Tiffany Rose in Zombieland.

di OfeliaMontgomery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lettera da Tiffany. ***
Capitolo 2: *** Giorno di Halloween (Parte Prima) ***
Capitolo 3: *** Giorno di Halloween (Parte Seconda) ***
Capitolo 4: *** Giorno di Halloween (Parte Terza) ***
Capitolo 5: *** Pronti, partenza e...zombie. ***
Capitolo 6: *** Ochsner Hospital oppure solo bugie? ***
Capitolo 7: *** Poche ore nella catapecchia e già problemi. ***
Capitolo 8: *** E adesso che si fa? ***
Capitolo 9: *** Finalmente un posto tranquillo. ***
Capitolo 10: *** Un incubo terribile. ***
Capitolo 11: *** Nuovo Arrivi. ***
Capitolo 12: *** Mettiamo in chiaro le cose. ***
Capitolo 13: *** Al supermercato. ***
Capitolo 14: *** Litigio. ***
Capitolo 15: *** Nuova Arrivata. ***
Capitolo 16: *** Hannah Lovelace. ***
Capitolo 17: *** Problemi. ***
Capitolo 18: *** Zombie shopping e due ragazze. ***
Capitolo 19: *** Addio Sarah. ***
Capitolo 20: *** Tristezza. ***
Capitolo 21: *** Un giornata per i piccioncini rovinata sul finale. ***
Capitolo 22: *** Pioggia, Zombie e... ***
Capitolo 23: *** Problemi con due pazzi. ***
Capitolo 24: *** Buon Natale (The End) ***



Capitolo 1
*** Lettera da Tiffany. ***


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'Se qualcuno mi avesse detto che la mia vita sarebbe cambiata in un sol momento, sarei scoppiata a ridere. Passare dalla felicità e dall’innocenza, alla tragedia, alla paura ed infine alla desolazione in una velocità quasi assurda. Sì, sarei decisamente scoppiata a ridere, ma purtroppo è successo davvero.
Il mio nome è Tiffany Rose e il giorno di Halloween ho perso tutti. Ho perso una madre dolce e apprensiva, una piccola sorellina giocherellona che amavo tanto e un padre protettivo che sarebbe andato contro tutti e tutto pur di proteggermi. I miei amici, Lola dolce e ingenua e Ryan forte e sempre con la battuta pronta. Se stavi male cercava in ogni modo di tirarti su di morale. E ora non ci sono più, sono tutti morti. Sono rimasta sola con l’altra mia sorella minore, l’unica che sono riuscita a salvare in quel maledetto giorno.
Quel giorno che tutti avevamo atteso con ansia si è trasformato in una carneficina vera e propria. I mostri camminavano in mezzo a noi. Quella notte i morti viventi, quegli zombie hanno attaccato ogni forma di vita distruggendola. Si sono nutriti di persone innocenti. Hanno infettato con il loro morso molte persone, trasformandole in zombie. E hanno ucciso, mangiato, squartato tutti, compresa la mia famiglia e i miei amici.
Nessuno sa il motivo di questa invasione, nessuno sa da dove sia potuto iniziare il virus. Per adesso l’unica mia preoccupazione è portare al sicuro mia sorella Alice. Il più lontano possibile dalla città.
Ho sentito per radio che c’è un centro per i non infetti in Louisiana a New Orleans. Abbiamo deciso di partire quello stesso giorno perché ormai non c’era rimasto più niente in quel posto e poi se fossimo rimaste lì a quest’ora eravamo morte e stecchite. Così abbiamo preso la macchina dei miei defunti genitori, qualche vestito e anche del cibo e siamo partite.
Da Allentown, Pennsylvania sono quasi venti ore di macchina per arrivare in Louisiana, ma come minimo troveremo intoppi, così ho deciso di prendere delle armi da un negozio prima di partire del tutto, almeno così possiamo difenderci.
Per mia fortuna il negozio era vuoto, nessuno zombie in circolazione, anche perché era giorno. Questi zombie tendevano ad farsi vedere di più di notte, ma se attirati da qualche rumore uscivano allo scoperto anche se era giorno.
Alice è rimasta in macchina e si è chiusa dentro. Invece io ho preso un bel po’ d’armi, anche se non ne avevo mai usata nemmeno una, ma ormai dovrò abituarmi ad usarla per difendere me e Alice dagli zombie.
Gli zombie non conoscono la paura, non sentono dolore, ma hanno fame. Tanta fame. C’è un solo modo per fermarli, ucciderli. Per uccidere uno zombie lo si deve colpire in testa, è l’unico modo. Sparare al corpo non serve a niente, non sentono nulla. Si rialzano, pronti ad attaccarti ancora. Pronti ad ucciderti pur di mangiare.
Siamo partite da Allentown da quasi due ore, nemmeno quattro ore fa c’è stata la tragedia. Tutte quelle persone uccise da dei morti viventi. Da dei mostri già morti oppure appena infettati.
Quando siamo arrivate a destinazione eravamo stanche ed affamate. Non in quel senso eh. Non abbiamo trovato nessun centro. Erano tutte cazzate. Bugie per non far perdere la speranza ai sopravvissuti. Io e Alice ci siamo nascoste in una casa disabitata, abbiamo sbarrato tutte le porte e le finestre e ci siamo nascoste in soffitta. Tengo stretta tra le mie braccia Alice mentre piange sulla mia spalla, impaurita e disorientata.
Se potessi tornare indietro, mi scuserei con mia madre per come le avevo parlato. Direi di no ad Alice per uscire. Giocherei quei pochi minuti con la mia sorellina pur di renderla felice. Parlerei con mio padre del college. E non piangerei. A parte questo, abbraccerei la mia famiglia e i miei migliori amici per l’ultima volta e direi loro che li amo.
Oh, come vorrei tornare indietro…come lo vorrei.'

 

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Capitolo 2
*** Giorno di Halloween (Parte Prima) ***


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31, ottobre, 2013 – ore 18.37
– Per favore Tiffany, per favore –
Me ne stavo sdraiata su letto in camera mia, quando mia sorella Alice entrò buttandosi su di e scongiurandomi di uscire con lei quella sera. Quella sera ci sarebbe stata una festa piena di alcolici a casa di Ryan Meyer, il mio migliore amico. Quindi Alice non poteva venire con me. Oltretutto lei voleva uscire con me e andare in giro per le case a fare dolce o scherzetto.
Alice, dodici anni, una rompiscatole vivente. Indossava un bellissimo costume per Halloween. Si era travestita da Alice nel paese delle meraviglie e i suoi capelli si muovevano nell’aria. Era una versione in miniatura di nostra madre. Io ero l’esatto contrario di mia madre e delle mie due sorelle.
Entrambe avevano una folta chioma di capelli biondi lisci e splendidi occhi azzurri così brillanti da sembrare diamanti. Mia madre era minuta, arrivava a malapena a un metro e sessanta e per Alice era lo stesso. Invece io avevo una fluente chioma di capelli nero corvino lunghi fin sotto sopra alle spalle, occhi neri come la pece e gambe lunghissime. Ero alta un metro e settantacinque, tutto merito di mio padre. Lui era alto un metro e novanta e aveva i capelli e gli occhi scuri, ma mai quanto i miei.
– No, te l’ho già detto, vado ad una festa –
Alice mi salì addosso, facendomi mancare il respiro, non era di sicuro robusta o cosa, ma i suoi quaranta chili li pesava.
– Spostati che mi uccidi così – esclamai facendola rotolare giù dal mio fianco. Alice sbuffò alzandosi dal letto, si mise in piedi davanti a me ed incrociò le braccia al petto guardandomi con il suo sguardo da cucciolo.
Quando voleva qualcosa faceva sempre così. Metteva il broncio, incrociava le braccia al petto, faceva il suo sguardo da cucciolo e bam…lei riceveva tutto quello che voleva. I nostri genitori cadevano sempre nella sua trappola, ma non io. Io sapevo com’era e sapevo anche quando doveva darci un taglio, perché poi diventava fastidiosa.
– No. No. Basta, ora va’ fuori. Sono davvero stanca dei tuoi giochetti, se vuoi andare a fare dolcetto o scherzetto va’ con nostra madre – esclamai esasperata indicando la porta con il braccio destro stando sdraiata.
Alzai di poco la testa dal cuscino per guardare la porta aperta della mia camera e indovinate un po’ chi c’era appoggiata sulla soglia? Mia madre che aveva assistito all’ultima mia sfuriata.
Aveva il viso corrucciato mentre mi guardava dritta negli occhi. Deglutì e mi beccai un'occhiata furiosa da parte di mia madre.
– Dove devi andare di così importante da non poter portare tua sorella a fare un giro? – chiese mia madre alzando un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto, proprio come aveva fatto poco prima mia sorella. Anche in fin troppe cose si assomigliavano.
– Ho da fare, tutto qua – bonfichiai guardandomi le unghie pur di distogliere lo sguardo da mia madre.
– Beh qualsiasi piano avevi programmato scordatelo. Tu stasera porterai tua sorella a fare dolce o scherzetto. E’ deciso, quindi evita di fare storie – concluse mia madre indietreggiando per poi andarsene via.
Urlai furiosa, – E’ tutta colpa tua! Mi sarei potuta divertire invece mi tocca farti da balia – esclamai puntando un dito contro a mia sorella. Alice mi guardò maliziosa poi mi fece la linguaccia ed uscì dalla mia camera saltellando felice.
Quella ragazzina era spietata e furba, tanto quanto stronza. Ma le volevo comunque bene, anche se mi rovinava quasi sempre i piani. Avevo diciotto anni e non mi ero mai divertita per davvero, non uscivo quasi mai perché dovevo fare sempre da baby-sitter alle mie due sorelle. Lottie la più piccola aveva due anni e mezzo. Era una forza della natura, una giocherellona. Sempre carica, sempre pronta ad esplorare qualche nuova parte - almeno per lei - della casa. Sembrava avere le pile di ricarica, non si stancava mai, sempre a saltellare per la casa. Lottie aveva dei bellissimi capelli ondulati biondo cenere, le guance rosee e morbide e due bei occhioni azzurri che andavano ad incorniciare il suo bel visino da bambola di porcellana.
Mi alzai dal letto sbuffando, presi il mio cellulare e mi chiusi in bagno, pronta a chiamare i miei amici per avvertili della novità. Niente festa per Tiffany!
Honey stai scherzando vero?’ mi chiese dall’altra parte Lola di sicuro intenta a prepararsi per la festa a casa di Ryan.
‘No honey. Mi madre ha deciso così’ risposi sbuffando, guardandomi allo specchio. No, non avevo proprio voglia di andare in giro con mia sorella. Volevo andare a quella dannata festa.
‘Cazzo! Mi dispiace. Non so cosa dire. Non può portarla in giro tua madre’
‘Se certo. Beh qualsiasi piano avevi programmato scordatelo. Tu stasera porterai tua sorella a fare dolce o scherzetto. E’ deciso, quindi evita di fare storie.  Ecco le esatte parole di mia madre’ sbuffai tornandomene in camera, dove trovai mia sorella Alice adagiare sul mio letto un costume identico al suo.
‘Scusami un attimo’.
– Cosa significa questo? Devo anche travestirmi? Non mi basta rompermi le palle con te, devo anche travestirmi. Di male in peggio – esclamai portandomi una mano sulla fronte e scuotendo la testa.
– Sì – disse semplicemente quella stronza prima di girare i tacchi e uscire di nuovo dalla mia stanza.
Ripresi il cellulare e continuai a parlare con Lola. ‘Quella stronza! Vuole anche mi travesta. E come minimo parlane con mia madre non servirà a niente. Mio padre ancora peggio. Sono tutti dalla sua parte’ quasi urlai dal nervoso che avevo. Povera Lola che dovette subirsi le mie urla e i miei scleri.
‘Cazzo, mi dispiace. Facciamo così: appena riporti a casa tua sorella, vengo a prenderti e ci andiamo a divertire insieme, vuoi?’
‘Certo che vorrei. Ma cosa ti fa pensare che mia madre me lo lasci fare?’
‘Basta sgattaiolare fuori dalla finestra. Cosa che hai già fatto milioni di volte. Ti ricordi quando siamo scappate per andare al concerto di Avril Lavigne?’
Oh...si che ricordavo. Il 13 dicembre 2011 ad Orlando. A quel tempo io e Lola avevamo sedici anni e da poco avevamo preso la patente. Avevamo organizzato tutto. Lei mi sarebbe passata a prendere con la macchina del fratello, all’insaputa di tutti. Dissi ai miei genitori che sarei andata a dormire, invece mi preparai per il concerto. Aspettai che Lola mi inviasse un messaggio e quando lo fece, buttai giù dalla finestra della camera la mia borsa, facendola cadere su una siepe. Poi mi buttai giù anche io, facendo il minor rumore possibile. Presi la mia borsa e corsi dentro alla macchina di Lola e partimmo per il nostro viaggio. Viaggiammo per quasi sedici ore di fila, ci fermammo solamente per fare benzina e per darci il cambio. Fu il concerto più bello della nostra vita.
‘Tiffany? Tiffany Rose?’
Tornai al presente e risposi a Lola che continuava a chiamarmi ‘Scusami, mi era persa nei miei ricordi’
‘Come sempre, d’altronde’ commentò ridendo dall’altra parte del telefono.
‘Attenta che se continui a ridere così va a finire che ti strozzi’ commentai tirando su dall’appendino il mio vestito da Alice nel paese delle meraviglie. Oh che palle!
‘Ah…che schifo. Mi toccherà vestirmi uguale a mia sorella, non posso nemmeno scegliere il costume da indossare’
‘Honey, devo andare. Mi sta chiamando Ryan dal telefono di casa’ disse dolcemente Lola dall’altra parte del cellulare, di sicuro con il sorriso sulle labbra. Mi facevano venire il voltastomaco da quanto erano zuccherosi quei due.
‘Okay. Divertitevi stasera. E non fate sesso’ dissi infine ridendo.
‘Scema! Ora vado, ciao’ mi salutò chiudendo la chiamata.
Sospirai buttando il cellulare sul letto, poi guardai il costume. Mi dovevo preparare per andare in giro con mia sorella. Benissimo. Chissà quanto mi divertirò.

 

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Capitolo 3
*** Giorno di Halloween (Parte Seconda) ***


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Erano circa le 20.00 quando io e mia sorella Alice uscimmo di casa per andare a fare dolcetto o scherzetto. Non avevo per niente voglia di subirmi ‘sta stronzata.
Ogni anno, ogni fottuto anno, mi dovevo subire mia sorella e i suoi amichetti stupidi che facevano casino in giro per la cittadina. Urlavano come dei pazzi e correvano dappertutto, portandosi dietro anche mia sorella Alice. Ovviamente lei li seguiva a ruota. Non si fermava neanche un secondo a pensare, agiva e basta. Ero stanca. I miei genitori non capivano niente. Loro pensavano che io fossi un’irresponsabile e allora mi affibbiavano le mie sorelle pur di non farmi uscire. La verità era che io di mattina andavo in giro per i college in cerca di quello giusto per me. Non andavo a ‘divertirmi’ come dicevano loro. Andavo a cercare il mio futuro. E poi volevo anche allontanarmi il più possibile dai miei genitori. Non ne potevo più delle loro regole e dei loro sguardi come per dire ‘quando cresi?’. Beh mi dispiace dirvelo, ma io ero cresciuta ed ero stufa di voi.
– Fate le brave e state attente – urlò mia madre salutandoci con la mano e un sorriso stampato sulla faccia.
– Sì, ciao – salutai con la mano senza neanche girarmi e continuai a camminare sul vialetto di casa. Alice invece si era fermata e ovviamente salutava nostra madre tutta felice. Felice di aver avuto ancora quello che voleva. In poche parole distruggere la mia vita sociale.
La prima casa in cui andammo a fare dolcetto o scherzetto era la signora Herring, la nostra vicina di casa. Una donna dai capelli corti e bianchi sui sessanta anni. Aveva la pelle chiarissima, infatti in paese la chiamavano ‘vampira’ anche perché usciva quasi sempre e solo alla sera. Raramente usciva di giorno. Le nipoti dicevano che preferiva stare a casa a lavorare a maglia invece che andare in giro e che le piaceva uscire alla sera perché l’aria era più fresca. Prima non era così, da quando l’era morto il marito aveva incominciato a fare così.
– Tiffany mi stai ascoltando? – chiese Alice strattonandomi da un braccio riportandomi al presente.
– No. Che vuoi? – chiesi a mia volta appoggiandomi alla staccionata bianca della nostra vicina.
La nostra casa era divisa da quella della signora Herring da una siepe altissima. E guardandola mi ricordai che una volta, all’età di quindi anni, uscii di nascosto e per non farmi vedere dai miei genitori mentre rientravo a casa passai dalla siepe. Dire che feci uno scivolone assurdo e mi ruppi la caviglia, fu poco. Forse quello fu il meno. Il problema più grande furono i miei genitori incazzati come delle iene con me. Mi misero in castigo per quasi sei mesi. Dico SEI MESI. Odiai ogni giorno di quell’anno. Odiai me stessa per essere stata così stupida. Ma da quel giorno non passai più dalla siepe ma dalla mia finestra. Semplice e veloce.
– TIFFANY! – strillò Alice con voce acuta. Voleva per caso farmi diventare sorda? Stupida ragazzina.
– Non mi stai ascoltando! Smettila di vivere nel tuo mondo di ricordi e ascoltami – mi ordinò Alice stritolandomi un braccio.
Me la scollai di dosso. Voleva spaccarmi un braccio? – Che cazzo fai? Mi vuoi rompere un braccio? Idiota – esclamai massaggiando il braccio colpito.
– Tu non mi ascolti. Dovevo trovare un modo per riportarti da me – ribatté Alice alzando le spalle poi guardò la casa della signora Herring. Dei bambini con dei costumi da batman, spiderman e da hulk si diressero verso la casa della signora Herring pronti per la loro razione di caramelle.
– Vai a prendere le caramelle prima che finiscano. Almeno c’e ne andiamo da qui – dissi sbuffando. Alice mi fece il broncio e iniziò a battere un piede sul cemento del marciapiede con fare insistente.
Odiavo e dico ODIAVO quando faceva così. Non la sopportavo più ed era appena iniziata la serata. Bene.
– Cosa vuoi? – sbraitai in faccia a mia sorella che alzò le braccia all’aria e poi indicò la casa – Vieni anche tu? Per favore – mi domandò facendomi gli occhi dolci. Ah che palle.
– Okay. Andiamo – risposi incamminandomi verso la casa della signora Herring. Appena ci vide sfoggiò uno dei suoi sorrisi più affettuosi.
Io con Margaret, la signora Herring, andavo molto d’accordo anche perché quando ero piccola, i miei genitori mi lasciavano da lei. Passavo tutto il pomeriggio a giocare in casa sua. Ricordai che quando cucinava i biscotti, voleva sempre che io ne facessi alcuni da portare poi a casa.
In qualche raccoglitore che avevo ancora in camera mia, c’erano ancora i disegni che facevo quando stavo da lei. Disegnavo sempre delle principesse con le gambe e i capelli lunghissimi. Ancora oggi non ne capivo il motivo.
Ritornai al presente scuotendo la testa. – Salve signora Herring – salutai gentilmente, mentre Alice prendeva delle caramelle dalla cesta che Margaret teneva in mano. Presi Alice per una spalla e la tirai indietro – Perché non saluti? Maleducata che non sei altro – disse seria portando entrambe le mani su fianchi. Se mi dovessi guardare allo specchio, direi che in quel momento assomigliavo molto a mia madre.
Alice abbassò lo sguardo facendo il broncio poi alzò il viso e fece un sorriso finto come le extension che portava Isabelle Pike - mia compagna di scuola - a Margaret – Ciao – disse frettolosamente prima di correre via con la coda fra le gambe.
Sospirai guardando Margaret, – Mi dispiace. Sta diventando sempre più maleducata – mi scusai poi salutandola, andai a cercare mia sorella. La trovai che scartava una caramella seduta sul bordo di un ponte di cemento che portava al cimitero.
Io e Alice ci eravamo andate solamente una volta. Quando era morta nostra nonna poi da quel giorno non c’eravamo più andate. Anche perché odiavamo davvero i cimiteri.
Mi avvicinai a lei con passo veloce e le sganciai uno schiaffo sulla guancia sinistra – Non comportarti mai più così. Ci siamo capite? Quella donna si è presa cura di noi quando i nostri genitori non c’erano. Merita un po’ di rispetto – parlai con tono imperioso e con molta chiarezza.
Ero stanca del suo comportamento. Sembrava che i nostri genitori non se ne accorgessero oppure facevano finta di niente e continuavano con la loro vita.
Alice incominciò a piangere facendo cadere il suo sacchetto di dolci ancora vuoto. C’erano solamente le poche caramelle che aveva preso da Margaret.
Odiavo vederla piangere. Ma quella volta se l’era davvero cercata. Non poteva comportarsi così con tutti. Era una maleducata.
Sospirando mi avvicinai a lei e l’abbracciai, stringendola forte fra le mie braccia. Non lo meritava, ma non potevo vederla così.
Le accarezzai i capelli per tranquillizzarla, quando si fu calmata, le alzai il viso e guardandoci negli occhi le parlai chiaramente. – Non puoi comportarti così. Capito? – dissi accarezzandole il viso. Alice annuì tirando su con il naso poi appoggiò la sua testa sulla mia spalla. Le accarezzai la schiena poi dandole una pacca sulla spalla, mi alzai portandomi dietro anche lei.
– Forza ora andiamo a fare questo benedetto dolcetto o scherzetto, ma fa’ la brava – dissi prendendo per mano Alice, per poi dirigermi insieme a lei verso un’altra casa.

 

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Capitolo 4
*** Giorno di Halloween (Parte Terza) ***


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Avevamo fatto dolcetto o scherzetto in quasi tutte le case del nostro quartiere. Ne mancava solamente una, ma un urlo agghiacciante squarciò l’aria festosa di quel giorno. Una donna con le mani e i vestiti insanguinati correva dalla nostra parte. Moltissima gente iniziò a correre via spaventata. Io restai a guardare nascondendo Alice dietro di me. Dietro alla donna apparvero due uomini dalla camminata lenta e goffa. Li guardai meglio e notai che erano ricoperti di sangue. Più si avvicinavo e più si notava la putrefazione della loro carne. Erano schifosi e dannatamente spaventosi. Pezzi del loro corpo cadevano a terra facendo un rumore sordo. Erano zombie, dei dannati non morti. Era uno scherzo vero? Cioè era tutta scena della città vero? No perché facevano davvero paura.
Uno zombie si avvicinò ad una donna che stava uscendo di casa e le morse un braccio fino a staccarglielo. La donna urlava dal dolore mentre anche gli altri due zombie si avvicinarono per poi mangiarsela anche loro. C’era sangue ovunque. Sembrava di essere in un film dell’orrore. Peccato che era la realtà.
Presi Alice da un braccio e la trascinai via da lì. Mi guardai in giro in cerca di qualcosa. Trovai una macchina con lo sportello aperto. Non c’era traccia del guidatore o di un possibile passeggero. In quel momento non mi importava di chi fosse la macchina, il mio unico pensiero ero di proteggere Alice.
– Alice vieni. Muoviti – dissi spaventata correndo verso la macchina. La prima cosa che feci, fu guardare dentro alla macchina in caso uno di quei mostri si trovava lì.
– Tiffany stanno arrivando – strillò Alice entrando in macchina.
Mi guardai in dietro e notai gli zombie moltiplicarsi ed avvicinarsi sempre di più alle persone. Ero terrorizzata. Non mi ero mai sentita così. Il cuore sembrava pronto ad uscirmi dal petto. Il mio respiro si era accelerato. Stavo andando nel panico.
Cercai di tornare in me e dando una manata alla portiera della macchina, entrai facendola partire. Sgommai così forte che come mimino avevo lasciato un bel segno sulla carreggiata. Non che me ne importava in quel momento.
Mi feci spazio fra le persone suonando il clacson. Non volevo uccidere nessuno, ma dovevo arrivare il prima possibile a casa.
– Alice ti prego chiama la mamma – dissi sconvolta e preoccupata guardando attentamente la strada in caso spuntassero quei così fuori dai boschi.
Alice agitata e spaventata prese il cellulare dalla tasca del mio vestito e digitò il numero dei nostri genitori. Li chiamò. Nessuna risposta, cinque, sei, sette, otto….dodici squilli e niente. Il telefono di casa squillava a vuoto. Dove diamine era? Era successo qualcosa a casa? Mamma, papà e Lottie? E I miei migliori amici? Dov’erano tutti?
Alice iniziò a piangere, piangeva come una fontana, aveva già gli occhi rossi e respirava a fatica. Il labbro inferiore iniziò a tremarle. Tremava tutta. Era terrorizzata e non sapevo cosa fare.
– Ali, ti prego calmati. Mi fai stare male se fai così – disse staccando dal volante una mano per accarezzarle una guancia bagnata dalle lacrime.
Lei tremò ancora e si rannicchiò su se stessa, appoggiandosi contro lo schienale del sedile.
– Dove sono la mamma, il papà e Lottie? Sono stati mangiati come quella donna? Chi erano quei mostri? Erano zombie? – Alice mi tempestò di domande tirando su con il naso ogni tanto.
Lo faceva sempre quando era agitata. Ti tempestava di domande. Invece quando doveva venir interrogata a scuola, faceva scena muta oppure balbettava frasi senza senso per poi tornare al banco con una bella F.
– Non lo so. Alice non lo so. Non so più niente – dissi senza parole. Non potevano essere morti. Non dovevano essere morti.
Per tutto il tragitto Alice se ne stette zitta e ogni tanto faceva qualche domanda. Ma quando vedeva che non le rispondevo, anche perché non sapevo cosa risponderle, smetteva e non chiedeva più. Alla radio trasmisero la notizia ‘Un virus ha trasformato metà della popolazione in zombie. Non sappiamo da dove sia cominciata e perché. Se mi state ascoltando e non siete infetti, venite in Louisiana a New Orleans. Lì abbiamo cibo, abiti puliti e cure. Ripeto se non siete infette ci troveremo a New Orleans al centro di protezione.’ Ascoltai la notizia con il batticuore. Era mondiale. Il virus stava trasformando la popolazione in zombie. Guardai Alice mentre guardava fuori dal finestrino. Non potevo, dovevo portarla via da qui. Dovevo proteggerla. Dovevo portala a New Orleans.
Eravamo quasi arrivate. Mancava pochi minuti e finalmente saremmo tornate a casa. Notai che una macchina era incendiata e che a terra c’erano dei corpi. Uno si mosse e con scatti quasi robotici si alzò in piedi. Era Taylor Erickson, la figlia dei nostri vicini. Abitavano di fronte a noi. A Taylor mancava un braccio, aveva la faccia piena di sangue e zoppicando si avvicinò ad un cadavere per mangiare quello che ne era rimasto del corpo. Quasi mi venne il voltastomaco.
Senza neanche fermarmi accelerai e la presi in pieno. Taylor balzò in aria poi cadde ad un lato della strada ed iniziò a strisciare. In quel momento aveva una gamba rotta, era senza un braccio e si tirava avanti solamente con l’unico arto superiore che le era rimasto. Non sentiva dolore. Non sentiva niente.
– Tiffany non ti fermare, vai – strillò Alice tirandomi un braccio. Feci quello che mi disse, non mi fermai. Continuai per la mia strada fermandomi solamente quando fummo arrivati davanti alla nostra casa.
Scesi per prima poi aiutai Alice e tenendola per mano entrammo in casa. Le luci erano spente. Non c’era alcun rumore. Andai in cucina e cercando di fare il minor rumore possibile presi un coltello da cucina. Quello che nostra madre usava per cucinare il buon cibo che faceva per noi.
Tenendo Alice stretta a me, uscimmo dal retro, dove c’era il nostro piccolo giardino e la piscina. Trovammo Margaret intenta a cenare con i corpi dei nostri genitori ormai morti. La donna alzò lo sguardo e mi fissò negli occhi. Erano completamente bianchi. Si incamminò con passo lento verso di noi. Alice tremò dietro alle mie spalle. Io senza neanche pensarci corsi verso la ormai zombie e le conficcai il coltello nella testa. Tirando forte il coltello riuscì a liberarlo dal cranio di Margaret che cadde a terra, questa volta morta davvero. Corsi dai miei genitori. Erano morti, non respiravano più. Ad un tratto mia madre si svegliò. Gli occhi erano bianchi e aveva metà del corpo mangiato. Emise un lamento sconnesso, allungando una mano verso di me. Chiusi gli occhi e senza guardare conficcai nel cranio di mia madre il coltello, uccidendola per la seconda volta. Feci lo stesso con mio padre che ancora non si era svegliato. Era per prevenire il suo risveglio in versione zombie.
Ero ricoperta del loro sangue. Il mio vestito di Alice completamente zuppo di sangue. Anche il mio viso era sporco di schizzi di sangue di Margaret. Mi veniva da vomitare. Il mio stomaco era sotto sopra. Mi spostai da lì e quando girai la testa verso Alice notai che tremava e piangeva. Corsi verso di lei e prendendola per mano, entrammo in casa. Controllai che non ci fosse nessuno zombie. Quando lo ebbi constatato, presi fra le mani il viso di Alice ricoperto di lacrime e le parlai – Alice…piccola, ascoltami bene, okay? – mia sorella annuì tirando su con il naso – Prendi qualche vestito. Io intanto prende del cibo. Ce ne andiamo via da qui –. L’avrei portata a New Orleans, almeno lì saremmo state al sicuro.
Alice annuì correndo su per le scale. Io la seguii poco dopo. Presi il borsone che usavo per palestra e tornando in cucina, lo riempii di cibo. Non so quanto ci avremmo messo per arrivare in New Orleans. Era sempre meglio essere pronte in caso ci saremmo dovute fermare da qualche parte.
Alice riapparse sulle scale poco dopo. Fece rotolare giù dalle scale il borsone perché pesava troppo e poi scese anche lei. La guardai ed annuii, pronta ad andarmene da lì. Presi i due borsoni e tenendo per mano Alice uscimmo di casa. Alice staccò la sua mano dalla mia e corse velocemente in macchina. Mi guardai in giro mentre mi avvicinavo alla macchina poi buttando i borsoni sui sedili posteriori, salii in macchina.
Notai in lontananza altri zombie che si stavano avvicinando. Guardando meglio notai che due di quegli zombie erano i miei migliori amici. Con un groppo in gola feci partire la macchina e sgommando a tutto gas, mi lasciai indietro la mia casa e i miei migliori amici - o almeno quello che ne rimaneva, ormai erano zombie – e dissi addio alla mia vita di prima.
Ci lasciammo indietro Allentown quando ci dirigemmo con la macchina verso ovest da Tilghman St e andammo verso la N 14th St.
Addio mamma, addio papà. Addio Lola e addio Ryan. Mi mancherete tantissimo.

 

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Capitolo 5
*** Pronti, partenza e...zombie. ***


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Ci stavamo dirigendo verso un negozio di armi per poterci difendere dagli zombie. Anche perché non volevo diventare il pranzo, spuntino o cena di quei mostri.
Da quando ci eravamo dirette verso la N 14th St erano passati circa otto minuti. Ne mancavano altri nove per poter arrivare al Eagle Arms Sporting Shop.
Alice si era addormentata. Non aveva fatto altre che piangere nel sonno. Ogni tanto sussurrava ‘mamma’ e poi si stringeva ancora di più le ginocchia al petto.
Io cercavo di non pensarci. Di non pensare ai nostri genitori. Di Lottie non era rimasto niente. Era rimasto solamente il vestitino rosa che amava indossare, ricoperto di sangue. Mi mancavano da morire. Ero talmente scossa che non sapevo se era solamente un sogno in cui ero rimasta intrappolata oppure la realtà. Ma poi guardavo Alice e capivo che era la realtà Era successo davvero. Tutta quella gente uccisa da dei morti viventi. I miei genitori e i miei amici, tutti morti. Erano diventati la cena degli zombie.
Non sapevo quanta gente si fosse salvata e quanta fosse morta. L’unica cosa che sapevo era che avevo perso la mia famiglia. E che non riavrò più indietro la mia vecchia vita. Niente amici, niente genitori, niente sorellina. Solamente Alice. Solamente io e lei. Sole contro ad un mondo in fase di distruzione ed epidemia.
– Tiffany siamo arrivate? – chiese con voce impastata dal sonno tenendo ancora gli occhi chiusi.
– No Ali. Dormi ancora – risposi accarezzandole la sua chioma di capelli bionda, completamente arruffata. Lei grugnì qualcosa e poi si rimise a dormire. Almeno lei. Io ero davvero stanca, ma dovevamo arrivare il prima possibile e New Orleans. Dovevo portare in salvo Alice.
Per nostra fortuna di zombie non ne trovammo. Infatti ci mettemmo pochissimo ad arrivare al negozio. Parcheggiai l’auto davanti all’entrata del negozio ed uscì tenendo in mano il coltello da cucina che avevo usato in precedenza. Chiusi Alice in macchina e poi mi diressi verso l’entrate del negozio.
Avevo l’adrenalina a mille. Il cuore che pompava velocissimo e il mio respiro era affannoso. E se gli zombie arrivassero tutti insieme? E si mi attaccassero?
Scossi la testa ed entrai facendo il minor rumore possibile. Il negozio era vuoto. Le armi erano ancora tutte lì. Cominciai a prenderne alcune. Riempi un borsone di fucili, pistole, munizioni e coltelli. Continuavo a guardare la porta in caso entrasse qualche zombie, ma finora ancora nessun non morto. Riempì anche un altro borsone. Mi guardai in giro ancora una volta poi uscì, correndo con quei borsoni pesantissimi verso la macchina. Aprì la portiera e buttai i due borsoni dentro, facendo svegliare Alice che mi guardò con un occhi aperto e un occhio chiuso. Era così buffa che mi scappò un sorriso.
– Siamo pronte – dissi salendo in macchina. Quando chiusi la portiera e guardai davanti, trovammo uno zombie intento a mangiarsi un braccio, mentre si avvicinava a noi. Accesi la macchina ed accelerando lo schiacciai sotto alle ruote della macchina. Urlai prima di svoltare a ovest verso US-222 S/Hamilton Blvd pronte per New Orleans.
Stavamo viaggiando da circa sette ore ed ero stanchissima. Non potevo fermarmi, anche perché dov’eravamo ora, non c’era nemmeno una casa in cui ripararci. Sbattei le mani contro al voltante. Ero stanchissima e gli occhi mi si chiudevano. Mi dovetti fermare solamente per bere del caffé che mi ero portata dietro, mettendolo in un termos. Il caffé mi aiutò a risvegliare un po’ il mio cervello. Era comunque stanca, ma almeno adesso riuscivo a tenere gli occhi aperti.
Ricordo ancora la prima volta che bevvi il caffé. Non dormii per tutta la notte. E la mattina seguente sembrai uno zombie. Ah. Avevo delle occhiaie pazzesche e mia madre mi prese in giro per tutto il giorno. Per me non fu molto divertente anche perché per nascondere le occhiaie usai metà del mio correttore. E si vedevano comunque. A scuola mi presero in giro per tutto il tempo. Non che me ne fregasse. Dato che erano solamente dei cretini che ora erano morti. Ops. Non ero mai andata d’accordo con i miei compagni scuola. Erano dei cretini, viziati figli di papà. Per non parlare delle ragazze, una metà erano zoccole e l’altra metà erano ragazze normali che venivano prese di mira dalle zoccole.
Con poche persone andavo d’accordo. Lola e Ryan erano un caso a parte, dato che eravamo amici dall’asilo. Parlavo con poche persone, non perché ero timida, ma perché mi stavano sul cazzo tutti. Esattamente.
Mancavano più o meno dieci ore a New Orleans. Se mia sorella fosse stata più grande avrebbe potuto guidare lei. Ma in questo caso il volante neanche glielo facevo toccare. Non vorrei mai morire per un incidente stradale causato da Alice.
Viaggiai per altre nove ore di fila senza mai fermarmi. Soltanto quando il serbatoio del carburante fu a secco mi fermai. Ovviamente in un distributore di benzina.
Scesi dalla macchina e feci il pieno di benzina. Me stavo appoggiata all’auto quando Alice mi urlò qualcosa da dentro la macchina e mi fece segno con la mano che davanti a noi stavano arrivando tre zombie.
Estrassi dalla cintura del mio costume di Alice il coltello e correndo verso i tre zombie, lo conficcai in testa al primo non morto. Il secondo zombie cercò di mordermi un braccio ma fui più veloce e gli conficcai il coltello nel cranio. Il terzo zombie arrivò zoppicando e perdendo la pelle intorno alla bocca, rendendolo ancora più dannatamente orribile e schifoso. Non ci misi tanto, gli conficcai il coltello in un occhio e quando lo estrassi il non morto cadde a terra in un tonfo sordo. Li vidi lì a terra in una pozza di sangue nero. Puzzavano da far schifo. Avevano un fetore assurdo. Portandomi una mano davanti alla bocca per non vomitare, corsi verso la macchina e staccai la pompa della benzina, pronta a ripartire di nuovo. Ancora un’ora e saremmo finalmente arrivate a New Orleans.

 

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Capitolo 6
*** Ochsner Hospital oppure solo bugie? ***


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Appena arrivammo a New Orleans, notammo subito i disastri che questa epidemia aveva causato. C’erano cadaveri ovunque. Devi veri morti, non zombie. Erano divisi in due, budella ovunque. Sangue ovunque. C’erano pezzi di braccia e gambe sparsi per le strade. Era uno schifo. Un disastro vero e proprio.
Stavo andando piano con la macchina perché non volevo attirare zombie. Mi guardavo in giro per prevenire un attacco da parte dei non morti. Ci stavamo dirigendo al Ochsner Hospital, era lì che si trovava il centro di protezione. Un ospedale. Bel idea. Avevano tutte le medicine e le cure che volevano. E dei letti comodi per dormire.
Alice stava ancora dormendo. Forse era il caso di svegliarla. – Ali, Ali, siamo quasi arrivate, mancano pochi minuti – dissi scuotendola con una mano.
Alice mugugnò qualcosa mentre si stiracchiava. Era ancora rincoglionita dal sonno, si vedeva chiaramente. – Davvero? – chiese con la voce impastata dal sonno.
– Si, Ali. Manca davvero poco – risposi guardando attentamente la strada.
Sperando sempre che l’ospedale non sia stato attaccato dagli zombie. Sperando che ci siano ancora delle persone sopravvissute e non solo morti. O zombie.
Appena arrivammo all’ospedale parcheggiai la macchina davanti all’entrata e scesi tenendo in mano un fucile molto pesante. Ad Alice diedi una pistola che stentò a prenderla perché era terrorizzata. – Alice devi prenderla. Non posso sempre fare tutto da sola – dissi seria mettendole la pistola in mano – Ti prego – la scongiurai. Alice non era il momento di fare una scenata. Cazzo, svegliati. Vuoi diventare il pranzo di uno zombie?
Alice finalmente la prese in mano e la strinse fra le mani guardandola attentamente. Entrammo nell’ospedale facendo il minor rumore possibile. Le luci era tutto spente, ma per fortuna c’era la luce che penetrava dalla finestre. Camminammo una al fianco dell’altra tenendo le armi puntate in avanti.
Sui muri c’erano delle scritte strane. ‘Non entrare qui, è pieno di morti’ ‘I morti tornano in vita e uccidono ‘Siamo soli, ci hanno abbandonato’. Era impossibile che in quel posto ci fosse un centro di protezione poco prima. Qui ci stavano delle persone normali che sono state uccise dagli zombie. Avevano preso per il culo tutti. Non c’era un centro di protezione e se c’era non avrebbero mai detto il vero posto per proteggersi i loro culo.
– Alice andiamocene, qui non c’è nessuno. Ci hanno preso per il culo – dissi a bassa voce prendendo per un braccio Alice e camminando velocemente verso l’entrata dell’ospedale.
Quando mi girai verso il corridoio notai una mandria di zombie avvicinarsi a loro. – Alice corri – gridai correndo velocemente seguita da mia sorella che sparò un colpo ad un zombie colpendolo in testa.
Uscimmo da lì e davanti alla porta mettemmo un asse di legno che trovammo vicino all’entrata. Gli zombie continuava a spingere, quel legno non sarebbe durato ancora per molto e i non morti che se ne stavano in giro per la città hanno sentito il rumore e si stanno avvicinando a noi.
– Alice sali in macchina – urlai entrando in auto. Alice entrò poco dopo. Feci partire la macchina ed accelerando investii dei non morti. Alice intanto tirò giù il finestrino e sparò dei colpi agli zombie che si paravano davanti a noi. Aveva una mira eccezionale e non aveva mai sparato e tanto meno preso in mano una pistola.
Uscimmo dalla città completamente invasa dagli zombie. Non sapevamo dove andare, non sapevamo dove dormire e dove rifugiarsi. Stavo andando nel panico. E adesso cosa potevamo fare? Dove saremmo andate?
– Tiffany che facciamo ora? – chiese impaurita Alice guardandosi in dietro, gli zombie non le stavano più inseguendo. Si erano fermati a mangiare un povero cane che era uscito allo scoperto.
– Non lo so. Dobbiamo trovare un riparo per adesso – risposi guardando ai lati della strada in cerca di una casa oppure un casotto.
Notai una piccola casa – sembrava abbandonata - nei boschi. – Proviamo ad andare la – dissi ad Alice entrando con la macchina nel bosco.
Non ci mettemmo molto ad arrivare. Scesi per prima io ed andai a controllare se la casa fosse inabitata oppure no. La casa era fatta di pietra ed era piena di crepe, ricoperta di edere e piante rampicanti. Entrai in quella casa, passando da una porta di legno secca e rovinata. C’era un grosso buco sul letto ed da lì dentro proveniva un odore di morte. In quella stanza che doveva essere il salotto c’era un grosso divano puzzolente e rovinato. In cucina c'era un tavolo di legno con ancora appoggiate sopra delle scodelle con dentro dei cereali e quattro sedie rovinate. Andai a controllare nel piano di sopra. Uno zombie uscì da una stanza e cercò di mordermi ma fui più veloce e gli conficcai il coltello nel cranio uccidendolo. Controllai la stanza da cui era uscito lo zombie, era  il bagno. Era distrutto sporchissimo e pieno di muffa. C’era una vasca completamente distrutta e piena di edera, entrata dalla finestra di quel bagno, se così si poteva chiamare. Controllai anche le altre stanze senza incontrare nessuno zombie questa volta. Le altre due camere avevano solo dei letti di ferro arrugginiti senza materasso.
In che diamine di posto ci eravamo cacciate? Come era possibile che qualcuno vivesse qui? E se era la tana di qualcuno?
Scesi di corsa le scale ed uscì da quella catapecchia. Alice era ancora in macchina che si guardava in giro.
Feci segno ad Alice di scendere appena constatai che non ci fossero zombie in giro. Alice scese portando con se il borsone con dentro i vestiti. Io tornai alla macchina e presi i restanti tre facendo una fatica assurda perché pesavano moltissimo.
– Ali vai al piano di sopra, se guardi in alto troverai la corda per aprire la botola della soffitta, vai lì. Io ti raggiungo tra un attimo – spiegai a mia sorella appoggiando i tre borsoni sul quel pavimento lurido e marcio. Però meglio lì che impasto agli zombie.
Uscii di casa ed andai a nascondere la macchina dietro alla casa. Corsi in casa tenendo saldo fra le mani il fucile. Quando entrai chiusi per bene la porta malridotta e spostando il divano glielo misi davanti per bloccare l’entrata. Sbarrai la finestra della cucina con il tavolo e quando ebbi finito di controllare anche nelle altre stanza, andai in soffitta da mia sorella. La trovai intenta a stendere sul pavimento impolverato un lenzuolo. Si sdraiò sopra ed abbracciò il suo pupazzo preferito.
– Ali vedrai andrà tutto bene. Sto di guardai io – dissi avvicinandomi all’unica finestra che non avevo sbarrato, utile per prevenire gli zombie. Alice annuì rannicchiandosi su se stessa.
Sospirai impaurita. Continuavo a ripetermi, vedrai andrà bene, nessuno altro morirà e salverai Alice. Non ne ero completamente convinta, ma speravo che andasse così. Né io, né Alice dovevamo morire. Questo era poco ma sicuro.
Stetti a guardare il bosco, rilassandomi un po’ quando iniziai a sentire i respiri regolari e non più accelerati di Alice.

 

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Capitolo 7
*** Poche ore nella catapecchia e già problemi. ***


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La mattina seguente andai a fare una perlustrazione intorno alla casa. Incontrai si o no due zombie. Gli zombie tendevano ad farsi vedere di più di notte, ma se attirati da qualche rumore uscivano allo scoperto anche di giorno. Infatti alla notte dovevi stare attento a non fare troppo rumore per non attirare gli zombie dalla tua parte.
Tornai alla catapecchia con un paio di rami rinsecchiti, volevo cucinare qualcosa per me e Alice. Quando arrivai davanti alla casa notai che c’era un auto parcheggiata vicino ad un albero. Chiamai Alice, ma non ricevetti indietro nessuna risposta. Feci pochi passi ma poi dovetti fermarmi quando mi sentii puntare alla testa una pistola. Nello stesso momento da dietro alla casa uscì Alice insieme ad un uomo che le puntava alla testa una pistola, tenendola stretta fra le sue luride braccia. Era terrorizzata e stava piangendo. L’uomo sorrideva beffardo. Era muscoloso. Il suo volto con una cicatrice sulla guancia destra era minaccioso. Aveva una chioma di capelli scuri. I suoi occhi neri come il mare inquinato guardavano con sguardo furbo verso di me e l’uomo che mi puntava un fucile alla testa.
Ero sul punto di estrarre il mio coltello quando lo scagnozzo dietro di me parlò – Non ci provare, se non vuoi vedere tua sorella con il cervello spappolato – aveva una voce forte e arrogante. Arrivò anche un terzo uomo slanciato e dal fisico atletico. Il volto pallido e teso, era incorniciato da una massa di capelli neri spettinati. I suoi occhi azzurri come il cielo mi fissavano severi, fra le grandi mani callose stringeva una balestra e la puntava verso di me.
– Lascia andare mia sorella lurido schifoso – esclamai cercando di fare un passo verso mia sorella, ma l’uomo dietro di me, me lo impedì.
 – Se fossi in te non mi muoverei – mi minacciò muovendo di poco il fucile fra la mia chioma di capelli neri.
– Che cosa volete da noi? – chiesi guardando minacciosamente l’uomo dagli occhi azzurri.
– Divertirci – rispose quello dietro di me, mettendomi le mani sul sedere e palpandomelo.
Mi scansai da lui e gli sputai in faccia. Odiavo gli uomini come lui. Sempre pronti a mettere le mani addosso ad una donna.
Estrassi dalla tasca il coltello e glielo puntai contro al collo – Andatevene – urlai attirando verso di noi degli zombie. Quell’uomo lurido aveva degli occhi azzurri e uno sguardo minaccioso tanto da farti rabbrividire. I capelli erano scuri e nascosti da una fascia nera legata intorno alla testa.
L’uomo rise pulendosi il viso – Vuoi davvero che la tua cara sorellina muoia? – chiese minacciosamente avvicinandosi a me. Indietreggiai tenendo ben saldo fra le mani il coltello.
Ero terrorizzata, ma stavo cercando di non darlo a vedere. Non volevo che mia sorella subisse anche questo.
– Steve basta, lascia andare la sorella – parlò l’uomo con la balestra puntandola contro a quello che teneva mia sorella.
Perché lo faceva? Perché ci salvava? Cosa voleva in cambio? Del sesso? Se lo poteva scordare. Delle armi? Anche quelle se le scordava.
– Perché fratellino? Possiamo divertirci con questa qui – disse l’uomo di fronte a me sorridendomi malizioso. Era il fratello di questo lurido schifoso? Di male in peggio.
– Ho detto lasciale – minacciò il fratello e quello che si chiamava Steve puntandogli contro la balestra.
Quello che si chiamava Steve lasciò mia sorella, spintonandola. Alice corse verso di me e mi abbracciò forte. Ricambiai l’abbraccio accarezzandole la schiena per tranquillizzarla.
Si stavano avvicinando gli zombie. Si sentivano i loro lamenti avvicinarsi sempre di più. Steve e il fratello di quello che ci aveva salvato corsero alla macchina – Forza Jason andiamo – urlò facendogli segno di muoversi.
Jason scosse la testa e gli disse che sarebbe rimasto ad aiutarci. Perché? Potevamo cavarcela anche da sole. O forse no. Proprio come quell’anno in cui io e Alice insieme a Lottie e ai nostri genitori andammo al fiume. Alice ed io eravamo andate in esplorazione, di cosa non ricordo. Camminammo per un po’, ci eravamo allontanate molto dalla spiaggia in cui stavamo. Alice salì su un sasso, non sapendo che era bagnato scivolò in acqua. A quei tempi aveva circa sei anni e ancora non sapeva nuotare benissimo così mi buttai in acqua e cercai di portarla a riva. La corrente d’acqua era fortissima e ci portò più lontane, non sapevo dove aggrapparmi fin quando un uomo che era lì per pescare ci aiutò. Ci lanciò una corda che mi affrettai a prendere. Il pescatore legò la corda ad un albero e tirandola verso riva, ci aiutò ad uscire, prima Alice e poi me. Se non fosse stato per quel pescatore a quell’ora saremmo morte, soffocate dall’acqua.
Steve e il fratello accesero la macchina e se ne andarono lasciando lì il fratello. Wow quanto amore.
Jason impugnò la sua balestra e fece partire due frecce che presero in pieno due zombie. Alice corse in casa e quando tornò fuori, mi passò un fucile che impugnai velocemente e sparai i primi colpi. Alice si mise dietro di me e con una pistola sparò ad uno zombie che si stava avvicinando molto velocemente.
C’erano all’incirca quindici zombie e si avvicinavano con notevole velocità. Non mi accorsi che un non morto si era avvicinato a me perché stavo controllando mia sorella, era sul punto mordermi un braccio ma una freccia in piena fronte lo fece accasciare al suo. Jason mi aveva salvato la vita, lo ringraziai annuendo e poi tornai ad uccidere gli zombie.
Alice sparava alle nostre spalle. Era brava e sapeva difendersi. Non ci potevo credere.
– Alice va’ in casa, ora ci pensiamo noi – urlai a mia sorella facendole segno di chiudere la porta. Alice annuì correndo verso la catapecchia, ma prima di entrare sparò un ultimo colpo.
Jason ed io sterminammo gli ultimi zombie rimasti poi entrammo in casa stanchi. Più che altro io ero stanca, non avevo ancora dormito per sorvegliare la casa.
– Grazie. Ora puoi tornare dai tuoi amici stupratori – dissi acida spingendo leggermente mia sorella  per farla salire al piano superiore.
– Io non sono come loro. Non sono mai andato d’accordo con mio fratello, ma è l’unico rimasto vivo della mia famiglia, quindi cerco di sopportarlo – mi spiegò l’uomo dallo sguardo magnetico. Si perché aveva uno sguardo stupendo. Ma cosa andavo a pensare?
– Si certo come no. Ora te ne puoi andare – dissi seria indicandogli con le braccia la porta.
Alice corse giù tenendo fra le braccio il suo peluche – Tiffany voglio che resta. Ci ha aiutato e poi ti ha anche salvato la vita – disse con la sua voce dolce e infantile. Quella voce che riusciva ad incantare tutti persino me. Sospirai rassegnata – Va bene. Ma tu stai qui e fai la guardai. Ho bisogno di dormire – comandai battendo un piede sul pavimento di legno di quella catapecchia che scricchiolò sotto al mio tocco.
– Va bene Tiffany, allora buona dormita – disse lui scoccandomi un sorriso teso. Lo salutai con la mano e portandomi Alice di sopra, mi stesi sul lenzuolo, pronta a mettermi a dormire. Almeno ora avevano una protezione, ma per quanto? Quanto ancora resterà con noi per poi tornare dai suoi amici?
– Buona notte sorellina – mi sussurrò Alice all’orecchio prima di scoccarmi un bacio sulla guancia. Si accoccolò a me, la strinsi forte a me e le sussurrai ti voglio bene piccola.

 

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Capitolo 8
*** E adesso che si fa? ***


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Quando mi svegliai dal mio sonno era ancora giorno. Doveva essere pomeriggio inoltrato. Alice non era lì con me. Mi alzai di scatto e corsi giù, dove trovai Alice e Jason intenti a cucinare qualcosa. La finestra che avevo sbarrato con il tavolo della cucina, era stato rimpiazzato da delle assi di legno inchiodatele intorno. Alice si girò verso di me e mi sorrise – Ti sei svegliata – esclamò correndomi in corso per poi abbracciarmi.
Jason si girò verso di me e mi sorrise più rilassato – Buon giorno. Ho preparato qualcosa da mettere sotto i denti – mise in un ciotola pulita un po’ di minestra riscaldata.
– Grazie – risposi sedendomi a tavola. Alice mi seguì a raffica e sedendosi vicino a me iniziò a mangiare la sua minestra. Jason invece si mise davanti a me e incominciò a mangiare anche lui.
Mangiammo in silenzio. Era la prima volta che c’era così tanto silenzio mentre mangiavamo, perché quando si pranzava o cenava in quella che una volta era la mia casa c’era sempre qualcuno che parlava oppure Alice sbraitava perchè voleva uscire, o sennò Lottie che piangeva e sbatteva il piatto sul tavolo facendo un frastuono assurdo. Non c’era mai stata un po’ di pace quando si mangiava. Invece in quel momento con Alice e Jason c’era un silenzio di tomba, quasi fastidioso.
– Da dove venite? – Jason ruppe il silenzio, lo ringraziai mentalmente. Non ne potevo più di quel silenzio.
Bevvi un sorso d’acqua e poi risposi – Allentown, Pennsylvania. Tu? – mi spostai una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
– Baltimora, Maryland – mi rispose sorridendomi gentilmente.
Alice lo guardava affascinata mentre mangiava la sua minestra, tenendo sulle gambe il suo peluche preferito, un orsacchiotto con un fiocchetto rosa legato intorno al collo.
Ricordo ancora il giorno in cui glielo regalai. Avevo sedici anni e Alice dieci. Eravamo andata al luna park con nostra mamma e la piccolissima Lottie, che a quel tempo aveva solamente sei mesi. Era così bella con quelle guanciotte paffute.
Io e Alice andammo sulla ruota panoramica. Alice dall’alto guardava affascinata tutte le persone che man mano che salivamo diventavano sempre più piccole, fino a diventare piccole come formiche. Io non osavo nemmeno guardare giù dato che soffrivo di vertigini ed ero davvero terrorizzata, non vedo l’ora che finisse.
Quando scendemmo dalla ruota Alice mi scongiurò di prenderle un pupazzo al gioco della pesca, consisteva nel pescare con una canna dal gancio di ferro il maggior numero di papere messe dentro ad una vasca di plastica piena d’acqua mentre questa girava. Le dovevi pescare infilando il gancio nel buco che avevano sopra alla testa e poi tirarle verso di te, ma se la papera cadeva non veniva considerata valida. Alla fine dei tre giri, la donna che dava i premi leggeva i numeri che c’erano scritti sotto alle papere e faceva il conto. E in base al totale vincevi un pupazzo, da piccolo a grande.
– Tiffany ti prego, ti prego vinci per me un pupazzo – mi scongiuro Alice facendomi i suoi occhi dolci, – Va bene, va bene, ma poi non dire che non ti voglio bene – le dissi avvicinandomi alla giostra.
Pagai il mio giro e iniziai a pescare le papere. Alice mi stringeva un fianco e guardava attentamente quello che facevo. Nei pescai almeno dieci, solamente due caddero per terra.
– Abbassate le canne, i giri sono finiti – disse la giostraia fermando il gioco.
La donna si avvicinò a noi ed iniziò a leggere e contare i numeri scritti sotto alle papere, 21, 5, 8, 59….per un totale di 300 punti. La giostrai ci fece vedere degli orsacchiotti grossissimi e altri peluche, tra cui una ranocchietta e un coniglietto. Ma Alice fu impassibile, voleva a tutti i costi quel orsacchiotto dietro alla donna. Era piccolo, marrone e con un fiocco rosa intorno al collo. La donna l’accontentò dandoglielo. Alice corse via felice tenendo stretta fra le braccia l’orsacchiotto. Ringraziai la donna e poi corsi verso Alice e la presi per mano e ci dirigemmo verso nostra madre. Alice tutta felice, io solamente annoiata.
– Tiffany dopo ti va di fare un giro di perlustrazione? Magari troviamo un po’ migliore di questo – mi chiese Jason finendo la sua minestra.
– E Alice? Non possiamo lasciare tutto qua. Se qualcuno entra e ci ruba tutto? – chiesi a mia volta guardando Alice intenta a bere un sorso d’acqua.
– Allora carichiamo tutto in macchina e partiamo alla ricerca di un po’ migliore di questo – mi rispose Jason intrecciando le mani sul tavolo.
– E se non troviamo niente? Gli zombie ci potrebbero attaccare e uccidere – riferii preoccupata andando ad accarezzare la testa bionda di Alice.
– Allora al posto di parlare, andiamo. Preparate la vostra roba e partiamo – disse serio Jason alzandosi dalla sedia emettendo un rumore sordo contro al pavimento di legno.
Mi alzai di scatto anche io e prendendo per mano Alice la portai con me in soffitta. Ritirammo le coperte dentro ad un borsone. Avevamo quattro borsoni pieni di roba. Due pieni di armi, uno pieno di vestiti e coperte e uno con dentro il cibo. E pensavano anche molto. Alice portò giù quello con dentro i vestiti e le coperte che forse era anche il più leggero. Si fece aiutare da Jason a caricarlo in macchina, mentre io portavo giù quelli con il cibo e quelli con le armi.
– Ma quanta roba avete? – chiese schioccato Jason vedendomi arrivare. Alice rise un po’ – Abbiamo questi quattro borsoni – rispose mia sorella al mio posto poi corse in macchina e si sedette sui sedili posteriori dell’auto.
– Sono abiti, cibo e armi, molte armi – spiegai mettendo in macchina i tre borsoni con l’aiuto di Jason che appena ne appoggiò uno nel baule, si girò di scatto e scoccò una freccia che andò a colpire in testa uno zombie che cadde a terra facendo poco rumore.
Ci guardammo senza dire una parola. Occhi azzurri come il cielo contro occhi neri come il mare inquinato. Fu Jason a distogliere lo sguardo per primo poi chiuse il baule e si diresse verso il posto di guida. Rimasi ferma per qualche secondo ancora schioccata. Che diamine mi stava succedendo? Perché il cuore mi batteva così forte?
Alice mi chiamò riportandomi al presente. Corsi in macchina e appena mi fui seduta sul sedile del passeggero, Jason fece partire la macchina dirigendosi verso ad un sentiero abbastanza largo da farci passare l’auto. Chissà dove portava? E chissà se magari avremmo incontrato ancora qualche persona viva e non solo morti.

 

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Capitolo 9
*** Finalmente un posto tranquillo. ***


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Non so per quanto viaggiammo, ma si vedeva chiaramente il sole cominciare nascondersi dietro alle montagne, pronto a scomparire per lasciar uscire la luna e la notte.
Jason guidava interrottamente, mentre Alice dormiva abbracciata al suo orsacchiotto. Io? Io guardava attentamente la strada in caso spuntassero degli zombie. Ma finora non ne avevamo incontrati nessuno.
Jason staccando una mano dal voltante, mi indicò una piccola fattoria, poco lontana da dove stavamo noi con la macchina. Annuì guardandolo. Lui girò il volante verso sinistra ed accelerò di poco la macchina. Passammo per un viale pieno di fiori gialli ed infondo alla strada c’era un recinto. Scesi dalla macchina ed andai ad aprirlo. Era bello massiccio quindi gli zombie avrebbero fatto più fatica a passare di lì, dato che avevano il cervello fuso e l’unica cosa che erano in grado di fare era mangiare.
Appena lo aprii, feci segno a Jason di passare, appena fu dentro con tutta la macchina, richiusi il recinto dietro di noi e corsi verso la macchina.
– Vado a controllare se ci sono zombie in casa, tu stai qui con Alice – disse autoritario Jason portando al petto la sua balestra, appena fu sceso dalla macchina.
– Va bene, ma se sento dei rumori sospetti corro dentro – dissi sicura di me stringendo fortemente fra le mani il fucile. Lui annuì poi girò i tacchi e correndo entrò nella casa. Sospirai appoggiandomi contro alla macchina mentre Alice ci dormiva dentro tranquilla. Era possibile che anche in una situazione del genere dormisse come un ghiro?
La guardai accoccolata al suo peluche mentre dormiva, era così indifesa. Non potrei nemmeno immaginare come mi dovessi sentire se gli zombie me la portassero via. La mia famiglia, l’unica rimasta viva.
Jason tornò poco dopo, correndo verso di me e mi disse – La casa ora è libera. C’erano due zombie che ora sono dietro alla casa, domani ci toccherà bruciarli sennò inizieranno a puzzare e intossicheranno l’aria –.
– Bene, ora che facciamo? Portiamo dentro tutto? – chiesi aprendo la portiera dei sedili posteriori. – Sì, almeno lì stiamo al sicuro – rispose prendendo un borsone dal baule.
Svegliai Alice che mugugnò delle frasi senza senso per poi tornare a dormire beatamente. La tirai fuori dalla macchina prendendola in braccio, non fu facile farla uscire, ma alla fine ci riuscii e la portai in casa. L’appoggiai delicatamente sul divano poi tornai fuori ed andai a prendere gli altri borsoni per poi portarli in casa. Jason spostò la macchina vicino alla casa e poi entrò anche lui, portando il borsone con le armi.
– Chi sta di guardia? – chiesi guardando Jason prima di chiudere la porta alle nostre spalle.
Guardai attentamente la casa. Da fuori era ridotta un po’ male, ma dentro ero molto bella e ben mantenuta.
La casa era composta da due piani ed era fatta di mattoni. La scala esterna con la ringhiera erano bianche come anche i bordi delle finestre e il tetto era fatto con piccole assi di legno scure. Io e Jason ci trovavamo nell’ingresso mentre Alice si trovava in salotto, sulla nostra destra. Sulla sinistra c’era la cucina e sulla parete di destra c’erano le scale che portavano al piano superiore, dove c’erano il bagno e le camere da letto. Il pavimento era in gres porcellanato simile al legno e i muri erano pitturati di giallo pastello.
– Nessuno. Qui siamo al sicuro – rispose Jason entrando in salotto dove Alice dormiva beatamente, sdraiata sul divano verde di quella casa.
Il salotto non era enorme, ma per tre persone andava più che bene. Le pareti erano ricoperte da una carta da parati con tema i fiori. C’erano due divani e una poltrona verdi. Al centro c’era un piccolo tavolino di legno. C’era anche una finestra dietro alla poltrona ed al fianco di essa c’era un mobiletto contente posate, piatti e bicchieri di ceramica. Sopra al divano in cui dormiva Alice c’era una quadro raffigurante un paesaggio.
– Ne sei sicuro? – chiese poco convinta avvicinandomi a mia sorella per svegliarla e farla andare in una camera da letto di quella casa.
– Sì, porta tua sorella di sopra, io do ancora un’occhiata – rispose Jason entrando nella piccola cucina della nostra nuova casa.
Annuì svegliando Alice, – Su Ali, andiamo a dormire su un letto comodo – dissi scuotendola. Quando finalmente si svegliò, camminando goffamente salì le scale per dirigersi nella prima camera sulla destra e buttarsi di peso morto sul letto. Il letto era in ferro battuto ed era vicino ad entrambe le finestra di quella stanza. Chiusi istintivamente le tende della camera, sprofondando così nel buio. Accesi la luce e la camera si illuminò mostrando una stanza spoglia. C’era solamente vicino al letto un baule e nella parete dove c’era la porta, una piccola scrivania. Il letto aveva sia il piumone che le lenzuola e nel baule infondo al letto c’erano altre. Mi avvicinai ad Alice e le tolsi le scarpe per poi metterla sotto alle coperte. Alice era sistemata, adesso toccava a me sistemarmi.
Uscii dalla camera e tornai al piano di sotto dove trovai Jason intento a ritirare nella credenza il poco cibo che ero riuscita a prendere il giorno di Halloween.
– Ehi, lascia stare. Possiamo farlo domani – dissi sbadigliando. Jason mi guardò sorridendo poi ritirando l’ultimo sacchetto di pasta, chiuse il mobiletto poi passandomi vicino prese due borsoni e salì le scale.
Presi i restanti borsoni e lo seguii su per le scale. Ci dirigemmo in una camera, vicino a quella di Alice. La stanza in cui entrammo noi era composta da due letti divisi solamente da un piccolo comodino al centro. Un armadio era appoggiato alla parete in cui c’era anche la finestra. Una piccola lampada era appoggiata sul comodino e un piccolo lampadario era appeso al centro della stanza.
– Destra o sinistra? – chiesi appoggiando i borsoni per terra, sul pavimento di legno.
– Sinistra, sto io vicino alla finestra – rispose Jason appoggiando la sua balaustra sul letto di sinistra poi chiuse velocemente le finestre e le tende.
Annuì aprendo un anta dell’armadio, dove mi trovai davanti uno zombie pronto a staccarmi la carne dal corpo. Cercando di non fare rumore e svegliare Alice gli conficcai in un occhio il mio coltello e lo zombie cadde a terra facendo un rumore sordo.
– Cazzo – esclamò Jason prendendo da terra lo zombie e buttandolo fuori dalla finestra. Quando cadde lo zombie fece un tonfo rumoroso, ma non così forte da svegliare Alice - ho il sonno pesante - Rose.
– E’ l’unico armadio che non aveva controllato, scusami Tiffany – si scusò Jason pulendosi le mani sporche di sangue con uno straccio.
Mi girai verso di lui sorridendogli gentilmente – Tranquillo, sono ancora qui – dissi alzando le mani e sventolandole, facendo così ridere Jason.
– Bene, allora andiamo a dormire che domani ci tocca ripulire per bene questo posto – disse Jason togliendosi le scarpe e infilandosi nel letto.
Finii di ritirare nell’armadio i borsoni e poi togliendomi le scarpe, mi infialai anche io nel mio letto e finalmente mi addormentai, stanca morta.

 

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Capitolo 10
*** Un incubo terribile. ***


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“Correvo per i boschi in cerca di mia sorella Alice.  Il fucile che tenevo sulla spalle e il lungo e affilato coltello in una mano, mi davano la forza di andare avanti. Quel pomeriggio Alice si era inoltrata nella boscaglia da sola, ma alla sera non aveva fatto più ritorno. Non mi importava se fosse notte, se gli zombie venivano attirati dalla luce della mia torcia, non mi importava, volevo solamente trovare mia sorella.
Ero molto lontana dalla fattoria in cui stavamo. Ad ogni passo che facevo incontravo uno zombie pronto a staccarmi la carne dalle ossa. Ma ero più furba e con un colpo agile con il coltello gli trapassavo il cranio oppure li sgozzavo o gli tagliavo la testa.
Smisi di correre quando notai una folta chioma poco più lontana da dove mi trovavo io. Provai a chiamarla – Alice, Alice – sentendo chiamare si girò, non era Alice, ma un altro fottuto zombie. Dietro di me arrivarono altri non morti che camminavano con pochi passi, ma riuscivano persino ad inciampare nei loro stessi piedi.  Mi avvicinai ad uno di loro, un uomo, sembrava avere almeno quaranta anni. Lo osservai attentamente: il viso ricoperto di sangue perdeva pezzi di pelle, gli occhi erano spalancati e bianchissimi, senza alcuna traccia di pupilla, come tutti gli altri del resto.  Non aveva pelle attaccata ad una gamba, ma ovviamente non sentiva niente. Aveva solamente fame. Di me. Il vestito era rovinato, fatto a brandelli sulle braccia e sulle gambe ed era ricoperto dal sangue delle persone che si era mangiato. Camminava tutto storto mentre si avvicinava lentamente a me.  Sbuffai e correndo verso di lui, gli conficcai il coltello nel cranio, quando lo staccai, lo zombie cadde a terra in una pozza di sangue nero. Uccisi anche gli altri cinque zombie che si stavano avvicinando a me. Poi corsi via in cerca di Alice. Urlavo il suo nome, attirando a me gli zombie. Ne incontravo in continuazione sul mio cammino. Mi fermavo, li uccidevo e poi ripartivo con le ricerche.

Corsi così veloce da arrivare al fiume che divideva il bosco in due. C’erano due zombie rimasti impantanati nel fango e nella melma. Altri invece stavano cenando con un cervo. Le budella di quel povero animale continuavano a fuoriuscire dal suo stomaco, mentre gli zombie se lo mangiavano.
Uccisi per primi gli zombie impantanati. Per mia fortuna gli altri erano così intenti a cenare che non si accorsero di me. Vidi una sagoma famigliare su un albero. Una testa bionda che si muoveva a destra e a sinistra in cerca di una via di fuga. Corsi velocemente verso l’albero, passando dal bosco e non dal fiume, per non attirare gli zombie.
– Alice, Alice sei tu? – chiesi arrampicando con un po’ di fatica sull’albero. Era Alice quella agile e veloce nell’arrampicarsi. Io ero una frana.
Ricordo il giorno in cui Alice decise di arrampicarsi sull’albero. Mi prendeva in giro perché io non ci riuscivo. Saltavo, appoggiavo i piedi sul tronco, ma alla fine scivolavo giù. Così corsi in casa e quando tornai, mi portai dietro una scala di ferro e la usai per salire sull’albero. Mi sedetti al fianco di Alice e stemmo a guardare il cielo da sopra all’albero. Stavamo così bene. Ci fu la pace e la tranquillità,  almeno fin quando Alice non scivolò e si fece male ad una gamba. Boom, giornata rovinata.
– Tiffany – sussurrò con voce esile Alice mentre mi porgeva una mano insanguinata. L’afferrai e mi tirai su. Quando mi sedetti al suo fianco, potei notare i vestiti strappati e pieni di sangue. Nascosto dai capelli c’era un enorme morso sul collo. L’avevano morsa. Si sarebbe trasformata in una di loro.
– Tiffany, ti prego uccidimi, non voglio diventare come loro – disse con le lacrime agli occhi. Appena ero salita sull’albero aveva iniziato a piangere spaventata.
– No, non ci riesco. Vedrai ci sarà una cura – dissi afflitta accarezzandole la testa sporca di sangue.
– Ti prego – mi scongiurò porgendomi la sua pistola. Non volevo prenderla, ma lei mi prese una mano e ci appoggiò la pistola – Fallo ti prego – mi disse ancora.
Scossi la testa, no, non potevo. Non ci riuscivo. La mia famiglia, la mia unica famiglia. Alice. Alice. Oddio perché? Perché proprio lei?
– Non posso Alice, non posso. Non ci riesco – dissi incominciando a piangere anche io.
Alice mi guardò tristemente poi sfilandomi dalla mano la pistola, se la puntò alla testa – Addio Tiffany – si sparò un unico colpo alla testa facendo partire dappertutto schizzi di sangue e cervella.”
 
Mi svegliai di colpo urlando come una pazza. Scaraventai le coperte per terra e saltando giù dal letto, corsi come un fulmine nella stanza di Alice e mi buttai su di lei, abbracciandola strettamente. Alice sobbalzò nel sentirmi così vicina. Stavo piangendo contro la sua schiena. Alice. La mia Alice. Dannato incubo.
– Tiffany? – chiese con la voce impastata dal sonno, girandosi verso di me.
In quello stesso momento arrivò Jason preoccupato – Cosa succede? Tiffany perché hai urlato? – chiese avvicinandosi a noi e sedendosi sul letto. Io continuavo a stare abbracciata a mia sorella che mi accarezzò dolcemente i capelli. Ora la grande sembrava lei e non io. Ma non riuscivo a smettere di piangere. Quel dannato incubo mi aveva scossa tantissimo.
– Ho avuto un incubo. Alice era stata morsa e mi aveva chiesto di ucciderla, ma non ci sono riuscita e lei si è sparata in testa – dissi tirando sul con il naso mentre un forte singhiozzo mi fece tremare.
– Oh Tiffany – disse Alice dolcemente mentre si tirava su e mi abbracciava. Jason assistette alla scena, sorridendo dolcemente.
– Tiffany dormi con lei, ti farà bene – mi disse Jason dandomi una pacca sulla spalla, si alzò e avvicinandosi alla porta si girò – Buonanotte – disse poi girò i tacchi e si diresse in corridoio.
– Jason – urlai facendolo girare – Sicuro di non aver paura del buio? – chiesi facendolo ridere, scosse la testa entrando nella sua, cioè anche mia, camera.
Quando fu entrato in camera, mi accoccolai ad Alice e la strinsi forte fra le mie braccia. Lei ne fu felice. Anche perché poche volte nella nostra vita prima di questa ci eravamo abbracciate così. Beh, meglio tardi che mai.

 

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Capitolo 11
*** Nuovo Arrivi. ***


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Passarono circa cinque giorni da quando ci fummo trasferiti in quella fattoria. C'era una pace mai vista, soprattutto da quando era cominciata l’epidemia e gli zombie avevano invaso la terra.
Quella mattina Jason ed io andammo a caccia di qualche animale, da poter poi mettere sotto i denti, perché avevamo finito le poche scorte che avevo preso da casa il giorno dell’epidemia. Camminavamo uno al fianco dell’altro mentre guardavano in giro in cerca di qualche cervo o scoiattolo. Di zombie di giorno ce n’era in giro ben pochi, meglio, così avremmo fatto ritorno a casa presto.
Jason mi fece segno di fermami e mi indicò un cervo che stava bevendo nel fiume. Gli zombie impantanati nel fango cercavano di morderlo, ma senza riuscirci perchè erano incastrati nel fango.
Jason si portò sulla spalla la balestra e prendendo la mira colpi in testa il cervo, facendolo cadere con un forte impatto in acqua.
Jason uscì allo scoperto e correndo verso il cervo, si girò in direzione degli zombie impantanati e li colpì in testa con due frecce. Uscii anche io e camminando velocemente, cercando di non rimanere impantanata nel fango, mi avvicinai a Jason e lo aiutai a spostare il cervo.
 
Quando tornammo a casa, Alice ci corse in contro, aprendoci il recinto e facendoci passare con l’animale. Quel dannato cervo pesava un casino, beh meglio così, adesso avevamo il pranzo e la cena, almeno per oggi.
– Avete trovato degli zombie? – chiese Alice affiancandomi.
– Solamente quelli del fiume, ma Jason li ha uccisi – risposi continuando ad aiutare Jason a portare in casa il cervo.
Appena entrammo in casa, Jason mi disse di lasciarlo e che ci avrebbe pensato lui a cucinarlo. Alice nell’arco di tempo in cui eravamo stati via, aveva dato una bella pulita alla cucina e al piccolo salotto.
Alice mi guardò teneramente poi si avvicinò a me e mi abbracciò, stringendomi fortemente i fianchi. Ricambiai l’abbraccio, anche perché ne avevo davvero bisogno.
– Ti voglio bene Tiffany – mi sussurrò tenendo la sua testa appoggiata sul mio cuore.
– Anche io – ribattei accarezzandole la testa bionda e spettinata, – Vuoi che ti faccio una coda? Hai una massa di capelli disordinata – le chiesi, cercando di fare passare le dita fra i suoi capelli, senza riuscirci perchè rimasero incastrati in quell’ammasso di nodi.
– Sì, grazie – mi rispose strusciando il suo naso contro alla mia spalla in un modo dolcissimo.
Alice ed io andammo nella sua stanza e prendendo una spazzola e un pettine, iniziai a snodargli la chioma annodata. Cercando di non fare del male ad Alice, tirai un ciocca per togliere il nodo. Quando ebbi finito di snodarli - ci misi quasi dieci minuti - le pettinai dolcemente i capelli biondi, raccogliendoli in una coda alta, lasciando fuori solamente il ciuffo sulla fronte.
– Ecco fatto – le dissi, scoccandole un bacio sulla guancia. Le fece finta di pulirsi poi girandosi verso di me, mi scoccò un bacio sulle labbra. Proprio come facevo con Lottie, prima di tutto questo.
Alice ed io in questi giorni ci eravamo unite molto, anche perché eravamo rimaste solo noi. Non che prima non le volessi bene, ma ora riuscivo a capirla, perché anche io facevo di tutto quando lei nacque. Ricordo che quando Alice nacque nessuno mi guardava più, allora per avere le attenzioni su di me, mi buttai giù dalle scale e mi ruppi una caviglia. Da quel giorno mi dettero un po’ di attenzioni, ma comunque la bambina principale in quel momento era la nuova arrivata, Alice. La odiai dal primo momento che arrivò, ma man mano che crescevo, l’odio scendeva, ma aumentava l’indifferenza. Alice fece lo stesso, perché da quando arrivò Lottie, i nostri genitori non fecero altro che guardare solamente lei e mettere da parte noi. Allora Alice faceva dispetti a tutti per avere tutte l’attenzioni puntate su di lei, ma ora era tutto diverso. C’eravamo solo noi, quindi lei si preoccupava per me e io per lei.
– Grazie sorellona – ringraziò saltando giù dal letto. Fece una piroetta, facendo svolazzare il suo vestitino azzurro che tanto adorava. Prima di lei, quel vestito fu mio. Ce l’eravamo passato, come quasi tutti i vestiti perché i nostri genitori non volevano comprargliene altri.
– Ragazze è pronto – urlò dal piano inferiore Jason. Scesi dal letto anche io e prendendo per mano Alice, scendemmo al piano inferiore, dove trovammo il tavolo apparecchiato.
– Grazie uomo di casa – dissi prendendolo in giro. Jason rise dandomi un bacio sulla guancia, prima di servirci il cervo fatto in padella.
Jason ed io ci eravamo uniti molto in questa settimana. Era un uomo fantastico, si prendeva cura di noi. Dovevo ammettere che mi piaceva davvero tanto, ma lui mi vedeva solamente come una ragazzina. Io avevo diciotto anni e lui ventinove. Per lui ero come una sorella minore. E che scazzo però.
Nella fattoria in cui stavamo, c’era un campo di pomodori, patate e zucchine. Quindi avevano la verdura e potevamo mangiare anche quella.
– Oggi dobbiamo per forza andare in città a prendere qualcos’altro da mangiare, da bere e dei vestiti puliti – disse Jason inforchettando un pomodoro.
Alice annuì mentre si sbranava il cervo, – Sei affamata Ali? – chiese Jason ridendo leggermente. Alice arrossì facendo cadere nel piatto una coscia del cervo, – Scusate –.
Scossi la testa – Non fa niente, mangia tranquilla. E riguardo a te, Jason, sì, hai ragione. Oggi pomeriggio andiamo a fare un controllo – dissi mangiando anche io.
Di colpo da fuori si sentì uno sparo e degli urli, – Alice sta’ qui – ordinammo in coro io e Jason prima di prendere il fucile e la balestra ed uscire di casa. Quando uscimmo, trovammo un uomo zoppicante appoggiato ad una donna dai capelli scuri e una donna dai capelli biondi vestita da campagnola che sparava a due zombie che si stavano avvicinando a loro. Se quella donna continuava a sparare, avrebbe attirato tutti gli zombie lì e il recinto non avrebbe retto e sarebbe stata la fine. Jason balzò giù dalla ringhiera e correndo verso alla bionda fece partire una freccia che andò a conficcarsi nel cranio senza pelle dello zombie. – Non sparare cazzona, attiri tutti gli zombie qui – esclamò furioso Jason riprendendosi la freccia dal cranio dello zombie per poi conficcarla nella testa dell’altro non morto.
– E’ stato morso? – chiesi avvicinandomi al vecchio e alla mora che scosse la testa, tenendo su l’uomo da un fianco, – No, è inciampato in un ramo basso mentre stavamo scappando dagli zombie – spiegò scuotendo la testa, facendo muovere i suoi capelli nell’aria.
– Bene, allora entrare – dissi aiutando la mora a portare il vecchio in casa, dove Alice ci stava aspettando spaventata.
– Cosa succede? Chi sono? – chiese con voce stridula, mentre stringeva la testa del suo orsacchiotto con fare insistente.
Mi avvicinai a lei e prendendola per le spalle, la scossi – Alice calmati. Vai di sopra e prendimi la crema che usavi per le distorsioni, okay? – le chiesi gentilmente.
Alice annuì cercando di trattenere le lacrime e corse di sopra a prendere quello che le avevo chiesto.
– Mi faccia vedere – dissi, facendo appoggiare sul tavolino del salotto il piede del signore.
Alzai pian piano il pantalone cercando di non muoverlo troppo per non fargli del male. Quando il pantalone fu su abbastanza, potei notare che la caviglia era davvero molto gonfia.
– Ci servirebbe del ghiaccio, dannazione – esclamai, alzandomi da terra per andare a controllare nel freezer se c’era del ghiaccio. Per fortuna c’erano dei piselli surgelati, presi quelli e avvolgendoli in uno straccio, li appoggiai sul piede del signore.
– Grazie per l’aiuto. Io mi chiamo Sarah, lui è Leroy e quella fuori è Regina, sua figlia – si presentò la mora porgendomi una mano che afferrai subito, – Io sono Tiffany, quella di prima era mia sorella Alice e quello fuori si chiama Jason –.
Alice scese di corsa la scale e mi passò la crema che le avevo chiesto. Nello stesso momento entrò Jason intento a litigare con la bionda, Regina. Iniziavamo bene.

 

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Capitolo 12
*** Mettiamo in chiaro le cose. ***


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Jason insieme all’aiuto di Alice spostarono i due cadaveri putrefatti e li bruciarono in una buca, mentre io, insieme a Sarah medicavo la caviglia di Leroy. La bionda invece continuava a camminare avanti ed indietro per la stanza. Mi davano troppo fastidio le persone che facevano così poi tra l’altro era Sarah che mi aiutava, invece che lei, dato che Leroy era suo padre e non della mora.
– Scusa ci potresti dare una mano, al posto di non fare niente? – chiesi stanca del suo comportamento, sembrava Alice, prima di questa esperienza.
Lei alzò il capo e mi guardò con un sopracciglio alzato come per dire ‘che cazzo vuoi?’. Indicai suo padre – E’ tuo padre se non sbaglio. Fai cambio con Sarah e aiutami – dissi con voce aspra, alzandomi da terra per sgranchire le gambe. Regina sbuffò poi avvicinandosi a Sarah, le diede il cambio. Sarah si alzò e si avvicinò a me – Mi dai una mano a preparare qualcosa? – le chiesi, – Tu tienigli il ghiaccio ben appoggiato sulla caviglia – dissi a Regina prima di girare i tacchi e dirigermi verso la cucina insieme alla mora.
Presi una bottiglietta d’acqua dal frigo e versandone un po’ in un bicchiere, ne bevvi un sorso. Avevo una sete assurda. Bevvi ancora mentre guardavo Sarah tagliare delle zucchine. Appoggiai sul tavolo il bicchiere e accendendo il fuoco, iniziai a far cuocere un pezzo di cervo.
– Grazie per averci ospitato – mi ringraziò Sarah, nello stesso momento che entrò in cucina Jason con i vestiti sporchi di sangue dei non morti.
– Mettiamo in chiaro le cose: se volete restare qui, dovete aiutarci e con aiutarci intendo anche andare in città a prendere le scorte di cibo e tutte le altre cose che ci servono e ovviamente dovrete collaborare in casa – disse serio Jason stando appoggiato alla porta con le braccia incrociate sul petto.
Sarah si ammutolì e annuì timidamente continuando a tagliare la verdura. Scoccai uno sguardo di fuoco a Jason che ricambiò con un sorriso sghembo poi girò i tacchi e urlò che andava a farsi una doccia.
– Vado a controllare Leroy – dissi gentilmente appoggiando una mano sulla spalla di Sarah che si fermò e guardandomi, annuì.
Uscii dalla cucina e mi diressi verso il salotto dove c’erano Leroy e Regina – Come va la caviglia? – chiesi avvicinandomi al vecchio.
Aprii il tubetto di crema e facendo spostare il ghiaccio da Regina, ci spalmai su la pomata e massaggiando per bene, la feci penetrare poi presi una fascia e gli fasciai la caviglia.
– Tra qualche giorno guarirà – dissi pulendomi le mani su uno straccetto che tenevo in tasca.
– Ho sentito quello che ha detto il ragazzo, faremo quello che chiedete, basta che non ci rimandiate la fuori – disse Leroy con voce fioca poi tossì portandosi una mano davanti alla bocca.
– Non vi manderemo la fuori. Di sopra sulla sinistra ci sono due stanze libere, potete prenderle voi – dissi gentilmente guardando prima Leroy che mi sorrideva gentilmente e poi Regina che mi fulmino con lo sguardo. Si alzò velocemente e sventolando la sua coda sotto al mio naso, girò i tacchi e si diresse al piano superiore. La voglia di prenderla a pugni era tanta. Ma chi si credeva di essere, per di più, qui era un ospite.
– Leroy riposati pure, intanto io e Sarah ti prepariamo qualcosa da mangiare – dissi gentilmente poi girai i tacchi e tornai in cucina, dove Sarah era intenta a disporre sul piatto le verdure.
– Mi dispiace per come si comporta Regina, è molto scorbutica – si scusò lei e non quella stronza di Regina. Annuì cercando di mostrarmi serena e tornai a cucinare il cervo.
Alice scese giù. Si era cambiata e lavata. Ora profumava di cocco e non era più sporca di sangue. – Tiffy ti serve una mano? – chiese entrando in cucina legandosi i capelli - ancora annodati - in un coda alta. Dopo mi sarebbe dovuto toccare snodarglieli tutti. Dannata Alice.
– Sì, puoi andare a controllare se Jason è ancora vivo – enfatizzai sulla parola ‘vivo’ dato che metà della popolazione era diventata cibo per gli zombie o comunque erano diventati dei non morti.
Alice annuì e saltellando, uscì dalla cucina. La sua coda bionda sparì dietro alla porta della cucina, lasciando di nuovo me e Sarah da sole.
 
Jason scese poco dopo insieme ad Alice. Io mi trovavo in salotto con Leroy e Sarah che erano intenti a mangiare.
Entrarono anche loro in salotto, Alice corse verso di me e lanciandosi sul divano, si stravaccò su di me. Jason invece si sedette sulla poltrona vicino a quella dove stavamo io e Alice.
– Resteranno qui e ci aiuteranno – esordii io portando entrambe le mani sulle cosce.
– Anche la bionda? – chiese Jason indicando il piano superiore in cui Regina stava in quel momento.
– Sì, anche lei – risposi scrollando le spalle.
Jason sospirò, alzandosi dal divano per poi avvicinarsi alla finestra del salotto e guardare fuori dalla finestra – Se partiamo ora, torneremo con il buio, quindi andremo domani mattina. Io, tu Tiffany e Regina, almeno così la potrò controllare. Non mi fido di lei – disse prima di lasciar cadere la tenda e andarsene via.
– Sarah puoi dirlo tu a Regina? Ti ringrazio – chiesi gentilmente alla mora se poteva farlo lei, perché di parlare con Regina, proprio non mi andava.
Alice si alzò sbuffando, poi si diresse verso la porta d’ingresso ed uscì. La seguii subito, – Alice che fai? Non puoi stare qua fuori da sola – la sgridai correndole incontro.
Alice si girò di scatto verso di me e incrociò le braccia sul petto – Non mi piace che questa gente stia qui. Non mi piace che quella bionda, vivi sotto il nostro stesso tetto. Mi fa paura, sembra pazza – mi disse Alice con voce lagnosa, ma aveva ragione, sembrava pazza. Cioè una persona ti aiutava, ti dava una casa in cui vivere e tu la trattavi così? Si era isolata nella sua stanza, ma che stia pure li a morire.
– Lo so, ma Leroy e Sarah sembrano delle brave persone. Non voglio mandarle la fuori. Anche noi abbiamo visto com’è, prova ad immaginarci la fuori? Non vivremmo un giorno senza venir morso oppure uccise –.
Alice sbuffò, sbattendo il piede sul terreno – Va bene, torniamo dentro – disse girandosi verso la casa e incamminandosi verso essa.
Jason uscì dalla casa insieme a Regina, appena Alice entrò in casa. Regina le stava anche fin troppo attaccata. Mi avvicinai a loro con delle falcate lunghe e appena gli fu vicini, incrociai le braccia sul petto – Che succede? – chiesi con voce alta, forse troppo perché Jason mi guardò stranito, come per dire ‘che hai?’.
– Regina vuole andare ora in città – mi rispose Jason alzando le spalle. Regina mi guardò sogghignando.
La fulminai con lo sguardo – Perché non vai ad ammazzarti da sola, uh? – le chiesi acida.
Regina rise, ma la sua risata aveva un retrogusto amaro – Mi serve qualcuno che mi copra le spalle – disse semplicemente scostandosi dalla fronte un ciuffo di capelli ribelle. Avevo una voglia di staccare i capelli a ‘sta puttana che non potevate nemmeno immaginare.
– Chiedi alla tua amica Sarah, lui mi serve qui – dissi seria, stringendo la mia mano intorno all’enorme polso di Jason.
– Oh, oh…non avevo capito che ve la intendevate. Complimenti bei gusti – disse Regina acidamente, guardandomi male poi girò i tacchi e tornò in casa, lasciando me e Jason soli.
Sapevo di avere le guance in fiamme, anche perché a me Jason piaceva moltissimo. Jason sospirò – Non ci pensare. Andiamo dentro ora – mi disse cingendomi con un braccio le spalle, pronto a rientrare in casa.

 

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Capitolo 13
*** Al supermercato. ***


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Quella mattina, io, Jason e Regina ci eravamo svegliati presto per andare al supermercato in città. Prendemmo la macchina e partimmo. Nessuno di noi parlava, nessuno fiatava. Gli unici rumori che si sentivamo, erano quello del motore e quello delle ruote contro il terreno.
Quando arrivammo in città, Jason parcheggiò subito la macchina davanti all’entrata del supermercato, dove c’erano carrelli abbandonati e rovesciati sull’asfalto. Uscimmo dall’auto con già in mano fucili e ovviamente, Jason la balestra.
I vetri del supermercato erano scuri e l’entrata era chiusa con un lucchetto e con le catene. Regina lo ruppe con colpo di ascia; le catene caddero a terra, facendo un po’ di rumore, ma non così tanto da attirare verso di noi gli zombie. Entrammo dentro al supermercato e prendendo un carrello, iniziai a prendere tutte le cose che servivano, mentre Jason controllava da una parte e Regina dall’altra. Presi un bel po’ di bottiglie d’acqua, scatolette di tonno, tutti i cibi in scatola e tutti quelli che sarebbero durati un po’. Presi anche delle pile, delle torce e delle candele, in caso dovessimo rimanere al buio. Mi diressi verso il reparto delle medicine, perché ci servivano. Però dovetti bloccarmi, nascondendomi dietro uno scafale, perché in quel punto c’erano circa otto zombie che zoppicavano, avanti ed indietro, mentre aspettavano carne fresca da mangiare. Se calcolavo la velocità che avevano loro e quello che avevo io, potrei riuscire persino ad ucciderli tutti, ma era meglio non usare le pistole perché il rumore avrebbe potuto attirarne altri.
Controllai dietro di me, per evitare di trovarmi qualche non morto. Vidi Jason in lontananza e facendoli segno di avvicinarsi a me, gli indicai il reparto in cui dovevo andare e con la bocca mimai ‘è pieno di zombie’. Jason annuì e correndo, questa volta, iniziò a colpire gli zombie con delle frecce. Dei non morti iniziarono ad avvicinarsi a noi, estrassi dalla cintura il mio coltello e lo conficcai nel cranio del primo zombie. Quando tirai fuori dal cranio il coltello, rivoli di sangue schizzarono sul mio viso. Mi pulii subito, poi continuai ad ucciderli con l’aiuto di Jason.
Quando il reparto fu ripulito dagli zombie, feci piazza pulita di medicine - dalle pomate alle pastiglie -, di garze e di cerotti. Presi ogni cosa, era sempre meglio prevenire, così non dovevamo fare avanti ed indietro per prenderli.
Regina arrivò di corsa verso di loro, ricoperta di sangue nero. Uno zombie alle sue spalle cercò di morderla, ma lei si girò di scattò e gli trafisse la testa con l’ascia, dividendola in due.
– Andiamo? – chiese Jason guardandomi. Annuì ed uscendo con il carrello, dalle ruote cigolanti, mi diressi verso la macchina, mentre Jason e Regina bloccavano la porta del supermercato con dei legni.
Appena fui davanti alla macchina, iniziai a caricare tutta spesa fatta, non accorgendomi però dell’arrivo di uno zombie che fu colpito da una freccia di Jason.
– Grazie – gli sussurrai appena lui mi fu vicino.
– E’ la terza volta che ti salvo la vita – mi sussurrò Jason, scoccandomi un bacio sulla guancia.
Mi aiutò con la spesa mentre Regina controllava in giro. Regina sparò dei colpi a degli zombie che si stavano avvicinando. Anzi una mandria di zombie che si stava avvicinando. Jason ed io caricammo il più veloce possibile la spesa sulla macchina e quando finimmo, chiamammo Regina, pronti per partire.
– Sali – urlai alla bionda. Regina sparò un ultimo colpo in testa ad una zombie che avrà avuto la mia età, poi corse verso la macchina e salì sul lato del passeggero. Jason fece partire la macchina e sgommando, schiacciò con le ruote degli zombie, spappolandoli sotto di esse.
Ci fermammo solamente per far benzina e per prendere altre due macchine, dato che ne avevamo solo una. Appena aprii la portiera della macchina, uno zombie balzò fuori cercando di mordermi il collo. Urlai spaventata e con una velocità quasi assurda, presi il coltello dalla cintura e gli trafissi un occhio, colpendoli il cervello, lo zombie si accasciò al suolo in una pozza di sangue nera e puzzolente. Lo spostai da lì e poi finalmente entrai in macchina. Regina invece dovette ucciderne due, ma anche lei alla fine salì in macchina. Partì per primo Jason, lo seguii a ruota io e poi infine Regina, pronti a ritornare a casa.
 
In quel momento la strada era tranquilla, ogni tanto compariva uno zombie, sul ciglio della carreggiata, ma bastava colpirlo con l’auto per farlo cadere a terra, magari con quel ossa rotta oppure con il cranio aperto in due. Ma comunque quei bastardi si rialzavano lo stesso con o senza il cranio aperto.
Mentre viaggiammo, pensai ad Alice, a quello che stava facendo in quel momento con Sarah e Leroy. Chissà, magari erano nel campo a raccogliere qualcosa. Oppure era sdraiata sul suo letto a riposarsi.
Ora come ora, non avevo mai odiato stare così lontana da mia sorella. Prima dell’epidemia, odiavo averla intorno, adesso invece se non c’era mi preoccupavo e non poco. Avevo paura di perderla, ogni giorno che passava, sempre di più. Gli zombie si moltiplicavano, si triplicavano in una velocità assurda. L’umanità si stava man mano che passavano i giorni, distruggendo sempre di più. Non sapevo quanta gente ancora umana fosse rimasta viva. I telegiornali trasmetteva cose assurde. Sangue, zombie, morte in ogni parte del mondo. Questi maledetti mostri, una volta umani, stavano distruggendo ogni cosa. Ogni essere vivente sulla faccia della terra. E noi eravamo ancora salvi, per quanto? Per quanto ancora saremmo riusciti a vivere così? Con gli zombie alle calcagna? 
Guardai Jason svoltare a destra con la macchina ed entrare nella stradina del bosco che portava alla fattoria. Eravamo quasi arrivati, finalmente. Finalmente avrei potuto riabbracciare Alice.
Quando fummo arrivati davanti al recinto, Alice corse fuori dalla casa e ci venne ad aprire. Jason entrò per primo e parcheggiò la macchina davanti alla casa, così avremmo fatto più in fretta a scaricare la spesa. Io invece mi parcheggiavi con la macchina vicino al recinto e Regina fece lo stesso. Intanto Alice chiuse il recinto con il catenaccio.
Scesi dalla macchina e corsi subito ad abbracciare Alice che ricambiò la stretta – Mi sei mancata – le sussurrai all’orecchio, accarezzandole i capelli biondi.
– Anche tu – sussurrò a sua volta Alice, sciogliendosi dal mio abbraccio – Ho preparato il pranzo, ho fatto un po’ di verdura in padella e quello che era rimasto del cervo – mi disse orgogliosa di sé.
– Brava Alicat – mi congratulai con lei e poi insieme ci dirigemmo verso l’auto con la spesa, pronte a scaricare tutto, con l’aiuto di Jason, perché ovviamente Regina non ne volle sapere di aiutarci.

 

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Capitolo 14
*** Litigio. ***


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– Quella stronza poteva almeno aiutarci, dato che al supermercato ho fatto tutto io – dissi nervosa mentre scaricavo un po’ di cibo.
Jason mi guardò di traverso, io scossi la testa – Sai cosa intendo. Non mi ha nemmeno aiutata a prendere qualcosa da mangiare e quella pretende di stare qui – continuai passando ad Alice i sacchetti con dentro tutte le medicine.
– Lo so, anche a me non piace, ma dobbiamo tenercela qui – disse serio Jason mentre scaricava il resto della spesa.
– Perché? – chiesi acida.
– Perché sa sparare e ci serve in caso di un attacco da parte degli zombie –.
Scollai le spalle e prendendo due sacchi della spesa entrai in casa, senza neanche rispondere a Jason.
Alice corse fuori dalla casa e andò alla macchina a prendere le altre cose. Jason intanto con lunghe falcate, si avvicinò a me, mettendosi al mio fianco.
Quando entrammo in casa, ritirammo tutto in cucina, nelle mensole e nel frigorifero. Invece le medicine le portai in camera mia e di Jason, ritirandole nel cassetto del comodino centrale.
Quando uscii dalla camera, trovai Jason sulla soglia della camera di Regina, Leroy e Sarah. Era intento a parlare con la bionda, di non so cosa. Mi avvicinai a loro, nascondendomi dietro alla scarpiera e cercai di sentire quello che si dicevano.
– Potresti almeno darci una mano, dato che ti stiamo ospitando – disse serio Jason.
Regina si avvicinò a Jason e gli accarezzò una guancia – Mi spieghi come fai a stare con quella? E’ solamente una bambina, cosa vuoi che ti dia? Io posso darti quello che vuoi e penso tu abbia capito cosa intendo – disse la bionda cercando di baciarlo, ma lui si scansò di colpo. Regina spalancò gli occhi e poi spingendo Jason fuori dalla sua stanza, sbatté la porta così forte da far vibrare le finestre di tutta la casa.
Io me ne stetti rigida come un palo dietro alla scarpiera con gli occhi spalancati. Aveva davvero detto così? Ma chi cazzo si credeva di essere? ‘Sta puttana.
Jason scrollando le spalle, girò i tacchi, pronto a tornare al piano inferiore, ma la mia sagoma spiaccicata contro alla scarpiera, lo fece fermare e fare dietro front.
– Hai sentito quello che ha detto, vero? – chiese Jason sospirando.
– Sì, scusa ora devo andare a cucinare – risposi svelta, correndo giù dalla scale, non sapendo che Regina ci stesse spiando, da dentro la sua stanza.
Quando scesi, c’era Alice intenta a rovesciare l’olio del tonno nel lavandino, mentre Leroy stando seduto su una sedia, con la caviglia appoggiata su un cuscino, tagliava delle fette di carne.
– Stamattina io e Sarah siamo andate a caccia – spiegò Alice scrollando le spalle con nonchalance. Sarah mi guardò ed annuì, sorridendomi.
Scoccai uno sguardo di fuoco ad Alice che ricambiò con un sorriso – Non mi hanno morsa, ma ho ucciso almeno quattro zombie la fuori, invece Sarah due – disse velocemente.
– Beh che non ricapiti, ora passami una pentola – le dissi, accendendo il fuoco per preparare la pasta.
Alice mi passò la pentola ed io la riempii d’acqua e l’appoggiai sul fuoco, aspettando che bolla. Intanto iniziai a tagliare l’insalata che aveva raccolto Alice ieri nel orto.
Jason invece era uscito a fare perlustrazione, in caso qualche zombie riuscisse ad oltrepassare il recinto.
– Arrivo subito – dissi ad Alice poi le diedi un bacio ed uscii dalla cucina.
 
Salii le scale e facendo un profondo respiro, mi diressi verso la stanza di Regina e bussai. Quando venne ad aprire, mi guardò con la sua solita faccia da strafottente; non ci pensai neanche un secondo, le tirai un pugno in pieno viso, facendole uscire sangue dal labbro.
Regina urlò portandomi una mano sulla parte colpita, – Sei pazza – mi strillò in faccia.
Risi di gusto, – Te la sei cercata, puttana. E Sta’ lontana da Jason sennò giuro che ti do in pasto agli zombie. Ci siamo capite? – le gridai in faccia.
Cercò di sferrarmi un pugno, ma fui molto più veloce di lei e lo scansai. Le tirai un pugno nello stomaco, facendola piegare in due. Sputò sangue sul pavimento. – Fottiti –  disse tossendo.
La tirai su dai capelli e poi la spinsi sul letto facendo cadere dall’altra parte. Alice sentendo il casino chiamò Jason che arrivò subito, fermandomi. Perché giuro ero sul punto di spaccarle la faccia per bene.
Mi prese da dietro e mi tenne stretta fra le sue braccia. Scalciavo, cercando di colpire Regina che aveva la faccia sporca di sangue.
– Tiffany calmati – disse ad alta voce Jason, portandomi fuori da lì. Mi portò in camera nostra e ci chiuse dentro con la chiave.
– Tiffany, guardami – disse avvicinandosi a me e mi accarezzò un braccio.
Alzai lo sguardo e lo fissai negli occhi, cercando di non piangere anche se le lacrime, erano sul punto di uscire.
– Perché l’hai fatto? Per quello che ha detto? Perché? A me Regina non piace. Mi piaci tu – disse Jason sorridendomi dolcemente, mentre mi accarezzava i capelli. Arrossii di botto. Le mie guance erano rosse, peggio di un peperone. Mi avvicinò a lui, prendendomi da un fianco e lentamente, appoggiò le sue labbra sulle mie. Abbassai le palpebre, godendomi a pieno quel momento. Era il mio primo bacio. Sentii la sua lingua passare sopra il mio labbro inferiore, in una muta richiesta di approfondire quel contatto. Dischiusi le labbra e le nostre lingue si incontrarono per la prima volta, si intrecciarono e lottarono, in una lotta senza fini. Ci staccammo dopo un po’ di tempo, perché eravamo a corto d’aria. Gli sorrisi timidamente, con le guance in fiamme. Jason mi stringeva i fianchi in una morsa possessiva, quasi avesse paura che scappassi da lui, cosa che avrei fatto assolutamente.
 
Quando scesi al piano inferiore con Jason, Sarah e Leroy non c’erano. Alice mi disse che erano in camera con Regina per medicarle la ferita. Che ovviamente si era cercata. Di sicuro non mi sarei scusata con quella puttana.
Per non pensare a Regina e quello che le avevo fatto, iniziai a cucinare il pranzo, insieme ad Alice e Jason. Sembravamo quasi una famiglia felice.
Alice scolò la pasta, mentre io finivo di cucinare la carne di cervo che aveva cacciato insieme a Sarah. Jason invece era andata al piano superiore per avvisare che la cena era pronta. Scesero tutti, compresa Regina che si scusò con me, per quello che aveva detto. Feci spallucce ed iniziai a servire il pranzo a tutti, cercando di sembra il più tranquilla possibile, non sul punto di uccidere Regina. Ah, doveva stare molto attenta, d’ora in poi.

 

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Capitolo 15
*** Nuova Arrivata. ***


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Appena finimmo di mangiare, io e Alice, andammo a bagnare i campi perché sennò sarebbero morti.
Alice si mise in testa un capellino di paglia e saltellando fra i campi, bagnava la verdura, mentre io pulivo il tutto dall’erbacce.
– Tiffany perché hai picchiato Regina? Lo so che ti sta antipatica, ma deve aver fatto qualcosa per farti arrabbiare così – mi disse Alice, usando la pompa dell’acqua per bagnare i pomodori.
– Ha detto una cosa poco carina su di me a Jason – risposi pulendomi la fronte bagnata dal sudore.
Alice sospirò fortemente – Ti piace proprio Jason, eh? All’inizio non volevi nemmeno che stesse con noi – disse ridendo appena. Andò a spegnere la pompa dell’acqua e si avvicinò a me, con gli stivali sporchi di terra.
– Sì, mi piace – scrollai le spalle e mi alzai da lì, sgranchendomi le gambe.
Alice si abbassò ed iniziò a strappare dei fili d’erba inutili – Continuò io qui, vai a riposarti un attimo – disse dolcemente, girando il capo verso di me, poi mi sorrise.
– Non dovrei essere io quella dolce e comprensiva? – chiesi ridendo, prima di andare a sedermi su una seggiola di legno.
Lei scrollò le spalle, scoppiando a ridere – Tiffany, le cose sono cambiate e anche molto – mi disse semplicemente, poi continuò a strappare l’erba, stando in silenzio.
Ripensai a quando i nostri genitori erano ancora vivi. A quando nostra madre ci obbligò ad aiutarla con il piccolo giardino dietro casa. Lottie aveva appena compiuto due anni e si divertiva a giocare con la terra. Mentre io e Alice, non facevamo altro che litigare, su chi doveva fare le cose più difficili e faticanti. Ovviamente, vinceva lei e a me toccava fare tutto il lavoro, mentre lei se ne stava seduta a mangiarsi un gelato e non faceva niente per il giardino.
– Alice, forza vieni qui. Cazzo aiutaci – sbottai nervosa, mentre infilavo le mie mani con lo smalto appena messo, nella terra, rovinandomele.
– Tiffany non dire parolacce – mi sgridò mia madre mentre piantava una piccola pianta.
Papà invece stava con Lottie, ci giocava e controllava che non si facesse del male,  – Ma che brava che sei piccolina – esclamò dolcemente, guardando quello che faceva con la terra.
Alice invece se ne stava seduta su una sedia e mangiava un gelato, leccando le gocce che colavano sulle sue dita. Non muoveva un dito per il giardino. Niente di niente.
– Alice! – strillai, alzandomi di scatto da terra.
Alice scosse la testa, facendo così muovere nell’aria, i suoi setosi capelli biondi, – Appena finisco il gelato arrivo – disse con un scrollata di spalle. Sbuffai, tornando a piantare i fiori di mamma.
– Tiffany – l’urlo di Alice, mi fece risvegliare dai miei pensieri e guardai dalla sua parte. Degli zombie si stavano avvicinando alla staccionata. E se troppi si ammassavano lì, il recinto avrebbe ceduto e addio casa.
– Alice vado a prendere i fucili – le urlai correndo verso casa, nello stesso momento che io passai dall’ingresso, uscì Jason con la sua balestra e mi passò due fucili, – Forza vai –.
Corsi fuori dalla casa e lanciai un fucile ad Alice che cominciò subito a sparare dei colpi precisi, colpendo in pieno le teste degli zombie.
Impugnai il fucile, presi per bene la mira e sparai ad una zombie putrefatta che cadde a terra e venne schiacciata dagli altri non morti, come se niente fosse.
Uscirono anche Sarah, Regina e Leroy dalla casa e ci aiutarono, spararono anche loro. Gli zombie stavano diminuendo, ma il rumore degli spari poteva averne attirati altri.
Continuammo a sparare, fin quando di zombie ne rimase solamente uno, che venne colpito alle spalle da un pugnale, bello lungo.
Il pugnale fu tirato fuori dal cranio dello zombie che cadde a terra, scoprendo la sagoma che aveva dietro. Una ragazza, dai capelli rossi e un bel fucile ben stretto fra le mani, con un fascia macchiata di sangue intorno ad una gamba. Mi guardò, fissa negli occhi, poi svenne a terra, in mezzo agli zombie, morti.
Jason ed io corremmo verso la ragazza e alzandola da terra, la portammo in casa. Chi era questa ragazza? E da dov’era sbucata? Era con qualcuno? Oppure era sola?
 
Quando la ragazza si svegliò, si guardò in giro stranita. Cercò di alzarsi, ma dovette risdraiarsi, pensai per una fitta oppure un mancamento. Leroy seduto al mio fianco, le sorrise amorevolmente poi si alzò e si avvicinò al letto.
– La ferita non si è ancora del tutto cicatrizzata, ma tranquilla, tra qualche giorno scomparirà. Per fortuna non era tanto profonda, come te la sei procurata? – chiese lentamente.
La ragazza dai capelli rossi, si guardò in giro spaesata – Stavo scappando dai divoratori e sono caduta in una buca. Ora dove mi trovo? – chiese con voce esile.
Mi alzai dalla sedia e avvicinandomi alla finestra, tirai le tende per fare entrare un po’ di luce, – Sei a casa nostra – dissi semplicemente, girandomi con il corpo verso di lei.
– Io sono Tiffany, lui è Leroy, di sotto ci sono altre quattro persone, tu chi sei? – mi sedetti sul letto, vicino al suo fianco e le sorrisi.
– Hannah, Hannah Lovelace – rispose tossendo. Leroy fu veloce e le passò un bicchiere d’acqua fresca che bevve subito.
– Bene Hannah Lovelace, quando ti sentirai meglio, scendi al piano inferiore che vogliamo farti delle domande. Ora dormi pure – dissi dandole una pacca sul ginocchio, prima di alzarmi e seguita da Leroy, uscimmo dalla stanza, lasciando riposare la ragazza.

 

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Capitolo 16
*** Hannah Lovelace. ***


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“Correva fra i boschi, inseguita da persone vive che volevano ucciderla. Perché? Per quale motivo?Più umani erano, meglio si stava. E non solo divoratori, pronti a staccarti la carne dalle ossa.
Dei dannati non morti si accorsero della sua presenza e girandosi dalla sua parte, iniziarono a zoppicare oppure strisciare - per quelli che non avevano le gambe – verso lei.
Hannah correva tenendo ben saldo fra le mani il suo fucile; uno zombie le si piazzò davanti cercando di morderla, buttandosi addosso a lei, ma fu più veloce, tirò fuori dalla cintura il suo pugnale e lo conficcò nel cranio del non morto. Appena il divoratore si fu accasciato, Hannah ricominciò a correre, sentiva le voci dei suoi rapitori che la chiamavano. Si stavano avvicinando a lei, pronti a prenderla, per fare chissà cosa. Stuprala? Come minimo. Picchiarla? Ovvio. Lasciarla andare? Neanche per sogno.
Hannah girò la testa indietro per vedere se erano così vicini a lei, quando la rigirò, non si accorse di una buca e ci cadde dentro, picchiando il ginocchio e tagliandosi una coscia. Cercò di trattenere le urla, perché sennò l’avrebbero trovata. Ma quello che c’era li sotto era peggio. C’erano almeno sette zombie, pronti per mangiarsela. Uno le balzò addosso pronto a mangiarsela.”
Sentimmo un urlo partire del piano superiore. Jason ed io corremmo subito a vedere cosa succedeva. C’era Hannah che si dimenava e urlava nel letto, intrappolandosi così nelle lenzuola. Appoggiai il fucile su una sedia di legno, nell’angolo vicino al suo letto e mi avvicinai a lei svegliandola.
– Hannah calmati, sei al sicuro – le sussurrai, accarezzandola la chioma rossa, inzuppata di sudore.
La rossa si guardò in giro spaesata, incominciò a piangere e a tremare, quando i suoi occhi incrociarono quelli di Jason. Jason abbassò lo sguardo e capì perché stava reagendo così. Suo fratello le aveva fatto del male. Mi diede un bacio sulla guancia ed uscì dalla stanza, dicendomi che mi avrebbe aspettato di sotto.
Si alzò di scatto, sbattendo la gamba contro al comodino, urlò dal dolore, – Voi mi riporterete da quelli là. Qui non sono al sicuro – strillò prendendo il suo pugnale da sopra al comodino e puntandomelo alla gola.
– Calma ti prego – tremai, mentre avvicinava sempre di più il pugnale – Non siamo con quelli, hanno cercato di fare del male anche a me e a mia sorella. Suo fratello, il ragazzo che c’era prima, ci ha aiutato ed è venuto via con noi. Qui sei al sicuro – dissi a corto di saliva e sperai che la rossa, tirasse indietro il pugnale.
Lentamente ritrasse il pugnale e se lo infilò nella cintura – Perché dovrei crederti? – chiese schietta.
Sospirai – Perché è la verità. Noi siamo qui da due settimane e non sono mai venuti a cercarci. Gli zombie ogni tanto arrivano, ma non sono tanti e riusciamo ad ucciderli tutti poi li bruciamo in una buca – appena finii di dire la frase, Hannah sbiancò. Non so per quale motivo, ma sbiancò. Era diventata pallida, così pallida da fare invidia ai vampiri.
– Ti senti bene? È meglio che tu ti sieda – le dissi, facendola sedere sul bordo del letto. Mi sedetti al suo fianco e le chiesi di raccontarmi quello che le era successo. Iniziò a raccontarmi di come il gruppo del fratello di Jason, l’avesse presa con le forze dalla sua piccola capanna e portata al loro campo. L’avevano picchiata, torturata e se non fosse riuscita a scappare, l’avrebbe anche stuprata. Mi disse anche che scappando finì in una buca piena di zombie. Ma riuscì ad ucciderli tutti, senza farsi mordere. Si arrampicò nella buca e riuscì dopo un paio di tentativi ad uscire da lì e arrivare fino a noi.
– Mi dispiace davvero. Se vuoi riposarti ancora fa’ pure, noi siamo di sotto – le dissi gentilmente, accarezzandole i capelli. Ah, sembravo mia madre. Oh quanto mi mancavano, mamma, papà e Lottie. Vorrei che fossero qui.
Hannah scosse la testa – Voglio venire giù – mi disse semplicemente e con il mio aiuto, riuscì a scendere al piano inferiore. Dove c’erano Sarah e Alice intente a preparare la cena. Leroy stava accendendo il fuoco, nel piccolo camino, perché quella sera faceva davvero freddo. Jason e Regina invece non c’erano.
– Jason e Regina? – chiesi ad Alice, che si girò verso di me alzando le spalle, – Forse sono fuori a spostare gli zombie per bruciarli domani mattina – mi rispose tornando a cucinare.
Feci accomodare Hannah sul divano, Leroy le controllò la ferita, mentre io uscii alla ricerca di Jason.
– Jason? Jason? – urlai attirando a me uno zombie. Corsi verso il recinto e lo colpii in testa con il coltello.
– Tiffany sono qui – sentì urlare dall’altra parte, quando mi girai, trovai Jason intento a trascinare il corpo di un non morto, per portarlo nella buca che avevamo scavato, dietro ai campi.
– Arrivo – urlai, incominciando a correre dalla sua parte, quando fui abbastanza vicina, potei notare che Regina mancava – Dov’è Regina? – chiesi.
Jason alzò la testa e si pulì la fronte – E’ nel fienile – rispose tranquillamente. Buttò un non morto nella buca e poi pulendosi le mani con i guanti, tornò a prendere gli altri. Gli diedi una mano, infatti finimmo molto presto. Nel frattempo arrivò Regina che ci diede una mano anche lei. Ne rimasi davvero colpita. Finalmente aiutava.
– Quella ragazza sta bene? L’ho sentita urlare – chiese Regina trascinando una donna-zombie mezza putrefatta, le mancava persino un braccio.
– Si, mi ha raccontato quello che le è successo – dissi, buttando un zombie nella buca poi iniziai a riferire quello che mi aveva detto Hannah.
Jason sospirò, –  Mio fratello è un bastardo – esclamò tirando un calcio ad uno zombie, facendolo cadere nella buca, emettendo così un leggero rumore.
– Tu sei diverso – gli dissi, avvicinandomi a lui. Jason mi abbracciò di slancio, mormorandomi un grazie.
Regina tossicchiò poi scrollando la testa, girò i tacchi e si incamminò verso casa. Ci urlò di muoverci poi entrò nella casa, chiudendosi la porta alle spalle.
Quando Jason si staccò dal mio abbracciò, portò una sua mano dietro al mio collo e avvicinò il mio viso al suo poi combaciò le nostre labbra, in un bacio. Che da dolce diventò più passionale. Ci staccammo solo per riprendere fiato, – Forse è meglio entrare – dissi respirando con fatica. Jason rise poi annuì e prendendomi per mano, entrammo in casa.
Quando entrammo in casa, la cena era già stata servita e mancavamo solo noi. Alice mi si avvicinò e dandomi una sberla sul braccio, mi disse di sedermi e mangiare che ai baci ci pensavo dopo. Mi fece ridere, era di una dolcezza assurda, la mia piccola Alice.

 

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Capitolo 17
*** Problemi. ***


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Un forte frastuono ci fece svegliare di colpo dal nostro sonno. Jason scese al piano inferiore con in mano il fucile, invece io mi diressi verso la stanza di Alice, la svegliai e la portai nella camera di Leroy, Sarah e Regina.
– State con lei, andiamo a controllare io e Jason – dissi svelta prima di uscire dalla loro stanza.
– Aspetta, vengo anche io – urlò Regina alzandosi di scatto e seguendomi, scendemmo al piano inferiore, tenendo ben salde fra le mani le pistole.
Jason uscì di corsa dalla cucina e aprendo la porta dell’ingresso, andò fuori. Io e Regina lo seguimmo e quando fummo fuori, trovammo il fratello di Jason e il suo amico pazzo che ci puntavano i fucili contro.
– Bene, bene fratellino. Stai ancora con questa qui? – chiese suo fratello, puntandomi contro il fucile. Jason mi si piazzò davanti per proteggermi da suo fratello.
– Alex vattene da qui – disse Jason digrignando i denti.
Alex rise di gusto, – Tu hai una cosa che ci appartiene, sappiamo che è qui – disse lui avvicinandosi a Regina e accarezzandole una guancia. In cambio ricevette lo sputo di Regina in faccia.
– Fratellino stai con delle belve, eh? – chiese prendendo per i capelli Regina e trascinandola al centro, fra noi e loro. Regina urlava mentre scalciava per liberarsi da Alex, senza però riuscirci.
Le puntò alla testa il fucile – Datemi la rossa e nessuno si farà del male – disse togliendo la sicura.
– No – urlai, attirando l’attenzione di quattro zombie verso di noi.
– Bene, allora morire tutti – disse serio.
Era sul punto di sparare, quando un proiettile gli trapasso il cranio. Lo stesso successe a Steve, l’amico. Caddero entrambi a terra in una pozza di sangue. Dalla finestra della camera mia e di Jason partirono altri colpi che andarono a colpire gli zombie. Alice e Hannah avevano sparato al fratello di Jason e all’amico e adesso ai non morti che si stavano dirigendo verso di noi.
Jason non versò nemmeno una lacrima, si spostò da davanti a me e andò verso il fratello e controllò se fosse davvero morto. Regina con le lacrime agli occhi, si alzò di lì e venne verso di me. Raccolse il fucile ed insieme iniziammo a sparare contro agli zombie.
– Tiffany dammi una mano a spostarlo, così gli zombie avranno qualcosa da mangiare – urlò Jason prendendo per le braccia suo fratello. Guardai Regina, lei annuì e poi corsi verso Jason, presi le gambe del fratello e alzandolo lo trascinammo nei boschi, facendoci seguire dagli zombie. Lo buttammo in una fossa e i non morti non ci pensarono due volte a buttarcisi dentro per mangiare.
– Jason stai bene? – gli chiesi appoggiando un braccio sulla sua spalla. Lui annuì e mi diedi un lieve bacio sulle labbra poi tornammo alla casa.
Regina era già intenta a spostare i corpi degli zombie dentro la buca ed Hannah la stava aiutando. Alice e Sarah invece stavano rotolando il corpo di Steve dentro ad un lenzuolo, per poi buttarlo nella buca, insieme agli zombie.
Alice corse verso di noi e saltò in braccio a Jason, – Stai bene? Mi dispiace, ma dovevo farlo, sennò ci avrebbe uccise tutte – disse piagnucolando.
Jason le accarezzò la schiena e le disse che andava tutto bene. La fece scendere dalle sue braccia e quando fu a terra, fece una piroetta - come sempre - e poi corse in casa.
 
Il mattino seguente, nessuno parlava, nessuno osava fiatare su quello che era successo ieri, a parte Hannah che si scusò con Jason. Lui non disse niente, scrollò le spalle ed uscì di casa. Io e Alice stavamo preparando la colazione, mentre Jason dava fuoco alle carcasse degli zombie.
Regina e Hannah apparecchiarono la tavola. Sarah e Leroy invece erano fuori per pattugliare la zona. La caviglia di Leroy era guarita bene. Ora poteva tranquillamente camminare. Per fortuna.
– Tiffany avete parlato tu e Jason ieri? – chiese Regina entrando in cucina per prendere i bicchieri.
Scossi le spalle – Non molto – risposi girandomi verso di lei poi sospirai. Lei annuì poi tornò da Hannah e le riferì la mia risposta. Hannah si sentiva in colpa per quello che era successo. Continuava a dire che se non fosse venuta da noi, a quest’ora Jason aveva ancora un fratello. Ma forse era meglio così, almeno non avremmo avuto problemi in futuro.
– Alice vado a chiamare Jason – dissi pulendomi le mani su uno straccio poi uscii dalla cucina e dalla casa.
Trovai Jason seduto su una seggiola di legno, intento a guardare il fuoco che bruciava i corpi dei mostri. Più mi avvicinai e più capii che stava piangendo. Lo chiamai, lui si girò verso di me con gli occhi arrossati e le labbra gonfie. Corsi subito verso di lui e lo abbracciai, sussurrandogli un mi dispiace. Anche se poco era vero.
Jason tirò su con il naso ed iniziò ad accarezzarmi la schiena. Mi fece sedere sulle gambe e stemmo abbracciati a guardare le fiamme divampare.
– Doveva andare così. Mio fratello ha fatto delle cose orribili. Ha ucciso persone ancora umane, ha stuprato delle povere ragazze e poi l’ha date in pasto agli zombie. E’ giusto che sia morto – disse con voce esile, continuando a fissare le fiamme.
– Jason io non so cosa dire, Alice e Hannah sono davvero dispiaciute. Hannah si sente in colpa –
– Perché? Hanno fatto bene e Hannah non deve sentirsi in colpa. Lei è riuscita a scappare da una morte sicura e si è rifugiata da noi e basta. Non ha fatto nient’altro –
Jason mi fece scendere dalle sue gambe e poi si alzò anche lui – Non sei venuta qui per questo vero? –.
Scossi la testa, sorridendo – In verità sono venuta qui per avvisarti che la colazione è pronta – dissi grattandomi una guancia.
Jason annuì e prendendomi per mano entrammo in casa. Odiavo vederlo così. So quanto sia brutto perdere qualcuno della propria famiglia, anche se non proprio buono o come Alex, pazzo.

 

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Capitolo 18
*** Zombie shopping e due ragazze. ***


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– Sarah, io e Alice stavamo pensando di andare a prendere dei nuovi vestiti in un piccolo negozio in città. Sta iniziando a fare davvero freddo quindi è meglio coprirsi per non ammalarsi più del solito. Per l’estate andremo a prendere i vestiti nelle casa, è l’unico modo – spiegai indossando un giubbotto di pelle. Alice intanto iniziò a controllare se ci fossero degli zombie. Sarah annuì incerta. 
Sospirai – Se non vuoi, fa niente. Andremo io e Al... –, non finii la frase perché Regina mi sovrastò con la sua voce – Veniamo io e Hannah – disse seria stringendo il manico di un’ascia e poi se lo portò su una spalla. Annuii e poi le ringraziai per l’aiuto. Alla fine accettò anche Sarah. Così noi ragazze prendemmo una macchina e partimmo per andare a fare ‘shopping con zombie’, intanto Jason e Leroy iniziarono a concimare i campi.
 
– Pensi che troveremo tanti zombie lì? – chiese Alice stringendo fra le mani il suo fucile.
Guardando attentamente la strada le risposi che sinceramente non lo sapevo e che speravo che ce ne fosse pochi. O almeno non una mandria affamata.
Sarah, Regina e Hannah stavano un po’ strette nei sedili posteriori, ma Alice non ne volle sapere di prendere il posto di una di loro. Così alla fine lei venne davanti con me e le altre dietro.
– Quanti vestiti dovremmo prendere? Prenderemo anche qualche medicina? – chiese Hannah al centro, per modo di dire, dato che ad ogni mia curva, si appiccicava a Regina che a sua volta si scontrava con il finestrino e la portiera.
– Si perché no, ma se trovate intoppi scappate – dissi seria fermando la macchina davanti ad negozio con le vetrate scure. I manichini messi in bella vista nella vetrata erano ancora completamente vestiti. Sembrava non esserci mai stato nessuno in quel posto dal quando era scoppiata l’epidemia. E se fosse completamente pieno di zombie? Gli spari ne avrebbero sicuramente attirati altri di non morti in quel punto. Dannazione!
– Che si fa? – chiese Regina di punto in bianco, appoggiando la mano sulla maniglia della porta d’ingresso del negozio.
– Apri – dissi preparandomi ad eventuali non morti. Anche Alice e le altre lo fecero, tirarono fuori i loro coltelli, pistole e Hannah ovviamente il suo pugnale.
Regina aprì la porta e picchiettò la canna del fucile contro ad essa per vedere se arrivava qualche zombie. Di punto in bianco sentimmo dei lamenti e suoni gutturali. Uno zombie putrefatto, con anche metà del collo mangiato, si stava avvicinando a noi con una camminata lenta e goffa. I suoi occhi erano così assenti ed inespressivi, come tutti gli altri d'altronde. Mi stava venendo una tristezza assurda, cos’era successo al mondo? Perché questa epidemia? Perché? Tutta questa gente ormai morta o zombie…Che vita orribile, anzi non era nemmeno più vita, era sopravvivere giorno per giorno. Gli zombie continuavano a crescere di numero e noi ancora vivi, continuavamo a diminuire.
Regina entrò di corsa e gli pianto una pugnalata nel cranio, rivoli di sangue nero scesero dalla ferita. La bionda ritirò il pugnale, estraendolo dal cranio del non morto e lo lasciò cadere a terra.
Regina ci fece segno di entrare e prendendo per mano Alice, la tenni al mio fianco. Hannah che entrò per ultima, chiuse la porta per non trovarci qualche sorpresa.
Iniziammo a prendere tutto quello che trovavamo. Maglioni, giubbotti, jeans e magliette a maniche lunghe. Le altre prendevano il resto, persino le scarpe.
Presi dei sacchetti da dietro al bancone e incominciai ad infilarci dentro le cose. Non mi accorsi che dietro di me era apparso un zombie, fin quando Sarah non lo colpì al cranio con un coltello. La ringraziai mentre guardavo il corpo dello zombie putrefatto che stava a terra.
Prendemmo tutto e poi con tutte quelle borse - pesanti - uscimmo dal negozio. Incominciammo a caricare sulla macchina le borse, Hannah e Regina ci dissero che sarebbero andate a prendere qualcosa in farmacia e che sarebbero tornate subito. Alice, Sarah ed io continuammo a caricare le cose. Nessuno di noi tre si accorse che da dentro al negozio, uscirono due ragazze dai capelli biondi con qualche graffio e macchie di sangue sui loro corpi.
Quando Alice si girò da quella parte puntò contro di loro la pistola, – No! Ferma! Non siamo zombie – esclamò la ragazza dai capelli biondi e dalla giacchetta di pelle rossa, alzando le mani verso il cielo.
– Oddio, stavo per spararvi – esclamò Alice ritirando la pistola nella cintura.
L’altra ragazza bionda emise un risolio – Complimenti piccolina. Quanti anni hai? Dieci? Undici? – chiese guardando attentamente mia sorella.
Alice fece svolazzare i capelli nell’aria e poi tornò a guardare le bionde – Ho dodici anni. E comunque posso farti il culo anche ora – disse spavalda poi girò i tacchi e tornò a ritirare le borse.
– Carina – disse sarcastica la bionda con la maglia bianca e sporca di sangue di zombie o magari di persone ancora umane.
Alzai le spalle – Cosa volete? – chiesi guardando i lati della strada per controllore se Regina e Hannah stessero arrivando.
– Avete un accampamento? Noi non mangiamo da giorni e siamo rinchiuse lì dentro da una settimana – disse la bionda con la giacca rossa.
– Come vi chiamate? –
– Io sono Maggie Pike e lei è mia sorella Amy –
– Bene, io sono Tiffany, quella che vi ha puntato la pistola è mia sorella Alice, poi c’è Sarah che sta caricando le borse e poi ci sono Regina e Hannah che sono andate a prendere delle medicine –
– Piacere. Avete un accampamento allora – esclamò quella che si chiamava Maggie.
– Si abbiamo un accampamento. Posso farvi delle domande? – chiesi tranquillamente. Maggie annuì grattandosi la nuca.
– Avete mai ucciso qualche persona ancora umana? –
– Nostro fratello, ma perché era stato morso –
– Zombie ne avete uccisi? Quanti? –
– Boh…parecchi, perché? –
– Perché mi serviva saperlo. Se volete venire con noi, dove cercare una macchina che funzioni e poi ci seguirete – spiegai consegnando un coltello ben affilato a Maggie.
– Grazie – disse correndo verso una macchina insieme alla sorella.
Guardai Alice sospirando – Spero solo di non pentirmene – sussurrai a me stessa poi andai ad aiutare le due sorelle contro a due zombie che si stavano avvicinando a loro.

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Capitolo 19
*** Addio Sarah. ***


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Non ci misi molto ad uccidere quei due zombie perché erano davvero putrefatti, chissà da quanto non mangiavano. Quando non mangiavano per molto tempo, tendevano a marcire più velocemente, vedevi il loro stomaco restringersi e la pelle staccarsi dal corpo. Una cosa da far venire il voltastomaco. Quelli che invece si cibavano di carne umana regolarmente, tendevano ad essere più forti e veloci, rispetto agli altri.
Mi guardai in giro, molti altri zombie stavano arrivando, – Dannazione! Dove sono Regina e Hannah? – esclamai furiosa.
– Siamo qui – urlarono le due ragazze arrivando di corsa, fermandosi davanti al baule della macchina. Misero dentro i sacchetti con dentro le medicine e poi aiutarono ad uccidere gli zombie.
Incominciammo a sparare per difenderci, ma ben presto dovemmo fare ritirata perché ne stavano arrivando troppi; salimmo in macchina e partimmo. Amy e Maggie ci seguirono per tutto il viaggio. Stavano qualche metro di distanza dalla nostra auto. Gli zombie per fortuna eravamo riuscite a seminarli. Quindi per ora eravamo al sicuro. ‘Sicuro’ per modo di dire, dato che ai lati delle strade c’era sempre qualche zombie che cercava di avvicinarsi alle auto. C’erano persino zombie con il corpo letteralmente spappolato dalle ruote di qualche auto, ma comunque erano ancora in vita. Se non si colpiva la testa, continuavano a rialzarsi all’infinito. Potevi staccargli le braccia, le gambe, spararli, loro sarebbero riusciti lo stesso ad alzarsi oppure strisciare verso di te. Non avevano più un cervello, era completamente andato. Il cervello sembrava essere andato in cortocircuito e che si fosse spostato su ‘mangiamo gli umani perché sono buoni’.
Stamattina prima di uscire avevo controllato il telegiornale, ormai trasmettevano solamente quelli vecchi. Devono essere morti o magari si sono rintanati da qualche parte, ma ne dubitavo fortemente.
Ogni tanto mi veniva nostalgia di casa. Vorrei tanto andare a vedere com’era lì. Se qualcuno era sopravvissuto, se qualche mio compagno di classe era riuscito a scappare oppure se i miei nonni si fossero rinchiusi in casa per proteggersi. Mi mancava la mia vita di prima. Prima di ora non l’avrei mai detto, ma almeno prima non si doveva girare armati ed essere sempre pronti a scappare per non essere mangiati da quelli che una volta erano persone.
Ovviamente i lati ‘buoni’ - diciamo così - dell’epidemia erano che mi ero avvicinata molto a mia sorella Alice; avevo conosciuto Jason e tutti gli altri, cosa che prima non avrei fatto di sicuro. Ero un tipo molto introverso prima dell’epidemia, ma ora ero cambiata. Riuscivo ad aprirmi di più con le persone, soprattutto con Alice e Jason, che erano le persone a cui più tenevo in questo mondo di desolazione.
Eravamo finalmente arrivate alla fattoria, Sarah scese dalla macchina per andare ad aprire il recinto, quando lo ebbe fatto, ci fece segno di entrare. Entrammo sia noi che le sorelle Pike.
Parcheggiamo vicino alla casa per poter scaricare la spesa, mentre le due sorelle la misero al fianco della casa.
Quando fummo scese tutto, Regina e Hannah mi chiesero chi fossero, io risposi semplicemente che era due ragazze che si erano nascoste nel negozio di abbigliamento.
Quando le due ragazze furono abbastanza vicine, Hannah iniziò a correre verso le due ragazze; Maggie, la biondina con il giubbotto di pelle rossa fece lo stesso. Praticamente si saltarono in braccio e si strinsero fortemente. Dovevano conoscersi bene allora. Amy, l’altra bionda sorrise nel vedere la rossa; le andò incontro e l’abbraccio dandole poi una pacca sulla schiena.
– Non ci credo, sei ancora viva, almeno tu – esclamò Amy scioccata.
Hannah rise muovendo la sua folta chioma – Gli altri sono tutti morti? Anche mio fratello? – chiese tristemente la rossa.
Noi intanto incominciammo a scaricare la spesa, tutte tranne Regina che guardava con gelosia Hannah. C’era forse qualcosa tra loro due? Mi ero persa qualcosa?
– Loris è stato morso da un divoratore, ha fatto andare avanti noi e poi si è sparato un colpo in testa – rispose Maggie abbassando lo sguardo – Gli altri li abbiamo persi lungo il tragitto. Quando siamo arrivate qui, eravamo in cinque, ma anche loro sono morti – continuò la bionda.
Hannah annuì tristemente. Poverina aveva perso il suo gruppo e soprattutto aveva perso suo fratello. Io non saprei come reagire se dovesse succedere una cosa del genere ad Alice. No, meglio non pensarci.
– Adesso tu stai con loro giusto? Carina la bionda – esclamò infine Amy indicando Regina che arrossì di colpo.
Regina che arrossisce, cioè arrossisce. Che scoop! Quindi c’era davvero qualcosa tra loro. Wow.
– Si sto con loro – disse annuendo poi si girò verso di me – Loro possono stare vero? Ci aiuteranno – mi chiese gentilmente.
Annuii tirando fuori dalla macchina una borsa piena di abiti – Possono restare. Potreste darci una mano ora? – chiese facendo un po’ di sforzo mentre tiravo su la borsa. Diamine ma quanto pesava?
Mi diressi verso la casa, andandomi a scontrare con una spalla contro Jason. Mi chiese subito scusa e scoccandomi un bacio sulla guancia, andò ad aiutare le altre. Quando finalmente fui dentro, appoggiai a terra la borsa; avevo il fiatone, neanche avessi fatto una maratona. Ma ero stanca e affamata. Erano giorni che non riuscivo a dormire bene e mangiavo ben poco, per poter essere sicura che Alice mangiasse.
Un forte urlo di dolore squarciò i miei pensieri. Quando uscii di casa, trovai Sarah con un enorme morso sul collo e quattro zombie alle sue spalle. L’avevano morsa, si sarebbe trasformata in una di loro. Regina urlò dal dolore, la sua amica da sempre era stata morsa. Non ci pensò molto, prese la sua pistola e correndo verso Sarah e gli zombie, iniziò a sparare, colpendo il cranio degli zombie.
Sarah si accasciò a terra, con le lacrime agli occhi. Mi avvicinai a lei. Stava piangendo disperata. Continuava a ripetere fra i singhiozzi che non voleva trasformarsi in uno di loro. Mi chiese di ucciderla, di spararle un colpo in testa così la sua agonia sarebbe cessata. Non ci riuscivo. Le mani mi tremavano e stavo piangendo anche io. Si aggiunsero anche Hannah e le sorelle Pike ad aiutare Regina. Alice invece correndo, si avvicinò a noi.
– Cosa aspetti, fallo – disse seria – Si trasformerà se non lo fai – continuò strattonandomi. Scossi la testa, non ce la facevo – Non ci riesco, non posso – dissi singhiozzando.
Alice mi sfilò dalla mano la pistola, proprio come aveva fatto nel mio sogno, solamente che invece di puntarsela verso di lei, la puntò verso Sarah e le sparò un colpo in testa.
Il suo sangue schizzò su di me. Era ricoperta dal suo sangue. La mia maglia, il mio viso e i miei capelli erano macchiati di rosso, macchiati del sangue di Sarah, del sangue di una del nostro gruppo.
Regina quando sentì lo sparo, si girò verso di noi con gli occhi sgranati. Sparò un ultimo colpo ad un zombie poi corse verso di noi e prese l’ormai cadavere di Sarah fra le braccia ed iniziò a piangere.
– Regina mi dispiace – disse tristemente, accarezzandole la schiena. Non sembravo nemmeno io, ma nei momenti di bisogno era giusto darsi sostegno a vicenda. Soprattutto in casi come questo.

 

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Capitolo 20
*** Tristezza. ***


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Controllai ancora una volta la camera di Regina, finalmente si era addormentata. Aveva pianto per tutta la sera, fin quando le forze l’avevano abbandonata del tutto. Leroy stava malissimo e ci aveva spiegato che Sarah e Regina erano amiche da quando erano piccole e che non si erano mai separate una volta. Purtroppo ora si erano separate per sempre, per colpa di quei maledetti non morti.
Nessuno fiatava, eravamo tutti molto tristi; l’aria che si respirava era cupa. Stavamo male tutti quanti perché poteva capitare ad ognuno di noi. Perdere qualcuno era la cosa più brutta che poteva capitare, prima dell’epidemia e dopo. Forse ora era amplificata perché eravamo rimasti davvero in pochi, ancora vivi.
Gli zombie ci stavano sovrastando, non sapevo quanto ancora saremmo riusciti a vivere così. Il cibo ormai scarseggiava ed eravamo obbligati ad andare nei supermercati, il problema era che non sapevi se ne uscivi vivo oppure no. Gli zombie erano imprevedibili, riuscivano a comparire da qualsiasi punto. Ti saltava alle spalle, ti mordeva le caviglia, il collo, le braccia e bum tu eri morta. La trasformazione era imminente. Se venivi morso era imminente, ti saresti trasformato in uno zombie affamato di carne umana. Ecco perché cercavo in tutti i modi di proteggere Alice, anche se non ci riuscivo molto bene, dato che era più brava di me a tenere i nervi saldi. Dopo l’incubo che avevo avuto qualche settimana fa, il solo pensiero di Alice zombie mi faceva venir voglia di piangere. Avevo paura, lo ammetto, anzi no, ero terrorizzata al solo pensiero di perderla.
Alice mi guardò e sorridendomi timidamente, si avvicinò a me e mi abbracciò. Appoggiò la testa sul mio petto ed io le accarezzai i suoi setosi capelli biondi.
Hannah si alzò dalla sua postazione sul divano e guardandomi, mi chiese se poteva andare in camera di Regina, solamente per starle vicina. Le dissi che poteva andare tranquillamente, ma di stare attenta a non svegliarla. Lei annuì e salì le scale lentamente, cercando di non emettere troppi rumori.
Guardai Jason e gli chiesi se mi dava una mano a scavare una fossa per Sarah, perché lei non doveva venir bruciata insieme agli zombie; lei era una di noi.
Mi disse che andava bene, allora feci spostare Alice da me, presi un gubbino e lo indossai; poi Jason ed io uscimmo dalla casa insieme. Alice invece stette in casa, con Leroy e le sorelle Pike che per tutto il tempo non avevano fiatato.
Quando uscimmo di casa, una forte ventata di aria gelida mi colpì in pieno il viso. L’aria riuscì a passarmi anche nei buchi del gubbino, congelandomi la pelle. Mi strinsi nel gubbino e continuammo a camminare; ci fermammo solamente quando fummo davanti al casotto di legno dopo ai campi, prendemmo due pale e poi ci allontanammo da lì.
Camminammo fino ad arrivare vicino a due alberi ed iniziammo a scavare la buca, facendo anche un po’ di fatica per via del gubbino.
Jason non mi parlare, stava serio e continuava a scavare. Ci stavo male, perché non sapevo di cosa parlare con lui, avevo paura che se gli chiedevo qualcosa su suo fratello mi avrebbe risposto male, oppure si sarebbe arrabbiato con me.
Feci un profondo respiro e poi girando il viso verso di lui gli chiesi come stava. Lui alzò il viso, mi guardò con il suo solito sguardo da bad boy e mi rispose che stava bene, ma era triste per la morte di Sarah.
– Jason penso che posso bastare, non serve farla profondissima – dissi, pulendomi la fronte ricoperta dal sudore.
Lui annuì appoggiando la pala contro l’albero poi girò i tacchi e si avviò verso il corpo di Sarah che era stato spostato vicino alla casa.
Poco dopo tornò con il corpo della nostra amica e delicatamente la mise nella fossa, – Vai a chiamare gli altri, prova a far venire anche Regina, è giusto che dia un ultimo saluto alla sua amica – disse Jason con il fiato ghiacciato. Non era per lo sforzo, ma proprio per il freddo.
Annuì e facendo cadere a terra la pala, corsi in casa. Quando entrai avvertii tutti che Jason era pronto per il ‘funerale di Sarah’. Salii velocemente le scale e bussando alla porta, avvertii anche Regina e Hannah. La rossa da dentro alla stanza mi avvertì che sarebbero uscita tra un attimo, il tempo di cambiarsi.
Aspettai qualche minuti fuori dalla loro stanza, quando sentii il pomello girare, uscì dalla camera prima Hannah e poi una Regina devastata. Andai ad abbracciarla, perché mi dispiaceva davvero tantissimo per Sarah.
Scendemmo tutte e tre, mente gli altri erano già usciti dalla casa. Quando uscimmo anche noi, potemmo constatare che il resto del gruppo era già intorno alla fossa.
Ci avviammo anche noi, quando fummo arrivate, Jason disse qualche parola di conforto poi fece parlare Leroy che raccontò di quando Regina e Sarah lo avevano fatto disperare in cucina, perché volevano a tutti i costi fare una torta da sole. Ridemmo tutti, compresa Regina che si asciugò una lacrima con la manica della maglia.
Toccò a Regina, che disse quanto era speciale per lei, che era la sorella che non aveva mai avuto, che lei c’era sempre stata anche se lei era una stronza pazzesca. Regina strappò un fiore dal prato e lo buttò nella fosse e cadde delicatamente sul petto dell’amica. Leroy fece segno a Jason di ricoprirla.
Mentre lo faceva stemmo tutti in silenzio. Facemmo anche qualche minuti di silenzio dopo che Jason finì di ricoprila. Regina scoppiò a piangere fra le braccia del padre continuando a ripetere perché, perché lei? Purtroppo il mondo è una merda e la vita ancora di più.

 

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Capitolo 21
*** Un giornata per i piccioncini rovinata sul finale. ***


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Alice dormiva beatamente nel suo letto mentre io stavo sulla soglia della porta a guardarla. Finalmente si era addormenta, quella sera quasi nessuno riusciva a prendere sonno, era molto difficile. Regina aveva mangiato pochissimo ed insieme ad Hannah si era rintanata nella sua stanza.
Leroy aveva scelto di dormire in salotto per lasciare le due ragazze da sole, anche se avrebbe voluto tanto consolare lui la figlia.
Jason invece se ne stava in camera nostra a controllare dalla finestra gli zombie, in caso si avvicinassero alla casa.
Diedi un’ultima occhiata ad Alice poi girando i tacchi, entrai in camera, facendo così girare Jason dalla mia parte. Mi fece un sorriso stanco che ricambiai con uno altrettanto sorriso fiacco.
Presi il mio pigiama da dentro l’armadio e mi cambiai, buttando i vestiti indossati per terra. Jason mi guardava attentamente, osservava ogni mio movimento. Indossai il mio pigiama a fiori, composto da un paio di pantaloni e una maglietta pesanti. Mi strinsi nelle spalle e poi avvicinandomi a lui, gli accarezzai i capelli – Come ti senti? – gli chiesi, dandogli un bacio sulla guancia.
Jason appoggiò le mani sui miei fianchi e mi avvicinò a lui, facendo così sfiorare i nostri bacini – Stanco, molto stanco – rispose con voce fiacca, prima di baciarmi il collo e poi appoggiare la testa sulla mia spalla. Ispirò il mio profumo e poi alzando il viso, fece combaciare le sue labbra con le mie in un bacio bisognoso.
Presi i suoi capelli fra le mani e gli strinsi fortemente, avvicinandomi ancora di più a lui. Jason mi prese dai fianchi e mi alzò da terra ed io incrociai le gambe intorno alla sua vita per sostenermi.
Lentamente si spostò da lì e mi appoggiò con molta delicatezza sul letto; staccai le mie labbra dalle sue per riprendere fiato, Jason intanto si tolse la maglietta e la buttò per terra poi tornò a divorarmi la bocca. Le sue mani iniziarono a correre per tutto il mio corpo, tracciando con i polpastrelli delle linee immaginarie che creavano piccoli cerchi. Dove le sue dita passavano, la pelle iniziava a bruciare. Arrivò con le mani al bordo della mia maglietta e la sfilò continuando però ad accarezzare la mia pelle, ormai bollente. Iniziò ad accarezzarmi la pancia piatta, per poi salire fino ad arrivare ai miei seni prosperosi. Iniziai a tremare, Jason stava per spostare le mani ma lo fermai in tempo – Ti prego continua – sussurrai imbarazzata e a corto di fiato. Jason annuì e con molta velocità riagganciò le mie labbra alle sue.
 
La mattina seguente Jason ed io ci svegliammo presto per poterci fare una doccia veloce; appena la finimmo di fare quello che dovevamo fare, prendemmo la macchina e ci dirigemmo al supermercato per fare rifornimento di ogni cosa.
Ieri sera era stata la sera più bella del mondo, ripensare al suo tocco sulla mia pelle mi causava brividi in tutto il corpo e un sorriso da ebete mi appariva sul viso.
Quando quella mattina ci eravamo svegliati, eravamo abbracciati ed attorcigliati nelle lenzuola. Ripensandoci mi venne da ridere, eravamo così buffi ed imbarazzati. Era stata la mia prima volta ed era stata perfetta. Non mi sarei mai aspettata di perdere la mia verginità con una persona più grande di me, più grande di undici anni, ma vedevi qualcun altro in questo mondo? No, e allora? E poi mi stavo davvero innamorando di Jason, non saprei cosa fare senza di lui.
– Ehi baby dove andiamo prima? – mi chiese staccando dal volante una mano per andarmi ad accarezzare una guancia.
Arrossii di botto e girando il capo verso di lui risposi che era più importante il cibo e che la legna e le altre cose le avremmo prese dopo.
Continuava chiamarmi baby perché gli piaceva vedermi arrossire, lo aveva ammesso lui ieri sera dopo esserci dati il bacio della buonanotte.
Quel giorno faceva davvero freddo, infatti ci eravamo dovuti coprire bene; io indossavo un maglione e un paio di pantaloni pesanti con sopra ovviamente il giubbotto, invece Jason indossava un maglione, un paio di jeans strappati e una giacca di pelle. Non sapevo come faceva a non avere freddo.
– Ti ammalerai se non ti copri – lo sgridai, dandogli un colpetto sul braccio, facendolo ridere.
– Va bene mamma – girò la testa verso di me e mi fece la linguaccia. Risi di gusto, era bello quando si riusciva a stare un attimo in pace. Anche se quella pace durava ben poco.
Gli fece una pernacchia e poi girando il viso verso il finestrino potei notare che stava arrivando un bel temporale. Il cielo era grigio e le nuvole si stavano ingrandendo sempre di più.
– Tra poco pioverà – esclamai sbuffando poi appoggiando la testa contro il finestrino, misi il broncio.
Jason sbuffò seccato – Ci toccherà fare tutto velocemente – disse serio, fermando la macchina davanti al supermercato, come sempre d’altronde.
Uscimmo dalla macchina, io controllai a destra invece Jason a sinistra; quando fummo sicuri che non ci fosse nessuno zombie, entrammo nel supermercato e senza dividerci, andammo subito verso il mangiare, presi il carrello e lo riempii di ogni tipo di cibo in scatola e non, mentre Jason mi controllava le spalle.
– Secondo te dovrei prendere l’insalata surgelata? – gli chiesi a bassa voce mentre lo prendevo dai frigoriferi a muro del supermercato.
Jason mosse appena la testa, girando la testa verso la sua sinistra, di colpo fece partire una freccia che andò a colpire in pieno il cranio di uno zombie, l’unico in quel punto.
Jason si riprese la freccia; feci ancora un giro per prendere da bere poi uscimmo dal supermercato e caricammo la spesa in macchina. Nello stesso momento iniziò a piovere, facendo così uscire allo scoperto gli zombie. Il cielo si era oscurato quindi sembrava quasi sera e gli zombie sembravano amare di più la notte quindi stavano uscendo.
Jason ed io salimmo velocemente in macchina e facendo partire la macchina, schiacciammo qualche zombie sotto alle ruote dell’auto.
– Cazzo – esclamò Jason battendo le mani sul volante poi accelerò ed uscimmo da qual casino.
– Non possiamo tornare a casa ora, questi mostri ci seguiranno fino a lì – disse serio Jason fermando la macchina davanti all’entrata di un condominio, – Staremo qui fin quando non tornerà il sole – continuò uscendo dall’auto.

 

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Capitolo 22
*** Pioggia, Zombie e... ***


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Dopo aver ucciso un casino di zombie nell’edificio, ci eravamo rifugiati in un appartamento ed anche lì abbiamo dovuto uccidere tre non morti: madre, padre e bambino. Per non sentirne la puzza li abbiamo buttati fuori dalla finestra e poi ci eravamo rintanati nell’appartamento, barricando la porta con un divano.
Ogni tanto controllavo fuori dalla finestra per vedere com’erano le strade: affollate di zombie senza cervello. Chissà per quanto tempo ci toccherà rimanere lì e non sapere se Alice era al sicuro mi faceva venire un’ansia fortissima, tanta che Jason dovette abbracciarmi da dietro e trascinarmi con lui sul divano per poi iniziare ad accarezzarmi i capelli per tranquillizzarmi.
– Andrà tutto bene. Alice è con gli altri, sta bene – mi sussurrò all’orecchio per tranquillizzarmi.
Mi tranquillizzai fra le sue braccia, appoggiando la testa sul suo petto e sentendo il battito del suo cuore, ma durò ben poco perché dal piano superiore iniziarono a partire urli agghiaccianti e passi molto pesanti. Gli zombie stavano entrando nell’edificio e le persone che erano riuscite a barricarsi in casa, stavano morendo per mano di quei mostri.
La maniglia della porta, dell’appartamento in cui stavamo noi iniziò a girare, qualcuno o meglio qualcosa da fuori stava cercando di entrare; ma da quando gli zombie erano capaci di aprire una porta? Poteva essere qualcuno ancora vivo…
Mi alzai dal divano, sganciandomi dalle braccia di Jason, mi avvicinai alla porta e guardai dallo spioncino. Quello che vidi mi fece spaventare, c’era un ragazzo con gli occhiali che cercava di entrare, ma era stato intrappolato da quasi dieci zombie che iniziarono a morderlo e staccare la carne dalla pelle, facendola schizzare su tutta la porta persino sullo spioncino. Saltai indietro spaventata, coprendomi la bocca con entrambe le mani per non fare rumore. Il ragazzo urlava dal dolore mentre con le poche forze che rimanevano bussava alla porta. Mi costrinsi a trattenere le lacrime; era orribile sentire quelle persone urlare mentre gli zombie li mangiavano. Era orribile. Quanto ancora saremmo riusciti ad andare avanti così? Io già adesso non ce la facevo più ed era passato solamente un mese dall’epidemia. Avevo perso mia madre, mio padre, mia sorella, Sarah…chi altro dovevo perdere? Quando finirà questa tortura?
Continuando a guardare la porta, camminai indietro e lentamente verso Jason e il divano, quando con le gambe toccai il morbido del mobile, mi ci sedetti sopra ed appoggiai la testa sulla spalla del mio ragazzo.
– Tranquilla, sono qui – disse abbracciandomi e scoccandomi un leggero bacio sulla fronte. Annuii accoccolandomi a lui; mi appoggiò un braccio sulla vita e mi strinse di più verso se stesso, intanto ascoltavamo la pioggia picchiettare contro la finestra, sull’asfalto e sulle macchine.
Gli zombie facevano verso spaventosi mentre giravano per l’edificio in cerca di carne umana ancora viva. Mi facevano schifo e venire il voltastomaco.
Chissà quanto tempo dovremmo stare in quel posto; ero stanca e l’unica cosa che volevo fare era tornare a casa e stare con Alice. Lentamente sotto al tocco delicato di Jason, mi addormentai per la troppa stanchezza.
 
 
Alice.
 
Tiffany e Jason non erano ancora tornati e fuori c’era il temporale. Chissà se stavano bene…Ma di sicuro stavano bene, si saranno nascosti da qualche parte, magari in un casa.
Il temporale stava facendo uscire dai boschi molti zombie, i tuoni li facevano andare fuori di testa, ancora di più di quanto già lo erano. Non si fermavano alla fattoria ma continuavano a camminare per seguire i fulmini che puntavano sulla città. Dovevamo comunque stare attenti in caso qualche zombie provasse a fare il furbo e cambiasse la direzione, cioè venire verso la nostra casa.
Regina e Hannah non erano ancora uscite dalla loro stanza; Amy e Maggie invece mi avevano aiutata a fare la colazione mentre Leroy accendeva il fuoco per riscaldarci un po’. Avevamo chiuso tutte le tende per non fare notare dagli zombie e in qualche modo stava funzionando.
Io, Leroy e le sorelle Pike ci sedemmo a tavola e iniziammo a mangiare, anche se in verità non avevo molta fame perché ero preoccupata per mia sorella e Jason.
Maggie appoggiando una mano sulla mia, mi rassicurò sul fatto che ce l’avrebbero fatta perché erano molti furbi. Lo sapevo, ma avevo lo stesso paura.
– Alice mi potresti passare il latte? – mi chiese Amy allungando la mano fasciata verso di me, glielo passai poi tornai a fissare il piatto pieno di cereali.
Anche Leroy come me aveva notato la mano fasciata di Amy – Signorina Amy cosa ti sei fatta alla mano? – chiese gentilmente prendendole il polso, la bionda lo scansò via e alzandosi arrabbiata dal tavolo, se ne andò in camera sua.
Maggie ci guardò imbarazzati per la sorella – Mi dispiace, e che non le piace molto farsi toccare. Da piccola ha subito abusi da parte di nostro padre e sotto alla fascia ha una cicatrice fatta da lui…non le piace molto mostrarla – spiegò la bionda poi chiedendo scusa si alzò da tavola e andò da sua sorella.
Né io né Leroy fiatammo, mangiammo in silenzio, solamente noi due e il temporale. I tuoni continuavano a farsi sentire, sempre più forti. Odiavo il temporale e il fatto che non c’era Tiffany me li faceva odiare ancora di più perché quando succedeva andavo sempre da lei. Anche se prima non l’avrei mai ammesso, quando mi abbracciava nei momenti come questi, mi faceva stare bene e adesso mi mancava tanto.
 
 
– Piccola il temporale sta passando e gli zombie se ne stando andando – mi sussurrò Jason cercando di svegliarmi. Mugugnai qualcosa poi girai il viso verso lo schienale del divano e tornai a dormire. Jason sbuffò e sedendosi vicino a me, iniziò a farmi il solletico, dovetti trattenere le risate, ma questo riuscì a svegliarmi.
– Possiamo tornare a casa – disse felice Jason aiutandomi ad alzarmi. Mi stiracchiai le ossa, ero più rilassata ed ero meno stanca. Jason diede un ultima occhiata alla strada, adesso con meno zombie e poi dirigendosi verso la porta, tolse il divano emettendo un po’ di rumore. Lo aiutai e poi uscendo da lì, controllammo che il passaggio fosse libero. Scendemmo velocemente le scale, ma due zombie ci bloccavano le scale; Jason ci mise ben poco ad ucciderli, due colpi al cranio e i due non morti andarono giù come due sacchi di patate che rotolarono fino all’ultimo gradino.
Corremmo fuori dall’edificio finalmente liberi di tornare a casa. Colpii uno zombie che mi era apparso alle spalle e poi girando la testa verso Jason, gli feci segno di entrare in macchina. Ci stavamo avvicinando alla macchina, quando due pistole puntate alle nostre teste ci fecero fermare – Dove credete di andare? – chiese un uomo con voce minacciosa dietro di me. E per la seconda volta mi trovavo una pistola puntata alla testa…benissimo.

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Capitolo 23
*** Problemi con due pazzi. ***


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Stavo tremando anche se cercavo di non darlo a vedere. Jason stava fermo, ma sapevo che in quel momento avrebbe voluto saltare alla gola di quei due coglioni.
– Allora facciamo così, voi ci portate al vostro accampamento e magari vi risparmieremo anche la vita – disse l’uomo alle mie spalle.
Mi irrigidii di colpo quando sentii la mano di quella specie di uomo, tastarmi il seno. Jason digrignò i denti, era sul punto di saltargli addosso, ma quello dietro di lui lo fermò togliendo la sicura dalla pistola e appoggiando il dito sul grilletto.
– Muoviti e io ti faccio saltare il cervello – disse minaccioso il tipo dietro Jason, con la coda riuscii a vedere il suo viso. Aveva i capelli quasi rasati e la faccia da coniglio, sembrava quegli sfigati super nerd che a scuola ci provavano con le più fighe. Peccato che in quel momento ci stavano puntando una pistola alla testa e avevano tutta l’intenzione di ucciderci.
– E tu di al tuo amico di togliere le mani dalla mia ragazza – disse furioso, fulminando con lo sguardo quello dietro di me, che rise e ritrasse la mano dal mio seno. Ricominciai a respirare regolarmente anche se avevo davvero paura.
– Se non vuoi che alla tua ragazza succeda qualcosa, è meglio che ci portiate al vostro accampamento – disse serio spingendomi contro ad una macchina, facendo così partire l’antifurto.
Gli zombie sentendo il rumore iniziarono a venire dalla nostra parte; guardai Jason ed annuii a malincuore.
– Va bene, vi porteremo lì – disse Jason facendo due passi verso la macchina; il tizio dietro di me, mi prese per un braccio e mi fece entrare in macchina, facendomi sedere sui sedili posteriori con lui al mio fianco. Invece l’altro si piazzò al posto del passeggero e puntando la pistola alla tempia di Jason, gli disse di partire.
Degli zombie iniziarono a seguirci, anche se erano molto lenti e ad alcuni mancavano le gambe e quindi strisciavano verso di noi. Jason fece retromarcia e ne schiacciò alcuni, poi mettendo la prima, partì. Iniziò ad accelerare, passando fra le macchine e schiacciando qualche zombie.
Finalmente potei vedere chi era la merda che mi aveva puntato alla testa una pistola, era uno sfigato come l’altro, solo che questo aveva i capelli un po’ più lunghi e portava gli occhiali. Quel porco cercò di avvicinare la sua mano alla mia gamba, ma mi scansai di colpo da lui, andando a colpire con la spalla la portiera al mio fianco.
Jason frenò di colpo, poi girando il capo verso di noi, guardò malissimo il tizio con gli occhiali – Non toccarla – disse serio.
Il coniglio ridendo puntò la pistola alla tempia di Jason e gli disse di calmarsi, sennò saremmo morti entrambi. Preferivo morire che essere stuprata da quei due mostri.
Con tutti i problemi che c’erano in quel momento: i non morti, l’epidemia, il fatto che eravamo in minoranza, ancor c’era gente che uccideva quei pochi che erano rimasti vivi? Perché? Erano davvero malati e pazzi.
Non ci mettemmo molto ad arrivare alla fattoria anche perché eravamo andati a tutta velocità; Jason parcheggiò davanti al recinto e il tizio dietro di me mi fece uscire per prima  - sempre tenendo la pistola puntata alla mia testa – e poi uscì anche lui.
Jason spense la macchina e uscì anche lui alzando le braccia verso l’alto, mentre il coniglio si avvicinava a lui per puntarli la pistola alla tempia.
 
 
Alice.
 
Ero finalmente riuscita ad entrare in camera di Hannah e Regina, quando sentimmo il rumore di ruote avvicinarsi alla recinto della fattoria. Guardai fuori dalla finestra e potei notare Tiffany e Jason con due tizi che gli puntavano le pistole alla testa. Dannazione, ancora problemi?
Chiamai Hannah per farle vedere il problema; quando fu abbastanza vicina le indicai Tiffany e Jason e i tizi dietro di loro.
– Cazzo, ancora? – esclamò incazzata.
Regina si alzò dal letto e guardò fuori dalla finestra anche lei e di colpo sbiancò, – Dobbiamo aiutarli – esclamò lei, prendendo il suo fucile.
Ma nello stesso instante che lo fece uno dei due tizi urlò di uscire tutti oppure gli avrebbero uccisi.
Tremai per la paura, non volevo perdere mia sorella, Jason e tanto meno gli altri. Regina mi appoggiò una mano sulla spalla continuando a guardare fuori – Ho un piano, voi state qui e preparatevi ad ucciderli, io vado di sotto e spiegherò anche agli altri che dovremmo fingere che tu e Hannah siete morte stamattina, così non vi cercheranno, capito? – spiegò la bionda, prima di dare un bacio sulla bocca ad Hannah e uscire dalla stanza.
 
– Uscite tutti oppure gli ammazzo e inizierò dalla ragazza – urlò il coniglio, attirando verso di noi due zombie che uccise subito con due colpi di pistola.
Di colpo vedemmo la porta di casa aprirsi e uscire le sorelle Pike, Regina e Leroy con il viso rigato dalle lacrime. Alice? Hannah? Dov’erano?
– Ho detto che dovete uscire tutti – urlò ancora il coniglio fracassandomi un timpano. Il tizio dietro di me mi tirò i capelli e mi sussurrò di dire a loro di fare uscire tutti.
– Vi prego uscite tutti, ci uccideranno sennò – urlai fra le lacrime.
Regina Avanzò con passo lento, scosse la testa quando fu abbastanza vicina da sentire quello che aveva da dire – Mi dispiace Tiffany, Alice non ce l’ha fatta, neanche Hannah. Sono morte entrambe stamattina, erano andate a caccia ma sono stata attaccate da una mandria di zombie – disse fra le lacrime.
Iniziai a singhiozzare, Alice era morta, morta. Non la riavrò più indietro. La mia piccola Alice.
Il tizio dietro di me iniziò a ridere di gusto mentre mi tirava i capelli contento – Meglio, due in meno d’ammazzare – esclamò spietato.
Nello stesso momento in cui finì la frase partirono dei proiettili dalla camera di Regina che andarono a colpire in pieno i crani dei due aguzzini. Caddero alle nostre spalle in una pozza di sangue. Il sangue fuoriusciva dai fori sui crani dei due tizi.
Dovetti tapparmi le orecchio per il forte colpo, caddi a terra in ginocchio, Jason si buttò su di me ed iniziò ad accarezzarmi la schiena per calmarmi.
Di colpo dalla porta di casa uscì Hannah e dietro di lei Alice che appena mi vide a terra corse verso di me e mi abbracciò di slancio.
– Non ti ho colpita vero? – chiese Alice tirandomi su il viso rigorosamente bagnato dalle lacrime.
Scossi la testa buttandomi fra le sue braccia. Alice era ancora viva, era viva e vegeta. Oddio.
– Ti voglio bene – le sussurrai singhiozzando, – Anche io Tiffany – disse lei dolcemente, accarezzandomi la testa.
Jason si alzò di colpo ed andò a colpire degli zombie che si erano avvicinati per via degli spari. Alice mi aiutò ad alzarmi, quando fui in piedi ed ebbi ripreso l’equilibrio estrassi dalla cintura il mio coltello ed andai ad aiutare Jason. Ce ne erano pochi, infatti li uccise quasi tutti lui. Infine portammo dentro la macchina e chiudemmo il recinto, lasciandoci dietro i corpi degli zombie e dei due pazzi, una volta per tutte.

 

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Capitolo 24
*** Buon Natale (The End) ***


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– Jason abbiamo un problema con due zombie alle recinzioni – gli spiegai mentre stendevo dei panni.
Jason annuì e prendendo la sua balestra, salì sulla scala che portava alla divisoria dalla fattoria al resto del posto. Eravamo riusciti a portare con un camion delle lamiere di acciaio, alte più o meno due metri e le avevamo impiantate nel terreno per formare una recinzione. Di fronte ad ogni lamiera avevamo messo tante ruote motrici abbastanza grosse per farsi si che se li zombie dovessero spingere per poter entrare, non riuscirebbero a muovere niente per il troppo peso. Per uscire da lì, avevamo costruito una porta di ferro che si poteva trascinare a destra o a sinistra.
Da quando aveva creato quella recinzione, gli zombie non erano mai riusciti ad entrare nella fattoria. Per la città avevamo messo dei cartelloni con su scritto la strada per arrivare alla fattoria, in caso volessero vivere un po’ in tranquillità. Alice ed io avevamo fatto scorta di ogni cosa, dal cibo ai vestiti. Ed infine avevamo messo apposto il fienile con cuscini, coperte e tutto il necessario perché adesso ci viveva della gente che era riuscita a salvarsi e a venire alla fattoria.
Guardai Jason mentre colpiva gli zombie e infatti non mi accorsi dell’arrivo di mia sorella che mi saltò sulle spalle.
– Ciao Tiffany – disse contenta scoccandomi un bacio sulla guancia.
– Ti sei appena svegliata? – le chiesi, baciandole una tempia.
Lei annuì scendendo dalle mie spalle e stiracchiandosi – Ancora zombie? – chiese a Jason quando fu sceso da la sopra.
– Sì, dopo dovrò andare a riprendermi le frecce e ci toccherà bruciare gli zombie come sempre – rispose portandosi la balestra sulla spalla.
Senza dire nient’altro andammo in casa dove Hannah e Regina stavano preparando il pranzo insieme a Jennifer e Tom - marito e moglie, arrivati da poco alla fattoria -, invece Leroy stava uscendo dalla casa con un vassoio pieno di mangiare per quelli rimasti nel fienile-casa.
– Tiffany oggi è Natale, possiamo almeno addobbare un albero? – mi chiese Alice accarezzandomi un braccio e mettendomi il broncio. Quel vizio proprio non voleva scomparire.
Erano passati esattamente cinquantacinque giorni dall’inizio dell’epidemia ed era da cinquantatre giorni che vivevamo in quella fattoria, avevamo avuto molti problemi con quattro psicopatici, aveva perso Sarah, ma alla fine ce l’avevamo fatta. Eravamo ancora vivi e stavamo cercando di vivere questa nuova vita - orribile ovviamente -, ma cercavamo comunque di adattarci.
– Si certo, gli addobbi che siamo riuscite a prendere li ho messi in soffitta – le risposi, dandole un bacio sulla testa. Lei annuì e girando i tacchi, corse al piano di sopra per poi salire in soffitta a prendere gli addobbi.
– Il pranzo di Natale è quasi pronto, non sarà come quelli passati, ma l’importante è che siamo ancora tutti vivi – disse Jennifer, tirando fuori dal forno due polli arrosto con le patate.
– Si è vero – disse Regina passandomi un po’ di piatti che andai ad adagiare delicatamente sul tavolo in salotto. Avevamo spostato un po’ l’arredamento della casa, avevamo spostato i divani e li avevamo messi uno di fronte all’altro così da lasciare spazio dietro per il tavolo da pranzo. Infatti così era stato. Per le camera da letto invece fu un po’ più difficile, Alice si trasferì nella nostra camera, per lasciare l’altra stanza con il letto più grande ai due sposini. Hannah e Regina fecero stare nella loro camera anche Leroy invece per le due sorella Pike toccò la stanza un po’ più piccola ma per loro andava bene.
Le altre persone che erano arrivate alla fattoria, le avevamo messe nel fienile. C’erano abbastanza letti - forse venti - e di sicuro non stavano stretti, avevamo messo dei divisori per i letti, creati con delle tende appese su dei fili che partivano da una parete e finivano in quella opposta. Così avevano un po’ di privacy. Ovviamente il bagno se lo facevano in casa perché lì purtroppo non c’era.
Io e Jason stavamo pensando anche di prendere dei capanni di legno per le persone che volevano stare da sole, ma il problema più grande erano come sempre gli zombie. Il negozio in cui c’erano i capanni era pieno di zombie ed andare in due era impossibile. Ma qui erano tutti terrorizzati dall’idea di uscire di nuovo da lì, quindi ci toccava fare tutto noi: io, Alice, Jason, Hannah, Regina e Leroy. Ogni tanto venivano anche Jennifer e Tom, ma raramente.
Sentimmo Alice correre giù per le scale come una pazza, era felice di poter fare l’albero, almeno così sembrava che tutto fosse normale. Si faceva l’albero di Natale, come ogni anno, senza pensare a niente. Invece non era proprio così perché io non riuscivo a stare calma anche con le recinzioni ma cercavo in tutti i modi di non darlo a vedere, soprattutto ad Alice.
– Posso scegliere io l’albero? – chiese uscendo di casa con lo scatolone in mano. La seguii a passo svelto, perché sembrava stesse correndo, da quanto andava veloce.
– Alice non correre – dissi correndole dietro, fino ad arrivare al suo fianco.
Alice rise poi appoggiando a terra lo scatolone, scelse il pino al centro perché quello sulla destra era troppo grande e quello sulla sinistra era troppo piccolo. Quindi quello al centro andava più che bene.
Iniziammo ad addobbarla con delle palline colorate, fiocchettini e piccole ghirlande che avevamo trovato nello sgabuzzino di un negozio, quando all’improvviso sentimmo il rumore di ruote contro la ghiaia, qualcuno stava arrivando alla fattoria. Salii di corse le scale per vedere meglio, infatti era così. Una macchina rossa si era fermata qualche metro più avanti dell’entrata e dalla macchina erano usciti una donna, un uomo e un bambino piccolo. Alzarono il viso e incontrarono il mio sguardo, gli sorrisi gentilmente, anche se come minimo l’avranno notato appena. Scesi di corsa le scale ed andai ad aprire la porta di ferro e feci segno a loro di muoversi. Presero la loro roba dalla macchina e correndo verso di me, entrarono nella fattoria. Chiusi velocemente la porta e girandomi verso di loro, sorrisi, – Benvenuti alla farm house, qui sarete al sicuro –.

 

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