Le sue ali toccavano terra

di Salmcroe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Parte 3 ***
Capitolo 3: *** Parte 2 ***
Capitolo 4: *** Parte 4 ***
Capitolo 5: *** Parte 5 ***



Capitolo 1
*** Parte 1 ***


 

 

Capitolo primo

 

 

 

 

 

Faceva caldo, troppo caldo. Le pareti spoglie della piccola stanza sembravano volersi restringere sempre di più, di voler schiacciare l'uomo seduto sul pavimento freddo e polveroso davanti alla testata del letto di legno scuro. Se ne stava lì, e fissava davanti a sé il vuoto, senza muoversi. L'unica cosa che lo distingueva da un qualsiasi oggetto in quella stanza di motel, l'unica cosa che lo tradiva, era il leggero movimento del petto, che sotto la stoffa bianca della camicia si alzava ed abbassava velocemente.

La sua schiena aderiva contro il legno, ne percepiva la superficie striata, mentre le gambe erano distese in modo scomposto davanti a lui, ma nemmeno si ricordava di avere un corpo probabilmente, perso nel suo stato catatonico, perso nella sua confusione. Castiel respirava a fatica l'aria appesantita che c'era nella camera, ma non gliene importava, oppure non se ne accorgeva nemmeno, semplicemente si era accorto, aveva preso atto, che il suo corpo umano riusciva a badare a sé stesso da solo. Si era solo preoccupato di slacciare i primi bottoni dal colletto, per allentare il senso di costrizione, per sentire meno l'afa. Il cambio d'aria era inesistente, questa si era fatta stagna, anidride carbonica pura, inspirata ed espirata dai polmoni dell'angelo da almeno cinque ore piene.

Era stanco, si sentiva vuoto, privato del peso che l'aveva accompagnato per migliaia di anni, quel caldo e luminoso senso di gloria che l'aveva legato al cielo, che lo aveva reso una creatura celeste, un angelo del Signore, che gli aveva dato le sue ali.

Ali che adesso ricadevano morte e spoglie da sotto le sue spalle, schiacciate tra il legno del letto e la schiena resa umida dal sudore dell'uomo. Neanche di quelle sentiva più il peso, gli avevano però, neanche lui sapeva chi visto che Dio se n'era andato, dato la possibilità di sentirle morire, di percepire le piume nere staccarsi e rompersi, una ad una, facendolo rabbrividire appena, facendogli irrigidire i muscoli del collo e chiudere esausto le palpebre, sottoposto a quella tortura indolore. Castiel non riusciva a capacitarsi di come alcuni avessero potuto scegliere volontariamente quel destino, quella privazione. Non comprendeva, non avrebbe mai potuto. La realtà umana l'aveva sempre affascinato, incuriosito, a volte tanto da fargli credere di voler davvero perdere la sua grazia, per vivere come loro, per poter unirsi alla famiglia che si era guadagnato prestando servizio sulla terra ai suoi due protetti; ma adesso si rendeva conto che sarebbe stato stupido, folle voler lasciare il cielo più di quanto non avesse già fatto cadendo.

Si mosse lentamente dalla posizione che aveva preso, tirandosi un poco più su. I polmoni, liberati dalla costrizione della posizione di prima, si gonfiarono, facendo inspirare rumorosamente l'uomo, facendogli sentire il bruciore pungente che veniva dalla gola secca, il senso di ruvido che lasciava il passaggio dell'aria. Non aveva bevuto da quando Metatron l'aveva abbandonato in quel prato, ed erano passati almeno due giorni, di cui uno impegato interamente a camminare per raggiungere il motel.

Non era completamente umano, non ancora, ma dalla chiusura del paradiso il più dei resti che la sua grazia aveva lasciato li aveva usati dopo aver affittato la stanza, per volare nell'unico posto che potesse ricordargli il paradiso.

Aveva trovato la porta del bunker chiusa, sigillata e sprangata come sempre. Percepiva, per debole che si sentisse, il silenzio del rifugio; non una parola, non un movimento, non un respiro. Era vuoto, completamente, senza alcuna traccia dei due fratelli o dell'auto nera che li accompagnava.

Cercò ancora, sentendosi sempre più debole, ma ignorando i segnali che il suo corpo ormai quasi completamente umano gli mandava. Guardò ovunque, impegnandosi tanto quanto avrebbe fatto avendo la completa facoltà dei propri poteri, e li trovò. In una stanzetta grigia di un ospedale di provincia, a tre stati di distanza. Spiegò le ali, o quello che ne restava, sollevando polvere e terra davanti all'entrata del rifugio, e pregando suo padre perchè quello non fosse il suo ultimo volo.

 

Castiel arrivò all'imbocco del corridoio che portava alle camere numerate, all'interno del reparto dell'ospedale che aveva visto. Fece per muoversi, ma una fitta all'altezza dello sterno lo bloccò sul posto, facendolo piegare in avanti. Si chiuse su se stesso, e capì che lo sforzo derivato dall'uso dei suoi ultimi poteri non poteva convivere col suo nuovo corpo. Si premette una mano dove il dolore era più forte, e man mano si stava affievolendo, facendogli riacquistare un respiro regolare pur non dandogli la possibilità di rialzarsi. Non si era neppure accorto che due paia di mani sottili gli si erano poggiate sulle spalle, e delle voci lo invitavano a sedersi, cariche di preoccupazione. Aprì gli occhi, chiusi mentre scattava in avanti, e vide chiaramente sotto di lui le scarpe in plastica e gli orli delle divise delle infrmiere che erano accorse in suo aiuto. Era pur sempre in un ospedale. Si costrinse ad alzarsi, stringendo sotto le dita la stoffa fresca e impolverata del trench. Barcollò appena, ma fu abbastanza deciso nell'allontanare le infermiere che insistevano nel volerlo aiutare, e che volevano trattenerlo, mentre si incamminava per il corridoio che aveva di fornte.

Il soldato si avvicinò alla terza porta, quella numerata C15, e strinse la maniglia nella mano, sentendola però già muoversi. Si allontanò di mezzo passo, e vide apparire da dietro la soglia il maggiore dei due fratelli che cercava.

Dean lo guardava trafiggendolo con le iridi verdi. Gli occhi erano cerchiati di nero, e la pelle tirata appena più del solito sugli zigomi. La barba incolta gli ricopriva le guance, ed i capelli spettinati erano stati tirati tutti da una parte. Puzzava tremendamente di alcool.

Il cacciatore prese Castiel stingendolo forte per un braccio, e chiudendosi velocemente la porta alle spalle, senza nenache una parola, lo portò verso l'uscita del reparto, e poi quella dell'ospedale.

Ci misero tre minuti pieni, ma alla fine Dean si fermò, sempre portandosi dietro l'altro uomo, in un angolo del parcheggio deserto, all'ombra di un muro di cemento. Si girò trovando il volto dell'angelo disteso in un espressione vuota. Il ragazzo interruppe il silenzio parlando.

 

-Sei sparito brutto figlio di puttana! Sei sparito per tre giorni!- Dean urlava contro un Cass immobile, che si limitava a subire gli insulti, e a fissarlo. Il cacciatore continuò sicuro di non ricevere risposta. -Ci hai lasciato nella merda dopo che i tuoi amici sono caduti in massa! Ti ho pregato Castiel, di aiutarmi, di venire o di farti anche solo sentire, ma eri troppo impegnato a spassartela in paradiso perchè te ne potesse importare.- Alla scansione della parola Paradiso l'ex angelo rinvenne, per poi rientrare subito nel suo stato di trans. Dean nel frattempo si era voltato dando le spalle all'altro, portandosi una mano sul viso, a coprire gli occhi, e poggiando l'altra per sorreggersi al muro di cemento. Era rabbioso, deluso e stanco, terribilmente stanco. Dalla caduta degli angeli l'unica cosa che aveva fatto era stata occuparsi di suo fratello, oltre che pregare per l'aiuto dell'amico. Si girò di nuovo, avvicinandosi a Cass . -Senti...- sospirò - .. Cass, ehi, guardami amico.- l'uomo aveva abbassato la testa, ed il ragazzo gli aveva poggiato una mano sulla spalla. Castiel tremava, sotto il peso delle ali che gli si piegavano sempre più verso terra, quasi a volergli ricordare che ormai era destinato a rimanere lì, senza salire più in alto, in cielo, a casa sua. Lo colse un giramento di testa, un calo di pressione, una sensazione nuova per la sua neo umanità, e barcollò appena. Dean se ne accorse e gli si avvicinò per prendergli le spalle. Alla stretta dell'amico, l'altro alzò faticosamente lo sguardo. -Ehi, EHI!- lo scuoteva piano, cosa che lo aiutò per concentrarsi sugli occhi verdi che cercavano i suoi blu, preoccupati. - Cos'hai? Parla Castiel, cos'hai?- Il sollievo durò poco, perchè il soldato scivolò dalla presa in cui era stretto cadendo a terra sulle ginocchia. Piantò le mani a terra, percependo l'amico accanto. -Dean.. Dean io non sto bene. - tossì, e la gola bruciò – Ascoltami, ti porto dentro, così ti riposi e usi il tuo influsso angelico per rimetterti in sesto, ok amico? Forza..- Fece per passargli un braccio sulle spalle, ma l'ex angelo si sottrasse al contatto, spostandosi di lato e guardando il giovane in faccia. -No, devo parlarti..- tossì più forte di prima – Dov'è Sam?- L'altro fu sorpreso, ma rispose immediatamente. - Sam è nella stanza, attaccato ad un coso che respira per lui. Hanno detto che non sanno, anzi, sicuramente non uscirà dal coma.- Castiel se lo aspettava, il cacciatore era troppo stravolto perchè non ci fosse in ballo suo fratello. Prevedeva che le prove l'avrebbero reso debole fino ad ucciderlo, che le portasse a termine o meno. - Dean, cosa intendevi col dire che sono caduti in massa? Cosa significa, chi è caduto?- Si stava agitando, e aveva alzato la voce di almeno un'ottava. A Dean si accese lo sguardo, forse di rabbia, o di stupore, magari di entrambi. - Siete stati tu e l'altro coglione, ricordi? Con tutte le vostre cazzate per salvare il paradiso adesso li avete scaricati a noi, ci avete passato tutta la merda!- continuò sempre urlando, non facendo caso all'espressione tirata che aveva l'amico - ..Perchè o siete entrambi delle teste di cazzo, oppure.. oppure non sapevi cosa aveva in mente Metatron.

.. Cass, - parlò sottovoce - cos'è successo in paradiso?-

Il soldato si prese la testa tra le mani.










Salve a tutti. Questo è il mio primo esperimento di fanfiction in un fandom. Personamente amo Suprnatural, quindi spero di aver reso bene i personaggi nelle descrizioni, e spero anche che la storia vi piaccia. Pubblicherò la seconda parte a breve. Un grazie ai lettori, e a chiunque voglia commentare, soprattutto magari chi ha più esperienza di me, così da darmi qualche dritta, ve ne sarei davvero grata. Un bacio, al prossimo capitolo. <3

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Capitolo 2
*** Parte 3 ***



Capitolo 3



Castiel, steso sull'asfalto freddo del parcheggio, si era risvegliato. Si sentiva bruciare dall'interno, percepiva ogni terminazione nervosa come fosse in fiamme, mentre il resto del suo corpo era freddo, i muscoli rigidi. Rimaneva fermo, le palpebre gli ricadevano pesanti davanti agli occhi ad un ritmo che non stabiliva lui, e che gli permetteva di vedere appena il grigio del soffitto in cemento. Era riuscito a ritrovarsi nel dolore che l'aveva sepolto, in quegli attimi di buio, ma adesso capiva quanto fosse stato sbagliato il non aver colto l'occasione per farla finita, una volta per tutte. Voleva tornare in paradiso, e senza le sue ali, l'unico modo sarebbe stato come anima umana; avrebbe sopportato il dolore, lo sapeva, anche se avesse dovuto infliggerselo da sé, perché la propria vita non era niente, neanche adesso che era quasi completamente umano, come prezzo da pagare per riavere la pace di casa.

Forse gli veniva data una possibilità per rimediare, per salutare chi gli aveva dato una famiglia sulla terra, prima di lasciare che morisse; o magari volevano che lottasse, per rimanere, anche se non avrebbe più provato la leggerezza del volo, o sentito il peso delle ali. Poteva vivere da uomo, o morire da angelo.

Dean si alzò, le spalle ancora voltate verso il corpo dell'amico steso a terra, pochi metri distante. Non voleva girarsi, per paura di vedere le ali nere disegnate sul pavimento freddo, di scorgere gli occhi blu vitrei aperti in uno sguardo privo di vita. Trasse un respiro profondo, stringendosi la pelle morbida della nuca tra le dita. Si disse che doveva essere forte, che lo sarebbe stato per tutti e due, perchè morto o no, Castiel avrebbe voluto questo, vederlo reagire. Abbassò lo sguardo e la testa, facendo un mezzo giro su se stesso. L'unica cosa che vide fu il petto dell'amico che piano si alzava ed abbassava.

Il soldato mosse la testa lentamente, cercando di togliersi di dosso lo spaesamento che lo avvolgeva. Sentiva la pelle fredda della schiena, attraverso la stoffa dell'impermeabile, punta dagli steli rotti delle piume. Le ali scarne erano aperte sotto di lui per tutta l'ampiezza del loro arco, e sempre al centro della sua gabbia nera, l'uomo non riusciva a non pensare che quella era la posizione in cui gli angeli morivano, che le ali si aprivano quando accoglievano il paradiso, sia in volo che in punto di morte.

Non si era accorto di Dean, che poco lontano, lo fissava incredulo di vederlo ancora vivo. Il giovane mosse un passo verso Cass, premendo la suola spessa delle scarpe di pelle proprio sulla carne e le ossa coperti di piume. Il soldato allora urlò, una nuova vampata di dolore lo invase, annebbiandogli di nuovo la vista con il buio familiare. Cercava di allontanarsi dal ragazzo, strattonando le ali muovendo le spalle, nel tentativo di farle scivolare da dove erano compresse ora. Sentiva le cartilagini schiacciarsi e le ossa incrinarsi. Il cacciatore mosse un secondo passo, e questa volta le ossa portanti, quelle più lunghe e spesse, cedettero lasciando il rumore sordo della loro rottura a rimbombare nella testa di Castiel, sempre più avvolto da quelle spire scure che volevano annegarlo nel loro buio. Non perse i sensi. Rimase cosciente mentre l'amico annullava la distanza tra loro, puntando le ginocchia tra le piume, dove credeva ci fosse solo il pavimento.

Delle ossa si erano dislocate dalla loro posizione, e bucando pelle e carne adesso spingevano pungendo contro il fianco dell'uomo, inzuppandolo di sangue scuro che non poteva vedere.

Ritrovatosi a dover stringere lo stesso corpo esanime, Dean cedette, esplodendo in una rabbia che gli inumidì gli occhi e gli fece buttare la spalle avanti, svuotando i polmoni della loro aria che uscì dalle labbra sottili come un rumoroso sospiro. Era un gioco, una tortura a cui il ragazzo era stanco di giocare. Vedere le anime spegnersi sotto i propri occhi logora la propria, ma vedere un amico morire, ancora e ancora, soffrendo sotto il volere dei cieli che dovrebbero proteggerti, ti fa solo pensare a quanto schifo fa questo progetto di Dio per l'uomo.

Cass sopra di lui non vedeva più il grigio del soffitto cementato, ma gli occhi lucidi dell'amico. Si sentì stringere le spalle dalle mani solide che lo trattenevano lontano dal pavimento. Restò in ascolto della voce del ragazzo che tentava di chiamarlo. -Cass... Cass.. ehi, amico sono Dean...- Il soldato lo guardava con le iridi scure senza accennare a rispondere. Sbattè le palpebre. - Castiel!- Lo scosse. Strinse di più la presa sulle spalle rigide, e finalmente l'altro aprì bocca. -Ciao Dean.-

-Figlio di puttana.. - Il cacciatore sospirò, fingendo una tranquillità che non aveva, senza però nascondere il sollievo nel sentire l'altro parlare, con la voce calma e ferma di sempre. Tossì, accartocciandosi un po' su se stesso, aspettando di riprendere fiato per parlare a Dean. -Non ho più la mia grazia.- esordì. La gola gli briciava ancora, graffiata dall'aria che respirava. -Lo so, ho visto che sanguinavi.- spiegò.

-Mi hai spezzato un'ala, salendoci sopra.- L'uomo indicò la macchia che gli si era allargata sul fianco, e l'altro annuì appena. Un altro colpo di tosse. Il silenzio ricoprì i due, lasciandoli troppo vicini perchè non si guardassero negli occhi, rispecchiandosi uno nel dolore dell'altro.
Il fischio del vento li distrasse, portando all'ex angelo steso a terra l'odore dolce e familiare dell'altro. Le emozioni umane, pensò. L'avevano sempre affascinato, sempre incuriosito, ma mai aveva potuto comprenderle. Credeva fossero dettate solamente da impulsi nervosi, capì invece, insipirando quel profumo, che erano uno strano incontro tra i ricordi, le sensazioni e gli ormoni in circolo nel sangue. I nervi svolgevano solo una funzione di attivazione, di risveglio, e così successe dentro il corpo mortale dell'ex angelo. Si sporse un poco più avanti, indifferente al cacciatore che aveva girato lo sguardo verso la macchia vermiglia che macchiava l'asfalto, il sangue ormai quasi completamente rappreso, odiandosi perchè si lasciava dominare già da impulsi così umani e lontani dal rigore del paradiso. Ricordò un Dean giovane, morente sotto le lame di Alastair, e lo paragonò a quello attuale, distrutto dal senso di colpa di cui si era fatto carico, per non essere riuscito a salvare suo fratello, e non aver evitato la perdita all'angelo. Ma Castiel aveva bisogno di lui adesso, per potersi rialzare ed affrontare ciò che lo aspettava. Glielo diceva il suo corpo, perchè voleva di nuovo sentire il suo odore.

Si spinse allora verso il viso dell'altro, trattenendo un mugolio di dolore per le fitte che gli attraversavano i muscoli. Percepiva i movimenti di ogni piuma mentre lasciava la superficie fredda dell'asfalto oltre che il rumore sordo delle ossa che piano stavano cedendo sotto quello sforzo. La gravità voleva spingerlo verso terra, ma lui alzò la testa ancora, fino a coprire con le labbra secche quelle morbide del cacciatore. Chiuse gli occhi, resi lucidi dallo sforzo, concentrato su quel loro contatto caldo.







Bounjour (se si scrive così, non so il francese)... :) Ok.. amatemi perchè sono riuscita a pubblicare dopo la sesta volta che ho riscritto totalmente la storia. Inizialmente era un tripudio di dolore *risata malefica*, ma poi ho pensato ai lettori, ed ho voluto risparmiarvi un bel po' di sofferenza inutile. Credo sia riuscito come me lo aspettavo ( più o meno), e spero vi piaccia. Aspetto vostre recensioni... spero che leggiate in tanti anche questo capitolo. Un bacio<3

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Capitolo 3
*** Parte 2 ***


Capitolo secondo
 




Non pianse. Castiel nemmeno pensò al pianto. Per lui, le lacrime, erano solo un inutile spreco di acqua. Gli angeli non potevano farlo, solo gli umani ne erano capaci, e per quanto umano quell'uomo fosse diventato, si sentiva ancora un soldato di Dio, e rifiutava ogni emozione come tale, soprattutto quel genere di emozioni, soprattutto in presenza di Dean. Sentii però che il dolore lo stava già facendo impazzire, lo soffocava, lo stava facendo annegare, trascinandolo giù, sempre di più. Riusciva a vedere solo buio, a sentire solo silenzio, che lo percorreva lasciandolo vuoto, rimbombando nella cavità che la sua grazia gli aveva lasciato nel petto. Uno squarcio profondo che una volta avrebbe potuto curare con un solo tocco, e che adesso riusciva solo a farlo autoparagonare alla terra stessa che gli aveva sporcato i pantaloni del completo, microscopico ed inutile. Aveva perso tutto, sé stesso e i suoi fratelli, che si era trascinato dietro nella sua inevitabile caduta. Perchè non bastava l'essersi creduto Dio, e l'aver fatto strage di milioni di angeli in paradiso, ora era sua anche la colpa di averli esclusi dal loro stesso regno. Aveva aiutato un pazzo, forse meritava quello che gli stava accadendo.

Voleva però interrompere il silenzio che lo avvolgeva, perchè riusciva a fargli sentire ogni piuma che si incrinava staccandosi dalle sue ali scure, ne percepiva ogni movimento prima che cadesse invisibile sull'asfalto della strada, e si aggiungesse alle altre che già lo circondavano, in una macabra imitazione dei cerchi di olio santo che i cacciatori usavano per imprigionare gli angeli. Ed era così che si vedeva, imprigionato, chiuso nella sua condanna, quella di non vedere più i cieli dall'alto, come faceva prima.

Decise di reagire, di distrarsi, di scuotersi e riemergere dall'oblio. Doveva muoversi, doveva uscirne. Sciolse allora le mani dall'intrico dei capelli, appoggiandole prima alle ginocchia, avvicinandole poi al terreno. Aprì palmi, sentendo sotto la pelle spessa dei polpastrelli la superficie ruvida, e sotto lo sguardo triste del cacciatore, che aveva guardato Castiel disperarsi, ansimando e stingendosi la testa quasi per farla esplodere, cominciò a colpire la strada a pugni chiusi.

Sferrava colpi violenti, forti. Sussurrava piano qualcosa, una preghiera forse, o solo imprecazioni, mentre la pelle delle nocche si apriva colorandogli le mani di rosso. Dean sentiva il rumore sordo delle ossa contro la superficie ruvida, sempre più convinto che avrebbe sentito tra poco anche un urlo provenire dall'amico. All'inizio era spaventato dalla reazione che il soldato aveva avuto, si voleva avvicinare per risvegliarlo dalla sua pazzia, ma appena al primo pugno sferrato, alla vista del sangue, aveva capito.

Gli angeli non sanguinano. Castiel non era un angelo, non più.

 

L'aveva lasciato sfogarsi in quella battaglia persa contro la strada. L'ex angelo si fermò solo quando, esausto, l'unica cosa che riuscì a fare fu cadere, ancora cadere.

Sentiva debole la voce dell'amico, che lo chiamava e probabilmente gli era corso affianco. Era quasi sicuro di essersi accasciato completamente, proprio nel punto dove si era accanito sull'asfalto ruvido. Percepiva l'odore di terra e polvere. Sentiva il suo sangue umano riscaldargli la guancia.

Però Castiel guardava davanti a sé non vedendo nulla. L'unica visione che aveva era quella delle sue piume, della sua gabbia nera, del suo oblio personale. Forse doveva andarne fiero, provare un dolore così vicino agli angeli era ancora un privilegio per lui, una gentile concessione che gli era stata fatta.

Il dolore è follia, pensò, chiedendosi se stesse già delirando.

 

Dean aveva chiuso gli occhi serrando le palpebre così forte da piegarne le ciglia dorate. Aveva osservato attonito l'amico fino a che la sua rabbia non era cessata, fino a che non si era accasciato sulla strada, quando aveva perso i sensi. Allora li aveva chiusi, per soli pochi attimi, ed era rimasto ad ascoltare il silenzio grave che li avvolgeva in quella scena. Poi era subito scattato in avanti, gridando il nome del soldato, gridandolo forte, così tanto che la sua voce riempì il parcheggio vuoto e rimbalzò sulle pareti di cemento. Gli si era inginocchiato affianco, tirandolo fuori dal rosso che gli aveva colorato il volto, scuotendolo con forza, implorandolo a pieni polmoni di risvegliarsi, di tornare da lui, dalla sua famiglia, di reagire; ma Castiel era ancora perso nel buio che lo annebbiava, e Dean poteva solo sperare che lo sentisse.

L'uomo rimaneva incosciente nelle braccia dell'amico, mentre sentiva un numero sempre maggiore di ossa spezzarsi all'interno delle sue ali, massacrate dalle mani forti di chi lo stava stringendo, rotte dall'indelicatezza di quelle dita; e aveva urlato forte, urlato per un dolore che adesso era più umano. Ma nessuno poteva sentirlo, neanche Dean, per cui stava lottando debolmente, da cui Castiel voleva tornare.

Il cacciatore lasciò il corpo dell'amico, facendoselo scivolare sulle gambe, poi verso terra. Sembrava volesse liberarsi dalla sua presa.

 

Il soldato riuscì a salvarsi da se stesso, uscendo dalla gabbia in cui si era chiuso, riprendendo lentamente consapevolezza del proprio copro umano, sentendosi stranamente pesante nonostante le sue ali si stessero spogliando delle piume. Non ci fece caso, e tentò di riaprire gli occhi, distratto dalla sempre maggiore sensazione di gelo che lo pervadeva, trapassandogli le ossa ed i muscoli della schiena, inumidendogli la pelle. Sforzò le palpebre, sentendo sempre meno vicino, però, il calore di Dean.

Il cacciatore si allontanò dal sangue e dalla polvere di cui odorava Cass, portandosi a sedere qualche metro distante dal corpo. Era incosciente da troppo, e aveva paura che al primo scontro con la sua nuova realtà, Castiel fosse stato schiacciato dall'umanità, che si era portata via lui insieme alla sua grazia. Ma Dean non voleva perdere nessun altro, aveva dovuto sopportare già troppe morti. Il giovane si portò una mano sugli occhi, in un gesto ormai automatico, per togliere il pungente fastidio delle lacrime trattenute. In quel momento le iridi blu trafissero l'aria che pesava sopra l'ex angelo.








Ehi lettori! Eccomi qui... ho pubblicato in solo due giorni, un record, davvero, conoscendo i miei tempi. Spero che questo capitolo vi piaccia tanto quanto a me. Ho adorato scrivere questa parte... ed anche se inizialmente doveva essere un'unica storia, e poi una da soli due capitoli, beh , capite come mi sia sfuggita di mano la cosa haha :) Comunque.. aspetto vostre recensioni, vorrei sapere cosa ne pensate. Grazie a chi legge, state diventando davvero tanti <3 ok, al prossimo capitolo.. 

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Capitolo 4
*** Parte 4 ***


Castiel si rese conto di cosa stava succedendo solo dopo alcuni momenti. Le labbra dell'altro erano l'unica cosa che percepiva del proprio corpo, il dolore era stato assorbito dall'adrenalina e dagli ormoni che gli dominavano il sangue, accelerandogli il respiro. Aveva già baciato, un demone, ma questo era diverso. Dean non si muoveva come aveva fatto Meg, stava fermo, immobile a dire il vero. Il soldato faceva fatica anche solo a capire se stesse prendendo aria.

Il ragazzo era effetivamente immobile. Respirava, sì, ma assorbiva talmente poco ossigeno che a malapena i polmoni se ne riempivano. Si era irrigidito al contatto che era arrivato troppo velocemente, senza alcun preavviso, tanto che stava ancora elaborando la situazione assurda in cui era. Gli occhi sbarrati guardavano le palpebre chiuse dell'altro, troppo vicine, le ciglia scure gli solleticavano la pupilla, facendogli bruciare un poco l'occhio. Il nero stava divorando piano il verde di quello sguardo.

Cass percepiva pace. Pace in tutta quella scena, dove lui si era conquistato la serenità umana, sentendo il calore del corpo che era attaccato al suo. Erano passati pochi secondi da quando l'uomo si era avvicinato al cacciatore, secondi di silenzio e di tensione, perchè nessuno dei due sapeva cosa stesse esattamente accadendo, sentivano entrambi solo questo calore, nascere doloroso appena sotto la pelle, concentrandosi per uno su una spalla, dove indelebile stazionava ormai da anni l'impronta ampia di una mano angelica, e per l'altro sotto le scapole, all'attaccatura delle ali. Il soldato si spinse ancora, per affondare nelle labbra piccole che sapevano di alcool.

 

Dean si sentì schiacciare sotto il peso dell'odore che Cass aveva, quello di sangue e terra, che piano lo stava riportando alla realtà. La barba ispida sul viso dell'uomo gli sgraffiava le guance. Alzò le mani da sotto le spalle dell'amico, dove le aveva messe per sorreggerlo dopo avergli spezzato un ala, pochi minuti prima che adesso gli sembravano un'eternità. Ma il corpo dell'amico non cedette. Il soldato si sorreggeva stingendo con le dita magre alla pelle della giacca, rimanendo all'altezza giusta per proseguire e non interrompere il loro bacio.

Il cacciatore si perse nei suoi pensieri, solo un attimo, ma questo bastò per farlo sciogliere dalla rigidità che l'aveva avvolto. Si abbassò un po' sull'amico, piegandosi su di lui quel tanto per dagli la sicurezza di cui aveva bisogno. Il suo bacio prese vigore, e sulle labbra ferme del giovane, passò umida la lingua dell'amico.

 

Aveva chiuso gli occhi. Come quando baciava una qualsiasi ragazza. Li aveva serrati, congiunti, stretti tra la pelle pesante delle palpebre. Ma si risvegliò dal surrealismo di tutto questo. Prese un ampio respiro, gonfiando il petto più del necessario, riempendo i polmoni più di quanto bastasse, per essere sicuro di non ricadere nella mancanza di ossigeno di prima. Mosse la testa, impercettibilmente poi con movimenti più decisi, prima verso destra poi a sinistra. Si allontanò, piegando la schiena, irrigidendo le spalle. Percepì Castiel che si staccava appena. Dean spalancò gli occhi, quelli dell'altro stavano ancora dolcemente chiusi.

Il soldato interpretò quei segnali di agitazione, e decise piano di dare aria all'altro, concedergli un po' di spazio in quel contatto ermetico che li aveva chiusi uno addosso all'altro. Si sentì stringere i bordi del colletto del trench beige. Tenne gli occhi chiusi.

Il cacciatore mosse ancora le mani. L'ansia non gli dava la sicurezza di cui avrebbe avuto bisogno. Le dita avvolsero la stoffa dell'impermeabile di Castiel, lo allontanarono di più con un movimento secco del polso, ed uno spostamento avanti del busto. Prima che cadesse a terra, aprì gli occhi, e riuscì a vedere la mano chiusa a pugno avvicinarsi sempre di più alla sua mandibola.

 

 

Non si pose domande l'uomo, assecondò solo il volere dell'altro, che l'aveva allontanato e colpito, e semisdraiato sull'asfalto polveroso, si sforzò di riprendere a respirare.

Il rivolo caldo gli scendeva lungo il collo. La pelle si era aperta appena sotto le nocche dure di quelle mani forti. Pulsava dolorosamente, ancora immerso nell'odore di Dean. Castiel non si era aspettato una reazione del genere, anzi, non aveva pensato ad alcuna conseguenza dovuta a quel gesto, ma sinceramente non aveva paura di essere picchiato. Il cacciatore agiva d'istinto, soprattutto con lui. Ma faceva male, come lentamente riprese a bruciargli la carne attorno all'osso spezzato, quello che spuntava dalle piume nere e che gli spingeva sotto il fianco. Cercò di dominare il dolore, di guarirsi come avrebbe potuto fare un tempo, quindi speranzoso poggiò due dita sull'ala, ma nulla accadde. Si lasciò scivolare un po' addosso al muro fino a cui si era trascinato per poggiarvisi e si prese il volto tra le mani.

 

Castiel aveva incassato bene. Dean non aveva neanche percepito il contatto, che per quanto veloce fosse stato avrebbe dovuto dargli qualche fastidio. Aveva sentito le ossa quasi morbide, sotto le dita chiuse, e poi la pelle tirata spezzarsi, aprirsi in un taglio. Il giovane si era tolto il rosso dalle dita strofinandosele sulla stoffa della maglietta. Lo sguardo sempre fisso sull'amico appena colpito.

Adesso erano lì, uno fronte all'altro, in silenzio. Il soldato accasciato contro al muro cementato su cui a fatica si sorreggeva, col viso schiacciato tra le dita, ed il cacciatore in ginocchio, le braccia lasciate stese lungo i fianchi. Il giovane si mosse dalla sua posizione, alzandosi, ma rimanendo dov'era. Si pulì i jeans scuri dalla polvere, e tornò a guardare l'amico. Gli si avvicinò piano, non sapendo bene cosa dirgli, non sapendo se l'altro gli avrebbe risposto.

-Castiel..- il suo nome uscì quasi in un sussurro, quasi sospirato. -Cass, guardami.- Ma l'uomo non aveva alcuna intenzione di lasciare la copertura che le sue dita costituivano. Mascheravano la sua vergogna, il suo fallimento e soprattutto gli occhi lucidi. Dean continuò insistente. - Castiel.- Un altro passo verso di lui. Ormai distavano si e no un metro uno dall'altro. -Cass..- Alle orecchie del cacciatore il nome dell'amico infondeva traquillità da sempre, era un po' il suo mantra. Al soldato ormai sembrava solo una bestemmia, o peggio, non sembrava niente. Al suo nome i suoi fratelli annuivano, e sdegnati aggiungevano “ ah.. il ribelle ”, come se tutti lo ricordasssero solo per quello, non importava che stesse cercando di aiutarli, consideravano solo il suo fallimento.

Dean decise che era abbastanza, e avvicinò la mano a quella dell'amico, poggiata sul suo viso. Piano strinse le dita, e gliele allontanò scostandole dal volto. Castiel alzò la testa, e posò su di lui lo sguardo liquido blu.

-Dean, ho perso tutto.- Muoveva solo le labbra, il resto del suo volto era una maschera immobile priva di una qualsiasi emozioni, ma gli occhi, gli occhi tradivano l'oblio in cui stava sguazzado, e il ragazzo se ne accorgeva, perchè anche per lui era così. Si mostrava forte, ma dentro tutto era a pezzi. -No Castiel, possiamo provarci, devi rialzarti.- Neanche il cacciatore credeva alle sue stesse parole, ma il soldato riprese. - Non ho più niente, non sono più niente.-

 

La maschera si ruppe, rivelando la sofferenza del povero caduto, calcandogli le rughe del viso, accentuandogli le occhiaie e rabbugliandogli gli occhi.

Castiel si spinse le dita sulle palpebre appena chiuse, cercado un'oscurità più piacevole dove rifugiarsi, ma insistente l'amico continuò a parlagli. Recitava parole di conforto, pronunciava il suo nome, cercava la sua attenzione per poterlo aiutare, ma l'uomo sapeva che non avrebbe potuto fare niente.

Riaprì le palpebre di scatto, illuminato da una nuova intenzione, deciso a mettere fine a tutto. Alzò ancora la testa, per incontrare lo sguardo verde che si sentiva addosso. -Avrei voluto fare di più- disse sotto gli occhi increduli dell'altro, che lo sentiva parlare adesso forte e chiaro, non più spaventato, o insicuro. La sua voce, incrinata dalle fitte che lo percorrevano mentre tentava di alzarsi, di rimettersi in piedi, era roca, ma pareva quella di sempre al giovane. Assecondato dal silenzio calato su di loro, l'uomo, barcollando appena ed ora completamente eretto, continuò. -Mi dispiace, Dean.-

 

Gli occhi erano di nuovo lucidi, le gambe poco stabili sorreggevano il peso del corpo e delle ali, che inverosimilmente ancora sottostanti al volere del loro angelo, si spalancarono, mostrando l'osso bianco che spuntava tra le piume macchiate di rosso. Lo scricchiolio di queste riempì la scena, fece da sottofondo a ciò che accadde.

Dean avanzò di un passo, ed urlò il nome dell'amico. Castiel chiuse gli occhi, cercando di non sentire niente, di non provare assolutamente nulla.

Le ali si mossero, alzando la polvere, e spezzandosi per lo sforzo. Le piume corvine caddero numerose sull'asfalto, lasciando scoperti lembi di pelle bianca dove si erano staccate. Il soldato serrò i denti, bloccando l'urlo che gli stava nascendo in gola. Aprì gli occhi per incontrare quelli bagnati del cacciatore, che ancora urlava. Pregò suo padre, e distese le ali certo che quello sarebbe stato il suo ultimo volo.







Beh, credo che ci sia talmente tanta crudeltà attorno a me da poterla tagliare con un coltello ora come ora..... So che ho detto che non avrei potuto pubblicare presto, ma siate fieri di essere la motivazione per cui la mia tavola in chiaroscuro di compito non è stata neanche toccata. Spero di essere ancora viva domani per scrivere la fine di questa tragedia u.u ... Comuuunque, fatemi sapere che ve ne pare. L'ho scritta tutta d'un fiato, o quasi, quindi perdonatemi eventuali errori di scrittura, sintassi ecc.. al massimo se qualcosa non si capisce proprio chiedetemi chiarimeti con un messaggio o in una recensione. Cercherò come sempre di scrivere e pubblicare il prima possibile, scuola permettendo, d'altronde siete sempre nei miei pensieri voi lettori *sviolinata*...ok, dopo lo sclero delle nove di sera, vi saluto. Al prossimo capitolo! <3

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Capitolo 5
*** Parte 5 ***





Capitolo quinto



Un breve appunto prima di iniziare:
Vi prego di cercare di interpretare il testo, l'ho scritto cercando di rendere al meglio emozioni, pensieri e sensazioni. Spero che vi piaccia quanto è piaciuto a me da scrivere, qui dentro vi lascio un pezzo di me stessa, per farvi capire quanto cuore ci ho messo. 
Grazie, buona lettura.




Respirava a fatica. Le fitte gli trapassavano il costato costringendolo ad accartocciarsi su se stesso, per riempire di più i polmoni, o forse per cercare una posizione che gli causasse meno dolore. Sotto i polpastrelli spessi sentiva scorrere le venature tra le piastrelle gelide, sul pavimento della squallida camera in cui si trovava.

Il volo l'aveva sfiancato, distrutto, prosciugandogli tutto il fiato che aveva in corpo. Appena si era ritrovato circondato dalle pareti spoglie, era crollato a terra, sotto lo sforzo che aveva dovuto affrontare. Quel calvario durato più del necessario, una confusa sequenza di immagini dove si vedevano solo piume e si sentivano solamente gemiti e grida, ecco cos'era stato. La sua ultima possibilità per espiare i propri peccati, ne era certo.

Ma era certo anche che finalmente si sarebbe placato tutto, sofferenza, luce, rumore. Aspettavano solo il momento giusto per venirlo a prendere, attendeva Morte quasi con impazienza. Voleva che finisse, che tutto finisse. Era stanco di vedere le sue ali spogliarsi, sempre di più, delle loro piume, di sentire nelle orecchie rimbombare la voce di Dean, che lo chiamava.

Così si assopì. Le palpebre serrate sulle iridi blu cielo, le gambe strette vicino al petto, le spalle chiuse. Le dita aperte cominciavano a perdere l'appiccicoso del sangue, che seccandosi cambiava dal rosso al più cupo marrone.

Castiel dormì, riposandosi, per quanto fosse possibile. Sulle ali scarne si vedevano sempre più lembi di pelle bianca, ed in alcune zone, dove la carne tenera era stata rimpiazzata da un tessuto sottile e fragile, tagli frastagliati, strappi, decoravano il tutto con la loro cornice rossa. Ad ogni nuova apertura, un gemito sfuggiva dalle labbra dell'uomo.

Dopo qualche ora, il caldo cominciò a soffocare l'angelo, che da sotto le palpebre pesanti , percepì la luce che arrivava ancora dalla finestra.

 

Sistematosi davanti alla testata del letto, il soldato aspettò. Non si accorse neanche della gola in fiamme, che grattava ad ogni tentativo dell'uomo di deglutire, o anche solo respirare.

Passavano le ore, tra la semi-incoscienza e la perdita di sensi effettiva. Era ormai tutto troppo confuso, Castiel non si riconosceva neanche più, abbandonato su quel pavimento, si confondeva col mobilio che lo circondava. Respiri leggeri gli muovevano il petto, assieme al battito cardiaco che troppo più vicino di quanto avesse mai sentito, risuonava dentro di lui, facendogli scorrere nelle vene sangue umano, rosso, caldo e amaro. Aveva la testa leggera e pesante al tempo stesso. Era vuoto, cavo, ogni rumore gli rimbombava dentro, con un eco morto talmente flebile da non farglielo neanche percepire quasi. Stanco, distrutto. Stava rifiutando la vita che gli era stata offerta, aspettava di spegnersi come aveva fatto la sua grazia, per rincorrerla, e magari, una volta tornato lì, in alto, gli avrebbero ridato un paio di ali.

Cadde di nuovo tra le spire di buio, perse i sensi.

 

 

 

 

Gli occhi si riaprirono sulla vista grigia di quelle pareti sporche e consumate, il soldato rimase a guardare il vuoto che stava davanti a lui. I granelli di polvere vorticavano leggeri nello sprazzo di luce che giungeva dalla finestra. Doveva essere tardo pomeriggio, la stanza si tingeva del rosa-arancio del tramonto, e paradossalmente, nonostante tutto quello che lo straziava e lo consumava, Castiel colse la bellezza di quella scena. Sentendo le ali pressate tra la sua schiena e la testata di legno del letto, frusciare al suo movimento, l'uomo lasciò la posizione che aveva da ore per alzarsi in piedi. Mugugliò di dolore, quando quel peso morto ricadde sul pavimento, disseminando piume e facendo scorrere sangue dalle ferite che si stavano seccando. Mosse un passo, e le ossa si incrinarono. Ne mosse un altro, e l'arco destro si rupe all'altezza della penultima falange, lasciando ciondolare la punta scarna piumata per farla sbattere contro le piastrelle fredde. Castiel strinse i denti, irrigidì le spalle, e camminò per qualche altro passo, fino a che non si ritrovò davanti alla finestra, privando il resto della stanza della luce colorata che ne giungeva.

Aveva ritrovato un po' del suo vigore di soldato, quel tanto che bastava per muoversi e sopportare i dolori.

Non sapeva cosa fare, proiettati nella sua mente arrivavano solo ricordi, immagini nitide della sua vita, celeste e terrestre. Non provava emozioni, sentiva solo impulsi risalire dalla sua nuova anima umana, impulsi che gli davano comandi, a volte consigli. Uno di questi gli sussurrò piano, portandolo ad avvicinare i pugni chiusi al vetro.

 

Una cascata di schegge gli tagliò la pelle, e riaprì le ferite disegnate sulle sue nocche, aggiungendovene di nuove, colorando di rosso le dita ed i palmi. Il suono della rottura l'aveva risvegliato, facendo scoppiare la rabbia che pensava essersi dissolta, portandolo a sferrare colpi ancora, e ancora e ancora, alcuni andavano a segno, incontrando la superficie fredda che si infrangeva, altri erano tirati a vuoto, e tagliavano l'aria, dando un po' di sollievo alle ferite dell'ex angelo. Quando quest'impeto si placò, Castiel si ritrovò, come al parcheggio in compagnia di Dean, a guardare il rosso acceso che gli colorava le mani e gli aveva schizzato la camicia.

Alzò piano la testa, nel silenzio che c'era stato dopo i colpi. Sulla cornice di legno, tre lame sottili si alzavano, trasparenti, ai lati le due più alte, ed al centro, spostata verso sinistra, la più bassa era anche la più appuntita. Tutte e tre contornate di rosso sangue.

 

 

 

 

 

Epilogo

 

 

 

Non pensava ad una conclusione così. Quando ancora era un angelo aveva giudicato tutti gli uomini che avevano compiuto un gesto del genere, criticandoli, stupendosi di come facilmente riuscivano a buttare via il dono che Dio aveva fatto loro. Non credeva che sarebbe mai entrato a far parte di quel tipo di uomini, non credeva che sarebbe mai stato un uomo. Ma adesso non era più un angelo, e di certo non era neanche un uomo, era solamente il nulla, il più assoluto e desolato niente che avesse mai visto. Un involucro vuoto, pieno di inutili meccanismi umani per la vita, quelli che suo padre aveva tanto amato e poi abbandonato, che i suoi fratelli avevano disprezzato, perlomeno la maggior parte di loro. Stava per compiere un peccato che riteneva necessario, indispensabile.

Pregò suo padre, poi, con l'ultimo momento di lucidità, pensò al cacciatore per cui era vissuto negli ultimi anni, che aveva curato, protetto. Ripensò poi al loro bacio.

Ricordò il profumo pungente dell'alcool, il suo calore, ed il nero divorò il blu dei suoi occhi. Si velarono di un sottile e luminoso strato di lacrime, che non scesero però dalle ciglia scure, rimasero ad annebbiargli la vista, nascondendo le iridi più scure e profonde di quanto non fossero mai state.

Gonfiò il petto, ignorando le fitte dolorose che lo trapassavano da parte a parte, come lunghi spilli, ghiacciati e roventi contemporaneamente. Con lo sguardo fisso fuori dal vetro rotto, sul cielo ora meno luminoso, ma ancora striato del rosa che troppe volte aveva colorato il paradiso, si lasciò cadere per l'ultima volta.

Lentamente, il mondo prese i contorni anche del verde, lo stesso dello sguardo che aveva amato, e del rosso, quello che gli si aprì sul petto, quando le lame di vetro rotto lo trafissero, impalandolo sul telaio della piccola finestra, perso in quello squarcio di cielo.

Quelle lacrime che erano state trattenute caddero anch'esse, bagnando il viso ed il legno scuro, mischiandosi al rosso, scivolando sotto le palpebre che sbattevano per l'ultima volta prima di fermarsi aperte sullo sguardo vitreo.

Le punte avevano trapassato il corpo di Castiel, le due ai lati passando per le spalle, tra due costole, tagliando e rompendo tutto ciò che incontravano, dividendo di netto l'osso che, sotto le scapole, congiungeva le ali alla schiena del soldato, lasciandole così penzolare pesanti, quasi del tutto divise dal loro corpo. Solo dei fili sanguinolenti di pelle impedivano che cadessero intere sul pavimento.

La terza lama, quella più bassa, si fermò nel torace, perforando il muscolo cardiaco, disfacendo un ventricolo ed un atrio del cuore umano che aveva smesso di battere dentro l'ex angelo.

Era ormai un cadavere, tenuto al caldo solo dal sangue che a fiotti sgorgava dagli squarci del petto e della schiena, formando una pozza scura ai piedi della finestra, e colorando il muro bianco oltre il davanzale.

 

Castiel era vissuto abbastanza per sentire la vita scivolargli via, come un velo che lo scopriva, lasciandolo al freddo, aprendogli gli occhi davanti alla schiacciante verità che ormai tutto era finito. I rumori si spensero, così come la luce. Un attimo prima che tutto diventasse buio, assieme al sangue grumoso e caldo, dalla bocca semiaperta sentì colare un ultimo rivolo chiaro e luminoso, una scintilla blu candido, la lacrima di grazia che ancora non l'aveva lasciato.

 

 

Finalmente Morte giunse.

 

 





Grazie a chiunque abbia speso tempo per leggere questo mio racconto. Scriverlo è stato bellissimo, credo sia stato il mio lavoro meglio riuscito. Spero che vogliate lasciare commenti, pensieri, o qalsiasi altra cosa per farmi sapere come vi è sembrato, ve ne sarei davvero immensamente grata.
Ho sofferto scrivendolo, ho convissuto con le emozioni che volevo farvi provare, ho sentito ogni parola battuta sulla tastiera, e mi sono inamorata dei miei personaggi (dico miei ma sappiamo tutti benissimo che purtroppo non sono di nessuno).... Questa conclusione l'avevo pensata ancora prima di scrivere 'inizio, sapevo come il tutto si sarebbe concluso, perchè per come ho voluto interpretare Castiel, questo era quello che sarebbe dovuto succedere. Mi scuso per il mio lato macabro e soprattutto per l'amaro in bocca che la storia lascia. 
Grazie ancora a tutti.
con amore, una scrittrice che ama troppo i suoi protagonisti. 

 

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