Ashetar

di Midlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


Gli occhi di Ashetar mandavano bagliori rossi alla luce del fuoco. I capelli, lunghi e neri, gli ricadevano sulle spalle robuste e sulla schiena ampia, mentre le mani stringevano il medaglione che portava al collo.
Il silenzio regnava intorno, ed il ragazzo si perse a ricordare gli ultimi eventi. La casa abbandonata di corsa, la sua ragazza scomparsa e i suoi amici fuggiti. L'unico compagno rimasto con lui era Aainmar, un giovane apprendista fabbro suo vecchio amico. Si chiese che fine avessero fatto tutti gli altri, se stessero bene, se fossero sopravvissuti; l'attacco stavolta era stato terribile, e non sarebbe stato sorpreso nel sapere che tutte le persone a lui care erano morte nella fuga. Poi il suo pensiero andò ad Aishté, la sua ragazza. Era scomparsa due giorni prima dell'incursione di orchi neri al villaggio, e da allora non ne aveva saputo più niente. Era terribilmente preoccupato per lei, e continuava a stringere il medaglione che gli aveva regalato lei, con dentro una ciocca dei suoi capelli biondi.
«Ashetar? A cosa stai pensando?» Le parole ruppero il silenzio e il ragazzo si riscosse come dal sonno, quasi sorpreso di trovare Aainmar a fissarlo con i suoi occhi blu. «A lei. Devo ritrovarla.» L'amico lo guardò senza dire niente. Comprendeva i suoi pensieri e il suo desiderio, e pur sapendo del pericolo a cui sarebbe andato incontro, aveva tutta l'intenzione di aiutarlo. «Verrò con te.» «No, Aainmar. No. È troppo pericoloso, non posso permettere di mettere a rischio anche la tua vita. Devo sapere che comunque vada troverò qualcuno al mio ritorno.» «Nel frattempo, chissà cosa potrebbe succedere. Potrei dover scappare ancora, potrei essere aggredito e ucciso da un branco di briganti balordi. No Ash, vengo con te.» Il tono delle sue parole non ammetteva replica, era chiaro. Ashetar si stese sull'erba e puntò gli occhi verso il cielo sereno. Per calmarsi, cominciò a richiamare alla mente i nomi di tutte le stelle sopra di lui. Dopo un po', la voce di Aainmar si insinuò di nuovo tra i suoi pensieri. «Cosa pensi di fare, adesso? Voglio dire, dove andremo? Da dove cominceremo la ricerca?» Ashetar non ne aveva la più pallida idea, al momento. «Non lo so», rispose tirandosi a sedere. «Tu hai qualche idea?» Aainmar non rispose e guardò lontano, lontano fino al giorno di quattro anni prima in cui sua sorella sparì come aveva fatto Aishté. Sharanì non era più tornata.
«No, neanch'io», rispose con un tono triste, stanco. «Stai pensando a Sharanì, vero?» Ashetar conosceva bene i moti d'animo dell'amico, in più anche a lui era tornata in mente la ragazza. Ricordava il suo sorriso sempre cordiale, i lunghissimi capelli rossi e gli occhi verde intenso che sembrava scrutassero fin nei più remoti angoli della tua anima. Ricordava le mani delicate e veloci e la pelle bianca, e ricordava anche di essersi preso una cotta per lei, da piccolo. Aveva quattro anni più di lui, cinque più del fratello.
«Sto pensando a Sharanì, ma non serve a niente pensarci ora. Sharanì è scomparsa da troppo tempo. Concentriamoci su Aishté.» «Possiamo concentrarci tanto che vuoi, ma senza alcun indizio non risolviamo nulla. Dobbiamo trovare un senso, un'ipotesi...» «Dobbiamo fare domande in giro...» «Eppure, ho la sensazione che mi sfugga qualcosa... qualcosa che potrebbe essere importante...» Gli occhi di Ashetar fissavano il fuoco senza vederlo. «Ora è meglio se ci mettiamo a dormire... di sicuro domattina riuscirai a ricordare. Magari ci verrà un'idea... le cose prenderanno un'altra piega.» «Carina la tua raccolta di luoghi comuni. Comunque hai ragione, è meglio se ci mettiamo a dormire».
Ma Ashetar non riuscì ad addormentarsi per molte ore. Fissava le stelle indifferenti, stringeva il medaglione e si chiedeva come fare per riabbracciare la sua adorata Aishté, se mai ci sarebbe riuscito.

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


Aishté aprì gli occhi perplessa. Si sentiva come se avesse dormito mille anni, eppure era stanca come dopo un'intera giornata di lavoro. Si guardò in giro, e lentamente cominciò a ricordare... il lampo di luce, il calore. Poi il freddo, freddo interno, nelle ossa, nel cuore. Poi, solo il buio. E la paura, tanta, tanta paura.
Dov'era? Cercò di guardarsi intorno, ma riusciva a malapena a muoversi. Scoprì parti del suo corpo che quasi non sapeva di avere, ma che adesso ad ogni respiro pensavano bene di darle un dolore terribile, e in qualche caso anche di cigolare un po'. "Devo essermi rotta qualche costola".
Con fatica si tirò a sedere e si guardò in giro. Era in uno scantinato umido e buio, illuminato solo dalla flebile fiamma di un paio di candele al muro. Quando provò a muovere le gambe si accorse della corda attorno alle caviglie. Il nodo era stato fatto male, era lento e si stava sciogliendo. Facendo un bel po' di fatica e fermandsi più volte per il dolore, riuscì a slegarsi del tutto e lentamente a mettersi in piedi. Guardò meglio l'ambiente in cui si trovava: davanti a lei stava una scala, ripida, di pietra, senza alcun ornamento, né scorrimano. Subito dietro di lei, un basso mobiletto a ripiani, con dentro dei libri ammuffiti e sopra delle strane ampolle; un altro mobile simile si trovava nell'angolo a destra. A sinistra della scala si apriva un'altra stanza, con un tavolo di legno tarlato al centro, un altro mobiletto alla sinistra della porta e uno più alto di fronte, con le ante a vetri a proteggere i libri. Anche sul tavolo c'erano strane ampolle, bottigliette ed erbe. Sembrava che fosse capitata nella cantina di un Mago.
Si avvicinò all'armadio in fondo e provò ad aprirlo, ma le ante erano chiuse a chiave. Sbirciò i titoli dei volumi attraverso il vetro; erano scritti in una lingua che non riconosceva, ma riuscì a capire magia, incantesimi, pozioni e altre parole del genere. Provò a sfogliare gli altri libri, ma anche quelli erano in quella lingua che faceva fatica a comprendere, né avrebbe saputo dire quale fosse. In alcuni c'erano degli strani disegni, schemi, tabelle, simboli, ma non riuscì neanche una volta a capire di cosa si trattasse.
Si voltò verso la porta, e le sue gambe si fecero molli per il terrore. C'era una persona ferma a fissarla, chissà da quanto. Aveva una scodella in mano e un mantello addosso che le copriva anche il viso. Aishté riusciva a distinguere un mezzo sorriso, ma nella penombra non avrebbe saputo dire se non fosse piuttosto un ghigno.
«Così, alla fine ti sei svegliata, Aishté. Non ti consiglierei di curiosare troppo in giro, comunque».

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


La voce dell'individuo era severa, ma non sembrava arrabbiata, né c'erano note cattive, solo un po' di sarcasmo. Era la voce di un ragazzo, che non poteva avere più di 16 anni, o forse di una ragazza. Aishté non riusciva a capirlo, anche la bocca era mezza coperta dalla tela pesante del mantello e della tunica, grigia, lunga fino a terra. Chiunque fosse, la prese per un polso e la riportò dove si era svegliata. La stretta non era particolarmente violenta, ma era molto ferma. Aishté riusciva a sentire due anelli a contatto con la sua mano, uno al pollice e uno presumibilmente all'anulare, grossi e bombati.
La persona misteriosa prese la corda con cui era legata e fece un nodo attorno alla caviglia della ragazza, quindi ne fece un altro in un largo anello infisso nel muro. «Questa volta non riuscirai a slegarti, e la corda è abbastanza lunga per permetterti di andare in bagno o di sedere al tavolo dove mangerai», disse prima di pronunciare alcune parole che Aishté non capì, quindi provò a tirare un po' e a slegare il nodo, che non si sciolse di un millimetro. «Puoi anche continuare a esplorare la stanza e a sfogliare i libri, non importa. Non potresti cavarne un ragno dal buco, comunque.» Si diresse quindi verso il tavolo dove aveva posato la scodella, prese un bicchiere e versò dell'acqua. «Siediti, mangia. Sono due giorni che dormi, non voglio che tu ti senta debole...»
Detto questo, si voltò e salì la scala. Aprì la pesante porta in cima e sparì dalla vista della ragazza, confusa.
Riluttante, Aishté si avvicinò al tavolo e si sedette. La corda, che sembrava troppo corta, bastava per arrivare da qualsiasi parte nella stanza, come se si allungasse a piacere. Provò allora a salire le scale, ma raggiunta la cima non poteva andare oltre; la corda era tesa allo spasmo e non avrebbe potuto fare un altro passo. Sedette di nuovo e avvicinò a sé scodella e bicchiere. Annusò, sospetta, ma non sentì altro odore che quello del cavolo della zuppa. Ne portò allora un po' alla bocca. Il sapore era buono e lo stomaco si risvegliò di colpo, reclamando disperatamente del cibo. Persuasa, Aishté pulì la scodella e trangugiò più bicchieri d'acqua, quindi si alzò e riprese ad esaminare i libri. Era persuasa di aver già visto qualcosa di simile, e mano a mano che sfogliava si scoprì a capire sempre più parole.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


Esausta, a notte fonda, Aishté si lasciò cadere pesantemente su una sedia, con un gemito. "Le mie povere costole...". Le sue povere costole però facevano meno male del previsto.
Una serie di ipotesi, domande e dubbi si affacciarono veloci alla sua mente, un turbinio di pensieri a cui non riusciva a mettere fine. Perché riusciva a capire quella strana lingua? Perché si trovava lì? Era stata picchiata? Perché aveva male dappertutto ma non aveva segni visibili sul corpo? Cos'era quella luce bianca che ricordava di aver visto, quel calore? E cos'era quella sensazione, quella sensazione di aver dimenticato un particolare, di qualcosa fuori posto...? Qualcosa che aveva detto, o fatto, il misterioso carceriere. Perché, poi, chiunque fosse, si comportava in quel modo con lei? In modo quasi gentile... ma comunque acido. Come se fosse un peso, più che un ostaggio. Un'incombenza. Forse non era stato lui, o lei, a rapirla... Ma chi allora?
E dove si trovava? Era ancora a Karmi? Provò a immaginare la pianta dell'edificio, ma quelle due stanzette squallide sembravano ribellarsi all'idea, in modi che Aishté non riusciva a capire. Sembrava quasi che cambiassero disposizione apposta per non essere rappresentabili.
Si rizzò meglio sulla sedia, versò dell'acqua nel bicchiere e ripercorse mentalmente gli avvenimenti da quando si era svegliata sul pavimento umido.
Un lampo le attraversò la mente.
L'aveva chiamata per nome. Come, perché, sapeva il suo nome?

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


Ashetar si alzò dopo l'ennesima notte alla luce della luna, ormai calante. L'alba, pallida e rosa, sorrideva completamente indifferente al destino umano. Aainmar era già in piedi, e preparava da mangiare.
«Ho come l'impressione che l'autrice si sia completamente dimenticata della nostra esistenza», gli disse l'amico appena gli si avvicinò. «L'avevo pensato anch'io, Ashetar. Credo semplicemente che non abbia la più pallida idea di cosa scrivere su di noi». Aainmar si sedette davanti al fuoco con il quale aveva cucinato la carne e le verdure. «D'altro canto non è che facciamo niente di particolarmente interessante... forse dovremmo vivacizzare la situazione, sai... tipo Brokeback Mountain...». Ashetar lo fissò turbato. «Tu credi?...» rimase pensieroso per un attimo, poi sembrò focalizzare qualcosa che lo turbò. «MA SEI SCEMO?! Non esiste!»
Aainmar rimase a fissare il fuoco per un po', mentre l'amico si allontanava a grandi passi verso il fiume, per rinfrescarsi e togliersi quell'agghiacciante immagine dalla mente.

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


Tredici anni. Aveva trecidi anni, e stava correndo.
Un bosco. I rami neri si tendevano al suo passaggio, le schiaffeggiavano il volto, le ferivano le braccia con le quali si faceva strada a forza tra gli arbusti pieni di spine.
Stava correndo... o forse scappando.
In quel momento si voltò indietro, e vide due uomini che correvano, correvano dietro a
lei. Aishté sembrò sentire solo allora le urla che le intimavano di fermarsi. Li rivide, con gli occhi della mente, più che con quelli fisici, maggiormente impegnati a controllare intorno. Un uomo basso, bruno, con un viso piuttosto rotondo, sui trentacinque, e un uomo alto, dai capelli chiari, o forse grigi, faccia allungata ed espressione dura in volto.
Aveva paura, adesso lo sentiva; era terrorizzata.
Il panico la invase, la vista si annebbiò momentaneamente, abbastanza da non farle vedere una radice, nascosta dalle foglie del sottobosco, spuntare dal terriccio morbido e umido. Si sentì cadere, e, nel buio, le voci sempre più vicine...

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Quando si risvegliò, sudata, e si mise a sedere, guardandosi intorno notò che c'era qualcosa di strano, nella stanza, qualcosa di diverso che però non riusciva a individuare. Si concentrò a uno a uno sugli oggetti presenti: i libri, c'erano anche ieri, uguali; il tavolo era lì, le sedie pure; gli scaffali, erano al loro posto; la finestra viola... finestra viola? Non c'era mai stata una finestra viola lì! Che l'avessero spostata di stanza durante la notte?
Ma era poi finita, la notte? Era, effettivamente, mattina? I vetri colorati le impedivano di capire, e gettavano la stanza in penombra. Si avvicinò alla parete e cercò un modo per aprire la finestrella, ma sembrava essere tutt'uno col muro; cercò allora di scrutare all'esterno, per capire che ore fossero, ma era impossibile, forse per la natura del vetro o forse per qualche incantesimo o chissà che altra diavoleria. "Buffo", pensò Aishté, "tutto ciò non mi stupisce... non mi stupisce più nulla!"
«Alzati!» L'individuo incappucciato aveva aperto silenziosamente la porta, e si aspettava di trovarla stesa nel suo giaciglio. «Ah, sei già alzata, vedo. Ti piace il nostro nuovo elemento d'arredo?» chiese con una risatina beffarda vedendo l'interesse della ragazza per la finestra. «Dove... sono? Cos'è successo?» «Sei dove sei sempre stata. Questo è quanto», aggiunse poi, vedendo che Aishté era evidentemente in attesa di altre spiegazioni.
La ragazza si avvicinò al tavolo, su cui erano state appoggiate alcune pagnotte, delle uova e del liquido che poteva essere succo di mela, a giudicare dal colore; c'erano due piatti.
L'incappucciato si avvicinò al tavolo e scostò una sedia: a quanto pareva, Aishté aveva ospiti per colazione. «Parliamo», disse la persona che, anche se la ragazza non lo sapeva ancora, le avrebbe fatto compagnia molto spesso, di lì in avanti.
Era la prima volta che questa si univa ai suoi pasti; era successo che fosse presente, soprattutto nei primi giorni - Aishté pensava che fosse per tenerla d'occhio - , ma mai che mangiasse con lei.
Il suo strano partner si slacciò il mantello e abbassò il cappuccio. Aishté non poté reprimere un grido di sorpresa. «TU!»

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