A Crazy School… or not?

di Delyassodicuori
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1_Primo giorno_parte 1 ***
Capitolo 2: *** 2_Primo giorno_parte 2 ***
Capitolo 3: *** 3_Primo Giorno _ parte 3 ***
Capitolo 4: *** 4_I Bulli non mancano mai... ***
Capitolo 5: *** 5_Ma diamoci un taglio! ***
Capitolo 6: *** 6_ Ricordi e Patti ***
Capitolo 7: *** 7_Regali di Natale ***
Capitolo 8: *** 8_Lezioni di vita? ***
Capitolo 9: *** 9_ Incubi (?) e piscine ***
Capitolo 10: *** 1O_Pari ***
Capitolo 11: *** 11_ Fobie e Fiducia ***
Capitolo 12: *** 12_ ***
Capitolo 13: *** 13_Tutto questo è assurdo! ***
Capitolo 14: *** 14_Bonjour Jelousie!_Parte 1 ***
Capitolo 15: *** 15_Bonjour Jelousie!_parte 2 ***
Capitolo 16: *** 16_E' UNA PESSIMA IDEA! ***
Capitolo 17: *** 17_Che infame che sono! ***
Capitolo 18: *** 18_Scuse ***
Capitolo 19: *** 19_Bugie e mali ***
Capitolo 20: *** 20_Cose belle e cose brutte ***



Capitolo 1
*** 1_Primo giorno_parte 1 ***


1_Primo giorno_parte 1



Aprì gli occhi con grande fatica. La notte, come al solito, non ero riuscita a chiudere occhio.
E, ciliegina sulla torta, oggi piove pure. Che bello!
Sbuffai, valutando l’idea di rimanere sotto le coperte per un altro minuto. O forse mezz’ora. Mhm… magari per sempre!
Il mio letto era talmente caldo e morbido…  Fuori invece sapevo già che faceva un freddo della miseria!
Mi strinsi forte il piumone sopra la guancia, sbuffando, rigirandomi su un fianco.
Mi rigirai poi sull’altro, osservando sul comò la mia stupida sveglia.
Un minuto prima dello squillo.
Questo si che si chiama essere decisamente fuori tempo.
Chiusi gli occhi, provando a riaddormentarmi, ma ahimè la sveglia iniziò a suonare proprio in quel preciso momento.
Sbuffai ancora più forte, togliendo il braccio nudo da sotto il piumone, avvertendo già da subito i brividi. Cavolo, se dentro la mia camera era freddo, fuori doveva sicuramente essere al di sotto dei zero gradi!
Sbattei il pugno contro la mia sveglia, facendola cadere per sbaglio sul pavimento. Bah.
Lasciai cadere la mano sul cuscino, affondando ancor di più il viso su di esso.
Le gocce di pioggia non la smettevano di picchiettare contro la finestra della mia stanza. Sembrava quasi che mi volessero far alzare con la sola forza del loro rumore.
Mi rigirai per la millesima volta, con la pancia all’aria, poggiando la mano sulla fronte, le dita chiuse e gli occhi che faticavano ad aprirsi.
Sospirai piano, contando fino a dieci.
“Al dieci ti alzi!” mi dissi, arrivando fino a cinque.
6…7…8…9…9 e un quarto… 9 e mezza… 9 e tre quarti… 9 e 88…. 9 e 89…. 9 e 90…
-Leah!- bussò forte la mamma alla porta, facendomi perdere il conto.
-Mhm?- feci forte, stringendo un pugno sotto il piumone, chiudendo di nuovo gli occhi.
-Alzati, è il tuo primo giorno!- fece lei. Aspettai di sentire le sue ciabatte riecheggiare per il corridoio, allontanandosi.
Sospirai nuovamente, pensando allo stesso tempo: “Ok, o ora o mai più!”.
Dio se era difficile alzarsi con questo gelo!
Il freddo mi penetrò fino alle ossa nel momento esatto in cui mi tolsi il piumone di dosso. Mi sedetti, massaggiandomi le braccia. Nonostante il mio pesante pigiama (maglia a maniche lunghe blu notte e pantaloni da ginnastica nere e verdi) sentivo la pelle d’oca ovunque; dietro la schiena, sulle braccia, sull’addome, sulle gambe. Persino sul viso sentivo freddo.
Battei i denti fino all’infinito, mentre mi alzavo, grattandomi la testa e stroppiandomi gli occhi. Avanzai con passo di zombie verso il bagno.
Mi ci chiusi dentro, accendendo la stufetta. Misi le mani davanti ad essa e subito queste vennero avvolte dal calore dell’elettrodomestico.
Dopo un minuto intero tolsi le mani da lì, aprendo il rubinetto della doccia.
Mi spogliai a malavoglia ed entrai. L’acqua bollente mi fece sparire la pelle d’oca, regalandomi una piacevole sensazione di benessere. Era quasi un toccasana avere l’acqua calda che ti colpisce la schiena.
Mi lavai ben bene i capelli, lunghi, lisci e neri, per poi lavarmi il resto del corpo. Ormai la mia pelle, scura quasi come se fosse bronzo, emanava calore da tutti i pori. Era un vero piacere vedere come il vapore mi circondava tutta una volta chiuso il rubinetto ed uscita fuori.
Presi il telo, avvolgendomelo intorno e chiudendolo al petto. Presi l’asciugamano e mi coprì i capelli fradici con esso.
Da perfetto genio avevo prima lasciato la divisa scolastica sul termosifone, per cui, dopo aver asciugato i capelli, quando andai a vestirmi, mi sentì sempre meglio.
La mia divisa dell’anno precedente era color blu oceano. Ma stiamo parlando della divisa di un’altra scuola.
In questa, invece, l’uniforme era quasi tutta nera, quasi come se volessimo andare tutti al funerale. Indossai la camicetta bianca con la cravatta nera, poi la giacca e la gonna, nere anche loro. Mi misi seduta sul letto ad indossare le calze bianche e lunghe fino a metà polpaccio e le ballerine nere, presi la borsa a tracolla rosso mogano che mi ha sempre accompagnata dalle medie, il cappotto, la sciarpa, guanti, cellulare, chiavi, ed uscì dalla stanza, arrivando fino al salotto.
Seth, il mio fratello minore, stava ancora dormendo. Già, scuola sua non era così lontana come la mia. A lui bastava fare due incroci ed era già arrivato. Io invece dovevo alzarmi alle sei e mezza solo per prendere la metropolitana in tempo ed arrivare così puntuale alla mia nuova scuola. Avevo studiato tutti i percorsi possibili delle metro che andassero da casa a scuola. Per mia fortuna mi bastava solo una linea.
Sue, mia madre, era ancora in pigiama e con tanto di pantofole calde e accappatoio. Sorseggiava tranquillamente il tè, seduta sul tavolo, mentre leggeva il giornale.
-‘Giorno, dormigliona- mi salutò lei.
-‘Giorno mottherrr- la salutai io, baciandole la guancia. Andai in cucina a prendere dalla dispensa una merendina, poi in frigo a prendere un po’ di latte.
-Dovresti farla meglio la colazione, lo sai?- mi disse Sue.
-Eddai mà- dissi, bevendo un sorso direttamente dal cartone. Sgranocchiai la merendina, controllai di avere i soldi per il pranzo, salutai mia madre mentre lei mi augurava buona fortuna e uscì di casa.
Come avevo previsto, era un freddo cane!
Mi strinsi sempre più nel cappotto e affondai il naso nella sciarpa rossa a strisce bianche, incamminandomi da Lonsdale Crescent verso l’Underground di Gants Hill.
A quell’ora non c’era moltissima gente.  Aspettai seduta su una panca l’arrivo della metro, che avrebbe dovuto portarmi alla fermata dell’ Ealing Broadway. Salì alla prima che mi passò davanti e mi sedetti. La metro partì a tutta birra verso il capolinea.
Scesi, dopo quasi 23 fermate, all’ Ealing Broadway. Alla metro c’era molta più gente, stavolta. Dovetti fare uno sforzo incredibile per scendere dal vagone e passare tra la folla. Avrei anche giurato che qualcuno mi avesse dato una valigiata nella gamba. Andiamo bene.
-Scusate, permesso- dissi, provando a camminare in modo decente. Cavolo, non si poteva neanche respirare.
Ero quasi riuscita ad arrivare alle scale mobili, ma sempre qualcuno mi spinse troppo forte da dietro. Anzì, per essere precisi, si era scontrato contro la mia spalla destra. Con tutto quel macello non riuscì a mantenere l’equilibrio e caddi di sedere.
Il dolore alla spalla non cessava. Me la strinsi forte, mordendomi il labro inferiore.
-Cazzo, scusami!- fece il tizio dietro di me. Voltai la testa verso il deficiente, con il ringhio stampato in faccia.
Il tizio in questione era un ragazzo, probabilmente della mia stessa età. E come me sembrava essere un nativo americano. I capelli neri e cortissimi erano quasi nascosti dal cappello di lana e dal cappuccio del cappotto, mentre con gli occhi scuri mi fissava, preoccupato e dispiaciuto.
Stranamente non riuscì a provare pena per lui. Quella che era cascata e con la spalla dolente ero io, e che cavolo! Poteva stare più attento anche lui!
-Ti sei fatta male? Vuoi una mano?- chiese di nuovo, piegandosi, nonostante la folla, verso di me, come ad aiutarmi.
Gli ringhiai contro, in modo automatico, manco a farlo apposta.
-Ma va a cagare!- gli dissi, alzandomi, per poi ricompormi.
-Scusa, non volevo farlo apposta- disse, raddrizzandosi anche lui e sistemando lo zaino grigio chiaro sulla spalla.
Mi voltai dall’altra parte, ignorandolo del tutto. Salì di fretta e furia le scale mobili, per poi uscire dall’Underground.
-Ehi, aspetta un attimo!- si sentì da dietro. Voltai mezzo busto. Di nuovo il ragazzo di prima.
Sbuffai. –Cosa vuoi ancora?-
-Solo scusarmi!- fece lui, raggiungendomi.
-Beh, ti sei scusato, no?- dissi, secca e fredda, voltando ancora la testa sulla strada ai miei occhi –Perciò ora non rompere le scatole e sparisci!-.
Forse non sarò stata tanto carina e gentile, ma poco importava. La spalla mi faceva ancora male. Stessa cosa valeva per il bacino.
Camminai con passo svelto, cercando di dimenticarmi la faccia di quel tipo.
Se non mi avesse spinta prima per poi farmi cadere avrei anche detto che era bello.
Dopo un paio di svolte, finalmente arrivai alla mia nuova scuola. La Greenford High School.
Era un insieme di edifici abbastanza moderni, divisi in Reception (edificio A), B, C, D, E, F e G.
Dall’entrata principale si arrivava all’edificio G e alla Reception. A quest’ora molti studenti stavano in giro  per il parcheggio abnorme e per l’entrata. Qualcuno era già dentro a quei edifici. Mi incamminai verso la Reception, un piccolo edificio nascosto dietro al G. quando entrai notai che la stanza era particolarmente piccola. Alzai la testa e vidi lo stemma della scuola, molto grande, tanto da coprire quasi tutto il soffitto.
Accanto ad esso, verso l’interno, vi erano bandiere dei vari stati, come L’Italia o la Germania.
-Desidera, signorina?- venni richiamata da un vecchietto dietro al bancone.
-Oh, ehm è il mio primo giorno qui…- dissi, in fretta, senza nemmeno pensarci.
Che dire, è ovvio che non so socializzare con i perfetti sconosciuti.
-Certo, la nuova arrivata. Sei..?-
-Leah Clearwater-
-Oh, bene, compili pure questi moduli- disse, porgendomi vari fogli. Li compilai tutti, dopo di ché il vecchio segretario mi diede la cartina della scuola e il foglio con l’orario delle lezioni, dove stava scritto anche in quali edifici venivano svolti.
-Benvenuta alla Greenford High School- fece il vecchio, sorridente –Spero che si troverà bene qui, signorina Clearwater-.
-Ehm… grazie- dissi svelta, per poi uscire dalla Reception.
Di solito non sono una che socializza molto. In passato avevo anche tanti amici. Ma ormai di loro non mi era rimasto nulla. Non avevo nemmeno i loro contatti, come numeri di telefono o e-mail. Neanche una foto o un regalo da parte loro.
Avevo bruciato tutto. Avevo buttato via tutto e l’avevo fatto prendere fuoco direttamente nel cestino della carta straccia. Quando mia madre vide il cesto andare a fuoco per poco non si prese un colpo.
Io invece non vedevo l’ora di liberarmi di quella roba.
Tanto non li avrei mai più rivisti. E sono sicura che anche loro la pensino così.
Guardai la cartina, studiandomela il più in fretta possibile. Ahimè, mica era facile.
La campana suono proprio quando misi piede all’entrata dell’edificio E.
Forse mi ero anche persa, perché dopo dieci minuti di strada mi ero ritrovata di nuovo all’entrata dell’edificio. Merda, cominciamo davvero bene.
-Ti sei persa, per caso?-.
Per poco non sussultai.
Una voce squillante e femminile mi aveva paralizzata alle spalle. Mi voltai. Era una ragazzina molto minuta, quasi come un folletto. E aveva anche la faccia da folletto. I capelli però erano neri e corti, con un nastro blu cobalto che le faceva da cerchietto, gli occhi marroni e la carnagione pallida.
-Ehm… forse…- dissi, confusa. Sarà del primo anno? O del secondo?
-Sei nuova?- mi chiese di nuovo. Annui.
-Benvenuta, allora, io sono Alice- disse la piccola nana, porgendomi la mano. La strinsi a malavoglia. Non avevo mica tempo da perdere!
-Sei al quarto anno come me, vero?- fece di nuovo Alice. Rimasi quasi immobile, a valutare se quello che diceva era vero o mi stava prendendo in giro.
Avrei detto che era alta 1 e 40 metri… eppure il seno non le mancava.
-Sicura di essere al quarto?- chiesi improvvisamente, rendendomi conto solo dopo di quello che avevo sputato fuori dalla bocca. Alice però non sembrò prendersela, anzi, sorrise. E quel sorrisetto bianco con tanto di fossette infantili mi ricordò davvero un folletto.
-Che lezione hai?- chiese, cercando di sbirciare dai fogli che tenevo in mano.
Li guardai anche io e risposi:-Scienze-.
-Oh, come me, allora andiamo, su!- disse, raggiante, camminando verso un corridoio. La segui, ponendo in lei la mia temporanea fiducia.
Notai, mentre avanzavamo verso l’aula, che la piccola nanerottola non camminava, anzi, era come se eseguisse passi di danza.
Era una ballerina? O forse quel giorno per lei era sicuro e raggiante?
Arrivammo davanti ad un aula e la mia compagna di scuola la aprì. Tutti all’interno ci fissarono, professore compreso. Ahia!
-Scusi professore- disse Alice –Il mio tassista aveva sbagliato strada-.
-E perché non hai preso il bus o la metro?- domandò il proff. al folletto ballerino. Lei rispose con un innocente sorriso:-Odio le metro, e i bus sono sempre troppo pieni. Non si può nemmeno respirare, neanche in una metropolitana!-
“Quanto ti comprendo” pensai, sospirando.
-E tu, invece?- chiese l’uomo, rivolto stavolta a me.
Era basso anche lui, ma più alto di Alice, con la pancia ben in vista anche sotto il pullover marrone cacca e con fin troppi pochi capelli. Avrei potuto benissimo contarli.
-Mi ero persa- dissi io, mentre Alice aggiunse:-E’ appena arrivata, è nuova, è ovvio che non conosca bene la strada. La cartina della scuola non ha mai avuto questo successo-.
Alcuni studenti annuirono a questa affermazione. Beh, non potevo non essere d’accordo. Nella cartina sarà stato anche assegnato ad ognuno di questi edifici varie lezioni, ma non dicono mica in quale aula e dove si trovano.
-Oh, ma tu guarda. E come ti chiami?-
-Leah Clearwater- risposi di nuovo. Chissà per quante altre volte dovrei ripeterlo.
-Bene, e ora tutti e due sedetevi- ci ordinò il professore.
C’erano due posti vuoti proprio davanti alla cattedra. Grandioso. Ci sedemmo ai banchi, dopo di ché iniziò la lezione.
Alice, che mi stava di fianco, si sporse verso di me e bisbigliò:-Ah, quello è il proff. Morgan. Se non lo fai arrabbiare diventa simpatico-.
-Ehm, grazie- sussurrai, tornando ad ascoltare il proff. Morgan.
A fine lezione dovevo subito spostarmi nell’aula di Inglese. Anche per quell’ora io e Alice stavamo insieme. Stavolta avevamo un’insegnante bella e giovane, magra (anzi, anoressica), con i capelli ricci e castani e gli occhiali verdi.
Quando entrai, lei subito si accorse che ero nuova e mi prese per il polso. Odiai automaticamente quel contatto fisico, ma feci uno sforzo incredibile per non ritirare la mano.
-Come ti chiami, novellina?- chiese lei, con un tono autoritario. Cavolo, sarà anche bella e giovane, ma sembrava quasi un comandante dell’esercito, sia da come mi ha appena rivolto la parola, sia dal suo sguardo glaciale su di me. Mi sentì quasi gelare le ossa, ma ressi lo sguardo.
Ripetei di nuovo il mio nome e la professoressa lo annunciò a tutta la classe. Mi sentì in imbarazzo, ma mantenni un espressione quasi apatica e seria allo stesso tempo.
Il folletto-ballerino mi fece l’occhiolino e mi sussurrò su un orecchio:-La proff. Moore. Attenta con lei, non farti ingannare dal suo aspetto. Sa essere una belva ben peggiore del proff. Morgan!-.
-Quello lo avevo intuito- le sussurrai a mia volta con un sopracciglio rialzato.
Per la terza ora, invece, avevo Storia.  Ci spostammo in un altro edificio, un po’ più grande di quello precedente.
E in questo edificio doveva trovarsi il mio armadietto, assieme a (o ma tu guarda!) quello di Alice.
Aprì lo sportello e ci inserì dentro i libri di Scienze e Inglese, poi attaccai uno specchietto su un chiodo sul retro dello sportello e lasciai la giacca dentro l’attaccapanni.
Non appena chiusi l’armadietto, però, sentì come una specie di spostamento d’aria alle mie spalle. E lo deve aver avvertito anche Alice, perché si voltò assieme a me per capire cos’era.
Un ragazzino stava correndo via, e ovviamente era corso dietro di noi.
Stavo per lasciar perdere, quando si sentì urlare dalla parte da dove era appena venuto:-Brutto testa di cazzo, torna qui!-.
Un momento… questa voce mi sembra famigliare…
Neanche il tempo di realizzare chi era che vidi di colpo lo stesso ragazzo della metro. Portava solo la camicia e la cravatta al busto. Niente giacca o maglione.
A quanto pare non vedeva nemmeno dove correva perché prima che potessi spostarmi il ragazzo mi aveva praticamente investita. Anzi, lui era riuscito a rimanere in piedi e a continuare la corsa, mentre io ero cascata per la seconda volta in una giornata di sedere. E la sfiga? Mi ha colpito proprio la stessa spalla! E pensare che il dolore mi era passato da poco! Ora invece pulsava di nuovo.
-Leah, stai bene?- chiese preoccupata Alice, inginocchiandosi per aiutarmi. Non ne ebbi bisogno. Alzai una mano davanti al suo viso per dirle che era apposto, poi mi alzai, ma con uno sguardo mezzo furente. Dopo un secondo lo stesso tizio del cavolo era tornato indietro, ma trascinava per il colletto della divisa il ragazzino di prima.
-Vedi di non farmi incavolare oggi, chiaro?- sibilava tra i denti il tizio della metro, voltando la testa verso la sua vittima. Era un ragazzino con gli occhiali e l’apparecchio, minuto. Bene, mi ero scontrata contro un bullo?
Si fermarono proprio davanti a noi, dopo di ché il bullo lasciò andare il suo colletto, facendogli cadere la testa sul pavimento.
-Ahia!- strillò il ragazzino, cercando di rialzarsi. Ma il teppista non lo mollò subito, anzi, li riafferrò per il colletto e la cravatta e, scontrando la sua fronte corrucciata e nera di rabbia contro la sua impallidita per la paura, sibilò ancora:-Tu prova di nuovo a rubare i soldi a quelli del primo anno e giuro che te le suono per bene!-.
Come come come? Il minuto sarebbe il teppista e quello muscoloso Superman?
La gente passava senza nemmeno degnare loro di un’occhiata. Non erano incuriositi o preoccupati?
-M-m-ma se lo meritava quello lì!- balbettò l’occhialuto –Mi ha chiamato secchione!-
-E con questo? Anche se ti chiamano così, lo sanno tutti che tu non sai neanche cos’è la parola studiare!- fece di nuovo il ragazzo –Te la sei cavata fin’ora solo perché sei nel suo branco, quindi vedi di farla finita!-.
E con quelle ultime parole lo lasciò definitivamente. Il minuto con la faccia da secchione tremò ancora per un po’, dopo di ché scappò dalla parte opposta rispetto a prima, urlando però:-Non finisce qui! Sam ti ucciderà per questo!-.
-Oooh, muoio dalla paura!- fece l’ironico Superman, lanciando in aria delle monete per poi riafferrarle in un pugno.
Alice, che fin’ora era sempre stata bella e zitta assieme a me, mi sussurrò ancora:
-Tranquilla, quando c’è lui in giro è sempre così, per questo  la gente gli sta lontano delle volte. È normale che si cacci in qualche guaio. Non c’è un solo giorno in cui non prende a botte con qualcuno-.
Beh, ok, fin qui ci ero arrivata un secondo prima.
Bastava vedere dalla sua espressione che per lui doveva essere uno spasso darla a botte.
Eppure….
-Ehi, senti un po’- feci finalmente io, rivolgendomi a lui. Il ragazzo si voltò e mi fissò, prima confuso, poi stupito.
-Jacob- lo chiamò la nana –lei è Leah, è arrivata solo oggi, e, indovina un po’, hai sbattuto contro di lei e l’hai fatta cadere, complimenti!-.
L’ultima parte della frase sembrava molto un rimprovero, tuttavia Jacob non fece caso ad Alice ma al fatto che si era scontrato contro di me una seconda volta.
E stavolta non se ne era nemmeno accorto.
Rimase a bocca aperta, scombussolato.
-Oh, acc… senti… mi dispiace, sul serio, nemmeno stavolta ho voluto…- si giustificò, grattandosi la testa, ma io lo interruppi con un urlo sonoro:-FALLA FINITA, IDIOTA!-.
Alcuni studenti di passaggio si voltarono a guardare, per poi riprendere la marcia.
Strinsi i pugni, in preda alla rabbia. Purtroppo, per me, mi arrabbiavo troppo facilmente in questi giorni.
-Due volte in meno di cinque ore… Posso capire la prima… MA LA SECONDA?!?-.
-Eehh?- fece la nana, scioccata –Vi siete già incontra… scontrati?-
-SI!- sibilai, furibonda.
Jacob mi fissò con uno sguardo colpevole. -La metro era troppo piena dai, Lisa!-
Lisa?
-Mi chiamo Leah, pezzente!-precisai, avanzando di un passo. Puntualmente Alice mi prese per il braccio.
-Calmati, Leah- disse –Non è il caso di litigare con lui, è forte! È una fortuna che non ti si sia rotta nulla!-.
-In effetti anche io mi aspettavo che si fosse…-stava per dire il ragazzo, quando lo interruppi ancora:-Guarda che il dolore alla spalla mi era sparito, ma grazie a te, idiota come sei, mi fa male di nuovo!-.
Ok, se prima sembrava un cane bastonato, ora era decisamente un cane abbandonato per strada.
-Mi dispiace…- fece, piano –Posso portarti in infermeria se…-.
-Lascia perdere!- dissi, chiudendo l’armadio con forza. Afferrai la mia tracolla e m’incamminai verso l’aula, con Alice alle calcagna.
-Ehi, aspetta, sono dispiaciuto per davvero!- tentò ancora Jacob, seguendoci. Io feci il muso e lo ignorai. Sentì poi qualcosa afferrami ancora per il polso. Mi voltai.
Jacob mi stringeva (non troppo forte) con un’espressione seria e desolata allo stesso momento. –Sul serio- disse, flebile –Non puoi metterci una pietra sopra?-.
-Jacob che si scusa?- fece Alice, colpita –Leah non puoi rifiutare, è la prima volta in quattro anni che si scusa con qualcuno!-.
-E che cavolo me ne frega, poteva stare attento!- dissi, fredda ed acida. Alice fece il broncio, Jacob invece mutò espressione.
Sembrava… infastidito?
-Ma che cavolo però!- disse, forte –Mi scuso per la prima volta ed ecco il risultato. E tutti a dire che si risolve tutto con un scusa! Col cavolo! Si può sapere perché ti arrabbi tanto?-.
-Ma farti gli affari tuoi?- chiesi, schiaffeggiandolo sulla mano per liberarmi dalla presa. Lui mollò il polso, contrariato e le sopracciglia contratte in una specie di smorfia.
-Tsk- fece –A questo punto neanche perdevo il tempo così-.
-Oooh, quanto mi dispiace, poverino- dissi, fingendo di essere dispiaciuta, toccandomi la guancia con la mano sinistra –Scommetto che per colpa mia tu adesso arrivi in ritardo a qualche lezione, vero?-.
Jacob assunse una pessima smorfia:-Cosa cazzo vuoi che me ne importi delle lezioni? Sai che ti dico? Vaffanculo, acida!-.
-La fermata per il Vaffanculo è alla seconda a sinistra, non puoi sbagliare- feci, salutandolo ironicamente con la mano.
Jacob se ne andò, sbattendo i piedi pesantemente contro il pavimento e stringendo i pugni. Prima di svoltare l’angolo, però, diede un calcio portentoso ad un armadietto, rimodellando così il metallo ed aprendolo.
Era una specie di segnale o cosa? Voleva dirmi di stare attenta a lui?
Quando sparì del tutto, ci avviammo verso l’aula di Storia, ma ovviamente Alice non mancò di dirmi:-Non sei stata molto educata. Sul serio, Leah, quel ragazzo non l’ha fatto di proposito-.
-Sinceramente, Alice, non sono in vena di queste cose- risposi subito, facendola zittire di colpo. Alla porta dell’aula, Alice mi fermò per poi salutare due alunne che ci stavano venendo incontro.
Una era alta quasi quanto me, di una bellezza da mozzare il fiato. Bionda, ma di un biondo luminoso, come se i suoi capelli fossero fatti di pura luce, lisci, lunghi, perfetti.
L’altra era più bassa, ma non del livello di Alice, mora, con gli occhi che ricordano il cioccolato al latte e un visino a forma di cuore. Era bella anche lei, ma non invidiabile quanto la biondina. Era… si… di una bellezza quasi tenera, non provocante e sensuale come la sua compagna.
-Rose, Bella! Dai spicciatevi!- fece Alice, agitando la mano, neanche fossero distanti miglia e miglia.
-Alice, calma- disse la bionda, sorridendole come se avesse a che fare con la sua sorellina minore –Non c’è bisogno di urlare così-.
La nana le fece una linguaccia e disse, stringendomi il braccio e facendomi avanzare verso di loro:-Questa è la nuova studentessa, Leah Clearwater. Rose, sii carina con lei. Bella, non essere troppo timida e buttati!-.
-I-io non sono timida…- disse la mora –Comunque piacere, Isabella Swan- e con quella ci stringemmo la mano. La sua era calda e morbida, eppure tremava di brutto. E in faccia era pure diventata rossa.
-Io sono Rosalie Hale- disse la bionda, porgendomi la mano, che ricambiai automaticamente –Benvenuta in questo mortorio d’istituto-.
-Uh… gentile, grazie- feci, e Alice ci spinse tutte in classe.
Stavolta la professoressa (una sui quarantacinque anni, con due ciuffi bianchi che spuntavano dalla chioma color nocciola) fu molto gentile e dolce con me. Con una voce quasi smielata mi chiese il nome e poi lo ripeté a tutta la classe, aggiungendo anche un:-Siate carini con lei, d’accordo?-.
Le ragazze annuirono semplicemente, mentre i ragazzi mi fissavano, come se fossero davanti ad una farfalla rara. Non mi piace quando qualcuno mi guarda così.
Mi andai a sedere ad un banco a due completamente vuoto. Alice e Bella erano già sedute insieme, e Rosalie aveva già un suo compagno (un ragazzo che deve aver usato un incredibile dose di steroidi per quant’è grosso!).
Alice, che stava al banco dietro al mio, mi sussurrò per l’ennesima volta:-La professoressa Wilson. È molto carina e dolce con tutti, e raramente si arrabbia-.
T’oh, almeno una che non spaventa gli studenti.
-Bene, oggi ragazzi- incominciò la prof. –Dovrei interrogare qualcuno sulla Rivoluzione Americana, visto come siamo indietro con il programma. Per cui, escludendo la nuova arrivata Leah, chi andrebbe su oggi?-.
La classe cadde nel solito silenzio pre-interrogazione. C’era chi guardava in faccia all’altro, chi ripassava velocemente l’argomento, chi se ne fregava altamente, pensando di essere già bravo.
Ancor prima che la professoressa Wilson aprisse bocca per estrarne uno a sorte, sentimmo tutti la porta schiantarsi contro il muro. Ci voltammo.
Jacob aveva dato un calcio alla porta, con lo zaino sulla spalla e le mani in tasca, e un’espressione di nonchalance.
-BLACK!- strillò la prof di colpo, facendo rizzare i capelli all’insù.
-Ah, già, dimenticavo- aggiunse Alice al mio orecchio –Se c’è Jacob nei paraggi, addio calma e dolcezza!-. E ti pareva?
Ma soprattutto… cosa cavolo vuole quell’imbecille?
-Scusi il ritardo prof- disse Jacob, rimettendo il piede a terra.
-Ma come te lo devo dire che non puoi sbattere la porta così, eh?- fece la donna, in piedi, la faccia totalmente diversa da quella che aveva prima. Ora era furibonda, rossa di rabbia.
Jacob sbadigliò, per poi dire, stappandosi l’orecchio con l’indice:-Me ne scordo ogni volta…-
La Wilson gli indicò con l’indice il posto al fianco al mio e disse, fredda e spinosa:-Ora fai il bravo e siediti, se non vuoi un rapporto in pagella subito!-
Il ragazzo guardò dalla mia parte, rimanendo di colpo a bocca aperta. Io scattai in piedi in modo automatico, incredula.
Non farà anche lui… la mia stessa lezione a quest’ora… vero?!?
-TU!- urlammo in coro entrambi, indicandoci a vicenda con gli indici. La classe sospirò un:-Ehh?- sonoro, mentre la nana sospirava:-Oh no, vi prego, non ora!-
-Conosci già Jacob?- fecero Bella e Rose. Io annui con la testa, mordendomi le labbra.
-Cosa mi prendi in giro?- fece il teppista-Superman, superando di corsa la classe, arrivando dritto davanti a me.
-E tu allora?- sibilai di rimando, puntando lo stesso indice contro di lui e premendogli il petto, all’altezza del cuore –Non è che ti sei sbagliato classe?-
-Neanche per sogno, ho Storia ora, acidella!-
-Anche io, Teppista!-
-Ah, Teppista? Mi hanno dato soprannomi peggiori, sai?-
-Silenzio tutti e due!- gridò l’insegnante, zittendoci di colpo –Jacob, interrogato!-
-Cuuuuoooosssaaaa???- strillò lui, in preda al panico totale. Sogghignai. Dalla sua faccia si capiva che non sapeva un tubo sulla Rivoluzione Americana. O forse non sapeva niente di niente su tutto.
-Allora, quando avvenne la Rivoluzione Americana e perché?- chiese la Wilson, sedendosi alla cattedra.
Jacob e io ci sedemmo ai nostri posti (guarda caso doveva essere il mio compagno di banco) e lui, come se fosse comodo sul divano di casa sua, stiracchiò i piedi sul banco, dondolando con la sedia e le mani dietro alla testa.
-Non lo so- rispose solo, perfettamente tranquillo.
La Wilson provò a non urlare e andò avanti:- Chi aveva sostenuto la rivoluzione?-
-Boh- rispose Jacob, ad occhi chiusi.
-Che partiti si erano creati all’epoca?-
-Bah!-
-Chi vinse? Gli americani o gli inglesi?-
-Di certo non i brasiliani, prof- rise spudoratamente lui( assieme a qualche ragazza dell’aula), mentre io scuotevo la testa. Niente, questo qui era senza speranze.
La Wilson sospirò forte, aprì il registro e scrisse qualcosa, per poi richiuderlo a forza.
-Quando ti deciderai a studiare almeno una pagina, signor Black?- chiese calma lei, o almeno provava a sembrare calma.
Jacob si ricompose, mettendosi seduto in modo decente, per poi rispondere con una domanda:-Scusi prof, ma posso chiederle una cosa?-
-Cosa?- domandò lei, stupita.
Evidentemente Jacob non era il tipo da fare domande ad un insegnante.
-Che bisogno c’è di studiare Storia se sono morti tutti? Da quello che so, ci sono state solo odio, pestilenze, guerre, e la Chiesa che si intromette negli affari altrui!-
La classe rimase in silenzio. Qualcuno tentava di trattenere una risata.
La prof sbuffò ancora, portandosi le mani alla testa e scuotendola violentemente.
-Almeno qualcosa di storia la sai allora- dissi io, con il gomito al banco e il mento sul palmo della mano.
Jacob mi guardò, per poi sogghignare:-Non farti strane idee, Miss Yougurt Andato A Male. Ho solo sentito dire queste cose dagli altri, io non apro mai libro!-
-E intanto sei ancora qua- aggiunse l’insegnante, rassegnata.
-Ho i miei sistemi- rispose lui. La prof si lasciò andare sulla sedia, pulendosi gli occhiali per poi alzarsi e scrivere delle date sulla lavagna.
-Molto bene ragazzi- disse lei, tornando ad essere dolce e simpatica come prima –Oggi farò un po’ di domande in giro sull’età napoleonica-.
Metà classe si ritrovò a sospirare in segno di sconfitta.
La Wilson si avvicinò al nostro banco, ignorando Jacob e fissandomi con aria lusinghiera. –Signorina Clearwater, saprebbe dirmi dove è stato sconfitto Napoleone in modo definitivo?-.
Ooooh…. Ah, no, ok, questa la so!
-Alla… battaglia di Waterloo- risposi, mezza incerta. Lei annui, soddisfatta, per poi rivolgersi a qualcun altro per fare un’altra domanda.
-Secchiona!- sentì grugnire vicino al mio orecchio. Il teppista-Superman stava appoggiato con il mento sul pugno e il gomito sul tavolo – più o meno come me. forse stava cercando di imitarmi per prendersi gioco di me.
Ma la cosa che mi fava sui nervi era il modo in cui mi fissava. Gli occhi scuri sui miei, mi sfidava senza timore.
-Almeno andrò più lontano di te- risposi, ghignando. Lui sbuffò, mollando per un attimo lo sguardo, come a cercare una risposta sensata da battermi in faccia.
-Sei appena arrivata e già ti dai delle arie?- disse di nuovo, stavolta non con la faccia corrucciata, ma con il sorriso beffardo sul volto. E di nuovo con gli occhi sui miei.
Non mollai lo sguardo nemmeno un attimo, neanche mentre gli rispondevo:-Parla per te, che sei qui da anni eppure picchi un innocente e fai anche delle  figure di merda nelle lezioni-.
-Innocente?- chiese Jacob, squadrandomi –Quello ti sembrava innocente?-.
E’ un tranello, Leah, stai attenta!  Pensai.
Visto che non rispondevo, fu il teppista-Superman ad avere la parola:-Quello lì aveva rubato i soldi ad uno del primo anno, rinfacciandogli che se non glieli dava avrebbe chiamato il suo capo-banda-.
-Capo-banda?- chiesi, curiosa –Avete anche un gruppo di bulli qui? Fai parte di loro o sei solitario?-
-Non sono un teppista, se è ciò che pensi!- rispose, mezzo offeso, incrociando le braccia sul banco e guardando dritto. O forse il vuoto.
-Sono loro i veri teppisti. Io casco solo troppo facilmente nei guai, tutto qua-.
-Loro? Loro chi?- domandai.
Jacob stava quasi per rispondere quando la campanella suonò. Era l’intervallo.
Il ragazzo raccattò lo zaino (non aveva tirato nulla fuori) e, prima di andarsene, mi rivolse uno sguardo, quasi allarmante.
-Ti conviene stare attenta a ciò che fai, sai?- disse –Questa non è una scuola normale. Anzi, sei entrata nell’inferno, piccola-.
Piccola?
-Ehi!- stavo per urlargli in faccia, alzandomi di scatto, quando lui ormai era andato via.





Angolo Autrice: Dai su... ditemelo... SONO UNA CRETINA!!! scusate, ma quando scrivo una storia non posso non pubblicarla su Efp... sono... drogata .... fatta! manco fossi Jasper alla vista del sangue, o Aro alla vista di un panino con sangue e ripieno di cipolle e aglio XD
Beh... che dire... questa storia la volevo scrivere da un millennio circa. 
Detto questo spero che vi possa piacere.... 
un bacio,
Delyassodicuori

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Capitolo 2
*** 2_Primo giorno_parte 2 ***


2_Primo giorno_parte 2
 
Il ragazzo uscì dall’aula, lasciandomi lì, sgomenta.
Ma che cavolo avrà voluto dire?
D’accordo che per tutti gli studenti del pianeta la scuola può sembrare un inferno, tuttavia… il suo sguardo non sembrava scherzare. Era come se la parola inferno in questo caso non sia solo una specie di metafora.
Sbuffai, raccattando alla svelta il quaderno e le penne, provando a non pensarci più.
Patetico pensai, prima che Alice mi afferrasse di colpo il braccio.
-Mangi con noi, Leah, vero? Dai dimmi di si, ti prego, ti prego, ti prego!!!- canticchiò lei, saltellandomi addosso. Guardai al cielo e risposi, sospirando:-Ok, ok, ma lasciami il braccio. La spalla fa ancora male-.
-Ops- fece la nana, mollando la presa.
-Fa sempre così questa piccoletta- disse Rosalie, affiancandoci e accarezzando la testa alla mora –Dopo una settimana o due ti sarai già abituata-.
-Così però mi fai sembrare una rompiscatole!- brontolò Alice, fingendosi offesa.
-Ma come fai a conoscere Jacob?- chiese improvvisamente Bella, curiosa. Io sbuffai forte, rispondendo con un:-Un bufalo inferocito ha spinto una povera iena che quella mattina voleva essere buona, poi l’ha fatta cadere di sedere ancora mentre dava la caccia ad un lemure-.
Alice si mise a ridere, Rosalie mi fissò confusa.
Bella era tutto meno che divertita.
La piccola nana ballerina non fece altro che prendermi a braccetto per tutto il tragitto fino alla mensa. Prima o poi me lo avrebbe staccato il braccio, questo è sicuro.
Povero il mio braccio  pensai tristemente   prima il bufalo che si crede Super-Cow, ora la gattina nera con il tutù da ballerina.
La sala era affollatissima, quasi da farmi venire il nervoso. Non mi piaceva stare troppo in mezzo alla gente. Anche alla metro provo un fastidio del genere, ma dopo la spinta di oggi direi che potrei benissimo evitare una metro affollata. Magari mi prenderò un autobus, d’ora in avanti.
Arrivai al banco, prendendo un sandwich al formaggio fuso e un succo di arancia rossa.
Quando, assieme a Alice, Bella e Rosalie, eravamo sul punto di trovare un tavolo libero, notai, dall’altra parte della mensa, Super-Teppista dare dei soldi ad un ragazzino. Molto probabilmente era del primo anno.
Ma guarda mi venne in mente automaticamente  allora è vero che al ragazzino sono stati fregati dei soldi.
-Leah, per di qua!- mi chiamò la nana pallida, facendomi sedere accanto a lei. Mentre mangiavo, fissavo con la coda dell’occhio Jacob, che stava dando delle pacche sulla spalla al primino.
Il ragazzino sorrise, timido, per poi andarsene. Jacob sorrise soddisfatto, dirigendosi poi al banco.
-Allora Leah- fece Rosalie, poggiando con assoluta grazia la sua bevanda sul tavolo –Come ti sembra questa scuola-mortorio?-.
Sarebbe anche buona se non fosse per certa gente pensai, fissando con la coda dell’occhio Teppista-Superman andare con il suo cibo ad un tavolo.
Si sedette al fianco di altri due ragazzi, probabilmente della sua età, e guarda caso, anche loro sembravano essere dei pelle rossa come me e lui.
-Non male- risposi solo, facendo tacere il mio pensiero.
-Vedrai, ti troverai bene qui- disse Alice, sgranocchiando un panino al prosciutto.
-Certo- disse Bella, bevendo il suo succo –Sempre se stai attenta a quello che combini, ovvio-.
La fissai, con un sopracciglio rialzato.
-Eh?- feci, confusa. Anche il suo sguardo, come quello di Jacob, tradiva qualcosa.
Alice la guardò per un momento molto male, per poi rivolgersi a me:-Non ti preoccupare, Leah, in tutte le scuole se non ti comporti bene finisci in punizione o robe simili, dai!-.
-Si. Certo- dissi, tornando al mio pranzo.
Per un po io e le ragazze chiacchierammo su un sacco di cose. Loro mi chiesero da che scuola venivo, come mai mi ero trasferita da loro, che tipo di musica ascoltassi, se mi piaceva fare shopping, se ho fatto qualche sport fino ad ora, come faccio a mantenere i capelli così lunghi e lisci…
E io, rispettivamente, rispondevo: “Holloway School”, “Sono motivi personali, in realtà”, “il rock”, “No… non mi entusiasma particolarmente”, “Si, da bambina praticavo kung fu”, “Questo non lo so”.
-Ma dai, Leah!- fece la nana, mezza delusa –Come fai a non sapere come fai a tenere i capelli così belli?-.
-Non esageriamo…- dissi, mezza imbarazzata, afferrando automaticamente una ciocca di capelli, attorcigliandola intorno all’indice.
-In che senso sono motivi personali?- chiese invece Rosalie.
Io non risposi, tenendo il becco chiuso. Non potevo di certo andarlo a dire proprio a loro perché mi sono trasferita qui. A malapena le conoscevo queste tre!
-Rosalie, ma che domande fai?- chiese Bella, sgridandola, ma a bazza voce –Non puoi chiederle cose simili. Sono affari suoi, no?-.
Grazie pensai, guardandola con approvazione. Mica male questa Bella. Almeno lei ci arrivava a certe cose.
Rose si strinse le labbra, incrociando le braccia.
-Non ho capito bene- disse una voce dietro di me, vicino al mio orecchio. Mi si rizzarono i capelli dallo spavento, per non parlare dei brividi freddi lungo la schiena.
Quello scemo di Teppista-Superman aveva poggiato una mano al tavolo, a fianco del mio panino posato sul piatto.
-Cosa non hai capito?- gli chiesi, fredda.
-Hai detto di aver fatto kung fu? Sul serio?- domandò ancora Jacob, curioso.
Grugnì un :-Ficcanaso- a bassa voce, per poi rispondere:-Non sono affari tuoi, pezzente!-. Jacob alzò le mani in alto, con sguardo innocente, e scocciato allo stesso momento.
-Ok ok, acidella- disse –Anzi, meglio per te se sai qualche mossa-.
-Scusa, cosa vorresti dire?- mi alzai dalla sedia, stufa.
-Wow- disse lui –Perdi le staffe con troppa facilità-
-Vuoi vedere?- lo minacciai, alzando il pugno davanti al suo naso. Lui però non si mosse da lì, anzi, continuò a fissarmi, sfidandomi di nuovo.
-Hey, Jake!- lo chiamò uno dei suoi amici –Smettila di filtrare con la novellina e vieni a dare un’occhiata!-.
Jacob sbuffò, voltandosi verso il ragazzo:-Non sto filtrando, Embry, falla finita!-.
-Tsk- feci, sedendomi di nuovo, tornando a finire il sandwich.
Idiota pensai subito, mentre il ragazzo Super-Teppista mi guardava un ultima volta, per poi tornarsene da Embry e dall’altro loro amico.
-Le uniche persone con cui riesce a parlare in modo amichevole sono quei due ragazzi- spiegò di colpo Rosalie senza che glielo chiedessi –Embry Call. Per quanto affascinante possa essere, molte volte è più scemo di quella sottospecie di cane randagio-(e con quella indicò prima Embry, poi Jacob, spostando infine il dito verso l’altro ragazzo, più basso di loro)- e Quil Ateara. Simpatico, si, e molte volte timido, anche se non capisco come fa ad esserci suo amico-.
-Se non sbaglio una volta si era dichiarato a te, eh Rose?- fece Alice, ridendo sotto i baffi felini. La bionda le strizzò un occhio, come a rimproverarla:-Si, ma all’epoca mi ero appena fidanzata. Non mi ci è voluto molto per dirgli che non era il mio tipo-.
-E poi se Emmet avesse saputo della cosa, gli avrebbe spaccato la faccia subito- sottolineò Bella, trattenendo una risata.
-Emmet- mi spiegò stavolta Alice –E’ l’omone grosso che stava al fianco di Rosalie l’ora precedente-.
-Ah- dissi solo, proprio quando suonò la campanella. Ci alzammo, buttando via gli avanzi, per poi dirigerci alla prossima aula.
-Adesso cosa hai Leah?- chiese Bella, curiosa. Guardai l’orario.
-Geografia- dissi. Alice assunse una faccia triste.
-Cosa c’è?- chiesi, nel momento esatto in cui lei stessa rispose di botto:-Non possiamo accompagnarti, Leah. Sta in un altro edificio, e noi ora abbiamo un’altra materia-.
-Capisco- risposi –Non importa, credo di poterci arrivare-.
-Sicura?- domandò stavolta Rosalie.
-Certo- mentì. Non ero molto sicura, ma perché far preoccupare loro?
Le ragazze mi salutarono (Alice quasi non si mise a piangere) e io mi incamminai verso un altro edificio.
Quando ci entrai, fui completamente smarrita.
Non sapevo decisamente in che aula si trovasse geografia.  Avevo seguito la mappa speranzosa, ma nulla. Mi aveva portata allo stanzino delle scope!
Merda pensai. ‘Sta mappa sarà vecchia decenni, come minimo!
Mi guardai attorno, spaesata. Erano andati tutti nelle loro aule. Rimanevo solo io. la sfigata novellina che si perde al primo giorno di scuola.
Stavo quasi per rassegnarmi e per voltare i tacchi verso l’uscita, a chiedere magari a qualche studente che saltava le lezioni, quando dall’angolo del corridoio arrivarono due uomini. Erano entrambi pallidissimi, quasi dei cadaveri viventi. Uno aveva i capelli chiari, un altro i capelli scuri. Erano entrambi vestiti come se dovessero andare ad un funerale: giacca nera, camicia nera, cravatta nera, pantaloni neri e (o ma tu guarda un po!) mocassini neri.
Ma la cosa peggiore erano gli occhi. Scavati, senza un ombra di luce nelle iridi scurissime.
Inutile dire che era gli uomini più inquietanti che avessi mai visto.
Ma senz’altro loro sapevano dov’era l’aula di geografia, giusto? Sperai con tutto il cuore di si, e poi, valeva la pena provare.
-Ehm, scusate…- dissi, inchiodandoli li. Mi fissarono, con la puzza sotto il naso, come se avessero a che fare con un randagio.
-Sapete dov’è l’aula di Geografia? Sono nuova e mi sono persa…- sparai, mantenendo lo sguardo, nonostante la voglia matta di non avere più i loro occhi bucati sui miei.
-Sempre la solita storia- disse uno di loro ( il moro).
-Stephan, cosa ci vuoi fare?- fece l’altro (il biondo). Entrambi avevano anche lo stesso tono di voce. Macabro, stufo e … terrificante.
-Secondo piano, prima porta a destra- rispose infine il primo, Stephan.
-Uhm… beh… grazie mille- dissi in fretta, incamminandomi per le scale. Mentre poggiavo i piedi sui gradini, sentivo Stephan dire al biondo:-Vladimir, fratello, qui tutti non sanno più trovare la strada. Che cosa opprimente-.
-E’ vero- confermò Vladimir –Se fossimo stati noi a capo della scuola…-
-Shhhh!- lo zittì il fratello –Lo sai che qui non posso girare tranquillamente voci sulla presidenza!-.
-Al diavolo!- strillò il biondo –Che bruci all’inferno, quell’Aro! Come siamo finiti qui? A fare da insegnanti! È vergognoso per la nostra famiglia!-.
Arrivai davanti alla porta dell’aula, con la testa riempita dalle informazioni appena acquisiste.
Dunque, Vladimir e Stephan sarebbero dei professori (mi augurai di non avere loro), che però non erano fieri del loro mestiere, che avrebbero preferito decisamente stare alla cattedra del preside, che lo chiamano Aro. Ora, scherzi a parte, ma che nomi sono? Sembrano nomi antichi, magari dell’epoca romana e un po’ tarda.
 
Questa non è una scuola normale.
 
Già  pensai  almeno su una cosa aveva ragione quel Jacob.
Bussai alla porta, e la voce di una donna mi incitò ad entrare. La aprì, scoprendo una classe confusa che mi fissava.
-Scusate- dissi –Ho perso la strada-.
-Hai perso la strada?- disse una donna alla cattedra, giovanissima, con i capelli ricci e biondi che le cadevano sulle spalle. Anche la sua carnagione era pallida cadaverica.
Ok, magari Londra non sarà una città soleggiatissima, ma non è possibile che siano tutti pallidi qui!
-Si, sono nuova- spiegai, e lei fece un –Ah- curioso. Mi chiese il nome come al solito, per poi dire il suo:-Io sono la professoressa Tanya Denali, e, se fossi in te, non ci scherzerei molto sul cognome, d’accordo?-.
Annui, confusa. Denali è un cognome che fa ridere?
Mi guardai attorno, scoprendo un banco singolo vuoto. Vuoto, ma affiancato dal banco del Teppista-Superman.
Quando parli del diavolo pensai automaticamente, nervosa.
Di nuovo la stessa lezione insieme? Che bel colpo di fortuna!
Mi andai a sedere, sbuffando. La professoressa Denali riprese la lezione, mentre un Jacob ficcanaso diceva sottovoce:-Guarda guarda, allora siamo ritardatarie anche noi, eh?-.
-Ti conviene chiudere il becco, scemo- lo zittì, facendolo però ridere allo stesso tempo.
-Io le ultime due ore ho ginnastica, tu?- chiese di colpo, serio. Lo fissai, sbalordita. Com’è che gli interessava il mio orario?
Oh, certo. Magari voleva sapere per quanto ancora eravamo costretti a sopportarci.
Guardai l’orario. Deglutii.
-Ginnastica…- risposi, con il fiato spezzato. Jacob trattenne le risate, mentre io stringevo il foglio in un pugno. Bella giornata del cavolo. Possibile che devo sopportare ‘sto tizio per il resto della mattinata?
Quanto avrei voluto tornarmene a casa, a leggere un libro, a guardare la tv, a fare i compiti, e a sdraiarmi sul letto in tranquillità.
Appena suonò il cambio dell’ora, mi alzai di scatto, uscendo subito dall’aula. Rimasi ferma in mezzo alla folla, osservando la mappa. Ginnastica era un altro edifico, secondo questo coso andato a male. Mmh… meglio chiedere a questo punto.
Provai a fermare una coppietta, ma non mi degnarono nemmeno di uno sguardo. Ci provai con una ragazzina del secondo, ma nemmeno lei mi ascoltò. Chiedevo a chiunque, ma nessuno si fermava. Avevano tutti fretta di andare alle lezioni?
-Ginnastica è nell’edificio più a nord, seconda porta al piano terreno in fondo al corridoio- disse di colpo Jacob alle mie spalle.
Per poco non saltai in avanti.
-Ma chi cavolo te l’ha chiesto?- strillai, incamminandomi fuori dall’edificio scolastico.
-Scusa se ti do una mano- fece lui, seguendomi –Insomma, non riesco proprio ad entrare nelle tue grazie, eh?-.
-No- risposi, acida. Ok, magari non avevo un bel caratterino, ma quel Jacob mi stava decisamente sui marroni.
Andammo insieme (per mia sfortuna) all’aula di Ginnastica. Andai allo spogliatoio femminile, ritrovando Alice e Bella.
-Leaaaaaaaaaaaaahhh!- strillò la nana ballerina, saltandomi addosso e stringendomi per il collo.
Il contatto fisico mi fece salire la pelle d’oca.
Me la scrollai di dosso, sospirando un:-Cavolo, siamo già a questo livello?-
-Eh eh- rise lei, strizzando un occhio. Bella guardò verso il cielo, scuotendo la testa.
-Si affeziona molto facilmente- rispose lei, indossando una t-shirt chiara.
Oltre alle divise scolastiche, avevamo anche le divise da ginnastica uguali.
Solo che le ragazze avevano la t-shirt chiarissima e i pantaloncini rossi, che non arrivavano neanche a metà coscia. I ragazzi, da quello che mi stavano spiegando la nana affettuosa e la mora con il viso a forma di cuore, avevano la t-shirt come la nostra, e i pantaloncini blu lunghi fino al ginocchio.
Indossai la mia di divisa, legandomi poi i capelli in una coda di cavallo sotto la nuca, lasciando libere due ciocche di capelli sul davanti.
Noi ragazze uscimmo dallo spogliatoio, raggiungendo la maestosa palestra. Comprendeva di tutto, dai canestri, alla rete da pallavolo, dalle palle dei vari sport alle reti da calcio.
L’insegnante (un uomo grosso e muscoloso, tremendamente grosso e muscoloso, altro forse due metri e poco più) usò il suo fischietto per richiamarci tutti in fila. Dalla parte dei maschi sorpresi Jacob, con un sorriso raggiante sul volto.
-Ragazzi- si sentì risuonare per tutta la palestra. La voce del professore era talmente alta da spaccare i timpani.
-Oggi ci eserciteremo sulla lotta a corpo libero!- disse, sull’attenti, come un militare.
Metà classe sbuffò, contrariata, ma ci pensò il fischio del prof a farli tacere.
-Ora, come molti di voi sicuramente sapranno- iniziò a spiegare, girando tra i vari studenti –La lotta a corpo libero consiste nel far uscire l’avversario fuori dal limite dell’ arena, per così dire. Si possono usare tutte le tecniche di combattimento che volete, ma non azzardatevi a far ammazzare l’avversario, o ne risponderete a me! Tutto chiaro?-.
-Si!- esclamò tutta la classe, me compresa.
-Bene. Black, vieni a fare una dimostrazione-.
Jacob avanzò verso la cosi detta arena (un tappeto circolare blu e grosso delimitato da una circonferenza rossa), senza timore, sicuro.
Il prof estrasse a sorte un altro ragazzo, che però sembrava molto più timoroso.
-Ora capirai- mi bisbigliò Alice –Perché Jacob è temuto da quasi tutti gli studenti-.
Mmmh… interessante come cosa.
Lo fissai attentamente, cercando magari un suo punto debole. Non era facile, purtroppo. Era alto e muscoloso, e i muscoli delle braccia erano ben evidenti. Aveva delle grosse mani, perfette per sferrare un cazzotto fortissimo. Anche le gambe sembravano ben allenate, pronte per dare un calcio al primo che lo infastidiva.
Teppista-Superman si scrocchiò le nocche, sospirando un:-Tranquillo, non ti manderò in infermeria-.
-S-s-s-sul serio?- balbettò il ragazzo. Era alto quanto lui e poco muscoloso, tuttavia lo temeva troppo. Si vedeva chiaramente come tremava da capo a collo.
Essendo di spalle non potevo vedere se aveva gli occhi sbarrati dal terrore.
-Iniziate!- disse il prof (che Alice lo chiamò il prof ammazza cinghiali ), per poi soffiare sul fischietto.
I due ragazzi girarono attorno al tappetto, poi il ragazzo terrificato attaccò. Il suo pugno era troppo lento e mal mirato. Avrebbe dovuto beccare la guancia di Jacob, e invece colpì solo il vuoto.
Jacob ne approfittò per sferragli una gomitata sullo sterno, e una ginocchiata all’altezza dei suoi kiwi.
Il ragazzo cadde a terra, dolorante, stringendosi i gioielli. Metà classe rise, mentre l’altra metà guardava Jacob con orrore.
-Eddai, non era così forte!- fece quest’ultimo, mentre l’avversario si rialzava. Provò a sferrargli un secondo pugno, ma lo manco di nuovo. Jacob, allora, ne sfondò uno, ma ancor prima di sferrarlo, capì che era una finta. Fermò la mano a mezz’aria, vicino alla faccia del ragazzo, per poi colpirlo con un pugno più serio sullo stomaco.
L’avversario si piegò dal dolore. Pessima mossa, perché Teppista-Superman gli sferrò una gomitata sulla nuca. Il ragazzo sembrò tremare, scombussolato. Jacob ne approfittò per fare un giro intorno a sé stesso e sferrare un calcio ben mirato sullo sterno.
Rimasi di stucco, osservando le sue mosse. Erano ben elaborate, veloci e letali allo stesso tempo.
Riusciva a coordinare ogni parte del suo corpo, e a dare ad ogni parte dei segnali ben precisi.
L’avversario cadde a terra, uscendo dal confine del tappeto.
Prof. Ammazza cinghiali  fischiò.
Jacob andò dal ragazzino steso a terra, aiutandolo ad alzarsi.
Si strinsero la mano, poi l’insegnate alzò di nuovo la voce:-Ora, chi di voi vuole provare a lottare contro Jacob?-.
La classe bisbigliò. Era ovvio che nessuno aveva voglia di finire con il braccio rotto. Le ragazze si guardavano in viso con timore, e i ragazzi fischiettavano, fingendo di non aver sentito.
Sorrisi, alzando la mano in alto.
Alice, Bella, Jacob e tutti gli altri mi fissarono, sgomenti.
-Io, professore- risposi, avanzando verso il tappeto.
-Ah, devi essere la nuova, se non erro- disse lui, guardandomi da capo a collo –Fammi vedere le braccia-.
Mi esaminò gli arti superiori, poi quelli inferiori. Annui, lasciandomi andare al centro del ring.
-Sicura?- chiese Jacob, una mano al fianco –Hai appena visto cosa ho fatto, giusto?-
-Si- risposi, stiracchiandomi le braccia in alto –Ma credo che tu possa fare di meglio. Stavi lottando contro un principiante, è ovvio che non hai tirato fuori il meglio di te. Tuttavia hai dei movimenti precisi, il ché mi fa pensare che tu abbia fatto box e lotta libera sin dalla tenera età. Dico bene?-.
Teppista-Superman mi fissò, con un sopracciglio alzato.
-Cavolo, tu si che te ne intendi!- disse, e la voce del prof si alzò di nuovo:-Basta chiacchere! Pronti?-
-Pronti!- esclamammo in coro noi due, fiduciosi, con i sorrisi stampati in faccia, in posizione di attacco.
-Via!- fischiò il prof, dando inizio alla lotta.
 



Angolo Autrice: quelli che avranno letto sto capitolo avranno sicuramente fatto: WTF? 
ebbene si, mi scuso per il disagio. Efp mi trolla.... perchèèè?????
ringrazio Greta per avermi segnalato questo errore incredibile. se si ripete ancora, butto il pc per strada!
detto ciò, salute a tutti e Buona Pasqua in ritardo :°D
Delyassodicuori

 

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Capitolo 3
*** 3_Primo Giorno _ parte 3 ***


3_ Primo giorno_parte 3
 
-Leah-

 
Ruotammo intorno al ring, l’uno con gli occhi puntati sull’altro. Sentivo Alice e Bella trattenere il respiro, ansiose.
Si avvertiva un incredibile aura attorno agli studenti. Erano tutti ansiosi come le due ragazze, ma anche curiosi di sapere come sarebbe finito il duello.
-Poi non ti lamentare se ti rompo qualcosa per sbaglio- disse Jacob, sarcastico.
-Me lo terrò a mente- risposi, fissandolo.
-Quindi credi davvero che posso fare di meglio, eh?- chiese lui, stuzzicandomi.
-Ovvio- risposi ancora –Te l’ho detto.  Anche se le tue mosse erano precise, ti sei sprecato troppo contro un principiante. Potevi metterlo a terra molto più velocemente, ma a quanto sembra volevi fare il figo davanti a tutti-.
Jacob mi squadrò. Evidentemente la mia affermazione non gli suonava molto bene.
-Quando fai quella faccia sei fastidiosa- disse infine.
-Oooh, quale faccia? Questa?- domandai ironica, socchiudendo gli occhi, assumendo un espressione eccitata.
-Si- disse, convinto –Ti fa sembrare una zoccola bella e gros…-.
Prima ancora che potesse finire la frase gli assestai un calcio sullo stomaco. Gli arrivò talmente in fretta che non se ne accorse nemmeno. Sentivo la testa rossa dalla rabbia, mentre ribollivo dentro.
-Cosa hai detto, pezzente?!?- gli urlai in faccia, mentre lui cercava di trovare l’equilibrio di prima.
Bella e Alice assunsero delle bocche ad “O”, come il resto della classe.
-Cavolo- sbraitò Jacob, tenendosi il grembo. Sorrisi. Ben gli sta!
La lotta vera e propria ebbe iniziò così: Super-Teppista mi si scaraventò addosso, provando ad assestarmi dei pugni in faccia. Erano precisi, e veloci, oserei dire, tuttavia quella più veloce ero io.
Ne schivai qualcuna, parandone altre. Provò allora a darmi un calcio sul grembo, ma lo parai velocemente con il ginocchio. Un secondo calcio cercò di colpirmi invece sulla fronte. Mi abbassai di colpo, mentre la sua gamba schiaffeggiava l’aria e qualche ciocca dei miei capelli ancora in aria. Prima ancora che potesse abbassare la gamba, con la testa scattai contro il suo ventre, centrandolo in pieno. Ma non lo mollai lì.
Lo afferrai con le braccia, quasi come se fosse un abbraccio. Lo strinsi forte, fiondandomi sul suo corpo. Mi ci volle una certa forza per farlo cadere a terra assieme a me. la sua testa era vicinissima a sfiorare la linea del ring.
-Brutta…- stava per sbraitare, irritato. Provò ad alzarsi su un gomito, ma lo bloccai a terra velocemente, con una mossa che lasciò sia lui che la classe stupiti e sbiechi.
Mi sedetti sul suo petto, arrestando  i suoi polsi a terra con i piedi. Incrociai le braccia al petto, quasi sogghignando.
-Questo per avermi fatta cadere per ben due volte in un giorno!- sibilai tra i denti, in modo che solo lui potesse sentirmi.
Gli altri studenti rimasero scioccati. Alcune ragazze facevano dei risolini, mentre i ragazzi rimanevano ancora con la bocca aperta.
-Wow! Leah, sei grande!- fece il tifo Alice, come se stesse assistendo ad una partita di calcio.
-Ma allora ha vinto!- esultò Bella, ma venne subito interrotta dal prof:-Ah no, miei cari, la lotta avrà fine solo quando uno dei due esce dall’arena. Non ci sono eccezioni alla regola!-.
Jacob sorrise di colpo. Il ché mi lasciò perplessa. Cosa aveva da essere contento?
-Tu quindi credi di essere figa solo perchè sai mettermi K.O., vero?- chiese, fissandomi negli occhi.
Alzai un sopracciglio. Dove voleva arrivare?
Spostò lo sguardo dai miei occhi in giù, ampliando il sorriso. Segui il suo sguardo.
Feci un verso alquanto strano, un misto tra l’infuriato e l’imbarazzato.
-Ma che cacchio guardi, pervertito?!?- gli strillai in faccia, facendogli chiudere gli occhi per un momento.
-Scusa, ma sei tu che ti sei messa in questa posizione- disse Jacob, tornando con gli occhi sulla mia faccia –Non è colpa mia se dopo mi si alza il cavallo, sappilo!-.
Scemo. Idiota. Super-Teppista. Antipatico. Ma soprattutto PERVERTITO!
-Ci sono andato leggero con te, lo ammetto- continuò –E quello che farò dimostrerà quanto tu in realtà sia sensibile-.
-Come, prego?- domandai, confusa. Avevo già la testa rossa dalla rabbia e dall’imbarazzo, se poi mi viene a fare discorsi senza senso…
Capì quello che intendeva dire troppo tardi.
Avevo allentato la presa dei piedi sui suoi polsi, dandogli così la possibilità di levarseli di dosso, liberandosi così le braccia. Che errore da principiante.
Ancora prima che potessi fare qualcosa, Jacob si era già buttato su di me, facendomi cadere sul tappeto.  Ora le posizioni si erano rovesciate: adesso era il Teppista-Superman a stare su di me, ma in una posizione diversa dalla mia.
Teneva bloccati i miei polsi con le mani, in una stretta forte, inusuale, mentre aveva poggiato le ginocchia ai lati dei miei fianchi.
Cretina mi dissi automaticamente.
I ragazzi fecero un “O” sonoro, mentre le ragazze erano di nuovo con il fiato sospeso.
Jacob sorrise di nuovo, trionfante.
-Vedi?- disse, avvicinando il suo viso al mio –Voi donne siete troppo sensibili. Appena un uomo vi guarda, subito vi distraete, dimenticandovi cosa stavate facendo-.
-E tu allora sei un totale cretino- aggiunsi, ricambiando il sorriso. La cosa non piacque al mio avversario. Mi squadrò, confuso.
-Ti lamenti della mia posizione per distrarmi, ma sai che ti dico?- dissi, alzando un poco la gamba senza che lo notasse.
Nel momento esatto in cui gli diedi una ginocchiata portentosa all’altezza dei suoi gioielli, urlai:-Che voi maschi avete il concentrato di sensibilità in un unico punto!-.
Lui rimase a bocca spalancata, gli occhi sbarrati per il dolore. Mi lasciò andare, rotolando sul terreno, senza uscire dalla linea del tappeto. Rimase per un paio di secondi buoni lì, disteso a pancia in giù con il sedere all’aria, e le mani sui pantaloni. Mi alzai in quel lasso di tempo, mentre sentivo la classe scoppiare in una fragorosa risata.
-Male… detta….- sibilò Jacob, dolorante.
-E non ho finito!- dissi, avvicinandomi a lui. Gli assestai un calcio dritto sullo stomaco, colpendolo in pieno. Jacob tremò, ma non capì se era per il male che sentiva, o se era per la rabbia.
Si alzò in fretta, facendomi allontanare di un passo da lui.
Teneva una mano allo stomaco, mentre l’altra era a penzoloni verso il terreno. Cacchio, gli ho fatto così tanto male?
-Adesso falla finita!- dissi, scocciata –E’ inutile che fingi-.
-Non fingo nulla!- sbraitò.
Lo guardai un attimo, cercando di valutare la cosa. Ok, magari una ginocchiata nel cavallo e un calcio allo stomaco erano eccessivi, ma la sua reazione era esagerata. Atletico e muscoloso com’è. Per lui dovrebbero essere come delle leggere carezze – magari non per le sue parti intime.
Si ricompose, mettendosi con la schiena dritta, stringendo i pugni.
-Non male comunque- disse –Mi stai mettendo in difficoltà-.
Sorrisi, compiaciuta.
Alzai una mano, incitandolo con le dita a farsi avanti.
Lui obbedì senza esitare.
Scattò di colpo verso di me, sferrandomi un cazzotto sul grembo. Mi colpì, ma con una forza leggera. Troppo leggera…
-Leah!- urlò Alice dietro di me. Feci appena in tempo ad alzare lo sguardo dal suo pugno che ne ricevetti un secondo in piena guancia.
Questa era molto più forte della prima, ma non abbastanza da rompermi la mascella.
Sentì comunque le sue ossa schiantarsi contro le mie, i miei denti mordere la carne all’interno della bocca, e il sapore metallico e salato del sangue che si stava sprigionando.
Barcollai per un leggero tratto, abbassando la testa. Mi toccai la guancia. Si stava leggermente gonfiando.
-Stupido di un Jacob!- urlò Alice, in preda alla furia. La vidi con la coda dell’occhio dimenarsi bruscamente, stretta per le braccia da Bella e un’altra ragazza.
-Questo per il calcio nelle palle!- sbraitò, offeso.
Lo guardai per un secondo, valutando il modo migliore per metterlo a terra.
Dopo un pugno del genere con cavolo che ci vado leggera.
Forse dovrei scrivere un libro, magari con un titolo tipo: Come incazzarsi al primo giorno di scuola!
-Adesso le prendi, figlio di una buona donna!- urlai, furiosa. Mi scaraventai contro di lui, assestandogli un calcio sul fianco. Poi, immediatamente, un pugno sulla mascella. Stavolta era lui quello che barcollava.
-Come mi hai chiamato, stronza?- sibilò, anche lui con la guancia rossa e gonfia. Si scaraventò di nuovo su di me, ma stavolta i nostri colpi erano più veloci e potenti.
Ci scambiavamo calci e pugni a raffica. Ogni tanto riuscivamo a schivare qualcosa, ma capitava pure di prenderle, e anche pesantemente.
Continuammo a lungo, senza neanche prenderci una pausa. La nostra ira cresceva di secondo in secondo, arrivando pure a graffiarci a vicenda, o a tirare l’uno i capelli dell’altro.
Non ci fermammo finché il professore non intervenne. Con le sue enormi e gigantesche braccia ci separò l’uno dall’altro. Provammo a tirarci dei pugni, ma non riuscivamo a colpirci.
-Ora, BASTA!- urlò l’insegnante, bloccandoci di colpo. Il suo urlo era così forte che sentivo un male cane ai timpani.
-Fatelo un'altra volta, e finite in punizione. CHIARO?- strillò ancora, facendoci tremare da capo a collo.
Ci guardammo in faccia, irritati. Lui era decisamente conciato male. Aveva del sangue che usciva dal naso e dalla bocca, la guancia più gonfia di prima, e l’occhio destro completamente viola, più un sacco di lividi sulle braccia e sulle gambe.
Forse anche io ero conciata così. O forse pure peggio.
-Ora- riprese il prof. –Stringetevi la mano e tornate a casa. La campanella è suonata da cinque minuti!-.
-COSA?!?- domandammo in coro, scossi.
-Leah, dai, adesso basta- sentì alle mie spalle Alice. Lei e Bella erano ancora lì, mentre maggior parte della classe se n’era già andata.
Le guardai per un po’, per poi sospirare piano.
Fissai un ultima volta Jacob, con in testa una frase simile: La prossima volta ti uccido!
Lui ricambiò lo sguardo, come per dirmi: Non finisce qui, stronzetta!
-Vi accompagno in infermeria?- chiese l’insegnante, calmo. Entrambi scuotemmo le teste.
-Beh- aggiunse lui –Almeno aggiustatevi la faccia. Siete penosi!-
Mi staccai dal braccio dell’insegnante (grosso quanto un tronco!), raggiungendo le altre. Non appena mi avvicinai a Bella, sentì le gambe più pesanti del solito. Per poco non persi l’equilibrio.
Bella subito mi tenne per le spalle, scossa.
-Leah!- sussultò, spaventata.
-Tutto bene- mentì. Ora che il combattimento era finito, sentivo dolore ovunque.
Le due ragazze mi accompagnarono allo spogliatoio, anche se le avevo assicurate di star bene. Prima di entrare, feci in tempo a voltare la testa e vedere Jacob barcollare fino allo spogliatoio maschile.
Al solo vederlo in quello stato sentì una morsa strana nel cuore.
Era… come se avessi fatto qualcosa di assolutamente sbagliato.
Come… se mi sentissi in colpa…
Scossi la testa, cercando di scacciare via il pensiero, rinchiudendomi la porta alle spalle.
 
 
-Jacob-
 
Stronza pensai, non appena misi il piede nello spogliatoio. Qualche ragazzo era già pronto per uscire, mentre qualcun altro chiacchierava con un suo amico sullo sport o sulle ragazze.
Arrivai al mio armadietto con non poca fatica. Quella brutta scema mi aveva procurato lividi ovunque, come minimo. Sentivo un male cane ovunque, sulle gambe e sulle braccia. Per non parlare del viso.
Bella figura che ci faccio. Farmi picchiare da una ragazza!
Presi l’asciugamano e lo shampoo, incamminandomi lentamente verso le docce.
Fu un sollievo sentire l’acqua gelida sulla pelle, in particolare nei punti dove sentivo pulsare.
Mi osservai le braccia e le gambe. Completamente nere.
Chiamala cintura nera pensai ironicamente, ripensando a come mi aveva steso subito.
Certo, osservarle i pantaloncini era stata l’unica cosa soddisfacente di tutta la giornata – anche se lo scopo era distrarla.
Mentre mi ripulivo i capelli, la mia mente finì subito al momento in cui il combattimento era ferito.
Avevo visto bene in che condizioni era, e quasi non mi morsi la lingua.
La sua guancia si era gonfiata di molto, aveva la bocca completamente insanguinata,  alcune ciocche di capelli fuoriusciti dal suo elastico, e lividi rossi e neri su tutto il corpo.
Ma che cavolo mi era saltato per la testa? Prendere a pugni una ragazza non era di certo nella lista delle cose da fare!
Anzi, lo avrei escluso a prescindere di ogni cosa.
E più ci ripensavo, più mi sentivo quasi vomitare dal disgusto.
Che bella persona che sono.
Chiusi il rubinetto, andando poi a vestirmi. Mentre mi infilavo la canottiera, sentivo i passi di alcuni ragazzi uscire. Quando rimanemmo solo in tre, andai a controllarmi allo specchio.
Non ero messo decisamente bene. Forse un po’ di ghiaccio avrebbe rimesso in sesto la mia guancia e il mio occhio. Per fortuna il naso era integro.
-Quella ragazza è troppo forte- sentì dire alle mie spalle.
Paul, un ragazzo del mio stesso anno, stava discutendo con Colin, uno del terzo.
-E’ riuscita a tener testa a quell’idiota di Jacob- disse Paul, quasi sputando a terra, come se stesse parlando di qualcosa di disgustoso.
-Che facciamo, Paul?- chiese Colin –Se riesce a tener testa a lui, forse ci riuscirà anche con Sam…-
-Non dire stronzate, novellino!- sputò di nuovo quel testone –E’ ovvio che non riuscirà a batterlo. Quella ragazza sarà anche forte, ma non è nulla contro il nostro capo, sappilo-.
-Scusa…. è che … insomma, l’hai vista, anche tu, no? Mi ha fatto venire i brividi!-.
-Non fare il coniglio! Le daremo una bella lezione, un giorno. Non oggi, ovvio, altrimenti rischieremo di ucciderla troppo in fretta e di perderci il divertimento. Aspettiamo che si riprenda, poi la attacchiamo!-.
-E Sam sarebbe d’accordo con ciò?- chiese stupidamente Colin. Strinsi i denti, già intuendo la risposta.
-Ovvio- rispose Paul –Se è un idea realizzata dal sottoscritto, ovvero al beta del nostro branco, allora non vedo perché rifiutare!-.
Chiusi l’armadietto a forza, la solita scarica di adrenalina percorrermi la schiena.
Quella scarica che arrivava sempre quando era il momento di prendere a botte qualche coglione di turno.
Ma stavolta frenai questo desiderio. Ero già ridotto male di mio, se avessi lottato contro Paul (che era più sano, fisicamente parlando, di me) sarei finito in ospedale come minimo. E poi come lo spiegavo a Billy?
E’ già tanto se quel povero uomo riesce a sopportare un figlio problematico come me, se andassi poi in ospedale sarebbe la classica ciliegina sulla torta.
M’ incamminai verso la porta per uscire, e quando posai la mano sulla maniglia, sentì Paul sogghignare un:-Sai, Colin, penso proprio che oggi andrò da Rachel. Sai, dopo aver visto come combatte una donna allenata, mi è venuta una certa voglia di farla urlare dall’eccitazione!-
Ringhiai dentro di me, stringendo forte la maniglia, per poi uscire di corsa.
Lo aveva fatto apposta. Ne ero sicuro.
Forse dovrò comprarmi un cane ringhioso  pensai Magari così starà lontano da quella secchiona di mia sorella!
 
-Leah-
 
-Quindi non siete stati tutto il tempo a guardarci!- dissi, dopo che Bella e Alice mi avevano riempito il cervello con stronzate tipo: Non puoi buttarti così contro di lui! , Cavolo, per poco non di rimanevi secca , dovresti metterci del ghiaccio in quel punto , Guarda che capelli, che peccato! , dovresti andare in infermeria, ti accompagno se vuoi!
-No- rispose Bella –Il prof. King alla fine ci ha sistemato altri tappeti e abbiamo lottato tra di noi un po’ per volta-.
-Era prima che voi due cominciavate a scannarvi a vicenda!- annui Alice, poggiandomi delicatamente una bottiglia di acqua gelata sulla guancia.
-Capisco- dissi, infilandomi le calze –Cavolo, allora per due ore non abbiamo fatto altro che lottare?-.
Bella e Alice si guardarono, preoccupate.
-Non è una cosa molto umana- disse Bella, timida –Insomma… sareste già crollati a quest’ora, e invece sapete ancora reggervi sui piedi! Come diamine fate?-.
-Non lo so- mentì –Sarà stata fortuna-.
-O forse quegli allenamenti di Kung fu sono stati anche troppo utili- sputò lì Alice, per poi mordersi il labro inferiore.
Poverina, mi faceva tenerezza. Infondo, era solo in pensiero. E non posso darle torto. Aveva appena assistito ad uno scontro tra due bestie.
E, ripensandoci, era la prima volta che lottavo così a lungo. Non mi era mai capitato un avversario tanto forte quanto Jacob.
Dovrò stare attenta, d’ora in avanti.
-Scusatemi- dissi di colpo, bloccandole lì –Per colpa mia ora perderete la metro o il bus-.
-Non dire baggianate!- sorrise Alice –Io mi prenderò un taxi, mentre Bella ha l’auto tutta per sé!-
-Già!- disse quest’ultima –Se vuoi, Leah, posso accompagnarti. In queste condizioni non so se…-
-No, non fa nulla- dissi subito, alzandomi.  Non volevo farla scomodare troppo, e poi la conoscevo appena.
Lei mi guardò per un minuto buono, dopo di ché annui tristemente.
Presi le mie cose, mi sistemai meglio i capelli trasandati, mi toccai la guancia tiepida (che non era poi tanto grossa come temevo), salutai le altre (assicurandole che stavo benone, anzi, sana come un pesce!) e corsi fuori dalla scuola, verso la fermata dell’autobus.
 
 
 
Angolo Autrice: pardon se questo capitolo è venuto breve, ma per il momento direi che è più che sufficiente.
Beh, come vi è sembrato? La parte della lotta era abbastanza decente o faceva schifo?
Vi prego, ditemelo questo! T_T
Anyway, buon ponte di 1’ Maggio a tutti <3
Un bacio
Delyassodicuori

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Capitolo 4
*** 4_I Bulli non mancano mai... ***


4_I Bulli non mancano mai…
 
Chiusi per un momento il quaderno, stufa.
Non riuscivo per nulla a concentrarmi sui compiti.
Riuscivo a malapena a leggere due righe dal libro, evidenziare qualche parola in grassetto, per poi scarabocchiare sul foglio.
La carta (che prima era bianca) ora era irriconoscibile. Per qualche ignota ragione avevo provato a disegnare un pupetto che dava le botte ad un secondo pupetto, più piccolo, più stupido.
Ma tutto quello che ero riuscita a far uscire dalla penna sul foglio era una specie di scarabocchio fatto non da una ragazza adolescente, ma da un bambino di sei anni circa.
Sbuffai forte.
Quando ero tornata a casa, per fortuna mamma era ancora al lavoro, e Seth ovviamente era a scuola.
Non ho capito bene per quale cavolo di ragione, ma sembra che la mia nuova scuola sia l’unica a farci uscire prima di tutti gli altri studenti londinesi.
Certo, è molto comodo, ma è particolarmente strano.
Anzi, tutto in quella scuola è strano.
Mappe vecchie decenni, insegnanti dai nomi altrettanto vecchi (anzi, antichi) e dal carattere schizzo-frenico, e studenti ancora più pazzi dei professori.
Guardai fuori dalla finestra della mia stanza (con i tre lati vetrati che formavano un trapezio esterno), seduta sulla poltroncina adiacente ad essa.
La pioggia picchiettava sui vetri da mezz’ora. Forte, impetuosa, e fredda.
Una pioggia che si esibisce in un valzer…
Un cielo scuro e tenebroso che piange…
 
La bimba appoggiò le sue morbide manine bronzee sui vetri della finestra, osservando la pioggia cadere con tanta energia, battendo sulla superficie di vetro.
La piccola si voltò verso il padre, seduto alla poltrona adiacente alla finestra, accanto ad essa.
-Papà? Perché piove sempre così tanto qui?- chiese la piccola dagli occhi scuri.
Il padre si voltò a sua volta verso di lei, sfoggiandole un sorriso.
-Per un sacco di motivi, tesoro- rispose lui –Per nutrire le piante, per lavare i vetri delle auto e delle case. Ma molte volte piove perché gli angeli piangono-.
-Gli angeli piangono?- chiese stupita la figlia.
-Certo- rispose di nuovo il padre –Piangono quando perdono la loro stella più preziosa e luminosa, ovvero quando nasce un bambino-.
-I bambini sono stelle?- chiese di nuovo lei, stavolta confusa.
-Non in senso letterale, ovvio- sorrise il giovane adulto, tornando a guardare fuori –Vengono considerati come stelle perché quando nascono e aprono gli occhi per la prima volta, è come se questi si illuminassero-.
La figlia rimase stupita da quelle stesse parole. Tornò a fissare la pioggia, stavolta con un sorriso allegro in volto.
-Allora quando nascerà il mio fratellino gli angeli piangeranno?- chiese di nuovo lei.
Il padre sospirò. Un sospiro felice e gioioso. –Certo, come hanno fatto con te, Leah-.
 
 
Mi risvegliai dal flash-back, scuotendo la testa.
Perché ogni volta che mi incanto, fissando la pioggia dalla finestra della mia stanza, devo ricordarmi una scena simile?
Tornai a fissare fuori. Il buio e il maltempo impedivano ai miei occhi di vedere persino le case vicine. Se non fosse stato per le luci delle finestre, avrei detto che non c’era nessuna abitazione.
Mi massaggiai la spalla, quella contro cui Teppista-Superman, alias Jacob Black, si era scontrato più di una volta.
Chissà come sarà messo ora…
Scossi nuovamente la testa. Peggio per lui se si è fatto male! Se l’è cercata, in particolar modo con lo scherzo dei pantaloncini!
Sbuffai più forte, buttando il quaderno all’aria. Mi abbracciai le ginocchia, la testa mezza nascosta dal braccio.
Domani ho ancora la scuola… sarà dura…
 
 
Il mattino dopo non presi nessuna metro. Andai invece alla fermata dell’autobus più vicina, aspettando per dieci minuti circa.
Arrivai a scuola anche prima del previsto. Mancavano solo venti minuti alla campanella.
Pensai in un primo momento di prendere la mappa di ieri per controllare e impararmi a memoria qualcosa, ma poi ripensai a quanto ci avevo messo per trovare l’aula di Geografia e ci ripensai.
Lo buttai via come se niente fosse, e, invece di sedermi sulle panchine di fuori come solitamente facevo prima di venire in questa scuola, decisi di farmi una passeggiata nei dintorni.
Camminai intorno agli edifici B e C, con le mani in tasca per il freddo e i capelli che danzavano al vento quasi come se stessi recitando in una pubblicità di shampoo.
Arrivata vicino all’edificio D da neanche cinque minuti, vidi due ragazzi seduti alle scale dell’uscita d’emergenza.
Avvicinandomi un poco, notai che quei ragazzi mi erano stranamente famigliari.
Ma dove li avevo visti?
-Dai, non prendermi in giro!- disse uno di loro, quello più alto, con una frangia nera  e lunga.
-Non sto’ scherzando!- rispose l’altro, leggermente più magrolino, con i capelli mossi e corti.
-Ma non è possibile, Quil!- riprese il primo, scuotendo la testa –Nessuno, Sam e Paul a parte, possono farlo secco!-
-Embry, ti giuro su mio padre che è vero quello che ho visto!- disse Quil, agitando quasi le braccia –Quella ragazza è molto, molto forte! C’ero ieri in palestra con Jacob, so cosa ho visto, no?-.
Ah, ecco dove li avevo visti!
Solo… c’era anche Quil in palestra? Non ci avevo fatto neanche caso.
Mi avvicinai ancor di più, mentre i due continuavano ancora a discutere della lotta di ieri.
Embry scosse il capo ancora, rispondendo con un:-Una ragazza non può essere così forte, Quil. Te lo dico io che di ragazze ne ho viste tantissime!-.
-Lo dici solo perché ti sei fatto fin’ ora quelle normali!- disse Quil, offeso –Ma una ragazza come lei non si era mai vista in questo istituto!-.
Embry sbuffò, leggermente offeso.
-E scusa, come cavolo dovrebbe chiamarsi, questa qui?-
-Sono Leah Clearwater- risposi io una volta arrivata a due metri di distanza da loro.
Quil, che aveva aperto la bocca per rispondere all’amico, ora la teneva decisamente spalancata, con la mascella che sfiorava il pavimento.
Embry mi fissava tranquillo, ma anche incuriosito.
-Tu?- chiese lui, alzandosi assieme all’altro ragazzo. Io annui, decisa.
-Attento, Emb!- fece sottovoce Quil, nascondendosi dietro alla sua schiena –Quella è pazza! Un cazzotto e voli via!-.
-Ah, grazie, così mi paragoni ad un mostro però!- risposi io, incrociando le braccia al petto.
-Dai Quil, di cosa hai paura? È una ragazza!- gli fece nuovamente eco l’amico, voltando la testa verso di lui.
Ma non appena la rigirò verso di me, dovette piegarsi sullo stomaco a causa di un certo calcio ricevuto dalla sottoscritta.
Si strinse forte, quasi stesse per morire. Si piegò ancora di più, toccando il pavimento con le ginocchia.
-Embry!- urlò spaventato Quil, gli occhi sbarrati dal terrore.
-Scusa, non ti ho sentito bene, cosa sono?- chiesi amichevolmente, continuando a tenere le braccia incrociate.
-Una…. Puttana….- sospirò a malapena Embry, la testa piegata su se stesso.
Alzai il piede e cominciai a dargli dei calci leggeri sulla nuca, così, giusto perché mi aveva data della prostituta.
Quil fissava la scena sbigottito, mentre il suo amico ad ogni calcio gracchiava un <>.
-Ma scusa… cosa ti ha fatto di male?- chiese infine, mezzo timoroso.
-Nulla- risposi, alzando la testa verso il ragazzo, smettendo di calciare la testa all’altro –Solo volevo dimostrargli che non importa di che sesso io sia, sono comunque forte e resistente!-.
-Resisti a questo allora!- sentì urlare alle mie spalle. Con la coda dell’occhio vidi una gamba alzarsi dritta verso la mia faccia. Mi abbassai all’indietro appena in tempo. Il calcio mi volò sopra il naso, senza nemmeno sfiorarmi.
Quando fui sicura che il tipo che mi aveva attaccato aveva rimesso giù il piede, mi ricomposi e voltai mezzo busto verso di lui.
Teppista-Superman mi fissava, scocciato.
-Da quando una novellina picchia i più vecchi?- chiese Jacob, fissandomi molto male.
A quanto pare lo avevo offeso.
-E da quando allora i più vecchi offendono le novelline dandole delle puttane?- chiesi di rimando, tranquilla.
-Bastarda!- sentì piagnucolare alle mie spalle. Embry a quanto pare si stava rialzando, ma la sua faccia era nera di rabbia.
Teppista-Superman si scrocchiò le nocche, squadrandomi dalla testa ai piedi. Sorrisi, mettendomi in posizione d’attacco, accettando di buon grado l’invito.
-Ehm… ragazzi?- chiese lievemente Quil, ma ormai noi eravamo già scattati.
Lui riusciva a parare i miei calci, ed io riuscivo a parare i suoi pugni.
Le nostre mosse riuscivano solo a schiaffeggiare l’aria, e a malapena riuscivamo a sfiorarci a vicenda.
Quando però tentò di nuovo di colpirmi in faccia con un cazzotto, schivai l’attacco spostando il corpo leggermente a sinistra, per poi afferrare il suo braccio prima ancora che lo ritirasse. Senza dargli il tempo di reagire, con tutta la forza che avevo al momento, lo sollevai in aria, facendolo catapultare sulla strada con la schiena. Mollai allora la presa su di lui, spostando con tutta la grazia che mi era rimasta una ciocca di capelli che era scesa sulla fronte.
Si, magari adesso avevo un aspetto da principessina rompiscatole, ma almeno lo avevo messo K.O.
-Cazzo….- sibilò Jacob, fissandomi, prima con la faccia da incazzato che aveva assunto ieri, per poi mutare completamente espressione.
Divenne rosso sulle guance, i suoi occhi si fecero più grandi e (ci avrei scommesso) gli stava quasi per sanguinare il naso.
Lo squadrai per un attimo, cercando di capire cosa gli fosse preso.
-Ehi, Teppista-Superman?- lo richiamai –Cosa ti prende ora?-.
Prima che Jacob potesse rispondere, Embry scoppiò a ridere. Una risata che mi fece un male bestiale alle orecchie.
Che aveva da scompisciarsi in quel modo?
Continuando a ridere come un suino in calore, disse, rivolgendosi all’amico steso a terra:-Ehi, Jake, di che colore sono?-.
Quil scosse la testa indignato, sospirando anche un:-Come si fa ad avere due amici scemi?-.
Tornai a guardare Jacob, che era ancora in quella posizione, e le guance ancor più rosse di prima.
Solo dopo un altro secondo mi resi conto della situazione.
Sentì il mio viso accaldarsi nonostante il freddo di Londra, il cuore battere all’impazzata.
Mi coprì immediatamente, facendo risvegliare il ragazzo dal mondo dei sogni.
Si alzò, con lo sguardo sul mio viso.
Aprì la bocca varie volte, ma la richiudeva sempre.
Strinsi i denti e i pugni, fissandolo, con una voglia matta di ucciderlo.
-Brutto…. Pezzo….- sibilai rabbiosa, avvicinandomi al teppista. Lui rimase fermo, ancora rosso in volto, e ancora mezzo balbuziente.
-…DI MERDA!- gli urlai in faccia, assestandogli una ginocchiata sul cavallo. Teppista-Superman si ritrovò con il corpo piegato in due, trattenendo le urla, tenendosi i gioielli.
Si accasciò sul terreno, tremante.
Ben gli sta!
Sbuffai, ripresi la borsa, e andai verso l’ingresso dell’edificio D, cercando di dimenticare l’accaduto.
 
 
Per due settimane intere svolgevo sempre la stessa routine.
Ogni volta che Alice mi vedeva entrare a scuola, mi saltava addosso, stringendomi per il collo, vicina a strozzarmi. Bella e Rosalie arrivavano sempre un secondo dopo, sospirando forte.
Con Alice non c’era proprio nulla da fare, questo era assicurato.
Le lezioni si svolgevano in modo regolare. O almeno così sembrava.
La Professoressa Denali spiegava tutto talmente in fretta che non riuscivo a capire nemmeno una h.
Il Professor Morgan, d’altro canto, parlava molto lentamente, come se avesse a che fare con una classe della prima elementare. Per questo non mi stupisce se maggior parte degli studenti si addormenta alle sue lezioni.
Ma la Professoressa Moore era anche peggio, esattamente come aveva predetto Alice. Distribuiva sempre una montagna di compiti, che mi facevano star sveglia fino all’una del mattino.  Le sue lezioni erano anche più pesanti degli altri prof, e ogni giorno domandava ad uno studente qualsiasi l’argomento svolto la lezione precedente, facendo tremare il malcapitato da capo a collo.
Con la professoressa Wilson, invece, potevo stare tranquilla. Era molto dolce e allegra con tutti, sempre disponibile a dare una mano. E in più lei era in grado di spiegare in una maniera del tutto fluida, comprensibile, rendendo le sue lezioni interessanti per tutti.
Beh, tutti…. tranne Teppista-Superman.
Purtroppo per me, avevo sempre Storia con lui, e la cosa mi mandava sempre su di giri. Dopo il secondo giorno di scuola non c'eravamo più parlati.
Continuavo a stare al suo banco, con lui che si addormentava ogni volta che la prof. Wilson apriva la bocca.
Una volta l’insegnante lo svegliò dal suo sonnellino, urlandogli nell’orecchio:-SEI NON VUOI FARTI BOCCIARE QUEST’ANNO, VEDI DI COLLABORARE!-.
Jacob si era svegliato di colpo con quell’urlo, gli occhi che uscivano fuori dalle orbite.
Non appena la professoressa si era allontanata, lui si ripulì l’orecchio, sbattendo le palpebre varie volte, come confuso, per poi riappoggiare la testa sul libro, russando.
Soltanto all’ora di Ginnastica sembrava pieno di vita.
Purtroppo, però, il prof Ammazza – cinghiali non voleva farci più esercitare nella lotta a corpo libero.
Mentre tutta la classe s' impegnava in questa danza a suon di calci e pugni (scoordinati, per giunta), il professore ci assegnò un altro tipo di allenamento.
Prima di tutto ci fece correre intorno al campo per un' ora intera. E questa era l’idea migliore che un professore di ginnastica potesse elaborare.
Infatti, io e Jacob eravamo partiti dallo stesso punto, al mio quarto giorno di scuola.
Come degli atleti professionisti delle Olimpiadi, tenevamo le mani per terra, il viso verso il basso, lo sguardo in avanti, la schiena piegata, il didietro all’aria, una gamba piegata e l’altra stesa.
Contavamo insieme dal tre e al “via!” scattavamo alla velocità della luce.
Perché era l’idea migliore?
Perché io ero decisamente più veloce di Jacob. Lui non riusciva mai a starmi al passo, mentre le mie gambe, più si muovevano, e più si sentivano forti, energici. Ogni volta ridevo di gusto, mentre Teppista-Superman ringhiava dietro di me, offeso nell’animo.
Una volta riuscì a fare più di trenta giri, mentre Jacob si era fermato ai ventinove, stanco, con l’affanno pesante e le gambe sulle ginocchia.
-Maledetta- disse quel giorno, con il fiato grosso –Una ragazza…. Non … può…. Essere… così…. Fottutamente… veloce….-.
-Allora ti sei fatto fin’ ora un idea sbagliata sulle donne- dissi, chiudendo lì il discorso. Fu l’unica volta in cui ci rivolgemmo la parola.
Come secondo esercizio, dovevamo fare gli esercizi di riscaldamento e di allungamento, per niente complessi (anzi, erano un tocca-sana per il mio corpo) e poi, per ultimo, dovevamo fare più canestri possibili  con solo una palla, che dovevamo scambiarci continuamente.
Questo era il genere di allenamento che non piaceva a nessuno dei due, in primis per ovvi motivi, e in secondo luogo perché ero completamente negata nel basket.
Non riuscivo nemmeno a centrare quello stupido cerchio. Odiavo il basket, poco ma sicuro.
Invece Jacob sembrava cavarsela abbastanza bene, il ché mi mandava in bestia.
In una giornata aveva fatto centro per venticinque volte. Io invece… solo due!
Quando segnò quel giorno l’ultimo canestro, aveva il sorriso stampato in faccia. Mi aveva guardata in volto per un secondo, e in quel lasso di tempo avevo ricambiato lo sguardo.
Con gli occhi voleva dirmi una sola cosa, ovviamente: Sarai anche veloce, ma non sei brava a basket come il sottoscritto!
Dopo quello sguardo m' innervosì parecchio, talmente tanto da provare a lanciargli la palla dritta in faccia.
Quando lo feci, però, lui la afferrò con una sola mano, proprio davanti al viso, ad un millimetro dal naso.
Spostò la palla dalla sua faccia e mi rivolse un sorriso, anzi, un ghigno.
Fu così che mi ritrovai a ringhiare forte come lui, voltare i tacchi e sparire nello spogliatoio.
“Stupido di un Jacob!” mi ripetevo continuamente sotto la doccia.
Il resto dei giorni (con la presenza del Teppista-Superman a parte) passò abbastanza tranquillamente.
Non trovai più quegli uomini in nero dalla faccia cadaverica, Stefan e Vladimir (il ché era un sollievo…. Bastava guardarli anche da lontano e sentivo subito dei brividi sulla schiena), mentre, d’altro canto, riuscì a conoscere altre persone.
Conobbi per esempio i fidanzati di Alice, Bella e Rosalie.
Jasper Hale, il ragazzo della nana, era un tipo alto e biondo, ma con la pelle più pallida della piccola Alice e gli occhi scavati, neri. Avrei potuto dire che era un parente di quei Stefan e Vladimir, ma quando lo chiesi ad Alice, lei scoppiò a ridere, dicendo che in realtà era sempre stato così fin dalla nascita.
Era un ragazzo piuttosto riservato, che raramente volgeva la parola. E quando Alice me lo presentò, lui storse il naso davanti a me, stingendo le labbra violacee fino a farle scomparire.
Dopo che se n’era andato mi ero annusata le ascelle e i capelli, affermando che non puzzavo per niente (anche perché la doccia l’avevo fatta solo il giorno prima, diamine!).
Stessa cosa lo fecero anche Edward Cullen (il ragazzo di Bella) ed Emmet Cullen, suo fratello (lo scimmione di Rosalie, come lo chiamava lei).
Edward era il più minuscolo e magro dei tre, dai capelli di bronzo e gli occhi verdi. Pallido anche lui, ma non quanto Jasper. Teneva sempre lo sguardo storto verso di me, come se fossi un insetto da schiacciare immediatamente.
Emmet, invece, lo si poteva quasi considerare come il fratello maggiore di Alice (ed effettivamente lo era, assieme ad Edward), perché come la nana era piuttosto socievole con tutti, allegro e sempre pronto per una qualche battuta. Quando ci presentammo, lui mi strinse la mano talmente forte da rompermi quasi le ossa. Una volta liberata dalla sua morsa di ferro, mi ritrovai ad avere la mano indolenzita.
Tutte le volte che tornavo a casa mi ritrovavo a sdraiarmi sul letto per venti minuti buoni, a pensare e a riflettere sugli avvenimenti del giorno.
 
Oggi ho avuto Storia e Inglese. Entrambe le prof mi hanno assegnato una marea di lavoro da fare.
 
Oggi non ho visto Bella. Secondo Alice è a casa con il raffreddore. Avrei preferito non vedere Jacob, invece. Non si poteva ammalare lui?
 
Oggi ho fatto tre canestri. Un record! Jacob ha riso per un bel po', dopo aver fatto i suoi stupidi ventisette canestri di fila!
 
Oggi ho corso come una matta, peggio delle altre volte. Jacob stava praticamente dall’altra parte del campo, mentre io ero in vantaggio. Un urrà per me!
 
Questi giorni, in poche parole, erano passati stranamente tranquilli, finché il Lunedì della terza settimana non mi accorsi di qualcosa che mi lasciò di sbieco.
Mentre stavo rimettendo a posto i libri nell’armadietto, due ragazzi (nativi americani come me) stavano passando alle mie spalle.
-Quindi anche stanotte le hai dato delle botte?- chiese il primo, il più basso.
-Certo- disse il secondo, più alto e muscoloso –Dovevi sentirla, urlava talmente tanto dal piacere che non riuscivo a smettere!-.
I due si fermarono proprio dietro di me, appoggiandosi alla finestra aperta. Io continuai a controllare l’armadietto, cercando i libri giusti per la prossima ora.
-Sai- continuò il secondo, quello alto – E’ una gran bella gnocca. Peccato che sta' sempre a studiare, giorno e notte. Suo fratello ha ragione a darle della secchiona-.
-Capirai!- disse il primo –Quelle come lei sono molto più facili da conquistare, a quanto dicono-.
-Vero? E ieri sera avremo potuto continuare per un bel po', se quello stronzo di suo fratello non fosse arrivato a bussare alla porta!-.
-Solo perché bussava avete finito di fare sesso?-
-No. Volevo andare avanti, ma quell’idiota ha anche urlato: “Se non esci subito dal corpo di mia sorella, giuro che entro e ti do tanti di quei cazzotti che non ti dimenticherai mai!”-.
I due ragazzi si misero a ridere, dopo la pessima imitazione del muscoloso.
Avrei voluto non seguire più il discorso, ma quei due parlavano talmente forte che tutta la scuola poteva sentirli.
-E poi che hai fatto?- chiese il basso.
L’alto e muscoloso rispose, scrollando le spalle:-Che potevo fare? Stava arrivando pure il loro vecchio, dovevo pur andarmene via, prima che mi scoprisse a letto con sua figlia!-.
-Quindi sei andato via-
-Esatto. Ma prima sono andato dallo scemo per dirgli quanto era idiota, e che di questo passo col cazzo che si trovava la ragazza!-.
-Ah ah ah, Cosa ci vuoi fare, Paul? Jacob Black è un idiota, come dice sempre Sam!-.
-Puoi dirlo, Brady. Quando stavo per andare via, poi, il fratellino piccolo mi aveva anche minacciato. Ha detto esattamente: “Fatti vedere di nuovo in giro e prendo un cane  da guardia!”-.
-Wof Wof!- fece eco Brady, sghignazzando come un perfetto imbecille.
Interessante. Quindi Jacob Black aveva anche una sorella più grande?
Paul rise al verso dell’amico, poi però gli diede una gomitata, facendolo zittire.
Senza volerlo mi ero voltata verso di loro quando avevano nominato Jacob. Mi accorsi troppo tardi della cosa, così chiusi in fretta l’armadio, prendendo la borsa, avviandomi verso l’aula.
-Tu sei quella nuova, vero?- mi bloccò Paul, superandomi di corsa. Anche Brady lo raggiunse, e di colpo ci ritrovammo faccia a faccia, tutti e tre.
-E allora?- chiesi, scontrosa, cercando di avanzare. Paul con il braccio bloccò la mia strada, poggiandosi sulla parete.
-Buona, cocca, voglio solo parlare un attimo- disse, ammiccando. Lo guardai storto, per poi incrociare le braccia al petto.
-Sei quella che aveva messo K.O. quell’idiota di Jacob?- chiese di nuovo, sempre ammiccando.
-Si- risposi, fredda. Non avevo di certo il tempo da perdere con loro. Provai di nuovo ad avanzare, ma anche stavolta Paul mi bloccò.
-Quanta fretta, voglio solo farti una proposta!- disse, fingendosi deluso. Brady trattenne le risate.
-Che proposta?- chiesi, anche se non ero per nulla interessata.
Paul si grattò  la testa, per poi domandare, con nonchalance:-Beh, visto che sei così forte (e credimi, di ragazze forti come te se ne incontrano poche), cosa ne diresti di unirti alla nostra “Banda”?-.
-La vostra “Banda”?- domandai io, inarcando un sopracciglio, poggiando le mani ai fianchi.
-Esatto, la nostra Banda!- fece eco lui –Noi ci facciamo chiamare “Furious Wolfpack”, ovvero il branco dei lupi furiosi! Siamo tutti forti nella nostra banda, e ogni notte ci facciamo una bevuta in un qualche locale e robe simili. Saresti la prima femmina del gruppo, certo, ma…-.
-No, grazie!- risposi freddamente, passando al di sotto del suo braccio, incamminandomi di nuovo.
Non potei andar più avanti di così, perché il membro dei Furious Wolpack mi bloccò per il polso.
Mi voltai lentamente, i denti stretti.
-Eddai, piccola, e che ti costa?- chiese, con la voce più suadente che riusciva a sputare –Potrai fare tutto quello che vuoi. Avere tutto quello che vuoi. Garantito!-.
-Quale parte della frase No, grazie non ti è chiaro, idiota?- sibilai, liberandomi facilmente dalla sua presa. Ma la cosa non finì lì, perché mi superò di nuovo, stavolta con lo sguardo serio.
-In primo luogo, l’ultimo coglione che mi ha dato dell’idiota si è ritrovato con il naso rotto. Seconda cosa, se ti dico che è conveniente, non scherzo. E terzo, se non accetti, il nostro alfa potrebbe… mmh… si, arrabbiarsi un tantinello, sai?-.
-Ooooh, che paura, sto tremando tutta da capo a collo!- ruggì ironica. Stavolta la cosa sembrò seccare a Paul, tanto da afferrarmi per il braccio, stringendolo forte, fino a farmi male ai muscoli.
-Parlo seriamente, ragazza, se non mi darai retta, dirò a Sam…-.
Peccato che non riuscì mai a concludere la sua minaccia da quattro sterline. Prima che terminasse la frase, qualcuno gli afferrò per l’avambraccio, lo stesso che mi stava stritolando.
Con mia grande sorpresa, quel qualcuno era Jacob.
Aveva lo sguardo cupo, nero, con lo sguardo di ghiaccio rivolto a Paul.
I suoi occhi, solitamente color cioccolato fondente, sembravano i fari rossi di un auto nel mezzo della notte.
Al solo guardare quegli occhi mi sentì gelare le ossa. E stessa cosa lo doveva aver provato Paul, perché mi mollò in fretta, senza staccare gli occhi da Teppista-Superman.
-Sparisci- sibilò soltanto Jacob, con la voce tagliente quanto la lama di un rasoio.
A Paul tremarono le braccia, mentre Brady, che fino ad ora aveva solo assistito alla scena, tremava dalla testa ai piedi.
I due si allontanarono di qualche passo, poi, camminando più velocemente, il ragazzo alto urlò prima a Jacob, e poi a me:-Non finisce qui, stupido coglionazzo! E per quanto riguarda te, cocca, ci rivedremo presto! Sam saprà della cosa, e allora si che entrambi sarete nei guai!-.
Dopo di ché sparirono, lasciandoci soli.
Eravamo letteralmente soli.
La campanella doveva aver suonato da un bel pezzo, e noi eravamo gli unici a dover ancora rientrare in classe.
Jacob sospirò, calmandosi, sibilando però un:-Verme schifoso-.
-Non mi serviva il tuo aiuto- sputai, acida. Avrei voluto massaggiarmi il braccio, ma non lo feci. Non volevo fargli credere di essermi fatta male, e non volevo quindi dargli chissà quale soddisfazione.
-Chissà perché me l’aspettavo ‘sto commento del cazzo- disse lui, senza guardarmi. Sospirò ancora, per poi dire:-Ascolta. La “Banda” di cui ti ha appena parlato non è altro che una banda di bulli. Anzi, è l’unica presente in tutta la scuola. Sono ragazzi rozzi, senza cuore, cervello e senza palle.
Si credono furbi e tosti, persino potenti. Per cui-(e in quella si voltò a guardarmi)-Ti sconsiglio caldamente di aver a che fare con loro-.
Non dissi nulla. Era chiaro che era un gruppo di bulli, cosa credeva, che fossi nata solo ieri?
C’erano bulli anche nella mia vecchia scuola, ma ovviamente stavo lontana da loro.
Senza rivolgergli una sola parola, m' incamminai verso l’aula.
-Parlo sul serio, Leah!- urlò da dietro Jacob –Stai lontana da loro, soprattutto da Sam! Quello non sa nemmeno cosa significhi pietà!-.
Una volta svoltato l’angolo scrollai la testa.
Non mi sarei fatta salvare ancora da Jacob.
Me la sarei cavata da sola, anche contro questo alfa.
 
 
Angolo Autrice: SONO VIVOOOOOOOOOO! (Cit. Mushu di Mulan).
Buahhahahahahah! Sono tornata ragazzuoli! Volevate sbarazzarvi di me, ma è inutile ;P
Anyway, sorry per il ritardo.
Come vi è sembrato questo capitolo? Palloso? Scemo? Super?
Fatemi sapere.
Un Bacio,
Delyassodicuori

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Capitolo 5
*** 5_Ma diamoci un taglio! ***


5_ Ma diamoci un taglio!

-Leah-


-EHHHH???- si ritrovò ad urlare Alice nel bel mezzo della mensa.
Alcuni giorni dopo l’incontro con Paul e Brady avevo raccontato la cosa alle altre. Fin’ ora non ero riuscita a parlare con loro o tanto meno incontrarle, per svariate ragioni.
Bella si era rotta una gamba perché era “accidentalmente” inciampata sulle scale di casa sua. Secondo la mora suo padre (che era un agente della polizia di Londra) era diventato troppo iperprotettivo, tanto da non mandarla a scuola anche dopo aver tolto il gesso. 
Rosalie era sparita dalla circolazione perché era andata in vacanza con i suoi e il suo fidanzato, per prendere (come disse lei mentre me lo raccontava) un po' di “colore” sulla pelle più al sud, dove ancora esisteva qualche raggio di sole.
Alice, invece, si era beccata un brutto malanno, tanto da farla restare a letto per un bel pezzo. Ma appena tornata a scuola, già mi trotterellava attorno come se non ci fosse stato un domani.
Ora ci trovavamo tutte e quattro al nostro solito tavolo.
Non appena avevo finito di raccontare la splendida “avventura” avuta con i teppisti, la nana rimase con il braccio che reggeva l’ultimo pezzo del suo panino immobile davanti alla sua bocca spalancata, mentre Bella per poco non sputava la sua soda addosso a Rose.
-Cosa hai da urlare così forte?- domandai, guardandomi attorno. Alice non sapeva proprio abbassare il volume della sua voce, e così gli studenti più vicini a noi si erano voltati un attimo, per poi ritornare agli affari loro.
Alice poggiò il panino sul piatto, ancora con lo sguardo pietrificato sul mio. A vederla così per poco non mi preoccupavo seriamente.
Sapeva stare perfettamente immobile con gli occhi, senza nemmeno spostare le iridi o sbattere le palpebre. Forse le bruciavano i bulbi oculari, ma sembrò ignorare la cosa del tutto.
E anche Bella e Rosalie si misero a fissarmi, incredule, sbiancate del tutto (povera Rosalie, ora la sua abbronzatura si era dissolta ed era tornata cadaverica come prima).
-Che c’è?- domandai ancora dopo un momento di silenzio al tavolo, spostando lo sguardo su ognuna di loro.
-Lo sai che ti sei appena scavata la fossa da sola?- fece Rosalie, tornando composta come prima.
-Eh?-
-Beh…- fece Bella –L’avvertimento di Jacob… dovresti seguirlo. Sam è il classico tipo che non sa cosa è la pietà.  E’ il più forte della banda e…-.
-Oh, ma per piacere!- esclamai, bevendomi il succo d’arancia tutto d’un fiato –Non ho paura di tipi come lui. Hai visto anche tu come avevo affrontato Jacob il primo giorno che sono venuta qui, no?-
-Que-questo è vero…- sussurrò lei, agitata –Ma con Jacob è un altro discorso. Lui usa solo i pugni e i calci per piegare qualcuno. Sam e Paul, invece, usano armi, Leah, ARMI! E ogni giorno ne usano una diversa!-.
-Ad esempio- fece Alice –Paul usò una volta una bottiglia di vetro spaccata a metà per minacciare uno più grande di lui. Dopo quella volta il tipo si è unito alla loro banda-.
-E Sam- aggiunse Rosalie –Usò un coltello da macellaio contro il mio Emmet. Poverino. Ci era rimasto quasi secco. Si è procurato una cicatrice lunga al petto, che però è molto sexy!-.
Guardai la bionda per un attimo, per poi infilzare con la forchetta l’insalata sul mio piatto.
-Credo che dovrei aver paura più di te che del loro alfa- dissi, masticano una fogliolina verde chiara –come fai a trovare sexy una cicatrice? Metti che il tuo ragazzo fosse morto in quel momento. Troveresti eccitante e attraente il suo cadavere putrefatto?-.
-N-non intendevo questo…- disse Rose, impallidendo di più.
-Intende semplicemente dire che i ragazzi con le cicatrici dimostrano di essere più machi di quelli senza!- disse una voce fastidiosa al mio orecchio.
Per poco non sussultai quando Jacob Black prese dal mio piatto il sandwich, per poi rubargli un morso.
Rimise al suo posto il resto del mio panino, assaporando con gusto il pezzo rubato.
Prima che potesse inghiottirlo, gli assestai un pugno sul naso. O almeno ci provai.
I riflessi del ragazzo erano dannatamente pronti, così evitò il cazzotto, e io finì per colpire l’aria.
-Brutto ladruncolo!- sibilai, afferrandogli la cravatta, per poi trascinare la sua testa verso di me.
-Perché non ti mangi il tuo di sandwich?- domandai, mostrandogli i denti.
-Calma, lupa affamata!- scherzò Teppista-Superman dopo aver mandato giù il boccone –Un bacio potrei anche dartelo, ma non mi sembra né il momento né il luogo adatto per farlo-.
Arrossì di colpo, con gli occhi sbarrati. Come poteva dire una stronzata simile con quel sorriso…?
Lo scansai via da me, borbottando un:-E chi cavolo ti vuole? Puzzi come un cane randagio?-.
In risposta a ciò Jacob si annusò le ascelle, contrariato dalla mia affermazione (anche se più che altro era una scusa per allontanarlo).
-Come dici tu, acidella- disse lui, sempre con il sorriso stampato in faccia. si allontanò da noi, con le mani dentro le tasche sul didietro.
Io sbuffai, analizzando il danno subito al mio sandwich, tagliando con il coltello la parte mangiucchiata da lui.
-Che idiota- sibilai piano, ma abbastanza chiaro alle orecchie delle tre.
-Lo fa solo per attirare la tua attenzione- ammicò Rose, sorridente.
-Gli uomini sono così, Leah- aggiunse Alice, tornando a mangiare serenamente il suo panino -Fanno di tutto pur di conquistare il cuore di una giovane fanciulla-
-Alcuni con metodi più validi di altri- concluse Bella, poggiando il gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mano, quasi assonnata. Era evidente che l'argomento sui ragazzi non le interessava affatto. E stessa cosa valeva anche per la sottoscritta.
Mangiammo finché la campanella non suonò, poi ci alzammo dai tavoli, buttando via gli avanzi e procedendo verso la lezione di Inglese.
Quel giorno la Prof. Moore sembrava più contenta del solito. E la cosa non piacque molto ad Alice, visto come sbiancava alla velocità della luce.
-Cos'hai?- le domandai, allarmata -Sembri un fantasma!-
-Pessimo segno...- disse solo, con la voce così flebile che persino un gatto avrebbe faticato per capire il senso delle parole.
Ci sedemmo tutti ai nostri posti, dopo di chè, la Moore prese un mucchio di fogli per poi distribuirli a tutta la classe.
Guardai il mio. 
Un test a sorpresa. Fantastico.
Mi concentrai il più possibile, riportando indietro la mia memoria fino all'ora in cui mi ero messa a studiare William Blake e Mary Shelley.
Sembrava molto più facile la sera quando li avevo studiati ben bene.
Ma ora quelle domande per me sembravano non avere nessun senso, nessun nesso logico, nessuna motivazione per la quale dovevano essere poste.
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E insomma! Che razza di domande erano? Ricordavo solo che Mary era sposata con Percy B. Shelley, un coglione d'alto livello, che aveva scaricato la sua prima moglie per lei per poi morire durante una navigazione in piena tempesta perchè voleva superare i limiti umani. Appunto, un autentico imbecille.
Ma non di certo al livello di Teppista-Superman, che aveva fatto venir un colpo a tutta la classe, sbattendo la porta con il piede, le mani in tasca e lo sguardo molto nonchalance. Esattamente come il primo giorno.
La Prof. Moore lo sgridò ben bene prima di spedirlo al banco, in fondo all'aula, a due banchi di distanza dal mio.
L'insegnante gli consegnò il compito e, una volta voltatasi per andare alla cattedra, Jacob alzò la voce:-Ma questa è un ingiustizia!-.
-Non direi, signor Black- squittì la Moore, voltandosi a mezzo busto -Questo compito serve per insegnare a tutti voi che bisogna aprire spesso i libri e documentarsi-.
Jacob sbuffò, lasciandosi cadere sulla sedia e facendo scorrere una mano tra i capelli.
Per qualche ignota ragione restai così, a fissarlo, mentre si scompigliava la sua chioma corta, nera, selvaggia, con quel espressione così annoiata e nervosa, quelle labbra che sbuffano...
Quando Super-Teppista mi posò addosso lo sguardo, io voltai la testa immediatamente, con le guance che si erano fatte di colpo calde.
Dannazione, Leah! mi dissi Primo stai facendo una verifica! Secondo, sveglia! quello è Teppista-Superman, non ti afflosciare per una stupidata simile!
Tornai al compito, scrivendo tutto ciò che ricordavo. Consegnai alla prof qualche minuto dopo, aspettando che lo facessero prima altri ragazzi.
Risedendomi di nuovo, pottei prendere un po di respiro. Mi affloscai al banco, sbuffando forte. Forse mi ero addormentata, perchè dopo un secondo la campanella aveva suonato, e io avevo alzato la testa dal banco completamente smarrita.
mi stropicciai gli occhi, sbadigliando.
Jacob mi passò vicino, fermandosi un attimo al mio fianco.
Ricambiai lo sguardo, col sopracciglio alzato.
-Cosa vuoi?- chiesi, ancora con l'aria assonnata.
-Mi stavi fissando- disse. Non aveva l'aria di essere una domanda, ma più un affermazione.
-Io? Fissare te?- incrociai le braccia al petto -E per quale ragione?-
-Dimmelo tu-
-Io non devo dirti un tubo-
-Allora non fissarmi-
-Perché è un problema se lo faccio?-
Jacob sorrise.
-Che dici, mi devo scompigliare i capelli più spesso?-
Eh?
-Ma falla finita!- dissi, voltandomi dall'altra parte.  Oltre la finestra due uccellini svolazzavano intorno ad albero, mentre il vento stava scuotendo le sue foglie arancioni, facendole poi staccare dai rami. le foglioline danzavano in un valzer di fuoco su uno sfondo grigio pallido e verde scuro.
Ormai stava arrivando l'inverno. A Dicembre mancava ancora un giorno.
Con la coda dell'occhio osservai il braccio di Jacob avvicinarsi. 
Mi voltai di scatto, osservando lui che apriva tra le mani una specie di biglietto. Lo lesse, aggrottando la fronte.
Lo stropicciò, ringhiando sotto voce.
Mi alzai, senza degnarlo di uno sguardo. Lui allora si mosse, uscendo dall'aula in fretta e furia, senza dirmi nulla, buttando prima il foglio accartocciato nel cestino.
Aspettai due secondi, dopo di chè andai a ripescare il biglietto dal cesto. Lo aprì, curiosa.

Ti sei scavata nella fossa, stupida Clearwater.
Vieni fuori, dietro all'edificio D, dopo la scuola.
Sappi che io e i ragazzi te le suoneremo di santa ragione.
Ammeno che tu non decida di far parte della nostra banda.
Scegli tu: Vita o Morte.
Paul


"Ammeno" mi fece ridere. giusto un poco.
Evitai di chiedermi perchè quello scemo di Jacob lo aveva buttato via (era indirizzato a me, cavolo!) e uscì' dall'aula, raggiungendo Rosalie per Biologia.


Uscì dall'edificio D, arrivando al luogo dell'appuntamento.
Paul non era solo. Appoggiati agli alberi del piccolo boschetto, c'erano altri sei individui. Tra di essi riconobbi Brady.
Il vice-Capo, o anche beta, aveva le braccia incrociate, con la sigaretta incastrata tra i suoi denti. Si avvicinò assime al suo seguito, e in men che non si dica, mi ritrovai circondata da loro, senza vie di fuga.
-Quanto sei sciocca!- Paul respirò una boccata di fumo, per poi ributtarlo fuori dalle narici. -Venire fin qui da sola contro noi sette. Non è una mossa molto intelligente-.
-Neanche la tua grammatica, se è per questo- risposi sogghignando, tirando fuori il bigliettino. Prima di venire qui avevo evidenziato in giallo la parola Ammeno, così il resto della banda si incuriosì, leggendo ciò che era stato evidenziato.
Paul per poco non faceva uscire il fumo della sigaretta dalle orecchie, arrossendo.
-Fai la spiritosa, vedo- aggiunse, buttando a terra il mozzicone, pestandolo.
-Fatela fuori, ragazzi!- ordinò infine, ghignando. Sei ragazzi, tutti nativi americani, si lanciarono su di me.

-Jacob-

-Ehi, amico! Dove cavolo ti eri cacciato?- urlò come un suino Embry, mentre con un braccio mi circondava il collo, strofinando un pugno sulla mia nuca.
Risi, rispondendo:-A pisciare, cretino!-.
-Avete avuto davvero un test a sorpresa?- chiese invece Quil, incredulo dopo la notizia che avevo dato loro.
La campanella che annunciava la fine delle lezioni per oggi era suonata da un bel pezzo, ma noi ci eravamo incontrati solo ora. 
Per nostra grande sfortuna, io, Embry e Quil non condividevamo le stesse ore, neanche per un giorno.
Alle materne, elementari e medie eravamo un trio inseparabile, e lo siamo tutt'ora.
Ci conosciamo sin da quando portavamo ancora i pannolini. Le nostre madri erano migliori amiche, e di conseguenza, anche i loro figli hanno stretto amicizia. 
Potrei definire quiei due guastafeste come dei fratelli.
-Si- sbuffai, mentre Emb mi liberava dalla sua presa -Quella stronza della Moore non ha pietà per nessuno!-.
-Puoi dirlo- annui Quil -L'altra settimana ha voluto fare le domande a tutta la classe. Ed erano domande troppo difficili. Mi sono innervosito parecchio...-
-Tu ti innervosisci sempre quando ti interrogano, genio!- aggiunse Embry, dandogli delle pacche sulla spalla. -E come ti è andata alla fine, Jake?-
-E che cavolo ne sò!- risposi, passandomi la mano tra i capelli. E questo mi fece venir in mente lo sguardo che teneva Clearwater su di me.
Non l'avevo vista chiaramente, visto che si era voltata subito, ma ero riuscito a scorgere un lampo di rossore sulle sue guance. 
In quel piccolo attimo... aveva un aspetto tenero. 
-Come "he cavolo ne sò"?-chiese Quil, facendomi piombare di colpo nella realtà -Tu di solito sai se sei andato una merda o meno!-.
-Lo so... solo...- risposi, con uno strano groppo in gola.
-Solo?- domandarono i due, fissandomi. 
Perchè tutto ad un tratto mi sentivo nervoso e imbarazzato? 
Degluitì, raccontando a loro di come Leah mi aveva fissato.
I miei migliori amici si fissarono l'un l'altro, poi tornarono a guardare me.
-E' cotta di te!- ammise Embry, sogghignando.
Quil sorrise, affermando con il capo la risposta.
-Eh?- feci di colpo, mentre le mie guance si riscaldavano -No. E perchè mai? Mi detesta per nulla! E a me lei non piace. Ha un carattere di merda! Prova ad essere carino con lei e ti sputa la birra in faccia!-.
-Esagerato- disse Emb.
-Forse è solo timida e non vuole darlo a vedere- aggiunse Quil. io scrollai il capo, convinto dell'opposto.
Una come lei non poteva di certo avere una cotta per me. Forse per nessuno.
Voltai la testa verso la finestra.
Per poco non stringevo i denti dalla rabbia.
Avanzai verso la cornice della finestra, affacciandomi ad essa, osservando lo spettacolo sotto l'edificio.
Quella stupida alla fine doveva aver ripescato il bigliettino che avevo buttato via, perchè ora lo sventolava davanti a Paul e alla combricola dei lupi di Sam.
Quando mi ero avvicinato alla ragazza una volta che dovevamo cambiar aula, proprio nel momento in cui lei aveva voltato lo sguardo verso la finestra, io avevo visto che sul suo banco c'era un bigliettino ripiegato. E prima ancora avevo scorto uno della banda di Sam buttardo davanti al suo naso un attimo prima che lei si svegliasse.
-Che succede?- chiese Quil, avvicinandosi, per poi sbiancare alla vista dei lupi.
-Oh, merda- sussurò Embry, anche lui al nostro fianco.
Paul disse qualcosa, forse un ordine, perchè poi i sei ragazzi saltarono addosso a lei.
Stavo quasi per aprire la finestra, con l'istinto che mi diceva di buttarmi direttamente da li (tanto eravamo al primo piano e sotto questa finestra c'era il cassonetto dell'immondizia) per poi dare qualche cazzotto a due o tre di loro, quando la mossa di Leah m'inchiodò sul posto.
Colin era il più vicino, e stava per afferrarle il polso, quando lei sbattè la borsa contro la sua faccia. Nello stesso momento Rupert provò a prenderla per i fianchi, ma Leah fu più sveglia, assestandogli un portentoso calcio ben mirato all'addome.
Entrambi caddero nello stesso momento. Intanto Brady e Thomas si avventarono sulla ragazza, ma quest'ultima afferrò per il gomito uno, facendolo roteare, per poi andar a sbattere contro l'altro. Anche loro finirono al tappeto come due salami. Gli ultimi due furono ancora più stupidi. Il primo si tuffò sulla sua testa, il secondo sulle sue gambe. 
Leah diede una piedata in faccia al secondo, e una gomitata al primo nello stesso preciso momento.
-E'...è....è.... un mostro...- sussurrò Quil, nascondendosi sotto la finestra, con il sudore freddo sulla fronte.
-Ma come diavolo fa?- esclamò Embry, come se stesse assistendo ad una partita di calcio emozionante.
Io rimasi in silenzio, non sapendo esattamente cosa dire. 
Paul si era portato dietro i novellini, era la solo spiegazione. 
Una ragazza non poteva farcela da sola contro di loro, forte o meno come Leah. Intanto Colin e Brady si erano rialzati, pronti per affrontarla di nuovo, ma Karate-Girl (come avevo deciso di chiamarla da quel giorno in palestra) si fiondò su di loro, paralizzandoli. Afferrò le loro teste, per poi sbatterle una contro l'altra.
I due svennero sul colpo, cadendo come burattini ai quali erano stati tagliati i fili.
Gli ultimi due, però, riuscirono appena a sfiorarla. Uno di essi l'aveva pure afferrata per il gomito.
Leah, pronta e veloce, scattò come un serpente, gonfiando il suo occhio con un cazzotto ben mirato. Si voltò verso il compare, lo afferrò per le spalle, lo piegò in due, gli diede due ginocchiate al mento abbastanza potenti, ed infine una bella gomitata sulla nuca.
Anche lui svenne, mentre il primo rimaneva seduto a terra. Probabilmente sputava giù le peggio parolacce che conosceva.
Rupert e Thomas le furono nuovamente addosso, ma anche in quel caso lei li mise K.O. troppo facilmente.
Il risultato? Una sola donna era riuscita a battere sei uomini.
Io e i miei fratelli eravamo ancora inchiodati lì ad assistere.
Era brava, non c'è che dire.
Leah si raddrizzò, mentre il vento le scompigliava i capelli lunghi e neri, regalandole un aspetto regale, come se fosse una principessa guerriera sbucata fuori da un fumetto o da un film.
Paul era ancora lì, a fissare la scena, sgomento. A quel punto sputò a terra, stringendo i pugni. 
Fu allora che decisi di muovermi e di raggiungerla. Invece di utilizzare la scorciatoia che mi ero pianificato fino a due secondi fà, presi le scale e uscì dalla porta sul retro.
Quando arrivai, Karate-Girl e il beta avevano già iniziato lo scontro. Paul riuscì a sganciarle due pugni sullo stomaco, ma ciò non la rallentò. Leah prese la carica e gli diede un calcio sul petto, facendolo indietreggiare di poco.
I due si risposero a suon di pugni, e in un primo momento Paul sembrava avere la meglio. Leah si fece uno scudo con le braccia sul viso, parando il pugno di Paul. Pessima mossa da parte del beta. perchè Karate-Girl  sorrise, gli assestò una ginocchiata all'addome, gli afferrò il polso, si voltò, e con tutta la forza che aveva, lo alzò dal terreno, facendolo volare sopra la sua testa.
Paul si ritrovò così con la schiena schiacciata a terra, il corpo tremante.
Ok, forse mi ero preoccupato troppo.
La ragazza aveva trionfato contro sette ragazzi, e, insomma, non è uno spettacolo che si assiste tutti i giorni.
Stava per piegarsi per prendere la borsa, quando nell'aria si sentì una risata. Una risata gelida, troppo famigliare.
Oh merda.


-Leah-

Dagli alberi sbucò fuori l'ottavo ragazzo, ma sembrava più grande degli altri che avevo appena affrontato.
Anche lui era un Quileutes come diceva la sua carnagione, gli occhi e i capelli. 
Aveva uno sguardo duro e gelido, tanto da farmi quasi tremare le ossa. 
Mi rimisi dritta, lasciando a terra la borsa.
Ero ancora in splendida forma, affrontarne un altro non sarà certo un problema.
-Leah!- mi sentì chiamare da sinistra. Jacob era proprio lì, e la sua faccia la diceva lunga.
-Scappa immediatamente!- urlò, correndo verso di me. Alzai un sopracciglio.
-Neanche per idea- dissi, quando mi fu abbastanza vicino -Io non mi arrendo di certo!-.
-Stupida, non capisci allora?- fece lui, sul punto di sbraitare. Scavalcò il piede di Paul, arrivando ad affiancarmi. Mi afferrò di colpo l'avambraccio, ma con uno strano scatto nervoso.
-Vieni via, prima che...-stava per dire lui, quando il ragazzo rise, attirando la nostra attenzione.
-Jacob Black- lo chiamò, avvicinandosi a noi. Anche lui stava fumando una sigaretta.
-E' un pò che non ci vediamo. Come sta papino?-
Jacob non rispose. Si limitò solo a mordersi il labbro inferiore. Fissai di nuovo quel labbro, che si stava lentamente bagnando, rendendolo più luminoso...
Scossi la testa più volte, ricomponendomi. Scansai via con una mano quella di Jacob, per poi rivolgermi al tizio:-Sei tu Sam, l'alfa di questo branco di imbecilli?-.
Sam rise ancora.
-Si- rispose -In effetti sono dei grandissimi figli di puttana. Affrontare così una novellina, che sciocchi!-.
-Pff- sbuffò piano Teppista-Superman, scalciando via la mano di un tizio svenuto.
-Però lo devo proprio dire, Leah Clearwater- disse l'alfa -Non sei così forte come speravo-.
Cosa?
-Ripeti!- ordinai, stringendo i denti.
-Uh.... Leah?- fece Super-Teppista, notando il mio strano cambiamento d'umore.
Forse Jacob Black aveva aggiunto qualcos'altro, ma io non lo stavo a sentire nemmeno.
Anzi, per essere precisi, mi ero già fiondata contro l'alfa, alzando una gamba, pronta per dargli un calcio dritto in faccia.
Con mia grande sorpresa, però, il calcio non gli arrivò mai in faccia.
Il capo banda aveva alzato un solo braccio per parare il mio colpo. E stranamente non gli faceva neanche male. O almeno così lo dava a vedere. Rimaneva sempre con quel ghigno stampato in faccia. E prima ancora che potessi abbassare il piede per provare con qualche altra mossa, Sam mi afferrò la caviglia, facendomi buttare velocemente a terra. 
Assurdo. Ecco a cosa pensavo in quel momento.
Nemmeno Jacob mi aveva stesa a terra così. 
Provai ad alzarmi, e nel frattempo, vidi Super-Teppista entrare in azione. Caricò due pugni, tutti andati a vuoto.
Sam scansava tranquillo la testa di lato, evitando i colpi, poi gli afferrò il polso, lo fece piegare e gli diede un cazzotto sull'addome.
Jacob barcollò, e quando ritrovò l'equilibrio, Sam lo colpì con una gomitata sulla guancia.
Avrei giurato di aver sentito uno scricchiolio.
Teppista-Superman sputò del sangue mentre cadeva a terra di sedere.
Io intato ero già in piedi.
-Ehi, testa di cazzo!- dissi, attirando la sua attenzione -Non è contro sto' scemo che devi combattere! Sono io il tuo avversario, no?-
-Hai detto bene- ammise Sam. 
Lui iniziò a mandarmi giù dei colpi portentosi, e per qualche ragione ignota, erano fin troppo veloci perchè potessi pararli. 
Riuscì nell'impresa solo una volta, e in quel lasso di tempo, avevo approfittato per un secondo calcio, stavolta negli stinchi. Ma anche quella venne parata.
Sam rise, afferrandomi il braccio, per poi calciarmi l'addome. 
Mi ritrovai a sputare sangue anche io, mentre le mie budella si contorcevano dentro.
L'alfa mi buttò a terra con una spinta, quando Jacob era ritornato all'azione, provando nuovamente a colpirlo. Anche stavolta i suoi attacchi erano inutili. Poi, qualcosa mi fece raggelare decisamente le vene.
Sam aveva tirato fuori di nascosto un coltello (tanto per essere chiari, era un coltello giapponese, di quelli che tagliano alla grande!) e aveva creato un solco sul fianco di Jacob, senza che quest'ultimo se ne rendesse conto.
Se ne accorse tardi, toccandosi il fianco e gemendo un poco.
Il sangue gli stava macchiando la camicia. 
-Che.... Sleale....- mi sfuggì dalla bocca. Un istinto che nemmeno sapevo di avere si fece strada dentro di me.
Provai a gattonare verso Jacob, per vedere se la ferita era grave, ma non potei avanzare oltre. Sam mi aveva afferrata per i capelli, facendomi alzare dal terreno di poco.
Feci strisciare i mocassini sul terreno polveroso, mentre portavo le mani in alto, cercando di liberarmi dalla presa.
Dio se faceva male.
Strinsi i denti, trattenendo un urlo.
-Leah...- sospirò Jacob, fissandomi. Aveva avanzato di un passo, ma la mossa dell'alfa lo bloccò lì, facendolo assumere uno sguardo di puro terrore. 
E forse mi ci stavo riflettendo su quell'espressione, perchè aveva portato la lama del coltello all'altezza della mia gola.
Riuscivo a sentire il freddo acciaio sulla mia pelle, facendomi sudare freddo. Degluti, fermando i miei piedi imbizzariti.
-Ecco, vedo che hai capito, Black- ghignò Sam, divertito.
-Maledetto...- mi sfuggì di nuovo. Non lo avessi mai fatto.
Spostò il suo maledetto coltello, togliendolo dal mio collo. Ebbi un secondo per sospirare di sollievo, credendo che mi lasciasse andare, ma mi sbagliai.
In quel lasso di tempo avrei potuto benissimo dargli un calcio. Bastava solo alzare la gamba e colpire con la punta del mocassino sul suo naso.
Ma non feci nulla. 
Non ne ebbi il tempo.
Un Zac si librò in aria. Persi l'equilibrio, libera dalla sua presa. Alcuni ciuffi neri stavano volando al mio fianco.
Caddi finalmente sul terreno, ma non mi alzai per due secondi.
Sam sghignazzò più forte. Jacob mi fissava, spaesato, e terrificato.
Mi alzai goffamente con i pugni sul terreno, sedendomi con le gambe sotto il sedere. Tenni per un momento lo sguardo sulle mie mani, ma vidi solo quelle. Non c'erano più i miei lunghi capelli che coprivano la visuale.
Alzai lo sguardo in avanti. 
I capelli ora erano più corti, ognuno ad un altezza diversa dall'altro. In poche parole, erano un insieme di fili scoordinati. Guardai al mio fianco, dove stavano posati alcuni capelli tagliati.
Poi alzai la testa verso Sam.
L'alfa se ne stava andando via, vittorioso, ma intanto sventolava nella mano gran parte di quelli che un tempo erano i miei capelli.
I... miei...
Non so per quanto tempo rimasi così. Fatto stà che sentivo delle voci nella testa, foci fastidiose, come il ronzio di uno sciame di api.
-Ma che cavolo è successo?-
-Le ha tagliato i capelli?-
-Leah! Alzati, dai!-
-Jacob! Sei ferito!-
-Ah, non è nient...-
-Un corno non è niente! Dobbiamo portarti all'ospedale-.
-Leah! Porco cavolo, rispondi!-.
Alzai lentamente la testa. 
Jacob era ora affiancato dai suoi due amici, Quil e Embry. E tutti e tre mi fissavano sconvolti.
Mi alzai come mi aveva ordinato prima Super-Teppista, e anche loro si alzarono (Jacob con più fatica).
-Stai ... bene?- chiese lui, cercando di toccarmi una spalla. Mi allontanai un poco, sospirando un:-Sto bene, grazie. Pensa a te stesso piuttosto- e con quella spostai lo sguardo sul suo fianco sporco di sangue.
più lo fissavo, più mi si rivoltava lo stomaco. Mi pulì la bocca con la manica della divisa, afferrando poi la borsa.
-Voi due- dissi, rivolgendomi a Quil e Embry -Portatelo a farsi medicare subito-.
-Ci stavamo giusto pensando- disse Embry, reggendo l'amico che era sul punto di svenire. Jacob borbottò qualcosa, come un:-Schtio biene, cascio...-.
Quil lo aiuto e insieme lo portarono via.
Mentre i tre si allontanavano, scorsi la testa di Jacob voltarsi verso di me, con uno sguardo pensieroso.
Io voltai di scatto la testa. Non sapevo che razza di espressione avevo in volto e non volevo di certo farglielo notare.
Mi ritòrnò in mente il taglio che aveva subito. 
Se non fossi scesa di sotto per affrontare i bulli... Se solo non avessi preso il bigliettino e mi fossi fatta gli affari miei.
Jacob è stato così imbecille a farsi coinvolgere, ma ciò non vuol dire che non sia colpa mia. Mia e della mia sfacciataggine.
Per colpa mia lui si è fatto male e io mi ritrovo con i capelli tagliati, che arrivano a malapena fino alle spalle.
Ritornai dentro per prendere il giubbotto, e poi uscì dall'istituto, con il freddo che mi divorava le ginocchia e il vento che mi scompigliava la chioma. 
Evitai di guardare come si spostassero i ciuffi di capelli. Non lo avrei digerito tanto facilmente...

Angolo Autrice: E rieccomi qui con questo nuovo capitolo capitoloso (?).
Perdonatemi se ci sono errori grammaticali, ma purtroppo non ho più Word Art e questo Word che uso ora è uno schifo assoluto -.-
Quindi che dire.... lavoravo meglio prima, ero sicura se c'erano  errori o meno e ci mettemo meno tempo a correggerli, ma anche se lo leggessi mille volte non riesco a trovarli tutti. Accipigna!
Delyassodicuori

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Capitolo 6
*** 6_ Ricordi e Patti ***


6_ Ricordi e Patti
 
Sue Clearwater è sempre stata un portento in molte cose.
Secondo mio padre lei era in grado di cucinare una portata per 5 persone già a soli otto anni.
A nove anni sapeva medicare con grande stile qualsiasi ferita lieve, come un ginocchio sbucciato o il taglio all’indice che capita spesso quando si tagliano le verdure.
A soli quattordici anni era considerata come una specie di psicologa: tutti i suoi amici andavano solo ed esclusivamente da lei per confidarsi, per parlare dei loro problemi e ricevere così degli ottimi consigli.
In più, sempre secondo ciò che diceva un tempo papà, era la ragazza più carina del liceo.
Ricordo ancora come la descriveva mio padre: i capelli neri e lunghi fino alla vita, così leggeri da sembrare piume, così morbidi da reggere il confronto con un cuscino, così lisci che persino l’olio pareva un qualcosa di ruvido.
La sua pelle bronzea era liscia quasi quanto i suoi capelli, le lunghe e folte ciglia decoravano i suoi occhi scurissimi, ma capaci di illuminare e catturare lo sguardo di chiunque.
Ma stiamo parlando di diversi anni fa.
Con il passare degli anni Sue era leggermente invecchiata, ma non lo dava quasi mai a vedere, eccezion fatta per un piccolo ciuffo bianco  sbucato fuori l’anno scorso, proprio vicino all’orecchio destro. La sua pelle non è più così liscia come una volta, ma non ci sono nemmeno le rughe sul suo volto.
E gli occhi… non erano più così luminosi come un tempo.
Anche se il suo fisico è leggermente cambiato (ad esempio i suoi fianchi si sono fatti giusto un poco più larghi, ma forse c’entra anche con il fatto che ha partorito sia me che Seth), il suo carattere rimane sempre uguale.
Composta, ordinata, dolce e gentile con chiunque - basta solo non farla arrabbiare, ovvio, altrimenti diventa una persona completamente testarda, con gli occhi che vanno in fiamme e la lingua da serpente. In poche parole è una donna capace di calmare gli spiriti e di farli temere allo stesso tempo – una cosa che ho sempre ammirato di lei, che io non ho ereditato.
Anche il suo talento nel saper ascoltare le persone era invariato, stessa cosa vale per la capacità di curare ferite leggere e cucinare.
Io e Seth abbiamo sempre adorato i piatti che ci preparava, mentre papà era sempre pronto a buttarsi per primo sulla portata.
Riesce a rendere ottimo anche un pasto che, a prima vista, potrebbe essere rivoltante, come il Porridge. Io e Seth odiavamo l’avena e in particolar modo il Porridge - forse perché la prima volta che lo avevamo assaggiato ce le aveva cucinate la nostra nonna paterna, Julia, che al confronto con nostra madre, era un disastro con i fornelli. Ma la mamma una volta ce la preparò, assicurandoci che era l’esatto opposto di come la preparava la nonna. E aveva ragione. Era uno dei piatti più squisiti che la mia lingua avesse mai assaggiato. Se ci ripenso ogni tanto, riesco a ricordarne il sapore caldo di quella pappetta sul palato.
Era talmente buona che io, Seth e nostro padre ne chiedemmo una seconda porzione, poi una terza, e alla quarta la mamma fu costretta a zittirci con le cattive.
Nei momenti più tristi mi capita spesso di pensare alla sua cucina, e di sperare di mangiare subito qualcosa che sia stato preparato da lei.
Ed è forse la cosa che desidero di più in questo preciso momento.
Neanche il tempo di infilare le chiavi nella toppa della porta che già dalla finestra si sente un odorino squisito.
Annusai l’aria, assaporando quel profumo invitante.
Stava preparando del pollo? Forse pollo con contorno di patate e carote, una specialità di Sue.
Smisi di rimanere impalata li davanti a casa mia ed entrai.
-Sono a casa- urlai, chiudendo la porta alle mie spalle, poggiando la giacca e la sciarpa sull’appendiabiti.
-Era ora, signorina!- disse la mamma dalla cucina. Un rumore di passi mi disse che aveva mollato la sua arte per darmi una bella strigliata. Che spreco.
Sue camminò a testa bassa, entrando nel piccolo atrio, mentre si asciugava le mani con uno straccio bianco usato.
-Non ti rendi conto che è tardi per tornare a casa? Dove sei stata fin’or…- stava per dire, quando alzò la testa.
Per poco non cacciava un urlo, ma almeno ebbe la decenza di soffocarlo.
Ciò che però mi disturbava era avere il suo sguardo confuso ed incredulo su di me.
-L-Leah?- fece, avvicinandosi con cautela –Cosa hai fatto ai capelli?-.
-Oh, questi?- feci con un nonchalance decisamente troppo finto, prendendo tra l’indice e il pollice una ciocca corta. Prima di tornare a casa ero passata dalla parrucchiera che stava nella nostra zona, giusto per ordinare il taglio gratis che mi aveva concesso l’alfa dei Furious Wolpack.
Poi mi ero fermata davanti alla Library per studiare un poco in santa pace, sperando di scacciare via i brutti pensieri che mi balenavano nel cervello. E, senza rendermene conto si era già fatta sera.
-Nulla, ho solo voluto fare un piccolo cambiamento- mentì. La mamma, ovviamente non se lo bevve.
Molto probabilmente avrebbe voluto aggiungere qualcosa in proposito, ma quando guardò la mia espressione intuì subito che non era il momento adatto per parlarne. E che, anzi, non le avrei mai detto la verità su ciò.
Vi avevo detto per caso che era talmente comprensiva da far quasi venire il vomito?
Visto che continuava a rimanere zitta, decisi di rompere il ghiaccio con un argomento già più interessante:-Che hai preparato di buono? Si sente un profumo invitante anche fuori!-.
-Pollo al forno con patate e carote- spiegò lei, mantenendo sempre lo sguardo addosso a me.
-Fiù! Bene, ho una fame che non ci vedo!- sorrisi, massaggiandomi la pancia, come facevo solitamente quando ero piccola.
Mi avviai verso la mia stanza, salendo di fretta e furia le scale.
Quando arrivai al primo piano m’imbattei in mio fratello, sbucato di colpo fuori dal bagno.
Ci scambiammo un’occhiata e lui inarcò un sopracciglio.
-Cambio di look? Non male!- fece Seth, alzando il pollice.
Seth è sempre stato un po’ come nostra madre. Dolce, tenero e fottutamente gentile con chiunque.
I suoi capelli corti stavano ricrescendo, dandogli un aspetto ancor più amorevole e innocuo.
Ma ciò che faceva cascare la gente ai suoi piedi erano gli occhi, ancor più luminosi e allegri della mamma.
Per essere un ragazzino di soli quattordici anni e mezzo sprizza troppa tenerezza da tutti i pori!
In più, un’altra cosa che lo accomuna con Sue, è la sua incredibile capacità di comprensione. Gli basta guardare in faccia qualcuno per capire se è felice o, al contrario, triste.
Cosa di cui ero immensamente grata ad entrambi. In questo modo evitavo domande inutili e stressanti.
-Ti ringrazio, piccolo pestifero!- risi, accarezzandogli la nuca affettuosamente, mentre lui faceva una piccola smorfia divertita.
-Senti, mi puoi fare un minuscolo favore?- chiese, con lo sguardo più innocente del mondo.
Sospirai. Evidentemente non aveva ancora capito che questa tecnica funziona con chiunque… eccetto la sottoscritta e Sue!
-Seth, per l’amor del cielo!- esclamai esasperata-Sono appena tornata dopo una giornata pesante e al quanto deludente, lascia prima che mi sistemi un po!-.
-Ok, come non detto- fece il piccolo rompiscatole, alzando le mani in alto –Però gradirei un aiutino prima di cena-.
-Come vuoi- sorrisi, avviandomi finalmente alla mia stanza.
Una volta chiusa la porta buttai all’aria la borsa,  la giacca nera e le ballerine.
Mi sfilai dal collo la cravatta e mi fiondai sul letto, sdraiandomi a pancia in su, osservando  il soffitto sopra la mia testa.
Finalmente potevo togliere la maschera della finzione ed essere per almeno cinque minuti me stessa.
Feci un sospiro alquanto forte, tastando le mie ciocche.
Chiusi gli occhi, mentre un frammento di ricordo mi entrava nella mente e mi perforava il cuore.
 
 
 
La madre stava spazzolando allegramente i capelli della sua bimba, seduta sulle sue ginocchia, canticchiando una canzone gioiosa che alla piccola piaceva molto.
Il suo bambino più piccolo, venuto al mondo da ormai un anno, dormiva beato nella sua culletta, mentre il marito preparava una tazza di thè al limone.
La donna smise per un attimo di cantare, osservando attentamente i capelli della piccola.
-Sei sicura che non li vuoi tagliare?- chiese lei –Sono ormai troppo lunghi per una bambina della tua età-.
-No, mamma!- supplicò l’altra, voltando la testa verso la donna –Non voglio sembrare un maschio!-.
Il padre della bimba si mise a ridere, rovesciando per poco il thè.
Arrivò vicino alle sue donne, sedendosi accanto alla moglie, offrendole poi la tazza fumante.
Mentre lei sorseggiava con gusto, lui disse alla figlia:-Non sembrerai un maschio, Leah. Ci sono femmine che portano capelli molto più corti dei maschi-.
-Si, è vero…- sbadigliò lei –Ma una bambina una volta aveva detto che non sono molto femminili, e che per questo non riescono a trovare marito!-.
La madre per poco non si mise a sputare il thè dalle risate. Suo marito soffocò le sue.
-Ma scusa, da quando vuoi sposarti?- chiese infine.
La piccola Leah ci pensò un poco, dopo di ché si alzò e disse:-Non m’interessa il matrimonio!-.
-E cosa ti interessa, tesoro?- chiese finalmente sua madre.
Leah prese il fiato e annunciò:-Voglio diventare una principessa guerriera, con tanto di calci e pugni!-. Detto questo alzò la gamba in aria, imitando un calcio, poi un pugno, continuando così finché non colpì con un calcio la sedia, facendola cadere di lato.
-Si ma non distruggermi casa!- fece la donna, sbuffando. –Tu e il tuo kung-fu!- bisbigliò poi al marito, facendolo ridere di gusto.
Lui si alzò e si inginocchiò di fronte alla bimba, prendendola per le spalle e guardandola negli occhi.
-Facciamo così allora- disse –Tu lascia crescere i capelli, ma solo fino a quando non avrai perfezionato il tuo stile di combattimento. Quando succederà, allora dovrei tagliarti ben bene la tua chioma, così da lasciarla ricrescere per bene, d’accordo?-.
Leah rimase immobile, riflettendo sulla questione. Alla fine annui con forza un:-Ok!-, facendosi sfuggire anche un sorriso a trentadue denti.
 
-Papà?- chiese la piccola Leah, una volta che lui ebbe rimboccato le sue coperte –Ma se li taglio e non ho ancora trovato un marito? E se non dovessi piacere a nessun uomo?-
Lui sospirò esausto, ma con un leggero sorriso stampato in faccia.
-Adesso ascoltami bene, Raggi di Sole- disse, usando il nomignolo che le aveva dedicato da quando era nata –Ci sono milioni e milioni di uomini al mondo. Per forza a qualcuno dovrai pur piacere! E poi, se riesci a trovare un uomo che è capace di amarti anche se sei pelata o rasata a zero, tu sposalo immediatamente. Intesi?-.
Leah annui leggermente, mentre i suoi occhi si chiudevano e il padre le scoccava un bacio sulla fronte, augurandole la buona notte.
 
-Leah!- sentì bussare di colpo alla porta.
Aprì gli occhi di scatto, ritrovandomi di nuovo nella realtà. Mi sedetti a fatica sul letto, sbadigliando.
Mi ero addormentata? Anche per soli pochi minuti?
Cavoli, dovevo essere letteralmente sfinita!
-Leah? Puoi scendere per la cena, si o no?- chiese di nuovo Seth dal corridoio.
-A-arrivo- sbadigliai di nuovo, alzandomi con una certa fatica.
Il sogno, anzi, il ricordo, continuava a perseguitarmi anche ora che ero (poco) lucida.
Sentivo ancora il cuore che si stringeva su se stesso, provocandomi un male al petto allucinante.
Mi tastai le guance, accorgendomi solo ora che erano impregnate di lacrime.
Mi asciugai in fretta e aprì la porta, ritrovandomi così un Seth con il pugno alzato, pronto per bussare di nuovo.
-Quanta fretta hai?- chiesi, chiudendo la stanza e scendendo con lui le scale.
-Ti sei addormentata, eh?- chiese una volta arrivati al pian terreno.
-Cosa te lo dice?-
-Le tue occhiaie- e con questa frase mi indicò la faccia. Bene.
-Ho fatto riposare gli occhi…- dissi, ma lui mi rinfacciò di colpo:-Ce li hai rossi!-.
Non risposi a questa affermazione, ignorando il fatto che mi sono messa a piangere nel sonno.
-Senti- disse Seth, bloccandosi di colpo, sulla soglia della cucina –Io e mamma non ti chiediamo quasi mai nulla per non soffocarti o cose simili, ma se c’è una cosa che ti devo proprio dire, è che non sei sola. Puoi sempre confidarti con noi, lo sai!-.
Un soprannome adatto a mio fratello in momenti come questi? Intelligente! O forse dovrei dire troppo Sveglio!
Ha ragione da vendere, comunque.
Di solito loro non mi fanno spesso domande che mi possano turbare, e negli ultimi tempi non lo fanno proprio.
Ma era chiaro lontano un miglio che erano in pensiero per me.
Lo leggevo nei loro occhi, giorno dopo giorno.
Sorrisi al piccolo impiastro dal faccino tenero, scompigliandoli la chioma.
-Non ti preoccupare- dissi teneramente –Io sto bene-.
Seth non sembrava convinto – lo diceva soprattutto la sua smorfia, cosa che faceva di solito quando capiva che gli stavano dicendo una grossa balla.
-Però…- fece eco lui, quando alzai la mano per zittirlo:-Vi dirò io di mia iniziativa se ho qualcosa che non va, ok?-.
Lui annui, ancora insicuro, scrollandosi le spalle – leggermente larghe per uno della sua età!
-Alla fine però il favore non me lo hai fatto!- sbuffò leggermente.
-Sai che ti dico?- dissi, ammiccando –E’ ora che impari a fare la matematica da solo,, geniaccio!-.
-Crudele!- lagnò per finta, mentre io gli facevo la linguaccia.
Entrammo finalmente in cucina, con mamma che ci aspettava seduta al tavolo.
Davanti a lei c’era un enorme pollo arrostito, circondato da qualche fogliolina d’insalata, fette di patate e carote.
L’olio che copriva il petto dell’animale era così lucido che qualcuno poteva specchiarsi su di essa.
E il profumo era talmente invitante che scordai per un attimo il piccolo dialogo tra me e Seth.
-La prossima volta che arrivate tardi voi due, non vi preparo più niente!- minacciò Sue, facendoci gelare il sangue per un millesimo di secondo.
Durante la cena parlammo tra di noi del più e del meno, ma nessuno della mia famiglia mi fece domande stressanti o robe simili, cosa mi aspettavo continuamente.
Mi ero rimessa addosso la maschera della felicità, facendo credere a loro di essere serena e allegra… o per lo meno ci provavo.
Ogni tanto mi lanciavano delle occhiate, ma duravano sempre meno di due secondi.
E, una volta al letto, potei finalmente respirare e togliermi di dosso la maschera della finzione.
Non so per quanto tempo piansi, e non so nemmeno se ho continuato anche mentre dormivo, ma una cosa era sicura: stavolta non ho sognato nessun ricordo. Stavolta, nel sogno, c’era Jacob Black che mi difendeva da Sam nonostante il suo taglio che grondava di sangue.
 
La mattina dopo faceva un freddo insopportabile.
E, da perfetta imbecille che sono, mi ritrovo costretta per forza a prendere la metro.
Purtroppo non avevo l’abbonamento per il bus, e non potevo di certo sprecare così i soldi per l’abbonamento della metropolitana. Se lo avessi fatto, prima o poi Sue se ne sarebbe accorta, e allora si che sarebbero nati dei problemi.
Per mia fortuna il vagone non era così pieno. I posti a sedere erano quasi tutti occupati, ma non c’era nessun in piedi.
“Sarà un viaggio tranquillo” pensai, per poi rimangiarmi subito ciò che mi ero appena detta.
Alla prima fermata, subito dopo quella di casa mia, era salito proprio il ragazzo che non volevo incontrare.
Jacob non indossava stavolta nessun cappello, ma aveva una sciarpa rossa avvolta intorno al collo, con il lembo che scivolava lungo il petto, sopra il giaccone.
Ci scambiammo per un attimo un’occhiata, poi, quando le porte si chiusero, Super-Teppista andò a sedersi nell’ultimo posto rimasto.
Io volsi lo sguardo sul pavimento, ripensando all’accaduto di ieri.
Mi venne quasi la pelle d’oca solo a pensarci, così mi strinsi le braccia, incrociandole sotto il petto.
Per qualche minuto rimasi immobile, a fissare i finestrini, ma poi spostai la mia visuale su Jacob. Mi stava ancora fissando.
E il suo sguardo la diceva lunga.
Non sembrava arrabbiato o infastidito. Solo…. Dispiaciuto?
Merda. Ora che ci penso aveva quest’espressione quando mi aveva fatta cadere a terra, sia alla metro che a scuola. Anche quando ce le davamo di santa ragione quello stesso giorno in palestra.
E quando Sam mi ha tagliato i capelli.
D’accordo. Questa storia sta durando fin troppo per i miei gusti.
Dovevo risolvere la faccenda, ma come?
Non potevo di certo vedere ancora quell’espressione sul suo volto.
La metro si fermò finalmente alla nostra fermata. Insieme ad altri perfetti sconosciuti scendemmo dal vagone.  M’incamminai in fretta verso le scale mobili, quando la voce di Jacob si alzò sopra il vociare della gente:-Leah! Aspetta un attimo!-.
Mi fermai, aspettando che mi raggiungesse. Cosa voleva ora?
Il suo sguardo non era cambiato di una virgola. Una volta che mi affiancò, riuscì a percepire una certa tensione attorno a noi.
Era agitato, poco ma sicuro.
E forse lo ero pure io…
-Ehm… Come…. Come va?- chiese infine, grattandosi la testa. Evitai di guardarlo per timore di farmi chissà quali fantasie (esattamente come durante il compito di ieri), rispondendo con un secco:-Bene. Non preoccuparti-
Jacob rimase per un attimo zitto, ma teneva ancora i nervi tesi.
-E la ferita?- tagliai corto io, rompendo il ghiaccio.
-Ah, beh, meglio direi- disse, sfoggiando un sorriso alquanto nervoso. Si diede un colpetto nel fianco, proprio dove Sam Uley lo aveva colpito, per poi aggiungere:-Sono molto resistente, io!-.
-Ma se stavi svenendo…- sbuffai.
-Uh… sul serio? Non me n’ero accorto….- fece lui, ridendo nervosamente.
Uscimmo fuori dall’Underground e, una volta che l’aria gelida di Dicembre mi colpì dritto in faccia, mi voltai verso di lui. I miei capelli, seppur corti, lottavano tra di loro proprio davanti alla mia faccia, spinti dal vento che soffiava alle mie spalle.
Con una mano allontanai qualche ciuffo dagli occhi, e, finalmente, potei parlare con Jacob:-Ok, stammi a sentire. Io … ho una proposta!-.
Teppista-Superman, che fino a un secondo fa mi fissava, come se fosse incantato, si scrollò il capo, facendomi eco:-Una… proposta?-.
-Esatto- annui –Diciamo che… dovremo tenerci alla larga l’uno dall’altro. Ok?-.
Lui rimase immobile. Forse doveva ancora comprendere il significato delle mie parole.
-Cioè dovremo stare lontani tra di noi- spiegai (magari non ci arrivava facilmente) –Tu stai alla larga da me, e io mi tengo lontana da te!-.
-Ho capito il senso, prof!- fece lui, leggermente offeso –Bah, se ne sei sicura….-.
-Allora affare fatto?- feci, allungando la mano verso di lui.
Jacob ci pensò su, per poi allungare la sua verso la mia. Oggi avevo dimenticato i guanti a casa, per cui dovevo avere di certo la mano gelida – già è tanto se è indolenzita dal freddo, capirai.
Fatto sta’ che la mia pelle incontrò la sua (anche lui senza guanti?!?), le nostre mani si unirono, firmando così il patto appena stabilito.
Eppure…. Avevo una strana sensazione…
La mia mano fino ad un attimo fa era gelida e tremante, quasi come un pezzo di ghiaccio, ma ora… era calda e ferma. Anche la mano di Jacob era calda, anzi, bollente.
Forse mi stava trasmettendo, attraverso questo contatto, giusto un poco di calore?
Arrossì di colpo, mollando così la presa, mentre il battito del mio cuore non la smetteva di accelerare. Dio santo, Leah, ma cosa ti prende ora?
Jacob mi guardò per un momento, anche lui stranamente rosso sulle guance, ma poi sbuffò allegro, con le mani a coppa dietro la nuca.
-Però dopo non venire da me a piagnucolare, Karate Girl!-.
-Oho, sognatelo!- gli risposi in modo acido, tuttavia, non si offese della mia risposta, anzi, si mise a ridere.
 
 
 
 
Angolo Autrice: scusatemi tanto per questo incredibile ritardo.
Essendo al campeggio e senza pc, non potevo scrivere nulla…
E scusatemi ancora se il capitolo è venuto corto TT_TT
Cercherò di fare il prossimo un pelo più lungo.
Un bacio a chi mi segue,
Delyassodicuori

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Capitolo 7
*** 7_Regali di Natale ***


7_ Regali di Natale
 
LEAH
 
 
-Ma perché, scusa?- latrò Alice, cercando di essere convincente con quell’espressione da gattina frustrata.
-Il cioccolato fa ingrassare, sveglia!- ripeté per l’ennesima volta Rosalie, sul punto di perdere la pazienza.
-Sei esagerata! Lo sai che ci sono persone che dicono che il cioccolato fa l’effetto opposto?-
-Leggenda-
-Sei noiosa, Rose!- fece la nana, per poi rivolgersi a me:-Tu cosa ne pensi, Leah? Il cioccolato fa male o fa bene?-
-Entrambi- risposi subito, senza staccare gli occhi dal finestrino –Allieva il dolore e ti rende felice e “dolce”. Ma, come ha puntualizzato Rosalie fino a farmi venire il vomito alla gola, fa ingrassare!-.
-Scusa, Leah, ma come fai ad esserne così certa?- chiese di nuovo lei, senza staccare i suoi occhietti da gatta sulla mia faccia. E io, d’altro canto, continuavo a fissare i palazzi ai lati della strada. Ormai eravamo vicini al National Gallery, dove avevamo appuntamento con Bella. –Non è che invece le persone ingrassano perché mangiano troppo?-.
-Cos’è? Siamo alle elementari, adesso?- sghignazzai, facendola rimanere muta da quel secondo in avanti.
Io e le ragazze avevamo deciso di uscire per la città questo weekend, soprattutto per fare un bel po’ di spese natalizie. Ormai le vacanze erano alle porte, e presto avrebbero bussato in ogni angolo del mondo.
Assieme a Rosalie e Alice avevo preso il bus rosso a due piani, così da raggiungere la piazza della National Gallery. Bella si era assolutamente rifiutata di salire sul bus. <<Ho un pessimo equilibrio>> diceva <<Per cui scordatevelo che salgo su uno di quei cosi rossi! E poi ho l’auto!>>
Già, peccato che non ci sia quasi mai un posto per parcheggiare, stavo per dirle, ma a quel punto lei si era già dileguata, lasciando noi tre nel corridoio, vicino all’aula della Proff.sa Denali.
Ognuna di noi aveva delle idee abbastanza chiare sui regali da fare agli amici e parenti, ma avevamo anche intenzione di girare un po’ intorno, di andare anche a prendere un caffè da Starbucks, e (idea di Alice) di passare al grande negozio degli M&Ms. Ma la risposta di Rosalie era stata chiara quanto i suoi capelli e la sua pelle. Lei odiava il solo pensiero di dover assumere anche un solo grammo di troppo. La biondina ci teneva alla linea più di tutte noi.
Mentre il bus svoltava alcuni vicoli, passammo davanti ad un negozio dove vendeva i vari attrezzi sportivi, dai tapis roulant ai manubri di ferro, dalle t-shirt alle scarpe da tennis, e per finire numerosi palloni di svariati sport: calcio, pallavolo, basket, rugby, ecc.
Per qualche ignota ragione, al solo vedere quella palla da basket la mia mente si spostò su Jacob.
Dal giorno del patto, ci eravamo visti di rado fuori dalle lezioni, e in classe evitavamo persino di guardarci negli occhi. Non ci siamo più parlati dalla metro. Lui rispettava il patto come lo rispettavo io. Da quel momento era scesa la calma tra di noi, ma anche una strana tensione.
Lo notai la prima volta a mensa, quando arrivai con Bella per prendere il mio pranzo.
A due tavoli di distanza intravidi Jacob, e in quel preciso momento, lui riuscì ad individuarmi. Mi fissò per una manciata di secondi, aprì la bocca, ma poi la richiuse subito ed evaporò via dalla mia visuale.
Capì all’istante che avrebbe voluto dirmi qualcosa, forse un saluto o una presa per i fondelli, ma doveva essersi ricordato dell’accordo che avevamo preso solo in quel momento, per cui si era ricacciato dentro ciò che voleva far uscir fuori.
E, per poco, anche io ero vicinissima a rompere il vello trasparente che si era creato in mezzo a noi.
Era durante l’ora di biologia, e dovevamo fare a gruppo con il nostro compagno di banco per esaminare con una lente i componenti di una conchiglia, di una foglia e di una lucertola morta.
Alla sola vista di quella creatura, Alice era rimasta impalata, fredda e gelida come una statua di ghiaccio. Rosalie aveva strozzato in gola un urlo, e Bella era corsa in bagno a vomitare (con il ragazzo Edward alle calcagna). Anche io ero rimasta abbastanza sconvolta nel vedere il cadavere (seppur fresco) della lucertola, ma trattenni le mie emozioni e cercai di fare il mio lavoro. Jacob fissava la creaturina morta, evidentemente disgustato, ma non dava segni di cedimento come le altre. Era calmo, esattamente come me.
Stavo quasi per aprire bocca, per parlargli (più precisamente gli volevo chiedere di passarmi la lente che stava dalla sua parte), ma poi mi trattenni, tenendo fede al patto. Jacob intuì cosa volevo da lui, perché poi mi passo la lente, senza guardarmi in faccia, senza proferire una sola parola.
Era stata una lezione imbarazzante, è vero.
Mai in tutta la mia vita mi ero sentita così nervosa stando in silenzio accanto a qualcuno, ben sapendo che dovevo persino ignorarlo.
Quando la campanella suonò alla fine della lezione, Teppista-Superman era sgusciato via dall’aula come un serpente scattante, lasciandomi completamente sbieca.
L’ultima cosa che ricordavo della giornata era il consiglio che mi diede Rosalie mentre prendevo la mia roba.
-Ignorarvi a vicenda va bene- disse –Ma non fare una cosa esagerata. Più va avanti così, più uno di voi due scoppierà prima che lo faccia l’altro-.
Non aveva tutti i torti, ma la cosa era fatta, ormai, e io non ci potevo far nulla.
Arrivammo finalmente alla piazza della National Gallery. Il vento invernale mi schiaffeggiò il viso, cercando di rubarmi via la sciarpa rossa. Me la strinsi a me, affondando il naso su di essa.
-Certo che è un freddo cane oggi!- disse la bionda mentre si sfregava i guanti di lana azzurro. Le sue ciocche biondo-platinate danzarono con il vento, quasi a creare un gioco di luce armonioso e grazioso – in confronto al mio gioco di capelli, che sembravano più i capelli di una vecchia megera.
-Dove credete che si sia cacciata Bella?- chiese Alice, mentre si sistemava la borsa, guardandosi attorno.
-Ragazze!- sentimmo urlare a qualche metro da noi. Bella correva dalla nostra parte, con le nuvolette di anidride carbonica che fumava dalla sua bocca rossa.
Era vicina a raggiungerci… ma poi inciampò sul suo stesso piede, finendo con la testa sul terreno, le gambe e i capelli marroni all’aria, le braccia in avanti.
Era la caduta più stupida che si potesse vedere. Come fa una persona ad inciampare così?
La aiutammo a rialzarsi (non senza farci prima due risate) e lei si aggiustò il cappotto nero, togliendoli di dosso la polvere.
-Niente di rotto, spero!- fece Alice, sorridendo, senza tradire però un pizzico di timore.
-No no- rispose la goffa –Per un attimo temevo di essermi storta la caviglia…-
-Sei il peggio dei peggio, tu!- sospirò la bionda, portandosi una mano sulla fronte e scuotendo la testa.
-Scusate…- Bella si fece piccola piccola. Era abbastanza timida, la ragazza con la faccia a forma di cuore.
Le diedi una leggera pacca sulla spalla per incoraggiarla e ci avviammo verso i negozi.
Rosalie ed Alice erano fissate con gli abiti ad alta moda, con i trucchi, borse e le scarpe, cose che né e me né a Bella interessavano granché.
Ma visto che dovevamo fare dei regali, entrammo anche noi in alcuni negozi (quelli che ci sembravano più convincenti dall’aspetto), cercando un qualsiasi cosa che potesse interessarci.
Qualcosa per Seth la trovai già da subito. Era una maglia dei Linkin Park, con il gruppo stampato in bianco e nero sulla stoffa scura e la scritta grande e bianca ai loro piedi.
Per Sue trovai una maglietta carina color cachi qualche negozio dopo.
Mentre per Emily fu molto più arduo, ma riuscì a trovare (con chissà quale miracolo, poi) un libro che lei era interessata a leggere, ma che non lo trovava mai da nessuna parte.
Emily era la mia cugina di secondo grado, ma io e lei ci siamo sempre viste più come sorelle che come semplici cugine. Vive a due passi da casa mia ed è un poco più grande di me. Nonostante il fatto che abiti qualche casa più a destra, io e lei ci siamo viste molto di rado negli ultimi tempi.
Lei era sempre impegnata con il suo nuovo lavoro, mentre io avevo già altri miei problemi a cui badare, all’epoca.
Quando andai alla cassa e spiegai al commesso la faccenda del libro, lui si fece sopra una risata e disse che non era uno di quei libri che interessava molto alla gente, perciò non si trovava quasi da nessuna parte di Londra – tranne in questa libreria, a quanto risulta.
In quella stessa libreria per poco Bella non ci si affogava. Se Alice e Rosalie avevano la fissa per la moda, lei era una patita dei libri.
Una volta mi aveva persino spiegato che doveva farsi dei scaffali nuovi per contenerli tutti.
Prediligeva più sui generi storici, romantici e sentimentali, talvolta anche drammatici.
-A te non piacciono i libri, Leah?- mi chiese non appena finì l’acquisto, quando tornai dentro da lei.
-Si, ma non li leggo molto spesso- ammisi –difficilmente una storia riesce a prendermi-.
-Che generi ti piacciono?- domandò Bella, mentre cercava un titolo tra la sezione dei libri di genere sentimentale. –Bah- risposi, scrollando le spalle –Avventura e Horror, per la maggior parte, ma anche Fantascienza non è male-.
-Hai il cuore forte e coraggioso, vedo- mi sorrise, tornando poi alla sua ricerca ossessiva.
-Ma perché non leggi così spesso? D’accordo che difficilmente una storia ti prende, ma ce ne sono così tante che è impossibile contarle. Hai poco tempo? Ti annoiano così tanto? Leggere è davvero bello, te lo dico io-.
-Lo so- dissi, grattandomi la nuca –Mio padre mi leggeva tanti libri quando ero piccola, e ogni tanto mia madre si inventava una storia diversa-.
-Molto meglio- rispose Bella, trovando finalmente il suo libro. Lo voltò, leggendo il retro, per poi stringerlo per bene tra le sue grinfie. –Soffermarsi sempre sulla stessa storia diventa noioso dopo un po’. A me piace ascoltare e leggere molte altre storie, o leggende, o fatti che potrebbero essere realmente accaduti. Impari sempre qualcosa di nuovo dai libri, lo dico sempre-.
“Peccato che i libri e la realtà siano una cosa completamente diversa. Un po’ come il ghiaccio e il fuoco. Non andranno mai in sintonia tra di loro”, ma questo evitai di dirlo.
-Tu hai una storia preferita?- le chiesi. Isabella ci pensò su per un attimo, per poi rispondere:- Romeo e Giulietta, Orgoglio e Pregiudizio, Cime tempestose… sono le mie preferite!-.
Sorrisi a quella risposta. Anche a me piaceva molto Romeo e Giulietta, ma anche adesso il finale mi lasciava sempre perplessa. Perché l’amore dovrebbe essere così dolce da spingere due persone ad amarsi, per poi diventare spietato, spingendole alla morte?
Certo che è una cosa strana, l’amore. In molti sottovalutano questo sentimento, come se fosse una cosa passeggera. Altri invece la prendono con molta più serietà. Altrimenti di certo non esisterebbero i matrimoni e non nascerebbero mai i bambini.
Ma, anche in quei casi, l’amore può dissiparsi, spegnersi, estinguersi, come un fiore che si ritrova ad avere i petali anneriti, che si staccano pian piano da esso, spogliandolo, lasciandolo ad una solitudine fredda e buia.
Le altre ci stavano aspettando fuori, discutendo su quale taglia stava meglio ad una, su quale colore avrebbe risaltato meglio i capelli dell’altra.
Quando ci videro, Alice sbuffò:-Ne avete messo di tempo, voi due!-.
-Non è che anche tu ci diventi una mangiatrice di libri, Leah?-.
Scossi la testa, assicurandole che non sarei mai riuscita ad arrivare ai livelli di Bella Swan.
Continuammo il nostro giro, facendo un salto da Starbucks,  prendendoci due cappuccini (me e Rosalie) e due cioccolate (Bella e Alice, che si dovette accontentare solo di quello e scordarsi degli M&Ms).
Mentre camminavamo tranquille e allegre per le strade, i miei occhi si posarono al negozio sportivo di prima. Ci stavamo passando proprio accanto.
Mi bloccai lì, fissando la palla da basket, come se una specie di calamita sconosciuta ed invisibile mi attirasse a quella forma sferica.
Le altre si fermarono dopo due passi, affiancandomi.
-Giusto, tu sei una ragazza sportiva!- ricordò Alice, guardando l’interno del negozio.
Io annui, continuando a non staccare gli occhi dalla palla.
Perché il mio istinto mi diceva di comprarla?
-Leah- fece Rose alla mia destra –Perché non ti prendi un paio di scarpe da tennis nuove? Ho notato qualche giorno fa che le tue sono consumate…-
-No- risposi immediatamente, tornando con la testa alla realtà. –Niente scarpe nuove-.
-Come?- domandarono lei e Alice, confuse. Bella mi guardò semplicemente, curiosa.
-Come spiegarlo…?- dissi, mezza imbarazzata –Sono… le mie scarpe portafortuna, ecco-.
-Scarpe portafortuna?- ripeterono in coro la bionda e la nana.
-Beh, si…- continuai –Con altre scarpe non riesco a correre bene, nemmeno con quelli della divisa scolastica. Mentre con quelle che ho corro decisamente più veloce-.
Forse mi prendevano per pazza, ma era la verità. Ed era con quelle scarpe che avevo battuto Teppista-Superman più di una volta.
-Sembra un po’ stupido…- disse la lingua tagliente di Rose, quando Bella la bloccò subito:-Avere un portafortuna non è mica stupido!-.
-Come tu con il tuo colore marrone?- rinfacciò la nana.
-Certo!- fece Bella –Il marrone è un colore caldo. Non sopporto l’idea del freddo, per questo per la maggior parte del tempo mi vesto con colori tendenti al marrone, no?-.
Sorrisi. Mi avevano raccontato una volta la storia di Bella. I suoi genitori si erano separati dopo solo un anno dalla sua nascita, e sua madre si era trasferita con lei in America. Più precisamente in Florida. Bella era abituata sin dall’infanzia al caldo, al sole, al cielo limpido e azzurro, l’esatto opposto della grigia, piovosa e fredda Londra.
Lei stessa adorava la Florida, ma sua madre aveva trovato un compagno nuovo (che tutt’ora mi sfugge il nome) e si erano sposati. Bella non voleva stare troppo di mezzo, così si era trasferita a Londra a quattordici anni per vivere qui con suo padre.
Quando lo avevo saputo, non ero riuscita a dominare l’impulso di chiederle se invece non era meglio stare in Florida, visto che starnutiva continuamente e si copriva peggio di un eschimese. Ma lei quel giorno aveva semplicemente scosso la testa con un sorriso tenero stampato in faccia, affermando che se non si fosse trasferita qui, non avrebbe mai conosciuto Alice e Rosalie e me, e soprattutto, non sarebbe stata con Edward.
-Ma Leah- fece Alice, riportandomi alla realtà –Se non vuoi delle scarpe nuove, perché fissi la vetrina come una drogata?-
-Ho davvero questa espressione?- mi ritrovai a ridere senza una minima ragione. Di colpo, i miei piedi cominciarono a muoversi da soli. Senza rendermene conto, ero già dentro il negozio, con una bella palla da basket in mano. Era liscia al contatto, di un colore più acceso rispetto alle altre palle da pallacanestro. Era un colore tendente al rosso fuoco.  
Quando la mia mano la toccò (e mi ero tolta i guanti, per qualche strana ragione), sembrava quasi che la sua tonalità mi trasmettesse il suo stesso calore attraverso la pelle, poi sui nervi, arrivando dritto al mio cuore.
La comprai ancor più in fretta di quanto avessi creduto.
 
 
JACOB
 
La campanella suonò, e nello stesso attimo in cui si sentì il suo suono squillare per tutta la scuola, gli studenti si alzarono dalle sedie, urlando, ridendo, dandosi pacche sulle spalle, augurandosi buone festività. ”Accidenti “ mi ritrovai a pensare “Neanche fosse estate!”
Mi alzai, raccogliendo la roba e uscendo dall’aula assieme agli altri studenti.
Trovai Quil subito fuori, mentre sbatteva i piedi per terra, entusiasta.
-Qualcosa mi dice che hai superato la verifica- azzardai, dandogli una pacca sulla spalla.
-Esatto!- per poco non si ritrovò a squittire dalla gioia -Sai dove può essere Embry? E’ tutto il giorno che non lo vedo!-.
Camminammo per po’, svoltando l’angolo. Risi alla sola vista di una coppia che si slinguazzava appoggiata ad un armadietto.
-Cosa?- fece Quil, fissandomi, confuso.
-Eccolo!- risi di nuovo, indicando con l’indice Embry, attaccato alla ragazza dai riccioli biondi e lunghi. La mano sinistra di lui era poggiata all’armadietto, l’altra che palpava con calma il petto abbondante di lei. Quest’ultima sembrava ritrovarsi davanti a sé l’imbarazzo della scelta. Non sapeva se doveva toccargli i capelli, o il torace, o il cavallo.
Quil per poco non si ritrovò a strozzarsi con la sua stessa saliva.
A quanto pare, vedere le loro bocche quasi aperte, con le loro lingue che si esploravano a vicenda, non doveva essere uno spettacolo entusiasmante per lui.
-Ma… non era fidanzato con quella mora…- fece Quil, pallido in faccia –Quella con gli occhi azzurri… come si chiamava?-.
-Amber?-dissi, asciugandomi un occhio.
-Appunto! Questa di certo non è Amber!-
-Questa di certo si chiamerà Lola!-
-Come diavolo fai a dirlo?-
-Lo conosci, Quil. Ha dei gusti bizzarri!-
-Ma sta zitto, Black!- fece Embry, rivolgendo il suo ghigno compiaciuto a me. La ragazza sembrava decisamente scossa. –E comunque, si chiama Tiffany!-
Era meglio Lola!” Pensai, ridacchiando. Lasciammo il nostro compare alle prese con Tiffany, raggiungendo l’uscita.
Il nonno di Quil lo aspettava come sempre al parcheggio con la sua auto d’epoca blu, una Volkswagen Maggiolino degli anni ’70.
Quando orami rimasi da solo, circondato da altre facce giovani, m’incamminai verso l’Underground.
Arrivai finalmente alla fermata, in attesa della metro. Credevo di essere l’unico a dover aspettare quella linea. Ma non ero solo.
Leah Clearwater, alias Karate-Girl, era appoggiata con la schiena ad una colonna massiccia e quadrata, rivestita (come il resto delle pareti e le altre colonne) di mattoni rossi sbiaditi.
La ragazza fissava i binari, senza però guardarli per davvero. Sembrava assorta dai suoi pensieri.
Mi avvicinai, bloccandomi a due braccia di distanza da lei. Solo allora notò la mia presenza.
Voltò la testa verso di me, guardandomi, ma non aprì bocca. Quando la squadrai con la coda dell’occhio, lei tornò con lo sguardo ai binari, stranamente rossa sulle guance.
Persino da quella distanza percepivo la solita stressante tensione che c’era tra di noi.
Grazie alla simpaticona in questione, si era alzato un vello trasparente, con il solo e unico scopo di separarci.
Era una grande idea, inizialmente.
In questo modo non avremo dovuto lottare sempre tra di noi.
Eppure, più i giorni passavano, più la cosa diventava insopportabile.
Avevo il bisogno di dirle qualcosa, magari anche di prenderla in giro. Ed era quello che voleva fare anche lei. Lo si capiva dallo sguardo.
Forse anche lei si stava pentendo della sua idea…
Scossi la testa, ritornando in me.
“Idiota” mi dissi. Perché mai una come lei vorrebbe rivolgermi la parola?
-Jacob-.
Mi voltai di scatto, fissandola.
Era più vicina a me, gli occhi fissi sui miei, la bocca piegata in una specie di smorfia. Eppure il suo viso sembrava più rilassato rispetto a prima.
Ci impiegai mezzo secondo per rendermi conto che mi aveva appena rivolto la parola!
Mi aveva chiamato persino per nome!
E ‘sti cazzi!” mi dissi.
-E chi lo avrebbe mai detto?- feci invece, sorridendole in modo provocatorio –La persona che idea il patto lo infrange appena iniziano le vacanze natalizie!-.
-Idiota- la sentì bisbigliare, poi si ricompose, scuotendo la testa e i suoi capelli corti.
-Cosa vuoi allora?- domandai. Che situazione assurda. Il vello era scomparso, ma la tensione rimaneva leggermente incalzante. Però… eravamo entrambi già più rilassati nonostante tutto.
E’ difficile descrivere ciò, ma… il solo fatto che mi abbia rivolto la parola, mi fece sentir bene.
Leah tirò fuori da dietro la schiena una busta di carta nera e blu, porgendomela, senza staccare gli occhi dai miei.
Avrei potuto affogarmici dentro, in quelle iridi che ricordavano tanto il cioccolato fondente. In quelle iridi calde e determinate allo stesso tempo…
Esitai un istante, dopo di ché lei m’incalzò con un:-Non morde, sai?-, e così presi la busta, frugandoci dentro.
Tirai fuori una palla da basket, rossa come il fuoco, dalla superfice liscia.
Era leggera. Palleggiai due volte, stando ben attento a non far finire la palla in mezzo ai binari.
Fischiai, complimentandola con un:-E’ ottima. Ma perché mi stai dando una palla?-
Lei divenne di colpo più rossa in faccia, rossa quanto quella palla da basket che tenevo con una mano.
-Cretino!- per poco non urlò dalla rabbia, stringendo i pugni –Quello è per scusarmi con te!-.
-Cosa?-. Forse avevo sentito male.
-Per. Scusarmi. Con. Te!- scandì lei –Non sono stata molto educata quando ci siamo incontrati, e ti avevo ridotto ad uno straccio il primo giorno. Poi quella volta con Sam Uley… ti sei procurato quella ferita a causa mia, e mi sento responsabile per ciò. So che una stupida palla da basket non è molto, ma…-
-Ehi, ehi, calma, prendi fiato!- le sorrisi, zittendola. Leah obbedì, ancora con lo sguardo addosso a me.
-Beh… è tutto…- disse lei, un attimo prima che arrivasse la metro. Quando le porte si aprirono, Karate-Girl corse fino all’ultimo vagone in vista, schizzando dentro di colpo.
Poi però fece sbucare fuori la testa, urlando un:-Accettalo almeno come regalo di natale! Auguri Super-Teppista!-, e infine rientrò, lontana dalla mia visuale.
Sentì il mio sorriso farsi più ampio, occupando tutta la faccia. Entrai dentro, un secondo prima che le porte si chiudessero.
E questo è solo l’inizio!” pensai. Qualcosa, nella mia mente, mi diceva che questo sarebbe stato un anno molto lungo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: *scappa via da coltelli e forconi voltanti*
Si, lo so, non ho scritto un tubo fino ad ora, e mi dispiace.
Il problema è che ho mille pensieri per la testa, e ho avuto poco da fare per questo capitolo.
E’ inutile che dica “cercherò di fare prima” perché non finirà così. Mi conosco troppo bene XD
Quindi alla prossima.
Delyassodicuori

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Capitolo 8
*** 8_Lezioni di vita? ***


8_ Lezioni di vita?
 


Ma che cosa diavolo mi era preso?
Regalare una stupida palla da basket a quel teppista? Dovevo essere proprio scema per fare una cosa tanto assurda!
Durante le vacanze natalizie avevo mille pensieri per la testa, e tra di loro rientrava proprio questo.
Mi premeva nel cervello da ché ero entrata dentro la metro, scattante come un lampo.
Mi ero seduta subito dopo, cercando di controllare la mia respirazione. Sembrava quasi che avessi dimenticato cosa fosse l’ossigeno. Mi ero anche tastata le guance, notando con orrore che erano bollenti come la lava! Mi ero scrollata la testa, cercando di non pensare più a quella figura, ma il ricordo persisteva, anzi, mi premeva nel cuore, insistendo a farmi bere con forza l’immagine del viso di Jacob, di quel suo ghigno malizioso, ma allo stesso tempo sensuale…
Arrivata a casa avevo contato ben dieci schiaffi sulle guance, anche se non erano servite a nulla, se non a farmi sembrare ancora più rossa, facendo preoccupare Sue – per poco non mi metteva un termometro in bocca, convinta che mi fossi beccata la febbre.
Il resto delle vacanze era passato in modo tranquillo.
Ogni tanto ricevevo delle telefonate da Alice, Bella e Rosalie, oppure le chiamavo io. Ci siamo viste piuttosto di rado, anche perché ognuna di noi aveva un sacco di impegni con le famiglie ecc.
Sue si era superata alla grande con la cena di Natale.
Il suo tacchino con contorno di patate e insalata era finito tutto quanto divorato da me, Seth e Emily, mentre Sue e mia zia Susan si davano una certa regolata con il cibo.
<<Ho già i fianchi troppo larghi, non vorrei avere anche le scale alla pancia!>> aveva detto la mamma.
Dopo la cena, era arrivato il momento dei regali. Seth e Sue apprezzarono i miei, Emily mi stritolò fino a farmi soffocare, mentre mia zia mi diede un bacio sulla guancia per il maglione che ero riuscita a trovare all’ultimo minuto.
Io in compenso ricevetti una sciarpa nuova e un bel po’ di soldi (Emily e Seth si erano organizzati per la sciarpa. Per i soldi ci hanno pensato le due signore di mezza età).
Il resto delle vacanze passò molto velocemente e, prima che me ne accorgessi, ero di nuovo a scuola.
Per tutta la mattinata non si era vista Rosalie. Secondo Alice era ancora in vacanza alle Bahamas con Emmet e i suoi.
Le ore tra i banchi di scuola passarono altrettanto velocemente, tanto da farmi chiedere se passerà così velocemente anche l’anno scolastico.
L’ultima ora avevamo ginnastica, ma non incontrai Jacob come spera… temevo!
Il prof mi fece tornare di nuovo su quel ring improvvisato assieme agli altri studenti per le lezioni di lotta a corpo libero.
Mandai al tappetto tutti i miei avversari, con una velocità tale da farmi annoiare. Quando Teppista-Superman serve non c’è mai, arrivai a concludere.
La lezione finì in un battito di ciglia.
-Che giornata del cavolo- mi ritrovai a lamentarmi, mentre mi cambiavo.
-E’ stata troppo veloce anche per te, eh?- chiese Alice, anche lei scombussolata –Jasper oggi stava pure male, per cui si! Che giornata del cavolo!-.
-Strano, per me è stato normale- disse Bella, dopo essersi messa le scarpe. –Certo- rispose la nana –Tu avevi Edward tutto il giorno! Io non ho visto Jasper dalla festa di capodanno, e Leah non vede il suo amato dalla fine della scuola!-.
-Momento, cosa?- feci di colpo, interrompendo ciò che stavo facendo. –Io non ho mica il ragazzo!-
-No, è vero- disse Alice, ammiccando –Però ho notato come guardi Jacob-.
-EH?- esclamai, ritrovandomi di colpo con il cuore in gola e la faccia surriscaldata. –Ma se negli ultimi tempi non gli ho nemmeno rivolto la parola!-. Ok, era una mezza bugia, ma tecnicamente nessuno di loro mi aveva vista parlare con lui alla metro.
-Leah ha ragione- Bella si rivolse ad Alice –Non li ho visti litigare come nei primi giorni di scuola di lei-.
Alice stava per ribattere qualcosa, ma si tappò il becco all’istante. Meglio per lei.
Le altre ragazze finirono in fretta di vestirsi e uscirono, mentre io rimasi l’unica ancora a dover sistemare la borsa. Tutta colpa di Alice e dei suoi strambi pensieri. Certo, come se io e quello scemo potessimo avere una qualche relazione. Ma fatemi il piacere!
Finì di sistemare tutto, ma, quando m’incamminai verso l’uscita d’emergenza, sentì un rumore. Mi fermai, ascoltando meglio.
Era il suono di una palla che toccava il terreno svariate volte. Qualcuno stava palleggiando.
E chi diavolo sarà mai?” pensai, andando in palestra a vedere.
Quel diavolo in questione era Teppista-Superman. Era in tenuta sportiva e stava segnando un canestro con quella palla da basket.
Quando la lanciò verso il cesto, la palla si mosse alla velocità della luce, e il suo movimento fece risplendere il suo colore. Era come se fosse infuocata. Centrò il canestro senza nemmeno toccare il ferro, toccando poi il terreno con un suono secco, palleggiando verso Jacob. Lui lo afferrò con entrambe le mani, il sorriso stampato in faccia, gli occhi luminosi ben accordati con il bianco dei suoi denti.
Mi accorsi che mi stava fissando solo qualche secondo dopo.
Voltai la testa da un'altra parte, cercando di fissare le altre palle accatastate nel cesto.
Sentì uno strano spostamento d’aria, ma giusto in tempo per afferrare la palla di Jacob con entrambe le mani. Per poco non mi sfiorava il naso.
-Ma che cavolo fai?- sbraitai –Per poco non mi colpivi in faccia!-.
-Sapevo che lo avresti preso- si giustificò lui, ammiccando di nuovo –Partita?-
-No!- dissi seccamente, restituendogli la sua amata palla, cercando di lanciargliela dritta in faccia. La parò esattamente come aveva fatto settimane prima.
-Non ti sei fatto vedere oggi- azzardai, senza una qualche ragione logica. E poi, perché mi interessava sapere il motivo della sua assenza?
-Sei tu che non mi hai visto- rispose, segnando un altro canestro.
-Certo, come no!- feci.
Mi voltai, sul punto di andarmene da lì, quando Jacob mi bloccò con un:-Aspetta!-.
Fermai i miei piedi a metà strada, in attesa.
-Se volevi farti perdonare per il tuo caratterino, beh, ci sei riuscita- disse lui, palleggiando un poco. Sussultai per un millesimo di secondo, ricomponendomi subito dopo.
Voltai la testa e il busto di tre quarti, osservandolo. Aveva poggiato la palla a terra, fissandomi negli occhi, anche lui in attesa.
-Ti odio- dissi, secca e determinata, senza fare tanti altri giri di parole. Jacob sembrò deluso.
-Tutto qui?- fece, scrollando le spalle –E la palla allora?-
-Chiamalo “Spirito Natalizio”!- dissi, voltandomi del tutto –Ma io ti odio comunque. E non solo perché ti trovo decisamente fuori di testa-.
Teppista-Superman ora sembrava confuso. Tirò fuori dalla bocca un:-Uh?- stupido, che per poco non mi mandò sui nervi.
Respirai a fondo e continuai:-Per colpa tua oggi mi sono annoiata a morte!-.
Il silenzio regnò per cinque secondi buoni, ma poi venne spazzato via dal ragazzo:-La scuola è noiosa di suo, che c’entro io? Pensavo che la mia “assenza” ti rallegrasse-.
-Oggi mi sono scontrata solo con i più deboli!- ammisi, lasciando cadere a terra la borsa con aria annoiata –Non è stato bello farli fuori sapendo che erano di un livello pessimo!-.
-Oh?- fece, stavolta divertito. Si scrocchiò le nocche, avvicinandosi di poco a me.
-Dunque è la rissa che cerchi!- disse - ed effettivamente quella sembrava più un affermazione che una domanda. La situazione lo divertiva più di quanto mi aspettassi. Ma la cosa più stramba in assoluto era che mi stavo divertendo pure io.
Senza rendermene nemmeno conto la lotta era iniziata. E stavolta non ci sarebbe stato alcun professore di ginnastica ad interromperci.
Danzammo a suon di pugni e calci per un bel po’ di tempo, sfiorandoci di tanto in tanto. Due o tre volte siamo finiti a terra, continuando a mal menarci come se non ci fosse un domani.
La prima volta fu lui a mettermi al tappetto, con una mano alla gola (senza serrarla troppo, giusto per farmi star a terra) e l’altra sullo stomaco. Ero riuscita a scacciarlo via con una ginocchiata sul torace. Dopo quella mossa fui io a stare su di lui. Riuscì a bloccargli le mani al suolo, sedendomi sul suo petto. Anche se avesse provato a darmi un calcio, non sarebbe riuscito a farmi smuovere.
Avrei vinto con quella mossa, se solo il grande genio non avesse deciso di distrarmi, guardando tranquillamente verso il suo petto. Per essere precisi tra le mie gambe. E stavolta non avevo pantaloncini, ma una gonna del cavolo.
Da perfetta cretina lasciai stare le sue mani, portando le mie alla gonna per bloccargli la visuale. Lui ne approfittò per far ribaltare nuovamente la situazione.
Ma non mi bloccò al pavimento come mi aspettavo.
Stavolta eravamo entrambi sul terreno, con lui che mi stringeva forte per la schiena con le sue enormi braccia.
Più appiccicati di così si muore.
I nostri petti erano al contatto tra di loro. C’erano solo i nostri vestiti a separarci. Le nostre gambe erano incrociate (o meglio, lui aveva incrociato le sue gambe con le mie pur di bloccarmi del tutto), mentre Jacob teneva il viso sulla mia spalla. Impiegai diversi secondi per rendermi conto di quanto fosse imbarazzante tutto ciò. E poi… che cavolo di mossa sarebbe quella?!?
-Che cazz…. LASCIAMI!- Sbraitai, provando a tirargli dei pugni sul torace, per quanto mi era possibile. Inutile, Teppista-Superman mi stava stritolando per bene la spina dorsale.
Strinsi i denti, tendando più volte di liberarmi, invano.
-Stupido imbecille, ti ho detto di lasciarmi!- urlai.
L’unica risposta che ricevetti ricordò più un sussurro appena accennato. A malapena riuscì a comprendere le parole:-Stupida…-.
E il resto accadde tutto di colpo, così velocemente che mi sembrava quasi di essere in un film.
Ci fece rotolare, fino a farmi trovare nuovamente sotto di lui, si sedette sulle ginocchia e mi afferrò con una mano la nuca, stringendomi i capelli, attirando il mio viso al suo.
I nostri nasi per poco non si sfioravano, ma non era la vicinanza incredibile ad avermi paralizzata…
Era quello strano sguardo che aveva negli occhi a farmi tremare.
Sembrava… arrabbiato? Ma… perché? Non mi ero già fatta perdonare in qualche modo? Allora davvero quella palla da basket non era servita a nulla!
-Immagina per un secondo…- disse, senza spostare lo sguardo dai miei occhi. Il suo alito si mischiò con il mio fiatone, e ciò non migliorava di certo la situazione. Sapeva… di estate. Era caldo, ma anche stranamente dolce. -…Che io sia quel coglione di Uley. Se fossi stato lui, ti avrei già stuprata per bene, e tu non avresti potuto fare nulla-.
-C…cosa c’entra?- era l’unica cosa che riuscì a dire.
-Parlo di quella volta, Clearwater!- sbraitò, bloccandomi ogni muscolo, rendendo così i miei nervi ancora più tesi. –Ti ha risparmiata, quel giorno, ma solo per avvertirti di non far fare altre figure di merda ai suoi! Se ti becca ancora una volta, stanne certa che non ci andrà piano, e ringrazierai il cielo che quel giorno ti ha solo donato una nuova acconciatura!-.
Non sapevo cosa dire… sul serio.
Mi stava sgridando… o cercava di darmi un consiglio? Il suo alito, i suoi occhi, il suo viso vicinissimo al mio m’impedivano di ragionare per bene.
Avrei potuto benissimo colpirlo ora. Le mie mani erano libere dalle sue. Bastava un pugno, uno solo, e me lo sarei scrollato di dosso.
Ma i miei muscoli ancora non rispondevano, e più andava avanti così, più mi sentivo inerme, inutile.
E, quello che fece subito dopo, mi avrebbe sicuramente traumatizzato, se non segnato per il resto della mia vita.
Avvicinò il viso al mio collo, stringendomi la schiena con l’altro braccio. Mi leccò la pelle con un avidità che mai avrei pensato potesse possedere.
Riuscì a muovere finalmente le mani solo quando cominciò a mordermi la gola ferocemente.
Strinsi i pugni, colpendo nuovamente contro il suo petto, urlando:-Lasciami! Jacob, Lasciami subito!-.
I miei tentativi erano fin troppo da idiota. Fallì miseramente di nuovo, mentre Jacob continuava a mordermi, sempre più forte, facendomi un male cane.
Era come se mi volesse divorare in un sol boccone. E la cosa –detesto ammetterlo- mi stava spaventando a morte.
Perché si comportava così?
Perché mi stava leccando e mordendo il collo, se un attimo prima parlava di un bullo che avrebbe tentato di fare di peggio?
Che fosse una specie di simulazione? Che volesse spaventarmi apposta, per dimostrarmi a cosa andavo incontro?
Il mio corpo cominciò a fremere, non saprei dire se dal terrore o dalla rabbia.
Le mie guance ormai facevano a gara con la temperatura della lava, mentre il mio cuore balzava da una parte all’altra, quasi a voler frantumare la cassa toracica.
-Ti prego…- sibilai a denti stretti, disperata.
Fu dopo altri nove secondi o giù di lì che mi lasciò stare.
Mi bloccò di nuovo sul pavimento, stavolta tenendo ferme le mie mani vicine alla mia testa. Mi esaminò la faccia, mentre io non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi.
Teneva i denti stretti, e i nervi dell’avambraccio erano ben visibili.
-Questo…- disse, riprendendo fiato, come se anche per lui fosse stato traumatico –E’ per ricordarti di una lezione importante: Non sopravvalutarti mai. Se ti sopravvaluti troppo, finirai solo col cadere in basso-.
Dopo di ché mi mollò le mani, si alzò immediatamente, prese la palla da basket e schizzò via, lontano da me, lontano dall’accaduto.
Rimasi immobile per un bel pezzo, cercando di riprendere fiato e di pensare con lucidità a cosa mi era appena successo.
“Jacob mi ha leccato la gola” era l’unico pensiero sensato che mi frullava in testa.
Mi accorsi dopo un po’ che le mie mani tremavano ancora. Mi sedetti, tenendole ferme sotto le ascelle, alzandomi con fatica.
Arrivai quasi con troppa calma alla borsa. La trascinai verso l’uscita d’emergenza, a passo di zombi.



Angolo Autrice: Sono resuscitata dopo forse… un mese? Di più?
La scuola è iniziata, e ciò vuol dire che avrò ancora meno tempo per dedicarmi alla fanfiction.
Quindi, vi prego, abbiate pazienza e pietà con questa pazzoide D:
Un grazie a chi mi segue e a chi continua a farlo,
Delyassodicuori

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Capitolo 9
*** 9_ Incubi (?) e piscine ***


9_ Incubi (?) e piscine
 
Leah
 
Ero sola.
Sola, in una stanza completamente buia.
Niente rumori. Nessun tipo di suono.
Sentivo solo il pavimento gelido sotto di me.
Visto che non sapevo cosa fare, cominciai a camminare a caso in quella sottospecie di abisso, mentre il mio cuore e il mio cervello m’incitavano a fermarmi, sedermi, ed aspettare in un qualche miracolo.
Non diedi ascolto a nessuno dei due.
Avrei continuano a vagare per quella stanza, in cerca di un qualche interruttore per la luce.
Per poco non andai a sbattere contro un muro (o almeno dal tatto mi sembrava un muro).
Lo tastai più volte per esserne assolutamente certa.
“Bene” pensai “Se seguo la parete arriverò almeno alla porta”.
Così strisciai lungo il muro, liscio e freddo come il pavimento. Nel mentre avevo contato ben quattro angoli. Ma niente porta. Non toccai nulla che potesse vagamente essere di legno o di un qualche altro materiale diverso da quello della parete.
Nemmeno uno sbocco per dirmi che c’era almeno un apertura. Niente di niente.
Il panico cominciò allora ad invadermi il petto, ad annebbiarmi la mente.
Sentì le gambe crollarmi sotto il peso della paura stessa. Mi sedetti, appoggiando la schiena al muro e abbracciandomi le ginocchia nude – ora che ci penso, ero tutta nuda, dalla testa ai piedi.
Cominciai a singhiozzare come una bambina. Il mio lamento balzò sui quattro muri della stanza, rimbombando poi nelle mie orecchie. Era ridicolo, vero, e con quel gesto avevo appena perso ogni briciolo di dignità che mi rimaneva.
Ma che altro potevo fare lì?
Ero sola, nuda, al buio, in una stanza senza porte e finestre.
Come diavolo ci ero finita qui dentro?
-Papà…- mi ritrovai a sussultare, mentre le mie lacrime inondavano le mie guance.
Ora come non mai avevo bisogno del calore di qualcuno. Ma essendo sola in un posto sinistro e tenebroso come questo, l’unica cosa che riuscivo ancora a percepire era il freddo che mi stava penetrando nelle ossa. Avevo la pelle d’oca alle braccia, così me le massaggiai.
Quando ormai avevo versato fuori quasi un litro di me, con il groppo che mi bloccava la gola, si sentì un rumore, diverso dal mio pianto.
Alzai lentamente la testa.
Luce.
Era apparsa una porta, dal nulla, e la luce stava inondando la stanza, di un calore tale che mai avrei pensato di poterlo percepire di nuovo.
Sorrisi, ma fui immediatamente accecata da quella luce benevola, cosa che mi costrinse a chiudere gli occhi. Quando li riaprì, la luce era scomparsa, e con essa anche la porta.
Ma stavolta non ero sola.
Nonostante il buio pesto che aveva di nuovo conquistato il suo territorio, riuscivo chiaramente a distinguere una figura umana, alta e muscolosa, che si era inginocchiata proprio davanti a me.
Non mi ci volle molto per capire chi era.
-Jacob?- feci, confusa. Perché era qui?
Ricordai subito che ero completamente nuda, così cercai di coprirmi le parti intime per quanto mi era possibile. Anche se era buio (anzi, buissimo!), ero riuscita a vederlo, persino in faccia. Forse anche lui riusciva a vedermi.
Senza dire una parola, mi afferrò i polsi, allontanandoli dalle zone delicate, poggiandoli poi sulla parete, ai lati della mia testa.
Il terrore mi salì fino alle stelle.
Di nuovo? Voleva di nuovo leccarmi la gola, farmi capire quanto in realtà ero patetica?
Avvicinò il suo viso al mio, fissandomi con quegli occhi profondi e scuri.
-Leah- disse, cauto –Non puoi combattere sempre da sola-.
Un attimo dopo, mi azzannò alla gola, ma dalla parte opposta rispetto a dove aveva leccato prima.
Mi morse, ancor più violentemente della volta precedente, e ciò mi fece accapponare la pelle ancor di più.
Sentì un liquido caldo colare dalla mia pelle, dal punto in cui mi stava infilzando con i suoi denti.
Smise di mordermi, per poi cominciare a leccare nei punti in cui era colato il mio sangue – sulla gola, sui seni, sulla spalla.
Strinsi i denti, il cuore a mille e le guance bollenti.
-Jacob…- sospirai, spaventata, ma lui continuò con il suo lavoro.
Si bloccò non appena io dissi:-…Non fermarti…-.
Alzò la testa, fissandomi. Del sangue aveva sporcato il mento e le labbra, rendendolo in qualche modo sublime.
-Non è colpa tua- disse, come se non mi avesse ascoltata –Smettila di restartene chiusa così-.
Forse avrebbe voluto aggiungere altro, ma si morse il labbro inferiore. Fu allora che entrambi avvicinammo di colpo le nostre teste, baciandoci,  con le lingue di fuoco che si accarezzavano a vicenda. Le sue mani si spostarono sui miei fianchi, stringendomi così a lui, al suo corpo – nudo anch’esso, notai dopo – mentre io gli stringevo il capo, attirandolo sempre più a me.
Il sapore acre e rugginoso del sangue si mischiò al suo alito dolce, al suo sapore squisito, alla sua calda saliva.
Il mio corpo non sentiva più freddo. Ora eravamo entrambi caldi. Eravamo un'unica, grande fiamma.
 
 
 
-Giorno Le….. EEEEEEYK!- strillò Alice al solo vedermi in faccia.
Gli altri studenti che stavano per entrare nell’edificio scolastico continuavano a camminare come se nulla fosse.
Bella si era voltata verso di me come la nana e Rosalie, e tutti e tre avevano assunto delle espressioni paonazze.
-Cosa ti è successo? E’ venuto un vampiro la notte e ti ha prosciugata tutta?- fece Rose, avvicinandosi, evidentemente in pensiero.
Non le biasimai. Sapevo perfettamente il perché della loro reazione.
Quando mi ero risvegliata dal sogno (se si può chiamare sogno!) mi ero rotolata per tutto il letto, urlando contro il cuscino, cercando di darmi una calmata. Avevo sbattuto la fronte varie volte contro la parete, rischiando di spaccarmi seriamente il cranio. Se non fosse arrivato Seth a bloccarmi (lo avevo svegliato io con le mie urla nel cuore della notte, poverino) sarei già svenuta per terra in camera mia.
Non sono più riuscita a chiudere occhio. Il solo ricordo del sogno riusciva a tenermi gli occhi ben spalancati. Non sapevo se essere terrorizzata, o schifata, o… o…
E… quel bacio? Dio, ma perché?!?
Una volta che il sole si fece vivo, andai allo specchio, notando con orrore quanto fossi sbiancata, con delle bellissime occhiaie a sostituire le palpebre. Già, sembravo uno zombi.
Il sogno non mi aveva lasciata in pane nemmeno mentre mi preparavo, o mentre salivo sulla metro.
E di certo non mi abbandonava nemmeno ora.
Quando le raggiunsi, Bella mi consigliò di prendere del caffè, ma io risposi subito di non avere soldi al momento – il ché era vero, purtroppo.
-Vuoi che ti dia qualche spicciolo, allora?- chiese Alice, prendendomi a braccetto, temendo forse che sarei potuta crollare da un momento all’altro.
Mi ricomposi (o almeno ci provai) e risposi:-No, non mi faccio prestare i soldi da nessuno. Dopo dovrò per forza restituirli e non mi va di avere debiti!-.
-Ma te li cedo volentieri! Non ho mica problemi economici!-
-Non ne dubito!- dissi, pensando agli abiti costosi che si metteva il weekend quando uscivamo –Ma non li voglio, grazie!-.
-Beh, una cosa è certa!- disse Rosalie, passandoci davanti e fermandoci davanti all’entrata dell’edifico A – Non puoi farti vedere in questo stato! Con questa faccia!-.
La fissai per un momento, cercando di dire qualcosa, ma al momento il mio cervello non era così sveglio da poter formulare una frase di senso compiuto.
Così Rosalie, senza aspettare una qualche risposta da me, mi trascinò via verso l’edificio, lasciando alle nostre spalle la mora e la nana.
Arrivammo al bagno delle ragazze in cinque secondi. Mi fece sedere per terra e dalla sua borsa tirò fuori un piccolo beauty-case.
-Cosa…?- stavo per domandare, quando tirò fuori quello che sembrava essere un correttore e me lo spalmò quasi a forza in faccia. Volevo far resistenza, ma i miei stessi muscoli erano troppo stanchi per obbiettare, così la lasciai fare.
Dopo circa un minuto mi fece alzare dal pavimento. Mi osservai allo specchio, mezza spaventata per ciò che mi potevo aspettare. Ma non trovai nulla di particolarmente strano. Anzi, le occhiaie erano svanite e il mio viso sembrava più fresco e riposato di quello che mi ero trovata di fronte allo specchio stamattina.
-Ringraziami dopo, se vuoi!- disse con nonchalance la bionda, rimettendo al suo posto la roba.
-Beh.. non ho parole….- dissi, ancora con la voce mezza assonnata, ma con gli occhi ben aperti.
-Già che c’ero- disse Rosalie, affiancandomi (e avrei tanto voluto che non lo avesse fatto. La mia stessa autostima crollò nel momento esatto in cui il suo riflesso venne affiancato dal mio. Lei sembrava emanare un ottimo sostituto alla luce solare, mentre io…. Beh…. Ero io!) –Ho anche sistemato il succhiotto che avevi al collo-.
Mi ci volle un bel pezzo per capire di cosa parlava. Questo bastò per farmi svegliare completamente.
Soffocai un –Eh?!?- incredulo e spaventato, spostando il colletto della camicia. Forse c’era stato un succhiotto, ma ovviamente Rose lo aveva nascosto ben bene. Una grande fitta al cuore m’immobilizzò. Come diavolo avevo fatto a non accorgermene prima? Avrei potuto sistemarlo io direttamente a casa, e la cosa non avrebbe insospettito nessuno.
Abbassai il capo, l’imbarazzo salirmi fino alle stelle, raggiungendo i livelli della rabbia.
“Maledetto di un Black!” pensai automaticamente.
-Da quando hai il ragazzo, Leah?- chiese Rose, incrociando le braccia con fare elegante.
-NON CE L’HO UN RAGAZZO!!!- sbraitai incazzata, dando un mezzo pugno allo specchio. Se avessi aumentato la forza con molta probabilità lo avrei rotto…
-Certo, e io sono mora!- disse lei, sogghignando.
-Ti ho detto che non ce l’ho questo fottuto ragazzo!-
-E il succhiotto allora?-
-E’ una mora! Solo una cazzo di mora!-
-Come sei volgare!- alzò le mani in segno di difesa –Una mora al collo è troppo strana Leah. E io so capire bene una bugia, soprattutto se la persona che mente sta perdendo le staffe come te!-.
-Sono…. Calmissima!- sibilai, prendendo la mia borsa e uscendo così dal cesso.
Rosalie mi segui, naturalmente, e mi prese a braccetto.
-Non te la prendere, Leah- disse, quasi a mo’ di scusa –Sono solo curiosa. Chi è questo fortunato?-.
-Ooooh, Rose cara, ti sbagli!- digrignai i denti, senza voltare lo sguardo sulla sua faccia –Non è fortunato per niente!-.
 
 
-Una… Piscina?- chiesi, un minuto prima che la professoressa Denali potesse fare il suo ingresso.
-Si- rispose Alice, raggiante –Il preside Aro alla fine ha acconsentito e dopo mesi sono riusciti ad aprire la piscina nuova!-.
-Una piscina… a scuola? Scusa Alice, ma non è troppo… americano o giapponese?- domandai ancora, per nulla convinta. Era dalla prima ora che la nana saltellava ovunque e alla terza ora non potei fare a meno di chiederle il motivo di tutto questo entusiasmo.
-Non direi- fece lei, roteando come una ballerina, mentre Rose scuoteva la testa.
Avevo chiesto alla bionda di non dire alle altre la faccenda del succhiotto e lei aveva consentito. Solo che Bella una volta mi aveva spiegato che la top-model cadaverica era una spettegola nata. La cosa mi metteva alquanto a disagio.
Isabella, osservando la felicità della nana, scosse la testa in segno di rimprovero. –Non capisco, tu odi le piscine! Dici sempre che il cloro fa male ai capelli!-.
-E’ vero, l’ho detto!- rispose, ma nonostante ciò, continuava a sorridere come un’ebete.
Inarcai un sopracciglio, incrociando le braccia al banco:-Ok, cosa nascondi piccolo folletto?-.
Il piccolo folletto in questione si strinse nelle spalle, stirando le braccia e congiungendo tra di loro le mani, facendo ruotare metà busto a destra e a sinistra, rossa in faccia.
Quando finalmente aprì bocca per rispondere, dalle sue piccole labbra uscì fuori una voce squillante, tenera, ma pur sempre squillante:-Ho comprato un costume nuovo e non vedo l’ora di mostrarlo a Jasper, tutto qui!-.
Se fossimo stati in un cartone animato avrei potuto dire che sprigionava mille cuoricini rossi e rosa da tutti i pori. Io, Rose e Bella ci trovammo a sospirare.
Evidentemente Alice non riusciva ad aspettare fino alla gita di fine anno, che prevedeva come meta la Sicilia. Considerando che ci saremo andati a Marzo, al sud d’Italia avrebbe fatto un caldo incredibile, per cui i professori erano tutti d’accordo sul fatto che dovevamo andare al mare almeno per un giorno.
 
L’indomani arrivò, ed era proprio il giorno che Alice stava aspettando da tempo.
Avremo avuto due ore di ginnastica, ma questa volta le avremo divise in due: la prima venne dedicata tutta agli esercizi di riscaldamento, mentre la seconda fu l’ora decisiva.
Al suono della campanella tutti gli alunni in palestra interruppero le loro attività, dirigendosi negli spogliatoi per mettersi il costume.
Il prof. Ammazza-cinghiali ci aveva concesso di indossare dei costumi da bagno a scelta, per di più nessuno era obbligato a portarsi delle cuffie. Ciò mi risultò al quanto strano, ma evitai di pormi delle domande. A quanto sembra niente in questa scuola può essere considerato normale.
Stavo per infilarmi la parte sotto del costume quando Alice mi chiamò:-Leuuuucciaaa!!! Come ti sembro?-.
-Leuccia?- sibilai, voltandomi appena, con uno strano tic all’occhio destro.
La nana indossava un costume a due pezzi molto carino, blu con motivi floreali celesti. I contorni delle mutande e delle coppe a triangolo erano stati cuciti assieme a delle striscioline di stoffa ondulata, dandole un aspetto ancor più tenero.
Ovviamente Alice aveva ignorato la mia domanda, così risposi:-Si… è carino… ma ti prego, Alice, ti supplico, non chiamarmi di nuovo così!-. Per poco non mi mettevo in ginocchio.
-Così comeeeee?- mi stuzzicò lei, ma poi Rosalie le venne al fianco e le diede un pizzicotto al fianco nudo e pallido.
Se Alice era carina e tenera, Rosalie era decisamente provocante.  il suo costume rosso sangue metteva in risalto la sua carnagione e le sue labbra, anch’esse rosse come il sangue. In più, le coppe del reggiseno non erano in grado di tenere tutto quanto dentro. Mi chiesi se non avesse preso una taglia troppo piccola per puro errore oppure lo avesse fatto apposta.
Bella era l’unica ad indossare un costume intero, blu oltremare, ma con sopra ricamati altri motivi floreali, e una frase in maiuscolo con su scritto: Keep calm and swim in the swimming pool!
Mentre le altre scherzavano tra di loro (Alice rimbeccava Rosalie sulle proporzioni troppo abbondanti dei suoi seni, rimproverando allo stesso tempo Bella per la sua mancanza di stile), io mi osservavo allo specchio, sistemandomi la parte sopra del costume, una striscia bianca e rossa che copriva i miei seni, allacciata dietro con un fiocco. Anche le mutande rosse erano contornate da due fiocchi bianchi, intrecciati ai miei fianchi. Osservandomi mi resi conto di aver fatto bene a depilarmi gambe e ascelle, mentre non mi ero accorta di quanto fossi dimagrita.
“Dovrei chiedere a Sue una doppia porzione di tacchino” pensai. L’ultima cosa che volevo era morire da anoressica.
Finalmente noi ragazze in bikini (in effetti molte di noi erano in bikini) uscimmo dagli spogliatoi, raggiungendo una stanza abnorme che non pensavo nemmeno potesse esistere.
Si trovava alla porta in fondo alla palestra, rettangolare, con una grande volta a botte in vetro e acciaio sopra le nostre testoline.
Dal soffitto potevamo notare come il cielo, da sereno, fosse diventato di colpo grigio, quasi nero.
Qualche goccia di pioggia cadde sui vetri, ma il loro rumore era troppo debole per poter creare chissà quale baccano in un area così grande.
La piscina, infine, era di forma rettangolare, divisa per corsie da funi completamente rovinate. Le piastrelle del fondo dovevano essere originariamente blu e azzurre, ma adesso sembravano più bianche e celesti, con un tocco di grigio qua e là.
C’erano un po di attaccapanni  ai muri e qualche panchina, ma nulla di più. Niente salvagente, o estintori, o trampolini o scalette.
-Che gran cagata!- fece Rosalie, disgustata. Annui, completamente d’accordo con la sua opinione.
I ragazzi erano già arrivati e molte ragazze si mischiarono tra loro.
Alice balzò da Jasper, mostrandogli il suo costume nuovo di zecca. Il ragazzo cadaverico (con mia grande sorpresa) arrossì, facendo scorrere un rivolo di sangue dal naso.
Emmet, d’altro canto, non staccava gli occhi dalle tette di Rose, mentre quest’ultima fissava il suo pacco, ben evidenziato dalle sue mutande attillate. Per poco non vomitavo schifata.
-Edward non c’è…- sospirò Bella al mio fianco, mentre si guardava attorno.
-E’ allergico all’acqua?- scherzai, sperando di farle scoccare un sorriso. Ma fallì miseramente.
-No…- disse, con un lunghissimo sospiro triste – E’ all’ospedale con suo padre. Vuole diventare medico come lui, così oggi ha ottenuto un permesso e ora è a fargli compagnia-.
-Non sapevo che il padre di Alice, Edward ed Emmet fosse un medico-
-Lo è, ed anche brillante. Ogni volta che mi slogo qualcosa, Charlie mi manda da lui-(naturalmente Charlie è il nome del padre di Bella. Lei non lo chiama mai papà in nostra presenza)- e non ci fa nemmeno pagare-.
-Però è curioso- dissi, fissando la nana e steroidi –Non si somigliano nemmeno un po…-
-Sono stati adottati, infatti- rispose la mora –Tutti quanti. Esme, la loro madre adottiva, non riusciva ad avere figli, così…-.
-Capisco-.
Il prof. Ammazza-cinghiali arrivò proprio in quel momento, soffiando il fischietto, richiamandoci all’attenzione.
Quando andammo a riunirci davanti a lui, a qualche metro di distanza notai Jacob, le braccia incrociate, mentre fissava il vuoto.
Senza volerlo, mi soffermai sul suo fisico, muscoloso e bronzeo. Seguì i contorni dei suoi pettorali,  i retti dell’addome, i bicipiti e i fianchi.
Più lo osservavo, più il mio cuore faceva balzi potenti. Cominciai a sentirmi accaldata, sulle guance e sul petto, mentre uno strano brivido piacevole correva tranquillamente su per la schiena.
Avrei potuto osservarlo così per ore… ma poi ricordai la faccenda stupida del collo e scossi la testa, portando automaticamente le dita sul succhiotto. Mi ero messa il trucco sul punto, ma sapevo già che con l’acqua sarebbe andato via.
Potevo solo sperare che nessuno lo notasse.
 Il professore ci riunì ai bordi della vasca, dove erano posizionati quelli che dovevano essere dei piccoli trampolini (anche se in verità erano solo dei blocchi di legno attaccati al pavimento).
Fece il suo solito discorso sul benessere del corpo, di quanto sia importante il nuoto, dei crampi alle dita dei piedi, e bla bla bla. Qualsiasi cosa diceva, mi entrava in un orecchio e mi usciva dall’altro.
La mia mente era ancora bloccata all’accaduto in palestra, alla mezza minaccia di Super-Teppista, alla leccatina al collo e al sogno di quella notte.
Tornai con i piedi per terra quando il professore mi richiamò all’attenzione:-Clearwater!-.
-Si?- feci di colpo, scombussolata.
-Vieni avanti, non stare in ultima fila!-
Avanzai tra gli studenti in costume, poi Ammazza-cinghiali disse:-Sei piuttosto veloce sulla terra. Ti muovi molto bene e anche in modo piuttosto svelto e agile. Voglio vedere se sei in grado di fare la stessa cosa anche in acqua!-.
Scrollai le spalle, avanzando verso il blocco. Salì, misi i piedi attaccati tra di loro, piegai le ginocchia e la schiena, il viso verso il basso e le mani sul bordo del blocco.
Al fischio del professore mi tuffai, stendendo il corpo e le braccia in avanti. Subito dopo lo schiaffo caldo dell’acqua mi colpì in faccia, mentre il mio corpo andava a fondo in linea retta. Ritornai a galla con la stessa velocità con la quale mi ero immersa e cominciai a nuotare in stile libero.
Ad ogni tre bracciate portavo il viso fuori dall’acqua, prendevo fiato, e subito dentro.
Tre bracciate, respiro, dentro.
Uno, due, tre, respiro, dentro.
Uno, due, tre, respiro, dentro.
Arrivata dall’altra parte della parete della piscina, feci una capriola in avanti, spostai il peso del corpo sui piedi, mentre questi toccavano le piastrelle sbiancate. Mi spinsi e ripartì, sempre con lo stesso ritmo, mantenendo il respiro regolare.
Tornai al punto di partenza con il fiatone, nel momento esatto in cui Ammazza-cinghiali premette il pulsante sul cronometro.
-Molto bene, Clearwater- disse, soddisfatto –Vedo che sei veloce anche in acqua. Un ghepardo ed uno squalo messi insieme!-.
Prima ancora che potessi formulare una frase, o anche solo una parola, si sentì uno schiantò d’acqua al mio fianco. Gocce calde mi colpirono la testa, facendomi chiudere gli occhi. Quando li riaprì, il professore urlò un qualcosa tipo:-Black, che diavolo stai facendo?!?-, mi voltai e vidi qualcuno nuotare il mio stesso stile. Posai lo sguardo sui miei compagni. Mancava all’appello solo Jacob.
Ritornò, e quando riaffiorò dall’acqua, scoppiò a ridere.
-MA SEI SCEMO?!?- Urlammo io e il prof. Che diavolo aveva da ridere? E perché si è tuffato in quella maniera? Si era bevuto il cervello?
Sveglia!” mi disse una vocina nella testa “Quello lì ti ha baciata e leccata la gola, secondo te ha un po di sale in zucca?!?”
No, mi dissi, non ce l’aveva. Nemmeno un poco.
 
 
Finita anche quella lezione, fui lieta di tornare nello spogliatoio.
Andai con le ragazze a fare la doccia, ripensando al comportamento di Teppista-Superman.
-Perché ha fatto ciò?- chiese Alice di botto, mentre mi lavavo i capelli.
-Chi?- chiesi, nel momento esatto in cui Rosalie diceva:-Forse il suo spirito competitivo si è fatto vivo di colpo quando ha visto Leah nuotare-.
Scrollai le spalle. –E’ un idiota. Non ci farei tanto caso-.
-Si, ma tu eri troppo impegnata a nuotare per notare come ti guardava- fece la bionda, uscendo dalla sua doccia e venendo al fianco alla mia. Mi voltai appena, curiosa. –E come mi avrebbe guardata?- domandai, senza tralasciare troppo la mia curiosità. Cercai con quel tono di voce di sembrare indifferente e semplicemente annoiata. Ma lo sguardo di Rose mi fece capire che non ero un genio a nascondere ciò che sentivo in realtà.
-Come un cane che ha appena adocchiato un osso- rispose –Un osso molto succulento-.
-Da leccarsi i baffi!- scherzò Alice, uscendo anche lei.
-Scusa, ma non credo di aver capito- dissi, tornando con la faccia rivolta verso il muro. Mi sentì stranamente accaldata sulle guance, nonostante avessi impostato la temperatura dell’acqua fredda, quasi sul tiepido. Rosalie fece un risolino, senza dire altro.
Uscì per ultima, subito dopo di Bella. La ragazza era stranamente silenziosa. Forse stava ancora pensando ad Edward.
Mentre le altre ragazze si vestivano, Alice si lasciò cadere sulla panca, con addosso l’accappatoio e il costume lavato in pugno.
-Aaaah, che fatica, però!- esclamò, esausta. Si stiracchiò i piedi e si asciugò i capelli con un asciugamano. Bella si stava già rivestendo, silenziosa, ma non senza inciampare nelle sue stesse calze lunghe. Rosalie, al contrario di tutti e due, era nuda, senza accappatoio o asciugamano. La cosa poteva essere normale visto che eravamo in uno spogliatoio, ma lei, invece di coprirsi, si stava specchiando, tastandosi i seni e sogghignando. Per un attimo solo i miei occhi finirono sul suo petto,  e pensai contemporaneamente a due cose: a) ENORMI! b) Ma che diavolo fa?!?
-Rose, copriti!- dissi, strofinando un piccolo asciugamano sulla testa. Lei si guardò, poi alzò la testa:-Che c’è, Leah, ti imbarazza vedere una del tuo stesso sesso nuda come il giorno in cui è nata?-.
Invece di rispondere a lei, mi rivolsi alla mora e alla bruna:-Scusate, ma è sempre così senza pudore?-.
-Si!- risposero in coro, stufe. Forse si atteggiava sempre così.
-Ragazze, siamo tra noi, in uno spogliatoio, che c’è di strano?- domandò, nervosa per il loro sbuffare.
-TI pavoneggi troppo solo perché hai le tette enormi!- disse la nana, con un pizzico di acidume  nel tono. Strano. Da Alice non me lo sarei mai aspettato.
-Sei solo gelosa perché io ce le ho più grandi, mentre tu sei piatta come una tavola!- ribadì la bionda, anche lei acida, ma tre volte più di Alice.
Bella scosse la testa, mettendosi addosso il reggiseno.
-Non sono piatta! Ho solo il seno un po’ piccolo!- rispose di nuovo la nana, nervosissima. Il suo collo divenne rosso pomodoro.
-Fammi il piacere- sbuffò Rose –Tutte qui hanno le tette più grosse delle tue! Layla, Teresa, Vicky, Annabeth, Lucy… perfino Bella! E Leah ce la ha più grosse delle sue!-.
-Cosa?- sbraitammo in coro io e la mora, rosse in viso, ma con i pugni stretti.
La bionda non ci fece nemmeno caso e continuò a litigare con Alice sulla misura delle tette, mentre le ragazze che aveva nominato guardavano le due e poi tra di loro, leggermente imbarazzate.
Sbuffai, accorgendomi solo ora che ero ancora con l’asciugamano addosso. Andai verso il mio armadietto, ma prima di poterlo aprire, notai un pezzo di carta incastrato nella fessura dello sportello di metallo.
Lo tirai fuori. Era piegato in due, in modo decisamente asimmetrico. Lo aprì, leggendone il contenuto. Era una grafia rozza, sbafata, scritta troppo di fretta. Nonostante ciò riuscì a decifrare le parole. Ogni singola lettera venne inghiottita assieme alla mia saliva. Più andavo avanti, più il sudore mi scendeva lungo le tempie. Le mie mani tremarono all’improvviso, mentre finivo di leggere quella merda.
La accartocciai in un pugno, stringendo i denti dalla rabbia.
Bella notò il mio cambiamento d’umore e di colpo non era più silenziosa come prima (a parte la discussione sui nostri seni). –Che succede?- chiese, calma, ma con il timore stampato in faccia.
Grugnì un:-Nulla, devo fare una cosa prima-, per poi uscire dallo spogliatoio.
 
 
 
 
 -Jacob
 
L’acqua calda della doccia mi bagnava dalla testa ai piedi, mentre pensavo continuamente allo stile di nuoto di Karate-Girl. Era agile, veloce, precisa nei movimenti delle braccia e delle gambe. E la capriola era perfettamente dritta, senza nessun oscillazione obliqua a destra o a sinistra, cosa che ero solito fare io.
Non so spiegare esattamente cosa mi spinse a tuffarmi.
Sapevo solo che non ero stato veloce come lei, o aggraziato come lei, e  la cosa mi fece ridere di colpo, guadagnandomi un’occhiata torva sia da Leah che dal professore.
Lo ammetto, non era una mossa intelligente la mia, ma mi sentivo troppo bene per preoccuparmene.
Chiusi l’acqua, uscendo dalla doccia.  Come al solito ero l’ultimo e Embry e Quil si stavano già rivestendo. Ginnastica era l’unica lezione che condividevamo – almeno in parte. Una volta ci siamo io e Quil, una volta io e Embry, e un'altra i miei due fratelli. Oggi, però, era l’unico giorno della settimana in cui tutti e tre condividevamo la stessa lezione per due ore di fila.
La porta che conduceva allo spogliatoio era chiusa, così come quella che portava a quella piscina da due soldi.
Stavo per prendere l’asciugamano, quando sentì un colpo molto forte venire da quella porta.
Mi voltai di scatto, osservando una Leah in accappatoio con il piede in alto, e il segno del calcio ben evidente sulla porta rivestita di plastica. Il suo sguardo era nero e torvo, e sembrava non avermi nemmeno visto. Avanzò verso di me, per poi superarmi e dirigersi verso lo spogliatoio maschile. Mise la mano sulla maniglia della porta, ma questa sembrava non aprirsi. Ci provò altre due volte, poi si ritrovò a sbraitare contro di essa e  cominciò a dare calci. Niente. Non aveva intenzione di aprirsi.
-Cristo…- sospirò, passandosi una mano sulla fronte, mentre l’altra era chiusa a pugno.
Il tempo di dire una H che anche l’altra porta, la stessa che lei aveva quasi sfondato,si chiuse di botto. Quando mi voltai, sentì la serratura scattare.
Cazzo…
Anche Leah sembrò sentirlo, perché di colpo si voltò, fissando la porta e sbiancando, senza riuscire a raggiungere il livello di bianco del suo accappatoio.
Anche se aveva provato a coprirsi bene, riuscì comunque ad intravedere la linea dei suoi seni. Voltai di scatto la testa per non osservare oltre.
Solo allora Karate-Girl sembrò notarmi.
-E tu non fai niente?- sbottò, il furore evidenziato sul suo bel viso.
-Fare cosa?- dissi, portando le mani ai fianchi –E’ evidente che  è uno dei soliti scherzi assurdi di Paul. O di Colin. Uno dei due. E tu che diavolo ci fai qui?-
-Volevo sapere chi cazzo ha scritto questa!- disse, aprendo il pugno. Teneva in mano un biglietto, ma le scritte erano troppo piccole e disordinate per riuscire a leggerle da quella distanza. Mi avvicinai un poco, dicendo anche:-Fa vedere-, ma Leah sbiancò alla sola idea che io lo potessi leggere, e lo nascose tra i suoi seni, dove sperava che non potessi mettere le mani.
E anche se ci avessi provato (e solo perché era la mia intimità che mi poteva convincere a farlo), lei mi avrebbe slogato il braccio con una qualche mossa kung-fu.
Decisi di lasciar perdere. Tanto era ovvio chi l’avesse scritto.
-La lezione non l’hai imparata?- chiesi, incrociando le braccia –Sembra che il taglio di capelli ti sia piaciuto in realtà!-.
Lei rimase sbigottita. Mi fissò per un lungo momento negli occhi, poi sospirò un:-Certo che l’ho imparata…-.
Risi. Come no.
Leah si arrabbiò per quella reazione, così si avvicinò. Lo schiaffo mi arrivò senza che potessi alzare il braccio per bloccarla. La mia guancia bruciò, ma ci pensarono le gocce d’acqua che scendevano ancora dai miei capelli bagnati a rinfrescarla.
La guardai torvo per un attimo, valutando se era il caso di cominciare una rissa proprio ora.
Karate-Girl stava per ribadire qualcosa, quando i suoi occhi si spostarono più sotto. Per essere precisi verso la mia virilità.
Soffocò un urlo con una mano, rossissima in viso, correndo verso un angolo e sedendosi a terra, abbracciandosi le ginocchia, lo sguardo rivolto verso quel maledetto angolo.
-Non ho visto niente, non ho visto niente, non ho visto niente, non ho visto niente, non ho visto niente…- ripeté, a voce bassa, ma abbastanza alta perché la potessi comunque sentire.
Io, d’altro canto, mi sentivo decisamente imbarazzato. Da perfetto idiota che ero non avevo ancora messo l’asciugamano attorno ai fianchi. E, cosa ancor peggiore, il mio amichetto sotto sembrava divertito. Quando mi coprì, gli diedi anche un paio di cazzotti per farlo stare buono, mentre il cuore martellava forte in petto e mi avvampavano le guance (quella colpita da Leah bruciava di brutto!).
Leah era ancora ridotta in quella condizione, a fissare i suoi piedi e a bisbigliare “Non ho visto niente”. Per fortuna. L’ultima cosa che volevo era che lo vedesse anche alzarsi!
Mi calmai, respirando a fondo, e cercando di usare un tono di voce piuttosto tranquillo:-Ti scandalizza così tanto vedere una cosa del genere? Cavoli, mi chiedo come lo trovi un fidanzato allora!-.
Leah smise di borbottare, rimanendo in ascolto.
-Scommetto che quando ti butterà sul letto, tutti e due nudi, tu lo mandi via a calci in culo…-
-FALLA FINITA!- sbraitò lei, voltando la testa verso di me. Tutto il suo viso era rosso, come un fuoco che scoppiettava in un camino. Ma ero pronto a scommettere che fosse molto più calda di quanto dava a vedere. Forse alla temperatura della lava.
Non aveva tutti i torti, in effetti. Il commento era troppo stupido.
“Perché diavolo devi stuzzicarla così?” disse la mia coscienza.
Karate-Girl tornò a guardare i suoi piedi, mentre i suoi capelli umidi, seppur corti, furono in grado di nascondere parte del suo volto.
“Sarà una luuuunga giornata” mi dissi, sedendomi sulle piastrelle, mentre tra di noi cadeva il silenzio più totale.
 
Angolo autrice: lo so.
Non c’è bisogno che me lo diciate.
E’ dal 2014 che non pubblico questo cavolo di capitolo! (ahaha! Che battut… no ok, era squallida!
Solo ora che è il 2 Gennaio sono riuscita a finirlo, ma lasciando la suspense :3
Scusate se sono andata un po oltre con certe descrizioni, ma ho cercato di regolarmi per quanto potevo (oddio, si spera non arrivi a descrivere certi dettagli come fa George R.R. Martin, che P.S. i suoi libri sono dei capolavori. Chi non ha ancora letto “Il Trono di Spade” è pregato di farlo, thanks :) ).
E’ inutile anche dire :-Spero di poter pubblicare il prossimo più in fretta- perché tanto con gli esami che ci sono, lo studio e il resto, faccio fatica a scrivere per bene.
Alla prossima allora :)
Delyassodicuori
 
P.S. questa in particolare la dedico a Greta, che l’ho fatta aspettare anche troppo (io le promesse le mantengo, sappilo. GG!) 
 
 

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Capitolo 10
*** 1O_Pari ***


10_ Pari
 
-Leah

 
Grandioso. La mattinata non poteva proprio finire peggio di così.
Da sola con Super-Teppista. Nelle docce dello spogliatoio maschile. Entrambe le porte chiuse a chiave.
Ah, giusto. Bisogna anche aggiungere il fatto che se non fosse per gli asciugamani saremo entrambi completamenti nudi dalla testa ai piedi.
Mi maledissi cento volte per quello che avevo visto. Era la prima volta che vedevo un ragazzo nudo, se devo essere sincera. Ovviamente la cosa aveva avuto delle pessime conseguenze. Il mio viso era diventato caldo, come il resto del mio corpo, il cuore continuava a battere troppo forte per i miei gusti, e… avevo avvertito una strana sensazione, mai provata prima. Era come se in realtà mi fosse piaciuta quella sottospecie di panorama dell’altro sesso.
E’ una cosa normale” mi dissi “In una situazione come questa, è ovvio che ti senti strana. Quello è solo uno dei tanti difetti di essere donna”.
Il silenzio era devastante. Era molto peggio rispetto a quando avevo tentato di alzare un vello trasparente tra di noi.
Ripensandoci, se non mi fossi alterata in quella maniera, tutto questo non sarebbe mai successo. A quest’ora ero già vestita, pronta per sorbirmi uno dei tanti abbracci di saluto di Alice e per tornare a casa con la metro.
E invece eccomi qui, nuda, mezza bagnata, e con i brividi che mi corrono lungo la schiena. Se non tentavo di asciugarmi in qualche modo mi sarei beccata un bel raffreddore, o, alla peggio, l’ipotermia. Avrei potuto usare il mio asciugamano, ma… beh, essendo sola e rinchiusa con un ragazzo, non mi pareva proprio il caso.
Io lo avevo appena visto nudo, e l’ultima cosa che volevo era ricambiare il favore!
Poggiai la schiena contro la parete, massaggiandomi le braccia, tenendo ancora le gambe al busto.
Jacob si sedette accanto a me, ma a qualche piede di distanza. Non abbastanza lontano, sfortunatamente.
Potevo benissimo sentire il calore che la sua pelle emanava dopo la doccia. Potevo vedere con la coda dell’occhio ogni goccia scendergli dai capelli, poi sul viso e infine lungo tutto il torace e le braccia.
Guardava davanti a sé, pensieroso, il gomito poggiato su una gamba, mentre l’altra era completamente distesa a terra.
Sembrava non finire mai questo silenzio imbarazzante. E più andava avanti, più mi sentivo agitare dentro.
Aprii la bocca, per chiedergli se potevamo tentare di dare qualche calcio ad una delle porte,  invece dissi qualcosa di completamente diverso, che c’entrava poco con la situazione attuale.
-Perché l’hai fatto?-.
Jacob non si voltò, ma mi guardò con la coda dell’occhio. Essendo piegata leggermente in avanti, i miei capelli riuscirono a coprire quello che potevano del mio volto.
-Cosa?- domandò lui, perfettamente calmo.
-L’altra volta… in palestra…- spiegai – Quella storia dell’avvertimento… -.
-Appunto. Era un avvertimento- rispose lui, tornando a guardare la doccia che aveva usato –Solo che non ero sicuro che a parole potessi afferrare il concetto, così… ho dovuto usare altre maniere…-
Da come parlava, non sembrava un argomento della quale era lieto discutere, ma allo stesso tempo, sentiva di doverlo fare. Anche io mi sentivo così. Non era un bel discorso, quello, ma andava affrontato prima o poi.
-Si, quello ho capito- dissi, anzi, specificai –Ma quello che voglio sapere è se lo hai fatto anche per un’altra ragione-.
Questa sottospecie di domanda sembrò coglierlo di sorpresa. Si voltò verso di me, guardandomi.
Mi osservava in modo stranamente diverso. Non come le altre volte quando lottavamo tra di noi, o quando litigavamo, o semplicemente quando riuscivamo a scambiarci due parole senza dover ricorrere alle mani. Era… come se si fosse accorto solo ora di avere davanti a sé una donna.
 
Ti guardava come un cane che ha appena adocchiato un osso. Un osso molto succulento.
 
Era questo che intendeva dire Rosalie prima? Ero questo ora agli occhi di Jacob?
Smisi di ricambiare lo sguardo, osservandomi le ginocchia. Teppista-Superman non disse nulla, anzi, si limitò a guardare nuovamente il vuoto.
Una risposta così silenziosa come la sua non poteva voler dire nulla. O poteva voler dire tutto.
Alla peggio, magari nemmeno lui la sapeva. O forse la sapeva, solo non come formularla in modo da non far precipitare la situazione.
Il mio cuore non la smetteva più di pompare in quella maniera troppo dinamica e forte, troppo veloce perché potessi contare i secondi che passavano da un battito all’altro.
-Mi dispiace- disse di colpo lui dopo qualche secondo, facendomi voltare di scatto. Fissava ora i suoi piedi, con un’espressione colpevole in volto. –Hai ragione…. Ho esagerato con quella mossa. Ho superato un limite che non avrei dovuto varcare-.
Riapparve ancora il silenzio, ma stavolta durò a malapena nove secondi.
-“Oh, Teppista-Superman, non ti preoccupare, ti perdono pure!”- mi imitò, assumendo una voce acuta, più simile ad una vecchietta lamentosa che ad una ragazza lamentosa.
Non risposi, ma con la mano mi coprì la bocca. Non volevo che mi vedesse ridere.
-No?- chiese, per poi tornare alla sceneggiatura –“Col cazzo che ti perdono, lurido pervertito! Adesso ti prendo a schiaffi fino a quando non incontrerai i tuoi antenati di sopra di su!”-.
Basta, era troppo. I miei occhi cominciarono a lacrimare, e all’improvviso mi ritrovai a ridere forte.
Mi strinsi la pancia, provando a smettere, ma invano. Alla mia risata si aggiunse anche Jacob che, osservandomi, non riuscì a resistere nemmeno lui.
Nel mentre che cercavo di darmi una regolata, mi venne in testa una cosa, alla quale prima non ci avevo riflettuto.
Non appena smisi di ridere, mi ritrovai a dire:-Te la farò pagare cara!-, senza che sia riuscita a recuperare tutto il fiato perso.
Solo dopo due seconda Teppista-Superman smise, esclamando un:-Eh?- piuttosto confuso.
Tornai con lo sguardo serio, avvicinandomi a lui gattonando. Jacob si accorse di quello che volevo fare solo quando ci ritrovammo con i volti vicinissimi.
-Non darmi la testa, scemo! Dammi il collo!- dissi, anzi, lo minacciai.
Lui mi fissò per un breve momento, per poi rispondere con un broncio:-No!-
-Come sarebbe a dire “No”?!? Tu puoi leccarmi il collo tranquillamente mentre io non mi posso vendicare?- gli sbraitai, direttamente in faccia, facendogli chiudere per un secondo gli occhi.
-Non esiste che sia una ragazza a fare ciò!- rispose – E poi, se vuoi vendicarti, devi trovarti un altro modo! Col cavolo che mi faccio fare questo!-.
Pezzo di merda” mi ritrovai a pensare, sbuffando forte.
Tornai a sedermi nella posizione precedente, incrociando le braccia sotto i seni e borbottando un:-Perfetto, allora col cazzo che ti perdono!-.
-Accidenti, sei proprio fissata!-
-Certo che lo sono! Chiunque lo sarebbe se avesse subito un tentato di stupro!-
-Il mio non era un tentato di stupro! Era per …-
-Avvertirmi che invece quel coglione di Uley potrebbe farlo anche senza pensarci, ma visto che secondo te sono così deficiente da non arrivarci da sola, hai pensato bene di farmi una dimostrazione pratica!- dissi d’un fiato, squadrandolo da capo a collo.
-Primo- si mise ad elencare Super-Teppista con le dita – Anche se era una dimostrazione pratica ti ho solo leccata la gola, quindi vedi di non allargare il danno, o far peggiorare la situazione, o come vuoi definire tu la cosa. Secondo: si, sei deficiente!-.
Strinsi le dita contro le mie braccia, trattenendo la voglia matta di prenderlo a cazzotti.
Decisi invece di ignorarlo, guardando completamente da un’altra parte, cercando di concentrare la mia mente su altro, ad esempio sul biglietto che avevo scovato nell’armadietto.
Chiunque lo avesse scritto (che sia Paul o Sam non fa differenza) non poteva di certo parlare sul serio… giusto? Per questo mi ero imbufalita e per questo volevo andare da almeno uno dei due per prenderlo prima a pugni, poi chiedergli il motivo del biglietto, e finirlo in caso con altri pugni.
Ma solo ora, dopo aver ripescato con Tepista-Superman il discorso delle leccatine al collo, mi ero resa conto che la mia era una super-cazzata.
Primo, se mi ritrovavo contro Paul era un conto, ma contro Sam è un altro discorso. E magari sfiga voleva  che mi ritrovassi faccia a faccia con lui.
Secondo, ci stavo andando con solo un fottutissimo asciugamano addosso, e se il combattimento fosse finito male…
Sentii lo sguardo di Jacob su di me, e la cosa mi mandava ancor di più su di giri. Ciononostante riuscii ad evitarlo ugualmente per un po’, fino a che la cosa non iniziò ad annoiarmi. Voltai la testa senza una ragione precisa, osservando Super-Teppista mentre si alzava e si dirigeva verso la porta dalla quale ero entrata. Mi alzai anche io e, facendo ben attenzione a non scivolare nel pavimento mezzo bagnato, mi avvicinai quasi di soppiatto a lui.
Jacob si era piegato per un secondo ad osservare la serratura, per poi stendersi ritto con la schiena e voltarsi completamente verso di me.
–Dimmi che almeno hai una forcina con te- disse, indicando con il pollice la porta. Scossi la testa, e il ragazzo sbuffò.
-Certo che sei inutile!- bofonchiò, lo sguardo verso il pavimento.
-E tu sei un grandissimo stronzo- dissi, con la voce più pacata che potessi avere.
Non gli diedi il tempo di agire o di parlare. Forse nemmeno di pensare.
Mi fiondai improvvisamente su di lui, una mano sul suo petto e un'altra sulla sua spalla, bloccandolo con la schiena alla porta. La mia bocca incontrò il suo collo prima ancora di poter realizzare ciò che stavo effettivamente facendo.
Nel momento esatto in cui le mie labbra sfiorarono la sua pelle, morbida e calda, un istinto interiore, lo stesso che mi aveva fatto provare piacere cinque minuti fa, mi incitava a non fermarmi, a continuare a baciarlo e a leccarlo. Era una sensazione talmente fantastica e nuova per me che mi ritrovai di colpo con i brividi che correvano lungo la mia spina dorsale. Non arrivai solo a leccargli la gola o a baciargliela. Mi misi anche a mordicchiarlo un po’, annusando allo stesso tempo il suo odore. Odore di shampoo, di fresco, ma anche di benzina mista a pino bagnato e cioccolato (non so perché il cioccolato, ma era la prima cosa che mi era venuta in mente mentre gli baciavo ancora il collo).
Quando avevo poggiato la bocca su di lui, lo avevo sentito tremare per un millesimo di secondo, e poi tentare di allontanarmi dal suo corpo, ma io lo avevo stretto forte a me, la mano sul petto spostata verso la parte opposta del collo e il mio busto premuto contro il suo.
Questa mossa lo convinse a non far nulla… se non stringermi sempre più a lui. La sua mano destra premette sulla mia schiena, più precisamente sopra i glutei, mentre con l’altra toccò la mia spalla sinistra.
Eravamo completamente uniti, incollati a vicenda. Potei sentire chiaramente come il mio cuore, già in fermento, battesse assieme al suo, seguendo un ritmo frenetico ed agitato, ma allo stesso tempo dolce e piacevole.
Più passavano i secondi, più io ero affamata di desiderio. Non volevo assolutamente smettere e, anzi, volevo che il tempo si fermasse, per permettermi di assaporarlo al meglio.
Continuammo così, con Jacob che mi stringeva per la schiena ed io che continuavo a leccargli la gola, finché lui non premette le sue labbra sulla mia spalla sinistra.
Fu allora che mi bloccai completamente, accorgendomi di come stavamo andando oltre ogni limite. La mia bocca si era staccata dal suo collo, mentre la sua si stava avvicinando sempre più al mio ad ogni bacio che stampava sulla mia pelle.
Non ci pensai due volte a dargli un cazzotto dritto nello stomaco. Interruppe ciò che stava quasi per fare, e io mi allontanai di colpo da lui. Mentre Teppista-Superman si massaggiava il ventre cercando allo stesso tempo di non finire piegato in due, io mi tenevo una mano alle labbra e un’altra stretta al petto, esattamente dove il mio cuore faceva sentire più forte il suo battito.
Toccandomi il viso mi accorsi di essere completamente accaldata, quasi ai livelli della lava.
Con gli occhi sgranati fissavo Jacob, mentre lui riprendeva finalmente fiato, ricambiando il mio sguardo. Anche lui sembrava accaldato, rosso com’era nel volto. Per qualche strana ragione arrivai a pensare che questo rossore lo rendesse più tenero.
Mi ricomposi, pulendo la mia bocca con il dorso della mano.
-Te lo avevo detto!- dissi. “E con questa siamo pari” pensai.
Prima ancora che Super-Teppista potesse rispondermi, sentimmo un rumore provenire dalla porta sulla quale un attimo fa lui era poggiato.
Jacob si allontanò da essa, e realizzammo che era il rumore di una chiave che era entrata nella toppa quando la porta si aprì piano.
Dall’altra parte sbucò fuori la testa del bidello, un anziano con tanto di baffi candidi ben curati e le rughe flosce che gli decoravano il volto.
-E voi due che stavate combinando qui?- chiese, con la sua voce incrinata dall’età, confuso, guardandoci entrambi negli occhi.
Per poco non gli saltavamo addosso urlando di gioia. Ci trattenemmo dal farlo, spiegando che eravamo finiti bloccati per colpa di uno scherzo di pessimo gusto.
Per fortuna il bidello (Martin, come lo chiamavano tutti gli studenti) era un uomo comprensivo e pacato, per questo ci fece uscire senza porre altre domande.
Jacob gli chiese allora se poteva aprire anche l’altra porta, quella che dava allo spogliatoio maschile.
Martin si diresse lì, e nel mentre Super-Teppista mi rivolse uno sguardo, arrossendo il doppio di prima in un nanosecondo, con la bocca spalancata ad “O” e un rivolo di sangue che fuoriusciva dal naso.
-Cosa?- gli chiesi, confusa. E questa reazione come si spiega?
-L-Leah?...- balbettò lui per un secondo, per poi scrollare la testa e ricomporsi. Sembrava aver realizzato qualcosa nella sua testolina da due neuroni, perché cambiò completamente atteggiamento, sogghignando.
-Ora siamo pari!- disse, indicando il mio corpo.
Mi guardai, notando come il mio asciugamano fosse caduto a terra (probabilmente non lo avevo chiuso così tanto bene), facendo scoprire così la mia nudità esattamente come mamma mi aveva fatta. Afferrai di colpo l’asciugamano, portandomelo all’altezza del collo, e corsi via da lì prima che Martin potesse tornare.
Mi fiondai nello spogliatoio femminile, ormai vuoto, con il cuore in gola e il corpo decisamente molto più caldo della lava.
Mi schiaffeggiai diverse volte, anche mentre mi rivestivo e mi asciugavo i capelli, persino mentre uscivo dall’edificio e raggiungevo di corsa la metropolitana.
Stupido…. Idiota… Pezzo di…. Razza di… Insolente… Pervertito! Pervertito! PERVERTITO!”.

 
-Jacob

 
“Almeno ci ho guadagnato qualcosa anche io” pensai, mentre Karate-Girl correva via, rossa come il fuoco. Scommetto che per poco non si metteva ad urlare.
In effetti era stata una bella goduria osservarla nuda come il giorno in cui era nata. Il suo corpo era così bello, così perfetto, con le cose giuste al posto giusto…
Trattenni i miei pensieri, soprattutto per non far alzare il cavallo in un momento simile.
-Ecco qua!- disse Martin, sbucando fuori dalle docce.
-Grazie- dissi, mentre il vecchio bidello si allontanava. Stavo per andarmene quando notai a terra un pezzo di carta. Lo raccolsi (per fortuna non era caduto in una zona bagnata) e mi accorsi subito che era il biglietto che aveva spinto Leah ad entrare nelle docce maschili, facendoci così rinchiudere. Prima lo aveva nascosto dentro l’asciugamano, forse in mezzo ai seni, ma era evidente che non si era accorta del foglio quando invece si era resa conto di essersi esposta in tutta la sua …. Come diceva la professoressa di inglese? Ah, ecco, Beltà primordiale.
Era spiegazzato, così cercai di lisciarlo per bene, riuscendo così a leggerne il contenuto. Non saprei dire se rimasi sorpreso, oppure scosso. O semplicemente incredulo. Fatto sta che Sam (la sua grafia era riconoscibile a vista d’occhio, troppo scoordinata e distorta) doveva aver pensato bene che il contenuto della mezza lettera avrebbe fatto infuriare Leah, così tanto da spingerla ad agire senza riflettere due volte. Se lei lo avesse trovato, e avesse deciso di affrontarlo, allora avrebbe perso in partenza…. E con grande probabilità lui l’avrebbe…
Grugnì, stringendo il figlio in pugno, mentre mi dirigevo verso lo spogliatoio maschile, con la rabbia che saliva a causa di quel pensiero.
Però la situazione non aveva senso: se davvero Sam voleva farle del male, perché diavolo siamo rimasti chiusi dentro le docce? Non potevano di certo esser stati i Furious Wolfpack a rinchiuderci, perché ciò andava contro la volontà del loro capo. Ma allora chi ha chiuso le porte con dentro noi due? E perché?
Chiunque sia stato potevo solo ringraziarlo, perché in questo modo Leah non è finita tra le grinfie di quello stronzo, diventandone così l’ennesima vittima.
Mentre mi infilavo i pantaloni, la mia mente tornò indietro di qualche minuto, quando avevo notato quel succhiotto sulla sua pelle che stava scomparendo, e  quando Karate-Girl mi aveva spinto contro la porta e mi aveva leccato la gola. Dai suoi movimenti era chiaro che era alle prime armi, che non ne sapeva un fico secco su come doveva mettere le mani e dove, ma ciononostante è riuscita a cavarsela. Era evidente che aveva abbastanza fegato da fare ciò, anche se (posso dirlo con un alta percentuale di probabilità, che si avvicina al novantacinque per cento) sembra essere vergine.
Parlo sul serio quando dico che mi stava eccitando troppo, se penso poi che aveva praticamente i seni (decisamente morbidi!) contro il mio petto e le sue gambe che sfioravano le mie…
Inizialmente non volevo che facesse una cosa del genere, perché la sua mossa mi faceva sentire…. come dire… dominato, senza darmi la capacità di fare qualcosa, ma poi lei si era stretta sempre più a me, e allora non ci ho visto decisamente nulla.
Anche se cominciavo a pensare con il mio sesso, non me ne fregava niente. L’avevo stretta a me, lasciando che mi mordesse la gola (mentre ci riflettevo ora, mi sono guardato allo specchio, notando un bellissimo succhiotto nuovo nuovo), e nel frattempo io mi assaporavo il suo profumo, così dolce e squisito, come assaggiassi del cioccolato mischiato al miele. Forse era il suo odore che mi spinse a baciarle la pelle, così morbida, liscia e calda, fin quasi a voler arrivare nuovamente al suo collo. Questa situazione poteva andare ben oltre, se solo a quella testa calda non le fosse venuto in mente che il suo modo di fare non era decisamente casto e puro, dandomi così un bel pugno allo stomaco, rovinando tutto (?).
Finii di vestirmi e uscii dalla scuola, ringraziando il cielo che ci fosse un bel venticello. Dopo una situazione simile, mi mancava un quarto di fiato e avevo la temperatura corporea troppo alta per i miei gusti. Lasciai che la fredda aria londinese mi facesse riequilibrare lo status del mio fisico, per poi dirigermi verso l’Underground.
 
 
Angolo Autrice (che in ritardo è ma finge che non lo sia :D) :
Finalmente oggi sono riuscita a fare questa benedetta terza prova, e visto che gli orali me li ritrovo a Luglio, ho pensato di prendermi una pausa dallo studio e di finire questo capitolo che avevo iniziato da secoli.
Perdonatemi per questo pazzesco ritardo, e, come sempre, non so nemmeno dirvi quando mi rimetterò a scrivere con tempi più regolari.
Spero quindi che il capitolo vi sia piaciuto :)
Enjoy :D
Delyassodicuori
P.s. dedico questo capitolo in particolare a “princessredmoon” e a “SweetLuna”, che con grooooooooossa probabilità stavano rosicando per i tempi prolungati di questa merd….. scritto :) Tanto amore per voi <3 

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Capitolo 11
*** 11_ Fobie e Fiducia ***


11_ Fobie e Fiducia
 

 
-TU E JACOB BLACK ERAVATE SOLI NELLA STESSA STANZA?!?- urlò Bella.
-ED ERAVATE MEZZI NUDI?!?- si aggiunge Alice.
-E NON AVETE SCOPATO?!?- urlò ancor più forte Rosalie, facendo esclamare alle amiche:-Rosalie, ma cosa dici?!?-.
Sputai fuori mezzo succo di arancia che stavo bevendo dopo l’urlo della biondina. Mi guardai intorno, notando come gli altri studenti ci stavano fissando.
-Rosalie, maledizione, chiudi la bocca!- stavo per esplodere, stringendo in un pugno la mia bottiglia di succo –E poi smettetela di urlare, ci stanno guardando tutti!-.
Tutti tornarono agli affari loro quando le tre ragazze si guardarono alle spalle.
Rosalie, che sembrava quella più in fermento delle tre, mise le mani al tavolo e si alzò, con il busto rivolto in avanti e il viso rosso dalla rabbia.
-D’accordo Leah, ma mi spieghi perché cavolo non avete fatto sesso in un momento simile?-
-Rose ma sei scema? E’ una cosa… impensabile!- dissi, tornando a bere il mio succo.
-Si certo, ma… pensaci bene- continuò lei, stavolta con il volume della voce abbassato –Era un occasione perfetta per una bella…-
Sputai di nuovo la bevanda, esclamando un:-Ma neanche per sogno!-.
La biondina sbuffò, mollando le mani dal tavolo e stendendosi ritta in piedi. –Ma insomma, Leah, mi fai quasi pensare che tu sia…. – (e in quella le si accese come una lampadina) –Ferma. Aspetta un secondo. Tu non sei veramente vergine, dico bene?-.
Rimasi con la bocca spalancata, senza trovare una risposta abbastanza concreta da darle. Boccheggiai varie volte, mentre le mie guance cominciavano ad accaldarsi, finché non fu lei stessa a rispondere per me:- Aha! Allora è vero che lo sei!-
-Cosa…. Io non….- balbettai, per poi crollare sul tavolo. –E va bene, lo ammetto… lo sono-.
-Ok, sarai anche vergine- disse Alice –Ma avrai almeno avuto un ragazzo, no?-
Scossi la testa, poggiando poi la fronte sulla superficie del tavolo.
-Ahia, non va bene per niente- fece Rosalie, contrariata –Ma effettivamente spiega perché non lo avete fatto. Fammi indovinare, gli hai dato qualche cazzotto?-.
-Si…. Uno. Prima che arrivasse Martin a liberarci- risposi, ricomponendomi. Non avevo raccontato a loro della situazione del collo, né del mio né di quello di Jacob. Non mi sembrava affatto il caso di farlo. Quella era una questione tra me e lui.
-Tornando a questioni serie- disse Bella, congiungendo le mani sotto il mento e poggiando i gomiti al tavolo –Dopo avete scoperto chi vi aveva rinchiusi?-
-No- risposi –Potrebbero anche esser stati i Furious Wolfpack ma non ne sono così sicura…-.
-Non sono stati loro- disse una voce maschile fin troppo familiare alle mie spalle.
Mi voltai, trovandomi proprio Teppista-Superman che, come sempre, non si sapeva fare gli affari suoi.
-Scusa tanto, ma chi ti ha detto di entrare nei discorsi altrui?!?- gli sbraitai in faccia.
-Pfff, è una cosa riguarda anche me, visto che c’ero pure io nelle docce, genio!- rispose, per poi aggiungere:-Senti, posso parlarti un attimo?-
Lo guardai per un po’, valutando la situazione. –Ok, dimmi- risposi, incrociando le braccia al petto. Jacob guardò per un secondo Alice, Bella e Rosalie, rivolgendomi nuovamente lo sguardo:-In privato-.
Sentii come le tre ragazze rimasero per poco senza fiato. Alice stava persino per nascondere un risolino complice.
Sbuffai un:-D’accordo, dove?-.
-Vieni- disse, prendendomi il polso di colpo e trascinandomi via dalla mensa come se niente fosse.
Camminava abbastanza velocemente, ma per me non fu difficile tenergli il passo. Continuava a tenermi stretto il polso, come se temesse che potessi sfuggirgli da un momento all’altro. La cosa mi dava alquanto sui nervi, ma allo stesso tempo… perché quella stretta cominciava a piacermi?
Scossi la testa. Non era questo il momento di farsi chissà quale pensiero stupido.
“Tutta colpa di Rosalie e del suo discorso sulla verginità e sul sesso” pensai.
Si, poteva essere solo questo.
Ci fermammo di fronte ad un aula, completamente vuota. Non solo mancavano le persone, ma anche alcuni banchi e moltissime sedie. Non c’era nemmeno la lavagna. Entrammo dentro, poi Jacob chiuse la porta alle sue spalle. Io intanto andai verso un banco e ci poggiai il sedere sul bordo, incrociando nuovamente le braccia.
-Allora, cosa vuoi dirmi?- chiesi, mentre l’agitazione si faceva strada all’interno del mio cuore.
“Almeno stavolta siamo vestiti, asciutti e al caldo, e la porta non è chiusa a chiave” riflettei. Rispetto a ieri la situazione era già migliore.
-Prima di tutto- iniziò lui, avvicinandosi. Scoprì meglio il suo collo, mostrando tutto fiero la bella macchia nera che io gli avevo procurato.
-Ottimo lavoro comunque, mi piace questo succhiotto!- esclamò lui, con un sorriso molto ampio. Sentii i miei nervi farsi più duri, così mi avvicinai a lui e gli diedi un pugno sopra la nuca.
-Era di questo che volevi parlarmi, deficiente?- gli urlai nuovamente contro.
-Ahia, no!- disse lui, massaggiandosi la testa –No, hai ragione, volevo parlare di altro-.
-E allora muoviti, dopo ho un compito di matematica!- dissi io, furiosa.
-Se salti una verifica per una volta non casca il mondo- sbuffò –Peccato, pensavo che fossi disponibile dopo per farti svergin…-.
Stavolta non fu un pugno quello che gli arrivò, ma un calcio per mirato ai suoi gioielli.
Jacob si ritrovò con la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite. Crollò a terra, tenendosi il pacco e mandandomi a quel paese nella lingua dei nativi americani. Con mia grande sorpresa scoprì che aveva l’accento da Quileutes, come quando noi in famiglia parliamo nella nostra lingua originaria.
-Quileutes anche te, eh?- domandai, mentre lui si rialzava.
-Si, brutta stronza!- rispose, massaggiandosi ancora un poco le palle, per poi tornare ritto a squadrarmi.
-Scusami, ma invece di andare al sodo continui a sparare stronzate- dissi, con le mani ai fianchi.
Jacob sospirò, massaggiandosi il capo e lasciandosi sfuggire un:-Questa prima o poi mi ammazza!-.
A questa affermazione non risposi. Strinsi i pugni, ma decisi di non reagire. Riuscii stranamente a controllare la mia rabbia.
“Respira piano” mi consigliò la mia coscienza.
Per una volta decisi di ascoltarla.
Tornai a guardare Jacob, e allora lui iniziò il discorso:-Tu pensi che siano stati i Furious Wolfpack  a rinchiuderci, ma ti sbagli. Sono stati quei cretini di Quil e Embry a farlo-.
-Cosa?- esclamai, incredula. –Ma… sono tuoi amici, perché diavolo…?-
-Perché … beh, è un po’ complicato, vuoi sederti?- chiese, ma io dissi di no con la testa. Lui allora prosegui:-Mentre io stavo ancora entrando nella doccia, Quil e Embry avevano già fatto e, mentre si stavano rivestendo, avevano sentito due o tre di quella banda che parlavano di una certa cosa… questa cosa consisteva nel farti trascinare verso Sam con un imbroglio. Embry allora ha pensato (e non chiedermi come gli sia venuto in mente) che, se fosse successo qualcosa a te, allora io sarei potuto intervenire, ma sarebbe successo tutto esattamente come l’altra volta quando Sam ti ha tagliato i capelli. Così lui e Quil hanno sentito ancora in cosa consisteva l’inganno e si sono organizzati. In qualche modo si sono persino coordinati (di nuovo non chiedermi come, non l’ho capito nemmeno io) e, quando Quil ti ha visto dalla finestra fuori dalla piscina mentre venivi verso le docce, ha riferito a Embry e lui ha chiuso a chiave la porta delle docce che dava allo spogliatoio. Quando poi sei entrata tu, Quil ha fatto una bella corsa e ha chiuso anche l’altra porta. Hanno poi aspettato che i Furious Wolfpack se ne andassero (Sam compreso), per poi riferire a Martin che c’erano due ragazzi che avevano bisogno di aiuto nelle docce. E beh… questo è quello che mi hanno raccontato oggi prima che venissi da te per riferiti tutto-.
Avevo ascoltato tutto il racconto, senza tralasciare nulla. Ma c’era una cosa in quello che aveva detto che mi aveva messa in ansia. E questa ansia si trasformò in certezza e panico quando Jacob, dopo aver finito il discorso, aggiunse, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni un foglietto accartocciato:-Riguardo alla cosa di farti cadere in trappola, ieri non ti sei accorta che, oltre all’asciugamano, ti era scivolato via questo-.
Mi bastò una sola occhiata per capire che era lo stesso fottuto biglietto di ieri.
 
So del tuo segreto, novellina da quattro soldi, e ho intenzione di utilizzare quest’informazione contro di te. Se, però, vuoi che questa cosa rimanga in silenzio, vieni da me e affrontiamoci. Saremo solo noi due, e nessun’altro s’intrometterà, né gli altri Furious Wolfpack, né il tuo amichetto Black.
Hai cinque minuti per rifletterci e presentarti, altrimenti…
 
Naturalmente non ero riuscita a capire nemmeno ieri cosa avrebbe fatto il mittente se non fossi venuta. La minaccia finiva lì, con quell’altrimenti.
Ma non era l’ultima frase che mi spaventava, bensì la prima.
Possibile che sapeva del…
-Ora- fece Jacob, interrompendo i miei pensieri di colpo –Vista la situazione, che ne dici di spiegarmi cosa sarebbe questo segreto?-.
“Cazzo” pensai solo. E adesso?
Non potevo di certo dirgli tutto. Quel segreto riguardava il motivo principale per cui ho dovuto cambiare scuola. Speravo che una volta trasferita in un altro istituto non avessi dovuto rievocare certe memorie o certi fatti… e ora eccomi qui, con un capo-banda pericoloso che sembra sapere cosa ho combinato in passato, e con un ragazzo di fronte a me che pretende di saperlo.
Però… se fosse invece tutto un alibi? Se invece Sam (a questo punto era ovvio che era stato lui a scriverlo) si fosse inventato tutto, senza però essersi accorto che, effettivamente, nascondevo qualcosa?
Era una possibilità. D’altronde, come poteva avere informazioni su di me? Era assurdo…
-Jacob, fammi il piacere- dissi –Secondo te può sapere se ho fatto qualcosa precedentemente o meno? Sicuramente ha inventato questa storia per…-.
-Ci ero arrivato anche io a questo ragionamento- rispose Super-teppista –ma se fosse così tu non saresti partita in quattro ieri per cercare di affrontarlo, o sbaglio? Quindi, anche se se lo fosse inventato, ci ha azzeccato comunque-.
“Troppo sveglio” deglutii “E io sono troppo idiota!”
-Leah- disse Jacob, facendosi più vicino –Si può sapere cosa succede?-.
Non risposi. Rimasi in silenzio, mentre Jacob lasciava cadere il foglio a terra, completamente incurante.
-Non posso dirtelo- dissi, dopo aver atteso altri due secondi e mezzo.
-Perché no?- chiese, serio –E non ti azzardare a dirmi che non è affar mio, perchè…-.
-Non mi fido di te!- risposi, fissandolo dritto negli occhi.
Jacob rimase lì, a fissarmi. Forse era dispiaciuto per quello che avevo detto, ma non potevo farci nulla.
Avevo già perso tutti i miei vecchi amici per colpa di quella storia… non avevo intenzione di farmi odiare ancor di più. E poi chi mi dice che Jacob non lo può andar a spiattellare in giro ai suoi amici, che di conseguenza lo possono andar a dire a qualcun altro?
Abbassai il capo. Era una situazione veramente penosa.
-Capisco- sospirò Jacob, quando invece dal suo tono si capiva perfettamente che non era soddisfatto.
Avanzai, provando a superarlo per raggiungere la porta, ma Jacob con il braccio mi bloccò la strada, poggiando la mano alla parete.
-Lasciami andare- sibilai, stringendo i pugni.
-Altrimenti?- mi sfidò, senza però osare guardarmi –Cosa fai? Mi tiri un calcio?-.
-Non tentarmi, potrei farlo anche ora-.
Passarono una decina di secondi, dopo di ché, con riluttanza, mi fece passare, facendo scivolare il braccio lungo il fianco con disprezzo. Passai oltre, senza osare guardarlo. Ma quando arrivai alla porta e cercai di aprirla, mi resi conto che era stata chiusa a chiave. Infatti, per quanto sforzassi la maniglia, no riuscivo ad aprire. Grandioso.
Respirai profondamente, per poi schizzare e dare un calcio al culo di Super-Teppista.
Lui cadde come un sacco di patate, e quando si risollevò, mi squadrò confuso e spaesato - naturalmente non si era voltato, per cui un colpo da parte mia non se lo aspettava.
-Ma si può sapere cosa cazzo fai?- sbraitò lui, offeso, rialzandosi in piedi e massaggiandosi le chiappe.
-Vorrei tanto chiederlo a te!- gli urlai di rimando –Mi spieghi perché hai chiuso la porta?-
-Eh?- fece, guardando oltre la mia spalla. Mi superò di fretta e furia e tirò la maniglia un paio di volte, senza ottenere nessun risultato.
La sua espressione passò dal confuso all’incredulo, e poi al terrorizzato.
-Non … saranno stati di nuovo Embry e Quil, vero?- chiesi. Dalla sua faccia si capiva che Jacob non c’entrava nulla.
-No… avevo… detto loro di non farlo più…- deglutì lui.
Poi si sentì bussare da fuori. Erano colpi molto forti e violenti, e anche così tanto improvvisi da far schizzare Jacob all’indietro e a far venire un colpo alla sottoscritta.
-Jaaaaaaaaacoooooooooob, Leeeeeeeeeeeaaaaaah!- fece una voce dall’altra parte della porta, soave e minacciosa allo stesso tempo. Capii subito che era Paul.
-Cazzo….- sibilò Super-teppista.
-Si, cazzo è la parola giusta…- sospirai io.
Paul continuò a parlare, sempre con lo stesso tono:-Siete nei guai, pezzi di merda. Stanno arrivando gli altri, e vi sfonderanno il culo. In senso letterale per quanto riguarda a te, Clearwater!-.
Deglutii. Volevano seriamente…?
-E se li affrontassimo…?- proposi, ma Jacob mi zittì subito:-No, quelli che avevi affrontato l’ultima volta erano troppo deboli e troppo pochi. Sam non è così stolto da ripetere lo stesso errore. Se li affrontiamo adesso abbiamo già perso in partenza!-.
-E allora che diavolo facciamo?- domandai. Stavo cominciando ad innervosirmi parecchio, e a maggior ragione, visto che stavo per essere stuprata di lì a pochi attimi!
Jacob guardò la finestra, per poi avvicinarsi ad essa. Capii dove voleva andare a parare, e ciò mi fece salire i brividi lungo la schiena.
-Tu non fai sul serio- dissi, più a me stessa che a lui.
-Hai idee migliori?- chiese, aprendo la finestra e guardando in basso.
-Jacob… SIAMO AL TERZO PIANO!!!- urlai, andando completamente nel pallone. Stavo persino sudando freddo e il mio cuore batteva troppo forte per il terrore.
-E’ vero- disse Jacob, guardandomi –Ma qua sotto c’è un grosso cespuglio, renderà l’atterraggio morbido e indolore-.
-Si, ma sei pazzo?!? Vuoi veramente saltare da una cazzo di finestra?!?- sbraitai. Tutta la mia dignità mi stava abbandonando, mentre in me si faceva strada la paura. Non sapevo veramente cosa era peggio: saltare da una finestra di un edificio di tre piani, o farsi stuprare da una banda di chissà quante teste di cavolo!
Prima che potessi aggiungere altro, Jacob mise il piede sinistro sulla cornice della finestra, poi il ginocchio destro, ed infine sparì nel nulla.
Soffocai un urlo in gola, portandomi le mani alla bocca, mentre il cuore sembrava aver smesso di battere per un millesimo di secondo. Le gambe mi tremavano mentre mi avvicinavo alla finestra. Guardai con fatica verso il basso, ma poi ripresi a respirare quando vidi il ragazzo pazzo sopra un grosso cespuglio verde scuro. Jacob si tolse da lì, togliendosi un po’ di foglie di dosso, per poi guardarmi e dirmi:-Andiamo, è facile! Salta!-.
-No!- scossi il capo. Cominciava a girarmi la testa e il cuore aveva ripreso a pompare fortissimo. Alla porta qualcuno stava sbattendo ancora i pugni, mentre lanciava degli strani ululati a caso – fatti anche male, per giunta!
-Leah, ascolta, non hai altra scelta!- fece Jacob –Devi saltare, o quelli ti violenteranno fino a quando non sarai morta dal dolore!-.
-NON SEI RASSICURANTE!- gli urlai, mentre la mia fronte cominciava a bagnarsi per il troppo sudore.
-Blaaaaaaaack, Clearwaaaaaaaateeeeeeer! Sta arrivando Saaaaaaaaam!- fece Paul dall’altra parte della porta.
I secondi si facevano sempre più pressanti, e l’aria cominciava a mancarmi. Più guardavo in basso, più mi venivano le vertigini.
Le mie gambe tremavano e così valeva anche per le mie mani. Cosa fare…. Cosa fare…
Stavo per tornare indietro, quando Jacob urlò:-NO! Leah, non lo fare! Non ci riuscirai mai contro tutti loro!-.
-Jacob, non ci riesco!- gli gridai in faccia, tornado alla finestra di colpo –Mi viene da vomitare, mi gira la testa… io… io non posso… non…-
Ancora pugni che sbattevano contro la porta.
Mi mancava decisamente il fiato.
Cominciavo pure a non vederci nulla.
-Leah, ti prego!- fece Jacob, alzando poi le braccia verso di me –Ti afferro io, non ti devi preoccupare!-.
-E chi mi dice che invece mi lascerai cadere?- urlai con il poco fiato rimasto. Cominciavano a venirmi le lacrime agli occhi e, con molta probabilità avrei anche potuto delirare.
-Non hai scelta!- urlò Jacob, con la voce più disperata possibile e gli occhi sui miei –Ti devi fidare di me!-.
Non so di preciso cosa accadde dentro di me.
Non appena aveva pronunciato quelle cinque parole, di colpo non avevo più paura. La tremarella alle gambe e alle braccia era scomparsa, e il mio cuore continuava a battere forte, ma stavolta non per il terrore… ma per l’adrenalina.
Avvenne tutto in un secondo, come al rallentatore.
Il mio corpo agiva il modo automatico, mentre avevo spento il cervello per non pensare alla cagata che stavo per fare.
Poggiai il piede sinistro sulla cornice, poi il ginocchio destro, e nel momento il cui la porta si aprì di schianto, io spinsi il mio corpo in avanti, lasciandomi cadere nel vuoto.
La sensazione di brivido scorse nelle mie vene e lungo la mia spina dorsale, mentre tenevo gli occhi puntati su Jacob, che si stava avvicinando sempre più a me.
Riuscì ad afferrarmi in tempo, cingendomi con le braccia la mia schiena, mentre entrambi cadevamo nella terra polverosa vicino al boschetto.
Rimanemmo lì, stesi a terra, mentre il mio corpo riprendeva a tremare di brutto. L’adrenalina era scomparsa, e al suo posto era tornato di nuovo il panico. Jacob mi stringeva a sé con un braccio, mentre con l’altro aiutava entrambi a rimetterci seduti.
-Tutto ok? Niente di rotto?- chiese, con il fiatone. Probabilmente con il mio atterraggio gli avevo tolto metà aria dai polmoni.
In risposta gli strinsi la camicia con un pugno, esattamente dove si trovava il suo cuore – che, da come percepivo, pompava forte quasi quanto il mio, anche se non saprei dire esattamente per cosa.
Non riuscivo a staccarmi da lui. Avevo appena fatto un salto dal terzo piano ed ero ancora viva…
Jacob sembrava capire come mi sentivo, perché poi con la mano che ancora mi teneva a sé cominciò ad accarezzarmi la schiena, mentre con l’altra accarezzò la mia nuca, affondando le dita tra i miei capelli.
-E’ tutto ok, Karate-Girl- mi rassicurò, calmo –Va tutto bene, rilassati ora-.
Ci provai. Respirai a fondo, con calma. Sentii poi le voci della banda provenire da quella stramaledetta finestra. Ci sbraitavano addosso, mandandoci a quel paese e giurandoci di farsi le nostre madri, e tante altre cose che fin’ora non avrei mai pensato di sentire.
Poi si zittirono quando Sam arrivò alla finestra urlando loro di tacere.
Ci guardò dall’alto, con disprezzo, mentre io e Jacob ricambiavamo lo sguardo.
Super-teppista mi strinse ancor di più, e per una volta non ebbi nulla da obbiettare. Anzi, era in qualche modo rassicurante quell’abbraccio.
“Meno male che non ti fidavi, eh?”
-Ehi, Clearwater!- disse il capo-banda, sventolando il biglietto che Jacob aveva lasciato cadere –Le mie più profonde condoglianze, a proposito!-.
Ed ecco che di nuovo il panico mi sale al livello delle stelle.
Allora… sa!
Ma… come?
Jacob mi guardò per un momento, ma decise di non dire nulla, se non mandare un bel dito medio a Sam e al suo branco.
L’alfa non se ne preoccupò. –Sarà un’altra volta allora- disse, mentre lui e gli altri sparivano dalla nostra vista.
Jacob sospirò forte, mentre io mi lasciavo crollare definitivamente su di lui.
Per quanto tempo siamo rimasti così non sapevo dirlo. Fatto sta’ che ad un certo punto Jacob mi sussurrò all’orecchio:-Se ti senti abbastanza in forze per camminare, ti porto a sedere all’entrata-.
Annui, e lui mi aiutò a reggermi. Purtroppo per me le mie gambe non funzionavano ancora molto bene, così fui costretta a farmi reggere in un primo momento per le spalle, ma visto che nemmeno in questo modo funzionava, Jacob decise di sollevarmi dal terreno e di tenermi in braccio. Mi strinsi forte a lui, cingendogli il collo con le braccia e poggiando la fronte sulla sua spalla. Le uniche cose che potevo avvertire in quei pochi attimi di contatto fu il suo profumo, così dolce e selvaggio allo stesso tempo, e il calore del suo corpo, che aveva non so quale razza di effetto anestetizzante su di me. Queste due cose mi fecero dimenticare tutto il resto, e io arrivai invece a desiderare di rimanere così per sempre, esattamente come ieri alle docce .
Quando mi fece scendere, eravamo dentro alla Reception, sotto al grande stemma della scuola appeso in alto sopra le nostre teste e davanti al bancone. Il vecchio segretario sembrava non esserci a quest’ora. Jacob mi fece sedere sulla panchina piazzata nella parete opposta al banco della Reception, inginocchiandosi poi di fronte a me. Io intanto tenevo i gomiti sulle gambe e la testa alle mani, mentre le immagini del salto continuavano a percuotermi nella mente.
-Vado a prenderti un thè? In questi casi dicono che faccia bene- propose, in pensiero. Alzai il capo e lo guardai per un secondo. Chiusi gli occhi e feci “si” con la testa. Super-teppista si alzò e si diresse verso la macchinetta che stava a fianco, inserendoci all’interno qualche spicciolo.
Una volta che il thè fu pronto, tornò da me, si sedette al mio fianco e me lo porse. Lo accettai di buon grado e cominciai a berlo, prima di fretta e furia, ma poi il calore della bevanda mandò a fuoco la mia gola e la mia lingua, facendomi tossire per un attimo. Mi ricomposi il prima possibile per evitare di far preoccupare ulteriormente Jacob, per poi tornare a bere ma con più calma.
Finito il thè, tenni il bicchiere di plastica tra le mani, fissando i residui di zucchero al suo interno.
Mi venne in mente di colpo una cosa, facendo sorridere me confondere il ragazzo al mio fianco.
-Mi fa piacere che tu ti sia ripresa- disse –Ma illuminami, cosa ti fa ridere di tutto ciò?-.
-Alla fine mi sono fidata- gli dissi, voltandomi verso di lui e fissandolo negli occhi.
Jacob sorrise (non credevo che il suo sorriso fosse così bello) e disse:-Già. Visto? Sono affidabile!-.
-Si- risi, tornando a guardare il bicchiere. Jacob si lasciò stendere sullo schienale della panchina, facendo un forte ma sollevato sospiro, come a dire “Pericolo scampato”.
Lasciai allora che fosse nuovamente il mio corpo ad agire e abbandonai la testa sulla sua spalla, facendolo rimanere di stucco.
Quando però gli dissi un:-Grazie- sincero, lui allargò il sorriso e con il braccio mi cinse le spalle. Mi lasciai così coccolare dal mio rivale e salvatore, ignorando il resto del cosmo.
 
Angolo Autrice:
Dai, stavolta sono stata svelta :)
Ve lo avevo promesso in fondo, no? Gli esami sono finiti (Dio onnipotente, ti ringrazio!), e ora posso finalmente dedicarmi alla scrittura, al disegno e a tante altre cavolate X)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e mando un abbraccio forte a tutti :D
Delyassodicuori

 
 

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Capitolo 12
*** 12_ ***


12_ “Siamo due stupidi”
 
-JACOB
 
-Scusate, voi due, non potete dormire qui!-.
Mi svegliai di soprassalto, decisamente confuso. Davanti a me c’era il vecchio segretario, ritto in piedi e con le braccia incrociate, e uno sguardo decisamente severo. Mi guardai attorno, cercando di ricordare cosa era successo negli ultimi minuti. Quando mi accorsi che eravamo alla Reception e che Leah si era addormentata sulla mia spalla, ricordai tutto: la discussione nell’aula, il salto dalla finestra, Leah terrorizzata, i Furious Wolfpack che ci latravano addosso, io che portavo qui Karate-Girl tutta tremante…
-Non avreste lezione adesso? Cosa fate qui?- chiese di nuovo il segretario, stavolta sul punto di perdere la pazienza.
-Uh….- feci, senza sapere da dove spiegare. Ci pensai su un attimo e poi dissi:-La lezione di Geografia era snervante per entrambi, e visto che lei era stanca…-.
-Non m’interessa se avete voglia di dormire o meno, non potete farlo qui!- mi sbraitò in faccia lui –Ora alzatevi e tornate in classe!-.
-Ok ok!- dissi, scuotendo leggermente la spalla di Leah. Inizialmente lei bofonchiò qualcosa nel sonno, poi pian piano aprì gli occhi e se li stropicciò.
Il segretario tornò al suo banco, mentre la ragazza sbadigliava.
-Ah, Seth, che razza di sogno- farfugliò lei –Stavo in una stanza con Super-Teppista… un mio compagno di scuola che adora fare a cazzotti con la gente… poi dei bulli ci hanno rinchiusi dentro e per uscire siamo dovuti saltare da una finestra dal terzo piano… stranamente Super-Teppista aveva anche delle orecchie e la coda da lupo rosso…-.
Leah si guardò poi attorno, rivolgendo infine lo sguardo a me.
-Orecchie e coda da lupo, eh? Non male!- le sorrisi –Però mi spieghi dopo perché dovrebbero essere rosse-.
Karate-Girl mi fissò per un lungo (lunghissimo) momento prima di rendersi conto che il suo sogno era invece un ricordo dell’ultima ora.
Quando se ne accorse sgranò gli occhi e rimase a bocca aperta, poi fissò davanti a sé, si strinse nelle braccia e farfugliò ancora:-Non era un sogno, non era un sogno, non era un sogno, non era un sogno….-.
-Su forza, bella addormentata- la richiamai, dandole pacche leggere sulla schiena –Dobbiamo andare ora, altrimenti chi lo sente il segretario?-.
Leah smise di blaterare e guardò il banco, notando come il vecchietto ci fissasse con odio. Lei allora si alzò di colpo e disse:-Bene, devo fare giusto una verifica ora…-.
-Non penso, l’ora di Matematica l’abbiamo saltata tutta- precisai, indicandole l’orologio appeso dietro al bancone.
Karate-Girl lo fissò e spalancò nuovamente la bocca ad “O”, incredula o forse agitata.
-Porca puttana!- sibilò, poi mi afferrò per il polso e, veloce come un razzo, mi trascinò via fino alla palestra per l’ora di Ginnastica.
-Cazzo, non andare così di fretta!- dissi una volta arrivati davanti all’ entrata della palestra, o almeno provai a dire, per quanto fiato mi mancava dopo quella corsa. Lei poteva anche stare al mio passo, ma questa regola non valeva all’incontrario. Dei due lei era la più veloce, mentre io solo per starle dietro dovevo vendere un polmone.
-Scusa- fece Leah –Ma non ho intenzione di perdere un’altra lezione!-.
-Ti perdono ma solo perché è Ginnastica!- dissi, ricomponendomi e sbuffando forte.
Mancava quasi un minuto al suono della campanella, per questo la porta della palestra era ancora bella chiusa – infatti oggi l’orario del prof consisteva solo nelle ultime due ore con noi del quarto anno.
-Senti, è la prima volta che salti da una finestra?- chiese Leah, mentre entrambi aspettavamo il prof., appoggiandoci alla parete al fianco dell’entrata alla palestra.
-Naah, lo avrò fatto almeno una decina di volte!- scherzai –E’ troppo mainstream prendere la porta per questo mi piace saltare dalle finestre!-.
Leah annui, ridendo subito dopo sotto i baffi.
-Che figura di merda la mia eh?- disse lei –L’unico qui che ha fatto qualcosa di eroico se non pazzo sei stato tu!-.
-Oh, per cortesia!- feci –Chiunque si sarebbe cagato sotto se doveva pensare di fare una scemenza simile, no?-.
-Si, ma tu il fegato ce lo hai avuto-
-Non avevamo altra scelta, sai com’è!-
-E comunque anche se una persona qualunque si fosse spaventata per questa idea, dopo averla fatta non sarebbe rimasta paralizzata ancora!-.
Leah fece il broncio mentre diceva quelle parole. Notai poi che stava arrossendo, ma forse per la vergogna.
-Non è colpa tua se soffri di vertigini- dissi –Sai quante persone hanno la caga dell’altezza in questo stramaledetto mondo?-.
Leah non rispose, o per lo meno non subito. Si vergognava fin troppo ad ammettere la sua fobia. In un certo senso faceva tenerezza.
-Ora non venirmi a dire che tu non hai paura di niente!- tagliò corto Karate-Girl, punzecchiandomi.
-Come cambiare discorso…- stavo per ribattere, ma lei fu più svelta –Non cambio discorso, è più o meno collegato! Io … soffro di v-vertigini, è vero-( e in quella arrossì il doppio e guardò i suoi mocassini, ma poi tornò con lo sguardo puntato sul mio)-Ma tutti abbiamo paura di qualcosa, no?-.
-Giusto- ammisi, ciondolando con i piedi.
-Allora, signor Super-Teppista, di cosa hai tanto timore da non volerlo ammettere ad una ragazza?- chiese lei, sogghignando.
Io, da perfetto cretino che sono, le chiesi tranquillamente:-Perché, sei una ragazza?-, e in questo modo riuscii a farmi beccare un pugno dritto nella guancia da Karate-Girl. Per fortuna non era così forte.
Mi ricomposi subito, massaggiandomi il viso e latrando un:-O-ok, scusa, non ti alterare con il tuo salvatore!-.
-Vantati poco!- mi minacciò lei, voltando poi la testa altrove. La campanella finalmente suonò, e nei piani superiori si sentirono fin troppi schiamazzi degli studenti. Il professore arrivò prima del previsto, ma dalla sua faccia si notava perfettamente che per lui non era giornata.
Meglio non far alterare il bue!” pensai, per poi dire la stessa cosa sottovoce a Leah. Lei annui, perfettamente d’accordo.
Quando il prof. aprì la porta ed entrò, Leah lo seguì, ma si fermò di colpo alla soglia e mi tirò per la cravatta verso di lei, facendomi ritrovare con il viso a due dita di distanza dal suo.
-Ehi, buona, siamo già a questo livello?- ammiccai, ma Leah (nonostante il rossore ben evidente nelle guance) non demorse.
-Prima o poi ti farò dire di cosa hai paura, stanne certo!- sibilò lei, ma con un tono talmente sensuale che per poco non persi la lucidità.
-Certo, come no- risposi, utilizzando la sua stessa tecnica –E che vogliamo fare con il tuo segreto, invece?-.
Questo bastò per farle cambiare di colpo l’umore. Dallo sguardo sicuro, passò ad uno più terrificato, per poi sbuffare e lasciarmi via la cravatta. Forse voleva darmi un altro cazzotto, ma Karate-Girl a quanto sembra ci aveva ripensato.
Prima ancora che la ragazza potesse avviarsi allo spogliatoio femminile, sentimmo entrambi un urlo provenire da dietro di noi, e a quanto avevo capito sembrava chiamare Leah.
-Oh cielo- sospirò sconfitta lei, mentre quella nanerottola di Alice sbucava fuori dal nulla, con la borsa di Karate-Girl in mano, strillando con la sua fastidiosissima voce:-LEUUUUUUUCIIIAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!-.
Non passarono neanche due secondi che la nana si buttò addosso a Leah, cingendole il collo con le braccia, facendo però cadere entrambe sul pavimento.
Scoppiai a ridere, mentre anche gli altri studenti del nostro anno arrivavano.
-Alice, per la miseria, togliti!- urlò di rimando Leah, scansando via la faccia di Alice dal suo petto. Per qualche strano motivo stavo cominciando ad invidiare quella sottospecie di folletto.
Della serie: voglio essere una ragazza piccolina per un po’ di tempo solo per avere una scusa buona per mettere la faccia tra i suoi seni!” scherzò la mia coscienza.
-Uffa, sei cattiva!- sbuffò Alice, mentre faceva ruotare mezzo busto a destra e a sinistra con aria innocente:-Ti ho portato pure la borsa e non mi lasci sentire la tua morbidezza!-.
-Se vuoi nana, posso farlo io, e poi farti la telecronaca!- sogghignai io, facendo arrossire per l’ennesima volta in cinque minuti Karate-Girl.
-Ma chi ti ha interpellato?- fece Alice rivolgendosi al sottoscritto, mentre Leah mi sbraitava:-Scordato, pervertito!-.
-VOLETE ENTRARE IN PALESTRA SI O NO?!?- sentimmo alle nostre spalle. I nostri compagni non volevano perder tempo e naturalmente le ragazze a terra ostruivano il passaggio. Embry sbucò fuori dalla folla, porgendomi la borsa, mentre la gatta pazza e Karate-Girl si toglievano per farci passare.
 
-LEAH
 
-Si può sapere che avete fatto vuoi due per un’ ora intera?- chiese Bella, più agitata del solito. Mi stavo giusto togliendo la camicia quando la mora aveva deciso di riempirmi di domande come “Come hai potuto abbandonare una verifica?” “Di che avete parlato tu e Jacob?” “Dove eravate finiti?” “Ti rendi conto che sei andata via senza la borsa?”  E bla bla bla. Stavo giusto per risponderle, ma poi ci ripensai. Non mi sembrava il caso di raccontare a loro del mio salto dalla finestra: avrei fatto preoccupare inutilmente quelle povere fanciulle, e in più, se avessi raccontato loro del biglietto, Isabella avrebbe aumentato di dieci volte il numero di domande stressanti che mi stava “porgendo”.
Pensai subito ad una scusa buona per farla stare zitta, magari una bella bugia, ma Rosalie mi precedette:-Oh Bella cara, non capisci niente tu, eh? È ovvio lontano un miglio che hanno trovato un aula vuota e si sono divertiti, se sai cosa intendo!-.
Ok, la parte dell’aula era azzeccata, ma…. COSA?
-Rose, che caspita….?- stavo per ribattere, ma la bionda mi zittì con l’indice sulle labbra, per poi continuare in modo troppo teatrale:-I due piccioncini fingono di odiarsi davanti a tutti, ma in realtà si amano così tanto che non hanno potuto sopportare un altro minuto di più l’uno senza l’altro. Per questo il ragazzone ha afferrato la dolce fanciulla e l’ha portata via in braccio…-
-Casomai mi ha trascinata via per il polso…-
-I due giovani si sono così trovati un aula vuota (fammi indovinare, era l’ex aula di Francese? Quella non viene usata da un po’!), e il cavaliere ha chiuso la porta a chiave, mentre i due fremevano dalla passione…-
-Rosalie..-
-Il ragazzo ha afferrato la fanciulla per i fianchi e, mentre la baciava con amore, la faceva sedere su uno di quei banchi abbandonati e luridi…-
-Smettila….-
-Lei si sedette, tutta arrossata, e lui le apriva la camicia a zip, per poi baciarle teneramente i seni e il collo, facendola gemere di passione. Così lui tornò ad assaggiare le dolci e morbide labbra di lei, mentre le allargava le gambe e infilava lentamente una mano dentro le mutan…-
-ROSALIE, BASTA!- urlai, tappandole la bocca con la mano. Le altre ragazze nello spogliatoio ci stavano guardando, evidentemente attirate dalle stronzate della bionda, ma quando mi videro ringhiare contro di loro, decisero di tornare ognuno agli affari loro.
Tolsi la mano dal viso di Rose, mentre lei mi fissava contrariata.
-Adesso non si può scherzare un tantinello, eh?- chiese lei, incrociando le braccia.
-Non su queste cose!- ribattei, accorgendomi nel frattempo che ero accaldata alle guance. “Un tantinello, dice!
-Wow, Rosy, mai pensato di lavorare nel teatro o di scrivere un libro porno?- scherzò Alice con le mani ai fianchi, mentre Bella sbuffava.
-Ci ho pensato molte volte, sai?- rispose Rosalie, allegra –Ma poi ho pensato che come modella facevo già più carriera e, inoltre, non voglio rubare il sogno della nostra cara piccola scrittrice-.
Intanto che diceva quelle parole, era andata da Bella ad abbracciarla da dietro, tirandole poi per le guance.
-Mica me la prendo se scrivi qualcosa anche tu!- ribatte Bella, stranamente nervosa. Ma che le prende ora?
Entrammo nella palestra dopo esserci cambiate tutte, raggiungendo subito i ragazzi che si erano raggruppati vicino ad una delle porte da football.
Il prof. Ammazza cinghiali arrivò, mezzo infuriato, con due palle in braccio. Una era da football, l’altra da volleyball.
-Ragazze, Volleyball!- grugnì lui, lanciando la palla bianca ad una ragazza alla mia sinistra.
-Ragazzi, Football!- aggiunse con lo stesso tono, calciando la seconda palla ad un ragazzo vicino a Jacob – beccandogli però i gioielli. Il povero malcapitato si lasciò cadere a terra, mentre i due sessi preparavano le squadre. Io finii in squadra con Bella, mentre Rosalie ed Alice divennero le nostre avversarie.
-Scusami Leah, ma io non so giocare a volleyball!- piagnucolò di colpo Bella –Per cui non ti arrabbiare se sbaglio qualcosa!-.
-Naaah, stai tranquilla, l’importante è divertirsi, giusto?- la rincuorai, o per lo meno ci avevo provato, perché subito dopo la ragazza aggiunse:-Io non mi diverto con queste cose. Odio lo sport!-.
Entrambe le partite cominciarono con il fischio del prof.. La prima palla venne lanciata da Rosalie, con estrema eleganza, facendola volare oltre la rete. Riuscii a rimandare il lancio appena prima che la palla toccasse terreno, poi da me passò ad una ragazza nel mezzo del campo e infine ad una terza, che dalla rete provò a fare una schiacciata verso la parte avversaria. Alice fu più veloce e riuscì a parare il colpo, passando la palla ad una sua compagna, che però la mandò verso di noi, dritta su Bella. Lei si mosse a zig zag, cercando di capire da dove poter colpire la palla, ma quando alzò entrambe le braccia in alto, la palla schiacciò la sua fronte. Facendo alzare la braccia, la ragazza aveva perso l’equilibrio, così cadde all’indietro, e con essa la palla. Il primo punto passò così alle avversarie, mentre le nostre alleate sbuffavano. Sentii persino una brontolare:-Proprio con questa demente dovevamo stare?-.
-L’avevo detto io!- piagnucolò di nuovo la mora, risedendosi e massaggiandosi la fronte. –Non demordere!- dissi –E’ solo l’inizio questo!-.
-Già, purtroppo- sbuffò lei, mentre la partita riprendeva. Le due squadre palleggiavano tra di loro, chi segnava punti e chi li subiva, chi si buttava sul terreno per parare la palla e chi tentava una schiacciata. Capitò a me una volta di stare alla rete, così quando la ragazza avversaria davanti a me tentò una schiacciata, io saltai in alto, parando il colpo e rimandando la palla sul loro terreno, segnando un altro punto per noi.
Due ragazze mi diedero il cinque, mentre Bella mi applaudiva sorridente.
Alice, dall’altra parte della rete, urlò verso di me:-Ricordati del tuo cavaliere e di come avete scopato nell’aula!-.
-CHE?!?- sbraitai, ritrovandomi subito dopo con la palla in faccia.
“Bel modo di distrarmi” pensai, mentre mi rimettevo in piedi. Potevo solo sperare che Super-Teppista non lo avesse sentito. Le ragazze di entrambe le squadre (non so come, né perché) si ritrovarono a litigare sui punteggi. La nostra squadra era convinta di essere di due punti in vantaggio, quella avversaria era convinta del contrario. Io ne approfittai di questa pausa per osservare i ragazzi che giocavano a football. Jacob aveva la palla sotto al piede destro, e due ragazzi della squadra avversaria stavano venendo verso di lui. Il ragazzo però li colse di sorpresa, facendo alzare la palla con il piede, palleggiare una volta con il ginocchio e facendo  volare la palla abbastanza in alto da poterla calciare in aria con la gamba ben stesa di lato. Il pallone finì verso un suo alleato, che poi passò a Embry. Il ragazzo riuscì a superare un avversario, poi passò la palla a Jacob, che nel frattempo aveva corso alle spalle della squadra avversaria. Quando quest’ultimi se ne resero conto, tre di loro provarono a rubare la palla a Teppista-Superman, ma lui fu decisamente più svelto. Saltò un avversario assieme alla palla, ne superò un secondo e scivolò con il pallone tra le gambe del terzo, lasciandolo pietrificato. Jacob si rialzò immediatamente, ritrovandosi però i difensori davanti a sé. Si guardò attorno, notando come gli avversari lo avessero circondato. Sorrise dopo due secondi, e i ragazzi si buttarono tutti assieme addosso a lui. Super-Teppista saltò nuovamente con il pallone (facendo finire gli avversari tutti a terra con le gambe all’aria) e, con una mossa veloce e precisa, calciò verso la porta avversaria. Il portiere si buttò, ma dalla parte opposta, e la squadra di Jacob segnò un gol.
I ragazzi della sua squadra, Embry compreso, corsero verso di lui, abbracciandolo forte e lodandolo. A quanto pare grazie a lui erano in vantaggio di 4-1.
Guardai Jacob in mezzo a loro, come sorrideva contento e come rideva con gli altri, e per qualche assurda ragione lo trovai bello…
Una pallonata dritta in guancia bastò a farmi cadere a terra di colpo e a farmi piombare nella realtà in modo brusco. Rimasi sdraiata a terra, la palla sulla faccia e le gambe e le braccia all’aria, mentre realizzavo in quei secondi cosa diavolo mi era appena successo.
-Mio Dio, Karen, potevi andarci piano!- sentii sbraitare Rosalie verso una sua compagna. Karen sbuffò un:-Non è colpa mia se è distratta!-, mentre Bella mi toglieva la palla dalla faccia e mi aiutava ad alzarmi.
-Cosa stavi guardando?- chiese lei, mentre due nostre compagne litigavano con Karen. Mi massaggiai la guancia dolente, guardando con la coda dell’occhio Super-teppista. Anche lui si era voltato a guardarmi, attirato probabilmente dall’urlo di Rosalie. Sicuramente stava pensando a quanto fossi cretina per farmi distrarre così, e questa riflessione mi fece ribollire di rabbia.
Grugnii per buona parte della partita, lanciando la palla alla squadra avversaria con furore e parando con altrettanta energia.
Stupida, stupida, stupida!” mi ripetevo, mentre con un salto paravo la schiacciata di Alice, mandando la palla a colpire il loro terreno.
Prof. Ammazza cinghiali suonò il fischietto, facendo iniziare cinque minuti di pausa per le ragazze – i ragazzi sembravano  non voler finire la loro partita, eccitati com’erano.
Andai a sedermi sulla panchina, asciugandomi il sudore con un panno, tornando a guardare la partita di football. Fissai nuovamente i movimenti di Jacob, veloci e precisi, che riuscivano sempre a demordere gli avversari. E mentre lui si muoveva, mi accorsi con sorpresa come sorrideva, e come i suoi occhi brillassero di gioia. La mia mente vagò, prima sul discorsetto di Rosalie riguardo a noi due soli nell’aula, e poi (dopo aver scacciato via quel pensiero imbarazzante) a quando io e lui ci eravamo stretti a vicenda dopo quel maledetto salto. Solo ora che ero abbastanza lucida con il cervello potevo notare una cosa che mi era sfuggita prima: quando Sam si era presentato alla finestra, non solo guardava me, ma anche Jacob, come se volesse dirgli qualcosa con la forza del pensiero. E anche quest’ultimo sembrava fare la stessa cosa, perché mi aveva subito stretta ancor più forte a sé, come se non volesse lasciarmi andare, e nel frattempo avevo potuto notare come i suoi occhi, che fissavano quelli dell’”alfa”, brillassero, ma dall’ira. Era uno sguardo che non lo avevo mai visto fare, nemmeno con me quando lottavamo o litigavamo tra di noi. Le sue iridi si erano rimpicciolite e sembravano mandare scintille verso il capo-banda, come se lo volesse bruciare. In quel momento i due ragazzi stavano lottando tra di loro, ma con la forza dello sguardo. Una lotta silenziosa e ferma, che però sembrava molto più letale e pericolosa. Era chiaro a questo punto che quei due si odiavano a morte, ma allo stesso tempo era ovvio che c’era sotto qualcosa. Qualcosa che Jacob non aveva voluto dirmi, e che probabilmente non lo avrebbe mai fatto. Qualcosa che lo spingeva ad odiare Sam non solo per quello che era davanti a tutti, ma anche per quello che aveva fatto in passato. Una lampadina mi si accese nella testa, e mi accorsi subito che quel stramaledetto capo-banda doveva aver fatto sicuramente qualcosa a Super-teppista, forse molto tempo prima che io arrivassi in questa scuola di pazzi. L’unica domanda che ancora non riuscivo a rispondere era: “Che cosa ha combinato Sam da indurre Jacob ad odiarlo a morte?”.
Mi alzai quasi automaticamente, dirigendomi verso i ragazzi.
Nel tempo che ci impiegai per arrivare da loro, Embry aveva ostacolato l’avversario, rubandogli il pallone, per poi passarlo a Jacob, che stava correndo verso la porta avversaria, superando tutti quelli che incontrava. Lo raggiunsi proprio quando si era fermato per segnare un gol. Alzò la gamba per calciare, ma io lo fermai, richiamandolo colpendo due volte l’indice contro la sua spalla.
Lui si voltò, curioso e stupito.
-Ti devo chiedere una cosa, hai un minuto?- domandai. Jacob mi squadrò, lamentandosi:-Non puoi aspettare che finiamo?-.
-No, mi serve ora!- feci. Super-Teppista sembrava sbattersene altamente e tornò a concentrarsi sul pallone… che non era più ai suoi piedi.
Ci guardammo attorno, e scoprimmo che la palla ce lo aveva un avversario. Si era approfittato del momento in cui Jacob si era distratto, e ora scattava con il pallone verso la porta avversaria. Segnò un portentoso gol senza che il portiere potesse fare qualcosa.
La squadra del ragazzo ululò di gioia, mentre quella di Jacob ci fissava.
Per quanto riguardava Super-Teppista… non sapevo descrivere la sua espressione, ma potevo solo dire che sembrava tetra e cupa, nera.
Mi sa che hai fatto una cazzata!” mi disse la coscienza, ma io la zittì subito. “Anche lui mi aveva distratta, e mi sono beccata una pallonata in faccia! Questo è niente in confronto!”.
Jacob voltò lentamente la testa verso di me.
Per poco non mi pietrificai. I suoi occhi bruciavano dalla rabbia (anche se non come quando aveva fissato Sam prima), e stringeva i denti e i pugni, mentre le vene si facevano ben visibili nelle sue mani.
-Cosa. Cazzo. VUOI?!?- mi sbraitò in faccia. Il suo urlo era talmente forte che attirò l’attenzione di tutti, persino del prof.
-Oh, ma fammi il piacere!- gli risposi, riprendendomi dallo shock iniziale –La tua squadra è in vantaggio di 5-2 e ti lamenti se hanno fatto un gol?-.
Non lo avessi mai detto. Super-Teppista si voltò completamente, e in quel momento mi resi conto di quanto fossi piccola in confronto a lui.
-Tu non capisci proprio un cazzo, pezzente che non sei altro!- sibilò –Non ti sei accorta che nella loro squadra c’è quella merda di Paul?!?-.
Distolsi lo sguardo dai suoi occhi fiammeggianti, accorgendomi solo ora che, effettivamente, c’era il “beta” dei Furious Wolfpack, che se la stava ridendo con un altro membro del suo gruppo. Un’altra lampadina mi si accese nel cervello, ma ormai era troppo tardi per rimediare.
Porca puttana!” mi venne solo in mente.
D’accordo, magari avrò fatto una cazzata, ma la reazione di Jacob era esagerata!
-Sei comunque in vantaggio tu!- dissi, tornando con gli occhi puntanti sui suoi.
Provai a non tremare mentre aggiungevo:-Reagire così solo perché ti ho tolto un gol è troppo! Datti una calmata, state vincendo voi, mica loro!-.
-Non gli devo comunque dare alcuna soddisfazione!- ritornò a sibilare Jacob peggio di un serpente –Allora è vero che sei proprio tonta, razza di troia!-.
-Come. Mi. Hai. Chiamata?-. Stavolta ero io quella che sibilava, quella che stava mandando lampi dagli occhi. Sentii come i miei muscoli si stavano facendo più tesi, e allo stesso tempo avvertii la tensione che andava a formarsi. Ragazzi e ragazze si riunirono attorno a noi, in ansia.
-Dieci su Jacob!- sentii Embry scommettere con un suo compagno, che accettò di buon grado.
Super-teppista si fece più vicino, e mi sillabò in faccia:-T-R-O-I-A!-.
Fu allora che entrambi perdemmo le staffe. Gli tirai per il colletto della t-shirt, attirandolo di più verso di me, per poi sferragli un cazzotto veloce nel naso.
La classe urlò un:-OOOOHHH!-, mentre Jacob barcollava all’indietro, le mani al naso. A quanto pare glielo avevo rotto, perché con due mosse riuscì ad aggiustarselo, mentre del sangue colava lungo le sue labbra. Si ricompose, e tornò a fissarmi con odio. –L’hai voluta tu!- mi sorrise, per poi scattare verso di me.
Provò a tirarmi dei pugni dritti in faccia, ma io riuscii a schivarli o a pararli tutti… tranne l’ultimo che finì per colpirmi nella guancia sinistra. Poggiai la mano sul punto colpito, ringhiando in faccia al bastardo.
-Pezzo di merda!- gli urlai in faccia, scaraventandomi contro di lui. Non ho idea di quanti cazzotti o calci ci lanciammo addosso, e di quanti ne parammo o meno. Era anche impossibile dire chi aveva la meglio sull’altro. I nostri colpi volavano veloci e precisi, ma anche forti e decisi, mentre l’ira si faceva strada dentro di noi. Era esattamente come il giorno in cui ci siamo conosciuti, se non peggio. Jacob riuscì a bloccare un mio colpo, per poi sferrarmi un pugno allo stomaco. Stavo per piegarmi, ma riuscii a riprendermi abbastanza in fretta per deviare il prossimo attacco e ricambiare il pugno, anche questo sullo stomaco di Super-Teppista.
Non gli diedi nemmeno il tempo di rispondere alla difesa che mi lanciai definitivamente su di lui, facendoci cadere a terra. Ci colpimmo a vicenda e ci graffiammo l’un l’altro, con i destri stretti e gli occhi fuori dalle orbite. Senza nemmeno farlo apposta riuscimmo a colpirci contemporaneamente: il pugno di Jacob finì dritto nella mia guancia, mentre il mio nella sua. Mi staccai da lui e ci ritrovammo entrambi seduti a riprendere fiato. Mi ripulii il sangue dalla bocca, mentre Jacob sputava a terra. Ci rialzammo e riprendemmo la lotta feroce, ognuno con l’obbiettivo di distruggere l’altro.
-Adesso smettetela, voi due!- sentimmo fischiare il prof. che si stava avvicinando a noi per separarci. Non appena però tentò di mettere le braccia tra di noi, sia io che Jacob gli urlammo in faccia:-Chiudi il becco tu!- e, senza accorgercene subito, gli assestammo due pugni in faccia.
Quando ce ne rendemmo conto, era decisamente troppo tardi. Sbiancammo dal terrore, come il resto della classe. Prof. Ammazza cinghiali aveva fatto cadere la testa all’indietro per il colpo, ma poi si rimise dritto. Se prima era leggermente scazzato, ora lo era dieci volte di più. Ci guardava come se fossimo due ossa da spolpare e da triturare. Lo sguardo era decisamente nero di rabbia, e i suoi occhi erano ridotti a due fessure, mentre i nervi si facevano strada lungo le tempie e il collo. Io e Jacob ci ritrovammo a fissarlo, senza capire che fare, con le schiene tremanti e le bocce spalancate.
Il professore respirò profondamente, per poi aprire bocca.
-DAL PRESIDE, TUTTI E DUE!!!-.
Il suo urlo fu talmente forte e devastante che per poco non avevo perso i timpani. Io e il mio rivale ci ritrovammo a tremare il doppio, stringendoci l’un l’altro dal terrore, mentre anche gli altri studenti si ritrovarono a tremare e a tapparsi le orecchie.
Il prof. tornò a respirare per due secondi, voltandosi infine per dirigersi verso la sua cattedra. Prese il registro in mano e scarabocchiò qualcosa su di esso con forza e rabbia. Richiuse il registro e lo lanciò sul tavolo, ma quando si voltò a guardarci, urlò di nuovo:-SIETE ANCORA QUI? MUOVETE IL CULO, SACCHI DI MERDA!!!-.
-Signor si!- ci ritrovammo ad esclamare io e Teppista-Superman per il panico, scattando via fuori dalla palestra.
 
Lo studio del preside Aro si trovava nell’edificio della Reception, all’ultimo piano in fondo al corridoio. C’erano delle sedie attaccate alla parete per l’attesa, così io e Jacob ci sedemmo su di esse agli estremi, io a sinistra e lui a destra. Incrociammo entrambi le braccia, con le schiene piegate in avanti, a mandarci a fanculo con lo sguardo, quasi fulminandoci a vicenda.
Passammo così ben dieci minuti, a ringhiarci silenziosamente tra di noi.
-Adesso mi chiedo perché diavolo ti ho aiutato!?!- grugnì Jacob di colpo. Lo squadrai per bene, ricambiando l’offesa:-E io vorrei tanto sapere perché ti ho seguito! Tutto questo non sarebbe mai successo se tu non avessi deciso di parlarmi!-.
-Potevi anche non seguirmi!-
-Volevi dirmi una cosa seria e mi sono preoccupata!-
-Certo, tutta colpa di quel cazzo di biglietto!-
-Questo perché non ti sai fare gli affari tuoi, pezzo di…- stavo quasi per urlare, ma Jacob piombò di colpo verso di me per tapparmi la bocca con la mano:-Non urlare qui, cretina!-.
Aveva abbassato il tono della voce, e ora mi fissava come a rimproverarmi. Guardò dietro di sé, verso la porta che conduceva all’ufficio del preside, poi si rilassò e rilasciò la mano.
-Il prof. di Ginnastica è niente in confronto al preside!- spiegò lui –Anzi, quello di prima era solo un assaggio di quello che potrebbe succedere là dentro!-.
-Mio Dio, il prof. Ammazza cinghiali sarebbe meno violento?- domandai, abbassando anche io il tono di voce.
-Prof. Ammazza cinghiali?- chiese perplesso Jacob, senza capire.
-Così lo chiama Alice, non mi ha ancora detto il suo vero nome-.
-Oh, lo ha fatto allora per risparmiarti la fatica- disse –il suo nome è troppo complicato da imparare!-.
-Perché? Come si chiamerebbe questo qua?-.
Jacob ci pensò un momento, cercando poi di articolare bene le parole, senza  gran successo:-Alba…lecorn…no…soron? Mi sa che si chiama così!-.
-Ma che razza di nome sarebbe?!?- chiesi io, scossa. Decisamente troppo difficile. Alice davvero voleva risparmiarmi la fatica allora! O forse non sapeva come dirlo…
-Bella domanda!- ammise Super-Teppista –Forse è straniero, anche se non si direbbe!-.
-Magari viene da un paese dove vivono cinghiali sempre incazzati- optai. Jacob scosse la testa, mezzo divertito. –Non saprei- rispose infine, sospirando.
Sbuffai, poggiandomi sullo schienale. –Perché deve sempre finire così tra di noi?- chiesi. Il tono che mi uscii fuori sembrava rattristato, anche se non ci avevo fatto apposta. Però a pensarci bene… non era giusto litigare così, e stavolta per colpa di una cazzo di partita di calcio! Non avevo cercato alzare un muro tra di noi apposta? E non avevo regalato per Natale a Jacob una palla da basket proprio per farmi perdonare? Ma ovviamente il mio caratterino riusciva sempre a fregarmi. L’unica cosa che siamo riusciti a fare alla fine è litigare di nuovo!
-Perché siamo due stupidi- rispose Jacob dopo un minuto. Anche a lui l’idea di ritrovarci sempre in conflitto sembrava non piacere. Annui, perfettamente d’accordo.
La porta della presidenza si aprì di colpo, facendoci mettere sull’attenti, ritti in piedi. Ne uscì fuori un uomo sulla quarantina, i capelli neri e lunghi fin sotto le spalle e la pelle cadaverica. Il suo volto sembrava molto annoiato, come se fosse stufo di vivere. Il suo abbigliamento era tutto nero ed elegante, composto da giacca, cravatta e pantaloni stirati con cura e scarpe ben lucidate.
-Black, di nuovo…- disse lui, fissando il ragazzo senza far trasparire alcuna emozione. Come la sua espressione, anche la sua voce sembrava annoiata, ma anche piana e composta.
Jacob deglutì, imbarazzato o forse terrorizzato.
-E Clearwater, immagino- mi chiamò l’uomo, voltandosi verso di me. Per qualche ragione mi ritrovai con la schiena percossa da piccoli brividi, ma cercai di calmarmi. Annuii in risposta, e l’uomo dannatamente inquietante si voltò verso dove era sbucato fuori.
-Se volete seguirmi- ci invitò, sparendo in un corridoio buio e apparentemente profondo. Ma dove cavolo dovevamo andare, nel centro dell’inferno?
-A-andiamo, su!- disse Jacob, con due gocce di sudore che gli scendevano lungo la fronte. Notai come le sue braccia stavano iniziando a tremare.
Beh, se proprio dobbiamo farlo, tanto vale fare in fretta!” pensai, un attimo prima di esser inghiottiti nell’oscurità.

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Capitolo 13
*** 13_Tutto questo è assurdo! ***


13_ Tutto questo è assurdo!
 
 
Un secondo corridoio si apriva davanti a noi, più stretto e buio del precedente.
Piccole lanterne erano appese alle pareti dipinte di rosso, mentre il pavimento era tutto coperto da un lungo tappeto persiano che copriva l’intera lunghezza del corridoio. Nonostante lo spazio incredibilmente stretto, e il caldo soffocante che incombeva dalle mura, sentivo la pelle d’oca. Mi massaggiai le braccia, cercando di calmarmi, mentre l’uomo cadaverico ci guidava fino in fondo a quella stramba e inquietante strada.
Camminava davanti a noi, completamente a suo agio, senza però produrre alcun rumore di passi – il ché lo rese ancor più spaventoso.
Jacob ed io invece procedevamo insieme, con le spalle vicinissime a causa dello spazio ridotto.
Ok, forse stiamo davvero entrando nell’inferno!” pensai, deglutendo “Però se riesco ad uscirne viva, giuro che vado da Alice e la stringo forte forte!”.
Stavo pensando a ciò quando con la coda dell’occhio andai ad osservare Jacob.
Il ragazzo era stranamente più agitato del solito, con pesanti palpebre intorno agli occhi e la pelle che si stava bagnando per il sudore ad una velocità fuori dal comune. Lo vedevo e lo sentivo respirare forte, come se gli mancasse l’aria. Guardava fisso davanti a sé, ma i suoi occhi sembravano vuoti, spenti.
-Ehi, che ti prende ora?- gli chiesi a voce bassa, in modo tale che la nostra guida non ci sentisse –Ok, sarà anche peggio del prof. Ammazza cinghiali, ma Dio santo, datti un contegno!-.
-Sto bene.- sussultò lui. Certo, come no!
-Sicuro?-
-Si!-. Ovvero NO!
-E allora perché ti vedo così in ansia?- domandai, osservandogli la pelle mezza bagnata. Il suo sguardo era sempre più scosso.
-Non… ho…. nulla… ok?- disse, a fatica, prendendo fiato tra una parola e l’altra.
Ero sul punto di lasciarlo perdere, pensando che tanto era un problema suo, ma all’improvviso si appoggiò alla parete prima con una mano e poi con la spalla. Il suo fiato si fece sempre più grosso, tant’è che riuscii a vedere le nuvolette uscirgli dalle labbra. Le gocce di sudore erano aumentante e, come se non bastasse, ora era completamente sbiancato, dalla testa ai piedi.
-Jacob!- quasi strillai, afferrandolo per il braccio –Porca puttana, che ti prende?-
Non rispose, ma il suo busto cominciava ad abbassarsi verso il suolo. Lo strinsi forte per la spalla e il braccio, sperando che non cadesse proprio in un momento simile.
L’uomo inquietante si era fermato dopo avermi sentito urlare, e si era voltato per capire cosa succedeva. Quando vide Jacob, però, sembrò non preoccuparsene più di tanto.
-Un’altra volta?- chiese, sempre con quel tono annoiato e pacato.
Se non fosse stato per il ragazzo che stava svenendo proprio in mezzo al corridoio, sarei andata dritta dall’uomo in nero per tiragli un ceffone!
-Un… fottuto… condizionatore…. d’aria….- ansimò il Quileute, alzando leggermente lo sguardo verso l’uomo –Era… chiedere…. troppo?-.
-Se ci tieni così tanto, compratelo tu e montalo da solo.- rispose l’uomo –E ora alzati e muoviti!-.
Detto ciò s’incamminò da solo verso il fondo del corridoio, mentre noi due alunni rimanemmo fermi nello stesso punto.
-Jacob, andiamo!- dissi, esasperata. Stava agitando anche me con questo suo comportamento. Tra l’altro, perché si sentiva male di colpo…?
 
-Ora non venirmi a dire che tu non hai paura di niente!-
[…]
-Ma tutti abbiamo paura di qualcosa, no?-.
[…]
-Allora, signor Super-Teppista, di cosa hai tanto timore da non volerlo ammettere ad una ragazza?-
[…]
-Prima o poi ti farò dire di cosa hai paura, stanne certo!-
 
ERA QUESTA LA SUA FOBIA?” urlò una vocina dentro la mia testa.
Che stupida che sono, come diavolo ho fatto a non accorgermene subito?
-Jacob, ascoltami- dissi, cercando di calmarlo –Sono con te, ti reggo, ok?-.
Lui mi guardò, gli occhi scavati, esasperato. Forse era sul punto di rifiutare, poi ebbe una specie di sbalzo e allora fece un cenno veloce con la testa per accettare.
Lo ritirai su con forza (mamma quanto pesa!) e passai un braccio sotto la sua ascella, circondando così la sua schiena e arrivando con la mano e reggerli per il fianco. L’altra mano invece la utilizzai per far passare il suo braccio attorno al mio collo. Teppista-Superman si appoggiò così sia a me sia alla parete, tenendo ancora la mano appoggiata sul muro.
Afferrai saldamente la sua mano che stava poggiata sulla mia spalla, incrociando le mie dita con le sue. Tremavano, e di brutto, inoltre erano sudaticce e appiccicose, ma poco importò.
Mi aveva aiutato un’ora fa’ con le mie vertigini, tanto valeva ricambiare il favore con la sua claustrofobia!
E poi… il suo sguardo mi preoccupava fin troppo per poterlo abbandonare lì. Sembrava un bambino in preda all’ansia e alla nausea. Faceva tenerezza, tristezza e pietà allo stesso tempo.
Camminammo insieme, seguendo la parete, con passi lenti e piccoli. Ogni cinque passi lo incoraggiavo, dicendogli cose come:-Va bene, stai calmo, cammina così-, oppure:-Forza, puoi farcela!-, e anche:-Ci siamo quasi, resisti ancora. Sono con te, non ti mollo-.
Per tutto il tempo aveva tenuto lo sguardo basso, ma il colorito stava cominciando a tornagli lentamente sul suo viso e ora si stava muovendo leggermente più veloce rispetto a prima. Quando gli dissi:-Non ti lascio, fidati di me!-, lui sorrise, per poi dire (anche se con il fiatone):-Lo so…. Grazie…-.
Gli ricambiai il sorriso e continuammo a camminare, finché non raggiungemmo anche noi il fondo del corridoio. L’uomo ci aspettava davanti ad una grossa porta dalla doppia apertura, in legno scuro con delle incisioni che raffiguravano scene terrificanti. Una in particolare rappresentava un grosso uomo-pipistrello che divorava una donna, mentre stava in piedi sopra una grossa montagna. Quando mi ero avvicinata abbastanza alla porta avevo notato poi con disgusto che quella non era una montagna, bensì una carcassa gigantesca di corpi senza vita, tutti con gli occhi sbarrati e le bocce spalancate in urla silenziose. La scena era resa realistica anche grazie alle pitture rosse che coprivano quei corpi e la bocca del mostro. Un colore fin troppo simile al sangue, reso luminoso dalle due torce che affiancavano il portone.
Guardai Jacob, e con mia grande fortuna non si era accorto nemmeno delle incisioni. Se avesse visto quella scena probabilmente avrebbe vomitato sul posto.
L’uomo stava fermo lì, immobile, guardandoci con un pizzico di disprezzo, ma quando parlò, il suo tono era sempre lo stesso:-Da questa parte-.
-Su, fatti forza!- sussurrai a Super-Teppista, e lui obbedì, seppur con fatica.
Provò a raddrizzare la schiena, ma riuscì solamente ad alzarsi di poco.
L’uomo spalancò il portone con entrambe le mani. Entrammo in uno spazio quadrato, in cui gli angoli erano stati coperti con delle colonne di marmo lisce, attraversate da piante rampicanti che finivano sopra le colonne per formare dei capitelli simili a quelli corinzi. Le pareti erano anch’esse rosse, senza nemmeno una finestra, tutte coperte da quadri dai soggetti raccapriccianti quasi quanto le incisioni del portone. Uno di essi rappresentava persino due giganti che schiacciavano un villaggio in fiamme, mentre uno di essi aveva in mano un uomo privo di gambe, completamente coperto di sangue. Il soggetto terrificante del dipinto e le pennellate trattate mi ricordavano anche fin troppo Goya.
Il pavimento era tutto fatto di moquette nera, mentre al centro della stanza vi era una scrivania con due piccole sedie sul davanti e un’enorme poltrona color mogano dalla parte opposta.
La poltrona era vuota, e così anche le due sedie.
Mi guardai attorno, notando come il fondo dello studio fosse nascosto nel buio. L’unica fonte di luce infatti veniva dalla parete alle nostre spalle, grazie ad una lampada ad olio che sovrastava la porta.
Tenevo ancora sotto braccio Jacob, mentre l’uomo che ci aveva accompagnati andava a sedersi su una poltrona di tessuto nero sulla parete di fianco.
-Cazzo…- sibilò Jacob, crollando di colpo sulla moquette, facendomi inginocchiare acanto a lui.
-Mio Dio, Jacob…- dissi, prima che il ragazzo gettasse sul pavimento una valanga di vomito. Quello schifo schizzò ovunque, dalle sue mani poggiate sulla moquette ormai insozzata  fino ad arrivare con due gocce a sporcare una delle due sedie sulla scrivania.
Cercai di non guardare troppo la sostanza per evitare di fare la sua stessa fine, mentre mi concentrai pienamente su di lui. Era piegato con la schiena rivolta verso il soffitto, la testa in mezzo alle braccia, mentre cercava di ricordare come si respirava.
-Jacob…- sospirai, senza capire il perché, mentre gli massaggiavo le spalle. Guardia verso l’uomo che stava seduto beato su quella poltrona. Il mio odio nei suoi confronti stava salendo alle stelle!
-Dobbiamo portarlo in Infermeria!- gli sbraitai in faccia, senza vergogna –Non può di certo stare così!-.
-Gli è già capitata una o due volte- disse lui, sempre tranquillo –Un po’ d’acqua fresca lo risistemerà, non c’è bisogno di portarlo da nessuna parte.-
“Questo è pazzo!” pensai con rabbia “Pazzo come il resto della scuola!”.
Jacob tossì. Forse stava per vomitare ancora.
-Jacob. Calmati!- gli dissi, massaggiandogli con una mano il braccio, mentre lo tenevo ancora per la schiena –Respira. Non pensare ad altro. Respira con il naso, non con la bocca!-.
Obbedì anche stavolta. Respirai assieme a lui, per fargli capire il giusto ritmo. Sembrava funzionare. O almeno in parte. Non sembrava più sul punto di vomitare, ma aveva sempre la schiena piegata e lo sguardo fisso sul suo pasto rigurgitato.
-Che blasfemia!- disse una voce maschile nell’ombra, in fondo alla stanza. Al contrario di quella del nostro fottuto accompagnatore, l’uomo che aveva parlato sembrava disgustato, e il suo timbro di voce era fin troppo alto per i miei gusti. In poche parole, una voce persino più fastidiosa di quella dell’uomo inquietante.
-Cosa?- domandai, all’ombra. L’uomo che aveva parlato sbucò fuori dall’oscurità. La poca luce di quella stanza riuscì ad illuminargli perfettamente i suoi capelli, biondo platinati come quelli di Rosalie, lunghi come quelli di Rosalie e perfino lisci come quelli di Rosalie! Potevano benissimo essere morbidi come quelli della mia amica!
Ma che è, un parente alla lontana della modella perversa?” pensai.
A differenza di lei, però, quest’uomo aveva gli occhi profondi, uno sguardo gelido e disgustato e la mascella quadrata. I suoi abiti neri risaltavano la sua carnagione pallidissima (non quanto quella del suo compare, almeno). L’unica cosa colorata di quel tizio erano i capelli e il fazzoletto rosso fuoco che portava nel taschino della giacca.
Fissò me e Jacob, e grugnì silenziosamente, come se non sopportasse la nostra vista –o forse la vista del vomito. Magari ci associava un po’ allo schifo sulla moquette, da come ci guardava, e questo bastò per farmelo trovare antipatico.
-Una totale…- disse lui, storcendo il naso per l’odore di vomito –Schifezza! Non siete solo degli animali inutili e rivoltanti dalla pelle rossa, ora osate anche sporcare una moquette pregiata come questa!-.
Bene, quindi abbiamo Mr. Emo e Razzista biondo, chi altro manca?” pensai con disgusto.
-Saresti tu il preside Aro?- domandai invece, mentre Jacob cercava di riprendersi. Lui fece di no con la testa, e allo stesso tempo il biondino razzista rispose, sempre con quel tono di superiorità:-No, sporca femmina insolente. Il mio nome è Caius, e l’uomo seduto alla poltrona che come al solito non fa un bel niente è Marcus! Siamo i vicepresidi di questa scuola, essere ignorante che non sei altro-.
A dirittura!” mi dissi.
-Beh, io invece sono nuova qui!- risposi –Per cui grazie tante se sono così ignorante come dici tu! Ora posso portarlo in infermeria oppure…-.
-Scordatelo!- sbittò di colpo Caius –Quell’essere immondo e meschino deve pagare per il crimine che ha commesso, con una lenta sofferenza. Per sua sfortuna e per nostra fortuna, è claustrofobico, per cui è come se si fosse punito da solo!-.
-Ma vai a farti fottere, figlio di putt…- stava sibilando Jacob a denti stretti, ma io lo zittì subito. Eravamo già nei guai per contro nostro, non c’era bisogno che si mettesse a lanciare offese a destra e manca!
-Inoltre- aggiunse Caius –Dovreste darci del voi, non del tu!-.
-Va bene… sentite, professore, o signore, o come vi volete far chiamare, Jacob sta davvero male, se solo potessi…-.
-Ho detto di no!- sbottò ancora il biondino –Non andrà da nessuna parte finché non lo vorrà Aro!-.
-Ma…-
-NON DISCUTERE, DONNA!- urlò lui.
Ringhiai a denti stretti. Se dipendesse da me, sarei saltata dritta addosso a quel biondino e gli avrei staccato i capelli dalla testa, per poi sferrargli magari due cazzotti su quel naso troppo perfetto e incipriato!
Invece l’unica cosa che potevo fare era starmene lì, seduta sul pavimento con un Jacob agonizzante.
-Caius, mio caro amico e fratello- disse un’altra voce, anch’essa da uomo. Era simile a quella di Marcus, con la differenza che era più soave e meno annoiata.
Si fece avanti il terzo uomo, con un bicchiere di acqua e ghiaccio in mano. Si avvicinò a noi e porse il bicchiere a Jacob. Quest’ultimo lo guardò per un secondo, per poi afferrare di scatto il bicchiere con entrambe le mani, portandoselo alla bocca. Bevve il contenuto con lunghe sorsate, ingoiandosi anche i cubetti di ghiaccio. Mano a mano che beveva, la sua espressione cambiava, e il colorito tornò a conquistare il suo posto nella sua pelle. Intanto l’uomo che lo aveva appena aiutato si mise ritto in piedi davanti a noi. Era cadaverico come i due vicepresidi e vestito anche lui in nero, mentre invece portava un orologio da taschino d’oro appeso con una catenella ai suoi pantaloni. I suoi capelli erano neri e lunghi come quelli di Marcus, ma ancor più lisci del collega e pettinati all’indietro per scoprirgli la fronte pallidissima. I suoi occhi era sempre profondi come quelli dei vicepresidi, ma sembravano brillare come se fossero avvolte dalle fiamme… no, anzi… i suoi occhi erano le fiamme!
L’uomo ci sorrise, mostrando dei denti completamente bianchi e perfetti. L’unica cosa che stonava però con la loro perfezione erano i canini troppo lunghi e affilati.
Sembra un vampiro…” pensai, quasi tremando.
Jacob finì di bere, sospirando forte. La sua schiena tornò dritta, e finalmente il suo viso era tornato normale.
-Ti senti meglio?- chiese l’uomo davanti a noi, pardon, il conte Dracula.
Jacob annui con il capo:-Si, molto meglio-.
Il ragazzo gli restituì il bicchiere completamente vuoto, che il conte Dracula poggiò sulla scrivania. Aiutai il ragazzo ad alzarsi, e per miracolo, riuscì persino a stare ben dritto con la spina dorsale.
-Il preside Aro, dico bene?- chiesi. Ormai poteva essere solo lui.
L’uomo annui:-Esattamente. E tu dovresti essere la nuova arrivata, Leah Clearwater-.
Mentre lo diceva, notai, non aveva assunto né lo sguardo scettico e schifato di Caius, né quello stufo e depresso di Marcus. Aro aveva un espressione… gentile… serena…
Eppure quello sguardo era il più inquietante di tutti. Resistetti all’impulso di stringermi le braccia per cacciare via la pelle d’oca e risposi con un cenno del capo.
-Uhm…- fece Jacob, impaurito o semplicemente imbarazzato –Non volevo sporcare il pavimento…-.
-Non preoccuparti, Signor Black, a questo ci penserà il Signor Collins.- disse Aro, perfettamente calmo, come se una scena simile lo avesse visto già un sacco di volte. Stavo per chiedermi chi fosse il Signor Collins, quando Aro chiese ad entrambi:-Bene, potete gentilmente spiegarmi il motivo della vostra visita?-.
Io e Jacob ci guardammo, impauriti, ma fui io a rispondere, cercando di rimanere tranquilla:-Il prof. di Ginnastica ci ha mandato qui perché abbiamo litigato, e noi lo abbiamo fatto arrabbiare…-.
-Ah già, me lo aveva riferito in effetti per telefono!- mi interruppe conte Dracula, strofinandosi le mani con aria compiaciuta.
E allora cosa cazzo lo chiede a fare se lo sa già?” pensai. Guardai Jacob, porgendogli mentalmente questa domanda, ma lui rispose con una scrollata di spalle.
-Che disgusto….- latrò di nuovo Caius –Ora si azzannano tra di loro! Ci manca solo che facciano una carneficina in tutta la scuola e…-.
Non riuscii a sentire il resto. La sola parola carneficina bastò a mandarmi i cervello in tilt. Di colpo era come se non mi trovassi lì, ma in un altro studio, completamente diverso in ogni aspetto se confrontato con quello di Aro…
 
 
…Il giornale finì nella visuale della ragazza, che guardò il titolo in prima pagina con la sola voglia di poter vomitare. La parola CARNEFICINA era l’unica cosa che riusciva a vedere. Alzò lo sguardo verso l’uomo dall’altra parte della scrivania, deglutendo.
Lui non parlò, ma la guardò soltanto. Poi, il volto dell’uomo sparì, come tutto il resto, giornale compreso. Il mondo divenne tutto color sangue, mentre nell’aria si sentivano solo delle urla. Urla di ragazze e di ragazzi. Urla delle sue vecchie amiche. Ma tra queste grida, quelle più forti appartenevano a sua madre e a suo fratello…
 

 
-Leah! LEAH, SVEGLIATI!- mi urlò qualcuno all’orecchio.
Aprii di colpo gli occhi. Ero di nuovo nello studio di Aro, con il preside che mi fissava incuriosito e Caius che mi squadrava come se fossi impazzita. Chi mi aveva urlato all’orecchio era Jacob, che ora mi stringeva per le spalle per farmi voltare verso di lui. Il suo volto era tutta una maschera di ansia e preoccupazione, mentre le sue iridi erano ridotte a due puntini. Lo guardai per un momento, e di colpo mi accorsi che avevo il fiato grosso e le mani tremolanti. Provai a calmarmi, chiudendo di nuovo gli occhi per poi riaprirli.
-Sto bene- deglutii in un botto, mentre Jacob mollava la presa sulle mie spalle, sospirando.
-Non farlo mai più, mio Dio, mi hai spaventato!- disse lui, ancora scosso.
-F-Fare cosa?- domandai, confusa.
-Stavi urlando!- rispose Super-Teppista, come se non riuscisse a credere che non me ne fossi accorta nemmeno –E tenevi la testa tra le mani!-.
-Io… ho fatto davvero questo…?- chiesi ancora. Perché non ricordavo nulla?
-Siete anche dei pazzi, voi schifosi esseri pelle-rossa?- domandò Caius, interrompendoci.
-Ehi, senti, biondino cadaverico!- sbottai io, fregandomene altamente con chi avevo a che fare –Fai poco il razzista, chiaro?!?-.
-LEAH!!!- mi rimproverò Jacob, mentre Caius sibilava a denti stretti:-Come osi…?-.
-CALMA!- disse Aro, quasi urlando. Aveva ceduto per un attimo la maschera da uomo gentile, indossandone una da uomo furente. La stanza piombò nel silenzio più totale, dopo di ché Aro fece un bel respiro e tornò alla sua maschera iniziale.
-Sono spiacente per il comportamento di Caius, Signorina Clearwater- disse lui –Come avrà capito, il mio collega vi detesta, anche se non so nemmeno io per quale ragione-.
Sentii Jacob sbuffare piano, una sorta di: “Si certo, a chi vuoi darla a bere che non lo sai?”, ma decisi di ignorarlo.
-Aro- sbottò ancora una volta Razzista biondo –Questi due…-
-Caius- lo interruppe Aro, che si voltò verso di lui, impedendoci quindi di capire che espressione aveva assunto in quel momento –Vuoi per caso che mi arrabbi con te?-.
Il collega parve sbiancare ancora di più (come si fa ad essere più bianchi di così?) solamente guardando il preside in faccia. Dopo un secondo cambiò espressione e decise di rimanere in silenzio.
-Tornando al motivo per cui vi trovate qui- riprese il preside, voltandosi nuovamente dalla nostra parte, con ancora il sorriso attaccato alla faccia –Vi posso solo dire una cosa, miei cari giovani. La violenza, è una cosa brutta, se la si applica in maniera sbagliata. Solo se avete intenzione di salire al potere, e quindi di sorpassare qualsiasi legge legata all’umanità, allora siete liberi di farlo. Ma da quello che ho capito voi due avete semplicemente litigato, giusto?-.
Avrei anche potuto rispondere subito alla sua domanda, ma ciò che aveva appena detto mi aveva lasciata sgomenta. L’unica cosa che riuscivo a pensare era: cosa diavolo sta dicendo?
Fu Jacob a rispondere al mio posto:-Beh… si, la nostra era una bisticciata da nulla, e ce ne siamo resi conto mentre eravamo fuori, per cui siamo spiacenti per avervi fatto sprecare tempo…-.
-Non è necessario che ti scusi, Signor Black- disse Aro di colpo, alzando una mano verso di lui. Chissà perché quando lo fece Jacob guardò quella mano bianchissima come se fosse un qualcosa di assolutamente disgustoso, dalla quale era meglio stare alla larga.
-Vi perdonerò- continuò conte Dracula –ma solo per questa volta. Non voglio che vi mettiate un’altra volta nei guai, intesi?-.
Pff, come se non ci fossimo già finiti una o due volte. Basta chiederlo a uno qualunque dei Furious Wolfpack!
-Intesi- rispondemmo comunque in coro io e Teppista-Superman.
-Molto bene- ci sorrise Aro, facendomi tremare le ossa –Potete anche congedarvi ora, miei cari giovani!-.
-E se osate farvi rivedere…- ci stava sbraitando addosso Caius, ma venne interrotto da una sola occhiataccia da parte del suo superiore. Marcus, invece, si alzò dalla poltrona e si diresse verso la porta, aprendola e invitandoci così ad uscire.
Ci avvicinammo alla soglia, e subito Jacob diventò verde in viso.
-Oh, Numi!- sospirai, prendendolo già da subito per la schiena come prima.
-Posso farcela...- stava per ribattere lui, ma io lo interruppi:-Si certo, e io sono la regina Elisabetta II!-.
Jacob fece quello che doveva sembrare una risata soffocata, mentre Caius ci fissava le schiene come se ci volesse mandare via a calci in culo. Mi affrettai così ad uscire con Jacob per non dare al vicepreside questa opportunità e Marcus chiuse la porta alle nostre spalle.
 
-AAAAAARIAAAAAAAA!!!!!- urlò Super-teppista alla finestra, completamente spalancata da lui stesso. Il cielo aveva assunto una tonalità azzurra molto limpida, con solo qualche nuvola bianca qua e là, ma niente sole. Lo raggiunsi subito dopo (visto come si era precipitato verso il fondo del normale corridoio scolastico una volta che eravamo usciti di corsa da quello buio e tetro), osservando come spalancava le braccia al cielo e si appoggiava con il busto alla cornice. Mi venne quasi da ridere, e per una volta non ebbi alcun motivo per litigare o per arrabbiarmi semplicemente con lui.
Mi avvicinai alla finestra e poggiai i gomiti alla cornice, mentre Jacob riprendeva lentamente il controllo di sé stesso e si ricomponeva.
-Quante altre volte sei finito dal preside?- gli domandai –Marcus aveva detto qualcosa come una o due volte-.
-Tre con questa- rispose lui, completamente ripreso –Ti dico la verità, è un incubo essere claustrofobici!-.
-Anche non esserlo non migliora chissà quanto la situazione- risposi, quasi nel tentativo di rincuorarlo e allo stesso tempo di confidarmi –Insomma, abbiamo appena incontrato Dracula in persona, più il re dei razzisti biondi e il re degli emo! Non sono poi un trio allegro!-.
Jacob scoppiò a ridere.
-Già, lo immagino!- rispose.
Stavo per chiedergli cosa era successo nelle altre due volte in cui era finito da Aro, ma mi tappai la bocca di colpo. Se gli avessi fatto una domanda simile, lui avrebbe risposto con un’altra domanda, e sono pronta a scommettere che potrebbe riguardare il biglietto lasciato da Sam.
Invece chiesi a Jacob:-Ma perché ci sono due vicepresidi? Che senso ha?-.
-E io cosa ne so!- rispose, scrollando le spalle e allontanandosi dalla finestra, camminando verso l’uscita dal palazzo della Reception.
Più si allontanava da qui meglio era per lui, riflettei, il ché non era una pessima idea. Lo seguii e camminai assieme al ragazzo, che ora fischiettava come se non avesse vomitato giusto cinque minuti fa.
-Beh, hai ragione però!- dissi, ricordandomi di colpo il mio primo giorno di scuola.
-Oh, bellezza, io ho sempre ragione!- ammiccò lui –Ma giusto per sapere, di cosa parli?-.
Gli diedi un leggero pizzicotto al braccio per la prima parte della frase, senza però mancare di sorridergli maliziosamente. –Ricordi quando sono venuta qui? Mi avevi detto “Questa non è una scuola normale. Anzi, sei entrata nell’inferno!”-.
-Si, ricordo- disse, sorridente –E ricordo anche ti averti chiamata Piccola!-.
-Aha!- feci, ignorando la sua risata –In ogni caso, avevi proprio ragione. Con un preside simile e quei due vicepresidi questa scuola è tutto meno che normale!-.
-Non dimenticarti di Sam e la sua banda di imbecilli!- mi ricordò Super-Teppista, mentre scendevamo le scale, arrivando al piano terreno.
Uscimmo dall’edificio, con il vento che ci colpiva le schiene in modo impetuoso, così decidemmo di correre subito verso la palestra per evitare raffreddori inutili.
Una volta entrati, notammo che gli altri alunni erano andati tutti in piscina. Ricordando cosa era successo l’ultima volta che ci eravamo andati anche io e Super-Teppista, decisi di lasciar perdere per una volta. Jacob ebbe la stessa idea, ma più che altro per evitare il prof. - che certamente l’ultima cosa che voleva per quella giornata era vedere noi due.
Non avendo così nulla da fare, mi sedetti sulla panchina, mentre Jacob andava allo spogliatoio maschile e ne usciva con la palla da basket in grembo. Si diresse verso il canestro più vicino e iniziò a palleggiare e a lanciare la palla verso di esso, segnando un bel po’ di punti, senza quindi mancare un tiro.
Io lo osservavo, chiedendomi dove la trovasse tutta quella energia per allenarsi dopo una giornata simile. Prima la discussione sul biglietto, poi il salto dalla finestra, il prof. che ci manda da Dracula e l’incontro stesso con Dracula! Se parliamo poi del fatto che sia io che Jacob abbiamo sperimentato nello stesso giorno le nostre stesse paure, allora siamo a cavallo!
-Ma come fai?- gli chiesi, mentre lui recuperava la palla color fuoco dopo aver segnato un altro canestro.
-Come faccio a fare cosa?- domandò, voltando la testa verso di me.
-Ad essere così energico oggi?-. Jacob mi guardò giusto per un millesimo di secondo, poi tornò a lanciare la palla verso il canestro. La riprese senza lasciare alla palla il tempo di toccare il suolo.
-Non lo so- rispose dopo un po’, palleggiando prima con la mano destra e poi con quella sinistra –Certo, la giornata sembra non finire mai, questo è ovvio!-.
-Mhm- annui solo, mentre lui segnava un ultimo canestro. Prese poi la palla e venne verso di me, sedendosi al mio fianco. Le nostre spalle distavano almeno tre pollici.
-Però, anche se lunga- riprese lui –Non so perché, ma non mi sento affatto stanco!-.
-Buon per te!- dissi, scrollando le spalle –Io invece sento il bisogno della caffeina!-.
Jacob rise, palleggiando poi due volte da seduto.
-Uhm… riguardo al preside Dracula…- dissi, stringendo con entrambe le mani il bordo della panca –Tu hai capito cosa diavolo voleva dire con la violenza? Insomma, non mi sembra un discorso da fare a due ragazzi che hanno appena litigato, non è una buona cosa da insegnare!-.
-Si, ma almeno siamo grandi abbastanza da capire che dice solo stronzate- rispose Super-Teppista, fissando la palla come se fosse attirato dal suo colore focoso.
Sospirò, poi poggiò il regalo che gli avevo fatto sulla panca accanto a lui, stando bene attento che non rotolasse via. Dopo un attimo di esitazione, mi guardò negli occhi, e assunse un tono di voce troppo serio per i miei gusti:-Ascolta, Leah, quando ti dicevo che questa scuola non è normale è soprattutto per Aro, Marcus e Caius. Sam e la sua banda sono un altro dilemma, è vero, ma credimi: non sono un bel niente in confronto a quei tre cadaveri ambulanti-.
-Cioè… combattono anche loro in un certo senso, ma con armi più letali?- domandai, abbracciandomi le ginocchia. Jacob scosse la testa:-No, la situazione è un’altra. Ti sarai chiesta sicuramente perché, nonostante tutti i problemi che i Furious Wolfpack creano, né Aro né i due vicepresidi prendono provvedimenti-.
In effetti una domanda simile me l’ero posta una volta.
-Mmm non saprei…- risposi –Forse sono troppo bravi a nascondersi-.
Jacob scosse nuovamente la testa.
-Un altro errore. Un sacco di studenti sono andati dritti dal preside per fargli capire quanto grande è il problema, ma lui non li ha mai voluti ascoltare. Se per esempio tu andassi da Conte Dracula in persona per dirgli che tutto il branco di Sam (lui compreso) tu volevano violentare, lui semplicemente si farebbe una risata e ti direbbe che non c’è niente di male ad essere desiderati!-.
-Ok, Black, questo scherzo non mi piace!-. dissi, corrugando la fronte.
-Non è uno scherzo, Leah, anche se vorrei che lo fosse- rispose Jacob, mezzo rattristato –Ma il punto è questo: io non te lo volevo dire semplicemente perché non volevo metterti ansie inutili o cosa, ma visto che ormai sei saltata persino da una finestra, direi che potresti anche affrontare questa dura realtà!-.
-Sul fatto che Aro non prende provvedimenti?- feci.
-Si- disse Jacob –E non lo fa perché semplicemente i Furious Wolfpack lavorano per lui-.
Il silenzio cadde tra di noi come una valanga. Continuavo a fissare gli occhi di Jacob, quasi come se volessi immergermi nelle sue iridi color cioccolato fondente.
Cercai di schiarirmi subito la mente, scrollando la testa.
Ciò che mi aveva appena detto non poteva essere vero!
-Ma è assurdo, Jacob!- sbottai improvvisamente, alzandomi dalla panca. Camminai avanti e indietro, senza però smettere di parlare:-Non esiste che un preside del cazzo abbia dalla sua un gruppo di bulli che sono pronti anche a stuprare!-
-E uccidere, se necessario- aggiunse Jacob, e questo bastò per farmi stare ferma.
-E hanno davvero ucciso in passato?- domandai, con il timbro della voce un po’ troppo alto di quanto avrei voluto usare.
Jacob scrollò le spalle. –Non gliel’ho mai visto fare- rispose –Ma… diciamo che si sente in giro se fai attenzione. Gli studenti parlano tutti di loro, ma ovviamente provano a non farsi sentire, altrimenti per loro sarebbe un bel problema-.
Feci cadere le spalle. Mi sentivo sgonfiata, peggio di un palloncino.
-Perché?- mi venne solo in mente di chiedere.
Jacob guardò le sue scarpe da ginnastica, poi mi rivolse nuovamente lo sguardo, senza però cambiare espressione:-Non lo so, forse perché in questo modo Aro può avere il controllo di tutta la scuola e quindi mantenerne l’ordine. Sarebbe un ipotesi. Ma una cosa è certa: Visto che i Furious Wolfpack lavorano per Aro, in un certo senso sono protetti se stanno all’interno degli spazi della scuola. Mi spiego meglio: se per esempio Colin, uno degli scagnozzi di Sam, gli venisse in mente di ferire a morte un ragazzino più piccolo, non esiterebbe a farlo se si trovassero entrambi all’interno dei confini della scuola, perché sa che Aro non farebbe chiamare né la polizia né l’ambulanza. Il povero disgraziato semplicemente finisce in infermeria. Se una cosa simile però succedesse fuori, Aro non ha alcun potere per aiutare Colin, per cui la polizia non esiterebbe ad arrestarlo se il bullo venisse scoperto-.
-Ma cosa…?- balbettai, incredula. Tutto questo è davvero assurdo!
-Perché la polizia non può fare nulla qui?- sbottai ancora. Non riuscivo decisamente a digerirla questa situazione. Jacob si alzò, avvicinandosi.
-Perché Aro è talmente ricco che possiamo dire che li ha comprati- rispose –Non so bene come funziona la cosa, ma sono serio quando ti dico che non hanno potere all’interno della Greenford High School!-.
-Mio Dio….- sospirai –E’ davvero così ricco?-
-Giusto per fare un paragone, più della regina e di tutti i membri del Parlamento messi insieme- disse.
Di nuovo il silenzio. Deglutii la notizia, sperando che in questo modo avesse un sapore migliore. Non fu così, purtroppo.
Fu la campanella a rompere il ghiaccio, suonando la fine delle lezioni per oggi.
Lasciai cadere un sospiro forte, mugugnando:-Grandioso-, mentre Jacob riprendeva la palla da basket.
Stava per andare nello spogliatoio, ma lo bloccai, stringendogli il braccio:-Un momento. E noi studenti, allora? Possiamo solo farci sottomettere, non è così?-.
Super-Teppista si voltò, guardandomi, assumendo uno sguardo che era un misto tra la tristezza e la rassegnazione. –Così sembra- disse solo. Lasciai andare il suo braccio, il groppo in gola troppo grosso per mandarlo giù.
-Ecco perché è meglio se stai attenta- mi disse un attimo dopo, voltandosi completamente verso di me. Alzai lo sguardo su di lui, notando un espressione che non glielo avevo mai visto in volto, ma per qualche ragione era rassicurante. Posò una mano sopra la mia testa, come ad accarezzarmi. –Cerca di non cascare più nei loro tranelli, anzi, stagli proprio alla larga- disse, sempre più vicino -Perché se ti succede qualcosa qui, stanne certa che nessuno sarebbe in grado di aiutarti…-.
L’ultima parte della frase, però, la lasciò volare via, forse troppo imbarazzato per ammetterlo, o per lasciare semplicemente suspense. Ma non ebbi bisogno di sentirglielo dire per capire come voleva terminare la frase.
Nessuno sarebbe in grado di aiutarti… a parte me.
Glielo potevo leggere benissimo negli occhi, e lo potevo percepire anche dal suo tocco sulla mia nuca, confortante e sincero. Questa certezza mi fece battere il cuore e accaldare le guance, ma mantenni comunque il controllo. Mi accarezzò un ultima volta i capelli, poi mi lanciò un sorriso incoraggiante. Se ne andò verso lo spogliatoio maschile, mentre io rimasi a fissare la sua schiena.
“Aro, Marcus e Caius sono il vero problema” riflettei, mentre entravo nello spogliatoio femminile “E i Furious Wolfpack sono il loro piccolo esercito”.
Un sorriso mi si allargò automaticamente quando pensai che non proprio tutti i studenti si facevano sottomettere.
Un teppista al contrario” mi dissi, pensando a Jacob.
 
 
 

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Capitolo 14
*** 14_Bonjour Jelousie!_Parte 1 ***


14_Bonjour Jelousie!_Parte 1

 
 
Rimasi a fissare il soffitto per quasi due ore intere. Il sonno non voleva proprio arrivare, perciò l’unica cosa che mi era venuta in mente di fare era rimanere sdraiata a letto sperando di addormentarmi prima o poi.
Porca puttana, chiudi gli occhi! mi dissi, ma non serviva a nulla. Continuavo a ripensare agli eventi della mattinata, cercando di trovare un nesso a tutto ciò, invano. Quando ero tornata a casa, avevo evitato di raccontare la giornata alla mamma. Non sapevo come l’avrebbe presa per i Furious Wolfpack ma mi rendevo conto perfettamente che per la questione del nostro preside sarebbe scattata su tutte le furie. E sinceramente ne avevo abbastanza per oggi di eventi stressanti, per cui avevo semplicemente cenato con la mia famiglia senza aprire bocca per poi rinchiudermi in camera a fare i compiti e a leggere un libro che Bella mi aveva prestato tre giorni fa.
Mi rigirai sul letto, sbuffando.
Perché un tipo come Aro dovrebbe essere il preside della nostra scuola? E perché la polizia, o altri organi del governo, o che cazzo ne so io, si sono fatti comprare?
E poi, davvero la regina e il parlamento non possono fare nulla? Nemmeno un semplice provvedimento?
Erano pensieri che mi tartassavano il cervello, facendomi guadagnare solo altre domande invece che delle risposte. Forse dovrei dire che di politica, economia ed altre stronzate non ci capisco nulla, motivo per cui questa storia di Aro non mi torna.
Mi alzai dal letto, scalciando via le coperte. Avanzai verso lo specchio sopra il comò e accesi la luce della lampada da notte. Osservai il mio volto allo specchio, come se guardando nei miei stessi occhi potessi trovare le risposte alle mie mille domande. E invece mi ritrovai a pensare a Jacob, a come mi aveva aiutata per scappare dall’ex-aula di Francese e a come aveva tentato di risollevarmi poi. Arrossì ricordando come mi aveva tenuta in braccio, portandomi alla Reception, e a come aveva accarezzato la mia nuca a fine giornata, in palestra. Scrollai la testa, convincendomi che non c’era nulla di imbarazzante in quello che avevo appena ricordato. Spensi la lampada e tornai a coricarmi a letto, portando le coperte all’altezza del mio naso, addormentandomi finalmente, ma con ancora il pensiero di Jacob impresso nella mia mente.
 
 
 
Il mattino seguente era stranamente soleggiato. Non c’erano nubi nei paraggi e non alitava nemmeno un filo di vento. Inoltre la giornata non era nemmeno fredda, anzi, si poteva dire di star bene.
Ero arrivata quasi a scuola quando da dietro qualcuno mi chiamò ad alta voce. Voltandomi mi accorsi che si trattava di Super-Teppista, che correva con il fiato grosso.
-Perso la metro?- gli chiesi, una volta che mi ebbe raggiunto. Si piegò in due per recuperare fiato, poi si ricompose e per poco non mi puntò un dito accusatore contro:-Guarda che ero nella stessa metro con te, ma a quanto pare avevi la testa per aria!-.
-Strano- dissi solo, scrollando le spalle.
-E poi…- aggiunse Jacob –Sei sgattaiolata via dalla fermata e ho faticato per raggiungerti!-.
-Non capisco- feci, rivolgendomi a lui –Mi dovevi dire qualcosa che avevi fretta di raggiungermi?-.
Il ragazzo sembrava perplesso, o forse non aveva capito la domanda, perché rispose dopo due secondi con un:-Eh? Ah, no, non ho nulla da dire-.
-Sei strano!- conclusi, avviandomi verso l’edificio A. Jacob, naturalmente, camminava al mio fianco, con le mani in tasca. –Nah!- disse –Dire ad una persona che frequenta questo istituto che è strana è come fargli un complimento. Se gli dici che è normale allora lo offendi in modo brutale!-.
-Ok, vedrò di segnarmelo- risi. Jacob stava per dire qualcos’altro, ma delle urla provenienti dall’entrata della Reception ci bloccarono sul posto, quasi agghiacciandoci. Ascoltando più attentamente mi accorsi che non erano semplici urla, ma grida di ragazze.
-I Furious Wolfpack?- inghiottì la saliva io.
-No- rispose Jacob, sbuffando –Anzi, non so chi sia peggio, Sam e i suoi scagnozzi, o il prof. di Francese!-.
-Cosa?- scattai subito –Abbiamo anche Francese? Ma non c’era nel programma!-.
-Non doveva esserci- spiegò lui, mentre avanzavamo verso la Reception –Il nostro caro insegnante era andato in viaggio all’estero per lavoro l’anno scorso, e visto che Aro non è riuscito a trovare un supplente, ha deciso di sospendere le lezioni di Francese fino a quando il prof. non sarebbe ritornato-.
-Chiaro- annuii io –Ma questo cosa c’entra con queste grida?-.
Più ci avvicinavamo, più notavo come un grande gruppo di ragazze si era riunita in cerchio davanti alla Reception. Erano tutte incollate tra di loro, chi si spintonava e chi cercava di alzarsi sulle punte dei piedi per vedere meglio.
Capii il motivo ancor prima che Jacob potesse rispondere:-Perché è un cazzo di Don Giovanni! Ora andiamo, per favore, non le sopporto quando fanno le oche!-.
-Puoi dirlo!- ammisi, mentre svoltavamo per dirigerci all’edificio F.
 
 
 
-Ah! Che bello! Che bello!- saltellò Alice avanti e indietro, mentre raggiungevamo la mensa dopo l’ora di Inglese.
-Toglimi una curiosità- dissi, con una mano al fianco –Da dove deriva tutta questa felicità?-.
-Lasciala stare- sospirò Bella –Quando fa così, vuol dire solo che il prof. di Francese è tornato-.
-Ed è uno schianto assoluto!- canticchiò la nana –Ha uno sguardo che fa battere il cuore…-.
-Ehi, ferma un secondo!- la interruppi –TU stai già con Jasper, perché dici queste cose?!?-.
Alice e Rosalie mi fissarono, come se non avessero capito una sola parola di quello che avevo appena detto. Io d’altro canto non capivo Alice. Se aveva il ragazzo, che aveva da parlare così di un altro uomo – per giunta un insegnante?
-Perché ha ragione- rispose per lei la bionda –Anche se una ragazza è già impegnata non vuol dire che non può fare commenti anche su altri uomini. I maschi lo fanno con le femmine, per cui non vedo perché noi non possiamo farlo-.
-I commenti ci stanno, e va bene- ribattei –ma addirittura saltellare così mi sembra… esagerato?-.
-Alice è fatta così- spiegò Bella –Ma dammi retta se ti dico che ama Jasper con tutto il cuore. Questo è solo uno dei tanti modi che ha per divertirsi-.
-Però è da ammetterlo- aggiunse Rose –Se non fosse per Emmet, me lo farei volentieri quel gran pezzo di gnocco…-.
-MISERIACCIA, ROSALIE!- sbraitai io, decisamente scossa.
-Cavolo, sei sorda?- fece lei –Ho dettose non fosse per Emmet”, quindi smettila di fare la mamma!-.
Feci un piccolo broncio, ma decisi di lasciar perdere.
Non capirò mai quelle due pazze pervertite pensai.
 
 
 
Francese ce l’avevamo proprio quello stesso giorno, alla quinta ora.
Io e le ragazze raggiungemmo l’aula che era dedicata in passato a quella materia, la stessa dove io e Jacob avevamo “discusso” sul biglietto di Sam. E pensare che era successo solamente ieri! Per poco non mi venne la pelle d’oca. Quando entrammo scoprii che l’aula aveva tutti i banchi a due e tutte le sedie, disposte perfettamente in ordine - e c’era persino la lavagna!
Andai a sedermi di fronte al banco di Bella, mentre Rosalie e Alice andarono insieme al banco accanto al mio. Pian piano l’aula si riempì di studenti, e solo dopo che erano entrati due ragazzi, mi accorsi che eravamo per lo più ragazze.  Una strana e disgustosa coincidenza? Qualcosa nella mia mente diceva di no.
Il famoso professore di Francese arrivò cinque minuti dopo. Entrò nella stanza perfettamente calmo e composto, ma al suo arrivo tutta la classe si zittì – più che altro perché le ragazze avevano trattenuto il fiato.
L’uomo, alto e snello, vestito con un elegantissimo abito marrone, andò verso la lavagna, prese (con un movimento stranamente elegante) il gesso dalla cattedra e scrisse il proprio nome su di essa.
 
Didier Basile
 
Aveva una scrittura semplice ma bella a vedersi. Posò il gesso al suo posto e si voltò verso la classe.
-Bonjour, miei cari studenti- disse, con tanto di accento francese –E’ bello rivedere finalmente i vostri visi allegri!-.
E con quella frase scoppiò la bufera. Le ragazze (persino Alice e Rosalie, cosa decisamente sconcertante da parte loro) si misero ad urlare di gioia, come se si trovassero ad un concerto rock.  I pochi ragazzi della classe (erano al massimo cinque) si misero a sbuffare e a far finta di vomitare. Quanto li capivo!
Mentre al contrario non comprendevo le ragazze. Cosa avevano da urlare in quel modo? Sarà anche un uomo di bell’aspetto e dal viso giovane, ma mio Dio! Gli occhi non erano affatto come aveva descritto Alice. Non ti facevano affatto battere forte il cuore. Al contrario, quegli occhi mi spingevano a vomitare la ricreazione e la colazione di oggi. E quei capelli marroncini pettinati all’indietro poi! Sembravano come leccati da un bue, visto come luccicavano sotto la luce del sole proveniente dalla finestra.
Era davvero esagerato da parte loro. Quando avevo visto le ragazze raggruppate alla Reception, o quando Alice e Rosalie parlavano del professor Basile, avevo pensato subito che doveva trattarsi di chissà quale fotomodello, e invece scopro che, a parte i lineamenti del volto molto giovani e senza rughe, non aveva niente di bello quell’uomo.
Mentre Jacob Black è molto bello, ammettilo! Disse improvvisamente la mia coscienza. Deglutii, scacciando via il pensiero di Super-Teppista…
Ora che ci penso… Non è in quest’aula, eppure dovevamo avere Francese insieme oggi, come aveva detto lui prima di separarci per la prima ora.
Che sia in ritardo?
Il professore, in qualche modo, riuscì a placare le acque e a riportare l’ordine nella classe. Le ragazze si zittirono subito, facendo sospiri amorevoli (?), mentre i sospiri dei ragazzi erano esasperati.
Il professor Basile iniziò subito la lezione. Mentre scriveva sulla lavagna delle parole in francese, spiegando i loro significati e le pronunce esatte, tutte le ragazze (tranne me e Bella) lo fissavano con occhi luminosi, tutte quante con i gomiti poggiati sui banchi e le mani che tenevano le teste, i sorrisi cretini stampati sulle loro facce arrossate.
Mi venne il voltastomaco a vedere Alice e Rosalie ridotte esattamente come le nostre compagne, così decisi di concentrarmi sulla lezione… ahimè, senza capirci niente. La lingua francese non c’era nella mia vecchia scuola, mentre l’avevo studiata un poco alle medie. Ma stiamo parlando di anni fa! Ora sono al quarto superiore e non ricordo decisamente un accidente di quello che avevo studiato invece quando avevo tredici anni!
Sbuffai, abbandonandomi sulla sedia. Era inutile, non ci capivo proprio nulla. Mi ricomposi, strappando un pezzo di carta dal mio quaderno. Scrissi velocemente un messaggio per Bella, il più comprensibile possibile:
 
Cavoli, tutte quelle urla da oche per uno che ha gli occhi color merda?
Sul serio, Rose e Alice mi hanno deluso parecchio!
P.s. Se poi viene una che ha gli occhi marroni a dire che quelli del prof. fanno schifo allora siamo a cavallo! :D
 

Lo passai velocemente a Bella, che lo afferrò da sotto il banco. La sua risposta non tardò a mancare:
 
 
Aha! Ecco perché dico sempre che è meglio non ascoltare quelle due!
Il color cacca è azzeccatissimo, non ci avevo pensato nemmeno io!
P.s. Non ti preoccupare, tu hai gli occhi color cioccolato fondente, e ti donano pure :)

 
 
Sorrisi, scrivendo la risposta:
 
 
E tu ce li hai color cioccolato. Merda, che ci facciamo a scuola? Dovremo vivere in una pasticceria! Anche se io penso di essere un dolce scaduto, mentre tu farai venire il diabete solamente a guardarti! Sei pericolosa, mio Dio!
 
Sentii Bella ridere sotto i baffi leggendo il biglietto, ma non riuscì a scrivere altro: di colpo si sentì la porta sbattere violentemente contro la parete, facendo sobbalzare tutti.
Jacob era entrato nuovamente con la gamba alzata a mo’ di calcio, le mani in tasca e la faccia più menefreghista di sempre.
Si raddrizzò, grattandosi la testa:-Scusate il ritardo-.
Si, era in ritardo, pensai.
Lui chiuse la porta alle sue spalle, per poi rivolgersi al prof., fingendosi stupito:-Ah, professore, che sorpresa. Vedo che ha rifiutato di prendersi la pensione!-.
Sarei potuta scoppiare dal ridere se non avessi osservato i volti di Rose e Alice: due maschere inquietanti e dagli occhi glaciali. Non solo stavano mangiando Super-Teppista con la forza dello sguardo, ma gli stavano anche spolpando le ossa. Ora capisco i ragazzi quando dicono che le donne sanno far paura…
-Signor Black- lo salutò tranquillamente prof. Basile –Vedo che il sarcasmo non ti manca mai. Ma se vuoi evitare subito una nota sul registro di conviene sederti immediatamente-.
La cosa più spaventosa non era stato quello che aveva appena detto. Al contrario, era il suo tono perfettamente composto e allegro, e la sua espressione sorridente e sicura, ad avermi fatto accapponare la pelle. Stranamente su Jacob non aveva lo stesso effetto.
-E va bene, monsieur!- disse quest’ultimo, le mani in alto e con la faccia innocente. Quando gli diede la schiena per venire verso di me, il professore disse:-Pronuncia sbagliata!-, per poi tornare alla lavagna per proseguire la lezione. Jacob fece un ghigno malizioso e venne a sedersi al mio fianco (era l’unico posto libero, d’altronde), evitando di guardare l’uomo dai capelli leccati da un bue.
-Allora?- disse Teppista-Superman, mentre prof. Basil spiegava il verbo “avere” e le sue varie coniugazioni.
-“Allora” cosa?- domandai, rivolgendogli appena un’ occhiata.
-Allora- disse lui –Hai per caso urlato di gioia vedendo il signor Grey versione francese, e hai orgasmato appena ha parlato con quel suo accento?-.
-Cos… No!- sussurrai, mezza indignata, ma senza tradire un sorriso –Primo, è un insegnante, più vecchio di me, e sarebbe disgustoso (cosa che le ragazze qui presenti non lo capiscono); secondo, quegli occhi color escremento e quei capelli lavati dalla leccatina di un bue o di un bisonte non mi eccitano, spiacente. E terzo: chi cavolo è il signor Grey?-.
-Meglio che tu non lo sappia- sussurrò il ragazzo –Embry mi ha costretto a vedere Cinquanta sfumature di grigio perché diceva che era un porno… Non fraintendere, io non guardo porno, li guarda Embry, ma mi aveva costretto con la forza…. Ricattandomi…-.
-Oho! Che genere di ricatto?- domandai, il sopracciglio rialzato. Per qualche ragione questa conversazione era dieci volte meglio della lezione.
-Uhm…- fece, grattandosi nuovamente la nuca –Diciamo che ha detto una cosa come: “Se non guardi subito questo film con me, ti assicuro, ragazzone, che dirò a tuo padre cose che non puoi immaginare, e potrei arrivare a fare un triangolo con Rachel e Paul!”. Avrei anche potuto dargli un cazzotto, ora che ci penso…-.
-Rachel…?- riflettei, e subito Jacob precisò:-Mia sorella, più grande di me. Che guarda caso sta insieme ad uno dei Furious Wolfpack-.
-Scusa tanto, ma… che gusti ha?-
-Non. Ne. Ho. La. Più. Pallida. Idea.-
-E. Io. Non. Posso. Credere. Che. Parla. Ancora.- disse di colpo il prof. Basile, a fianco al nostro banco. Per poco io e Jacob non eravamo saltati dalle sedie. Come diavolo abbiamo fatto a non accorgerci di lui?
 -Oh, scusatemi tanto, vi ho interrotti?- ci prese in giro il prof. mantenendo il tono di voce calmo.
Jacob ci pensò sopra, e poi disse, come se fosse la cosa più normale di questo mondo:-Si. In realtà si. Io e la ragazza qua presente stavamo chiacchierando, e guarda caso, il nostro discorso era più interessante del verbo “avere”-.
I ragazzi della classe si misero a ridere (due di essi fischiarono pure), mentre le ragazze…. Ahimè, perché ha detto quelle cose?
Ora tutte quante (naturalmente anche Rose e Alice) ci guardavano in cagnesco, con gli occhi che mandavano scintille. Non era difficile immaginare a cosa stessero pensando…
Mi colpii la fronte con la mano, scuotendo la testa.
-Se il vostro discorso è più interessante- disse Basile –Allora non avrà di certo problemi a dirlo a tutti quanti noi, suppongo-.
Ahia! pensai, eppure Jacob non si fece piegare. Sospirò e disse:-Stavamo dicendo che lei somiglia molto al protagonista maschile di un certo film porno ma in versione francese. E questo spiegherebbe perché quasi il novantanove per cento delle ragazze qui presenti sbavano al solo vederla-.
Non l’avesse mai detto! Tutte le nostre compagne (escluse me e Bella) si alzarono di scatto e cominciarono a latragli addosso le peggio parolacce mai sentite. Rosalie gli sputò addirittura in faccia un:-Brutto cane rognoso, come osi?!?-.
-Calma, calma signore- placò le acque il prof con una facilità tale da farmi spaventare –Non c’è alcun motivo di arrabbiarsi contro un vostro compagno, che ha avuto il … coraggio di dire la sua-.
La parola “coraggio” però venne detta con una certa forza. Forse al suo posto avrebbe voluto mettere “Sfacciataggine”.
-Tuttavia - continuò, voltandosi verso Super-Teppista –il signor Black frequenta questa scuola sin dal primo anno, ed essendo al quarto, dovrebbe sapere perfettamente quali regole vigano nella mia classe, non è vero?-
-Si- rispose Jacob –Lo so perfettamente-.
-E allora saprà che dopo questo suo comportamento lei si merita un’ora di punizione, giusto?-.
-Aha!- annuì con la testa il ragazzo, per niente scosso. Doveva esserci abituato.
Basile sospirò soddisfatto:-Tries bien! Dopo la fine delle lezioni, allora-.
-Non mancherò- sorrise Teppista-Superman, mentre il prof. tornava alla cattedra.
Mentre il francesino perfetto si rimetteva a spiegare la lezione, strappai un altro pezzo di foglio dal mio quaderno, stavolta per scrivere a Jacob:
 
Sei fuori di testa? Perché ti cacci nei guai in questo modo? Inoltre hai offeso le ragazze, persino Alice e Rosalie!
 
Jacob lesse velocemente e fece un secondo ghigno, scrivendo sotto il mio messaggio la risposta. Quando mi porse il bigliettino, notai che la sua scrittura era comprensibile, seppur fatta velocemente:
 
Sinceramente non me ne frega molto di quello che pensano la nana e la biondina, e neanche di quello che pensano le altre. Sono tutte delle oche. Hai visto come hanno reagito quando ho detto la verità? Se fossero state delle persone normali, avrebbero evitato di fare quell’inutile scenata. Potevano anche starsene zitte zitte.
Inoltre, mia cara Karate-Girl, io sono un amante dei pericoli, e questo è niente, credimi. Al massimo mi farà scrivere per dieci volte le coniugazioni del verbo “educare”. Ci sono già passato molte volte, non preoccuparti, zuccherino ;D

 
Gli diedi un pizzicotto forte all’addome quando lessi la parola “zuccherino”, ma lui non se la prese, anzi, cercò di non ridere.
-Oh, che sbadato!- esclamò di colpo il prof. Basile, voltandosi verso la classe. Ad essere precisi, posò lo sguardo su di me. Avrei voluto che non lo avesse mai fatto. Ora si che mi veniva il mal di stomaco.
Il prof. si avvicinò al nostro banco e mi porse un largo sorriso smagliante.
-Una nuova alunna, dico bene?- domandò –Sono desolato, non mi ero nemmeno accorto  di lei, signorina…?-.
-Clearwater- risposi, neutra.
-Bien!- fece lui –Da quando è qui?-
-Da Settembre, più o meno-.
-E nella sua vecchia scuola studiavate Francese?-
-No- ammisi –L’ho fatto solo alle medie-.
Jacob scosse la testa, disgustato. Non capisco, e ora che gli prende?
-Oh, non c’è alcun problema- rispose il prof. –Se hai qualche difficoltà basta chiederlo. Posso fare delle lezioni private se questo problema si rivela più… grave, diciamo-.
Potei solo annuire con la testa. Non sapevo sinceramente a cosa pensare. Da una parte un ripasso di Francese non mi avrebbe fatto male, anzi, avrebbe contribuito a non abbassarmi la media… ma se penso che avrei dovuto fare lezioni provate con capelli leccati da un bue…
-Bienvenus à notre école, signorina Clearwater- disse infine, il sorriso sempre più ampio –Spero che si troverà bene qui da noi-.
Oh, certo avrei voluto dirgli tra i bulli e i docenti inquietanti, e un Super-Teppista che mi fa incazzare dalla mattina alla sera, sicuro che mi trovo bene qui!, e invece gli risposi con un semplice “Grazie”.
La campanella suonò, finalmente, e i ragazzi (tranne Jacob) si alzarono tutti, sgattaiolando dall’aula in fretta per non subire altre scenate languorose delle fanciulle… che guardarono Jacob in cagnesco prima di andarsene anche loro. Bella raggiunse Alice e Rosalie, e il prof. Basile uscì dopo di lei. Rimanemmo solamente io e Super-Teppista.
-Perché hai fatto quella faccia?- gli chiesi, mentre raccoglievamo le nostre cose.
-Quale faccia?- chiese, senza guardarmi. Il suo tono era nervoso, stressato.
Forse non avrei dovuto farlo, ma preferii insistere:-Sai quale faccia! Quando il prof. è venuto da me e mi ha chiesto se avevo fatto Francese, tu sembravi sul punto di vomitare…-
-E per una buona ragione!- scattò di colpo lui –Altro che lezioni private, quel Don Giovanni ti vuole portare a letto!-.
-Co…Cosa?- balbettai, mezza confusa, e mezza scossa. Ma che diavolo sta dicendo?
-Non capisci, Leah?- fece- spalancando le braccia –Quando guarda una ragazza così, soprattutto se è nuova, e quando le propone lezioni private, dammi retta, ti insegnerà ad usare la lingua, ma non nel senso che credi tu!-
-Jacob… Ma è assurdo!- sbottai –E’ un professore, non può fare una cosa simile! Per di più sarebbe una specie di pedofilia o qualcosa del genere!-.
-Ah no? Sei ancora una novellina, e lo hai incontrato solo oggi, ma chi lo conosce da quattro anni, sa che le lezioni private con lui sono da evitare assolutamente!-
-E le ragazze, allora? Non sembravano così preoccupate!-
-Primo, forse non te ne sei accorta, ma quando ti ha proposto questa idea del cazzo, ti hanno guardata tutte più o meno come hanno guardato me. Con la differenza che erano verdi d’invidia! E secondo, due o tre di loro hanno fatto effettivamente le lezioni in privato con lui, e ne sono uscite molto soddisfatte, ma non di certo perché hanno imparato meglio il Francese! Sveglia! Vuole aprirti le gambe quel….-
-TIME OUT!- lo zittì io. –Sarà anche vero quello che dici, ma spiegami perchè ti importa tanto!-
Di colpo Jacob sembrava rosso in faccia. Riusciva solo a balbettare qualcosa, senza però tirar fuori dalla bocca una frase decente.
-Allora?- lo ammonì, ma sembrava sempre più scosso.
Si riprese dopo quello che sembrava un infinità di tempo e disse:-Se non vuoi darmi retta fai pure, non è un mio problema!-.
Prima ancora che potessi rispondergli, il ragazzo afferrò la sua borsa e schizzò fuori dall’aula, lasciandomi sola.
-SE NON E’ UN TUO PROBLEMA, ALLORA CHE CAZZO SPARI A FARE LE CAVOLATE?!?- urlai, anche se sapevo perfettamente che non serviva a niente.
 


Angolo Autrice: Finalmente sono riuscita a pubblicare questo capitolo! Uff! 
Non vi faccio promesse su quando uscirà il prossimo, anzi, meglio se vi lascio con il fiato sospeso, muhahahahah (scherzo ovviamente, anzi, no, non scherzo affatto!)---> reazione perfettamente normale :D
Delyassodicuori

 

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Capitolo 15
*** 15_Bonjour Jelousie!_parte 2 ***


15_ Bonjour Jelousie!_ Parte 2

 
NB. In teoria ho avuto qualche dubbio su un certo personaggio di questa storia per colpa di quello che era successo a Parigi in questi giorni, e non sapevo se quello che stavo scrivendo andava troppo contro i francesi, ma se lo pubblico è grazie soprattutto ad una mia amica a cui dedico questo scritto (sperando che capisca il perchè della colletta per le penne con questo capitolo :D). Avrei voluto aggiungere anche un messaggio di solidarietà non solo per i parigini ma anche per tutti gli altri, ma purtroppo non sono una che riesce a fare dei discorsi sensati e ho solo paura di dire cavolate. Posso solo augurarmi che tutta questa storia abbia fine, e nel migliore dei modi. 
Detto ciò, vi lascio alla lettura :)

 
 
-E’ cotto di te!- disse Rosalie di colpo, mentre uscivamo da scuola a fine giornata. Avevo raccontato alle altre, una volta raggiunte, la discussione tra me e Jacob, giusto per capire se quello che diceva sul prof. Basile era vero – e anche per comprendere meglio il motivo esatto della sua reazione.
Quando la bionda disse quelle parole, rimasi bloccata in mezzo alla strada. Le altre si accorsero del mio stop dopo due passi e ritornarono da me.
-EH?- riuscii solo a dire. Sentivo le guance bollenti e il cuore martellare, ma stavo cercando di evitarli entrambi.
Jacob Black, anche detto “Super-Teppista”… dovrebbe avere una cotta per me? E’ ESCLUSO!
-Pensaci bene, Leah- riprese Rosalie, mentre Alice sogghignava –Quale ragazzo cercherebbe di avvertirti in questo modo? E poi, se è vero quel che dici sulla sua reazione, allora è fin troppo ovvia la cosa, no?-.
-Ma...ma non… no… ma… insomma…- balbettai. Sembrava quasi che la mia testa stesse per fumare. Scuotevo il capo continuamente, cercando di levarmi dalla testa un pensiero simile.
-Cosa ti prende ora?- domandò Bella –Ok, magari non sei abituata a questo genere di cose, ma smettila di fare così, ci stai preoccupando!-.
-S-scusa…- latrai, ma solo dopo che la mora mi aveva bloccato il capo con entrambe le mani, tenendomelo fermo.
Quando mi lasciò andare, tornai a respirare con calma (con molta calma), e dissi, cercando di mantenere un tono di voce normale:-Ascoltate, è … fuori questione che uno come lui possa innamorarsi di una come me…-
-Io ho detto “cotta”…-
-Lasciami finire! Insomma, quel Black mi odia, e non a caso ogni volta finiamo per litigare di brutto, soprattutto con tanto di botte e calci! Ora ditemi, come può lui provare, anche in misura assai minore, qualcosa per me?-.
Bella sembrava rifletterci su, con le braccia incrociate e gli occhi chiusi.
-E quella volta che ti aveva leccato il collo, allora?- domandò Rosalie.
Sia Isabella che Alice sbottarono un:-COSA? QUANDO?-, talmente forte che tutti gli studenti che stavano uscendo avrebbero potuto sentire.
-ROSALIE!- la sgridai, ma la bionda non si demoralizzò:-Eddai, prima o poi lo avrebbero saputo anche loro! Comunque sia, uno che ti odia non avrebbe mai cercato di farti un succhiotto!-.
-Che diavolo dici?- urlò Bella –Una leccatina al collo, ma stiamo scherzando? Cos’era, un tentato di stu.. di stu…-
-Stupro?- chiesi, e la mora annuì con la testa. Chissà perché aveva quello strano tic all’occhio…
-Non lo era, comunque, anche se l’ho pensato pure io in un primo momento- dovetti ammettere, con il broncio e le guance arrossate –Lo aveva fatto solo per avvertirmi riguardo a quello che avrebbero potuto fare i Furious Wolfpack…. Anche se a modo suo…-.
-In ogni caso, non credo che lo avrebbe fatto con qualsiasi ragazza- ricominciò Rose –E quelle volte in cui non si faceva gli affari suoi e puntualmente veniva nel mezzo del discorso solo per dire una cosa a te?-.
-Quelle non contano!-.
-E quando eravate bloccati nelle docce?- si aggiunse Alice.
-Non era successo un tubo!!!-
-Certo, certo- finse la nana –Parlaci invece di quando ti guarda, o di quando ti ha avvertito della banda di Sam. Forza, pensaci un po’ su!-.
-Uh….- mi sfuggì fuori. Avevo esaurito le varie obiezioni.
Ci riflettei sopra come mi aveva detto di fare Alice, respirai a fondo e dissi, in modo tale che quello che stavo per dire potesse risultare chiaro a tutt’e tre:-Ora state a sentire, forse è vero che Jacob Black non mi odia, ma è impensabile che possa provare qualcosa per me, o tanto meno essere geloso per colpa mia, va bene? E comunque non potrà mai funzionare, è già tanto se ci sopportiamo a malapena così, figuriamoci se dovesse esserci una qualche relazione amorosa del cavolo!-.
Non appena finii il discorsetto, mi accorsi che le tre ragazze avevano assunto la stessa espressione. Erano con gli occhi spalancati e le bocche chiuse, ma sbiancate in faccia - come se la nana e la bionda non lo fossero già di loro. E, ciliegina sulla torta, non guardavano me, ma dietro di me.
Merda pensai.
Mi voltai appena di novanta gradi, il cuore in gola. Jacob era proprio dietro di me, un sopracciglio rialzato e con un mezzo broncio da menefreghista.
Dio, avrei voluto essere seppellita viva!
-Ciao…- dissi, stupidamente, la voce stranamente stridula.
-Yo!- rispose lui, neutro –Come butta?-
-Bene- deglutii.
-Bene- fece eco Super-Teppista –Allora a domani-.
-Ok- feci, e Jacob ci superò, dritto verso l’Underground.
Rimanemmo tutt’e quattro ferme e immobili come statue.
Fu Alice a rompere il ghiaccio:-Beh, uhm… che ne dite di uscire questo sabato?-.
-ALICE, TI PARE IL MOMENTO?- le sbraitò in faccia Bella.
-Leah, stai bene?- chiese invece Rosalie. Le guardai in faccia, una ad una.
Risi.
Le ragazze mi fissarono, senza capire come prendere la situazione, mentre io mi piegavo dalle risate. Lo stomaco mi faceva un male terribile, ma poco importava.
-Se sto bene?- feci, rialzandomi –Se sto bene, biondina? Si, sto bene, bene, bene, bene! Infondo, non ho appena fatto una figura di merda davanti ad un ragazzo, no?-.
-Uh…- latrarono le tre, decisamente scosse.
-Ok, sono stanca e piuttosto affamata, lo ammetto- continuai, accarezzandomi l’addome, come quando facevo da piccola per dire che volevo mangiare –Per cui, con permesso, mi avvio verso casa ora-.
Detto questo le superai di corsa e, sempre correndo, raggiunsi l’Under-ground, scesi le scale  e arrivai alla fermata della metro. Avevo fatto un poco di ritardo, per questo dovetti aspettare altri cinque minuti. Solo dopo il suo arrivo, solo dopo esser scesa alla fermata di casa, e solo dopo aver raggiunto la Library, mi fermai per urlare.
 
Nelle seguenti settimane le cose a scuola sembravano peggiorare sempre di più. Francese si rilevò essere in assoluto la materia che più detestavo, e non solo per il professor Basil che continuava a lanciarmi strane e inquietanti occhiate, ma anche perché di quella lingua non capivo proprio nulla. Avevo provato a farmi spiegare qualcosa da Bella (secchiona com’è!), ma non è servito a niente. Ogni volta che aprivo il libro di testo le parole mi si incrociavano davanti agli occhi, e invece di leggere dei caratteri normali, mi ritrovavo a fissare dei geroglifici.
Dopo quella discussione con le ragazze sulla cotta o no di Jacob nei miei confronti, quest’ultimo era sempre più cupo mano a mano che i giorni passavano. Mi rivolgeva si e no due o tre parole, ma mai un discorso o una frase sensata. Avevo cercato di dialogare con lui più volte, ma ogni volta era come se mi sfuggisse di mano. Ad esempio un venerdì lo avevo trovato durante l’intervallo nel corridoio dell’edificio C, seduto sul bordo di una finestra aperta a giocare con il cellulare. Era talmente concentrato sul display che non si era ancora accorto che ero a qualche metro da lui. “Bene, è la mia occasione!” mi ero detta, serrando i pugni. Già dal giorno di quella figuraccia avevo intenzione di parlare con lui, anche scusarmi se necessario, tutto pur di non sopportare più questo silenzio atroce – che era anche peggio di quando mesi fa avevo deciso io di mantenere le distanze. Mi ero incoraggiata, dicendomi che andava tutto bene e che non c’era nulla di cui preoccuparsi, e che se era intelligente (poco probabile) mi avrebbe ascoltata e ci avrebbe messo una pietra sopra. Stavo così per andare da lui, dopo aver fatto un bel respiro profondo, ma appena Embry e Quil sbucarono fuori dal nulla al fianco di Super-Teppista, mi ero bloccata di colpo e avevo fatto retromarcia prima che uno dei tre potesse notarmi. Mi ero così nascosta dietro al muro, osservando gli amici di Jacob che, con mio grande stupore, erano riusciti a farlo ridere con una sola battuta. Li avevo invidiati parecchio per un millesimo di secondo, per poi maledire me stessa per essere stata codarda – e anche per aver avuto un tempismo del cavolo.
Inoltre a Ginnastica Jacob era sempre deconcentrato, non riusciva a giocare a basket o a calcio come prima, motivo per cui almeno quattro volte il prof. Ammazzacinghiali lo ha mandato in panchina.
Merda, ora sta esagerando!” pensai in una di quelle volte.
E intanto le ragazze non miglioravano affatto le cose. Invece di aiutarmi a capire come risolvere il problema Jacob, non facevano altro (più che altro Alice e Rose) che rinfacciarmi che se l’era preso perché effettivamente era cotto di me, mentre io continuavo a rifiutare questa idea. Che razza di ragazzo è uno che ignora così una ragazza che (ipoteticamente parlando) dovrebbe esserne infatuato? Non aveva senso per me, e forse quelle due non avevano nient’altro di meglio da fare che tormentarmi con questi discorsi senza sbocchi. Nemmeno Bella sembrava volermi aiutare, anzi, continuava a dire la cosa più ovvia del mondo:-Devi semplicemente scusarti con lui. Questo non è mica un problema nostro-.
Ti ricordo che è grazie a voi se ho fatto quella figuraccia, e voi non vi siete nemmeno mosse per avvertirmi! avrei voluto ribattere, e invece me ne stetti zitta ad annuire, e solo per non dover litigare anche con loro.
Ripensavo a tutto ciò, e a come pacificare con Jacob, quando il professor Basile mi rimbeccò di colpo, facendomi risvegliare nell’aula di Francese.
-Così proprio non va, signorina Clearwater- disse lui, mentre l’intera classe mi guardava. Cercai di non ricambiare subito lo sguardo del prof e, nel mentre, notai con la coda dell’occhio Jacob che fissava entrambi. Era ancora seduto al banco con me nonostante tutto. E la sua espressione era indescrivibile, cosa che mi metteva sempre più a disagio.
-Cosa non va?- domandai, stupidamente, tornando a guardare il quaderno.
Basile non sembrava molto contento di non ricevere attenzione da parte mia, così mi buttò davanti alla visuale il foglio della verifica della settimana scorsa. Tanti segni rossi erano scarabocchiati (con una certa eleganza, bisognava ammetterlo questo) sopra la mia scrittura, e una grossa F decorava la parte superiore del foglio. Era palese che sarei andata male già dal primo tentativo, per cui non ne ero affatto stupita.
-Ricorda quando il primo giorno le ho suggerito qualcosa riguardo alle lezioni di recupero in privato?- fece il prof, con un tono talmente gentile che per poco non mi tremavano le ossa.
Annuì con la testa, e il prof. Basile tirò fuori dalla tasca della sua giacca un biglietto, che lo posò sopra la verifica.
-Venga a questo orario, signorina Clearwater- disse, mentre indicava il biglietto –E vedrà che il suo livello di Francese salirà… alle stelle-.
Era un impressione mia, o all’ultima frase Jacob sembrava trattenere la tosse? Il prof. tornò a consegnare le verifiche corrette agli altri studenti - con la coda dell’occhio ero riuscita a scorgere una bella F rossa anche per Super-Teppista, cosa che mi fece quasi imbestialire. Perché io dovevo fare queste stupide lezioni private, mentre Jacob no?
Ricordai di colpo le parole che mi aveva detto a quella prima lezione con il prof. Basil e scossi la testa. Forse stava solo esagerando, o forse voleva mettermi alla prova o che so io.
Guardai il biglietto. Avrei dovuto incontrarlo qui proprio oggi, alla fine delle lezioni. Sbuffai, scarabocchiando sul quaderno con la biro per pure noia. Stavo cominciando a disegnare una faccina annoiata che mandava a cagare un professore a caso, quando sentii un crack al mio fianco.
Voltai di poco la testa e per poco non mi si seccò la bocca. Jacob doveva aver stretto troppo forte la sua penna perché ora era spaccata in due, con la metà superiore caduta sopra la sua verifica. Il suo pugno su quella biro era serrato, così stretto che potevo distinguere bene i nervi e le ossa.
Spostai lo sguardo sul suo volto e subito me ne pentii. Aveva lo sguardo cupo, nero e sinistro, lo stesso che aveva usato con Sam dopo il salto dalla finestra. Uno sguardo omicida che faceva venire i brividi. Tornai a guardare la sua mano, e per poco non perdevo lucidità.
-Jacob!- sussultai, attirando la sua attenzione. Si riprese di colpo, come se non si fosse accorto che fin’ora eravamo in questa aula.
-La tua mano- gli indicai, mentre le sue dita che stringevano ancora la parte inferiore della penna cominciavano a colare sangue.
Lui sembrò accorgersi del suo pugno solo in quel momento, sospirando un banalissimo:-Oh!-, per poi lasciar cadere la parte restante della biro e osservare il danno  subito.
Allungai automaticamente la mano verso la sua ma, quando sfiorai con le dita le sue, lui si ritirò di colpo.
-Non è nulla- disse, mentre con la mano sana cercava qualcosa dalla borsa. Stavo per ribattere, ma poi mi morsi il labbro e lo lasciai in pace. Se si faceva male da solo erano cavoli suoi infondo. Ciò nonostante continuai a tenerlo d’occhio, anche quando tirava fuori un fazzoletto dalla cartella e lo avvolgeva intorno al palmo.
Se si fa male sono cavoli suoi, è vero” disse la mia coscienza “Ma sappi che questo è per colpa tua”.
 
 
-Oh, bene signorina Clearwater, è arrivata finalmente- mi sorrise il prof. Basile quando entrai nell’aula.
-Ma sono in orario!- ribattei, guardando l’orologio appeso sopra la lavagna. In effetti ero arrivata puntuale, quindi quel finalmente non aveva un minimo di senso.
-Si accomodi pure- disse il prof. senza nemmeno ascoltarmi, indicando un banco davanti alla cattedra. Andai a sedermi e cominciai a tirar fuori il materiale. Quando ormai avevo preso il quaderno mi accorsi che intanto il prof. stava camminando intorno a me, lo sguardo fisso sulla mia schiena, come ad esaminarmi. Questa cosa naturalmente mi stava mettendo a disagio, ma cercai con tutte le mie forze di ignorarlo. Aprii il quaderno, cercando di rimanere calma. Stavo per chiedere al prof che cosa avremo fatto di preciso riguardo alla materia, ma mi bloccai all’improvviso quando lui mi domandò:-Lei è vergine, signorina Clearwater?-.
-Prego?- mi ritrovai a sussultare, con il groppo in gola. Che razza di domanda era?
-Deduco di si- si rispose da solo Basile, senza nemmeno darmi il tempo di capire che cosa stava dicendo –E’ per scelta sua, o semplicemente perché non è stata fortunata?-.
-C-come?- domandai ancora, incredula. Se me lo avessero chiesto Alice o Rosalie o Bella avrei risposto semplicemente che non ero stata fortunata, e che di certo non sarei andata a letto con il primo che capitava, ma qui stiamo parlando di un professore! Cosa importa a lui se ero vergine o meno?
-Suvvia, Leah- fece lui (siamo arrivati persino a chiamarci per nome?), mettendo le mani in tasca con disinvoltura –Si può confidare, dovrebbe saperlo. Molte ragazze della sua età si sono sfogate con me, e io ho saputo consolarle. Direi che ne sono uscite piuttosto rincuorate e soddisfatte-.
Si, consolate come di preciso?” mi ritrovai a pensare.
Decisi di non rispondere e di chiedere invece:-In che cosa vado male esattamente? Parlando della sua materia, ovvio-.
-In tutto.- rispose, mezzo offeso, poggiando il didietro sulla cattedra –La sintassi, i vocaboli, i singolari e la differenza tra maschile e femminile. Sono cose molto importanti e bisogna tenerne conto, signorina, non sono affatto da sottovalutare-.
Annui, sperando che almeno con questo iniziava a fare sul serio. Mentre mi annotavo queste cose sul foglio, però, sentii di nuovo il prof che si avvicinava. Quell’uomo doveva essersi messo un qualche tipo di profumo molto forte perché mi ritrovai ad arricciare il naso. Continuavo a fissare il foglio, ma avvertivo chiaramente come Basile si abbassava ogni tanto su di me, o meglio, sui miei capelli. Giurerei di averlo sentito anche annusare!
Mi venne la pelle d’oca quando mi accorsi che effettivamente mi stava odorando la nuca.
-Che shampoo usa, Leah?- domandò, la sua lurida faccia vicino al mio orecchio destro.
-Perché le interessa?- feci io, come una perfetta cretina, senza però voltare la testa per paura di trovarmelo in faccia. Come altro potevo rispondergli? Non sapevo decisamente che fare! Fosse stato un ragazzo della mia età non avrei esitato a sferrargli un cazzotto sul naso, ma essendo un insegnante non mi sembrava proprio il caso…
Anche lui però potrebbe evitare di fare certe cose con una sua studentessa!” pensai.
-Perché ha un così dolce profumo, mademoiselle- disse, assumendo un tono che doveva essere sensuale (e invece, a parer mio, era inquietante!) –E’ un peccato che sia ancora così pura, lo sa?-.
Deglutii, stringendo forte la biro. Chissà, forse anche io avrei spaccato la penna oggi.
Ero sul punto di ignorarlo di nuovo, quando afferrò delicatamente una mia ciocca e se la portò al naso. Tremai di brutto e allora non ci vidi più nulla.
Mi alzai di scatto, allontanandomi da quell’essere rivoltante, stringendo i denti. Sembrava piuttosto stupito, o contrariato, non sapevo dire quali dei due per quanto ero disgustata.
Promemoria.  Ascolta Jacob quando ti avverte su qualcosa o qualcuno!” mi dissi. Quando imparerò la lezione?
-Qualcosa non va, dolce zuccherino?- chiese lui, ricomponendosi –Non vuole essere consolata?-
Dolce zuccherino? Che faccia tosta!
-Ora mi ascolti bene, professore- dissi, respirando con calma –In primo luogo sarò anche vergine, ma non ho bisogno che per questo qualcuno mi consoli! Secondo, sono affari miei che razza di shampoo uso, e di certo non lo vado a dire ad un insegnante! E terza cosa io sono venuta qui per recuperare il voto di Francese, non per accettare le sue… lusinghe? Come diavolo dovrei chiamare quello che stava facendo?-
-Carezze consolatorie- disse Basile, come se la situazione che si era appena creata non lo turbasse affatto. Questo mi fece arrabbiare ancor di più.
-Beh, non mi servono, e se lei non vuole farmi un recupero decente come Cristo comanda, allora sto sprecando tempo qui!-.
Detto questo infilai la roba di fretta e furia nella borsa, caricandola poi su una spalla. Arrivai alla porta quasi senza accorgermene.
-Signorina Clearwater- mi fermò il prof, proprio mentre avevo poggiato la mano sulla maniglia.
-Se esce da quest’aula, senza nemmeno aver concluso nulla, allora stia certa che non le renderò la vita facile!-.
Era un tono provocatorio, minaccioso, ma allo stesso tempo persuasivo. Non abbastanza persuasivo.
Risi, con lo sguardo sempre sulla porta. –Ah davvero?- risposi –Peccato, più difficile di così non può essere la mia vita-.
Forse se fossi stata zitta il destino non avrebbe deciso di scherzare con me. Forse, se non avessi detto quella frase, non mi sarei ritrovata a vergognarmi a morte qualche secondo dopo.
Perché proprio quando aprì la porta e misi un piede fuori dall’aula, mi ritrovai a faccia a faccia con Jacob, che si era fermato a mezzo metro dalla porta.
Rimanemmo lì a fissarci, immobili.
Avrei potuto fare una marea di cose in quel momento. Andare da lui e chiedergli scusa. Scattare e abbracciarlo forte, implorando perdono. Buttarmi sulla sua mano per vedere com’era ridotta. Arrabbiarmi con lui per il comportamento infantile e trascinarlo via con me fino all’uscita. E invece stavo lì, a fissarlo negli occhi, con mille pensieri che mi frullavano nel cervello. Ma il più dominante tra tutti era:”E’ decisamente più bello del prof.. E se non fosse per quegli strani schizzi potrei anche dire che è un bravo ragazzo…
Aprimmo entrambi la bocca per dire qualcosa (qualsiasi cosa andava bene, anche la più grossa delle cazzate, bastava soltanto rompere quella barriera che si era ricreata tra noi), ma il volto di Jacob cambiò immediatamente espressione. Da stupito, ora era decisamente disgustato e shoccato. Capii il motivo quando sentii dietro di me il prof. Basile che sospirava un:-Ah, Leah, sei proprio un fulmine tu!-.
Stavo per chiedergli un:-Eh?- confuso proprio quando mi sono voltata. Non appena avevo poggiato lo sguardo su quell’uomo (se tale si può definire), mi pietrificai. Aveva la giacca tutta storta da un lato, la cravatta sciolta attorno al collo e la camicia mezza aperta. Ma la cosa che più risaltava di tutto ciò era quel misterioso segno di rossetto stampato sulla guancia, a formare un bacio.
MA CHE DIAVOLO STA SUCCEDENDO?!?” era l’unica cosa che riuscivo a pensare.
Cambiavo sempre visuale, da Jacob al prof, senza sapere come reagire.
-Signor Black- fece Basile, rivolgendosi a Teppista-Superman –Ancora qui? Non dovrebbe tornare a casa, ora?-.
Guardai Jacob, sperando che potesse almeno capire dal mio sguardo che quella del prof. era solo una bufala. Invece mi accorsi che la mia faccia non doveva essere abbastanza convincente, o forse semplicemente non mi voleva guardare, perché l’espressione di Jacob era più nero di stamattina. Avrei anche giurato che avesse stretto i pugni.
-Si, ci stavo andando- disse infine il ragazzo all’insegnante, con un tono neutro, ma che tradiva un sacco di emozioni negative.
Più cercavo di guardarlo negli occhi e più il mio coraggio scivolava via. C’era qualcosa in quelle iridi scure che mi convincevano sempre più ad odiare Basile e mi incitavano invece a correre da Jacob per abbracciarlo.
-Bene, passi una buona serata allora- lo salutò il prof, sorridente. Quanto mi sarebbe piaciuto spaccargli quei denti bianchi e perfettamente allineati!
Jacob annuì in risposta. Forse ero io che sentivo male, o forse Jacob stava ringhiando con la bocca chiusa nel frattempo. Il ragazzo si sistemò meglio la borsa in spalla e si avviò velocemente lungo il corridoio, verso le scale. Intanto la mia borsa era scivolata via fino a cadere al mio fianco, la mia bocca si era seccata e i miei pugni erano talmente serrati che per poco non mi ferivo i palmi con le unghie.
-L’avevo avvertita, signorina Clearwater- sussurrò quel fetente di un professore al mio orecchio sinistro. Il suo “profumo” era decisamente l’odore più rivoltate che avessi mai annusato.
-Come aveva risposto lei?- fece di nuovo –Ah, si! Che la sua vita non poteva essere più difficile di così. Beh, sappi la vita diventa sempre più pesante da sopportare man mano che si frantuma un cuore, figurarsi due!-.
Quello che feci di seguito fu automatico, istintivo. E rilassante. Anche se come idea era pessima.
Ad una velocità incredibile il mio corpo si mosse, senza controllo, facendomi voltare verso quell’imbecille. Lo schiaffo risuonò potente e vibrante per tutto il corridoio contro la sua guancia, la stessa che era stata decorata con quel rossetto fasullo. Non avevo mai sentito suono più bello.
L’uomo si ritrovò a barcollare all’indietro, poggiandosi sullo stipite della porta. Si toccò la guancia, che nel frattempo era diventata rossa quanto un pomodoro, e mi guardò, shoccato.
-Frantumare due cuori, eh?- risposi io, la mia testa fumante di rabbia.
Fissai il professore dritto nelle palle degli occhi, quasi a volerlo incendiare completamente.
Con mia grande gioia notai come lo sguardo del prof mirava sempre più alla paura. Era evidente che non aveva mai ricevuto uno sguardo come il mio prima d’ora.
Ero pronta per fargli male. Ero pronta per farlo soffrire, per fargli capire cos’era il vero dolore. Ero pronta ad ucciderlo
 
Sei sicura, Leah? Vuoi commettere lo stesso errore? Vuoi che la storia si ripeta?
 
Sobbalzai, ma giusto di poco. Stavo quasi per andare in trans, ma per fortuna mi ero ripresa in tempo. Se non mi fossi svegliata subito…
Tornai a guardare la faccia del prof.. Avevo ragione io. I suoi occhi erano davvero color merda.
-Sa cosa le dico, “professore”?- sibilai, dopo aver fatto un bel respiro –Che se davvero esiste l’inferno, spero vivamente che ci sia un girone intero solo per tipi come lei-.
Non gli diedi nemmeno il tempo di agire. Ripresi la borsa da terra e schizzai via, lontano da quella maledetta aula, provando a fuggire persino da me stessa. Ma quest’ultima opzione era impossibile se non inutile.
Mentre correvo via, avevo solo l’immagine di Jacob stampata nella mente, che mi perseguitava, ricordandomi quanto io sia patetica, ridicola. E stupida.
 
Angolo Autrice: Ci sono riuscita, finalmente, a scrivere questo capitolo!
L’università uccide, questo è poco ma sicuro.
Alla prossima :D
Delyassodicuori

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Capitolo 16
*** 16_E' UNA PESSIMA IDEA! ***


16_E’ UNA PESSIMA IDEA!
 


 
 
Passò solo una settimana da quel pomeriggio infernale, eppure dal mio punto di vista il tempo sembrava non voler passare mai in nessun modo.
Quell’avvenimento continuava a stringermi la gola. Era una morsa amara e pungente, quasi impossibile da liberarsene.
Come se non bastasse, ogni volta che mi ritrovavo per strada Jacob, quest’ultimo mi ignorava completamente, persino peggio di prima.
Quante volte, mentre le nostre strade si incrociavano, avrei voluto gridargli di smettere di far finta che non esistessi? Quante volte sentivo il groppo in gola appesantirsi ogni volta che provavo a guardarlo in faccia? Quante volte il mio cuore si era fermato proprio quando mi passava accanto, senza degnarmi di un semplice sguardo?
Fin troppe volte. E la cosa stava per uccidermi.
Raccontai la storia del prof. Basile alle ragazze, mentre uscivamo durante la ricreazione per fare una passeggiata. Come era palese, Alice e Rosalie non volevano credere ad una sola parola di quello che dicevo.
-Non dire assurdità, Leah!- borbottò la nanna quel giorno –Il professor Basile non farebbe mai una cosa del genere!-.
-Sicura che invece non te lo sei immaginato?- chiese invece la bionda –Magari eri talmente tentata da lui che lo hai visto così-.
Solo a sentirle parlare in questo modo sentivo le mie budella contorcersi. Erano così cieche da non voler nemmeno credere ad una loro amica?
-Certo- dissi io –Se io me lo sono immaginato, allora anche Jacob ha bisogno come me di una visita dall’oculista. SVEGLIA! Vi sembra che stia scherzando?-.
-Ma…- stava per ribattere Rose, con le guance che stavano cominciando già a ribollire di rabbia, ma per fortuna intervenne Bella:-Ragazze, adesso basta! Qualsiasi cosa sia accaduto, ovviamente c’è stato un equivoco. Tu e Alice, innanzitutto, dovreste imparare ad ascoltare meglio qualcuno, prima di saltare a collusioni affrettate-.
Poi si rivolse a me:-E tu, Leah, dovresti cercare di parlarne con Jacob. Mi sembrava di avertelo già detto, no?-.
-Come se non ci avessi già provato- risposi, incrociando le braccia –Ma continua ad ignorarmi, segno che è piuttosto infantile-.
-Ok, su questo non ha tutti i torti- disse Alice –Se ci pensate, vi ricordate di quando l’anno scorso il prof. di Matematica lo aveva rimbeccato a dormire nel bel mezzo della lezione? La reazione di quel tipo non era certo…-.
-Scusa, ma adesso che c’entra?- fece Rose, inarcando un sopracciglio (dannata lei, lo sapeva fare con stile!).
-Era per fare un esempio…-
-Che esempio del cavolo!-
-Ah si, e perché mai, “tette-rifatte”? Sentiamo un po’!-
-Hai ripreso proprio una situazione che era accaduta l’anno scorso, no?- sbuffò Rose mentre poggiava le mani ai fianchi stile top-model – E sappiamo benissimo che in quel periodo era piuttosto suscettibile perché…-.
Non riuscii a capire perché doveva essere suscettibile l’anno precedente. Prima che Rosalie potesse completare la frase, Bella aveva alzato il piede, cercando di rimanere in equilibrio per quanto poteva. La pestata fece zittire la bionda, che si ritrovò con la bocca tappata e gli occhi fuori dalle orbite per il dolore. Dopo cinque secondi cominciò a saltellarci attorno, tenendosi stretto il piede dolente, mentre borbottava continuamente:-Shit, shit, shit!-.
In quel lasso di tempo avevo spostato continuamente lo sguardo, da una Rosalie appena pestata ad una Bella stranamente nera in volto, poi nuovamente Rosalie che saltellava ed infine arrivai a guardare una Alice che tossiva e che fissava l’orizzonte.
Che gran puzza di bruciato” pensai, ma evitai di chiedere altro. Cosa era successo a Super-Teppista l’anno scorso era un problema secondario.
-Comunque- riprese Bella, come se non fosse successo nulla –Se continua ad evitarti, allora vuol dire che dovresti aspettare che si calmino le acque-.
-Pessima idea- le rispose Alice, scuotendo la testa –più aspetti, più c’è la possibilità che le cose possano peggiorare. Non vuole parlarti? Bene, allora insisti. Che ne so, magari lui cammina da una parte e tu gli sbarri la strada. Sta facendo qualcosa, come magari mangiare, e allora tu gli vai vicino e cerchi di fargli uscire fuori dalla bocca tutto tranne il cibo. Capisci che intendo?-.
-Si….- stavo per rispondere, ma Isabella sbottò:-Cosa stai dicendo, Alice? Insistendo così, si farà odiare di più e non ci guadagnerà nulla!-.
-Bella, si vede che non sei esperta in questo campo- fece la nana –è appunto con questa tecnica che riuscirà a risolvere la questione. E in tempo di record!-.
-Cavolate!-
-Non è vero!-
- Concordo con Alice- riprese la parola Rosalie, tornata in sé –Primo, è la scelta più giusta. Secondo, MI HAI PESTATO IL PIEDE, TROIA?-.
-Ops, che peccato- finse la mora.
-Ma lo sai che ho i piedi delicati?- le sbraitò addosso la vittima –Così mi hai fatto venire una mora, peggio del succhiotto di Leah!-.
-Cos…- sospirai, ma osservai poi che la situazione era irrecuperabile. Bella e Rosalie continuavano a litigare tra di loro, e Alice fingeva di non sentirle mentre tirava fuori uno specchietto dalla tasca interna della giacchetta nera.
Non c’è speranza con loro” pensai, mentre mi allontanavo da le tre per andare a lezione “Ma più importante, chi devo ascoltare? La nana leccaculo del prof. francese, oppure la anti-feticista mora?”.
 
 
 
 
La risposta a questa domanda venne soltanto il giorno seguente, mentre tutti gli studenti se ne stavano tornando a casa. Ero davanti all’entrata con le ragazze, e ci stavamo incamminando verso la strada, quando con la coda dell’occhio noto la schiena di Jacob a quindici metri di distanza da noi. Stava camminando con un passo svelto, come se avesse fretta. Avrei anche potuto ignorare la cosa se non fosse stato per quello che avvenne nel mentre: i suoi amici Embry e Quil erano riusciti a scorgerlo da lontano e avevano fatto una bella corsetta per raggiungerlo. Quando arrivarono da Jacob, lui sembrò dire qualcosa che non doveva essere piaciuto per niente ai due ragazzi, perché subito dopo loro si fermarono, come paralizzati, mentre osservavano l’amico allontanarsi.
Ora non solo ignora me, ma non parla nemmeno con loro due?” pensai.
-Terra chiama Leah? Ci sei?- scioccò le dita davanti alla mia faccia Rose, riportandomi alla loro attenzione.
Le degnai di una semplice occhiata, senza però risponderle. Continuai a guardare la direzione che aveva preso Jacob. Capii a quel punto cosa dovevo fare.
-Alice- chiamai la nana. Lei sbucò fuori da dietro la spalla di Rosalie, curiosa.
-Si, tesoro?-
-Ho deciso- risposi –Farò come hai detto tu-.
Le tre ragazze mi fissarono intensamente, e solo dopo un secondo capirono a cosa mi riferivo.
-Sul serio?- esclamò Alice, stupita.
-Assolutamente no, Leah!- sbottò Bella –E’ una pessima idea!-.
-Forse- feci, aumentando di colpo il passo –Ma non vedo altre soluzioni-.
Iniziai così a correre proprio un attimo prima che Bella cercasse di afferrarmi per il giaccone. Uscii verso la strada e, sempre correndo, raggiunsi l’Underground.
Guardai velocemente l’ora sul telefono. Di lì a pochi secondi sarebbe arrivata la nostra metro. Aumentai la velocità (persino nel scendere le scale mobili), ben sapendo che se avessi perso la metro, avrei anche perso l’opportunità di chiarire le cose con Jacob.
Arrivai alla fermata destinata, scoprendo il mezzo già fermo con le porte aperte. E Jacob era dentro all’unico vagone vuoto. Perfetto.
Feci quello che sembrava uno sprint finale per non ritrovarmi le porte chiuse in faccia, ed entrai dentro con un salto. Atterrai sul pavimento e mi raddrizzai subito, le braccia all’aria e con un esclamazione di vittoria.
Teppista-Superman, che si era appoggiato ad uno dei pali, mi fissava incredulo. Le porte si chiusero subito dopo e la metro cominciò a prendere velocità.
Mi tenni in equilibrio, reggendo il palo più vicino a me. Jacob era tornato a guardare altrove, fingendo di non aver visto il mio salto olimpionico.
Bene Leah, siete da soli nel vagone di una metro, puoi farcela!” mi dissi, respirando con calma.
-Ehi!- dissi prima, con tono tranquillo, ma Jacob finse di nuovo di non sentirmi.
-Jacob, parlo con te, puoi almeno degnarmi di uno sguardo?- domandai, ma anche stavolta il ragazzo rimase fermo lì a farsi i cavoli suoi.
A quel punto non potevo di certo perder tempo per cercare di attirargli l’attenzione, così feci la cosa più ovvia di tutte: gli diedi un calcio (non troppo forte) sulla gamba sinistra. E finalmente Super-Teppista diede segno di vista. Fece quello che sembrava essere un lamento, sussurrò un:-Fanculo!- e con la gamba sana si massaggiò quella dolente. Gli avrò fatto male, ma almeno ci ero riuscita nel mio intento. Anche se aveva una faccia piuttosto incavolata (per non parlare del suo silenzioso ringhio), ora mi guardava, ed era già un miglioramento.
-La vuoi smettere di fare l’infantile?- gli feci, con un tono di voce abbastanza alto. Non dovevo farmi sopraffare da lui se volevo risolvere le cose.
-Eh?- chiese Jacob, come se non sapesse di cosa stavo parlando.
-Oh oh! Allora ce l’hai ancora la lingua! Bravo, così mi piaci-.
Jacob sbuffò alla battuta poco divertente fatta dalla sottoscritta. –Ma che cavolo vuoi? Lasciami in pace!-.
-Solo dopo aver chiarito un paio di cose- dissi, una mano poggiata al fianco.
-E chi se ne fotte?- fece Teppista-superman, mentre si sedeva.
Mi avvicinai a lui, appoggiandomi al palo al quale si reggeva prima il ragazzo. –Perché fai così?- chiesi –Ti sembra questo il modo di risolvere i problemi?-.
-Da che pulpito!-. La faccia che aveva assunto ora non mi piaceva affatto, tetra com’era, ma non mi feci intimorire. Jacob continuò:-Sei stata tu quella volta a proporre un idea simile, no? La sto solo riprendendo.-
-Cos…?- mi venne solo da dire. Era come tornare punto e a capo. Sapevamo bene entrambi che l’idea che avevo avuto tempo fa sull’ignorarci a vicenda era squallido. Quindi non poteva parlare sul serio…
-Lo ricordi, no?- riprese Jacob –Quel giorno, quando per colpa di una mezza coltellata che avevo ricevuto da quel coglione di Uley, avevi deciso che era meglio se ognuno di noi si faceva gli affari propri. Era l’idea migliore del secolo. Ognuno per la propria strada, senza rompere all’altro. Poi però arrivi tu che, con quel regalo, decidi all’improvviso di rovinare tutto!-.
Rimasi per poco sbigottita. Non volevo credere assolutamente a quello che avevo appena sentito da lui.
-…Ma sentilo…- sospirai, per poi alzare il tono, la rabbia che cominciava a crescere in me –Si può sapere che ti ho fatto di male?-.
Jacob mi guardò negli occhi per la prima volta dall’accaduto con il prof. Basile.
-Cosa hai fatto di male, dici?- fece, con un tono neutro che a me non piacque per niente. –Il giorno in cui ci siamo conosciuti, ti sei comportata come una grandissima stronza. Nonostante le mie scuse, tu non solo non le hai accettate, ma ti sei rivolta a me come se fossi stato solo uno scarafaggio da evitare. Mi odiavi (per non so quale ragione) talmente tanto che avevi deciso in quello stesso giorno di lottare contro di me durante l’ora di Ginnastica. Non mi interessa minimamente cosa ti passava per la testa in quei giorni, ma trattare una persona che non conosci come avevi trattato me è decisamente ingiusto-.
-Ingiusto…- ripetei io, quasi senza fiato. Il suo ragionamento non faceva una piega (io stessa mi odiavo per il mio carattere)… tuttavia…
-Hai ragione- dissi, fissandolo negli occhi –Sono una persona di merda. Ma c’è un piccolo dettaglio che ti sfugge: io, per lo meno, mi rendo conto del mio comportamento, mentre tu non ti curi neanche un po’ del tuo. Sapevo perfettamente quanto ingiusta ero stata nei tuoi confronti, e per questo ti avevo regalato quella fottuta palla da basket…-.
-Come se un regalo bastasse per farsi perdonare- mi interruppe lui.
-Come se a te fosse dispiaciuto- ribattei io, per poi continuare –E poi, anche se sono stronza, almeno io non sono infantile come te-.
-Infantile?-. Stavolta Jacob sembrava confuso. E il suo sopracciglio inarcato mi faceva solo ribollire di più il sangue – non solo perché non sembrava capire la cosa più ovvia di questo mondo, ma anche per la capacità di inarcare le sopracciglia alla perfezione. Diamine!
-Che mi dici delle volte in cui ti intrufoli nei discorsi altrui e ti metti ad origliare come l'’ultima volta?- spiegai, cercando di mantenere la calma.
La metro arrivò alla prima fermata. Quando ci fermammo, sia io che Jacob osservammo dai finestrini se qualcuno sarebbe entrato nel nostro vagone. Per fortuna c’erano solo due anziani, che salirono sulla carrozza più avanti. Le porte si richiusero e la metro ripartì. E con esso anche il nostro discorso.
-Non solo quello, poi- ripresi –anche con il prof. Basile. Quando stavo uscendo dall’aula e ci siamo incrociati… e quando è uscito anche quel demente… sei scappato via senza nemmeno darmi il tempo di spiegare …-
-Cosa?- chiese lui, ad alta voce e con un tono talmente acido che avrebbe potuto sciogliermi lo stomaco –Cosa avresti potuto spiegarmi, eh? Come si era procurato quel bacetto sulla guancia? Perché i suoi vestiti erano conciati in quel modo? Non c’è bisogno che mi spieghi certe cose, ho già capito tutto-.
-Tu non hai capito proprio un bel niente, invece!- mi ritrovai ad urlare, quasi sovrastando il rumore del mezzo che ci trasportava –Hai visto senza nemmeno guardare davvero. Io non mi trucco mai, quindi quel rossetto sulla guancia era finto. E i suoi vestiti se li era stropicciati da solo!-.
-Bella scusa che ti inventi- fece, alzandosi in piedi. Era decisamente più alto di me, per cui per poterlo guardare dritto in faccia ero costretta a piegare leggermente la testa –Ma questo non giustifica quanto tu sia troia-.
Bastò un semplice calcio allo stomaco per farlo sedere al suo posto un’altra volta. Anzi, per essere più precisi, avevo alzato la gamba, poggiato il piede all’altezza del suo addome, ed infine lo avevo spinto fino a farlo piegare in due e sedere. Il ragazzo grugnì mentre il suo culo si poggiava sul sedile. Continuai con il piede e premere sullo stomaco del (non proprio) malcapitato, avvicinando il mio viso al suo.
-Hai anche il coraggio di chiamarmi “troia” senza nemmeno sapere nulla di quello che era realmente successo in quell’aula?- sibilai senza sbattere ciglio –Allora è vero, che sei solo un fottuto pezzente!-.
Non ricordo esattamente come accadde, fatto sta’ che Super-Teppista riuscì a liberarsi dalla mia presa. Entrambi ci ritrovammo in un secondo in piedi, l’uno di fronte all’altro, dentro ad un vagone vuoto di una metro in movimento. Lottare lì dentro era la cosa più folle che si potesse fare. Ma la nostra rabbia era talmente grande in quel momento che non ci importava di dov’eravamo e in che situazione. Più ci guardavamo in faccia, più la voglia di prenderci a cazzotti cresceva. Buttammo entrambi le nostre borse a terra, quasi noncuranti, mentre ci fissavamo negli occhi con in mente la stessa cosa: farla pagare all’altro.
Fui la prima a colpire. Tirai un pugno in direzione del suo volto, mancandolo di brutto. Jacob ne approfittò per afferrarmi il braccio con il quale avevo tentato di colpirlo, usandolo poi per trascinarmi verso di sé e tirarmi così un cazzotto per mirato allo stomaco.
Mi piegai automaticamente in due, il fiato che cominciava a mancare. Senza pensarci due volte, prima che lui potesse fare altro, alzai il braccio destro verso la sua faccia. Provai a tirarlo per i capelli, ma essendo troppo corti, questi mi sfuggivano dalle dita. Jacob tentò di scacciarmi via, ma riuscii in tempo a dargli un calcio sulle gambe, e poi una gomitata sulla guancia sinistra. Il ragazzo barcollò e per poco non cadeva a terra, ma per un pelo si tenne attaccato al palo più vicino. Riprese fiato, mentre anche io tentavo di rimanere in equilibrio con la metro che si muoveva.
-Ti odio!- disse Jacob, gli occhi che lanciavano scintille.
Per un millesimo di secondo sentii qualcosa, all’altezza del petto, che mi fece male, ma riuscii a ricompormi subito.
-Non ti sopporto più!- ribattei io. Qualcosa, per un attimo, cambiò lo sguardo di Jacob. Da incandescenti, i suoi occhi sembravano essersi spenti di colpo. Ma forse era soltanto un’impressione, perché quando sbattei le palpebre per accettarmene, erano di nuovo scintillanti d’ira.
Tornammo a combattere tra di noi, cercando di non cadere tra pugni e calci, mentre la metro compieva le varie fermate. Ogni volta che rallentava o accelerava, io e Jacob eravamo costretti ad interrompere la lotta per non perdere l’equilibrio. In una di queste fermate, una madre con il figlio stavano per entrare nel nostro vagone, ma alla signora bastò guardarci in faccia per farle cambiare idea e far salire lei e il bambino sulla carrozza dietro.
Arrivati ad un certo punto eravamo quasi allo stremo delle forze, ma nessuno dei due voleva mollare. Scattammo nuovamente dopo che la metro aveva ripreso la corsa, tirandoci e schivandoci pugni a vicenda.
Ti odio! Quelle parole mi tornavano al cervello più e più volte, senza sosta. Ed erano proprio queste a spingermi a ricambiare quel sentimento.
E allora… perché mi faceva male il cuore ogni volta che lo sentivo nella testa? È così che ci si sente quando si odia qualcuno che allo stesso tempo prova la stessa cosa nei tuoi confronti?
Pensavo proprio a questo mentre cercavo di colpirlo per la milionesima volta. Ma, stupida come sono, mi ero lasciata distrarre dalle due parole. Solo dopo che Jacob mi afferrò per il polso sinistro mi resi conto che dovevo concentrarmi se volevo avere la meglio. Tentai così con il braccio libero di colpirlo sulla guancia, ma Jacob lo intercettò subito e afferrò anche l’altro polso.
Ci fissammo negli occhi, con rancore e disprezzo, ringhiando l’uno all’altro.
-Stronzo- sibilai –Sei solo un…-.
Avrei anche potuto terminare la frase, ma all’improvviso entrambi ci ritrovammo a barcollare. La metro stava rallentando, ma in modo stranamente brusco.
Troppo brusco.
Realizzai questa cosa proprio quando il mio piede sinistro decise di scivolare sul pavimento. Accadde tutto talmente in fretta che non riuscii a capire nulla. La mia visuale si spostò da Jacob al soffitto del vagone, mentre il mio corpo cadeva all’indietro, seguito da quello del ragazzo che mi stava venendo addosso. Poi, un dolore lancinante all’altezza della nuca mi annebbiò la vista di colpo, come se qualcuno avesse deciso di spegnere la luce. Non vidi più nulla e, pian piano, anche gli altri sensi svanirono. Sentii appena il mio corpo cadere a terra poco prima di perdere la sensibilità al tatto. Annusai l’aria poco prima di perdere anche l’olfatto. Per qualche ragione, avevo sentito l’odore rugginoso del sangue.
L’ultimo senso che mi abbandonò fu l’udito. E l’ultima cosa che sentii, prima che l’oscurità e il silenzio più totale mi inghiottissero, fu un urlo. Era l’urlo di un ragazzo. Stava gridando il mio nome.
“Jacob” pensai alla fine. E tutto tacque.
 
 





 
Angolo Autrice: che bello essere bastarda con questo finale quando non mi faccio viva per molto giorni causa esami università. SONO CRUDELE, LO SO u.u
Buona lettura :D
Delyassodicuori

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Capitolo 17
*** 17_Che infame che sono! ***


17_Che infame che sono!
 
JACOB

 

-Avviso ai viaggiatori. Per motivi di sicurezza, la metro resterà ferma per qualche minuto. Ci scusiamo per il disagio-.
Fu la prima cosa che sentii dopo esser caduto. Provai ad alzare la testa, massaggiandomi la fronte dolente, nonostante fossi atterrato su qualcosa di morbido. Ressi il mio corpo con le braccia piegate a terra, mentre tornavo a vedere in modo più chiaro e limpido. Solo dopo aver guardato in basso mi ero reso conto che ero caduto sopra Leah. Che stranamente non reagiva…
-Leah?- la chiamai, quasi fosse un sussurro. Mi piegai su di lei, osservandole il viso. Teneva gli occhi chiusi e la bocca semiaperta, mentre due ciocche di capelli tentavano invano di nasconderle una guancia.
La caduta l’aveva fatta svenire?
-Leah, svegliati- le dissi, stavolta più forte. Mi sedetti in ginocchio accanto a lei, scuotendole le spalle. Niente. Nessuna mossa.
-Leah, andiamo, non farmi questo scherzo ora! Non è divertente!-.
Mi guardai attorno, come se cercassi un aiuto inesistente.
La paura stava per farsi strada nel mio cuore, ma non volevo cedere. Volevo ancora credere che andava tutto bene, che di lì a pochi secondi Karate-Girl si sarebbe svegliata, per poi darmi un cazzotto in faccia…
Ma dovetti ricredermi quando vidi il palo più vicino a noi. La superficie metallica, che fino a pochi minuti prima era lercia solo di impronte di dita umane, ora era anche sporca di sangue.
Mi ritrovai ad avere improvvisamente freddo, mentre un pessimo presentimento mi incitava a prendere tra le braccia la ragazza per verificare i miei dubbi.
Infilai un braccio tremante sotto le sue spalle, tirandola poi verso di me, quasi abbracciandola. –Leah, svegliati…- dissi ancora, mentre la mia mano libera andava a toccarle la nuca.
Il mio cuore ebbe un sussulto quando le mie dita toccarono i suoi capelli stranamente bagnati all’altezza della cute, e smise di battere per un secondo quando, ritirato la mano, avevo ritrovato le dita bagnate da un liquido rosso scuro che puzzava di ruggine…
-LEAH!- urlai di colpo, incredulo. La scossi di nuovo per le spalle, ma anche stavolta non succedeva nulla.
Preso dal panico avvicinai il mio orecchio al suo petto, all’altezza del suo cuore. Feci un lungo sospiro quando sentii il battito, seppur debole e lento.
Ok, Jacob, ora stai calmo!” mi imposi, o per lo meno ci provai “Resta concentrato, fai qualcosa!”.
Mi guardai attorno, incrociando con gli occhi la mia borsa caduta a due metri di distanza da noi.
Poggiai delicatamente il corpo di Leah a terra, per poi correre subito verso la borsa. Riuscii a trovare quasi subito la T-shirt della palestra e tornai dalla ragazza con il fiato sospeso.
Strappai la maglia in due grossi pezzi, utilizzando il più largo per tamponare la ferita alla sua testa, mentre la tenevo nuovamente tra le mie braccia.
Cominciavo a sudare freddo, mentre la mia schiena veniva trapassata da brividi poco piacevoli, ma non m’importava nulla.
Era solo colpa mia. Mia e della mia testardaggine.
-Leah, ti prego, resisti!- supplicai quasi urlando di nuovo, mentre utilizzavo l’altro pezzo di T-shirt per bendarle la testa, con sotto ancora il primo straccio a premerle la nuca.
Il movimento della metro che ripartiva fu quasi una sorpresa per me. La annunciatrice della metro avvisò tramite l’altoparlante a tutti i viaggiatori che il mezzo aveva ripreso la marcia, e che la prossima fermata era Wanstead.
Wanstead” riflettei “Dopo questa fermata c’è Redbridge… e lì oltre a casa mia c’è anche…”.
Si, era l’unica soluzione.
Tenni Leah stretto a me, poggiandole la testa sulla mia clavicola. Le accarezzai i capelli, come se fosse una bambina, maledicendomi mille volte nella mia mente.
-Andrà tutto bene- dissi, sia a lei che a me stesso. –Andrà tutto bene, ti porto da una persona ora. Lui saprà cosa fare. Ne sono sicuro. Solo… resisti, per favore…-.
Il suo corpo era ancora caldo (piacevolmente caldo), ma se non mi fossi sbrigato presto sarebbe diventata fredda come il ghiaccio.
Rimasi così, a coccolare la ragazza mentre aspettavo che l’annunciatrice ci avvisasse dell’arrivo alla prossima fermata.
Sono uno stupido” pensavo continuamente “Un idiota senza cervello. Leah ha ragione. Sono infantile”.
-Prossima fermata: Redbridge- disse l’annunciatrice. Era la cosa migliore che potevano udire le mie orecchie in un momento simile. Dopo aver poggiato ancora Leah a terra, andai a prendere la mia e la sua borsa, entrambe sulle spalle, per poi recuperare da terra la ragazza. La alzai, tenendola in braccio come quando entrambi ci eravamo buttati dalla finestra, un braccio sotto all’attaccatura delle sue gambe e un altro sotto le sue spalle, mentre la testa era di nuovo sulla mia clavicola.
Mi sedetti sui sedili con lei in braccio per non perdere ancora l’equilibrio, fino a quando la metro non si fermò di nuovo.
Mi alzai di scatto, posizionandomi davanti alla porta più vicino due secondi prima della sua apertura, impaziente.
Appena si spalancarono le porte, davanti a me trovai almeno una ventina di persone che volevano salire proprio sul nostro vagone.
Questo bastò per farmi incazzare ulteriormente.
-LEVATEVI DAL CAZZO, PEZZI DI MERDA!- urlai a squarciagola, mentre tutti mi guardavano, chi terrorizzato, chi confuso, chi perplesso.
Sgusciai tra la folla ansiosa, e per fortuna molti di loro mi avevano fatto passare senza difficoltà. Due o tre persone le ho dovute però sgridare in faccia perché si togliessero dalle scatole.
Salii in fretta e furia le scale, e uscii dall’Underground sotto lo sguardo stupito dei controllori. Non diedi loro il tempo di fermarmi e corsi via alla velocità della luce, verso la strada, verso l’unica via di salvezza possibile per Leah.
Fa solo che ci sia oggi” mi ripetevo, stringendo i denti dall’ansia “Fa che ci sia. Ti prego. Per lei!”.
 
 
-Jacob?- mi chiamò una voce di ragazzo, che conoscevo fin troppo bene –Che ci fai qui?-.
Stavo seduto nel corridoio della piccola clinica, piegato in due e con la testa tra le mani, in attesa. Aspettavo con ansia che il dottor. Cullen uscisse fuori dalla stanza, per spiegarmi le condizioni di Leah. Speravo con tutto il mio cuore che fossero notizie buone.
Quando ero arrivato lì, con il fiato sospeso per la corsa e per il peso che mi portavo dietro, ero andato dritto dall’infermiera al bancone per avvisarla di Leah e della sua ferita. La donna, che avrà avuto almeno più di quarant’anni, non voleva farmi passare tanto facilmente, dicendo che il dottore era al momento impegnato. Allora non ci avevo visto più niente e avevo dato un calcio al portaombrelli che stava guarda caso lì vicino, per poi urlarle in faccia che non me ne fregava un cazzo se aveva da fare, che qualsiasi cosa stava facendo doveva interromperla e rimandarla, perché la ragazza che stavo reggendo sarebbe potuta morire di lì a pochi attimi. L’infermiera stava per ribattere (forse avrebbe anche potuto chiamare la sicurezza), ma fu proprio l’apparizione del dottor. Cullen a salvare me e Leah. Lui aveva visto il corpo che tenevo stretto tra le mie braccia, mi aveva chiesto brevemente cosa le era accaduto e io, con il poco fiato che avevo, gli avevo raccontato della caduta e del palo.
Il dottore non aveva fatto altre domande, e invece mi aveva detto di portarla subito nell’ambulatorio. Dopo averla poggiata nel letto, l’uomo aveva chiamato un’altra infermiera e mi aveva detto di attendere fuori. Cosa che facevo da ormai dieci lunghi minuti.
In quel lasso di tempo avevo pensato ad un sacco di cose. A tutto quello che era successo assieme a Leah, al nostro stupido odio reciproco, e a quanto ero imbecille.
Avevo poi riflettuto su ciò che aveva detto Karate-Girl nella metro prima della lite, riguardo all’accaduto con il prof. Basile.
Perché, quel giorno, ero fuggito via così? Perché qualche tempo prima avevo origliato il discorso tra Leah e le altre ragazze, per poi andarmene in quel modo idiota?
Non avrebbe dovuto toccarmi più di tanto se non provava chissà cosa nei miei confronti…
E allora perché mi aveva infastidito?
E anche con il prof. poi…
Forse Leah aveva ragione, però. Altrimenti, perché insistere a volermi parlare e a cercare di convincermi? In teoria non avrebbe dovuto farlo. In teoria non si sarebbe dovuta preoccupare di quello che pensavo su di lei e sul professore. E invece le importava eccome, e per questo aveva iniziato la discussione in metro.
Se solo le avessi dato ascolto… se solo non fossi stato tanto cretino… ora non saremo qui.
E proprio mentre mi davo le colpe doveva arrivare la persona che in quel momento avrei preferito non vedere.
-Aspetto che il tuo papà adottivo mi dica in che condizioni si trova la ragazza che sta visitando ora, Edward- risposi, senza nemmeno degnarlo di uno sguardo.
-Chi?- chiese lui. Tks, come se avesse bisogno di domandarlo.
-Leggi nel pensiero, no? Allora indovina-.
-Solo alcune volte ci riesco- disse Edward, quasi infastidito –E per favore, non ricordarmelo, è stressante sentire tutte quelle voci in testa-.
-A me stressa ora come ora sentire la tua, pensa un po’!- risposi io con tono acido. Seriamente, non mi era mai piaciuto Edward Cullen, per cui averlo ora qui non era confortante neanche un poco.
Il ragazzo dalla pelle pallida come una mozzarella sbuffò, per poi dire:-E’ Leah, l’amica di Bella, non è vero?-.
Annuì, inghiottendo al contempo la saliva.
-E’ successo qualcosa di grave e pensi che la colpa sia tua, indovinato?-
Sbuffai. Doveva proprio capitarmi lui tra i piedi? A Edward è impossibile nascondere qualcosa.
Il ragazzo si sedette ad una sedia di distanza da me.
-Non sono bravo a confortare le persone- disse –E so bene che non ti sono simpatico per ovvi motivi…-
-Che preferirei dimenticare, grazie!-
-Ma due cose posso dirtele. Primo, nessuno è mai morto con Carlisle, per cui almeno su questo puoi stare sicuro. E secondo, qualsiasi cosa sia successo, tu non lo hai fatto apposta. Poi che sia stata colpa tua o meno è un altro discorso-.
-No, ovvio che non l’ho fatto apposta!- dissi, ringhiando –E’ vero che stavamo lottando tra di noi, ed  è vero che volevamo farci del male a vicenda in quel momento… ma io … volevo solamente… non lo so cosa volevo, non so neanche perché ho fatto questa cazzata con lei, ma di certo non volevo che finisse così!-
Mi diedi uno schiaffo in fronte, tentando di mandar via il groppo in gola.
Le ho fatto del male. Come diavolo ho potuto farlo? Non mi stupirebbe se, una volta che avrà ripreso i sensi, non vorrà più vedermi”.
-Ti piace molto, vedo- disse Edward di colpo, dopo essersi abbassato con la schiena per cercare di vedermi in faccia.
Alzai la testa, fissandolo.
-E questo è il motivo principale per cui ti senti così- aggiunse il rosso –Non lo sai ancora, o forse non lo vuoi ammettere, ma la verità non cambia. Quella ragazza ti piace, nonostante i suoi difetti, o il fatto che ti faccia arrabbiare. Per questo sei fuggito via sia quando lei ha detto che non poteva esserci nulla di romantico tra voi sia quando l’hai vista assieme al professor. Basile-.
-Fermo, come diavolo sai che…-
-Leggo nel pensiero, ricordi?- fece, inarcando uno dei suoi sopraccigli spessi.
Lo fissai per un po’, e questo bastò al ragazzo a fargli sputare il rospo:-E va bene, me lo ha detto Bella riguardo al discorso origliato e al prof., ma il resto te l’ho letto sul serio nella mente-.
-Ti dice proprio tutto, eh?- sbuffai, tornado a guardare i miei piedi.
-In effetti…- stava per dire, ma si tappò la bocca. Qualsiasi cosa voleva riferire, forse era meglio in effetti che se ne stava zitto. Non avevo nessuna voglia di parlare con lui proprio di…
-Jacob- mi sentii chiamare di nuovo. Stavolta si trattava di Carlisle.
Quando vidi la sua faccia color mozzarella e i suoi capelli biondi, per poco il mio cuore smise di battere, mentre la tensione saliva di nuovo. Mi alzai di scatto in piedi, mentre il dottore si avvicinava.
-Ti prego, dimmi che sta bene! Dimmi che si è svegliata e che vuole prendermi a calci in culo!- farfugliai io, agitato com’ero.
-Calmati- mi disse doc., alzando una mano –Sta bene, non preoccuparti. Anche se si deve ancora svegliare-.
Grazie al cielo” sospirai.
-Il colpo che ha ricevuto è stata abbastanza forte da farla svenire e farle procurare una lesione alla nuca, ma non abbastanza da ucciderla sul colpo o per far peggiorare la lesione. Il trauma che ha ricevuto…-.
-Doc. per favore!- dissi, corrugando la fronte –Io questi termini non li capisco, puoi dirlo in parole povere?-.
Carlisle sospirò e disse:-In parole povere, poteva andarle molto peggio, ma il colpo ricevuto non è stato abbastanza potente da essere considerato grave. Ha solo una piccola ferita alla testa, ma per sua fortuna non ha riportato alcun tipo di danno al cranio. È svenuta semplicemente a causa della forza del colpo. Dovrà portare la benda per almeno una settimana e per due giorni non dovrà compiere movimenti bruschi. Deve stare in totale riposo e deve riprendersi gradualmente-.
-Capisco- sospirai. Almeno non è morta o paralizzata. È quello che si può chiamare miracolo.
-In più, se non le avessi coperto la ferita all’istante, sarebbe andata molto peggio- aggiunse il dottore –E anche questo l’ha salvata-.
-Bene- dissi –Posso vederla ora?-.
-Come ho detto prima si deve ancora svegliare- disse Carlisle, incrociando le braccia, ma con aria compassionevole –Ma se vuoi vederla, fai pure. Appena apre gli occhi, avvisami, così le faccio un ultima visita prima di mandarla a casa-.
Casa…
Oh merda!
-E la sua famiglia?- chiesi di botto –Non dovremo avvisarli?-
-Solo dopo che si è svegliata- disse il dottore –Non sappiamo nemmeno chi sia la sua famiglia. Ce lo deve dire lei-.
-Chiaro…- sospirai. Edward, che era stato dietro di me fino ad ora, mi affiancò per dirmi:-Te lo avevo detto che sarebbe andata bene-.
-Grazie- dissi. Volevo farlo sembrare il più sincero possibile, ma evidentemente non ci sono riuscito, a giudicare dalla faccia del ragazzo.
Entrai nella stanza, lasciandomi alle spalle il dottore e suo figlio, per poi chiudere la porta.
Il fiato cominciò a mancarmi di nuovo quando rividi Leah, stesa sul letto e con nuove bende attorno alla testa.
Le avevano tolto il cappotto, la giacca che faceva da uniforme e anche la cravatta, per cui nella parte superiore del corpo aveva addosso solo la camicia a zip della divisa.
Il letto era leggermente rialzato sotto la sua testa, quindi anche da lontano ero capace di vederle il volto.
Mi avvicinai al suo corpo, le braccia che tremavano e la gola che andava a seccarsi. La sua espressione era così tranquilla e pacata, come se non fosse successo niente fin’ora. Dormiva beata sul letto, con le mani poggiate sul suo addome e il petto che si alzava e si abbassava con un ritmo regolare.
Presi una sedia e la misi accanto al suo letto. Mi sedetti al suo fianco, prendendo poi la sua mano destra tra le mie. Le accarezzai la pelle, morbida, calda e liscia, senza imperfezioni. Quante volte mi avrà preso a schiaffi con quelle stesse mani? Alla vista e al tatto sembrano essere delicate, ma quando si mettevano in azione erano veloci e precise. E anche piuttosto potenti per essere le mani di una ragazza.
Osservai poi il suo volto mentre continuavo a massaggiarle con il pollice il palmo della sua mano.
E’ davvero molto bella” pensai. I miei occhi analizzarono i suoi lineamenti, la forma dei suoi occhi e del suo naso, la pienezza delle sue labbra…
E io ho davvero fatto del male ad una ragazza così bella?
Il ricordo delle varie liti avute mi riaffiorò nella mente. Perché mi comportavo così con lei? Magari aveva davvero qualche problema interiore quando ci siamo conosciuti e io, invece di cercare di capirla, non ho fatto altro che prendermela con lei…
Sono un idiota. Leah non è affatto una cattiva persona, anzi, lo ha dimostrato quando stava con le sue amiche, o quando nel corridoio per lo studio del preside mi aveva sostenuto in tutti i sensi, cercando di farmi andare avanti e di non pensare alla mia claustrofobia…
È arrivata persino a fidarsi di me, al tal punto da buttarsi da una finestra per poi cadere tra le mie braccia sana e salva. E mi ha persino fatto un regalo di Natale per farsi perdonare per il suo comportamento…
-Come se un regalo bastasse per farsi perdonare-
Stupido. Idiota. Deficiente. Ecco cosa sono.
E quello sguardo che aveva quando le avevo detto di odiarla…
Dio, in quel momento avrei voluto più prendere a schiaffi me stesso che darli a lei. La luce nei suoi occhi era svanita di colpo, anche se era riapparsa subito dopo scintillante d’ira.
Quello sguardo non potrò mai dimenticarlo.
Come ho potuto dire di odiarla? Come diavolo mi è venuto in mente?
Anche se avevo provato a respingerla, non ci riuscivo. È più forte di me. Per qualche strana ragione questa ragazza, sin dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti, sin da quando l’avevo vista la prima volta in volto, non ha fatto altro che attrarmi a lei.
Io non la posso odiare.
Non ci riesco.
Strinsi forte le sue mani, il cuore che diventava sempre più pesante e il groppo in gola che per poco non mi strozzava.
Non è lei ad essere una cattiva persona. Sono io ad esserlo.
Gli occhi cominciarono a pungermi, a bruciarmi. Mi piegai sul petto della ragazza,  con un braccio attorno al suo corpo e con l’altro sul bordo del letto.
Le lacrime mi uscirono fuori senza controllo. Strinsi i denti e i pugni, imprecando contro me stesso.
-Leah…- singhiozzai, la voce rotta dal pianto. Mi morsi il labbro inferiore. Che razza di infame…
–Mi dispiace… tanto… sono una persona orribile… e non avrei mai voluto tutto questo… - continuai, tirandomi su con il naso -Non ti chiedo di perdonarmi, perché so già che non lo farai, e giustamente, visto che non lo merito… ma sappi almeno… che mi dispiace…-.
 
 
 
LEAH



 
-Leah, piccola, che fai qui?- chiese il padre alla figlia, non appena la trovò nascosta sotto la scrivania della stanza di quest’ultima. La ragazzina, ormai tredicenne, piangeva lì sotto da mezz’ora.
L’uomo si inginocchiò davanti a lei, osservando il suo volto triste e bagnato dalle lacrime. Prese un fazzoletto e lo porse alla figlia, che accettò senza nemmeno guardarlo negli occhi.
-Problemi a scuola?- chiese il padre, sedendosi per terra. Sapeva che quando la figlia andava a nascondersi sotto la scrivania ci sarebbe voluto un bel po’ per farla uscire da lì.
La ragazzina tirò su col naso, soffiandoselo poi sul fazzoletto. –Ricordi… quando mi hai detto che dovevo confessare a quel ragazzo che mi piaceva?-.
-Si, certo- rispose l’uomo –Non ha accettato?-.
-Non sono riuscita nemmeno a dirglielo…- disse la piccola Leah -Appena mi ha visto lui e i suoi amici avevano deciso di picchiarmi… e non so nemmeno il motivo… però con le mosse che mi hai insegnato tempo fa sono riuscita a difendermi e a metterli KO.-.
-Capisco…- sospirò il papà della ragazza –Quindi sei rimasta delusa dal suo comportamento?-.
-Pensavo fosse una brava persona…- singhiozzò ancora lei –E invece scopro che non è così! Non voglio più avere cotte! Non voglio più avere a che fare con i maschi! Sono tutti bastardi!-.
-Anche io sono bastardo?-.
A questa domanda Leah rimase sbigottita. Ciò nonostante riuscì a rispondere subito:-No, papà. Tu sei diverso-.
-E allora puoi capire che non sono nemmeno l’unico ad esserlo- disse lui, accarezzando la testa della figlia –Devi sapere che non tutti i maschi sono così cattivi. Non dico di non mantenere la guardia alta, anzi, se lo fai è meglio, ma allo stesso tempo dovresti dare un po’ di fiducia a qualche ragazzo. Ora dici di odiarli, ma tra qualche anno scommetto che ti metterai assieme ad un ragazzo bravo che saprà tenere cura di te-.
-E se… invece dovesse farmi del male?- chiese Leah, facendo sbucare fuori la testa da sotto la scrivania, come quando un coniglio vuole uscire dalla sua tana.
-Variano i casi- rispose il padre –Se lo fa apposta, allora dimenticatelo subito, perché persone simili non hanno l’anima. Se invece è stato un incidente non voluto (anche se magari in un primo momento era arrabbiato con te) e ti chiede scusa mentre piange, allora dovresti sposartelo, perché da quel momento puoi stare sicura che non ti farà del male, e che anzi si prenderà cura di te. E ti renderà la donna più felice del mondo-.
 
 
Papà… dove sei ora? Papà?
 
-Leah!-
 
-Andrà tutto bene.  Andrà tutto bene, ti porto da una persona ora. Lui saprà cosa fare. Ne sono sicuro. Solo… resisti, per favore…-
-LEVATEVI DAL CAZZO, PEZZI DI MERDA!-
-Ora mi ascolti, non ho tempo da perdere, non me ne frega un cazzo se ha da fare, qualsiasi cosa sia che la molli subito e venga qui! Questa ragazza sta morendo, ha bisogno di farsi visitare da lui ORA!-
Perché questa voce è così disperata? Perché urla?
La riconosco, però…
Jacob?
Cosa è successo?
Uno strano calore, mai avvertito prima, coprì la mia mano destra. Qualcosa mi stava toccando, morbido e caldo, anche se leggermente appiccicoso e bagnato. Che sia… una mano sudata?
Che strano.
Dove mi trovavo? E perché faticavo ad aprire gli occhi?
La mia testa… la sento pulsare da dietro la nuca… è pungente, ed estremamente fastidioso.
Ma se prima ero priva di sensi, ora questi stavano tornando da me. Il tatto si fece avanti per primo. Oltre alle mani che stavano toccando la mia, sentivo qualcosa sotto di me, come un materasso non proprio morbido.
Ovunque mi trovavo al momento, sembrava essere caldo. Lo sentivo sulla pelle del viso, delle mani e delle cosce.
Mi sentivo anche più leggera al busto. Qualcuno deve avermi tolto il cappotto e la giacca della divisa.
Annusai poi l’aria, scoprendo un odore che non mi piaceva affatto. Ricordava troppo gli ospedali, con tutta quella puzza di plastica e medicine.
Ma assieme ad esso c’era un altro odore. Lo avevo già sentito una volta.
Un profumo selvaggio e fresco, che ricordava la benzina ma allo stesso tempo anche il cioccolato. Avrei potuto riconoscere quell’odore ovunque.
Jacob… era qui? Sono sue le mani che tengono la mia?
Stranamente, quando arrivai a pensare a ciò, il mio cuore cominciò a battere forte. Provai ad ignorare la cosa, ed invece mi concentrai sui miei sensi.
Ho la gola secca. Ho sete. Vorrei bere qualcosa, ma non ho ancora la forza necessaria per aprire bocca e chiedere a Jacob di portarmi dell’acqua.
Qualcosa si mise sopra il mio petto. Era pesante ed agitato. Il profumo di Jacob mi arrivò direttamente alle narici, più forte, più buono.
Un rumore strano, simile a dei singhiozzi, veniva proprio dalla cosa che stava poggiato sui miei seni.
Capii subito che poteva trattarsi solo della testa di Jacob.
Stava… piangendo?
Perché?
La memoria ritornò a galla, e finalmente ricordai tutto. La discussione, la lite, la lotta in metro… e poi la caduta. La mia testa era andata a sbattere su qualcosa di duro e ho perso i sensi. E dall’odore che avevo sentito al momento, posso anche dire che ho sanguinato.
Per questo ora Jacob singhiozza su di me?
Stavo… morendo?
-Leah…- fece la sua voce, rotta dal pianto. Appena disse il mio nome con quel tono, il mio cuore ebbe un sussulto.
Ti prego, non piangere” avrei voluto dirgli “Sono viva!”.
Già, sono viva… per miracolo…
–Mi dispiace… tanto… - continuò lui -sono una persona orribile… e non avrei mai voluto tutto questo… -.
Nemmeno io…”Le sue parole… erano come uno schiaffo in faccia. Lo avevo fatto piangere…
Ma furono proprio quelle stesse parole a darmi la forza necessaria per aprire le palpebre.
Lentamente, i miei occhi si spalancarono, scoprendo una luce fredda che per poco non mi accecava. Socchiusi per un momento gli occhi, fino a farli abituare alla luce da ospedale.
Poi, con la coda dell’occhio, mi guardai attorno. Era una stanza da ospedale, in effetti, ma piuttosto piccola. E io stavo distesa sopra un letto, con Jacob che nascondeva la testa sul mio petto, il suo braccio attorno al mio corpo.
Appena lo vidi, i miei occhi cominciarono a farmi male, a bruciare per essere precisi, e la testa pulsò ancor di più.
Mi sforzai di rimanere lucida, e anche di trovare la forza necessaria per parlare.
Jacob tirò su con il naso, per poi aggiungere, quasi come se stesse per strozzarsi:-Non ti chiedo di perdonarmi, perché so già che non lo farai, e giustamente, visto che non lo merito… ma sappi almeno… che mi dispiace…-.
Ed ecco che la forza per muovere qualsiasi parte del corpo arrivò.
Alzai il braccio sinistro, con lentezza e fatica. Mi tremava dallo sforzo, ma alla fine riuscii a toccargli la nuca, e ad accarezzargli i capelli corti. Appena sentì il mio tocco sulla sua testa, Jacob smise di singhiozzare. Lo sentii deglutire la saliva, mentre il suo corpo interrompeva il tremolio.
Alzò lentamente la testa, guardandomi negli occhi. I suoi erano rossi e gonfi per le troppe lacrime versate.
-Non sei… una persona orribile- dissi con fatica, ma senza tralasciare un sincero sorriso. Stavo ancora accarezzando i suoi capelli, per confortarlo.
Il ragazzo spalancò gli occhi ancor di più, ed altre lacrime scesero nuovamente lungo le sue guance.
Strinse i denti e tornò nuovamente ad abbracciarmi, più forte, e il suo lamento si fece più intenso.
-Mi dispiace Leah!- latrava –Scusami… scusami…-.
-L’ho già fatto- sospirai io, mentre ricambiavo a fatica l’abbraccio attorno alla sua testa. Il mio cuore balzava di gioia, e potei sentire che anche il suo aveva acquistato lo stesso battito del mio. E quello che avevo detto, lo pensavo veramente. Lo avevo perdonato non appena avevo sentito il suo pianto. E, come direbbe mio padre, Jacob dimostra così di avere un’anima.
 
 
 
 
Angolo Autrice: quest’ultima frase non mi convinceva molto, ma non sapevo in che altro modo finire il capitolo.
Ora respirate pure tranquilli.
Un bacio,
Delyassodicuori.

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Capitolo 18
*** 18_Scuse ***


18_ Scuse
 
 

 
-Non c’era mica bisogno di farlo- sbuffai, mentre l’aria gelida di Londra mi colpiva il viso. Un toccasana per la mia testa dolente.
-Invece si- insistette Jacob, mentre continuava a camminare lungo la via, trasportandomi sulle sue spalle–Io ti ho portata in clinica, e io ti riporterò a casa. Non voglio sentire altro-.
-Che barba!-
-Eddai, fammi almeno ripagare il danno che ti ho fatto!-
-Portandomi in giro così? Chissà cosa penserà il vicinato vedendoci!- domandai, poggiando il mento sulla sua spalla.
Dopo due minuti dal mio risveglio, Jacob si era ripreso e si era stropicciato gli occhi per asciugarseli subito. Forse si vergognava a farsi vedere così.
Poi si ricordò di colpo che doveva chiamare un certo dottor. Carlisle non appena mi fossi svegliata, così era andato alla porta, si era affacciato fuori e lo aveva chiamato.
Il dottor. Carlisle era un uomo che dimostrava la trentina o poco più, biondo e con la pelle pallida. Appena i due si erano avvicinati al mio letto, Jacob mi aveva spiegato che lui era il “famoso” dottor Carlisle Cullen. E dunque il padre adottivo di Alice, Edward ed Emmet.
Il dottor Cullen mi aveva fatto una visita veloce, chiedendomi di tanto in tanto come sentivo la testa. Io rispondevo alla solita maniera, ovvero così così.
Dopo avermi visitato, il dottore era rimasto due minuti a fissare il pavimento, riflettendo sul da farsi.
-Sembra che tu non abbia riportato gravi danni, per fortuna- aveva detto lui –Ma considerando la botta che hai ricevuto, ti consiglio di rimanere a riposo per tre giorni minimo. La benda potrai togliertela solo dopo dieci giorni, non di meno. Non fare sforzi eccessivi, non leggere o stare davanti allo schermo per troppo tempo, e bevi tanta acqua. Se dovessi sentire un forte dolore improvviso, prendi pure una di queste- (e detto ciò mi porse una confezione da dieci pillole) –Evita inoltre di stare troppo al freddo. E ora dovresti anche chiamare i tuoi, o se non puoi, darci il loro num…-
-NO!- avevo sbottato io di colpo, stupendo il dottore e paralizzando Jacob. Forse non avrei dovuto urlare perché il dolore alla testa aumentò, facendomi stringere i denti.
-Leah (posso chiamarti Leah, vero?), credimi, è meglio che lo sappiano, anche perché qualcuno dovrà pur portarti a casa…- stava per dire Cullen, ma io lo avevo interrotto, stavolta con calma –La prego, no. La ringrazio per quello che ha fatto, davvero, ma l’ultima cosa che voglio è che lo vengano a sapere i miei famigliari..-.
-Ma lo sapranno prima o poi- si era messo di mezzo Jacob, perplesso a causa del mio comportamento –Soprattutto con quella benda-.
Avevo lanciato un occhiata di supplica a Jacob, sperando che potesse afferrare il messaggio. E per fortuna il messaggio gli era arrivato subito, perché il ragazzo aveva cambiato espressione alla velocità della luce, e aveva detto al dottore:-Posso provare a convincerla poi. E per quanto riguarda portarla a casa, a questo posso pensarci io-.
-Davvero?- avevo detto io, incredula.
-Sei sicuro?- aveva domandando invece Carlisle.
Jacob aveva risposto ad entrambi con un cenno del capo.
Il dottor Cullen aveva fatto quello che sembrava essere un sospiro, dicendo poi:-Molto bene, ma chiamatemi subito se succede qualcosa, d’accordo?-, ed infine era uscito dalla stanza, lasciandoci da soli.
Avevo guardato per un secondo la porta, poi mi ero voltata verso Jacob :-E si fida a lasciarmi nelle tue mani? Ti conosce così tanto?-.
-Eccome- aveva risposto lui, mentre raccattava le nostre borse (che feci caso solo ora erano appoggiate davanti al termosifone) –Non solo è un ottimo dottore, ma è anche piuttosto economico quando passa i suoi turni qui. E’ un uomo che lavora un po’ ovunque, e non solo a Londra. Ed è appunto perché le sue visite chiedono un bassissimo prezzo che è stato il nostro “medico di famiglia”. Siamo grati a lui, ci ha sempre aiutato tantissimo -.
-Immagino dovrò pagare la visita allora- avevo sorriso come una deficiente io, ma Jacob aveva scosso la testa –Non in casi come questi. La tua è stata un emergenza, e per fortuna non ha voluto portarti all’ospedale…-.
-Sai che non ci capisco un cazzo di queste cose, vero?- avevo detto, massaggiandomi la fronte -E aggiungiamo anche che ho questo mal di testa…-
-Nemmeno io- aveva ammesso Super-Teppista –Ma tu sei giustificata, io invece sono coglione dalla nascita-.
-Chi se ne importa di cosa dirà il vicinato!- sbottò Jacob lungo la strada –L’importante è arrivare a casa tua. Hai detto di vivere in questa via, giusto?-.
-Si- risposi, provando a non pensare alle sue mani che mi tenevano per le cosce. –Se vai un po’ più in avanti, trovi casa mia-.
Dopo un altro paio di minuti finalmente giungemmo davanti alla porta di casa. Tirai fuori le chiavi dalla tasca del cappotto e lo passai a Jacob, che lo ficcò subito nella serratura. Una volta entrati, l’ambiente caldo della casa mi invase la schiena, e ne fui molto grata.
-Dov’è la tua stanza?- chiese il ragazzo, guardandosi attorno.
-Sopra le scale- risposi –è la prima porta alla tua sinistra-.
Teppista-superman obbedì. Quando entrammo nella mia camera, mi resi conto che non l’avevo nemmeno messa in ordine. Grandioso.
-Non fare caso al casino…- stavo per dire, quando Jacob mi interruppe con un esclamazione inaspettata:-Tu guardi Fast and Furious?!?-.
-Cosa?-
-Nella tua libreria ci sono i DVD! Chi lo avrebbe mai detto?-
-Oh, beh, li guardavo tempo fa…-
-Non più ora?-
-No… ho perso interesse per i film…- risposi, più stanca di prima. La testa mi faceva ancora male, dannazione. Jacob se ne accorse e subito si scusò, mentre mi portava vicino al letto:-Cazzo, scusami, non era il momento…-.
-Fa nulla- gli sorrisi lievemente. Il ragazzo mi fece scendere dalla sua spalla e si tolse di dosso le nostre borse. Avrei voluto portare almeno la mia di borsa, ma Jacob aveva insistito a portarla lui.
-Hai già dimenticato cosa ha detto Doc.? Niente sforzi eccessivi!- aveva detto. E io non ho potuto far altro che ascoltarlo.
Rimasi in piedi davanti al letto, con la testa che mi impediva di decidere sul da farsi. Solo dopo qualche secondo mi accorsi che Jacob, dopo essersi tolto il cappotto, mi stava togliendo di dosso anche il mio, e per poco non sobbalzai.
-Stai calma- disse lui, intuendo il mio disagio –Voglio solo toglierti le cose scomode, poi puoi sdraiarti un attimo-.
-Mhm- annuii solo. Che razza di situazione. Stavo così tanto male che dovevo essere  aiutata anche a spogliarmi? E da un ragazzo, poi!
Provai a tenere a freno i miei battiti cardiaci, ma era tutto inutile. Era tanto se riuscivo a non pensare al mal di testa, figuriamoci ora per il cuore.
Jacob non mi tolse solo il cappotto, ma anche la giacca della divisa e la cravatta. In più si era piegato per togliermi anche le scarpe. E in quel momento ero sicura che potevo svenire, così mi tenni sulle sue spalle per non cadere mentre lui faceva il suo lavoro. Una volta fatto ciò, mi aiutò a stendermi sul letto, per poi rimboccarmi le coperte. Mi sentivo come una bambina, ma non potevo farci nulla. Il male al cranio era molto più forte di me.
Chiusi gli occhi, sperando che almeno così potessi lenire il dolore. Funzionava… ma solo in parte.
E anche se avevo gli occhi chiusi, potevo percepire la presenza di Jacob di fianco al letto, inginocchiato sul pavimento. Forse non sapeva cosa fare adesso, o cosa dire, fatto stà che era caduto un silenzio alquanto imbarazzante.
Non so dire quanto tempo passò, ma dopo un po’ lo sentii alzarsi da terra e sbuffare.
-Allora.. se non c’è altro…- disse lui, con un tono che non sapevo nemmeno descrivere. Dispiacere? Timidezza?
-Io vado allora…- fece, con un sospiro triste –Se succede qualcosa chiama Carlisle. Il numero te l’ho salvato sul telefono prima, per cui…-.
Non è che per caso… si sentiva un peso di troppo?
Aprii leggermente gli occhi, giusto in tempo per vederlo voltarsi verso l’attaccapanni.
-Aspetta!- urlai senza volerlo. Il mio corpo e la mia voce avevano fatto tutto da soli: mi ero rigirata dalla sua parte e avevo afferrato il ragazzo per la camicia, con la poca forza che mi restava.
Jacob si voltò, stupito. Il dolore aumentò, sbattendo forte dentro il mio cervello, ma lo ignorai. Per qualche ragione… non volevo che Jacob se ne andasse…
Il ragazzo rimase a fissarmi, senza parole.
-R-rimani- gli dissi, con uno strano calore che mi invadeva le guance –Per favore… se non hai nulla da fare…-.
Jacob continuò a guardarmi, arrossendo lievemente. –Va bene- disse, sorridendomi. E quel sorriso bastò per aumentare ancora di più i miei battiti.
Mi spostai leggermente, verso la parete, per dargli un po’ di spazio. Anche quest’azione l’avevo compiuta senza saperne il motivo preciso, ma su una cosa ero sicura: lo volevo vicino a me.
Hai sbattuto la testa parecchio forte per volere ciò!” pensai, ma a questo punto non me ne fregava nulla.
Jacob capì ancora una volta il messaggio e si tolse i mocassini. Si infilò sotto le coperte e, con mio grande stupore, mi prese per mano. Arrossii il doppio di prima, ma non mi lamentai e non feci nemmeno strani movimenti. Incrociammo le nostre dita tra di loro, guardandoci negli occhi. Nonostante le sue iridi erano scure quanto le mie, i suoi occhi erano parecchio luminosi. E belli…
-Leah…- sussurrò lui, di nuovo con un tono triste –Prima… in metro… quando ti ho detto quelle cose orribili… mi dispiace, davvero. Sono un coglione, e avrei dovuto ascoltarti-.
-Vai tranquillo- risposi, con un mezzo sorriso –Ti ho già detto di averti perdonato, no? E poi, è stata colpa mia che non ho aspettato il momento migliore. Temevo che perdere altro tempo avrebbe peggiorato le cose, ma guarda adesso che razza di situazione…-.
-Beh… si, ma io non avrei comunque dovuto rispondere al tuo calcio- ribatté lui –Parlo tanto del tuo carattere, ma sembra che nemmeno io scherzo-.
-Ognuno ha i suoi difetti- feci, chiudendo gli occhi –Tu non ascolti, e io sono troppo avventata. Che ci vuoi fare?-.
Ne seguì una lunga pausa, nel mezzo della quale Jacob con il pollice accarezzava il mio palmo. Poi sentii la sua mano libera poggiare sulla mia guancia. Quel gesto bastò per farmi aprire gli occhi di colpo - ed ecco che il dolore al cervello aumenta, cazzo!
Mi accarezzò il viso con fare confortante, e subito mi ritrovai a drogarmi del calore che emanava la sua mano sulla mia pelle. Seppur grande, era una mano delicata, morbida e liscia, e sentirla al contatto con la mia guancia mi donava una sensazione piacevole. Eppure mi sentivo triste… c’era ancora una questione da risolvere…
-Jacob- dissi, chiudendo nuovamente gli occhi, mentre poggiavo la mia mano libera sulla sua, la stessa che mi stava accarezzando –Mi dispiace… se quella volta non sono riuscita a spiegarti nulla…-.
-Di cosa parli?- chiese lui, perplesso.
-Con il professore di merda- risposi. Sentivo gli occhi bruciare. Tentai di non piangere e ci riuscii. –Quello che hai visto era tutto falso. Non so spiegarti la storia del rossetto, ma i suoi vestiti se li era stropicciati da solo. E’ vero che aveva tentato di sedurmi, ma lo avevo rifiutato subito senza pensarci due volte…-.
-Leah- mi disse Jacob, interrompendomi. Aprii gli occhi di nuovo, e scoprii quanto si era avvicinato con il viso al mio. Potevo sentire il suo respiro, particolarmente dolce ed intenso, ed il battito cardiaco che proveniva dal suo petto, ormai al contatto con il mio.
-Io… sono stato un deficiente- rispose infine –Avrei dovuto capirlo subito, ma non so per quale ragione sono comunque scappato via in quel modo. E mi dispiace per come mi sono comportato dopo. Ormai lo so che non sei quel tipo di ragazza, ma io…-.
Era come se avesse avuto un groppo in gola improvviso. Non riusciva più a dire altro e la sua mano sulla mia guancia aveva iniziato a tremare un po’.
Gli accarezzai di nuovo le sue dita sul mio viso e gli sorrisi.
-Allora siamo due scemi- dissi. Jacob sembrò riprendersi un poco e sorrise anche lui.
-Adesso è meglio se riposi invece- disse, togliendo la mano dalla mia guancia. Ero sul punto di ribattere quando il ragazzo infilò un braccio sotto la mia testa. Mi abbracciò con delicatezza, facendomi poggiare la testa sulla sua scapola. Mi aveva circondata tutta con le sue braccia, e ciò mi donava un senso di sicurezza mai provato fin’ora. Ed era anche piuttosto piacevole.
Mi feci cullare da lui, quasi fossi una bambina, mentre il mio naso odorava il suo collo. Lo stesso profumo che avevo sentito su di lui alle docce si fece risentire, sempre buono, sempre fresco.
La mia testa, che un attimo prima pulsava di dolore, ora sembrava incitare i miei occhi a chiudersi. Sentivo le palpebre pesanti, e la mente cominciava ad annebbiarsi.
Ero particolarmente stanca, soprattutto dopo questa pazza giornata.
Chiusi gli occhi, e dopo qualche secondo finii in un sonno senza sogni…
 


Angolo Autrice: FInalmente dopo non so quanto tempo sono ritornata con questo capitolo (dal titolo scemo, ma dettagli).
Buona Lettura :D
Delyassodicuori

 

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Capitolo 19
*** 19_Bugie e mali ***


19_ Bugie e mali
 

 
 
LEAH
 
 
Aprii lentamente gli occhi, ritrovandomi nella penombra della mia stanza.
“Jacob?“ fu la prima cosa che mi venne in mente. Ero ancora nel mio letto, nella stessa posizione in cui mi ero addormentata, ma stavolta il ragazzo non c’era.
“Ahi!”. La testa faceva ancora male a causa dell’incidente. Mi tastai delicatamente la nuca, nel punto in cui era chiusa la fasciatura.
Chissà come diavolo lo spiego a Sue…”.
Già, era un bel problema. Dovevo inventarmi una qualche scusa.
Mi alzai di poco, poggiando tutto il mio peso sui gomiti, guardandomi attorno. Le cose di Jacob (giaccone, borsa e mocassini) non c’erano più, segno che era andato definitivamente via.
Stavo cominciando a lamentarmi tra me e me del fatto che non mi aveva nemmeno salutato con un messaggio quando notai il mio telefono poggiato sul comodino, vicino alla mia sveglia. “Strano, non ricordo nemmeno che lo avevo messo lì!”.
E se non lo avevo fatto io poteva esser stato una sola persona.
Presi il telefono e, dopo aver sbloccato lo schermo e abbassato la luminosità per non accecarmi di colpo, mi accorsi che avevo ricevuto mezz’ora fa un messaggio WhatsApp. Quando, sdraiandomi nuovamente sul letto, lessi il mittente, per poco non rimasi senza fiato.
“Ma guarda…. Ha persino salvato il suo numero di cellulare nella mia rubrica?” pensai con un sorriso.
Aprii il messaggio di Jacob (che si era fatto chiamare nella rubrica Jacob (quello bello!), e ciò bastava per farmi scappare un'altra risata) e lessi:
 
 
Ehi, bella addormentata!
Mi dispiace non esser rimasto al tuo fianco, dolcezza, ma si stava facendo parecchio tardi, e posso solo dirti che sei fortunata a non essere figlia di mio padre :/
Come avrai notato, ho salvato il mio numero sul tuo cell, così se ti serve qualcosa basta che mi fai uno squillo e sarò subito da te (proverò ad essere più veloce di flash per quanto mi è possibile, o di Toretto quando guida nelle gare ;D).
Riposa per bene, fai quello che ti ha detto Doc. e non venire a scuola domani (anzi, fossi in te mi farei una sana dormita!).
O cavolo, sta venendo un messaggio troppo lungo ora!
O cavolo, ho letto ora cosa ho scritto.. che dici sono peggio di tua mamma ora?
Ok, la devo smettere di scrivere.
Lo faccio
Ora
Giuro
Fammi fare
Uffa
Va beh, sono scemo ahah!
Fammi sapere quando sei sveglia e se stai meglio!
Ok, ora sono ufficialmente TUA MAMMA!
AIUTO, DEVO PRENDERMI UNA PARRUCCA?
FORSE MI DEVO ANCHE TRUCCARE CHISSA’!
D’accordo, sono insopportabile.
Fammi sapere però, eh!
Che ci conto.
Ok la smetto.
Cristo!!
Mica è facile eh!
(ora mi ammazza…)
(mah, lo merito in fondo…)
 

Riuscivo a stento a trattenere le risate mano a mano che andavo a leggere i messaggi. Controllai l’ora sul telefono. In effetti erano appena le sette di sera… fra poco la cena sarà pronta, e allora dovrò sorbirmi le migliaia di domande che mi faranno Sue e Seth.
Pensai per bene alla risposta da dare a Jacob e dopo un po’ scrissi:
 
Dio santissimo, Jacob, non sei scemo, di più! Solo tu potevi scrivere dei messaggi così staccati. Scherzi a parte… grazie, davvero. E non solo per avermi salvata e portata a casa, ma anche per essere rimasto e per avermi dato fiducia. Ora sto meglio, per cui non ti preoccupare. E non ti azzardare a metterti una parrucca o a truccarti, perché se lo fai stanne certo che non ti parlerò più!
 
 Dopo aver inviato, rimasi per un attimo a guardare il soffitto, finché il telefono non vibrò tra le mie mani.
“Wow, ha fatto in fretta” mi dissi, leggendo:
 
Beh, mi sembra anche ovvio, tu ti sei fidata di me durante il salto e io dovrei fare altrettanto. Una volta il mio vecchio aveva detto:- Se non c’è fiducia tra due persone, non c’è amicizia-. Direi che non ha tutti i torti.
Scusa se mando troppi messaggi staccati, ma certe volte mi prende lo schizzo e non mi controllo.
Come ora
No
Oddio
No
Aiuto
A
I
U
T
O


.
.
.
P.s. puoi anche chiamarmi Jake, lo sai? È un soprannome molto più corto dei tuoi preferiti Super-Teppista o Teppista-Superman, ti pare?

 

Se non c’è fiducia tra due persone, non c’è amicizia.
Mmh… E questo cosa vuol dire…?
 
Quindi ora… siamo amici?
 
Aspettai tre minuti, morsicandomi il labbro. Per qualche ragione l’attesa mi stava mettendo troppa ansia.
La risposta arrivò, e il mio cuore fece un balzo quando lessi:
 
Direi proprio di si, o per lo meno possiamo provarci. Sempre meglio del muro separatore, no?
 
Mi si formò automaticamente un sorriso a trentadue denti dopo aver letto almeno altre cinque volte il messaggio.
Aveva ragione, comunque. Nessuno dei due stava bene quando litigavamo o quando ci ignoravamo. Quindi era proprio il caso ora di metter da parte la discordia che c’era stata tra noi, e che ci aveva portato a grossi guai.
 
Va bene, Jake.
 
Sospirai, e il sorriso si fece più largo quando Jake scrisse infine:
 
Bene, meno male :D
Ci si sente, Lee

 
Lee. Nessuno mi aveva mai chiamata così prima d’ora. E la cosa mi piaceva.
Poggiai il telefono sul petto, all’altezza del mio cuore, sospirando. Mal di testa a parte, stavo incredibilmente bene. E, cosa bizzarra, non riuscivo a smettere di sorridere.
Ora le cose andranno meglio, giusto?”.
-Leah?- si sentì bussare dalla porta. Merda, ma perché non sto zitta?
Il mio sorriso scomparve di colpo, e per poco i miei battiti non si fermavano dallo spavento.
-Si, Seth?- domandai ad alta voce, sedendomi e massaggiandomi la fronte. E ora? Cosa dico riguardo alla benda?
-Niente, mamma voleva solo sapere se eri tornata a casa- rispose mio fratello dall’altra parte della porta –Sai, non hai fatto sapere nulla fino ad adesso e si è preoccupata…-.
Ops.
-Ero… solo stanca, Seth- risposi, spostando le coperte e alzandomi dal letto –Ho faticato parecchio oggi a scuola, per questo appena sono arrivata sono crollata sul letto e non ho pensato a chiamare la mamma. Dille comunque che non ha motivo di stare in pensiero per me. Sto meglio ora!-.
Per un paio di secondi non si sentì fiatare, ma poi Seth sospirò un triste:-Va bene-. Ascoltai i suoi passi che si allontanavano dalla mia stanza e che scendevano dalle scale, poi (con molta calma, per non rischiare di cadere a terra, dato il mio equilibrio del momento) mi avvicinai allo specchio, guardandomi in volto. Nascondere la benda era un idea da escludere, essendo troppo ingombrante e grossa. Sbuffai. Dovevo inventarmi una bugia, anche se la cosa non mi piaceva affatto.
Andai all’armadio per cambiarmi i vestiti ormai puzzolenti, quasi a passo di zombi. Mi tolsi la camicia a zip e la gonna, per poi indossare una maglietta grigio-perla con il colletto a V e dei pantaloni da ginnastica color mogano. Uscii dalla camera e m’incamminai per andare in cucina, ma non appena mi avvicinai alle scale, ebbi le vertigini. Mi appoggiai appena in tempo al muro, mentre i miei occhi cercavano di tener ferma l’immagine dei gradini ai miei piedi. Li vedevo mossi, ondulati, quasi come se fossero fatti di gelatina e qualcuno avesse deciso di farli muovere. Poggiai la mano sulla fronte, come se questo potesse bastare a placare il dolore che cresceva man mano all’interno della mia nuca.
Le pillole!” ricordai improvvisamente, mentre aumentava il mio fiatone. Tornai a fatica in camera e presi la scatoletta che mi aveva dato il dottor. Carlisle.
Mi serve dell’acqua per ingerirle” riflettei con quel poco di lucidità che mi rimaneva, ma scendere in cucina era escluso, e non avevo una bottiglietta d’acqua con me al momento.
Il bagno. Potevo dirigermi solo fin lì.
Misi la confezione all’interno della tasca dei pantaloni, uscii di nuovo dalla stanza e, tenendomi appoggiata con una mano alla parete, arrivai alla porta del bagno. Quando la aprii ed entrai, per poco non inciampavo in avanti. Per fortuna mi ero tenuta alla maniglia.
Andiamo, gambe!” pensai “Mi avete sempre sostenuta, non deludetemi ora!”. Ripresi l’equilibrio necessario per andare al lavello di fronte a me e, quando finalmente ci arrivai, mi ci appoggiai a quella superficie di ceramica come una cozza sullo scoglio. Ripresi la scatoletta e la aprii, estraendo una pillola grossa almeno un centimetro e mezzo. O forse la mia mente mi faceva credere che avesse quella misura. Bah, poco importava.
Aprii il rubinetto, ingoiai quella medicina (era fin troppo grossa per essere di un centimetro e mezzo!) e unii le mani a coppa per bere l’acqua.
Tossii dopo un po’, ma almeno la pasticca era scesa giù per la gola. Dovevo solo aspettare che iniziasse a fare effetto.
Respirai a fondo per riprendere le forze necessarie per tornarmene a letto.
Devo riposare” riflettei “In queste condizioni non mi devono assolutamente vedere!”.
Alzai la testa dal lavandino per guardarmi allo specchio e vedere in che condizioni mi ero ridotta con quel tragitto del cavolo.
Non lo avessi mai fatto.
-Si può sapere cosa cavolo hai appena ingerito?- disse l’immagine di Seth allo specchio, appoggiato alla porta del bagno.
-CAZZO!- mi sfuggii non appena mi accorsi di non essere sola. Mi voltai verso il ragazzino, sudando freddo.
-Scusa, non pensavo di spaventarti tanto facilmente!- fece Seth, inarcando un sopracciglio mentre teneva le braccia incrociate. Di certo quel tono era tutto meno che una richiesta di scuse.
-Fanculo, potevi anche bussare!- lo sgridai senza pensarci due volte. Mi ricomposi, per quanto possibile, e rimisi la scatoletta in tasca.
-Rispondimi alla domanda di prima, per piacere- riprese mio fratello senza batter ciglio, spostando poi lo sguardo sulla mia tasca. Strinsi i denti, senza sapere cosa rispondergli. Prima ancora che potessi rifletterci per bene su, Seth sospirò (un sospiro che voleva solo dire delusione o rammarico) e disse:-D’accordo, lasciamo perdere, non mi interessa cos’è, basta che non si tratta di droga. Invece puoi dirmi qualcosa su quella fascia che ti porti alla nuca? Ti è venuta la strana voglia di fingerti un ninja oppure devo preoccuparmi?-.
-Come se tu e mamma non vi preoccupaste abbastanza…- sussurrai tra me e me, ma ricordai solo troppo tardi che Seth, oltre che sveglio, aveva un orecchio molto acuto. Troppo acuto.
-Infatti- rispose, con un pizzico di tristezza nel tono di voce –Per cui sarebbe splendido se mi rispondessi ora. Chissà, magari mi convincerai a non dire nulla alla mamma…-.
-Cosa vorresti dire alla mamma, eh?- feci, guardandolo torvo. La scusa perfetta mi salì a galla nel cervello solo in quell’istante, nonostante l’incredibile dolore alla testa.
-Vuoi forse dirle che sono caduta dalle scale della scuola? Per farla metter sempre più in ansia? E’ stato solo un dannato incidente, Seth!- dissi, reggendomi alla parete. Stavo quasi perdendo la sensibilità ai muscoli delle gambe, anche se ancora potevo chiaramente percepire che stavano tremando. E non dalla paura di farmi sgamare dal fratellino.
-Sei caduta dalle scale della scuola?- domandò lui. Il suo volto era un misto tra lo stupore, la confusione, e l’ansia.
Annuii, sedendomi poi (con estrema lentezza) sul bordo della vasca da bagno.
-Si- risposi –Stavo scendendo le scale e… beh, non so nemmeno io come sia potuto succedere, ma forse sono scivolata, e sono caduta. Ho sbattuto la testa per terra e sono svenuta, ma al mio risveglio… uff, per fartela breve, un mio amico ha visto l’accaduto ed è corso a soccorrermi, ma visto che l’infermiera a scuola oggi non c’era per chissà quale oscura ragione, mi ha portata di corsa fino alla clinica qui vicino. Il dottore lì mi ha fasciato la testa, e mi ha detto di prendere queste pasticche (che tu hai scambiato per droga) in caso di forti dolori alla testa. Tutto qui-.
-Tutto qui?- fece Seth –Sul serio?-.
-Si- annuii di nuovo. L’ultima parte della storia almeno corrispondeva al vero, per cui non potevo essere così tanto in colpa per una menzogna.
E poi se gli avessi parlato della metro… chissà cosa avrebbe potuto pensare, allora…”.
-E quindi… a parte i dolori non hai nulla di grave, vero?- domandò mio fratello, cupo e in pensiero.
Feci di si con la testa, per poi aggiungere:-Già, cose che capitano. Vuoi per caso andarlo a dire alla mamma? Bah, tanto lo avrebbe scoperto comunque. Che gran bella figura di merda che ci faccio. Cadere dalle scale… roba da matti…-.
-Nah- fece lui, avvicinandosi, stranamente calmo. –Sai qual è la vera figura di merda in questo caso?-
-No?-. Provai a fare l’ironica, ma il cranio dolente mi impedì di farlo per bene.
-La vera figura di merda…- disse, mentre dal pacato e tranquillo ragazzo che era diventava improvvisamente un ragazzo parecchio incavolato –…è raccontare una balla al fratello minore, credendolo ancora abbastanza piccolo per bersi certe cose, quando invece lui sa riconoscere molto bene quando sua sorella mente-.
Mi morsi il labbro inferiore, infuriandomi più con me stessa che con lui. Maledizione a questo mal di testa…
-E’ la verità, Seth…-
-E allora perché ti mordi il labbro?-
-Perché mi fa male la testa e posso sfogare solo così il dolore, ok?-
Seth non sembrava bersi nemmeno questo. Tra tutte le famiglie del mondo, proprio a me doveva capitarmi il fratello che non ci casca facilmente alle bugie! Che vita di cacca!
Il ragazzino fece un ennesimo sospiro, per poi pararsi di fronte a me.
-D’accordo, allora facciamo così- fece –Guardami negli occhi, e senza esitare un secondo, rispondi senza mentire. E’ vero quello che hai appena raccontato?-.
-Si- risposi senza batter ciglio, con solo mezzo secondo di ritardo.
Seth mi guardò per un secondo buono, per poi ricomporsi. –Va bene- disse –Mi fido questa volta. E a mamma non dirò nulla-.
-Già, non lo farai. Perché ho ragione io!- dissi, mentre mio fratello usciva dal bagno, senza mancare di darmi un ultima occhiata.
Mi assicurai che si fosse allontanato per davvero, per poi lanciare un grosso sospiro di sollievo.
Sapevo perfettamente che ancora non si fidava, ma almeno sarebbe rimasto buono per un po’.
Mi alzai dalla mia postazione, per poi tornarmene in camera con la lentezza pari a quella di una lumaca. Crollai sul letto senza pensarci due volte e chiusi gli occhi, addormentandomi di nuovo.
 
 
 
JACOB

 
 
-Papà?- chiamai a gran voce una volta entrato in casa, ma non ricevetti alcuna risposta da parte sua. Chiusi la porta alle mie spalle, notando solo dopo che in sottofondo si sentiva il rumore della TV accesa. A giudicare dalle voci e dai suoni si direbbe che qualcuno stava guardando una partita di non so cosa. Attraversai il piccolo corridoio per raggiungere il salotto, mentre dentro di me sapevo perfettamente chi diavolo poteva guardarsi la TV a quest’ora.
Paul era esattamente nel punto dove me lo ero immaginato: seduto tranquillo e beato sul divano a guardarsi una banalissima partita di football. La sua posizione era alquanto fastidiosa. Gambe aperte e piedi sul tavolino. In più aveva addosso una canottiera grigia insozzata e i pantaloni della divisa scolastica, anche questi sporchi. Quasi come se questa fosse casa sua.
-Dov’è Billy?- domandai entrando in sala. Paul si accorse solo ora della mia presenza, ma non si girò nemmeno a guardarmi. Solo dopo essermi avvicinato di poco notai che stava mangiando delle merendine… e a quanto pare aveva pensato bene di pulirsi le dita sporche di cioccolato sul rivestimento del divano. Ci teneva molto a farmi salire il livello dello schifo nei scuoi confronti.
-A guardare la partita a casa di un suo amico sbirro- rispose Paul dopo quattro secondi di attesa.
-E Rachel?- chiesi di nuovo, incrociando le braccia. Quando Paul si comportava in questo modo era palese che né mio padre né mia sorella erano a casa, ma almeno volevo esser sicuro di dove fossero – anche perché stranamente quel fetente del “beta” dei Furious Wolfpack non mente mai su loro due.
Paul cacciò un rutto fortissimo, senza nemmeno preoccuparsi di chiudere la bocca con la mano, per poi mettersi a scaccolarsi il naso con il mignolo.
-A lavoro, no?- fece, scavando in profondità con quel suo stupido dito dentro la narice. Dopo un paio di secondi osò rivolgermi lo sguardo e, notando come lo squadravo da capo a collo, bloccò il mignolo esattamente dove stava, senza toglierlo dal naso.
-Che hai da guardare così, bamboccio?- chiese, con quella faccia da cazzo che si ritrovava e quel ghigno uscito male. –Se pensi che possa far del male a te o a qualcuno della tua famiglia, ti sbagli. Siamo fuori dalla scuola, e questo vuol dire che non sono protetto, e che non posso prenderti a sberle come si deve!-.
-Lo so già- dissi secco.
Paul riprese a scavare nella narice, e finalmente riuscì a tirar fuori quella schifosa caccola. La osservò attentamente, come a congratularsi dell’enorme fatica fatta, per poi decidere di pulirsi il dito. Avrei anche trovato l’ultima azione assai normale… se non fosse per il fatto che si era ripulito il mignolo strofinandolo proprio sul divano, già insozzato di cioccolato e chissà quali altre schifezze.
Senza pensarci un secondo di più, strinsi il pugno abbastanza forte, mi parai di fronte al bullo, e gli assestai un potente cazzotto proprio sul naso.
Paul si ritrovò con la testa all’indietro in un primo momento, poi iniziò ad urlare dal dolore. Si tenne il naso con entrambe le mani, mentre dalle dita fuoriusciva il suo sangue.
-Io invece posso benissimo farti male, se e quando mi va!- ribattei scuotendo un poco la mano, tanto per fare la battuta finale prima del calar dello sipario.
Mi diressi alle scale che si trovavano nel corridoio alla parete opposta dalla quale ero entrato, ma non prima che Paul potesse urlarmi addosso:-Vaffanculo, sporco demente! Fottiti! Hai capito? Fottiti!-.
Mi trattenni dal ridere in un momento del genere (la voce di quello stronzo era diventata poco minacciosa a causa del naso rotto), ed entrai in camera mia. Mi tolsi di dosso la borsa, il giaccone e i mocassini, buttandoli beatamente in un angolo della stanza, presi una maglietta rossa e un paio di pantaloni bianchi e li indossai, per poi buttarmi sul letto, cacciando un forte sospiro stanco.
Era stata decisamente una giornata di merda.
Per fortuna Leah stava bene ed in salute, ma per me era stato comunque un grosso colpo al cuore. C’era mancato davvero un soffio… avrei potuto ucciderla e per una stronzata poi!
Deglutii, cercando di scacciare via il pensiero di lei stesa a terra dentro la metro, con la nuca sanguinante.
Ripensai poi al momento in cui si era risvegliata nella clinica di Doc.. Il sorriso che mi aveva rivolto allora era… bello. Molto bello. Già il solo fatto che si era svegliata mi aveva liberato di un grosso peso… ma quello sguardo che aveva su di me… Quegli occhi color cioccolato fondente che mi guardavano serenamente in segno di perdono... E la sua mano sulla mia testa, mentre mi accarezzava i capelli per rassicurarmi…
Non sei… una persona orribile.
Ero scoppiato. Ero triste e felice allo stesso tempo. E piangevo tantissimo, peggio di un bambino, con la testa sul suo petto, mentre lei continuava a coccolarmi il capo dolcemente. Ascoltavo non solo il mio pianto penoso, ma anche il battito del suo cuore. Vivo ed energico. Sentire quel suono era stato come un toccasana per la mia salute mentale.
Solo qualche minuto dopo mi ero accorto che: a) stavo facendo decisamente una pessima figura, b) avevo messo la testa fra le sue tette!?! E c) dovevo avvertire Carlisle del suo risveglio.
Stavo quasi per addormentarmi con questi ricordi nella mente quando il mio telefono vibrò sopra il comodino affiancato al letto.
Presi il cellulare e sbloccai la schermata.
Leah. Aveva letto il mio messaggio di WhatsApp e aveva appena risposto.
Sorrisi mentre leggevo la sua risposta, e iniziai a fare una breve conversazione (molto intelligente) con lei.
Non appena finimmo entrambi di scriverci a vicenda, bloccai nuovamente lo schermo del telefono e riposi l’apparecchio al suo posto, sospirando di nuovo.
Stava bene. Questo era quello che contava, alla fine.
Giusto?
Si, ma questo non toglie quello che hai fatto, razza di imbecille”.
Il mio cuore ebbe un sussulto quando la mia coscienza realizzò ciò.
“Prima ti ingelosisci senza chiedere spiegazioni a quella ragazza e la deludi, e poi la stupida lotta senza senso in metro. Hai davvero rischiato di ucciderla e con niente, per giunta. Dici che sta’ bene, ma se ora la situazione fosse diversa? Se lei fosse rimasta paralizzata, o in coma? O peggio, se l’avessi uccisa così di colpo?”.
Già… purtroppo la mia coscienza non aveva tutti i torti. Avevo rischiato grosso, e non ho nessuna scusa per quello che avevo fatto.
Immaginai subito come si sarebbero svolte quelle situazioni. Nel primo caso, della paralisi o del coma, sapevo benissimo che la sua famiglia mi avrebbe odiato a morte. E se mai lei si fosse risvegliata dopo chissà quanto tempo, non mi avrebbe più nemmeno rivolto lo sguardo.
Nell’ultimo caso…
No, non volevo pensarci.
Non volevo avere in testa un immagine simile!
Più la mia mente vagava su questi pensieri, più il groppo in gola cresceva, quasi come se volesse soffocarmi.
Mi sedetti, poggiando i piedi a terra, i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani. Avevo fatto una super cazzata.
Avrei potuto ucciderla…
Avrei potuto uccidere Leah…
Lei…
Io…
 
 
 
Scesi le scale dopo mezz’ora, cercando di non fare rumore. L’ultima cosa che volevo era incontrarmi faccia a faccia con Paul e subire le sue ennesime cazzate. E poi… avevo bisogno di stare in un solo posto specifico della casa, e purtroppo non si parlava della mia stanza.
Non appena arrivai al pian terreno, purtroppo, mi accorsi che con la sola forza del pensiero mi ero tirato addosso la sfiga da solo.
Paul sbucò fuori dal soggiorno, parandosi di fronte a me, con un aria a dir poco incazzata.
-Brutto cane che non sei altro!- latrò lui, con quella nuova voce nasale –Me lo hai rotto! Guarda, porca puttana! Mi hai rotto il mio bellissimo naso!!!-.
Ero rimasto per poco bloccato lì, ma poi scrollai le spalle senza neanche riflettere su quello che stavo per fare.
-Posso dirti una cosa senza che tu ti offenda?- feci, con le mani in tasca. Paul mi squadrò, cercando di valutare la mia domanda.
Lo osservai per bene, notando come il suo naso era bello storto, e ancora sporco di sangue. Quel fetente del mio quasi-cognato non si era nemmeno preoccupato di pulirsi, o tanto meno, di cambiarsi i vestiti – infatti anche il colletto della sua canottiera era insanguinata.
-In realtà il tuo naso faceva schifo prima- dissi –Ora invece è perfetto. Si intona con la tua faccia da cazzo e con il tuo carattere di merda-.
Ad essere sinceri… non avevo tanta voglia di combattere. E non pensavo sul serio che una frase tanto cretina come questa potesse farlo imbufalire subito. Evidentemente, però, avevo messo in dubbio la sua stupidità da suino, perché, senza che potessi far nulla, il bullo sollevò entrambe le mani davanti a me e si buttò addosso al mio corpo.
Non riuscii ad evitare in tempo la sua presa sul mio collo. Mi fece cadere all’indietro, senza fatica. La mia schiena andò a sbattere contro i gradini, ma per fortuna non così tanto violentemente da fracassarmi la spina dorsale. Le sue mani mi strinsero sempre più alla gola, mentre io cercavo di alleggerire il più possibile la presa per riprendere fiato. Alla faccia, meno male che non poteva colpirmi fuori dalla scuola!
-Sei solo un gran figlio di puttana, Black!- mi ringhiò in faccia lui, con i nervi del collo e delle braccia ben evidenziate.
-Perché è questo che sei- continuò –Un gran figlio di puttana! Già, tua madre era proprio una troia, e sicuro che batteva cinque volte a sera in tangenziale. E anche la tua sorella più grande, Rebecca, è una zoccola. Se non fosse per la presenza di Rachel, semmai la troia dovesse farsi viva in questa casa, non esiterei a chiavarla a dovere, sappilo!-.
-Non…- ringhiai a destri stretti, aumentando la forza nelle mani. Potevo anche sopportare un offesa da parte sua nei miei riguardi… ma qui si parlava della mia famiglia!
-…Ti azzardare…- feci ancora, concentrandomi per bene sul come fargli parecchio male.
-… A PARLARE COSI’ DI LORO!- urlai infine, assestando una grossa testata sulla fronte del mio aggressore.
Paul mollò finalmente la presa, barcollando all’indietro. Riuscii a prendermi giusto un secondo per recuperare ossigeno, ma la rabbia era talmente tanta che, più che pensare a me stesso e ad andarmene, pensai benissimo invece di fargliela pagare cara.
Mi buttai addosso a lui, facendolo cadere a terra di schiena, per poi ricambiargli il favore della stretta sul collo. Le mie mani strinsero forte, senza avere il minimo timore di rilassare la presa. Vedevo come la faccia di Paul mano a mano diventava paonazza, come cercava di recuperare aria, come dimenava le braccia e le gambe nel tentativo di liberarsi, ma senza successo.
-Non parlerai mai più così di loro!- ringhiai forte contro il fetente –Non lo farai mai più, perché giuro, che se tocchi di nuovo l’argomento, o se ti metti a parlare di mia madre e di mia sorella così, io ti…-.
-JACOB!-
L’urlo femminile proveniente dal salotto mi bloccò di colpo, facendomi tornare lucido. Voltai la testa, pur continuando a tener salda la presa sul collo di Paul.
Rachel era in piedi in mezzo alla sala, le buste della spesa cadute a terra ai suoi piedi.
Il suo sguardo era indescrivibile. Non sapevo dire se era spaventata, o arrabbiata, o delusa.
Tornai a guardare Paul e il casino che stavo combinando. Lo mollai lì, steso sul pavimento, allontanandomi quasi strisciando con il sedere a terra.
Rachel corse verso di noi, inginocchiandosi di fianco al compagno, mentre quest’ultimo riprendeva pian piano il fiato perduto.
-Oh, Paul…- sussurrò lei al suo orecchio. I suoi capelli lunghi e neri le cascarono davanti al viso, per cui ancora una volta non sapevo decifrare la sua espressione.
Paul tossì, respirò a fondo, ma non mosse un muscolo.
-Il tuo naso…- sussultò Rachel con timore.
Non mi aveva ancora rivolto la parola. Nemmeno uno sguardo…
Però, in effetti, avevo esagerato anche stavolta. Non che Paul non si meritasse questo affronto, tuttavia… non volevo che Rachel assistesse a ciò!
-R-Rach…- sussurrai io, colpevole. Mia sorella non rispose, così cercai di avvicinarmi un poco a lei. Cosa che avrei dovuto non fare.
-COME DIAVOLO TI SEI PERMESSO, CRETINO?- mi urlò in faccia lei all’improvviso, guardandomi dritto negli occhi. Dio, avrei voluto non vederli…
Erano cupi, pieni d’odio e di disprezzo. Tutta la sua delusione nei miei confronti era impressa in quelle iridi scure, che lampeggiavano d’ira.
-VATTENE DALLA MIA VISTA, JACOB!- strillò nuovamente, con immenso furore –SEI SOLO UN DISASTRO! ECCO COSA SEI! PER COLPA TUA SI DEVE FAR MALE SMEPRE QUALCUNO! ESATTAMENTE COME NOSTRA MADRE!-.
Ebbi per un secondo un altro groppo in gola, che subito ricacciai indietro, mentre il mio cuore aveva smesso di battere per un millesimo di secondo.
Rachel tornò a concentrarsi su Paul, a coccolarlo, come se la vera vittima di tutto questo fosse stato lui.
Non sapevo più a cosa pensare. Odiavo mia sorella per questo gesto, ma allo stesso tempo non potevo biasimarla…
C’era solo confusione nella mia testa, e tante emozioni negative nel mio cuore.
Mi alzai, allontanandomi poi da quella coppia malata. Mi diressi alla destinazione precedentemente pianificata, senza voltarmi neanche per un secondo, con i pugni così stretti che avrei potuto perforare la carne delle mani con le unghie.
 
 
 
Chiusi alle mie spalle la porta del piccolo stanzino dopo aver acceso la luce e aperto la finestra. La chiusi a chiave per avere maggior privacy, e appoggiai per un secondo la fronte sulla superficie di legno, respirando con calma.
Quando mi ripresi, voltai il busto verso l’oggetto del mio interesse.
Mi avvicinai ad esso, togliendogli di dosso il lenzuolo bianco che lo ricopriva.
Osservai il dipinto per un attimo, per poi sedermi a terra di fronte ad esso.
I milioni di ricordi di quando ero un bambino tornarono a galla. Tutte le cose che avevo fatto, tutti i giochi, le cavolate con Quil e Embry, le litigate con Rebecca e Rachel…
E mia madre.
Sarah Black era di certo la donna che stimavo di più al mondo. E che stimo tutt’ora.
Era tosta, forte, non si faceva mai piegare da nessuno, ed era parecchio testarda, ma sapeva esser comprensiva meglio di chiunque altro, e la sua pazienza su tutto era incredibile…
Inoltre… era una bravissima artista. Creava dei quadri davvero suggestivi, che lasciavano senza fiato chiunque li osservasse anche solo per un attimo.
Osservai attentamente i colori del dipinto che avevo di fronte a me, con un grosso colpo al cuore.
Toccai la superficie, resa ruvida a causa delle sue pennellate, svelte ma decise, precise nei dettagli ma delicate nelle sfumature.
Mi mancava. Mi mancava terribilmente tanto il calore dei suoi sorrisi mattutini, la morbidezza del suo abbraccio protettivo e materno, e i suoi innumerevoli consigli di vita. Mi mancava sentire la sua ninna nanna, cantata con la lingua dei Quileutes, e che ancora ricordavo a memoria.
-Mamma…- sussurrai, la voce stranamente tremolante.
Mi accorsi dopo due secondi che stavo piangendo. Due volte in un giorno solo.
Sbattei un pugno a terra, incazzandomi automaticamente con me stesso, mentre le lacrime scendevano lungo il mio viso.
Perché non ne combino mai una giusta?
Perché non riesco a non far male alle persone a cui voglio bene?
Cosa diavolo ho che non va in me?
Dannazione…
Dannazione!
 
 
 
Angolo Autrice: Ed eccomi ritornata con un capitolo bello lungo. Scusate per la prolungata assenza, ma chi come me deve affrontare gli esami dell’università, mi può capire per bene.
Buona lettura ed un sincero grazie a chi continua a seguirmi,
Delyassodicuori.

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Capitolo 20
*** 20_Cose belle e cose brutte ***


 
 Angolo Autrice (anticipato):
 Finalmente sono risorta da mesi di assenza (e con che cavolo di tempismo, visto i problemi di Efp).
Avrei voluto scrivere questo capitolo da tantissimo tempo, ma c'erano diversi problemi: mancanza di tempo, altro da fare, ma soprattutto MANCANZA DI VOGLIA ED ISPIRAZIONE!
Già, le parole non mi venivano in testa, e non riuscivo a scrivere più nulla ad un certo punto, e in più dovevo organizzarmi bene con i vari collegamenti ecc.
Fatto sto discorso, vi lascio con questo capitolo,
Ancora un grazie a chi mi segue,
Delyassodicuori







20_ Cose belle e cose brutte

 
 
Aprii gli occhi lentamente, anche se la mia coscienza si era svegliata già da qualche minuto. In un primo momento non riuscivo ad osservare bene a causa della stanchezza, in più mi sembrava di vedere una strana figura di fronte a me, ma dopo aver sbattuto un paio di volte le palpebre la mia visione cominciava a migliorare. E quando finalmente la visuale divenne nitida, capii che cosa si era parato davanti ai miei occhi. O meglio dire chi.
-Buongiorno, bella addormentata!-
Lanciai un mezzo urlo di terrore e mi ritrovai di colpo seduta sul letto e con la schiena al muro.
Jacob era inginocchiato davanti al letto, con un espressione stupita e mezza colpevole in volto.
-Jacob, cosa cacchio fai qui?!?- squittii, con la mano al cuore, mentre riprendevo aria. I miei battiti si erano fatti parecchio potenti e la mia schiena tremava di brutto.
-Volevo assicurarmi che oggi tu rimanessi a casa!- rispose il ragazzo –Ricordi cosa aveva detto Doc.? Devi riposare, quindi non ti azzardare a venire a scuola!-.
-Come sei entrato?- domandai, spostando le coperte –E poi non puoi pararti così davanti a qualcuno mentre dorme, dannazione!-.
-Primo, non pensavo ti saresti spaventata così tanto!- si giustificò Jake, alzandosi in piedi –Anzi, in realtà sono parecchio deluso. Speravo che alla mia vista mi saresti saltata addosso per trombarmi all’istante…-.
Fu un bel calcio negli stinchi da parte della sottoscritta a zittirlo di colpo. Jacob cadde a terra tenendosi i gioielli di famiglia, mentre io mi alzavo dal letto, sbuffando forte.
-O-ok, ammetto che me lo sono meritato…- guaì dal dolore lui, rialzandosi –Però fammi almeno continuare! Secondo, sono entrato dalla finestra. L’hai lasciata aperta questa notte, e io ne ho approfittato!-.
Lo guardai attentamente in faccia, valutando quello che mi stava dicendo. Spostai poi lo sguardo sulla finestra aperta. Non c’era nulla che potesse permettere a qualcuno di arrampicarsi fino alla mia stanza. Niente edera, niente scale, nulla.
Tornai a fissare Jacob, stavolta con sguardo serio e severo.
-E va bene, ok, non sono entrato dalla finestra, anche se ero tentato- alzò le mani lui –Ho bussato alla porta e tua madre mi ha fatto entrare. Donna gentile, lo devo ammettere-.
-Le… le hai spiegato perché eri qui?- chiesi, stavolta in pensiero. La sera scorsa ero riuscita a risvegliarmi dal mio “coma” per cenare con la famiglia, e avevo raccontato la stessa scusa detta a Seth anche a Sue. Ma cosa poteva aver detto Jacob invece non ne avevo idea.
-Certo- disse, avvertendo il mio stato d’animo –E non preoccuparti, non mi ha domandato nulla sulla tua testa. Le ho detto semplicemente che volevo assicurarmi che tu stessi bene, per questo mi ha fatto entrare. Anche se devo ammettere che mi ha guardato storto per due secondi…-.
-Uff… perché è una donna intuitiva e sveglia, oltre che gentile- risposi –La mia scusa di ieri se  l’era bevuta a malapena. Sa benissimo che è improbabile che caschi dalle scale senza motivo-.
-Hai detto questo a tua mamma?-
-Si, che ero caduta e che tu, trovandomi, mi hai poi portata da Carlisle…-
-Lo sai che potrebbe anche chiamare lui per saperne di più, vero?-
Deglutii. Non ci avevo proprio pensato. L’ansia mi fece girare di nuovo la testa, ma riuscii a rimanere in piedi.
-Ti conviene mandargli un messaggio ora, prima che sia tua madre a chiamarlo- disse Jacob, facendo cenno al mio cell.
Non esitai un attimo, presi l’apparecchio e scrissi un messaggio veloce al dottore, ringraziandolo per ieri e pregandolo di raccontare la stessa scusa a Sue in caso lei si fosse fatta viva in qualche modo.
-Bene, e adesso, che ne dici di tornare a dormire?- fece Jacob non appena posai il telefono al suo posto. Lo guardai di nuovo storto, per poi rispondergli:-Eh, certo, come no!-.
-Dico sul serio, Leah, oggi non puoi…-stava per ribattere, ma lo zittì all’istante:-Senti, so che ti dispiace per quello che è capitato ieri e che sei preoccupato, ma sul serio, smettila di farmi da babysitter! È fastidioso!-.
-Ma…-
-Jacob, sono seria! Rispetto a ieri sto molto meglio, per cui evitami la predica da madre e andiamoci insieme!-.
Non gli diedi nemmeno il tempo di rispondere. Lo sorpassai, dritta verso il bagno.
Se penso che fino a ieri a malapena riuscivo a fare due passi, consideravo incredibile la mia ripresa di salute.
-Ok, va bene allora!- disse lui dall’altra parte della porta, mentre facevo i miei bisogni –Però ti avverto, Clearwater! Appena senti che qualcosa non va, oppure non appena io vedo che stai per crollare, ti riporto subito a casa, e senza eccezioni, intesi?-.
-Come vuoi tu, mamma- risposi mentre mi lavavo i denti –Già che ci sei vuoi anche farmi la predica su altro?-.
-Si- fece –Non mangi nulla?-
-Non ho appetito… che razza di domanda è?- sputai.
-Beh, ti stai lavando i dentini ora…-
Rimasi per un attimo bloccata lì, riflettendo sulla cavolata che mi aveva appena detto. Mi piegai leggermente per vedere il buco della serratura. Giurerei di aver visto un occhio indiscreto per un millesimo di secondo prima che questo sparisse.
-Spero per te che tu abbia sbirciato solo dopo che ho fatto lo sciacquone!- urlai alla porta, mentre dall’altra parte un Jacob ficcanaso ridacchiava sotto i baffi.
 
 
 
Le cose, finalmente, cominciarono a migliorare, sotto un certo punto di vista.
Dalla sera in cui Jacob mi aveva riportata a casa dopo l’incidente in metro, io e lui non abbiamo fatto altro che chiacchierare, blaterare di cose insensate e divertenti, oppure discutendo dei nostri interessi. Ad esempio, scoprii con immenso stupore che la passione di Jacob non riguardava il fare a botte con le persone, bensì riparare auto e moto. Lo venni a sapere proprio il giorno in cui si era fatto trovare a casa mia quella mattina dopo l’incidente.
-Non capisco proprio, Jake- avevo detto con un tono perplesso, mentre salivamo entrambi all’interno della sua auto (che dall’aspetto sembrava essere di seconda mano) –Se avevi la macchina, perché cavolo venivi a scuola in metro?-.
-La dovevo aggiustare- aveva risposto lui, avviando il motore dopo due tentativi andati a vuoto – aveva dei pezzi troppo vecchi, e li dovevo cambiare. Ma costano un rene se non due, per questo mi ci è voluto parecchio per raccogliere i soldi!-.
Era stato allora che aveva deciso che doveva venire da me sempre per accompagnarmi andata e ritorno tra casa e scuola. In un primo momento avevo cercato di obbiettare, ma Jacob aveva iniziato di nuovo quell’inutile discorso sui suoi sensi di colpa per la mia ferita alla nuca, e così sono stata costretta ad assecondarlo.
Ormai io e lui andavamo abbastanza d’accordo, e finalmente non dovevamo litigare per qualsiasi cosa ogni volta che uno dei due apriva bocca. E non ci volle molto perché anche Bella, Alice e Rosalie se ne accorgessero.
-QUANDO E’ SUCCESSO??? PARLA!!!- mi aveva strillato in faccia una volta Alice durante il pranzo. Il suo urlo aveva attirato metà sala su di noi.
-Alice, per l’amor del cielo, ma ti regoli quando ti emozioni o no?- l’avevo rimproverata, mentre gli altri se ne tornavano tutti agli affaracci loro.
-Scusa, ma non ci riesco a stare calma!- squittiva la nana, mentre Rosalie prendeva la parola:-Leah, la reazione di Alice è del tutto normale, ora come ora. Insomma, fino a poco tempo fa tu e Black litigavate per… beh, tutto. Ma adesso vi parlate in modo così tranquillo e allegro…-.
-E poi ci devi spiegare ancora cosa cavolo hai fatto alla testa!- era intervenuta  Bella, che dal giorno in cui mi ero presentata a scuola con la fascia non mi aveva levato gli occhi dalla fronte di dosso. Era peggio di mia madre, santi numi!
-E’ successo due giorni fa e tu glielo domandi ora?- aveva detto Rosalie alla mora, perplessa.
-Perché, voi glielo avevate chiesto?-
-Si, ma non ha risposto a noi, figuriamoci a te!-.
-Ragazze, è stato un incidente!- avevo risposto subito, per non far precipitare la situazione –Sono caduta dalle scale della metro, punto!-.
-Non sei Bella, non puoi cadere dalle scale senza motivo!- mi aveva fatto notare Alice, mentre beveva il suo succo di pesca con forza. Bella aveva guardato la nana per un secondo, quasi a voler dire “ma chiudi il becco!” , e poi si era di nuovo rivolta a me:-Ma se è vero quello che dici, allora qualcuno ti ha aiutato per forza…-.
-E scommetto cento sterline che quel qualcuno era Black!- aveva esclamato con sicurezza Rose –E questo spiegherebbe come mai voi due ora siete amici!-.
-Beh…- avevo risposto io, stranamente imbarazzata per quello che aveva appena detto la bionda –Si… lui per fortuna era lì, e mi ha aiutata. E abbiamo fatto pace-.
Sembrava che le ragazze mi volevano dire o chiedere altro, ma si erano zittite tutte di colpo quando Jacob si era avvicinato al nostro tavolo, con Embry e Quil alle calcagna.
-I tavoli sono tutti occupati- aveva detto alla svelta Jake, guardando prima le mie amiche, e poi me –E visto che avete altri tre posti liberi, possiamo unirci a voi?-.
-Eddai, Jake, non era con questo tono scemo che lo dovevi chiedere!- aveva ribattuto Embry, colpendo l’amico con un pugno leggero sulla sua spalla –Dovevi guardare Leah nel profondo dei suoi occhi e flirtare con lei per…-.
-Tu parli troppo!- lo aveva interrotto Jacob irritato con una bella gomitata nello stomaco dell’amico.
Ero rimasta per un paio di secondi a bocca aperta, senza sapere che dire o fare. Avevo poi guardato le altre nella speranza di un qualche tipo di aiuto da parte loro, ma anche Bella, Alice e Rose erano shoccate quanto me. Per fortuna ero stata in grado di rispondere con un:-Si, certo, sedetevi-, prima che la situazione potesse diventare ancora più imbarazzante.
Da quel giorno io e le ragazze ci ritrovavamo a sederci allo stesso tavolo assieme a Jacob e ai suoi amici. All’inizio era una cosa che metteva molto a disagio sia me che Jacob, a causa dei continui sguardi provocatori che ci lanciavano tutti addosso (tranne Bella e Quil, per fortuna. Almeno loro avevano un minimo di dignità in più!), ma poi, con il passare dei giorni, la situazione divenne più naturale, non solo per me e Jake, ma anche per gli altri. Ci parlavamo tutti quanti fra di noi, ridendo e scherzando, discutendo dei compiti e del tempo libero di ognuno di noi. Un paio di volte Embry aveva provato a provocare Jacob con una battuta sconcia su noi due, e in entrambe le volte Jacob gli rispondeva alla stessa maniera –ovvero con un bel calcio sulla sua caviglia.
Dopo due settimane, grazie ad Emmet che era stato in grado di trovare un tavolo più grande nella mensa, anche i fidanzati delle mie amiche si erano uniti a noi. Pian piano iniziavamo a conoscerci meglio a vicenda. E la cosa mi piaceva. Avevo finalmente dei nuovi amici. E questo pensiero bastava a farmi credere che tutto poteva andare per il meglio.
Ma… ahimè, mi sbagliavo.
Uno dei miei problemi ancora irrisolti rimaneva Francese.
Dopo quella storia idiota con il prof. Basile non riuscivo decisamente a prendere un voto sufficiente nella sua materia. Il massimo che ero riuscita a strapparli via era una D-, ma non bastava di certo a farmi alzare la media. Avrei voluto dire che quei voti orribili dipendevano solo dal fatto che io della lingua francese non ci capivo nulla, ma purtroppo non era così. Visto che avevo rifiutato di farmi corteggiare dal prof, ora capelli laccati mi vedeva più come un rifiuto umano che come una studente o come una sgualdrina da quattro soldi.
L’unica parte positiva di questo problema era che, per lo meno, aveva smesso di parlarmi. Ma la mia media rimaneva comunque nei guai a causa sua!
Jacob, al contrario di me, sembrava non preoccuparsi affatto dei suoi voti scolastici. Un altro problema da risolvere, anche se non riguardava me ma lui.
-Jake, sul serio, perché non ti impegni nemmeno un po’?- chiesi, una volta finita la lezione di Geografia.
-Io mi impegno!- rispose indignato lui, con un mezzo broncio dipinto sul suo viso –Ogni giorno passo almeno due ore nel garage di casa mia per aggiustare la mia moto quasi andata a quel paese e per assicurarmi che l’auto non mi si sfasci di nuovo…-.
-Non parlo della tua abilità da meccanico, Jacob!- chiarii subito, raccattando le mie cose nella borsa –Parlo degli studi! Non ti preoccupi nemmeno un po’ della tua media?-.
Jacob mi guardò per un istante, come a cercare di capire se avevo qualche problema con il cervello. Magari si chiedeva se non dovevo ricominciare a riprendere le pillole del Dr. Cullen, anche se avevo finalmente tolto quella stupida benda da settimane.
-Mmmh- si mise a riflettere, guardando il soffitto. Dopo un po’ rispose, sicuro:-No. Neanche un po’!-.
-Eddai, Jake, sul serio vuoi farti bocciare?- feci, mentre uscivamo dall’aula.
-No, certo che no!- rispose lui –E’ solo che ho di meglio da fare…-.
-Aggiustare auto e moto non è un ottima scusa, signorino!- lo rimbeccai prima che potesse aggiungere altro. Jacob stava per ribattere, ma si ritrovò a tapparsi subito la bocca, arrendendosi.
-Senti- feci, uscendo dall’edificio scolastico –E se ti aiuto io?-.
-Tu?- stavolta Jacob era sorpreso –Sicura?-.
-Aha! Certo, l’unica materia in cui non posso aiutarti è Francese, ma per le altre…-.
-Che carina, mi vuoi fare da insegnate di sostegno?-
-Più che sostegno, recupero-
-Solo se ti vesti da professoressa sexy-
-Nei tuoi sogni, caro Black!-
Nei giorni a seguire decisi sul serio di impegnarmi sia sul recuperare i voti di Francese, sia sul far recuperare tutti i voti orribili di Jacob. Ogni volta, a lezione, mi assicuravo che il ragazzo non si addormentasse sul banco, o che si mettesse a giocare di nascosto con il cellulare. Durante Francese, invece, la fatica si moltiplicava, visto che, oltre a dover star attenta a Jacob, dovevo seguire la lezione del prof. Bazile. E Jake di certo non mi aiutava nella cosa, visto che continuamente tentava di provocare il prof nei modi più assurdi. Ogni volta che lo vedevo tentato a sparare una qualche idiozia sull’accento di Bazile dovevo dargli un bel calcio sulla gamba per fargli rimangiare l’idea.
Il mio tentativo di far migliorare i voti di Jacob, però, non si limitavano semplicemente a farlo stare sveglio in classe. Ogni pomeriggio, dopo la scuola, lo costringevo a venire con me alla biblioteca più vicina a casa per studiare insieme. Era un lavoraccio tremendo provare a farlo concentrare sui compiti, ma con il passare dei giorni l’idea sembrava far effetto.
Più studiavamo insieme, più Jacob sembrava finalmente prendere sul serio l’idea di recuperare i voti. E più passavamo il tempo insieme, più il nostro rapporto migliorava. Come avere due piccioni con una fava.
-Leah- mi interruppe Jacob, mentre ero intenta a spiegargli come si doveva risolvere un equazione di primo grado. Visto che eravamo in biblioteca eravamo entrambi costretti a parlare con la voce più bassa possibile, ma Jake, pur di interrompermi, aveva alzato leggermente il tono, e aveva fatto girare verso di noi tre persone sedute dietro al nostro tavolo. Ci fecero segno di stare in silenzio e Jake si scusò con loro a bassa voce. Poi tornò a rivolgersi a me:-Io ancora non capisco, perché ti ostini così tanto ad aiutarmi?-.
La domanda mi aveva colta di sorpresa. Ad essere sinceri non sapevo di preciso perché lo facevo.
-Beh…- risposi, poggiando la matita sul libro –Perché secondo me non vale la pena di farsi bocciare, soprattutto in una scuola di merda come la nostra-.
-Si, ok, ma tu mi stai persino dando lezioni private!- fece lui.
-Voglio aiutarti, no?- dissi, quasi in modo automatico –Tu mi avevi aiutato con i Furious Wolfpack, e con la botta in testa sulla metro. Forse voglio ricambiare il favore-.
-Forse? Non c’è un’altra ragione?- domandò Jacob, avvicinandosi di poco a me. Le nostre spalle si sfioravano a malapena, e con questa distanza potevo sentire benissimo il suo profumo.
-Non capisco di che parli- tagliai corto io, tornando a fissare la pagina piena di esercizi di Matematica.
Jacob sogghignò, per poi dire, con un tono di voce stranamente sensuale:-E non hai pensato minimamente all’idea che potrei anche chiederti di uscire?-.
Per un pelo non mi strozzai con la mia stessa saliva quando mi voltai verso di lui. Il suo volto vicino al mio bastavano a farmi arrossire di colpo e a farmi battere il cuore all’impazzata.
-Cos… no!- dissi, cercando di rimanere calma –Che c-cavolo fai… vai dicendo?-.
-Ohw, che tenera!- fece lui, mentre si faceva sempre più vicino a me –Sei talmente imbarazzata che non riesci nemmeno a formulare bene una frase!-.
-Ma chiudi il becco!- dissi, voltando la testa da un’altra parte per non ritrovarmi il suo naso contro il mio. Ora grazie a questo imbecille il mio cuore non voleva smettere di battere così forte, ed ero diventata ancor più rossa in faccia!
-Stavo scherzando, Lee- rise piano Jacob, tornando composto sul suo posto –Volevo semplicemente ringraziarti per il tuo aiuto… a modo mio-.
-Se vuoi ringraziarmi, fai pure- dissi –ma trova un altro sistema, sottospecie di pervertito!-.
Jacob stava per dire qualcosa, ma lo bloccai subito, puntando la matita contro il suo naso.
-Ora torniamo a questa cavolo di equazione, e non farmi più una scenata simile!-.
-Ok prof.. Mi arrendo!- disse lui, e finalmente riuscimmo a concentrarci di nuovo su Matematica.
 
 
 
Tornai a casa quella stessa sera accompagnata in macchina da Jacob. Prima di scendere, ci organizzammo per la prossima lezione privata in biblioteca. Dovevo fargli recuperare a tutti i costi i suoi votacci in Matematica, visto che di lì a pochi giorni avremmo avuto tutti un compito in classe.
-Mi raccomando, Jake- dissi, scendendo dall’auto –A casa dai una piccola letta alle regole delle equazioni prima di dormire-.
-Va bene, zeczi prof!- disse lui, sottolineando per bene la parola storpiata di sexy.  Feci un risolino per la battuta e ci augurammo a vicenda la buonanotte. Solo dopo esser entrata in casa sentii Jacob avviare il motore per poi andarsene.
-Ciao, mamma, sono tornata- dissi a gran voce, mentre sentivo l’aroma succulento delle bistecche entrarmi nelle narici. Di colpo la fame si fece sentire e lo stomaco cominciò a brontolarmi.
-Ben tornata, Leah- mi salutò Sue dalla cucina –Per favore, vai da tuo fratello e chiamalo per la cena, è quasi pronto ormai. E già che ci sei chiedigli perché appena entrato in casa si è rifugiato subito in camera sua e non è più uscito!-.
-Uhm… ok…- dissi, confusa. Seth che entra di corsa in camera sua?
Salii le scale, lasciai la mia borsa, il capotto e la giacca della divisa in camera, per poi dirigermi verso la stanza di Seth.
Prima ancora di arrivarci, però, notai una cosa strana in bagno. E quando ci entrai dentro, accendendo la luce, capii cosa mi aveva attirato l’attenzione.
L’armadietto a specchio sopra il lavandino era aperto, e da esso sbucava fuori una grossa striscia di tessuto bianca. Quando mi avvicinai di poco notai che non era carta igienica come avevo pensato in un primo momento, bensì era una benda che era stata tirata fuori dal kit di pronto soccorso.
Cosa diavolo stava combinando?
Uscii di corsa dal bagno e, senza pensarci due volte, mi fiondai nella stanza di Seth.
Spalancai con un colpo secco la porta, e rimasi paralizzata, a fissare la scena davanti ai miei occhi.
Seth era seduto sul suo letto in fondo alla stanza, i vestiti e qualche barattolo di non so cosa caduti a terra. Evidentemente prima stava utilizzando delle bende, perché quando mi ero presentata lui si era bloccato di colpo, tenendo con una mano il grosso rotolo di benda, mentre con l’altra mano se lo stava chiudendo attorno al petto nudo. Per non far intrecciare la benda era stato costretto persino a stringerne un pezzo con i denti.
Ma non fu affatto la sua stramba posa ad agghiacciarmi, bensì lo stato in cui si trovava il suo corpo.
Il suo occhio destro era completamente nero, il suo naso colava sangue così come la bocca. La parte di pelle nuda che non aveva ancora coperto, invece, era strapieno di lividi scurissimi.
Ci fissammo entrambi negli occhi, con i secondi che passavano lenti ed interminabili. Poi, senza che potessi aprire bocca per dire qualcosa, dall’occhio sano di Seth scese una lacrima.
Il ragazzino abbassò la testa, colpevole, lanciando via con rabbia il rotolo di benda, che cadde sul pavimento ai miei piedi. Seth prese poi un paio di forbici dalla sua scrivania e tagliò la striscia di benda che continuava dal suo petto al pavimento.
Mentre rimetteva le forbici al loro posto, io entravo silenziosamente nella sua stanza, chiudendo la porta alle mie spalle.
Mi avvicinai con cautela a mio fratello, per paura che una qualche mossa sbagliata lo agitasse troppo.
Mi sedetti sul letto al suo fianco, mentre lui si abbracciava le ginocchia e ci nascondeva tra di esse la testa.
Abbracciai il ragazzino, poggiando la testa sulla sua spalla. Il suo pianto,  anche se tentava di soffocarlo, si fece sentire, e questo mi costrinse ad aumentare la stretta.
-Non… non dirlo alla mamma…- disse lui tra un singhiozzo e l’altro.
-Non lo farò- gli dissi, accarezzandogli i capelli con affetto. Seth mollò la presa sulle sue ginocchia e ricambiò il mio abbraccio, piangendo più forte.
-Papà….- fece –Papà… dovrebbe essere qui… non è giusto…-.
-Lo so…- risposi, con un groppo in gola –Lo so…-.
 

 

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