Dear Liam

di Stella cadente
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 29 agosto 2012 ***
Capitolo 2: *** 30 agosto 2012 ***
Capitolo 3: *** Sto bene ***
Capitolo 4: *** Posta ***
Capitolo 5: *** Daveigh ***
Capitolo 6: *** Come foglie d'autunno ***
Capitolo 7: *** Così vicini, eppure così lontani ***
Capitolo 8: *** La prigionia del nulla ***
Capitolo 9: *** Cocci di parole ***
Capitolo 10: *** Come l'arcobaleno ***



Capitolo 1
*** 29 agosto 2012 ***


Dear Liam

                                             


                                                       


 








 

Capitolo primo
29 agosto 2012






29 agosto 2012
 
Caro Liam,

oggi è il tuo compleanno. Mi ero ripromessa di passarlo in maniera felice e spensierata, perché non potevo passare in maniera diversa il compleanno di uno dei miei idoli.
Ma non è andata così.
Sai Liam, quello che credevo un amico mi ha delusa profondamente. Poco fa ha mandato un messaggio , in cui mi ha detto che domani vuole vedermi, ma la cosa mi farebbe stare male. Non so perché, ma è come se tutta la fiducia che avevo riposto in lui fosse svanita del tutto.
Questo non è esattamente il modo in cui volevo passare il tuo compleanno, Liam.
Mi sono scritta DADDY DIRECTION sul polso con un pennarello nero, sai? E non ho usato il cucchiaio per tutto il giorno.
Tutto quello  che vorrei fare ora è piangere. Solo piangere.  Ma poi penso che non merita le mie lacrime, e non merita me, in generale.
Non merita neanche che io mi rovini questa giornata importante solo per lui. Sapevo che, a differenza mia, non era esattamente una persona sensibile, ma è che ultimamente ho un problema e lui non ha capito. Io invece pensavo ingenuamente che lo avrebbe fatto.

Cercavo solo aiuto, tutto qui. E non l’ho avuto.
Lo so, non ha senso che io ti parli delle mie cose perché tu neanche mi conosci, ma sento il bisogno di dirtele, di buttarle giù in qualche modo. Ho bisogno di volare via e di far finta di nulla, per non ammettere a me stessa che una persona a cui volevo bene mi ha praticamente presa in giro.
Lui non mi ascoltava quando parlavo, e mi giudicava invece di rassicurarmi su cose che mi preoccupavano, non come, probabilmente, avresti fatto tu. Per questo ho deciso di scriverti, perché tu mi capiresti alla perfezione. 

Ti sembrerà strano, ma vorrei che tu fossi qui, Liam. Vorrei che tu fossi qui ad abbracciarmi e a dirmi che non sono sola, che tu sei qui con me e che ci sarai sempre per me.
Io ho tante amiche ma nessun amico maschio di cui io mi possa fidare sul serio, sai? E mi piacerebbe un sacco che quell’amico speciale fossi tu, soprattutto dopo che lui mi ha delusa così. Non è come quando lo avevo conosciuto ed io ... non so più come trattarlo, non so più come far tornare il Daniel di prima.
Non riesco a frenare le lacrime. È più forte di me, sono troppo fragile. Tra l’altro, non ho più tanta voglia di andare a cena fuori con Adele stasera, anche se so che potrebbe aiutarmi. La delusione è talmente forte da farmi riuscire soltanto a stare rannicchiata in un angolino, a pensare a quanto io sia stata così immensamente stupida.
Mi sento legata a te, sai Liam? Inspiegabilmente ti voglio bene, e ti sento vicino, vicino come una persona che conosco da una vita. E scrivere questa lettera mi ha aiutata, mi ha aiutata a sfogarmi.
La tua più grande fan,

 
Daveigh




 
Quando Daveigh Miller staccò la penna dal foglio, si sentì meglio.
Anche se Liam non avrebbe mai avuto quella lettera tra le mani, era felice lo stesso. Si sentiva sempre meglio quando buttava i suoi pensieri sulla carta, più libera, più leggera.
Assaporò l’idea di conoscerlo, e non appena guardò una sua foto sorrise spontanea, con le lacrime che ancora le rigavano il volto tondo e pallidissimo.  
Scrivendo quella lettera aveva immaginato che il destinatario la ascoltasse, più o meno. Immaginava, perché era l’unica cosa che le era rimasta al momento. Immaginare che qualcuno la capisse davvero senza farla sentire a disagio. E soprattutto, senza che ci fosse bisogno di dire niente.
Da tempo ormai non si confidava veramente con qualcuno. Poche persone sapevano cosa stava passando, ma anche a loro non diceva mai tutto quello che ci sarebbe stato da dire. Le sarebbe costato troppo cercare di aprire quel cuore che era diventato come di pietra, e sarebbe scoppiata subito a piangere.
Lei non lo sopportava, odiava essere debole. Odiava il fatto che si facesse paranoie inutili, che bastasse un niente per farla crollare.
“Rimani forte” le dicevano tutti.
Ma no. Lei non era forte, non lo sarebbe mai stata per quanto ci provasse ostinatamente, ogni singola volta.
Il suo pensiero tornò a Daniel, alla sua freddezza che la aveva lasciata di sasso, mentre l’impulso di tirare un calcio al muro cresceva dentro di sé. La rabbia nel ricordare ciò che era accaduto quel giorno davanti a Piccadilly Circus la assalì d’improvviso, facendole ribollire il sangue nelle vene; aveva perso fin troppo tempo con Daniel, e il periodo in cui non sapeva se le piaceva o no era stato troppo confuso e infestato di dubbi.
Forse cercava solo una persona giusta per costruire un bel legame, come si vedeva nei film. Ma era stata una ricerca fatta con foga e disperazione,  una ricerca inutile, una ricerca che non la aveva portata a niente se non a sofferenza.
Non capiva perché lui fosse andato a Londra, se poi aveva passato tutta la sua permanenza a trattarla male; per fortuna se ne sarebbe tornato a Bristol il giorno dopo e non si sarebbero risentiti mai più.
Come poteva aver pensato, anche solo per un secondo, che lui potesse essere la persona adatta ad un legame intenso e saldo come avrebbe voluto?
Forse durante quella gita in Irlanda mostrava un altro lato di sé stesso, un lato completamente diverso da quello che c’era ora. Era come se il Daniel della gita non fosse mai esistito, come se davanti a lei si fosse presentata una persona completamente diversa.
Era quello che le faceva più rabbia, insieme al fatto che la avesse delusa così, come se niente fosse. Lei si era fidata di lui, ciecamente, ma come al solito la sua fiducia era stata.. delusa, appunto. Non c’era parola migliore per descrivere come si sentiva.
Già dal primo giorno che aveva passato a Londra aveva notato che c’era qualcosa di diverso, qualcosa di congelato nel loro rapporto; ma aveva cercato di non farci troppo caso, senza sapere a cosa andava incontro.
Probabilmente, Daniel era una di quelle persone che era meglio perdere che trovare. Ma questo, purtroppo, Daveigh non lo sapeva. La sua naturale ingenuità aveva avuto la meglio su tutto il resto, illudendola che quel ragazzo dai glaciali occhi azzurri fosse una persona affidabile.
Si sdraiò sul suo divano color crema, coprendosi la testa con un cuscino e cercando di svuotare la mente. I pensieri continuavano a rincorrersi, a ronzarle nel cervello, a farle male.
Non ce la faceva più.
Istintivamente afferrò il telefono e compose il numero di Emma; sentiva un bisogno viscerale di parlarne con lei. Doveva sfogarsi, liberare tutta la rabbia che aveva in corpo, tutta la confusione che aveva in testa.
Emma era una delle poche che era a conoscenza dei suoi problemi. Una delle poche a cui Daveigh diceva sempre tutto. Perché Emma era sensibile, dolce e comprensiva. E soprattutto, riusciva sempre a tirarla su di morale.
Attese con impazienza che il telefono squillasse un po’, poi sentì la sua voce rispondere :
– Pronto?
 Le sembrò la voce di un angelo, e ringraziò che avesse risposto lei e non qualcun altro.
– Emma, sono io – rispose, sapendo che lei avrebbe riconosciuto il suono della sua voce, in quel momento leggermente arrochita dal pianto.
– Daveigh! Ma che succede? – si allarmò infatti lei, notando subito le lacrime appena percettibili nella sua voce. Era sempre stata apprensiva nei suoi confronti, e si era sempre accorta quando c’era qualcosa che non andava.
Era questo che Daveigh amava di più della sua amica. Il fatto che fosse attenta e che notasse subito tutto.
– Ecco io ... Si tratta di Daniel ... – cominciò.
– Daniel? Cosa è successo? – chiese lei, preoccupata.
– Beh, mi ha delusa, e molto. Mi ha trattata male, Emma, ed io non so più come fare ... Io oggi mi ero fidata di lui e ... ed è successo un casino ...
– Quale casino? – chiese lei. Poteva leggere la preoccupazione crescere nella sua voce.
– Beh ... vedi, io ... – parlava piano, come se si vergognasse.
Era questo, in effetti, il sentimento che prevaleva nell’animo  della ragazza. La vergogna. Si vergognava di ciò che era, di ciò che faceva.
– Ok – tagliò corto Emma – devo saperlo. Devi dirmelo Daveigh o non dormirò stanotte, ti avverto.
– Non posso, non adesso – disse – io ...
– Tu? Cosa? Ti prego dimmelo – la implorò Emma.
– E’ che sono stupida,  solo una stupida! – esclamò con rabbia la ragazza.
– Perché? – fece la sua amica dall’altra parte della linea.
Non rispose. Alle orecchie di Emma arrivò solo un sospiro che parlava da solo. Era un sospiro pesante, il sospiro di chi non ce la fa più.
– Senti Daveigh, ora vai al ristorante in cui dovevi andare e goditi la serata, ok? Domani ci vediamo e mi racconti tutto. Stai serena, cerca di non pensarci che altrimenti ci sto male anche io.
– Non ... non ci riesco – balbettò. Odiava sapere che Emma stava male per lei, ma era perfettamente consapevole del fatto che sarebbe stato inutile dirle: ”Non preoccuparti per me, passerà”, perché lei sarebbe rimasta in ansia lo stesso, era più forte della sua volontà.
– Lo so, lo so, e mi dispiace di non essere lì accanto a te. Ma ora non devi pensarci più. Dimenticati per un istante di questa cosa. Ci vediamo domani, te lo prometto.
– Ok, grazie Emma, ti voglio bene – disse. Le era venuto spontaneo, adorava la sua amica e non poteva fare a meno di ricordarglielo ogni volta.
– Anche io, a domani – rispose lei.
– A domani – ripeté prima di riattaccare.
Le dispiaceva interrompere quella connessione che aveva con la sua migliore amica; si sentiva come legata a quel telefono, la cosa che le avrebbe permesso di sentire ancora la sua voce. Ma alla fine non poteva trattenerla. Avrebbe dovuto, in un certo senso, farcela da sola.
Non poteva stare sempre a rompere l’anima alle persone che la circondavano.
Si buttò di nuovo sul divano, sfinita, pensando a quello che le aveva detto Emma.
“Non devi pensarci più”... Voleva farlo, voleva farlo davvero, ma come avrebbe potuto?
Come avrebbe potuto non pensare più a come Daniel l’aveva trattata, illusa, presa in giro?
Ora non ce la faceva più neanche a piangere, e se ne stava lì, in silenzio, guardando le pareti della sala che ormai conosceva a memoria.
“Non devi pensarci più” le fecero eco nella testa le parole di Emma “Non devi pensarci più”.
Cercò di concentrarsi  su quella frase.
Emma aveva ragione. Doveva dimenticare Daniel e tutto quello che lo riguardava, in particolar modo quell’episodio, rimuoverlo dalla mente, cancellarlo.
Ce l’avrebbe fatta?
Non lo sapeva, ma continuava a ripetersi che non doveva sentirlo più, non parlarne più, dimenticarlo. Per sempre.
Anche se era difficile.
 
 

 
 

Ciao, popolo di EFP!

Dopo anni e anni di ricerche e ripensamenti sono giunta alla conclusione che dovevo provare a pubblicare questo robino.
A me fa schifo personalmente, ma mi attirava scrivere qualcosa di un po' più drammatico, sempre nel fandom dei 1D.
Sono consapevole del fatto che sia un po' corto e che nessuno abbia capito con esattezza che cos'è successo, ma ad ogni modo, spero vi piaccia (ulteriori chiarimenti si troveranno nei prossimi capitoli).
Con tanto amore,
Stella cadente

 

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Capitolo 2
*** 30 agosto 2012 ***


Capitolo secondo
30 agosto 2012



 

30 agosto 2012

 
Caro Liam,
Oggi ho parlato di questa faccenda ad Emma, la mia migliore amica. Ti piacerebbe conoscerla, sai? È una persona davvero intelligente e comprensiva. 
Non capisco perché sto scrivendo a te, mi sento stupida a scrivere lettere a qualcuno che non sa nemmeno della mia esistenza. Ma forse è proprio per questo che indirizzare la mia anima a te mi fa sentire meglio. 
Daniel oggi è partito per Bristol. Non mi ha neanche inviato un messaggio, ma forse è meglio così, perché se lo avesse fatto probabilmente non gli avrei risposto. Lo odio, lo odio con tutto il cuore, ma odio anche me stessa.
Si, mi odio. Mi odio perché sono stupida e ingenua, mi odio perché mi fido di tutti e subito. Non devo provare questo verso me stessa, mi dice Emma, ma non posso farne a meno. 
E, proprio perché mi odio, mi faccio male. Lo so, lui non merita questo, e non è neanche la soluzione al problema in sé, ma non vedo altra via d’uscita, non vedo altro modo per non pensarci.
È buffo, ma mi sto chiedendo ... E se queste lettere che ti scrivo, un giorno, ti arrivassero tra le mani? Sarebbe un sogno, ma non so se mi fiderei di nuovo, anche se  sei tu. Ma cosa sto dicendo? 
Sto impazzendo, sì, tutto questo mi sta dando alla testa. Non voglio pensare, questa storia è una cavolata e lo so bene, eppure ci sto male, perché credevo che Daniel fosse diverso; sì, diverso da come l’ho visto in questi giorni. Credevo che gli interessassi come persona in generale, invece no. Non è così.
Non te ne accorgi,ovvio, ma in realtà io trovo molto conforto nel scriverti le lettere, Liam. Mi piacerebbe che tu fossi qui accanto a me, ma  basta anche questo,  basta anche solo immaginare che tu  sia vicino a me, come vorrei che mi fosse vicino lui. 
Mi è impossibile capire perché io lo tiri sempre in ballo, come se di lui mi dovesse importare ancora. Ma, nonostante tutto, riesco ad infilarmi le mie grandi cuffie bianche, e a seguire soltanto la tua voce, insieme a quelle degli altri ragazzi.
La musica sembra essere l’unica mia ancora di salvezza, ora come ora. E per questo ti sono riconoscente, vi sono riconoscente.
Perché fate musica.
E mi salvate. Grazie.
Con affetto,

Daveigh

 
 

 

Daveigh interruppe lo scorrere della sua stilografica sul foglio, bianco e liscio, allo squillare del telefono. Si alzò da terra e trotterellò velocemente verso la porta a cui era agganciata la sua borsa, rispondendo senza guardare il display.
– Pronto?

– Ciao Daveigh – quella era una voce familiare. 
Terribilmente familiare. 
Le arrivò alle orecchie con una fitta allo stomaco, come se le avessero dato un pugno, forte.

– D..Daniel?! Che vuoi da me? – disse, subito sulla difensiva. Cercò di essere cattiva, ma era inevitabile, non ci riusciva, e quella frase era stata detta con un certo tremolio nella voce.
– Niente, volevo soltanto ... – iniziò lui.
Ma lei non lo lasciò finire, non voleva sentire quello che aveva da dirle. Lo sapeva già, e non voleva ascoltare.
– Perché mi hai chiamata? – disse solo.
– Volevo sapere perché eri stata così fredda con me.
Sussultò nel sentire quella richiesta.
Lei? Fredda, con lui?
Non se ne capacitava.
– Daniel ... credo che non potremo più essere amici, io e te – tagliò corto.
– Perché? – fece lui. Sembrava spaesato, eppure il suo tono di voce era gelido come al solito.
Non l’aveva neanche fatto apposta. L’aveva ferita, involontariamente.
Ma Daveigh era troppo fragile in quel momento, non era abbastanza forte per passarci sopra.
Si era chiusa.
Non si ricordava come si faceva a stare bene veramente, e la cosa le dava ai nervi.
Ora non poteva più tornare indietro, doveva tagliare i ponti.
– Scusa – mormorò.
 E, senza lasciargli possibilità di risposta, riattaccò bruscamente  spegnendo il telefono.
Sperava di aver dimenticato tutto in un batter d’occhio, ma solo aver sentito la sua voce l’aveva fatta stare male, e le aveva fatto rivivere quel momento in cui, fidandosi ciecamente di lui, si era tolta il polsino viola e gli aveva mostrato le cicatrici del suo dolore ancora visibili sul  braccio pallido.
Cosa aveva fatto lui, quando aveva visto?
Niente.
Assolutamente niente.
Si era limitato a guardarla, freddo, e poi l’aveva giudicata, dicendo “Beh, quando non si sa cosa fare ...”
L’eco di quella frase le risuonò dolorosamente nelle orecchie. La frase che l’aveva fatta sentire presa in giro,che aveva fatto crollare tutte le sue aspettative nei confronti di Daniel.
– Ah, certo! Perché io quando non so cosa fare prendo le forbici e mi taglio! – avrebbe voluto urlare in modo sarcastico. Ma non l’aveva fatto, ed era rimasta a guardarlo interrogativa, mentre si infilava velocemente il guanto viola, continuando a confidarsi, ad aprirsi, a lasciare che lui sapesse tutto della sua vita.
 Si era fidata, ma cosa aveva avuto in cambio?
Niente. Di nuovo.
Solo in quel momento realizzò che lui sapeva tutto di lei, ma che lei non sapeva niente di lui. Ecco, era stata delusa.
Era stata delusa da una persona che credeva tenesse ad un legame, qualunque esso fosse stato, con lei. Daniel, invece, era solo un cretino, come diceva Emma, eppure non riusciva a scordare l’istante in cui si era confidata con lui e alla delusione che non la faceva respirare.
“Forse la realtà non è mai come sembra” pensò, mentre fissava un punto a vuoto.
Le sarebbe piaciuto che Daniel non fosse stato così com’era. Le sarebbe piaciuto che fosse stato una persona diversa.
 Si chiese come mai spesso le cose non andassero come lei avrebbe voluto, trattenendosi dal lanciare il telefono a terra. Poi si sdraiò, esausta.
 
 
 
– Io penso che questa piazza sia bellissima – disse Daniel con il naso all’aria.
Daveigh ridacchiò.
– Questa è Londra, Daniel.
– E’ veramente bella. Mi piace. Bristol è troppo rumorosa a volte.
– Davvero? – fece lei.
Lui serrò le labbra annuendo.
– Senti Dan, devo dirti una cosa.
I suoi occhi azzurri si assottigliarono.
– Che cosa?
Per una frazione di secondo, Daveigh non seppe se avergli accennato quello che stava per dirgli fosse stata la cosa giusta da fare o una cavolata colossale.
– Beh, è una cosa mia in realtà. Però dato che sei mio amico, ci tenevo a parlartene – disse timidamente.
– Okay, ti ascolto.
– Ecco ... – tentennò.
– Sì?
– Ho un problema, io. Spero che mi aiuterai a risolverlo.
– Ci provo, ma dimmelo.
Era strano, il suo tono di voce. O era solo una sua impressione?
– Guarda – disse solamente lei, sfilandosi i suoi soliti guanti a rete viola.
Si ricordava che Daniel aveva sorriso radioso quando glieli aveva visti; le aveva detto che la facevano sembrare gotica e che le stavano bene, anche se non le si addicevano.
Lasciò la pelle diafana scoperta.
E quello che fece il ragazzo la lasciò di sasso.
– Wow – fece, atono.
Lei gli rivolse uno sguardo  preoccupato.
– Non sapevi cosa fare eh ...
E in quel momento Daveigh trovò buffo come, solo cinque parole, l’avessero fatta crollare.
 
 
Nel ricordare le sfuggì un sospiro pesante.
Per un momento non voleva pensare a niente, voleva solo dormire, staccare dal mondo intero.
Chiuse gli occhi.
 

****

 
 
Lo aveva conosciuto appena durante la gita in Irlanda. Era un ragazzo alto, biondo e affascinante, in un certo senso. L’aveva colpita il suo essere sempre così estroverso, così scherzoso e spontaneo. Forse, quell’indole avrebbe potuto farla aprire, farla sbloccare.
Daveigh, per dir la verità, era una persona molto timida. Non era facile che si aprisse con le persone.
Daniel però, in qualche modo, c’era riuscito. Era riuscito a conoscerla, a capire che tipo di persona era. E le era stato vicino, più o meno.
Quello che però la ragazza non aveva capito, era che lui aveva in mente altro piuttosto che una semplice amicizia. Daveigh era dolce, sincera, ma anche terribilmente ingenua. E non aveva capito, non aveva capito ancora quali erano le intenzioni di Daniel.
Non aveva capito che sotto quella facciata da ragazzo gentile si nascondevano dei secondi fini. Lei era una di quelle che pensano che il mondo sia buono e che ci si possa sempre fidare di tutti.
Daniel le aveva dato la prova che spesso le persone non capivano.
E che lui non era quello che lei si aspettava.
La delusione la stava uccidendo, senza che potesse fare niente.
 
 
– Mi dispiace Dan, ma non so se provo per te le stesse cose che provi tu per me.
Il ragazzo la guardò, con un’espressione che non seppe come decifrare.
Sembrava che in quegli occhi di ghiaccio ci fosse una punta di risentimento che cercava di essere mascherata con l’indifferenza.
Di’ qualcosa, ti prego, pensò la ragazza, mentre lo guardava con  le labbra serrate.
– Ehm, io ... – aggiunse timidamente – mi ... mi dispiace, Dan.
Lui era impassibile.
Sembrava fatto come di roccia. Daveigh non riusciva a distruggerlo, a capire che cosa pensava, anche solo da uno sguardo, un’espressione, un modo di fare.
Sembrava che quella frase lo avesse congelato temporaneamente.
– Non c’è problema – disse improvvisamente.
Ma la sua voce era gelida.
E per un momento, Daveigh rabbrividì nel sentire quelle parole.
– Menomale – sussurrò – non c’è problema.
– No – fece lui. Ancora quella voce che le dava brividi di terrore, fredda come il ghiaccio.
– No – ripeté Daveigh.
Probabilmente, in cuor suo, non voleva ammettere che lo aveva detto come per convincersene davvero.
Anche se non era affatto così.
 
 
 
Daniel non le era sembrato un ragazzo come tutti gli altri sin da subito. Era estroverso, sì, e simpatico, ma le dava anche l’idea di uno che era meglio non far arrabbiare. Aveva un non so che di minaccioso, di cupo, che inizialmente non le piaceva. Ma poi si era convinta che non potesse essere cattivo e che anche lui fosse sensibile, almeno un po’.
Aveva iniziato ad avvicinarsi piano, come se temesse di farsi del male. Ma lui si era dimostrato, almeno in apparenza, molto dolce e disponibile con lei.
Era un rapporto strano, il loro.
Ma nonostante tutto, le piaceva. Le piaceva quell’amicizia che sembrava voler essere di più, che veniva però fermata da lei stessa.
Le piaceva.
E ci credeva. Almeno un po’.
 
 
– Ci sentiremo? – chiese Daveigh guardandolo negli occhi.
– Spero di sì – fece lui.
Lei gli sorrise debolmente.
Poi lo lasciò andare.
 
 
C’era qualcosa di totalmente singolare tra loro. Sembrava che fossero vicini, ma al tempo stesso distanti.
Come quella volta, in cui non sapevano se si sarebbero rivisti.
Poi era venuto a Londra.
E le cose erano cambiate radicalmente.
 
 
 
Lo osservò, dopo essersi gettata tra le sue braccia.
Aveva gli occhi spenti, acquosi. E rossi, come se avesse appena pianto.
Non erano più di quel blu intenso di prima.
– Che stai facendo? – le chiese, scansandola in modo rude.
– Ehm ... niente – si affrettò a dire, allontanandosi subito da lui.
Era appena arrivato.
E l’ aveva già respinta.
Daveigh pensò che magari, nei giorni seguenti, avrebbero avuto occasioni per stare insieme in allegria. Forse era una cosa passeggera, forse gli sarebbe passato.
Sì, sicuramente era così.
Doveva essere così.
Ma, ancora una volta, Daveigh Miller si sbagliava.
 
 
Non riusciva proprio a capire.
Non riusciva a capire come Daniel avesse fatto quel cambiamento repentino, com’era che adesso lo vedeva con occhi così diversi rispetto a prima.
E come si era brutalmente scontrata con quel cambiamento.

Come avesse visto il vero Daniel. Il Daniel che aveva temuto e che aveva cercato di non vedere.

Da una parte era un bene, aveva capito finalmente che tipo di persona fosse.
Dall’altra, la parte che odiava più di ogni altra cosa, era che ci stava di schifo.
E che aveva capito troppo tardi di aver sbagliato di nuovo.
Di aver commesso un altro errore che si era inevitabilmente ripercosso su di lei.
Le sfuggì una risatina amara, mentre guardava distrattamente il cielo fuori dalla finestra.
Si faceva un po’ pena, a volte.

 

 
 
 Eccomi qui, e sono ancora qui (?)

Eccomi di nuovo, a rompervi le scatole :D
Complessivamente non mi sembra il massimo, ma spero comunque che sia di vostro gradimento.
Questo capitolo è decisamente molto introspettivo; non succede nulla di particolare, ma almeno i ricordi di Daveigh vi hanno fatto capire com'è andata esattamente tra lei e questo Daniel, di cui sapevate ancora relativamente poco.
Recensite in tanti, sapete quanto ci tengo alla vostra opinione.
Ok, abbiamo capito che per lo spazio autore non avevo molta ispirazione, quindi è meglio per la vostra salute mentale se mi dileguo :3
Baci a tutti <3

Stella cadente

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Capitolo 3
*** Sto bene ***


Capitolo terzo
Sto bene

 
 
31 agosto 2012
Caro Liam,
ieri Emma mi ha aiutata molto a dimenticare Daniel. Lei riesce sempre a distrarmi e a non farmi pensare ai miei problemi, con il suo essere così spontanea.
– Secondo me tu fai questo perché sei una ragazza chiusa – mi ha detto – ti capisco, perché anche io sono così, ma non va bene.
Ho annuito, riflettendo sulle sue parole, che mi avevano colpita davvero tanto. E ora mi rendo conto che è vero, non devo andare avanti così, non è così che si risolvono i problemi e lo capisco, ma spesso non metto in atto questa logica e cado sempre in questa ragnatela vischiosa chiamata autolesionismo.
Sì, Liam, ora lo sai anche tu. 
O forse no. 
No, non lo saprai mai, alla fine, ma ho ancora così tanta rabbia dentro di me. Non so cosa farei per cacciarla via, ma non posso lasciarmi andare di nuovo in questo circolo vizioso, non me lo perdonerei mai e farei anche stare male le mie amiche. Ogni volta ho paura di dire loro ciò che mi è successo, perché so che le spaventerei, ed io non voglio spaventare le persone, non è nella mia natura.
Ecco, ti ho svelato il mio più grande segreto. Riesci a crederci? Tre lettere sono bastate per farti sapere la cosa più importante di me. Brava Daveigh, un’altra persona di cui ti sei fidata subito. Ma in realtà sto scrivendo per me stessa, e lo so bene.
Adele è quella che ne è rimasta più colpita, penso. Almeno, da come si comporta. Ogni volta è sempre lì, a dirmi di smettere, a riportarmi con i piedi per terra, per dirmi che non è affatto una cosa su cui si può scherzare, per dirmi che non ho motivo di farlo. Che nessuno avrebbe motivo di farlo,e io mi rendo conto che è vero, che ha ragione, eppure c’è sempre qualcosa che mi riporta al punto di partenza. A volte ho paura Liam, ho paura di quello che sto diventando. O, per meglio dire, di quello che sono.
Sono autolesionista. E non sto facendo niente per smettere di esserlo.
Non dovevo mostrarmi in questo modo a tutti, non dovevo far venire a conoscenza a tutti del lato più oscuro di me stessa, non dovevo ridurmi così, cadere così in basso. O forse qualcuno mi può aiutare, forse riuscirò ad uscire da questo tunnel nero e senza fondo. È come se fossi a metà, in questo tunnel: sono dentro, ma sono ancora in tempo ad uscirne, come mi dice sempre Emma. E, forse, anche il fatto di scrivere queste lettere potrà aiutarmi, in un modo o nell’altro, o almeno è quello che spero.
Se penso che potrei essere nelle tue braccia, un sorriso si dipinge sul mio volto. Abbracciarti sarebbe per me sinonimo di sicurezza, mi sentirei in salvo, come se niente, nemmeno me stessa, potesse farmi del male, come se per un momento non pensassi a niente, non fossi circondata, invasa, tormentata da questi pensieri.
Ti voglio davvero bene,
Daveigh
 


Rilesse quello che aveva scritto un paio di giorni prima, per non ripensare a ciò che era accaduto con Daniel. Era  solo da meno di una settimana che lui la aveva delusa, ma sembravano essere passati anni, secoli, ed era come se niente non sapesse più di niente, ogni cosa avesse perso il colore, il senso, e lei vagasse come morta, assente, diversa.
Quell’evento la aveva cambiata, almeno per il momento; tutti si chiedevano cosa fosse successo, ma lei non voleva dare spiegazioni.
Ad ogni "Che hai?" rispondeva:
– Niente, sto bene.
Diceva sempre così.
“Sto bene”
Ma non era vero niente, niente andava bene, e non riusciva a togliersi dalla mente l’ evidente  superficialità nel tono che Daniel aveva usato con lei.
Sbuffò, lasciandosi cadere all’indietro sul suo asciugamano steso sul prato verde dell’ Hyde park, e chiuse gli occhi.
Era esausta di quello che le era accaduto, stanca di sentirsi così insopportabilmente sbagliata.
Fissò le nuvole che danzavano nel cielo un po’ grigio di Londra, immaginando di sentirsi leggera come loro, libera, spensierata, e si chiese come fosse possibile che ancora le importasse di Daniel e di tutta quella storia.
Forse un po’ ci teneva a lui. Non come fidanzato, non era innamorata, ma un po’ aveva bisogno della sua presenza. Si era illusa che potessero diventare migliori amici, quelli che ridono, scherzano e si prendono in giro, ma alla fine si vogliono bene.
Non sapeva esattamente che cosa cercasse in lui, non lo sapeva neanche lei.
Forse qualcuno che le stesse davvero accanto. O le piaceva davvero?
No, non era possibile, un sentimento intenso per lui era totalmente inesistente .
O magari sì, le piaceva.
Solo che non lo sapeva ancora.
Cambiò posizione mettendosi a pancia in giù,  sfilò un foglio dalla borsa e ne trasse anche una penna. Aveva bisogno di scrivere, voleva scrivere un’altra lettera a Liam. Ormai aveva la certezza che nessuno avrebbe mai curiosato nei suoi cassetti, che nessuno avrebbe mai letto quelle lettere; si mise quindi a cominciare la lettera, sulle note di Gotta be you, guidata dall’affetto, dall’amore che nutriva verso quei ragazzi, sebbene non li conoscesse:

 


2 settembre 2012
Caro Liam,
A volte spero seriamente di vederti per le strade con gli altri ragazzi, e di vedere che alzi una mano per darmi un cenno di saluto; in realtà non succede mai, però ci spero ed è quello che conta. Non voglio rinunciare ai miei sogni, non voglio cessare di liberare la mia immaginazione,non vorrei mai smettere di sognare, e tu per me sei un sogno, Liam.
Ho un bisogno immenso che tu mi senta, che tu possa vedere questa lettera, ma allo stesso tempo non voglio, perché so che significherebbe rivelarti la mia vita. 
Guardo spesso dei tuoi poster, da cui mi sorridi dolcemente insieme agli altri ragazzi. Io vi ammiro tanto, vi ho sempre ammirati tanto, perché inseguite i vostri sogni e non vi lasciate spaventare da chi non vi apprezza. Vi adoro anche per questo,  e non solo per il talento musicale, per le vostre splendide voci; vi adoro perché quando sono triste ascolto le vostre canzoni, e mi sento subito meglio. Vi adoro perché le vostre voci vincono contro quei pensieri così strani che mi affollano la mente, in certi momenti.
Tu non lo sai, ma voi mi aiutate davvero, e tanto, con le vostre canzoni e le vostre voci che ogni volta mi fanno commuovere. Sto cercando di dimenticare Daniel, sto cercando di dimenticare ciò che mi ha fatto, come mi ha trattata, come mi ha fatta sentire stupida, e le vostre canzoni mi stanno aiutando, le mie amiche mi stanno aiutando, le persone che mi circondano mi stanno aiutando.
Grazie ragazzi, grazie di tutto
Daveigh
 


Quando scrisse la sua firma, si fermò a pensare. Ormai non le sembrava più neanche troppo strano scrivere ai suoi idoli, era diventata un’abitudine; non aveva detto a nessuno di quelle lettere, voleva che restassero per lei soltanto, perché si sentiva  come se davvero avesse una connessione con Liam.
Solo che se avesse detto queste cose alle sue amiche l’avrebbero presa per pazza, o comunque la avrebbero ritenuta strana.
Mise frettolosamente nella borsa il foglio rosa, ripiegandolo più volte con cura, mentre ora le note di More than this danzavano nelle sue orecchie; rimase a guardare davanti a sé, perdendosi con il cuore, con l’anima, con il cervello, con tutta se stessa nella voce di Zayn che cantava.
Si alzò di scatto, come se così facendo potesse scacciare tutti i pensieri che si affollavano l’uno sull’altro nella sua testa, e iniziò a camminare a passo svelto verso casa.


 
 
****
 

– Daveigh! Finalmente sei arrivata! – esclamò sua madre quando la vide entrare nella grande casa, sorridendole.
– Ciao mamma – disse lei, ricambiando con un altro sorriso.
– Tutto a posto? – chiese, come al solito.
– Certo, sono stata bene – mentì, cercando di essere credibile.
Sua madre si preoccupava così spesso per lei e non voleva che stesse in ansia. Soprattutto, non voleva che venisse a conoscenza del suo problema, del mostro che viveva dentro di lei. Voleva tenerla fuori il più possibile da tutta quella storia, non voleva lasciare che vedesse il lato peggiore di lei; sarebbe stata una delusione troppo forte, perciò continuava a nascondersi, mentendo.
– Che avete combinato? – chiese ancora.
Daveigh aveva detto che sarebbe uscita con Jennifer, ma in realtà quello che voleva fare era soltanto stare un po’ da sola per fare chiarezza nella sua testa. Era andata al parco per trovare pace, per fuggire dai rumori del solito traffico londinese.
– Mah.. – sorrise, senza ombra di tristezza. Non voleva far capire nulla a sua madre, e si sforzò di sembrare tranquilla – le solite cose. Abbiamo vagato un po’ per Trafalgar Square senza concludere nulla.
– Buono a sapersi – fece lei, ironica.
– Che c’è per cena, stasera? – chiese, per cambiare argomento ed evitare discorsi poco piacevoli. A volte le sembrava che avesse capito qualcosa, e quella era l’ultima cosa che avrebbe voluto accadesse, decisamente l’ultima.
– Uhm … – mugugnò prima di dire – se vuoi ti faccio fish and chips, il tuo piatto preferito. 
Sua madre sapeva alla perfezione i suoi gusti, dal cibo, ai libri, ai vestiti, e ogni volta Daveigh si chiedeva come facesse.
– Wow! Grazie, mamma – disse entusiasta, prima di sparire in camera sua. Voleva ritrovare la tranquillità, fermarsi per un attimo, senza pensare a tutta la delusione che la circondava.
Anche se sapeva fin troppo bene che non ce l’avrebbe fatta.
 
 





Sentiva sua madre armeggiare in cucina, mentre osservava i pesci tropicali nuotare nel grande acquario, immersa nei suoi pensieri. Quando si metteva a guardare i suoi pesci stava bene, come se smaltisse tutto lo stress che aveva accumulato.
Afferrò sovrappensiero le lettere che aveva scritto a Liam, rileggendo ciò che aveva lasciato in quelle righe, ciò che aveva confidato ad un ragazzo così vicino, eppure così lontano da lei.
Un ragazzo che abitava a Londra, un ragazzo che poteva benissimo essere il suo vicino di casa,ma che in realtà non sapeva neanche della sua esistenza. Ripiegò le lettere nel cassetto non appena sentì la voce di sua madre, e si avviò al piano di sotto.
– Dav! C’è la cena in tavola! – la chiamò a gran voce, per farsi sentire.
– Arrivo! – rispose lei, mentre scendeva le scale più velocemente possibile, cercando di non inciampare nei gradini.
Appena giunse in cucina un po’ trafelata, si sedette al suo solito posto, mangiando in fretta il suo fish and chips; era stanca, anche se non aveva fatto niente tutto il pomeriggio.
Forse era stanca solo moralmente.




 
****
 



A letto, con le cuffie bianche nelle orecchie, ascoltava attentamente una canzone.
Era una canzone dolce, che le ricordava tanto una storia d’amore.
Una di quelle storie che, nel profondo, avrebbe tanto voluto.
Si addormentò profondamente, pensando a Liam e alle lettere.


 
Era con il suo idolo abbracciati stretti, seduti su una spiaggia, e lei si perdeva nelle sue deliziose iridi color cioccolato. Sarebbe rimasta lì per sempre, si sentiva bene, piena di quella felicità che ormai sembrava averla abbandonata, ed era tornata a sorridere. 
Liam era la sua salvezza, ci sarebbe sempre stato per lei.
 
 
Aprì gli occhi di colpo. Erano passate circa un paio d’ore, ma la canzone continuava a risuonarle in testa. E aveva capito.
Quell’idea le riecheggiava in testa insistentemente.
Era assurdo, eppure ...
Non era innamorata di Daniel, non lo sarebbe mai stata.
Si stava innamorando di Liam.
 

 


Buondì :3
Allora, so che sono in un ritardo stratosferico e che il capitolo è uno schifume assurdo
(tra l'altro non l'ho neanche riguardato con calma purtroppo)
però spero di aver comunicato qualcosa
e soprattutto, che chi stava seguendo questa storia non sia rimasto deluso.
Anche a te, che stai leggendo in questo momento. Spero che leggere la mia storia non sia stata una  perdita di tempo, e che ti sia piaciuta.
Detto ciò, recensite, ho bisogno di sapere come la pensate.
Siete meravigliosi e mi fate sempre sorridere, non dimenticatelo,

Sara <3

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Capitolo 4
*** Posta ***


Capitolo quarto
Posta

 

 
Quando Liam aprì gli occhi in quella mattina di inizio settembre si sentì esausto come se non avesse mai dormito.
Forse perché era davvero molto esausto.
Quei giorni erano stati tutti occupati dalle prove per il nuovo disco, e lui cominciava a sentire  la stanchezza già di primo mattino quando aveva dormito per almeno otto ore filate. Com’era possibile?
Con un gesto brusco colpì la sveglia che non la smetteva di suonare, e si alzò spostando con violenza il lenzuolo del suo letto.
Aveva un forte mal di testa che quasi gli impediva di alzarsi.
Sbuffò: gli sembrava che stesse smaltendo una sbronza.
Ma guarda te in che condizioni mi ritrovo..
– Ragazzi.. – mugugnò con la voce ancora impastata di sonno.
Nella stanza non c’era nessuno. I letti erano ancora sfatti, ma dei suoi amici nessuna traccia.
Spostò lo sguardo sul comodino, e alla poca luce che c’era riuscì a distinguere una piccola busta bianca.
Forse era un biglietto dei ragazzi.
 

“Le prove sono iniziate da un’ ora, non c’è stato modo di svegliarti :P ti abbiamo lasciato la colazione, raggiungici il prima possibile.
Harry, Louis, Niall e Zayn”

 
 
Infatti.
Sorrise. Almeno c’era un lato positivo : anche se non era andato alle prove con loro, almeno gli avevano lasciato la colazione e prima di raggiungerli avrebbe mangiato qualcosa. Sempre che Niall non avesse già spazzolato tutto di nascosto dagli altri.
Ripiegò il biglietto rimettendolo sul comodino, e si diresse nella grande cucina.
Aprì l’anta del frigorifero, infilando la testa all’interno: yogurt, succhi di frutta, bacon e uova.
“Perfetto” pensò, mentre afferrava gli ingredienti per la sua sostanziosa colazione.
Devo essere in forma per le prove.
 
A quel pensiero sbuffò, un po’ infastidito. Già si vedeva davanti il loro vocal coach che li ammoniva in ogni cosa, che li rimproverava e che dava ordini a destra e a manca.
Forse pensava di avere a che fare con dei bambini piccoli.
A Liam non era mai piaciuto quel suo atteggiamento; in fin dei conti erano ragazzi responsabili,  non avevano bisogno di sentirsi dire cosa fare.
Almeno, così la pensava lui.
In quegli ultimi giorni non aveva poi nemmeno così tanta voglia di provare; a volte gli sembrava che alcuni incontri in studio fossero superficiali e inutili.
Bah, vediamo di allenarci.
Si schiarì la voce, prima di cominciare a canticchiare per riscaldarla; nel frattempo, mise a cucinare le uova e il bacon.
Le note di Little things, il nuovo brano che  lui e gli altri stavano preparando, si diffusero libere nell’aria, aleggiando sopra la sua testa e rimbombando fra le pareti della cucina.
Aveva sempre amato cantare quando non c’era nessuno, quando c’era solo il silenzio ad ascoltarlo.
 
I won’t let these little things slip out of my mouth
But if I do, it’s you,
Oh it’s you, they add up to
And I’m in love with you, and all these little things.
 
Terminò di cantare mentre lasciava cadere le uova e il bacon, ormai pronto, nel piatto che si era preparato sul tavolo.
Si mise comodamente a sedere e  mangiò un primo boccone, masticando vigorosamente, poi guardò istintivamente fuori dalla finestra: il tempo non prometteva bene.
Una distesa di nuvole di un denso grigio fumo ricopriva il cielo, e cominciava già a cadere qualche lieve goccia di pioggia.
Se piove a scroscio non esco.
Un lampo saettò in mezzo ai nuvoloni, facendo sobbalzare Liam proprio nel momento in cui stava andando a prepararsi.
Sentì una pioggia violenta picchiare sui vetri delle finestre e si voltò per un secondo.
Sospirò, mentre prendeva la via della camera per vestirsi.
Grandioso.
 
 
 
 
 
 
– Ciao ragazzi.. – mugugnò quando arrivò nello studio, zuppo d’acqua dalla testa ai piedi.
– Liam! Finalmente ti sei degnato di arrivare – lo apostrofò Harry.
– Già..sei venuto alla fine – gli fece eco Niall.
– Sì..alla fine sì – borbottò lui sottovoce.
Trattenne un sospiro di frustrazione: al posto di tuffarsi sotto una violenta pioggia come quella avrebbe preferito di gran lunga rimanere in casa.
Più precisamente, al caldo nel suo letto.
– Non ho proprio voglia.. – bisbigliò all’orecchio di Louis.
– Che vuoi farci..saranno le ultime prove e poi incideremo finalmente il disco – gli diede una pacca consolatoria sulla spalla – avanti, ce la faremo – lo rassicurò.
– Speriamo – sussurrò lui, forse più a se stesso che all’amico.
– Allora ragazzi, si comincia! – disse entusiasta Mark, il loro vocal coach, sfregandosi le mani. Sembrava sempre carico, attivo e soprattutto pimpante, davanti a quei ragazzi assonnati.
Liam lo guardò vacuo.
– Ok.. – risposero i ragazzi all’unisono, come sincronizzati.
Entrarono in studio e attaccarono a cantare Little things, il brano che da mesi stavano preparando assiduamente.
Avevano finito di registrare le altre tracce, ma dovevano perfezionare quello che sarebbe il terzo brano dell’album. Nessuno sembrava essere perfettamente in sintonia con gli altri, andavano ognuno per i fatti propri.
 
Your hand fits in mine like it’s made just for me
But bear this in mind it was meant to be
And I’m join up the dots with the freckels on your cheeks
And it all makes sense to me
 
Liam cantò i primi versi della canzone senza successo; tra l’altro aveva anche stonato l’ultima nota.
Sospirò impercettibilmente.
Mark infuriato tra tre..due..uno.. 
– No no Liam non ci siamo, non ci siamo! – lo rimproverò Mark, con il disappunto ritratto in faccia.
Appunto.
– Scusa Mark, ma siamo stanchi e.. – provò a dire.
– Ricominciamo ragazzi, ricominciamo – disse Mark senza lasciarlo finire – avanti, ce la possiamo fare. Tutto ok, Liam? – chiese poi, gettando uno sguardo al ragazzo.
Lui sollevò i suoi occhi color cioccolato, senza sapere cosa dire.
Non c’era verso di poter parlare con Mark; l’unica via con lui era annuire e tenere i propri pensieri per sé.
– Certo. Ricominciamo – disse infatti, guardando neutro il vocal coach.
I ragazzi attaccarono a cantare il brano da capo con quanta più intensità fosse possibile, mascherando la stanchezza come sempre.
Ogni volta che provavano quella canzone a Liam piaceva sempre meno.
Spesso si chiedeva quando quella tortura  avesse avuto una fine.
 

 

 
****

 
 
I won’t let these little things slip out of my mouth
But if I do, it’s you,
Oh it’s you, they add up to
And I’m in love with you, and all these little things.
 
Zayn chiuse la canzone, lasciando cadere la nota finale con delicatezza.
E sorrise, soddisfatto.
Un’altra prova era conclusa.
– Bene ragazzi, bene. Andate a casa, ci rivediamo oggi pomeriggio alle tre, a dopo! E mi raccomando, vi voglio carichi – disse Mark, salutandoli.
– A dopo – fece Harry, sollevando una mano in cenno di saluto.
Liam non si prese nemmeno il disturbo di farlo.
Voleva solo uscire.
 
 
 
 
 
Una volta fuori- finalmente -  Liam osservò il cielo, ormai rasserenato.
Le nuvole, da grigie e cupe erano diventate leggere e bianche, e sovrastavano il cielo di Londra in candidi sbuffi morbidi.
I primi e timidi raggi del sole in quella giornata le screziavano di bagliori dorati, illuminando le facce stanche ma soddisfatte dei ragazzi.
Louis si schermò il viso con una mano, riparando i suoi occhi celesti dai raggi di sole.
– Andiamo a..mangiare? – fece Niall, interrompendo il silenzio.
– Direi di sì – disse Louis con un sorriso.
– Io sto morendo di fame – continuò Harry.
– E allora che aspettiamo? Tutti da Nando’s – fece il ragazzo, che già pregustava un panino.
Liam guardò l’amico, indeciso sul da farsi.
Avrebbe preferito mangiare a casa, ma non sapeva se farglielo notare o no.
Sembrava così entusiasta, così felice anche solo all’idea di poter andare a mangiare da Nando’s – come sempre del resto – ,ma a lui allettava molto di più l’idea di cucinarsi un buon pranzo nella loro casa.
E magari di dormire, dopo.
– Niall.. – provò a dire.
– Dimmi Liam – rispose lui, voltandosi.
– Ecco, non è meglio se per esempio andassimo a casa, per mangiare? – chiese.
– Perché non da Nando’s? – Niall rispose alla sua domanda con un’altra domanda ancora, alimentando in Liam la convinzione che quella non fosse stata esattamente la cosa giusta da dire.
– No, è che.. – tentennò lui – non avrei molta voglia di un panino – concluse.
Niall lo guardò vacuo per un interminabile secondo, in cui Liam temette in una delle sue sfuriate.
– Ok – disse invece, scrollando le spalle.

 
 

****

 
 
Quando i ragazzi arrivarono nella loro casa, Niall non esitò a recarsi con decisione verso il frigorifero; Louis e Harry lo seguirono a ruota e Zayn si stravaccò sul divano, occupando quanto più spazio possibile.
Perfetto.
Il suo amico aveva già monopolizzato il divano.
Si sedette comunque, esausto.
– Liam, perché non controlli se c’è posta? – chiese Zayn, aprendo appena uno dei suoi occhi chiusi.
EccoDovevo immaginarmelo.
Una scusa qualunque sarebbe stata buona, pur di farlo alzare e occupare con le gambe tutto il divano  blu scuro della spaziosa sala.
– Zayn, lo so che è perché vuoi sdraiarti liberamente sul divano – ribatté lui.
Lui  non poté fare a meno di irrompere in una sonora risata:
– Non ti si può proprio fregare, eh? – disse, ridendo.
– Non sono mica un cretino – replicò Liam, mentre la risata del suo amico lo contagiava.
– Dai, vai a controllare la posta – insistette lui.
Liam lo guardò per una frazione di secondo.
Sapeva che non aveva altra scelta, quando Zayn si metteva in testa una cosa non lo fermava nessuno.
L’unico modo era rassegnarsi, esattamente come con Mark.
– Va bene, va bene – cedette, alzandosi di malavoglia dal divano con un sospiro.
– Grazie fratello! – gli urlò dietro Zayn appena scomparve dalla sua vista, riaccomodandosi sul divano.
 
 
 
 
 
Dopo essersi infilato il cappotto, Liam uscì dalla casa e si avvicinò alla cassetta della posta rossa della dependance dei ragazzi. Cercò di aprirla cautamente, come se avesse paura che un ammasso enorme di lettere provenienti da fans di tutto il mondo gli si riversasse addosso con violenza.
Effettivamente, c’era da aspettarselo.
Invece, notò soltanto pochi fogli sottili e delicati.
Se li rigirò tra le mani; quei fogli avevano qualcosa di strano, non erano le solite smancerie che ogni giorno lui e i ragazzi ricevevano dalle directioners, o i documenti che dovevano essere inviati a Paul.
Erano buste strane, rosa, di un rosa pallidissimo e delicato.
Sembravano quasi provenienti da un’altra epoca.
Liam ne prese una a caso; non ricordava di aver mai visto una busta così, da nessuna parte.
Quello che era più strano, era che non si sentiva poco curioso come al solito di vederne il contenuto; questa volta era come spaventato, come se avesse quasi paura di ciò che si celava dietro quella banale busta di carta.
La cosa non aveva senso: perché era così agitato soltanto a causa di una normalissima busta da lettera?
Con uno scatto veloce aprì la busta di carta.
Vediamo un po’.
Si ritrovò tra le mani un foglio – anch’esso rosa – ripiegato con cura in due parti. Che cosa voleva dire?
Poteva essere l’ennesima lettera di una fan in iperventilazione che stravedeva per loro, ma Liam sentiva che c’era di più, che quel foglio celava molte più cose di quanto non si aspettasse.
Soprattutto, si sentiva attirato da quella lettera in una maniera  veramente inspiegabile. 
Ora era visibile una grafia svolazzante ma precisa, scritta ad inchiostro viola, che danzava dolcemente tra le righe.
Una lettera.
Ma per chi? Aveva tutta l’aria di essere importante, non come quelle delle directioners più accanite che cominciavano sempre con un ripetitivo “Ciao ragazzi!” – spesso anche con più di un punto esclamativo –.
Non doveva essere per loro, il mittente aveva dovuto sbagliare indirizzo.
Non sono affari miei.
Ma nonostante si fosse ripromesso solennemente di non farlo, lo sguardo di Liam non poté fare a meno di posarsi sulle parole e di seguirle, con tutti i sensi all’erta.
Caro Liam…
 


 


 

Ciao, miei piccoli e adorati lettori (ormai mi è presa la fissa):

Dopo aver aggiornato "it was only just a dream" esattamente ieri, quest'altra storia è magicamente risorta!
Seriamente, è da un secolo che non mi degno di pubblicare un capitolo di questa FanFiction,
ma avevo deciso di riscriverla e non avevo nemmeno l'accenno di un'idea.
  Chiedo scusa a tutti quelli che attendevano il seguito,
scusatemi se mi sono fatta aspettare così tanto.
In ogni caso, che ne pensate?
Spero davvero che questo capitolo non abbia deluso le vostre aspettative, ma ripeto:
se c'è qualcosa che vi sembra opportuno correggere, vi prego, fatelo.
Con tanto affetto,
la vostra Stella che è caduta ora dalle nuvole (lol)

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Capitolo 5
*** Daveigh ***


Capitolo quinto
Daveigh

 

 
 
Quando ebbe finito di leggere, Liam sollevò lo sguardo dalla lettera, sentendo un enorme vuoto al cuore.
Quella che gli aveva scritto non era una fan qualunque.
Era una ragazza vera, che soffriva e che non aveva esitato a mostrarsi per quello che era.
Liam non sapeva se le sue lettere fossero state mandate intenzionalmente oppure no, ma quello che sapeva era che provava una profonda ammirazione per quella ragazza. Ma non solo. C’era qualcosa che si faceva largo nel suo cuore, nel ripensare a Daveigh; più ci rifletteva, più si alimentava uno strano desiderio, un desiderio che lo divorava.
Attraverso l’inchiostro viola di quelle righe aveva sentito di conoscerla. Sentiva come un legame psicologico, come se fosse mentalmente collegato a lei, e in qualche modo destinato a ritrovarla.
Sorrise, mentre qualcosa era scattato nella sua testa.
Un’idea assurda urlava nella sua mente. Di fatto era assurda, eppure per un momento ci aveva creduto.
Voleva conoscere quella ragazza.
Una divorante curiosità si era scatenata all’interno del suo corpo, serpeggiandogli nello stomaco. Si rese conto di voler scoprire che tipo di persona fosse a poco a poco, di volerla conoscere lentamente, perché sapeva che Daveigh sarebbe stata come chiusa in un guscio impenetrabile, un mistero che solo col tempo si sarebbe svelato.
Poi tornò alla realtà. In che modo avrebbe potuto risalire a Daveigh?
Non lo sapeva, ma in quel momento conoscerla era il primo dei suoi pensieri. Sentì il suo cervello lavorare ad una velocità disumana, elaborare progetti, idee, supposizioni riguardo alla ragazza che aveva scritto quelle parole.
Non si sarebbe dimenticato facilmente tutto ciò. Era come se quei messaggi lo avessero rimescolato dentro, come se avessero fatto della sua testa e dei suoi pensieri una trottola che girava incessantemente.
–  Liam! Ma ci sei? – la voce di Zayn interruppe le sue complicate riflessioni.
Liam si girò di scatto.
– Sì, Zayn, sono qui.
– Che stai facendo? E’ da un’ora che stai là fuori. È successo qualcosa? – chiese a gran voce dall’interno della casa.
– No, niente, niente di importante – disse lui da fuori con lo stesso volume di voce.
Zayn si ammutolì, e Liam riportò nuovamente lo sguardo nella cassetta della posta. C’erano altre buste.
Il ragazzo afferrò le altre lettere. Era come se fosse catturato in un vincolo che lo legava a quelle lettere, come se fosse affamato di svelarne il contenuto, di scoprire sempre più le diverse sfaccettature del carattere fragile di Daveigh. Come se leggendo i suoi messaggi avesse avuto un pezzo di lei in più.
E lui voleva scoprirla, voleva conoscerla, anche solo attraverso le righe di quelle lettere.
Prese la seconda busta, la aprì frettolosamente e lesse la data intestata sul foglio: 30 agosto 2012. I suoi occhi corsero sulle righe della sottile grafia in inchiostro viola.
Caro Liam..




 
****
 



“Daveigh spiegami cosa ti ho fatto”
“Daveigh rispondimi!”
“Daveigh ma sei arrabbiata con me?”
“Daveigh ma mi dici che ho fatto?!”
Quando Daveigh accese il suo telefono dopo pranzo,  lo schermo era inondato dai messaggi di Daniel. Li aprì sperando in messaggi di scuse. Non era interessata ad uscire con lui, ormai lo aveva capito, ma aveva sperato quantomeno che si scusasse per averla presa in giro su ciò che le impediva di condurre una vita in cui non si sentisse in colpa con se stessa.
Ma al contrario di ciò che si aspettava in quei messaggi c’era stizza, tutt’altro che semplici scuse.
Aggrottò le sopracciglia come se non ne avesse colto il significato e si raggomitolò a sedere sul suo letto;  rilesse quelle parole più volte, come se potesse fornirle la soluzione riguardo a come comportarsi.
Era evidente che Daniel non voleva affatto lasciar perdere, sebbene fosse lontano. Ma lei sì.
Lei voleva lasciar perdere.
Non teneva a quel ragazzo, non le importava neanche di far restare in piedi l’amicizia, perché sapeva che sarebbe stata amicizia soltanto per lei; Daniel non le apparteneva, non le sarebbe mai stato veramente accanto.
Erano troppo diversi.
Ma Daveigh sapeva anche che lui, invece, non la pensava così.
E ciò rendeva tutto immensamente complicato.
Avrebbe dovuto rispondergli? Sì, era giusto rispondere a dei messaggi.
Ma per dire cosa? 
A lei sembrava che si fossero già detti abbastanza quando lui le aveva chiesto spiegazioni su face book, e non voleva andare oltre. Non voleva prolungare ancora quella discussione insensata, voleva soltanto dare un taglio netto all’apparente legame fra lei e Daniel una volta per tutte, senza rimpianti né ripensamenti.
Doveva essere facile, ma ancora una volta le sue previsioni erano errate.
Guardò fuori dalla finestra, pensosa. Le abituali nuvole di Londra si allungavano nel cielo come un’evanescente coltre di nebbia, come a coprire l’intera città nel loro colore plumbeo.
Daveigh pensò che era così che si sentiva in quel momento: statica, inerte, incapace di agire con lucidità e soprattutto spossata, stanca. Stanca di Daniel, stanca di se stessa, stanca di tutto.
Si gettò sul letto con un lungo sospiro, avvertendo un improvviso dolore alla fronte. Chiuse gli occhi. Poco prima aveva parlato nuovamente di Daniel con Emma, ma sembrava che nulla di quello che la sua amica le diceva potesse fare la differenza. Tutti i tentativi di tirarla su sembravano essere vani, e lei si trovava sempre a galleggiare nella paura. Si guardava e pensava che era sbagliata, falsa, che fingeva di star bene quando invece non stava affatto bene.
Cominciava ad odiare profondamente quel “Sto bene” che ripeteva sempre a tutti. E si accorgeva ogni giorno di più che lei non era abbastanza.
Daniel aveva fatto in modo che si rendesse conto di essere un mostro. Di fare le cose senza un apparente motivo. Forse sbagliava a pensarla così, ma si chiedeva di tanto in tanto se lui avesse realmente avuto ragione, se in fondo si fosse meritata il suo comportamento.
Riaprì i suoi occhi color nocciola, per poi puntarli di nuovo sul minuscolo display del cellulare che la guardava beffardo. Poi si decise, mettendo d'un tratto a tacere tutti quei pensieri che detestava.
Era ora di reagire.
Qualcosa, dentro di lei, le diceva che se c'era qualcuno di sbagliato, quello era lui.
Doveva gettare al passato Daniel e guardare avanti, guardare al presente.
“Lascia perdere” digitò, per poi inviare il messaggio.
Appoggiò il telefono sul comodino in mogano, e si chiese per l’ennesima volta come potesse ancora pensarci. Daniel non contava niente, lei lo sapeva bene.
Ma allora perché continuava a tormentarsi?
Non lo sapeva; ultimamente non sapeva tante cose. Chi fosse, che cosa volesse.
Afferrò un altro foglio.
 

 
 
 
 
 
7 settembre 2012
Caro Liam,
Daniel mi ha ricontattata. Mi ha inondato il telefono di messaggi in cui mi chiede spiegazioni, ma io sono stanca Liam. Sono stanca di tutto questo. Sono stanca di parlarne, sono stanca di sentirlo, sono stanca di ricevere i suoi messaggi. Vorrei tanto poter essere qualcun altro. Perché non posso fregarmene? Perché non sono in grado di ignorarlo, perché continuo a perdere tempo?
Non sai quanto io abbia bisogno di te in questo momento, Liam. Vorrei con tutta me stessa conoscerti, abbracciarti stretto stretto e sapere che ci sei. Ma stranamente, solo il pensiero è in grado di confortarmi, in qualche modo.
Mi dispiace non poter confidare tutto questo ad Emma, che mi è così vicina. Mi dispiace se forse non sono l’amica che si aspettava, ma è come se la sentissi vicina e allo stesso tempo lontana. Ho paura di essere un peso per lei, mentre tu.. beh, tu in realtà non saprai mai quello che ti sto scrivendo, perché tutto ciò rimarrà per sempre imprigionato in questo foglio, dentro questa penna viola in cui riposano tutti i miei sentimenti.
Non posso, non devo e non voglio esternare i miei sentimenti. Sarebbe troppo difficile. E così mi ostino ad indossare questa maschera, a dire sempre questo dannatissimo “Sto bene” che ormai suona falso persino alle mie orecchie.
Con te so che non ci sarebbe mai bisogno di fingere, perché tu capiresti, e mi aiuteresti. Lo sento nella mia anima che tu ci sei, in una maniera o nell’altra. Tu sei e sarai sempre nel mio cuore Liam. Incontrarti, ora come ora, è un sogno troppo lontano per divenire realtà, ma sai come si dice, i sogni non svaniscono finché le persone non li abbandonano. E io non ti abbandonerò, mai.
Con amore,
Daveigh
 


 
 
 

 
Sollevò la stilografica e sorrise, immaginando che un giorno avrebbe potuto confidare tutto questo al suo idolo.
E la cosa più strana era che lei era certa che lui avrebbe capito, che gli avrebbe aperto il suo cuore, come aveva giurato di non fare mai più con nessuno.  
Rilesse ciò che aveva scritto, facendo correre il suo sguardo attento sulle righe del foglio. Alla fine scriveva sempre le stesse cose, ma ormai le sembrava di provare un sentimento talmente forte per quel ragazzo così immensamente lontano, che solo a guardarlo dalle foto riusciva a perdere del tutto la sua lucidità.
Ogni immagine in cui era raffigurato Liam riportava la sua memoria alle lettere, e le sue labbra si curvavano in un sorriso. Le sembrava che anche solo pensare a Liam potesse in qualche modo esserle di consolazione, che potesse farla stare meglio.
Però  non voleva dire nulla riguardo questo fatto, neanche ad Emma, che forse avrebbe pensato che la sua amica fosse sull’orlo della pazzia.
Aprì il cassetto del comodino in cui aveva riposto con cura in una piccola cartella blu tutte le lettere a Liam, con l'intento di aggiungerne una nuova al fascicolo.
Si sentiva attratta nel rispolverare i vecchi messaggi, e l’idea di rileggere ciò che gli aveva scritto in precedenza le piaceva.
Rovistò nel cassetto per qualche secondo e ne estrasse la piccola cartellina blu in pelle; la aprì delicatamente e cercò le lettere tra le varie scartoffie.
Ma non c’erano. Sembravano scomparse.
Si chiese dove poteva averle messe, sforzandosi di ricordare dove le avesse appoggiate l'ultima volta.
Non le veniva in mente niente.
E tutto d’un tratto, un dubbio agghiacciante prese forma nella sua testa.
 
– Daveigh, vado ad inviare i documenti al mio nuovo datore di lavoro, tu non esci giusto? – chiese sua madre dall’ingresso.
– No mamma, rimango qui, va’ pure.
– Ok, tornerò fra circa mezz’ora, non starò via molto – disse, apprensiva come al solito.
– Non preoccuparti – la rassicurò lei con un sorriso.
Jane prese delle buste dalla credenza, e si avviò dopo averle rivolto un ultimo saluto.

 
Daveigh si batté una mano sulla fronte, mentre un tuffo al cuore l’assalì immediatamente. Sentì come se i suoi polmoni non fossero più in grado di immagazzinare l’aria e il respiro le si mozzò. Non era possibile.
Sua madre aveva inviato le lettere.


 


****


 
                       



Liam alzò gli occhi dalla terza lettera, inquieto. Sentiva come se il cuore gli si fosse fermato, come se il dolore che traspariva da quelle righe fosse stato suo.
Daveigh, la ragazza che tanto lo affascinava, era autolesionista.
Sentì una fitta di rabbia invadergli il petto, seguita da un profondo desiderio di averla lì vicino e chiederle perché lo facesse.
Voleva dirle che non doveva farlo più, che lui non voleva che si facesse del male, che non era così che si risolvevano i problemi.
Ma purtroppo, la dura realtà era che Liam non sapeva neanche chi fosse quella ragazza.
Avrebbe tanto voluto esserle amico, starle vicino proprio in quel momento in cui stava così male, ma non c’era niente su cui si potesse basare per rintracciarla.
A meno che..
Alzò gli occhi dalla lettera; un’idea lo aveva colpito d’un botto.
Girò l’involucro di scatto, scoprendo un indirizzo.
L’indirizzo del mittente.
L’indirizzo di Daveigh.
3 Somers Crescent,  Hyde Park Gardens.
Una strana idea rimbalzò nella sua testa, mentre le domande sembravano faticare a stare tutte insieme: avrebbe dovuto andare a casa di Daveigh? E per dirle che cosa? Come avrebbe dovuto comportarsi con lei?
Non lo sapeva, ma in quel momento quello che voleva era conoscere la ragazza che gli aveva scritto le lettere e starle vicino in maniera concreta, proprio come lei desiderava.
Perché pensava che alla fine, dopo  tutto ciò che aveva passato, quell’anima dolce e buona si meritasse un po’ di felicità.
 
 

 

Ciao a tutti!
Come potete vedere, dopo tipo un mese che non aggiornavo, mi sono degnata di farlo.
Mi scuso ancora una volta con tutti voi, e mi dispiace davvero, perchè so che molti si saranno, giustamente, già dimenticati di questa FF.
Sono davvero mortificata...
e poi, non so, ma questo capitolo non mi convince, mi sembra troppo corto e obbrobrioso.
Per me è importante ricevere la vostra opinione, scusate se lo ripeto sempre ma vi giuro, ogni vostra recensione positiva rappresenta un mio sorriso,
perciò è quasi vitale per me il fatto di ricevere i vostri pareri :)
Non so, ditemi che ne pensate :)
Ah, un' ultima cosa: per chi fosse interessato a saperlo, con questo capitolo siamo a metà storia.
Già, penso che la farò durare dieci capitoli o poco più, perchè le idee sono meno di quanto mi aspettassi,
e ad ogni modo vorrei finirla in una maniera molto, come si può dire...non so come spiegarvelo, ma
immagino che non dovrei dirvelo, altrimenti vi rovino tutto! :D
Detto questo, mi dileguo,
alla prossima,

Stella cadente

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Capitolo 6
*** Come foglie d'autunno ***


Capitolo sesto
Come foglie d'autunno

 


Doveva fare qualcosa per rintracciare Daveigh.
Ormai il bisogno di incontrare di persona l’autrice delle lettere si era fatto impellente, come un qualcosa di necessario ; era come se l’unico suo pensiero fosse incentrato su quella ragazza.
Aveva quell’indirizzo. Ora non gli restava che recarsi alla sua casa, dove forse avrebbe potuto vederla.
Rifletté un po’. Tutto ciò gli sembrava così folle, eppure allo stesso tempo così incredibilmente.. dolce.
Lui voleva sorprenderla, e già immaginava la sua faccia stupita, ma allo stesso tempo così deliziosamente felice.
Sapeva, o almeno così aveva dedotto dalle lettere, che per lei lui rappresentava il suo idolo. Ma non si aspettava una reazione eccessivamente agitata; lei non era come tutte le altre.
Sentiva che i suoi occhi  si illuminavano, non appena pensava a come avrebbe potuto essere la faccia di Daveigh.
Lo avrebbe fatto. Sarebbe andato a cercarla, sarebbe andato a casa sua. Non sapeva se lei ci sarebbe stata, ma almeno gli restava sperare.
E l’avrebbe cercata.
Avrebbe fatto di tutto per incrociare il suo sguardo.
 
 
 
– Ragazzi, vado a prendere una boccata d’aria all’ Hyde Park! – urlò Liam una volta fuori dalla dependance, diretto ai ragazzi. Si sbatté dietro la porta e si strinse nel giaccone, osservando le nuvole che regnavano sovrane in quel cielo eternamente cupo.
A Londra il bel tempo era considerato un miracolo, specie in quei giorni che preannunciavano un freddo e grigio autunno.
A volte Liam si sentiva come schiacciato da quelle giornate, e si chiedeva come facessero gli altri a comportarsi come se ci avessero fatto l’abitudine.
Sospirò, e si attorcigliò ancor di più la sciarpa beige attorno al collo, nel tentativo di riparasi da uno spiffero che gli lambiva la pelle, facendogli solleticare fastidiosamente la gola. Camminava a passo svelto verso la fermata della metropolitana, mentre lo divorava una fretta lancinante. Aveva in mente solo un nome.
Daveigh.
 
 
Passò il viaggio in metropolitana a rileggere continuamente le lettere.
Aveva pensato di risponderle, di iniziare una specie di corrispondenza, ma poi aveva subito cacciato quell’idea: sarebbe stato meglio vederla di persona.
Osservò le case di Londra scorrergli davanti dall’esterno del finestrino, mentre una delicata  pioggia aveva cominciato a toccare i vetri impercettibilmente.
D’un tratto si ritrovò a chiedersi che cosa sarebbe successo da lì a poco, se sarebbe nato qualcosa tra lui e Daveigh.
Alla fine non pretendeva niente da lei. Non si aspettava che nutrisse fin da subito qualcosa per lui; sperava solo di legarci, di poterla aiutare in qualche modo.
Sperava soltanto che in lei rinascesse qualcosa.



 
****
 


Hyde Park.
Le gocce di pioggia inumidivano l’asfalto e le foglie di quell’autunno precoce erano accasciate debolmente a terra.
C’era talmente silenzio che Liam sentiva il rumore del suo respiro come amplificato, mentre i suoi passi sembravano rimbombargli nel petto e le foglie crepitare sotto i suoi piedi come se bruciassero.
Le chiome degli alberi sovrastavano la sua figura, mentre soffici nuvole affondavano come batuffoli di cotone nel cielo grigio.
Era una giornata tetra, ma dentro di lui non c’era tristezza. C’era solo una strana ansia, che non riusciva a spiegare.
Era strano: non era mai stato un tipo ansioso.
Iniziò a prendere a calci un sasso distrattamente mentre si chiedeva se davvero fosse stata la cosa giusta incontrare Daveigh dal vivo, se fosse stato possibile parlarci.
Si fermò a riflettere su ciò che stava per fare: ne era davvero sicuro?
Forse non sarebbe riuscito a contattarla e probabilmente tutta quella faccenda si sarebbe esaurita nelle lettere.
No.
Devo farcela.
Devo.
Percorse la larga strada asfaltata circondata dalle case a schiera – quasi tutte con una fitta cornice di siepi dalle foglie rosse o verdi – .
Le case di Hyde Park Gardens.
Erano messe in fila, con le finestre che davano su un giardino privato e costruite con mattoncini di colori chiari.
Erano davvero molto carine.
Si godè quello spettacolo sereno, quei colori chiari e l’aria tranquilla e silenziosa che si respirava fra le palazzine.
Mentre si avvicinava al quartiere di Somers Crescent sentì il cuore battergli sempre più forte ad ogni passo; l’ansia, il desiderio di vedere il numero “3” si faceva sempre più forte dentro di lui.
Iniziò quasi a correre, come se avesse la sensazione che Daveigh potesse in qualche modo scappare.
Poi si bloccò di colpo.
 
 
 
 
 


Somers Crescent, 3.
Il numero era recato su una porta bianca dall’aria leggera, raggiungibile tramite tre gradini color mattone e circondata da piante dalle foglie rosse.
Liam deglutì leggermente.
Sarebbe stata in casa?
Poteva esserci, ma poteva anche non esserci. E in quel caso lui avrebbe fatto la figura dell’idiota, anche se non sapeva bene davanti a chi e perché avesse questa sensazione.
Si avvicinò più lentamente, sentendo che un groppo gli si stava formando in gola.
Si infilò le mani in tasca con un gesto impacciato e avanzò timidamente verso la casa lontana, con passi più lenti ed insicuri.
Un tuono irruppe nei suoi pensieri, e Liam voltò la testa verso l’alto.
Nuvole temporalesche si erano riunite sopra la sua testa.
 
 
 
 
 

Con i capelli bagnati e appiccicati alla fronte, il ragazzo aspettava che la pioggia si facesse più leggera, chiedendosi allo stesso tempo se avrebbe dovuto suonare il campanello o meno.
Forse Daveigh non era in casa, forse non gli avrebbe risposto nessuno, forse era andato fin lì per niente.
Seduto sull’ultimo dei gradini color mattone sotto la tettoia, a braccia incrociate, si chiedeva come poteva dare una svolta a quella situazione.
Osservò la pioggia che cadeva copiosa sulla strada.
Aspetta un attimo.
Un’idea lo aveva colto improvvisamente.
Rovistò nel marsupio e ne estrasse le lettere, controllando di avere anche una penna.
Dopo aver frugato per qualche minuto sentì sotto i suoi polpastrelli intirizziti dal freddo una piccola cosa sottile e allungata.
Era una penna con il cappuccio argentato, che non ricordava di avere mai visto.
Non ricordava neanche che fosse sua, poteva benissimo essere di uno dei suoi amici o di Paul.
Ad ogni modo non aveva importanza.
Quel che contava era che qualcuno lo aveva salvato dalla possibilità di non riuscire a rintracciare la ragazza.
Stese la lettera capovolta contro la porta di casa e iniziò a scrivere parole su parole, frasi, immagini. Quelle parole guizzavano veloci sul foglio bianco, sembravano fuoriuscire dalla penna come fossero animate di vita propria.




 
9 settembre 2012
Cara Daveigh,
sono io, Liam. Sì, Liam Payne, quel ragazzo a cui hai scritto le lettere.
Forse non era tua intenzione inviarmele, ma in qualche modo mi sono capitate tra le mani. E appena ho iniziato a leggere le prime righe, ho trovato ingiusto che quel ragazzo ti abbia delusa così. È orribile ferire in questo modo una persona tanto dolce e delicata, toccarla in quel punto debole che di solito è meglio non menzionare. Non so che cosa si provi a vivere quell’esperienza di cui parli nelle lettere, ma so che comunque non deve essere una bella cosa.
Molte persone pensano che gli autolesionisti siano dei pazzi, gente che le cose se le va a cercare.
Ma io non lo penso, tranquilla.
Penso che tu sia una ragazza dolce, intelligente, bellissima. E che tu non meriti tutto ciò. Penso che tu sia soltanto sensibile e fragile, e per questo sei autolesionista. Perché c’è qualcosa che ti fa soffrire, che ti fa stare male.
E se pensi di essere sbagliata, non lo sei.
Sei soltanto bisognosa di un po’ di affetto, almeno da quello che ho capito. Spero solo di aver capito bene e di riuscire ad avvicinarmi a te, in qualche modo.
Sì, Daveigh, vorrei tanto poterti essere vicino, proprio ora che stai così male. Ma non ti conosco, e non so se mai ti conoscerò. Mi piange il cuore anche solo a pensare che forse non ti vedrò mai, ma ci tengo che tu abbia questo messaggio, che tu lo possa leggere, per capire quanto io possa tenere a te anche se non ti conosco minimamente.
Sappi che tu non sei sola, Daveigh. Non lo sei, nessuno lo è, e quando ti sembra di esserlo, pensa a me, perché senza dubbio ti sentirò e ti risponderò. Quando sentirai bussare alla porta del cuore, non temere: sono io.
E non so se abbia senso quello che ti sto scrivendo, perché solo immaginarti con questo messaggio in mano mi gira la testa. Ecco, il punto è che non mi aspetto niente da te. Cioè, non voglio che tu mi creda, perché so che non lo farai e penserai che sia un semplice scherzo che qualcuno ti ha fatto, ma valuta bene quest’idea. Pensaci, e chiama questo numero -> 0700654382
Non preoccuparti, sentirai la mia voce. Fidati di me.
Con affetto,


 
Liam James Payne

 
PS Se trovi il messaggio un po’ bagnato, probabilmente è per via della pioggia. Spero tu riesca a leggere tutto.
PPS Ti voglio bene..
 


Fece del suo meglio per non far bagnare ulteriormente la lettera e cominciò a rileggerla, sperando di non aver fatto errori o di aver scritto un messaggio patetico o troppo smielato.
Quando sollevò lo sguardo nel cielo guizzava l’arcobaleno, uno spettro di colori luminosi che risplendeva di bellezza.
C’era qualcosa di romantico in quell’arcobaleno, qualcosa che fece sorridere Liam un’altra volta.
Sentiva che forse ci sarebbe riuscito, forse avrebbe incontrato la ragazza di cui si era innamorato.
Si era innamorato. Innamorato di qualcuno che nemmeno conosceva.
Che cosa strana.
Ma lui si sentiva bene.
Mentre le ultime e delicate gocce di pioggia cadevano ad inumidire l’erba, Liam lasciò scivolare la lettera nella cassetta della posta di Daveigh.
Era una lettera a due facciate, due anime in un unico foglio di carta.
Due anime che, come foglie d’autunno, aspettavano solo di cadere fluttuando in aria e incontrarsi finalmente a terra.
Insieme.

 



Eccomi di nuovo qui, a rompervi con i miei capitoli ;)
Allora, non so cosa scrivere -.-
Come vi sembra il capitolo? Non so, a me sembra molto romantico ma mi sembra anche che
la storia stia diventando noiosa..voi che dite?
Spero solo di non aver deluso le vostre aspettative, dopo essermi fatta aspettare così tanto.
Prima di salutarvi voglio solo dire una cosa:
la lettera di Liam è dedicata a Daveigh, ma l'ho scritta pensando ad una persona che mi ha recensita, e in un certo senso è dedicata anche a lei.
E sono certa che questa persona saprà riconoscersi tra le righe di inchiostro trasparente di quel messaggio.
Ricordati che non sarai mai da sola, ci sarò sempre per te, e ricordati anche che, come dice Tiziano Ferro
"Arriverà la fine, ma non sarà la fine"
Sii forte <3 ti voglio bene <3
Alla prossima e grazie a tutti quelli che mi recensiranno, a tutti coloro che leggono e che arrivano fino in fondo.
Vi voglio bene <3
Stella cadente

 

PS Ho scritto questo capitolo sulle note di "Autumn Leaves" di Ed Sheeran, è un sottofondo dolcissimo e ve lo consiglio vivamente :D so che teoricamente sarebbe una canzone triste, ma mi ispira dolcezza, non so perché <3 e mi sembra perfetta <3

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Capitolo 7
*** Così vicini, eppure così lontani ***


Capitolo settimo
Così vicini, eppure così lontani

 

 
– Pazzesco, vero? Insomma, mamma ha spedito le mie lettere! Voglio dire, ti rendi conto? Non oso immaginare in mano a chi finiranno ... – ripeté Daveigh per l’ennesima volta ad una stralunata Emma, seduta a gambe incrociate sul pavimento.
Emma si aggiustò gli spessi occhiali neri sul naso e disse, incredula:
– Ma ne sei sicura? Cioè, non so, magari le avrai perse ...
Per tutta risposta Daveigh le scoccò un’occhiata truce. Odiava quando la sua amica si comportava in quel modo; insomma, lei non era mica così stupida da smarrire delle lettere così preziose.
– No – ribatté, fredda – è impossibile. Sono state tutto il tempo in un fascicolo, non le ho tirate fuori da lì neanche per un attimo. Emma, su quei fogli di carta c’era la mia anima, come potevo anche solo pensare di lasciarle in un posto qualunque della casa?
Forse lo aveva detto con troppa enfasi, quasi con l’esasperazione nella voce, ma d’altra parte non poteva riconoscere che la sua amica avesse ragione. A dire il vero, era già tanto che le avesse confessato di quei messaggi, quando quel pomeriggio cupo e piovoso si era recata a casa sua. Naturalmente aveva omesso il fatto che scrivesse a Liam per non scocciare con i suoi problemi; sapeva già cosa avrebbe fatto Emma, nel caso avesse udito quelle parole. L’avrebbe abbracciata e avrebbe detto che non disturbava affatto, che se aveva un problema lei c’era per sostenerla e aiutarla, in qualità di migliore amica. Ma Daveigh era consapevole anche del fatto che dicesse quelle cose per cortesia, per dimostrarle la lealtà che effettivamente possedeva; sapeva che in realtà, anche se lo negava a se stessa, Emma aveva anche i suoi problemi da risolvere, e che non poteva sempre cercare di sobbarcarsi quelli degli altri.
– Quindi ... sono state spedite – la voce calda dell’amica la distrasse da quei pensieri.
– Sì – si affrettò a rispondere, con un tono fin troppo deciso che non voleva avere.
Emma storse la bocca, con aria pensierosa.
– E non hai proprio la minima idea di chi possa essere il destinatario? – domandò, riempiendo lo spazio della stanza con la sua voce così familiare.
– Purtroppo no – ammise Daveigh, con voce sconcertata.
Come aveva temuto, l’amica rimase in silenzio. Era evidente che non sapesse cosa dire.
– Senti, vado a casa – tagliò corto – ci penso su – disse infine.
Sentì gli occhi scuri di Emma seguirla fino alla porta, senza che proferisse una sola parola.
 




Le nuvole temporalesche torreggiavano sopra la testa incappucciata di Daveigh, racchiusa nella sua felpa blu mare. Si sentiva turbata per quanto riguardava le lettere.
Pensò a Liam. Al giorno in cui aveva tirato fuori la stilografica viola, e su un semplicissimo foglio di carta aveva iniziato quella inaspettata corrispondenza, che alla fine non era altro che un modo per sfogarsi, per esprimere tutto ciò che le vorticava dentro e che si vergognava a dire agli altri.
Emma c’era sempre stata fino a quel momento, ma a volte le sembrava così lontana, così incapace di capire come si sentisse, per quanto lei ci provasse.
Daveigh sospirò: non avrebbe mai capito a fondo ciò che si agitava nella sua testa in quel periodo.
I suoi occhi guizzarono da un lato all’altro dell’asfalto che le scorreva davanti, luminosi come pietre preziose sul viso pallido.
Osservò il moto delle gocce che, ora veloci ora un po’ più lente, cadevano sulla terra come lacrime di cielo. Rischiava di prendersi un raffreddore, ma in tutta franchezza non le importava: voleva solo fermarsi e lasciare che le cose le scorressero davanti, senza fretta, mentre lei era l’unica spettatrice di un film senza fine.
Liam, dimmi che sei da qualche parte, dimmi che mi stai pensando.
Qualcosa nel suo cuore portò i suoi pensieri di nuovo a Liam. Quel ragazzo, che sembrava costituire una salvezza anche se era completamente assente nella sua vita.
Era buffo tutto ciò, pensandoci.
Sul viso di Daveigh comparve un sorriso lieve, ma dolce, il sorriso di chi, improvvisamente e per un breve attimo, ritrova la felicità perduta.
So che ci sei.
Continuò a camminare sulle note di una canzone che ormai non seguiva più, a calpestare gli specchi d’acqua che riflettevano grigi una visone distorta dell’ambiente circostante, a vagare in un mondo di pensieri che teneva per sé soltanto.
Perché alla fine, si disse, che cosa sono i sentimenti? Solo una sfera isolante che ci costruiamo personalmente, con l’unico scopo di intrappolarci come in un’altra dimensione.
Daveigh sapeva di essere egoista, sapeva che quelli che mostrava erano soltanto sorrisi falsi, sorrisi che in realtà nascondevano repulsione e odio verso se stessa. Ma cercava di evitare il problema, di aggirarlo piuttosto che affrontarlo e annientarlo una volta per tutte. Perché sentiva che quello stato di neutralità faceva ormai parte di lei.
Perché alla fine, se non faceva niente per cambiare la situazione, voleva dire che le stava bene così.
Eppure non aveva il coraggio di ammetterlo neanche a se stessa, figuriamoci agli altri.
Un tuono le fece alzare lo sguardo al cielo, cupo, nero e affollato di nubi confuse, violente. Le sembrava quasi di sentirne il peso sulle spalle fragili.
Prese un autobus rosso che aspettava alla fermata, e guardando il suo riflesso nel vetro del finestrino, si addormentò.
Fece un sogno.
Un sogno in cui era protetta tra le braccia di Liam, al sicuro.
Tra le sue braccia, si sentiva finalmente bella, sicura, felice.
 
 
 
 
Quando arrivò davanti alla porta di casa, il giubbotto nero bagnato, i  capelli rossi arruffati e vaporosi per l’umidità, le mani intirizzite dal freddo, si fermò per un secondo sotto la tettoia a contemplare le nuvole che, ora di un piacevole color perla, guizzavano nel cielo velato di bianco.
Rovistò nella borsa rossa a tracolla, e fra i libri di letteratura che aveva portato da Emma trovò le chiavi di casa.
Le estrasse distrattamente e fece come per aprire la porta, ma prima che entrasse in casa qualcosa la attirò.
Un rumore.
Un rumore lieve ma potente allo stesso tempo.
Era il rumore di carta sbattuta dal vento, che proveniva disperato dall’interno della cassetta della posta. Il vento sembrava voler annientare un’anima di carta imprigionata all’interno della cassetta, agitando il foglio in una danza improbabile.
La ragazza spostò lo sguardo sul contenitore arrugginito ed infilò con un po’ di timore le mani nel metallo freddo; una strana curiosità si impadronì di lei, come se avesse paura di sapere che cosa si nascondesse all’interno della comunissima cassetta per le lettere.
Era una sensazione assurda, e lei lo sapeva. Eppure la carta sembrava ustionare la sua pelle fredda.
La tirò fuori lentamente, facendo attenzione a non farla sfuggire nel vento.
Che cos’è?
Si rigirò lo strano biglietto tra le mani, che aveva tutta l’aria di essere una lettera; dietro alla busta, insieme all’indirizzo, c’era scritto “Per te”, con una grafia imprecisa ma elegante che non conosceva.
Si chiese chi fosse quel “te”, scritto a chiare lettere sulla busta, e per un secondo restò a fissare il foglio bianco, che la guardava innocente nella sua semplicità.
Senza pensarci infilò le chiavi nella toppa e piombò in casa. Chiuse la porta in un movimento svogliato, per poi sedersi sul divano senza neanche togliersi il cappotto.
Accavallò le gambe, lasciando che la curiosità la investisse.
Aprilo.
Fece scorrere lentamente la sua mano lungo il sottile bordo di carta che ricopriva il contenuto, qualunque esso fosse, di quella busta.
E strappò.
Quello che si trovò davanti fu qualcosa di insolito, di totalmente inaspettato. Una lettera.
Una lettera per lei, evidentemente. Sul foglio, all’inizio, c’era scritto “Cara Daveigh” in una grafia precisa, dolce, leggera, un po’ svolazzante, che guizzava sul foglio davanti ai suoi occhi.
La carta era leggermente bagnata ed alcune parole erano storpiate e sfumate in una informe striscia di inchiostro; ma il tutto, alla fine, era abbastanza leggibile.
Aggrottò le sopracciglia. Quella lettera era realmente indirizzata a lei?
Fece scorrere gli occhi sul foglio, stupita di ciò che, impensabilmente, si trovava a leggere:


 

 
9 settembre 2012

Cara Daveigh,
sono io, Liam. Sì, Liam Payne, quel ragazzo a cui hai scritto le lettere.
Forse non era tua intenzione inviarmele, ma in qualche modo mi sono capitate tra le mani. E appena ho iniziato a leggere le prime righe, ho trovato ingiusto che quel ragazzo ti abbia delusa così. È orribile ferire in questo modo una persona tanto dolce e delicata. Non so che cosa si provi a vivere quell’esperienza di cui parli nelle lettere, ma so che comunque non deve essere una bella cosa.
Molte persone pensano che gli autolesionisti siano dei pazzi, gente che le cose se le va a cercare.
Ma io non lo penso, tranquilla.
Penso che tu sia una ragazza dolce, intelligente, bellissima. E che tu non meriti tutto ciò. Penso che tu sia soltanto sensibile e fragile, e per questo sei autolesionista. Perché c’è qualcosa che ti fa soffrire, che ti fa stare male.
E se pensi di essere sbagliata, non lo sei.
Sei soltanto bisognosa di un po’ di affetto, almeno da quello che ho capito. Spero solo di aver capito bene e di riuscire ad avvicinarmi a te, in qualche modo.
Sì, Daveigh, vorrei tanto poterti essere vicino, proprio ora che stai così male. Ma non ti conosco, e non so se mai ti conoscerò. Mi piange il cuore anche solo a pensare che forse non ti vedrò mai, ma ci tengo che tu abbia questo messaggio, che tu lo possa leggere, per capire quanto io possa tenere a te anche se non ti conosco minimamente.
Sappi che tu non sei sola, Daveigh. Non lo sei, nessuno lo è, e quando ti sembra di esserlo, pensa a me, perché senza dubbio ti sentirò e ti risponderò. Quando sentirai bussare alla porta del cuore, non temere: sono io.
E non so se abbia senso quello che ti sto scrivendo, perché solo immaginarti con questo messaggio in mano mi gira la testa. Ecco, il punto è che non mi aspetto niente da te. Cioè, non voglio che tu mi creda, perché so che non lo farai e penserai che sia un semplice scherzo che qualcuno ti ha fatto, ma valuta bene quest’idea. Pensaci, e chiama questo numero -> 0700654382
Non preoccuparti, sentirai la mia voce. Fidati di me.
Con affetto,
 

Liam James Payne

 
PS Se trovi il messaggio un po’ bagnato, probabilmente è per via della pioggia. Spero tu riesca a leggere tutto.
PPS Ti voglio bene ...
 

 

Per un attimo il cuore le affondò nel petto con una fitta.
Il ragazzo che scriveva sembrava proprio Liam.
Quel Liam.
Le lettere erano arrivate a Liam.
Un sorriso le si disegnò sul volto color latte.
Uno di quei sorrisi che sono impossibili da strappare via; quelli che esprimono la gioia di quel momento, un magico momento in cui tutto si ferma e c’è solo contentezza e serenità.
Come se si potessero toccare le stelle.
Ecco, Daveigh, in quell’attimo, si sentiva così.
Poi il suo sguardo si fece cupo.
L’autore delle lettere era davvero Liam?
No.
Questa orribile parola composta da due semplici lettere le rimbombò in testa, dispettosa e insopportabile.
Non era Liam, probabilmente. Era solo uno scherzo. Uno stupido e cattivissimo scherzo che probabilmente qualcuno le aveva giocato, prendendosi gioco di lei e di ciò che stava provando.
Sbatté le palpebre un paio di volte, incredula. Eppure c’era qualcosa, qualcosa che le diceva a chiare lettere il nome della persona che si celava dietro quel messaggio. O forse era solo una delle sue tante illusioni assurde, che si infrangevano dopo poco.
Il suo sguardo schizzò ancora sul foglio, alla ricerca di qualche prova, un indizio che dimostrasse che non era uno scherzo.
Poi si fermò, trattenendo immediatamente il respiro. Gli occhi su un punto indefinito del foglio, il cuore martellante nel petto.
Il numero.
In fondo alla lettera c’era scritto il suo numero, il numero del mittente, quel numero che poteva essere di Liam Payne.
Daveigh guardò la lettera, le parole dolci e rassicuranti che volteggiavano sul foglio bianco; poi tornò di nuovo sul numero. Osservò con cura ogni singola cifra.
Basta, chiamo.
Lo decise così, drastica e senza ripensamenti. Lo decise così, seguendo per una volta il suo istinto, senza cercare di essere sempre così rigida con se stessa.
Lo decise così, su due piedi. E chiamò, componendo velocemente le cifre un po’ storpiate dall’acqua sul suo Iphone.
Avvicinò il telefono all’orecchio destro, attendendo con impazienza che una voce rispondesse alla chiamata.
Rispondi, per favore. 
Supplicò mentalmente, chiunque ci fosse dall’altra parte della linea, di rispondere al più presto per mettere fine a quell’insopportabile stato di angoscia che la stava divorando viva.
Poi, quando ormai aveva perso le speranze sentì che la chiamata era terminata.
Un lampo squarciò il cielo facendola sussultare. Forse il cellulare aveva perso campo per il temporale, pensò, cercando di eliminare la paura che il mittente misterioso non volesse affatto risponderle.
Fece come per premere il tasto per riattaccare, ma si trattenne quando sentì una voce maschile che ben conosceva provenire dal telefono.
Era scattata la segreteria telefonica.
 
Ciao, sono Liam Payne, se stai ascoltando questo messaggio probabilmente non posso rispondere. Se sei Louis che mi sta facendo uno scherzo sappi che non è divertente, e comunque non sei credibile. Se non sei Louis, allora vorrà dire che appena posso richiamerò il tuo numero. A presto!
 
Si sentì letteralmente svenire.
Le mani si fecero inerti, il cuore si fermò.
Con un tonfo di plastica, che riempiva il niente di quella stanza, il telefono cadde a terra.

 


 

Ok, avete tutto il diritto di avercela con me.
Cavoli, è da tantissimo che non aggiorno, e l'ho realizzato solo ora.
In realtà il capitolo sarebbe stato pronto ben prima, ma non ho avuto tempo di postarlo,
e voglio ringraziare in anticipo tutte le buone anime che lo recensiranno , che non si sono
dimenticate della mia storia. Grazie a tutti <3
So inoltre che non è il massimo, il modo in cui l'ho concluso non mi piace per niente,
inoltre mi sembro ripetitiva nell'aver messo la lettera di Liam,
ma le vostre opinioni sono sempre gradite :)
Ho notato che il sesto capitolo ha ottenuto meno recensioni, spero che almeno questo non sia una schifezzuola :')
Baci a tutti, spero che questa sia stata per voi una buona lettura <
3
Stella cadente

 

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Capitolo 8
*** La prigionia del nulla ***


 Capitolo ottavo
La prigionia del nulla






Liam.
Quella era davvero la voce di Liam.
Di quel Liam che aveva sempre voluto abbracciare.
Quel Liam a cui aveva sempre voluto raccontare tutte le sue paure e le sue insicurezze.
Daveigh si lasciò cadere sul divano, come fosse un peso morto. La faccia inespressiva, il cuore a mille, le mani tremanti.
– Liam..
Sussurrò quel nome, come se in qualche modo avesse potuto evocare il suo proprietario.
Ho bisogno di te, Liam.
E in quel momento un leggero sorriso ad incresparle le labbra, un accenno di beatitudine a quella che vedeva una vita priva di ogni colore, di qualcosa che avrebbe potuto renderla gioiosa e felice.
Daveigh non era infelice però. Aveva delle persone su cui contare, come Emma, ma non era neanche felice.
Tutto ciò era insensato, e lei lo sapeva. Ma sentiva che le ci voleva qualcosa, qualcosa che le desse di nuovo la luce negli occhi.
E che forse quel qualcosa poteva essere Liam.
Liam, pensò, ora sorridendo dolcemente.
Liam.
 
 
 
 
 
 
Il suono squillante del campanello la distrasse da alcune espressioni algebriche, che aveva cominciato a fare per cercare di distrarsi.
Sbatté un paio di volte gli occhi luminosi, poi si alzò di scatto.
Il campanello.
Non si chiese neanche chi si fosse potuto celare dietro alla porta, come avrebbe fatto normalmente. Era tardo pomeriggio, e probabilmente i suoi genitori erano ancora al lavoro.
Non si chiese chi poteva essere a quell’ora.
E si precipitò ad aprire la porta istintivamente. Senza pensare.
Un tonfo nel petto, quando vide quel viso.
– Che cosa vuoi? – una voce piatta, atona, uscì dalle sue labbra carnose e rosee.
La rabbia in corpo, un fiotto di lacrime che minacciava di uscire come una cascata.
Non posso crederci.
Qualcuno mi dica che non è vero.
Quei capelli.
Quegli occhi azzurri.
Quel viso spigoloso.
Daniel.
Stava lì a fissarla senza dire nulla, scompigliandosi i capelli biondi con un gesto imbarazzato.
Aveva un sorriso appena accennato che giocava furbo sul suo volto dispettoso.
– Ciao anche a te, Dav.
La ragazza rimase come fossilizzata, mentre le sue labbra si serravano in un’espressione furiosa e sofferente.
– Non chiamarmi così – sibilò tra i denti.
– Senti.. – il ragazzo fece un passo avanti, entrando in casa sua – non possiamo semplicemente dimenticare tutto e ricominciare?
Daveigh rise.
Una risata breve, sarcastica, senza alcuna sfumatura di gioia.
Era una risata sporca, finta.
Senz’altro adatta alla situazione, pensò.
– Cosa? – chiese. Stava cominciando ad arrabbiarsi. Quel ragazzo l’aveva giudicata senza prima conoscerla, aveva dimostrato ben poco interesse a starle davvero vicino e oltretutto le chiedeva di dimenticare.
E forse lei era troppo sensibile, sì, ma ciò l’aveva fatta chiudere per sempre.
Forse era stato meglio così.
Aveva capito che una come lei, con uno come Daniel, non avrebbe mai potuto aver speranza di stare bene.
Daniel era freddo, tagliente, e anche se non volontariamente, le aveva fatto del male.
Adesso basta.
– Ricominciare? Perché, c’è mai stato qualcosa tra di noi? – replicò, acida.
Lui cambiò espressione.
Divenne serio.
Troppo serio.
I suoi occhi, di quel celeste freddo e raggelante, sembravano volerla incenerire.
Daveigh avvertì un brivido salirle lungo la schiena. La paura cominciò a serpeggiarle nello stomaco; quello sguardo la inquietava a tal punto da farla sentire come bloccata, piantata nel pavimento da qualcosa di oscuro e misterioso.
– Daveigh..
Quella voce era bassa, cupa.
La ragazza si morse il labbro violentemente fino a sentire il sapore acre del sangue.
Ti prego, va’ via.
Lasciami in pace.
Daniel si avvicinò fino ad essere a pochi centimetri dal suo viso e le sfiorò una guancia lentamente, con un tocco che, se fosse stato effettuato da qualcun altro, avrebbe di certo apprezzato.
Ma era lui a farlo.
E si sentiva sempre più impaurita, congelata.
– Non fare così..non lo fare, capito? – le sussurrò sinistro.
Ed era affascinante, con quegli occhi così espressivi e i lineamenti definiti, spigolosi ma attraenti.
Ma era Daniel.
“Quando non sai cosa fare..”
Daveigh si ostinava a far saettare i suoi occhi da un lato all’altro della stanza, rifiutandosi di guardarlo negli occhi.
– Guardami – disse lui, deciso.
Lei fissò quei due blocchi di ghiaccio duro, gelido.
– Non voglio ricominciare – fece – basta.
Il suo tono di voce non era altrettanto forte, deciso.
Ma almeno glielo aveva detto.
– Mi hai presa in giro. E non voglio avere più nulla a che fare con te.
Stava esagerando, come al solito. Ma la sua rabbia l’accecava, e mai più avrebbe potuto provare qualcosa.
Almeno non per lui.
Il ragazzo la guardò come se non avesse capito, rimanendo in silenzio.
– Vattene ora – insistette.
Daniel rise.
Ancora quella risata sporca, imbrattata di amarezza e sarcasmo.
– No, nemmeno per sogno. Non ho intenzione di prendere ordini da te.
– Perché sei tornato qui? – quasi urlò, Daveigh. E non sapeva come si facesse ad urlare, con quella vocina sottile e appena percettibile, ma dal suo tono si percepiva tutta la sua rabbia, tutto il suo rancore.
Rabbia. Rabbia che impregna gli occhi, che fa sanguinare il cuore, che imprigiona il cervello, che fa sputare cattiverie alla bocca.
Rabbia.
Rabbia.
Rabbia.
– Perché non mi arrenderò finché non starai con me! Ok?
– Io non voglio stare con te! Non lo farò! – questa protesta caparbia le dette coraggio.
Ma non capì quello che successe dopo.
In un attimo Daniel l’aveva strattonata e lei era schiacciata contro il muro, con la schiena che le faceva male e il respiro accelerato.
– Oh sì che lo farai – mormorò lui – non me ne frega niente se ti tagli le vene, non sono affari miei e non so cosa dirti se hai un hobby così malsano, ma voglio stare con te.
“Non so cosa dirti se hai un hobby così malsano”.
Un urlo carico di altra, intensa rabbia prese forma nella gola di Daveigh.
Strinse i denti, cercando di trattenersi e serrando le mani chiuse a pugno fino a farsi sbiancare le nocche.
Voleva urlare, voleva urlare fino a strapparsi le corde vocali.
Voleva davvero farlo, ma la sua bocca era come sigillata, immersa in un mutismo frustrante.
Quella frase.
L’aveva come ustionata, bruciata, pugnalata. Ogni singola sillaba era stata una tortura.
L’aveva lasciata momentaneamente priva di forze.
– Un hobby malsano? Un hobby malsano?! – ripeté, come se quelle tre parole fossero state un marchio nella sua testa.
Lui le sollevò la manica sinistra della felpa e osservò le cicatrici e i tagli ancora freschi.
Sembrava contemplarli, guardarli con un sadico interesse che lei trovò fin troppo macabro.
La ragazza si dimenò, tentò di ributtare giù la manica. Ma era inutile.
Era in trappola.
Una trappola umana.
– Guarda qua – disse – quale sano di mente farebbe una cosa del genere?
Immobile, ancora schiacciata al muro, incastrata tra la parete e il possente corpo di Daniel. Il freddo a fenderle il braccio, il dolore dipinto sulla pelle diafana che respirava la sua aria.
Impotente in quella situazione.
Debole.
Insignificante.
Poi, improvvisamente, sentì il sangue ribollirle violentemente sotto la pelle.
– Vai via! Vai via! – iniziò a gridare, furiosa. La sua voce era ora rabbiosa, potente, come un tuono che squarcia il cielo- se sono così poco sana di mente che ci fai ancora qui? Io non potrei mai stare con uno come te. Non vedi quanto sto male, per colpa tua? Tu mi hai ridotta così! Esci dalla mia vita, hai capito?
Restò così in sospeso, mentre le mani, le braccia, le gambe, l’intero corpo le tremava.
Lei era forte, anche se non lo sapeva.
Ma era piccola, fragile, come una leggera e invisibile piuma che viene trasportata dal vento.
Senza far rumore.
E qualcuno, purtroppo, avrebbe potuto tranquillamente approfittarne.
 
 
 
 
 
 
 
Il respiro ansante.
Quel tremito incontrollato.
Il cuore che pompava paura e collera nel petto.
– Ripetilo.
Quella voce.
Era come una lama.
– Io.. – tremava – non voglio..stare con te. Devi.. andare via..D..Daniel.
Balbettava, come una bambina, ascoltando il silenzio pesante e intriso di tensione fredda, buia.
Sbatté gli occhi una volta.
Due.
Lo stava facendo in maniera convulsa, ripetutamente, come fosse un modo per ritirarsi da quell’orrenda situazione.
C’era troppo silenzio per i suoi gusti. Sembrava che tutto si fosse fermato all’improvviso.
E adesso?
Un secondo, un movimento. Veloce, repentino, invisibile.
Si schiacciò di più al muro, paralizzata da quel dolore così intenso alla guancia.
Sembrava che stesse per andare a fuoco.
Daniel la guardava impassibile, gli occhi privi di un qualsiasi bagliore, che fosse di odio o no.
Era inespressivo.
Quello sguardo era fatto come di vetro, fisso e immutabile.
Un altro dolore, stavolta acuto e penetrante.
Fitte lancinanti le percorrevano tutto il corpo, le ginocchia erano cedute.
Non capiva ciò che stava accadendo.
Daveigh non capiva ormai più niente.
Lasciava che tutto fosse fuori dal suo controllo, mentre la vista le si era come appannata.
– Sei come tutte le altre – sibilò ancora quella voce gelata – sei solo una ragazzina che vuole essere al centro dell’attenzione. Perché ti tagli, eh?
Non rispose. Si era abbandonata. Era costretta a terra, sul pavimento.
– Come pensavo – disse ancora.
La baciò sulla guancia.
Un bacio freddo, senza colore, senza amore.
La porta che sbatte, il vento che cessa, il buio che invade tutto.
Daveigh non sentì più nient’altro se non le sue lacrime.
 
 
 
****
 
 
 
Quando riuscì ad alzarsi sentì le gambe molli reggere a malapena il peso del suo corpo.
Non riusciva ancora a rendersi conto di quanto le era appena successo.
Non riusciva a realizzare davvero che tutta quella sua debolezza fisica fosse dovuta a qualcun altro.
Ma più di tutto, ciò che le toglieva davvero il respiro, più delle fitte ai fianchi e al bruciore sulla guancia sinistra, era il dolore psicologico.
La consapevolezza di essere stata insultata, offesa, schernita era ancora peggio delle percosse che aveva preso.
Probabilmente, constatò, una stilettata al cuore avrebbe fatto meno male.
Si sentiva confusa da quelle parole. La disorientavano, le facevano girare la testa, come se fosse sotto l’effetto di qualche strano farmaco.
Sembrava che il suo cuore fosse affondato in una sorta di buco nero e profondo, che la sua mente non riconoscesse più nulla, che quelle frasi cattive e pesanti come piombo offuscassero tutto quanto.
Lei si stava dissolvendo, sgretolando, stava cadendo pian piano.
Mosse qualche passo incerto e si trascinò malamente fino al bagno; poi accese la luce e socchiuse la porta con un gesto leggero, senza tempo.
Doveva sedersi.
Doveva sedersi un attimo, respirare, cercare di sopravvivere.
Abbandonata contro le pareti di piastrelle rosa pallido, osservava il vuoto.
Si alzò lentamente, posizionandosi davanti allo specchio.
Aveva un aspetto orribile.
La guancia, ancora rovente, portava il segno rosso di una grande mano, come se la sua pelle candida e pura fosse stata marchiata per sempre.
Un altro segno circolare le ammanettava il polso sinistro, la manica della maglia portata ancora su fino all’avambraccio, a scoprire le cicatrici.
Sollevò la maglietta all’altezza dell’addome.
Dei lividi violacei le macchiavano i fianchi e la pancia scarna.
Fece leggermente pressione con un dito.
E gemette dal dolore.
Daveigh lasciò cadere la maglia e fece una smorfia.
Poi si guardò in viso. Si guardò veramente, con attenzione, in quello specchio che aveva sempre odiato tanto.
Forse era quella la cosa peggiore. Quella più sconcertante.
Il volto della ragazza era esanime, freddo, pallido. Ma non di quel suo innocente candore naturale, no.
Era di un bianco trasparente, spento, lo stesso pallore di una persona morta, con il corpo ormai privo di ogni bagliore di vita. Gli occhi lucidi, socchiusi in un’espressione sofferente, ai quali ogni minuscola goccia di felicità era stata brutalmente tolta, strappata via.
Occhi che raccontavano tanto, ma che non dicevano niente.
Occhi che erano l’esatto specchio di un inevitabile crollo interiore, occhi che erano pieni di una nebbia fitta che non accennava a diradarsi.
Daveigh non poteva sopportare di vedere se stessa ridotta così.
Forse non poteva sopportare di vedere se stessa in generale.
Un’idea malsana le attraversò la mente.
Malsana.
Non sana di mente.
Non sono sana di mente.
Non lo sono, ha ragione Daniel.
Ma non mi importa.
Al diavolo!
Fu un attimo. Un attimo come di trance, un attimo in cui le sembrava di fluttuare, di muoversi e di agire in un altro mondo.
Un attimo in cui le sue mani si allungarono lentamente verso le forbici da unghie, posizionate nel solito angolo sul bordo del lavandino.
Con la schiena poggiata contro la vasca da bagno, seduta sul pavimento, se le rigirò ripetutamente sotto gli occhi.
Non era giusto, lo sapeva. Ma era arrabbiata, molto arrabbiata. Così arrabbiata che avrebbe spaccato tutto.
Ed invece era lì, in silenzio, mentre due fredde lame di metallo solcavano la sua pelle in un gesto repentino, veloce e deciso. Un gesto furioso, carico di collera.
Daveigh non guardò cosa si stava facendo; preferiva cercare di distrarsi, pensare ad altro.
Provava a voler cambiare le cose, a voler cambiare se stessa; lo voleva davvero, ma non ci riusciva mai, perché era debole.
Non era forte.
Era debole.
Non sarebbe mai stata forte, non sarebbe mai riuscita ad esserlo. Le persone forti non cadevano in trappole assurde come l’autolesionismo.
Lacrime roventi rotolarono in una danza di dolore sul suo viso distrutto.
Debole.
Sono soltanto debole.
Il respiro le si fece accelerato, irregolare. Stanca, posò le forbici a terra e reclinò la testa all’indietro.
Non sentiva niente.
Tutto quello che vedeva era il bianco del soffitto.
Aveva un che di affascinante come un colore uniforme come il bianco riuscisse a sgombrarle la mente.
Si concentrò al massimo per notare anche il più piccolo difetto che poteva macchiare quel candore finto, innaturale. Una crepa, una macchia, un pezzo di intonaco scrostato.
E quasi aveva dimenticato tutto, quando avvertì qualcosa di denso e caldo scorrerle lungo il braccio.
Daveigh abbassò lo sguardo.
E quello che vide la fece inorridire.
Sul suo braccio esile, un taglio profondo sembrava aver diviso in due il polso. Sembrava un ghigno assassino che sorrideva di un sorriso sadico, come a rinfacciarle i suoi problemi.
Rivoli color cremisi correvano lungo il braccio, intersecandosi in una rete calda e odiosa ai suoi occhi impressionabili.
Non è possibile.
Che cosa ho fatto?
Daveigh era come paralizzata a quella vista, completamente inerme, come se vedesse quella ferita sconcertante sul corpo di qualcun altro.
A volte sono pochi istanti a fare la differenza.
A volte basta un secondo a far scaturire sensazioni orribili, che spesso non riusciamo a gestire.
A volte le situazioni ci sfuggono di mano con una facilità che ha dell’incredibile, e quando ce ne rendiamo conto è spesso troppo tardi.
E la ragazza acquistò questa consapevolezza esattamente nell’arco temporale di un istante.
L’ istante in cui il fuoco venne appiccato su di lei.
Sul suo braccio.
C’era una fiamma su quel braccio, qualcuno le stava dando fuoco. Era come una scarica elettrica, che le oscurava tutti i sensi.
Quel dolore.
Era talmente forte da farla tremare, mentre serrava la mascella nel tentativo di reprimere un urlo.
Altro sangue le scorreva addosso, lento, inesorabile, per poi andare a formare piccole chiazze di un rosso vivo sulle piastrelle. E lei, immobile, sul pavimento gelido.
In preda alla disperazione Daveigh si era ferita diverse volte, ma non era mai andata così a fondo.
Così a fondo.
Il pensiero che avrebbe potuto uccidersi la sfiorò appena, ma quanto bastava per farle salire violentemente un brivido di terrore lungo la schiena.
In preda alla disperazione Daveigh aveva fatto tante cose, ma non si era mai sentita così persa e sola come in quel momento.
Persa.
E sola.
Debole.
Prigioniera di se stessa.
Prigioniera di se stessa e del nulla che stava diventando.
Silenziosamente, era prigioniera.
Silenziosamente.
Senza far rumore.
 

Dopo aver finito di pubblicare la mia prima FF, posso dire che questa storia è tornata in corso.
Yo.
Sono contenta.
E allora eccoci qui, al capitolo otto.
Leggendolo, probabilmente avrete capito perché ho messo il rating arancione: ho voluto rendere tutto decisamente angst, specialmente in questo capitolo.
Daveigh è un personaggio fragile, molto fragile, e spero che vi siate affezionati a lei come ho fatto io.
Vorrei solo che questa non risultasse la solita storia banale sul dolore e l'autolesionismo, ecco.
Ho già finito "Dear Liam" da un po' in realtà, e ho seguito e sostenuto Daveigh fra le righe.
Spero che anche voi vi sentiate..coinvolti, ecco, nel leggere questa FanFiction.
E adesso non mi resta che attendere i vostri sommi giudizi ;)
Un bacione abnorme,

Stella cadente
 

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Capitolo 9
*** Cocci di parole ***


Capitolo nono
 cocci di parole
 
 





Era da diverso tempo che passava davanti a casa sua. Era da un po’ che, di nascosto dai ragazzi, andava in quel quartiere tranquillo e lontano dal solito traffico londinese, indeciso sul da farsi.
Casa sua doveva essere lì.
Anzi, era lì.
E lui non aveva mai avuto il coraggio di suonare ad un semplicissimo campanello per risolvere finalmente tutti i suoi dubbi.
Liam si trovava nuovamente appoggiato contro un albero spoglio, in quella mattina fredda e un po’ nuvolosa. Guardava la casa imponente nostalgico, come se fosse stata un qualcosa di irraggiungibile.
Aveva visto un movimento attraverso il vetro della finestra, una volta. Il cuore aveva preso a battergli all’impazzata, mentre gli occhi balzavano e si assottigliavano, nel tentativo di cogliere anche il minimo dettaglio.
Che fosse stata lei?
Sorrideva a quell’idea, al pensiero di poterla incontrare, e allo stesso tempo si sentiva uno stupido, un adolescente con la prima cotta.
Era strano, quel sentimento che provava.
Ma forse era proprio così che quella ragazza lo rendeva.
Stupido e strano.
Come un adolescente con la prima cotta.
 
 
 
 
 
 
 
Daveigh dormiva. Dormiva per non pensare, per lasciar stare quella vita che la rendeva così stanca. Dormiva, nonostante le lacrime che sembravano ustionarle il volto e pungerle le guance come rovi, dormiva nonostante i pensieri che, cattivi, si ostinavano a vorticarle nella testa.
Dormiva nonostante il dolore lancinante al polso.
Cercava di dormire, nonostante avesse gli occhi iniettati di quelle immagini, risalenti solo a circa un’ora prima.
Nonostante avesse il sangue impresso nello sguardo.
Non immaginava neanche lontanamente che qualcuno la stesse guardando tutti i pomeriggi in cui si sentiva così sola.
Soprattutto, non immaginava chi la stesse guardando.
 

 
 
****
 
 
 
– Si può sapere dove te ne vai ogni volta? – lo accolse la voce di Niall quella sera, quando rientrò nella dependance.
– Eh? – rispose lui, soprappensiero. Lo sguardo perso, la faccia assorta.
Era stato tutto il tempo ad osservare da lontano. Non si era neanche accorto di aver passato l’intero pomeriggio così, approfittando del fatto che quella casa fosse abbastanza isolata dal centro di Londra, dove tutti avrebbero potuto riconoscerlo.
Il biondo sembrò spazientito.
– Liam, amico, ma ci sei? – disse, sventolandogli una mano davanti agli occhi in maniera teatrale.
– Sì – rispose lui come in automatico, guardandolo distrattamente.
Niall si scambiò un’occhiata confusa con Harry, che aveva assistito a tutta la scena impassibile.
– Ma che gli prende? – sussurrò.
Harry si limitò a scrollare le spalle senza dire niente.
Per un attimo Liam restò così sospeso, mentre i ragazzi si lanciavano sguardi perplessi e un po’ preoccupati.
– Sono solo stanco – mentì, abbozzando un sorriso – vado a riposare un po’ – aggiunse, senza lasciar loro il tempo di replicare.
Si recò nella sua stanza, senza accorgersi di due occhi nocciola che lo seguivano indagatori.
 
 
 
 
 
 
Daveigh si alzò malamente, sentendo una fitta acuta alla testa.
Trattenne un gemito di dolore, portandosi una mano al polso dolorante.
Era orribile, quella sensazione.
Era come sentirsi oppressi, imprigionati in una gabbia invisibile e indistruttibile.
Lei era solo stanca. Sfinita. Ogni giorno diventava sempre più fragile, sempre più debole.
Si stava disintegrando col passare delle ore, dei minuti, dei secondi.
E lei era stanca anche di questo.
 

 
13 settembre 2012
 
 
Caro Liam,
sono stanca. Sono immensamente stanca.
Mi sento stanca fisicamente ma soprattutto psicologicamente.
Daniel  è venuto qui. Non so perché. Non so quando. Non so come.
È venuto qui e mi ha picchiata. Questo è quanto. È un orrore vedere i lividi sui fianchi, questi segni rossi intorno al polso.
Qualcuno ha spedito le lettere. Non so chi. Forse è per questo che finora non ho più avuto, in un certo senso, il coraggio per scriverti.
Però questa lettera, credo, non arriverà mai ai tuoi occhi. Se le lettere sono arrivate davvero a te, allora sai già tutto di me.
Ma stranamente, non so se considerarla una cosa bella o una cosa brutta. Ecco, è come se avessi paura. Ho paura, sì, perché sto cominciando a pensare che forse l’immagine che mi sono costruita di te nella mia testa non corrisponde alla realtà.
E ci soffrirei troppo.
Spero che tu non mi abbia preso per una pazza, nel leggere quelle cose. Ammesso che tu le abbia lette.
Avrebbero dovuto rimanere solo a me, ma qualcosa ha fatto in modo che volassero via, verso qualcun altro.
Una parte di me spera davvero che ti siano arrivate. Così magari, non lo so..noi potremmo vederci.
Secondo te è una cosa possibile?
Un abbraccio,
Daveigh
 
 

Posò distrattamente la stilografica sul foglio e cercò di concentrarsi sulle espressioni algebriche che la fissavano dal libro di matematica, abbandonato fra i cuscini distrattamente.
Quando ce lo aveva messo?
Poi ricordò.
Prima che arrivasse Daniel stava facendo algebra.
Prima che arrivasse Daniel e rovinasse ogni cosa.
Ogni cosa, anche quello stato atono in cui si trovava, per ridurla in pezzi.
Tutto quello che rimaneva, ora, era solo un forte mal di testa.
 
 
 
 
 
– Sei solo stanco, eh? – la voce di Zayn, animata da un forte accento sarcastico, irruppe nella stanza.
Liam non rispose.
Appoggiato allo stipite della porta, il suo migliore amico lo fissava con quei suoi penetranti occhi nocciola. A volte, Liam sospettava che avesse doti telepatiche. Quegli occhi avevano qualcosa di ultraterreno, possedevano un bagliore assolutamente fuori dal comune.
Era come se, appunto, con una sola occhiata, Zayn fosse stato in grado di leggere nel pensiero.
Per tutta risposta si lasciò cadere di peso sul letto e sbuffò, lo sguardo fisso.
– Stai bene?
Liam scosse la testa.
– Non lo so – disse solo.
– Senti – continuò Zayn – è da un po’ che io e i ragazzi ti vediamo..assente, è successo qualcosa? Perché è da diversi giorni che non riconosco più il mio amico. Sai com’è – concluse ironico. Ma la voce era paziente, tranquilla.
Liam sospirò, per poi riportare gli occhi sull’amico.
– Beh.. – tentennò – in realtà qualcosa ci sarebbe. Hai presente quel giorno in cui, dopo le prove, sono andato io a prendere la posta?
Zayn annuì.
– Da quel giorno – disse, serio – niente è stato più lo stesso.
 
 
 
 
 
 
Raccontò di tutto. Tutto quanto.
Raccontò a Zayn delle lettere, di Daveigh e di quel suo così strano, eppure così assurdamente intenso attaccamento verso di lei, una completa sconosciuta.
L’amico ascoltava serio annuendo di tanto in tanto, completamente assorbito dalla storia che gli si stava presentando davanti.
– Quindi tu vorresti..insomma..incontrarla? – azzardò poi.
Liam sorrise sereno. La sola idea lo riempiva di felicità.
– Diciamo che non mi dispiacerebbe – disse.
– E come pensi di fare?
Quelle parole sembrarono scoraggiarlo.
– Non lo so..mi sento un cretino, passo tutti i pomeriggi davanti a casa sua senza avere il coraggio di.. – si interruppe improvvisamente.
Già, di fare che cosa?
Sul volto di Zayn comparve un ghigno divertito. Si dovette trattenere per non scoppiare a ridere.
Per lui era decisamente troppo facile.
– Senti amico, non è difficile. La situazione ti sembra impossibile perché sei tu che la stai complicando – disse, schietto.
Liam lo guardò perplesso.
– Cosa vuoi dire?
– È semplicissimo, insomma, suona il campanello e basta.
Liam non riusciva a crederci. Rimase ammutolito, incapace di dire o anche solo pensare qualcosa di sensato.
– Sì ma se non mi viene ad aprire lei? Se viene ad aprirmi sua madre, che accidenti dico? “Salve sono Liam Payne dei One Direction, sono qui per vedere sua figlia, nonché la ragazza a cui voglio già bene pur non conoscendola, che per sbaglio mi ha spedito delle lettere” – fece ironico – ma dai, Zayn! È facile a dirlo, ma poi? È un casino.
– E io ti ripeto che sei tu a renderlo un casino. Prova a buttarti, ogni tanto. Ti farebbe bene. Ricorda: suona il campanello, e basta – disse – così smetterai di logorarti l’anima. E di logorarla a noi – aggiunse, senza togliersi quel sorriso beffardo dalla faccia.
Gli diede una sonora pacca sulla schiena ed uscì dalla stanza.
– Zayn – lo chiamò Liam – quando dovrei farla, questa cosa?
Il moro ricomparve sul ciglio della porta.
– Anche domani, io non perderei altro tempo. Fa’ come ti dico. Dammi retta.
Dette queste ultime parole, lasciò un Liam confuso e perplesso al centro della grande stanza, a lasciarsi avvolgere dai propri pensieri.

 
 
****
 
 
 
La casa.
Era di nuovo lì, in lontananza.
E lui lì, ad osservarla, stringendosi nel cappotto color piombo.
Mille interrogativi nella testa, qualcosa che gli rodeva lo stomaco.
Liam si trovava per l’ennesima volta vicino a casa di Daveigh, sotto il cielo terso di quella mattina. Faceva già abbastanza freddo, ma del resto a Londra era più che normale.
Sospirò, combattuto, e mosse qualche passo verso il vialetto, per avvicinarsi un po’ di più. Come quella volta che aveva iniziato a piovere.
E quando si trovò di fronte alla porta, l’aria gli sembrò quasi farsi elettrica.
Quella porta che aveva sfiorato e che aveva guardato a vuoto.
Senza concludere nulla.
Come al solito.
Il cuore gli batteva a mille, la sua mente correva a perdifiato.
È semplicissimo, insomma, suona il campanello e basta.
Le parole di Zayn gli riecheggiavano ripetutamente nella testa, come se qualcuno gliele avesse scagliate con forza nel cervello.
Perché era così maledettamente difficile?
Controllò ancora l’indirizzo su una di quelle buste che  contenevano le lettere. Se le era portate dietro, per essere sicuro di non sbagliare.
Non sbagliava.
La casa era proprio quella.
Ok. Ci siamo.
Portò lo sguardo sul tasto del campanello.
E premette.
 
 
 
Sdraiata sul suo letto, cercava invano di mettere a tacere la sua mente.
A nulla era servita la benda fatta alla bell’e meglio intorno al suo polso, per fermare il sangue. La garza si era completamente colorata di rosso, e Daveigh si sentiva completamente uno schifo.
Aveva finto di star bene, prima che sua madre tornasse in ufficio tutta affaccendata. Aveva detto di nuovo uno dei suoi insulsi “Sto bene”, giustificando la ferita con una caduta. E sua madre ci aveva creduto.
Anche lei lo avrebbe voluto. Avrebbe tanto voluto credere che fosse stato tutto solo un incidente, e non accettare che quella profonda ferita  se la fosse procurata da sola.
Ciò che in realtà avrebbe dovuto medicare era la sua testa. Ciò che avrebbe davvero dovuto ricomporre era il suo cuore chiuso e diffidente.
Alzò di scatto la testa dal cuscino al suono del campanello, e scese di fretta le scale.
Appena si ritrovò nell’ingresso rabbrividì.
Il campanello.
Ti prego, fa’ che non sia chi penso.
Aspettò qualche secondo.
E il campanello suonò di nuovo, facendola sussultare.
– C..chi è? – quasi urlò, la voce tremante.
– Daveigh Miller? – sentì che diceva una voce al di là della porta.
Non era la voce di Daniel.
Nel sentirla, si rilassò e tirò un leggero sospiro di sollievo.
Era un’altra voce. E le sembrava di averla già sentita da qualche parte, ma non ricordava con precisione dove.
– Sì- disse – chi è? – ripeté, senza però aprire la porta. Non voleva farsi vedere in quello stato da uno sconosciuto, non con quegli occhi pesti e l’anima a pezzi.
La voce le era uscita ora debole, fioca, con la pesantezza  e lo sforzo di chi non ha più voglia di far niente.
– Ehm.. – tentennò Liam, dall’altra parte della porta. Non aveva pensato minimamente che lei potesse chiedergli chi fosse. Era una domanda talmente ovvia, eppure quell’idea non lo aveva sfiorato neanche da lontano.
Stupido, dovevi pensarci prima!
Trascorsero alcuni secondi di silenzio in cui Liam si trovò nella confusione più totale.
Che cosa poteva dire adesso?
Prese un respiro profondo, come a darsi coraggio.
Forza. Devo dirglielo, adesso. O tutto questo sarà stato  solamente un’enorme perdita di tempo.
– Mi sono arrivate delle lettere da parte sua e..non so se era sua intenzione inviarle..se vuole, posso ridargliele.
Perché le stava dando del “lei”?
Sembrava che stesse parlando con un’anziana vicina di casa, non con la misteriosa diciottenne che gli aveva inviato le lettere per sbaglio.
Sono proprio un idiota.
A quelle parole, però, la porta si spalancò subito con veemenza.
Daveigh rivoleva le sue lettere. Con tutta se stessa, le rivoleva.
Anche se ormai sarebbe stato inutile, qualcuno le aveva già lette. Ma non le piaceva comunque il pensiero di lasciarle nelle mani di quello sconosciuto.
Liam sussultò appena la vide.
Già sentire la sua voce, così sottile e cristallina, lo aveva come stregato, inchiodato lì.
Ma quando la vide, fu magico.
Era lì.
Lei era lì.
Stentava a crederci.
Ed era pura, come aveva immaginato.
Il viso pallidissimo era incorniciato da dei capelli rossicci di media lunghezza. L’espressione dolce  che quel volto aveva lo pietrificò, lasciandolo di stucco.
Ma la cosa che più lo aveva colpito, erano gli occhi. Grandi, profondi, di un color nocciola chiaro, che sembravano impreziosire ancora di più quella fisionomia delicata.
Solo che erano spenti, ombrosi, palesemente arrossati dal pianto.
Liam sgranò gli occhi per la sorpresa. Sì, l’aveva immaginata bella, ma non così bella.
Era una cosa davvero impressionante. Eppure c’era qualcosa, lo vedeva, lo sentiva. Lei stava male. E questo lo inondò improvvisamente di una sensazione di malessere.
– Ciao – riuscì solo a dire, con il cuore che gli saltava in petto.
Daveigh spalancò gli occhioni nocciola a sua volta.
Non è possibile.
– L..Liam? – balbettò, mentre le mani le tremavano.
Sbatté le palpebre più volte, come se avesse paura che quel ragazzo non fosse reale.
Non poteva essere. Eppure il suo idolo, il destinatario delle lettere, era proprio lì. La fissava con i suoi occhi color cioccolato, cercandola, abbracciandola con solo uno sguardo.
Daveigh tremò impercettibilmente; sembrava che tutte le sue attenzioni, tutti i suoi pensieri, fossero concentrati su di lei. Si sentì sciogliere da quell’immensità scura, che le regalava acute fitte di emozione al cuore.
Lui abbassò la testa, imbarazzato.
– Già.
– Tu..come..
– Sono qui – la interruppe – sono qui per te. Basta come spiegazione? – disse, la voce sottile, armoniosa.
Liam dava voce a tutti i suoi sentimenti, le sue emozioni nascoste.
E forse era esagerato, ma sembrava che qualcosa lo costringesse a buttare tutto fuori, senza curarsi di come avrebbe potuto reagire la ragazza che gli stava di fronte.
Daveigh si sentiva fluttuare, come in un sogno.
Perché quello era un sogno.
Doveva esserlo per forza.
Ma anche se era un sogno, era bellissimo.
Annuì, incredula e incapace di proferir parola.
Liam. Liam è qui per me.
Voleva abbracciarlo con l’anima, ma non ci riusciva, perché non ci credeva. Era riuscita solo a trovare pochi, piccoli cocci di parole, nel tentativo di raccontargli se stessa guardandolo finalmente negli occhi.
Il tocco leggero di Liam la fece sussultare.
È tutto vero.
– Ehi – il ragazzo fece un passo avanti, stringendole con affetto un braccio.
Il sinistro.
La sua era senza dubbio una stretta delicata, piena di quello che sembrava amore, ma le aveva fatto male.
E quell’amore non bastava a rimarginare la profonda ferita che lei stessa si era procurata.
Non bastava.
Daveigh fece una smorfia di dolore trattenendosi dal cacciare un urlo, senza però passare inosservata agli occhi scrutatori di Liam.
– Che cosa c’è? – chiese dolcemente.
Lei si limitò a scuotere la testa.
E lo sguardo di lui si fermò su un punto preciso del braccio.
Aveva notato una benda o qualcosa del genere. Ne era sicuro, era sicuro che quella fosse una benda. Ma perché?
Oh no.
Prima che lei potesse fare qualcosa per fermarlo, le sollevò la manica della maglia, scoprendo una garza completamente imbrattata di sangue.
Gli occhi di lei inorridirono.
E i suoi anche.
– Daveigh.. – disse piano, spaventato – che cosa hai fatto al braccio?
Non rispose.

 

Boh, non è passato proprio un mese esatto dall'ultimo aggiornamento,
ma non sapevo cosa fare, la storia è già conclusa e quindi eccomi qui, a pubblicare.
Non so perché ma mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo; è il momento in cui
Liam incontra finalmente Daveigh, il momento che tutti aspettavamo insomma.
Spero quindi che vi sia piaciuto, tanto quanto è piaciuto a me.
O comunque almeno un pochino :)
Ci ho messo tutta me stessa in questa storia: è una storia che un po' mi ha dissanguata, nel senso
che faticavo ad andare avanti con lo sviluppo della trama, ma al tempo stesso mi è piaciuto immensamente scriverla.
E' tristissimo pensare che il prossimo sarà l'ultimo capitolo, ma mi sento fiera di aver concluso anche questa FanFiction.
Voi ovviamente siete gentilissimi, è soprattutto grazie a voi se continuo a pubblicare.
Grazie lettori,

Stella cadente 

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Capitolo 10
*** Come l'arcobaleno ***


Capitolo decimo 
come l’arcobaleno
 
 



Non sapeva che fare.
Bloccata lì, sul ciglio della porta, con gli occhi incatenati a quei due pezzi di cioccolato fondente che saettavano continuamente sul suo polso.
– Io non ... non posso – sussurrò.
E chiuse la porta, senza attendere una risposta.
– Ehi! – fece Liam, iniziando a colpire la porta – ehi, che cosa fai? Ascoltami, ti prego! – si mise a dire. Sapeva di star facendo la figura del disperato, ma doveva, doveva parlare con quella ragazza. Il suo comportamento lo aveva mandato nel panico.
– Ehi! – diede un ultimo colpo alla porta, improvvisamente teso.
Poi si bloccò. Se avesse continuato così l’avrebbe spaventata. Era così debole, quella ragazza. Così tanto che ebbe un intenso moto di tenerezza per lei.
Perché sto provando tutto questo? 
Liam non capiva più nulla. Non c’era più nulla che fosse in ordine nel suo cervello.
Ma una certezza ce l’aveva.
Voleva conoscere quella ragazza, più di ogni altra cosa.
Voleva stringerla tra le sue braccia, dirle che andava tutto bene.
Non ricordava di essersi mai sentito così legato a qualcuno prima.
E decisamente, per almeno scambiarci quattro parole, quello non era l’atteggiamento giusto.
Doveva calmarsi. Comportarsi come una persona ragionevole.
– Ti prego. Apri questa porta – disse dopo qualche secondo, la voce più tranquilla.
Aspettò.
E aspettò.
E aspettò ancora.
Ma la ragazza non accennava a tornare.
Devo andarmene, pensò. Che cosa era andato a fare? Perché non aveva pensato a come avrebbe potuto reagire lei?
Daveigh era fragile, molto fragile. Probabilmente più di quanto lui si aspettasse.
Era perfettamente normale, in fondo, che gli avesse sbattuto la porta in faccia.
Che cosa credeva, alla fine?
Serviva tempo.
E lui aveva voluto accelerare le cose.
Sono un autentico idiota.
 
 
 
 
 
 
 
 
Dall’altra parte, Daveigh si era lasciata scivolare lungo la pesante porta in legno laccato di bianco. Gli occhi persi nel vuoto e traboccanti lacrime, le mani che tremavano furiosamente per l’emozione.
Non poteva essere. Non poteva essere davvero lì.
Doveva andare via. Lei non era abbastanza. Lei non lo meritava.
Si chiese perché fosse venuto proprio sulla sua porta, che cosa lo avesse spinto a farlo. Perché lei lo interessava così tanto?
Oh, già.
Forse gli aveva suscitato curiosità perché era la fan problematica. Già, forse voleva solo analizzarla. In fondo, non sapeva chi fosse veramente Liam Payne. Non sapeva se lui fosse davvero la persona che aveva preso lentamente forma nella sua testa.
Non sapeva niente di lui.
– Daveigh ... – sentì attraverso la porta.
Tacque.
– Senti, lo so che non avrei dovuto presentarmi così, ma ... ti ho lasciato una lettera, nel caso tu l’avessi notata. Non so se l’hai letta, però ... quando ho letto ciò che mi avevi scritto ho capito che tu avevi qualcosa di diverso, di ... autentico. Volevo aiutarti, ma volevo anche conoscerti.
Pausa. Daveigh ascoltava quella voce sincera perforarle l’anima, entrarle nel cuore per poi lasciarle un groviglio di emozioni dentro.
Ma non disse nulla.
Stette in silenzio, come se non ci fosse. Solo il suo cuore era attento, solo il suo cuore era presente. C’era, e galleggiava in quelle parole cariche di verità.
Le lacrime si erano fermate per lasciare posto ad un’espressione sorpresa.
Si sistemò meglio contro il portone, e aspettò che il ragazzo continuasse.
Voleva con tutta se stessa lasciarsi cullare da quella voce.
Ancora.
E ancora.
All’infinito.
 
 
 
 
 
 
 
 
Liam non riusciva ad udire più nulla, attraverso quella porta.
Pensò che forse se ne era andata. Lo aveva lasciato lì, non avrebbe più avuto intenzione di aprire e finalmente permettere che lui la rivedesse.
Forse quella era l’ipotesi più probabile.
Ma, chissà perché, riusciva a sentire qualcosa al di là di quella superficie laccata di bianco.
Forse era ancora lì.
Stette per un attimo in silenzio, cercando di carpire qualcosa.
Oh, al diavolo.
– È quello che voglio tuttora e vorrei che me lo permettessi, Daveigh – continuò il ragazzo – lascia che io ti aiuti, ti prego. Io ... non so che cosa ha fatto di preciso quel Daniel di cui mi hai parlato, ma ... io non sono così. Te lo giuro Daveigh, che io non ti deluderò mai. Per niente al mondo.
Disse queste parole tutte d’un fiato, senza mai fermarsi.
E fu come una liberazione. Perché alla fine Liam non voleva ottenere nulla da lei. Voleva solo che sapesse che lui non le avrebbe mai fatto del male, e basta.
Voleva solo che, almeno di questo, lei ne fosse certa.
Ma quello che ottenne fu solo altro silenzio.
Ma che parlo a fare, pensò. Attraverso la porta non riusciva a percepire nessun segnale di vita.
Aveva detto quelle parole al vento.
Guardò la casa con espressione di rammarico e fece come per allontanarsi.
Mosse qualche passo di malavoglia, deluso.
Almeno ci ho provato, pensò, mentre camminava lentamente, allontanandosi da quella casa a cui era ormai legato.
Non sapeva come avrebbe fatto a non passarci più davanti, o anche solo a rimuoverla dalla propria mente.
Nonostante tutto era andata così.
E basta.
E lui doveva accettarlo.
Non si era accorto però che una porta si apriva alle sue spalle.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Daveigh lo guardò. Lo guardò mentre andava via, le mani in tasca, il passo lento.
Lo guardava e voleva raggiungerlo.
Voleva raggiungerlo e stringerlo forte, dicendogli che gli voleva bene.
Fu un attimo.
Un attimo in cui il cuore si ribellò alla testa.
E in un certo senso, fu la cosa giusta.
 
 
 
 
 
– Liam!
Il ragazzo si girò d scatto nel sentire quella voce.
E la vide.
La vide, sul ciglio della porta. I capelli rosso scuro mossi appena dal vento leggero, gli occhi nocciola che brillavano di speranza.
E non aspettò, Liam.
Non aspettò un secondo di più, e le corse incontro per poi abbracciarla con trasporto.
Lei si arrese a quell’abbraccio. Si arrese completamente, stringendo le spalle del ragazzo con quelle braccia esili e insicure.
Non si sentiva così bene da tanto tempo.
-Che cosa è successo?- chiese la voce di Liam nel vederla così scossa.
Daveigh sciolse l’abbraccio piano, allontanandosi appena da lui in modo che potesse stargli di fronte.
Ora si guardavano negli occhi.
Si guardavano come se non avessero aspettato nient’altro.
Lasciò lo sguardo a vagare per un po’, e non disse nulla.
Ma gli fece cenno di entrare in casa.
 

 
 
 
****
 
 
 
 
 
Daveigh si alzò nervosamente dal divano, raggiungendo in pochi passi veloci la finestra che dava sulla strada alberata. I rami spogli degli alberi si protendevano verso il cielo nuvoloso come braccia scure e secche, mentre nuvole di pioggia si raggruppavano in gomitoli grigi.
– Non so se voglio parlarne, Liam – disse, malinconica.
Era stata per un po’ accoccolata a lui. Non si erano detti nulla, in quel tempo, ma lei aveva desiderato ardentemente che quegli attimi si protraessero il più a lungo possibile. Liam le avvolgeva le spalle con un braccio, e lei gli stava con la testa sul petto, ad ascoltare il battito del suo grande cuore.
Sarebbe stata in quella posizione per tutto il giorno, ma aveva capito che lui voleva sapere. E che in un certo senso, doveva sapere.
Passò qualche secondo di silenzio, in cui l’unico rumore era il picchiettare di una pioggia leggera sui vetri.
– Con me l’hai fatto, in un certo senso – sentì poi alle sue spalle.
Quella voce.
Com’era bella, quella voce.
Era dolce a sentirla, rassicurante. E sorprendentemente familiare, come fosse stata quella di un amico.
Si voltò, piantando finalmente i suoi occhi in quelli di Liam.
– Già. È vero, in effetti – assentì.
Sentiva come una strana elettricità nell’aria, come se avesse dovuto scegliere con cura le parole prima di dire qualcosa.
– Daveigh ...
In un attimo si trovò davanti al viso gli occhi color cioccolato del ragazzo, che la guardavano intensamente.
– S..sì?
Realizzare la presenza di quel ragazzo davanti a lei era disarmante. Il cuore sembrava volerle fracassare le costole. Poteva sentire il suo battere furioso in gola, nello stomaco, ovunque.
– Puoi ... puoi farmi vedere? – chiese ancora lui.
Lei sentì una lacrima rotolarle sulla guancia.
– Liam ... ti prego, io non ...
– Avanti. Puoi fidarti di me. Ti fa male?
Annuì.
E poi, fece una cosa che Liam non si sarebbe mai aspettato.
Gli sorrise.
Gli sorrise sincera, prima di dire con quella sua voce delicata:
– Ti stai preoccupando per me ...
Lui la ricambiò. Le brillavano gli occhi, mentre sorrideva, e questo lo faceva andare fuori di testa.
– Beh ... sì. Perché a te ci tengo.
Quelle pietre che scintillavano di nocciola erano per lui irresistibili.
E quel sorriso.
Sembrava che avesse finalmente ritrovato la felicità perduta.
Era contagioso, quel sorriso. Così contagioso che al ragazzo sembrò quasi di sentire la sua felicità. Intensa, travolgente, come una scossa elettrica a livello epidermico.
– Non guardarmi così – fece lui. Parlava piano, come se, anche alzando di poco la voce, avesse potuto ferirla.
Lei aggrottò per un istante le sopracciglia fini.
– Così come?
– Come se fossi l’unica cosa che ti rende felice.
Daveigh in realtà non ricordava di essere mai stata così felice come in quel momento.
Poteva vederlo.
Poteva sentire la sua voce, il suo profumo.
Quel profumo. Era buono, ma non sapeva come catalogarlo. Era fresco, ma c’era anche qualcos’altro.
Era particolare. Come di menta mischiato a vaniglia. Il più buon profumo che avesse mai sentito.
E forse Daveigh Miller, per la prima volta, stava provando qualcosa di forte che non fosse il dolore.
Sgranò appena gli occhi non appena se ne rese conto.
Forse quello che sentiva lei andava al di là dell’amore di una fan verso il suo idolo.
Forse era qualcosa di più.
– Beh ... –  tentennò.
Lui la guardava come se cercasse di scorgere qualcosa dentro di lei.
– Lo sei – concluse – tu ... sei la cosa più bella, per me. Io ...
Le lanciò un’occhiata come per incitarla ad andare avanti.
– Ti voglio bene, Liam.
Furono quelle tre, semplici parole, che fecero andare Liam James Payne completamente fuori di testa.
 
 
 
 
 
Rimasero abbracciati a lungo, su quel divano che aveva ormai assunto quel profumo di menta mischiato a vaniglia. Quel profumo che mai Daveigh avrebbe scordato.
Fuori ora infuriava un temporale. Un temporale violento.
La poggia che batteva contro i vetri le dava però una strana sensazione, come di intimità. E le piaceva. Le piaceva quel legame che sentiva, quel legame ancora incerto, ma che già sembrava essere così forte.
Le piaceva sentire la vicinanza di Liam. Molto più di quanto si era immaginata.
Era rassicurante, sembrava che ora niente e nessuno le avesse potuto fare del male.
Nemmeno Daniel.
Con Liam lì vicino, forse sarebbe stata forte.
Avrebbe imparato a non essere più debole, a non lasciarsi scalfire da ogni cosa.
Avrebbe imparato a credere in se stessa.
 
 
 
 
Lasciò che il ragazzo sciogliesse la benda e che vedesse la sua storia incisa nella pelle marmorea. Lasciò che disinfettasse le ferite mentre lei tremava. Non di dolore però, ma di paura.  Paura del suo giudizio, paura di cosa avrebbe potuto pensare di lei.
Si chiese come avesse fatto ad aprirsi subito con lui. In genere non lo faceva mai con tutti gli altri.
Forse perché, invece, lui era diverso da tutti gli altri.
– Liam – fece – sono una stupida, vero?
Il ragazzo alzò la testa, smettendo per un secondo di disinfettare il taglio sul polso, che ancora dava goccioline di sangue.
– Non voglio più che tu faccia del male a te stessa – disse solo, senza risponderle.
Aveva ragione.
La ragazza annuì con la testa, sentendosi in colpa.
Forse non avrebbe dovuto mostrare la sua debolezza davanti a lui. Forse ora anche lui se ne sarebbe andato. Come dargli torto, del resto?
La sua mente viaggiava alla velocità della luce.
– Aspetta, Daveigh. Non annuire così – continuò, interrompendo i suoi pensieri – non è per la cosa in sé, tu non sei un problema. Non voglio che tu lo faccia perché solo chi sta male veramente fa queste cose. E tu non devi partire dal presupposto di non farlo più. Devi partire dal presupposto  di non stare più così male.
Daveigh rimase di stucco, imbambolata a guardarlo.
– Capito? – fece, tenendole per un attimo il mento tra il pollice e l’indice – io voglio che tu stia bene.
La ragazza rimase basita, e per un po’ non seppe cosa rispondere.
– Okay – disse solo, dopo qualche secondo.
 
 
 
 
 
– Liam – lo chiamò lei.
– Mh?
– Tu ci sarai sempre per me, vero? – chiese, stringendosi di più a lui.
Il ragazzo si staccò per un secondo dall’abbraccio, guardandola dolcemente.
La voce della ragazza aveva assunto i toni di quella di una bambina bisognosa di affetto.
Avrebbe voluto vedere mille volte quell’espressione sul suo viso. Un innocente imbarazzo, un tenero rossore sulle guance e quegli occhi timidi. Timidi, ma intensi, talmente intensi da farlo tremare impercettibilmente.
– Certo – disse sottovoce.
E voleva fare una cosa, ma doveva raccogliere coraggio.
Molto coraggio.
Daveigh era delicata, e lui doveva comportarsi di conseguenza. Non poteva compiere gesti dettati dall’impulso e dal suo bisogno di donarle amore.
Ma a volte bastano tre secondi. Tre secondi, e basta.
Ed in quei tre secondi, Liam lo fece.
Si avvicinò piano a lei, e le posò un leggero bacio sulla guancia, indugiando appena con le labbra sulla sua pelle fredda.
La ragazza si sentì avvampare, mentre un radioso sorriso prendeva forma sul suo volto dolce, dai tratti ancora infantili.
– Sul serio?
Liam annuì.
– Sempre – aggiunse, stringendola nuovamente tra le sue braccia.
Fuori, adesso, c’era l’arcobaleno. I colori fluttuavano liberi, a segnare la fine della burrasca e la ricomparsa della luce in cielo.
Liam sorrise nel vederlo.
Il temporale era finito.
Ora c’era l’arcobaleno.
Da quel momento in poi, ci sarebbe solo stata la luce.

 
 



Voglio dedicare questa storia a chi non ce la fa più.
A chi si sente schiacciato, oppresso, mangiato dalla sua stessa vita.
A chi si sente immerso nel buio, a chi non vede più una via d’uscita.
Ve la voglio dedicare perché voglio che sappiate che la felicità c’è, che la luce arriva per tutti.
Ve la voglio dedicare perché voglio che siate forti, perché voglio che non vi lasciate scalfire da niente e da nessuno.
Daveigh ha trovato la felicità, alla fine. Ora si sente sicura, serena tra le braccia di Liam, dopo tanto dolore ce l’ha fatta a ritrovare il sorriso. Daveigh era fragile, ma ora è sulla via per essere forte.
Mi è piaciuto scrivere questa storia. Sono triste, perché è finita, ma l’ho scritta con amore e dedizione.
Spero che vi abbia trasmesso qualcosa, che vi abbia fatti emozionare. Lo spero davvero.
Grazie a tutti voi per avermi seguita e sostenuta fino a qui.
Vi voglio bene.

Stella cadente

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