Please, please me

di Blackbird_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chains ***
Capitolo 2: *** In spite of all the danger ***
Capitolo 3: *** Hey Jude ***
Capitolo 4: *** Love me do ***
Capitolo 5: *** She loves you ***
Capitolo 6: *** I feel fine ***
Capitolo 7: *** I don't want to spoil the party ***
Capitolo 8: *** This boy ***
Capitolo 9: *** Day tripper ***
Capitolo 10: *** The end ***



Capitolo 1
*** Chains ***






Chains
 
Liverpool è una grande città, piena di gente e di cose da fare. Liverpool è una città attiva, giovane, movimentata. Liverpool è la città perfetta per ogni occasione.
La grande zona pedonale e il Liverpool One è sempre piena di turisti e di gente che fa shopping, di ragazzi che si divertono, di bambini che giocano con le attrazioni permanenti, di musicisti che cercano di sfondare o di racimolare qualche spicciolo. I viottoli nascosti circondati da case di mattoni rossi, il porto, l’Albert e il Pier sono i posti ideali per una passeggiata tranquilla e indisturbata, a patto che si sappia tenere a bada le infinite orde di gabbiani che svolazzano da quelle parti.
Ma se c’è una cosa per cui Liverpool eccelle, quello è il divertimento. Il Cavern Quarter è il posto ideale per le serate con gli amici. Mathew Street è un concentrato di energie, di possibilità. Hai voglia di una birra in tranquillità? Lì è pieno di piccoli pub dall’atmosfera accogliente. Hai voglia di ballare e scatenarti? Ci sono bizzeffe di discoteche, tutte differenti fra loro per la musica e per l’intrattenimento. L’intero quartiere è pieno di vita, di movimento, di ragazzi e ragazze con tutta l’intenzione di divertirsi.
Sarò scontata, ma la mia serata ideale è quella in cui ci si può sedere tranquillamente da qualche parte, bere birra ed ascoltare della buona musica live. E nessun posto può darmi tutto ciò meglio del Cavern Club. Amo quel posto più di qualunque altro, qui in città. Poco m’importa del caldo, delle dimensioni ridotte, dell’enorme ammontare di turisti: quel posto è perfetto così com’è.
Quella sera, come al solito, mi incontrai con la mia amica Allie di fronte al Costa all’angolo fra North John Street e Lord Street. Come sempre la aspettai un po’, prima di vederla parcheggiare a pochi metri dal bar dove ci eravamo date appuntamento. Allie era una ritardataria cronica ma io, dal canto mio, avevo sempre avuto il vizio di arrivare esageratamente in anticipo. Ogni volta che ci davamo appuntamento di fronte a quel Costa, mi divertivo a passare i minuti d’attesa a guardare le vetrine lungo John Street, sempre così perfette e dannatamente chic.
“Allora? Dove ce ne andiamo stasera?” mi chiese, dopo un veloce abbraccio di saluto. Le nostre serate iniziavano sempre nello stesso modo, sembrava quasi che recitassimo un copione. Finsi di pensare alle varie opzioni, per poi fermarmi a fissarla. Sbattei le ciglia velocemente, cercando di rendere il mio sguardo il più convincente possibile.
“No Em, dai. Anche stasera il Cavern no, ti prego” mi rimproverò lei, con uno sguardo supplichevole a pregarmi di non andare di nuovo in quel posto.
“Hai qualche idea migliore?” le domandai, incrociando le braccia e battendo il piede a terra in maniera impaziente. In realtà ci sarebbero state milioni di idee migliori rispetto all’ennesima serata al Cavern, ma il mio amore incondizionato per quel posto mi rendeva cieca.
“Perché non andiamo allo Ship and the Mitre? Oggi dovrebbe esserci la serata anni ‘90” propose la mia amica, muovendo le ciglia velocemente proprio come avevo fatto io poco prima.
Sorrisi. “Perché allora non andiamo al Cavern, ci prendiamo una birra, e poi non andiamo lì?” chiesi, soddisfatta della mia brillante idea.
Allie sbuffò sonoramente, roteando gli occhi. “E sia” rispose dopo poco.
Saltellai sul posto e le schioccai un bacio sulla guancia, felice di averla avuta vinta ancora una volta, proprio come da copione.
Percorremmo velocemente quei pochi metri di North John Street che ci dividevano dall’incrocio con Mathew Street. Alzai gli occhi al cielo per ammirare, come al mio solito, l’Hard Day’s Night Hotel. Passare anche una sola serata lì dentro era sempre stato il mio sogno, fin da bambina. Ma non potei rimanere a fantasticare troppo a lungo, perché, una volta deviato alla via del Cavern Club, fummo investite dalla musica a tutto volume e dai numerosi ragazzi che si dirigevano verso la meta della loro serata. Mentre Allie continuava a raccontarmi le sue ultime novità, lasciai cadere lo sguardo sulla statua di John Lennon posta a pochi metri dall’entrata del locale. Lo salutai, mentalmente, e sospirai.
“Dovresti smetterla di amare solo quella statua ed iniziare a guardarti un po’ intorno, Em” mi ammonì la mia amica, notando il mio comportamento momentaneamente schivo.
 
I'd like to love you
But, darling, I'm imprisoned by these
Chains, my baby's got me locked up in chains
And they ain't the kind
That you can see
Woh, it's chains of love
Got a hold on me, yeah.
 
“Non posso amare nessun altro, John tiene incatenato il mio cuore” replicai ridacchiando.
Allie sbuffò, come sempre. “Sii seria, per una volta” mi pregò, incenerendomi con lo sguardo.
Ci pensai un po’ su. Perché essere costretta a innamorarmi di qualcuno solo per rendere felici gli altri? Io ero felice così. Tanti potevano considerarmi una ventitreenne triste, zitella e non realizzata, ma poco m’importava. Chi ha decretato che una ragazza debba sentirsi realizzata e felice della propria vita solo una volta fidanzata? Non mi andava di creare la solita discussione con Allie, il solito dibattito riguardo a questo futile argomento, perciò mi limitai a pensare ad una risposta esaustiva ed impossibile, giusto per chiudere l’argomento.
“Mi innamorerò solo quando troverò qualcuno che sia bello, talentuoso e divertente come John, Paul, George e Ringo messi insieme” risposi, infine, orgogliosa della mia genialità.
“Sei proprio senza speranza” sbuffò nuovamente la mia amica, lasciando cadere il discorso, proprio come previsto.


 

Angolo dell'Autrice:
Ciao a tutti, e benvenuti nella mia storia! Nata come OS ma divenuta ben presto una mini-long a causa delle troppe idee, questa storia è in lavorazione dall'estate scorsa e, per questo, le sono particolarmente affezionata. Liverpool, le canzoni dei Beatles, i personaggi... adoro tutto di quello che ho scritto, e spero di essere riuscita a trasmettere questo mio amore attraverso quello che ho scritto. Probabilmente troverete questo primo capitolo particolarmente corto, ma solo perché funge da introduzione :)
In ogni caso, la storia, nella mia pennetta, è già conclusa, quindi gli aggiornamenti non tarderanno e avranno cadenza settimanale. Il martedì è un bel giorno!
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate...
Alla settimana prossima,
Julia

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Capitolo 2
*** In spite of all the danger ***






In spite of all the danger
 
Salutai con un cenno Robert, il buttafuori, che con un gesto veloce aprì la transenna per lasciarci entrare. Il suo compito era quello di controllare le carte di identità dei clienti del locale, facendo entrare solamente i maggiorenni. Ormai ci conosceva abbastanza bene, però, da sapere che minorenni non lo eravamo più da un po’.
Scendemmo lungo l’infinita scalinata circolare, accolte dai numerosi murales. Le luci, dentro, erano fioche e dal solito colorito rossastro. C’era più gente del solito, l’odore della birra era forte e lo stereo passava una vecchia canzone di Buddy Holly. Quella era la felicità. Ordinammo due birre, io una chiara ed Allie una rossa, ed andammo a sederci al tavolo vicino alla vetrina con le locandine degli Who esposte. Tutt’intorno al palco c’era un grande movimento.
“Credo che ci sia il concerto di qualche band, stasera” osservai, infilando con noncuranza la fetta di limone nel collo della bottiglia che tenevo fra le mani.
“Chi l’avrebbe mai detto, non suona mai nessuno qui dentro” ironizzò Allie, guardando verso il palco.
Un ragazzo alto, moro, con due splendidi occhi azzurri e la barba folta era intento ad accordare la sua chitarra acustica, seduto su uno sgabello posizionato sul lato destro del palco. La camicia a quadri rossa e nera con le maniche strappate scopriva le due braccia interamente tatuate che abbracciavano dolcemente lo strumento, mentre le dita lunghe ed affusolate pizzicavano leggermente le corde. Muoveva la testa lentamente, al ritmo impercettibile da lui stesso prodotto. Sembrava totalmente isolato nel suo piccolo mondo tranquillo, mentre tutt’attorno a lui non era altro che confusione.
“Devo concedertelo, però, il tipo di stasera è veramente carino” ammise la mia amica, portandosi l’enorme boccale sulle labbra. Annuii lentamente, incantata da quel ragazzo con la chitarra.
Continuammo a chiacchierare delle nostre cose per un po’, mentre il locale si riempiva lentamente. Finii la birra in poco tempo, fra un discorso e l’altro. Lì dentro faceva così caldo che quel meraviglioso liquido ghiacciato era l’unica cosa che il mio corpo desiderasse, perciò mi alzai per prendermene un’altra bottiglia.
Feci la mia richiesta al barista e mi appoggiai sul bancone con entrambe le braccia. Durante l’attesa riconobbi dalle prime note With a Little Help From my Friends che era partita dallo stereo dal locale e, entusiasta come solo una canzone dei Fab Four sapeva rendermi, iniziai a canticchiarla a bassa voce. La mia performance personale, però, venne interrotta da qualcuno che, nella foga di ordinare, mi finì addosso, investendomi.
“Oh, sorry lady” si premurò di scusarsi immediatamente, spostandosi. La sua voce era calda, bassa, nasale e con uno spiccatissimo accento di Liverpool. La sua voce era quella di… George Harrison? Mi voltai, strabuzzando gli occhi.
 
Would you believe in a love at first sight?
Yes, I'm certain that it happens all the time
 
Un ragazzo biondo, coi capelli sbarazzini e dai vispi occhi grigi mi guardava preoccupato. Aveva addosso una giacca di pelle nera e teneva sulle spalle la custodia di una chitarra.
“Ti ho fatto male?” mi chiese, non ricevendo una risposta alle sue precedenti scuse.
Non avevo affatto avuto un’allucinazione: la sua voce era assolutamente identica a quella di George. Rimasi incantata a fissarlo finché non capii che, effettivamente, ancora non avevo dato una risposta alla sua domanda, né, tantomeno, alle sue scuse.
“No, no, tranquillo. Ero solo… sovrappensiero” furono le uniche parole che riuscii a mettere insieme, totalmente assorta nella mia ammirazione. In uno sprazzo di lucidità indicai le casse poste su una mensola poco distante da dove ci trovavamo, tanto per dare la colpa alla musica per la mia assenza mentale.
Quello annuì, sorridendo leggermente. “Bene” pronunciò in un sussurro, distogliendo lo sguardo dalla mia faccia inebetita. Prese le due bottiglie di birra che il barman gli stava porgendo e si diresse verso la porticina del backstage, seguito dal mio sguardo incuriosito.
Tornai sulla terra ringraziando il barman, e mi diressi nuovamente verso il tavolo dove Allie mi stava aspettando.
“Ma hai visto quant’è figo il tipo che è appena entrato nel backstage?” mi accolse euforica, indicando con lo sguardo la porticina attraverso la quale il biondino era entrato.
“Ha la stessa voce di George Harrison” dissi in un soffio, ancora incredula. Sconvolta da quella voce familiare, non avevo minimamente pensato ad esaminarlo da capo a piedi per giudicarne l’estetica, contrariamente a quanto non avesse fatto la mia amica.
“Sempre a pensare ai Beatles” sbuffò Allie, interdetta. Mi strappò la bottiglia dalle mani e ne bevve un sorso. In fondo aveva ragione, ma probabilmente non l’avrei mai ammesso ad alta voce in sua presenza.
Il ragazzo moro con la chitarra era ancora intento a provare l’accordatura appena effettuata quando lo raggiunse sul palco un ragazzo bassino e in carne, con il volto rotondo. I due si salutarono amichevolmente e poi l’ultimo arrivato prese il microfono al centro del palco ed iniziò a toccarlo per testare che fosse acceso.
“Bene, salve a tutti. Noi siamo i Nowhere Boys e stasera suoneremo per voi alcune canzoni dei Beatles” annunciò, sorridendo sornione.
Lasciò poi il microfono ed indietreggiò un poco, prendendo da dietro la grande batteria uno strano strumento, sul quale si sedette. Gli diede un paio di botte, e tutto il pubblico rimase estasiato da quel particolare genere di percussioni. Si levò un applauso spento, ma impaziente.
“Ovviamente non fatevi problemi a richiederci le vostre canzoni preferite” aggiunse il chitarrista, prima di suonare un accordo a vuoto.
Il batterista diede altre due botte al suo strumento e, da dietro le quinte, salì sul palco il biondino holavocediGeorgeHarrison di poco prima.
Iniziarono la loro performance.
 
He's a real nowhere man
Sitting in his nowhere land
Making all his nowhere plans for nobody
 
Teneva la chitarra stretta al petto, come se non volesse lasciarla andare per nessuna cosa al mondo. Talmente stretta, da rendere inutile anche l’utilizzo della tracolla. La suonava abilmente, molleggiando sulle ginocchia e battendo il piede a terra per darsi il tempo. E intanto cantava dolcemente, avvicinandosi di poco, di volta in volta, al microfono posizionato di fronte a lui.
 
Nowhere man don't worry
Take your time, don't hurry
Leave it all till somebody else
Lends you a hand
 
Si voltava, di tanto in tanto, per guardare il suo amico chitarrista. Poi tornava nuovamente al microfono, concentrato sulle parole della canzone. Talmente concentrato da tenere gli occhi socchiusi, mentre dondolava la testa da una parte all’altra scompigliandosi i capelli.
C’erano solo due parole per descrivere la perfezione della sua performance: John Lennon.
Scacciai dalla testa i miei strani pensieri: nessuno era come John Lennon, e probabilmente nessuno lo sarà mai più stato. E quel ragazzo di certo non poteva fare eccezione.
Mi imboscai nei meandri delle peggiori teorie del mondo per giustificare la mia mente che, incondizionatamente, aveva paragonato il mio Beatle preferito a quell’anonimo cantante di cover band. In quanto tale, aveva l’obbligo di comportarsi esattamente come uno qualsiasi dei Fab Four: questa fu l’unica scusante attendibile che riuscii a formulare.
 
He's as blind as he can be
Just sees what he wants to see
Nowhere man, can you see me at all
 
Vederlo suonare era davvero un piacere per gli occhi, dovevo ammetterlo. E lì, su quel palco, si poneva esattamente nel modo giusto per essere studiato ed osservato. Era alto, slanciato, con dei jeans chiari molto stretti ed una camicia gessata a definirne meglio i lineamenti.
“Avevo ragione, no?” mi domandò Allie, avvicinandosi al mio orecchio per farsi sentire nonostante la grande confusione.
Pur di non dargliela vinta, alzai le spalle poco convinta e le sorrisi.
Non le avrei mai e poi mai confessato che quello strano tipo stava iniziando a causare delle strane reazioni nel mio stomaco. La realtà era che lo ammettevo difficilmente anche a me stessa, dando la colpa, ancora una volta, a qualcos’altro. Guardai la mia bottiglia di birra mezza vuota. Probabilmente era tutta colpa dell’alcool. La porsi alla mia amica e la intimai a finirla al posto mio.
La prima canzone terminò in uno scrosciante applauso.
Erano bravi, tutti e tre. Talmente bravi da conquistare tutto il pubblico del pub con una sola canzone. Talmente bravi da convincere Allie a restare al Cavern ancora per qualche tempo. Talmente bravi da strappare un sorriso ed un applauso caloroso anche a me, la persona più critica del mondo in questione di cover band del mio gruppo preferito.
“Ora che ci siamo scaldati non ci ferma più nessuno” urlò il batterista che, non munito di microfono, era costretto ad alzare la voce per poter essere ascoltato da tutti quanti. Gran parte del pubblico rise, qualcuno dal fondo urlò qualcosa di incomprensibile.
Il cantante, nel frattempo, prese da una mensola nascosta dalla colonna al lato del palco due bottiglie di birra, probabilmente le stesse che aveva acquistato poco prima al bar, e ne porse una all’amico chitarrista. Si voltarono entrambi verso gli ascoltatori alzando il braccio per un brindisi, e bevvero una grande sorsata.
Posate nuovamente le due bottiglie al loro posto, il ragazzo dalla barba folta tossicchiò leggermente, diede due colpi a terra col piede e, tutti e tre, cominciarono a suonare la loro seconda canzone.
 
In spite of all the danger
 
Sorpresero tutti con una vecchia canzone dei Quarryman ma, nonostante tutto, vennero apprezzati fin dalle prime note.
Il biondino continuava a suonare appassionatamente la sua chitarra, molleggiando sulle ginocchia e cantando ad occhi socchiusi. Non appena mi resi conto di essermi nuovamente imbambolata ad ammirarlo, cercai di cambiare soggetto.
Lasciai cadere lo sguardo sul piccoletto che suonava quello strano strumento molto simile ad un tamburo rettangolare. Continuava a suonare guardando i suoi due amici e compagni di avventure, sorridendo di tanto in tanto. Mi stupii nel notare che era lui a fare i cori nelle canzoni. Durante tutta la canzone precedente ero stata talmente distratta da non accorgermene minimamente. Le guance paffute e le sopracciglia estremamente espressive lo rendevano un ragazzo apparentemente simpatico e alla mano. Ma, nonostante la sua agilità nel suonare quel tamburo strampalato mi avesse incantata, non riuscii a mantenere lo sguardo su di lui per più di trenta secondi.
Fu una dura battaglia contro l’istinto e contro me stessa non voltarsi nuovamente verso il cantante del terzetto.
Mi concentrai, anzi, verso il moro con la barba. Dovetti dare ragione ancora una volta ad Allie: quel ragazzo così particolare, dall’aria terribilmente misteriosa, era sorprendentemente bello. Suonava il proprio strumento con facilità e naturalezza, sorridendo debolmente ad ogni persona seduta ai tavoli sotto al palco.
 
In spite of all the heartache,
That you may cause me
 
Con l’inizio della nuova strofa non potei fare a meno di tornare ad ammirare il cantante della band. Nonostante tutto il dolore che questo avrebbe potuto causare al mio cuore freddo.
Mi ritrovai a sorridere come una sciocca nel vederlo ancora molleggiare sulle ginocchia e battere i piedi a terra. Le mie giustificazioni non avevano quasi più valore, nonostante cercassi di difenderle con le unghie e coi denti. Non sembrava affatto un’imitazione di basso rango di John Lennon, una persona dai comportamenti caricaturizzati pur di compiacere al pubblico del locale più famoso del mondo. Sembrava semplicemente se stesso. Suonava in quel modo come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se fosse l’unico vero modo di suonare e cantare. Era autentico, vero, e sembrava tutto e per tutto uguale a John Lennon.
Il cuore perse un battito e riprese a velocità accelerata. Mi portai le mani al petto, spaventata. Ne era passato di tempo dall’ultima volta che avevo sentito quella strana reazione. Erano anni che non sentivo il cuore accelerare in quel modo a causa di qualcuno.
“Stai bene?” mi domandò Allie, notando la mia aria spaesata e distratta.
“Certo” la rassicurai.
Notai che teneva ancora in mano la mia bottiglia di birra che, all’apparenza, conteneva ancora un po’ del suo contenuto. La ripresi senza fare troppi complimenti –inutili, dato che, dopotutto, la bottiglia l’avevo comprata per me- e bevvi lo scolo che era rimasto. Al diavolo, un goccio di birra in più non mi avrebbe di certo cambiato la vita.
Anche questa canzone terminò con un sonoro applauso, accompagnato da qualche fischio d’apprezzamento.
Sentivo lo stomaco scombussolato ed un gran caldo. E sperai, ancora un volta, che fosse tutta colpa delle due bottiglie di birra appena bevute. Sperai che si trattasse della cena troppo pesante e delle temperature eccessive del locale. Potevo sperare di tutto, ma più fissavo quel ragazzo biondo sul palco –con la voce di George Harrison e con le movenze di John Lennon- più mi rendevo conto che la causa dei miei problemi fosse lui.
Detestavo provare certe cose per una persona vista a malapena, per una persona che nemmeno conoscevo. Il mio orgoglio e la mia determinazione mi imponevano di smettere di comportarmi come una perfetta idiota, come una stupida teenager alle prese con una improvvisa crisi ormonale. Eppure, per quanto provassi a smettere di guardare ammirata quel cantante, il suo volto, i suoi occhi, le sue mani sulla paletta della chitarra erano come un magnete a polo positivo. Ed io ero quello negativo, irrimediabilmente attratta da tutto ciò.
Soluzioni per fuggire da quel pasticcio non sembravano esserci.
“Vogliamo andare?” fu l’unica cosa che mi venne in mente. Fuggire, in quel momento, sembrava l’idea più allettante del mondo.
“No di certo, vedere questi due bei ragazzi che suonano mi basta e avanza come intrattenimento della serata” si rifiutò la mia amica, del tutto inaspettatamente.
Perfetto. Ero intrappolata. Il pub più bello del mondo era improvvisamente diventato la mia prigione dorata. Allie aveva assunto del tutto l’aspetto di una carceriera. E le canzoni del mio gruppo preferito erano la tortura peggiore che potessero infliggermi.
 
Oh, yeah, I'll tell you something
I think you'll understand
 
Quando attaccarono con I want to hold your hand mi morsi il labbro. Mi sentii esageratamente catastrofica e pessimista. La mia idea era confermata: ero una perfetta idiota. Perché creare tutto quell’allarmismo per uno sciocco scombussolamento allo stomaco, un po’ di caldo e il battito accelerato?
Dopotutto, non stavo affatto perdendo la testa per quel tipo. Stavo semplicemente… apprezzando? Il mio era sempre un stato un voto particolare a non innamorarsi mai di nessuno, a non affezionarsi troppo a nessun ragazzo. Tutto ciò non implicava di certo lo smettere di guardare i bei ragazzi.
Tutte scuse, Emma, tutte scuse.
Non è possibile innamorarsi di uno sconosciuto appena incontrato. Di questo, per lo meno, ne ero più che certa.
 
When I say that something
I want to hold your hand
 
“Secondo te come si chiama?” mi chiese Allie, distogliendomi dai miei pensieri apocalittici.
Non afferrai direttamente il soggetto di quella domanda e lei, ridacchiando, mi indicò il chitarrista barbuto.
Ci pensai un po’ su. Quel tipo così particolare era degno di un nome altrettanto particolare.
“Io direi Cameron, per gli amici Cam” sostenni, serissima, guardando la mia amica.
Quella annuì leggermente, indecisa se replicare o meno.
“Sì, Cam mi piace. Il biondino invece?” riprese.
Evitai di voltarmi per vederlo ulteriormente mentre cantava per evitare di dare mostra ad Allie dei miei dissidi interiori.
“Non saprei, ha una faccia anonima” replicai, alzando le spalle.
“Secondo me si chiama Richard” continuò la mia amica, poggiando i gomiti sul tavolo e lanciando un’ulteriore occhiata ai tre ragazzi sul palco.
“Perché Richard?” domandai, sinceramente curiosa.
“Non saprei, il modo in cui scuote la testa mentre suona mi ricorda troppo Ringo Starr” rispose distratta, mimando il modo di scuotere i capelli tipico dell’atteggiamento del batterista dei Beatles.
Ringo Starr? Il mio sguardo piombò nuovamente sul palco. Il modo di ciondolare a destra e a sinistra la testa assomigliava, effettivamente, al modo in cui era solito comportarsi Richard Starkey sul palco.
Scoppiai a ridere. Una risatina isterica, per niente divertita. Non gli bastavano la voce di George e le movenze di John: ora dalla sua parte aveva anche quel buffo tic di Ringo.
“Il batterista, invece?” proseguì Allie.
Grazie al cielo non aveva notato la punta di isteria nella mia risata e aveva continuato tranquillamente il nostro discorso.
“Hugo” sparai.
“Hugo?” domandò.
“Hugo” ripetei, scoppiando a ridere.
“Ma che razza di nome è Hugo?” iniziò a ridere anche lei.
“Non saprei, ma quelle guanciotte grasse mi ispirano quel nome” mi giustificai, ridendo quasi fino alle lacrime.
 
It's such a feeling that my love
I can't hide
 
Più li ascoltavo più mi rendevo conto di quanto fossero straordinariamente bravi. Era diventato quasi impossibile nascondere la mia ammirazione nei loro confronti. Ormai incapace di dominare l’istinto, tornai a guardare i ragazzi che cantavano a suonavano, alla ricerca di nuovi piccoli dettagli da osservare e studiare.
Ero sempre stata una maniaca dei dettagli, delle piccolezze, e il mio spirito d’osservazione era sempre stato molto sviluppato.
Ammirai ancora una volta il modo in cui ‘Hugo’ colpiva lo strumento con botte secche e decise, alternando i colpi e i battiti di mani. Quando colpiva il centro si udiva un suono sordo, potente, ritmico. Le botte agli estremi di quel buffo aggeggio, invece, producevano un suono acuto e quasi sabbioso. Riusciva a tenere il tempo in maniera impeccabile, donando un ritmo di sottofondo davvero particolare e piacevole.
Mi morsi il labbro, poi, quando spostai lo sguardo verso il fantomatico ‘Richard’. Dovevo ammetterlo: quel ragazzo era tutto fuorché anonimo, come lo avevo descritto pochi minuti prima. Me ne ero pentita un attimo dopo averlo detto ma, dopotutto, conoscendo abbastanza Allie, forse era stato meglio così. Probabilmente non sarei mai rimasta così affascinata da un ragazzo anonimo. In quel modo poteva essere classificata una buona parte –i due terzi o giù di lì- della popolazione maschile liverpooliana della mia età, e, mi doleva ammetterlo, né ‘Richard’ né ‘Cam’ facevano parte di questa ampia percentuale.
Finirono I want to hold your hand in dissolvenza, proprio come nella canzone originale, e si inchinarono tutti e tre per ringraziare del grande applauso che stavano ricevendo
.


 

Angolo dell'Autrice:
Come promesso, eccomi puntuale ad aggiornale questa storia :) Le cose iniziano a farsi più interessanti ed io inizio a vergognarmi di quello che sto pubblicando... da morire! In ogni caso, le canzoni presenti in questo capitolo sono: With a Little Help from my Friends, Nowhere Man, In Spite of All the Danger e I Want to Hold Your Hand... ovviamente tutte dei Beatles! Penso sia abbastanza ovvio che, invece, la canzone del prologo fosse Chains, nonostante non abbia specificato :)
Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate...
Alla settimana prossima,
Julia

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Capitolo 3
*** Hey Jude ***






Hey Jude
 
“La canzone di adesso la conoscete sicuramente tutti” disse il biondino, mentre l’altro chitarrista sfogliava distrattamente lo spartito che si trovava a pochi passi da lui. Sembrava un gesto meccanico, assolutamente non necessario ma ormai usuale, tanto che quel libro pieno di accordi non ricevette nemmeno un’occhiata durante tutto il resto della serata.
“Quindi vi chiediamo di aiutarci, tutti quanti. D’accordo?”
Un urlo si levò fra la gente.
Mentre continuavano ad esaltare il pubblico con qualche urlo e qualche accordo a vuoto, sia il cantante che il chitarrista finirono di scolarsi la loro birra, accompagnati dal rullo di tamburo creato dal percussionista.
 
Hey Jude
 
Non appena udii le prime due parole della canzone scattai in piedi, battendo pesantemente le mani sul tavolo.
“Cosa diavolo ti prende?” mi chiese Allie, preoccupata, sgranando i suoi enormi occhi blu.
Scossi la testa, interdetta, cercando di sembrare il più naturale possibile.
“Niente, niente. È che devo andare in bagno. Sai, la birra inizia a fare effetto” mi giustificai, portandomi una mano sulla pancia.
Svicolai abilmente dal suo sguardo inquisitorio e dalla panca sistemata dietro al tavolo di legno, e mi diressi a grandi passi verso il bagno. Passare vicino al palco era inevitabile, ma mi impegnai a non alzare minimamente il volto per guardare il terzetto che stava suonando la mia canzone.
Aprii di scatto la pesante porta di legno massello del bagno delle donne. La differenza di luminosità con il resto del locale era impressionante e, come al mio solito, fui costretta a socchiudere gli occhi per non rimanere accecata dalla brillantezza delle mattonelle di ceramica gialline. Salutai con un veloce cenno della mano Hayley, la donna delle pulizie, e mi fiondai dentro il primo bagno libero.
 
Hey Jude, don't be afraid
 
Nonostante fossi chiusa lì dentro, riuscivo a sentire nitidamente la voce, le chitarre e le percussioni della cover band. Alzai gli occhi al cielo: la foga di andarmene dal tavolo mi aveva fatto dimenticare che le casse erano presenti anche in bagno.
Avrei dato volentieri una testata su una qualsiasi parete del cubicolo in cui mi ero rintanata, ma probabilmente avrei provocato troppo rumore, destando i sospetti di Hayley.
Non dovevano e non potevano suonare quella canzone. Mi portai una mano nei capelli, scompigliandoli, sull’orlo di una crisi di nervi. Un’insensata ed incondizionata crisi di nervi.
Cercai di regolarizzare lentamente il respiro. Quella non era assolutamente la prima volta che qualcuno, dentro quel posto, suonasse una cover di Hey Jude. Eppure, in quel momento, la cosa m’infastidiva, mi urtava. Avrei voluto uscire da quel bagno, salire sul palco e far zittire quei tre.
Ero spaventata dalla mia stessa reazione.
La tranquillità che ero riuscita a raggiungere poco prima era totalmente sparita.
Provai a frenare quell’irrazionale paura, causata da chissà cosa. Abbassai il copri water, pulitissimo come sempre, e mi ci sedetti sopra. Poggiai i piedi sulla plastica bianca, appuntando mentalmente di ripulirla prima di uscire, e strinsi le gambe al petto, accoccolandomi su me stessa. Con la fronte sulle ginocchia e la faccia affondata, tenevo gli occhi chiusi, alla ricerca di un po’ di lucidità e razionalità.
Era inutile fingere anche a me stessa, sapevo benissimo che il fattore scatenante di tutta quella reazione esagerata fosse quella canzone. Ma, semplicemente, non ero in grado di spiegarmi il perché. Con gli anni avevo imparato a convivere coi ricordi che mi comportava e ormai non aveva quasi più nessun effetto su di me. Raramente mi capitava di tornare triste e malinconica, ascoltandola. Era passato molto tempo, dopotutto.
 
And anytime you feel the pain
Hey Jude refrain
 
“La fai facile, tu” biascicai, stizzita, con la voce rotta.
Quelle note dolci ma strazianti mi stavano lentamente ricordando il motivo per cui avevo giurato di non legarmi più a nessuno, e questo non riuscivo proprio a sopportarlo. Non sopportavo il fatto che a cantare questo monito fosse proprio l’unico ragazzo che, dopo anni, era riuscito a farmi perdere un battito.
Emma, diamine, reagisci.
 
Don't carry the world upon your shoulders
 
Strinsi i denti, decisa.
Quella canzone era stata, in passato, la causa dei miei dolori, del mio cuore infranto.
Quella canzone era stata anche, però, l’unico rimedio per sconfiggere tali sofferenze.
Le sue parole, i suoi versi, mi avevano lasciata affogare nel baratro dei miei pensieri.
Le sue parole, i suoi versi, erano anche stati gli unici in grado di farmi tornare a galla, coi loro messaggi di positività.
Tirai su la testa, poggiando il mento nell’incavo fra le due ginocchia. Quello non sarebbe stato il giorno in cui mi avrebbe lasciata affogare di nuovo.
La bellezza delle parole di McCartney non meritavano di essere associate a brutti momenti. Non più.
Era arrivato il momento di associarle a momenti belli, indimenticabili. Come una serata di divertimento con Allie nel locale più famoso e bello del mondo. Come una serata ad ascoltare un’ottima cover band. Come una serata in cui mi ero chiusa in bagno, sull’orlo di una crisi di nervi, ma poi ero riuscita a cavarmela da sola. Come la sera in cui avevo deciso di chiudere definitivamente in un cassetto i vecchi ricordi.
 
Remember to let her into your skin
Then you begin to make it better
 
Mi alzai in piedi. Mi sistemai alla meno peggio la camicetta color pesca e pulii nel migliore modo possibile il copri water, che aprii con una mossa veloce.
Sospirai, cercando di recuperare l’aria persa. Tutta quella situazione non aveva avuto minimamente senso.
Continuavo a ripetermi che sentire il cuore accelerato per qualcuno non aveva alcun significato. E, sostanzialmente, avrei dovuto smettere di pensarci. Mi sentii una pazza ossessionata, e avrei dovuto darci un taglio.
Dopo un respiro profondo, finalmente aprii la porta.
“Tutto ok, cara? Sei chiusa da lì dentro da un po’” mi domandò Hayley, poggiando la mano sul cellulare, appoggiato sul suo orecchio.
Come al solito la grossa donna delle pulizie era seduta su una sedia posta fra il ripiano dei lavabi e una colonna, con indosso la sua solita divisa da lavoro blu marina e le treccine dei capelli tenute insieme da un enorme elastico variopinto e pieno di piume finte. Era una cara signora, ed era davvero molto piacevole parlare con lei, nei rari momenti in cui non si trovava al cellulare.
“Certo, Hay, non preoccuparti” replicai sorridendo, avvicinandomi allo specchio per controllare la situazione.
Sistemai alla meno peggio la mia chioma castana eccessivamente arruffata. A mente fredda, detestavo sempre la mia mania di passarmi le mani fra i capelli ogni qualvolta mi sentissi eccessivamente nervosa.
Quando mi sentii quasi soddisfatta del risultato, passai agli occhi. Erano terribilmente rossi, proprio come se avessi pianto per una giornata intera. Eppure non avevo versato nessuna lacrima. Se qualcuno me l’avesse chiesto, avrei optato per la soluzione più ovvia: il fumo. Sicuramente era una scusante meno imbarazzante del ‘mi è venuto un attacco di panico ascoltando una cover di Hey Jude al Cavern Club, niente di che’. Meno imbarazzo e meno domande indiscrete. Misi a fuoco il mio intero volto. Avevo la faccia di una ragazza che aveva appena fumato una canna? Sorrisi leggermente. Probabilmente sì. E pensare che nei miei ventitré anni avevo provato a fumare solo una volta, durante un viaggio estivo con degli amici, e quell’unica volta mi aveva anche fatto schifo.
Tornai a studiarmi gli occhi, alla ricerca di un qualsiasi difetto da correggere. Tolsi le linee di eyeliner colato strofinandomi con le dita, rendendo gli occhi ancora più rossi. Alla fin fine mi interessava molto poco che gli altri mi credessero un’accannata: in fin dei conti, almeno il novanta per cento della gente lì dentro lo era.
Una volta finito, mi sciacquai le mani e le asciugai con l’asciugatore. Come ogni volta mi scottai, ma ormai ci ero abituata.
Mi avvicinai nuovamente al ripiano con i lavabi, dove, a pochi centimetri dal gomito di Hayley, si trovava un piccolo cestino di vimini pieno di caramelle. Arricciai il naso e affondai la mano fra tutte quelle delizie, tirandone fuori una raccolta in una carta lucida rossa a strisce gialle.
“Sempre la solita, eh?” domandò la grossa donna delle pulizie, poggiando nuovamente una mano sul microfono del cellulare per impedire al suo interlocutore di ascoltare la nostra breve conversazione.
“Come sempre” replicai annuendo, accennando un sorriso.
Scartai la caramella ed iniziai a mangiarla con gusto. Era bello che Hayley mettesse a disposizione di tutte le clienti del locale delle caramelle. Era un’idea semplice ma dolcissima. Ogni volta che mi porgeva quel cestino mi sentivo accolta e coccolata, come in un abbraccio pieno di zucchero. E non erano state rare le volte in cui mi ero rintanata in bagno per una carenza d’affetto.
“Ormai le mou le compro solo per te, sai?” continuò ridacchiando, indicandomi la carta che ancora tenevo in mano.
“Io l’ho sempre detto che sei un tesoro” le risposi, in un grande e sincero sorriso.
Gettai la carta nel cestino vicino alla porta, salutai con un cenno la donna delle pulizie che, nel frattempo, era tornata a parlare al cellulare, ed uscii dal bagno.
 
Better, better, better
 
Venni accolta da una marea di gente che intonava alla meno peggio il classico na, na, na della canzone. Con tutti gli uomini ubriachi nella sala, però, la dolce canzone poteva facilmente essere scambiata per uno squallido coro da stadio. Sorrisi all’idea di Fortress Anfield pieno di tifosi intenti ad intonare la canzone dei Beatles, ed iniziai a canticchiare tra me e me.
Allie mi attendeva al tavolo, cantando a sua volta. Quel coro conquistava sempre tutti. Notai due bottiglie di birra intatte poggiate sul ripiano e, sedendomi, squadrai la mia amica.
“Mi annoiavo e ne ho prese altre due” si giustificò, alzando le spalle e riprendendo a cantare.
Ne presi una e bevvi una sorsata. Birra, limone e mou erano un misto stranamente piacevole. Ormai, in ogni caso, avevo rinunciato a trattenermi, e l’alcool non avrebbe fatto altro che rendere più piacevole la serata.
Sbirciai con la coda dell’occhio sul palco e notai tutti e tre i ragazzi intenti a porgere i microfoni al pubblico, cantando a loro volta il coretto infinito di quella canzone. E, ne frattempo, bevevano da delle bottiglie di birra che qualcuno gli aveva offerto mentre ero via. Automaticamente ed incondizionatamente, alzai la voce, come se una parte nascosta di me volesse far arrivare la mia voce a quei microfoni, a quelle orecchie.
Era passata solo una manciata di minuti dalla mia stupida crisi di nervi, eppure già mi sembrava un’eternità. Il battito era regolare, salvo qualche accelerazione involontaria ogni qualvolta guardassi eccessivamente il cantante biondo, e la respirazione aveva riacquistato la normalità. Non avevo quasi più aria nei polmoni, ma quella era colpa della canzone. Non ero più nervosa, arrabbiata, triste, agitata. Improvvisamente mi sentivo bene e a casa, cullata da quelle note familiari cariche di positività.
I nuovi ricordi, con Hey Jude di sottofondo, erano cominciati davvero bene.




 

Angolo dell'Autrice:
Immagino sia inutile dire che l'intero capitolo è basato sulla canzone Hey Jude :) Con questo capitolo "di passaggio" veniamo a conoscenza delle turbolenze nel carattere di Emma, della sua lunaticità e della sua ossessione per certe canzoni, ma anche la sua voglia di ricominciare e di voltare pagina da quel passato che ancora la tormentava un poco... Spero solo di non aver confuso anche voi!
Alla settimana prossima,
Julia

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Capitolo 4
*** Love me do ***






Love me do
 
“Questa è la nostra ultima canzone della serata” annunciò il chitarrista barbuto, dopo una manciata di altre cover ben realizzate.
Era stata una gran bella serata, e la loro musica aveva irrimediabilmente influito positivamente sulla buona riuscita delle mie più ottimistiche volontà di trasformare la tranquilla giornata in una giornata da ricordare. Io e Allie avevamo smesso di prendere da bere dopo le bottiglie che la mia amica aveva preso mentre ero in bagno: tre bottiglie in sole due ore erano abbastanza per renderci spensierate e felici, e non avevamo alcuna intenzione di esagerare. Ovviamente le intenzioni iniziali di spostarci allo Ship and the Mitre erano state accantonate da un bel pezzo, per mia infinita gioia.
Il batterista paffuto tirò fuori dalla tasca dei suoi jeans marroni un’armonica a bocca, ed iniziò a suonare le note familiari di Love me Do.
“Fanno per ultima la prima canzone dei Beatles, non è buffo?” domandai, seppur consapevole dell’indifferenza di Allie nei confronti di quei dettagli irrilevanti.
“Se lo dici tu” rispose, facendo spallucce e continuando a ondeggiare la testa a ritmo di musica.
Sebbene conoscesse la maggior parte delle loro canzoni, la mia amica non era mai stata una grande fan dei Beatles. Le canzoni che le piacevano davvero si potevano contare sulle dita delle mani, ed era davvero raro vederla canticchiarle. Non la prendevano, non le reputava canzoni coinvolgenti o degne di essere ricordate. O, almeno, questa era la scusa che utilizzava ogni qualvolta iniziassi a fargliele sentire. Eppure, quella sera sembrava più presa e coinvolta del solito da quelle note e da quei versi.
 
Someone to love, somebody new
Someone to love, someone like you
 
“Ti vedo presa, stasera” le dissi sorridendo, giocherellando con l’etichetta della bottiglia vuota di fronte a me.
“Te l’ho detto, questi ragazzi mi piacciono” replicò con nonchalance, alzando le spalle e increspando le labbra in un sorriso.
Non c’erano grandi cose da dire a riguardo. Quando Allie diceva che qualcuno le piaceva, ed era raro che lo facesse in modo così semplice e senza ricorrere a turpiloqui inutili, intendeva dire che le piaceva davvero. Annuì in risposta, guardando ancora una volta i musicisti che avevano fatto da colonna sonora alla nostra serata. Ciò che non capivo in quel momento, però, era cosa piacesse di quei tre alla mia amica. Nonostante fossero un’ottima cover band, dal ritmo coinvolgente e dagli arrangiamenti perfettamente riusciti, stentavo a credere che fosse la loro musica ad aver colpito in quel modo la ragazza seduta di fronte a me.
I suoi occhi erano accesi, brillanti. Li guardava con ammirazione ed una punta di desiderio. Cercai di individuare la traiettoria del suo sguardo, ma non ci riuscii. Fu solo allora che capii che, probabilmente, con il suo semplice ‘mi piacciono’ non parlava affatto della loro musica, bensì dei loro bei faccini. Era fin troppo strano, nonostante avesse bevuto abbastanza, che fosse improvvisamente diventata un’ammiratrice di cover band sconosciute.
“Devo riuscire a parlarci” sostenne, parlando più a sé stessa che a me. Involontariamente, aveva dato risposta ai miei dubbi inespressi. Ora era chiaro tutto ciò che le frullasse per quella sua testa malsana: voleva parlarci e conoscerli. E io, conoscendola, sapevo che la sua concezione di ‘parlare’ e di ‘conoscere un ragazzo’ era decisamente diversa di quella di qualsiasi comune mortale.
Sentii improvvisamente un calore salire dallo stomaco fino al viso, ed una strana agitazione prendere possesso dei miei pensieri. Sperai per un attimo con tutto il cuore che il nuovo obbiettivo di Allie non fosse il cantante di quella cover band. Il ragazzo con la voce di George Harrison, le movenze di John Lennon e il tic di Ringo Starr che stava catturando tutta la mia attenzione fin dall’inizio della serata, che era sempre più vicino alla mia concezione di perfezione, non poteva e non doveva essere la nuova preda della mia amica. Perché conoscevo fin troppo bene la sorte che capitava ad ogni vittima di Allie: i suoi splendenti occhioni blu, i suoi fluenti capelli ramati, le sue labbra rosse e carnose erano sempre stata un’arma letale per ogni ragazzo. Non era mai stato eccessivamente difficile, per la mia amica, riuscire a conquistare qualcuno che le piacesse: le bastava sbattere velocemente quelle ciglia e spostarsi di poco i capelli dal viso per far cadere ai suoi piedi chiunque con facilità. E ‘Richard’, di certo, non avrebbe fatto eccezione.
Non che avessi mai avuto in mente di andare da lui e parlargli, era chiaro. Ma se anche avessi voluto, non avrei mai avuto speranze contro Allie. I miei capelli castani perennemente fuori posto, gli occhi scuri e banalmente ordinari e il mio viso scontato e per nulla particolare non erano nulla in confronto alla semplice bellezza della mia amica. Forse era anche per questo che ormai avevo rinunciato a provare di piacere a qualcuno, chiudendomi a riccio e limitandomi a rivestire la parte della ‘amica della tipa carina’, l’amica spalla che è sempre in disparte ad ammirare l’altra mentre socializza e conquista. Sostanzialmente, ormai mi ero abituata a restarmene in un angolo, in preda alle emozioni contrastanti di felicità per la mia amica e invidia per la sua sfacciataggine e fortuna.
Ma, per un attimo, sentii quell’abitudine starmi stretta addosso. Non mi piaceva affatto l’idea, per la prima volta, di vedere Allie provarci –e riuscirci- con qualcuno, soprattutto se quel qualcuno era il biondino che cantava. Quel calore allo stomaco era sempre più forte e fastidioso. Era forse gelosia? Aggrottai la fronte, interdetta dai miei stessi pensieri. Non potevo di certo essere gelosa di qualcuno che nemmeno conoscevo, di qualcuno che non mi apparteneva in nessun modo.
“Di chi stai parlando?” chiesi, cercando delle conferme.
In attesa della risposta, la mia testa riuscii a formulare le peggiori delle immagini. Vidi Allie flirtare palesemente con ‘Richard’, li vidi ballare e sparire chissà dove, per poi vederli ricomparire all’improvviso –lui coi segni di rossetto fucsia un po’ ovunque per tutta la faccia-. Scacciai ogni sorta di pensiero negativo, sentendomi improvvisamente infastidita anche solo all’idea.
Probabilmente sì, quella non era altro che gelosia pazza ed incondizionata.
“Ma di ‘Cam’, ovviamente. Chi pensavi?” rispose tranquillamente, sgranando gli occhi confusa.
Tirai un sospiro di sollievo che, grazie al cielo, riuscii a non far notare. E tutto il calore che si stava velocemente accumulando fra le mie viscere cominciò a scemare, stemperandosi.
Feci spallucce, con nonchalance.
“Credevo parlassi di ‘Richard’” le spiegai, indicandole con lo sguardo il biondino.
“Nah. Devo ammetterlo, è davvero figo, ma non ha quel qualcosa in più che invece ha il suo amico barbuto” mi spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Le sorrisi ed annuii, lasciandole capire che il suo ragionamento era giunto a destinazione.
Gli accordi della canzone terminarono ed uno scrosciante applauso accompagnò la fine dell’esibizione di quei tre ragazzi, che si chinarono all’unisono –proprio come i Beatles- per ringraziare tutti quanti. Raccolte tutte le acclamazioni, i tre scesero rapidamente dal palco e si rinchiusero nel backstage.
 
Non passò molto tempo che i tre uscirono dalla porticina vicina alla porta del bagno, asciugati dal sudore della performance e con gli abiti cambiati. Il batterista raggiunse una ragazza ad un tavolino vicino alla vecchia cabina del telefono, mentre gli altri due si diressero al bancone per ordinare da bere. Una volta preso un enorme boccale di birra nera ciascuno, si diressero verso un tavolino posto a pochi metri dal palco, dove si sedettero ed iniziarono a chiacchierare tranquillamente.
Allie, ovviamente, non smise di seguirli con lo sguardo nemmeno per un secondo. Ed io non fui da meno.
Nel frattempo un signore sulla quarantina, con un cappello da cowboy in testa ed una chitarra acustica blu elettrico tra le braccia salì sul palco, annunciandosi a tutti come prossimo performer della serata.
“Che ne dici se andassimo a sederci più vicine al palco?” mi domandò la mia amica, indicandomi il tavolino vuoto dietro a quello dove si erano appena seduti i due ragazzi. Non mi sorpresi affatto di quella proposta, e mi limitai ad alzarmi e a seguire la mia amica. La caccia di Allison Setter era appena iniziata.
“Ovviamente tu ti siedi di spalle al loro tavolo, io devo guardare bene Cam” mi sussurrò all’orecchio, iniziando a spiegarmi il suo piano malefico.
Mi indicò la sedia che mi aveva appena assegnato senza il mio consenso e, nel vederla, sentii il volto avvampare. Lo schienale di legno era appoggiato sullo schienale della sedia del tavolo dei due ragazzi. Ed ovviamente, seduto in quella sedia c’era ‘Richard’. Ma, altrettanto ovviamente, non potevo obbiettare la decisione della mia amica, a meno che non volessi essere mangiata o qualcosa di simile.
Obbedii senza fiatare. Lei iniziò a parlarmi con nonchalance del tempo, cercando di rendere il più credibile possibile il suo insulso discorso senza senso, mentre con gli occhi cercava continuamente lo sguardo del chitarrista barbuto che sedeva di fronte all’amico. Io, dal canto mio, mi preoccupai di non muovermi eccessivamente per non infastidire il ragazzo dietro di me. Sembrava quasi assurdo, ma riuscivo perfettamente a sentire la sua schiena contro la mia, e questo mi mandava terribilmente in iperventilazione. Avevo notato quanto fossero pericolosamente vicine le due sedie, ma non credevo fossero davvero così vicine.
Non provai nemmeno minimamente a capire l’argomento di finta conversazione di Allie. In ogni caso sarebbe stato inutile. Mi limitavo ad annuire, fingendo interesse. Mi concentrai, piuttosto, su ogni singolo movimento che percepivo alle mie spalle. Il cantante biondo alle mie spalle non stava fermo un attimo: si alzava dallo schienale, si appoggiava di nuovo, si piegava ridendo o si sistemava sulla seduta ogni qualvolta alzasse il gomito per poter bere. Si fosse trattato di chiunque altro, quel continuo movimento iperattivo mi avrebbe infastidito a tal punto di commentare ironicamente con la persona in questione la sua poca tranquillità. Ma, per quella volta, ero inchiodata alla sedia a sentire con un brivido qualsiasi spostamento d’aria che causava. Mi sentivo una vera pazza in piena crisi ormonale.
Rose, una delle cameriere, si avvicinò al nostro tavolo con un vassoio in mano.
“Ragazze, offre la casa. Scegliete quello che volete” ci disse sorridente, poggiando il piatto di portata sul legno scuro e sporco. Una ventina di bicchierini da shot erano sistemati in maniera ordinata. Il liquido al loro interno era coloratissimo, e tutti i bicchierini erano sistemati fra di loro per cromia, creando un bellissimo gioco ottico e rendendo il tutto ancora più invitante di quanto non lo fosse già.
Io ed Allie la ringraziammo all’unisono ed iniziammo a cercare il liquore che ci piacesse di più, nonostante, in realtà, ci piacessero davvero tutti. Alla fine la mia amica optò per una classica vodka alla fragola, di un rosa intenso, mentre io scelsi un liquore agli agrumi d’Italia, di un arancio acceso.
“Ottima scelta” si congratulò la ragazza, come sempre, e si diresse verso il tavolo alle mie spalle.
Si annunciò con le stesse esatte parole con cui si era presentata al nostro tavolo.
“Voi potete prendere anche due a testa, dato che avete suonato” aggiunse, però. Dal modo veloce ed euforico con cui ‘Richard’ si mosse sulla sedia potei intuire che fosse davvero contento all’idea di avere due shot gratis. La ringraziò, probabilmente dopo aver preso le sue scelte, e si poggiò nuovamente sullo schienale della sedia, lasciando che le pieghe della maglia toccassero la mia schiena.
Sentii quel lembo di pelle andare a fuoco, esattamente come il mio viso. E, tanto per aumentare quel calore infernale, buttai giù tutto il mio shot in un solo sorso. Tanto peggio di così.
 
Well she looked at me
And I, I could see
That before too long
I'd fall in love with her
 
I miei pensieri vennero interrotti da un risolino di Allie. Per quanto fossi distratta dal suo discorso totalmente inventato, ero certa che non ci fosse alcuna battuta divertente su cui ridere.
“Perché ridi?” domandai, incapace di frenare la mia grande curiosità.
La mia amica tolse le mani da davanti la bocca e stirò le labbra in un grande sorriso, iniziando a sbattere le ciglia velocemente. Non guardava me, ma qualcuno dietro di me. Ebbi l’impulso di voltarmi, ma non appena accennai un movimento ricevetti un calcio da sotto al tavolo.
“Non girarti, scema. Cam mi sta facendo facce strane e mi manda i baci” mi informò in un sibilo, tornando poi a guardare la sua preda che, incredibilmente, aveva già abboccato.
Era brava, Allie, a conquistare i ragazzi. Ma non era mai riuscita a farne cadere uno così in fretta. Per questo spalancai gli occhi ed iniziai a guardarla con ammirazione. Continuava a ridacchiare come una bambina, a sbattere le sue lunghe ciglia e a fissare il chitarrista che, evidentemente, stava ricambiando le sue stesse attenzioni.
“Dovresti vederlo, Em. Si nasconde dietro la testa di Richard e poi risbuca ridendo e ammiccando” mi riferì, senza togliere gli occhi di dosso al ragazzo alle mie spalle. “Credo sia ubriaco, comunque. Sul palco ha bevuto tre birre, e ora sul tavolo ha altre due caraffe solo per sé e due bicchierini da shot” sostenne, poggiando i gomiti sul tavolo e appoggiando il mento sui palmi congiunti delle mani.
Annuii, senza troppo entusiasmo, e le sorrisi. Stando alle mie stime, mancavano all’incirca dodici minuti al momento in cui mi avrebbe lasciata sola per stare con quel ragazzo, sicuramente ubriaco.
 
She wouldn't dance with another
Oh, when I saw her standing there
 
Non passò nemmeno un minuto da quando calcolai il tempo medio di rimorchio di Allie, che questa si alzò, ridendo, senza dirmi nulla.
La seguii con lo sguardo e notai ‘Cam’ in piedi, poggiato con una mano sul loro tavolo, che le prendeva la mano e la baciava delicatamente, come un perfetto gentiluomo. L’uomo che cantava sul palco aveva alzato il volume della sua chitarra, e per questo non riuscii a sentire nemmeno una parola di quello che i due si scambiarono. Vidi però il ragazzo fare un cenno verso il piccolo spazio vuoto sotto al palco, ed Allie annuire sommessamente, sorridendo con fare affabile.
Avevo decisamente sbagliato a fare i calcoli.
I due si diressero verso lo spazio vuoto –non che fosse così distante dai nostri tavoli, dopotutto erano solo quattro passi- ed iniziarono a ballare insieme a ritmo della canzone che il tipo sul palco stava suonando.
 
Oh we danced through the night
And we held each other tight
 
Entrambi si muovevano molto bene, accompagnati da quelle note. I loro passi erano un mix rivisitato di twist, rock’n’roll e mosse a casaccio che, però, riuscivano a sincronizzare perfettamente. A guardarli, sembravano due ballerini semi professionisti reduci di lunghissime ore di allenamento.
Cam la prese per mano, le fece fare una giravolta, e la strinse a sé, continuando a saltellare. Ballava cantando, e sembrava preso dalle parole di quella canzone così azzeccata in quel momento tanto quanto dagli occhi della mia amica. Allie era meravigliosamente allegra, e si muoveva senza inibizioni. Si lasciava guidare dal suo nuovo cavaliere ma al tempo stesso ballava con una grinta ed un’energia che spesso la rendevano la trasportatrice della coppia. Muoveva i fianchi in modo sensuale ma mai volgare, proprio come solo lei sapeva fare. La gonna del suo abitino a fiori si muoveva da una parte all’altra in maniera aggraziata, rendendola ancora più leggiadra.
Erano davvero molto belli da vedere, tant’è che la maggior parte della gente fra il pubblico spostò la sua attenzione dal cowboy sul palco a loro senza farsi troppi problemi.
Erano diventati la nuova attrazione del Cavern Club, gli unici due in grado di ballare in quello spazio ristretto senza vergognarsi affatto di tutti gli occhi indiscreti.
 
Now I'll never dance with another
Oh, when I saw her standing there
 
La canzone terminò in un applauso. L’uomo sul palco s’inchinò, ringraziando tutti quanti. I due ballerini, invece, ignorarono totalmente tutto quell’apprezzamento –che, in buona parte, era dedicato a loro- e si avvicinarono nuovamente ai tavoli.
Cam baciò nuovamente la mano di Allie che gli sorrise e tornò a sedersi al suo posto.
“Avete dato spettacolo” sostenni, sorridendole.
Quella ricambiò il sorriso e si spostò una ciocca di capelli da davanti il viso, ancora col fiatone.
“Sì chiama Mic, comunque” affermò, ignorando totalmente ciò che le avevo detto.
Senza perdere tempo a presentare la canzone successiva, l’uomo sul palco cominciò a suonare Please please me, sostituendo le note dell’armonica con degli accordi di chitarra.
Allie si alzò di nuovo, chiamata dal suo compagno di ballo. Stavolta non mi feci scrupoli e mi girai completamente sul posto, per poterli guardare.
Erano ancora vicino ai nostri tavoli quando Mic mi squadrò, sorridendomi. Dopodiché passò il proprio sguardo all’amico, anch’esso voltato per guardarli. Non mi ero minimamente resa conto del fatto che avesse poggiato il proprio braccio sullo schienale della mia sedia.
“Voi due dovreste ballare insieme” ci consigliò infine, indicandoci entrambi spostando il dito a destra e a sinistra.
“Oh, sì, dai, fateci compagnia” lo appoggiò Allie, stringendosi al suo braccio e lasciandolo leggermente di stucco.
Io, nel frattempo, stavo letteralmente andando in fiamme. Maledetto shot, maledetta birra, maledetti Mic e Allie e maledetta me. Sperai con tutto il cuore che la luce fioca del locale nascondesse il mio colorito più che paonazzo.
“Sarebbe una bella idea” annuì il biondino, voltandosi finalmente per guardarmi.
Quando i suoi occhi grigi incrociarono il mio sguardo, non potei fare a meno di abbassare la testa, imbarazzatissima.
“Io… preferirei di no, in realtà. Non so ballare” mi giustificai, prima balbettando e poi pronunciando il tutto talmente veloce da non capire io stessa cosa stessi dicendo.
Notai con la coda dell’occhio il ragazzo affianco a me guardare nuovamente il proprio amico, scrollando le spalle. Mic gli diede due colpi sulla spalla, strinse al suo fianco Allie e la trascinò di nuovo sulla pista.
Sbuffai, odiando me stessa e la mia innata scoordinazione nel ballo. Non ero mai stata capace, ed il massimo del movimento a ritmo di una canzone che ero in grado di fare era quello di ciondolare la testa o battere il piede a terra. Ed in quel momento, se non fosse stato per la mia goffaggine e la mia incapacità, probabilmente sarei stata sulla ‘pista da ballo’ insieme a ‘Richard’. Maledizione.
Mi poggiai con la spalla sullo schienale della sedia, continuando a guardare i due che avevano già ripreso a ballare. Non appena sentii che non era la sedia quella che stavo toccando con la spalla, feci uno scatto all’indietro, come percorsa da una scarica elettrica. Mi voltai verso il ragazzo che sedeva al mio fianco, con uno sguardo carico d’imbarazzo e di scuse. Mi ero appoggiata sul suo braccio, che ora aveva ritirato in uno scatto.
“Scusami” mi precedette, scusandosi per una colpa che non era sua.
Scossi la testa, scusandomi a mia volta in maniera sciocca ed impacciata. E lui mi sorrise raggiante. Notai, per la prima volta nonostante lo guardassi da ore, che i suoi incisivi erano leggermente più grandi rispetto agli altri denti, rendendo il suo sorriso ancora più adorabile. E ancora più simile a quello di Paul McCartney.
Non appena realizzai ciò strabuzzai gli occhi e, in uno scatto, distolsi lo sguardo da lui e tornai a fissare Allie e Mic che ballavano. Non mi concentrai affatto su di loro, però. Sentivo la mente e la vista annebbiate, confusa da tutto ciò che stava accadendo.
Mi innamorerò solo quando troverò qualcuno che sia bello, talentuoso e divertente come John, Paul, George e Ringo messi insieme.
La mia affermazione di poche ore prima era diventata improvvisamente una predizione. L’assurdità del mio desiderio si era incarnato in quel ragazzo biondo che sedeva al mio fianco. E per quanto l’immaginazione mi giocasse spesso brutti scherzi, quella volta non era tutto solo una visione. Quel miscuglio perfetto di caratteristiche dei quattro uomini più importanti della mia vita era assolutamente surreale, ma anche terribilmente vero. Ed io avevo appena rifiutato di ballare con lui.
Stupida, stupida, stupida.
 
I know you never even try, girl
Come on, come on, come on, come on
Please, please me, wo yeah, like I please you
 
“Peccato…” sentii pronunciare al mio fianco.
Alzai nuovamente lo sguardo e mi voltai verso il biondino che aveva appena parlato. Ero quasi certa che non fosse pazzo, benché notevolmente allegro dal troppo alcool, quindi immaginai che stesse parlando con me. Non sembrava un ragazzo talmente introspettivo da parlare a se stesso o al nulla, in tutta sincerità.
“Come, scusa?” gli domandai, giustificando la mia assenza mentale indicando il cantante sul palco.
Non potevo di certo ammettere di essere partita a girare i peggiori film mentali di sottomarca. Non potevo dirgli che mi stavo struggendo per aver rifiutato il suo invito a ballare.
“Peccato che tu non sappia ballare” ammise, gesticolando più del dovuto. “Sì, insomma, sarebbe stato divertente” farneticò. Il suo impaccio e le sue parole mi fecero nuovamente arrossire. Era tutto talmente assurdo che, per un attimo, credetti di sognare.
Abbassò lo sguardo, lasciando cadere così il discorso. E gli fui terribilmente grata, perché in una situazione imbarazzante come quella probabilmente non sarei minimamente riuscita a replicare in alcun modo.
Tornai a guardare i due ballerini. I loro corpi erano sempre più vicini, e sembrava anche che diventassero più affiatati ogni secondo che passasse. Ero felice per Allie, benché davanti a me si prospettasse una serata in solitaria malinconia. Perché era abbastanza chiaro che ormai Mic era abbastanza andato per lei, e probabilmente non sarebbero stati ancora a lungo sulla pista a ballare. Ormai conoscevo fin troppo bene le tecniche di seduzione della mia amica per non sapere quello che le aspettava e mi aspettava.
Quando l’uomo sul palco terminò la sua canzone, poggiò la chitarra in un angolo del palco e si dileguò dietro ad una colonna, mentre tutti quanti erano ancora impegnati ad applaudire. Mic ed Allie si avvicinarono di nuovo ai tavoli. Chissà se avevano intenzione di fare avanti e indietro della pista ancora per molto.
“Sei davvero un’ottima ballerina. È un piacere ballare con te” si congratulò il ragazzo, mentre la stringeva con voracità al suo fianco.
Allie, senza troppi convenevoli, gli poggiò una mano sul petto e, mettendosi sulle punte dei piedi, gli schioccò un bacio su una guancia. Su un punto della guancia terribilmente vicino all’attaccatura delle labbra, in realtà.
“Il piacere è tutto mio” ammise infine, tornando alla sua altezza naturale e sorridendogli maliziosamente. Quello le restituì il sorriso, di slancio, e lasciò la presa sul suo fianco, rendendola libera di tornare a sedersi al suo posto.
Sbuffai, voltandomi per trovarmi di nuovo di fronte alla mia amica che, in uno slancio di entusiasmo, mi fece l’occhiolino.
“Alla prossima canzone ti alzi e balli col biondino. È la prima volta che becco un ragazzo con un amico così figo. Approfittane, Em!”




 

Angolo dell'Autrice:
Mi sento quasi emozionata a pubblicare oggi, proprio dopo aver finito di vedere The Beatles - The Night That Changed America, soprattutto perché una delle tre canzoni di questo capitolo è stata suonata live da Sir McCartney in persona e sì, insomma, sentirlo cantare mi fa sempre un certo effetto. Ma questo non c'entra molto col capitolo...! Ci tengo a specificare che quello che è accaduto ad Allie può, sì, sembrare assurdo ma, fidatevi, ho visto accadere una cosa simile proprio con i miei occhi, e proprio al Cavern Club. Anche la realtà può essere assurda, a volte. Finalmente si scopre il nome del ragazzo barbuto dal quale Allie è attratta... e finalmente c'è un primo approccio fra Emma e 'Richard'. Cosa ne pensate?
Le canzoni di questo capitolo sono Love Me Do, ovviamente, ma anche I Saw Her Standing There e Please, Please Me, la canzone che da il titolo a questa storia :)
A martedì prossimo,
Julia

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Capitolo 5
*** She loves you ***





She loves you
 
L’uomo col cappello da cowboy sul palco uscì finalmente fuori da dietro la colonna dove si era nascosto. Fra le braccia stringeva un piccolo ukulele di legno chiaro ed i dettagli in nero. Sfiorò leggermente le corde, e queste vibrarono in leggere note acute e meravigliose. Avevo sempre adorato il suono dell’ukulele. Non appena lo vidi e lo sentii suonare quello strumento, però, venni percorsa da un’infinità di brividi.
Erano poche le canzoni dei Beatles facilmente rifacibili con quello strumento così fuori dal comune. E per un attimo ebbi il terrore che stesse per fare una cover di quella canzone.
Allie si preoccupò ben poco della mia faccia semi sconvolta, e anzi si alzò di nuovo dal suo posto per raggiungere Mic che era già in piedi ad attenderla per un altro ballo. Erano incredibili: non avevano la minima idea di che canzone stesse per partire, eppure loro erano già pronti per scatenarsi. Ma se le mie paure erano fondate, quello non era affatto il brano giusto per scatenarsi.
Finalmente il tipo sul palco iniziò a suonare. E le mie paure si trasformarono in realtà.
Mi portai le mani sul viso, leggermente scossa. Non avevo un vero motivo per essere terrorizzata da quella canzone, se non il fatto che ad ogni ascolto iniziassi a piangere come una bambina. Erano anni che provavo a capirne il perché, ma sempre con scarsi risultati. Forse era colpa di quelle note così dolci, di quelle parole così cariche d’amore e di sentimento che ogni volta mi arrivavano dritto al cuore, provocandomi non pochi scompensi.
 
Something in the way she moves
Attracts me like no other lover
 
Proprio come immaginavo, i miei occhi non impiegarono molto tempo a diventare acquosi.
Distolsi lo sguardo, lievemente appannato, dai due ballerini. Sinceramente non m’importava molto di loro due, in quel momento. Per un attimo la mia priorità fu quella di non sembrare una perfetta idiota che piange senza motivo per una canzone romantica.
“Hey, tutto ok?”
Ecco, appunto: missione fallita.
Mi asciugai velocemente gli occhi con le mani e mi voltai verso il ragazzo al mio fianco, annuendo velocemente e sorridendo il più sinceramente possibile. Avevo sicuramente appena fatto una delle peggiori figuracce sulla terra, e non me lo sarei mai perdonato.
“Sì, sì, certo. È che…” ma non riuscii a terminare le mie insulse giustificazioni, perché il ragazzo si alzò dalla sedia e mi si fermò di fronte, fissandomi negli occhi. Venni scossa da un brivido, ma la canzone non c’entrava stavolta.
Mi porse una mano, che rimasi a fissare per qualche secondo prima di tornare a guardarlo in viso, non capendo le sue intenzioni. Mi sorrise, cordiale.
“Non c’è bisogno di essere grandi esperti per poter ballare questa canzone, non credi?” si giustificò, scrollando le spalle.
Non potei fare a meno di sorridergli, incerta ma inspiegabilmente felice. Gli porsi la mia mano tremante e quello la strinse, aiutandomi ad alzarmi. E non lasciò affatto la presa, mentre mi conduceva a grandi passi verso il piccolo spazio libero sotto al palco. Ogni più piccolo spazio di pelle a contatto con la sua mano fredda mi lanciava piccole scosse elettriche che mi percorrevano lungo tutto il braccio, per giungere poi all’intero corpo. Era una sensazione strana, nuova. Ma meravigliosa.
Ci fermammo al centro della pista, poco distanti da dove Mic ed Allie stavano volteggiando sinuosamente. Io, dal canto mio, mi sentivo una statua di gesso, pietrificata in quel punto ed incapace di muovere qualsiasi passo.
“Non so cosa…” iniziai, ma con uno “sssh” interruppe di nuovo il mio discorso sconnesso e lamentoso.
“Non devi fare niente, solo lasciarti andare alla canzone e farti guidare da me, ok?” pronunciò in un soffio. Il suo sorriso era molto più convincente di mille parole, ed annuii senza troppi ripensamenti.
Allentò leggermente la presa sulla mia mano e, per un attimo, ebbi l’impressione che avesse già gettato la spugna nel tenare di farmi muovere al ritmo di quella canzone. Ma rimasi piacevolmente sorpresa quando, invece, si limitò semplicemente a far intrecciare le sue dita con le mie, in un gesto del tutto spontaneo e naturale. Ed altrettanto spontaneo fu il mio sorriso impacciato, ed il rossore che riempì le mie guance ancora una volta. Lentamente fece scivolare l’altra mano fino al mio fianco e in una mossa veloce ma delicata mi strinse contro il suo corpo.
Il battito cardiaco iniziò ad accelerare all’impazzata e sperai davvero con tutta me stessa che non lo sentisse, nonostante la pericolosa vicinanza. Portai, con una simulata disinvoltura che nascondeva tutto il mio nervosismo, la mano libera sulla sua spalla.
E, proprio come in un film, tutto ciò che era intorno a me svanì. Non c’era più nessuno intorno a noi, non c’erano più quei muri di mattoni rossi, quel piccolo palco, quell’uomo che cantava tenendosi il ritmo con l’ukulele. Tutta la mia attenzione era sprofondata nei suoi meravigliosi occhi grigi. Senza che me ne rendessi conto, iniziammo a dondolare lentamente a tempo. In un’altra situazione probabilmente mi sarei sentita stupida ed impacciata, e mi sarei vergognata a morte all’idea di mostrare tutta la mia scoordinazione al mondo intero. Ma lì, al centro del Cavern Club, stretta ad un ragazzo pericolosamente affascinante, nulla di tutto ciò m’importava.
“Comunque io sono Jay” mi soffiò in un orecchio, e quel delicato spostamento d’aria terribilmente vicino al collo mi fece rabbrividire, ancora una volta. Sapeva di alcool, ma poco m’importava. Gli sorrisi debolmente, ringraziandolo tacitamente per essersi presentato. Fosse stato per me, probabilmente avrei continuato a chiamarlo con il nome che gli aveva affibbiato Allie poco prima.
Mi alzai leggermente sulle punte, avvicinandomi il maniera pericolosa al suo viso.
“Emma” mi presentai, a mia volta, per poi tornare alla mia originale altezza, continuando ad ondeggiare a ritmo.
 
You stick around and it may show
I don't know, I don't know
 
Durante l’assolo di chitarra –ma quando aveva cambiato strumento il tipo sul palco?- Jay alzò di poco il braccio la cui mano era ancora stretta alla mia e mi fece girare su me stessa. Ero goffa come un ippopotamo alla Scala, e sicuramente molto meno aggraziata e scenica di Allie. Quando tornai di fronte a lui, lasciò sciogliere lo strano intreccio delle nostre dita e portò entrambe le mani sui miei fianchi, stringendomi di nuovo a sé. Leggermente scossa e ancora tramortita da quel giro su me stessa, portai le braccia dietro al suo collo.
Quello scoppiò a ridere. Immaginai di essere sembrata una perfetta idiota, una ragazzina che si muove scimmiottando le decine e decine di film adolescenziali che guarda da mattina a sera, una persona impacciata con cui nessuno avrebbe mai voluto ballare. E dato che ormai era diventata un’abitudine, mi maledissi ancora una volta. Se non avessi accettato probabilmente non avrei mai fatto una figuraccia simile. Feci per slegare quel bizzarro abbraccio in cui eravamo stretti, ma invano. Tutti quei tentativi silenziosi di tornarmene al mio posto furono inutili. Più cercavo di lasciare la presa, più mi sentivo stretta al suo corpo.
Lo guardai, sperando che cogliesse la mia richiesta, ma lui rise ancora, indicandomi con la testa e con lo sguardo i nostri due amici. Seguii le sue indicazioni e mi voltai per guardarli. Allie e Mic non stavano più ballando. Erano fermi, al centro della sala, stretti come se stessero ballando un lento, ma inchiodati ai loro posti. Si stavano baciando in maniera tanto appassionata da essere quasi imbarazzanti. Dopo aver sgranato gli occhi, me ne tornai a guardare Jay, quasi infastidita. Non mi erano mai piaciute le ‘dimostrazioni d’affetto’ in pubblico, e spesso avevo ripreso la mia amica per questa mania di dare spettacolo di sé. Eppure, chiaramente, non mi aveva mai dato retta.
“Dici che dovremmo avvertirli di andare in un posto più appartato a fare le loro cose?” mi domandò Jay, ridacchiando. E allora capii che non era per me e per la mia incapacità nei movimenti che rideva, ma per l’amico.
Scossi la testa, velocemente. “Non penso ti starebbero a sentire” gli risposi, ovvia.
“Hai ragione” replicò, alzando le spalle.
E riprendemmo a ballare, ignorandoli completamente.
La canzone terminò poco dopo, in un grande applauso. Imbarazzata ed incapace di pronunciare parola, ritrassi le braccia dalle spalle del ragazzo che continuava a fissarmi insistentemente. In un attimo si inchinò per baciarmi la mano, mentre il colorito del mio volto tornava nuovamente paonazzo.
“E’… ehm… è stato un piacere” balbettai, mentre tornava alla sua altezza originale, sorridendo. E lo imitai, piegando le labbra in un sorriso imbarazzato.
Ormai era così che doveva andare, l’avevo capito. Quel bel tipo davanti a me mi avrebbe vista sorridere imbarazzata, arrossire e abbassare lo sguardo, ed avrebbe sentito solo balbettii insensati provenire dalla mia bocca. E tutto ciò non era esattamente il migliore dei biglietti da visita da mostrare a qualcuno così interessante.
Cercai con lo sguardo l’aiuto di Allie ma quella, ovviamente, era ancora immobilizzata dalla presa, e dalla lingua, di Mic al centro della sala. Sbuffai, alzando gli occhi al cielo esasperata, e cercai di distogliere l’attenzione dalle loro mani che iniziavano a percorrere il corpo dell’altro senza troppo pudore. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, irritata. Come sempre stava superando il limite, e come sempre non potevo rimproverarla.
Feci per allontanarmi dal piccolo spazio in cui il mio momento magico era appena stato rovinato da quella brutta visione per tornarmene al mio tavolo, ma una mano fredda e dalla presa decisa non me lo permise.
 
She loves you, yeah, yeah, yeah
 
Mi voltai verso il palco, con una smorfia infastidita a segnarmi il viso. L’uomo che si stava esibendo aveva appena iniziato a cantare la canzone più profetica e fastidiosa dell’intero repertorio dei Beatles nel momento più sbagliato di tutta la serata. Suonava, tenendo il ritmo con un piede, guardando divertito i due neo piccioncini che continuavano a baciarsi indisturbati ed ignari di tutte quelle attenzioni da parte della gente circostante.
 
She loves you, yeah, yeah, yeah
 
La stretta sul mio braccio si fece più forte, e per questo distolsi lo sguardo dal cantante per guardare, finalmente, il ragazzo che mi teneva ancorata sul posto, impedendomi di tornare a sedermi al mio tavolo. Non appena i nostri sguardi si incrociarono, quello tornò a sorridere, probabilmente soddisfatto di essere riuscito ad attirare l’attenzione.
 
It's you she's thinking of
And she told me what to say
 
“Che ne dici di andare a prendere una boccata d’aria?” mi domandò, portandosi l’altra mano fra i capelli biondi, scompigliandoli.
Le farfalle che svolazzavano da qualche minuto nel mio stomaco iniziarono a fare le acrobazie. Le sentivo distintamente mentre capriolavano allegramente nelle mie viscere. Non riuscivo a comprendere la natura di quello strano invito. Era arduo, impegnata com’ero a tenere a bada quelle stupide farfalle, pensare a mente lucida ad una possibile risposta. Dal tono con cui aveva formulato la sua proposta, poi, era difficile anche capire quale fosse il fine delle sue parole. Se avesse avuto semplicemente caldo e voglia di uscire un po’ o se ci stesse provando spudoratamente, sarebbe continuato ad essere una vera e propria incognita per me, ragazza quasi totalmente estranea al mondo maschile.
Avrei dovuto rifiutare, lasciarlo uscire e riprendersi da solo da quella sbronza che probabilmente iniziava a dargli fastidio. Avrei dovuto evitare di farmi coinvolgere ulteriormente dalle sue strane idee, tornarmene al mio tavolo ed aspettare pazientemente che la serata di Allie si concludesse per poter tornare a casa. Avrei dovuto fare tante cose, ma una piccola parte di me era assolutamente entusiasta di quella proposta.
E fu proprio quella piccola parte che con un semplice “Occhei” accettò l’invito.
 
Yes, she loves you
And you know you should be glad




 

Angolo dell'Autrice:
Riemergo dai miei appunti e scartoffie sull'esame che sto preparando solo per poter postare in tempo questo breve capitolo. Finalmente le interazioni fra Emma e Jay (sì, finalmente abbiamo scoperto il suo nome!) si fanno interessanti, anche se mai come l'approfondita conoscenza che ormai lega Allie con Mic! Lo so che non succede quasi nulla di rilevante, stavolta (Emma mi picchierebbe perché sì, insomma, ballare con Jay e decidere di uscire con lui non è esattamente poco rilevante), ma spero che vi sia comunque piaciuto questo nuovo ed imprevisto risvolto :)
Le canzoni utilizzate sono Something (che alla sottoscritta, come ad Emma, fa versare milioni di lacrime ad ogni ascolto) e la ben più famosa She Loves You.
A martedì prossimo,
Julia

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Capitolo 6
*** I feel fine ***





I feel fine

La musica si faceva sempre più ovattata ad ogni scalino che salivamo. Quando raggiungemmo finalmente il quarto pianerottolo, quello vicino all’uscita, non si sentiva più nulla dell’esibizione del cowboy sul palco. Peccato, mi piaceva davvero il modo in cui suonava.
Jay lasciò che le sue dita si intrecciassero nuovamente con le mie, proprio come mentre ballavamo, in una frazione di secondo. Mi incantai a guardare la mia mano stretta in quel modo da quella di un ragazzo: erano passanti tanti anni dall’ultima volta che mi era accaduta una cosa simile. E sorrisi, stupidamente, come un’adolescente alle prime armi con una cotta estiva. La musica del tipo che stava suonando nel locale mi piaceva, certo, ma mai quanto quelle sensazioni.
“Vogliamo sederci lì?” mi chiese, schiarendosi la voce e indicandomi la panchina di ferro battuto appoggiata sulla parete di fronte al locale.
Annuii leggermente, seguendolo. Quando arrivammo sul bordo della panchina, ci guardammo per qualche secondo, incerti entrambi sul da farsi. Il silenzio era assolutamente troppo imbarazzante, e mi sarei volentieri sotterrata, se solo avessi potuto. Ma poi, come per qualsiasi cosa quella sera, il ragazzo prese l’iniziativa e si sedette, gettandosi di peso sulla seduta. Allargò le braccia e le gambe, assumendo una posizione a stella marina decisamente poco elegante, ma sicuramente comoda. Lo fissai per qualche secondo: era ubriaco, molto ubriaco, e decisamente poco di classe in quelle condizioni ma, diamine, era comunque bellissimo. Mi sedetti al suo fianco, incrociando le gambe e voltandomi verso di lui. Ero decisamente poco femminile, in quel modo, ma sicuramente ci avrebbe fatto poco caso.
Nel lungo silenzio che seguì, iniziai a scorrere con lo sguardo tutte le frasi scritte sul muro su cui la panchina era appoggiata. I mattoncini rossi, un aspetto caratteristico di ogni città inglese ma di Liverpool in particolar modo, erano stati tinteggiati di un rosa acceso, vivace, allegro, vivo. Era il colore perfetto per una via giovane e variegata come quella. Il fatto che si trovasse proprio di fronte all’entrata del Cavern Club, poi, era un’ulteriore attrazione per tutti i turisti beatlesiani che si trovassero da quelle parti. I fan dei Beatles erano sempre alla ricerca di un modo per lasciare un segno in un qualsiasi posto che riguardasse il quartetto e, sicuramente, nulla era più allettante di un muro coloratissimo, senza segni del tempo e lontano dai controlli dei severi poliziotti inglesi. Su ogni singolo mattoncino, su ogni centimetro di stucco, in ogni minimo spazio disponibile, si potevano leggere i messaggi di amore e di gratitudine per i fan verso la propria band preferita. Alcuni messaggi erano lì da sempre, per quanto ricordassi, altri spuntavano magicamente giorno dopo giorno, rendendo quel semplice muro rosa una piccola opera d’arte. Con gli anni, nonostante non fossi una turista, anch’io avevo lasciato qualche frase, per amore, per ribellione, per ricordo.
E in quel momento, sovrastata dal silenzio fastidiosamente imbarazzante, avrei volentieri accettato un pennarello indelebile nero e avrei scritto qualcosa nel primo spazio vuoto che mi fosse capitato a tiro. Qualcosa di simbolico, qualcosa in grado di descrivere quel momento, una frase di una canzone dei Beatles che poteva adeguarsi a quella serata così stranamente piacevole. Arricciai il naso, indecisa sulla frase che avrei potuto scegliere se solo ne avessi avuto l’opportunità, e lasciai stare l’ardua scelta.
“Mi dispiace per Mic” pronunciò infine, rompendo quel silenzio e attirando la mia attenzione.
Lo guardai confusa, non cogliendo l’allusione della sua affermazione.
“Cioè… mi dispiace che abbia rimorchiato così in fretta la tua amica. Ora ti toccherà stare sola per il resto della serata. Mi dispiace, davvero” sbrodolò in un millesimo di secondo, guardandosi intorno confuso. Sembrava stesse perdendo tutta la sua sicurezza, lasciando spazio all’impaccio. E tutto ciò mi fece sorridere, di nuovo.
“Non preoccuparti, Allie fa sempre così. Ci sono abituata” lo tranquillizzai, alzando le spalle. “E poi ora sei solo anche tu” continuai, indicandolo. “Siamo soli insieme” azzardai.
Mi morsi un labbro, pentendomi immediatamente delle parole appena pronunciate. Il filtro tra la bocca e il pensiero era stato probabilmente abbattuto da tutto l’alcool ingerito quella sera, e ancora una volta mi detestai per aver bevuto troppo.
Siamo soli insieme.
Ero stata una sciocca a non contenermi, ma più ripetevo nella mia mente quelle tre semplici parole più mi sembravano maledettamente belle. Suonavano strane, ma era uno strano bello.
Quello annuì lentamente, per poi abbassare lo sguardo, piombando di nuovo in un abisso di silenzio.
Stupida, stupida, stupida. Non avrei dovuto dire nulla, sarei dovuta rimanere zitta e basta. Lo avevo messo a disagio, e mi sentii terribilmente in colpa.
“Ehm, scusa, non volevo dire…” cercai di rimediare, ma con un “No, hai ragione” mi zittì, tornando a guardarmi negli occhi.
Fingendo di stiracchiarsi, allungò maggiormente il braccio nella mia direzione e, con una discreta nonchalance, poggiò la mano sulla mia spalla. Iniziò ad accarezzarla lentamente, mentre con gli occhi sorrideva alla vista della mia faccia scioccata.
“Sai, un po’ lo invidio. È bravissimo a conquistare le ragazze. Io invece sono terribile, forse perché mi interesso raramente” iniziò a spiegarmi, gesticolando con la mano libera.
Guardai di sfuggita, con la coda dell’occhio, il suo modo ambiguo di sfiorarmi la spalla, con quei gesti lenti e delicati. Si reputava terribile, e questo mi faceva ridere. Avrei potuto tranquillizzarlo senza problemi dicendogli che era riuscito a conquistarmi prima ancora di pronunciare parola, prima ancora di scendere dal palco sul quale si era esibito. Ma non ero certa che quello fosse lo scopo della conversazione: probabilmente stava semplicemente straparlando per colpa dell’alcool in circolo nel sangue. Non potevo dare per scontato nulla.
“Ti capisco” mi limitai a dire, annuendo. Mi sembrava sciocco parlargli per filo e per segno di tutte le innumerevoli serate in cui mi ero limitata a fare da carta da parati mentre la mia amica si dava alla pazza gioia col primo ragazzo carino che le capitava a tiro. Come mi sembrava altrettanto sciocco quell’argomento: perché si parlava di conquiste? E’ quasi peggio di parlare di ex, soprattutto se si sostiene di non conquistare affatto.
Di nuovo avvolta dal silenzio e dall’imbarazzo, iniziai a scorrere lo sguardo fra tutti i ragazzi e le ragazze che si trovavano a passeggiare da quelle parti. C’erano persone ubriache che cantavano e sbarellavano ed altre in stato comatoso trascinate dagli amici, c’erano ragazze in tiro che si spostavano velocemente tra un pub e l’altro alla ricerca di nuove prede, c’erano ragazzi che parlavano dell’ultima partita del Liverpool bevendo una bottiglia di birra, c’erano gruppetti di amici che passeggiavano a passo svelto, c’erano turisti che fotografavano ogni lato della via nonostante fosse buio pesto, c’erano coppiette che passeggiavano mano nella mano. E poi c’eravamo noi, due idioti seduti su una panchina troppo impacciati e goffi per parlare come due persone normali.
“E adesso che facciamo?” domandai innocentemente, cercando una qualsiasi scusa pur di porre fine a quel mutismo.
Jay alzò le spalle, noncurante. Lasciò scivolare lentamente la mano dalla mia spalla fino al fianco, per poi percorrere la coscia fino a giungere al ginocchio, dove si fermò, stringendolo leggermente. Ed io, dal canto mio, mi sentivo andare a fuoco per quel contatto flebile e delicato. Non ero assolutamente abituata a tutte quelle ambigue attenzioni.
“Abbiamo ballato, siamo usciti dal locale, ci siamo seduti su una panchina appartata…” cominciò con la sua lista. Non mi permisi di interromperlo per fargli notare che quella panchina era tutto fuorché appartata. Ero spaventata, più che altro, dalla strana piega che stavano prendendo gli eventi, raccontati dalla sua bocca. “… direi che se fossi Mic a quest’ora ti avrei già limonata pesantemente” concluse, rude. E scoppiò a ridere, divertito dalla mia espressione improvvisamente sconvolta.
Non ero assolutamente abituata a tutte quelle ambigue attenzioni, non avrei mai smesso di crederci.
Fortunatamente la luce rosata dovuta ai mattoncini colorati che ci circondavano riuscivano a nascondere il mio palesissimo imbarazzo, evidenziato da un’accesa tinta purpurea che mi colorava l’intero viso. Iniziai a balbettare cose senza senso, paralizzata sia fisicamente che mentalmente.
Mi avrebbe limonata pesantemente? Era serio o si stava semplicemente prendendo gioco di me?
“Ehy, sto scherzando. Stai tranquilla” mi distolse dalla trance, passandomi una mano davanti gli occhi ancora sgranati.
“A me piace conoscere le persone prima di passare ai livelli successivi” sostenne, fiero di sé, incrociando le braccia al petto.
Tirai un sospiro di sollievo, leggermente sollevata da quella nuova rivelazione. Perché sebbene fossi incredibilmente attratta da quel ragazzo, non mi sentivo ancora abbastanza pronta per ‘passare ai livelli successivi’. I miei muri, quelli che tenevano ben alla larga ogni genere di ragazzo ed ogni qualsivoglia relazione, erano ancora troppo solidi per essere distrutti da lui.
Ci voleva ben altro di un ragazzo carino, carismatico, ottimo cantante e ottimo musicista, divertente, spigliato e apparentemente interessato per abbattere il mio muro invalicabile. Ci voleva ben altro del mix perfetto dei Beatles per farmi cedere.
Ci voleva… no, d’accordo, forse un minimo era riuscito a tirar fuori. Una minuscola infiltrazione, un’apparente invisibile crepa era riuscito a crearla. Nessun altro era mai riuscito a farmi ballare e a portarmi fuori dal Cavern in quel modo…
“Devo dirlo, però, un po’ ti conosco già” sostenne, distogliendomi ancora una volta dai miei pensieri.
Lo guardai alzando un sopracciglio, incredula e curiosa. “Come fai a conoscermi? Ci siamo presentati nemmeno mezz’ora fa” lo imbeccai, sfidandolo tacitamente a mostrarmi quanto mi conoscesse. Alzò di nuovo le spalle. “Sono un ottimo osservatore” si giustificò.
“Allora sentiamo, cosa sai di me?” insistetti, sinceramente curiosa di sapere cosa avessi lasciato trapelare di me in quel breve lasso di tempo in cui eravamo stati soli insieme.
“Sei una persona molto timida ed impacciata, e molto insicura di te.”
Timida, impacciata, insicura. Fin qui ci aveva preso alla grande.
“Per questo sostieni di non saper ballare quando in realtà ti muovi molto bene, forse inconsapevolmente.”
Non mi risultava di sapermi muovere molto bene, nessuno me lo aveva mai detto. Non avevo mai nemmeno provato a ballare in pubblico, in realtà. Le attenzioni su di me m’infastidivo, ed ero sempre stata convinta di fare una pessima figura davanti a tutti. Per questo gli concessi di avere ragione anche su questo.
“Ti danno fastidio le coppiette appiccicose, tipo Mic e la tua amica poco prima. E ti infastidisce il fatto di restare sola ogni volta che lei rimorchia qualcuno e ti lascia sola.”
Nonostante non potesse valere come punto a suo favore, considerando che ne avevamo parlato poco prima, aveva ragione ancora una volta.
“Sei una grande fan dei Beatles, e conosci tutte le loro canzoni a memoria.”
Su questo non era stato molto scaltro: non era difficile capirlo, dopotutto.
“E alcune loro canzoni ti emozionano particolarmente, come Something o Hey Jude. Il perché non mi è dato saperlo, sono un bravo osservatore, non un veggente.”
Un leggero sorriso arricciò le mie labbra mentre, silenziosamente, gli davo ragione ancora una volta.
That’s all, credo. Se mi viene altro in mente ti faccio sapere. Come sono andato?” mi chiese con una faccia spavalda e chiaramente soddisfatta.
Lo applaudii piano, piacevolmente sorpresa. Era riuscito a capire quei piccoli aspetti di me che poche persone conoscevano. Era sbalorditivo. Crick: un’altra crepa.
“Punteggio perfetto, stellina d’oro” mi complimentai ancora, sorridendogli. E sembrava davvero pieno di sé, più di quanto non lo fosse già. Il suo lato impacciato era nuovamente svanito nei meandri della sua testa.
“Ora tocca a te” mi sfidò, poggiando nuovamente la mano sul mio ginocchio. Lo guardai perplessa per un po’, ma poi annuii senza dire nulla. Sebbene non fossi capace di studiare le persone tanto quanto lo fosse lui, avevo improvvisamente voglia di mettermi in gioco.
“Sei il cantante e il chitarrista di un gruppo musicale, e spesso fate cover dei Beatles.”
Ero terribilmente ovvia, ma quella era la cosa più intuitiva di lui che mi venisse in mente. Il fatto che quella caratteristica fosse proprio quella che più mi aveva attirata verso di lui era un dettaglio irrilevante che avrei fatto bene a tenere nascosto.
“Ti ispiri a John Lennon.”
Questo era più un azzardo, ma vedendolo muoversi in quel modo sul palco, poco prima, non poteva che farmi credere una cosa simile. Ed era grandioso trovare qualcuno che si ispirasse ad una persona come John.
Non replicò, il che mi lasciò intuire che avessi ragione. Continuava a guardarmi con quello sguardo incredibilmente curioso e adorabile e ad ascoltarmi come se pendesse dalle mie labbra. Cercai in tutti i modi di non incantarmi sul suo viso angelico e tornai ad elencare le mie osservazioni, distogliendo lo sguardo e puntandolo verso la sua mano poggiata sulla mia gamba.
“Alterni momenti di puro egocentrismo e di massima autostima ad attimi di imbarazzo e di insicurezza.”
Era pieno e sicuro di sé mentre suonava su quel palco, mentre ballavamo insieme, mentre mi trascinava su per le scalinate del locale. Lo sembrava anche in quel momento, così sorridente, evidentemente soddisfatto per le mie supposizioni. Eppure era sembrato così impacciato, poco prima, mentre provava a convincermi a scendere in pista, quando mi rivelava di essere poco fortunato con le ragazze. Probabilmente era strano, ma anche questo strano bipolarismo era in grado di incuriosirmi e di attirarmi.
“E sei molto, molto ubriaco.”
Una sua ulteriore risata confermò quest’ultima ipotesi.
“Te lo concedo, sei una brava osservatrice anche tu” ridacchiò, avvicinandosi un poco.
Istintivamente indietreggiai di quale millimetro, cercando di dare nell’occhio il meno possibile.
“Io so anche un’altra cosa di te” pronunciò tornando improvvisamente serio, ma stirando le labbra in un sorrisetto furbo.
Lo intimai a parlare con un gesto della mano, curiosa. Cos’altro c’era da capire di me che già non avesse elencato? Era impossibile che avesse colto altro di me in così poco tempo.
“Io ti piaccio.”
Crack.
La sua faccia era a pochi millimetri dalla mia. Talmente pochi che i nostri nasi si sfiorarono, per un momento. Talmente pochi che riuscivo nitidamente a sentire il suo respiro all’aroma di birra scontrarsi caldo contro la mia pelle. Mi incantai, con gli occhi sgranati, sulle sue labbra. Erano fine, belle e pericolosamente vicine alle mie. Leggermente dischiuse, non facevano altro che gridarmi contro di toccarle, di baciarle…
Ma no. In uno scatto, poco reattivo a dirla tutta, mi allontanai dalla tentazione. Il mio muro stava iniziando a cedere in un modo così rapido da sorprendere anche me stessa, ma la mia convinzione era più forte di qualsiasi impulso. Per quel momento. Non sapevo, in realtà, quanto ancora sarei stata in grado di resistere. Quel ragazzo era davvero bravo a confondermi.
“Ribadisco il concetto: sei ubriaco” lo ammonii, cercando un metodo efficace per sminuire tutte quelle attenzioni.
Quello scoccò la lingua, interdetto. “Lo so” pronunciò con tono infastidito, incrociando le braccia al petto. “Sono talmente ubriaco che potrei anche iniziare a cantarti una canzone” blaterò, assurdamente convinto.
Si avvicinò di nuovo, stavolta poggiando una mano sulla mia spalla per impedirmi di indietreggiare ulteriormente. Con l’altra mano mi prese il mento, costringendomi a non voltarmi.
Le sue labbra erano di nuovo terribilmente vicine ed altrettanto invitanti. Le guardai, tentata, per qualche millesimo di secondo, per poi distogliere lo sguardo. Lo fissai negli occhi, e lessi in quelle allegre iridi grigie un guizzo di lucida pazzia e di qualcosa simile al… desiderio. Possibile? Sorrise, di nuovo, soddisfatto dell’ulteriore strana reazione che aveva provocato.
 
Close your eyes and I’ll kiss you”
 
Il cuore iniziò a battere talmente tanto veloce che non riuscii più a sentirlo. Senza saperlo, Jay stava intonando una delle mie canzoni preferite. Non riuscivo più a tenere il conto delle volte in cui avevo sognato che qualcuno me la dedicasse. Ed ora i miei sogni si stavano materializzando davanti ai miei occhi increduli. Tanta, troppa era la tentazione di seguire quei versi.
Crack. Ancora un’altra crepa.
 
Tomorrow I’ll miss you
 
Quella era un’ulteriore paura: cosa sarebbe accaduto l’indomani? Avremmo potuto dimenticare tutto entrambi, anche se in cuor mio sapevo che non sarebbe accaduto. Avremmo lasciato correre la cosa, passando il resto della serata insieme e poi intraprendendo nuovamente le nostre strade separate. Saremmo semplicemente tornati alla realtà, e questo mi spaventava. Mi ero quasi affezionata all’atmosfera da sogno di quella sera.
 
Remember I’ll always be true
 
Storsi la bocca. Quanto poteva dire il vero un ragazzo quasi sconosciuto, ubriaco, che cantava canzoni dei Beatles pur di fare colpo?
 
And then while I’m away, I’ll write home everyday
 
Fece una pausa. Lasciò sfiorare i nostri nasi in modo delicato, mentre le sue labbra erano di nuovo arcuate in un meraviglioso sorriso.
Sembrava il momento perfetto. Era il momento perfetto.
Assaporai ogni istante, ingorda di tutte quelle belle sensazioni che mi stava facendo provare, e sorrisi a mia volta. I suoi occhi si illuminarono di una luce mai vista fino a quel momento.
 
And I’ll send all my loving…
 
In uno schianto, il muro si sgretolò in mille pezzi.
 
… to you
 
Non dovetti aspettare molto per sentire finalmente quelle belle labbra sulle mie. Erano proprio come avevo immaginato nelle mie brevi fantasie. No, probabilmente erano anche meglio. E quando, dopo pochi istanti, le dischiuse per poter finalmente concludere la sua missione già bella che riuscita, riuscii finalmente a gustarne ogni sfumatura. Mi inebriai di quel sapore di birra, limone e Jack Daniel’s per un tempo indefinito. Troppo, ma troppo poco.
Quando riaprii gli occhi, ancora un po’ frastornata dalle mille emozioni e dal cuore che batteva così forte da rimbombare anche nella mia testa, realizzai che non era affatto stato lui a spingermi contro di sé. Avevo le mani poggiate sulla sua gamba, ed ero ancora tesa in avanti, verso di lui. Mi ero lasciata trasportare a tal punto da prendere io stessa l’iniziativa, e la cosa era sconvolgente. Persino la polvere ed i calcinacci del mio muro erano stati spazzati via da quell’ondata di… sensazioni. Non riuscivo quasi a descriverle.
“Posso aggiungere alla lista un’altra canzone che ti fa impazzire, a quanto vedo” mi canzonò Jay, sorridendo beffardo. Sembrava soddisfatto, orgoglioso e quasi felice.
Mi morsi il labbro sorridendo, colta in fallo. “Ne hai scelta una perfetta” mi giustificai, cercando di addossargli la colpa. O più ringraziandolo.
Si avvicinò di nuovo e lasciò schioccare un altro bacio a fior di labbra. Mi sentii quasi girare la testa, non ero decisamente abituata a tutto ciò.
“In realtà ero indeciso fra due canzoni, ma evidentemente ho scelto quella giusta” mi sorrise.
“E qual’era l’altra?” chiesi, curiosa, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. E con una mossa veloce la rimisi al suo posto.
Baby say yeah yeah yeah, yeah yeah. And let me kiss you
Il suo viso si mosse di nuovo velocemente verso il mio ma “Sul serio, Jay?” lo bloccai, poggiando entrambe le mani sul suo petto per tenerlo a debita distanza. “Il tuo dubbio era fra i Beatles e gli One Direction?” domandai, irrigidita da quel pessimo paragone. Come anche solo pensare di potermi conquistare con una canzonetta da boyband, mentre lui era l'incarnazione moderna dei quattro Beatles?
“Cosa c'è? Gli One Direction sono forti e le loro parole sono convincenti” si discolpò, alzando gli occhi al cielo, esasperato.
“Saranno anche forti” spiegai “ma non puoi porti il dubbio se cantare loro o i Beatles! Dai, non c'è storia!”
“Sapevo che avresti reagito così” sorrise infine, sornione. Lo guardai perplessa. Non riuscivo quasi più a seguirlo, forse per la mente annebbiata, forse per la sua incomprensibile retorica. “È per questo che ho preferito All My Loving” proseguì, rendendo ovvi i suoi pensieri.
“Sei un gran paraculo” fu tutto ciò che riuscii a dire, prima che si avventasse di nuovo su di me per un altro lungo bacio.
“E lo sottoscrivo” ripresi, non appena trovai la forza di staccarmi da quelle labbra da cui, improvvisamente, provavo una certa dipendenza.
Quello scoppiò a ridere, ancora una volta. Era bello sentire la sua voce bassa e nasale trasformarsi in una risata acuta e cristallina. Quando rideva era un'altra persona. Una persona dannatamente adorabile. Dio mio, stavo già iniziando a dare i numeri. La dolcezza con cui lo vedevo e lo descrivevo nella mia mente stonavano terribilmente col mio cinismo e antiromanticismo.
“Sai che altra canzone ci starebbe bene adesso?” tornò quasi serio, nonostante un enorme sorriso continuasse a dipingere il volto. “Un'altra? Ma sei un jukebox o una persona?” gli chiesi ridacchiando. Finse di mettere il broncio, che però durò pochi istanti prima che “Sono un artista, ho l'incredibile capacità di trovare una colonna sonora ad ogni momento della mia vita” mi spiegò.
“Mi avevi convinto già al 'sono un artista” gli sorrisi, affabile, avvicinandomi spontaneamente.
Era buffo: avevo sempre detestato le coppiette melense e i loro gesti d’affetto in pubblico, i loro baci, le loro carezze, le loro parole incomprensibili sussurrate ad un orecchio. Eppure, in quel momento, io stessa rientravo in quella insopportabile categoria ma, per la prima volta, non m’importava. Vedevo la gente guardarci in modo perplesso, persone che commentavano fra di loro la strana coppia che eravamo, gente disgustata dai nostri baci spesso troppo lunghi. Ma nessuno di loro era in grado di infastidirmi, di mettermi in soggezione. Era forse colpa dell’adrenalina che avevo addosso, o forse era tutto grazie a quella semplice e genuina felicità che mi riempiva il corpo. Era bello essere lì, quasi abbracciati, mentre lentamente conoscevamo sempre più l’uno dell’altra, mentre lasciavamo poco spazio alle parole e tanto ai fatti, mentre eravamo sempre più contenti di essere soli insieme.
Quando si staccò nuovamente dalle mie labbra, mi guardò con fare serio. Restituii lo sguardo, domandandomi tacitamente da cosa fosse dovuta una tale serietà. Con una mano mi strinse la mano che tenevo saldamente sulla sua gamba, spostandola sulla seduta di ferro della panchina sulla quale eravamo ancora seduti, e si alzò, sistemandosi la camicia.
“Dove vai?” gli domandai, insoddisfatta. Ma non ricevetti risposta.
Lo seguii con lo sguardo, mentre si avvicinava a Robert. I due parlarono un poco, finché il buttafuori non svanì oltre la prima rampa di scale, lasciando Jay da solo di fronte all’ingresso del locale. Non ci volle molto, però, affinché tornasse, con qualcosa in mano che gli consegnò in un attimo. Non ero riuscita a capire di cosa si trattasse, ma non appena ebbe ricevuto quel ‘dono’, Jay ringraziò Robert e si avvicinò nuovamente alla panchina.
Si sedette nuovamente nel posto accanto al mio che aveva lasciato vuoto, e sorrise quando notò il mio sguardo curioso e leggermente perplesso. Mi mostrò quindi ciò che gli era appena stato consegnato dal bodyguard: un pennarello nero.
“E cosa ci devi fare?” domandai, non riuscendo a trattenere la curiosità.
“Tu non mi fai cantare la canzone perfetta, e quindi la scrivo sul muro. Cosa pensi che ci debba fare con un pennarello, secondo te?” replicò, ovvio, e leggermente divertito.
“Oh” fu l’unico suono che uscì dalla mia bocca. Sì, mi aveva leggermente spiazzata.
Ma non feci in tempo a pensare ad altro, che si voltò verso i mattoncini rosa, stappò il pennarello ed iniziò a scrivere. Quando fu soddisfatto, e quando finalmente tolse la mano per permettermi di leggere, rimasi a bocca aperta.
I feel fine.

 



 

Angolo dell'Autrice:
E con mio grande piacere aggiorno nel giorno (uno dei due) del compleanno del piccolo (?) George Harrison. Tanti auguri Georgie boy **
Ma veniamo a noi... Immagino che non vi espettavate un esito simile, eh? Emma è imprevedibile, quasi quanto lo è Jay che, a quanto pare, sa quello che vuole. Questo capitolo, quando lo scrissi, fu davvero un parto perché, boh, mi sembra così dannatamente stupido e scontato... spero di non avervi deluso! Ma forse era anche ora che le cose si smuovessero un po' fra questi due carciofi u.u ma... niente, gustiamoci tutta queste positività :)
La canzone che Jay canta ad Emma per farla finalmente cedere è All My Loving, quella degli One Direction è Kiss You (ma non mi speco nemmeno a linkarvela, ve la risparmio ahah) e la frase che Jay scrive sul muro è il titolo di una bellissima canzone che, per l'appunto, si chiama I Feel Fine.
A martedì prossimo,
Julia

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Capitolo 7
*** I don't want to spoil the party ***





I don't want to spoil the party

Non fu affatto difficile convincere Allie ad andare al Cavern Club anche la sera successiva. A dirla tutta non cercai nemmeno di convincerla ad andare, preceduta da Mic che aveva avuto la brillante idea di invitarla per un ‘secondo appuntamento’ nel luogo in cui si erano conosciuti. Non era mai stata abitudine della mia amica accettare una seconda uscita con un ragazzo conosciuto lì per lì, eppure quella volta accettò di buon grado. Era palesemente cotta di quel ragazzo, più di quanto non volesse ammettere. Era sicuramente un ragazzo diverso rispetto al genere che era solita rimorchiare, e questo cambiamento di rotta piaceva a lei quanto a me. Meritava davvero il meglio e Mic lo sembrava davvero, un bravo ragazzo, nonostante si fosse presentato palesemente ubriaco e la avesse arpionata nel più squallido dei modi.
Non appena venni a conoscenza dell’appuntamento fra i due, però, cercai di tirarmi indietro: essere il terzo incomodo non era di certo il mio hobby preferito. Lo diventavo spesso, certo, ma accettare un invito ben consapevole di dover fare quella fine era pura follia. Allie, però, aveva insistito tanto, utilizzando una carta che sapeva essere molto efficace: Jay. Sapeva che avrei fatto di tutto per rivederlo, e aveva utilizzato questa situazione contro di me.
Il suono del clacson di un’auto guidata da uno sconosciuto mi destò dai miei pensieri. Arricciai il naso, interdetta, e cercai di coprirmi le gambe nel miglior modo possibile, nonostante la gonna corta non me lo permettesse. Mi vergognavo a morte, vestita in quel modo. Allie era riuscita, quella mattina, a trascinarmi al Liverpool One per un po' di shopping e di chiacchiere. E, in modo altrettanto convincente, era riuscita a farmi acquistare un vestitino vintage adorabile, obbligandomi poi ad indossarlo per quella sera. Mi piaceva da morire sul manichino, ma averlo indosso era tutta un'altra storia, soprattutto per una indecisa cronica come me. E mi sentivo apparentemente svestita e fuori luogo, un pesce fuori dalla sua boccia sicura fatta di abiti comodi e quasi sciatti.
Ma Allie ci aveva visto lungo. Come io intuivo la sua cotta colossale per Mic, così lei aveva compreso la mia folle sbandata per Jay. La sua faccia, la sera prima, quando mi aveva colto in flagrante con quel ragazzo, non aveva lasciato spazio all'immaginazione: era entusiasta, quasi più di me, che mi fossi finalmente sbloccata, liberandomi del mio muro. Era proprio per questo che mi aveva lasciato parlare per tutta la mattina, facendomi domande su domande e invertendo letteralmente le parti.
Mi vergognavo a morte, ma non vedevo l'ora di vedere Jay e testare la sua reazione a quel cambiamento. Non che avessi un appuntamento con lui. Al contrario di Allie, infatti, non ero riuscita ad ottenere una seconda proposta. Stranamente non ero affatto rattristata all'idea, forse perché consapevole che lo avrei comunque rivisto al Cavern Club. Perché sarebbe venuto, me lo sentivo. E poi lo aveva anche detto Mic ad Allie, quando questa glielo aveva domandato, mantenendosi ovviamente vaga. Un incontro casuale, magari al bancone del bar come la sera precedente, era decisamente più eccitante di un appuntamento.
Alzai gli occhi al cielo. Ogni stella era oscurata da una spessa coltre di nubi scure e minacciose. Sperai con tutto il cuore che non piovesse.
"Emma!" mi sentii chiamare alle spalle. Mi voltai, riconoscendo la voce. Allie arrivava al nostro solito punto di incontro dalla strada opposta rispetto alla solita, mano nella mano con Mic che mi fissava dubbioso. Si erano sicuramente visti in un altro posto per poi raggiungermi dopo una passeggiata in solitaria. Mi avvicinai a grandi passi per salutarli.
"Cavern?" domandò retoricamente il ragazzo barbuto, indicandomi la strada per Mathew Street. Gli sorrisi, annuendo. Aveva un'espressione decisamente troppo scocciata per i miei gusti. Sicuramente era infastidito dalla mia presenza lì, mentre lui sperava in un appuntamento romantico con la sua bella. Mi dispiaceva da morire per lui e per i suoi piani andati in fumo, augurandomi con tutto il cuore di allontanarmi dalla coppia al più presto. Salutai John con lo sguardo, quando passammo davanti la sua statua, ma preferii non dare troppo nell’occhio per non apparire una pazza psicopatica agli occhi di Mic.
Come sempre non ci fu bisogno di mostrare i documenti al buttafuori, che anzi ci salutò sorridente, facendoci strada con un braccio. Seguii Allie e Mic a qualche passo di distanza, in silenzio, lungo l'infinita gradinata. La musica si faceva sempre più forte man mano che scendevamo, così come sì intensificava il caldo e l'odore di alcool. E anche il mio cuore accelerava ad ogni passo, ben consapevole di essere presto appagato alla vista di Jay.
Mic condusse Allie in un piccolo tavolino per quattro persone, il più oscurato del corridoio, l'ultimo prima della porta del bagno. La fece sedere, spostandole la panca, proprio come un perfetto gentiluomo, per poi sedersi di fronte a lei, per poterla guardare negli occhi.
Sbuffai, per niente sorpresa dalla coltre di invisibilità che mi aveva nascosta ai loro occhi, e mi sedetti al fianco di Allie senza dire nulla. Non era difficile mantenere l'anonimato, mentre i due già iniziavano a parlottare, complici, riguardo ad un argomento a me sconosciuto, probabilmente tirato fuori quella mattina tramite sms o durante il tragitto fino a lì. Sinceramente mi interessava ben poco dei loro discorsi, e per questo li ringraziai mentalmente per essere stata tagliata fuori dalla conversazione.
Il mio scopo, dopotutto, non era quello di reggere loro la candela d'atmosfera per il loro incontro romantico. Io ero lì per il mio, di incontro romantico, anche se si fosse trattato solo di uno scambio di sguardi.
Iniziai perciò a guardarmi intorno, alla ricerca di quegli occhi grigi che mi avevano fatta perdere sulle nuvole, di quel sorriso adorabile che si era rivelato essere molto contagioso, di quella acconciatura bizzarra che contornava il suo viso allegro. Ma non trovai nulla di tutto ciò. La maggior parte dei tavoli erano occupati dai turisti di tutto il mondo dalle facce beate mentre ammiravano le particolarità di quel famoso pub. I visi della maggior parte di loro erano rivolti verso il palco, dal quale un gruppo di ragazze si stava esibendo. Era, ovviamente, una cover band dei Beatles, ma non tutti sembravano apprezzare l’originalità di un complesso formato da tutte ragazze a fronte dell'originale 'boy band'.
Ero delusa dalle mie aspettative non ancora realizzate. Ed annoiata; terribilmente annoiata. Le ragazze sul palco si stavano esibendo in una versione a cappella terrificante di All you need is Love, rendendo una delle canzoni più famose del quartetto di Liverpool un lamento di galline sgozzate. Erano davvero terribili, e avrei dato qualsiasi cosa pur di ascoltare nuovamente la band di Jay e Mic che, invece, si era rivelata una vera e propria scoperta.
"Emma, ci sei?" mi chiamò la mia amica, dondolando una mano su e giù davanti ai miei occhi per distogliermi dalla visione agghiacciante dello stacchetto danzante delle cinque tipe sul palco.
Annuii leggermente, mentre tornavo lentamente alla realtà, e mi voltai verso Allie.
"Mic ti ha appena chiesto se vuoi qualcosa da bere, lui sta andando al bancone a prendere qualcosa per noi" mi spiegò Allie, poco sorpresa del mio comportamento schivo e distratto.
"No, ti ringrazio" risposi direttamente al ragazzo, senza preoccuparmi di usare la mia amica come intermediario. Quello annuì debolmente, alzandosi e dirigendosi al bar senza mai distogliere lo sguardo da Allie.
"Non è meraviglioso?" Mi chiese questa, non appena le orecchie di Mic fossero abbastanza lontane da non sentirci. Faci di sì con la testa, sorridendo, sebbene non avessi ascoltato nemmeno una parola di tutto il loro discorso. "È un vero cavaliere" fu l'unica cosa che riuscii a dire, aggrappandomi agli unici comportamenti che avevo notato da quando ero con loro. "Lo so!" urlicchiò lei, appoggiandosi coi gomiti sul tavolo ed assumendo una delle sue migliori espressioni sognanti.
E rimase così, a sognare in silenzio, per tutto il tempo che Mic fu via. Mi diede modo di guardarmi nuovamente attorno, ancora una volta alla disperata ricerca di quel qualcuno in grado di salvarmi dalla pessima piega che stava prendendo quella serata. Sul palco, intanto, le ragazze stavano smontando i loro microfoni, avendo terminato la loro grandiosa performance. All'angolo buio al lato del palco un ragazzo con una chitarra acustica variopinta attendeva il proprio turno per esibirsi.
"Stasera suona Tony" si annunciò Mic, sedendosi nuovamente al tavolo mentre porgeva un grosso boccale di birra chiara ad Allie. "Questo è bravo, almeno?" domandai, entrando nella conversazione volontariamente per la prima volta dall'inizio della serata. Era strano che, nonostante praticamente vivessi in quel locale, io non avessi mai sentito nessuno dei gruppi o artisti di quei due giorni. Mi auto giustificai con la scusa della Beatles Week, quel periodo dell'anno in cui gente da tutta l'Inghilterra veniva appositamente a Liverpool per suonare cover dei Beatles al Cavern. "Vuoi scherzare? È un genio della chitarra, questo qui" mi sgridò il ragazzo barbuto, mentre sul palco iniziava a salire il fantomatico 'genio della chitarra'.
“Salve a tutti, io sono Tony” si presentò, avvicinandosi titubante al vecchio microfono. Il suo accento inglese era decisamente molto divertente: nonostante il modo di pronunciare le parole tipico della zona di Manchester, erano comunque chiare le sue origini sud europee grazie alle marcate cadenze molto poco inglesi. Era mingherlino, con addosso una camicia a fiori molto estiva e un paio di jeans chiari fin troppo larghi per le sue gambe apparentemente esili. In testa un piccolo basco con la visiera tradiva tutta la sua meridionalità più di quanto non facesse il suo modo di parlare.
“Non sono molto bravo con le parole quindi… ehm… questa è I Don’t Want to Spoil the Party” annunciò, con voce tremante. Abbassò per un attimo lo sguardo, controllò le proprie mani sulla chitarra e, con un accordo vuoto, diede il via alla canzone.
 
I don't want to spoil the party so I'll go
I would hate my disappointment to show
There's nothing for me here
So I will disappear
If she turns up while I'm gone please let me know
 
E furono proprio quelle parole, cantate in modo così genuino e sincere che mi diedero una scossa. Non potevo continuare a stare lì dentro, a rovinare la festa dei due piccioncini alle prese con la loro seconda uscita per colpa della mia delusione di non essere ancora riuscita a trovare quello che cercavo. Non c’era nulla per me lì, in quel momento. Non c’era Jay, non c’era la mia voglia di passare altro tempo all’interno di quel locale che, per la prima volta, mi sembrava opprimente. Perciò mi alzai, senza farmi troppi problemi e non appena sentii gli occhi di Allie addosso “Esco un attimo a prendere un po’ d’aria” mi giustificai, per poi allontanarmi dalla coppietta che non sembrava affatto dispiaciuta dalla mia decisione.
Lungo il breve tragitto fra il tavolo e le scale venni bloccata da Rose, la cameriera, che come sempre mi porse il vassoio degli shot, stavolta a pagamento. Convinta con ben poco, cercai un penny nella piccola borsa che tenevo a tracolla e glielo porsi, mentre lei abbassava il vassoio per rendermi più semplice la scelta. Presi il primo bicchierino che mi capitò a tiro, senza deciderne il gusto, e trangugiai in un sorso il liquido che era al suo interno. Sentii bruciarmi la bocca e la gola, mentre l’alcoolico scendeva lentamente dentro di me. Era fortissimo, ma non abbastanza da placare la mia improvvisa sete. Posai il bicchierino vuoto sul bancone e raggiunsi di nuovo la cameriera che, nel frattempo, stava proponendo ai tavoli i propri drink. Presi un altro penny dalla borsa e glielo consegnai, mentre quella, leggermente scioccata dalla mia voracità, mi porgeva di nuovo la sua merce per lasciarmi scegliere. Questa volta esaminai per bene ciò che offriva, e alla fine decisi di optare per una classica vodka liscia, apparentemente la cosa più forte che ci fosse in quel vassoio. Svuotai nuovamente il coccio in un’unica sorsata, restituii il bicchierino al bancone e poi, finalmente, filai rapidamente verso le scale.
 
I've had a drink or two and I don't care
There's no fun in what I do if she's not there
I wonder what went wrong
I've waited far too long
I think I'll take a walk and look for her
 
Iniziai a sentire i primi colpi di caldo già mentre mi dirigevo verso l’uscita. Era la stessa reazione esagerata della sera precedente, ma stavolta m’importava ben poco. Tutto ciò di cui avevo bisogno, in quel momento, era di farmi una camminata. Anche due, anche tre. Volevo stare lontana per un po’ dall’aura d’amore che trasmettevano Allie e Mic, godendomi la mia delusione senza dover rendere conto a nessuno, senza paura di apparire esagerata. Perché, in cuor mio, sapevo di stare esagerando, ma non avevo alcuna intenzione di smettere. Era assurdo offendersi per l’assenza di qualcuno che a malapena conoscevo, nonostante i momenti strani passati insieme, ma era più forte di me.
Appena varcato l’arco dell’uscita raggiunsi a grandi passi la panchina dove avevo passato gran parte della serata precedente. Dovevo testare, controllare, che quanto accaduto non fosse unicamente frutto di un bel sogno. Senza sedermi iniziai a cercare con lo sguardo una prova, una qualsiasi cosa che mi tranquillizzasse, che mi ricordasse che ero stata bene, e che anche Jay lo era stato.
I feel fine.
Era ancora lì, non lo avevo sognato. E sorrisi, sinceramente felice, nel poter toccare ancora una volta quel meraviglioso senso di benessere che avevo passato.
Ma qualcosa era andato storto: perché, se eravamo stati così bene, ora non eravamo ancora insieme? Avrei dovuto preventivare questo senso di vuoto e di mancanza nel momento stesso in cui avevo accettato di ballare con lui, nel momento stesso in cui ero uscita all’aperto in sua compagnia e gli avevo permesso di demolire quel muro che proteggeva il mio cuore. Eppure non lo avevo fatto, ed ora questo senso mi attanagliava lo stomaco. Jay non era l’uomo della mia vita, non era la mia anima gemella, ma in quel momento era l’unica persona che vedevo bene insieme a me, che mi rendeva felice al solo pensiero. E lo conoscevo appena.
Iniziai a percorrere Mathew Street mentre il mio sorriso lentamente scemava, diretta verso l’unico luogo adatto ad una persona sola e pensierosa come me.
Nonostante il passo lento e rilassato, non mi ci volle molto per arrivare all'incrocio tra la via del Cavern con Stanley Road. Non appena notai la targa con inciso il nome della via svoltai a destra, finendo in un vicolo stretto e buio. Sarebbe stata una via spaventosa all'occhio di tutti, quella, ma non per me. Poco più avanti c'era un tesoro inesplorato che poche persone conoscevano, perché oscurato dalla magnificenza dei locali. Ancora pochi passi e finalmente arrivai a destinazione: illuminata dalla fioca luce di un lampione una panchina in marmo era appoggiata al muro fatto di mattoni grezzi. Su di essa una piccola statua in bronzo, dalle dimensioni umane, guardava il posto a sedere vuoto di fianco al suo, con un'espressione triste stampato sul volto dalle fattezze perfette. Era una donna dall'età indefinita, con un fazzoletto sulla testa ed un cestino poggiato vicino alle gambe. Alcuni fogli, anch'essi in bronzo, le scivolavano dalle ginocchia per poggiarsi delicatamente sulla panchina, in modo disordinato. Sul muro, dietro al posto lasciato libero, una grossa scritta nera recitava 'Look at all the lonely people'.
Sola. Questo era il modo giusto per descrivermi in quel momento. Sola, proprio come Eleanor Rigby lì immortalata, alla costante ed infinita attesa di qualcuno che trascorresse del tempo con lei. Mi avvicinai lentamente e mi sedetti al suo fianco.
"Ciao" le sussurrai, sentendomi un po' pazza. Ma da quelle parti, fortunatamente, era raro che passasse qualcuno. Era un posto sicuro, il luogo giusto per passare un po' di tempo con se stessi e con i propri demoni.
"Immaginavo di trovarti qui" continuai, abbassando lo sguardo e fissandomi i piedi. Era ovvio che fosse lì, chi mai avrebbe spostato una statua? Eppure era rassicurante la sua presenza, la certezza di trovarla sempre lì, con quegli occhi tristi e con quelle labbra senza sorriso. Era come un'ancora di salvezza nei momenti di malinconia.
"Sono una persona orribile a parlarti di certe cose, lo so" mi scusai, riflettendo sulla storia della vita di Eleanor Rigby. Era sempre stata una persona solitaria, mai amata, sempre chiusa nella sua casa grigia come il cielo d'Inghilterra, mai circondata da altre persone. La mia solitudine, in confronto alla sua, era davvero piccola cosa. Ero un'egoista ad andare proprio da lei per parlare dei miei problemi ma, per una volta, preferii il mio bene a quello degli altri. Anche perché, alla fine, non avrei di certo offeso i suoi sentimenti inesistenti.

 
Though tonight she's made me sad

"È assurdo che fino a ieri una persona mi rendesse così felice, vero? Ed ora è riuscito a farmi detestare anche l'atmosfera piena d'amore del Cavern" ammisi, più a me stessa che a lei. "È davvero assurdo" ripetei.
"Stasera mi è preso così. Era davvero tanto che un ragazzo non mi facesse stare male, vero? Sono passati anni dall'ultima volta che sono venuta qui a parlarti di problemi di cuore..." Sorrisi, ricordando nitidamente quel lontano giorno d'autunno, alle prese con la mia prima delusione amorosa. Prima ed ultima, perché era stata proprio quella volta che, parlando con Eleanor, ero giunta alla conclusione che costruire un muro intorno a me sarebbe stato il modo migliore per non soffrire più.
"Ti avevo promesso che non sarei più stata triste per un ragazzo, e invece eccomi qui, con una promessa infranta" sospirai, guardandola negli occhi. Il suo sguardo era compassionevole, ma per un momento lessi della delusione in quei grandi occhi di bronzo.
"Non è stata esattamente infranta la promessa, in realtà. Jay non è nemmeno lontanamente paragonabile a... Quell'altro. È stata una cosa veloce, ha distrutto il mio muro con poche parole e con pochi gesti..."

 
I still love her

"Non sono affatto innamorata. Sarebbe assurdo. Ma, non lo nego, mi sono affezionata a lui più velocemente del normale. In poco tempo è stato in grado di addomesticarmi, di tranquillizzarmi e di aiutarmi a sconfiggere le mie paure. È incredibile, nessuno prima d'ora c'era mai riuscito".
 
If I find her I'll be glad

"Non dico di volerlo sposare o di rendere la nostra... Cosa... Una relazione seria. Non è nella mia natura, lo sai. Ma, lo ammetto, in questo momento l'unica cosa in grado di rendermi felice sarebbe rivederlo. Non dico trovarmi nella stessa situazione di ieri, ma anche solo scambiarci due parole sarebbe una grande soddisfazione. Se poi volesse replicare la nostra serata sulla panchina di certo non mi tirerei indietro" arrossii a quest'ultima osservazione.
"La verità è che nemmeno io so cosa voglio" ammisi, tornando di nuovo a guardarmi i piedi.
"Probabilmente mi sto facendo tanti problemi per niente"
Rimasi ancora un po' in silenzio, in attesa di una tacita risposta da parte di quella statua che mi aveva ascoltato muta fino a quel momento.

 
I still love her.

"Forse dovrei tornare al locale e vedere come va e basta, senza farmi tanti film. Il Destino sicuramente ha in serbo qualcosa per me. Sa come farmi felice, sa come deludermi. Mi fido di lui e basta, niente più scelte deleterie"
Il mio monologo stava prendendo un verso insolito, ma venne interrotto dallo squillare del mio telefono. Un segno del Destino, eccolo.
Guardai l'orologio: ero via dal Cavern da più di mezz'ora. Il messaggio, infatti, veniva da Allie: 'Ma che fine hai fatto?'. Le risposi velocemente: 'Arrivo subito'.

 
I don't want to spoil the party so I'll go

"Grazie, El. Tornerò presto, te lo prometto" fu tutto ciò che riuscii a dire alla statua per salutarla, con un sorriso positivo a stirarmi le labbra.
E, a passi celeri, tornai al Cavern Club.

 



 

Angolo dell'Autrice:
Emma e Jay hanno impiegato ben sei capitoli per rapportarsi, finalmente, e io già pubblico un capitolo dove non c'è più nulla di quel romanticismo. O quasi. Spero di non prendere qualche fischio o qualche pomodoro in testa... In ogni caso: Emma ha dato modo di mostrare ulteriormente il suo lato psicopatico ahaha è un po' pazza, lo so, ma penso che questo dialogo/monologo le sia servito molto per prendere un po' di coscienza di sé, finalmente. Spero non vi abbia spaventate ahah
Per questo capitolo ho utilizzato una sola canzone, quella che da il titolo al capito stesso, che, appunto, è I don't want to spoil the party :)
A martedì prossimo,
Julia

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Capitolo 8
*** This boy ***





I don't want to spoil the party

Quando rientrai al Cavern, sul palco si stava ancora esibendo 'il genio della chitarra'. A giudicare dalle espressioni compiaciute di tutti i presenti il ragazzo era bravo sul serio. Stava suonando la profetica I should have known better, come canzonandomi inintenzionalmente.
 
Whoa, whoa, I never realised what a kiss could be,
This could only happen to me,
Can't you see, can't you see?
 
Raggiunsi il tavolo a grandi passi, passando inosservata fra la folla in piedi. Mic si era seduto vicino ad Allie, nel posto dove ero seduta io poco prima, lasciando libera la panca che dava le spalle alla porta del bagno e a quella del backstage. Mi sedetti pesantemente, senza dire una parola. Nonostante ciò, però, i due mi notarono con la coda dell'occhio e separarono rumorosamente le loro labbra che, all'apparenza, erano appiccicate già da un po'.
"Dove eri finita?" domandò Allie, preoccupata, mentre il ragazzo mi guardava con fare interrogativo. "Mi sono fatta un giro qui intorno, sono andata a Stanley Road" spiegai, evitando volontariamente la parte del racconto che includeva discorsi da psicopatica con una statua. "Da Eleanor?" incalzò nuovamente la mia amica, ben consapevole della mia fissazione per quel posto. Quando annuii, infatti, alzò gli occhi al cielo, esasperata, e tornò a donare tutta la sua attenzione a Mic che, ovviamente, non stava capendo granché di quel discorso.
Tutta l'importanza appena guadagnata svanì in un secondo, nell'istante esatto in cui i due ripresero a baciarsi come se io fossi ancora via. Sbuffai, infastidita, e tornai a guardare l'esibizione di Tony. Restare a parlare con una statua ancora per un po' sarebbe stato da pazzi, ma era chiaramente migliore di quel momento di rinnovata noia.
Poi, però, l'illuminazione. I due shottini non avevano avuto grande effetto su di me -parlare ad oggetti inanimati era abitudine anche senza alcool in circolo- ma, forse, incrementare la dose avrebbe entusiasmato un po' la situazione. "Vado a prendermi qualcosa da bere" dissi alzandomi dal mio posto, ben consapevole di essere completamente ignorata dai due seduti di fronte a me. Mi diressi lentamente verso il bancone, ciondolando la testa al ritmo di musica. Lo dovevo ammettere: Mic aveva ragione riguardo alle capacità del performer sul palco.
Non appena le persone avanti a me vennero servite riuscii ad ordinare una media rossa. Il doppio malto era la soluzione a tutti i miei problemi. Aspettavo il mio boccale incantata sul ragazzo che suonava con grande maestria la sua chitarra quando qualcuno mi urtò una spalla.
“Sorry lady” si premurò di scusarsi immediatamente, spostandosi. La sua voce era calda, bassa, nasale e con uno spiccatissimo accento di Liverpool. Mi voltai, strabuzzando gli occhi. Conoscevo una sola persona con una voce simile, oltre a George Harrison.
Un deja vu. Non esistevano altre parole per descrivere quel momento.
Jay mi guardava confuso, mentre scompigliava con una mano i capelli biondi. I suoi occhi grigi erano puntati sui miei, preoccupati.
Il cuore iniziò a martellarmi in petto ad una velocità indefinita, tanto da sentirne il rimbombo assordante fin nelle orecchie. Un groppo alla gola, di quelli che ti lasciano senza fiato. Le guance, poi, iniziarono ad imporporarsi, palesando tutto il mio entusiasmo, il mio imbarazzo, la mia emozione.
Sorrisi, istintivamente.
"Oh, ciao, Em" mi salutò cordiale, mentre un sorriso meraviglioso si stampava sulla sua faccia, mandandomi in apnea.
"Ciao" fu tutto ciò che riuscii a dire, non appena fui capace di riprendere abbastanza aria nei polmoni. Era assurdo: era tutta la sera che aspettavo di incontrarlo e ora che era successo non riuscivo a spiccicare parola.
"Stai molto bene, stasera" si complimentò, studiandomi dalla testa ai piedi. Mi portai una ciocca dietro l'orecchio, imbarazzata, e la riportai al suo posto un attimo dopo. Ripetei quello stupido tic per un paio di volte prima di ringraziarlo con un filo di voce. Mi sorrise ancora, strizzando l'occhio in un gesto di apparente apprezzamento. Ringraziai Allie col pensiero per essere riuscita a convincermi a vestirmi in quel modo.
Restammo in silenzio per un po', guardandoci e studiandoci, incerti sul da farsi. Non sapevo da dove cominciare: ero anche più imbarazzata del giorno prima, forse anche a causa del poco alcool ingerito. Quando, per l'appunto, il barista mi chiamò per consegnarmi il mio boccale lo ringraziai, sbrigandomi poi a berne subito una sorsata. E, proprio come se fosse un siero di coraggio liquido, quella poca birra mi diede la forza di parlare.
"Sei arrivato ora?" domandai, ovvia. Ma era pur sempre un inizio.
"In questo momento, sì. È mia abitudine ordinare prima ancora di trovare un tavolo" replicò, neutro. Ed era sua abitudine scontrarsi puntualmente contro di me, ovvio. Prese il boccale di birra nera che il barista gli stava offrendo e lanciò lo sguardo verso il ragazzo sul palco, sorridendo appena. Diede anche lui una prima sorsata, appoggiandosi sullo sgabello piantato di fronte ai distributori di birra.
"Se vuoi il nostro tavolo ha un posto vuoto" gli proposi, affondando poi il viso nel boccale per l'imbarazzo. "Siamo io, Allie e Mic" mi sbrigai ad aggiungere, sperando di non sembrare troppo impertinente.
"Ah, sì" annuì "Mic mi aveva detto che oggi si sarebbe rivisto con Allie. Non mi aveva detto che ci saresti stata anche tu, però".
"È stata una cosa dell'ultimo minuto, in effetti. Allie mi ha praticamente costretta a venire. E ora mi ritrovo a guardarli amoreggiare" spiegai, sbuffando scocciata all'ultima osservazione. Jay scoppiò a ridere, divertito. "Mi dispiace per te" fu tutto ciò che riuscì a dire, prima di voltarsi di nuovo verso il palco.
Non tralasciai affatto il dettaglio che avesse deviato lievemente il discorso pur di non rispondere al mio invito. Come avrei dovuto interpretarlo? Come un sì o come un no? Venni sconvolta da decine di pensieri, tutti contrastanti fra di loro. Lo fissai per qualche istante, sperando di leggere qualcosa nei suoi occhi. Nulla. Era ovvio che non sapevo nulla di lui, a discapito di quanto detto la sera prima. Mi rassegnai, perciò, ed iniziai a guardare lo spettacolo anch'io.
Tony stava cantando Anna, mostrando a tutti le sue incredibili capacità canore, oltre che strumentali.

 
So I will set you free, 
Go with him. 

"Jay" lo chiamai, voltandomi di nuovo verso di lui. Attirai la sua attenzione in un lampo. "Vado al tavolo, se vuoi siamo in quello in fondo" gli spiegai, indicandogli il tavolo dove erano ancora seduti Allie e Mic.
"D'accordo" rispose, senza un segno che tradisse le sue emozioni. Mi salutò, carezzandomi delicatamente un braccio, e tornò a guardare il concerto, sedendosi finalmente sullo sgabello.
Non mi voltai mai per guardarlo, nonostante la grande tentazione. Preferii non tradire i miei contrastanti stati d'animo. Ero quasi morta, durante quella breve conversazione e quei lunghi silenzi. Ma ora quel senso di gioia e di soddisfazione nell'averlo rivisto lasciava un retrogusto amaro ad ogni mio pensiero. Era stato carino con me, ma non era la stessa persona del giorno prima. Mi aveva sorriso, mi aveva fatto un complimento, ma si era sempre mantenuto distante e freddo. Mi aveva sfiorato un braccio, che ancora bruciava al solo pensiero, ma non aveva mosso un dito al mio implicito invito a stare un po' insieme. Non aveva colto la mia allusione ad Allie e Mic che amoreggiavano, prova che nulla era cambiato dalla sera precedente. Mi aveva ringraziato sorridendo, ma si era seduto lì, da solo, ben consapevole che anch'io, in quel momento, ero sola.
Mi sedetti al tavolo pesantemente. Ora che avevo il bancone di fronte a me, potevo finalmente guardarlo senza dare troppo nell'occhio. Era bello proprio come ricordavo, se non di più. In tutto il tempo che continuai a guardarlo, imperterrita, non distolse mai lo sguardo dal palcoscenico, se non per guardarsi le mani che stringevano il boccale di birra che, lentamente, si stava svuotando. Nemmeno per una volta guardò nella nostra, nella mia, direzione. Nemmeno una volta i nostri sguardi si incrociarono, in tutto quel tempo. Rinunciai alla mia impresa dopo l'ennesimo sorriso che sfoggiava al vuoto, troppo provata dalla sua semplice bellezza. E dalla consapevolezza che, quella sera, quei sorrisi non erano affatto per me.
“Questa è la mia ultima canzone per questa sera. Spero vi siate divertiti” annunciò Tony.
Applaudii svogliatamente insieme a tutti. Persino Allie e Mic si separarono per congratularsi col ragazzo sul palco che, era chiaro, quella sera aveva fatto faville.
Mi voltai a guardarlo per un attimo. Era arrossito, imbarazzato ma anche evidentemente compiaciuto dal successo che aveva ricevuto. Quando tornai a sedermi normalmente, il mio sguardo cadde di nuovo sullo sgabello dove Jay era seduto. Rimasi sorpresa, però, quando lo vidi in piedi, ad applaudire con entusiasmo. E lo fui ancora di più quando lo vidi avanzare velocemente verso il nostro tavolo, mentre Tony iniziava la sua canzone di chiusura. Seguii con lo sguardo ogni passo del biondo che continuava a farmi girare la testa, mentre il cuore iniziava a battermi di nuovo all'impazzata ed il sorriso a formarsi sulle mie labbra.
Uno, due passi e sarebbe arrivato. Iniziai ad immaginare conversazioni, scambi di sguardi e di battute, mani sfiorate e labbra baciate. Forse ero stata sciocca a temere il peggio, forse doveva solo ambientarsi un po' prima di raggiungerci.
Arrivò al nostro tavolo e, senza minimamente cambiare andatura, lo superò, sparendo dal mio campo visivo. Mi gelai sul posto, mentre il sorriso si spegneva ad una velocità impressionante. A che gioco stava giocando? Mi portai una mano sul cuore, immaginando e sperando che fosse solo diretto verso il bagno. Era l'unica opzione possibile.
"Ma quello non è Jay?" Mi chiese Allie, indicando un punto indefinito alle mie spalle. Annuii, mentre Mic seguiva con lo sguardo l'indicazione della ragazza, sbiancando. "Shit" commentò, molto poco finemente, mentre sia io che la mia amica lo fissavamo scioccate, incapaci di comprendere quella strana reazione.
Il ragazzo barbuto si alzò, poggiando una mano su quella di Allie, e raggiunse l'amico. Finalmente ebbi un pretesto per girarmi. Jay era appoggiato sull'arco di mattoni alla destra del palco, quello dalla quale ogni artista passava per salire o scendere dal palcoscenico. Era un angolo buio, lontano dagli occhi indiscreti di gran parte del locale. Ma, comunque, quello non era il bagno. Cosa stava facendo lì?
Mi voltai di nuovo verso Allie, piena di nuovi interrogativi a frullarmi per la testa. "Perché non vai a salutarlo anche tu?" mi propose la mia amica, stringendomi la mano cercando di infondermi coraggio. Mi sorrideva entusiasta, cercando di spronarmi a cogliere l'attimo. Sarebbe stato un ottimo consiglio se solo "Non posso, ci siamo già incontrati prima al bar" risposi, abbassando lo sguardo. Allie mi guardò, sorridendomi. "Perché non me lo hai detto?" domandò, fingendosi offesa. "Scusa se non ho voluto rovinare il tuo momento idilliaco col tuo principe azzurro" replicai, in una smorfia che fece ridere divertita la mia amica.
Quando tornò finalmente seria, lanciò un'occhiata alle mie spalle. "Stanno parlottando come se avessero chissà quale segreto da nascondere. Sono peggio di due ragazzine. Chissà di cosa stanno parlando" mi esplicitò, mantenendo gli occhi su di loro.
"Ma perché non hai chiesto a Jay di sedersi qui, quando lo hai incontrato?" mi chiese, scontata, tornano a guardarmi. "L'ho fatto" risposi, fin troppo poco calma "ma mi ha praticamente evitata". Allie annuì ma non rispose, guardando di nuovo dietro di me.
Mic ci raggiunse un attimo dopo. "Vogliamo andare?" chiese, frettoloso. Guardai terrorizzata in direzione della mia amica. Se solo ci fosse stata una possibilità per me per interagire ancora una volta con Jay, quella era restare nel locale il più lungo tempo possibile. E Allie questo lo sapeva bene, così come io sapevo della sua caratteristica vena combattiva. E, a volte, anche generosa.
"Che fretta c'è? Io voglio sentire ancora un po' di musica qui" si lamentò, afferrando il ragazzo dal colletto della camicia a quadri e costringendolo a sedersi di nuovo. Le sorrisi, ringraziandola silenziosamente, mentre Mic si mordeva un labbro, quasi agitato, e guardava nuovamente in direzione dell'amico. Non capivo il motivo di tanta agitazione ma, sicuramente, stava accadendo qualcosa fra quei due.
"Allora, ti è piaciuto Tony?" mi chiese il ragazzo, cercando un qualsiasi argomento di conversazione. Lo guardai un po' perplessa. "Ho sentito molto poco ma sì, non è male" risposi. Mic continuò a parlarmi spontaneamente ed insistentemente per altri minuti, senza darmi modo di voltami verso il palco per applaudire alla fine della canzone. Allie spostava lo sguardo fra di noi continuamente, come fosse l'arbitro di una partita di tennis, non capendo tutto quell'improvviso affiatamento.
Quando si arrese all'idea di essere stata tagliata fuori dal discorso, alzò lo sguardo, sbuffando. Con la coda dell'occhio la vidi congelarsi sul posto, sgranando i suoi enormi occhi verdi. "Emma" mi chiamò, interrompendo il mio discorso sulle cover band con Mic. Spostai lo sguardo verso di lei: non l'avevo mai vista tanto sconvolta in vita mia. Il ragazzo al suo fianco alzò lo sguardo nella stessa direzione in cui lei stava guardando e "Shit!" ripeté, ad un tono anche più alto della volta precedente.
Ero spaventata. Cosa diavolo stava succedendo, per sconvolgerli entrambi in quel modo? Feci per voltarmi, ma Allie mi precedette, stringendomi le mani, e attirando tutta la mia attenzione su di sé. "Non voltarti" disse, criptica, scandendo nitidamente quelle due parole.
"Cosa c'è?" Le chiesi, preoccupata, venendo completamente ignorata. "Che cosa significa?" aveva chiesto a denti stretti la mia amica al tipo al suo fianco. Quello iniziò a balbettare frasi incomprensibili. "Te l'avevo detto che era meglio se lei non fosse venuta" si precipitò poi a rispondere, indicandomi. "Dovevi essere più esplicito, sicuramente avrei trovato un modo migliore per farle capire... Questo" ribatté Allie, sconvolta, gesticolando come mai aveva fatto in vita sua.
Tutto quel loro battibeccare così poco esplicito mi dava letteralmente ai pazzi. Non capivo cosa stesse accadendo alle mie spalle, sapevo solo che si trattasse di qualcosa di sconvolgente. Di qualcosa che mi avrebbe fatto stare male, da quanto poco capivo delle parole di Allie.
Perciò decisi di fare di testa mia, di non dare retta alla mia amica. La sua attenzione non era più su di me, ma sulle risposte senza senso che Mic le stava dando, e ne approfittai. Mi voltai: niente sarebbe stato peggio di quell'ansia snervante.
Ma mi sbagliavo di grosso.
Jay. Poggiato sul muro di mattoni, era sovrastato dall'altezza di Tony che lo teneva arpionato in quel posto.
Le sue braccia. Stringeva l'altro in un abbraccio solido, come se non volesse lasciarlo, come se stesse aspettando quel momento da secoli.
Le sue labbra. Si baciavano, desiderosi l'uno dell'altro, con entusiasmo e con passione.
Ero letteralmente gelata dentro. Il ghiaccio e il freddo si stavano impossessando del mio corpo, del mio cuore.
Jay. Che solo la sera prima era riuscito a farmi ballare.
Le sue braccia. Le stesse che mi avevano stretta a sé, che mi avevano abbracciata, che mi avevano fatto sentire a casa anche se sconosciute.
Le sue labbra. Quelle che mi avevano baciata, che mi avevano canticchiato sottovoce canzoni dolci, che erano riuscite a distruggere il mio muro.
Ciò che per una sera era stato mio ora era riservato a qualcun altro. L'amore che aveva dedicato a me, ora era amplificato all'ennesima potenza per un ragazzo.
Ed io non riuscivo a crederci, non riuscivo a realizzare.
Tutti, probabilmente, ad una visione simile avrebbero avuto il cuore spezzato. Io, invece, lo sentivo ancora battere. Era ancora lì, batteva ancora, seppur lentamente. Era solo... Freddo. Cosparso da una coltre di ghiaccio che lo imprigionava, che leniva il dolore.
 
That boy took my love away 

"Emma" mi chiamò di nuovo Allie, cercando di attirare di nuovo la mia attenzione. Chiusi gli occhi, presi un grande respiro e mi voltai verso di lei.
"Vuoi andare via?" mi chiese, palesemente preoccupata per me. Non era mai capitata una cosa simile, e di certo non aveva la più pallida idea di come avrei reagito. Ma, sorprendendola, scossi la testa. "Non ce n'è bisogno" le risposi, infatti, con un filo di voce.
"Mi dispiace averti trascinata fin qui, se solo avessi saputo..." Mi strinse di nuovo le mani, come poco prima, cercando di infondermi coraggio, e per rendere le sue scuse più vere e sincere. Ma io non avevo bisogno di coraggio, né tantomeno di scuse. "Stai tranquilla, Al, non è successo niente" cercai di tranquillizzarla. "Sto..." la voce roca mi si strozzò in gola. "Bene" conclusi infine, annuendo lentamente.
"Scusami" ripeté quella con voce tremante. Sembrava sul punto di mettersi a piangere. Se solo avessi potuto, avrei sorriso all'assurdità della situazione. Piangere era sempre stato un metodo di difesa e di sfogo abituale, per me, ma in quel momento sembrava una soluzione fin troppo esagerata. Non era luogo né tempo, quello, per piangere sulla mia sorte. Le lacrime erano troppo calde per il freddo che stavo provando.
"Posso spiegarti" si intromise Mic, che fino a quel momento ci aveva osservato in silenzio, mordendosi un labbro. "Sarebbe davvero il minimo" urlicchiò Allie, mentre io mi limitai ad annuire. "Non sei obbligato" mi sbrigai ad aggiungere, nonostante la mia improvvisa lentezza nel parlare.

 
That boy took my love away 

"Jay e Tony si frequentano da un po'. Quasi un anno, credo".
Iniziò il ragazzo, mentre Allie lo seguiva già a bocca aperta.
"Tony è spagnolo, ma vive a Manchester da un paio d'anni. Lo abbiamo conosciuto durante un nostro concerto lì. Era fra il pubblico e alla fine dell'esibizione è venuto a complimentarsi con noi. Abbiamo parlato e bevuto tutti insieme per un po', finché non ci siamo quasi ubriacati tutti quanti."

 
Though he'll regret it someday 

"Sinceramente conosco Jay da tanti anni, fin da quando siamo piccoli, ma non ho mai indagato a fondo sul suo 'genere'. A volte ci presentava ragazze, altre ragazzi. Più ragazzi che ragazze, a dire la verità."
"Quindi è bisex?" lo interruppe Allie, con un tono più acuto del solito.
"Non credo che quello sia il modo migliore per descriverlo, no. Lui ama l'amore, questo lo so. E ama chiunque sia in grado di dargli amore. Non si cura dell'aspetto o del sesso altrui, lui ama incondizionatamente chiunque abbia un cuore grande e bello come il suo."
"Questa cosa non ha senso" sbuffò la mia amica, guardando per un attimo di nuovo alle mie spalle, e tornando un attimo dopo a seguire il discorso di Mic.
"Non tutto deve avere un senso, soprattutto se si parla di amore."
Le loro mani si strinsero, e si sorrisero.
"Quella sera, a Manchester, dopo aver bevuto non so più quanto, ci dividemmo. Richard tornò in hotel per riposare, io iniziai a dibattere con la cameriera super figa del locale e Jay... Uscì da lì con Tony per continuare il loro discorso su nemmeno ricordo più cosa. Fatto sta che qualche ora dopo, quando finalmente tornai in hotel anch'io, scoprii che Jay non era ancora rientrato. Mi aveva mandato un messaggio per dirmi che era a casa di Tony."

 
That boy isn't good for you 
Though he may want you too 

"Da quel giorno hanno iniziato a vedersi e a sentirsi quasi tutti i giorni. Non avevo mai visto Jay così preso: la sua indole ad amare lo ha sempre portato da una parte all'altra alla velocità del vento, ma con Tony è sempre stato diverso."
"Ma allora perché ieri non si è fatto problemi a stare con lei?" lo interruppe di nuovo Allie, desiderosa di arrivare al nocciolo della questione.
"Tony è spagnolo, questo ve l'ho già detto. Non è raro che torni in patria, ogni tanto. E in quei periodi di lontananza, Jay torna il solito di sempre. A quanto pare è un accordo fra di loro, almeno credo. Fino a stamattina, comunque, Tony era in Spagna. È tornato oggi"
"Emma, quindi, è stata solo un 'tappabuchi' per rimediare alla sua voglia di amore?" non si fece problemi a domandare la mia amica, indicandomi.
"Jay ama, punto. Non esistono tappabuchi o cose simili. Se lui decide di dedicare sé stesso a qualcuno, non lo fa per doppi fini, non lo fa per compensare i suoi bisogni d'amore o che so io. Lui ama sinceramente, sempre."
Finalmente i due si voltarono verso di me, interrompendo la loro conversazione che, sebbene servisse a me più di chiunque altro, avevano tenuto unicamente per loro. E a me stava bene, davvero. Sentendo quelle parole, parlare era stato l'ultimo dei miei desideri.
Avevo ascoltato tutto senza fiatare, ma nulla si era mosso dentro di me. Nulla. Neanche a sapere della sua relazione, neanche a sapere delle sue abitudini, neanche a sapere di essere stata amata, seppur per una sola sera. Nulla. Tutto ciò che sentivo era, ancora, solo freddo. E un grande vuoto.
"Mi dispiace" furono le ultime parole di Mic. Pena, era questo che leggevo nei suoi occhi. Compassione, era quello che esprimeva il volto di Allie.
"Non importa, davvero" risposi, neutra.
Pena e compassione erano le ultime cose di cui avevo bisogno in quel momento.

 
Oh, and this boy would be happy 
Just to love you, but oh my 

Di una sola cosa avevo bisogno: calore.
 



 

Angolo dell'Autrice:
Ehm... *cough cough* lo so che vi avevo promesso un po' di felicità per Emma ma... oops! Purtroppo non è questo il capitolo giusto per renderla felice. Jay è tornato ma lo ha fatto in un modo del tutto imprevisto ed inatteso da tutti (persino da me, che l'ho creato ò.ò). Lo so che è una cosa assurda, impossibile forse, ma credo che nelle parole di Mic ci sia molta più verità di quanto non sembri. Mi sto immaginando le vostre facce in questo momento e lo sgomento... un po' fa ridere, un po' mi dispiace perché immagino che i vostri desideri per questi due fossero diversi. Mi sto già preparando psicologicamente ad un drastico calo di letture... In ogni caso vorrei che sappiate che 1) la storia non è ancora finita, ed ancora il destino ha delle cose in serbo per Emma e 2) ogni cosa che accade ha un suo senso al fine del "messaggio" che vorrei trasmettere :)
Comunque le canzoni usate per questo capitolo deprimente sono I Should Have Known Better, Anna e This Boy... spero vi piacciano.
Grazie a tutte quante quelle che hanno letto, hanno commentato, hanno messo fra le preferite/ricordate/seguite questa mia storia, per la quale sto dedicando davvero tutto quanto...
A martedì prossimo,
Julia

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Capitolo 9
*** Day tripper ***





Day Tripper

Quando tornai a casa, quella sera, non riuscii a chiudere occhio. Un senso di malessere mi attanagliava lo stomaco e la testa, impedendomi di trovare il giusto equilibrio per potermi  finalmente assopire.
La notte porta consiglio. Una dormita e non ci penserai più. Certo, se solo ci fossi riuscita.
Mi dimenavo fra le lenzuola senza trovare una posizione confortevole. Era impossibile: ero scomoda dentro, non fuori. Non riuscivo a togliermi dalla testa le immagini e le parole di quella sera. Jay. Tony. Un anno insieme. Amore incondizionato. Era fin troppo difficile anche per me trovare un ordine a tutti quei concetti.
Iniziavo a stare male davvero. Fino a quel momento, probabilmente, non avevo realizzato ciò che mi era appena accaduto. Ma una volta in casa, avvolta dal buio e dal silenzio, sola con me stessa, stavo iniziando ad essere meno razionale di quello che ero stata.
Il senso di freddo, però, non mi aveva ancora abbandonata. Probabilmente non lo avrebbe più fatto. Per quanto provassi a scaldarmi, con coperte e con pensieri positivi, non ci riuscivo. Era difficile formulare pensieri positivi, in realtà.
Quando, la mattina seguente, mi alzai dal letto, un senso di nausea mi colpì. Le notti insonni avevano varie ripercussioni sul mio umore e sulla mia salute. Mi girava la testa. Arrivai in cucina trascinandomi ed accesi il bollitore dell'acqua. Ero confusa, spossata. Ma una delle poche certezze che ancora mi restava era che una tazza di tè bollente mi avrebbe sicuramente aiutata a sentirmi meglio. Perciò tirai giù dalla mia mensola degli infusi una bustina di tè nero alla vaniglia, il mio preferito, e la misi in infusione non appena il bip del bollitore mi annunciò che l'acqua era pronta.
Mentre attendevo i soliti cinque minuti, tirai fuori dalla credenza i biscotti al cioccolato ed accesi il cellulare che era appoggiato sul tavolo.
Con uno squillo acuto venni avvertita dell'arrivo di un messaggio. Due. Tre.
Era sicuramente Allie che si premurava di verificare che non mi fossi gettata nel fiume durante la nottata, conoscendo le sue idee catastrofiche, perciò ignorai tutto e mi misi a fare colazione in silenzio. Di solito, la mattina, ero solita accendere la Tv nel canale di musica vintage, giusto per iniziare nel modo giusto la giornata. Quella mattina, però, nulla sarebbe stato in grado di migliorare il mio pessimo umore.
Mangiai senza appetito ma bevvi volentieri la mia tazza di gioia liquida. Non funzionò, al contrario del solito, ma, almeno, iniziai a sentire un po' meno freddo. Dopo aver posato tutto e aver sciacquato la tazza, presi il telefono e me ne tornai in camera mia. Mi infilai nuovamente sotto le coperte, per poi aprire i messaggi appena ricevuti.
Proprio come previsto, il primo era di Allie. "Mi dispiace troppo Em, davvero. Non preoccuparti, ti aiuterò a trovarne uno mille volte meglio. Non fare pazzie nel frattempo. Buonanotte". Sorrisi debolmente, riconoscendo la tragicità tipica di Allie, ed andai avanti.
Anche il secondo messaggio veniva da lei. "Buongiorno! Perché non hai risposto al messaggio di ieri? Devo preoccuparmi? Scrivi appena leggi questo messaggio, anche un messaggio vuoto mi va bene". L'isteria della mia amica stava già affiorando, perciò decisi di leggere anche il messaggio seguente, prima di risponderle.
Questo, però, non veniva da lei. Un numero sconosciuto, che non mi diceva un bel niente. "Ciao, Emma. Come stai?"
Quasi scoppiai a ridere dal nervoso. Quello sconosciuto non poteva trovare momento peggiore riguardo a come mi sentivo in quel momento.
Stavo come una che aveva visto la propria crush poco platonica baciarsi con un uomo.
Stavo come una che aveva scoperto di essere stata amata sinceramente da qualcuno solo perché il vero amore di quest'ultimo era lontano dalle sue braccia.
Stavo come una che aveva lasciato crollare inutilmente il proprio muro protettivo.
Stavo come una che vedeva tanto amore intorno a sé, senza mai gustarne il sapore.
Stavo come una che non aveva dormito per una notte intera per colpa dei pensieri.
Stavo come una che aveva sentito il proprio cuore gelare, senza possibilità remota di poterlo vedere sciogliersi.
Stavo male.
Ma parlarne con qualcuno che non conoscevo, seppur questo, apparentemente, mi conoscesse, era l'ultima delle mie priorità.
Tornai perciò indietro al messaggio precedente e risposi ad Allie. "Stai tranquilla, stavo solo dormendo. Sto bene, non preoccuparti per me" digitai velocemente. Era ovvio a tutti che stavo mentendo, ma non volevo che si preoccupasse eccessivamente per me. La vita le stava offrendo l'opportunità di essere felice, non doveva sprecare il suo tempo con un'infelice come me.
Bloccai la tastiera e mi appallottolai su me stessa, cercando una posizione comoda. Magari sarei riuscita anche ad addormentarmi.
Quando il telefono vibrò di nuovo, qualche minuto più tardi, ovviamente Morfeo non mi aveva ancora degnato di una sua visita.
Controllai la risposta di Allie ma, sorprendentemente, non era stata lei a scrivermi. "Emma?" mi scriveva di nuovo quel numero sconosciuto.
"Chi sei?" risposi con una domanda. Non era mai stato mio solito dare il mio numero senza riceverne uno in cambio, quindi sicuramente era qualcuno che voleva farmi uno scherzo.
La risposta non tardò ad arrivare. "Non ha importanza. Voglio solo sapere come stai". Sconosciuto ed anche testardo. Perché mai avrei dovuto dare una risposta a qualcuno che mi scriveva in tale modo? Avrei potuto benissimo mentire, come si fa quando qualcuno ti chiede 'come va?' e te hai talmente poca voglia di raccontare tutta la tua vita che abbozzi un sorriso e rispondi 'tutto bene'. Eppure, in quel momento, non ero dell'umore giusto nemmeno per rispondere banalmente a qualcuno di cui non sapevo nemmeno il nome.
"Non ti conosco nemmeno, perché dovrei dirti come sto?" polemizzai, pentendomi di aver inviato quel messaggio un attimo dopo averlo fatto. Mi stavo accanendo contro uno sconosciuto pur di non pensare a come realmente mi sentivo. Avrei semplicemente dovuto lasciar correre, ignorarlo, e concentrarmi su me stessa invece che su quegli sms.
"I feel fine, ricordi? Credevo che ci conoscessimo abbastanza"
Mi si gelò il sangue. Non poteva essere Jay, era impossibile. Eppure nessuno sapeva della nostra frase scritta sul muro rosa, nessuno a parte me e lui. Tornai con la mente alla sera passata con Jay, nonostante i pensieri apparentemente positivi pungessero come le spine di una rosa.
Credevamo di conoscerci abbastanza, di aver capito molto di noi. Ma non era affatto così, e questo l'avevo scoperto a mie spese. Non conoscevo nulla di lui, se non gli aspetti più superficiali. Non sapevo nulla del suo amore per l'amore, della sua relazione, della sua necessità a colmare il suo costante bisogno di qualcuno da amare.
Perciò non risposi al messaggio. Perché, all'improvviso, ero certa che il mittente fosse lui. Non m'interessava il modo in cui era riuscito a prendere il mio numero, non m'interessava delle sue domande stupide. Non m'interessava di lui e basta.
O, almeno, questo era ciò che mi imponevo.
 
Got a good reason
For taking the easy way out
Got a good reason
For taking the easy way out now

Passò esattamente un mese di silenzio dalla sera in cui avevo visto Jay baciarsi con Tony, e ventinove giorni da quello in cui avevo ricevuto quei messaggi. Settimana in cui mi ero obbligata ad uscire, a svagarmi. Settimana in cui combattei contro Mic per stare un po' di tempo con la mia migliore amica, settimana di tempo in cui iniziai a lavorare più freneticamente pur di non pensare. Sebbene avessi passato molto poco tempo con Jay in relazione a tutto il tempo della mia vita, comunque ancora non riuscivo a togliermelo dalla testa.
Era più forte di me. Sentivo che tutto non si fosse concluso nel migliore dei modi. Non perché avevo scoperto di essere stata 'l'amante' per una sera, ma perché sentivo di non aver dato modo ai miei sentimenti contrastanti di uscire. Ero una bomba pronta ad esplodere, ma non avevo dato modo a me stessa di sgonfiarmi gradualmente, evitando di farmi del male internamente. Era una faccenda incompleta, ed io avevo sempre odiato i romanzi senza un punto finale. La mia storia si concludeva con dei punti di sospensione, con un finale aperto che mi faceva impazzire.
Ma io, di certo, non avrei mai trovato il coraggio e la forza di farmi avanti, di provare a scrivere quel finale che tanto desideravo. Non m'importava quasi più l'esito di quella fine, purché ci fosse stata. Ma con quale diritto sarei dovuta piombare nuovamente nella vita di Jay?
Rimasi sorpresa quando, quella sera, il medesimo numero sconosciuto, che ormai non era più tale, mi inviò un messaggio.
"Domani sera abbiamo un concerto all'altro Cavern, quello di fronte all'originale. Mi piacerebbe molto che venissi"
Guardai lo schermo, perplessa, non capendo lo scopo di quell'invito.
In un drin venne annunciato l'arrivo di un altro messaggio.
"Vorrei parlarti, se ne hai voglia. Potremmo vederci un po' prima..." 
Sgranai gli occhi, incredula. Ma non feci in tempo a smaltire quella stana sensazione dal retrogusto agrodolce che mi arrivò un altro messaggio.
"Capirei anche un tuo no, non sentirti obbligata"
Sorrisi debolmente. Nonostante tutto era sempre il solito insicuro che avevo conosciuto su quella panchina.
Un altro messaggio.
"Mi dispiace, comunque"
Non aveva nulla da dispiacersi. Era stato in grado di rendermi infinitamente felice, era stato in grado di aiutarmi a superare le mie paure. Aveva distrutto i miei timidi sogni, ma quella era colpa mia, come sempre, che mi ero ritrovata a sognare nonostante le deboli basi. Nonostante stessi ancora male, in quel mese avevo imparato a leggere i lati positivi di tutta quella situazione. Quelli negativi erano sicuramente i più vistosi, ma io ero sempre stata abituata ad attaccarmi alle piccole cose belle.
Drin, di nuovo.
"Giuro che questo è l'ultimo messaggio. Pensaci, almeno. D'accordo?"
Non lo stetti affatto a sentire, o a leggere, in tutta onestà. Avevo già deciso da un pezzo, più o meno dal primo messaggio.
"Ci vediamo domani fuori dal Cavern" inviai, senza remore.
 
She was a day tripper
One way ticket, yeah
It took me so long to find out
And I found out
 
Pioveva, quel giorno, e le nubi nere appesantivano l'aria di quella giornata estiva. Sebbene fossi tendenzialmente meteoropatica, quel pomeriggio mi sentivo dall'umore paurosamente neutro. Nulla mi rendeva triste, nulla mi rendeva felice. Nemmeno l'idea di parlare con Jay mi scalfiva, più per un eccessivo concentrato di pensieri contrastanti che collidevano fra di loro, annullandosi, che per altro.
Scesi dall'autobus insieme a due signore sulla cinquantina e ad un vecchietto rugoso, aprendo automaticamente l'ombrello non appena sentii di non essere più coperta dal tetto del bus. Feci lo slalom fra due pozzanghere, ben attenta a non bagnarmi, ed attraversai la strada, diretta verso il Cavern Quarter. Passai, come di routine, di lato all'Hard Days Night Hotel, ancora pieno di impalcature che nascondevano la sua naturale bellezza, e svoltai a destra, entrando in Mathew Street, accompagnata dalla musica dei Beatles proveniente dall'interno del Cool Britannia dell'angolo.
Rimasi leggermente scossa nel vedere Jay appoggiato sul muro, di fianco a John. Sebbene sapessi di doverlo rivedere, avevo sottovalutato l'incredibile influenza che esercitava su di me, nonostante tutto. Non appena mi vide abbozzò un sorriso. Sembrava sinceramente felice che io fossi lì. Ci incontrammo a metà strada, entrambi un po' impacciati. I nostri ombrelli si scontrarono, schizzandoci dell'acqua addosso.
"Ciao" ci salutammo poi, contemporaneamente, eliminando quel silenzio imbarazzante.
"Come stai?" mi chiese un attimo dopo, d'impeto, mordendosi il labbro un attimo dopo.
"Si va avanti" risposi sincera, senza esagerare con la drammaticità né ostentare una felicità inesistente. Sorrisi, però, sperando che cogliesse il senso che volevo attribuire a quella risposta apparentemente fredda: stavo iniziando ad andare avanti, aspetto più che positivo.
"Te?" domandai, curiosa del modo in cui avesse passato il mese appena trascorso. "Bene, non mi lamento" era stata la sua risposta, quasi impacciata, come se si sentisse in colpa, ancora una volta.
"Bene" ripetei, mentre una nube di silenzio calava celere sulle nostre teste. Era davvero imbarazzante trovarsi lì senza niente da dirsi, nonostante entrambi avessimo tanto di cui parlare. Eravamo un paradosso.
"Entriamo dentro? Stare sotto la pioggia non è molto piacevole" propose, indicandomi l'entrata del locale con un cenno della testa. Annuii leggermente, e restai letteralmente di sasso quando venni circondata sulle spalle dal suo braccio. Ci avviammo lentamente, stretti in quell'abbraccio poco convenzionale, senza dire una parola.
Il Cavern 'moderno' era letteralmente identico a quello originale, ma senza le frasi e le parole scarabocchiate sul muro. Sul palco Mic, il batterista e altri due ragazzi di cui non conoscevo il nome erano occupati a sistemare fili e cavi, sistemando gli strumenti ed i microfoni per un soundcheck perfetto.
Jay mi trascinò verso un tavolo ad un angolo buio, abbastanza lontano dal palco da permetterci di parlare indisturbati e senza dare troppo nell'occhio e nell'orecchio. Ci sedemmo l'uno di fronte all'altra.
"Non so minimamente da dove cominciare" ammise, sbuffando ed abbassando lo sguardo, palesando nuovamente il suo impaccio di fronte a quella situazione alla quale, probabilmente, era stato estraneo fino al mio arrivo.
"Jay" lo chiamai, acquistando la sua attenzione e calamitando i suoi grandi occhi grigi sui miei "non devi preoccuparti di fare un discorso complicato o imbarazzante. Dimmi quello che vuoi senza farti troppi scrupoli, credo di essere pronta a tutto..." cercai di tranquillizzarlo, cercando di infondere un po' di coraggio ad entrambi. Le sue labbra si incresparono in un sorriso incerto.
"So che Mic ti ha raccontato a grandi linee" cominciò, mordendosi il labbro. "Molto grandi, ma sì" mi affrettai a rispondergli, facendo su e giù con la testa.
"Mi dispiace che tu sia venuta a conoscenza della mia... Relazione... In questo modo. Non... Non sono mai stato quel tipo di persona che approfitta della gente, anzi. Tu sei... Cioè, non ti ho 'cercata', quella sera, per farti del male o cose simili, né volevo approfittare di te e di usarti come ripiego nell'attesa del ritorno a casa di Tony"
"Lo so, non ho pensato nemmeno per un attimo che tu fossi così crudele. Ti conosco poco, lo so, ma ho pensato sin da subito che tu fossi una persona dal cuore d'oro" lo rassicurai o, almeno, provai.
"Sono stato davvero bene con te. Sei una ragazza meravigliosa ed io ero davvero felice di essere riuscito a farti sciogliere un po'. Solo che... La realtà è che io mi ritrovo spesso a pensare di essere innamorato, sai? L'ho creduto anche con te, quella sera. Ho creduto di aver trovato una persona al quale dedicarmi anima e corpo perché lo meritavi, perché eri così amorevolmente dolce ed indifesa. È difficile da spiegare, non credo di esserne in grado"
"No, credo di aver capito" dissi, sorridendo. Avevo capito davvero, nonostante non mi fossi mai trovata in una situazione come la sua. Era tutta questione di carattere, probabilmente, ma io non ero mai stata innamorata, se non per una volta. Non mi ero affatto innamorata di Jay, forse si era trattato solo di una sbandata. Dentro di me, però, il cuore aveva fatto una piccola capriola al solo sentire quelle parole così dolci, così tenere nonostante significassero anche tante cose negative.
"C'è una sola persona, in vita mia, che mi abbia mai fatto dire 'ti amo' col cuore, e quello è Tony. E nonostante io mi fossi sentito incredibilmente in sintonia con te, nonostante credessi di essere innamorato, ero sempre e comunque legato a lui. Per me il vero amore è questo: poter essere innamorato anche di mille persone diverse, passare del tempo con loro, ma comunque pensare ad una sola persona come compagnia per il resto della vita"
 
She's a big teaser
She took me half the way there
She's a big teaser
She took me half the way there, now

"Immagino che trovarsi la verità sbattuta in faccia in tale modo non dev'essere stato facile. Non lo so, ma mi dispiace davvero tanto... Credo tu sia la prima alla quale io ponga le mie scuse, perché sei anche la prima ad aver accettato di stare con me senza porsi troppi interrogativi. Sono sempre stato sincero con tutti fin dall'inizio, ma con te non è successo. Forse è stata tutta colpa dell'alcool che avevo bevuto, o forse era perché sapevo che il giorno successivo Tony sarebbe tornato..."
 
She was a day tripper
One way ticket, yeah

"Ma sei anche la prima per la quale mi dispiace davvero essermi comportato così. Non rimpiango un solo momento: te l'ho detto, sono stato davvero felice con te. Ma mi dispiace che tu ti sia fidata di me, e che in cambio io ti abbia praticamente chiuso una porta in faccia"
 
It took me so long to find out
And I found out

"Jay" lo interruppi, finalmente. "Capisco quello che vuoi dirmi ed accetto le tue scuse anche se, sinceramente, io non le comprenda"
"Ma..." "Ssssh, fammi finire. Ora è il mio turno di parlare, d'accordo?" lo feci tacere portandogli un dito davanti alla bocca. Annuì in silenzio e mi fece cenno con la testa di iniziare a parlare.
"Non comprendo le tue scuse perché, in questo tempo passato, ho capito che sono stata solo io a farmi del male, io è le mie stupide idee sul romanticismo. Anch'io sono stata bene con te, e rifarei tutto da capo se dovessimo tornare indietro. Lo ammetto, sono stata davvero male dopo averti visto con Tony, quella sera. Sono stata così bene da abituarmi all'idea di essere felice per un po' insieme a te, che vederti con un altro non ha fatto altro che riportarmi alla realtà, quella fatta di cose in tutti i colori, non solo rosa. Ma, in ogni caso, credo di avere imparato tanto da tutto ciò. Ho imparato che è un bene lasciarsi andare, ad esempio, perché ne varrà sempre la pena"
 
Tried to please her
She only played one night stand

"Mi hai tirato fuori da una gabbia fatta di certezze che mi ero costruita attorno per non soffrire. Per me questo ha significato davvero tanto"
 
Tried to please her
She only played one night stand, now

Oltre ogni mia previsione Jay allungò un braccio ed iniziò ad accarezzarmi delicatamente una guancia, spostandomi i ciuffi di capelli che ricadevano scomposti sulla mia faccia.
"Ti avevo capita bene, quella sera. Sei davvero unica... Nessuna aveva accettato la verità in questo modo, nessuno era riuscito a trovare del buono in me e nella mia stupida tendenza ad amare chiunque" mi carezzò anche con le parole, con la voce talmente bassa che sembrava quasi un sussurro.
"Il tempo mi ha sicuramente aiutata a riflettere e ad accettare tutto... La prima reazione non è stata di certo questa..." ammisi, abbassando lo sguardo e arrossendo dall'imbarazzo.
Ricordai per un attimo tutto quel freddo che mi aveva circondata e infastidita per giorni. Qualche fiocco di neve era ancora lì, vicino al cuore, ma non faceva più così tanta paura. Prima o poi sarei riuscita ad eliminare tutto quel ghiaccio, ne ero certa.
Proprio come mi ero rialzata la prima volta.
Proprio come Jude, avrei preso una canzone triste e l'avrei resa migliore.
Proprio come stavo già facendo, rendendo quella vicenda poco piacevole in un'esperienza in grado di farmi crescere.
 
It took me so long to find out
And I found out

"Comunque ti capirei se volessi riprendere ad ignorarmi... Forse non ci incontreremo più per chissà quanto tempo" si morse il labbro, Jay, mentre pronunciava quelle parole.
"Non ho ragioni per volerti di nuovo fuori dalla mia vita... Non sono arrabbiata con te né lo sono mai stata" ammisi, provocando un enorme sorriso sulle sue labbra. "Capisci perché credevo di essere innamorato?" domandò di slancio, per poi colpirsi da solo, facendomi ridere. "Sono davvero pessimo, scusa. L'humor nero è il mio forte" si giustificò, ridacchiando, divertito dalle mie risate.
"Su quello possiamo lavorarci, stai tranquillo. Adoro l'humor nero" fu la mia risposta pronta.
"E per il fatto che mi trovi irresistibile, come farai?" domandò ancora, tornando improvvisamente serio. Sembrava quasi preoccupato. "Lavorerò anche su questo, ma sono ad un ottimo punto" risposi ironicamente, facendogli l'occhiolino.
"Davvero? Come è possibile? Sono perfetto!" "No, sei un egocentrico, è diverso"

 



 

Angolo dell'Autrice:
Eccomi di nuovo qui con un nuovo capitolo, finalmente :)
Dunque, non so voi che concezione abbiate di fluff ma per me questi due sono una cosa fluffosissima. Anche se non scadono in atti propriamente "romantici" i loro discorsi mi piacciono (sono troppo di parte, lo so, dovreste essere voi a giudicare). In ogni caso so che il tutto potrebbe sembrare molto irreale ma è bene che notiate che fra gli ultimi eventi e la sera della rivelazione è passato un mese, che è abbastanza tempo per un cuore gelato da un colpo di fulmine per potersi sciogliere, anche solo un minimo. In ogni caso spero vi sia piaciuto questo risvolto amaramente dolce nella vita di Emma :)
In questo capitolo la canzone chiave è una sola: Day Tripper, appunto! Ascoltatela perché è davvero mooolto molto bella, ed il ritmo, vabbé, quello c'è sempre nelle canzoni dei Beatles!
Grazie a tutte quante quelle che hanno letto, hanno commentato, hanno messo fra le preferite/ricordate/seguite, siete davvero troppo troppo buone!
A martedì prossimo,
Julia

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Capitolo 10
*** The end ***






The end
 
Oh yeah, all right
Are you gonna be in my dreams tonight
 
Rimasi a quel tavolo a parlare con Jay per gran parte della serata, almeno finché non iniziò ad arrivare tanta gente. Il pubblico in visibilio era il chiaro segnale che Jay sarebbe dovuto esibirsi presto, motivo per cui mi lasciò da sola per poter raggiungere i suoi amici nel backstage.
Ogni minuto che passava era un ammontare incredibile di persone in più che entravano nel locale per prendere una birra e precipitarsi il più vicino possibile al palco. In tutta onestà non avevo mai sentito nominare la band di Jay e Mic ma, a quanto pareva, era parecchio famosa in città.
Notai Tony entrare nel locale, raggiante, e sedersi sullo sgabello di fronte al bancone del bar per poter avere una visuale completa del palcoscenico. Era buffo: avevo considerato quel ragazzo colui che mi aveva portato via l'amore, ero arrivata addirittura a detestarlo, quasi, ed ora vederlo lì, con quell'enorme sorriso innamorato a stampargli il viso, mi scombussolava in modo positivo. Non avevo mai visto nessuno sorridere in quel modo per qualcuno che ancora non era stato visto, non avevo mai visto più grande amore di quello che si leggeva negli occhi di Jay quando parlava di lui.
A mente fredda, finalmente estranea a quella insopportabile situazione, potevo sicuramente affermare che quella fosse una delle coppie migliori che io avessi mai visto in vita mia.
"Per me il vero amore è questo: poter essere innamorato anche di mille persone diverse, passare del tempo con loro, ma comunque pensare ad una sola persona come compagnia per il resto della vita" quelle parole rimbombavano ancora nella mia mente. Forse Jay aveva ragione, forse il vero amore era davvero questo perché io, negli occhi di entrambi, vedevo solo quello: amore, quello vero. Quello che avevo sempre sognato ma che mai avevo raggiunto per colpa delle mie stupide ossessioni.
 
Love you, love you
Love you, love you...
 
Quando vidi entrare Allie nel locale, le feci cenno di sedersi al tavolo con me. Da quel posto avevamo entrambi un'ottima visuale sugli artisti.
"Come è andata?" mi chiese senza nemmeno salutarmi, sedendosi pesantemente sulla sua sedia di legno scuro.
"Bene, davvero. Niente più questioni in sospeso... È questo l'importante, no?" le risposi sorridendo, lasciandola lievemente perplessa.
"L'importante è che tu sia felice, Em, nient'altro” mi sorrise infine, convinta dalla mia espressione che lasciava ben poco spazio all’immaginazione.
Quella giornata iniziata in quel modo paurosamente neutro e grigio si era trasformato in un giorno quasi felice. Probabilmente ero una delle uniche al mondo a sentirmi in quel modo dopo un risvolto simile della situazione. Non avevo trovato il mio principe azzurro, non avevo un lieto fine alla ‘E vissero per sempre felici e contenti’. Forse in quella situazione c’era anche dell’amaro rimasto in bocca. Eppure io ero davvero felice.
Non avevo più questioni in sospeso, non avevo cancellato dalla mia vita quel ragazzo che adoravo e al quale avevo iniziato a volere davvero un gran bene. Forse anche quello era amore, chissà, ma in modo diverso. Ero libera da me stessa e dalle mie stesse inibizioni, ero pronta a vivere la mia vita nel modo in cui mai l’avevo vissuta. Ovviamente non sarei diventata spigliata come Allie, ma avrei imparato a migliorarmi pur rimanendo fedele a me stessa.
Che poi, dopotutto, anche Allie era cambiata: la vedevo ora osservare impaziente il palco in attesa che il suo principe azzurro dalla folta barba uscisse dalla porta del backstage per iniziare la sua esibizione. Non si era mai legata in modo simile ad un ragazzo, e questo lato romantico e non più unicamente seduttore di lei ci aveva legate ancora di più.
Quando le luci si fecero più soffuse e i ragazzi salirono sul palco, si alzò un boato di applausi al quale ci unimmo anche io e la mia amica.
La band iniziò la sua esibizione con una cover di Hard Day’s Night che cantai a bassa voce. Erano un gruppo con tre chitarre, una batteria e una tastiera, una voce solista e tanti cori. Quando iniziarono le loro canzoni inedite non era difficile cogliere l’influenza che i Beatles avevano avuto sulla loro musica. Erano orecchiabili, ritmici, in grado di farmi battere i piedi a terra a ritmo e ciondolare la testa a destra e a sinistra. Erano bravi. Tanta gente fra il pubblico conosceva le parole e li accompagnava in un coro delicato e perfetto.
“Il tastierista non è male, vero?” mi chiese Allie, ridacchiando. Lo guardai per un attimo, per poi voltarmi verso la mia amica e “Hai ragione, niente male” le risposi sorridendo. Non m’importava più di darle ragione, di fare complimenti insieme a lei. Quel muro distrutto mi aveva liberato molto più di quanto credessi.
Il concerto durò un paio d’ore. I cinque sul palco alternavano le loro canzoni con quelle del quartetto di Liverpool, rendendo la loro intera esibizione una variegata mescolanza di musica e di suoni di tutte le età.
“Questa è la nostra ultima canzone” annunciò Jay, sorridendo appena. “E’ la nostra ultima creazione, sicuramente non la riconoscerete. Non è difficile mantenere il ritmo, in ogni caso, quindi, se volete, aiutateci battendo le mani a tempo, d’accordo?”. Tutti urlarono, chiaro segno d’assenso.
“Bene, noi vi diamo la buonanotte. Questa canzone si chiama Emma”
 
And in the end, the love you take
Is equal to the love you make

 


 

Angolo dell'Autrice:
Eh già, probabilmente non ve lo aspettavate, probabilmente sì, ma questa storia vede qui la sua conclusione. Non so se ci rimarrete male oppure no, spero di no. Io ho sempre adorato -al contrario dell'opinione pubblica- i finali non lieti (i miei preferiti sono quelli agrodolci, come questo) e aperti. Probabilmente penserete che avrei dovuto dare una fine concreta a tutta questa storia ma, sinceramente, preferisco che siate voi ad immaginarne un continuo: ormai i miei personaggi sono anche i vostri, come me anche voi avete vissuto le loro gioie e i loro dolori e come me avete tutto il diritto di farli muovere, di qui in avanti, come più vi aggrada. Quello che è sicuro è che in questo finale Emma è cresciuta, è maturata ed ha imparato tantissime cose. Ora è pronta a vivere una vita diversa, lontana dalle sue stesse limitazioni e, chissà, magari prima o poi troverà l'amore anche lei... quello vero, lo stesso di Jay e Tony o di Allie e Mic.
In ogni caso le canzoni utilizzate in questo capitolo sono: The End dei Beatles, ovviamente, ma anche Emma dei The Hummingbirds, la canzone che mi ha ispirato l'intera storia. Ascoltate questi ragazzi perché sono davvero un portento, li adoro e non vedo l'ora di poterli finalmente ascoltare di nuovo live... magari proprio al Cavern :)
Vorrei dedicare questo mio ultimo angolo autrice per ringraziare un po' di persone: Ladyvampiretta e Boijouttina per essere state qui a commentare ogni capitolo fin dall'inizio, DarkViolet92 per essere capitata qui ed aver lasciato un proprio pensiero per ogni nuovo capitolo, VenerediRimmel per aver letto questa storia in anteprima -correggendomela e consigliandomi- e BlueEyes per avermi sclerato in chat ad ogni aggiornamento. Ringrazio anche tutti coloro che hanno apprezzato questa storia in silenzio, a tutti quelli che hanno avuto il buon cuore di metterla fra le preferite, le seguite o le ricordate.
Grazie davvero a tutti, un saluto e alla prossima storia.
Julia

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