La mia favola.

di Rayon_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** Reset. ***
Capitolo 3: *** Same Mistakes. ***
Capitolo 4: *** Over Again. ***
Capitolo 5: *** Faint hope. ***
Capitolo 6: *** Fight. ***
Capitolo 7: *** White. ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***




Prologo- Stop.
«Io non ce la faccio più così mamma! Mi hanno rovinata, mi sono rovinata! Quella che ho qui non è più una vita!» urlai girandomi sulla soglia della porta. La vidi passarsi una mano sul volto distrutta e un po' mi dispiaque, ma frenai le lacrime per evitare di trasformare tutto nell'ennesima scenata deprimente. 
«Ho-ho capito. Va bene.» Per un attimo la guardai confusa non capendo a cosa si riferisse. Poi puntò i suoi occhi neri come la pece nei miei, con uno sguardo indescrivibile, paura e sconforto, rabbia, tristezza, niente di buono e tranquillizzante. Mi faceva male vedere mia madre così, non era colpa sua. Era colpa mia se ora stava succedendo tutto quel caos, ma indietro non si torna più. «Fai quel che vuoi. Solo.. Solo promettimi che starai bene. Promettimi che non ricadrai nella vita che ti sei creata qui.» I capelli tascurati, gli occhi tristi, le occhiaie scavate forse ancora più delle mie. Feci per risponderle ma fui interrotta, ora potevo vedere un velo lucido ricoprire le sue iridi scure. «Promettimelo.» Ero rimasta imbambolata a guardarla. Mi sentivo in colpa, distrutta ancora più di quanto non lo fossi prima. «Promettimelo! Tu fallo e ti giuro che ti lascerò fare le tue scelte, non mi farò più sentire se tu non lo vorrai!» Il tono della sua voce si era alzato e anche se non lo credevo possibile fui travolta da un'ondata ti tristezza ancora più forte. «T-te lo prometto.» Mi  diede le spalle e a passo svelto percorse tutto il corridoio per chiudersi nella sua camera.
Mi risvegliai da quel flashback che mi faceva venire i conati di vomito per l'ansia, chiusi la penna e la lasciai lì vicino al bigliettino di carta stroppicciata. Strinsi con una mano il ciondolo con la A di Amanda che avevo preso dal suo cofanetto. Nel foglietto le avevo anche scritto di non preoccuparsi perché non l'aveva perso, me l'ero preso io come ricordo. E le avevo lasciato il mio con la W di White. Che poi il mio primo nome era Shannon, ma lei aveva voluto darmi il secondo nome White perché era il suo colore preferito, e per via della mia pelle estremamente chiara. Mi aveva sempre chiamata White. E il colore l'aveva proprio azzeccato, perché in quel momento il bianco mi rappresentava anche meglio del nero.
Mi alzai cercando di non far rumore, erano le quattro di mattina e mia madre dormiva sola nella sua camera. Aprii la porta, uscii, diedi un'ultimo sguardo all'interno, e la richiusi, per sempre.
Dovetti aspettare qualche minuto seduta sul muretto con un paio di borse, poi il taxi arrivò puntuale. Mentre l'uomo sulla cinquantina metteva le borse a modo suo nel bagagliaio mi sedetti sui sedili in pelle, dalla parte opposta della casa per non avere rimorsi. E mentre piano il paesaggio cominciava a cambiare decisi di pensare alla nuova vita che avrei potuto iniziare in un posto così lontano dal mio passato in Georgia.


 
Buona sera. 
Dopo una moltitudine di storie che ho cancellato perché mi avevano stufato o per latri motivi, eccomi con una nuova storia. Ho già pronti alcuni capitoli e vi avevo già anticipato che l'avrei pubblicata nello spazio autrice della os Saver ed eccomi qui. Hi deciso di interrompere anche Love Is Forever sia perché non mi convinceva lo stile della storia, sia perché non era molto seguita. Quindi eccomi, a provare a scrivere una storia ancora diversa rispetto alle altre.
Vorrei sottolineare un particolare: come potete notare la storia ha come protagonisti un nuovo personaggio e Zayn Malik; il personaggio di Zayn non ha nulla a che fare con one Direction e con la sua reale personalità, ho scelto lui come protagonista perché mi piace il suo aspetto, mi piacciono i suoi modi di fare e si addiceva perfettamente alla storia. Quindi potete tranquillamente anche se nutrite un odio profondo verso quei poveri cinque ragazzi odiati da mezzo mondo e amati dall'altra metà. 
Che dire, so che non potrete dire molto su questo breve prologo ma spero in qualche recensione da parte vostra, mi farebbe piacere. Il primo capitolo è già pronto ma non lo pubblicherò prima di lunedì o martedì prossimo.
Per qualsiasi cosa mi trovate su twitterfacebooktumblr e ask.

 
 

Baci, Rayon.

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Capitolo 2
*** Reset. ***




Capitolo 1-Reset.
La canzone che avevo scelto la sera precedente partì nel telefono all'ora che avevo inserito per svegliarmi. Mi alzai da quel letto che mi pareva ancora estraneo dopo quattro giorni e andai in bagno per farmi una doccia. Erano le sei e cinquanta, la prima lezione era alle otto e dieci, ma mi ero voluta svegliare per tempo sia per fare con calma, sia perché dovevo arrivare a scuola a piedi.
Uscii controvoglia da quella stanza calda e rassicurante evitando accuratamente di guardare lo specchio, ed entrai in camera per indossare qualcosa. Presi un paio di Jeans troppo larghi per me anche se erano della taglia più piccola, ed un maglione scuro maggiore di tre taglie rispetto alla norma. Non mi truccai, non indossai niente di particolare, sia perché di particolare non avevo niente, e sia perché farmi notare era l'ultima cosa che volevo.
Mi lavai i denti, e per renderli presentabili spazzolai un po' i lunghi capelli neri come gli occhi di mia madre, che non somigliavano affatto ai miei di color grigio nauseante. Infilai le Converse nonostante la sottile pioggia che non cessava di scendere, presi lo zainetto in pelle nera con dentro giusto il portafoglio, un diario, il telefono e le sigarette, tirai su il cappuccio del maglione ed uscii di casa pronta per il primo giorno nella nuova scuola.
Camminai per una ventina di minuti, e fortunatamente dopo i primi cinque la pioggia aveva cessato di scendere. Mi ero soffermata a guardare quanto le strade di Bristol fossero diverse da quelle americane. Qui era raro vedere grandi ville con giardini rigogliosi, le case erano più alte che larghe e la maggior parte possedeva tetti appuntiti per far scivolare la neve quando ne cadeva troppa. L'atmsofera era più grigia e silenziosa, e quello era uno dei principali motivi per cui pensavo che mi sarei trovata meglio, mi rispecchiava.
Quando arrivai nel grande cortile dell'edificio i ragazzi presenti erano ancora pochi, così mi misi in un angolo per aspettare il suono della campanella e rimasi abbastanza sorpresa di vedere l'enorme quantità di ragazzi che nel giro di dieci minuti aveva riempito e reso chiassoso quel luogo. La campanella suonò ed io aspettai un paio di minuti per evitare di essere travolta dalla folla, poi entrai con gli ultimi rimasti fuori e seguii le indicazione per raggiungere la bidelleria.
«Buongiorno!» Sorrisi alla signora piuttosto in carne che mi parlava da dietro un bancone.
«Sono Shannon Wood, ho fatto l'iscrizione l'altro ieri, posso avere il mio oraro di oggi?». La vidi annuire e poi cercare qualcosa trra le varie scartoffie, finché non trovò un foglio con una tabella nero su bianco.
«Ecco, questo è il tuo orario sttimanale, ora sei nell'aula A7 di biologia, è nel secondo piano.» mi informò mostrandomi il foglio. Annuii e me ne andai ringraziandola. 
Non c'era quasi più nessuno nel corridoio e ne fui grata perché altrimenti trovare l'aula sarebbe stato ancora più difficile di quanto già non lo era.
Guardai il piccolo foglio attaccato alla fine della scala, a destra i numeri pari e a sinistra quelli dispari. Presi il corridoio di sinistra e passai tutte le aule dalla prima alla numero sette.
La porta era ancora aperta, gli alunni erano già dentro a fare chiasso mentre il professore -o professoressa- non c'era ancora. Ringraziai anche di questo perché avrei potuto evitare la classica presentazione alla classe. Entrai cercando di non farmi notare anche se mi ero accorta dei diversi sguardi straniti su di me. Non sapevo se erano cattivi, curiosi o altro, preferii guardare a terra e dirigermi all'unico posto libero in un angolo della classe. Mi sedetti in una delle due sedie della coppia di banchi e non sapendo cosa fare presi il telefono e lo misi in silenzioso.
«Quello era il mio posto.» Mi sorprese una voce. Era una voce da maschio, piuttosto bassa, e anche se non aveva avuto un tono cattivo o prepotente ne ebbi paura. Alzai lo sguardo timorosa e notai che in viso aveva un'espressione strana, che lasciava trasparire delle domande. Come biasimarlo, c'era una poveraccia sconosciuta seduta al suo banco. «Scusa.» Non era esattamente il tono che avrei voluto ottenere visto che ne uscì un verso strozzato, ma comunque feci per prendere le mie poche cose e spostarmi accanto prima di venire interrotta. «Non importa, tranquilla.» Non risposi mentre si sedeva, ma con la coda dell'occhio riuscii a vederlo sorridere e mi ricordai che lì potevo essere chi volevo, nessuno mi conosceva, nessuno ancora mi disprezzava.
«Comunque io sono Travis Jatrob.» bloccai definitivamente il telefono capendo che non aveva intenzione di lasciarmi nel mio mondo. Pensai che non dovevo esserene dispiaciuta, per la prima vlta nella mia vita qualcuno si faceva avanti per conoscermi e non ero costretta e chiudermi nel mio guscio.
«Shannon Wood.» Replicai con un sorriso piuttosto timido.
Le due ore di lezione passarono piuttosto velocemente tra bigliettini passati e battute squallide, e la seconda campanellà suonò interrompendo la spiegazione del professore di bilogia. Qualcuno si segnò le pagine da studiare, la maggior parte ritirò la sua roba per fare il cambio di classe, io compresa.
«Ti va di uscire oggi? Ti faccio visitare un po' la città.»
Sentii la proposta e capii che era rivolta a me visto che Travis mi stava guardando. Mi diedi uno schiaffo mentale per la mia stupidita, a chi poteva rivolgersi proponendo una visita della città? A qualcuno che viveva lì dalla nascita?
«Certo.» Infondo non avevo nulla da fare, conoscere la città e fare un giro con una nuova persona mi avrebbe fatto solo bene.
«Ci troviamo alle quattro davanti alla biblioteca in centro okay?» Chiese lui mettendo a posto la sedia. «Ehm..» Stavo giusto per dirgli che non avevo la minima idea ne di dove fosse il centro, ne di dove fosse la biblioteca, quando lui sembrò leggermi il pensiero.
«Ho capito, alle quattro qui davanti a scuola.» Annuii e gli sorrisi riconoscente, poi entrambi uscimmo ed io mi fermai per guardare sul foglio il corso che avrei avuto nell'ora seguente.
Due e cinque del pomeriggio, l'ultima campanella suonò ed uscii dall'aula di matematica. Gli alunni di quella lezione erano molto numerosi, tanto che mi ricordai solo un paio di nomi dall'appello. Avevo parlato con una ragazza a cui ero finita vicino, aveva un anno in più di me perché era stata bocciata ed era la seconda volta che faceva la quarta. Non era male come tipo, una ragazza normale, forse un po' addormentata ma non era male. 
La salutai e uscii seguendo la massa di ragazzi che come me usciva a quell'ora. 
Lì non era come in America, non c'erano armadietti e non c'era la pausa di due minuti alla fine di ogni lezione per darti il tempo di cambiare i libri. lì la campanella suonava, tu raccoglievi la tua roba e ti spostavi nell'altra aula. Non era molto conveniente come cosa poiché dovevi caricarti la borsa con tutti i libri e avevi poco tempo per spostarti, ma nonostante i piccoli particolari come quello la scuola mi piaceva. I professori non ti prendevano sul personale, per loro eri un semplice alunno e non cercavano di avere stupidi approcci. In generale nessuno ti calcolava più di tanto, ognuno andava per la sua strada, e la cosa iniziava a piacermi.
Pensai che forse per me era davvero arrivato il momento di avere un po' di fortuna.
Presi una delle mie Malboro rosse e l'accesi perché mi facesse compagnia durante il mio ritorno verso casa.
Camminai guardandomi intorno e cercando di memorizzare i palazzi e i negozi che c'erano in quella sezione di città. 
Quando passai davanti ad un fast food venni persuasa da un forte odore di cibo che mi fece venire la nausea, e che mi ricordò che non avevo comprato nulla da poter mangiare a casa. 
Per un attimo mi passo per la testa che potevo anche fare a meno di mangiare, di fame non ne avevo troppa, ma poi mi ricordai della promessa che avevo fatto a mia madre, così presi un respiro ed entrai in quel locale con un nome strano.
Presi una di quelle insalate già condite con mais e robe varie dentro, mi misi in coda e dopo aver pagato uscci per mangiarla. Sarei anche rimasta dentro se l'odore di cibo non fosse stato così forte da farmi passare la voglia di mangiare.
Mi sedetti su una panchina a gambe incrociate, tirai su malamente i capelli legandoli con l'elastico che avevo al polso e mangiai osservando i vari modi di fare delle persone che passavano di lì.
«E questo è Giulius, è un ristorante di quelli di classe, ti giuro che la tagliata che fanno qui è una delle migliori della città.» Risi per il suo modo di parlare, nonostante il solo pensireo di una grossa tagliata con troppe spezie e il rivolo di sangue per la poca cottura mi facesse venire il vomito.
«Ti manca solo la bavetta.» Lo presi in giro. Mi stupivo sempre più di me stessa, erano già diverse volte che perlavo senza neanche rendermene conto, e che ridevo senza farlo per finta. Ero pessimista e sapevo che non sarebbe stato sempre tutto perfetto, ma una vita così mi andava più che bene.
«Comunque il tour è finito.. Se ti va io non ho niente da fare, possiamo andare in un locale a prenderci qualcosa.» Pensai alla sua proposta, era davvero gentile come ragazzo, e avrei accettato volentieri se non mi fossi accorta dell'ora.
«Ehm mi farebbe piacere ma è tardi.. Sono stanca e devo andare a comprare due cose, magari un'altra volta.» Ci fermammo vicino al parcheggio della scuola, da dove eravamo partiti. Ero davvero stanca, e dovevo anche andare a fare la soesa per avere qualcosa a casa.
«D'accordo. Allora io vado, vuoi un passaggio?» Indicò la sua auto blu scura in uno dei posteggi. «No grazie.» Sorrisi, lui ricambiò. «Okay, allora ci vediamo domani Shannon!» Disse allontanandosi  verso la sua auto. Io annuii anche se era di spalle. «Ciao Travis!» Fece un cenno con la mano e salì in auto.
Lo guardai allontanarsi e poi mi avviai verso un piccolo supermercato che lui stesso mi aveva mostrato.
Era strana la sensazione che provavo, o almeno strana per me. Non mi ero mai sentita così. Forse perché non avevo mai provato a scappare da una vita per ricominciarne un'altra. In qualunque caso non era una brutta sensazione. Non ero proprio felice perché un po' di paura, ma non ero triste; mi sentivo nuova. Stavo incominciando ad abituarmi al fatto di essere semplicemente Shannon White Wood, niente di più niente di meno, niente soprannomi e nessuna risatina alle spalle.
In quel momento credetti che nessuno potesse capirmi, perché nessuno poteva immaginare il mio modo di pensare. Di certo quando vedi una ragazza nuova nella tua classe, o nella casa accanto, la prima cosa che pensi non è che sia una ragazza che per paura di affrontare il suo passato, per la sconfitta che ha subito, per il rifiuto della sua società ha deciso di scappare senza preoccuparsi delle conseguenze.
Forse non riuscirete a capire, ma ci provo lo stesso. Avete presente cosa significhi essere una persona che non vuoi essere perché gli altri ti costringono? Avere talmente paura di affrontare i problemi che finisci per sfogarti nei modi più sbagliati possibili. Essere umiliata davanti a tutte le persone con cui stai cercando di acquistare dignità. Essere delusa. Rimanere da sola. Piangere ogni sera mentre ti compatisci davanti ad uno specchio. Svegliarsi la mattina e pensare che non c'è un reale motivo per cui alzarsi. Pensare che non ne vale più la pena. Avete presente cosa vuol dire avere perso ogni speranza? Significa non avere nessun motivo per vivere. E quando stai così ti senti vuota, bianca, debole, uno 
straccio così schifoso che non può essere utilizzato nemmeno per pulire il cesso.
E quello straccio debole ero io. Ed era stato facile per gli altri strapparmi definitivamente e buttarmi nella spazzatura. 
L'unica in grado di ricucirmi un po' era stata mia madre che ha evitato un probabile suicidio, ma le cicatrici erano indelebili, e farmi vedere così distrutta aveva solo peggiorato le cose.
Per questo avevo deciso di andarmene, di prendere il primo volo per un posto lontano e cominciare una vita dove nessuno era a conoscenza dei miei numerosi buchi e strappi.
Sapevo perfettamente che sarebbe stata dura, che sarei stata sola a lungo e che non si sarebbe trasformato magicamente in una favola, ma ora avevo quel piccolo spiraglio di luce che mi spingeva ad alzarmi la mattina.






 
Ehi.
Come state? Io normale, se non per qualche strano disguido nella mia vita, di cui credo non vi interessi molto, lol.
Allora, il primo capitolo è più lungo del prologo, anche se abbastanza breve, in realtà avevo aggiunto un'altra parte ma ho preferito concludere così.
Che dire, spero che vi piaccia e che vi spinga ad andare avanti nella lettura.
Per qualsiasi cosa contattatemi qui su efp, oppure su twitter, facebook, tumblr, ask.


 
Baci, Rayon.

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Capitolo 3
*** Same Mistakes. ***




Capitolo 2- Same mistakes.
La campanella dell'ultima lezione suonò e improvvismanete mi risvegliai dal semi-coma in cui ero caduta ascoltando la professoressa di Storia. Giovedì, penultimo giorno della settimana. Anche questo era strano per me, io andavo a scuola fino a sabato e non avevo rientri. Lì si andava a scuola solo fino al venerdì e alcuni giorni si usciva alle due. Ma forse era meglio così.
Uscii dalla classe per andare a cercare Travis che mi aspettava in cortile. Quel giorno mi aveva invitata a pranzare con dei suoi amici, e non mi era sembrata una cattiva idea dato che erano piuttosto simpatici. Un po' volgari, ma niente male. Forse invece che un solo amico avevo trovato un nuovo gruppo di persone che avevano voglia di scoprirmi.
«Ehi!» Lo salutai pizzicandogli i fianchi da dietro con una spontaneità che non mi era mai appartenuta, o che forse non avevo mai avuto possibilità di scoprire.
«Shannon!» Sorrise e mi salutò con un bacio sulla guancia come faceva ormai da un paio di giorni. Subito ero piuttosto stizzita per via di quei gesti, l'abitudine mi aveva portata ad allontanarmi dalle persone che si avvicinavano troppo, ma poi avevo realizzato con grande piacere che lui non era lì per prendermi in giro, lui non mi conosceva.
«Vieni, gli altri uscivano all'una e sono lì che ci aspettano.» Lo seguii in auto e partimmo per un locale con il nome di "Stephen Joe" in cui non ero mai stata.
«Com'è andata oggi?» Chiese lui, forse più per colmare il silenzio che per interesse.
«Ma si, il prof di matematica è simpatico!» Lui sorrise leggermente.
«Finché gli stai simpatica si. Ad esempio a me mi tratta come una merda.»
«Non si dice "a me mi". Comunque cosa gli hai fatto di male?» chiesi deducendo dalla sua affermazione.
«Niente di che, ho una media del quattro.» Risi per il modo abbattuto in cui l'aveva detto.
«Beh, meglio che tre.»
Anche lui rise, poi l'auto si fermò in un parcheggio lungo la strada.
«Eccoci.»
Non appena lui aprì la portiera io lo imitai e lo seguii per attraversare la strada.
Il gesto che azzardò in quel momento mi fece irrigidire e mi portò alla reazione quasi automatica di girarmi e tirargli uno schiaffo. Poi socssi la testa violentemente, ero una stupida. Era una cosa normale, tra amici, che uno circondasse le spalle dell'altra con un braccio, no? E io ero veramente troppo preoccupata. 
«Tutto bene?» mi trovai a sentir chiedere.
Annuii nel modo più convincente possibile e poi lasciai il posto ad un sorriso innocente mentre mi guardava poco convinto. Per un attimo pensai che avesse capito qualcosa di troppo, ma quando scosse la testa sogghignando capii che ancora una volta ero stata troppo cndizionata dal mio pessimismo.
«Tu sei strana.»
Nel frattempo il semaforino per i pedoni era diventato verde, così attraversammo ed entrammo nel locale lì di fronte.
Travis salutò il proprietario come se lo conoscesse da una vita, io azzardai un sorriso e lo seguii verso un tavolo dove i suoi amici lo accolsero calorosamente.
«Ciao!» Mi limitai ad un saluto collettivo accompagnato da un sorriso e seguii Travis per sedermi accanto a lui.
Subito arrivò un cameriere sulla ventina d'anni per prendere le ordinazioni, io presi una delle solite insalate e cominciammo a parlare.
«Mh, giusto, mi sono dimenticato di dirvelo!»
Tutte le atternzioni si spostarono su un ragazzo biondo scuro che mi sembrava si chiamasse Josh.
«Questa sera c'è una festa all'Old West, è per il compleanno di quel tizio ricco, credo che si chiami Richard. Comunque ha organizzato la festa nella discoteca e pare che ci sarà molto da divertirsi!»
«Josh, se è una festa privata ci va l'invito.» Lo interruppe un'altro ragazzo moro di cui ancora non avevo imparato il nome.
Guardammo tutti Josh mentre entusiasta per chissà quale motivo cercava qualcosa nel suo zaino.
«E io ho le prevendite per tutti!»
Ci fu un urlo di esultanza da parte di tutti, mentre io sorridevo in silenzio consapevole che non ne avrebbe avuta una per me e che comunque non ci sarei andata.
Ne passò una a ciascuno e rimasi davvero sorpresa del fatto che ne avesse una anche per me. Li guardai esultare e battersi i pugni prima di interromperli.
«Grazie mille Josh ma.. Questa volta passo.»
«Hai un bell'accento piccola.»
Mi rispose lui come se niente fosse.
"Piccola". Evitai un improvviso flashback concentrandomi sulla conversazione.
«Davvero, n-non posso.»
Era troppo presto. Troppo presto per andare così oltre, troppo presto per rivivere il caos, la musica ad alto volume e l'alcool.
«E andiaamo!» Provò a convincermi uno dei ragazzi.
«Cosa c'è che non va?» Mi intimò Travis. Gli risposi scuotendo la testa come a dirgli di lasciar perdere. «Andiamo, ci vieni con me.» La sua proposta mi lasciò sorpresa. Andarci con lui. Mi aveva davvero invitato ad andare ad una festa con lui. «Per favore.» All'ultima richiesta con tanto di sorriso innocente decisi che mi potevo fidare.
«D'accordo.» Esultarono insieme per un motivo abbastanza impreciso e Travis mi diese un bacio sulla guancia come a.. Ringraziarmi?
Ero arrivata anche a pensare che quello fosse tutto un sogno troppo bello per essere vero, e che da un momento all'altro mi sarei risvegliata nel mio letto con la solita carica di angoscie che mi spingeva ad aver paura di tutto e di tutti.
«Eccomi ragazzi!» il cameriere di prima tornò con diversi piatti sulle braccia e servì tutti tranne uno dei tre amici di Travis, che dovette aspettare qualche minuto in più per il suo piatto di pasta.
«Dovresti mangiare un po' di più.» Mi suggerì uno dei ragazzi, Josh, mentre guardava indignato la porzione di insalata che avevo nel piatto.
La sua affermazione mi fece venire un'improvvisa nausea che cercai di cacciare via con un sorso d'acqua fersca.
«Oggi non ho fame.» Tagliai corto con un'alzata di spalle.
Non sembrò importare a nessuno, e anche se infondo sapevo che degli amici averi non avrebbero lasciato correre, ne fui grata.
Mangiammo per poi decidere di fare una breve passeggiata insieme. La frase di Josh mi aveva notevolmente peggiorato l'umore anche se non riuscivo ad ammetterlo, e cercai di non darlo a vedere mentre camminavo sotto il braccio protettivo di Travis, che mi aveva poi accompagnata a casa.
«Quindi ci vediamo sta sera?» Mi chiese prima che potessi chiudere la portiera.
«A quanto pare.» Cercai di sorridere sollevando le sapalle.
«Passo a prenderti alle nove e mezza.»
«Okay.» Mi sorrise, ricambiai, poi mentre ripartiva mi girai per entrare nel condominio in cui affittavo un piccolo alloggio.
Mi chiusi la porta alle spalle e sbuffai appoggiandomici contro, senza un apparente motivo. Cercai anche questa volta di non pensare troppo, e guardai l'ora per decidere cosa fare nel tempo libero. Mi sembrava quasi di essere una pazza: andare avanti come se non fosse mai successo niente, fingere di essere una normale ragazza, mentire anche a me stessa pensando di poter trasformare la mia vita. Nascondere la mia fragilità è l'insicurezza dietro ad un sorriso. Far finta di essere matura e sicura di me. Era tutto così stupido. Ma se davvero fosse servito allora perché non provarci?
Erano le quattro meno un quarto. Andai in camera chiudendomici dentro e decisi di provare a studiare un po' di fisica visto che a breve avrei avuto una verifica e non ci avevo mai capito niente.
Mi sedetti a gambe incorciate sul letto, raccolsi i capelli in uno chignon venuto male, infilai gli occhiali da vista che mi rendevano più brutta di quanto già non fossi ed aprii la pagina ottantuno con i fogli degli appunti accanto.

«Basta!»
Sbottai improvvisamente mentre leggevo qualcosa di incomprensibile. Buttai in dietro il busto convinta di atterrare sul letto ma inevitabilmente sbattei la testa contro il muro di color rosa antico troppo vicino. Mi piegai autromaticamente in avanti massaggiandomi il punto dolente.
«Cazzo White sei una ritardata cronica.» Mi ammonii da sola con gli occhi lucidi per il dolore. Parlavo spesso da sola. Più che altro mi insultavo da sola per gli sbagli che facevo.
Mi allungai per prendere il cellulare e guardai l'ora, mi stupii di me stessa quando notai che erano più di due ore che studiavo.
Mi stiracchiai la schiena prima  di chiudere il libro ed alzarmi per andare in bagno.
«Cazzo.» E caddi rovinosamente a terra dopo aver provato a fare un passo con una gamba addormentata. Sentii il sonoro rumore del mio gomito che sbatteva contro al comodino e mi insultai mentalmente ancora una volta. Forse stavo diventando più fortunata per quanto riguardava la vita, ma sicuramente la sfiga non aveva ancora smesso di seguirmi.
«Così finirò per uccidermi da sola.»
Mi alzai con calma e presi l'intimo pulito dal cassettone che era ancora ordinato nonostante fosse passata già una settimana inoltrata, ed entrai in bagno. Feci scorrere l'acqua calda mentre mi svestivo inevitabilmente davanti al grande specchio sopra al lavandino. Per un attimo il mio sguardo si posò proprio lì e stavo per venire assalita dai pensieri della vecchia me, ma raccogliendo le poche forze che avevo mi girai dalla parte opposta ed entrai nel caldo ristoratore della doccia.
Restai immobile per diversi minuti e chiusi gli occhi, forse cercando un calore che non si può trovare neanche con la temperatura più bollente. Calore umano forse.
E quando aprii gli occhi stavo piangendo. Lo stavo facendo ancora. Anche se mi ero ripromessa di non farlo mai più. Piangevo perché quando ero lì da sola la mia maschera di cemento si scioglieva lasciando scappare la vera me, quella fragile. Quella silenziosa, quella che ha paura di vivere. Quella che pensa troppo al giudizio degli altri. Quella che sa solo mentire a se stessa per convincersi che alla fine un po' di fortuna ce l'ha. Ma io di fortuna non ne avevo un minimo. E la vita non è una favola.
Mi lavai con calma e stanchezza cercando di ricostruire quella barriera che avevo distrutto poco prima. Quando uscii erano le sei e mezza passate, e la mia testa era stata riempita di baggianate che cercavano di convincermi che ricominciare tutto senza affrontare i problemi fosse la scelta giusta. Spazzolai un po' i capelli e li asciugai alla buona lasciandoli diventare mossi poiché non avevo voglia di stirarli. Poi tolsi l'accappatoio e indossai i vestiti presi precedentemente.
Mentre andavo verso il salotto avevo anche pensato di non cenare, sia perché non avevo fame, e anche perché più tardi serai dovuta uscire e mangiare avrebbe creato quell'odioso rigonfiamento nella mia pancia. Ma ancora una volta quel pensierò bastò a farmi venire i sensi di colpa per la promessa che avevo fatto a mia madre, così decisi che non potevo, non potevo farlo, dopo quello che le avevo fatto passare non potevo. Quindi mi fermai un attimo, chiusi gli occhi, tirai un profondo respiro e andai in cucina per preparare qualcosa che non fosse una stupida insalata.
Forse quella promessa a qualcosa era servita.
Non appena il campanello suonò spensi la tele, infilai le converse, presi la mia borsa ed uscii.
Era una strana sensazione quella che ancora una volta provavo. Paura, insicurezza, ma allo stesso tempo fiducia e felicità.
«Ehi.» Salutai Travis chiudendo il portoncino dell'edificio.
«Sei un incanto.» Mi disse lui prima di baciarmi la guancia.
«Sei consapevole del fatto che ho addosso un paio di jeans, una camicia e un maglioncino, vero?» Ridemmo entrambi mentre salivo in auto.
«Si, ma si usa dire così per conquistare una ragazza, no?» Risi lievemente anche se quell'affermazione mi aveva lasciata piuttosto perplessa. Conquistare una ragazza. Avrei -giusto per cambiare- mentito a me stessa se avessi nascosto che avevo pensato a lui come qualcosa in più, ma non così, non così in fretta. 
In qualunque caso non ci diedi molto peso e ci passai sopra, ormai ci avevo fatto l'abitudine negli ultimi tempi.
«Dove andiamo?» Chiesi sia perchè non mi ricordavo il nome del locale, sia per interrompere il silenzio.
«Old Wild, è una delle discoteche più belle della città.»
«Capito.»
Anche se non ero per nulla sicura di ciò che facevo pensai che fosse normale accendere la radio. Il silenzio era straziante così allungai il braccio per premere il bottone.
Ero così io, mi facevo tanti complessi che mi rovinavano più di quanto non fossi già distrutta.
Quando si girò a guardarmi pensai che non avrei dovuto farlo, ma poi sorrise, e tutto sembrò sistemarsi. Dovevo mettermi in testa che era un ragazzo a posto, e che era un mio amico.
«Oh, ti prego, cambia stazione!» Mi sentii dire non appena partì una carinissima canzone di un ragazzo americano.
«Non ti piace?» Domandai incuriosita dalla sua reazione un poco esagerata.
«Non dirmi che ascolti quel coglione, per favore.»
Stavo giusto per controbattere che non aveva niente di così male ma poi mi fermaie pensai che sarebbe stato meglio avitare una discussione. Alzai le spalle un po' indispettita e cambiai stazione come aveva chiesto, infondo in un amicizia bisognava anche fare qualche sacrificio, no?
Poco dopo sembrò volersi scusare anche lui, perché si girò e mi guardò in modo strano.
«Scherzavo Shannon, metti quello che vuoi.» Poi mi sorrise con un'espressione che non aveva molto di rassicurante. Ancora una volta pensai che fosse solo una mia stupida idea e alzai le spalle.
«Non importa, è carina anche questa.»
Dopo cinque minuti scarsi eravamo già arrivati al locale, e ci recammo al piano bar dove gli altri ragazzi ci aspettavano.
«Ehi ragazzi!» Josh fu il primo a vederci e salutarci, facendo così voltare tutti gli altri.
Mentre Travis e i ragazzi si salutavano a modo loro io sorrisi a tutti ed evitai il più possibile  il contatto fisico.
«Stavamo aspettando giusto voi per brindare, venite!»
Seguimmo Josh e gli altri ad un tavolo appartato dove la musica era un po' meno forte.
I ragazzi erano tre, più Travis, di femmina c'ero solo io, come a pranzo. 
Neanche feci caso al fatto che un barista era appena arrivato e aveva consegnato un bicchiere di birra a ciascuno, probabilmente ordinata prima dagli altri.
«Dunque, io brinderei alla prima vera serata dell'anno e.. Alla nuova arrivata!» Urlò Josh alzando il bicchiere e guardandomi divertito. Lo imitammo tutti e facemmo tintinnare i bicchieri prima di bere insieme. Dopo gli avvenimanti non esattamente piacevoli che avevo passato mi ero ripromessa di non bere più alcolici forti, ma una birra non avrebbe fatto male a nessuno, così non mi feci problemi.
Parlammo per un po', finché la gente non aumentò e la musica si fece più movimentata. In quel momento fui quasi costretta a scendere con loro per andare a ballare. Un'ora prima non avrei mai pensato di scendere in pista e divertirmi, ora invece ero perfettamente a mio agio a scatenarmi con Travis appiccicato. C'era qualcosa di strano, ma non mi importava più di tanto.
Ballammo per quasi un'ora, ormai era mezzanotte e le gambe cominciavano a fare male. Così, anche se controvoglia, decisi di andare a prende una boccata d'aria. Era tutto strano, mi girava anche un po' la testa, e non riuscivo a smettere di ridere.
«Travis!» Lo chiamai una prima volta e quando non mi sentì mi aggrappai alla sua spalla per farlo girare. Anche lui rideva, aveva qualche rivolo di sudore che scendeva sulle tempie.
«Vado un attimo fuori, torno subito!» Lo avvisai e lui annuì.
«Vengo con te!» Non rifiutai e spintonammo un po' di persone per arrivare all'uscita.
Sospirai non appena fummo fuori, stavo iniziando ad avere veramente caldo e anche se mi stavo divertendo non mi sentivo così tanto bene.
«Bella festa eh?» Chiese lui mentre ancora le orecchie mi rimbombavano.
«Già!» Risi mentre quasi inciampavo sui miei stessi piedi.
«Travis puoi accompagnarmi alla macchina? Ho lasciato dentro la borsa e mi serve una sigaretta.» Chiesi mettendomi a braccetto con lui in modo molto -troppo- spontaneo.
«Certo Cara.» Mi fece ridere persino il modo in cui aveva risposto.
Raggiungemmo l'auto blu scura e quando le lucine arancioni si illuminarono capii che potevo aprire. Mi allungai per prendere l'astuccino ed un accendino mentre lui era dietro di me. Quando mi risollevai era accesa e gli soffiai il fumo in faccia da vicino. Lui rise. Quando feci un altro tiro lui me la prese e la portò alla sua bocca per aspirare. Ci soffiammo il fumo in faccia contemporaneamente, era divertente. Scoppiammo a ridere entrambi e quasi persi l'equilibrio, tanto che le sue mani divettero afferrarmi per evitare una disastrosa caduta. Risi ancra appendendomi a lui, con la testa poggiata al suo petto, mentre lui prendeva un altro tiro dalla sigaretta che aveva ancora in mano. Quando finii di ridere alzai la testa, e mi ritrovai a pensare che il suo viso fosse vermanete molto vicino. Non tardò a soffiare fuori il fumo grigio ed io schiusi la bocca per aspirare la sostanza.
Chiusi gli occhi per bearmi di quella sensazione, e del fiato caldo di Travis che mi solleticava le labbra provocandomi.. Piacere?
Non passarnono neanche due secondi che già sentivo due labbra morbide e carnose giocare sulle mie che rispondevano al gioco. E la cosa strana era che, oltre al fatto che provassi piacere, non pensai nemmeno per un attimo che fosse sbagliato, non ebbi paura, e mi sentii sicura di me stessa. Ed era davvero strano, ma semplicemente non riuscii neanche a pensarci mentre lui riapriva la portiera chiusa poco prima e ci si sedeva dentro portandomi con se.
Il bacio durò per un tempo abbastanza indefinito mentre le sue braccia mi stringevano la vita.
I miei occhi rimasero chiusi fino al momento in cui non potei fare a meno di spalancarli. Sentii un lieve gemito e poi una mano scendere verso il bottone dei miei jeans.
«Se avessi messo un vestito sarebbe stato tutto più semplice.» Rise sulla mia bocca mentre indietreggiavo per staccarmi dal bacio. Forse quel movimento un po' troppo azzardato mi aveva riportato un po' di lucidità perché improvvisamente capii che non doveva succedere. Che era tutto sbagliato.
«Travis.» Lo chiamai piano cercando di mettere le mani contro il suo petto per allontanarmi. Le sue braccia continuavano a stringermi a lui mentre una scese al mio sedere.
«Travis, Travis no. Per favore.» Riuscii finalmente a staccarmi dalle sue labbra e con una faccia più che schifata spinsi sulle sue spalle per allontanarlo ancora. Le sue braccia però rafforzarono la stretta mentre rideva nell'incavo del mio collo e alzava il bacino verso il mio.
Sentire la sua erezione fu la goccia che fece traboccare il vaso. Fui invasa dai ricordi e dalla paura, sentivo le mani e le braccia fremere per correre veloce, ancora una volta il suo bacino si scontrò contro la mia intimità mentre cercavo di liberarmi dalla sua stretta.
«Andiamo, si tratta solo di divertirsi un po' puttanella.» Le sue parole mi ferirono nel profondo ma non riuscii neanche a soffermarmi su queste perché la sua bocca cominciò a baciarmi il collo sorpassando poi le clavicole. Dopo uno scontro di bacini e un forte conato di vomito riuscii in quache modo ad aprire la portiera e buttarmi fuori. 
«Merda, dovevo fartelo più forte. Reggi bene Tesoro, non pensavo saresti ancora stata in grado di pensare.»Caddi sulle ginocchia per la poca stabilità ma subito trovai la forza di rialzarmi mentre sentivo lui pronunciare altre parole che non riuscivo a capire per la confusione. Sentivo rumore, tanto rumore nella mia testa. Iniziai a correre con tutte le forze che avevo, per quanto ci riuscissi.
«Non potrai scappare per sempre!»
Fu l'ultima cosa che riuscii a sentire prima di essere troppo lontana dalle sue urla.
 Corsi a casa, imboccai diverse volte la strada sbagliata ma ci arrivai, col fiato corto, con la testa che girava, con dolori ovunque, con le lacrime sul viso e la vista appannata. Corsi a casa e mi fiondai nel piccolo bagno. Mi inginocchiai senza forze e vomitai l'anima.



 
Buon pomeriggio.
Come state? Io tutto bene, abbastanbza, non sto qui a raccontarvi la mia vita ;)
Se volete parlare con me o discutere di quualsiasi cosa sotto metto i link dei miei profili e blog.
Parlando della storia, inzia a succedere qualcosa di interessante. Travis si dimostra per quel che realmente è, e Shannon ancora una volta viene delusa e si maledice per ciò che ha fatto. Qualunque cosa le succeda non porta mai nulla di buono, ha un particolare istinto ad avvicinarsi a ciò che non deve. Si sta distruggendo e ha bisgno di essere salvata.
E chissà chi entrerà nella storia? Direi che è abbastanbza prevedibile, visto che uno dei due protagonisti della storia è Zayn Malik. Vorrei sottolineare, come già ho fatto nello spazio autrice del prologo, che nella storia non c'è praticamente nessun riferimento al reale personaggio di Zayn Malik, se non per l'aspetto fisico e alcuni modi di fare. Quindi, se siete persone che a priscindere odiano i One Direction, sappiate che state leggendo una storia originale che ha come protagonista un ragazzo con le sembianze di Zayn Malik e con il suo nome. 
Ho fatto questa scelta perché è esattamente il personaggio che serve alla storia, mi piacciono i suoi lineamenti e scrivere di lui mi torna più facile.
Detto questo ecco a voi i link: facebook, twitter, ask, tumblr.
Vi prego di lasciare un parere in una recensione, soprattutto se avete trovato errori, anche solo di battitura.
Grazie per la lettura, a presto. 

 
Baci, Rayon.

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Capitolo 4
*** Over Again. ***



Capitolo 3- Over Again.
Uscii dalla doccia che avevo deciso di farmi sia per la puzza di sudore che avevo dalla sera precedente, sia per rilazzarmi e rinfrescarmi un po'.
Mi ero svegliata alle sette e mezza e avevo deciso che avrei saltato la prima ora per riprendermi un po'. Più che altro per svegliarmi e prendere un po' di lucidità, visto che sapevo perfettamente che per riprendermi sarebbe servito molto più tempo. 
Della sera precedente non ricordavo molto. O almeno, niente di specifico, solo scene confuse che mi erano tornate in mente sotto l'acqua calda.
Noi che brindavamo, la mia improvvisa felicità, i salti che facevo ballando, le risate con Travis. La testa che girava, la voglia di prendere una boccata d'aria. La sigaretta, il fumo che passava da una bocca all'altra, io che ridevo. Io che sentivo i suoi fianchi spingere verso i miei. Io che cadevo fuori dall'auto. Lui che diceva che reggevo bene. Mi aveva drogata. Io che scappavo, la sua frase. "Non puoi scappare per sempre". Sapevo che lui si riferisse solo al fatto che non avrei potuto scappare da lui a scuola, ma quella frase per me era molto più significativa e distruttiva dell'apparenza.
Io non ero scappata solo da lui. Io ero scappata tante volte nella mia vita. E la fuga più grande l'avevo fatta scappando dalla mia vita per ricominciarne una migliore. Senza sapere che la mia stupidità e la mia ingenuità mi avrebbero riportato agli stessi problemi che credevo di aver allontanato con lo spazio. Ma i problemi ti seguono, e Travis aveva ragione: non sarei più riuscita a scappare.
Quella mattina mi era servita a capire che una vita nuova non la puoi trovare in due giorni. Avevo capito che i problemi li avevo ancora tutti sulle spalle. Avevo capito che creare un muro per cercare di contenerli era inutile. E avevo anche capito che nello stato in cui mi trovavo non sarei mai riuscita a combatterli. In poche parole avevo capito che avrei lasciato perdere, avrei ricominciato le stessa vita di sempre in un luogo diverso.
Uscii di casa alle otto e mezza, delle Converse una volta bianche, dei jeans stretti,un maglione troppo largo per essere indossato da me e lo zaino.
In un quarto d'ora percorsi tutta la strada che ormai avevo imparato e mi ritrovai a fumare una sigaretta mentre aspettavo che suonasse la seconda ora.
Sentii del caos, schiacciai il mozzicone e mi sollevai dal muro grigio per entrare.
Per mia grande fortuna non avevo ore con Travis se non l'ultima. Avercelo già dalla prima ora mi avrebbe provocato una crisi isterica.
Entrai nella classe in cui sarei dovuta rimanere due ore cercando di capire nuovi incomprensibili argomenti di fisica. Le due ore del giorno precedente passate a ripetere e ripetere quelle dieci pagine erano servite a ben poco.
Non avevo nessuno nel banco accanto, era quello infondo, vicino alla finestra, avevo solo un ragazzo moro davanti, che stava vicino ad una ragazza con i capelli rossi e un'aspetto esteriore piuttosto.. Perfetto. Perfetto da far venire la nausea.
Cacciai il pensiero ed aprii il quaderno per prendere appunti sulla lezione che il prof aveva iniziato a spiegare.
Passarono le due strazianti ore seguite poi da altre due i cui mi ero subita una spiegazione di scienze e una di sotria dell'arte, mi rimaneva l'ultima. L'ora di matematica. In quell'aula.
Prima di andare in classe passai dal bagno per bere un po' d'acqua, e quando uscii il corridoio era già vuoto. Era incredibile la velocità in cui una specia di formicaio affollato si trasformasse in un deserto. Mi incamminai per salire di un piano quando una voce mi fece congelare sullo scalino.
«Non si usa più salutare, Shannon?» La lentezza con cui aveva pronunciato la frase e il mio nome mi metteva i brividi. Com'era possibile che non fossi riuscita a vedere tutta quella cattiveria in quel ragazzo così dolce e simpatico?
Chiusi gli occhi per acquistare un po' di lucidità, non mi girai e alzai la gamba per continuare a salire.
«Dove vuoi andare, Piccola?» La sua voce era troppo bassa e vicina al mio orecchio mentre teneva i miei fianchi premuti contro di lui per non farmi movere.
«Lasciami andare.» Spinsi in avanti con la poca forza che avevo ma non ci spostammo di un centimentro.
«Vuoi scappare anche questa volta, Piccola?» Non ne potevo più di quella situazione, e non ne potevo più di ascoltare quel nomignolo.
«Lasciami, non ti voglio, non toccarmi!» Cercai di alzare la voce ma ne uscì solo qualcosa di simile al gracidare di una rana.
Sentii qualcosa di caldo posarsi sul retro del mio collo, prima delle labbra, poi una lingua. E mentre riuscivo solo a piagnuccolare e dimenarmi la sua stretta sui miai fianchi aumentava facendomi provare un dolore sempre più forte.
«Lasciala in pace.» Il viscido calore della sua lingua si staccò dalla mia pelle mentre senza lasciarmi si voltava indietro, da dove proveniva la voce.
«E tu chi saresti? Sentiamo.» Chiese in modo strafottente, e percepii dalla sua voce il sorriso di sfida che stava sfoggiando.
«Zayn, piacere.» Il tono di voce del ragazzo che non riuscivo a vedere non era cambiato di una virgola, sembrava infischiarsene di chi si trovasse davanti. Sentii Travis ridere.
«Zayn. Piacere di conoscerti. C'è qualche problema?» Dopo aver fatto la domanda mi diede uno strattone per farmi girare con lui, allora riuscii a vedere il ragazzo. Aveva i capelli scuri, era alto almeno quanto Travis, non avrei saputo dire chi dei due fosse più forte. Mi sembrò di vedere il ragazzo che avevo davanti a fisica in lui, ma non ne ero sicura.
«Vattene.» La voce inespressiva del moro si rivolse ancora a Travis senza l'ombra di timore.
Improvvisamente sentii sollievo ai fianchi quando mi lanciò per terra per avvicinarsi furiosamente al ragazzo che non si mosse e non fece cadere lo sguardo.
«Lei non è un problema tuo.» Travis scandì la frase parola dopo parola, soffiando a pochi centimentri dal viso dell'altro, che pareva una statua dalla sua capacità di inespressione. Il morò riuscì a reggere benissimo lo sguardo minaccioso e per un attimo credetti che gli avrebbe sputato in faccia, ma non rispose, non fece niente. Travis rise, quella risata che prima mi dava sollievo mi sembrò improvvisamente malefica.
«Sei ridicolo.» Sorpassò il moro con una spallata per dirigersi dall'altra parte del corridoio.
«Sei riuscita a scappare anche questa volta, puttanella.»
Fu l'ultima frase che sentii. Continuai a fissare il punto dove era scomparso rannicchiandomi nell'angolo della scala mentre ero sicura che il ragazzo di cui non ricordavo il nome mi stesse guardando. Lasciai che il respiro si stabilizzasse poi mi alzai, e quando spostai lo sguardo su di lui mi stava ancora guardando, con la stessa espressione neutra di prima.
«G-grazie.» Lo mormorai talmente piano che dubiati fosse riuscito a sentirmi, poi corsi su per le scale per chiudermi in bagno e liberarmi del blocco che di nuovo si era formato nel mio petto.
Infilai un dito in gola e mentre la sostanza maleodorante scendeva decisi che la promessa fatta a mia madre era troppo per essere mantenuta.
Non rientrai in classe, non ci pensai nemmeno.  Semplicemente mi sciaquai la bocca, lavai gli occhi lucidi e rossi, e stisciando i piedi per la strada tornai da dove ero uscita qualche ora prima, per isolarmi un po' dal mondo.
Chiusi la porta della cucina di modo da non riuscire a vederla per sentirmi un po' meno in colpa, e mi sdraiai a pancia in su sul divano, senza alzare le persiane che lasciavano trasparire poca luce. Passai due minuti, forse di più, a fissare il soffitto sopra di me senza riuscire a vederlo bene. Poi presi una sigaretta dallo zaino che avevo lasciato lì a terra e l'accesi, percependo quel senso di tranquillità già dal primo tiro. Forse dovevo smettere di cercare. Cercare di essere felice, cercare il mio posto. Forse il mio posto era proprio quello: da sola, al buio.





 
Ave.
Come state? Io come sempre, forse nìdovrei essere felice per una cose che mi è successa ma ci sono sempre delle reagioni che mi spingono ad essere pessimista, va beh.
Ehm, finalmente spunta Zayn. Diciamo che, anche se è importante, per ora è solo una comparta, ma sappiate che nei prossimi capitoli sarà sicuramente più presente, anche perché è il protagonista, lol.
Perdonatemi se avete trovato errori di battitura, non ho ancora ricontrollato il capitolo, a breve lo farò e questo messaggio scomparirà.
Comunque, avevo tante cose da dirvi ma non me ne ricordo più una dunque adios.
Se per qualche strano motivo volete contattarmi mi trovate quii:
 
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Baci, Rayon.

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Capitolo 5
*** Faint hope. ***




Capitolo 5- Faint hope.
 
La sveglia quella mattina non suonò, mi svegliai alle undici dopo aver dormito per chissà quante ore. Era sabato. Ci misi un po' ad alzarmi e come prima cosa mi feci una doccia rilassante. Asciugai i capelli svogliatamente e mi vestii con un nuovo paio di leggins e un maglione di lana nera con dei disegni bianchi, lungo fin sotto il  sedere e con le maniche che oltrepassavano le dita. Infilai un elastico al polso in caso fosse servito, poi tornai in camera per prendere lo zaino con il libro di fisica e qualche foglio. Visto che il giorno prima non ero riuscita a studiare sarei  andata in biblioteca. Mentre scendevo le scale la mia pancia fece uno strano rumore; non ingerivo niente da più di un giorno, sapevo che non andava bene, ma non ne sentivo il bisogno. Sospirai e mi infilai le solite scarpe prima di uscire con una sigaretta in bocca ancora spenta. Amavo la sensazione che quel misto di tabacco e altri elementi mi faceva provare, mi sentivo rilassata.
Camminai fino a Waverlay road passando per la strada principale, passai davanti al negozio di fiori e dopo pochi minuti mi trovai davanti alla porta in legno marrone scuro della biblioteca.
Passai una mano tra i capelli e la spinsi. L'anziana donna all'entrata non mi degnò di uno sguardo, troppo immersa nel libro che stava leggendo, così seguii le indcazioni sui fogli attaccati al muro per arrivare alla stanza con i computer. Mi fermai all'entrata pregando di trovare un posto vuoto, e sospirai quando notai una postazione libera, l'unica, nell'angolo opposto alla finestra. Probabilmente con c'era nessuno perché c'era meno luce, ma a me così andava anche meglio. Non appena accesi il computer e tirai fuori le scartoffie la ragazza vicino a me ritirò la sua roba lasciando il posto vuoto, così ci appoggiai un quaderno e lo zaino tirandoli su dal pavimento.
Avevo appena iniziato la ricerca su google quando una voce mi bloccò.
«Scusa, posso sedermi?» Alzai lo sguardo in fretta senza nemmeno guardare chi fosse per la sorpresa, annuii e raccolsi la mia roba per poi lasciarla a terra dall'altra parte della sedia.
Mi ricordavo quella voce, e non appena si sedette lo vidi con la coda dell'occhio: era il ragazzo che per due volte aveva cacciato Travis.
Quel pensiero mi fecee irrigidire ma cercai di non darci peso e cominciai a concentrarmi sulla mia ricerca. 
Dopo mezzora in cui mi ero completamente scollegata dal mondo per riuscire a costruire qualcosa di decente il ragazzo era ancora lì, e mi bastò un'occhiata alle immagini che stava guardando  per capire che anche lui stava facendo la mia stessa ricerca. Dovette  accorgersi che lo avevo guardato perché mentre mi giravo lui mi guardò. Come fanno due ragazzini, come facevo io.
«Scusa sai dirmi quando abbiamo la verifica?» Lo sentii sussurrare nel completo silenzio della stanza. Capii che stava parlando con me quando mi voltai e mi stava guardando. Voltai un paio di pagine del libro per arrivar a quella in cui avevo segnato la data.
«Giovedì.» Lui annuì e tornò a concentrarsi mentre ancora lo fissavo agitata.
La sua presenza mi agitava, perché lui sapeva troppo, lui aveva iniziato a conoscere quella parte di me che nessuno doveva vedere, e questo mi spaventava.
Scossi la testa e tornai anch'io a concentrarmi sulla mia relazione.

Aspettai che i sette fogli uscissero dalla stampante, li misi in ordine, li attaccai con la pinzatrice a disposizione e tirai un sospiro. Avevo finito, e il risultato a parer mio era ottimo.
Tornai alla postazione dove avevo lasciato la roba per chiudere tutto, raccogliere libri e robe varie, ed uscire da quel silenzio.
Presi il cellulare per vedere l'ora. 
«Cazzo!» Sussurrai tirandomi uno schiaffo in fronte. Il ragazzo moro accanto a me, di cui al momento mi sfuggiva il nome, si girò per un attimo e poi tornò agli affari suoi.
Erano le due meno dieci e alle due dovevo trovarmi al negozio di Victoria.
Buttai tutto nello zaino tenendo la ricerca in mano perché non si stropicciasse, scesi le scale di corsa, uscii e camminai, per quanto riuscissi, a passo svelto verso il negozio. Non potevo arrivare all'ultimo secondo già il primo giorno.
Alle due meno tre minuti ero lì, entrai, Victoria era alle prese con un foglio.
«Ciao.» Le sorrisi quando alzò lo sguardo.
«Shannon.» Mi sorrise anche lei per poi tornare a scrivere.
«Io starò di là a fare delle composizioni, tu stai pure qui, se hai bisogno chiama. Tra poco dovrebbe arrivare un ragazzo di nome Rob, per un mazzo di fiori da anniversario, trattamelo bene.» Sorrisi e lei ricambiò per poi sparire nella stanza dietro al bancone, lasciando la sua agenda. Mi avvicinai per leggere, in quel pomeriggio c'erano sei appuntamenti. Un anniversario, una richiesta di matrimonio, un mazzo per scusarsi, due compleanni e un'altro anniversario.
«Shannon!» La voce di Victoria rimbombò nella stanza, mi avvicinai ma fu lei ad affacciarsi. «Il té è qui pronto, quando arriva vieni.»
Presi il quaderno e andai a sedermi al tavolino, segnai la data del giorno e il nome del primo cliente. Tirai un sospiro e me ne pentii subito quando il profumo dolciastro dei fiori mi provocò una lieve nausea.
Sentii la campanella trillare e mi alzai.
«Buongiorno.» Mi salutò il ragazzo, sui venticinque anni, i capelli color miele e gli occhi scuri quanto limpidi.
«Buongiorno. Io sono Shannon, la nuova assunta da Victoria.» Lui sembrò ricordarsi di qualcosa e annuì sorridendo per poi stringermi la mano.
«Io sono Rob, Victoria mi aveva avvisato che aveva assunto una nuova ragazza per gli incontri.» Gli sorrisi e lo accompagnai per farlo sedere.
«Vuole del té?» Accosnentì e ringraziò mentre si levava la giacca, così andai a cercare il vassoio nella stanza.
Era la prima volta che ci entravo: era come un grande salone, con un lungo tavolo in metallo grigio davanti al quale si trovava una grande vetrata che faceva trasparire la luce naturale. Lì Victoria stava lavorando con qualcosa che non capivo bene.
«E' tutto lì su quel tavolo, anche il fornello a gas per fare dell'altro té se ne hai bisogno.»
Misi una tazza sul vassoio con un cucchiaino, il contenitore dello zucchero e quello delle bustine di té. Riempii di acqua calda e tornai all'entrata.
«Eccomi.» Mi seguì con lo sguardo fino quando non posai la tazza e tutto il resto davanti a lui.
«Possiamo iniziare.» Mi sedetti di fronte a lui e impugnai la penna.
Mentre zitto mescolava il liquido mi trovai a pensare che lì dentro, in mezzo a persone più adulte che non mi giudicavano, mi sentivo particolarmente sicura. 
«Si tratta di un anniversaio, giusto?» Lui annuì e io scrissi.
«Vuoi una composizione importante o semplice?»
«Una via di mezzo.»
«Con un vaso o incartata?» Chiesi riportando l'ultima domanda che Victoria aveva fatto al cliente del giorno precedente.
«Incartata.» Segnai anche quello.
«Bene, ora tocca a te.» mi sorrise e cercai di ricambiare in modo spontaneo.
«Ricordo.» disse convinto. Se avessero regalato un ricordo a una persona come me gliel'avrei tirato in faccia, con quello che avevo passato.
«Voglio che si ricordi di tutto quello che abbiamo passato. Di quando ci siamo conosciuti, dei litigi, delle confessioni.» Segnai tutto schematizzando.
«Poi vorrei esprimere qualcosa che duri a lungo. Forza.» Segnai le parole chiave e le frasi fatte che mi venivano in mente per riassumere tutti i sentimenti.

L'ultimo appuntameno finì alle sei meno venti, andai nel salone per assicurarmi che potessi andare.
«Hai bisogno?» Chiese Victoria senza nemmeno voltarsi.
«Gli incontri di oggi sono finiti, c'è qualcos'altro da fare?»
Si voltò verso di me appoggiandosi al bancone, con dei guanti verdi infilati nelle mani.
«Ti ho sentita di là, impari in fretta.» Sorrisi senza sapere cosa rispondere.
«Vieni qui un attimo.» si girò di spalle e io la raggiunsi nel momento in cui si girò di nuovo.
«Tieni, l'ho avanzato.» Afferrai l'insieme di steli, uniti da un nastrino bianco, che mi stava porgendo. I fiori erano grandi un po' di più che una moneta e avevano piccoli petali bianchi e rotondi.
«E' biancospino, ti si addice.» Subito pensai al colore bianco ma poi mi ricordai che non sapeva il mio secondo nome, probabilmente si riferiva al significato del fiore.
«Potrebbe servirti.» Lo guardai, poi spostai lo sguardo sui suoi occhi scuri e sorrisi.
«Grazie.» Anche se non conoscevo il significato qualcosa mi diceva che la personalità di Victoria fosse abbastanza scaltra da captare qualcosa dai miei modi di fare.
«Va pure, ci vediamo lunedì.» Disse tornando a darmi le spalle.
«D'accordo.» Andai all'entrata per raccogliere la mia roba ed uscire.
«Ciao!» Salutai affacciandomi.
Lei ricambiò girando di poco la testa, poi uscii facendo trillare la campanella.
Subito girai verso destra per andare a casa, ma poi guardai i fiori che avevo in mano insieme alla ricerca, e mi venne un'idea. Ero curiosa di trovare il significato che aveva ritenuto utile per me, e l'unico posto dove potevo trovarlo era la biblioteca. Cambiai direzione e camminai velocemente verso la bibliteca, mentre fumavo una sigaretta, di cui già sentivo la mancanza dopo tutto il giorno. Quando arrivai guardai di sfuggita gli orari, chiudeva alle sei, ed erano le sei e qualche minuto. Era ancora aperto così aprii la porta, questa volta la donna si accorse di me.
«Mi scusi, stiamo chiudendo.» Mi morsi il labbro pensando.
«Per favore, devo solo controllare una cosa, due minuti.»
La donna ci pensò un attimo su e poi sospirò.
«I computer sono già spenti, per il resto è tutto aperto.»
«Dove posso trovare qualcosa riguardante la botanica?»
«Nella sezione nord, tra gli ultimi scaffali.» Sorrisi riconoscente e mi incamminai verso la stanza.
Passai in rassegna qualche scaffale prima di trovarne uno colmo di libri i cui titoli volavano dal "Segreti per il tuo orto" al "Proteggi un fiore". Ne presi due i cui titoli erano "Dillo con un fiore" e "Il linguaggio segreto dei fiori" e andai su un tavolo.
Il secondo era un romanzo così lo lasciai perdere mentre il primo era una specie di enciclopedia. Cercai la lettera B e con il dito scesi metà della prima pagina.
Biancospino: timida speranza.



 
Buonasera.
Inizio questo spazio autrice con delle immense scuse per il ritardo. E' che sono andata in vacanza, sto al centro estivo come animatrice e passo ore in palestra e a camminare.
Spero ci sia ancora qualcuno a cui interessa questa storia.
Allora, non succede molto di speciale, lo so, ma si scopre qualcosa in più di Victoria, personaggio che in futuro sarà abbastanza presente, per motivi a voi sconosciuti ma intuibili. (?)
Comunque, commentate, insultatemi, correggetemi ogni minimo errore, basta che mi diate qualche vostra impressione perché non ho la minima idea di come stia andando questa fan fiction.
Non parlo del concerto sia perchè non è un forum dove arlare di qualsiasi cosa (?) sia perché qualcuno leggendo potrebbe rimanerci male.
Non ricordo se l'ho già detto, vorrei sottolineare che con la storia di questo negozio di fiori non intendo assolutamente copiare dal romanzo Il linguaggio segreto dei fiori, ho semplicemente preso spunto per qualcosa di particolare di cui mi sono innamorata. Sì, sono fissata con il linguaggio dei fiori, e vi consiglio vivamente di leggere il romanzo di Vanessa Diffenbaugh, resta impresso.
Penso di non aver altro da dire, grazie per le recensioni nello scorso capitolo, mi hanno fatto piacere.
Se volete contattarmi mi trovate su tumblr, facebook, twitter e ask, cliccate sopra e vi apre la pagina.

 
Baci, Rayon.


Ah sì, mi dimenticavo, questo è il mio amato biancospino.

 
 

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Capitolo 6
*** Fight. ***




Capitolo 6- Fight.
Passai la domenica a girare per la città dalle undici di mattina alle otto di sera, poi tornai a casa e raccolsi tutta la forza di volontà che avevo per mangiare qualche foglia di insalata. La sera prima, appena tornata a casa, avevo poggiato il fiore di Victoria sul davanzale in vetro sopra al termosifone, con qualche libro sopra fer farlo seccare.
Era lunedì mattina e stavo camminando verso scuola combattendo contro il sonno. La prima ora avrei avuto biologia con Travis e sperai con tutto il cuore che ci fosse un posto libero per non dovermi sedere di nuovo accanto a lui.
Finii la sigaretta in un angolo del pargheggio prima di schiacciarla ed entrare.
Salii al secondo piano crcando l'aula A7 e quando ci arrivai la maggior parte dei ragazzi era già seduta, compreso Travis. La prima cosa che notai fu il suo sguardo puntato sul mio, che distolsi subito. Guardai in giro per la classe  con la speranza di trovare una postazione vuota , ma l'unica era la mia. Presi un respiro profondo e camminai verso il banco guardando a terra, perfettamente consapevole che Travis mi stesse guardando con un ghigno.
Arrivata lì evitai ancora di guardarlo, mentre il cuore batteva a mille, e spostai il banco di una trentina di centimentri dal suo prima di sedermi.
Cercai di concentrarmi sulla lezione per non pensare a lui che vicino a me continuava a guardarmi. Le due ore seguenti fortunatamente non c'era, e nell'intervallo mi assicurai che non mi vedesse mentre uscivo in cortile per fumare. Mi accorsi di aver dimenticato la felpa in classe solo quando l'aria fredda mi colpì le braccia. Non avrei avuto tempo di rientrare così lasciai perdere e andai in un angolo. La metà della scuola in quei dieci minuti usciva, chi con la sigaretta già in bocca, chi col pacchetto, chi sperava di scroccare da qualcuno, e quelli che non aspiravano ma facevano di tutto per far vedere che fumavano perché così si sentivano più grandi. E poi c'ero io che in silenzio, senza nessuno, andavo a ripararmi da tutti in un angolo, dietro ad un albero spoglio.
Presi una sigaretta dal pacchetto, poggiai lo zaino a terra e la accesi prendendo l'accendino dalla tasca. Come sempre, il primo tiro sembrò sollevarmi.
Avevo ormai fumato mezza sigaretta quando iniziai a tremare per il freddo, mi sporsi dal tronco per guardare se la folla era diminuita e mi sembrò di notare quel ragazzo, Zayn, che distoglieva lo sguardo da me. Scossi la testa e tornai a fumare con i brividi che mi percorrevano il corpo in scosse improvvise.
Sussultai sentendo il tessuto caldo di qualcosa coprirmi le spalle.
«Mettitela, altrimenti ti prendi un accidente.» Riuscii solo per un attimo a guardarlo, mentre parlava, ma giusto quando avevo formulato la frase per dirgli che non ne avevo bisogno, lui si stava già allontanando. Così infilai una manica per volta spostando la sigaretta accesa da una mano all'altra, sentii subito un calore che mi fece sentire meglio, e inspirai l'odore di fumo misto al profumo che la felpa nera inalava.
Le ultime tre ore di lezione le passai cercando di seguire e di prendere appunti, e quando la campanella suonò fui la prima ad uscire. Avevo un sonno terribile e mi sentivo debole, e prima di presentarmi al negozio di fiori volevo andare a casa per dormire almeno mezzora. Così m'incamminai verso casa ma dopo un centinaio di metri mi accorsi della felpa che indossavo, di quel ragazzo. Mi fermai un attimo per pensare, e dopo aver escluso la possibilità di portargliela il giorno seguente feci dietro front con la speranza di trovarlo nel parcheggio. Quando ci arrivai le persona presenti erano poche, scrutai un po' ma non lo vidi. Mi girai semplicemente dall'altra parte e richiudendo la cerniera ripresi a camminare.
Arrivata all'incrocio guardai l'ora nel telefono, era l'una e venti, arrivata a casa avrei avuto sì e no dieci minuti per dormire, così decisi di imboccare Waverlay road e andare direttamente al negozio. Alle due meno venti ero lì, ma il negozio era chiuso così mi sedetti sullo scalino davanti alla porta e accesi una sigaretta. Quando spensi il mozzicone a terra un furgone si fermò un paio di metri dopo al negozio, ne uscì Victoria salutando l'uomo alla guida.
«Shannon, già qui?» Mi salutò Victoria mentre si avvicinava cercando le chiavi in borsa.
«Ho finito scuola all'una e non avevo voglia di andare fino a casa.» Sorrisi e mi alzai.
«Vieni.» Aprì la porta, si pulì le scarpe sul tappetino ed entrò.
«Vuoi del té?» Non sapendo cosa fare mi fermai lì in mezzo alla stanza mentre lei metteva aposto le sue cose.
«Sì, grazie.» Lei si avvicinò alla porta dietro al bancone.
«Torno subito, tu mettiti a posto che alle due hai il primo appuntamento.»
La vidi scomparire dietro alla porta, poi poggiai il mio zaino e la felpa nera alla mia sedia e andai c prendere il quaderno e l'agenda.
Alle due sarebbe arrivato un ragazzo per un mazzo di fiori da regalare come dichiarazione d'amore, sarebbe stato interessante.
Erano le due meno cinque minuti quando vidi un ragazzo, sui vent'anni, capelli castano chiaro alzati in un ciuffo e occhi chiari, tendendti al grigio. Indossava dei jeans stretti, neri, e un giubotto di pelle nera. Aprì la porta facendo suonare l'aggeggio lì sopra e mi guardò.
«Ciao.» Lo salutai con un piccolo sorriso, per cortesia. Lui ricambiò e salutò a sua volta.
«Siediti pure lì, arrivo subito. Vuoi del té?» Chiesi prima di entrare nella stanza, lui annuì.
«Si, grazie mille.» Trovai Victoria a lavorare con le sue composizioni, presi il vassoio con le due tazze, lo zucchero, la teliera con l'acqua calda e il contenitore delle bustine.
Spostai la porta con un calcio cercando di non cadere e arrivai al tavolo.
«Ecco.» Sorrisi mentre gli porgevo la sua tazza e tutto il resto prima di sedermi. Mentre ognuno preparava il suo té il silenzio si fece imbarazzante, e anche se non era affatto da me sapevo che avrei dovuto iniziare io una conversazione per non farlo sentire a disagio.
«Comunque io sono Shannon.» Lo guardai mentre intingevo una bustina al gusto di ribes e lampone.
«Rayan, piacere.» Sorrise e mi stupii della strana sincerità che il suo sguardo trasmetteva, quasi rara. Gli sorrisi di rimando.
«Dunque, sei qui per una.. Dichiarazione, giusto?» Chiesi scrivendola data e il suo nome sul foglio. Con la coda dell'occhio lo vidi annuire.
«Beh, prima di tutto, hai delle frasi chiave da dirmi o dei messaggi importanti che vuoi trasmettere?» Riuscii incerdibilmente a guardarlo negli occhi e a reggere il suo sguardo anche nel breve silenzio che seguì. Forse era il fatto che il suo sguardo non mi intimoriva per niente, c'era qualcosa in quel ragazzo che non mi faceva pensaere a quanto fossi inferiore, come se fosse lui ad avere paura.
«La frase di una canzone: dice "Se lo vuoi veramente combatterai, se ci credi veramente ce la farai."» Scrissi velocemente, mi soffermai solo dopo sul significato. Lo guardai di nuovo negli occhi. 
«Parole chiave?» Cercai di sorridere per allentare un po' la sua evidente preoccupazione.
«Paura.» Spostai gli occhi dal foglio su di lui, esattamente quello che traspariva dai suoi occhi, paura. Solo quando presi a scrivere lo sentii di nuovo. «Forza, coraggio.» Ogni parola che aggiungeva rendeva la storia che stavo cercando di ordinare nella mia testa più confusa.
Sentendo il silenzio mi ricordai di una domanda da fare.
«Lei come si chiama?» Erano diversi i casi in cui il nome della ragazza corrispondeva al nome o al significato di un fiore, mi aveva spiegato Victoria.
Quando non sentii una risposta lo guardai: mi stava guardando, ed era evidentemente agitato. Provai una sensazione strana allo stomaco quando lo vidi arrossire, e sorrisi sia per quella sensazione che per spingerlo a parlare. Non capivo bene quale fosse il problema ma quel ragazzo così semplice e flebile, mentre si mordeva il labbro e arrossiva, mi suscitava tenerezza.
«Veramente..» solevai le sopracciglia mentre tossiva «è un lui.» Non cambiai espressione per i primi secondi, mentre rielaboravo l'informazione. Ora era tutto più chiaro, combattere, la paura. Sbattei le palpebre e sorrisi. 
«Capito, scusa l'errore.» Cercai di non pesare troppo sul fatto e nascondere la mia sorpresa.
«Comunque, come si chiama?» Lo chiesi, anche se non serviva, per qualche strano motivo lo chiesi.
«Tyler.» Gli sorrisi ancora e scossi la testa per tornare concentrata. 
«Bene, vuoi una composizione con un nastro, incartata, o un vaso?» Sembrò pensarci su, un po' confuso. Improvvisamente avevo iniziato a vedere quel ragazzo completamente da un'altra ottica.
«E' uguale, solo non il vaso.» Scrissi pensando a cos'altro chiedere.
«Ci sono altre parole o messaggi che vorresti trasmettere?» Alla fine mi piaceva quel lavoro, le persone si mettevano completamente a nudo con me, si confidavano con una sconosciuta, e io potevo essere chi volevo, senza sentirmi uno schifo.
«Forza. L'ho già detto?» Annuii e indicai la scritta con la penna. «Desiderio.» Scrissi ancora sotto all'elenco, mentre vedevo le sue mani torturarsi davanti al quaderno.
«Amore.» Mi fermai e lo guardai, non mi resi conto di essere piuttosto invadente, ma ero curiosa di vedere quale fosse il suo sguardo mentre diceva quella parola. Aveva gli occhi spalancati e spaventati, le spalle diritte, rigide, e mi sorrise nervosamente. Ricambiai, e come succedeva ormai rarissimamente sorrisi per davvero, dimenticandomi del resto. Era un sorriso d'ammirazione, di comprensione, un po' da ebete, quel ragazzo mi sembrava così fragile da farmi sentire a mio agio. 
Scrissi anche quella parola e mi venne in mentre un'ultima domanda, la più personale, a cui poche persone rispondevano completamente.
«Se te la senti di raccontarmi la vostra storia possiamo prendere spunto.» Lo guardai di nuovo mentre si grattava la nuca e sorrideva, questa volta più pensieroso, come quando sorridi per un ricordo. Poi annuì, e io dentro di me ne fui felice perché ero veramente curiosa di sapere cosa ci fosse dietro tutta quella paura.
«Andiamo a scula insieme dalle elementari, alle medie uscivamo con stesso gruppo di persone e ci siamo affezionati, siamo diventati migliori amici. Alle superiori abbiamo scelto due indirizzi diversi del liceo ma abbiamo continuato comunque a frequentarci. Solo che poi ho iniziato a riempirmi di dubbi, non sapevo più cosa pensare, provavo sentimenti che non avrei mai voluto provare, e non lo accettavo. Un giorno, all'inizio della terza, non ce l'ho più fatta e mentre giocavamo alla playstation ho buttato il joystick a terra e ho iniziato a piangere. L'ho abbracciato e lì tutto si è sistemato. Ero convinto di dirgli tutto ormai, del fatto che mi piacesse lui, perché erano settimane che notavo degli strani atteggiamenti da parte sua, e mi ero fatto la strana illusione che lui potesse ricambiare. Insomma faceva commenti sui ragazzi, c'era più contatto fisico di prima, spesso mentre giocavamo o guardavamo la tele mi stava vicino.» Si fermò un attimo per prendere un sorso di té ma io non smisi di guardarlo, era come leggere un libro terribilmente coinvolgente.
«Comunque ho provato a spiegargielo e a dirgli quello che pensavo di me e di lui. Lui mi ha guardato, in un modo strano, ha scosso la testa e mi ha detto "smettila", poi se n'è andato a casa. Per una settimana non ci siamo parlati ne degnati di uno sguardo, e io avevo ancora quel dubbio, non aveva negato niente, ma neanche approvato, e non volevo perdere la nostra amicizia. Dopo quella settimana mi ha mandato un messaggio di andare a casa sua. Non ci ho pensato due volte ed ero lì un'ora prima.» Si fermò e sorrise, seguito da me.
«Abbiamo parlato, a lungo. E avevo ragione, anche lui era confuso. Anche lui mi vedeva in modo diverso. Si è scusato per come mi aveva trattato e mi ha spiegato che aveva paura e non sapeva cosa fare. E poi mi ha detto di si. Mi ha detto che con calma ci potevamo provare. I primi due mesi non ci spingevamo mai oltre, non ci siamo mai baciati e mai toccati in pubblico. Al terzo mese il primo bacio. Poi abbiamo iniziato a tenerci per mano a scuola. Era imbarazzante il modo in cui le persone ci guardavano, e sapevo che per lui era difficile più che per me. Ci hanno picchiato, la sera stessa ho ricevuto un suo messaggio. Diceva che dovevamo finirla, che era tutta una sciocchezza e che non era abbastanza forte. Lì mi sono buttato, ho rischiatto tutto, gli ho detto che l'amavo. Lui non ha risposto e da quel giorno non ci siamo più rivolti la parola. Ora sono a metà della quarta e mi sono accorto che un ragazzo come lui è insostituibile, e per quanto sia una scelta egoistica voglio essere io quello che lo aiuterà a combattere.»
Rimasi in silenzio scritando i suoi occhi grigi, velati da qualche lacrima. Mi resi conto che in quel momento si era creato un piccolo filo che ci connetteva, e che molto probabilmente ero la persona che più lo conosceva al momento. Abbassai lo sguardo e scrissi.
"Storia fantastica." Lui molto probabilmente riuscì a leggere e sorrise. 
«Sarebbe fantastica con un lieto fine, magari.» Improvvisamente si rilassò, anche lui aveva percepito quel filo, e sorrise ironico.
«Sei una persona ammirabile.» Parlai prima che i denti potessero mordere la lingua, ma stranamente non mi pentii di quel che avevo detto.
«Ho solo imparato che anche se combattere è difficile lo devo fare.» Riflettei su quella frase e il mio sorriso diventò un sorriso rassegnato, improvvisamente mi ero ricordata della mia vita e del fatto che ormai avevo smesso di combattere da tempo.
Drizzai la schiena e mi ripresi.
«Bene, direi che può bastare.» Lui buttò giù l'ultimo sorso di té e si alzò con me. Infilò la giacca e in quel momento non lo vidi più come il ragazzo normale, con una corporatura magra e il viso asciutto dell'inizio, ma lo vidi come un ragazzo che si era messo in gioco e che non si era ancora rassegnato.
«Uh, un'ultima cosa!» Lui si girò mentre chiudeva la cerniera.
«Mi servono un'indirizzo e una data per la consegna. Puoi darmi direttamente il suo indirizzo se preferisci.»
«Woodstock Avenue, numero 13, sabato. E' il mio indirizzo.»
Lo segnai sull'agenda e decisi che l'avrei portato io personalmente. Intanto pensai al fatto che quella fosse la mia via, e che il numero nel mio appartamento fosse il 21. Se non mi sbagliavo ci sarebbero state solo alcune case stra di noi, e io non l'avevo mai visto prima.
«Va bene, arriverà in mattinata.» Le consegne erano di mattina, mentre il pomeriggio era dedicato ai colloqui o alle costruzioni, in caso di Victoria.
«Vai alla Stendler?» Alzai lo sguardo alla sua domanda. Mi ricordava il nome della scuola ma non ne ero sicura.
«La scuola su Hampton road?» Chiesi piegando la testa. Lui annuì e io feci lo stesso per rispondere alla domanda.
«Probabilmente abbiamo il corso di italiano insieme, ero sicuro di averti già vista da qualche parte.» Risi silenziosamente alla sua affermazione, io non avevo mai fatto caso a chi mi stava attorno, ormai non alzavo quasi mai lo sguardo.
«Strano, non mi vede mai nessuno.» Alzai le spalle e lui corrucciò le sopracciglia.
«Beh, allora ci si vede a scuola.» Cercai di congedarlo senza troppe spiegazioni. La sua espressione cambiò, e annuì.
«Ci si vede a scuola.» Sorrisi, lui si voltò e uscì. Quando era abbastanza lontano guardai l'ora, avevo dieci minuti prima dell'appuntamento così decisi di uscire a fumare una sigaretta.
Mi rilassai pensando all'ncontro appena avuto, inspirando il profumo della felpa nera che ancora indossavo. La sensazione che provavo era strana, e sapevo che quel ragazzo mi aveva smosso qualcosa. Ma la frase che più mi preoccupava era quella, "Ho solo imparato che anche se combattere è difficile lo devo fare". Anch'io avrei dovuto combattere, lo sapevo benissimo, ma ormai ci avevo rinunciato, ormai ero esausta per provarci ancora. Perché si sa, quando sei solo la forza non riesci a trovarla senza una spinta. E improvvisamente tornai a vivere come sempre; senza ragioni, senza un obbiettivo, con l'angoscia che mi stava dietro come un'ombra.
Combattere. Che delirio di parola.





 
Buongiorno!
 
Per vostra grande gioia sarà uno spazio autrice molto breve perché tra cinque minuti devo partire per dieci giorni di campeggio, e devo ancora aggiornare Belonging.
Dunque so che il capitolo non è molto avvincente, l'unico momento in cui Zayn è presente è quando le dà la felpa, ma con il suo tempo sarà anche lui più presente nella storia.
Giovedì ho compiuto gli anni yeuuuh.
Non interessa a nessuno ew.
Allora non vi metto i link, se volete contattarmi su tumblr, twitter facebook o ask i link li trovate nella bio.
Grazie per tutte le recensioni, ve se ama.
A presto.

 
Baci, Rayon.
 

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Capitolo 7
*** White. ***






Capitolo 7- White.
 
I seguenti incontri furono più ordinari e alle sei avevo già finito, così decisi di andare a casa e provare, ancora una volta, a studiare. Indossai una tuta, mi raccolsi i capelli e mi sedetti a gambe incrociate sul letto, con un libro e gli appunti. Fisica non era mai stata una mia passione e in tutta la mia vita avevo preso forse due sufficienze scarse, e dopo due ore quello che ero riuscita ad assimilare era ben poco. Avevo cambiato tutte le posizioni possibili e mi ero trovata seduta a terra, con la testa poggiata al materasso, sfinita. Posai tutto sulla scrivania, mi rifeci la coda e per qualche strano motivo, dopo aver guardato l'ora, decisi di andare in cucina. Mi guardai intorno chiedendomi perché ci fossi entrata, era vuota. Come a voler dare un senso a quel gesto bevvi un bicchiere d'acqua e andai in bagno con la nausea che già mi faceva venire brutti pensieri. Guardai nello spazio tra la vasca e il lavandino, avevo già notato quella pesa, quadrata, bianca. La fissai per qualche attimo come se fosse stata il mio peggior nemico, poi decisi di prenderla. Era tempo che ormai non mi pesavo, principalmente per paura delle conseguenze. Chiusi gli occhi, vi restai sopra, col fiato sospeso, e li tenni serrati per due buoni minuti prima di riuscire ad aprirli e spostarli dal muro bianco alla scritta digitale.
Quarantuno chili e due.
Rimasi quasi indifferente all'esterno mentre internamente provavo solo paura e schifo.
Provavo schifo perché dall'ultima volta avevo preso mezzo chilo, ma allo stesso tempo perché sapevo che continuando così non avrei fatto altro che peggiorare le cose. Provavo schifo, e mi sentivo uno schifo. La nausea aumentò e ringraziai il fatto che la tavoletta fosse alzata mentre mi giravo di scatto per vomitare.

Ascoltai la sveglia suonare finché la canzone non fu finita, mi alzai, mi lavai i denti, mi vestii con gli abiti del giorno precedente, preparai lo zaino ed andai a scuola. Giusto prima di uscire mi ricordai della felpa nera che Zayn mi aveva dato, gliel'avrei riportata.
Camminai per le solite strade e non mi fermai davanti alla scuola, diretta al parcheggio.
Scrutai in cerca della macchina scura a cui l'avevo visto appoggiato il giorno precedente.
Mi sentii cadere quando una macchina mi passò dietro provocando un colpo d'aria, ma chiusi gli occhi e mi ripresi. La macchina si fermò, e scese lui. Per la prima volta mi soffermai a guardarlo. Aveva i capelli neri, senza ombra di riflessi castani, vagamente spettinati, come se si fosse pettinato ma senza uno specchio davanti. Indossava un paio di jeans stretti il giusto, che gli fasciavano i polpacci non troppo grandi. Il suo fisico non era molto possente per quanto si potesse intravedere dalla maglietta bianca, da cui trasparivano anche diversi tatuaggi. Gli occhi erano indifferenti e forse un po' annoiati, non lasciavano percepire alcuna emozione, nonostante la loro profondità e il loro color nocciola. Soffermandomi sul viso chiaro notai che quel giorno non aveva il velo di barba che mi ricordavo. Prese una sigaretta dalla tasca del giubotto di pelle e un'accendino blu dall'altra. Improvvisamente volevo camminare ma non riuscivo, non capivo perché. Forse per paura di andare da lui, forse perché non avrei saputo cosa dire. 
Forse per paura che leggesse troppo di me dai miei atteggiamenti e dai miei occhi, che a differenza dei suoi stavano sempre lì a gridare.
Iniziò a girarmi un po' la testa e mi venirono i brividi, sapevo che molto probabilmente mi aveva vista ormai.
Scossi un po' la testa per evitare di collassare lì in mezzo e senza ripensarci mi incamminai.
Era seduto sul sedile del conducente con la portiera aperta e stava facendo gli ultimi tiri di quella che sembrava una Marlboro alla menta. Quando fui a pochi metri la testa riprese a girare, lui mi vide e io strizzai gli occhi per poi riaprirli, mi stava guardando, indifferente.
«Ciao.» Fu lui a salutarmi mentre facevo l'ultimo passo. Tentai un sorriso ma no riuscii a rispondere. Allungai il braccio per porgergli la felpa.
«I-io.. Grazie.» Lui la prese e la posò mentre io chiudevo gli occhi e mi schiarivo la voce.
Mi sentii improvvisamente debole.
«Almeno ora non hai la polmonite» ironizzò lui mentre si girava di nuovo, senza troppo entuisiasmo.
Vidi solo l'asfalto che si avvicinava velocemente ai miei occhi e poi il buio.

Un muro azzurro pallido, una brandina, una piccola scrivania e una porta. Furono le prime cose che focalizzai della stanza. Mi faceva male la testa e mi pizzicava un braccio. Iniziai ad immaginare dove mi trovavo quando identificai il vociare che proveniva dall'esterno, un ospedale. Dall'altra parte della stanza, dietro di me, proveniva una luce bianca, fioca, come quella che passa tra le persiane chiuse male al mattino, ma un po' più forte. Pensai che probabilmente ci fosse una finestra con le tende chiuse. Mossi prima le gambe per girarmi, ma quando cercai di spingere col braccio destro per girare il busto mi bloccai: non appena riprovai a muovere il braccio sinitro provai una fitta e sentii il rumore metallico di qualcosa che si spostava. Subito dopo sentii il rumore di una sedia che strisciava.
«Attenta.» Conoscevo quella voce, somigliava a quella di qualcuno che non ricordavo. Che poi in quel momento non ricordavo nemmeno perché fossi lì dentro.
Sentii di nuovo il rumore metallico e poi una mano mi sposto il braccio mentre l'altra mi aiutava a girarmi. Mi accorsi di non riuscire praticamente a muovermi. Quando fui di nuovo ferma, questa volta sul fianco sinistro, provai a riaprire gli occhi. Mi trovai davanti una maglietta bianca dalla quale si intravedevano disegni scuri. Alzai lo sguardo nonostante la testa mi facesse male e lo vidi armeggiare con un filo, che andava dalla cima di un'asta in ferro fin sotto al lenzuolo. Era una flebo, in quel momento diedi una spiegazione alla fitta al braccio. Dopo alcuni secondi il filo era di nuovo a posto e Zayn si sedette sulla sedia dov'era prima. Raccolse un libro che aveva probabilmente poggiato a terra per alzarsi. Era abbastanza spesso e aveva qualche scritta a penna sulla copertina sulla quale si notava il titolo "Manuale di fisica" in arancione acceso. Se lo posò sulle gambe e mi guardò.
«Come stai?» Mi ricordai di quando avevo pensato che quella voce somigliasse a quella di qualcuno: avevo perfettamente ragione, mi ricordava la sua voce, ma era diversa dalle poche volte in cui l'avevo sentita, era più leggera, forse più sincera. Alzai le spalle senza dare una risposta precisa. La testa mi faceva male e continuava a pulsare e la vista mi si appannava a colpi.
«Cosa ci faccio qui?» Era una delle domande che principalmente mi stavo ponendo al momento. Lui appoggiò i gomiti alle ginocchia arrivando così con la testa all'altezza della mia.
«Hai perso i sensi nel parcheggio e ti ho portata qui.» Strizzai gli occhi e le scene si ravvivarono nella mia mente. Quando li riaprii mi tornò in mente la flebo. Lui mi stava fissando e mi sentii piuttosto in soggezione sotto quello sguardo.
«Che cos'è?» chiesi indicando il sacchettino con un lieve movimento del viso.
«Una flebo, non lo so di preciso. Ho sentito dire che eri molto debole e che avevi bisogno di nutrimento.» Davanti a me comparve l'immagine di una qualche sostanza, densa, grassa, di colore biancastro come il sacchetto, che riempiva le mie vene rendendole gonfie e pesanti.
Per poco non diedi sfogo al conato di vomito ma con qualche forza scossi la testa e cercai di pensare ad altro. Come al fatto che, mentre stavo per andare a consegnarli la felpa, io avessi paura che scoprisse troppo di me, mentre in quel momento sapeva ancor di più di quel che immaginavo. Da come aveva parlato sembrava non aver capito quali erano i miei problemi, ma sapevo che non era stupido e che ci voleva ben poco a fare due più due. 
Presi un respiro. Mi sentivo frustrata all'idea di qualcuno che mi aveva conosciuto così a fondo senza che io sapessi niente di lui. Sapeva della storia di Travis, sapeva dei miei disturbi alimentari e continuava a scrutarmi con quegli occhi, come se avesse voluto scavare fino in fondo. Incorciai il suo sguardo che, al contrario del mio, era sicuro e fisso, ma lo distolsi subito e pensai a una domanda da fare per riempire il silenzio.
«Da quanto tempo sono qui?» Mi feci un po' di coraggio e incrociai di nuovo il suo sguardo.
Lui infilò la mano nella tesca dei pantaloni e tirò fuori il cellulare.
«Due ore e mezza.» 
Rimasi in silenzio e poi sospirai. La mia mente era vuota, non riuscivo a formulare niente di sensato. Era solo una gran confusione tra soggezione, nervosismo, mal di testa, imbarazzo, mi sembrava di essere in procinto di una crisi. Sapevo che mi stava guardando e cercai di non piangere lì, in quel momento, davanti a lui. La vista si appannò, strizzai gli occhi e mi morsi il labbro mentre la testa girava.
«Qual è il problema, Shannon?» Come prima cosa mi chiesi come conoscesse il mio nome. Poi mi ricordai di tutte le volte che Travis lo aveva pronunciato davanti a lui e del fatto che avevamo alcune lezioni in comune. Poi, senza aprire gli occhi, mi vennero in mente decine di parole, di frasi, che avrei voluto urlare a quella domanda.
"Tutto. Fa tutto schifo. Ho paura. Sto male. Non sono nessuno. Ho perso la mia vita. Ho perso me stessa. Dolore. Non provo più niente se non quello. Solitudine. Voglia di scappare. Desiderio di arrendersi. Scomparire. Tutto non va nella mia vita."
Presi un forte respiro che somigliava più ad un singhiozzo ma non piansi, ne parlai per i primi secondi.
«Quand'è la verifica di fisica?» Riaprii gli occhi prima di fare la domanda, li sentivo umidi e gonfi. Feci la prima domanda che mi era venuta in mente ricordandomi del libro.
Non lo guardai negli occhi, non ne avevo il coraggio, ma notai con la coda dell'occhio, mentre fissavo il muro, che le sue ciglia erano corrucciate.
«Domani.» 
Ci fu silenzio. Io guardavo il muro e lui guardava me.
«Vado a chiamare il dottore.»
La sedia in legno strisciò sulla moquette e dopo pochi secondi rimasi sola. Non pensai a niente per evitare di piangere. Sentivo il vuoto in quel momento, tutte le emozioni si annullavano tra loro lasciando il bianco.
Dopo alcuni minuti in cui avevo fissato le tende blu sentii la porta aprirsi.
Zayn e un uomo in camice mi si piazzarono davanti.
«Buongiorno signorina. Sono il dottor McGuire.» Non mi venne nemmeno in mente di rispondere tanto mi sentivo inutile.
«Allora, come lei ben saprà e sotto peso, e questo le ha provocato un forte calo di energie.»
Teneva un paio di fogli in mano, pinzati insieme da una penna.
«La terremo qui ancora per un'ora, finché non si riprende un minimo, poi il suo amico la porterà a casa.» Annuii lentamente senza distogliere lo sguardo dal muro. Stavo giusto per stupirmi del fatto di non aver sentito nessuna ramanzina quando lo sentii di nuovo parlare.
«Non sono un dietologo e non me ne intendo molto, ma le posso assicurare che tutto questo non le fa per niente bene. Io sono in ufficio, vieni a chiamarmi quando si sarà ripresa.» Zayn annuì alla seconda frase e poi rimanemmo di nuovo soli. La constatazione del dottore non mi aveva nemmeno sfiorato tanta era la confusione che rimbombava nella mia testa.
Vidi il ragazzo davanti a me sedersi, prendere il libro e aprirlo.
Probabilmente aveva capito che non avrei detto niente di giusto.
Probabilmente aveva capito che non ne valeva la pena.

«Sto meglio.» Affermai catturando la sua attenzione. Era passata più di un'ora, lui scriveva, leggeva, girava le pagine, e un paio di volte mi aveva chiesto di ascoltarlo e leggere sul libro se quel che diceva era giusto.
Ero seduta sul letto, con la schiena poggiata al muro, mi sentivo un po' meno debole e la testa non martellava più come prima.
Lui mi guardò distogliendo gli occhi da un foglio, poi guardò l'ora.
«Va bene, vado a chiamare il dottore.»
Rimasi sola e pensai che in quell'ultima ora, o quel che era, er quasi del tutto riuscita a non pensare a nulla se non alla fisica, nonostante l'ora prima stessi per andare in crisi.
Mi sentivo strana, ma meglio di prima.
«Eccomi, come stai ora?» Cercai di sorridere per sembrare un po' più in forma.
«Meglio grazie.» Giocherellai con il bordo del lenzuolo sentendomi in soggezione, ancora.
«Beh non ci vuole molto, sembravi in fase di collasso» cercò di ironizzare lui, probabilmente per alleggerire l'atmosfera che tuttavia non era così pesante come lui pensava, al momento.
«Comunque sono passate quasi altre due ore, quindi puoi andare. Vorrei solo che passassi tra un paio di settimane per un controllo dei livelli nel sangue.» Acconsentii con un verso senza neanche aver recepito quel che diceva mentre scriveva appoggiato alla scrivania.
«Ecco, devi solo firmare qui per uscire, poi puoi cambiarti ed andare.»
Mi guardai addosso, non mi ero nemmeno accorta che spora ai jeans invece che la mia maglia indossavo un camice bianco. Firmai e il dottore uscì dalla stanza con Zayn per permettermi di vestirmi.
Nonostante fossero usciti li potevo sentire attraverso la porta socchiusa
«Portala a casa e assicurati che ingerisca qualcosa, anche mimimamente, entro questa sera, d'accordo?» Sentii Zayn acconsentire con un verso.
«E tienila un po' d'occhio, potrebbe ricapitare una cosa del genere mentre si trova sola e non è l'ideale.» Zayn disse qualcosa che no riuscii a capire, poi si salutarono. Mi scostai dalla porta, tolsi il camice e infilai il mio maglione che era appoggiato alla scrivania.
Raccolsi il mio zaino, da terra, e lo appoggiai alla spalla prima di uscire.
«Andiamo?» Aveva anche lui lo zaino sulle spalle. Che in realtà non era uno zaino ma una tracolla, di colore nero.
Annuii. Mentre uscivamo compose un numero al cellulare e lo portò all'orecchio.
«Chloe? Per oggi niente, d'accordo? No, scusa, mi ero dimenticato di una cosa. Non sono venuto perché ero stanco e volevo studiare fisica.» Ogni tanto mi mandava un'occhiata mentre parlava.
«No no, a pranzo ci sono, solo a casa tua vengo un altro giorno, magari domani. D'accordo, ciao Chloe, ci sentiamo.» Non appena le grandi porte a vetri furono chiuse terminò la chiamata. Per quanto mi ricordassi Chloe era la ragazza con i capelli rossicci che sedeva vicino a lui. Mi sentii - sicuramente non per la prima volta - un peso. Zayn doveva uscire con una ragazza ma aveva disdetto perché doveva tenermi d'occhio.
Lo vidi tirare fuori una sigaretta e l'accendino e feci lo stesso per poi seguirlo sulla strada.
Ci trovammo alla sua auto in meno di un minuto e imitai lui che si era seduto al posto del conducente con la portiera aperta, sedendomi al posto del passeggero. Quando lui aveva finito mi rimanevano un paio di tiri che non finii subito.
«N-non sei costretto a fare quello che ti ha detto il dottore, posso cavarmela.» Lui mi guardò e misi tutto il mio impegno per sostenere il suo sguardo. Tuttavia lui non rispose, ma si voltò e chiuse la portiera. Unii gli ultimi due tiri in uno solo, più lungo, e buttai il mozzicone a terra per poi chiudere a mia volta.
Il viaggio fu silenzioso, nemmeno la radio era accesa. Guardai fuori per orientarmi tra le strade e capire come arrivare all'ospedale. Probabilmente non era ancora ora di pranzo perché le strade erano quasi completamente deserte e oltre agli anziani non c'erano persone in giro. Il cielo era grigio chiaro, non minacciava pioggia, come era stato la maggior parte dei giorni da quando ero lì. In cinque minuti arrivammo in Wawerlay road.
«Dove devo girare?» Chiese rallentando. Mi risvegliai  e portai lo sguardo dentro alla macchina. 
«In Woodstock avenue.» La macchina girò e ci ritrovammo nel viale dove stava il mio appartamento.
«Quella lì, quella bianca con la porta in legno.» Indicai con la mano l'edificio e lui si fermò esattamente davanti. Non spense il motore, ma quando feci per aprire la portiera la sua voce mi bloccò.
«Vado a pranzo, poi verso le tre passo per studiare fisica, d'accordo?» Rimasi abbastanza sbigottita da quel che aveva detto e volevo dirgli che non doveva, che io non volevo, ma riuscii solo ad annuire. Aprii la portiera, scesi, e prima di richiuderla salutai.
«Ciao.» Chiusi e lui mi fece un segno con la mano prima di ripartire. Presi le chiavi dallo zaino, aprii la porta, e appena entrata spalancai una finestra per far uscire l'odore di chiuso che c'era. Lasciai tutto sul divano e tolsi le scarpe all'entrata, accesi il riscaldamento prima di andare in bagno per una doccia.
E di nuovo mi accorsi che le emozioni confuse e contrastanti che provavo si annullavano lasciando il bianco. Che per qualche strano motivo sembrava un po' meno vuoto di prima, anche se non sapevo se in bene o in male.





 
Salve!
Un po' deludente come capitolo, dopo aver aspettato tutto questo tempo.
Lo so, mi dispiace. Solo che ho avuto veramente pochissimo tempo, e in oltre gli avvenimenti della storia, anche se importanti, non contribuiscono a renderla interessante. Ma ancora un po' di pazienza e giuro che i due, come starete notando, si avvicineranno sempre di più.
Come state? Io bene, e sono felice perché questa mattina ho rifatto la tinta nero-blu, ew.
Sono felice anche perché un sacco di persone hanno iniziato e seguire Belonging e non vedo l'ora di entrare nel vivo della storia per vedere le reazioni.
Bene credo di non avere molto da dire, in verità mi erano venute in mente un sacco di cose ma non me ne ricordo una.
Grazie mille per le recensioni, siete davvero speciali.
Non mi risentirete fino almeno al 28 di agosto, perché vado al mare, quindi vi saluto.

 
Baci, Rayon.

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