Like a bug in a web, I'm trapped and so are you

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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Like a bug in a web, I'm trapped and so are you ***
Capitolo 2: *** The morning after ***



Capitolo 1
*** Like a bug in a web, I'm trapped and so are you ***


Like a bug in a web
I'm trapped and so are you

(Bug in a web - Callmekat)


« Sono a casa! » annunciò Rin, chiudendosi la porta alle spalle. Posò a terra la busta della spesa e si levò le scarpe con estremo sollievo.
 Makoto riemerse dalla sua camera ancora con gli occhiali addosso.
« Bentornato! » lo salutò, sorridendogli gentile. Rin si perse un attimo a guardarlo.
« Scusa il ritardo » disse, cavandosi vari strati di giacche insieme. Makoto distolse lo sguardo. Rin finse di non notarlo, come tutte le sere.
« Ho comprato gli ingredienti della cena e » sollevò la sporta trionfante « ti ho comprato il dolce più diabetico che ho trovato. »
Makoto si illuminò. Finivano sempre per mangiare più o meno le stesse cose, e Rin si rendeva conto che la sua dieta perfettamente bilanciata da atleta non doveva essere il massimo per chiunque non puntasse alle Olimpiadi.
« Grazie infinite!
« Non è niente, era anche in offerta. Vado a metterlo in frigo prima che riempia di grassi saturi tutto il resto.
Sapeva che Makoto stava sorridendo, anche se gli aveva voltato le spalle. Sistemò la spesa e tirò fuori pentole e tagliere. Si stiracchiò per bene prima di cominciare a preparare la cena.
« Serve una mano? » Makoto era più vicino di quanto si aspettasse e lo fece sobbalzare.
« Potresti aiutarmi a tagliare le verdure, se hai finito di studiare » rispose, e gli fece spazio di fianco a sé.
 
Da quando erano a Tokyo Makoto stava male.
Non lo dava a vedere, ovviamente, ma Rin si era accorto che non era più il solito. Il suo sorriso era tirato, non gentile e pacatamente brillante come prima. Parlava poco ed era sempre distratto. Gli mancava casa, la sua famiglia. Gli mancava Haruka. Era la prima volta che si separavano da tutta la vita, dopotutto.
Rin non aveva idea di come aiutarlo. Ne aveva parlato con Haruka, ma entrambi non sapevano come comportarsi. Di solito era Makoto a prendersi cura di loro, a parti inverse non sapevano come muoversi.
Aveva provato a confortarlo occupandosi di più cose possibili. Alla fine l’aveva lasciato senza nulla da fare se non studiare e andare a lezione, peggiorando la situazione. Una sera gli aveva cucinato lo sgombro e, anche se Makoto lo aveva nascosto bene, per poco non l’aveva fatto piangere. Non sembrava avere fatto amicizia con nessuno, cosa assurda per uno come lui. Rin se lo era anche portato dietro ad un paio di uscite con i suoi compagni della squadra di nuoto dell’Università, ma l’aveva solo fatto preoccupare e messo a disagio.
Aveva tentato di parlargli, naturalmente. Dato che non si sarebbe aperto facilmente, aveva tentato di empatizzare raccontandogli di quando era in Australia. Alla fine di tutto si era ritrovato sull’orlo delle lacrime e un disperato bisogno di un abbraccio. Non era quello che aveva sperato, però Makoto lo aveva abbracciato davvero e sorriso – sorriso sul serio - per la prima volta da settimane.
Il suo orgoglio ne era uscito piuttosto malconcio, ma quando si trattava di Makoto non gli importava veramente.
Poi, una sera di maggio, era crollato.
Rin era tornato a casa più tardi del solito, portando con sé due borse strapiene di cibo d’asporto ancora bollente e l’aveva trovato sul divano che piangeva disperato abbracciato a un cuscino. Si era sentito come quando aveva nove anni e sua madre aveva preso l’influenza; non poteva alzarsi dal letto, e lui e Gou, nel panico totale, avevano fatto la spola per ore tra la porta della camera da letto e la cucina, portando avanti e indietro di tutto senza poi avere il coraggio di offrirlo alla madre o di parlarsi per non disturbarla. Solo che questa volta era teoricamente adulto, non c’era Gou a aiutarlo e Makoto non era sua madre.
A ripensarci si sentiva ancora imbarazzato a morte. Non aveva saputo far altro che abbracciarlo goffamente, battendogli piano la mano sulla spalla e passargli i fazzoletti di tanto in tanto. Gli aveva sussurrato almeno un centinaio di volte che andava tutto bene, per dire qualcosa e senza crederci davvero. Makoto si era accorto di quanto fosse a disagio e si era tirato indietro, scusandosi e minimizzando l’accaduto. Rin non aveva potuto sopportarlo e l’aveva placcato, più che abbracciato, e gli aveva detto on un po’ troppa veemenza di smetterla e sfogarsi una buona volta.
Dopo un’eternità Makoto si era calmato e districato da lui. Allora l’aveva accompagnato a letto e gli aveva rimboccato le coperte. Gli era rimasto vicino, accarezzandogli la schiena e sussurrandogli non ricordava più cosa. Poi l’aveva fatto.
Non l’aveva esattamente baciato. O, meglio, l’aveva fatto, ma non in quel senso. Non volontariamente, ecco. Era sdraiato di fianco a lui, con una mano tra i suoi capelli. Makoto era a un passo dall’addormentarsi. Voleva baciarlo sulla guancia, per confortarlo e altre cose e gli era sembrata una buona idea, ma era finito molto più sulla bocca che sulla guancia. Con tutto il piangere era rossa, gonfia e incredibilmente morbida e calda. Makoto si era raggomitolato contro il suo petto mugolando. Rin non aveva avuto il cuore di andarsene fino al mattino dopo, con il peggior mal di schiena della sua vita.
Non riusciva a dimenticare la sensazione delle labbra di Makoto contro le sue, o il suo respiro calmo contro il suo petto. Quanto era caldo e fragile mentre gli dormiva tra le braccia. Era sempre stato uno scemo sentimentale. Anche dopo mesi, e le vacanze estive più imbarazzanti della sua vita, non passava giorno senza che ci pensasse e si sentisse sempre più stupido.
Perlomeno, e questa era la cosa più importante, Makoto si era ripreso. Già il giorno dopo la fatidica sera aveva cominciato piano piano a reagire. Avevano trovato una loro routine. Makoto era il migliore coinquilino che potesse desiderare, tenuto a debita distanza dai fornelli. C’erano state le vacanze estive, aveva rivisto i suoi fratellini e tutti gli altri. Lui ed Haruka dovevano aver trovato un qualche aggiustamento. Era quello che gli innamorati facevano, no? Quelli veri. Loro due erano insieme da tutta la vita e lo sarebbero sempre stati, non sarebbe bastato mezzo Giappone a dividerli. O un amico stupido.
Però… non riusciva a liberarsi dei ricordi e dei suoi sentimenti confusi. Si sentiva meschino, e senza speranze, perché l’avrebbero solo portato a farli soffrire di nuovo. Questo nella migliore delle ipotesi, ovvero se Haruka lo avesse effettivamente considerato una minaccia, perché altrimenti avrebbe solo fatto pena a tutti.
Makoto non si rendeva conto di quanto era attraente. Ogni suo gesto, ogni sua parola e sguardo gli rimanevano impressi a fuoco in testa. Non faceva che osservarlo e notare dettagli insignificanti, che nella sua mente sembravano invece giganteschi. Ovvio, non era Haruka, non avrebbe mai capito Makoto in uno sguardo come faceva lui, conosciuto così intimamente. Qualcosa lo capiva, però, perché Makoto era anche il suo migliore amico. Ed era un problema enorme. Almeno in parte, Makoto lo ricambiava. Era in come lo guardava. Per come si agitava quando girava per casa mezzo nudo, per come reagiva in modo strano quando si toccavano, lo sguardo strano che aveva quando faceva qualcosa di gentile per lui. Non era falsa modestia, era realismo e faceva schifo.
Aveva già ferito tutti due anni prima. Non voleva far soffrire Haruka di nuovo. Men che meno voleva fare del male a Makoto. Era tutto così confuso…
 
Rin mescolava piano la pentola sul fuoco. Makoto gli guardava la schiena e ogni tanto si ricordava che stava apparecchiando. Non riusciva ad evitarlo, per quanto si sforzasse. Sembrava più stanco del solito, ma era di buon umore. Rin si voltò all’improvvisò e lo beccò in pieno. Si affrettò a sistemare meglio il piatto che aveva sottomano.
« Ehm… come sono andati gli allenamenti? » chiese, sperando di glissare sull’accaduto.
Rin sogghignò. Probabilmente non aspettava altro che glielo chiedesse.
« Oggi era giorno di test. Nei 200 metri ho battuto il mio record personale » pescò una rotellina di porro dalla pentola con le bacchette « ed anche tutti gli altri. » assaggiò il porro soddisfatto e si voltò verso di lui sorridente.
« Rin, è fantastico! » avrebbe tanto voluto abbracciarlo, ma c’era il tavolo in mezzo. E a pensarci bene non era una buona idea, probabilmente. Rin si voltò di nuovo per togliere la pentola dal fuoco.
 
Rin era straordinario. Passava tutto il giorno ad allenarsi impegnandosi al massimo, e nonostante questo aveva tempo per studiare e cucinare per entrambi, dato che lui era troppo imbranato. Ogni giorno si avvicinava al suo sogno. Lui più che altro arrancava, senza un’idea precisa del suo futuro e incapace di farcela da solo.
I primi mesi lì lo aveva fatto preoccupare a morte, e non solo lui, ma anche tutti gli altri. Gli scaldava il cuore pensare a quanto affetto gli avevano dimostrato – si chiedeva ancora come avessero fatto Nagisa e Gou a fargli arrivare tutto quel cioccolato in neanche un giorno e non era sicuro di volerlo sapere; la lettera motivazionale di Rei era appesa in bella vista sopra la scrivania, tutte e cinque le pagine.
Rin gli era sempre stato vicino. Non l’aveva mai lasciato da solo, fatto sentire abbandonato a se stesso. Era un po’ goffo all’inizio, ma non poteva certo fargliene una colpa. Si era sempre, sempre impegnato al massimo per il suo bene e questo lo rendeva così sinceramente felice, lo faceva sentire così amato e coccolato.
Si sentiva così in colpa, anche.
Sempre per la sua debolezza, durante le vacanze estive aveva tolto a Rin un sacco di tempo prezioso da passare con Haruka, come se non ne avessero già fin troppo poco. Nessuno glielo aveva fatto pesare ed era stato più che felice di stare con Haruka e parlargli, ma si sentiva in colpa. Rin era stato così premuroso con lui.
Ora, a ottobre inoltrato, andava finalmente tutto bene. Si stava abituando ad essere lontano da casa, e Tokyo gli sembrava sempre troppo grande ma più ospitale.
Però… Rin. Rin era il suo più enorme, ingombrante e – sperava – nascosto problema. Sperava davvero che l’altro non si fosse accorto di come lo guardava. Rin era uno dei suoi più cari amici e lo sarebbe sempre stato, però… non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Non solo per quanto era bello, per il modo magnetico con cui si muoveva, ma per tutto il resto. Come lo guardava preoccupato di avergli detto la cosa sbagliata, o per tutti i gesti gentili che gli rivolgeva fingendo che non fossero nulla di ché; il modo in cui si era preso cura di lui, come era davvero gentile senza darlo a vedere. Era straordinario davvero.
Per questo si sentiva ancora più in colpa. Non poteva, non Rin. Rin stava con Haruka. Non che uno dei due glielo avesse mai detto apertamente, ma certe cose erano chiare. E tra lui e Haruka non c’era mai stato bisogno di parole superflue. Tra Rin e il suo migliore amico c’era sempre stato un legame speciale. Makoto non sapeva far altro che stare accanto ad Haruka. Sempre, in ogni situazione, ma niente di più che stargli accanto. Rin, invece, lo spingeva ad andare avanti, a cambiare le cose, a vivere. Non poteva competere, e neanche voleva. Era felice per loro, davvero.
Però era così confuso…
 
« Beh, credo che i gatti del vicinato ne siano felici e… Ran, ridai il telefono a tuo fratello, il tuo turno era prima! Lo so, mi mancate anche voi. Tantissimo. Davvero. Beh, è Ren quello che mi manca di più, visto che non riesco a parlargli… Ren? Sì, certo che mi ricordo del gattino bianco. Già, è incredibile che sia diventato un micione così enorme… Ran! Per favore, fai la brava e… cosa? Ninnananna? Ma non vi ho mai cantato la ninnananna… no, Ran, non… oh, ciao mamma! »
Makoto si sedette pesantemente sul divano continuando a parlare al cellulare, da cui proveniva il brusio confuso dei suoi fratellini che litigavano e loro madre che cercava di calmarli, come quasi tutte le sere.
Rin lo guardava di sottecchi, troppo stanco per fare qualsiasi altra cosa. Avevano cenato parlando del più e del meno e Makoto  aveva lavato i piatti.
Era stata una giornata pesante. Era così sfinito da non avere neanche la forza di trascinarsi a letto. Voleva anche stare un po’ con Makoto. Gli sembrava di stare con lui troppo poco, il che era stupido dato che abitavano insieme. Quindi restava lì sprofondato sul divano troppo piccolo per tutti e due, a godersi il calore del ginocchio di Makoto contro il suo e immaginarlo cantare una ninnananna. Certe volte era così schifosamente sentimentale che si sarebbe volentieri preso a schiaffi.
Doveva rispondere a un messaggio di Nitori. Gli venne in mente all’improvviso, mentre Makoto rassicurava sua madre delle sue corrette abitudini alimentari. Il suo kohai si trovava male con il suo nuovo compagno di stanza, il che gli faceva presupporre che fosse uno strano ibrido uomo-zanzara o un criminale incallito. Afferrò con immenso sforzo il suo cellulare, posato sul tavolino di fianco al divano, e cercò di digitare qualcosa di vagamente incoraggiante. Alla fine vinse una dura battaglia contro il correttore automatico proprio quando Makoto finiva di salutare i suoi familiari.
Makoto si alzò per posare il cellulare di fianco a quello di Rin e prese il telecomando, guardando Rin solo un attimo prima di distogliere velocissimo lo sguardo. Si risiedette e fece un respiro profondo, mentre si massaggiava la base del naso sotto il ponte degli occhiali.
« C’è qualcosa che vuoi guardare? » chiese, accendendo la televisione.
« Quello che preferisci » gli rispose, sistemandosi meglio.
« Dovrebbe esserci Una promessa lunga cent’anni stasera. » commentò Makoto con noncuranza.
« Come vuoi » reiterò in tono indifferente. Adorava quello stupido drama, e sapeva che Makoto lo sapeva, ma non lo avrebbe ammesso neanche morto. Nella puntata precedente Yuna si era finalmente resa conto dei suoi veri sentimenti nei confronti di Shun e dopo aver passato tutto il resto della puntata a cercarlo, alla fine l’aveva finalmente trovato sotto l’albero di ciliegio sotto il quale si erano incontrati per la prima volta, esattamente come i loro bisnonni cent’anni prima. Rin doveva sapere come sarebbe andata.
 
Alla fine, prima che Yuna potesse confessarsi, aveva ricevuto una telefonata dall’ospedale perché sua madre era stata coinvolta in un grave incidente. Rin si era addormentato in mezzo ad un discorso strappalacrime tra madre e figlia.
Ci mise un po’ a realizzare che non era a letto ma accartocciato sul divano. Con la testa sulla spalla di Makoto. Non era la prima volta che capitava, ma era sempre così bello. Makoto era grande, e caldo, e accogliente. Sentiva il suo respiro leggero, il petto che si alzava e abbassava leggermente sotto di lui, l’osso della sua spalla premuto contro la sua guancia. Si mosse appena, strofinandosi leggermente e si lasciò scappare un respiro più rumoroso degli altri.
La testa di Makoto si posò delicata sulla sua. Questa Rin non se la aspettava. Spalancò gli occhi all’improvviso e sobbalzò.
Il viso di Makoto era proprio sopra di lui. Poteva contargli le ciglia nella poca luce che veniva dal lampione fuori dalla finestra. Non aveva più gli occhiali, e aveva spento la tv. Le sue labbra erano più vicine di quanto lo fossero mai state, più invitanti che mai nelle strane ombre allungate. Aveva gli occhi spaventati, come se avesse visto un fantasma.
« Rin… » disse piano, come se lo stesse supplicando per qualcosa.
« Makoto » gli sussurrò in risposta, un po’ confuso e con la voce roca. Sollevò leggermente la testa per guardarlo meglio. Makoto si scostò, completamente nel panico.
« Aspetta! Non… noi… Haruka è il mio migliore amico, non possiamo…»
« Piantala con questa farsa! » lo interruppe, allontanandosi brusco « lo so che state insieme, quindi piantala! »
« Cosa? Io… lui… io credevo che stesse con te! »
« Cosa? »
Makoto si limitò a guardarlo, ancora a bocca aperta, confuso quanto lui e sinceramente mortificato.
Rin sbuffò rumorosamente e chinò la testa di scatto, incredulo.
« Voi due… capisci cosa Haruka cucinerà per cena solo guardandolo e credevi che stessimo insieme? Per tutto questo tempo? »
« Io... scusa. Voi due avete un legame speciale, io credevo… » non finì la frase.
Erano uno di fronte all’altro, con la testa china, senza il coraggio di guardarsi.
« Sai, Rin » cominciò Makoto dopo quella che sembrava un’eternità. Parlava piano, calibrando attentamente le parole. Il suo tono era felice, quasi divertito, e delicato come una piuma « Haruka è il mio migliore amico. È speciale ed insostituibile, per me, ma… non in quel senso, ecco »
Rin impiegò un po’ a capire. Era tutto così confuso e scombussolato. E magnifico.
« Anche per me » si costrinse a rispondere, scollandosi le parole dal palato con fatica immane « Per me è la stessa cosa. »
La trama del copridivano non era mai stata così affascinante.
Makoto si rilassò e smise di aggrapparsi disperato al bracciolo del divano. Ora gli era molto più vicino. Il divano era troppo piccolo, l’aveva sempre pensato. Le loro gambe si toccavano, Makoto era proprio di fronte a lui. Era sicuro che stesse sorridendo. Si lasciò cadere in avanti. La sua testa cozzò contro il petto di Makoto e lì rimase. Lui si arrischiò a ridere piano e gli mise un braccio sulle spalle con affetto.
Tutta quella situazione era assurda.
« Pffft »
« Rin? Tutto bene? »
« Ah! Ahah! Ahahahahah! » Rin incominciò a ridere, senza contenersi. Era tutto così strano, e loro così stupidi. Ed era anche così tanto sollevato che non sarebbe mai riuscito a esprimerlo. Gettò la testa indietro, scosso dalle risate.
Makoto lo fissò stranito, poi piano piano si unì a lui. Lo abbracciò stretto ridendo.
Rin lo strinse di rimando e lo spinse giù, a sdraiarsi, e gli si sistemò sopra.
« Siamo due idioti » decretò, soffocando altre risatine contro il petto di Makoto.
« Scusa » gli sussurrò lui, accarezzandogli i capelli della nuca. Rin rabbrividì.
« Non ti scusare » borbottò « non è che io sia molto meglio. »
Rimasero così un po’. Makoto continuava a giocare con i suoi capelli, Rin ascoltava il suo cuore battere accelerato proprio sotto il suo orecchio.
« Ehi, Makoto… tu hai mai avuto una ragazza, un ragazzo, quel che è? »
Makoto fece un’altra risatina. La sentì vibrare nel suo petto.
« No, e tu? »
« Beh… c’era questa ragazza, in Australia. Avevamo tredici anni e a entrambi piacevano i Linkin Park. O i Nirvana? Non mi ricordo. Siamo durati una settimana, non ci siamo neanche baciati. Non credo che conti. »
« A deciderlo sei tu. »
« Oh, santo Cielo, non sei una dannata rubrica sentimentale! » sbuffò. La stanchezza stava tornando.
La mano di Makoto era sempre tra i suoi capelli e gli piaceva da impazzire.
« Siamo due sfigati » continuò, trattenendo uno sbadiglio « Insomma, perfino quel perdente di Rei ha trovato qualcuno »
« Beh, più che trovato, direi che Nagisa lo ha tirato in mezzo e gli ha tagliato le vie di fuga »
Rin alzò la testa e lo fissò stupito. Si guardarono negli occhi un attimo e ripresero a ridere, più forte di prima.
Makoto aveva la testa sprofondata sul bracciolo, il collo piegato in modo parecchio scomodo. Rideva di cuore, rilassato come non lo vedeva da mesi. Rin si distrasse a guardarlo. Era meraviglioso. Tutto, quello che era appena successo, Makoto. Soprattutto Makoto. Era così felice di essere lì con lui.
Si alzò un po’, improvvisamente serio. Gli posò  una mano sulla spalla; lui smise di ridere per guardarlo leggermente spaventato. Avvicinò il viso al suo, fermandosi a un soffio dalle sue labbra, i nasi che si sfioravano. Esitò un secondo. La mano di Makoto che non era tra i suoi capelli si posò sul fianco.
Posò piano le labbra sulle sue. Erano così morbide e calde. Sapevano ancora vagamente di dentifricio. Nessuno dei due osava respirare. A dire il vero, Rin non sapeva bene cosa fare da lì in poi. Mosse incerto le labbra e rabbrividì da capo a piedi quando Makoto lo assecondò. Si azzardò a espirare e gli sembrò di fare un rumore incredibile.
Makoto lo spinse più vicino a sé e gli accarezzò piano i capelli. La mano sul suo fianco ora si muoveva piano su e giù per la sua schiena. Rin trattenne a malapena un gemito.
Aprì le labbra. Makoto lo imitò. Tutto divenne estremamente umido e confuso. Rin, o Makoto, o entrambi, si mosse con troppa foga. La sensazione orribile dei denti contro altri denti li fece dividere.
Makoto era diventato un disastro. Aveva i capelli sparati in tutte le direzioni ed era rosso come una mela. Gli occhi brillavano nel buio come stelle. Non era mai stato così carino.
« Credo che dovremo fare un po’ di pratica » sussurrò, alzando la testa per baciarlo leggermente sulle labbra.
Rin doveva essere diventato del colore dei suoi capelli, più o meno. Distolse lo sguardo senza rispondere. Makoto gli accarezzò il braccio per tutta la lunghezza e gli prese la mano. Entrambi guardarono le loro dita intrecciarsi.
All’improvviso, Makoto si alzò a sedere e districò le gambe dalle sue.
« È tardi, e domani devi alzarti presto. Andiamo a dormire, vieni »
Rise piano. Non ci poteva credere, Makoto faceva la mamma anche in quella situazione.
Gli prese la mano e si fece guidare. Il letto di Makoto era troppo piccolo per tutti e due, ma non importava.
Ci erano voluti mesi, anni. Makoto era davvero con lui. C’era sempre stato, e  ci sarebbe stato sempre.
Erano due enormi stupidi, ma alla fine ce l’avevano fatta.





Note:
Rin ha gusti televisivi da vero uomo duro, sì. Il giorno dopo ne parla con Gou facendo finta che sia Makoto a guardarci, e Nitori prima di lui. Uno dei miei headcanon prevede lui in Australia disperato che manda sms a Gou nel pieno della notte perché nell’episodio finale di Host Club Tamaki e Haruhi non si baciano. Lo so che è successo, la KyoAni non ce lo dice ma è così.
La canzone da cui ho preso il titolo non mi piace, però come testo ci sta, io con i titoli faccio pena e non avevo idee migliori, quindi vada per quello salvo colpi di genio tardivi (o suggerimenti).
Più seriamente: è la prima volta che scrivo una fanfiction con dei personaggi con cui mi trovo poco a mio agio (che poi è colpa mia che non so usare la terza persona impersonale, ma dettagli). Con Rin ci ho messo un po’ e alla fine è ok, credo, Makoto… la prossima volta che ho la brillante idea di scrivere dal suo punto di vista prendetemi a schiaffi, per piacere. Non per voi, per me. Beh, fatemi sapere, se vi va.

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Capitolo 2
*** The morning after ***


Caldo. Makoto. Makoto ovunque. Il suo petto contro la schiena, un braccio attorno e uno sotto il collo, il suo respiro tra i capelli; ancora la sensazione delle sue labbra, della sua lingua contro la sua.
Il ricordo della sera prima tornò pian piano, riempiendogli la mente come fosse liquido. Si sentì di nuovo così immensamente stupido. E poi il bacio, i baci, tanti baci.
Ne voleva ancora.
Rin si cullò nel tepore dell’altro il più possibile, nella penombra del mattino autunnale.
Poi gli venne freddo alla punta del naso. Si rintanò ancora di più sotto le coperte, ancora più vicino a Makoto.
Doveva assolutamente andare in bagno. Ignorò stoicamente. Non voleva alzarsi, non voleva andarsene, non voleva che finisse.
Ci pensò la sveglia, dalla sua stanza due muri più in là. Soffocò un grugnito di protesta nel cuscino.
Makoto si mosse appena. I pochi peli rimasti sulla schiena di Rin si rizzarono tutti. Makoto… si ricordava? Certo che sì, non aveva bevuto o altro. Non si sarebbe rimangiato le parole, vero? Non era da lui, però…
«Rin» sussurrò, la voce arrochita e impastata dal sonno, stringendolo a sé più forte di quanto avrebbe fatto da completamente sveglio.
Non poté impedirsi di sorridere.
La sveglia continuava a suonare, lontana ma insopportabile.
Si rassegnò e si voltò verso Makoto. Era meraviglioso. La guancia spiaccicata contro il cuscino, gli occhi aperti a malapena che faticavano a metterlo a fuoco, le labbra secche. Stupendo.
Voleva baciarlo, però il suo alito sapeva di bufalo bagnato.
«Buongiorno» mormorò, attento a non soffiargli sul viso. Lo baciò piano sulla guancia morbida.
Makoto ignorò turbe varie sull’alito mattutino e lo baciò sulla bocca, accarezzandogli i capelli.
Era così morbido e umido e caldo. Si strinse a lui, inarcando la schiena percorsa da un tremito.
Il volume della sveglia aumentò di almeno una decina di decibel. Non poteva più rimandare.
Controvoglia si alzò, e in quel momento Makoto gli prese la mano. Bloccato sul posto, lo guardò baciargliela, proprio sulla nocca del medio, e ricadere tra le coperte senza lasciarla.
Voleva buttarsi lì con lui e non riemergere mai più, ma il dannato arnese non demordeva.
Makoto deglutì e si stiracchiò, sconfitto.
«Spegnila, per favore» mugolò infastidito.
Ridacchiò e lo baciò sulla fronte, mormorandogli piano “scusa”, prima di decidersi a uscire.
Saltellò fino alla sua camera, impaziente e infreddolito, e spense la sveglia con un pugno. All’improvviso, la sua stanza gli sembrava triste e grigia. Voleva tornare da Makoto. Le scarpe da ginnastica che spuntavano da sotto l’armadio, però, lo riportarono alla realtà: doveva andare a correre, ma non ne aveva per nulla voglia.
Però non poteva saltare un pezzo di allenamento.
Voleva tornare da Makoto.
Sospirando profondamente, si cambiò i pantaloni, infilò una felpa più grossa e districò il lettore mp3 da dentro la borsa. Se avesse fatto in fretta, forse sarebbe potuto tornare, ributtarsi a letto con Makoto e ricominciare da dove avevano interrotto la sera prima.
Tornò nell’altra stanza per salutare. Makoto, vagamente sveglio, sonnecchiava su un fianco arrotolato in tre strati di coperte.
«Vai a correre?» chiese, mentre Rin era perso a rimirarlo.
«Sì, mi dispiace, io…»
«Vengo con te» annunciò, alzandosi a sedere.
«Ma… non corri da mesi, e fuori fa freddo.»
«Voglio venire con te» rinunciò a cercare le ciabatte da sotto al letto – probabilmente erano rimaste vicino al divano la sera prima - e si alzò, guardandolo dritto negli occhi.
Voleva baciarlo così tanto. Lo fece.
Makoto si staccò troppo presto e sparì in bagno.
Sospirando, Rin andò a preparare un minimo di colazione.

«Pronto?»
«Sì»
«Sicuro? Fa freddo sul serio, e…»
«Sono sicuro. Andiamo, Rin»
Quanto gli piaceva sentirgli dire il suo nome.

Dodici minuti e ventisette secondi dopo, stando al cronometro di Rin, erano di ritorno. Makoto era forte, ma era effettivamente fuori allenamento e non riusciva a stargli dietro.
«Scusami» riuscì a dire, ansimando.
Rin ingoiò l’impellente impulso di dirgli “te l’avevo detto”.
«Tu continua pure, non preoccuparti per me» gli sorrise gentile nonostante il fiatone.
Voleva baciarlo. Voleva baciarlo fino a non respirare più. Invece rimase impalato di fronte a lui, incapace di smettere di guardarlo.
«Torna a letto» si scollò dal palato. Gli uscì molto più brusco di quanto volesse. Era un idiota.
Sentì Makoto ridere piano alle sue spalle mentre correva via.

Ricontrollò l’orologio. Erano passati a malapena due minuti dall’ultima volta che l’aveva fatto. Oh, al diavolo. Trenta minuti di corsa bastavano. Ventisette, lo corresse la sua testa con un tono spaventosamente simile a quello di Rei. Si strappò le cuffie dalle orecchie (tanto nessuna canzone era adatta al momento) e tornò indietro.
Makoto, Makoto, Makoto. I suoi occhi, le sue labbra, il gemito basso che gli aveva strappato la sera prima, la pelle del suo fianco sotto le sue dita, quanto era bello e vero il suo sorriso.
Chissà se era tornato a letto. Forse stava preparando il the, appoggiato al piano di fianco ai fornelli mentre guardava il bollitore come faceva sempre. Poteva arrivare, abbracciarlo da dietro, baciargli il collo…
Contrariamente alle sue aspettative, l’altro era seduto al tavolo della cucina dietro ad una tazza di the. Gli sorrise, ma non come sorrideva prima. Era… preoccupato?
Che cosa ho fatto. Era stato fuori venti minuti, non poteva avere già combinato qualcosa.
Non rispose al bentornato dell’altro, buttò a terra vari strati di giacche e si precipitò da lui. Che doveva fare? Voleva toccarlo, prendergli le mani, accarezzargli il viso, qualcosa, ma non era sicuro fosse la cosa giusta. Un pensiero errante subito scacciato gli diceva di sederglisi in braccio. Non fece nulla di tutto questo e rimase impalato di fianco al tavolo.
«Che è successo?»
Makoto alzò gli occhi dal the, esitante; sembrava cercare le parole.
No. Per favore, no…
«Io… ho pensato a… noi e… credo dovremmo dirlo ad Haruka»
«Cosa? Perché?» che c’entrava Haruka? L’avevano chiarito la sera prima che… merda, Haruka. Aveva sbagliato credendo che stesse con Makoto, ma se avesse indovinato qualcosa per una volta nella sua vita, e ad Haruka piacesse davvero Makoto? L’aveva creduto fino alla sera prima, dopotutto. Non voleva, non voleva davvero ferirlo. Quindi Makoto aveva fatto lo stesso ragionamento, a parti inverse? Non capiva comunque l’urgenza di dargli la notizia di… di cosa, esattamente? “Abbiamo chiarito che nessuno di noi sta con te, quindi abbiamo passato una serata a baciarci e abbiamo intenzione di continuare per il tempo a venire”?
Makoto lo guardò dibattersi tra i suoi pensieri, prima di rispondergli.
«Voglio essere sicuro che Haru non abbia nulla in contrario e…»
«E se l’avesse?» non voleva essere così aggressivo, non voleva davvero «cosa farai, mi mollerai e torneremo a far finta di nulla come prima?»
«Rin, calmati!» l’aveva rimproverato, come un bambino cattivo. Si vergognò da morire e chiuse la bocca, preferendo guardare l’angolo del tavolo che l’espressione di Makoto.
«Scusami» bofonchiò, ad un volume appena udibile «è solo che non…» non trovava le parole.
Come e più di lui, Makoto non voleva ferire Haruka. Makoto non voleva ferire nessuno, piuttosto si sarebbe fatto carico di tutto senza un lamento, ed era questo che lo preoccupava. Se Haruka davvero non fosse stato contento, che fine avrebbe fatto? Sarebbe rimasto con lui comunque o avrebbe lasciato perdere? La base di tutto era sempre la stessa: chi era più importante tra di lui e Haruka. Per quanto fosse abbastanza sicuro dei sentimenti che Makoto provava per lui, non se la sentiva proprio di poter uscire vincitore contro l’altro.
Makoto chinò il capo a sua volta.
«Credo solo che essere onesti sia la cosa migliore per tutti» disse, calmo.
Forse aveva ragione, e mettere subito in chiaro le cose avrebbe risparmiato sofferenze ed incomprensioni a tutti, però aveva una paura tremenda.
«E va bene» capitolò. Makoto gli sorrise, felice che avesse capito, e tutto gli apparve più roseo per un momento. Poi andò a fare la doccia e tutto continuò come qualsiasi altra mattina.

Gli allenamenti erano durati talmente tanto che svariati universi erano nati e finiti nel frattempo. Non faceva altro che pensare a Makoto, e a quello che avrebbe detto o non detto Haruka. Durante la giornata era passato dall’estraniarsi completamente – quando pensava alla sera prima, Makoto che lo baciava, le sue braccia, la sua pelle, il suo sorriso - a impegnarsi con tutte le sue forze, quando pensava a quello che avrebbero dovuto dire ad Haruka e alle conseguenze, senza vie di mezzo tra le due condizioni. La cricca dei fondisti l’aveva preso in giro più del solito, ma li aveva ignorati. A metà di una vasca gli era venuta in mente la schiena di Makoto, a quanto gli sarebbe piaciuto sentire i muscoli e la pelle liscia sotto le dita, sotto le labbra, e si era schiantato contro il bordo.
Il viaggio in metropolitana durò qualche era geologica. L’intero contenuto del suo mp3 faceva improvvisamente pena, come le chiacchere dei suoi vicini di posto.
Quando uscì corse a casa, recuperando qualche minuto di corsa saltato la mattina. Makoto lo aspettava sull’ingresso. Era nervoso anche lui, anche se provava a nasconderlo. Rimase impalato sulla soglia alcuni secondi, indeciso se abbracciarlo o meno. Non desiderava altro da quella mattina – da tutta la vita – ma non gli sembrava la cosa giusta. Si limitarono a fissarsi, impacciati e confusi. Poi Rin lasciò perdere e andò a occuparsi della cena, per scoprire che Makoto l’aveva già comprata al take-away all’angolo. Era un angelo.
Esitante, Makoto gli disse che una videochiamata era il metodo migliore, per lui, e si era accordato con l’altro.
Mangiarono parlando del più e del meno, come qualsiasi altra sera, e aspettarono che arrivasse l’ora giusta per connettersi.

Finalmente Haruka comparve nel rettangolo prima nero della videochat.
«Allora?» esordì, nel solito tono indifferente.
«Ti connetti con quarantacinque minuti di ritardo e tutto quello che sai dire è “allora”?» lo accolse Rin, spazientito, prima che Makoto potesse intervenire.
«Ero in bagno»
Balle. Haruka sapeva a malapena usare il cellulare, probabilmente aveva impiegato dieci minuti solo per trovare il tasto di accensione. Makoto lo sapeva bene quanto lui – dopotutto, prima di partire per Tokyo era stato lui a spiegargli come usare il suo portatile nuovo di zecca, regalo dei suoi pressoché inesistenti genitori – e intervenne prima che potesse rinfacciarglielo.
«È tanto che non ci si vede, Haru»
«Mi avete fatto uscire dalla vasca solo per questo?»
«Magari sentivamo la tua mancanza, razza di ingrato»
«Sei sempre così sentimentale, Rin»
«Oi, brutto…»
«Non cominciate subito, per favore – si inserì Makoto, rassegnato.
Gli altri due si fissarono in cagnesco, ma lasciarono perdere.
Calò un silenzio strano.
In fondo in fondo, sotto i diciassette strati di ansia e disagio che si portava addosso da quella mattina, gli faceva piacere vedere Haruka. Aveva i capelli più lunghi, ora che nessuno gli ricordava di tagliarseli. Ricordava l’eroe di un romanzo romantico.
Guardò di sottecchi Makoto, che però sembrava cercare le risposte ai suoi problemi esistenziali sulla tastiera. Haruka invece lo fissava apertamente. Sembravano bambini che aspettano il permesso della mamma.
«Quindi?»
«Non preoccuparti, Haru, non è successo nulla, o, meglio sì, è successo qualcosa e…» Makoto lo guardò i cerca d’aiuto.
«Dobbiamo dirti una cosa, io, noi…»
«Ecco…»
Haruka li guardava giudicante.
Sentiva il sangue pulsargli nelle orecchie, la testa piena di panico bianco e bisogno assoluto di toccare Makoto. Gli prese la mano. Si guardarono davvero per la prima volta da ore. Ogni singola parte di Makoto gridava aiuto.
Sospirò profondamente.
Uno strappo netto e via. Tre, due, uno…
«Stiamo insieme» sputò fuori.
L’aveva detto.
Makoto gli strinse forte la mano. Poteva sentirlo sorridere, ma non aveva la forza di alzare gli occhi.
«Finalmente ci siete arrivati»
Cosa?
«Cosa?» esclamarono all’unisono, straniti. Haruka si limitò a guardarli. Non capiva quasi mai cosa stava pensando, e adesso non ne aveva proprio idea. Non gli sembrava deluso, o geloso. Era sempre stato possessivo quando si trattava di Makoto, ma questa volta sembrava solo vagamente seccato e qualcosa di indefinibile se non come meno distaccato o qualcosa del genere. Il cerchio bianco di paura nella sua testa iniziò piano a sciogliersi in caldo sollievo.
«Per questo la scorsa estate facevate di tutto per non rimanere contemporaneamente nella mia stessa stanza?» continuò.
Porca miseria, se n’era accorto. Sembrava sempre così distaccato dalle questioni personali, anche se in realtà non lo era per nulla, e ogni volta lo spiazzava. Chissà cosa aveva pensato di loro. Guardò Makoto, che a sua volta guardava Haruka allarmato.
«Scusa se ti abbiamo coinvolto nelle nostre faccende» gli fece un sorriso piccolo, privato e pieno di affetto, e Rin si sentì escluso. Quei due riuscivano a dialogare silenziosamente nonostante i pixel selvaggi. Sarebbe stato geloso, se non fosse stato anche così tanto sollevato.
Alla fine Haruka sospirò.
«Non capisco perché lo abbiate detto solo a me. Nagisa e Gou sarebbero entusiasti di saperlo. Credo ci abbiano scommesso sopra»
«Mia sorella cosa?» la sua sorellina, traviata dal quel demone biondo. E dire che era così innocente da bambino. Si sarebbe vendicato in qualche modo.
«E credo che Rei sarebbe entusiasta di darvi ogni genere di consiglio»
Makoto fece uno strano singulto, come se gli fosse andato di traverso qualcosa.
Haruka li stava prendendo in giro, era un buon segno, oltre all’unico motivo per cui non gli rispondeva a tono.
Le sue dita erano sempre intrecciate a quelle di Makoto, così strette che non le sentiva quasi più. Gliele accarezzò con l’altra mano, tirandole più vicine.
«E, Rin» Haruka tornò serio (serio davvero, non comicamente serio come prima) «Vedi di comportarti bene»
Avvampò, e Makoto con lui.
«Ma per chi mi hai preso!»
«Haru!»
«Adesso è tardi, vado a dormire. Buonanotte» troncò la conversazione di netto, lasciandoli spaesati davanti allo schermo nero. Dovevano aspettarselo, era andato ben oltre la sua dose di sociabilità quotidiana.
Rimasero inebetiti davanti al computer, la mano di Makoto ancora tra quelle di Rin.
Era improvvisamente stanco, e felice.
«Quindi» interruppe il silenzio. «tanta preoccupazione per farci prendere in giro»
«Non direi davvero che…»
«Oh, lo so, lo so. Abbiamo anche avuto la sua benedizione, più o meno»
Rimasero immobili un altro po’. Poi Makoto tolse la mano dalle sue e lo abbracciò stretto, sorridendo più luminoso del sole. Rin ispirò profondamente e sprofondò il viso nel suo petto.
Finalmente. Finalmente. Era così caldo e meraviglioso e ne voleva di più.
Raccolse tutto il coraggio e l’euforia del momento, e gli chiese:
«Ieri sera, non avevi parlato di esercitarci?»
Makoto rise piano.
Andava tutto di nuovo bene, non c’era più un problema al mondo. Solo loro due.









Note:
Pensavo di aver finito, con questi due, ma idee varie mi giravano in testa e le ho buttate giù. Ci ho messo una quantità di tempo inumana anche per i miei standard, ma ce l’ho fatta e già questo mi rende felice. Volevo anche rendere omaggio alla mia amata MakoRin prima che la prossima stagione la distrugga. Il che non è detto, eh, ma non si sa mai e sono sensibile su ‘ste cose.
Per parlare di qualcosa di più tecnico, come forse avrete notato ho un problema: ripeto i nomi dei personaggi un’infinità di volte. Questo perché chiamarli con i colori dei capelli non mi piace (e poi, di che cavolo di colore sono i capelli di Makoto? Castarde? Verdano? Marrerde?), così come altri riferimenti vari all’aspetto fisico. Di altri modi me ne vengono in mente pochi e non mi piacciono comunque. Spero di non aver reso tutto troppo pesante, ho fatto quel che ho potuto.
Devo dire che sono abbastanza soddisfatta del mio lavoro (forse è solo perché è l’una di notte), spero abbiate gradito anche voi.
Aggiunta del 13/07: la mia migliore amica mi ha fatto sentire questa canzone e la sensazione che mi dà è la stessa che ho cercato di descrivere. Mi dispiace solo averla sentita per bene solo dopo aver fatto la mia super ricerca musicale per una canzone da cui trarre un titolo decente.
 

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