Rebirth.

di Martina3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo Secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo Ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo Decimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo Undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo Dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo Tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo Quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo Diciasettesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo Diciottesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo Diciannovesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo Ventesimo ***
Capitolo 22: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO

 

                                                                              Image and video hosting by TinyPic                                                                                                                            



Era un tiepido pomeriggio del giugno 2010. Me ne stavo rannicchiata sul divano leggendo L'ombra del Vento di Carlos Ruiz Zafòn. Nonostante fosse uno dei libri più belli che avessi mai letto, delle parole seguivo ben poco, in quanto da un po' di giorni a quella parte avevo realizzato di essermi presa nientemeno che una cotta per l'Harold Styles dell'aula affianco alla mia. Non sapevo proprio resistere al fascino dei suoi riccioli scuri e dei suoi occhi verdi e profondi, ma a quanto pareva non ero l'unica ad essermene innamorata. Si diceva, infatti, che da quando Harry - così era conosciuto da tutti - era stato assunto a lavorare part-time in una panetteria in un quartiere di Holmes Chapel, l'incasso mensile fosse addirittura raddoppiato per le file di ragazzine in coda per comprare il pane, o meglio, per vedere il ragazzo dal sorriso mozzafiato.

All'epoca vivevo, appunto, ad Holmes Chapel, nello Cheshire, in una casa di mattoni rossi dalle modeste dimensioni con i miei genitori e un pesce rosso di nome Edward (ogni riferimento era puramente casuale). Ero una ragazzina senza particolari pretese né grandi aspirazioni, con un'autostima piuttosto scarsa, in quanto i miei capelli rossicci e le mie lentiggini non sembravano attirare nessun ragazzo, pensavo, cosa che, nella mia ingenuità di adolescente costituiva uno dei grandi problemi della vita. L'unica cosa che apprezzavo di me stessa erano i grandi occhi verdi.

Mia madre si diresse verso la porta di casa: «Becky, vado a comprare il pane.»

Chiusi il librò di scatto e balzai in piedi: «Vado io.»

Mia madre mi guardò perplessa: «Come mai tutto questo entusiasmo?»

Feci spallucce: «Mi annoio.»

«Va bene... Ma potresti anche uscire con le tue amiche. Perché non chiami Daisy?»

Aprii la porta e uscii di casa. Mia madre faceva troppe domande. Inoltre, già non ero una che amava parlare, figuriamoci in balia di una cotta adolescenziale.

Dopo aver corso come una forsennata per due minuti buoni, arrivai davanti al panificio. Tirai un sospiro di auto-incoraggiamento ed entrai.

Fu allora che lo vidi, così bello, col grembiule bianco e un sorriso cordiale sulle labbra. Attesi nervosamente il mio turno e quando si rivolse a me avvampai: «Ciao!».

Avevo un sorriso ebete stampato in faccia: «Vorrei cinque pagnotte al latte, grazie.», riuscii a dire quasi trattenendo il respiro.

«Certo.», lo vedevo con i suoi movimenti decisi maneggiare il sacchetto di carta. «Serve altro?», mi chiese poi. A dire il vero la mia spesa si limitava a quello, ma il mio istinto mi spinse ad andare avanti: «Anche un paio di pastine alla crema, per favore.»

Così tornai a casa con cinque sacchetti in mano, tra pane, dolci e cracker vari.

E fu così che da quel giorno andai a fare visita al panificio ogni giorno che Dio mandava sulla terra, sborsando lo stipendio mensile dei miei genitori.

Ahimè, a poco servì, dato che si diceva che Harry avesse occhi soltanto per una ragazzina poco più grande di noi, tale Rachel Smith, facendo fallire ogni tentativo di attrarre le sue attenzioni.

 

 

Passarono tre anni, tre lunghi anni. Harry era ormai solo un futile ricordo. Era andato ai provini di X Factor ed aveva conquistato il cuore di milioni di altre giovani ragazze, assieme agli altri quattro membri degli One Direction - così si chiamava la sua band. Ogni tanto andavo a curiosare sul web; volevo sapere chi e com'era diventato, cosa si diceva sul suo conto. Sorridevo tra me e me, pensando a tale paradosso.

Quanto a me, avevo conosciuto un ragazzo, Jake. Lui era una persona squisita. Mi faceva ridere ed era onesto e disponibile. Lo amavo e questo bastava a rendermi felice. Per certi versi ci assomigliavamo davvero molto: condividevamo gli stessi gusti ed avevamo un carattere molto simile. Mia madre, poi, lo adorava. Insomma, era il fidanzato, il figlio e il genero che tutti vorrebbero avere.

 

Un giorno tra la primavera e l'estate del 2013, seppi che Harry sarebbe venuto a Holmes Chapel per un po' di tempo per passare qualche settimana con la sua famiglia dopo il tour. Le poche volte che tornava a casa evitavo sempre di incrociarlo, per timore che si ricordasse si me; sarebbe stato un vero imbarazzo, mi dicevo.

Pregai Dio che mi venisse un'influenza intestinale che mi avrebbe costretta a barricarmi in casa per almeno una settimana. Ma dal Cielo non arrivarono rinforzi e un pomeriggio non potei proprio sfuggire al dannato destino.

Buttate via le spazzature, mi voltai per tornare dentro casa e mi trovai di fronte nientemeno che a Harry Styles. Sobbalzai.

Lui mi scrutò, guardandomi dalla testa ai piedi: «Becky Greene?». Mi chiesi come fosse possibile che sapesse il mio nome.

«Sarebbe ridicolo se ti chiedessi se sei Harry Styles.», feci una risatina isterica.

Anche lui rise: «Sei piuttosto... cambiata.», si strinse nelle spalle. Non smetteva di fissarmi e la cosa mi metteva alquanto a disagio.

«Tu non molto.», ero confusa, molto, e cercai di proiettare le attenzioni su di lui, piuttosto che su di me.

«Sei carina.», sorrise di nuovo. Mi ero dimenticata di che cosa fosse davvero il suo sorriso, di quanto fosse meravigliosamente limpido.

Arrossii spudoratamente: «Chi, io?»

Imbarazzatissima, mi voltai per andarmene, ma lui mi fermò prendendomi per il braccio con la mano: «Ehi, aspetta.».

Mi bloccai di scatto. Se quella cosa fosse accaduta quando ero nel pieno della cotta folgorante, io dico che sarei stramazzata a terra con gli occhi al cielo e la lingua di fuori. Fortunatamente mi seppi regolare: «Scusa, ma devo proprio andare.»

«Se ti va una sera di queste potremmo rivederci.», propose.

«Sono impegnata.», tagliai corto per sfuggire a quella situazione di disagio.

«Peccato... Allora ciao!», mi sorrise e se ne andò.

Rimasi di sasso e realizzai che con le ragazze ci sapeva proprio fare, come si pensava. A quanto pareva non era affatto un tipo invadente ed era stato al mio stupido gioco, sapendo che in realtà non avevo proprio nessun impegno.

Tornai a casa, ancora sconvolta per l'accaduto e sempre più convinta di essere in un sogno iniziato tre anni prima.



Spazio autore: Ciao a tutti. Premetto dicendo che tengo tantissimo a questa FanFiction. E' stata scritta tutta sul cartaceo e poi ricopiata. Ce la sto mettendo tutta per renderla più coinvolgente possibile, perciò spero che qualche recensione ci sarà! Grazie per aver letto!


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Capitolo 2
*** Capitolo Primo ***


CAPITOLO PRIMO


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L'indomani sarei uscita con Jake. Mentre mi preparavo, mi fermai un momento, guardandomi allo specchio e chiedendomi se ero davvero cambiata come aveva osservato Harry. Non trovai una risposta precisa. Tutto sommato ero una bella ragazza, ma fermamente convinta di esserlo anche tre anni prima, con la sola differenza che in piena tempesta ormonale ci si vede con occhio più critico. Mi diedi l'ultimo colpo di spazzola e, prima di uscire, salutai i miei e Edward.

«Dove vai?», chiese mio padre alzando lo sguardo dal giornale.

«Esco con Jake. Ha detto che hanno aperto un nuovo locale di fronte al negozio di cd.», dissi mettendo le chiavi di casa nella borsa blu e bianca.

Come al solito, mia madre ne era compiaciuta: «Che tesoro di ragazzo. Devi tenertelo stretto, non ne troverai...»

«...molti altri come lui.», la interruppi alzando gli occhi al cielo, «Dici sempre la stessa cosa, mamma. Buona serata.», aprii la porta di casa e la richiusi alle mie spalle.

Il sole era ancora alto nel cielo, considerando che era primavera inoltrata. Jake mi venne a prendere sotto casa in macchina.

«Ciao tesoro.»

Lo baciai, dopo essere montata nel sedile anteriore: «Ciao, amore. Come va?»

«Tutto a posto. Tu invece?»

«Non c'è male. Mi è capitata una cosa inaspettata.», scrollai il capo sorridendo.

«Sarebbe?», chiese, curioso.

«Ti ricordi Harold, quello della classe accanto alla mia, che adesso fa parte degli One Direction, per cui avevo una cotta a sedici anni?»

«Harry Styles?»

«Esatto, proprio lui. Non ci crederai, ma me lo sono trovata davanti proprio ieri.»

«Com'è piccolo il mondo.», rise.

«Già.», guardai fuori dal finestrino ripercorrendo la scena del giorno prima.

«E com'è stato rivederlo?», si voltò verso di me.

«Assolutamente normale.», mentii non solo a lui, ma anche a me stessa.

Arrivammo al The Fox And Hounds, mano nella mano. L'incontro con Harry l'avevo momentaneamente risposto in un angolino della mia mente.

 

Verso mezzanotte Jake mi riaccompagnò a casa; ero leggermente brilla. Quando ci trovammo davanti al cancello di casa mia, tra una risata e l'altra, lui mi cinse i fianchi e mi baciò: «Ti amo.»

«Anch'io.», risposi ammiccante, ancora sotto l'effetto della lieve sbronza.

«Buonanotte. E cerca di non farti vedere dai tuoi in questo stato.», disse divertito.

«Tranquillo. Ho la situazione sotto controllo.», risposi ridendo come un'idiota senza alcun motivo e gli schioccai l'ultimo bacio, prima di entrare in casa. Percorsi il vialetto e, fermatami sulla soglia lo salutai con la mano.

Dormivano tutti, pesce compreso. Mi tolsi le scarpe, scendendo da quei trampoli e provando un gran sollievo. In punta di piedi per non far rumore salii le scale ed andai in camera mia. Accesi le luci, mi tolsi il vestito e mi legai i capelli in uno chignon frettoloso. Indossai una delle vecchie magliette di mio padre che mi arrivavano fino alle ginocchia e che d'estate usavo al posto del pigiama. Stanca, mi buttai sul letto con un tonfo e spensi la lampada, lasciando che il chiarore del lampione della via davanti a casa illuminasse di una luce fioca la stanza, che fin da quando ero piccola mi conciliava il sonno. Feci un grande sbadiglio, quando sentii un leggero ticchettio ad intervalli lunghi e regolari sul vetro della finestra; pensai che Jake si fosse dimenticato qualcosa. Mi trascinai verso la vetrata ed aprii l'anta della finestra. Il ragazzo che se ne stava sul marciapiede con un paio di sassolini in mano sembrava proprio essere Harry. Mi stropicciai gli occhi, pensando che forse avevo davvero bevuto più di qualche bicchiere di troppo. Ma poco dopo realizzai che ero sufficientemente lucida per riconoscere che era realmente lui. Scorsi il suo sorriso nella penombra.

«Cosa ci fai qui?!», sussurrai.

«Volevo passare a salutarti.», si toccò i riccioli con le dita.

«Sai che ore sono?»

Guardò l'orologio: «Più o meno mezzanotte. Per una sera Cenerentola può anche sgarrare.», si strinse nelle spalle. Non sembrava avere brutte intenzioni, così, chiusi la finestra per poi scendere. «Tu sei pazzo.», gli dissi quando scesi in giardino. Lo invitai a sedersi sulla panchina.

«Così lui è il tuo ragazzo.», disse evitando il mio sguardo, sempre con quello strano sorriso sulle labbra.

«Mi hai spiata?!»

«Passavo per caso.», rimase vago.

Lo guardai bieca: «Scusa ma io proprio non ti capisco, cioè, io ho anche tutte le buone intenzioni ma proprio non ci riesco. Tre anni fa non mi hai mai degnata di un solo sguardo e ora piombi sotto casa mia in piena notte.»

Per la prima volta lo vidi davvero serio: «Ieri di te mi ha colpito una cosa.», fece una breve pausa, «Ogni ragazza quando mi vede si mette ad urlare, mi salta addosso o fa di tutto per attirare la mia attenzione. Tu invece no. Tu mi hai trattato come se fossi l'Harold sedicenne che lavorava nella panetteria di Holmes Chapel.»

Corrucciai le labbra. «E' così frustrante?»

«Che cosa?»

«La fama. Non sembri molto entusiasta.»

«No, non fraintendermi. Amo il mio lavoro, fare felici milioni di fan è il motivo per cui mi alzo la mattina. Ma a volte è difficile gestire le voci che girano. Impossibile, direi.»

Mi fermai un attimo per pensare, quando Harry ruppe di nuovo il silenzio: «Com'è lui?»

«Lui chi?»

«Il tuo ragazzo.», balbettò.

«Jake è divertente, disponibile... e mi fa sempre sentire davvero importante. Lui c'è sempre ed è un ragazzo con la testa sulle spalle.». Notai che nel suo volto c'era una falsa espressione indifferente che cercava di mascherare la sensazione di disagio.

«E tu? Lo ami?», mi irritò un po' la sua implicita insinuazione.

«Molto.»

«Sembra renderti molto felice.»

Esitai. Mi chiesi perché mai avessi aspettato tanto per dare una risposta: «Infatti.»

Lessi nel suo sguardo una punta di scetticismo.

Parlammo ancora per un'ora buona, del più e del meno. Mi resi conto che dopo così poco tempo lo conoscevo già molto bene. Harry era del tutto diverso da come me lo ero sempre immaginato, aveva un cuore grande e non era affatto un ragazzo superficiale.

Guardai l'ora: «E' tardissimo.»

«Mi dispiace per averti fatto perdere tempo.», mi disse, sapendo bene che quella chiacchierata non mi aveva fatto altro che piacere.

«Idiota.», risi.

«Allora posso invitarti a perdere tempo un giorno di questi?»

«E' quel che si dice un appuntamento?», lo guardai truce.

«Se vuoi metterla così.»

«Va bene. Ma mettiamo in chiaro una cosa: amici. e basta.»

Annuì: «Amici.», si mise la mano sul cuore a mo' di giuramento.

«Allora ciao.», lo salutai alzandomi dalla panchina.

«Ciao.». Poi, tentennante, mi diede un bacio sulla guancia. Gli sorrisi, cercando di nascondere quel pizzico di entusiasmo che quel gesto mi aveva destato.

Rientrai i casa, pregando Dio che i miei non si fossero accorti di nulla. Una volta distesa a letto, con le mani tra la testa e il cuscino, ripensai ai discorsi di poco prima. E poi a quel bacio. Soltanto poche ore prima pensavo soltanto a Jake, mentre quella notte non dormii per un solo pensiero ricorrente: Harry.


Spazio Autore: Ciao! Sono un po' sconfortata perchè c'è stata una sola recensione, ma in ogni caso,questo è il nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto :) 

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Capitolo 3
*** Capitolo Secondo ***


CAPITOLO SECONDO


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Non avevo mai pensato alla fine della mia storia con Jake. La prima volta che mi balenò nella mente fu proprio la notte prima. Harry non mi piaceva, ma avevo davvero paura che presto sarebbe successo. Mi sentivo una stupida ingenua, una immatura a cui basta un bacio di un bel ragazzo per farle perdere la testa. Pochi giorni dopo il nostro incontro notturno uscimmo insieme a fare un giro a Holmes Chapel. Mentre mi preparavo chiesi il parere di Edward che sguazzava pacifico dentro la : «Dici che uscire con Harry sia una mossa un tantino azzardata?».

Mi chinai per guardarlo da più vicino: «E se non mi presentassi all'appuntamento?». Mi sentii una ritardata mentale. «Hai ragione. Ci farei una pessima figura. In fin dei conti è soltanto un giro tra amici, nient'altro.», feci spallucce.

 

Alle tre del pomeriggio arrivai puntuale davanti ad un negozio di vestiti, dove Harry mi aspettava guardando la vetrina. C'era un bellissimo vestito lungo blu notte e lui sembrava proprio osservarlo attentamente.

«Bello vero?», comparvi alle sue spalle.

Lui si girò e mi guardò sorridente: «Pensavo a quanto ti starebbe bene.»

Arrossii: «Ti devo confessare che detesto i complimenti.»

«Infatti il mio era un omaggio allo stilista.», mi provocò.

Risi scrollando il capo e mi accorsi che ogni volta che lo facevo mi guardava, come ipnotizzato.

«Gelato?», propose.

«Vada per il gelato.», assentii con entusiasmo.

In gelateria c'era davvero l'imbarazzo della scelta. Guardai il banco come una bambina davanti alla vetrina di un negozio di giocattoli.

Harry attese che scegliessi per prima: «Un cono con pistacchio e cioccolato fondente.». Mentre il gelataio preparava il cono, Harry ne ordinò uno con crema e frutti di bosco. Quando vide che guardavo il distributore della panna montata, disse: «Entrambi con la panna, grazie.». Lo guardai ridendo contrariata: «Harry!». A giudicare dalla sua espressione, sentirmi pronunciare il suo nome gli fece uno strano effetto. Tirai il portamonete fuori dalla borsa, ma lui era già con i due coni in mano, pronto ad uscire. «Non se ne parla.», obbiettai. Ma lui rimase impassibile e mi porse il mio gelato.

«Mi vuoi proprio mettere all'ingrasso come Hansel e Gretel?»

Rise: «Adesso che ci penso ti potrei portare nella casa con i muri di biscotto e le finestre di zucchero.»

«Immagino che della casa non rimarrebbero neanche le fondamenta.», scherzai.

«Sembri golosa. Almeno in un aspetto ci somigliamo.»

«Dici che siamo così diversi?»

«Più o meno, sì. Ma gli opposti si attraggono.», mi guardò, creando di nuovo quel piacevole imbarazzo. Ne approfittai per gustare un po' di gelato al cioccolato. Per qualche minuto regnò il silenzio. Con lui non mi facevo problemi ad apparire in un certo modo, ma mi limitavo ad essere me stessa. Harry mi piaceva perché non si comportava da invadente, ma lasciava a me la più completa libertà di scegliere. Il sole era ormai basso e stava per tramontare, dipingendo ogni cosa di rosso.

Camminavamo fianco a fianco, quando ad un certo punto le nostre mani si sfiorarono. La ritirai istintivamente e lui guardò dalla parte opposta alla mia, come se il suo tentativo di farsi avanti fosse fallito. Poi, non sapevo per quale dannato motivo, riavvicinai la mia mano alla sua e gliela presi. Fu un gesto naturalissimo ma mi stupii di me stessa. Mi guardò e sorrise. Per la prima volta ricambiai quel sorriso che racchiudeva tante parole. Quando il sole era ormai una sfera rosso fuoco, giungemmo in un prato dall'erba alta fino alla nostra vita. Non c'era anima viva, soltanto io e lui. Mi chiesi come e perché mi trovassi lì con lui. Sentivo che la mia mente era popolata solamente da domande e sensi di colpa. Ma stare con lui faceva svanire ogni pensiero che mi tormentava. Il sole era uno spicchio e la nostra era diventata una comunicazione fatta si sguardi.

Mi cinse i fianchi e guardò prima i miei occhi, poi le mie labbra. Chiusi le palpebre e mi affidai al peccato, commettendo un errore, l'errore più bello e piacevole che avessi mai commesso: un bacio.

Non era un bacio invadente e trasgressivo, ma un bacio timoroso e delicato.

«Perdonami.», mi disse Harry scostandomi una ciocca di capelli.

Lo osservai: i suoi riccioli scuri erano illuminati dal sole.

«Come hai fatto?», chiesi.

«A fare che cosa?»

«Sono passati solo pochi giorni.», scossi la testa.

Esitò: «Sei arrabbiata?», vidi nel suo sguardo un pizzico di disagio.

Sorrisi e abbassai lo sguardo: «No. Sono solamente... sorpresa. Sorpresa di me stessa. Non avrei dovuto farlo, ma invece ho fatto quello che volevo seguendo l'istinto. Qualcosa mi ha spinta a non tirarmi indietro, capisci?»

«Becky, io ho sbagliato. Sono stato troppo precipitoso, ma credimi, lo desideravo così tanto da quando ti ho vista... E poi... Ho fatto un oltraggio a... Jake.»

Solo in quel momento mi balenò quel pensiero. «Sei soltanto complice.», buttai lì una frase per non star zitta. L'avevo tradito. Mi venne una fitta al cuore, sospirai ad occhi chiusi.

Tutto era successo in pochi istanti.

 

La sera stessa tornai a casa con mille domande che mi frullavano nella mente. Cosa pensavo, non lo sapevo nemmeno io. Volevo solo dormirci su. Ci avrei riflettuto l'indomani, con la mente fresca. Dopotutto, la notte porta consiglio, no?

Mentre ero a tavola con i miei, azzardai: «Ma... se io non stessi più con Jake? Insomma, se la nostra storia finisse?»

Mia madre si allarmò e mi guardò con aria interrogativa: «Becky, c'è qualcosa che mi devi dire?»

Mi finsi indifferente: «No, affatto. Era solo una domanda. Tutto qui.»

Tirò un sospiro di sollievo. «Beh, allora che bisogno c'è di pensare al peggio? Tu e Jake siete fatti per stare insieme.», mi disse mentre versava la zuppa nei piatti.

Tralasciai. Mi stavo comunque convincendo sempre di più di una cosa: quel che avevo fatto era del tutto sbagliato, da ogni punto di vista, ad eccezione di quello di Cupido.

Mi si era chiuso lo stomaco, dopo quella breve conversazione.

«Tesoro, non hai toccato cibo.», osservò mio padre.

«Non ho molta fame, stasera. Se non vi dispiace, vado in camera mia.», mi alzai da tavola.

«Sicura che con Jake sia tutto a posto?», si preoccupò mia madre.

Fui sul punto di risponderle per le rime, ma mi trattenni, sebbene nella mia voce ci fosse un'evidente punta di acidità: «Si, mamma. Va tutto bene.»




Spazio autore: holaa :) le tre recensioni mi hanno davvero rincuorata! Grazie a chi ha letto e recensito! <3

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo ***


CAPITOLO TERZO

 

 

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Passai il giorno dopo a chiedermi cosa avesse Harry che Jake non aveva e a cosa ci fosse di sbagliato in lui. Una risposta non riuscii a trovarla, ma conclusi semplicemente dicendomi che Jake non Harry e ciò bastava.

La sera uscii con la mia migliore amica, Daisy. Dopo averle raccontato l'accaduto, lei sembrò una grande sostenitrice di un'eventuale futura relazione con Harry. Bisogna dire che era una ragazza piuttosto schietta: «Se ti rende felice, o almeno più felice di quanto ti renda Jake, non vedo quale sia il grande interrogativo. Vuol dire che è quello giusto.», aveva esordito.

Ero davvero stupita di me stessa, ma non avevo rimorsi. Ero infatti certa che se quella sera l'avevo baciato, un motivo c'era stato di certo. Appena qualche giorno prima pensavo che Jake fosse il ragazzo della mia vita, perfetto in ogni punto, dalla punta dei capelli alle dita dei piedi. Mentre ora mi ritrovavo a preferire un ragazzo con, magari, qualche difetto in più, ma che mi rendeva molto più felice. Una volta avevo letto una frase di un libro che diceva E' impossibile desiderare ciò che non si conosce. Pensandoci bene era un po' una banalità, ma rappresentava al meglio la mia strana e contorta situazione.

Calò la sera e tornai a casa. Sapevo che quella notte Harry sarebbe venuto da me, così mi misi seduta sul letto a gambe incrociate ed attesi di sentire il ticchettio sul vetro della finestra.

Cascavo dal sonno, ma pur di vederlo mi sarei messa gli stecchini sulle palpebre a mo' di Gatto Silvestro.

Quando udii il primo tic sul vetro balzai in piedi, andai alla finestra e gli feci cenno di aspettarmi. Scesi le scale due gradini alla volta cercando di non avere la mia solita grazia di un ippopotamo imbizzarrito e uscii di casa. Quando lo vidi cercai di tenere a freno la mia foga e mi limitai a raggiungerlo con tutta calma. Aprii il cancello, lui mi prese rapidamente per mano e mi addossò al muro della casa vicina. Ansimando mi baciò. Risentire le sue labbra morbide e sfiorare di nuovo la sua lingua fu qualcosa di meraviglioso. A pochi millimetri dalla mia bocca, come se non potesse starci lontano per nemmeno un secondo, mi disse: «Non avrei resistito un minuto di più.»

«Mi sei mancato da impazzire.», passai le mani tra i suoi folti capelli e lo baciai ancora e ancora. Mi strinse forte a se tenendomi per i fianchi. Lo sentivo vicino. Lo sentivo mio.

«Cosa facciamo adesso?», chiese guardandomi dritto negli occhi.

«Pensi che la nostra potrebbe essere... ecco... una storia seria?», azzardai timidamente.

Rise: «Mi hai risparmiato la fatica.»

Sorrisi e appoggia il capo sul suo petto: «Non ho voglia di riempire Jake di bugie. Appena avrò l'occasione gli dirò la nuda e cruda verità.»

Ci fu un attimo di silenzio, quando Harry iniziò a sussurrarmi qualche nota del suo primo e unico singolo uscito da poco: «Don't let me... don't let me... don't let me go... 'cause I'm tired of feeling alone...»

Lo zittii con un bacio delicato: «No, Harry, non ti lascerò.»

 

I giorni seguenti rischiai ogni notte pur di vederlo e trovai finalmente forse il principale motivo per cui preferivo Harry a Jake. Con Jake ero sempre rimasta negli schemi, avevo sempre fatto le cose come da manuale, rispettando orari e voleri dei miei genitori, invece con Harry era diverso... con lui sgarravo, trasgredivo... ed era quello il bello, era una straordinaria avventura.

Finché una sera mi prese le mani tra le sue e mi propose: «Domani sera vieni da me, non ci sarà nessuno e nessuno ci vedrà, te lo prometto.»

«Cosa dirò ai miei genitori?»

«Digli che esci con Jake.»

«Farò un tentativo. Tanto ultimamente mentire mi riesce piuttosto bene, mi sembra.»

 

Il pomeriggio a seguire, dissi a mia madre: «Mamma Jake mi ha chiesto se stasera... cioè, stanotte vado da lui.»

Vidi il suo viso contrarsi e poi subito rilassarsi: «Va bene!»

«Fantastico.», dissi entusiasmata.

«E' arrivato il gran momento eh?», ammiccò.

Finsi di non capire - a dire il vero non volevo capire - : «Che cosa?»

«Dai, Becky... Sono stata giovane anch'io, sai?», disse mescolando qualcosa che bolliva in pentola.

Continuai imperterrita a fare l'indifferente, pur sapendo benissimo dove voleva andare a parare.

«Mi raccomando, tesoro. Prendi precauzioni. Ti ho già spiegato mille volte che...»

La fermai prima che si dilungasse: «Ommioddiosantissimo mamma ti prego. Stop.», credetti di essere verde in volto.

 

Arrivò così la sera. Indossai un vestito verde smeraldo e misi del blush rosato sulle guance. Dopo essermi guardata per l'ultima volta davanti allo specchio feci un profondo respiro e uscii dalla mia stanza. Attraversando il soggiorno incrociai di nuovo mia madre: «Oh, amore, sei bellissima.»

Sorrisi: «Grazie, mamma.»

«Buona serata, tesoro.», mi salutò con la mano.

Ricambiai il gesto ed uscii di casa. Per evitare di essere sgamata, avevo detto a Harry che sarei andata io a casa sua.

Dopo dieci minuti di camminata instabile su quei trampoli di scarpe, arrivai e suonai al campanello. Pochi istanti dopo la porta si aprì. Temetti che in mio cuore non avrebbe retto. Credevo davvero di aver visto il meglio di lui ma mi sbagliavo; in camicia era davvero qualcosa da mozzare il fiato. Mi guardò con un mezzo sorriso e mi invitò ad entrare: «Sei una meraviglia.»

Misi il braccio attorno alle sue spalle e lo baciai: «Per te sto rischiando ogni singolo minuto, Styles.», gli sfiorai le labbra con le dita.

La tavola era elegantemente apparecchiata e le luci soffuse.

«Preferenze per il cibo, signorina?»

«Assolutamente no. Sono sempre stata un ottima forchetta.»

«Altro punto in comune.», disse scostando la sedia per farmi accomodare.

Mi versò un bicchiere di vino e brindammo: «Alle fughe notturne.»

 

Alla fine della cena eravamo sazi ed avevamo parlato davvero molto, specialmente dei “vecchi tempi”, all'epoca della panetteria e di Rachel Smith.

Mi prese la mano e mi guardò negli occhi: «Mi chiedo come ho fatto a non notarti prima.»

«Mai sentita la favola del Brutto Anatroccolo

Rise: «Se la metti così allora, questo cigno è davvero degno di una fiaba.»

Mi alzai e lui, imitandomi, mi prese per i fianchi e mi strinse a sè, mordendosi il labbro inferiore.

Sentivo il suo battito sul mio petto e il suo respiro sul mio collo. Le sue labbra sfioravano la mia guancia. Teneva gli occhi chiusi, pensando a chissà cosa, ma mi sentivo incredibilmente desiderata.

«Ti amo, Becky.», sussurrò.

«Anche io ti amo.»

Mi prese in braccio e io lo strinsi forte. Mi fece sedere sul tavolo. I nostri corpi erano tremendamente vicini. Senza staccare un attimo le labbra dalle mie si sbottonò la camicia. Mi accarezzò la schiena e aprì lentamente la cerniera del mio vestito, guardandomi con un sorriso ipnotico. La sua pelle calda e perlata di sudore era a contatto con la mia. Sulla mia guancia scese una lacrima. Non era una lacrime di tristezza, di dolore, né di gioia. Non lo sapevo nemmeno io, ma in quel momento la mia unica certezza era il fatto di essere incondizionatamente innamorata di lui.

 

La mattina seguente mi sveglia di buon'ora, tra le sue braccia. Lo guardai, così perfetto. Gli passai la mano tra i capelli e percorsi il suo profilo con le dita. Gli diedi un bacio sulla guancia e mi alzai dal letto, con movimenti accorti per non svegliarlo. Cercai un foglietto e una penna e scrissi:

 

Buongiorno amore mio. Ho passato la notte più bella della mia vita. Questa mattina andrò da Jake a spiegargli come stanno le cose. Poi ti farò sapere.

Ti amo, Becky

 

Sempre senza far rumore andai in bagno a sciacquarmi il viso e mi vestii. Prima di uscire dalla stanza lo guardai con un tenero sorriso, chiedendomi quali fossero mai i suoi difetti.

 

Tornata a casa, tirai un profondo respiro e telefonai a Jake.

«Pronto?», rispose lui.

«Ciao Jake.»

«Becky.»

«Stamattina hai da fare?»

«No, non credo. Perché?»

«Volevo chiederti se potevamo trovarci verso le nove e mezza al solito posto. Ti devo parlare di una cosa importante.»

«...Va bene. A dopo, tesoro.»

«A dopo.». Riattaccai e chiusi gli occhi. Affrontare la cosa non sarebbe stato di certo semplice.

 

Come da programma, Jake si fece trovare puntuale dove ci eravamo dati appuntamento. Quando gli andai in contro, fece per darmi un bacio ma io mi scansai: «Jake, è proprio di questo che ti devo parlare.». Scosse la testa accigliato: «Che significa?»

Sospirai, evitando di guardarlo negli occhi: «Te lo dico con il cuore in mano. Non ho nessuna voglia di mentirti, di riempirti di bugie. Perciò sarò sincera.», dissi schietta.

Mi feci coraggio e lo guardai negli occhi: «Mi sono innamorata di un altro ragazzo.», mi guardai intorno per evitare di vedere la sua espressione: «Non ho alcuna giustificazione, mi spiace.».

Jake mi se ne stava inerme con lo sguardo perso nel vuoto: «Becky, ti prego. Non puoi dirmi una cosa del genere. Tu non puoi andartene.», balbettò, cercando di abbracciarmi ma io lo respinsi mettendogli una mano sul petto, gli occhi chiusi.

«Jake io ti ho amato davvero. E ti posso giurare su me stessa che ogni parola è stata detta con la più pura sincerità. Sei stato il mio primo vero amore e mai potrò dimenticarti, ma è arrivata la fine di questa storia.»

«Dio mio...», si sforzò di non piangere, ma quando lo vidi singhiozzare mi si strinse il cuore: «Io.. io posso provare ad essere migliore. Dimmi cos'ho sbagliato e rimedierò. Possiamo fare un sacco di cose insieme, ti porterò ovunque tu vorrai.»

«Ssssh.», lo zittii scrollando il capo, «Tu non hai sbagliato niente. Se vorrai potremo rimanere amici, vederci ogni tanto. Ma ora lasciami andare, ti prego.», una lacrima mi rigò la guancia.

«Becky...», gemette per l'ultima volta.

«Ciao, Jake.», gli diedi un bacio di addio e mi voltai.



Spazio Autore: Scusate il ritardo, comunque ecco il nuovo capitolo :) spero vi sia piaciuto xx

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Capitolo 5
*** Capitolo Quarto ***


CAPITOLO QUARTO

 

 

 

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Il mattino del giorno dopo diedi una mano a mia madre in giardino a piantare qualche rosa gialla e una dozzina di tulipani. Mentre scavavo un piccolo buco sulla terra per inserirvi i bulbi, pensavo alle parole giuste per dire ai miei, anzi a mia madre, che la mia storia con Jake era un capitolo chiuso. Ma proprio in quel momento passò per caso davanti a casa nostra proprio lui. Pregai il Cielo che per una buona volta mia madre non se ne accorgesse ma, come sempre, neanche un rosario o venticinque Ave O Maria sarebbero serviti a mandarmela buona.

«Buongiorno Jake!», lo salutò solare con un gesto della mano. Poi si rivolse a me: «Guarda chi c'è, Becky.». Avrei voluto farmi piccola piccola ed entrare nella piccola buca che avevo appena scavato, ma mi limitai ad annuire con un sorriso più che forzato.

«Buongiorno, Signora Greene.», lui ricambiò con un sorriso.

«Prego, vieni pure. E' da tanto che non ti vedo.»

Diventai bianca come un lenzuolo.

«Grazie per l'invito, ma vado piuttosto di fretta.», tagliò corto lui.

Mia madre allora pensò bene di andare ad aprirgli il cancello: «Sono sicura che per Becky due minutini ce li hai.»

Non poté rifiutarsi ed entrò, guardandomi con aria innocente. Non seppi cosa fare. «Ciao!», dissi dimostrandomi entusiasta, anche se a mentire ero sempre stata negata.

«Hei.», mi resse il gioco.

Intervenne lei: «Allora, ho sentito che ieri avete passato una bellissima serata, non è così?»

Deglutii. Mi mancò il fiato. Mi girò la testa. Mi appoggiai alla staccionata per evitare di collassare a terra.

«Come scusi?», chiese lui confuso, lanciandomi poi un'occhiata interrogativa.

«Sì, ieri sera. Becky mi ha detto che era da te.»

«Forse è meglio che io tolga il disturbo.», balbettò, colto alla sprovvista, e si voltò per andarsene.

«Ehi, dove vai?»

«Mamma.», attirai l'attenzione su di me.

Mi guardò accigliata: «Che diavolo sta succedendo?»

«Ti devo parlare.», dissi quando Jake fu uscito dal cancello.

Giunte dentro casa mia madre si mise con le mani sui fianchi pronta ad ascoltarmi.

«Io e Jake non stiamo più insieme.», abbassai lo sguardo.

Vidi nei suoi occhi una profonda rabbia, non la compassione che una madre avrebbe dovuto provare. «Come sarebbe a dire?»

«Sarebbe a dire che è finita.»

«Come puoi dirmi questo? Jake è il ragazzo perfetto per te. Lui ti piace. Avete grandi progetti insieme, non puoi mollare tutto così!», mi rimproverò alzando il tono della voce.

«No, mamma. Lui piace a te, non a me. Ed è il ragazzo perfetto secondo i tuoi gusti, non secondo i miei. E' vero, a molte qualità: è gentile, sempre disponibile, divertente... ma non mi rende felice.», scrollai il capo.

«Chissà cosa penserà adesso la gente di te. Molli un ragazzo in questo modo, facendolo soffrire.», disse con disprezzo.

«Tanto per cominciare di quello che pensa la gente non me ne può importare proprio niente. Secondariamente non credo di essere l'unica in questo mondo a lasciare un ragazzo.»

«Non azzardarti mai più ad alzare la voce con me.»

Moderai allora il tono: «Io non ho parole. Tu, mia madre, una delle poche persone che dovrebbe sostenermi in quello che faccio e consolarmi quando ne ho bisogno non lo fa. Ti importa solamente di quello che pensano gli altri, non di come mi sento io.»

«Non osare mai più. Mai più.», mi squadrò dalla testa ai piedi, «Sei la mia vergogna.», mi tirò un forte schiaffo e sentii dolere il labbro inferiore.

A quelle ultime parole mormorai: «Non aspettarmi stasera, non stanotte, non domani e nemmeno il giorno dopo ancora.». Aprii la porta e la sbattei alle mie spalle. Uscita dal cancello, mi misi a correre, fuggendo da quella casa. Le lacrime si fondevano con la pioggia, i capelli appiccicati alle guance. Mentre stavo girando per la via verso casa di Harry scivolai sull'asfalto bagnato e caddi. Mi bruciavano i polsi e le ginocchia, ma ripresi a correre ancora e ancora, finché non arrivai a destinazione. Bussai alla porta, che Harry aprì prontamente: «Becky.», mi scrutò, per poi prendermi per un polso e affrettarsi a farmi entrare. Mi gettai tra le sue braccia e piansi, piansi fino a che non mi mancò il respiro. Non chiese spiegazioni.

«Vieni con me.», mi prese per mano e mi condusse in bagno. Mi raccolse i capelli affinché mi sciacquassi il viso. Mi guardai allo specchio, avevo un labbro sanguinante e i polsi e le ginocchia sbucciati.

«Guardati. Sei distrutta. Vieni qui che ti disinfetto.». Prese del disinfettante e del cotone dall'armadietto e tamponò cautamente le ferite. Poi tirò fuori dei cerotti e una crema che mi mise sul labbro; strinsi i pugni, bruciava.

«Grazie.», dissi con un filo di voce.

«Vado a cercare dei vestiti puliti o ti prenderai un accidente.». Poco dopo tornò con una t-shirt e un paio di pantaloncini di cotone: «Ho trovato solo questi, li usa Gemma quando torna a casa ogni tanto.»

«Vanno benissimo, grazie.», accennai ad un debole sorriso. Mi vestii e mi sistemai i capelli, poi andammo in soggiorno. Si sentiva soltanto lo scroscio della pioggia. Ci sedemmo in divano, io appoggiata col capo sulle sue gambe. Mentre stringevo la sua mano e lui mi accarezzava la guancia, cominciai a parlare.

«Quella non è una casa, è una prigione.», feci un profondo respiro prima di continuare. «Non sei prigioniera fisicamente, ma moralmente. Non puoi fare qualcosa che non stia nei suoi parametri. Finché fai quello che vuole lei sei la figlia perfetta, di cui vantarsi con le amiche. Poi improvvisamente quando infrangi una regola, come lasciarti con il tuo ragazzo che tanto piace a lei, diventi la sua vergogna. Sì, testuali parole, la sua vergogna.», mi si strinse un nodo in gola pronunciando quelle parole.

«Mi dispiace. Vorrei poterti aiutare, ma per ora posso solamente proporti di restare qui qualche giorno. Mia madre e Robin sono via questi giorni e a me fa solo piacere averti accanto. Poi quando ti sentirai pronta prenderai qualche decisione più concreta, va bene? Senza fretta.»

«Non so davvero come ringraziarti...», dissi guardandolo negli occhi.

Stemmo a sentire il rumore della pioggia che scorreva veloce sulle grondaie e scivolava lenta sui vetri delle finestre.

 

Spazio Autore: hola a tutte! questo era il nuovo capitolo. Mi auguro che vi sia piaciuto xx

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto ***


CAPITOLO QUINTO

 

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Passarono un paio di giorni. Avevo fatto sapere a mia madre che stavo bene – perlomeno fisicamente – tramite la mia migliore amica. Mi chiamava a tutte le ore del giorno, ma non osavo premere il tastino verde. Finché una mattina decisi di tornare a casa, non perché mi mancasse o ne avessi la voglia, ma per il semplice motivo che non volevo dare ulteriore disturbo a Harry, sebbene lui si dimostrasse più che disponibile.

Come aprii il cancello di casa mi venne come un senso di nausea. Suonai il campanello e quando mia madre aprì la precedetti prima che mi gridasse contro tutti i problemi che le avevo causato e risposi alle domande che sicuramente mi avrebbe posto: «Non ti ho risposto perché non avevo nulla da dirti. Sapere che sono viva e vegeta ti dovrebbe bastare, no?», dissi entrando in casa e togliendomi le scarpe. Poi la guardai in faccia: «Sono tornata per restare. Ma se non vuoi accettare che adesso il mio cuore appartiene ad un ragazzo che non è Jake, mandami via tu.»

Lessi nel suo sguardo ancora una volta un immenso malumore, un sentimento amaro, ma iniziavo a non farci più troppo caso. Rimase inerme davanti alla porta, mentre io mi dirigevo verso le scale.

Ero tranquilla, o meglio, stremata da quel lungo pianto di pochi giorni prima. Avevo davvero sofferto abbastanza.

 

Quel giorno io e Harry saremo andati a fare un giro a Chester, tanto per distrarsi un po' da quell'enorme casino. Ci demmo appuntamento non lontano da casa mia. Mi aspettava appoggiato al cruscotto della sua auto scura, a braccia conserte; lo trovai incredibilmente attraente. Gli andai in contro, mi abbracciò e mi baciò sulla fronte.

«Come l'ha presa?», domandò mentre metteva in moto la macchina.

«Posso soltanto immaginarlo. Non ha detto una parola.»

Sdrammatizzò: «Non l'ha fatto o gliel'hai impedito?»

Sorrisi: «Direi la seconda.»

Durante il viaggio ascoltammo canzoni come Treasure di Bruno Mars, di quelle che non ti fanno pensare alle cose negative, che ti liberano la mente. Cantavo a squarcia gola e salutavo i passanti fuori dal finestrino, davanti all'espressione divertita di Harry, che probabilmente era più stupito di quanto lo fossi io di me stessa. Ero rinata, quell'esperienza mi aveva insegnato molto, ad andare avanti per la strada della felicità, superando ogni ostacolo.

Quando arrivammo un paparazzo ci venne in contro. Invece di evitarlo come avevo fatto tutte le volte prima, mi ero messa in posa affianco a Harry sorridendo.

Mano nella mano percorremmo le vie di Chester, guardandoci intorno, salutando le persone che guardando Harry bisbigliavano cose come: «E' lui, Harry Styles. E quella dev'essere la sua ragazza, sì.»

«Shopping?», propose, dando un'occhiata ad un negozio che non sembrava proprio alla mia portata in termini di denaro.

Mi avvicinai alla vetrina e contemplai quei modelli unici. Ma poi quando lessi il prezzo mi girò la testa: «Ehm... Io non ho tutti questi soldi, Harry.», ammisi imbarazzata.

Rise, sembrava divertirsi.

«Cosa vuoi te? Io mica sono una One Direction.», mimai le ultime due parole.

«Credi davvero che io ti porti a fare shopping facendoti pagare? Sei la mia ragazza adesso.», disse prendendomi per mano e conducendomi all'interno del negozio. Amavo quando mi faceva sentire così sua.

Appena lo vide la commessa esclamò: «Harry Styles?»

«Ciao.», la salutò con un gesto della mano.

«Posso aiutarvi in qualche modo?», disse anche se in verità intendeva “Posso aiutarti?”.

«Diamo solo un'occhiata, grazie.», mi sforzai di non risponderle male.

Senza badarci troppo iniziai ad ispezionare gli scaffali e le decine di grucce, come una bambina in un enorme negozio di giocattoli. Entrai in camerino con una montagna di vestiti e uscii con un abito nero e attillato sulla vita e bianco e morbido sul busto. Ai piedi portavo delle decollete tortora.

Harry era seduto in un poof pronto a dire la sua: «Sei qualcosa di incantevole. Sono senza parole.»

Mi guardai allo specchio: «Non mi fa i fianchi larghi?»

«Prendi quel vestito all'istante.»

Risi: «Vado.»

Rientrai in camerino per provare qualcos'altro. Ci stavo davvero prendendo gusto. Mentre indossavo dei pantaloncini corallo sentii la ragazza bisbigliare qualcosa a Harry: «Sei davvero bello come dicono.»

A quel punto piombai fuori dal camerino tenendomi la tenda davanti a mo' di insaccato: «Eh no! No!»

Harry rise di gusto e la ragazza sembrò un po' infastidita dalla mia presenza.

«Senti ragazza, se sei così disperata da fare tanto la cascamorta con mio moroso, beh risparmia la fatica. Chiaro?»

Rientrai con una mossa secca e continuai a fare il mio shopping pacifico. Quando ebbi finito di provare ogni capo diedi un'ultima occhiata in giro e poi mi diressi verso la cassa: «Harry, io non voglio neanche sapere quanto costa tutta questa roba.», dissi con aria nauseata.

«Sarà un segreto.», disse lui enigmatico porgendo la carta di credito alla commessa.

Uscimmo dal negozio con sacchetti e sacchettini tra le mani.

«Stasera torna mia madre con Robin. Ecco, pensavo che te li potrei presentare... Cioè, forse può sembrare un po' presto, ma io penso che la nostra sia una storia seria... Lo spero, almeno.».

«Mi piacerebbe molto.»

«Grazie al cielo, proportelo è stato come un parto.», fece un sospiro di sollievo.

Risi: «Perché? Non ci vedo nulla di strano.»

Rallentò il passo fino a fermarsi per guardarmi negli occhi: «Io... io spero davvero che questa storia duri molto.», si strinse nelle spalle.

«Anch'io, amore.»

«Io ti amo davvero.»

Lo baciai. «Faccio un salto a casa a portare i nuovi acquisti e poi mi passi a prendere, d'accordo?»

«Perfetto.», mi cinse un fianco e riprendemmo a passeggiare.

 

Quando tornai a casa mia madre stava preparando la cena.

«Ciao, mamma.», dissi evitando il suo sguardo.

Non mi salutò. Andai in camera mia per cambiarmi e riporre le borse. Misi il CD di Rihanna nello stereo e mi spazzolai i capelli canticchiando qualche nota. Ad un certo punto sentii bussare alla porta. Spensi la musica ed andai ad aprire: «Si?»

Mia madre se ne stava davanti alla porta, con lo sguardo basso, quasi temesse che la cacciassi via in malo modo. «Posso?», chiese.

Mi limitai a farle largo per entrare. Si sedette ai piedi del letto e si guardò intorno, come se guardasse quella stanza nella quale non entrava più da molto tempo. Ora era cambiata, non c'erano più i poster di quand'ero una ragazzina, ma decine di fotografie erano appese sulle pareti e sulle ante del grande armadio bianco.

«Come si chiama?»

«Harold. Harry.», risposi riponendo alcune cose nel cassetto.

«Com'è?»

«Diverso.»

«Diverso da Jake?»

Mi strinsi nelle spalle e annuii con il capo.

«Parlami di lui.», azzardò.

“Senti adesso piombi in camera mia da un momento all'altro facendo finta che non sia successo nulla per rimediare a quello che hai fatto?”, avrei voluto gridarle. Ma non lo feci: «Lui mi rende davvero felice, mi fa sentire importante. Lo amo.»

Mia madre corrucciò le labbra.

«Se ti stai chiedendo se Jake non lo facesse, beh, siì, lo credevo anch'io, finché non ho conosciuto Harry.»

Ci fu un attimo di silenzio.

«Stasera vado da lui. Mi presenta i suoi genitori. Anzi, sua madre Anne e il suo compagno Robin.»

«Allora dev'essere una cosa seria. E' qui di Holmes Chapel?»

«Sì. E' nato qui.»

«E ci vive?»

Esitai. «Più o meno.», rimasi vaga. Non le raccontai della sua fama perché per quanto mi riguardava non la ritenevo una cosa di rilevante importanza. Sospirò alzandosi: «Ti lascio prepararti.». Uscì dalla stanza. Sapevo bene che ci sarebbe voluto ancora molto tempo perché accettasse la realtà ma apprezzavo il suo, sebbene piccolo, sforzo.

 

Quando montai in macchina con Harry ero un po' tesa, forse più di un po', ma cercavo di non darlo a vedere.

«Togliti quel sorrisetto isterico e rilassati.», rise lui.

«Dici che sono una pessima attrice?»

«Direi di sì.»

Scesi dall'auto, Harry mi prese per mano e Anne, seguita da Robin, ci accolse a braccia aperte. Prima diede un bacio a Harry: «Ciao, amore.». Poi mi guardò con un gran sorriso: «Immagino che tu sia Becky. Harry mi ha parlato molto di te.»

«Piacere di conoscerla, signora Anne.»

«Piacere mio, tesoro. Harry non sbagliava quando diceva che sei davvero bella.». Lui arrossì.

«La ringrazio.», sorrisi.

Mi presentai anche a Robin. Guardando Anne capii il perché del fascino di suo figlio. Era una donna di una bellezza invidiabile, capelli bruni , occhi chiari... proprio come Harry.

«Venite, accomodatevi.», Anne ci condusse nel piccolo giardino posteriore, dove vi era un grande tavolo di ferro battuto. Il piccolo ambiente era arricchito da piante rampicanti e rovi di rose dalle tonalità più varie. La donna andò in cucina e Robin girò le bistecche che cuocevano sulla griglia.

«Complimenti.», dissi dando un'occhiata intorno a me, «Davvero un posticino incantevole.»

«Il giardinaggio è una delle passioni della mamma.», disse Harry mettendo le mani nelle tasche dei pantaloni. Già il fatto che la chiamasse “la mamma” faceva capire la differenza tra la sua e la mia.

«Guarda caso anche della mia. Peccato che per molti altri versi non si assomiglino.», mi strinsi nelle spalle.

«Sono contento che ti piaccia.»

Ci sedemmo a tavola e mangiammo tra una risata e l'altra. Anne parlò di quando Harry era piccolo, poi di X Factor. Mi chiese poi di parlare un po' di me.

«Dimmi un po', come vi siete conosciuti?»

Senza pensarci dissi: «Davanti ai cassonetti della spazzatura.»

Sebbene far ridere non era mia intenzione scoppiarono in una fragorosa risata.

«Sul serio.», mi fece eco Harry.

«Diciamo che io lo conoscevo da quando andavamo a scuola insieme, ma che lui non mi degnava di uno sguardo. Compravo davvero di tutto in quella panetteria pur di vederlo.», raccontai.

«Come hai fatto a non notarla prima, dico io?», gli chiese Robin.

«Me lo chiedo anch'io.», mi guardò con un tenero sorriso.

«Tesoro, hai ancora fame?»

«Sono a posto così, grazie.»

Arrivò la mezzanotte e quando sentii le campane della chiesetta di Holmes Chapel dissi: «Si è fatto tardi, non vorrei disturbare ulteriormente, Anne.»

«Tranquilla. E' stato un vero piacere.». Ci alzammo da tavola. «Quando vuoi, sai che qui sei sempre la benvenuta.»

«Sono stata benissimo, davvero. Sono contenta di avervi conosciuto.»

«Anche noi, Becky.», ricambiò Robin.

Harry mi strinse a sé: «Vado a riaccompagnarla a casa. Sarò di ritorno tra poco.»

Ci salutammo e Harry mi riportò a casa mia. Quando fummo davanti al cancello scendemmo dall'auto e lui mi abbracciò.

«Grazie di tutto.», mormorai.

«Grazie a te, amore.». Mi baciò lentamente, poi mi guardò negli occhi: «Sei tutto ciò che ho.»

 

Quella notte non dormii, pensando a quanto mi sarebbe piaciuto che i miei genitori ricambiassero quel gesto e che accettassero che ormai quel ragazzo era parte della mia vita.



Spazio autore: spero vi sia piaciuto il nuovo capitolo! so che non c'è stata neanche una recensione, ma 80 visite quindi sono contenta :) grazie a chi legge questa ff! xx

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Capitolo 7
*** Capitolo Sesto ***


CAPITOLO SESTO

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Era una calda domenica pomeriggio. In cucina stavo preparando una crostata alle mele mentre davo distrattamente un'occhio alla televisione. Mentre univo le uova alla farina squillò il cordless. Mi diedi una rapida pulita alle mani sul grembiule ed andai a rispondere.
«Pronto?», misi il telefono tra l'orecchio e la spalla e tornai ai miei lavori.
«Becky, sei tu?»
«Jake?»
«Ciao. Volevo sapere come stavi.»
«Non c'è male e tu?»
«Potrebbe andar meglio.», tagliò corto, «Senti, volevo chiederti se ti andava di andare a bere qualcosa oggi, prima di cena.». Mi chiesi come diavolo mi era saltato in mente di dirgli, quel giorno, che avremmo potuto tenere vivi i contatti.
«Va bene.», risposi senza pensarci troppo.
«Al bar dell'angolo va bene?»
«Direi di si.»
«Grande. Allora a dopo, Becky.», fece per riattaccare.
«Jake.»
«Sì?»
«Sai quali sono le condizioni.»

Quando rividi Jake ebbi l'impulso di scappare ma feci uno sforzo, tanto per il quieto vivere.
«Hei.», lo abbracciai, cercando di non essere eccessivamente distaccata.
«Mi fa piacere vederti.»
Mi strinsi nelle spalle e non risposi. Ci sedemmo ad uno dei piccoli tavolini e ordinammo.
«Allora come va con...», disse guardandosi intorno.
«Harry.»
«Già.», corrucciò le labbra.
«Direi bene, molto bene.», risposi prendendo un sorso di aranciata.
«Raccontami.»
«Jake, non mi pare il caso.», abbassai lo sguardo scuotendo il capo.
«Perché no? Sono solo curioso.». Sembrava più che sereno.
Mi alzai dalla sedia: «Ho detto che non ne ho voglia. E poi, primo: non mi sembra affatto giusto nei tuoi confronti, secondo: se permetti sono affari miei.»
A quel punto si alzò in piedi anche lui: «Forse per che non lo ami veramente.», incalzò.
«Jake adesso basta. Io lo amo. E comunque non ti devo rendere conto proprio di nulla.»
In un rapido istante mi prese e mi baciò. Mi dimenai ma non mi lasciava, ma proprio quando riuscii a divincolarmi vidi Harry sul ciglio della strada che ci guardava.
Mi rivolsi a Jake stringendo i denti: «Ecco, guarda cos'hai fatto. Complimenti. Spero che tu sia felice adesso.»
Harry aveva cominciato a camminare velocemente verso la grande siepe non molto lontana da lì. Lo rincorsi: «Harry, aspetta!». Quando lo raggiunsi con il fiatone si arrestò: «Cosa vuoi?»
Mi portai la mano alla fronte: «io ti posso spiegare.»
«Tranquilla, mi è tutto chiaro.»
«Mi lasci parlare o no?!»
«Non ho bisogno delle tue spiegazioni.», riprese a camminare.
«E invece sì, dannazione!», gridai.
Si voltò di nuovo: «Sentiamo. Anche se un bacio mi è bastato a chiarirmi le idee.»
«Dico, ma ci hai visti? Ti sembrava un bacio serio quello?!»
«Non me ne frega di che tipo di bacio era. Lo era e basta.»
Lo guardai bieca: «Sai cosa ti dico? Non ho proprio parole. Hai diciannove anni per cosa? Per non saper valutare una cosa del genere? Mi credi davvero capace di questo?! Eh?!»
«No, infatti, non lo credevo. Fino a pochi minuti fa.»
«Va' al diavolo, Harry.». Entrambi ci voltammo le spalle e ce ne andammo.
Appena fui in camera mia diedi un calcio alla scrivania: «Maledetto Jake, Harry ogni uomo sulla faccia della terra!»
Mi gettai sul letto, guardando il soffitto, con il broncio. Perché non mi credeva? Perché non si fidava di me? Non mi sembrava di essere una persona infedele né ipocrita. E neppure una disperata che si fa un ragazzo diverso al giorno, dico io. Harry mi aveva profondamente delusa. Non lo credevo capace di credere a una simile scempiaggine. Insomma, avevo rotto la mia storia con Jake per scegliere lui, che senso avrebbe potuto mai avere una cosa del genere? Non sapevo cosa frullasse nella testa della razza maschile, ma ero certa che la segatura ci fosse in abbondanza.

Due giorni dopo non ci eravamo ancora rivolti la parola. Ero ancora arrabbiata, sì. Gli avevo comunque chiesto se potevamo vederci per chiarire le cose, dato che litigare per un'episodio così mi era sembrato davvero stupido e infantile. Mentre mi dirigevo verso il luogo dell'appuntamento passai davanti all'edicola,quando mi cadde l'occhio sulla copertina di un settimanale di gossip. Lo presi in mano e automaticamente diedi i soldi al giornalaio. Una foto di Harry che baciava una ragazza bionda dall'aria più che familiare posava in prima pagina. Rachel Smith, era lei, ne ero certa. Velocizzai il passo e senza accorgermene le lacrime avevano iniziato a scendere sulle mie guance. Quando lo vidi gli corsi in contro e una volta vicina a lui, gli scaraventai contro il giornale: «Brutto s*****o, è così che ti consoli
Il suo sguardo era colmo di vergogna: «L'ho fatto per ripicca. Ero arrabbiato e speravo mi vedessi per farti provare quello che avevo provato io pochi attimi prima.»
Non riuscivo nemmeno a parlare. Boccheggiavo, dalla mia bocca non usciva alcun suono.
«Mi fai schifo.», riuscii a dire con un fil di voce.
«Becky.», mi prese per un braccio mentre mi voltavo.
Urlando cose senza senso e piangendo come una bambina mi gettai tra le sue braccia: «Hai rovinato tutto, tutto! Ti odio. Quel giorno potevi anche fare a meno di rivolgermi la parola, adesso non sarei qui a disperarmi in questo modo. Sono solo una stupida ingenua, dovevo aspettarmi che tutto questo era solo una maledetta illusione.». Non riuscivo a fermare i singhiozzi, nonostante lo sforzo.
Poi lo guardai negli occhi e mi girai, scappando da quel ragazzo, da quella illusione, che per qualche settimana mi aveva fatto sentire la persona più felice del pianeta.

Spazio autore: scusate davvero per il ritardo, ma non ho avuto la possibilità di pubblicare prima il nuovo capitolo. Ad ogni modo, grazie di nuovo per chi legge e recensisce! xx

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Capitolo 8
*** Capitolo Settimo ***


CAPITOLO SETTIMO

 

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Quando l'indomani mi svegliai credetti che fosse stato tutto un sogno, ma presto realizzai che quella non era nient'altro che la dura verità. Stetti a guardare la finestra da dove avevo sentito quei ticchettii soltanto qualche settimana prima, poi diedi un'occhiata ai trucchi e al vestito che avevo usato per farmi bella solo per lui. Con la mano tremante presi la cornice che tenevo sul comodino di una nostra foto, così sorridenti come non mai. Me la strinsi al petto e piansi.

Quando il cuscino era ormai intriso di lacrime, mi alzai ad aprii il cassetto, nel quale riposi la cornice, nella speranza che un giorno avrei avuto il coraggio di riporla nel posto dov'era sempre stata. Perché infondo, nonostante tutto, speravo ancora che un giorno tutto sarebbe tornato come prima, ma avevo paura che il mio ottimismo mi illudesse ancora una volta.

Restai tutto il giorno in camera mia. Finsi di avere la febbre per evitare le ramanzine di mia madre. Avevo spento il telefono e chiuso la porta a chiave; non volevo sentire nessuno, tantomeno Harry. Solo l'idea di risentire la sua voce mi faceva soffrire, ma allo stesso tempo mi mancava terribilmente. Anzi, non mi mancava lui, mi mancava il sorriso che avevo quando stavo assieme a lui.

 

Alle sei di sera guardai fuori dalla finestra. C'era un tramonto magnifico, proprio come quello del nostro primo appuntamento. Uscii dalla porta della stanza e scesi le scale. A casa non c'era nessuno, meglio così. Andai nello sgabuzzino e presi il vecchio cavalletto di mio nonno. Su di esso c'era uno spesso strato di polvere; lo ripulii con uno straccio, lo portai in camera e lo posizionai davanti alla finestra. Nell'armadietto estrassi una delle tele che da anni aspettavano di essere usate. Poi cercai nel grande baule pennelli, tavolozza, acquaragia e colori ad olio. Mi sedetti sullo sgabello davanti alla tela e tracciai uno schizzo con la matita. Quando ebbi finito, intinsi il pennello nell'acquaragia e poi nel colore e dipinsi. Vedere i colori mischiarsi e sentire il rumore delle setole del pennello scorrere sulla tela ruvida mi faceva sentire bene.

Calò la sera e iniziarono ad affaticarmisi gli occhi, ma non m'importava. Se avevano resistito a tutti quei pianti, avrebbero resistito anche alla fatica. Continuai a dipingere fino a notte fonda.

Alle due e mezza, quando ebbi terminato, mi pulii le mani, mi alzai dalla sedia e lo osservai da lontano. Raffigurava un tetro bosco dagli alberi ossuti e spogli. Dietro ad uno di essi c'era una donna bellissima, teneva in mano una lanterna. Raffigurava la speranza. Ma era lontana, lontana. E per raggiungerla bisognava varcare i rovi che intralciavano la strada.

Sfinita e stremata, mi gettai sul letto e caddi in un sonno profondo.

Quella notte feci un sogno. Dipingevo proprio come poche ore prima. Ad un certo punto sentivo quelle mani inconfondibili cingermi i fianchi e un respiro freddo farmi venire la pelle d'oca. Poi con la sua mano prendeva la mia, che impugnava il pennello, e manovrava il mio polso. Dipingevamo insieme. Sulla tela comparivano delle grandi lettere. Forgive. Perdona. Quando lessi quella parola mi svegliai sobbalzando sul letto, ansimante e grondante di sudore.

Harry mi diceva di perdonarlo, ma io mai e poi mai avrei ceduto.

 

Dopo circa una settimana, mentre stavo facendo il letto, bussò mio padre: «Posso?»

«Vieni pure.», mi voltai.

Si schiarì la voce: «C'è la tua amica che ti vorrebbe vedere.»

«Daisy?»

«Sì. Vuole sapere come stai.»

«Dille che arrivo tra un attimo.»

Assentì e riaccostò la porta. Probabilmente qualcuno le aveva raccontato dell'accaduto. In una cittadina modesta come Holmes Chapel tutti sapevano vita morte e miracoli di tutti. Ogni pettegolezzo ci metteva un nano-secondo per fare il giro della città.

Scesi in soggiorno. «Ti aspetta davanti a casa.», mi informò mio padre.

Uscii di casa e mi diressi verso il cancello. Mi trovai davanti l'ultima ma allo stesso tempo la prima persona che avrei voluto incontrare. Harry. Appena lo vidi sentii una fitta al cuore e mi voltai.

«Lasciami parlare.», mormorò.

Avrei voluto scappare e barricarmi di nuovo in casa, ma per chissà quale motivo stetti ad ascoltarlo.

Aveva gli occhi lucidi e arrossati: «Oggi sono andato a casa di Rachel per dirle che quella sera ho fatto il più grande sbaglio della mia vita e che nel mio cuore non ci sei altro che tu.», fece una pausa stringendo le labbra per non piangere, «Ma prima che finissi di parlare mi ha detto che...». A quel punto gli scappò un singhiozzo: «Oh mio Dio...», si portò le mani al volto, «Mi ha detto che è incinta. Io non... io non ricordo. Avevo bevuto per sfogarmi da ciò che avevo appena visto e non posso smentire. Di quella sera ricordo poco, quasi niente.». Si lasciò a qualche singhiozzo sofferente. Ero una statua di sale.

«Ora non mi resta altra scelta. Lei sa che nei suoi confronti non provo nulla, ma quel bambino è mio. Ed è figlio di un mio errore, perciò non posso permettere che paghi per una cosa che ho fatto io, capisci?». Sospirò come per riprendere fiato per l'ultimo sforzo. «Becky io non so davvero come spiegarti, come chiederti scusa. Non pretendo che mi perdoni, ne che mi dedichi altro tuo tempo, perché ho fatto una cosa vergognosa. Vorrei solo che capissi che sei tutta la mia vita. Solo questo.»

“E così te la sei pure portata a letto. E l'hai anche messa incinta, oltretutto. Mi chiedo cosa io avessi in testa per credere che fossi quello che pensavo. Sparisci dalla mia vita come sei comparso. Non riesco neanche a guardarti in faccia da quanto mi disgusti. E hai anche il coraggio di piangere, che quella a piangere dovrei essere io, ma non lo faccio perché di lacrime non ne ho più per colpa tua.”, avrei voluto dirgli. Ma non lo feci, perché non riuscivo a muovere un muscolo.

Fece un passo in avanti e avvicinò la mano al mio viso per accarezzarmi, ma la evitai: «Non osare sfiorarmi.», dissi con un fil di voce. Chiusi gli occhi: «Vattene.»

Mentre entravo in casa non pensavo a niente. Ero così scioccata, così amareggiata da tutto quello schifo che la mia non era neanche più sofferenza. Quando entrai in casa mio padre mi guardò come se avesse visto un fantasma: «Tesoro, stai bene? Sei pallida e hai le labbra livide.»

In quel momento non vidi più nulla, ma solo un profondo nero pece.



Spazio autore: ciao! scusate il ritardo. grazie per chi ha letto xx

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Capitolo 9
*** Capitolo Ottavo ***


CAPITOLO OTTAVO

 

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Mi ritrovai sul divano di casa, i miei genitori accanto a me connfabulavano qualcosa.

«Cos'è successo?», gemetti.

«Amore mio!», mia madre mi accarezzò la fronte, premurosa.

«Sei svenuta, piccola.», fece mio padre.

Già. E ricordavo anche il perché. A quel ricordo mi si strinse un nodo in gola.

«Vado a prepararti una camomilla.», mia madre si alzò per dirigeri verso la cucina.

«Non ce n'è bisogno, mormorai.

«Ti rimetterà in sesto.»

Mio padre la seguì: «Arrivo subito.»

Dalla stanza sentii mia madre dire a bassa voce: «L'avevo detto io che questo nuovo ragazzo l'avrebbe fatta soffrire.»

«Susan, ora basta. Può capitare. E' giovane, come lo siamo stati anche noi. Sono queste le esperienze che la faranno maturare.»

«Se fosse rimasta con Jake ora no si troverebbe a soffrire in quel modo.»

«Ancora avanti con questa storia?», la rimproverò di nuovo lui.

Non stetti più ad ascoltare e quando mia madre mi portò la camomilla, la bevvi a piccoli sorsi.»

«Grazie. Sto già meglio.», mentii. Riposi la tazza sul tavolino e scesi dal divano. Salii le scale arrancando e quando fui in camera mia presi il salvadanaio dei miei risparmi dalla mensola. Lo aprii alla base. Duecentosettanta sterline. Mi sarebbero bastate. Presi poi una grande borsa e vi misi dentro qualche vestito e il beauty-case.

Tornai in soggiorno e comparvi davanti ai miei, che guardarono prima me poi la borsa.

«Dove stai andando?»

«Alcuni giorni via da qui mi serviranno a distrarmi un po'.»

«Come sarebbe a dire? Hai una casa e dei genitori, Becky», obbiettò mia madre.

«Possiamo almeno sapere la destinazione?»

«Non lo so ancora. Qualcosa troverò.», rimasi vaga.

«Se proprio devi, abbi cura di te.», mi raccomandò mio padre.

«...E fatti sentire, per favore.», gli fece eco mia madre.

«Tornerò prima di quanto pensiate, promesso. Me la caverò.»

Uscii di casa chiudendomi la porta alle spalle. Presi dalla borsa la cartina dell'Inghilterra, consultandola. Feci scorrere il dito sulla pianta e mi cadde l'occhio su una cittadina di mare, Blackpool. Diedi un occhio alle linee delle corriere; ne sarebbe partita una da Holmes Chapel di lì a quindici minuti. Mi diressi verso la stazione a passo sostenuto. Per tutto il tempo mi sforzai di non pensare a lui, perché prima o poi ci avrei dovuto fare l'abitudine. Già, Harry non era più mio.

 

Appena montai in corriera presi posto accanto ad una signora sulla sessantina. Era un po' in carne e sul suo viso si vedevano ormai i segni del tempo. Nonostante ciò, la sua bellezza era ancora visibile attraverso il volto stanco e trascurato. Quando partimmo sentii come se la sofferenza fosse man mano più lontana. Ogni metro sentivo il mio cuore e la mia mente sempre più vuoti. Potevo scorgere tutti i problemi alle mie spalle. Gettai il capo all'indietro e chiusi gli occhi, sospirando. Ad un certo punto sentii una voce ridestarmi: «Ti va di parlare un po', cara?»

«Come scusi?», mi scossi.

«Quella lacrima è prova di qualche cattivo sentimento. Rancore, delusione, malinconia forse?», era la signora accanto a me. Quale lacrima?

«Oh ma io non sto...», non appena mi sfiorai la guancia con il dorso della mano mi accorsi che effettivamente una lacrima c'era. Com'era possibile?

La donna mi sorrise: «Anche a me è capitato. Soffrire tanto da non rendersene nemmeno conto. Problemi di cuore, non è così?»

Annuii.

«Mary Claire.», mi porse la mano.

«Becky.», ricambiai il gesto.

«Allora, me lo vuoi dire cosa ti affligge?».

All'inizio fui un po' diffidente: «Oh io non credo che...»

«...Io possa capire?», mi sorrise di nuovo, «Capirò, fidati.»

Appoggiai di nuovo il capo allo schienale del sedile: «Il mio ragazzo mi ha tradita.», dissi con estrema difficoltà.

Lasciò che continuassi.

Strinsi i pugni: «Ora lei è incinta

«Era da tanto che eravate fidanzati?»

«No, non molto. Ma lo amo... lo amavo con tutta l'anima.»

Non si dilungò con le domande: «Hai davanti una donna che dopo trentacinque anni di matrimonio ha scoperto che suo marito aveva un'amante da quindici.»

Mi sentii un po' un'idiota a star male per una cosa che in confronto a quella di Mary Claire non era nulla. «Dev'essere stato un duro colpo.», mormorai.

«E' così.», sospirò.

«Lei è di Blackpool?»

«Oh no, vivo a Holmes. E tu?»

«Anch'io. Vado a Blackpool per fuggire da questa situazione, almeno per il tempo necessario a... alleviare il dolore.». Non amavo confidarmi, ma ero sempre stata una che si teneva per se le sue cose. Ma chissà perché con Mary Claire mi veniva facile parlarne.

«Quando ho scoperto la verità sul mio matrimonio sono venuta a vivere qui.»

«Quindi lei non...»

«Vengo da Boston.»

«Però, che gran coraggio.»

«Bisogna saper rischiare, mia cara. Non avevo nulla da perdere, dopotutto, perciò ho tentato. E sono rinata. Perciò condivido la tua scelta.»

Ci fu un po' di silenzio. Ripensai a tutti i momenti passati con Harry, a quanto mi mancasse, effettivamente. Mi portai le mani al viso per trattenere il pianto. Volevo solo tornare in dietro nel tempo o riuscire a dimenticare. Ma entrambe le cose erano impossibili. Nonostante la breve chiacchierata di pochi istanti prima, ero crollata di nuovo. ...E chissà quante altre volte sarebbe successo. Sentii la mano di Mary Claire accarezzarmi la schiena: «Ssssh... tranquilla...»

«Scusi, ma proprio non ce la faccio.», dissi con voce strozzata.

Rimase in silenzio. Sapeva bene che le parole non bastavano.

 

Alla fine del viaggio ero un attimo più tranquilla. Il dolore non mi lasciava ancora, ma la ferita sembrava pian piano lenirsi. Avevamo parlato, io e Mary Claire. Ci eravamo dette cose che forse non avevamo mai detto a nessun altro. A volte è più facile confidarsi con un estraneo. Chissà perché. Forse perché un estraneo ci vede come siamo realmente, e non come vogliamo far credere di essere. (Carlos Ruiz Zafòn, L'ombra del Vento)

 

Quando scesi dalla corriera, e dopo aver salutato Mary Claire, andai in una tabaccheria e comprai un pacchetto di sigarette. Non ne avevo mai toccata una in tutta la mia vita. Aperto il pacchetto, mi accorsi di non avere un accendino. Un uomo se ne stava seduto su una panchina a fumare un grosso sigaro. Mi avvicinai con passo incerto: «Scusi, non è che ha da accendere?»

L'uomo estrasse dalla tasca interna del suo giubbetto in pelle un accendino e me lo porse. Presi una sigaretta dalla scatola e me la misi tra le labbra, per poi accenderla. Ringraziai il signore porgendogli ciò che mi aveva prestato e diedi una tirata, voltandomi. Il fumo mi entrò in gola e tossii goffamente. Sentii l'uomo sghignazzare alle mie spalle. Me ne andai. Dopo qualche tiro ci presi un po' la mano. Mentre espiravo il fumo fuori dalla bocca guardavo la sigaretta tra le mie dita. Non sembravo neppure più io. Che mi stava succedendo? Non ne avevo idea, sapevo solo che tutto ciò era un grande, immenso casino.

Fumare faceva schifo, ma riusciva a mandare via lo stress. Già, lo stress, non il dolore.


Spazio autore: ecco qui il nuovo capitolo :) grazie per le visite e le recensioni! se volete seguirmi su twitter sono https://twitter.com/harolddimple :)) xx

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Capitolo 10
*** Capitolo Nono ***


CAPITOLO NONO

 

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Dopo essere passata in un centro informazioni, mi diressi verso una locanda sul mare non lontana dal piccolo centro della cittadina. Cercando di ricordare le indicazioni che mi erano state date, imboccai la via principale per poi svoltare a destra. Dopo non più di cinque minuti giunsi a destinazione. Lessi l'insegna di ferro battuto: Maribelle's. La locanda era composta da assi di legno verniciato di bianco che faceva un magnifico contrasto con le imposte blu notte. Entrai dalla porta che quando si aprì emise un tintinnio. Guardandomi intorno vidi un donna piuttosto giovane che se ne stava dietro al bancone a controllare delle carte.

«Buonasera.», dissi avvicinandomi.

«Buonasera.», ricambiò lei guardandomi da sopra gli occhiali. «Posso aiutarti?»

«Cercavo di una camera singola.»

«La vuoi che dà sul mare?», chiese.

«Se fosse possibile.»

La donna consultò il monitor del computer: «Vediamo un po'... Sì, è l'ultima.». Si alzò dalla sedia e prese dal tabellone le chiavi e mi invitò a seguirla su per una scaletta piuttosto ripida.

Percorremmo un breve corridoio, quando lei si fermò davanti ad una porta e l'aprì con un giro di chiave. Mi fece entrare tenendola aperta: «La cena è alle otto e la colazione dalle sette alle dieci. Per qualsiasi cosa io sono giù.»

«La ringrazio.»

La donna mi porse le chiavi e mi lasciò sola a guardare dal terrazzo il mare increspato. Un leggero vento mi scompigliava i capelli. Sebbene cercassi di impedirmelo, Harry non faceva altro che popolare la mia mente. Mi mancava il ragazzo che per nemmeno un mese mi aveva fatto sentire importante e odiavo quel bastardo che se l'era portato via, prendendo il suo posto.

Mi ero imposta di non versare una sola altra lacrima per una persona che mi aveva fatta soffrire in quel modo, che si era presa il mio cuore e l'aveva calpestato.

 

Il giorno seguente fui svegliata dal rumore della stuoia che batteva sul parapetto. Il mare era burrascoso e il cielo plumbeo sembrava minacciare l'ultimo raggio di sole che filtrava dalle fitte nubi. Dopo essermi rigirata nel letto per qualche minuto mi alzai e andai a lavarmi. Quando guardai l'ora capii che avrei dovuto rinunciare alla colazione. Le dieci e mezza.

Uscita dal bagno, indossai un paio di pantaloncini, una canotta e le scarpe da trekking e mi legai i capelli in un alta coda di cavallo.

Raggiunsi la spiaggia passando per la porta sul retro. Non c'era quasi nessuno, qualche padrone con il proprio cane e qualcuno che faceva jogging. Mi misi a correre piano nel bagnasciuga, sforzandomi di liberare tutti quei pensieri e lasciando che l'aria di mare mi penetrasse nei polmoni e nella mente per ripulirla da tutta l'amarezza che l'appesantiva. Ma più mi imponevo di voltare pagina rivedevo il sorriso di Harry, i suoi occhi in quelli dei pochi passanti. Ricordavo ogni singolo attimo, ogni tocco della sua pelle, ogni sussurro, ogni lacrima della nostra storia appena nata. Cominciai a correre più forte e più veloce andavo più venivo invasa dal dolore. Mi mancava il respiro e avevo un'immensa voglia di piangere. Quando iniziai a salire la scogliera vidi l'immagine di lui, accanto a lei, che stringeva nelle braccia il bambino con gli stessi suoi occhi e gli stessi suoi riccioli. Arrivata, in cima, gridai con tutto il fiato che avevo mentre le lacrime prendevano il sopravvento. Mi lasciai cadere nel vuoto e mi sentii leggera, libera da ogni turbamento.

 

 

«C'è battito. Questa ragazza è stata davvero miracolata.»

«Dalle qualche schiaffo. Si sveglierà.»

«Cosa..?»

«Andiamo Chase...»

Scossa da due grandi mani tossii e sputai l'acqua che mi era finita nel polmoni. Poi aprii gli occhi, trovandomi due volti che mi fissavano sopra di me. Uno dei due era di un uomo sulla cinquantina, l'altro di un ragazzo piuttosto giovane ed attraente.

«Buongiorno.», fece il più vecchio, «Ci vuoi dire come ti chiami?»

«Becky.», gemetti mettendomi una mano davanti agli occhi per coprirmi dalla luce.

«Becky cosa?»

«Chiamate i miei, vero?». Mi guardai intorno. Mi trovavo ancora sulla spiaggia.

L'uomo fece una bassa risata: «Se sei maggiorenne possiamo anche non farlo.»

«Greene. Becky Greene.»

Il ragazzo cominciò a compilare un modulo facendomi alcune domande: «Data di nascita?». Dopo il breve interrogatorio mi chiese se avessi un documento.

«E' nella mia stanza.», feci per alzarmi.

«Aspetta.», il ragazzo mi invitò a starmene distesa.

Opposi resistenza: «Sto bene.»

Non insistette ulteriormente. Mi ripulii dalla sabbia, appiccicata ai vestiti fradici. «Vado un secondo su a prendere la carta d'identità.»

«Chase, accompagnala.»

Trattenni uno sbuffo: «Ce la faccio da sola, grazie.»

L'uomo fece segno al giovane di non ascoltarmi, così mi arresi dirigendomi verso la porta della locanda. Presi le chiavi dal tabellone della reception e salii la scala mentre “Chase” mi seguiva.

Giunti nel corridoio gli chiesi per rompere il silenzio: «Perché mi avete salvata?»

Dedussi che fosse confuso dato che ci mise un po' per rispondere: «Spero tu stia scherzando.»

«Se sapessi di tutti i problemi che hai non la penseresti diversamente.», dissi girando la chiave nella serratura.

Lui rimase sulla soglia interdetto con le mani in tasca. Mi voltai per guardarlo. Era bello. Occhi azzurri, capelli color miele, lineamenti perfetti. «Entra pure.». In realtà non mi entusiasmava far entrare in camera mia uno sconosciuto, ma non sembrava avere brutte intenzioni.

Con passo timido entrò: «Carino qui.»

«Già. Credo andrò via domani.»

«Domani.»

Non feci caso al suo commento implicito e presi il documento dalla borsa. «Posso cambiarmi o dovete controllarmi?»

Sorrise: «Fa' pure.»

«Ti ringrazio.», risposi sarcastica.

Presi dei vestiti asciutti ed andai in bagno a cambiarmi. Quando uscii mi accorsi vidi che mi fissava. Abbassai lo sguardo imbarazzata e mi diressi verso la porta. Lui si mise con le spalle ad essa e deglutì.

Spalancai gli occhi incredula.

«Sei carina.», disse senza fiato.

Confusa mi portai la mano alla fronte: «Cielo.»

Si avvicinò a me sfiorandomi il braccio con la mano. Rimasi inerme.

«Non pensare che io sia uno...»

«Lo penso già.», sbottai.

Ritirò la mano sospirando. Con un rapido movimento mi baciò. In quel momento la mia mente si proiettò verso Harry. Fui invasa da un senso di disorientamento. Dopo qualche istante, provai a stare a quello stupido gioco e ricambiai il gesto. Mossi lentamente le labbra, poi più decisa. Toccare la sua lingua, sentire il suo respiro non mi suscitò assolutamente nulla. Trovai quella cosa infinitamente insensata, priva di alcun fine ed enormemente immatura. Sciolsi il bacio e allontanai Chase da me con riluttanza. La mia mano lo colpì in un forte schiaffo. Ansimando gli aprii in fretta la porta, da dove lui uscì massaggiandosi la guancia dolorante. La richiusi in fretta a chiave e mi accasciai a terra, mordendomi le labbra. Ogni folle tentativo di scacciarlo dalla mia mente era fallito. Ero incapace di cancellare quel ricordo, incapace.

Poco dopo presi dalla borsa il pacchetto di sigarette, lo guardai schifata e lo gettai nel cestino con un gesto secco.

Andai poi in bagno, presi la forbice dal kit e tagliai la prima ciocca di capelli, che cadde nel lavandino. Così, ciocca a ciocca, la chioma rossa che da sempre faceva parte di me, era sparita. Ora i capelli mi arrivavano alle spalle. Mi guardai allo specchio, appoggiata con le mani sul lavandino respirando profondamente.

Presi una decisione. Sarei andata da Rachel Smith. Avevo giusto un paio di cose da dirle. Solo da lì in poi avrei ricominciato a vivere.

 

Spazio autore: ecco qui! vi ho tenute un po' col fiato sospeso eh? :) tranquille, nel prossimo capitolo ci sarà qualcosa di molto interessante. xx

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Capitolo 11
*** Capitolo Decimo ***


CAPITOLO DECIMO

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Me ne andai il pomeriggio stesso, dopo essere riuscita a liberarmi del medico che, scrupoloso, mi aveva prescritto un paio di farmaci che di sicuro non avrei preso. Avevo ben altro a cui pensare, mi dissi. Preparai in fretta le poche cose che mi ero portata via ed andai a saldare il conto alla reception prima di dirigermi verso la stazione delle corriere. Mentre tornavo a Holmes Chapel, la testa appoggiata al finestrino, pensavo a cosa avrei fatto della mia vita una volta che mi sarei tolta la la soddisfazione di far capire a quella ragazza di cosa mi aveva privato. Avrei continuato gli studi e, per quanto riguardava gli affari di cuore, ci avrei pensato ben più tardi, quando di quella ferita ancora aperta sarebbe rimasta soltanto una cicatrice.

A Blackpool avevo trovato la forza di andare avanti. Non rimpiangevo affatto il tempo che avevo passato con lui, perché di ogni parola, ogni carezza e ogni farfalla nello stomaco non avrei scordato un solo attimo. Ero stata felice, non per molto, ma lo ero stata.

Giunta a destinazione, quando passai davanti alla casa di Harry per dirigermi da Rachel Smith ebbi un'immensa voglia di crollare di nuovo, ma mi feci forza e stringendo i pugni camminai decisa a casa di Rachel. Viveva da sola. Quando arrivai davanti al vialetto ebbi l'istinto di andarmene, ma mi dissi che era ora di finirla di scappare dai problemi. Dopo aver indugiato qualche istante davanti alla porta, suonai il campanello. Poco dopo me la trovai davanti. Non era affatto cambiata: capello biondo, occhio scuro, labbra carnose e lineamenti da principessa. La bellezza fatta a persona.

Quando mi vide scorsi il suo sguardo spegnersi, turbata da un grande disagio. Visto che non osava aprire bocca, parlai io per prima: «Credo tu sappia chi sono, non è così?», iniziai.

Annuì con un gemito e un cenno del capo.

«Sono venuta per chiederti come ci si sente. Cosa si prova a fare l'amore con una persona il cui cuore appartiene a qualcuno che non sei tu? Cosa si prova ad essere complice di un tradimento, della fine di una storia d'amore? Ma soprattutto, cosa si prova a portare in grembo un figlio non desiderato?», guardai con disprezzo il suo ventre. «Sapessi quanto sei dannatamente fortunata ad aver trovato Harry, perché qualcun altro mai e poi mai ti avrebbe promesso di prendersi cura di quell'innocente creatura, ma sarebbe semplicemente scappato da questo problema.», dissi a denti stretti.

Vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime, che scesero sulle sue guance senza che battesse le palpebre.

«No. Non farlo. Non azzardarti a piangere.», sibilai, «Sapessi cos'ho patito io, lo sapessi.». La guardai dalla testa ai piedi con disprezzo: «Tu hai soltanto approfittato della sua vulnerabilità per soddisfare questo tuo stupido capriccio.». Esitai qualche istante per poi mormorarle: «Addio.». Girai i tacchi amareggiata da quel mio monologo.

«Aspetta.», disse lei. Facile aprire la bocca quando ormai è troppo tardi.

Non l'ascoltai ed andai avanti per la mia strada. Non avevo nessuna voglia di sentire le sue ipocrite scuse, tantomeno volevo essere compatita.

«Io non sono incinta!», gridò.

Mi arrestai dicolpo e mi voltai lentamente. Scossi il capo: «Che cosa?», sussurrai.

Uscì dalla soglia per venirmi incontro, piangendo. La guardavo accigliata, ignara di cosa stesse accadendo.

«Quella sera», cominciò, trattenendo a stento i singhiozzi, «Harry venne alla festa d'inaugurazione del locale. Era nero di rabbia, ma nei suoi occhi era visibile il dolore. Così mi avvicinai a lui e iniziammo a parlare, davanti a un bicchiere di vodka. Parlare di cos'era accaduto. Di te. In quel momento venni presa dalla nostalgia, dall'invidia nei tuoi confronti. Perché io Harry non l'avevo ancora dimenticato, anche a distanza di tanto tempo. Così lo baciai. All'inizio si scansò. “Oh no”, mormorò; sapevo che nella sua mente vedeva te. Ma poi stette al mio gioco, con la mente offuscata da qualche bicchiere di troppo. Non mi pareva vero baciare di nuovo quelle labbra, così me ne fregai di cosa pensava lui.». Chiuse gli occhi, scuotendo il capo.

«A fine serata era così ubriaco da barcollare e anche io ero brilla. Lo presi per mano e lo portai in una stanza del locale. Gli tolsi la maglia e lui mi addossò al muro, ansimando. Ci baciammo a lungo, quando sentii uscire dalle sue labbra il tuo nome. Non smetteva di ripeterlo. “Harry basta”, cercai di convincerlo. Annuì distratto. Mentre accarezzava i miei fianchi che premevano contro i suoi mi sussurrò all'orecchio: “Voglio lei. Io voglio lei.”. “Lei non c'è.”, dissi secca. Non andammo oltre, dato che all'ultimo “Dov'è?” me ne andai scocciata. Non lo rividi più quella sera.». Non potevo credere a quelle parole, non realizzavo ancora, non ero ancora cosciente di tutto quel casino. Quando stetti per parlare mi precedette con voce tremante: «Pochi giorni dopo venne a casa mia. Era distrutto. Mi disse che quel poco che ricordava di quella notte per lui non aveva significato assolutamente nulla. E che era... follemente innamorato di te, e di nessun'altra. Risposi la prima cosa che mi venne in mente per far in modo che rimanesse con me, che ero incinta e che il bambino era stato concepito mentre lui era in stato di incoscienza. Ma io non ho sfiorato altro che le sue labbra, lo giuro. Credevo morisse dallo sconforto, e mi sentii così infame, così una persona orribile... ma ero accecata dall'invidia.». Si portò le mani al viso mentre si accasciava al suolo, piangendo: «Dire che lui ti ama è niente. Lui ti vive, Becky. Nel suo cuore, nella sua mente, non ci sei altro che tu. Sei la sua vita, il suo mondo, il suo tutto. Non oserò chiederti scusa, perché sarebbe ridicolo. Ma mi permetto di dirti di andare da lui e riprendertelo. E' a casa di sua zia, solo, la strada la sai. Corri. Più veloce che puoi. Adesso.»



Spazio autore: non sono ancora convinta di continuare la pubblicazione di questa fanfiction, anche se è quella a cui tengo più di tutte le altre. Le visite sono poche, le recensioni ancora meno. perciò per favore, se volete che continui fatemelo sapere :) grazie per chi ha letto xx

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo Undicesimo ***


CAPITOLO UNDICESIMO

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Senza sapere cosa diavolo stessi facendo, mi misi a correre forte, fortissimo. Sentivo il cuore in gola, i muscoli contrarsi, il fiato mancare ad ogni passo e le lacrime calde bagnarmi il volto, ancora una volta.

Quando fui arrivata a destinazione battei le mani sulla porta con tutta la forza che avevo. Harry aprì e non fece a tempo a realizzare l'idea che mi avventai sul suo petto gridando: «Oh mio Dio, Harry...». Strinsi la sua maglia nei pugni e serrai gli occhi ansimando; lui mi sfiorò appena non riuscendo a dire una sola parola, accigliato. Gli accarezzai il viso con mani tremanti e dissi con un fil di voce: «Rachel non è incinta.». Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non ne uscì alcun suono. Gli sfiorai le labbra con le dita: «Sssh.». Gli avrei spiegato più tardi tutto. Lo guardai, quegli occhi verdi, così limpidi e lucidi di lacrime. «Becky... dimmi che non sto sognando, ti prego.», pianse prendendomi il viso tra le mani. Scossi la testa freneticamente.

«Baciami.», mormorai con un sospiro.

Quando le nostre labbra premettero le une contro le altre singhiozzai. Piansi come una bambina mentre la sua lingua con la mia mi facevano provare un brivido lungo schiena.

«Non piangere.», mi sussurrò. Sentii il suo fiato caldo nella mia bocca, quel profumo di lui, inconfondibile tra mille. Annuii stringendo le palpebre per fermare le lacrime.

Mise le mani sui miei fianchi, facendole salire sulla schiena. Il reggiseno si allentò e Harry mi sfilò la maglia. Pian piano ci avvicinammo al muro freddo che mi fece sobbalzare. Afferrai la vita dei suoi pantaloni e lui li fece scendere sulle sue gambe. Mi diede un lungo bacio sul collo. Deglutii.

Mi accasciai sul pavimento gelido. I nostri corpi ormai nudi erano caldi e stretti tra loro. Le mie gambe circondavano il suo busto e le mie dita scorrevano tra le sue braccia forti.

«Sono morto?», mi disse mentre passava le sue dita sul mio ventre.

«Se lo fossi tu lo sarei anche io.». Lo baciai.

«Siamo in paradiso, non è così?»

«Se il paradiso è questo, che qualcuno mi uccida al più presto.»

Il suo petto emise una vibrazione simile a una risata. I nostri corpi non smisero di muoversi sinuosi e in sintonia l'uno con l'altro.

«Non farlo mai più.», mugolai.

«Non lo farò.», mi guardò negli occhi con aria triste. Prese poi le punte dei miei capelli: «Perché l'hai fatto?». Lo zittii con un bacio e lo feci sdraiare a terra. Al contatto con il freddo Harry si contrasse.

«Sono tua. Fai di me quel che vuoi.», sussurrai al suo orecchio. La luce del tramonto – proprio come quella del nostro primo appuntamento – entrava dalla finestra, segnando il suo profilo perfetto, colorando i suoi riccioli di arancio e facendo luccicare la sua fronte perlata di sudore. Il piacere invase la mia mente e le mie membra. Ero bramosa di averlo, solo per me. Nessun altro uomo al mondo avrebbe potuto rendermi così aggressiva e amorevole allo stesso tempo.

Calò la sera e si fece buio. Giungeva soltanto il chiarore fioco del lampione sulla strada. Poggiai il capo sul suo petto, sentendo il suo grande cuore emettere battiti profondi e regolari. Dopo tanto tempo, sentii di nuovo un sorriso comparire sulle mie labbra. Mi poggiai sui gomiti per poterlo guardare ancora. Avrei potuto farlo per l'eternità. Mi accarezzò i capelli: «Bentornata vita mia.».

 

Quando la mattina seguente mi svegliai vidi i suoi occhi verdi osservarmi e sentii le sue dita accarezzarmi la guancia. Non potevo credere di averlo ritrovato, mi sembrava un sogno. E forse lo era, mi dissi, ma potevo essere felice finché sarebbe durato. Mi accoccolai vicino a lui, che mi strinse forte a sé.

Dopo aver emesso una sorta di muggito, aprii gli occhi, coprendoli con la mano per la luce: «Sei reale?»

Sorrise: «Immagino di sì.»

«Dobbiamo parlare.», dissi mettendogli a posto un ricciolo.

«Mi devi una spiegazione, ricordi?»

Sospirai e, dopo aver esitato per qualche istante, iniziai: «Ieri sono andata a casa di Rachel per... chiarire alcune cose. Volevo farle capire quanto male mi faceva tutto questo. Mentre me ne stavo andando mi ha fermata e mi ha raccontato di quella sera. Quando sei tornato da lei per dirle che non aveva significato nulla per te, ti ha fatto credere che avevate fatto l'amore, mentre eri ubriaco fradicio. E che lei era incinta. Era un modo per farti restare, ma evidentemente anche il quel caso non ti avrebbe più avuto.»

«Cosa le hai detto?»

«Nulla.»

«Come ha potuto. Come.»

Scossi il capo abbassando lo sguardo: «Non lo possiamo sapere noi, fino a che punto arrivavano la sua invidia e il suo desiderio di riaverti.»

«Più tardi andrò da lei.»

«No.»

«Becky, Rachel ci ha rovinati. Lo capisci questo? Ero fermamente deciso a mollare tutto, la carriera, ogni rapporto. Ho voluto andarmene da questo mondo, da questa vita.». Il suo sguardo si incupì.

«Lo dici a una che si è buttata in mare dalla disperazione, Harry. Io lo so cosa si prova ad essere privati della propria metà, del proprio tutto, lo so.»

«Va bene. Non ci andrò. Ma promettimi che quella ragazza uscirà dalla nostra vita come c'è entrata.», deglutì.

«Promesso.»

Mi baciò la fronte. «Cos'hai voglia di fare oggi?»

Mi misi sui gomiti: «Mmm... quello che vuoi tu.»

«Mare?»

Arricciai il naso, rievocando la spiacevole vicenda di pochi giorni prima.

Lui corrucciò le labbra: «Luna park.»

«Puoi fare di meglio, Harold.»

«Ti porto in un posto speciale. Ti porto dove ho dato il mio primo bacio. E' un campo a dieci minuti da qui.»

Rimasi un po' esitante dopo quella frase. Lo trovavo incredibilmente romantico, per quale motivo non lo sapevo. «Pic-nic?»

«Pic-nic.», assentì.

«Tua nonna è ben fornita per preparare qualcosa da mangiare?»

«Il frigo strabocca e la dispensa quasi non si chiude.», sorrise.

«Dici che si arrabbierebbe se io...»

«Fa' come se fossi a casa tua. In bagno ci sono degli asciugamani puliti, se vuoi»

«Grazie. Vado a preparare.», gli diedi un piccolo bacio sull'angolo della bocca e mi alzai per infilarmi una maglietta e i jeans. Mi legai frettolosamente i capelli e scesi ad ispezionare quello scrigno di cucina che la nonna di Harry conservava come un tesoro. Diedi un'occhiata e mi ricordai di una cosa che avevo letto molto tempo prima. Harry andava pazzo per la “foresta nera”, una torta a base di pan di Spagna al cioccolato, panna e ciliegie. L'avevo già preparata un paio di volte prima d'allora e la ricetta era piuttosto semplice. Iniziai a fare l'impasto per il pan di Spagna e lo infornai. Non mi sentivo proprio a mio agio a mettere le mani in una cucina che non conoscevo, ma cercai di adattarmi.

Mentre dal forno giungeva un profumino di cioccolato invitante, andai in bagno a lavarmi. Quando mi guardai allo specchio vidi nei miei occhi una luce che ultimamente si era spenta. Ero sempre più convinta di essere in un lungo, magnifico sogno. Mi lavai il viso e mi lavai i denti con uno spazzolino nuovo che Harry mi aveva lasciato sul lavandino. Presi dalla borsa la spazzola e mi pettinai i capelli, per poi mettere un po' di mascara per allungare le ciglia scure. Quando scesi di nuovo al piano inferiore, trovai Harry che curiosava sul piano da lavoro. Lo osservai. Una maglia bianca e attillata gli fasciava le braccia e il torace; mi venne un'immensa voglia di essere cullata tra le sue braccia. Ora che l'avevo ritrovato, anche solo stare lontana da lui per una notte mi creava un senso di vuoto.

Si accorse che lo stavo guardando: «Fammi indovinare. Foresta nera?»

«Ti piace proprio tanto, eh?». Risi dando un'occhiata al forno.

«Ehi ehi. E tu come sapevi...», mi guardò truce.

«www.teamworld.com», dissi sfornando il pan si Spagna.

Scrollò il capo confuso: «Non ci posso credere.». Trattenne una risata.

Mentre tagliavo il la torta per spalmare la panna con una spatola Harry mi cinse i fianchi poggiando il mento sulla mia spalla: «Sei la mia donna.»

«Tante altre sanno fare la Foresta Nera.»

«Ho un doppio senso che spacca. Ti prego, fammelo dire.»

Risi di gusto: «Non ci posso credere.»

«Me l'hai servita sul piatto d'argento.», si giustificò.

«Sei proprio un idiota.»

Mi diede un bacio sul collo: «Però ti piace l'idiota.»

Non riuscivo a smettere di ridere. «Idiota e orgoglioso.»

Intinse il dito nella panna per portarselo alla bocca: «Mmm.»

Gli diedi una piccola pacca sulla mano: «Sciò.»

 

Quando fu tutto pronto per andare, entrambi indossammo gli occhiali da sole e uscimmo di casa. Non appena varcammo il cancello un uomo sulla cinquantina spuntò da dietro l'auto di Harry e ci scattò una foto.

«Entra in macchina.», mi disse lui premendo il pulsantino del telecomando.

Mi affrettai ad entrare ed allacciai la cintura. Quando si fu seduto al posto guida, mi disse: «Dammi un bacio.»

«Che cosa?», chiesi confusa.

«Fallo e basta.»

«Sei impazzito?»

Non ebbi il tempo di obbiettare ulteriormente che mi prese il viso tra le mani e mi baciò. Gli rivolsi poi un sorriso, tutta scena. Mise in moto e ci allontanammo lasciando il paparazzo scattare altre foto alla macchina.

«Non ne abbiamo mai parlato.», considerai.

«Non c'è da parlare, so già quello che farò.»

«Cosa farai?»

«Potrei negare l'evidenza?», sorrise sotto i baffi.

«Beh no, ma dico, la Modest non...?»

«La Modest sopporterà.». Mi rivolse un rapido e tenero sguardo: «Io ti amo davvero, non ho alcun motivo di nasconderlo.». Poi il suo sguardo si incupì: «Ma è una cosa che dobbiamo decidere insieme. Sai quali saranno i rischi, le difficoltà, le angosce.»

«Sono disposta a sopportare.»

«Tu non sai.»

«E' vero, non so. Ma ci proverò. L'amore è anche questo, no?». Entrambi guardavamo davanti a noi.

«Ne sei sicura? E' come un tuffo, appena ti butti non puoi più tornare su.»

«Mi butterò.»

 

 

Spazio autore: Ciao a tutti! Ecco il nuovo capitolo. Grazie davvero per chi ha recensito e letto. A breve pubblicherò il prossimo.. Scusate il ritardo c:

 

PS: se mi seguite ricambio subito https://twitter.com/xharoldimple c:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Capitolo Dodicesimo ***


CAPITOLO DODICESIMO

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Arrivammo a destinazione dopo una ventina di minuti. Harry accostò nella stradina sterrata: «Non ci dovrebbero essere problemi se parcheggiamo qui.»

Smontammo e ci addentrammo tra l'erba alta con grandi passi. «Dov'è stato precisamente la tua prima avventura?», chiesi.

«Lì infondo.», indicò un albero a un centinaio di metri da noi.

«Quanti anni avevi?»

«Bacetto o... bacio vero?»

«Bacio vero.»

«Bacio vero... undici. E' stato un vero schifo.». Ridemmo entrambi.

«Perché?»

«Troppa lingua e troppa inesperienza.»

«Capisco.»

«Tu invece?»

Mi colse alla sprovvista. «Che cosa?»

«Quando hai dato il tuo primo bacio?»

Mi schiarii la voce: «Dieci.», mentii spudoratamente arrossendo. Il primo ragazzo che avevo baciato era stato Jake, perché prima di lui non ne avevo avuto l'occasione. O meglio, l'intenzione anche c'era, ma l'unico a cui avrei permesso di farlo era proprio Harry, hai tempi della cotta.

«Becky.». Cercò di nascondere il sorriso.

«S-si?». Dannazione, perché io non sapevo raccontare le bugie?

«Perché non me lo dici?»

Giungemmo sotto l'albero ed appoggiai la borsa a terra. Mi misi le mani sui fianchi: «E' proprio bello qui, non trovi?»

«Non cambiare discorso.», disse divertito.

«Che t'importa?!», protestai mettendo il broncio.

«Cosa fai, la timida con me?». Si avvicinò prendendomi le mani tra le sue.

«Ma quale timida. Ti ho detto che ho baciato un ragazzo quando avevo dieci anni. Con la lingua. Ed è stato pure bello.». Spostai lo sguardo e ritirai le mani.

«Come vuoi. Ti credo.». Stette al mio stupido gioco e si voltò per stendere la tovaglia sul prato.

Sbuffai pestando i piedi: «Uffa Harry!»

«Che c'è? Pensavo avessimo chiarito.»

Risi: «Idiota. Non vale, io non so mentire!»

«Ma come puoi solo insinuare una cosa del genere?». Mi prese in giro lui.

«Aaaaah...», borbottai.

«Facciamo un gioco adesso.»

«Mmm.», mi misi a braccia conserte in attesa della proposta.

«Giochiamo a nascondino. Chi trova l'altro, deve baciarlo, va bene?»

«Ci sto. Però conto io.»

«Come vuoi.»

Mi misi rivolta verso l'albero e iniziai a contare: «Uno... due...»

 

«Quarantotto... quarantanove... cinquanta!», gridai voltandomi. Mi guardai intorno e inizia a cercare facendomi spazio tra i fili d'erba: «Vediamo un po' dove ti sei cacciato...»

Guardai dietro l'albero, niente. Mi misi in punta di piedi, niente. Dietro la roccia, ancora niente. Un cespuglio si mosse. Sapevo che era lì, anche se ovviamente non l'avevo visto. Mi avvicinai cautamente: «So che sei lì...». In quel preciso istante Harry spuntò fuori dal cespuglio e: «Roar!», ringhiò. Cacciai un urlo e feci un salto alto mezzo metro. «Mi hai fatto prendere un colpo scemo!». Lui si accasciò a terra da ridere tenendosi la pancia. Io, terrorizzata a divertita allo stesso tempo, mi avvicinai a lui e mi inginocchiai: «Sei un emerito cretino.», dissi ridendo. Lui, ancora con le lacrime, disse: «Un patto è un patto.»

«Farò questo sacrificio.», fingendo di essere scocciata. Poggiandosi su un gomito mi prese il mento con le dita e mi baciò. Ma poi scoppiò di nuovo a ridere distendendosi di nuovo.

«Per quanto andrai avanti ancora?!». Non c'era verso, se sorrideva lui, sorridevo anch'io, era una mia debolezza, una cosa inevitabile.

«Dovevi vederti Becky...», si portò le mani al viso. «Ad ogni modo, ora tocca a me.». Si alzò da terra e si diresse verso l'albero.

«Non aprire gli occhi e conta a voce alta, okay?»

«Che fai, non ti fidi di me?», si voltò.

«No.»

Iniziò a contare e io andai ad arrampicarmi rapidamente su un albero curvo. Stavo scomoda come non mai e avevo un ramo di pollini giusto davanti al naso. Pregai Dio che facesse in fretta.

Quando sentii il suo «Arrivo a prenderti!» mi irrigidii e trattenni il respiro. Lo sentii bisbigliare qualcosa mentre si allontanava nella direzione opposta, ma proprio quando ripresi fiato, mi respirai tutti i pollini e starnutii due volte di seguito. Harry si voltò di scatto: «Ehi ehi...». Giunse sotto i rami e guardò verso l'alto. Io me ne stavo con le gambe a penzoloni, le braccia conserte e il broncio. «Non vale. E' colpa della mia stupida allergia.»

«Non ci posso credere.». Senza smettere di ridere si portò le mani sui capelli per spostarli: «Dio quanto ti amo...»

Rimasi statica.

«Dai amore scendi!»

«No.»

«Bene, vorrà dire che verrò a prenderti.»

Non feci a tempo ad obiettare che me lo trovai accanto con un sorrisetto provocante: «Le regole sono regole.». Sbuffando presi il suo viso con una mano e lo baciai.

 

Cademmo a terra e mi ritrovai distesa proprio sopra di lui. Ansimando, in un attimo la nostra espressione si fece seria. Mi misi su un gomito e lui rivolse il viso verso di me. Passai la mano sulla sua fronte per spostargli i capelli dagli occhi. Deglutii. Era la perfezione.

«Sei bellissima.», mormorò.

Gli diedi un piccolo bacio sullo zigomo e gli accarezzai la guancia con il dorso delle dita: «Tra quanto tempo andrai via?»

«Dieci giorni.», spostò lo sguardo dal mio.

Mi morsi il labbro evitando i suoi occhi: «Cosa succederà?»

«Io ci sarò.»

«Lo so che ci sarai, amore mio.»

«Ti penserò ogni istante. Mentre canterò, mentre camminerò per le vie delle città, mentre qualche ragazza si spingerà più in là del dovuto. Mi basterà chiudere gli occhi, fare un profondo respiro e trovare la forza di andare avanti.»

«Ti aspetterò.»

«Devi promettermi che sarai forte, che non perderai mai la fiducia.»

«Te lo prometto.»

Si alzò anche lui sui gomiti e mi fece stendere. Con il polpastrello dell'indice percorse il contorno delle mie labbra. «Mi mancheranno queste labbra.»

Prese una ciocca dei miei capelli rossi e se la passò tra le dita. «Questi capelli.», disse, per poi avvicinarsi con il viso all'incavo del mio collo. «Mi mancherà questo profumo.». Fece correre la sua mano sul mio braccio per arrivare ad afferrare la mia intrecciando le nostre dita. «Questa pelle.». Poi, prendendomi per il fianco mi avvicinandomi a sé: «E mi mancherà questa vicinanza.»

Allungai il braccio per stringere i suoi riccioli sulla nuca nel mio pugno, avvicinandolo a me.

«Sei soltanto mia.», sussurrò.

Mi morse il labbro e provai una strana sensazione di dolore, che fu subito lenita da un tenero bacio. «Lo sarò finché lo vorrai.», risposi.

«Allora mi sa che lo sarai per l'eternità.»

 

Quel pomeriggio mi divertii come mai prima d'ora. Fu un mix perfetto, un puzzle dove ogni pezzetto era al suo posto.

«Vai. Ma piano, capito?»

Harry spinse talmente piano l'altalena di corda che pendeva dal ramo dell'albero che quasi non mi mossi.

«Così va bene?», scherzò.

Risi: «Dai idiota, un po' più forte!»

Sentii le sue mani afferrare saldamente i miei fianchi in alto per poi farmi volare nel cielo azzurro. Avevo male alle guance dal sorriso costante che avevano le mie labbra. Ad un certo punto, quando rallenta, Harry si mise di fronte a me e mi disse: «Al mio tre salta.»

«Sei impazzito?», urlai.

«Uno...»

«Harry ti prego.»

«Due...»

Feci un profondo respiro e chiusi gli occhi. Al suo «Tre!» mi feci coraggio e saltai. Mi chiesi come fosse possibile che mi avesse preso facendomi fare una grande giravolta. Mi ricordò tanto mio padre che, quand'ero piccina, mi faceva giocare nel giardino. Con le braccia attorno al suo collo gli baciai i capelli.

Appena mi ebbe posato a terra il suo sguardo si fermò in alto. Guardai nel suo stesso punto e vidi una grossa nuvola a forma di profilo umano. «Lo vedi anche tu?», mi chiese.

«Wow...», sorrisi.

«Abbiamo trovato un'altra cosa da fare, che dici?»

«Chi l'avrebbe mai detto che in un posto così si possano fare così tante cose?»

Dopo qualche minuto eravamo distesi sull'erba con le mani sotto la testa.

«Dimmi se quella non sembra un cammello.»

«Un cammello?!»

«E' spiccicato, Becky.»

«Io non ho messo niente di particolare nella Foresta Nera, lo giuro.»

Rise: «E' solo che hai poca fantasia.»

«Io poca fantasia? Vediamo, cosa ti ricorda quella nuvola lì?». Ne indicai una alla nostra sinistra.

«Mi ricorda una nuvola.»

«Non vedi che è una lampadina?»

Mi guardò accigliato nascondendo un sorriso. Quel sorriso che faceva sorridere anche me.

 

All'imbrunire tornammo a Holmes. Era dalla mattina che avevo un'idea in mente. Prima che Harry imboccasse la via per andare verso la casa di sua nonna, lo fermai: «Gira qui.»

«Oh. Pensavo venissi a dormire da me.»

Feci un mezzo sorriso: «Prima devo fare una cosa.»

«Sarebbe?», chiese perplesso.

«Ti presenterò ai miei genitori.»



Spazio autore: scusate davvero per l'assenza. Non so nemmeno se ci sarà ancora qualcuno a leggere questa storia, dal momento che non pubblico da tanto, ma purtroppo la scuola è inziata da poco!
Grazie per chi ha letto, sa lasciaste qualche recensione mi fareste felice c:
xx

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Capitolo 14
*** Capitolo Tredicesimo ***


CAPITOLO TREDICESIMO

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«Spero tu stia scherzando.», disse Harry mentre svoltava.

«Prima o poi lo dovevo fare.»

«Non sono psicologicamente preparato, Becky.»

«Hai paura?», risi sotto i baffi.

«Non ho paura.»

Gli misi una mano sulla coscia mentre si contraeva per premere il pedale del freno: «Andrà tutto bene, vedrai.»

Quando scendemmo dalla macchina lo presi per mano e cercai le chiavi del cancello in borsa. Entrammo nel piccolo giardinetto di casa mia e, una volta sulla soglia, gli sistemai i capelli e gli accarezzai la guancia: «Sta' tranquillo. Sii solo te stesso. Non fare caso alla reazione di mia madre e non prendere sul serio una sola parola di ciò che dice. Va bene?»

Era teso come un tronco di pino: «Sì.»

Suonai il campanello e la porta si aprì un istante dopo. Mio padre già aveva visto Harry una volta, ma ne fu ugualmente esterrefatto. Mi feci largo per entrare senza mollare la mano di Harry. Mia madre alzò lo sguardo dal ferro da stiro.

Con tono convincente, esordii: «Mamma, papà, questo è Harry. Harry, ti presento mia madre Susan e mio padre Tom.»

Harry sorrise cordialmente: «Buonasera Signore e Signora Greene. Piacere di conoscervi.»

Mio padre gli strinse la mano calorosamente, non tanto per la felicità di incontrarlo, ma per scaricare il nervosismo: «Piacere mio.». Mia madre rimase a fissarlo con aria inespressiva.

Quando il ferro da stiro emise uno sfrigolio, mio padre irruppe: «Susan, stai bruciando la camicia.»

Lei si destò e disse: «Oh si, certo.»

Sistemò l'arnese e, dopo essersi sistemata un ciuffo di capelli – lo faceva sempre quand'era in imbarazzo – si fece avanti con un sorrisetto forzato. «Piacere mio... ehm... Harry.». Dopo qualche istante di incertezza mio padre chiese: «Ti fermi a cena?»

Harry mi guardò e io lo incitai assentendo con il capo. «Volentieri, grazie.»

Mia madre gli rivolse un'occhiata diabolica, così decisi di mettere in chiaro le cose.

«Accomodati pure.», dissi a Harry indicando il tavolo, «Io e la mamma prepariamo qualcosa.»

Harry e mio padre iniziarono a scambiare qualche parola, mentre io presi per un braccio mia madre e la condussi in cucina. «Mi faresti il piacere di mostrarti almeno un po' lieta di ricevere visite?»

«Potevi avvisare, Becky.»

«No, mamma. Perché me l'avresti impedito.»

«Quel ragazzo ti ha fatta soffrire come un cane.»

«Tu non lo detesti per questo, ma per il solo fatto che non è Jake.»

«Non dire sciocchezze.»

Scossi il capo: «Dammi almeno la possibilità di fartelo conoscere. Poi se non ti piacerà, accetterò qualsiasi critica. Ma almeno provaci.»

Rimase zitta con le labbra unite.

«Non ti chiedo di fartelo piacere, mamma, ma farlo per me. Sapere che io sono felice non ti basta? Ormai fa parte della mia vita e come io faccio parte di questa famiglia, ne fa parte anche lui.»

«Non vorrei illuderti.», disse prendendo i piatti dalla dispensa. Me li porse: «Ma ci proverò.»

Mi morsi il labbro inferiore cercando di celare la mia soddisfazione. «Togliti quel sorrisetto dalla faccia e vai a preparare.»

Quando tornai in soggiorno papà e Harry stavano parlando di football, mi parse di capire. Scambiai loro un sorriso e misi la tovaglia per posizionare i piatti e le posate. Mia madre uscì dalla cucina e chiese: «Stavo giusto cucinando la crema di patate. Ti piace?»

«Certamente, signora Greene.», rispose Harry. Gli misi una mano sulla spalla: «Prima o poi si scioglierà un po'.»

Mio padre intervenne: «In questo sono meglio di tua madre.»

Ridemmo entrambi. «Ti dispiace se gli faccio fare un giro?»

«Fa' pure. Tanto lei è impegnata in altro.», fece un cenno con il capo indicando la cucina.

Annuii ed invitai Harry a seguirmi. Prima di salire le scale gli presentai Edward che se ne stava nella bolla di vetro sul mobiletto di legno. Quando Harry sentì il nome del pesce rosso mi guardò con aria perplessa, trattenendo una risata.

«Che c'è?», avvampai.

Si portò una mano al viso ridendo.

Sbuffai: «E va bene. Ogni riferimento non è puramente casuale.». Non potei non ridere anche io.

«Non ci posso credere.», si passò sorridente la mano tra i riccioli scuri. Quelle fossette mi facevano andare fuori di testa.

Quando fummo in camera mia, dissi: «E infine questa è la mia stanza. Il casino è proporzionale alla mia mente.», mi strinsi nelle spalle. Appena mi ricordai che la nostra foto era ancora nel cassetto presi la prima cosa che mi capitò tra le mani e gliela porsi per distrarlo: «Questi sono i miei disegni. E' un'altra mia passione.». Fulminea, aprii il cassetto, tirai fuori la cornice e la cacciai sul comodino sbattendola. Harry alzò lo sguardo dall'album e mi guardò. Un sorriso ebete comparse sul mio viso, ma per fortuna fu attratto dalla fotografia. Posò i disegni per prenderla in mano. Sorrise tra sé e sé e io mormorai: «Belli, vero?». Con un braccio mi strinse a sé, senza smettere di guardarla.

«Scusa se mia madre è stata, è e sarà così fredda ma, sai, già non accetta ancora che io e Jake non stiamo più insieme, in più con quello che è appena successo...»

«Tranquilla.», mi accarezzò la guancia, «E' stata più che gentile.»

Ci baciammo e pochi istanti dopo ci ritrovammo distesi sul letto. Ci baciammo di nuovo, ancora e ancora. E lui accarezzava i miei fianchi e io passavo le dita tra i suoi capelli. Mi guardò negli occhi e premette di nuovo le sue labbra sulle mie. Lo amavo, tanto. Ed era tutto così perfetto.

Feci per slacciare la sua cintura ma sentii che lui sorrideva e mi ricordai che quello non era né il luogo né il momento adatto. «Amore, già non vado a genio a tua madre, vuoi che mi faccia rinchiudere e butti via la chiave?». Tutte le cose belle accadevano quando non dovevano accadere.

«Quando potremmo urlare al mondo che io sono tua e che tu sei mio? Quando saremo liberi di fare ciò che vogliamo ovunque siamo? Quando tutti accetteranno che noi...?»

«Che noi siamo una cosa sola? Forse mai, forse non arriverà mai il giorno in cui tutti capiranno. Ma non m'importa Becky, perché finché io e te siamo felici la mia vita è completa.»

Lo rimasi a guardare in quegli occhi verdi e profondi. E quelle labbra...

Tutto d'un tratto mio padre bussò alla porta: «La cena è pronta.»

Balzammo in piedi, imbarazzati. «Arriviamo.». Sentii i suoi passi allontanarsi e feci un sospiro di sollievo. Scoppiammo entrambi a ridere: «Su, andiamo.»

La tavola era apparecchiata e mio padre si stava accomodando a capotavola. «Prego.», ci invitò a prendere posto. Mi sedetti di fronte a Harry, mentre mia madre serviva la crema di patate.

«Raccontami un po' di te. Lavori, caro?». Faceva progressi, grandi progressi.

«Sì, signora.». Mi lanciò un'occhiata come per dire “Glielo dico o non glielo dico?”. In risposta assentii con un piccolo cenno del capo.

«E di cosa ti occupi?»

Era teso come una corda di violino: «Faccio parte di una band. Canto assieme ad altri quattro ragazzi.», abbassò lo sguardo come in attesa della reazione di mia madre.

«Vuoi dirmi che sei... famoso? Dico, una star vera?». Guardò prima me e poi lui con un'espressione indecifrabile e vidi cambiare anche il volto di mio padre. “Adesso viene fuori il putiferio. Ti prego no.”, pensai. «Ora, io non intendo farvi il terzo grado, sia chiaro, ma come dire, siete sicuri di poter sostenere una relazione a distanza?»

Mia madre intervenne: «E poi voglio dire, se un giorno doveste mettere su famiglia, costruire qualcosa di più solido, non sarà di certo una cosa semplice.». Pensava costantemente al mio futuro, lo faceva da quando ero alta un metro.

Sinceramente non avevo mai pensato al futuro che incombeva su di noi e la cosa mi colse alquanto alla sprovvista, specialmente detta da mia madre.

Guardai Harry: «Veramente non ne abbiamo mai parlato. E' ancora presto.». Sapevo che la mia affermazione l'aveva confortata.

«Infatti.», mi fece eco lui.

Durante il resto della serata la conversazione proseguì tra momenti di imbarazzo e momenti più rilassati. Un'alternanza di ansia e di sollievo a cui avrei dovuto abituarmi. Quando accompagnai Harry alla macchina ero felice, davvero felice. Felice perchè tutto stava andando al proprio posto, perfettamente in linea con tutto il resto. Ci sarebbe voluto del tempo, ma sarei stata paziente. Sì, avrei aspettato tutta l'eternità.

 

 

Spazio autore: scusatemi davvero il ritardo, ma tra la pagina, twitter, tumblr e tutto il resto faccio fatica a battere la storia al computer. Ad ogni modo, grazie per tutte le visite e le recensioni. Vi assicuro che è una soddisfazione immensa. xx ❤

 

 

 

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo Quattordicesimo ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO

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Arrivò così il giorno prima della sua partenza. L'ultima giornata, l'ultima sera, l'ultima notte dopo un lungo periodo di assenza. Non eravamo tristi, ma incredibilmente sereni. Ci fidavamo ciecamente l'uno dell'altra e, soprattutto, se ci fosse stato già un sentimento amaro ancora prima di iniziare a provare, non ce l'avremmo mai fatta. Mi sembra scontato dire che mi sarebbe mancato più di qualsiasi cosa, ma dovevo a tutti i costi essere forte e l'idea che l'avrei rivisto mi avrebbe tenuta in piedi. Non avevamo rimpianti perchè ogni istante passato insieme aveva avuto il suo perchè, il suo significato. Non ne avevamo parlato spesso di cosa significasse essere lontani, ma sapevamo entrambi che l'altro ci pensava.

Quella sera non programmammo nulla. I miei ci avevano lasciato casa libera per gli ultimi giorni e avevano deciso di fare un weekend a Londra per il loro anniversario. Dopo aver mangiato un boccone al ristorante appena fuori casa, tornammo non troppo tardi. Una volta in camera, posai la borsa sulla sedia. «Vado a farmi una doccia. Fa' come se fossi a casa tua.», gli accarezzai la guancia e mi diressi verso il bagno. Mi spogliai ed entrai nella doccia, lasciandomi avvolgere dall'acqua tiepida. Gettai il capo all'indietro facendo sgranchire le mie membra. Colsi l'attimo per ripercorrere nella mia mente i nostri momenti più belli e mi accorsi che la mia bocca si era incurvata in un sorriso involontario. Quel ragazzo che mi aveva cambiato la vita, aveva fatto di me una donna, mi aveva fatta crescere. Le difficoltà nella nostra storia non erano mancate: prima i miei genitori, poi Rachel... senza dimenticare che non avevo avuto vita facile con la sua fama. Ma tutte queste cose ci avevano reso soltanto più forti.

 

Uscita dalla doccia, mi avvolsi in un grande asciugamano bianco e lo sistemai sotto le braccia. Con un altro mi asciugai velocemente i capelli. Quando tornai nella mia stanza trovai Harry che conversava enfatico con Edward a braccia conserte. Era seduto sulla sedia e scrutava impegnata il pesce sguazzare pacificamente nella bolla di vetro. «E così ti chiami come me? E' carino. “Edward”. Ti dona.». Sembrò attendere invano una risposta della povera creatura. «Chissà quante ne hai viste in questa casa. Ti invidio un po', lo sai?»

A quel punto non potei più trattenermi e scoppiai in una fragorosa risata: «Ti prego dimmi che ho sentito male.»

Lui sorrise scoprendo le sue fossette mozzafiato: «Siamo diventati amici, lo sai?»

«Ah si?», cercai di prenderlo sul serio, appoggiata sullo stipite della porta.

«Gli piaccio.», esordì lui.

«Non avevo dubbi.». Gli scompigliai i capelli e gli diedi un bacio sulla fronte: «Sei un idiota.»

Mi circondò i fianchi con le sue grandi braccia e poggiò il capo sul mio ventre. Giocherellai con i suoi riccioli guardando fuori dalla finestra. Si fece coccolare e sentii la sua stretta aumentare. Sembrava un bimbo che aveva bisogno di affetto. Quando sciolse l'abbraccio si alzò e mi lasciò un leggero bacio sul collo. Sfiorò la mia guancia con la sua e fece scendere le mani sulle cosce. Premetti un bacio sulle sue labbra e feci qualche passo indietro per avvicinarmi al letto. Intrecciò le nostre mani e fu proprio lì che notai sul suo polso un segno scuro che non avevo mai visto prima. Gli presi il palmo e lo rivolsi verso l'alto per guardare meglio. Scostai la manica della maglia e vidi una piccola 'B' scritta in nero. Guardai prima lui, poi di nuovo il polso. Schiusi leggermente le labbra non sapendo cosa dire. Si strinse nelle spalle: «Mi sembrava...». Lo interruppi con un bacio. Quando sorrise sentii il suo respiro solleticarmi la pelle. Avvertii poi l'asciugamano allentarsi e un sorriso malizioso comparire sul volto di Harry. «E' l'ultima notte. Perciò fai in modo che mi basti per tutto questo tempo.»

E fu proprio così, perché quella fu la notte più bella della mia giovinezza.

 

La mattina seguente l'avrei accompagnato all'aeroporto prima che sorgesse il sole. Al check-in, quando fu il momento di lasciarlo, mi sforzai di mantenere quel mio malinconico sorriso. Mai l'avrei pensato, ma mi stringeva un nodo in gola. E facevo una fatica immane a tenerlo lì fermo senza scioglierlo in un pianto... Quando Harry mi chiuse tra le sue braccia quel nodo si strinse ancora di più fino a farmi male. Stavo per scoppiare. Lui se ne accorse e tenendomi il viso tra le mani mi disse: «Se hai bisogno di piangere, fallo.». E in effetti avevo una voglia, un bisogno immane di piangere. E lui l'aveva capito, come sempre. Strinsi le labbra e fu allora che le lacrime presero il sopravvento scivolando sulle mie guance. «Io non volevo, davvero.», dissi trattenendo quasi il respiro. «Amore mio, tranquilla.», mi baciò sulla fronte.

«Posso?», chiesi strozzando ancora una volta la voce.

«Certo.»

Lo strinsi forte e piansi, cullata da Harry. Quei singhiozzi mi servirono a scaricare quella tensione che mi portavo inconsapevolmente addosso. E' vero, pochi giorni prima ero del tutto tranquilla, senza alcun disagio, ma non potevo sapere come sarebbe stato vederlo andare via. Non avevo né paura, né poca fiducia, ma chiunque capirebbe che stare lontani dalla persona che ami avrebbe fatto male.

Mi asciugò le lacrime: «Va meglio ora?»

Annuii. «Ora vai.». Gli rivolsi un debole sorriso.

«Mi prometti che sarai forte?», mi guardò dritto negli occhi.

«Una roccia.», strinsi i pugni.

«A presto principessa.». Mi schioccò l'ultimo bacio sulle labbra e si voltò per andarsene.

Sorrisi.

 

 

Passò qualche settimana. Non averlo sempre con me era strano. Quando il lavoro glielo permetteva passavamo ore al telefono. Mai avrei pensato che sarebbe stato cos' presente. E gliene ero più che grata. Mi raccontava delle sue avventure, delle serate alle feste. E io non ero assolutamente gelosa di quelle che, come aveva detto lui, “si spingevano un po' troppo in la”, perché avevo una fiducia immensa. E, a dirla tutta, non potevo dare loro neanche torto. Come entrambi ci aspettavamo, non fu facile gestire le voci e più di qualche volta mi trovai qualcuno davanti pronto ad insultarmi. Ma cercavo di essere paziente. Dovevo esserlo.

Un pomeriggio andai a prendere la posta. Presi il pacchetto di buste e depliant pubblicitari dalla cassetta delle lettere e mentre tornavo dentro casa le sfogliai. Tra le bollette e le promozioni del supermercato, trovai una busta bianca. Rientrata, mi sedetti sul divano e lessi il retro.

 

Sig.na Becky Greene

43 Wiston Road

Holmes Chapel

CW4 7AD

Gran Bretagna GB

 

Credetti di riconoscere quella scrittura. In un attimo un sorriso comparve sul mio viso e non esitai ad aprire la busta con mani tremanti. Quando lessi le prime parole non ebbi più alcun dubbio.

 

Cara Becky,

ti scrivo queste poche righe per dirti che mi manchi. Te l'ho detto tante volte da non poterle più contarle sulle dita, ma non smetterò di ripetertelo anche quando ti avrò con me. Mi sembrava carino mandarti questa lettera, un modo per farti avere qualcosa di mio. Non l'ho mai fatto prima e ti chiedo scusa se a scrivere non sono mai stato capace. Credo di essere più bravo con le parole che con una penna ed un foglio di carta. Perché parlarti guardandoti negli occhi è più facile di qualsiasi nota alta, di qualsiasi fatica. E' così bello vederti arrossire ad un mio complimento o vederti mettere il broncio ad una mia provocazione... E mi manca poterti prendere per il polso quando te ne vai arrabbiata per poi baciarti e chiederti di perdonarmi. Ho bisogno di qualcuno a cui accarezzare i capelli, a cui dare la buonanotte, a cui baciare le labbra. E quel qualcuno non può essere nessun altro oltre a te. Ammetto che – da uomo che sono – qualche volta ho osato provare ad immaginare un'altra donna al mio fianco e te ne chiedo scusa. Ma con tutti gli sforzi non ci sono riuscito. Negli occhi dei passanti vedo i tuoi, quando qualcuno mi batte la spalla da dietro spero sempre invano che, una volta essermi girato, ci sia tu. Prima di conoscere l'amore mi chiedevo se non fossero fuori di senno coloro che parlavano di una droga, di qualcosa che ti porta in un altro pianeta e ti trasforma radicalmente. E ora che io l'amore lo sto vivendo, sorrido pensando che fuori di senno lo sono ormai anche io. E la cosa mi fa impazzire. Ogni luogo che vedo penso sempre che potrei portarti e ti prometto che un giorno lo farò. Dammi solo il tempo e poi tra un po' di anni sarò tutto tuo, proprio tutto. Quando sento la tua voce al telefono sto zitto per ascoltarti parlare e non sai quanto mi piace. Potrei farlo per anni fino a non stancarmi mai.

Ho un sacco di altre cose da raccontarti. Non vedo l'ora di poterti di nuovo stringere tra le mie braccia e di farti sorridere.

Ti amo,

Harry

 

Spazio autore: non so davvero come farmi perdonare, ma sono pure diventata admin di una bellissima pagina facebook sugli One Direction (se vi va di passare, questo è il link: http://www.facebook.com/Lpisl?fref=ts ) e il tempo è ancora meno di prima. non so nemmeno se ci sia ancora qualcuno che la legge ahah. ad goni modo, se recensite mi fa davvero piacere. :)
se vi va mi trovate qui:
 https://twitter.com/xharoldimple

ps: seguite anche lui, ricambia! https://twitter.com/animperfectboy

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Capitolo 16
*** Capitolo Quindicesimo ***


CAPITOLO QUINDICESIMO

 

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Passarono così i giorni, le settimane, i mesi. Era stata dura, davvero dura. Avevo segnato ogni giorno sul calendario fino a quel pomeriggio di maggio in cui sarei salita su quell'aereo e avrei raggiunto Harry. Avevo dovuto insistere per riuscire a convincerlo di poter benissimo cavarmela da sola. Aveva voluto a tutti i costi venirmi a prendere in Inghilterra per poi portarmi con lui a Los Angeles. Alla fine eravamo giunti alla conclusione che io sarei andata in America alla sola condizione che il biglietto aereo lo pagasse lui. Sarei stata li una quindicina di giorni per la fine del tour; una volta concluso, lui e i ragazzi avrebbero avuto un paio di settimane da trascorrere dove e come volevano. Harry già pianificava un viaggio per due, ma a me per ora importava soltanto stare con lui.

Verso l'una del pomeriggio mi feci accompagnare dai miei in aeroporto. Non fosse mai che sfruttassi la mia patente, avrei potuto andarmi a schiantare su per un palo. Harry e i miei avevano una cosa in comune: l'atteggiamento ultra protettivo nei miei confronti. Inutile riportare gli innumerevoli «Abbi cura di te.», «Qualsiasi cosa accada, chiama.», «Non fare sciocchezze.» che uscirono dalle bocche di mia madre e mio padre. «Si, mamma.», «Promesso, papà.», mi limitavo a rispondere io.

Una volta guardato l'orologio, dissi: «Credo sia ora di andare o perderò l'aereo.».

Mia madre mi diede un grande abbraccio: «S-salutami... Harry.». Le rivolsi un sorriso sincero e salutai mio padre: «Ciao, papà.». Dopo avermi baciato la fronte mi sussurrò all'orecchio: «Ricorda,

lo spray al peperoncino.». Risi: «Va bene.»

«Ciao tesoro.»

Mi voltai e da lontano mandai loro un bacio con la mano. Mi recai al check-in e diedi il documento all'addetta. La donna mi scrutò e diede un occhio alla carta d'identità. «Becky Greene... A posto grazie.». Non appena mi restituì il documento sentii una ragazzina alle mie spalle sussurrare all'amica: «Jade è lei! E' proprio lei!»

Non poteva essere. Ripresi in fretta le carte che l'addetta mi aveva dato e me la svignai verso il gate. Dopo una decina di passi mi guardai alle spalle, non vidi nessuno che mi fissava o che confabulava qualcosa, nemmeno le due ragazzine. Passato il controllo, decisi di andare a prendere un caffè da Starbucks dato che avevo ancora mezz'ora buona prima della partenza dell'aereo. Mi misi in coda alla caffetteria e ordinai un caffè americano. Non appena ricevetti il mio bicchierone di carta pagai ed andai a sedermi sulle poltroncine. Mi guardai intorno sorseggiando la bevanda calda e pensai a come sarebbe stato rivederlo. Non stavo più nella pelle. Stavo per prendere il telefono dalla borsa quando sentii una mano battermi sulla spalla. Mi voltai e rividi davanti a me le due ragazzine di pochi minuti prima. Una era bionda con i capelli lunghi e lisci, l'altra con un caschetto scurissimo e occhi verdi. Dovevano avere non più di quindici anni. Quella bionda, che sembrava essere la più scaltra, parlò: «Ciao. Tu sei Becky Greene giusto? La fidanzata di Harry Styles?»

Spiazzata, rimasi qualche istante immobile poi balbettai qualche sillaba. «S-sì, sono io.». Sorrisi arrossendo. Intervenne l'amica: «Non ci posso credere.», non capii bene se il suo era un entusiasmo positivo o meno. «Piacere di conoscervi.», dissi.

«Abby.», la biondina mi porse la mano. Gliela strinsi. «Io sono Jade.», fece l'altra.

«Senti, ti posso chiedere una cosa?», domandò Abby.

«Certamente.»

«Ascolta, come potrai immaginare mezzo fandom ti vorrebbe morta.». “Ti ringrazio”, volevo dirle. Fantastico. Mi rincuorava alquanto sapere che migliaia di ragazzine speravano che il mio aereo precipitasse nell'oceano.

Ci pensò Jade: «Ma a noi piaci, sai?»

«Vi ringrazio.», risposi dopo un attimo di esitazione.

«Sul serio, sei carina.»

«Anche voi siete carine.»

Abby la fece corta: «Prendi l'aereo per andare a trovare Harry?»

«Già.», mi strinsi nelle spalle.

«Oh mio Dio.», Jade si portò le mani alla bocca, «E' fantastico.»

«Possiamo aspettare con te? Noi dobbiamo andare a Dublino e il nostro aereo parte tra un'oretta.»

«Mi farebbe molto piacere. Mi sento un po' sola in questo periodo in effetti.», abbassai lo sguardo.

La biondina parlava come una radio: «Possiamo fare una foto con te?». Che cosa? Mai nessuno prima d'ora mi aveva chiesto di... fare una foto. Ancora ignara di ciò che stesse succedendo, assentii.

Jade prese il suo iPhone dalla tasca e si mise accanto a me. Sorrisi. Una volta scattata la foto, l'amica prese il suo posto e si mise in posa. «Grazie mille, Becky.»

«Grazie a voi.»

Si sedettero accanto a me. «Raccontaci un po' di lui. Com'è? E' proprio come lo descrivono? E' romantico? Ti porta a cena fuori? Bacia bene? Com'è stare lontana da lui? Non hai paura?»

Risi: «Ehi calma. Harry è come lo vedete voi, è un ragazzo come gli altri, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti.»

«Difetti? Quali difetti può avere uno come lui?», chiese estraniata Jade.

Mi stavo divertendo. «I difetti che può avere un ragazzo di vent'anni.», feci spallucce.

«Spiegaci. Ti porta fuori? E' romantico? Come bacia?»

«Una cosa alla volta. Sì mi porta fuori, come tutte le coppie... E sì, è romantico, ma non assillante, il giusto equilibrio.»

«Non scampare alla domanda scomoda. Vogliamo sapere se bacia bene.»

Scoppiai a ridere: «Non ve lo so dire come bacia, è il mio ragazzo. Ti piace tutto della persona che ami, perciò non so davvero darvi una risposta.»

«Capisco.», Abby sembrò un po' delusa.

«Posso farti una domanda Becky?», chiese Jade.

«Quello che vuoi.»

«Harry e i ragazzi tengono davvero a noi? Non che io abbia qualche dubbio, ma ho solo voglia di sentirmelo dire.»

«Vi amano più di loro stessi, ve lo assicuro.»

Nei loro giovani visi comparve un tenero sorriso. Avrei tanto voluto portarle con me in America e far loro realizzare il proprio sogno, ma purtroppo non tutto era facile.

Ci perdemmo in una piacevole chiacchierata, tra risate e rivelazioni. Era da tempo che non mi sentivo così con delle persone, e pensare che avevano cinque anni in meno di me. Sapere che c'era qualcuno che non mi giudicava come tutti mi faceva commuovere. Quando una voce disse che l'imbarco per il mio volo stava cominciando, mi alzai con calma. «Mi dispiace, ma ora vi devo lasciare davvero.»

«Di già?», chiese Abby.

«Mi dispiace ragazze. Conoscervi è stato davvero un piacere.»

Jade frugò nel taschino dei jeans e mi porse un biglietto: «Tieni. Questi sono il mio indirizzo e il mio numero di telefono.», abbassò lo sguardo, «In caso ti venisse voglia di sentirci di nuovo.». Provai una grande tenerezza: «Vi prometto che vi scriverò.»

«Allora ciao, Abby.». La ragazzina si gettò su di me per abbracciarmi. «Ciao Becky.». Con fare incerto ricambiai il gesto e salutai anche Jade.

 

Passato l'ultimo controllo dei documenti, fummo condotti all'aereo per mezzo di un bus. Tirava un leggero venticello tiepido e il sole in cielo risplendeva. Salii i ripidi scalini e mostrai il biglietto alla hostess. Cercai il mio sedile e presi posto affianco al finestrino. Prima di spegnere il telefono mandai un messaggio a Harry:

 

Sapere che quando mi risveglierò sarò con te mi fa felice xx

 

Passò una mezzora buona perché decollassimo. Guardai fuori dal finestrino la terra che sembrava sempre più piccola. Dal bagaglio a mano estrassi la piccola boccetta si sonnifero sigillata, ne presi una pillola e non feci a tempo a mettermi comoda che ero già caduta in un sonno profondo.

 

 

Fui violentemente svegliata dal glin-glon del messaggio di avviso. “Si informano i signori passeggeri che stiamo per atterrare. Si prega di allacciare le cinture di sicurezza e di assicurarsi che i tavolini siano riposti. Grazie”

Emisi un mugolio e cercai alla cieca le cinture per allacciarle. Mi stiracchiai ed aprii pian piano gli occhi. Guardando fuori dal finestrino potevo vedere l'America. C'ero stata soltanto una volta a undici anni con mamma e papà per trovare dei parenti a Boston. Il pensiero che per riabbracciare Harry avrei dovuto aspettare solo pochi minuti mi faceva venir voglia di slacciarmi la cintura e lanciarmi nel vuoto per raggiungerlo il prima possibile.

Non appena sentii le ruote del carrello toccare terra mi venne una fitta al cuore dall'emozione. I passeggeri applaudirono il pilota per aver condotto un buon viaggio (per lo meno per quanto potessi saperne io). Passarono un decina di minuti perché ci trovassimo giù dall'aereo. Un signore in giacca e cravatta veniva verso di me. Mi voltai per vedere se cercasse qualcuno, ma quando me lo trovai proprio di fronte mi resi conto che era proprio me che cercava. «Becky Greene?»

«Ehm... sì, sono io. C'è qualche problema con i bagagli? O con i biglietti?», chiesi perplessa.

«No no, niente di tutto ciò, stia tranquilla. Mi segua.»

Mi limitai a fare ciò che mi aveva ordinato. «Mi scusi ma posso sapere dove stiamo andando?»

«Una macchina la aspetta in un'entrata sul retro. Forse si è dimenticata con chi ha a che fare.», sghignazzò l'uomo. Già, ora capivo. Si preannunciava un soggiorno piuttosto complicato.

«Certo certo.»

Fu quando svoltammo che vidi in lontananza, appoggiato ad una grande macchina nera, un ragazzo dai riccioli scuri, le braccia conserte al petto, con occhiali da sole e maglia a maniche corte attillata. Mi bloccai un istante per realizzare l'idea e per rendermi conto che non era un miraggio. Anche lui si accorse di me e si destò venendomi incontro ed allargando le braccia. Mi misi a correre e quasi mi venne da piangere. Ad ogni passo, ad ogni metro, tutto diventava sempre più concreto. Finalmente lo raggiunsi e mi avventai tra le sue grandi braccia che mi presero sollevandomi da terra. Lo strinsi fortissimo: «Amore mio.». Mi prese in braccio e mi baciò le labbra: «Vita mia non sia nemmeno quanto ho aspettato questo momento.». Gli scompigliai i capelli e lui mi rimise a terra. «Fatti guardare.», mi accarezzò poi le guance guardando ogni mio singolo dettaglio: «Sei ancora più bella di prima.»

Lo baciai ripetutamente sulle guance, sulle labbra, con le braccia attorno al suo collo: «Ti amo.»

Mi avvolse sul suo petto e sentii il suo cuore battere forte: «Ti amo anche io principessa.»

 

 

Spazio autore: salve a tutte. so che non ci sono state molte recensioni, ma sono comunque felice perchè pubblicandola sulla pagina facebook ho avuto una soddisfazione grandissima. grazie di cuore a tutti. <3

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Capitolo Sedicesimo ***


CAPITOLO SEDICESIMO

 

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L'agente si schiarì la voce: «Ehm, non vorrei fare il guastafeste rovinando questo magico momento, ma la voce si diffonde a macchia d'olio e, sempre che non vogliate essere assaliti da un branco di ragazzine strillanti, vi inviterei a montare in macchina.»

Harry scoprì le sue fossette che tanto mi erano mancate e arrossì leggermente: «Subito.», rispose.

«La valigia della ragazza è nel bagagliaio. Buon viaggio.»

Prendendomi per mano Harry mi aprì la portiera dell'auto e mi fece accomodare, per prendere poi posto accanto a me.

L'autista mise in moto mentre l'uomo in giacca e cravatta borbottava qualcosa all'auricolare guardandoci andare via. Sul sedile accanto al posto guida vi era una guardia del corpo, che ci salutò con un cenno del capo. Harry mi mise una mano su una coscia: «Com'è andato il viaggio?»

«Non ne ho la più pallida idea.»

«Ancora con quei sonniferi?!»

«Senti, lo sai che sono pigra io.»

Alzò gli occhi al cielo sospirando: «Cosa devo fare io con te?»

«Bah non saprei. Qualcosa come darmi un bacio.»

«Ti consumerò prima o poi.», rise, prima di darmi un tenero bacio sulle labbra.

«Infatti, mi consumi.»

«Vieni qua.». Mi prese il mento con l'indice e il pollice e mi morse il labbro inferiore. Un risolino uscì dalla mia bocca. Quando strinse la presa gemetti e lui allentò. «Ehi, sei stupido? Mi fai male!»

Lui sghignazzò rendendosi conto che l'autista ci stava guardando dallo specchietto retrovisore. Mi misi una mano sulla fronte, imbarazzata.

 

Dopo una mezz'oretta di tragitto l'autista imboccò una via asfaltata. «Strano, non c'è ness...», non finì di parlare che ci trovammo davanti un centinaio di persone, davanti al cancello. Tutte si voltarono e si sentì un boato assordante. Guardai oltre il muretto. C'era una magnifica casa bianca, grandissima ed elegante. Immaginai come sarebbe stata dentro: doveva essere un sogno.

Fui distratta dalla voce dell'uomo: «Sentite. Adesso accosto il più vicino possibile, va bene?»

Intervenne il boy guard: «Adesso scendo io e vi apro la porta.». Si rivolse poi a Harry porgendo la mano: «Dammi pure le chiavi del cancello, faccio io. Tieni ben stretta la donzella, chiaro?»

Harry annuì e gli consegnò il mazzo di chiavi. L'uomo scese dall'auto con un grande sforzo, in quanto la gente spingeva contro la macchina. Ragazzine che piangevano, già pronte con il cellulare, un foglio e una penna. Sorrisi nel vedere quelle lacrime di gioia e fui felice che qualcuno realizzasse il proprio sogno quel giorno. Sentimmo la portiera aprirsi e le voci divenire più forti e chiare.

«Fate largo! Via, via!», disse l'uomo. Harry scese per primo e si scatenò l'inferno. Mi prese la mano e mi fece uscire. «Falla passare davanti a te.», gli ordinò il tipo. Lui mi prese per un fianco e mi disse all'orecchio: «Fatti spazio.». Una parola, “fatti spazio”. Mi sentivo soffocare. Decine di braccia si facevano largo tra la folla. Harry per quanto poteva accostava il volto a quello di qualche fan per farsi fotografare. Schiamazzi e grida, spintoni e gomitate. Il boy guard riuscì a precederci e ad aprire il cancello. Cercai di fare in fretta, ma era impossibile.

Ad un certo punto mi arrivò una gomitata fortissima sulla bocca e sentii una fitta dolorosa. Mi sentivo svenire, non capivo più nulla, facevo fatica a respirare. Tutto accadeva in fretta e persi il senso dell'equilibrio; feci appena in tempo a varcare la soglia che sentii le gambe cedermi. Harry mi afferrò prima che potessi cadere a terra. «Tesoro è tutto finito, è tutto finito.», mi prese con un braccio sotto le mie gambe e l'altro sulla schiena e io mi appoggiai sul suo petto. Con passi svelti lui e la guardia del corpo si diressero verso l'entrata e Harry entrò. Prima di andarsene, l'uomo disse: «Ci assicuriamo che sia tutto nella norma. Per qualsiasi vostro spostamento siete pregati di avvisare. Vado a prendere il bagaglio della ragazza e lo lascio fuori dalla porta.»

Harry annuì e, una volta chiusa la porta di casa, mi adagiò sul divano.

«Come ti senti?»

«Benissimo.», mentii.

Fu allora che si accorse della mia profonda ferita sul labbro inferiore. Sentivo il sapore del sangue nella bocca e avvertivo un pulsare frenetico.

«Oh mio Dio, Becky.»

«E'... è tutto a posto, Harry.», risposi portandomi la mano alla bocca per tastare la ferita.

I suoi muscoli si contrassero e la sua espressione diventò terrificante: «No Becky, non è tutto a posto.»

Feci per mettermi in piedi, ma mentre mi appoggiavo sulle braccia per alzarmi Harry si fece avanti, mi prese per le spalle e sbottò: «Sta' ferma qui. Vado a vedere se c'è qualcosa per medicarti.»

Ammutolita, mi sedetti di nuovo con le gambe tra le braccia e il capo appoggiato sulle ginocchia. Perché Harry se l'era presa tanto? Poteva capitare, mi dissi. Ero stata io a voler tentare di affrontare tutto questo e non me ne ero affatto pentita. Sarebbe stata più dura di quanto avevo pensato fino ad ora, ma, come sempre, mi sarei imposta di essere forte. Per lui.

Lo vidi tornare con un sacchettino di ghiaccio, del cotone, una bottiglietta di disinfettante e degli strip. Senza dire una parola si sedette accanto a me. Entrasse un batuffolo di cotone e lo inumidì con del disinfettante. «Vieni qui.», mi prese il mento con la mano sinistra e tamponò il mio labbro con la destra. «Ti fa molto male?», mi chiese.

«Ora no.»

Analizzò per bene il taglio: «Sarebbe il caso di andare al pronto soccorso, giusto per precauzione.»

«Che cosa? Sei impazzito?»

«Non dovrebbe essere grave, ma...»

Lo interruppi: «Harry per favore, fallo per me. Non portarmi all'ospedale, sto bene.»

«Come vuoi. Lascia almeno che ti metta uno di questi, non vorrei che si aprisse più di quanto non lo sia già.», scartò uno strip e lo pose con delicatezza trasversalmente al taglio. Sentivo le sua dita fredde toccare le mie labbra e provai sollievo. Diede un'ultima occhiata per controllare se avesse fatto un buon lavoro e mi porse il sacchettino del ghiaccio: «Tienilo per qualche minuto lì.»

Feci come mi aveva detto e lui alzò di nuovo per riporre via le cose e portare il mio bagaglio in camera da letto.

«Mi lasci sola?», chiesi.

Sorrise: «No amore, adesso arrivo. Tu però tieni il ghiaccio»

Ricambiai il gesto e tornai alla mia posizione iniziale.

Mi dispiaceva per quello che era successo, non tanto per me, ma per lui che ora stava male a causa di questo. Odiavo vederlo di malumore.

Passarono un paio di minuti e non lo vidi ancora arrivare. Nonostante sapessi che non gli avrebbe fatto granché piacere, lasciai il ghiaccio sul ripiano della spaziosa cucina ed andai a cercarlo. Quella casa era enorme, un labirinto. Stanze, corridoi, terrazze... «Harry!», gridai. «Harry dove sei?»

Non ebbi alcuna risposta, così cominciai a cercare più in fretta: «Harry!». Ad un certo punto sentii provenire da una porta: «Arrivo Becky.», era una voce strozzata, diversa dal solito. Accostai l'orecchio alla porta: «Va tutto bene?»

«Si tesoro.», ebbi la conferma che non andava per niente tutto bene. Il bello era che non sapevo nemmeno che stanza fosse e di certo non avrei voluto aprire e trovarmelo seduto sulla tazza del water. Mi dissi che non era il momento per fare la spiritosa. «Harry che succede?», sospirai.

«Nulla ho detto. Sto arrivando.»

A quel punto spalancai la porta e lo trovai in uno studio spazioso con grandi finestre, con le mani in tasca. Stava guardando fuori, ma quando irruppi si voltò di scatto. Con un rapido gesto si passò le dita sugli occhi e mi sorrise: «Dovevo chiamare mia madre.»

Gli occhi erano arrossati e ancora umidi e la sua voce roca. Aveva pianto. Mi sentii crollare il mondo addosso, morii dentro. Mi portai una mano alla bocca avvicinandomi verso di lui: «Harry.»

Allargò le braccia per stringermi a sé e io lasciai che mi avvolgesse, senza smettere di guardarlo in viso: «Perché piangi amore mio?»

«Un... un momento di malinconia.», si sforzò di apparire sereno, ma io non mi bevevo una sola parola.

«Malinconia per cosa?»

«Mi manca casa, niente di che. Ma ora ci sei tu ed è tutto magnifico.»

Scrollai il capo accarezzandogli le guance e osservando quelle iridi verdi che lo sembravano ancora di più con il contrasto del rossore: «Harry perché menti?»

«Non so di cosa tu stia parlando.», evitò il mio sguardo.

Gli presi il viso con le mani con una certa forza: «Basta. Basta nascondermi queste cose. Credi che non abbia capito che la causa del tuo malessere è la mia ferita? Finiscila di farmi credere che vada sempre tutto bene. Preferisco sapere la vera realtà piuttosto che tu ti prenda gioco di me come se fossi una bambina.»

Fu allora che crollò: «Becky io ho una paura folle che la mia fama possa compromettere questa storia. Che tu ti stufi di sopportare tutto questo e che mi lasci solo come pochi mesi fa. Mi odio per quello che ti sto facendo passare. Sto male a vedere quel taglio perché me ne sento responsabile, capisci? Non ti mento perché non mi fidi di te, ma perché ho paura che tu non capisca.», una lacrima scese dalla sua guancia.

Feci un tenero sorriso: «Pensi che io non sappia cosa sia il dolore? Lo so, l'ho provato sulla mia stessa pelle. Io comprendo che tu stia male perché temi che io me ne possa andare a causa di quello che è successo, ma non accadrà, lo capisci? Io non ti lascerò mai solo, mai, qualunque cosa accada. Riguardo la ferita, guarirà. Ma per favore, non fare in modo che questo», mi posai la mano sul cuore, «faccia più male di questo.», mi sfiorai il labbro con le dita.

Gli asciugai le lacrime: «E ora sorridi. Ti prego.»

 

Spazio autore: volevo ringraziare tutti per le bellissime recensioni. ad ogni modo, spero vi sia piaciuto il nuovo capitolo. <3

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Capitolo 18
*** Capitolo Diciasettesimo ***


CAPITOLO DICIASETTESIMO

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Dopo essermi fatta una doccia, misi in ordine le mie cose nell'armadio e in bagno. Ogni volta che mi spostavo scoprivo una stanza nuova di quell'immensa villa. «Mi spieghi a che ti serve una casa così grande? Non mi ambienterò mai.»

«Penso al futuro io.», mi guardò con aria enigmatica.

Sorrisi sotto i baffi: «Al futuro.», dissi come per convincermene.

«So che hai capito, è inutile che fai finta di niente.»

Sbuffai: «Perché te la do sempre vinta io?»

Si avvicinò a me per cingermi i fianchi: «E so anche che stai cercando di cambiare argomento.»

«Non è vero.»

«E so...», lo interruppi posandogli la mano sulle bocca: «Vuoi parlare del nostro futuro?»

Fece di sì con capo e sentii le sue labbra incurvarsi in un sorriso sotto il mio palmo. «Come vuoi.»

Harry si sedette ai piedi del letto e mi invitò a sedermi a cavalcioni sulle sue gambe. «Di cosa vuoi che parliamo?», iniziai avvolgendo le braccia sulle sue spalle.

«Della casa in cui vivremo.». Sembrava un bambino che attende la storia della mamma prima di addormentarsi. Lo accontentai: «Vivremo in una casa sulla spiaggia, piena di vetrate. Dovrà essere molto ma molto luminosa.», mentre parlavo guardavo altrove cercando di immaginarmi quel paradiso. «Non dovrà essere eccessivamente grande, giusta per la nostra famiglia.»

«La nostra famiglia...», mi fece eco posando il capo sul mio petto.

«Sì, la nostra famiglia. Ci saremo io, te e i nostri bambini.»

«Parlami di loro.», sembrava come se volesse anche lui unirsi a quella mia fantasia, cercando di vedere ciò che vedevo io nella mia mente.

Chiusi gli occhi: «Ci sarà una bambina dai capelli rossi e ricci con tante lentiggini sul viso: si chiamerà...», a dire il vero non ci avevo mai pensato prima. Pensai però ad una parola che simboleggiasse il legame che teneva uniti me e Harry. «...si chiamerà Rebirth.». Già, “rinascita”. Io incontrando lui ero diventata un'altra persona, la vecchia Becky aveva lasciato il posto ad una donna matura e responsabile, ma soprattutto capace di amare veramente.

«Rebirth...», rifletté lui, «Mi piace.»

«Poi ci sarà un'altra bimba con capelli scuri e mossi ed occhi verdi come i tuoi. Lei sarà Faith.»

«Come mai Faith?»

«Perché la fiducia fa parte di noi. Non è vero?»

Sorrise annuendo. «Tutte donne in casa.», considerò poi.

«No, ci saranno anche due maschietti. Il primo si chiamerà Andrew, dato che significa “guerriero” ed entrambi lottiamo per la nostra felicità; ti somiglierà tantissimo. Infine ci sarà Cole, che sta a significare la vittoria e noi abbiamo vinto contro tutti, giusto? Però lui sarà identico a me.»

Mi strinse a sé ridendo: «Credo di non poter scampare a questo diabolico piano.»

Gli scompigliai i capelli: «Infatti.». Mi alzai per mettere in ordine le ultime cose.

«Domani dev'essere un giorno perfetto. Dove vuoi che ti porti?»

«Che c'è domani?», chiesi distrattamente.

«Becky è il tuo compleanno.»

Esitai un secondo, guardando un punto fisso per poi spostare gli occhi su di lui: «Ne sei sicuro?»

Scoppiò in una fragorosa risata lasciandosi cadere sul letto: «Come fai a dimenticarmi del tuo compleanno, Becky? Tutti sono in fibrillazione per il proprio giorno!». Veramente io ero in fibrillazione per vedere lui, talmente tanto da dimenticarmi che effettivamente l'indomani avrei compiuto diciannove anni. «E' già il 16 marzo?», chiesi.

«Domani sì.», rispose reggendosi sui gomiti.

«Passa in fretta il tempo.», considerai, mentre realizzavo ancora l'idea.

«Allora? Che vuoi fare?»

«Voglio fare quello che vuoi tu.»

Sorrise: «E' il tuo compleanno, non il mio.»

«Voglio che decida tu. Quello che piace fare a te piace anche a me.», mi impuntai come una bambina capricciosa.

Si arrese: «Ti andrebbe di andare a fare un giro a Los Angeles? Ti porto sulla spiaggia, a fare un po' di shopping, a vedere il panorama. Ci sono tantissime cose da fare qui.»

Gli presi il viso tra le mani spupazzandolo: «Ma dove lo trovo io un altro ragazzo così?»

Harry si accigliò: «Perché, ne vuoi un altro?»

Risi: «No no, mi sono espressa male!»

«Questa me la segno, sai?»

Divertita, gli schioccai un bacio sulla guancia: «Non vedo l'ora che sia domani.»

 

Si era ormai fatta sera ed il cielo variopinto tingeva di rosa lo skyline di Los Angeles e le vette dei monti. Me ne stavo sullo spazioso terrazzo a braccia conserte mentre il leggero vento tiepido mi scompigliava le ciocche di capelli sul viso. Tutto questo mi sembrava un paradiso, un film d'amore, di quelli in cui ogni cosa era perfetta. Troppo perfetta. Talmente perfetta da sembrare irreale e fragile come il cristallo. Sospirai e mentre facevo per voltarmi, Harry mi precedette abbracciandomi da dietro e appoggiando il mento sulla mia spalla: «Bello, vero?»

«E' magnifico.», sorrisi.

«Vedrai domani.», mi diede un piccolo bacio sul collo.

«Non vedo l'ora.», mi strinsi nelle spalle.

«Che vuoi mangiare stasera?»

«Andiamo a mangiare una pizza. Che dici?»

Harry tacque per qualche secondo: «Becky...»

«Ho... detto qualcosa di sbagliato?»

«No no... è solo che uscire di qui non è molto semplice, lo sai. Preferirei che stessimo qui a casa. Sempre che per te non sia un problema, ovvio.»

Ci misi un po' per realizzare: «Oh... figurati, nessun problema.», sorrisi, nascondendo quel pizzico di disagio che quell'affermazione mi aveva provocato.

«Non sembra, ma so cucinare.», scherzò.

«Vediamo cosa sai fare.», lo istigai.

«Ti preparerò una pizza come non ne hai mai mangiate prima dolcezza.», sciolse l'abbraccio per poi dirigersi verso la cucina. Estrasse da un cassetto un grosso ricettario e lo sfogliò. Una volta trovata la pagina che faceva al caso suo, passò il palmo della mano sul foglio come per prepararsi psicologicamente. «Dunque...»

Aprì dispense, frigorifero, cassetti e ripose tutto l'occorrente sul ripiano. «Mi può passare cortesemente il grembiule, per favore?», indicò con aria professionale il grande grembiule nero appeso ad un gancetto sul muro.

Risi sotto i baffi cercando di prenderlo sul serio: «A lei.», gli porsi ciò che mi aveva richiesto e lui lo indossò. Prese una grande ciotola e cominciò a miscelare i vari ingredienti. Più era impegnato più mi veniva da ridere. Me ne stavo appoggiata al muro a braccia conserte guardando con attenzione ogni suo gesto. Poco dopo si mise ad impastare e ammetto che lo trovai incredibilmente sexy. Le sue grandi mani si muovevano sinuose sull'impasto e i riccioli gli coprivano un po' il volto.

Ad un certo punto mi guardò: «Dì che me la cavo male.»

«Confesso di averti sottovalutato.»

Mi fece l'occhiolino e continuò con le sue faccende.

 

Quando fu tutto pronto infornò la pizza e si pulì le mani sul grembiule: «Ecco fatto.»

Mi chinai per dare un occhio in forno: «Ha un bell'aspetto.»

«E devi ancora assaggiarla.»

«Però, modesto il ragazzo.», risi.

Lo aiutai a mettere a posto la cucina e a preparare la tavola. L'ambiente venne invaso da un profumo inebriante ed invitante: «Continuo a pensare che ho sbagliato a credere che tu fossi negato.»

«Pensavi davvero questo?!», corrugò la fronte.

«Beh no...»

Per punirmi mi venne incontro per farmi il solletico. Risi a crepapelle: «Basta Harry, finiscila!»

«Se no?», mi provocò.

«Ho detto di smetterla!»

Ad un certo punto si avvicinò al mio viso e fece per baciarmi. Gemetti per il leggero dolore che mi provocò, allora si scostò imbarazzato: «Oh Dio scusami tesoro... io non mi sono ricordato...».

«Tranquillo, non mi hai fatto nulla.», mi sfiorai il labbro ferito e gli sorrisi.

Il bip del forno ruppe quel lieve disagio che si era creato. Harry borbottò qualcosa che non compresi e si infilò il guantone. Aprì i forno e ne estrasse la teglia nella quale sfrigolava la pizza bollente.

«Mmm», mi avvicinai per scrutare la delizia.

Appoggiò la teglia sul ripiano di marmo e, dopo essersi sfilato il guantone, mi condusse al tavolo facendomi accomodare: «Signorina...»

«Addirittura...», sorrisi prendendo posto a tavola.

Harry prese dal cassetto la rotellina apposita e tagliò due grandi tranci, per poi riporli su due piatti di ceramica, che portò a tavola. Si sedette di fronte a me: «A lei l'onore di giudicare.»

Con un certo languorino, impugnai coltello e forchetta e soffiai sul boccone prima di assaggiare. La pasta era morbida e la mozzarella filante. Assomigliava molto ad una pizza che avevo mangiato pochi anni prima durante un viaggio a Pisa, in Italia.

«Allora? Com'è?»

«Mi brucia dirlo ma... è fantastica. Davvero, è il giusto equilibrio, ha un sapore intenso...»

«Sono contento che ti piaccia.», mi sorrise con il mento appoggiato sulle mani intrecciate.

«Mi sa che dovrò cambiare qualcosa nel piano per la nostra vita... ho paura che il casalingo sarai tu.». Ridemmo entrambi e consumammo quella cena improvvisata tra brindisi, racconti e sorrisi. Mi sentivo completa con lui, sentivo che se c'era lui... non potevo chiedere altro. Mi raccontò del tour, di quello che lo aspettava nei mesi seguenti e mi chiese cosa avessi fatto io durante la sua assenza. La sua vita era certamente molto più interessante della mia. Feste, meeting, cene importanti ed eventi contro le mie mattine passate a scrivere, ai pomeriggi tra i libri di scuola guida e alle sere nel ristorante vicino a casa per guadagnare qualche soldo.

A fine serata ci ritrovammo stanchi morti sotto il piumone. Quella camera era un sogno, c'era un grande caminetto antistante il letto e una grande finestra dalle tende bianche.

«Amore...», chiese Harry con lo sguardo rivolto verso il soffitto

«Si?», lo guardai.

«Mi dispiace.»

«Per cosa?»

«Per oggi. Per l'incidente e per non averti potuto portare fuori.»

Mi avvicinai a lui avvolgendogli il braccio con le mani: «Sai che mi basta essere con te.»

Tacque. Gli diedi un bacio sulla guancia, poi uno al lato della bocca e un altro sulle labbra: «Buonanotte, amore mio.»

 


Spazio autore: scusatemi ancora per il ritardo ma ero via queste vacanze di natale... ad ogni modo, grazie di nuovo per chi legge e recensisce questa ff xx

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo Diciottesimo ***


CAPITOLO DICIOTTESIMO
 
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Come ogni anno, da diciannove anni, il giorno del mio compleanno mi svegliavo prestissimo. Successe, come da manuale, anche quel 16 marzo. Regnava il silenzio e non c'era molta luce, perciò presumetti che dovessero essere all'incirca le cinque. Mi stiracchiai e stetti per qualche minuto a crogiolarmi tra le coperte, ancora col capo poggiato sul petto di Harry. Respirava profondamente e dormiva come un bimbo, avrei potuto guardarlo per ore. Mi alzai cercando di non fare rumore e scostai leggermente la tenda per guardare fuori. Una leggera sfumatura chiara dipingeva l'orizzonte di Los Angeles, mentre una falce di luna era ancora ben visibile nel cielo scuro. Andai in cucina a farmi un caffè, altrimenti non avrei retto per la lunga giornata che si prescriveva. Accesi la grande moca e preparai la mia colazione versando la bevanda calda in una grande tazza. Non potei resistere ad andare in terrazza, così aprii l'ampia vetrata dai vetri scorrevoli e provai un leggero brivido alla schiena. Mi appoggiai con i gomiti sul parapetto tenendo tra le mani la tazza. Il fumo dall'odore intenso mi portò alla mente quelle mattine a Holmes Chapel in cui mi svegliavo con il profumo del caffè che Harry aveva preparato. Ad essere sincera non sapevo se quei tempi sarebbero tornati, se avremmo potuto di nuovo godere di quei giorni senza problemi, passati a casa o in giro, ma sempre e comunque meravigliosi nella loro semplicità.
Quando tornai dentro feci un rapido calcolo del fuso orario e decisi di chiamare i miei genitori. Presi il mio iPhone e composi il numero, attendendo che rispondessero.
«Pronto?». Risentire la voce di mia madre mi fece sentire bene, stranamente.
«Ciao mamma, sono Becky.»
«Tesoro mio, buon compleanno!», esclamò dall'altro capo della cornetta.
«Grazie mille.», sorrisi giocherellando con il bordo della maglietta.
«Come stai?»
«Tutto a posto, grazie. Voi come state?»
«Noi bene. Il viaggio com'è andato?»
«Ho dormito.»
Rise: «Come il tuo solito. Ha una bella casa... Harry?»
«Magnifica. Un po' grande ma magnifica. Lui sta ancora dormendo.»
«E... com'è stato rivederlo?», sentivo che quando parlava di lui zoppicava ancora un po', ma se pensavo al punto da cui eravamo partiti non potevo essere più felice.
«Bellissimo.», mi limitai a dire. Perché non ero sicura che potesse capire... ciò che avevo provato era ineffabile.
«Oggi cosa fate di bello?»
«Harry mi porta a fare un giro a Los Angeles. La conosce molto bene.»
«Sono sicura che vi divertirete molto. Ti passo tuo padre che ti fa gli auguri. Un bacio grande, tesoro.»
«Un bacio anche a te, mamma.»
Sentii la calda voce di mio padre e mi venne un po' di nostalgia. E pensare che non li vedevo da un paio di giorni. «Auguri bambina mia.»
«Grazie papà. Mi fa piacere sentirvi.»
«Anche a noi, anche a noi. Come te la passi?»
«Direi da Dio.». Ridemmo entrambi.
«Salutami il tuo amico.»
Trattenni la risata: «Sì, papà, il mio amico
Sghignazzò: «Dai Becky, sai che non sono fatto per queste cose... gli affari di cuore li lascio a tua madre.»
«Te ne sono grata.»
Udii la voce di mia madre in lontananza e mio padre che faceva da portavoce: «La tua vecchia dice che ti fa gli auguri tutta la famiglia.»
«Grazie di nuovo. Manda un saluto a tutti da parte mia.»
«Spero che non ti dimenticherai di me mentre stai lì.»
«Sarai sempre tu l'uomo della mia vita, lo sai.»
Rise: «Un forte abbraccio, piccola. Divertiti.»
«Grazie papà. A presto.»
Riattaccai e risposi a qualche messaggio di auguri di amici e parenti, raggomitolata sul divano.

Si erano fatte le sei e mezza e il sole era ormai sorto. Non volevo perdere tempo stando chiusa in casa, perciò decisi di andare a svegliare Harry, mio malgrado mi disturbasse interrompere i suoi dolci sogni. Aprii la porta e mi misi in procinto di tendergli un agguato. Contai a mente fino al tre e presi la rincorsa per poi saltare di peso sul letto sopra di lui: «Buongiorno dormiglione! Alzati che il sole mangia le ore!»
In risposta ebbi una sorta di muggito.
Continuai a saltare, a cavalcioni sopra di lui: «Sveglia sveglia, su! Oggi devi farmi da Cicerone, lo sai questo, vero? E io sono una turista molto esigente.»
Harry prese il cuscino e se lo mise sopra la testa: «Lasciami dormire, Becky.», gemette.
«Okay...», dissi alzandomi dal letto, «Vorrà dire che adotterò il metodo killer.»
«Guai a te!», disse con uno sforzo palesemente immane.
«Mi dispiace, potevi pensarci prima.», dissi con tono malefico. Afferrai con forza le coperte nella parte superiore, sebbene Harry le avesse strette tra i pugni per non darmela vinta. Peccato che la forza che hai di prima mattina non sia la stessa. Così con un gesto secco gli tirai via le coperte scoprendolo e lui si mosse con rapidità: «Questa me la paghi.». Non fece a tempo a mettersi seduto che io mi avvolsi le coperte a mo di mantello e uscii dalla stanza correndo: «Non mi prenderai mai!»
Mentre percorrevo il lungo corridoio mi guardai indietro e me lo vidi barcollare per rincorrermi. «Sei ridicolo! Non stai neanche i piedi!», gridai ridendo e gli feci la linguaccia. A quel punto accelerò e non appena arrivai in soggiorno pestò la coperta afferrandomi e io caddi scivolando sul pavimento lucido. «Ti ho presa, canaglia.», disse avvolgendomi con essa e facendomi diventare un bozzolo umano, mentre io non smettevo di ridere. «A adesso?», chiese.
«Sei comunque scarso.», lo provocai.
«E tu sei solo una fragile bimba.». Mi prese in braccio, ancora avvolta come una mummia, e mi appoggiò sul divano. «Mi faccio un caffè. E me lo berrò in santa pace guardandoti mentre ti divincoli. Sono perfido oggi.», mi fece l'occhiolino dirigendosi verso la cucina.
«Credi davvero che ti possa prendere sul serio con quel ridicolo ciuffo che ti ritrovi?»
Si toccò i capelli e, tastando la folta chioma, si sistemò i capelli. Mi sbeffeggiò e tornò a farsi il caffè. Intanto cercai di liberarmi dalla trappola, ma a quanto pareva Harry era stato più bravo di quanto credessi. Mai e poi mai avrei potuto dargli la soddisfazione. Cercai in tutti i modi di divincolarmi, ma sembrava impossibile. Ad un certo punto persi l'equilibrio e caddi dal divano, sbattendo sul pavimento freddo: «Ahia...»
Harry tornò in soggiorno scrutandomi: «Non ci posso credere.». Iniziò a ridere fino ad accasciarsi per terra, cercando di tenere ferma la tazza. «Te l'avevo detto di non metterti contro di me, bimba.»
Mi appoggiai sui gomiti: «Non sei divertente.»
«Tu sì però.», mi prese in giro.
Misi il broncio.

Prima delle otto eravamo pronti. Non ero una a cui importava molto, ma avevo notato a malincuore che Harry non mi aveva ancora fatto gli auguri. Mi chiesi come mai... credetti che si fosse dimenticato e, siccome renderglielo noto mi sembrava poco carino, feci finta di nulla.
Scostò la tenda e mi fece vedere fuori dal cancello: «Li vedi quelli? Ricorda ciò che ti ho detto ieri. Tranquilla, mi raccomando.»
«Sì, capo.». Non era tanto numeroso come il giorno prima, il gruppo. Saranno state una ventina di persone, tra paparazzi, fan e tipi con telecamere e microfoni.
Mi accarezzò col pollice il labbro ancora un po' gonfio: «Pronta piccola?»
Annuii con un sorriso.
Fece un profondo respiro ed aprì la porta, delle grida provennero da fuori. Dopo aver chiuso casa, mi prese per mano e indossò gli occhiali da sole, camminando con passo svelto verso la macchina. Le ragazzine sventolavano fogli e gridavano piangendo. Per un attimo pensai che anche a me avrebbe fatto piacere che qualcuno provasse quel tipo di sentimento per me, sapere che qualcuno darebbe tutto pur di sfiorarti soltanto... non sapevo cosa si provasse, a dire il vero. Montammo in macchina ed Harry mise in moto: «Credo che dopo questa giornata dovrò portare la l'auto dal carrozziere.». Risi: «Credo anche io.»
Aprì il cancello automatico con il telecomando e si diresse verso di esso. La gente stava davanti ed era impossibile passare. Harry fece cenno di spostarsi e fece capire che si sarebbe fermato. Il gruppo gli fece largo e l'auto poté avanzare. Quando fummo fuori, Harry chiuse in fretta il cancello e abbassò il finestrino. La macchina si muoveva e le ragazzine battevano sui vetri. Io non sapevo che fare, così stetti immobile. Le urla si erano fatte più intense. Sentii una quindicenne che diceva ad Harry: «Harry io ti amo, sei la mia vita!». Lui sorrise: «Anche io vi amo.», rispose. Poi si lasciò fotografare con alcune di loro. Un'altra chiese: «Lei è la tua ragazza, vero?»
Esitò qualche istante: «Sì. Oggi è il suo compleanno, la porto a fare un giro.»
Le fan non risposero. Intanto i fotografi scattavano decine e decine di foto, mentre un giornalista di fece spazio riuscendo a comunicare con Harry: «Harry, allora possiamo considerarla la tua nuova fidanzata?!»
Fece un sorriso enigmatico e mi prese la mano: «Perché sei geloso? E' mia eh.»
Il giornalista rimase un po' interdetto ma continuò: «Ci puoi dire di più?»
«Mmm. Volete sapere troppo voi!». Salutò con la mano e chiuse il finestrino cercando di non far male a nessuno. Io intanto me ne stavo a testa bassa senza sapere che fare di fronte a tutti gli sguardi che erano un misto tra curiosità e ripugnanza. Mi sentii il mondo contro ed il problema è che era proprio così.

«E questa è fatta.», Harry mi diede una piccola pacca sulla coscia come per incoraggiarmi e io gli sorrisi.
Mentre percorrevamo una di quelle grandi strade che avevo sempre visto soltanto nei film me ne stavo con naso schiacciato al finestrino, come una bambina davanti ad una vetrina di un negozio di giocattoli. «Dove mi porti?»
«Sorpresa.»
Sbuffai. Col tempo avevo imparato a non discutere con lui. Dopo una mezz'oretta abbondante arrivammo in un grande parcheggio affianco ad una strana struttura sviluppata su più piani, con grandi insegne e decine di vetrine. «Mi vuoi spiegare dove diavolo siamo?», chiesi spazientita.
Tacque ancora, così mi arresi definitivamente. Parcheggiò ed entrambi scendemmo, guardandoci intorno: io cercavo invano di capire dove fossimo, lui per vedere se eravamo ancora tenuti sotto d'occhio, il che era molto probabile.
Quando fummo di fronte ad un'enorme entrata, Harry esordì: «Becky, questo è un mall
«Un che?»
«Un mall. E' un grande centro commerciale, dove la gente passa anche giornate intere. Qui non ci sono molti negozi ai lati delle strade, come avrai visto, ci sono questi spazi dove ci si può dare alla pazza gioia.»
«Un paradiso...», commentai senza smettere di scrutare ogni angolo di quel posto. Varcata la soglia, ci trovammo in una specie di grande sala circolare piena di scale mobili, bar, negozi di ogni genere. La gente girava tranquilla, con borse tra le mani e bicchieri di caffè americano pieni fino all'orlo. Mi avvicinai alla vetrina di un negozio vintage che aveva attirato la mia attenzione.
«Diamo un occhio?», mi propose.
Annuii entusiasta ed entrammo. C'erano vestiti singolari, occhiali mai visti prima, valigette anni '60 e manifesti pubblicitari ingialliti. Adocchiai, su un manichino, un abito di pizzo panna vecchio stile. Presi l'orlo della gonna e lo guardai per bene, per poi chiedere alla commessa se lo potevo provare. Mi porse l'abito ed andai in camerino a provarlo. Sistemai la sottogonna ed uscii per guardarmi meglio. Harry mi scrutò attentamente e si rivolse alla commessa: «Signorina, qualcosa per completare il tutto?»
«Certamente.», la donna fece un giretto per il negozio e tornò con una serie di accessori. Mi chiese cortesemente di legarmi i capelli, così mi feci uno chignon un po' spettinato. La donna prese una bandana blu notte e, dopo avermi chiesto il permesso, me la mise sui capelli stringendo un nodo appena sopra il capo. Mi fece poi indossare una collana di perle ed un paio di occhiali da sole anni 60; infine mi porse delle decollete e una borsetta a tracolla con una cinghia di cuoio, che misi sulla spalla. «Ecco qui.», disse alla fine con le mani intrecciate tra loro.
Mi divertii a vedermi in vesti di ragazza anni '60, lo trovavo estremamente sexy. «Mi piace da matti.», risi.
«Sei uno schianto.», commentò Harry, anch'egli divertito.
«Volete che scatti una foto?»
Esitai, ma Harry mi precedette: «Certo, grazie.», si mise in disparte con le mani in tasca mentre la commessa prese la sua polaroid e mi chiese di mettermi in posa per scattare.
Mi sfilai gli occhiali per vedere la fotografia che era magicamente uscita dalla macchina e che era ancora un po' sbiadita. «E' fantastico, non avrei mai creduto di star bene con questi abiti indosso.»
«Prendiamo tutto.», disse Harry entusiasta.
«Eh?! Io... io non so se le metterò queste cose, non so se ne avrò l'occasione.»
«Qualche cosa troveremo.», mi fece l'occhiolino, «Volevi guardare qualcos'altro?»
«Oh no, no... va benissimo così.», sorrisi.
«Su, va' a cambiarti.»
Aveva deciso di viziarmi per il giorno del mio compleanno. Ma non volevo che pensasse che io approfittavo del suo denaro. Avevo già insistito sul fatto di pagare con i miei soldi lo shopping ed eravamo finiti con il litigare. Decisi di lasciarmi coccolare soltanto per il giorno del mio compleanno.
Mi rimisi i miei abiti ed uscimmo dal negozio.

«Non riuscirai a viziarmi in questo modo ancora per molto.»
«Questo lo dici tu. Sono cresciuto con due donne in casa, credi che non io non sappia come prenderti? Perciò, oggi comando io e se decido che voglio viziarti ti vizio.», mi prese di nuovo per mano e io restai alquanto interdetta. Aver ragione con lui era una sfida.
Mentre passeggiavamo per le gallerie del mall, ad un tratto si sentirono dei passi pesanti alle nostre spalle ed un vociare confuso. Entrambi ci voltammo, trovandoci davanti a cinque o sei adolescenti scalpitanti. Mi feci da parte per lasciare spazio a foto ed autografi. Harry però mi prese per il polso e mi fece restare con lui; fu questione di un istante, ma in quel piccolissimo arco di tempo mi sentii così importante per lui, così sua. Le ragazzine mi guardarono dapprima con aria un po' infastidita, ma poi una di loro si avvicinò a me: «Ciao, tu sei Becky non è vero?»
«Sì.», sorrisi.
«Posso fare una foto con te?», mi chiese.
«Oh certo.»
La ragazza prese il suo iPhone e scattò una foto, dopo essersi accostata a me. «Grazie mille.»
«Di nulla.», risposi. Anche le sue amiche vollero fare lo stesso, sebbene io sapessi che non era tanto perché provavano simpatia verso di me, ma per dire “ho visto la fidanzata di Harry Styles”. Già, io non ero Becky Greene, ma semplicemente la ragazza di qualcun'altro.
Intanto guardavano Harry e scambiavano qualche parola con lui. «Il mio sogno è diventato realtà. Sei la mia ragione di vita, te lo giuro.», diceva una asciugandosi le lacrime. Harry la abbracciò: «Tesoro, non piangere, mi mette tristezza.».
Sciolsero l'abbraccio e arrivò il momento si salutarsi, anche se mi resi conto che per loro non fu facile.
«Mi dispiace.», Harry mi circondò le spalle con il braccio.
«Di che cosa?», lo guardai in viso.
«Che tu debba sopportare tutto questo.», lui evitò il mio sguardo.
«Smettila.»
«Di fare?»
«Di ripetere sempre le stesse cose. Come te lo devo dire che va bene così?»
«Sei testarda.»
«Tu sei testardo.»
Si arrese e sbuffò con un sorriso: «Donne.»
Gli tirai una pacca sulla nuca: «Zitto.»
Dopo essere saliti su una delle numerose scale mobili, arrivammo nell'area est. Il negozio di cosmetici della Mac attrasse la mia attenzione: «Addio.», accelerai il passo e mi fiondai dentro a quel paradiso. Come misi piede dentro, cinque commesse si avventarono su di me: «Ciao, come posso esserti utile?», «Stai cercando qualcosa in particolare?», «Accomodati pure!».
«Intanto do solo un'occhiata, grazie.», cercai di essere cortese. Feci un giro, fino ad avere il piccolo cestino apposito riempito per metà. Guardai Harry fuori dal negozio a braccia conserte e risi nel vedere la sua espressione. Non sarebbe mai entrato, a meno che... mi diressi alla cassa: «Prendo queste cose qui.»
«Certo.», disse la commessa. Poi con voce squillante, esclamò: «Possiamo proporti anche...»
La interruppi: «Va bene così, grazie.», mi stava togliendo l'anima.
«Sono settantatrè dollari e trentacinque centesimi.»
Non appena misi la mano in borsa per prendere il portafogli, mi trovai Harry affianco con la carta di credito in mano: «Tenga.», la porse alla ragazza.
Scoppiai a ridere: «Fregato.»
«Maledetta.»
Gli schioccai un bacio: «Sto imparando, eh?»
Fece finta di niente, poi, terminato il pagamento, rimise la carta nel portafogli e, dopo aver ringraziato, si voltò per uscire dall'inferno (o paradiso).

Vidi un negozio di scarpe che sembrava proprio fare al caso di Harry. «Amore guarda lì, che dici?»
Indicai la vetrina. Mi guardò truce nascondendo un sorriso: «Qualche riferimento alle mie scarpe?»
Guardai ai suoi piedi degli stivaletti del dopo guerra di sette numeri più grandi del suo: «Assolutamente no, tesoro.», cercai di non ridere.
«Non starai mica criticando le mie scarpe.»
Non riuscii a trattenermi e scoppiai in una fragorosa risata: «Figurarsi, cosa te lo fa pensare non lo so.»
Si unì anche lui: «Che fai, sfotti?», chiese stringendomi a sé entrando nel negozio.
«Non potrei mai capo.», gli presi il viso con una mano e gli schioccai un bacio sulla guancia.
Ci guardammo intorno: «Beh consigliami tu allora.», disse.
«Non credo tu condivida la mia idea.», storsi il naso.
«Tu dimmela.», si strinse nelle spalle.
Mi avvicinai con la bocca al suo orecchio e quasi sottovoce gli confidai: «Te le ricordi le tue vecchie amate Converse bianche?»
Annuì passandosi la lingua tra le labbra.
«Mi mancano da impazzire.»
Mi sorrise svelando le sue fossette mozzafiato: «Dici davvero?»
«Sì.»
Diede un occhio ai suoi piedi, poi alla parete sulla quale erano poste le sneakers. «Se desideri questo, ti farò felice.». Si rivolse alla commessa chiedendo di provare un 10,5 delle All Star bianche. Quando se le provò si mise davanti allo specchio e si guardò: «Mi fa un effetto strano.»
Lo abbracciai appoggiando la testa sulla sua spalla e mi vennero in mente quei giorni, a scuola, quando passavo le ore a pensare a lui, quando lo guardavo all'intervallo, persa, e quando andavo nella panetteria per vederlo. Pensai poi a quando se n'era andato via e la mia vita, come la sua, era cambiata. Era molto diverso da quando aveva sedici anni, il viso più paffuto, quei riccioli sulla fronte e il fisico ancora da bambino. Mi accorsi che una lacrima era scesa dalla mia guancia e me la asciugai in fretta. Anche Harry lo notò: «Ehi ehi...», sentii il suo petto vibrare in una tenera risata mentre mi stringeva a sé: «Che c'è, stellina?»
Sorrisi: «Niente, un attimo di nostalgia. Tutto qui.»
Mi accarezzò la guancia e si chinò per mettere gli stivaletti nella scatola delle Converse: «Le dispiace se le tengo già addosso?»
«Assolutamente. Mi dia pure la scatola.», rispose la donna.
Harry andò a pagare e io lo aspettai fuori dal negozio, quando lo vidi con le scarpe nuove sentii un espressione di gioia comparire sul mio viso: «E' incredibile.», mi portai le mani alle guance.
Mi premette un piccolo bacio sulla fronte: «Io sono sempre lo stesso Harry di Holmes Chapel. E non sarà di certo la fama a fare di me un uomo diverso.»
Si accorse che mi ero irrigidita alla parola 'uomo', come fece non lo so. «Uomo fuori, uomo per etica e principi. Ma ancora bambino dentro, Becky.»
Lo strinsi fortissimo: «Meno male.»

Continuammo a girare per il mall con sacchetti e sacchettini di ogni genere tra le mani. Incontrammo ancora qualche fan, ma ogni volta mi ci abituavo sempre di più. Non mi dava eccessivamente fastidio, dovevo soltanto prenderci la mano. Alcune mi guardavano con disprezzo, altre erano addirittura dolci e la cosa mi rincuorò. Si erano fatte quasi le undici, così decidemmo di lasciare il centro commerciale. «Allora ti è piaciuto?», mi chiese Harry mentre apriva il bagagliaio dell'auto per riporvi le buste.
Lo guardai sbigottita: «Piaciuto?! Questo è un paradiso.»
Rise: «Su, monta in macchina, che il paradiso te lo mostro io adesso.»
Lo guardai interdetta e dopo un attimo scoppiai a ridere.
Harry scrollò il capo sorridendo: «Sei pessima. Insomma, i bambini di tredici anni trovano doppisensi ovunque, non...!»
Non smettevo di ridere: «Scusami ma me l'hai servita sul piatto d'argento.»
Sospirò con un sorriso: «Sali, stupida. Ti porto in una meraviglia di posto, così chissà che ti distrai.»
Ubbidii e me ne stessi buona buona sul sedile dell'auto.

Attraversammo lunghe strade dalla linea convessa affiancate da palme sottili e slanciate, semafori e cartelli gialli. Nel cielo splendeva un sole caldo e non c'era una sola nuvola.
«Guarda lì.», Harry mi indicò la collina davanti a noi. Diedi un occhio e mi accorsi della famosa scritta bianca “Hollywood”. «Oddio non ci credo...», dissi con stupore.
«Ti porterò lì. Proprio vicina vicina.»
«Che cosa?!», lo guardai in viso.
«Te l'avevo detto che sarebbe stata una giornata speciale.», mi diede un piccolo buffetto sulla guancia con le dita. Harry sapeva sempre come sorprendermi. Mai nessuno aveva fatto tanto per me.
Ci volle un'ora buona perché arrivassimo nelle vicinanze della grande scritta e ad ogni chilometro diventava sempre più grande ai nostri occhi. Mi soffermai un attimo a pensare a come potevo aver avuto la fortuna di amare ed essere amata da una persona così sorprendente. Chi mai mi avrebbe potuto portare il quei posti e farmi vedere il mondo? Chi altro mi avrebbe potuta far sentire così importante come sapeva fare lui?
Harry parcheggiò l'auto su uno spiazzo sterrato e mi fece scendere. Appena misi piede per terra feci per guardarmi intorno, ma lui me lo impedì facendomi voltare verso la collina. «Ehi... siamo in paradiso e tu nemmeno mi fai guardare?», protestai.
«Quando ti sei fidata di me, ti ho mai delusa?»
«Ehm... no.»
«Benissimo, allora salta su.»
Non obbiettai, gli salii in groppa e chiusi gli occhi. «Tu sei tutto matto.»
Sentii la sua schiena vibrare in una lieve risata complice. I suoi passi pesanti scesero degli scalini udii un «Ciao Greg.», poi il cigolio di – presumetti – un cancello di ferro e un «A voi.» di una voce di uomo. «Grazie infinite.», disse Harry.
«Di nulla amico. Quando vuoi... basta solo che rimanga tra noi.», rise l'uomo.
Harry avanzò ancora di qualche metro verso il basso mi posò a terra. «Mi dispiace tesoro ma ond'evitare che precipiti giù devi guardare dove metti i piedi.»
Quando aprii gli occhi mi trovai davanti ad un'enorme impalcatura nella quale vi erano degli scalini. «Seguimi.», mi disse.
Annuii e iniziammo a salire gli scalini facendo ben attenzione. Dopo un po' giungemmo su una specie di piattaforma. Guardai prima davanti a me, poi in alto. Una sorta di finestra alta circa dieci metri ed ovale faceva da cornice allo splendido panorama di Los Angeles. «Su, siedi qui.», entrambi prendemmo posto con le gambe a penzoloni fuori dalla “finestra”, ma solo quando mi sporgetti un po' in avanti e guardai ai miei lati mi resi conto di dove fossimo. Eravamo seduti sulla “o” della scritta “Hollywood”. Mi portai la mano alla bocca e mi mancò il fiato, non smettendo di guardare la vasta pianura che man mano diventava più annebbiata, anche se erano ben visibili i grattacieli del centro di Los Angeles. Guardai poi Harry: «I-io non ci posso credere. D-davvero, non...», non sapevo che dire. Lui mi abbracciò: «Dici che sto riuscendo nel mio intento di rendere questo giorno indimenticabile?»
«Sta' zitto, presuntuoso che non sei altro.», gli presi il viso tra le mani e ci baciammo. Quante coppie avevano avuto l'occasione incredibile di baciarsi seduti su una lettera della scritta “Hollywood”? Non c'era davvero parola o gesto che potesse ricambiare quella sorpresa magnifica. Mi sentivo così debole sapendo che io mai e poi mai avrei potuto stupirlo come lui stupiva me in ogni cosa che faceva. Quell'ora che passammo stretti l'una con l'altro a parlare di noi, a ridere, a baciarci e a guardarci intorno fu la più bizzarra e bella che potesse regalarmi.

Fu difficile farmi venire via da quel posto, ma come sempre mi affidai ad Harry e ne valse la pena. Quel pomeriggio mi portò sulla spiaggia di Malibu a respirare un po' d'aria di mare e a prendere il sole. Tutto era così inconcepibilmente perfetto... La sabbia, il caldo, l'acqua... e lui. Lui, che amavo più di me stessa, che se fosse sparito avrei potuto anche morire. Quello fu il compleanno più speciale della mia vita e so che non posso spiegarlo con qualche parola, ma credo che chiunque pagherebbe per uno sfizio così.

Tornammo a casa non troppo tardi, sulle sei del pomeriggio. Harry aveva detto che mi doveva portare a cena in un posto magnifico, anche se io mi chiedevo come fosse possibile che fosse alla portata di ciò che avevo passato le ore prima.


Spazio Autore: scusatemi infinitamente per il ritardo ma ho avuto dei problemi e come vedete il capitolo è molto lungo. non so se ci sia ancora qualcuno che la voglia leggere.. in caso contrario vi invito a recensire! grazie xx

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Capitolo 20
*** Capitolo Diciannovesimo ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO

 

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Esausti, appena entrammo in casa ci buttammo di peso sul divano. «Stancano le sorprese.», sospirai.

«Sono d'accordo.», disse Harry.

«Doccetta?»

«Assolutamente sì.»

«Il che significa che devo trovare la forza di alzarmi, giusto?»

«Almeno che la doccia non venga qui, mi sa proprio che non ti resta via di scampo.»

Mi alzai a fatica: «Ti aspetto lì.»

Harry annuì: «Arrivo.»

Mi diressi verso il bagno e mi sciolsi i capelli. Mi tolsi poi i vestiti e li appesi sull'appendiabiti attaccato alla porta. La doccia era molto ma molto spaziosa, con le porte in vetro e il getto largo. Aprii l'acqua calda e lasciai che scorresse sul mio corpo e si insinuasse tra i miei capelli. Un denso vapore comparve nel vano, appannando i vetri.

Dopo poco sentii Harry entrare e sfilarsi i vestiti. Mi girai di spalle e lasciai che entrasse nella doccia. Con le grandi braccia mi circondò il ventre e mi diede dei morbidi baci sul collo, fino ad arrivare alla spalla. Mi voltai per bagnargli per bene i capelli, mentre lui teneva le mani posate sul mio bacino. Gli circondai il collo con le braccia e baciai le sue labbra carnose; un brivido mi scese lungo la schiena. Gemetti quando provai un po' di dolore sulla ferita e lui si allontanò scusandosi. «Sta' zitto e vieni qua, sopporterò..». I suoi baci mi facevano andare via di testa, mi narcotizzavano, non facendomi capire più nulla. L'acqua scorreva sui nostri corpi stretti l'un l'altro e si fondeva nel nostro bacio. Harry strinse la presa e mi fece addossare al muro freddo con la schiena. Sussultai e lui mi morse leggermente nell'incavo del collo, facendomi provare un leggero dolore. Feci una risatina: «Vieni qui.», presi lo shampoo, me ne misi un po' sul palmo della mano e glielo misi tra i capelli, iniziando a massaggiali con movimenti circolari: «Ho sempre sognato di poterti lavare i riccioli.». Harry rise: «Sempre sognato? Addirittura?»

«Dai tempi della cotta.», precisai.

«Fantasticavi?», mi provocò.

«Smettila di costringermi a farti dei complimenti, lo fai solo perché ti piace sentirti desiderato.», feci finta di nulla, continuando a giocare con la soffice schiuma.

«Perché, non lo sono?», continuò.

Risi: «Finiscila, idiota.»

«Beh, anche tu sei desiderata, molto direi.», disse in tono sensuale, premendo il suo petto contro il mio seno.

«Ah si?»

«Ho voglia di fare l'amore con te.», mi sussurrò all'orecchio.

«Questa notte. Ti prometto che sarà una delle più belle. Devi soltanto aspettare qualche ora.», gli risposi con aria provocatoria.

«Tu hai del potere su di me, bimba, questo non va affatto bene.»

«Lo so e così dev'essere.»

«Dai, solo un pochino...», mi implorò.

Lo presi per le spalle e lo cacciai sotto il getto della doccia: «Ho deciso che si fa così.»

Harry aprì la bocca per prendere fiato e scosse la testa: «Dopo vedi, stronzetta.», disse sciacquandosi i capelli. Mi insaponai anche io e finimmo di farci la doccia tra baci e sberleffi. Di sicuro non capitava tutto i giorni di fare la doccia con Harry Styles. Non mi potevo di certo lamentare.

 

Ci stavamo preparando per uscire – chiaramente dove non lo sapevo, dato che era tutto una sorpresa – ed io mi ero appena asciugata i capelli.

«Becky.», Harry mi chiamò dalla cabina-armadio.

«Sì?»

«Ti sei già vestita?»

«No, perché?»

«Vieni qui, ti devo dare una cosa.»

Perplessa, andai nella stanza adiacente alla camera da letto. Lui indossava solamente i pantaloni ed era a petto nudo; cercai di tenere a freno i miei ormoni.

Mi sorrise e mi porse una scatola quadrata color rosa antico con un grande fiocco di raso. Lo presi cercando di indovinare cosa potesse essere e tirai un capo del nastro per sciogliere il fiocco. Quando tolsi il coperchio i miei occhi divennero lucidi. Era il famoso vestito blu notte che avevamo visto in vetrina i primi giorni in cui ci eravamo conosciuti. Mi stupiva sempre di più, era un regalo magnifico. Fu in quel momento che mi ricordai che mi doveva ancora fare gli auguri. Forse nella sua famiglia non si usava, che so.

«Io non... non è possibile, non so che cosa dire, non so come dirti grazie, come farti capire quanto significhi...», mormorai.

Mi accarezzò la guancia: «Sono felice che ti piaccia. Ti starà d'incanto.»

«Dannazione, non puoi farmi rovinare il trucco, l'ho appena fatto!», mi tamponai la parte inferiore dell'occhio con l'indice e risi: «E'... davvero sorprendente. Tu, lo sei.»

«Su, indossalo.», Harry lo tirò fuori dalla scatola e lo mise in modo che io potessi infilare le gambe all'interno. Con le mani appoggiate alle sue spalle, lasciai che me lo infilasse e, quando me lo chiese, mi voltai scostando i capelli dalla schiena per tirare su la cerniera. Mi guardai allo specchio. La forma a sirena metteva in risalto le mie curve e rendeva le spalle proporzionate al corpo. Feci una piccola piroetta e restai a guardarmi. Era bellissimo per davvero.

Vidi Harry deglutire: «Fino a stanotte hai detto?», chiese con aria preoccupata.

Risi e mi avvicinai per schioccargli un bacio sulle labbra, con i palmi sulle sue guance: «L'attesa aumenta il desiderio, ricordatelo.»

Finimmo di prepararci. Mi acconciai i capelli, mi truccai – riuscii a nascondere abbastanza il taglio sul labbro con dei cerottini appositi - e abbinai una clutch argentata ma non troppo vistosa. E lui... lui era da shock anafilattico. Una cosa da perder la testa. Camicia bianca, completo grigio scuro, cravatta sottile e stivaletto in pelle. Cercai invano di tenere a bada il rossore e, come al solito, lui se ne accorse ma non commentò.

«Pronti per andare?», mi chiese, dopo che avemmo indossato le nostre giacche.

«Sempre e comunque, capo.», annuii sorridendogli.

«Ho chiamato Jim, ci porterà lui al ristorante.»

«Perfetto.»

Uscimmo di casa, il grande suv era già posto davanti al cancello. Le persone erano diminuite rispetto a prima, ma c'era ancora qualcuno con telecamere e microfoni. Riuscimmo a montare in auto senza troppi problemi. «Buonasera, Jim.», salutai l'uomo al posto guida.

«Buonasera a te, dolcezza.»

Harry scherzò: «Che fai, Jim, ci provi con la mia ragazza?»

«Se non fosse perché a casa mi aspettano una moglie incinta e due figli, potrei anche farci un pensierino, sai?». Ridemmo entrambi.

«Sei il solito idiota. Parti pure.»

L'autista mise in moto e partimmo, diretti chissà dove. «Non devo neanche tentare di indovinare, giusto?», chiesi.

«Stai imparando.», mi sorrise lui. Pochi attimi dopo gli squillò il telefono: «Mamma.»

«Ciao tesoro! Come stai?», sentii la voce di Anne dall'altro capo della linea.

«Molto bene, grazie. Voi come state?»

«Solito, tutto a posto. E Becky?»

«Te la passo?»

«Magari, così le faccio gli auguri.»

Harry mi porse il telefono. «Pronto?»

«Ciao Becky, buon compleanno!»

«Grazie mille, signora.»

«Anne.», ridemmo entrambe.

«Come vuole, Anne

«Come ti sta trattando il mio ometto?». Sentii Harry borbottare qualcosa.

«Direi magnificamente. Una delle giornate più belle della mia vita.»

«Ti sta portando a cena fuori?»

Mi strinsi nelle spalle: «A quanto pare. E' tutto una sorpresa.»

«Vedrai che sarà proprio un bel lieto fine.»

«Non ne dubito affatto.», sorrisi tra me e me.

«Allora buona serata, tesoro. Divertitevi.», mi salutò con tono materno.

«Arrivederci Anne, grazie di cuore.»

Ridiedi il telefono a Harry: «Hai sentito Gemma? Mi ha detto che voleva chiamarti ma avevi il telefono staccato.», gli chiese sua madre.

«Veramente no.»

«Sai che a lei fa piacere sentirti. Chiamala appena puoi, ve bene?»

«Va bene, mamma, lo farò.»

«Bene. Buona serata amore, rendila felice, mi raccomando.», rise.

«Non ti deluderò.»

«Un bacio grande tesoro, ci sentiamo.»

«Un bacio anche a voi, a domani.». Stava per attaccare quando Anne disse: «Ah aspetta un attimo. Senti, so che è molto ma molto imbarazzante, sono stata giovane anch'io. Non ho alcuna intenzione di farmi gli affari vostri, di sapere quando, da quando, come, dove e perché, ma sai come sono le cose, l'entusiasmo a volte gioca brutti scherzi, io non vorrei...»

Harry la interruppe in tempo: «Mamma usiamo il preservativo, sta' tranquilla.»

Io e Jim scoppiammo a ridere. Allora i miei non erano gli unici fissati e iperprotettivi. Harry riattaccò: «Perdonala, ha fatto lo stesso con Gemma, quindi prima o poi me l'aspettavo.»

«Pensi che mia madre non abbia fatto lo stesso?». Pochi istanti dopo squillò il telefono anche a me. Tutti in quel momento? «Pronto? Daisy!», risposi con entusiasmo.

«Becky, tanti auguri!»

«Grazie. Come va?»

«E lo chiedi a me? Tu, piuttosto. Sei a Los Angeles con un pezzo di figo assurdo stramiliardario.», disse con la sua voce squillante.

Arrossii paurosamente quando vidi la faccia divertita di Harry. «Daisy...», risi sotto i baffi.

«Dove ti ha portata? State andando a cena?»

«Ti racconterò tutto nei minimi dettagli. Promesso.»

«Non vedo l'ora. Non è che mi può presentare qualcuno?»

Mi rivolsi a Harry: «Daisy chiede se hai buone conoscenze.»

«Finché vuole.», rispose lui.

«Becky, scherzavo! Che figure mi fai fare.», mi rimproverò lei.

Risi: «Non morde, tranquilla.»

«Ti devo fare le mille raccomandazioni o ci ha già pensato tua madre?»

Harry scoppiò a ridere: «Incredibile.»

«Oh no, ti prego. Anche tu no.», dissi esasperata.

«Okay, scusa, scusa... mi assicuravo solo. Va be', ti lascio col tuo principe, amica. Ci sentiamo presto, Becky.»

«Grazie per la telefonata Daisy, a presto.»

Una volta che ebbi riattaccato, poggiai la testa al sedile, esasperata. «Come non detto.»

«Non si fidano molto di noi, che dici?»

«No, credo di no.»

Cercavo di capire dov'eravamo diretti, ma il senso dell'orientamento non era proprio il mio forte. Capii dove mi aveva portata soltanto quando Jim accostò davanti ad un ristorante in riva al mare, con vetrate e una grande terrazza con dei tavoli. Si sentiva soltanto il leggero vociare dei clienti e il rumore delle onde. Il sole doveva ancora tramontare e tingeva l'acqua di una luce rossastra. Sull'insegna lessi “The Lobster”; molte volte ne avevo sentito parlare, era infatti uno dei ristoranti più rinomati di Los Angeles. Scendemmo dalla macchina e Harry, dopo avermi preso per mano, mi portò all'interno del ristorante. Tirai un sospiro di sollievo quando vidi che c'erano solamente adulti e che quindi avrebbero avuto la clemenza di non saltarci addosso. Un uomo in camicia e papillon ci accolse: sembrava già sapere chi fossimo. «Buonasera.», ci accolse cortesemente.

«Buonasera.»

«Styles, giusto?»

Harry assentì. Il cameriere fece una spunta sul grosso librone posto su una sorta di leggio. «Prego, seguitemi.». Facemmo come ci aveva detto ed io mi guardai intorno. Quel posto era davvero uno spettacolo, l'eleganza nella sua forma più pura. Mi sorpresi quando scendemmo una scala di legno, per poi camminare su una passerella sopra la spiaggia. Poco dopo giungemmo su un molo e, quando ebbi guardato alla fine di esso, mi venne un tuffo al cuore. Un tavolo per due era apparecchiato proprio lì in fondo, con candele e stoviglie luccicanti, e lo champagne era già in fresco. Guardai Harry strabiliata e lui mi strinse la mano più forte. Una volta giunti alla fine del molo, il cameriere ci scostò la sedia perché prendessimo posto. «Ecco qui i menu.», ci porse due fogli elegantemente stampati e ci versò il vino. Quando ci ebbe lasciati soli mi guardai intorno. Ci trovavamo sull'acqua, accarezzati dalla brezza marina, insieme, innamorati più che mai. Mi chiesi cos'altro avrei potuto desiderare. «Credo che tutto questo sia semplicemente incredibile.», mi limitai a dire.

«Possiamo considerarlo un buon lieto fine allora?»

«Altroché. Non so a quanti sia capitato di fare tutto ciò in un solo giorno, a dire il vero.»

«Diciamo che siamo fortunati.»

Allungai la mano sul tavolo per accarezzare la sua: «Mi sembra così inverosimile. Un sogno, in cui tutto è perfetto... Dammi un pizzicotto, magari mi sveglio.»

Harry mi diede un piccolo pizzicotto sul dorso della mano, mentre io stavo ad occhi chiusi. Li riaprii quando mi resi conto di essere ancora lì, su quel molo, con il mio ragazzo, li riaprii: «Cavolo, tutto vero.»

Sorrise spostando lo sguardo in basso. Quelle fossette. Dio.

Sfogliammo il menu e dopo qualche minuto il cameriere si presentò al nostro tavolo speciale. «Siete pronti per ordinare?»

«Prendiamo il misto di pesce per due persone.», rispose Harry.

«Benissimo.», ritirò i menu e si voltò per andarsene.

Consumammo la nostra romantica cena. Mi ero ritrovata a dover maneggiare attrezzi mai visti prima, come pinze per togliere le chele al granchio o mangiare l'aragosta. Dovevo esser stata davvero comica, perché avevamo riso fino ad aver il mal di pancia. Avevamo scherzato sul fatto che non smettevo di bere champagne o che ero un pozzo senza fondo. Il pesce era stato davvero ottimo, qualcosa di sublime. Harry sembrava essere un esperto anche in quest'ambito, tanto per cambiare.

Una volta pagato il conto, mi propose di fare una passeggiata sulla spiaggia. Potevo rifiutare? Direi di no. Intrecciò la mia mano con la sua mentre percorrevamo il molo. «Quand'è? Il tuo compleanno? Il primo febbraio giusto? Beh, ho ancora tempo per pensare a qualcosa all'altezza di questa giornata. ...O che ci somigli almeno lontanamente.», mi schiarii la voce imbarazzata.

Harry si mise a ridere e mi strinse a sé baciandomi sulla testa.

«Che c'è?», domandai con un lamento.

«C'è che se non la finisci ti butto in acqua.»

Risi: «Sei troppo gentile per farlo. Non lo faresti mai.»

«Hai ragione. Ma posso essere cattivo, lo sai?»

«Ah si?», lo presi in giro.

«Sì.». Con un rapido movimento mi issò in spalla e mi ritrovai a testa in giù con il busto sulla sua schiena. Gli tirai una pacca sul sedere: «Mettimi giù, vomiterò il mondo!»

«Te l'avevo detto che non dovevi sottovalutarmi, bimba.»

«Va' al diavolo. Quando morirò soffocata sarà troppo tardi. E verrai pervaso dal senso di colpa. E non dormirai più la notte.»

Eravamo arrivati sulla riva della spiaggia, ma Harry non si decideva a mettermi giù. «Basta Harry... voglio scendere.»

«Mi piace di più il mio nome quando lo pronunci tu.», mi posò a terra con grazia, io mi sistemai il vestito e mi tolsi le scarpe.

Misi le mani sul mio petto, mentre lui teneva le sue sui miei fianchi. «Harry.», gli sorrisi.

Chiuse gli occhi: «Dillo ancora.»

«Harry... Harry io ti amo. Sono innamorata di te, dell'affetto che mi dai in ogni istante, del tuo sorriso che riesce sempre a far sorridere anche me, di ogni tuo piccolo gesto, di ogni tuo prego e di ogni tuo difetto. Quando ti guardo mi scoppia il cuore, non vorrei lasciarti mai, per nulla al mondo. Se mi chiedessero di scegliere tra la mia vita e la tua vita, sceglierei certamente la tua, perché senza di te la mia non sarebbe degna di questo nome. Perciò ti ringrazio per aver dato un senso ad ogni mia giornata, ad ogni mia azione e ad ogni mio sentimento. E ti giuro che in questo sarà tuo fino a quando lo vorrai, al di là dei litigi, delle incomprensioni e di tutto quelle volte in cui crederemo che sia finita. Per sempre, è una promessa.»

Mi accarezzò la guancia quasi fossi fragile come il cristallo: «Amore mio. Non sai quanto mi sia difficile riuscire a spiegarti che ti appartengo. Mi sento tuo, solo tuo e di nessun'altra donna al mondo. Mi chiedo come sia possibile amare una persona incondizionatamente, come sia possibile che ogni cosa perda importanza quando sono con te. Se ho te ho tutto. Mi basti tu, non ho bisogno di nient'altro. I litigi, le incomprensioni e tutto il resto si supereranno, perché io sono disposto a lottare fino alla fine della mia esistenza per vivere con te, anche a costo di soffrire. E la mia vita la vedo con te. E basta. Non riesco ad immaginarmi con nessun altro perché sembri nata per essere mia. Hai detto che tutto questo sembra un film e a questo punto lui le chiederebbe di sposarlo. Ma io non ti chiedo di sposarmi e di avere dei figli ora, perché siamo troppo giovani e non voglio farti prendere decisioni forzate ed affrettate. Piuttosto ti dico “viviamo oggi come se non ci fosse un domani”. La vita è lunga, avremo tempo per goderci la nostra vecchiaia insieme, seduti su una sedia a dondolo, sfogliando l'album di fotografie e accarezzando la fede al dito. Ti amo, Becky.»

Sorrisi e posai il capo nell'incavo del suo collo. «Balliamo.»

Sentii il suo petto vibrare un una breve risata: «Senza musica?»

«Senza musica.»

«E che canzone ti piace?»

«Imagine di John Lennon.»

Harry mi invitò a prendere la posizione del lento, la mia mano sulla sua spalla e la sua sul mio fianco. «Imagine there's no heaven. It's easy if you try...»

Lasciai che mi cullasse, al suono della sua voce e delle onde che si infrangevano sulla riva.

«No hell below us... above us only sky...»

Era buio. Scorgevo soltanto la luce dei suoi occhi e i riflessi dei suoi capelli scuri dati dalla luna piena.

«Imagine all the people... living for today...»

A quel punto lo baciai, interrompendo quel canto. Mi dispiacque di averlo interrotto, ma lo desideravo più di qualsiasi altra cosa. Le sue grandi braccia circondarono il mio busto, mentre le nostre labbra si fondevano in una cosa sola, il suono dei nostri baci si aggiunse a quello del mare. Me ne fregai del leggero dolore che provavo a causa del taglio. Passai le mani attorno al collo della sua camicia per sfilargli la sottile cravatta e lasciarla a terra. Mi irrigidii quando fece premere il mio bacino contro il suo, tenendo la mano sulla parte bassa della mia schiena. Dopo qualche istante, senza staccare le sue labbra dalle mie, mi prese in braccio e, una volta accasciatosi al suolo, mi fece distendere sul suo corpo ormai a petto nudo. Si staccò un attimo dal mio viso: «Credi davvero che mi fossi dimenticato?», mi sussurrò.

«C-che cosa?»

«E' il tuo compleanno, ricordi?»

«Oh... giusto.»

«Auguri piccola.»

Tacqui. Facemmo l'amore. Forse la volta più bella di tutte. Non l'avrei mai dimenticato.

 

Doveva essere davvero molto tardi quando ci rivestimmo. «Sono tanto presa male?», chiesi preoccupata. Rise a vedere il mio aspetto. Mi sistemai i capelli pieni di nodi: «Credi davvero di essere più a posto di me?»

«Affatto.»

Ci incamminammo verso il ristorante ed io indossai le scarpe col tacco. Quando ci facemmo vivi all'interno della sala calò il silenzio, seguito da brusio e risate sotto i baffi. Ci guardammo meglio alla luce delle lampade e scoppiammo a ridere. Avevamo davvero un aspetto selvaggio. Sgattaiolammo fuori dalla porta d'ingresso. L'auto era già davanti al locale, pronta per riportarci a casa. Una piccola folla si avventò rapida su di noi. Jim scese per aprirci la porta a fatica, ma un giornalista si avvicinò a noi prima che salissimo in auto. «Tutto il mondo parla di voi, Harry. Ci puoi dire di più?», chiese con tono provocatorio.

Harry non rispose e mi tenne stretta a sé. Di nuovo quella scena, un gruppo di persone accalcate verso di noi. «Dicci qualcosa di più, andiamo! Siete venuti a cena per il suo compleanno? Da quanto va avanti la vostra storia?»

Harry allora rispose: «Va avanti da qualche mese, siamo molto felici. Abbiamo passato una bellissima serata, grazie. Per il resto sapete tutto, no?»

Mi mancava il respiro, soffrivo di claustrofobia, e mi girava la testa.

«Non credi sia difficile portare avanti una relazione con la tua fama?», il giornalista si sentiva eccitato perché era riuscito finalmente a strappargli qualcosa di bocca.

«L'amore fa miracoli.», Harry fece l'occhiolino.

Mi sentivo di nuovo le gambe cedere.

«Molte fan credono sia una copertura per il famoso “Larry”. Che ci dici?»

A quel punto mi aggrappai a lui: «Harry ti prego, non ce la faccio più.». Harry non fece a tempo a rispondermi che mi arrivò uno spintone dal giornalista: «Chiudi il becco, stiamo parlando.». Vidi l'espressione di Harry mutare in modo spaventoso. La mascella si contrasse e un'ombra comparve sui suoi occhi. Mi spinse in macchina: «Entra, veloce.», chiuse la portiera. Vidi attraverso il finestrino Harry prendere il giornalista per il bavero della giacca e lo sentii dire, sebbene con suono ovattato, «Non azzardarti a sfiorarla di nuovo con un solo dito, testa di cazzo. Giuro che se ti vedo di nuovo ti spacco la faccia, sono stato chiaro?», lo lasciò con un gesto violento e, prima di entrare affianco a me, aggiunse: «Vale lo stesso anche per tutti voi.»

Ero impietrita, me ne stavo con i pugni serrati e lo sguardo fisso su un punto, il cuore mi batteva all'impazzata. Harry se ne stette con il capo appoggiato al finestrino: «Vai.»

Non dicemmo una parola per tutto il tragitto. Nulla. Quando arrivammo a casa Harry mi prese con forza per il polso per farmi smontare dall'auto ed entrammo velocemente in casa. «Ehi... è stato un incidente. Non capiterà più, davvero.»

Non rispose, mentre si toglieva i vestiti.

«Senti, va tutto bene. Ci siamo promessi un sacco di cose! Capita, Harry!». Non disse nulla nemmeno stavolta. Andammo in bagno a lavarci i denti ed evitai di andare avanti. Era teso. E muto. Quando andammo a letto dissi: «Per favore. Ascoltami.»

«Smettila, Becky, non è sempre tutto come in un film.»

Spense la luce e si girò dalla parte opposta alla mia.



Spazio autore: grazie a tutti coloro che leggono questa storia e che recensiscono. il prossimo sarà l'ultimo capitolo, perciò godetevelo! xx

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Capitolo 21
*** Capitolo Ventesimo ***


CAPITOLO VENTESIMO
 
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Me ne stavo lì, distesa, con le mani intrecciate sul ventre, fissando il soffitto. Non mi ero nemmeno tolta il vestito. Il perché non lo sapevo, probabilmente perché volevo tenermi stretta l'unica cosa che forse mi sarebbe rimasta di lui. Avevo un nodo in gola, che si stringeva sempre di più. Soffocavo ogni singhiozzo, liberandolo in un respiro profondo. Non potevo piangere, non potevo farmi sentire, ma avevo un tremendo bisogno di farlo. Sentii una lacrima scorrere a lato del mio occhio per poi cadere sul cuscino. Harry era voltato dalla parte opposta alla mia, inerme anche lui. Probabilmente dormiva. Io non chiudevo occhio, le sue parole rimbombavano nella mia mente, come un'eco lontano ma persistente. Ci eravamo promessi molte cose, quella sera. Mi chiesi se sarebbe bastato.
Sobbalzai quando sentii la sua voce: «Dormi?»
«No.», sussurrai per nascondere la voce rotta.
«A cosa pensi?»
«Tu a cosa pensi?», riuscii a mascherare di nuovo i singhiozzi a fatica.
Non rispose.
Fu lì che trasparì il pianto che incombeva. «Harry a cosa pensi?», ripetei.
Ancora nessuna risposta. Si voltò lentamente, mentre io non osavo muovermi. Il mio petto vibrò in dei singhiozzi silenziosi, a labbra strette tra loro e occhi gonfi di lacrime. 
«Piangi?», mormorò lui.
Scossi la testa freneticamente, negando l'evidenza.
«Non farlo.», disse quasi con tenerezza.
Rimasi muta ed immobile, in attesa di qualche spiegazione, di una parola che mi chiarisse le idee.
Si avvicinò a me, mise il braccio sotto il mio cuscino e con l'altro mi avvolse per stringermi forte a sé. Mi sentii protetta, lontana da ogni pericolo e da ogni male, sebbene il male in quel momento fosse lui. Liberai il mio nervoso pianto, lasciando che lui mi trasmettesse il suo affetto, e in quell'istante non mi importò in che razza di casino fossimo, mi bastavano soltanto il suo calore e il suo profumo. Mi baciò la fronte, sentii il suo respiro appesantirsi ed il suo cuore accelerare. «Non lasciarmi, ti prego.», dissi con voce strozzata. Rimanemmo lì, immobili, stretti l'uno con l'altro. Come se tutto andasse bene. 

Il mattino seguente mi svegliai, disturbata dalla voce di Harry proveniente dal soggiorno. All'inizio non capivo, ma poi tesi l'orecchio e mi misi ad ascoltare.
«Non esiste. Non puoi chiedermi una cosa simile, Simon.», il suo tono era severo, ma lui si sforzava di fare piano. «Io devo essere libero di vivere la mia vita, capisci? Non mi puoi negare la cosa più importante che ho.». Silenzio per qualche istante. «La fama?! Me ne fotto della fama, Simon! Dannazione, hai una moglie e un figlio, come puoi non capire?». «Louis ha una relazione, Liam ha una relazione, Zayn ha una relazione. Perché io non ne posso avere una?!». «Come sarebbe a dire “almeno un paio di single ci devono essere”?!». «No, Simon, non cerco di capire. Va' al diavolo, tu e tutti quei paparazzi. Sì, andate al diavolo tutti quanti.». Ci fu un lungo silenzio, tanto che pensai che avesse riattaccato. «Mi inventerò qualcosa.», sbottò infine. Sentii un forte tonfo e un lungo sospiro. E così il suo manager gli stava imponendo di rompere con me. Il tutto aggiunto al casino della sera prima. Non potevo piangere nemmeno ora, perché non doveva sapere che avevo sentito tutto. Dovevo sentirmele dire da lui, quelle cose. E avevo paura. Paura della fine. 
Mi alzai dal letto dopo qualche minuto ed andai in bagno a lavarmi. Avevo ancora l'abito blu addosso. Esitai prima di uscire, con la mano ferma sulla maniglia e il cuore a mille. Quando uscii mi diressi verso la cucina. Harry era seduto sulla sedia del tavolo da pranzo, con la fronte appoggiata sulle mani intrecciate e gli occhi serrati. Non dissi nulla, presi una tazza dalla dispensa e preparai del caffè. «Ne vuoi un po'?», chiesi.
«No, grazie.», non si mosse.
Mi sedetti dall'altra parte del tavolo, con le mani attorno alla tazza e lo sguardo basso. Silenzio. Ancora quell'odioso silenzio. Aspettavo solo lui, ancora. Stetti per dire qualcosa, ma mi bloccai in tempo. Si udiva il tic tac dell'orologio a muro, e basta. Non bevvi nemmeno un sorso del mio caffè. Non so quanto tempo stemmo lì, muti ed inermi ad aspettare chissà che cosa. 
«Forza.», dissi.
Non disse nulla, di nuovo.
«Guardami.»
Non mi guardò.
Mi alzai di scatto e andai da lui: «Ti ho detto di guardarmi.»
Sembrava in trance. Mi salì una rabbia immensa, che mi veniva da dentro, qualcosa di irrefrenabile, di implacabile. Fu allora che gli presi il viso con una mano con forza, costringendolo a guardarmi. I suoi occhi erano rossi e umidi e mi sentii un mostro per averlo trattato in quel modo, ma non poteva lasciarmi a rodere dentro in quel modo. 
«Parlami.», ringhiai.
Dalla sua bocca provenne un mugolio e una lacrima scorse sulla sua guancia. Allentai la presa e, per quale motivo non lo seppi, gli tirai uno schiaffo, forte, e rumoroso. «Harry dillo! Dillo che è finita, che non esiste più un noi. Credi che io non abbia capito, che non riesca a vedere aldilà del mio naso? Dillo senza tanti giri di parole, sarà un pugno nello stomaco, ma almeno non lasciarmi con questo peso.». Mi accorsi che avevo iniziato a piangere. Mi sentivo crudele e spietata, di fronte ad un bimbo indifeso, ma la rabbia sovrastava lo spirito di compatimento. Scossi la testa: «Ti prego.», mormorai.
Si alzò dalla sedia. Ora che i suoi occhi mi guardavano dall'alto fui io a sentirmi piccola ed indifesa.
«Meriti qualcuno che ti renda la vita più semplice, non più complicata.»
Mi venne quasi la nausea: «Oh no, non iniziare con i discorsi che fanno tutti. “Tu meriti di meglio” e tutte quelle cazzate lì. Adesso mi dirai che ci dobbiamo prendere “una pausa di riflessione”, non è così?»
«Becky io non sto scherzando. Guarda le tue labbra, sono distrutte. Pensa a ieri sera, potevi farti male di nuovo. Ed ora immagina, con Jake tutto questo sarebbe successo?»
«Non tirare fuori Jake. Lui non c'entra niente.», dissi a denti stretti.
«Lui è un ragazzo come gli altri. Io no.»
«Appunto per questo ho scelto te, perché tu sei diverso.»
«Sai che non è di quello che sto parlando.»
«Ah no? E di che stai parlando?»
«Del fatto che non permetterò che tu patisca ancora per colpa mia. Becky questo era soltanto l'inizio di una lunga agonia.»
«Quante volte ti ho detto che ero pronta ad essere forte? Quante, eh?»
«Becky...»
Lo interruppi: «Che ne è stato di tutte quelle promesse? Di quelle parole, eh? Che ne è stato? Hai già dimenticato?»
«Non ho dimenticato.»
«E allora perché mi stai facendo questi discorsi, Harry?! Io pensavo che la nostra fosse una storia solida e invece basta una spinta per far crollare tutto! Io credevo in noi, ci credevo. Tu no.»
«Ci credevo.»
«Ma ti senti? Dico, ti rendi conto di quello che stai dicendo?! Il tuo discorso non sta in piedi, dici delle cose che non pensi nemmeno, ti contraddici da solo, lo capisci questo?», gridai.
Speravo ancora che potesse dirmi della telefonata di poco prima, ma nulla. Attesi qualche istante, ma non faceva altro che continuare con le sue assurde convinzioni e con i suoi discorsi insensati.
Abbassai il tono, sconfortata e con aria malinconica. «Ho sentito tutto.»
I suoi muscoli si tesero e i suoi pugni si strinsero. 
«Senti, pretendevo delle spiegazioni. E mi aspettavo tu fossi sincero con me, ma non l'hai fatto. Perché non mi hai detto tutto, Harry?»
Scoppiò. «Santo Dio Becky.», si passò la mano tra i capelli e iniziò a muoversi nervosamente, «Come potevo dirti che ancora una volta la mia fama è colpevole della nostra sofferenza?!», il suo tono alto mi colpì come uno schiaffo in pieno viso. Piangeva e gridava e io non capivo più nulla. «Io sono follemente innamorato di te, ti amo con tutto me stesso, voglio renderti la donna più felice di questo pianeta, voglio costruire la mia vita con te, sposarmi e avere dei figli da te. Ma non posso darti tutto questo. Perché io sono “Harry Styles” e basta, sempre disponibile per tutti, impossibilitato a fare qualsiasi scemenza perché punto di riferimento per milioni di giovani, costretto a fare quello che mi dicono e ad essere come loro mi vogliono dipingere alla gente. E' vero, quella telefonata a cambiato le cose, ma se non ci fosse stata... io non credo che la mia decisione sarebbe stata molto diversa.», la sua voce era diventata più calma e bassa, ma non smetteva di piangere.
«Harry è finita?»
Chiuse gli occhi, che traboccarono di lacrime. In quell'attimo, in quella frazione di secondo, sebbene sapessi già la risposta, non riuscii a sopprimere quel barlume di speranza, che si spense al suo: «E' finita.»
Mi crollò il mondo addosso, mi sentii impazzire. Mi mancò il respiro e dovetti appoggiarmi al tavolo. Istintivamente si fece avanti per aiutarmi, ma scossi la testa. Corsi goffamente in camera per lo scomodo vestito a farmi la valigia, mi asciugai gli occhi freneticamente, cercando di non pensare a nulla. Come si fa a non pensare a nulla? Cercavo di scacciare ogni ricordo, ogni pensiero, me lo imponevo e ci stavo riuscendo anche abbastanza bene, ma poi incappai in quelle foto e mi sentii morire. Decisi di lasciarle sul comodino, non potevo portare un ricordo tanto grande con me. Come se bastasse quel misero gesto per aiutarmi a dimenticare. Già parlavo di “dimenticare”, ridicolo. Quando ebbi preso tutte le mie cose andai verso l'entrata e mi sforzai di non guardarlo, non potevo. Senza aspettare un secondo di più aprii la porta ed uscii di casa. I singhiozzi mi bloccavano il respiro ed ora potevo dare libero sfogo al mio pianto disperato. Aprii l'enorme cancello, dove chiaramente c'erano ancora i paparazzi. Un vociare confuso si destò non appena varcai la soglia. Non ascoltai nemmeno una parola di quelli che si avventarono su di me, ma mi limitai ad avanzare con passo deciso, portando il mio pesante bagaglio. Non era l'unico peso che avevo con me. La folla mi seguì fino alla fermata dei taxi, dove mi fiondai non appena uno si accostò al ciglio della strada. «Aeroporto.»
L'auto partì ed io presi il mio portafogli per contare quanti soldi avevo. Mi sarebbero bastati proprio per un pelo. La gente si girava a guardare la ragazza dall'abito blu sgualcito che correva da ogni parte, una specie di Cenerentola in fuga dal palazzo. Ci volle un'oretta per arrivare a destinazione. Pagai il tassista e scesi di corsa per dirigermi in fretta verso il check-in.

Salii sull'aereo cinque ore dopo. Non mi sentivo più nemmeno una persona, soltanto un corpo vuoto senz'anima, che vagava senza meta e senza scopo. Mi chiesi perché stessi volando su quell'aereo. Per cosa lottavo? Per cosa andavo avanti? Non lo sapevo, agivo d'impulso e basta. 
Il viaggio fu noioso e senza fine, rimasi per tutto il tempo nella stessa posizione, guardando il sedile davanti al mio, sempre lo stesso punto fisso. Non avevo più pianto, ma non pensavo ad altro che a lui. Quando sbarcai in Inghilterra era notte fonda. Tra una cosa e l'altra arrivai a casa che era l'alba. Vidi che la luce della cucina era accesa, mia madre era già sveglia. Suonai il campanello senza neanche pormi il problema di cosa le avrei detto. Per me poteva succedere qualsiasi cosa, non mi importava niente di nulla. 
«Amore mio... Che ci fai qui?». Mi guardò dalla testa ai piedi. Chissà quante domande avrebbe voluto farmi. In effetti mi ero presentata all'alba, con un sontuoso vestito, in lacrime, proveniente dall'altra parte del mondo.
«Non chiedermi nulla. Fallo per me. Ti scongiuro.»
Scioccata, mi aprì la porta e mi lasciò entrare. Andai in camera mia senza nemmeno togliermi l'abito e sistemare le mie cose. Mi gettai sul letto.


Spazio autore: salve a tutti! annuncio che il prossimo sarà l'epilogo, ovvero l'ultimo capitolo di questa ff. perciò, godetevi queste ultime righe! xx

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Capitolo 22
*** Epilogo ***


EPILOGO

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Erano passati giorni. Non sapevo nemmeno quanti, non li avevo contati. Non mangiavo, non dormivo mai profondamente, stavo tutto il tempo su quel letto, fissando il vuoto. Mi sentivo il nulla, senza di lui. Non mi imponevo nemmeno di non pensarci, perché nella mia mente non riuscivo a distogliere l'attenzione da Harry. Mi dicevo che tutto ha una fine, che dobbiamo farcene una ragione, ma come potevo riuscirci se lui era parte di me? Non ero capace di smettere di sperare nel suo ritorno e mi odiavo per questo, ma ero convinta che se lui fosse tornato io non avrei saputo rinunciare al suo amore.

Non sapevo nemmeno se la mia fosse rabbia, malinconia o entrambe le cose. Niente aveva importanza. Lui non sarebbe tornato da me. Aveva messo la parola fine tra di noi. Aveva scelto. E io non potevo contestare le sue decisioni, da uomo adulto che era.

Era notte fonda, c'era un silenzio tombale. Stavo dormendo, per miracolo, ma non profondamente. Sognavo Los Angeles, il sole, il mare... e noi. Eravamo soli, insieme, innamorati da far schifo. Quando riuscivo ad addormentarmi era il paradiso, perché sapevo che avrei incontrato lui nei miei sogni. Erano attimi sì di illusione, ma che mi facevano sentire felice. Poi quando mi svegliavo era l'inferno.

Udii dei rumori in lontananza, ma non ci feci caso, continuando il mio sonno. Dopo qualche istante avvertii la porta aprirsi e non feci a tempo a prendere coscienza della cosa che sentii due grandi braccia prendermi ed issarmi. Sobbalzai e aprii gli occhi spaventata. Mi trovavo appoggiata al petto di Harry, mentre lui mi teneva stretta stretta a sé. Ci misi poco per realizzare che non era un sogno, ma la vera realtà. Il suo profumo, il suo calore. Sì sì, non poteva essere nessun altro che lui. Che cosa ci faceva in camera mia, di notte? E com'era entrato? Sul momento fui tentata di baciarlo, di rifarlo mio, ma ad un certo punto provai un sentimento di rabbia e di repulsione. Posai le mani sul suo petto con forza: «Lasciami andare.», mormorai.

Lui oppose resistenza, ma non parlò. «Ti ho detto di mettermi giù.», mi dimenai con tutta l'energia che avevo. Mi chiesi come facesse a tenermi stretta a sé in quel modo. Fino a quel momento non l'avevo guardato negli occhi, o sarei impazzita.

«Becky ascoltami.», mi implorò.

«Va' via, Harry.», dissi a denti stretti, imponendomi di non guardarlo. Continuavo a cercare di liberarmi, mentre lui confabulava qualcosa per farmi stare tranquilla e che io non ascoltavo minimamente, cercando ancora di dare risposte alle mie mille domande.

«Sono venuto per portarti via con me.». A quelle parole sentii un brivido percorrere tutto il mio corpo. Non seppi dire nulla.

«Scappiamo. Andiamo da qualche parte. Dove, non lo so, ma un posto lo troveremo. Lontano da tutto e da tutti, dove potremo amarci senza ostacoli, senza vincoli. Saremo solo io e te. Per sempre.»

«E' assurdo, ci troveranno, prima o poi. E che cosa diremo a tutti?»

«Becky, tu vuoi venire via con me?», chiese con tono deciso, ma con un evidente sentimento di paura, paura della risposta che gli avrei dato. Avevo mille cose da dirgli, volevo rinfacciargli tutto, dirgli quanto stavo soffrendo. Ma a giudicare da quei grandi occhi verdi che mi fissavano in attesa di un mio 'sì' capii che anche lui aveva il cuore in mille pezzi. Sarebbe stata un'impresa, una missione impossibile, ma era la nostra unica via di scampo, l'ultima carta che avevamo da giocare.

Le domande le avrei fatte dopo, i problemi li avremmo risolti più tardi, insieme. Non c'era tempo.

Gli presi il viso tra le mani e con le labbra a pochi centimetri dalle sue ansimai: «Sì. Portami via. Lontano, lontanissimo, dove nessuno potrà trovarci.»

Harry annuì freneticamente cercando le mie labbra nel buio. Ci baciammo, bramosi l'uno dell'altro. Passò le dita sull'elastico dei miei pantaloni, poi sussurrò: «No, no, non adesso.», come per convincere sé stesso. Avremmo voluto di più dall'altro, ma non potevamo. «Andiamo via.»

«Devo prendermi qualcosa...»

Mi prese per il polso: «Non c'è tempo.»

«Ma...»

«Becky, dobbiamo andare ora.»

«Lascia almeno che scriva un biglietto ai miei genitori!»

Dopo aver esitato un attimo, sospirò: «E va bene. Ma fa' in fretta.»

Annuii freneticamente e cercai nel cassetto un pezzo di carta ed una penna. Le mani mi tremavano.

 

Sto bene, devo andare adesso, mi farò sentire

 

No, non andava. Cancellai.

 

Non preoccupatevi per me, tornerò, un giorno

 

Troppo fredda. Stavo perdendo troppo tempo. Tirai una linea sopra, di nuovo.

 

Cara mamma, caro papà,

me ne sono andata.

Dovevo andare via da questa casa piena di ricordi.

Me la caverò, ve lo prometto.

Vostra Becky

 

Lo rilessi due o tre volte, poi, trattenendo a stento le lacrime lo posai sulla scrivania accanto alla penna. Con il cuore in tumulto, riguardai un'ultima volta quella piccola stanza che mi aveva protetta fin da quando ero soltanto una piccola creatura in una piccola culla, amata da un grande uomo e da una grande donna, che mi avevano donato tutto il loro grande amore. Harry fremeva e io mi schiarii la voce, spostandomi una ciocca di capelli con lo sguardo a terra. Feci un profondo respiro e annuii con un gesto del capo in segno di assenso. Harry mi strinse la mano ed aprì la porta. Uscimmo nella strada buia, diretti chissà dove. Due cuori senza meta, due anime vaganti verso il nulla, due ombre nella notte. Insieme.


Spazio autore: ecco qui, è errivata la fine di questa storia. colgo l'occasione per ringraziare chiunque l'abbia seguita fin dall'inizio, chiunque l'abbia letta e recensita. Un grazie di cuore a tutti voi, mi avete dato una soddisfazione immensa, davvero. a presto xx

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