”
“Certo. Eravamo destinate ad incontrarci, perché ognuna di noi aveva bisogno dell’altra. Non ci conosciamo nemmeno da un giorno e già non possiamo fare a meno l’una dell’altra. Non ti sembra strano?”
Ovvio, ovvio che mi sembri strano. E conosco il motivo di tutto questo. Non ti rispondo, ma aspetto che ti addormenti, per la terza volta durante questa lunga notte. Ho bisogno di aria fresca, ho bisogno di spazi infiniti. Ho bisogno di sfogare questa rabbia che ormai regna nel mio petto. Ho solo una domanda: perché?

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Capitolo 6
*** 6 ***


L’aria fredda della notte scompiglia i miei capelli. Quella domanda non fa che torturarmi la mente. Perché, dannazione! Tu lo sapevi! Sapevi cosa sarebbe successo! Perché mi hai chiesto di incontrarla, perché mi hai chiesto di cercarla. Perché mi hai chiesto di ferirla... sapevi che ero morta! Lo sapevi da prima di me, sapevi che cosa sarebbe successo. Ci saremmo volute, da subito. E ognuna avrebbe affidato la propria vita nelle mani dell’altra. Perché il tempo a mia disposizione era poco e doveva accadere tutto in fretta… dovevamo affezionarci per poterci ferire. O meglio per poterla ferire. Urlo in questa notte senza stelle e senza luna. L’oscurità è calata su di me, proprio come quel giorno. Sto morendo, morendo dentro. E tutto per colpa tua. Non so chi tu sia ma ti prometto che non lascerò che tu la ferisca ancora. Vuoi la mia vita? Preditela! Ma non ferirla, non ancora! Porta troppe cicatrici addosso. È successo tutto in un giorno, troppo breve il tempo, troppo surreale. Eppure i sentimenti che ci uniscono sono veri. Maledetto destino! Perché, perché, perché! Lacrime salate cadono dai miei occhi. E lei? Quante lacrime verserà lei per me? Falle dimenticare chi sono, ti prego… non ferirla ancora, non lo merita. Perché dannazione, perché! Ho ucciso tante persone durante questa mia breve vita, non voglio uccidere anche lei… ti prego, chiunque tu sia, ti prego non ferirla. Ma quanto può essere bastardo questo destino. Sophie…ti prego perdonami per il male che ti farò. Perdonami per il male che la mia esistenza ha comportato. Avrei dovuto seguire il tuo consiglio, sarei dovuta scappare via da te. Ora siamo in trappola, ci hanno incastrate Sophie e io non so come proteggerti. Ci hanno legate con una catena invisibile agli occhi umani, ma noi quella catena la vediamo, unisce i nostri cuori. E adesso Sophie? Che sarà di noi, che sarà di te? Cado in ginocchio e afferro la mia testa tra le mani. Sembra scoppiare. Urlo ancora e ancora e ancora. Inveisco contro questo cielo che ci sovrasta e che è il tetto della nostra casa, del nostro dolore. Lo sento Sophie, noi ci conoscevamo già, in un’altra vita forse, in una vita più felice di questa. Ecco perché è stato tutto così veloce, così naturale tra noi. E lo sento il dolore del nostro distacco, quando fummo costrette a separarci. E ora che ci siamo ritrovate, ecco di nuovo la morte, giudice villano della nostra esistenza. Eccola di nuovo a separarci. Mi vuole come sua amante. Ma io non cederò Sophie, e seppur morta, te lo prometto Sophie, ti proteggerò contro la morte stessa e ogni dolore. Veglierò il tuo sonno e custodirò ogni tuo sorriso. Proprio come in un giorno le nostre esistenze furono distrutte, così in un giorno ci siamo ritrovate. Un giorno di luna piena. Lì, nel cielo, ricordi Sophie? Fummo divise da un’eclissi e quando ci siamo ritrovate nel cielo splendeva il sole e la luna lo ammirava. Eccoci di nuovo insieme Sophie. Perdonami ma dovrò custodire questo segreto da sola, perché non potrei vivere sapendomi causa del tuo dolore. Sophie, insegnami a vivere, proprio come è già successo.
Una luce bianca mi avvolge, quella stessa luce. Dopo di essa il buio.

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Capitolo 7
*** 7 ***


Una risata stridula. Apro gli occhi ma non riesco a percepire nulla, se non due scintille che mi fissano.
“Perché ridi?”
“Perché ho vinto.”
“E sentiamo cosa avresti vinto da ridere così tanto?”
“Che c’è Farah? Non ti ricordi più di me?”
“Perché? Dovrei?” ride più forte.
“Ma chi diavolo sei?” sibilo. Non conosco il motivo, ma in questo momento rivorrei il mio fucile, caro amico quando vuoi uccidere un nemico fastidioso. Sì, perché lui è un mio nemico, non so il perché ma avverto che sia così.
Si avvicina, è a pochi centimetri da me.
“Sono il tuo assassino.” Mi sussurra all’orecchio. Una rabbia inumana mi investe, lo colpisco, facendolo allontanare di qualche metro.
“Tu- la mia voce è un ruggito, pieno di odio, di dolore e di rassegnazione- tu! Maledetto!” ridi ancora, che hai da ridere brutto bastardo?
“A quanto pare il tuo corpo si ricorda ancora di me, a differenza della tua memoria.” Sei di nuovo vicino al mio viso e questa volta lo sfiori con la tua mano. Mi scosto velocemente, non voglio sentire il tuo tocco sulla mia pelle.
“Ce l’hai ancora con me Farah? Eppure non l’ho decisa io la tua morte.” So che non si riferisce alla guerra che mi ha sottratto alla vita. Quest’individuo deve essere collegato al mio passato. Non lo riesco a vedere, c’è troppa oscurità, solo i suoi occhi restano perennemente legati ai miei.
“Nero con nero, Farah. Tenebra alla tenebra, oscurità all’oscurità. Malvagità alla malvagità. Tu mi appartieni, Farah.”
“Ti sbagli, io non appartengo a te. Io appartengo alla luce.” non so il motivo di queste mie parole, ma so che hanno un significato, un significato che devo proteggere.
“L’hai ritrovata vero? Ti aveva promesso che ti avrebbe aspettata, che vi sareste rincontrate e difatti così è accaduto. Ma non dimenticare le tue origini, Farah. Sarete di nuovo l’una la causa della fine dell’altra. La luce e l’oscurità non possono convivere, figurati se possono amarsi. E tu sei già morta Farah, tu non appartieni più al suo mondo. Tu sei mia ormai.”
“Non l’abbandonerò, resterò con lei. Non so chi tu sia ma non ti permetterò di farle del male.”
“Quanto coraggio Farah, quanti buoni sentimenti. E dimmi, dove ti hanno portato questi? Ti hanno portato alla fine. Ma forse non ricordi com’è stato avere il suo corpo inerme tra le braccia, piangere su quelle membra immobili che non ti avrebbero regalato mai più calore, legare i tuoi occhi ai suoi, nella speranza che la sua luce penetrasse di nuovo il tuo cuore e ti facesse sentire viva. Ricordi Farah perché lei è morta? Perché il bianco e il nero non devono mai incontrarsi. Questa è la guerra.”
“Stai zitto…”
“Tu sei mia.”
“Mai! Io appartengo ad un’altra persona che adesso è in attesa del mio ritorno.”
“I signori della guerra sono sette, e tu Farah sei uno di essi. Non puoi tirarti indietro, questa è la guerra.”
“Ed io sono la settima parte di quella guerra che tu continui a nominare.” Le parole escono dalle mie labbra sfuggendo al mio controllo. Non capisco cosa stia succedendo ma sento di doverlo affrontare. So di potercela fare.
“Tu sei la mia amante, tu sei la mia metà. Legati a me Farah e avrete salva la vita entrambe. O forse preferisci vederla morire di nuovo?” queste parole mi ghiacciano il sangue. Morta…no, non voglio vederla morta ma nemmeno abbandonarla.
“Fammi tornare da lei!” e questo lo urlo.
“No.” Non mi importa quanta sicurezza risieda in quelle uniche due lettere, in quell’unica parola. Io voglio tornare da lei. Rieccola, la mia rabbia, la mia ira. È giunto il momento, questo è il tempo della vendetta. Sento il pavimento di quel nulla nero vibrare. La mia rabbia si ripercuote sul luogo circostante, troppo intensa, troppo forte per poter essere contenuta in questo misero corpo. Non ho nemmeno la forza di urlare, ho solo il sapore del sangue in bocca, il suo sangue. Voglio ucciderlo  e tornare da lei, da lei che potrà purificare questa mia anima piena di peccati e omicidi. Lei, che ho promesso di proteggere. Non mi importa delle ferite che il mio corpo subirà in questo scontro, ogni dolore diverrebbe sopportabile se mi aiutasse a giungere a lei, la mia luce. Chi sono i signori della guerra? Sinceramente non lo so ma in questo momento il pensiero di scoprire la mia vera identità non mi sfiora nemmeno. Sento solo un immenso potere scorrere nelle mie vene, giungere al mio cervello, trasformarsi in puro odio. E l’odio si sa, fa perdere la ragione. Ma in questo corpo sporco e logoro lo sento, c’è un cuore che batte. E chiunque possegga un cuore sa anche amare. E dunque il mio odio è placato dall’amore che nutro per te, che mi lega a te. Non lo so Sophie chi io e te siamo, cosa vogliano questi uomini da noi, perché a noi sia capitato un tale destino ma so che tornerò da te.
“Lo senti? Il potere della guerra scorre in te, non puoi rinunciarvi, non puoi sottrarti.”
“Non ho intenzione di sottrarmi, ma di combattere come signore della guerra e come signore della guerra annientarti e tornare da lei.”
“E con quale faccia ti ripresenteresti da lei? Come un’assassina?”
“Tu la vuoi morta! E io devo proteggerla!”
“Ti sbagli, qui l’unica che desidera la sua morte sei tu. Torna da me, Farah, e non le accadrà nulla.”
“Le ho promesso che non l’avrei abbandonata!”
“Non ho alcuna intenzione di battermi con te, se è da lei che hai deciso di tornare vai, ma ricorda io ti ho avvisata. Lei ti ucciderà, Farah. Ricorda queste mie parole e dì addio ai tuoi recenti ricordi. Questa realtà, questo mondo non deve incontrare la realtà umana nemmeno negli incubi delle persone. Buona notte Farah, e credimi, la tua notte non vedrà il bagliore di una nuova alba mai più.” Detto questo sparisce, e la luce bianca e calda mi avvolge ancora.

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Capitolo 8
*** 8 ***


Un dolore acuto allo stomaco. Ecco il mio risveglio. I miei occhi sono colpiti subito dai raggi del sole. Provo ad alzarmi ma la mia testa gira vorticosamente ed è annebbiata. Che ci faccio qui? E poi eccoti, mi fissi. Cos’è quello? Odio? No, non può essere, non tu Sophie. Mi alzo immediatamente e ti raggiungo, tu intanto cammini senza voltarti. Non proferisco parola, ho troppa paura, paura di quello sguardo. Ti prego Sophie… non odiarmi. Arriviamo in aula. Mi siedo per terra, vicino al suo banco. Ogni tanto la osservo ma lei non fa mai incrociare i suoi occhi con i miei. Tremo.. questa non può essere paura, la paura la conosco bene. No, questo è terrore, quel terrore che ti impedisce di pensare con razionalità, che ti impedisce di muoverti. Che ti impedisce di vivere. Perché Sophie? Perché ora mi odi? Perché prima mi hai colpita con quel calcio? Come già successo qualche giorno fa, il suono stridulo della campanella interrompe i miei pensieri. Sophie mi si avvicina e mi prende la mano. Mi porta nei bagni e inaspettatamente mi abbraccia. La stringo forte tra le mie braccia, non mi odia.. non mi odia e questa è l’unica cosa importante.
“Ma che fine hai fatto? Mi hai fatta preoccupare!” mi tira un pugno in testa scherzosamente. Rido, ma non so rispondere alla sua domanda. Non ricordo nulla..
“Ehi?” ha notato che qualcosa mi turba.
“Non lo so, non ricordo nulla…perdonami.” Mi guarda interrogativamente per poi tornare a sorridere.
“Almeno stai bene.”
“Cosa vuoi che succeda ad una tipa dura come me?” ride ma il suo sguardo è triste.
“Nulla, nulla, lo so!” mi abbraccia ancora per poi sussurrare un “mi sei mancata.”
“Anche tu piccolina.”

Sono passati molti giorni da quell’episodio, le nostre giornate trascorrono tranquillamente tra sorrisi e risate. Piano sto imparando a leggere, soprattutto grazie all’infinita pazienza di Sophie. In pratica, tutto tranquillo, se non fosse per un particolare che continua a turbarmi. Cosa è successo quella notte? Ancora non ricordo e più mi sforzo di far chiarezza in quella nebbia che ormai ricopre ogni angolo del mio cervello più la risposta si allontana. E tutto questo mi fa stare male, sento che si tratta di qualcosa di importante, di fondamentale importanza. Sophie entra nella stanza, mi volto e le sorrido. C’è qualcosa che non va… è arrossata e i suoi occhi sono incredibilmente lucidi. Le sue gambe cedono e la vedo cadere. Faccio uno scatto e l’afferro prima che tocchi il suolo per poi portarla a letto. È caldissima…
“Sophie, mi senti? Ehi Sophie rispondi…” sono preoccupatissima.
“Tranquilla Farah, sto bene.”
“Non mi sembra proprio.”
“Non è nulla, solo influenza, passerà.” Annuisco, ma da adesso in poi so che dovrò prendermi cura io di lei.
Nei giorni seguenti le controllo la temperatura, le preparo da mangiare e, soprattutto, non mi allontano mai da lei. Finalmente guarisce e può tornare a scuola. L’accompagno come ogni giorno,  entriamo in classe, seguite subito dopo dall’insegnante.
“Bene ragazzi, come avevamo stabilito la scorsa settimana, oggi compito.”
Vedo Sophie sbiancare.
“Che succede? Che cos’è questo compito?” scrive delle parole sul banco.
 Verifica su Shakespeare
“È come una prova militare?” annuisce piano. Si tratta di un nostro tacito accordo. Siamo consapevoli che la guerra e la scuola siano due realtà del tutto differenti tra esse, ma ciò rende più facile la sua spiegazione e la mia comprensione.
“Non ti sei preparata, vero?” scuote piano la testa.
“Ma non è giusto… sei stata male, non potevi studiare!” scrive un’altra parola.
Dovere
Già, il dovere. La scuola e la guerra non sono poi così differenti, dopotutto è possibile trovare in esse delle analogie, proprio come ogni cosa che riguardi l’essere umano. Così come in guerra, anche a scuola ci sono dei doveri da seguire, dei superiori da rispettare, delle regole che, come le briglie per un cavallo, ci indicano la direzione da intraprendere e non permettono vie diverse, almeno fin quando non si recidono quelle corde. Non so se tutto questo rispecchi la giustizia di questo mondo, ma non trovo giustizia nella penalizzazione di Sophie. È stata male, non ha colpe e questa scuola gliene vuole attribuire fin troppe. Non mi importa se dovrò disarcionare il destino che mi cavalca o se dovrò mangiare la pelle di queste briglie per potermi liberare. In tutto questo non c’è giustizia e io voglio aiutarla. Prendo il libro di letteratura di Sophie e, senza farmi notare da nessuno, mi dirigo in fondo all’aula. Mi siedo e apro il libro.
“Ehi Sophie, grazie per avermi insegnato l’inglese!” le urlo. La vedo sobbalzare appena e sorrido. Tranquilla piccolina, ci sono qui io ad aiutarti. Inizio a dettarle ogni informazione che recepisco dal volume di letteratura e continuo così finché la campanella non suona. La vedo consegnare la verifica, dopodiché si gira e mi sorride. Credo di non averla mai vista così bella…

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Capitolo 9
*** 9 ***


L’oscurità mi avvolge. Che strano, è come se già conoscessi questo luogo. Mi guardo intorno finché i miei occhi non sono catturati da una figura che mi fronteggia. Indossa un mantello nero che rende impossibile distinguere le sue forme e sul volto porta una maschera. Ma ciò che mi colpisce sono gli occhi. Rossi, rossi come il sangue che da sempre tinge le divise di noi soldati. Eppure in quel mare rosso di morte leggo tristezza. Allungo la mano, per poterla toccare e lei fa lo stesso. Ecco, adesso avverrà il contatto, ma invece della sua mano sento una lastra fredda. Adagio la mano, osservando ogni mio gesto, ripetuto in modo impeccabile dalla figura che ho di fronte. Alzo di nuovo gli occhi per incrociare i suoi. No, non è possibile…la creatura che ho di fronte sono io?
“Bentornata Farah.” Interrompo il contatto con quella superficie fredda e mi volto. La persona che mi sta parlando è vestita nel mio stesso modo, solo la sua maschera è diversa. È la prima volta che la vedo ma è come se già la conoscessi.
“Che ci faccio qui?”
“Prendi coscienza del tuo essere.”
“Il mio essere?”
“Sei un signore della guerra Farah, non dimenticarlo.” Ecco che una fitta colpisce la mia testa. È già avvenuto un incontro del genere, ora ricordo.
“Ti ho già detto che non appartengo a questa oscurità.”
“Non noti nulla di diverso Farah?” mi soffermo a riflettere sulle sue parole, cercando di aggrapparmi a quei ricordi che ora riaffiorano nella mia mente. L’ultima volta che ho fatto visita a questo luogo non riuscivo a distinguere nulla nelle tenebre che mi circondavano e indossavo la mia veste bianca.
“Si sta risvegliando.”
“Chi?”
“Il tuo essere, Farah, non senti come urla?”
“Non dire assurdità.”
“Guardati Farah – e dicendo ciò indica un punto dietro di me- voltati e guardati. Ammira la tua bellezza, ammira la bellezza e il potere di noi signori della guerra.”
Faccio come mi dice, ma appena i miei occhi si incrociano di nuovo con quelli della creatura infernale, lacrime scendono da questi. Lacrime di sangue, nascoste dalla maschera.
“Perché piangi Farah? Non sei felice di essere un essere potente?”
“A che serve il potere?”
“A vivere meglio.”
“Che assurdità.” Che cosa penserebbe Sophie se mi vedesse così? Se sapesse chi sono…
“Stai ancora pensando a quella ragazza.” La sua non è una domanda. Mi volto di nuovo verso di lui.
“Non osare parlare di lei.” Sibilo.
“Ma quanti buoni sentimenti. Ascoltami Farah, il tuo risveglio sta avvenendo e una volta ultimato non potrai sottrarti ad esso. Dimentica quella ragazza e non ti succederà nulla.”
“Ancora con questa storia, ma quando capirai che non è questa la mia vita?”
“Io non devo capire nulla Farah, quella che deve arrendersi all’evidenza sei tu.”
“Ascoltami, io non so chi tu sia e non conosco il motivo per cui tu parli in questo modo. Ma io sono diversa da te e non ho alcuna intenzione di arrendermi ad una realtà che non mi appartiene.”
“Farah, ti prego, non farti del male.”
“Non me ne farò.” Abbassa il capo e sospira.
“Torna da me Farah.”
“Mi dispiace, io appartengo a lei.” Detto questo, l’oscurità sparisce, torna ad essere una realtà dimenticata. Proprio come le ho ordinato.

 

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Capitolo 10
*** 10 ***


 Il seguente capitolo l'ho scritto in contemporanea con il prossimo. A fare da "colonna sonora" vi era la canzone degli Evanescence Lithium. Per questo motivo ne consiglio l'ascolto durante la lettura sia di questo che del prossimo. Approfitto di questo piccolo spazio per ringraziare tutti coloro che mi regalano un po' del loro tempo, con la speranza di non farvene pentire dopo. Un saluto, Tury.


Mi sveglio e mi volto verso colei con cui condivido il letto. Dorme ancora. Sospiro per poi alzarmi e dirigermi al balcone. Mi appoggio al parapetto e sospiro di nuovo. Questa volta i ricordi di quel mondo sono venuti con me in questo. Volto appena la testa per poterla guardare. Come farò a proteggerla? Poggio la schiena al muro e mi lascio scivolare a terra. Copro il mio viso con le mani, quasi volessi nascondermi da questo mondo, quasi volessi scappare dalla mia vera natura. Perché io sono un mostro.
“Ehi, che ci fai qui fuori? Entra dentro.” Eccola, è lei. C’è tanta dolcezza nella sua voce e anche premura. Perdonami Sophie…
“Lasciami in pace.” Sbarra gli occhi. Non si aspettava una simile reazione da parte mia. Perdonami Sophie…
“Farah? Che sta succedendo?”
“Ti ho detto di lasciarmi in pace.” Si inginocchia di fronte a me. I suoi occhi sono lucidi ma trattiene le lacrime. Sophie non piangere…quanto vorrei accarezzarti e dirti che era tutto uno scherzo, ma non posso. Perdonami, perdonami Sophie, perdonami.
“Farah è colpa mia? Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio, ho detto qualcosa che ti ha ferita? Ti prego Farah, dimmelo! Rimedierò te lo prometto!” no, non è così piccola mia. Come fanno a balenarti certi pensieri in quella dolce anima. Sei stupenda Sophie, non mi hai mai dato fastidio, la tua presenza è sempre stata la cura per questa mia anima logora. E le parole che mi rivolgi…sono come musica. Sono la sinfonia che vorrei accompagnasse la mia vita sempre, che cullasse il mio sonno, che custodisse le mie lacrime. Quanto male ti sto facendo Sophie? Perdonami, ti prego. Non ce la faccio a vederti così. Mi alzo e me ne vado, senza darti una spiegazione. Scappo da te, per non permetterti di vedere le mie lacrime. Quanto è bastarda questa vita…
Alla fine hai seguito il mio consiglio.
Quella voce. La sua voce.
“Tu! Maledetto! Sparisci!”
Ride e poi il silenzio. La sento, l’ira ribolle nelle mie vene. Stringo forte i pugni, tanto da ferirmi. Sento una mano toccare la mia. Mi volto e incontro i suoi occhi.
“Farah…” sta piangendo. No, non ce la faccio, non resisto nel vederla così. Sento ogni mio muscolo teso ed è giusto che sia così. È giusto perché se allentassi la presa correrei da lei per proteggerla. Ma come posso proteggerla da me stessa? Serro gli occhi così forte che quasi provo dolore. Ed è giusto che io li serri, perché altrimenti lacrime ne cadrebbero. Ma da quando piango tanto? Da quando l’amore ha toccato questo cuore ignobile. Ma perché Sophie proprio di me dovevi innamorarti? Con tante persone su questa terra perché il tuo cuore ha scelto ancora una volta me, consapevole della fine che ci attende, che ti attende. Se potessi mi ucciderei per donarti la mia vita, ma come può un’anima morire? No, io non sono un’anima, io sono un mostro.
“Farah, ti prego, rispondimi.”
“Farai tardi a scuola.” Non è la risposta che volevi sentire, lo so, ma è l’unica che posso darti. Faccio per andarmene ma tu mi trattieni.
“Non mi accompagni?”
“No.” Lo sussurro. Non voleva uscire, non volevo che uscisse. Lottava contro il suo opposto, contro quel sì che avrebbe fatto sorridere entrambe. Ma tu devi scappare da me, devi salvarti da questo mostro, da ciò che sto diventando.
“Farah...” non ti rispondo. Continuo a camminare, continuo ad allontanarmi, il più velocemente possibile. Ma mi sbarri la strada.
“Si può sapere che hai? Mi stai evitando, ma che ti ho fatto?”
“Lasciami in pace.” E detto questo la supero.
“Sei proprio come loro.” Mi fermo.
“Come loro chi?”
“Come quelli che hanno ucciso i miei genitori. Sei come loro, una vigliacca. Ed io che avevo anche iniziato ad affezionarmi a te, povera illusa. Tu meriti solo il mio odio e la mia vendetta.” No ti prego piccola, non parlare di vedetta. Come stona quella parola associata alla tua persona, alla tua anima così pura. Non sporcarla con un sentimento orribile come l’odio, non macchiarla con il sangue di una vendetta. Odiami, ma non sporcarti.
“Hai finito di farmi la predica?”
“Solo un’ultima cosa: va all’inferno Farah.” Mi volto di scatto verso di te, ma tu te ne stai già andando. E non riesco a trattenerle, eccole che scendono ancora, rigano il mio volto, segnano la mia anima. Lacrime. Acqua salata, salata come il mare ma che brucia la mia pelle peggio del fuoco. Scottano, queste lacrime. Perché le fiamme di quell’inferno che tu mi hai augurato già stanno consumando questo corpo.

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Capitolo 11
*** 11 ***


Torno nella tua casa. Non posso più definirla nostra, non dopo quello che ti sto facendo. Perdonami Sophie ma è necessario. Sento che sto cambiando, che sto diventando ciò che non sono. La mia parte umana sta soccombendo sotto l’attacco di questo mostro che alberga in me. Come vorrei strapparmi questo tumore dal cuore e poter vivere con te. Sai, Sophie, in questi giorni sto imparando a conoscere il dolore, sembriamo quasi gemelli. I nostri occhi sono fratelli, portatori di tristezza. Eppure è solo colpa mia. Sarei dovuta sparire, questo mondo non avrebbe più dovuto sentir parlare di me. Un’assassina, ecco cosa sono. E agli assassini si sa, non è permesso amare. Ma tu sei importante per me, troppo Sophie. E non c’è una via di uscita. Voglio proteggerti Sophie, senza causarti dolore. Ma cosa mi aspetto? Che qualcuno accolga questa mia richiesta? Nessuno ascolterà questo mio lamento, come sempre. Sono un demone dannato. Ma perché avete concesso a questo demone un cuore se era già scritto che non potesse amare? Perché state ferendo un angelo innocente? Che colpe ha lei? Giustizia, giustizia, giustizia. E ditemi, dov’è ora questa giustizia che tanto acclamate? Ve n’è forse nel suo dolore? Nel mio di certo, io sono una dannata, una creatura infernale. Allontanatela da me, cancellate ogni suo ricordo che mi riguardi. Salvatela, salvatela. Vi prego…
La porta si apre e ne entra lei. Ci guardiamo, i nostri sguardi si legano, si incatenano, si accarezzano. I nostri occhi non vogliono lasciarsi, vogliono ancora vivere quel sentimento che ci ha unite dal primo momento. Vogliono leggere ancora il motivo della propria esistenza in quelli dell’altra. Vogliono rispecchiarsi in essi. Non proferiamo parola e anche il legame che univa i nostri sguardi si spezza. Sento la mia anima urlare, torturata da fiamme invisibili.
“Che hai fatto oggi?”
“Nulla che ti riguardi.” La vedo irrigidirsi. Cerca di controllare il suo dolore e la sua rabbia. Perdonami…
Vai di là, senza dire nulla. Non ti seguo, resto distesa sul letto, a fissare quel soffitto così bianco. Un tempo anche le mie vesti erano dello stesso colore, ma il grigio ne sta consumando la purezza. O forse quella purezza che tanto credevo di possedere è sempre stata solo un’illusione. Dei singhiozzi… no ti prego, Sophie non piangere, non piangere…
“NON PIANGERE!” mi guarda terrorizzata, i suoi occhi spalancati, la bocca semiaperta, il corpo scosso da tremiti. Il mio corpo si è mosso da solo, e quell’urlo… era rabbia la mia? E di cosa ti arrabbi Farah? Sei tu la causa del suo dolore e ti permetti anche il lusso di innervosirti per il suo pianto lecito. Noto che si tiene la mano, guardo meglio. Ha un’ustione in quel punto. La padella le è scappata di mano per poi finire sul polso e causarle quella bruciatura. Mi avvicino ma lei indietreggia.
“Vai via…” lo sussurra appena. Ma che cosa ti sto facendo?
“Sophie.”
“VAI VIA!” scappi nella tua camera e chiudi la porta a chiave. Potrei passare attraverso le pareti e andare da lei, ma a far cosa? A procurarle altro dolore? Mi dirigo nel salone e mi stendo sul divano. Quanti ricordi sono legati a questo oggetto. È qui che vedemmo il nostro primo film. Il mio cuore si stringe in una morsa e un lamento strozzato sfugge dalle mie labbra. Questo dolore non ha eguali. Più intenso di qualsiasi ferita terrena, più amaro di qualsiasi veleno. La mia vista è annebbiata e il respiro diventa inspiegabilmente irregolare. Un’aura nera compare al mio fianco.
Ti avevo avvertita.
Taci.
Lei ti ucciderà.
Ne ha tutto il diritto.
Vieni con me.
Mai!
Il tempo è quasi scaduto, quando tutti i signori saranno riuniti, il nostro padrone tornerà in vita.
L’aura nera sparisce. Padrone. Non farmi ridere, io non ho padroni. Ho solo un angelo da difendere.

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Capitolo 12
*** 12 ***


Di nuovo quell’oscurità. Ancora e ancora e ancora. Ma questa volta non siamo solo noi. Ci sono altre cinque persone con lui. Lo accompagnano, quasi fossero la sua scorta. Le loro armature nere suonano la melodia della morte mentre si avvicinano. Ed io sto ferma. Attendo la fine? No, altrimenti non terrei la mano poggiata sull’elsa della mia spada. Porto anch’io un’armatura nera, proprio come loro. Si avvicinano ancora e ancora. So cosa vogliono, risvegliare il loro padrone. Ma io li fermerò e mentre penso questo un sorriso compare sul mio volto.
“Farah, figlia mia.” Mi volto di scatto. Cos’è questa creatura? Sembra una lucertola alata.
“Chi sei?” la strana creatura si sposta di lato, lasciando che i miei occhi si posino su un uomo.
“Farah, figlia mia.”
“Non sono tua figlia.”
“Tu sei un signore della guerra, figlia di quest’ultima. Non ricordi il mio nome Farah?”
“Tanti te ne sono stati attribuiti dalle popolazioni antiche ma io non ho mai pensato tu potessi averne uno. Un abominio come te non deve avere un tale onore.” Ed ecco, di nuovo. Le parole sfuggono al mio controllo, danno vita a concetti che non mi appartengono, non in questa vita.
“Rinneghi ancora tuo padre, Farah.”
“E tu saresti mio padre? Uno che permette che gli uomini si uccidano, che permette le guerre, dovrebbe essere mio padre? Tu che l’hai ferita in quel modo, che le hai portato via i genitori, tu non puoi essere mio padre!”
“Ancora con questa storia Farah.” C’è nervosismo nella sua voce.
“Quest’oscurità già conosce la mia volontà. Io la difenderò da chiunque. Soprattutto da te.” Si avvicina e mi afferra la gola, sento la sua presa ferrea bloccarmi la respirazione.
“Dì il mio nome Farah, dillo!” rido e la sua morsa si fa ancora più stretta.
“Non credere che mi lascerò uccidere così facilmente. Torna in vita, Heiwa.” Non so a chi appartenga questo nome né perché io lo abbia invocato ma so che è legato alla mia anima. E alla mia missione. Lo sento ridere, la sua risata stridula, tipica dei potenti.
“Heiwa? Heiwa è morto, Farah!”
“Proprio come dovrei essere morta anche io!” lo vedo sbiancare.
“Lui non arriverà e se anche arrivasse cosa potrebbe mai fare? Li vedi?- mi costringe a voltarmi e vedo che ogni signore ha al suo fianco una creatura simile a quella che prima mi fronteggiava- Cosa potrebbe mai fare contro di noi il tuo caro draghetto?”
“Ah, allora è così che si chiamano. Dovrò dirlo a Sophie che ho visto i draghi, sai come sarà invidiosa.” Uno schiaffo e mi ritrovo al suolo. So che questa è la mia fine ma, stranamente, non sono agitata o spaventata. Anzi, rido.
“Che hai da ridere, Farah? Tu servivi a questo mondo solo per permettere il mio risveglio. È giunto il momento di eliminarti.”
“E poi, cosa farete?” mi alzo e mi volto verso gli altri signori della guerra. Ci fissano senza parlare, sembrano burattini, privi di vita. Privi di anima.
“Ecco di cosa hai bisogno. Di uomini senza anima, pronti a servirti senza porsi delle domande. Ma io sono viva, io ho conosciuto il mondo di cui crediamo esser signori. Padroni. Non esistono padroni a questo mondo, esistono solo persone che si credono tali. Ma l’apparenza non è realtà e tu questo dovresti saperlo. Apparentemente sono un tuo servo, realmente il tuo più grande problema.” Sfodera la spada, seguito dagli altri sei. Sorrido. Fa davvero così paura il mio potere? Perché il potere, quello vero, non è ciò che ti permette di comandare il tuo prossimo, ma ciò che ti permette di aiutarlo.
“Farah è giunta la tua ora, non hai vie di uscita. Ti avevo offerto la vita in cambio della tua fedeltà ma hai preferito rifiutare.”
“Lo sai meglio di me, io ti servo. La tua forza ne risentirebbe.”
“Ne avrei abbastanza per poterla annientare.”
“Lei è più forte di quel che pensi.” Un rumore, come di ali. Il silenzio, e poi dopo il suono. Il suo grido. Bianco come la neve, i suoi occhi dorati come il sole. Sei tornato, Heiwa, sei tornato da me. Accarezzo la sua pelle, in contrasto con le tenebre che regnano qui, mentre il mio sguardo è rivolto verso colui che si reputa mio padre. Trema. Davvero credevi che lui fosse morto? Ti definisci nostro padrone, ma cosa sai davvero di noi, della nostra natura? I signori della guerra, entità magiche con il compito di governare il mondo. Inizialmente erano sei, dopodiché sono nata io. Sì, il settimo signore sono io, Farah, un’umana.
“Perché sei così spaventato? Dovevi aspettartelo che lui fosse ancora vivo, sai il valore che ha un drago per noi signori, sai cos’è un drago.” Boccheggia, ma non risponde.
“I draghi sono la manifestazione delle nostre anime, dei nostri sentimenti, della nostra umanità.”
“Non dire sciocchezze.”
“Non ne dico infatti. Perché secondo te Heiwa è diverso dai vostri, neri e dall’aspetto scheletrico? Perché la sua pelle è bianca e i suoi occhi ricordano il dio sole? Perché lui è la manifestazione della mia anima, un’anima umana.” Non risponde nemmeno questa volta.
“Heiwa, è ora di andare, dobbiamo tornare da lei.” Sussurro al mio drago.
“Non è finita, Farah, non credere che ti lasceremo vivere.” Sorrido. Il mio è un sorriso amaro. È inutile che tu me lo dica, so già che la mia sfida è appena iniziata. Passo davanti a colui che per primo mi aveva accolto in questo mondo. Nel suo sguardo leggo amarezza.
“Farah, appena lei ti rinnegherà noi saremo pronti. Ti riporteremo qui e a quel punto ogni tua ribellione sarà vana.” Ascolto le sue parole ma non mi soffermo troppo. La mia mente è occupata da un solo nome: Sophie.

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Capitolo 13
*** 13 ***


I giorni seguenti sono stati un inferno. Durante il giorno il suo silenzio, durante la notte i miei demoni. Si sta allontanando e io vorrei tanto urlarle di tornare da me, di aiutarmi. Le vorrei dire che lei è importante e che…
“Stasera non ci sono, se hai fame sai dov’è la cucina.” Nelle sue parole non c’è più dolcezza, solo odio.
“Dove vai?”
“Non sono affari tuoi.”
“Vai di nuovo da lui, vero?”
“E anche se fosse?”
“Sophie quello…”
“Che c’è Farah? Ti stai preoccupando per me? E di cosa ti preoccupi? Dopotutto sono solo un peso per te, no?”
“Non è degno di te.”
“Nemmeno tu lo sei.” Detto questo esce, facendo sbattere la porta.
Chiudo gli occhi e sospiro. Perché tra tutti proprio lui, Sophie? Lui che ti sta usando, che ti vede solo come un oggetto per sfamare la sua voglia di sesso. Perché proprio lui? Ma la colpa non è tua, è mia. Sono stata io ad allontanarti da me, a farti cadere in quel baratro di morte, a spingerti tra le sue braccia. Lui, che come un serpente aspettava il momento giusto per catturarti nella sua spirale mortale, per avvelenarti col suo veleno. Ma dopotutto, il mio amore sarebbe più dannoso del suo, sempre che lui ti ami. E noi sappiamo che non è così. Vi state usando, consapevolmente. Lui ti serve per scappare da me, tu gli servi per scopi meno casti. E sento il sangue raggelarsi nelle vene ogni volta che penso a ciò che potrebbe farti, alle sue luride mani che percorrono, senza grazia, il tuo corpo. Sento di nuovo l’ira prendere possesso del mio cervello. Da quanto va avanti questa situazione? Giorni, mesi, anni? Ormai ho perso la concezione del tempo, sono cosciente solo del desiderio di riaverti. Mi alzo dal letto, decisa a seguirti. Come farò a trovarti? Come ho fatto la prima volta, come ho sempre fatto in questa mia vita. Seguendo il tuo profumo, quella spezia prelibata che annebbia la mia mente, che permette al mio cuore di battere, che permette a questo mostro di amare. Accompagnata da questi pensieri giungo da te e subito il mio cervello smette di mandare impulsi al mio corpo, il freddo che questa visione ha comportato l’ha paralizzato. Tu, costretta con le spalle al muro e lui, lui… Sento la mia razionalità svanire come una nuvola di fumo, senza pensarci mi avvicino a colui che sta profanando le tue labbra e il tuo corpo, contro la tua volontà. Le mie mani già fremono, vogliono sporcarsi col suo sangue, vogliono colpire quella sua faccia da bastardo. Vogliono fargli male. E non passa nemmeno un secondo che il mio pugno colpisce il suo viso, facendolo allontanare di parecchi metri. Questa è la forza di un signore della guerra. Mi volto verso Sophie, il suo sguardo terrorizzato.
“Che cos’hai fatto.” Lo sussurra appena.
“Sophie…”
“CHE COSA HAI FATTO!”
“Io… mi dispiace Sophie, non sono riuscita a trattenermi. Lui…”
“Lui cosa? Tu mi hai tradita, Farah! Non sai nemmeno quanto abbia sofferto per causa tua e ora ti permetti ancora di poter decidere della mia vita!”
“Lo so che ti sto facendo soffrire, pensi che non lo veda?”
Uno schiaffo colpisce il volto di Sophie. È stato lui.
“Brutta stronza! Non osare mai più!” sta per colpirla di nuovo ma io lo spingo via. Sophie l’ha toccato così tante volte che ormai anche io posso accedere al suo corpo.
“Smettila Farah!”
“Ma con chi cazzo parli, stronza?” non lo sopporto. Sto per colpirlo di nuovo ma Sophie mi blocca.
“Farah ti ho detto di smetterla!” mi libero dalla tua presa e mi dirigo verso di lui. Un altro pugno.
“Farah basta!” lo vedo rialzarsi, nei suoi occhi il terrore.
“Tu sei una strega, sei pazza!” dice, rivolto a Sophie, prima di allontanarsi quasi correndo.
“Sarai felice ora!”
“Non so più cosa sia la felicità, Sophie, e farti del male non mi rallegra di certo.”
“Non l’ho voluta io questa situazione! È colpa tua!”
“Lo so che è colpa mia.”
“Ma che vuoi da me? Rovinarmi la vita? Lo vedi questo? –indica la sua guancia, dove c’è ancora il segno del colpo di poco prima- Questo è colpa tua come ogni ferita che porto!”
“Mi dispiace Sophie…”
“Non me ne faccio nulla delle tue scuse, Farah, nulla!” non fa altro che urlare il suo odio, il suo dolore. E io so che non posso fare altro che ascoltare la voce del mio male.
“Sophie…”
“Sparisci Farah! Non voglio più vederti! La tua presenza comporta solo danni!”
“No ti prego, Sophie non parlare in questo modo.”
“Io non ti conosco Farah! Io e te non ci siamo mai conosciute! Vai via!” la vedo allontanarsi correndo. Vorrei correrle indietro ma qualcosa mi blocca, mi impedisce ogni movimento. E poi, quella voce.
Ti avevo avvisata.
E l’oscurità torna ad essere la sola realtà che conosco.

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Capitolo 14
*** 14 ***


L’oscurità, madre di questo corpo senza anima. Tenebra nera, essenza di questo essere. I miei occhi sono aperti ma non vedono. Le mie braccia sono costrette all’immobilità da queste catene che stringono i miei polsi. E la mia tunica, quella tunica che credevo aver macchiato per sempre col demone che ho dentro, quella stessa tunica ricopre ora il mio corpo. Certo, è logora e stracciata, ma è pur sempre lei, nella sua tinta bianca. Nella sua purezza. Un sorriso forzato compare sul mio volto, forzato perché non ho più forze, quest’oscurità sta divorando la mia anima. Un rumore di passi, alzo appena la testa. E incontro il suo viso a un centimetro dal mio. Un ghigno si dipinge sul volto, il mio volto. Tutti uguali, voi potenti, con quella stessa espressione stampata sui vostri visi. Quell’espressione che ho sempre odiato, che vorrei poter far sparire da questo mondo. Quell’ espressione che un tempo regnava anche sul mio viso. Parla, parole sconnesse tra di loro, prive di un significato importante per cui valga la pena prestargli attenzione. Tanto so cosa desidera da me, desidera il mio corpo, la mia anima. La mia fedeltà. Ma io non appartengo a lui come non appartengo a questo mondo. E la risposta a quest’assurdità, a questa contraddizione è sepolta nel mio passato. Io, signore della guerra, porto in me la luce. Mi colpisce in viso, si è accorto che non lo sto ascoltando. Suoni indistinti giungono alle mie orecchie tra cui ne riconosco uno, quello dolce e delicato del suo nome. Alzo di scatto la testa. Lo vedo ridere, quanto odio il suo volto tirato in quella smorfia inumana. Ho sentito il suo nome, cosa le è successo. Faccio tintinnare le catene, nel vano tentativo di liberarmi da questa prigionia.
“Vuoi andare da lei, ma non è possibile. Farah non è me che dovresti odiare ma te stessa, è colpa tua se lei morirà.”
“Lei non morirà, io la difenderò da tutti.”  Afferra i miei capelli e li tira per impedire al mio capo di chinarsi di nuovo.
“In queste condizioni? Non riesci nemmeno a badare a te stessa e pretendi di salvare lei.”
“Lei è forte.”
“Ma noi lo siamo di più!”
“Fammi tornare da lei!”
“Mi dispiace Farah, ma proprio non posso –sul suo volto compare una finta smorfia di dispiacere- ma posso farti vedere cosa le succede.”
Nemmeno il tempo di dare un senso a quelle parole che mi ritrovo in uno spazio delimitato da muri. Li conosco bene, li riconoscerei tra mille. È la stanza di Sophie, della mia Sophie. Improvvisamente la porta si apre facendomi sobbalzare. Eccola. Si guarda intorno, sembra non notarmi. Chiude la porta, vorrei seguirla ma qualcosa mi blocca. Dopo poco rientra, il suo sguardo vaga continuamente in ogni angolo della stanza, sembra stia cercando qualcosa. E poi lo sento, quel suono, soffocato, pronunciato con paura. Mi sta chiamando e le rispondo, ma sembra non udirmi. Si guarda ancora intorno. Chiama ancora il mio nome, questa volta alzando un po’ la voce. E io, come già accaduto, le rispondo, ma nemmeno questa volta le mie parole giungono a lei. Le lacrime iniziano ad inumidirle gli occhi. Voglio correre da lei, abbracciarla, asciugare quelle lacrime ma qualcosa mi blocca.
“Dovevo immaginarlo, sei solo una stronza, Farah. Ed io ancor più stronza mi sono fidata di te.”
Urlo, voglio che mi senta, la chiamo, voglio che venga da me. Ma nulla, non si muove. Sembra non vedermi… possibile che sia diventata cieca anche lei? Urlo ancora il suo nome, la mia voce è roca a causa di questo pianto. Voglio abbracciarla ma le mie braccia sono bloccate. Solo in quel momento mi ricordo delle catene che mi imprigionano. È inutile che provi a farmi sentire, è inutile che continui a gridare il suo nome. Io non appartengo più a questo mondo. L’incubo di cui avevo tanta paura e dal quale ho cercato di scappare, più veloce del vento, mi ha raggiunto. E mi ha bloccata, in questa realtà che non mi appartiene.
Sophie si stende sul letto, abbraccia il cuscino e comincia a piangere. Il suo è un pianto disperato, un pianto che ti distrugge lo spirito, che fa urlare ogni tua cellula, che tortura l’anima. È quel pianto che bagna anche il mio viso, è quel pianto che ogni tanto si riversa sul mondo. Come la pioggia, che ti rende partecipe del suo dolore. E ora che siamo noi a soffrire, il mondo piange con noi. E la nostra colonna sonora è composta dal ticchettio delle gocce contro il vetro. E il nostro lamento si sposa con questo vento impetuoso, che sembra voler piegare tutto al suo potere, sembra voglia devastare ogni cosa. Piangiamo, in silenzio, piangiamo vicine seppur troppo lontane per trovare la pace nelle braccia dell’altra. Piangiamo il nostro addio, decretato dal destino.

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Capitolo 15
*** 15 ***


Ritorno nell’oscurità, il mio viso ancora bagnato dalle lacrime. Lui non c’è più, ma avverto comunque una presenza. Volto appena la testa e lo vedo, il mio drago. È incatenato, proprio come me, ma non sembra minimamente preoccupato della situazione.
“Ti stai chiedendo il motivo della mia calma, vero?”  interrompe così il flusso dei miei pensieri.
“Sei un loro prigioniero se non te ne fossi accorto.”
“Ti sembra che sia un loro prigioniero?”
“Hai le catene.”
“Non significa che io sia un prigioniero. Esiste anche il libero arbitrio, sai.”
“Intendi dire che hai deciso tu questa posizione?”
“Ti sembra ci siano altre spiegazioni?”
“Sei la mia anima, quindi se sono prigioniera io lo sei anche tu.”
“Una menzogna resta tale sia nel passato che nel futuro.”
“Cosa intendi dire?”
“Tutto a suo tempo.” E detto questo volta il capo.
“Devo essere impazzita.”
Non risponde, ma alza di nuovo la testa, segno della sua curiosità.
“Questo mondo di oscurità, i signori della guerra, tu, un drago che parla. Devo essere impazzita, tutto questo deve essere frutto della mia pazzia.”
“Anche lei?”
Mi volto, i suoi occhi dorati sembrano voler trapassare il mio spirito. Non rispondo.
“Anche lei?” insiste.
“No, lei no.”
Sorride ma non parla.
“Perché ridi?”
“Perché sei divertente.”
“Cosa di me ti fa tanto ridere?”
“La tua innocenza. Non pensavo di poterla incontrare anche qui, nel vostro mondo.”
“Questo non è il mio mondo! E perché sei tanto sorpreso? Non sei forse la mia anima?”
“Tutto a suo tempo.”
“Mi domando quanto ancora dovrò aspettare.”
“Cosa attendi?”
“Una tua risposta.”
“Perdi tempo ad attendere la risposta di un vecchio drago, quando potresti usare questo stesso tempo per correre da lei.”
“Sei cieco? Guarda in che condizioni mi trovo!”
“Nelle mie medesime. Ma ripeto che la mia è solo una scelta, potrei andarmene quando più mi aggrada farlo.”
“È diverso.”
“Davvero? Farah, settimo signore della guerra, arma letale di questa schiera di soldati, non ha la forza per spezzare queste deboli catene e lottare per poter tornare da lei.”
“Cosa vuoi da me. Lasciami in pace.”
“Lo farei volentieri, ma purtroppo sono legato a te.”
“Tutto questo è assurdo!”
“Cosa è assurdo?”
“Sei la mia anima…”
“Io non ho mai sostenuto una simile cosa.” Mi interrompe.
“Ma allora cosa sei?”
“Perdi tempo a porre domande a questo vecchio drago, quando potresti usare questo stesso tempo per correre da lei.”
“Perché mi inciti ad andare da lei.”
“Perché so che questo è il desiderio.”
“Il mio desiderio?”
“Tutto a suo tempo.”
“Aiutami.” Lo sussurro appena.
“Come scusa?”
“Aiutami, aiutami a tornare da lei! Hai detto che siamo legati, allora prestami la tua forza e fammi tornare da lei! Ti prometto che troverò un modo per liberarti da me.”
“Non ho bisogno delle tue promesse come tu non hai bisogno del mio potere. Il vero motivo che mi impedisce di allontanarmi da te è quell’immensa forza che tu tanto mi reclami ma che in realtà già ti appartiene. Farah, io sono un tuo servo perché tu sei il padrone più forte.”
“Menti, Heiwa. Io non ho mai desiderato uno schiavo.”
“Non confondere le due cose, Farah. Io non ho mai detto di esser tuo schiavo, ma tuo servo. Io non sono un prigioniero di guerra, io sono semplicemente uno strumento nelle mani del padrone.”
“Ritorni al concetto di prima, Heiwa. Sei un mio schiavo e a me tutto ciò non piace.”
“Confondi ancora. Io sono un servo perché il mio destino è servirti, io sono uno strumento perché il mio destino e farmi utilizzare dalle mani del mio padrone.”
“Smettila di chiamarmi padrone!”
“Farah, quando mi imprigionasti nel tuo corpo, credimi, ti odiai. Per anni ho nutrito rancore nei tuoi confronti ma adesso, adesso Farah, io ti ringrazio di avermi ospitato dentro di te e di aver reso felice la mia sacerdotessa. Ora però ritrova quella forza antica che ti ha sempre animato e salvala. Torna da lei Farah!”
“Ma di chi stai parlando? Sophie è un’umana, non una sacerdotessa!”
“Farah, forse è giunto il momento che tu sappia chi davvero siano i signori della guerra e il motivo per cui tu e Sophie quel giorno, siete morte.”

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Capitolo 16
*** 16 ***


La verità. Per tanto tempo l’avevo cercata, rincorsa, bramata ed ora eccola!
“Inizia, Heiwa, ti prego.”
“Agli albori di questo mondo, creature simili a voi abitavano la Terra. I loro poteri erano vasti, tanto che si reputavano padroni di questo mondo e per anni regnarono incontrastati su ogni creatura vivente. Poi nacque l’uomo, con la sua innocenza, la sua curiosità. Con il suo peccato. Seppur in apparenza sembrasse essere debole e innocuo, le creature che fino a quel momento avevano vissuto su quel pianeta sapevano che avrebbe potuto costituire una minaccia. Così si finsero divinità, per incutere timore negli uomini, per impedir loro di ribellarsi. Per aver salva la vita. E con i loro poteri governarono, consci del fatto che gli uomini non fossero capaci di tanta potenza. Ma gli uomini erano affamati di sapere, di conoscenza. Ponevano domande, cercavano le risposte, rafforzando così il loro potere, un potere che permise la sconfitta delle divinità: l’intelletto. La ragione, unita all’innata sete di potere, era l’arma per potersi imporre su quel mondo. E così avvenne. Nonostante gli uomini vivessero di meno rispetto a chi li aveva preceduti, riuscirono ugualmente ad affermare il loro dominio.”
“Cosa c’entra tutto questo con me?”
“Molte divinità fuggirono, altre furono uccise. Ma infine tutti accettarono il proprio destino. Tutti, fuorché uno.”
“Lui.”
Heiwa annuisce piano.
“Non riusciva ad accettare di esser stato battuto dagli uomini, uomini che fino a qualche secolo prima gli offrivano sacrifici per il buon esito di una guerra. Così ruppe il sacro sigillo che impedisce ai vari mondi un contatto e prelevò da uno di essi sei anime. Prese i guerrieri più valorosi, coloro di cui tanto gli altri uomini parlavano, che tanto decantavano. E li costrinse sotto il suo potere, credendo, in questo modo, di poter riaffermare il suo dominio sul mondo.”
“Ma così non accadde.”
“Esatto. La stirpe umana generava sempre nuovi eroi, le loro menti erano sempre impegnate in nuove invenzioni, le loro lingue nel racconto di nuove storie. Mentre il suo esercito era composto da morti. Così, decise di strappare agli umani un bambino, che poi avrebbe cresciuto e allevato come figlio proprio. E fu così che nacque il suo erede.”
“Io…”
“Farah, allontana da te ogni pensiero negativo. Tu non sei come lui. Vuoi che continui la mia narrazione o preferisci che interrompa qui?”
“Continua, Heiwa.”
“Si recò in un piccolo villaggio, ma fu avvistato dagli uomini e per questo fu costretto a rapire il primo bambino e fuggire. E nel rifugio del suo nascondiglio scoprì ciò che mai sarebbe dovuto accadere. La creatura rapita era una bambina. Una splendida bambina dai capelli corvini e i cui occhi richiamavano il manto nero della notte. Subito l’ira si impossessò della sua mente, tanto che fu vicino ad ucciderla ma si arrestò. Quella bambina, che portava in sé i colori delle tenebre, sarebbe divenuta sua figlia.”
“Non ci posso credere.”
Heiwa ride.
“Farah, aspetta. Il mio racconto ancora non si è concluso e ciò che segue ha davvero dell’incredibile ma, avendo io vissuto con te per tanto tempo, ho capito che, in fondo, se ti avessi conosciuto prima non mi sarei minimamente sorpreso di ciò che sto per narrarti. Perché solo ora ho capito che c’è qualcosa di speciale in te e non sai quanto sia costato a questa lingua ammetterlo e a questi occhi vederlo.”
Rido, divertita dalle sue ultime parole.
“Se non avessi imparato a conoscerti, Heiwa, ti classificherei come un ruffiano.”
“Ma sai che non lo sono. La piccola bambina fu cresciuta da lui e i suoi soldati, allevata ed allenata, per prepararla al suo grave compito. Ma una volta divenuta adolescente, comprese che nulla poteva il suo potere sulla mente di quella giovane fanciulla. Nonostante questa consapevolezza, continuò ad illudersi che la ragazza fosse innamorata di lui come lo si è di un padre. Ma mai, mai dalle sue labbra trapelò il suono del suo nome.”
“Ancora oggi è così.”
“Già, ancora oggi. Non hai mai pronunciato il suo nome, vero, Farah?”
“Mai.” Sottolineo.
“Sarebbe futile chiedertene il motivo, dopo anni sono riuscito a comprenderlo.”
“Heiwa, il nome che porto, è stato lui a donarmelo?”
“Perché me lo chiedi?”
“Perché voglio saperlo.”
“Cosa ti aspetti che risponda? E nel caso fosse affermativa la mia risposta, lo odieresti?”
“Inizia a rispondermi.”
“No, Farah, il nome che porti non ti fu dato da lui.”
“Sono stati i miei genitori?” lo chiedo quasi spaventata, come se non volessi udirne la risposta. Eppure, lo desidererei tanto. Avrei finalmente un collegamento con loro.
“Mi dispiace Farah, ma anche in questo caso la risposta è negativa.”
Mi rassegno all’evidenza. Ma allora chi è stato?
“Allora chi me l’ha dato? Uno dei sei signori della guerra?”
“Pensi davvero che avrebbero speso tanta premura nel darti un nome? No, Farah, non son stati nemmeno loro.”
“E allora chi?”
“Tutto a suo tempo.”
“Va bene… continua, Heiwa.”
“La giovane donna alimentava il suo spirito con domande sulla sua posizione di signore della guerra, nome con cui lui aveva ribattezzato i suoi uomini ma non lei. Lei era la signora, la regina, la sovrana. Ma alla giovane donna non era mai piaciuto comandare, esser padrona di altre esistenze e così chiese a colui che si definiva suo padre di poter essere un signore anch’ella. E lui accontentò la sua richiesta, speranzoso che questo fosse l’inizio, sperando che finalmente si fosse decisa ad abbracciare il tuo destino. Ma la realtà era ben diversa.”
“La realtà è che volevo mischiarmi tra la gente, non dover pensare, non dover essere ciò che non sono. La realtà è che quel mondo non mi apparteneva, perché io ero viva.”
“Poi successe. Scoppiò la guerra.”
“La guerra?” ma di cosa parla? Una… guerra. Non ricordo nulla di tutto ciò. E se fosse successo lì?
“È stata la guerra! La guerra l’ha condannata! Rispondi, Heiwa, è stato così, vero?”
“Non del tutto.”
“Parla, Heiwa!”
“Il tempo è ormai giunto al termine per le parole. Bisogna agire.”
“Cosa? Ma di che stai parlando? Parlami ancora di lei! Voglio sapere il motivo per cui è morta!”
“Farah, dobbiamo andare!”
“Drago, rispondi!”
“Farah, liberati dalle catene, è tempo di andare.”
“Andare dove? Heiwa, rispondi alle mie domande!” sono ormai nervosa. Perché, perché non risponde alle mie domande? Con un colpo fluido si libera dalle catene che lo tenevano prigioniero e si avvicina pericolosamente a me, facendo incrociare i nostri sguardi.
“Farah, Sophie è qui.”
No, non è possibile. Come può essere qui? Questo è il mondo dei… no, non è possibile. Guardo Heiwa, cerco in lui un segno che mi faccia comprendere che mi sto sbagliando. Ma la sua voce giunge, fredda, glaciale.
“Farah, Sophie è morta.”


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Capitolo 17
*** 17 ***


Vuoto. In questa cella, tra questi muri. In questo cuore. Freddo. In questa mente. Un freddo che ti prende l’anima e te la dilania, te la tortura, ci gioca per poi calpestarla. Mi manca l’aria, divenuta improvvisamente troppo poca per soddisfare le mie necessità. O forse sono io che mi sono dimenticata di come si respira? Heiwa è ancora lì, attende una mia reazione. Che giunge, ma forse non è quella che si aspettava. Senza pensarci rompo le catene che mi tenevano prigioniera, una forza nuova mi anima. È l’ira del dolore. Subito, mi avvento su di lui, sul mio drago. Perché la sua non può che essere una sporca menzogna. Perché lei non può essere morta.
“Farah…”
No, non voglio ascoltarlo. Non voglio che parli, non voglio che mi riempia ancora la testa con le sue bugie. Non voglio che ripeta quelle parole. E così fuggo, come ho sempre fatto nella mia vita. Farah, settimo signore della guerra, arma temuta da questo popolo come da quello avversario. Ma a chi voglio far ridere. Farah è solo una vigliacca, ecco perché Sophie è morta. Heiwa mi raggiunge bloccandomi la strada.
“Farah, smettila di scappare! Non ho ancora concluso.”
“Non le voglie le tue bugie, voglio solo tornare da lei!” gli urlo in faccia.
Heiwa resta in silenzio, mi fissa, chissà che cerca.
“E sia! Ti porterò da lei. Sali sul mio dorso, così impiegheremo meno tempo.”
Non so se le sue intenzioni rispecchino le sue parole, ma cos’altro ho da perdere?  E così faccio quanto dice, arrampicandomi sul suo dorso, sedendomi poco più sopra dell’attaccatura delle sue ali. E lui parte, le sue zampe che accarezzano dolcemente l’oscurità che ci ha inghiottito, mentre io vorrei squarciarla, ucciderla, dilaniarla. Corre, il vento che mi infastidisce, gli occhi che vorrebbero chiudersi ma io glielo impedisco. E poi ad un tratto si ferma, improvvisamente. Non riparte né parla. È assorto, in contemplazione. Sembra stia pensando quale strada scegliere. O cosa fare. Faccio per scendere ma lui mi blocca.
“Aspetta, Farah, aspetta. C’è una cosa di cui dobbiamo parlare.”
Mi rassegno all’inevitabile.
“Va bene, drago, parla.” Sospiro.
“Porto un nome, Farah. Un nome che ti è noto.”
“Non perdere tempo!”
“Cosa ti sta succedendo? Possibile che ancora tu nutra dubbi? Non sono stato io ad apparire quando mi hai invocato? Non sono stato io a narrarti la tua vita?”
“E ora sarai tu a condurmi da lei.”
E detto ciò scendo dal suo dorso, perché ho sempre odiato non poter guardare negli occhi il mio interlocutore, ed Heiwa non è certo un’eccezione. Consapevole del fatto che questa discussione non è ancora volta al termine.
“Prima dobbiamo parlare, devi sapere ma devi anche fidarti di me.”
“Dannazione Heiwa, parla, parla!”
“Finalmente ti sei decisa.”
Gli rispondo con lo sguardo, uno sguardo impaziente, ferito, irato. Uno sguardo assassino.
“Sai cos’è la morte per overdose?”
“A che gioco stai giocando, Heiwa? Ti pare una domanda da fare a chi ha vissuto tutta una vita su un campo di battaglia? Guarda che di morti per overdose ne ho visti tanti e se vuoi saperlo hanno drogato anche me.”
“Come convincere altrimenti dei bambini ad impugnare le armi e uccidere i propri fratelli?”
“Heiwa se era di questo che dovevi parlarmi potevi anche risparmiarti questa pausa inutile!”
Faccio per superarlo ma le sue parole mi bloccano.
“C’è un modo per salvarla.”
Mi volto di scatto. Lo guardo, lui sostiene il mio sguardo. Mi immergo ancora in quella luce dorata che caratterizza i suoi occhi, incapace di parlare.
“Anche lei-comincia- anche lei è morta per overdose.”
E riecco, la terra di nuovo aprirsi sotto i miei piedi. Divorare quest’anima ormai troppo logora.
Sferro un pugno nell’aria nera, trovando ad aspettarmi un muro di nera pece, impossibile da vedere.
“Sai, Farah, a volte- parla piano, come se stesse cercando le parole giuste per sputarmi in faccia quella verità che già conosco, quasi temesse di ferirmi- a volte le persone per sfuggire al dolore di una grave perdita decidono di abbandonarsi a determinate sostanze, quasi come se vedessero in esse il loro rifugio.”
E non avverto più nulla, né il mio corpo tremare, né il freddo che caratterizza questo luogo, né il suo nero manto. Solo lacrime. Quelle lacrime che ormai conoscono perfettamente il mio volto, quelle lacrime che si versano come prova della propria colpa. Quelle lacrime che, per quanto ci provino, non possono ripulire l’animo dai suoi innumerevoli peccati. E piango, appoggiata a questo muro di oscurità, incapace di altro, incapace di muovere i miei muscoli per andare da lei. Heiwa tace ancora, e nel suo silenzio riaffiorano nella mia mente le sue parole: io posso salvarla.
“Heiwa- dico senza voltarmi- Heiwa, ti prego, dimmi come salvarla.”
“È pericoloso, Farah. Se tu decidessi di ascoltarmi non potresti più tornare indietro.”
Sospiro. Possibile che non abbia ancora capito che sono disposta a tutto pur di salvarla?
“Dimmi come fare.”  
Mi volto a guardarlo, lui sostiene il mio sguardo.
“Devi donarle la tua vita.”
Sul mio viso compare spontaneamente un sorriso.
“D’accordo.”
Heiwa continua a fissarmi.
“Sicura che sia quello che vuoi?”
“Sono domande da fare, Heiwa?”
“Farah, non potrai più tornare indietro.”
“Non ha importanza. Per favore, Heiwa, portami da lei.”
Lui annuisce e io, come successo prima, salgo di nuovo sul suo dorso, riprendendo così quella corsa contro il tempo. Improvvisamente, un’esplosione ci arresta. Piano scendo per comprendere cosa sia successo e ciò che vedo mi paralizza. Un campo di battaglia, tante persone armate che corrono. Una guerra. E lì, riversa per terra, la sagoma del soldato vittima di quell’esplosione. Un suono indistinto giunge alle mie orecchie, qualcuno invoca un nome. Volto il capo verso l’origine di quel suono e la vedo. I suoi capelli biondi, i suoi occhi azzurri bagnati di lacrime, il suo viso pallido tirato in una smorfia di sofferenza. Prende tra le braccia quel corpo ormai privo di vita, urlando il suo nome. E mi vedo, lì, tra le sue braccia. Morta.
“Sophie…” chiamo, ma sembra non udirmi. Riprovo ma senza risultati.
“Perché non mi sente?” chiedo ad Heiwa.
“Perché è preda del suo incubo.”
“Cosa?”
“È così, Farah. Lei sta vivendo il suo più grande incubo in questo momento e, per quanti sforzi tu faccia, non riuscirai a sottrarla da quella sofferenza.”
“Vuoi farmi credere che il suo incubo più grande è la mia morte?”
“Sì, Farah. Non ti dovresti sorprendere poi tanto, il tuo riguarda la sua.”
“Ma io sono qui, sono viva!” gli urlo ma il suo volto resta impassibile.
“Non è questo che dovrebbe importarti adesso, Farah.”
“Che intendi di..” improvvisamente la testa comincia a girare, i miei occhi si chiudono, sento distintamente il mio corpo urtare il pavimento nero di questo mondo. Un attimo prima che il mio cervello si spenga sento una voce.
Vedi, Farah, la tua sfida inizia ora.

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Capitolo 18
*** 18 ***


Svegliati, svegliati Farah. Svegliati, svegliati…
Chi parla?
Svegliati Farah, svegliati, figlia mia.

 Piano, apro gli occhi, ma non vi è nulla oltre l’oscurità ad avvolgermi. Mi volto, in cerca di chi ha parlato.
Svegliati Farah, svegliati.
Vorrei rispondere, dire che sono già sveglia, ma non esce suono dalle mie labbra. Poi, una figura si avvicina, fermandosi a pochi passi da me. Mi tende la mano, una mano che afferro per rialzarmi e che scopro essere fredda.
“Ciao Farah, figlia mia.”
“Chi sei?” gli chiedo, cercando i suoi occhi ma non trovandoli.
“Tuo padre, Farah.”
“Dove ci troviamo?”
“Nel nostro regno.”
“Ma non vedo nulla.” Lo sento ridere.
“Piccola mia, non puoi guardare con occhi umani questo mondo, guardalo con gli occhi che ti ho donato, con gli occhi di un Signore della guerra!”
“Gli occhi del Signore della guerra?”
“Proprio così, figlia mia. Tu sei il settimo signore della guerra, nato per comandare gli altri sei signori ed espandere il nostro regno!”
“E chi sarebbero i nostri avversari?”
“Non ha importanza questo, il tuo unico obiettivo è uccidere la loro sacerdotessa!” mi dice, mentre il suo tono di voce cambia, diventando impaziente, come se bramasse già il suo sangue.
“Chi è la sacerdotessa?”
“Una ragazza della tua età.”
“Come farò a riconoscerla?”
“La riconoscerai dal suo sguardo. Tranquilla, Farah, figlia mia, non puoi sbagliarti. La riconoscerai. Ma fai attenzione! La sacerdotessa ingannerà i tuoi occhi, ti farà vedere realtà che non ti appartengono!”
“Una specie di ipnotizzatrice.”
“Esatto, figlia mia, esatto.”
“Ma io non capisco, perché dobbiamo ucciderla? Qual è la sua colpa?”
“Non ha importanza questo, adesso, Farah, non ha importanza! Il tempo è agli sgoccioli, devo ucciderla Farah, devi ucciderla o lei ucciderà te! Vuoi morire, Farah?”
“No..” sussurro. È come se avessi qualcosa da compiere, come se avessi ancora un conto in sospeso con questa vita. Sento che la mia missione non è ancora stata conclusa ma non riesco a ricordare quale fosse.
“E allora vai Farah e uccidila!”
L’oscurità si stringe intorno a me, sento la testa esplodermi e il fiato mancarmi. I miei occhi si chiudono, ancora una volta.

Un urlo in lontananza mi fa riaprire gli occhi, qualcuno mi chiama. Mi alzo e subito vengo circondata da sei uomini, tutti vestiti della medesima oscurità, tutti a brandire la loro spada. L’urlo che mi ha svegliato non cessa, così mi volto a guardare la sua fonte e li vedo, due occhi azzurri, così profondi da perdersi dentro, bagnati da lacrime salate. È lei, ne sono sicura. È lei, la sacerdotessa. Una strana sensazione mi opprime, come un qualcosa di incompiuto lasciato in sospeso, una missione da portare a termine. E improvvisamente, delle parole si accavallano nella mia mente.

Uccidi la sacerdotessa.

Che sia questa la mia missione? Non ricordo nulla, ma la mia mano corre all’elsa della spada e la mia bocca ordina l’attacco. Questa è la fine per te… Sophie.

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Capitolo 19
*** 19 ***



Sophie… questo nome non fa altro che rimbombarmi nella testa.
“Fermate l’attacco!” urlo.
I miei uomini si fermano. Piano mi avvicino alla figura inginocchiata.
“Dimmi il tuo nome.” Le ordino.
“Farah, ma che ti prende.”
Un rumore sordo si disperde nel nulla, la mia mano ancora ferma in quell’atto appena avvenuto, il suo volto girato verso sinistra, un alone rosso sulla guancia.
“Rispondi alla mia domanda.”
“Ma che ti succede?”
Allo schiaffo segue un calcio assestato nel suo stomaco, che la fa piegare ancora di più.
“Ho detto che devi rispondere alla domanda…” le dico, col fiato corto, cercando di contenere l’ira che mi distrugge.
“Io non rispondo a nessuna domanda..” mi dice tossendo.
Sento la mia ira esplodere. Colpisco il suo corpo con calci e pugni, fino a riempirla di sangue. Poi, mi fermo, guardandola.
“Te lo ripeto per l’ultima volta…dimmi il tuo nome!”
“Farah, tu il mio nome già lo sai. Torna in te… ma che ti prende? Non ricordi più chi sono?”
“Non è la risposta esatta, stupita sacerdotessa.”
Il massacro di prima continua, con colpi più forti, con rabbia maggiore. La sento urlare, anche se vorrebbe trattenersi e le sue urla mi spingono a farle sempre più male, sempre più male…
Poi un grido, e una forza misteriosa mi spinge ad arretrare e a separarmi dal suo corpo. Una figura nera si staglia contro di me. È alta, i capelli lunghi, neri, gli occhi blu.
“Farah, smettila.” La sua voce è dura.
Una mano si posa sulla mia spalla. Mi volto a guardare il suo proprietario e il mio sguardo incontra due occhi dorati.
“Heiwa…” sussurro.
Lui mi sorride, prima di voltarsi a guardare di nuovo la nuova figura.
“Iwa… quanto tempo.” Dice.
La figura oscura si muove, mostra i denti.
“Heiwa che succede qui?”
“Nulla. Lei è la mia padrona, io devo obbedirle.”
“Heiwa! Hai visto come l’ha ridotta? L’hai vista?!”
“Era quello che desiderava.”
“No! E lo sai anche tu.”
“Io so ciò che ho visto.”
“Heiwa…”
“Fallo tacere!- urlo- Fallo tacere!”
Heiwa si stacca da me per dirigersi verso di lui.
“Non vi permetterò di farle altro male!” urla Iwa, mentre Heiwa gli si scaglia contro, facendo così cominciare uno scontro che vede come vincitore chi io credevo fosse il mio drago. Sorrido soddisfatta della riuscita e mi dirigo verso la sacerdotessa, che mi guarda con le lacrime agli occhi. Sfodero la spada, ma prima di colpirla le chiedo di esprimere il suo ultimo desiderio.
“E che senso avrebbe?- mi chiede- Tu non sei Farah, tu non sei la mia Farah… e nessuno me la porterà indietro, quindi che senso avrebbe esprimere un desiderio che non verrà esaudito?”
“Fa come vuoi.” Le dico, prima di lasciar scendere la lama della spada sul suo capo.
“FARAH!”
L’urlo mi blocca e mi volto verso Iwa.
“Farah, non farlo! Te ne pentirai per tutta la vita!”
È intrappolato nella morsa di Heiwa ma fa di tutto per fermarmi, almeno con le parole.
“Chi ti dice che me ne pentirò?”
“Lo so! Farah, torna in te!”
“Stai zitto.” Gli ordino, mentre sollevo di nuovo la spada.
“Farah vuoi perderla di nuovo? Vuoi che muoia ancora? Farah! Il suo nome è Sophie! Sophie, Farah, la persona per la quale sei morta! Lei è Sophie, Farah, la persona che ami!”
E improvvisamente, un passato dimenticato si riaffaccia alla mente.

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Capitolo 20
*** 20 ***


Una figura nera cammina lentamente in un corridoio bianco. Nel palazzo regna il silenzio, ma nella sua mente numerose voci si accavallano. Lei è la prescelta, lei metterà fine a quella guerra. Deve solo uccidere. E solo una persona. Porta la mano all'elsa della spada, come a cercare la forza per compiere quell'atto disumano. Per compiere il sacrilegio più grande. Ma quella è la sua missione e non può tornare indietro. Si ferma, in quell'immenso corridoio bianco, mentre la sua preda ancora non si è accorta della sua presenza. O almeno così credeva.
“Perché ti sei fermata?” le chiede, celandole ancora il volto, non muovendosi dalla sua posizione. Come se tutta la sua attenzione fosse attratta da ciò che si trova fuori da quel castello e non certo al suo interno.
La figura nera non si muove né risponde alla sua domanda, palesemente retorica. Cerca di recuperare se stessa, di riafferrare quel futile motivo che l'ha spinta in quel sontuoso castello. Perché quella voce, così angelica e dolce, era stata capace di farle cadere ogni convinzione con quella semplice domanda. La ragazza finalmente si volta, mostrandole il suo viso e il suo meraviglioso sorriso.
“Allora, perché non rispondi?”
“Chi sei? Qual è il tuo nome?” chiede la figura nera. Si vergogna quasi della sua voce, così potente e dura al suo confronto. 
La ragazza sembra accorgersene e allarga il suo sorriso, come a volerla rassicurare.
“Non ha importanza il mio nome. Sappi solo che sono la Sacerdotessa, la persona che ti è stato ordinato di uccidere.”
La figura nera si blocca, paralizzata da quelle parole, dalla consapevolezza che lei sappia l'importanza della sua presenza lì. E per la prima volta la domanda del perché debba compiere quel gesto si insinua nella sua mente.
“Se sai il motivo della mia presenza, perché non impugni il tuo arco?”
La ragazza abbassa lo sguardo alla sua destra, dove aveva poggiato l'arco e le frecce, per poi voltarsi a guardare la sua interlocutrice.
“Perché ciò che è destinato a compiersi si compirà comunque, ma vorrei parlare un po', se non ti dispiace. Potrei essere onorata dalla conoscenza del tuo nome?”
“Non ha importanza il mio nome.”
“Io credo che ne abbia molta, invece.”
“No!- ribadisce la figura nera- Non più di quanto potrebbe averne il tuo.”
La ragazza sorride e la invita ad avvicinarsi a lei, per poter ammirare insieme lo spettacolo che il mondo fuori da quelle mura offre.
“È strano.”
“Cosa?” domanda la ragazza vestita di nero.
“Come ci accorgiamo della bellezza di ciò che ci circonda proprio quando stiamo per perdere tutto.”
“Non è detto che tu debba perdere tutto questo.”
La ragazza si volta a guardarla.
“Sto solo dicendo che non è detto che tu...potrei avere la peggio.”
“Quanto ti ci vorrebbe a sfoderare la tua spada?”
“Quanto ti ci vorrebbe a scagliare una tua freccia nel mio cuore?”
“Un secondo.”
“Tanto è il tempo che richiede la morte, in qualsiasi caso. Eppure, eccoci qui a parlare, guardando fuori da una finestra. Tutto questo è strano. Più della morte.”
“La morte non è strana, è naturale. Ma noi dovremmo essere rivali.”
“Nessuno l'ha deciso.”
La ragazza dai capelli biondi rimane in silenzio, non comprendendo quello che l'altra intende dire.
“Quante volte ci siamo viste prima di adesso? Mai. Dunque come possiamo dire di essere rivali, nemiche? Semplice, non possiamo. Qualcuno al posto nostro lo ha deciso per noi, ma noi siamo ancora vive, possiamo ancora decidere. E la decisione si insinua lì dove nasce il dubbio. E io adesso dubito della mia missione e della sua giustizia.”
“Ti prego, non parlare così! Fai ciò che ti è stato detto.”
“Perché ti stai sacrificando?”
“Io non mi sto...”
“Ti stai sacrificando. Perché? Per chi? E perché io dovrei macchiarmi del tuo sangue? Per quale oscura ragione?”
“Perché è giusto che sia così. Noi siamo rivali. Ecco l'unica verità.”
“Dimmi chi l'ha deciso.”
“Questo destino.”
“Il destino non decide nulla, al massimo crea bivi, ma la decisione ultima spetta a noi.”
“E cosa deciderai, Signora della Guerra?”
“Non deciderò, perché decidere in nome di chi non siamo equivale ad imprigionare. Ti renderò la tua libertà.”
“A che prezzo.”
“Al prezzo della mia prigionia.”
Gli occhi della fanciulla diventano umidi. Non sa perché, ma si sente intimamente legata a quella ragazza che dovrebbe essere sua rivale. Sa, che entrambe sono prigioniere di un destino scritto da altre mani. 
“Non piangere, non ce n'è bisogno. Questa guerra la vinceremo.”
“Io non voglio far del male a nessuno.” 
La figura nera le sorride, per la prima volta, scaldandola con quel semplice gesto. È un miracolo, pensa la ragazza dai capelli biondi, guardando quel sorriso così luminoso. Non si conoscono ma ormai sa di essere legata a quella strana ragazza. Sa che le è entrata dentro e non vuole che se ne vada da quel posto che ormai ha occupato.
“Non faremo del male a nessuno, te lo prometto.”
“E come faremo?”
Non ha il tempo di rispondere, la Signora della Guerra, perché un'altra voce prende parte al dialogo. Entrambe  le ragazze si voltano verso il nuovo ospite.
“Iwa! Cosa ci fai qui? Non ti ho mandato a chiamare.” dice la figura nera, guardando negli occhi l'uomo dalla pelle diafana e i lunghi capelli corvini.
“Dovrei esser io a chiederti cosa stai facendo. Dialogare con la Sacerdotessa e venir meno agli ordini di nostro padre.”
“Ho deciso di non seguire la sua volontà. Non ucciderò la Sacerdotessa.”
“Lo sapevo. Vorrà dire che lo farò io.”
“Non credo proprio.”
A rispondere è un uomo dalla tunica bianca, i capelli biondo chiaro e gli occhi incredibilmente azzurri. Accovacciato sul parapetto, guarda direttamente negli occhi il suo rivale e la sua protetta.
“Heiwa! Cosa ti porta da me?” 
L'uomo rivolge ora lo sguardo alla Sacerdotessa, uno sguardo privo di emozioni. Così diverso da quello della Signora della Guerra, si ritrova a pensare la ragazza.
“Vengo in soccorso.” risponde.
“Nessuno ti ha convocato, tanto meno necessito di un aiuto.”
“Ma io non vengo in soccorso a lei, ma all'Ordine che per causa della sua negligenza rischia di esser compromesso.”
“Non si tratta di nessuna negligenza, ognuno può decidere della propria vita. E della propria morte.”
“Questo è tutto da vedere!” proferite queste parole, l'uomo si scaglia contro la Signora della Guerra, ma la Sacerdotessa interviene frapponendosi tra i due.
“Heiwa, placa la tua ira.”
“Non è ira ciò che mi obbliga, ma dovere.”
I due ingaggiano una battaglia, l'uno cercando di eludere le difese della Sacerdotessa per poter arrivare così alla sua preda, l'altra per proteggere il primo vero legame della sua esistenza. La ragazza vestita di nero sta per prendere parte allo scontro, per sostenere chi ora considera alleata, compagna, amica. Ma non ha il tempo di muovere un passo perché Iwa, il suo servo, cerca di raggiungere la ragazza dai capelli dorati, approfittando della situazione. E così, comincia una nuova battaglia, su un nuovo fronte, tra chi un tempo si definiva alleato. Lo scontro va avanti, ma la stanchezza inizia a farsi sentire ed ogni colpo perde sempre più efficacia. Finché Iwa, deciso a raggiungere con ogni mezzo il buon esito della missione, decide di eliminare ciò che in quel momento si sta mostrando come un ostacolo. La stessa sua sovrana. Alza il braccio, pronto a colpire, ma invece di perforare l'armatura, squarcia la tunica bianca della Sacerdotessa. E la Signora della Guerra non può che stringere tra le braccia quel corpo scosso dagli spasmi della morte, con sul volto l'impronta di un sorriso, assaporando per la prima volta la sensazione delle lacrime sul volto, implorando Heiwa affinché le concedesse la stessa sorte. Sperando di poter raggiungere chi aveva reso umano il suo cuore.

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Capitolo 21
*** 21 ***


Il mondo è sospeso intorno a me. Mi volto a guardare ciò che mi circonda. Vedo Iwa bloccato nella morsa di Heiwa. Gli occhi dell’uomo dai capelli corvini sono spalancati, l’immensità dell’oceano che risiede in quelle pupille è agitata dalla paura. Le sue labbra candide si muovono in modo forsennato, ma, nonostante i suoi sforzi, le sue urla non giungono al mio udito. Sposto ancora la sguardo, portandolo all’elsa della mia spada, così lucente, serrata nel pugno delle mie mani. Ne seguo i contorni, per poi passare alla lama di nera pece, fino a giungerne alla punta. Serro gli occhi, prima di obbligarmi alla vista del mio peccato. Del mio dolore più grande. Con uno sforzo disumano riapro gli occhi, portando lo sguardo sull’esile figura stesa ai miei piedi, priva di sensi, Il suo corpo è straziato, pieno di sangue e di lividi che io le ho inferto. Sollevo la testa, per impedire alle lacrime di scendere.
Finalmente, ricordo. Ricordo tutto, ricordo chi sono. E, finalmente, ricordo il nome dell’uomo che si finse mio padre.
Un brusio indistinto si alza dalle mie schiere. Si domandano come mai, nonostante la mia spada sia pronta a colpire, io ancora non l’abbia calata sulla testa della Sacerdotessa.
Abbasso la spada e, senza voltarmi, mi rivolgo ai miei uomini.
“Chiamate mio padre, il vostro signore. Chiamate Marte, il dio del mondo. Chiamatelo, perché possa prender parte con sua figlia alla sua definitiva vittoria.”
Se voglio davvero salvare Sophie, devo fare in modo che nessuno sospetti nulla e, soprattutto, devo far in modo che lui esca allo scoperto, per poterlo affrontare. Dalle urla e dalle suppliche di Iwa, capisco che la mia interpretazione è stata più che magistrale, ma nonostante questo non avverto nessun movimento tra le mie schiere. Ribadisco il mio comando, sempre senza voltarmi, per impedir loro di vedere i miei occhi lucidi. Finalmente, una voce risponde.
“Non c’è bisogno che mi mandi a chiamare, Farah. Io sono già qui.” La sua voce.
Sento il rumore dei suoi passi, lenti, esasperatamente lenti. Serro la presa intorno all’elsa, le mie mani prudono all’idea di colpire quel corpo, il mio cuore aumenta i battiti, preparandosi allo scontro imminente. Lacrime cadono dagli occhi. È ormai inutile trattenerle, la fine è ormai vicina. E io voglio che lui veda tutto, che si specchi nel dolore che mi ha inferto. Perché grazie a questo dolore io lo sconfiggerò.
I suoi passi sono sempre più vicini, la mia presa si fa sempre più salda. Chiudo gli occhi, per aumentare la percezione del mio corpo, del suo corpo e dello spazio che ci circonda. I suoi passi stanno per arrestarsi. Ecco, è questo il momento. Spalanco gli occhi, volgo per un attimo lo sguardo verso Heiwa, che sembra aver capito le mie intenzioni, e con uno scatto mi volto, lasciando che la mia spada colpisca. Marte, sorpreso dal mio attacco, riesce appena a evitare il colpo mortale, ma riesco ugualmente a ferirlo sul fianco. Sapevo dal primo momento che sarebbe stato impossibile ucciderlo con un colpo solo, per quanto potesse essere grande la sua sorpresa. Dopotutto, Marte aveva fatto della guerra la sua ragione di vita.
Lo vedo arretrare di qualche passo, mentre i suoi uomini prontamente lo circondano, pronti a sostenerlo. I suoi occhi mi fissano, infuocati d’ira, mentre la mano che preme sul fianco è sporca di sangue, del suo sangue.
“Maledetta! Come hai osato colpirmi, come hai osato tradirmi! Proprio tu, proprio tu che io trattai come una figlia, Farah!”
“Ma io tua figlia non lo sono mai stata, Marte. E non pronunciare il mio nome, il nome che lei mi donò. Tu non sei degno di pronunciarlo.”
Lo vedo sogghignare, mentre i suoi uomini sfoderano le spade.
“E sia, mi rivolgerò a te con il titolo che ti spetta, Signora della Guerra, portatrice di morte e profana di tombe. Sei stata sempre la più forte tra i miei uomini, la più crudele, la più spietata, ma ricorda che il tuo potere lo devi a me e a me solo. Ti sei condannata, sovrana della morte, cosa credevi di poter fare da sola?”
“Ti sbagli, lei non è sola.”
Iwa e Heiwa si schierano al mio lato, pronti a sostenermi in quest’ultima battaglia che decreterà la nostra vita o la nostra morte. No, la morte potrà anche impossessarsi del mio corpo, ma non le permetterò di avvicinarsi a Sophie.
Guardo negli occhi Marte, posso vedere l’ira scorrere nelle sue vene come sangue, fulminargli gli occhi, trasformargli il volto in una maschera di pura malvagità, distorcendo le labbra in un ghigno terrificante. Come se avessero letto nella mia mente, i due draghi dalle sembianze umane poggiano una mano sulla mia spalla, per farmi sentire la loro presenza.
“Marte, tutto ciò che hai detto su di me è falso. Non provare più a illudermi, stillando in quest’anima gocce di pura menzogna. Ricordo, Marte, ricordo tutto. So che queste mani non si sono mai macchiate del sangue nemico. Possono aver ferito, certo, ma non hanno mai ucciso, nemmeno quando ho preso parte alla guerra nel mondo umano. Ma oggi, oggi, Marte, queste stesse mani si macchieranno del tuo sangue. E nulla potrà evitare l’avverarsi di questa mia profezia.”
Marte esplode in una tetra risata prima di controbattere.
“Bene, figlioletta adorata, fammi vedere come uccidi tuo padre.”
“Io non sono tua figlia.” Ringhio, impugnando la spada con entrambe le mani e lanciandomi contro di lui. Anche Iwa ed Heiwa, che hanno ripreso il loro aspetto di drago, si lanciano all’attacco dei Signori della Guerra per lasciarmi combattere contro Marte senza distrazioni.
Il dio della guerra sfodera la sua spada, grazie alla quale si difende dal mio fendente. Arretro di qualche passo, cercando di studiare il mio avversario per anticiparne le mosse. Ma il mio avversario sembra non accennare alcun movimento. Improvvisamente, le sue labbra si inarcano in un ghigno, mentre il suo corpo sparisce. Cerco di capire cosa sia successo, ma un dolore lancinante al fianco destro mi distrae da ogni pensiero.
“Te l’avevo detto che te ne saresti pentita. Cosa credevi di fare, stupida ragazzina?”
Lui è alle mie spalle. Abbasso lo sguardo e vedo che la sua lama macchiata del mio sangue. Le orecchie ronzano per lo sforzo di non svenire, mentre la testa inizia a girarmi, a causa del sangue che sempre più velocemente abbandona il mio corpo. Con una risata sommessa, spinge la lama più a fondo. Chiudo gli occhi per il dolore lancinante e serro i denti, per impedirmi di urlare, per impedirmi di dargli questa soddisfazione.
“Sai, Farah, se solo volessi potrei finirti in questo istante. Certo, non si può dire che non ti manchi il coraggio ma questo non basterà a salvarti la vita. In ogni caso, l’affronto che mi hai fatto può esser ripulito solo con la tua morte e con il suo dolore. Immagini la sua faccia, Farah, quando al suo risveglio si ritroverà il tuo corpo esanime e pieno di ferite a pochi passi da lei. Sì, Farah, la morte che attenderà lei sarà più dolorosa di quella che ti è destinata, perché lascerò prima che muoia la sua anima per poi straziarne il corpo.”
“Bastardo.” La mia voce è rotta, a causa dello sforzo e del dolore che aumenta ad ogni respiro.
“Oh no, Farah, perché queste brutte parole contro la mia persona. Ricorda, che questa situazione l’hai voluta tu. Se solo mi avessi ascoltato, Farah, tutto questo non sarebbe successo.”
E con un movimento repentino, estrae la spada dal mio corpo, non senza assicurarsi di farmi provare altro dolore, per poi sparire nuovamente. Lotto con tutta me stessa per evitare di accasciarmi al suolo, costringendo ai miei muscoli a sostenere il peso del mio corpo e alle mie membra di sopportare il dolore. Alzo lo sguardo e mi ritrovo ad assistere alla battaglia che si sta combattendo sull’altro fronte. A quanto pare, Iwa e Heiwa stanno avendo la meglio, ma non ho nemmeno il tempo di gioirne che un gomitata assestata nel mio stomaco mi costringe a terra. Tossisco saliva, mischiata a sangue e bile. Sento le sue mani afferrarmi i capelli e sollevarmi il volto, fissando i suoi occhi nei miei. Vedo il piacere illuminargli gli occhi, il piacere di procurare dolore. Il piacere di uccidere.
“Non dovresti distrarti, Farah. Già così non hai speranze, ma se focalizzi la tua attenzione su uno scontro che non è il nostro, non mi fai gustare fino in fondo questa battaglia.”
“Smettila-tossisco-di pronunciare quel nome.”
“Ti dà fastidio, vero? Bene, allora fammi vedere come me lo impedisci.”
Lascia la presa sui miei capelli e per poi colpirmi con un pugno dietro la nuca, facendomi sbattere la faccia contro questo pavimento nero. Come è possibile che nonostante io indossi l’armatura, i suoi colpi riescano a ferirmi in questo modo? Posso capire la sua spada, ma i suoi colpi fisici…
“Lo so cosa stai pensando, la tua mente è ancora aperta alla mia lettura. Ti stai chiedendo come mai io riesca a ferirti pur non usando armi, nonostante tu indossi una resistente corazza. Ma ricorda cosa ti dissi, il potere che tu hai è figlio del mio potere. Così come le difese di cui disponi. Quindi non c’è impedimento alcuno per i miei colpi. La tua fine è segnata.”
Con un calcio fa spostare il mio corpo dalla posizione prona a quella supina, per potermi guardare in faccia. Il sangue che mi esce dal naso mi rende difficoltoso il respiro.
Mi guarda, per un’ultima volta, per poi iniziare a sferrare colpi sul mio corpo già martoriato. Sento i suoi calci colpire ovunque, sulla ferita sul fianco, aprendola di più, sulla gabbia toracica, rompendomi le coste, e in testa. Urlo dal dolore, non riuscendo più a trattenermi. Un suono ovattato, a causa del ronzio dovuto al dolore, giunge al mio udito. Heiwa ed Iwa vorrebbero venirmi in soccorso, ma gli uomini di Marte glielo impediscono. E forse è giusto così, questa guerra devo combatterla io. Sono io, l’unica persona che deve fronteggiare il dio della guerra, l’unica persona che può essere ritenuta suo nemico.
“Che peccato che sia già finito qui. Mi sarei aspettato un po’ di azione in più da parte tua, invece ti sei mostrata per quello che sei realmente, una lurida perdente incapace di salvare anche la vita della persona che dice di amare. Tutte parole le tue, Farah. La tua vita non è stato altro che un susseguirsi di menzogne. Un’esistenza senza valore. Il gioco è durato fin troppo, non ti chiederò di esprimere il tuo ultimo desiderio, perché non ho alcuna intenzione di esaudirlo. Tu mi hai tradito, Farah, e questa è la sorte che tocca ai traditori del dio della guerra.”
Lo vedo alzare la spada e di colpo calarla sul mio addome. Con le ultime forze rimaste, afferro la lama tagliente per cercare di bloccarne la discesa o quantomeno rallentarla. Nonostante i miei sforzi, la lama lacera comunque la mia carne, ma almeno sono riuscita ad impedirle di raggiungere la colonna e, con essa, il midollo spinale.
“Che sorpresa, vedo che hai ancora un po’ di forza, ma non ti basterà per sconfiggermi.”
Dalla lama della spada, iniziano a nascere delle lingue infuocate che, velocemente, giungono fino alla mia ferita. Urlo di dolore ma non lascio la presa. L’odore di carne bruciata mi fa venire il voltastomaco, ma se voglio sconfiggerlo devo interpellare tutte le mie forze per non svenire e lasciarmi andare per sempre alla morte. Marte ha detto che tutto il potere presente in me lo devo a lui, dunque, l’unico modo per distruggerlo e fare ricorso ad un altro tipo di potere, un potere che nessuna falsa divinità può stillare nell’essere umano, un potere che nessuno può controllare, eccetto noi stessi. Se voglio vincere, devo lasciare che quella fiamma che alberga nei cuori di tutti noi, esseri umani, si impossessi di ogni fibra del mio corpo. Quella fiamma che è figlia di ogni sentimento buono, dell’amore, dell’amicizia e della speranza. Rilasso un po’ la presa per fargli abbassare la guardia, quanto serve perché il mio piano abbia effetto. Deve avere effetto, ho solo questa possibilità per salvare Sophie. Come avevo sperato, sentendo la presa sulla lama farsi meno salda, Marte si rilassa appena, quanto basta per permettermi di strappargli via l’impugnatura della spada dalle mani. Mi volto sul fianco, facendo uscire la lama infuocata dal mio corpo. Il dolore è insopportabile, ma non devo pensarci, non ora. Devo approfittare dell’effetto sorpresa, è questo il momento giusto. Facendo richiamo a tutta la forza ancora presente nel mio corpo, conficco la spada nel cuore del dio della guerra. Lo sento urlare di dolore, mentre le lingue di fuoco si impossessano del suo corpo. Il dolore all’addome è diventato insopportabile, le energie abbandonano questo corpo insieme al sangue. Ma devo resistere, non è ancora giunto il momento di rilassarmi. Finalmente, il corpo del mio nemico si tramuta in cenere. La guerra è finita, sono riuscita a salvare Sophie. Finalmente, posso lasciarmi andare tra le braccia della morte. 

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Buonasera a tutti. so che sono anni ormai che non aggiorno e chiedo scusa, davvero, per la mia assenza. Grazie a tutti coloro che hanno sempre recensito, ma un ringraziamento speciale va a Sogaiarda, la cui recensione mi ha dato quella spinta in più per continuare questa storia ormai quasi giunta al termine e un ringraziamento speciale a quella Gocciola della mia amica. Spero di tornare ad aggiornare quanto prima! Un saluto, Tury

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