Take me Home

di Light Rain
(/viewuser.php?uid=154587)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1. ***
Capitolo 2: *** Parte 2. ***



Capitolo 1
*** Parte 1. ***


Flora, so che in questo momento stai sghignazzando.
E sai cosa ti dico?
Questa la dedico a te.


Take me home
 Parte 1.


Un piccolo raggio di sole riscalda la finestra.
Stiles si rigira stanco nel letto, allunga una mano nella speranza di accarezzare un calore familiare, ma le sue dita trovano soltanto il lenzuolo freddo.
Si stropiccia gli occhi ancora stanchi nella speranza di svegliarli un po’, pigramente scivola nelle pantofole e a tastoni raggiunge il bagno, fa scorrere un po’ d’acqua nel lavandino e si sciacqua il viso rabbrividendo al contatto col liquido gelido.
Alza la testa e il suo riflesso allo specchio lo spaventa più del solito: è uno straccio, più pallido dell’ordinario, capelli aggrovigliati in una massa indistinta, occhiaie livide che circondano gli occhi.
Queste ultime settimane sono state un vero massacro per lui, ma ha finito, finalmente ha finito. Ieri ha consegnato il suo ultimo esame, e se Dio vuole riuscirà finalmete a laurearsi, tre anni in ritardo rispetto ai piani originari, ma poco importa, ha finito, e potrà finalmete tornare a casa.
Al solo pensiero un raggiante sorriso si fa largo nel suo volto, niente lo ravviva più di questo, niente lo riscalda di più della sua casa, della sua famiglia.
Si lascia sfuggire un leggero sospiro carico di trepidazione per poi tornare rapido in camera da letto. Si infila nei primi jeans scoloriti che trova e afferra con sicurezza la sua felpa rossa, schiaccia in modo impacciato gli ultimi vestiti in valigia per poi chiuderla con un ghigno trionfante, poi raduna tutti i libri della scrivania e li fa scendere con cautela uno ad uno nello zaino. Controlla con morbosa attenzione tutti i cassetti per essere sicuro di non aver dimenticato niente, fa scivolare il cellulare in tasca, la fede al dito e afferra con decisione le chiavi di quel polveroso appartamento.
No, quel posto non gli sarebbe mancato, per settimane non aveva fatto altro che aspettare questo momento.
Si mette lo zaino in spalla e trascina il trolley fuori dalla porta poi, con due mandate secche, la chiude definitivamente.
Stiles trotterella allegro fino all’appartamento del proprietario, riconsegna le chiavi e lo saluta con cortesia.
No, nemmeno lui gli sarebbe mancato, quel vecchio dal viso stanco e le orecchie troppo otturate per capire qualcosa.
Si fa due rampe di scale al meglio che può, trascinado a fatica dietro di se il pesante trolley, le sue braccia da mingherlino non aiutano molto, e prova un’enorme sollievo quando arriva finalmente in strada.
Il cellulare nella sua tasca squilla, allunga la mano e legge sorridendo il messaggio: vuole sapere quando sarebbe partito.
“Ora” risponde repentino.
Zigzaga tra le auto parcheggiate fino ad arrivare alla sua Jeep, che nonostante gli anni non lo ha ancora abbandonato, e lui non avrebbe abbandonato lei, per nessuna ragione al mondo.
Posiziona con cura nel bagagliaio la valigia e lo zaino, li sistema accanto agli scatoloni che aveva caricato la sera prima.
Il cellulare trilla nuovamente: “Ti aspettiamo”
Un altro piccolo sorriso si dipinge sul suo volto.
Prima di andarsene per sempre si sarebbe concesso un’ultima colazione al bar, cappuccino e due pomposi muffin al cioccolato.
E sì, forse quegli gli sarebbero mancati, almeno un po’.
Si intrattiene per qualche minuto con quella manciata di amici che si è fatto al college, ride scherza e si domostra, infine, anche falsamente dispiaciuto per la sua partenza, quando invece tutto quello che desidera di più è salire sulla sua Jeep e guidare per due ore filate, fino a casa.
Casa, Beacon Hills, quella cittadina che lo aveva visto muovere i suoi primi passi, che lo aveva consolato dalla perdita di sua madre, che lo aveva accompagnato passo passo con suo padre e che lo vedeva, oggi, vivere difianco alle persone che amava di più al mondo.
Sistema la scatola con il muffin restante sul sedile del passeggero, mette in moto la macchina e sistema le mani sul volante, l’occhio ricade immediatamente sull’anulare sinistro, dove un anello scintilla dorato.
Fa retromarcia ed esce dal parcheggio, pochi metri dopo dice definitivamente addio al suo college.
Certe volte si risorprende ancora meravigliato alla vista di quell’anello, anche se ormai sono passati sei anni da quando lo ha indossato la prima volta, era un giornata tiepida di primavera.
Sì, se la ricorda bene.
Stiles ride da solo in macchina pensando a quando lo aveva detto a suo padre, che si sarebbe sposato, al secondo anno di college, a soli ventuno anni.
No, non l’aveva presa per niente bene, troppo giovane e scapestrato per i suoi gusti, non ce lo vedeva affatto suo figlio impegnato in una vita coniugale.
Era scappato, suo padre, era partito con gli amici del distretto di polizia per una battuta di pesca ed era tornato, tre giorni dopo, con le idee più chiare ed un barile pieno di salmoni.
Lo aveva guardato dritto negli occhi, aveva guardato suo figlio e aveva rivisto sua moglie, e tutto l’amore che gli aveva dato, e dopo un lungo sospiro ricolmo di rassegnazione aveva annuito e Stiles gli era corso incontro e lo aveva stretto, così forte da fargli male.
E poi lo sceriffo aveva sorriso baciando la testa di suo figlio, aveva sorriso e aveva pianto, anche se questo non lo avrebbe mai ammesso con nessuno.
Stiles attende pazientemente che il semaforo diventi rosso mentre picchietta il dito sul volante, sarebbero state lunghe queste due ore, duo ore di trepidante attesa per tornare finalmete a casa.
Se trova poco traffico arriverà in tempo per pranzo, hanno già fissato che saranno da Scott per mezzogiorno.
Oh Scott, il suo mogliore amico, gli manca, erano anni che gli mancava.
Se suo padre aveva preso la cosa seriamente solo con il matrimonio, Scott si era subito reso conto che la loro non era una semplice cotta e per quanto si fosse preparato, perché sapeva che sarebbe successo, sì lo sapeva, non aveva retto il colpo.
Non che fosse dispiaciuto, affatto, ma Stiles aveva trovato qualcuno che amava più di ogni altra persona al mondo e Scott, d’altrocanto, si era sentito in dovere di fare un passo indietro, di lasciare loro i giusti spazi.
Non si erano allontanati, affatto, né avavano dato uno strappo definitivo alla loro amicizia, semplicemente avevano rallentato la loro corsa a due.
“Una naturale progressione degli eventi” piaceva chiamarla a Scott.
Ora non sono più dei liceali in cerca di marachelle, sono uomini, e in un mondo come il loro questo comporta molte cose.
A Stiles non manca la loro amicizia, quella c’è e ci sarebbe sempre stata, troppo forte per essere spezzata dal tempo, a Stiles manca la spensieratezza dei tempi andati, dove tutto era un gioco ed ogni pretesto era buono per ridere, mancano gli scherzi al Coach e le bravate di due stupidi sedicenni, mancano due bambini lontani dai problemi del mondo.
Stiles procede veloce per le strade polverose di qualche pittoresca cittadina, svicola agile e frena prontamente per far attraversare un’anziana signora sulle strisce pedonali.
Non vede l’ora di tornare a casa, a casa e basta, niente stupide cerimonie o cavolate simili, vuole solo distendersi sul divano chiudere gli occhi e respirare ogni singolo profumo che si disperde in essa: la nuova schima da barba, i pancake appena sfornati, il bucato uscito di lavatrice, i pastelli a cera, il giubbotto di pelle appena lavato, le caramelle al limone sparse per il salotto.
Sì, questo vuole Stiles.
Perché hanno impiegato tutto quello che avevano per costruire quella casa, soldi energie e tempo e, nonostante tutta la loro buona volontà, non ce l’avrebbero mai fatta senza l’aiuto delle persone a loro care, un casa non si costruisce solo con l’amore.
Hanno faticato tanto, ma ogni singolo mattone posato, ogni singola sedia scelta è un dono per loro, perché quella casa non significa solo un posto in cui stare, per loro quella casa è famiglia e Stiles sa bene quanto questo voglia dire, per lui e per la persona che ha scelto di amare, lo sa fin troppo bene.
Il suo stomaco inizia a ringhiare quando sorpassa l’ora e mezzo di viaggio, brontola e brama il muffin al cioccolato nel sedile difianco al suo, ma Stiles resiste, quel muffin sarebbe arrivato a Beacon Hills, già vedeva un piccolo sorriso dipingersi alla vista di quel dolcetto.
Per distrarsi un po’ accende la radio, una canzone suona dalla prima stazione radio che trova.
“Under pressure, that burns a bulding down.
 Slits a family in two.
 Puts people on street”
Stiles alza istintivamente il volume.
“It’s the terror of knowing
 what this world is about.
 Watching some good friends
 screaming - let me out! -
 Pray tomorrow, gets me higher”
Canta lui a squarciagola.
Under pressure, sotto pressione, lui adora questa canzone.
Gli da carica, gli ricorda che anche quando tutto sembra perduto o inrecuperabile e la pressione è talmente tanta da distruggere ogni cosa che si ha attorno, se si ha la forza di rialzarsi c’è sempre qualcosa a cui fare appiglio.
E Stiles sa bene cosa sia la pressione, quella vera, quella che ti annienta sotto ogni punto di vista, fisico e mentale. Per molto tempo si è perso nel labirinto che è la cruda realtà, per molto tempo si è lasciato trascinare da quelle che erano le sue paure.
Perché quando vivi la vita sul filo del rasoio, o allontani tutto ciò che hai caro o ti ci aggrappi con tutta la forza che hai in corpo.
E Stiles aveva fatto tutte e due le cose, entrambi lo avevano fatto.
Erano scappati fino a che avevano potuto, rinnegando tutto e tutti, si erano rinchiusi nel loro piccolo mondo di cartapesta sperando che un giorno tutto quello che vi era di brutto magicamente sparisse. E poi, un giorno, si erano alzati, con così tanta foga da farli tremare, si erano alzati e si erano aggrappati con tutta la forza che possedevano a quello che avevano di caro al mondo, e avevano iniziato a cercare quella scintilla in più, quello spicchio di sole che erano sicuri li avrebbe tenuti al caldo per sempre.
E si erano trovati.
Sì, si erano trovati, in una piovosa giornata d’inverno, senza troppi sforzi, con naturalezza. Avevano lasciato crollare i muri e avevano fatto sfiorare quelle mani che si cercavano già da un po’, le evevano fatte incrociare e le avevano strette una nel calore dell’altra. Poi si erano guardati e avevano sorriso, consapevoli di quello che stavano iniziando e consapevoli che quelle mani, così diverse tra loro, non si sarebbero lasciate per nessuna ragione al mondo.
Sorride Stiles, crogiolato da un così dolce ricordo, sorride mentre guida verso la sua casa.
“Can’t we give ourselves one more chance?
 Why can’t we give love that one more chance?
 Why can’t we give love?”
Canta ancora Stiles, sapendo di averlo fatto, di esserci riuscito.
Di essersi dato una possibilità, di averla data ad entrambi.
“And love dares you to change
 of way of caring about ourselves.
 This is our last dance”
Questo è il nostro ultimo ballo.
Questi siamo noi.
E ora lui stava danzando, stava danzando da quasi otto anni, e non ha voglia di smettere, nessuno dei due ne ha la minima intenzione.
E canta ancora Stiles, sperando che il tempo passi più in fretta, sperando di arrivare il prima possibile a casa.
E quando legge in lontananza il cartello col nome della sua città stenta quasi a crederci. 
Ancora pochi minuti, si ripete, ancora pochi minuti.
Pensa a come sia la sua vita adesso e pensa a come se la fosse immaginata dieci anni prima, a come sia diversa e a come non possa essere migliore.
Pensa che dieci anni fa non si sarebbe mai immaginato questo, non si sarebbe mai immaginato che quegli occhi verdi così pieni di durezza e rancore, un giorno, avrebbero sorriso solo per lui, e che un giorno alla sua vista il suo cuore avrebbe tamburellato per l’emozione e non per la paura, non si sarebbe mai immaginato che quelle due vite così confuse e complicate un giorno si sarebbero incrociate fino a formarne una sola, che sarebbero cresciuti insieme, che si sarebbero amati come mai fatto prima, che avrebbe chiamato quella persona “casa”.
Eppure c’era una cosa che aveva sempre saputo, fin da quel giorno, quel giorno d’autunno in cui si erano incontrati per la prima volta.
Stiles sapeva che tra quegli alberi spogli e le foglie ingiallite la sua vita non sarebbe stata più la stessa.
Ecco a cosa pensa Stiles parcheggiando la sua Jeep nel vialetto, ecco a cosa pensa Stiles ogni giorno della sua vita, ecco a cosa pensa scendendo dalla macchina e mettendo un piede dietro l’altro, pensa a tutto ciò che erano stati e a tutto ciò che saranno.
Ecco a cosa pensa quando la porta di casa si apre quando lui è ancora in strada, quando una bambina dagli occhi verdi e due trecce castane gli corre incontro sorridendo.
Ecco a cosa pensa.
A tutto quello che hanno creato di buono insieme.
Lui e Derek.















Angolo Autrice.

Salve! Questa è la mia prima fanfiction in questo magnifico fandom, spero con tutto il cuore che vi sia piaciuta, mi farebbe molto piacere leggere un vostro parere, anche piccolo...
La canzone che canta Stiles in macchina è “Under Pressure” dei Queen.
Mi auguro di ritrovarvi per la seconda parte :)

Flora, ho perso il controllo di me stessa, ma non me ne frega assolutamente niente!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte 2. ***


Take me home
 Parte 2.


Stiles stringe forte la sua bambina, la stringe e la fa girare insieme a lui.
E lei ride, aggrappandosi forte alle spalle del padre.
Lei ride e Stiles la bacia, con dolcezza, e lei ride ancora.
Ridono insieme mentre volteggiano nel giardino davanti casa.
Lei ride e Stiles è felice, come non lo è da giorni.
La bacia ancora e lei arriccia il naso ricoperto di lentiggini, si porta le mani sulle guance e preme forte.
-Pizzicca­- sorride lei.
Stiles la guarda confusa.
La bambina allunga un piccolo dito e lo poggia sul suo mento.
-La barba, tagliala!- ordina decisa lei.
Stiles si passa una mano sul viso. Stamattina non ha avuto tempo di radersi, o semplicemente non ha avuto la volontà di ritagliarselo, troppo impaziente di tornare a casa.
-Ma anche papà ha la barba- ribatte lui.
-Ma la sua è morbida- risponde subito lei, delicata.
Stiles sorride.
-Sì, lo è- dice semplicemente.
Lo è.
Un altro desiderio si fa largo nel petto di Stiles, un desiderio che lo travolge da anni ormai.
Quanto a lungo aveva cercato di sopprimerlo, quanto aveva cercato di schiacciarlo.
Ma poi era stato questo a schiacciare lui, in un modo che non si sarebbe mai aspettato, in un modo che tuttora non è in grado di spiegare. Lo aveva investito, lo aveva travolto e riempito in ogni sua mancanza, lo aveva completato con tutto quello che gli serviva: con la sicurezza, con la fiducia, con la speranza, con la felicità, se è possibile ridurlo a questo, con la felicità.
-Dov’è quel brontolone di tuo padre?- chiede il ragazzo voltandosi istintivamente verso casa.
E lui è lì, appoggiato alla porta, le braccia incrociate sul petto, gli occhi fissi nei suoi ed un piccolo sorriso sul volto.
Lui è lì, c’è sempre.
A piccoli passi Stiles si muove verso l’entrata tenendosi stretto al petto la sua bambina.
C’era sempre stato, quando il mondo andava per il verso giusto e quando sembrava li volesse inghiottire tutti, quando quei due ragazzi non avevano niente che li legava eppure si aggrappavano con forza l’uno all’altro, quando il caos sembrava prevalere su tutto e Stiles non era più neanche se stesso, lui c’era anche allora, soprattutto allora.
Allunga il collo e lo bacia, con dolcezza.
Lo sente ridere sulle sue labbra.
Sa di caffè, caffè e biscotti.
E sì, la barba è morbida.
Stiles si lascia chiudere la porta alle spalle e viene immediatamente travolto da tutta quella nostalgia che aveva cercato di sopprimere in tutti quei giorni che era stato lontano, le ore al telefono non sono neanche lontanemente vicino a questo, no neanche un po’.
-Hai fatto la brava con papà?- chiede Stiles baciando ancora la sua bambina.
Lei annuisce vigorosamente.
Stiles lancia un piccolo sguardo a Derek per avere conferma, lui ricambia con un sorriso.
-Ieri è venuto il nonno!- esclama lei -abbiamo fatto i biscotti!- la sua voce traballa per l’emozione.
-Me ne hai lasciati un po’?- domanda ancora lui.
La bambina annuisce -ne abbiamo fatti tanti- esclama aprendo il più possibile le mani.
-E sono buoni?- chiede di nuovo Stiles, potrebbe stare ore perso in quella vocina.
-Buonissimi- interviene Derek con un sorriso -e li ha fatti Talia tutta da sola- precisa poi.
La bambina sorride felice.
Sorridono tutti e tre.
-Il nonno mi ha regalato una bambola nuova!- esclama lei dimenandosi tra le braccia del padre per farla scendere -papà vieni a vedere!- grida lei quando è già per le scale.
-Scarico i bagagli e arrivo subito!- risponde Stiles già proiettato verso la porta.
La mano di Derek lo ferma, il suo corpo si arresta all’istante quando sente il calore di lui avvolto sul suo polso.
-Faccio io- sussurra semplicemente.
La mano abbandona il polso per posarsi delicata sulla sua vita.
Istintivamente Stiles si lascia cadere sul corpo di Derek, lui lo stringe più forte a sè.
Poggia delicato il viso nell’incavo del suo collo e si ferma lì, cullato nel suo abbraccio.
E’ caldo, e dolce.
Deve aver comprato un nuovo bagno schiuma.
Sa di vaniglia.
Ricorda ancora quando il suo sapore era amaro.
Quando sapeva di cenere e polvere.
A nessuno dei due piaceva, forse perché insieme alla legna bruciata portava con sè anche tutto il dolore che cercavano invano di seppellire.
Ci sono ancora giorni in cui è impregnato di quell’odore, Derek non lo dice ma Stiles sa che torna spesso a casa Hale, si siede nal portico e sta lì, immobile.
Ogni tanto, quando è dell’umore giusto, si lascia accompagnare.
Ogni tanto, entrano insieme in casa e si lasciano crollare sulle pareti bruciate.
Ogni tanto Derek parla di come era la sua vita prima, di sua madre, di sua sorella, del branco.
Ogni tanto parla anche di lui.
E sa di cenere e fumo, sa di nostalgia e di scelte sbagliate.
E sa di dolore, soprattutto quello.
Stiles sfiora col naso la sua spalla.
A lui piace quando Derek sa di bosco, di foglie e di erba fresca.
E quando sa di lui, quando indossa le sue maglie, seppur strette.
E quando sa di Talia, di pastelli a cera e di bagnoshiuma alla vaniglia.
-Dio quanto mi sei mancato- sussurra nell’incavo del suo collo.
Lo sente ridere.
Alza leggermente la testa per rubargli un piccolo bacio, poi torna sulla sua spalla.
Si sta bene lì, sa di casa.
-Stiles- sussurra Derek dolcemente.
-Sì?- chiede subilo lui.
-Fatti la barba- ordina deciso.
Stiles scatta immediatamente.
-Anche tu con questa storia!- esclama.
Derek ride e lo avvicina di più, se possibile, lo guarda per qualche istante e poi lo bacia, con vigore.
Stiles allunga le mani dietro al suo collo e giocherella con la sua nuca.
Questo è molto diverso dal loro primo bacio, molto.
Al tempo era stato Stiles a dare l’avvio, un po’ per gioco un po’ per esigenza, si era voltato di scatto e aveva stampato un bacio dritto sulle labbra di Derek poi, senza dire niente, se ne era andato.
Per due settimane nessuno aveva avuto il coraggio di incontrare l’altro.
Oh, ma questa è una loro peculiarità, dopo grandi cambiamenti seguono sempre grandi momenti di silenzio.
Poi Derek era andato a prenderlo all’uscita di scuola, e Stiles ne era stato incredibilmente lieto, con tutti quei testimoni non avrebbe mai cercato di ucciderlo, no non lo avrebbe fatto.
-Papà!- grida Talia dal piano di sopra.
I due si staccano, svogliati.
-Arrivo tesoro!- risponde Stiles.
Derek lascia un altro piccolo bacio prima di avviarsi alla porta.
-Sul sedile davanti c’è un muffin per Talia- lo ferma Stiles.
Derek annuisce sorridendo, lui si dirige verso le scale.
-Stiles- lo chiama nuovamente.
-Sì?- risponde facendo capolino dalla rampa.
-Bentornato a casa-  sorride lui prima di uscire.
Stiles si fa di corsa le scale e trova la sua bambina sul lettone di camera loro, in mano una nuova bambola, lui si siede difianco a lei.
Gli racconta che ieri nel pomeriggio è venuto suo padre, che gli ha portato un regalo e che poi hanno fatto i biscotti, gli racconta di come si è divertita e di come poi avevano cenato tutti e tre insieme.
E Stiles sorride ed è infinitamente grato a suo padre.
Perchè Talia potrà anche avere un solo nonno, ma non ce n’è di migliore.
Si distende sul letto e afferra la sua bambina, la punzecchia e le fa il solletico, e lei ride.
-Che fate voi?- domanda Derek entrando in camera.
-Papà mi fa il solletico!- ride Talia.
Stiles alza le mani al cielo, un sorriso colpevole gli riempie il volto.
-E’ così?- inizia Derek facendo qualche passo verso il letto -allora noi lo facciamo a papà!- conclude gettandosi sul compagno.
Stiles prova in qualche modo a bloccare le sue mani, ma ogni tentativo di resistenza è vano.
-Oddio Derek smettila!- urla.
Ma lui si diverte troppo anche solo per rallentare.
Stiles si rigira nel letto, gli occhi gonfi di lacrime da quanto sta ridendo.
Anche Talia ride.
Quando finalmente le mani si fermano Stiles è costretto a prendere fiato.
-Credevo di morire- sbuffa lui.
Derek lo tira sù, stampa un bacio prima sulla sua fronte e poi su quella di Talia, con disinvoltura la prende in braccio.
-Sù sù, andiamo a cambiarci che dobbiamo andare da Scott- dice alla bambina.
-Io vado a farmi la barba- annuncia Stiles mettendosi in piedi.
-Sarà bene- sorride Derek.
Stiles scuote leggermente il capo.
Questo gli è mancato, loro tre insieme, soltanto questo.
Sentire la vocina di Talia trillare per casa, vedere il viso di Derek gonfiarsi in un ampio sorriso, farsi la barba e sentire quei due bisticciare su quale vestito indossare.
L’acqua scorre fredda nel lavandino.
Niente riempie il suo cuore più di quelle due persone, niente lo ravviva più del vedere Derek totalmete perso negli occhi di loro figlia.
L’ombroso e acido Derek Hale in balia di una bambina di quattro anni.
No, questo non se lo sarebbe mai immaginato.
-Dobbiamo parlare- aveva annunciato Derek una sera.
Dopo due anni di matrimonio nessuno dei due aveva mai pronunciato una frase simile, e Stiles era certo che non avrebbe portato a niente di buono, non lo fa mai.
-Mi devo preoccupare?- aveva chiesto.
Derek si era limitato ad annuire, serio.
-Da un po’ di tempo ho iniziato a pensare ad una cosa- aveva iniziato lui -credevo fosse una stupidaggine, ma ora io ho bisogno di quella cosa e ci penso tutti i giorni e non so più come fare- balbettava Derek.
-Dimmi di cosa si tratta- lo aveva interrotto Stiles.
-Lo voglio davvero tanto, non credevo di volerlo ma ora è come se non ne potessi fare a meno- continuava a parlare lui.
-Cosa Derek? Cosa?- aveva urlato Stiles.
Era nervoso, molto.
-Se tu dovessi dirmi di no io non so cosa potrei fare- aveva annunciato deciso Derek.
E Stiles si era sentito crollare il mondo addosso.
Lo avrebbe lasciato, ne era sicuro.
Dopo aver comprato casa, dopo essersi sposati, dopo aver trascorso quattro anni delle loro vite insieme lo avrebbe lasciato.
E Stiles si sentiva morire dentro.
-So benissimo che noi insieme non possiamo, ed allora ho iniziato ha pensare che forse...- Derek boccheggiava in cerca delle parole giuste -io lo voglio con tutto me stesso ma tu, io non lo so, io pensavo che forse...- non ci riusciva, non trovava il coraggio.
-Dillo e basta Derek!- aveva urlato Stiles.
-Io voglio un figlio- aveva annunciato infine.
Si erano guardati dritti negli occhi e Stiles, per qualche meccanismo contorto, aveva pensato al peggio. Forse per la tensione accumulata o forse perché, infondo, la paura di perderlo lo affliggeva ogni giorno.
-Allora vai! Va pure, ma non ti aspettare le congratulazioni!- aveva urlato.
-Ma cosa stai dicendo?- aveva chiesto confuso Derek.
Stiles lo guardava dritto negli occhi, furioso.
-Vuoi un figlio, fa pure! Vai a trovarti una bella donna e mettila incinta. Non è questo quello che vuoi?- era fuori di sè -lo hai detto anche tu che noi non possiamo farlo, no? Allora vai! Sposatela! Fate la vostra bella famiglia felice, ma non qui, non in casa mia!- era disperato -domani mattina ti voglio fuori di qui!- aveva concluso asciugandosi le lacrime e scappando verso il piano di sopra.
-Stiles!- lo aveva chiamato Derek, non aveva ricevuto risposta.
Lo aveva inseguito, lo aveva affarrato e lo aveva stretto forte a sè.
Ogni suo tentativo di resistenza era vano.
-Perché?- aveva chiesto tra le lacrime -perché mi fai questo?- urlava contro il suo petto.
-Sei un cretino- aveva poi riso Derek.
Stiles si dimenava. Non solo lo abbandonava, si prendeva anche gioco di lui.
-Io voglio una famiglia- aveva sussurrato delicato Derek -una famiglia e una bella casa, voglio svegliarmi accanto alla persona che amo per il resto della mia vita e voglio un figlio- aveva continuato dolcemente -voglio un figlio e voglio che io e te lo cresciamo insieme- aveva detto staccandosi da Stiles per poterlo vedere negli occhi -ecco cosa ti volevo dire, che stavo pensando che forse potremo adottare un bambino, insieme- aveva concluso Derek con un leggero tono d’imbarazzo.
Stiles lo guardava confuso, incapace di riordinare i pensieri.
-Io e te?- aveva poi avuto la forza di domandare.
-Non ti ho sposato mica per la torta- aveva sorriso Derek.
Stiles si sentiva mancare l’aria, aveva bisogno di stendersi o sarebbe svenuto, se lo sentiva.
A tastoni era arrivato al divano e con uno sbuffo si era lasciato cadere.
-Stai bene?- aveva domandato Derek, preoccupato.
Stiles aveva scosso la testa, pallido.
-Ho appena scoperto che diventerò padre, dammi tempo- aveva poi ribattuto in un leggero sorriso.
Stiles si spalma accuratamente la schiuma da barba sulle guance.
Pochi mesi dopo sarebbe arrivata Talia, lo sceriffo era andato fuori di testa, Derek aveva comprato almeno una dozzina di libri sulla natalità e Stiles aveva sospeso gli studi.
Ma infondo, sebbene nessuno si sentisse preparato a sufficienza, se l’erano cavata piuttosto bene.
Sì, lo avevano fatto.
L’acqua tiepida riempie il lavandino, Stiles posa delicato la lametta sulla pelle.
Gli bastano poche passate per finire il lavoro, si sta risciacquando la faccia quando sente due mani avvolgergli la vita, il corpo caldo di Derek sulla sua schiena.
-Talia è già pronta nel vestito arancione- sussurra lui mentre lascia dei piccoli baci sulla sua nuca.
-Di già?- chiede sorpreso Stiles.
-Abbiamo fatto stranamente presto oggi- dice Derek in un sorriso.
Afferra un asciugamano e si tampona il viso.
-Come sono andati questi giorni? Ha fatto la brava?- domanda Stiles.
-Quella bambina è un tornado, non sta ferma un attimo- ride Derek.
Stiles si volta istintivamente e stampa un piccolo bacio sul suo naso.
-Allora andiamo a cambiarci prima che ci distrugga la casa- afferma con dolcezza.
Si preparano velocemente, Derek scivola in una camicia grigia e Stiles in una semplice t-shirt, per quanto la coppia appaia al meglio entrambi sfigurano comparati a Talia.
-Ma chi è questa bellissima bambina?- domanda Scoot quando la vede.
-Zio Scotty!- trilla lei tuffandosi nelle sue braccia.
I due volteggiano nell’atrio di casa McHall.
-E’ un piacere anche per me amico- interviene Stiles ironico.
-O andiamo, vieni qui!- lo invita lui.
I due si abbracciano vigorosamente, sembra passata una vita dall’ultima volta, lo sembra sempre.
Talia già corre per casa in cerca di Melissa.
-Me lo tratti bene?- chiede Scott a Derek con una calorosa pacca sulla spalla.
-Perché nessuno chiede mai il contrario?- sbuffa lui imbronciato.
-Perché io sono un amore- ride Stiles.
Nella casa aleggia un leggero profumo di verdure grigliate, è pulita e luminosa, sa di infanzia e momenti felici, a Stiles piace tornare lì.
-Dov’è la mia principessa?- chiede lo sceriffo sbucando dalla cucina.
Talia gli corre subito in contro.
Ecco cosa serve a Stiles, niente di più.
Sorride abbracciando suo padre, sorride vedendo Derek ancora imbarazzato al suo cospetto, sorride e si sente pieno.
Si siedono tutti a tavola, Mellissa poggia un enorme teglia di lasagne e a Talia brillano gli occhi, Stiles racconta di aver finalmete dato gli ultimi esami dopo tre anni di pausa, racconta delle sue perplessità riguardo al dopo, ma afferma di aver già inviato il corriculun alla Beacon Hills High School, il suo vecchio liceo. Se Scoot è entrato nel FBI per poter aiutare il più possibile, Stiles si sentiva in dovere di seguire gli studenti, visto che alla loro epoca non avevano avuto molta fortuna.
E ridono ancora ascoltando le vecchie avventure dello sceriffo Stilinski, sentendo Melissa rimproverare suo figlio per non essersi ancora sistemato, e vedendo lui fare spallucce affermando che potrebbe accadere anche domani.
Stiles ride fra sè e sè, perché sì, infondo potrebbe.
La sveglia aveva risuonato nell’appartamento, interrompendo il sonno di entrambi.
-O mio Dio è tardissimo- aveva urlato Stiles fiondandosi giù dal letto.
-Ma sono solo le sei- aveva biascicato Derek con la bocca ancora impastata.
-Sì ma devo andare da mio padre a prendere la mia roba e poi farmi due ore di macchina fino al college- trillava Stiles mentre correva per la stanza in cerca dei suoi vestiti.
-Ti accompagno io se vuoi- aveva proposto Derek mettendosi a sedere sul letto.
-No, no. Non è per il viaggio. E’ che mi da proprio sui nervi fare sempre avanti e indietro da qui a casa. Poi lascio mezza roba là, mezza qui. E’ snervante- aveva confessato Stiles infilandosi i pantaloni.
-Sarebbe molto più semplice se tu vivessi qui- aveva semplicemente detto Derek.
Stiles si era improvvisamente fermato.
-Cos’è? Un pensiero? Una costatazione?- eveva chiesto lui voltandosi verso il compagno.
-E’ un desiderio, e una proposta- aveva risposto tranquillo.
-Io venire a vivere qui? Senza offesa ma non è esattamente il mio ideale di casa, e penso che non sia neanche il tuo- aveva detto Stiles rovistando nell’armadio di Derek in cerca di una camicia decente.
-Lo so, ma è provvisorio. Finchè non trovo una sistemazione migliore- aveva continuato l’altro.
A nessuno dei due piaceva quell’appartamento, troppo spoglio per entrambi.
-Dovremmo comprare casa insieme- aveva azzardato il giovane.
-Ci vogliono soldi Stiles- aveva subito ribattuto Derek.
E per poco non era cascato nell’armadio per quella risposta, non se l’aspettata, non si aspettava che lo prendesse davvero in considerazione.
-Mio padre ci darebbe una mano- aveva affermato convinto Stiles scivolando in una semplice maglietta blu.
Derek aveva alzato un sopracciglio.
-Tuo padre ci aiuterebbe a comprare una casa dove vivere 24h su 24? Tuo padre che mi ha pedinato per tre mesi per essere sicuro che non tramassi contro l’umanità?- aveva domandato poi.
-Ok, ok. Hai ragione. Non ci aiuterebbe mai, a meno che noi...- Stiles si era fermato di colpo.
-Noi cosa?- aveva chiesto Derek.
-Non fossimo sposati- aveva concluso deciso.
Si erano guardati per qualche secondo, poi Stiles aveva dovuto distogliere lo sguardo per ricordare a se stesso come si respira.
-Fai sul serio?- era scattato Derek.
-A quel punto si dovrebbe arrendere all’evidenza- si era limitato a dire facendo spallucce, non trovava il coraggio di dire altro.
-Stiles hai ventuno anni! Stiamo insieme da quanto? Due? Sei a malapena uscito da Beacon Hills e dubito fortemente che tu l’abbia vista tutta! Un matrimonio? E poi sei mai stato con qualcuno oltre me?- Derek era stranamente una mitragliatrice di parole quella mattina.
E per una volta se lo poteva anche concedere.
-Ok, ok, Derek ho capito. Troppo giovane e troppo inesperto anche solo per pronunciare la fatidica parola con la M- aveva provato a sdreammatizzare Stiles in tono ironico.
-Io non...- cercava di dire Derek, ma non riusciva a trovare le parole giuste.
-Lo so, lo so. Dicevo tanto per dire. E poi lo so che non sei tipo da matrimonio- aveva detto Stiles raccogliendo il suo zaino -ti chiamo in serata- aveva concluso stampando un bacio sulle labbra del compagno.
Era triste, in qualche modo. Non ci aveva mai pensato, non seriamente, e tanto meno ne avevano discusso insieme. Non sapeva nemmeno se lo voleva sul serio, eppure sentirselo negare aveva aperto una voragine nel suo petto.
Sposare Derek Hale. Un pericoloso lupo mannaro. Come gli era venuto in mente? Continuava a scuotere la testa consapevole che, in fondo, non era poi così strano che lo volesse.
No, per lui non lo era.
-Stiles- lo aveva richiamato Derek quando lui stava già uscendo.
-Sì?- aveva subito chiesto lui.
-Davvero mi sposeresti solo per non fare avanti e indietro?- aveva domandato serio Derek.
-Ti sposerei perché ti amo- aveva sorriso istintivamente Stiles per poi lasciare l’appartamento.
E poi era andato a casa, aveva riempito una valigia ed era salito in macchina, lo aveva chiamato dopo le lezioni e nessuno aveva accennato alla faccenda.
Nessuno lo fece per tre mesi in effetti.
Poi un giorno Derek era tornato a casa con due fedi.
-Papà a che pensi?- lo richiama Talia.
-A quanto sei bella- sorride Stiles mandando un piccolo bacio all’altra estremità del tavolo.
Poi si volta verso Derek e si perde per qualche istante nel profilo perfetto del suo volto.
Avevano corso quei due.
Dopo essere stati sicuri l’uno dell’altro avevano iniziato a correre, forse per recuperare il tempo perso o forse per non doverne perdere più. Avevano corso con tutto il fiato che avevano in corpo. E se il percorso era stato difficile, l’arrivo era stato facile, liberatorio.
Derek si volta e gli concede un piccolo sorriso, uno di quelli che è ancora in grado di fermargli il cuore dopo tutti quegli anni. Allunga una mano e la stringe nella sua, con naturalezza.
Avevano corso, troppo per alcuni. Troppo in fretta.
Ma a loro non importava, avevano imparato ad ignorare quella parte di mondo che non li voleva, avevano imparato a dedicarsi solo a loro stessi, giorno dopo giorno.
E c’era ancora gente che pensava che quei due, così diversi e così distanti, non fossero in grado di formare una coppia.
Ma a loro non importava.
Perché loro insieme stavano bene.
Loro tre, insieme, stanno bene.


-Derek è finita! Mi hanno chiamato ora! Hanno detto che è pronta!- aveva urlato Stiles facendo irruzione nell’appartamento di Derek.
Lui si era immeditamente voltato in cerca di spiegazioni.
-La casa Derek! E’ pronta!- aveva esclamato Stiles saltellando avevanti e indietro.
Il lupo aveva chiuso il libro e si era seduto pigramente sul divano.
-Ma non avevano detto che non avrebbero attaccato la corrente fino alla prossima settimana?-  aveva domandato lui dubbioso.
-Hanno fatto prima!- aveva esclamato Stiles -hanno detto che possiamo andare quando vogliamo!- il giovane continuava a muoversi istericamente avanti e indietro.
Derek non lo aveva mai visto così febbricitante, apparte al matrimonio, apparte quello.
-O mio Dio! Una casa tutta nostra!- aveva esclamato Stiles accoccolandosi al suo fianco -Derek ti immagini tutte le cose che potremmo fare? Party selvaggi, riunioni segretissime di licantropi...- si era interrotto improvvisamente -non con la luna piena! Santo cielo Derek non con la luna piena! L’abbiamo comprata ora, voglio che rimanga intatta almeno per altri dieci anni!- era scattato lui.
-Sei un cretino- aveva riso Derek.
-Un cretino che hai sposato- aveva ribattuto Stiles con un bacio.
-Vero- aveva poi ammesso lui.
Stiles si era rintanato al suo fianco, lui lo stringeva forte a sè.
A Derek piaceva averlo vicino, lo teneva il più possibile quando poteva.
Gli piaceva sentire il suo cuore battere nel petto, sentire il suo respiro regolare, sentirlo vivo accanto a sè. Gli dava sicurezza.
-Cosa c’è?- aveva chiesto il compagno.
-Niente- aveva scosso il capo lui.
-Andiamo Derek. A cosa stai pensando?- aveva insistito Stiles.
Lo conosceva, fin troppo bene.
Con gli anni era riuscito a sgretolare quel muro che lo avvolgeva, in effetti aveva fatto molto di più, aveva portato alla luce quello che era stato sepolto molto tempo prima.
-E’ che sono un po’ in ansia- aveva poi ammesso -sinceramente sono terrorizzato- aveva concluso in un sospiro.
Ed era vero, questo lo terrorizzava.
Perché dopo anni si era concesso di costruire un qualcosa, di stendere le basamenta e posare i mattoni, si era concesso di vivere un presente, si era concesso di viverlo a pieno, con ogni sua emozione, si era concesso un futuro.
Ed era terrorizzato.
Era terrorizzato che un giorno glielo avrebbero portato via, che avrebbero raso al suolo tutto quello che aveva costruito, che lo avrebbero bruciato, che gli avrebbero lasciato solo le ceneri.
E questo no, questo Derek non riusciva neanche a pensarlo.
-Possiamo essere terrorizzati insieme, se vuoi- aveva sussurrato Stiles al suo fianco.
Lo aveva guardato, aveva guardato quegli occhi color dell’ambra, e aveva sorriso.
Lo aveva guardato e aveva ripensato a tutto quello che avevano passato insieme, a tutte le difficoltà che avevano affrontato e a tutti i momenti che avevano condiviso, lo aveva guardato e si era sentito forte.
-Stiles- lo aveva chiamato dolcemente
-Si?- aveva risposto subito lui.
Lo aveva guardato e aveva visto tutto quello che gli serviva.
-Portami a casa-














Angolo Autrice.
Così finisce questa mia prima Sterek. Ringrazio di cuore tutti coloro che l’hanno letta e che l’hanno inserita tra le preferite/seguite/ricordate. Spero che vi sia piaciuta tanto quanto è piaciuta a me scriverla <3

Flora, non ti preoccupare, sto già scrivendo l’altra.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2472640