Hunger Games di Lurilala (/viewuser.php?uid=146083)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Dal Trattato del Tradimento
Come punizione per la
rivolta, ogni Distretto offrirà in tributo un ragazzo e una
ragazza fra i 12 e i 18 anni in una pubblica "Mietitura".
Quei tributi saranno
tutti presi in consegna da Capitol City, quindi trasferiti in una
pubblica arena dove si sfideranno in un combattimento mortale
finchè rimarrà un unico vincitore.
D'ora in avanti e per
sempre questo spettacolo sarà conosciuto come:
Hunger Games
Il
palco era illuminato da luci colorate e accecanti.
Il pubblico esplodeva in urli di giubilio.
Il presidente Snow si aprì in un sorriso al gusto
di sangue.
-Felici Settantaseiesimi Hunger Games a tutti.- un lampo
negli occhi. -Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!-
**
Tic-tac. Tic-tac.
Tic-tac. Tic-...
-Kiara!!-
La giovane non si mosse al richiamo della sorella, continuando a
fissare le gocce che si infrangevano sul vetro della finestra.
La luce della abat-jour si rifletteva negli suoi occhi elettrici, e il
ticchettio dell'orologio si mischiava al rumore apatico della pioggia.
Sospirò, arricciandosi febbrilmente una ciocca di capelli
rossastri, agitata.
Una goccia di sudore le scivolò lungo il collo, facendola
rabbrividire, mentre Shiva, la sua sorellona, entrava veloce nella
stanza.
Si girò lentamente, la più piccola, mentre un
sorriso appena accennato e involontario si faceva strada sulle sue
labbra sottili.
La più grande accese la luce della stanza, che si
illuminò tutto d'un tratto di luce asettica e bianca
proveniente dal lampadario appeso al soffitto.
-Che fai ancora qui? Non ti prepari?- Shiva era più grande
di Kiara.
Aveva sedici anni, e lunghi capelli neri, belli e lisci, che ricadevano
con eleganza lungo le spalle e le conferivano un'aria aristocratica.
A confronto, Kiara avrebbe potuto essere una contadina, con quei
capelli rossicci e folti.
L'unica cosa davvero speciale della minore erano i suoi occhi,
splendenti come quelli del padre, blu elettrico come quelli della nonna.
-Su, non fare così. Hai già passato una
Mietitura, no? Non ha senso deprimersi così.- Le sorrise un
po', e Kiara si accorse che quello era un sorriso storto e falso, fatto
solamente per tirarla su di morale.
No, decisamente Shiva non era brava a mentire.
La rossa sospirò, senza però parlare.
Allora la maggiore le venne vicino, cingendole le spalle con le
braccia, affettuosa e dolce come era sempre il giorno della Mietitura,
come non era mai negli altri giorni.
Shiva diventava la più buona sorella del mondo solo in
quell'evento, e andava bene così a tutte e due.
-Vieni, Scintilla.- Esclamò scompigliandole i capelli e
avvicinandosi all'armadio della piccola, e Kiara sorrise.
Era un soprannome che la maggiore le aveva dato quando erano piccole;
ed era anche azzeccato, dato che una volta la rossa aveva quasi dato
fuoco alla casa per colpa di una scintilla uscita da un cavo elettrico
con cui stava armeggiando.
Shiva spalancò le ante dell'armadio, buttando sul letto, di
fianco alla rossa, numerosi vestiti di colori e stoffe svariate.
-Allora, che ti metti?-
Kiara si tirò in piedi, e guardò per qualche
secondo i vestiti, prima di scegliere il suo preferito, quello che
aveva indossato anche l'anno prima.
Era un abito con una gonna a sbuffo piena di balze che arrivava fino al
ginocchio; il corpetto era tempestato di ricami dorati che ricordavano
la simmetria del fulmine; le spalline erano sottili, fatte di pizzo.
Quando l'ebbe indossato, aggiunse un paio di scarpette bianche e una
collana di perle candide, con un ciondolo a forma di fulmine blu.
"Il fulmine dei tuoi occhi", le aveva detto la madre quando le aveva
donato quel gioiello.
Si guardò allo specchio, e si rese conto che quella
tredicenne riflessa nello specchio era completamente diversa dalla
bambina innocente di un solo anno prima.
Shiva le venne vicino, e le pettinò delicatamente i capelli,
silenziosamente.
Kiara continuò a guardare i loro riflessi nello specchio, e
si chiese cosa sarebbe accaduto se la maggiore fosse stata selezionata
per gli Hunger Games.
Avvertì una stretta alla bocca dello stomaco, e
cacciò indietro le lacrime.
No, doveva stare calma.
Non che Shiva stesse meglio, ovvio. La sedicenne aveva occhi lucidi di
lacrime, occhi luminosi e limpidi come diamanti, di quel grigio chiaro
e prezioso che brillava sotto un velo di disperazione.
Senza accorgersene, Kiara iniziò a parlare. -Non
preoccuparti. Devi essere forte. Non sceglieranno te. Te lo prometto.
Mi credi, Shiva? Non ti sceglieranno. Ci sarà di sicuro
qualche volontario. Ogni tanto c'è qualcuno che si propone.
Quest'anno sarà così. Te lo prometto. Non andrai
nell'Arena.- E chissà come, quelle parole calmarono anche se
stessa.
La mora sorrise appena, prendendo due nastri bianchi dalla tasca e
legando i capelli spumosi di Kiara in due code vaporose.
-Andiamo.- E fu solo un sussurro perso nel repentino gesto di spegnere
la luce, e abbandonare la stanza ancora illuminata dalla luce soffusa
dell'abat-jour, che entrambe si dimenticarono di spegnere.
Si avviarono sotto la pioggia nelle strade cupe del Distretto 3, verso
l'imminente Mietitura; solo una luce rimase e rimarrà
accesa, adesso e nei giorni che verranno.
La luce della speranza.
...Che gli Hunger Games abbiano
inizio.
Yeeehe!!
*.*
Ciao
mondo, che bello rivedervi!
Okay,
okay.
Parliamo
della fic.
Come
avrete capito è una fic a Oc ispirata ad Hunger Games.
Scusatemi, ma ho una fissa per quella trilogia, e adesso che ho
iniziato a vedere i film sono completamente impazzita.
Così
ho avuto un'illuminazione e... beh, adesso vi tormento.
Avrò
bisogno di 11 Oc. Uno per ogni Distretto, visto che la mia è
del 3. Uno solo perchè il ragazzo/a di Inazuma che
sceglierete sarà l'altro.
Vi
premetto una cosa, così non vi fate illusioni. Non ci
saranno scene amorose alla mo' di Katniss-e-Peeta, proprio no. Magari
un bacio e due, se proprio volete, ma nulla di troppo intenso.
Ne
sopravviverà uno solo, e conto di far morire tutti gli
Inazumiani.
Quindi,
preparatevi psicologicamente.
Come
avrete notato, sono i Settantaseiesimi Hunger Games. E Katniss e Peeta
hanno giocato i Settantaquattresimi e Settantacinquesimi.
Per
semplificare tutto, la rivolta del Distretto 13 non c'è mai
stata. Katniss e Peeta non sono mai esistiti (magari sì, ma
non hanno partecipato agli Hunger Games).
Beh...
Capitol City regna, detto in modo veloce.
Un'altra
cosa. Come sapete, non posso far vincere tutti i 12 Tributi. E non
voglio sembrare egocentrica facendo vincere la mia.
Così
affiderò tutto alla sorte: preparerò i
bigliettini e chi viene pescato muore.
Sappiatelo,
è tutta colpa della Sorte. *^*
Ah,
un'altra cosa. Ho bisogno di un piccolo aiutino. Ecco, io non sono
esperta a scrivere di Hunger Games. Quindi le persone che hanno letto i
libri mi diano dei consigli.
Almeno
mi dicano se Snow ed Effie e quella gente lì è IC
oppure no.
Sono
terrorizzata, ecco. >.<
Bene,
che dire, la scheda ve la manderò nella risposta alle
recensioni.
Direi
che ho finito.
Buoni
Hunger Games a tutti. <3
Lucchan
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 1 ***
Distretto 1
Marina fece
girare nervosamente lo sguardo.
Dove si era
cacciato?!
Trattenne uno
sbuffo e incenerì con lo sguardo la ragazza di fianco a lei
che la stava guardando incuriosita.
Che andasse
all’inferno.
Prese un respiro
profondo, mentre il presentatore iniziava a parlare.
Fece girare lo
sguardo sopra le teste dei suoi coetanei, e per una volta si disse che
essere così alta era il pregio più grande che
avesse potuto avere.
E poi, poi
finalmente lo vide.
Suo fratello era
lì, non stava prestando alcuna attenzione al palco, anzi,
tentava di sgattaiolare via.
-Dylan!-
Sibilò gelida, afferrando per i capelli il ragazzo.
-Ahia!!
Lasciami Mari! Perché mi hai colpito?-
Sbuffò lui, quando si fu liberato dalla presa della ragazza.
Lei
avvicinò il suo viso a quello del fratello.
-Tu prova a fare
un altro passo e ti stacco il collo. Se provi a fuggire lo faranno i
Pacificatori per me.- Ghignò soddisfatta, allontanandosi.
Ma cosa aveva
fatto di male per avere un gemello simile?
A volte si
chiedeva perché la sorte dovesse esserle sempre
così avversa.
Intanto il
presentatore si apprestava a estrarre il Tributo femmina.
“Che
strano” pensò stupita
“Quest’anno non ci sono volontari.”.
E questo, nel
Distretto 1, era davvero una novità.
Scrollò
le spalle; ma cosa le importava, dopotutto?
Infilò
le mani nei jeans scuri, alzando gli occhi ghiacciati sul
palco.
-Marina Haugen!-
Squittì allegro il presentatore.
Si udì
uno strillo in mezzo alla folla.
E non era Marina
ad averlo emesso.
Alzò
gli occhi al cielo e maledisse Dylan per tutte le figure orribili che
le faceva fare.
Con passo deciso,
senza curarsi del fratello, avanzò verso il palco, e un
sorriso pieno di stupore le illuminò il viso leggermente
abbronzato.
-Bene, facciamo
un applauso al nostro primo Tributo!- E seguì uno scroscio
di battiti di mano.
Marina sorrise
sicura, sistemandosi dietro all’orecchio una ciocca di
capelli castani.
-Ora estrarremo
il Tributo maschio di quest’anno!-
E nessun
volontario neanche qui.
La castana non
ebbe il tempo per formulare il pensiero che quella sarebbe stata
un’edizione davvero speciale, che il presentatore
esclamò il nome.
-Suzuno Fuusuke!-
Fu il grido pieno di gioia.
Non ci fu lo
sbigottimento generale, altroché.
Tutti si
fissarono un po’ stupiti, e un ragazzo pallido
uscì dalla mischia.
Aveva occhi
sottili e freddi come un lago ghiacciato, capelli corti color brina con
un ciuffo a coprirgli la fronte.
Non sorrideva,
aveva un’espressione seria e quasi inquietante.
Marina lo
osservò incuriosita, mentre si stringevano la mano.
Aveva le mani
gelide.
Avvertì
un brivido attraversarle la schiena, mentre si stringeva nella sua
maglietta azzurra a maniche corte.
Poi un sorriso
beffardo fiorì sulle sue labbra: insieme, avrebbero
trasformato l’Arena in un campo ghiacciato.
Distretto
2
La piazza era
coperta di foschia.
Il Distretto 2 se
ne stava avvolto in un manto biancastro e appiccicoso.
La Mietitura era
iniziata.
Hikari
tirò una boccata di fumo dalla sigaretta che teneva fra le
labbra, preoccupata.
Non che la
spaventassero i Giochi, altrochè.
Morire nell'Arena
sarebbe stata una cosa meravigliosa, in confronto a quel pericolo che
stava ubriaco a casa.
Lui non veniva a
vedere la Mietitura da tanto, e a quel pensiero tremò.
Tremò,
e le dita fuggirono subito ad accarezzare i lividi e le ferite sulle
braccia, abilmente coperte dalla maglia nera e aderente che indossava.
La sua mente
correva rapida da un pensiero all'altro, facendole girare la testa.
Un filmato
intanto era partito, e Hikari non aveva intenzione di ascoltarlo.
Strinse
febbrilmente una ciocca di capelli neri e viola sfuggiti allo chignon,
deglutendo.
Se fosse tornata
a casa, Ikuto l'avrebbe picchiata di nuovo. O peggio.
Scosse la testa,
senza focalizzare i suoi pensieri sul "peggio".
Doveva stare
calma. Respirò a fondo.
Intanto la
presentatrice trillava qualche parola su quanto adorasse i filmati che
mandava Capitol City.
Stava per
selezionare i Tributi.
Un momento... I
Tributi!
Parve illuminarsi
in un sorriso beffardo.
Doveva solo darsi
volontaria, e non sarebbe tornata a casa dal fratello.
Era
così semplice. E se fosse sopravvissuta agli Hunger Games,
sarebbe andata a vivere lontano da lui.
Così
le parole le scapparono di bocca senza che riuscisse a controllarle, e
si stupì nel sentire la propria voce urlare "mi offro
volontaria come Tributo".
Era una
situazione assurda, si ritrovò a dirsi mentre saliva sul
palco, e la cosa la faceva solo ridere.
-Come ti chiami?-
fissò interdetta per un attimo la presentatrice, poi
ghignò.
-Hikari Katana.-
-Ecco il nostro
primo tributo!- Tutti esplosero in un applauso, e la mora si
concencesse un risolino soddisfatto.
Che poi
svanì quando si rende conto chi era il tributo maschio.
"No."
pensò, spalancando gli occhi vermigli. "Non lui."
Ma il giovane era
già sul palco, i lunghi capelli neri e gli occhi come topazi
che brillavano di luce propria e iridescente.
-Come ti chiami,
caro?-
-Desarm.- Ed era
solo un sussurro freddo e apatico.
Hikari lo
fissò e chiese disperatamente una spiegazione nei suoi
occhi, senza che però nessuna parola sfuggisse dalle sue
labbra sigillate e contratte in un ghigno maligno.
Strinse la sua
mano lattea, e si perse nei suoi occhi.
Ma Desarm non
disse nulla, e le sue iridi non parlarono, non le parlarono.
Hikari lo avrebbe
schiaffeggiato, ma non lo fece.
-Diamo il
benvenuto a Hikari Katana e Desarm, i Tributi del Distretto 2!-
Distretto
3
Kiara
sospirò, rabbrividendo.
Avrebbe dovuto
mettere in vestito più caldo, dato che quello che indossava
era già completamente fradicio.
Cercò
con lo sguardo Shiva fra gli altri ragazzi, ma non la trovò.
Quando la
presentatrice chiese, avvicinandosi alla boccia contenente i nomi
femminili, se c'era qualche volontario, Kiara trattenne il fiato.
Iniziò
a pregare dentro di sè che ci fosse qualcuno.
Fece girare lo
sguardo, ma tutte le ragazze erano mute e guardinghe.
Si morse le
labbra, la rossa, rabbrividendo ancora.
Perchè
doveva sempre essere così sfortunata?
Cercò
di pensare alle parole della sorella.
Aveva
già superato un anno. Avrebbe superato anche questa
Mietitura.
Se lo
ripetè a bassa voce un paio di volte, mentre la mano della
presentatrice spariva fra i biglietti.
Riuscì
quasi a convincersene, mentre il cuore le batteva nelle orecchie.
Aveva freddo.
-Kiara Ovuet.-
Dichiarò allegramente la presentatrice, e quasi la rossa non
se ne accorse.
Si
guardò intorno, come se cercasse la ragazza a cui
apparteneva quel nome.
Gli altri si
scostarono, e Kiara li guardò confusa.
Come in trance, i
suoi piedi si mossero fino al palco, mentre lei continuava a chiedersi
dove fosse questa Kiara Ovuet.
Appena
però sentì tutti applaudire, si
risvegliò da quella specie di sogno.
E fu panico.
Spalancò
gli occhi elettrici, e le ginocchia iniziarono a tremare.
Prese qualche
respiro profondo, molto profondo, e trattenne un gemito disperato.
In quel momento
la vide, Shiva, che si era fatta spazio e la guardava disperata, come
se le implorasse di scendere da lì.
Kiara si morse le
labbra e cercò di pensare ad altro, scostando lo sguardo.
Ma era
terribilmente difficile.
Voleva solo
piangere, ma lottò contro il bisogno di farlo.
Intenta com'era a
cacciare indietro le lacrime e tentare di rimanere seria non si accorse
del ragazzo che saliva sul palco con passo lento.
Carnagione
olivastra e occhi profondi e magnetici.
-Midorikawa
Ryuuji.- Il suo nome le arrivò ovattato, e non
sentì la prentatrice chiederglielo.
I capelli color
pistacchio erano bagnati e raccolti in una coda, i tratti morbidi.
Doveva avere
più o meno la sua età.
Gli strinse la
mano e cadde nei suoi occhi profondi e scuri come abissi, lucidi e
brillanti.
Sembrò
volerle sussurrare qualcosa, ma non disse niente.
-Facciamo un
applauso ai Tributi del Distretto 3, Kiara Ovuet e Midorikawa Ryuuji!-
Distretto
4
Il sole era alto
e risplendeva fiero nel cielo.
Qualche rada
nuvola sfilacciata e biancastra vagava sospinta dalla brezza salata,
mentre le onde del mare si infrangevano sugli scogli; se ne poteva
sentire il rumore in un attimo di silenzio.
Tutti i ragazzi
del Distretto 4 erano riuniti nella piazza, alla Mietitura.
Zoey sorrise
scaltra, mentre alzava gli occhi smeraldini verso il sole caldo.
Il presentatore
di quell'anno terminò il suo discorso proprio in quel
momento, annunciando che avrebbe estratto i Tributi.
A
quell'affermazione, l'attenzione della mora tornò sul palco,
e strinse i lembi del vestito dorato, trepidante.
Sperò
che fosse lei ad essere estratta, lo sperò con tutta se
stessa.
Vide suo padre e
sua madre scommettere ai lati della piazza, e catturò lo
sguardo della donna, che le rivolse un sorriso incoraggiante.
Come se ne avesse
bisogno.
-Zoey Jackson.-
La voce del presentatore risuonò repentina per tutta la
piazza, e in un attimo calò il silenzio.
La mora
sentì le onde infrangersi sulla scogliera poco distante, e
sorrise.
Si fece largo fra
i suoi coetanei, con un sorriso fiero che si espandeva sempre di
più sulle sue labbra, il passo deciso e il sole a
illuminarle la carnagione pallida e gli occhi smeraldini.
-Bene. Ora
estrarremo il Tributo maschio di questa edizione!-
Zoey fece vagare
gli occhi sulla folla, e vide suo padre con le scommesse in mano,
mentre la madre esultava felice.
Strinse le labbra
in un sorriso fiero e brillante.
Finalmente si
sarebbe fatta valere negli Hunger Games.
Avrebbe vinto. Ne
era sicura.
-Il Tributo
maschio di quest'anno sarà... Mac Roniejo!-
Zoey lo vide
salire sul palco, con quella pelle scura e gli occhi profondi.
Era bello, non si
poteva certo negare.
Anzi, era fra i
ragazzi più desiderati del Distretto, e vantava di una certa
fama.
Lui le
indirizzò un sorriso insicuro, e la mora gli sorrise
prontamente.
Era anche gentile.
Quando
avvertì la sua stretta sicura sulle sue mani,
dedicò qualche secondo in più ad osservare quegli
occhi scuri e piccoli, profondi come gli abissi immobili dell'oceano.
Zoey
ridacchiò. Quegli Hunger Games si prospettavano interessanti.
Distretto
5
Hakai
sospirò, stringendosi nelle spalle.
La piazza era
illuminata a festa da numerosi striscioni elettrici con piccole
lampadine colorate posizionate in modo da mandare riflessi colorati al
centro del palco.
A lei piacevano
quelle decorazioni, e Riku, suo fratello, le aveva detto che loro padre
sapeva come costruirle.
Erano belle,
forse l'unica cosa serena che si presentava alla Mietitura.
Era divertente
osservare come ogni anno cambiavano colore e postazione, anche se di
solito era più impegnata a sperare che non la scegliessero
che prestare attenzione alle decorazioni.
Quell'anno
mandavano riflessi blu, bianchi e verdi, che creavano giochi di luce
decisamente affascinanti.
Cercò
Riku con lo sguardo, e lo trovò qualche fila dietro di lei;
le sorrise, e Hakai si sentì più tranquilla.
-Bene, ora
vedremo quale sarà la fortunata giovane che
rappresenterà il nostro meraviglioso Distretto ai
Settantaseiesimi Hunger Games!-
Il cuore della
bionda perse un battito.
Affondò
le mani sottili nelle tasche dei jeans blu, mentre una folata di vento
le scuoteva i lembi della camicia viola che indossava.
-Non me, non me,
non me...- mormorò a bassa voce, stringendo gli occhi.
Ci fu qualche
secondo di snervante silenzio, in cui solo il vento risuonava apatico.
-Hakai Chinmoku!-
Trillò contenta la presentatrice.
Silenzio.
Anche il vento
parve essersi fermato.
Il tempo
sembrò scorrere a rallentatore.
Hakai
sentì le lacrime premere prepotentemente negli occhi, e
incastrarsi sulle ciglia, illuminando i suoi occhi azzurro ghiaccio.
-Vieni cara, su!
Dove sei? Oh, eccoti qui! Ma come sei bella! Vieni, vieni, non avere
paura!- La voce mielosa della donna le arrivò alle orecchie
come il rumore di mille proiettili, mentre camminava lenta verso il
palco.
Quando
salì, si ritrovò vicino alle illuminazioni
colorate.
Le
osservò come in trance, e una lacrima, una sola, le
scivolò lungo le gote.
Appena se ne
accorse, la tolse rapida con la manica della camicia e trattenne un
singhiozzo.
Notò
in quel momento del ragazzo che stava salendo sul palco: aveva
magnetici occhi acquamarina e capelli fulvi scossi dal vento.
Non pareva
così sconvolto, ma Hakai vide nei suoi occhi il puro terrore.
In qualche modo,
lo sentì vicino; dopotutto, condividevano la stessa pena.
Hiroto Kiyama, si
appuntò il suo nome nella mente; sembrava un tipo
interessante.
Gli strinse la
mano, e il rosso forzò un sorriso.
-Ciao.- Le
mormorò e Hakai lo osservò stupita.
Poi rispose al
saluto con un piccolo sorriso timido.
Si rese conto
solo in quel momento che gli occhi magnetici di Hiroto erano riusciti a
farle dimenticare la sua orribile sorte.
Inconsapevolmente,
arrossì.
Distretto
6
Erano tutti
riuniti nella piazza.
I giovani
ragazzi, riuniti per età, stavano in un trepidante silenzio.
Hakaikuro stava
immobile fra i suoi coetanei, con espressione annoiata in viso.
I suoi occhi
freddi riflettevano l'immensità silente della notte mentre
se ne stava scocciata fra le file di ragazzi.
Lei odiava la
Mietitura. La odiava con tutta se stessa.
Non che avesse
paura, altrochè. Avrebbe dovuto essere spaventata da tutti
quei ragazzini spauriti che si vedevano in televisione e non sapevano
nemmeno tenere in mano un coltello? Ma figuriamoci.
Solo che era una
vera scocciatura.
Da quando aveva
ucciso la sua famiglia, l'avevano chiusa in quell'odioso istituto,
insieme ai bambini tutti moccio e piagnistei.
Magari nell'Arena
si sarebbe divertita.
Era da un po' che
quell'idea si faceva strada nella sua mente.
Quando avrebbe
vinto, si sarebbe ritirata nel Villaggio dei Vincitori, e l'avrebbero
lasciata in pace.
Intanto, il
presentatore sul palco si perdeva nei soliti discorsi appassionati,
quelli che Hakaikuro non ascoltava mai.
Perchè
perdere tempo a sentire tante sciocchezze?
Non capiva
perchè tutti i ragazzi pendessero da quelle parole.
Sbuffò,
buttando dietro alla spalla una ciocca di capelli neri come l'abisso.
Nel suo Distretto
di solito non c'erano molti volontari. Magari avrebbe potuto offrirsi
lei.
Così,
appena il presentatore pronunciò la frase "Prima le
signore!", la mora si fece avanti.
-Mi offro
volontaria!- Urlò, e un ghigno si fece automaticamente
strada sulle sue labbra.
-Oh, ma che
ragazza coraggiosa! Vieni cara, vieni.-
Così,
accompagnata dalle smielate parole del presentatore, la mora, nel suo
completo da ninja nero con sfumature rosso sangue, salì sul
palco.
-Come ti chiami?-
Sogghignò.
-Hakaikuro
Yamikaze.-
-Facciamo un
bell'applauso al nostro primo Tributo!- Trillò l'uomo, e
Hakaikuro sentì di star per vomitare.
Ma doveva per
forza essere così... zuccheroso, quando parlava?
Il ragazzo che si
diede come volontario era alto, un anno più grande di lei,
dagli occhi color ghiaccio sporco e un provocante ciuffo castano.
-Come ti chiami,
caro?-
-Fudou Akio.-
Rispose fiero il diciassettenne, ghignando.
Dopo un caloroso
discorso del sindaco, Hakaikuro e Akio si strinsero la mano.
Per un attimo, la
mora vide gli occhi del castano brillare, come se un'occhiata di sole
avesse illuminato quel lago ghiacciato e sporco.
Mantenne il suo
ghigno superbo, ma dentro vacillò.
Quegli occhi la
fecero vacillare.
"E' solo uno
stupido ragazzino" si disse, anche se il luccichio delle sue iridi
l'avrebbe perseguitata ancora per tanto.
Distretto
7
Annalisa
sospirò, mentre un'occhiata di sole faceva capolino dalle
nuvole plumbee.
Portò
una mano a sistemare una ciocca riccia e castana che era sfuggita alla
restrizione dello chignon, e distrattamente sentì che le
proprie dita profumavano ancora di legno.
A quel pensiero
sorrise appena; da quando lavorava con suo padre si era affezionata a
quell'odore pungente e penetrante, che sapeva di casa.
Alzò
gli occhi verdi sul palco, dove il presentatore si apprestava a
scegliere i Tributi.
Come sempre,
prima le ragazze.
A volte Annalisa
si chiedeva perchè dovesse sempre toccare prima a loro; era
insostenibile.
Scosse appena la
testa: a Capitol City erano tutti sciocchi e bizzarri,
perchè avrebbe dovuto pensare che dessero un motivo
all'ordine dell'estrazione?
Infatti, non lo
pensava affatto.
Il presentatore
sorrise, aprendo il biglietto che teneva fra le mani.
Istintivamente,
il cuore della riccia iniziò a martellarle nel petto;
afferrò la ciocca di capelli che era di nuovo sfuggita allo
chignon, arricciandola convulsamente fra le dita.
-Annalisa
Endersoon!- Squillò il presentatore.
Il sole venne
coperto dalle nuvole, e la castana avvertì il freddo
attanagliarle le braccia.
Deglutii, in
preda al panico.
No, no, no, non
poteva essere.
Spalancò
gli occhi verdi con sfumature nocciola, rabbrividendo.
Si fece
lentamente largo fra i suoi coetanei, uscendo davanti a tutti.
Salì
sul palco. Inerme, debole, piccola, nel suo leggero vestito color
muschio.
Prese un respiro
profondo, socchiudendo gli occhi.
Doveva calmarsi;
riacquistò la sua dignità da quindicenne,
pretendendo di guardare fisso davanti a sè, oltre la folla.
-Ora estrarremo
il Tributo maschio di quest'anno!-
Perse lo sguardo
fra le montagne dove andava a raccogliere la legna con suo padre, dove
cacciava, dove c'era quel familiare profumo di corteccia e resina.
-Gouenji Shuuya!-
Si
portò le mani al viso, scoprendo ancora una traccia di
quell'odore su di esse, e sorrise debolmente.
Riportò
l'attenzione sul presentatore e vide un ragazzo dai lineamenti duri,
dai capelli biondi e la carnagione scura salire imperturbabile sul
palco.
Non era freddo.
Non sembrava uno quei ragazzi senza emozioni, solo stranamente
estraniato da tutto.
Forse era un modo
per non piangere.
Mh, probabilmente
era così.
Quando gli
strinse la mano, finalmente li vide.
Occhi sottili,
occhi scuri, scuri come il cioccolato, profondi, caldi; ad Annalisa
parve di affondarci dentro.
Con la coda
dell'occhio vide una bimba dalle trecce castane piangere
disperatamente, implorando il nome del biondo.
Forse era sua
sorella. Quel pensiero le fece venire l'amaro in bocca.
Chissà come doveva stare male, Gouenji.
Poi
sospirò.
Ma
perchè avrebbe dovuto preoccuparsi di lui? Erano nemici, no?
Nell'Arena lui l'avrebbe uccisa senza rimpianti, per tornare da quella
bimba.
Però
immaginare Shuuya come nemico le riusciva stranamente difficile.
Distretto
8
Misaka fece
vagare lo sguardo sui nuvoloni pesanti e cupi.
Era da tanto che
nel suo Distretto non si vedeva un'occhiata di sole.
Sbuffò,
sistemando le pieghe della corta gonna azzurra; il completo che
indossava l'aveva cucito sua madre prima della morte di suo padre.
La mora ci era
davvero affezionata; e poi era un vestito comodo, con la gonna azzura
che somigliava a quella che metteva a scuola e la camicia bianca.
Prese a
giocherellare distrattamente con il ciondolo a forma di fuoco blu che
indossava, mentre la presentatrice si apprestava a estrarre il Tributo
femmina.
Deglutii, e i
movimenti della mano sul ciondolo si fecero più convulsivi,
agitati; sentiva i palmi delle mani sudati.
"Calmati" si
ordinò, prendendo un respiro profondo.
Fra tutti i
ragazzi che c'erano, doveva essere pescata proprio lei?
Certamente no.
Scostò
lo sguardo, e i suoi occhi cobalto si posarono su Shu, il cane
cecoslovacco che da qualche anno tenevano in casa.
L'aveva trovato
che gironzolava davanti al proprio cancello e aveva convito la madre a
tenerlo.
Era una bocca in
più da sfamare, certo, ma almeno faceva la guardia
allontanando i possibili ladri.
-Il Tributo di
quest'anno sarà...- E il tentativo di Misaka di pensare ad
altro si frantumò pateticamente.
Avvertì
i muscoli tendersi, il cuore impazzire dentro al petto, pericolosamente
vicino alla gola, la salivazione azzerata e le gambe tremanti.
Non ebbe nemmeno
il tempo di sperare che non fosse lei ad essere estratta che...
-Misaka Mikoto!-
...il mondo le crollò addosso.
Panico.
Improvviso e letale.
Deglutii, e Shu
iniziò ad abbaiare forte, guaiendo.
Si impose di
camminare, e tentò con tutta se stessa di non mostrare nulla.
Gelida.
Distaccata. Lontana.
Chissà
come riuscì nel suo intento.
Salì
sul palco, gli occhi azzurri come il cielo poco dopo il tramonto che
scapparono subito verso il cane: abbassò appena la testa e
Shu, obbedendo al suo comando, si accucciò, emettendo un
rantolo di dispiacere.
Intanto la
presentatrice estrasse il Tributo maschio.
-Nagumo Haruya!-
Fu il grido della donna.
Un ragazzo dal
fiero sguardo color miele apparve sul palco, i capelli rossi in una
buffa capigliatura che lo faceva somigliare tanto a uno di quei ricconi
stravaganti di Capitol City.
Si trattenne dal
ridere, e il rosso le scoccò un'occhiata scocciata.
Si strinsero la
mano, e Nagumo sogghignò guardandola negli occhi.
Per qualche
motivo assurdo, Misaka arrossì.
Arricciò
il naso, trattenendosi da tirare un pugno a quello sbruffone.
Cosa voleva dire
quell'occhiata?
Si
limitò a sbuffare sonoramente, e indirizzargli
un'occhiataccia.
Con un compagno
del genere, dove sarebbe andata a finire?
Distretto
9
Natsumi
roteò gli occhi verdi.
Il sole era
oscurato da pesanti nuvole cariche di pioggia.
Almeno,
pensò la rossa, i campi ne avrebbero giovato.
Purtroppo il
cielo così cupo non era proprio il massimo per il giorno
della Mietitura.
In effetti lei
avrebbe dovuto essere impaziente di partecipare agli Hunger Games.
Sua madre, Marian
Green, famosa vincitrice del Distretto 9, l'aveva preparata a questo
evento con tanta gioia.
Eppure Natsumi
non voleva partecipare ai Giochi.
Aveva paura.
Assurdo a dirsi, ma aveva paura.
Si chiese
perchè non avesse ereditato il coraggio della madre.
Sbuffò,
arricciando una ciocca di capelli ricci e rossi sulle dita.
-Ora estrarremo
la giovane che rappresenterà il nostro Distretto agli Hunger
Games!- Annunciò fiero il presentatore.
La rossa si morse
le labbra, mentre i suoi occhi verdi diventavano freddi.
Niente emozioni.
Solo freddezza.
Prese qualche
respiro profondo, giocherellando con i lembi della camicia bianca che
indossava.
Catturò
con lo sguardo suo padre al lato della piazza prima che la voce
squillante del presentatore tornasse.
-Natsumi Kagura!-
Freddo. Fu
l'unica cosa che la rossa riuscì a pensare.
Freddo. Mosse i
piedi verso il palco.
Freddo. Paura
negli occhi.
Freddo. In piedi
davanti alla folla.
Freddo. Le
ginocchia che smisero di tremare.
Freddo. Iridi che
si svuotarono di ogni emozione.
Freddo. Un mezzo
sorriso incosciente sul viso.
Freddo. Che
improvvisamente svanì.
Sbattè
gli occhi e assunse l'espressione più fiera che riuscisse a
fare.
Un brivido le
attraversò la schiena; una tempesta di emozioni le bruciava
dentro ma decise di non darlo a vedere.
-Il Tributo
maschio di quest'anno sarà... Kazemaru Ichirouta!- Sembrava
il tintinnio di un campanello, quel nome.
Un soffio di
vento fra una fessura troppo piccola.
Un ragazzino
pallido dai lunghi capelli turchesi e occhi come tazzine di the al
limone si fece strada, la paura ben impressa sul viso.
Tutti
applaudirono, ma nessuno aveva davvero voglia di farlo.
Improvvisamente
Natsumi si ricordò di Kazemaru: frequentavano la stessa
scuola ed era un ragazzo molto popolare, ammirato dai ragazzi e
desiderato dalle ragazze.
Di sicuro che
fosse stato estratto per i Giochi doveva essere un brutto colpo per
tutti. Tutti meno lei.
Gli strinse la
mano, e il turchese le dedicò un piccolo sorriso
rassicurante.
Quel sorriso fu
come una folata di scirocco sul viso, calda e affascinante.
Era il vento,
quel giovane: il vento che nessuno può comprare, nessuno
può placare.
A parte,
pensò mentre infilava le mani nelle tasche dei jeans, la
stretta inevitabile della morte che fra poco li avrebbe colti.
Distretto
10
-Andiamo
via sorellona...-
La Mietitura era
iniziata da poco, e il palco era illuminato da un sole splendente.
Roxie
sospirò, chinandosi per vedere in viso Mia, la sua
sorellina, che con i suoi soli cinque anni la guardava implorante.
-Io devo stare
qui. Forza, vai dalla nonna.-
La bimba la
guardò con quegli occhi limpidi come zaffiri, piagnucolando.
La maggiore
sospirò.
Odiava vedere Mia
piangere, ma non poteva accontentarla.
-Facciamo
così.- Propose, sorridendo. - Adesso tu vai dalla nonna e
poi ti porto nei pascoli, mh?-
La bambina si
riempì le labbra di gioia in un sorriso luminoso, annuendo
felice e correndo via.
Roxie
sospirò, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Era contenta che
Mia non partecipasse ancora alla Mietitura; lanciò uno
sguardo alla nonna che teneva per mano la piccola al lato della piazza.
-Il Tributo
femmina di quest'anno è...-
Roxie
sussultò, e le dita andarono a giocherellare col percing che
aveva sull'ombelico.
Non poteva essere
estratta lei. Mia era troppo piccola per portare al pascolo la mandria
di mucche che possedevano, e sua nonna era troppo stanca e vecchia per
farlo.
Senza di lei,
sarebbero state perdute.
Una folata di
vento le scosse i capelli rossi con le punte blu notte, gli occhi
smeraldini strizzati dalla paura.
-Roxie Ametista!-
Alzò
di scatto la testa; non poteva essere. Doveva esserci un'errore.
Camminò
verso il palco con passo cascante e lento, la bocca semiaperta e lo
stupore negli occhi.
Era impossibile.
Non poteva essere stata estratta. Non era semplicemente possibile.
Il suo sguardo
scivolò verso la sua famiglia: Mia era completamente
aggrappata alla nonna, e piangeva disperatamente.
L'anziana
lanciò alla rossa uno sguardo che Roxie non
riuscì a decifrare, e sembrò volerla incoraggiare
a combattere.
Non si sarebbe
mai aspettata una reazione simile da parte sua.
-Kidou Yuuto!- Si
girò di scatto quando sentì la presentatrice dire
il nome del Tributo maschio.
Kidou Yuuto... Si
rigirò quel nome fra le labbra, assaporandone le lettere,
come a volerlo riconoscere.
Le sembrava di
averlo già sentito...
Il ragazzo che
stava salendo sul palco aveva un'aria adulta: la pelle candida e il
profilo aristocratico, i capelli rasta raccolti in una coda e gli occhi
vermigli e duri.
Improvvisamente,
Roxie si ricordò dove aveva già sentito il suo
nome: conosceva Haruna, la sorella di Yuuto, e andava da lei qualche
volta per comprare pollame.
Kidou non
lavorava con Otonashi, e raramente tornava a casa alla sera,
così la rossa non aveva mai avuto occasione di vederlo.
Ma la blu gliene
aveva parlato spesso; sapeva che lavorava al centro genetica,
un'occupazione decisamente importante.
Lo
guardò incantata, mentre si stringevano la mano.
Yuuto sembrava un
demone e un angelo insieme: la pelle candida e il portamento elegante,
un mantello rosso a cingergli le spalle che gli conferiva un'aria
nobile, gli occhi infuocati e freddi.
Aveva una
bellezza sottile e affascinante, racchiusa in quelle iridi vermiglie.
Lui le
dedicò un fugace sguardo, e sembrò analizzarla.
A contatto
diretto con quegli occhi, un brivido l'attraversò.
Distretto
11
Un soffio di
vento che portava con sè la primavera.
Improvvisamente,
tutto si era ridotto a quello.
Skylin
annusò l'aria, avvertendone il profumo dolce.
Fece vagare gli
occhi gialli oltre l'orizzonte, sui campi che si vedevano poco distante.
Si
mordicchiò l'interno della guancia, agitata.
Portò
lo sguardo sul palco, ma per quanto si sforzasse non riusciva ad essere
preoccupata: suo fratello Derek si sarebbe sposato a poco, e lei era
troppo felice per preoccuparsi della Mietitura.
Con tutti gli
altri ragazzi, proprio lei doveva essere estratta?
Scosse la testa e
un sorriso appena accennato le increspò le labbra,
illuminandole il viso.
E poi, a lei
piaceva Sue, la fidanzata di Derek.
Era una ragazza
simpatica dagli occhi verdi e la pelle scura, i lunghi capelli ricci e
castani che la circondavano come una nuvola.
Avevano raccolto
la frutta qualche volta insieme, e si erano scambiate due parole.
Nonostante fosse
una ragazza inusuale, era di piacevole compagnia e Skylin era davvero
contenta che presto sarebbero state imparentate.
-Il Tributo
femmina di quest'anno è...-
E quasi non si
accorse della voce della presentatrice, il sole a illuminarle gli occhi
dorati.
Si stava
già perdendo a immaginare il matrimonio dei due, immaginando
gli occhi di Derek brillare come mai avevano brillato e...
-Sue Teenking!-
... e Sue che
teneva un mazzo di fiori di campo in mano.
Appena
capì quello che la presentatrice aveva detto l'immagine
felice della festa si squarciò.
Spalancò
gli occhi.
Si era quasi
dimenticata che Sue partecipava ancora alla Mietitura: aveva diciotto
anni, e quella era la sua ultima volta.
Non pensava
proprio che potesse essere estratta in quel momento.
Si fece largo a
gomitate fra i ragazzi, Sue che andava verso il palco come se stesse
andando la patibolo.
La voce le
uscì dalla bocca prima che i pensieri potessero formularsi,
le parole più veloci della mente.
-Mi offro
volontaria come Tributo!-
Silenzio. Un
attimo di stupore.
-Oh, ma che
ragazza coraggiosa! Vieni cara, vieni.-
Sue la
guardò stupita, ma Skylin non ricambiò il suo
sguardo.
Lo mantenne fisso
davanti a sè, e le parve che la castana le stesse mormorando
un grazie a fior di labbra.
-Come ti chiami?-
-Skylin
Florance.- La sua voce non tradì un nodo alla gola, vide
Derek farsi strada fra la gente con espressione terrorizzata.
Il vento fece
ondeggiare i suoi lunghi capelli scuri e i lembi del vestito color
pesca, mentre le persone applaudivano.
Sospirò,
senza però scomporsi.
Non si era ben
resa conto di quello che era successo: semplicemente ora sapeva che era
lì, su quel palco, davanti a tutti gli abitanti del
Distretto 11, lei, con quella pelle chiara che l'aveva sempre distinta
da tutti gli altri, con mille telecamere curiose puntate su di
sè e una dignità da tenere viva.
Ecco.
Il Tributo
maschio di quell'anno era Fubuki Atsuya.
Non lo conosceva,
ma aveva visto più volte il gemello, Shirou.
L'albino era
dolce e gentile, e avevano più volte scambiato due
chiacchere mentre raccoglievano la frutta, ma non aveva mai visto
Atsuya.
Così
non potè fare a meno di stupirsi della pelle candida come la
sua, così inusuale nel Distretto 11, degli occhi color
polvere brillanti uguali a quelli di Shirou solo più
arroganti, dei capelli color salmone che lo differenziavano dal gemello.
Lo
fissò ostile, chiedendosi quali segreti l'avrebbero reso
un'assassino nell'Arena.
Cercò
quasi di scoprirli, mentre lui le rivolgeva un sorriso furbo e
presuntuoso.
Skylin
gonfiò lo guace. Che arrogante!
Gli strinse la
mano con riluttanza e si disse che non avrebbe mai stretto amicizia con
un tipo del genere. Mai.
Quel pensiero le
sfuggì veloce dalle mani, come un fiocco di neve, come una
folata di vento gelido che era Atsuya.
Distretto 12
Il
cielo era color piombo.
Pesante, cupo,
scuro.
Tirava un vento
terribilmente gelido, che sapeva di tempesta.
La piazza, seppur
ghermita di ragazzi, aveva qualcosa di desolante. Un misto di
abbandono, solitudine e paura.
Amelia
respirò quell'aria rarefatta che sapeva di mistero e
fuliggine, quella che si posava su ogni cosa come polvere di carbone.
In quel teatro di
sconforto, la Mietitura era iniziata, come ogni anno.
La ragazza
sbuffò, mentre un sibilio di vento faceva ondeggiare la sua
treccia castana.
Leila, sua
sorella, si era assicurata che lei venisse, ed era stato a dir poco
fastidioso: cosa credeva, che sarebbe scappata?
Non aveva paura
degli Hunger Games.
Dopotutto,
rischiava di morire ogni giorno. Essere uccisa nell'Arena sarebbe stato
qualcosa di... originale, per lo meno.
Ma c'era un altro
motivo per cui odiava la Mietitura. Quando era lì, fra quei
ragazzi, e la voce di Effie Trinket che risuonava stridula, si sentiva
debole.
Debole, davanti
alla potenza di Capitol City.
Schiva di quelle
leggi, che davanti a quel palco doveva rispettare.
Era una
sensazione terribilmente fastidiosa.
Non faceva male,
era come una spina piantata nel palmo della mano: più
tentavi di toglierla più si infilava all'interno.
Si
ravvivò la frangia che cadeva leggermente sugli occhi,
mentre le sue iridi azzurre scivolavano subito sulla boccia contenente
i nomi femminili.
Che ovviamenete
la Trinket estraeva per primi.
Cosa ci trovasse
di davvero tanto simpatico nei Giochi, proprio Amelia non riusciva a
capirlo.
Comprendeva che
gli abitanti di Capitol City erano tutti terribilmente sciocchi, ma
quello era davvero troppo!
Non era possibile
che un umano potesse essere così stupido.
Sospirò:
se tutto non fosse stato così ferreamente comandato dalla
capitale, magari i Distretti avrebbero avuto più tempo.
Più
tempo da passare con le proprie famiglie, più tempo per
pensare a un modo migliore di vivere.
E la sua mente
fuggì a suo padre, che in quel momento doveva essere in
miniera, le mani forti e grandi che scavavano carbone senza sosta, gli
occhi stanchi affaticati dalla quasi totale assenza di luce, i pensieri
che correvano alle sue bambine, fuori, costrette alla Mietitura.
Quasi sorrise,
Amelia, mentre Effie infilava la mano fra i biglietti.
La sua attenzione
tornò però immediatamente al palco, il cuore che
contro la sua volontà sembrava voler schizzare via dal petto.
Deglutii, e si
impose di stare calma. Chissà come, ci riuscì.
-Amelia Jhons!-
La ragazza
sbattè gli occhi cerulei, perplessa.
Una folata di
vento scosse i lembi del suo vestito verde smeraldo, mentre, ancora
troppo stupita per capire cosa stesse succedendo, camminava verso il
palco, sotto lo sguardo attento di tutti.
Debole. Ecco come
si sentiva. Impotente, gracile, indifesa.
Com'era odiosa
quella sensazione dentro al petto, accidenti!
E improvvisamente
se ne rese conto. Che non sarebbe più tornata a casa. Che
non avrebbe riso con Leila della capigliatura di Effie, o del suo buffo
vestito, come ogni volta. Che non avrebbe più abbracciato
suo padre. Che presto sarebbe andata a Capitol City. Che sarebbe morta.
Era un pensiero
sfuggevole, però, quasi insignificante, che la
sfiorò appena.
Si
lasciò prendere dalla paura un solo attimo, e le sue dita
sfuggirono a giocherellare con i lembi del nastro bianco che le
stringeva il vestito alla vita.
Ma poi il
controllo prese il posto del panico, e si disse che forse una
possibilità ce l'aveva.
Magari sarebbe
tornata a casa. Forse - ma solo forse - sarebbe riuscita a vincere.
Era qualcosa di
astratto, però, un concetto inafferrabile.
Scosse appena la
testa, e si concentrò su Effie, che intanto aveva estratto
il Tributo maschio.
-Fideo Ardena!-
Esclamò sorridendo, e seguì un attimo si sgomento
generale.
Incuriosita,
Amelia si sporse un po' per vedere quel ragazzo castano che usciva
dalla folla con passo sicuro e occhi un po' tremanti.
Aveva paura, ed
era più che palese.
Non lo conosceva,
il che era strano, dato che lei era sicura di conoscere tutti gli
abitanti del suo Distretto.
Quando si
trovarono faccia a faccia, quando si strinsero la mano e lei
avvertì le sue dita calde e forti stringere le proprie,
improvvisamente se ne accorse.
Si accorse dei
bellissimi occhi che il giovane possedeva.
Non li aveva
notati prima, e si diede della sciocca.
Rimase un attimo
folgorata: erano grandi ed espressivi, blu come l'oceano, come l'oceano
che lei non aveva mai visto, come il cielo nelle giornate estive,
azzurri, azzurri, azzurri, così profondi e luminosi che non
riuscì a pensare ad altro per qualche secondo.
Ma poi si
riscosse, distogliendo lo sguardo seccata, e sbuffando appena.
Fideo sorrise
leggermente, e il suo viso chiaro si illuminò di riso,
esattamente come quello di un bambino.
Un bambino, che
sarebbe morto appena avrebbe messo piede nell'Arena.
Amelia si
costrinse a pensare che non le importava.
Appena lui si
girò, si sorprese a osservare di sottecchi quegli occhi che
l'avevano incantata.
Ma Amelia non
sapeva che era già caduta nel suo incatesimo, e che non se
ne sarebbe liberata tanto facilmente.
Ehi
mondo! *o*
Finalmente
sono riuscita ad aggiornare!
Com'è,
vi piace?
Lo
so, lo so, è lungo.
Troppo, già. Ma volevo dedicare uno spazio a tutte le Oc,
e... e niente, io non sono capace a fare le cose brevi.
Bene,
ecco gli Oc che sono stati accettati:
Distretto 1: Marina
Haugen di
Marina Dust99
Distretto 2: Hikari
Katana
di Lelle10
Distretto 3: Kiara
Ovuet
di Lullopola
Distretto 4: Zoey
Jackson
di nibo
Distretto 5: Hakai
Chimnoku
di Hakai Chimnoku
Distretto 6: Hakaikuro
Yamikaze
di Jessy_Italy
Distretto 7: Annalisa
Endersoon
di Annalisa_Nali
Distretto 8: Misaka
Mikoto
di Electromaster
Distretto 9: Natsumi
Kagura
di Carillon1726
Distretto 10: Roxie
Ametista
di stella_cometa_37
Distretto 11: Skylin
Florance di
FallenAngel 95
Distretto 12: Amelia
Jhons di
_KyokoElise_24
Okay.
Per
gli aggiornamenti non so, cercherò di essere puntuale e di
seguire la tabella di marcia che mi sono autoimposta, ma non vi
prometto niente. XDD
Ah,
un'ultima cosa.
Ogni
Distretto, come sapete, ha uno stilista.
Ecco,
io nel libro mi sono affezionata da matti a Cinna, quindi volevo dare
un po' di rilievo a tutti gli stilisti.
Quindi
vi chiedo di darmi un piccolo aiuto: non dovete dirmi molto di questi
stilisti, solo... boh, se sono maschio o femmina, nome e cognome.
Se
poi volete aggiungere anche due righe sull'aspetto e sul carattere,
è ben accetto! ;)
Bene,
ho detto tutto.
Ciao
ciao, al prossimo capitolo! :D
Lucchan
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 2 ***
L'inno
di Panem terminò.
Tutti
i Tributi vennero scortati dai Pacificatori nel Palazzo di Giustizia
adiacente.
Vennero
condotti in grandi stanze lussuose e lasciati soli.
Un'ora
di tempo.
Una
sola.
Un'ora
per parlare con i loro cari, dire loro addio.
Un'ora
per fare promesse che non sanno se riusciranno a mantenere.
Un'ora
di tempo per aprire nuovi conflitti e chiuderne di vecchi.
Un'ora
che non basta, non basta mai.
Distretto 1
Marina sbuffò, tirando un calcio alla porta.
L'aria in quella grande stanza lussuosa era viziata, e la totale
assenza di finestre la innervosiva terribilmente.
Soffocò uno strillo e si lasciò cadere sulla
poltrona rivestita di velluto.
Sbuffò sonoramente; odiava i posti chiusi, dove l'aria era
calda e soffocante e tutto sembrava volerle precipitare addosso.
La porta si spalancò, e la castana si riscoprì a
boccheggiare.
Sull'uscio c'era Dylan.
Roteò gli occhi vedendolo, e si lasciò
sprofondare nella poltrona.
-Mari, stai bene?-
-Chiamami Mari e ti stacco il collo.- Soffiò furente.
Già essere chiusa lì dentro era orribile, se poi
ci si metteva anche Dylan...
Anche se in fondo gli voleva bene. Era sciocco, maldestro e
dannatamente infantile, ma era pur sempre suo gemello.
Era una parte di sè; la parte più ripugnante, ma
sempre sua.
-Okay.- Si arrese lui. Rimase fermo qualche secondo, poi si
fiondò su di lei.
Fu del tutto inaspettato: i suoi capelli biondi che profumavano di
miele contro il viso, fu un'abbraccio che la fece raggelare.
Sospirò, sentendo i singhiozzi del fratello.
Lo scostò bruscamente, ma lo capiva: anche lei non era del
tutto lucida.
Il tempo stava scadendo, però, allora si disse che doveva
muoversi.
-Senti.- Disse. -Questa è una questione di principio. Tu non
devi piangere. Mi hai sentito?! Non piangere.- Lo disse con tono
seccato, ma negli occhi c'era una supplica disperata. -Dai Dylan.
Sappiamo tutti e due che uscirò dall'Arena.-
-Non è vero!-
Marina sussultò, senza riuscire a riconoscere il fratello.
Sembrava più maturo, con quell'espressione seria in viso.
-Non trattarmi come un moccioso! Credi che mi beva tutto quello che
dici? Ti sbagli. Tu probabilmente morirai. Credi che non me ne renda
conto?!-
-L-Lo so.- Prese un respiro profondo. -Ma io mi impegnerò
per tornare da te, d'accordo?- Forse sorrise Marina, e i suoi occhi
ghiacciati si sciolsero un po'.
Dylan ebbe il tempo di sorridere che i Pacificatori avvertirono che il
tempo era scaduto.
-Mari... Ti voglio bene.-
E la castana non ebbe il tempo di rispondere che già Dylan
era stato trascinato via.
Sospirò. Improvvisamente voleva piangere, e la stanza chiusa
non sembrava più un pericolo.
Il prossimo a venire fu suo padre.
Quel dannato e ripugnante di suo padre.
Marina non gli parlava da anni, e lo odiava. Lo odiava profondamente.
Eppure lui era lì, un po' impacciato, con quegli occhi
azzurri uguali ai suoi.
-Marina... Io... Lo so che mi disprezzi. Ma sei mia figlia e ti voglio
bene. Ti prego, vinci gli Hunger Games. Puoi farcela, io lo so.- Ma la
castana non rispose, anche se gli occhi le si appannarono di lacrime.
-Volevo...- Continuò l'uomo, un po' titubante. -Darti
questa.- Le porse una collana con un ciondolo a forma di dente di
squalo. -Era di tua madre. La terrai nell'Arena?-
La castana afferrò il gioiello e se lo fece passare fra le
dita. Poi annuì cautamente.
Suo padre l'abbracciò. Marina non si scostò, ma
solo perchè era troppo occupata a non piangere.
Mormorò un grazie a fior di labbra, ma l'uomo era
già uscito e non la sentì.
Non arrivò nessun altro, e si avviò insieme a
Suzuno e una fila infinita di telecamere al treno che l'avrebbe
condotta a Capitol City.
L'unica possibilità che aveva prima di morire di chiarire e
tornare a voler bene a suo padre era frantumata. Forse voleva piangere.
Distretto 2
Hikari era appoggiata al muro, dentro il Palazzo di Giustizia.
Tirò una boccata di fumo dalla sigaretta, picchiettando
nervosamente il piede per terra.
Era entrata per la prima volta in quel grande edificio quando erano
morti i suoi genitori; in realtà lei non ricordava molto,
perchè quando successe era piccola.
Ricordava solo che suo fratello la teneva per mano e che a quel tempo
erano solo due bambini, lei aveva quattro anni e lui otto, che avevano
disgraziatamente perso i genitori.
Come avesse fatto quel bimbo premuroso a trasformarsi nel mostro che
era adesso suo fratello, proprio la mora non lo sapeva.
Sperava solo che lui non venisse a parlarle; passare un'ora appoggiata
al muro a fumare non era decisamente interessante, ma non sapeva mai
cosa aspettarsi da lui.
Quindi meglio un'ora di noia che un pericolo imminente.
La porta si spalancò.
Hikari trattenne il respiro, stringendo nervosamente la sigaretta fra
le dita.
Lui era lì, sulla soglia.
Gli occhi rossi uguali ai propri che brillavano spaventosamente, i
capelli biondi, spettinati e sporchi.
Avanzò verso di lei con grandi passi rapidi e furenti, e
Hikari istintivamente provò ad indietreggiare, ma
trovò solo il muro a bloccarle la strada.
Panico. Improvviso, come un fulmine a ciel sereno.
E poi dolore. La mano del ventenne le colpì il viso, e quasi
la mora non cadde a terra.
-Che ti è saltato in mente, eh?! Che credevi di fare?!- Il
biondo l'afferrò per i capelli, liberandoli dallo chignon.
Hikari rimase in silenzio, desiderando solo piangere.
Già, cosa credeva di fare? Non lo sapeva nemmeno lei. Voleva
fuggire. Solo andarsene, scappare.
Perchè era stata così stupida? Tanto non si
sarebbe mai liberata di lui. Mai. Mai. Mai.
-Senti un po', ragazzina.- Hikari era schiacciata contro il muro, le
mani grandi del ventenne le stringevano il collo fino a quasi
soffocarla. L'alito del ragazzo era nauseante; aveva bevuto qualcosa di
decisamente forte.
Sperò solo che il tempo a disposizione finisse in fretta.
-Vedi di tornare. Voglio vivere nel Villaggio dei Vincitori, quindi fai
in modo di tornare viva. Mi hai sentito?!-
Lei sussultò, annunendo freneticamente. Le mancava l'aria,
sentiva che sarebbe soffocata da un momento all'altro.
Per fortuna il tempo era scaduto, e suo fratello fu portato via a forza
dai Pacificatori.
Hikari si lasciò scivolare a terra, portò una
mano a tastare il collo, e lo scoprì pieno di lividi.
Non era possibile. Nemmeno firmando la sua condanna a morte sarebbe mai
riuscita a fuggire da lui.
Così aveva solo peggiorato la situazione. Sperò
di non tornare più a casa. Sperò di morire.
Scoppiò a piangere.
Passò un tempo interminabile, in cui solo i suoi singhiozzi
risuonavano nella stanza.
Un'ora passò molto più in fretta di quanto Hikari
avrebbe mai creduto, e presto si ritrovò fuori.
Prima che le telecamere potessero catturarla, nei corridoi del Palazzo
di Giustizia, si asciugò gli occhi, recuperando il suo
aspetto gelido.
Sperava solo che i capitoliani fossero così stupidi da non
accorgersi che aveva pianto.
Incrociò Desarm nei corridoi. Lui era calmo, glaciale come
al solito; probabilmente era venuto solo Regata Ryuuichirou, un suo
vecchio amico d'infanzia.
Hikari lo conosceva di vista, questo Regata, non ci aveva mai parlato.
Quando furono fuori, ostentò uno sguardo sicuro, nonostante
gli occhi gonfi, e tirò fuori l'espressione più
fredda che riuscisse a fare.
Il treno era già pronto.
Quando furono dentro, e la mora vide la stazione allontanarsi, allora
capì di essere perduta. Non avrebbe mai potuto tornare a
casa.
Sarebbe stata uccisa da Capitol City.
Distretto 3
Kiara alzò gli occhi verso il soffitto, sospirando.
Chissà come, non sentiva più la disperazione di
prima, solo un'uggiosa malinconia.
"Meglio" si disse "Almeno non piangerò."
Non era sicura che questo avrebbe giovato al suo debutto negli Hunger
Games, non si era mai interessata abbastanza ai Giochi per sapere come
comportarsi.
La prima a venire fu Shiva.
L'abbracciò piangendo, tenendola stretta.
Kiara improvvisamente si sentì al sicuro: avrebbe voluto
restare nelle braccia della mora per sempre, senza mai uscire da
lì.
Avrebbe voluto tante cose in quel momento, cose che non ricevette mai.
Fu la rossa a consolare la maggiore, come se fosse la mora a dover
andare nell'Arena e non il contrario.
Kiara non era mai stata brava a consolare le persone, forse
perchè si sentiva sempre così in imbarazzo quando
gli altri soffrivano e lei no.
Eppure con Shiva bastò un abbraccio, qualche carezza sui
capelli e si calmò; rimasero strette, come a voler
recuperare tutti gli anni passati a litigare e burlarsi una dell'altra,
senza mai dare spazio a un po' di affettuosità.
Ma pochi minuti non bastano, non bastano mai.
Shiva fu portata via. Dopo di lei, arrivarono i suoi genitori.
La madre l'abbracciò stretta, e Kiara si stupì di
quanti abbracci riceveva quel giorno.
-Mamma...- Si sfilò la collana di perle. -Questa
è tua. Dato che morirò, te la restituisco.-
Sorrise un po', per riempire lo spazio che avrebbero occupato parole
che lei non riusciva a dire.
Proprio in quel momento, se ne stavano incastrate fra le labbra e non
volevano uscire.
-No, Kiara, no. Tienila tu, ti terrà fortuna nell'Arena.- La
donna le posò le labbra sulla fronte, allacciandole la
collana.
-Kiara. Rendimi fiero di te.-
La rossa fissò il padre, con quegli occhi lucidi e brillanti
e un mezzo sorriso sul volto pallido e scavato dalle ore passate
davanti a schermi di computer da collaudare.
Si morse le labbra; lei non era mai riuscita a rendere fiero l'uomo.
Non era brava a scuola, non era elegante e paziente, non piaceva ai
ragazzi e spesso era trasgressiva.
Era Shiva quella ligia e precisa, quella che riusciva sempre ad
accontentare i genitori.
Ma avrebbe recuperato. L'avrebbe reso fiero, anche se non sapeva come
fare.
Sorrise, e i suoi occhi brillarono un po'. Pensò
ringraziamenti per non averle chiesto di vincere, ma solo di
partecipare con tutta se stessa a quei Giochi mortali, ringraziamenti
che non riuscì a dire.
I Pacificatori avvertirono che il tempo era scaduto. La madre
uscì subito e il padre la catturò in un veloce
abbraccio prima di andarsene.
Rendimi fiero di te...
Le sue parole rimbombavano nella testa della tredicenne, assillandola.
Come avrebbe fatto? L'avrebbe deluso ancora? Come tutte le altre volte?
Fu condotta fuori come in trance; Midorikawa aveva pianto tanto, e si
vedeva.
La cosa non le importò però; quando
arrivò alla stazione concesse un sorriso malinconico alle
telecamere e scivolò dentro i vagoni nel treno.
Rimase così, con la bocca dischiusa sulle parole che non
aveva detto, e che mai avrebbe avuto la possibilità di
esporre. Mai più.
Distretto 4
Appena fu scortata dentro la stanza, Zoey gridò di gioia,
prendendo a saltare per la camera, con euforia
Avrebbe partecipato agli Hunger Games, finalmente, finalmente,
finalmente!
Non riusciva a crederci.
Era arrivato, il giorno del suo debutto, e la mora era decisa a
giocarselo fino in fondo.
Dopo un po' si fermò, il fiato grosso e le labbra aperte in
un sorriso radioso.
Prese in respiro profondo, decidendo di calmarsi.
Quando entrarono i suoi genitori, la riccia gli saltò al
collo, abbracciandoli.
-Oh Zoey, bambina mia...- Piangeva la madre; ma erano lacrime di gioia,
dato che loro avevano sempre sperato che la mora partecipasse e
finalmente quel giorno era arrivato.
-Vieni qui, bellissima.- Il padre la intrappolò nelle sue
braccia forti, da rematore, stringendola a sè e
arricciandole i capelli scuri con le dita scavate dalla salsedine.
-Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato. Tu vincerai di certo, io ci
credo.- La allontanò un po' da sè, accarezzandole
il viso pallido, con una dolcezza che solo un padre può
possedere.
-Ti voglio bene.- Disse solo l'uomo.
-Tu puoi vincere, io lo sento. Sei più furba degli altri
Tributi.- Gli fece eco la madre, accarezzandole la schiena.
Sembravano così vicini, in quel momento; in
realtà, pensò Zoey, lo erano sempre stati.
Perchè i suoi genitori, nonostante fossero ricchi e fossero
spesso impegnati, c'erano sempre per lei, in qualunque momento.
E le volevano bene. Quel pensiero le fece pizzicare gli occhi verdi,
che si appannarono di lacrime dolci.
-Anch'io.- Riuscì a pronunciare. -Vincerò. Ve lo
prometto.-
-Ancora una cosa, cara.- Esclamò la madre. -Vincent non
è potuto venire, ma ti fa i complimenti e dice che ti
guarderà in televisione. Ah, e ti lascia questo, da portare
nell'Arena. L'ha fatto lui.- Le porse un bracciale d'argento, con un
ciondolo a forma di quadrifoglio.
Zoey lo prese fra le dita, accorgendosi che c'era anche una coccinella
su quella foglia.
Vincent era il cameriere di famiglia, un suo caro amico; da bambina
passava sempre tanto tempo con lui, ed era stato proprio l'uomo a
insegnarle a nuotare.
Era una persona di cui potersi sempre fidare, e gli voleva bene.
-Ringrazialo.- Si esibì in un sorriso raggiante, luminoso, e
i suoi genitori furono portati fuori.
Forse era stata un po' sbrigativa, pensò con orrore mentre
andava verso la stazione, forse avrebbe dovuto dire più
cose, ripetere ai suoi genitori che gli voleva bene, perchè
non sarebbero bastate milioni di volte per esprimere tutto l'affetto
che provava nei loro confronti.
Le dispiacque che Vincent non fosse potuto venire, perchè un
abbraccio da lui le sarebbe mancato, ma poi si scrollò quel
pensiero dolciastro dalle spalle.
Avrebbe vinto, e di abbracci ne avrebbe ricevuti mille.
Non aveva tempo per fare la sentimentalista.
Quando il treno iniziò a muoversi, Zoey si rese
improvvisamente conto che quella forse era l'ultima volta che vedeva la
spiaggia, il mare.
Così incollò gli occhi verdi sulla distesa
infinita d'acqua salata, quasi a volerla chiudere tutta nel suo cuore.
Respirò l'aria di salsedine dal finestrino aperto.
"Addio, casa."
Distretto 5
Hakai si guardò intorno con occhi vacui.
L'aria, in quella stanza, era fredda, dannatamente gelida, e la sentiva
appiccicata alla pelle come colla densa.
Rabbrividì, e si lasciò scivolare sulla poltrona
di velluto al centro della stanza.
Strinse gli occhi cerulei, tremando e desiderando sparire.
Com'era potuto accadere? Avrebbe partecipato agli Hunger Games? Sarebbe
davvero morta a quindici anni? Cosa aveva fatto di male per meritare
tutto questo?
Sentì la porta aprirsi, e sull'uscio apparve Riku, coi suoi
capelli dorati e gli occhi castani e profondi, colmi di lacrime.
Dietro di lui, la madre con ancora indosso il vestito da cameriera che
indossava quando lavorava nella sua locanda, e il padre, appena uscito
dalla fabbrica in cui lavorava, con i guanti sporchi in mano.
Rimasero qualche secondo in silenzio, guardandosi, senza riuscire
capire come si fossero ritrovati in quella situazione.
Poi Riku riempì lo spazio che li distanziava e
l'abbracciò; Hakai percepì il suo profumo,
quell'odore così familiare che aveva colmato i pomeriggi
estivi dove l'aria era troppo soffocante e i giochi infantili non
soddisfavano più.
-R-Riku...- Riuscì solo a mormorare, con voce strozzata e
rotta dal pianto.
-Hakai, sorellina... Io... Tu...-
Gli occhi azzurri di lei si riempirono di lacrime che scivolarono sulle
ciglia lunghe e affusolate, bagnando le gote candide e inumidendo le
labbra.
Singhiozzò forte fra le braccia del maggiore, senza
fermarsi, senza curarsi del tempo che correva inarrestabile, che li
aveva portati lì.
Dopo qualche minuto, Riku si fece da parte, e già Hakai
avvertì la mancanza della protezione che le braccia del
fratello le davano.
Come avrebbe fatto, senza di lui?
-Hakai... Ricordati che io...- Sua madre era davanti a lei, e alla
bionda sembrò di essere di fronte a uno specchio: lei e la
donna condividevano gli stessi lunghi capelli dorati, i medesimi occhi
con la tonalità del ghiaccio e del limpido cielo invernale,
la stessa statura minuta e fragilità nello sguardo.
Non seppe più come continuare, la donna, e si
bloccò, limitandosi a osservare gli occhi puri della
quindicenne.
-Hakai.- Suo padre aveva la voce calma, mentre la intrappolava in un
abbraccio forte, e la ragazza avvertì il calore dell'uomo
invaderle il corpo. Le mancava, come se fosse già lontano...
-Ricorda che quando prendi la scossa muori. Ti ricordi come si fanno i
circuiti elettrici?-
Hakai annuì, anche se in quel momento non si ricordava
affatto della conduzione di elettricità insegnatole dal
padre.
-Fulmina gli altri Tributi, e torna a casa.- Le accarezzò i
capelli di sole, e accennò un sorriso.
-Sorellina.- Riku le venne vicino. -Ho una cosa per te.- Le porse un
bracciale che somigliava a una fascia, con una stella fra il tessuto.
-G-Grazie. La terrò.- Riuscì a dire Hakai,
stringendo al petto il regalo, e le lacrime che già
straboccavano dagli occhi.
-No, piccolina.- La madre l'abbracciò. -Non piangere. Su,
sei bellissima. Avrai tantissimi sponsor che ti aiuteranno.-
E forse, riuscì solo a pensare la bionda, mentre i
Pacificatori trascinavano via la sua famiglia, quello che aveva detto
sua madre era vero.
Magari sarebbe riuscita a conquistare i capitoliani, magari l'avrebbero
aiutata.
Quel pensiero la rincuorò un poco, ma solo per qualche
misero secondo.
"Cosa possono fare gli sponsor se un Tributo mi accoltella?" si chiese
retorica, e un singhiozzo sfuggì alle sue labbra sigillate.
Fu portata verso il treno, e non si curò delle telecamere
che riflettevano il suo volto angosciato e bagnato di lacrime; tanto,
per quel che valeva.
Salì sul treno, e l'unica cosa che riuscì a
pensare era che non avrebbe mai più rivisto le lampadine
accendersi alla Mietitura.
Che poi, quell'anno avevano avuto un colore così bello...
Un colore che sapeva di speranza.
Distretto 6
Hakaikuro sbuffò, mettendo stizzita le mani sui fianchi,
mentre il rumore della porta che si chiudeva risuonava nella stanza.
Tanto non sarebbe venuto nessuno, e la mora proprio non capiva
perchè dovesse stare un'ora lì dentro.
Arricciò il naso, tornando a sbuffare. Non aveva proprio
voglia di sprecare un'ora in quel modo.
Fissò con astio la porta chiusa. Che nessun parente in
lacrime avrebbe aperto.
Mpf, li aveva uccisi tutti, i suoi parenti.
E poi, anche se ci fossero stati, non sarebbero venuti.
Hakaikuro era sempre stata una bambina di troppo nella sua famiglia:
suo padre era un assassino professionista, esattamente come il nonno.
Sua madre non lo era, quando nacque suo fratello maggiore, ma lo
divenne col tempo.
Suo fratello di conseguenza imparò l'arte dell'omicidio, e
la sua prima vittima fu una maestra di scuola elementare.
Il padre, un uomo crudele e senza scrupoli, era orgoglioso del figlio;
rimase con la madre solo per accudire il ragazzo.
Hakaikuro non era figlia di sangue di questo omicida; lei nacque dalla
violenza che sua madre subì mentre tornava a casa dopo il
lavoro.
La donna non disse niente di quello che aveva subito prima della
nascita della bambina. Quando l'uomo lo venne a sapere, uccise la madre
davanti agli occhi di suo fratello.
Hakaikuro crebbe in un ambiente teso, in cui una mossa falsa avrebbe
portato alla morte; il fratello la disprezzava e il padre non la
considerava nemmeno.
Nonostante le prospettive non affatto rosee, la mora imparò
subito come comportarsi.
Andava a scuola e cercava di passare il maggior tempo possibile fuori
casa, in modo da non rischiare.
Ma poi, compiuti quindici anni, non ce l'aveva più fatta, e
li aveva uccisi tutti: il padre, il fratello, i nonni e gli zii.
Non le era rimasto più nessuno; l'unico problema era che lei
non era maggiorenne, quindi era stata mandata in un istituto.
Lì la vita era monotona, ma meglio di prima; i bambini la
temevano e le istruttrici avevano timore di parlarle.
Hakaikuro sbuffò, e si chiese se le sarebbe piaciuto avere
qualcuno.
Era un pensiero spinoso, che lei aveva imparato ad evitare, ma che ogni
tanto tornava.
Non si pentiva di aver ucciso la sua famiglia, altrochè,
nè la spaventava la solitudine, però ogni tanto
le tornava un rivolo di amaro in bocca.
Sospirò; odiava questi momenti, perchè era
debole. Debole come quando era bambina.
Si rese conto di desiderare un abbraccio.
Si strinse nelle spalle, attaccata da un improvviso brivido, e scosse
rapidamente la testa, accompagnata da una cascata di capelli neri.
Non ci doveva pensare. Stava bene da sola. Se ne convinse un po', anche
se nel profondo quel pensiero si dibatteva per tornare a galla. Ma lei
sapeva come controllarlo.
Istintivamente la mano corse al ciondolo che portava al collo;
raffigurava un serpente dai letali occhi di zaffiro arrampicato su una
spada.
Sua madre gliel'aveva lasciato quando era ancora in fasce, prima di
essere uccisa.
L'aveva sempre rincuorata il fatto di avere quel ciondolo, un qualcosa
da stringere nei momenti di paura, come se racchiudesse tutto l'affetto
che la madre non era riuscita a darle.
L'avrebbe tenuto nell'Arena, così avrebbe avuto gli azzurri
occhi di un serpente a farle da guida.
La vennero a prendere, e notò una luce compassionevole nello
sguardo di un Pacificatore.
Assottigliò gli occhi nero perla, fulminando l'uomo; aveva
pietà di lei.
Quella considerazione la fece infuriare, e quando uscì era
il riflesso del nervosismo.
Si accorse con soddisfazione che le telecamere la stavano riprendendo,
così gli rivolse un occhiata gelida e salì
stizzita sul treno.
Non le era mai piaciuto il Distretto 6. Però forse le
sarebbe mancato.
Dedicò un'occhiata diffidente alle strade che si
allontanavano rapide, e sospirò.
Non voleva più tornare a casa.
Distretto 7
Annalisa si guardò intorno; quella era la stanza
più sfarzosa che avesse visto nella sua vita.
Bel modo di accoglierla prima della morte, non c'è che dire.
Ridacchiò un po', forse per commiserarsi; rise di
sè, e dei suoi patetici tentativi di tirare fuori un
sarcasmo che non possedeva.
Già, perchè lei non era quel tipo di persona che
riesce a ridere sfacciatamente in faccia al pericolo, anche se dentro
trema.
Lei, se avvertiva la paura crescere, non sapeva mascherarla e farla
passare per coraggio. Semmai riusciva a nasconderla, ma non a
sostituirla.
La porta si aprì, rivelando suo padre e sua madre. La sua
famiglia.
Sentiva che sarebbe scoppiata a piangere. Abbassò gli occhi,
senza riuscire a reggere il confronto con quelli dei suoi genitori.
Ma chi voleva prendere in giro? Non riusciva ad ingannare nemmeno se
stessa, figuriamoci i capitoliani.
Perchè aveva provato ad illudersi di non avere paura?
Tanto non era capace.
-Annalisa.- La voce del padre era ferma, decisa, potente.
Si costrinse ad alzare gli occhi verdi e nocciola, scontrandoli con
quelli smeraldini del padre.
-Cosa stai facendo?- L'uomo fece un passo verso di lei.
Sussultò e prese a tremare.
-Papà. I-Io... Non sto facendo proprio niente.-
Riuscì a pronunciare, gli occhi eclissati dalle lacrime.
Perchè non l'abbracciava? Perchè aveva un tono di
rimprovero?
-Infatti. Reagisci!- Il padre puntò gli occhi in quelli
della ragazza, e Annalisa li abbassò.
-Nali...- La voce dell'uomo si addolcì un po', e prese un
gusto di tenerezza.
-Perchè stai piangendo?- Finalmente l'abbracciò,
e anche la madre le venne vicino.
-Papà... Mamma...- Ormai le lacrime rigavano il suo volto
pallido, mentre singhiozzava forte.
-Ssshh... Non fare così.- La donna le accarezzò
dolcemente la schiena, con fare apprensivo.
-H-Ho paura.- Mormorò, prima di abbandonarsi totalmente
contro il petto dell'uomo.
-Ma perchè?- Lui sorrideva appena, mentre la stringeva
forte. -Sai cacciare, sai usare la scure, sai accendere i fuochi. Basta
per vincere.-
-No... Non riuscirò mai ad uccidere...- Annalisa non ce la
faceva più, non voleva più nascondere niente.
Basta con la commiserazione, basta con il sarcasmo, basta.
Voleva solo che quell'abbraccio non finisse più.
-Nali...- La ragazza allentò un po' l'abbraccio del padre,
girandosi verso la madre.
-Questa è per te.- Le sciolse i capelli ricci, che ricaddero
ribelli, e legò una piuma nera e blu a una ciocca castana.
Appena le dita della donna lasciarono i suoi capelli, la piuma cadde
docilmente contro la spalla.
-E' del primo uccello che abbattei quando ero ragazza.- Sorrise un po',
e Annalisa si specchiò negli occhi nocciola della donna.
-Non sapevo che tu avessi cacciato. E' contro la legge.-
Ribattè, e un sorriso involontario incurvò le sue
labbra rosee, mentre si asciugava le lacrime dagli occhi,
perchè lei lo faceva praticamente ogni giorno.
Abbracciò la donna, mormorando un grazie contro i suoi
capelli mossi.
I Pacificatori portarono via i suoi genitori, e Annalisa rimase
lì, un po' sorridendo e un po' singhiozzando,
perchè era da tanto che non parlava così
sinceramente con loro.
L'aveva aiutata, ma le sarebbe mancata, nell'Arena, la mano forte di
suo padre sulla propria quando non riusciva ad abbattere un albero
troppo grosso.
La vennero a prendere poco dopo, e quando fu fuori un'occhiata di sole
la colpì in viso, illuminando i segni delle lacrime.
Non se ne curò, e si chiese se anche Gouenji avesse pianto;
nei suoi occhi non vedeva alcun segno di rossore, quindi pensava
proprio di no.
Salì sul treno con un sospiro, e quando lo sentì
muoversi sulle rotaie avvertì un panico bucherellato
mozzarle il respiro.
Catturò con lo sguardo i boschi che si estendevano
all'infinito fino all'orizzonte, e portò rapida le mani al
viso.
Ma non profumavano più di legno. Quel pensiero le
macchiò il viso di una nuova consapevolezza.
La sua casa si stava allontanando.
Distretto 8
Misaka trattenne il respiro, mentre la porta si chiudeva.
Rimase senza respirare per una manciata di secondi, come avvolta da una
bolla che le impediva di muoversi.
Poi, come se questa bolla fosse scoppiata, si riscosse; si
girò, il panico che palpitava nei suoi occhi e
scoppiò a piangere.
Si era trattenuta durante tutta la Mietitura, e ora poteva permettere
alle lacrime di scendere.
Singhiozzo forte, e cadde in ginocchio, nascondendosi il viso fra le
braccia.
Perchè? Perchè lei? Fra tutte le altre ragazze,
perchè proprio lei?
Non aveva senso, non era possibile.
La porta si aprì timidamente, ma la mora non alzò
nemmeno lo sguardo.
Seguì un silenzio interminabile, e anche il pianto di Misaka
si fece più controllato. Non singhiozzava più, ma
le lacrime non smettevano di rigare il suo volto pallido.
Un abbaio rubbe quell'atmosfera tesa, e Shu si fece avanti
trotterellando, e leccò il viso della ragazza.
La mora sorrise fra le lacrime, abbracciando il cane e affondando il
viso nella sua pelliccia folta.
L'animale non aveva smesso di scodinzolare contento da quando era
entrato; la madre si avvicinò silenziosa, e
poggiò una mano sulla schiena curva di Misaka.
La giovane alzò allora lo sguardo, incontrando gli occhi
azzurri della madre. Quegli occhi erano puri, limpidi, bellissimi, di
un celeste finissimo, tanto da sembrare il cielo riflesso nel ghiaccio,
l'acqua cristallina che scende da una fonte chiara.
E da quella sorgente caddero mille e mille lacrime che rigarono il
volto scarno della donna, mentre anche lei cadeva in ginocchio,
abbracciando la figlia.
Misaka ricambiò la stretta, e Shu si intrufolò
fra le braccia delle due.
Ecco, pensò la mora, la sua famiglia era lì, e la
sosteneva.
Forse sarebbe stato più giusto che ci fosse anche un padre,
ad abbracciarla, ma l'uomo era stato ucciso dai Pacificatori per
essersi ribellato e rifiutato di lavorare.
Suo padre aveva gli occhi neri, una goccia d'inchiostro nelle iridi
chiari di sua madre, che aveva creato il cobalto che possedeva lei.
-Mamma...- Mormorò. -Papà aveva i capelli scuri?-
La donna alzò gli occhi, stupita. Perchè parlare
di suo padre?
-L-Lui... Sì, aveva i capelli neri come i tuoi.- Rispose
tremolante la donna, e Misaka sorrise un po', illuminado i suoi occhi
offuscati dalle lacrime.
-Papà era oscuro. Era ribelle.- Disse, mentre lacrime calde
tornarono a violare le sue gote arrossate.
-Oh Misaka...- La madre scivolò di nuovo fra le sue braccia,
singhiozzando disperata.
Ma la mora ormai non ci pensava più. Si alzò di
scatto in piedi.
-Che ne dici Shu? Diventerò come mio padre!-
Sentenziò energica, e il cane abbaiò esuberante.
-Misaka, smettila di dire così. Pensa all'Arena, piuttosto.
Come farai?-
La mora si rabbuiò.
-Non lo so.- Mormorò scura, gli occhi velati.
-Sai, Misaka, tuo padre voleva partecipare agli Hunger Games.-
-Come?- La ragazza si fece d'un tratto attenta.
-Sì, lui... Lui voleva far capire a Capitol City che non ci
stava. Che avrebbe giocato con le regole imposte, e avrebbe vinto.
Avrebbe vinto da ribelle. Ma poi, l'anno che aveva deciso di offrirsi
volontario, conobbe me. Allora abbandonò il suo sogno e
divenne responsabile.- Sorrise amaramente. -Sei proprio come lui,
Misaka, esattamente come lui. Sei ribelle, indomabile. Sei tutta tuo
padre, cara. E questo...- sospirò. -...mi rassicura e mi
preoccupa allo stesso tempo.-
Misaka rise gioiosa, affondando nelle braccia della donna, rassicurata.
Ma il tempo era scaduto e la madre e Shu furono portati via; Misaka li
vide uscire, e un velo di malinconia oscurò i suoi occhi.
Avrebbe vinto, come voleva fare suo padre. Da ribelle. Una luce
baluginò nel suo sguardo, e si riempì le labbra
di orgoglio, in un sorriso fiero.
Fu scortata fuori, e l'aria era calda e buona. Si sorprese a ridere un
po'.
Quando fu sul treno, improvvisamente però si
sentì ipocrita. Si sentì ingiusta.
Stava ridendo. Stava ridendo mentre la portavano a morire.
A quel pensiero arricciò le labbra in un sorriso contrito.
Sempre meglio che piangere.
Sarebbe stata forte.
Decise che l'avrebbe fatto per suo padre, quel padre che non aveva mai
conosciuto ma che l'aveva ispirata tutte le volte in cui era in
difficoltà.
Sorrise, mentre il Distretto 8 scompariva.
Distretto 9
Natsumi rimase immobile, senza sapere se scoppiare a piangere o ridere.
Era una cosa assurda.
Tutta la paura che aveva avuto sul palco si era dissolta, lasciando
spazio a un'euforia amara, dolorosa.
Nelle orecchie sentiva ancora il rumoreggiare della folla, e si
lasciò scivolare sulla poltrona di velluto.
Era incredibile. Proprio non riusciva a crederci.
Il sogno di sua madre si era avverato, considerò con un
sorriso amaro.
Il problema era che lei non aveva mai desiderato che questo accadesse.
Mai.
Prese un respiro profondo. Doveva stare calma.
La porta si aprì, e suo padre avanzò insicuro
verso di lei.
Rimasero in silenzio; l'uomo non sapeva cosa dire, anzi, si sentiva a
disagio davanti a sua figlia. Lei, dal canto suo, stava tranquilla
sulla poltrona.
Ma solo all'apparenza era sicura di sè.
"Perchè non parli? Di' qualcosa, ti prego!" pensò
disperatamente, negli occhi nocciola una richiesta palpitante.
L'uomo abbassò lo sguardo.
La rossa rise imbarazzata, portandosi una mano alla nuca. -Che storia,
eh?- riuscì a dire, sforzandosi di sembrare contenta.
-Già.- Il padre non accennò ad alzare gli occhi,
e Natsumi si sentì ferita. Si sentì tradita.
-Cosa c'è ora?!- Sbottò infatti, alzandosi in
piedi e prendendo per le spalle l'uomo. -Non vuoi parlarmi? Di'
qualcosa, dannazione!-
Lui tentennò e una lacrima scivolò dai suoi occhi
verdi. -Natsumi. Tu... Tu morirai.-
La rossa sbarrò gli occhi, indietreggiando fino a cadere
sulla poltrona.
No. Non poteva averlo detto. Perchè? Perchè
voleva ferirla?
-Ma...- Mormorò con voce strozzata dal pianto, ma fu
interrotta dalla voce insicura dell'uomo, che parlava a testa bassa.
-Non volevo perderti. Quello era il sogno di tua madre e tuo, ma io non
l'ho mai desiderato. Ma se a te va bene così... Allora
auguri.-
Alzò gli occhi tremolanti e umidi di lacrime, posando sulle
ginocchia di Natsumi una rosa secca, avvolta in due strati di pellicola
per proteggerla dal tempo.
-Era di tua madre. Del nostro matrimonio. Beh... Ciao.- E
uscì dalla porta, con passo lento e occhi bagnati.
La rossa rimase a bocca aperta, in un attimo di sconforto.
Poi lacrime bollenti caddero dai suoi occhi, lacrime trattenute che
finalmente uscivano senza restrizioni.
-Non l'ho mai voluto...- mormorò fra i singhiozzi,
piegandosi su se stessa come un fiore avvizzito, in preda a un dolore
che non sapeva controllare.
Perchè suo padre l'aveva trattata così?
Perchè se n'era andato? Perchè non l'aveva
abbracciata? Perchè? Perchè? Perchè?
Si chiese se anche sua madre avesse sofferto così.
Probabilmente no.
La donna era sempre stata di più di lei. Più
sicura, più coraggiosa, più forte.
Era stata il suo idolo da bambina. E poi era morta.
Continuò a piangere ininterrottamente, il dolore che
straripava dai suoi occhi, che rompeva la sua anima con ferocia brutale.
I Pacificatori vennero a prenderla e Natsumi lasciò che i
suoi piedi si muovessero fino alla stazione, che salissero sul treno e
che poi si fermassero.
I suoi occhi gonfi si posarono sui campi coperti di grano, e li
fissò come in trance.
La sua mente era rimasta là, piegata a piangere per un
destino che le si era rivoltato contro, per un padre che non sapeva
capirla e per una madre che era morta troppo presto, che non avrebbe
potuto aiutarla.
La mano di Kazemaru si posò sulla sua spalla, ma Natsumi
nemmeno la sentì.
Iniziò a piovere.
Distretto 10
Roxie lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle senza
muoversi.
Respirò pesantemente.
Piangere era inammissibile: non poteva permettersi debolezza.
Ma per adesso non c'era nessuno; si piegò, il petto stretto
da una morsa d'acciaio che le mozzava il respiro, un gemito soffocato
che voleva dire lacrime uscì dalle sue labbra socchiuse per
il dolore.
Può davvero
fare così male, andare incontro alla morte?
Si ricompose, mentre la porta si apriva.
Sua nonna entrò per prima, tenendo per mano Mia.
La piccola corse da Roxie e le si arrampicò in grembo; la
rossa la cullò dolcemente, il volto contratto dall'angoscia.
Ma non avrebbe pianto. Mia aveva bisogno che lei fosse forte
più che mai.
La piccola singhiozzò forte; la maggiore la strinse, e
dietro alla sua spalla incontrò gli occhi verdissimi della
nonna.
Occhi che, nonostante avessero visto atrocità indicibili,
restavano brillanti.
Roxie aveva sempre ammirato l'anziana: era sempre così
coraggiosa, forte, e non si lasciava mai prendere dalle emozioni.
Avrebbe voluto essere come lei, in momenti come questo.
Mia si allontanò un po' da lei, quel che bastava da
guardarla in viso.
I suoi occhi limpidi e azzurri luccicavano di lacrime. Una fitta al
petto.
No! Troppo dolore. Roxie scostò lo sguardo.
-Tu vinci, vero? Xie, tu vinci?- La voce chiara della bimba la
lacerò.
Come avrebbe fatto a dirglielo? Come avrebbe fatto a spiegarle che
sarebbe morta?
Serrò i denti. -Sì Mia. Io... Io vinco. O almeno
ci proverò.- Abbozzò un sorriso.
La bambina si accoccolò contro il suo petto, mentre Roxie le
accarezzava con dolcezza i capelli.
Può davvero
fare così male, abbandonare chi ha bisogno di te?
e il dolore al petto si fece insopportabile; avrebbe voluto cadere e
lasciarsi divorare da quel male fin quando di lei non sarebbe rimasto
nulla.
Ma c'era Mia, che necessitava di una protezione che Roxie non sarebbe
più riuscita a darle. A quel pensiero, gli occhi le si
appannarono di lacrime. Lacrime inutili.
-Nonna...- L'anziana si avvicinò senza parlare, e le
posò un bacio sulla fronte, mentre le metteva fra le dita un
anello.
Roxie lo guardò incuriosita: era d'oro, e luccicava proprio
tanto. All'interno, erano incisi due nomi: "Barbara&Claudio".
I suoi genitori... Un altra fitta al petto.
Può davvero
fare così male, ricordare chi non può aiutarti?
spostò lo sguardo sulla nonna, tentando si dimezzare quel
dolore atroce.
-Xie. Ricorda che anche chi non sembra forte può
sopravvivere.- Roxie la guardò stupita, tentennando.
Poi comprese. Comprese che non si stava riferendo a lei, agli Hunger
Games. Comprese che voleva dire che ce l'avrebbero fatta, anche senza
di lei.
Si morse le labbra, bloccando un singhiozzo che avrebbe rovinato tutto.
-G-Grazie. Lo terrò.- Strinse febbrilmente l'anello, come se
avesse paura che potesse scivolarle via dalle dita.
-Ehi, Mia.- Richiamò la sorellina, accarezzandole il visetto
candido. -Guardala tu, la mandria. Puoi giocare coi cuccioli, se vuoi.
Solo per questa volta, però.- Le donò un buffetto
sulla guancia, strizzandole l'occhiolino.
La piccola sorrise un po', un sorriso stravolto dalle lacrime, e i
Pacificatori le portarono via. Era scaduto il tempo.
Tempo, tempo... Tempo che non basta mai, tempo che scorre, tempo che
fugge, tempo che non c'è.
Il dolore le invase il petto. Come avrebbe fatto? Mia non sarebbe stata
più la stessa, senza di lei. Mia aveva bisogno di qualcuno
che le facesse vedere un mondo buono e pieno di fantasia. Mia non
doveva essere mangiata dal tempo, dagli eventi.
Fu scortata fuori; il sole le illuminò gli occhi verdi, che
si colorarono di pagliuzze arancioni.
Respirò l'aria tiepida, e riacquistò un po' di
lucidità. Doveva stare calma, se non voleva impazzire.
Entrò nel treno, e avvertì una fitta di
nostalgia. Già le mancavano le manine calde di Mia sulle
sue. Già le mancava lo sguardo buono e indecifrabile della
nonna.
I pascoli scivolarono via dagli occhi, perdendosi all'orizzonte.
Ma un pezzo della sua anima rimase là.
Distretto 11
Skylin sospirò, lasciandosi cadere sulla poltrona.
Passò e ripassò le dita sul tessuto, tentando di
calmarsi.
Aveva salvato Sue.
Quel pensiero la fece sorridere, e i suoi occhi brillarono un po'.
Per un attimo l'egoismo prese il sopravvento, e si disse che non
avrebbe mai dovuto darsi volontaria.
Ma poi i suoi pensieri caddero sul matrimonio imminente di Derek e Sue
e decise che aveva fatto bene.
Sue doveva essere felice insieme a Derek. Però... lei
cos'avrebbe fatto?
Non sapeva veramente che fare: il Distretto 11 non era fra i favoriti e
non aveva mai vinto in modo tanto clamoroso.
Di sicuro qualche possibilità ce l'aveva, ma lei era
così piccola, coi suoi quindici anni che sembravano meno, e
non era sicura che avrebbe potuto farcela.
La porta si aprì e Skylin trattenne il fiato.
-Skyl!- Subito Derek le si lanciò incontro, abbracciandola.
Lei ricambiò insicura la stretta, mentre il fratello
piangeva. Piangeva per lei, perchè sarebbe morta...
Un dolore al petto le mozzò il respiro. Derek stava male per
colpa sua.
La paura irruppe nei suoi occhi gialli, mentre si affrettava ad
asciugare gli occhi del ragazzo, mormorando affermazioni sconesse.
-Skyl, tu... Non dovevi offrirti volontaria, no... Non volevo... Io...
Tu...-
-Sssh...- Sorrise leggermente. -Va bene così. Tu e Sue
dovevate sposarvi.-
-Ma... Ma io...-
-Grazie.- La voce di Sue era chiara e limpida, come il canto delle
ghiandaie imitatrici, come lo sciaborio delle sorgenti pure.
Skylin incontrò i suoi occhi e ogni dubbio sparì:
aveva fatto bene ad offrirsi volontaria.
-No! Allora è colpa nostra? Ti sacrificata per...- Derek era
disperato, la voce rotta e gli occhi colmi di lacrime.
-Per la vostra felicità.- Lo interruppe rapida lei. -Ti
prego... Non piangere. Non riesco a sopportarlo.- Abbassò
gli occhi, colta da un disagio improvviso.
-Oh sorellina... Mi sento così in colpa...-
Derek sciolse la stretta e Sue l'abbracciò forte.
-Tu puoi farcela.- le mormorò all'orecchio, con voce
spezzata.
-Fai felice Derek.- Ribattè piano Skylin, senza scomporsi.
Abbracciò anche i genitori, e pure loro versarono lacrime
salate.
Skylin non aveva mai stretto un dialogo particolare con loro,
però le sarebbero mancanti; erano pur sempre i suoi genitori.
Ma Derek e Sue, oh, di loro sì che avrebbe avuto nostalgia.
Scosse la testa, mentre i Pacificatori li portavano via, dicendosi che
non doveva piangere. Doveva essere un Tributo forte.
Con sua somma sorpresa, la porta si aprì di nuovo.
Shirou avanzò con passò insicuro, un mezzo
sorriso imbarazzato e gli occhi gonfi per le lacrime.
Probabilmente aveva pianto per Atsuya. Ma allora perchè era
lì?
Skylin gli dedicò uno sguardo interrogativo, mentre lui le
si sedeva accanto.
-Skyl... Posso chiamarti così, vero?-
La castana annuì sorpresa, aspettando che parlasse.
-Tu...- sorrise, amaro. -Tu puoi vincere, sai? Quei coltelli che tiri
per far cadere la frutta... Non è poi così
diverso lanciarli nei corpi degli avversari.-
Un brividò l'attraversò, mentre si faceva
guardinga.
-Vincere significherebbe uccidere tuo fratello, lo sai?-
Shirou sorrise radioso. -Lo so. Ma tanto lui non può
farcela. E' distrutto e non si concentrerà mai abbastanza.
Ma tu...- le prese le mani. -Tu puoi facerla.-
La ragazza sospirò.
-Volevo darti questa.- Lui le porse una buccia d'arancia che era stata
evidentemente a seccare sulla stufa e rilasciava ancora un buon odore.
Un odore che sapeva di casa. -Per ricordarti che facciamo il tifo per
te.-
Gli occhi dorati di Skylin si appannarono di lacrime, ma
lottò contro il bisogno di farle scendere.
-Grazie Shirou. Grazie.- L'albino si alzò e
l'abbracciò impacciato, poi uscì, sorridendo e
piangendo.
Skylin sentiva il cuore rimbalzare in gola, le lacrime che minacciavano
di traboccare dagli occhi
Fu scortata fuori dai Pacificatori.
Perchè Shirou era venuto? Perchè le aveva donato
quella buccia? Perchè lui? Perchè non ad Atsuya?
Perchè?
Salì sul treno e avvertì l'odore superbo di
Capitol City entrarle nelle narici. Storse il naso.
Il suo Distretto... Il suo Distretto pieno di colori, e profumi, e
fiori... Lo stava abbandonando.
Ostentò un'espressione seria, mentre il treno partiva.
Strinse in mano la buccia d'arancia.
Almeno un pezzo di casa sarebbe stato con lei.
Distretto 12
Amelia lanciò uno sguardo alla porta che si chiudeva.
Prese un respiro profondo, mentre quel gelido senso di debolezza non si
decideva ad abbandonare il suo petto.
Lanciò uno strillo arrabbiato. Perchè dovevano
trattarla così? Perchè Capitol City doveva essere
così forte? Perchè dovevano farla sentire
così piccola?
La porta si aprì proprio nel momento in cui la castana
lanciava uno gemito di rabbia.
-Amelia.-
I suoi occhi azzurri guizzarono verso Leila, in piedi sullo stipide
della porta.
-Dov'è papà?- esclamò, colta da
un'improvvisa paura.
Senza l'uomo, sarebbe stata ancora più debole. Aveva bisogno
di qualcosa a cui aggrapparsi.
-Qui.- La voce scura del padre le arrivò come un canto di
sollievo, mentre lui entrava col viso ancora sporco di carbone.
-Meno male, credevo che non saresti riuscito a venire...-
Mormorò in un sospiro, e si rese improvvisamente conto di
avere gli occhi pieni di lacrime.
Quel pensiero se possibile la fece infuriare ancora di più.
Non doveva piangere.
Aveva smesso di essere debole da quando era morta sua madre; in
quell'occasione aveva pianto tutte le lacrime che possedeva, e aveva
deciso di non piangere più.
Facevano solo male, i singhiozzi nella gola, le lacrime che infuocavano
il viso e la debolezza che si impossessava del petto.
Non era bello. Non avrebbe pianto neanche ora, che stava per andare a
morire.
L'abbraccio di Leila fu del tutto inaspettato: le sue braccia intorno
al suo collo, il respiro fra i capelli, quel senso di protezione
così caldo da togliere il fiato.
-Leila...- Esclamò stupita, ricambiando insicura la stretta.
Le lacrime della maggiore le si infrangevano fra le ciocche scure,
bagnandole un po' i capelli.
Si morse le labbra; non poteva certo biasimarla, anche lei sapeva che
sarebbe morta. Quel pensiero però non la spaventava: non
aveva paura di morire, dopotutto prima o poi sarebbe successo.
Non sapeva che dire, quindi si limitò ad affondare il viso
nell'incavo del suo collo e attendere che si calmasse.
Leila sciolse piano l'abbraccio, lasciando che Amelia andasse incontro
all'uomo.
Lui la strinse forte, e la castana avvertì il suo profumo
penetrante invaderle il naso, quel profumo particolare di polvere di
carbone, un po' amaro e un po' pizzicante, come zolfo e peperoncino.
Il padre si allontanò leggermente, accarezzandole le ciocche
più chiare fra i capelli scuri.
-Sei diventata così grande, Amelia...- Mormorò
con un mezzo sorriso, mentre le sue mani le sfioravano il viso. -Sei
diventata bellissima. Tu provaci, okay? A vincere, intendo. Forse puoi
farcela. Non voglio ricchezza o altro, solo riaverti a casa. Ci
proverai?-
Amelia annuì, considerando che aveva usato lo stesso tono
che si utilizza con i bambini quando fanno i capricci.
Quel pensiero la fece sorridere.
-Brava la mia campionessa.- Lui le donò un buffetto sulla
guancia, lottando contro le lacrime.
-Tieni.- Disse con un sorriso rassicurante, posandole fra le dita una
vecchia ametista luccicante. Amelia percorse la sua superficie,
affascinata.
-L'avevo trovata vicino alla recinzione. Ti terrà fortuna.-
La castana gli buttò le braccia al collo, stringendolo
forte, come se avesse paura che potesse scivolare via.
Il suo appiglio, suo padre... Lui c'era sempre stato. Gli occhi le si
appannarono di lacrime, ma ingoiò il nodo in gola che si
faceva sempre più stretto.
Non avrebbe pianto. Avrebbe detto addio alla sua famiglia senza versare
lacrime.
-Brava campionessa.- L'uomo le mormorò all'orecchio con voce
dolce, prima di voltarsi e andarsene insieme a Leila.
Campionessa...
La chiamava così quando era bambina ed era ormai il suo
nomignolo ufficiale.
Sorrise teneramente, mentre le lacrime minacciavano ancora di scivolare
via dagli occhi.
No! Avrebbe resistito.
I Pacificatori la scortarono fuori, e Amelia mostrò
l'espressione più minacciosa che riuscisse a fare.
I capitoliani dovevano vederla come un soggetto difficile da abbattere,
potente.
Entrò nel treno e le porte si chiusero sbattendo dietro di
lei.
Lanciò uno sguardo al cielo grigio, così
familiare nel Distretto 12, inspirò ancora una volta l'odore
penetrante del carbone, per tenerlo dentro, per non dimenticarlo mai.
Per non dimenticare che il suo Distretto contava su di lei.
Abbozzò un sorriso, mentre il treno partiva verso la morte.
Ehi mondo!! *.*
Che bello risentirvi
amorrrri. <3 <3 <3
Che ne dite di questo
capitolo?
Lungo anche questo... 20
pagine e un pezzo, per la precisione. u.u
Non vi prometto che i
prossimi capitoli saranno più corti. Io non prometto niente!
*^*
Ci ho messo tanto ad
aggiornare, e sono anche stata molto assente da Efp, ma questo capitolo
era da scrivere. uwu
Qui gli Oc hanno parlato
con i loro cari familiari. Aw. <3
Per alcuni so di non
aver rispettato appieno il carattere, spero che non si siano offesi per
questa trasgressione, ma quando una persona è sconvolta,
è sconvolta. ù.ù
O almeno io la penso
così. ;)
Un piccolo avviso per
Lelle: Hikari riceverà il suo oggetto da portare nell'Arena
più tardi, don't worry. ^.^
Niente, spero vi sia
piaciuto, perchè è da tanto che ci lavoro. :3
Bien, ora devo andare,
che è tardi e voglio mettermi a letto. >.<
Ciao ciao! ^.^/
Lucchan
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
Distretto 1
Il treno
iniziò a muoversi cigolando.
Marina rimase
immobile, gli occhi strizzati e il respiro pensante.
Doveva stare
calma. Calma. Calma. Calma.
Alzò
gli occhi azzurri, facendoli vagare per il treno.
Il suo sguardo si
fermò su Suzuno: il ragazzo era tranquillissimo, il viso
apatico e gli occhi con una piccola scintilla curiosa malcelata.
Nel Distretto 1
il lusso non era una cosa particolare, erano abituati allo sfarzo, ma
quel treno era la cosa più lussuosa che avessero mai visto.
Il loro
accompagnatore però non gli diede tempo per osservare,
annunciando con voce squillante di prepararsi per la cena; sarebbero
arrivati a Capitol verso mezzanotte.
Il viaggio
sarebbe stato dunque piuttosto breve.
Marina non se lo
fece ripetere, e andò diritta nel suo appartamento; e non
esagerava a chiamarlo così, dato che le stanze a lei
riservate consistevano in una camera da letto enorme, un bagno
personale e armadi pieni di vestiti.
La castana
sbuffò, decidendo di farsi una doccia prima di scendere.
L'acqua era calda
contro la pelle abbronzata, faceva quasi male e l'aiutò a
riacquistare un po' di lucidità.
Marina non aveva
paura degli Hunger Games, si sentiva solo stanca. Avrebbe voluto
buttarsi nel letto e dormire, cadere nel buio dell'incoscienza, anche
se sapeva che non le sarebbe stato concesso un po' di riposo fin quando
non sarebbero arrivati a Capitol City.
Socchiuse gli
occhi, lasciando che il vapore invadesse la stanza e facendo scivolare
via i pensieri.
E poi, eccole, le
lacrime, finalmente caddero; si mischiavano con l'acqua e ferivano il
suo viso.
Dylan. Suo padre.
La sua casa. Tutto le mancava già.
Ma lei non aveva
paura, vero? Lei non aveva paura di niente.
Spense di scatto
l'acqua, irritata. Non doveva essere debole. Si asciugò in
fretta, e indossò un paio di pantaloni e una maglia larga,
si legò al collo il dente di squalo e andò
diritta nella sala da pranzo.
Suzuno era
già lì, e stava ascoltando Cashmere che parlava
mentre mangiava.
Marina si
scusò per il ritardo e prese posto a tavola.
Cashmere le
rivolse un sorriso. -Ciao. Tu sei Marina vero? Posso chiamarti per
nome?-
La castana
annuì senza voglia. -Certo.-
-Allora, stavo
spiegando a Fuusuke che gli Hunger Games non sono poi così
difficili da vincere. E' solo che tutti li fanno sembrare
così complicati.- Rise un po', e Marina pensò che
aveva un carattere decisamente troppo dolce.
Sapeva che
Cashmere aveva vinto la 64° Edizione, un anno dopo la vittoria
del fratello Gloss.
La castana
iniziò a mangiare in silenzio, imitando Suzuno.
-Quindi, vi
dicevo. Ricordate che gli altri Tributi non sono l'unico pericolo. Ci
saranno molti altri ostacoli nell'Arena stessa. Sapete usare qualche
arma?-
-Tiro l'ascia e i
coltelli. E me la cavo anche con le trappole.- Marina lanciò
uno sguardo stupito a Suzuno. Non poteva essere da meno di lui.
-Io uso la
katana.-
Cashmere sorrise.
-E' un buon inizio. Cercate subito alla Cornucopia le armi che sapete
usare meglio.-
Il dialogo si
concluse lì; la cena terminò presto, e Marina
avrebbe tanto voluto andare a dormire.
Ma non poteva
perdersi l'ingresso a Capitol City.
Doveva tenersi
occupata, se non voleva addormentarsi. Girava per il treno, cercando
una soluzione, quando sentì una musica profonda provenire da
una porta socchiusa.
Incuriosita, la
aprì piano; la stanza era piccola, e c'era un pianoforte
nero lucido al centro. Suzuno lo stava suonando ad occhi chiusi,
rilassato.
-Ehi.- Lo
chiamò, avvicinandosi.
L'albino smise di
suonare e alzò gli occhi azzurri. -Ciao.-
Marina si
sentì a disagio davanti a quello sguardo perforante, ma non
lo diede a vedere.
-Suoni bene.-
Commentò solo con voce piatta, avvicinandosi.
Lui la
squadrò qualche secondo. -Tu sai suonare?-
La ragazza
sorrise un po'. -Sì. Da quando ero piccola, per la
precisione.-
Allora Suzuno si
alzò, facendole cenno di sedersi sullo sgabello di fronte
allo strumento.
Era una chiara
provocazione; la castana non se lo fece ripetere e iniziò a
suonare con gli occhi socchiusi.
Si
lasciò guidare dall'istinto; non seppe nemmeno dire che
canzone stesse suonando, le sue dita sottili si muovevano veloci sopra
i tasti.
Rimasero
così, senza parlare. Suzuno, appoggiato alla parete, la
guardava e Marina suonava in silenzio.
Quell'armonia di
respiri sottili e note ora gravi e ora acute venne interrotta dal
rumore del treno che si fermava.
I due andarono
subito verso il finestrino più vicino; i capitoliani erano
tanti, e folleggiavano davanti alla stazione.
Marina li
guardò disgustava, chiedendosi se si sarebbero divertiti
così tanto anche quando loro sarebbero morti in una pozza di
sangue.
Suzuno
lanciò uno sguardo diffidente alla folla, poi si
allontanò sparendo fra i corridoi.
Il treno si era
fermato; mezzanotte in punto. L'ora in cui inzia l'oblio.
Distretto
2
Hikari prese un
respiro profondo, scambiandosi un'occhiata con Desarm.
Lui le sorrise un
po', avvicinandosi.
-Stai bene?-
Domandò dolcemente, cingendole i fianchi con le braccia.
Normalmente si
sarebbe abbandonata contro il suo petto, magari piangendo, ma era
troppo irritata per farlo. Desarm le doveva delle spiegazioni.
-No, non sto
affatto bene. Perchè ti sei offerto volontario?-
Sbottò infatti, liberandosi dalla sua presa.
-Ti ha picchiata?-
-Non sviare il
discorso!-
Desarm sorrise.
Hikari era sempre la stessa, anche adesso che la morte si avvicinava.
-Non potevo
lasciarti sola.- Si avvicinò di nuovo, accarezzandole il
viso e fissandola diritta nei suoi occhi scarlatti, con quello sguardo
che solo lui sapeva fare.
Desarm le
scostò una ciocca riccia dietro all'orecchio, sempre
sorridendo.
-Eh-ehm! Potete
anche smetterla di flrtare come galline in calore.-
I due sciolsero
l'abbraccio e le guance di Hikari si tinsero di un lieve rossore.
La loro mentore
li fissava infastidita: pelle abbronzata, lunghi e lisci capelli
castani legati in una coda, occhi felini e scuri. E poi gli spaventosi
denti affilati che la distinguevano. Era Enobaria.
Hikari
roteò seccata gli occhi, sbuffando.
Non aveva proprio
voglia di stare a sentire quella squilibrata che parlava degli Hunger
Games. Tanto lei era sicura che non avrebbe mai squartato la gola a un
avversario coi denti, come la loro mentore aveva fatto.
La loro
accompagnatrice ruppe quell'atmosfera tesa, dicendogli di prepararsi
per la cena.
Hikari si
avviò svogliatamente nel suo scompartimento; una volta
dentro, si sciaquò via i segni delle lacrime e si
guardò riflessa nello specchio che stava sopra il lavandino.
Occhi rossi.
Capelli ricci mori con ciocche viola. Seno prosperoso. Labbra carnose.
Come l'avrebbero
trasformata, a Capitol City?
Sapeva che una
volta arrivati lì veniva assegnato ad ogni Tributo uno
stilista e uno staff di preparatori. Cosa le avrebbero fatto?
Cercò
quasi di immaginarlo, fissando con insistenza il suo riflesso.
Poi la sua
attenzione cadde sul livido che si stava formando sulla guancia, dove
la mano di Ikuto l'aveva colpita.
Sospirò
e distolse lo sguardo.
Solo Desarm
sapeva quello che gli faceva suo fratello. Lui lo sapeva e l'amava
comunque.
Scosse rapida la
testa, e raccolse i capelli in uno chignon.
Poi
uscì dalla stanza senza cambiarsi, lasciando la sua immagine
riflessa nello specchio dietro la porta.
Raggiunse la sala
da pranzo, già apparecchiata.
Enobaria era
seduta e mangiava già, senza aspettarli.
Hikari
sbuffò sonoramente, lasciandosi cadere sgraziatamente sulla
sedia.
Gli occhi scuri e
diffidenti della mentore la seguirono mentre iniziava a mangiare, ma la
ragazza non ci fece caso.
-Dov'è
Desarm?- Chiese distrattamente la mora, facendo tintinnare le dita
contro il bicchiere.
-Il tuo
fidanzatino? Ha detto che non voleva mangiare.- Sorrise malignamente
Enobaria, e Hikari le scoccò un'occhiata di fuoco.
Poi si
alzò, lasciando il suo pasto a metà.
-Vado a
cercarlo.- sussurrò sparendo dietro la porta.
Errò
per i vagoni senza meta, facendo correre il suo sguardo negli angoli
più bui del corridoio.
E poi lo vide;
era appoggiato alla parete, lo sguardo perso sul Distretto 1 che
spariva all'orizzonte.
-Ehi.- Lo
chiamò, avvicinadosi. -Perchè non sei venuto?-
Lui la
guardò qualche secondo, soffermandosi sul livido nel viso.
-Non avevo fame.-
mormorò distrattamente, portando le dita fredde ad
accarezzarle il punto offeso.
Hikari si
abbandonò contro il suo petto, lasciandosi abbracciare come
una bambina.
C'era silenzio
intorno a loro, un silenzio caldo e familiare, come i loro corpi
vicini, rotto dallo sferragliare lontano del treno sulle rotaie che
somigliava a una ninnananna.
-Ehi, Hikari.-
bisbigliò Desarm, mentre la stringeva forte.
-Mh?- Lei si
tirò su, allontandosi un po'.
-Tieni.- Le prese
il polso, allacciandole un bracciale l'argento con decorazioni rosse.
-Per ricordarti che io ci sono sempre.- Le cinse la vita con le braccia.
Hikari sorrise,
per la prima volta sinceramente in quella giornata, avvicinandosi alle
labbra del ragazzo.
Il vagone venne
avvolto nel buio di una galleria, mentre i due Tributi si baciavano
dolcemente, in una stretta che sapeva di promessa.
Quando la luce
tornò, si staccarono, guardando entrambi fuori dal
finestrino: Capitol City era immensa, accesa di luci d'ogni tipo,
festosa anche a notte inoltrata, più maestosa di quando
l'avessero mai potuta immaginare.
Le loro mani si
strinsero.
Distretto
3
Kiara
sbattè gli occhi.
Si sentiva
avvolta da un sogno.
Tutto era
dannatamente lento, solo i suoi pensieri correvano.
Voleva cadere,
scivolare via. Magari in un limbo dove c'erano Shiva e mamma e
papà.
Si
guardò intorno con occhi vitrei, colta da un brivido.
Trovò
lo sguardo preoccupato di Midorikawa, poi si avviò con passo
lento verso il proprio scompartimento.
Era tutto troppo
sfarzoso, in quel treno, tutto troppo distante dalla sua
realtà. Tutto troppo dannatamente diverso da casa.
Si
buttò sul letto senza nemmeno chiudere la porta.
Persino le
coperte avevano un odore strano, l'odore di Capitol City.
Kiara storse il
naso, reprimendo un singhiozzo. Non era il momento per piangere.
Si tolse il
vestito della Mietitura, indossò i primi abiti che
trovò nell'armadio e uscì dalla sua stanza.
Con passo
cascante e stanco arrivò alla sala da pranzo.
Beetee e Ryuuji
stavano parlando tranquillamente.
Prese un respiro
profondo, sorrise in modo falso e li salutò squillante
sedendosi.
-Di che stavate
parlando?- chiese, fingendosi la persona più felice del
mondo.
-Tattiche.-
Beetee le rivolse uno sguardo indagatore dietro le spesse lenti
d'occhiale e Kiara abbassò lo sguardo imbarazzata.
Midorikawa
sorrise forzatamente. -Allora Beetee, quando arriveremo nell'Arena...-
-Allontanatevi il
prima possibile dalla Cornucopia. Non cercate mai lo scontro diretto se
non siete certi di poter vincere facilmente.-
-Ma se non
prendiamo niente alla Cornucopia come facciamo a sopravvivere?-
Ribattè scettica la rossa.
Beetee sorrise.
-Credevo che fosse ovvio. Prova a pensare.-
I due ragazzi
rimasero in silenzio qualche secondo, scambiandosi uno sguardo confuso
di tanto in tanto.
-Rubiamo quello
che ci serve agli altri Tributi? Ma se non abbiamo armi, come
facciamo?- azzardò Ryuuji.
-Esattamente.
Ragazzo, si può uccidere una persona anche senza un
coltello. Basta usare la testa. Sapete usare qualche arma?-
Il verde
alzò le mani, come in segno di resa. -Mai toccata una lama
in vita mia. Ma me la cavo con i circuiti elettrici.-
-Io tiravo i
sassi con la fionda. Potrei tirare qualcosa di più
pericoloso.- propose Kiara.
Beetee li
squadrò qualche secondo. -E' un buon inizio. Ora andate a
riposarvi, arriveremo a Capitol verso l'alba.- Detto questo si
alzò, sparendo fra i corridoi.
Kiara e Ryuuji si
guardarno qualche secondo, prima di imitare l'uomo e uscire dalla
stanza, fianco a fianco.
-Brrr... Beetee
mi mette i brividi.- Esordì ad un certo punto il verde.
Kiara
ridacchiò. -Secondo me è affidabile. Davvero non
hai mai toccato una lama?-
-Davvero non hai
mai fatto una trappola elettrica?- ribattè retorico lui,
sorridendo con aria di sfida.
-Okay, okay.- La
rossa alzò le mani arresa, senza smettere di sorridere.
-Diciamo che non ne ho mai fatte di così eccellenti, ma
funzionavano. E tu?-
-Mio fratello
aveva iniziato ad insegnarmi come lanciare i coltelli. Non ero poi
così bravo, ma per lo meno so centrare il bersaglio.-
sorrise anche lui.
Entrambi smisero
di camminare e rimasero qualche secondo in silenzio.
-Hai sonno?-
Esclamò con voce sottile Kiara, puntando i suoi occhi in
quelli oscuri del ragazzo.
Midorikawa scosse
la testa, e sorrise di nuovo; le sue iridi scintillarono e la rossa
percepì qualcosa di caldo trapassarle il petto.
Si perse nei
riflessi di quella sensazione piacevole, e si ritrovò a
sorridere come un'idiota. Un'idiota felice.
-Okay. Pensi di
riuscire a resistere fino all'alba?- Ribattè ancora Kiara.
-Se parliamo
sì.-
C'era una
provocazione bella e buona in quella frase, in quegli occhi brillanti,
in quel sorriso sbarazzino; la rossa la colse al volo.
-Allora parliamo.
Qual'è il tuo colore preferito?-
E
inziò una lunga serie di domande e risate un po' trattenute,
e sorrisi luminosi e occhi che si scontravano giocando.
Più
andavano avanti a parlare, più in Kiara cresceva la
sensazione di star sbagliando tutto.
Sentiva di starsi
affezionando a quella luce speciale nelle iridi di Ryuuji, e questa era
la cosa peggiore che avrebbe potuto fare.
Perchè
voleva farsi male? Midorikawa sarebbe morto, come lei, probabilmente.
Quindi
perchè lo stava conoscendo? Sarebbe stato più
difficile accettare la sua morte.
Forse
perchè appena aveva incrociato i suoi occhi aveva sentito
quel caldo pizzicore al petto, e non era più riuscita a
farne a meno.
Quando il sole si
affacciò sui finestrini del treno, e Capitol City apparve ai
loro occhi immersa nella luce crescente, i due Tributi erano stanchi ma
contenti.
Nessuno dei due
aveva perso quella sfida che si erano lanciati; erano riusciti a
restare svegli.
Era una cosa da
bambini, ma andava bene così a tutti e due.
Si lanciarono uno
sguardo orgoglioso, e Kiara sentì ancora quel calore
espandersi nel petto.
No, non avrebbe
potuto più farne a meno.
Distretto
4
Zoey rimase
così, con gli occhi fissi sul sole che andava calando fuori
dal finestrino e l'odore di salsedine che pian piano scompariva del
tutto.
Quando il mare
sparì all'orizzonte, allora si allontanò dal
vetro, sospirando.
Incontrò
gli occhi neri e insicuri di Mac.
Lui
stiracchiò un sorriso gentile, e lei scostò lo
sguardo, incrociando le braccia al petto.
Quegli occhi la
imbarazzavano. Avevano qualcosa di terribilmente dolce.
Per fortuna, il
loro accompagnatore esclamò con voce squillante che la cena
stava per iniziare e che avrebbero fatto bene a prepararsi.
Zoey fu felice di
sottrarsi agli occhi penetranti del ragazzo, e scivolò
rapida dentro il suo scompartimento.
Non riusciva
ancora a crederci. Era tutto troppo bello per essere vero.
Emise un verso
che somigliava a uno squittio di gioia e si lasciò cadere
sul letto morbido, ridacchiando come una bambina.
Avrebbe potuto
morire. Ma avrebbe anche potuto vincere.
Era sicura delle
sue possibilità, ed era altrettanto certa che Mac non
sarebbe stato una minaccia.
Lui era gentile.
Era buono. Quel pensiero si conficcò come una spina nel suo
petto.
Era buono. E lei
si affezionava inevitabilmente ai buoni.
Scosse rapida la
testa, scacciando via quel pensiero. Non doveva affezionarsi a Mac. Per
prima cosa, si appuntò di chiamarlo per cognome.
Si
alzò e andò diritta verso la sala da pranzo,
senza nemmeno togliersi il vestito dorato.
Quando si sedette
a tavola, notò con grande dispiacere che era Mags il loro
mentore.
Sbuffò.
Avrebbe preferito di gran lunga Finnick Odiar.
Durante la cena
non parlarono molto.
Mags
provò anche a intrattenere un discorso, ma Zoey era
così irritata che rispondeva a monosillabi, rendendo
praticamente impossibile parlarle.
Così
il pasto si concluse in fretta e i due Tributi si alzarono.
Lei perse di
vista il ragazzo, ma non andò subito nella sua camera.
Girovagò per i corridoi, distrattamente, lasciandosi
soffocare dalla malinconia.
Non credeva che
la sua casa avrebbe potuto mancarle così tanto.
Non aveva nemmeno
sonno. Voleva solo abbracciare qualcuno.
Forse fu questa
considerazione a farla avvicinare quando vide Mac appoggiato alla
parete vicino al finestrino.
-Ehi, Rionejo.-
Si ricordò appena in tempo di chiamarlo per cognome.
Lui
alzò stupito gli occhi. -Ciao Jackson.- Eccolo di nuovo,
quello sguardo.
Rabbrividì.
-Che ci fai qui?-
Chiese con voce provocatoria, appoggiandosi anche lei al finestrino.
Lui
piegò le labbra in un sorriso. -Guardavo il Distretto 3. E'
appena sparito.- Indicò con un cenno del capo il paesaggio
buio che correva rapido.
-Mh, che
passatempo eccitante.- Sbuffò lei, arricciando una ciocca
nera fra le dita.
Non sapeva come
continuare il discorso, e gli occhi di Mac la stavano tormentando.
Perchè
doveva guardarla in quel modo? Era terribile.
-Tu hai qualche
idea migliore?- ribattè sorridendo lui, divertito.
-Io andrei a
dormire.- Sbottò Zoey. Le dava fastidio, la
tranquillità di Rionejo. Non era giusto che lui riuscisse ad
essere così sereno e lei no.
Il castano
alzò le spalle. -Vai.- disse solo, ma non distolse lo
sguardo.
-C-Cos'hai da
guardare?!- esclamò la riccia, arrossendo appena.
-Hai degli occhi
bellissimi.- rispose semplicemente lui, e il viso della ragazza di
tinse di tonalità sempre più intense. Mac non ci
fece caso.
-Non ho mai visto
un verde così intenso.- sorrise ancora, e Zoey si
sentì sciogliere.
Perchè
le faceva quest'effetto? Zoey non era mai arrossita, nonostante di
complimenti ne avesse ricevuti tanti. E non era certo la prima volta
che qualcuno lodava i suoi occhi.
Ma allora,
perchè lo sguardo di Mac la imbarazzava? Perchè
quegli occhi neri, così luminosi, che scrutavano il suo viso
con attenzione e dedizione, le sembravano così belli, tutto
d'un tratto?
Scosse la testa.
-Tu hai proprio
bisogno di dormire.- borbottò con voce cupa e fece per
andarsene.
-Jackson?-
-Sì?-
La sua voce uscì più tremolante di quanto avesse
voluto.
-Buonanotte.-
Spalancò
gli occhi smeraldini, un brivido le attraversò la schiena.
-B-B-Buonanotte,
Rionejo.- e fuggì via più veloce di quanto avesse
voluto.
Entrò
nella sua camera, in preda a un imbarazzo caldissimo.
Tolse il vestito
dorato e indossò una semplice camicia bianca e un paio di
jeans.
Rimase seduta sul
bordo del letto, con la testa fra le mani.
Senza
accorgersene si addormentò, con la voce di Mac che le
rimbombava nella mente.
Aprì
gli occhi solo quando sentì il treno stridere sui binari e i
raggi dell'alba ferirle il viso.
Si costrinse ad
uscire, anche se il pensiero di incontrare di nuovo Mac la terrorizzava.
Ma poi il suo
sguardo cadde su Capitol e tutto sparì. Era bella, grande,
bella, luminosa, bella, fiorente, bella, ricca, bella, bella, bella.
Non riusciva a
pensare altro.
Più
meravigliosa di quanto avesse mai potuto immaginare.
Uscì
dal treno e un sorriso nacque involontario sulle sue labbra, quando
vide la folla di capitoliani che era accorsa per vederli.
Alzò
la mano in segno di saluto e la folla impazzì.
Anche il suo
cuore impazziva nel petto, ma solo perchè Mac l'aveva presa
per mano.
Distretto
5
Hakai aveva il
volto chino, le lacrime che rigavano silenziose le sue gote arrossate.
Freddo, caldo,
freddo. E caldo sulle guance. E freddo sulle braccia. E caldo nella
gola. E freddo dentro al petto.
La bionda si
costrinse ad alzare gli occhi quando la voce di Hiroto la
chiamò.
Si
scontrò contro quegli occhi acquamarina scuro, quegli occhi
luminosi, quegli occhi belli impreziositi da quel colore indefinibile a
parole.
Hakai sentiva che
sarebbe potuta restare a guardarlo all'infinito.
-Ehi...- Kiyama
sorrise amaro. -Perchè piangi?- La voce del ragazzo era
calda, morbida; le mani di lui le accarezzarono il viso, togliendo le
lacrime dai suoi occhi azzurri.
Per tutta
risposta Hakai rimase immobile, spiazzata, confusa, distratta da quegli
occhi da cui non riusciva a staccare lo sguardo.
Fu la loro
accompagnatrice a rompere quell'attimo, annunciando un po' insicura,
con quell'accento capitoliano assurdo, che era pronta la cena e che
dovevano andare a prepararsi.
Lei non se lo
fece ripetere e andò diritta nel suo appartamento, le gote
tinte di rosso per l'imbarazzo.
Improvvisamente
non c'era più traccia di freddo. Solo caldo, caldo, caldo,
ed era ancora più soffocante.
Deglutii, e si
accorse di star ancora stringendo fra le mani il bracciale datole da
Riku.
Fissò
quell'oggetto come in trance, un oggetto come tanti altri, che poteva
persino essere definito inutile, ma che significata tanto, troppo.
Si costrinse a
cacciare ancora le lacrime in fondo agli occhi, e allacciò
al polso il bracciale.
L'avrebbe tenuto
con sè sempre. Ogni cosa avesse fatto, Riku sarebbe stato
con lei in quel piccolo regalo.
E forse,
pensò mentre si avviava verso la sala da pranzo, era proprio
lui a rendere speciale quell'oggetto.
Si sedette vicino
a Hiroto, e lui le sorrise; Hakai arrossì e distolse lo
sguardo.
Lo
spostò sul loro mentore, un uomo dalla folta barba scura che
continuava a trangugiare bicchieri di liquore con sguardo torvo.
Ma sentiva gli
occhi di Kiyama su di sè e questo la rendeva rigida e
agitata; ma doveva proprio fissarla così?
Mangiò
silenziosamente, lanciando sguardi alternati al mentore e a Hiroto,
giusto per vedere se il primo smetteva di bere e se il rosso smetteva
di fissarla.
Kiyama non
mangiò nulla, rimase col viso appoggiato al palmo della
mano, fissandola con occhi attenti.
Ogni secondo che
passava, Hakai arrossiva di più.
Sentiva che
sarebbe scoppiata d'imbarazzo. Che poi, non sapeva nemmeno
perchè fosse così imbarazzata.
Così
si alzò di scatto, annunciò che si sentiva poco
bene e corse subito via dalla stanza.
Si
ritrovò a girovagare per il treno, le guance ancora bollenti.
Non sapeva
più dove fosse il suo scompartimento, quindi si
lasciò scivolare lungo la parete del corridoio, in ombra e a
contatto con il pavimento gelido.
-Stupida...- si
disse sospirando, gli occhi puntati a terra.
Perchè
Hiroto le faceva questo effetto? Proprio non riusciva a capirlo. Solo
pensare al ragazzo la faceva arrossire.
Il sole era ormai
calato da un pezzo e fuori dal finestrino tutto era buio.
Il vagone era
illuminato a giorno da lampade calde, così Hakai si
coprì il viso con le braccia, stanca e disturbata da tutta
quella luce.
Senza
accorgersene, si addormentò.
Fu una voce a
ridestarla. Una voce calda con un lieve timbro di preoccupazione.
Furono due
braccia che la scuotevano delicatamente a ridestarla. Braccia forti e
spaventosamente candide.
Appena
aprì gli occhi, venne a contatto con il viso di Hiroto, poco
distante dal suo.
Arrossì
vistosamente, alzando si scatto la testa e picchiando la nuca contro la
parete.
Lanciò
un gemito soffocato e Kiyama rise.
Hakai era ancora
frastornata: quel risveglio brusco e l'improvviso imbarazzo l'avevano
scombussolata. Poi quella botta era servita solo per confonderle le
idee.
Riuscii solo a
pensare che Hiroto aveva una risata davvero bellissima. Cristallina.
-Che succede?-
Mormorò con voce impastata dal sonno, stropicchiandosi gli
occhi.
-Si è
fermato il treno. Dobbiamo scendere. Ah, hai saltato la colazione.-
La ragazza
mugugnò; la colazione era l'ultimo dei suoi problemi in quel
momento.
Kiyama la
fissò intensamente per qualche istante e dischiuse le labbra
insicuro.
-Mi... Mi ricordi
Kui.-
-Eh?- Hakai si
alzò, lanciando uno sguardo incuriosito al ragazzo mentre
tentava di pettinarsi con le dita i lunghi capelli biondi.
-La mia
sorellina.- spiegò lui. -In realtà di aspetto non
le somigli molto. Ma avete lo stesso sguardo un po' infantile e
smarrito.- tentennò. -Hai... Hai degli occhi bellissimi.-
sorrise e la bionda arrossì un po', sorridendo a sua volta.
-Hai tanti
fratelli?- chiese lei, mentre si avviavano verso l'uscita.
-Sì,
tutti più piccoli di me. E tutti maschi, a parte Kui, Reina
e Kii. Ma Kui è la mia preferita.-
-Anche io ho un
fratello, si chiama Riku.-
-Te l'ha dato
lui?-
Hakai
seguì lo sguardo del rosso; stava guardando il suo bracciale.
Annuì
e sorrise.
La bionda
guardò la folla che si era radunata davanti all'uscita del
treno e deglutii.
-Hiroto...-
-Mh?-
-Posso... Tenerti
la mano?- domandò, ma abbassò subito lo sguardo,
arrossendo.
Kiyama sorrise.
-Certo.-
E uscirono
insieme, le dita intrecciate in una stretta calda e rassicurante.
Distretto
6
Hakaikuro rimase
a fissare il finestrino, come incantata.
Il Distretto 6
svanì all'orizzonte e la mora rimase ancora qualche secondo
a fissare il paesaggio che correva.
Poi si riscosse e
sbuffò.
-Come siamo
nervosi, neh, Haka-chan?-
La ragazza
spalancò gli occhi neri, voltandosi verso Fudou.
Il giovane si
piegò appena in avanti, interpretando un fare bambinesco, un
sorriso sarcastico su quella faccia da schiaffi.
-Sta zitto, razza
di testa da bowling che non sei altro!- Esclamò furente lei,
facendo un passo verso il ragazzo..
-Oh oh, che
paura...- rise Akio, sogghignando.
-Ma vai a fa
pettinare una scimmia, idiota!- Mollò un ceffone sul viso
del Tributo, poi se ne andò stizzita nel suo appartamento.
Era troppo,
troppo, troppo!
Tirò
un calcio allo stipide della porta.
Fudou era troppo
stupido, idiota, maledetto, ---
-Argh!!-
Soffocò un grido rabbioso, lasciandosi cadere sul letto.
Quanto lo odiava.
Aveva fatto proprio bene a tirargli uno schiaffo come si deve.
Si
tirò di scatto a sedere e tirò un calcio alla
porta che si richiuse con un tonfo.
Non aveva proprio
voglia di andare a cenare e incontrare di nuovo quella sottospecie di
verme strisciante.
Aveva bisogno di
calmarsi e parlare di nuovo con quel coso non era proprio indice di
tranquillità.
Che poi,
pensò Hakaikuro mentre si infilava nella vasca colma d'acqua
bollente, Fudou era riuscito a farla arrabbiare con una sola battuta.
Una battuta piuttosto scema, ma nemmeno una delle peggiori che aveva
sentito.
Ma forse, si
disse, non erano state le sue parole in sè a farla
arrabbiare, ma quello sguardo: quegli occhi di ghiaccio impolverato che
ridevano, ridevano di lei.
Non sopportava di
essere presa in giro, per di più da uno stupido come Akio!
Sbuffò,
e poi si rilassò, lasciando che il tocco caldo dell'acqua le
lavasse via la rabbia.
Chiuse persino
gli occhi, respirando il vapore che iniziava a riempire la stanza.
C'era silenzio,
intorno a lei, un silenzio tiepido che cancellò ogni sua
remora, lasciando spazio a una tranquillità innaturale.
Rimase immobile
fin quando le dita non furono grinzose dal troppo contatto con l'acqua;
allora uscì dalla vasca e si asciugò con calma.
Indossò
un jeans scuro e una camicia rossa, i primi abiti che aveva trovato
nell'armadio.
Non le era mai
importato molto di quello che indossava.
Uscì
dal suo scompartimento e arrivò in fretta nella sala da
pranzo.
Fudou stava
ridendo.
La sua risata
arrivò alle orecchie di Hakaikuro come il rumore di mille
proiettili. Letale. Ma bella.
Veloce come era
arrivato, però, questo pensiero fu soppresso dal buon senso
della mora.
Si
lasciò cadere sgraziatamente sulla sedia di fianco ad Akio,
che le indirizzò uno sguardo incuriosito e divertito.
La ragazza
notò con una certa soddisfazione che sul suo viso era
rimasto il segno rosso della propria mano.
Ghignò.
-Oh, è
arrivata Haka-chan...!- esclamò con falsa voce dolce Fudou,
sogghignando.
-Oh Hakaikuro,
eccoti. Noi abbiamo finito di cenare, ma se vuoi ti faccio portare...-
iniziò il loro accompagnatore, ma fu subito interrotto dalla
ragazza.
-Non ho fame.
Volevo solo vedere il nostro mentore.-
-Il nostro
mentore? Quel vecchio morfaminomane pazzo che non si regge neanche in
piedi?- Soffiò ironico Akio.
Hakaikuro
ghignò. -Già, lui. Chissà, magari mi
dà una mano a spaccarti la testa e vedere se c'è
un cervello dentro.-
-Sembra
un'operazione interessante. Ma credo che per convincerlo avrai bisogno
di grandi scorte di morfamina.- stette al gioco il ragazzo,
ricambiandole uno sguardo divertito.
-Mh, purtroppo ne
sono sprovvista. Allora mi sa che dovremo rimandare l'operazione.-
-Che peccato, eh?-
Un ultimo scambio
di occhiate rapide e commenti taglienti.
Mentre tornava
nel suo scompartimento, Hakaikuro riuscì solo a pensare che
forse Fudou non era così male, se preso per il verso giusto.
Appena
posò il viso sul cuscino si addormentò, e
sognò un hovecraft che volava nel cielo, sopra il Distretto
6, e faceva cadere bombe, radendolo al suolo.
Si
svegliò di soprassalto, sudata e col fiatone.
Uscì
subito dalla stanza; era mattina.
Incontrò
Akio nei corridoi, che la salutò con un mezzo ghigno.
Fecero colazione,
e la mora notò che c'era una strana collaborazione fra lei e
Fudou, come se avessero istituito una pace temporanea.
Scosse la testa,
perchè era un pensiero sciocco.
E poi il treno si
fermò.
Quando
uscì e venne a contatto con sole capitoliano, fu come
svegliarsi da un sogno, affacciarsi su un mondo parallelo.
Gente che li
acclamava. Parrucche variopinte. Vestiti osceni. Palazzi enormi.
Capitol City,
lì, davanti a lei. Immensa, luminosa, bella e...
terrificante.
Perchè
avrebbe riso davanti alla sua morte.
Distretto
7
Annalisa si
allontanò delusa le mani dal viso; non c'era più
traccia del familiare odore di legno.
Si morse le
labbra, rabbrividendo.
Doveva farsi
forza: prese un respiro profondo e alzò gli occhi.
Gouenji le
lanciò un'occhiata strana, che la riccia non
riuscì a capire, che sapeva di curiosità e un
pizzico di rimprovero.
Ricambiò
quello sguardo con un sorriso che conteneva una sicurezza velata dalla
timidezza.
Il biondo
spostò gli occhi, disinteressanto.
La incuriosiva,
ma ne era al contempo intimorita: non riusciva a capire cosa provasse,
le sue iridi erano troppo scure per riflettere le sue emozioni.
Il loro
accompagnatore li spedì a prepararsi per la cena.
Entrò
nel suo scompartimento, e le si mozzò il fiato: era tutto
troppo bello e sfarzoso per lei. Tutto quel lusso la imbarazzava.
Si sedette sul
letto dopo aver chiuso accuratamente la porta di mogano; si
passò distrattamente una mano fra i capelli e le sue dita
vennero a contatto con la piuma datole dalla madre.
La
slegò dai capelli, e la osservò bene: era lunga
più o meno dieci centimetri, nera con affascinanti riflessi
bluastri.
L'uccello che la
possedeva doveva essere bellissimo; provò addirittura ad
immaginarlo, ma poi rise, perchè era una cosa sciocca.
Sospirò,
alzandosi di nuovo in piedi e allacciandosi la piuma nella stessa
ciocca in cui l'aveva legata la madre.
Uscì
dalla stanza e si avviò verso la sala da pranzo.
Si sedette di
fianco a Gouenji e rimase a fissarlo per qualche secondo, provando
ancora una volta a scorgere qualcosa nei suoi occhi. E in effetti
qualcosa vide.
Era una luce, una
luce triste e bellissima. Sapeva di rimpianto, malinconia e un pizzico
di rancore.
Era la cosa
più spettacolare che avesse mai visto.
Sorrise; per
adesso andava bene così.
Blight li
guardava sorridendo dall'altro lato del tavolo; Annalisa
abbozzò un sorriso di convenienza, davanti a quegli occhi
scuri.
-Allora...-
iniziò il mentore con aria gioviale. -Come state?-
La riccia lo
fissò stupita. Non si aspettava una domanda del genere.
Gouenji
scrollò le spalle. -Potrei stare peggio.- disse solamente,
socchiudendo gli occhi.
Aveva una voce
calda e profonda, bellissima.
-E tu,
piccoletta?-
Annalisa si
accigliò. -Piccoletta? Ho 15 anni!- Sbuffò,
incrociando le braccia al petto e lasciandosi scivolare sullo schienale
della sedia.
Blight rise.
-Comunque non sembrate così sconvolti. E' un ottima cosa.-
Bevve un sorso di vino.
La castana
sbuffò di nuovo. Certo, quell'appellativo l'aveva
infastidita tantissimo, ma Blight sembrava un tipo simpatico.
-E basta? Non ci
dici altro?- ribattè il biondo, con una nota di
incredulità nella voce.
-Shuuya, cosa
vuoi che vi dica? Quello che dovete fare nell'Arena? Non posso certo
dirvelo io. Vi dirò solo una cosa: pensate. Dovete pensare,
anche durante i Giochi. L'importante è non perdere mai di
vista l'obbiettivo, cioè vincere.- alternò lo
sguardo sui due Tributi. -Okay?-
I due ragazzi
annuirono.
-Bene. Ora andate
a riposarvi.-
Gouenji si
alzò e uscì dalla stanza senza parlare.
Annalisa invece
tentennò un po'. -Blight? Posso chiederti una cosa?-
-Certo.- sorrise
l'uomo.
-E' difficile
vincere gli Hunger Games? Dimmelo seriamente.-
Lui sorrise.
-Dipende se usi la testa. Ricorda che la tua arma migliore è
questa.- posò un dito sulla fronte della ragazza, e la
riccia annuì.
-Ti consiglio di
correre dietro a Shuuya se vuoi parlargli.- Le strizzò
l'occhiolino e Annalisa arrossì un po', ma poi corse subito
fuori.
Attraversò
veloce i corridoi, e vide che il biondo stava per entrare nel suo
scompartimento.
-Gouenji,
aspetta!-
Lui si
fermò, la mano sulla maniglia, e si girò verso di
lei.
Annalisa
arrivò davanti a lui, e rimase un attimo piegata a
riprendere fiato.
Poi
alzò il viso e non seppe più che dire.
Non sapeva
perchè l'aveva fermato, veramente.
Rimase immobile
come un'idiota, sotto lo sguardo perquisitore di Shuuya.
-Ehm... Io...
Volevo chiederti... Se... Ecco...- Balbettò, arrossendo.
Il ragazzo
inarcò un sopracciglio, scettico.
Annalisa
parlò senza rendersene conto.
-Tu lotterai per
vincere gli Hunger Games, vero? Lo farai per la tua sorellina?-
Il biondo
sussultò appena. -Sì.- si fermò un
attimo, forse per trattenere un tremito nella voce. -E tu, Endersoon?
Per chi vuoi vincere?-
La ragazza rimase
a bocca aperta. Per chi voleva vincere? Per i suoi genitori. Per i suoi
amici. Per tornare a casa.
-Voglio riuscire
a sentire ancora una volta l'odore di legno.- disse in un sorriso
amaro. -Ora devo andare... Buonanotte, Gouenji.-
E si
allontanò, entrando nel suo appartamento.
Si
buttò sul letto e inevitabilmente pianse.
Versò
tutte le lacrime che possedeva, senza controllo.
Le mancava sua
madre. Le mancava suo padre. Le mancavano i boschi, il dolce frenire
degli insetti e il rumore delle scuri che abbattevano gli alberi.
Si
addormentò, e il suo sonno fu popolato da asce che
tagliavano le gole di persone anonime, e sangue, tanto sangue, che
schizzava ovunque.
Quando si
svegliò, la prima cosa che fece fu correre in bagno e
vomitare.
Poi si
buttò nel letto e pianse di nuovo; era già
iniziato un incubo, ma questa volta era vero.
Uscì
dalla sua stanza e girovagò come un'ombra per i vagoni.
Aveva freddo.
Appena vide
Gouenji, senza pensare, lo abbracciò, singhiozzando senza
lacrime.
Lui non disse
nulla, le accarezzò semplicemente i capelli ricci,
socchiudendo gli occhi e mormorando parole che Annalisa non
sentì ma che la rassicurarono comunque.
Poi il treno si
fermò e i due Tributi furono costretti a sciogliere
quell'abbraccio.
Il sole le
ferì il viso. C'era freddo e caldo e una folla che li
acclamava.
E poi l'incubo di
quella notte che ancora vedeva nitido come presagio del futuro.
Distretto
8
Misaka sorrise.
Doveva essere
positiva. Avrebbe fatto di testa propria e forse avrebbe vinto. Come
sempre, d'altronde.
-Allora... Ti
chiami Haruya, neh?-
Nagumo
sbuffò e solo in quel momento la bruna notò che
il ragazzo continuava a rigirarsi fra le mani un pezzo di stoffa.
Il rosso
ficcò in tasca il tessuto, lanciandole un'occhiataccia.
-E tu ti chiami
sono-qui-per-rompere-le-scatole-a-chiunque-passa, neh?-
ribattè acido lui, scimmiottando il tono di Misaka.
La ragazza mise
le mani sui fianchi, infastidita.
Stava per
ribattere a tono, ma le vide, le lacrime negli occhi dorati del ragazzo.
Lacrime, tante
lacrime, incastrate fra le ciglia.
Avrebbe voluto
restare in silenzio, ma sputò parole avvelenate senza
realmente volerlo.
-Ma sta zitto,
tulipano in fiamme!-
-Tulip... Cosa?!-
esclamò lui, infuriato. Le lacrime sparirono improvvisamente
dai suoi occhi.
Misaka
sogghignò. -Oh-oh, il fiorellino si arrabbia...-
continuò con voce arrogante.
-Parla quella che
ha pianto tutto il tempo. Cos'è, ti manca la mammina?-
-Io non ho
pianto!- sbuffò la mora, incrociando le braccia al petto e
sviando lo sguardo. Sperava solo che non si accorgesse dei suoi occhi
gonf---
-Ma davvero? Hai
gli occhi gonfi e rossi.-
Ecco, appunto.
-Sta zitto,
idiota!- detto questo, andò diritta nel suo appartamento.
Entrò,
tirò un calcio alla porta e cadde seduta a terra.
Lanciò
un verso stizzito.
Possibile che un
ragazzo fosse in grado di farla arrabbiare così tanto?
Sbuffò
di nuovo, tirando un pugno sul pavimento.
Si
portò istintivamente le mani a toccare il ciondolo a forma
di fiamma che aveva al collo.
Improvvisamente,
tutta la rabbia si volatilizzò.
Con una
delicatezza innata e un sorriso timido sulle labbra, sganciò
il gioiello e se la fece passare fra le dita osservandolo meglio.
Era l'unico
ricordo che le era rimasto di suo padre. L'uomo aveva comprato quel
ciondolo quando Misaka era nata, poco prima che lui morisse.
L'unico regalo
che era riuscito a farle, e per lei significata tanto.
Ogni volta che
sfiorava quel gioiello era come se suo padre le fosse vicino.
Abbozzò
un sorriso, alzandosi in piedi e togliendosi il vestito della Mietitura.
Lo
piegò con cura, e si infilò un paio di jeans
acquamarina e una camicia blu.
Prese un respiro
profondo e poi uscì, avviandosi nella sala da pranzo.
L'accompagnatrice
stava tranquillamente parlando con la loro mentore, una donna dai
fluenti capelli castani e occhi mori.
Misaka si sedette
e lei la salutò calorosamente.
La bruna rimase a
fissarla mentre parlava con l'accompagnatrice, cercando di ricordare
chi fosse.
Poi
improvvisamente le venne in mente: era Cecelia Sànchez, che
aveva vinto i 58° Hunger Games.
Misaka
l'ammirava; dopo che la donna aveva vinto i Giochi, aveva avuto la
forza di rialzarsi e costruirsi una vita, con un marito e tre figli.
-Allora Misaka,
come stai? Mi dispiace molto che ti abbiano estratta. Sai, io andavo a
scuola con tuo padre.- sorrise materna la mentore.
La ragazza rimase
interdetta un attimo.
-Come? Conoscevi
mio padre, Sànchez?-
La donna rise.
-Chiamami Cecelia, per favore. E sì, lo conoscevo molto
bene, eravamo amici prima che partecipassi ai Giochi. Ho saputo che
è deceduto prematuramente, mi dispiace.-
-E' stato ucciso
dai Pacificatori.- puntualizzò Misaka. -E com'era?-
Cecelia
sfoggiò un sorriso luminoso, che però si
smontò in fretta. -Non l'hai conosciuto, vero? Lui... era
combattivo, un po' prepotente e molto arrogante, ma buono. Solo che
odiava essere debole. Un po' come te, da quel che vedo.-
ridacchiò e Misaka sentì tanto caldo al petto.
Stava per
ribattere ma entrò Haruya e dovettero interrompere il
discorso.
Mangiarono in
silenzio per un po', ma la mentore continuava a lanciare occhiate alla
bruna, che rispondeva con un sorriso appena accennato.
-Uff...! Certo
che siete pesanti!- Sbuffò ad un certo punto Nagumo.
-Cecelia, tanto so che hai già scelto di tenere in vita lei
e lasciar morire me. Non so perchè, ma lo vedo. Almeno
dimmelo chiaro!-
Misaka si
strozzò con l'acqua che stava bevendo.
-Ma sei scemo?!
Cercherà di tenere in vita entrambi, è questo che
fa un mentore!- esclamò inorridita la bruna.
Certo,
però il ragionamento di Nagumo filava...
-Beh, tanto il
vincitore può essere solo uno! E non fare tanto la
saputella, ragazzina spocchiosa che non sei altro!- sputò
velenoso lui, rifilandole un'occhiataccia.
-Ma vedi di
tenere la bocca chiusa, altrimenti te la cucio io, tulipano in fiamme!-
-Stai zitta tu,
altrochè! E vedi di--- -
Ma prima che
Haruya potesse continuare Misaka prese un bicchiere colmo d'acqua e lo
versò in testa al ragazzo.
-Ecco, ora
abbiamo spento il tulipano!- dichiarò soddisfatta, per poi
uscire dalla stanza a passo di marcia.
Entrò
nella sua stanza e si buttò nel letto.
Pianse, e
pensò a suo padre e a Cecelia e a sua madre e a Shu, poi si
addormentò.
Sognò
tulipani che ardevano di un fuoco blu e lacrime che cadevano dal cielo
come pioggia.
Si
svegliò di soprassalto e uscì dalla sua camera,
stanca.
Girovagò
per i corridoi, non aveva affatto fame quindi decise di non fare
colazione.
Nagumo finse di
non vederla per tutto il resto del viaggio e Misaka si sentì
offesa da quel comportamento infantile.
Decise di fare lo
stesso, ma si sentiva in colpa e voleva scusarsi con lui.
Però
l'orgoglio prese il sopravvento, e allora la bruna rimase in silenzio.
Quando il treno
si fermò, fu il panico quello che colse la giovane.
Panico,
perchè c'era Capitol City fuori dal treno.
Panico,
perchè ogni istante che passava era un passo in
più verso la sua morte.
Quando
sentì il sole di Capitol sulla pelle, fu come ardere di un
fuoco freddo.
Un fuoco blu.
Distretto
9
Natsumi chiuse
gli occhi. I campi di grano erano spariti. La sua casa era sparita.
Era tutto un
incubo. Voleva svegliarsi.
Strinse i pugni,
strizzò talmente tanto le palpebre che iniziarono a farle
male.
Ma non era un
sogno. E lei lo sapeva benissimo.
Quando era
bambina, era così facile illudersi. Era facile
perchè c'era sua madre.
Fu il pensiero
della donna a costringerla ad aprire gli occhi.
Doveva essere
forte. Come Marina Green, la vincitrice degli Hunger Games.
Presto anche il
suo nome avrebbe potuto essere seguito da quella definizione.
O vincitrice, o
morta.
Dischiuse gli
occhi nocciola, e, con delicatezza, sciolse il pugno in cui erano
chiuse le sue mani.
La prima cosa che
avvertì fu il picchiettare della pioggia.
Poi il treno
sfarzoso in cui si trovava. E infine sentì la mano di
Kazemaru posata sulla sua spalla.
Si
scostò diffidente, catturando gli occhi castani del ragazzo.
Il turchese la
guardò con occhi feriti che la sconbussolarono. Occhi
indifesi. Occhi traditi. Occhi in lacrime. Occhi bellissimi.
Scosse rapida la
testa, sbuffando un po'.
Era
così stanca... Sentiva tutto il peso di quella giornata su
di sè, voleva solo sprofondare nel sonno.
Così,
appena il loro accompagnatore li invitò a prepararsi per la
cena, Natsumi scivolò nel suo appartamento.
Era grande.
Troppo. Era lussuoso. Troppo. Era diverso da casa. Troppo.
Si
trascinò in bagno e si lavò il viso con l'acqua
gelida.
Faceva quasi male
e le fece tornare un po' di lucidità.
Osservò
il suo riflesso con attenzione, cercando di scorgere in quegli occhi
nocciola, così simili a quelli di sua madre, un brandello
del coraggio che possedeva la donna.
No, non c'era.
Era inutile cercare quella innata vocazione al rischio.
Natsumi era
prudente. Natsumi era fredda.
Sua madre,
invece, lei era così vivace e sprezzante del pericolo che
Natsumi si sentiva scomparire ogni volta che tornava il ricordo della
donna.
Strinse forte la
rosa avvolta nella pellicola. Doveva essere forte.
Scosse la testa e
uscì dal suo scompartimento, non aveva più voglia
di stare a pensare a qualcuno che non c'era. Non aveva voglia di
pensare alla morte.
Entrò
nella sala da pranzo, ma era inevitabile che il ricordo di sua madre
tornasse.
Si sedette,
iniziando a mangiare in silenzio con la rosa posata di fianco al piatto.
Ignorò
lo sguardo di Kazemaru, ma quello del suo mentore era impossibile da
sviare.
L'uomo si
chiamava Daniel Bernhardt; la ragazza non ricordava di preciso quali
Hunger Games avesse vinto.
Rimasero in
silenzio per un po', poi lui si decise a parlare. -Natsumi Kagura,
vero?-
La rossa
alzò lo sguardo, leggermente imbarazzata.
-Io...-
continuò il mentore, titubante. -Conoscevo tua madre.-
Fu come una
pugnalata diritta nel petto. Fu come una lancia che le
trapassò il cuore.
Sbarrò
gli occhi, sentendo un nodo sempre più stretto serrarle in
gola.
Si
alzò e corse via, prima di fare qualcosa di stupido come
mettersi a piangere.
Entrò
nel suo scompartimento e si buttò sul letto.
Scoppiò
in lacrime per la seconda volta in quella giornata, lasciandosi
travolgere dalla disperazione.
Il sole ormai era
calato e la stanza era avvolta nel buio.
Natsumi, senza
rendersene conto, entrò in un torpore caldo e familiare che
precede il sonno, con ancora le lacrime incastrate fra le ciglia.
Fu in questo
dormiveglia che lo sentì entrare.
-Natsumi, Natsumi
aspetta! Hai dimenticato...-
Alla rossa parve
di percepire la voce di Kazemaru, poi cadde nel buio dell'incoscenza.
Sognò
di dimenticare tutto. Sognò di perdere oggetti per strada. E
cercava freneticamente quello che aveva dimenticato. Una rosa. Un
pavimento di pellicola. Ma ovunque si girasse c'era il volto di sua
madre. Ovunque si girasse c'era il sangue della donna. Una lancia che
trapassava il proprio petto, una, due, dieci, cento, mille volte. E
sangue che schizzava, mischiandosi a quello di sua madre.
La mattina si
svegliò sudata e col cuore che martellava nel petto.
Fece girare
freneticamente gli occhi per la stanza.
La rosa. La rosa
che le aveva dato suo padre. Dov'era? Dove l'aveva lasciata?
Poi la vide. Era
posata sul comodino.
Rimase
interdetta. Era sicura di non averla portata lei.
Poi si
ricordò di Kazemaru che aveva sentito parlare prima di
addormentarsi.
Prese un respiro
profondo, acchiappò la rosa e uscì dalla stanza.
Incontrò
il turchese nella sala da pranzo, mentre faceva colazione.
Si sedette di
fianco a lui, in imbarazzo. Non sapeva come ringraziarlo per averle
portato la rosa.
Si morse le
labbra, mentre lui la scrutava stranito.
Poi si decise a
parlare con la lingua secca. -G-Grazia Ichirouta. Per avermi portato la
rosa.-
Lui sorrise. -Di
nulla. Tu sei la figlia di Marina Green, vero?-
Natsumi si
irrigidì, e i suoi occhi si riempirono di gelo. -Esatto.-
-Non le somigli
molto.- commentò semplicemente il turchese, tornando a
sorridere.
La rossa
avvertì un calore strano all'altezza del petto. Era
piacevole, e si diffondeva per tutto il corpo.
Si costrinse a
non sorridere, anche se si sentiva stranamente felice.
Forse era stato
il sorriso di Ichirouta. Forse era stata la sua voce.
Il treno si
fermò e improvvisamente il calore scomparve, lasciando
spazio a un freddo letale.
Si
alzò, avviandosi verso l'uscita, seguita da Kazemaru.
Sentiva il gelo
avvolgerla da ogni parte.
Non pioveva, a
Capitol City. C'era un sole alto e tanta gente che folleggiava.
Natsumi
sentì una rabbia cieca trapassarle la mente;
sfoggiò l'espressione più gelida che riuscisse a
fare, mentre scendeva.
"Che
gli Hunger Games abbiano inizio, Capitol City. E io vincerò."
Distretto
10
Roxie trattenne
il fiato, mentre il treno partiva con uno sbuffo.
Non era mai
salita su un treno prima d'ora; era vietato girare nei Distretti senza
una carica particolare.
E poi, quel treno
era una versione in miniatura di Capitol City: tantissimi vagoni
sfarzosi e ultramoderni, porte in mogano, soprammobili costosissimi.
Si
sforzò di sorridere, anche se una fitta lancinante al petto
le fece stringere appena gli occhi smeraldini con lievi pagliuzze
arancioni, ma passò subito.
Guardò
incuriosita Kidou, che aveva le mani in tasca e sguardo diffidente,
come chi si trovasse in un campo minato nemico.
E forse non era
una reazione così esagerata.
La loro
accompagnatrice li invitò a prepararsi per la cena, e Roxie
andò tranquilla nel suo appartamento.
Si sentiva
stranamente calma, anche se quando i suoi pensieri cadevano su Mia il
petto le si stringeva in una morsa dolorosa.
Era una
tranquillità mesta, rassegnata, ma colorata di tinte curiose
e allegre.
Era una
sensazione stranissima.
Infilò
le mani in tasca, dove trovò l'anello del matrimonio dei
suoi genitori.
Si
infilò l'anello al dito, scuotendo la testa, e
uscì dalla stanza, avviandosi verso la sala da pranzo. Si
sedette e iniziò a mangiare in silenzio.
La sua
accompagnatrice e la sua mentore parlavano fra loro, sorridendo con
gentilezza.
Roxie
fissò intensamente il posto vuoto accanto a sè e
si sentì mancare il fiato.
Dov'era Yuuto?
Dov'era quel ragazzo dall'espressione indecifrabile e dagli occhi di
cui era riuscita a fidarsi?
-Dov'è
Kidou?- Chiese, il viso in una smorfia perplessa.
-Ha detto non che
voleva mangiare, quel tesoro. Sta guardando le repliche delle
Mietiture, fra poco andiamo anche noi a vederle. Poverino, era
così sconvolto...- cinguettò l'accompagnatrice.
Roxie si
alzò senza nemmeno salutare e andò diritta nel
vagone adiacente.
Appena
aprì la porta, sentì qualcosa tagliare l'aria.
Trasalì,
quando un coltello si pianto a pochi centimetri dal suo viso, nella
sottile fessura fra la parete e la porta.
La stanza era
avvolta nel buio, illuminata solo dalla televisione accesa; Roxie
deglutii, indugiando sulla figura di Kidou che aveva lanciato, senza
nemmeno voltarsi, il coltello.
-S-Sono io.- fece
qualche passo insicuro verso il ragazzo.
Yuuto non la
guardò. Aveva davanti molti fogli sparsi e il viso pallido
illuminato dalla luce asettica della televisione.
-Che fai?-
Domandò allegramente, sedendosi di fianco a lui.
Il castano le
rivolse un'occhiataccia. -Studio gli altri Tributi.- ribattè
con una nota indifferente e la fissò qualche istante, poi
abbassò il viso, annotando qualcosa su un foglio.
Roxie si morse il
labbro inferiore, arricciando fra le dita una ciocca di capelli rosso
scuro.
-Come sono,
simpatici?- esclamò, portando lo sguardo sullo schermo.
Stavano facendo
vedere il Distretto 6; Kidou si soffermò a studiare le loro
espressioni, per poi ributtare il viso sul foglio.
-Haruna mi ha
parlato molto di te.- ammiccò la rossa. -Dice che sei molto
intelligente.-
Lui le
rifilò un'occhiata. -Haruna-chan mi ha detto che tu sei
molto espansiva e preposta al dialogo; molte volte però sei
anche impicciona.-
Roxie
gonfiò le guance, ma poi sorrise dolcemente. -Ah. Sono un
avversario pericoloso?- Tentò di sbirciare sui fogli del
ragazzo, ma lui li tolse dal pavimento, sistemandoli in ordine.
-Potresti
esserlo. Dipende quanto mi lascio ingannare dai tuoi occhi.- detto
questo si alzò, lasciando la ragazza di sasso, e
uscì.
Roxie
sbattè perplessa le palpebre.
"L'ha detto
davvero? Non me lo sono immaginata?" si girò stupefatta
verso la porta, un sorriso che nasceva sul viso.
Si
limitò ad arrossire piacevolmente, un calore bello nel petto.
Non capiva molto
bene quello che aveva voluto intendere Yuuto, ma era un complimento.
Si
alzò ridacchiando fra sè, non aveva proprio
voglia di guardare il resoconto delle Mietiture. Quindi
scivolò nel proprio appartamento, buttandosi nel letto e
rotolandosi contenta fra le lenzuola candide.
Si sentiva
dannatamente felice. E non capiva perchè.
Si
addormentò con il sorriso sulle labbra e non ebbe incubi,
quella notte.
Si
svegliò solo quando la voce squillante della sua
presentatrice la intimò a prepararsi alla fermata a Capitol
City.
Si
alzò sbadigliando e uscì con passo assonnato
dirigendosi alla sala da pranzo.
Yuuto -come c'era
da aspettarsi- era fresco e riposato come una rosa, che continuava a
guardare i fogli della sera prima sboccellonando un biscotto.
-Buongiorno
genio... Come va con la tua immensa ricerca?- borbottò
assonnata, sbadigliando subito dopo e lasciandosi cadere sulla sedia.
-Non molto bene,
le mie probabilità di vittoria sono molto basse, a dire il
vero. Le tue, già un po' più alte.-
abbozzò un sorriso davanti all'espressione stupita della
rossa.
-Interessante...-
uno sbadiglio. -E pensi che ti basti una prima occhiata per capire
tutto?- si stropicciò un occhio, addentando una brioche.
-No,
assolutamente. Avrò bisogno di ricerche più
approfondite, ma non penso che il risultato finale cambi molto.-
sistemò un fogli e le rivolse un'occhiata divertita. -Non
dovresti pettinarli, quei capelli?-
Roxie
alzò le spalle, e Kidou la guardò un attimo
incerto. -Posso pettinarteli io, se vuoi.- propose sulla difensiva, e
la rossa si stupì di nuovo. -Certo.-
Allora il ragazzo
si alzò e con delicatezza iniziò a pettinarle i
capelli, sciogliendo i nodi con dita abili ed esperte.
-Pettinavi i
capelli ad Haruna?- domandò Roxie, pulendosi le dita su un
fazzoletto.
-Sì,
ero io a fare le sue acconciature alla Mietitura. E anche quelle delle
sue amiche.-
Sorrisero a
vincenda e Yuuto si allontanò un po', imbarazzato.
-C-Credo che vada
meglio...- disse incerto, e al sorriso luminoso di Roxie
arrossì lievemente.
Il treno si
fermò proprio in quel momento.
Kidou si fece
improvvisamente serio, prendendo i propri fogli e avviandosi con
sguardo scuro verso l'uscita.
La rossa lo
seguì col cuore in gola; improvvisamente tutta la
serenità di prima si era dissolta, lasciando spazio a un
timore logorante.
Il sole la
colpì come olio bollente. Persino la luce sembrava diversa,
a Capitol.
Ma niente sarebbe
stato più come prima.
Roxie lo avrebbe
capito presto.
Distretto
11
Skylin strinse
febbrilmente la buccia d'arancia, mentre il Distretto 11 scompariva.
Ingoiò
un singhiozzo e si costrise ad alzare gli occhi.
Posò
lo sguardo su Atsuya.
Fubuki le
indirizzò uno sguardo curioso, che si indurì
quando arrivò sulla buccia che la castana teneva in mano.
La loro
accompagnatrice li invitò a prepararsi per la cena e la
ragazza si ritirò nel suo appartamento.
Quando
entrò, si limitò a sedersi sul letto e fissare il
cielo che si tingeva di scuro scorrere fuori dal finestrino, stringendo
la buccia, come se avesse paura di perdere l'unico contatto che ancora
aveva con il suo amato Distretto.
Pensò
a Derek e Sue, e sorrise; ormai il loro matrimonio era l'unico pensiero
che riuscisse a darle un po' di serenità.
L'ombra di un
sorriso accarezzò il suo volto, illuminando i suoi occhi di
luce pallida.
Sospirò
e si alzò, posando la buccia sul comodino.
Dedicò
ancora uno sguardo a quell'oggetto e sorrise dolcemente ripensando al
sorriso piangente di Shirou.
Forse lui era
stato l'unico amico di cui si sarebbe mai potuta fidare.
E magari, anche
con Atsuya sarebbe stato lo stesso.
Ma poi si
corresse: Atsuya non era Shirou. Doveva ricordarselo.
Attraversò
i corridoi, ed entrò nella sala da pranzo.
Seeder le
sorrise, mentre si sedeva; la castana notò che Atsuya non
c'era.
Scosse la testa
con un sospiro e si disse che era meglio così; non aveva
voglia di vederlo e pensare a Shirou.
Così
concentrò la sua attenzione sulla donna: Seeder aveva vinto
i 33° Hunger Games e, a differenza di molti, non era
sprofondata nell'alcool o nella morfamina.
-Beh... Ciao.-
iniziò impacciata la castana, abbozzando un sorriso.
Seeder le
indirizzò uno sguardo cordiale. -Ciao Skylin.-
La ragazza
iniziò a mangiare, improvvisamente imbarazzata.
-Sei stata
coraggiosa, alla Mietitura. Quella ragazza era tua sorella?-
-No, era la
fidanzata di mio fratello. Si sarebbero sposati a breve, e io non
volevo che il loro matrimonio andasse a rotoli.- rispose sinceramente
la ragazza.
Seeder la
squadrò qualche secondo, come se volesse capire qualcosa.
La mentore
sorrise. -Hai una luce bella negli occhi.- disse solo, per poi
riportare lo sguardo sul piatto.
Skylin la
guardò confusa, senza riuscire a capire cosa c'entrassero i
suoi occhi con quel discorso.
Il suo sguardo
doveva essere proprio buffo, perchè Seeder
ridacchiò.
-Lascia perdere.
Ora vai a riposarti, arriveremo a Capitol City domattina.-
Ancora perplessa,
la castana si alzò e uscì dalla stanza.
Non aveva voglia
di guardare le repliche delle Mietiture, ma nemmeno di andare a dormire.
Così
si appostò a un finestrino; iniziò a canticchiare
una vecchia canzone popolare, per ingannare il tempo.
Una voce, dietro
di lei, cantò le ultime strofe al suo posto; Skylin si
girò di scatto e incontrò gli occhi divertiti di
Atsuya.
-Ah, sei tu.-
sospirò la castana, e poi sorrise. -Perchè non
sei venuto?-
Lui
alzò le spalle, socchiudendo gli occhi. -Non ne avevo
voglia. Tu invece, uccellino, perchè non sei a fare la
nanna?-
La ragazza
arricciò il naso, infastidita dal soprannome. -Non ne avevo
voglia.- ribattè, scimmiottando il tono del ragazzo.
Lui rise e Skylin
rimase interdetta, frastornata dal suono della sua risata,
così cristallina.
Ma poi pian piano
quella risata si spense e gli occhi cenerei del ragazzo tornarono a
fissarla.
La castana
spostò lo sguardo fuori dal finestrino, senza riuscire a
reggere quello dell'altro.
-Che vuoi?-
sbuffò dopo un po', ma la risposta che ricevette la
lasciò senza parole.
-Allora
è vero. Shirou è dalla tua parte.- Atsuya aveva
un tono amaro, rassegnato. Rise un po', incrociando le braccia sopra la
testa e poggiandosi alla parete. -Ma avrei dovuto aspettarmelo. Sempre
a darmi per morto, quel fratello degenere.-
-Come fai a
saperlo?- chiese Skylin, incuriosita.
-Ma sappi,
uccellino- continuò Atsuya, ignorando la sua domanda. -che
io vincerò. Quindi guardati le spalle.-
La castana
incrociò le braccia al petto. -E' una sfida? Stai dicendo
che credi che io muoia?-
-No, piccoletta.
Sto dicendo che sono sicuro che tu muoia.-
-Piccoletta?! Ho
quindici anni, razza di albero di Natale ambulante!- esclamò
furiosa Skylin.
-Oh, ma davvero?
Allora vedi di crescere un po', uccellino.- le prese il mento fra le
dita, avvicinando il viso della ragazza al proprio. Skylin
arrossì, specchiando i propri occhi in quelli del giovane.
-Altrimenti non c'è gusto a sfidarti. Beh, buonanotte.-
Atsuya la lasciò andare e sparì fra i corridoi.
La castana rimase
immobile, ancora rossa in viso e scombussolata dal tono seducente del
ragazzo e dai suoi occhi così belli e luminosi.
Ma si riscosse in
fretta; l'aveva sfidata? Bene, avrebbe giocato al suo stesso gioco.
Perchè
non bisognava mai sfidare Skylin Florance. Peccato che Atsuya non lo
sapesse.
Anche se, si
disse mentre entrava nel suo appartamento, non era sicura che sarebbe
riuscita ad ucciderlo.
Scosse la testa e
si lasciò cadere fra le coperte.
Rimase immobile,
cullata dallo sferragliare del treno sulle rotaie; pensò a
Shirou e a Seeder e agli Hunger Games.
Senza
accorgersene, si addormentò.
Fu la voce
dell'accompagnatrice a ridestarla, annunciandole con timbro squillante
che fra poco sarebbero arrivati a Capitol City.
Skylin era
frastornata, e non aveva alcuna voglia di alzarsi. Pensare che fra poco
avrebbe messo piede sul suolo capitoliano le faceva venire voglia di
vomitare.
Con uno
sbuffò si liberò delle coperte ed
entrò in bagno.
Si fece una
doccia veloce e uscì dalla stanza con passo lento; ogni
istante che passava l'avvicinava di più al momento in cui
sarebbe entrata nell'Arena.
Fece
svogliatamente colazione, scambiandosi battute al veleno con Atsuya
sotto lo sguardo attento di Seeder.
Il buio di una
galleria li avvolse e poi Capitol City apparve immensa.
Era piena di
palazzi altissimi che brillavano sotto la luce del sole, era enorme e
dannatamente letale.
Skylin
continuò a fissarla fin quando il treno non si
fermò alla stazione e improvvisamente tutta la
curiosità che l'aveva colta si dissolse.
Con le gambe
rigide dalla paura, uscì di fianco ad Atsuya; una folla di
capitoliani rumoreggiò alla loro apparizione, ma la castana
tenne lo sguardo sul cielo.
Era azzurro. Ma
era strano, era diverso. Diverso da casa.
Era un celeste
crudele.
Letale come tutto
quello che l'avrebbe aspettata da quell'istante in poi.
Distretto
12
Amelia rimase
così, con un sorriso bloccato sulle labbra e un singhiozzo
che premeva prepotentemente per uscire dal petto.
Abbassò
gli occhi celesti, stringendo i lembi del vestito. Doveva calmarsi. Non
aveva senso piangere ora.
Si costrinse ad
alzare lo sguardo e si esibì in un'espressione
consapevolmente fiera.
Fideo aveva lo
sguardo vuoto, distante; probabilmente stava pensando a cosa avrebbe
dovuto subire a Capitol.
La ragazza
sistemò con uno sbuffo una ciocca di capelli dietro
l'orecchio; lei non avrebbe mai fatto scene così patetiche.
Non le importava quello che avrebbe dovuto sopportare, tutto il sangue
e la morte che avrebbe dovuto vedere.
Perchè
lei aveva una corazza abbastanza spessa per resistere.
Perchè lei sarebbe tornata come vincitrice, per suo padre.
Gliel'aveva
promesso, e lei mantiene sempre le promesse.
Effie li
invitò a prepararsi per la cena, e Amelia si accorse solo in
quel momento di quanto la presenza dell'accompagnatrice la infastidisse.
Quel senso di
debolezza le attanagliò di nuovo il petto..
Entrò
nel suo scompartimento, sbattendo la porta irritata.
Non voleva
sottostare a quello che Capitol City diceva. La Trinket aveva detto di
presentarsi per la cena? Lei non l'avrebbe fatto.
Sogghignò
fiera, dopotutto non le importava nulla di quello che avrebbe potuto
pensare.
Si tolse il
vestito verde, piegandolo con cura, e posò l'ametista datole
dal padre sul comodino.
Poi si
avviò in bagno ed entrò nella doccia. Sorrise
inconsapevolmente, appoggiandosi alla parete e lasciando che l'acqua le
lavasse via tutti i pensieri.
Ma appena
l'orgoglio se ne andò, arrivarono le preoccupazioni e
iniziò a tormentarsi.
Come avrebbe
fatto a vincere? Come sarebbe riuscita a conquistare i capitoliani?
Avrebbe dovuto allearsi. Ma chi si sarebbe voluto alleare con lei?
Magari Fideo. Ma lui le sarebbe stato d'aiuto? E sarebbe bastato un
solo alleato?
Strizzò
gli occhi cerulei, mordendosi le labbra. Era tutto troppo complicato.
Uscì
dalla doccia e si asciugò con calma. Poi indossò
un jeans blu e una maglia attillata e rossa; scivolò fuori
dalla stanza.
Doveva cercare
Haymitch e costringerlo -anche con la forza- a svolgere il suo compito
di mentore.
Non aveva
assolutamente intenzione di morire perchè quell'idiota si
era ubriacato.
Si
fermò davanti alla porta della camera dell'uomo e
bussò.
Non ricevette
risposta, allora provò ad aprire, ma era chiusa a chiave.
Iniziava
già spazientirsi, così iniziò a tirare
pugni sulla porta gridandogli di uscire subito da lì.
-Che fai?-
sussultò, girandosi.
Fideo la
osservava con un sorriso divertito sulle labbra.
Amelia
sbuffò, incrociando le braccia al petto. -Haymitch non mi
apre.- esclamò seccata.
Il ragazzo
ridacchiò. -Sarà talmente ubriaco da non
sentirti.-
-Allora
sfonderò la porta.- ribattè ovvia lei, tirando un
altro pugno sul legno.
-Domani
dovrà uscire di sicuro, ti consiglio di aspettare.- il
castano abbozzò un sorriso cordiale, e Amelia
sentì qualcosa smuoversi all'altezza del petto.
Qualcosa di caldo
e piacevole.
Sbuffò,
scostando lo sguardo. -Allora a domani, Ardena.- si girò e
fece per andarsene.
Lui rimase
interdetto per un attimo, poi sorriso di nuovo. -Buonanotte Amelia.-
E la castana non
potè fare a meno di pensare che il suo nome, detto da Fideo,
aveva un suono celestiale.
Entrò
nella sua camera, confusa Non le era mai capitato di fare queste
considerazione su un ragazzo.
Eppure gli occhi
di Fideo erano così belli. La sua voce così
chiara. Il suo viso così perfetto. Il suo sorriso
così dolce.
Scosse la testa,
infilandosi sotto le coperte.
Era
così sciocco essere attratti da un ragazzo che ti avrebbe
ucciso. Lei lo sapeva benissimo.
Non
riuscì a dormire quella notte. Continuava ad agitarsi nel
letto, e lo sferragliare del treno di certo non aiutava. E poi aveva
fame. Era stata proprio stupida a non andare a cenare.
Quando i raggi
dell'alba entrarono dal finestrino, Amelia scattò in piedi,
desiderosa di uscire da quella stanza.
Entrò
in bagno e si lavò velocemente il viso; legò i
capelli in una coda laterale e poi, mentre stava per uscire, si
ricordò di una cosa.
Prese la sua
ametista dal comodino e la accarezzò delicatamente.
La
infilò in tasca e uscì frettolosa. Non aveva
proprio voglia di perdersi nei ricordi.
Quando
entrò nel vagone ristorante si stupì di trovare
Fideo già in piedi intento a ricoprire di marmellata una
fetta di pane.
Lo
salutò scontrosamente, sedendosi davanti a lui e azzannando
letteralmente una brioche.
Rimasero in
silenzio per un po', poi Amelia si costrinse a parlare. -Non ti facevo
così mattiniero.-
Lui sorrise. -Non
riuscivo a dormire, questo treno è infernale. E tu?-
-Mh.- rispose
lei, mordendo un panino.
Calò
di nuovo il silenzio, e la castana studiò un po' il ragazzo.
Sembrava in imbarazzo.
Se doveva
propogli un alleanza, questo era il momento giusto.
-Proverai a
vincere, Ardena?- mormorò fredda, gli occhi fissi sulla sua
tazza di caffè.
-Credo di
sì.- rispose lui, leggermente stupito.
-Mi ucciderai?-
questa volta Amelia alzò gli occhi, puntandoli in quelli
color cielo del ragazzo.
-No.- fu la sua
risposta candida, ma sul suo viso non c'era ombra di un sorriso.
-Ma allora non
vincerai.-
Lui sorrise
amaro. -Allora non lo so. Forse morirò.- rise un po', e
Amelia rimase a fissarlo attentamente, chiedendosi perchè la
sua risata, anche se rotta da un tono triste, era così bella.
-Potremmo
allearci.- esclamò, per poi accorgersi che il suo tono era
troppo speranzoso. -Certo, se non preferisci morire solo.- aggiunse
acida, sperando di rimediare.
-Mi sembra una
buona idea. Certo, se non preferisci contare solo su di te.- rispose
sorridendo lui.
Questa volta,
anche Amelia si sciolse in un sorriso accennato. Fideo era davvero
bravo, a farla sorridere.
-Tsk.-
ingollò la tazza di caffè, contenta. Cercava di
accantonare il più possibile il pensiero che uno solo
sarebbe uscito dall'Arena.
Voleva godersi il
sorriso del ragazzo ancora un po'.
Uscì
dalla stanza, e girovagò per i corridoi senza meta, per
sbollire quella felicità innata.
Non capiva
perchè fosse così contenta. Forse
perchè Fideo le aveva detto sì. Forse
perchè le aveva sorriso.
Perse la
cognizione del tempo ed errò per i vagoni per ore, fin
quando il treno non si fermò.
Fu come uscire da
un sogno. Tutta la contentezza si volatilizzò, lasciando
spazio a un'ansia che la lasciava senza fiato.
Attraversò
i corridoi a ritroso, raggiungendo l'uscita.
Quando il sole di
Capitol City la illuminò, avvertì di nuovo un
incredibile senso di impotenza.
Si sentiva
piccola e debole davanti a quei palazzi enormi e luccicanti.
E non le piaceva
per niente.
Ma gli Hunger
Games erano inziati.
E non avrebbero
lasciato nulla dietro di loro.
30
pagine, Tributi miei, 30 pagine...!
Ehm,
ciao!
Okay,
non chiedetemi con che faccia arrivo qui dopo quasi un mese,
perchè non lo so!
Non
ho scusanti, ecco. <.<
Però
ho scritto un capitolo proprio lungo, questo dovete riconoscermelo. u.u
Va
bene, non sono per niente sicura di come ho trattato i mentori.
Aiuto,
ho paura di averli headcanonati (?) troppo! >.<"
Ditemi
cosa ne pensate, perchè io ho sinceramente paura!
ç.ç
Poi,
so benissimo che molte volte più vincitori facevano i
mentori insieme, ma è già complicato trattarne
12, figuriamoci di più! >O<
E
niente, spero vi piaccia.
Adesso
devo andare, cieu, spero di riuscire ad aggiornare prima! ;)
Ciao
ciao!
Lucchan
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 4 ***
Distretto 1
Marina roteò gli occhi seccata, sbuffando.
Era arrivata a Capitol City e le era stato concesso di dormire; appena
si era svegliata era stata subito "data fra le mani" di quel dannato
gruppo di preparatori.
I tre capitoliani l'avevano spogliata, lavata, profumata, unta,
truccata e un sacco di altre cose di cui Marina non aveva capito
l'utilità.
Una donna grassoccia dai capelli rosso fuoco le aveva proposto
eccentrica di tingersi i capelli di biondo platino e la castana si era
limitata a lanciarle uno sguardo gelido.
La preparatrice non sembrava essersene accorta e aveva continuato a
ciarlare su quanto andasse di moda il platino e roba simile.
Marina aveva smesso di ascoltarle da tempo.
Dopo ore e ore di tortura, finalmente fu libera di infilarsi
l'accappatoio e aspettare che i suoi preparatori andassero a chiamare
il suo stilista.
Sospirò, passandosi una mano fra i capelli castani,
scoprendoli più morbidi di quanto avesse mai creduto
possibile.
I suoi preparatori erano più sciocchi di quanto Marina
avesse potuto immaginare: erano così fastidiosi, che
ronzavano intorno al suo corpo come mosche.
Sperava solo che il suo stilista non fosse stupido come tutti i
capitoliani.
Ma quando la porta si aprì, rivelando il famigerato
stilista, allora Marina si disse che le sarebbe andato benissimo uno
stupido capitoliano.
Perchè quello che aveva davanti era Christian Euden, un suo
vecchio compagno di classe.
Certo, avevano sei anni di differenza, ma avevano frequentato qualche
corso insieme e si erano spesso aiutati con lo studio.
Come mai faceva lo stilista? Da quando lui si era trasferito a Capitol
avevano perso i contatti, ma insomma! Questo era decisamente troppo.
-Oh, Mari che bello rivederti!- esclamò lui, avanzando a
grandi passi e abbracciandola.
La castana rimase immobile, aspettando che Christian la fisse con
quelle smancerie.
L'uomo si allontanò, sempre sorridendo come un vero idiota.
Lo stilista iniziò a parlare di quanto gli mancasse il
Distretto 1, di quanto Capitol fosse bella ma caotica e bla bla bla.
Marina dedicò più attenzione al suo viso: si
accorse con grande piacere che non aveva apportato modifiche al suo
corpo come la maggior parte dei capitoliani.
Era una persona relativamente normale:
capelli biondi e folti, pelle chiara, occhi azzurri e luminosi.
Ovvio, per chi lo conosceva era tutto meno che normale, ma questi erano
dettagli.
-Allora Mari, sei contenta di partecipare ai Giochi? Sono
così felice per te! Ma non perdiamo tempo, voglio che tu sia
la più bella di tutti!- Christian aprì le braccia
con fare plateale, sorridendo.
-Ti piacciono i diamanti, Marina?- chiese, ammiccando.
La ragazza inarcò scettica un sopracciglio. -Eh? Cosa
c'entrano i diamanti?-
-Ecco, sai, con la stilista di Fuusuke avevamo pensato di trasformavi
in diamanti. Il Distretto 1 si occupa della lavorazione dei beni di
lusso e delle pietre preziose, e poi i diamanti non sono bellissimi?
Così luccicosi...- rimase un attimo con lo sguardo sognante
rivolto all'orizzonte.
Marina roteò gli occhi sbuffando, anche se in
realtà era una buona idea.
-Basta che non mi trasformi in qualcosa di osceno.-
acconsentì dopo un po', incrociando le braccia al petto.
-Non preoccuparti zucchero, sarai stupenda!- Christian le
strizzò l'occhiolino ridacchiando.
Dopo qualche ora, Marina si ritrovò addosso il vestito
più strepitoso che avesse mai indossato.
Era lungo fino al ginocchio, senza spalline, interamente fatto di
morbido velluto; era color ghiaccio, iridescente e coperto di strass e
rifletteva la luce.
I suoi capelli erano lasciati sciolti lungo le spalle, coperti di
brillantini che li facevano scintillare. Non era truccata molto
pesantemente: aveva un rossetto blu chiaro e gli occhi erano circondati
di tonalità di azzurro, dal più scuro vicino alle
ciglia fino a diventare così chiaro da confondersi con la
pelle.
Dovette considerare che Christian non se la cavava poi così
male coi vestiti.
Vedendo la sua espressione stupita, l'uomo ridacchiò.
-Ti piace Mari?-
Pensò solo che lo stilista era decisamente antipatico quando
se ne usciva con quei "Mari" sdolcinati.
-Sì, è accettabile.- rispose vaga, girandosi.
Accompagnata dallo staff di preparatori che lanciava strilli eccitati,
fu scortata fuori.
Quando vide Suzuno rimase a bocca aperta: il ragazzo era un diamante,
come lei.
Indossava un completo elegante ricoperto di spray argento e la sua
espressione fredda era decisamente una cosa perfetta per quell'abito.
Tentò di non fissarlo troppo mentre scendevano
nell'anfiteatro cittadino per la sfilata coi carri, dove i Tributi
venivano presentati alla folla.
Salirono su un carro bianco trainato da quattro cavalli candidi; dato
che il loro era il primo Distretto, avrebbero aperto la sfilata.
Marina prese un respiro profondo.
-Cosa ne pensi, di questi costumi?- chiese a Suzuno, senza girarsi per
guardarlo.
-Potrebbero essere una buona idea.- rispose lui, rivolgendole
un'occhiata.
La castana sentì un brivido attraversarle la schiena, ma lo
nascose.
La musica d'apertura iniziò e il loro carro
iniziò a muoversi.
Marina alzò il mento, un'espressione fredda sul viso.
La folla ruggì.
Distretto 2
-Oh Hika-chan, ma come ti sei ridotta così?-
Hikari non ne poteva più. Erano ore che era entrata nel
Centro Immagine e ancora non era pronta ad uscirne.
E poi, i suoi preparatori non potevano risparmiarsi quei commenti
zuccherosi sulle frustate che aveva sulla schiena?
Non era certo sua intenzione raccontare ai quattro venti come se li era
fatte, quelle ferite, ma le tre donne erano insistenti.
La più giovane delle tre, dai capelli fuctsia e tatuaggi
rosa su tutto il corpo, continuava a squittire cercando di nascondere
le ferite che la mora aveva sulla schiena.
Hikari restava immobile, sopportando silenziosamente.
Voleva solo essere abbracciata da Desarm e mandare al diavolo tutto il
mondo.
Le dava fastidio, il modo spudorato in cui il suo staff le levigava
ogni centimetro del corpo con sapone e unguenti di ogni tipo.
-Oh cara, chissà cosa ti è successo... Spero
nulla di grave, perchè sei così bella!-
trillò la donna che le stava sistemando le unghie,
applicandoci sopra uno smalto nero e lucido.
-Infatti, hai dei capelli talmente belli! Sono poco curati
però, ma stai tranquilla, quando uscirai di qui sarai
davvero stupenda!- cinguettò la donna dietro di lei, dalla
pelle con una lieve sfumatura rossastra, che le stava pettinando i
capelli.
"Quando uscirò da qui" pensò Hikari
"sarò più morta che viva, non stupenda."
La mora decise di smettere di ascoltare, tanto quei commenti la stavano
solo infastidendo.
Ci misero meno del previsto a terminare il loro lavoro e nel giro di un
paio d'ore fu pronta.
Indossò l'accappatoio e quei tre avvoltoi dei suoi
preparatori uscirono, lasciandola finalmente sola.
Hikari sbuffò, picchiettando nervosamente il piede per terra
con le braccia incrociate al petto. Voleva solo che tutta quella
buffonata finisse in fretta.
Perchè ai capitoliani non bastava che i Tributi si
ammazzassero fra loro, no, dovevano anche subirsi tutta quella
pagliacciata coi costumi e le sfilate.
La porta si aprì, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Rimase stupita dall'aspetto umano
del suo stilista: aveva lunghi capelli neri e numerosi ciuffi
incorniciavano il suo viso, coprendo l'occhio sinistro. Gli occhi erano
grigio argento, prezioso e brillante, luminoso. Aveva un sorriso appena
accennato e decisamente rassicurante.
Sembrava un tizio simpatico, allora Hikari abbozzò un
sorriso.
-Ciao Hikari, piacere di conoscerti. Mi chiamo Arata Tasho, e sono
molto fiero di essere il tuo stilista.- disse lui, con tono cordiale,
porgendole la mano.
La mora la strinse insicura. -Beh... Ciao.-
-Facciamo due chiacchere, okay?- propose, e Hikari annuì.
Era scombussolata dalla normalità del suo stilista per
concentrarsi su altro. Era talmente umano da essere disarmante.
Entrarono in una stanza con due divani verde muschio, dove si
accomodarono.
-Allora Hikari, come ti senti? Spero che Kita, Moko e Taary non ti
abbiano strapazzata troppo.-
-Mi hanno distrutta, veramente.- sbottò acida la mora,
incrociando le braccia al petto.
Si accorse solo dopo di aver detto qualcosa di probabilmente offensivo,
ma Arata sorrideva divertito.
-Lo so, sono molto invadenti. Ma non sono cattivi.- sorrise. -Allora
Hikari, come ben saprai il tuo Distretto si occupa della produzione di
muratura ed armi.-
La ragazza annuì appena, mentro l'uomo si alzava.
-Io e la stilista di Desarm avevamo pensato di farvi indossare qualcosa
che rispecchi la forza del Distretto 2. Quindi non indosserai gonne o
vestiti pieni di strass.-
Hikari tirò un sospiro di sollievo e Arata rise.
-Allora sarò ricoperta di lame?- domandò subito
preoccupata la ragazza, ma lui scosse la testa.
-Vedrai.- disse solo, sempre sorridendo.
Un'ora dopo, Hikari si ritrovò un vestito che mai avrebbe
pensato di indossare per una sfilata.
Aveva dei pantaloni neri che si allargavano sulla caviglia, e ai piedi
scarpe da ginnastica dello stesso colore.
La pancia era scoperta e lasciava vedere il percing che aveva
sull'ombelico e il tatuaggio sul fianco destro.
La maglia si chiudeva con una cerniera sul petto ed era anch'essa nera;
le maniche erano tirate su fino al gomito e un cappuccio le copriva i
capelli, lasciando intravedere alcune ciocche.
Il suo viso era intermente ricoperto di trucco: intorno agli occhi
c'era uno spesso strato di nero, che pian piano sfumava fino a
diventare grigio acciaio sulle gote e sulla fronte. I suoi occhi rossi
sembravano carboni ardenti su tutto quel colore uniforme.
Hikari considerò stupita che quel costume ricordava una
pistola o un cannone pronto a sparare; abbozzò un sorriso,
girandosi verso Arata.
-E' bello.- proferì solo e l'uomo sorrise.
Con il suo staff fu scortata fuori e diretta all'anfiteatro cittadino.
Appena vide Desarm, lo abbracciò e rimase stretta a lui
anche mentre salivano sul loro carro.
Hikari sentiva il bisogno impellente di sentire che il suo ragazzo era
vicino a lei, e lo sarebbe sempre stato.
Non le importava di sembrare debole, voleva solo averlo vicino.
-Stai bene?- domandò Desarm sorridendo appena e lei
annuì, sciogliendo quell'abbraccio.
Gli strinse la mano, però, intrecciando le proprie dita con
quelle del ragazzo.
La musica partì trionfale e la mora trattenne il fiato,
mentre il carro del Distretto 1 partiva.
-Sorridi, Hikari.- sentì Desarm sussurrarle all'orecchio
prima che il loro carro iniziasse a muoversi.
Sorrise, e il sole l'avvolse.
Distretto 3
Kiara strinse in denti, mentre la spazzola strappava via impietosa i
nodi dei suoi capelli.
-Oh, scusa!- esclamò una donna dalle orecchie a punta e
capelli a forma di stella. -Abbiamo quasi finito, okay?- Il tono della
capitoliana doveva essere qualcosa di vagamente simile a un
incoraggiamento, ma era proprio una riproduzione patetica, con quello
stridulo accento capitoliano.
La dodicenne roteò gli occhi, sbuffando un po'.
-Non potresti fare un po' più piano?!- sbottò
irritata, aggrappandosi al bordo del tavolo davanti al quale era
seduta, tentando di trattenere un gemito di dolore quando la donna
strattonò di nuovo la spazzola, tirando via una manciata di
capelli annodati.
-Sei stata così brava, resisti ancora un po'! Ti prometto
che finisco presto!- cinguettò la donna, facendo sbuffare di
nuovo Kiara.
Dopo altri dieci minuti buoni, finalmente la donna posò
quell'oggetto infernale chiamato spazzola.
Intanto altre due si stavano occupando rispettivamente delle unghie e
del viso.
-Oh, era da così tanto che non ci capitava un Tributo
così bello!- esclamò una donna dai tatuaggi verdi
sul viso, applicandole uno strato di smalto metallizzato sulle unghie.
"Ma perchè diamine devono inziare tutte le frasi con
?!" pensò esasperata la ragazza, guardando
malissimo la donna davanti a sè.
Dopo un'ora di trattamenti, finalmente Kiara fu lasciata sola.
Indossò l'accappatoio e sbuffò, guardando le
pareti bianche; si portò una mano ai capelli, scoprendoli
setosi e privi di increspature.
Lei odiava pettinarli, era una cosa lunga e dolorosa, ma il suo staff
non era in grado di capirlo.
La porta di aprì, mentre Kiara sbuffava di nuovo.
Una donna su alti tacchi a spillo e i capelli giallo evidenziatore fece
il suo ingresso nella stanza, con un sorriso da vera idiota sul viso.
"Andiamo bene." pensò sarcastica la ragazza, roteando gli
occhi.
-Oh, ma ciao Kiara! Io sono Waaka Momadus, e sarò la tua
stilista!- esclamò trillando; la rossa pensò che
forse era una cosa genetica di Capitol City, parlare con quel tono
stridulo e tintinnante.
-Sei davvero bellissima, cara! Forza, forza, adesso pensiamo al
lavoro!- esclamò, andando sull'acuto verso la fine della
frase e girandole intorno in una specie di ballo.
Kiara inarcò scettica un sopracciglio, osservando Waaka come
si osserva un'alieno.
Che poi, la stilista era così poco umana da essere
volentieri scambiata per un extraterrestre.
-Cara, ti piacciono i computer?-
-Puoi smetterla di chiamarmi cara?!- sbottò irritata la
ragazza, fulminando la donna con lo sguardo.
-Oh, cara come sei simpatica!- rise Waaka e Kiara sospirò
sconsolata.
Era impossibile tenere un dialogo con quella pazza.
-Stai tranquilla cara, il tuo vestito sarà bellissimo!
Guarderanno tutti te, sì sì!- si fermò
davanti alla rossa dopo averle girato intorno per tutto il tempo,
aprendo le braccia con fare plateale. -Forza, al lavoro!-
E dopo un paio d'ore, Kiara si ritrovò addosso un vestito
che non avrebbe mai neppure potuto immaginare.
I pantaloni erano lunghi e attillati, bianchi con lievi sfumature
azzurre; indossava un corpetto celeste e bianco, che scendeva formando
due specie di code, che somigliavano ad ali ripiegate e brillavano di
azzurro e bianco.
Alle mani aveva un paio di guanti abbinati al vestito e i capelli erano
legati in due code da un nastro bianco con i bordi celesti, che si
intrecciavano sulla fronte.
E poi, la cosa più spettacolare: aveva quattro spessi fili,
due su ogni fianco, che somigliavano a tentacoli e fluttuavano in aria,
appena sopra le ali ripiegate, e brillavano di azzurro e bianco. A
completare il tutto, un paio di stivali coordinati e comodi.
Non aveva un trucco molto pesante, solo uno strato di azzurro che le
circondava gli occhi e una spruzzata di bianco sulle gote.
Kiara non riusciva a crederci. Quel costume era fantastico, non si
sarebbe mai aspettata di indossarlo.
Si girò stupefatta verso Waaka, che gongolava contenta del
risultato ottenuto.
In quel momento entrò il suo staff di preparatori, che
iniziò a congratularsi con la stilista, che sorrideva fiera
godendosi quelle acclamazioni.
Fu scortata all'anfiteatro; Midorikawa indossava un costume simile al
suo.
Quando si trovarono sul carro, rimasero a fissarsi per un paio di
minuti, prima di scoppiare a ridere senza controllo.
Erano così nervosi per l'esito della sfilata da non riuscire
a pensare in modo sensato.
-Mi sento stupido con questo coso addosso!- rise il verde, seguito a
ruota da Kiara.
-Però è davvero bello. Secondo te i tentacoli
danno la scossa?- domandò la rossa sorridendo e poi risero
di nuovo.
Quell'atmosfera serena fu rotta dalla musica che partì dando
inizio alla sfilata.
Il carro del Distretto 1 partì e Kiara prese un respiro
profondo.
-Se cado dal carro mi tieni?- domandò a Ryuuji, che
ridacchiò.
-Sì, ti acchiappo io. Non vorrei che il tuo bel faccino
fosse rovinato da una caduta.- lo sguardo del ragazzo si
addolcì e la rossa arrossì.
Il loro carro iniziò a muoversi e Kiara prese un respiro
profondo.
"Si va in scena."
Distretto 4
Zoey sospirò, rilassando i muscoli tesi.
Era compostamente seduta e tre preparatrici le zampettavano attorno,
armate di spazzole, pinzette, smalti e profumi.
Non era poi così terribile, essere preparata da quei
capitoliani.
Certo, avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo, completamente nuda con
quelle tre che le giravano attorno, ma le preparatrici erano
così poco simili a umani da non destarle alcun imbarazzo.
Chiuse gli occhi, mentre una donna le pettinava i capelli ricci e mori.
Era quasi piacevole essere circondata da tutte quelle chiacchere:
infatti lo staff non aveva smesso un attimo di parlare da quando lei
era entrata.
Il fatto buffo era che le rivolgevano delle domande, ma andavano avanti
col discorso senza darle il tempo di rispondere.
Così Zoey dopo un po' si era arresa e aveva lasciato che
parlassero senza ascoltare; dopottutto, era rassicurante quel brusio di
sottofondo mentre la preparavano.
Riaprì gli occhi verdi e abbozzò un sorriso
falsamente riconoscente.
-Grazie, siete state bravissime.- disse con una voce dolce che diede il
voltastomaco persino a se stessa.
Le tre però non se ne accorsero e squittirono un "prego" in
coro, per poi dileguarsi a chiamare il suo stilista.
Zoey ridacchiò, infilandosi l'accappatoio.
Erano così buffi i capitolini, così divertenti;
sembravano così sciocchi e facili da prendere in giro,
affettuosi come bambini.
Che persone strane, pensò abbozzando un sorriso.
Non le davano fastidio, lei aveva sempre desiderato confrontarsi con
Capitol e i suoi abitanti; essere lì circondata da
capitoliani era un sogno che si avverava.
La porta si aprì e Zoey si sporse curiosa per vedere il
famigerato stilista.
La donna che era entrata era piuttosto anziana, dai tratti austeri e i
capelli rosso spento legati in una coda bassa.
La stilista camminò sulle scarpe bianche senza tacco,
fermandosi davanti a lei e osservandola con aria critica coi suoi occhi
verdi e acquosi.
Indossava un vestito blu scuro lungo fino alle ginocchia; Zoey
consiederò stupita che non aveva nulla
dell'eccentricità di Capitol.
Era piuttosto bassina e di carnagione pallida; dopo qualche istante i
suoi tratti rugosi si dischiusero in un sorriso soddisfatto.
-Ciao Zoey, piacere di conoscerti. Mi chiamo Victoria Hacktamal.- disse
con tono inaspettatamente gentile.
La mora sorrise di rimando. -Piacere di conoscerla, signorina
Hacktamal.- disse cordialmente, come le avevano sempre insegnato da
piccola.
La donna le girò intorno per un po', osservandola; poi si
fermò, sempre più soddisfatta.
-Bene, sei proprio bella, Zoey. Ti adoreranno.- sorrise, corrugando il
viso rugoso.
-Solo con il suo aiuto, signorina Hacktamal.- rispose la mora,
sorridendo gentile.
Non era proprio da lei essere così cordiale e nauseabonda,
ma doveva prima capire quanto poteva sbilanciarsi con quella donna.
Pareva una persona piuttosto irascibile, e Zoey non voleva che si
arrabbiasse con lei.
-Sei una brava ragazza, meno male. Il Tributo dell'anno scorso era
così antipatico!- sbuffò Victoria, ma poi si
ricompose. -Su su, ora al lavoro. Hai mai visto il mare al tramonto
Zoey?-
La mora rimase un attimo interdetta a quella domanda. -Certamente.-
-Benissimo. E hai mai osservato la spuma sulla cresta delle onde? E'
bianca e rossa, un accostamento meraviglioso. E' su questo tema che
voglio basare il tuo vestito. E poi, il rosso è anche il
colore del sangue, della morte che nell'Arena porterai. Il sangue e
l'eleganza, che si sposano in un abito perfetto.- gesticolò
la donna, poi rimase immobile con sguardo sognante.
La mora rimase a bocca aperta per un attimo, poi sorrise. -Che
bell'idea.-
Victoria ridacchiò. -Infatti! Su su, al lavoro.-
Dopo un paio di ore, Zoey osservò a bocca aperta il suo
riflesso.
Indossava un abito bianco lungo fino alle ginocchia, con un enorme
fiocco rosso alla vita; le scarpe vermiglie avevano un po' di tacco e
aveva degli orecchini d'oro.
I suoi capelli erano sciolti e ricadevano ricci lungo la schiena,
morbidi e leggeri; aveva un rossetto rosso e un leggero trucco azzurro
sugli occhi.
Il tessuto del suo abito aveva qualcosa di particolare, che lo rendeva
alla vista leggero e poroso, come la spuma.
-E'-E' bellissimo.- mormorò e questa volta era sincera.
-Niente smancerie, andiamo.- esclamò burbera la stilista,
voltandosi e sfuggendo ai complimenti dello staff di preparatori.
Zoey ridacchiò e li seguì. Durante il tragitto
verso l'anfiteatro, a loro si unirono Mac e il suo staff.
La mora rimase a bocca aperta; se lei era il mare al tramonto, lui era
il mare di notte.
Indossava un vestito nero e blu che sembrava riflettere i luccichii
indistinti delle stelle sui flutti marini.
Lui le sorrise dolcemente e Zoey scostò lo sguardo,
imbarazzata.
Salirono sul carro e la ragazza si lasciò andare in un
sospiro agitato.
-Sei davvero bella, con quel vestito.- esclamò Mac, sempre
sorridendo.
La mora arrossì e scostò lo sguardo, tentando di
nascondere il suo palese rossore.
-Sei proprio stupido, Rionejo.- al che il giovane rise, e i suoi occhi
brillarono.
-Possiamo smetterla con queste formalità? Chiamami Mac,
Zoey.-
E la ragazza si disse che ormai era fregata. -Okay, M-Mac.- stava
balbettando come una stupida, se ne rendeva conto, eppure proprio non
riusciva a tenere la voce ferma, con gli occhi premurosi del castano su
di sè.
La musica d'apertura la salvò da quella situazione
imbarazzante, e i carri iniziarono a muoversi.
Quando quello del 3 fu fuori e il loro iniziò a muoversi,
Zoey prese coraggio e afferrò la mano di Mac, stringendola
forte.
Il sole la colpì, dando inizio alla sfilata.
Distretto 5
Hakai trattenne il respiro, mentre l'ultima striscia si staccava dalla
sua pelle tirando via i peli che ci stavano sotto.
Intorno a sè, tre donne agghindate in gingilli e colori
esuberanti continuavano a parlare di quanto lei fosse bella e di quanto
questa edizione di prospettasse interessante.
Hakai non trovava nulla di interessante, in tutta quella faccenda.
Ma non disse nulla e si limitò a stringere i denti e
attendere che finissero.
Era imbarazzatissima, e aveva caldo, tanto caldo. Probabilmente,
pensò, era arrossita.
Ma le capitoliane non sembravano averlo notanto, continuavano
tranquillamente a chiaccherare.
La bionda strinse i pugni, mentre le tre donne si allontanavano
soddisfatte per ammirare il loro lavoro.
Resistette all'impulso di incrociare le braccia al petto, raccogliendo
i frammenti di quel poco pudore che le era rimasto.
Dopo aver passato ore completamente nuda con quelle tizie intorno, ne
era rimasto davvero poco.
Lo staff si dileguò e Hakai pensò, arricciando il
naso, che Capitol non conosceva l'imbarazzo.
Con un sospiro osservò l'accappatoio; non valeva la pena
metterselo, dopotutto il suo stilista gliel'avrebbe di sicuro fatto
togliere.
Si arricciò agitata una ciocca bionda fra le dita, gli occhi
cerulei socchiusi in una smorfia infastidita; quanto avrebbe voluto
tornare a casa!
La porta si aprì; Hakai alzò lo sguardo allarmata
e perse un battito.
L'uomo davanti a lei aveva un sorriso dolce e cordiale, occhi azzurri
come un lago limpido e pulito e i capelli biondi e mossi che sfioravano
le spalle.
-Ciao Hakai. Mi chiamo Yuujirou Shiramatsu, piacere di fare la tua
conoscenza.- disse senza smettere di sorridere e la bionda si riscosse.
-C-Ciao.- balbettò. E ora? Che doveva fare?
-Ti metti l'accappatoio, così parliamo un po'?-
domandò rassicurante lui, e Hakai annuì,
infilandoselo.
-Bene cara, come stai? Ti piace Capitol City?- chiese di nuovo, e la
bionda distolse lo sguardo.
-Sto bene...- mormorò solo.
Come poteva dirgli che in realtà lei stava malissimo e che
voleva tornare a casa? Dopottutto lui era capitoliano, non avrebbe
capito.
-Sono contento.- lui sorrise ancora, passandosi una mano fra i capelli
e ammiccando. -Su, adesso al lavoro. Sarai la più bella di
tutte... E ovviamente l'abito che farò sarà il
più bello di tutti!- esclamò trionfante e Hakai
gli lanciò un'occhiata di traverso.
Sospirò, mentre Yuujirou iniziava a tessere lodi sulla sua
infinita magnificenza e bla bla bla; doveva aspettarselo, dopottutto
era capitoliano.
-Ma non perdiamoci in chiacchere!- esclamò ad un certo punto
lui, facendola sobbalzare dallo spavento.
-Cara... Ti piacciono le scintille?- domandò con un sorriso
smagliante lo stilista, e Hakai lo guardò curiosa.
Aveva proprio voglia di vedere cosa sarebbe riuscito a fare...
Dopo un paio d'ore, ebbe la risposta.
Osservò stupita il suo riflesso, quasi stesse guardando
un'altra: indossava un abito verde, lungo fino ai piedi e senza
spalline, lucido e brillante.
Guardandolo bene, si poteva notare, fra i riverberi della luce,
qualcosa che ricordava la simmetria spigolosa del fulmine, come se lei
si stesse accendendo della letale luce dell'elettricità.
I suoi capelli erano lasciati sciolti e creavano un contrasto
interessante con la stoffa verde del vestito; sembravano anche loro
parte di quel fulmine che era diventata.
Aveva uno spesso strato di verde elettrico intorno agli occhi e due
fulmini smeraldini disegnati sulle gote candide.
Si girò verso Yuujirou, e lui sorrise.
-Un vestito bellissimo, non è vero? Modestamente, sono un
genio.- socchiuse gli occhi con fare teatrale, e proprio in quel
momento la porta si spalancò; entrò il suo staff
di preparatori che cominciarono a riempire di complimenti lo stilista,
che sorrideva soddisfatto.
Hakai ridacchiò davanti a quella scena buffa, dicendosi che
in realtà Shiramatsu non era così male, per
essere un capitoliano.
Fu scortata verso l'anfiteatro, e un nodo le serrò la gola
davanti a quella grandezza, a quella potenza.
Capitol era potente e lei era solo una ragazzina vestita di verde che
tentava di restare viva come meglio poteva.
Ingoiò l'agitazione, rivolgendo uno sguardo a Hiroto, di
fianco a lei su quel carro instabile.
Kiyama aveva un'impenetrabile espressione seria: i suoi occhi
acquamarina erano fissi sulla porta chiusa, oltre i carri davanti a
loro.
-A-Allora... C-Come va?- balbettò incerta, spiazzata davanti
a quello sguardo così letale che non aveva nulla della
dolcezza dimostrata sul treno.
Ma quando il rosso si girò, quella freddezza
svanì dal suo volto, lasciando spazio a un sorriso tiepido.
-Sei davvero bella.- disse solo, gli occhi puntanti nei suoi.
Hakai arrossì irrimediabilmente; fu la musica d'apertura a
salvarla.
Trasse un sospiro, rabbrividendo. Fuori da quell'atrio c'era Capitol
City, quella Capitol City che l'aveva condannata a quella morte e
quella Capitol City che avrebbe applaudito appena lei sarebbe apparsa
davanti a loro.
Sentì la mano di Hiroto sulla sua spalla e si
girò repentinamente, trasalendo.
-Ehi Hakai, stai tremando. Ti senti bene?-
-S-Sì. Ho solo paura...- mormorò, stringendosi
nelle spalle.
Kiyama sorrise dolcemente, accarezzandole i capelli. -Non ti
preoccupare. Ti proteggo io.-
La bionda arrossì e pensò che sì,
Hiroto l'avrebbe protetta. Anche se non poteva farlo, anche se non
doveva farlo, anche se questo avrebbe voluto dire la morte per lui. Non
seppe cosa le suggerì quel pensiero; semplimente, fu una
certezza.
Il carro iniziò a muoversi e il panico si
impossessò di Hakai.
Ma strinse la mano di Kiyama e riuscì a restare ferma.
Riuscì persino a sorridere, mentre Capitol esplodeva in urla
festose che sapevano solo di morte.
Distretto 6
Hakaikuro strinse i denti, sbuffando sonoramente.
Tre capitoliane trillavano intorno a lei chiaccherando come vere
idiote, e lei non ce la faceva più.
Sentiva il nervosismo crescere circondata da quelle tre pazze che
sembravano più buffi alieni colorati che umani.
-Giù le mani dai miei capelli!- gridò,
spostandosi quando le mani verdognole di una donna dai capelli azzurro
fluo si posarono sulle ciocche more.
-Scusa Haka-chan, però...- la donna era visibilmente
spaventata dalla reazione della ragazza, ma ad Hakaikuro non importava
affatto.
Che andassero al diavolo, con quei capelli assurdi e quelle manie
idiote per la moda!
-Non me ne frega niente, tu...- sibilò, ma fu interrotta
dalla porta che si apriva.
Le tre donne si girarno simultaneamente verso l'uomo che era apparso
sulla soglia, lanciandosi verso di lui.
-Akatama, Akatama!- strillarono in coro, e Hakaikuro sbuffò,
incrociando le braccia al petto.
E chi era adesso quel moretto? Il suo stilista?
-Che succede?- domandò lui, senza guardare lo staff di
preparatrici ma tenendo gli occhi blu elettrico su di lei.
-Succede- esclamò seccata la mora. -che la devono smettere
di cinguettarmi intorno. Mi è venuto mal di testa, da quanto
strillavano!-
Lui scosse la testa, al che i capelli mori gli solleticarono il viso.
Poi avanzò verso di lei.
Hakaikuro sostenne il suo sguardo senza battere ciglio, infastidita.
-Andate pure.- disse poi lui, e le tre donne si dileguarono
repentinamente.
La mora si lasciò andare in uno sbuffo, sprofondando nella
poltrona in cui era seduta con le braccia incrociate al petto.
-Piacere di conoscerti Hakaikuro, il mio nome è Akatama
Yamitami.- disse gelido lui, senza smettere di fissarla.
-Il piacere è tutto tuo.- sibilò lei
assottigliando gli occhi neri con astio.
Restarono qualche attimo in silenzio, a studiarsi come due predatori
prima di un duello.
Fu Akatama a rompere il silenzio. -Forza, sbrighiamoci. Il tuo
Distretto si occupa dei trasporti, come tu sai. Per te e Akio avevamo
in mente qualcosa di letale, credo che ti piacerà.-
Hakaikuro si limitò a sbuffare, dicendosi che no, qualunque
cosa le avessero fatto indossare non le sarebbe piaciuto affatto.
Però, poche ore dopo, dovette ricredersi.
Indossava un'armatura blu elettrico così particolare che non
avrebbe saputo immaginarla; i pantaloni erano neri, con dei ganci blu
che le percorrevano le gambe intrecciandosi. Gli stivali erano alti
fino al ginocchio, bianchi con la parte superiore blu. Dalla vita in su
il corpetto era d'acciaio, che si intrecciava abilmente con la stoffa
blu elettrico fino a creare le spalline larghe e d'acciaio. Le braccia
erano coperte da una maglia nera, con dei guanti di metallo bianchi e
blu elettrico. Sulla fronte, aveva una specie di elmo: aveva due corna
d'acciaio nere e blu. A completare il tutto, un lungo e largo mantello
blu elettrico percorso da scosse letali e brillanti.
I suoi capelli erano sciolti e spruzzati di brillantini dello stesso
blu brillante dell'armatura. Non aveva un trucco pensate, e questo lei
non poteva che apprezzarlo.
Nel complesso, era davvero entusiasmante indossare un abito del genere.
Con un ghigno si girò verso Akatama. -Bel lavoro, Yamitami.-
Lui sorrise leggermente. -Faccio del mio meglio.-
Furono poi scortati verso l'anfiteatro dove si sarebbe svolta la
sfilata e Hakaikuro si ritrovò sul carro insieme a Fudou.
-Allora, testa da bowling, sei sopravvissuto?- sogghignò
lei, divertita.
-Uh, potrei farti la stessa domanda, Haka-chan.- rispose di rimando
lui, una luce bella negli occhi impolverati.
-Tsk.- Hakaikuro distolse lo sguardo, senza smettere di ghignare.
Fudou, chissà come, riusciva a metterla di buon umore. Non
le era sembrato, la prima volta che l'aveva visto, ma ora, ora, sentiva che
erano molto più simili di quanto lei sarebbe mai stata in
grado di ammettere.
-Se ti spingo giù dal carro che fai?- chiese all'improvviso
lui, e la reazione della ragazza fu fulminea. Si girò e
afferrò per il colletto dell'armatura Akio.
-Ti taglio la gola.- esclamò con un ghigno, a un soffio dal
suo viso.
Rimase qualche secondo a fissarlo; gli occhi di Fudou brillavano, e
Hakaikuro pensò che era davvero bello.
"Voglio baciarlo",
ma quel pensiero fu subito soppresso dal buon senso della mora.
Lo lasciò andare, scostandosi bruscamente.
No, no, no, no, non doveva innamorarsi di lui. Assolutamente no. Non
aveva il minimo senso logico.
La musica l'apertura iniziò potente, e Hakaikuro rimase con
lo sguardo nero fisso davanti a sè, sui carri degli altri
Distretti che partivano.
Il carro del Distretto 5 sparì inghiottito dalla luce, e
anche il loro iniziò a muoversi.
Fu così che i Guerrieri Oscuri del Distretto 6 si
affacciarono su Capitol City.
Distretto 7
Annalisa strinse i denti, rabbrividendo.
Era in nel Centro Immagine da ore, completamente nuda con quelle tre
capitoliane che le giravano intorno; e aveva freddo, dannazione.
-Tranquilla cara, abbiamo quasi finito!- squittì una donna
dai capelli rosso fuoco, ridendo come una iena.
La castana chiuse gli occhi, e rabbrividì di nuovo.
-Samanta farà un lavoro meraviglioso con te!-
trillò un'altra donna, con le orecchie da topo.
Annalisa scostò lo sguardo, disgustata, ma poi si costrinse
a parlare con voce falsamente dolce.
-Grazie, siete state bravissime.- mormorò.
Si sentiva così stupida. Certo, lei era dolce per natura, ma
in quel momento sentiva solo un pensante senso di frustrazione.
Come se tutti la stessero prendendo in giro.
Cinguettando qualcosa, le tre donne uscirono per andare a chiamare la
sua stilista.
Quando la porta si chiuse, Annalisa sospirò stancamente.
Era nervosa, odiava quel posto. Odiava quella gente stupida e
superficiale.
Si arricciò una ciocca di capelli fra le dita e
incontrò la piuma di sua madre.
In tutta quella confusione di unguenti e profumi, non l'avevano toccata.
La strinse febbrilmente, aggrappandocisi quasi, per paura che
quell'unico pezzo di casa se ne andasse.
Fu in quell'istante che la porta si aprì: entrò
una bizzarra donna dai capelli verde fluo tagliati a forma di fiore,
con alcuni ciuffi che cadevano ribelli sulla fronte.
-Ma ciao, ciao!- esclamò eccentrica, avanzando verso di lei
fino ad arrivare ad un soffio dal suo viso, per poi ritirarsi e
continuare a ripetere quel saluto.
Annalisa rimase interdetta, osservando la stilista con un sopracciglio
alzato.
Quando la donna ebbe l'ardore di fermarsi, la ragazza la
scrutò meglio: il suo viso era candido, e in mezzo a tutto
quel biancore spuntavano due occhi rosa confetto, luminosi e
luccicanti, truccati con pesanti colori verdi.
-Mi chiamo Samanta Hale, piacere di conoscerti Annalisa.-
trillò contenta, sorridendole.
Anche la riccia abbozzò un sorriso. -Il piacere è
mio, signorina Hale.-
-Chiamami Samanta, cara!- rise quella, passandosi una mano sui ciuffi
che ricadevano sulla fronte.
Iniziò a parlare, ma Annalisa non la ascoltò;
inaspettatamente però, era piacevole rimanere a sorbirsi
tutte quelle chiacchere sciocche.
Samanta era diversa dalle altre capitoliane, le metteva fiducia.
-Su bellissima, adesso lavoriamo!- esclamò, prendendole le
mani. -Allora cara, tu avevi già iniziato a lavorare nei
boschi?-
Annalisa annuì, specchiando i suoi occhi smeraldini in
quelli rosa della donna.
-Perfetto!- trillò la Hale. -Perfetto!- ripetè,
facendo una piroetta su se stessa. -Allora sarai felicissima del
vestito che ti darò, sì sì.-
continuò allegra, senza smettere di volteggiare.
Ridendo, Annalisa arrivò a chiedersi come facesse Samanta a
girare così sui tacchi a spillo che aveva.
Fra chiacchere e volteggi, passarono le ore e presto la castana fu
pronta per la sfilata.
Indossava un vestito nero, lungo fino alle caviglie, e delle zeppe blu
elettrico alte quasi due centimetri e mezzo. La parte inferiore del
vestito era ornata da croci di legno dello stesso colore delle scarpe,
che sembravano quasi scoppiettare. Ai polsi portava dei bracciali neri
e blu, e i suoi capelli sciolti cadevano ricci lungo la schiena.
Annalisa rimase a bocca aperta quando Samanta accese un occhio di bue
su di lei e il vestito si illuminò si tratti grigi e
lucenti, che risaltavano molto sul nero del vestito.
I suoi occhi erano truccati da un pesante strato di nero nelle
palpebre, con dei riflessi blu.
La ragazza pensò solo che quel vestito sembrava un presagio
di morte. Una morte nera, fatta di scintille elettriche della notte e
croci di legno a segnare il suo passaggio.
Si girò verso Samanta, senza parole. -E' bellissimo.-
riuscì solo a dire, emozionata.
-Non devi ringraziarmi tesoro, è il mio lavoro.- la stilista
le scompigliò maternamente i capelli, sorridendo. -Su, fagli
vedere quanto sei bella. Tieni su la testa e sorridi, mi raccomando.-
E dopo queste parole si avviarono con il suo staff di preparatori verso
l'anfiteatro cittadino, dove si sarebbe tenuta la sfilata.
Quando mise piede sul carro e dette uno sguardo agli altri Tributi,
Annalisa sentì l'agitazione torcergli lo stomaco.
Deglutii, quando sentì il boato della folla fuori dalla
porta chiusa; no, non sarebbe mai riuscita a sfilare davanti a tanta
gente.
Si girò istintivamente verso Gouenji, per cercare in lui un
appoggio: il ragazzo, dal canto suo, stava con le braccia conserte e si
guardava intorno.
Annalisa provò ad imitarlo, sperando di riuscire a trovare
un po' di conforto; quando si girò verso il carro del
Distretto 10, la ragazza che ci stava sopra le sorrise, facendole un
cenno di saluto con la mano.
Stupita, la riccia ricambiò, insicura.
-Si può familiarizzare con gli altri Tributi?- chiese senza
voltarsi, anche se la ragazza aveva già spostato lo sguardo.
-Non è vietato e può essere vantaggioso.- rispose
semplicemente Shuuya, allora Annalisa si voltò, sorridendo.
-Anche due dello stesso Distretto possono familiarizzare?- chiese,
senza smettere di fissarlo negli occhi.
Il ragazzo le ricambiò un'espressione divertita. -Certo.
Siamo sempre due Tributi, anche se dello stesso Distretto.-
-Allora non è strano se ti chiedo di tenermi per mano?-
chiese dopo un attimo di esitazione, con un sorriso imbarazzato.
Si accorse solo in quel momento di quanto si sentisse a suo agio con
Shuuya.
Lui sorrise sghembo. -Hai paura di cadere, per caso?-
-Tutto può essere.- alzò le spalle, divertita.
-Mh, allora va bene. Ma solo per questa volta, bambina.- rispose lui,
stringendo la sua mano.
Annalisa gli fece la linguaccia, infastidita e divertita dal
soprannome; la musica d'apertura irruppe in quella scena.
Ma la ragazza non era più nervosa: ora Shuuya la teneva per
mano. Sentiva che con lui accanto avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.
Il suo carro partì, verso Capitol City.
E forse fu per questo che non pensò a quel calore dolce che
le attanagliava il petto.
Distretto 8
Misaka sbuffò, trattenendosi dal rifilare un'occhiata di
fuoco alla donna davanti a lei.
Era al Centro Immagine da più di due ore, ma la sua stilista
non sembrava intenzionata a farsi vedere fin quando quelle tre oche
delle sue preparatrici non avessero finito con lei.
Ritirò seccata la mano, sottraendola dalle dita fini della
donna che le stavano dipingendo le unghie.
-Cara, potresti ridarmi la mano?- chiese con un sorriso smagliante da
vera idiota la preparatrice, fissandola coi suoi bizzarri occhi
arancioni.
La bruna sbuffò di nuovo, mentre la capitoliana ricominciava
a disegnare sulle sue dita.
Aveva applicato così tanti strati di smalto che Misaka aveva
perso il conto.
Dopo quello che le era parso un millennio, in cui le mani delle altre
due avevano insaponato e levigato ogni centimentro del suo corpo, la
donna che si stava occupando delle sue dita si degnò di
lasciarle andare.
La ragazza sbuffò di nuovo; il colore che che si era
raggiunto dopo ore di lavoro era un rosa aranciato con una lievissima
tendenza al viola.
Nonostante fosse stata una tortura, doveva ammettere di non avere mai
visto un colore così ben fatto.
-Tu aspetta qui, cara, noi andiamo a chiamare Lucy.-
Misaka fulminò con lo sguardo le tre donne, chiedendosi
perchè dovessero chiamarla sempre "cara".
-Avrei anche un nome, io!- non si trattenne dal gridare, sperando che
fossero riuscite a sentirla.
Finalmente sola, fu libera di alzarsi e sferrare un pugno contro la
parete candida.
Non ne poteva più di stare seduta fra profumi e trucchi, lei
voleva tornare a casa! E per farlo doveva combattere.
Aveva deciso che si sarebbe fatta valere, in un modo o nell'altro.
Quindi ora era solo impaziente di entrare nell'Arena, per capire
finalmente se era suo destino vincere o morire.
La porta si aprì e Misaka si girò insoddisfatta.
La nuova arrivata aveva lunghi capelli color vaniglia, legati in due
code; ricadevano lungo le spalle a forma di cavatappi, arrotolati su se
stessi.
I suoi occhi erano viola, grandi e luminosi; indossava un vestito rosa
pieno di brillantini che a Misaka fece venire la nausea.
-Ciao tesoro! Mi chiamo Lucy McGarden, e sono molto molto molto molto
felice di conoscerti!- esclamò con voce squillante e
incredibilmente acuta, avvicinandosi.
La bruna la guardò con aria di sufficenza, inarcando un
sopracciglio.
-Sei proprio bella, Misaka!- trillò di nuovo, girandole
attorno e osservandola attentamente.
Imbarazzata, la bruna incrociò le braccia al petto, coprendo
così il seno, con un espressione infastidita sul viso.
-Ma vieni ora, facciamo due chiacchere!- continuò incurante
Lucy, trotterellando verso un'altra porta.
Misaka si infilò l'accappatoio e seguì la donna,
che continuava a parlare e parlare e parlare...
Non smise nemmeno quando si sedettero in un divano di pelle rossa al
centro della stanza; e parlava, parlava, parlava...
Dopo un po' la bruna iniziò a chiedersi dove fosse
l'interruttore per spegnerla.
-Okay okay, non m'interessa.- la interruppe, sull'orlo di una crisi di
nervi per averla sentita parlare così tanto. -Ora pensiamo
al mio costume?- propose conciliante, anche se avrebbe tanto voluto
strangolarla.
-Oh certo!- squittì allegra Lucy, balzando in piedi. -Allora
Misaka, come ben saprai il tuo Distretto si occupa del settore
tessile.- continuò, con voce inaspettatamente molto
più seria di prima. -E di recente è stata
lanciata da uno stilista del Distretto 8 la moda delle maschere.-
Misaka si fece attenta, appoggiando il mento sui palmi delle mani e i
gomiti sulle gambe.
-Quindi con la stilista di Haruya avevamo pensato di farvi indossare un
abito che rispetti la regola di questa nuova moda, che io personalmente
A-D-O-R-O!- esclamò contenta, girandosi verso di lei. -Cosa
ne pensi?-
-E' una buona idea, Lucy. Sono nelle tue mani.- commentò
semplicemente Misaka, abbozzando un sorrise.
-E non te ne pentirai!- rispose allegra la donna, facendo un piccolo
salto sui suoi tacchi a spillo.
Poche ore dopo, Misaka fu libera di guardarsi allo specchio.
Al lato del viso, posizionata di lato, aveva una maschera che
rappresentava un lupo, con suggestivi tratti blu a delinearne i
lineamenti e piccoli fiori azzurri le ornavano la fronte.
Indossava una lunga giacca bianca lasciata aperta, impreziosita dai
bordi argentati e dai bottoni dorati. Sotto di essa, c'era un vestito
con una scollatura ampia, decorato da astratti ricami floreali azzurri.
Poco più in basso del seno, una fascia nera le copriva la
vita; dopo di essa, c'era una gonna blu acceso che si fermava poco
prima delle ginocchia.
Un fiocco bianco con fiori azzurri era legato sulla gonna, e dava un
tocco esotico all'abito.
Indossava poi delle calze nere lunghe fino al ginocchio e degli
stivaletti aperti e argentati con un tacco abbastanza alto.
Infine, alla vita aveva legata una katana; Misaka la estrasse dal
fodero, osservandola affascinata. Non aveva mai visto armi
così belle.
-Aspetta, manca qualcosa.- esclamò Lucy con un sorriso,
legandole al collo la propria collana con il ciondolo a fiamma.
Misaka rimase stupita da quel gesto; non pensava che le avrebbero fatto
mettere il suo portafortuna per la sfilata.
Infilò la katana al suo posto, e fece per andare, quando la
donna la fermò.
-Forza Misaka, adesso fai vedere a Capitol chi è il vero
lupo, okay?- chiese la stilista, sorridendo.
-Grazie.- rispose pronta la bruna e poi fu scortata fuori.
L'anfiteatro cittadino era affollato, ma anche i piani sotterranei da
dove i carri sarebbero usciti non erano sgombri.
Le coppie di Tributi erano già sui loro carri, e gli staff
si riunivano in piccoli gruppi per parlare e consultarsi fra loro.
Misaka sospirò, agitata.
-Paura, ragazzina?- chiese Nagumo, con un ghigno strafottente.
La bruna alzò il viso furente, pronta a dirgliene quattro,
ma davanti al suo volto le parole le morirono in gola.
Lei era un lupo blu, che corre nella notte. E lui era un leone rosso,
che ruggisce contro il sole.
Rimase interdetta per un attimo, indugiando sulla maschera al lato del
suo viso e su quel costume così simile e diverso dal suo.
-Lo so, sono meraviglioso. E' normale che tu sia senza parole.- rise
Haruya, facendola tornare in sè.
-Meraviglioso? E' la tua bruttezza a lasciare senza parole.-
sbuffò arrabbiata, incrociando le braccia al petto e
distogliendo lo sguardo.
Però mentiva. Nagumo era così bello. Lei proprio
non riusciva a capire perchè tutto di lui sembrasse
così maledettamente affascinante.
Gli occhi, le labbra, i capelli, la voce, le mani, tutto. Persino il
suo carattere strafottente e malizioso aveva un fascino particolare.
Si irrigidì, sussultando. No, perchè stava
pensando questo? Haruya non le piaceva affatto. Era solo brutto e
antipatico.
Tentò di convincersene, anche se in fondo sapeva che non
sarebbe mai riuscita a crederci per davvero.
La musica d'apertura iniziò, rimbombando prepotente per
tutta la sala e strappandola dai suoi pensieri.
Non aveva tempo per ragionare su cosa fosse Haruya per lei. Ora c'era
una sfilata da mandare avanti.
Si sentì chiamare mentre i primi carri partirono; si
girò verso Lucy, senza capire.
Lei le fece segno di prendere la mano di Nagumo.
Misaka rimase un attimo stupita da quell'imposizione, poi
sbuffò e prese riluttante la mano di Haruya.
Lui le lanciò un'occhiata stranita.
-Ordini della stilista.- spiegò irritata e il ragazzo
ridacchiò.
-Allora va bene.- e le strinse di più la mano, provocandole
un brivido.
Perchè il contatto con Nagumo le faceva quest'effetto?
Il loro carro si mosse verso l'uscita, e a Misaka le si
mozzò il respiro.
Il Lupo e il Leone apparirono per la prima volta uniti contro Capitol
City.
Distretto 9
Natsumi prese un respiro profondo, imponendosi di stare calma.
Doveva respirare. Strinse gli occhi nocciola, concentrandosi solo su
quello, tentando di ignorare le chiacchere dello staff.
Da quando era partita per Capitol sua madre era ovunque.
In quella stanza, nelle bocche delle preparatrici, nell'aria. Sembrava
essere improvvisamente diventata qualcosa di indispensabile.
Era un ricordo che la soffocava e che tutti sembravano impazienti di
rievocare.
Ma Natsumi l'aveva già deciso: lei non avrebbe giocato come
sua madre.
Perchè lei non era come la donna. Era decisa a non lasciarsi
soffocare nel suo ricordo.
Dopottutto, doveva pensare a se stessa. E a come uscire viva da
lì.
-Oh cara, sei bellissima!- trillò improvvisamente una donna
dalle orecchie a punta, facendola sobbalzare.
Natsumi le rifilò uno sguardo gelido, che però
non sembrò avere alcun effetto.
-Noi andiamo a chiamare il tuo stilista, aspetta qui!-
esclamò di nuovo la preparatrice, per poi correre fuori con
le altre due.
"Come se potessi andare da qualche parte" pensò ironica la
rossa, mettendo le mani sui fianchi e sbuffando.
Sperava solo che questo famigerato stilista non considerasse la
nudità come l'ultimo grido della moda.
Perchè non sarebbe riuscita a sopportare l'imbarazzo di
sfilare nuda davanti a Capitol.
E, pensò con orrore, in un'Edizione era successo.
In quel momento la porta si aprì; entrò un uomo
alto e magro come uno stecco, dai capelli bianchi con un ciuffo
sull'occhio sinistro.
Natsumi lo fissò con un sopracciglio inarcato; indossava un
lungo mantello rosso e un cappello a punta che ricordava quello che
usavano i maghi nelle fiabe.
"Andiamo bene" pensò sbuffando la ragazza, esasperata.
-Ciao Natsumi, mi chiamo Xerxes, piacere di conoscerti!-
esclamò trillante, per poi infilarsi in bocca una caramella
gommosa.
La ragazza si limitò a fissarlo come si osserva una cosa
parecchio idiota, senza espressione.
Xerxes continuò per un po' infilarsi in bocca i dolcetti
senza parlare, poi, sentendosi osservato, le rivolse un'occhiata
innocente.
-Caramella?- chiese, porgendole una pallina di zucchero rosso.
Natsumi si limitò a sbuffare, accettando la caramella.
Sapeva di ciliegia.
-Cosa significa il tuo nome?- domandò distrattamente Xerxes,
frugando nel sacchetto che teneva nascosto sotto il mantello per
trovare una caramella al limone.
-Estate. In una lingua popolare.- rispose la rossa, senza interesse,
continuando a fissarlo.
Quando l'uomo trovò il dolcetto che gli era gradito,
alzò la testa sorridendo come un bambino. -Bene! Il tuo
costume si abbina con il tuo nome!- esclamò con voce
incredibilmente acuta, facendo una piccola giravolta.
Natsumi gli rivolse un'occhiata scettica, stupita da quel comportamento
sciocco e infantile.
-Forza raggio di sole, dobbiamo lavorare!-
-Raggio di sole?-
-Non ti piace come soprannome?-
La rossa sbuffò, scuotendo la testa.
Però era proprio curiosa di sapere cosa sarebbe riuscito a
fare questo sciocco.
Dopo un'ora di caramelle e trattamenti, Natsumi fu pronta.
Indossava un abito dorato, che sembrava diviso in chicchi come una
spiga di grano: il corpetto era diviso in due parti, e dalle spalle
partivano dei fili dorati che si rizzavano verso l'alto, come le frange
del grano.
Le maniche erano anch'esse dorate e lunghe fino al gomito.
La gonna era lunga fino al ginocchio, divisa in piccoli chicchi
addossati l'uni agli altri, di un dorato luminoso.
I capelli rossi erano racchiusi in una coda da un elastico dorato; poi
degli anelli d'oro massiccio, ogni paio di centimentri, si stringevano
intorno ai capelli, in un'acconciatura elaborata ma semplice, fine ed
elegante.
Si girò verso Xerxes e fu come se avesse sentito il rumore
del vento fra le spighe.
-Ricorda Natsumi.- sorrise lui. -Sii dolce e sorridi.- le premette
contro le labbra una caramella e la rossa la ingoiò. Era al
gusto di miele.
Osservò confusa la figura dello stilista che si avviava
verso l'anfiteatro, per poi avviarsi dietro di lui, praticamente
trascinata dal suo staff di preparatori.
L'anfiteatro era colmo di gente d'ogni tipo e Natsumi fu ben contenta
di entrare nell'umido sotterraneo da cui poi sarebbero usciti i carri.
Salì sul proprio, insieme a Kazemaru.
Rimasero qualche secondo in silenzio, con un imbarazzo palpabile e
ingiustificato nell'aria.
-Come va?- disse poi Ichirouta, sorridendo un po', insicuro.
Natsumi stava per rispondere quando le tornarono in mente le parole di
Xerxes.
"Sii più dolce e sorridi", insieme a quel gusto di miele
sulla lingua.
-Bene. Cioè... Potrebbe andare peggio.- rispose imbarazzata,
girandosi verso il turchese.
Lui stette un po' in silenzio. -Sei proprio bella. L'oro ti dona.-
disse, una luce calda e morbida negli occhi castani.
Natsumi arrossì, distogliendo lo sguardo. -G-Grazie.-
mormorò, a disagio.
Perchè Kazemaru le faceva tutti questi complimenti?
Perchè sorrideva così? Perchè i suoi
occhi brillavano?
La ragione le diceva che era tutta una strategia per poi ucciderla
più facilmente.
Il cuore le diceva che doveva fidarsi della sincerità del
suo sguardo.
Così lei rimaneva combattuta senza sapere cosa fare,
imbarazzata come una ragazzina alla sua prima cotta.
La musica d'apertura irruppe prepotentemente nei suoi pensieri,
rompendoli in schegge dolorose.
Prese un respiro profondo, mentre i carri iniziavano a muoversi.
-Quanta gente...- mormorò Kazemaru, gli occhi fissi sul
cancello dal quale uscivano gli altri Tributi.
Natsumi ridacchiò, nervosa. -Già.-
E il loro carro iniziò a muoversi cigolando, trainato da
quattro cavalli biondi.
Il sole la colpì e il suo abito si illuminò di
luce dorata, facendola brillare come grano maturo.
Improvvisamente, si mischiarono freddo e caldo e una folata di vento
dolce come il miele.
Distretto 10
Roxie strinse gli occhi verdi.
Quello era troppo. Troppo.
Potevano portarla via da casa, potevano strapparla dalla sua famiglia,
potevano buttarla in un'arena a morire, ma non potevano torturarla
così.
Non era leale nei suoi confronti.
Perchè doveva subire le sciocchezze di un trio di
capitoliane idiote?
Che poi, che senso aveva far sfilare i Tributi come se fosse tutto un
concorso di bellezza?
Roxie proprio non capiva.
-Oh cara, chissà come deve essere brutto, nel tuo
Distretto... Non avete motivi per farvi belli, che strazio!-
esclamò apprensiva una donna dalle lunghe ciglia verde fluo,
mentre le pettinava con cura i capelli rossi, soffermandosi sulle punte
blu notte.
La ragazza sbarrò gli occhi smeraldini, guardandola
malissimo. Oh, se uno
sguardo potesse uccidre, quella donna sarebbe morta più di
mille volte.
Si trattenne dal tirare un pugno sul quel patetico visetto incipriato;
prese un respiro profondo, tentando di calmarsi.
Un Tributo poteva uccidere una preparatrice? Non le sembrava che ci
fosse qualche regola che lo vietava...
Per fortuna le tre donne si allontanarono un po', per ammirare il suo
aspetto e si dileguarono, facendo evaporare gli istinti omicidi di
Roxie.
Quando fu finalmente sola, si concesse di sospirare rumorosamente,
stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
Non ne poteva più. Voleva uscire da quella gabbia di matti,
tornare a casa, andare da Yuuto, parlargli, guardarlo, e---
Si bloccò improvvisamente. Yuuto? Che c'entrava Yuuto?
Si tirò uno schiaffo in viso, e si fece pure male. Che cosa
stava facendo?
Non doveva affezionarsi a Kidou. Mai e poi mai.
Però lei non era brava a mantenere le promesse.
La porta si aprì ed entrò una giovane donna,
bassina, dai tratti morbidi.
Aveva due trecce biondo cenere, piuttosto infantili; i suoi occhi color
nocciola, truccati di un delicato azzurro pastello, erano grandi e
vivaci.
-Ciao Roxie. Piacere di conoscerti. Mi chiamo Leila Chron, ma puoi
chiamarmi Leila.- disse, e la sua voce non era come quella di tutti gli
altri capitoliani, non era squillante, ma resa insicura da qualcosa che
la rossa ci mise qualche secondo ad indentificare.
Sorrise, quando ci arrivò. Quella che increspava le labbra
della stilista in un sorriso accennato era... timidezza?
-Il piacere è mio Leila. Chiamami Xie.- esclamò,
sorridendo in modo caldo.
-Mi sembra che tu stia bene.- cominciò la donna e Roxie
annuì con foga. -Spero che la tua permanenza a Capitol sia
piacevole... P-Per quello che vale, ovviamente.-
La ragazza rimase stupita da quella affermazione. Per quello che vale?
Rimase a bocca aperta; la stilista aveva gli occhi bassi e si torturava
i lembi del vestito azzurro pastello che indossava.
-Dai, ora parliamo del mio costume!- esclamò concitata Roxie.
Aveva deciso che Leila meritava la sua fiducia. Non sapeva veramente
perchè, solo vederla così impacciata e timida le
aveva suggerito che era buona.
Non avrebbe trovato un altro capitoliano così a pagarlo oro,
quindi era meglio tenersi stretta Leila per il tempo che avrebbe
passato lì.
Inaspettatamente però, la stilista parve animarsi; una luce
calda, dettata dalla passione, illuminò i suoi occhi
castani, e il suo sorriso si espanse ancora di più.
-Ragazzi, andate via!- esclamò autoritaria, voltandosi verso
lo staff di preparatori che era sulla soglia.
-Ma...- provò a contrabbattere una donna dai capelli
azzurri, ma Leila le gridò di andarsene in fretta; le tre
donne sparirono senza fiatare.
Roxie era a bocca aperta: che fine aveva fatto la ragazzina timida che
aveva visto all'inizio?
-Su su, smettila di guardami con l'aria da pesce lesso. Abbiamo un
lavoro da fare, se non te fossi accorta!- la rimproverò
Leila, facendole cenno di venirle incontro.
-Come sai, il tuo Distretto si occupa dell'allevamento. Di solito i
Tributi vengono vestiti da animali ma puah!, roba vecchia ormai.
C'è bisogno di innovazione per attirare l'attenzione del
pubblico. Qualcosa di moderno, ecco.-
-Ah, adesso mi ascolti tu! Se hai intenzione di farmi indossare una
gonna sappi che non la metterei nemmeno se me lo ordinerebbe il
presidente Snow in persona!- sbuffò Roxie, stanca di essere
trattata come una ragazzina.
-Puah! Gonne, roba vecchia anche quella! Ho detto innovazione, se non
l'avessi sentito! Su, adesso al lavoro!-
E la rossa non potè fare a meno di sorridere e pensare che
Leila era davvero una donna particolare.
Particolare come il vestito che si trovò indosso qualche ora
dopo.
Indossava una cosa piuttosto semplice in realtà, ed era
proprio la sua "banalità" a renderla così
particolare: aveva dei pantaloncini bianchi con del pizzo al lato. La
maglia era larga e corta, verde prato, con il segno della pace, e aveva
la pancia scoperta e delle scarpe da ginnastica beige.
Guardandosi allo specchio Roxie rimase un attimo spiazzata, poi, pian
piano, il senso di quel costume gli arrivò chiaro: ormai
anche gli allevatori si erano evoluti. Ormai anche la mucca nel prato
è da temere. Anche se all'apparenza non sembra, tutto
può essere pericoloso. E poi, i colori richiamavano quelli
dei pascoli.
Intanto il suo staff di preparatori era rientrato e tutti guardavano
Leila, aspettando che dicesse qualcosa.
La donna aveva lo sguardo basso, imbarazzata. -Scusatemi tutti, mi sono
fatta prendere la mano.- disse, alzando gli occhi e facendo sorridere
Roxie.
-Tsk. Andiamo, dai.- rise, per poi avviarsi verso l'anfiteatro.
Tutto era incredibilmente imponente a Capitol; sembrava che gli edifici
svettanti e le costruzioni colossali fosse state costruite per
intimidire chi passava.
Roxie si trovò sul carro di fianco a Yuuto. Aveva voglia di
parlargli, dirgli qualcosa, ma si morse la lingua impedendoselo.
Non doveva legare con lui se voleva vincere. Allora fece vagare lo
sguardo per gli altri carri. Tutti i Tributi erano impassabili e
parlavano fra loro. Tutti meno uno.
Il carro del Distretto 7. Una graziosa ragazza dai capelli ricci e
castani, con indosso uno splendido vestito nero guardava dalla sua
parte.
Alzò la mano in segno di saluto, sorridendo. La vide
sussultare, a disagio, e rispondere insicura.
Ridacchiò, per poi girarsi verso Kidou che la guardava
esterefatto.
-Che c'è?- chiese, senza smettere di sorridere.
-Che stai facendo?- domandò a sua volta il ragazzo,
incredulo.
-Saluto la ragazza del 7.-
Lui ci pensò un attimo, crucciato. -Annalisa Endersoon, 15
anni.-
-Sì sì, non mi interessa.- rispose lei, muovendo
la mano come a scacciare le parole dell'altro.
La musica d'apertura iniziò in quell'istante, facendo
sobbalzare i due Tributi.
I carri inziarono a muoversi e Roxie prese un respiro profondo.
-Ah, che ansia!- esclamò, senza riuscire ad impedirsi di
sorridere. Con Kidou accanto, tutto diventava tremendamente bello.
Yuuto si strinse nelle spalle, senza parlare.
Quando il loro carro iniziò a muoversi, poco prima che la
luce li inghiottisse, il ragazzo si girò verso Roxie,
sussurrandole all'orecchio.
-Si va in scena.-
Distretto 11
Skylin socchiuse gli occhi, sospirando.
Erano ore che era entrata nel Centro Immagine, ed era sicura di non
aver mai curato tanto il suo corpo.
Nel suo Distretto non aveva senso usare tutti quei cosmetici,
dopottutto non aveva importanza com'eri di aspetto ma quanto riuscivi a
raccogliere in una giornata.
Probabilmente, riflettè, a Capitol era il contrario: se tu
non andavi in giro vestito come se fosse Carnevale eri strano.
Nonostante disprezzasse i capitoliani, non riusciva ad odiare il suo
staff di preparatori: erano dei tali idioti...
Scosse un po' la testa, ridacchiando. Era felice, però.
Non riusciva a spiegarselo, dopottutto sarebbe dovuta essere spaventata
e a disagio, ma era tranquilla.
Il pensiero di dover sfilare su un carro davanti ai capitoliani,
stranamente, la entusiasmava tantissimo.
Sentiva una buffa euforia caldissima che la faceva sorridere. Aveva
voglia di cantare.
-Noi andiamo a chiamare Naigel, Skyl. Ciao ciao!- esclamò
una donna dai capelli arancioni, dandole un buffetto sulla guancia e
correndo via con le altre due.
La castana rimase a fissare la porta per qualche istante, sorridendo;
poi balzò in piedi, euforica.
Chissà che impressione avrebbe fatto sui capitoliani,
chissà che vestito avrebbe indossato, cosa avrebbe fatto,
detto, sentito...
Intonò un la, seguito da un si e un re, per poi salire
sempre di più sull'acuto arrivando a superare di una
manciata di ottave il suo tono normale.
Fece una giravolta, continuando a cantare, poi si fermò per
riprendere fiato.
-Complimenti, davvero un'ottima performace.- sentì dire
dietro di sè, dopo un breve applauso.
Si voltò di scatto, incontrando due sorridenti occhi grigio
argento.
L'uomo che aveva davanti era piuttosto giovane, dalla pelle chiara e i
capelli di tutti i colori intrecciati con foglie e fiori.
Vedendolo, Skylin rimase un attimo sconcertata.
Lui rise. -Scusa, non volevo spaventarti. Mi chiamo Naigel.-
La ragazza sorrise, stringendo la mano che lo stilista le aveva porso.
-Beh Naigel, che si fa?- domandò tranquilla, senza smettere
di sorridere.
L'uomo le dava un senso di protezione davvero speciale. I suoi occhi
d'argento erano così densi e caldi e rassicuranti che le
facevano venire voglia di sorridere.
-Skyl, posso chiamarti così, vero?, ora pensiamo al tuo
costume, okay? Ovviamente tu avrai partecipato al raccolto, no?-
La ragazza annuì e Naigel continuò. -Di recente
sono andato nel tuo Distretto per una questione un po' complicata, ma
non importa. Ecco, lì ho visto tutte quei fiori e quei
frutti che stavano maturando. Così ho pensato di ispirare a
questo il tuo costume.- e sorrise semplicemente.
Skylin annuì con foga, con fare infantile. -Allora iniziamo
subito a lavorare?- domandò.
Non vedeva proprio l'ora di indossare l'abito di cui Naigel aveva
parlato.
Chissà come aveva interpretato la primavera nel Distretto 11
quel capitoliano strampalato.
E la risposta la lasciò spiazzata.
Il vestito che indossava era verde, lungo fino al ginocchio e attillato.
Era intrecciato con piante ancora acerbe e boccioli prossimi a
schiudersi. Sembrava che quel costume stesse aspettando di maturare;
istintivamente sorrise.
-Ehi, non credere che sia tutto qui Skyl. Durante il girone il tuo
costume fiorirà.- spiegò tranquillamente Naigel e
la ragazza si girò stupita.
-Fiorirà? In che senso?-
-Tutti i frutti e i fiori devono maturare. Voglio che ti guardino e un
costume che resta uguale durante la sfilata è un po' noioso,
non trovi?- rispose l'uomo, strizzandole l'occhiolino.
Skylin rise, spensierata. Oh, da quanto non si sentiva così
bene?
-Dai, ora andiamo.- lui le tirò un buffetto amichevole sulla
spalla, ridacchiando.
Insieme al suo staff di preparatori, si avviarono verso l'anfiteatro.
La castana non vedeva l'ora che la sfilata cominciasse. Come avrebbero
reagito i capitoliani? Si sentiva emozionata come una bambina.
-Ehi, uccellino.- Atsuya la chiamò, riscuotendola dai suoi
pensieri.
Fubuki salì sul carro, arrivando così di fianco a
lei. -Paura, piccoletta?- domandò sfrontato, facendo
storcere il naso infastidita alla ragazza.
-No, affatto.- esclamò con tono di sfida, incrociando le
braccia al petto.
-Tsk. Vedi di non fartela sotto durante il girone, mi raccomando.-
sogghignò lui.
-Uh, attento a non spaventarti troppo tu. Sarebbe poco galante per un
gentiluomo come te.- sbuffò sarcastica Skylin, fulminandolo
con lo sguardo.
Atsuya aveva sempre quella luce negli occhi, la ragazza se ne accorse.
Era lo stesso luccichio che aveva visto sul treno; era così
speciale, così bello, i suoi occhi erano belli, grigio
polvere, così brillanti. Ogni volta che li osservava sentiva
il cuore rimbalzare nel petto.
Le piaceva, come sensazione, anche se avvertiva che era sbagliata.
Avvertiva che si sarebbe sentita vuota se non avrebbe potuto
più vedere quello scintillio.
Si strinse nelle spalle, distogliendo gli occhi.
Improvvisamente, non aveva più voglia di uscire da
lì. Non voleva farsi vedere da Capitol.
Poi si maledisse per quei pensieri così sciocchi,
perchè ormai era lì e sarebbe stata forte.
La musica d'apertura rimbombò nelle pareti della stanza,
trionfale.
La sfilata era iniziata.
I carri corsero via veloci, sparendo inghiottiti dalla luce che
proveniva da fuori.
In men che non si dica, la sera divorò la luce, colorando
tutto di arancione e grigio.
Fu in quel momento che il carro del Distretto 11 partì.
Skylin si sentì avvolta da un'ondata di calore e fece appena
in tempo a vedere Naigel che le sorrideva che fu fuori.
Capitol era grande e ruggiva. Ma non faceva paura.
Skylin sorrise e fiorì.
Distretto 12
Amelia strinse i denti.
Non ne poteva più. Quanto avrebbe voluto tirare un pugno in
faccia a quelle dannate capitoliane che le trillavano attorno.
Parlavano ininterrottamente e le avevano fatto venire il mal di testa.
Sbuffò, quando sentì una donna dietro di lei
tirarle i capelli con un aggeggio che li arricciava.
Ebbe solo il tempo di pensare che i suoi poveri capelli sarebbero stati
definitivamente rovinati da quel coso malefico, che un altro strattone
le fece serrare i denti per trattenere un gemito.
"Ma un po' di delicatezza mai, eh?" pensò roteando seccata
gli occhi azzurri e sbuffando di nuovo.
Sentì i ciuffi che le stavano sopra la fronte tirati
indietro con delle spillette e mugulò irritata.
Che odio, dannazione... Non credeva che sarebbe arrivata ad odiare
così tanto una persona.
Per fortuna, quella tortura finì presto. Imprecando
mentalmente, Amelia lasciò che le tre capitoliane uscissero
per andare a chiamare la sua stilista.
Incrociò le braccia al petto, nervosa, lanciandosi occhiate
guardinghe intorno.
Non ne poteva davvero più di tutta quella pagliacciata: che
la portassero a morire senza fare tante cerimonie, dai!
Tanto lei lo sapeva, che sarebbe morta. E questo non la spaventava
affatto.
Però, se c'era una cosa che lei non sopportava, erano le
cose superflue. E, per quel che la riguardava, la sfilata era una cosa decisamente
superflua.
La porta si spalancò proprio in quell'istante, mentre Amelia
sbuffava.
Una donna dagli eccentrici capelli rosa fluo, acconcianti con mollette
e cerchietti, entrò starnazzando nella stanza.
I suoi occhi blu erano intensi, grandi e luminosi, sembravano specchi
d'acqua profonda e infinita.
La castana rimase un attimo a osservarli affascinata, prima di
riscuotersi e osservare diffidente la donna.
-Ciao Amelia! Mi chiamo Elise Meibely, e sono felicissima di
conoscerti!- esclamò la stilista, prendendole la mano e
stringendola con forza.
La ragazza si liberò sbuffando, senza rispondere e
distogliendo gli occhi.
Elise prese a parlare di quanto fosse contenta di essere la sua
stilista e bla bla bla.
Tanto Amelia lo sapeva, che probabilmente non vedeva l'ora di essere
spostata a un'altro Distretto.
-Quindi cara, non perdiamo tempo! Voglio che il tuo costume sia
IN-DI-MEN-TI-CA-BI-LE!- trillò la rosa, sorridendo
furiosamente.
Amelia si limitò a inarcare un sopracciglio scettica,
guardandola come si guarda una gallina starnazzante.
Sospirò. Che pena.
-Sì.- rispose vaga, incrociando le braccia al petto.
Non vedeva l'ora che quella stupidaggine fosse finita.
-Già! Bene bene bene, allora, il tuo Distretto si occupa
dell'estrazione di carbone, come saprai.- esclamò deliziata
Elise. -Quindi il tuo costume sarà incentrato su quello. Ma
sarà una cosa moooooolto particolare, vedrai!-
trillò conciliante, strizzandole l'occhiolino.
"Molto stupida, altrochè" pensò Amelia, sbuffando.
Un'ora dopo, però, dovette ricredersi.
Indossava una calzamaglia attillata e nera, con una cerniera che
partiva dal collo e arrivava in mezzo alle gambe. Aveva degli stivali,
anch'essi neri, con delle frange abbastanza lunghe e un tacco piuttosto
basso. Su tutto il costume erano sparse delle tracce astratte, che
somigliavano a fiamme, grigie e brillanti.
Sembravano fuoco di pietra, come se fosse rimasto fossilizzato nel
carbone per millenni e fosse ancora lì, scoppiettante
nell'immobilità eterna.
I capelli ricci erano sciolti e i ciuffi che le ricadevano sulla fronte
trattenuti con delle spillette nere.
Rimase a bocca aperta per un po', fissando il suo riflesso nello
specchio come se non ci credesse.
Era decisamente buffo pensare che una squilibrata come Elise fosse
riuscita a creare un abito del genere.
-E'... bello.- disse solo, sinceramente stupita e positivamente
meravigliata.
-Ah grazie cara, sei troppo buona! Dai, adesso andiamo a vedere se
piacerà anche ai capitoliani, dai! Voglio che tu sia
indimenticabile.- sorrise dolcemente la stilista, intrappolandola in un
goffo abbraccio.
Amelia rimase stupita. Non si sarebbe mai aspettata un gesto del genere.
Si allontanò scontrosamente, ma quel gesto le aveva fatto
piacere.
Stranamente, aveva voglia di sorridere.
Si avviarono insieme al suo staff verso l'anfiteatro cittadino: tutta
quella grandezza non impressionò affatto Amelia, che non
degnò di uno sguardo quello che aveva intorno fin quando non
fu sul proprio carro di fianco a Fideo.
-Ehi, alleata.-
le sorrise lui, facendola sobbalzare.
Si era quasi dimenticata dell'alleanza che aveva stretto con Ardena.
-Ciao.- mormorò solo, fissandolo attentamente. Fideo aveva
un sorriso caldo come sempre, sereno nonostante tutto.
Pensò che forse aveva sbagliato ad allearsi con lui,
dopottutto nell'Arena avrebbe dovuto contare solo su se stessa.
Però il pensiero di dover probabilmente uccidere quel
ragazzo la lasciava terribilmente male. Si sentiva trafitta ogni volta
che lo pensava.
Quindi scosse la testa, tentando di attenuare quel dolore che le aveva
preso il petto.
Non era il momento, quello. Non era affatto il momento per pensare a
cose del genere.
-Pronta per la sfilata? O hai paura?- chiese divertito Fideo,
osservandola sorridendo.
"Non farti abbindolare da quel sorriso" pensò Amelia,
socchiudendo gli occhi.
-Non ho affatto paura, alleato.-
rispose, sorridendo con aria di sfida.
Lui le ricambiò il sorriso, divertito, e la castana si
sentì stupidamente bene, stupidamente tranquilla,
stupidamente felice.
Pensò solo che quel calore dentro al petto era
così immensamente dolce che le toglieva il fiato, poi la
musica d'apertura ruppe l'incanto.
Sussultò appena, ritornando subito seria.
La sfilata era iniziata. I Tributi del Distretto 1, scintillanti come
diamanti, uscirono sul loro carro bianco come la neve.
Il tempo passò in fretta e il tramonto irruppe con la sua
magica tonalità di arancione e oro, ricamando il cielo con
luce sfuggente.
Il suo carro iniziò a muoversi e avvertì la mano
di Fideo stringere la sua.
Trasalì, irrigidendosi, ma non si scostò.
Non ebbe il tempo di pensare nulla, e Capitol City la
inghiottì.
Ehi mondoH! *O*
Finalmente ci si rivede,
neh?
Davvero, non sapete
quanto mi vergogni dei miei tempi lentissimi.
E' passato un mese dal
mio ultimo aggiornamento, un mese! >o<
Uff, spero che il
capitolo vi ripaghi dell'attesa. <.<
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 5 ***
Distretto
1
Marina rimse
immobile, lo sguardo fisso davanti a sè.
Eppure tutto
intorno esplodeva, urlava, gridava.
Fiori volavano
sul loro carro e c'erano solo i loro nomi che le vorticavano intorno.
Sentiva una
strana euforia che le sobbalzava nel petto, ma che riuscì a
contenere.
Non doveva
voltarsi verso il pubblico. Lei non avrebbe avuto pietà per
nessuno, lei, un gelido diamante, non si sarebbe abbassata a ricambiare
quelle acclamazioni.
Finalmente una
cosa che le riusciva bene; era soddisfacente.
Sentiva il vento
caldo del pomeriggio scuoterle i capelli e i lembi del vestito, ma non
se ne curò.
Avrebbe potuto
continuare per ore quel giro; la musica incalzante e le grida di
giubilio del pubblico le stavano entrando nel sangue, tanto era potenti
e luminose.
Si
sentì una stella, una bellissima stella.
Era piacevole
come sensazione, e dovette ricordarsi che quella gente che li acclamava
era la stessa che li avrebbe mandati a morire.
Purtroppo tutto
finì in fretta. La musica si dissolse quando completarono il
giro.
Ormai era sera:
il tramonto si stava gentilmente spegnendo, lasciando spazio
all'oscurità che divorava delicatamente tutto l'arancione
del cielo.
I dodici carri
riempivano l'anello dell'anfiteatro e Marina prese un respiro profondo.
Le tremavano un
po' le gambe, ma riuscì a controllarsi.
E mentre l'ultime
occhiate di sole facevano risplendere il suo costume di luce preziosa,
il presidente Snow si affacciò dal balcone che sovrastava
l'anfiteatro.
Distretto
2
Hikari
rimase paralizzata per un attimo.
C'era troppo
rumore, attorno. Troppe grida, troppe luci, troppo.
Strinse la mano
di Desarm più forte che potè, trattenendo il
fiato.
Poi, pian piano,
sorrise. Sentì una sensazione dolce sciogliersi nel petto
quando finalmente lasciò che le labbra si incurvassero verso
l'alto.
Alzò
una mano, salutando il pubblico; i capitoliani andarono fuori di testa,
iniziarono ad urlare e saltare e lanciare fiori.
Più il
tempo passava più Hikari si sentiva elettrizzata: tutti la
chiamavano, tutti volevano i suoi saluti.
Sussultò
quando sentì la mano di Desarm scivolare via dalla sua e il
suo braccio circondargli le spalle.
Il pubblico
andò in delirio a quel gesto; Hikari ridacchiò,
continuando a salutare e sorridere, perchè era tutto troppo
entusiasmante.
Il ragazzo non
salutava, si limitava a stringerla un po' più forte quando
le acclamazioni si facevano più rumorose, come a volerla
proteggere.
La mora rimase a
crogiolarsi nella deliziosa sensazione dell'abbraccio di Desarm e di
quelle grida di gioia che le riempivano il viso di felicità.
Forse sarebbe
riuscita a conquistare i capitoliani. Forse avrebbe vinto.
E
cercò di non pensare che dall'Arena sarebbe uscito uno solo.
Cercò di non pensare che se avesse vinto non ci sarebbe
stato Desarm ad accoglierla in un abbraccio.
Voleva solo
godersi quella soddisfazione fittizia, voleva accarezzare ancora quella
sensazione di euforia così calda da mozzare il fiato.
E--
-Ti amo.-
mormorò voltandosi verso Desarm, che le sorrise,
stringendola di più e posandole un bacio all'angolo della
bocca, al che tutto il pubblico parve esplodere in grida ancora
più forti.
Il giro
terminò e i carri si posizionarono in un anello che riempiva
l'anfiteatro.
Desarm non
sciolse l'abbraccio, continuò a tenerla stretta e Hikari non
avrebbe potuto chiedere di meglio.
Perchè
adesso quella felicità stava evaporando. Adesso aveva solo
paura.
Dal balcone che
sovrastava l'anfiteatro, il presidente Snow si affacciò.
Distretto
3
Kiara trattenne
il fiato, mentre il carro prendeva velocità.
Serrò
la mano intorno a quella di Midorikawa, il pubblico intorno ruggiva.
All'inizio rimase
rigida, gli occhi spalancati, inghiottita da tutto quel rumore che si
mischiava alla musica incalzante.
Poi, pian piano,
la paura si sciolse, lasciando spazio a un'euforia che bruciava tutto
il resto, e la ragazza si lasciò andare in un sorriso caldo,
che colorò la sua espressione di felicità.
L'eccitazione le
scorreva nelle vene facendo battere il suo cuore all'impazzata; e forse
fu proprio quella sensazione a spingerla ad alzare la mano e salutare
con imbarazzata indecisione.
Le grida la
investirono; Kiara si lasciò travolgere dall'emozione, e
iniziò a lanciare saluti e baci in mezzo al pubblico.
Anche Ryuuji
stava salutando, e sorrideva tanto; la ragazza si girò verso
di lui, sorridendo.
L'euforia
bruciava tutto il resto, tutte le altre emozioni, ma nulla, nemmeno il
suo nome urlato dai capitoliani, riuscì a distoglierla dagli
occhi di Ryuuji.
Erano
così... brillanti. Solo vederli le mozzava il respiro.
Lui rise, e si
voltò verso il pubblico, lanciando un bacio che tutti
cercarono di prendere con le mani come se fosse una cosa concreta; la
rossa rise, perchè era tutto terribilmente divertente.
Strinse ancora di
più la mano di Midorikawa, mentre mostrava sorrisi luminosi
ai capitoliani; chissà, magari uno di loro era ricco.
La speranza
cresceva veloce dentro di lei; magari ce l'avrebbe fatta, magari
avrebbe vinto. Dopotutto, perchè considerarsi persa in
partenza? Con un po' di cibo in più, o l'arma giusta,
avrebbe avuto qualche possibilità.
Tutto quel
rumore, quella musica, quel muoversi concentrico del carro la stava
mandando in confusione, ma ciò la faceva solo ridere.
In un attimo, si
fece sera e le lingue arancioni del sole morente la accarezzarono; i
carri, accompagnati da un virtuosismo finale della musica, si
fermarono, riempendo l'anfiteatro.
Solo in quel
momento Kiara si accorse di aver stretto tanto la mano di Ryuuji da
avergli quasi bloccato la circolazione; sciolse la stretta,
imbarazzata, ma il verde le riprese subito la mano.
-Ti prego, non
lasciarmi andare. Sento che cado giù da questo coso se mi
lasci.- esclamò Midorikawa, senza smettere di sorridere con
una luce bella negli occhi.
Kiara gli sorrise
di rimando, annuendo.
La ragazza prese
un respiro, mentre tutto si feceva terribilmente silenzioso.
Il presidente
Snow era apparso sul balcone che sovrastava l'anfiteatro.
Distretto
4
Zoey rimase a
bocca aperta.
I capitoliani
erano tanti: folleggiavano, impazzavano, urlavano, ruggivano.
Luci colorate,
musica incalzante, tutti gli occhi puntanti su di lei; fu come essere
travolti da un'onda troppo forte.
La mora si
soffermò un poco su quel pensiero, e dovette ammettere che
stare sopra quel carro era come essere in apnea nel mare.
Era rilassante ed
eccitante al tempo stesso; sentiva l'adrenalina scorrerle nelle vene,
ma si limitò a sorridere con forza, fiera.
Il suo sogno si
era finalmente realizzato e la ragazza era decisa a viverlo al meglio.
Tutto quello che
aveva intorno, tutte quelle grida, quella musica, non erano un sogno;
anche la mano di Mac stretta alla sua era reale, e la fece arrossire.
Nonostante tutto,
presa da un momento di coraggio, non interruppe il contatto come
normalmente avrebbe fatto.
Era piacevole;
sentiva un calore soffice partire dalla mano del castano e pervaderle
il corpo, mischiandosi con l'esaltazione della sfilata.
Tutto si
intrecciava splendidamente, in un groviglio di sentimenti esplosivi,
adrenalina, felicità, un pizzico di paura, unite alla musica
e alle grida di giubilio del pubblico, e alla mano stretta a quella di
Rionejo.
Zoey si sentiva
inebriata da quella sensazione del tutto nuova e inaspettata; si
sentiva avvolta da un sogno, un sogno dannatamente bello da cui non
voleva svegliarsi.
La sera
rubò la luce del pomeriggio, sporcando il cielo di
arancione. In quel momento, il suo abito sembrò volersi
confondere col firmamento.
La mora era
stanca, ma felice. Le facevano male le guance perchè aveva
sorriso per ore intere, ma non aveva affatto intenzione di smettere.
Non fece nemmeno
caso allo sguardo curioso di Mac.
I suoi occhi
verdi salirono più su, sul balcone che sovrastava
l'anfiteatro.
Eccolo, il
presidente Snow. Era diverso, visto dal vivo.
Un brivido le
percorse la schiena, ma non smise di sorridere.
Distretto
5
Hakai trattenne
il respiro.
Troppe urla. Il
panico le esplodeva nel petto come fuochi d'artificio.
Si costrinse a
sorridere; dopo qualche attimo di smarrimento, però,
riuscì ad abituarsi a quel frastuono e il sorriso si
allargò sulle sue labbra.
Era
entusiasmante: non aveva mai provato una sensazione simile. Si sentiva
fiera, brillante, felice di essere lì.
Una rosa bianca
venne lanciata sul carro e Hakai la afferrò al volo;
studiò i petali per qualche istante, e poi alzò
la mano, come in segno di ringraziamento.
Il pubblico
ruggì festoso, e la bionda ridacchiò, nervosa ed
eccitata.
Si
dimenticò di tutto: degli Hunger Games, di Hiroto, di
Capitol. Tutto sembrava essersi ridotto a urla di gioia e fiori e luci
colorate.
Il viso di Riku
riaffiorò nella sua mente e Hakai sorrise di più.
"Mi vedi, Riku?
Sono qui, e sto brillando. Stanno chiamando me, lo senti Riku? Sono
bellissima. Posso vincere, ma solo se tu mi guardi. Non distogliere lo
sguardo dalla televisione Riku, e sarà come averti con me."
Hakai prese un
respiro profondo, annegando in un fiotto di malinconia; a destarla da
quel torpore in cui era entrata fu Hiroto, che allungò un
braccio e le circondò la vita, stringendola a sè
con un sorrisetto malizioso.
La bionda
arrossì, voltandosi verso Kiyama senza capire; il rosso
sorrise di più, e lanciò un bacio in mezzo al
pubblico, ormai in delirio.
Solo quando venne
sera e il tramonto divorò con la sua dolce malinconia
l'anfiteatro, Hakai ebbe il coraggio di parlargli.
-Sei pazzo.-
sbuffò a bassa voce, ma poi dovette considerare che stare
fra le braccia di Hiroto non era poi così male.
Lui rise. -Come
se non ti piacesse.- ribattè, senza smettere di sorridere
con luce bella negli occhi.
La bionda non
seppe cosa rispondere, quindi si limitò ad arrossire e
sospirare.
Intanto i carri
avevano terminato il loro giro e riempivano l'anello dell'anfiteatro.
Il presidente
Snow si affacciò dal balcone che sovrastava tutti, e Hakai
rimase immobile, senza respirare, senza distogliere lo sguardo
dall'uomo.
Rabbrividì
e si strinse di più a Hiroto.
Distretto
6
Hakaikuro non si
mosse.
Tutta la frenesia
intorno a lei non la intaccò minimamente; sentiva solo il
battito del suo cuore, sempre più forte.
Era divertente.
Molto più di quanto si sarebbe aspettata.
Si intravide nei
megaschermi situati durante il percorso: gelida, crudele, invincibile.
Una vera
combattente.
Si
lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto.
Non avrebbe mai
pensato di sentirsi così bene: il cuore le rimbalzava nel
petto, pericolosamente vicino alla gola, e un calore seducente le
pizzicava il viso, facendola sorridere.
Sentiva l'euforia
scorrere nelle vene, come veleno, impossibile da fermare, che si
diffonde in tutto il corpo.
E che la faceva
sentire dannatamente forte.
Rivolse di
sfuggita uno sguardo a Fudou: sorrideva, arrogante come sempre, gli
occhi affilati e letali che vagavano fieri sul pubblico.
Occhi in cui per
un attimo si perse, temporeggiando su quel colore speciale e brillante:
si riscosse subito, e riportò lo sguardo sul pubblico,
turbata.
Improvvisamente,
tutta l'euforia era scomparsa, lasciando spazio a uno strano amaro in
bocca.
Non capiva
perchè Akio la attraesse così tanto. Non le era
mai successo prima, di sentirsi così confusa davanti a un
ragazzo.
Non voleva
innamorarsi. Non ora, non in quella situazione.
Era terribilmente
insensato.
Cercò
di non pensarci, mentre l'azzurro del pomeriggio sfumava in arancione,
dando vita a un tramonto colorato.
La musica
terminò, trionfale, e i carri si posizionarono in cerchio
che riempiva l'anfiteatro.
Prese un respiro
profondo, tentando disperatamente di restare fredda.
Spostò
gli occhi neri sul balcone che sovrastava l'anfiteatro: il presidente
Snow si affacciò in quel momento, apparendo davanti a tutti.
Hakaikuro
trattenne il fiato. Era arrivato il momento X.
Distretto
7
Annalisa sorrise.
Semplicemente,
spontaneamente.
Entrare
nell'anfiteatro fu come affacciarsi su un mondo tutto nuovo, fatto di
urla festose e musica incalzante e luci accecanti.
Si sentiva
solamente felice, come se tutto il nervosismo che aveva accumulato
prima si fosse volatilizzato.
Strinse di
più le dita intorno a quelle di Gouenji, ma non aveva
più paura.
Accanto a lui,
con quel calore dolce che le attanagliava il petto, avrebbe potuto
sfidare tutto il mondo senza esitare.
Era un'idea
folle, ma non le costava niente crederci.
Tenne il viso
alto, senza smettere di sorridere, come le aveva detto di fare Samanta.
Alzò
la mano, salutando esaltata il pubblico, che andò in
delirio, urlando e saltando.
L'eccitazione la
invase, troppo improvvisa, troppo violenta, troppo forte.
Si
lasciò scivolare in un sorrisi sempre più ampi e
saluti e baci lanciati in mezzo alla folla; non riusciva a smettere,
ero tutto troppo intenso.
Annalisa non
riusciva a credere che tutte quelle acclamazioni fossero per lei, che
avesse davvero attirato tutta quella attenzione.
Una speranza
timida germogliò dentro di lei, luminosa: forse avrebbe
avuto qualche possibilità di vincere, forse non sarebbe
morta.
Voleva riuscirci,
provarci almeno, a sopravvivere.
In quel momento,
però, non riusciva a pensarci seriamente, circondata da
tutte quelle urla festose e acclamazioni e il suo nome e quello di
Gouenji intrecciati splendidamente.
Passarono le ore,
circondate deliziosamente da tutta quella euforia, e la sera
arrivò così in fretta che Annalisa quasi non se
ne accorse.
I carri
riempirono l'anello dell'anfiteatro e la musica terminò con
un virtuosismo, in un finale grandioso.
Per la ragazza fu
come uscire da una specie di incoscienza: tornò in
sè solo quando il loro carro si fermò.
Il suo sorriso si
fece più timido, più contenuto, ma non
svanì. Gli ultimi residui di euforia la attraversavano
ancora come scariche elettriche.
Lanciò
uno sguardo a Shuuya e lo scoprì ad osservarla; appena il
biondo incontrò i suoi occhi, scostò lo sguardo.
Annalisa rimase a
fissarlo per qualche attimo, incuriosita da quella reazione; ma non
ebbe tempo per pensarci seriamente.
L'apparizione del
presidente Snow sul balcone le fece spostare lo sguardo: i suoi occhi
verdi fissarono la figura dell'uomo, e il suo sorriso si
smontò.
La sfilata era
finita.
Distretto
8
Misaka fece
girare lo sguardo sul pubblico.
Non riusciva
quasi a distinguere le persone: tutto sembrava un'infinito fiume di
colori e grida; quel frastuono le rimbalzava nel petto, facendola
sussultare.
L'euforia
nell'aria era palpabile e alla bruna non era mai capitato di sentirla
così tangibile, così afferrabile.
Le sembrava quasi
di respirarla, quell'allegria rumorosa.
Inaspettatamente,
però, era piacevole: era tutto dannatamente eccitante, e
davvero la ragazza non capiva perchè improvvisamente avesse
voglia di sorridere.
Cercò
di trattenersi: dopotutto, lei era un lupo, un lupo spietato che corre
nella notte e divora tutto quello che trova nel suo cammino.
Come metafora,
era interessante.
Misaka non
riuscì però a non abbozzare un sorrisetto brioso,
stringendo furiosamente la mano di Nagumo.
Il ragazzo, dal
canto proprio, disperdeva sorrisi maliziosi a destra e manca,
accettando di buon grado tutte quelle acclamazioni.
La bruna non ci
fece troppo caso, però; si limitò a guardare
diritto davanti a sè, decisa ma sorridente, in un bel
contrasto di euforia e determinazione.
Perchè
lei avrebbe vinto. O almeno ci avrebbe provato.
Non che facesse
molta differenza, in effetti. Se il suo destino era di morire, sarebbe
morta. E questo non sarebbe cambiato, qualunque cosa lei avrebbe fatto.
La fortuna non
era mai stata dalla sua parte, ma era riuscita ad andare avanti
comunque, e anche questa volta ce l'avrebbe fatta senza l'aiuto di una
stupida dea bendata.
Racchiusa nei
suoi pensieri, con un sorriso accennato e potente sul volto, quasi
Misaka non si accorse che il pomeriggio era volato via sulla scia del
vento, lasciando spazio a un tramonto infuocato che andava spegnendosi
pian piano nelle turbinose acque della notte.
I carri
terminarono il loro giro, riempendo l'anello dell'anfiteatro; la musica
si spense con un virtuosismo, lasciandola senza fiato.
La bruna
sospirò. Aveva superato questa sfilata, ce l'aveva fatta.
Il presidente
Snow si affacciò dal balcone che sovrastava tutti e
istintivamente la mano di Misaka corse al manico della katana. Si
fermò in quel momento, rimanendo in allerta, pronta a tirare
fuori l'arma dal fodero.
Ma in cuor suo
sapeva che qualunque cosa avesse fatto non sarebbe mai riuscita a
ferire il presidente.
Strinse i denti,
e rimase immobile.
Distretto
9
Natsumi
trasalì, quando avvertì la luce scontrarsi con il
suo abito.
Il vestito pareva
essersi illuminato improvvisamente, di una luce calda e reale, che
ricordava il grano illuminato dal sole.
Abbozzò
insicura un sorriso, alzando la testa, fiera.
I capitoliani
folleggiavano, sciocchi e bizzarri, ricamando di euforia l'aria; le
grida di giubilio si mischiavano alla potenza della musica, mandandola
in confusione.
Era bello,
però; dannatamente imbarazzante, ma bello.
Sorrise un po'
insicura, sulla lingua ancora il dolce retrogusto di miele, mentre
un'eccitazione calda le scuoteva il petto.
Il vento le
faceva ondeggiare la coda sulle spalle e scuoteva i fili che partivano
dalle spalline del vestito, portando calore e profumo con sè.
Un'occhiata di
sole fece brillare i suoi occhi castani di sfumature verdi, e Natsumi
trovò il coraggio di alzare una mano, sorridendo
spumeggiante.
Era terribilmente
imbarazzata, tutti la stavano guardando, ma non poteva restare ferma
come una statua di sale; gli altri Tributi attiravano l'attenzione e
lei non poteva permettersi di essere da meno.
Natsumi non
avrebbe perso gli Hunger Games: doveva giocare? E allora avrebbe
giocato, con tutte le carte che possedeva.
E per farlo
avrebbe dovuto mettere da parte l'imbarazzo, cercando di risultare
più attraente possibile.
Non poteva
deludere sua madre, che l'aveva allenata con tanto impegno e dedizione.
Doveva renderla fiera, e tornare a casa. E poi lei non voleva morire.
Furono queste
convinzioni a spingerla a salutare con un sorriso sempre più
grande sul volto, un sorriso che mischiava euforia e imbarazzo e un
pizzico di insicurezza.
Tutta
quell'esplosione di colori e grida andò a sfumare quando il
tramonto giuse al termine; la musica si spense trionfalmente, e pian
piano tutte le voci si zittirono.
I carri
riempivano l'anello dell'anfiteatro, e Natsumi sospirò, tesa.
Kazemaru le
rivolse un sorriso e la rossa distolse lo sguardo, arrossendo
leggermente.
Non era il
momento di farsi prendere dall'imbarazzo, la ragazza se lo
ripetè come una mantra.
In quel momento,
il presidente Snow si affacciò dal balcone che sovrastava
l'anfiteatro; Natsumi lo guardò e per la prima volta in
quella giornata si sentì del tutto impotente.
Si
sentì solo una debole, piccola, stupida ragazzina che
tentava di essere forte.
"Non
finirò nelle tue mani, serpente. Non mi arrenderò
alla tua potenza come mia madre. Io ti dimostrerò che sono
più forte." La sua espressione si indurì e
pensò che quella era l'unica promessa che le era rimasta.
E si sarebbe
impegnata a mantenerla.
Distretto
10
Il rumoreggiare
del pubblico investì Roxie appena si affacciò su
Capitol.
Rimase un attimo
scombussolata da quelle acclamazioni, mischiate con la musica
incalzante e i fiori che volavano sui carri; respirò una
boccata di euforia e sorrise, alzando una mano e salutando energica i
capitoliani che impazzavano ai lati del percorso.
L'eccitazione si
impossessò delle sue labbra, facendola sorridere tanto,
forse troppo, con entusiasmo.
Tutto quel rumore
e quella musica la divertivano, si sentiva incredibilmente a suo agio
circondata da tutte quelle acclamazioni.
C'era aria di
festa e Roxie sentì quella sensazione di brio entrare nel
sangue, scorrere nelle vene, diventare una parte di lei.
Rise, cristallina
e sincera, inspiegabilmente felice, e per la prima volta da quando era
stata portata a Capitol si sentì libera.
Sentì
che in fondo stava andando tutto bene, che non c'era niente da temere.
Fu come se tutto
fosse scomparso, lasciando spazio a euforia e grida di gioia, un
qualcosa di frizzante che la inebriava.
La rossa
mandò un bacio in mezzo al pubblico, mentre il vento
scuoteva i suoi capelli e un'occhiata di sole fece risplendere i suoi
occhi smeraldini di paiuzze arancioni.
In quel momento,
percepì chiaro il senso di potenza e forza che le invase il
petto, facendo battere il suo cuore all'impazzata.
Fece vagare
incuriosita lo sguardo fra i capitoliani che folleggiavano; uno di loro
sarebbe stato disposto a sponsorizzarla?
Le sarebbe
bastato poco, in fondo, un po' di acqua o cibo, una medicina, qualche
arma.
Roxie sapeva
benissimo che c'erano Tributi molto più forti di lei, ma era
altrettanto certa delle sue possibilità.
Sorrise; Kidou
aveva detto che aveva alte probabilità di vittoria, e lei si
fidava.
Il pomeriggio
passò in fretta e le tinte calde del tramonto andarono a
spegnersi nella cenere della sera, sfumando nel buio.
I carri si
posizionarono riempendo l'anello dell'anfiteatro, e la musica
terminò con un virtuosismo.
Improvvisamente,
tutti i rumori si spensero, e crebbe un silenzio irreale; Roxie prese
un respiro profondo, e un brivido l'attraversò.
Il presidente
Snow si affacciò dal balcone che sovrastava l'anfiteatro e
la rossa avvertì il gelo penetrare nel suo petto appena
incrociò quegli occhi affilati.
Istintivamente,
cercò la mano di Yuuto di fianco a sè e la
strinse forte.
Il ragazzo le
lanciò un'occhiata stupita, ma ricambiò la
stretta, e Roxie si sentì improvvisamente e stupidamente al
sicuro.
Per il momento,
bastava così.
Ma tenersi per
mano non li avrebbe salvati dalla morte.
Lo avrebbero
capito molto presto.
Distretto
11
Skylin sorrise,
respirando quell'aria calda e densa sporca di tramonto.
Il fresco della
sera stava lentamente sostituendo il calore del sole, creando un
contrasto curioso fra il freddo e il caldo, mischiati al tramonto che
si stagliava a perdita d'occhio nel cielo.
Fu in quel
momento che la ragazza fiorì; pian piano, le corolle dei
fiori iniziarono a tremare, illuminate leggermente, e ad aprirsi pian
piano, suscitando la meraviglia dei capitoliani.
Anche Skylin si
sentì fiorire: lo sconforto e la felicità che
l'avevano attraversata prima non avevano più importanza, ora
c'era solo quell'euforia che cresceva, sbocciando nel suo petto.
Increspò
le labbra in un sorriso bello e inafferrabile, e le sembrò
quasi di percepire davvero il dolce profumo dei fiori e i frutti
maturi. Le sembrò quasi di essere tornata a casa.
Alzò
la mano, salutando senza smettere di sorridere il pubblico,
un'eccitazione che sapeva di casa che la scuoteva da capo a piedi.
Tutto
vorticò spaventosamente, in un miscuglio indefinito di
felicità, e acclamazioni, e musica, e luce, e poi fiori e
frutti.
Primavera, solo
quello fu il pensiero di Skylin.
Ma la primavera
non fiorisce per nessuno. La primavera fiorisce solo per se stessa.
Invece lei stava
sbocciando per conquistare i capitoliani. L'incanto si
spezzò.
Una rabbia muta
la colpì come la folgore, ma continuò a sorridere
pur odiando tutto quello che la circondava.
E a niente
servirono le grida di gioia e le rose che venivano lanciate sul carro.
Conservò
questa collera dentro al petto, in fondo, schiacciandola fra l'euforia
e la debolezza, cercando di farla diventare meno aggressiva.
In quel momento,
avrebbe potuto insultare il presidente Snow in persona senza pensarci
due volte.
La musica
terminò quando ormai il tramonto andava spegnendosi,
colorando di grigio le sue ultime sfumature; i carri riempivano
l'anello dell'anfiteatro e Skylin strinse i pugni, digrignando i denti,
rabbiosa.
-Uccellino, ti
senti bene? Quell'espressione arrabbiata non si addice al tuo visetto
dolce.- sogghignò Atsuya, ridacchiando.
Lei gli
scoccò un'occhiata di fuoco. -Non sono dell'umore giusto per
litigare. Potresti seriamente rischiare di essere picchiato, quindi
taci.- sentenziò lapidaria, senza guardarlo, a denti stretti.
-Umpf.- lui
incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo a sua
volta, diventando improvvisamente serio.
Lo sguardo di
entrambi era sul balcone che sovrastava l'anfiteatro: il presidente
Snow si era affacciato e guardava tutti dall'alto.
Skylin
avvertì l'odio che aveva faticosamente represso durante la
sfilata pervaderla di colpo, e i suoi occhi dorati brillarono di rabbia.
E fu in quel
luccichio spietato che crebbe il silenzio.
Distretto
12
Amelia non
riuscì a pensare a niente per una manciata di secondi.
Avvertiva solo la
stretta calda della mano di Fideo sulla sua e le urla del pubblico; per
una attimo rimase rigida, guardandosi intorno guardinga.
Prese un respiro
profondo e guardò davanti a sè, senza
più fissare la folla.
Un'agitazione
ingiustificata, mischiata a un senso di potenza e forza, le fece
battere il cuore talmente tanto forte che lo sentì
rimbombare nelle orecchie.
Il rumoreggiare
della folla la inghiottì, mentre il sole andava morendo
all'orizzonte, sporcando il cielo del suo sangue arancione e delle
lingue dorate della sua disperazione.
Amelia non chiuse
gli occhi.
La gente del
Giacimento doveva sempre avere gli occhi aperti, perchè
bastava una distrazione per condurre a settimane di fame.
La gente del
Giacimento doveva sempre avere gli occhi aperti, era quello che suo
padre le aveva sempre ripetuto.
La gente del
Giacimento doveva sempre avere gli occhi aperti, e Amelia questo lo
sapeva.
Sapeva che,
adesso più che mai, non poteva distrarsi. Doveva tornare a
casa e sarebbe tornata.
Era una promessa,
e lei mantiene sempre le promesse.
Rimase
impassabile, persa nelle proprie riflessioni, mentre intorno il
rumoreggiare della folla esplodeva.
Il tramonto
iniziò a sfumare quando la musica si spense con un
virtuosismo, e i carri andarono a posizionarsi in un anello che
riempiva l'anfiteatro.
Il presidente
Snow si affacciò dal balcone che sovrastava l'anfiteatro e
Amelia non si rilassò; il vero nemico era appena giunto e
lei lo sapeva benissimo.
Strinse forte la
mano di Fideo, senza spostare lo sguardo azzurro, trattenendo il fiato.
Improvvisamente,
tutta la potenza che l'aveva persava scomparve, lasciando posto a un
amaro senso di debolezza. Una debolezza che la fece infuriare.
Il suo sguardo si
tinse d'odio e strinse i denti, rabbiosa. Ormai non c'era
più tempo per scherzare.
La sfilata era
finita. Si iniziava a giocare sul serio.
Il presidente Snow
salutò il pubblico, che dopo qualche ultimo grido si
zittì.
Tutti gli occhi erano
puntati su di lui.
Tutti gli occhi dei
Tributi, coloro che vedevano nel suo volto da serpente l'artefice della
loro morte.
-Benvenuti.- disse con
voce potente.
-Tributi, vi diamo il
benvenuto.- fece una piccola pausa, osservando il pubblico.
-Rendiamo onore al
vostro coraggio e al vostro sacrificio.
Vi auguriamo felici
Hunger Games. Che possa la fortuna essere a vostro favore.-
Ehilà
Tributi!
Vi
sono mancata? :3
Sì,
è un mese che non aggiorno, lo so.
Ma
ormai dovreste aver capito i miei tempi lunghissimi. uu
Allora,
come avrete notato questo capitolo è più breve
degli altri; è un capitolo di passaggio, dal prossimo
finiranno i capitoli di questo genere.
Non
si inizia a combattere dal prossimo capitolo, quindi non fatevi
illusioni.
Ci
vorrà ancora un po' prima di entrare nell'Arena. **
Ora.
Ringrazio MarinaDust99,
perchè mi ha sostenuto nella scrittura di questo capitolo e
perchè se lo merita. <3
Spero
che il capitolo vi sia piaciuto, come al solito sono molto insicura.
>.<
Va
boh, vi lascio.
Ciao
ciao <3
Lucchan
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 6 ***
Kiara
sospirò, stringendo nervosamente una ciocca di capelli;
l'ascensore scendeva veloce, diritto nelle sale di addestramento.
Subito dopo la
sfilata, lei e Ryuuji erano stati condotti nel Centro di Addestramento,
una torre in cui i Tributi e il loro staff avrebbero sostato fin quando
non fossero iniziati gli Hunger Games.
Aveva dodici
piani, uno per ogni Distretto.
Erano le dieci di
mattina e avrebbero iniziato il loro programma di addestramento;
avevano discusso con Beetee sulle vari aree che avrebbero seguito nei
tre giorni in cui si sarebbero allenati, e stavano scendendo nelle sale
adibite all'addestramento vero e proprio.
Kiara era
nervosa; nonostante avesse fatto una bella figura alla sfilata, non era
certo la sola ad aver attirato l'attenzione.
Il suo Distretto
non era fra i Favoriti, nonostante il più delle volte ne
facesse parte. E poi, lei aveva solo dodici anni e la maggior parte dei
Tributi era più grande di lei.
Le porte
dell'ascensore si aprirono su una palestra molto spaziosa, piena di
armi e ostacoli.
Tutti i Tributi
erano raggruppati in cerchio, e avevano un quadrato di stoffa appuntato
alla maglia con sopra scritto il numero del loro Distretto.
Midorikawa le
rivolse un sorriso nervoso, e Kiara ricambiò, agitata,
mentre si avvicinavano agli altri ragazzi.
La
capoistruttrice, una donna atletica di nome Atala, iniziò a
spiegare cosa prevedeva il programma di addestramento, e la rossa si
concesse di osservare gli altri Tributi.
Erano quasi tutti
più grandi, e i ragazzi e le ragazze dei primi Distretti
erano alti praticamente il doppio di lei.
Un brivido la
attraversò e la sua attenzione fu catturata dalla ragazza
dell'1, l'unica che non sorrideva sprezzante.
La
fissò qualche secondo, ma quando incrociò i suoi
occhi azzurri fu costretta a distogliere lo sguardo, arrossendo
imbarazzata.
La ragazza
inarcò un sopracciglio, ma non disse niente.
Appena Atala
smise di spiegare, il gruppo si sciolse e i vari Tributi si
avvicinarono alle postazioni.
Anche Ryuuji si
allontanò, avvicinandosi a una postazione quasi vuota.
Kiara si
guardò intorno dubbiosa, indecisa sul da farsi. Poi
pensò che era meglio iniziare a maneggiare un'arma.
Lei era
abbastanza brava a tirare i dardi con la fionda, ma quella non era
un'arma vera e propria e non poteva essere sicura che ci fosse
nell'Arena.
Perciò
si avvicinò alla postazione di lancio, e iniziò a
seguire le lezioni primarie su come tirare un coltello o una scure.
Decise di provare
e guardò indecisa i numerosi pugnali appesi sulla parete.
Si morse le
labbra e ne prese uno; lo soppesò un poco, cercando di
capire quanto potesse essere difficile lanciarlo.
Spostò
lo sguardo sulla postazione.
Molti Tributi si
erano radunati lì; la maggior parte tirava già
quei pugnali alla perfezione, e la rossa si sentì parecchio
stupida.
La sua attenzione
fu poi catturata da una ragazza che stava entrando in quel momento.
Il viso della
giovane era dolce, la sua espressione seria aveva una traccia di
tranquillità innata, gli occhi dorati, grandi e vivi; i
capelli erano scuri e mossi, e ricadevano dolcemente sulla schiena.
La ragazza, senza
scomporsi minimamente, si avvicinò alla parete e
iniziò a fissare i coltelli senza degnare di uno sguardo
Kiara.
Dal canto suo la
dodicenne la fissava ammirata; la castana scelse un coltello e si
avvicinò alla postazione di lancio, sempre sotto lo sguardo
attento della più piccola, e tirò il pugnale, che
si conficcò preciso e potente al centro del bersaglio.
Kiara
battè le mani, sorridendo entusiasmata. -Sei bravissima!-
esclamò, senza pensare quanto questo potesse essere
infantile.
La giovane,
stupita, si girò verso la rossa, i suoi occhi dorati
illuminati dalla curiosità. Poi sorrise e il suo viso si
illuminò.
-Grazie.- rispose
allegramente, scendendo dalla postazione. -Mi chiamo Skylin Florance.-
le sorrise come si sorride a un'amica.
Per un attimo,
Kiara si chiese se familiarizzare in quel modo fosse una cosa giusta,
ma poi si disse che avere un'alleata non l'avrebbe di sicuro
svantaggiata.
-Kiara Ovuet. Hai
fatto un tiro fantastico!- esclamò, prendendo le mani di
Skylin e fissandola diritta negli occhi, giallo contro blu.
La castana rise.
-Grazie. Se vuoi ti insegno.- propose, senza smettere di sorridere con
quella luce che faceva risplendere il suo viso.
La più
piccola annuì convinta, e afferrò un coltello.
Avrebbe imparato a combattere.
**
Midorikawa
sospirò, stringendo febbrilmente quel pezzo di corda.
Non c'era nessuno
a fare nodi in quella postazione, ed l'ultima cosa che lui avrebbe
voluto era stare fra le gente.
L'istruttore era
abbastanza simpatico e si era subito meravigliato della sua destrezza
con i nodi.
Ryuuji passava
interi pomeriggi fra fili di vario genere, a far correre
l'elettricità da un cavo all'altro, quindi fare nodi e
collegare corde era una cosa familiare per lui.
Proprio in quel
momento era concentrato su un filo di ferro da intrecciare; cercava di
capire quale fosse il punto migliore di presa quando due ragazzi si
avvicinarono.
Il verde
alzò gli occhi, incontrando lo sguardo dei due. Il primo,
dai capelli rossi e i misteriosi occhi acquamarina, era del Distretto
5; il secondo veniva dall'8 e aveva anche lui i capelli fulvi, ma le
sue iridi erano color miele.
Il secondo non
sembrava affatto contento di essere in quella postazione, infatti
continuava a borbottare che sarebbe stato decisamente più
conveniente andare ad allenarsi con la spada.
Midorikawa
tornò a concentrarsi sul suo filo, mentre i due prendevano
posizione; non erano molto esperti di nodi, anche se imparavano in
fretta.
Il ragazzo del 5
fissò un po' scettico una corda annodata in modo decisamente
ambiguo e provò a tirarla, ma tornò subito
liscia, come se quel nodo non fosse mai stato fatto.
Ryuuji
ridacchiò leggermente. -Hai sbagliato. Si fa
così.- mormorò sorridendo appena, e facendo
velocemente il nodo che il rosso stava provando a fare.
-Ah.- anche lui
abbozzò un sorriso. -Mi chiamo Hiroto Kiyama, e lui
è Nagumo Haruya.-
-Midorikawa
Ryuuji. Il tuo amico non sembra molto contento di fare nodi.-
ribattè il verde, un filo di malizia nel tono, scoccando
un'occhiata ad Haruya.
-Infatti.- Nagumo
roteò seccato gli occhi. -Io vado ad allenarmi seriamente,
non ho tempo da perdere qui.- si alzò, lanciò
un'occhiataccia a Hiroto, che non accennava a muoversi e si
allontanò.
-Vi siete
alleati?- chiese Midorikawa, tentando di sembrare più
disinteressato possibile.
-Può
essere. Io però devo proteggere la ragazza del mio
Distretto, quindi direi che qualunque alleanza stringerò non
sarà destinata a durare.- ribattè Kiyama, senza
distogliere lo sguardo dalla propria corda.
Ryuuji non
commentò e continuarono a fare nodi uno vicino all'altro,
senza dirsi più nulla, lanciandosi solo fugaci sguardi ogni
tanto.
In certo senso,
Midorikawa sentì di essersi già affezionato a lui.
**
Hakai prese in
mano il pugnale, studiando la lama con attenzione.
Strinse le
labbra, serrando le dita sottili intorno all'impugnatura, e poi
alzò gli occhi azzurri verso il manichino.
Osservò
il centro segnato di rosso, e alzò la mano, che tremava
leggermente.
Doveva
concentrarsi. Il solo pensiero che avrebbe dovuto uccidere una persona
con quel coltello la bloccava.
Se voleva restare
viva, però, doveva imparare. Prese un respiro, con rinnovata
decisione, e fissò il manichino.
Stava per tirare,
quando un pugnale, sfrecciando vicino al suo viso, andò a
conficcarsi al centro del bersaglio.
Trattenne il
fiato, trasalendo; se la mira fosse stata sbagliata quella lama
l'avrebbe presa in pieno.
-Scusa! E' che
volevo tirare.- una ragazza corse verso di lei, e le si
fermò davanti, con un bel sorriso.
Hakai la
squadrò qualche secondo; aveva capelli rosso scuro, con
punte blu notte, abbastanza lunghi, e occhi verde scuro che ridevano.
Il labbro inferiore era carnoso ed era mediamente alta e magra. Nel suo
quadrato era elegantemente ricamato un 10.
-Mi hai
spaventato a morte.- ammise leggermente infastidita, arricciando il
naso davanti a quel sorriso luminoso. Come faceva ed essere
così serena?
-Scusami!
Però non ti ho colpito.- sorrise ancora di più.
-Mi chiamo Roxie Ametista.-
-Hakai Chimnoku.
Hai una bella mira.- abbozzò un sorriso timido, stringendo
le dita fini intorno all'impugnatura del coltello. -Io non riesco a
centrare il bersaglio.- ammise dopo, voltandosi la postazione; c'erano
pugnali disseminati un po' ovunque, che testimoniavano i tiri andati a
vuoto.
-Tentenni troppo
prima di tirare. Prendi e lancia, senza pensarci troppo.- le
consigliò Roxie, prendendo un coltello da terra e tirandolo
verso il manichino; la lama si piantò a fondo, e
mancò poco che lo trapassasse.
-Ci
proverò.- sorrise, contagiata dall'allegria della rossa, e
si disse che in fondo erano già amiche. Non seppe cosa le
suggerì quell'idea, ma guardando gli occhi verdi di Roxie le
sembrava di essere a casa.
**
Amelia
sospirò concentrata, la frangia spettinata che le sfiorava
gli occhi, ostacolandole la vista.
Scostò
i ciuffi con una mano e si asciugò il sudore dalla fronte,
poi alzò lo sguardo azzurro; strinse entrambe le mani
intorno al manico della mazza chiodata, tesa.
L'arma era
pesante; prese un respiro profondo e non ci riflettè
più.
Scattò,
e le sue braccia si alzarono, roteando la mazza; sentì la
palla di ferro tempestata di spessi aculei girare sopra la propria
testa, mentre correva verso il manichino.
Gridò
e la sfera si abbattè sulla testa dell'obbiettivo,
trapassandolo con gli spuntoni di metallo.
Sorrise
vittoriosa, fiera di essere riuscita a tirare un colpo preciso e
potente. Una persona, ricevendo un tiro del genere in testa, sarebbe
morta di sicuro.
Staccò
la mazza chiodata e la posò a terra, prendendo un respiro
profondo e spostando indietro i capelli lisci che erano ricaduti sul
viso.
Si prese un
attimo per guardare intorno a sè e notò in quel
momento che c'era aria di tempesta.
Molti Tributi
infatti si erano raggruppati intorno a qualcosa; incuriosita, Amelia si
avvicinò.
-Cosa succede?-
domandò, sperando che qualcuno fosse così gentile
da risponderle.
-Stanno
litigando.- le disse una ragazza, dagli splendidi occhi verdi con
affascinanti sfumature nocciola e capelli ricci e castani che
ricadevano lunghi nelle spalle. Un 7 era ricamato sul suo quadrato.
Amelia
inarcò un sopracciglio. -Chi sta litigando?-
domandò di nuovo, cercando di vedere qualcosa attraverso
l'ammasso di gente.
-Il ragazzo
dell'11 e quello del 6.- rispose un'altra ragazza avvicinandosi, dai
folti capelli rosso fuoco mossi e gli occhi nocciola con impercettibili
sfumature smeraldine, con un elegante 9 disegnato sul quadrato.
-Ah.-
Le risse erano
una cosa a cui Amelia era abituata; non era affatto raro che a scuola i
ragazzi si picchiassero nel cortile e anche lei alcune volte aveva
preso parte a queste lotte di gruppo.
Però
negli Hunger Games era severamente vietato fare a botte prima di
entrare nell'Arena. Se quei due avessero deciso di picchiarsi,
avrebbero passato grossi guai.
Poi Amelia
considerò che quello non era affatto un problema suo e stava
per tornare alla sua postazione, quando la ragazza del 7 la
chiamò.
-Ehi Jhons. Ho
visto che hai molta forza nelle braccia, saresti brava a usare la
scure.-
Amelia si
girò, squadrandola senza capire. -Cosa vorresti dire,
Endersoon?- ribattè diffidente, ricordandosi appena in tempo
il suo cognome.
La riccia
abbozzò un mezzo sorriso. -Io ti insegno a usare la scure e
tu mi insegni a usare la mazza.-
La ragazza ci
riflettè un attimo, poi scrollò le spalle.
-D'accordo.-
Le due si
allontanarono fianco a fianco, lasciando la ragazza del 9 a fissarle.
La rossa
assottigliò gli occhi. Sarebbe riuscita ad entrare nella
loro alleanza, in un modo o nell'altro.
**
Natsumi
camminò con passo deciso fino alla postazione del tiro con
l'arco.
Dedicò
uno sguardo ad Amelia e Annalisa, poco lontane, che si destreggiavano
con la scure.
Le
fissò qualche attimo, gli occhi nocciola attenti e freddi, e
poi distolse lo sguardo.
Doveva fare solo
in modo che la notassero. Afferò l'arco e lo
impugnò saldamente.
Sua madre l'aveva
allenata tanto per questo momento, e quell'arma era praticamente
un'estensione naturale del suo braccio.
Incoccò
e dopo aver individuato il bersaglio scoccò; la freccia si
conficcò precisa e veloce.
Questione di
pochi tiri e poi i bersagli divennero mobili; era divertente,
abbatterli tutti. Si dimenticò quasi che era lì
solo per farsi vedere dalle ragazze del 12 e del 7.
Dopo aver fatto
cadere l'ennesimo bersaglio scrollò le spalle e
alzò lo sguardo, soddisfatta: aveva completato al sessione
di allenamento alla perfezione.
Si
passò una mano fra i capelli e spostò lo sguardo;
catturò gli occhi di Annalisa, che la stava guardando e
sorrise fiera.
Vide la riccia
chinarsi su Amelia e mormorarle qualcosa all'orecchio, al che anche lei
la guardò.
Le due parlarono
per un po', poi si avvicinarono. Natsumi sorrise: era fatta.
-Ehi, Kagura.-
Amelia la guardò, gli occhi diffidenti e svelti.
-Sì?-
rispose la rossa, tentando il maggiore disinteresse possibile.
-Una lezione coi
pugnali per una lezione con l'arco.- la castana le tese una mano, senza
perdere la sua espressione distaccata.
-Ci sto.- Natsumi
strinse senza esitazione la mano dell'altra, e Annalisa, appena un
passo dietro l'alleata, sorrise.
Le tre si
avviarono verso la postazione di lancio e la rossa si concesse un
risolino soddisfatto; Annalisa e Amelia avevano la testa sulle spalle
ed erano avversari abbastanza pericolosi.
Quindi averle
come alleate non avrebbe che giocato a suo vantaggio.
**
Hikari strinse la
presa sull'estremità del nunchaku, concentrata.
Fece scivolare la
stretta sulla mano sinistra e poi su quella destra, facendo roteare i
due pezzi di legno dell'arma, acquisendo una velocità sempre
maggiore.
Quando raggiunse
il culmine della velocità scagliò l'arma, che,
senza smettere di roteare, andò a mozzare la testa del
manichino e tornò nelle mani della mora.
Hikari sorrise
soddisfatta, tornando a stringere il manico con le mani sudate.
Sentì
due braccia circondarle i fianchi e si girò di scatto,
incontrando gli occhi di topazio di Desarm.
-Siamo proprio
bravi, neh?- mormorò lui con voce roca, a un soffio dalle
sue labbra.
La mora
arrossì e il ragazzo si sporse, dandole un bacio fugace, e
poi si allontanò un po'.
Hikari
gonfiò le guance, delusa da quel bacio che era durato
così poco.
-Non fare quella
faccia, dai.- rise lui, e allora anche lei sorrise.
-Faccio tutte le
facce che voglio.- rispose piccata, voltandosi e tornando a roteare il
nunchaku.
Questa volta se
lo passò dietro alla schiena, circondadosi la vita per un
attimo e poi facendolo roteare sopra la testa, con gesti fulminei e
precisi.
Desarm le
depositò un bacio sul collo e poi si allontanò,
avvicinandosi a un'altra postazione.
-Bleah, fate
vomitare.- una voce sprezzante richiamò la sua attenzione e
subito si voltò, interrompendo il suo esercizio.
Incrociò
gli occhi nero perla di una ragazza alta, dai lisci capelli mori che
riflettevano inquietanti sfumature rosse, le labbra sottili arricciate
in un sorriso maligno. Individuò un 6 ricamato sul suo
quadrato.
-Qualcuno ha
chiesto il tuo parere?- sputò acida, l'odio ben marcato
nella voce.
La giovane rise
sarcastica, chinandosi a prendere una katana da terra. Percorse con le
dita sottili e pallide le lama tagliente e poi alzò gli
occhi neri, senza smettere di sorridere malignamente.
-Siete davvero
penosi.- esclamò ancora, totalmente incurante della domanda
dell'altra. Sferrò un colpo con la katana e la testa di un
manichino volò a terra.
-Tu, brutta...-
Strinse i pugni e pensò che le avrebbe volentieri tirato il
nunchaku in testa. Già, l'astinenza dal fumo le faceva uno
strano effetto.
-Ehi, non ti
scaldare gioiellino.- la ragazza del 6 si girò di nuovo
verso di lei, un sorriso da perfetta bastarda sul viso. -Sto solo
dicendo la verità.- dichiarò poi candidamente e
Hikari sentì chiaramente le mani prudere.
Oh, quanto
avrebbe voluto picchiarla.
Poi
pensò a come avrebbe reagito Desarm e prese un respiro,
tentando di calmarsi.
-Tu non sei
nessuno per commentare il nostro rapporto. Anzi, io dico che sei
gelosa.- un sorriso provocante le increspò le labbra
carnose, gli occhi che ridevano.
La ragazza
spalancò gli occhi e si avvicinò a grandi passi a
lei.
Per un momento,
Hikari pensò che volesse picchiarla; la giovane
però la prese solo per il colletto della maglia.
-Mi chiamo
Hakaikuro Yamikaze. Guardati le spalle, perchè
sarò il tuo peggiore incubo.- le sussurrò
all'orecchio con voce gelida, così tanto che un brivido le
attraversò la schiena.
Poi la ragazza
del 6 la mollò e se ne andò; Hikari prese un
respiro profondo, tornando a serrare le dita intorno al nunchaku.
**
Marina
sferrò un fendente e la lama sottile e affilata della katana
squartò in due parti il manichino, producendo un sibilo.
La castana
assottigliò gli occhi celesti, stringendo le dita affusolate
intorno all'impugnatura: non era ancora perfetto.
Come ogni
adolescente del suo Distretto, anche lei era stata allenata per
combattere negli Hunger Games.
Non aveva mai
desiderato così ardentemente di partecipare ai Giochi, anzi,
ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma questo non voleva dire che non
eccellesse nel combattimento.
La katana era
sempre stata la sua arma preferita, sottile e tagliente, che spezzava
l'aria con quel suono così familiare.
Portò
entrambe le mani a stringere il manico, mentre con gli occhi studiava
la lama curva e scintillante.
Scattò
e la testa del manichino volò a terra, recisa dalla lama
tagliente.
Marina si
girò di scatto, squartando il petto di un'altro manichino
dietro di lei, per poi tirargli un fendente decisivo che fece cadere il
fantoccio di cotone dal piedistallo.
Un sorriso
accennato sbocciò sulle sue labbra, mentre soddisfatta
scostava i capelli che le erano finiti sul viso durante la sessione.
Si
guardò intorno, notando la ragazza del 2 dall'altro lato
della postazione. Si voltò dall'altra parte, per niente
interessata.
La sua attenzione
fu catturata da due ragazze che si stavano avvicinando in quel momento:
la giovane del 3, dai folti capelli rossi legati in due bizzare code, e
quella dell'11, dai lunghi capelli scuri e mossi e i grandi occhi
dorati.
Fingendo
casualità, Marina le osservò.
Le due ragazze,
parlando e ridacchiando fra loro, iniziarono a seguire le prime lezione
su come usare una spada e la ragazza dell'1 sogghignò
leggermente.
Quelle due la
incuriosivano, ma erano davvero delle principianti.
Tornò
a concentrarsi sul suo esercizio, ma continuò a lanciare
fugaci sguardi alle altre, che intanto si allenavano senza averla
notata.
Non sapeva
perchè, ma si sentiva davvero attratta da loro.
-Guarda Skyl,
là c'è il tuo compagno di Distretto!-
esclamò la ragazza del 3, indicando una postazione poco
distante.
Anche Marina si
voltò. Un ragazzo alto dai buffi capelli color salmone stava
parlando con un'altro, con la testa rasata se non per un ciuffo ribelle
e moro.
Sembravano nel
mezzo di una discussione abbastanza accesa, anche se non riusciva a
sentire cosa stessero dicendo.
Quando il ragazzo
dell'11 prese per il colletto della maglia l'altro, la giovane dagli
occhi dorati sussultò.
-Ma che sta
facendo quell'idiota? Avanti Kia, andiamo a vedere.-
esclamò, avviandosi verso la postazione dei due litiganti,
seguita dalla rossa.
Marina
temporeggiò indecisa: lasciar predere il suo addestramento e
andare a vedere oppure continuare ad esercitarsi?
Anche lei era
curiosa di capire cosa stesse succedendo, ma dopotutto non c'entrava
niente con la discussione dei ragazzi.
Però...
Se voleva allearsi con quelle due questa era una buona
opportunità.
Scosse la testa e
scese dalla sua postazione; per una volta voleva dare ascolto
all'istinto, anche se non era sicura che fosse la scelta migliore.
-Che sta
succedendo qui?- domandò alle due ragazze una volta arrivata
al luogo del litigio.
Fu la ragazza del
3 a risponderle. -Non lo so.- esclamò con un nota
preoccupata nel tono.
Doveva essere
più piccola di lei, dato che la superava di parecchi
centimetri.
Osservandola, non
potè fare a meno di pensare che fosse proprio una bambina. Non
avrebbe dovuto essere lì a combattere in una sfida mortale.
Strinse i pugni e
distolse lo sguardo, decisa a lasciar perdere quei pensieri spinosi.
Molti altri
Tributi, incuriositi da tutto quel trambusto, si erano avvicinati a
osservare i due litiganti, che però continuavano a
scambiarsi battute acide senza degnare di uno sguardo tutti quegli
"spettatori".
La ragazza
dell'11 continuava a dare spintoni a tutti quelli che si erano
accalcati intorno ai litiganti, tentando di raggiungerli.
-Comunque io sono
Kiara Ovuet, piacere.- la rossa si voltò verso Marina,
sorridendo.
La castana rimase
sbigottita da tutta quella tranquillità, ma non lo diede a
vedere. -Marina Haugen.- rispose distogliendo lo sguardo.
-Lei invece
è Skylin Florance. Quelli che si stanno picchiando sono il
suo compagno di Distretto e il ragazzo del 6.- continuò
candidamente Kiara, e il suo sorriso si smontò.
Sylin riemerse
dalla folla con uno sbuffo esasperato. -Se continuano così
finiranno per picchiarsi.- si lamentò, incrociando le
braccia al petto e soffiando via dal viso una ciocca scura, con
disapprovazione.
-E cosa ti
importa?- domando Marina, con l'ombra di un sorriso maligno nella voce.
La ragazza
dell'11 le indirizzò un'occhiataccia. -Mi importa
perchè è il fratello del mio migliore amico e io
gli voglio bene!- esclamò piccata.
Marina
inarcò un sopracciglio e Skylin, appena si rese conto di
quello che aveva detto, arrossì.
-C-Cioè...
N-Non voglio dire che... I-Io...- balbettò e Kiara rise.
-Oh Skyl,
dovresti vedere la tua faccia!- esclamò fra le risa. Ancora
una volta, ascoltando quella risata, Marina pensò che Kiara
era solo una bambina, candidamente infantile.
Serrò
le labbra e stette in silenzio.
-Forza, andiamo a
fermarli prima che si picchino.- propose la rossa quando ebbe smesso di
ridere. -Vieni anche tu, Marina?- le domandò e la castana le
dedicò un'occhiata di traverso.
-No.-
dichiarò infastidita, e la dodicenne fece spallucce.
-Come vuoi.
Andiamo Skyl.-
Le due ragazze si
addentrarono nella folla dando spintoni a destra e manca per farsi
spazio.
Marina, rimasta
sola, incrociò nervosamente le braccia. Non riusciva proprio
a capire perchè i sorrisi di Kiara la spiazzassero tanto.
Perchè guardandola non riuscisse a pensare ad altro che a
quella infantile luce che rischiarava i suoi occhi.
Dopotutto, non le
sarebbe dovuto importare niente. Dopotutto, avrebbe dovuto ucciderla
appena entrate nell'Arena.
Con l'amaro in
bocca si girò, per tornare ad allenarsi; già,
eppure sapeva che non sarebbe mai riuscita a ferire Kiara.
Strinse i denti e
camminò più in fretta.
**
Skylin
tirò una gomitata a un ragazzo, senza nemmeno guardarlo in
viso.
Voleva solo
arrivare da Atsuya e dirgli che era un idiota.
Un vero e proprio
idiota.
Come poteva
pensare di mettersi a picchiare un ragazzo in questo momento?!Che
aspettasse di entrare nell'Arena, accidenti!
Non sentiva
più Kiara dietro di lei, ma non si voltò.
Probabilmente l'avrebbe raggiunta.
Quando finalmente
riuscì ad uscire dalla folla e arrivare davanti ai due
litiganti, si avvicinò con passo deciso al Fubuki e, con
sguardo truce, lo prese per un braccio.
-Smettila di fare
l'idiota, idiota.-
sbottò, iniziando a tirarlo.
Lui non si mosse
e assottigliò gli occhi. -Stanne fuori Skylin.-
sibilò, la voce e lo sguardo freddo, liberandosi con uno
strattone dalla ragazza.
Il ragazzo del 6
rise, esclamando qualcosa che la castana non sentì, troppo
impegnata a sbuffare e incrociare nervosa le braccia al petto.
Stava per dire
qualcosa, ma il moro la precedette. Con uno slancio, la folla che
nascondeva il suo gesto ai Pacificatori, si avventò su
Atsuya, tirandogli un pugno in viso.
Il ragazzo
dell'11 stette fermo un secondo, uno solo, troppo teso per sentire
dolore, stupito. Poi si riscosse e saltò a sua volta sul
moro, prendendolo a schiaffi.
La folla emise un
boato, di approvazione o disapprovazione Skylin non lo capì;
la ragazza afferrò Atsuya per il colletto della maglia,
costringendolo a tirarsi in piedi.
Il ragazzo del 6
aveva il viso rosso e un fiotto di sangue usciva dal naso. Si
pulì infuriato e avrebbero ricominciato a picchiarsi se non
fosse stato per i Pacificatori, che intervennero in quel momento.
Skylin fu
abbastanza svelta da trascinare via Atsuya prima che potessero beccarlo
e punirlo.
Ignorando i suoi
lamenti lo portò in una postazione lontana.
-Adesso tu mi
spieghi cosa stavi facendo!- sbottò la castana, gli occhi
lampeggianti di rabbia.
Lui
incrociò le braccia al petto, assumendo un'espressione
offesa. -Nessuno aveva chiesto il tuo aiuto e io non ti devo nessuna
spiegazione.-
Skylin era
sull'orlo di una crisi isterica e stava per urlargli contro cose
abbastanza disdicevoli.
Con lo spavento che le aveva fatto prendere, era il minimo!
Ma fu interrotta
da due ragazzi che si avvicinarono in quel momento.
-Sei stato tu a
picchiare Fudou, vero? Sei stato un grande, chissà che
soddisfazione!- esclamò un ragazzo dai lunghi capelli
turchesi legati in una coda e gli occhi castani, con un 9 ricamato sul
suo quadrato.
-Si meritava che
qualcuno lo picchiasse a dovere.- concordò l'altro, del
Distretto 4, dai capelli castani e gli occhi scuri, annuendo.
-Tsk, era solo
un'idiota sbruffone.- Atsuya sogghignò soddisfatto.
-L'unico idiota
sbruffone qui sei tu!- sbuffò invece Skylin, arrabbiata. Non
poteva ignorarla in quel modo!
-Stai calma,
uccellino.- Atsuya le dedicò un'occhiata di traverso e la
castana notò che il livido sulla guancia stava iniziando a
gonfiarsi.
Questo se
possibile la fece infuriare ancora di più. Ma, prima che
potesse dirgliene quattro, una ragazza fece la sua apparizione.
Skylin
sbuffò. Volevano lasciarla parlare o no?!
-Ehi, ma che
stava succedendo?- la ragazza era slanciata, dai capelli bruni e
spettinati con alcuni ciuffi che ricadevano ribelli sulla fronte e gli
occhi cobalto, grandi e decisi. Un elegante 8 era ricamato sul suo
quadrato.
-Questo idiota stava
facendo l'idiota,
come al solito.- sbuffò Skylin, esasperata.
La bruna
ridacchiò. -Mi chiamo Misaka Mikoto, piacere.- si
esibì in un bel sorriso.
-Skylin
Florance.- borbottò irritata la castana. -E adesso
dov'è finita Kiara?!- sbottò, guardandosi intorno.
Aveva bisogno del
sostegno dell'amica, altrimenti era sicura che avrebbe avuto una crisi
isterica.
Oh, in quel
momento avrebbe voluto picchiarlo lei, Atsuya!
-Quella ragazzina
dai capelli rossi?- domandò Misaka, inarcando un
sopracciglio.
-Sì!
Dov'è?- Skylin si avvicinò di scatto alla bruna.
-Stava parlando
con il ragazzo del 10 e la ragazza del 4.-
Appena Misaka
finì di parlare, Skylin stava già correndo verso
una postazione poco lontana.
Aveva bisogno di
sfogarsi con Kiara, non poteva resistere. Mentre correva,
pensò che la rossa era diventata un po' come la sua
sorellina.
Sorrise con
tenerezza e sentì una tristezza dolce attanargliarle il
petto.
Poi la vide.
Kiara era girata di schiena; davanti a lei, c'era una ragazza dai
capelli ricci e scuri e gli occhi smeraldini, con un 4 ricamato sul
quadrato.
-Kia!-
trillò e la rossa si voltò, stupita e sorridente.
-Skyl!-
esclamò a sua volta, correndole incontro e abbracciandola.
Quel contatto la
lasciò spiazzata. Rimase immobile, sotto lo sguardo scettico
della ragazza del 4 e di un ragazzo dai capelli a rasta e i diffidenti
occhi rossi.
Kiara si
allontanò, senza smettere di sorridere. -Mi stavo giusto
chiedendo dove fossi finita!- esclamò, avanzando verso i due
ragazzi, seguita dalla castana.
-Ti presento Zoey
Jackson e Kidou Yuuto. Ragazzi, lei è Skylin Florance, la
mia alleata.-
La castana
sobbalzò quasi. Alleata? Non le dispiaceva affatto come
idea, ma non ci aveva mai pensato sul serio. Davvero lei e Kiara erano
alleate? Era un'idea strana. Quasi quasi preferiva considerarla solo
un'amica, anche se pensarla come un'alleata le avrebbe fatto molto meno
male.
-Così
il ragazzo del tuo Distretto si stava picchiando con Fudou.- disse
Kidou, incrociando le braccia al petto.
Skylin
arricciò il naso. -Già. E' un'idiota.-
Si sentiva a
disagio davanti a quei due. Voleva allontanarsi il prima possibile.
-Allora Kiara,
possiamo allenarci insieme. Sono brava coi coltelli.- cambiò
discorso Zoey, esibendosi in un sorriso fiero.
La castana
assottigliò gli occhi. -No. Kiara ha già me come
insegnante.- sibilò sprezzante, gli occhi puntanti in quelli
verdi della ragazza del 4.
La riccia le
rivolse un'occhiata di traverso. -Nessuno ha chiesto il tuo parere.-
-Oh,
sì invece! Non ti ricordi, bellezza? Io e
Kiara siamo alleate.- detto questo afferrò per un braccio la
dodicenne, trascinandola via.
Prese un respiro
carico d'odio. Nessuno poteva permettersi di portarle via Kiara. Lei
era la sua amica, la sua sorellina. Non avrebbe permesso che una
stupida ragazzina spocchiosa gliela portasse via.
-Calmati Skyl.
Avrei rifiutato.- esclamò Kiara, fermandosi e facendo
bloccare anche l'amica.
-Ma non l'hai
vista?! Grr... Se penso alla faccia che aveva quell'oca...- scosse la
testa, stringendo i pugni fino a farsi male. -Non devi fidarti dei
Favoriti.-
La rossa
sbuffò. -Lo so. Non sono una bambina.- abbassò
gli occhi. -E comunque a me non era sembrata così
cattiva...- mormorò a voce più bassa, ma Skylin
la sentì comunque.
Sospirò
e circondò le spalle di Kiara con un braccio. -Non
permetterò che ti uccidano. Te lo prometto.-
E sapeva
benissimo anche lei che era una promessa stupida, ma non le importava.
Ehilà
Tributi! **
Ahahaha
yes, adesso inizio a chiamarvi così uwu
Premetto
che questo capitolo non mi convince per niente. Argh >.<
Ah,
non odio nessun Oc XD
So
che alcuni hanno fatto proprio un'impressione non proprio rosea,
però keep calm, recupererò più avanti
;)
E
dai, sono riuscita ad aggiornare in un tempo più o meno
decente **
E'
un record, ammettetelo uu
Ovviamente
non posso accontentare tutti per le alleanze, ma cercherò di
rispettare quello che mi avete detto ;D
In
questo capitolo si capisce più o meno chi si allea con chi
(?), ma niente paura, molte alleanze si creeranno nell'Arena.
E
non preoccupatevi se la vostra Oc non ha grande contatto con il proprio
ragazzo, l'Arena aiuterà tutti i vostri amanti sventurati (?)
Yes
yes, dopo aver detto una cavolata dopo l'altra è meglio che
tolgo il disturbo xD
Ciao
**
Lucchan
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 7 ***
Passarono i giorni dediti
all'addestramento.
Verso l'ora di pranzo
del terzo giorno, incominciarono le sessioni private con gli Strateghi.
Ogni Tributo veniva
chiamato per dimostrare il suo talento.
Alla fine delle sessioni
private, gli Strateghi avrebbero comunicato a tutti un punteggio per
ogni Tributo.
Più il
proprio punteggio era alto, più persone sarebbero state
disposte a sponsorizzarti nell'Arena.
Era il momento X. Il
momento che poteva fare la differenza.
Marina stava in
silenzio, seduta da sola nel tavolo della mensa.
Suzuno era stato
appena convocato e la sedia di fianco a lei era vuota.
La castana
strinse le dita intorno al bicchiere di plastica.
Non aveva
mangiato niente. Le succedeva sempre, quando era agitata.
Sospirò.
Doveva stare calma. Dopotutto lei era una Favorita. Dopotutto lei era
stata allenata sin da piccola. Dopotutto eccelleva nel combattimento.
Tenne gli occhi
socchiusi, tentando di estraniarsi da tutto il chiacchericcio che
riempiva la stanza.
Rimase
così, a rimuginare sulle sue possibilità e a
perdersi nei pensieri più sciocchi, nel vano tentativo di
distrarsi.
Doveva ottenere
un punteggio alto. Solo così avrebbe potuto vincere.
Dopo un quarto
d'ora, chiamarono il suo nome.
Si
alzò con gesti meccanici. Si passò una mano fra i
capelli, pettinandoseli, e si sistemò le pieghe della maglia.
Ostentando un
passo sicuro, entrò nella palestra.
Gli Strateghi
erano attenti, freschi e riposati. Ogni suo errore sarebbe stato visto.
Prese un respiro
e si attenne al programma, impugnando saldamente la katana.
Non l'aveva usata
spesso, durante l'addestramento, dato che era il suo punto di forza.
Osservò
un istante i riverberi di luce sulla lama affilata, poi alzò
gli occhi celesti.
Uno scatto. La
sua espressione non mutò un'istante. Fulminea,
tagliò la corda che sosteneva un sacco da boxe e, mentre
quello stava ancora cadendo, ci si avventò sopra,
spezzandolo in due con un fendente preciso.
Non si
fermò e batuffoli di imbottitura volarono in aria,
incastrandosi fra i suoi capelli.
Non ci fece caso
e si voltò di scatto, lanciando la katana. Un gesto
avventato. L'arma non era fatta per essere scagliata e quello era una
mossa da professionisti.
Ma lei era una
professionista. La katana, fendendo l'aria con un sibilo,
andò a tagliare di netto la testa di un manichino, colpendo
in una maniera talmente precisa da spezzarlo in modo millimetrico e
andando a conficcarsi nella parete.
La ragazza si
fermò, l'imbottitura ancora impigliata fastidiosamente fra i
capelli.
Gli Strateghi
parvero soddisfatti e la congedarono.
Marina si
inchinò e uscì, con passo deciso, senza che la
sua espressione fredda mutasse.
Entrò
nell'ascensore e approffittò del breve viaggio per togliersi
dai capelli i residui di imbottitura.
Ce l'aveva fatta.
**
Hikari
sospirò stancamente.
La ragazza del 6,
quella che l'aveva minacciata durante l'addestramento -Hakaikuro, le
pareva che si chiamasse- non aveva fatto altro che fissarla con aria
truce tutto il tempo.
Era riuscita
anche a sopportarla, finchè Desarm era stato al suo fianco.
Ma lui era stato
chiamato da poco dagli Strateghi e lei era sola; posò la
fronte sul tavolo freddo, gli occhi strizzati.
Si
tirò a sedere, stizzita e scomoda; giocherellò un
poco con il bracciale regalatole da Desarm, distratta.
Voleva distrarsi,
voleva non pensare che questa era la prova decisiva, che il risultato
che avrebbe ottenuto adesso era quello definitivo, che avrebbe influito
molto sulla sua morte.
Aveva salutato
Desarm con un bacio; se lei doveva morire, voleva che fosse lui a
vincere.
Un quarto d'ora
passò troppo in fretta. Chiamarono il suo nome e allora,
dopo un profondo respiro, si alzò, scostando rumorosamente
la sedia.
Sistemò
un poco i capelli ricci e si passò le mani sul volto; era
pronta.
Entrò
nella palestra, decisa e sicura come non mai. Gli Strateghi la
studiarono con i loro occhi perforanti, ma Hikari non ci fece caso.
Afferrò
il nunchaku e lo strinse saldamente. Un brivido l'attraversò
e iniziò a rotearlo.
Ne
afferrò un'estremità e disegnò un otto
in aria, per poi lanciarlo e riafferrarlo al volo.
Se lo
passò intorno alla vita e intanto si guardò
intorno, continuando a rotearlo; cosa fare per rendere la sua
performace più interessante?
Un'idea le
balenò in mente e si avvicinò ai pesi con un
sorriso furbo.
Gli Strateghi si
fecero più attenti mentre Hikari legava i pesi ai pezzi di
legno del nunchaku.
Quando lo prese
di nuovo in mano, pesava quasi il doppio.
Decisa,
iniziò a rotearlo; era più impacciata, ma il suo
esercizio era comunque eccellente.
Dopo aver passato
il nunchaku sotto le braccia, decise di finire in grande stile;
lanciò l'arma con forza e quella, nonostante i pesi,
roteò fulminea in aria, andando a mozzare la testa di un
manichino.
Si
fermò, alcuni ciuffi scuri appicciati alla fronte sudata, il
fiato grosso.
Gli Strateghi la
congedarono, soddisfatti.
Dopo essersi
inchinata, Hikari uscì, inaspettatamente felice.
Entrò
nell'ascensore e sorrise. Finalmente tutto stava andando nel verso
giusto.
**
Kiara sorrise.
Skylin e Misaka
stavano battibeccando allegramente, la prima seduta di fianco a lei e
l'altra davanti a sè.
Era felice di
aver conosciuto le due; con loro si sentiva libera, inaspettatamente
serena, come se niente avesse potuto turbarla.
Ormai mancavano
pochi giorni al suo ingresso nell'Arena; voleva vivere allegramente
quel tempo che le restava, senza nessuna remora o rimorso.
Ryuuji era stato
chiamato da poco, la rossa lo aveva visto alzarsi poco tempo prima; era
rimasto seduto due tavoli davanti a lei, insieme al ragazzo del 5 e
quello dell'8.
In un certo
senso, era gelosa. Avrebbe voluto allearsi con lui, ma in
realtà non aveva assolutamente motivo di sentirsi tradita.
Erano solo "nemici-quasi-amici", confidenti per convenienza.
Però
Midorikawa era quanto di più vicino a un fratello avesse in
quel momento e voleva che stesse con lei.
Era un pensiero
sciocco ed egoistico, ma non ci fece caso.
La chiamarono
proprio in quel momento, destandola dai suoi pensieri.
Sospirò,
alzandosi, e Skylin l'abbracciò. Ricambiò con un
sorriso.
-Vai Kia,
facciamo il tifo per te.- le diede un buffetto sulla guancia,
sorridendo teneramente.
-Falli fuori, mi
raccomando.- Misaka le fece l'occhiolino, alzandosi a sua volta per
venirla ad abbracciare.
Sembrava che
stessero per separarsi per sempre e quel pensiero la fece ridacchiare.
Entrò
nella palestra con ancora un sorriso accennato sulle labbra, che subito
svanì.
In
realtà, non aveva la più pallida idea di cosa
fare. Rimase immobile qualche secondo, sotto lo sguardo indagatore
degli Strateghi, e arrossì un poco.
Prese coraggio e
avanzò con un passo sicuro ma che traballava un po',
tradendo la sua agitazione.
Fece vagare lo
sguardo per la palestra e individuò una cerbottana
appoggiata alla parete, all'angolo. Con maggiore disinvoltura
possibile, la prese e la caricò.
Si
allontanò di cento metri e colpì perfettamente il
centro del bersaglio. Duecento, il tiro si conficcò preciso.
Trecento, bersaglio centrato, ma iniziava a mancarle il fiato.
Quattrocento, cinquecento. I tiri erano sempre perfetti e la sua
notevole mira iniziava ad attirare gli Strateghi.
Decise di tentare
il tutto per tutto. Ottocento metri. Erano davvero tanti.
Assottigliò gli occhi azzurri, tentando di mettere bene a
fuoco il centro del bersaglio. Doveva centrare perfettamente. Se avesse
sbagliato questo tiro avrebbe dovuto scordarsi un punteggio positivo.
Prese un respiro,
le gote arrossate dall'emozione e dalla fatica, il fiato grosso.
Soffiò
nella canna con tutta la forza che aveva. Il dardo partì a
una velocità impressionante, fendendo l'aria. Per un attimo,
Kiara fu colta dalla paura di aver sbagliato tutto.
Ma poi il dardo
si conficcò preciso al centro, con un po' meno forza dei
precedenti ma sempre perfetto. Dentro di sé
esultò, ma si limitò a un sorriso soddisfatto.
La congedarono e
la rossa si inchinò, mentre un brivido le trapassava la
schiena.
Salì
sull'ascensore e si concesse un sospiro. Ormai quello che era fatto,
era fatto.
**
Zoey era seduta
da sola, in un angolo della mensa.
Aveva ignorato
con la maggiore disinvoltura possibile le occhiatacce che Skylin
continuava a lanciarle, cercando di distrarsi.
Appoggiò
la testa alla parete, dondolandosi sulla sedia; i suoi occhi smeraldini
corsero per la stanza, tracciando il solito itinerario che seguivano da
quasi un ora.
Il suo sguardo si
fermò al tavolo appoggiato alla parete sinistra, quasi
opposto al suo; Mac era seduto a quel tavolo con il ragazzo dell'11 e
quello del 9 e chiaccheravano allegramente.
Zoey
gonfiò le guance, gelosa; avrebbe voluto avvicinarsi a loro,
stare vicino a Mac, sentire il suo sguardo dolce su di sè,
magari stringergli la mano e--
Arrossì
di botto, stupendosi dei suoi stessi pensieri.
Ma cosa andava a
pensare? Mac era suo nemico. Avrebbe dovuto ucciderlo. Lei era una
Favorita, non poteva permettersi certi pensieri smielati.
Strinse i pugni,
seguendo con gli occhi i movimenti del ragazzo, che si era alzato in
quel momento per entrare nella palestra.
Avrebbe dovuto
attendere ancora per poco e poi avrebbe potuto andarsene da quella
mensa chiassosa.
Iniziò
a disegnare distrattamente spirali sul tavolo con le dita, gli occhi
catturati dal movimento ritmico della mano.
Il suo sguardo
cadde sul bracciale d'argento che Vincent le aveva regalato, allacciato
al polso.
Una fitta di
nostalgia le attanagliò improvvisamente il petto, mentre
studiava attentamente il quadrifoglio con sopra una piccola coccinella,
che era allacciato nell'intreccio d'argento del laccio.
Per la prima
volta da quando era arrivata a Capitol City avvertì
chiaramente la nostalgia di casa, la voglia di rivedere i suoi
genitori, i suoi amici, Vincent.
Scacciò
quella sensazione attanagliante scrollando la testa, accompagnata da
una cascata di capelli ricci.
A sottrarla da
quei pensieri affilati fu il suo nome, che venne chiamato in quel
momento.
Si
alzò, senza traballare, fiera, lo sguardo freddo e il passo
sicuro, mentre si avviava nella palestra.
Quando fu
entrata, fece correre lo sguardo per tutta la grandezza della stanza.
Ebbe l'accortezza
di non incrociare gli occhi degli Strateghi e afferrò decisa
un coltello.
Serrò
le dita affusolate sul manico di pelle, in una stretta ferrea ed
esperta; sicura come non mai, si avvicinò con calma glaciale
a un manichino.
Rimase immobile.
Il silenzio era palpabile. Nulla si mosse per istanti che parvero
interminabili.
Poi
scattò. Affondò il coltello nel petto del
manichino e saltò, dandosi slancio sulle spalle del
fantoccio. Tenne il pugnale fra i denti, mentre si aggrappava con le
mani ai ganci appesi al soffitto.
Dondolandosi con
esperienza, percorse tutta la palestra a mezz'aria, arrampicandosi,
scattante e sicura.
Ad un certo
punto, senza preavviso, si lasciò cadere; trattenne il
respiro e mollò la stretta dei denti sulla lama del
coltello, che afferrò al volo. Atterrò
precisamente di fianco a un manichino e piantò il pugnale
nel suo cranio, con violenza dirompente.
Gli
tirò un calcio e il fantoccio cadde a terra.
Zoey si
fermò, sudata e col fiatone. Alzò gli occhi
smeraldini per incrociare quelli affilati degli Strateghi.
La congedarono e
la mora si inchinò, trattenendo il fiato.
Uscì
ed entrò nell'ascensore; un sorriso sbocciò sulle
sue labbra e i suoi occhi si riempirono di gioia.
Mancavano ancora
pochi giorni al suo ingresso nell'Arena ed era sicura che tantissimi
sponsor l'avrebbero aiutata.
Ne era certa.
**
Hakai
sospirò, gli occhi fissi sul piatto ancora pieno.
Non aveva fame,
sentiva l'agitazione scorrere gelida nelle vene.
Hiroto era appena
entrato nella palestra. Oh, le mancava già sentire la sua
risata.
Il rosso era
rimasto seduto con il ragazzo dell'8 tutto il tempo, ma le aveva sempre
lanciato occhiate sorridenti.
La ragazza non
aveva potuto non arrossire, però le piacevano le attenzioni
che lui le dedicava.
Avrebbe voluto
dirglielo, ma sarebbe stato stupido, inutile e molto fraintendibile.
E poi ora doveva
concentrarsi solo sulla sua sessione.
-Ehi Hakai!
Cos'è sul muso lungo?-
La bionda
alzò lo sguardo, incontrando gli occhi sfavillanti di Roxie.
-Xie, ciao.-
esclamò e un sorriso nacque sul suo viso.
La rossa la
squadrò qualche secondo, poi scoppiò a ridere.
-Neneh, ti manca
già Hiroto?- disse con un sorriso malizioso e la voce
cantinelante.
Hakai
arrossì di botto. -N-No! C-Che cosa vai a pensare... I-Io...
No... N-Non stavo pensando a lui!- balbettò, scuotendo le
mani e la testa, negando.
-Ceeeerto, come
no.- la quattordicenne le strizzò l'occhiolino, allungando
le vocali in maniera esasperante.
La bionda
incrociò le braccia sotto il seno, socchiudendo gli occhi
azzurri.
Roxie non aveva
tutti i torti. Però ammettere che non riusciva a stare senza
Kiyama era davvero troppo, significava che per lui provava qualcosa di
decisamente forte.
E non era
così... vero?
Arrossì
di nuovo, sotto lo sguardo scettico della rossa, che sospirò
sorridendo.
-Eh
già, la nostra Hakai è proprio cotta...-
ridacchiò e la bionda si imbronciò.
-Vogliamo parlare
di te e Yuuto? Guarda che si consuma a forza di mangiarlo con gli
occhi!- sbuffò e godette nel vedere il rossore espandersi
sulle gote dell'altra.
-M-Ma no!-
provò a protestare la rossa, ma fu sopraffatta dalla risata
dell'altra, a cui preso anche Roxie si unì.
Il nome di Hakai
fu chiamato in quel momento e la bionda parve gelarsi sul posto.
Sospirò,
cercando di tenere a bada l'agitazione che all'improvviso aveva
iniziato a roderle il petto.
-Vai e scaglia
diritta i tuoi coltelli.- la incoraggiò Roxie, sorridendole.
Hakai
ingoiò un mezzo sorriso ed entrò nella palestra.
Gli Stateghi le
lanciarono occhiate indagatrici e la ragazza si strinse leggermente
nelle spalle.
Prese una decina
di pugnali e si posizionò davanti al bersaglio.
Sospirò
e strinse le dita fini intorno all'impugnatura di un coltello.
Alzò gli occhi, senza tremito.
Il primo tiro.
Per suo padre.
Il secondo tiro.
Per sua madre.
Il terzo tiro.
Per Riku.
Il quarto tiro.
Per il suo Distretto.
Il quinto tiro.
Per Roxie.
Il sesto tiro.
Per Hiroto.
Il settimo tiro.
Hiroto. Hiroto Kiyama.
L'ottavo tiro.
Per i suoi occhi acquamarina e quel sorriso speciale.
Il nono tiro. Per
la sua risata, bella, cristallina, affascinante.
Il decimo tiro,
il più potente. Per quel sentimento che non conosceva e che
li legava.
Si
fermò, gli occhi freddi e letali, le gote leggermente
arrossate.
Gli Strateghi
parvero soddisfatti e la congedarono.
Hakai si
inchinò con un sorriso e uscì, improvvisamente
pervasa da una strana adrenalina bruciante.
Salì
sull'ascensore e si sentì inspiegabilmente felice.
**
Hakaikuro
socchiuse gli occhi scuri, sbuffando.
Non aveva proprio
voglia di starsene ferma di quella sedia scomoda, voleva mettere le
mani sulla sua katana.
Su ordine di
quell'idiota del suo mentore non l'aveva usata spesso durante
l'addestramento ed era rimasta a bramarla durante tutti i tre giorni.
Ora voleva solo
tirare qualche bel fendente e magari tagliare la testa agli Strateghi,
molto casualmente.
Emise l'ennesimo
sbuffo, facendo sollevare una ciocca di capelli bruni che era ricaduta
sul viso e lasciandosi scivolare sullo schienale.
C'era troppo
rumore, troppa gente che starnazzava.
Solo a vederli
mangiare si capiva che erano bestie da macello, nient'altro. Lei,
invece, ne aveva di possibilità di vittoria.
Sperava solo che
quegli idioti degli Strateghi capissero subito le sue doti, dopotutto
lei era l'unica ad avere esperienza nell'uccidere in quella stanza.
Fudou era
già entrato nella palestra da quasi dieci minuti, non ne
poteva più di aspettare; portò distrattamente le
mani ad accarezzare la testa del serpente di ardesia che era
arrampicato sul suo ciondolo e il suo sbuffo si tramutò in
un sospiro.
Aveva
già addocchiato le persone che pensava potessero esserle
utili nell'Arena, perciò aveva già in mente di
proporre qualche alleanza, giusto per non essere colta di sorpresa da
persone potenzialmente pericolose.
Non aveva
assolutamente intenzione di morire, per di più durante uno
spettacolo che veniva trasmesso in tutta Panem.
Sarebbe stato un
disonore troppo grande per lei.
Il suo nome venne
chiamato e Hakaikuro si alzò con uno sbuffo che stava a
metà fra lo scocciato e il sollevato.
Voleva solo
uscire da lì e buttare a terra qualche manichino.
Dopotutto,
pensò mentre entrava nella palestra, non le serviva
un'esibizione da grande talento, solo qualcosa di veloce ed efficace.
Come se stesse
uccidendo per davvero.
Sorrise
provocatoria e guardò i manichini come se fossero esseri
umani.
Afferrò
la katana e non degnò di uno sguardo gli Strateghi, che
iniziavano ad essere distratti dopo dodici sessioni.
Passò
un dito sulla lama sottile e leggermente curva e dalla carne
iniziò a stillare un po' di sangue.
Sogghignò
e la impugnò saldamente; la sua espressione mutò
totalmente da quando era entrata.
Il suo sorriso
acquistò sfumature di malignità, il suo viso
somigliò in tutto per tutto a quello di un assassino.
Prese un
barattolo di vernice rossa dal reparto di mimetizzazione e ci immerse
la lama dell'arma; tagliò di netto la testa di un manichino,
con velocità invidiabile e una potenza impressionante,
mentre il liquido cremisi schizzava su tutto il fantoccio come sangue.
Squoiò
undici manichini senza mai fermarsi, il pavimento sporco di gocce
rosse, l'atmosfera improvvisamente tesa.
Gli Strateghi si
erano fatti attenti; non era difficile per loro notare quella luce
spettrale negli occhi della ragazza, quella ferocia che cercavano in
ogni Tributo.
Hakaikuro si
concentrò sul dodicesimo manichino, l'ultimo;
lacerò viso di cotone senza tagliare la testa e poi si
concentrò sul petto.
Lo
buttò a terra e con impeto affondò più
e più volte la lama vermiglia, fin quando il manichino non
fu ridotto a un'ammasso di stoffa e imbottitura.
Afferrò
il barattolo di vernice e lo rovesciò sopra il fantoccio,
per poi lanciarlo in aria, in modo che gli ultimi schizzi cadessero
come pioggia di sangue intorno a lei.
Si
fermò, affannata ma soddisfatta, sogghignante nella sua
attività preferita.
Gli Strateghi la
congedarono, stupiti da tanta ferocia; Hakaikuro li fissò
sprezzante e uscì, senza inchinarsi.
Una volta entrata
nell'ascensore si concesse una risata, mentre i suoi occhi brillavano
di luce spettrale e sui capelli bruni scintillavano le gocce cremisi di
vernice come presagio di morte.
**
Annalisa si
arricciò annoiata una ciocca di capelli ricci sulle dita,
guardandosi intorno svogliatamente.
Natsumi e Amelia,
sedute accanto a lei, confabulavano sottovoce e lei non si sentiva di
partecipare al discorso.
Si stava
annoiando terribilmente; non era agitata per la sessione privata, anzi,
quella era la sua ultima preoccupazione.
Essere
così tranquilla non era da lei, ma la ragazza non ci fece
poi molto caso.
Gouenji era
appena entrato nella palestra e Annalisa lo aveva seguito con gli occhi
fin quando non era sparito dietro alla porta.
Avrebbe voluto
parlargli, anche se in realtà non aveva la più
pallida idea di cosa dirgli.
-Nali? Hai
sentito quello che ho detto?-
La ragazza
sobbalzò e si girò verso le due alleate, che la
guardavano in attesa.
-Ehm... No.-
rispose abbozzando un sorriso di scuse; Amelia sospirò
sconsolata e Natsumi ridacchiò leggermente, mormorando un
rimprovero amichevole.
-Stavo dicendo-
riprese Amelia lanciandole un'occhiataccia. -che volevo proporvi
un'altra alleanza con il ragazzo del mio Distretto.-
La riccia si
sporse un po' verso l'altra, incuriosita.
-Mh? Chi, quel
bel castano?- rispose con un sorrisetto, indicando con un cenno del
viso Fideo, seduto tre tavoli avanti a loro con il ragazzo del 10.
-E' carino...-
commentò, lanciando un'occhiata maliziosa verso Amelia.
La castana
arrossì leggermente, spostando piccata lo sguardo. -Certo
certo, tutto quello che vuoi. E' furbo e questo mi basta. Vediamo come
andrà nella sessione privata, ma ho il presentimento che il
suo punteggio sarà alto.-
Natsumi si
scambiò un'occhiata d'intesa con Annalisa e poi
ridacchiarono all'unisono, facendo arrossire ancora di più
l'altra.
-E questa risata
cosa vorrebbe dire?!- sbuffò incrociando punta nel vivo le
braccia al petto, cercando di ignorare il rossore che le copriva le
gote.
Annalisa
soffocò un sorriso; Amelia non sarebbe cambiata mai.
Il suo nome venne
chiamato in quel momento e la riccia si alzò, sorridendo
verso le altre, senza che l'agitazione la sfiorasse minimamente.
-Allora... Ci
vediamo nell'Arena.- disse e le ragazze annuirono.
Annalisa
alzò la mano in segno di saluto, avviandosi verso la
palestra.
Tutto stranamente
sembrava andare per il verso giusto e lei non avrebbe potuto chiedere
di meglio.
Circondata da
amiche come Natsumi e Amelia persino gli Hunger Games parevano meno
minacciosi; era così strano che la loro amicizia fosse nata
così, un fiore in mezzo ai rovi.
Entrò
nella palestra e notò vari schizzi di vernice rossa per
tutto il pavimento; mise da parte lo scettismo e impugnò la
scure.
Strinse
saldamente il manico, arricciando le labbra carnose in un espressione
concentrata.
Chiuse gli occhi
smeraldini e tutti i giorni nel bosco con suo padre le passarono
davanti come un film. Doveva solo ripetere quei movimenti tanto
familiari, come se stesse abbattendo un albero in un pomeriggio
qualunque di una giornata qualunque.
Con uno scatto
repentino aprì gli occhi e sollevò l'arma,
affondandola poi con potenza letale nella sua custodia.
Il legno si
incrinò con un schianto secco e varie scheggie si alzarono
dall'oggetto.
Colpì
la custodia della scure ancora e ancora, facendo saltare pezzi di legno
ovunque, nel violento modo che suo padre chiamava "barbaro".
Se si spezzava
legno in quella maniera non lo si avrebbe mai potuto vendere e Annalisa
ricordava le volte in cui l'uomo glielo ripeteva stenuamente.
Però a
rompere così violentemente quell'oggetto provava una
soddisfazione innata; quasi non riusciva a credere di possedere tanta
forza.
Si
fermò solamente quando non ci fu più nulla da
rompere. Pezzetti di legno erano disseminati disordinatamente per il
pavimento, troppo piccoli per essere tagliati ancora.
Annalisa
alzò lo sguardo con freddezza e lanciò la scure
senza spostare gli occhi dagli Strateghi; l'arma si conficcò
nella parete, rimanendo a mezz'aria.
Godendosi le loro
espressioni stupide, la riccia si inchinò e uscì,
i capelli spettinati e le gote arrossate, ma un sorriso soddisfatto sul
volto.
Già,
non avrebbe potuto andare meglio di così.
**
Misaka
affondò il viso fra le braccia, sospirando.
Aveva passato il
tempo a chiaccherare con Skylin e a lanciarsi occhiate sporadiche con
Nagumo, che se n'era stato in un altro tavolo per tutto il tempo.
Però
ora Haruya non era più seduto là, a scoccarle
occhiate spavalde con i suoi splendidi occhi color miele, ma era
entrato nella palestra per la sua sessione privata.
Alzò
gli occhi cerulei, insoddisfatta, cercando di incrociare lo sguardo
dorato di Skylin, magari un sorriso su quelle labbra sottili.
Ma la castana non
la stava guardando; seguendo la traiettoria dei suoi occhi, Misaka
capì che stava fissando il ragazzo del suo Distretto.
Fubuki, le pareva si chiamasse.
Era rimasta molto
colpita dal suo gesto durante l'addestramento; era intervenuta per
bloccare la rissa e quindi salvare quel ragazzo da una punizione severa.
La bruna non
sapeva che lei avrebbe fatto lo stesso per Nagumo; probabilmente no,
anche se non ne era sicura.
Non comprendeva
perché Skylin avesse rischiato di finire in mezzo a quella
storia per un suo nemico, non aveva senso.
-Ehi Skyl.- la
chiamò e la castana sussultò, distogliendo lo
sguardo dal Fubuki e girandosi verso Misaka.
-Sì?-
rispose incerta, gli occhi dorati che bramavano di incastrarsi di nuovo
con quelli color argento del ragazzo.
La bruna scosse
la testa con un mezzo sorriso. -Nulla.- e si disse che era ovvio il
motivo per cui Skylin aveva salvato Fubuki.
Il
perché risiedeva nelle loro iridi, in quel dolcissimo
luccichio pervadeva i loro occhi quando si incrociavano. Forse -si
disse- c'erano occhi che erano destinati a rimanere incatenati e quando
si incontravano quella luce speciale li illuminava.
Chissà
se anche lei aveva nelle iridi quel bagliore quando guardava Haruya.
Non si chiese
perché proprio Nagumo, ma in un certo senso sperava che
anche i suoi occhi brillassero per lui.
Il suo nome venne
chiamato in quel momento e Misaka si alzò, stiracchiandosi
come un gatto.
-Ci si vede.-
disse facendo un cenno a Skylin, che le sorrise caldamente, salutandola.
Entrò
nella palestra con un sospiro, tentando di togliersi di dosso quella
malinconia appiccicosa. Non era il momento per farsi prendere da
pensieri tanto stupidi.
Scoccò
un'occhiata stizzita agli Strateghi, che dopo sedici sessioni
iniziavano ad essere più attratti dal banchetto che era
stato allestito per loro che dai Tributi.
Raccolse una
katana non molto lunga, stringendo febbrilmente il manico.
Tirò
qualche fendente ai manichini, frustrata; rivolse uno sguardo sdegnato
agli Strateghi, che però non sembravano assolutamente
considerarla.
Sentiva l'ira
montare dentro al petto e le tornò in mente suo padre, quel
sognatore ribelle dagli occhi scuri che lei non aveva mai conosciuto.
Buttò
arrabbiata un manichino a terra e scagliò in un angolo la
katana, che scivolò per il pavimento con un triste clangore
metallico.
Prese un coltello
e attese un attimo, gli occhi cobalto che fissavano insistentemente gli
Strateghi.
Le dedicarono
solo qualche occhiata per nulla interessata e quella reazione fu la
goccia che fece traboccare il vaso.
Misaka, senza
pensare, scagliò il coltello contro il loro tavolo; si
udì un sibilo e tutta l'aria intorno al banchetto
sembrò criptare, poi la lama venne sbalzata indietro dal
campo di forza.
La bruna si
chinò repentinamente e il pugnale andò a
piantarsi nella parete; gli Strateghi la guardavano, chi spaventato e
chi stupito.
La ragazza si
alzò, con gli occhi ancora colmi di disprezzo; senza
inchinarsi uscì, mentre una soddisfazione prepotente le
invadeva il petto.
Sperava solo che
quel gesto avventato non le sarebbe costato troppo.
**
Natsumi
sospirò, borbottando qualcosa riguardo al fatto che in
quella mensa ci fosse davvero troppo caldo.
Si
passò una mano fra i capelli quasi ricci, tentando di
dissipare la calura che la circondava.
Le luci dei
lampadari asettici le davano il mal di testa; con un sospirò
si lasciò scivolare sul tavolo, godendosi l'impatto fresco
del suo viso accaldato contro la superficie, mentre Amelia ridacchiava
della sua espressione sconfitta.
La rossa
sentì qualcosa sfiorarle la spalla e alzò curiosa
gli occhi nocciola; fece appena in tempo a vedere una chioma di capelli
turchesi che si allontanava verso la porta.
Rimase a guardare
stupita il punto in cui Kazemaru era sparito; l'aveva... toccata.
Le aveva posato
una mano sulla spalla e poi era andato via. Arrossì
piacevolmente, mentre un mezzo sorriso incosciente si faceva spazio sul
suo volto.
La risata di
Amelia la fece sobbalzare, si era quasi dimenticata della sua presenza.
-Dovresti vedere
la tua faccia!- rise la castana e Natsumi arrossì ancora di
più, tirando una gomitata alla coetanea.
-Questa
è la mia faccia.- esclamò seccata, incrociando le
braccia.
-Non ti ha
baciata Natsu, ti ha solo toccato la spalla! Non mi sembra il caso di
fare tutto queste scene, potrebbe averti sfiorato anche per sbaglio.-
ribatté Amelia con un sorrisetto, ignorando totalmente il
suo commento.
La rossa
sentì di essere cascata dalle nuvole. La castana aveva
ragione e lei era una vera e propria stupida.
Voltò
il viso da un'altra parte, con espressione delusa; non aveva motivo di
esaltarsi tanto per un contatto così minimo, se ne rese
conto solo in quel momento.
E poi, non aveva
motivo di agitarsi. Kazemaru l'aveva toccata, e allora? Non era certo
la prima volta che qualcuno le sfiorava le spalla. Ichirouta era
esattamente come chiunque altro, un nemico qualunque.
Sbuffò,
stanca di rimuginare su argomenti così idioti.
Amelia era girata
verso il tavolo di Fideo e lo guardava con uno sguardo dolce e attento,
che mai la rossa le aveva visto fare.
Sogghignò
leggermente: la prendeva tanto in giro, ma anche lei non scherzava!
Sembrava volesse mangiarsi con gli occhi quel ragazzino.
Si
scostò di nuovo i capelli dal collo, ricordandosi
improvvisamente di avere caldo.
A salvarla da
quella calura fu il suo nome, che venne chiamato in quel momento,
richiamando anche l'attenzione di Amelia.
-Ciao, eh.- la
castana le diede un buffetto sulla spalla, facendola sorridere
leggermente.
Entrò
nella palestra con sguardo freddo. Non era agitata, dopotutto sapeva
benissimo cosa fare. Gli Strateghi non avrebbero potuto che stupirsi
davanti alla sua mira.
Impugnò
l'arco e incoccò, facendo vagare lo sguardo alla ricerca di
qualche bersaglio interessante.
Se voleva essere
considerata, doveva attirare subito l'attenzione su di sé.
Abbozzò
un sorriso vittorioso, notando numerosi dardi conficcati in un
bersaglio nella posizione di lancio.
C'era una
distanza sottilissima fra loro e chi li aveva lanciati -forse la
ragazzina del Distretto 3- doveva possedere una buona mira, ma poca
esperienza.
Natsumi sorrise e
scoccò; la freccia schizzò nell'aria e
andò a conficcarsi nel leggerissimo spazio fra due dardi
vicini.
I seguenti tiri
furono tutti dimostrazioni di una padronanza innata dell'arma; era
andata così da subito, dato che aveva dimostrato un talento
speciale per il tiro con l'arco da quando aveva pochi anni.
Sua madre era
sempre stata compiaciuta di questa sua passione per l'arco e Natsumi
l'aveva assecondata, un po' per non deluderla e un po'
perché quell'arma la affascinava tantissimo.
Ormai l'arco era
un'estensione naturale del suo braccio, una parte di sè;
perciò tirare frecce in spazi sottili era una passeggiata
per lei.
Stava per
lanciare l'ultima freccia, quando gli Strateghi la interruppero e
congedarono.
Insoddisfatta, la
rossa la scagliò verso l'alto; la freccia fendette l'aria e
andò a conficcarsi nel lampadario a neon sopra di lei,
rompendolo.
Una cascata di
scintille si riversò a terra e Natsumi sorrise, esibendosi
in un inchino spavaldo e uscendo.
Gli schizzi di
luce di quella sessione le rimasero dentro, imprigionati fra un sorriso
e una consapevolezza scarlatta.
**
Roxie si
dondolò distrattamente sulla sedia, soffocando uno sbadiglio
annoiato.
Dopo che Hakai se
n'era andata, la rossa non aveva fatto che annoiarsi a morte.
La mensa ormai si
stava svuotando; rimanevano solo lei e Yuuto, i due dell'11 e quelli
del 12.
La stanza era
molto più silenziosa e la quattordicenne proprio non si
trovava in un ambiente del genere; si sarebbe sentita molto
più a suo agio circondata da chiacchere e rumore.
Si
alzò dalla sua sedia, con l'intento di andare a sentire cosa
dicevano Kidou e il ragazzo del 12.
Gofiò
le guance; si sentiva offesa dal comportamento del castano, che l'aveva
ignorata per tutto il tempo.
Purtroppo
però non fece in tempo a raggiungerlo che lui si
alzò, salutando quel moretto seduto affianco a lui e
avviandosi verso la porta.
-Aspetta Yuuto!-
Il ragazzo si
fermò, senza girarsi. -Ci vediamo dopo, Roxie.- disse,
scostandosi quando la giovane provò a mettergli una mano
sulla spalla e allontanandosi.
La rossa rimase
immobile, seccata ed esterefatta.
Sentì
qualcosa di fastidioso pungergli il petto, mentre gonfiava le guance e
incrociava le braccia; perché l'aveva trattata con tale
freddezza?
Lei non aveva
fatto niente dopotutto!
Si
lasciò cadere offesa sulla prima sedia che le
capitò davanti, attirando l'attenzione dei presenti.
Roxie li
ignorò; Yuuto non voleva parlarle? Allora neanche lei lo
avrebbe pensato.
Però
era molto più difficile di quanto immaginasse; tentava di
concentrarsi su altro, di pensare a cosa avrebbe fatto durante la sua
sessione o a cosa avrebbe detto ad Hakai nell'Arena, ma Kidou era
presente in ogni singolo pensiero e non riusciva a scacciarlo.
Il suo viso dai
tratti aristocratici le tornava in mente ogni volta, facendola
arrossire stupidamente.
Un quarto d'ora
passò talmente lento che le sembrarono anni; appena il suo
nome fu chiamato, saltò giù dalla sedia,
impaziente di concentrarsi su altro e sfuggire al pensiero dolcissimo
di Yuuto.
Entrò
nella palestra e fece vagare i suoi occhi smeraldini per la stanza;
lanciò uno sguardo scettico al lampadario rotto con una
freccia spaccata ancora conficcata dentro, ma la sua attenzione fu
presto attratta da altro.
Come c'era da
aspettarsi, gli Strateghi erano concentrati su tutto meno che su di lei.
Roxie
sbuffò seccata e si avvicinò con passo deciso al
sacco da boxe; uno giaceva a terra spaccato e circondato da batuffoli
di imbottitura, ma il secondo era ancora intero.
Si
sfregò le mani, sorridendo furbamente.
Non era una
ragazzina indifesa qualunque, lei. A scuola, le capitava molto spesso
di fare a botte con i maschi che la infastidivano ed era inutile dire
che era lei a vincere ogni volta.
Essendo rimasta
orfana all'età di nove anni, con una sorellina in fasce,
aveva imparato da subito a badare a se stessa. E se c'era una cosa che
aveva appreso, era che saper picchiare chi provava a provocarla era
indispensabile.
Sferrò
un pugno al sacco, senza nemmeno mettersi i guantoni; l'oggetto
ondeggiò traballante e la ragazza iniziò a
tempestarlo di pugni e calci.
Con uno scatto
afferrò un coltello e tagliò la corda che lo
sosteneva; ci tirò un pugno potente, facendolo rotolare
sconfitto a terra.
Quello che
seguì fu solo un feroce confondersi di pugnalate e calci,
che il sacco incassava sfracellandosi per terra, fin quando non rimase
che una poltiglia di imbottitura e stoffa.
Scagliò
il coltello, colpendo un manichino distante in testa.
Gli Strateghi,
colpiti da tale forza, la congedarono e Roxie rivolse loro un'occhiata
fredda, per poi esibirsi in un inchino strafottente e uscire con passo
spedito.
Quando fu dentro
l'ascensore, scoppiò a ridere. Si era sfogata colpendo quel
sacco da boxe e non era più arrabbiata con Yuuto; adesso
voleva solo abbracciarlo.
Sorrise, in balia
di una felicità frizzante.
**
Skylin
sospirò, socchiudendo gli occhi.
Dopo che anche
Misaka era entrata nella palestra, lei era rimasta sola.
Era stanca di
stare lì ad attendere e il pensiero di cosa avrebbe fatto
per dimostrare il suo valore la logorava.
Per di
più, Atsuya continuava a fissarla e questo non la
tranquillizzava per niente.
Si sentiva
arrossire ogni volta che incrociava quegli occhi, avvertiva i palmi
delle mani sudare ed era tesa come una corda di violino.
Non capiva
perché Fubuki le facesse questo effetto e non era veramente
sicura di volerlo scoprire.
Alzò
timidamente lo sguardo e i suoi occhi si incatenarono a quelli del
ragazzo.
Atsuya era seduto
dall'altra parte del tavolo, le gambe accavallate e le braccia
incrociate dietro la testa, con uno splendido sorriso spavaldo sul
volto.
Arricciò
il naso alla vista di quell'espressione; non poteva prendersi gioco di
lei in quel modo.
Incrociando le
braccia al petto, si lasciò sprofondare nello schienale,
senza distogliere più gli occhi dai suoi.
Era una sfida?
Non sarebbe stata lei a perdere.
Così
rimase a guardare le infinite sfumature di quegli occhi presuntuosi,
dal taglio arrogante, di quello splendido color argento scuro, che
sembrava il colore della polvere e delle nuvole che portavano pioggia;
le loro iridi erano legate, lei, un raggio di sole nella tempesta degli
occhi di lui.
Quel magico
incanto fu però spezzato dal nome di Atsuya che fu chiamato.
Fubuki si
alzò tranquillamente e le passò accanto per
dirigersi verso la palestra.
-A dopo
uccellino.- sussurrò, facendola arrossire appena.
Skylin rimase a
fissare come una sciocca la porta dove lui era sparito, quelle parole
appena mormorate che le rimbombavano in testa, in un dolcissimo eco
infinito.
Un brivido
l'attraversò e distolse offesa lo sguardo.
Atsuya non faceva
altro che farla arrabbiare; era lui, con quel modo di fare
insofferente, con quella fastidiosissima strafottenza, con quegli occhi
che avevano il potere di stregarla.
Passò
il tempo a ripetere nella sua mente le note di una canzone popolare che
Sue le aveva insegnato, facendo intanto correre le dita sul tavolo.
Il suo nome fu
chiamato quasi all'improvviso, senza che lei se lo aspettasse.
Accompagnata da
un polveroso senso di stanchezza, entrò nella palestra.
Non c'era nulla
di particolare e quindi niente che attirasse la sua attenzione nella
stanza.
Rassegnata,
Skylin si attenne al programma, camminando verso il punto dove erano
appesi i pugnali.
Fissò
qualche secondo le lame e le note della canzone le danzarono nella
mente con insistenza.
"Complimenti,
davvero un'ottima performace" le parole di Naigel le tornarono in mente
e subito le fu chiaro cosa avrebbe dovuto fare. Dopotutto, doveva solo
dimostrare il suo talento.
E quasi non se ne
rese conto, quella melodia uscì dalle sue labbra con una
naturalezza innata.
Fece qualche
passo aggraziato per la palestra, cantando con un tono di voce sempre
più alto, raggiungendo note talmente acute da fare male alle
orecchie.
Ma non si
fermò, continuando a tracciare semplici passi di danza, una
voce così alta che molti Strateghi si dovettero premere le
mani sulle orecchie.
Arrivò
al culmine dell'altezza che avrebbe potuto raggiungere, prolungando una
nota acutissima e alzandosi sulle punte dei piedi, come a voler andare
ancora più in alto.
Qualcosa fendette
l'aria e ci fu uno scoppio. Il campo di forza che circondava gli
Strateghi si spaccò e Skylin fu sbalzata indietro, finendo a
terra.
Confusa, la
ragazza fu congedata e uscì, ancora frastornata.
Dentro
l'ascensore, si disse con un sorriso che aveva fatto davvero combinato
un pasticcio. Però la cosa la faceva solo ridere e quindi
rise, libera come un usignolo che si libra nel cielo.
**
Amelia
sospirò, arricciandosi una ciocca di capelli fra le dita.
Lanciò
uno sguardo a Fideo e si alzò, avvicinandosi a lui.
Il ragazzo non si
voltò, gli occhi fissi su alcuni fogli che stringeva attento
fra le mani.
La castana stette
in silenzio qualche secondo, aspettando che lui si girasse.
Se voleva
parlargli, doveva farlo ora, prima che la ragazza dell'11 finisse e lui
veisse chiamato.
Tossì
un poco, per richiamare l'attenzione del ragazzo. Odiava essere
ignorata.
-Amelia, ciao.-
disse lui tranquillamente, senza nemmeno girarsi a guardarla.
La giovane
sospirò, tentando di rimanere calma.
Per qualche
strano motivo, il comportamento di Ardena la irritava terribilmente.
Si
lasciò cadere sulla sedia affianco a lui e si decise a
parlare.
-Ho proposto
un'altra alleanza.- esclamò tentando di rimanere
disinteressata, battendo distrattamente le dita sul tavolo e
nascondendo gli occhi sotto la frangia.
Fideo
alzò stupito lo sguardo e Amelia si sentì
investita dal blu intenso dei suoi occhi.
-Oh.- disse solo
lui, poi tornò a sorridere compiaciuto. -Anch'io.- rispose,
altrettanto noncurante.
La castana rimase
interdetta e sbattè un paio di volte gli occhi. Come? Fideo
aveva proposto un'altra alleanza? E senza chiedere il suo parere?!
Arricciò
infastidita le labbra, assottigliando gli occhi, nonostante il suo
pensiero fosse molto incoerente.
-Ah. Hai fatto
tutto da solo, senza dirmi niente.- sibilò, senza pensare
che anche lei aveva fatto tutto da sola.
-Yuuto
è un buon alleato. E' furbo, prova a guard-- - ma fu
interrotto da Amelia, che strabuzzò incredula gli occhi.
-Kidou Yuuto?!
Quel ragazzetto insignificante?!- sbottò, battendo furiosa
una mano sul tavolo. Un'alleanza con quello svitato! Fideo doveva
proprio essere uscito di testa. Aveva osservato quel ragazzino durante
l'allenamento e poteva dire con certezza che non valeva nulla.
Purtroppo
però non poterono continuare la conversazione e il nome del
castano fu chiamato.
Ardena si
alzò, un'espressione accigliata sul viso, nascondendo i
fogli che prima stava leggendo in tasca.
-Ti ricrederai.-
disse solo, uscendo.
Amelia rimase
immobile. Non si sarebbe alleata con Kidou Yuuto.
Era pronta a
scommettere che non sapesse nemmeno tenere in mano un coltello.
Ridacchiò.
Se Fideo voleva fare comunella con lui, lei non lo avrebbe seguito.
Convita di questa
decisione, passò i seguenti quindici minuti a dondolarsi
sulla sedia, pensando ad altro.
La chiamarono
prima di quanto avesse immaginato.
Si
alzò ed entrò sicura nella palestra. Non aveva
paura di quei palloni gonfiati che erano gli Strateghi.
Quello che vide
la lasciò perplessa. Sembrava che fosse esploso qualcosa,
dato che tutte le attrezzature erano buttate negli angoli e il
capanello di uomini e donne attorno al banchetto sembrava molto agitato.
Amelia si
trattenne dal ridacchiare, chiedendosi chi fosse riuscito a far
arrabbiare tanto gli Strateghi.
Prese la mazza
chiodata, che ora riusciva a usare perfettamente. Annalisa le aveva
insegnato come utilizzare armi pesanti e adesso non aveva
più alcun problema.
Strinse sicura le
dita intorno al manico e fece roteare la palla di ferro tempestata di
aculei sopra la sua testa, per poi piantarla con forza dentro il corpo
di un manichino.
Continuava a
colpire bersagli e improvvisamente il pensiero di Leila
tornò a galla.
Si chiese cosa
avrebbe detto la sua sorellona, vedendola destreggiarsi in quel modo
con un'arma. Leila, la ragazza che l'aveva sempre sgridata per i suoi
modi scostanti e che spesso ricadevano nelle maniere forti.
La maggiore aveva
sempre disprezzato la violenza e messo in primo piano il dialogo;
chissà cosa avrebbe fatto lei, se fosse stata al suo posto.
Per la prima
volta da quando era arrivata, pensò che era un bene che
fosse stata estratta lei e non Leila.
Strinse
leggermente gli occhi, sottraendosi a quei pensieri dolorosi.
Con un grido,
scagliò la mazza chiodata, che roteò
pericolosamente in aria e andò a conficcarsi nel muro.
Amelia rimase
stupita; il suo tiro doveva essere stato davvero potente per far
rimanere la mazza inchiodata al muro.
Prima che potesse
riprenderla però, gli Strateghi la congedarono.
La castana fu
tentata di tirargli addosso l'arma, ma poi declinò
quell'idea e uscì, stizzita per essere stata interrotta dopo
così poco.
Ora,
pensò con un sospiro mentre l'ascensore saliva, doveva
affrontare Fideo.
...
*spunta da dietro un muro*
Ehm...
Ciao ^^"
Ci
ho messo mesi per scrivere questo capitolo, lo so.
Scusatemi
tanto! >.<
Però
fra compiti, vacanze, pigrizia e caldo non ho potuto scrivere!
Cercherò
di essere più puntuale in futuro, lo prometto
ç.ç
Ora,
questo capitolo.
Inizialmente
avevo idea di farlo più lungo e aggiungerci ancora dodici
parti, ma poi mi sono detta che vi avevo fatto aspettare anche troppo.
Ringrazio
chiunque continua a seguirmi nonostante abbia tempi indecenti, arigatou
**
Spero
che questo capitolo vi sia piaciuto, ora vi lascio ;)
E
sappiate che anche se non recensisco o aggiorno più, io ci
sono e vi osservo... *colonna sonora da film horror (?)*
Ehm
già, ora è meglio che la finisco di dire cavolate
xD
Ciao
ciao <3
Lucchan
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 8 ***
Marina si
portò l'ultimo cucchiaio di zuppa alle labbra, tenendo gli
occhi fissi sul piatto vuoto.
Dopo che era arrivata
nel piano dedicato al suo Distretto, era subito andata in camera, non
volendo subire i commenti maliziosi di Cashmere e Christian.
Erano riusciti a
convincerla a uscire dalla sua camera solo per consumare la cena.
Non che la castana
avesse fame; era terribilmente agitata per il punteggio che le
avrebbero dato e il cibo era il suo ultimo pensiero. Quasi avrebbe
preferito non sapere che impressione aveva fatto.
I risultati erano
espressi in una scala di numeri che andava dall'1 al 12.
L'1 era il punteggio
peggiore impossibile e il 12 il migliore e irraggiungibile. Non
capitava quasi mai che dessero come risultati gli estremi della scala,
però, come si era detta la ragazza, c'è sempre
una prima volta.
Suzuno, seduto di
fianco a lei, non sembrava particolarmente agitato. Ma la ragazza aveva
passato tanto tempo ad osservarlo durante l'addestramento e sapeva
riconoscere i suoi modi di reagire, quindi poteva dire con certezza che
anche lui era preoccupato. Si muoveva in modo troppo meccanico per
essere tranquillo.
Quando tutti ebbero
finito di mangiare, andarono a vedere i risultati alla televisione; lei
e Fuusuke si sedettero sul divano, vicini.
Le loro mani si
sfiorarono e Marina si irrigidì, voltandosi verso l'albino.
Lui le rivolse
un'occhiata e alla castana parve di affogare in quegli occhi che
sembravano fiumi limpidi di ghiacciai irraggiungibili.
Deglutii e
cercò di concentrarsi sulla televisione.
I loro risultati erano
i primi ad essere trasmessi; sullo schermo venne proiettata la foto di
Suzuno e dopo qualche attimo un 9 apparve, con gli squisiti commenti
del presentatore.
Avvertì
Fuusuke rilassarsi accanto a lei e Marina si sentì
sinceramente contenta per lui, anche se in realtà un
punteggio alto per il ragazzo significava che lei era in svantaggio.
La sua foto apparve
sullo schermo subito dopo e la castana trattenne il respiro.
I secondi di attesa
furono snervanti; sentiva il cuore battere in gola e quasi non si
accorse nemmeno che Suzuno le aveva stretto la mano.
Un 8 apparve
volteggiando e la voce del presentatore disse qualcosa che la ragazza
non sentì.
Sospirò,
sentendosi improvvisamente leggera.
Beh, non era andata
così male. Dopotutto, 8 era un punteggio positivo, molto
positivo.
Si concesse un piccolo
sorriso alle congratulazioni della mentore e degli stilisti.
Christian la
catturò in un abbraccio affettuoso a cui sfuggì
il prima possibile e Cashmere, ridacchiando allegra, si
complimentò con loro, pur avvertendoli che il punteggio
ottenuto non decretava la vittoria.
Il loro accompagnatore
li spedì a dormire, dicendo che domani li aspettavano
tantissime cose da fare.
Marina fu molto felice
di sottrarsi a tutti quei complimenti; si ritrovò a
camminare per il corridoio che portava alla sua stanza di fianco a
Suzuno.
Il silenzio fra loro
sapeva di imbarazzo; la ragazza gli rivolse uno sguardo, indecisa se
parlare o meno.
Quando arrivarono
davanti alla camera di lei, Fuusuke alzò lo sguardo,
abbozzando un mezzo sorriso.
-Complimenti. Sei
stata brava.- disse e Marina sorrise leggermente, di rimando.
-Tu di più.
Non ti devo sottovalutare, già.- socchiuse gli occhi
celesti, liquidando i complimenti dell'altro con un gesto fluido della
mano.
-La trasparenza dei
tuoi occhi è stupefacente.- esclamò
tranquillamente l'albino e la ragazza lo guardò stupita.
Cosa voleva dire? Le
sembrava un'osservazione totalmente fuori luogo.
Lui scosse leggermente
la testa alla sua espressione confusa; si inchinò,
baciandole la mano come un lord fa con la sua dama in una fiaba
qualunque.
Marina
arrossì stupidamente, senza sapere cosa fare, gli occhi
fissi sul ragazzo.
-Buonanotte.-
mormorò Fuusuke, alzandosi e sparendo in fondo al corridoio.
La castana rimase
immobile, la bocca semiaperta su parole non dette; si guardò
la mano dove le labbra di lui si erano posate e arrossì
ancora di più.
Si ritirò
velocemente in camera, prima che qualcuno potesse vederla.
Si lasciò
scivolare fra le coperte; si sentiva così confusamente
felice.
Odiava non capire cosa
le stesse succedendo, ma sentiva che voleva scoprire il mistero che si
celava dentro alle iridi di Fuusuke.
Voleva capire il suo
comportamento, l'enigma del suo sguardo. Voleva comprendere cosa aveva
inteso Suzuno quella sera, con quella frase e quel bacio sulle dita.
Quasi si
dimenticò dell'8 preso nella sessione privata, come se non
le importasse più.
Stranamente, il
pensiero di Fuusuke sembrava più forte di quello della sua
esistenza.
**
Hikari tintinnò le posate sul bordo del piatto ancora pieno.
Non aveva toccato cibo
e non aveva intenzione di farlo.
La felicità
inaspettata che l'aveva colta appena dopo l'addestramento si era
volatilizzata, lasciando spazio a una morsa gelida che le stringeva lo
stomaco.
Alla mora piacevano le
sfide, le erano sempre piaciute. Non aveva paura di essere giudicata,
anche perché sapeva che era andata bene.
Però un
giudizio qualunque era diverso da un numero che poteva decidere sulla
sua sorte.
Si torse agitata le
mani e avvertì distrattamente gli occhi di tutti su di
sé.
-Non mangi, cara?- le
chiese con un sorriso spazientito la sua accompagnatrice e Hikari
strinse le labbra sibilando qualche insulto.
Arata rise, attirando
l'attenzione su di sé. -Juliette, dai, lasciala stare. E'
normale che sia agitata.-
La ragazza si
alzò, ringraziando mentalmente lo stilista.
Non aveva
assolutamente intenzione di subire i rimproveri di quella oca
capitoliana, per di più quando aveva addosso un stress del
genere.
Eppure, quando si
sedette e posò il viso sulla spalla di Desarm, tutto le
apparve stranamente leggero e facile.
Intrecciò
le sue dita con quelle del ragazzo e lui le circondò i
fianchi con un braccio; Hikari socchiuse gli occhi in quell'abbraccio,
ignorando i commenti sarcastici di Enobaria sul loro comportamento.
La voce mielosa del
presentatore commentò i risultati dei Tributi del Distretto
1.
La sedicenne socchiuse
gli occhi cremisi, osservando distrattamente i visi di quei due;
sembravano pericolosi, molto pericolosi, con le loro espressioni fredde.
Ma stranamente questo
non la agitò. Voleva restare in quell'abbraccio per sempre.
La foto di Desarm
apparve sullo schermo e Hikari osservò con dolcezza il suo
viso. Un 8 danzò affianco al suo volto e la ragazza strinse
ancora di più le dita intorno a quelle del giovane,
sentendolo sorridere.
Anche lei sorrise: 8
era un bel punteggio, andava assolutamente bene.
Poi si
concentrò sulla televisione e i residui dell'agitazione di
prima la sfiorarono, ma non troppo.
Osservò
senza espressione la sua foto e poi rimase ferma, crucciando il viso
senza credere al punteggio che era apparso: 10.
10? Doveva essere un
sogno. Uno splendido e meraviglioso sogno.
Ci mise qualche attimo
ad assimilare che aveva ottenuto un voto altissimo e allora
balzò in piedi, esultando.
Anche Desarm
esultò con lei e la baciò, suscitando le
esclamazioni degli adulti -disgusto per alcuni, tenerezza per altri-.
Ma a Hikari non
importava un bel niente.
Fuggì il
prima possibile dalla stanza e si rintanò nel buio freddo
del corridoio.
-Sei stata bravissima,
principessa.- le sorride Desarm, baciandola.
La mora gli
pizzicò sorridendo il braccio. -Ti ho detto mille volte di
non chiamarmi principessa.- mormorò, senza nemmeno fingere
di essere offesa.
-Buonanotte,
principessa.- esclamò divertito lui, calcando
sull'appellativo e facendo sbuffare la ragazza.
Hikari
entrò nella sua stanza canticchiando una vecchia canzone
d'amore.
Si lasciò
scivolare nelle coperte, felice e serena come non era mai stata.
Si
addomertò subito, con il 10 che le lampeggiava sotto le
palpebre e la sensazione delle labbra di Desarm sulle sue.
**
Kiara socchiuse gli occhi, soffocando uno sbadiglio e tentando di
riprendere il filo del discorso.
Aveva finito la sua
zuppa da alcuni minuti e aveva rinunciato ad unirsi alla conversazione
con Ryuuji e Beetee da più o meno mezz'ora.
Sentiva lo stomaco
chiuso dall'agitazione e si era costretta a consumare la cena solo
perché Waaka l'aveva guardata talmente male appena aveva
provato a posare il cucchiaio da gelarla sul posto.
E poi, il colore dei
capelli della stilista non l'aiutava di certo a contenere la nausea.
Attese ancora qualche
attimo, dondolandosi sulla sedia e cercando di ascoltare il resoconto
di Ryuuji sulla sua sessione.
Rinunciò
subito; non riusciva a concentrarsi.
Sentiva un'agitazione
febbrile attanagliarla; quel senso di iperattività la
rendeva nervosa e insoddisfatta.
Fu più che
contenta di alzarsi per andare a vedere i risultati delle sessioni.
Mentre si accomodava
sulla poltrona, si chiese cosa stessero provando in quel momento Skylin
e Misaka. Pensare alle sue alleate la fece sorridere.
Il programma
iniziò e la voce leziosa del presentatore iniziò
a commentare.
Kiara
osservò curiosa Marina, la fredda ragazza dell'1, quella con
cui aveva scambiato qualche parola durante le sessioni, quella che
l'aveva fulminata con quegli occhi color ghiaccio così
brillanti e cupi al tempo stesso.
Rimuginò un
poco su quello sguardo, che era rimasto impresso a fuoco nella sua
mente; come scordare quelle iridi luccicanti di fredda irritazione?
Non prestò
la minima attenzione al resto dei Tributi, continuando a pensare a
quegli occhi; si accorse che erano arrivati al suo Distretto solo
quando vide il viso di Ryuuji apparire nello schermo.
Quando vide quella
foto, si vergognò; non gli aveva nemmeno chiesto come era
andata, come si sentisse. Lei, che prima aveva tanto desiderato la
compagnia di Midorikawa, ora lo ignorava in quel modo?
Alzò gli
occhi azzurri e incrociò un 7 che danzava sullo schermo;
rivolse al ragazzo un sorriso, il più luminoso che avesse
nel suo repertorio, come per farsi perdonare, e il verde
ricambiò, uno scintillio negli occhi.
Kiara si
sentì arrossire, ma cercò di dissimulare
l'imbarazzo volgendo di nuovo gli occhi verso la televisione.
La sua foto comparve
sullo schermo e la rossa trattenne stupidamente il respiro, tesa come
una corda di violino; poco dopo, un altro splendido 7 roteava
leggiadro, mentre la voce del commentatore faceva da vacuo sottofondo.
Si rilassò
improvvisamente, una frizzante felicità che le solleticava
il petto; andava tutto bene, 7 era un ottimo punteggio per lei, di
sicuro non avrebbe potuto aspettarsi di meglio e tutto sommanto era
anche alto.
Un 7, più
la bella figura che aveva fatto alla sfilata, più qualche
sorriso convincente durante l'intervista, sarebbero bastati per darle
un po' di sponsor?
Ma dopotutto, lei non
era così promettente. C'erano Tributi molto più
impressionanti di una ragazzina mingherlina e sorridente.
Si alzò,
improvvisamente restia dal stare in compagnia; dedicò uno
sguardo al televisore, che rifletteva i punteggi dei ragazzi del
Distretto 5, chiedendosi se valeva la pena di aspettare per vedere i
risultati di Misaka e Skylin.
Si disse che tanto non
sarebbe importato; però, mentre si incamminava nel corridoio
freddo, si sentì un po' come se le stesse tradendo, come se
fosse una ripugnante doppiogiochista.
Sospirò
stancamente, appoggiandosi alla parete; questi sbalzi d'umore non erano
da lei, affatto. Si lasciò scivolare lungo il muro, il volto
nascosto fra le braccia e le ginocchia tirate al petto.
Rimase in quella
posizione per minuti interminabili, scanditi dal ticchettio di un
orologio appeso alla parete.
Quel silenzio
innaturale fu rotto dal rumore dei passi che rimbombavano nel
corridoio; Kiara non ebbe nemmeno bisogno di alzare lo sguardo per
vedere chi fosse.
-Kiara.-
La sua voce era bassa,
roca, ma così calma da irritarla e tranquillizzarla insieme.
-Che vuoi, Ryuuji?- il
suo tono uscì molto più brusco di quanto avesse
voluto; alzò gli occhi, incatenandoli a quelli del verde.
Midorikawa
alzò un sopracciglio e la osservò per qualche
secondo dall'alto, poi sbocciò in un sorriso che fece
battere il cuore alla giovane.
-Dai, abbiamo preso
più della sufficienza.- le porse la mano per aiutarla ad
alzarsi e la rossa accettò la sua presa, confusa da quella
frase.
-Come se fossimo a
scuola.- precisò lui, vedendo la perplessità
della ragazza.
Kiara
scoppiò in una risatina priva di allegria. -Ma dai.- disse
solo, in un sibilo.
Non aveva voglia di
parlare con lui, non voleva stargli vicino; era strano, di solito si
era sempre trovata in simpatia con il ragazzo, ma ora la sua presenza
la metteva in soggezione.
Deviò lo
sguardo da un'altra parte e la cosa non sfuggì a Midorikawa,
che sbuffò.
-Senti,
cos'è successo? Com'è che improvvisamente non mi
parli più?- sbottò irritato il giovane,
guardandola arrabbiato. -Credevo fossimo amici.- borbottò
deluso e si affrettò ad andarsene, gli occhi lucidi di
lacrime di frustrazione.
La rossa rimase a
fissarlo mentre sbatteva la porta della sua camera e, in una sorta di
apatia infetta, si avviò verso la propria.
Si mise il pigiama e
infilò sotto le coperte con gesti meccanici, senza pensare.
Poi, vennero le
lacrime. Non voleva litigare con Ryuuji, non sapeva neanche lei cosa le
era preso.
E dopo le lacrime,
inevitabilmente, venne il sonno, che l'accompagnò nell'oblio.
**
Zoey teneva lo sguardo basso, l'espressione crucciata e offesa.
Non vedeva l'ora di
uscire da quella stanza.
Si era rifiutata
categoricamente di mangiare: era sicura che avrebbe vomitato se avesse
provato a ingoiare qualcosa.
Questo comportamento
non era tanto dovuto all'ansia per la sua sessione -tanto era sicura di
avere fatto un'ottima impressione-, tanto più a quello che
era successo appena era uscita dall'ascensore.
Aveva visto Mac -no,
Rionejo- confabulare con Mags e gli stilisti, con un'aria parecchio
complice; appena lei aveva fatto il suo ingresso, si erano zittiti e si
erano voltati a guardarla. L'avevano accolta come se non stessero
parlottando fra loro come un attimo prima.
Zoey si era sentita
quasi tradita da questo comportamento; era ovvio che Mac stava
progettando qualcosa e la mentore era in combutta con lui.
E visto che si parlava
di Hunger Games, la mora era certa che questa complicità la
metteva in grande svantaggio; se Mags avesse aiutato solo il ragazzo,
le sue probabilità sarebbero state molto meno.
L'entusiasmo della
prova riuscita alla perfezione era scivolato via in men che non si
dica, lasciando un profondo senso di abbadono mischiato a ribrezzo per
il loro comportamento.
La giovane era
crucciata e, oltre al senso di tradimento che l'aveva pervasa, doveva
fare i conti con una curiosità davvero lancinante.
Voleva sapere cosa
stavano borbottando alle sue spalle, che progetti tanto misteriosi
aveva Rionejo.
Con amarezza,
pensò che non avrebbe più dovuto dargli la grande
confidenza che gli aveva riservato; per quanto i suoi occhi fossero
dolci, lui era pur sempre determinato a vincere.
Si alzò e
seguì gli altri verso il televisore, dove i risultati
sarebbero stati emessi; ma Zoey era troppo immersa nelle sue
riflessioni per prestare tanta attenzione.
Osservò lo
schermo con occhi vacui, le parole del presentatore come sottofondo
indistinto; la sua espressione non mutò nemmeno quando il 9
di Rionejo apparve scintillando di fianco alla sua foto.
Non riuscì
comunque a impedire al suo cuore di iniziare a battere contro la cassa
toracica con forza dolorosa, nei pochi secondi d'attesa che la
separavano dal sapere il suo punteggio.
E infine, uno
splendido 10 danzò allegro sullo schermo.
La mora si concesse un
sorriso di vendetta, mentre una strana allegria maligna le sobbalzava
nel petto; sapere di essere in vantaggio sul ragazzo le aveva fatto
accantonare i problemi che la tormentavano -anche se per poco-,
concendendole di assaporare quella piccola vittoria personale.
Dopotutto, lei aveva
sempre saputo di essere migliore di Rionejo.
Dopo una decina di
minuti di chiacchere e commenti, i due Tributi furono spediti a letto
dal loro accompagnatore e si ritrovarono soli nel corridoio freddo.
Zoey esibiva un
sorriso sornione tutto denti e fu sorpresa dal veder sorridere anche il
ragazzo.
Le dava fastidio il
fatto che lui riuscisse sempre a confonderla; però, decise,
era il momento di prendere il coltello dalla parte del manico.
-Sei stato bravo,
Rionejo.- lo adulò con disinvoltura, senza suonare
civettuola o troppo soddisfatta. Semplicemente tranquilla, come a lei
piaceva apparire.
Un lampo
guizzò nello sguardo di lui. -Tu di più, Zoey. Ma
io l'ho sempre detto, che sei un fenomeno.-
La mora si trattenne
dal lanciargli un'occhiataccia per averla chiamata per nome. "Calma."
si disse.
-Non esagerare. Conto
solo sull'effetto sorpresa.- cercò di suonare modesta,
mentre gli strizzava l'occhiolino, facendo scintillare i suoi occhi
verdi nella penombra.
-Beh, è
tardi. Direi di andare a dormire, se no domani non ci alziamo
più.- le sorrise gioviale lui e a Zoey venne in mente un
modo infallibile per vedere quell'espressione serena rompersi e cadere
in mille pezzi.
Sì, quando
voleva sapeva essere davvero sadica.
Gli si
avvicinò, con il miglior sorriso enigmatico che sapeva fare,
e posò le labbra sulla guancia scura del giovane, che
diventò improvvisamente calda a quel contatto.
Sorrise leggermente,
sentendolo arrossire così.
-Buonanotte.- gli
sussurrò all'orecchio e poi si allontanò,
nascondendo un sorriso di pura vittoria.
Entrò in
camera, senza smettere di sorridere.
Un bacio, niente di
meglio per cambiare le carte in tavola. Un bacio sulla guancia, certo,
ma sarebbe bastato per scombussolare quell'equilibrio.
Rionejo aveva passato
tutto quel tempo a confonderla, fra sorrisi e complimenti, e ora
toccava a lei tenere le redini di quel gioco di sguardi.
E Zoey sentiva che
avrebbe vinto.
**
Hakai era troppo concentrata sulla cena per prestare attenzione alla
conversazione.
L'adrenalina che
l'aveva catturata dopo la sua sessione non si era ancora esaurita; la
bionda sentiva l'impellente bisogno di sorridere e non aveva motivo per
non soddisfarlo.
L'agitazione la
sfiorava ben poco e non era dell'umore giusto per tormentarsi con
pensieri negativi.
Era bello, dopo un
pomeriggio così intenso, poter mangiare del cibo sostanzioso
e sorridere.
Hakai si sentiva
avvolta da un sogno. Era una sensazione stranissima.
Il sapore salato della
zuppa le riempiva la bocca, mentre la voce di Hiroto che chiaccherava
con Yuujirou faceva da dolce sottofondo.
Appena la bionda era
uscita dall'ascensore, il rosso l'aveva abbracciata e le aveva chiesto
com'era andata. Hakai si era sentita felice e completa come non mai.
In quel momento, non
la preoccupava il fatto che legarsi a Kiyama fosse la cosa
più stupida che potesse fare. Ormai aveva poco tempo e non
aveva intenzione di sprecarlo negandosi attimi di spensieratezza.
Terminò
soddisfatta di cenare e tutti i presenti a tavola si alzarono per
andare a vedere i punteggi alla televisione.
Hakai non si dette
nemmeno la pena di lanciare un'occhiata di rimprovero al loro mentore,
ubriaco fradicio come al solito.
Si sedette sul divano
con Hiroto accanto; lui le passò un braccio intorno alle
spalle e la bionda si sentì inebriata dal profumo di muschio
bianco del ragazzo.
Sorrise,
semplicemente. Non aveva bisogno d'altro.
I volti dei Tributi
scorrevano sullo schermo, accompagnate da numeri che gli occhi azzurri
di Hakai non registravano e la voce del presentatore che la ragazza
sentiva come un brusio incomprensibile.
Si accorse di avere
sonno. E si accorse anche che avrebbe potuto addormentarsi fra le
braccia di Hiroto senza nessuna preoccupazione.
Arrossì
leggermente e si allontanò a malincuore da quell'abbraccio,
leggermente a disagio.
Non ebbe tempo di
prestare attenzione al suo cuore che batteva violento contro la cassa
toracica, però: la foto di Kiyama danzò sullo
schermo e Hakai si rese conto di avere i palmi delle mani sudati.
Probabilmente, si
disse, sto impazzendo.
Quasi non vide l'8 che
apparve nello schermo subito dopo la foto del ragazzo.
Con altrettanta
indifferenza vide il suo viso volteggiare con grazia nello schermo.
Osservandosi, si
ritrovò a pensare che sembrasse incredibilmente fragile;
quel pensiero la infastidì un poco.
E si disse che era
altrettanto fastidioso quel 7 che comparve subito dopo, come a
confermare la sua grazia e fragilità.
Le sembrò
di sentire la voce di sua madre ripetere dolcemente che più
un fiore è bello, più è fragile.
Ma a un fiore,
pensò quasi nel panico Hakai, non serve a niente la bellezza
se il suo stelo non riesce a resistere alle intemperie.
Si alzò di
scatto, richiamando l'attenzione dei presenti. Sentì la loro
accompagnatrice chiederle cosa aveva, ma non la considerò.
Uscì dalla stanza, come in trance.
Si bloccò
solo a metà del corridoio, quando sentì dei passi
affrettati seguirla.
Fu come risvegliarsi
da un sogno. Quel profumo di muschio bianco la invase e fece dissolvere
il panico. Hakai si guardò intorno quasi spaesata,
chiedendosi lei stessa cosa le era preso prima, che l'aveva fatta
uscire così.
Si sentì
arrossire e abbassò lo sguardo.
Inaspettatamente,
Hiroto sorrise e la bionda si sentì sciogliere.
Confermò la sua ipotesi di prima: stava impazzendo.
-Hai paura,
fiorellino? Dai, 7 è un buon punteggio.- le chiese il rosso,
un tono divertito e uno strano sorriso.
Hakai si perse fra i
riflessi del suo sguardo.
Le mani di Kiyama le
accarezzarono con dolcezza i capelli. -Non avere paura.- la sua voce
era profonda, ipnotica. -Non permetterò che ti uccidano. Sei
la mia principessa, ti proteggerò. Te lo prometto.-
E tutto perse senso
quando le labbra di Hiroto si posarono sulle sue, in un contatto magico
e folle. La giovane non capiva niente di quello che stava succedendo,
ma non le importava. Si ubriacò di quel profumo e si
aggrappò alla camicia del ragazzo, mentre lui le cingeva i
fianchi con le braccia.
Hakai
riuscì solo a pensare che quello che era il suo primo bacio.
Eccolo, l'abbraccio dell'oblio.
Dopo qualche attimo
però Kiyama si allontanò e le baciò la
fronte, come a chiedere scusa per quel bacio proibito.
Dopo, la bionda si
ritrovò in camera, avvolta nelle coperte e non seppe dire
come ci era arrivata. Tutto era diventato confuso dopo quel bacio:
l'unica cosa che riusciva a rievocare era il dolcissimo sapore delle
labbra di Hiroto, come se dopo quell'attimo la sua mente avesse smesso
di ragionare.
"Hiroto Kiyama mi ha
baciata" riuscì solo a pensare e quelle parole si ripeterono
come una mantra, fino a dissolversi nel torpore del sonno.
Si
addormentò.
**
Hakaikuro si dondolò distrattamente sulla sedia,
socchiudendo seccata gli occhi.
Appena era uscita
dall'ascensore era stata letteralmente placcata dal loro accompagnatore
e costretta a raccontare cosa avesse fatto, sotto lo sguardo divertito
di Fudou.
La mora non vedeva
l'ora di potersene finalmente andare da quella stanza.
Non le importava
neanche di vedere i risultati; dopotutto, i giudizi di quel branco di
idioti non la preoccupavano.
Conosceva le sue
potenzialità e i suoi difetti e non aspettava certo che
fossero gli Strateghi a dirglieli.
Era veramente
annoiata: l'addestramento era stata una perdita di tempo - dopotutto,
se uno è incapace, resta incapace - e il resto di stupidi
eventi capitoliani ancora di più.
Mancavano ormai pochi
giorni all'entrata nell'Arena e l'eccitazione cominciava a brulicare
dentro di lei.
Finalmente il suo
momento di gloria sarebbe arrivato! Era deliziata al solo pensiero di
tutta quella sciocca marmaglia di ragazzini che avrebbero tremato di
fronte a lei.
Ma ora non poteva fare
altro che fremere su quella sedia e costringersi a deglutire una zuppa
troppo salata per i suoi gusti e fantasticare.
Si sentiva come una
bestia in gabbia in attesa di essere liberata.
In effetti,
considerò soffocando uno sbadiglio, era un paragone
azzeccato.
Appena le fu concesso,
Hakaikuro si alzò di scatto, avviandosi di fretta verso la
televisione e lasciandosi cadere sul divano.
Voleva andarsene al
più presto da quella stanza.
Akio si
chinò su di lei. -Dopo dobbiamo parlare.- le
sussurrò all'orecchio, poi si andò a sedere
dall'altra parte del divano, quanto più lontano possibile da
lei.
La mora
inarcò incuriosita le sopracciglia aguzze, chiedendosi cosa
avesse di tanto importante da dirle.
Fudou Akio era quanto
di più affascinante avesse mai incontrato,
riflettè fra sè mentre il programma iniziava,
anche se ammetterlo le costava bruciare buona parte di orgoglio.
Ebbene sì,
il ragazzo la attraeva come nessuno aveva mai fatto. La mora non
conosceva quella sensazione a cui non era sicura di voler dare un nome.
Quella situazione la
infastidiva molto. Quando lui era vicino, una crescente agitazione e
confusione la attanagliava. Hakaikuro aveva adottato la strategia
dell'indifferenza: se erano lontani, tanto meglio, se erano vicini, gli
parlava il minimo indispensabile ed evitava accuratamente di incrociare
i suoi occhi.
Era davvero un
comportamento umiliante per una combattente come lei, ma non poteva
fare altrimenti.
Si sottrasse a forza
da quelle considerazioni, concentrandosi sullo schermo.
Akio aveva preso un 9;
davvero ottimo, anche se Hakaikuro questo lo sapeva già.
L'aveva osservato molto durante l'addestramento e aveva concluso che
non era niente male.
Guardò
freddamente lo schermo, fissando senza interesse la propria foto. Il 10
che ne seguì la lasciò abbastanza indifferente,
anche se non riuscì ad impedire che una sensazione di
trionfo la pungolasse.
Se lo aspettava,
dopotutto. Si sarebbe sorpresa per un punteggio minore di quello che le
era stato assegnato; dopotutto lei era l'unica ad avere un'esperienza
nel campo.
Subì
passivamente i complimenti e il lungo discorso congratulativo
dell'accompagnatore. Si scambiò uno sguardo esasperato con
Akatama e provò quasi pena per lo stilista, costretto a
subirsi ogni anno quello sciocco lezioso del capitoliano.
Provò un
enorme sollievo quando si ritrovò nel corridoio deserto,
lontano da quella voce troppo acuta e dal calore eccessivo della stanza.
Rimase appoggiata al
muro, mentre Fudou la raggiungeva. Attese che fosse lui a parlare e si
limitò ad osservare i giochi di ombre che le luci soffuse e
asettiche del corridoio disegnavano sulla pelle d'alabastro del ragazzo.
-Complimenti, hai
ottenuto un ottimo punteggio.- esclamò lui con un'ombra
ironica nel tono; la mora assottigliò seccata gli occhi
onice.
-Basta con i
convenevoli, Fudou. Che vuoi?- ribattè gelida, continuando a
fissarlo. Un sorrisetto si disegnò sulle labbra del ragazzo,
facendole apparire misteriosamente invitanti agli occhi della giovane.
-Cosa voglio, dici? Ti
voglio nella mia squadra.- rispose tranquillamente lui, mantenendo quel
sorrisetto divertito.
Hakaikuro
inarcò stupita le sopracciglia. Era l'ultima cosa che si
sarebbe aspettata. -Prego?- domandò infatti, scettica.
-Chiariamo subito la
faccenda. Io non ti sopporto, tu non sopporti me. La cosa è
reciproca.- sibilò e la ragazza non potè che
trovarsi d'accordo. -Però devo ammettere che sei una valida
avversaria. I Favoriti mi hanno invitato nel loro gruppo e io ho
proposto anche te nell'alleanza.- concluse e alzò gli occhi
argentei, per puntarli in quelli oscuri della ragazza.
Per un attimo, la mora
fu infastidita dal fatto che Fudou avesse già deciso per
lei. Poi, la portata di quell'alleanza la raggiunse ed la
esaltò.
-Favoriti, eh?- un
sorriso maligno lampeggiò sulle labbra sottili della
ragazza. -Mi piace.- disse in un sussurro e anche Akio
ghignò, porgendole la mano.
-Allora ci stai?-
domandò e Hakaikuro scorse uno strano brillio nei suoi
occhi, una luce che le mandò i brividi lungo la schiena.
-Sì.- e
strinse quelle dita fredde, suggellando un'alleanza che andava oltre
all'unione delle loro mani. Era un vincolo, una promessa. Considerare
Akio un'alleato appianava molte delle sue divergenze sentimentali e le
risparmiava scomode elucubrazioni. I Favoriti erano i lupi che
divoravano gli altri Tributi, in quei Giochi maledetti, e la mora non
desiderava altro che quello.
Quella notte,
Hakaikuro non ebbe incubi. Il pensiero che finalmente lei e Fudou erano
legati da qualcosa tenne a bada i fantasmi e la cullò in un
dolce oblio.
**
Annalisa se ne stava appoggiata alla sedia, le braccia incrociate e le
labbra arricciate in un sorriso leggero.
Sì, era
così che si sentiva. Leggera. Non allegra, o felice,
soltanto leggera.
Dopo la sua sessione
tutto era filato liscio come l'olio; aveva passato la sera a
chiaccherare, nascondendosi dietro a un sorriso sbarazzino.
Non voleva che quella
sensazione di serenità si spaccasse, perché dopo
tanti giorni di angoscia e inquietudine quella felicità se
la meritava.
Le spettava di
diritto, dopotutto. E aveva paura che con un passo falso quella bramata
tranquillità le scivolasse via di mano.
La ragazza socchiuse
gli occhi smeraldini, facendo scorrere lo sguardo sui presenti fino ad
arrivare a Shuuya.
Oh, Shuuya. Era il suo
più grande enigma, l'entità che minacciava
più di tutte la sua serenità.
Il resto dei suoi
problemi riusciva ad abbatterli, più o meno facilmente,
aiutata anche dal pensiero che Amelia e Natsumi erano sue alleate e non
l'avrebbero abbandonata.
Ma Gouenji era
qualcosa che andava oltre alla paura di morire. Era un problema
totalmente diverso. Un problema che aveva a che fare con battiti troppo
accellerati del cuore e rossore sul viso.
Non sapeva come
gestire quella sensazione nuova. L'unica esperienza simile che aveva
mai avuto era stata la classica cotta per il ragazzo più
grande che aveva avuto ad undici anni ed era durata sì e no
qualche mese.
Erano un po' gli
stessi sintomi di quella volta, solo molto più intensi.
E non andava bene.
Solitamente, la riccia
avrebbe riso in faccia a quest'ultima considerazione, ripetendosi che
gli altri se la sarebbero fatta andare bene, questa situazione.
Però in
questo momento non erano gli altri a preoccuparla. A non voler
accettare la cosa era lei, questa volta.
Il fatto era che con
il biondo nelle vicinanze Annalisa sentiva vacillare tutte le sue
certezze. Sentiva, nell'antro più pericoloso del suo cuore,
che per quegli occhi profondi avrebbe donato anche la sua stessa vita.
Arricciò il
naso, increspando le labbra. Non aveva intenzione di perdersi di nuovo
in quei pensieri sottili che finivano solo per confonderla.
Fu lieta di potersi
alzare e concentrarsi su qualcos'altro che non fosse Gouenji.
Si avviarono verso il
televisore e Annalisa si sedette trepidante.
Pian piano,
riuscì a seppellire i suoi dibattiti interiori,
concentrandosi su cose più presenti, più
concrete. E arrivarono le preoccupazioni.
Come era andata la sua
sessione? Strinse nervosamente la piuma di sua madre, mordicchiandosi
le labbra piene.
I primi Distretti,
come al solito, ottennero risultati eccellenti. Mentre i visi dei
Tributi scorrevano sul televisore e un commentatore capitoliano faceva
squillare la sua voce dall'accento stupido, la castana si chiese per la
prima volta nella serata se quello che aveva fatto nella palestra
sarebbe bastato.
Si chiese se spaccare
la custodia della scure aveva dimostrato qualcosa, agli occhi degli
Strateghi. Si chiese se sarebbe mai riuscita ad apparire letale davanti
a loro.
Non era mai stata
brava a sopravvalutarsi, però non credeva che sarebbe andata
così male.
Non le sembrava di
essere così debole, ma, dopotutto, chi era lei per
giudicarsi?
Quando finalmente
arrivarono al suo Distretto, Annalisa fece guizzare preoccupata gli
occhi sullo schermo.
Shuuya aveva preso un
8; la riccia attese guardando quasi implorante la sua foto, come se
potesse darle delle risposte.
E poi, alla fine, uno
scintillante 7 apparve sullo schermo, strappandole un sospiro di
sollievo.
Avrebbe potuto andare
molto peggio. Il suo era un risultato positivo e dignitoso,
nè troppo alto nè troppo basso. Mediamente buono,
come era sempre piaciuto a suo padre.
Nel pensarlo, la
castana sorrise. Era vero: l'uomo aveva sempre detto che troppo poco
non andava bene, ma nemmeno esagerare era giusto.
Si chiese se lo stesse
dicendo anche in quel momento, sorridendo e chiamandola "la mia Nali".
I due Tributi attesero
fino alla fine del programma, chiaccherando con Blight e Samanta dei
loro risultati.
Quando la loro
accompagnatrice li spedì a letto, si ritrovarono per la
prima volta soli in quella serata.
Annalisa
avvertì un leggero imbarazzo nell'aria e si morse a disagio
le labbra.
Cosa poteva dirgli?
Non lo sapeva. Cosa si dice, di solito, a un tuo nemico mortale che
però ti piace?
Non si era mai posta
questa domanda e si accorse solo dopo di aver ammesso a se stessa che
Shuuya le piaceva.
-Allora... Sono in
vantaggio.- fu lui a parlare per primo, sorridendo sghembo e con un
divertito tono di sfida.
Lieta che fosse stato
il ragazzo a inziare il discorso, Annalisa gli sorrise di rimando.
-Ancora per poco.
Troverò un modo per rovesciarti dal tuo trono, caro il mio
principino.- ribattè con lo stesso tono la castana,
facendogli la linguaccia.
Si guardarono qualche
secondo e poi una scintilla illuminò gli occhi di lui;
sfruttando l'effetto sorpresa, afferrò la ragazza per i
fianchi, tirandola in un goffo abbraccio.
-Se io sono il
principe, allora tu sei la mia principessa.- le soffiò
all'orecchio, facendola rabbrividire. Annalisa arrossì e
alzò lo sguardo per ribattere, ma Shuuya fu più
veloce.
Posò le sue
labbra su quelle della ragazza, che spalancò gli occhi
smeraldini.
Fu questione di pochi
attimi e Gouenji, mantenendo quel sorriso magnetico, la
lasciò andare, senza mancare però di
scompigliarle i capelli.
Le sussurrò
la buonanotte con tono divertito e sparì nella sua stanza,
lasciandola a bocca aperta nel corridoio.
La riccia si
portò le dita alle labbra, dove quelle del biondo si erano
posate.
Gouenji Shuuya
l'aveva... baciata?
Fu scossa da un
brivido e si rintanò in camera, sotterrandosi sotto le
coperte.
Era confusa. Non
poteva negare a se stessa che quel bacio le era piaciuto, e anche
tanto, però non era giusto. Non poteva essere innamorata di
lui, semplicemente non poteva.
Affondò nel
sonno precipitando, sottraendosi ai pensieri e cullandosi nel buio
familiare dell'incoscienza.
**
Misaka sedeva al tavolo con l'espressione imbronciata di chi vorrebbe
essere in qualunque altro posto meno quello in cui è.
La frustrazione e
rabbia che l'avevano colta durante la sua sessione continuavano a
roderle il petto; si era chiusa in un silenzio assoluto e rifiutata
categoricamente di mangiare.
Cecelia aveva provato
a strapparle qualche parola sulla sua sessione, ma la bruna non aveva
affatto collaborato, limitandosi ai monosillabi e agli sbuffi. Dopo
molte di quelle risposte insoddisfacenti, anche la mentore si era
stancata e l'aveva lasciata in pace.
La ragazza era
seccata. Odiava gli Strateghi. Odiava Capitol City. Odiava quegli
stupidi Hunger Games. E odiava più di tutti il giudizio
idiota che da lì a poco le avrebbero dato.
La rabbia le rodeva lo
stomaco. Ignorarla in quel modo! Come si erano permessi?! Il loro unico
compito era guardare i Tributi, non potevano non farlo!
L'idea di essere stata
surclassata da un banchetto era abbastanza deprimente.
Non si pentiva affatto
di aver scagliato quel coltello verso gli Strateghi. Non potevano farle
niente, dopotutto a Capitol City serviva un Tributo femmina del
Distretto 8. Al massimo, pensò facendo distrattamente
tintinnare le dita sul bicchiere di cristallo, l'avrebbero uccisa in
modo cruento nell'Arena.
Venne ridestata dalla
risata di Haruya; alzò frastornata gli occhi cobalto,
cercando quelli dorati del rosso.
Non stava seguendo il
discorso del ragazzo con Lucy, ma quel suono la ipnotizzò.
Sbuffò.
Aveva già abbastanza problemi da sola, senza che ci si
mettesse anche Nagumo a confonderle le idee. La malinconia che l'aveva
presa prima della sua sessione era stata completamente spazzata via
dalla rabbia per essere stata ignorata e non aveva intenzione di
farsela tornare.
Haruya e gli
scintillii potevano anche aspettare. Ora il suo problema più
grande erano i risultati delle sessioni.
Per quando potesse non
importarle, erano importanti. Il numero di persone disposte a
sponsorizzarla sarebbe stato in gran parte determinato da quel voto e
l'idea di essersi giocata gli sponsor per la sua dannata testa calda
era inammissibile.
Si disse, quasi per
consolarsi, che almeno suo padre sarebbe stato fiero di lei e del suo
animo ribelle.
Quando tutti ebbero
finito di cenare, si alzarono per andare a vedere i risultati alla
televisione.
Cecelia le dette un
buffetto sulla testa e Haruya sbuffò visibilmente,
lasciandosi cadere sul divano e lanciandole un'occhiataccia.
Misaka
ricambiò sfacciatamente quello sguardo; non poteva farci
niente, lei, se la mentore le voleva bene. Che Nagumo si adattasse! Non
era un problema suo.
Si sedette accanto al
ragazzo, con cui scambiò uno sguardo al veleno.
No, si disse, non
brillava nessuna scintilla in quegli occhi color miele.
In un'altra occasione,
quella considerazione l'avrebbe rattristata, ma non era dell'umore
adatto per dar peso a certe sottigliezze.
Il programma
partì e i risultati iniziarono ad essere trasmessi. Misaka
si sporse e individuò il voto di Kiara.
Tsk, quella bimbetta
non era mica da sottovalutare! Si sentì quasi orgogliosa
mentre lo pensava, come se fosse merito suo.
Attese svogliatamente,
osservando i Tributi sfilare davanti ai suoi occhi.
Vide Nagumo esultare
silenziosamente per il buon voto di quel Hiroto Kiyama, il ragazzo del
5. Misaka non potè impedire a una punta di gelosia di
pungolarla, capendo che Nagumo aveva stretto un'alleanza con
quell'altro rosso.
Il loro Distretto
arrivò troppo presto per i suoi gusti. Cercò di
assumere un'aria indifferente, ma non era brava a mascherare le
emozioni.
Una goccia di sudore
freddo le scivolò lungo il collo, mandandole un brivido.
Nagumo aveva preso 9;
lui le indirizzò un'occhiata vittoriosa e Misaka
alzò infastidita il mento, mandandolo mentalmente al diavolo.
Quei secondi di attesa
furono logoranti; non voleva perdere quella sfida con Haruya, anche se
dentro di sè sentiva che non doveva farsi false speranze.
Un brivido. Poi, un
brillante 10 volteggiò per lo schermo, lasciandola a bocca
aperta.
Quando
realizzò che aveva preso un voto altissimo, proruppe in un
grido di gioia, scattando in piedi.
Il volto di Nagumo si
oscurò, forse per la rabbia di essere stato battuto. La
bruna lo guardò con aria di superiorità, mentre
Lucy trillava elogi verso di lei e Cecelia l'abbracciava stretta.
10! Era un voto
così alto che quasi le toglieva il fiato, specialmente
perché il suo non era un Distretto fra i Favoriti ed era
raro che raggiungesse vette così alte.
L'orgoglio la invase
come un fiume in piena, facendola sorridere, sorridere, sorridere. Si
dimenticò totalmente della frustrazione che prima
l'attanagliava.
Rimase nella stanza a
sentire le complimentazioni degli adulti fino alla fine del programma.
Sarebbe rimasta anche oltre; il sonno non la sfiorava minimamente e il
successo le mandava brividi di adrenalina per la schiena, invogliandola
a sorridere ancora di più.
Però la
loro accompagnatrice li spedì a letto e i due Tributi non
poterono che obbedire.
Misaka voleva burlarsi
di Nagumo, voleva prenderlo in giro e ridere di lui.
Si sentì
quasi in colpa mentre lo pensava, ma scacciò quella
sensazione con un sorriso di vittoria. Dopotutto, aveva il diritto di
essere orgogliosa.
Ma inaspettatamente,
Haruya sogghignò verso di lei. -Ti sei montata la testa, eh?
Povera, piccola illusa.- ridacchiò e un ombra
oscurò gli occhi cerulei della bruna. Si impose di non
insultarlo.
-Tsk, lo dici solo
perché ti ho battuto.- esclamò altezzosa,
incrociando le braccia al petto.
La risata di Haruya
ebbe il potere di farle mancare la terra sotto ai piedi. Dannazione,
perché doveva essere così bello mentre rideva?
-Aspetta e ti
ricrederai. Perché sai, Misaka, tutti abbiamo qualche asso
nella manica.- e l'unica cosa che la bruna riuscì a pensare,
fu che il suo nome era bellissimo pronunciato dalla voce del ragazzo.
Si limitò a
guardarlo sospettosa, senza riuscire a pensare a un modo per
rispondergli.
Haruya si
avvicinò fino ad essere a un palmo dal suo viso e
sfregò il naso contro al suo, facendola arrossire
furiosamente.
-C-Che diavolo fai?!-
esclamò lei, indietreggiando imbarazzata.
Lui rise ancora.
-Ricordati che ho sempre io il coltello dalla parte del manico. E non
sarà uno stupido 10 a cambiare qualcosa.- ammiccò
e, con uno strano bagliore nello sguardo, sparì dietro la
porta della sua camera.
Misaka rimase immobile
nel corridoio, le guance ancora bollenti d'imbarazzo.
-Vai al diavolo...-
bofonchiò sottovoce per poi correre dentro la sua camera.
Haruya riusciva sempre
a confonderla ed era una cosa veramente odiosa. Non riusciva a
sopportare il potere che il rosso aveva sulle sue emozioni.
Sprofondò
fra le coperte e si addormentò di schianto, con l'immagine
del viso di Haruya, così vicino e invitante.
**
Natsumi appoggiò il viso al palmo della mano, assottigliando
annoiata gli occhi.
Aveva mangiato di
malavoglia, giusto per accontentare il loro accompagnatore; non aveva
intenzione di parlare con Daniel, men che meno con Kazemaru, quindi non
le restava che aspettare il momento in cui sarebbe uscita da quella
stanza.
Affondò le
mani nei capelli, sospirando leggermente; aveva evitato totalmente ogni
contatto con il turchese, non volendo subire di nuovo la sensazione che
l'aveva scossa prima della sua sessione.
Sul serio, di
illudersi non ne aveva più voglia. Si era presa una
stupidissima cotta per Ichirouta e, si disse, era arrivata l'ora di
ammetterlo a se stessa.
La cosa, stranamente,
le lasciava una fastidiosa irritazione al centro del petto, non la
classica marea di preoccupazioni che di solito aveva provato quando si
era innamorata.
Era avvolta in una
stanchezza pressante che la rendeva insofferente a qualsiasi cosa.
Decisamente, non vedeva l'ora di poter affondare nelle coperte e
dormire, lasciare che i suoi pensieri venissero divorati
dall'incoscienza.
Ecco come si sentiva:
stanca di pensare.
Era paradossale,
perché era quello il momento in cui si sarebbe dovuta
affrettare a pensare all'intervista che presto avrebbero fatto, ma non
aveva voglia di pensare più a nulla.
Ancor meno a Ichirouta
e la sua cotta adolescenziale. Con una dolorosa freddezza, aggiunse che
probabilmente sarebbe stata la sua ultima cotta adolescenziale. Il
secondo pensiero avrebbe dovuto colpirla, ma la lasciò
indifferente.
Quando tutti ebbero
finito di mangiare, si alzò e si andò a sedere
sul divano, davanti al televisore che fu prontamente acceso da Xerxes.
Lo stilista le
strizzò l'occhiolino e le lanciò una caramella
dal suo inseparabile sacchetto. Natsumi osservò la carta
colorata e la strinse nel palmo, senza aprirla.
Il programma
iniziò e la stanza si riempì dei commenti del
presentatore. La sua voce era una fastidiosa nenia indefinita alle
orecchie della rossa.
Registrò
con assoluta indifferenza l'alto punteggio di Annalisa e il lampo di
vittoria sul viso di Kazemaru quando vide il risultato del ragazzo del
7 non sfuggì ai suoi occhi attenti.
Probabilmente, aveva
stretto un'alleanza con quel biondino dallo sguardo profondo. Era un
pensiero che avrebbe dovuto esserle indifferente come gli altri, ma che
la pungolò leggermente.
Stizzita,
riportò l'attenzione sullo schermo: Kazemaru aveva preso un
7.
Rimase gelidamente
immobile, senza riscontrare reazioni. A volte, la sua freddezza era
così tranquillizzante... Voleva dire che andava tutto bene.
E fu piacevole sentire
che anche il suo 9 non intaccò l'aura fredda che l'aveva
avvolta.
9... Era alto. Ma
dopotutto non si aspettava certamente un voto basso, lei che era stata
addestrata sin da bambina.
Attese fino alla fine
del programma, per non perdersi il punteggio di Amelia.
Le congratulazioni del
gruppo di capitoliani non la sfiorarono minimamente. Si
limitò a stringere più forte la caramella e
scambiarsi un'occhiata con Xerxes. L'uomo le sorrise calorosamente e
Natsumi distolse lo sguardo.
Davanti a quel
sorriso, si sentiva a disagio, anche se non sapeva spiegarsi
perché.
Il silenzio del
corridoio vuoto, come aveva immaginato, fu tranquillizzante.
Ma la sensazione di
serenità sparì in fretta, quando la rossa si rese
conto che ora niente poteva salvarla dallo scontro con Ichirouta.
Arrossì,
cercando disperatamente una via di fuga. Non voleva parlargli, non ora
che era così confusa!
Il sospiro del
turchese la fece gelare sul posto.
-Chissà
come deve essere bello, avere un genitore che ha vinto gli Hunger
Games.-
Natsumi rimase ferma.
Non sapeva cosa rispondere e Kazemaru di certo non si aspettava che lei
dicesse qualcosa.
-Ti invidio tanto,
sai? Per te è sicuramente tutto facile. Sei avvantaggiata,
in confronto agli altri. Anche io scommetterei su di te, se potessi
farlo. Con un po' di fortuna, hai la vittoria in tasca.
Chissà come deve essere bello e semplice, per te.-
Kazemaru
alzò lo sguardo, incatenando i loro occhi. Natsumi non disse
niente. Si sentì sconfitta, sfinita. Era stanca, stanca di
fingere, stanca di giocare, stanca di pensare, stanca.
Prese un profondo
respiro che sapeva di polvere.
-Tu non capisci.-
mormorò solo, distogliendo lo sguardo. -Io... Io non volevo
essere qui. Era il sogno di mia madre e io lo sostenevo per non
deluderla. Ma non l'ho mai voluto.- Era l'unica cosa che le era venuta
in mente. Ed era vera.
Finalmente l'aveva
detto a qualcuno. Prima che riuscisse a fermarla, una lacrima
scivolò sulla sua guancia.
La asciugò
brutalmente. Era una stupida.
Kazemaru
l'abbracciò. Profumava di bei sogni. Affondò il
viso nei suoi capelli e pianse.
Non sapeva per cosa
stava piangendo. Piangeva per tutto. Piangeva per le parole mai dette e
per la paura. Piangeva, semplicemene.
Era liberatorio e poi
Ichirouta aveva un così buon odore. Pianse anche per quello,
per quell'amore sciocco che l'avrebbe distrutta. Lo sapeva.
Rimasero fermi, i due
Tributi, dondolandosi in quell'abbraccio per un tempo infinito. Il
turchese le sussurrò all'orecchio parole che Natsumi non
sentì, ma che ebbero l'effetto di calmarla.
Si allontanarono
piano, lentamente, quasi avessero terrore di rompersi se si fossero
staccati troppo in fretta. Si guardavano negli occhi.
Kazemaru le
sistemò una ciocca fulva dietro all'orecchio, con un sorriso
intenerito che fece battere il cuore alla giovane. Le labbra di
Ichirouta le sfiorarono la guancia umida e, sussurrandole la
buonanotte, il turchese sparì nella propria camera.
Natsumi
entrò nella sua barcollando, distrutta. Si lasciò
cadere fra le coperte, ma non pianse. Aveva pianto abbastanza, per
quella sera. Strinse solo la caramella di Xerxes, ancora intatta.
Sprofondò
nel sonno con una dolcezza che sapeva di disperazione, con le cicatrici
delle lacrime ancora impresse nelle gote.
**
Roxie si dondolava sulla sedia, sorridendo allegra.
Appena era uscita
dall'ascensore aveva provato ad attaccare bottone con Yuuto. Purtroppo,
Kidou non era molto propositivo: era rimasto con il naso affondato nei
suoi dati anche durante la cena, suscitando l'irritazione della loro
accompagnatrice.
La rossa era
amareggiata, ma cercava di non darsi per vinto; il comportamento del
castano era ingiusto e le lasciava in bocca il gusto amaro della
delusione.
Non sapeva
precisamente cosa si aspettava; però, dopo le chiacchere sul
treno, pensava... Non lo sapeva neanche lei cosa pensava, cosa sperava
di aver creato con il ragazzo.
Era tutto
così confuso: l'unica cosa che sapeva per certo era che non
voleva essere ignorata in quel modo da Kidou.
Si sentiva anche
abbastanza stupida, per essersi illusa. Come una bambina sciocca a cui
è stata negata la caramella prima promessa.
Che poi, quel paragone
era stupido: Yuuto non le aveva promesso assolutamente niente, aveva
fatto tutto da sola. Era un pensiero così triste...
Però non si
sarebbe affatto arresa; avrebbe parlato con Kidou dopo, anche a costo
di spingerlo contro un muro e cavargli le parole a forza.
Nascose dietro al
cucchiaio di zuppa una risatina che quella situazione immaginaria le
aveva fatto salire in gola.
Non era dell'umore
giusto per farsi le paranoie. Per quelle, aveva tutta la notte a
disposizione.
Passò la
cena chiaccherando del più e del meno con Leila; i
manicaretti capitoliani erano deliziosi e ne mangiò fin
quando non le fece male la pancia. Dopotutto, chissà quando,
nell'Arena, avrebbe fatto un pasto decente. Il minimo che poteva fare
era abbuffarsi finché ne aveva la possibilità!
Appena tutti ebbero
finito di mangiare, si spostarono davanti alla televisione per vedere i
risultati delle sessioni private.
Roxie non era per
niente preoccupata; non era mai stata brava a sottovalutarsi e
conosceva le sue capacità.
-Ta-ta-ta-taaaannn...-
momorò appena si fu seduta, per smorzare la tensione,
imitando il suono grave del pianoforte e muovendo le dita in aria come
se stesse premendo dei tasti.
Kidou, di fianco a lei
sul divano, scosse la testa, in un modo che doveva essere sconsolato,
ma si tradì con un sorrisetto divertito e alquanto
rassegnato.
A quella reazione, la
rossa si rilassò e gli sorrise di rimando.
Era felice di riuscire
a farlo sorridere, perché la luce che gli brillava negli
occhi vermigli quando lo faceva era semplicemente meravigliosa.
Il programma
iniziò e Roxie passò in rassegna di ogni Tributo
man mano che le loro foto sfilavano sullo schermo.
I punteggi era molto
alti, per tutti. Iniziava a sentire una leggera tensione attanagliarle
la gola.
Fu felice per il 7 di
Hakai. Non avevano stretto una vera e propria alleanza, in
realtà, ma le piaceva pensare alla bionda come a un'amica.
Arrivarono al
Distretto 10 troppo presto; si era ripromessa di non agitarsi, ma
avvertiva l'ansia crescere, mentre la foto di Yuuto appariva sullo
schermo.
I commenti del
presentatore erano inascoltabili per lei, niente di più che
un misero sottofondo.
Il 9 di Kidou la fece
sorridere e si premurò di stringere la mano al ragazzo per
comunicargli la sua allegria. Il castano arrossì lievemente
a quel contatto e le dedicò uno sguardo strano, che la
giovane non riuscì a decifrare.
Il suo volto apparve
subito dopo; stranamente, i secondi di attesa non furono logoranti e il
suo 8 ebbe solo l'effetto di sciogliere quel nodo d'ansia che le si era
creato in gola.
Le sue labbra carnose
si dischiusero in un bellissimo sorriso soddisfatto; era da tanto che
il suo Distretto non otteneva punteggi così alti!
L'allegria le
montò nel petto con una velocità disarmante e si
ritrovò a festeggiare con gli adulti.
La loro
accompagnatrice aprì una bottiglia di champagne e brindarono
al successo del loro Distretto.
Per quei minuti, Roxie
dimenticò totalmente di essere delusa, amareggiata e in
collera con Kidou.
Sentiva solo una
grande voglia di sorridere, come se tutto andasse e sarebbe sempre
andato bene.
Era una bella
sensazione, tutto sommato. Presto però furono mandati a
letto dal buon senso di Leila, che non voleva avere i Tributi stanchi,
la mattina dopo, quando avrebbe dovuto prepararli per l'intervista.
Nel fresco del
corridoio si lasciò sfuggire un sospiro stanco, ma contento.
Era felice che la sessione privata fosse andata bene; iniziava a vedere
delle possibilità di tornare a casa da Mia e la nonna e
ciò bastava a farle dimenticare tutto.
Tutto, meno un piccolo
conto in sospeso con Yuuto.
Stava per parlare, ma,
con sua somma sorpresa, fu Kidou ad andare verso di lei.
La guardò
un attimo e le parve terribilmente indeciso, terribilmente fragile;
Roxie si crucciò, chiedendosi che cosa turbasse in questo
modo il castano.
Lui aprì
bocca un paio di volte, ma la richiuse subito.
-Tutto bene?-
domandò con voce sommessa la ragazza, posando una mano sulla
spalla di Yuuto.
Il giovane
sospirò e le prese le mani, depositandoci dentro un
bracciale.
La rossa lo
guardò perplessa; non capiva il nesso fra il comportamento
del ragazzo e quell'oggetto.
-Me... Me l'ha dato
Haruna.- disse lui, sommessamente, per poi scuotere leggermente la
testa. -Ma tu lo meriti più di me. Eri sua amica e lei si
fidava di te. Tienilo.- parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi
si voltò e sparì nella sua camera.
Roxie rimase immobile,
stupita e confusa. Guardò il braccialetto; era intrecciato a
mano con lo spago chiaro, insieme a perline colorate che formavano una
gradevole sequenza. A tutte le bambine insegnavano, a scuola, a fare
bracciali come quelli; Mia gliene aveva regalati a centinaia.
Se lo
allacciò al polso, assorta, per poi entrare in camera.
Sentiva che sotto le
parole di Kidou c'era qualcosa, un significato che non riusciva ad
afferrare.
Quella notte prendere
sonno fu tremendamente difficile.
**
Skylin sorrise.
Per tutta la cena, non
aveva fatto che quello.
Trovava la situazione
buffissima, paradossale: aveva rotto il campo di forza che proteggeva
gli Strateghi... cantando?
Ridacchiò
sommessamente. La piccoletta del Distretto 11 che li faceva sfigurare
in questo modo! Dovevano vergognarsi moltissimo in questo momento.
Era certa che questo
fatto non si sarebbe divulgato, però Skylin, nel suo
piccolo, si sentiva tremendamente soddisfatta, come se avesse
già una piccola vittoria nella sua collezione.
Non vedeva l'ora di
raccontare a Kiara e Misaka com'era andata.
In realtà,
era parecchio strano: non pensava che i campi di forza si potessero
rompere con le onde sonore eccessivamente acute. Non era mai stata un
genio nelle materie scientifiche, però le sembrava una cosa
da fantascienza.
Non che le desse
fastidio aver arrecato tanti danni ai capitoliani, anzi. Solo che era
incredibile, quasi ridicolo.
Aveva ignorato
totalmente Atsuya, che continuava a lanciarle occhiate indagatrici.
Probabilmente, pensò la castana sorseggiando la zuppa, stava
pensando che lei fosse pazza, dato che continuava a sorridere come una
sciocca.
Pensare al ragazzo le
provocò una fitta alla bocca dello stomaco. Da quando era
uscita dall'ascensore, aveva notato che l'arancione aveva un'aria
parecchio soddisfatta. Un'aria che confermava i suoi peggiori sospetti.
Durante
l'addestramento, l'aveva tenuto d'occhio - sopratutto dopo la zuffa con
il ragazzo del 6 -.
Non le era ancora
andata giù quella questione, perché Fubuki non
aveva il diritto di comportarsi da incosciente in questo modo.
Comunque, a preoccuparla non era la sua propensione a fare a botte, ma
le alleanze che sembrava aver stretto.
Non era sicura, ma
Atsuya aveva passato molto tempo con i Favoriti e Skylin era spaventata
dalla possibilità che lui si fosse unito al loro gruppo.
Il loro Distretto non
era mai fra i Favoriti, però capitava che venisse accolto in
quell'alleanza anche qualche Tributo particolarmente bravo.
Era terrorizzata
all'idea che Fubuki fosse un Favorito, anche se non sapeva bene
perché.
La voce di Naigel che
la chiamava la riscosse. Non si era nemmeno accorta che tutti i
presenti si erano spostati davanti alla televisione.
Andò a
sedersi di fianco ad Atsuya e, vedendo quella luce fiera brillargli
nello sguardo, fu certa che i suoi peggiori sospetti fossero veri.
Gonfiò le
guance e incrociò le braccia al petto, sprofondando nel
divano; non riusciva a crederci.
Il programma
iniziò e Skylin provò inutilmente a concentrarsi;
registrò con passività i punteggi delle sue
alleate e guardò apaticamente tutti i visi dei Tributi.
Forse, mentre i
risultati dei ragazzi del Distretto 10 scorrevano sullo schermo, la
sfiorò il pensiero che, avendo distrutto il campo di forza,
gli Strateghi avrebbero potuto decidere di darle il punteggio
più basso nella storia degli Hunger Games.
Ma era un'idea
sfuggevole e volò via quando il 9 di Atsuya
brillò sullo schermo.
La castana
guardò quel numero con aria crucciata: effettivamente,
quello era un punteggio da Favoriti.
Represse un sospiro e
osservò in attesa la sua foto; sembrava più
piccola di quanto fosse in realtà e quel pensiero la
irritò leggermente.
I secondi che
seguirono furono snervanti, corrosivi: poi, un 10 accecante
balzò sullo schermo.
Skylin
battè gli occhi dorati, come se fosse colta da
un'allucinazione. 10? Dopo quello che aveva fatto? Dopo aver distrutto
il campo di forza?
L'esclamazione di
vittoria le crebbe in gola più tardi del previsto, ma fu
comunque accompagnata dai complimenti degli adulti.
10! Non si vedeva un
punteggio così alto nel suo Distretto da chissà
quanto.
Rise, mentre Seeder le
scompigliava i capelli e dava un buffetto ad Atsuya, complimentandosi
con loro.
L'euforia, comunque,
le scivolò ben presto di dosso e tornarono le
preoccupazioni. Doveva parlare con Fubuki, confermare i suoi sospetti.
Per questo non perse
un momento, appena furono soli nel corridoio freddo.
-Fubuki.-
esordì e l'arancione la guardò con un sorrisetto
ironico.
-Quindi...-
incrociò le braccia al petto, la voce fredda, traboccante di
risentimento. - ...ora te la fai con i Favoriti.-
Non era una domanda,
ma nemmeno un'affermazione. Sembrava una constatazione che voleva
essere smentita. Ma Atsuya si limitò a scrollare le spalle.
-E tu te la fai con la
piccoletta del 3 e la bruna dell'8. E allora?-
Quella fu la goccia
che fece traboccare il vaso. Skylin non credeva di essere sul punto di
scoppiare, ma quel "e allora" la colpì troppo forte.
-E allora?!-
strillò infatti, gli occhi spalancati e furenti. Lo
inchiodò al muro, stringendogli il colletto della maglia
nelle mani. -I Favoriti! Ma lo sai cosa sono i Favoriti?! Per anni
hanno ucciso i nostri Tributi e ora tu hai il coraggio di dirmi "e
allora"?!- avvertì la voce diventare eccessivamente acuta e
le mani tremare, come se fosse sul punto di piangere. -Ma tu non ci
pensi?! Non ci pensi a Shirou? Shirou non l'avrebbe mai fatto! Lui...
Lui avrebbe...- la voce le si ruppe e non continuò
più. Ora sì che stava per piangere.
Questa volta furono
gli occhi di Atsuya ad incendiarsi. Si liberò dalla stretta
della ragazza con uno scrollone.
-Shirou ti avrebbe
abbracciata e consolata e protetta come una principessa! Ma...- la voce
di Fubuki tremò. -Ma io non sono Shirou! Smettila, smettila
di paragonarmi a lui! Io non sono e non sarò mai come
Shirou! Mettitelo bene in testa! Io voglio sopravvivere e
sopravviverò, a qualunque costo. Anche a costo di allearmi
con i Favoriti!- si fermò, il fiato grosso, gli occhi
luccicanti di lacrime o forse di collera.
Skylin non disse
niente. Era troppo frastornata, troppo impegnata a trattenere le
lacrime per dire qualcosa.
-Mettitelo bene in
testa, Skylin. Io non sono Shirou.- sibilò Fubuki con voce
fredda e poi sparì dentro la sua camera.
Forse la castana
sentì l'eco dei singhiozzi, dietro quella porta, ma non
entrò mai per controllare. Si voltò e
camminò, fin quando non cadde fra le lenzuola profumate del
suo letto.
E pianse. Pianse fino
a quando le illusioni non furono finite. Pianse fin quando le lacrime
non smisero di scendere. Pianse fino a cadere nel sonno.
**
Amelia era sdraiata supina sul letto.
Aveva amabilmente
ignorato i richiami di Effie e si era premurata di chiudersi a chiave
in camera, in modo da non farla entrare. Non aveva assolutamente
intenzione di mangiare, né di presentarsi a tavola.
Certo, avrebbe dovuto
trascinarsi fuori da lì per vedere i risultati delle
sessioni private, ma ci avrebbe pensato dopo.
Osservava il soffitto
con aria assorta, le mani strette intorno all'ametista che le aveva
regalato suo padre.
Aveva percorso
talmente tante volte i bordi sbeccati e le fenditure della pietra
preziosa che ormai le sue dita ne conoscevano a memoria tutte le
insenature.
Tracciò con
le unghie una crepa. L'ametista non era più fredda, ma era
stata vagamente riscaldata dal tepore delle sue mani.
Doveva parlare con
Fideo. Già. Il solo pensare al ragazzo la faceva ribollire
di rabbia.
Come aveva potuto
proporre un'alleanza senza nemmeno consultarla? In un angolo della sua
mente, un'odiosa vocina le diceva che anche lei aveva fatto lo stesso,
ma la zittì prepotentemente.
Era il ragazzo in
torto, non lei. E poi, Natsumi e Annalisa erano ottime combattenti,
mentre quel Kidou...
Non voleva litigare
con l'alleato, assolutamente no. Però non poteva neanche
accettare questa decisione a priori.
Sospirò,
pensando che Leila l'avrebbe sgridata per essere così
prevenuta nei confronti di Kidou. Forse, quel ragazzo aveva dei lati
nascosti.
In effetti, se ci
pensava bene, non era nemmeno così male. L'aveva visto di
sfuggita durante l'addestramento e aveva fatto una trappola
così avanzata che anche l'istruttore era rimasto
impressionato.
Un fastidioso senso di
colpa le pizzicò il petto, facendola ringhiare. No, non
sarebbe andata a scusarsi con Fideo, ben che meno con quel Kidou.
Ne andava del suo
orgoglio.
Si mise a sedere
stizzita e diede un'occhiata all'orologio. Il programma doveva essere
iniziato da poco.
Si
stiracchiò e andò in bagno a sciaquarsi il viso,
con tutta calma. Osservò allo specchio le sue gote arrossate
dall'acqua calda e si legò i capelli spettinati in una
treccia.
Poi uscì e
attraversò il corridoio con passo di marcia.
Appena
entrò nella sala, le reazioni a catena furono sorprendenti.
La Trinket squittì e iniziò a sgridarla per il
suo comportamento ineducato, Haymitch, del tutto ubriaco, se ne
uscì con uno dei suoi commenti di pessimo gusto, Elise la
salutò con la mano e Fideo la guardò, nascondendo
una risatina.
Amelia rimase un
attimo ferma all'ingresso, forse valutando l'idea di andarsene, poi
andò a sedersi di fianco al castano ignorando totalmente
tutti i presenti.
Incrociò le
braccia e guardò la televisione.
Erano arrivati al
Distretto 6. Fu sollevata, perché era arrivata in tempo per
vedere i risultati di entrambe le sue alleate.
Una volta che anche il
9 di Natsumi fu sparito dallo schermo, lanciò un'occhiata di
superiorità a Fideo, che le indicò con un cenno
lo schermo, senza ribattere.
Quando vide che quel
Kidou, quello che lei aveva definito insignificante, aveva preso un 9,
fu attraversata da una scarica di frustrazione.
Sprofondò
nel divano, imbronciata. Era molto meglio di quanto pensasse, quel
ragazzetto.
Il punteggio di Fideo
le fu del tutto indifferente: un 7, buono per uno dei Distretti
più mediocri.
La sua foto fu seguita
da un 8. Amelia rimase a fissarlo per un po', prima di riuscire ad
abbozzare un sorrisetto orgoglioso. Beh, era sempre un punto in
più di Fideo. "E uno in meno di Kidou" ci tenne a ricordarle
l'odiosa vocetta nella sua testa.
I complimenti che
seguirono furono la cosa più snervante della serata; Amelia
voleva solo uscire da quella stanza, parlare con Fideo, spuntarla su di
lui e ritirarsi nella sua camera.
Dopo quella che le
sembrò un'eternità, riuscì ad uscire.
Il corridoio era fresco ed illuminato dai lampadari asettici.
I due Tributi rimasero
fermi e in silenzio per un po', fin quando Fideo, stanco di dondolarsi
sui talloni, abbozzò un sorriso.
-Sei molto bella con
la treccia.- disse candidamente, ma la ragazza non cambiò
minimamente d'espressione.
-Non ho cambiato idea
e non la cambierò con i tuoi complimenti.-
dichiarò fredda, scoccandogli uno sguardo di rimprovero.
Fideo
sospirò. Doveva raccontarle tutta la storia, allora. Si
appoggiò alla parete e Amelia fu quasi intimorita
dall'espressione seria del suo volto.
-Sai, io ho una
sorellina.- quelle parole, bastarono a far correre un brivido sulla
schiena della ragazza.
-Ha sette anni ed
è bellissima. Ha i capelli biondi come il grano e una risata
candida. I suoi occhi... sono spettacolari. Non sono occhi del
Giacimento. Sono verdi, verdi come il sole attraverso le foglie, verdi
e brillanti come smeraldi. Si chiama Rushe.- un sospirò
scivolò dalle labbra del ragazzo. -La mia sorellina
è cieca.-
Quell'affermazione
colpì Amelia come un pugno nello stomaco. Conosceva Rushe di
vista, perché di bambine bionde e con occhi così
verdi ne esistevano poche, nel Distretto 12. Quella bimba era nota per
la sua allegria; vedeva del bello in tutto.
-Una rara malattia
agli occhi l'ha colpita l'anno scorso. Si potrebbe guarire, ma... i
costi sono troppo elevati.-
La ragazza
annuì. Lo sapeva fin troppo bene. Quando sua madre si era
ammalata di cancro, sarebbe stato possibile guarirla all'inizio, con
alcuni interventi a Capitol City. Ma le cure mediche di questo tipo
costavano troppo per quasi tutte le famiglie del loro Distretto.
Fideo alzò
lo sguardo e lo puntò su di lei. Amelia si sentì
affogare in quegli occhi profondi come l'oceano. -Se vincessi, potrei
pagarle l'operazione e la mia Rushe tornerebbe a vedere. E' per questo
che voglio assolutamente vincere. E' per questo che ho bisogno di
Yuuto. Non chiedermi scusa, se costa troppo al tuo orgoglio, ma
accettalo nell'alleanza.-
La castana trattenne
il fiato. Non se lo aspettava. Si morse le labbra e deglutii.
-D'accordo.- mormorò piano. -D'accordo.-
Fideo le
dedicò un sorriso bellissimo, che la fece vergognare per il
suo comportamento egoista. Dopotutto, lei voleva vincere solo per
sopravvivere, solo per se stessa.
Lui le
augurò la buonanotte ed entrò nella sua camera.
Amelia si appoggiò al muro e sospirò
rumorosamente.
Non poteva farsi
coinvolgere in questo modo. Non avrebbe mai più dovuto
lasciarsi commuovere da queste storie. Lei doveva tornare a casa.
"Scusa Rushe"
pensò, mentre entrava nella sua camera e si lasciava
sprofondare nel letto. "Ma io voglio sopravvivere".
Beh...
Eccomi qui.
Scusate
per i mesi di assenza; non voglio cercare scuse, quindi dirò
la verità. Ero troppo pigra e impegnata con i compiti per
terminare questo capitolo.
Ora
però ce l'ho fatta.
Mi
dispiace, ma state certi che non abbandonerò questa long. Ci
tengo troppo.
Volevo
solo ringraziare tutti i coraggiosi che ancora seguono questa fanfic.
Grazie,
è solo per voi temerari che continuo a scrivere.
Spero
di riuscire ad aggiornare più spesso e non sparire per
così tanto, in futuro.
Un
ringraziamento speciale va a MarinaDust 99, la mia neechan, che
finalmente oggi ho incontrato.
Grazie,
grazie, grazie tesoro. Non credo che sarei riuscita ad aggiornare se tu
non me l'avessi continuamente ricordato.
Questo
capitolo è dedicato a tutti voi, ma proprio tutti, che
ancora si ostinano a seguire i miei aggiornamenti, nonostante sparisca
per molto tempo.
Sperando
di essere più puntale, nel nuovo anno,
Lucchan
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