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“Basta! Vattene via! Non voglio più saperne di te!”. La mia (ex) dolce
metà sbraita queste parole tirandomi addosso tutto ciò che le sta intorno. Per
fortuna ho scampato quella lampada!
“Hanno fatto bene a licenziarti! Sei solo un uomo fallito!”
Ecco che qui si tocca un tasto dolente.
Prendo velocemente la mia roba accatastata tra un lancio e l’altro, e
letteralmente fuggo da quella bestia impazzita. Le sue urla si sentono ancora
dall’atrio del condominio. Alcuni vicini si affacciano spaventati da quella
situazione. Uno di essi mi chiede cosa è successo. ‘Signora mia’ mi piacerebbe
risponderle ‘l’affitto sarebbe scaduto tra poco ed io sono stato appena
licenziato. Cosa dovevo fare?’. Per fortuna mi trattengo dal proferire alcuna
parola, e mi avvio a passo veloce verso la fermata della metro, ormai alle
ultime corse.
Il licenziamento di oggi non l’ho proprio digerito; mi hanno accusato
di negligenza! Io! Quando i miei colleghi sono molto più oziosi di me. E forse
furbi, oserei aggiungere: oziano il doppio ma hanno l’intelligenza di non farsi
beccare. Ma d’altronde ero io il novellino, quindi colui che si è fatto
beccare.
E come si è ben capito, Daiana non l’ha presa troppo bene. Ma alla fine
meglio se è finita così: non andavamo troppo d’accordo. Io che non vedevo
troppo di buon occhio la sua passione per le moto, e lei che mi disconosceva
ogni qual volta parlassi di eventi straordinari, impossibili, o più comunemente
definiti ‘paranormali’. Insomma, due grandi passioni troppo importanti per noi
che non sopportavamo. Era destino che finisse, prima o poi.
Nel buio della sera riesco comunque a scorgere il piccolo cartello
della linea 2 della metro, e scendo le scale per raggiungerla. I miei passi
rimbombano in quel piccolo cunicolo sotterraneo. Alzo gli occhi per osservare
lo schermo degli orari: la prossima è tra 10 minuti. Wow, fantastico. Aspettare
la metro a quest’ora di sera non è propriamente il massimo… con tutti i
malviventi che girano per strada, non sai mai cosa ti puoi aspettare.
Nella speranza di ingannare il tempo, giochicchio con la cravatta che
ho ancora indosso: vestito di tutto punto perché richiamato nell’ufficio del
direttore… per farmi licenziare. Distrattamente comincio a contare i rombi
bordeaux su quel terribile sfondo verde militare, che non so chi me l’ha fatto
fare di comprare una cravatta tanto orribile.
Osservo di nuovo il tabellone orario: 8 minuti. Che noia! Avessi dietro
un lettore mp3, adesso potrei ascoltare le mie canzoni preferite, guardare
video o godermi una qualche partita di calcio, che tanto ce n’è sempre una!
Ma il tempo inesorabilmente non passa. Stacco gli occhi da quei rombi
che mi hanno fatto venire il mal di testa, e mi alzo camminando su e giù per
quel piccolo corridoio. Ad un tratto qualcosa attira la mia vista: un piccolo
foulard rosso. Un po’ titubante mi avvicino verso quell’oggetto, semi-nascosto
nel buio. Sembra incastrato in qualcosa che purtroppo non riesco a vedere a
causa della poca luce. Mi acquatto e con fare molto poco deciso afferro il
piccolo pezzo di stoffa.
Accidenti, sembra non venire via. O forse sono solo io che ci metto
poca forza.
Tento di tirare un po’ più forte, finché il foulard non viene via; ma
il contraccolpo mi fa cadere all’indietro, cosicché mi ritrovo bello sdraiato
sul pulitissimo pavimento della metro. Addio giacca nuova di pacca!
Mi rialzo con una schiena un po’ dolorante e, dopo essermi scrollato di
dosso ben benino tutta quell’immondizia, osservo più da vicino il foulard. È di
un bel colore rosso vermiglio, con alcuni ricami a mano; i bordi appaiono un
po’ rovinati, forse a causa del tempo. Scrutandolo bene e girandolo, noto che
c’è riportato un nome: Lily.
“Grazie!”. Dietro di me odo una voce femminile, pare quasi di una
bambina.
Mi volto per risponderle “Non c’è di---“
Non c’è nessuno.
Silenzio.
La stazione è vuota!
“Chi ha parlato?!”
Silenzio.
Tutto è immobile.
Per favore, fatemi sapere cosa ne pensate, così decido se pubblicare anche il resto o no. So che come inizio è piuttosto corto, mi dispiace!
Ja~
La voce proviene proprio da una bambina… un po’… pallida.
Deglutisco a fatica, dopodiché cerco di tirar fuori il mio sorriso
migliore. Anche lei fa lo stesso, e mi sorride insieme a due grandi occhi
celesti e visibilmente felici.
“Hai ritrovato il mio foulard! Grazie!”.
Sicuramente è solo la mia immaginazione, la tensione che mi sta
giocando brutti scherzi. La bambina… non ha piedi! Non ha… gambe? O meglio… le
ha ma sono… pallide! Non è troppo pallida questa bambina? Forse non si sente
bene.
“Sicura di sentirti bene?”. Per accertarmene le pongo una mano sulla
fronte.
…
“AAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!”
O MIO DIO!
È… È FREDDA COME IL MARMO!
Tento di buttarmi il più lontano possibile da lei, e le lancio il
foulard per liberarmene. Non voglio che si avvicini!
“STAI LONTANA! NON TI AVVICINARE!”
Cammino a gambero tentando di indietreggiare, col respiro trafelato.
Devo controllare cosa fa!
Ma una visione di insieme mi restituisce la realtà.
La bambina non ha gambe, no. E non ha piedi, no. È pallida come…
Un fantasma!
Mi guardo intorno cercando una via di fuga.
Sposto di nuovo lo sguardo sul fantasma: bene, è ancora lì ferma.
Guardo speranzoso l’uscita della metro, e il mio sguardo cade distratto
sul tabellone orario: 3 minuti.
Accidenti, così la perderò! E dopo non so se ci sono altre corse!
Mi do una botta in testa. Ma a cosa penso in un momento del genere?
Adesso la mia priorità è salvarmi la pelle!
Osservo nuovamente l’uscita della metro. Osservo la posizione della
bambina, che mi guarda con occhi vitrei. Calcolo col mio 4 di sempre a
matematica la distanza tra la bambina e la via di salvezza. Ce la posso fare!
Al mio 3!
1…
2…
3!
Mannaggia, le gambe mi tremano! Non posso continuare così! Devo farmi
coraggio!
La bambina è ancora lì, ferma, immobile. Anche il suo sguardo è fisso,
ma non so per quanto ancora deciderà di non farmi del male. Potrebbe essere lo
spirito di una bambina brutalmente uccisa che cerca vendetta nei vivi! E NON
posso essere io la sua vittima! Insomma, ho ancora 25 anni, ho una vita
davanti!
Devo a tutti costi uscire da qui. Devo riprovarci.
E riproviamo.
Al mio 3 (parte seconda)!
1…
2…
*SNIFF*
Non faccio in tempo a pronunciare mentalmente il numero 3, che sento la
bimba singhiozzare.
I pensieri nella mia testa si aggrovigliano. Cosa dovrei fare? Fuggire?
O cercare di capire cos’ha la bambina?
“Ti prego…*sniff* non avere paura!”
Il pianto della bimba si fa ancora più accentuato.
Che stupido che sono.
Come ho potuto pensare anche solo per un momento che quella bambina
volesse uccidermi? Insomma è… è una bambina! Ok, è un fantasma… è terrificante
ma… non può essere cattivo.
Rimango col corpo piantato sul pavimento, ho troppa paura che mi
impedisce di muovermi.
Allungo però una gamba, nel tentativo di avvicinarmi a piccoli passi
furtivi verso la bambina.
“Non… non avere paura!”
La bambina si asciuga gli occhi arrossati, tirando ancora in su col
naso.
“Non… non ho paura…”
No, me la sto solo facendo addosso!
“Po-potresti ridarmi il mio foulard?”
La guardo un momento smarrito: non glielo avevo lanciato prima? C’è da
dire che in quel momento ero talmente spaventato che non ho ben chiari gli
avvenimenti.
Mi guardo indosso e poi lo scorgo: il piccolo foulard rosso è finito
non so come sul mio braccio sinistro. Lo afferro e glielo porgo nel modo più
gentile che posso. Le tendo la mano, e lei lo prende: il contatto tra le nostre
mani è qualcosa di molto strano.
Un momento.
Contatto?
Ma i fantasmi non dovrebbero essere… spiriti? Voglio dire, entità
oltrepassabili? Perché questa bambina è possibile toccarla, come se fosse un
corpo materiale?
Decido di cercare una risposta alle mie domande.
Un frastuono enorme passa alla mia sinistra, quasi come un razzo in
partenza. Si sente un terribile riscontro dopodiché, così come fulmineo era
arrivato, fulmineo sparisce.
Fantastico, avevo appena perso la -forse- ultima corsa della linea 2.
Non si era nemmeno fermata! Strano. E se qualcuno doveva scendere? Forse era
vuota.
“Chi sei?”
La voce bianca della bambina mi riporta alla realtà. Il suo tono pare
piuttosto allegro e sorpreso. Penso abbia capito che non ho intenzione di
scappare da lei, tantomeno di farle del male (anche perché in quanto spirito,
mi sembra poco probabile).
“Mi chiamo… Adam”
“Che bel nome signor Adam!”
La bambina adesso non piange più. Anzi, sembra felice di aver
incontrato qualcuno. Dev’essere molto sola…
“Io invece sono Lily. Questo foulard è mio!”
Mi mostra la parte del foulard dove è ricamato il suo nome.
“Tu…ehm…sei un fantasma?”
Anche se siamo quasi alla stessa altezza, la bimba si siede davanti a
me. Non so come, ma la sagoma delle sue gambe sembra ora più definita. Forse è
qualcosa che può controllare lei.
“Non proprio…sono un semi-fantasma”
“E cioè?”
“Tanti anni fa ho avuto un brutto incidente…proprio qui, in questa
stazione. Ma c’è un pensiero che mi tormenta da tanti tanti anni, ed è per
questo che non posso andarmene. Non posso stare né con la mia mamma, sulla
terra, né lassù, con i miei cari nonni. Sono intrappolata qui, non posso
neanche uscire dalla stazione!”
Ascolto le parole della bambina, attento. In qualche modo, quell’anima
in pena mi colpisce. Una bambina costretta a restare per tutta la vita, qui, da
sola. Da sola perché il suo passato non le permette di andarsene… e perché sua
madre non verrà mai più in questo luogo. Forse il dolore per la perdita della
figlia è troppo forte, così tanto che non vuole tornare qui…
“So cosa sta pensando, signor Adam. Lei pensa che la mia mamma non
tornerà qui perché è triste, vero? Invece non è così.”
Il suo volto si rabbuia. Ma cosa significa? È ovvio che sua madre sarà
addolorata… ha perso una figlia, perlopiù così piccola! Come può pensare,
questa bambina, che il motivo non sia quello?
“…La mia mamma
mi odia.”
Una vocina flebile emette queste parole. Non capisco. Come può essere?
“Sono sicuro che la tua mamma non ti odia, Lily. Ne sono certo,
davvero.”
“Ma tu non sai cos’è successo! La mia mamma mi odia! L’ho fatta
arrabbiare davvero tanto!”
Non riesco a credere alle parole di Lily. Com’è possibile che una madre
odi la sua bambina? E proprio perché tale, non avrebbe motivo di provare un
sentimento tanto grande e complicato come l’odio. Forse si sarà arrabbiata con
lei, sì, ma…non può odiarla. Non è possibile.
Devo aiutare Lily. Non può continuare a dannarsi così, per il resto
della sua vita.
“Lily…dove vive ora la tua mamma?”
“A dire il vero…non so neanche se è più tra noi.”
Il mio cuore ha un sussulto. Se dice così, può essere solo perché sua
madre era malata…una bambina così piccola deve avere per forza una mamma
giovane! O perlomeno con non più di 50 anni.
Lily emette un risolino spento.
“So cosa sta pensando, ancora, signor Adam. La verità è che non sono
solo bloccata in questo luogo, ma anche in questo corpo. In realtà sono
passati…35 anni, da allora. Da quel brutto incidente…”
Sbarro gli occhi. 35 anni?! Quindi, facendo un rapido calcolo, la madre
di Lily dovrebbe avere circa…75 anni! Mmm, è vero che oggi si vive moltissimo,
ma a quell’età si è molto sensibili agli acciacchi…
Ma non posso arrendermi così. Anche a costo di girare mari e monti,
devo trovarla.
“Lily, voglio aiutarti. Dimmi dove si trova la tua vecchia casa. Ci
andrò io. Te lo prometto. E ti dimostrerò che la tua mamma non ti odia!”
Lily spalanca la bocca, sorpresa. Dev’essere la prima volta che qualcuno
le offre il suo aiuto. O forse, anche solo la prima volta che qualcuno si ferma
qui a parlare con un fantasma.
“Purtroppo io… non ricordo l’indirizzo esatto. Ricordo solo il numero:
28. Ero molto piccola all’epoca, non riuscivo a capire ancora bene cosa fosse
lo spazio. Tutto ciò che ricordo è che… era vicina ad una torre… una torre
bianca, rosa e verde. E… di fronte alla mia casa, c’era una piccola costruzione
con sopra un pagliaccio. Mi faceva tanto ridere! Dovrebbe trovarsi ancora in
questa città, comunque.”
Le parole di Lily sono accompagnate da un sapore dolceamaro, quello del
ricordo e della nostalgia, intrise anche di quella gioia data da giornate
luminose, persone che parlano, macchine che passano, città che vivono.
Sento che Lily non può andare avanti così. Anche fosse l’ultima cosa
che faccio, devo aiutarla.
Annuisco, per farle capire che questo sarà per me un grande impegno.
“Sembra che stia arrivando un vagone per lei, signor Adam.”
La guardo interrogativo. Che significa? L’ultima metro è passata da un
pezzo…
E invece no. In lontananza, si sente quel tipico frastuono, fino a che
un unico, piccolo vagone si ferma davanti a me. Che sia opera sua? Ormai tutto
può succedere.
Il vagone si ferma, aprendomi le sue portiere. Io, ancora seduto per
terra, con i palmi rivolti su quel pavimento freddo, mi alzo di scatto, quasi a
non voler far attendere il mezzo.
“Buon viaggio, signor Adam. Mi fido di lei!”
“A presto, piccola Lily. Tornerò, contaci.”
Entro sorridendo nel piccolo vagone, mentre le porte si richiudono. Con
una mano saluto Lily, guardandola allontanarsi sempre di più, fino a
scomparire.
Ehm...scusate se è un po' cortino xD Spero che vi piaccia comunque ^^ Commentate eh! Ciao ciao
Quando questa mattina mi sono svegliato, ho pensato che fosse stato
tutto un sogno. La litigata con Daiana, il licenziamento, l’ultima corsa della
metro, Lily e la promessa. Ma il solo fatto di essermi risvegliato nel letto
della mia vecchia casa ha confermato tutti gli avvenimenti di ieri.
Fortunatamente la linea 2 è vicina sia alla casa di Daiana che a quella in cui
abitavo precedentemente, per cui non ho avuto molti problemi.
Ed eccomi qui, in cucina, davanti a una tazza di buon caffè-latte. Giro
svogliatamente il cucchiaino, mentre con un’occhiata distratta guardo il
telegiornale.
Cosa dovrei fare, innanzitutto? Le informazioni datemi da Lily sono
piuttosto scarne, ed andare a casaccio in giro per la città non mi aiuterà di
certo. Forse la cosa migliore sarebbe chiedere ai vicini, sicuramente più
anziani ed esperti di me.
Finisco frettolosamente il contenuto della tazza e, dopo aver sparecchiato
alla buona, mi dirigo in bagno.
La cosa che odio più di tutti sono i miei capelli: con quella maledetta
ritrosa nel mezzo non c’è mai verso di farli stare a posto! E soprattutto, cosa
ancora peggiore, è sopportare le prese di giro della vecchiaccia che sta al
piano di sotto. Ma è inutile scaldarsi tanto, di sicuro non risolve la
situazione.
Capelli sistemati –più o meno-, barba –per quella che c’è- fatta, messi
i primi vestiti scelti a caso… direi che possiamo cominciare. Mi dirigo verso
lo sgabuzzino in cerca di oggetti utili: mi sento un piccolo esploratore!
Prendo il coltellino svizzero, una piccola pila e, cosa più importante, una
cartina della città, comprata poco dopo essermi trasferito qui. Infilo tutto in
una borsa, dopodiché esco di casa, orgoglioso.
Arrivato sul pianerottolo, penso a chi potrei suonare: intanto potrei
cominciare da Emilia che, sebbene giovane, vive qui da abbastanza tempo per
poter rispondere alle mie domande. Suono timidamente il campanello, sperando di
non disturbare. Da dentro però si sente una voce maschile. Infatti ad aprirmi è
un uomo.
“Ehi, bello, tutto a posto?”
Un momento…dov’è Emilia? Chi è questo buzzurro?
Un enorme tanfo di tabacco invade il piccolo pianerottolo, facendomi
appena tossire. Forse è meglio se me ne vado.
“Mi scusi, ho sbagliato campanello e…”
“Eh no, bello! Mi hai distratto dalla partita all’ultimo sangue dei
Cardiff Blues contro i Tigers! Adesso non puoi mandarmi via a bocca asciutta
eh, bello?”
Cardiff Blues…Tigers… mi sembra di averli già sentiti da qualche parte.
Che siano squadre di baseball?
“Ehi bello! Non dirmi che non sai chi sono i CarBlues e i Tigers! Hai
bisogno di un po’ di cultura, bello! Entra dentro e impara!”
Oddio… ma che vuole questo da me?! Non posso permettermi di perdere tempo!
Devo trovare Emilia, innanzitutto…
Troppo tardi.
Il puzzone mi trascina dentro con sé, sbattendo la porta con vigore.
Devo intervenire, devo risolvere questo pasticcio!
“Mi scusi ma io…”
“Amore, chi è a quest’ora di mattina…?”
Non faccio in tempo a voltarmi per vedere chi è, che subito la ragazza
mi si butta al collo.
“Adam! Ehi! È una vita che non ci vediamo! Come stai!”
La figura ancora in pigiama di Emilia mi stordisce, mentre con le
braccia mi stritola amichevolmente.
“Emilia! Tutto bene, grazie. Sono venuto qui perché avrei bisogno di un
grosso favore…”
Arrossisco un po’ per l’imbarazzo di essere venuto qui solo per
chiedere aiuto. Ma Emilia sembra non farci caso, sorridendo e annuendo di
fronte alla mia richiesta. Intanto il suo –presumo- fidanzato si è rimesso
comodo sul divano continuando a seguire la partita di…rugby!
Io ed Emilia andiamo in cucina, fortunatamente non intrisa di quel
forte odore di tabacco, grazie alle finestre aperte che fanno entrare aria e
luce. La cucina è molto carina, arredata in maniera semplice su un colore
bianco panna, che caratterizza gran parte del mobilio.
Scherzosamente mi porge la sedia come fanno gli autisti ed io,
altrettanto scherzosamente, mi siedo.
Emilia, ancora in pigiama, si versa un po’ di caffè dentro una piccola
tazzina e la poggia sul tavolo; poi si siede.
“Allora, Adam, dimmi tutto!”
Il suo tono sembra entusiasta. Spiego brevemente la situazione, mentre
lei pensa concentrata.
“Una torre eh… l’unica che mi viene in mente è la Torre della
Discordia. Si trova in Piazza Puccini, di fronte a quella gelateria che ti
piaceva tanto, ricordi?”
Faccio mente locale e annuisco ricordando il luogo. Certo che non ci
potrebbe essere nome più azzeccato per quella torre…
Ora che ci penso è abbastanza vicina. Forse potrei arrivarci a piedi, o
con un autobus.
“E di un negozio con un pagliaccio sai nulla?”
“Un pagliaccio, dici… Mmm… No, non mi viene in mente niente, mi spiace!
Ma spero di esserti stata comunque utile.”
“Sì, certo! Sei stata utilissima, non mi ricordavo proprio di quella
torre. Grazie Emilia! Partirò subito per le mie ricerche.”
Emilia ridacchia.
“Ma come mai devi raggiungere questo posto?” Il suo sguardo si fa
ironico. “Devi andare a qualche appuntamento?!”
“Qualcosa del genere, sì.”
Ho preferito non dirle nulla di Lily, ma solo che stavo cercando un
certo posto. Non mi avrebbe creduto e non avrebbe accettato di aiutarmi.
Pensandoci bene, nessuno mi avrebbe creduto… Perfino io stentavo a crederci!
Saluto affettuosamente Emilia e il suo fidanzato e mi incammino verso
la meta prestabilita: si comincia!
Onestamente non so perché sto continuando questa storia, visto che non interessa a nessuno se non a me X°°°D Ma la finirò, anche perché nella sua versione su word è quasi finita...Comunque ripeto che mi piacerebbe ricevere commenti e\o critiche costruttive ^^ A presto :D
Alla fine ha vinto la pigrizia, e ho preso il bus. Anche andarci a
piedi sarebbe stato un tragitto breve, ma ho preferito non perdere troppo tempo
ed energie. Sebbene la torre si trovi in una piazza, il territorio intorno è
piuttosto desolato. Qui non ci sono condomini o palazzi, ma solo piccole
villette singole. Meglio così, mi faciliterà il lavoro di ricerca.
Emilia non sapeva niente di quel pagliaccio… in effetti l’incidente è
avvenuto moltissimo tempo fa, quel negozio potrebbe benissimo non esistere più.
Forse l’unica è controllare i campanelli uno per…
Un momento! Che sciocco! Ma come ho fatto a non pensarci prima!
Non ho il cognome di Lily! Oddio che stupido! E adesso come faccio?
Sono costretto a chiedere informazioni alla gente del posto. In fondo,
un tale incidente sarà ricordato da tutti…spero.
Cammino per le soleggiate vie vicino alla piazza. Fortuna che ci sono
poche contrade! Altrimenti avrei fatto il giro della città…
Comincio dalla via che mi sembra più breve. Ma sembra invasa di negozi
che di antico non hanno proprio niente. Sbircio ogni tanto all’interno, per
guardare l’età media dei commessi: tutti troppo giovani. Qual è un luogo dove i
venditori sono un po’ più anzianotti?
Un bar?
Potrei tentare.
Cammino nella parte più ombreggiata della strada, pavimentata a sassi,
come nell’antichità. Finalmente scorgo un’insegna di bar: “Da Gino”.
Mmm… Gino mi dà l’idea di un nome molto popolare qualche tempo fa. Ora
non se ne sentono più! Potrebbe essere anzianotto…
Raggiungo il bar a passo spedito ed entro. Come immaginavo, è uno di
quei bar-ritrovo per pensionati che passano il resto della loro vita fumando e
giocando a poker. E lasciando le mogli a casa, per fortuna.
Scruto un po’ il posto, dopodiché mi avvicino al proprietario del bar
nonché uomo dietro al bancone per chiedere informazioni. Impegnato ad asciugare
un grosso boccale di birra, non si accorge della mia presenza. Fingo così di
tossire per richiamare la sua attenzione.
“Oh…mi scusi! Ero distratto.”
Il vecchio ha una voce molto fievole e quasi acuta, ma sembra sveglio e
attento.
“Ehm…senta…sto cercando informazioni su un fatto avvenuto circa 30 anni
fa…”
Il tipo mi interrompe.
“Uhm? Un fatto di che tipo?”
Me lo chiede con aria curiosa ma distratta, ancora intento a ripulire
quel boccale di birra a cui sembra prestare più attenzione.
“Un fatto di cronaca nera… un incidente.”
Smette finalmente di dedicarsi a quel boccale, e mi scruta come per
pensare.
La sua espressione da concentrata diventa quasi spaesata.
“Ma signore, sa quanti brutti incidenti sono capitati, in tutti questi
anni? Come pensa che possa ricordarmene?”
Il suo atteggiamento mi sembra strano. Non ho ancora detto niente e già
sta sulla difensiva.
All’improvviso però mi fa cenno di seguirlo in un’altra stanza. Forse
vuole discuterne in privato.
Mi conduce in una piccola stanzetta, forse è il magazzino del negozio,
o forse solo un luogo di riposo per quando è stanco.
Mentre accosto la porta, lui è già più avanti, e si siede. Mi fa cenno
di fare lo stesso.
“Di quale incidente voleva parlarmi?”
Attacca subito con un tono pacato ma cupo. Che sia stato segnato anche
lui, nella sua vita, da un incidente?
“Io non so se lei ricorda una certa Lily… una bambina morta
tragicamente in una stazione della metro.”
Il vecchio spalanca gli occhi. Sembra ricordarlo. Poi sorride
amareggiato, e abbassa lo sguardo.
Tace. Sposta lo sguardo altrove, come per trattenere le lacrime. Che
fosse un suo conoscente, o parente?
“Va tutto bene?” domando, vedendolo in difficoltà.
Emette un lungo sospiro e intreccia le mani intorno ad un ginocchio.
Chiude tristemente le palpebre, poi le riapre.
“Lily. La piccola Lily. Come scordare un angelo come lei?”
Pronuncia queste parole a bassa voce, con la stessa, fragile, intensità
della luce del sole che cerca di penetrare in questa stanza, attraverso
finestre sporche e ormai logore dal tempo.
“Oh, sì. Ricordo perfettamente quel giorno. Lily Wright. Una bambina
meravigliosa.”
Si ferma un po’ prima di ricominciare. Sembra molto provato dal
ricordo.
“Quel giorno… ero presente anche io, in quella stazione. La piccola
Lily indossava un meraviglioso vestito rosa. Sa, uno di quei vestiti
ottocenteschi… meraviglioso. Sembrava una bambola di porcellana. Indossava
delle graziose scarpette rosa allacciate con fiocchi. Lo ricordo perché pregò
molto sua madre per comprargliele; ed erano scarpe molto costose per l’epoca.
Il tutto accompagnato da un piccolo ombrello parasole, anche quello di colore
rosa… Oh Lily! Era così allegra, quel giorno… faceva continue piroette con
quella sua gonna, orgogliosa di poterla mostrare a tutti… ma la metro arrivò…
lei non se ne accorse…
Ce la portò via col sorriso sulle labbra, la voglia di vivere… la gioia
per le piccole cose.”
Il vecchio trattiene a stento le lacrime. Gli metto una mano sulla
spalla, per dirgli che gli sono vicino. Finalmente si lascia andare. Lo
abbraccio, e rimango così finché non si sfoga del tutto. Avrei voglia di
chiedergli altro, ma sento che non è il momento, e mai lo sarà. Mi piacerebbe
scoprire di più su ciò che legava questo anziano signore e la famiglia di Lily,
ma non è importante. Di fronte al suo dolore riesco a trattenere la mia
curiosità.
Passati alcuni minuti, saluto il vecchio ringraziandolo, ma prima di andare
mi dice un’ultima frase.
“Se cerca la sua casa… basta che suoni al numero 28 della strada
parallela a questa.”
Annuisco, dopodiché chiudo la porta lasciandolo solo, in pace.
Come al solito, commentate per favore... anche per dirmi che non vi piace ^^ (motivando il commento X°°°D). Ja~
Cammino verso il luogo dettomi da Gino, con un’ansia addosso che mi fa
accelerare il passo.
Non so davvero cosa aspettarmi. Inoltre, una volta arrivato lì, cosa le
dirò? E se Lily avesse ragione? Vorrei portarle una prova che dimostri quello
che le ho detto alla stazione, ma se mi sbagliassi? Finirei per infrangere
tutti i suoi sogni e le sue speranze, ammesso che ne abbia ancora dopo tutti
questi anni passati in agonia. Ma non posso credere davvero che sua madre la
odi. Devo sciogliere questo mistero!
Il flusso continuo dei miei pensieri quasi mi fa oltrepassare la
piccola villetta dove abita la madre di Lily.
Mi fermo di scatto per dare un’ulteriore sbirciata al campanello: sì, è
proprio il suo.
Devo ammettere che la decorazione è piuttosto simpatica: sopra il
pulsante e il citofono c’è infatti la testa di un piccolo animale dorato, non
saprei dire se un leoncino o un cane. Il suo sguardo è rivolto verso il cielo,
ed ha un’espressione gioiosa, come se stesse giocando col suo padrone.
Dopo un’attenta analisi dell’originale campanello, decido di
soffermarmi sulla questione principale: devo suonare?
‘Sì, Adam, devi.’
Oh, questa è quella che si suol definire “voce della coscienza”. E se
lei dice così, allora così si farà.
Mi do una sistemata ai capelli, stiracchio la maglietta e mi schiarisco
la voce; ricordo ancora quando il mio professore di musica diceva che fa male
alle corde vocali…
Non so perché faccio tutto questo, ma in qualche modo mi fa sentire più
sicuro.
Avvicino il dito per suonare e…suono. Una scampanellata decisa e
sicura. Aspetto impaziente il ‘clik’ del cancello che si apre.
Lo scatto della serratura arriva dopo pochi secondi. Trovo strano che
non mi abbia chiesto ‘chi è’: è una buona norma di sicurezza! Potrei anche
essere un malvivente con intenzioni truffaldine…
Spingo il cancelletto con grazia, richiudendolo alla stessa maniera. Il
giardinetto che circonda la piccola villa è piuttosto povero, solo qualche
geranio piantato qua e là; noto anche un piccolo albero di mele, che comunque
non contribuisce a rendere più ricco l’ambiente.
Dopo aver scrutato l’ambiente, noto che la porta principale non è
ancora aperta. Forse aspetta una seconda scampanellata.
Mi avvicino alla piccola ma graziosa scalinata, anch’essa bianca, che
conduce alla porta di ingresso. Salgo gli scalini in maniera sportiva,
totalmente in contrasto con quell’atteggiamento posato che ho cercato di
mantenere finora.
Ed è proprio in questo momento che una piccola e anziana signora appare
sulla porta.
“Chi è lei?” chiede l’anziana con due occhi curiosi.
Come dovrei presentarmi? Forse sarebbe bene discutere tutta la storia
dall’inizio, con calma.
“Se permette, credo che sia meglio parlarne in casa.”
La signora mi guarda con fare sinistro e distaccato, sospettosa. Ma mi
fa cenno ugualmente di entrare, voltandosi parecchie volte per controllare i
miei movimenti.
Chiudo la porta timoroso, mentre la vecchia cammina verso il centro
della stanza.
Sebbene sia una villetta, pare piuttosto in decadenza. Forse sarà per
l’età della signora, ma la casa non sembra molto curata. In genere si dice che
la casa rispecchia l’animo di una persona: se così fosse, mi sembra piuttosto
arida… o forse solo triste e sola.
“Vuole un po’ di thè?”
La sua domanda improvvisa mi risveglia dai miei pensieri.
“No, grazie”
La signora arriccia il naso.
“Faccio il thè più buono di tutto il vicinato, sa?”
Lo dice con aria quasi indispettita, per non aver accettato subito il
suo thè.
“D’accordo, mi ha convinto.”
L’anziana sembra ora felice e si avvia a passo svelto, per quanto può,
verso la cucina a preparare la sua bevanda. Intanto mi siedo e passo il tempo
osservando i muri della casa, di un colore che ricorda il ciliegio.
Dopo poco ritorna con in mano un vassoio, e sopra due tazzine bianche
decorate con motivi vegetali.
A dire il vero non sono un grande amante del thè, ma non potevo
rischiare di far stizzire la signora… e poi in fondo si tratta di una piccola
tazzina, non morirò di certo!
Sfodero il mio sorriso migliore, cercando di apprezzare il gesto e
comincio ad ingerire quel liquido.
…Però, non è male, in fondo. Ringrazio la signora, che intanto si è
messa a sedere sorseggiando quel thè di cui va tanto orgogliosa.
Decido però di attaccare subito, parlandole del motivo per cui sono
venuto qui.
“Mi perdoni se le sembrerò brusco, però… sono venuto qui per parlarle
di Lily.”
Lo sguardo della signora si fa all’improvviso vivo e attento, ma mi
guarda senza parlare.
“M-ma… lei fa a
sapere cosa prova Lily? Non ci siamo mai visti, noi! Come può conoscere Lily e
i suoi sentimenti?”
“Io…non posso
spiegarlo adesso ma… sono sicuro che lei non prova rancore verso sua figlia,
vero?”
La donna abbassa
lo sguardo.
C’è silenzio nella
stanza, riempito solo dal cinguettio vivace di alcuni pettirossi.
“Era… era solo una
bambina. Perché Lily deve pensare questo? Non riesco a spiegarmelo… Avevo
capito che quella povera bambina stava soffrendo, e volevo scusarmi. Proprio
perché bambina avrà frainteso un qualche mio gesto! Non so spiegarmelo
altrimenti.”
La voce della
donna si fa sempre più bassa e fievole, probabilmente non vuole dare cenni di
debolezza di fronte ad un estraneo, o forse non vuole ricordare.
“Anche io lo
credo, signora”
Cerco di dire
qualcosa per tirarla su di morale. Consolare non è mai stato il mio forte, ma
credo di poter essere comunque un buon sostegno per le persone. E dovrò esserlo
anche stavolta.
“Lily avrà
sicuramente frainteso ma… serve che qualcuno glielo dica. Che glielo faccia
capire.”
La donna alza il
volto con un mezzo sorriso.
“Lei?”
“Cosa?”
Rimango stordito
da quell’improvvisa domanda, posta con quel tono tra l’ironico e l’incredulo.
“Io sono vecchia
ormai… può farlo lei, vero? Non so chi lei sia, né come faccia a sapere della
piccola Lily, ma ho capito che lei ha qualcosa di speciale… Mi sembra un
giovanotto sveglio, un po’ sospetto, ma nel complesso affidabile…”
Non comprendo i
discorsi della signora, perlomeno non completamente. Comunque, pare che si sia
decisa a darmi qualcosa per poter far riposare finalmente in pace Lily.
Dev’essere una donna molto sola, e molto affranta da questo ricordo.
“Aspetti qui,
giovanotto”
La donna si alza
lentamente, tipico delle persone della sua età, e scompare su per le scale.
Se ne ritorna poco
dopo, con un mano un piccolo oggetto.
Non capisco cos’è
finché non si avvicina e me lo porge.
“Era
l’orsacchiotto preferito di Lily. Lo trovai gettato tra le cartacce subito dopo
il nostro litigio…”
La donna si ferma
e sospira.
“Adesso ricordo
con chiarezza… Oh Lily… è per questo che hai pensato che io ti odiassi? Sa,
giovanotto… Avevo come rimosso questo brutto incidente dalla mia mente. Erano
molti anni che nessuno mi parlava più di Lily. Ho continuato a ricordarla nel
mio cuore… e all’improvviso arrivi tu. La causa del litigio fu proprio questo
orsetto: la mia piccola… voleva solo giocare… e io l’ho sgridata e cacciata via…”
La signora sembra
sul punto di crollare. I suoi discorsi pieni di amarezza e rimpianto, dettati
solo della disperazione, hanno fatto riflettere anche me.
“Ti prego… porta
questo orsetto a Lily. Capirà così che io l’ho sempre amata… e continuo a
farlo, nei miei ricordi… Adesso la prego, mi lasci sola…”
Prendo l’orsetto
con me e mi avvio verso l’uscita. Vorrei dire qualcosa alla signora, ma forse
non è il caso. E poi se la sua volontà è questa, io la rispetterò.
Chiudo piano piano
la porta, e mi indirizzo verso la strada per quella fatidica stazione della
metro.
Il rumore dei miei
passi rimbomba su quegli scalini ormai datati, mentre l’eco si sparge per tutto
il perimetro della stazione. Do un’occhiata all’interno, finché non vedo il
fantasma della piccola Lily. Il rumore dei miei passi si fa sempre più forte,
facendo girare la bambina, quasi sorpresa.
“Signor Adam!”
Chiamando il mio
nome aveva quasi tradito un sorriso, subito nascosto da un’espressione seria,
di quella che non vuol far vedere che ci spera, per poi magari rimanerci male.
Nascondo l’orsetto
dietro la schiena, decido di farle una sorpresa.
I suoi occhi però
domandano, vogliono sapere cosa è successo laggiù. Meglio non tenerla troppo
sulle spine, no? Anche se come si dice, più lunga è l’attesa, più dolce è il
desìo.
Tiro fuori
all’improvviso l’orsetto, e l’espressione di Lily diventa stupita.
“Da parte della
tua mamma, Lily. Tieni.”
Ancora una volta
sento il contatto con quelle mani fredde, forse l’ultimo che avrò in vita mia.
Quando penso che ci sono cose che faccio ‘per l’ultima volta’, divento un po’
melanconico.
“Oh! C’è qualcosa
qui signor Adam!”
Le piccole manine
di Lily partono alla ricerca di quel qualcosa che ha scoperto nell’orsetto,
qualcosa che anche io ignoro. Chissà cosa ci ha nascosto la vecchia signora?
La ricerca di Lily
è breve, e finalmente ottiene il suo tesoro.
“È un biglietto,
signor Adam… C’è scritto…”
All’improvviso si
blocca. Non parla più.
“Lily… tutto ok?”
“C’è scritto…”
Piccole lacrime
cominciano a rigare il viso della bambina che lascia cadere tutto a terra per
asciugarsi le lacrime che sembrano non fermarsi.
Raccolgo l’orsetto
e il foglietto, e leggo.
Ti voglio bene e te ne ho sempre
voluto, piccola mia.
Con affetto,
Mamma.
“Signor Adam…”
Lily scoppia in un
pianto incontenibile e mi abbraccia. Mi stringe forte, per quanto può, e
piange. Ma piange perché è felice… e per questo sono felice anch’io. Sapevo che
non poteva esserci odio tra quelle due! Non si può odiare un bambino. Proprio
no.
“Signor Adam…
Grazie!”
Le lacrime di Lily
riescono quasi a commuovere anche me. Quasi!
“La ripagherò
sicuramente, signor Adam! Grazie!”
Non capisco la
fretta con la quale Lily pronuncia parole che più si adattano ad un addio,
quando la vedo quasi scomparire. Il suo corpo si fa sempre più trasparente, le
sue lacrime sempre più un miraggio.
“Non la
dimenticherò mai, signor Adam”
“Anche io, Lily…
ti ricorderò per sempre!”
A questa frase
Lily sorride, mentre scompare sempre più, portandosi via con sé gli oggetti che
l’avevano aiutata a trovare la pace.
La guardo piano
piano scomparire, finché… non c’è più.
Resto imbambolato
per qualche minuto, cercando di capire. Forse è stato solo un sogno? Mi do una
botta in testa…ahi! No, non stavo definitivamente dormendo!
È stato tutto reale?
Che storia assurda… ma, assurda o meno, è stato bello. È bello donare il
sorriso ad una persona, specialmente ad una bambina. In qualche modo mi sento
diverso. E adesso? Che ne sarà della mia vita? Licenziato, senza una donna… e
senza un obiettivo. Forse dovrei fare il punto della situazione…
All’improvviso mi
squilla il cellulare.
È un messaggio…di
Daiana?
Adam… scusa per come ti ho
trattato. Sono stata una sciocca.
Una pizza e vediamo di fare
pace?
Troverai sicuramente un altro
lavoro!
Daiana
Quel messaggio mi
stupisce. Mi riporta alla realtà. Daiana… mi sta perdonando? E poi ha ragione…
certo che troverò un altro lavoro! Stranamente, alla fine di questa vicenda
molti tasselli stanno tornando al loro posto…
Sarà il destino? O
forse…
“La ripagherò sicuramente, signor Adam! Grazie!”
Naaah.
Fine ^^ xD Ringrazio le persone che hanno seguito questa piccola storiella senza pretese, spero vi sia piaciuta ^^ Alla prossima xD