Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Desclaimer: Questa fic tratta di amore omosessuale fra ragazzi, ovvero YAOI (BoyxBoy) anche se più avanti. A chi non piace e/o si possa
sentire offeso da letture di questo tipo, clicchi
pure la X in alto a destra che è fatta apposta U____U.
Tutti i personaggi
utilizzati all’interno dell’elaborato non sono di mia proprietà, ma del sensei MasashiKishimoto. Sono inoltre
tutti maggiorenni e, comunque, non esistenti. Nel caso vengano fatti nomi di
persone realmente esistite e/o esistenti il fatto è interamente casuale. Non
ricevo nessun tipo di beneficio dalla pubblicazione di questa fic se non il piacere di massacrare Sasuke Uchi…emh, il piacere di scrivere fanfiction! ^______^ *il sorriso del diavolo*.
Note: Eh sì, prima di iniziare! XD
Devo fare
un paio di premesse, dato che erano anni che non scrivevo più questa fic e, parliamone, che non scrivevo su “Naruto”.
Premetto
che questa fanfic, nata, credo, due anni fa, era una
di quelle idee lampo che ti vengono anche camminando sul tragitto
salotto-cucina partendo in tangente con i personaggi di “Naruto”.
Scrissi
tre capitoli (con i piedi…) e poi mollai la fic.
Bene, ho
deciso di riprenderla! ^_____^
Innanzi
tutto, rinnovo la dedica unendola a delle scuse. Tale fanfic
era stata progettata per la festa di compleanno di una delle mie amiche, ovvero
Rei Murai, che all’epoca compiva 18 anni.
Beh, oggi
ne ha 20, ma spero che la cosa valga comunque! XD Mi scuso per non averla mai
finita Rei-chan, magari questa volta mi va meglio!
*si inchina*
Secondo:
essendo una fic a capitoli vi devo avvertire che non
so esattamente quando e se
continuerò a postarla e, soprattutto, con quanto intervallo fra un capitolo e
l’altro. Ne avevo scritti tre, ma dovendo rivederli tutti (e soprattutto
tentare di scriverli in maniera decente…) non so quanto tempo mi impiega.
Cercherò di sfruttare al massimo il mese di buco prima di cominciare a studiare
per l’esame d’ammissione *annuisce vigorosamente*.
Terzo:
Come probabilmente alcuni di voi noteranno (se non ora nel corso della fic) ho preso liberamente spunto da qualche film/manga,
senza tuttavia sforare nel Crossover. I principali
ispiratori sono “Constantine” e “I 13 Spettri” per
quanto riguarda i film e “Fullmetal Alchemist” per
quanto riguarda i manga.
Quarto:
Credo che sia… sì, la seconda volta in tutto che posto su EFP (dato che il mio
PC ha stretto alleanza con il sito solo da poco XP) quindi non so bene come
funzionano le cose qui. Spero di non fare strafalcioni e se commentate, ne sono
lieta. Anche insulti vanno bene! (XP)
Ora vi lascio
alla lettura e smetto di rompere!
.:: Enjoy!
::.
Chapter 00 ~ Prelude
L’Accademia di San
Michele
Scese dal
taxi con aria funerea, probabilmente dimostrante di quanto gradiva la nuova
situazione in cui si era andato ad invischiare, volente o nolente.
Aspettò in
piedi che il taxista scaricasse dal baule i suoi bagagli, un trolley ed un
borsone a tracolla color verdastro, prima di passargli una banconota di medio
taglio e, dicendogli di tenersi il resto, sentire il rombo del motore in lenta
accelerazione mentre ripercorreva a ritroso il vialetto, uscendo dal grande
cancello ad inferiate nere e sparendo nel più completo silenzio della campagna.
Fra tutti
i posti al mondo in cui potevano erigere una scuola, quel posto era l’ultimo a cui avrebbe pensato.
Una
chiesa. Una chiesa su una collina isolata in mezzo alle altre colline, piantata
fra chilometri e chilometri di aperta campagna. Non c’era nemmeno una casa, ci
aveva fatto caso mentre era in taxi.
Tuttavia,
doveva ammettere che l’edificio in sé era molto bello. Le pareti scure si
stagliavano contro un cielo coperto di nuvole grigie, che tuttavia non
minacciavano pioggia. I tetti in stile gotico accompagnavano la classica
architettura a punte, i cornicioni ornati da statue di golem
e di angeli, minacciose nel suo insieme, come se guardassero dall’alto al basso
gli essi umani che aspettano di essere giudicati.
Come
essere sotto lo sguardo di Angeli e Demoni…
…beh,
certo che ne aveva di fantasia. Scosse appena il capo, distogliendo lo sguardo
e, caricandosi in spalla il borsone con l’aiuto della cinghia e prendendo
l’altra valigia a mano, si diresse in direzione del portone.
Lui era il
secondogenito del clan Inuzuka e, come capita di solito quando il primogenito è
più in gamba, era stato giustamente scartato per dare la possibilità a sua
sorella maggiore di frequentare il college. Era sua sorella il genio della
famiglia e, nonostante il clan fosse abbastanza numeroso, non avevano le
disponibilità finanziarie per consentire ad entrambi i figli di frequentare una
scuola degna di quel nome. Dunque la soluzione era semplice: mandare il
secondogenito Kiba ad una scuola cattolica, dove la retta era bassa se non
inesistente, e utilizzare i soldi risparmiati per permettere alla sorella di
iscriversi al college dei suoi sogni.
Beh, per
lui non faceva tanta differenza. Almeno era lontano da casa.
Arrivato
al portone in legno scuro rimase imbambolato a guardare anch’esso; iscrizioni
in latino troneggiavano sui lati, unite ad intarsi e decorazioni di gigli e
altri simboli che non sapeva decifrare. Certo che quel posto era tutto un
programma…
Bussò,
facendo una leggera fatica a tirare i grossi battenti in ferro battuto,
provocando due rumori sordi che, come minimo, risuonarono in tutta l’accademia.
Nonostante fosse domenica, dunque non ci fossero lezioni, l’accademia era fin
troppo silenziosa, almeno da fuori, e non avrebbe assolutamente detto che quel
posto ospitasse più di mille studenti fra maschi e femmine. Anzi, alla sola
idea di doversi infilare una divisa gli vanivano i brividi.
Appena
pochi istanti dopo aver bussato - o per meglio dire, aver fatto casino a
sufficienza da attirare l’attenzione - finalmente qualcuno gli venne ad aprire,
spalancando senza fatica il portone che, a quanto pareva, non era così pensate
come sembrava.
No,
sbagliato. Probabilmente era la massa muscolare dell’uomo che si trovò di
fronte a non essere paragonabile al quella del portone.
<<
Tu saresti? >> chiese l’uomo, l’imponente figura fasciata in un abito da
chierichetto bianco. Sicuramente era stata fatta su misura, non ci potevano
essere dubbi.
<<
Kiba Inuzuka…>> rispose solamente, profondamente inquietato
dall’espressione dell’uomo, che palesemente voleva dire “un passo all’interno e
ti piego a barchetta”.
L’uomo si
limitò a fissarlo in silenzio ancora per qualche istante, annuendo appena con
il capo: << Sì, sua eccellenza Jiraiya mi ha parlato di te. Devi essere
il novellino >> disse, Kiba sospirò impercettibilmente. << Vieni,
entra >> aggiunse solo, rientrando all’interno e lasciando che il ragazzo
entrasse dietro di lui.
Non poté
fare a meno di rimanere letteralmente a bocca aperta. Quella che doveva essere
una chiesa era stata completamente cambiata, riabilitata ad ingresso. Un lungo
tappeto rosso correva al centro di quello che doveva essere probabilmente
l’atrio dove, sotto la luce di quattro lampadari di vetro a pendente,
percorreva tutta la navata risaltando le alte finestre dalle vetrate colorate
di giallo, fucsia, verde e bianco. Ogni vetrata aveva il disegno di un rametto
di gigli e le pose dei fiori variavano a seconda della finestra su cui si
posava lo sguardo. A qualche metro dall’entrata, una volta superati due
corridoi - uno a sinistra e uno a destra - che si inoltravano in lungo in altre
ali dell’edificio, due scalinate partivano - una da destra e una da sinistra -
e, una volta fatto mezzo giro, si riunivano in una balconata che sovrastava
quello che, probabilmente, una volta era stato l’altare. Infatti, nella semi
oscurità dietro la balconata, i lunghi tubi in ottone di un organo fornivano
una visione quasi regale di quella scuola.
<<
Lasciami i bagagli, ci penso io a portarteli in camera >> fece poi
l’omone, fermandosi esattamente al centro delle due scalinate. << Tu
recati in presidenza, presentati alla preside e fatti dare la chiave della
stanza. Ti diranno inoltre in quale classe sei stato ammesso, se già non lo
sai. Dopo di ciò puoi anche andare a fare un giro per la scuola, ma ricorda che
la messa c’è alle 21, subito dopo cena. Ci partecipano tutti senza eccezione,
nemmeno per le matricole. Bene, buona serata moccioso >> terminò,
scomparendo con i bagagli su per le scale di destra, voltando, alla fine di
esse, ancora a destra per poi scomparire.
Ok, poteva
forse dedurne che quella era la strada per i dormitori.
Si forzò a
staccare gli occhi da quelle vetrate e, cercando di trovare un po’ di
convinzione, decise di seguire l’itinerario dettatogli dal colosso e di recarsi
in presidenza.
Sì
ma…dov’era la presidenza?
Si guardò
intorno svariate e svariate volte ma non riuscì a togliere un ragno dal buco.
Anzi, più osservava i vari corridoi, le scale e gli altri corridoi, più sentiva
di starcene infilando, di ragni nei buchi.
<<
Sei nuovo per caso? >> esordì poi una voce maschile alla sua destra.
Girandosi
in quella direzione, i capelli castani corti che ondularono appena nel
movimento improvviso, nel suo campo visivo rientrò un altro ragazzo. Capelli
mori, abbastanza lunghi da essere raccolti in una coda sparata al centro della
nuca, occhi scuri che davano espressione a quello che era un viso
apparentemente annoiato. A prima vista sembrava una di quelle classiche persone
che fanno le cose che devono fare al minimo indispensabile per non sprecare
troppe energie. Indossava quella che, probabilmente, era la divisa standard della
scuola: completo classico color bordeaux con pantalone nero, camicia bianca e
cravatta blu scura, nel caso di lui leggermente allentata e il colletto della
camicia aperto per i primi due bottoni. Alla destra della giacca spiccava lo
stemma della scuola: uno stelo con tre gigli bianchi su uno sfondo blu e la
scritta “St. Michael Accademy”
in uno stendardo appena sotto di esso; appena sopra lo stemma poi, una spilla
in oro raffigurante una Triquetra celtica.
<<
Sì >> si limitò a rispondere in tutti quei ragionamenti. << Come
fai a saperlo?>> chiese, nonostante la ritenesse una domanda quasi
inutile. Se lo sapeva mister Muscolo Idraulico Gel travestito da chierichetto,
pareva logico che ormai lo sapesse tutta la scuola che lui era nuovo. Tanto che
entrare ad anno iniziato non era cosa da molti.
<<
Beh, considerato che te ne stavi imbambolato fino ad un attimo fa a fissare le
vetrate, e che sembri cercare la strada giusta da quasi dieci minuti, posso
dedurne che sei nuovo >> rispose il ragazzo, mani nelle tasche dei
pantaloni, facendo spallucce.
Sì, il
ragionamento non faceva una piega. Il moro si avvicinò poi lentamente,
arrivandogli vicino e tendendogli la mano << io sono Shikamaru Nara,
terzo anno >> si presentò, sorridendo appena nonostante l’aria sempre annoiata
che possedeva.
Kiba
osservò la mano, poi alzò la sua per stringere quella dell’altro: <<
piacere, Inuzuka Kiba. Sapresti dirmi dov’è la presidenza? Già che ti ho
trovato ne approfitto >> disse subito, ridacchiando appena.
<< A
destra la presidenza e le segreterie amministrative >> disse, indicando i
due corridoi di poco prima. << Comunque non preoccuparti, non ci metterai
molto dalla preside, ti aspetto fuori. Così poi ti faccio fare un giro e
annullo le tue possibilità di perderti. Da fuori può non sembrare, ma la scuola
non è piccola >> aggiunse il moro, iniziando ad incamminarsi lentamente
verso il corridoio appena indicato. Kiba ci mise poco a seguirlo,
ringraziandolo subito prima di inoltrarsi con lui nel suddetto corridoio.
Uscì dalla
presidenza in meno di dieci minuti con la chiave della stanza e l’aria
stranita. Quella donna era spettacolare sotto certi versi, inquietante sotto
altri. Per esempio, come facesse a sorridere e urlare contro le segretarie allo
stesso tempo non sapeva come spiegarselo.
Appena
fuori dalla segreteria, ormai in chiusura, notò la figura di Shikamaru seduta
scompostamente sulle sedie del corridoio, le braccia dietro la nuca e gli occhi
chiusi. << Finito?>> chiese poi, tenendo sempre gli occhi chiusi.
<<
Sì. Quella donna è una cosa incredibile, ma come…?>>
<<
Tsunade baa-chan è sempre così. Anzi, ti consiglio di non addormentarti in
classe, vederla incavolata con altri è un discorso, ma quando la sua
incavolatura è rivolta a te è tutto un altro paio di maniche >> disse il
moro, osservandolo per un secondo ed alzandosi dalla sedia. << Bene!
Vogliamo andare? >> disse poi, indicando con il pollice il corridoio alle
sue spalle.
Kiba annuì
e, incamminandosi per percorrere il corridoio in senso opposto, seguì Shikamaru
in direzione dell’atrio. Una volta arrivati ad esso cominciarono ad
incamminarsi verso il corridoio apposto al loro. Dopo qualche passo in
silenzio, fu finalmente Shikamaru a prendere parola: << Allora, com’è
successo? Li hai mostrati in pubblico o cosa?>> chiese, camminando
tranquillamente con le mani in tasca.
Kiba
rimase sorpreso dalla domanda, non capendo assolutamente cosa intendesse
l’altro con quelle parole. << Cosa?>> chiese dunque, girando il
volto verso Nara senza capirci esattamente molto del discorso.
Shikamaru
si voltò in sua direzione, osservandolo con un sopracciglio alzato. <<
Cos’è, fai il finto tonto?>> rispose, forse sgarbatamente, lo studente.
Ok, ora
cominciava a seccarlo. << Io non faccio il finto tonto, ti ho chiesto
solamente “cosa” avrei dovuto mostrare >> rispose poi il castano,
mettendosi sulla difensiva. Non gli piacevano per nulla le persone che gli
davano del tonto senza conoscerlo, sua sorella lo aveva fatto anche abbastanza
durante la sua turbolenta adolescenza femminile del cavolo.
Questa
volta, il moro rimase in silenzio. Semplicemente lo fissava con un sopracciglio
alzato, l’espressione a metà fra il pensoso e quella che si fa quando si crede
l’interlocutore un povero deficiente. Poi, il suo viso parve illuminarsi da
un’intuizione: << Non ci credo…>> sussurrò solamente, voltandosi
del tutto verso di lui ed avvicinandosi con il viso. << Sei un umano? Un
semplice essere umano?>> chiese, osservando con quello che ora pareva un
leggero interesse. Si sapeva, Shikamaru non si sbilanciava mai a livello di
interessamento.
Kiba lo
guardò come se avesse davanti il peggior cretino sulla faccia della Terra. Cosa
voleva dire “semplice essere umano” perché, lui cos’era, E.T.
sotto mentite spoglie?
<< Beh,
non mi sento un ghiacciolo al limone, dunque direi di sì…>> rispose,
assolutamente poco convinto della salute mentale del suo primo compagno, dato
che gli avevano appena dato la notizia che l’anno di corsi era lo stesso.
Shikamaru
ridacchiò appena, accusando il colpo con stile: << no, non in quel senso
>> si scusò subito, senza nemmeno togliere le mani dalle tasche <<
è che di umani normali qui ce ne sono pochi, a dire il vero non avevo nemmeno
notato che non emani nessuna aura particolare, non ci avevo fatto caso >>
disse, osservando il volto di Kiba farsi sempre più perso ad ogni parola che
diceva. << Non hai nemmeno la minima idea di dove sei finito,
vero?>> aggiunse poi, sempre osservandolo.
Kiba
annuì, senza sapere minimamente cosa rispondergli. Che gli vai a dire a uno che
ti dice “gli umani normali qui dentro sono pochi”? La domanda che scaturiva
spontanea era un “perché, tu cosa saresti, una specie di blatta gigantesca come
quelle di Man in Black? Stai
indossando uno Shika-abito?” …però, educazione voleva
che non fosse molto cortese.
Shikamaru
sorrise appena, girandosi ed incamminandosi nuovamente lungo il corridoio
illuminato artificialmente << seguimi, ti spiego cosa intendo >>
disse solo, dirigendosi alla fine del corridoio.
Una volta
terminato, sotto una luce calda che proveniva da lampadari di cristallo alle
pareti a forma di giglio, Kiba, guidato da Shikamaru, giunse ad una specie di
secondo atrio, arredato nello stesso stile di quello precedente solamente più
basso. Il tappeto color rosso continuava anche per tutta questa sala,
intervallando percorsi sanguigni a marmo color nero.
<<
Questo è l’atrio dell’edificio delle classi >> disse il ragazzo <<
quel corridoio…>> ed indicò un’apertura nel muro di fronte a loro a
sinistra <<…e quel corridoio…>> e spostò il dito su un’apertura
identica sempre di fronte ma alla destra <<…portano rispettivamente alle
classi di Esorcismo e degli Esper. Abbiamo cinque
anni di corso, ed ogni anno ha una sola classe composta da una ventina di
alunni, o pochi di meno. Per andare alle classi di Storia degli Antichi Testi e
Alchimia si devono prendere le scale…>> e con questo indicò una scalinata
simile a quelle precedenti, ma singola, in fondo alla sala sulla parete di
destra <<…andare a destra e, a metà del corridoio in cui ti ritroverai,
percorrere il ponte sospeso fino ad un altro edificio, un po’ più piccolo di
questi due principali. Sopra alle classi…>> ed indicò la balconata, però
continuando alla sinistra <<…c’è il dormitorio femminile mentre sopra
alle segreterie c’è quello maschile. Una volta che farai il ponte sospeso
vedrai anche il cortile interno, non è malaccio per riposarsi o uscire ogni
tanto. Mi stai seguendo? >> chiese poi, voltandosi verso Kiba ed
osservandolo con la coda dell’occhio.
Il castano
aveva la bocca semi-aperta nell’osservare tutto il via vai di gente che
camminava per il secondo atrio, chiacchierando o leggendo piccoli libricini,
tutti in abiti normali e solamente qualcuno in divisa. Ma la sua mente sembrava
persa altrove…
<<
E-Esorcismo!?>> sbottò con un filo di voce, guardando Shikamaru con due
occhi che avevano la stessa dimensione di due palline da tennis, da quanto
erano sgranati.
<<
Ohi, ma eri rimasto così indietro?>> chiese incredulo il moro, sospirando
rassegnato << come cavolo hai fatto a finire qui se non sai nemmeno quali
materie si insegnano in quest’accademia?>> aggiunse poi, portandosi una
mano agli occhi con fare disperato.
A lui lo
chiedeva?! Doveva domandarlo a sua madre dove cavolo lo aveva mandato! <<
Io…non lo so dove sono finito, diamine!>> esclamò, portandosi entrambe le
mani ai capelli << lo so che non mi piaceva l’algebra e tanto meno il
latino, ma non voglio studiare esorcismo, santo Dio!>> si lamentò,
osservando convulsamente gli specchi che, a differenza dell’atrio principale,
adornavano alcune delle pareti di quello. Fu solamente allora che le notò,
riflesse alle spalle di due ragazze che passavano in quell’istante,
chiacchierando del più e del meno: due paia di ali d’angelo dalle piume grigie.
<<
Ma…ma cosa…?!>> sussurrò imbambolato, osservando come lo specchio
riflettesse le ali mentre, nella realtà, non si vedessero minimamente.
Avrebbe
imparato che, più precisamente, era lui che non riusciva a vederle a differenza
di qualcun altro…
Shikamaru
riaprì gli occhi, seguendo lo sguardo dell’altro alle grandi cornici
riflettenti, sorridendo sbieco: << te ne sei finalmente accorto?>>
chiese, guardandolo nuovamente.
<<
Cosa…cosa…?>> tento di chiedere, senza tuttavia trovare le parole.
<<
Cosa sono?>> terminò per lui il moro, osservando Kiba annuire. <<
Sono mezz’angeli >> fu la sua risposta che, se possibile, contribuì a far
spalancare ancora di più la bocca di Kiba.
<<…ma
dai, non esistono i mezz’angeli…>> tentò disperatamente di ribattere
Kiba, senza però riuscire a distogliere lo sguardo dalle due ragazze che
stavano camminando accanto agli enormi specchi.
<<
Questo è quello che pensate di solito voi comuni mortali >> ribatté
Shikamaru, muovendosi di qualche passo verso destra ed appoggiandosi con la
schiena al muro << e nemmeno tutti voi. Alcuni credono ai miracoli, per
esempio, e chi è la causa di questi miracoli? Gli Angeli. Ringraziate il vostro
“angelo custode” se scampate ad un qualche incidente o peggio, se vi salvate la
vita dopo una malattia che i medici hanno definito mortale per la maggior parte
dei casi >> disse il moro, rispondendo al castano senza tuttavia
guardarlo direttamente. Anche lui, come l’altro, stava guardando i grandi
specchi senza tuttavia la meraviglia che sicuramente provava Kiba; per lui era
uno spettacolo visto e rivisto, dopo un po’ perdeva d’attrattiva.
<<
Dunque…>> si intromise Kiba, la mano destra al mento per cerca di capirci
qualcosa << sono i mezz’angeli a salvare gli esseri umani? A fare quelli
che vengono chiamati “miracoli”?>> chiese, voltandosi verso l’altro con
espressione interrogativa.
Ormai lo
aveva preso come consulente, poco ma sicuro.
Shikamaru
sospirò appena, negando con il capo: << no, era solamente un esempio.
Sono mezz’angeli coloro nati da un legame fra un angelo ed un essere umano,
solitamente il padre angelo e la madre umana. Sono una categoria particolare in
quanto non hanno, di per sé, commesso peccati, dunque possono salire al cielo
solamente una volta l’anno, vivendo però una vita umana sulla Terra.
Solitamente si presentano come gli hai visti negli specchi. Per riconoscerli a
scuola, dato che tu non puoi vedere le ali, li puoi distinguere dalla spilla
che portano >> disse, indicando la sua dorata sopra lo stemma della
giacca << come questa, però il simbolo è diverso. Loro hanno un paio
d’ali, come spilla >> terminò, incrociando le braccia al petto.
<< E
frequentano le nostre stesse lezioni?>> chiese subito Kiba, ormai
incuriosito da tutta quell’assurda faccenda.
<<
No >> rispose Shikamaru pronto << i mezz’angeli non hanno bisogno
di fare studi particolari all’interno dell’accademia. Per loro questa scuola è
una specie di rifugio, un posto dove possono imparare a vivere come esseri
umani e a confondersi fra la massa. La loro classe viene detta “Classe
Angelica” e passano la maggior parte del tempo leggendo classici, romanzi,
testi antichi…insomma, letteratura varia >> disse, facendo una pausa di
silenzio.
Il castano
annuì appena, ancora attirato inevitabilmente da quelli specchi che
riflettevano ciò che lui non poteva vedere. Alcune persone che vi passavano
davanti sfoggiavano delle ali color cenere e addirittura altri si fermavano
davanti ad essi e, con un sorrisetto sul volto, spiegavano un’ala per
osservarne le piume, oppure per guardarne semplicemente la simmetria.
Tutto d’un
tratto, ebbe la netta impressione si essere capitato fuori dal mondo che
conosceva di solito. E l’impressione non era del tutto sbagliata…
<< E
quelli che non hanno ali?>> chiese poi Kiba, indicando con il volto un
paio di ragazzi alle cui spalle lo specchio non rifletteva nulla.
<<
Fanno parte di altre categorie >> disse semplicemente il moro, riaprendo
gli occhi con espressione neutra e quasi scocciata. << Alcuni sono Esper, per esempio io >> disse, indicandosi
nuovamente la Triquetra che portava per spilla
<< gli Esper portano questa spilla. Sono esseri
umani in cui si sono sviluppati poteri particolari, come per esempio la telecinesi, o la telepatia, o il controllo di alcune forze
naturali, come la sabbia. Vedi il ragazzo con i capelli rossi laggiù?>>
disse indicando con il volto un ragazzo poggiato di schiena ad uno degli
specchi. Aveva capelli rossi corti, carnagione chiara, fisico atletico e uno
strano tatuaggio sulla fronte, come un ideogramma. Portava una paio di jeans
larghi blu, una felpa mimetica con il cappuccio e se ne stava solo ad ascoltare
il walkman, come testimoniavano i due fili bianchi che gli scendevano lungo la
maglia fino a terminare in una delle tasche dei pantaloni.
<< Sabaku Gaara, terzo anno, Esper.
Lui riesce a manovrare la sabbia, non crederesti alle cose che sa fare >>
aggiunse Shikamaru, spostando lo sguardo lungo la sala a sua volta. Ormai non
si aspettava nemmeno più le domande, sapeva già benissimo quali sarebbero
state. << Altri invece sono Esorcisti, puoi riconoscerli dalla spilla a
forma di croce. Dovresti sapere cosa sono, ma nel caso non te lo ricordassi,
sono coloro che esorcizzano demoni che prendono possesso di corpi umani.
Solitamente sono demoni soldato che tentano il salto da questa parte…>>
<<
Alt, frena, frena, rallenta! >> intervenne Kiba, alzando le mani come a
voler interrompere la corsa di un treno << ho smesso di seguirti. Che
vuol dire che vogliono tentare il salto?>> chiese, dicendosi mentalmente
che era prima il caso di chiarirsi i dubbi poi di continuare ad ascoltare il
compagno.
Nara
sospirò di nuovo, questa volta più similmente ad uno sbuffare che ad altro:
<< i mondi ultraterreni sono soggetti a regole e hanno una posizione
precisa nello spazio. Per fartela semplice, pensa ad un sandwich: le due fette
di pane sono Paradiso ed Inferno mentre il prosciutto è il nostro mondo, il
mondo Mortale. In poche parole, siamo presi di mezzo fra i due mondi >>
disse, chiudendo una mano sull’altra come a mimare un panino. << Questi
mondi possono rimanere in questa posizione perché fra le due forze viene
rispettato un certo equilibrio. Demoni completi, come anche Angeli di sangue
puro, solitamente non possono entrare ed uscire dal mondo Mortale a loro
piacimento, devono sottostare a regole e permessi. Coloro che posso starci
senza problemi sono i mezz’angeli…>> e, con questo, indicò un paio a caso
di ali cineree <<…e i mezzi demoni. Loro sono di sangue impuro, dunque
non hanno limiti di transito dato che i loro poteri non sono sviluppati quanto
quelli di un demone completo o di un angelo puro >> disse, andando ad
incrociare gli occhi di Kiba che, prontamente, annuì. Bene, almeno adesso lo
seguiva.
<<
Tuttavia, a volte ci sono delle eccezioni >> aggiunse poi il moro
<< ovvero, quelle dei Demoni Soldato. Sono piccoli demoni che, seguendo
gli ordini del loro Signore, tentano il salto in questo mondo tramite corpi di
bambine o ragazzini che solitamente invadono e posseggono; compito degli
Esorcisti è trovarli e rispedirli all’Inferno. Solitamente, quando questo
succede, è indice di un disequilibrio fra le forze >> terminò poi
Shikamaru. << Chiaro ora?>> chiese al castano.
<<
Più o meno sì…>> rispose Kiba. << E ci sono mezzi demoni che girano
allegramente, qui dentro?>> chiese poi, guardandosi intorno come a
volerne scovare uno all’istante.
<<
Qualcuno >> ammise Shikamaru << ma stai tranquillo, le regole della
scuola vietano a chiunque di fare del male agli altri studenti >> disse,
probabilmente per tranquillizzarlo.
Anche con
quelle parole non si sentiva affatto tranquillo. Era come dire “Beh, sì, c’è
qualche mina sulla strada, ma se hai fortuna non ne pesterai!”. Aveva l’effetto
di una sciabolata sulle costole, a dirla come stava.
<<
Ok, vai avanti >> trovò il coraggio di dire Kiba, una mano sullo stomaco come
se dovesse rimettere per l’ansia che l’aveva improvvisamente attanagliato.
<<
L’ultima categoria in gioco è quella degli Alchimisti. Al contrario di tutte le
altre persone qui dentro, gli alchimisti sono esseri umani esattamente come te,
ovvero senza nessun potere particolare >> disse il moro, osservandolo di
sbieco con un sorrisetto << e, appunto per questo, sono pochi all’interno
della scuola. L’Alchimia è una cosa che si impara, non è necessaria una
predestinazione o la possessione di poteri particolari. Ma, siccome tu entrerai
sicuramente a far parte degli Alchimisti, vedrai da solo cosa significa essere
uno di loro; è inutile che io te lo stia a spiegare >> terminò, alzando
le braccia e portandole dietro la nuca in un gesto pigro.
L’Inuzuka
annuì distratto, prendendosi alcuni secondi per riordinare tutte le
informazioni che era riuscito a raccogliere solamente nelle prime due ore di
presenza all’accademia St. Michael. Angeli, demoni,
mezz’angeli, mezzi demoni… Dio, quanto era complicata quella storia? E dove
cavolo era andato a finire, poi?! Avrebbe dovuto chiamare sua madre il prima
possibile, almeno per capire come aveva potuto spedirlo lì senza nemmeno fare
un appunto su cosa avrebbe dovuto affrontare. Perché sua madre lo sapeva, se lo
aveva iscritto! Lo sapeva!
<<
Ok, magari con una notte di sonno mi convincerò che questo non è tutto uno
strano sogno. O magari, per mia felicità, fra poco mi sveglierò a casa mia, nel
mio letto, e buona notte al secchio >> bofonchiò il ragazzo, ignorando la
risatina divertita di Shikamaru al suo fianco.
<<
Aspetta a stupirti, Inuzuka >> aggiunse poi il moro, staccandosi con la
schiena dalla parete e fissando un gruppetto di persone che entrava ora nel
secondo atrio. Provenivano dalla porta sotto alla balaustra del corridoio
superiore, nella parete a destra, dalla quale si arrivava alla mensa. <<
Il meglio deve ancora venire…>> sussurrò Shikamaru, cingendo le spalle di
Kiba con il braccio e appoggiandocisi quasi di peso.
Con il
capo, il moro gli indicò quattro persone. I primi due: un ragazzo biondo con la
carnagione leggermente olivastra, capelli biondi color del grano estivo, occhi
azzurri come uno dei cieli più tersi. Indossava un paio di pantaloni a tre
quarti arancio con sopra una maglia bianca a maniche lunghe dallo scollo a V,
semplice. Teneva per mano un altro ragazzo, dall’aspetto un coetaneo; capelli
neri come la notte, occhi color dell’ossidiana profonda che risaltavano
terribilmente sulla carnagione chiara, fisico asciutto e allenato. Indossava un
paio di jeans scuri ed una maglia smanicata nera a collo alto.
<<
Loro sono le “guest star” possiamo chiamarle così. Il tripudio dell’eccezione
sulla Terra >> scherzò appena il moro, sussurrandolo direttamente
nell’orecchio di Kiba che, nonostante volesse scrollarselo di dosso, non alzava
un muscolo.
Forse era
troppo curioso. << Chi sono?>>
<<
Il biondo è Naruto Uzumaki, terzo anno, Classe Angelica >> descrisse
Nara, senza cambiare posizione. Parlava ora a bassa voce, come se anche il muro
alle loro spalle avesse potuto sentire i loro discorsi. << Lui è uno di
quelli che vengono chiamati Mezzosangue, ovvero mezz’angelo e mezzo demone
>> aggiunse, lo sguardo serio rivolto verso la coppia. << E’ una di
quelle rare, rarissime persone che nascono angeli puri ma che, dentro di sé,
portano il seme di uno dei nove demoni della Natura, i più potenti del
mondo…>> una piccola pausa, un cenno di saluto allo stesso ragazzo dai
capelli biondi e al suo compagno, rigorosamente tenuto per mano dal biondo.
Kiba
aspettò che i due distogliessero lo sguardo per domandare: << demoni
della Natura?>>
<<
Sì >> rispose Shikamaru, sempre a bassa voce. << Vengono chiamati
anche “Bijuu” o “Cercoteri”. Sono demoni potenti, che
però sono distaccati dal regno infernale in quanto sono creati della Natura
stessa, ovvero nel mondo degli uomini. Si dice che Naruto sia un contenitore
per il più potente di tutti e nove; ovvero il “Kyuubi” o demone “Volpe a Nove
Code”>> spiegò con santa pazienza, la voce sempre ridotta al minimo
indispensabile per farsi sentire.
<< E
come mai si trova qui?>> chiese in risposta il castano. Considerando
tutto ciò che aveva detto in precedenza, non dovrebbero esserci angeli puri
ecc…
Shikamaru
rimase in silenzio qualche istante prima di rispondergli: << è
complicato, per lui >> un’altra pausa, forse per cercare le parole adatte
a ciò che voleva esprimere. << Vedi, non può essere accettato nel regno
dei cieli perché è mezzo demone, e non può di certo andare all’Inferno, dato
che è anche mezz’angelo. L’unica persona che ha al mondo è Sasuke…>>
disse, mesto.
<<
Chi è Sasuke?>> chiese Kiba, osservando con occhi socchiusi il biondo.
Era una brutta storia, eppure il ragazzo sorrideva come se sulla sua vita non
esistessero ombre di nessun genere. Come se fosse…felice.
<<
E’ il ragazzo che tiene per mano. Possiamo dire che è il suo ragazzo >> fece Shikamaru, osservando insieme all’Inuzuka
i due in questione. << Sasuke Uchiha, terzo anno, Classe Angelica. Membro
di uno dei più potenti clan di mezzi demoni che abbiano mai abitato la Terra. Fratello
minore di Itachi Uchiha, quinto anno della Classe Angelica, mezzo demone. Il
giorno in cui Sasuke nacque Angelo il clan Uchiha non poté assolutamente
accettarlo. Fu solo grazie all’intervento di Gabriele che Sasuke fu salvato
dalla collera dei demoni del suo stesso clan e portato a vivere insieme agli
altri angeli >>.
<<
Gabriele…l’Arcangelo
Gabriele?!>> chiese Kiba, il volto girato quasi di scatto in direzione di
quello di Nara, sfiorandogli appena la gota con il naso.
Shikamaru
annuì: << proprio lui >> rispose, sorridendo appena a pochi
centimetri dal volto del castano. Tornarono poi entrambi con lo sguardo sui
due: << E’ stato là che ha incontrato Naruto per la prima volta, nel
Regno dei Cieli. Poi Naruto ha sviluppato il seme di Kyuubi ed è stato
cacciato. Sasuke non ha accettato di perderlo e, per amore, ha tradito Dio,
seguendo Naruto sulla Terra. Agli angeli non è concessa la Redenzione dai
peccati, figuriamoci l’amore, e per giunta omosessuale…insomma, stiamo pur
sempre parlando di Cristianesimo!>> disse il moro, ricominciando subito
dopo prima che Kiba lo interrompesse con qualche domanda: << in ogni
caso, da allora Sasuke è uno di quelli che vengono volgarmente chiamati “Angeli
Caduti”. Non ha esattamente un bel carattere, ma davvero ama Naruto più di ogni
altra cosa…>> terminò poi, indicando con il volto gli specchi. In quel
momento, sotto gli occhi quasi estasiati di Kiba, alle spalle di Naruto
comparvero le nove code del demone, intangibili e semi-trasparenti come
fantasmi, mentre un paio di ali nere stavano elegantemente dispiegate alle
spalle di Sasuke, donando ancora più bellezza a quel ragazzo, che già di suo
spiccava sugli altri per beltà.
<<
E’ una bella storia…>> riuscì solamente a commentare il castano, seguendo
imbambolato le ali nere di Uchiha riflesse dagli specchi. Era bella davvero,
quella storia…
<< E
non è finita >> aggiunse poi Shikamaru, il tono serio questa volta, quasi
grave nella voce. << Lo vedi il ragazzo con i capelli lunghi appena
uscito dalla mensa?>> chiese, lo sguardo puntato sulla porta.
Kiba voltò
con un moto di scocciatura il volto, osservando colui che il ragazzo aveva
indicato: pelle chiara, capelli corvini racchiusi in una coda bassa, occhi
scuri che somigliavano tantissimo a quelli di quel Sasuke che aveva appena
osservato da lontano, squadrandone le ali e l’eterea bellezza. << Lo vedo
>> gli disse, per confermare la domanda rivoltagli.
<<
Lui e Itachi Uchiha, quinto anno, Classe Angelica. E’ il fratello maggiore di
Sasuke…un mezzo demone >> disse, assottigliando appena gli occhi mentre
ne seguiva la figura. << Sasuke lo detesta, anche se di quest’odio Itachi
non sembra interessarsene molto. Non so cosa ci faccia qui, nessuno lo sa, e su
di lui girano le voci più disparate; alcuni dicono addirittura che sia alleato
con il Diavolo per cercare di far passare Sasuke dalla loro parte e tentare una
riconciliazione del giovane con il proprio clan…>> aggiunse Shikamaru, il
più precisamente possibile.
Kiba aprì
la bocca per ribattere, ma non trovò improvvisamente nulla da dire. Già tutta
quella situazione in sé sembrava assurda ed incredibile, se poi ci mettevano
anche faide fra fratelli, tradimenti a Dio e chissà cos’altro, l’unico effetto
che poteva sperare era quello di uscirne pazzo. Ancora non ci credeva, ancora
non riusciva a crederci…
Tuttavia,
la visione di un paio di ali demoniache nere come le tenebre più cupe alla
spalle del maggiore degli Uchiha, fu sufficiente a convincerlo che le parole di
Shikamaru sul clan del Ventaglio erano vere.
Poi, un
suo sguardo.
Come se
avesse sentito, o intuito, che stavano parlando di lui.
Itachi
Uchiha si voltò lentamente in loro direzione, le mani nelle tasche dei jeans
scuri che indossava sotto la maglia nera a maniche lunghe, lo sguardo puntato
su di lui e su Nara.
Un brivido
gli passò lungo la schiena, senza motivo. Il pugno di Shikamaru si strinse con
forza.
Voltò
appena il capo in direzione del compagno, lasciando che i suoi occhi dorati
cercassero quelli scuri del moro…che non incrociarono mai. Il ragazzo fissava
Itachi con espressione contratta, quasi rabbiosa e, se non fosse stato per la
suggestione che tutti quei racconti gli avevano sicuramente messo addosso,
avrebbe quasi giurato che la pupilla di Shikamaru si fosse allungata
verticalmente, come quella…come…quella di un…
<<
Calmati, Shikamaru >> intervenne invece una voce dalla loro destra,
facendolo sobbalzare improvvisamente << l’ira non è mai un buon pretesto
>> disse, voce melodiosa e tranquilla.
Alla
destra di Nara, una mano poggiata sulla spalla dello stesso, un ragazzo stava
in piedi al suo fianco. Gli occhi di uno stranissimo e particolare colore
bianco, i capelli lunghi di un castano scuro quasi nero; indossava un paio di
pantaloni neri e un maglioncino bianco a collo alto che quasi risaltava ancora
di più il colore particolare delle iridi candide.
Shikamaru
mugugnò appena, sospirando poco dopo e rilasciando il pugno << hai
ragione, Neji >> rispose al ragazzo appena arrivato, rimettendosi diritto
e voltando lo sguardo verso Kiba. << Kiba, ti presento Neji Hyuga >>
gli disse, indicando con un gesto della mano il ragazzo dagli occhi bianchi
<< quarto anno, anche lui della classe angelica. E’ un Arcangelo >>
aggiunse, sorridendo appena.
<<
Eh?! Un Arcangelo?! Uno vero?! >> chiese scortesemente Kiba, osservando
Hyuga come se fosse una specie rara di orso polare in estinzione. Allo sguardo
divertito di Shikamaru e a quello sorpreso di Neji, decise poi di darsi un
contegno. << Scusa Hyuga, non volevo…>>
<<
Tranquillo, i nuovi arrivati fanno tutti così >> rispose l’arcangelo,
alzando appena la mano destra in segno di comprensione. Gli tese poi quella
stessa mano, che venne accettata repentinamente: << tu devi essere Kiba
Inuzuka, il nuovo Alchimista >> disse, convinto di quello che affermava
<< la preside Tsunade mi ha parlato di te >> aggiunse in
spiegazione.
Oh,
benissimo. Era già schifosamente popolare.
<<
Sì, sono io…>> rispose, più per rassegnazione che per cortesia,
sospirando appena mentre stringeva la mano di Neji. Anche pensare di stare
stringere la mano ad un essere superiore e, in un certo senso, extraterrestre,
non lo calmava affatto.
Neji
sorrise appena, quasi invisibilmente, riportando la mano a fare compagnia
all’altra lungo il fianco. << Spero ti troverai bene in questa scuola, e
se avrai come guida Nara sono sicuro che imparerai ad orientarti quanto prima
>> disse, il tono educato e lineare, melodioso e dall’impostazione
gentile. Lanciò poi uno sguardo ad Itachi Uchiha che, con calma quasi
calcolata, si stava allontanando ora dall’atrio.
<<
Vogliate scusarmi >> disse poi Neji, salutando nuovamente Shikamaru con
uno sguardo carico di significato - sconosciuto a Kiba - e incamminandosi a sua
volta nella stessa direzione di Itachi.
Nell’andare
via, nel riflesso dello specchio un paio di ali dorate svettarono fra il grigio
monotono dei mezz’angeli che andavano e venivano in continuazione,
chiacchierando in mezzo al continuo brusio.
<<
Sorpreso?>> chiese poi il moro a Kiba, alzando l’angolo della bocca in un
sorriso sbieco mentre lo guardava divertito.
Perché sì,
si vedeva che si stava divertendo a sondare le sue reazioni di meraviglia.
<<
Meravigliato credo sia il termine più adatto >> corresse il castano, gli
occhi dorati che andarono subito a quelli di Shikamaru. Avrebbe voluto
chiedergli il perché di quella reazione nel vedere Itachi, era curioso…ma anche
educato. Si conoscevano da quanto? Un’ora? Non gli sembrava il caso.
Shikamaru
si limitò ad annuire solamente, puntando nuovamente lo sguardo sulla folla che
andava e veniva, disperdendosi in gruppi e parlando del più e del meno.
<< Ti conviene andare in mensa se non hai ancora cenato, fra poco più di
un’ora c’è la messa della sera >> gli disse, calmo, scoprendo la manica
sinistra della divisa per guardare l’orologio.
<<
Tu non ceni?>> chiese il castano. Non perché sperasse di farsi
accompagnare, è solo perché sperava di non perdersi e, parliamone, non è che
aveva esattamente ascoltato tutta la spiegazione dei corridoi della scuola…
Il moro
però diniego, rimettendosi le mani in tasca << mangerò qualcosa più
tardi, adesso devo andare in infermeria. Ho bisogno di Kabuto >> disse,
voltandosi ed incamminandosi verso le scale. Prima di salire più di quattro
scalini si voltò nuovamente, fissando Kiba per qualche minuto con un sorrisetto
divertito << se hai paura di perderti segui la massa, non dev’essere difficile arrivare dove vuoi…>> aggiunse,
alzando appena la mano in saluto e salendo le scale.
…come
diavolo aveva fatto a capirlo?!
In piedi sulla cima del mondo.
Come Dio, che osservava dall’altro
la Terra e l’operato dei suoi figli. Come Dio, che giudicava nella sua
punizione o nella sua magnanimità chi era degno di perdono e chi meritevole di
maledizione.
Come Dio.
Era peccato? Forse sì. Ma cosa
cambiava, a quel punto?
Avanzò di un passo, i piedi nudi a
contatto con le tegole levigate e fredde del tetto su cui si trovava per un
motivo preciso.
Per un peccato preciso.
Si guardò le mani, tremanti,
coperte in parte da una camicia da notte bianca e leggera, che si librava
armoniosamente nel vento insieme ai suoi capelli, castani e lunghi.
Non si sentiva lui. Non era lui.
Ma allora chi? Chi era?
Alzò la destra una volta arrivata
al ciglio del tetto, la grondaia in acciaio leggermente arrugginita segnava
quel confine con aspetto minaccioso. Afferrò con mano tremante il crocifisso
d’oro che le aveva regalato la madre prima di mandarla a studiare in
quell’accademia, a causa dei suoi poteri.
Sotto, solamente il vuoto di un
balzo lungo parecchi metri.
L’avrebbe fatta finita. Voleva
farlo.
<< Pater noster,
qui es in caelis: santificéturNomenTuum…>> cominciò a recitare, lentamente, come una
litania da sempre detta senza particolare significato ma che, in quel
frangente, acquistava un’importanza vitale.
Tuttavia, si bloccò dopo poche
frasi. Un sorriso sconsolato comparve sul volto, sentiva le gote piegarsi sotto
quella malinconia finalmente espressa.
<< Non importa…>>
sussurrò, voce femminile e bassa, rotta dalle lacrime <<…tanto so già
benissimo dove andrò…>>.
La decisione.
Il salto.
La paura.
La visione della terra che si avvicina
velocemente, troppo velocemente. La reazione istintiva dell’essere umano che
tenta di salvarsi anche quando non può più fare niente, quando non c’è più
niente da fare. L’aria che ti sferza il volto, le lacrime che si ghiacciano per
la velocità con cui stai precipitando furiosamente, sempre più velocemente,
verso un abisso di buio e dolore infinito, di tormento, di perdizione e
dannazione, di eterno dolore e infinita pena.
Perché era suicidio. E si sa…che
chi mette fine alla propria vita non è accolto nella casa del Signore.
Un urlo, una voce acuta che dura
pochi secondi, il tempo che l’accelerazione di gravità impiega a far cadere una
massa verso il basso da una decina di metri d’altezza, quale per esempio…un
tetto.
Nell’attimo prima, un ruggito che risuona
in lontananza nelle orecchie, un verso di sofferenza.
Poi, il buio del nulla.
Il silenzio assoluto.
La fine di tutto.
Si
risvegliò di soprassalto, il cuore a mille, il respiro affannoso e la fronte
completamente madida di sudore.
Paura,
gelo. Puro terrore.
L’aveva
sentita sua. Quella determinazione, quella tristezza, quella volontà di porre
fine alla propria vita.
Come se
fosse lui su quel tetto, come se ci fosse stato per davvero lui, là in bilico.
Si mise
seduto, imprecando in varie lingue contro le coperte scomposte, quasi
attorcigliate attorno alle sue gambe. Il buio della stanza, dopo il sogno,
aveva come un’opprimente volontà propria, una pesantezza sua, come se avesse
realmente densità.
Non ci
volle molto perché gli occhi, una volta abituati alla poca luce lunare che
filtrava attraverso le imposte chiuse, gli consentissero di vedere almeno i
contorni delle cose.
Sospirò
profondamente, cercando di calmarsi e di riprendere a respirare come una
persona normale. Non era più un moccioso incapace, che doveva chiamare la mamma
per un semplice incubo. Gli sarebbe passata fra poco, di sicuro. Insomma, un
batticuore non può durare così tanto, no? Era semplicemente stato uno spavento,
uno stupido, imbecille, fottuto incubo del cavolo;
ogni tanto capitava anche ai migliori.
Socchiuse
gli occhi, concentrandosi solamente sul proprio respiro, calmandolo
volontariamente finchè non ritornò più o meno normale, il cuore a battere con
regolarità e non così velocemente come pochi attimi prima.
Una volta
che si fu calmato, posò lo sguardo sulla porta. Si sentiva i capelli bagnati di
sudore appiccicati alla fronte, le labbra secche e la gola riarsa. Nel silenzio
di quella stanza anche il suo respiro pareva urlare. Magari poteva…
No. Che
ridicolaggine. Non era più un moccioso, se l’era già ripetuto. Non più il
piccolo Kiba che va a chiedere ai genitori di dormire nel lettone con loro.
Però, la
sua camera era vicina…magari, avrebbe potuto trovare una scusa.
Alla messa
non si era fatto vedere, dopotutto.
No, Kiba, non
fare il cane spaventato. Sei a scuola da un giorno, anzi, da qualche ora, non
facciamoci riconoscere subito.
Però, quel
sogno…quell’immagine, quelle sensazioni…così reali, così vere, così…vive.
Gli
scorrevano ancora addosso i brividi quando ci pensava.
No, basta.
Decise che era il caso di ritornare a dormire. L’indomani mattina avrebbe
cominciato le lezioni e non aveva intenzione di farsi riconoscere subito
arrivando in ritardo il primo giorno, non esisteva!
Si stese
dunque, tornando a premere la testa sul cuscino e stirando appena le coperte
che, nonostante l’opera, erano ancora per la maggior parte stropicciate e
scomposte.
Chiuse gli
occhi, doveva dormire…
<<
Kiba, hai la convinzione di una gallina. Deficiente…>> si disse da solo,
camminando silenziosamente per il corridoio.
Considerando
che, dall’inizio delle scale del secondo piano, le stanze cominciavano dal
numero 30, inoltrandosi nel corridoio dovevano per forza salire di numero.
Cosa che
era; più proseguiva più le targhette aumentavano di numero.
Osservandosi
intorno si strinse nelle spalle, chiudendo le mani sulle maniche corte della
maglia bianca che usava come pigiama, insieme ad un paio di pantaloni corti di
color azzurro. Quella dannata scuola, con quella dannata architettura di quel
dannato periodo gotico pareva stranamente, incredibilmente bella la mattina e
schifosamente inquietante la notte. Sapendo poi quali erano gli individui che
ci stavano dentro, diciamo pure che era tutt’altro che tranquillo.
Arrivò
alla porta numero 41 pochi istanti dopo, piantandosi in piedi davanti ad essa,
scalzo. Ovviamente, non aveva minimamente pensato ad un paio di ciabatte o a
qualcosa che vi somigliasse.
Alzò la
mano destra, indeciso se bussare o meno.
Ci avrebbe
fatto una figuraccia, lo sentiva. Era lui il primo a vergognarsi. Ma in quella
scuola non conosceva nessun altro, che doveva fare? Inventarsi un amico
immaginario di nome Spencer o derivati cercando di non convincersi di essere
completamente pazzo? Cosa che, parliamoci chiaro, stando dentro ad un’accademia
simile non doveva essere molto infrequente.
Deglutendo
appena bussò due volte sul legno scuro, non troppo forte per non svegliare
anche gli altri dormienti, attendendo.
Dopo poco,
convinto che l’altro non avesse sentito, bussò nuovamente, sempre due volte.
Alla
terza, finalmente si sentì qualche movimento all’interno della camera. Un
“click” della porta, probabilmente la serratura che girava per sbloccarsi, poi
il pomello che si girava e la porta che, con lentezza, si socchiudeva.
Una paio
di occhi scuri, con aria stanca ed assonnata, lo guardavano come un miraggio.
Una maglia nera a mezze maniche sopra un paio di pantaloni lunghi dal colore
verdino, i capelli sciolti che gli ricadevano sulle spalle, incorniciando il
viso dall’espressione ancora dispersa nelle lande del sonno. Come assonnata era
la sua voce, quando gli rivolse parola, probabilmente dopo averlo riconosciuto
in mezzo alla nebbia del dormiveglia: << Inuzuka?>> chiese,
sorpreso.
<<
Già, io >> rispose lui, sorridendo come un ebete che non sa quale scusa
campare per aria per giustificare la sua presenza nel mezzo della notte e nel
mezzo del corridoio. Ci provò comunque, con la speranza propria dei folli
all’ultima spiaggia: << Ho notato che non eri alla messa, così ho pensato
che ti fossi sentito male, che so…magari indigestione?>> disse,
abbozzando un sorriso che più tarocco di quello non erano nemmeno le carte dei pokémon con i brillantini finti.
Sorriso al
quale Shikamaru non rispose. Non aveva la prontezza mentale per muovere tutti i
muscoli facciali, probabilmente. Dopotutto era notte fonda. << Dì, hai la
minima idea di che ore sono?>> chiese, la voce bassa per non disturbare.
<<
Le due? >> chiese Kiba, sorridendo falso.
<<
Le quattro >> gli rispose Shikamaru, con un sopracciglio alzato.
<<…ero
preoccupato, sai? La tensione fa brutti scherzi >> ribatté Kiba, annuendo
con pochissima convinzione.
Il moro
sospirò, chiudendo gli occhi per poi socchiuderli: << brutti sogni,
eh?>> chiese retoricamente, aprendo del tutto
la porta e lasciandolo entrare. << Entra…>> aggiunse a voce,
incamminandosi all’interno della camera.
Tutte le
stanze dei dormitori erano uguali, della stessa metratura e della stessa forma.
Tuttavia, forse per il fatto che la sua era ancora sgombra, quella di Shikamaru
aveva un gusto particolare d’arredamento. Appena entrati, sulla destra, un
armadio a due ante occupava la parete, alcuni abiti pendevano da una sedia
posta nelle sue vicinanze, la divisa ben ripiegata sopra un comò accanto alla
sedia. Uno specchio rettangolare era posizionato, per il lungo, sopra a quel
comò. nella parete di sinistra rispetto alla porta stava invece il letto ad una
piazza e mezzo, staccato dal muro verso il centro della stanza mentre, alle
spalle di esso, una scaffalatura ad arco tratteneva vari volumi e libri di ogni
genere, oltre una scacchiera dello shoji. L’aveva
notata perché era lucida e aveva un ripiano tutto per sé, come se fosse un
cimelio. Nella parete rimanente invece, quella di fronte alla porta, sotto la
finestra abbastanza grande stava la scrivania, ingombra di piccoli bicchieri
con dentro delle penne di ogni genere, un calamaio, alcuni libri di testo e
qualche crocefisso che pendeva dalla lampada, compreso un rosario dalle perline
biancastre.
<<
Mettiti pure comodo >> borbottò Shikamaru, sedendosi sul letto a gambe
incrociate e facendo un profondo, sentito sbadiglio.
Kiba
spostò nuovamente lo sguardo sul ragazzo, sentendosi improvvisamente in colpa.
La sua teoria del “se sto sveglio io non vedo perché Shikamaru debba dormire”
alla fine aveva funzionato, privando il moro di attimi importanti di sonno
prima delle lezioni del mattino. Non sapeva ancora cosa esattamente facessero
gli Esper, ma se erano lezioni pesanti…
<<
Mi dispiace di averti svegliato, Nara >> esordì poi, decidendo di sedersi
alla scrivania, sulla morbida sedia girevole.
L’altro lo
guardò con un occhio solo, leggermente socchiuso a causa del sonno interrotto e
dello sbadiglio appena manifestato. << Figurati, dormirò domani durante
le lezioni >> ribatté quello.
Ok, se
poteva permettersi di dormire, allora le lezioni non dovevano essere poi così
difficili… no?
Ridacchiò
appena, a bassa voce nel caso i vicini di camera avessero l’udito ad ultrasuoni
ed il sonno leggero, spostando poi lo sguardo sulla superficie della scrivania.
A
sinistra, vicino allo schermo del computer, un piccolo portafoto era in bilico
su un volume dalla copertina nera, abbastanza grosso ed impolverato. Ritraeva
un bambino dall’espressione seria, i capelli corti e scuri, tenuto per mano da
due adulti; la donna sorrideva lievemente, l’uomo osservava semplicemente
avanti, l’espressione rilassata ma non sorridente. Dietro di loro, dopo un
piccolo quadrato di prati verde, una casa normalissima si stagliava fino a
proseguire oltre l’inquadratura, un rametto di gerbere che scendeva colorato
dal davanzale esterno della finestra al primo piano.
<<
Sei tu questo? >> chiese Kiba, più per cominciare un qualunque discorso
che per stare semplicemente in silenzio. Si era presentato in camera di Shikamaru,
ma la verità era che non aveva assolutamente nulla da dirgli.
E si
sentiva estremamente patetico.
Quello
annuì, osservando con espressione indolente il quadretto che l’Inuzuka teneva
fra le mani. << Io e i miei genitori >> disse, distogliendo poi lo
sguardo. I capelli, ancora sciolti sulle spalle, seguirono i movimenti del capo
con un leggero fruscio.
<<
Tua madre è molto bella… >> continuò, dicendo effettivamente quello che
pensava.
<<
Da giovane sì, lo era >> rispose il ragazzo, evitando sempre di guardarlo.
Kiba alzò
appena gli occhi su Shikamaru, rendendosi conto di aver, probabilmente, toccato
un tasto dolente. << Scusami. E’ forse… >>
<<
No, nulla del genere. Sta benissimo, o almeno, stava bene gli ultimi due minuti
che ho passato al telefono con lei il mese scorso >> rispose il moro,
immaginandosi in anticipo cosa stesse pensando il castano.
Doveva
chiederglielo a Shikamaru, come facesse tutte le volte a capire cosa pensasse.
Poi
rifletté su quello che aveva appena sentito, alzando un sopracciglio. Il mese
scorso? Ma se lui era lì dentro da nemmeno 12 ore e sua madre lo aveva già
chiamato due volte, tre contando quando era in bagno e non poteva, per forza di
cose, risponderle.
<<
Vi sentite così poco? >> chiese, spostando nuovamente gli occhi sulla
piccola foto che ancora teneva fra le mani. Non voleva essere impiccione, anzi…
semplicemente, era curioso.
Shikamaru
rimase silenzioso per qualche istante, lo sguardo puntato sulla parete di
fronte al letto, fra l’armadio e il comò. Poi, interrompendo i pensieri di Kiba
-che già si stava chiedendo se non fosse troppo ficcanaso- rispose: << I
miei genitori sono solo… comuni esseri umani >> con un tono di voce perso
e inquietantemente impersonale.
In un
qualche modo, con quel “comuni esseri umani” si sentiva tirato in mezzo. Per
questo forse, ascoltandolo senza nemmeno respirare, cercava di intuire se nella
voce di Nara ci potesse essere anche solo una minima nota di disprezzo. Lui era
solo un “normale umano”, dentro quella scuola.
Tuttavia
l’intonazione di Shikamaru era piatta e impersonale. Non vi era traccia di
fastidio, di disgusto e, forse peggio, di affetto. Si parlava dei suoi genitori
dopotutto, no?
Forse
avrebbe voluto chiedere qualcosa di più, spinto dalla sua curiosità. Ma
Shikamaru, anticipandolo, cominciò a parlare con lo sguardo sempre fisso alla
parete di fronte al letto, sul muro fra lo specchio e la sedia. Era come se la
sua mente fosse su un altro mondo.
<<
In che senso? >> chiese dunque l’Inuzuka, il tono leggermente
indispettito che, nonostante avesse tentato di nascondere bene, Shikamaru notò
comunque.
Sorrise
appena, chiudendo poi gli occhi. << Sai… >> cominciò << …ero
nella classe degli Esorcisti, prima di essere inserito in quella degli Esper. E gli esorcisti diventano tali per un motivo: vedono
cose che la gente normale non vede >> disse, riaprendo gli occhi ed
osservando Kiba che, dal canto suo, sembrava pendere dalle sue labbra.
<<
Cosa? >> chiese infatti quello.
<<
Hai presente gli specchi che ci sono nell’atrio delle classi? >> chiese
Shikamaru, Kiba annuì. Certo che li aveva presenti, se li sarebbe ricordati per
tutta l’esistenza, da adesso in avanti.
<<
Quello è il mondo che vedono gli Esorcisti. E che io ho cominciato a vedere da
quando avevo 9 anni >> disse, indicando con il volto la foto che il
castano aveva riappoggiato alla scrivania << poco dopo aver scattato
quella foto >> aggiunse.
Kiba
deglutì, osservandolo e aspettando che continuasse, cosa che avvenne pochi
istanti dopo: << prova ad immaginarti a scuola, seduto al banco in quarta
fila. Il maestro presenta un nuovo allievo e, sotto ai tuoi occhi, quello
dispiega un paio d’ali da mezz’angelo. Ti guardi intorno spaventato a morte e
ti accorgi che, a quanto pare, quelle ali le vedi solo tu >>.
L’espressione
di Kiba si fece più attenta mentre Shikamaru, con al sua solita voce
impersonale e leggermente seccata, osservava ancora il muro davanti a lui
mentre raccontava. << Lo dissi ai miei genitori. Loro erano persone
normali che conducevano una vita normale… e presero una decisione da genitori
>> terminò ma, per farsi capire, indicò con il dito l’angolo destro della
scrivania. Attaccato ad un portapenne, un po’ stropicciato e vecchio, un
braccialettino ospedaliero plastificato con il nome “Shikamaru Nara - reparto
psichiatrico”scritto a macchina
rifletteva appena i raggi lunari.
Kiba non
disse nulla osservando il braccialettino. Probabilmente perché non trovava
nulla di meglio da dire di un: << mi dispiace… >> che, a sua
veduta, sembrava banale e limitativo.
Shikamaru
sospirò, stendendosi sotto le coperte e voltando la schiena a Kiba. <<
Non devi, è la storia della maggior parte delle persone presenti in questa
scuola >> disse, per poi aggiungere: << non fare l’errore di dire
“posso capire” perché non è così, gli esseri umani “normali” non capiscono mai.
Ora dormo, domani mattina c’è scuola. Quando esci chiudi bene la porta >>
disse, per poi tacere.
Kiba lo
osservò, decidendo di getto di fare quello che non si sarebbe mai sognato di
fare. Si alzò con uno cigolio sinistro della sedia, face qualche passo che
rimbombò sulla moquette della camera e, alzando le coperte a sua volta, si
stese sul letto dando le spalle a Shikamaru.
Qualche
istante di silenzio, poi la voce del moro che lo ruppe: << che cosa stai
facendo? >> voce tranquilla e seccata, come ormai Kiba aveva imparato
essere il suo tono standard.
<<
Dormo >> fu la risposta del castano.
<<
Hai una camera anche tu >> ribatté il moro, senza tuttavia voltarsi.
<<
Mi scoccia tornarci >> fu la repentina risposta.
<<
…fa come ti pare >> terminò Nara, chiudendo il discorso.
E fece
veramente come gli pareva. Chiuse gli occhi, addormentandosi placidamente
qualche minuto dopo.
E
considerando, per la prima volta, che non faceva del tutto schifo, essere
esseri umani qualunque.
Piccola introduzione per ringraziare tutti coloro che hanno letto la fanfic, in particolare Capitatapercaso (grazie mille per il
tuo commento, è il migliore che abbia mai ricevuto! E
ti ringrazio anche per le tue considerazioni sul mio stile di scrittura, non mi
dispiace capire da ciò che scrivi di essere migliorata rispetto a tempo fa.
Cercherò di terminarla secondo i piani, questa volta, la fic! XD Grazie
ancora), Kagchan (concordo, “Like an
Hell” è sensazionale, ma non è mia XD ti confondi con Mika-mika, che ne è la vera autrice. Comunque non
preoccuparti, conosco Mika e ti assicuro che, sbagliando ad attribuirmi una sua
fanfic, mi hai fatto un grosso complimento involontario! XD Apprezzo come
scrive quella ragazza. Grazie per averla (ri)letta! E
anche a te, grazie per il commento), Nekiniku_dango
(spero di averlo scritto bene >.> grazie tantissimo per aver commentato e
sì, effettivamente è tanto che non metto mouse su manga.it… o almeno, non con
il vecchio nick. Beh, come ho detto sopra, questa volta farò del mio meglio per
terminarla *annuisce convinta*. Grazie ancora per aver la letta di nuovo XD) e Fallen_azraphel (fidati, mi faccio più
problemi di quanto pensassi a muovermi Kiba come
protagonista! XD Comunque sono contenta che ti piaccia
anche se il protagonista è un po’ insolito e, per quanto riguarda la coppia,
l’ho palesata nell’introduzione semplicemente per correttezza per chi legge
*annuisce* così se la coppia non piace si passa oltre direttamente. Grazie mille
per il commento e non preoccuparti, è esauriente anche così! XD Non ho bisogno
di commenti chilometrici per sbilanciare il mio ego, fa tutto da solo
*gocciolone alla manga*. Grazie ancora per il commento!)
Bene, credo che le comunicazioni di servizio, per questa
volta, siano terminate.
Vi lascio alla lettura!
.:: Enjoy! ::.
Chapter
01 ~ First Echo
Previsione Accidentale
Sapeva che sarebbe successo. Anche se, in
cuor suo, aveva sperato che non succedesse almeno
a lui. Che lui fosse, diciamo, immune alla
regola soprannaturale del “nuovo arrivato”.
Invece no. E se si trovava a
correre per i corridoi con un pezzo di pane tostato in bocca, doveva pur
esserci un motivo.
<< Maledetta sveglia del cavolo! E
maledetto Nara, pure lui! Poteva svegliarmi, no? No! Mi ha lasciato dormire!
Ah, ma io gliela faccio pagare! E’ il primo giorno, accidenti a lui! >>
sbottò indispettito, inghiottendo con qualche difficoltà il residuo della
colazione, rischiando di mandarla di traverso ma trovando, all’ultimo istante,
la salvezza per un qualche miracolo non meglio specificato.
Per qualche assurdo motivo a cui non
voleva nemmeno pensare, si era addormentato così placidamente nel letto di
Shikamaru che non aveva nemmeno sentito la sveglia. O
meglio, non sono non aveva sentito la sveglia, ma nemmeno il compagno alzarsi e
vestirsi per andare a fare colazione.
Quando, disturbato da un fascio di
luce proveniente dalla finestra, aveva finalmente aperto gli occhi, il led
luminoso della sveglia sul ripiano della scrivania segnava le sette e quaranta.
E le lezioni, da che mondo è mondo,
erano sempre cominciate alle otto.
Dopo i primi secondi di smarrimento, probabilmente un
effetto collaterale della mano di Morfeo ancora presente su di lui, lo scattare
dei quarantuno minuti aveva scatenato in lui il
panico.
Aveva esattamente 19 minuti per uscire da quella camera,
rientrare nella sua, vestirsi, scendere a colazione e andare ovunque fosse la
sua classe, quella di Alchimia. Perché parliamone, non
è che avesse esattamente capito la sua ubicazione, dal
discorso di Shikamaru del giorno prima.
Bella forza, uno comincia a farti una pianta dell’edificio
mentre scopri che quello che il prete ti raccontava al catechismo non erano
tutte cavolate. E’ logico che poi il cervello si riavvia automaticamente e
l’attenzione va a farsi un giro per altri lidi.
Si era alzato con un balzo e, puntualmente, era inciampato
sul lenzuolo che, stropicciato, si era arrotolato intorno ai suoi piedi durante
la notte. Doveva dire a Shikamaru che la moquette della sua camera necessitava di una passata di aspirapolvere.
Dopodiché si era rialzato nuovamente,
scattando veloce verso la porta dove, in un post-it giallo, due righe in una
calligrafia lineare e inclinata verso destra lo avvertivano di chiudere
la porta. Con qualche insulto al firmatario, un certo S.N. di sua conoscenza,
appallottolò il foglietto e chiuse la porta come dettogli.
Corse poi per il corridoio, ovviamente in pigiama (ci doveva
essere veramente qualcuno che gli voleva bene: non lo aveva visto nessuno!), sbattendo il naso sulla sua
porta prima di aprirla a e fiondarsi dentro la camera.
Raccattò la divisa il più velocemente possibile, buttando il pigiama dove
capitò e cercando per l’equivalente di sei minuti di farsi il nodo a quella cavolo di cravatta blu, che non ne voleva sapere di
riuscire in maniera normale. Evidentemente destinato a non riuscirci mai, aveva
lasciato i primi due bottoni della camicia aperti e, ficcandosi la cravatta in
tasca, aveva recuperato libro e quaderno per poi catapultarsi nuovamente lungo
il corridoio, diretto dove lui pensava che ci fossero le classi.
Ed è lì che, alle attuali ore otto
e cinque, ancora correva.
<< Sono nei guai. In guai grossi temo… >> disse sconfortato mentre, rallentando appena prima della
curva, girò velocemente a destra alla fine del corridoio per trovarsi… in un
altro corridoio.
Che cavolo era quel posto, il
labirinto del Minotauro? Dannazione a lui che non si ricordava un fico secco
delle indicazioni che gli aveva dato Shikamaru il giorno
prima e, soprattutto, dannazione allo stesso Nara che aveva deciso di
lasciarlo poltrire nella sua full-immersion nel mondo dei sogni.
Ricominciò a correre, deciso a farsi i cento metri piani in
7.65 anche per tutta la scuola, se si fosse mostrato
necessario. Alla svolta successiva volle girare nuovamente a destra, senza
nemmeno rallentare questa volta e, come prevedibile, successe l’inevitabile.
Voltandosi per osservare le porte di quel corridoio nuovo,
l’unica cosa che vide prima di ritrovarsi con il sedere per terra
fu una divisa bordeaux e una spilla a forma di ali diventare sempre più grandi,
sempre più grandi… finchè non se le era ritrovate dolorosamente addosso,
impattando contro la persona che le portava.
E, pensandoci ora che il naso
pulsava per il dolore, era come se si fosse scontrato con un muro.
<< Ahi! >> esclamò, serrando gli occhi e
portandosi una mano al naso, giusto per controllare che fosse integro e ancora
al suo posto. << che male! Mi dispiace, non stavo
guardando dove andavo, sono in ritardo…>> cercò di scusarsi subito,
aprendo solamente un occhio nel tentativo di farsi passare il dolore e, se
possibile, riprendere la sua ardua ricerca della classe giusta.
Il ragazzo contro cui si era
scontrato, arretrato di qualche passo senza però perdere l’equilibrio, tossicchiò
appena prima di rispondere un neutro << ho notato >>, con voce
profonda ma giovanile.
E a Kiba quasi venne un infarto
quando, alzando gli occhi, si trovò davanti Itachi Uchiha nella sua eterea
bellezza.
Cominciò sul serio a chiedersi se la sua sfortuna non fosse
una dote naturale.
Il ragazzo, i capelli lunghi e corvini racchiusi in una coda
bassa, lo guardò con i suoi profondissimi e assottigliati occhi scuri,
osservandolo con pacata indolenza. Si avvicinò di
qualche passo, porgendo la mano destra all’Inuzuka senza un sorriso, nemmeno un
ghigno o una qualsiasi altra espressione che dimostrasse una qualsiasi
sensazione.
Beh, se la aspettava molto, molto peggio.
Insomma, i demoni (o mezzi demoni che siano) della sua
immaginazioni prendevano la forma di vampiri affamati che la prima cosa
che guardavano salutandoti era la tua giugulare. Si aspettava una cosa tipo: “buongiorno sono Itachi Uchiha, come sono andate le ultime
analisi del sangue?”
Invece, il ragazzo che ora gli tendeva la mano sembrava, per
i suoi semplici sensi da “normale essere umano”, semplicemente uno studente
chiuso ed enigmatico che, gentilmente, lo voleva aiutare a rialzarsi.
Perché negarglielo?
Allungò la mano dunque, afferrando quella fredda di Itachi e, aiutandosi con essa, si rialzò in piedi con un
urlo silenzioso di dolore da parte del suo sedere. Ok, aveva constatato
per la seconda volta in quella mattina che i pavimenti di quella scuola erano
solidi.
Una volta in piedi, Itachi continuò a guardarlo con quell’inespressività
inquietante dipinta negli occhi neri. Alzò poi, leggermente, un sopracciglio,
unica vera espressione che gli aveva visto fare fino a quel momento. <<
Tu devi essere Inuzuka >> disse, osservando la
spilla d’orata a forma di Sigillo di Salomone che indossava il castano, appena
sopra lo stemma della scuola. << Alchimista >> aggiunse poi,
lasciandogli la mano e riportandola lungo il fianco.
<< Eh, proprio io…>> rispose, sorridendo
imbarazzato. Ma c’era una santissima anima in quella scuola che non sapeva che lui era appena arrivato?!
Itachi lo squadrò completamente, così come fece Kiba: Doveva
essere un ragazzo ordinato dato che, sia la camicia che la giacca, erano ben
allacciate e la cravatta era diligentemente stretta al collo. Doveva avere successo con le ragazze, dato che qualunque cosa
indossasse non perdeva di attrattiva.
Poi, all’improvviso, un sorrisetto comparve sulle labbra del
moro. O almeno, così aveva considerato il leggero stirarsi di labbra che per
qualche secondo il ragazzo aveva mostrato.<< Interessante… >> lo sentì
sussurrare << …mi sorprende che Nara non lo abbia
notato… >> aggiunse enigmatico, alzando poi gli occhi oltre la sua
spalla. Il sorrisetto, o l’ombra del sorriso, che aveva appena assunto
scomparve, facendo ritornare il suo viso rilassato e neutrale.
Cosa… cosa doveva notare Shikamaru?
Che aveva? Per caso emetteva un odore particolare, dei
ferormoni che attiravano sciagure, si doveva scatenare la fine del mondo per
mano sua, cosa?!
Non riuscì a resistere. Detestava quando la gente non gli
diceva le cose direttamente in faccia.
<< Che cosa avrebbe dovuto
notare? >> chiese direttamente, riducendo gli occhi a due fessure. Il
tono fermo e deciso di chi non ammette altre risposte tranne la verità attirarono nuovamente lo sguardo di Itachi su di lui.
Forse era un’illusione, uno scherzo della luce… ma gli occhi
di Itachi non erano appena diventati… rossi?
Un brivido gli percorse la schiena,
facendolo allontanare istintivamente di qualche passo. Cosa
diamine era stato, quello?
Senza dire una parola, senza nemmeno respirare, il ragazzo
degli Uchiha alzò lentamente una mano in direzione della fronte di Kiba che,
per un qualche misterioso, orripilante motivo non riusciva più nemmeno a
staccare i piedi dal suolo, figuriamoci a fare un
altro vitalissimo passo indietro. Osservava quella mano avvicinarsi
inesorabilmente e l’espressione fredda di Itachi non
prometteva niente, assolutamente niente di buono. Era… era davvero… ?
<< Uchiha >> una voce ferma,
decisa, un tono che aveva già sentito di sicuro un’altra volta anche se al
momento, con i muscoli completamente bloccati per la tensione, il suo cervello
non riusciva a collegare la voce ad un’immagine. Era completamente
bloccato e, nonostante avesse sentito che la suddetta voce proveniva dalle sue
spalle, non aveva ancora trovato la forza e il coraggio di voltarsi in quella
direzione.
Itachi puntò nuovamente gli occhi alle sue spalle,
abbassando poi la mano per riportarla al suo fianco. << Hyuga >>
rispose solamente, liscio e impersonale, riportando solamente per un istante lo
sguardo su Kiba: << puoi anche respirare, ora >> disse, prima di
passare oltre al castano con passo lento e, sempre con lo stesso passo, sparire
dal corridoio.
Si accorse di stare mantenendo il respiro solamente quando
l’Uchiha passò oltre lui. E,
per non cadere come un sacco pieno di pere, dovette per forza appoggiarsi alla
parete con la schiena, sforzando le sue gambe di non cedere proprio sul più
bello.
Era paura, quella. Una paura marcia di un qualcosa che
nemmeno sapeva cos’era. Il suo cuore batteva talmente veloce da rimbombargli
nelle orecchie con violenza e le sue mani, nonostante fossero entrambe
appoggiate al muro, tremavano ad intervalli irregolari.
<< Tutto bene? >> chiese la stessa voce di
prima, ora molto più vicina.
Sobbalzò. Non si era nemmeno accorto che Neji si era
avvicinato così tanto a lui, dall’agitazione che aveva addosso.
Deglutì, cercando disperatamente di non far tremare la voce.
Tentativo che gli riuscì solamente in parte: << S-si, tutto a posto
>> rispose, distaccandosi dal muro e mettendosi diritto di fronte allo Hyuga.
L’atmosfera che si respirava in sua compagnia era molto
differente rispetto a quella accanto ad Itachi, Portava i capelli castano scuro
raccolti un una coda bassa, leggermente lenta, tanto da farglieli ricadere
appena sulle spalle; gli occhi, di quello strano ma affascinante colore bianco,
sembravano capaci di osservare direttamente l’anima, capendo la verità anche
senza bisogno di dirla. La divisa, dello stesso colore a forma di tutte quelle
presenti in quella scuola, era anche nel suo caso ben portata,
la cravatta allacciata bene, la spilla dalle ali dorate appuntata sopra lo
stemma.
Forse, si sentiva bene in sua compagnia solamente perché
Shikamaru lo aveva informato sulla sua origine angelica.
Cioè, stava parlando con un
Arcangelo, per la miseria…
Neji annuì appena, voltando poi lo sguardo lungo il
corridoio che aveva appena imboccato il mezzo demone. << Non ti avrebbe
fatto nulla, ma posso capire che possa mettere soggezione >> disse pacato, ritornando con lo sguardo al castano.
Kiba annuì senza tuttavia aggiungere niente. Al momento era
occupato a fare sì che i suoi polmoni riprendessero a respirare con un ritmo
umano, e non come se ogni tanto si dimenticassero del loro mestiere, facendolo
mancare del respiro.
Fu poi Neji a interrompere il
brevissimo dialogo, sospirando appena. << Scusami Inuzuka, ho un lavoro
da sbrigare >> cominciò, frugandosi al contempo nelle tasche e, tirandone
fuori una piccola catenina con un croce in argento
attaccata, la porse a Kiba.
<< Questo ti sarà utile, portalo
con te >> disse, aspettando che Kiba lo afferrasse prima di ritirare la
mano. << Consideralo un giubbotto antiproiettile
>> aggiunse prima di salutare e, a passo disteso e lento, seguire
la stessa direzione imboccata dall’Uchiha.
Strinse fra le mani quella catenina, decidendo di
infilarsela subito; sotto la camicia non si sarebbe vista.
E, riprendendo faticosamente a
camminare, decise che sì, la sua sfortuna doveva essere veramente una dote
naturale.
Erano le otto e venti quando, imboccando l’ultimo corridoio
che gli sembrava di non aver ancora percorso, finalmente trovò le aule di
Storia degli Antichi Testi, la prima sulla sinistra, e Alchimia, l’ultima sulla
destra.
Doveva ricordarsi di ringraziare il suo minimo, quasi
invisibile senso dell’orientamento per essere riuscito, anche se in un tempo
sproporzionato, a portarlo a destinazione.
Era in un ritardo epico. Bella figura al primo giorno di
scuola, presentarsi in classe e dire, come prima frase davanti a tutti: “scusate il ritardo, mi sono perso nel labirinto e ho fatto
due chiacchiere col Minotauro, non ho più avuto cognizione del tempo!”
Tuttavia, al suo avvicinarsi alla porta della classe, notò
che era stranamente aperta e, dal suo interno, provenivano voci concitate e stralci di quelle tipiche frasi che si fanno alla mattina
prima del suono della campana.
I casi erano due: o le lezioni in quella scuola consistevano
in chiacchiere e tè con biscotti, oppure il professore non era ancora arrivato.
Non sapeva se darsi dello stupido per la prima ipotesi
pensata, o se sperare in un miracolo di proporzioni bibliche come la seconda.
Beh, il modo per scoprirlo c’era, e consisteva nell’entrare in classe.
Bussò quindi alla porta, abbastanza forte da farsi sentire,
entrando poi subito dopo. La cravatta, ancora abbandonata nella tasca a penzoloni lungo la sua gamba, gli dava un aspetto da
contadino dei Pirenei, ma al momento non aveva importanza.
<< Buongiorno… >> azzardò quando, entrato dalla
porta di due passi, l’intera classe si zittì e lo fissò.
Qualche chiacchiericcio sussurrato in fondo a destra, una
ragazza che si chinava sulla sua amica per qualche commento, molto probabilmente
sul suo aspetto, e diciassette paia di occhi che lo
guardavano con fare curioso e sorpreso allo stesso tempo.
Fu poi una ragazza in seconda fila, seduta su uno dei banchi
in mogano intagliato (ma davvero spendevano un pacco di soldi solamente per
quei banchi stile Istituto Ouran?!(*))
a far sentire per prima la sua voce. Aveva lunghi capelli biondi raccolti in una
coda alta sulla nuca, occhi azzurri che contrastavano nell’insieme con i colori
scuri della divisa, esattamente uguale a quella maschile con l’unica differenza
che, al posto dei pantaloni, l’uniforme femminile prevedeva una gonna a pieghe
e un fiocchetto al posto della cravatta. Se ne stava seduta a gambe incrociate,
le mani indietro puntellate sul banco, indice probabilmente di un’enorme forza
di volontà. Fere un sorrisetto sbieco in sua direzione, esordendo nel silenzio
con un: << Ah! Tu devi essere…>>
<< …quello nuovo, sì >> finì prima Kiba per lei,
sospirando rilassato. Felice, per la prima volta in vita sua,
che le voci all’interno di quella scuola circolassero alla velocità della luce.
<< Kiba Inuzuka, piacere >> si presentò poi, alzando la mano destra
come piccolo gesto di saluto.
Tutti gli sorrisero, alcuni lo salutarono,
per poi tornare a parlare delle loro cose. Beh, era stata una presentazione
indolore; almeno si erano riservati dal continuare a guardarlo come babbuini
che fissano una banana.
Solamente due di loro gli si avvicinarono, due ragazze. La
prima era la biondina che gli aveva rivolto la parola
per prima che, scendendo dal banco con grazia relativa, gli stava camminando
incontro. Al suo fianco, un paio di occhi color giada
spiccavano fra un paio di ciocche color rosa (no, non si poteva dire
“rossiccio”, erano proprio rosa!) facenti parte di un caschetto di capelli del
medesimo colore, trattenuto da un cerchietto rosso. Due ragazze, entrambe con
la spilla da alchimista.
Bella forza, se erano nell’aula di Alchimia…
La prima, la biondina dagli occhi blu, fu la prima delle due
a tendergli la mano: << io sono Ino Yamanaka >> si presentò subito
<< le voci circolano molto in fretta in questa scuola, come avrai notato
>> aggiunse poi, sorridendo allegramente.
Kiba rispose al gesto, stringendole la mano a sua volta.
<< Il professore? >> chiese allora il ragazzo, approfittando
dell’occasione.
A rispondere fu però la seconda ragazza che, abbassando gli
occhi fino alla sua cravatta, la prese delicatamente dalla tasca,
mettendogliela dietro al collo con un semplice gesto della mano, cominciando ad
annodargliela. Aveva l’espressione seria ma dolce, nonostante le mosse decise e
perfette, nessun movimento fuori posto. << Non si è ancora fatto vedere,
ma lui è sempre così. E’ il più ritardatario di tutto il
corpo insegnanti. Tieni su il mento, per favore >> disse, terminando in qualche mossa di fargli il nodo, che
Kiba allentò subito secondo i suoi gusti. Non gli piaceva sentirsi qualcosa legato
troppo stretto al collo.
<< Grazie >> disse poi il ragazzo, tastandosi il
nodo << è tutta mattina che cerco di farlo
>> aggiunse, osservando la ragazza.
<< Di nulla, si vede che non sei abituato a portarle
>> rispose quella, porgendo la mano a sua volta << Sakura Haruno,
piacere >> si presentò cordialmente.
Kiba, dal canto suo, strinse anche la sua mano. Quella
Sakura aveva l’aria maledettamente saccente, oltre che ad un colore di capelli altamente discutibile, e doveva essere per forza una di
quelle persone che se non fanno una cosa perfetta sono capaci di perderci il
sonno. Tuttavia, gli aveva allacciato la cravatta, e
questo era un grandissimo passo avanti.
<< Ragazzi arriva! >>
li interruppe poi una voce dal tono squillante. Lanciando una rapida occhiata a Ino, già seduta al suo banco, vide che la ragazza gli
indicava un banco nella fila al suo fianco, quella attaccata al muro. Vi erano
solo tre file di banchi all’interno della classe, tutte formate
da sei banchi ciascuna, e ancora si chiedeva chi era così impazzito da sedersi
di sua spontanea volontà in prima fila, lasciando la terza (dove aveva preso
posto lui) libera fino a prova contraria. E fu solo allora che, aspettando
l’entrata del professore, ebbe occasione di osservare
meglio la classe. Era luminosa, areata e dava una sensazione strana ma
piacevole. Tre finestre fornivano sufficiente luminosità, dalla parte opposta
di dove si trovava lui, affacciandosi su quello che doveva essere in famigerato
giardino interno descrittogli da Shikamaru il giorno precedente; vi era un
campo di atletica in mezzo al verde, con alcuni alberi
al lato nord e qualche panchina sotto di essi.
Probabilmente si facevano lezioni di educazione
fisica all’aperto, a giudicare dalla struttura delle classi.
In lontananza, dalla parte ovest del giardino, la
particolare costruzione della chiesa risaltava nella sua bellezza e, alzando
gli occhi, le punte dei campanili sembravano conficcarsi nel cielo azzurro.
Beh, almeno per una cosa avrebbe dovuto ringraziare sua
madre: come posto era molto tranquillo e il paesaggio suggestivo.
Poi, finalmente, fece la sua entrata in scena il tanto famigerato
maestro ritardatario.
Se avesse dovuto trovare qualcuno di più particolare di quell’uomo non l’avrebbe trovato nemmeno nel pieno del
carnevale di Rio de Janeiro.Aveva dei
particolari capelli bianchi-argentati (non sapeva ben definire quel colore, dato che cambiava a seconda della luce che li colpiva) che
ricadevano tutti dal lato sinistro del viso, coprendo il relativo occhio, su
cui portava una benda.
E, per l’amor del Cielo, anche se era curioso non ne voleva sapere il motivo. Con tutto l’ammontare di
roba strana che deambulava in quella scuola ci mancava
solo l’occhio alieno del professore, che sparava acido dalla pupilla e rendeva
le ciglia come i serpenti della testa dell’Idra. Chissà, forse aveva anche la
capacità di pietrificare le persone.
No, era semplicemente lui che nella sua infanzia tormentata
dalla sorella adolescente con le crisi mestruali, leggeva troppi fumetti per
distaccarsi dalla realtà.
Tuttavia, il professore di per sé non sembrava affatto un alieno e qualsiasi altra cosa extraterrestre avrebbe
potuto, in linea teorica, essere. Aveva il corpo di un umano, tra l’altro in
forma fisica eccellente, e fece il suo ingresso all’interno della classe a
passo tranquillo, vestito con una divisa completamente nera fatta appositamente per i professori, alla quale i pantaloni dal
taglio classico erano stati sostituiti da un paio di jeans chiari. In mano
portava, aperto, un piccolo libricciolo dalla copertina arancione.
Beh, almeno si sapeva vestire.
<< Maestro Kakashi, è in ritardo! >> esclamò
subito Sakura, seduta ovviamente in prima fila centrale, alzando un
sopracciglio e fissando l’uomo con fare polemico.
<< Ah, scusate, scusate!
>> disse subito quello, chiudendo l’unico occhio visibile e portandosi la
mano libera dietro la nuca a mo di scuse. << La sveglia non ha suonato e
ho perso un po’ di tempo per scegliere i pantaloni da indossare oggi. Poi a
colazione i miei toast non erano ancora pronti e ho dovuto aspettare, per
questo ho fatto tardi! >> aggiunse, alzando poi entrambe le mani davanti
al volto, altro comportamento classico di chi deve scusarsi.
Fu allora che, in luce grazie alla posizione, riuscì a
leggere il titolo del volume.
Le Tattiche della
Pomiciata.
…
*Attendere prego, riavvio del programma in corso…*
…
MA COS’ERA?! Un professore che
legge libri della serie “Ichi Ichi” non si era mai
visto! Anzi, quello era davvero un
insegnante?!
Ora sì, poteva veramente dirlo: i miracoli esistevano e si
manifestavano talvolta in dimensioni spropositate.
Poi, lo sguardo dell’uomo cadde su Kiba e, per un
interminabile secondo, il castano rimase completamente immobile a fissare
l’unico occhio dell’uomo che poteva effettivamente vedere.
Lo squadrava, senza distogliere lo sguardo, nemmeno quando
chiuse il libro e lo appoggiò sulla cattedra, insieme alla borsa che si era
portato appresso a tracolla. Continuava a fissarlo con la stessa meticolosità
con cui sua madre sceglieva i mobili nuovi della cucina.
<< Mh… >> esordì poi, Kiba
deglutì. << Strano, non ti ho mai visto da queste parti. Sei nuovo
per caso? >>
Avrebbe giurato che, in contemporanea,
tutti i rimanenti alunni avessero sbattuto sconsolati la testa sui
banchi stile Ouran.
Sì, decisamente i miracoli
esistevano… così come le anomalie sociali: ne aveva la prova davanti in carne
ed ossa. E anzi, quell’anomalia sociale pretendeva di essere il suo professore di Alchimia, dunque ce l’avrebbe avuto davanti per tutto il
resto dell’anno se non intervenivano cause di forza maggiore.
Che potevano essere solamente la
morte e un attacco alieno, come riferitogli dall’ultima telefonata della madre
in cui, al suo “dove cavolo mi hai mandato?” in tono disperato, la risposta
della donna era stata “ti piace”. E no, non era una domanda.
Si era risparmiato di dirgli “guarda, credo che sia più
probabile la seconda…” solamente perché, a volte, poteva anche sforzarsi di
essere educato, con quella scaricatrice di porto stile schiavista di sua madre.
Sotto l’espressione sgomenta di tutti, a bocca aperta per lo
stupore, il professore si avvicinò a lui, poggiandogli una mano fra i capelli
castani e scompigliandoglieli allegramente, sorridendo.
<< Bene, bene! >> aggiunse poi
<< più siamo meglio è! >> esordì cordiale. << Io sono
Kakashi Hatake, novellino. E, se Dio vuole, sono il tuo maestro di Alchimia >> si presentò poi, osservandolo dall’alto
in basso.
Da lontano lo faceva più basso.
<< Kiba Inuzuka >> si presentò brevemente,
portandosi per riflesso le mani ai capelli per risistemarli. << Sarà… un
piacere… imparare da lei, maestro Hatake >> disse educatamente, come
anche nelle scuole pubbliche gli avevano insegnato a
fare.
Più stava lì dentro, più la scuola
pubblica gli sembrava il paradiso perduto. Nemmeno in un
Jurassick Park si sarebbe sentito più fuori luogo. E,
parliamone, piuttosto che incrociare di nuovo Itachi Uchiha preferiva giocare a
nascondino con un Tirannosauro.
Quello sorrise, scompigliandogli nuovamente i capelli con
fare quasi fraterno: << Maestro Kakashi andrà bene, Kiba >> disse,
allontanandosi poi nuovamente verso la cattedra, alle cui spalle troneggiava una lavagna che prendeva quasi tutta la parete.
Eh sì, sarebbe stato un anno mirabolante…
Dopo quattro, interminabili ore di lezione finalmente suonò
la campanella della pausa pranzo.
Quattro ore in cui aveva capito che il cerchio è la figura
perfetta, che il simbolo astrologico del pianeta Mercurio era utilizzato anche
per l’omonimo metallo e che Kakashi Hatake era adatto a fare l’insegnante
quanto lui lo era a ballare il Valzer.
Tuttavia era convinto che, dopo essersi riletto i due libri
degli anni precedenti, che lui aveva saltato in quanto
impegnato a studiare materie più “umane” in tutti i sensi, probabilmente
sarebbe arrivato a capire la materia e a trasmutare un chilo di chiodi in una
statuetta degli Oscar in ferro, come aveva brillantemente dimostrato di
riuscire a fare Sakura.
Ora aveva fino alle due per pranzare, rilassarsi, e
prepararsi per la lezione di Combattimento, che sarebbe avvenuta quel
pomeriggio nel tanto citato cortile interno.
Da quanto aveva capito, le lezioni di Combattimento non si
tenevano individualmente classe per classe, ma avvenivano per raggruppamenti a seconda degli anni. Tutti le quinte
di tutti i quattro corsi non si esercitavano, poiché ormai esperte e perché, al
posto di Combattimento, si esercitavano in maniera più particolare per le loro
materie nel campo apposito situato dietro la scuola.
Di conseguenza, il primo e il secondo anno di Alchimia facevano lezione congiunta, così come il terzo e
il quarto.
Una bella seccatura dal suo punto di vista, dato che il suo stile di combattimento era “particolare”…
anzi, non lo considerava nemmeno uno stile, a dirla tutta.
Pensando che no, dai, non lo avrebbero fatto combattere subito
il primo giorno(!), e stando bene attento ad evitare la presa collosa di Sakura
e Ino (che sì, potevano essere anche in buona fede, ma gli facevano venire
un’emicrania fulminante in tre secondi netti), si defilò
all’esterno della classe, cominciando a ritroso la difficile via per
raggiungere la sala da pranzo.
Teoricamente, seguendo la massa non doveva essere così
difficile.
Tuttavia, nei quaranta minuti che seguirono, imparò
un’importante lezione: non dire “gatto” se non ce l’hai
nel sacco.
Inutile specificare che non aveva trovato
la mensa, finendo invece in chiesa, completamente solo e affamato. Successivamente era riuscito ad arrivare in segreteria,
nuovamente nell’atrio delle classi con i grandi specchi e, sbagliando
corridoio, a ritrovarsi davanti alla porta della biblioteca.
Tutte destinazioni molto interessanti, ma lui in un solo posto voleva andare, ovvero dove
c’era del cibo, cibo!
<< Perché sono destinato a vagare in
questa cavolo di scuola, perché?! >> chiese ad alta voce,
portandosi le mani alla testa.
Destinato era di sicuro la parola adatta. Anzi, calzava a
pennello con l’origine biologica della sua sfortuna e del suo inutile quanto
inesistente senso dell’orientamento alla bradipo assonnato.
Un tegola si sapeva orientare meglio di lui.
<< Non troverò mai la mensa… >>
<< Alle scale a destra poi, all’atrio, a sinistra
>> rispose una voce al suo fianco, incredibilmente vicina a lui.
<< Ah, graz… >> cominciò, voltando poi il capo
nella direzione della voce, soprapensiero. A circa una spanna di distanza dai
suoi, un paio di occhi azzurri come il cielo
emergevano da una zazzera di capelli così biondi da fare invidia al grano
maturo.
Naruto Uzumaki in tutta la sua singolare bellezza.
E, per la seconda volta, decise che
sì, lui doveva essere naturalmente incline ai disastri naturali.
Guidato più dall’istinto che da altro,
face un balzo all’indietro, diventando tutt’uno con il vetro delle grandi
finestre che, così come per le classi, si snodavano lungo tutti i
corridoi.
A quanto pare l’architetto era un
fissato con le finestre.
Uzumaki lo fissò con un sopracciglio alzato, sbattendo un
paio di volte le ciglia. << Perché hai fatto un
balzo indietro? >> chiese, abbassando poi lo sguardo su se stesso,
facendosi una sottospecie di piccolo check-up << ho
qualcosa che non va? >> aggiunse preoccupato e stupito.
Noooo! Sei solo uno dei più forti demoni coda, figurati, non
hai niente che non va…
Kiba sospirò, distaccandosi lievemente dal muro << No,
colpa mia, mi hai colto alla sprovvista… >> riferì, ridacchiando così
falsamente che non solo le carte dei pokémon, ma anche una partita di soldi del monopoli erano più reali di quella risata.
Tuttavia, Naruto non se ne accorse
o la ignorò altamente. << Allora dovresti stare più attento, no? >>
rispose, tendendogli la mano con fare amichevole. << Io sono Naruto
Uzumaki >> si presentò cordiale, attendendo che
Kiba tendesse la sua.
Sempre meglio di Itachi Uchiha,
almeno quello…
<< Ki-Kiba Inuzuka…>> rispose, stringendo la
mano al proprietario del Kyuubi con forza di volontà -10. Dopo l’esperienza non
esattamente piacevole passata con Itachi quella mattina, aveva un po’ di
riluttanza a stringere la mano al primo demone in transito per il corridoio in
cui lui puntualmente si era appena
perso.
Anzi, aveva notato che aveva conosciuto i due più potenti
demoni della scuola (o mezzi demoni, non vedeva dove fosse la differenza)
proprio mentre vagava per i suddetti corridoi.
Eh sì, la sua sfortuna avrebbe mandato in malora un impero
se solo ne avesse avuto la possibilità.
Naruto sorrise nuovamente, ritirando la mano e mettendosela
nella tasca dei pantaloni: << Se vuoi ti accompagno in mensa, io ho già
pranzato >>buttò
lì il biondo, probabilmente per convincere Kiba di essere un bravo ragazzo; fu
in quel momento che Kiba accolse l’occasione di scrutare il biondo che, nel
contempo, si era incamminato verso le scale.
Sua sorella sosteneva che puoi
capire un uomo dal modo in cui porta la divisa scolastica. Se la porta bene
allacciata, a sentire lei, è un secchione o, in alcuni
casi, semplicemente un ragazzo ordinato, dunque discendente da una famiglia per
bene, avente entrambi i genitori e, magari, pure ricca.
Se la divisa era leggermente
slacciata, allora era un ragazzo nella norma. Famiglia di
medio reddito, con entrambi i genitori o solo il padre, stile comodo di
vestire, voti nella media ma non imbecille, di carattere allegro e/o
abbastanza pigro.
Lui e Naruto, osservandolo poteva dirlo, rientravano
in questa categoria.
Come lui, il biondo portava la giacca
della divisa, di quel color bordeaux che cominciava già ad odiare,
completamente aperta. I primi due bottoni della camicia erano slacciati
e la cravatta, nonostante fosse ben annodata, era lenta intorno al collo e
aveva inoltre quel portamento da svogliato cronico che aveva lui alla mattina presto.
Beh… magari non erano poi così diversi.
Decise di seguirlo, anche solo per arrivare sano e salvo
alla mensa e mangiare un boccone prima delle lezioni
del pomeriggio.
<< Allora Inuzuka, come ti sembra questa scuola?
>> cominciò poi Naruto, girando a destra e scendendo le scale, arrivando
al famigerato atrio degli specchi. In lontananza, ogni studente che passava, si
potevano vedere sulla sua schiena ali dal colore grigio spiegate, oppure
compostamente lasciate adagiate lungo la schiena. Era
uno spettacolo mozzafiato…
E, forse, fu proprio a causa di
quello spettacolo che gli scappò detto…
<< Una gabbia di matti >> rispose di getto,
accorgendosi solamente dopo di avere detto una grandissima cavolata.
Però, veramente, era quello che
realmente pensava.
Naruto rise di gusto, piegandosi leggermente su se stesso
per non piangere dallo sforzo della risata. << Sì, posso capire! >>
rispose poi, prendendo fiato fra una risata e l’altra << fa questo effetto a molti! >> aggiunse, non riuscendo a
trattenere una seconda ondata di risate.
Osservandolo, Kiba cambiò completamente idea. Forse era un
demone, questo è vero, o per meglio dire un mezzosangue… ma Naruto non dava
l’idea di essere una persona inquietante come Itachi Uchiha.
Anzi, sembrava quasi un normale… umano.
E sì, aveva la risata contagiosa.
Anche Kiba ridacchiò a sua volta,
sorridendo più sollevato: << e meno male, almeno non sono l’unico a
pensarlo >> rispose, incamminandosi già per le scale, seguito da un
Naruto in lacrime dal troppo ridere.
Una volta arrivati alla fine delle
scale però, Kiba fu costretto ad attendere Naruto per orientarsi. Da dietro il
biondo indicò il corridoio di destra, appena prima del soppalco delle scale da
cui erano appena scesi.
<< Non siamo molto famigliari con il senso dell’orientamento,
vero Inuzuka? >> chiese Naruto, ridacchiando come uno stupido che ha appena trovato il suo divertimento della giornata.
Kiba gli prese velocemente la guancia fra pollice ed indice,
tirando fino a quando la bocca dell’altro non si deformò dall’azione. Non
sapeva perché, ma con quel ragazzo sentiva di potersi permettere comportamenti
simili.
<< Taci Uzumaki, sono qui da
nemmeno 24 ore! >> rispose, lasciandogli andare la guancia fra una risata
del biondo e una sua occhiataccia << dammi il tempo
di ambientarmi e ti farò vedere chi è Kiba Inuzuka! Fiuterò l’odore del cibo
dalle aule, se necessario! >> disse, alzando il mento come se fosse una
stella di Holliwood e mettendosi in mostra.
<< Ah, come un cane da tartufo voi dire!(**) >> ribatté pronto Naruto, riservando a Kiba lo stesso
scherzetto e tirandogli una guancia fino a fargli diventare la bocca ovale.
Il castano blaterò qualcosa di incomprensibile,
che fece spuntare un ghigno malefico in viso a Naruto che, dal canto suo,
utilizzò anche l’altra mano per tirare la guancia di Kiba ancora libera.
<< Sembri un cetriolo! >> lo sfotté Naruto,
osservando i lacrimoni di Kiba per il dolore che stavano
provando le sue povere guance.
<< Lhashabi mhalehchetto! [lasciami
maledetto!] >> bofonchiò il castano, riservando lo stesso
trattamento al biondo e ridacchiando, a dire il vero in maniera abbastanza
inquietante data la forma della sua bocca in quel frangente. << Chi èh il shetcriovo orha? [chi è il
cetriolo ora?] >> rispose, tirando anche le guance del biondo.
Inutile dire che chi passava li prendeva
come due psicopatici e, mentalmente dato uno dei due elementi, gli
consigliavano di andare da uno psicologo. Ma da
uno bravo.
Tutti, tranne l’unica delle poche persone che poteva prendere parola con una presenza come il mezzosangue
Naruto Uzumaki.
Ovvero, chi quel mezzosangue se
l’era scelto come compagno.
<< Si può sapere cosa state
facendo? >>
Sasuke Uchiha, per l’appunto.
Con le bocche stile “acchiappamosche” i due ragazzi,
voltarono lo sguardo in direzione del moro, divisa scolastica impeccabile, che
li osservava con espressione seria. La sua voce, profonda ma non come quella di
un adulto, non rendeva minimamente la sua bellezza quasi eterea, già notata dal castano il giorno prima.
Si lasciarono entrambi contemporaneamente, massaggiandosi le
guance mentre Naruto ridacchiava e Kiba osservava il moro senza proferire
parola. << Niente di che Sasuke, stavo facendo conoscenza con Inuzuka, il
nuovo arrivato >> spiegò Naruto, avvicinandosi al moro per stampargli un
bacio sulla guancia.
Sasuke, come notò Kiba che li stava osservando, sembrò
sciogliersi a quel gesto e, potesse prendergli un colpo, sembrò che un ombra di sorriso fosse comparsa per qualche secondo sul
volto dell’Uchiha, addolcendone i lineamenti in un’espressione dolce.
Ma Naruto faceva quest’effetto a
tutti?!
Fu, però, solamente questione di secondi. In uno sguardo
freddo ora Sasuke lo stava fissando direttamente negli occhi, serio e quasi
seccato della sua presenza.
Era gelosia o cosa quello sguardo?! Cos’è, aveva paura che gli fregasse Uzumaki sotto il naso? Stiamo
scherzando? Lui non era mica… insomma… quello!
Però, ripensandoci… aveva dormito
nel letto di Shikamaru, quella notte. E anche bene.
No, no, no, no, no, no, no! Quello era un caso! E aveva dormito
perché era esausto e, per qualche ragione a cui bisognava assolutamente fare
chiarezza, il materasso di Nara era semplicemente più morbido del suo, per
quello si era addormentato stile sasso e aveva dormito pacifico fino al mattino! Era colpa del materasso!
Ma, nonostante tutte quelle scuse
dette mentalmente a se stesso, non poté fare a meno di arrossire leggermente… e
vergognarsi come un cane.
Doveva chiedere scusa a ciuffo ad ananas (sì, d’ora in poi
sarebbe stato il suo nomignolo per la terribile colpa di avere il materasso più
morbido) per averlo disturbato e aver usufruito del suo letto.
Poi, proprio mentre Kiba si faceva tutti quei problemi
mentali, Sasuke si rivolse al biondo, prendendogli la mano e incamminandosi
verso l’atrio principale. << Andiamo usuratonkachi, non c’è molto tempo prima delle lezioni >> disse solamente,
trascinando Naruto insieme a lui.
Il biondo si voltò in direzione di Kiba, alzando un braccio
in segno di saluto: << domani pranza con noi, Inuzuka! Ti vengo a prendere io, altrimenti ti perdi! >> disse,
sfottendolo ad alta voce.
<< E piantala Uzumaki!
>> sbottò il castano, voltando il capo e avanzando verso la mensa, ora in
vista.
Poteva dire di essersi trovato un amico, almeno.
Arrivò in camera completamente, integralmente e evidentemente sfinito.
Sì buttò sul letto, ancora vestito, chiudendo gli occhi per
un intenso, interminabile istante.
Aveva creduto nel colpo di fortuna straordinario quando la
lezione di Combattimento era saltata perché il professore, a sentire gli altri,
aveva perso una scommessa con il maestro Kakashi e ora stava facendo trecento
giri della scuola in verticale sulle mani.
Si era sentito un alieno in una scuola di matti per i
successivi dieci minuti e poi, saggiamente, dato il pomeriggio di buco si era
dedicato alla lettura del volume del primo anno di Alchimia,
in cui vi era esaurientemente spiegata la nascita etimologica e filosofica
dell’Alchimia nella storia.
Finito l’orario di lezioni, dopo aver perso una partita a
carte contro Ino e Sakura (le donne era meglio lasciarle vincere…), era salito
in camera, aveva letto per un'altra ora, aveva fatto una doccia e si era
vestito per scendere a cena. Semplici jeans chiari e felpa
grigia con il cappuccio, per non attirare troppo l’attenzione.
Cosa che, a suo dire, era successa comunque.
Non gli avevano tolto gli occhi di dosso nemmeno per un minuto, dato che Naruto
si era seduto al suo fianco per la cena e, naturalmente al suo fianco, anche
Sasuke. Seguendo Sasuke poi, anche un certo Shino aveva preso posto accanto a
loro, con una maglia che gli arrivava fino al naso e gli occhiali da sole.
E vabbè, ormai ci si era abituato a
sentirsi circondato da gente strana.
Apprese che la messa vi era solamente due giorni alla settimana, la domenica sera e il giovedì sera, e che
quindi quella sera poteva tornare in camera in anticipo per riposarsi per bene.
Però, una chiacchiera tira l’altra, alla fine quando rimise
piede in camera erano le undici e un quarto passate.
E torniamo, ordunque, al momento in
cui Kiba Inuzuka, stanco morto per l’inizio della sua nuova vita accademica,
era abbandonato sul suo letto.
Aprendo appena un occhi, notò che
avevano provveduto a portargli in camera il televisione e il computer. Ogni
camera era dotata di televisore e di personal pc. Inoltre, sulla sedia accanto
alla porta del bagno, erano stato appoggiati gli
asciugamani da doccia, da lavandino e da bidet puliti.
Certo era che quella scuola aveva un ottimo servizio.
Osservando svogliatamente l’orologio sul comodino, digitale,
decise che non aveva assolutamente voglia di alzarsi per infilarsi il pigiama.
Un pisolino, anzi, se lo sarebbe fatto volentieri.
E poi, si conosceva. Si sarebbe
svegliato in nemmeno mezz’ora, lui non poteva
sopportare di dormire vestito… però ora… aveva solo un gran… sonno…
Saliva lentamente una
rampa di scale illuminata fiocamente dalla luna, senza altre illuminazioni di
nessun genere.
Solo la luce bianca e
lattiginosa della Luna.
Man mano che andava
avanti, quella scala cambiava forma, divenendo inizialmente costernata di
piccoli fiori ai lati -campanule e mughetti era quelli
che riconosceva meglio- per poi tramutarsi in un tappeto erboso, baciato non
più da luce lunare ma da calda, intensa luce solare.
Le scale non erano nemmeno più scale, era ora una collina fatta a gradoni.
Sembrava un mondo
fatto a pastello. In lontananza, fra qualche farfalla volante
e quel particolarissimo boschetto di bambù che, ovunque girasse,
rimaneva sulla sua destra, sentiva alcune voci provenire in mezzo a quello che
pareva rumore d’acqua.
<< …Inuzuka…
>>
Proseguì. Non che
avesse altra scelta, no?
Cercò di lasciarsi
quei bambù a sinistra ma era tutto inutile, anche se andava a destra quel
boschetto rimaneva sulla sua destra.
Strano e seccante al
contempo, tuttavia proseguì.
Le voci, alte e
giocose, provenivano da oltre la collina che ora si trovava davanti, piccola
piccola come quella di un campo da golf, messa lì solamente per impedire alle
palline di passare oltre e andare nel green.
La scavalcò
abbastanza agilmente, trovandosi ora davanti ad un piccolo spiazzo che, in
lontananza, terminava probabilmente in un dirupo. No, a considerare
dalle voci e dal rumore d’acqua, in una pozza naturale di acqua
di falda.
<< I…Inuzuka…?
>>
Era
proprio là, sentiva le voci!
Doveva solo superare
quello stranissimo albero con le radici all’aria e la chioma sul terreno, e poi
era lì.
Poteva sentire le voci
dei suoi ex compagni della scuola pubblica, era sicuro che fossero le loro. Quella acuta di Hiromi e quella semi-profonda di Kaito. Poi
la gracchiante voce di Zuzu -derivato da Kazuhi- resa tale da quattro anni di
sigarette sfilate ai sempai più grandi delle superiori.
Si divertivano
sempre insieme, dovevano farlo anche adesso.
<< Aspettatemi!
>> urlò, cominciando a correre, finchè non arrivò
al ciglio, mettendovici in piedi.
Al
di sotto di lui, i suoi amici
si divertivano. I suoi vecchi amici senza di lui…
<< …ma che cosa…? >>
<< Inuzuka sei…
impazzito? >>
Portò in avanti il
piede destro, pronto a lasciarsi andare…
<< Sasuke!
>>
<< Ci penso io!
>>
…Sasuke?
Che c’entrava Sasuke Uchiha in tutto quello?
<< SVEGLIATI
CRETINO! >>
Aprì poi gli occhi sobbalzando, spaventato dal tono
dell’Uchiha che si era sentito trapassare il timpano.
Forse stava per urlare qualcosa in
risposta, forse per chiedere cosa cavolo ci facesse nella sua stanza nel pieno
della notte… o forse, semplicemente, voleva urlare un “ehi! che
cavolo c’entri tu qui?” … ma, per un ottimo motivo, gli fiato gli si bloccò in
gola insieme al respiro.
Davanti a lui, il viso sferzato dal vento gelido della sera,
il giardino interno dell’accademia si stagliava sotto al suo
piede destro, che era steso all’aria, come se volesse saltare di sotto.
Cosa che, probabilmente, stava
proprio per fare.
<< Cristo! >> sbottò poi, cercando di portare
indietro il peso e sbilanciandosi, il cuore in gola mentre si aggrappava alla
prima cosa a portata, ovvero il braccio di Sasuke che, in piedi dietro di lui,
lo stringeva per la vita tenendolo incollato a sé.
<< Che cazzo ci faccio qui?
>> urlò Kiba terrorizzato, portando indietro le mani e aggrappandosi con
forza alla maglia nera dell’Uchiha, che non lo mollava nonostante la destra,
quella non occupata a trattenere Kiba in una specie di equilibrio
su quel davanzale, rimaneva saldamente aggrappata alla parte alta della finestra,
evitando ad entrambi la caduta.
<< Taci deficiente e prova a calmarti! >> gli
sbottò da dietro il moro, praticamente incollato a lui
dato lo spazio ristretto, dicendoglielo direttamente nell’orecchio. <<
Naruto, tiraci dentro! >> disse poi, voltando appena il capo verso
l’interno.
Se ci fu una risposta, Kiba non la
sentì. Il rumore del vento unito al battito spropositato del suo cuore non gli lasciavano ascoltare altro che la voce di Sasuke che, per la
vicinanza, probabilmente raggiungeva quel numero necessario di decibel da
divenire qualcosa di udibile.
Si sentì solamente trascinato all’indietro, cadendo di peso
sul pavimento insieme a Sasuke.
Si accorse solamente in quel frangente, avendo cambiato
visuale, di essere alla finestra del corridoio delle
camere, appena dopo la scalinata. Riconosceva le vetrate, particolari come i
fiori di mughetto e campanula impressi nel vetro in colori bianchi e azzurri,
alla base di una collina verde sulla quale era raffigurato un angelo ad ali
spiegate, che doveva per forza essere un santo di qualche tipo o con qualche
nome.
Aspetta… mughetti e… campanule?
Si sentì scuotere alla spalla, poi
prendere il volto fra due mani mentre, in quell’azione, si trovò ad
osservare la seconda volta gli occhi di Naruto, preoccupati a morte.
<< Si può sapere che cosa ti è preso? Non ti piace la
scuola? >> chiese, agitato.
Che cosa stava… dicendo? E lui, lui… che stava facendo?
<< Stavo per… buttarmi? >> chiese Kiba stranito,
tornando ad osservare la finestra aperta. << Ero nella
mia camera nemmeno due secondi f- >> ma dovette bloccarsi alla
vista del suo orologio da polso di Naruto che, in maniera netta, segnava le due
e un quarto del mattino.
Aveva davvero dormito così tanto?
Al suo fianco, sbattendo le mani l’una sull’altra per togliere
la polvere, Sasuke si alzò in piedi, osservandolo freddamente dall’alto al basso.
<< A quanto pare sei sonnambulo >> disse
solamente, constatandolo logicamente. Naruto, distaccando solamente una mano
dal viso di Kiba, volse il suo sguardo a Sasuke: << sonnambulo… per
fortuna passavamo di qua… >> lo sentì sussurrare mentre, sospirando, si
rilassava.
No. Mai stato sonnambulo in vita sua. E
poi, quei mughetti…
Tornò con lo sguardo alla finestra e, proprio in quel
momento, gli si gelò il sangue nelle vene.
Sul tetto di fronte, alla flebile luce della luna, una
ragazza stava in piedi sulle tegole. La vestaglia bianca si muoveva
al vento, i lunghi capelli la accompagnavano…
<< Uzuma… >> ma non riuscì nemmeno a terminare
il sussurro che, lasciandosi andare, la ragazza si gettò dal tetto.
E cadde, risolvendo il tutto in un
tonfo sordo sul cemento del cortile interno.
Chapter No.1 ~ End.
* riferito al manga/anime Ouran Koko Host Club.
** in giapponese l’ “inu” di
“Inuzuka” significa letteralmente “cane”.
Capitolo 3 *** Quel Confine fra Sogno e Realtà ***
Note: ormai è il posto fisso prima di cominciare è___é
Note: ormai è il
posto fisso prima di cominciare è___é
Ok, oggi sono andata al cinema a vedere un film… non so come
definirlo… ma che mi ha dato spunto per la fic.
Comincio dunque con i dovuti ringraziamenti e passo subito
alla scrittura!
Capitatapercaso: Guarda, concordo con te. Mi svito gli
occhi anche io leggendo, e vorrei portarmi la vista
fino alla vecchiaia. Ma ho provato a postarlo più in
grande e veniva un appiccicume peggio del Verdiana 8
*annuisce* scusa se lo tengo in piccolo, ma sembrava un quadro di Picasso più
grande ç____ç. Grazie mille per il commento, il teatrino con tutti i personaggi
mi ha fatto morire! E
naturalmente il tuo è il commento più lungo XD spero che anche questo capitolo
ti soddisfi come pare abbiano fatto gli altri! E
grazie per aver letto e commentato! Slice: Ti giuro,
non sai quanto sono contenta che ti piaccia il mio stile di scrittura ç_____ç e
anche la trama, ovvio, anche se mi sto faticosamente riservando di non
ampliarla sempre di più altrimenti mi viene un casino bestiale! XD Tranquilla,
andrò a dare un occhio anche alla tue fic *annuisce* te lo devo, dato che tu hai letto e
commentato la mia! Grazie mille! Girlstreet: La mia fantasia
ringrazia, e anche io XD Grazie mille per aver letto e commentato! LalyBlackangel: Ci avevo effettivamente pensato di
inserire una KibaIno per un pezzo di trama, ma la mia
anima da yaoiomane si è rivoltata stile sottiletta.
E, alla fine, le mie mani non ne hanno voluto sapere
di scriverne un pezzo. E il fatto che il mio corpo prenda da solo di questa iniziative mi inquieta grandemente… XD so che mi
si aprirebbero molte porte, ma ho uno schema e preferisco tenerlo così com’è;
se comincio a cambiare particolare addio linea generale di pianificazione!
Grazie per avere letto e commentato, spero che ti piaccia anche questo
capitolo! Shichan: Beh,
aibou, quello che dovevo dirti te l’ho detto in
separata sede, cmq grazie XD VavvyMalfoy91:
Dovrebbero metterli fuori legge i tuoi commenti, mi fanno sentire troppo
brava, e questo non va bene! >___< che dire, sono felice di
rientrare nelle tue divinità.org, nessuno mi aveva fatto salire al livello
divino fino ad oggi! *_____* che bello, si vede il mondo dall’alto! *sta seduta
sul trono* … oh myself, torniamo con i piedi per
terra che è meglio. Oltre a ringraziarti per aver letto e commentato, per il
momento non so che altro dire! XD Spero che ti piaccia anche il terzo capitolo,
e spero anche che la mia vena creativa non mi mandi a
quel paese proprio ora >.> OnlyAShadow: Non
sei solo tu a saltare delle parti, ma anche io che mi perdo nello spiegarle,
probabilmente XD Grazie mille per aver letto e commentato! Kagchan: Sì, anche io seguo l’Ouran XD e anche
io ho tutti i numeri del manga fin’ora
usciti, ovvio ù____ù. Grazie mille per aver letto anche questo capitolo!
XD
Oh, un’altra cosa. Questo capitolo sarà parecchio Kiba-centric. Mi dispiace di non poter ancora dare spazio
al SasuNaru, ma per esigenze di trama devo sviluppare
prima Kiba, poi passare agli altri due U___U. Comunque
più avanti ce ne sarà a volontà.
Ok, fine delle comunicazioni di servizio!
.:: Enjoy! ::.
Chapter
02 ~SecondEcho
Quel Confine fra Sogno e Realtà
Era rimasto a
guardare il lenzuolo bianco sotto cui vi era il
cadavere della ragazza suicida fino alle sei del mattino, ora in cui la preside
aveva deciso di portare il corpo nei sotterranei.
E lui, lo sguardo vuoto piantato su quel
lenzuolo, non aveva mai smesso di fissarla, poggiato al davanzale della
finestra da cui, per una qualche ragione che non riusciva a capire, stava per
buttarsi a sua volta.
Aveva visto
arrivare praticamente tutto il corpo insegnanti, da
quella finestra. Per primi la preside e il vicepreside, madamigella Tsunade in
pigiama e vestaglia verde di seta e il pallido volto di Orochimaru,
le labbra sottili piegate in un ghigno sadico alla vista del sangue che
macchiava il cemento del cortile interno.
Successivamente era arrivato correndo il vescovo della
chiesa, sua eccellenza Jiraiya, in pigiama a sua volta e con la lunga chioma di
capelli bianchi lasciai cadere lungo la schiena.
Poi, uno ad uno,
tutti gli insegnanti. Aveva riconosciuto la zazzera argentea del maestro
Kakashi chinarsi sul cadavere, sollevare appena il lenzuolo e guardarlo per
qualche istante.
Si chiedeva come
facevano a non vomitare, dato che lui aveva la nausea
solamente a guardarlo da lì. Poi, senza cambiare nemmeno posizione, si
domandava perché pensasse a queste cose stupide proprio in un momento come
quello. Quella ragazza era morta, santo Cielo, e lui
l’aveva sognato con 24 ore
d’anticipo!
Tutto nello
stesso, identico, fottutissimo ordine.
Ma, ovviamente,
non ne avrebbe fatto parola con nessuno. Non ci
pensava nemmeno.
Dopotutto poteva
essere una coincidenza. Una strabiliante coincidenza, a dirla tutta.
Ma si sa, gli esseri umani possono credere a
tutto, persino alle loro stesse menzogne.
Naruto era rimasto
con lui per tutto il tempo, appoggiato con un braccio intorno alle sue spalle e
la fronte accanto alla sua spalla. Molte volte aveva tentato di dissuaderlo da
rimanere a guardare, tentando di convincerlo a tornare in camera, ma non c’era
stato verso.
Semplicemente
perché non riusciva a muoversi da quella finestra.
Non aveva mai
visto nessuno morire, in vita sua…
Pian piano tutti
si ritirarono nelle loro stanze e quando anche la preside stava per andarsene,
Sasuke la intercettò. Lasciando Kiba nelle mani di Naruto era sceso al pian
terreno, in modo da poter parlare con madamigella Tsunade. E, dal modo in cui
entrambi girarono il volto in sua direzione, capì al
volo che parlavano di lui.
E cosa doveva
dirgli: “madamigella Tsunade, Kiba era sonnambulo e
stava per lanciarsi dalla finestra”? Bel lavoro, e la preside cosa avrebbe
dovuto farci, dato che ora aveva un cadavere nelle
cantine?
Non vide come andò
a finire la discussione, non ne ebbe improvvisamente
voglia.
D’un tratto si sentiva sfinito, senza
energie.
Salutò
Naruto, rifiutando gentilmente la sua offerta di accompagnarlo fino alla camera
e, a passo lento, tornò
a letto. Tanto, come avvertirono poche ore dopo, le lezioni del giorno erano
state annullate.
Ed era sul quel letto che ancora stava,
cercando un sonno che da ore non aveva intenzione di arrivare. Non aveva
nemmeno tentato di cambiare posizione, rimanendo sul fianco con il volto in
direzione della porta, le mani abbandonate accanto al viso.
E non aveva chiuso occhio nemmeno per un
istante, fissando costantemente e senza guardarlo davvero l’angolo della porta
in basso a destra, come se ci fosse un motivo di valore esistenziale in quella
precisa zona del muro.
Distolse lo
sguardo solamente quando, rompendo violentemente il silenzio, bussarono due
volte alla porta.
Silenzio. Il
silenzio di chi aspetta una risposta e, d’altra parte, il silenzio di chi non
aveva la forza di aprir bocca per fornirla.
Bussarono di nuovo
dopo poco, insistentemente. << Inuzuka, sei in camera? >> si
aggiunse al rumore sordo appena provocato.
Riconosceva il
timbro.
Sospirò,
raccogliendo le braccia sotto al torace e,
puntellandosi sul materasso, fece forza per sollevarsi. Le gambe, dopo ore ed
ore passate in posizione fetale, si opposero con il dolore al suo tentativo di
alzarsi, venendo tuttavia vinte dalla volontà del loro proprietario.
Si alzò in piedi
barcollando e, con qualche passo un po’ malfermo raggiunse la porta,
sbloccandone la serratura con un giro di chiave. Appoggiando poi la destra sul
pomello, lo girò in senso orario fino ad aprire la porta.
Come aveva
immaginato. Davanti a lui, con in mano un vassoio di
legno laccato con sopra qualche pietanza, Shikamaru Nara lo osservava con i
suoi occhi neri e sottili, i capelli tirati nella solita coda alta.
Lo osservò con gli
occhi socchiusi e gonfi, ricevendo in cambio lo sguardo pigro ma preoccupato
del moro, che gli sorrise appena. << Pensavo non
fossi in camera >> disse, posando gli occhi sul cibo che trasportava
<< ti ho portato qualcosa da mangiare, Naruto mi
ha detto che non sei sceso a pranzo e nemmeno a colazione >> aggiunse,
probabilmente per sopperire al silenzio di Kiba, che stava semplicemente in
piedi a guardarlo.
Kiba abbassò
lentamente gli occhi sul vassoio, storcendo appena il naso quando il suo
stomaco si chiuse, facendogli notare la poca voglia che avesse di mangiare
qualsiasi cosa. Soprattutto, come in quel caso, la macedonia con yougurt che il moro gli aveva portato su dalla mensa.
<< Non ho fame… >> sussurrò solamente, ritornando con le
iridi castane su quelle scure di Shikamaru.
Il moro sospirò,
allungando comunque il vassoio a Kiba che, più per
riflesso condizionato che per altro, lo afferrò. << Immaginavo una
risposta simile, ma il signor Ichiraku ha insistito
perché ti portassi almeno della frutta. Naruto voleva
rifilarti del ramen, dovresti ringraziarmi
>> disse, portandosi poi le mani in tasca e osservandolo con la sua
solita, classica espressione seria e pigra al contempo.
Il signor Ichiraku era il capocuoco della mensa. Faceva un ramen eccezionale, a sentire Naruto, ma cucinava benissimo
anche molte altre cose. Aveva la vaga sensazione che quell’uomo si affezionasse in fretta a tutti coloro che apprezzavano la
sua cucina, per questo si era preoccupato di mandargli qualcosa da mangiare,
non avendolo visto né per colazione né per pranzo.
Figurarsi che
aveva perso la cognizione del tempo, non sapeva nemmeno che ore fossero al
momento.
Tuttavia, non
sembrò gradire la risposta. Ringraziarlo? Ringraziarlo per cosa, per una misera
terrina di macedonia con un barattolino di yogurt sopra? Ringraziarlo per
essere sparito per un giorno intero? Ringraziarlo per non essere stato con lui,
mentre quella ragazza si buttava dal tetto? Ringraziarlo per cosa, per essere
ricomparso quando non ce ne era bisogno?
<< Non te l’ho di certo chiesto io >> fu la risposta del castano,
la voce sibillina e lo sguardo basso.
Ma cosa… stava pensando? Idiota, non aveva di
certo bisogno di Shikamaru. Sapeva badare a se stesso, santo Cielo.
Nonostante
il tono palesemente ostile della risposta il moro non fece una piega. Forse se l’aspettava o forse
semplicemente non gli importava, in ogni caso la cosa sembrava non toccarlo
minimamente. Era la seconda volta che lo notava, Shikamaru riusciva a mantenere
un controllo quasi perfetto sulle sue emozioni.
Chiuse poi gli
occhi, sorridendo ironicamente. << Hai ragione >>
rispose, voltandosi a destra e cominciando a dirigersi in direzione
delle scale, in silenzio.
Il castano lo
osservò senza aggiungere nulla, mordendosi il labbro inferiore mentre lo
seguiva nella sua camminata lenta e tranquilla. Una parte di
lui lo faceva sentire in colpa per come gli aveva risposto; dopotutto
era solamente venuto a portargli della frutta… ma un’altra parte, quella
nascosta più in profondità nel suo istinto, gli diceva di essere nel giusto,
gli diceva che nessuno si sarebbe mai fatto passare per il cervello di andare a
disturbare uno che aveva assistito poche ore prima ad un suicidio, gli diceva
che Shiakamaru non capiva nulla di come si sentiva in
quel momento, che era solo uno stupido.
Tuttavia, sembrò vincere la ragione, questa volta.
<< Scusami
>> gli disse, prima che il moro si fosse
allontanato troppo. Ovviamente non sollevò lo sguardo oltre
sue le gambe, notando solamente che, fermandosi, si era voltato
leggermente verso di lui… e questo era sufficiente.
Non aveva il
coraggio di guardarlo negli occhi. Anzi no, non aveva bisogno di guardarlo negli occhi.
Non vide
l’espressione che fece Shikamaru ma, a giudicare dall’intonazione,
probabilmente si aspettava anche le sue scuse. Eh sì, doveva proprio
chiederglielo come facesse a capire così facilmente cosa gli passasse per la
mente.
<< Non fa
nulla >> rispose infatti il ragazzo <<
considerando quello che hai passato, va bene così >> aggiunse, le mani
ancora nelle tasche quando si girò di nuovo, ricominciando a camminare.
<< Ah, Nara?
>> aggiunse poi, alzando la voce in modo tale che il moro potesse ancora sentirlo.
Cosa che accadde,
dato che si fermo pochi passi dopo, voltandosi in sua
direzione e attendendo in silenzio la domanda.
<< Come… si
chiamava, la ragazza? >> chiese, questa volta guardandolo in volto.
<< Agatha
>> rispose il moro, alzando una mano in segno di saluto e incamminandosi
nuovamente verso le scale, ormai non troppo distanti.
Kiba
sorrise appena, osservando la sua schiena mentre si allontanava. E, in un
pensiero quasi buffo, gli venne in mente: anche Shikamaru portava la divisa
come lui e Naruto; nello stesso, identico modo.
Stava seduto sul banco, la camicia da notte
in seta bianca a mezze maniche e collo alto. I capelli biondi gli ricadevano
morbidi sulla spalla destra, racchiusi in una treccia ordinata che terminava in
un fiocchetto nero.
Di nuovo così, di nuovo come l’altra volta.
Si sentiva Kiba ma, allo stesso tempo, era
come se non lo fosse.
E, di nuovo, era triste di una disperazione
talmente profonda da non riuscire nemmeno a ricordarsi cosa si provasse ad essere semplicemente felici.
Oppure,
semplicemente a sorridere.
C’era, ma era come se non ci fosse. Vedeva
le sue mani, il suo corpo che suo non era, i capelli che mai in vita sua erano
stati così lunghi, o di quel colore.
Chi era lui? Chi era la persona di cui ora
aveva le sembianze e le sensazioni?
Chi era, colei con la quale riusciva a
sincronizzarsi così?
…che domande si stava…
facendo?
Abbassò lo sguardo sui suoi polsi,
lievemente, canticchiando a bassa voce una canzoncina con voce acuta e melodiosa
mentre, con la destra, quasi abitudinariamente staccava il pezzo di scotch
medico che teneva ferma una benda, cominciando a
srotolarla.
<< Balla la notte sopra la Terra, balla la Luna nell’oscurità…>>
Srotola, srotola…
l’odore di disinfettante che diveniva quasi fastidioso.
<< Scende il buio nella mia mente, scende la notte sulla realtà… >>
Tagli, tagli, tagli… decine, forse di più,
di piccole tracce lineari su una pelle arrossata e martoriata.
Bruciavano, bruciavano
come il ghiaccio, di quel dolore sordo e silenziosamente lacerante.
<< Giudica la colpa, giudica la pietà. Ma il
perdono è qualcosa che non arriverà!
>>
All’ultima parola, all’ultima nota, la mano
destra si alza davanti al volto. L’unghia dell’indice, facendogli dolere i
tendini della mano fino a fargli fischiare le orecchie, cresce fino ai venti
centimetri, affilata quanto un rasoio e, con un movimenti
abile e veloce, recide in un lampo la pelle del polso destro, ora
scoperto dalla benda, lasciata posare a terra in un piccolo mucchietto bianco e
scarlatto.
Sangue.
Scorre lentamente, caldo, colando lungo il
polso fino al braccio, cominciando a gocciolare sulla vestaglia bianca,
macchiandola di tracce rubine che ne inquinano la
purezza, il candore di quel bianco quasi angelico.
Al collo, un crocefisso d’oro.
<< Non c’è redenzione per noi, Signore. Non c’è pietà per noi, Signore >> continua, alzando il braccio.
E colpendosi. Ancora. Ancora.
Ancora.
Ancora uno, ancora
più profondo.
E il sangue scorre nella notte
nera, rendendo tutto scuro e freddo, finchè il liquido vitale non colora anche
l’;oscurità di scarlatto brillante, di caldo rubino tremante di vitalità.
Finché
la vista non si affievolisce, finché l’udito pian piano non svanisce…
L’ultimo battito debole di un cuore
straziato dal peccato.
Da un peccato che, lui, non sapeva nemmeno
quale fosse.
Il peccato invisibile del peccatore di
cristallo.
Aprì lentamente
gli occhi, senza fiato, trovando tuttavia difficoltà nel mettere a fuoco il
soffitto bianco.
Notte. Era ancora
notte, per fortuna.
E stava… piangendo. Per quello non vedeva.
Una
caldo velo di lacrime
gli riempiva gli occhi, scendendo lentamente lungo la gota, arrivando a
sfiorare l’orecchio in una preziosa scia salata di tristezza.
Che cos’era? Quello… che cos’era?
Basta, basta!
Quante volte ancora doveva sognare gente che si toglieva la vita? Agatha non
era bastata?
Evidentemente no.
Trattenne il fiato
per non singhiozzare, appoggiandosi l’avambraccio destro sugli occhi come se
qualcuno potesse vederlo e lui, orgoglioso, non volesse farsi vedere. Gli
uomini non piangono, solo le donnicciole
lo fanno.
Si morse le
labbra, trattenendo il respiro il più possibile, ma fu inutile: prima o poi lui avrebbe dovuto respirare e, prima o poi,
avrebbe emesso, volente o nolente, quel singhiozzo che cercava invano di
trattenere.
E, nonostante fosse fisicamente da solo, in
realtà non lo era. Perché lui doveva fronteggiare il
suo orgoglio e, in questo caso, non si è mai
soli.
Respirò
dunque lentamente, concentrandosi e facendo entrare aria lentamente all’interno
dei polmoni. Doveva
calmarsi, se respirava lentamente ce l’avrebbe fatta
non lasciarsi andare, a non piangere come una femminuccia.
Anche
questo merito di sua sorella, a cui aveva visto fare le respirazioni per
calmarsi, prima dell’esame.
Diamine, quella ragazza si stava rivelando più utile del previsto.
Pensando alla
sorella si rese improvvisamente conto di una cosa; mentre sua madre lo chiamava
non appena sembrava avere un attimo libero, sua sorella non si era ancora fatta
sentire. Aveva detto che gli avrebbe mandato delle e-mail… già, figurati se si disturbava a prendere in mano un telefono e comporre un
numero, troppo semplicistico per la signorina college-dei-sogni.
Sospirando si
alzò, finalmente calmo, scostando le lenzuola con un la destra e si diresse con
qualche passo verso la scrivania, sedendosi sulla sedia girevole.
Accese il
computer, attendendo che il sistema caricasse le
impostazioni.
Lo sguardo scivolò
sulla porta chiusa, rimanendovi incatenato. Se il
sogno era come quello precedente… forse in questo momento… all’interno di una
delle classi…
No. Non aveva
intenzione di crederci un secondo di più. Tutta quella faccenda di Agatha era una coincidenza, soprattutto quella che
riguardava il suo sogno e, comunque, se anche fosse accaduto che qualcuno si
tagliasse le vene, se doveva prendere in considerazione la precedente
esperienza il cosiddetto “suicidio” sarebbe avvenuto dopo 24 ore. Si rifiutava
di dare ragione ai suoi sogni… anche solo pensarlo era idiota.
Con un piccolo
suono, il computer evidenziò l’avvenuto caricamento delle impostazioni. Il suo
sguardo si distolse dalla porta, andando allo schermo luminoso nel buio della
camera.
Era lampante che
non aveva ancora messo mano a quel computer.
Effettivamente, da quando era arrivato, non aveva ancora avuto occasione per
lavorarci e, dunque, per personalizzarselo.
Tuttavia, avendo
una casella e-mail in comune per tutta l’accademia, almeno quella non doveva
impostarla tutta da capo.
Spostò il mouse
sull’icona delle mail, ciccando velocemente due volte.
Una volta aperto, cliccò l’icona “invia/ricevi”
aspettando che avesse terminato di scaricare tutte le varie mail che gli erano
arrivate.
In tutto, erano 3.
Aprì subito la
prima, proveniente dal centralino della scuola; ovvero dalla segretaria di madamigella
Tsunade, la signorina Shizune. Comunicava le regole dell’accademia, i coprifuoco, i titoli dei libri dell’anno in corso e faceva
i personali auguri per la recente ammissione alla scuola.
Non vi era obbligo
di risposta e lui, figuriamoci, non ne aveva nemmeno
intenzione.
Aprì la seconda
e-mail che notificava la presenza in rete di uno di quei super-virus
informatici di nuova generazione che ti distruggeva
l’hard-disk in venti millesimi di secondo, magari facendo anche una giravolta,
qualche capriola, e facendo apparire una scimmia in mutande che ti cantava le
Tagliatelle di Nonna Pina sullo schermo mentre il piccolo, insignificante
codice numerico binomiale comunemente chiamato
“virus” si ingoiava i tuoi dati e chiedeva anche caffè e grappino.
La metà di quelle mail di notifica risultava poi una farsa, dunque
la ignorò direttamente, cancellandola.
Finalmente
l’ultima portava come titolo un certo “Cagnolino” che,
ne era sicuro, poteva appartenere ad una persona sola.
Sua sorella; e la
sua mania di chiamarlo ancora come quando era bambino, sfottendolo appena vi
era l’occasione.
La aprì,
leggendola velocemente. Il testo consisteva in due righe, neanche così tanto
sentite, in cui chiedeva se la nuova scuola fosse
interessante e se avesse incontrato qualche tipo carino da presentarle.
…per chi l’aveva
preso, per una delle sue amichette chit-chat?(*)
Tuttavia, mentre pensava a cosa rispondere con la faccia di chi deve scrivere
al despota di turno, pensò che, effettivamente, la risposta sincera alla domanda
“com’è la scuola?” sarebbe stata talmente esauriente da farle venire un infarto
sul posto, ovunque avesse letto la mail di risposta.
Una cosa tipo: “vedi sorella, la scuola sembra uno zoo alieno degno di un
libro fantasy, di cui tu dovresti sapere qualcosa.
Mancano solo Edward Cullen e Jacob
Black (*2) ed è finita la collezione. Il mio professore legge gli stessi libri
che leggevi tu qualche anno fa e, tieniti forte, il mio impiego nel mondo sarà
quello di fare l’Alchimista. Non chiedermi che reddito hanno gli alchimisti, ma
se ti si rompe qualcosa te lo posso aggiustare nel
giro di venti secondi!” non sarebbe stata assolutamente male.
Incisiva, sufficientemente
esplicativa, senza ombra di dubbio da infarto del
miocardio.
Tuttavia, lo
ammetteva con se stesso, credibile come gli asini volanti.
Sbadigliando
più per noia che per sonno sbuffò, decidendo di adottare la più classica forma
del “qui tutto bene, scuola tutto bene, professori strani ma tutto bene. Tu?” battendo il record della sorella, concludendo tutto in nemmeno mezza riga di testo. Dopotutto
chiedeva solo per gentilezza, non che si aspettasse
veramente una risposta a cui, sempre per educazione nei confronti della
famiglia, avrebbe dovuto rispondere nuovamente.
E, senza offesa per la madre, ma uno scambio
di mail con la sorella maggiore non era la sua massima aspirazione.
Decise
dunque di chiudere il programma e, osservando l’orologio, prese la solenne
decisione di risistemare quel computer a modo suo. Cominciando, per esempio, a scaricare
della musica… o meglio, scaricando il programma per scaricare la musica, dato che quel PC era più vuoto del suo stomaco.
Tanto, non si
sarebbe riaddormentato comunque.
Il giorno dopo la
sua espressione a lezione diceva solamente una cosa: “letto,
cuscino, buonanotte”.
Se ne stava seduto
al banco, ascoltando le varie chiacchiere mattiniere di Ino
e Sakura senza tuttavia sentirle davvero. Non si ricordava nemmeno quando aveva
dato loro il permesso di chiamarlo per nome, il che è tutto dire.
Le normali quattro
ore di lezione erano passate senza che se ne accorgesse,
mentre il maestro Kakashi spiegava qualcosa su un tratto dei cerchi alchemici
con la sua solita flemma. Aveva preso appunti piuttosto confusionari, dato che
non aveva ancora ripreso tutti gli argomenti dei primi due anni, ma almeno
aveva fatto del suo meglio per stare attento, fra uno
sbadiglio e l’altro.
Pensandoci
attentamente, aveva passato quattro ore al computer, prima di scendere a
colazione.
Computer che ora
sembrava un po’ più il suo e un po’ meno uscito da uno scatolone.
Si era
completamente scordato del sogno, della ragazza, di Agatha
e del suo sonnambulismo. Anzi, aveva appositamente
fatto in modo dinon pensarci, cercando
di dimenticare.
Non era tipo da
perdersi in pare mentali che potevano non avere né capo né coda.
<< Inuzuka!
>> si sentì poi chiamare, interrompendo i suoi pensieri.
Alzò il volto in
direzione della porta, notando che la classe era quasi vuota
e solo qualche compagno si attardava a chiacchierare ai banchi. Era già
suonata la campana? E quando?
Là, in piedi
accanto allo stipite, Naruto Uzumaki aveva alzato una mano in sua direzione.
Aveva in mano una specie di scatolone in legno scuro
e, al polso destro (la mano con cui tratteneva quella scatola) pendeva una
sportina bianca di plastica. Lui si alzò, lasciando come al
solito la cartella in classe e avvicinandosi al biondo.
<< Yo,
Uzumaki >> salutò, portando una mano al viso per coprire l’ennesimo
sbadiglio.
<< Yo,
Inuzuka >> rispose a tono il biondo << dormito poco? >>
aggiunse subito dopo.
Kiba aprì un occhi durante lo sbadiglio, aspettando di terminarlo
prima di rispondergli << dormito male >> disse, sfregandosi gli
occhi con la mano destra << incubi >> aggiunse in spiegazione,
rimanendo però sul vago.
La reazione che
ebbe Naruto lo lasciò interdetto, semplicemente perché non se la aspettava.
Prima lo osservò stranito, per poi abbassare lo sguardo e puntare le iridi
azzurre sull’angolo della porta. Inconsciamente poi fece un passo indietro,
incontrando lo stipite della porta. << Mi… dispiace
>> aggiunse infine, sorridendo imbarazzato.
Ma che aveva capito? Che stesse pensando a
quella storia di Agatha?
<< Guarda
che non è colpa del… beh, di quello >> chiarì
subito Kiba << ultimamente mi capita di fare sogni… strani. Ma credo sia
a causa del cambio di ambiente. Insomma, sono nella
scuola da poco tempo… >> aggiunse, infilandosi le mani in tasca come al solito.
Naruto sembrò
sollevato e, a riprova di questo, sospirò profondamente. << Meno male
>> disse poi, sorridendo allegro. << Bene, ora andiamo a pranzo che
sto morendo di fame! >> esordì, prendendo Kiba per un
gomito e, ridacchiando, cominciò a tirarlo in corridoio.
<< Uzumaki,
so camminare anche da solo! >> sbottò il castano mentre veniva letteralmente trascinato per il corridoio, sotto gli
sguardi talvolta interdetti e talvolta divertiti di quelli che incrociavano.
<< No! Poi
va a finire che ti perdi di nuovo! >> lo sfotté il biondo, continuando a
tirarlo.
Kiba, per tutta
risposta, gli diede un pizzicotto sulla mano, cosicché il biondo fu costretto a
mollarlo per cause di forza maggiore. << Ahio!
Fa male! >> si lamentò, massaggiandosi il dorso della mancina.
<< Uomo
avvisato mezzo salvato >> ribatté Kiba, ricominciando a camminare
affiancandosi al biondo. << Piuttosto, non stai con Uchiha oggi? >> chiese soprapensiero, seguendo l’altro lungo il corridoio
prima di svoltare lungo il ponte sospeso.
Veniva chiamato “ponte sospeso” perché era un
corridoio letteralmente sospeso sopra
il giardino interno, che lo attraversava per tutta la lunghezza, connettendo
l’edificio delle classi ad un edificio più piccolo, dove vi era la biblioteca.
Poteva essere raggiunto anche dal basso, tramite due corridoi che andavano
paralleli al piano terra, ma sicuramente la camminata sul ponte era molto più
apprezzabile. Entrambi i lati del ponte erano fatti per di finestre, dal
soffitto a punta fino al pavimento, e la stabilità alla struttura era data da
una particolare sospensione ad arco stile Golden Gate Bridge, però al contrario.
Due enormi archi, infatti, univano le due estremità del ponte, da cui partivano
diverse corde in acciaio che di collegavano al tetto e
trattenevano il corridoio in una immobilità perfetta, anche in caso di
tempesta. Geometricamente, era come se il ponte sospeso fosse la corda di una
semi-circonferenza.
Poteva essere
anche romantico, sotto certi punti di vista.
<< Non pranziamo mai insieme >> rispose Naruto con
semplicità, voltando il capo in sua direzione << Sasuke solitamente
mangia con il Signore delle Mosche e altri della nostra classe. Credo sia una
specie di cosa tipo “pranzo con gli amici e cena insieme” Ma è
abitudine, più che altro >> terminò, arrivando velocemente alla fine del
ponte sospeso.
Ah, dunque Uchiha
non era allergico ai rapporti sociali…
<< Il
Signore delle Mosche? >> chiese però Kiba, alzando un sopracciglio.
<< Shino
Aburame >> rispose velocemente Naruto, annuendo come se fosse una
cospirazione solo fra loro due << Quello con cui abbiamo
pranzato l’altra sera. è un Esper
ed è in classe con Shikamaru. Comanda gli insetti come vuole, è roba da non
credere… >>
Certo, parlava la
reincarnazione della Volpe a Nove Code…
<< Ah.
Abilità… >> ci pensò sopra un momento << …schifosa. Stavo per
definirla interessante ma mi manca il coraggio per
farlo >> ribatté il castano, mostrando la lingua in segno di disprezzo.
<< Già, concordo… >> aggiunse Naruto, guidandolo ora diritto
lungo la porta esattamente di fronte alla fine del ponte sospeso. Con una
leggera pressione sulla maniglia il biondo la aprì, cominciando poi a salire la
scalinata semibuia che gli si era presentata davanti.
<< Dove
porta? >> chiese Kiba seguendolo, salendo i gradini giusto dietro di lui.
<< Lo vedrai >> rispose Naruto, arrivando velocemente alla
fine di quella scalinata, dopo una leggera curva a 90° della stessa.
Una volta che
Naruto ebbe aperto anche la seconda porta, un fascio
di luce esterna lo investì in pieno, facendogli chiudere gli occhi per un
istante. Una volta che si fu abituato alla luce, la visione di un cielo azzurro
e soleggiato tipico settembrino si scontrò con quella di un terrazzo non molto
largo, ma sufficientemente grande per permettere a un
gruppo di amici di riunirsi per pranzare insieme.
La veranda sarà
stata ampia circa tre metri per quattro e dietro di loro, ovvero a livello
della porta da cui erano entrati, il tetto di quello che doveva essere l’edificio
della biblioteca scolastica era formato da tegole di
cotto color blu, molto particolari, con un crocefisso dorato in cima ad una
piccola torretta.
Probabilmente
avevano ripreso lo sfondo cromatico della chiesa, elaborata in un stile gotico in un tipo pregiato di marmo dalle sfumature
azzurre, soprattutto in giornate limpide come quella.
Uno
volta che il suo
sguardo si fu completamente abituato alla luce, Kiba poté finalmente vedere a
quale “gruppo” si riferiva Naruto quando, qualche giorno prima, lo aveva
invitato ad unirsi a “loro”. Sulla destra, seduto a gambe incrociate, un
ragazzo grasso e dai capelli lunghi dal colore castano chiaro sgranocchiava un
pacchetto di patatine. Aveva la giacca della divisa completamente slacciata, la
cravatta assente, ma si poteva vedere benissimo una croce in oro appuntata
sopra lo stemma. Un Esorcista, anche se non lo sembrava
affatto. Cos’è’ che esorcizzava esattamente, i pacchetti di Cipster?
Dalla parte opposta,
steso a terra con le braccia portate dietro la nuca, Shikamaru “ciuffo ad
ananas” Nara osservava le nuvole che, pigramente, si rincorrevano nel cielo
nella piacevole brezza di fine mattina.
<< Yo raga!
>> salutò allegramente Naruto, alzando in aria la mano con lo scatolone e
la sportina << il cibo per i campioni! >> aggiunse poi, attirando
l’attenzione degli altri due.
<< Ti prego Naruto, sembra la pubblicità della Friskies…
>> commentò Shikamaru, alzandosi quasi faticosamente dalla sua posizione
distesa, osservando solo adesso Kiba, in piedi a fianco del biondo. <<
Oh, Inuzuka >> commentò solamente, alzando una mano in segno di saluto.
<< Nara
>> salutò cortesemente Kiba, alzando la mano sinistra a sua volta. Un
leggero venticello muoveva la giacca delle loro divise e faceva ondeggiare i
capelli del ciccione, dato che erano sicuramente i più
lunghi.
<<
Finalmente Naruto, sei in ritardo! >> esordì invece l’altro ragazzo,
allungando subito le mani verso il biondo << hai preso
il mio pranzo, eh? Ichiraku ha preparato la mia
bistecca preferita anche oggi? >> cominciò a domandare, osservando Naruto
come se dovesse mangiarselo al posto del pranzo, se non glielo consegnava
subito.
<< Per chi
mi hai preso, animale! Io non sono il tuo cameriere! >> ribatté il biondo, alzando la scatola nera sopra la sua testa
<< prima le dovute presentazioni >> aggiunse poi, girandosi
in direzione di Kiba.
<< Dato che Shikamaru lo conosci già… >> cominciò dunque
il biondo << …ti presento ChojiAkimichi, ha la nostra età. Choji,
questo è Kiba Inuzuka, il novellino degli Alchimisti >> disse
tranquillamente Naruto, indicando Kiba con il pollice.
Sospirò
rassegnato. Per quanto ancora doveva essere chiamato “novellino” in quella cavolo di accademia?
Osservò Choji con espressione rassegnata, convincendosi mentalmente
a sfoderare un sorriso abbastanza credibile. Perché veniva
trascinato sempre in giro, perché?
<< Piacere
>> disse quello, sorridendo << puoi
chiamarmi Choji se ti va, a me non interessa >>
rispose allegro.
Kiba rimase sorpreso
per un attimo. Nonostante la stazza, quel tizio sembrava
buono come un pezzo di pane e, di certo, non appariva pericoloso e/o
potenzialmente omicida e/o un mezz’angelo/mezzo demone frustrato con crisi da
sterminatore.
Beh, essendo un
Esorcista la sua particolarità poteva essere solamente quella di vedere le cose
ultraterrene, no?
<< Ah,
grazie. Anche tu chiamami pure Kiba >> rispose,
automatismo di cortesia, e Naruto prese la palla al balzo: << allora
anche io! >> disse contendo, circondandogli le
spalle con la mano libera dall’ingombro del pranzo << tu chiamami Naruto.
E anche Shikamaru, ovvio! >> aggiunse
subito, coinvolgendo con un sorriso anche il quarto membro, che definire
svogliato era una presa per i fondelli. Shikamaru si limitò ad un’alzata
di spalle.
Bene, quelle
quattro persone erano passate autonomamente al livello “amici” senza nemmeno
sapere come.
Beh, almeno
avrebbe avuto qualcosa da dire all’ennesima telefonata della sua madre
schiavista e militarista.
<< Naruto, vorrei pranzare prima dell’anno nuovo >> intervenne
poi Shikamaru, distogliendolo dai suoi pensieri.
<< Esatto
Naruto, io ho fame! >> aggiunse Choji, facendo
segno con la mano di passargli il tanto agognato pranzo.
<< Va bene, va bene! Asociali! >> disse poi il biondo,
distaccandosi dalle spalle di Kiba e indicandogli il posto alla destra di
Shikamaru, ultimo per chiudere il cerchio.
Dopo essersi
seduto, in contemporanea a Naruto alla sua destra,
sorrise. Fare parte di quel gruppetto lo faceva sentire come quando, alla
scuola pubblica, Zuzu lo aveva trascinato sul
terrazzo con un panino al latte e una lattina di coca da dividere. Si sentiva
parte… della scuola, in un certo senso, e non solo come comune essere umano dal senso dell’orientamento ancora nullo, vagante per
i corridoi in cerca di qualcosa di indefinito e con la fortuna talmente assente
da incontrarsi tutti i soggetti più pericolosi in circolazione.
Diamine… questa
descrizione gli calzava proprio…
Si voltò poi verso
Naruto, ora intento ad aprire i vari sacchetti e scatole. << Bene bene, le ordinazioni per i signori >> cominciò, scherzando, il biondo. << Shikamaru, per te
il solito bento(*3) misto. Ichiraku
mi ha detto che oggi ci ha messo le omelette perché aveva finito il salmoneA dire ilm
>> disse, estraendo dal sacchetto una scatolina in legno nero, che passò
poi a Shikamaru.
Il moro rispose
con un semplice “mh” di approvazione,
sfilando il coperchio e prendendo le bacchette che Naruto gli stava passando.
All’interno vi era da una parte riso, dall’altra un
misto di insalata e altre verdure spezzettate, uova sode tagliate
ordinatamente, gamberetti ben ripuliti e cinque omelette con prosciutto e
formaggio.
Sembrava molto
invitante.
<< Kiba, Ichiraku ha detto che ami la carne di pollo, così ti ha preparato un panino con insalata di pollo >> disse
Naruto rivolto in sua direzione, consegnandogli il resto del contenuto della
sportina in plastica.
<< Sì, va
benissimo! >> rispose Kiba, estraendo subito la mezza baguette
debitamente avvolta dalla carta stagnola. Quel cuoco era fenomenale, si
ricordava persino i suoi gusti da quell’unica volta che gli aveva
chiesto il panino al pollo al posto della minestra… incredibile.
<< Per me,
il mio ramen di miso!
>> esclamò poi il ragazzo, estraendo dalla scatola in
legno nero una ciotola con un pezzo di pellicola sopra. << Tesorino mio
adorato, farai presto parte di me… >> disse,
strusciandosi contro la ciotola per qualche istante, prima di passare
all’ultimo ragazzo. << Choji, per te il solito
chilo e mezzo di carne grigliata >> disse, avvicinandogli il resto della
scatola.
Kiba faticò ad
ingoiare l’ultimo boccone, rischiando seriamente di strozzarsi con il pollo e
l’insalata che gli stava attorno. Quanta carne aveva detto che si ingoiava quel bidone?!
<< Come fai
a strafogarti con tutta quella roba? >> chiese senza tatto, osservando Choji
con occhi sgranati inforchettare cinque fette di
carne e metterle in bocca.
<< Per Chojiè normale >> intervenne
Shikamaru, evidentemente abituato allo spettacolo << ci farai l’abitudine
>> concluse solamente, sotto l’annuire convinto di Naruto, anche lui con
la bocca piena di ramen.
<< …sì,
certo… >> anche se, a dire il vero, non ne era
affatto convinto. << Piuttosto Uzum… Naruto
>> si corresse solamente all’ultimo istante,
facendo sorridere il biondino << come faceva Ichiraku
a sapere che venivo a mangiare con voi? >> chiese.
<< Gliel’ho detto io >> rispose semplicemente lui, risucchiando
l’ultimo spaghetto di miso. << Avevo intenzione
di invitarti, così gli ho detto di preparare anche qualcosa per te >>
aggiunse allegro.
<< Noi non
mangiamo mai in mensa >> si aggiunse Shikamaru,
osservandolo con la sua solita faccia scocciata << era questo che volevi
chiedere? >> chiese, afferrando con le bacchette un po’
di riso e portandoselo alla bocca.
Ma come diavolo faceva sempre, quello?!
<< …un giorno mi dirai come fai a leggermi nel pensiero >> gli
rispose il castano, Shikamaru sorrise appena.
<< La mensa
è troppo rumorosa >> rispose per lui Choji, che aveva già divorato tutta la carne. <<
gente che va e che viene, un chiacchiericcio continuo in sottofondo, gli urletti isterici delle ragazze… dopo un po’ fanno venire
mal di testa >> aggiunse, massaggiandosi la
pancia con la mancina.
<< Abbiamo
trovato questo posto per caso >> disse poi
Naruto, per continuare il discorso << e dunque ci riuniamo qui a
mangiare. A cena non possiamo, dato che è buio, ma per il pranzo è l’ideale
>> terminò, sorridendo allegro.
Più li guardava,
più capiva che, nonostante le loro diversità, erano veramente amici. Ognuno
conosceva i gusti culinari dell’altro, si accettavano per quello che erano e, ne era sicuro, tutti e tre sapevano molte cose l’uno
dell’altro.
Eh sì, sembrava
veramente il gruppetto della scuola pubblica… con l’unica differenza che ora
era in compagnia di uno stomaco stile buco nero, di un demone sanguemisto e di
un ragazzo di cui, pensandoci meglio, non sapeva ancora nulla.
Beh, sempre meglio
di niente, no?
La giornata passò
velocemente. Al pomeriggio aveva nuovamente le ore libere, che passò in biblioteca a cercare di avanzare con il programma
dei primi due anni.
Aveva
Combattimento il lunedì e il giovedì. Venne inoltre a sapere che solamente il
terzo e quarto anno facevano due volte a settimana mentre, forse più fortunati,
erano quelli del primo e secondo anno, che la facevano
solamente una volta a settimana.
Al sabato però si
faceva Combattimento al mattino, in quanto non vi
erano lezioni teoriche. O almeno, la sua classe non aveva nemmeno quello, al sabato.
Perciò aveva tutto il fine settimana libero, il
che non era malvagio.
Come al solito tornò in camera verso le 18, doccia veloce,
indossò un paio di jeans scuri e una maglia a mezza maniche azzurra e,
tranquillamente, si diresse a cena.
Questa volta
mangiò in compagnia di Choji e Naruto, mentre di
fronte a lui Sasuke mangiava seriamente al fianco di quell’ Aburame
di cui gli aveva parlato Naruto. Sì, doveva essere proprio il “signore delle
mosche”… osservandolo, poteva veramente dire che, a confronto, Sasuke era la
reincarnazione dell’allegria.
E il perché portasse gli occhiali da sole
anche a tavola rimaneva per lui un mistero.
Una
volta terminato il suo
purea di patate con quella strana fetta di carne che non sapeva cos’era, ma era
buona, ritornò in camera lentamente, sbadigliando.
Aveva ancora
qualche ora di sonno da recuperare e cominciavano a farsi sentire tutte quante.
Aprì
svogliatamente la porta della camera con l’apposita
chiave, buttando poi la stessa sul comò a destra e richiudendosi la porta alle
spalle, appoggiandovisi sopra con la schiena in un eccesso momentaneo di
stanchezza.
Doveva
smettere di spostare in continuazione in suo orologio biologico, non poteva dormire perennemente così poco. Certo,
quella è una cosa che si può fare durante le vacanze estive, ma quando c’è di
mezzo la scuola non è consigliabile, sua madre aveva ragione almeno su questo aspetto.
…ok, stava dando
ragione a sua madre. Doveva veramente dormire, altrimenti sarebbe finito ad
abbracciare la sorella nel giro di ventiquattro ore, e la cosa lo inquietava
grandemente.
Ma parli del diavolo…
Con
una melodia famigliare il cellulare, lasciato sulla scrivania prima della
doccia, prese a squillare prepotentemente e a vibrare al contempo, emettendo un rumore sordo a contatto
con il legno. Sbuffando appena si diresse in quella direzione, afferrando
l’apparecchio e leggendovi nel display la scritta “Mamma” lampeggiare insieme
al segnale di chiamata.
Sospirando seccato
spinse il tasto verde della tastiera, portandosi il telefono all’orecchio e
ritornando verso la porta, poggiandovi sopra la schiena ancora una volta.
<< Pronto? >> chiese retoricamente,
rispondendo.
<< Kiba? >> si sentì dall’altra
parte.
<< No, il
fantasma formaggino >> ironizzò appena, scivolando gradatamente sulla
porta e sedendosi a terra. Ma che cavolo di domande
faceva?
<< Smetti di fare lo stupido,
moccioso >> fu la risposta secca della madre, Kiba sorrise
appena. << Come stai? >>
chiese poi la donna, l’aria simulata di chi chiama
solamente per farti un enorme favore.
<< Come oggi
a mezzogiorno mamma, cosa vuoi che cambi in mezza giornata? >> rispose
irritato, alzando inconsciamente il tono della voce << mi chiami ogni
dodici ore, come vuoi che vada? >> aggiunse,
fissando con astio la gamba in metallo del letto.
Dio, non credeva
che fosse anche così piattola, sua madre!
<< Io ti chiamo quando mi pare e piace, figlio
degenere >> …ecco, per l’appunto.
Militarista fino
al midollo, dannata despota!
<< Sì, nulla
in contrario, ma potresti far cadere questo “quando mi pare e piace” a distanze
maggiori delle dodici ore di routine? Che so, una
volta a settimana, per esempio? >> azzardò, immaginandosi già la
risposta…
<< Te lo sogni >> …che arrivò puntuale.
<< Scommetto
che Hana non ha il “privilegio” di sentirti così
spesso, vero mammina? >> chiese, calcando con ironia quel “mammina” in modo
da smuovere il caratteraccio da contadino di campo che aveva sua madre.
<< Tua sorella non è sempre raggiungibile, e
poi lei è adulta, può cavarsela da sola >> rispose la madre,
sottintendendo ovviamente “tu sei ancora minorenne, ti metterai in contatto con
me anche a costo di venire lì di persona a prenderti a calci nel culo”. Certo, sua madre lo avrebbe detto in modo un po’ più
colorito, ma il significato di base era quello.
Doveva dire la
verità, aveva anche sfiorato l’idea che sua madre si sentisse
in colpa per averlo mandato in quel posto sperduto in terra di nessuno e, per
compensare questo senso di colpa, il suo subconscio voleva sentire come se la
passava per auto-giustificarsi della scelta di aver mandato il figlio in culo
al mondo solamente per il bene della figlia maggiore.
Ma già alla parola “subconscio” aveva avuto
il suo dubbio, e arrivando al sinonimo “coscienza” per concatenamento logico
aveva scartato l’ipotesi a priori.
Sua madre non aveva una coscienza, poco ma sicuro.
Di una sola cosa
era sicuro: avrebbe dovuto ricordarsi di spegnere quel dannato cellulare.
<< Allora Kiba, hai mangiato bene? A scuola
tutto ok? I tuoi voti? Dormi abbastanza? >>
Eccole. Le domande da madre incallita, sparate a
raffica quando meno te le aspetti e che, in linea con il carattere della donna,
pretendevano risposte brevi e concise.
Aveva una sua
opinione per tutto ciò. Era probabile che quando una donna diventava madre,
nasceva in lei una sorta di complesso che la portava a preoccuparsi più per la
maglia di lana dei figli che, magari, della casa che andava a fuoco.
Sospirò
nuovamente. Le donne erano quella categoria assurda
che non avrebbe mai capito.
<< Sì,
mamma, sì… >> rispose esasperato << anzi, ho perso parecchio sonno
ieri, per quel fatto che ti ho detto. Se non ti spiace vado a dormire, ok? >> rispose annoiato,
alzando gli occhi al soffitto.
Adesso sarebbe
partita con la ramanzina a raffica, ne era sicuro. A
sua madre non piaceva essere ignorata, maledetto lui che rispondeva senza
pensare.
Tuttavia,
dall’altra parte arrivò solamente silenzio.
<< …mamma?
>> chiese dunque lui, per sincerarsi che stesse ancora parlando con
qualcuno e non con se stesso.
<< Kiba… hai fatto degli incubi ultimamente? >>
chiese poi lei, il tono serio e lento come se, tutto d’un
tratto, parlassero di cose serie. << E’ per questo che non dormi? >> aggiunse poi,
sempre con la stessa intonazione.
Il suo cuore perse
un battito.
Come faceva a
saperlo? Anzi, lo sapeva veramente di quei suoi sogni strani (oddio, lo stava
ammettendo…!) oppure vi era qualche altro motivo per quella domanda?
A
tutti i bambini capita
di fare degli incubi da piccoli, e lui ammetteva che ci aveva perso il sonno
molte volte, però… adesso era… perché lo stava chiedendo?
<< M-Ma no, ti pare? >> tentò poi di simulare,
sorridendo in maniera talmente colpevole che, se sua madre fosse stata davanti
a lui, gli avrebbe letto in faccia la parola “falso”
scritta in lettere cubitali.
<< …sei sicuro? >> rispose lei.
Sicuro?! No, santo nettare benedetto, no!
Ma cosa doveva dirle? “Mamma ho sognato che
si suicidava una ragazza e, la notte dopo, è successo
davvero”?!
Era da ricovero! E sua madre non ci avrebbe pensato due volte a prenderlo per
il colletto e mandarlo in clinica, o da qualche strizza-cervelli che seguiva
alla lettera la teoria psicanalitica freudiana! Lo aveva spedito lì, no? Quella
era una prova tangibile del potenziale di sua madre!
Doveva
dissimulare la cosa, doveva nasconderla. Non ci credeva nemmeno lui, santo
cielo!
<< Sicuro, mamma. Ho solo perso tempo dietro al computer che abbiamo in dotazione in ogni camera, per quello non ho
dormito >> rispose. Beh, mezza verità è sempre meglio di una bugia.
La donna sembrò
riflettere su quelle parole ma, come previsto, il lato di
madre prese il sopravvento: << Quante
volte ti ho detto di staccarti da quel coso? Devi dormire,
altrimenti in tuo cervello va in pappa! >> rispose risentita.
Scampato pericolo…
o solamente rinviato a data da destinarsi?
<< Lo so
mamma, prometto che starò più attento all’ora la
prossima volta >> rispose come sempre, mentendo come sempre. Era
finalmente fuori dal raggio di pericolo di sua madre,
poteva stare al computer anche fino all’alba e figuriamoci se non lo faceva!
<< Va bene. Ora vai a
dormire, domani hai lezione >> disse lei, salutandolo
duramente ma, in fondo, con un briciolo di gentilezza.
Ma dai, anche le iene avevano un istinto
materno?
<<
Buonanotte >> la salutò lui, chiudendo la telefonata e abbandonandosi con
il capo sulla porta, gli occhi chiusi.
Gli aveva fatto
prendere un mezzo infarto.
Sbadigliò sonoramente,
mantenendo però gli occhi chiusi.
Dannazione,
avrebbe dormito anche lì dov’era, abbracciato alla porta.
Ora che ci
pensava, era già la terza volta che non vedeva Shikamaru a cena…
Anzi, non lo aveva
mai visto… a cena…
…
Un piccolo rumore
attirò poi la sua attenzione, facendolo sobbalzare appena con il capo.
Un rumore
metallico, acuto. Era il suono, sì, di un campanello.
Unito ad una
risatina cristallina proveniente da… sì…
Da davanti a lui.
…davanti a lui?!
Aprì gli occhi di
scatto, seguendo anche con lo sguardo quel suono così penetrante da dare quasi
fastidio.
Una ragazza.
No, non “una”… la ragazza. Se ne stava lì davanti a
lui, fluttuando nell’aria e sorridendo maliziosamente, con la sua vestaglia
bianca, i capelli biondi raccolti in una treccia e i polsi di color scarlatto.
E rideva. Rideva con lo stesso tono del
suono dei campanelli di cristallo.
<< Come…
come hai fatto a… ? >> cercò di chiedere,
bloccato contro la porta più per la sorpresa che per altro. Quella ragazzina sembrava uno spettro… doveva essere un… per forza, un sogno!
Ma, a dire vero, sembrava dannatamente reale
e sicuramente poco normale.
Lei non rispose.
Si limitò solamente ad avvicinarsi a lui, le punte dei piedi che sfioravano
appena il suolo della camera ricoperto in moquette, arrivandogli a poca
distanza dal volto; fu lì che poté distinguerli con precisione, quegli occhi
dall’iride dorata e dalla pupilla allungata e stretta. Occhi selvatici, occhi
demoniaci.
Rise
di nuovo, allungando una delle sue mani bagnate di sangue a sfiorargli la
maglia e, solleticandogli il collo con l’indice, lo inserì al suo interno.
Era gelida. La sensazione sgradevole di un pezzo di ghiaccio che scivola sulla
pelle. Gli provocava dei brividi che non sapeva se definire di freddo,
di terrore o magari di entrambi.
Poi lei,
sorridendo ancora con quell’espressione di maliziosa follia, afferrò fra
pollice ed indice il crocifisso in argento che si era
persino dimenticato di stare ancora indossando, estraendolo dall’interno della
maglietta lentamente e lasciandolo poi ricadere sul suo petto, al sicuro sul
cotone color cielo.
Poi, parlò. Con
quella voce melodiosa che aveva sentito solamente la notte prima, nel sogno in
cui lui e lei erano la stessa, indissolubile persona.
<< Oggetto
particolare per essere portato con così tanta naturalezza… >> disse,
muovendo appena le labbra perfette nel pronunciare tali parole. Poi lo guardò,
prima attentamente, poi sorridendo compiaciuta. << Ma
tu non sai nemmeno chi sei… >> aggiunse, risollevandosi dalla posizione
semi-piegata, ritornando eretta.
Che cosa aveva appena… detto?
<< Che cos…
>> ma non fece in tempo a pronunciare la domanda che, con una risatina
cristallina, la ragazzina lo superò e trapassò la porta, sparendo oltre essa come se il legno scuro non fosse mai stato sul
suo cammino.
<< Ehi,
aspetta! >> gridò Kiba, alzandosi velocemente e partendo
all’inseguimento.
Aprì la porta con forza ma, al posto di
vedersi comparire il corridoio dei dormitori, si ritrovò in un viale alberato.
Sotto ai suoi piedi correva una stradina sterrata con
ai lati piante di mughetto e, arrampicate sui sottili tronchi dei pioppi, filamenti
rampicanti facevano sbocciare bianche campanule dalle sfumature rosa e azzurre.
Oltre agli alberi, solo campagna.
Si guardò attorno febbrilmente, alla ricerca
anche di un solo suono, di una minuscola parola, di un ronzio d’ape.
Ma, oltre al vento che spirava
fra le fronde dei pioppi, non si sentiva nulla.
Poi, una risata cristallina proveniente
dalla sua sinistra.
E, da lontano, la figura
bianca, dorata e scarlatta della ragazzina che, saltellando come se danzasse
sull’acqua, procedeva velocemente lungo la strada, voltandosi di tanto in tanto
per osservarlo.
Per invitarlo a seguirla.
Cosa che, per Dio, avrebbe fatto.
Dovevano esserci scritte due parole sulla
sua tomba, quando sarebbe stata la sua ora. “E se”.
E se avesse detto “fanculo alla ragazzina”?
E se avesse deciso di
svegliarsi e farla finita lì?
…ormai era troppo tardi per perdersi nei
“se” e nei “ma”.
Veramente troppo, troppo tardi.
“Alea iacta est” (*4) da
quel preciso istante.
Corse.
E, ridendo, la ragazzina
ricominciò a saltellare senza fatica lungo la strada, molti metri avanti a lui
ma sempre visibile.
Lei sapeva qualcosa, lei
aveva capito qualcosa.
Magari lei aveva il potere di mettere fine
a quegli incubi maledetti che lo facevano svegliare immerso nel terrore e in un
bagno di sudore ogni notte.
<< FERMATI! >> gridò,
stringendo i denti e aumentando la velocità per quello che le
sua gambe gli consentivano.
Ma la ragazzina rise con più
gusto e, lanciandogli solamente un’occhiata sbieca, aumentò la velocità.
Poi, improvvisamente, con un saltello un
po’ più calibrato volò sulla sinistra, imboccando quella che doveva essere una capezzania sterrata lungo un campo di granturco.
Una volta rallentato a
sufficienza per non rischiare di stamparsi sul tronco di un pioppo, voltò a sua
volta.
E la campagna sparì,
sostituita da mura calde e baciate dal sole, dipinte di bianco ed intervallate
da porte scorrevoli in legno chiaro.
Conosceva quel posto e, soprattutto, il suo
profumo di mughetti e calendule. Segnavano, ogni anno, la fine dell’anno
scolastico e lui, che aveva un olfatto per alcuni versi superiore agli altri,
poteva sperare nelle imminenti vacanze estive.
Quello era il corridoio del primo piano
della sua vecchia scuola e, là in fondo, a livello dell’ultima classe,la
ragazzina aspettava, le mani dietro la schiena, lo osservava, invitandolo con
lo sguardo a seguirla.
Invito che non venne
rifiutato.
Ormai parlare era inutile, doveva solamente
prenderla e costringerla a dirgli quello che sapeva. Era stanco di essere
sondato da loro come se fosse un fenomeno da baraccone, era veramente stanco!
Era un umano, diamine! Cosa
c’era di così interessante in un comunissimo umano?!
<< Ma che domanda stupida! >>
disse poi quella, facendo espandere la sua voce musicale per tutto il
corridoio.
Kiba boccheggiò, osservandola stranito. Lo
aveva sentito? Aveva sentito quello che pensava?
<< Certo,
altrimenti non ti avrei risposto, no? >> aggiunse lei, ridacchiando allegra, come se si stesse divertendo.
E, saltando appena di lato,
passò oltre la finestra, planando nel cortile della scuola, in mezzo ad alberi
di ciliegio ormai sfioriti e dalle fronde verdi di vita.
Scattò in avanti, affacciandosi al
davanzale per vederla esattamente in mezzo al cortile, probabilmente
aspettandolo, mentre lo osservava ridacchiando con quella sua voce da
Campanellino Trilly.
A mali estremi, estremi rimedi.
Fece tre passi indietro, finchè con il
tallone destro non toccò il muro, poi prese la rincorsa e, chiudendo le
ginocchia al petto e le braccia davanti al viso, si lanciò contro il vetro,
infrangendolo, e lanciandosi nel vuoto.
Ma non fu la caduta che si era
immaginato. Atterrò praticamente subito, scivolando
per qualche gradino lungo quella che, adesso, era una scala. Una scala fatta di
vetro trasparente che portava, a vederlo da lontano, su un lago fatto da acqua
talmente cristallina e pura da risultare completamente
trasparente.
Senza nemmeno dirlo sulle rive di quello
specchio d’acqua crescevano i mughetti.
E, al centro del lago, ancora
lei.
Non demorse, riprendendo a correre,
scendendo i gradini anche due a due nel tentativo di non perderla di vista.
Però lei, questa volta, sembrava
rimanere ferma.
Una volta arrivato
alla fine della scala si lanciò direttamente sulla superficie acquosa, senza
nemmeno preoccuparsi del fatto che magari non potesse camminarci sopra, o della
possibilità di annegare. Tuttavia, proprio come poteva
fare quella ragazzina, anche lui poggiò il piede su quella che era una superficie
solida, camminando con lo sguardo fisso sulla bionda, che ora lo guardava con
espressione seria e decisa, tuttavia inquietante.
Si fermò a qualche metro da lei, ansimando
per la corsa. In un sogno non era normale provare fatica, ma di questo non se
ne curò minimamente.
<< Chi sei? E cosa intendevi poco fa? >> chiese, alzando la voce
in modo che potesse sentirlo chiaramente.
La ragazzina non si mosse, né parlo, né
respirò.
Kiba digrignò i denti. << RISPONDIMI!
>> sbottò poi, molto vicino a perdere la pazienza.
Lei tacque, piegando il volto in una
smorfia.
Sussurrò qualcosa che lui non sentì.
Alzò il volto, puntando quegli strani occhi
gialli sui suoi, facendogli venire alcuni brividi di paura lungo la schiena e, d’un tratto, urlò.
E, a differenza della sua
risata cristallina, il suo urlo aveva la potenza del tuono.
<<FUORI DAL MIO SOGNO! >>
Si risvegliò di
scatto, aprendo gli occhi e portandosi d’istinto le mani alle orecchie, per
proteggerle della violenza di quell’urlo.
E, senza sapere né come né per quale motivo,
si ritrovò in piedi nel bel mezzo del cortile interno.
L’aria fredda
della notte gli penetrava nelle ossa attraverso la pelle e il cotone azzurro
della maglietta, unendo ai tremiti di paura anche brividi di freddo. La luna
risplendeva nel cielo, illuminando a sufficienza l’ambiente circostante,
composto di ombre.
Come accidenti ci era arrivato nel cortile? Quando
lo aveva fatto? Era nella sua camera solamente poco prima, gli aveva anche
telefonato sua madre, aveva parlato con lei, non se lo era sognato!
Qual’era?
Qual’era il sogno e quale la
realtà?
Agitato, con il
respiro mozzato in gola da un’angoscia che non riusciva a tramutare in
razionalità, si guardò intorno febbrilmente, voltando ripetutamente il capo in
direzioni diverse, non sentendo nient’altro che il respiro frammentario e le
pulsazioni assordanti del suo cuore impazzito.
…e quella voce:
<< E’
inutile che ti guardi intorno, sono proprio di fronte a te >>.
Fece nuovamente
scattare il capo, facendo un barcollante passo indietro guidato dall’istinto di
sopravvivenza. Davanti a lui, come nel sogno, la ragazzina dai capelli biondi
lo osservava in tralice… ma era diversa.
I capelli erano
sciolti e le ricadevano davanti al busto, sulle spalle, in boccoli sfilati e
spettinati. La vestaglia era macchiata di sangue, probabilmente il suo, e le
mani colavano lo stesso liquido vitale da alcuni tagli sui polsi, facendolo
gocciolare a terra. Era scalza sul cemento e gli occhi, di quel colore giallo
dorato dalla pupilla allungata, lo fissavano con astio.
<< Tu,
impiccione… >> cominciò poi a parlare, avanzando di un passo al suo
indietreggiare di un ugual numero di passi. << Ho visto
il tuo sogno, ti ho visto! Se non fosse stato per
te avrei potuto togliermi la vita in pace e magari questa volta ci sarei
riuscita! >> sputò con rabbia, la voce cristallina macchiata dalla
frustrazione. << Agatha aveva fatto la scelta giusta, rapida e indolore,
invece di sperare inutilmente che le ferite non si rimarginassero più. Ma mi rifiuto di morire spiaccicata sul cemento di un
cortile! >>
Non riusciva a
parlare. Con tutte le cose che voleva chiedergli, ogni minima, singola parola
rimaneva bloccata in gola.
E, nonostante si tenesse le braccia, non si
accorgeva minimamente di stare tremando.
<< Ma dovevi arrivare tu! >> proruppe
poi la ragazza, i denti che, sotto il labbro, sembravano sempre più
appuntiti… sempre più assomigliavano a delle zanne sottili ma letali.
<<
Tu con la tua potenza spirituale ridicola, a ficcanasare nei miei pensieri. Avrei potuto
morire in pace, invece di continuare questa vita da cavia di laboratorio… SEI
SOLAMENTE UN IMPICCIO! >> urlò e, come nel sogno, quella voce ebbe la
violenza di un tuono.
Nuovamente si
tappò le orecchie con le mani, gemendo di dolore. Quei suoni erano troppo
forti.
Chiuse gli occhi
solamente per un minuto ma, quando li riaprì, la cosa che si ritrovò davanti gli fece
tremare anche le gambe.
La ragazzina, il
volto completamente teso in una smorfia mostruosa ed animalesca, conservava di umano solamente la forma del corpo. I denti si erano
tramutati in vere e proprie zanne, gli occhi fissi su di lui non chiedevano
altro che ucciderlo, l’aspetto animalesco di quel volto solcato da segni
profondi sulla pelle… e, intorno a lei, una specie di energia
che avrebbe potuto definire un aura, o del chakra, stava pian piano
conferendole una forma diversa, una forma animale: orecchie rotonde ma piccole
e, dietro la schiena, ondeggianti nella notte si formarono sei code dal colore
giallo intenso che, sbattendo l’una contro l’altra, provocavano scoppi come
tuoni e facevano comparire scariche elettriche allo stesso voltaggio dei
fulmini.
Kiba aveva
combattuto contro molte cose, in vita sua.
Aveva
affrontato, per ordine del suo clan, veri e propri branchi di cani randagi,
inselvatichiti fino a divenire scaltri e temerari lottatori per la sopravvivenza.
Aveva affrontato
le zanne dei lupi, fronteggiandoli con freddezza.
Aveva tenuto testa
alle gang di teppisti che gironzolavano dalle parti della sua scuola, tornando a casa pesto e pieno di lividi, ma pur sempre vincitore e
orgoglioso di essersi battuto.
Ma non c’era paragone con tutto quello. Non
c’era paragone nell’affrontare una cosa soprannaturale che nemmeno si
conosceva.
La ragazza,
zittendosi per un secondo, aprì le mani fino a portarle con i
palmi rivolti verso l’esterno.
E, esalandola con un istinto omicida
portentoso, la sua energia spirituale divenuta persino visibile andò a raggrupparsi attorno alle dita delle mani, mentre
intorno a lei vi era un costante bagliore di scariche elettriche.
Incrociò
lentamente le mani davanti agli occhi e, in quel momento, le sue unghie
diventarono artigli
pronti a strappargli le carni.
<< Ora muori, Michael >> soffiò lei, preparandosi
all’attacco.
Kiba aveva
combattuto contro molte cose in vita sua.
Ma per la prima volta si era reso conto di
essere finito in una situazione più grande di lui.
E, in mezzo al terrore, di una sola cosa era
sicuro: lui sarebbe morto lì.
Chapter No. 2 ~ End.
*1 - “amichette chit-chat”: le amiche di
chiacchierata della maggior parte della popolazione femminile del pianeta (XD). “chit-chat” da
quello che ho potuto capire, è un dispregiativo derivato dall’inglese “chatting”, ovvero sparlare.
*2 - Edward Cullen (vampiro) e Jacob
Black (licantropo) sono due personaggi della serie “Twilight”
scritta da StephenieMeyer.
*3 - il bento è il classico “cestino del pranzo”
giapponese. Ce ne sono di molti tipi ma solitamente lo si
prepara a casa mettendoci ciò che uno desidera. Il riso è però una componente fondamentale.
*4 - Alea iacta
est:famosa frase latina che Svetonio
attribuisce a Giulio Cesare nel suo De
Vita Caesarum. Cesare l’avrebbe pronunciata una volta superato il Rubicone
dando il via alla Prima Guerra Civile. La traduzione più comune è “il dado è tratto”.
Note: *Frega la canna da pesca a Gon di HunterXHunter e cerca di
ripescare l’ego che si invola lontano* Feeeeeeeermo tu
Note: *Frega la
canna da pesca a Gon di HunterXHunter
e cerca di ripescare l’ego che si invola lontano* Feeeeeeeermo tu! >.< non ti ho
detto di prendere il volo, obbediscimi!
Dio gente, i vostri commenti mi fanno innalzare l’ego *tiene
per la cordicella come se fosse un palloncino* ç_____ç sono commossa.
Dunque, come sempre, prima di cominciare a scrivere questo allucinante capitolo ringrazio chi commenta *annuisce*.
CapitataperCaso: Ovviamente la prima a scrivere il suo
commento stile pergamena del Mar Morto e, ovviamente, sono morta sul teatrino
X°DDDD *rotola a terra*. Lo devo ammettere, la scena
del pranzo ero indecisa se inserirla o meno. Credevo
che fosse uno stacco troppo grande dalla semi-depressione post suicidio di Kiba
ma, devo ammetterlo, ha fatto da cuscinetto al capitolo e mi da una mano con il
resto della trama. I tuoi commenti sono sempre molto apprezzati *tutte le sue
mode annuiscono* dunque grazie mille! Spero che leggerai e che ti piaccia anche
questo capitolo! ^___^ Inuziku_rukiaXP: Oh, grazie mille ^///^ peccato che io
e il disegno ci mettiamo in relazione amichevole
solamente al cambio di Papa, altrimenti potevo anche prendere in considerazione
l’idea del fumetto. Grazie mille per avere letto e commentato! Slice: Eh! Vuoi sapere troppo! XD I segreti
di trama non si svelano prima della lettura, altrimenti che divertimento c’è?
Grazie mille per aver letto e commentato anche il capitolo 2, spero che il 3
non sia da meno. VavvyMalfoy91: *Associazione
Orba Felice 2008* Yay U______U *alza pugno all’aria*. A parte le cavolate, lo so che è un carattere
piccolo, perdono! >.< Solo che più in grande, davvero, sembra un’opera di
Picasso! E’ tutto appiccicato ç.ç
e sì, scrivo anche su Death Note XD… o almeno, tento.
Tu mi insegui in ogni fandom,
davvero °___° In ogni caso, anche questa volta, grazie mille per i tuoi
commenti sempre pieni di belle parole e spero che apprezzerai anche questo
capitolo. CloudRibbon: …penso di aver letto il tuo commento
almeno 5 volte. No, dico sul serio. E’ bellissimo, e mi fai
un sacco di complimenti che mi mandano il cervello in brodo di giuggiole
ç_________ç. Allora, andando per gradi: ad essere sinceri sì, ci sto molto
attenta, ma per la maggior parte scrivo di getto. Poi rileggo e allungo qualche
pezzo nel caso ci sia un buco troppo evidente, ma l’andamento del capitolo ce l’ho tutto in testa. I personaggi, sinceramente, mi
sembra di muoverli male. O almeno, faccio di tutto per
immaginarmi il comportamento che gli darebbe Kishimoto
se fosse al mio posto e scrivo quello che mi viene in mente. Se
li muovo bene è solo caso, suppongo >.< La trama beh… io adoro navigare
nella fantasia. Fantastico ad occhi aperti, chiusi, socchiusi, incrociati,
incollati, bagnati, zuccherati (?!) dunque non mi stupisce che sia venuto fuori
questo casino! XD Non crucciarti, io adoro le ficcamico-demenziali, prendo spunto da quelle per le battute
ironiche di questa fic! *___* E poi, è necessario
ridere, nella vita. In ogni caso ti ringrazio per il commento… poi ci pensi tu
a riprendermi l’ego >___> *scarica barile* OnlyAShadow: Vai, l’importante è che si capisca il senso globale,
anche se salti una frase XD. Si effettivamente i
capitoli sono lunghi… dovrei forse accorciarli? Buona lettura!
Bene! Un paio di cose e passo alla storia.
Non volevo… cioè, ho fatto di tutto
per non sforare nell’OOC ma devo metterlo, almeno per questo capitolo, perché
per esigenze di trama mi serve da parte di Kiba un certo comportamento che, a
mio parere, non si adatta molto alle caratteristiche comportamentali che gli attribuisce
Kishimoto. Poi giudicherete voi
*annuisce* nel caso, io metto l’avviso OOC per questo capitolo.
Un’altra precisazione. Nonostante,
scrivendo, io immagini i personaggi della seconda serie (Shippuuden)
ho dovuto fare una modifica allo Sharingan di Sasuke e Itachi. Nel senso che,
nonostante abbiano già l’età della seconda serie (un po’ di più, a dire il
vero…) per farmela biecamente comoda ho considerato
che Sasuke possegga ancora solo lo Sharingan base, mentre Itachi il Mangekyou Sharingan (Sharingan Illusorio, per chi va di
pari passo con i nomi italiani). Scusate la scelta di convenienza U.U *si inchina*
Buona lettura!
.:: Enjoy! ::.
Chapter
03 ~ThirdEcho
Il Rosario di San Michele
Per qualche istante, qualche misterioso e lontano istante,
aveva sperato che tutto ciò fosse solamente un sogno.
Aveva sperato di svegliarsi, sudato e con le lacrime agli
occhi, fissando ancora il piede del letto e con la schiena appiccicata alla
porta.
Ma non era così, e lo sapeva.
Tuttavia, anche così la situazione non cambiava.
Lui rimaneva sempre incollato dal terrore su quel cemento,
la notte rimaneva sempre semi-buia e la ragazza aveva sempre intenzione di
ucciderlo.
Quella era la realtà, e saperlo era la più grande delle
delusioni.
Restò pietrificato a fissare la ragazzina bionda con occhi
sgranati, fermo in quell’interminabile istante in cui
l’unica domanda che gli balenava in testa era quanti secondi di vita gli
rimanevano.
Solamente osservandoli sentiva quegli
artigli penetrargli la carne, freddi fra il sangue caldo che, sicuramente, gli
sarebbe schizzato in faccia. Poteva quasi immaginare gli occhi di lei ricolmi di gioia ed efferatezza mentre lo
artigliava, ancora e ancora, strappandogli vestiti e carni, pelle e anima.
E sarebbe finito tutto lì.
Alcuni dicono che, prima della morte, ti passa tutta la vita
davanti agli occhi.
Lui, non vedeva altro che notte e artigli.
Infine scattò. Con un passo veloce la ragazza partì, correndo in sua direzione, le mani portate al fianco per
avere più forza nello piantargli gli artigli nella carne. Lui si portò
istintivamente le braccia al volto, incrociandole davanti agli occhi, le gambe
semi piegate in una posizione scomoda che però non aveva la minima volontà di
cambiare.
Non ebbe nemmeno la forza di urlare. Chiuse solamente gli
occhi, aspettando.
Non doveva essere così traumatico, morire… no?
Ma non successe niente. Non.
Successe. Niente.
<< Hei, Sha, Kai, Jin… >> sentì
invece, avvertendo uno spostamento d’aria proprio davanti a lui. Aprì solamente
un occhio poco dopo, i denti digrignati e il respiro trattenuto che faceva
rimbombare il battito del suo cuore nelle orecchie come se fosse un tamburo,
batteva talmente veloce che sembrava una marcia di soldati esattamente
all’interno del suo petto.
E vide una massa di capelli bianchi
muoversi d’improvviso in un balzo laterale velocissimo della persona che,
nonostante l’età e la corporatura non indifferente, era appena comparsa davanti
a lui.
E riconobbe, dalla particolare
vestaglia color porpora che aveva visto la notte prima, il Vescovo Jiraiya.
<< …Retsu, Zai, Sen! >>
urlò e, anche se non lo vedeva in faccia, probabilmente aveva le mani portate
davanti al viso, le dita indice e medio di entrambe le
mani a contatto, mentre le rimanenti chiuse come in preghiera. Era la posizione base degli Esorcisti, il maestro Kakashi lo aveva
accennato ad una lezione.
Al momento non riusciva a stupirsi del fatto che il vescovo
fosse esorcista o meno. Anzi, non riusciva addirittura a pensare.
Stette solamente a guardare, con entrambi
gli occhi spalancati, una luca bianca formarsi a cerchio sotto la
ragazzina indemoniata, stoppandola nella sua corsa e la voce portentosa
dell’uomo risuonare nella notte:
<< REIBAKU!
>> (*1) urlò. La ragazza, fermandosi stupita al cospetto di quella luce
bianca, venne poi inghiottita da quello che sembrava
un cono di luce che la rinchiudeva come una barriera.
Cosa cavolo… era quell’affare?
Beh, qualunque cosa fosse, Sua Eccellenza Jiraiya
gli aveva appena salvato la vita. Tuttavia quella tecnica doveva adoperare un
sacco di energie e forza, perché le braccia dell’uomo
tremavano violentemente, come se faticasse a tenere unite le mani, e aveva il
fiatone con il respiro mozzato.
<< KIBA! >> sentì poi chiamare da destra e,
girando appena il volto in quella direzione, poté vedere la zazzera bionda di
Naruto accompagnato dal volto pallido e stupito di Sasuke.
Doveva avere stampata in faccia un’espressione terribile,
perché notò Naruto sobbalzare e, senza nemmeno pensarci, mettere un piede sul
pianerottolo della finestra a cui era appoggiato e, prendendo lo slancio,
saltare.
Cosa stava facendo quello stupido?!
Così si sarebbe…!
No. Non ebbe il tempo per preoccuparsi.
Atterrò senza farsi un graffio, ammortizzando la caduta
sulle gambe e, quando rialzò lo sguardo, i suoi occhi color del cielo erano stati sostituiti da un paio di demoniache e sanguinee
iridi rosse dalla pupilla allungata verso l’alto. Anche
alle sue mani vi erano degli artigli simili a quelli della ragazza e, ai lati
della bocca, sembrò che due piccole zanne spuntassero appena fra le labbra.
Lo sapeva che Naruto era un mezzo demone, ma in quel momento
non fece altro che fargli saltare un battito cardiaco, mozzandogli nuovamente
in gola il respiro che era appena riuscito a riprendere.
E quando lui scattò, ritrovandoselo
al suo fianco in poco meno di mezzo secondo nonostante la distanza fosse
notevole, non poté far altro che sussultare terrorizzato, mentre il braccio
destro del biondo gli avvolgeva la pancia e si sentiva gli artigli poggiati
sulla schiena. Un timoroso battito di cuore, la voce del vescovo che diceva
qualcosa come “portalo via da qui”, lo sguardo che ancora era voltato in
direzione delle iridi scarlatte di Naruto… che d’improvviso scattò di nuovo,
portandolo con lui in quel balzo di forza e destrezza e, in un secondo,
allontanandolo dall’uomo dai capelli bianchi ancora intento a
erigere la barriera. La sensazione di sentirsi i piedi staccati da terra, di
essere trasportati come se fosse leggero come piume, come polvere…
E la paura. Il terrore di essere
immerso fino al collo in una situazione che con lui non centrava niente.
Nell’immobilità di quell’attimo in cui Naruto lo aveva
trascinato via, il silenzio gli aveva riempito le orecchie di quel suono senza
tono, ovattato e fastidioso, soprattutto quando gli occhi vedono e sai che dovresti anche sentire. Fu
questione però di un attimo, di uno sbalzo di pressione dato dalla velocità e
dalla sorpresa, perché quando cautamente Naruto lo lasciò, i suoni tornarono e
le sue gambe non ressero un istante di più.
Si lasciò scivolare a terra, rendendosi conto di essere
dall’altra parte del cortile, ancora dietro la schiena di Sua Eccellenza
Jiraiya ma a grande distanza dal luogo dello scontro.
<< Stai bene? >> chiese Naruto, inutilmente,
ricevendo da Kiba solo un’occhiata sconvolta ed impaurita. Il biondo cercò di
appoggiargli una mano sulla spalla, ma alla vista degli artigli che gli si
erano sviluppati il castano ritrasse il braccio, trattenendo improvvisamente il
respiro che, ad ogni ripresa, era sempre più veloce e spezzato.
<< Che c’è Kiba? Che succede? >> chiese il biondo, riuscendo di forza
ad appoggiargli la mano sulla spalla << Stai bene? >> domandò di
nuovo, scuotendolo appena.
Ma gli occhi del castano erano
puntati su quegli artigli che gli toccavano la spalla e sembravano non voler
nemmeno spostarsi sulle iridi ora scarlatte dell’altro.
Non sentì nemmeno Sasuke arrivare. Avvertì solamente uno
spostamento d’aria al suo fianco e un paio di ali nere
entrare nella sua visuale.
Poteva… vederle?
<< Lascialo, Naruto! >> sbottò Sasuke,
atterrando accanto a loro << è terrorizzato
>> aggiunse, forse come spiegazione all’espressione contrariata che aveva
appena assunto il biondo.
Naruto si voltò nuovamente in sua direzione, rinunciando a
ribattere all’affermazione di Sasuke, osservandolo. E,
ritirando la mano, aggrottò le sopracciglia in un’espressione ferita.
Ma fu solo un istante…
Un grande boato ruppe l’aria, come
se le onde sonore fossero improvvisamente divenute tangibili e sferzassero
l’aria tagliandola in due. Istintivamente Kiba si chiuse a riccio mentre, dopo
un attimo di smarrimento, Sasuke e Naruto voltarono il
capo in direzione di Jiraiya, evidentemente in difficoltà.
<< Il Prete Porcello non reggerà ancora per molto!
>> sentì dire a Naruto, con quella sua voce un po’ più roca del solito.
<< E’ stato un pazzo a pensare di
poter fermare il Rokubi(*2) con un Reibaku, è pericoloso e non sufficientemente potente!
>> aggiunse Sasuke, la voce profonda alzata di tono per poter sovrastare
la confusione.
Solamente quando, con quel poco di coraggio e di razionalità
che aveva rimasto, riuscì ad alzare gli occhi, lo
spettacolo che vide ebbe la forza di impietrirlo di nuovo, facendolo gemere di
terrore. Né Naruto né Sasuke si sognavano di toccarlo
ma, se lo avessero fatto, probabilmente lo avrebbero sentito tremare. La
ragazzina bionda aveva inserito le mani all’interno della
luce bianca, ancora disposta a barriera intorno a lei e, a forza, stava
cercando con successo di aprirla, per creare una falla. Urlava a squarciagola,
emettendo però un verso che non era nemmeno paragonabile alla voce umana, alto è fastidioso come lo stridore di un insetto moltiplicato per
mille. I suoi occhi erano furiosi, furenti, mentre quella specie di chakra
giallo che la circondava aveva ora nettamente la forma di sei code e, sbattendo
fra loro, non solo scatenavano boati simili a tuoni ma creavano addirittura dei
fulmini, che si scaricavano in un bagliore sulla prima cosa di metallo, o comunque conduttrice, che trovavano sul loro cammino.
Era uno spettacolo raccapricciante.
<< Io vado! >> sbottò poi Naruto, osservando la
schiena di Jiraiya con fare deciso, facendo saettare le iridi dal prete al
demone delle sei code, che ormai aveva quasi
soggiogato completamente la barriera che lo separava da Kiba e da tutti loro.
<< No! >> rispose subito
Sasuke, digrignando i denti in una smorfia iraconda << non hai
ancora la forza per poterlo affrontare! >> aggiunse, afferrando il biondo
per il braccio prima che partisse in quarta per
gettarsi nello scontro.
<< Lasciami Sasuke! Se non
faccio qualcosa…! >>
<< Cosa?! Ti farai ammazzare, quattro code non bastano, Naruto! >>
rispose Sasuke, strattonando appena il demone per il braccio, senza però fargli
del male.
Era preoccupato? Era ansia quella che leggeva negli occhi
scuri dell’Angelo caduto?
Nonostante Kiba si tenesse le mani
sulle orecchie, proteggendole dal rumore che inevitabilmente il demone dei
fulmini creava, poteva chiaramente sentire i loro discorsi, dato il tono alto
che utilizzavano e la loro vicinanza a lui.
E poteva anche vedere bene le loro
reazioni.
Naruto, probabilmente per innata
ostinazione, rispose nuovamente: << invece sì! Se mi impegno… >>
Ma fu interrotto di nuovo. <<
Scordatelo! Non permetterò queste sconsiderate azioni suicide! >> ribatté
il moro.
Naruto tacque alla sua ultima imprecazione, sorridendo poi
dolcemente in direzione del compagno. Si sporse, improvviso persino per lo
stesso Sasuke, sfiorandogli appena le labbra sottili con le sue in un bacio
casto e dolce, gli occhi carmini socchiusi ad osservarlo con dolcezza,
nonostante la forma demoniaca che avevano assunto.
<< Andrà tutto bene >> rispose
a fior di labbra << proteggi Kiba >> aggiunse poi, prima di alzarsi
in piedi e correre in direzione dello scontro. E, mentre correva, dalla sua
schiena un chakra di colore scarlatto prese la forma
di quattro code, avvolgendolo completamente e dandogli un’aria animale… come se
il chakra stesso avesse assunto la forma abbozzata di una volpe.
Kiba lo vide allontanarsi e, istintivamente, allungò un
braccio in sua direzione, muovendosi appena in una reazione istintuale
di rialzarsi e fermarlo.
Ma fu bloccato da Sasuke che,
togliendogli persino il tempo di puntare i piedi a terra per cercare di
mettersi in piedi, gli portò con violenza una mano al collo, facendolo sbattere
di malagrazia sul muro alle sue spalle.
Una volta ripresosi dalla botta, gli occhi castani di Kiba
ne incontrarono un paio rossi con uno strano disegno
all’interno dell’iride, raffigurante tre “gocce” nere che dal centro
dell’occhio convergevano verso l’esterno.
Non disse una parola, un po’ per la mano di Sasuke piantata
sulla sua gola e un po’ per la paura che non aveva ancora intenzione di
lasciarlo in pace, sboccandogli completamente cervello e muscoli.
<< Lasc… >> riuscì
tuttavia a gracchiare, essendo però interrotto da Sasuke che, con espressione
seria ma furente, lo osservava con quegli strani occhi rossi.
<< Ascoltami bene, fallito… >> cominciò,
assottigliando gli occhi ed avvicinandosi fino ad essere con il volto a pochi
centimetri da suo << se Naruto ci lascia le penne per colpa tua, giuro
che te la farò pagare cara… >> disse, tornando
poi silenzioso e, rilasciando la gola di Kiba, riprese ad osservare lo scontro,
voltando appena il capo e digrignando i denti come una bestia assetata di sangue
che però è costretta all’immobilità.
E riusciva a capire che la causa per cui
Sasuke non combatteva insieme a Naruto era lui. La tacita promessa fatta con il
biondo vincolava Sasuke Uchiha a proteggerlo, impedendogli così di aiutare la
persona più importante per lui.
Si sentì un peso inutile.
La battaglia al contempo era appena entrata nel vivo. Con
l’arrivo di Naruto Jiraiya aveva sciolto il Reibaku
appena in tempo, facendo sì che, nella distrazione del demone a sei code,
Naruto potesse contare sull’attacco a sorpresa.
Balzò in aria, ginocchia al petto per
prendere slancio e, sfruttando la forza di gravità, urlando cercò di
portare il suo attacco sul demone a sei code, chiudendo la mano destra a pugno
e cercando di mirare direttamente al volto della ragazzina, ormai deformato.
L’attacco non la colpì per poco e la face retrocedere con un
balzo spropositato, quasi anormale.
Una persona non poteva saltare così tanto! Andava contro le
leggi della fisica!
…ma c’era qualcosa, in quella maledetta scuola, che rispettasse le leggi non solo della fisica, ma del mondo
intero?
Guardando tutto da fuori, inchiodato al muro dietro Sasuke,
tutto quel casino gli sembrava irreale. In una parola, che faticava anche solo
a pensare, pareva tutto un sogno.
Sua Eccellenza Jiraiya si era inginocchiato ansimante al
suolo, tenendosi con la mano destra la veste a livello del petto. Tuttavia,
nonostante la stanchezza che sicuramente quella barriera gli aveva procurato,
osservava lo scontro fra le due belve con cipiglio preoccupato.
Sembrava che combattessero ad armi pari.
Veloci, anzi, velocissimi entrambi, Naruto
e la ragazzina scattavano l’uno in direzione dell’altra, colpendosi così
rapidamente che il colpo sferrato non era nemmeno visibile, per poi ricadere al
suolo e, senza nemmeno poggiare entrambi i piedi a terra, prendere di nuovo lo
slancio per un rinnovato attacco ai danni dell’altro. Nessuno dei due
cedeva, nessuno dei due si arrendeva… ma era inevitabile notarlo: Naruto
sembrava più affaticato della ragazzina che, ad ogni attacco, riceveva meno
danno di quanti ne infliggeva al biondo.
Eppure lui combatteva, lui non si
fermava.
E Sasuke fremeva di rabbia al suo
fianco, spalancando le ali corvine come se dovesse scattare da un momento
all’altro, come se si preparasse a spiccare un volo raso terra con tutta
l’intenzione di uccidere, pur di salvare la vita di Naruto.
Era penoso, e lui si vergognava. Bloccato contro un muro,
incatenato dalla paura e senza nemmeno il coraggio di parlare mentre una
persona che aveva conosciuto da pochissimo tempo… una persona come Naruto lottava con tutte le sue forze e lo aveva
protetto, salvato da un attacco che di lui non avrebbe lasciato nulla se non il
ricordo.
E, forse, nemmeno quello.
Chi era lui, in quella scuola?
O meglio… cosa ci faceva lui, in quella scuola?
Faceva il codardo, ecco cosa faceva. Era… un cagnolino
spaventato.
Alzò nuovamente lo sguardo sullo scontro, sforzandosi forse
a trovare prova di quei suoi ragionamenti nelle azioni e negli attacchi che
Naruto portava al demone che stava impossessando
quella ragazzina. Pugni e calci non erano sufficienti,
poiché nonostante la differente corporatura, il chakra giallo del demone
rendeva gli attacchi della ragazza più potenti persino di quelli di Naruto.
Poi, il fallo. La ragazzina finse un diretto e, mentre
Naruto si preparava a pararsi il volto, lei ne approfittò
per tirargli un calcio fra le costole, sfruttando la potenza del balzo che
avevano entrambi appena compiuto.
Non riuscì a pararsi. La ragazza ghignò mentre, gemendo di
dolore con gli occhi sbarrati e sputando sangue, il biondo veniva
scagliato violentemente a terra, con una violenza tale da incrinare l’asfalto
su cui era caduto, rimanendo disteso sul fianco dolorante incapace di rialzarsi
subito. Tossì violentemente, lanciando un gemito di dolore che risuonò fino
alle loro orecchie.
Jiraiya gridava qualcosa, Sasuke anche ma lui non riusciva a
capire. Vedeva solamente il sangue dell’amico sporcare il cemento e l’unica
cosa che riusciva a percepire era il respiro veloce di Naruto, come se potesse
sentire solamente quello e tutto il resto del mondo
fosse rimasto fuori.
Il demone, dall’altra parte del cortile, rise di deliziato
piacere. << Ora sei mio, Kyuubi! >> gridò,
cominciando a prendere velocità in corsa mentre Naruto, faticosamente, si
rialzava pian piano, tenendosi il fianco. Aveva la bocca sporca di
sangue che, in piccole goccie, colava sul mento fino
ad arrivare al collo.
Il demone aprì la mano al fianco, cominciando a concentrare
su di essa la sua energia spirituale; si creò una
sfera di luce all’interno del palmo e, letteralmente, tale sfera di trasformò
in una sorgente di saette che, con un rumore assordante, vibravano attraverso
l’aria pronte a ridurre in poltiglia il corpo di Naruto, ancora disperatamente
ancorato alle sue gambe per reggersi in piedi, la mano sinistra posata sulla
parte lesa del costato, probabilmente fonte di indicibili dolori, nonostante
l’unica dimostrazione di dolore che diede Naruto fu una smorfia contratta sul
volto.
Era quasi il momento, il demone delle sei code stava per
attaccare, era a pochissima distanza…!
<< SPOSTATI NARUTO! >> gridò Jiraiya in mezzo
alla confusione, tentando un passo per aiutarlo ma dovendo arrendersi
all’evidenza di non avere più una sola, minima briciola di forza all’interno del
corpo: le sue gambe facevano di tutto per non muoversi.
<< SCAPPA BAKA! >> urlò Sasuke con tutto il
fiato che aveva in corpo.
Ma Naruto non sembrava voler
arrendersi. << MAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAI! >> gridò in
risposta con tutto se stesso e, urlando per il dolore e per la rabbia, alzò la
mano destra, parando il colpo con tutta la forza che poteva aver rimasto.
L’impatto fra i due chakra scatenò una potentissima onda
d’urto che, in meno di qualche istante, colpì Kiba e Sasuke e tutti quelli che,
al contempo, si erano ammassati in pigiama e camicie da notte alle finestre dei
vari corridoi che davano sul cortile interno. I vetri del ponte sospeso si
frantumarono, facendo cadere all’indietro tutte le persone
che stavano osservando da lì che, per la sorpresa, cominciarono a fuggire
spaventate verso il portone principale.
Nonostante le sue mani fossero protette dal chakra
scarlatto, al contatto con i fulmini la pelle della
mano destra del biondo, quella che tratteneva dallo scatenarsi la sfera del Rokubi, cominciò pian piano a sfaldarsi, creando piccola
ferite sanguinolente ed ustioni di terzo grado sul dorso e su tutto
l’avambraccio. Ma resisteva, teneva duro e non
mollava, non si arrendeva.
Ed era riuscito a fermarla,
dannazione!
…ma la potenza del demone a sei code
era grande, enorme. Nonostante Naruto stringesse i denti e facesse
forza con tutto se stesso, il cemento su cui facevano presa a suoi pieni
cominciò a sgretolarsi per la potenza sviluppata da quel colpo e che, in una
scarica, passava per il corpo del biondo scaricandosi a terra.
Si chiedeva come facessero le ossa del corpo del portatore della Volpe a reggere una tale pressione.
Cosa che non fecero.
Fu un attimo, solamente in istante… ma sembrò che il rumore
dell’ulna spezzata rimbombasse più forte di ogni altro
rumore, in mezzo alla confusione. Come in una scena a rallentatore vide due
delle quattro code scarlatte scomparire e Naruto inginocchiarsi a terra per il
dolore, il braccio destro immobile stretto al petto, la faccia contratta in
un’espressione di intenso dolore.
La risata della ragazzina, le urla di Jiraiya e degli altri
studenti, il grido di Sasuke, l’attacco ancora pronto ad essere scagliato, un
movimento d’aria al suo fianco, le ali nere spiegate in un volo talmente veloce
da non essere visibile se non… se non quando Sasuke comparve davanti al demone
delle sei code, frapponendosi tra lei e Naruto.
Nella mano destra dell’Uchiha si formava una concentrazione
di chakra saettante, terribilmente rumoroso, come… uno stormo di uccelli impazziti.
Urlò, gli occhi rossi che osservavano la ragazzina con la
seria quanto inequivocabile intenzione di ucciderla.
<< CHIDORI! >> e lo
scagliò.
Ci fu una luce accecante che, in un attimo, riempì tutto
l’ambiente. Rumore di stridori e di scariche elettriche riempirono l’aria, onde
magnetiche erano così potenti da essere persino percepite dalla pelle come onde
d’urto, in quello che era lo scontro fulmine contro fulmine in cui, appunto per
questa parità di elemento, contava la potenza.
E, Sasuke… sembrava non averne abbastanza.
I due colpi avevano cozzato l’uno contro l’altro ma il
sorriso della ragazzina non era mutato, rimanendo illesa, mentre il braccio
destro dell’Uchiha ne aveva risentito parecchio,
presentando tagli e scottature simili a quelli di Naruto.
<< Fulmini? Ti credevo più originale, Uchiha! >>
sbottò la ragazzina, preparandosi a scagliare un secondo colpo con gli artigli,
mano dalle dita diritte, come se avesse tutta l’intenzione di trafiggere e
strappare dal petto il cuore di Sasuke.
Naruto pigolò qualcosa che non si
riuscì ad udire, piegato in due sull’asfalto.
Jiraiya stava gridando qualcosa.
Qualcuno ancora rimaneva a guardare.
Kiba chiuse gli occhi d’istinto…
Ma non successe niente.
Nessun rumore, nessuna esplosione,
nessun urlo e nessun gemito di dolore.
Ma cosa…?
Si sentì circondare le spalle e, aprendo di scatto gli
occhi, poté vedere al suo fianco Shikamaru. Era in pigiama, la solita maglia
nera a mezze maniche con i pantaloni lunghi e verdini e, con la mano che non
era occupata a proteggerlo -come stavano facendo tutti dall’inizio di
quell’incubo di realtà- tratteneva davanti al volto indice e medio, tremante,
come se si stesse sforzando di fare qualcosa.
E, quel qualcosa, era il motivo per cui
era divenuto Esper.
Osservando il suolo, Kiba poté notare che l’ombra di
Shikamaru si allungava oltre misura, unendosi a quella dell’edificio delle
classi, degli alberi e persino dei fili d’erba per confluire in quella della
ragazzina che, a causa probabilmente di questo, era incatenata in quella
posizione d’attacco senza più riuscire a muoversi.
Tuttavia, anche se millesimale, qualche movimento riusciva a
compierlo, e Shikamaru stesso aveva evidenti difficoltà a mantenere il
controllo sulla sua stessa tecnica, forse a causa della resistenza del demone e
della potenza che aveva già ampiamente dimostrato di possedere.
Ma lui, Kiba, ancora una volta non
riusciva a fare niente. Nulla, se non farsi salvare il culo,
come al solito.
Altro che migliore del suo clan… lui sarebbe divenuto il
migliore sì, ma il migliore codardo
del suo clan.
E decise che non sarebbe stato mai
più così.
Avrebbe potuto chiamarlo improvviso coraggio… ma forse, la
parola più azzeccata era “pazzia”.
Infinita, fervida, innaturale pazzia.
Nel momento stesso in cui Shikamaru cominciò seriamente a vacillare
sotto il peso del chakra del demone, Kiba scattò. Era molto agile per
costituzione, grazie agli allenamenti che sua madre gli faceva
fare con il suo fedele cane Akamaru a casa, dunque per lui non fu un problema
alzarsi e cominciare a correre verso la ragazzina.
Non si scappa dai problemi per sempre. E
se quei problemi investono anche compagni che per te rischiano la vita, allora
sarai tu a rischiare la tua vita per loro.
Era un alchimista, lui, ora. Non era questo uno Scambio
Equivalente?
Ignorò il grido di Shikamaru che, forse per distrazione o
per causa di forza maggiore, non riuscì a mantenere la stretta sulle sue
spalle.
Adocchiò solamente per un istante Choji
aiutare il prete ad alzarsi, entrambi che lo osservavano
ad occhi sgranati.
Intravide la preside correre in loro direzione, il
vicepreside che osservava la scena fra i frammenti delle vetrate infrante del
Ponte Sospeso. Così come, con la coda dell’occhio, notò Itachi Uchiha
osservarlo divertito dalla cima del campanile della chiesa, come un’ombra scura
stagliata davanti alla Luna. E notò anche Neji, che probabilmente stava per buttarsi da uno dei balconi, ma non ne era sicuro.
Prese come punto di slancio la figura di Sasuke che, girato
di spalle al Rokubi nel tentativo di allontanarsi
sorreggendo Naruto, non si era accorto che il demone si stava velocemente
liberando della prigione che Shikamaru le aveva imposto
con la sua ombra, puntando dritta a loro.
Vide per ultimi solamente gli occhi blu di Naruto guardarlo
stupiti in mezzo alla debolezza, mentre spiccava il salto raccogliendo tutta al sua forza nelle gambe, superandoli facilmente passando
sopra le loro teste.
E si ritrovò direttamente davanti
alla ragazzina bionda che lo aveva attirato in quell’enorme casino.
E adesso, per quell’enorme casino,
l’avrebbe pagata cara.
Anche se probabilmente ci avrebbe
lasciato le penne… voleva provare.
Avrebbe tentato.
Come tutti, come chiunque.
Perché lui non era un fallito, e lo
avrebbe dimostrato.
Vuoi proteggerli?
Sgranò gli occhi mentre, nella sua testa, si formava il
silenzio.
Una voce lo aveva appena… l’aveva sentita… insieme al suono
dei campanelli.
<< Ma cos…? >>
Vuoi proteggerli?
Ripeté quella voce, mentre tutto, tutto
andava a rilento. Il tempo, la velocità, l’aria che
sentiva sulla pelle come brezza, mentre prima era paragonabile a tempesta.
E sì, anche lui stesso andava a rilento, come se il
tempo avesse improvvisamente stoppato la corsa e stesse pian piano
riacquistando velocità.
<< Chi sei? >> chiese
dunque, con la mente, poiché la bocca non poteva parlare.
Stava cominciando ad abituarsi a quelle interferenze… se era
un sogno, anche la sua mente andava bene.
Ha importanza?
Beh, dipendeva dai punti di vista ma sì, considerando che
c’era una voce che parlava nella sua testa in un momento simile, aveva una
certa importanza.
Tuttavia, quella voce pulita e chiara come il cristallo continuò.
Vuoi proteggerli
nonostante quello che sono? Nonostante
siano demoni, angeli caduti, peccatori impuri, pecore smarrite dal gregge di
Dio, Signore e Padre?
Per lui potevano anche essere la reincarnazione del Demonio.
Ma rimaneva il fatto che gli avevano
salvato la vita, volenti o nolenti, direttamente o indirettamente.
E sì, voleva ricambiare il gesto,
prima che fosse troppo tardi.
O almeno morire orgogliosamente nel
folle tentativo di farlo.
Era un Inuzuka, mica cracker e budino al latte!
E finalmente se lo era ricordato,
chi era!
<< Sì >> fu la sua risposta.
Allora combatterò con
te.
Rispose quella voce che, per il momento, stava solamente
nella sua testa.
E finchè starai con me, non morirai. Questo è un patto, Kiba
Inuzuka, e tu sei mio contraente da adesso fino alla fine del contratto.
Aggiunse. Al termine di quelle parole, improvvisamente,
qualcosa a livello del suo sterno cominciò a scaldarsi, quasi a bruciare.
Con la mia spada, ora
giudica e purifica…
In realtà, lo scontro frontale con il demone non avvenne
mai.
Quando il tempo ricominciò a scorrere alla velocità normale,
una forte luce scaturì dal piccolo crocefisso che Kiba portava al collo e, come
uno scudo di luce formatosi per proteggerlo, respinse violentemente il demone a
sei code, con la pacatezza di una increspatura
nell’acqua ma con la violenza di un terremoto.
La ragazza demone atterrò qualche metro indietro, dovendo
fare forza sulle gambe per non sbilanciarsi e rovinare a terra. La sua
espressione era un misto fra lo stupito e il rabbioso mentre osservava Kiba
che, atterrando molto più dolcemente al suolo, si sentiva pervaso da un calore
dilagante ed avvolgente.
Fu poi tutto un avvenimento confuso. Il piccolo crocifisso in argento si staccò dalla catenina, fluttuando
nell’aria davanti al castano ricoperto da una luce bianca e pura, candida e,
inoltre, anche rassicurante e allo stesso tempo carica di energia.
Davanti ai suoi occhi, e davanti agli occhi di un’accademia
intera, il piccolo oggetto in argento prese improvvisamente a brillare
violentemente, poi lentamente a cambiare forma fino a che, in un folata di
vento caldo, una spada dall’elsa in oro e dalla lama trasparente come cristallo
prese forma nell’aria davanti a Kiba, stupito di quell’apparizione.
Accetti il contratto?
Sentì nuovamente, forse più flebile ma comunque
la stessa voce.
Osservò con attenzione la spada, chiudendo la bocca rimasta
aperta per lo stupore e decidendo all’istante cosa avrebbe fatto.
Voleva proteggere chi si era volentieri sacrificato per lui.
Voleva proteggere quell’abbraccio rassicurante.
Voleva proteggere se stesso ma, più di tutti, voleva
proteggere il suo orgoglio.
Ridacchiò scaltro e, allungando la mano, afferrò l’elsa.
Finché avrai qualcosa da proteggere…
Fu come afferrare il ghiaccio, nonostante l’atmosfera fosse
intrisa di quel rassicurante calore.
Ma lo ignorò. Alzò invece gli occhi
sul demone mentre la spada, probabilmente riconoscendo il contraente,
nonostante l’aspetto non propriamente massiccio ma nemmeno troppo esile, risultava leggera quanto una piuma fra le sue mani.
<< Yo, bellezza! >> esclamò poi, rivolto alla
ragazza, alzando la lama e puntandola verso di lei << Game Over >>
dichiarò poi, afferrando ora l’elsa con entrambe le mani e partendo
all’attacco.
Fu più veloce di ogni sua
aspettativa. Probabilmente ancora sotto il controllo dell’ombra di Shikamaru la ragazza non riuscì a scansarsi in tempo e,
anche se non pienamente, ricevette comunque la maldestra sferzata che Kiba, non
abituato ad usare armi, aveva cercato di tirare. Non per ucciderla… non voleva
ucciderla.
Tuttavia il colpo sortì il suo effetto.
La lama passò attraverso la ragazza senza causare ferite apparenti, nonostante la sue grida di dolore si fossero contemporaneamente
innalzate nell’aria e, una volta terminata la corsa della spada, successe
l’imprevedibile.
Il chakra dorato del demone cominciò a distaccarsi dalla
ragazza, lasciandone libero il corpo ferito dalla sua
stessa potenza e prendendo una diversa forma a pochi metri di distanza da lui
mentre, esausta e senza sensi, la ragazzina cadeva di peso a terra, rimanendo
immobile.
Respirando, ora per la prima volta dopo parecchi minuti, si
sentì improvvisamente privo di forze trattenendo però gli occhi castani puntati
sul demone a poca distanza da lui.
Aveva il respiro affannato, la testa girava come una
trottola e l’udito era ovattato; tutti i suoni percepiti solamente come rumori
distanti, lontani, come se ogni voce, ogni parola fosse pronunciata al di là in
una gabbia di vetro in cui lui era rinchiuso. Il cuore pian piano rallentava,
poteva sentirne il battito decelerare la sua corsa irrefrenabile, rimbombare
ora con meno violenza nelle sue orecchie… faticava a reggersi in piedi.
Non riuscendo più a trovare la forza per reggere la spada,
la lasciò andare. E, nel momento in cui la lama cristallina sembrava stare per
infrangersi al suolo, in un piccolo rumore di campanelli la spada scomparve di
nuovo, divenendo luce e, successivamente, ritornando al
collo di Kiba sottoforma di argenteo crocifisso.
Era… sfinito. E fu quando la vista
cominciò a sfocarsi che si rese conto di stare per collassare. Gli era successo un’altra volta, dopo una scazzottata nella
vecchia scuola, e sapeva come ci si sentiva prima di perdere i sensi.
Non poté farne a meno. Socchiudendo gli occhi nel suo ultimo
attimo di lucidità prima di cadere, osservò il demone delle sei code che, una
volta distaccato dalla ragazza, aveva assunto la forma
di una donnola.
E, prima che si lasciasse andare
cadendo all’indietro, gli sembrò di vedere l’animale chinare appena la testa
verso il basso, come un inchino di ringraziamento, prima di sparire in cielo in
un fulmine luminoso.
Kiba però non toccò mai il suolo.
Lui non poté sentirlo, o vederlo, poiché era già svenuto… ma
prima che cadesse a terra, un paio di ali color oro
avevano frenato la sua caduta, facendo si che il loro possessore accogliesse il
castano in una presa solida e rassicurante. Un paio di occhi
bianchi si posarono sul viso rilassato di Kiba, i capelli castano scuro che,
sciolti, incorniciavano il volto dalla pelle candida di Neji.
Aggrottò per un istante le sopracciglia, osservando Kiba con
fare quasi… dispiaciuto.
E sussurrò quelle parole, probabilmente solo per se stesso…
<< perché hai scelto… lui?>>
Quando riaprì faticosamente gli occhi, lottando contro le
sue palpebre che volevano a tutti i costi rimanere chiuse,
la prima cosa che vide fu una tenda bianca con lo sfondo di un muro altrettanto
bianco.
L’odore di disinfettante che aleggiava in quella stanza era
invadente, quasi fastidioso per il suo naso, forse di natura più sviluppato
della media umana. Capì da quel candore e da quell’odore di essere in
infermeria.
Ma dai, la scuola aveva pure
un’infermeria?
Tentò di muovere la testa verso destra, girandola sul
morbido guanciale in modo da guardarsi attorno… e tutto ciò che sentì fu
un’emicrania talmente lancinante da sembrare trenta testate nucleari stile
Hiroshima che gli esplodevano in fronte.
Un mal di testa simile non l’aveva avuto nemmeno all’ultima
riunione di famiglia, quando per prendere l’aquilone al suo adorato cuginetto -che fino a quel momento nemmeno sapeva
esistesse- era caduto, di testa, stile sacco di patate dal pino nel giardino
dietro casa. E dire che quella era stata una bella
botta.
Ma non aveva causato un mal di
testa più potente di quello.
<< che… cavolo di male!
>> si lamentò sussurrando, riuscendo finalmente a girare completamente il
capo verso destra.
Doveva essere sicuramente all’interno di uno di quegli
insulsi paraventi a tendina, ovviamente bianchi per far sì che un’infermeria
scolastica assomigliasse a qualcosa di più serio di qualche cerotto e due
scatole d’aspirina, che ospitava quattro letti da un alto e, probabilmente due
dall’altro.
Le tendine erano chiuse, ma si poteva comunque
vedere la luce di una finestra che, alla sua sinistra, irradiava di una luce
arancione l’intera stanza.
Probabilmente era il tramonto.
Ma il tramonto… del giorno dopo?
Quanto accidenti aveva dormito?
Una volta notato di essere
completamente solo, poté finalmente tirare un respiro di sollievo e, per far
felice la sua testa, tornare ad osservare il soffitto tingersi lentamente di un
color arancia molto carico.
Il ricordo della notte precedente, nonostante fosse ancora
vivido nella sua mente, a tratti appariva confuso. Anzi,
per meglio dire, non riusciva assolutamente a capire da dove cavolo fosse
venuta improvvisamente quella voce.
E se fosse stato solo tutto un
sogno? Non era normale che un crocifisso si
trasformasse in una spada, santo Cielo, non esisteva.
…beh, teoricamente non era nemmeno normale andare a pranzo
con un demone, un esorcista e un manovratore di ombre,
eppure era successo.
Sospirò, portandosi la mano al petto a toccare proprio
l’oggetto dei suoi pensieri, ancora fermamente ancorato al suo collo. Se aveva veramente fatto tutte quelle cose, allora era o un
maledetto genio o un maledetto burattino nelle mani di qualcuno.
E, chissà perché, la seconda
soluzione gli pareva la più probabile.
E, dannazione, sua madre avrebbe
dovuto spiegargli mote cose, a cominciare dal perché diamine lo aveva mandato
in quella scuola.
Perché ne sapeva di più di quello
che raccontava; oh, se ne sapeva! Non cadeva due volte nella stessa trappola,
dannazione! Se doveva veramente rischiare la vita ogni
volta che chiudeva gli occhi voleva almeno sapere se lo faceva per un buon
motivo.
Lui aveva… rischiato la penne,
dannazione.
E quello… quello era un demone…
diamine.
Cosa ci faceva lui ancora in quella
maledetta scuola? Non poteva fare i bagagli, salutare tutti cordialmente e
levarsi gratuitamente dalle balle?
…era poi un’idea così malvagia, da prendere in
considerazione?
Ci pensò su un attimo, ascoltando solamente il silenzio dei
suoi pensieri. Se faceva le valigie e levava e sue chiappe da
quel posto, magari evitava cose come quella della notte scorsa. Se evitava cose come quella della notte scorsa, aveva più
probabilità di salvarsele, le sue beneamate chiappe.
E non aveva niente da perdere,
dopotutto.
Nessuno si sarebbe dovuto più adoperare per proteggerlo,
Sasuke avrebbe avuto tutto il tempo che impiegava ad odiarlo a disposizione per
Naruto, e Shikamaru si sarebbe tolto un peso dalle spalle.
Lui sarebbe tornato a fare una vita normale, in una scuola
normale, con degli amici normali.
Basta voci, basta sogni, basta demoni infoiati e basta
passeggiate notturne verso il suicidio.
Suonava stramaledettamente bene.
Fu distratto da una serratura che scattava e da alcuni passi
che, lenti e leggeri, si dirigevano in direzione della tenda. Abbassando gli
occhi -perché girare nuovamente il capo era improponibile!- aspettò che l’ombra
scura accanto alle tendine si mostrasse… e non dovette
attendere molto.
Scostando leggermente la tenda alla sua sinistra, un visetto
di lineamenti dolci e dalla pelle chiara si sporse per osservare l’interno.
E, la cosa che lo colpì di primo
acchito, furono due occhi alle iridi completamente bianche.
Ma, la ragazza che lo stava
osservando con un leggero rossore sulle gote, sicuramente non era Neji Hyuga.
O almeno, se era lui, voleva dire
che qualcosa non andava, perché sinceramente non se lo ricordava donna.
I loro occhi si incontrarono per un
istante poi, deglutendo e vincendo la timidezza, la ragazza si fece avanti.
Indossava ovviamente la divisa dell’accademia, la spilla dorata che aveva la
forma di un paio d’ali; classe angelica, a quanto sembrava. Aveva un corpo ben
proporzionato, un seno abbondante ma non esagerato e i capelli neri e lunghi
fino ad oltre le spalle. Stava a distanza, con le mani
portate al petto e un perpetuo rossore sul viso. Terribilmente insicura, ecco
cosa sembrava, ma anche tenera.
<< S-Stai bene, Inu… zuka? >> chiese poi, interrompendosi ogni tanto e
balbettando appena, probabilmente per il nervosismo.
Che c’era da essere nervosi, poi…
<< Più o meno… >> rispose Kiba, sospirando e
affondando nuovamente con la testa nel cuscino << ho
mal di testa >> aggiunse solamente. Voltò poi le iridi verso la ragazza,
che sobbalzò appena. << Quanto ho dormito? >> chiese, evitando attentamente di far sballottare il cervello
di qua e di là.
Ma non fu lei a rispondere.
<< Quasi sedici ore, considerando che sono le
diciannove passate >> disse una voce maschile e giovanile, tuttavia
palesemente adulta. Seguendo lo stesso percorso della ragazza, dalla tenda
comparve un ragazzo più grande, sicuramente di ventidue - ventiquattro anni al
massimo, che indossava un camice bianco da medico.
Aveva un corpo alto e abbastanza snello, capelli
grigio/bianchi lunghi raccolti un una cosa bassa e abbastanza spettinata,
occhiali tondi sul naso e un’espressione superficialmente gentile.
Kiba non rispose, preso com’era a squadrare quella persona.
C’era qualcosa di strano, il suo sesto senso non gli dava modo di rimanere
tranquillo, in sua presenza, e non sapeva perché.
E lui si fidava del suo istinto, dato che
lo aveva fatto sopravvivere fino a quel momento.
Il ragazzo poggiò le mani sulle spalle della ragazza, che
sobbalzò anche a quel contatto, arrossendo un po’ di più. << Io sono
Kabuto Yakushi, l’infermiere che si occupa
dell’infermeria accademica. Lei è Hinata Hyuga, cugina di Neji Hyuga, che
sicuramente già conosci. E’ la mia
assistente dopo la scuola, dati i suoi poteri >> disse, sguardo
sicuro e apparentemente gentile puntato su Kiba.
<< Poteri…? >> chiese il castano, senza
staccargli gli occhi di dosso.
Questa volta però, fu la ragazza a prendere parola per
prima: << I-Io…; >> piccola pausa, sguardo che si abbassa << curo… le persone, con la forza spirituale >> disse
lei, le mani sempre al piegate al petto, come in preghiera.
La ascoltò parlare con la solita espressione di sempre, dato
che ormai non si stupiva più di sentire tutte le cose che poteva
fare la gente lì dentro. Si rivolse dunque ad Hinata,
cercando di chiarire subito i suoi dubbi, dato che aspettare troppo gli avrebbe
messo sono curiosità. << Sei Arcangelo anche tu? >> domandò
direttamente, forse leggermente sgarbato a causa del mal di testa.
Hinata tuttavia non se la prese, diniegando
con il volto e con un sorriso appena accennato sulle labbra.
<< No, lei è un angelo puro >> aggiunse Kabuto, togliendole finalmente le mani dalle spalle
<< l’unico angelo puro a cui è permesso stare su questo piano, per essere
precisi >> aggiunse, avvicinandosi a lui da sinistra mentre estraeva lo
stetoscopio dalla tasca del camice bianco.
Ah sì. Ora che ci faceva caso, poteva anche intravederle. Un
paio di ali semi-trasparenti, candide come la neve
appena caduta, ripiegate elegantemente dietro la schiena della ragazza.
Che potesse vederle, cosa
significava? Era la sua cosiddetta “forza spirituale” ad essere cresciuta, o il
fatto che aveva ancora al collo il crocifisso gli
permetteva di intravedere il mondo che vedevano gli esorcisti?
Kabuto, al suo fianco sinistro, lo scoprì dal lenzuolo e gli
tirò su la maglietta azzurra che ancora indossava. Gli appoggiò poi l’oggetto
sulla parte centrale del petto, leggermente spostato a destra, ascoltando.
Ripeté poi l’operazione, appoggiandolo ai due lati del costato, chiedendogli di
respirare profondamente ogni volta. Sorrise poi, togliendosi lo stetoscopio
dalle orecchie e rimettendoselo in tasca. << Tutto a
posto >> disse poi, sorridendo affabilmente << eri solamente
esausto, per questo sei collassato. Ti do qualcosa per il mal di testa e
poi potrai tornare nella tua camera. Le lezioni sono sospese anche domani, dato
che gli Alchimisti sono impegnati a risistemare la scuola, dunque potrai
riposare ancora >> aggiunse e, sempre
sorridendo, sparì dietro la tenda.
Osservò la sua ombra accanto al mobiletto dei medicinali, o
almeno quello che gli assomigliava, prima di tornare con lo sguardo sulla
ragazza, ancora in piedi in fondo al suo letto.
<< Hyuga, posso farti una domanda? >> chiese.
Lei sobbalzò appena, tornando con gli occhi bianchi su
quelli castani di lui. Annuì solamente, senza parlare.
<< Naruto… >> cominciò << come sta? >> chiese infine, osservandola per quello che gli
era possibile senza che muovesse la testa.
Hinata aspettò un poco prima di rispondere: << oh,
b-bene. Naruto è già in forma… cioè, il suo corpo ha…
un’abilità rigenerativa sorprendente e, ecco… aveva solo due costole
fratturate, ma ormai sta b-bene >> disse lei, osservando tutto tranne che
lui.
Si sentì sollevato. << E
Uchiha? >> chiese. Nonostante non mostrasse aperta simpatia per lui, lo
aveva comunque aiutato, sentiva almeno il dovere di
interessarsi.
<< b-bene anche lui… >> rispose Hinata <<
ha solo, beh… una fasciatura alla mano, ma ho curato la maggior parte delle
ferite, per cui… ecco, sta bene >> rispose lei,
la voce sempre gentile anche se indecisa e quasi fragile.
<< E Shikamaru? Sua
Eccellenza Jiraiya? E la ragazza? >> chiese poi,
probabilmente troppo velocemente.
<< Calma, calma! >> intervenne poi Kabuto,
salvando probabilmente Hinata da tutte quelle domande a raffica. <<
Stanno tutti bene, nulla di incurabile. Sua Eccellenza
Jiraiya dovrà riposare per qualche giorno a causa dello sforzo mentale fatto,
ma si rimetterà presto. Shikamaru è illeso, solo stanco, mentre la ragazza ha
qualche ferita ma tutto nella norma, anche lei tornerà a scuola entro un paio
di giorni >> terminò il ragazzo, posando sul
comodino alla sua destra un flaconcino arancione contenente qualche pillola.
<< Una dopo i pasti e non esagerare, è abbastanza potente. Prendile
finchè non passa definitivamente il mal di testa >> disse,
aspettando che Kiba annuisse prima di continuare << ora puoi riposare un
altro poco, Hinata ti porterà qualcosa per cena, più tardi. Una
volta finito di mangiare, sei libero di tornare in camera >>
concluse, avviandosi verso la porta insieme ad Hinata, salutando.
Kiba ringraziò entrambi poi, una volta
usciti e sentì la porta richiudersi, osservò nuovamente il soffitto.
Non ci stava proprio, veramente, capendo più nulla.
Aveva passato quaranta maledetti, esasperanti, interminabili
minuti al telefono cercando di spiegare a sua madre, ovviamente nel modo meno traumatico
possibile, che era ancora vivo e che stava relativamente bene, a parte
l’emicrania.
E, successivamente, altri venti
minuti a sopportare l’isterismo della sorella, senza tra l’altro capire se era
contenta o meno che facesse ancora parte del mondo dei vivi.
Infine, i successivi cinque minuti osservando il cellulare e
cercando di convincersi a spegnerlo prima che quelle esasperanti donne avessero
ancora il tempo di contattarlo in qualche modo.
Sospirò rassegnato, mettendo alla fin fine
l’apparecchio in silenzioso e appoggiandolo sul comodino. Da quello che
aveva potuto capire dalla confusionaria ma logorroica
conversazione della madre, la preside aveva avuto la brillante idea di
telefonare a casa Inuzuka e spiegare la situazione.
Beh, probabilmente era una cosa normale che si faceva una
volta che accadevano fatti simili, ma ad una attenta
analisi post-impatto madre preoccupata, una cosa simile poteva pure
risparmiarsela e avrebbe fatto felici molte persone.
E, se non molte persone,
soprattutto lui, che alla fine era quello che più contava.
Fu anche per quel motivo, oltre al perenne martello che si
sentiva battere nel cervello, che decise di andare a letto nonostante fossero
solamente le ventidue e quindici minuti.
Essendo già in pigiama, dato che la
prima cosa che aveva fatto una volta rimesso piede in camera era stata farsi la
doccia, spense tutte le luci e si infilò sotto le coperte.
Tuttavia non si stese, rimanendo
solo seduto con la schiena appoggiata al cuscino e, a sua volta, alla testiera
del letto.
Anche se effettivamente si sentiva
stanco, non sarebbe comunque riuscito a dormire.
Fino a quel momento aveva fatto a meno di pensarci, ma ormai
non era più possibile.
Insomma… era tutto vero, diamine. Non era stato uno strano
sogno surrealistico o roba simile, aveva veramente usato una spada su una
persona, su un demone!
La preside aveva detto che aveva “distaccato” il seme
demoniaco dalla ragazzina bionda, riuscendo a liberare il demone delle sei code
-che lei aveva chiamato Raijuu- che era, infine,
tornato libero in natura.
Sì, bella favola… ma quella cavolo
di cosa da dove veniva?! Cioè, insomma, ma l’avevano
visto? Il suo crocifisso si era letteralmente trasformato in una cavolo di spada!
Beh, suo… il crocifisso che gli
aveva dato Neji, per la precisione.
Annuì al vuoto, incrociando le braccia al petto. Avrebbe dovuto chiedere chiarimenti all’arcangelo, altrimenti ne
sarebbe uscito pazzo. Taxi per il manicomio più vicino e ciao-ciao con
la manina alla vita normale che tanto sperava di riavere.
Già.
Però… se decideva di tornare a
casa, poteva riaverla davvero.
Doveva ammettere di non capirci nulla, di quello che gli
stava succedendo. E la cosa, nonostante in
quell’accademia poteva sembrare solamente un’altra particolarità interessante,
a lui pareva esclusivamente qualcosa di inquietante.
Sognava gente morta che poi moriva davvero.
Camminava nel mezzo della notte in quello che lui credeva
sempre un sogno, ma che poi si rivelava essere sonnambulismo, dato che si
risvegliava in posti assurdi e, sempre, stranamente pericolosi.
Era cominciato tutto da quando aveva messo piede lì dentro.
E nonostante non volesse ammetterlo a
se stesso… aveva paura.
Per la prima volta in vita sua era cosciente di stare
calzando il ruolo del moccioso spaventato che vuole
tornare a casa.
Lui era… un normale essere umano… no?
Lui non aveva niente di speciale… no?
Per tutta la vita aveva voluto essere speciale, il migliore.
Ma quando era arrivato il momento per far vedere di
che pasta era fatto, era rimasto imbambolato a veder combattere gli altri.
E adesso, quello “speciale” che
voleva tanto diventare diventava sinonimo di “strano”.
E faceva… paura, dannazione.
Scosse il capo, cercando di non impuntarsi troppo su quei
ragionamenti.
Come prima cosa avrebbe ringraziato Naruto, la mattina
successiva. E magari anche Uchiha, anche se il solo essere preso di mira dal signor ghiacciolo non gli andava esattamente a genio. Ah,
anche Sua Eccellenza Jiraiya. EShikam…
Fu distratto da un rumore improvviso e profondo, che riconobbe
poco dopo come il vibracall del suo cellulare sul
legno del comodino. Lo prese di scatto, aprendolo subito e
osservando lo schermo che, con la sua luce violenta, gli illuminava il
viso con violenza.
Un messaggio, come aveva immaginato dalla brevità delle
vibrazioni che aveva emesso l’apparecchio. Spinse
velocemente, con evidente manualità e abitudine, il tasto corrispondente al
“visualizza” scoprendo che l’sms
proveniva dal cellulare di Shikamaru.
Toh, parli del Diavolo… allora avevano
fatto bene a scambiarsi i numeri, il giorno precedente.
Aprì anche il messaggio, leggendone il contenuto: « Sei
sveglio?»
…e
quella che cavolo di domanda era?
Alzò un
sopracciglio, ma non si fece tanti problemi a rispondere con un “sì, per il
momento” inviando la risposta appena dopo lo smanettare convulso sulla tastiera
del telefonino. Lui e il T9 non erano mai andati
d’accordo in vita sua, e tutt’ora era guerra aperta.
Attese qualche
istante, probabilmente il tempo di dare al moro la facoltà di rispondere,
aprendo il messaggio di risposta dell’altro appena il cellulare vibrò
nuovamente.
« Apri la porta ».
… cosa?
Osservò come
imbambolato lo schermo del telefonino, domandandosi se era uno scherzo o se il
moro diceva sul serio.
Tuttavia, pensare a
Nara in vena di scherzi era impossibile persino per la sua fervida
immaginazione, così prese la richiesta per veritiera e, scoprendosi le gambe
che si era appena coperto, scese dal letto e si diresse ad aprire la porta.
Un giro di chiave e
uno di pomello e, una volta socchiusa la porta, gli occhi scuri di Shikamaru
gli comparvero davanti. Probabilmente tornava ora dalla cena, o da qualche
altra parte, perché era ancora vestito. Indossava un paio di jeans scuri
abbastanza larghi, una maglietta bianca con sopra una camicia a mezze maniche
con l’ipnotica trama a quadretti bianchi e blu. I capelli erano legati nella
solita coda alta e, in mano, aveva cellulare e chiavi
della sua stanza, riconosciute grazie al numero 41 che pendeva come
portachiavi.
<< Potevi bussare >> disse il castano, aprendo la porta e
invitandolo ad entrare.
Il moro entrò,
chiudendosi pacatamente la porta alle spalle. << Non volevo svegliarti, nel caso stessi dormendo >> rispose semplicemente,
guardandosi intorno con cipiglio annoiato << sembra ancora un po’ spoglia
>> commentò poi, tornando con lo sguardo verso Kiba che, nel frattempo,
si era rimesso sotto le coperte.
<< Non sono ancora arrivate tutte le mie cose >> rispose il
castano, riappoggiando il cellulare sul comodino.
Il tempo di girarsi
di nuovo, di sentire il materasso sobbalzare, che Shikamaru si era già seduto
sul bordo del letto, slacciandosi con calma le scarpe a tennis prima di
allungare le gambe sul letto, la schiena appoggiata alla testiera esattamente
nella stessa posizione di Kiba.
Inuzuka lo guardò
con un sopracciglio alzato. << Che stai facendo?
>> chiese poi, interdetto ma mantenendo un tono di voce normale.
<< Ti do
fastidio? >> chiese lui in risposta, voltando
appena il capo verso di lui e cercando qualcosa nella tasca dei jeans.
Bella forza, ormai si era sistemato! Che
lo chiedeva a fare?!
<< No,
figurati… >> rispose dunque, facendosi un po’ più in là per fare spazio a
Shikamaru.
Passarono qualche
minuto il silenzio, nessuno senza pronunciare parola. Il moro aveva finalmente
estratto quello che sembrava un lettore mp3 e, dopo averne srotolato gli
auricolari, fissava annoiato il piccolo schermo, probabilmente in cerca di una
canzone.
Kiba avrebbe fatto
una qualsiasi domanda, pur di non far prolungare quel silenzio. Ma al momento non si sentiva per nulla in vena di parlare
del passato, di cosa avrebbero mangiato domani a pranzo o di quello che era
successo la notte precedente.
Perché sì, quella domanda se l’aspettava e no, non
voleva parlarne.
Anche perché tutta la scuola sembrava saperne più
di lui, su quello che era successo.
Tuttavia non servì, fu lo stesso Nara a rompere il
silenzio: << ho sentito dire che vorresti tornare a casa, è vero?
>> chiese direttamente senza mezzi giri di
parole.
Di già?
Il castano sospirò,
osservando per un momento il cielo all’esterno della finestra. <<
Incredibile quanto girino in fretta la voci, in questa
scuola… >> disse solamente, sottintendendo un’affermazione.
Sottointendimento
che Shikamaru non si lasciò sfuggire, ma che non commentò. << La gente non ha
molto con cui passarsi il tempo >> rispose il moro, limitandosi a
quella risposta. Fece passare il filo nero degli auricolari sulla mano,
probabilmente per sciogliere eventuali nodi, osservando poi gli auricolari e
porgendogliene uno.
Kiba lo osservò
sorpreso, rimanendo il silenzio.
<< Kiba, sto diventando vecchio >> esordì poi Shikamaru,
avvicinandogli di più la cuffia al viso.
Doveva ammettere
che faceva un certo effetto, farsi chiamare per nome
da qualcuno che non era Naruto.
Prese dunque la
piccola cuffia, appoggiandola all’orecchio destro, aspettando. Un piccolo “bip”
si sentì poi, prima che partisse la canzone con alcuni accordi in pianoforte.
La riconobbe quasi
subito. << E’ la Sakamoto? >> chiese,
aspettando che partissero anche le parole del testo.
Shikamaru annuì
semplicemente, ascoltando a sua volta con gli occhi fissi davanti a lui.
Been a
long road tofollow
Beenthere and gonetomorrow
Withoutsaying goodbye toyesterday
<< C’è molta
gente che non vuole vederti andare via, lo sai? >> esordì poi il moro, la
voce bassa ma udibile fra le note della canzone e la voce melodiosa della
cantante.
Kiba distolse lo
sguardo, osservando un punto imprecisato della scrivania. << …credo di sì
>> rispose, sospirando. Sicuramente Naruto si era già premurato di far sapere
a Shikamaru di non volere che Kiba partisse. Quel ragazzo era facile da
decifrare.
Ma lui… lui…
<< Io ho… paura >> disse poi, premurandosi di non guardare
Shikamaru nemmeno per sbaglio.
Poteva chiedersi il
perché lo stesse dicendo proprio a lui. Poteva chiedersi se fosse impazzito o
peggio, se si fosse affezionato così tanto da sentirsi al sicuro,
raccontandogli tutto.
Tuttavia era troppo stanco e… sì, solo… che
raccontare quelle cose a Shikamaru non aveva un’importanza rilevante
all’interno della sua scala delle priorità.
Are the memoriesIholdstillvalid?
Or have
the tearsdeludedthem?
Un
leggero fruscio quando il ginocchio destro del moro si piegò in una posizione
più comoda, mentre la gamba sinistra rimaneva stesa sulla coperta.
<< Paura di cosa?
>> chiese poi, voltando appena il capo ad osservare il castano.
Kiba esitò un
attimo, solo un istante. << …di me >> rispose poi, chiudendo gli
occhi. Si sentiva lo stomaco chiuso e gli occhi lucidi senza nemmeno sapere il
perché.
Shikamaru non
rispose subito, allungando il braccio sinistro oltre le sue spalle fino a
cingergliele lievemente. << Ti capisco… >> aggiunse poi <<
anche io temo me stesso >> pronunciò sussurrando.
Non seppe dire se
le parole di Nara erano solamente di conforto o avevano un fondo oscuro di
verità, ma al momento non gli importava proprio.
Quel semplice gesto
possedeva la stessa sicurezza di quando, la notte prima, lo aveva protetto con
uno stesso, identico cingere di spalle. E non gli importava di risultare debole o indifeso, ne aveva semplicemente bisogno.
Era uno di quegli
abbracci amichevoli che credeva di aver perso il giorno in cui Zuzu e gli altri suoi amici lo avevano salutato per
l’ultima volta e lui, osservandoli dal finestrino del taxi, non li aveva persi
di vista finchè non erano spariti dietro la prima
curva.
Ogni tanto anche i
migliori avevano i loro momenti “no”…
Maybethis time tomorrow
The rainwillceasetofollow
And the mistwillfadeinto one more today
Per un qualche
motivo si lasciò andare.
Lasciò scivolare il
bacino verso il basso, facendo sì che la nuca arrivasse a livello della spalla
di Shikamaru, su cui poggiò la testa.
In
silenzio, sempre in silenzio… probabilmente per timore di dare fastidio, o di
aver frainteso il gesto.
Ma Nara non si lamentò, mantenendo l’abbraccio
così com’era. Anzi, poco dopo poggiò delicatamente la guancia sulla sua testa,
semplicemente, senza fare altro.
Doveva ammettere
che era dannatamente rassicurante.
Somethingsomewhere out therekeepscalling…
<< Kiba…?
>> intervenne poi Shikamaru, interrompendo il silenzio per la seconda
volta.
<< mh? >> rispose il castano, troppo concentrato sulla
canzone per rispondere con una parola.
Il moro puntò gli
occhi davanti a lui, socchiudendoli appena. Ormai le loro voci erano ridotte a
poco più che sussurri, utili solamente per sentirsi l’un
l’altro sopra la canzone che ancora stavano ascoltando.
<< Ciò che
porti al collo non è da temere >> disse solo.
<< Sai cos’è?
>> chiese il castano, concentrandosi sul peso che la piccola croce in
argento aveva a contatto col suo petto. Nonostante
fosse il centro dei suoi problemi, al momento non si sentiva né agitato né
altro.
Semplicemente
troppo noncurante per alzare anche solo il tono di
voce.
Forse troppo
protetto, per permettere alla preoccupazione di farsi strada.
<< Sì
>> disse lui << ma non sono la persona più adatta per spiegartelo…
>> concluse poi, tornando silenzioso.
Am I going home?
WillIhearsomeone
Singingsolaceto the silentmoon?
Non importava, al
momento.
<<
Shikamaru…? >> questa volta fu il turno di Kiba di rompere il silenzio
venutosi appena a creare.
<< mh? >> rispose quello, in un ripetersi uguale di
botta e risposta con le parti invertite.
<< Per ieri…
>> cominciò, esitando per un secondo al ricordo di quanto avvenuto
<< …grazie >> soffiò poi in tono più basso, vincendo contro il suo
smisurato orgoglio che doveva solamente stare zitto.
<< Non mi
sembra di aver fatto nulla per cui valga la pena un
“grazie” >> ribatté lui, il tono calmo e profondo come al solito.
<< Sbagli
>> rispose solamente Kiba, chiudendo il discorso con quella frase.
Zero gravity.
What'sitlike?
~ AmI alone? ~
Issomebodytherebeyondtheseheavyachingfeet?
Passarono altri
istanti in silenzio, ascoltando solamente la voce della cantante riempire le
loro orecchie.
Silenziosi e
tranquilli, lasciando per lunghi istanti tutti i problemi fuori
dalla porta.
O, più
semplicemente, fuori da quel piccolo mondo che si
erano creati sulle note di quella canzone.
<< Posso
chiederti una cosa? >> esordì poi Kiba, il tono leggermente più allegro,
di una nota più rilassata.
<< dimmi
>> rispose Shikamaru, in attesa.
<< Tu mi
leggi nel pensiero? >> chiese poi, incomprensibile per tutti i comuni
mortali.
Categoria
che, evidentemente, non annoverava Shikamaru. Il moro sorrise,
probabilmente intuendo a cosa si riferiva l’altro con quella domanda: <<
no, cosa pensi ti si legge in faccia >> rispose, facendo un mezzo
sorriso.
Still
the road keeps on telling
me to go on...
Chiusero entrambi
gli occhi, ascoltando le ultime note della musica dissiparsi pian piano, fino a
sparire insieme alle ultime frasi.
<< Sai
Shikamaru >> cominciò poi il castano, il tono ridotto ora ad un vero e
proprio sussurro, gli occhi sempre chiusi << hai
una stanza anche tu… >> disse, sorridendo scaltro e con espressione
scherzosa che il moro non poteva di certo vedere.
Nara ghignò appena
<< mi scoccia tornarci >> esordì poi,
utilizzando le stesse parole che gli aveva rivolto il giovane solamente qualche
giorno prima.
Kiba non rispose alla provocazione, lasciando stare le cose così com’erano.
Che problema c’era, anche se dormiva lì?
Somethingispulling me…
I feel
the gravity… of it all.
<< però, il mio materasso è più morbido >> esordì
Shikamaru, beccandosi una gomitata in pieno stomaco.
Chapter No.3 ~
End.
*1: Reibaku.E’ una specie di barriera spirituale usata da
HisokaKurosaki nel secondo
volume di Yami noMatsuei
(La Stirpe delle Tenebre).
*2: Rokubi. Termine giapponese utilizzato per indicare il demone del demone a
sei code. “Roku” in giapponese vuol dire
letteralmente “sei” (numero). Come Kyuubi, termine che
indica il demone e nove code, ha l’inizio “kyuu” che
equivale al termine giapponese per il numero 9.
*3: La canzone
utilizzata per la chiusura è la ending
dell’anime Wolf’s Rain,
ovvero “Gravity” di MaayaSakamoto.
Piccola nota di
chiusura!
La sottoscritta va
un attimino in vacanza U____U. Tre giorni, ma per quei
tre giorni sarò staccata dal mio PC, dunque non potrò continuare la fic. E’ probabile che il prossimo capitolo ritardi un po’.
Altra cosa, sempre
la sottoscritta ormai è ora che cominci a studiare per l’esame d’ammissione *se
lo dice da sola* dunque, d’ora in poi, è altamente
probabile che rallenterò il ritmo di pubblicazione. Comunque
continuo, non c’è pezza che tenga *auto convincimento*.
Note: Sia lode!
*_____* (tanto per restare in tema…) ho deciso come finirà questo delirio!
Come al solito rispondo alle pie anime che commentano, poi
parto in quarta con questo capitolo che, credo, più inutile non possa esistere.
CloudRibbon: Grazie
ç____ç *commossa* ho avuto il dramma dell’ “oddio Kiba OOC in questo capitolo
>.<” (compresa la faccina U.U) da quando ho pianificato di scrivere il
combattimento. Sono contenta che, data la trama, sia ancora IC… o almeno, che
tu (e magari gli altri lettori/lettrici) lo consideri tale XD. Sì, lo so,
Hinata e Kabuto che lavorano insieme è una cosa inquietante, ma per il potere
che ho dato ad Hinata mi serviva in Infermeria… e Kabuto pure mi serve in
Infermeria (c’è il motivo!)… dunque la soluzione era solo questa. Sono felice
che tu abbia notato l’analogia con l’Itachi del manga, sul palo della luce
nella notte dello sterminio *___* intendevo proprio rievocare quell’immagine
quando l’ho piazzato a fare il guardone (X°DDD). Per quanto riguarda l’ultima
scena… XQ_____ non vedevo l’ora di scriverla. Anche se devo ammettere che, non
avendo voglia di correggerlo tutto (*Shikamaru mode: ON!) ci sono certe frasi
in cui non si capisce niente e che non hanno senso. Chiedo scusa *si inchina*.
Grazie per aver commentato, come al solito con una pergamena che mi ha fatto
tanto piacere, e spero che ti piaccia anche questo capitolo! ^.^
Girlstreet: Guarda,
se ti vai a leggere la prima versione di questo casino, ti giuro che non è
scritta meglio del foglietto illustrativo dell’aspirina =____= all’epoca anche
un frigorifero aveva più pathos di me. In ogni caso non anticipo se Kiba cambia
classe o meno, si scoprirà poi XP (a dire il vero in questo capitolo, da
pianificazione °___°). Grazie mille per aver letto e commentato!
Slice: Prima una
cosa perché altrimenti non mi ricordo! XD Alla fine ho letto le tue fic
*annuisce* tranne “Tempi di Pace” che, per motivi di assenza, non ho ancora
finito. “Pause per Enfatizzare” mi ha lasciato così: °___° quando Hiashi salta
fuori con la sua geniale trovata, e la fine è una figata! XD. Purtroppo non ho
recensito per motivi ignoti =.= ovvero la mia connessione e la frase “Inserisci
una Recensione” di EFP non concordano molto bene, a volte. Tornando al
presente, sono felice che lo scontro sia piaciuto, non sono esattamente un asso
nelle descrizione dei combattimenti, è già tanto se si capisce qualcosa XD.
Grazie per aver letto e recensito, come sempre!
Neki niku_dango: Io
dovrò abbreviarti questo nick *ci pensa altamente*. Comunque, grazie! *.* E
tranquilla, io penso di ospitare nel PC una famiglia intera di virus sotto
quarantena, so che vuol dire avere problemi di sorta. Sai… ho fatto del mio
meglio per far si che Shikamaru non si sbattesse al muro Kiba ricadendo
ovviamente nell’ OOC e nello YAOI spudorato! XD però mi sono trattenuta per il
bene comune XP. Grazie mille per aver letto e recensito!
Fallen_azraphel: *alza
pugno all’aria* ave all’arte dello scrocco! YAY! *tossicchia e si riprende* in
ogni caso, grazie mille per tutti i complimenti e, credimi quando dico che non
ti conviene avere metà della mia fantasia, perchè vuol dire slasharti ogni cosa
umana, appaiata e di sesso maschile che cammina e respira! XD Se sono riuscita
a slasharmi il postino e il vicino di casa (giuro, sembravano Romeo e Giulietta
in “elogio sul balcone alla raccomandata dell’Enel”) avere anche solo un
briciolo della mia fantasia è dannoso è____é. Grazie mille per aver letto e
commentato, spero che questo capitolo non ti faccia cambiare idea sulla fic
(XD).
Capitatapercaso: Tu
sai che, grazie al tuo geniale teatrino, adesso Itachi nella mia mente è “el
condor paza”? X°DDDDD e Luisa (la motosega con la lama di ghisa) me la dovrai
presentare, perché necessito di un compagno di giochi per Eufanio, io mio
bazooka con la verniciatura in titanio *______*…ma per l’amor dei Tarallucci,
basta con le cavolate XD. Il tuo commento è come al solito uno dei migliori,
davvero! E’ un piacere leggerlo. E vedrai che i dubbi e le domande irrisolte
non sono ancora finite, vi torturerò fino in fondo insieme a Sasuke Uch… emh,
nulla ^^’’’’. Grazie per il puntuale commento ^*^.
VavvyMalfoy91: Siiiiii!
Questa roba è un delirio! *se lo dice da sola e gioisce anche* XD comunque sì,
sta arrivando la ShikaKiba, ancora un po’ di pazienza! Grazie per aver letto e
commentato come al solito, omonima! XP
*riflette* questo elenco è ora che lo sposto in fondo alla
pagina, perché comincia ad occupare uno spazio considerevole.
Mi scuso per il ritardo della pubblicazione, ma ho avuto
tempi abbastanza limitati per scriverlo ^^’’’’
Ok, fine delle note, vi lascio al capitolo.
.:: Enjoy! ::.
Chapter
04 ~ Fourth Echo
Scelte
Solitamente, la gente normale si sveglia per due motivi.
Uno: suona la sveglia. Nei venti secondi successivi, in cui
il braccio scatta automaticamente per spegnere il “maledetto aggeggio”, la
mente ancora nei meandri della foresta del sonno comincia a carburare il minimo
indispensabile per farti ricordare il motivo assurdo per cui quel cavolo di
“bip bip” ha avventatamente interrotto il tuo bellissimo sogno -che
puntualmente non ricordi, ma puoi giocarti la mano che era meraviglioso-
catapultandoti nel mondo reale quando ancora non è sorto il sole.
Due: Risveglio biologico. Semplicemente non si può dormire
per sempre, anche se sarebbe il sogno dei più pigri, e dunque il corpo ci manda
l’impulso di svegliarci. Fra queste sono contemplate diverse altre cause; come
la posizione scomoda, la caduta dal letto, la fame, gli incubi, l’improvviso e
classico crampo al polpaccio e anche il mal di pancia.
Per questo, lui che rientrava fra le persone “normali”
-almeno fino al giorno prima- non riusciva a contemplare altri motivi per cui
il suo corpo, ormai in via di risveglio, gli mandasse l’impulso di aprire gli
occhi.
C’era qualcosa che lo infastidiva. Non sapeva cos’era,
sentiva solamente che non era impellente, dunque non vedeva per quale motivo
dovesse per forza aprire subito gli occhi.
Poteva sentirsi, ora che aveva ripreso coscienza di avere un
corpo. Girato sul fianco sinistro, poiché poteva sentire la morbidezza del
cuscino sotto la guancia sinistra, aveva di sicuro il lenzuolo che gli copriva
le gambe; ma non era questo il problema.
Si sentiva l’orecchio destro coperto da qualcosa e, muovendo
la mano in un primo, imponente sforzo mattutino, toccandosi la parte
interessata scoprì di avere ancora nell’orecchio la cuffia che Shikamaru gli
aveva passato la sera prima.
Se la tolse, dato che nemmeno quella piccola cosetta
costituiva il problema per cui doveva svegliarsi. Mugugnò spazientito,
distorcendo appena il naso. Considerando che aveva ancora l’auricolare,
probabilmente quella massa tiepida che sentiva alle sue spalle era Shikamaru
stesso.
Il che, di per sé, non gli interessava. Se aveva dormito
finora con accanto Shikamaru, proprio non capiva perché d’improvviso dovesse
dargli fastidio.
Non gli sembrava di essere in una posizione scomoda, o di
avere mal di pancia, mal di testa, fame, sete, urgenza di andare in bagno, la
nausea, il sospetto d’appendicite, male al collo, l’otite, la febbre, prurito
ad un piede, una corda legata al collo o un pachiderma sullo stomaco. Non gli
dava fastidio la luce, non era suonata la sveglia e di sicuro non c’era sua
sorella che attentava alla sua vita con l’arricciacapelli, come di solito
succedeva a casa sua.
E allora cosa diamine era quella sensazione fastidiosa?
E che cavolo! Doveva proprio riaprire gli occhi.
Si inumidì le labbra, sbadigliando profondamente e aprendo
un occhio con fare assonnato, osservando la prima cosa che si trovò davanti, in
traiettoria con il viso: un paio di occhi azzurri.
Sembravano tanto quelli di Naruto.
…
Aspetta, ma non doveva esserci la scrivania, da quella
parte?
Sì, sì! Era sicuro che sotto la finestra ci fosse proprio la
scrivania. Dopotutto, le camere erano tutte uguali, e la scrivania era nello
stesso posto per tutti.
Chiuse infine la bocca, aprendo anche l’altro occhio e
rendendosi effettivamente conto che, davanti a lui, c’era Naruto.
<< Cavolo Kiba, ti ho visto persino lo stomaco!
>> disse quello, probabilmente riferito allo sbadiglio, mentre rimaneva a
fissarlo, chinato sulle ginocchia in modo che le sue iridi azzurre fossero a
livello del volto del castano.
Eh no, questa volta doveva ammetterlo: non era di certo
un’allucinazione.
<< AH! >> urlò per un qualche motivo, alzandosi
velocemente e, agitando le gambe, scattò all’indietro con la schiena gridando
un imbarazzato e sorpreso: << COSA DIAMINE CI FAI IN CAMERA MIA?!
>> che rimbombò per tutta la stanza.
Mossa sbagliata, Kiba Inuzuka.
Perché ovviamente, dato che era impegnato a realizzare che
sì, Naruto era effettivamente in camera sua e sì, gli sembrava proprio di
averla chiusa la porta la sera prima -non era rincoglionito fino a quel punto!-
ciò che non ricordava assolutamente era che Shikamaru dormiva al suo fianco,
nonostante lo avesse, tra l’altro, appena considerato nel dormiveglia.
Andò a finire che, nella mossa per allontanarsi dal biondo,
la mano d’appoggio di Kiba scivolò sulla gamba di Shikamaru, facendo svegliare
il moro di soprassalto e, siccome il letto non era infinitamente largo,
facendolo arretrare dalla sorpresa insieme al castano, che ormai aveva
completamente perso l’equilibrio.
Risultato: Shikamaru diede una bella botta di sedere sul
pavimento dalla parte opposta e Kiba, con le gambe sul letto e la testa oltre,
scoprì con la zucca la durezza del parquet, riscoprendo inoltre un inarcamento
di schiena che sapeva fare solo a sei anni ma che adesso, più di dieci anni
dopo, probabilmente non era molto consigliabile effettuare.
Dopo qualche istante di silenzio, l’unico rumore che lo
interruppe fu la sguaiata risata di Naruto, seduto in terra a tenersi lo
stomaco. << Che figata! Sei uno spasso, Kiba! >> disse,
asciugandosi le lacrime e continuando a ridere senza riuscire a fermarsi.
<< Sì… certo, uno spasso… >> borbottò il
castano, assottigliando gli occhi nell’osservare la sua stanza sottosopra e
Shikamaru sollevarsi da terra con il busto, massaggiandosi il sedere con un
occhio chiuso.
<< Dove l’hai lasciata la finezza, in valigia?
>> chiese poi il moro al castano, sbadigliando appena.
Kiba, ignorando le risa sguaiate di Naruto che ancora
sembravano non avere fine, lo osservò attentamente. Aveva l’espressione
assonnata tipica di chi si è appena svegliato che lo faceva somigliare ad uno
di quegli alberi parlanti che aveva visto nel Signore degli Anelli; i capelli, inoltre, con il sonno erano
scivolati per metà dalla coda alta, che adesso tratteneva solamente qualche
ciocca, facendo assomigliare la sua testa alla coda spettinata di un cavallo.
Il colletto della camicia infine, dato che non si era nemmeno andato a mettere
il pigiama prima di piombargli in camera, era talmente spiegazzato che non si
riusciva a capire nemmeno che giro facesse e quante pieghe avesse.
In poche parole, una visione esilarante.
Trattenne a stento la risata, osservandolo mentre si
chiudeva la bocca con la mano.
Shikamaru lo guardò, sfoggiando una delle sue facce più scocciate:
<< beh, che c’è? >> chiese poi, seduto sul pavimento.
Non si trattenne, ridacchiando divertito: << sei… sei
ridicolo! >> rispose il castano, ridendo di gusto.
Non sembrava assolutamente che, solo ventiquattro ore prima,
fosse inchiodato al cemento di un cortile con la paura di morire.
Il moro non si espresse, limitandosi a poggiare il gomito
destro su un ginocchio e, conseguentemente, il mento sulla mano. << Ha
parlato quello a testa in giù >> rispose, chiudendo un occhio in un mezzo
sbadiglio trattenuto. << E comunque, carine le mutande a pallini, Kiba…
>> aggiunse, indicando con la mano libera il ventre del ragazzo che,
nella scivolata, era rimasto scoperto. Infatti, oltre la maglietta alzata per
via della forza di gravità e della strana posizione del castano, l’elastico dei
pantaloncini era sceso quel tanto che bastava a far vedere l’elastico della
biancheria.
<< MA SI PUO’ SAPERE DOVE GUARDI?! >> sbottò
improvvisamente il castano, imbarazzato, prendendo i lembi della maglia e
tirandosela di scatto verso il basso, coprendosi la pancia e l’elastico
criminoso.
Per tutta risposta, il moro si portò un dito all’orecchio.
<< Sei rumoroso >> disse poi, sempre osservandolo.
<< E TU SEI ODIOSO, PIANTALA! >> sbottò Kiba a
sua volta.
Sentì poi il materasso sobbalzare, prima che gli comparisse
a destra la chioma bionda di Naruto, steso a pancia basso sul letto in modo da
poterli vedere. << Suvvia Kiba, non c’è bisogno di vergognarsi così
tanto! Siete amici intimi no?
>> asserì Naruto, osservandolo con un’espressione che intendeva esattamente il lato sbagliato della
faccenda.
Se possibile, arrossì ancora di più.
<< MA NON E’ VERO! TE LO PUOI TOGLIERE DALLA TESTA!
>> urlò nuovamente, facendo forza sugli addominali per rialzarsi,
mettendosi seduto a gambe incrociate.
<< Tutte scuse! >> esordì il biondo con l’aria
di chi è orgoglioso della sua nuova scoperta. << Avete anche dormito
insieme! >> disse, mettendosi seduto a sua volta. Assottigliò poi gli
occhi blu, cominciando a prenderlo a gomitate nelle costole con un’espressione
di inquietante malizia. << E bravo il nostro Kiba, nemmeno io e Sasuke
siamo stati così veloci… >> insinuò con un sorrisetto che non prometteva niente di rassicurante.
Si sentiva la faccia in fiamme.
<< MA LA VUOI FINIRE? >> esclamò nuovamente,
allungando le mani e, prendendo le guance al biondo, tirandole fino a che la
bocca non si deformò in un risolino mostruoso degno di Halloween.
Naruto, di tutta risposta, riuscì a prendergli l’orecchio,
cominciando a tirare a sua volta. << She shei anhe allosshito![Se sei anche arrossito!] >> ribatté il
biondo, mentre Shikamaru si esprimeva in uno sbadiglio convinto.
Che cosa faceva quel cretino?! Che almeno gli desse man
forte, cribbio, qui si metteva in dubbio la sua morale!
<< Vuoi darmi una mano o no?! >> chiese poi il
castano, osservando il moro con un occhi chiuso a causa del dolore derivante
dall’orecchio in tensione.
Shikamaru si voltò, osservandolo dall’alto in basso -per
forza di cose-: << perché? E’ vero che abbiamo dormito insieme >>
esordì poi, ciliegina sulla torta.
<< Ma…?! >> Kiba rimase di stucco, osservandolo
con occhi sgranati.
<< Ah! >> esclamò poi Naruto << allora
avete veramente “dormito” insieme! >> aggiunse, liberandosi dalle mani di
Kiba.
<< Non dare al verbo “dormire” significati tutti tuoi!
>> rispose Kiba al biondo, puntandogli un piede in faccia per ripicca.
Naruto cominciò a ridere di nuovo, mentre Shikamaru si
copriva uno sbadiglio con la mano.
Lui non si svegliava spesso così, al mattino. Anzi, poteva
dire che non si era mai svegliato
così.
Tuttavia, nonostante il discorso prendesse una piega
imbarazzante in cui lui recitava la parte della vittima preferita, doveva ammetterlo:
era dannatamente divertente.
Era una cosa… da amici.
<< Bah, io vado a cambiarmi >> esordì poi il
moro, lasciando la camera ed infilandosi nel corridoio con le mani dietro la
nuca.
<< Ehi, il tuo lettore mp3! >> gridò Kiba,
guardando attraverso la porta mentre cercava di scampare ad un attacco
tira-guance-a-tradimento di Naruto.
Tuttavia non gli arrivò risposta.
<< E’ furbo, così ha una buona scusa per tornare!
>> esordì nuovamente Naruto, beccandosi un debole cazzotto da Kiba.
<< La vuoi smettere di fare insinuazioni pericolose,
Naruto?! >> disse lui, le gote comunque leggermente rossastre.
Naruto ridacchiò, portandogli poi il braccio intorno alle
spalle e abbracciandolo amichevolmente. << Sono felice che tu stia bene,
Kiba >> disse poi, spiazzandolo.
Dannato biondino…
Voltò il capo in sua direzione, sorridendo quasi
imbarazzato. << Sì, grazie… >> rispose << anche io sono
contento che tu stia bene >> aggiunse, osservandolo. Effettivamente, a
parte qualche cerotto sulle braccia e uno sul naso, non aveva altre ferite.
Doveva davvero avere una grande capacità di guarigione…
Naruto, una volta ascoltata la risposta, gli sorrise
allegramente. Lanciò un’occhiata all’orologio sul comodino, aggrottando le
sopracciglia in un’espressione pensosa. << Meglio che vado, fra poco
passa Sasuke da camera mia e sono ancora in pigiama >> disse, indicandosi
i pantaloncini arancioni e la maglietta a mezza manica bianca.
Saltò agilmente giù dal letto, correndo alla porta.
<< Ah, Naruto! >> lo fermò poi Kiba <<
oggi ci sono lezioni? >> chiese, finchè c’era.
Naruto negò con il capo << la scuola è ancora un
macello >> disse << diamo una mano. Anzi, ti conviene vestirti
leggero, oggi farà caldo >> aggiunse, osservandolo.
Kiba annuì, sospirando. << A proposito >>
aggiunse poi, rialzando nuovamente lo sguardo sul biondo << come sei
entrato? >> chiese, piegando un sopracciglio con fare dubbioso.
<< Dalla finestra! >> rispose il biondo, prima
di sparire per il corridoio con un’alzata di mano.
Kiba rimase imbambolato a fissare la porta. Doveva abituarsi
a non considerare Naruto sotto la categoria “persone normali”…
Quando si era presentato dal maestro Kakashi, intento
insieme ad alcuni alchimisti del quarto a ricomporre stile puzzle i pezzi delle
vetrate del ponte sospeso, l’uomo lo aveva guardato con fare quasi… paterno.
Oppure, semplicemente da maniaco protettivo.
Gli aveva appoggiato una mano sulla spalla e, con un sorriso
simpatico, gli aveva detto un:
<< credo che con le tue attuali conoscenze non
riusciresti a mettere insieme nemmeno una ciotola, sai? >>
Fu il suo sorriso di circostanza a svanire, in
quell’occasione.
Era vero. Di tutti gli alchimisti in quella scuola lui era
ancora il più scarso.
Così lo aveva mandato dalla professoressa Kurenai Yuhi,
l’insegnante di Esorcismo ed Esoterismo, incaricata della messa a punto
dell’edificio della biblioteca.
Aveva cancellato i primi secondi di conversazione, in cui
l’unica cosa che il suo cervello riusciva a concepire era quanto fosse corta la
gonna della professoressa Yuhi, riuscendo solo a capire che sì, poteva essere
d’aiuto.
La conquista del giorno era stata angolizzarsi in biblioteca
per rimettere in ordine i libri che, durante l’attacco, cadendo dagli scaffali
si erano mescolati.
In poche parole, catalogarli di nuovo in ordine alfabetico.
…Lui?!
Ma diamine, l’unico libro che aveva mai sfogliato in vita
sua era il libretto di istruzioni del video registratore, che si era impallato,
e lo doveva fare per forza perché si stava perdendo la fine di Fast &
Furious, ovvero un sacrilegio!
Non sapeva nemmeno che forma avesse, un libro. A scuola lui
non studiava, copiava, e figurarsi se i testi scolastici li metteva in
cartella! Erano, a casa sua, un ottimo soprammobile per prendere polvere e lui,
nello zaino, infilava solo il cibo e l’astuccio.
E ora, in piedi su una scala di legno con in mano “Delitto e
Castigo”, si stava sinceramente chiedendo se Dostoevskij c’era o ci faceva.
Uno che ci faceva di sicuro era Tolstoj con il suo “Guerra e
Pace” lungo due volumi. Lo aveva sfogliato prima, mentre riordinava lo scaffale
della “T”, e sfogliandolo aveva deciso che, se fosse stato per lui, un romanzo
simile avrebbe seguito l’esempio dettato dai suoi libri di scuola.
Sospirò affranto, sbattendo la fronte contro lo scaffale in
legno. << Il lavoro più brutto del mondo… >> sussurrò a se stesso,
tuttavia con tono abbastanza alto.
<< Molta gente non sarebbe d’accordo con te >>
arrivò una voce dal basso, attirando la sua attenzione. Una ragazza, capelli
castano scuro raccolti in due crocchie sulla testa, lo osservava con un mano
altri cinque volumi che andavano riposti nella lettera “D”.
Era Ten Ten, quarto anno della classe Angelica. Da quello
che gli era stato riferito due ore prima, cioè quando aveva cominciato a fare
quel lavoro, loro due avrebbero dovuto occuparsi insieme dell’ala ovest della
biblioteca che, non lo credeva possibile, ma era molto ampia. Solamente Dio
sapeva quanta fatica aveva fatto ad ignorare le ali grigie alle spalle della
ragazza, anche se per lui erano solamente una sottospecie di fantasmi
evanescenti oltre la maglia bianca in stile cinese che indossava la ragazza.
Sbuffò, tirandosi su le maniche della maglietta nera con i
bordi dorati che indossava, piegandosi il più possibile per raggiungere e prendere
i volumi che lei gli passava. << Lo so >> le rispose al contempo
<< ma io non riesco a concepire di starmene chiuso in casa con il naso su
un libro al posto di uscire e divertirmi >> disse, girando le copertine
dei libri in modo da osservarne i titoli sui frontespizi. Arricciò il naso leggendo
il titolo in lettere dorate “Hard Times”, piegandosi con il busto verso
sinistra e infilandolo, fra “Il Circolo Pickwick” e “Le Avventure di Oliver
Twist”, nella fila dedicata ai venti romanzi scritti da Dickens.
Ten Ten ridacchiò appena, osservandolo dal basso. <<
Certe persone non ne possono più di vedere questo mondo, per questo si
rifugiano nei mondi di fantasia >> disse, sorridendo gentile al suo
sguardo.
Sinceramente, quel discorso non riusciva a capirlo. Forse
perché si sentiva una marionetta che ancora non aveva visto nulla del vero
mondo, quello popolato da mezz’angeli e medium, che stava vedendo da molto
lontano, ma che lentamente riscopriva pian piano.
Come si può riuscire a vedere tutto il mondo, tutte le sue sfaccettature, e avere il tempo di
mettersi lì a leggere libri?
Storse di nuovo il naso, prendendo in mano una copia
leggermente devastata de “Il Mastino dei Baskerville”, chiuso in una copertina
giallo spento con le lettere nere che formavano il nome “Athur Conan Doyle” in
alto, in piccolo e al centro della copertina.
<< Che c’è ora? >> chiese poi la ragazza,
recuperando qualche libro da terra per passarlo al castano.
<< Non riesco ancora a capirlo >> rispose poi il
castano, alzando un sopracciglio mentre sfogliava il libro da posizionare dopo
la fila di Dostoevskij << cosa ci può trovare la gente si così
interessante in un detective saccente e in un medico che lo segue baciando la
terra su cui cammina? >> chiese retoricamente, inserendo poi al suo posto
il volume.
<< Beh, Inuzuka, finchè non leggi non lo saprai mai
>> si limitò a rispondere Ten Ten, passandogli altri tre volumi. <<
Vado a vedere se c’è qualche altro libro, torno fra poco >> disse poi,
incamminandosi a ritroso fra gli scaffali.
<< Bah >> esclamò invece Kiba, ritornando al suo
noiosissimo lavoro. Posò “La Signora delle Camelie” di Dumas dopo la linea di
Doyle. Non vedeva l’ora che arrivasse l’ora del pranzo, Naruto aveva detto che
Ichiraku gli aveva fatto una sorpresa. E poi, sempre meglio mangiare sul tetto
che chiuso in uno sgabuzzino gigante pieno di libri di ogni genere e odorante
di polvere e carta stampata.
Prese l’ennesimo volume, osservandone con espressione
inorridita la copertina, dove troneggiava una citazione latina appena sotto al
titolo.
<< Il Nome della Rosa >> lesse ad alta voce
<< Umberto Eco. Eco… “E”. Cosa ci fai tu nella “D”? >> chiese al
libro, ovviamente senza pensare che quello potesse voltarsi e rispondergli,
cominciando a guardarsi intorno. A pochi metri dietro di lui, lo scaffale con
la lettera “E” d’ottone era ancora semi-vuoto e in disordine.
<< Ah >> esclamò seccato, tendendosi per
inserire -o almeno appoggiare- il volume nello scaffale giusto.
Andò com’era prevedibile che andasse.
La scala, che ovviamente non era assicurata a terra come in
tutte le biblioteche un po’ attempate, scivolò sotto il peso di Kiba facendogli
mancare l’appoggio. Kiba se ne accorse solamente quando non si trovò nient’altro
che aria sotto ai piedi, prima di sbattere il sedere sul pavimento
piastrellato.
<< Porca pu…! >> urlò poi, trattenendosi per un
semplice miracolo divino dal dire tutto l’insulto che gli era venuto in mente
che, poco ma sicuro, avrebbe fatto incendiare tutti i crocifissi dell’intera
accademia.
Forse fu destino.
O, più semplicemente il caso.
Lui, personalmente parlando, lo chiamò “sfortuna”.
Fatto sta che, esattamente lì davanti, in mezzo alla pila di
libri che aveva capitombolato insieme a lui giù per lo scaffale, uno dei volumi
si era aperto ad una particolare pagina.
E fu proprio quella pagina, mentre cercava di rialzarsi e
recuperare il materiale caduto, che attirò la sua attenzione con una semplice
parola: Cercoteri.
Stop un attimo. Dove l’aveva già sentita quella parola?
Era sicuro che non fosse una marca di biscotti e non era
nemmeno un tipo di tè.
Eppure come parola suonava famigliare. Qualcuno gliela aveva
già pronunciata, probabilmente.
Tuttavia, fu proprio quel senso di dejà-vu a fargli prendere
in mano il libro, leggendo l’introduzione di quel capitolo con un senso di
curiosità sempre maggiore.
« Una delle leggende
più interessanti è sicuramente quella riguardante i Bijuu, ovvero i Cercoteri o
“Demoni delle Code”.
Erano nove divinità
della natura, molto potenti e temute, riconosciute grazie al numero delle code
(da 1 a 9) e, a seconda di esse, con diverse abilità e potenza.
Per mano di alcuni
esseri umani, questi demoni furono poi rinchiusi in alcuni oggetti magici
chiamati “Sacrari”, e in essi lasciati per molti secoli, sigillati in modo che
non potessero più portare danno alla Terra, che cadde così in mano alla razza
umana.
A seguire, un elenco
dei nove cercoteri con le loro principali caratteristiche. »
Si fermò, alzando gli occhi dalla pagina per osservare un
punto qualsiasi del pavimento.
Per “Demoni delle Code”…intendeva per caso…?
Rifletté per qualche minuto sul significato di quelle
parole, mentre lentamente sfogliava una per una le altre pagine.
A pagina 91 vi era un’immagine, evidentemente una copia di
una vecchia stampa giapponese, di un Tanuki (*1) formato per la maggior parte
da sabbia che, sospinta da quello che sembrava vento -il disegno non era
chiarissimo- dava alla suddetta sabbia la forma di una coda.
Sotto, il paragrafo cominciava con le parole “Demone a Una
Coda (Ichibi): Shukaku del Vento” e si lanciava in una alquanto prolissa spiegazione
dell’immagine e, successivamente, in una descrizione del demone illustratovi.
La lesse, interessato più che altro a capire se quella cosa
che aveva affrontato due sere prima era qualcosa di similmente ricollegabile ai
demoni delle code.
Era sicurissimo, si ricordava che Shikamaru aveva definito
Naruto come “mezzosangue” quando aveva spiegato il fatto che il seme di un
demone chiamato “Kyuubi” si stava sviluppando all’interno del ragazzo.
E, inoltre, Sasuke quella notte aveva espressamente urlato qualcosa
come “quattro code non sono abbastanza”.
E, ora che ci pensava meglio, la bionda con manie omicide
aveva un’aura sicuramente somigliante a un qualcosa con sei code.
Aprendo la bocca inconsciamente, probabilmente per la
sorpresa, sfogliò le pagine velocemente fino ad arrivare alla 96, trovandovi
scritto esattamente quello che cercava: “Demone a Sei Code (Rokubi): Raijuu del
Fulmine”.
«Raijuu ha la forma di una donnola con la
pelliccia dorata e ispida. Le sue code, sei in tutto, prendono la forma di
lampi e, nella mitologia, viene spesso raffigurato al fianco del dio scintoista
del lampo Raiden. Solitamente è calmo e tranquillo, tranne durante le tempeste,
dove comincia a saltare da un albero all’altro, provocando tuoni e lampi con le
sue sei code. »
Beh, se quella non era la descrizione della cosa che aveva
fatto casino quella notte, non vedeva assolutamente cos’altro potesse
avvicinarglisi.
Certo però, che i demoni della natura all’interno degli
esseri umani… si poteva fare? Erano sigillati, rinchiusi o roba del genere?
Essendo talmente concentrato su quel libro, ancora seduto a
terra, non si accorse minimamente dei passi che si erano susseguiti lentamente,
diventando sempre più udibili, sempre più vicini…
<< Noto che hai trovato un libro interessante >>
esordì poi una voce, esattamente “sopra” di lui.
Sobbalzando appena alzò il volto, riuscendo ad esprimersi
solo con una risatina stupida e chiudendo il libro di scatto.
Tutti, tutti in quella scuola si sarebbe aspettato di
incontrare. Persino il bidello fantasma che si raccontava facesse da guardia al
terzo piano -quando la scuola ne aveva solamente due- oppure Shikamaru con un
tutù rosa -il che, al solo pensiero, gli faceva venire la nausea-… ma non lei!
Non la preside!
Si diede un contegno, evitando di esprimere in parole tutte
le maledizioni che stava pensando altrimenti sì che i crocifissi, oltre che
incendiarsi, sarebbero anche esplosi. Sorrise, con uno di quei sorrisi tirati
che si fanno quando devi tentare di nascondere in una partita di poker che non
hai più nemmeno le mutande da giocarti, rivolgendosi a lei con un: <<
Madamigella… Tsunade! >> che non avrebbe incantato nemmeno una gallina
ubriaca.
E la preside non solo non era una gallina… ma era inoltre in
uno di quei rari momenti in cui non era nemmeno ubriaca.
Lei rispose con un sorriso dalla leggera ombra maliziosa,
appoggiandosi la mano destra a fianco. << Tranquillo, non ti mangio mica
se prendi in prestito un libro dalla biblioteca >> disse lei, ovviamente
in codice.
“Ti consiglio vivamente di leggerti quel libro” per somma
decodificazione lampo.
Deglutì, alzandosi poi in piedi, il libro in questione
ancora sotto braccio. << Aveva bisogno di qualcosa? >> chiese poi
l’Inuzuka, spolverandosi i pantaloni e il sedere indolenzito dalla caduta.
Aveva già saggiato in svariate occasioni la durezza del
pavimento di quella scuola, quante altre volte doveva farlo ancora?!
Tsunade lo osservò in tutti i suoi movimenti con
un’espressione rilassata e un sorrisetto sulle labbra che, da quel poco di
esperienza che aveva, non lo rassicurava affatto.
La donna annuì, senza togliergli lo sguardo di dosso.
<< Sì, di te >> disse << ti vanno due passi? >>.
Pochi istanti dopo camminavano affiancati lungo il giardino
esterno alle mura dell’accademia, su di un marciapiede abbastanza stretto che
costeggiava le mura esterne di quella che doveva essere stata la navata della
vecchia chiesa.
Mentre Tsunade camminava serena, Kiba al suo fianco non lo
era per nulla.
Perché quella donna lo stava portando fuori dall’accademia, lontano
dagli occhi di tutti? Lontano da qualsiasi aiuto alato, indemoniato, con le
code e magari anche con un kilt se fosse stato necessario? Non riusciva a
capirlo.
Forse voleva fargliela pagare per tutti i danni che aveva
fatto e che, per la loro enormità, l’avevano costretta ad interrompere le
lezioni fino alla settimana successiva.
Però era anche vero che i danni non li aveva fatti lui…
Allora forse lo voleva colpire in testa con un bastone e
abbandonarlo in un fosso, o sulle rive di un ruscello. Erano in mezzo al nulla
più sfrenato, ma almeno un fosso doveva pur esserci, erano in campagna!
Poi a sua madre, venuta a scuola credendo di dover prendere
a mazzate il figlio per un qualche guaio combinato insieme ad una nuova cricca
di scalmanati adolescenti pseudo-intelligenti, avrebbe ricevuto la notizia che
suo figlio era scomparso in seguito ad un incidente, mentre magari lui era
legato nelle cantine simil-sotterranei insieme al cadavere della ragazza
gettatasi da tetto.
No, cioè… forse era semplicemente lui che si sparava troppi
horror quando non aveva niente da fare.
Fu per quello che, quando la donna prese parola, Kiba
sobbalzò appena.
<< Non fare quella faccia inorridita Inuzuka, non ho
intenzione di violentarti bloccandoti schiena al muro! >> scherzò la
donna, ridacchiando appena e fermandosi a guardarlo.
Ecco, quell’opzione gli mancava, sinceramente…
<< Eh! Non ce la farebbe! >> esordì poi Kiba, il
libro ancora sotto braccio. Insomma, anche se era leggermente più robusta delle
normali altre donne della sua età, aveva un seno talmente abbondante che si
chiedeva come facesse a stare nella maglietta verde che indossava e si
vociferasse che avesse una forza portentosa… lui era agile e poi era sempre un
ragazzo… no?
<< Io non ci giurerei >> rispose quella, sorridendo
di nuovo in quella maniera inquietante.
Ecco, per l’appunto.
<< Lasciamo perdere per un minuto le assurdità
Inuzuka, ti va? >> chiese poi la donna, scostandosi dal volto una ciocca
della frangetta bionda che, per la scarsa lunghezza, non poteva entrare a far
parte dei due codini in cui teneva legati i capelli. Il suo sguardo tornò su di
lui, prima di continuare: << Ti ho cercato per sapere la tua risposta… e
per avere delle spiegazioni, a dirla tutta >> disse lei, appoggiandosi
con la schiena al muro.
Kiba tacque, abbassando appena lo sguardo a terra con
un’espressione crucciata. La risposta, eh?
<< Ci ho pensato… >> esordì poi, rialzando lo
sguardo sulla donna << …ma credo di non saperla ancora, la risposta
>> aggiunse, socchiudendo gli occhi e sospirando.
Facile a dirsi, per chi a cose come quella era abituato.
Se la sognava lei, la vita normale nel vero senso della parola. La vita che lui faceva fino ad
una settimana prima.
<< Posso capire come ti senti, Inuzuka >>
intervenne poi lei, distraendolo dai suoi pensieri.
Ecco, già cominciava male.
<< Sei stato catapultato in questo lato del mondo
troppo tardi, quando la tua mente era già basata su certi schemi di
apprendimento da essere umano. E’ logico supporre che tu ti senta spaesato, che
tu voglia persino andartene a casa e tornare a fare la vita che facevi prima…
>>
Bingo.
Almeno aveva la capacità di analisi, quella donna.
<< Tuttavia, se vuoi farlo lo devi fare subito
>> esordì poi lei, fissandolo con espressione seria << prima che
ricomincino le lezioni >> aggiunse, continuando ad osservarlo.
Prima di… lunedì?
Rimase senza parole, aprendo la bocca incredulo. << In
così poco tempo? >> domandò poi, aprendo le braccia in una posizione
istintiva di sbalordimento.
Tsunade annuì. << E’ necessario per te >> disse
poi, incaricando le braccia al petto e rimanendo appoggiata al muro con la
schiena. << Se vuoi tornare ad essere uno studente “normale”, è inutile
se non dannoso che tu continui le lezioni di Hatake. Studiare Alchimia non ti
servirebbe a nulla e non farebbe altro che rubarti tempo ed energie >>
spiegò paziente, il tono profondo ma femminile << inoltre, ormai sai… >> aggiunse, facendo una
piccola pausa prima di riprendere: << e le persone che sanno non hanno vita facile, in mezzo a
chi crede e basta. Ora tu vedi loro, ma loro vedono te, è una specie di
Scambio Equivalente >> terminò pacata, chiudendo gli occhi dalle iridi
castane per qualche istante.
Aveva capito il significato… o almeno, pensava di averlo
capito.
Ora lui sapeva che esistevano angeli e demoni, il Diavolo e
Dio. Sapeva che gli esorcismi che si vedevano ogni tanto in TV servivano
effettivamente a qualcosa, e non erano solamente trovate per un nuovo film
horror. E tutto quello, era infinitamente diverso dal credere in Dio e basta.
Madamigella Tsunade aveva ragione.
Ma non era il momento di stare a piangersi addosso.
Aveva una decisione da prendere, una decisione importante, e
lui non aveva assolutamente intenzione di pensarci un giorno di più, ottenendo
tra l’altro l’unico risultato tangibile di farsi tornare il mal di testa.
E parliamone, le pastiglie che gli aveva dato Kabuto
avrebbero steso un rinoceronte africano incazzato, per quanto erano potenti.
Sospirò affranto. Avrebbe basato la sua risposta sulla
risposta della donna alla domanda che stava per farle.
Perché non voleva tornare a casa e sorbirsi le pare mentali
della madre, nel caso. Come non voleva tornare a casa e mentire spudoratamente
sul motivo per cui se ne era andato da quell’accademia.
Deglutì, osservando la donna con fare serio ma sfacciato.
<< Mia madre… >> cominciò poi, non potendo far altro che scostare
gli occhi da quelli della preside << lo sapeva, dove mi mandava? >>
chiese infine, fissando un particolare filo d’erba, che altro interesse non
aveva più del semplice fatto di trovarsi lì.
Tsunade sorrise. << Sì >> rispose poi, cercando
forse di renderlo più indolore possibile.
E che cavolo! Certe notizie hanno bisogno di un po’ di
contorno, dirlo direttamente equivaleva ad una stilettata al petto!
Dove aveva studiato le buone maniere quella donna, ad
Alcatraz? (*2)
Bene, perfetto. Aveva appena scoperto che il mondo era
ignobile e che sua madre sapeva anche più di quello che dimostrava di sapere.
E non era solamente quello il punto. Il fatto stesso che sua
madre -sua madre!- lo conoscesse
meglio di quanto lui conoscesse se stesso lo lasciava alquanto perplesso e con
terrificanti dubbi psicologici.
Un altro dubbio gli venne poi in mente: << non mi dica
che, fino ad adesso, mi ha tenuto qui in prova… >> esordì contrariato, sformando
le labbra in una smorfia quasi schifata.
La preside annuì di nuovo, mandandogli in pezzi quel residuo
di autostima che si era guadagnato lanciandosi coraggiosamente all’attacco
contro il demone a sei code.
Eh no, col cavolo! Aveva un orgoglio, lui! Non si faceva
prendere per i fondelli da due donnette di mezz’età con manie di dispotismo!
<< Rimango! >> scandì sicuro, grattandosi il
naso con fare contrariato << col cavolo che mollo, per chi mi ha preso
quella? >> borbottò poi, riferendosi ovviamente alla madre.
Tsunade ridacchiò divertita, sorridendo allegramente.
<< Perfetto >> disse, tornando ad osservarlo con espressione meno
tesa. << Ora passiamo ad altri problemi >> cominciò poi, tornando a
fissarlo più rilassata.
Perché, quanti
problemi riguardavano lui in quella scuola?!
<< Sasuke Uchiha mi ha raccontato che, la notte del
suicidio, stavi per buttarti dalla finestra del corridoio dei dormitori in
preda ad un attacco di sonnambulismo. E’ vero? >> chiese, la voce piatta
e calma, osservandolo.
Doveva smetterla di parlare così direttamente, quella donna, o gli sarebbe venuto un infarto
prima di cena.
E adesso? Che fare?
Dire cose come “no guardi, a dire il vero sognavo grandi
prati verdi e, sentendo una voce, mi sono risvegliato appiccicato ad Uchiha con
un piede che pendeva nel vuoto” non era esattamente il massimo.
Insomma, non era credibile e, inoltre, se lui avesse dovuto
ascoltarsi non si sarebbe creduto.
Certo, c’era anche l’opzione “non sono mai stato sonnambulo
in vita mia e Shikamaru può testimoniare” ma poi il punto erano le due domande
che ne conseguivano.
Prima: “perché, tu e Nara dormite insieme? Cos’è, non sarete
mica…?” con un sorrisetto malizioso che, lo giurava, sulla preside lo vedeva
perfettamente. E non era il caso di alimentare certi tipi di voci, dato che
quella scuola sembrava non avere muri da quanto veloce passava una notizia da
una bocca all’altra,
Seconda: “ma se non sei mai stato sonnambulo allora come
facevi ad essere lì in pieno stato di dormiveglia?” e, ahilui, si ritornava al
problema principale.
Tanto valeva optare per la verità, questa volta.
Fu così che la preside fu la prima persona in assoluto a
sapere di quegli strani sogni.
Di come aveva visto e vissuto il primo suicidio, di come
avesse fatto ad incontrare la ragazza del demone a sei code e, con lei,
arrivare persino a scatenare la battaglia all’interno del cortile interno. E,
persino, di come avesse sentito quella voce rimbombargli nella testa e il
crocifisso trasformarsi in quella spada di cristallo ed oro.
E sì, doveva ammetterlo… una volta raccontato tutto a
qualcuno, si sentiva meglio.
Tsunade ascoltò tutto senza proferire parola, non perdendosi
nemmeno una virgola dall’inizio alla fine della spiegazione del ragazzo.
Infine, portandosi la mano destra al mento, sorrise
leggermente.
<< Si direbbe che tu sia empatico, Inuzuka >>
disse poi, tornando ad incrociare le braccia al petto.
Empa… cosa?!
<< Eh? >> esordì il castano alzando un
sopracciglio.
La preside rise lievemente, cambiando peso da una gamba
all’altra. << Empatico >> ripeté << l’empatia è la capacità
di percepire i sentimenti e le sensazioni provate dalle altre persone come se
fossero tue. In poche parole, le senti tu come le sentono le persone con cui
sei in contatto >> disse, spiegandosi meglio.
In effetti, in quei sogni… tutte le emozioni, tutte le
sensazioni, le provava lui come se fossero realmente sue.
<< Ma di giorno non mi succede >> intervenne
<< eppure entro in contatto con molte persone >> aggiunse,
formulando una domanda retorica.
<< Questo perché l’empatia si sviluppa in modo diverso
a seconda del soggetto. Solitamente si scopre da piccoli di possederla e,
sviluppandola adeguatamente, con il tempo si arriva gradualmente a
controllarla. Tu, o probabilmente i tuoi genitori, l’avete rifiutata, rinnegata
in un certo qual modo, dunque la tua capacità è rimasta latente all’interno di
te >> disse, fermandosi un momento in modo che il castano potesse
seguirla nel discorso. << E’ per questo che si sviluppa solamente durante
il sonno. Quando dormi non hai controllo sui tuoi poteri, dunque la tua empatia
è libera di mostrarsi. Sei entrato in risonanza con quelle due ragazze, perché
in quel momento i loro sentimenti erano particolarmente intensi o violenti. E i
sogni, beh… sono l’unico modo in cui il tuo potere può mostrarsi, dato che
dormi >> disse, voltandosi e cominciando ad incamminarsi verso il portone
principale.
Kiba le tenne dietro, affiancandosi a lei.
Poteva fare “ciao ciao” con la manina alla sua bellissima
posizione nella categoria “essere umano normale”. E, la cosa che lo disturbava
di più, non era che sua madre sapeva questa interessantissima -ovviamente in
senso ironico- cosa, ma che avesse addirittura preso provvedimenti senza
comunicarglielo.
E, soprattutto, che dovesse essere empatico proprio nel
momento migliore della sua giornata, ovvero quando si dormiva!
No, aspetta. C’era qualcosa che non tornava.
<< E il tempo? >> chiese poi, voltando il capo
verso la donna << come faccio a vederli prima che succedano? >> chiese, mentre aspettavano che il portone
venisse aperto per farli entrare.
<< Secondo te perché hai sognato solo suicidi,
Inuzuka? >> chiese di rimando << perché non gli incubi della
persona che ti sta vicina di stanza, oppure un qualsiasi altro sentimento?
>> aggiunse, stanca di aspettare e aprendo da sola l’enorme portone.
E lui che ne sapeva perché? Non aveva ancora capito se
questa empa-roba era qualcosa di buono o no!
Di una cosa era sicuro, non si sarebbe mai messo a fare a
cazzotti con la preside dopo la dimostrazione di forza che aveva appena dato
aprendo quel portone, poco ma sicuro.
<< Non lo so >> ammise, più che altro per non
perderci troppo tempo in ragionamenti che, non avendo le basi, nemmeno poteva
fare.
Tsunade entrò all’interno dell’edificio, cominciando a
percorrere il corridoio principale. << Perché i suicidi sono sempre
premeditati. E’ la premeditazione che rende i sentimenti più forti e che crea
quello che è il più potente di tutti i sentimenti dopo l’amore >> si
fermò, voltandosi in sua direzione, osservandolo << …la paura. Le persone
terrorizzate, Inuzuka, sono quelle con meno autocontrollo e, dunque, quelle a
cui è più facile “leggere” i sentimenti >> disse, riprendendo a camminare
ed imboccando il corridoio che portava alla presidenza.
Sì… aveva già provato cosa significava avere davvero paura
di qualcosa.
<< Continuerà così tutte le notti? >> chiese
poi, seguendo la donna mentre svoltava nel corridoio delle segreterie che già
una volta aveva visitato.
La donna si fermò, voltandosi verso di lui con espressione
calma e tranquilla. Lo guardò poi, stirando appena le labbra in un sorriso
<< forse per i primi tempi >> disse << ma ho intenzione di
darti una mano. C’è una persona, in questa scuola, che potrà esserti d’aiuto
con il tuo “problema” >> aggiunse, facendo con le mani il segno delle
virgolette sulla parola problema.
Altro che virgolette, poteva dirlo forte!
Non aveva di certo intenzione di svegliarsi tutte le notti
madido di sudore e con il cuore a mille, o peggio, in mezzo al cortile!
<< Te la presenterò a tempo debito >> concluse
poi la preside, ricominciando a camminare in direzione delle segreterie
didattiche. << Piuttosto, ti devo domandare un’altra cosa >>
continuò poi, probabilmente stilando una lista di punti con quello che doveva
domandargli.
Kiba sospirò rassegnato. Non se ne sarebbe andato da lì
molto presto…
E cominciava a venirgli fame.
<< Che cosa hai intenzione di fare con la classe?
>> domandò poi la preside a bruciapelo.
Rimase un attimo di stucco, indeciso sulla comprensione
della frase.
<< In che senso? >> chiese poi, piegando
involontariamente in sopracciglio in un’espressione ebete di chi non ha capito
una mazza del discorso o, nel caso, si era perso un pezzo da qualche parte.
Tsunade sospirò, chiudendo gli occhi in un’espressione rassegnata.
<< Beh, considerando la scoperta ce tu sei effettivamente empatico, ormai
puoi essere considerato un Esper in tutto e per tutto. Non ha senso che ti
tenga fra gli Alchimisti, quando esiste una classe adatta alle tue potenzialità
>> spiegò lei, arrivando alla porta delle segreterie e, aprendola,
salutando Shizune con un cenno della mano. Kiba continuò a seguirla sotto sua
richiesta, riflettendo.
Diventare Esper a tutti gli effetti, con la spilla a
triquetra al posto di quella esagonale che aveva ora, significava rinunciare
completamente alla sua “umanità” in un certo senso.
O almeno, lui la vedeva così.
Significava cambiare classe, metodo di studio, insegnante.
Non sapeva nemmeno cosa si insegnava, a degli Esper.
E poi, a dirla tutta, l’Alchimia non gli dispiaceva.
Era più… umana.
Anche se, diciamocelo, trasmutare venti spille da balia in
un paio di forbici tramite un cerchio disegnato a gessetto non rientrava
esattamente all’interno di quella che era la normale comprensione degli esseri
umani.
…chiedere non uccideva nessuno.
<< Non posso… rimanere nella classe di Alchimia?
>> chiese dunque, fermandosi appena prima della porta dell’ufficio della
preside, osservandola sorridere in sua direzione.
<< Immaginavo che me lo avresti chiesto >> disse
quella << e non vedo perché tu non possa restare fra gli Alchimisti
>> aggiunse poi, facendogli l’occhiolino.
Aprì appena le labbra in una smorfia di incredulo stupore.
Cos’era, una di quelle persone che adorava farsi adulare? Non poteva dirglielo
subito e risparmiargli tempo prezioso che avrebbe potuto usare per andare a
pranzo, per esempio?
Decise di non commentare semplicemente per risparmiarsi
un’ulcera perforante.
<< Ah, c’è un’ultima cosa che vorrei dirti >>
disse poi la donna, aprendo la porta dell’ufficio ed entrandovi.
Kiba la seguì. Non sembrava uno di quegli uffici spaventosi
delle serie cinematografiche, con i mobili in mogano scuro e le poltrone in
pelle per incutere timore agli studenti che, per una o per l’altra causa, si
trovavano in presidenza. Anzi, al contrario.
Era un ufficio luminoso, dai colori chiari, con una grande
finestra alle spalle della scrivania che dava sull’esterno dell’accademia,
dunque sui campi ora arati che d’estate venivano coltivati a grano, o a mais.
L’ufficio aveva la strana forma a semicerchio e, alle
pareti, vi erano attaccati diversi poster raffiguranti stampe giapponesi
dell’epoca Edo (*3) e nature morte. Una replica de “I Girasoli” di Van Gogh era
appesa esattamente di fianco alla porta, in quell’unica parete piana che
permetteva di appendere qualche quadro. Lungo tutta la parete curva poi, in
prossimità del soffitto, una fila di cornici ritraeva uno per uno i presidi di
quell’accademia che, scoprì poi più tardi, avrebbe festeggiato presto il
cinquantesimo anniversario dalla sua fondazione.
Un altro modo per definire quell’ufficio era “caos”. La
scrivania, soprattutto, era piena zeppa di volumi aperti ed impilati l’uno
sull’altro. Foglietti di ogni sorta uscivano dai cassetti, dai risvolti della
moquette, persino da sotto i mobili e avrebbe giurato che quel rettangolino
giallo che pendeva dal lampadario fosse un post-it con la lista della spesa.
Con sua sorpresa poi, in piedi accanto alla scrivania, un
paio di occhi candidi lo osservavano pacati. Neji Hyuga, in effetti, era in
piedi accanto alla scrivania e, a quanto sembrava, attendeva proprio loro.
<< Grazie per essere venuto, Neji >> disse la
donna, facendo il giro della scrivania e sedendosi sulla poltroncina in tessuto
nero dallo schienale alto.
Quello distaccò le braccia dal petto, portandole lungo il
busto. Portava i capelli raccolti nella solita coda lenta, alcuni ciuffi che
gli ricadevano lungo il viso dai lineamenti dolci e dalla pelle chiara.
Indossava un paio di pantaloni bianchi e, al di sopra, una camicia bianca con
le maniche arrotolate fino al gomito.
E, con quelle ali dorate che Kiba intravedeva solamente,
tutto quell’accostamento di colori lo faceva veramente sembrare quello che era,
ovvero una creatura angelica.
<< Si figuri. Le ho chiesto io di chiamarmi, dopotutto
>> rispose quello, tornando a guardare Kiba che, immobile, li stava
osservando con la palese espressione di chi non ci capiva più niente.
Prese parola la preside: << Per quanto riguarda il
crocifisso, Inuzuka, sarà Neji a spiegarti bene cos’è quell’oggetto e, nel caso,
ad aiutarti >> disse la donna, sorridendo e, poggiando i gomiti sulla
scrivania, incrociò le mani davanti alla bocca.
E, da quel momento in poi, lo comprese.
Avrebbe sicuramente saltato il pranzo…
Ringraziò mentalmente ogni santo esistente di essere
finalmente riuscito ad orientarsi in quella scuola.
Alla fine non era difficile, se prendeva come punto di
riferimento il ponte sospeso e l’atrio delle classi. Ed era proprio su quel
ponte, momentaneamente più somigliante ad un corridoio di plastica a causa dei
fogli di nilon che sostituivano le vetrate, che stava camminando con un mano la
sua cena; ovvero un panino con tacchino, insalata maionese ed olive.
Dopo ore di chiacchierata con la preside, dove puntualmente
aveva patito la fame e saltato il pranzo, era venuto fuori che Neji sarebbe
stato una specie di “maestro” per lui e che, nel pomeriggio dopo scuola,
avrebbe fatto qualche ora di “lezione” con l’arcangelo in modo da poter
controllare il potere del crocifisso.
Anche se, in cosa consistessero quelle lezioni, alla fine
nessuno glielo aveva detto.
Inoltre, da quello che era riuscito a capire mentre cercava
di ignorare i crampi che il suo stomaco disperato gli inviava, per quell’altro
problema dell’empatia, un insegnante dell’accademia si sarebbe premurato di
aiutarlo a controllare i suoi poteri, in modo da poterli utilizzare solo se
richiesti.
In modo da dormire finalmente sonni tranquilli senza
ritrovarsi sul davanzale di una finestra, aveva pensato lui.
In ogni caso ancora non sapeva chi era e, inoltre, il mal di
testa che gli era rimasto dallo scontro contro il demone gli era ritornato in
tutta la sua dolorosa magnificenza.
Per questo quella sera non aveva sopportato un secondo di
più il continuo chiacchierare della mensa, che gli entrava nel cervello con la
stessa naturalezza di migliaia di aghi. Gi sembrava di avere dei calabroni
piantati fra la fronte e il naso e, prima che potessero anche solo pensare di
portargli il vassoio con la cena, aveva disperatamente chiesto ad Ichiraku di
preparargli qualcosa da mangiare da qualche altra parte.
Dopo aver ringraziato e preso il panino al tacchino che gli
veniva offerto, si allontanò di gran passo dalla mensa, diretto all’edificio
della biblioteca con un obiettivo preciso: il terrazzo.
Era sera ma, essendo comunque ancora settembre, non era poi
così freddo.
Una volta raggiunta la porta vista in precedenza insieme a
Naruto la aprì, non sorprendendosi… anzi, non considerando il fatto che potesse
essere così facilmente non chiusa a chiave. Salì le scale, tenendo il panino
nella sinistra e le dita della destra sulla relativa tempia, massaggiandosela
in cerchi circolari.
Stramaledetto mal di testa. Non poteva nemmeno prendere
subito le pastiglie perché era a stomaco vuoto.
E aveva pure lasciato il cellulare in camera. Se chiamava
sua madre… no, era sicuro che avesse già chiamato almeno cinque volte, dunque
non c’era nemmeno da porsi il problema.
Terminò di salire le scale con espressione scocciata,
aprendo di scatto la porta con un calcio del piede non particolarmente violento,
troppo impegnato a sorreggere la cena e a massaggiarsi la testa per usare le
mani.
E, una volta che riuscì a vedere il cielo sereno e stellato,
un’altra visuale lo lasciò principalmente perplesso.
Alla limitare soffuso della luce di una piccola lanterna
attaccata appena sopra la porta, Shikamaru lo fissava di traverso con i gomiti
appoggiati alla ringhiera e il corpo leggermente piegato in avanti.
Kiba ammutolì per qualche istante, osservandolo solamente
senza proferire parola.
Aveva i capelli legati come al solito, ma la camicia a
quadretti psichedelici della sera prima era stata sostituita da una maglietta a
maniche lunghe di colore nero con un drago rosso al lato del petto, che si
arrampicava fino al colletto in una posa contorta. Al di sotto, un paio di
jeans neri davano un tocco quasi oscuro al ragazzo.
Si guardarono, inizialmente senza spiccicare parola… prima
che Shikamaru rompesse il silenzio: << E’ proprio vero, hai lasciato la
finezza a casa >> esordì, tornando a fissare il nulla oltre la ringhiera.
Kiba storse il naso, chiudendosi con poca grazia la piccola
porticina alle spalle. << Può darsi >> sbottò poi, alzando lo
sguardo su di lui. << Piuttosto, ecco dove ti rifugi tutte le sere!
Cos’è, spaventato dalle relazioni umane che si intraprendono a tavola,
comunemente chiamati “dialoghi”? >> chiese, in un palese tentativo di
stuzzicarlo.
Shikamaru non rispose, limitandosi solo ad un <<
…forse >> che non lasciò molto spazio per l’immaginazione del castano.
Si avvicinò dunque, senza nemmeno pensare a chiedere il
permesso, oppure se con la sua presenza disturbasse e, con un’altra azione atta
al disturbo, si appoggiò pesantemente alla ringhiera, a poca distanza dal moro.
Osservò a sua volta quello che, teoricamente, guardava
Shikamaru.
… cosa? Cosa, che non si vedeva un fico secco?!
Cioè, sì, le stelle e la sagoma della scuola, ma oltre a
quello non c’era proprio un tubo da guardare.
<< Si può sapere che stai guardando? >> chiese
dunque, rimuovendo in tempo lampo dal suo cervello il piano “disturbiamo
Shikamaru finchè non strippa”.
Il moro sbuffò, chiudendo gli occhi con fare seccato ma
annoiato al contempo per poi voltare le iridi scure in sua direzione: <<
nulla in particolare >> rispose, poggiando il mento alla mano destra.
Quel ragazzo lo faceva impazzire, quando si comportava in
quel modo. Soprattutto quando cambiava carattere dal giorno alla sera.
Cioè, insomma… anche se era imbarazzante ammetterlo, prima
veniva in camera sua e poi non lo considerava nemmeno?
Ah, a proposito di camera sua…
<< Ohi! >> esordì, frugandosi nella tasca dei
pantaloni larghi che indossava. Chiuse la mano su un affarino piccolo e con dei
fili arrotolati attorno, estraendo dalla tasca il lettore mp3 del moro.
<< Lo hai lasciato da me >> aggiunse, facendo l’errore più
madornale della sua vita senza nemmeno pensarci: lo lanciò.
Ovvio che lui, con il mal di testa che si ritrovava e
l’intontimento dovuto al poco sonno degli ultimi tempi, non avesse molta mira.
Ed era anche ovvio che Shiakamaru, completamente perso nei
suoi pensieri, non reagì in tempo per afferrarlo.
Ma più che altro… Kiba, la mamma non ti ha mai detto che non
si lanciano le cose nei posti alti o, comunque, vicino ad una balconata?
Cosa succede, per esempio, se sbagli mira?
Successe tutto troppo in fretta perché entrambi lo
realizzassero.
Il piccolo aggeggio volò incontro al buio oltre il balcone,
poco spostato da Shikamaru che, sorpreso dal lancio troppo repentino, non
riuscì a muoversi abbastanza velocemente.
Kiba, per rimediare all’errore, si sporse con il busto oltre
la ringhiera, poggiandosi ad essa con il ventre e tendendo la mano per prendere
il piccolo affarino… perdendo l’equilibrio.
A nulla servì lasciare istintivamente il panino per cercare
di tenersi ad uno dei sostegni della ringhiera, ormai era troppo sbilanciato e
sentiva gradualmente i piedi staccarsi dal suolo e agevolarlo nella sua caduta
nel vuoto.
<< Ah…! >> riuscì solo ad esclamare, sentendo
giù lo stomaco chiuso nel precipitare verso il basso e il dolore del suo ventre
una volta trafitto da quelle croci in ferro che, a discapito del tempo e della
pioggia, si ergevano al termine di ogni tettoia.
Che morte… stupida.
Quando ormai era già pronto per urlare disperato, o per
attaccarsi disperatamente alla speranza di un appiglio di fortuna, successe
quello che non si sarebbe mai immaginato succedesse: l’ombra della ringhiera
provocata dalla piccola lucerna si mosse e, prendendo letteralmente vita, gli
si avvolse attorno ai polsi e alle caviglie, riportandolo non solo in
equilibrio, ma anche con i piedi per terra e con il corpo lontano dallo
strapiombo.
Era come essere stretti… dal nulla. Nonostante sembrasse
avere un volume, occupare uno spazio… quell’ombra era talmente eterea da non
parere nemmeno vera.
Era fredda… come la mano di un fantasma che ti si posa sulla
pelle per accarezzarti dolcemente.
Respirò, finalmente, prendendo più aria possibile
all’interno dei polmoni alternandosi in respiri veloci.
Ne aveva abbastanza di rischiare la vita in quella scuola,
anche e soprattutto per delle cavolate.
Quando l’ombra lo lasciò andare, ritornando della sua
precedente forma, voltò il capo verso Shikamaru. Era ovvio che era stato il
moro a manovrare l’ombra in tempo per salvargli il culo ancora una volta…
<< grazie Shikamaru, io…! >> ma non terminò nemmeno la frase.
Il moro si era inginocchiato a terra, ansimante, con la mano
destra piegata a tenersi stretta la maglietta esattamente in mezzo al torace,
avrebbe detto quasi sul… cuore. Respirava a fatica e, dato il colorito pallido
che stava gradualmente prendendo la sua pelle, sudava anche freddo. Aveva gli
occhi chiusi, serrati, e tentava disperatamente di riprendere aria e di
regolarizzare il respiro, come se… se si controllasse.
Ma la preoccupazione prese il vantaggio sulla ragione,
questa volta. Uno ad uno, palla al centro.
<< Shikamaru stai…? >> tentò di chiedere,
avvicinandosi di scatto al moro e appoggiandogli una mano sulla spalla.
La frase non andò oltre.
Improvvisamente il fiato gli si bloccò in gola mentre il
cuore, rimbombandogli nelle orecchie, mancò un battito come se si dovesse
fermare da un momento all’altro.
Tensione, difficoltà, ansia… paura.
Questi sentimenti… non erano… suoi! Non erano suoi!
Chiuse gli occhi in preda ad un improvviso dolore al capo,
come se lo avessero colpito alla fronte con una stilettata e, quando li riaprì,
Shikamaru era scomparso.
E, con lui, anche il tetto e la scuola.
Si trovava in un luogo strano, pieno di colori, di
palloncini e di persone che, tutte sorridenti ed insieme ai loro figli,
camminavano frettolose in mezzo alla folla. In lontananza, oltre quel mare di
persone, le travi in ferro e le cabine colorate di quella che aveva tutta
l’aria di una ruota panoramica. A poca distanza da un palo, sotto un grappolo
di palloncini gonfiati ad elio, un clown alzava la mano in aria e, con la sua
voce melodiosa risuonante al di sopra del rumore delle chiacchiere delle
persone presenti, canticchiava:
<< Mangiate lo
zucchero filato! Provate la giostra! Sedetevi sulle tazze da tè e sulla Ruota
Panoramica! >>
con una voce sottile e leggiadra che, anche se urlava,
risuonava comunque piacevole.
E, a poca distanza da lui, un bambino.
Avrà avuto circa dieci anni. Aveva un palloncino rosso
stretto nella mano destra, le gote bagnate da alcune lacrime ma gli occhi… non
dicevano nulla. Non esprimevano nulla.
E il cuore batteva in petto al bambino, come nel suo, di una
paura radicata ma inestinguibile.
Una di quelle paure in cui puoi dire solo “è presente, non
posso farci nulla” e lasciarla perdere finchè non scompare da sola.
Ma ciò che lo lasciava perplesso era che quel bambino, con
quei capelli mori leggermente lunghi, assomigliava troppo… a Shikamaru.
Allo Shikamaru di quella foto che, la prima sera, aveva
preso fra le mani nella camera del ragazzo.
Si alzò in piedi, guardandosi ancora attorno mentre le voci
delle persone presenti, nonostante la folla, scemavano pian piano nel silenzio.
<< Dove…?! >> balbettò Kiba, osservando agitato
il posto in cui sembrava finito tutto d’un tratto.
<< Non lo vedi? >> rispose il bambino,
facendogli un sorriso che avrebbe definito solamente come “folle”. <<
Siamo in un Luna Park! >> disse, con voce gioiosa nonostante gli occhi
non la esprimessero.
E nonostante nel cuore, poteva sentirlo, avesse solamente…
paura.
Chapter No.4 ~ End.
*1- Tanuki:
animale mitologico giapponese. Un incrocio fra un cane e un procione.
*2-
Alcatraz è un carcere di massima sicurezza che prende il nome dall’omonima isola
situata nelle acque di San Francisco (California, USA)
*3- Epoca
Edo: noto anche come Periodo Tokugawa, dal nome della famiglia che deteneva lo
shogunato (ovvero la massima carica politica e militare). Il nome è preso dalla
capitale Edo, chiamata poi Tokyo dal 1869. L’Epoca Edo va dal 1603 al 1867.
Capitolo 6 *** Interlude 01 - Specchi sul Passato ***
Note: Dio, non si può
Note: Dio, non si
può… non si può guardare l’anime di D.Gray-man e rimanere innamorati persi
della canzone in pianoforte che suona Allen nell’episodio 93… XQ_____ la sto
ascoltando da due ore a ciclo continuo…
Ma lasciamo perdere e passiamo alle risposte, così
finalmente comincio questo capitolo che, per mio sommo gaudio, è il primo
“Interlude” *______*
VavvyMalfoy91: Eheh,
io adoro finire i capitoli con il colpo di scena! XD E comunque non sai che
sofferenza far dire quelle cose a Kiba nella scena della biblioteca, io adoro
leggere ç___ç mi venivano i sensi di colpa. Però parliamone, Kiba non mi sembra
tipo da chiudersi in camera a leggere XD. Mi fa molto piacere che la fic ti
piaccia, sul serio! *annuisce* ma oltre a metterla nei preferiti (cosa di cui sono
onorata) non credo che sarebbe un avvenimento da pubblicazione universale! XD
Ah, non sei l’unica che credeva che Kiba cambiasse corso, però io sono una
ficwriter bastarda e ho deciso che rimaneva negli alchimisti!
MWAHAHAHAHAHAHAHAHAH! *___* … ok, ora basta XD Grazie per aver letto e
commentato (ancora)!
Slice: Figurati,
fare uno schemino sulle classi non anticipa nulla sul corso della trama, e se
ti è d’aiuto lo faccio volentieri *annuisce* anche perché, all’inizio, me lo
sono fatto pure io *prende fuori il quadernetto degli appunti*.
Comunque lo metto in fondo alla pagina perché altrimenti
quassù prende troppo spazio. Inoltre sono contenta di essere riuscita a far
piacere la ShikaKiba, nei limiti del possibile °_____° pensavo che mi avrebbero
lanciato uova marce solo a vedere l’introduzione XD. Comunque grazie mille per
aver letto e commentato anche questa volta!
CloudRibbon: X°DDDDD
sì, concordo, noi due abbiamo probabilmente una sorta di tempismo ottimale!
*____* il capitolo del Pozzo! (<- nomignolo con cui chiamo la fic, perché
pronunciarlo in inglese è sacrilego, per me). In ogni caso, andiamo per gradi,
come al solito. Credo sia la centesima volta che ti ringrazio per i tuoi
complimenti sul mio stile di scrittura, ma tanto io lo faccio ancora! XD Grazie
mille, non li merito! E no! Pensare nello Yaoi Side of Life non è male, è bene!
*o* (per me la colpa è tutta della TsuzukixHisoka, dato che è Yami no Matsuei il primo manga che ho
letto! XD della serie: roviniamoci la vita già d’in partenza…) Per quanto
riguarda l’ironia, beh, sono veramente contenta che dopo un tot di capitoli non
cominci a stomacare. Anche perché io sono ironica proprio di natura, dunque mi
ci trovo abbastanza… e poi dai, non me lo vedo Kiba perennemente serio, mi fa
venire i brividi. Per il finale… eh, lo scoprirai cos’era! XD Sarà materia di
questo capitolo e, teoricamente, una volta finito dovresti capire di cosa si
trattava. E sì, la scena della biblioteca esprime la visione che la maggior
parte delle persone hanno dei libri. Ora ti saluto e passo avanti, così non
prendo troppo spazio! XD Grazie per avermi “letto” ancora! ^*^
Rei Murai: Ora
spiegami, io qui che ti devo dire? XD Ti dico già tutto su MSN! (ovviamente
tranne gli spoiler, soffrirai fino in fondo U___U). Visto quanta gente si è
appassionata alla ShikaKiba? Visto? Tutto merito tuo! XD Ti lovvo anche io! =*
Soarez: Oddio
davvero, sono felice che la mia fic ti piaccia! Come mi fa felice che piaccia
la coppia, vuol dire che la rendo bene e questo mi rassicura ^____^. Per quanto
riguarda Kiba guarda, biecamente parlando, è proprio per il fatto che
Kishimoto-sensei non lo utilizza come personaggio principale che non mi riesce
troppo difficile muoverlo. Nel senso che il suo carattere non viene sviluppato
completamente proprio di trama, dunque si possono sempre sfruttare quei lati
“bui” non mostrati nel contesto originale. Se poi ricadrà nell’ OOC,
probabilmente sarà per esigenze di trama, ma cercherò di trattenermi
*annuisce*. Ah, poi… come fai a dire che Shikamaru con il palloncino è tenero,
a me inquieterebbe un casino! >.< Vabbè, grazie mille per avere letto e
commentato, spero che questo capitolo non deluda le tue aspettative!
Capitatapercaso:
Si, Sasuke, tenta il suicidio *____* *assatanata*… emh! *si schiarisce la voce*
grazie mille -credo che non finirò più di dirlo- per il tuo commento! E sì, era
proprio un capitolo di transizione, anche perché a parte l’ultima scena non
succede poi molto XD. Staremo a vedere se anche questo è di tuo gradimento
*annuisce*. Ma povero Itachi nel teatrino! Pare un tantino sadomaso, sai? XD
OnlyAShadow: Beata
te donna che sei andata in montagna =___=’’’ *muore di caldo* e comunque
tranquilla, teoricamente andando avanti si dovrebbe capire di più XD. Naruto,
sì… nonostante nel manga con Kiba ci battibecchi più che andarci d’accordo, qui
riesco a muovermelo solo da fratellino maggiore… e parliamone, io ho lo
stereotipo di Naruto delle doujinshi SasuNaru, è una fortuna che non me lo
muovo pucciosamente uke una scena sì e l’altra pure! XD Comunque avrai modo di
inquadrare sia Neji che Sasuke più avanti *annuisce*. Ora ti lascio anche io,
così non rompo troppo! XD Grazie mille per aver letto e commentato di nuovo!
Ok, ultima cosa poi tolgo il disturbo.
Questo capitolo è una completa boiata. Non so veramente come
definirlo, di conseguenza non so darvi il mio parere sul mio stesso operato.
Non so nemmeno che sensazione possa dare °_____° starà a voi dirmelo.
Per precisione, il pezzo fra un titolo e l’altro vuole
essere una sottospecie di introduzione per riprendere il filo della narrazione.
Ah, altra cosa! Siccome Kishimoto-sensei non specifica molto
il passato di Shikamaru io non avevo elementi sufficienti per ricrearlo (almeno
in parte) oppure per adattarlo alla storia. Con questo, vi avverto che ho usato
biecamente questa mancanza per la costruzione del capitolo. Perciò, il passato
di Shikamaru che di seguito viene illustrato non c’entra nulla con il manga. E,
suvvia, non è sotto la categoria “Alternative Universe” per niente! XD
Fine delle comunicazioni di servizio. A voi il primo
“Interlude”!
.:: Enjoy! ::.
Chapter
05 ~ Interlude 01
Ancora osservava il bambino sorridere falsamente, fissandone
gli occhi scuri e tristi in netto contrasto con quel sorriso dai toni vivaci.
Non riusciva a capire. Sogno? Realtà? Cos’era quello?
Ricordava di aver toccato Shikamaru perché non si sentiva
bene, inginocchiato sulla veranda dell’edificio della biblioteca… no, non stava
dormendo. Era sveglio quando lo aveva fatto. Quello non era di certo un sogno.
E allora cos’era? Realtà?
Impossibile. Non era quella la realtà.
Si rialzò in piedi dalla posizione inginocchiata, tirandosi
lentamente su e portandosi subito una mano alla tempia destra. L’emicrania
pulsava ferocemente, provocandogli scariche di dolore intenso che non facevano
altro che intontirlo.
Come tutto quel mondo, i cui suoni sembravano fuori posto e
selettivi. Non si sentiva lo scalpiccio della folla che, frenetica, camminava
avanti e indietro portando in giro ragazzini e bambini, le cui mute risate
comparivano solo come sorrisi senza suono. Non si sentiva la musica degli
altoparlanti, lo scoppiettare dei venditori ambulanti di pop-corn e lo
sferragliare delle giostre tutte intorno. Si sentivano solamente i suoi passi,
echeggianti come se stesse camminando in un corridoio completamente vuoto, le
risatine del bambino e la voce melodiosa e acuta del pagliaccio che, sotto il
nugolo di palloncini, ancora urlava la sua nenia:
<< Vengano
signori, vengano! Provate la ruota panoramica, lo zucchero filato e
l’ottovolante! >> ripeteva infinitamente << Vuole un palloncino, signora? Un palloncino
per il suo bambino? >> chiedeva poi, sporgendosi verso una donna con
figlio a seguito che, nonostante muovessero le labbra e sorridessero al clown,
non emettevano alcun suono.
Vedeva il suo costume bianco a pallini colorati, le scarpe
lunghe e rosse, le mani coi guanti gialli… ma per quanto sforzo facesse, non
riusciva a vederlo in faccia. Era sempre, perennemente nascosto da quei
palloncini.
<< E’ inutile, non riuscirai a vederlo >> esclamò
poi il bambino, osservandolo incuriosito con ancora qualche residuo di quel
falso sorriso che gli aveva visto fare finora, che gli tirava appena l’angolo
destro delle labbra in una smorfia strana.
Kiba lo fissò seriamente, probabilmente pensando alla domanda
che doveva fare. Se era una di quelle stupide visioni empatiche che -gli aveva
detto la preside- potevano prendergli a contatto con sentimenti troppo forti,
avrebbe poi volentieri trovato il posto dove infilargliele, quelle visioni.
Per il momento, doveva pensare a trovare una soluzione a
quel problema e, l’unico che sembrava saperne qualcosa, era quella specie di
Shikamaru in miniatura.
Sospirò, cercando di calmarsi e di convincersi che no,
questo non era nulla. Solamente -forse- una visione, dunque era falso, tutto
falso.
Strano, tentare di convincersi di una menzogna quando sai
che non lo è affatto.
Proseguì comunque, avvicinandosi al bambino con pochi passi
fino a che non gli fu a quasi un metro e mezzo di distanza. Osservandolo
dall’alto al basso, decise di stare al gioco: << Perché? >> chiese,
a voce bassa dato che rimbombava tutto. infatti, nonostante avesse emesso solo
un sussurro, sembrò che avesse parlato con il suo tono normale.
<< Perché lui non vuole >> rispose il bambino,
guardandolo ora con espressione stupita e, unendo le mani dietro la schiena, si
chinò verso di lui con il busto, osservandolo curioso. Sembrò annusare l’aria
intorno a lui, sfigurando poi il viso del piccolo Shikamaru con un sorriso
malizioso quando sembrò aver trovato quello che andava cercando, assottigliando
gli occhi scuri. << Che bello, che bello! E’ arrivato il giocoliere!
>> esclamò poi, battendo le manine. Il palloncino rosso, legato al polso,
si mosse a seconda della corda rimbombando come un basso fuori scala.
Stava cominciando a stufarsi. E parecchio, anche.
<< Sei tu che mi hai portato qui? >> chiese poi,
usando un tono perentorio. Solitamente con i mocciosi funzionava.
Ma non con lui. Continuava a sorriderein quel modo adulto maledettamente
strafottente e, guardandolo, si portò le mani dietro la testa, i gomiti aperti
a fianco di essa. << Io? >> chiese poi, indicandosi con l’indice
della mano destra << bu-bu! Sbagliato! >> esclamò, muovendo il
ditino da destra a sinistra davanti al suo naso. Lo osservò, ghignando
maliziosamente: << Io non ho fatto niente, tu sei venuto da solo…
>> rispose, saltellando un passo indietro.
<< No che non ci sono venuto da solo! >> ribatté
l’Inuzuka acido. Se Shikamaru era davvero così sfacciato da piccolo, povera la
madre, era una santa anche più di quella despota della sua!
<< Invece sì! >> ribatté infantilmente il
piccolo Nara, facendo una linguaccia. << Io non ti ci ho chiamato, e
neanche lui! >> ribatté ancora, indicando con la mano sinistra il clown
intento ad gridare, facendo muovere il palloncino al gesto.
E cosa cavolo gli significava quel palloncino?
Calma Kiba, calma… ci doveva pur essere un modo per togliere
i piedi da quel casino!
Come funzionavano quelle visioni? Non c’era un modo per
spegnerle?!
<< Ohi, signor giocoliere? >> chiese poi il
bambino lamentandosi, senza tuttavia avanzare di nemmeno un singolo passo in
sua direzione, mantenendo fra loro una distanza costante di due metri circa. <<
Facciamo un gioco? >> propose poi, sfoggiando uno di quei sorrisetti da
schiaffi che vedeva dall’equivalente di cinque minuti e che già odiava
profondamente.
Kiba non rispose, osservandolo solamente come se dovesse
mangiarselo all’istante.
il piccolo sorrise più ampiamente, assottigliando gli occhi
in ancora più malizia. << Giochiamo a “prendi la cosa importante”!
>> esordì con voce allegra, sempre guardando Kiba.
<< E se non volessi giocare? >> chiese dunque il
castano, lasciando diritte le braccia lungo i fianchi.
<< Male, male! >> ribatté quello con la vocetta
infantile, scuotendo il capo a destra e a sinistra << Non va bene, perché
la cosa che devi prendere è molto, molto, moooooooolto importante! >>
aggiunse, aprendo le braccia sopra il capo per cercare di dare un’idea di
quanto potesse essere essenziale.
Ora ricordava perché odiava i bambini.
Davvero. Se sua madre si fosse mai sognata di dire “voglio
un nipote” rivolgendosi a lui sarebbe stata la volta buona per spezzargli tutte
le ossa.
Sospirò tuttavia. Perché nonostante il moccioso a forma di
Shikamaru taglia XS fosse una vera e propria piattola, sembrava l’unico che ne
sapesse qualcosa. Anzi, sembrava addirittura l’unico con cui potesse parlare
nel senso letterale del termine.
<< Sentiamo, cosa sarebbe questa cosa? >> chiese
dunque.
L’espressione che fece il piccolo, improvvisamente, sembrava
quella di un adulto in tutta la sua infame cattiveria. << Io >>
rispose semplicemente. << E se ti stai chiedendo il perché, giovane
giocoliere… >> continuò, il tono ora basso e sussurrato << …pensa:
non ti piacerebbe uscire da qui?
>> terminò, un sorrisetto di sfida sul volto.
Kiba sussultò appena, sgranando gli occhi. Aveva appena detto…
“uscire”?
<< Tu sai… dov’è l’uscita? >> chiese sorpreso,
avanzando di un passo.
Quasi immediatamente, il bambino indietreggiò di uno.
<< Sì, è quello che ho detto >> confermò sorridendo. Sempre sorridendo.
Kiba lo guardò ancora, probabilmente ragionando per prendere
una decisione. Ma, tuttavia, dentro di sé già sapeva che l’aveva presa ancora
prima di cominciare a pensarci sopra. Ghignò beffardo, scattando velocemente
contro il bambino, tutto il peso portato in avanti per far sì che lo scatto
fosse molto veloce e, in un certo senso, lo cogliesse di sorpresa.
<< Ti ho pres…! >> esultò a pochi centimetri da
lui se non fosse che, prima anche solo di sfiorarne la maglietta, scomparve
letteralmente sotto il suo naso e lui finì con il naso per terra e il sedere
per aria.
Alzò poi gli occhi nell’udire una risata cristallina,
puntando le iridi sul moccioso che, beatamente, se la rideva a più di cinque
metri di distanza.
Altro che uscita, se lo prendeva lo ammazzava a suon di
ceffoni.
Esatto… se lo
prendeva.
Perché veloce quanto vuoi, ma un essere umano non può essere così veloce. Era letteralmente scomparso quando ormai gli era
addosso e, una cosa simile, l’aveva vista fare solamente a Son Goku (*1). Non
si sarebbe sorpreso di sentire che qualche alieno di un pianeta con il nome
impronunciabile gli avesse insegnato la tecnica del Teletrasporto.
Cioè, ormai non si stupiva più di niente, era quello il vero
problema.
<< Eh no! Col cavolo che mollo! >> sbottò
successivamente, rialzandosi in fretta e cominciando a correre dietro al
bambino che, attraversando il parco giochi, si muoveva agilmente. Anzi, lui
correva come un disperato per stargli dietro, al punto da farsi venire male ai
muscoli delle cosce, mentre quello saltellava allegramente stile “Heidi sulle
montagne che fanno ciao”, facendo una cosa come cinque metri per saltello,
mentre lui se li faceva tutti a gambe e fiato.
Quella era la riprova che erano nel mondo reale quanto lui
in realtà si chiamava Barbara.
E lui non si
chiamava Barbara.
Lo seguì nuovamente in quella corsa esasperante finchè il
moccioso, ritornando al punto di partenza, non fece un rapido giro attorno al
pagliaccio dei palloncini, infilandosi poi all’interno di una casetta scura e
dall’aria fatiscente.
Kiba, senza nemmeno guardare dove fosse entrato, lo seguì
velocemente, ignorando il fatto che ora l’intero parco dei divertimenti era
vuoto e che, soprattutto… il clown aveva smesso di reclamare attenzione,
ammutolendosi mentre li osservava entrare nella Casa degli Specchi.
Shikamaru’s
Lullaby
Specchi sul Passato
Si
ritrovò in mezzo agli specchi senza nemmeno sapere come ci era finito.
Rallentò
il passo, passando dalla corsa alla camminata e, successivamente, fermandosi totalmente
in mezzo ad un percorso fiancheggiato da miriadi di specchi. Affannato, si
guardò intorno.
Specchi,
specchi… non vedeva altro che specchi. Oltre alle file sui lati anche al
soffitto, collegati con cavi in acciaio pienamente visibili, avevano appeso
degli specchi. Il pavimento era fatto di specchio anch’esso, ma sembrava più
vetro riflettente che altro. Infatti, l’immagine di lui che vi ammirava sopra
era leggermente distorta.
Lo
stesso non si poteva dire per tutti gli altri. Riflettevano una sua immagine
perfetta, presa da diverse angolazioni a seconda di dove fosse lo specchio in
cui guardava, riflettendo a sua volta il riflesso del riflesso e, di
conseguenza, creando quello strano effetto di moltiplicazione in scala ridotta.
Era
il classico effetto ottico che utilizzavano in quelle case per disorientare i
passanti.
Continuò
a guardarsi intorno sospettoso, osservando specchio per specchio se si vedesse
la traccia, anche la scia, del rosso di un palloncino.
Il
luogo era immerso in un silenzio innaturale e, soprattutto, non aveva la minima
idea da dove arrivasse la fievole luce che lo illuminava. Sicuramente non da
lampadari elettrici, dato che gli unici che riusciva ad intravedere sul
soffitto erano spenti.
Solamente
il suo respiro affannato rompeva il silenzio.
Forse
a causa della corsa -anche se ancora non concepiva perché facesse fatica in un
mondo fittizio- la sua polo bianca a maniche lunghe gli si era appiccicata
addosso mentre, dal collo, una piccola gocciolina di sudore scendeva
impunemente, lasciando una scia salata lungo la giugulare.
<<
Dove diavolo sei finito, stramaledetto moccioso? >> sussurrò a se stesso,
fissando ora il volto su uno degli specchi alla sua destra, ovvero in quello
che rifletteva pienamente e integralmente la sua immagine.
Sembrava
che, pian piano, la superficie si stesse deformando. La sua bocca distorceva in
un ghigno mostruoso, così come per la sua faccia… finchè, da quella strana
distorsione, non uscirono delle parole. Parole marchiate a fuoco, che
scioglievano lo specchio nello stesso tempo in cui venivano incise, facendolo
colare a terra in gocce simili al mercurio.
Le
lesse con pazienza, aspettando man mano che ogni termine venisse concluso in
quella breve e strana scrittura.
Al principio di ogni causa
La osservò, non sapendo in nessun modo come interpretarla,
sbuffando. Non facevano prima a far comparire la scritta “uscita per di qui” ?
Sarebbe stato molto più facile, soprattutto per lui!
Sbuffando nuovamente si avvicinò allo specchio in questione,
osservando scocciato le parole marchiate sulla sua superficie. Prima le annusò…
poi, quando non ci trovò nessun odore particolare, alzò una mano nel tentativo
di toccarle, sperando che non fosse ancora incandescente.
Ma il contatto non avvenne nemmeno. Ancora prima che potesse
appoggiare il polpastrello su quella superficie, fu lo specchio stesso che, con
un grugnito ed un brontolio sinistro, cominciò a deformarsi di nuovo.
Kiba piegò un sopracciglio, rimanendo imbambolato a fissare
la superficie riflettente. Lo specchio aveva appena… ringhiato?
Ancora prima che l’istinto gli suggerisse di togliersi dai
piedi, sullo specchio venne riflessa una mano. Immobile, aperta a mostrargli il
palmo, se ne stava semplicemente lì riflessa, fluttuante nel vuoto.
Si voltò di scatto, pensando con orrore al trovarsi un
moncherino di mano galleggiare nel vuoto di fianco a lui. Stava persino per
colpirla nonostante avesse voce e fiato bloccati in gola ma… ma… non c’era
nessuna mano, di fianco a lui.
A bocca aperta si voltò nuovamente, ritrovano il braccio
sullo specchio ancora nella stessa posizione.
Ma non per molto.
Muovendosi improvvisamente, la mano uscì letteralmente dallo
specchio e, afferrandolo per il colletto della maglia, lo trascinò con forza
verso di esso.
E lui, semplicemente, lo oltrepassò. Lo superò come se
avesse semplicemente rotto una superficie liquida che lo aveva risucchiato al
suo interno per capillarità e, una volta superata, lo scenario cambiò
completamente.
Si trovava all’interno di una stanza rettangolare, luminosa,
con un buon profumo di fiori e le pareti bianche. Tre finestre abbastanza ampie
erano spalancate nella parete di fronte a lui, alcuni uccellini appoggiati sui
suoi davanzali cinguettavano allegramente riempiendo il silenzio. Alcune risate
e urla infantili si potevano sentire, oltre le finestre, probabilmente
provenienti dal cortile. Due grandissime librerie erano attaccate al muro alla
sua destra mentre, alla sua sinistra, una lavagna prendeva tutta la parete.
Dietro di lui vi era una porta a due ante lasciata aperta e, in centro alla
sala, una fila doppia di cattedre una di fronte all’altra riempiva lo spazio
altrimenti vuoto. Non aveva contato quante fossero esattamente, ma tutte erano
più o meno disordinate e piene di fogli; qualche compito da correggere, qualche
test con segni rossi un po’ ovunque, comunicazioni dalla segreteria didattica,
libri di testo semi-aperti o ammassati in lunghe pile, giornali, quotidiani,
una rivista di moda e articoli di cancelleria a volontà, soprattutto matite.
Sembrava tanto, ma proprio tanto una Sala Insegnanti di una
qualche scuola pubblica… e lui se lo ricordava molto bene, com’erano fatte,
dato che a farsi riprendere dai professori ci passava un’ora sì e l’altra pure.
Tuttavia… aveva qualcosa di strano. Non vedeva computer,
palmari, cellulari… nessuna cosa che superasse, come tecnologia, il livello di
un tostapane.
Poi, mentre ancora analizzava la situazione imponendosi una
calma che non aveva realmente, alcune voci lo distrassero; provenivano dal corridoio
e l’eco dei passi sembrava in avvicinamento.
<< Allora che ne dice, signorina Sendou? >>
stava dicendo una voce maschile abbastanza giovanile << posso invitarla
fuori a cena? >> continuò, causando l’ilarità di qualcuno, probabilmente
una donna data la risata profonda ma educata.
<< Se lo scordi Tatsuya >> rispose probabilmente
la diretta interessata << non esco con i colleghi >> aggiunse poi,
freddamente a quanto sembrava dalla voce.
Diamine, erano vicini! Troppo vicini!
Si guardò freneticamente intorno, alla ricerca di un posto
in cui nascondersi. Non poteva mica starsene lì in piedi a fissare i professori
in arrivo con espressione ebete! Anche se non sapeva chi fossero, o che tipo di
scuola fosse quella, lui aveva sempre l’aspetto di uno studente, era solo in
aula insegnanti e, soprattutto, non aveva di certo un’aria innocente!
Scartò subito l’idea di rintanarsi sotto una cattedra. Se
solo si fosse seduta una donna e si fosse accorta che lui era lì sotto, i guai
non solo sarebbero raddoppiati, ma addirittura triplicati.
Le librerie erano infattibili, troppo scoperte e
trasparenti. E lui non aveva ancora la facoltà di travestirsi da libro, dunque
era meglio scartarla all’istante.
Nello sentire i passi sempre più vicini e le voci
esattamente a livello della porta, ebbe l’intuizione geniale. La classica
trovata che arriva all’ultimo momento ma che ha la facoltà di salvarti il
sedere una volta per tutte: con uno scatto rapido si nascose dietro l’anta che
faceva angolo con la parete delle lavagne, trattenendo il fiato.
Una volta al sicuro, sospirò. Rischio di linciaggio da parte
del fantomatico corpo insegnanti scampato per un soffio.
Sentì le prime persone entrare, qualche rumore di tacco e il
cigolio classico della suola di gomma di alcune scarpe a tennis. Altre scarpe,
probabilmente con il tacco basso, entrarono poco dopo insieme ad un ciarlare di
voci profonde e serie che parlavano di svariati argomenti.
Beh, anche se non aveva la minima idea di cosa ci facesse lì
-e dove fosse, quel “lì”!- almeno era al sicuro…
<< Ohi! >> sbottò poi un uomo, probabilmente il
primo che aveva sentito parlare << l’ultimo chiuda la porta! >>
…
E porca miseria ladra!
Ma tenetela aperta questa cavolo di porta! E’ estate, fa
caldo, almeno gira aria!
Si appiattì contro il muro e, istantaneamente, il suo
cervello pensò ad una miriade di scuse per giustificare la sua presenza in
quella stanza, delle quali la più seria era “inseguivo il mio cane” cosa che,
suvvia, non reggeva.
E la verità era fuori discussione. “Inseguivo un tizio con
un palloncino dentro una visione”… sì, a questo punto faceva prima a sparare
quella del cane che era più credibile, nella sua incredibilità.
Trattenne il respiro lungo quegli interminabili minuti in
cui nuove serie di passi si avvicinavano ed oltrepassavano la soglia, andando
ad accomodarsi alle cattedre con uno spostare rumoroso di sedie.
Poi, sentendosi il cuore in gola, arrivò il tanto temuto
ultimo insegnante.
Serrò gli occhi, pronto alla scusa stile suocera impazzita,
ovvero attaccando le parole una all’altra senza pause per respirare. Già si
aspettava la reazione di sorpresa del tanto temuto insegnante che, chiudendo la
porta, lo avrebbe sorpreso… ma non successe nulla. Semplicemente, l’uomo entrò,
si chiuse la porta alle spalle, guardò sicuramente
in sua direzione e, togliendosi gli occhiali con l’intenzione di pulirli,
si avviò verso le cattedre.
… cosa diavolo era successo?!
Non lo vedevano? Non potevano vederlo?
Beh, dopotutto erano in un altro mondo, poteva essere
possibile…
Riprese finalmente a respirare, sospirando rumorosamente.
Era l’unica cosa per cui gli stava simpatico quel potere, i pericoli non erano
reali.
O almeno, non sempre.
<< Bene signori, ci siamo tutti? >> cominciò poi
uno degli insegnanti, la voce maschile profonda e sicura. Si voltò in loro
direzione, andando a posizionarsi vicino alla finestra. Dato che non potevano
vederlo, aveva tutto il tempo per svignarsela. Magari trovava una grondaia da
cui potersi calare o, sempre magari, se si gettava direttamente non si sarebbe
fatto male. A giudicare dalla prospettiva degli alberi e degli edifici esterni,
dovevano essere solamente al primo piano… non era un volo così pericoloso,
anche buttandosi.
<< Sì, tutti >> rispose la stessa donna che
aveva sentito parlare prima. Aveva un volto appuntito ma affascinante, capelli
castani a caschetto e indossava un paio di jeans e una camicetta a mezza manica
a quadretti. Lo sguardo era serio e, al suo fianco, il giovane professore di
educazione fisica -riconoscibilissimo dalla tuta blu e lo shinai(*2) appoggiato
alla sedia- continuava ad ammiccare in sua direzione, causando probabilmente
l’ilarità di una terza donna, abbastanza grassottella, dai capelli grigi e
corti, ricci, che facevano un brutto accostamento con il tailleur blu che
indossava.
<< Bene, cominciamo con l’ordine del giorno >>
proseguì l’uomo di prima, un tipo magrolino con gli occhiali e i capelli quasi
brizzolati. << Dobbiamo risolvere la situazione del ragazzino del quarto
C. Ha dei voti appena sufficienti per essere promosso, ma i test attitudinali
rivelano che ha un’intelligenza molto acuta >> continuò, sfogliando
qualche cartella per estrarne un plico di fogli tenuti insieme da una
graffetta.
<< Sta parlando di Nara? >> chiese poi
l’insegnante di educazione fisica, osservando l’uomo anziano. << Nella
mia materia non brilla, ma non posso dire che non sia abile. Qual è il
problema? Se ha voti sufficienti per passare l’anno, così sia! >> disse,
appoggiandosi con la schiena allo schienale della sedia e osservando i
presenti.
Kiba si bloccò, girandosi di scatto.
In un lampo tutte le sue congetture sulle vie di fuga
scomparvero, sostituite solo dallo stupore. Cosa diamine centrava Shikamaru,
ora?
<< Fosse solo quello il problema… >> rispose un
altro uomo, di fronte alla signora con il tailleur blu. Era magrolino, il viso
appuntito e pallido, un paio di occhiali sul naso e capelli corti di un color
castano molto chiaro. Era lo stesso che aveva chiuso la porta, e ancora non
aveva finito di pulirsi le lenti con il lembo della camicia bianca che
indossava.
<< In che senso? >> chiese allora una terza
donna, capelli biondi raccolti in una coda di cavallo sulla nuca, gonna stretta
di color viola e una camicetta a maniche lunghe nera legata al collo da un
fiocchetto rosso.
L’uomo terminò di pulirsi le lenti con aria disinvolta,
rimettendosi nuovamente gli occhiali prima di guardare la collega. << Nel
senso che non è tutto >> specificò, aggiungendo poi: << ultimamente
avete notato che è sempre da solo? Eppure gli altri anni aveva degli amici,
nonostante il carattere pigro e sfaccendato >>.
Sì, stavano parlando proprio di Shikamaru, non c’era
pericolo d’errore.
Ma allora… quello doveva essere…
<< Sì, conosco anche io questa storia >> disse
poi la donna con il tailleur blu, annuendo in direzione dei due colleghi.
<< Dice di vedere cose strane. Ali, spiriti… cose del genere >>
disse, incrociando le mani in grembo, per poi continuare: << prima
pensavo che fosse uno scherzo, ma lui non fa che ripeterlo continuamente. Il
ragazzo nuovo, Aizawa… lo guarda come se fosse un extraterrestre. La prima
volta che è entrato in classe, e tutte le volte che prova ad avvicinarsi,
Shikamaru scatta all’indietro, come innervosito, o spaventato… >> disse
con voce calma, abbassando appena gli occhi sulla cattedra ordinata a cui era
seduta.
Ascoltando quelle parole, ne ebbe la conferma. Non era una
visione normale.
Quello era il passato. Il passato di Shikamaru.
« prova ad immaginarti
a scuola, seduto al banco in quarta fila. Il maestro presenta un nuovo allievo
e, sotto ai tuoi occhi, quello dispiega un paio d’ali da mezz’angelo. Ti guardi
intorno spaventato a morte e ti accorgi che, a quanto pare, quelle ali le vedi
solo tu… »
Sgranò gli occhi a quell’improvviso ricordo, trattenendo il
fiato ancora una volta e aprendo la bocca. Era solo una voce, solamente la voce
dell’amico nella sua testa, ma era sufficiente per provare quella teoria.
Coincideva, per il momento.
Lasciò completamente perdere la finestra, avvicinandosi a
passo lento alle cattedre per seguire meglio il discorso. Non sapeva come
sentirsi, se curioso o ficcanaso, ma non poté fare a meno di rimanere in quel
posto ed ascoltare.
Ascoltare chi prendeva le decisioni e cos’era realmente
successo, quasi otto anni prima.
Gli insegnanti si guardarono fra loro, indecisi. <<
Forse dovremo avvertire i genitori… >> intervenne nuovamente la donna con
il caschetto castano e l’espressione seria.
<< Già fatto >> ribatté il giovane con il viso a
punta e gli occhiali << saranno all’incontro genitori-insegnanti della
prossima settimana, potremo parlargli in quell’occasione >> rispose,
sempre con voce seriosa e rigida.
<< Senti, senti! >> ribatté poi il professore di
educazione fisica, appoggiando i gomiti alla cattedra e la faccia sulle mani
<< da quando in qua prendi decisioni in solitaria, Maeda? >> chiese
allegro, sorridendo beffardo all’uomo.
Quello lo fissò freddamente, chiudendo gli occhi e
togliendosi gli occhiali, cominciando nuovamente a pulirli con un fazzoletto
estratto dalla tasca. Rispose poi, atono: << Mi sorprende ammetterlo, ma
quel ragazzo ha una mente altamente logico-matematica. Al test attitudinale ha
raggiunto un totale di 200 di quoziente intellettivo, è un vero genio, solo che
non si impegna. Inoltre, è portato per il calcolo strategico; l’ho sfidato a
scacchi e mi ha battuto in due minuti netti. Mi dispiacerebbe perdere uno
studente così portato >> terminò, infilandosi di nuovo gli occhiali.
E quindi, era quello il vero Shikamaru? Un genio pigro?
Effettivamente, ricordava di avere visto una scacchiera
dello shoji, in camera del ragazzo…
<< E’
interessante come discussione? >>
Sobbalzò.
<< Ti ricordo
che devi ancora prendermi, giocoliere! >>
No, non aveva sognato. L’aveva sentita davvero, quella voce.
Si guardò intorno, cercando di scorgere la figura del
bambino o, anche, il colore del palloncino. Se ne sentiva la voce, doveva pur
essere da qualche parte!
<< Nel corridoio
>> rispose per lui, come se gli avesse letto i pensieri.
Non se lo fece ripetere due volte. Ormai le parole degli
insegnanti erano sfumate dietro di lui, scattato istantaneamente in direzione
della porta, aprendola violentemente per immettersi in un corridoio…
…che assolutamente non era quello di una scuola.
Le pareti bianche, candide persino, divise in due per il
lungo con la parte inferiore colorata di un verdino quasi fastidioso per gli
occhi, dal quanto era chiaro. Porte numerate, bianco panna, con i numeri in
ottone placcato oro. A destra quelli dispari, a sinistra quelli pari. Ogni
porta era in legno, aveva un chiavistello ed era munita di una finestrella in
vetro da cui, molto agilmente, un adulto poteva guardare dentro.
O, comunque, qualsiasi persona fosse alta più in un metro e
sessantacinque.
Il pavimento piastrellato di granito, con i classici puntini
neri su pasta grigiastra, dava un’atmosfera claustrofobia al luogo. Persone in
camicia da notte, alcune sorrette da un bastone e altre su sedie a rotelle,
camminavano lungo il corridoio, accompagnati da donne in divisa bianca, con le
ciabatte ortopediche e una cuffietta bianca in testa.
Avevano tutta l’aria di essere infermiere.
Vi erano anche alcuni giovani con il viso stravolto. Alcuni
fissavano in punto fisso mentre venivano spinti su una sedia a rotelle, alcuni
ridevano da soli, bisbigliando frasi a se stessi, portandosi le mani al volto
con fare… folle.
E, complice il forte odore di disinfettante presente in quel
posto, già sapeva dove si trovava.
« Lo dissi ai miei.
Loro erano persone normali che conducevano una vita normale… e presero una
decisione da genitori».
[…] un braccialettino
ospedaliero plastificato con il nome “Shikamaru Nara - reparto
psichiatrico”scritto a macchina
rifletteva appena i raggi lunari.
Infatti, non tardò molto prima che qualcuno di conosciuto
comparisse in quel luogo. Due persone, un adulto ed una bambino, camminavano
lentamente in sua direzione.
L’adulto era palesemente una medico. Indossava un camice
candido sopra una camicia bianca e un paio di pantaloni scuri di taglio
classico. Stempiato, aveva i capelli brizzolati e un paio di occhiali stile
anni cinquanta dalle lenti sottili ma ampie, montatura marrone. Dal lato del
camice pendeva un cartellino plastificato, ma era troppo distante per leggerne
il nome.
Il bambino, beh… non c’era nemmeno bisogno di descriverlo.
Era uguale a quello della fotografia e, invero, uguale al ragazzino che doveva
inseguire per uscire da quel posto.
Sempre che quel posto avesse realmente un’uscita.
Tuttavia, nonostante avesse effettivamente una questione in
sospeso con il moccioso del palloncino rosso, non riusciva a muoversi da quella
posizione.
O almeno, da quella visione.
Teneva gli occhi puntati sul piccolo Shikamaru, la bocca
semi aperta e l’espressione indecifrabile.
Era… risentito.
Risentito per Nara, per il comportamento dei suoi genitori,
per tutti i fastidi che aveva avuto a scuola.
Lo osservò di nuovo quando si avvicinò ancora, fermandosi
insieme al medico davanti ad una delle porte della parete di fronte a lui,
appena spostata sulla destra. Ne guardò l’espressione, i lineamenti,
semplicemente immobili come se, inconsciamente, avesse già accettato tutto
quello. Come se se ne fosse fatto una ragione. Lo sguardo era basso, puntato a
terra seguendo all’inclinazione dei viso mentre, senza volerlo fare realmente,
si faceva guidare per mano dal dottore.
<< Bene Shikamaru, questa è la tua camera da oggi
>> disse l’uomo, sorridendo frettoloso ed imbarazzato mentre, con la mano
libera da quella del piccolo, si risistemava gli occhiali sul naso e al
contempo reggeva una cartella rigida con qualche foglio pinzato sopra.
Il bambino si limitò ad alzare lo sguardo su quello
dell’adulto, aggrottando la fronte in un’espressione ferita. Tuttavia non
piangeva, non lo faceva.
Sembrava anche troppo adulto, sotto questo aspetto.
<< Da oggi… fino a quando? >> chiese lui, la
voce infantile ridotta a poco più di un sussurro, forse per non farla tremare.
Perché nonostante non riuscisse nemmeno ad immaginare lo
Shikamaru che conosceva piangere, in quel “mondo” lo Shikamaru che stava
osservando come spettatore era solo un bambino. Un bambino abbandonato dai
genitori convinti di fare il suo bene.
Si rendeva conto che era una cosa diversa, l’infanzia
dall’adolescenza. Nell’infanzia puoi piangere, quando non va bene qualcosa,
puoi sbattere i piedi e arrabbiarti e avrai sempre qualcuno che ti ascolta, che
siano o meno i tuoi genitori.
Quando si diventa grandi però… non c’è nessuno che ti
ascolta.
E forse, lo Shikamaru “grande” che aveva conosciuto
all’interno di quell’accademia lo sapeva meglio di lui.
Il medico lo guardò ancora più imbarazzato, premurandosi di
aprire la porta della camera.
La 41… strano scherzo del destino. Aveva la stessa camera
anche all’accademia.
<< Finché non starai meglio! >> rispose il medico,
cercando di assumere un tono rassicurante. Cosa che non gli venne per niente
bene. << Presto smetterai di vedere tutte quelle cose strane, così
tornerai a casa, dalla tua mamma e dal tuo papà >> aggiunse, cercando di
sorridergli ma mostrandogli solamente una sottospecie di finto sorrisetto.
Era piccolo, non stupido. Kiba lo vide dalla sua espressione.
Poteva, forse, individuarne l’esatto momento.
Il momento in cui il piccolo Shikamaru capiva che erano
tutte bugie, che nemmeno lui gli
credeva quando diceva di riuscire a vedere le ali.
Il momento in cui capiva che quel medico non era né un
protettore, né quell’amico che si professava tanto di essere.
Il momento in cui capiva… che lui non avrebbe mai smesso di vedere quelle cose
strane.E, di conseguenza, capiva che
non sarebbe più tornato a casa.
Oppure, Kiba…
Oppure il momento in cui il suo cuore si è spezzato. Il
momento in cui un altro Peter Pan aveva smesso di credere nelle fate e,
rimanendo intrappolato nella realtà, aveva deciso di crescere.
O era stato costretto a farlo.
Il bambino non aggiunse altro, rimanendo semplicemente zitto
mentre, aprendo finalmente la porta, il medico lo costringeva gentilmente ad
entrare nella stanza, richiudendogliela alle spalle.
Diede un’occhiata alla cartella, estrasse una penna dal
taschino, tolse poi un piccolo rettangolino di carta dalla targhetta attaccata
alla porta e, con la penna, vi scrisse qualcosa sopra.
Rimise a posto la targhetta, infilandola nell’apposito
sostegno di plastica. Ora, il nome “Shikamaru Nara” sanciva la prigione che
avrebbe tenuto quel bambino dentro le mura bianche di un ospedale.
Ma per… quanto tempo?
Come se seguisse la sua volontà il posto cominciò a mutare.
Prima il colore dei muri che, sciogliendosi, diveniva ora più scuro… ma non era
esattamente la vernice delle pareti, era piuttosto la luce che illuminava quel
corridoio. Si spensero le luci elettriche mentre, dalla porta a vetri sulla
destra, un’atmosfera aranciata tipica del tramonto invadeva l’intero corridoio,
vuoto per di più.
Le uniche persone che sembravano percorrerlo, provenienti
dalla sua sinistra, erano due individui semi-nascosti dall’angolo buio del
corridoio. Tuttavia ne sentiva le voci e, pian piano che si avvicinavano,
riusciva a scorgerne le figure.
Il primo indossava una tunica nera con colletto alto, rigido
e banco. Un rosario con un crocefisso pendeva dal collo e, nella mano destra
lasciata lungo il fianco, teneva una Bibbia con la copertina in pelle marrone.
Al suo fianco, nella divisa bianca completa di pantaloni lunghi e maglietta a
mezze maniche coi bottoni sul davanti, un ragazzo dai capelli neri lunghi fino
a mezza schiena camminava a passo tranquillo. Aveva un braccialetto
plastificato al polso destro e le ciabatte ortopediche ai piedi.
I lineamenti del viso, mascolini ma in complesso non
disarmonici, e gli occhi appena assottigliati dall’iride scura non gli lasciarono
dubbi: quel ragazzo era Shikamaru e, inoltre, non sembrava molto più giovane di
quello che aveva conosciuto lui.
Gli si mozzò il fiato in gola mentre, con una sensazione
fastidiosa, gli si chiudeva lo stomaco dandogli quasi la nausea. Cercò di prendere
fiato ma, a metà del respiro, dovette interrompersi. Non riusciva a comprendere
come avessero potuto… come avessero…come potevano?!
Osservando il ragazzo -che, ora se ne rendeva conto,
dimostrava quattordici anni forse quindici- aggrottò lo sopracciglia in
un’espressione stranamente colpevole.
<< Shikamaru… >> sussurrò poi, rivolto a se
stesso dato che solo a se stesso poteva rivolgersi << quanto… tempo hai
passato qui dentro? >> chiese inconsciamente, probabilmente esprimendo un
pensiero ad alta voce.
<< non poco
>> fu la risposta, derivante da una voce infantile e beffarda
proveniente dal suo fianco.
Voltandosi di scatto alla sua destra, facendo
contemporaneamente un passo verso sinistra in una guardia istintiva, notò la
figura di quel bambino che, forse in maniera anormale, stava fluttuando
nell’aria seduto a gambe incrociate sul palloncino che prima si portava
appresso.
Resistette alla tentazione di cercare di prenderlo. Al
momento, preferiva parlarci. Perché lui sembrava saperne sicuramente più di tutti
e, parliamone, gli altri “tutti” facevano parte di quello che, a sua
discrezione, somigliava sempre di più ad un flusso di ricordi.
Si acquietò dunque, fissandolo ora con espressione seria.
Non si sentiva più di fare battute stupide, era troppo amareggiato da tutto ciò
che aveva visto.
<< Quanto? >> chiese solamente, tornando con lo
sguardo sullo Shikamaru del ricordo che, con espressione seria e stanca,
ascoltava qualcosa che quel prete gli stava spiegando con aria rilassata.
<< cinque anni
>> rispose il piccolo, non distogliendo lo sguardo nemmeno per un
minuto dal ricordo che entrambi stavano vedendo. << lì ha quattordici anni, se non sbaglio >> aggiunse
poi, gonfiando un palloncino con la cicca finchè non esplose.
Lo osservò di sbieco. Avrebbe sorriso, se solo ne avesse
avuto la forza.
<< Cosa sei, tu? >> chiese poi, sempre
osservandolo da quella posizione semi-girata verso il più piccolo.
Quello, con solo un piccolo battito di ciglia, sorrise
mellifluo. << Come te ne sei accorto? >> chiese, masticando
rumorosamente il chewingum con lo stesso sorriso sulle labbra.
Kiba non rispose subito, limitandosi ad osservarlo. Poi,
tornando con gli occhi sullo Shikamaru dei ricordi, con quei capelli lunghi che
non lo facevano sembrare nemmeno lui, gli rispose: << hai le sembianze di
Shikamaru. Io non parlerei di me in terza persona, vedendomi in un ricordo
>> disse, sicuro di sé.
Il piccolo ridacchiò, ingigantendo di malizia il sorriso.
<< Allora ce l’hai un po’ di cervello in quella zucca >> rispose
lui, scendendo dal palloncino e poggiando i piedi a terra. << Sono stanco
di farmi rincorrere, anche perché tu ti fermi ad ogni piccolo ricordo a
ficcanasare nel passato del tuo compagno, dunque non concludiamo proprio niente
>> disse, grattandosi la testa con ara scocciata; alzò poi il braccio
sinistro, indicando il corridoio nella direzione da cui erano venute le due
figure che ora parlavano davanti alla camera 41 << di là c’è l’uscita
>> disse rapido, sbadigliando sonoramente dopo averlo detto.
Kiba lo osservò con un sopracciglio alzato, incerto se
credergli o meno. << E perché me lo dici? >> chiese poi, la voce
dal tono serio e terribilmente inquietante.
Se era una cavolata lo avrebbe davvero ammazzato di botte.
<< Perché mi annoio >> rispose quello,
riprendendo il palloncino e, voltandogli le spalle, camminando lungo il
corridoio in direzione della porta a vetri. << Se non ti fermi ad ogni
scena struggente che trovi sarai fuori in un batter d’occhio, giocoliere
>> aggiunse poi.
Kiba lo seguì con lo sguardo finchè non sparì oltre la porta
a vetri, inghiottito nella luce del crepuscolo. Non aveva ancora capito chi
fosse, o per quale motivo lo aveva trascinato… no… aveva giocato con lui in
quel modo, approfittando del fatto che la sua empatia lo avesse catapultato in quel
posto. Però voleva uscirne.
In primo luogo non era corretto osservare i ricordi di
qualcun altro senza il permesso di quella persona. In secondo luogo…
…per lui era troppo.
Non sapeva perché si sentisse così male nel venire a sapere
cosa aveva passato il compagno, sapeva solo che non stava bene. Voleva
andarsene e, per la prima volta, non era una questione di istinto ma di
sentimenti.
Riportò lo sguardo sui due, ascoltando per caso uno stralcio
di discorso.
<< Questo è un dono, figliolo >> diceva il sacerdote
con la mano destra posata sulla spalla del moro << Dio te lo ha dato
perché tu lo possa usare nel suo nome >> aggiunse, sussurrandolo con voce
dall’intonazione dolce e comprensiva.
Shikamaru lo osservò con espressione vuota, distogliendo poi
lo sguardo da quello del religioso.
<< Non credo che sia un dono, padre… >> rispose
poi, chiudendo gli occhi e sospirando mestamente.
Non ascoltò oltre.
Voltandosi rapidamente per distogliere lo sguardo da quella
scena cominciò a camminare nella direzione indicatagli dal marmocchio, il passo
veloce e deciso, lo stomaco ancora chiuso. Aveva ancora addosso quella
sensazione sgradevole che sembrava tanto a dispiacere e, forse, a tristezza.
Ma poteva essere sua, come poteva non esserlo. Poteva essere
di Shikamaru, come quella paura che aveva sentito sulla terrazza, oppure in
presenza di quello strano clown con i palloncini che aveva visto all’inizio.
Non ci capiva più niente.
Mano a mano che procedeva lungo il corridoio, quello
cambiava. Il pavimento piastrellato veniva sostituito da una moquette rossa
posata sopra piastrelle più grandi di marmo candido, le pareti si bucavano e,
quei buchi, prendevano poi la forma di finestre e di porte in legno scuro. Sul
soffitto poi, le luci al neon mutavano la loro forma, sciogliendosi, in quella
di lampadari a candela, ovviamente forniti di lampadine di cristallo
funzionanti a luce elettrica. Fuori era buio.
Cominciava sempre più a somigliare all’ accademia St.
Michael e, più precisamente, al corridoio dell’edificio delle classi al piano
terra, quello che portava all’entrata principale della biblioteca.
Sentì poi dei passi, dietro di lui.
Frettolosi, rapidi… anzi, era una corsa, non solamente dei
passi.
Cercò di non girarsi, immaginando già chi avrebbe visto… e
non voleva vederlo. Non voleva assistere ad un suo altro ricordo, facendo il
ficcanaso e osservando qualcosa senza il permesso di poterlo fare.
Ma, soprattutto, non voleva provare più quelle sensazioni
fastidiose.
Tuttavia, nonostante la sua ferrea volontà di non guardare
quell’ennesimo stralcio di coscienza che gli veniva mostrato, non poté fare a
meno di notare Shikamaru che, correndo, lo superò ansimante. Indossava la
divisa dell’accademia, i capelli raccolti nella solita coda alta, l’espressione
stanca e pallida mentre si dirigeva, molto evidentemente, al bagno degli uomini
subito prima della biblioteca.
Non c’era nessuno oltre a lui per quel corridoio e tutta l’accademia
sembrava vuota e silenziosa.
Si fermò sul posto mentre Shikamaru, buttandosi di peso
sulla porta dei servizi, la apriva rapidamente per entrarvi con una mano
davanti alla bocca, probabilmente per trattenere un conato di vomito.
Non resistette. Forse aveva assorbito fin troppo i
sentimenti del moro finendo per scambiarli come suoi o, forse, erano proprio
suoi… fatto sta che si avvicinò a passo lento, osservando la scena dalla porta
lasciata aperta.
Shikamaru era riverso su uno dei lavandini sulla sinistra,
tenendosi con le braccia ai bordi in marmo bianco mentre lo scrosciare
dell’acqua del rubinetto aperto riempiva il silenzio. Ansimava appena chinato
sul lavandino, gli occhi chiusi in un tentativo di trovare il controllo di se
stesso, o più semplicemente di risollevarsi senza cedere alla nausea. Deglutì
poi, sospirando esausto, risollevandosi lievemente con il busto in modo da
farsi mancare l’appoggio con la destra, chiudendo il rubinetto.
Una volta che il suo corpo ebbe accettato la posizione senza
preannunciare danni, si risollevò del tutto, specchiandosi.
Aveva il volto pallido e gli occhi rossi cerchiati da due
occhiaie abbastanza pronunciate. Era debole, si vedeva, e sicuramente non
mangiava abbastanza. Alla giacca aveva appuntata una spilla a forma di croce,
ovvero il riconoscimento per chi studia nella classe degli Esorcisti e,
semi-nascosto dal colletto della camicia, un cerotto bianco risaltava sulla
pelle leggermente olivastra del moro, attaccato dietro al collo.
Kiba allungò una mano in sua direzione, bloccandosi poi a
mezz’aria. Ma che faceva?
Era totalmente inutile anche solo provarci a sfiorarlo e lui
avrebbe dovuto saperlo. Lui era solamente un fantasma intruso in quegli stralci
di memoria non sua, non poteva di certo avere un corpo reale e pretendere di
poter anche solo sfiorare la spalla dell’amico.
Si sentiva… inutile. Aveva un misto di malessere e rabbia
nel cuore, la maggior parte di quelle probabilmente derivate da Shikamaru che,
ora, si squadrava allo specchio come se, invece del suo riflesso, stesse
guardando un nemico da eliminare.
E la rabbia pian piano mutava all’interno di Kiba, trasformandosi
in ira, in vere e proprie vampate d’odio.
Non poteva credere che quelli fossero i sentimenti di
Shikamaru. Era talmente abituato a vederlo sempre tranquillo e pacato, che
anche solo con l’immaginazione non poteva, non riusciva a vederlo arrabbiato con
qualcuno.
Poi scattò. Arrivato al limite massimo di sopportazione fu
Shikamaru a mollare, chiudendo la mano destra a pugno e piegando il gomito
mentre portava indietro il braccio.
Fu un istante; caricando il pugno lo scagliò contro lo
specchio che aveva di fronte, il peso del torace e la spalla completamente
lanciati in avanti insieme al braccio stesso, imprimendogli forza, incrinando
lo specchio da un lato all’altro della cornice senza però frantumarlo. Alcune
gocce color rubino cominciarono a scendere lungo la superficie riflettente,
colando lentamente e macchiando la bianca superficie del lavandino,
espandendosi e diluendosi al contatto con le gocce d’acqua presenti da prima.
Si osservò, Shikamaru, fra una crepa e l’altra che aveva
provocato su quello specchio. Kiba fece lo stesso, osservando invece il moro…
e, trattenendo il fiato per lo stupore, questa volta li vide chiaramente: un
paio di occhi dall’iride violacea e la pupilla allungata verticalmente che, dal
riflesso, osservavano Shikamaru deformandone il volto in un sorriso di pura
malizia.
Ma sorrideva solamente il riflesso, perché il “vero”
Shikamaru si osservava a sua volta stralunato e stupito. Scosse il capo poi,
portando la destra dal vetro al volto, poggiandosi medio e pollice sugli occhi
chiusi.
Il suo viso, ancora bagnato dalle goccioline d’acqua, si
macchiò velocemente del sangue che sgorgava lento dai tagli che aveva sulle
dita, formando due linee scarlatte sulle sue gote.
Quando riaprì gli occhi, il riflesso mostrava solamente lui.
Kiba si portò le mani alle orecchie. Nessuno urlava, tutto
taceva, ma nella sua mente era come se milioni di voci gli inculcassero in
corpo sentimenti e pensieri non suoi.
Sentimenti e pensieri palesemente di Shikamaru.
La momentanea paura, provata probabilmente da entrambi, era
presto stata sostituita dall’incredulità, poi dalla consapevolezza che, pian
piano, era mutata in risentimento, di nuovo in rabbia e, successivamente, in un
disperato senso di inutilità.
La testa gli doleva. Un dolore sparito, ignorato, e tornato
ora più forte che mai.
Non poteva sopportare tutto quello, non per molto ancora. Il
suo corpo stava cedendo, si sentiva sopraffatto da tutti quei sentimenti che
nel mondo reale non percepiva così spesso e, soprattutto, così intensamente.
Shikamaru, davanti a lui, ridacchiò apatico in direzione del
suo riflesso. << Sono ridicolo… come un pagliaccio… >> sussurrò a
se stesso, cominciando a ridere per non piangere.
E non era che la cosa… gli riuscisse gran che bene.
Il castano scosse il capo e, gemendo di dolore, scappò.
Ricominciò a percorrere il corridoio, questa volta di corsa,
ignorando e deciso ad ignorare qualsiasi altra immagine fosse comparsa sulla
sua strada. Molto presto, nella velocità della sua corsa, il corridoio cominciò
a cambiare nuovamente riprendendo la forma stretta e cunicolare di quel piccolo
passaggio all’interno della stanza degli specchi. Tutto, dopo poco, divenne di
specchio, facendogli capire di essere tornato all’interno della casa di quello
strano parco giochi.
Ma non era abbastanza, doveva uscire anche da lì. Doveva
tornare al punto di partenza, era quello il trucco, era quella l’uscita!
Corse fino a che, dopo una curva a sinistra, una porta
illuminata sanciva la sua uscita verso il “fuori”, verso l’anticamera del mondo
reale.
Non ce la faceva più, non ne poteva più. Aveva la mano
destra alla bocca, il fiato bloccato in gola e gli occhi chiedevano, per
l’ennesima volta in una settimana, di poter riversare sulle gote le lacrime che
si formavano pian piano.
E, finalmente, uscì.
Rallentò la corsa una volta all’esterno della casa,
arrivando a camminare in direzione di due figure riconoscibilissime in
lontananza.
Il pagliaccio e il bambino seduto sul palloncino rosso.
Entrambi in piedi in quello che, adesso, era un luna park
immobile e solitario, silenzioso come la notte nonostante in quel mondo ci
fosse sempre luce. Una costante, fastidiosissima luce.
Il piccolo lo guardava senza dire niente, semplicemente
osservandolo seduto a gambe incrociate su quel palloncino che lo tratteneva fluttuante
in aria mentre il pagliaccio, immobile al suo fianco, teneva il braccio piegato
e i palloncini colorati davanti al volto.
Kiba cercò di respirare ma, solamente l’azione, lo minacciò
di un pianto sicuro.
E, ne era sicuro, aveva sicuramente gli occhi lucidi.
Poi, una voce.
Echeggiante, lontana, dispersa… ma esistente.
Lo chiamava. “Kiba!” diceva. “Kiba, Kiba!” ripeteva. E il
tono, quello sembrava preoccupato, anche se non riusciva a riconoscerne il
suono e, dunque, ad associarla ad un volto.
Poi, più vicina, un’altra voce. Ma questa volta non fu il
bambino a parlare dei due, fu il pagliaccio che, aprendo lentamente un dito
alla volta, lasciava che i palloncini prendessero il volo pian piano e che il
suo volto rimanesse scoperto.
Parlò… e fra tutte le voci della Terra avrebbe riconosciuto
la sua.
<< Ogni causa comporta una qualche nostra azione che
ne determini lo sviluppo >> affermò, parlando in maniera talmente
impersonale da non sembrare nemmeno reale.
I palloncini se ne andavano, scoprendo un viso
adolescenziale mascolino ma non disarmonico…
E la voce in lontananza continuava a chiamarlo, sembrando
sempre più vicina mentre lui, Kiba, sentiva le palpebre farsi lentamente
pesanti.
<< E ogni nostra azione, anche la più piccola…
>> un altro palloncino, che scopriva un paio di labbra sottili e rosate,
poi un altro ancora in un susseguirsi concatenato, che scopriva questa volta
qualche ciuffo moro di capelli. << …comporta una conseguenza >>
aggiunse in un movimento delicato di labbra.
Pian piano quel volto si mostrava e la sua consapevolezza
aumentava.
Gli occhi si facevano sempre più pesanti…
<< …Kiba… >>
<< E non importa se la causa scatenante è paragonabile
ad un battito d’ali di farfalla >> continuò il pagliaccio, ormai con il
volto del tutto scoperto.
<< Shikamaru… >> sussurrò il castano, osservando
l’ultimo palloncino lasciare le dita affusolate del ragazzo e librarsi nel
cielo bianco di quel limbo disperso fra realtà e ricordo.
<< La conseguenza avrà la stessa forza distruttiva di
una tempesta >> asserì il moro, puntando gli occhi sottili dalle iridi
scure su quelli di Kiba.
Gli occhi si chiudevano da soli, il mondo scompariva pian
piano inghiottito dalle tenebre mentre quella voce lontana continuava ad
invocare il suo nome.
<< Kiba! >>
Un ultimo sguardo, un ultimo barlume di luce, un ultimo
singulto di forza.
La mano del castano che si tendeva inerme verso il
pagliaccio, verso Shikamaru…
<< Io… volevo solo una vita tranquilla >>
sussurrò il moro senza smettere di guardarlo.
Chiuse gli occhi, vinto da quel mancamento di forze
improvviso, avvolgendo tutta quella luce in una sua personale oscurità.
<< bye bye,
Inuzuka >> disse solamente il ragazzino sul palloncino, sfoggiando
una paio di iridi color vinaccia dalla pupilla allungata.
Poi, il silenzio… e una voce che continuava a chiamarlo:
<< KIBA! >>
Riaprì gli occhi a quell’urlo, ritrovandosi improvvisamente
a poca distanza dal volto di Shikamaru che, sorpreso e pallido, urlava il suo
nome. Era inginocchiato a terra, le braccia inerti lungo i fianchi che
sfioravano il terreno, le spalle strette dalle mani dell’altro che, in una
presa forte ma non dolorosa, lo scuoteva leggermente.
Intontito, spaesato. Si guardò intorno, non vedendo altro
che buio, il contorno irregolare delle torrette della chiesa e i tetti
dell’accademia, le stelle lontanissime brillare come lucciole e, alla luce di
quella piccola lanterna, i contorni in penombra della balconata.
Sentendosi il cuore in gola, poté finalmente respirare. E,
in un certo senso, lasciarsi andare.
Avvertì chiaramente alcune lacrime scendergli sulle gote,
come vedeva la vista sfumare, soffocata dalle lacrime che finalmente trovavano
via d’uscita dai suoi occhi, trattenute fino a quel momento.
<< Stai bene? >> gli chiese poi Shikamaru, senza
lasciarlo ancora andare.
Riportò lo sguardo su di lui, non riuscendo a bloccare
quelle lacrime in alcun modo. Quei sentimenti, quei ricordi, quelle emozioni e…
e… tutta quella rabbia, e quella paura…
Sentirsi persi senza ritrovare più se stessi, ecco cos’era
l’Empatia. Completamente persi nelle emozioni degli altri tanto da non riuscire
a separale dalle proprie.
Come avrebbe capito se i suoi sentimenti erano reali o
indotti, da quel momento in poi? Come?
<< Kiba! >> lo chiamò di nuovo il moro, traendo
un profondo respiro come se gli mancasse il fiato. << Stai bene? >>
ripeté, aspettando una conferma, un cenno qualsiasi per potersi rilassare.
Kiba riuscì solamente ad annuire con il capo, sfigurando il
viso in una smorfia disperata.
Odiava piangere. E, ancora peggio, odiava farlo davanti agli
altri.
Le lacrime erano debolezza e, in piccole gocce, nel suo
orgoglio provocavano ferite peggiori di una spada affilata.
Ma non riusciva… a fermarsi. Non riusciva a non provare pena
per lui, per quello che aveva passato.
Era umano, Cristo Santo… non poteva far finta di non avere
un cuore per mantenere intatta la corazza del suo smisurato orgoglio.
<< mi… >> cominciò a bassa voce, singhiozzando
nel tentativo di parlare ma cercando comunque di dire quello che voleva
effettivamente rivolgere al compagno. << mi… dispiace… >> provò
nuovamente, riuscendoci solamente in parte.
Shikamaru sembrò stupito della frase e, soprattutto,
disarmato davanti alle lacrime del castano. Fece per staccare la mani dalle sue
spalle, lasciargli lo spazio che desiderava, ma fu anticipato dalle sue parole
e da quelle scuse che non riusciva a capire.
<< per cosa, Kiba? >> chiese dunque, cercando di
usare un tono rassicurante nonostante non sapesse per niente cosa fare in certi
casi.
Ma non riuscì ad ottenere nient’altro che le parole “mi
dispiace” e se ne accontentò. Kiba non era in condizioni di spiegare nulla, al
momento, e lui non era in condizioni adatte ad ascoltare.
Si sentiva mancare.
Poi, successe.
Probabilmente quando Kiba si sentì togliere il contatto
delle mani di Shikamaru sulle braccia reagì d’intinto per compensare
quell’allontanamento… o, forse, era stato semplicemente un cedimento da parte
di tutte le sue difese, che si trattasse di orgoglio o di ragione.
Fatto sta che, allungando le braccia e il busto, abbracciò
Shikamaru, aggrappandosi con le mani alla maglietta nera del moro e nascondendo
il viso bagnato dalle lacrime nell’incavo fra la spalla e il collo.
Nara si trovò spiazzato. Ma, nella nebbia del momento, fu
una delle rare volte in cui diede ragione all’istinto e, cingendo esitante le
spalle e la vita di Kiba, ricambiò l’abbraccio stringendolo a sé in maniera
impacciata.
Stringendo di più il tessuto a quel contatto, Kiba ripeté le
sue scuse.
E la voce del moro, in un sussurro che non sapeva se definire
dolce o semplicemente sorpreso, rispose un << non è nulla… va tutto bene
>> che risuonò tremendamente rassicurante.
E, stretto in quell’abbraccio, perse i sensi.
Chapter No.5 ~ End
*1- Son Goku: riferito al protagonista di Dragonball (Akira
Toryama). Teoricamente dovrebbe essere un fenomeno mondiale che Goku, nella
serie Z, impara quella beneamata tecnica del teletrasporto, ma nel caso l’ho
specificato lo stesso XD
*2- Shinai: spada di legno usata negli allenamenti di kendo.
*3 - SCHEMA PERSONAGGI:
- Classe Angelica:
Naruto Uzumaki [III anno] (perché è un mezzosangue e,
comunque, perché è il portatore del Kyuubi).
Sasuke Uchiha [III anno] (perché è un angelo caduto)
Itachi Uchiha [V anno] (perché è un mezzo demone)
Neji Hyuga [IV anno] (perché è Arcangelo, non può stare
altrove XD)
Hinata Hyuga [III anno] (perché è angelo puro, vale lo stesso di quanto detto
per Neji)
Ten Ten [IV anno] (perché è un mezz’angelo)
- Esper:
Shikamaru Nara [III anno] (prima era Esorcista. Ora
controlla le ombre, per cui è stato trasferito di classe)
Gaara Sabaku [III anno] (La comparsa! XD Comunque, lui
controlla la sabbia)
Shino Aburame [III anno] (Il suo feeling con gli insetti
poteva essere solo opera di un esper, in questo mondo ^^’’’)
- Esorcisti:
Chouji Akimichi [III anno] (perché vede le ali dei
mezz’angeli senza bisogno di strumenti particolari. E’ il motivo per cui tutti
gli Esorcisti sono tali).
- Alchimisti:fanno parte degli Alchimisti tutti gli esseri umani
che non hanno poteri particolari ma che, per un motivo o per l’altro, si
ritrovano in quell’accademia.
Sakura Haruno [III anno]
Ino Yamanaka [III anno]
Kiba Inuzuka [III anno] (nonostante si sia scoperto Empatico
ha deciso di rimanere fra gli Alchimisti)
Rock Lee [IV anno] (…prossimamente su questi schermi! XD)
Ecco a voi lo schema, spero che sia abbastanza chiaro! XD
Per chi avrà la pazienza di non linciarmi per questi
continui capitoli sospesi, al prossimo capitolo!
Note: *si porta una mano alla fronte con fare teatrale* ultimamente
Note: *si porta
una mano alla fronte con fare teatrale* ultimamente… sono ammorbata dalla
maledizione dei pairing impossibili. Ma con la storia non centra niente, dunque non vi tange! XD
Ebbene, come al solito comincio
prima con le risposte, poi proseguo con la trama. Dunque,
let’s go!
Slice: Noooooooo!
I nocchini no! >.< *si ripara*.
Beh, sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo, veramente ç____ç a me sembrava insulso… anzi, più che insulso strano. Ma poi mi
sono detta “trovami qualcosa che sia normale in questa fic”
così alla fine l’ho postato comunque XD. E no, non
preoccuparti se hai bisogno di precisazioni, sono qua
apposta, e finchè non spoilero nulla sulla trama
posso rispondere… dovrai accontentarti di risposte sul vago, ma rispondo!
Allora: sì, è vero. Teoricamente Angeli e Arcangeli non hanno il permesso di
passare sul nostro piano (vedesi primo capitolo) ma per Neji e Hinata c’è un
perché. Hanno ricevuto il “permesso” dal Capo (quello che sta in Cielo, in
Terra e in ogni luogo, presente? XD) e anzi, Neji ha una missione da compiere
per conto Suo, ma questo sarà argomento del secondo Interlude un po’ più avanti
*annuisce*. Per Hinata è un pelo più complicato,
tecnicamente fa da spalla a Neji ma poi assumerà un altro valore che non posso
specificare! XD
Mi rendo conto di non essere stata cristallina, ma spero almeno di avere
colmato in parte i tuoi dubbi! Grazie per la recensione, sempre puntuale =*
Capitatapercaso: Io avrei sinceramente timore di farmi
preparare un cappuccino da Itachi, comunque se ti fidi
tu, non vedo perché non mi debba fidare io! XD. Interessante interpretazione al
capitolo la tua e, lo ammetto, hai percepito la
maggior parte delle tematiche che mi ero prefissa di nascondere dietro alle
figure usate nel testo. Primo fra tutti il significato
dell’ospedale psichiatrico, la “gabbia” della società per mantenere il
controllo su ciò che non si riesce a capire ( e sì, si dice che il confine fra
genio e follia sia sottile, ma c’è chi crede che siano i folli i veri geni…). Oppure il ruolo stesso della società, rappresentato dalla scuola
pubblica, o ancora dall’ospedale. Il rifiuto del diverso, il rifiuto di
quello che non si riesce a comprendere, di quello che non rientra nei canoni di
“normale”. Il pagliaccio, però, ha un significato un tantino diverso. Il
pagliaccio è la maschera. Perché effettivamente,
Shikamaru non mostra di aver patito queste ferite… e, inoltre, la maschera
nasconde qualcos’altro… che è materiale spoiler, dunque che non dirò! XD.
Grazie mille per la tua recensione, anche questa volta bellissima. Spero che
anche questo capitolo ti piaccia *annuisce energicamente*.
Soarez: X°DDDDD oh certo, i guanti gialli
sono inquietanti. Al loro confronto, un moccioso che ghigna in maniera sadica
levitando su un palloncino è l’apoteosi della tenerezza! XD Ok, basta con le
boiate! E sì, anche io trovo mooooooolto apprezzabile
l’immagine mentale di Shikamaru con i capelli lunghi XQ____ dovrei
scrivere a Kishimoto e dirgli di farglieli crescere. E
sì, finalmente ho scritto quella cavolo di scena sul
balcone! *alza il braccio gioiosa* non vedevo l’ora di
fiondare Kiba fra le braccia di Nara, diamine! *-* Comunque, anche a te tante grazie per la recensione! E buona lettura, se leggi anche questo! ^____^
Bel
Oleander: Eh, grazie >///< anche se, come
ho già detto, non è di certo uno dei grandi “capolavori” XD. In ogni caso mi fa
molto piacere che ti piaccia, sul serio, sono io che
non ho parole! XD Mi impegnerò per non deludere,
andando avanti. Grazie per la recensione! =*
CloudRibbon: Immaginavo fossi da qualche parte dato che di solito sei una delle prime che recensisce. Comunque °_____°… cioè, calmati! *fa massaggino* mi inquieti quando “urli” tramite pc!
O.O felice che tu ci stia
dietro alla trama e non temere, anche se esponi le tue ipotesi io non smentisco
e non confermo. Sono bastard inside, sì XD. Ma
tornando alle cose serie, la tua similitudine dei colori per definire i
sentimenti e, più in particolare, l’empatia, mi è piaciuta moltissimo. Esprime
proprio quello che intendevo. Io non riesco ad immaginarmi empatica, riuscire a provare tutto quel misto di sensazioni
proprie e improprie al medesimo tempo, mi verrebbe da urlare.
Scoppierei, come poi alla fine ha fatto Kiba, solo che lui ha pianto al
confronto. Bellissimo commento, hai il dono di tirarmi su il morale ç____ç e
sì, lo sono, sadica e bastarda! XD Ti farò patire fino
all’ultimo! MWAHAHAHAHAH!... no dai, non è vero XP
abbi pazienza, siamo vicini al fatidico punto di svolta, fra Shika e Kiba. Ho già appuntato la scena *annuisce*. Grazie ancora per il commento Cloud, è sempre un piacere scrivere se poi tu mi posti
commenti simili! XD Buona lettura per questo capitolo! >*<
OnlyAShadow: Eh, parli alla persona sbagliata! XD
Sono uno di quelle che ama il freddo e la montagna ma
che non può mai andarci! XD In ogni caso passiamo a cose serie. Eh sì, questa fic fa danno è___é non si capisce nulla se non la si rilegge XD e vedo che anche dalle tue parti IT ha
fatto il suo dovere, terrorizzando le persone nei confronti dei pagliacci! Io
non l’ho letto, ma una mia amica non può vedere un clown nemmeno da lontano. In
ogni caso non temere, le scene succulente dal punto di vista yaoi arriveranno a
breve *annuisce* secondo lo schizzo della trama ci siamo
vicini. Grazie mille per il commento, come al solito,
e divertiti in vacanza! XP
E si ritorna alla trama principale.
Ho riscritto l’inizio due volte perché ci trovavo qualcosa che non andava, che
fatica =___= due notti che fanno puff!
In questo capitolo, inoltre, ho approntato delle nuove
aggiunte XD dal titolo avrete sicuramente capito di
chi parlo. E, per aggiornare lo schema del capitolo
scorso, in fondo alla pagina ci sono età, potere, e classe di cui fanno parte.
Ho fatto qualche cambiamento nella gerarchia per esigenze di trama XP.
Ah, sì. In qualche punto della narrazione uso
un linguaggio un po’ colorito, siete avvertiti.
Ok, fine delle comunicazioni interne! (XD) Buona lettura a
tutti!
.:: Enjoy! ::.
Chapter
06 ~FifthEcho
A.A.A.
Akatsuki, Autocontrollo, Anomalie
Definizioni di “idiota”.
Primo: sinonimo di “stupido”, ovvero poco intelligente. E lui rientrava nella categoria solamente per il semplice
fatto che, pur sapendo che quella mattina doveva aiutare il maestro Kakashi con
la pulizia delle aule, si era ampiamente perso a parlare con Naruto a
colazione. E non è che si potesse sempre contare sulla
mezz’ora di ritardo del maestro.
Secondo: persona che fa cose stupide, in
posti stupidi e in situazioni stupide. Un esempio? Mettersi
a piangere su un tetto e svenire abbracciato ad una persona che conosci sì e no
da una settimana. Ok, ok, passi che è un amico in ogni caso, ma lui
aveva fatto la figura del fesso e del debole, oltre
che a stracciarsi in due il suo già tormentato orgoglio e procurarsi un mal di
testa non invidiabile.
Terzo: essere umano particolarmente imbecille che non arriva
a cogliere segnali di portata biblica. Motivo per cui Shikamaru era in
infermeria con quella “leggera influenza” che Kabuto, il tizio in camice che
stava a guardia del posto come se fosse la cassaforte
di Lupin III, gli aveva riferito come motivo quando
lui voleva entrare e salutarlo, magari parlarci.
Kabuto puzzava di menzogna a mezzo miglio di distanza ma
lui, in infermeria, non aveva potuto entrarci
comunque.
Quarto: persona che ignora l’istinto anche
quando questo ha una sacrosanta ragione. Sì, perché se
avesse seguito i bassi istinti, avrebbe tirato un cartone sul naso al
cosiddetto “dottor” Yakushi. Portava gli
occhiali?! E che problema c’era? Gli avrebbe tolto gli
occhiali, lo avrebbe colpito, gli avrebbe rimesso gli occhiali.
Sospirò, smettendo di farsi quel tipo di viaggi mentali
mentre, con un fazzoletto a quadretti legato su bocca e naso, si dava da fare
con scopettone e ramazza per togliere tutta la polvere
e il calcinaccio che si erano ammassati in classe. Inutile dire che era più
quella sollevata che quella effettivamente spazzata via: i suoi jeans da blu
avevano assunto un colore tendente al verde muschio, e la maglia blu scura a
mezze maniche era di un misto fra macchie verdi e sfumature scure di un colore
non meglio precisato.
Sospirò, chiedendosi perché
doveva sempre finire a fare lavori simili.
<< Attenti li sotto! >>
sentì poi urlare mentre, dalla scala in fondo all’aula, una
Ino vestita con pinocchiettiarancioni e una maglia bianca a maniche lunghe lasciava
cadere il libro che stava utilizzando per la base del cerchio alchemico,
utilizzato a sua volta per coprire le crepe sul soffitto.
Il libro cadde, fece casino, e sollevò un’ondata di polvere
che investì i poveri schiavi -compreso il maestro Kakashi-
che stavano spazzando il pavimento.
<< Ino! >> sbottò irritata Sakura, alzando il
naso dal suo libro. Essendo seduta a terra per fare lo stesso lavoro della
compagna, i suoi jeans chiari avevano già raggiunto una colorazione beije/marroncina e la maglia,
prima di un rosa tenue, ora era un brutto marrone scuro a chiazze rosate.<< Vuoi stare attenta,
per la miseria? Non siamo qui riuniti per respirare quintali di polvere!
>> esclamò, tossendo.
<< Infatti siete qui per
sgobbare, e allora fatelo! >> si difese la Yamanaka, facendo una
linguaccia alla Haruno che, di risposta, ringhiò
sommessamente.
Kiba sospirò nuovamente, appoggiando la scopa al primo banco
possibile e avvicinandosi alle due. Ormai aveva capito come funzionava la cosa:
era una lotta per la supremazia. Come allo zoo.
Quelle due erano amiche sin da piccole, ma da quando si
erano iscritte all’accademia erano entrate in competizione. Tutto
per conquistare Uchiha (Sasuke) che, tra l’altro, era già impegnato e
fedelmente fidanzato con Naruto. Che ci
andavano sbavando dietro a fare?
Bah, un mistero. La mente femminile era una cosa
incomprensibile e lui, che aveva una sorella che girava per casa incavolata un
giorno sì e l’altro pure, che aveva imparato cosa voleva dire “avere il ciclo”
a forza di sentirla urlare quanto odiava il mondo e singhiozzare depressa due minuti dopo, che aveva sentito parlare del suo
“tipo” alle sue “sisters” a quei rumorosi pigiama
party del cavolo e, infine, che aveva sopportato per anni il bagno occupato per
delle ore al sabato sera, ancora non aveva la minima idea di quale alieno
ingranaggio muovesse i quaranta mila neuroni contenuti nella mente delle donne.
Gli uomini non si facevano di questi problemi. Avevano due
neuroni che lavoravano a targhe alterne provvedendo ai bisogni necessari e di
primo interesse, punto.
Camminando in mezzo alla polvere e ai pezzetti di
calcinaccio, arrivò con i piedi di fronte al libro, chinandosi a raccoglierlo.
Le due ragazze avevano finalmente finito di battibeccare
e, come al solito, aveva vinto Sakura. Era inutile mettersi contro di lei in un duello verbale, a parole
ti smontava come un lego.
Soffiò sulla copertina per togliere la polvere che vi si era
posata sopra, allungando il braccio vero la scala e restituendolo a Ino.
<< Grazie Kiba >> borbottò lei, riaprendolo
visibilmente scocciata alla pagina giusta, riappoggiandolo nuovamente in bilico
sulla parte più alta della scala mentre lei, sull’ultimo gradino utile,
tracciava a gessetto qualche simbolo in un cerchio sulle crepe del muro.
<< Prego >> rispose ma, prima che si voltasse
per tornare al suo lavoro, fu Sakura a prendere parola.
<< Kiba, ho sentito in giro che Nara è in infermeria
>> disse, rimanendo con il gessetto a mezz’aria
poco distante dalla parete << è vero? >> aggiunse poi, guardandolo.
E figurati se quella notizia non
aveva già fatto quattro volte il giro della scuola.
<< Vero >> rispose lui, non aggiungendo altro.
Se non era stato detto di più, non sarebbe stato di
certo lui a mettere in giro voci compromettenti.
<< Ah sì! Ne parlava anche Lee del
quarto Alchimisti (*1) >> intervenne la bionda, improvvisamente
interessata al discorso << ho sentito che sei svenuto ieri sera, ti senti
bene? >> chiese poi, osservandolo dall’alto della scaletta in ferro.
Beh, doveva rallegrarsi. Era già tanto che non sapevano
quanti passi e quanti gradini aveva fatto per arrivare
al terrazzo…
<< Sì, bene >> rispose lui, arrendendosi
all’evidenza che sì, non era mai
salvo dalle voci di corridoio, in quell’accademia. << Mi ha riportato in
camera il professor Asuma, da quello che mi ha detto Naruto questa mattina,
dunque direi che sia stato lui ad accompagnare
Shikamaru in infermeria >> rispose, cercando di essere il più esauriente
possibile senza fornire troppe informazioni.
Già ripensare alla sera precedente non gli faceva piacere, figuriamoci se doveva ripercorrerne gli eventi solamente per
spettegolare con Sakura e Ino.
<< No, invece >> ribatté la bionda << a me
hanno detto che ci è andato da solo, il maestro Asuma
ha portato solamente te >> aggiunse, cercando con le iridi azzurre lo
sguardo di Sakura per una conferma.
Strano… Shikamaru non gli sembrava il tipo che chiedeva
aiuto. Considerando poi il suo passato…
No, no! Non doveva pensarci!
Scosse la testa, cercando di togliersi quelle immagini dalla
mente. Tutte le volte che le rivedeva gli si chiudeva lo stomaco come se gli
avessero appena dato un pugno in pieno petto, non poteva sopportarlo.
E, tra l’altro, non era ancora
riuscito a parlare con Shikamaru e a chiedergli scusa in maniera decente.
Insomma… aveva visto tutto, tutto quello che aveva passato. Riusciva a rendersi
conto anche lui che, nel caso i posti fossero invertiti, sarebbero cose che avrebbe preferito tenersi per sé.
<< Piuttosto Kiba >> lo distrasse nuovamente
Sakura, facendogli portare lo sguardo su di lei. << Sua Eccellenza
Jiraiya ci ha riferito a cena che hai deciso di rimanere nella classe di Alchimia nonostante si sia scoperto che sei empatico
>> disse la ragazza, lasciandolo ancora sorpreso. Perché,
stava anche sperando che quella novità non fosse ancora volata in giro per
tutta la scuola? Povero ingenuo, Kiba, povero ingenuo…
<< Empatico? >> intervenne Ino da sopra la
scala, voltando una pagina del libro dopo aver ricoperto un’altra crepa
<< davvero? E com’è? >> chiese, evidentemente
curiosa e con gli occhi brillanti.
<< Uno schifo >> rispose sinceramente Kiba,
mettendosi le mani in tasca con fare scocciato. <<
Almeno per adesso che non lo controllo. Se anche sfioro una persona che
sta provando sentimenti troppo forti finisco per provarli anche io e fare una
gran confusione, oltre che entrare in una sottospecie di trance
e vedere cose che preferirei non vedere >> cominciò, lamentandosi
indiscriminatamente su quel suo nuovo potere che, in un solo giorno, gli aveva
procurato non poche gatte dal pelare. << Non posso dormire più di sei ore
di fila perché sogno cose impossibili e ho un perenne, maledetto, dannatissimo
mal di testa >> terminò, abbassandosi il fazzoletto dalla bocca per
respirare qualcosa che non fosse fibre di stoffa.
<< In definitiva, è divertente quanto una tegola in
testa >> concluse la sua imprecazione contro il suo pseudo-potere, facendo ridacchiare Ino.
Sakura non andò oltre, sorridendo a sua volta all’ultima simil-battuta di Kiba.
<< In ogni caso, siamo felici tutti che tu sia rimasto
con noi… ci sarebbero mancati i tuoi pisolini o le tue imprecazioni sul libro di Alchimia base! >> disse Ino, tornando a tracciare
cerchi alchemici a gessetto sulla parete.
<< Ehi, non è mica roba che si impara
in venti secondi! >> ribatté lui in risposta
<< sono un genio, su quello avete pienamente ragione, ma anche i geni
sono umani, in fondo… moooolto in fondo >>
aggiunse, chiudendo gli occhi con il mento alto, assumendo la classica posa da
figo.
Sakura ridacchiò mentre Ino gli sbatteva l’angolo del libro
in testa. << E piantala, megalomane! >>
gli disse dall’alto.
<< Ehi, io con i libri non ci vado d’accordo, non
usarli contro di me in quel modo! >> ribatté il castano, puntandogli un
dito mentre con la mancina si massaggiava la parte colpita della nuca.
I loro discorsi furono poi distratti da un rumore metallico
che si diffondeva fra le aule e, come al supermercato, un echeggiante “pin pon!” si diffuse per tutta la scuola.
<< Oh no! >> esclamò Ino, seguita a ruota da uno
sbuffo di Sakura. << Proprio ora? >>
aggiunse la bionda, piegando il busto e appoggiandosi con i gomiti sopra la
scala.
<< Non dirmi che è per il
cinquantenario, tremo al solo pensiero di cosa abbiamo organizzato per
quest’evento >> disse poi Sakura, puntellando a terra le mani ed
alzandosi in piedi, lo sguardo rivolto ad un piccolo altoparlante grigio e
rotondo piazzato sopra la lavagna, nell’angolo sul corridoio.
Ah, avevano anche un interfono?
Qualcuno, dall’altra parte del microfono si schiarì la voce
mentre alcuni inquietanti rumori, voci per lo più, si sentivano in sottofondo.
Kiba si girò verso le due ragazze con espressione confusa.
<< Cosa sta succedendo? >> chiese.
<< Akatsuki >> disse solamente Ino, puntando
nuovamente lo sguardo sull’altoparlante.
<< Oh, ora sì che mi sento completo, grazie Yamanaka
>> fece eco Kiba, sfottendola amichevolmente. Ne sapeva come prima, che
cavolo di spiegazione era?
<< Il Consiglio Studentesco >> intervenne poi
Sakura in chiarimento. << Si chiamano “Akatsuki” sotto trovata del
Presidente. Hanno il compito di amministrare gli studenti e, ahimè, di
programmare manifestazioni per eventi importanti. Sono in cinque, tutti del
quinto anno tranne uno, Sasori, che è del secondo Esper, se non sbaglio >>
<< Non sbagli >> rispose
Ino con aria allegra ma distratta.
<< E cosa ci sarebbe di così
strano? >> chiese Kiba, ignaro. Anche nella
scuola pubblica avevano un Consiglio Studentesco, non era una prerogativa solo
di quell’accademia.
Sakura gli posò una mano sulla spalla. << Capirai… >> disse solamente, preparandosi
all’annuncio.
<< Salve a tutti
voi, schiavi in fermento che pullulate per i corridoi
riparando danni! >> sbottò una voce, perentoria e allegra al
contempo, risuonando alta per tutta l’accademia. << Colui che vi parla è il Presidente del Consiglio Studentesco, ovvero Deidara! Dateci dentro perché l’Arte è… ESPLOSIONE! >>
tuonò, urlando l’ultima parola e facendo fischiare il microfono.
<< Ehi biondino,
smetti di sparare cazzate e datti una mossa, stai
interrompendo la mia cerimonia per il Dio Janshin! >>
si sentì in sottofondo, più debole ma comunque
udibile.
<< Non rompere Hidan, miscredente! Quelli come te
non potranno mai apprezzare il potenziale dell’Arte! >> rispose il
presidente, la voce che più di tutte si sentiva perché, probabilmente, la più
vicina al microfono.
<< Presidente,
l’annuncio che dovevate dare! >> intervenne una terza voce, un po’
più vicina della precedente.
<< Taci Tobi, sono io che comando qui >> rispose il
presidente.
<< Deidara, detesto
quando entri nella tua “orgoglio mode”, sei insopportabilmente cocciuto >>
intervenne una quarta voce, che fece correre un
brivido freddo giù per la schiena di Kiba.
<< Uchiha… Itachi? >> chiese, stringendo appena
le spalle.
Sakura annuì. << Fa parte del
Consiglio Studentesco >> aggiunse, tornando a ridacchiare per la
discussione ancora in atto.
Ah, andava bene! Quello a cui voleva stare più lontano possibile era uno dei rappresentati degli studenti!
Ci fu qualche rumore indistinto, probabilmente il microfono
che veniva sottratto dalle mani del precedente
proprietario; qualche imprecazione, un “torna a darti lo smalto, mezza sega!”
non si sa bene a chi rivolto e da chi, poi una quinta voce prese il controllo
della situazione:
<< Qui Sasori >>
disse solamente, con tono serio e apatico e con la stessa allegria di un muro
<< la comunicazione riguarda il cinquantenario della scuola. Il Presidente, in
accordo con la preside Tsunade, il vice preside Orochimaru e il Vescovo Jiraiya
hanno organizzato un ballo di commemorazione… >> ma la voce venne momentaneamente interrotta dagli urletti
eccitati di Ino, Sakura e delle varie compagne di classe, sottofondo
improbabile per le varie espressioni schifate dei ragazzi, che già non sapevano
quale dimensione pregare per non partecipare all’evento.
Kiba, dal canto suo, si convinse definitivamente che lui non
era dentro una scuola, no… era dentro ad un manicomio travestito da scuola! Con una preside alcolizzata e pericolosa, un
vice preside che solo Dio sapeva come definire, un prete che scriveva i libri
porno che leggeva il suo professore, una manica di
imbecilli a popolarla e una cinquina di idioti come rappresentanti degli
studenti.
E non era nemmeno per merito suo se
stava lì, no! Era tutta la bella trovata di sua madre, codarda e pure manipolatrice,
che lo aveva buttato in quel casino nella speranza che i suoi poteri fossero
venuti a galla e che lui potesse controllarli!
E adesso organizzavano anche un
ballo. Un ballo! Non facevano prima a far fare un giro
turistico dell’Inferno? Un salutino a Caronte,
qualche foto ricordo vicino ad un dannato, si tornava
a scuola e tanti saluti!
Anche se non li sentiva -e per
fortuna!- poteva immaginare i vari tipi di pensieri che attraversavano la testa
di ragazzi e ragazze nell’intero istituto.
Per ogni ragazza che sognava un romantico inchino da
principe, seguito dalle fatidiche parole “vorresti venire al ballo con me?”
dette con un sorriso sfavillante, almeno un ragazzo gridava ai suoi neuroni di
stringere alleanza almeno per un giorno e ideare un piano per riuscire ad
evitare il fatidico ballo. Ne era sicuro, d’un tratto
il giorno prima dell’evento ci sarebbe stata un’improvvisa epidemia di diarrea
che avrebbe tenuto a letto la maggior parte della popolazione maschile della
scuola.
A meno che…
<< C’è una condizione!
>> gridò nuovamente il Presidente Deidara,
probabilmente tornato possessore del microfono << a chi non parteciperà all’evento verranno
sottratti due crediti formativi, utili come ben sapete al conseguimento della
media finale >> disse esultante << a meno che, ovviamente, non vengano presentati seri motivi per
l’assenza! >> aggiunse, probabilmente per una questione di
correttezza sicuramente non derivante da una sua iniziativa.
Eccola, infatti. LA condizione. Quella piccola nota a fondo pagina che non ti lasciava scampo, costringendoti a
partecipare.
Fine dei giochi, tutti i ragazzi potevano tranquillamente
licenziare la coppia neuronica per il resto della
loro esistenza.
Sospirò rassegnato, chiudendo gli occhi per non vedere lo sbrilluccichio che aleggiava in quelli delle due compagne
di classe.
Terminò di ascoltare l’avviso solamente per disperazione.
<< Dunque >>
cominciò poi una voce calma e posata, sicuramente quella di Itachi
data l’intonazione profonda ma apatica << Il ballo sarà a tema. Dopo un sorteggio imparziale… >>
<< Imparziale?! Cazzo dici,
ma se ha deciso tutto Deidara! >>
interruppe un’altra volta la voce rozza e prorompente di Hidan.
<< Ovviamente.
In mezzo a questo branco di imbecilli sono quello che
ha più gusto! >> si sentì dire dal presidente.
<< Cioè, adesso vorresti
dirmi che quelle palandrane a nuvolette sono “di buon gusto”? >>
sbottò nuovamente Hidan, e l’espressione a quelle
parole si poteva solamente immaginare.
<< Il sempaiDeidara ha sicuramente
buon gusto! >> intervenne Tobi.
<< E chi ti ha chiesto
niente, omino mascherato del cavolo!? >> sbottò nuovamente il ragazzo
in direzione di Tobi.
<< Finitela! >>
sbottò poi Itachi, riportando il silenzio all’interno del gruppo e alle
orecchie degli studenti, che ancora ridacchiavano divertiti all’ennesimo
teatrino messo su dall’Akatsuki.
Cosa normale per loro; un mattone sui
piedi per Kiba, che ancora pensava di essere finito nella scuola sbagliata.
Magari il tassista era un incompetente e lo aveva portato nell’accademia per
errore… doveva essere per forza così.
Anche se non ricredeva nemmeno lui.
<< Dicevo, la decisione finale è stata presa in favore del tema “Venezia del Settecento”. Come al solito, gli Alchimisti aiuteranno a confezionare gli
abiti >> disse l’Uchiha senza variare il tono della propria voce.
Certo, ci mancava solo quello da fare! Dopotutto lui non era
una schiappa, non prendeva lezioni da Neji una volta a settimana e,
soprattutto, non doveva affrontare quel suo piccolo, enorme problema chiamato
“Empatia fuori controllo”.
<< Una lista delle suddivisioni dei ruoli verrà appesa in bacheca oggi durante la pausa pranzo,
completa di gruppi lavoro e relativo responsabile di tali gruppi >>
riprese il moro senza fermarsi <<
Sua Eccellenza Jiraiya ci ha concesso l’utilizzo della cappella, in quanto la
messa non si terrà finchè Sua Eccellenza non si sarà ristabilito.
Approfitteremo dei pomeriggi liberi da impegni per portare a compimento l’opera
di addobbo e varia preparazione all’evento. Questo è
tutto >> concluse dunque e, con un’ultima imprecazione che non si
riuscì bene a capire, le comunicazioni vennero chiuse.
<< Sarà divertente! >> intervenne dunque Ino,
battendosi il cinque con Sakura.
No, sarebbe stato uno sfacelo! Figurarsi. Mancava una
settimana al cinquantenario, che cadeva di sabato, e per una settimana intera
ci sarebbero stati gruppetti ridacchianti di ragazze tutte strette e
fitte-fitte a confabulare fra loro mentre i ragazzi, quelli intrepidi, si
sarebbero volontariamente lanciati in figuracce estreme per invitare al ballo
le ragazze più carine, venendo ovviamente rifiutati.
Perché sì, ormai si sapeva, ogni
ragazza di quella scuola aveva l’obiettivo -o il
sogno, dipende dal punto di vista- di andare al ballo con alcuni ragazzi e
solamente con quelli.
Un paio di nomi? I fratelli Uchiha erano sicuramente i più
gettonati. Seguiva a ruota Neji Hyuga, che ci faceva
la sua bella figura. A poca distanza anche il biondino Naruto Uzumaki, che
conquistava cuori grazie alla sua simpatia e, parliamoci chiaro, d’aspetto era tutt’altro che brutto.
Sospirò rassegnato, ritornando al suo lavoro. Sarebbe stata
una settimana ignobile…
Aveva mangiato da solo sul terrazzo quel giorno, spiluccando
ogni tanto con le bacchette il suo pollo in salsa
agrodolce mentre cercava di leggere quel libro trovato in biblioteca.
Choji era andato a trovare
Shikamaru mentre Naruto, da quello che dicevano un paio di primini
lungo i corridoi, aveva fatto casino durante un turno di pulizia e adesso era
impegnato a intonacare con stucco e olio di gomito la
parete dell’ala sud, supervisionato dalla professoressa Kurenai.
Così lui si era potuto dedicare, steso a pancia in basso, per
una volta nella sua vita, alla lettura d’informazione.
I Cercoteri.
Doveva ammetterlo, era una cosa
interessante. E non solo perché ci aveva direttamente
combattuto, oppure perché Naruto ne portava il seme dentro di sé; era proprio
l’argomento ad attirarlo.
Per esempio il demone delle quattro code, Sokou del Veleno, aveva la parte superiore del corpo di un
gallo e quella inferiore da serpente.
Cioè, l’immagine mentale che si
formava in seguito a quell’informazione era ridicola.
Passando oltre, Hokou
dell’Illusione. Probabilmente quello fra tutti che più preferiva, in quanto aveva la forma di un cane bianco con cinque code,
ognuna delle quali controllava un potere dei cinque elementi naturali: acqua,
aria, terra, fuoco e fulmine.
Sembrava addirittura una potenza esagerata, ma aveva
mediocre forza fisica e non era nemmeno uno dei migliori.
O almeno, non impressionante come Kyuubi del
Fuoco, la volpe a nove code.
Un’enorme volpe dal pelo rossiccio dominatrice del fuoco.
Deteneva il primo posto sia per forza che per resistenza e le nove code ne erano l’effettiva prova. Il più potente
di tutti i cercoteri, secondo la descrizione del libro.
Era anche particolarmente spietato e non si faceva problemi a
uccidere persone, lottare contro altri cercoteri o
distruggere villaggi.
Gli scendevano i brividi lungo la schiena ad immaginare che
una simile bestia “dormiva” dentro Naruto. E se tutta la forza che aveva
dimostrato quella notte era dovuta alle sole quattro
code che gli erano spuntate dietro la schiena, non voleva assolutamente vederlo
con tutte e nove.
Teneva alla sua vita, per il momento.
Tuttavia, il demone più particolare era sicuramente Nekomata dell’Oscurità.
Con la forma di un gatto a due code dalla pelliccia nera,
era spesso rappresentato in forma umana come un angelo dalle ali nere.
Sasuke “Sono-Simpatico-Quanto-Una-Tegola”
Uchiha ci sarebbe stato veramente bene, come forma umana di Nekomata.
A volte veniva rappresentato come
una vecchia e grassa signora. Oppure, nella parte “buona” del
suo carattere, come una ragazza avvenente che si avvicina alla società e a cui
piace mangiare pesce.
Si nutriva di spiriti dei morti, che poteva
addirittura controllare a suo piacimento per farli combattere in battaglia al
suo posto.
Insomma, era un demone dalle varie sfaccettature che lo rendevano interessante.
O almeno, su carta. Se se lo fosse trovato
improvvisamente davanti, probabilmente la sua reazione sarebbe stata sfoderare
l’ultimissima strategia segreta del clan Inuzuka; ovvero la tecnica “vivi oggi
per combattere un altro giorno”, completa di corsa con accelerazione da 0 a 100
in sette secondi netti.
Sfogliando successivamente le
pagine, poi, era suonata la campanella di fine pausa pranzo.
Aveva finito velocemente il pollo, chiuso il libro, e si era
rapidamente incamminato giù per le scale, diretto all’aula della Classe
Angelica, dove il suo “insegnante” di turno lo stava spettando.
Ed era proprio davanti a quella
porta che si trovava ora, ovviamente in ritardo a causa di quella scuola
esageratamente grande ed esageratamente intrigata.
In realtà non era intrigata per nulla, era solamente lui che
si perdeva come un allocco.
Tuttavia c’era arrivato, dunque nessun
problema, almeno da parte sua. Si diede un’occhiata
velocemente, sbattendosi la mano sulla maglia blu scuro nei punti in cui era
ancora impolverata, scrollandosi di dosso gli ultimi residui di pulviscolo. Non
aveva avuto tempo -e voglia soprattutto- di andare a
cambiarsi.
Bussò e, anche se debole a causa dello spessore della porta in legno intarsiato, sentì l’avanti provenire dall’interno.
Quello che si trovò davanti sembrava tutto fuorché un
insegnante di una scuola come quella. Un uomo: probabilmente coetaneo o poco
più giovane del maestro Kakashi, con un’espressione gentile e allegra al
contempo dipinta sul volto, una pelle dal colore olivastro, una pettinatura
simile a quella di Shikamaru che gli teneva i capelli castano scuro raccolti in
una coda dietro la nuca e una cicatrice sul naso, più chiara rispetto alla
pelle.
Stava appoggiato alla cattedra, in piedi di fronte ad essa, in una classe completamente linda e pulita,
esattamente uguale a tutte le altre. Teneva in mano un copia
rilegata in pelle del “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare,
all’apparenza abbastanza vecchiotta, che richiuse con una cura quasi eccessiva
appena entrò nell’aula, chiudendosi la porta alle spalle.
<< Benvenuto! >> salutò cordialmente,
distaccandosi dalla cattedra e facendoglisiincontro. << Suppongo che tu sia Kiba, vero? >>
chiese poi, allungando la mano con un sorriso allegro in volto.
Kiba annuì, restituendo il favore e stringendogli la mano.
<< Scusi per il ritardo >> aggiunse subito dopo << ho ancora
seri problemi di orientamento >> bofonchiò,
cercando di dissimulare il suo difetto ancora irrisolto.
L’uomo sorrise divertito. <<
Figurati, abbiamo tutto il tempo che vogliamo >> disse, per poi tornare
alla cattedra e mettersi seduto dietro di essa. Indicò
poi con un movimento della mano lo spazio di fianco a lui, dove una sedia era
stata precedentemente preparata.
<< Prego, siediti >> disse,
aggiungendo subito dopo: << io sono Iruka Umino,
insegno Letteratura ai ragazzi della Classe Angelica. Tuttavia, sarò il tuo
mentore nello mostrarti come controllare e, soprattutto, in che modo gestire il
potere che hai appena sviluppato >> terminò, osservandolo pacatamente.
Il ragazzo si sedette, annuendo semplicemente con il capo
alle sue parole. Si era aspettato tutt’altra cosa, invece
stare accanto a quella persona provocava un’atmosfera piacevole.
<< Cominceremo subito, ovviamente
>> disse poi, incrociando le mani sotto il mento e sorridendo
allegro. << C’è qualcosa che mi vuoi chiedere? >> aggiunse,
osservandolo tranquillo.
Indossava un paio di jeans e una maglia nera a maniche
lunghe e a collo altro, di cotone. Era quel tipo di persona che
sta simpatica di primo acchito ma passa inosservata ad un secondo
sguardo. Poteva definirlo quasi insignificante, eppure era uno di quelli dalla
pacatezza e tranquillità contagiose.
Si concentrò poi sulle sue parole. Qualcosa che voleva
chiedere? Ne aveva talmente tante, di domande, che una
giornata sola non sarebbe bastata.
<< Credo non basterebbe l’intera
lezione >> rispose solamente il castano, osservandolo con una
brutta imitazione di un sorriso posato. Si tratteneva da non fare lo scorbutico
come suo solito, quando trovava persone così… così… innocenti?
Sì, poteva essere il termine esatto… forse.
Iruka rise leggermente, annuendo poi con un gesto del capo.
<< Tranquillo, comincerò io. Interrompimi quando vuoi >> premise, per poi parlare, esattamente come un professore che
spiega un argomento ostico ad un suo alunno.
Con l’unica differenza che lui non era un
suo alunno canonico, e che quello non era nemmeno considerabile un argomento.
Era una catastrofe premeditata ai
suoi danni.
Tuttavia lo ascoltò, sperando di capirci qualcosa.
<< Sapresti dare una definizione di “empatia”?
>> chiese quello a bruciapelo, osservandolo con la schiena appoggiata
allo schienale e le gambe semi-divaricate.
Kiba alzò un sopracciglio, sputando un sincero << no
>> quasi senza pensarci. Risuonò talmente duro che Iruka ridacchiò.
<< Non pensarla, non ti sto interrogando >> lo ammonì << dimmi solo la prima cosa che ti viene in
mente. Se hai provato una reazione empatica
dovresti sapermi dire qualcosa >> aggiunse, sempre osservandolo con
quello sguardo disteso.
“Una”? Ah, magari fosse stata solo
una. Erano tre per l’esattezza e l’ultima ancora gli dava
il voltastomaco al solo pensiero. Tuttavia trovò, in
qualche angolo morto del suo cervello bruciato, la risposta che cercava:
<< Confusione >> rispose, con un’espressione inconsciamente
imbronciata.
Perché sembrava tanto la terapia di
uno psichiatra?
L’uomo sorrise sorpreso. <<
E’ sicuramente la definizione più interessante che abbia mai sentito >>
esordì pacato.
Oh, certo, felice di averle
migliorato la giornata.
<< E sapresti dirmi anche il
perché? >> aggiunse poi, sempre osservandolo con quel sorriso candido.
Gli faceva venire i nervi ma doveva ammettere che era disarmante proprio perché era sincero.
Dovette pensarci. Sapeva il perché si era sentito così
incasinato sentimentalmente, o almeno, credeva di saperlo, ma non è che
parlarne con qualcuno che conosceva da due minuti fosse il suo più grande desiderio nascosto.
Ma che doveva fare? Prendere e
andarsene? Se quel tipo lo aiutava con quel disastro biologico in corso, dopotutto,
non ci rimetteva nulla e i pro superavano abbondantemente i contro.
Sospirò, con le spalle al muro. << Perché non riesco a riconoscere cosa sento io e cosa sentono gli altri
>> rispose dunque, portando un secondo le iridi alla parete bianca
dell’aula, per poi tornare su quelle scure del maestro: << è tutto
talmente mescolato che non riesco a dividerlo. Non distinguo
la paura dalla rabbia, o l’agitazione dall’ansia. E soprattutto, non so
quale di quelle sensazioni sia mia. Per questo è un casino >> terminò, sperando di essersi spiegato
bene.
Iruka non sembrò perso, dunque doveva aver azzeccato il modo
giusto per raccontarla.
Sembrò rifletterci per un secondo sopra,
prima di aprire bocca di nuovo con un’altra domanda: << e dormivi,
quando ti è successo? >> chiese.
Annuì solamente con il capo e sospirò. Se
doveva essere sincero, tanto valeva esserlo fino in fondo: << l’ultima
volta ero sveglio >> disse senza aggiungere altro.
Ma all’insegnante sembrò bastare.
<< Vedi Kiba, il tuo problema è il fatto di non
esserci abituato >> sentenziò, osservandolo. << L’Empatia è un
potere ostico, molto più di quello che si pensa. E ci
sono diversi fattori in te, nella tua formazione, che hanno contribuito a sviluppare
quel potere nel modo sbagliato >> disse, grattandosi la guancia con
l’indice destro.
Ah, perfetto. Oltre che tormentato anche sfigato.
Bella roba!
<< Per esempio? >> gli chiese dunque, fingendo
calma e tranquillità quando in realtà gli rodeva il fegato. Chiedersi “perché
proprio io?”, però, era inutile e troppo impegnativo per la sua mente, in quel
momento. E poi, c’era il lato positivo: se avesse
capito cosa cavolo era successo con Shikamaru, avrebbe potuto scusarsi con un
discorso sensato.
Umino sospirò. La situazione si
dimostrava più complicata del previsto. << Non ci sono esattamente esempi
da portare >> disse poi << è una questione di equilibrio.
Solitamente, in un essere umano dotato, i poteri si sviluppano di pari passo
con la sua crescita. Così che, già da bambino, la persona
possa imparare a scoprirli e ad abituarsici. Sparare con una pistola di
un calibro conosciuto è facile, perché si sa la sensazione che da il calcio sul palmo della mano, la corsa del grilletto
prima del colpo e quanto rinculo può avere l’arma >> disse, facendo un
paragone abbastanza semplice. << Se invece alla tua prima volta ti danno
in mano un calibro alto, non conoscendo tutte le caratteristiche dell’arma è possibile che il colpo vada fuori controllo e, dunque,
manchi il bersaglio >> concluse, cercandolo con lo sguardo per vedere se
lo seguiva.
<< In poche parole >> intervenne il castano
<< non li controllo perché si sono sviluppati
troppo in fretta per le mie capacità? >> chiese, cercando di riassumere e
semplificare quello che aveva appena sentito.
Iruka annuì. << I poteri degli esper
sono tanto forti quanto forte è l’energia spirituale
della persona che li possiede, e tanto precisi quanto è preciso il controllo
che la mente ha su di essi >> disse, per poi riprendere dopo una breve
pausa in cui si sincerò se Kiba aveva afferrato l’ultimo passaggio: << la
tua Empatia è lo stesso. Per il momento reagisci solamente ai sentimenti forti,
quelli più impulsivi, perché la tua energia spirituale non è ancora emersa
completamente. Infatti, prima ci riuscivi solamente dormendo, ovvero quando le
tue capacità di autocontrollo divengono più deboli
>> disse, senza tuttavia interrompersi: << però si sta liberando
velocemente. Infatti, se prima lo facevi solamente da
dormiente, l’ultima volta ci sei riuscito da sveglio. Ciò vuol dire che i tuoi
poteri si stanno rafforzando sempre di più >> concluse poi il ragionamento logico, ora serio in volto.
<< Ed è un male? >>
chiese subito Kiba, indeciso se interpretarlo come qualcosa di buono o come il
preavviso della fine del mondo. Certo era che, se doveva rifare quello che
aveva fatto l’ultima volta, avrebbe volentieri mandato Iruka a darsi all’ippica
e sarebbe tornato in dormitorio alla velocità della luce.
Il professore sembrò pensarci su. << No, ma non è
nemmeno un bene. Vai troppo veloce >> disse,
sollevando la schiena e poggiando i gomiti ai poggiabraccia della poltrona.
<< E’ come se i tuoi poteri avessero fretta di mostrarsi >> continuò in un soffio, scostando lo sguardo sulla finestra
con fare pensoso. << Non è la prima volta che mi capita… >>
aggiunse poi, a bassa voce e con l’aria di essere
soprapensiero.
Non riuscì a tenere a freno la curiosità. << Davvero? >> chiese, interessato più per se stesso che per i pensieri
dell’uomo.
Quello annuì, riportando lo sguardo su di lui. <<
Agatha era così >> sparò improvvisamente,
facendosi scricchiolare le dita delle mani in un movimento involontario.
Una fucilata al petto gli avrebbe fatto meno impressione.
<< E non solo >>
continuò poi lui: << anche Hotaru, Gaara e
Shikamaru >> disse, sempre disperso in qualche pensiero di cui non
coglieva la profondità.
Kiba indugiò per un momento sul nome di Shikamaru, sorpreso
di sentirselo nominare. Sicuramente c’entrava con il suo trasferimento dalla
classe degli Esorcisti a quella degli Esper.
E, in un certo senso, era
sollevato. Voleva dire che esisteva qualcuno che aveva il suo stesso problema e
non si era suicidato, era una buona cosa. Anche se non
conosceva questa “Hotaru” che aveva nominato e Gaara
lo aveva intravisto solamente il primo giorno, il cui ricordo
più dettagliato implicava solamente una chiazza di capelli color rosso.
<< Hotaru… è la ragazza
contro cui hai combattuto nel cortile della scuola
>> esordì poi Iruka con una frase terribile e linda allo stesso tempo,
facendogli arricciare il naso involontariamente.
Ah, la signorina “prima ti fulmino poi ti decapito” era una Esper, alla fin fine.
Umino ne colse l’espressione
tirata, rabbuiandosi subito. E Kiba se ne accorse. Era
probabilmente una di quelle persone che si affezionavano agli allievi a cui
insegnavano, si vedeva da come sorrideva e da come cercava di instaurare subito
un rapporto amichevole con chi incontrava.
<< Non ti sta simpatica? >> chiese guardingo
l’uomo, squadrandolo.
<< Ha cercato di uccidermi >>
rispose Kiba in tutta calma. Gli sembrava un’ottima motivazione,
diamine!
<< Lo so. Ma non era in lei,
quella notte >> rispose il maestro.
<< Me ne sono accorto >> tagliò Kiba,
distogliendo lo sguardo per poter liberamente arricciare il naso quanto e per
quanto gli pareva senza attirarsi addosso le occhiate
dell’uomo. Ma chi glielo aveva fatto fare?!
Iruka sospirò, grattandosi la nuca con fare esausto. I casi di empatia erano la spina nel fianco di ogni insegnante,
perché il suo controllo dipendeva da tutto e da tutti fuorché dall’insegnante
stesso. Era soggettivo, confusionario ma, soprattutto, privato. Non trovava
strano che Kiba non volesse aprirsi del tutto, nonostante lo stesse facendo già
abbastanza.
<< Kiba >> chiamò poi, la voce nuovamente
rilassata.
Il castano girò il capo, trovandosi le mani del maestro
davanti, rivolte entrambe con il palmo verso l’alto. Lo osservò il volto, la
faccia che esprimeva palesemente la sua incomprensione di quella richiesta
muta.
<< Appoggia le tue mani sulle mie
>> chiarì subito Iruka, aspettando.
Cos’era, una specie di rito propiziatorio? VooDoo? No, mancava la
bambolina.
Lo fece, anche se riluttante, appoggiando le mani su quelle
grandi e calde di Iruka, lasciandole semplicemente lì,
a contatto diretto le une con le altre.
Iruka abbozzò un sorriso. << Ora ti mostrerò come si
svolgeranno le nostre lezioni >> cominciò,
sempre osservandolo: << ti sei accorto di cosa sono, Kiba? >>
chiese.
No, effettivamente non si era accorto proprio di nulla. Fece
cenno negativo con il capo.
<< Considerando che il tuo livello di forza spirituale
si è alzato da quando sei arrivato, ormai dovresti essere in grado di vedere le
ali dei mezz’angeli. O almeno, se non proprio vedere,
almeno intravedere >> disse.
Kiba annuì piano con il volto, inarcando un sopracciglio.
<< Come fa a…? >>
<< Saperlo? >> lo interruppe l’uomo, ancora con
la sua espressione pacata e gentile. << E’ il mio lavoro >> diede come semplice risposta.
Oh beh, allora! Gli aveva risolto l’esistenza quella
rivelazione!
Iruka ridacchiò all’espressione fin troppo palese del
ragazzo. Torno poi semi-serio, sorridendo tuttavia in maniera rispettosa e
tranquilla, rigirandosi nella mano destra quella sinistra di Kiba,
osservandola. << Gli Alchimisti non vedono le ali, lo
sai? >> chiese poi, retorico. << Possono
vederle solamente gli Esorcisti e gli stessi mezz’angeli, in condizioni
normali… >> lasciò in sospeso, tornando a guardarlo.
Stava forse insinuando qualcosa? Però…
non aveva tutti i torti. Gli era stato ripetuto più volte che gli esseri umani
normali non vedono le ali degli angeli, nemmeno gli Esper
potevano. E allora lui… perché…?
<< Sei un’anomalia, Kiba >>
disse Iruka in un’unica frase, lasciandolo sconcertato.
Non per il fatto di essere effettivamente “qualcosa” di
diverso, ormai ci si stava abituando. Piuttosto per il termine che aveva usato
per descriverlo che, più che una persona, gli dava l’impressione di essere un
fenomeno da circo ottimo per essere studiato in laboratorio.
Istintivamente cercò di ritirare le mani, ma il maestro
glielo impedì, tenendogliele in una stretta leggera.
<< Scusa, non volevo essere così brusco >> si
scusò lui << vedi, a dire il vero riuscire a vederle o
meno dipende tutto da chi le mostra, e solo in minima parte da chi le
osserva >> cercò di spiegarsi poi, parlando con un tono di voce calmo e
gioviale. << Dipende dall’energia spirituale. Quando gli angeli, o anche
i mezz’angeli, combattono… beh, il loro livello di energia
spirituale si alza talmente tanto che le loro ali divengono corporee. A quel
punto, anche un normale umano potrebbe vederle. Al contrario, un mezz’angelo
esperto sa trattenere anche completamente la propria forza spirituale, facendo
sì che le ali sia invisibili a tutti… tranne che per gli Esorcisti, quella è
una razza molto particolare >> buttò lì,
sospirando rassegnato. << Lo vedono, punto. Tutto quello che c’è da
vedere e anche di più >> terminò.
…perché gli sembrava la spiegazione
del fatto “trattieni l’aura altrimenti i nemici ti scoprono” che aveva visto in
una puntata di Dragonball appena prima di trasferirsi
lì?!
Tuttavia, il cervello del castano ebbe la velocità di fare
due più due. << Dunque io… >> cominciò poi, sperando di non dire
una delle più grosse cavolate della sua vita << …le vedo
perché ho un’alta energia spirituale? >> chiese, inarcando nuovamente il
sopracciglio.
<< Più propriamente, perché la stai
sviluppando tutta troppo in fretta >> rispose l’uomo, annuendo con il
volto in direzione del ragazzo. << Comunque sì,
il senso è quello >> aggiunse.
Perfetto. Era annoverato sotto la categoria “interessante
scherzo della natura”. Forse doveva farsi i complimenti, o magari farli a sua
madre per averlo tirato fuori così.
Cercò di distrarsi sa pare mentali
inutili e superflue, tornando al discorso principale: << e quindi, lei
cosa sarebbe? >> chiese, cercando la risposa alla domanda fatta in
precedenza.
Iruka sorrise, drizzandosi con la schiena
sulla poltrona, senza lasciargli le mani. << Chiudi gli occhi e concentrati
>> gli disse sorridente.
Kiba fece come dettogli, lasciando che le palpebre calassero
e gli coprissero gli occhi.
<< Concentrati sul contatto fra le
nostre mani, sulla sensazione che ti trasmettono, come il calore che ne
percepisci, oppure le piccole vibrazioni di muscoli e tendini. Ogni
piccolo, minimo spostamento, ogni traccia di energia
che può scorrere attraverso le mie mani e arrivare alle tue >> disse,
cercando di guidarlo.
Si concentrò. Sì, erano calde, ma non erano solo quello… emettevano
un’energia, quasi come un flusso costante, che pian piano gli lasciava leggere
qualcosa, intravedere qualche scorcio luminoso nonostante con
gli occhi non stesse effettivamente guardando nulla.
Sensazioni, sentimenti. Un’ondata di
tranquillità, di serenità, proprio come l’atmosfera alla presenza del maestro
Iruka ma molto più forte, quasi avvolgente. Se la sentiva dentro… ma non creava confusione, leniva solamente la sua tensione,
accumulata dalla sera precedente e che ancora permaneva in ogni suo muscolo.
Beh, non era come l’acqua calda della doccia, ma doveva
ammettere che non era niente male.
<< E’… tranquillo. Sereno, in questo momento, oserei dire >> disse il castano, sorridendo
istintivamente e senza accorgersene.
Umino rise. << Sì, in questi
giorni lo sono particolarmente >> rispose
allegro, lasciando al ragazzo tutto il tempo.
<< E’ un suo sentimento? >> chiese allora Kiba.
<< Sì >> annuì. << Continua
ad “ascoltare”…>> sussurrò poi.
Si sentì preda di un sensazione di
leggerezza, come se i suoi piedi si stessero per staccare da terra e tutto il
suo corpo potesse fluttuare nell’aria. Una sensazione di vento sul viso, come
se ci fosse realmente nonostante fosse chiuso in una stanza, e qualcosa che lo
sorreggeva dalla schiena, muovendosi lentamente in un movimento oscillatorio.
Ali.
<< E’ un mezz’angelo >>
rispose alla domanda, Iruka annuì. << Era un
ricordo della sensazione del volo che ho avuto da piccolo, la prima volta che
ho potuto farlo >> precisò il maestro per poi continuare: << l’empatia
sta tutta qui: nell’autocontrollo e nella concentrazione. Con
l’abitudine, ed un allenamento costante, eviterai di avere una reazione
sgradevole non appena sfiori per sbaglio una persona particolarmente arrabbiata
o impaurita. E terremo anche a bada la tua energia
spirituale frettolosa, ma non adesso. Fra poco è ora di cena, ti consiglierei di andare in camera e cambiarti >> disse
Iruka, sorridendo nuovamente e lasciandogli andare le mani.
Era già così tardi? Si voltò di scatto
verso le finestre alle sue spalle e, con sua estrema sorpresa, il colore
aranciato del cielo era il lampante segno del tramonto.
Sbuffò, profondamente alterato da quella
situazione e, riaprendo gli occhi, si mise ad osservare il soffitto… di
nuovo. Era sempre buio, non era cambiato niente in dieci
minuti.
Dopo qualche istante di immobilità,
in cui l’unico rumore che sentiva era il suo respiro, provò per l’ennesima
volta a cambiare posizione, girandosi sul fianco sinistro e dando le spalle
alla porta. Sospirò, chiudendo gli occhi e rilassando uno ad uno tutti i
muscoli, facendo il vuoto mentale per attirare su di sé il miracolo del sonno,
che ancora non aveva deciso di colpirlo.
…no. Non
ci riusciva!
Sbuffò spazientito, ritornando disteso a pancia in alto e
scostandosi di dosso le coperte con uno scatto iracondo.
Aveva contato di tutto. Cominciando con le
classiche pecore, una volta arrivato a 1850 aveva perso il conto, quindi
aveva cominciato con le mucche, per passare poi alle capre, ai maiali, ai
criceti, ai polli, ai tacchini e agli struzzi. Si era poi perso in una tangente
terrificante nel chiedersi perché mai gli struzzi dovrebbero
stare lì a saltare uno steccato ma, una volta considerato che degli struzzi non
gliele poteva importare di meno, aveva già perso il conto della conta
precedente, mandando tutto a quel paese.
Non lo sopportava, non poteva
tollerare di stare sveglio a guardare il buio della camera senza sentire
nemmeno un po’ di sonno dopo una giornata massacrante come quella. E, soprattutto, dopo i 40 minuti al telefono con sua madre, che
ancora si riservava di fare la misteriosa e di non parlargli di quei suoi
fantomatici poteri empatici. Ma insomma, lui voleva sapere se li aveva avuti anche da
bambino, era una cosa così esosa?!
Basta, non ce la faceva letteralmente. Doveva fare qualcosa.
A dire il vero, il sonno non gli mancava, così come la
stanchezza. C’era una sola cosa che gli rodeva, e lui era il tipo che, se un
qualcosa lo infastidisce e lo tampina, può anche avere appena corso i venti
kilometri di fondo quattro volte ma non dorme
comunque.
Ok, per la sua sanità mentale e per i bene
del suo sonno doveva risolvere quella faccenda.
Con un allungarsi del braccio prese il cellulare dal
comodino alla sua sinistra, aprendolo e illuminandosi il viso con la luce
violenta dello schermo. Spinse qualche tasto con il pollice destro, entrando
nel menù messaggi, unendo poi alla mano destra anche quella sinistra,
cominciando a spostarle velocemente da un tasto all’altro della piccola tastiera,
facendo sì che l’sms
prendesse forma e significato. Quando il suo breve “stai dormendo?” fu completato,
selezionò dalla rubrica il nome “Shikamaru” e lo inviò.
Si stava rendendo ridicolo. E provando ad immaginarsi nei
panni di Nara doveva risultare addirittura
appiccicoso. Però quella sottospecie di ciuffo ad
ananas era l’unico con cui riusciva sempre, perennemente ad avere dei conti
aperti che, se non chiusi, gli rodevano.
E poi cominciava a chiedersi perché
finissero sempre a dormire nello stesso letto.
Al solo pensare una cosa simile gli tornava il mal di testa.
Ma dubitava che una delle sue miracolose pastiglie, che poteva
tranquillamente stendere un rinoceronte africano, riuscisse a placare la sua
ansia; tanto che ne aveva già presa una, e i risultati erano scarsi. Forse
stava diventando un pasticche-dipendente…
Venne distratto dal vibracall del cellulare, appoggiato sul letto per non fare
troppo casino. Lo prese fra le mani, aprendo il messaggio sotto il nome
“Shikamaru” come mittente.
“Ora non più. Avevi
bisogno?” era la semplice risposta, scritta senza l’ombra di
un’abbreviazione.
Arrivò alla voce “rispondi” cominciando subito a digitare la
sua risposta. Si che aveva bisogno, dannazione,
altrimenti non si prendeva la briga di mandargli un messaggio alla mezza! Per
chi lo aveva preso, per una ragazzina con crisi affettive?
Evitò di digitare qualche improperio, limitandosi ad un
formale: “Scusa se ti ho svegliato. Sì,
ho bisogno. Sei ancora in infermeria?” perché nel caso col cavolo che avrebbe potuto entrare… e, soprattutto, non era sicuro di
arrivarci in tempi umani.
Inviò e aspettò la risposta, che arrivò qualche istante
dopo.
“Fa nulla. No, sono in
camera, vieni pure”
<< E piantala di leggermi nel
pensiero anche tramite sms! >> sussurrò a quella
risposta, bloccando la tastiera e riappoggiando l’aggeggio sul comodino. Almeno
si era risparmiato il giro turistico in notturna dell’intera scuola.
Si alzò, scoprendosi completamente con un brivido di freddo.
Doveva prendere in considerazione di ritrovare il pigiama lungo, dato che era
quasi fine settembre e, nonostante di giorno la
temperatura fosse accettabile, di notte non era certo caldo.
Indeciso sul mettersi o meno una
giacca, ma rinunciando poi per mancanza di iniziativa di ricerca nei cassetti,
uscì dalla stanza richiudendosi -con una grazia che nemmeno pensava di avere-
la porta alle spalle. Percorse a passo normale il corridoio, l’espressione
assonnata anche se non aveva per niente sonno, arrivando davanti alla porta numero 41.
Cercando di ignorare il numero -o il ricordo della visione
che quella targhetta numerica portava a galla con sé- sbatté due volte il pugno
chiuso sul legno della porta.
Pochi istanti e Shikamaru gli aprì la porta, con i soliti
pantaloni verdini, la maglia a mezza manica nera e i capelli sciolti sulle
spalle. Tenuta da camera, ormai lo aveva capito.
Si osservarono direttamente negli occhi dalla loro altezza
abbastanza simile, ma prima che Nara potesse dire qualsiasi cosa fu Kiba a
partire in quarta: << A otto anni mia madre mi
ha lasciato da solo in un recinto con quattro mastini incazzati
che non mangiavano da tre giorni, dicendomi solo un “sopravvivi”. Dopo due
giorni passati a correre e piangere, ho scoperto che faceva parte
dell’addestramento della nostra famiglia… oltre ad aver imparato ad
arrampicarmi agilmente su ogni tipo di albero >>
disse, sempre guardandolo con espressione seria: << E a tredici anni mi
hanno fatto girare per l’intera città per sfidare una ad una le bande di
quartiere. Mi hanno pestato talmente tanto che non si riconosceva la mia faccia
dal tappeto della nonna, che è di un bruttissimo color viola prugna >> terminò, serio in volto.
Della serie: “ehi, ciao, ti ho
svegliato nel cuore della notte per una cretinata!”
Infatti Shikamaru era allibito. Lo
guardava come se fosse appena piombato da chissà quale pianeta, oppure come se
fosse uscito da un cartone animato particolarmente schizzato.
<< Ah… >> fu il suo solo commento. << E perché me lo stai dicendo? >> chiese poi, nel
tentativo del suo cervello di snebbiarsi dagli strascichi del
sonno appena interrotto.
Già Kiba, perché?
Prendendo in considerazione tutto quanto, le alternative erano due: fare una figura del cavolo
raccontandogli la verità, o fare una figura del cavolo inventandosi una cazzata del tipo “sfogo notturno”, che non solo avrebbe
fatto pensare a Shikamaru di essere stato preso per lo psicologo serale di
turno, ma che avrebbe fatto apparire lui effettivamente come una ragazzina con
crisi affettive.
Se doveva fare la magra figura comunque,
tanto valeva farla senza mentirgli.
Distolse istintivamente gli occhi da quelli scuri del
compagno, osservando con particolare interesse lo stipite della porta che, tra
l’altro, nel buio nemmeno vedeva.
Storse appena gli angoli della bocca in un’espressione da
indifferente per nascondere, forse, un po’ imbarazzo. << Ecco io… sul
terrazzo ho visto… >> cominciò, ma venne inaspettatamente
interrotto.
<< So cos’hai visto >>
intervenne il moro, osservandolo ora con espressione seria ma non arrabbiata.
<< Sei Empatico, non è vero? Ho sentito Kabuto che ne parlava con Hinata,
oggi in infermeria >> specificò, zittendosi.
Mise a tacere il moto di stizza
nello sapere con quanta facilità giravano gli affari suoi all’interno di
quell’accademia, concentrandosi solamente sulle parole appena pronunciate dal
moro, cercando nella sua espressione una qualsiasi imperfezione che svelasse
rabbia, o dispiacere… ma non c’era.
Lo stava semplicemente guardando.
<< Come fai a sapere quello
che… >>
<< So come funziona l’empatia, e in quel momento ci stavo pensando. Non mi stupisce che tu abbia visto i ricordi
che avevo in mente >> lo interruppe, cosa che
non aveva mai sentito fare a Shikamaru.
Abbassò per riflesso condizionato lo sguardo, mantenendo
però quell’espressione da sufficienza tirata a lucido per nascondere quella
punta di dispiacere che stava provando nel constatare
che, effettivamente, a Shikamaru non aveva fatto piacere.
Beh, a chi potrebbe mai far piacere, uno che ficca il naso
nei tuoi ricordi?
Shikamaru sospirò. << E sei
venuto solo per dirmi questo? >> chiese, la voce che nonostante fosse
bassa esprimeva tutto il tono dell’incredulità.
...eh?!
<< Come SOLO!? >> sbottò girandosi in sua
direzione << Io non ci dormo sopra e lui dice
“solo”! Ma dico io, chi cav-
>>
<< Non urlare! >> lo interruppe
nuovamente Shikamaru, questa volta appoggiandogli la mano destra sulla bocca
per chiudergliela << la gente normale a quest’ora dorme! >>
aggiunse con espressione scocciata. Sospirò poi, arrendendosi all’evidenza che
aveva a che fare con un idiota cronico. << Vieni dentro, testa quadra
>> sussurrò, rientrando all’interno della stanza
seguito a ruota da Kiba, che ormai non ci vedeva dall’irritazione.
Una volta richiusa la porta, la discussione continuò:
<< Che cosa cavolo mi significa “solo”? >> esclamò Kiba, che ormai
aveva perso la pazienza e non l’avrebbe ritrovata molto facilmente. Il suo
raziocinio era andato a spasso per altri lidi mentre il cervello era più spento
che acceso.
<< vuol dire quello che ho detto >> rispose Shikamaru, indeciso se prendere sul serio o meno l’arrabbiatura
di Kiba. Insomma, aveva tanto l’aria di uno scatto di nervi, ma solo due
secondi prima era la reincarnazione della calma!
<< No, non vuol dire niente! >> sbottò di nuovo
Kiba, e se avesse potuto ringhiare lo avrebbe fatto.
<< Non puoi non essere arrabbiato, o infastidito! Non puoi non volere che
me ne vada fuori dai piedi, che sparisca insieme a
questo potere invadente! >> aggiunse, muovendo le mani davanti al volto
come a volere stringere qualcosa fino a spezzarlo o fino a farsi uscire il
sangue dalle mani.
Shikamaru era sempre più sconcertato, ma non lo dava a
vedere. Restava semplicemente in piedi a guardarlo, a poca distanza da lui.
Poi, in un soffio, gli rispose: << non lo sono
>> con voce calma e posata << e non sei certo tu a dover decidere
quello che voglio o meno >> e nella sua atonia
suonò quasi burbero.
Il castano restò con la bocca spalancata, assottigliando gli
occhi con fare incredulo. Che stava facendo? Gli stava
passando per buona la giusta causa del “non fa nulla se hai visto tutta quella
roba”? Gli stava gentilmente facendo capire che si era fatto delle pare mentali
per nulla? Che aveva provato tutte quelle sensazioni
per gioco? Rabbia, paura, frustrazione! C’era tutto questo, e quella
confusione, quel… vortice infinito di suoni e sentimenti, che cavolo era?
Per chi le aveva provate tutte quelle cose, eh? Per chi?
Per chi… doveva continuare? Non faceva prima a mollare tutto
e tornarsene a casa?
O era una questione di orgoglio? Si
riduceva tutto solo a questo?
Cosa lo teneva… ancorato in quell’accademia?
Cosa?
…cosa?
Forse rimase in silenzio per troppo tempo. O forse,
semplicemente, parlò e non se ne accorse. Ma quando ritornò a respirare in maniera quasi decente, l’unico
suono che si sentiva era quello dei loro respiri, scoordinati e differenti.
<< Con chi te la stai prendendo, Kiba? >> chiese
poi il moro, il tono di voce moderato nel silenzio. Nella penombra della stanza
non riusciva a scorgere bene i suoi lineamenti, ma era sicuro che fosse serio.
Inizialmente non rispose. Già, con chi se la stava
prendendo? Che motivo aveva di attaccare Shikamaru a
quel modo?
Non doveva forse attaccare se stesso, dato che se la stava prendendo
proprio con se stesso?
<< Non lo so… >> rispose
solamente il castano, distogliendo lo sguardo con rabbia. Era meglio guardare
il buio da qualche parte sul pavimento che scorgere la seccatura di Shikamaru a
quel suo comportamento.
Rispondeva alla rabbia con la rabbia e non faceva altro che
crearsi inutili paure. Poi, a quelle paure, rispondeva con altra rabbia e
ricominciava il circolo vizioso.
Era sempre stato così, e nessuno lo aveva mai capito. E non
c’era bisogno che nessuno lo facesse. Ognuno sfogava
la frustrazione in modi diversi…
Udì a malapena i passi del moro, sentendolo avvicinarsi dal
frusciare dei vestiti. Una mano si posò poi sulla sua testa, calda e un po’
grezza, rimanendo solamente lì appoggiata, senza fare nient’altro.
Rialzò nuovamente lo sguardo, incrociando gli occhi dell’altro
nell’oscurità… e il suo leggero sorriso che poteva vedere solamente grazie a
quella distanza ravvicinata.
<< Non ho detto che non mi ha infastidito >> cominciò poi, Kiba sussultò impercettibilmente. << Ho
detto solo che è tutto a posto. Ti ho già spiegato che è il passato che ha
avuto la maggior parte delle persone di questa accademia…
hai solo visto la mia storia invece di quella di qualcun altro che, salvo poche
eccezioni, sarebbe stata la stessa >> spiegò lentamente, in modo
rassicurante che sfoggiava solamente con lui.
Lui non era nessuno, per meritarsi tutta quella
considerazione…
<< Sono poco più di un estraneo…
>> sussurrò dunque il castano, così fievolmente da essere faticoso
da sentire.
Problema che Shikamaru non sembrò avere.
<< Sei un amico >> rispose, sincero.
<< Va bene così, Kiba. Probabilmente, prima o poi
te lo avrei raccontato io >> aggiunse sempre con la stessa tranquillità.
Kiba stirò appena le labbra, facendosi avanti di un passo in
maniera quasi inconscia. << Lo dici solo per calmarmi >> sentenziò
con una punta di amara ironia, facendosi più vicino al
moro.
<< Smetti di cercare ogni appiglio che puoi per colpevolizzarti >> gli rispose Shikamaru,
sussurrandolo a sua volta.
Inuzuka sorrise di sbieco. Guidato dall’istinto più che
dalla sua ragione ammutinatrice, fece un altro passo
avanti fino a ritrovarsi vicino a Nara che, dal canto
suo, non si mosse.
Non alzò le mani, non lo abbracciò, non mosse
il volto in alcun modo… semplicemente si limitò ad appoggiare la fronte
alla sua spalla, chiudendo gli occhi mente la mano rassicurante di Shikamaru
continuava a rimanere posata sul suo capo, immobile, ma presente in quella sua
mancanza di movimento.
Perché andava sempre a finire così?
Quante volte ancora doveva mettersi profondamente in ridicolo con quelle
situazioni da femminuccia debole e indifesa con tonnellate di problemi mentali?
Quante volte ancora avrebbe messo a tacere
l’orgoglio, di fronte a Nara?
<< Scusa… >> sussurrò, volgendo appena le labbra
verso il collo dell’altro in modo che potesse sentirlo.
Shikamaru appoggiò sospirando la testa sulla sua, arrendendosi
all’evidenza che con quel ragazzo non c’era proprio
niente da fare. << Scuse accettate >> rispose,
carezzandogli appena i capelli in modo automatico ma impacciato.
Non c’era bisogno di chiedere nulla per capire che avrebbe
dormito lì.
Chapter No.6~ End
*1- Quarto Alchimisti: a scanso di
equivoci, lo uso per indicare qualcuno che frequenta il quarto anno della
classe Alchimisti.
*2: CONSIGLIO STUDENTESCO:
Presidente: Deidara (V anno - Alchimisti)(specialità: Argilla Esplosiva)
Vice Presidente: Itachi
Uchiha (V anno - Classe Angelica)(Mezzo demone, ma lo sapevate già U___u)
Componenti: Akasuna Sasori (II
anno - Esper)(Potere: Telecinesi)
Tobi (V anno - Classe
Angelica)(mezz’angelo. Compagno di classe di Itachi
XD)
Hidan (V anno - Esorcista)(Ha 21
anni, ma si ritrova ancora a scuola perché ha cominciato in ritardo… ed è stato
rimandato di un anno XP)
Ok, chiarisco che non ho messo tutti i personaggi di Akatsuki per il semplice fatto che, per età, non potevano
stare tutti in una scuola. Soprattutto la Triglia (Kisame) anche se ammetto che
per ucciderlo in seguito, lo avrei inserito volentieri U____U.
Probabilmente Sasori dimostra più dell’età di uno del secondo anno, ma ho preferito biecamente metterlo in
seconda, questioni di trama.
Perdonatemi, ma di Deidara, Tobi e Hidan non so i cognomi,
dunque si presenteranno solo con il nome XP.
Se siete arrivati fino a qui senza mandarmi a quel paese,
ringrazio tutti di avere letto ^__________^
Capitolo 8 *** Il Ballo della Bella e della Bestia ***
Note: Ok, questa volta nulla di infinitamente lungo e impegnativo,
voglio solo rendervi partecipi di un dialogo avuto con mio
Note: Ok, questa
volta nulla di infinitamente lungo e impegnativo, voglio solo rendervi
partecipi di un dialogo avuto con mio padre a cena, ieri sera! XD
Padre: Vale, ma tu cosa scrivi fino alle 4 del mattino?
Io: Una storia fantasydi ambientazione scolastico-sovrannaturale
dove il classico nuovo arrivato si innamora di un suo compagno di corso. Sì
papà, maschio, non fare quella faccia ebete U___u
Padre: *ci pensa sopra* …ma non dire cazzate!
*ride*
Io: …
X°DDDDDD poveri illusi che mi credono pura ed ingenua! Ok,
ora spazio alle dovute risposte!
VavvyMalfoy91: Io
l’ho detto, questa fic porta danno °_______° fa
perdere anche anni di vita *ignora altamente il fatto che sia lei a decidere
come montare i capitoli* Comunque grazie, anche io ti
adoro XD E sì, anche io adoro l’epoca veneziana del ‘700, altrimenti non
l’avrei usata come tema per il ballo U___u. Non ti crucciare se la recensione è
corta, mi basta e mi avanza! *___* Grazie mille per aver letto e recensito,
spero che questo capitolo non deluda le aspettative!
OnlyAShadow: Idee riordinate perfettamente, niente
da dire e niente correzioni in quello che hai detto
*si mette occhialini stile professoressa esigente* XD grazie mille per i
complimenti su quello che dice Kiba, mi diverto a farlo pensare in quel modo, m
rende anche più facile la rilettura per le correzioni *annuisce*.
Sì, effettivamente Naruto e Sasuke mi sono passati molto più in secondo piano
di quello che avevo immaginato… ma non temere, avranno il loro spazio yaoi
(sperando di non finire in un miserevole OOC). Avvicina il binocolo mia cara,
siamo al punto di svolta U____u
Slice: Eh, ma se dopo tu
dormi con Kiba, Shikamaru è geloso! XD Tutti e tre insieme
e risolvete il dilemma, no? Poi se Kiba ti sveglia nel pieno
della notte con una visione empatica, non rivolgere a
me le lamentele U.u *scaricabarile*.
Tralasciando le cavolate; grazie XD mi fa veramente piacere che il capitolo ti sia piaciuto XD e anche che tu abbia commentato, come al
solito! E poi… beh, non do spoiler sulle coppie del
ballo, anche perché le scoprirai nel capitolo con relative motivazioni! XP
CloudRibbon: Come provvederei io, alla mia
sopravvivenza, senza i tuoi commenti stile pergamena del Mar Morto? XD Per
rispondere alle varie domande sì, credo sia inciso nel mio codice genetico
O___o o almeno, tempo fa non ero così ironica, adesso
mi viene proprio naturale. Ho la tendenza a non riuscire a rimanere seria,
tranne quando sono arrabbiata con il mondo (il che succede ad intervalli
regolari). In ogni caso, come già detto sopra, anche io amo i balli della
Venezia settecentesca. Anche se non amo pizzi e lustrini, tutte le scene di
film in cui vedo rappresentati balli simili mi
lasciano a bocca aperta. Qualcuno la riterrebbe una cosa scontata, un ballo, ma
il motivo c’è se glielo metto. E
piuttosto che descrivere abiti da sera moderni, preferisco cimentarmi nei
colori cangianti del settecento. Comunque sì, alcuni
balli erano in maschera, ma questo no XD mi servono i cari personaggi a volto
scoperto, anche se solitamente nel settecento etichetta voleva di partecipare
ai balli con le maschere. Non preoccuparti, non rompi le scatole, Yoko è la
psicologa di tutti U___u. Mi è capitato anche me ,
un’esperienza simile alla tua e ti dirò… non è esattamente empatia. Nel senso
che la reazione al pianto, o comunque alla sofferenza,
di una persona a cui teniamo, scatena in noi una contro-reazione di fastidio
che ci porta a piangere a nostra volta… o almeno, io la penso così, la mia
mente neo-diplomata scientifica mi suggerisce questa interprestazione. Ma
potrebbe anche darsi che io abbia il sentimentalismo
di un formo a microonde, non farci caso U____u. Comunque
i tratti che hai riscontrato in Kiba e Shikamaru sono molto azzeccati, c’è solo
un piccolo errore; Shika non è telepatico, è Kiba che
per lui è un libro aperto! XD Tranquilla, lo ShikaKiba
Side of Life apre i battenti da questo capitolo. E
benvenuta nel club, allora! XD
Soarez: Io non discuto assolutamente sul
fatto che i guanti gialli non siano inquietanti, anzi! U.U Non mangio Happy Meal
perché c’è il pagliaccio coi guanti gialli (X°DDDD). Felice che ti abbia fatto
ridere il capitolo, davvero! XD Ammetto che la stesura ha
soddisfatto anche me, ed è cosa più unica che rara… ti prego, lascia
vivere quei criceti! XD E no, gli struzzi possono saltare tutti i recinti che
gli pare! Chi sono io per dire agli struzzi di non
saltare recinti? Oppure per impedire al pollo di
attraversare la strada? U____U. Ehi, io non avevo detto che Rock Lee sarebbe
apparso in quel capitolo, ho detto solo “prossimamente
su questi schermi”! XD Comunque tranquilla, sta per
arrivare, un po’ di pazienza *annuisce*. Grazie mille
per lettura e recensione e non fissarti coi guanti
gialli! >.<
fallen_azraphel:
Cielo, se mi paragoni a coloro sommi che pubblicano veri romanzi mi fai
arrossire inevitabilmente >//<. Comunque guarda,
lieta che ti piaccia il pigiama di Shikamaru, suppongo replicherò al più presto
XD e sono inoltre felice di sentire che Kiba è IC. Ho sempre la vaga
impressione di stare esagerando con l’ironia, o con i comportamenti, e passo
ore a rileggere anche solo un dialogo… alla fine di questa faccenda avrò un ulcera XD. Non ringrazierò mai abbastanza per i
complimenti sul mio stile, mi fanno tanto piacere
ç___ç e, ripeto, non preoccuparti per le recensioni XD corte o lunghe non ha
importanza, davvero! Spero che il capitolo ti piaccia.
Nekiniku_dango: Sono
tanto propensa a chiamarti Mitarashi solo per quel
“dango” che c’è nel nick… ma penso mi tratterrò XD. Anche a te molte grazie per il commento e per i complimenti
sulla gestione della trama! Se penso che la mia mente
organizza tutto da sola senza il mio consenso, ammetto che è inquietante.
Felice che abbiate potuto fare “scorta” di capitoli tutti
insieme e, come detto per la tua compare sopra, non preoccuparti per le
recensioni. Io mi preoccuperei piuttosto per il tuo
PC, attira disgrazia O___ò… ti serve un esorcismo? XD Ti auguro buona
lettura per il capitolo, e grazie ancora per il commento!
Cielo, nelle risposte scrivo troppa roba O.ò
tuttavia non è giusto non ricambiare commenti così traboccanti di complimenti.
Ok, qualche spiegazione poi lascio alla lettura. Primo
fattore: le coppie. Vi avverto che il ballo, pur essendo il tema centrale del
capitolo, non sarà l’avvenimento portante! XD Per tale motivo, dato che si tratta solo di inviti formali, per la prima
volta in vita mia mi attengo alle coppie canon
(non-yaoi) del manga. Poi vedrete quali.
La canzone utilizzata, anche se dubito che i drogati di
classici Disney non la conoscano, è Tale As Old As Time (la versione inglese di E’ Una Storia Sai) dell’inimitabile “La Bella e la Bestia”. Per chi non l’ha mai sentita, consiglio vivamente di farlo. Le versione di CelineDion è da morire sbavandoci sopra.
E poi dai, per me si adatta troppo
a quei due…
Ok, fine! Ora vi lascio a questo capitolo col diabete!
.:: Enjoy! ::.
Chapter
07 ~SixthEcho
Il Ballo della Bella e della Bestia
C’erano cose che non riusciva
veramente a concepire.
Non era solamente per il fatto che
fosse mattina -le otto… troppo presto considerando che era domenica! - e dunque
i suoi neuroni, come quelli della maggior parte delle persone, andavano a
rilento… erano proprio situazioni che
non sopportava.
Seduto quasi all’inizio della lunga tavolata di destra, a
colazione, osservava fisso una ragazza nell’altro tavolo.
Non la conosceva, non sapeva minimamente chi fosse e non era nemmeno così carina. Faceva solo quella…
cosa… con la forchetta che… cioè, come spiegare?
Perché doveva metterci dieci minuti
-dieci!- per mangiare una fragola? Perché doveva per forza passarsela sulle labbra più e più
volte con la scollatura in bella vista e perché… perché fissava Sasuke durante
tutto questo operarsi?!
Aggrottò la fronte, alzando un sopracciglio senza spostare
gli occhi da lei. Era forse uno spudorato tentativo di sedurlo?
Spostò lo sguardo sul diretto interessato, seduto allo
stesso tavolo dove si trovava lui, accanto a Shino e Gaara. Di sicuro il trio
meno loquace dell’interno universo conosciuto, ma quello che stava cercando lui
era diverso: doveva capire per quale assurdo motivo, anche se il moro sembrava
non filarsela nemmeno di striscio, quella ragazza continuava a fare della sua
colazione uno strumento da sexy shop.
Non era per una qualche insana curiosità, no. Semplicemente si chiedeva se, dato
che alcune mettevano in scena quello spettacolino a meno sette giorni
dal ballo, andando avanti con il count down la
situazione sarebbe peggiorata o addirittura degenerata.
Insomma, non voleva ritrovarsi l’intera parte femminile
della scuola con apocalittiche scollature giro-ombelico a limonare
con la colazione.
Era seccante… e distraeva, cavolo, distraeva!
<< Dite che posso ucciderla? >> borbottò Naruto
al suo fianco, riportandolo coi piedi per terra. Anche lui teneva gli occhi puntati sulla ragazza in
questione, ridotti a due fessure che lasciavano intravedere appena l’iride
azzurra, piegando le labbra in un’espressione profondamente seccata.
Se fosse stato ClarkKent, sicuramente l’avrebbe incenerita con la super
vista.
<< Non credo >> risposeChoji all’amico, terminando in quel momento di
imburrare la prima metà dalla baguette su cui avrebbe spalmato l’intero barattolo di marmellata ai
mirtilli che si era fatto dare dal signor Ichiraku.
<< Che ne sai, magari si
strozza con la fragola >> aggiunse Ten Ten,
seduta al fianco di Naruto, intenta ad estrarre un cucchiaino di Nutella dal barattolo senza sporcarsi i polsini della
camicetta bianca.
<< Se si decide a mangiarla,
vorrai dire >> rispose a sua volta Kiba, sospirando e ritornando con la
mente alla sua fetta biscottata e caffèlatte.
Sembrava la riunione di una sottospecie di setta segreta.
Inizialmente Naruto faceva colazione con Sasuke e quindi, in
relazione a questo fattore, l’Uchiha era ad alternanza ospite del loro
quartetto un giorno, e Naruto ospite del “trio iceberg” l’altro.
Tuttavia, a causa dello spietato boom ormonale che
ovviamente sarebbe esploso con l’avvicinarsi del ballo, avevano deciso di
mangiare separati anche a colazione, mantenendo come pasto “comune” solamente
la cena.
Personalmente, Kiba credeva fosse un fatto di nervi. Non
tanto per il fatto che metà delle ragazze ci provava
alternativamente con Neji e Sasuke, più che altro perché la rimanente metà se
la dividevano Itachi e Naruto, e vedere spettacoli simili rivolti al biondino
non era esattamente un bene per il delicato equilibrio emotivo dell’Uchiha.
Se erano seduti lontani almeno
Sasuke poteva ignorare gli sguardi lussuriosi rivolti a Naruto, anche se non
era detto che succedesse la stessa cosa anche dal punto di vista dell’Uzumaki.
Ten Ten si era unita successivamente, nonostante fosse di un anno più grande.
Diceva che preferiva la loro compagnia a quelle delle sue compagne di classe
che lei definiva “irritanti”, dunque si era ormai inserita all’interno della
cricca della colazione.
Non ci aveva capito molto in quel comportamento, ma poteva
provare ad immaginare la situazione: i mezz’angeli, anche se erano esattamente
il top della bellezza universale, erano comunque
belli. Ten Ten, anche se era molto carina, non era
una di quelle bellezze che spiccano subito all’interno
di un gruppo. Aveva tratti più da essere umano che da angelo, era questo il suo
problema. Tuttavia si dimostrava essere una buona compagnia, dato
che si era subito inserita nei loro discorsi.
E poi, c’era il quinto membro sempre
in ritardo…
<< Scusate il ritardo >> esordì infatti Shikamaru, arrivando in una camminata lenta con un
vassoio in mano.
<< Ciao… >> bofonchiò Naruto ringhiando, gli
occhi sempre fissi sulla ragazza della fragola. Gli altri si limitarono ad un
cenno con la mano o con il capo.
<< Che succede? >>
chiese il moro, sedendosi pacatamente accanto a Choji,
di fronte a Ten Ten. Indossava una maglia a maniche
lunghe verde scuro dalla quale spuntava il colletto di una
polo di un verde muschio più chiaro. Si appoggiò subito con il gomito al
tavolo, cominciando pigramente a mescolare il tè con l’altra mano.
<< Seguiamo un spettacolino
soft porn ai danni di Sasuke Uchiha >> rispose
Ten Ten, mordendo l’angolo della fetta biscottata con
il sottile strato di Nutella.
Il moro sospirò: << hanno già cominciato? Sono in anticipo quest’anno >> sussurrò, posando il
cucchiaino e portandosi la tazza alla bocca con la solita espressione annoiata.
Aveva ragione dunque, sarebbe stato
sempre peggio. Che bello, proprio non vedeva l’ora di
rovinarsi la colazione…
<< Già, in anticipo… >> borbottò ancora il
biondo, fissando così intensamente la ragazza che, se non lo avesse saputo
impossibile, Kiba avrebbe tranquillamente pensato che prendesse fuoco sul
posto.
<< Ma Sasuke non ci va già
con Sakura al ballo? >> esordì poi Choji prima
di azzannare la baguette.
…aveva capito bene?!
Naruto annuì mentre Kiba sgranava occhi e bocca fissando a
turno prima il castano poi il biondo. Non poteva tale catastrofe abbattersi su
di lui! C’era qualcuno che gli voleva male, lassù!
<< Perché ci va con Sakura?!
>> esordì poi, lasciando sgomenti tutti gli altri.
Shikamaru e Ten Ten si scambiarono un’occhiata sorpresa mentre Naruto e Choji si limitarono a fissare il diretto interessato con
espressione indecisa. << Beh, che c’è di male? >>
chiese dunque il biondo, dubbioso se credere all’improvvisa infermità mentale
di Kiba o ad un suo desiderio di invitare la ragazza.
Kiba, rendendosi probabilmente conto di
aver risposto senza accendere il cervello, richiuse la bocca con un grugnito,
aggrottando la fronte.
Era un disastro immane… una catastrofe che chi non era in
classe con quei due uragani chiamati Sakura Haruno e Ino Yamanaka non poteva
comprendere.
<< C’è di male che mi verrà un’ulcera, ecco che c’è di
male >> rispose poi il castano, sospirando
rassegnato. << Chi le regge Sakura e Ino per cinque
interminabili ore tutti i giorni adesso? >> aggiunse,
tornando con una smorfia disgustata alla sua colazione lasciata a metà;
improvvisamente non aveva più fame.
Shikamaru ridacchiò, seguito a ruota da Ten Ten e Choji. Solamente Naruto
sembrava non avere ancora afferrato la situazione: << Perché? >>
chiese infatti, sempre con quell’espressione dubbiosa.
Kiba alzò il volto, osservandolo con occhi vuoti e un
sorriso ambiguo sulle labbra. Povero, piccolo, infantile ingenuo… lui non aveva
idea di come funzionasse la mente delle donne sotto
pressione, soprattutto quando lo stress che metteva in moto persino i loro
neuroni di riserva, quelli buoni tenuti per le occasioni importanti, si
accumulava fino a farle uscire dalla quotidiana decenza.
Semplicemente, Naruto non aveva mai avuto una sorella.
Gli mise una mano sulla spalla, guardandolo con l’aria
vissuta di un maestro di arti marziali che parla al
suo allievo: << non puoi comprendere, mio giovane padawan… >>(*1)
esordì, assottigliando poi gli occhi e mutando la sua espressione in quella di
un sempai (*2) che rivela al kohai
(*3) il segreto di un mondo nuovo: << le donne normalmente sono temibili.
Ma all’avvicinarsi di un evento in grande stile, dove
si devono mettere in mostra per dei ragazzi, diventano delle macchine assassine
di modello super-avanzato. I loro quaranta mila
neuroni prendono tutti una stessa direzione,
imputandosi su quell’obbiettivo, e per sfogare tutto lo stress accumulato c’è
solo una soluzione… parlare. E non importa se lo
faranno con il muro o davanti allo specchio, loro parleranno ininterrottamente fino a che
quell’evento non si sarà consumato >> terminò, tornando poi diritto sulla
sedia a mordere la fetta biscottata.
Ten Ten piegò un sopracciglio:
<< ehi, qualcuno potrebbe offendersi >> borbottò.
<< Non vedo nessuna donna qui >> ribatté subito Kiba, e solo Dio sa come fece ad evitare allo
stesso tempo il coltello lanciatogli con maestria dalla ragazza e di strozzarsi
con la colazione.
<< Sembri saperne a pacchi sulle
donne, Kiba >> disse invece Shikamaru, nascondendo una domanda
implicita sotto un sorrisetto malizioso e canzonatorio al contempo.
<< Ho una sorella maggiore >> rispose
semplicemente lui, alzando le mani in segno di scusa alla moretta, che adesso
lo minacciava con il cucchiaino.
<< Piuttosto Naruto… >> intervenne poi Choji una volta terminata la prima metà di baguette
<< come mai non vai tu con Uchiha? >>
chiese, afferrando velocemente il coltello e il secondo panetto di burro. E
sembrava una domanda a cui stavano pensando tutti, dato
che si voltarono quasi in contemporanea verso il biondo.
<< Scherzerete spero!
>> sbottò lui, facendo una faccia che dire schifata era
il minimo. << Cioè, io amo Sasuke e tutto il
resto ma… è un ballo! Con tutto il
rispetto, l’immagine di due uomini che ballano un lento non
mi tange >> aggiunse.
Era vero, ma non fu quello che disse ad attirare la sua
attenzione. Era la prima volta che sentiva dire a Naruto di amare
l’Uchiha, e lo aveva detto con così tanta naturalezza da lasciarlo spiazzato.
Probabilmente era indice di sicurezza… oppure semplicemente teneva così tanto
al moro da non dare peso ai pensieri altrui.
Beato amore puro…
<< Beh, dato che Uchiha va
con la Haruno, uno è fuori gioco >> esordì poi Ten Ten,
aggiungendo un po’ di latte al caffè nella tazza che aveva di fronte <<
ne rimangono tre >> aggiunse, mescolando.
<< Voi con chi andate? >> chiese poi Naruto,
rinunciando a mangiare i suoi cereali, ormai più simili a carta pesta che a
normali fiocchi di mais.
<< Con Ino, probabilmente >> disse Shikamaru,
portandosi la tazza alle labbra con fare scocciato << o almeno, l’accordo
era quello >> terminò.
Kiba spostò velocemente lo sguardo sul moro. Non sapeva
minimamente perché, ma gli dava fastidio. Si era figurato che Shikamaru
evitasse gli eventi pubblici come la peste, invece accompagnava Ino… <<
Quale accordo? >> chiese invece, reattivo, in modo da non pensarci più di
tanto.
<< Ino, Shikamaru e Choji
sono amici d’infanzia >> intervenne Naruto al
posto del moro << e ormai è risaputo che Ino e Sakura sono sempre in
competizione per tutto, soprattutto per Sasuke. Così Shikamaru fa la funzione del tappabuchi nel caso Ino non riesca a
chiedere di uscire a Sasuke >> spiegò il biondo, ridacchiando divertito.
<< Mio malgrado >> rispose semplicemente Nara.
Non poteva essere possibile che Naruto non avesse nemmeno un
piccolo senso di gelosia nei confronti di ogni essere umano
si avvicinasse a Sasuke “Il Giorno in Cui Sorriderò l’Artide Andrà a Fuoco”
Uchiha! Era il suo ragazzo o no?!
Ma no, non era il caso di perderci
il sonno in quella faccenda. La relazione era la loro e, a dire il vero, lui
non poteva nemmeno sapere come ci si sentisse.
Soprattutto se considerava che, da quanto aveva sentito, Ino gravitava intorno
a Shikamaru molto più di quanto si sarebbe aspettato…
gli faceva passare l’allegria per un qualche arcano motivo che non decifrava.
Doveva toglierselo dalla testa, non era
di certo di sua proprietà! Cielo… no!
Fortunatamente c’era chi riusciva a distoglierlo dal suo
groviglio labirintico di pensieri inconcludenti: << tu Kiba? Sei già
impegnato? >> chiese infatti Ten Ten, sporgendosi dalla spalla di Naruto per riuscire a
vederlo.
Il castano scosse il capo. << Non sono passate nemmeno
ventiquattro ore! >> rispose con finta espressione indignata… che
nascondeva una certa verità. Chi al mondo poteva essere così veloce da
rimediarsi la dama per il ballo dopo nemmeno un giorno dall’annuncio? E poi,
sinceramente, era altamente propenso per andarci da
solo, giusto per non mettere a rischio la sua pagella. Lui, il ballo (sport),
lo aveva visto solamente in tv quando sua sorella aveva la fissa per Paso Adelante, punto. Da lì aveva decretato che lui e qualsiasi
passo di danza stavano su due rette parallele destinate a non incontrarsi mai.
Ma… qual’era
quel detto? Mai dire mai.
Un brusio concitato si levò nella mensa all’entrata di un
personaggio singolare e, sicuramente, conosciuto: capelli lunghi e biondi a
boccoli, lasciati cadere sulle spalle ed ondeggianti ad ogni passo. Maglietta
di cotone leggermente scollata ma nulla di esagerato, gonna
al ginocchio nera, pelle candida e occhi marroni e profondi, che osservavano
con acume tutta la sala, in cerca probabilmente di qualcosa… o qualcuno.
Un brivido gli corse lungo la
schiena, incapace di trattenerlo.
Se la ricordava, eccome se se la
ricordava!
Peccato che quando l’aveva incontrata lui i suoi occhi
avevano un colore dorato poco normale e l’aria intorno a lei emetteva talmente
tanta elettricità da poter fornire corrente all’intera accademia per tre
decadi.
<< Nh… >> gemette
Kiba, storcendo appena il naso e facendosi inconsciamente più in basso con il
ventre, nel mal-simulato tentativo di diventare tutt’uno con le piastrelle e
sparire sotto il tavolo.
A quel suono improbabile uscito dalle labbra del castano,
gli altri quattro commensali interruppero il discorso e si concentrarono sulla
nuova arrivata che, come colta da una lampo improvviso
-tanto per restare in tema- sembrò aver trovato chi cercava nella figura di
Kiba e nella sua indescrivibile espressione facciale.
<< HotaruFukushima, eh? >> esordì la ragazza del gruppo,
osservando la biondina farsi avanti fra il vociare perplesso di tutti gli
studenti presenti a colazione: << se non sbaglio, dopo quella notte di
casino ha perso i poteri Esper ed è tornata negli
Esorcisti >> spiattellò, sempre più informata della maggior parte delle
persone all’interno dell’accademia.
Sì, grazie, ma al momento non gli interessava nulla se
studiava Esoterismo o se ballava il Can Can sul
tetto. Il suo istinto gli diceva “ehi bello, quella l’altra volta ha tentato di
farti la pelle!” e la cosa più saggia da fare sarebbe stata
ingoiare i rimanenti residui di fetta biscottata e sparire da qualche parte… ma
non poteva mica scappare come un fifone davanti a tutti quanti!
Cioè, già era il classico nuovo
arrivato, figuriamoci se gli veniva affibbiato l’appellativo di sfigato di
turno! Allora sì che gli affaracci suoi sarebbero
volati in giro per la scuola come farfalline blu!
Quando la ragazza gli arrivò di
fianco, fermandosi a poca distanza da lui e guardandolo con espressione
apatica, Kiba dovette lottare contro la sua immotivata paura per rimettersi
diritto -o perlomeno composto- sulla sedia.
Lei lo guardò, lo squadrò, se avesse potuto gli avrebbe fatto anche una lastra e una TAC per sicurezza.
Quando sembrò sicura che avesse davanti la persona
giusta -o quando semplicemente si decise a parlare- in mensa era calato un tale
silenzio che un qualsiasi sussurro al di sopra dei due decibel si sarebbe
sentito.
<< Tu devi essere Kiba Inuzuka,
presumo >> esordì dunque, la voce melodica e all’apparenza posata.
No, macché, era Gesù Cristo.
Che cazzo di domande si sparava?
L’aveva rincorsa per mezza scuola credendo di rincorrere un sogno, figurarsi se
non sapeva che sì, lui era effettivamente Kiba Inuzuka!
Ma sì dai, stiamo al gioco.
Solamente per il fatto che ancora le ricollegava
l’immagine del demone incazzoso che voleva farlo in
fricassea, dunque la cosa era abbastanza inquietante.
<< Sì, in persona >> rispose dunque, ostentando
una falsa sicurezza con naturalezza. Lanciò a malapena un’occhiata agli altri,
di striscio con la coda dell’occhio, per poi tornare adHotaru. Naruto la fissava seriamente mentre
Shikamaru, interrompendo il suo sorseggiare pacato,
aveva assottigliato gli occhi, quasi fosse… guardingo. O se stesse
effettivamente cercando a sua volta di constatare se
la ragazza fosse un pericolo o meno.
Cosa completamente inutile.
Dopo un sorriso a trentadue denti la
ragazzina rise allegra, buttandosi letteralmente
al collo di Kiba, lasciando tutti talmente spiazzati da non avere nemmeno la
reazione volontaria di respirare.
Quella …cosa era
pericolosa quanto un foglio di scottex.
L’abito non fa il monaco come il buon giorno si vede dal
mattino… e lui di proverbi ne aveva già piene le
tasche.
<< Sono felice che finalmente possiamo parlare in
maniera normale! >> disse lei, senza avere la minima intenzione di
lasciare il collo del castano.
Se non l’avesse saputo un abbraccio
l’avrebbe scambiato per un tentativo di soffocamento.
<< S-sì… anche io…? >>
disse, anche se sembrava più una domanda rivolta a se stesso che una risposta.
Tuttavia Hotaru lo ignorò,
continuando imperterrita per la sua strada: << Io sono HotaruFukushima, del secondo Alchimisti >> si presentò, distaccandosi
lo stretto necessario per guardarlo negli occhi. Da una distanza sicuramente molto ravvicinata.
Bene, ora che lo sapeva: poteva continuare la colazione e
sfuggire da qualsiasi altro attentato, di qualunque tipo, per le prossime
trentasei ore?
Non fece in tempo a ribattere, la ragazzina continuò:
<< so che il nostro primo approccio non è stato molto… umano >>
disse lei con un sorrisetto colpevole sul volto << però mi hai liberato
dal Rokubi, anche se non so come hai fatto, e quindi
io voglio ringraziarti invitandoti al ballo come mio cavaliere! >>
terminò lei, facendo trattenere il respiro all’intera mensa.
Anche a Kiba, che non seppe spiegarsi come facesse a
trattenere il respiro dato che comunque non respirava
da quando lei si era attaccato al suo collo.
Ma quel colpo fu duro anche per
lui. Le parole “ballo”, “invitarti” e “cavaliere” nella stessa frase non
potevano trovare posto all’interno della sua mente, già stipata da ben altri
pensieri e traboccante di vecchie fissazioni ancora non abbandonate.
Boccheggiò in cerca di qualcosa da dire, evidentemente a
disagio. Insomma, aveva avuto qualche ragazza ma… lui non ballava! Non qualcosa
adatto ad un ballo di gala, almeno!
Ma, per l’ennesima volta, rimase
vittima del potere insito a quella parte della razza umana chiamata “donne”.
E’ risaputo ormai che tali esseri hanno molte armi contro
gli uomini. Alcune possono essere eluse con un po’ di astuzia,
altre possono semplicemente essere ignorate a causa dell’abitudine.
Ma una, una sola delle armi a loro disposizione è sempre, perennemente,
indistintamente utile con una percentuale di successo del cento percento… i lacrimoni.
Resisti ai lacrimoni di una donna,
soprattutto se sono sfoggiati per motivo che non conosci ma che incolpano te, e tu non sei umano.
Cosa che accadde. Hotaru sfoggiò un paio di lacrime
maestrali alla sua indecisione, decretando la fine del già poco buon
senso che albergava a tratti nella testa dell’Inuzuka, decretando così la
disfatta. Annuì.
E se prima ne era solamente
sospettoso, ora ne era pienamente convinto: quella settimana sarebbe stata un
Inferno.
Nonostante tutte le previsioni del
caso, quella era stata la settimana più drasticamente noiosa della sua vita.
Sembrava che nell’attesa di quel fottutissimo ballo -perché
sì, dopo che te lo senti nominare anche in bagno nel cambio d’ora, cominci a
maledirlo- l’accademia intera andasse fuori di testa.
Le lezioni si tenevano solo al
mattino mentre, nel pomeriggio, l’intera scuola era impegnata nei vari
incarichi dati loro dai membri del consiglio studentesco. C’era chi disegnava
cartine su cartine per la disposizione dei tavoli, chi prendeva metrature per
la pista da ballo, chi sistemava il palco per l’orchestra -che ancora non aveva
capito da quale cavolo di posto veniva- e, infine, chi addobbava e chi prendeva
le misure per gli abiti.
Ora, il concetto è semplice. Ad un ballo di gala normale ci
si mette lo smoking e, a meno che uno non sia
allergico alle buone maniere, al massimo si ripiega con una camicia e una cravatta
mezza allentata.
Di solito.
Ma la parola “normale” sembrava non
far parte del vocabolario di quell’accademia, no, perché loro un ballo stile
Venezia del settecento dovevano fare.
Premesso ciò, provate ora ad immaginare la mensa.
Spogliatela dei tavoli e posizionateci cinque casse di
legno a circa cinque metri l’una dall’altra. Mettete uno ad uno cinque
poveracci a braccia larghe, impalati come sardine su ognuna
delle casse, con lo sguardo fisso perso nel vuoto. Mettete tre metri da sarta
in mano a Sakura, Ino e a quello squilibrato del presidente del Consiglio
Studentesco. Aggiungete montagne di stoffa di tutti i tipi a formare una specie
di collinetta alle spalle di tutto ciò e avrete sicuramente
immaginato l’incubo più ricorrente di Kiba Inuzuka, terzo anno
Alchimisti… addetto alla sezione “creazione e confezionamento
abiti” come l’aveva chiamata Deidara.
Che gli venisse un crampo mentre
faceva le scale!
Ogni santissimo pomeriggio era stato impegnato fino a sera tardi
in quell’incubo tutto rose e fiori. Ino e Sakura non stavano zitte venti
secondi, misurando e facendo apprezzamenti non poi tanto silenziosi sulle
chiappe di mezza accademia, dettando numeri e girovita
ad una terza persona, Deidara, che per tutta la
settimana non aveva fatto altro che ripetere che l’Arte è Esplosione in tutte
le salse e in tutte le lingue, credeva anche in sanscrito, ma non ne era sicuro.
Le due giornate dedicate alle donne erano state le più
tremende: pezzi di pizzo che volavano da ogni dove, merletti che spuntavano in
ogni angolo -anche quelli tondi-
possibile, tipologie e particolarità di strisce di raso che erano assolutamente
uguali agli occhi di tutti tranne che
a quelli di Sakura, Ino e Deidara e, per concludere in bellezza, ancora ricordava con orrore la
discussione di tre quarti d’ora sulla forma delle scollature.
Ma cavolo, se una deve mostrare le
tette, mostra le tette che la scollatura sia rotonda o quadrata! Che differenza faceva?!
E in tutto ciò, lui aveva il
compito di… smistare i gruppi.
In poche, semplici, infami parole: faceva il buttafuori. O lo sfollagente, dipendeva dalle occasioni.
L’unica cosa che aveva imparato era che, a volte, una mazza
chiodata o un Revolver in mano facevano la differenza.
Scampando agli attacchi affettuosi stile francobollo di Hotaru e aiutando di tanto in tanto Sasori con i ricami
delle bluse maschili, finalmente era arrivata la fatidica vigilia: era venerdì
sera… e lui aveva un mal di testa così potente che un Boeing
747 in fase di decollo faceva meno casino di quanto ne sentiva lui nel
cervello.
Quando alle dieci e venti di sera
anche l’ultimo poveraccio se ne fu andato, con l’abito sotto il braccio e
l’espressione di chi ha un cappio al collo, poté finalmente lasciarsi andare su
una delle sedie ammucchiate con i tavoli a lato della sala, prendendosi la
testa fra le mani.
Letto, cuscino, silenzio… ecco le
uniche cose che anelava in quell’istante. L’indomani non aveva nemmeno lezioni,
di bene in meglio! Poteva dormire fino a sera senza che nessuno lo tampinasse
con qualcosa da fare, soprattutto dopo che Iruka gli aveva detto che “a causa di impegni” avrebbero saltato i due incontri previsiti e avrebbero ripreso dopo in cinquantenario.
Già. Se da una parte era un
sollievo, così da non sorbirsi un interrogatorio su argomenti imbarazzanti,
dall’altra aveva scoperto non essere una situazione esattamente gioiosa alla
“figlio dei fiori”… lui, la sua empatia e la folla non potevano stare nella stessa stanza.
Capitava quello scatto d’ira o quella punta di testosterone
in più che gli rovinavano la giornata.
Ma fra tutte le catastrofi naturali una
sola era veramente temibile: Deidara.
Ovvero la persona che adesso aveva
esattamente davanti al naso. << Inuzuka, che stai facendo?
>> chiese con tono alto e gioviale, trapassandogli il cervello.
Non era una persona normale, no.
Dopotutto, lui si definiva un artista… e gli artisti sono
davvero strani, a volte.
Quando ti guardava lo faceva con un
occhio solo, dato che l’altra metà del viso era ricoperta da un ciuffo pseudoemo di capelli biondi come
il grano, di un biondo molto simile a quello di Naruto. Aveva sempre la coda di
cavallo alta sulla testa, che lasciava cadere i capelli della nuca morbidi
sulle spalle. La divisa era portata come gli altri tranne la cravatta, che
annodava in un fiocco lento e che lasciava cadere sul petto.
Particolare, ecco la parola giusta.
Kiba lo osservò, alzando appena gli occhi e sospirando
esausto. Al diavolo l’educazione nel rivolgersi ad uno più grande, stava
morendo! << Dormo >> rispose solamente, la
voce roca ricordo di tutti gli urli che aveva dovuto lanciare quel giorno alla
calca di ritardatari che si erano presentati solamente l’ultimo pomeriggio
disponibile.
<< Vedo >> rispose lui
ridacchiando, posandosi una mano sul fianco ed osservandolo dall’alto in basso.
<< Puoi andare, mettiamo a posto noi altri
>> aggiunse, sorridendogli cordialmente.
Kiba alzò lo sguardo cercando di trattenere il sollievo di
quella notizia. << Sul serio? Siete sicuri? >> chiese, più per
impartita educazione che per altro, sperando già che non si trattasse di uno
scherzo di cattivo gusto.
Deidara ridacchiò di nuovo,
voltandogli le spalle ed incamminandosi verso gli altri: << sparisci,
Inuzuka! >> esclamò, decretando la realizzazione
dei suoi sogni.
O almeno, se non di tutti, almeno
di quello più impellente.
Esultò in silenzio e, afferrando rapidamente la gruccia con
il suo vestito incelofanato, uscì dalla porta
principale velocemente e senza salutare nessuno. Se Sakura e Ino lo avessero
visto andar via lo avrebbero rincorso per tutta la
scuola nel tentativo di riportarlo giù a pulire… e lui non ne aveva la minima
intenzione.
Salì le scale abbastanza di fretta, sbadigliando sonoramente
e senza mettere mano davanti alla bocca. Era da solo su una
scalinata buia, per una volta poteva anche glissare sull’educazione.
Una volta arrivato in cima voltò a
destra, strascicando i piedi in direzione del dormitorio maschile e lasciando
che la sua mente vagasse da sola per l’ultimo lasso di tempo che lo separava dal
sonno comatoso in cui sarebbe caduto una volta messo piede in camera.
Con tutto quel casino non era riuscito a sentire sua madre
-o almeno, a rispondere alle sue telefonate- già da tre giorni e da cinque non
vedeva più né Shikamaru né Naruto. Tutti erano presi dai preparativi e a pranzo
si mangiava un panino mentre si discuteva dei progetti, dei posti a tavola,
della sistemazione degli amplificatori…
Era un lavoraccio.
Sbadigliò una seconda volta nel passare davanti alla
scalinata dell’atrio principale, totalmente incurante del luogo e del tempo.
Ed in fatti…
<< Mamma non ti ha insegnato che si mette la mano
davanti alla bocca, Inuzuka? >> sentì rivolgersi, anche se a tono
moderato, da una voce proveniente dalle scale.
Voltò il capo, e quasi sulla cima delle scale un Sasuke
Uchiha in tutta la sua eterea bellezza trasportava sulle spalle un Naruto
completamente addormentato ed esausto.
<< Non ti farai delle paranoie per uno sbadiglio,
Uchiha >> ribatté pronto il castano, nonostante la sua espressione da encefalogramma piatto potesse
esprimere solamente lo spegnimento del cervello escluso le più normali funzioni
vitali.
Tuttavia anche Uchiha era provato, lo dimostravano due
leggere occhiaie violacee sotto agli occhi languidi.
Non giunse risposta da Sasuke, solamente
un’occhiata storta che, con quell’espressione, non avrebbe convinto
nemmeno una formica.
Spostò lo sguardo dagli occhi scuri del moro al viso
beatamente addormentato di Naruto, alzando appena gli angoli della bocca in un
sorriso comprensivo. << Si è addormentato? >> chiese, cercando per
una volta nella sua vita di essere cortese.
<< Ti sembra sveglio? >> rispose tagliente
l’altro.
<< Uchiha, ti scongiuro…
>> cominciò poi l’Inuzuka << i neuroni addetti all’ironia sono
andati in sciopero da questa mattina alle dieci. Potresti evitare di fare
l’ostico e rispondere semplicemente come in una normale conversazione? >>
chiese.
Sempre se ne abbia mai avuta una in
vita sua, di normale conversazione.
L’altro sospirò, annuendo semplicemente con il capo.
<< Mentre la preside cambiava per l’ennesima
volta la posizione dei tavoli >> rispose l’Uchiha, il tono piatto ma,
tuttavia, cortese.
O era il sonno che parlava per lui,
oppure la mattina successiva sarebbero piovuti fuoco e zolfo. Oppure avrebbe conosciuto i quattro cavalieri
dell’Apocalisse, che ne poteva sapere? Fatto sta che il pensiero di stare
parlando con Uchiha in maniera normale costituiva la base per una catastrofe
naturale stile Bibbia.
<< E tu? >> aggiunse
poi Sasuke, osservandolo con la schiena leggermente incurvata per tenere meglio
il peso di Naruto << riesci a controllarla?
L’empatia, intendo >> chiese pacato, con tono
cordiale ed espressione rilassata.
Ok, a quando le dieci piaghe d’Egitto?
Nonostante lo stupore per la
domanda, l’Inuzuka annuì confusamente in direzione del moro: << non c’è…
male >> biascicò, cercando più che altro di convincere se stesso.
Cosa che non riusciva a fare, dato che il mal di testa
imperiale che si portava appresso non era di certo spuntato fuori
dal nulla.
Sasuke ghignò, lanciando lampi ironici con gli occhi ma
senza aggiungere altro.
Oh sì, ecco il solito Uchiha! Cominciava a preoccuparsi.
Prima che potesse rispondergli,
Naruto mugugnò nel dormiveglia, socchiudendo un occhio per guardarsi attorno.
In un piccolo movimento con il volto sfregò il naso sul collo pallido di
Sasuke, stringendosi un po’ di più alle sue spalle prima di richiudere gli
occhi. Fu poi la sua voce, in un leggero sussurro udibile solo grazie al
silenzio, a sfiorare l’orecchio del moro: << andiamo a dormire? >>
chiese innocentemente, probabilmente non rendendosi conto nemmeno della
presenza di Kiba.
Sasuke Uchiha, osservando di sbieco il volto del sue ragazzo, sorrise dolcemente.
E quello fu il secondo vero sorriso
che aveva visto comparire sulle labbra del moro da quando aveva messo piede
all’interno della scuola.
<< Sì, ora andiamo, baka >> sussurrò in risposta, appoggiando la fronte alla tempia del biondo e
chiudendo gli occhi qualche secondo.
A Kiba si strinse lo stomaco. Era stata solamente una
piccola dimostrazione d’affetto, semplice quanto lo zampillare di un ruscello,
ma era così… sincera… da lasciarlo interdetto.
Riprese a respirare solamente quando
Sasuke, facendogli un cenno di saluto con il capo, lo superò e si diresse verso
la camera di Naruto, una delle prime del corridoio. Non ebbe la velocità
di rispondergli con la voce, limitandosi a sua volta ad un cenno del capo,
quasi ad un annuire automatico.
Osservando il pavimento, forse per la prima volta da quando
era in accademia, si sentì… solo.
<< Maledetto sia chiunque abbia
inventato questi dannati cosi!
>> sbottò irrequieto davanti alla scalinata principale, cercando per
l’ennesima volta di allacciarsi quella specie di fazzoletto di
seta che doveva portare al collo.
Signore! Non ci riusciva con le cravatte
normali, figuriamoci con quella sottospecie di foulard! A lui la
cravatta gliela allacciava Sakura tutte le mattine, non aveva
mai imparato!
All’ennesimo tentativo, miseramente fallito come i circa venticinque
precedenti, decise di maledire dal profondo ogni cosa su quel mondo che andasse allacciata al colletto di una camicia.
Fortunatamente, per una questione di educazione, lo
fece mentalmente e non ad alta voce.
La sera successiva -ovvero il fatidico sabato del ballo- era
arrivata subito, quasi come se il resto del giorno non fosse nemmeno trascorso.
Per indossare quel costume maledetto aveva dovuto farsi la
doccia alle quattro del pomeriggio, passando poi l’ora successiva a cercare di
pettinare i suoi capelli in maniera decente, magari per assumere un’aria da sciupafemmine incallito di nuova generazione.
Quando la bottiglietta di gel
raggiunse la metà senza che i suoi capelli si decidessero a smettere di sfidare
la legge di gravità, lasciò abbondantemente perdere e, rilavandosi i capelli
per togliere tutta quella roba appiccicosa, propense solamente per una
pettinata veloce in modo che non stessero troppo
sparati in ogni direzione.
Alle sei doveva ancora vestirsi, il che era un dramma anche
se aveva appuntamento con Hotaru alle nove.
Chiunque non abbia mai indossato un costume settecentesco
non può avere idea di cosa voglia dire vestirsi in
quel modo.
Innanzi tutto i pantaloni, bianchi
nel suo caso, di larghezza normale in vita e sulle cosce fino alle ginocchia e
incredibilmente stretti sui polpacci. Il motivo c’era: dopo doveva mettersi gli
stivali, dunque più stretti li facevano e meglio era.
Ma il punto non era come
apparissero dopo… piuttosto come
poteva fare una persona ad infilarseli prima,
dato che la circonferenza massima della gamba non sembrava più larga della sua
caviglia. Il che era un problema, se solo di piede superavi
il 41… e lui portava il 42.
Tuttavia provò lo stesso, anche
perché presentarsi in mutande non era concepito da nessun galateo, nemmeno
lontanamente.
Metodo classico: prima una gamba poi l’altra.
Imprecò a denti stretti quando i piedi, passati
tranquillamente nella parte superiore, affondarono per qualche centimetro in
quella più stretta e si bloccarono lì nel mezzo, senza muoversi più.
Nella mezzora successiva, che passò smadonnando
in ogni lingua conosciuta e dialetto gergale umanamente noto, avrebbe maledetto
non solo i pantaloni, ma anche chi li aveva fatti, chi aveva fornito il cotone,
l’inventore dei bottoni e lo spigolo del letto, preso ripetutamente con il
piede nel tentativo di emulare Bruce Lee nei più
fantasiosi stili diTai Chi.
Dopo una rivisitazione della posa dell’amantide, finalmente poté allacciarsi
quella trappola in tessuto alla vita e tirare un sospiro di
sollievo.
Certo, la circolazione si fermava
in zona ginocchio e tornava indietro senza raggiungere il piede, ma non era un
gran problema… forse.
Successivamente, la camicia. Che no, non poteva essere una normale camicia… scherziamo,
vero?
Le camicie adatte a quei balli avevano un colletto senza risvolti, che salivano semplicemente in alto sul collo,
chiudendolo quasi completamente e facendoti sembrare una gru imbalsamata.
O uno con un manico di scopa in quel posto, ma non voleva essere
scortese.
Poteva sembrare anti-estetico, soprattutto perché si
vedevano i due bottoni che lo chiudevano, ma poi ci andava annodato il
fazzoletto di seta, dunque il problema non si poneva. Sui polsini, inoltre, due
sbuffi di pizzo erano appositamente applicati in modo
che uscissero dalle maniche della giacca.
Compativa veramente tanto quelli che si vestivano in quel
modo, più di tre secoli prima.
Una volta che ogni bottone di quel maledetto pezzo di stoffa
fu allacciato, si guardò alle specchio con aria
trafelata. I suoi capelli erano tornati esattamente come ogni santo giorno e, come se non fosse sufficiente, si sentiva
imbacuccato come un confetto.
Sospirò, passandosi una mano sopra i capelli per cercare di
appiattirli almeno un po’, tornando poi a sedersi sul letto per infilarsi gli
stivali neri in pelle. Almeno quelli avevano la cerniera a lato.
Si alzò e, come tocco finale, estrasse la giacca dal
cellofan che ancora la rinchiudeva.
Rossa. Era stata Sakura ad insistere per quel colore,
asserendo che con il castano ci stava molto bene un rosso scuro. Ino insisteva
per il blu, mentre Deidara aveva proposto un verde
muschio che non voleva nemmeno prendere in considerazione di mettersi.
La tenne in mano, osservandola pensieroso. Era in velluto
morbido, leggero nonostante il tessuto di per se
facesse caldo, ricamata con alamari d’oro lungo tutto il colletto a taglio
classico e lungo i due lati della pettorina, che andavano chiusi con legacci in
treccia, d’oro anch’essi, in soli tre punti lungo il tronco. Lunga fino alle
ginocchia, si apriva sul davanti stile smoking e lasciava sul collo una
scollatura a V per mostrare il classico fazzoletto di seta.
Fazzoletto che, bensì due ore dopo, non si sarebbe ancora
allacciato da solo aspettando un miracolo ai piedi della scalinata principale.
Cosa che stava ancora facendo, dato
che Hotaru era in ritardo.
Nel contempo, i primi ospiti erano arrivati e cominciavano
tutti a fluire lungo l’atrio principale, in direzione della cappella, da cui
proveniva la musica soffusa dell’orchestra che già suonava. Pianoforte e
violoncello con accompagnamento di violino… certo che Sasori si era dato da fare
nel trovare un gruppo musicale adatto…
Osservò con cipiglio apatico uno dei vestiti femminili che,
indosso ad una sua compagna di classe, attirava inevitabilmente l’attenzione.
I modelli erano uguali per tutti. I maschi avevano un
completo, le femmine un altro. Gonne larghe, decorate con pizzo o tulle,
sovrastato da una gonna in seta di diverso colore a seconda
di chi lo indossava che scendeva dolce suoi fianchi, arrivando fino a
qualche centimetro da terra. Il bustino era decorato nello stesso modo delle
bluse maschili e, in alto, si aprivano in scollature generose che variavano
forma a seconda di chi le indossava. Le maniche erano
a sbuffo… solitamente. Anche se c’era chi aveva preferito una
maniche in retina trasparente lunga fino al polso. Qualcuna, infine,
indossava i guanti corti.
<< Sei già perso a guardare le altre ragazze? >>
esordì una voce al suo fianco, facendolo trasalire.
Diamine… odiava quella sua capacità di materializzarsi
quando meno se lo aspettava!
<< Alla buonora >> rispose Kiba ridacchiando
<< pensavo di essere stato scaricato >> ironizzò in direzione della
sua accompagnatrice, che in piedi sullo scalino arrivava alla sua stessa
altezza.
Hotaru, quella sera, era
particolarmente raggiante. I boccoli biondi erano raccolti sulla nuca in un
concio lento, che ne faceva scendere qualcuno sulle spalle in modo calcolato. Un vestito bianco, con qualche passata di pizzo nella parte
anteriore della gonna, di colore misto fra l’arancione tenue e il giallo.
Scollatura squadrata, in modo probabilmente da coprire il suo seno ancora poco
sviluppato, con le maniche che le arrivavano fino al polso, terminando con uno
sbuffo di pizzo a trama larga.
E sorrideva. Sorrideva solare
mentre lo osservava.
<< Ho avuto problemi con la cerniera del vestito…
>> restò sul vago lei, aggrottando poi le
sopracciglia: << …il fazzoletto non lo metti? >> chiese, indicando
il collo.
<< Non sono capace >> rispose
lui sospirando, come se l’argomento “nodi” fosse il suo tallone d’Achille.
Lei ridacchiò serena, prendendo poi quell’aggeggio in seta e
cominciando ad annodarglielo con facilità. << E’
inutile, voi uomini non imparerete mai a fare il nodo alle cravatte…
>> disse serenamente, terminando in pochi secondi. << Ecco, ora sei
un perfetto principe azzurro >> concluse felice,
unendo le mani sotto al mento.
Il castano sorrise a sua volta,
lievemente. Beh, la serata doveva pur passarsela in qualche modo… tanto voleva
stare al gioco e fare scalpore andando al ballo con quella che aveva cercato di
fargli lo scalpo.
Si inchinò, con il braccio piegato
in avanti come aveva visto fare nei film, porgendolo alla ragazza con fare
teatrale. << Andiamo, principessa? >> ironizzò con perfetta
espressione regale, facendo arrossire Hotaru fino
alla punta dei capelli prima che accettasse l’offerta
e lo prendesse a braccetto.
Mentre varcava la soglia però, non
riusciva a non pensare che quel cavolo di vestito era la cosa più scomoda che
si fosse mai messo addosso.
La sala era davvero ammirevole. La cappella era già ben
arredata di per sé, con arazzi di santi in cornici dorate alle pareti, fra una
vetrata e l’altra, ma in quel frangente avevano superato se stessi.
I vecchi lampadari pendenti erano stati riaccesi per
l’occasione, illuminando un soffitto ad affresco con una miriade di angeli e creature alate vestite di drappi carmini. Ai
lati delle vetrate, inoltre, riprendendo lo stesso colore dei drappi erano
state poste delle lunghissime tende, raccolte con cordoni in oro.
L’orchestra -composta da un violoncellista, un pianista, tre
violinisti e un sassofonista- era stata posta sull’altare da cui Sua Eccellenza
Jiraiya faceva messa, esattamente davanti all’imponente organo e sotto
all’enorme Cristo crocifisso. Alcuni tavoli erano
infine stati disposti ai lati della sala, lasciando la parte centrale come
pista da ballo, dove già alcune coppie danzavano in quei balli dai passi
prefissati, tipici delle feste da gala veneziane e francesi del tardo seicento.
<< Non è un’eresia organizzare un ballo in chiesa?
Magari la mensa sarebbe stata… più adatta? >> chiese Hotaru, avvicinandosi appena con il viso a Kiba ma senza
distogliere lo sguardo meravigliato dagli addobbi e dal soffitto affrescato.
<< Abbiamo un prete che scrive romanzi hard. Se non è
un’eresia quella… >> rispose il castano,
osservando rapito tutto quello sfavillio di colori e quel chiacchiericcio
diffuso, unito a sorrisi allegri e sinceri.
Per quella sera, tutto il mondo fuori
dalla porta.
Avviandosi, fra gli sguardi dei più curiosi, lungo la navata
poté notare in pista persone conosciute danzare quell’antico ballo di gruppo i
cui passi non erano ancora andati persi.
Sakura, un vestito di seta color rosa con strati di tulle
che sfumavano dal rosa confetto al rossiccio, aveva i capelli raccolti in un
concio appositamente spettinato, lasciando ad
incorniciare il volto solamente due ciuffi sottili.
Era lì-lì per chiedersi come
diamine aveva fatto a raccogliersi quei capelli così corti in un affare simile,
ma rinunciò. Le donne potevano tutto, ormai ne era
convinto.
Il bustino aveva ricami rossi fino sotto al
seno, in vista grazie ad una scollatura angolare simile a quella di Hotaru. Le maniche però erano assenti, sostituite
da due sbuffi in morbido tulle rosso che ondeggiavano ad ogni passo.
Lo notò e, con un cenno della mano libera, lo salutò
raggiante.
Rispose, notando al contempo con chi stava ballando. Sasuke
Uchiha.
Bello da fare invidia con quell’abito blu
notte intarsiato d’argento e i pantaloni bianchi a fasciargli in maniera
impeccabile i glutei. La carnagione chiara era messa persino in risalto
dal tono scuro del colore, accentuando i capelli simili a fili di seta nera.
E, se Sasuke attirava su di sé gli sguardi sbavanti di molte
delle ragazze in sala, Naruto non era assolutamente da
meno, quella sera.
Il colore arancione era quello scelto per lui da Ino, avendo
incontrato l’approvazione sia di Sakura che di Deidara.
La giacca gli cadeva morbidamente sulle spalle, fasciandone il petto forte ma
non troppo robusto, ricamata di nero sui bordi e sui polsini delle maniche.
Pantaloni neri per lui in questo caso, facevano quasi tutt’uno con gli stivali,
uguali per tutti gli uomini.
E, forse, buona parte della
popolazione maschile sarebbe stata scontenta di vedere la dama che lo accompagnava,
nonostante le occhiate dolci che il biondo si cambiava con Sasuke ad ogni giro.
Hinata Hyuga danzava impacciata accanto a lui, con un
colorito rossastro sul volto pallido. Indossava un vestito bianco perlato con
motivi floreali in rilievo, unito elegantemente ad alcune pieghe di seta
azzurra sul davanti della gonna. Con due minime maniche a sbuffo sulle spalle,
la scollatura a V le si appoggiava dolcemente sul seno,
sicuramente più sviluppato di tutte le sue coetanee. I capelli infine, al
contrario della maggior parte delle ragazze, erano lasciati sciolti sulle, raccolti solamente dietro la nuca con una spilla
argentea a forma di farfalla. I suoi occhi fissavano ad alternanza quelli
cerulei del biondo e i suoi piedi.
<< però, Naruto e Hinata
Hyuga! >> commentò ad alta voce, probabilmente contagiato dall’atmosfera
serena della festa: << e chi lo avrebbe mai detto? >>
<< Chi? Hinata quella dell’infermeria? >> chiese
sconvolta la biondina, cercando di guardare nella stessa direzione di Kiba.
Fu in quel momento probabilmente che, osservando per caso
l’entrata, ignorò completamente il discorso in cui si era lanciata Hotaru, deglutendo a vuoto.
Se gli fossero passati sui piedi
con un carro armato, probabilmente non avrebbe nemmeno sentito il dolore.
Fasciato in una giacca nera in alamari d’oro, pantaloni
bianchi a completare l’opera, Shikamaru Nara aveva attirato
l’attenzione di molte persone, presentandosi in sala con i capelli sciolti e
tirati indietro con il gel in una pettinatura composta e, si poteva
dire, di gran classe.
Al suo fianco, con una mano guantata
di bianco fino al gomito, Ino Yamanaka sorrideva allegramente alla folla, fiera
probabilmente di avere, per una volta, un cavaliere che poteva competere con
Sasuke Uchiha… e quindi con Sakura.
Lei indossava un abito giallo aranciato dalla scollatura
curvilinea che metteva in risalto il seno, non particolarmente sviluppato ma
nemmeno invisibile. Il bustino era decorato con ricami di narcisi e la gonna,
ricoperta degli stessi ricami, scendeva su una sottoveste arancio, in pizzo. Le
maniche erano assenti nel suo caso, chiudendosi sulle spalle a grappolo e
fermate con due spille dorate, mentre i capelli erano raccolti in un concio a
treccia.
Kiba deglutì, non riuscendo a togliere gli occhi di dosso
dai due.
Erano una maledetta… bellissima coppia. O
almeno, vestiti così e in quell’accostamento cromatico.
E diamine, lui aveva smesso di
respirare guardando un ragazzo!
Chiuse gli occhi scuotendo il capo, cercando di concentrarsi
su altro. Su qualsiasi cosa non avesse una forma
riconducibile a Shikamaru… e no, l’ananas che spuntava dal tavolo del rinfresco
non aiutava! Doveva cambiare obiettivo.
Per esempio, Ten Ten che entrava a
braccetto con Neji Hyuga.
…cosacosa?!
<< Ma quella è Ten Ten?! >> sbottò sorpreso, attirando per l’ennesima
volta l’attenzione di Hotaru.
<< Oh. Mio. Dio! >> scandì lei altrettanto
stravolta, ridacchiando felicemente a quel nuovo gossip che avrebbe occupato le
chiacchierate dell’intera scuola per almeno due mesi. << La
bibliotecaria… con l’Arcangelo Hyuga! >> esultò la ragazzina, facendo
gridolini concitati che lui non voleva nemmeno stare a sentire.
Era… bella. Niente da dire. Il vestito dalla tinta rosa
ramato, semplice e senza ricami, aderiva perfettamente e nei punti giusti al
suo corpo, sposandosi bene anche con la carnagione olivastra. A decolté,
quell’abito lasciava spazio all’immaginazione, coprendole il seno in modo
aggraziato e lasciandole scoperte le spalle, su cui scendevano i capelli
sciolti e leggermente mossi, raccolti nel lato destro della testa con una
spilla a forma di rosa.
Lei lo notò in mezzo a tutti quelli che li fissavano, chi
moderatamente e chi meno. O almeno, probabilmente
aveva notato la sua bocca spalancata, ma erano dettagli.
Alzò la mano guantata di bianco,
salutandolo con uno dei sorrisi più radiosi che le
avesse mai visto fare.
Rispose, aprendo e chiudendo le dita della mano destra come
se fossero rachitiche… ma rispose.
Al fianco della ragazza, anche Neji voltò il capo in sua
direzione, osservandolo con espressione pacata ma
annoiata.
Se Shikamaru era in nero, Neji
vestiva di tutto l’opposto. I pantaloni bianchi sbucavano da una giacca di un
bianco puro e dagli alamari dorati su polsi e colletto, per non parlare di tutte la linea anteriore dei bottoni. I capelli castano
scuro erano raccolti in una coda alta da un elastico che non era nemmeno
visibile, e l’abito si adeguava agli occhi in maniera paurosamente bella.
Ci avrebbe scommesso, se solo avesse spiegato le ali ci
sarebbero stati mancamenti generali in ogni parte della sala, femmine o maschi
non aveva importanza.
Probabilmente sarebbe svenuta anche la preside.
Lo Hyuga si limitò a salutarlo con
un gesto del capo prima di proseguire, sempre con Ten Ten
a braccetto, in direzione di un tavolo della sala, tenendo gli occhi puntati
davanti a se.
<< Questa serata mi ha sconvolto diciassette anni
d’esistenza >> borbottò il castano a mezza voce,
andando con il dito ad allargare appena il fazzoletto in seta che portava al
collo, tra l’altro compiendo una mossa totalmente inutile.
Il fazzoletto rimase stretto e lui era ancora incredulo.
Sakura con Sasuke poteva passare. Anche Naruto e Hinata…
insomma, non gli importava con chi andava al ballo Naruto, finchè all’ Uchiha stava bene. Shikamaru e Ino… sì, anche se per
Ino non era la massima aspirazione, Shikamaru era uno dei più puntati di tutta
la festa, dunque le era andata bene. E a lui importava
poco, una cosa trascurabile.
Ma Ten Ten
e Neji erano stati il colpo di grazia. Sperava almeno che la ragazza non avesse
la stessa parlantina di Sakura e Ino quando ci si mettevano, altrimenti sarebbe
stato costretto a portarsi il lettore CD a colazione per non sorbirsi la
telecronaca in ritardo di ogni singolo passo di quel
ballo.
<< Ah, Kiba! >> esclamò poi Hotaru
al suo fianco, prendendolo a braccetto e strattonandolo gentilmente.
Lottò contro la forza di gravità per mantenere un equilibrio
decente, successivamente contro se stesso per non
approfittare della porta girevole delle cucine per svignarsela di nascosto.
Sorrise… più o meno. Ad averlo visto da davanti poteva sembrare
più uno stirare di labbra da “sei fortunata che c’è folla altrimenti ti avrei
già preso a badilate sul collo” …ma era pur sempre un tentativo di sorriso, no?
<< Che c’è? >> chiese
dunque, sospirando per ritrovare un po’ di controllo. Si sventolò la mano
libera dalla presa mortale di Hotaru sul volto,
cercando refrigerio in un costume in cui, anche se sottile, stava letteralmente
facendo la sauna.
<< Guarda! >> esordì poi la ragazzina, indicando
il palco dove l’orchestra aveva smesso di suonare: << il Presidente sta
per fare il discorso d’apertura >> aggiunse, tenendolo sempre per il
braccio e sorridendo allegra in direzione del palco.
Salirono infatti, davanti alla
pista da ballo dove tutti i ballerini si erano fermati ad ascoltare, le tre
persone più importanti della scuola: la preside, vestita con un costume dalla
scollatura abbondante -per un seno abbondante- ricamato in pizzo e i capelli
biondi raccolti in un concio elegante; il Vicepreside Orochimaru, che faceva la
sua figura in una giacca nera con alamari di un viola spento, quasi impossibili
da distinguere se non sotto luci forti. I lunghi capelli corvini erano raccolti
in una coda di cavallo bassa da un fiocchetto dello stesso viola, in seta. Per
ultimo, a chiudere la fila, il Vescovo Jiraiya nel suo abito talare nero,
lungo, con in vita una fascia color magenta. I capelli, bianchi e spettinati, erano lasciati
allo stesso modo di sempre e, nel sorridere, cercava in tutti i modi di far
capire a Kakashi di avere qualche appunto per il nuovo libro.
Ovviamente, aveva capito tutta la sala tranne Kakashi.
Dopo di loro, in una fila ordinata di cinque abiti tutti
uguali, i membri del Consiglio Studentesco si incamminarono
verso il microfono, Deidara in primis, pronto a
cominciare il discorso.
Se ricordava la discussione avuta con loro sui colori di
quelle dannate bluse, ancora ricordava mal di testa che ne era
derivato.
Quel pazzo e sconsiderato presidente dell’associazione
studentesca bramava intensamente
delle giacche in base nera con delle nuvolette rosse a contorni bianchi, come
già lo erano le palandrane rifilate dallo stesso presidente ai suoi “fidati”
compagni di sventure.
Oltre ad aver visto Itachi vagamente disperato per la prima
volta in vita sua, e aver notato che Sasori non aveva una reazione umana
nemmeno quando si metteva in gioco la reputazione, l’unico che si era vivamente
opposto era Hidan, che aveva minacciato Deidara di includerlo, come vittima sacrificale, nel suo
successivo rito al dio Janshin.
Dopo due tentati omicidi, varie ore
di discussione e un inseguimento nei corridoi per cercare di evitare che Hidan mettesse in atto il suo terzo proposito omicida nei
confronti del biondo presidente, si era arrivati al compromesso: base nera ed
alamari carmini con bottoni d’oro e pantaloni bianchi; ovviamente riprendendo i
colori di base delle palandrane a nuvolette.
Divisa che indossavano tutti e cinque e che, doveva
ammetterlo, addosso a gente come Itachi Uchiha aveva
un suo perché.
Sospirò, alzando il capo all’inizio del discorso di Deidara, ascoltando.
<< Buonasera a tutti voi, qui riuniti per festeggiare
il cinquantenario della fondazione di questo istituto!
>> cominciò, evitando finalmente di perdersi in sproloqui sull’arte. La
minaccia di morte a questo proposito era venuta dalla preside, se non ricordava
male…
<< Eccezionalmente, quest’anno si è organizzato un
ballo, per commemorare questo giorno. Ricordiamo allora, tramite questa forma
policromatica di arte, Il nostro primo preside
fondatore HashiramaSenju
(*4) e la sua opera di ristrutturazione della vecchia chiesa, con annessa
apertura e costruzione dell’accademia in cui noi possiamo studiare oggi
>>
Un applauso di riverenza si levò dalla sala, per poi scemare
pian piano.
Al termine, la voce di Deidara
risuonò ancora una volta: << Detto questo, divertitevi pure fino a notte
fonda e non preoccupatevi, verso la mezzanotte correggeremo la sangria con
venti o trenta bottiglie di vodka! >>
<< Deidara! >> tuonò
la preside da dietro di loro, facendo ridacchiare i presenti.
<< Scherzavo signora preside,
scherzavo! >> ribatté lui, ma le dita incrociate dietro la schiena
non permettevano nulla di buono.
Qualche secondo e la musica ripartì,
sovrastando le risate con una melodica sinfonia di violini e piano, adatta per
continuare quei balli di gruppo stile Venezia antica che, se lo sentiva,
sarebbero andati avanti tutta la notte.
<< Dai Kiba! andiamo a
ballare anche noi! >> esordì Hotaru.
Non fece in tempo a fermarla, venendo
trascinato senza diritto di replica. Anche se una
domanda del genere, dopotutto, se l’aspettava.
Dopo un’ ora e mezza di ballo la
sangria corretta, da tasso alcolemico a livello coma
etilico, era diventata essenziale. E Deidara era il suo nuovo Dio, per quella modifica al drink
che veniva servito.
Dopo averla assaggiata -e averla saggiamente tolta dalle
mani di Hotaru-aveva potuto
usare la finta sbronza più teatrale della sua vita per uscire dalla sala
gremita di gente, decretando finalmente la pace per le sue orecchie.
Lui era ubriaco, sì, ma non di sangria… di gente.
“Empatia” e “folla” sono due parole che non vanno di certo a
braccetto. E aveva scoperto che, più si stancava, più
era facile che sentisse sentimenti indesiderati.
Finendo inavvertitamente addosso a Sasuke aveva avuto
l’insana voglia di baciare Naruto, il che non poteva essere di certo una sensazione sua.
Al che aveva saggiamente deciso di uscire e respirare un po’
d’aria, possibilmente non contaminata dai fumi tossici della sangria “made in Deidara” che la preside e
il Vescovo, nonostante le lamentele da parte della prima, sembravano
apprezzare.
Quello era un Vescovo serio quanto lui in realtà era donna, cioè nemmeno un po’.
Sospirando stancamente, e a passo cadenzato, si diresse
lentamente lungo le scale, svoltando a sinistra e poi a destra, imboccando il
ponte sospeso.
Le finestre erano state tutte completamente riparate e ora,
attraverso i nuovo vetri ancora lindi e puliti, la
luce dei tre quarti di luna illuminava tutto il ponte di una luminescenza
lattea, quasi argentea.
E, quando lui si era già immaginato la presenza di varie
coppiette per cui avrebbe dovuto levare le tende e
cambiare posto, inaspettatamente era completamente vuoto.
E silenzioso, cosa ancora più
strana. Talmente silenzioso che poteva chiaramente sentire la musica provenire
dalla cappella, riconoscendone quasi ogni nota.
Ironico come la musica si sentisse
meglio lì che in mezzo alla folla, a due metri dal palco dove suonava
l’orchestra.
Dopo una decina di passi, trovato il luogo dove il “sound”
sembrava migliore, si fermò a livello della quinta vetrata, appoggiandovisi con
il fianco sinistro; gli occhi rimasero puntati sul cortile sottostante,
illuminato dalla Luna.
Stranamente, in quel momento il vocalist dell’orchestra
-violinista nel tempo libero- annunciò il quarto lento della serata, invitando
le coppie a salire in pista con le rispettive damigelle.
Le prime tre erano canzoni melense che non conosceva, ma
odiava soprattutto la seconda perché Hotaru, che ovviamente l’aveva già sentita, lo aveva
pregato di ballarla con lei.
Aveva passato tutto il tempo a girare in tondo con le
braccia della ragazzina al collo e il suo viso a circa cinque centimetri dal
suo.
Cosa che non gli dava fastidio, parliamoci chiaro, e lei era
anche carina… solo che, suvvia, non era di certo la
sua ragazza e non lo sarebbe diventata… che ci trovava a ballare con lui in
quel modo?
Ma i sogni delle ragazze sono sacri
e, per evitare di rovinargli quel giorno “speciale” -a lui sembrava sempre una
totale ed immensa boiata- aveva retto il gioco e sorriso il più sinceramente
possibile. E, a quanto pare, era andato più che bene.
Tuttavia, adesso, la quarta canzone gli sembrava famigliare
già dalle note iniziali.
Pianoforte, una voce quasi cristallina in
sottofondo… ah, eccola lì, la canzone degli innamorati stile WaltDisney.
Sorrise, stirando appena un angolo della
bocca e fissando un punto vuoto del cortile sottostante. << Cheromanticoni… >> sussurrò,
lievemente ironico.
Comunque, doveva ammettere che era
un’ottima scelta. E la voce della violoncellista
somigliava molto a quella di CelineDion, l’originaria cantante della melodia che ora
accompagnava i passi dei ballerini in sala.
Tale as old as time
Trueasit can be
Bearlyevenfriends
Thensomebodybends
Unexpectedly
Assorto nel più completo
silenzio, ascoltò solamente.
L’intera scuola si era fermata,
per quel ballo, e forse era meglio così. Aveva bisogno di riflettere su quello
che avrebbe fatto da quel momento in poi, soprattutto per quanto riguardava il
suo potere e cosa sarebbe diventato una volta finita quell’accademia.
Non ne aveva
la minima idea. E, forse, la sua mente era ancora
troppo “umana” per capire i discorsi complicati del vicepreside sugli sbocchi
futuri che i suoi studi potevano portare.
Insomma, quando aveva compilato
il test psico-attitudinale per la psicologa della sua
ex-scuola, non aveva di certo progettato di finire in qualche setta segreta con
una tunica bordeaux e una sfilza di rituali in latino da dire a memoria.
A dire il vero non lo attirava
nemmeno.
Lui voleva solo diventare il
nuovo capo famiglia, in barba alla tradizione di passarsi il testimone fra
donne. Se solo si immaginava sua sorella come capo…
probabilmente gli Inuzuka sarebbero presto diventati una loggia di mercenari
assassini.
“Terribile” era un aggettivo che
sminuiva la cosa.
Mosse appena le labbra nel
seguire le parole della canzone, inconsciamente, ritrovandole in un cassetto
della memoria chiuso da tantissimo tempo… più o meno da quando aveva sostituito
i cartoni animati con i Linkin Park.
Perso nei suoi pensieri non notò
i passi cadenzati che si avvicinavano a lui, coperti appena dalla voce maschile
del cantante che, con classe e giusto ritmo, intonava la seconda strofa.
Just a little change
Smalltosay the least
Both a little scared
Neither one prepared
Beauty and the Beast
<< La sai a memoria? >>
Trasalì alla voce totalmente inaspettata che interruppe il
suo circolo di pensieri inutili, arrivandogli da vicino. Ma
non diede a vedere il sussulto, spostandolo sguardo sulla persona che aveva
appena parlato.
Shikamaru, con le mani nelle tasche dei pantaloni bianchi,
lo osservava con espressione rilassata e… sì, divertita, forse.
Doveva considerarsi un ulteriore
segno dell’avvento dell’Apocalisse, il fatto che Nara si stesse effettivamente
divertendo e non risultasse annoiato come al solito?
Sorrise, per un motivo che non sapeva
nemmeno qualificare, tornando a fissare il cortile esterno.
<< Ricordi di quando mi drogavo
con i film della Disney di mia sorella >>
rispose poi, sincero.
Shikamaru gli faceva questo effetto,
inutile. Non riusciva a raccontargli delle balle.
Lui sorrise, voltando il capo nella stessa direzione di
Kiba, probabilmente curioso di sapere cosa attirasse l’attenzione del castano.
Sospirò poi e, senza spostare lo sguardo, fu ancora la sua
voce che interruppe il silenzio: << ti sei divertito, questa sera?
>>
Sembrava una domanda come tante altre ma… semplicemente, non
sembrava da Shikamaru. C’era qualcosa che stonava.
Forse, quell’accenno di curiosità che nella voce del moro
non aveva mai sentito.
Ma non rispondere era da idioti e,
ormai, a Shikamaru avrebbe potuto dire anche le misure di sua madre. Cosa, sperava vivamente, che Nara non gli avrebbe mai
chiesto.
Annuì. << Sì, anche se Hotaru sembrava su di giri più di chiunque altro, là dentro.
Penso di aver scavato il solco, a forza di fare avanti e indietro in quella
sala! >> esclamò, ridacchiando.
Shikamaru si limitò a sorridere, senza scostare lo sguardo
dall’albero nel giardino, un ammasso di ombre scure
che lasciava sbucare qualche foglia solo in prossimità della cima.
<< Sì, sembravate divertirvi
>> commentò solo, mantenendo quel sorriso strano sul volto.
Al contempo, le note si susseguivano lente nell’aria.
Ever just the same
Ever a surprise
Everaskbefore
And ever just asure
As the sunwill rise
Lo fissò per qualche istante, assorto. << Che c’è? >> chiese poi, mantenendo un tono di voce pacato.
Qualche momento di silenzio… che fu il moro a rompere.
<< Se ti dicessi che ero
geloso guardandovi, mi prenderesti per scemo? >> chiese, ritornando
serio.
Kiba ridacchiò, mettendosi a sua volta la destra in tasca e
appoggiando la sinistra al vetro, allo stesso livello del suo viso. Cosa c’era di male? Hotaru era una
bella ragazzina, e a dire il vero non conosceva i gusti dell’amico in questo campo.
Certo, poteva evitare di mettere gli occhi su una potenziale
schizofrenica ex-omicida, ma chi era lui per giudicare?
<< Guarda che potevi
chiederle un ballo, io mica mi offendevo. Anzi, mi facevi anche un favore!
>> commentò lui, ridendo di nuovo.
I suoi pedi imploravano pietà, ovvio che gli faceva un
favore se si prendeva quella sottospecie di uragano
formato adolescente per qualche minuto.
Shikamaru non seguì la sua risata, rimanendo serio. <<
Non di lei… >> disse poi, osservandolo di sbieco con le sue iridi scure:
<<… di te >> specificò, facendo calare di nuovo il silenzio.
Ok, blocco mentale in corso. Qui serviva un meeting
d’emergenza fra i suoi neuroni per decidere sul da farsi. Perché
cavolo… quel ragazzo era serio, serio diamine!
Uno sbigottito << ah >> fu la sola cosa che
riuscì ad elaborare e a dire.
Ottimo lavoro, finti neuroni del
cavolo!
Il moro si voltò in sua direzione, le mani sempre nelle
tasche e un leggero sorrisetto ironico sulle labbra. << Bella risposta…
>> lo prese in giro.
Ok, ora parlava la
sua lingua.
Stirò le labbra in una leggerà
copia del sorrisetto dell’altro, avvicinandosi di mezzo passo, fissandolo negli
occhi. Provocatorio, forse, o forse semplicemente
istintivo e, sì… un po’ idiota.
<< Perché, era sottointesa
una domanda? >> chiese, portando anche la mancina alla relativa tasca dei
pantaloni.
<< Forse… >> rispose Shikamaru, facendosi avanti
di mezzo passo a sua volta, guardandolo negli occhi: << …o forse no
>> ribatté, abbassando di un poco la voce.
<< Cos’è, un indovinello? >> rispose Kiba
prontamente, avvicinandosi di nuovo di una stessa distanza, trovandosi a meno
di un metro dall’altro.
Ma quello, la situazione e
l’atmosfera in primis, sembrava tutto tranne che un gioco.
Tale as old as time
Tuneas old as song
Bitter sweet and strange
Findingyou can change
Learningyouwerewrong
Shikamaru avanzò a sua volta, con un passo lento e ben
calcolato, arrivandogli vicino.
Troppo vicino, per
qualsiasi mente normale e lucida.
Ma Kiba trovava quella vicinanza tutt’altro che pericolosa,
o indesiderata, e quello che era cominciato come un giochetto scemo in risposta ad una frase ambigua e presa poco sul
serio di Shikamaru, si stava rivelando una situazione strana ed intrisa di
serietà.
<< Probabile… >> rispose il moro, sussurrandolo
ora, data la vicinanza. << A dire il vero, non lo so
nemmeno io >> aggiunse, osservandolo rapito da quei miseri due
centimetri più in alto.
Kiba era completamente andato, incapace quasi di staccare i
suoi occhi da quelli dell’altro. Incapace di ragionare chiaramente, anche solo
di porsi il problema di come e, soprattutto, con chi stava parlando in codice, come se cercasse quella domanda
che Shikamaru non sapeva o non voleva rivolgergli.
Domanda che, forse, conosceva solamente il suo istinto…
perché lui non aveva la minima idea di quale fosse.
Anche se, in quel momento, tutto
era secondario, di contorno, accantonabile per un attimo.
Certainas the sun
~Certainas the sun~
Rising in the east
Tale as old as time
Song as old asrhyme
Beauty and the Beast
Si avvicinarono ancora, con una lentezza quasi esitante.
Erano vicinissimi.
Bastava un sussurro, un attimo, una sola esitazione o un
respiro fuori posto...
Talmente vicini da cancellare tutto il
resto, anche la musica in sottofondo proveniente dalla cappella o il riflesso
della luna come unica fonte luminosa.
E fu praticamente sulle sue labbra,
mentre coglieva ogni sfumatura delle iridi scure di Shikamaru, che l'altro gli
sussurrò quella frase in un soffio:
<< Credo non ci sia più bisogno di
cercare una domanda, ora… >> sussurrò Nara, socchiudendo
inconsciamente gli occhi.
<< E cosa te lo fa pensare?
>> ribatté Kiba, socchiudendoli a sua volta e parlando con tono quasi
inudibile, ma totalmente e completamente perso.
<< Mi sembra palese… >> rispose
il moro, muovendo la bocca in un accenno di sorriso per un solo, misero
istante, in cui si sfiorarono appena, solamente con la punta delle labbra, le
une sulle altre.
Entrambi trattennero il respiro ed
entrambi, forse in sintonia, rimasero in quella posizione senza muoversi,
chiudendo gli occhi quasi completamente.
Non si poteva dire che fosse agognato, o sperato, o dolce
anche se lo era, in un qualche modo… era semplicemente
istinto, come dettata dall’istinto sembrava essere tutta la vita di Kiba e
qualche rara azione di Shikamaru.
<< Non dovrei proprio… innamorarmi di te… >>
soffiò il moro sulle sue labbra, anche lui completamente perso, carpito
dall’altro come l’equipaggio di Ulisse lo era dal
canto delle sirene.
<< Shikamaru, stai zitto… >> fu
l’unica cosa che disse il castano, prima di allungare appena il collo in
avanti.
Tale as old as time
Song as old asrhyme
Beauty and the Beast
Si baciarono, accompagnati dalle ultime note di quella
canzone lenta e stupenda, che ormai entrambi avevano
escluso dal loro universo, isolandosi in un momento tutto loro.
E, come le persone che danzavano al
piano terra e che consideravano quella serata magica per i più svariati motivi,
anche per loro quella notte aveva avuto una sua particolare magia.
Beauty and the Beast.
Chapter No.7~ End.
*1: “Padawan” per chi non ha visto Guerre Stellari, è il
modo con cui un maestro Jedi si rivolge ad un suo allievo.
*2: “Sempai” è letteralmente
“compagno anziano” in giapponese. Ci si rivolge così a colleghi che hanno più
esperienza in ambito lavorativo.
Note: Oh, mon
dieu! *-* non pensavo che il capitoletto facesse così scalpore ^//^ ne sono onorata! Tanto che con quella canzone mi ci sono
drogata e aspettavo di poter scrivere quella scena da settimane… ma evitiamo di
allungare inutilmente questa parte.
Ora risposte, poi capitolo nuovo *annuisce*.
OnlyAShadow: *Applaude
per il lancio alla Jordan* XD! Te lo avevo detto che non c’era bisogno del
binocolo! Grazie mille per i complimenti e, soprattutto, sono contenta che la
fic ti piaccia ancora e non cali troppo di stile o trama. Ho sempre il terrore
di metterci una scena sbagliata, o di muovermi male un pg… ma sorvoliamo. Io
adoro muovermi Deidara, perché è un personaggio che apprezzo talmente tanto che
me lo muovo come voglio. E chi meglio di lui potrebbe
tormentare a quel modo l’accademia? XD Devo dire però, che anche bistrattare
Sasuke e Naruto non mi dispiace. Ora corri, corri! Che sudare fa bene! XP
VavvyMalfoy91: Cielo
che onore, anche i cuoricini! <3
ProudStray: Io sono Kramer… Chazz Kramer, stronzo! XD
Sì, anche io amo Constantine, è la principale fonte di ispirazione
per questa fic, anche se può non sembrare! Ci sono pezzi in cui recito a
memoria insieme a Reeves X°DD. Allora, per rispondere ad un paio di cose: sì,
Kiba e Shika sono canon quanto un mattone e una forchetta. E
non dico nemmeno che stiano bene insieme, perché sinceramente ci sto scrivendo
sopra ma ancora non lo so bene XD Però, a mio parere, è questione di come
vengono “mossi”. E ci credo che non hai letto altre
ShikaKiba, io ne ho trovate pochissime, sinceramente. Poi, già… anche io sono
SasuNaru-maniac. Solo che ho il difetto di fare Sasuke OOC, infatti
l’Interlude dedicato a loro sarà una sofferenza, già lo so. Infine sì, anche
altre persone mi avevano fatto la stessa domanda riguardo a Neji XD C’è un
motivo, tranquilla, non è che lo Hyuga faccia bello e
cattivo tempo. Ma chiarirò tutto fra qualche capitolo.
Grazie mille per aver letto la mia fic, sono davvero contenta che ti piaccia il
mio metodo di scrittura e di stesura! *___*
Slice: Il tuo
cane ti guarda allo stesso modo del mio gatto é___è è una congiura fra animali
domestici! Comunque sì, finalmente c’è il punto di
svolta… ora cominciano i casini nel tenerli IC! XD Felice come al solito che il capitolo ti sia piaciuto, che la scrittura
non fosse illeggibile e che sia riuscita a farti ridere anche questa volta. E non preoccuparti, vedendo l’assiduità con cui leggi e commenti St.
Michael la mia testa è già montata a dovere XP. Divertiti anche con questo
capitolo!
CloudRibbon: Calma,
siediti… riprendi fiato! *da pacche sulla schiena* numi, se rischi l’infarto
devo limitarmi in scene di questo tipo! XD in ogni caso… NO! Mi oppongo
fermamente al fatto che tu accorci le recensioni! Mi diverto un casino a
leggerle, e poi mi piacciono taaaanto é.è *unisce gli indici stile Hinata*. Poi…
no. Il rapporto fra i due non subirà stravolgimenti
giganteschi, solo qualche piccolo particolare. Suvvia, anche io non
reggo le coppie che ho usato, ma mi servivano! XD
Scusa se ti ho chiuso lo stomaco con una pietra ma non ci pensare troppo, erano solo per la durata di un capitolo XP …e Deidara
ruleggia. …oh, ti prego, smettila con tutti questi complimenti >///<
posso essere anche bravina a descrivere, ma da qui a dire che sembra un
romanzo… insomma, mi pare esagerato, ecco. Piuttosto *si immagina la ShikaKiba
nella fic di comune conoscenza* XQ___ no vabbè,
stendiamo un velo! XD Tranquilla, come posso offendermi dopo tutti questi
complimenti? Però per il dono dannato dovresti
chiedere a mia madre, io non lo so se mi è stata data una cosa simile XP.
Grazie anche questa volta per il commento, per aver letto, e per starmi sempre
dietro con i capitoli! >*<
Fallen_azraphel: *sventola
fazzoletto davanti al volto cercando di farla riprendere* numi, non pensavo di
protrarre omicidi solamente scrivendo ç___ç non morire! Soprattutto con la bara
di quel colore… (senza offesa, ma io il rosa non lo posso vedere). Grazie tanto
tanto per i complimenti sul capitolo, davvero *annuisce* e non preoccuparti,
qualche scena in pigiama ricomparirà XD
Neki niku_dango: *si
tocca* beh, credo di essere vera! XD lo so, la scena
del bacio dopo sette capitoli si comincia a sognarla anche di notte, ma
credimi, cominciavo anche a pensare di accorciare e
scriverla prima XD però ho resistito. E sì, nella mia
mente ho apprezzato Shikamaru *annuisce*. Anche a te
grazie mille per i complimenti, mi fanno tanto tanto tanto piacere ç.ç e, per
quanto riguarda le teorie… bene, bene, sono interessanti. Il titolo è
effettivamente riferito alla canzone di chiusura, ma anche una delle tue ultime
cospirazioni non è sbagliata, solo che non ti dirò quale. Comunque
ci sei andata vicina…
Ah, mi spiace ma l’unico esorcista disponibile e Choji, e
per posta prioritaria non ci passa! XD
Soarez: Più
rileggo la tua recensione, e più mi convinco che questa fic causi danni
psicologici di proporzioni bibliche O___o… ma va bene così, suvvia, cos’è la
vita senza un qualche danno psicologico?! XD Intanto,
comincio rispondendo alla tua domanda: no, per il momento Akamaru non c’è.
Ma c’è il perché, ho pensato anche a quel particolare.
Passando oltre, Shino e Gaara non li ho citati per una questione di
comportamento. Nel senso che Kiba, anche se li ha visti, non è che li conosca…
dunque ho preferito tralasciarli. Poi, guarda: Ino e
Sakura stanno su anche a me e Hotaru non deve proprio
piacere XD molto crudelmente l’ho usata come tappabuchi, piuttosto che farci
andare Ino con Kiba, al ballo. Dopo Shika mi rimaneva da solo, e per come l’ho
vestito era uno spreco U___U.
Ti ringrazio per avere letto e commentato, mi sono divertita
un mucchio a leggere la prima parte della recensione XD. Al prossimo capitolo
(questo XP) sperando che ti piaccia! E tranquilla per
Rock Lee, è in avvicinamento *annuisce*.
Rei Murai: Mi fa
davvero piacere che non ti sembri insulsa, Rei-chan… dopotutto la fic è per te,
è tutta tua, se la trovi bella mi fai solamente felice. Mi fa anche piacere
“leggere” che trasmette delle emozioni ç___ç per me, che ho
il pathos di un frigobar in avaria, è una bellissima cosa da sentire.
Continuerò a scriverla fino alla fine, ormai non solo te l’ho promesso, ma ho anche appuntato tutta la trama e preso la conclusione di
St. Michael come una sfida. La prossima volta magari proverò a passarti il
capitolo su MSN come al solito XD. Ti voglio bene
anche io, tesora. Un bacio =*
Do giusto qualche avvertenza: siccome devo cominciare a fare
avanti e indietro da casa all’università, probabilmente rallenterò un po’ la
pubblicazione. Però farò del mio meglio per rimanere
costante, e magari per accorciare i tempi quando mi si aprono spazi liberi.
Capitolo un po’ strano… ma poi mi direte voi come lo
trovate, se ne avete voglia *annuisce*.
E ora, a voi il capitolo 8!
.:: Enjoy! ::.
Chapter
08 ~ Seventh Echo Il Paradosso dello Specchio
Si trovava all’interno
di una stanza circolare, semi buia e poco rassicurante,
e guardava davanti a se.
Non faceva
nient’altro.
Vedeva abbastanza
chiaramente il pavimento in marmo nero, con piccoli
cristalli bianchi nella pasta microcristallina scura del minerale, illuminato
dalla luce fioca di candele a stelo bianche, poggiate a terra a qualche metro
di distanza da lui.
Allineate in due
perfette strisce di luci, come a formare una strada.
Più avanti, nella
penombra lasciata dalla fioca luce dei lumini, la cosa che si era ritrovato a
fissare era un drappo rosso scuro, probabilmente in seta dato i riflessi
morbidi della luce sul tessuto, che copriva qualcosa fino a terra.
Oltre a quello, non
distingueva null’altro che oscurità.
Sentiva freddo. Ai
piedi, soprattutto, il che gli fece pensare di essere
scalzo.
Li avrebbe guardati…
se non fosse stato per il fatto che, per una qualche
strana causa, non poteva osservare nulla a parte il drappo rosso.
Non si trovava in
condizioni di muovere nemmeno il capo, come se fosse trattenuto da due paia di
mani ai lati delle tempie.
Mosse un passo,
poggiandolo davanti a lui e sbilanciandosi in quella direzione.
Anche se i problemi
sembravano essere molti -dal cosa ci facesse lì al
perché non potesse muovere la testa, o guardarsi intorno- la soluzione era solo
una: il drappo rosso.
Doveva scoprire quello
che c’era sotto.
Fece un altro passo,
al quale seguì un altro, e un altro dopo di esso.
C’era silenzio, forse
anche troppo. Un silenzio talmente profondo che si poteva sentire il rumore degli
stoppini consumarsi pian piano, venendo bruciati dalle
rispettive fiammelle immobili, statiche, perfette come se in quella stanza non
ci fosse nemmeno un filo d’aria capace di farle tremolare anche solo per un
breve istante.
Si avvicinò, man mano
sempre di più, riuscendo a scorgere una forma rettangolare sotto alla seta scarlatta, quasi una cornice di qualcosa.
Un quadro, forse?
Fece qualche altro
passo, ignorando per curiosità tutto il resto,
fermandosi immobile davanti al drappo color del sangue, guardandolo ancora.
Poi, lentamente,
allungò la mano.
Al tatto non sembrava
né più né meno di normale seta.
Era morbida, liscia
quasi da sfuggire di mano, luccicante -nonostante la poca luce- di quei
riflessi ovattati e opachi tipici.
Normalissima seta.
Dunque, andando per esclusione, era anormale
quella qualsiasi cosa che vi era sotto.
Doveva per forza. Perché quello aveva tutta l’aria di essere un sogno e lui,
ormai lo aveva capito, non faceva sogni normali.
Ormai ci aveva
rinunciato, ai sogni normali.
Deglutendo e
sospirando, impugnò bene un lembo del manto setoso e tirò leggermente, in modo
da farlo scivolare fino a terra.
Luogo dove la seta si
raggruppò ondeggiante, lasciando scoperto ciò che celava…
Uno specchio.
Un
lucido e all’apparenza normale specchio, senza nemmeno un granello di polvere
sulla sua superficie riflettente, racchiuso in una cornice d’orata dagli intarsi complicati,
raffiguranti fiori di giglio e arzigogolati tralci di vite.
E rifletteva… solamente se stesso.
Solo che… era
leggermente… diverso?
Il suo riflesso
indossava la camicia a quadretti azzurri e blu, a mezze maniche, che aveva messo il primo giorno e che poi aveva perso. Sotto di essa, la stessa maglietta bianca e lo stesso paio di
pantaloncini verde scuro, con le tasche laterali grandi, i più comodi che
possedeva.
Era strano.
Soprattutto perché la camicia -ne era sicuro- l’aveva
persa e la maglia, finendo inavvertitamente in lavatrice insieme alla roba di
Sakura, si era tragicamente tinta di un vomitevole rosa pastello.
Era strano anche
perché quegli abiti, gli stessi identici, li indossava il giorno in cui aveva
messo piede dentro l’accademia.
E, infine, era strano perché… sembravano
sporchi di terra.
Alzando lo sguardo
fissò il suo volto nel riflesso, trattenendo un gemito di sorpresa.
Allo specchio, sul suo
riflesso stupito che rimandava esattamente l’espressione che aveva assunto in
quel momento, il viso era solcato da un rivoletto di sangue che, dalla fronte,
gli rigava la tempia e l’occhio destri, arrivando fino al collo e gocciolando
dalla mandibola sul colletto della camicia, macchiato di sangue.
E la sua pelle… la sua pelle era pallida,
bianca. Come la porcellana di una bambola. Le labbra blu, cianotiche,
ripetevano esattamente i movimenti sussultori che compivano le sue, le sue
vere, nel tentare di articolare una qualche frase che non fosse un insieme
senza senso di balbettii.
Inutilmente.
Alzò di scatto la mano
destra per toccarsi il viso, la testa, la scia di sangue che sembrava avere sul
volto.
La sua mano sfiorò la
pelle della gota, rimanendo candida. Ma la mano del
riflesso, toccandosi nello stesso modo e al medesimo tempo, sbavò quella scia
scarlatta, sporcandosi le dita.
Boccheggiò, facendo un
passo indietro.
E quello… “quello” cosa cavolo voleva dire?!
Indietreggiò ancora,
fissando sempre lo specchio e il riflesso compiere le stesse mosse. Sentiva
l’impulso di voltarsi e mettersi a correre… ma fu anticipato.
Le candele si spensero
in un gelido ed improvviso alito di vento e la stanza, così come lo specchio,
piombarono nel buio.
Riaprì gli occhi di scatto, individuando subito un soffitto
bianco appena intravedibile nella penombra della camera, causata sicuramente dalla
tapparella abbassata.
Una volta resosi conto di essere “tornato” nella realtà,
respirò profondamente, guardandosi intorno.
C’era silenzio, il che voleva dire probabilmente due cose: o
era molto presto e gli altri stavano ancora dormendo, oppure era molto tardi e
gli altri avevano già lasciato i dormitori.
Dopo un piccolo attimo di agitazione
al pensiero che fosse tardi, e che dunque fosse in ritardo per le lezioni, si
tranquillizzò subito non appena il cervello gli diede l’impulso neuronico
sufficiente a ricordarsi che era domenica.
Nel silenzio, poteva sentire alla sua destra un respiro
tranquillo e regolare. Di certo Shikamaru dato che, a
giudicare dal legno chiaro che aveva sulla sinistra, parte del mobile ad arco
che stava sopra al letto del moro, doveva essere in camera sua.
Ormai non badava più al fatto di svegliarsi da Shikamaru,
oppure svegliarsi in camera sua ma con Nara che dormiva nel suo letto. Non era
diventata abitudine, ma se capitava non si sorprendeva più di tanto, ecco
tutto.
Che fastidio gli dava? Di sicuro
non aveva strani tic notturni, tipo mordicchiare il lenzuolo, parlare nel sonno
o russare. Lui dormiva e basta, tranquillamente e silenziosamente e, aveva
notato, il più delle volte girato sul fianco.
Beh, di sicuro non si sognava cose impossibili come invece
faceva lui.
Emise, probabilmente senza pensarci, un mugugno seccato. Almeno
questa volta non si suicidava nessuno, nessuno lo
inseguiva e nessuno si faceva inseguire. Non si era risvegliato in cortile il
che, già di per sé, era una grande conquista.
Sperava solo di non dover passare quaranta minuti con Iruka
cercando di dare un significato a quel nuovo sogno. Probabilmente era una cosa
a parte, una conseguenza della cena particolarmente indigesta, oppure del
ballo.
Ah, già… il ballo. Giusto, la sera prima c’era stato il
ballo.
Si girò sul fianco destro, pensandoci sopra con fare crucciato.
C’era qualcosa che non si stava ricordando. Ne era sicuro. Qualcosa gli stava sfuggendo, ma non riusciva
a capire cosa.
Per esempio, come fosse finito in camera
di Shikamaru. Quello no, non se lo ricordava.
E anche l’ultima canzone, non gli
veniva in mente. Solitamente è quella che rimane più impressa perché, per fare
scena, le orchestre sfoderano il classico pezzo strappa lacrime da
super-esperti, vantandosi al contempo di saperla suonare magistralmente e di
aver donato un degno finale ad un ballo accademico.
Succedeva sempre così, era di rito, ma il problema era che
non si ricordava il pezzo che avevano fatto al suo ballo; esattamente quello della sera precedente che stava
cercando di richiamare alla memoria.
Sentiva di avercelo lì, il fatto. Sulla punta della lingua,
anzi, del neurone, ma non riusciva a carpirlo.
E fu proprio per questi vaneggiamenti che non si accorse subito degli occhi scuri di Shikamaru, che ora lo
fissavano da dietro le palpebre socchiuse, ancora velati di sonno.
Indossava sempre il solito pigiama: pantaloni lunghi e
verdini e maglietta nera a mezze maniche. Era coperto -come lui del resto- dal
lenzuolo fino alla vita e i capelli sciolti gli ricadevano
sul cuscino, dietro la nuca.
Si osservarono per qualche istante, necessario a uno per dare la sveglia alle cellule cerebrali e all’altro
per distaccarsi da una trafila di pensieri inconcludenti, fino a sorridersi
lievemente l’un l’altro.
Oddio, se uno stiracchiare di labbra
poteva considerarsi un vero e proprio sorriso...
<< buongiorno… >> farfugliò poi Shikamaru,
sbadigliando compostamente mettendosi una mano davanti alla bocca.
<< mh, ‘giorno… >>
rispose il castano non aria pensierosa, ancora intento a scoprire qual’era il
tassello mancante.
Certo, da piccolo aveva fatto qualche puzzle… ma non
comprendevano più di 40 pezzi e, in ogni caso, si annoiava ancora prima di
finire la cornice.
Il moro alzò un sopracciglio -anche se con quell’aria
trasognata sembrava più una smorfia strana- osservando Kiba con il solito
cipiglio apatico. << Qualcosa non va? >> chiese sussurrando.
<< No, macché… >> ribatté subito il castano,
potando la mano destra a sfregarsi il relativo occhio << …solo, non mi ricordo come sono finito qui, ma suppongo siano dettagli
>> aggiunse, facendo ricadere la mano davanti al corpo, nello spazio fra
lui e il moro.
Shikamaru, sulle prime, rimase stranito. Kiba notò
l’espressione e, successivamente, il sorrisetto
profondamente divertito che solcò le labbra dell’amico.
E adesso cosa c’era di così
divertente?
<< merito della sangria potenziata, suppongo… >>
disse solamente Shikamaru, ridacchiando con il
sorrisetto sbilenco di chi aveva tutta l’aria di possedere il pezzetto mancante
per la ricostruzione degli avvenimenti.
<< forse… >> rispose Kiba a mezza voce,
assottigliando gli occhi con fare seccato. Di tutto quello che poteva fare
quella mattina, domenica per la precisione, l’ultima cosa che non voleva
intraprendere era una caccia alla soluzione dell’indovinello.
A dire la verità aveva la ferma intenzione di non fare
proprio nulla. Persino parlare gli
serbava una perdita di un prezioso tempo in cui poteva cazzeggiare altamente.
Oh, sì. Perché si vedeva dalla faccia che Nara non aveva
assolutamente intenzione di dirgli come cavolo ci era
arrivato, nel suo letto.
…e a dirlo così sembrava una cosa
completamente ambigua.
Evitò miracolosamente di arrossire, bloccando il pensiero lì
dov’era e cancellandolo dalla testa. Eppure… perché
aveva la vaga impressione che quella fosse la strada giusta?
No, la domanda era un’altra… perché quella doveva essere la strada giusta?!
Eppure era vestito. Sì, insomma,
aveva addosso una maglietta di Shikamaru, ma era
vestito. E anche il moro era vestito.
Ok, si stava intrippando il cervello da solo.
Sua sorella gli aveva contagiato i neuroni
con le sue pare da filo-harmony, era un complotto!
<< Non pensare troppo, potrebbe
fonderti il cervello >> ironizzò appena il moro, mettendosi seduto
sul materasso con un leggero fruscio delle lenzuola.
Che… nervi! Ci mancava solo la sua
improvvisa voglia di prenderlo per il culo!
Kiba ringhiò sommessamente, assomigliando per un momento più
ad un cane che ad un uomo. << Felice che tu sia
di buon umore >> sputò acidamente verso Shikamaru, tuttavia con quello
che poteva anche essere scambiato per un debole tentativo di scherzo.
Cosa che era. Non ce l’aveva con il moro, se era di buon umore tanto meglio
per lui.
Si mise seduto a sua volta, stiracchiandosi nell’allungare
le braccia verso l’alto, di modo che passasse l’indolenzimento alla schiena. Una volta effettuato il solito rito post-risveglio, si mise
a gambe incrociate osservando Shikamaru.
Avrebbe sputato il rospo… oh, se lo avrebbe
fatto!
Lo fissò solamente, senza aggiungere parola.
Nara, da parte sua, non la finiva di guardarlo con quello
strano sorrisetto sbilenco che gli illuminava il viso di una luce strana.
<< E allora? >> chiese
poi il castano, appoggiando il gomito al ginocchio e il viso sulla relativa
mano: << stiamo qui tutto il giorno o mi dici
com’è andata a finire ieri sera? >> aggiunse, osservando il moro con la
stessa espressione fintamente seccata di poco prima.
Shikamaru sospirò, tirandosi indietro i capelli con un gesto
della mano. << Sappi che mi ritengo offeso >> disse
solamente, prima di muovere il busto in sua direzione. Si allungò su di lui,
portando la sinistra in appoggio accanto al fianco del castano, poggiando la
destra dalla parte opposta per mantenere l’equilibrio.
<< Offeso per cos… >> fu costretto ad
interrompersi Kiba, data la distanza ravvicinata a cui ora poteva vedere
Shikamaru.
Avrebbe reagito… se avesse voluto. Fatto sta che il suo
corpo lo percepiva come qualcosa di già successo e, dunque, l’istinto gli
diceva che non era pericoloso.
Insomma, il suo cervello voleva agitarsi ma tutto il resto
non ne aveva la minima intenzione.
E lo lasciò fare, fino a quando le
sottili labbra del moro si posarono sulle sue in un delicato e casto bacio… che
scatenò i ricordi.
Eccolo lì, il pezzo mancante all’appello.
Il ponte sospeso, la luce della luna, la
semi oscurità e “Tale as Old as Time”. Un discorso sconclusionato che
non aveva portato assolutamente a niente, sul piano vocale, ma a tutto un mondo
su quello strettamente più fisico.
E c’era il motivo, per cui non si
ricordava nulla della fine del ballo… nemmeno l’aveva vista, la fine del ballo!
Erano rimasti in giro per la scuola per tutto il resto del tempo, silenziosa e
quasi sovrannaturale quanto le persone che ci vivevano dentro, camminando in
silenzio, baciandosi qualche volta… per poi tornare in dormitorio, seguendo
semplicemente Shikamaru che lo teneva per mano, guidandolo nel buio mentre
oltrepassavano la sua camera e si dirigevano alla numero 41…
Dove avevano semplicemente dormito.
L’uno accanto all’altro, come sempre, come se fossero in una
di quelle tante notti di routine.
Come sempre, sì, eppure diverso.
La sensazione era diversa, molto diversa… più sicura, forse,
meno incerta.
Aspettò che Shikamaru si discostasse appena dalle sue
labbra, rimanendogli comunque vicino, prima di
parlare… dicendo forse le due parole più stupide che potessero passargli per la
mente in quel momento. Scatola cranica che, tra l’altro, era completamente
svuotata di ogni singolo frammento di materia grigia
potesse avere in precedenza.
<< Porca miseria… >> bofonchiò stupito, fissando
Nara come se fosse al contempo una buona cosa e una catastrofe naturale.
<< Bentornato sulla Terra >> rispose il moro in
un sussurro sulle sue labbra, rimettendosi seduto nella precedente posizione,
sicuramente più comoda.
Kiba, da parte sua, sembrava aver appena ricevuto un calcio
rotante da Chuck Norris.
Cazzo, cazzo! Era facile fare le cose
presi dall’onda del momento, ma era quando ci si ripensava a mente
lucida che cominciavano improponibili seghe mentali e alquanto giganteschi complessi
esistenziali!
Aveva baciato un ragazzo, un ragazzo! Cioè,
insomma, non che questo fosse un problema… o almeno, per lui. E, evidentemente, nemmeno per Shikamaru ma… ma sua madre? il suo clan? Quella pazza scatenata di sua sorella?!
La scuola! Era pur sempre una scuola Cattolica!
…no, beh. Se il prete scriveva romanzi hard, Naruto e Sasuke
stavano insieme stabilmente, giravano demoni a destra e a manca e esisteva un consiglio studentesco che aveva il coraggio di
eleggere Deidara come presidente… quel “Cattolica” dopo il sostantivo stava
solo ad indicare che c’era una chiesa, punto.
Ma sua sorella era il vero
problema.
Quella sottospecie di donna era capace di tormentarlo, se lo
veniva a sapere. Giorni e giorni di mail, telefonate, messaggini… era successo
già quando aveva avuto il suo primo (e ultimo) appuntamento, finito in uno
schifo di temporale del cavolo, e lui non voleva essere preso di nuovo come
cavia per le pulsioni da romanzo rosa di quell’essere inumano!
Aveva sempre più il dubbio che sua madre non l’avesse
partorita, ma comprata in un qualche discount.
E adesso dov’era andato a finire
con i pensieri? Come c’era arrivato a sua sorella?
Scosse la testa, cercando di tornare sull’argomento
principale del suo discorso mentale… inutilmente. Nel giro di due decimi di
secondo, i due neuroni che aveva in testa avevano firmato un trattato
d’alleanza e, attivando le sinapsi da troppo tempo
sopite, non avevano fatto altro che aggiungere confusione al caos che già vi
regnava.
Ok, doveva smettere di pensare. Tornare alle origini.
Solitamente funzionava.
Doveva ritrovare una calma interiore. Anche
apparente, non aveva importanza, ma doveva evitare di cadere in un panico fuori
luogo.
E sì, doveva ammetterlo. Il
problema principale non era se avesse o no baciato un
ragazzo.
Si dice il peccato ma non quanto ti è piaciuto.
Il centro del discorso era… che lui non aveva esperienze di
nessun tipo. Non aveva nemmeno mai avuto la ragazza, tapino e misero tentativo di essere umano, e non sapeva da che parte cominciare e dove
mettere le mani… letteralmente.
Cristo, era un verginello! E lo
realizzava soltanto adesso!
Dov’erano stati i suoi neuroni in
tutto quel tempo, in vacanza alle Maldive?!
Non dubitò di aver assunto un’espressione inguardabile
quando Shikamaru, osservandolo, prese parola
interrompendo la sua accozzaglia di pensieri-discarica.
<< Quello che è successo… può anche rimanere un caso
isolato >> disse, la voce calma e seria, quasi
impersonale.
Kiba alzò gli occhi, l’espressione ancora sconcertata,
osservando quelli scuri del moro.
Lui era confuso e Shikamaru si stava sentendo in colpa. Era
evidente e, a risvolti di quel tipo, ci arrivava anche
lui.
<< Ma tu… >> cercò di dire, senza però riuscire
ad articolare bene la frase, dunque a concluderla.
Ma il moro, nella sua intelligenza,
sembrava avere capito il senso. << Non badare a me >> rispose infatti.
Già, facile per lui.
Magari aveva già affrontato situazioni simili, che ne poteva
sapere? Non si stava parlando di brustoline e orsetti
gommosi, lì si discuteva di una relazione! Una relazione vera!
O almeno, a lui sembrava aver capito che il messaggio di fondo era quello.
Non aggiunse nulla, cercando di valutare i pro e i contro.
Probabilmente per panico, o per paura, la prima cosa che
avrebbe sicuramente risposto era “dimentichiamoci tutto”. Ma
il punto era che, anche dicendolo, non si dimenticava per davvero. E niente, niente sarebbe mai tornato come prima.
E, al solo pensiero, poteva già
sentire un principio di solitudine. Lo stesso, schifoso malessere che aveva
provato quando sua madre lo aveva gentilmente spedito in quel posto sperduto da
Dio, facendogli lasciare i suoi migliori amici e il mondo che conosceva.
…
Avrebbe dovuto ringraziare sua madre.
<< Se… no. io… >> balbettò,
prendendosi qualche istante per riorganizzare mentalmente il discorso.
Sospirò e ricominciò da capo: << io non ho mai avuto
uno straccio di ragazza in vita mia… >> disse, cercando di non morire di
vergogna e auto-sotterrarsi all’istante. << …figuriamoci
un… ragazzo >> aggiunse, distogliendo gli occhi da Shikamaru.
Che razza di femminuccia, Dio, si
faceva schifosamente pena da solo.
<< Nemmeno io >> rispose però Shikamaru, il tono
sempre impersonale ma, in un certo senso, più tranquillo.
Kiba ritornò con lo sguardo su di lui, continuando impacciato:
<< sì, ma… io non so come… >>
<< Nemmeno io >> lo interruppe Shikamaru,
sorridendo quasi impercettibilmente.
Il castano sospirò più rilassato, chiudendo gli occhi per un
istante. << Suppongo che ci sia una prima volta per tutto >> disse poi, esprimendo un pensiero suo in una massima comune,
prendendo finalmente una decisione.
Al. Diavolo. Tutto.
Avrebbe continuato a fare quello che aveva sempre fatto:
ovvero ciò che più gli pareva.
Teneva a Shikamaru. E, anche se non
poteva dire di amarlo nel senso stretto della parola, era un legame diverso
dalla semplice amicizia.
Se lo sentiva.
Beneamato istinto, fortuna che c’era.
<< Ok >> aggiunse poi, trovando finalmente il
giusto equilibrio psicologico per guardarlo negli occhi senza avere
atteggiamenti da femminuccia insicura. << Se tu
ci stai, io ci sto >> disse solamente, esprimendolo nel minor numero di
parole possibile.
Probabilmente per non intortarsi in discorsi
controproducenti.
Non servì una risposta vocale, bastò il volto disteso di
Shikamaru e il piccolo sorriso che, anche se insignificante, era intriso di
dolcezza… e sì, perché no, forse anche di felicità.
Dopo quello che aveva visto nella
sua memoria, vedere il ragazzo felice faceva uno strano effetto a Kiba. E
forse, sapere di essere lui la causa di quella
serenità, lo rendeva sereno e tranquillo a sua volta.
Eh sì, doveva proprio ringraziare sua madre.
Era strano, ora, camminare con Shikamaru per i corridoi
dell’accademia.
No, non “strano”… forse solo particolare.
Incredibilmente, notava cose che prima
avrebbe totalmente ignorato. Per esempio, come Shikamaru avesse il vizio di tenere le mani in tasca, sempre, anche
quando stava semplicemente fermo in piedi.
Oppure, come guardasse avanti a sé senza mai
abbassare lo sguardo, o dimostrare qualche espressione facciale che non urlasse
al mondo “Dio che noia questa vita”.
O ancora, utilizzando quel pizzico
di fantasia in più molto utile per auto illudersi, di come camminasse molto
vicino a lui, facendo sfiorare i loro gomiti come se, quel contatto, fosse il
rimpiazzo del classico “tenersi per mano” tipico delle coppie.
Cosa che, per il momento, avevano
deciso di non fare.
Così come avevano deciso di non spiattellare in giro il
fatto che, in un modo o nell’altro e in maniera spaventosamente tribolante, ora
stessero insieme.
Le motivazioni erano semplici: Sasuke e Naruto facevano già abbastanza scalpore e, inoltre, Kiba voleva che
almeno una parte della sua vita privata rimanesse effettivamente tale.
Ma sembravano non essere solamente
questi, i problemi che erano già venuti a bussare con un revolver nascosto
nella cintola dei pantaloni.
Primo fra tutti: Kiba Inuzuka. O meglio,
quella parte nuova di Kiba Inuzuka che prendeva il nome “Empatia”.
Nonostante ora, grazie a Iruka e
alle sue lezioni, riuscisse a controllarsi anche in pieno giorno, durante il
sonno e nei momenti di maggiore stanchezza tornava ad essere quella mina
vagante attira-disgrazie e aspira-sentimenti.
Ed era più facile controllarsi se
non baciava nessuno, in quel frangente. Questo almeno sembrava chiaro.
Il punto ora era come fare a non stancarsi troppo; perché
suvvia, per grazia ricevuta, almeno il bacio della buonanotte al suo ragazzo
voleva darlo.
Secondo; il tempo. Lezioni diverse, impegni diversi, compiti
diversi ed esercitazioni diverse. Alla fine, facendo faticosamente un paio di
conti, si vedevano a pranzo e cena. Perché dai, non
poteva sempre andare a dormire in camera di Shikamaru, un po’ di decenza!
Ognuno ha bisogno della sua vita privata.
Terzo: Naruto Uzumaki. Quel ragazzo era un povero imbecille,
ma sembrava avere una perspicacia micidiale per scoprire i segreti o, in ogni
caso, novità rivoluzionarie come quella.
Cosa che avrebbe risolto a breve, dato che andavano a pranzo con la solita cricca. Punto di incontro era la scalinata dell’atrio piccolo, poi dritti
sul terrazzo a godere di quei pochi raggi di sole che avevano avuto il coraggio
di far capolino quella mattina.
Alzò lo sguardo dalla punta delle sue Convers semi-distrutte…ed
eccolo là, il suo problema numero tre.
Appoggiato di schiena al corrimano della scala, una mano in
tasca e una sul legno lucido, aspettava sbadigliando sonoramente, cercando però
non allargare la bocca in un’apertura stile leone della Metro
Golden Mayer.
I capelli biondi erano più spettinati del solito e anche
l’abbigliamento, un paio di jeans chiari e larghi e una maglietta a mezze
maniche nera con una spirale rossa, denotavano una
disattenzione patologica per la scelta.
lui era uno che, come minimo, si
era svegliato da circa dieci minuti e aveva indossato le prime cose che poteva
raggiungere con la mano senza immergesi nell’armadio.
Come Shikamaru del resto, che indossava un
paio di pantaloni neri e una maglietta verde scura a maniche lunghe, senza
disegni di sorta. Ma lui era pigro patologico,
il discorso era diverso.
Kiba invece aveva perso tempo nel cercare di trovare quella
camicia che, mentre dormiva, aveva rivisto così chiaramente in sogno. Voleva
indossarla, così, solamente perché quella strana visione gliel’aveva fatta
tornare in mente.
Ma, come aveva previsto, era
proprio andata perduta. Al suo posto, sopra al paio di normalissimi jeans blu,
aveva abbinato una maglietta rossa con sopra una giacca bianca, la cerniera
aperta completamente.
Una volta abbastanza vicini perché
il biondo li notasse, in mezzo al via vai di gente che cominciava a scendere
per il pranzo, lo salutarono.
<< ciao Naruto >> disse Kiba normalmente, mentre
Nara si limitò ad un cenno del capo.
Tuttavia, il ragazzo in questione non rispose.
Li fissò, anzi, aggrottando le ciglia con un’espressione
pensosa stampata in faccia.
E, la frase che dopo pronunciò, aveva un loro particolare
senso: << voi due… siete diversi dal solito >> disse fermamente,
convincendosi di quelle parole man mano che le pronunciava:
<< c’è qualcosa che mi nascondete? >> chiese poi, lasciando Kiba
spiazzato.
Ma… ci era già arrivato?!
Come diavolo aveva fatto?! Lui aveva detto solo “ciao
Naruto”! Cosa ci vedi di strano e nascosto in “ciao
Naruto”?!
Era ignobile! Era inumano, santo
Garibaldi!
Il castano lo fissò con la bocca spalancata senza riuscire
ad emettere alcun suono. Lo guardava semplicemente, incredulo che il biondo li
avesse stanati in un arco di tempo pari a quattro
secondi e due decimi. Troppo, troppo pochi perché il
suo cervello si connettesse e pensasse ad una risposta pronta per smentire
quell’affermazione.
Tra l’altro, vera.
<< Kiba, tutto a posto? >> chiese il biondo,
sventolandogli una mano davanti agli occhi. << Stai bene? >>
aggiunse in seguito, sempre guardandolo.
<< No, sei tu che non stai bene… >> rispose l’Inuzuka ancora basito. << Fatti vedere, e da
uno bravo! >> aggiunse, sforzando le sue mandibole a serrarsi, per far sì
di chiudere la bocca e non sembrare un pesce lesso.
Shikamaru sospirò, estraendo la destra dalla tasca dei
pantaloni per grattarsi la nuca, il fare flemmatico di sempre. << Ok, ma
tieni chiusa la bocca. Se mi arrivano seccature diventano amari cazzi tuoi
>> acconsentì poi il moro, attirando
l’attenzione curiosa di Naruto e quella sbigottita di Kiba.
Beh, forse sì… alla fine era l’unico modo per tenerselo
buono. E poi, almeno davanti a Naruto (e Sasuke,
perché tanto il biondo glielo avrebbe comunicato quanto prima) potevano
smettere la farsa del “siamo solo amici” e, magari, comportarsi un po’ più da
coppia.
A ben pensarci non cambiava molto, ma erano dettagli
sorvolabili.
All’occhiata di Shikamaru, Kiba decise di prendere parola.
Colpo veloce e indolore, come quando si toglieva un cerotto con relativa
ceretta sui peli attorno.
<< Stiamo… insieme, credo. Insomma, il senso è quello >> disse il castano gesticolando, spostando
gli occhi con finto fare sufficiente.
In realtà gli rodeva il fegato la reazione che avrebbe avuto
Naruto. Insomma, era pur sempre una novità di una certa rilevanza… o no?
Uzumaki, dal canto suo, impiegò il suo tempo per registrare
adeguatamente la notizia. Quasi Kiba poteva sentire il rumore
del modem inserito nel cervello dell’amico, addetto alle connessioni fra
neuroni. Ecco, il suo funzionava a 52 K. Era come un motore Diesel, ci
voleva il suo tempo prima che carburasse decentemente.
Tempo che passò in un ambiguo silenzio,
prima che un ghigno soddisfatto comparisse sul viso del biondo. <<
Ma bene, guarda un po’ che roba…! >> esclamò
mettendosi in mezzo fra i due, agganciando le spalle di Kiba con la destra e
quelle di Shikamaru con la sinistra. << Inubau si è trovato l’uomo!
>> lo sfotté con quel nuovo nomignolo che si era inventato da poco.
<< Piantala di chiamarmi
Inubau, Cretinuto! >> sbottò il castano in
risposta, incrociando le braccia al petto con fare offeso.
Sembrava un ricattatore, ma Naruto si stava divertendo un
mondo e, in fondo a quella farsa colossale stile “Il Padrino”, era felice per
loro… e si vedeva. Naruto aveva uno di quei sorrisi contagiosi che, anche in
uno scherzo, esprimevano sempre la verità che ci stava sotto.
<< Piuttosto, oggi l’addetto al pranzo è Choji?
>> chiese Kiba, ancora intrappolato nella morsa del biondo, che annuì.
<< Scherzerai spero >>
ribatté Shikamaru con un sopracciglio alzato << hai lasciato Choji da
Ichiraku a prendere il pranzo? >> domandò poi, una lieve tonalità di incredulità nella voce.
<< Mi scocciava andarci! Ci vado sempre io! >>
si lamentò Naruto, fingendo un’espressione da cucciolo ferito. Quella, a
giudicare dalla rapidità con cui la sfoderava, doveva essere una delle armi per
farsi dire di sì da Sasuke “Sorriso Contagioso” Uchiha.
<< Prega allora che torni “insieme” al pranzo e non
“assimilato” al pranzo, Naruscemo >> ribatté nuovamente Kiba, ridacchiando
beffardo.
Probabilmente l’Uzumaki avrebbe ribattuto qualcosa, a quel
nomignolo preso in prestito da Sakura, se non fosse stato per la persona che,
osservandoli, stava salendo le scale in loro direzione.
Fisico snello e longilineo, capelli lunghi
e corvini, viso appuntito e pallido. Gli occhi, di un inquietante forma
serpentina e dall’iride dorata, non esprimevano altro che malcelata malizia
nell’osservarli uno ad uno, così come pure il
sorrisetto che gli increspava le labbra sottili e pallide. Fasciato in un abito
di seta nera dal colletto alla orientale, Orochimaru
si dirigeva verso di loro in un passo elegante ed aggraziato.
Naruto si disciolse dall’abbraccio, diventando di colpo
serio. A Kiba non sfuggì la mossa, come non mancò di
notare l’occhiata sbilenca che il biondo aveva lanciato a Shikamaru, poco dopo
aver notato il Vicepreside salire i gradini.
Ma l’occhiata non bastò e ad essa,
successivamente, seguì un richiamo: << Shikamaru >> sussurrato, in
modo che l’uomo non sentisse, ma con il tono perentorio di un Colonnello che
richiama all’ordine un sottoposto.
O, se non proprio così, qualcosa di
simile.
E pochi istanti dopo, guardando il viso contratto del moro
osservare l’incedere serpentino dell’uomo, anche Kiba poté
capire perché.
Ira. Rabbia. Frustrazione e, per finire, quel fantomatico
prurito alle mani che ti viene quando vorresti uccidere una persona solamente
con la forza delle tue braccia, per sentire le ossa rompersi sotto la pelle e
un lamento di dolore provenire dalla vittima in questione.
Gemette sottovoce all’entrata di quel sentimento,
spostandosi di tre passi buoni lontano dai due. Aveva già sentito una rabbia
simile, in un sogno che ancora stentava a ricordare, dunque sapeva di per certo… che apparteneva a Shikamaru.
La stessa persona che ora, notando il movimento di Kiba con
la coda dell’occhio, stava inutilmente cercando di calmarsi.
Ma doveva essere una rabbia molto
forte e profondamente radicata. Un sentimento davvero
difficile da controllare, dato che era riuscito a distruggere tutte le barriere
che Kiba aveva faticosamente eretto intorno al suo strano potere, per separare
se stesso, almeno un poco, dai sentimenti esterni. Barriere che erano
crollate subito e, stranamente, senza bisogno di un contatto fisico.
Avrebbe chiesto più tardi al moro cosa
significasse quel sentimento; ora aveva un problema più impellente da
risolvere…
Già, perché a quanto pareva, il vicepreside aveva veramente
bisogno di uno di loro.
Una volta terminato di salire le
scale si fermò di fronte a loro tre, il portamento elegante e le braccia
incrociate in vita. I capelli lunghi e corvini si posavano sulla
seta scura, morbidamente, talmente lunghi da non ondeggiare nemmeno ai
passi dell’uomo.
Passandosi appena la lingua sulle labbra,
umettandole, puntò lo sguardo su di loro. Poi, la voce sibilante e bassa
ruppe l’incantesimo di quella bellezza strana ed elegante, facendolo
assomigliare più ad una chimera che ad un essere umano.
Oddio, un essere umano molto accennato.
<< Buongiorno Uzumaki, Nara… >> salutò, osservando
prima Naruto e poi Shikamaru, che non rispose nemmeno per scherzo al saluto
dell’uomo, evitando persino di staccargli gli occhi di dosso in qualunque mossa
facesse.
Perché lo odiava, e Kiba riusciva
chiaramente a sentirlo.
Solo, si chiedeva per quale motivo.
<< …e Inuzuka, suppongo
>> continuò l’uomo, ignorando con un sorriso quasi divertito lo sguardo
carico d’odio del moro e quello circospetto del biondo.
<< …sì >> rispose solamente
Kiba, evitando toni particolarmente maligni. Tutta quella rabbia che
sentiva nei confronti del Vicepreside non era sua, non
poteva lasciarsi condizionare.
Anche se lo avrebbe volentieri preso a calci in culo per l’ennesima volta che si era sentito ripetere la
frase “sei tu Inuzuka?”, anche se composta in un modo diverso e non sottoforma
di domanda.
Ma dopo due cavolo di settimane in cui gli affaracci suoi giravano per l’intera accademia, c’era ancora qualcuno che
aveva bisogno di chiedergli il nome?! O era una nuova
forma di cortesia di cui non era a conoscenza?
<< Perfetto. Avrei bisogno di te per un po’, se la
cosa non ti disturba >> disse lui, la voce melliflua che si interrompeva in pause chiaramente premeditate,
probabilmente per renderla più maliziosa.
Shikamaru sussultò, irrigidendo i muscoli del collo e
fissando l’uomo con ancora più astio. Naruto, che invece sembrava più
tranquillo, si limitò solamente a spostare le iridi azzurre sui due.
Doveva trovare un modo per togliersi di lì. Non ci voleva
l’istinto di un lupo per capire che c’era qualcosa che non andava; il viso di
Shikamaru era parimenti efficace, in quel senso.
Usò la prima cosa che si trovò in mente, ovvero la verità:
<< a dire il vero stavamo per pranzare, signore >> rispose, notando
con la coda dell’occhio come entrambi i suoi amici non distogliessero lo sguardo
da quella persona.
E non solo, non avevano la minima
intenzione di perderlo di vista.
Perché? Cosa
gli stavano nascondendo?
<< Lo avevo notato >> rispose
quello, mantenendo una calma solida e sfoggiando un sorrisetto compiaciuto,
probabilmente elogiando il suo tentativo di toglierselo dai piedi. << Ma vedi, è una questione urgente. Lo farebbe la preside, ma
quest’oggi non è esattamente in grado di stare dietro
alle normali procedure presidenziali. Mi capirai, credo… Deidara ci è andato giù pesante, con la sangria di ieri sera
>> disse, senza mutare quell’espressione di continua, maliziosa tortura.
Sembrava che ogni parola fosse finalizzata a trascinarlo con
sé per motivi che esulavano dalle normali procedure scolastiche… e ora, anche
il suo istinto gli diceva di togliersi di mezzo quella sottospecie di vipera formato uomo.
Ma come poteva fare? Dopotutto era il vicepreside, volendo potevaordinarglielo di seguirlo.
E nel caso lo avesse fatto, non avrebbe
potuto rispondere “no grazie”.
Tanto valeva accettare e rimanere in guardia.
<< Sì… signore >> rispose poco dopo, osservando
il suo sorriso obliquo allargarsi un po’ di più.
<< Seguimi >> disse solamente lui, cominciando a
scendere nuovamente le scale.
Lanciò un’occhiata ai due amici, notando i loro sguardi
guardinghi, come belve che osservano un intruso nel
loro territorio di caccia. Loro risposero con un cenno del capo, valido
probabilmente come saluto.
Annuendo in risposta, seguì il
Vicepreside lungo la scalinata.
Lui non parlava. Nemmeno una parola, una spiegazione o una
semplice domanda da ficcanaso.
Sorrideva e basta, con
quell’espressione ambigua e malevola, guardando gli studenti davanti a sé
deviare percorso per non rischiare di urtarlo, anche solo per sbaglio.
E, soprattutto, guardavano Kiba come
se fosse un condannato al patibolo.
Se solo intuiva un risvolto dannoso,
piuttosto fingeva l’attacco di gastrite fulminante e giocava la carta del finto
svenimento, che durante le interrogazioni di Letteratura aveva portato bene
svariate volte.
Almeno fino a che la professoressa si chiese
effettivamente perché lui avesse la pressione ai minimi storici solamente nelle
sue ore, e la farsa era stata smascherata… e punita. Con interessi. Più iva.
<< Inuzuka, è sorto un problema… >> cominciò improvvisamente Orochimaru, talmente fiducioso che
Kiba lo stesse ascoltando che non si prese nemmeno la precauzione di voltare il
capo per guardarlo in faccia.
Dal canto suo, Kiba continuò a seguirlo senza guardare in
viso né l’uomo, né altre persone. Ormai avevano finito la scalinata e, voltando
subito sulla sinistra, si erano immessi nel corridoio che lo collegava
all’atrio principale.
<< Che genere di problema?
>> chiese dunque, sospirando impercettibilmente.
Figurati se non c’era un problema! Altrimenti
non lo avrebbero mandato a chiamare, no?
<< Un problema… di carattere esterno alla scuola
>> aggiunse l’uomo, la voce melliflua e secca, quasi fosse
segnata da anni di fumo anche se il vicepreside non aveva fumato -e non
fumava- nessuna sigaretta. Solo in quel frangente gli lanciò un’occhiata,
completa di sorrisetto compiaciuto nell’osservarlo dall’alto di quella decina
di centimetri che li separavano.
Kiba rabbrividì per un qualche motivo che non seppe
specificare. Semplicemente, gli occhi di quell’uomo addosso
gli trasmettevano qualcosa di strano, che però non appariva
rassicurante.
Arrivarono in poco tempo nell’atrio
principale, per la maggior parte vuoto e silenzioso, dove due individui
attendevano appena all’inizio del corridoio delle segreterie amministrative.
Dove loro si stavano, per l’appunto, dirigendo.
Un uomo e una donna, data fisionomia che
poteva vedere lui da lontano, mentre si avvicinavano a passo sostenuto.
Vestiti di nero, con impermeabili lunghi e occhiali da sole.
Vestiti da E.T. sarebbero passati più inosservati.
Una volta arrivati a loro,
Orochimaru fece le dovute presentazioni: << Inuzuka, questi sono due
ispettori di polizia… >> cominciò << …Ibiki Morino e Mitarashi Anko
>> concluse, in modo che potesse avere chiaro chi fossero i due.
Eppure non fu necessario presentare
lui ai due. Perché probabilmente, se lo avevano
cercato loro, sapevano già chi fosse.
Il punto era cosa volesse la
polizia da lui. Che c’entrasse con il suicidio di Agatha?
Dopo così tanto tempo?
<< Grazie mille signor Vicepreside >> ringraziò la donna, rivolgendosi all’uomo con una pacata
-quanto falsa- gentilezza.
Kiba li osservò, mentre quella Anko
chiedeva se era possibile disporre di una stanza per una conversazione privata.
Lei era carina, non molto alta ma nemmeno bassa, viso tondo
e quasi infantile con dei capelli scuri tirati sulla nuca da un mollettone. Gli
occhi erano scuri, di un particolare colore viola la cui sfumatura non sapeva
definire precisamente. Era vestita in modo quasi provocante, nonostante fosse
un po’ tozza come fisico: pantaloncini corti neri, stivali di pelle con i
lacci, una canottiera nera con sotto una maglia a rete con le maniche lunghe e
impermeabile nero.
E Morino… lui era la brutta copia
di Mastro Lindo dopo una rissa con l’omino Michelin.
Pantaloni e maglia semplici, neri, molto anonimi. Cintura in
cuoio dalla fibbia argentata, stivali al polpaccio neri e
impermeabile come la collega, sicuramente più affascinante di lui.
Silenzioso e serio, aveva un viso spigoloso e
dall’espressione tremendamente incazzosa. Guardava male ogni cosa si muovesse e
respirasse, squadrandola con un paio di occhi piccoli
ma attenti, apatici. Portava una bandana nera, che copriva un cranio
palesemente pelato, e il viso era sfigurato da due cicatrici oblunghe che lo
attraversavano da parte a parte.
E chi era, un compare di Rambo in
Vietnam?
Una volta che la donna ebbe terminato di parlare con
Orochimaru, si rivolse finalmente a lui. Sorrise, però di un
ghigno furbo più che di un sorriso di rappresentanza, appoggiandosi le mani sui
fianchi.
<< Salve Kiba. Posso chiamarti Kiba, vero? >> chiese, diretta e senza mezzi termini, decisa.
Il castano annuì semplicemente, senza aggiungere la voce ai
gesti, osservandola con un sopracciglio leggermente incurvato.
<< Ora andremo a parlare in segreteria,
ti va? >> riprese poi lei, indicando la porta delle segreterie
poco più avanti nel corridoio.
E poi? Doveva anche prenderlo a
manina per paura che si perdesse?
Non resistette.
<< Scusi la franchezza, signorina
Anko… posso chiamarla Anko, vero? >> rispose il castano con una
smorfia di sfida, deciso a mettersi sul piede di guerra: << non ho cinque
anni e non vado all’asilo, può anche evitare di sforzarsi ad
essere carina e gentile, le va? >> aggiunse, facendo un sorriso
così tarocco che le borsette sulle bancarelle del mercato sembravano di marca.
Lei ghignò compiaciuta, cambiando subito
tono mentre Morino, in piedi al suo fianco, lo teneva costantemente
d’occhio. Credeva di aver visto un sorrisetto interessato anche sul volto del
Vicepreside, ma sperava vivamente che non fosse rivolto a lui.
<< Seguici, allora >> ribatté semplicemente la
donna, aspettando che Orochimaru aprisse la fila e li
portasse alla porta giusta.
Kiba 1 - Polizia 0, e palla al centro.
In un silenzio quasi irreale percorsero il breve tratto di
corridoio che portava alle segreterie, al momento vuote in
quanto domenica. Shizune, così come Tsunade e il resto
del corpo insegnanti, avevano camere private nell’ala ovest
dell’accademia, separate rispetto ai dormitori degli studenti.
Aspettando che Orochimaru aprisse
la porta, Kiba tornò momentaneamente a riflettere su cosa ci facesse lì e,
ancora prima, quale guaio aveva combinato per far piombare la polizia in
accademia.
Erano investigatori e, da che mondo è mondo, gli ispettori investigano. Su omicidi, la maggior parte della
volte, come insegnavano i telefilm insulsi che guardava sua madre la
sera dopo cena, occupando la televisione.
Da che si ricordava, non aveva ancora ucciso nessuno.
Certo, aveva fatto qualche pensiero del genere su Hotaru, lo
ammetteva… ma il più delle volte era colpa dello stress per la settimana
pre-ballo.
E comunque la ragazzina era tutta
intera, no?
Una volta che la serratura scattò sotto le mani del
sostituto rettore, e la porta fu finalmente aperta, i tre adulti e Kiba si
accomodarono all’interno.
Fu Anko a scegliere automaticamente la scrivania giusta,
quella sotto la finestra, in modo da usare la maggior quantità di luce esterna
possibile. Fece cenno a Kiba di sedersi alla sedia che vi era dietro, usata
probabilmente da Shizune.
Kiba, osservandola dopo una breve analisi della stanza e dalle situazione, diede ascolto alla donna senza battute
sarcastiche o frasi mirate a stuzzicarla.
Morino, dopo questa mossa, si voltò verso Orochimaru con le
braccia lungo i fianchi, immobili. << Potrebbe uscire, per cortesia?
>> chiese, sfoderando una voce profonda che traspirava autorità da tutti
i pori.
Orochimaru sorrise deliziato,
appoggiandosi con la schiena alla parete: << Inuzuka è uno studente di
questa scuola. E, anche se preferirei dedicarmi ad
altro, purtroppo io sono il suo referente, oggi >> specificò, guardando
Morino direttamente negli occhi senza il minimo cenno di tentennamento. Nemmeno
quando Ibiki, incrociando le braccia al petto, cercò di assumere un tono minaccioso.
<< Siamo della polizia, possiamo ordinarglielo…
>> minacciò, la voce che si era fatta più
profonda.
<< Siete dentro un’accademia privata, anche se
cattolica. Qui voi siete intrusi, non poliziotti >>
specificò con calma il serpente, senza scomporsi minimamente.
Fu Anko ad intervenire per risolvere la questione: <<
Lascia stare, Ibiki. Purtroppo ha ragione >> disse,
improvvisamente seria e senza nessuna traccia del sorrisetto malizioso che
aveva assunto in precedenza.
Perché tutto a un tratto l’aria si era
fatta così pesante? Cosa dovevano dirgli, quei
poliziotti, di così importante da non poter nemmeno aspettare il pomeriggio?
Il detective lanciò un’ultima occhiata al vicepreside,
aggiungendo solo un << è stato avvertito >> che risuonava più come
un insulto che come un consiglio. Orochimaru non fece altro che riprendere quel
sottile sorriso ironico, attendendo paziente la rivelazione dei due poliziotti
a Kiba.
Che, dal canto suo, anche se non lo
voleva ammettere cominciava ad agitarsi.
<< Allora Kiba… >> cominciò poi la donna,
lasciando Morino ad estrarre una cartella gialla da sotto al
cappotto, probabilmente da una tasca interna, contenente alcuni fogli e
qualche foto. << Ti abbiamo portato qui principalmente per farti qualche
domanda, poi per mostrarti qualche foto. Abbiamo bisogno di
un riconoscimento, tutto qui >> disse, professionale nella sua
espressione perfettamente seria e neutrale.
Certo, come no. E lui era Attila re degli Unni.
<< E’ vostra abitudine isolare l’interlocutore, per un
semplice riconoscimento? >> chiese dunque il castano, appoggiandosi con
la schiena alla sedia e osteggiando una sicurezza che in realtà stentava a
possedere realmente.
La donna alzò appena l’angolo della bocca, osservandolo
dall’alto in basso e portandosi lentamente di fronte a lui. << Sei
perspicace, Kiba… >> sussurrò solamente, lasciando campo libero all’uomo
e ritirandosi un po’ indietro, ma comunque a portata
visiva.
Morino, arrivandogli davanti nella sua imponenza, estrasse
dalla cartellina gialla una fotografia, poggiandogliela davanti.
Era una stampa A4, liscia, ma non lucida
come la normale carta fotografica. Ritraeva un uomo sulla quarantina, calvo
salvo per qualche ciuffo di capelli castani e radi, che gli ricoprivano la
parte bassa della nuca e la cute sopra le orecchie. Aveva un viso ovale,
magrolino, con una carnagione olivastra e un’ombra di barba. Dal collo, magro
anch’esso, spuntava il colletto di una camicia blu e l’inizio di uno stemma
giallo dalla forma, probabilmente, ovale.
Gli sembrava… sì, quasi famigliare.
<< Conosci quest’uomo? >> chiese dunque, usando
lo stesso tono modulato e profondo che aveva usato prima per intimidire
Orochimaru.
L’unica differenza era che se il vicepreside era
impassibile, con lui l’intimidimento riusciva a meraviglia.
Tuttavia era lungi dal mostrare
l’inquietudine che provava. Persino i bambini avrebbero capito che non era una
buona cosa, in un interrogatorio come quello.
Sì, perché se due tizi arrivano e ti chiudono in una stanza,
a casa sua era un interrogatorio in piena regola.
Che poi loro si parassero il culo
con la scusa del riconoscimento, era un altro paio di maniche.
Alzò gli occhi sull’uomo che aveva di fronte prima di
riguardare nuovamente la foto, decidendo la strategia.
Senza emozioni per quanto possibile, sì, ma la verità in risposta. Sempre meglio la verità, che
farsi scoprire in flagrante con una bugia sulle labbra.
<< Mi sembra di averlo già visto >> rispose semplicemente, aggrottando la fronte nel tentativo
di ricordare dove, per esempio, e quando lo aveva visto.
<< Ci credo >> rispose
subito la donna, appoggiata con i glutei ad una seconda scrivania, poco più
indietro rispetto a quella a cui era seduto lui. << E’ un tassista.
Secondo la tabella della società per cui lavorava è
stato lui a portarti qui, più di due settimane fa >> aggiunse
tranquillamente, appoggiando le mani sul bordo della scrivania dov’era seduta,
ai lati del suo corpo.
Ah, ecco dove lo aveva visto. Era
quel tipo fissato con Bob Marley. Aveva discusso con lui per più di venti
minuti, quando per l’ennesima volta si era messo ad ascoltare lo stesso CD che
gli aveva rifilato sin dall’inizio del viaggio.
<< Me lo ricordo >> rispose Kiba criptico,
appoggiando la foto sulla scrivania: << Sì, guidava lui il taxi che ho
preso per arrivare qui >> confermò.
<< Bene >> rispose Morino, estraendo un'altra
fotografia dalla cartelletta, che però non gli mostrò subito. << Ricordi
a che ora sei arrivato in accademia? >> chiese poi, osservandolo
dall’alto con quello sguardo intimidatorio.
Quello non era solo inquietante, faceva
proprio paura. Ora capiva perché mandavano lui per quei casi…
Kiba dovette rifletterci a lungo prima di rispolverare il
vago ricordo dell’arrivo. Si ricordava solamente il trauma avuto dopo, il
“prima” era un po’ confusionario nella sua testa.
<< Era pomeriggio - rispose - sulle 14:30… 15 al massimo >> disse, osservando ora gli occhi
della donna, visibile dalla sua posizione nonostante il detective gli stesse
quasi del tutto di fronte.
I due si scambiarono un’occhiata veloce e, per un solo istante,
oltre al guizzo di espressività nelle iridi di Anko
riuscì a leggervi anche una consapevolezza.
Avevano trovato quel che cercavano. Glielo si leggeva in
faccia.
Morino si voltò nuovamente in sua direzione, appoggiandogli
davanti al viso una seconda fotografia, sempre dello stesso formato. Ritraeva
il fosso di una strada sterrata, sulla destra, e riversa
al suo interno la carcassa di quella che doveva essere stata un’automobile… no,
un taxi. Il retro infatti non era bruciato
completamente e, su quello che doveva essere stato il baule, si poteva ancora
vedere una striscia di vernice gialla. L’erba tutta intorno era nera, bruciata.
Una volta che ebbe terminato di osservarla, alzò gli occhi
con fare interrogativo verso l’uomo, che sorrise ironicamente a quel suo
sguardo. << E’ il taxi dell’amico nell’altra foto - disse semplicemente -
con dentro, ciò che rimane dell’autista >> concluse, senza staccargli gli
occhi di dosso.
Aggrottò appena la fronte, senza però scomporsi. A cosa volevano arrivare, con tutto quel giochino psicologico?
<< Mi dispiace molto, ma non vedo cosa c’entri con me
>> disse il castano, esprimendo effettivamente
quello che stava pensando, lasciando andare la foto sulla scrivania a seguire
lo stesso percorso dell’altra.
<< Abbi pazienza… >>
intervenne poi Anko, alzandosi dalla scrivania ed avvicinandosi a lui di
qualche passo, affiancando il collega.
Come in un gioco a completare le frasi dell’altro, fu l’uomo
a riprendere parola: << E’ sbandato da solo e, nell’infossarsi, il
serbatoio si è danneggiato. Il liquido è fuoriuscito, è entrato in contatto con
la marmitta e ha preso fuoco >> disse, riassumendo in poche parole la dinamica dell’incidente.
Perché di incidente si trattava. E
lui, nonostante se lo stesse chiedendo da un pezzo, non riusciva a capire quale
fosse il punto di collegamento fra lui e l’uomo.
Per proseguire il giochino, riprese parola
Anko: << da un’analisi più approfondita, la scientifica ha stabilito che
la vettura era guasta. Una piccola rottura nel sistema di scarico faceva sì che
i fumi di scappamento entrassero all’interno dell’abitacolo attraverso le prese
dell’aria. Sai da cosa sono composti i fumi di scappamento di un motore, Kiba?
>> chiese poi, utilizzando un tono per metà ironico e per metà divertito.
Lei lo sapeva già, e adesso si divertiva un mucchio a
tormentarlo. Volevano sfiancarlo psicologicamente, era
questo lo scopo del gioco di botta e risposta. Ma
perché?! Cos’aveva fatto?
Ma rispose, ancora, per quello che
sapeva: << Monossido di Carbonio, per la maggior parte >> (*1)
rispose sicuro. Probabilmente era l’unica lezione di chimica che aveva seguito
in due anni di scuola “normale”.
E comunque, aspirare i gas di
scarico era uno dei metodi di suicidio più quotati, dopo il taglio delle vene e
il lancio dal ponte.
<< Esatto >> disse semplicemente lei,
osservandolo con gli occhi ridotti a fessure dal divertimento, insito nel suo
tono. Pregustava un momento particolare, Kiba ne era
certo, assaporava l’attesa.
Ed ecco la stoccata.
<< Tu hai viaggiato su quel taxi per quasi due ore -
disse Morino - tempo abbastanza lungo da fare entrare nell’abitacolo
sufficiente quantità di gas da soffocarvi nel sonno… entrambi >> e spinse sull’ultima
parola.
Il suo cuore mancò di un battito. Ora cominciava realmente
ad avere paura.
<< Come mai sei ancora vivo, Inuzuka? >>
completò la donna in grande stile, senza spostare lo
sguardo da lui nemmeno per un attimo.
Kiba era immobile, inerme, impietrito. Fissava con gli occhi
spalancati il legno della scrivania, la bocca semi aperta in cerca di aria, le mani serrate con forza sul legno della sedia,
invisibili agli occhi dei due poliziotti. Tremava leggermente e, con quella
stretta, faceva in modo di non dover palesarlo.
Già, perché non era morto? O
meglio, come giustificare ora il fatto che era vivo?
E questo fattore, a quali
conseguenze avrebbe portato? Quali pensieri prendevano vita nella mente dei due
ispettori?
Cercò di difendersi con l’unico appiglio che
gli era rimasto prima del precipizio: << potrebbe essere stato
dopo… >> sussurrò, senza usare completamente la voce, ormai inesistente.
Non riusciva semplicemente a tirarla fuori, per quanto volesse
usarla al solo scopo di sembrare ancora calmo… cosa che non era minimamente.
L’uomo diniego con il capo. << No, è
stato prima… addirittura prima che tu arrivassi >> disse serio;
Morino era l’unico in quella stanza che non sembrasse sadicamente divertito
dalla faccenda. Persino il vicepreside osservava la scena
interessato, ridacchiando silenziosamente compiaciuto ad ogni colpo di
scena. << Il taxi, come puoi vedere sulla foto, è sbandato a destra nella
corsia che va in direzione di questa scuola. Se proviamo a pensare ad un
testacoda, anche se è totalmente improbabile data la bassa velocità con cui è uscito di strada, non abbiamo prove che sia avvenuto: come
puoi ben vedere anche tu - e picchiettò il dito indice su di una terza foto,
che aveva appena appoggiato sul tavolo - sulla strada non ci sono segni di
frenate o di brusche sterzate >> completò, passando parola alla collega.
<< Inoltre siamo riusciti a
risalire all’orario dell’incidente, tramite un calcolo del monossido di
carbonio rispetto al tempo, alla velocità e alla falla presente nella vettura.
E ti assicuro… che alle 13:40 l’autista era già morto.
Abbiamo provato a fare la strada con lo stesso tipo di macchina e ipotizzando
lo stesso tipo di guasto, e indovina un po’? Alle 13:40
eravamo poco lontani dal punto in cui il taxi è uscito di strada. Da non
credere, eh? >> disse lei, distogliendo lo sguardo il tempo sufficiente
ad osservare il brullo paesaggio all’esterno di una delle due finestre della stanza.
<< Non può essere possibile! >> scattò allora
Kiba, gridando più dall’ansia che dalla rabbia. << Alle 13:40 c’ero anche io su quel taxi, e in accademia ci sono pure
arrivato! Non ci sono di certo venuto qui volando!
>> sbottò, osservando alternativamente il detective e la collega.
Stavano dicendo che, secondo le loro indagini, il taxi sarebbe sbandato addirittura prima che lui arrivasse a
scuola? Che addirittura doveva aver preso fuoco mentre
lui vi era sopra? Che cosa cavolo stava a significare,
lui non era forse seduto proprio davanti a loro? Non respirava, non parlava,
non si stava spaventando a morte come una persona viva, dannazione?!
<< Ci credo >> rispose
solo la donna, tornando a guardarlo.
<< Evidentemente no, Cristo Santo! >> sbottò di
nuovo il castano, ora quasi nel panico: << Cosa dovrei
dedurne da tutto questo, dato che non vi spiegate la mia presenza qui? EH?!
>> urlò di nuovo, facendo cadere la sedia con un tonfo sordo sul
pavimento.
Nonostante lui avesse,
evidentemente a quel punto, perso la testa, i due detective non mostrarono
nessuna reazione particolare. Persino Orochimaru si era distaccato dal muro a
quelle parole, tenendosi a distanza ma pronto ad intervenire in caso di
difficoltà. Era pur sempre il vicepreside, anche se si divertiva un sacco.
Kiba, dal canto suo, non sapeva più che pensare. Doveva
essere uno scherzo, una presa in giro! Lui era vivo, era in piedi davanti a
loro, era vivo! Lui era arrivato in
taxi, se lo ricordava, lo aveva anche pagato!
<< Tu nulla >> intervenne nuovamente l’uomo,
estraendo una seconda fotografia dalla cartelletta, appoggiandola sulla
scrivania di fronte a lui: una veduta dell’interno dell’abitacolo mostrava il
cadavere carbonizzato dell’autista e, dietro, un secondo cadavere.
<< Spiegaci solo chi è la persona sul sedile
posteriore… >> intervenne nuovamente lei << …e soprattutto, perché
ha il tuo stesso DNA >> concluse mentre Morino poggiava sulla scrivania
un’altra fotografia con i particolari di un frammento di pelle, probabilmente
un residuo da cui avevano estratto il campione per
l’analisi, e una tabella in cui veniva mostrato il tracciato lasciato
dall’Elettroforesi su Gel (*2).
<< Spiegaci perché, quel cadavere sul sedile posteriore…
sei tu >> aggiunse
Anko, zittendosi.
In quel momento, puro terrore poté leggersi sul viso di
Kiba.
Non riusciva più a fare finta di
niente, non con quelle prove, non alla vista di quelle fotografie. Non potevano essere false, non si fotografa così accuratamente
un cadavere falso, e ogni foglio era timbrato dal comando della polizia
scientifica.
Erano prove autentiche.
Alzò gli occhi, sgranati e dilatati, sui due detective. Non
avvertiva più i rumori, sovrastati dal battito convulso del suo cuore che gli rimbombava
ferocemente nelle orecchie.
Voleva ardentemente che qualcuno fosse saltato fuori da qualche anfratto e avesse detto che era tutto uno
scherzo. Era disposto a non cercare di ucciderlo, nel caso, perché più di ogni altra cosa ora agognava una notizia di quel genere.
Era uno scherzo, scusaci tanto, torna
pure dai tuoi amici.
Torna a vivere come prima.
Ma non usciva nessuno, da nessun
angolo, senza nessun sorriso.
Era la cruda realtà.
Voleva urlare ma anche la voce era sparita, così come ogni
sua forza.
<< Ora basta >> intervenne poi una terza voce. Il
tono severo e serioso di Orochimaru lo raggiunse da
vicino, da molto più vicino di quanto si ricordasse.
Si era infatti frapposto fra lui e
i due poliziotti, che ora avevano spostato l’attenzione sul vicepreside.
<< Non ve l’ho portato per traumatizzarlo, ma per fare
un riconoscimento >> precisò l’adulto con un
tono di comando.
<< Lei non dovrebbe immischiarsi in un’indagine
ufficiale! >> esclamò Anko, sfigurando il viso in una rabbia
superficiale, probabilmente dettata dall’intromissione dell’uomo.
<< E lei dovrebbe fare
attenzione alle parole che usa, signorina Mitarashi. Soprattutto qui dentro…
>> aggiunse, nascondendo ad arte una minaccia esplicita
che, probabilmente, solo Anko capì del tutto.
<< Ora, se avete finito, andatevene. Avete già fatto
abbastanza danni. Suppongo sappiate dov’è la porta, e spero che non abbiate
l’insano proposito di rimettere piede entro i confini del
St. Michael… >> lasciò cadere, poggiando la mano destra
sulla spalla di Kiba e, spingendolo con una lieve pressione, cominciò ad
accompagnarlo lungo il corridoio oltre la porta.
Il castano non si accorse di essere arrivato all’atrio principale,
non si accorse del secondo corridoio che percorreva pian piano, non si accorse
nemmeno della mano che lo guidava. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé,
semplicemente, senza nessuna reazione in particolare sul suo viso, sulla sue espressione incredula e terrorizzata.
L’espressione di chi spera in un incubo surreale, di chi
spera in un risveglio altrettanto surreale.
Un risveglio impossibile.
Perché non ci si può risvegliare
dalla realtà.
Una volta giunti nell’atrio
piccolo, in mezzo al via vai di gente che non si era ancora fermata, il
vicepreside lo fece fermare.
Nelle orecchie di Kiba, ancora più chiara delle voci di
Shikamaru e Naruto che sentiva immensamente distanti -nonostante i suoi amici
fossero sulla scala dove li aveva lasciati-, la voce di Orochimaru
risuonò chiara, lasciando come un’eco nella sua mente ormai bloccata da ciò che
aveva appena visto.
<< Ti sei mai chiesto, Inuzuka, se la persona che vedi
riflessa nello specchio sei veramente tu? >>
Il castano voltò impercettibilmente il capo in sua
direzione, senza tuttavia guardarlo o spostare lo sguardo dalle piastrelle
sotto i suoi piedi. Tacito segno che lo aveva sentito…
e che lo stava ascoltando.
<< Non ti sei mai domandato perché, allo specchio, la
destra e la sinistra sono invertite? Se lo sono,
allora, perché noi diciamo che quel riflesso è un nostro riflesso? Per essere uguale a noi, dovrebbe essere precisamente uguale… ma non lo è. La sua destra non è la nostra destra, la sua sinistra non
è la nostra sinistra… >>
Ridusse la voce ad un sussurro e, finalmente, come se
improvvisamente tutto quando fosse dannatamente lento,
distolse la mano dalla sua spalla.
<< Domandatelo, Inuzuka… sei
veramente tu, quello? >> terminò, indicando con un leggiadro movimento di
mano uno degli enormi specchi davanti a lui.
Fra riflessi di ali grigie, la sua
immagine arrivava nitida alla sua vista… enigmatica e insondabile anima dello
specchio.
Aprì la bocca, prese fiato, trattenne il respiro… ma non
uscì niente.
Non una parola, non un suono… nulla.
Semplicemente rimase a fissarsi, finchè la
mancanza di fiato non gli fece girare la testa, sfocare la vista,
ovattare l’udito.
Finché non svenne, sorretto da un
paio di braccia e circondato da sguardi preoccupati.
Finché non divenne tutto buio.
Chapter No.8 ~ End.
*1: Il Monossido di Carbonio (CO) a differenza dell’Anidride
Carbonica (CO2) è una molecola
instabile, molto reattiva con l’Ossigeno. Entrando in circolo tramite la
respirazione, si fissa con gli atomi di ossigeno
contenuti nell’emoglobina (i globuli rossi del sangue), in particolare del
gruppo EME che, allegramente, la porta in circolo per tutto il corpo. Capirete
che, se il Monossido di Carbonio si prende l’Ossigeno destinato inizialmente
agli organi interni e al cervello, l’organismo (e quindi la persona) muore per asfissia. Viene chiamata,
per questo, in francese Doux Mort
(Morte Dolce), poiché si muore perdendo conoscenza, addormentandosi.
*2: L’Elettroforesi su Gel viene
utilizzata per mettere a confronto diverse tracce di DNA, per vedere quale
risulta più simile ad un’altra, presa come campione.
Capitolo 10 *** Interlude 02 - Legami e Catene ***
Note: Oh myself
Note: Oh myself! *sospira* una pausa dalla trama, in questo
capitolo!
Secondo Interlude della storia, interamente SasuNaru, giusto per prendere un po’ le distanze dalla
trama principale e vedere come trasformo Sasuke e Naruto nell’esempio perfetto dell’ OOC *____* (crazysmile).
No dai, cercherò di tenerli IC con
tutta me stessa! XD
E ora, le risposte ai commenti!
Soarez: Veramente un ottimo spoiler, non c’è
che dire! XD E ti dirò, in due punti (che ovviamente non ti dico quali sono) ci
sei andata vicina *annuisce* …anche se a dire il vero, se mi fosse venuta in
mente a me una cosa simile, probabilmente l’avrei sviluppata
così °____°
XD ma lasciamo stare! Per risponderti: esatto, Temari e
Kankuro non sono rilevanti ai fini della storia. Se
compaiono lo fanno come comparse, come Gaara… che amo anche io, ma non avrà un
ruolo importante, purtroppo ^^’’’. Naruto sì, è effettivamente imbecille come
una pecora, ma almeno in qualcosa doveva essermi utile quell’esserino, no? Cioè, potevo farlo fare a Choji,
ma sinceramente la stessa scena con l’Akimichi non mi
piaceva gran che ^^’’’ e sì, Shikamaru ha un suo perché U.U
forse lo sto facendo troppo figo…
Grazie mille per aver letto, commentato, e spoilerato! XD
P.S. : abbasso i mocciosi petulatnti! *-* (sguardo omicida)
Capitatapercaso: Il ritorno! XD Grazie per le mail, è una gioia sapere che mi mandi le recensioni anche
per mail ç___ç *profondamente commossa*.Già, cos’è ilSt. Michael Gakuen… bella
domanda! XD No beh, a parte gli scherzi idioti, so che adesso sembra tutta
un’accozzaglia di roba, ma se mi riesce di renderlo
come spero che venga, nel… emh *conta sulle dita*
terzultimo capitolo ogni tassello del puzzle dovrebbe tornare al suo posto.
Inoltre, non smetterò mai di pensare a quanto tu sia
una lettrice attenta, devo complimentarmi. Capisci esattamente quello che
voglio far capire, e ti fai esattamente le domande che, irrisolte, io nascondo
nel testo. Davvero, è un piacere scrivere quando si ha lettrici così!
Ancora una volta, adesso più di prima dato
che mi mandi persino i commenti per posta (ç.ç),
un grazie di cuore per avere continuato a leggere questo lunghissimo sclero recuperato in chissà quale angolino di cervello.
Baci =*
Girlstreet: Lo so, stranamente Kiba in crisi mi
viene quasi sempre XD …cioè, dai, se io mi trovassi
davanti a cose del genere… beh, no, sbaverei, ma io non sono normale U__U.
Grazie mille per avere letto e commentato (anche se yaoi XD) e ok, farò del mio
meglio per aggiornare come al solito, anche se non
garantisco nulla. Grazie ancora =*
Slice: Esatto, Yoko non fornisce spoiler di
nessun genere… ma voi elucubrate, elucubrate pure! XD
Sono proprio curiosa di sapere se qualcuno ci arriva prima del capitolo
rivelazione (ovvero il terzultimo). Eh, purtroppo la lemon
non la posso fare. Primo perché se ho messo rating giallo c’è
un motivo, secondo perché a scriverle sono una schiappa. Già fatico a
tenermi Kiba IC con Shika, figuriamoci se li
rinchiudo da qualche parte a fare i comodi loro! XD Grazie mille per aver letto
e recensito anche questa volta! ^*^
Rei Murai: NuRei-chan,
non collassare! *gya* Mi spiace di averti intrippato i neuroni e sì, so che non si capisce niente, è
fatto apposta! XD Però, alla fin fine, è proprio quando va tutto bene che un
“colpo di scena” ribalta completamente la situazione, no? Tranquilla comunque, dal prossimo capitolo probabilmente si comincerà a
capire qualcosa ^__-. Grazie mille per il commento, me ti lovva!
X*
CloudRibbon: Acqua, acqua! XD Adoro leggere le
elucubrazioni e sì, me lo aspettavo il fatto che i tuoi
castelli in aria (e penso non solo tuoi XP) sul continuo della trama
crollassero di botto, con questo finale XD. Tu pondera, pondera pure e, per
darti un raccapezzamentoglobale
sulle tue precedenti teorie… beh, sono sbagliate. Però
una si avvicina appena alla trama
vera e propria, ovvero quella che mi sono fatta io. Ah, e no, non sto andando a
caso! Io ho lo svolgimento della trama ben fisso in mente! XD Ho già deciso
anche il finale, salvo imprevisti di sorta. E mi
dispiace di averti incasinato il cervello, davvero! XP Giuro che la prossima
volta ti preparo psicologicamente, ok? Ora recupera i
criceti per scuola, altrimenti non va bene! XD
Grazie mille di mille volte per aver commentato tutti i
capitoli! Melovva anche te!
=*
P.S. Mia mamma non ha mai letto niente di quello che ho
scritto, non so sa ti saprebbe rispondere XP
Nekiniku_dango: XD
cielo, i funghi! *si da un contegno* Beh, teoricamente pure a me se uno
saltasse su e mi dicesse “ehi, sai che c’è il tuo cadavere in un taxi?” farebbe
ridere. Ma consideriamo il fatto che quel povero
essere umano si è fatto tre delle settimane più incredibili della sua vita…
cioè, se esistono gli angeli è anche probabile che il tuo cadavere sia in un
taxi, no? XD Ma passando ad altro; ancora una volta grazie per i complimenti
sulla trama, mi commuovono sempre ç___ç e grazie anche per la comprensione
sugli aggiornamenti; dato che scrivo principalmente di
notte avrò il mio da fare! XD
Spero che ti piaccia anche questo capitolo!
VavvyMalfoy91: *si
va a nascondere dietro a Shikamaru* ç___ç paura! *fix
Kiba nell’angolino che sbatte ripetutamente la testa
al muro stile Psycho* …ok, mi riprenderò per il bene
comune *si spolvera i pantaloni*. Beh, che dire,
scusa per aver stravolto tutto! XD Ma ci stava, era da programma *annuisce*. Eh, chissà! Kiba sarà morto, non sarà morto,
sarà un fantasma, in realtà è in coma… chi lo sa? A
parte me ovviamente (XP) credo nessuno. Oppure qualcuno che
ha molta fantasia. In ogni caso grazie per la recensione e non temere,
ti lascio un po’ sulle spine ma la luce in fondo al tunnel sta per giungere! XD
OnlyAShadow: Allora, andando in ordine: 1) grazie mille, sempre felice che il
mio stile piaccia. E no, nessun trucco, tutto naturale ^^’’’ non ci bado neanche quando descrivo, a dire il vero. 2) Lo so,
purtroppo. E non sai quanto mi tenti la lemon, che però non metterò. Almeno, non qui. Sto
progettando uno speciale con lemon, ma dipende se
riesco a finirla nei tempi. 3) Nu, nu, dimmela l’idea! *___* non posso dire se è azzeccata o
meno, ma mi diverto a leggere le elucubrazioni, soprattutto se qualcuno
comincia ad andarci vicino! XD. Grazie mille, anche questa volta, per il
commento! kiss =*
Fallen_azraphel: Vodoo?
O___ò… oh beh, fa lo stesso! XD Ogni teoria fa brodo, quando non si conosce la
mente originale che dovrebbe scaturire il finale della storia (ovvero la mia).
In ogni caso, guarda, ho cambiato la scena iniziale in omaggio al tuo amore per
il pigiama di Shikamaru XD Che condivido. Shikamaru un pigiama è troppo awwwww. Sono felice di averti lasciata sconvolta, ma
riprenditi, ok? XD Mi servi lucida nei prossimi capitoli! Per quanto riguarda Shika e Kiba… sì, comprendo, lo penso anche io! XD
Grazie anche questa volta per il commento! X*
Ok, Secondo Interlude. Ovvero: prima di tornare al tormento
dell’autrice su Kiba, diamo un’occhiata al “come si
sono svolti i fatti”.
In questo Interlude cambia il punto
di vista… anche se sono terrorizzata all’idea di aver mandato Sasu-coso OOC. Io Uchiha-schifo
non riesco a muovermelo in maniera decente. Sarà perché lo odio =___=
Va beh, se sono caduta in un balordo OOC scusatemi tanto
^^’’’ prendetela come libertà artistica.
Inoltre il capitolo, come ambientazione, necessita
di spiegazioni appropriate che troverete a fine capitolo. Per ora leggetelo
come viene, c’è scritto tutto a fondo pagina.
P.S. : Per la cronaca, le braccia
che sorreggono Kiba alla fine del capitolo precedente sono di Orochimaru! XP
.:: Enjoy! ::.
Chapter
09 ~ Interlude 02
Quante ore erano passate da quando si erano seduti lì,
semplicemente, senza più dire una parola?
Tante… troppe. Forse dieci.
Otto, considerando che lui era arrivato
dopo. Ma erano comunque un’esagerazione.
Sospirò, gettando uno sguardo alla sua sinistra, come faceva
ormai una volta ogni tanto. Non era per fissazione, solo per sicurezza.
Incrociò con le sue iridi scure i capelli biondi e gli occhi
azzurri di Naruto e, solo a quella vista, si sentì un po’ più sollevato.
Naruto sembrava stanco, infreddolito e affamato. Ma, ovviamente, non lo dava assolutamente a vedere.
Testardaggine. Ormai lo conosceva, era inutile cercare di
parlare con lui e di farlo ragionare; quando si impuntava
su qualcosa era più testardo di un mulo e non lo smuovevi dalla sua posizione
nemmeno con tutta la buona volontà del mondo.
Assottigliò gli occhi e tese le labbra in un piccolissimo,
quanto invisibile, sorriso. Era stata proprio quella
testardaggine a tenerli insieme, non poteva dire che fosse un difetto…
Passando oltre, alla sinistra di Naruto,
gettò per un secondo lo sguardo su Shikamaru. Seduto
come loro contro la parete, gambe raccolte al petto, semi-divaricate, e sguardo
fisso sulla porta dell’infermeria, esattamente di fronte a loro.
Immobile.
Non aveva mosso un muscolo da quando era arrivato. Non si
era mai alzato in piedi, non aveva mai mosso il capo, non aveva mai guardato
nient’altro che quella porta. Se non lo avesse conosciuto a sufficienza per
poter dire che fosse in ansia, probabilmente avrebbe pensato che fosse
semplicemente in attesa.
E, a dire il vero, magari era
entrambi.
Distolse lo sguardo dal moro, sospirando lievemente e
chiudendo gli occhi scuri. Si fece indietro con il collo,
appoggiando la testa alla parete e, in quella posizione, riaprì gli
occhi verso il soffitto.
La schiena faceva male, a causa di quell’immobilità. E non poteva di certo dire che fosse caldo.
<< Starà bene? >> esordì poi Naruto,
interrompendo un silenzio che perdurava da ore. Le sue parole, all’interno del
corridoio vuoto, ebbero la stessa potenza di una fucilata in una mattinata
invernale, quieta e silenziosa, nebbiosa.
Si premurò di non rispondere. La domanda non era rivolta a
lui, come non era rivolta a qualcuno in particolare, e inoltre non sapeva
nemmeno cosa rispondere.
La risposta arrivò qualche istante dopo. Shikamaru,
sospirando appena ma udibilmente, chiuse gli occhi e si fece indietro con la
schiena, appoggiandosi al muro a sua volta.
<< Sì >> rispose poi, tenendo gli occhi chiusi e
la nuca appoggiata alla parete << non è un tipo
che si lascia abbattere facilmente, si riprenderà >> decretò Nara, stiracchiandosi
rumorosamente le braccia e portandosele dietro la nuca.
Sembrava il ritratto della tranquillità, ora. Ma ore prima, anzi… anche pochi minuti prima, in mezzo a
quel silenzio quasi irreale, non lo era davvero. Non lo era, quando l’Inuzuka
era svenuto nel bel mezzo dell’atrio, davanti a mezza scuola.
Naruto sospirò rumorosamente, stirando appena le gambe stese
a terra, muovendo le spalle per cercare di non farle intorpidire come il resto
del corpo. Successivamente sbadigliò, sbattendo gli
occhi per scacciare le piccole lacrime che si erano fermate sulle sue ciglia,
all’angolo degli occhi cerulei.
Sasuke, contrariamente alle sue abitudini, sorrise di nuovo.
Lievemente, non troppo, di modo da non mostrare oltre quella sua espressione
che, fino ad allora, aveva visto solamente Naruto.
<< Dovresti dormire un po’, dobe
>> aggiunse poi, a voce bassa per non interrompere l’atmosfera di
relativa calma che impregnava quell’angolo
dell’accademia.
<< No, voglio stare sveglio >>
rispose Naruto, piegando un ginocchio per cambiare posizione.
Sasuke allargò appena il sorriso e il suo tono risuonò di
quella particolare nota gentile che riservava solamente al biondo.
Non era dolce. Sasuke non mostrava mai eccessiva dolcezza,
come la dolcezza dei fidanzati. Anzi, l’amore di Sasuke aveva una nota
amarognola, ma non sgradevole.
Non era stomachevolmente zuccherina, ne
irrimediabilmente amara. Era semplicemente amarognola, come un amaretto.
Un gusto unico e particolare… tutto suo.
Tutto per Naruto.
<< Sei sempre stato e rimarrai sempre una testa
quadra… >> disse Sasuke, chiudendo nuovamente
gli occhi e sorridendo ironicamente al muro di fronte.
Naruto ringhiò sommessamente, arricciando le labbra.
<< E tu sei sempre stato e rimarrai sempre un teme,
teme! >> borbottò il biondo, chiudendo le palpebre di scatto e
incrociando le braccia al petto con fare fintamente arrabbiato.
Sasuke mantenne il sorrisetto
strafottente, tenendo chiusi gli occhi e ascoltando il nuovo silenzio
calato su di loro.
Silenzio che venne interrotto solamente
da alcuni passi lungo il corridoio, in avvicinamento. I passi di due… no, tre
persone a giudicare dalla frequenza.
In lontananza, la gonna bianca di Sakura sventolava al suo
incedere e, di fianco, i pantaloni rossi di Ino si
fondevano quasi con la luce sfocata del tramonto. Dietro alle due, Choji avanzava tenendo il passo il meglio che poteva.
In mano portavano delle tazze, probabilmente calde dato il
vapore che usciva dalle loro sommità, e si avvicinavano con l’espressione
esausta che avevano ultimamente assunto tutti quanti. Era stata loro l’idea,
quasi mezz’ora prima, di andare a prendere qualcosa da bere per riscaldarsi,
dato che molto probabilmente avrebbero saltato la
cena.
<< Scusate il ritardo ragazzi, Ichirakustava preparando per gli altri e ci ha messo un po’ a
finire >> esordì Sakura, arrivando con due tazze in mano; facendo
attenzione si piegò davanti a Sasuke. << Caffè, giusto? >> chiese
poi, allungandogli una delle due tazze bianche che teneva fra le mani.
Sasuke annuì, prendendola con la destra. << Grazie
>> rispose, poggiandovi sopra anche l’altra mano e odorandone il profumo.
Un aroma particolare che aveva il potere di ricaricarlo
anche solo con il profumo.
<< Tieni Uzumaki >> sussurrò
poi Ino, passando una tazza anche al biondo. << Tè Oolong,
Ichiraku ha detto che ti piace >> aggiunse lei, aspettando che Naruto prendesse la tazza.
Naruto annuì e ringraziò a sua volta.
<< Si è saputo niente di Kiba? >> chiese invece Choji, sedendosi a fianco di Shikamaru e passandogli una
tazza di inconfondibile tè verde.
<< Niente >> rispose Naruto, sorseggiando il
contenuto della tazza e, immancabilmente, scottandosi le labbra.
<< Sai dobe, se la tazza
fuma il tè scotta >> non perse occasione di
stuzzicarlo Sasuke, prendendo un breve sorso di caffè dalla sua tazza bianca.
<< Lo so! >> rispose offeso il biondo, soffiando
sulla superficie del liquido bruno con il broncio.
Come i bambini. Anzi, forse peggio dei bambini.
Una lieve risata si alzò nell’aria, leggera come un alito di
vento, per poi svanire quasi subito. E il silenzio,
così opprimente mentre calava la sera, non lasciò più scampo alla comitiva.
Di nuovo racchiusi in una cupola
ovattata e pregna d’ansia, dove ogni rumore assumeva significato, ogni parola
risuonava come un disturbo alla concentrazione.
Concentrazione che serviva, nell’insieme dei minuti, a
guardare la porta bianca dell’infermeria… e a sperare.
Sperare che si aprisse, per esempio.
Pochi istanti dopo, la serratura scattò. In un liscio
movimento del legno, uno spiraglio sufficiente a far passare una persona si
aprì, mostrando gli occhi bianchi e i capelli scuri di Hinata.
Sasuke non seppe dire con certezza se fu Naruto o Shikamaru,
il primo ad alzarsi. Notò solo che Nara perdeva pian piano il suo proverbiale
autocontrollo, quando si trattava dell’Inuzuka.
E non ci voleva un genio per
capirlo.
Sembrava proprio un pierrot la cui maschera
si sgretolava pian piano.
E non era un bene, per lui.
<< Come sta? >> chiese subito Shikamaru con un
moto d’apprensione, anticipando solamente di pochi istanti la domanda di
Naruto.
La Hyuga, colta da un momento di
esitazione al cospetto di tutti quegli sguardi, dovette deglutire due volte prima
di articolare una risposta: << B-bene >> disse
<< o-ora sta… riposando. Si rimetterà presto >> concluse, le guance
colorate di un velo rossastro.
Trassero tutti un sospiro di
sollievo.
<< Possiamo entrare? >> chiese poi Sakura alla
ragazza, che istintivamente unì gli indici sotto il mento, abbassando gli occhi
per non guardarla in faccia.
<< S-sì, certo… entrate
pure, Kabuto-sansta per uscire…
>> bofonchiò prima di farsi indietro, in modo da far passare tutti
coloro lì riuniti ad aspettare quella notizia.
Tutti, tranne Sasuke.
Lui restò all’esterno infatti,
appoggiato con le natiche alla parete e osservando Naruto sparire dietro la
porta bianca dell’infermeria.
Attese qualche istante, il tempo utile alla porta per
richiudersi automaticamente, prima di parlare: << credevo che il tuo
compito fosse di tenere d’occhio mio fratello, Hyuga >>.
Dall’angolo oscuro del corridoio, con le braccia incrociate
in vita, l’arcangelo mosse qualche passo fino a entrare
nel fascio di luce scarlatta del Sole, ormai del tutto svanito oltre
l’orizzonte.
Di una bellezza inquietante si fermò a poca distanza dal
minore degli Uchiha. L’espressione, come al solito,
non tradiva particolari emozioni.
<< Ho anche altri compiti >> tagliò
corto, spostando lo sguardo dal moro alla porta bianca.
Sasuke detestava la sua mania di vestire sempre di bianco.
Sembrava che, così, anche senza farlo apposta stesse ribadendo
la sua posizione all’interno della gerarchia angelica.
Cosa che odiava oltremodo, dato che lui non era più parte di
tale gerarchia… anche se, a dire il vero, non se ne era
mai sentito parte integrante.
Un angelo nato in un clan di mezzi demoni. Era ridicolo,
visto da fuori… e anche sacrilego, in un certo senso.
Neji spostò nuovamente i suoi occhi
candidi sull’Uchiha, osservandolo direttamente nelle iridi ossidiana.
<< Sta bene? >> chiese poi, indicando con il capo la porta
dell’infermeria.
Sasuke annuì con il capo, chiudendo gli occhi. Quando li
riaprì, la sua voce suonò decisa e perentoria: << quanti ordini stai eseguendo, Hyuga? >> chiese, spostando di poco il
capo per osservarlo direttamente << e da quante persone, soprattutto?
>> aggiunse, arrivando al punto senza tuttavia domandarglielo
direttamente.
Neji, inizialmente, non rispose. Si limitò a fissarlo,
studiarlo quasi, scrutandolo con quelle iridi bianche come se volesse leggergli
l’anima.
<< Non credo siano fatti tuoi, Uchiha >> rispose poi, distogliendo nuovamente lo sguardo.
<< Oh, sì invece >> rispose subito Sasuke,
osservando in tralice il muro di fronte a lui. << Solo uno scemo non si
accorgerebbe che troppe cose stanno
gravitando attorno all’Inuzuka, ultimamente. L’Inuzuka è amico di Naruto…
>> ragionò Sasuke a voce alta, riprendendo pochi istanti dopo: << …e
se c’è la possibilità che Naruto sia tirato nel mezzo,
riguarda anche me >> tagliò l’Uchiha, tornando con gli occhi allo Hyuga,
che lo fissava nuovamente a sua volta.
Lo sguardo di Sasuke pretendeva risposte e quello di Neji
non dimostrava la minima intenzione di fornirle.
Tuttavia, uno dei due doveva cedere… e non era di certo l’Uchiha,
quello vincolato a seguire le regole imposte da Colui che
tutto vede e tutto può.
Neji sospirò, appoggiandosi con la schiena alla parete di
fronte al moro, le mani ancora incrociate al petto. << E’
un favore… >> rispose solamente, breve e conciso, il minimo
indispensabile per soddisfare la curiosità di Sasuke.
<< Quelli come voi
non fanno favori. A voi non è concesso il libro
arbitrio >> ribatté Sasuke con un moto di stizza, sottolineando
il “voi” con l’indurire della voce.
Fu il turno di Neji di alzare il capo in modo seccato,
rispondendo al moro per le rime: << No, Uchiha. Noi il libero arbitrio lo possediamo, ma dobbiamo contenerlo
>> precisò l’arcangelo, accentuando il pronome
personale come eco alle parole del moro.
Sasuke lo guardò in tralice, sospirando poi e, chiudendo gli
occhi, decise di lasciar perdere. Era inutile prendersela con
l’arcangelo, non c’entrava niente in tutta quella storia.
In tutta la sua
storia.
<< E’ Michele, vero? >> chiese poi, puntando
nuovamente lo sguardo sulla porta bianca dell’infermeria. << Ho
riconosciuto il crocifisso del suo rosario… >>
fornì come spiegazione, attendendo nel silenzio una risposta.
<< Anche lui ha un ordine da eseguire >> fu la
semplice risposta di Neji, prima che il ragazzo si distaccasse dal muro e,
tornando sui suoi passi, ripercorresse il corridoio a
ritroso.
Sasuke chiuse gli occhi, sospirando piano.
Fra tutti gli arcangeli e gli angeli, probabilmente Michele
era l’unico che non avrebbe mai smesso di ringraziare.
E, al contempo, l’unico che non
avrebbe mai smesso di detestare.
Perché se lui lo avesse lasciato
nel clan, non sarebbe successo niente.
Se lui avesse chiuso quella questione secoli prima… non sarebbe successo niente.
Naruto
& Sasuke’s Song
Legami e Catene
Poteva ricordare nitidamente il giorno in cui l’odio per suo
fratello aveva messo radici nel suo cuore.
La notte era scura, e le nuvole che coprivano le stelle
cariche di pioggia.
Ma non pioveva. Una luna rossa,
anzi, troneggiava nel buio non appena si apriva uno squarcio in quel manto di
nubi.
Ricordava bene quelle maestose ali dorate, brillanti quasi
come quel Sole che poche volte aveva visto; una veste di un purissimo bianco
sormontata da drappi scarlatti, una carnagione chiarissima, un paio di occhi azzurri da sembrare fatti di ghiaccio fuso e, a completare
la visione, corti capelli castano chiaro ad incorniciarne il viso delicato.
Al fianco, nascosta da un fodero, l’elsa dorata di una spada
fatta di cristallo sfiorava appena la stoffa candida.
Al collo, invece, ondeggiava un rosario dalle perline color
rubino e dalla croce d’oro.
Probabilmente, era l’apparizione più bella che avesse mai
visto nella sua vita fino a quel momento.
Oppure, probabilmente, quell’essere
era la fonte di quelle risposte che da tanto tempo inutilmente cercava.
Le cercava nelle parole elusive della madre.
Le cercava negli sguardi feriti del padre.
Le cercava nei silenzi incomprensibili di suo fratello.
Le cercava nel suo riflesso alle specchio.
Perché alle sue spalle, al posto di quelle ali scure e
grezze che vedeva spiegare a tutti quelli del clan, comparivano ali bianche.
Ali angeliche.
E, dopo un po’ di tempo, aveva cominciato a credere di essere diverso da tutti gli altri.
Ma non un diverso in senso buono, come lo era
Itachi con il suo Sharingan ipnotico. Un diverso particolare, un diverso che
spaventa.
Un diverso sporco. Oppure, se vogliamo metterla in termini più appropriati, un
diverso troppo “pulito” per un clan come il loro.
Un clan di mezzi demoni.
Ricordava a malapena, ora, l’affetto che provava per suo
fratello maggiore.
Un affetto fatto di piccoli gesti e di continue sfide.
Perché Itachi era il migliore e
lui, che voleva essere grande, doveva superarlo. Batterlo, per diventare lui il migliore.
Per far vedere a suo padre che non era da
meno. Per rendere sua madre fiera di lui.
Per conquistarsi il tempo del fratello, che troppo spesso
era preso da altri problemi che lui non capiva.
E che, ad anni di distanza, ancora
non comprendeva.
Quella notte, al chiarore scarlatto di una luna piena, suo
fratello lo aveva preso per mano e, chiamandolo per nome, lo aveva guidato agli
estremi del quartiere in cui il suo clan viveva.
Lo aveva portato ad incontrare quell’angelo dalle ali come
il Sole.
Lo aveva letteralmente venduto.
Poteva ricordare le parole, i discorsi, i toni. Quello basso
di Itachi, quello melodico dell’arcangelo dalla spada
di cristallo.
<< Allora le dicerie erano vere. E’
proprio un angelo >> aveva detto lo sconosciuto.
<< Sì >> aveva risposto Itachi, senza lasciare
andare la mano di Sasuke.
Le labbra sottili e perfette dell’essere celeste si
stirarono in un sorriso quasi evanescente. << Non dovrebbe stare qui.
Anzi, mi sorprende che siate riusciti a tenerlo
nascosto finora >>.
<< Non ce la farò per molto ancora >> rispose Itachi, ma con il tono sbrigativo di chi sembrava
aver cambiato discorso. Di chi, nonostante la frase
combaciasse perfettamente con un’ideale risposta, in realtà non intendesse
esattamente quello che aveva detto. << Portalo con te. Un angelo
non può stare in un clan di mezzi demoni, è contro natura >> decretò il maggiore degli Uchiha, lo sguardo che non
esprimeva niente.
Niente.
E forse, nonostante il fatto in sé, fu proprio quella
dimostrazione di indolenza a colpire Sasuke diritto al
cuore.
E a trasformare quel silenzioso affetto in
un rumoroso e lacerante odio.
Un risata cristallina provenne
dalle labbra di pesca dell’essere dalla pelle color avorio. L’espressione
pacifica propria di un vero angelo rivelava parole dure, intrinsecamente
offensive: << Con esseri come voi, come noi, non si può considerare la
“natura” come un punto fermo, non credi mezzo demone?
>> chiese e, nel farlo, sorrise.
Itachi sorrise a sua volta, ironicamente. Sasuke lo vide, lo
guardava dal basso mentre inutilmente cercava di ritirare la mano della stretta
ferrea che la imprigionava. << Probabilmente… >> rispose
all’angelo.
Con uno sforzo portò avanti la mano in cui imprigionava
quella del fratello minore, lanciandolo con malagrazia verso l’arcangelo.
<< Prenditelo e portatelo via, Michele. Qui è solo
d’impiccio >> sentenziò.
Non si ricordava, però, di aver risposto qualcosa o urlato
qualcos’altro.
Probabilmente aveva mentalmente e ripetutamente urlato il
nome di suo fratello mentre, fra le lacrime, ne osservava
la schiena allontanarsi sempre di più.
Quello che avrebbe poi conosciuto come l’Arcangelo Michele lo aveva preso fra le braccia e, con facilità, lo
stava portando lontano, in volo sopra la Terra e fino al Cielo.
Fino ad un Paradiso dove, comunque,
si sarebbe sentito un come un demone in mezzo agli angeli.
Alla fine non sarebbe cambiato niente.
<< E dunque ti ha portato
qui? >> esordì una voce al suo fianco, squillante e alta nonostante
fossero abbastanza vicini per sentirsi a vicenda.
Sasuke annuì, riaprendo gli occhi su quel mondo lattiginoso
denso come nebbia.
Disteso sul prato color perla, le ali
bianche aperte sotto la schiena e gli occhi neri puntati al cielo luminoso e
color latte. Il Paradiso tutto era bianco, tutto era luminoso… non era
per niente come la Terra in cui abitava prima.
Sempre pieno di luce, sempre pieno di beati e sempre pieno di esseri alati e cori angelici. Anime pure.
Come il ragazzo che, seduto a gambe incrociate accanto a
lui, era finalmente riuscito a scucirgli la storia di quando era stato portato
nel Primo Cielo dall’Arcangelo Michele.
Ci aveva messo cinque anni per farlo parlare, ma alla fine ci era riuscito.
Cinque anni in cui era riuscito, non senza sforzo ma senza
fatiche particolari, a guadagnarsi la sua fiducia.
Naruto Uzumaki. Ovvero, il suo
migliore amico.
O il suo unico vero
amico, dato che tutti gli altri o lo evitavano per il
cognome che portava… oppure gli stavano vicino proprio per lo stesso motivo.
Il fatto che, effettivamente, gli Uchiha fossero mezzi
demoni e lui fosse un Uchiha nato angelo, attirava
curiosità… e curiosi.
Naruto assottigliò gli occhi, fissandolo con un sopraciglio
alzato e con le sue iridi azzurre come uno dei cieli più tersi. Si portò una
mano al mento, le ali bianche si mossero appena e, con il tono crucciato di chi
sta spingendo i neuroni al massimo dei giri, esordì
con una seconda domanda: << dunque… non vedi i tuoi genitori da quanto?
>>
Sasuke lo guardò pacatamente, rimanendo serio. Non sorrideva
mai e Naruto era pressoché insopportabile a volte; ma quando il biondo se ne
stava buono e tranquillo, doveva ammettere che la sua compagnia fosse l’unica
che sopportava per più di un quarto d’ora.
<< Cinque anni >> rispose solamente, incrociando
le gambe fasciate da un paio di pantaloni bianchi.
Che, con la maglia a maniche lunghe
bianca e dal taglio semplice, caratterizzava la “divisa” che tutte le aspiranti
Intelligenze Angeliche portavano.
Perché in quel Cielo, nascere con
un paio d’ali era solo il primo passo. Dopo un certo periodo di
addestramento, ogni angelo diveniva Intelligenza Angelica e contribuiva
alla causa imparando a tenere in moto il primo Cielo, che poteva essere mosso
esclusivamente dalla categoria degli Angeli.
Il Secondo Cielo era mosso dagli Arcangeli, il Terzo dai
Principati… fino all’ultimo, il Nono Cielo, mosso dai Serafini.
I Serafini erano la categoria più importante di Intelligenza Angelica, ed erano anche quelli più vicini
alla Luce di Dio.
Servivano millenni, per diventare Serafino.
Ma a lui non è che importasse così
tanto.
<< Non ti mancano? >> chiese poi Naruto
all’improvviso, a bassa voce, dopo qualche istante di silenzio. Sasuke, colto
alla sprovvista, non lo diede però a vedere.
<< Non particolarmente… >> rispose solo.
Quando pensava ai suoi genitori
tornava a galla l’odio per Itachi che cercava di nascondere, anche se
inutilmente.
Ma in Paradiso non si odia, si ama.
Si ama e basta, tutti, indiscriminatamente.
Per questo non capiva. Se lui
provava odio, voleva dire che non era del tutto angelo, no? Che
aveva anche una parte di demone in lui, seppur minuscola, seppur nascosta.
Perché lo avevano portato lì? Solo
perché era nato con un paio d’ali?
Chiuse nuovamente gli occhi, cercando di togliersi quei
pensieri dalla testa.
<< E tu? >> chiese poi,
rivolgendosi al biondo. Se si distraeva, non pensava.
E se non pensava… era decisamente meglio.
Naruto roteò gli occhi, facendosi indietro con la schiena e
portando le mani a contatto con l’erba perlacea, utilizzandole come sostegni.
<< Boh >> rispose sinceramente: << sono qui da quando ne ho
memoria >>.
Già, un emarginato rispetto a tutti gli altri angeli, che
come tale lo trattavano.
Quella storia Sasuke la sapeva già.
Probabilmente, era proprio il fatto di essere
soli che li accomunava almeno un po’… anche se all’inizio non potevano
guardarsi che finivano immancabilmente per litigare.
Ma, a volte, vedendo quel
comportamento si era chiesto dove
fosse quell’amore di cui il Paradiso era tanto pieno.
Il moro sospirò, tornando ad aprire gli occhi su
quell’atmosfera lattiginosa e argentea degna del Cielo
della Luna. Era un posto tranquillo, alla fin fine.
<< Ok, è ora di tornare al lavoro! >> esclamò
Naruto a voce alta, interrompendo per l’ennesima volta il rilassante silenzio
venutosi a creare. << Lavoro, lavoro, lavoro, lavoro, lavoro! >>
ripeté, buttando le mani a terra e alzandosi sfruttandole come appoggio.
Sai che bello, imparare a muovere il Cielo…
Sasuke riaprì gli occhi lentamente, osservando l’amico
rialzasi in piedi con espressione allegra, scrutando all’orizzonte fino a dove
permetteva la nebbia chiara che aleggiava di tanto in tanto in quel cielo e
nella quale camminavano i beati. Occhi azzurri, capelli biondi… Naruto era lo
stereotipo dell’angelo, e le ali bianche che aveva
spiegate dietro la schiena completavano molto bene il quadretto.
Lo osservò quasi in trance mentre
gli sorrideva di sbieco, guardandolo dall’alto in basso con espressione a metà
fra lo sbruffone e il divertito. << Che c’è
Uchiha, ti sei innamorato di me? >> domandò poi, portandosi una mano ai
capelli con fare teatrale e ravvivandosi la chioma bionda.
Sasuke rispose con un “tsk” molto esplicativo -ovviamente in
senso ironico- mettendosi seduto sull’erba e fissandolo con uno sguardo di
giocosa sufficienza: << ti piacerebbe, vero Uzumaki? >> rispose
stando al gioco, ascoltando il borbottio alterato del biondo.
Se solo avesse potuto,
probabilmente…
I suoi pensieri furono interrotti sul nascere dalla mano
aperta dell’altro davanti al suo volto. Alzando gli occhi, il moro poté notare
un piccolo sorriso complice fra la giovialità del suo sguardo, mentre gli
tendeva la mano per aiutarlo ad alzarsi.
L’Uchiha, come aveva fatto altre volte, la accettò con un invisibile sorriso gentile, sotto la dura e
fredda maschera di noncuranza.
Sorriso che, non sapeva come, Naruto vedeva sempre. L’unico
che ci riusciva, in tutto quello sconfinato mondo paradisiaco.
Avrebbe potuto accettare molte altre volte, di prendere fra
le dita quella mano calda e luminosa…
Il biondo lo aiutò a tirarsi in piedi e, una volta che anche
il moro si fu alzato da terra, rimasero per qualche istante l’uno di fronte
all’altro.
Gli occhi scuri di Sasuke, pacati e
inesplorati come uno specchio nero, ormai da qualche tempo rimanevano, a volte,
immobili in quelli azzurri di Naruto… come se stesse osservando, tramite di
essi, il cielo.
Ma non uno dei Cieli di quel
Paradiso. Il cielo terso che si vede dal mondo dei mortali nelle limpide
giornate estive.
E, dal canto suo, l’Uzumaki non sembrava essere in fastidio
da quella specie di attenzione. Se
“attenzioni” si potevano chiamare.
<< Sasuke… puoi anche lasciare la mia mano, ora…
>> disse poi il biondo, portando per un attimo
le iridi cerulee sulle loro mani ancora l’una nell’altra.
Mossa che fece anche Sasuke, osservandole.
Non se ne era accorto minimamente, preso com’era dalle
sue congetture mentali.
In silenzio, senza dire nulla, disciolse la presa e portò
alle tasche entrambe le mani. << Andiamo >>
pronunciò prima di incamminarsi sul prato, seguito a ruota da un Naruto
blaterante qualcosa sulla sua asocialità o sul suo carattere terribile.
Sorrise lievemente, intimamente divertito.
C’erano tantissime cose che odiava, e pochissime che gli piacessero.
E ancora meno erano quelle che
riuscivano ad entrare nella sua rosa delle preferenze. Rosa di cui dubitava
persino l’esistenza, a dire il vero.
Tuttavia, parlare con Neji Hyuga era una di quelle
particolari situazioni che meritavano un posto riservato nella sua lista nera.
La pecca era che, a volte, era necessario farlo.
Lo Hyuga era responsabile dell’addestramento
degli angeli. O almeno, era un supervisore che
sostituiva il vero responsabile, in giro sulla Terra per ordine dell’Altissimo.
Che poi, cosa ci fosse effettivamente da
supervisionare non era ancora riuscito a capirlo del tutto.
L’allenamento stava nel meditare e concentrarsi per svariate ore, dato che era
con la mente che gli Angeli muovevano il Cielo della Luna, dunque niente di
così turbolento da richiedere la presenza di un neo-arcangelo nelle vicinanze.
A parte Naruto che finiva immancabilmente per addormentarsi,
ma questi erano casi rari che capitavano sempre e solo al biondo.
Il fatto non era, principalmente, che la presenza
dell’arcangelo lo infastidisse. Più che altro, incredibilmente, era il fatto che avesse un rapporto così… sereno… con
Naruto.
Perché Neji Hyuga era una persona che non
sorrideva mai. Più o meno come lui. Ma davanti a Naruto sfoggiava quasi sempre un’espressione rilassata e gentile, stirando
molte volte le labbra in lievi sorrisi mentre ascoltava il biondo blaterare
sulla prima cosa che gli passava per la testa.
E, per un qualche motivo, non gli
andava interamente a genio.
…ma non erano affari suoi alla fin
fine, no? Così lasciava perdere, evitando di guardarli per non perdere la
concentrazione.
O almeno, la maggior parte della volte.
Tuttavia quel giorno c’era qualcosa
di diverso. Per la prima volta da molto tempo -non sapeva nemmeno identificare
quanto- non fu Neji a presentarsi per supervisionarli, ma l’Arcangelo Michele.
Sasuke se lo ricordava molto bene. Dopotutto, era stato lui
a portarlo in Paradiso, a separarlo dalla sua famiglia…
No, non doveva cadere in errore. Se ora non poteva più
vedere i suoi genitori non era colpa di Michele, o di
Dio… ma di Itachi.
Era stato lui a “venderlo”.
Michele non c’entrava niente.
Tuttavia, nonostante il cambiamento non influisse
particolarmente sul solito scorrere del tempo, qualcosa era palesemente diverso
dal solito, quel giorno.
Il fatto, per esempio, che l’Arcangelo non
avesse smesso un attimo di guardare Naruto. Oppure
perché lo stesso Naruto, solitamente vivace e solare, si stesse sforzando
tremendamente di mantenere lo stesso sorriso di sempre, senza in realtà
riuscendoci davvero.
Che succedeva?
Era proprio questo che era andato a chiedere a Neji, alla
fine dell’esercitazione. Ed era proprio l’unica risposta che lo
Hyuga non gli aveva dato.
Anzi, non gli aveva proprio parlato. Come se non volesse
aprire bocca… o come se non potesse.
Stoppò la sua camminata ai margini del Secondo Cielo,
portando gli occhi neri a guardare dall’alto il biancore perlaceo
dell’atmosfera che circondava il Primo Cielo. Spiegò le ali candide,
distendendo le piume in coda adibite al volo, piegandosi di poco sulle
ginocchia per prendere il giusto slancio.
Non aveva mai avuto problemi di sorta nel volo. Anzi, gli
riusciva facile. Era una delle tante cose che aveva imparato per dimostrare
alla sua famiglia quanto fosse bravo… anche se gli avevano impedito di spiccare
il volo, appena saputolo.
Era già sufficientemente vistoso,
aveva detto suo padre. Mancava solamente che si mettesse a volare in giro per
il quartiere Uchiha.
Saltò e, prima che cominciasse la caduta, le ali lo
sorressero automaticamente.
Volò.
Probabilmente il volo era una delle pochissime cose in grado
di mettere ordine nella sua testa. L’aria che gli sferzava il viso, il tendersi
dei muscoli infra-scapolari ad ogni battito d’ali, il
silenzioso rumore delle sue piume a contatto con l’aria… erano
rilassanti.
Pacifici.
Respirando a pieni polmoni la purezza dell’aria del
Paradiso, chiuse per un attimo gli occhi sullo scenario luminoso che si vedeva da quel punto del Cielo.
Nello sfondo di un tramonto all’inizio della calata del Sole,
composto da colori ad acquarello arancioni
e azzurri con sfumature rossastre, il Cieli del Paradiso si stagliavano con i
propri toni cromatici caratteristici, come macchie di colore su quella tela
uniforme dai pitture calde. Ancora più giù del Primo Cielo -dove stava
tornando- si poteva vedere la macchia verde dell’Eden, la parte più alta della
montagna del Purgatorio.
Il passaggio fra due Cieli era uno degli spettacoli più
belli che avesse mai visto… e, in definitiva, una delle poche cose che amava.
Capitava raramente che avesse il permesso di raggiungere il
Cielo di Mercurio, dimora degli Arcangeli, ma quando succedeva era quasi una
fortuna dal suo punto di vista.
Avrebbe dovuto mostrarlo a Naruto, quel panorama…
<< Sasuke! >> una voce cristallina e melodica interruppe i suoi pensieri, attirando la sua attenzione
senza tuttavia spezzare la serenità del momento.
Si fermò, dando un colpo di ali più veloce
e potente in avanti, di modo da rimanere fermo alla stessa altitudine
senza rischiare di scendere di qualche metro. Voltando poi il capo verso
destra, in direzione della fonte di rumore, rimase quasi sorpreso di poter
vedere nuovamente quello sguardo di ghiaccio rivolto a lui, dopo tutti quegli
anni dall’ultima volta che si erano parlati.
Fermo non molto distante, le ali dorate spiegate
elegantemente nell’aere, gli occhi chiari di Michele lo guardavano dolcemente.
Solo lui aveva la capacità di interrompere i suoi ragionamenti
personali senza spezzare la pace di quello spettacolo mozzafiato.
L’Arcangelo gli fece un cenno con la mano e Sasuke,
inclinando appena il busto e sbattendo le ali bianche una seconda volta, lo
raggiunse volando lentamente e in maniera perfetta. Si fermò poi davanti a lui,
abbassando per qualche secondo il capo in segno di saluto e rispetto. <<
Aveva bisogno di me? >> chiese il moro rialzando il volto, osservando
direttamente l’arcangelo.
Lui rise, lo stesso tintinnare di una campana a vento di
cristallo.
<< Non c’è bisogno che mi dai
del lei, Sasuke. Chiamami Michele. Tanto, quando ti portai qui, mi sono sentito
rivolgere epiteti peggiori… >> parlò lui nella
melodia della sua voce suadente.
<< …va bene >> rispose
Sasuke poco dopo, distogliendo lo sguardo. Michele brillava quasi di luce
propria, e nonostante anche lui fosse un angelo (o una sottospecie) non
riusciva a guardarlo negli occhi troppo a lungo.
L’Arcangelo annuì, per poi divenire serio d’un
tratto. << Scusa se ti intercetto fra un Cielo e
l’altro, Sasuke, ma non posso parlarti in altro modo, quassù >> disse subito, abbassando il tono di qualche ottava.
Sasuke sapeva che Michele non era esattamente l’esempio di
perfezione assoluta, nel rispetto delle regole. Anche lui aveva commesso i suoi
peccati, nonostante ciò che era, dando peso a quel libero arbitrio che gli
Arcangeli dovrebbero ignorare per ordine divino e per
il bene degli uomini.
Se un’autorità come lui si trovava a metà
fra il Cielo di Mercurio e il Cielo della Luna… probabilmente non era lì per
motivi “formali”.
Oppure, non solo per quelli.
E se si riferiva al Paradiso usando
un “quassù” con evidente ambiguità di significato, probabilmente la questione
era importante.
Annuì appena, facendosi serio mentre si preparava a sentire
cosa avesse da dire.
Anche l’arcangelo si fece serio,
mantenendo il tono basso nel parlare: << ho ricevuto notizie dalla Terra,
Sasuke… e non sono confortanti >> cominciò, guardandosi attorno come se
dovesse spuntare fuori qualcuno da un momento all’altro.
Sasuke seguì istintivamente lo stesso esempio, facendosi per
un attimo preda di una leggera ansia, per poi tornare
con lo sguardo su Michele per ascoltare il resto.
l’altro, riportando l’attenzione
sul ragazzo, continuò con una nota di rassicurazione nella voce.
<< Riguardano il tuo clan. Pare che Itachi… li abbia
uccisi tutti >> disse, posandogli al contempo
una mano sulla spalla. << Mi dispiace… >>
aggiunse, sinceramente dispiaciuto.
A Sasuke si gelò il respiro in gola. Sgranando gli occhi non
fece altro che fissare un punto vuoto di fronte a sé, incredulo, sconcertato
dalla notizia che aveva appena appreso per bocca di Michele.
Li aveva uccisi tutti.
No, non era esatto. Li aveva sterminati tutti.
Ciò voleva dire che non avrebbe rivisto sua madre, o suo
padre, o i due signori che alla mattina lo salutavano
sempre, nonostante fosse diverso… nonostante non fosse nato angelo.
Se prima nutriva comunque una
leggera speranza… ora era sparita anche quella.
Poteva ricordare
nitidamente il giorno in cui l’odio per suo fratello aveva messo radici nel suo
cuore.
Ma ora, molto più nitidamente,
ricordava quello in cui quell’odio era cresciuto, infestando tutto ciò che in
lui ancora viveva.
Come l’Edera che, arrampicandosi sul tronco della Magnolia,
ne risucchiava la linfa fino a farne morire i fiori.
E l’unico pensiero che riuscì ad
avere in quel momento, fu l’omicidio. L’unico desiderio, la vendetta.
In un solo istante tutto… tutto divenne color della notte. E
tutto, in quello stesso istante, si intrise di sangue.
Scoprì che nella sua vita in Paradiso mancava di una cosa
fondamentale. Una cosa che agli Angeli non serve, ma che in momenti come quello
tornava utile per capire veramente cosa significasse vivere.
Gli mancava uno scopo.
E ora che aveva lo scopo, un
obiettivo… lo avrebbe portato a termine. A
qualunque costo.
Probabilmente Michele cercava di dirgli qualcosa,
qualcos’altro oltre a quello che gli aveva già rivelato. Probabilmente
cercava di fermarlo… probabilmente. Ma lui se
ne rese conto solamente dopo, quando già le sue ali bianche si erano spiegate,
rabbiose dietro la sua schiena, e con una virata improvvisa si era lanciato in
picchiata oltre i Cieli del Paradiso, diretto oltre il Purgatorio… diretto
sulla Terra, sul mondo dei mortali.
Mondo dove dovevano stare mezzi demoni e
mezzi angeli. Mondo in cui venivano recluse le
creature di Dio e le creature che sfuggivano al suo controllo.
Mondo… in cui tutto il suo clan era scomparso.
Mondo che si sarebbe tinto del sangue di Itachi
Uchiha.
Aumentò la velocità. I capelli corvini sferzavano veloci le
sue guance, la temperatura si abbassava pian piano nella folle corsa verso la
sua vendetta, la sua vista si oscurava di tutto quello che aveva provato, di
tutti i legami che aveva creato. Accecato dall’odio, accecato dall’ira.
Ma non andò oltre. Agli angeli non
è permesso scendere nel mondo mortale, se non viene
loro ordinato.
Prima che potesse uscire dai limiti
del Paradiso Celeste una folgore dorata gli si parò davanti, puntandogli alla
gola una famigliare spada fatta di cristallo e oro. Davanti a lui, in
un’espressione alterata come non ne aveva mai viste
sul suo volto dai dolci lineamenti perfetti, Michele lo minacciava
silenziosamente.
<< Sasuke, torna immediatamente indietro >> pronunciò poi, pacatamente nonostante fosse palesemente in
guardia.
<< No! >> sbottò il moro, impuntandosi.
<< Sasuke, torna sul Primo Cielo prima che il Signore
se ne accorga! Finiresti nei guai! >> cercò di
convincerlo l’arcangelo.
<< NO! >> urlò lui, sfigurando il volto in
un’espressione dominata dall’ira. << Levati dai piedi! >> aggiunse
in seguito, spiegando ancora di più le ali con un aspetto minaccioso.
Le iridi nere si schiarirono, assumendo una colorazione
scarlatta. La pupilla si dilatò, poi si divise in tre piccole virgole nere che
si disposero in maniera particolare su quel mare rosso nell’iride.
Lo Shraingan.
La dimostrazione che un Uchiha, anche se nato angelo, rimane
pur sempre un Uchiha.
Era impossibile credere di avere un angelo dal sangue puro
in una famiglia di mezzi demoni… e questo anche Itachi lo sapeva.
Anche Michele, lo sapeva.
Si mise in guardia, portando entrambe le mani all’elsa d’oro
della sua spada, spiegando le ali per avere maggiore stabilità e posando
l’occhio sul filo della lama.
Sapevano entrambi che non avrebbe attaccato. Era
dannatamente troppo buono per farlo.
O, anche se non lo era, non lo
avrebbe fatto comunque per motivi suoi.
Fu così che Sasuke, ignorando la minaccia dell’arcangelo, scattò comunque in avanti, puntando con lo sguardo alla sua
meta ultima: il piano dei mortali.
La Terra.
…e passò oltre.
<< Fermati Sasuke! >> urlò Michele inutilmente,
voltandosi di scatto al suo passaggio.
Poi, improvvisamente, un bagliore candido infranse l’aria.
Un dardo d’oro dalla punta in diamante, passando vicino all’orecchio
di Michele, ruppe l’aria con un sibilo acuto quasi fastidioso.
Dardo che colpì Sasuke ad un’ala, facendolo gridare
dall’improvviso dolore.
Sasuke cercò di resistere, di utilizzare un’ala ferita che
pian piano si colorava con rivoli di sangue, macchiando le candide piume… ma
cedette al dolore.
Le avrebbe riconosciuto fra mille, Michele, anche se tutte
uguali, poiché erano millenni che ne vedeva… come
erano da millenni che conosceva il portatore di tali frecce.
Alzò il viso alla sua destra dove, nel cielo, una figura
dalle ali dorate si stagliava alta nella luce divina. Pelle
chiara, talmente delicata da apparire quasi come porcellana; un viso dai
lineamenti perfettamente aggraziati incorniciato da una cascata di lisci
capelli biondi, raccolti in parte con una treccia che si appoggiava
morbidamente su di una spalla. Occhi blu profondi come laghi erano incastonati sotto un paio di sopracciglia sottili e arcuate,
bionde, crucciate ora in un’espressione seria e concentrata. Il corpo,
esile e perfetto, era avvolto in una tunica bianca drappeggiata di verde
smeraldino.
Fra le mani, la corda appena tesa ancora vibrante, un arco
fatto di oro e diamante.
L’Arcangelo Raffaele in tutta la sua maestosità.
Michele sospirò, abbassando la spada. Se
c’era lui, voleva dire che ormai Dio era a conoscenza di tutto.
E solo una persona poteva aver
avvisato Raffaele…
<< Michele… >> sentì poi da dietro,
un’intonazione melodiosa per il suo nome, pronunciato con una
intrinseca delicatezza.
Osservandolo con la coda dell’occhio, il terzo Arcangelo
comparve alla sua vista. Sasuke fra le braccia, ferito ma ancora
semi-cosciente, sembrava non voler più opporre resistenza alla presa
dell’essere che ora lo tratteneva.
Un volto dai lineamenti dolci lo osservava ora, serio ma
dolce al contempo, come quello di una madre che riprende
il figlio.
La pelle rosata e soffice, morbida alla vista e anche al
tocco, era da perfetto sfondo per la sua presenza eterea, paradossalmente intangibile.
Un viso dalle linee dolci incorniciato da caldi boccoli
rossicci, che scendevano elegantemente sulle spalle fino alle scapole, adagiandosi
fra le ali spiegate. Un paio d’occhi color giada talmente chiari da
sembrare screziati d’oro erano incastonati
nell’insieme di quel volto, dandogli una parvenza ancora più gentile di quello
che in realtà fosse. Il corpo minuto ma perfettamente proporzionato era avvolto
in una veste di puro bianco drappeggiata di blu zaffiro.
Sui capelli inoltre, dietro la nuca, due fiori bianchi di
giglio fungevano da fermacapelli.
L’Arcangelo dell’Annunciazione, il Messaggero di Dio…
Gabriele.
Michele si rilassò completamente, osservandoli entrambi ad
alternanza. << Cosa ci fate qui? >> chiese
poi, guardingo.
Sapeva già quale sarebbe stata la risposta.
Gabriele sembrò voler rispondergli per primo, ma venne interrotto dall’altro arcangelo. << Evitiamo i
problemi >> sentenziò Raffaele, osservandolo
dall’alto in basso << cosa che dovresti fare tu >> aggiunse.
<< Sasuke non sarebbe stato un
problema >> ribatté subito Michele << lo avrei fermato prima
dell’Eden, sarebbe tornato indietro! >> si difese pacatamente, sostenendo
però con forza le sue idee.
Raffaele lo guardò beffardo, un sopracciglio che si mosse
appena in quel suo viso ritraente un livello di
bellezza molto vicino alla perfezione. << Ho già sentito parole come
queste… >> pronunciò distaccato << se non
sbaglio, avevi detto la stessa cosa di Lucifero. E
sappiamo tutti com’è andata a finire >> aggiunse, precisando.
Trattennero il fiato. Sasuke poté chiaramente sentire
Gabriele smettere di respirare, in quando era praticamente
appoggiato con la schiena al suo petto, mentre lo sorreggeva. Non poteva però
vedere l’espressione di Michele, dato che la vista si
sfocava sempre di più, come se il Paradiso stesse per essere ricoperto dalla
nebbia.
Poi, il tuono nella voce del Messaggero di Dio: <<
Raffaele! >> sbottò in uno scatto d’ira << non osare pronunciare quel nome in questo luogo! >>
disse poi, osservando l’arciere con occhi furenti.
Dal canto suo, Raffaele sostenne lo sguardo. Poi, dopo
qualche istante di silenzio, scostò il capo, facendo per andarsene.
<< Portalo nel Secondo Cielo, è
affar tuo >> pronunciò verso Michele, apaticamente. << Noi abbiamo
anche Naruto a cui pensare, non c’è tempo per… >>
Ma Sasuke non riuscì mai a sentire
il seguito della frase.
A causa della ferita e del dolore perse conoscenza,
addormentandosi placidamente.
Quando si risvegliò, la prima cosa
che vide fu la sabbia bruna del Cielo di Mercurio.
Si sentiva indolenzito, la schiena appoggiata ad una
superficie irregolare e spigolosa, la testa pesante. Ancora intontito cercò di
spiegare le ali, dovendo però bloccarsi subito dopo il gesto.
L’ala ferita, solo a quel piccolo movimento, dolse
particolarmente.
<< Ti consiglio di non muoverla troppo, se vuoi che
guarisca in fretta >> esordì una voce non poco
distante, il tono melodioso ormai famigliare. << Le frecce di Raffaele
possono uccidere un demone, ma procurano notevoli danni anche agli esseri
angelici >> aggiunse esplicativo Michele,
osservandolo seduto su di una roccia a qualche metro da lui.
Sasuke si accorse poi, alzando lo sguardo sull’arcangelo, di
essere rinchiuso fra quattro mura formate da sbarre di vetro. E, senza potersi controllare, sorrise ironicamente.
Nel silenzio che seguì fu l’arcangelo a riprendere parola,
interrompendo quell’innaturale pausa pesante come il piombo.
<< Ti rendi conto di quello che stavi
per fare, Sasuke? >> chiese Michele con voce pacata,
sempre osservandolo con i suoi occhi di ghiaccio.
il moro spostò il suo sguardo
ossidiana sull’arcangelo, fronteggiandolo senza cedimenti. << Sì, lo sapevo >> rispose semplicemente, tacendo. Chiuse poi
gli occhi, le labbra si tirarono in un sorriso beffardo ma iracondo al
contempo: << Io lo ucciderò, Michele. E né tu, né Dio potrete
fermarmi >> aggiunse. Il suo sguardo non esprimeva altro che una profonda
convinzione, frutto di quell’odio che ormai si era completamente impadronito di ogni sua cellula, di ogni suo pensiero.
Voleva vendetta, nient’altro. Voleva trapassare il corpo di Itachi con le sue stesse mani, vedere il sangue scivolare
lungo le dita, scaldandole, sporcandole.
Voleva ciò che un angelo non potrebbe
desiderare… e questo Michele lo sapeva meglio di lui.
Già un’altra volta aveva udito le parole “né tu né Dio
potrete fermarmi”… millenni prima, allo scoppiare
della guerra fra angeli ribelli e angeli fedeli, fra Dio e chi a Lui si
opponeva.
E non aveva mai capito il perché di quel gesto, il motivo per cui alcuni di loro avevano deciso di abbracciare le
pulsioni umane più della luce divina.
L’angelo dalle ali d’oro trattenne il
fiato, cancellando in fretta ricordi sigillati da troppo tempo che,
inavvertitamente, stava riportando a galla dopo troppo tempo. Dopo
qualche minuto si voltò nuovamente verso il moro, seduto nella stessa posizione
e che lo guardava sempre con gli stessi occhi.
Occhi che dicevano “io lo farò” in una frase muta.
Non riuscì a rimanete in silenzio…
<< E tu vorresti sacrificare così il paradiso? La tua vita? >>
chiese Michele, intristendosi.
Perché sì, non poteva provare altro
che pietà.
Sasuke lo guardò seriamente, sostenendo lo sguardo di
ghiaccio che sembrava trapassarlo. << il Paradiso? >> chiese poi,
ironico: << un Paradiso che non so nemmeno se meritare o
meno? No, io non rinuncio a niente, se la metti in questi termini
>> rispose il ragazzo tranquillamente.
No, non perdeva niente. Nella sua nuova decisione non c’era posto per niente, non c’era posto per legami… non c’era
posto per Naruto.
Anche se il suo viso continuava a
tornargli in mente, lo avrebbe ignorato. Così come aveva ignorato il suo ego
fino a quel momento.
Nel suo futuro c’era Itachi, null’altro.
Null’altro.
<< Sasuke, se ti trovi qui c’è sicuramente un motivo
>> ribatté però Michele, cercando di convincerlo
che no, la vendetta non valeva niente, che non era un motivo per vivere.
L’Uchiha lo guardò stupito, disgustato quasi da quelle
parole. << Se mi trovo qui è
merito tuo, di una tua disobbedienza passata sotto al naso
di Dio! >> ribatté Sasuke sdegnato << di un favore che hai fatto a mio fratello, se ti suona meglio. Io sono un sangue sporco Michele, non dovrei stare qui!
>> aggiunse, alzando di un poco il tono della voce.
<< Non pronunciare il Suo nome invano! >> sbottò
l’arcangelo in un eccesso d’ira, ridimensionandosi subito dopo. Chiudendo gli
occhi e portandosi una mano agli occhi cercò insistentemente di calmarsi,
riuscendoci più per abitudine che per vera volontà.
Sasuke, approfittando del silenzio, continuò a protrarre quella
sorta di attacco e confessione al contempo. <<
Michele… perché mi hai portato in Paradiso? >> chiese, attendendo una
risposta.
L’arcangelo riaprì gli occhi, osservando un punto vuoto
davanti a lui. Prese poi fiato, come se volesse liberarsi di un enorme peso
rispondendo a quella domanda… ma la risposta, Sasuke non la udì mai.
Proprio in quel momento, atterrando elegantemente davanti a
loro, Neji Hyuga si presentò davanti al superiore con un mezzo inchino.
<< Abbiamo un problema con Naruto…
>> cominciò, alzando gli occhi bianchi sul castano. << E’
sceso sull’Eden. Raffaele e Gabriele non possono
andarci… e nemmeno io >> commentò, nascondendo inutilmente l’ansia che si
poteva percepire nitidamente nella sua voce, all’apparenza ferma.
Il cuore di Sasuke perse un battito. Si alzò, avvicinandosi
alle sbarre e appoggiando le mani su di esse,
osservando i due esseri celestiali.
Pieno di domande, pieno di… dubbi.
Aveva deciso di ignorare tutti, per il suo scopo, Naruto
compreso. Eppure, alla fine, non riusciva a non essere
anche solo minimamente in ansia.
Non riusciva a voler rompere quel legame.
<< Cos’è successo a Naruto?
>> chiese dunque, rivolgendosi sia a Neji che a Michele.
Lo Hyuga lo ignorò, continuando a
parlare con l’altro arcangelo: << cosa facciamo? >> chiese
sottovoce, tenendo tuttavia un tono udibile anche da Sasuke.
Il castano si portò una mano al mento, piegando la testa e
riflettendo sulla situazione. Non potevano perdere tempo, se quello che
sospettava fosse successo all’Uzumaki era veritiero.
Fu in quel momento che il suo sguardo color dell’inverno si
posò sull’Uchiha, osservandolo di sottecchi.
Forse poteva funzionare…
<< Manda lui >> disse
infine, indicando il moro con un lieve movimento del capo.
Neji sgranò gli occhi, osservandolo stupito nell’udire
quelle parole. << Uchiha?! >> chiese a voce,
incredulo, spostando velocemente lo sguardo da Sasuke all’arcangelo.
<< Ma Michele… >>
<< Fidati >> lo interruppe il castano, alzando
una mano a livello del viso: << tornerà >> pronunciò deciso,
lasciando che la maniche della vesta scivolasse
delicatamente sul suo polso sottile. Con un aggraziato gesto della mano roteò
il polso e, nel momento in cui la rotazione fu chiusa, la
sbarre vitree che tenevano imprigionato Sasuke scomparvero.
L’angelo dello Sharingan non se lo fece ripetere due volte.
Spiegando per quanto gli era possibile le ali,
ignorando le fitte di dolore che provenivano insistenti da quella ferita, prese
una rincorsa lunga rincorsa fino al limitare del Secondo Cielo, buttandosi con
un balzo nel vuoto.
Un solo sussurro udì da Michele. Una frase semplice e
complessa al contempo, pregna di tanti significati quanti gliene si poteva
attribuire con un poco di immaginazione.
<< …salvalo… >>
Salvalo.
Un sussurro dal significato ancora oscuro, che anche molto
tempo dopo non avrebbe capito.
Un sussurro destinato a rimanere forse
irrisolto, disperso fra le pieghe del tempo come molti altri.
Un sussurro donato da una voce… che non avrebbe sentito mai
più.
Tuttavia, in quel frangente lo considerò come una fiduciosa
richiesta di riportare Naruto nel Paradiso Terrestre. Non lo ascoltò
attentamente, non ne carpì ogni singola nota e ogni singola intonazione,
cercandovi ogni interpretazione possibile.
Corse. E, finendo la terra su cui
correre, si gettò nel vuoto.
E, precipitando, spalancò le ali
per volare. Ignorando il dolore, ignorando ogni cosa che non fosse Naruto.
Una volta che il suo corpo e le sue ali furono in linea, la
sua andatura oscillatoria divenne stabile e diritta. Richiudendo appena le ali
dalle piume candide, ancora leggermente macchiate di scarlatto, acquistò sempre
più velocità nell’allontanarsi dal bruno Cielo di Mercurio, sede degli
Arcangeli.
Superò senza rallentare le atmosfere lattiginose del Primo
Cielo, proseguendo, tirando oltre in direzione di quella macchia verdastra che
intravedeva sulla cima del Monte Purgatorio, immerso in un cielo scarlatto
prossimo alla notte.
L’Eden.
L’inizio di tutto, sia della vita che del
peccato, che maledì gli uomini all’albore dei tempi con il Peccato Originale.
Sede del frutto del Peccato colto dall’albero della
conoscenza, primo scalino per entrare nel regno dei Cieli e ultimo ostacolo
prima del regno mortale.
Il Paradiso Terrestre. O conosciuto
anche come “il Confine”.
Perché per raggiungere il piano
intermedio, quello degli uomini… si doveva passare per forza da lì.
Continuò a planare in velocità lungo il cielo, stringendo i
denti contro le numerose fitte che la sua ala gli lanciava.
UI muscoli della schiena erano tesi al massimo nella caduta, resistendo alla
pressione del vento su quell’apertura alare aerodinamica, che non era poca.
Poi, giunto in vicinanza delle fronde verdeggianti dell’Eden,
spalancò di botto entrambe le ali.
Frenò. Ma l’improvvisa interruzione
del volo non fece bene alla ferita che, riaprendosi, rese di fatto impossibile
un atterraggio dolce.
Rovinò al suolo in un gemito di dolore, sbucciandosi
ginocchia e gomiti con una frettolosa e incauta caduta.
Ma si rialzò in piedi.
L’ala sanguinante non poteva più essere mossa ormai, e
rimaneva inerme lungo la schiena scaldata dal sangue che aveva ripreso a
scorrere lungo le bianche e soffici piume. Lo sguardo ossidiana, alzandosi alla
luce ormai fioca del Sole, si fissò stancamente su di una figura famigliare.
Naruto, in piedi nel centro esatto dell’unica radura
esistente nel Paradiso Terrestre, con il volto alzato verso l’alto osservava da
lontano i Cieli del Paradiso Celeste dandogli le spalle.
Probabilmente non si era accorto del suo vergognoso
atterraggio… oppure, se se ne era accorto, lo aveva
ignorato.
All’improvviso, tutta la rabbia che
aveva accumulato quel giorno di riversò in un attimo nelle sue vene,
mandandogli il sangue alla testa. Naruto, che rappresentava allo stesso tempo
il suo legame e le sue catene, ora diveniva bersaglio
per la sua ira repressa da ormai troppi anni.
Cinque anni. Un lustro in cui si era sentito al contempo
oggetto in svendita e anima maledetta.
E forse… lo era davvero.
<< Naruto! >> sbottò urlando verso il biondo
che, allo sentirlo, sobbalzò sorpreso.
No, non lo aveva proprio notato scendere dal Cielo di
Mercurio, nonostante vi stesse guardando.
Evitando di piegare inutilmente l’ala ormai inutilizzabile
si avvicinò al ragazzo di buon passo, pestando la soffice erba della radura.
In uno scenario tanto incredibile quanto spettacolare, i
fili d’erba si fondevano con la luce cremisi del
tramonto ormai concluso. E, disperse intorno alla
figura bionda poco avanti a lui, una distesa di piume bianche giaceva a terra
immobile.
Dalla schiena di Naruto, dove prima svettavano candide ali
piumate, ora si potevano vedere solamente ossa infrante che, pian piano come le
piume che prima possedevano, stavano scomparendo a loro volta trasformandosi in
finissima polvere luccicante come neve.
Sasuke si fermò poco distante, osservandolo con gli occhi
sgranati dalla sorpresa… e dal terrore al contempo.
Per una qualche assurda ragione, aveva il terrore che quello
fosse il chiaro segno che anticipava la loro dipartita.
<< Che ti sta succedendo…?
>> chiese, lottando contro la sua voce che non voleva alzarsi fino al
tono necessario per farsi udire.
Ma Naruto, abbassando il capo, gli rispose comunque. << Non lo so… >>
sussurrò a sua volta, però in maniera udibile.
Aggrottando le sopracciglia il moro fece gli ultimi passi a
falcata e, appoggiando la mano destra sulla spalla di Naruto, lo strattonò con
violenza per costringerlo a girarsi in sua direzione.
Il biondo, rispondendo probabilmente all’istinto di
protezione, fece un passo indietro e portò di scatto le mani a coprirsi il
volto.
Sasuke lo afferrò con forza per non farlo allontanare,
parlandogli con tono quasi furente: << guarda la gente in faccia quando
ti sta parlando! >> sbottò << togliti le
mani dagli occhi! >> ordinò poi, scuotendolo appena nella sua presa forte
e, sicuramente, dolorosa.
Naruto scosse la testa, cercando di liberarsi… ma senza le
mani era difficile rivaleggiare contro Sasuke.
Il moro, dal canto suo, perse definitivamente la pazienza.
Aveva accumulato troppa ansia da quando, poco prima, era venuto a sapere di suo
fratello e di ciò che aveva fatto. Prese dunque con forza i polsi di Naruto e,
con uno strattone, separò le mani una dall’altra, ed entrambe esse dagli occhi
del biondo.
Occhi che, aprendosi furiosi davanti allo sguardo del moro,
non erano di quel blu che gli ricordava tanto il cielo estivo… ma di un color
cremisi pari, se non più intenso, alla luce del tramonto che inondava l’Eden in
quel momento.
La pupilla allungata non lasciò dubbi in proposito a Sasuke,
che osservava ora stupito quello strano spettacolo.
Naruto era un sangue misto.
Il ricettacolo di un demone anche se nelle vene scorreva
sangue angelico.
Il condannato al limbo eterno. Perché non c’è posto in Paradiso
per un demone… ma non c’è posto nemmeno all’Inferno,
per un angelo.
<< Lasciami! >> esclamò Naruto davanti ad un
Sasuke esterrefatto, riuscendo a liberarsi con uno strattone senza però
allontanarsi. Abbassò invece lo sguardo, nascondendolo alla vista di Sasuke,
mordendosi il labbro inferiore per trattenere ancora un pianto troppo a lungo represso.
Perché Naruto Uzumaki non piangeva.
Non piangeva!
Però… anche Naruto Uzumaki aveva un limite alla
sopportazione del dolore, fisico o spirituale che fosse.
Senza dire una parola si avvicinò nuovamente a Sasuke,
appoggiando la fronte sulla spalla del moro e cingendogli con le mani la stoffa
bianca della maglia, in corrispondenza dei fianchi.
Dal canto suo, Sasuke non sapeva cosa fare. Reagendo forse d’istinto
alzò le braccia sulle spalle del biondo, cingendogliele con un tocco effimero e
quasi intangibile.
Accarezzò in trance i capelli
biondi del compagno, come se la rabbia e l’ira fossero sparite, o semplicemente
pacate per qualche istante, per un breve scorcio di tempo.
Più il legame diviene spesso, più le
catene si appesantiscono.
Ma non importava, ormai. L’unica
cosa che hanno in comune i legami e le catene, è il
fatto di tenere una persona ancorata in quell’unico punto, senza darle la
possibilità di muoversi.
Alzò il volto, osservando con gli occhi ossidiana il
limitare dell’Eden oltre a cui si stagliava la caduta proibita verso il piano
dei mortali.
Se il suo posto era veramente al
fianco di Naruto, c’era una sola soluzione…
Si riprese dai suoi ricordi quando ormai la luce del
tramonto si era ormai assopita, e dalle vetrate dell’accademia entrava
solamente il lucore argentato della Luna.
Dopo cinque anni da quel giorno, il suo legame era più forte
che mai e, al contempo, le sue catene più salde e pesanti che mai.
Era intrappolato in un equilibrio pericoloso che non si
sarebbe mai azzardato a spezzare. Da quando viveva sulla Terra, aveva ormai
appreso che al contrario del Paradiso, gli esseri umani sono schiavi del Fato.
E che il Destino, mutabile di
giorno in giorno, è una bestia rabbiosa che non si può domare.
A questo condizione, l’equilibrio
che aveva raggiunto fra legami e catene, era sacro.
Un continuo limbo fra odio e amore i cui fini ultimi erano
due diverse persone, entrambi aventi un ruolo particolare nella sua vita… a
modo loro.
Forse per l’intensità dei pensieri, non si accorse della
porta dell’infermeria che si apriva e chiudeva. Se ne rese conto solo quando un
peso famigliare, avvolgendogli la vita con le braccia, non si appoggiò alla sua
schiena.
Sorrise, osservando la Luna nella notte oltre il vetro.
<< A cosa stai pensando? >> chiese la persona
che lo stava abbracciando, strusciando appena la guancia contro la stoffa della
maglia del moro.
Sasuke si voltò nell’abbraccio, appoggiando la mano sinistra
sul fianco di Naruto, che alla mossa alzò il volto per guardarlo in viso.
<< A cinque anni fa >> rispose il moro
pacatamente, portando la destra a scostare dalla fronte del biondo qualche
capello ribelle. Al tocco, erano morbidi e lisci come fili
di seta baciata dai raggi del Sole.
Naruto si incupì un istante.
<< Alla nostra Caduta… >> mormorò aggrottando appena le
sopracciglia. << Perché? >> aggiunse poi,
stringendosi di più al moro.
Sasuke stirò le labbra in un sorriso dolce, carezzandogli la
guancia con la stessa mano che usava per sfiorargli i capelli. <<
Qualcuno me l’ha fatta ricordare >> disse
semplicemente, portando poi la destra alla schiena del biondo, poggiandovela
sopra con delicatezza.
Poteva ricordare benissimo quei momenti. Il momento in cui,
prendendolo per mano, aveva trascinato Naruto verso il ciglio dell’Eden.
Il momento in cui lo aveva abbracciato, dispiegando le ali
con un urlo di dolore; di quel dolore che gli avvelenava il sangue, faticando a
piegare i muscoli della schiena al suo volere.
Il momento in cui, stringendo a sé il suo legame e le sue
catene, si era lasciato cadere nel vuoto.
Il momento in cui le sue ali, a causa della caduta e dell’attrito
dell’aria data la velocità folle a cui precipitavano, si erano tinte di un nero
corvino, marchiandolo come angelo del tradimento.
Aveva messo in atto il suo peccato d’amore. Ma un peccato, anche se fatto per il sentimento più nobile
del mondo, rimane sempre un peccato.
Ad un piccolo movimento con il collo il
viso di Naruto si vece più vicino al suo, invitandolo ad un banchetto proibito
da cui non si sarebbe ritratto.
Sasuke, abbassandosi appena da quei quattro centimetri di
differenza, in un lieve frusciare di stoffa poggiò le sue
labbra sottili su quelle tese del biondo, baciandolo dolcemente.
Scelta e obbligo, a volte,
percorrono la medesima strada nella stessa direzione.
E quello, fra tutti quanti… era il
loro peccato preferito.
Chapter No.9 ~ End.
Note Ambient
Ok, sarò breve perché
è tardi! (ore 01:35 per la
cronaca) XP
Dopo aver dovuto
riscrivere il capitolo (avevo spinto il tasto sbagliato nel chiudere Word e… e
non ho salvato T____T), mi soffermo per un secondo, come detto
prima, sulla questione dell’ambientazione.
Ora, per chi non
avesse letto/studiato il Paradiso della Commedia di Dante
Alighieri… sappia che ho preso interamente spunto da quello.
O almeno, dalla caratterizzazione dei Cieli
che da lui. Nulla di personale, io amo quell’uomo, ma ogni rappresentazione che
la mia mente tirava fuori di un Paradiso completamente inventato
aveva qualcosa che non combaciava con qualche parte della storia.
Perciò ho dovuto prendere in prestito la visione
di Dante.
Ora, per chi non lo
sapesse, il Paradiso della Divina Commedia è diviso in
nove cieli concentrici in moto perpetuo. Questi vanno dal Primo Cielo (o Cielo
della Luna) al nono Cielo (o Primo Mobile, quello più
vicino a Dio). Il moto di ogni Cielo, come accenno nel
capitolo, è mantenuto dalle Intelligenze Angeliche (gli Angeli per il Primo
Cielo, i Serafini per il Nono Cielo) che corrispondono, in definitiva, alla
gerarchia angelica.
Io utilizzo,
cambiando qualche particolare per comodità, il Primo e il Secondo Cielo (Cielo
di Mercurio, per l’appunto), poiché sono il luogo in cui sono presenti,
rispettivamente, Angeli e Arcangeli.
Il fatto che alcuni
Angeli debbano addestrarsi per muovere i cieli è una
mia invenzione, altrimenti non sarei riuscita a spiegare il fatto che gente di
12 anni stesse lì. Insomma, non potevo mica farli girare come tappi di sughero, suvvia U____U’’’.
Con questo ho concluso. Spero che il capitolo non sia uscito un obbrobrio…
nel caso chiedo perdono ^^’’’
Passo subito alle risposte senza indugiare troppo:
Slice: Innanzi
tutto grazie di nuovo per il tuo puntuale commento. E non preoccuparti, io sono
qui per rispondere ad eventuali domande (e lamentele XD). Allora, beh… direi di
sì. Cioè, Sasuke e Naruto non sono mortali… o almeno, non Sasuke. Un angelo in
sé diviene mortale solamente se gli si tagliano le ali, ma dato che Sasuke le
ha ancora, suppongo che sia immortale, per ora. Per Naruto non ne ho la più
pallida idea O__o cioè, i miei saperi di esoterismo arrivano fino ad un certo
punto XD Cmq, lo ammetto, penso che i mezz’angeli siano mortali. O almeno, che
la loro parte umana invecchi come tutti gli esseri umani (magari molto più
lentamente, ma invecchiano) dunque sì, direi che muoiono. Poi, Itachi è lì per
un motivo, però rivelartelo è materia di spoiler, dunque nada! XD E anche: sì…
effettivamente avevo pensato di far conoscere Sasuke e Naruto da secoli, ma poi
mi sbalzava un sacco di roba e ho preferito lasciar perdere e tenere le età del
manga. Per concludere: no, non posso metterci la lemon per questioni di rating
(e perché non so dove infilarla ^^’’’) però probabilmente scriverò uno speciale
con lemon *annuisce* one-shot probabilmente, nonostante ci sia negata XD. Grazie
ancora per il commento! =*
Rei Murai: il
fatto che tu ami la fic che, effettivamente, sto scrivendo per te non può che
rendermi felice! XD Vuol dire che sto facendo un buon lavoro e non sto
sputtanando i personaggi di Kishimoto-sensei. Spero che continuerai ad amarla
fino alla fine *sisi* a cui, tra l’altro, non manca tantissimo… tvb anche io!
^*^
Girlstreet: sappi
che Uchiha-schifo è antipatico in ogni sua forma =___= io mi ci impegno a farlo
risultare almeno accettabile, ma proprio non mi riesce. In ogni caso grazie
mille per il commento, puntuale come sempre, e sì… io sbaverei. Ma io non sono
normale. Se fossi normale non programmerei decine di fic scegliendo di scrivere
puntualmente quella più difficile accantonata nell’angolo della mia mente
(ovvero St. Michael) XD.
OnlyAShadow: Grazie,
anche a te, per il commento che come sempre mi lasci! Visto? Sasuke e Naruto
hanno deciso spontaneamente di andarsene dal Paradiso… o almeno, lo ha deciso
Sasuke e si è portato dietro Naruto XD anche perché comunque il biondo, con un
demone dentro di sé, sicuramente non poteva rimanerci. Neji non è lì per
controllare quei due, ma Itachi. Non chiedermi perché, è spoiler XD cmq è nella
scuola principalmente per due motivi: il primo è tenere d’occhio Itachi, il
secondo lo saprai nel prossimo capitolo U___U. Guarda, la Divina Commedia io
l’ho amata, ma poi è personale! XD Per esempio, a me è piaciuto molto di più
l’Inferno del Paradiso o del Purgatorio… poi dipende. E sì, Shika all’inizio sa
tanto da esserino pucchoso! XD
Per quanto riguarda la teoria, mi spiace ma non è così XP Michael (o Michele, è
lo stesso personaggio solo con il nome italianizzato) è immortale, non può
reincarnarsi. Kiba è qualcos’altro *anuisce* comunque continua pure ad
elucubrare! *____* Se ci vai vicino non mi fai altro che piacere! XD
Fallen-azraphel: io
ho deciso che quegli arcangeli me li disegno >___< quando me li sono
immaginati ho sbavato, e dire che sono miei pg… soprattutto su Gabriele,
abbiate pietà della mia bava =Q=_____ e poi: sììììììì! Maltrattiamo Sasuke
Uchiha! *.* (non si vede mica che lo odio, vero? XD) in ogni caso a me quel
COSO non fa pena; sarà perché io mi godo la vita da figlia unica. E poi Itachi
alla fine ci farà la sua figura… magari cambierai idea XD. Grazie tanto tanto tanto
per il commento, i vostri commenti in coppia mi fanno sempre sorridere come
un’ebete davanti al PC! XD
Neki niku_dango: Dio,
metto sempre l’under-score nella parte sbagliata del nome =___= poi devo sempre
correggermi… va beh, sclerate mie, passiamo oltre che è meglio *annuisce*. Non
so dirti quanto incommensurabilmente io sia felice che Sasukkia non sembri OOC
ç_____ç ho faticato in modo immane per cercare di tenerlo IC nonostante la
trama e il luogo, sono felice di esserci riuscita. Ora mi devi dire cosa ti
hanno fatto i follicoli dei calvi innaffiati di Crescina! E soprattutto dove
hai tirato fuori un paragone simile, lo voglio sapere! XD Nel frattempo coltiva
pure i funghi, che poi io penso alla raccolta! XP… e non credere che io NON sia
una sadica bastarda… lo sono, ma lo sono in maniera soft XD. Grazie anche a te,
come ho già detto alla tua compare sopra, per i commenti che mi lasciate
sempre!
CloudRibbon: …che
sfiga. Ok, scusa la schiettezza, ma non sapevo che altro commentare °___°
comunque non temere, non sei sola sulla faccia della Terra, anche io ho le mie
beghe… coi trasporti! XD Ma evito, altrimenti viene un papiro e non c’entra
niente con la risposta al commento! XD magari poi te lo racconterò in un’altra
occasione. Sono alquanto felice, devo dire la verità, che tu abbia apprezzato
il mio “scopiazzare” (in senso buono!) da Dante. Credevo di fargli un affronto,
invece vedo che l’idea non è dispiaciuta… beh, meglio così ^^’’’ io purtroppo
non apprezzo molto Letteratura (come materia) ma leggo alcuni classici e Dante
l’ho adorato… anche se non mi sono ancora letta tutta la commedia, me tapina
XP. Sono anche molto felice di sentire (di nuovo XD) che la trama non è trita e
ritrita. Anzi, a dire il vero mi sorprende che non lo sia, perché io per idearla
ci metto veramente poco °___° …comincio a pensare che i miei neuroni siano un
tantino contorti. Comunque, torniamo a noi: gli Arcangeli hanno lasciato il
segno, noto XD. Lo immaginavo, a dire il vero. Tralasciando la descrizione (ho
cercato di tenermi il più vicino possibile all’iconografia classica… ma alcune
cose dovevo proprio cambiarle!) sono proprio felice che tu abbia notato la
sfumatura “umana” che possiedono. Dico la verità, io amo quelle tre figure, e
presto mi sa che leggerò l’Apocalisse per intero… appena ho dato gli esami, si
intende =__=’’’’
E lo sai che io ADORO i tuoi papiri! XD Grazie tantissimo
per il commento, puntuale nonostante il guasto tecnico! Luv ya! ^*^
Lucy6: Oooooooh!
*____* una nuova adepta dello ShikaKiba! Benvenuta, benvenuta! XD E grazie
tantissimo per il commento, mi ha fatto molto piacere, davvero! *.* cercherò di
rendere la storia ancora più intrigata ed intrigante… kukuku *risatina
malavagia*
Ebbene, riprendiamo Kiba da dove lo avevamo lasciato.
Vi chiedo scusa in anticipo per l’enorme ritardo con cui
pubblico questo capitolo, ma ho gli esami in dirittura d’arrivo e purtroppo
devo ritagliarmi il mio tempo per studiare… sto facendo del mio meglio, spero
che nessuno perda interesse nel contempo! XD
Ora vi lascio al capitolo!
.:: Enjoy! ::.
Chapter
10 ~ Eighth Echo
Maschere
C’era un cagnolino che
gli veniva incontro, scendendo trotterellando dalle braccia di Hana.
Era piccolo, bianco,
con le orecchie di un colore marroncino-rossiccio. Aveva un muso simpatico, gli
occhi quasi del tutto chiusi e una camminata da cucciolo che faceva tenerezza.
Si fermava poco
distante da lui, gli annusava le mani e, strusciando il musetto contro di esse,
si accoccolava fra le sue gambe.
Akamaru. Lo aveva
chiamato così per via di quelle due orecchie coperte di pelo rossiccio.
Ci giocava sempre.
Akamaru dormiva con lui, mangiava con lui, si accoccolava accanto alla
scrivania quando faceva i compiti.
Era il suo cane, ma
non solo. Era il suo più fidato amico e il suo inseparabile compagno.
…e dire… che non si
ricordava più che fine avesse fatto…
Forzando appena le palpebre ad aprirsi, fissò fra le ciglia
il soffitto bianco dell’infermeria.
Per l’ennesima volta.
Ormai aveva in mente ogni angolo di prospettiva che poteva
avere da quel letto. Poteva persino dire se e di quanti centimetri l’armadio
dei medicinali fosse stato spostato.
Quel posto era il suo personalissimo incubo. Soprattutto
perché si sapeva nelle mani di quel Kabuto di cui, non si sa per quale ribelle
parte delle sue viscere, non riusciva proprio a fidarsi.
Gli dava la sensazione indefinita che qualcosa dovesse
succedere presto… qualcosa di brutto. Gli iniettava direttamente in vena un
senso di disagio diffuso, come stare accanto ad una finestra aperta in pieno
inverno sapendo che, il giorno dopo, sicuramente comparirà la febbre.
Sbuffò, chiudendo gli occhi di nuovo e portandosi la mano
sinistra alla fronte. Con il braccio, particolarmente intorpidito poteva
notare, si coprì gli occhi con fare esausto.
Era rincretinito. Doveva aver dormito molto più delle
canoniche otto ore, se lo sentiva dalla pesantezza che possedeva la sua testa.
O forse… non era per quello che la sua testa era così
pesante.
Era inutile. Più cercava di evitarlo, più la realtà lo
colpiva con tutta la sua violenza, sbalzandolo via con la furia di un uragano
nella quieta estate campestre.
Lui era morto. O, se davvero non lo era, tutto quel
susseguirsi di eventi non trovava giusta posizione all’interno della sua mente.
Era successo troppo in fretta, troppo velocemente. La
felicità se ne era andata così rapidamente, era sparita così in fretta… che non
aveva nemmeno fatto in tempo a rincorrerla per fermala, per cercare di
tenersela stretta.
Confusione, sentimenti, fotografie e specchi. Specchi,
specchi, specchi. Comparivano ovunque, erano dappertutto. Con quel loro
significato distorto di un riflesso perfetto dell’immagine che vi si specchiava
sopra: la sua.
* Sei veramente tu
quello… Kiba? *
Già… era veramente lui?
E se non era lui… chi era?
Chi era?
<< mh… >> mugugnò, mordendosi appena il labbro
inferiore per non permettere agli occhi di inumidirsi.
Non doveva permettere alla paura di averla vinta. Lui era
Kiba Inuzuka, per la miseria!
Lui era… Kiba Inuzuka? Sì?
E chi lo diceva questo? Anche il cadavere dentro al taxi era
Kiba Inuzuka, a sentire i due detective, no?
Lui poteva essere anche Pinco Pallino, a dirla così. Poteva
essere Pinco Pallino che assomigliava tanto a Kiba Inuzuka, che ne aveva preso
il posto per una qualche ragione che non sapeva, che si ricordava tutto perché,
magari, tramite l’ipnosi…
…gli alieni lo avevano rapito e sostituito per chiudere il
vuoto creato dal vero Kiba Inuzuka, arrostito in un taxi.
Ok, si sentiva un grandissimo demente. Il fatto stava nel
non sapere dove sbattere la testa, e questo era l’unico punto fermo che
possedesse al momento.
La realtà era… che cominciava ad avere seriamente paura di
se stesso.
Aveva paura di quello che era e, al contempo, anche di
quello che non era.
Magari svegliandosi, aprendo definitivamente gli occhi e
scendendo da quel letto, sarebbe stato circondato da medici tutti vestiti di
bianco e da parenti che, sorridendo, gli avrebbero detto un “bentornato!”,
abbracciandolo.
Magari era in coma, e quello era un sogno creato dal sonno
traumatologico.
Ma aveva paura lo stesso. Perché che fosse sogno, o realtà,
o qualsiasi cosa potesse essere… tutto ciò che aveva costruito risiedeva
faticosamente nella sua memoria, decretando il suo spazio e prendendo la
concretezza dei ricordi.
Ricordi confusi, alla rinfusa… ma pur sempre ricordi.
Aveva paura che tutto ciò che aveva creato potesse svanire
in un istante.
Così come in un istante un terremoto si era abbattuto sul
suo mondo, scuotendo le fondamenta del castello in pietra in cui credeva di
vivere, facendo sì che si rivelasse per quello che era… una capanna di paglia.
Troppe domande non avevano ancora risposta. E, purtroppo,
stava cominciando a pensare che non l’avrebbero mai avuta.
Inconsciamente, tremò.
E, in risposta a quel lieve tremore, qualcuno strinse la sua
mano in una calda e rassicurante morsa.
Kiba non distolse il braccio dagli occhi, concedendosi però
un sorriso a malapena accennato sulle labbra. Era incredibile come sapesse già
riconoscere quel tocco senza bisogno di osservare chi lo metteva in atto.
<< Kiba? >> disse infatti quella voce in un
sussurro, stringendo un poco la presa sulla sua mano come se dovesse dare
spessore a quelle stesse parole: << come ti senti? >> chiese ancora
quella rassicurante voce.
Sorrise ironicamente alla domanda, mettendo in mostra i
denti bianchi in un ghigno spento. << Non lo so… >> rispose
sussurrando, senza trovare la voce necessaria a parlare normalmente: <<
come ci si dovrebbe sentire quando non si sa se si è vivi o morti? >>
chiese poi strafottente, un tono di autocoscienza insito nella voce.
Shikamaru non rispose, senza però interrompere il contatto
fra la sua mano e quella del castano. Nel silenzio, probabilmente mentre
osservava il volto semi-nascosto del compagno, tutte le cose che voleva
domandare erano scemate nel nulla.
E forse, alla fine, era anche meglio così.
<< Senti… >> cominciò poi il moro: << …non
posso dirti “andrà tutto bene”. Tutte le volte che è stato detto a me si sono
rivelate bugie, e quella che io consideravo una promessa si è tramutata in una
frase da quattro soldi >> spiegò, continuando poi: << però… posso
impegnarmi, dicendoti che se avrai bisogno di qualsiasi cosa… io ci sarò
>> concluse, sistemandosi meglio sullo sgabello girevole su cui aveva
passato praticamente tutto il tempo.
Dal canto suo, al sentire quelle parole insieme al frusciare
di vestiti dato dal movimento, Kiba distolse l’avambraccio dagli occhi,
socchiudendoli per poggiarli sulla figura dell’altro.
Era pallido, dall’espressione stanca e palesemente esausto.
Sotto gli occhi, arrossati, due occhiaie non indifferenti troneggiavano
imperturbabili, donandogli quell’espressione distrutta che si portava appresso
non immaginava nemmeno da quanto.
Ma, nonostante tutto, nonostante la situazione, il tempo, il
problema che era sorto in mezzo a tutti quelli che continuavano ad orbitare
intorno a lui… Shikamaru aveva avuto la faccia tosta di cercare di
rasserenarlo. Con il suono della voce, con il calore della sua pelle, con la
sua vicinanza.
E non gli lasciava mai la mano. Mai.
Non seppe perché… ma alla luce di quelle parole, quel
piccolo gesto gli sembrò più importante di tutto il resto.
Sorrise. Forse, per la prima volta da quando aveva riaperto
gli occhi, in maniera genuina. << Grazie… >> rispose solamente,
utilizzando il braccio sinistro come appoggio al materasso e mettendosi a
sedere su di esso.
Shikamaru lo seguì con lo sguardo, alzandosi per aiutarlo
anche quando la mano del castano glielo impedì, imponendosi fra loro mentre si
sistemava per bene, la coperta grigia e anonima a coprirgli le gambe. Poi, rialzando
lo sguardo sull’altro, avvicinò il suo viso a quello del moro, chiudendo gli
occhi…
E lo baciò.
Non poteva di certo dire che essere esperto, come non aveva
assolutamente preso in considerazione il fatto di sembrare una femminuccia
appicicaticcia. Ne aveva solo bisogno, semplicemente.
Ora più che mai aveva bisogno di sentirsi vicino a qualcuno.
Di avere un punto fermo reale, e non solo la sua sensazione di inadeguatezza;
quel particolare sentimento di chi non si sente al mondo per davvero, di chi
non dovrebbe essere nemmeno esistito.
Anche se non lo avrebbe mai ammesso, aveva bisogno di un
appoggio per ricominciare la scalata. Aveva bisogno di lui.
Rimasero uniti qualche istante; le lingue si sfioravano
dolcemente in lievi incontri, le mani si stringevano l’un l’altra in un legame
che, ora più di prima, sembrava non doversi mai sfaldare.
Si separarono lentamente, osservandosi l’un l’altro mentre
Shikamaru poggiava la sua fronte a quella del castano, rimanendogli il più
vicino possibile in quel poco tempo che avevano.
<< Sei sicuro di stare bene? Magari dovresti dormire
un altro po’… >> chiese poi il moro, sussurrando data la vicinanza.
<< Dovrei essere io a dirtelo >> ribatté però
Kiba, mantenendo a sua volta un tono di voce basso ma dandogli una lieve impronta
di fermezza. << Hai un aspetto orribile. Da quanto non dormi? >>
aggiunse, chiedendo forse la cosa più ovvia ma sicuramente la più adatta.
<< Boh, non ne ho la più pallida idea >> rispose
Nara sinceramente, chiudendo gli occhi con fare esausto e lasciandoli chiusi.
<< Praticamente da quando hai perso conoscenza, anche se ogni tanto ho
sonnecchiato… ma non più di due ore >> aggiunse.
Con questo cosa voleva dire? Che era rimasto sempre al suo
fianco senza nemmeno chiudere occhio?
Sospirò, osservandolo con un sopracciglio alzato: <<
guarda che non sono un caso perso, potevi anche riposarti come si deve…
>> disse, riportando la voce ad un tono un poco più alto.
Shikamaru socchiuse gli occhi, osservandolo senza però
spostarsi da quella strana posizione: << credo che sia un mio diritto
preoccuparmi >> rispose seriamente.
<< Come è un mio dovere dirti di non essere così
ansioso >> ribatté nuovamente Kiba. << Piuttosto… >> riprese
poi, dando voce ad un dubbio appena sorto: << …che ore sono? >>
chiese, indeciso su che cifra numerica attribuire alla luminosità della luce
che proveniva dalla finestra, inondando la stanza.
<< Mezzogiorno… >> rispose il ragazzo <<
…di martedì >> concluse, distaccandosi dalla fronte del castano per
appoggiarsi al limitare del letto con le mani, piegandosi appena in avanti
verso di lui.
Dopo un veloce calcolo mentale, poté rendersi conto di avere
effettivamente dormito per un giorno e mezzo. Con tanto di perdita delle
lezioni del lunedì.
<< Accidenti… >> borbottò in uno sbuffo, lasciandosi
cadere all’indietro sul letto finchè non ritornò disteso. Se era stato capace
di dormire per quasi 36 ore, voleva dire solamente una cosa: aveva una pessima
resistenza ad ogni tipo di shock.
Oppure, più semplicemente, quel posto fuori dal mondo (in tutti
i sensi) lo aveva rammollito.
Rimanendo in silenzio, Kiba chiuse gli occhi. L’infermeria,
al contrario del resto della scuola, era davvero un posto silenzioso e
conciliava il riposo in una maniera incredibile. Era un bene: almeno lì poteva
pensare senza che il suo cervello finisse in grovigli di spazzatura e andasse
in crash di sistema facendogli ciao-ciao con la manina. Per dirla con parole
semplici era come un giardino zen, mancavano solo la sabbia, il rastrello e la
fontanella con le carpe Kohaku (*1).
E il fatto che i giardini zen contribuivano non solo ad
aumentargli la rabbia, ma anche a fargli odiare sabbia e affini che si infilava
in ogni buco conosciuto (e non), era un dettaglio.
Quasi seguendo il suo esempio, Shikamaru raggiunse
nuovamente lo sgabello con il piede e, tirandolo con verso di lui, vi si
sedette nuovamente sopra. Si chinò poi in avanti, incrociando le braccia sul
letto e poggiando la testa fra di esse, chiudendo gli occhi completamente
esausto.
Kiba, osservandolo pacatamente dalla sua posizione, non
riuscì a trattenere un sorrisetto intimamente divertito a quella vista. Il moro
si era fatto tacitamente più vicino, sfiorandogli il fianco destro con il viso
da sopra la coperta, come se volesse istintivamente rimanergli accanto anche nell’impellente
sonno dettato dalla stanchezza… e questo gli aveva fatto tornare in mente
qualcosa.
<< Sembri Akamaru >> esordì infatti, poggiando
la destra sui capelli scuri di Shikamaru come se dovesse accarezzarne un
fantomatico pelo.
Nara riaprì un occhio, osservandolo pacatamente senza
mostrare nessun segno di disprezzare quel bizzarro contatto creatosi ra loro.
<< Chi? >> chiese apaticamente, aria assonnata che sul suo volto
era praticamente sempre presente… solo, questa volta motivata.
<< Akamaru >> ripeté l’altro << il mio
cagnolino. Faceva come te quando mi ammalavo >> disse, tornando poi ad
intrecciare le dita con le mano di Shikamaru.
<< Mi stai paragonando ad un cane? >> ci scherzò
sopra Nara, ghignando ironicamente.
<< Ehi, era un cane intelligente! >> sbottò in
risposta il castano, approfittando della vicinanza al viso dell’altro per
prendergli una guancia e cominciare a tirarla.
<< Oh, vorrà dire che lo sfiderò a shoji… >>
continuò Shikamaru strafottente, evitando con classe le dita stile pinza di
Kiba, che per pigrizia (forse Shikamaru gliel’aveva attaccata) non si alzò per
permettere al suo braccio di andare oltre ad una certa lunghezza.
Ma non poterono continuare il loro finto battibecco ancora
per molto: un vociare indistinto nel corridoio, unito ad un numero non ben
definito di passi e schiamazzi, resero palese il movimento di un’enorme
quantità di persone, in avvicinamento all’infermeria.
Poteva già immaginare chi fosse…
Infatti, pochi istanti dopo, la porta bianca si aprì
rumorosamente, lasciando entrare una massa informe di persone che ai vari
“shhhht! magari sta ancora dormendo” e “Naruto, chiudi quel forno!” tentò
invano di ridurre il rumore fino ad un imperfetto silenzio.
In qualche attimo, sufficienti a Kiba per rimettersi seduto
a gambe incrociate e a Shikamaru per risollevarsi dal materasso, da dietro al
paravento spuntarono gli occhi color giada di Sakura, accompagnati dal ciuffo
biondo platino e gli occhi azzurri di Ino. Fu Sakura la prima delle due a
mostrare il sorriso, addolcendo lo sguardo. << Ben svegliato, Kiba!
>> salutò allegramente, uscendo dal paravento e avvicinandosi con qualche
passo al letto.
Dietro di lei, anche Ino sorrise… ma il suo sorriso
somigliava come sempre ad un ghigno furbesco e poco rassicurante. Tuttavia, nell’insieme
del risveglio dopo quella stranissima rivelazione, anche quel sorrisetto
inquietante parve a Kiba come un piccolo angolo di tranquillità che aveva
ritrovato, dopo averli persi tutti nel riflesso di uno specchio.
Dopo di loro, Choji fece la sua comparsa con un sacchetto di
patatine fra le mani. Cominciava a chiedersi se quei sacchetti non fossero
incollati al palmo con l’attack e, soprattutto, quanta capienza poteva avere lo
stomaco di quell’essere umano per ingurgitare così tanta roba senza sentirsi
male.
Aveva la conferma visiva dell’esistenza dei buchi neri.
Il ragazzo, ovviamente sgranocchiando patatine e
sbriciolando per tutta l’infermeria, si posizionò alle spalle di Shikamaru per
poi porgergli il suddetto sacchetto di snack.
Kiba lo fissò interdetto, spostando gli occhi dal sacchetto
in carta plasticata a Choji e viceversa.
<< Oddio, non gli offrirai mica una patatina!?
>> esclamò la voce squillante della Yamanaka, rimanendo sorpresa al gesto
dell’amico.
Kiba, più interdetto di prima, fissò Shikamaru per capire
cosa fare.
Il moro intercettò lo sguardo, chiudendo gli occhi con fare
scocciato nella risposta: << è il suo modo per darti il ben tornato
>> disse << le sue patatine sono sacre >> precisò poi,
sorridendo lievemente dopo la frase.
<< Sì, ma l’ultima la può prendere solo Shikamaru
>> aggiunse l’Akimichi, porgendo un po’ di più il sacchetto luccicante in
direzione dell’Inuzuka che, dal canto suo, aveva appena elaborato la
stranissima visione di un altare sacro dedicato alle Cipster nel salotto di
casa Akimichi.
Tuttavia, educazione vuole che non si rifiuti il cibo offerto,
soprattutto da un amico e/o componente della combriccola. A caval donato non si
guarda in bocca, no?
Allungò la mano, infilandola con un sorriso allegro
all’interno del sacchetto scricchiolante, afferrando una sfoglia unticcia fa
indice e medio, estraendola.
<< grazie mille Choji, anche a me fa piacere
rivederti! >> rispose con un ghigno allegro, mostrando la patatina in
segno di saluto a sua volta. L’Akimichi sorrise in risposta, riportandosi il
sacchetto sotto al naso e ricominciando a sgranocchiare.
Se gli esseri umani di razza maschile erano menti semplici,
Choji Akimici era come le parole crociate facilitate della Settimana
Enigmistica.
Stava per portarsi la patatina alla bocca, sentendo già lo
stomaco brontolare… ma, probabilmente, nel suo personale quanto infausto
destino (che, tra l’altro, sembrava provare piacere nel prendersela con lui)
non era scritto che Kiba Inuzuka mangiasse quella patatina.
E quel destino portava il nome di Naruto Uzumaki, spuntato
velocemente dal paravento con un balzo che aveva fatto sobbalzare il materasso,
Provvedendo personalmente ad ingoiare la patatina direttamente dalle mani di
Kiba, stendendosi addosso a lui nell’intento. << I malati non devono
mangiare schifezze! >> esordì poi, con quel sorrisetto sbilenco ignobile
mentre ingoiava la sua preziosa patatina del bentornato, santificata
personalmente dalla famiglia Akimichi, lasciando di essa solamente le due
briciole che si depositarono sulle labbra del biondo.
La stanza cadde nel silenzio per qualche istante; istante in
cui Kiba lo guardava ancora con la bocca aperta e le dita sollevate, come se la
preziosa patatina non fosse ancora scomparsa e lui fosse ancora in procinto di
gustarne il sapore.
Una volta realizzato il misfatto, la classica vena
dell’arrabbiatura sulla fronte fece “crack” …e si spezzò.
<< BRUTTA FOGNA! >> sbottò il castano,
provvedendo subito a stringere in una morsa spietata le guance del biondo e
tirarle con quanta forza potesse racimolare nei suoi muscoli addormentati:
<< sputa la mia colazione! Sputala! >> proseguì, continuando
l’opera di stiratura delle guance dell’Uzumaki, ormai con le lacrime agli occhi
fra il riso e il dolore.
<< Cielo, quanto siete casinisti! >> si
intromise poi una terza voce femminile, alta per sovrastare il gridolino
scomposto di Naruto che, indeciso fra il lamentarsi per il dolore o continuare
a ridere, emetteva un suono talmente idiota da sembrare una lingua aliena.
<< I bambini dell’asilo sono più maturi e silenziosi di voi! >> aggiunse
tale voce, riprendendoli.
Alzando lo sguardo verso il paravento, il viso serio e la
posa intransigente di Ten Ten (che li guardava con le mani ai fianchi come se
fossero due imbecilli) li avrebbe riconosciuti anche a distanza.
E davanti alla ragazza, con le mani all’interno delle tasche
dalla sua impeccabile divisa, Sasuke Uchiha ignorava altamente quella che
doveva essere una delle abituali trovate di Naruto, fissando lui con gli occhi
ossidiana.
E, superando ogni aspettativa di Kiba, Sasuke “Le Mie Parole
Valgono Oro” Uchiha… gli parlò.
<< Sei risorto? >> chiese in quello che sembrava
uno sforzo immane, fissandolo apaticamente in attesa di una risposta.
Replica “made in Inuzuka” che non tardò ad arrivare:
<< no, Uchiha. Così non va, noi dobbiamo metterci d’accordo per questa
cosa. Non puoi rivolgermi la parola così all’improvviso, le mie coronarie
potrebbero esplodere per la sorpresa >> lo sfotté simpaticamente,
lasciando finalmente pace al povero Naruto, che ora ridacchiava per la battuta
anche se ai danni del suo ragazzo.
Il moro stirò le labbra sottili e pallide in un ghigno di
sfida, osservandolo sul piede di guerra.
<< Cielo, Uchiha! Non così tante emozioni in una
volta! >> continuò imperterrito il castano, scatenando le risa di tutti i
presenti.
Ma Sasuke Uchiha non si faceva di certo cogliere
impreparato, oh no. Se riusciva a tenere perfettamente testa a quella testa
quadra di Naruto, non sarebbe stato di certo il nuovo arrivato di turno a
spodestarlo: << perché, ti senti forse SVENIRE Inuzuka? >> ribatté nel suo miglior ghigno sadico,
troneggiando sull’altare della vittoria verbale.
La replica di Kiba, che si sarebbe rivelata scostante dato
il colpo allo stinco,venne interrotta
da un’ulteriore voce al di là del paravento: << Sasuke, Sasuke… questo è
un colpo un po’ basso >> esclamò il tono pacato di Kakashi, che comparì
dietro a Ten Ten spingendo lievemente per le spalle una Hinata irrigidita e
leggermente arrossata in volto. L’Uchiha scrollò le spalle, limitandosi a
tornare nel suo regale mutismo.
<< Maestro Kakashi! >> esclamò Naruto, ancora
comodamente seduto sul materasso.
<< Ciao Naruto, ragazzi >> salutò l’uomo con
un’alzata di mano, posando poi l’unico occhio visibile su Kiba: << ti
senti meglio? >> chiese gentilmente, sorridendo nonostante il collo della
maglia ne coprisse le labbra e il naso.
<< Sì, grazie maestro Kakashi >> ringraziò il
castano, posando gli occhi su Hinata, salutandola.
<< C-c-ciao I… Inuzuka-kun >> rispose quella,
unendo subito gli indici sotto il mento nel suo abituale tic nervoso.
<< Scusa Sasuke, Inubau >> esordì poi Naruto,
sfoderando il nomignolo proibito: << non è molto capace di stare ali
scherzi >> concluse, beccandosi un piede del castano in faccia come
punizione per il nome assurdo con continuava ad affibbiargli.
Tuttavia, nonostante la posizione scomoda che scatenò un
altro risolino collettivo, Kiba diniego con in capo: << macchè, ha
ragione >> disse, sbuffando desolato. << Mi sto rammollendo. Se
continuo così sverrò un giorno sì e l’altro pure >> si lamentò, chiudendo
gli occhi e assumendo un finto broncio infantile.
<< Oh, non per molto Kiba! >> esordì Kakashi con
un sorriso che, Kiba non sapeva dire perché, ma non era per nulla rassicurante.
<< Oggi c’è Combattimento, sono venuto proprio a portarti la tuta
>> disse, lanciandogli sul letto la divisa da ginnastica dell’accademia
St. Michael: pantaloncini al ginocchio dall’infausta apparenza super-aderente,
color verde pino, completi di t-shirt bianca con colletto e orli in tinta con i
pantaloni dove, ovviamente, sulla parte destra spuntava l’immancabile stemma
dell’accademia con ricamato il Sigillo di Salomone, simbolo della classe degli
Alchimisti.
Ci mancava solamente cognome e numero di maglia…
Inutile dire che lo sguardo disgustato di Kiba rifletteva il
suo attuale apprezzamento per l’idea di dover alzarsi per andare a fare fatica.
No, non fatica, non era quello il problema. E non era un problema nemmeno
alzarsi, dato che era stato steso a dormire per più di un giorno.
Il problema era la parola “combattimento”. Lui non sapeva le
arti marziali nemmeno ad inventarle, e l’unico stile di lotta che aveva
approntato era la “fuga dal doberman incazzoso dei vincini” che, a quanto ne
sapeva, era considerato uno sport pari al “salto sul divano” e al “tuffo
sull’amaca”, di sua personale invenzione e utilizzo.
Sconsolato accettò il suo destino, anche perché la
campanella risuonò rumorosa nell’aria, segnando la fine della pausa pranzo e
l’inizio delle varie attività pomeridiane.
Nella confusione, probabilmente distratto dal
chiacchiericcio continuo delle persone che erano venute a trovarlo, non notò
l’ombra di Neji che, poggiato di spalle al muro di fianco alla porta.
Sorrise, uscendo poi a passo calmo dall’infermeria.
C’erano due cose buone in quella situazione alquanto
apocalittica:
Uno: i pantaloni non si erano rivelati così aderenti come
pensava che fossero. Erano semplicissimi pantaloncini da ginnastica, e a lui
erano sembrati stile sottiletta solamente perché Kakashi gli aveva portato una
taglia in meno della sua abituale.
Due: erano così in tanti che, probabilmente (e ci sperava!),
l’insegnante in procinto di fargli quella benedetta lezione non lo avrebbe
notato, evitandogli così una magra figura davanti al terzo e quarto anno riuniti.
Perché sì, a causa del gran numero delle classi e dei pochi
giorni di lezione disponibili, si facevano lezioni congiunte fra gli anni dello
stesso corso.
Primo e secondo anno, il terzo con il quarto, e il quinto
che faceva alchimia pratica nel giardino retrostante la struttura. Dopo la
quarta esplosione, ovviamente ad opera di Deidara, aveva ardentemente
desiderato non essere al posto del maestro Kakashi in quei combattimenti
alchemici.
Si strinse nelle spalle, provando per la prima volta un
impellente desiderio di scomparire ingoiato dal terreno. L’unica pecca era che
il cortile era in cemento… poco male, aveva già avvistato un albero abbastanza
spesso con cui poteva entrare in simbiosi fino alla fine della suddetta
lezione, di modo da non dare nell’occhio e, soprattutto, da non farsi chiamare
in causa.
Tuttavia, i suoi illusionistici progetti di fuga furono
vanificati dalla figura che, rumorosa come al solito, gli piombò letteralmente
fra capo e collo rischiando di fargli perdere un equilibrio già sufficientemente
precario.
<< Allora, allora Inuzuka! >> esclamò Ino al suo
orecchio, i capelli biondi legati nella solita coda alta con l’unica differenza
che ora, il ciuffo che portava perennemente davanti al volto, era puntato sulla
testa con una forcina. << Emozionato per la lezione? >> chiese
tutta trionfante la ragazza, sorridendo felice all’aspettativa di ciò che stava
per venire.
Emozionato?! Oh, no, accidenti. Lui si emozionava per l’ora normale di educazione fisica, della sua
vecchia e normale scuola in cui
l’unico accenno di combattimento era spintonarsi dopo la normale partita di calcio che si faceva dopo i vari esercizi di
atletica. E non erano arti marziali degne di Tekken 4, ma semplice Street Fight
fatta di spintoni e promesse mai mantenute di batoste e risse nel dopo scuola!
<< …certo, sprizzo gioia da tutti i pori… >>
commentò fiaccamente sarcastico; ma Ino lo ignorò totalmente, ricominciando il
suo elogio all’ora di Combattimento, che doveva essere per forza la sua
preferita.
Donne…
Fu Sakura, immancabile se era presente anche Ino, a posargli
una mano sulla spalla con fare comprensivo. Almeno lei era un poco più attenta
alle reazioni altrui quando intratteneva una conversazione, dunque doveva
sicuramente aver capito che lui preferiva di gran lunga stare da qualsiasi
altra parte al posto di lì.
Non era mai stato restio allo sport, ma se c’era da fare una
figura assurda davanti a tutti se la risparmiava più che volentieri.
<< Suvvia Kiba, probabilmente il maestro Gai avrà
pietà di te e ti lascerà stare durante la tua prima lezione! >> disse la
ragazza, i capelli rosa tirati alla bene e meglio in una coda scompigliata
dietro la nuca.
l’Inuzuka rispose solo con una risatina sarcastica,
trattenendosi dal fare qualsiasi tipo di commento.
E poi… aveva altre cose a cui pensare.
Non voleva ammetterlo apertamente, e nemmeno a se stesso a
dirla tutta… ma tutta quella questione del cadavere nel taxi lo aveva veramente
messo sottosopra.
Senza contare poi quel sogno… con quello specchio. Cosa
voleva dire? Cosa stava cercando di dirgli?
E soprattutto: chi
stava cercando di dirgli qualcosa? Esisteva
poi questo fantomatico “chi”?
Si portò una mano agli occhi, lieto del fatto che Ino e
Sakura avessero prestato attenzione ad un gruppetto poco distante da lui. Non
riusciva a capirci più nulla, e tutte le volte che tentava di darsi una
spiegazione per quello che succedeva, ci capiva ancora meno di prima. Riflessi,
cadaveri, impronte digitali, cercoteri, suicidi… l’unica cosa certa, era che da
quando aveva messo piede all’interno di quella scuola, la sua vita era andata
lentamente ma inesorabilmente in una direzione ancora inesplorata. Come se, ad
un incrocio fiabesco, avesse deliberatamente scelto il sentiero tetro e cupo al
posto di quello baciato dai raggi del sole e pieno di cinguettii gioiosi.
Normalmente, nessuno sa dove andrà a finire la propria vita.
Ci si immagina un futuro, questo è vero… ma quante
probabilità ha, quel futuro, di realizzarsi? Quante, fra le infinite
combinazioni di avvenimenti, sarà quella che caratterizzerà il corso della
propria vita?
Nessuno lo sa. Ma gli esseri umani, anche se non sono
lungimiranti, sanno almeno prevedere come si svolgerà il futuro più prossimo.
Come sapere di avere un esame a scuola, oppure una partita
di calcio. Cose piccole, infinitesimali, ma che danno una garanzia: il fatto
che, anche se a breve, ci sarà di sicuro un futuro.
E’ un punto fermo. La classica luce in fondo al tunnel.
Lui, in quel momento… di luci non ne vedeva.
Lui era rimasto indietro, bloccato da chissà cosa, e pian
piano la luce era fuggita divenendo dapprima un puntino lontano, poi svanendo
nel nulla.
Non sapeva cosa avrebbe fatto domani, dove sarebbe capitato
per cena, se la settimana successiva sarebbe tornato a casa per una visita ai
genitori. Davanti a sé, non vedeva più niente.
Esistono persone senza futuro?
Lui esisteva davvero?
<< Inuzuka, ti senti bene? >>
Una voce lo riscosse dai suoi pensieri e, sobbalzando
leggermente, si riprese faticosamente dallo stato catatonico in cui era caduto.
Alzando il volto si trovò davanti la persona più particolare
che avesse mai visto osservarlo con occhi sbarrati e… tondi.
Si, non trovava altro modo per definirli.
Erano tondi e neri, profondi ma al contempo superficialmente
vivi e luccicanti d’energia. Due folte e grosse sopracciglia li delimitavano
dalla fronte, nascosta da una strana pettinatura a caschetto di capelli neri e
lucidi come piume di corvo.
Il ragazzo lo guardava con un’espressione strana, come se
fosse preoccupato, con una mano appoggiata sulla sua spalla. Aspetta… da quando
gli aveva appoggiato una mano sulla spalla? E soprattutto: quando gli si era
avvicinato? Ma poi… chi caspita era?!
<< S-sì >> rispose stralunato dalla vista di
quello strano tipo: << ero solo soprapensiero… >> rispose
automaticamente mentre i due poveri neuroni che aveva in testa lavoravano a
targhe alterne per scovare, da qualche parte nella memoria, dove avesse già
visto quello studente dalle sopracciglia folte.
Dopo un consulto interno, un breve meeting e qualche sinapsi
veloce, finalmente decretò che non l’aveva proprio mai visto.
<< Yosh! >> sbottò poi quello, facendo
sobbalzare Kiba a causa della rapidità della reazione… e del conseguente
sorriso che sorse sulle sue labbra. Spontaneo e libero. << Mi ero
preoccupato, sembravi sul punto di collassare! Da lontano ti ho visto sbiancare
come un cencio, così mi sono avvicinato >> blaterò poi, osservandolo
ancora in quella sua posizione fiera.
Si accorse solo in quel momento della tutina verde aderente
che indossava e, conseguentemente, degli scaldamuscoli arancioni che aveva alle
caviglie, in netto contrasto con il colore della tuta. Senza contare quella
bandana rossa in vita che stava lì senza un senso particolare.
Kiba non seppe che altro fare… o dire. Quella figura
d’insieme aveva provveduto a togliergli tutte le parole di bocca, compresi i
pensieri lugubri che gli erano appena balenati in mente.
<< Ah! Comunque io sono Rock Lee! >> si presentò
successivamente il ragazzo, porgendogli la mano con uno scatto veloce e
piantandogliela d’improvviso davanti al naso. << Che mancanza non
presentarsi prima, sono mortificato! >> esclamò, tenendo tesa la mano
destra in sua direzione.
Sono “mortificato”? Ma da quale pianeta veniva?! Anzi, da
quale secolo?
Coraggio Kiba riprenditi! Rapidità di reazione, forza! Non
stare a fissarlo a bocca aperta come uno stoccafisso!
Chiudendo la bocca e scuotendo appena il capo, anche il
castano allungò la mano ad incontrare quella di Rock Lee. << Kiba Inuzuka
>> si presentò successivamente: << ma suppongo che tu lo sappia già
>> aggiunse, sospirando esausto.
Ormai si era abituato a non doversi presentare in maniera
normale… e inoltre era anche abbastanza stanco per farlo.
Dannazione, era già distrutto ancora prima di muoversi…
pensare faceva davvero male, dovevano vietarlo. Come gli slogan sulle
sigarette. “Pensare UCCIDE” attaccato ai muri dell’accademia ce lo vedeva
proprio.
Tsk. Che umorismo da quattro soldi… stava peggiorando.
Proprio mentre Rock Lee stava per chiedergli qualcos’altro
(lo aveva notato prendere aria come si fa poco prima di dire qualcosa)
finalmente una voce adulta irruppe fra il vociare confuso del gruppo presente
per la lezione, sotto al cielo nuvoloso di quel martedì pomeriggio.
La fotocopia versione XXL di Rock Lee stava ora in piedi su
una tartaruga gigante (ma da dove era spuntata?!), la mano sinistra sul fianco
esageratamente all’infuori insieme alle chiappe, la destra in aria con la mano
piegata ad angolo retto sopra la testa e la stessa, identica, spiccicata tuta
verde super-aderente di Lee che fasciava un corpo palesemente adulto, mettendone
in risalto le natiche già in mostra a causa di quella posa assurda.
Viso squadrato dalla carnagione olivastra, occhi sottili e
neri, sopracciglia folte e stesso taglio a ciotola rovesciata che disciplinava
i capelli corvini e lucidi.
Semplicemente, l’insegnate di combattimento: Gai Maito.
Soprannominato “Bestia Verde” probabilmente per il colore
della tuta… e per il fatto che fosse un esperto di arti marziali, cintura nera
di non sapeva quanti Dan.
Gli avevano raccontato qualcosa di lui, uno dei primi giorni
di accademia. Era acerrimo rivale del maestro Kakashi, che sfidava una volta
ogni giorno a duelli insensati, la maggior parte dei quali erano sfide a
“Sasso, Carta e Forbice”. E le sanzioni che si auto-infliggeva all’eventuale
sconfitta erano ancora peggio; Ino gli aveva raccontato che, una volta, come
penitenza per aver perso si era fatto cento giri dell’accademia solo sulle
mani.
Era un elemento così particolare che Kiba, dal canto suo,
non aveva nemmeno la forza di ridere. Il solo vedere quella posa e quella
tutina gli aveva prosciugato tutte le energie che credeva di aver rimasto e/o
recuperato in un giorno e mezzo di sonno.
<< Bentrovati ragazzi! >> cominciò poi l’uomo,
scendendo dalla tartaruga che, se ne accorse dopo, era una semplice statua da
giardino.
E già il fatto che al posto dei nani usassero le tartarughe,
faceva pensare.
Evitando di pensare oltre al perché una riproduzione della
tartaruga di Dragonball stesse nel giardino dell’accademia, decise di dare
attenzione al suo insegnante… o almeno, sforzarsi di farlo senza ridergli in
faccia o assumere una delle sue scortesi espressioni ebeti.
Troppo tardi per quella, però. Quell’abbigliamento fotocopia
lo aveva lasciato troppo interdetto per non fissarli (entrambi, maestro e
allievo compreso) come si guardano un paio di stupidi.
<< Quest’oggi ci alleneremo sul combattimento libero a
coppie. Cinque minuti ciascuno, a rotazione, dunque trovatevi un compagno o una
compagna con cui esercitarvi >> disse Gai, mettendosi le mani sui fianchi
e tenendo il viso alto come se volesse mostrare tutta la sua prestanza fisica…
che non era granché.
Un brivido gelido gli scese lungo la schiena quando, con la
coda dell’occhio, notò il movimento di Lee al suo fianco, che aveva voltato il
capo in sua direzione.
Sapeva già cosa stava pensando… era logico supporlo.
Come era logico supporre che sì, davvero la fortuna era
cieca ma la sfiga ci vedeva benissimo. E sì… il destino lo aveva preso
veramente di mira.
Gli occhi di Rock Lee brillavano come fari nella notte e il
suo viso era improvvisamente illuminato da una luce particolare data dalla
motivazione e dall’energia infinita che doveva avere in corpo.
<< Kiba…! >>
<< Scordatelo! >> rispose subito al tentativo di
Lee di chiedergli “vuoi fare coppia con me”, sfoggiando l’espressione “cane
randagio” più minacciosa che potesse << e da quando ti ho dato il
permesso di chiamarmi per nome?! >> aggiunse… ma era tutto inutile:
l’espressione di Rock Lee non cambiava minimamente e, glielo si poteva leggere
in faccia, era più che determinato a fare sì che l’altro combattesse con lui ad
ogni costo.
<< Lee! >> sentì poi la voce del maestro Gai
chiamare il ragazzo, dall’alto della sua posa ridicola.
<< Sì, sensei! >> rispose subito il ragazzo
correndo incontro al maestro con la medesima tuta.
Dio… a guardarli da vicino erano veramente uno la
riproduzione miniaturizzata dell’altro, e nei loro occhi brillava la medesima
fiamma. La fiamma…
<< …della giovinezza! >> esclamò Gai, alzando un
pungo verso il cielo con le lacrime agli occhi.
…ok. Stava per dire “della ridicolaggine”, ma se la metteva
così non c’era problema.
<< Voi, nuove generazione, siete i tabernacoli per la
forza della giovinezza che scorre e vi rafforza, vi da la possibilità di fare
tutto ciò che volete e di resistere! Perché c’è chi nasce genio, ma anche
l’impegno e la determinazione contribuiscono alla creazione di geni! >>
continuò imperterrito il maestro, seguito a ruota da un Lee con le lacrime agli
occhi e le iridi piene di stelline nell’osservare il suo mito (perché dai, si
capiva che Lee adorava Gai…) inginocchiato accanto all’adulto nella loro
personalissima espressione artistica.
Kiba non ebbe più la forza nemmeno di respirare.
Cos’erano quelle baggianate? E quelle pose? Cos’erano quelle
lacrime che sgorgavano come ruscelli primaverili dagli occhi a palla di Lee e
da quelli sottili di Gai, e soprattutto… perché vedeva come sfondo
l’impetuosità delle onde del mare?!
Dov’era finito, in un anime giapponese?!
Smise finalmente di chiedersi se quella, nella sua anormalità,
potesse essere tuttavia considerata una scuola normale (fra le anormali),
arrivando all’effettiva conclusione che no, non era ammissibile per
quell’accademia anche un singolo briciolo di normalità.
E non solo. Il St. Michael la “normalità” non sapeva nemmeno
dove stava di casa.
Poi sospirò. Pace. Magari, mentre maestro e pupillo erano
impegnati nei loro reciproci teatrini, lui poteva approfittare per recuperare
il piano B appena scartato e tentare, quatto quatto e zitto zitto, di arrivare
nei pressi di quell’albero con cui sarebbe volentieri divenuto tutt’uno pur di
sparire.
Non ne ebbe il tempo.
<< Lee, hai già scelto un tuo compagno per
l’esercitazione di oggi? Purtroppo io devo pagare una penitenza, Kakashi mi ha
sconfitto a Tris questa mattina e non potrò essere il tuo partner >>
disse al ragazzo mentre gli studenti, probabilmente abituati alle uscite di
questo tipo dei due, si stavano già organizzando per appaiarsi.
<< Certo, sensei! >> rispose Lee, irrigidendosi
e mimando malamente il saluto militare: << mi eserciterò con Inuzuka,
siamo già d’accordo! >> disse, indicandolo direttamente con l’indice.
Fine della pace.
<< Non ci siamo affatto messi d’accordo! >>
sbottò subito Kiba in risposta, stringendo i pugni e osservandolo con
l’espressione più rabbiosa che potesse sfoggiare al momento… ma come si poteva,
davanti a due elementi del genere?!
Il maestro Gai lo osservò attentamente, squadrandolo da capo
a piedi con un’espressione incredibilmente seria. Pareva stesse studiando tutto
di lui, come la sua massa fisica o le sue potenzialità, stilando la probabilità
che potesse o meno farcela contro il suo Lee. Aveva gli occhi di un’aquila che
studia il bersaglio prima di attaccare.
Kiba rimase stupito di quello sguardo pungente e si raggelò
sul posto. Si vedeva che quello era un combattente di alto liv…
<< Inuzuka… dove l’ho già sentito questo nome?
>> borbottò Gai, assottigliando gli occhi nell’osservarlo.
…ora capiva perché facesse comunella con Kakashi. Probabilmente
erano le uniche due anime di tutta la scuola a non avere la minima idea di chi
fosse.
<< Oh beh, fa lo stesso. Divertitevi, io devo andare!
>> aggiunse sorridente, alzando una mano e posandola sulla testa di Lee.
<< Mi raccomando, non esagerare. Lo sai che dopo l’operazione devi stare
attento agli sforzi. Fai ardere la fiamma della giovinezza con moderazione!
>> disse infine, incamminandosi in direzione del cortile posteriore da
dove, tanto per gradire, il fungo di fumo di una quinta esplosione di Deidara
si levò alto nel cielo.
Ecco fatto, Kiba: benvenuto all’Inferno. Se vendi la tua
anima a Caronte, per l’attraversamento dello Stige ti farà uno sconto simpatia.
Sospirò affranto, lasciando le braccia lungo i fianchi e la
testa a pendere di lato. Si sarebbe fatto pestare.
Beh, magari se lo diceva a Rock lee che non aveva mai fatto
niente di arti marziali in vita sua, magari lo lasciava perdere…
Si riscosse da quello stato pensoso quando, con una
bruttissima sensazione di pericolo, un’ombra scura gli passò velocemente
accanto al volto, sfiorandogli l’orecchio e muovendogli alcune ciocche di
capelli solo con la pressione dell’aria.
Quando, spalancando gli occhi per la sorpresa, si vide Rock
Lee a pochissima distanza da lui, seppe improvvisamente che quella sottospecie
di proiettile che gli aveva appena sfiorato l’orecchio era un suo pugno.
Si fissarono per qualche istante soltanto… ma solamente quel
breve lasso di tempo sembrò durare minuti interi.
La faccia seria con cui ora lo fissava Rock Lee era una delle
cose più inquietanti che avesse mai visto, soprattutto se accompagnata da un
pugno dall’apparenza così violenta e da uno spostamento di parecchi metri fatto
in pochissimi istanti. Nemmeno se si metteva a correre con tutta la sua buona
volontà sarebbe arrivato a coprire una distanza simile in così breve tempo.
Era impossibile. Eppure Lee ci era riuscito.
Che quello fosse il suo avvertimento? Che gli stesse dicendo
esplicitamente: “ehi, adesso si fa sul serio”?
<< Un combattente sta sempre in guardia, Kiba!
>> gli disse invece e, con un movimento a mezz’aria, alzò la gamba destra
nel tentativo di tirargli un calcio laterale, dove effettivamente era scoperto
al momento.
Kiba chiuse gli occhi, pronto a ricevere un calcio sulle
costole degno di questo nome… ma non accadde. Riaprendo gli occhi, dopo averli
chiusi per reazione istintiva, si ritrovò… a parare con il suo ginocchio sinistro il calcio laterale che Lee aveva cercato di
tirargli.
Il suo corpo si era mosso da solo. E non a casaccio, no,
riproducendo una parata tipica del combattimento marziale.
Arte che in vita sua non
aveva mai studiato.
Non ebbe nemmeno la reazione mentale di rimanere
profondamente stupito da se stesso che il suo corpo, probabilmente reagendo
all’abitudine di qualcosa che aveva già fatto, approfittando della posizione
sua e dell’avversario inclinò in avanti il busto, cercando di sferrare un pugno
al volto di Lee.
Quello, prevedendo probabilmente la mossa, spinse indietro
la testa e, portando le mani a sostenere il corpo, si allontanò dall’Inuzuka
con una capriola all’indietro.
Che cosa diavolo stava succedendo? Perché il suo corpo
reagiva come se quei movimenti, per lui, fossero normali anche se non li aveva
mai fatti in vita sua? Perché era riuscito a parare un calcio laterale che gli
avrebbe sicuramente rotto due costole? E perché poi aveva contrattaccato?!
<< Eh, sei bravino… >> commentò l’altro,
osservandolo con una luce nuova negli occhi: quella del divertimento. Come
quando si trova un avversario degno di quel nome in una rissa del dopo scuola.
<< …bravino? >> ripeté Kiba, muovendo l’angolo
della bocca in un tic involontario.
Ok, quello era un affronto al suo orgoglio.
Sorrise di sghembo a quella sua stessa affermazione,
dimenticandosi in un istante tutte quelle strane sensazioni, tutti i dubbi e
tutte le preoccupazioni che aveva accumulato.
“bravino” col cavolo. Non si definiva il prossimo
capofamiglia degli Inuzuka con un semplice “bravino”.
Si mise in posizione, lasciando fare tutto al suo istinto.
Si chinò sulle gambe, fino a che il suo busto non fu a metà strada da terra,
alzando le mani a pararsi il viso e la parte del petto che era rimasta scoperta.
Sorridendo beffardo, poi, fece cenno con la mano a Lee di attaccarlo.
<< Bando alle ciance, supereroe con la tutina >>
aggiunse a voce: << vediamo di cosa sei capace >> lo sfidò
apertamente, attendendo in quella posa di guardia tutta particolare.
La guardia di una bestia in attesa di giocare con la sua
preda prima di finirla del tutto.
Anche Lee sorrise beffardo, rispondendo per le rime:
<< presta attenzione a con chi hai a che fare, Zanna Bianca (*2) >>
disse, ora con atteggiamento più malizioso nei confronti del castano: <<
potresti anche farti male! >> aggiunse, partendo all’attacco non appena
la frase fu conclusa, il passo veloce nel dirigersi verso l’altro con la mano a
pugno sollevata accanto al volto.
Kiba si concentrò e, grazie a quell’improvvisa voglia di
fare che lo aveva colto, si era reso conto che i movimenti di Lee non erano poi
così veloci come se li era immaginati.
Era come quando si osserva una partita di tennis. Se dalle
tribune guardi solo il movimento delle racchette, è ovvio che la pallina sembra
essere velocissima, quasi invisibile. Se invece si fissa l’attenzione sulla
pallina stessa, si riesce a prevedere l’andamento e la direzione che ha dopo il
colpo del tennista.
Era la stessa, identica cosa. Osservandone i piedi,
visibilissimi grazie a quegli scaldamuscoli color arancio, poté prevedere in
anticipo la mossa che intendeva fare, scansandosi di lato prima che il pugno
dall’altro lo raggiungesse. Esso colpì invece il terreno, sollevando una
piccola nuvola di polvere all’impatto.
E questo qui chi era, adesso? Rocky Balboa?!
Mentre ancora stava tentando di recuperare un equilibrio
stabile, Lee si gettò di lato a sua volta, nella sua stessa direzione, cercando
di colpirlo con un secondo pugno. Tuttavia Kiba era (o meglio, si era rivelato)
molto agile, e non fu difficile per lui scansarlo nuovamente, abbassandosi
ulteriormente fino a quasi sfiorare il terreno con il naso.
Approfittando della posizione, fu il momento di passare
all’attacco: spingendosi con le gambe riuscì a balzare in avanti con il busto,
mirando direttamente alla parte molle dell’addome, ovvero lo stomaco al di
sotto del plesso solare.
Era una delle prime parti da colpire in combattimento,
questo aveva imparato in quelle sporadiche risse a cui partecipava.
Ma Lee non si fece sorprendere più di tanto, proprio come
era logico aspettarsi da un semi-professionista. Con un movimento fulmineo
della mano parò il colpo, approfittandone e, aumentando la stretta sulla presa,
lo tenne vicino a lui in modo che non potesse balzare lontano in nessun modo.
Contemporaneamente, una volta trovato l’appoggio del terreno con entrambi i
piedi, cercò subito di portare un terzo attacco ai suoi danni, e dalla
posizione sembrava nuovamente un calcio laterale.
Essendo bloccato, questa volta non poteva di certo
abbassarsi o scansarsi. E anche se era una mossa poco furba, l’unica cosa che
poteva fare, a quel punto, era tentare di bloccare il calcio con la mano
libera, incrociandolo al braccio che Lee teneva ben stretto.
Una bruttissima posizione che non offre granché per
muoversi… però era l’unica cosa che poteva fare per salvarsi le costole. Quel
ragazzo, anche se aveva l’aspetto di un povero demente, era peggio di Karate
Kid.
Riuscì a malapena a parare il calcio, poi si separarono
entrambi in un balzo, probabilmente entrambi impossibilitati a condurre un
qualche tipo di attacco senza risultare ridicoli.
Si osservarono, leggermente ansimanti, sorridendosi entrambi
in maniera boriosa.
<< Ti ho rivalutato, Inuzuka >> disse il moro al
settimo cielo dalla contentezza, mettendosi nuovamente in posizione di
combattimento. << Era da un pezzo che non mi capitava qualcuno con cui
confrontarmi >> continuò, senza mai togliergli gli occhi di dosso.
Al contempo, intorno a loro, si era creato il silenzio. Gli
alunni di entrambe le classi guardavano stupiti l’allenamento dei due ragazzi,
commentando a bassa voce o, addirittura, astenendosi dal farlo per non perdersi
la prossima mossa. Sakura ed Ino, posizionate vicino ad altre loro compagne di
classe, osservavano tutta la scena con un’espressione a metà fra lo stupito e
l’incredulo.
Kiba osservò a sua volta l’altro, sorridendo beffardo per
non piangere. << Grazie, altrettanto >> rispose con finta aria
superba.
Ma lui, alla fin fine, doveva ancora sapere per quale
benedetto motivo riusciva a fare tutte quelle cose così fighe. E soprattutto
come aveva fatto a mandare il suo corpo in modalità “automatico” per farle.
Quella non era una cosa normale!
…cioè, perché… aveva la faccia tosta di considerarsi ancora una persona normale? Certo che
aveva un bel coraggio.
Fu il successivo urlo di Lee a risvegliarlo da quella
catalessi, un grido concitato che segnalava l’arrivo del suo attacco; il
ragazzo infatti si era messo a correre in sua direzione e, balzando a pochi
metri da lui, si era lanciato in un attacco aereo con la palese intenzione di
cambiare strategia ed attaccarlo dall’alto.
Elementare. Ma sciocco.
L’attacco dall’alto ha la pecca di essere diretto. Non ti
puoi muovere a mezz’aria, dunque è consigliabile farlo quando l’avversario è
impossibilitato a muoversi o non è sufficientemente abile per scansarlo.
Cosa che lui era. Ma non figurava come vantaggio solo per
questo motivo: l’attacco dall’alto poteva essere preso come un bersaglio
facile, proprio perché l’attaccante non si può muovere da quella posizione
mentre attacca.
Errore, Lee. Ora gli bastava un’arma da lancio e avrebbe
vinto.
Istintivamente… o forse rispondendo ad un impulso
particolare che nemmeno lui sapeva quale fosse, la sua mano destra scattò a
cercare qualcosa a livello della sua coscia.
Come se dovesse estrarre qualcosa di utile.
Ma non trovò nulla. E, negli istanti in cui lui si guardò la
gamba stupito della sua sicurezza e, allo stesso tempo, della sua ignoranza,
Lee ebbe tutto il tempo di preparare il calcio… e di centrarlo in pieno.
Era uno shuriken,
l’oggetto che cercava.
Il problema, era che lui non sapeva nemmeno cosa fosse, uno
shuriken…
<< Inuzuka, comincio a chiedermi come sia possibile
che tu passi più tempo in infermeria che nel resto dell’accademia >>
borbottò Kabuto, sospirando mentre si appropinquava con uno svolazzare di
camice all’armadietto delle medicine.
Kiba ammortizzò il colpo con classe, limitandosi a sfoderare
di nascosto una smorfia seccata. << Sinceramente me lo sto chiedendo
anche io… >> soffiò a mezza voce, tenendosi sollevata con pochissima
voglia la maglietta a mezze maniche, mettendo in mostra un bellissimo livido
color blu-violaceo sulla parte laterale destra del costato.
Ricordino di Lee. In un riflesso quasi istantaneo era
riuscito a parare, con le braccia, il perfetto calcio modalità “Boeing 747” scagliato
dal ragazzo, che aveva silenziosamente minacciato il suo collo. Certo, le
braccia erano ridotte peggio di un campo di battaglia dopo il passaggio
dell’artiglieria pesante, però era un dolore trascurabile.
Peccato che, nella violenza del colpo, si fosse sbilanciato…
e il successivo calcio in volo lo aveva preso in pieno, sentendolo in tutta la
sua brutale potenza distruttiva.
Altro che Rocky Balboa, Rock Lee faceva a gara con Chuck
Norris.
<< Hai combattuto contro Lee, giusto? >> chiese
poi Kabuto, ritornando in sua direzione con un tubetto bianco dal nome
impronunciabile. << Quel ragazzo è un genio delle arti marziali. Si
allena solo in quelle, dato che non può usare l’Alchimia, così si è presto
guadagnato la fama di miglior combattente dell’intera accademia. Si dice che
solo Itachi Uchiha sia stato in grado di sconfiggerlo >> continuò
tranquillamente, posando la pomata sul lettino dove era seduto Kiba e facendo
qualche risvolto alle maniche del camice.
<< Ecco perché era così bravo, c’è il trucco >>
commentò l’altro, cercando di guardare ovunque tranne che Kabuto. Nonostante lo
avesse curato più e più volte ormai, non riusciva comunque a fidarsi di quel
ragazzo. C’era qualcosa nel suo insieme che gli faceva venire i brividi lungo
la schiena.
<< Ma da quel che ho sentito, anche tu non te la sei
cavata male >> aggiunse il medico, sorridendo pacatamente nel prelevare
un guanto di lattice da una scatola in cartone poco distante. << Gli hai
tenuto testa. Complimenti, non ti facevo un tipo da arti marziali >>
disse, probabilmente senza doppi sensi.
Ma fu Kiba ad attribuirgli tutti i doppi sensi di questo
mondo, e anche i tripli.
E adesso come gli spiegava che non aveva mai visto le arti
marziali nemmeno da lontano, in vita sua? E che si credeva di avere delle armi
legate alle gambe quando invece non c’era assolutamente niente?
Oh, già se lo immaginava: “sai, se uno shuriken si fosse
materializzato nella mia mano con una strana trasposizione astrale,
probabilmente lo avrei centrato e avrei vinto io! Ah, giusto, manco so cosa sia
uno shuriken, fa lo stesso?”
I casi erano due: o Kabuto lo prendeva per matto, oppure lo
sbatteva fuori a calci e gli diceva di arrangiarsi.
Preferì il silenzio. Nonostante l’idea di andarsene a cena
(dato che ormai era calato il sole) non era male, soprattutto se si toglieva di
lì… ma poi sfidava la sorte nel cercare qualcuno che avesse una pomata par
farsi passare quel Caravaggio in blu e viola che aveva sulle costole.
Una volta che Kabuto ebbe terminato di infilarsi i guanti,
poggiò cautamente e delicatamente le mani sulla parte contusa, cominciando a
tastare le costole una ad una.
Kiba, che alla prima scossa di dolore aveva coraggiosamente
resistito, alla seconda non ebbe altrettanta fortuna e trattenne il fiato con
un mugolio sommesso.
<< Oh, scusami >> si premurò di dire subito
l’altro: << devo controllare che non ci sia nessuna costola fratturata,
altrimenti ti tocca andare in ospedale. Ti farò un po’ male >> avvertì
infine, continuando nel suo lavoro.
Dirlo prima no?! Magari si preparava mentalmente e si
metteva il cuore in pace!
Altro, altro… doveva pensare ad altro.
Beh… aveva talmente tante beghe ultimamente, che di certo le
cose a cui pensare non gli mancavano. A cominciare da quei ricordi strani,
passando per i comportamenti anomali del suo corpo per arrivare, infine, a
Shikamaru.
Già, Shikamaru. Aveva evitato di chiederglielo per un fatto
di cortesia ma… le sue reazioni, ogni qualvolta vedeva il vicepreside, erano
sempre violente e rabbiose.
Ed era capitato anche con il maggiore degli Uchiha, una
volta.
…cominciava a pensare che Shikamaru gli nascondesse
qualcosa. Era il suo ragazzo, no? Poteva almeno accennarlo, piuttosto che fare
completamente finta di nulla e lasciarlo a preoccuparti per un’ulteriore gatta
da pelare.
Dopotutto… poteva essere il suo ragazzo quanto voleva, ma
l’unica persona che Kiba non avrebbe mai voluto incarnare era quella del
ficcanaso.
Doveva aspettare. Sì, aspettare e vedere come si evolveva la
situazione. Se proprio quell’idiota Testa d’Ananas non si fosse deciso a
spiccicare parola, allora avrebbe chiesto qualcosa.
Cielo, com’era difficile avere una relazione!
La sua tiritera di elucubrazioni mentali fu poi interrotta
dal suono di una suoneria famigliare. Vibrando nella tasca dei suoi pantaloni,
il cellulare richiamò completamente la sua attenzione con la suoneria al massimo.
Il castano si voltò in direzione di Kabuto che, alzando lo
sguardo, gli diede tacitamente il permesso di parlare al telefono.
Lo estrasse e, osservando lo schermo, piegò le labbra in
un’espressione disgustata. La parola “madre” brillava quasi sinistra sul
display.
Beh, almeno sarebbe stato un indice di distrazione.
<< FIGLIO
DEGENERE! >> sbottò la donna dall’altro capo, costringendolo a
distaccare il telefonino dall’orecchio per non vedersi il timpano crollare a
pezzi. << Lo sai chi mi ha
chiamato, eh? La polizia Cristo Santo! E sai cosa mi ha detto? Che mio figlio
era deceduto! Morto, capisci?! E ADESSO TU MI SPIEGHI COME CAZZO E’ POSSIBILE,
MALEDETTO IMBECILLE! >> urlò nuovamente, riuscendo a fracassargli
l’orecchio nonostante tenesse il telefono a distanza di sicurezza.
Sì certo, e adesso come glielo spiegava?
<< Sai mamma, potrei spiegartelo in circa cinque modi
e in diverse lingue, ma dubito che mi crederes- AHIA! >> esclamò
sobbalzando involontariamente ad una fitta di dolore più acuto, causato dalle
dita di Kabuto.
<< Scusa >> sibilò quello, continuando più
delicatamente la sua opera di verifica fratture.
<< E tu provaci! >> esordì invece a madre: << sono assolutamente curiosa di sapere
in che altro casino ti sei ficcato, Kiba, veramente. E lo sai il perché? Perché
puntualmente tu devi infilarti in qualche casino di sorta e rischiare di farti
espellere! >> blaterò a voce alta, così udibile che persino Kabuto
non riuscì a trattenere una risatina, sentendola.
Il castano lanciò all’altro
un’occhiataccia che quello non vide, tornando poi a concentrarsi sulla madre
isterica. Poverina, la capiva anche… ma era assolutamente fiducioso che, anche
se avesse provato a dirle tutto, lei avrebbe finito per non credere ad una sola
parola. Tanto valeva rimandare il discorso a tempi più “adatti”.
<< Mamma, prova a fidarti di
me per una volta, ok? Come favore personale >> le disse velocemente, nel
tentativo di interrompere quella telefonata che, se lo sentiva, in caso di
fallimento sarebbe durata per più di due ore senza risoluzione alcuna.
Un leggero silenzio seguì
dall’altra parte per qualche istante, interrotto poco dopo dalla voce della
donna, ora dall’intonazione calma seppur severa: << l’ultima volta che mi hai detto questa frase ti se fatto
bocciare all’esame del patentino dello scooter >> disse lei.
<< Però poi l’ho superato
>> rispose Kiba di rimando, il tono furbo di chi pregusta un’esile
vittoria all’orizzonte.
La madre tacque per un altro poco,
sospirando rassegnata alcuni istanti dopo. <<
Suppongo non esista cura per la tua sfiga… >> disse, sospirando di
nuovo. << Va bene. Ma ne
riparliamo, stanne certo>>
minacciò, ora quasi completamente rassicurata. << Non morire, impiastro. I funerali costano >> ribatté
infine, pronta a riattaccare.
Sì, beh… magari non era proprio un
amore di mamma, ma questo era il suo personale modo per dire che a lui ci
teneva.
<< Ah, aspetta mamma!
>> intervenne il ragazzo prontamente, prima che la donna riattaccasse. Aspettò
di sentire di nuovo la sua voce, e quando lei disse un seccato “cosa c’è ancora?”
lui ebbe l’occasione di fargli quella domanda che, seppur priva di significato,
continuava a ronzargli in testa da quando si era risvegliato. << Questa
notte ho sognato Akamaru, te lo ricordi? Mi sai dire che fine ha fatto? non
riesco a farmelo venire in mente… >> domandò noncurante, annuendo al
cenno di “ok” appena fattogli da Kabuto.
Perfetto, almeno non aveva nessuna
costola il procinto di perforargli la pleura.
Osservò il ragazzo afferrare il
tubetto con il nome impronunciabile mentre la donna, ancora al telefono,
rimaneva in un attonito silenzio.
<< E chi sarebbe Akamaru? >> chiese poi, sensibilmente
stupita.
<< Come “chi”? >>
chiese Kiba: << il mio cane, me lo avete regalato tu e Hana quando ero
piccolo! >> ribatté distrattamente, mentre con la mano destra si teneva
bene su la maglia, per non impiastricciarla con la pomata che Kabuto era in
procinto di spalmargli sulla pelle color uva.
<< Figlio, fatti vedere da uno bravo >> fu la risposta
della madre: << tu sei allergico al
pelo dei cani, ricordi? Noi un cane non lo abbiamo mai avuto. Scappavi da
quelli dei vicini proprio perché ti scatenavano l’asma >> ribatté.
Non seppe quando aveva cominciato
a trattenere il fiato, se alla parola “allergico” o al completamento di tutta
la frase in sé. Ciò che sapeva, era solamente che si ricordava un cane bianco
con le orecchie rosse che non aveva mai avuto.
E non credeva, non voleva credere
che fosse tutta una finzione. Perché si ricordava di avere voluto bene a quella
piccola palla di pelo, di averlo accarezzato, curato e trattato come il suo
miglior compagno.
Certi sentimenti non si possono
falsificare. E nemmeno i ricordi, di questi sentimenti.
L’affetto non si può contraffare.
<< Kiba? >> disse la madre al telefono, distraendolo.
Per il bene suo, e soprattutto del
suo personale tormento che ormai sfiorava livelli record, doveva sforzarsi di
accantonare, almeno per adesso, quella questione.
Era solamente un altro pezzo del
puzzle, un tassello staccato che doveva rimettere a posto, niente di più.
Niente di più…
<< Si, scusami. Ora devo
andare >> abbozzò solamente, distaccandosi il telefono dall’orecchio e
spingendo il tasto rosso. Osservò assorto il display con la mente vuota, senza
sapere cosa pensare o che spiegazione darsi.
Era semplicemente impossibile.
<< Tutto bene? >>
chiese l’infermiere con voce modulata, cominciando con l’indice a spalmare
delicatamente una pomata gialla dall’odore forte sulla parte contusa.
Gli venne la pelle d’oca, non
seppe però se per il gelo della crema o per la stilettata appena ricevuta.
<< Sì >> disse solo,
cercando di controllare il tono di voce in modo da non farlo sembrare sconvolto
più di tanto. Doveva controllarsi, o sarebbe impazzito davvero.
Improvvisamente, due colpi secchi
sul legno della porta lo fecero sobbalzare lievemente. Ormai il sole, del tutto
calato, aveva fatto posto al buio e dalla finestra non si vedeva null’altro che
la luce fioca della luna, per la maggior parte coperta dal riflesso del neon
rimandato dal vetro.
Kabuto sbuffò e, poggiando
nuovamente il tubetto sulla relativa scatola in cartone, voltò il capo in
direzione della porta bianca. << Avanti! >> esclamò poi,
impossibilitato a togliersi i guanti per andare ad aprirla da solo.
Con un lieve cigolio della
maniglia che veniva abbassata, il viso affilato e pallido del vicepreside
Orochimaru comparve dalla fessura, scivolando velocemente all’interno
dell’infermeria prima di richiudersi la porta alle spalle.
<< Buonasera, Orochimaru-sama
>> salutò cordialmente Kabuto, tornando ad occuparsi della pomata:
<< non la aspettavo in infermeria, oggi >> continuò
tranquillamente, tornando a spalmare quel gel oleoso sul livido del ragazzo.
<< Difatti… >>
commentò solamente l’uomo, la voce sibilante e rauca: << tuttavia ho
dovuto antipare alcune cose e avrei bisogno del tuo aiuto, di sotto. Potresti
andare? Finisco io di medicare il ragazzo >> si offrì pacatamente,
sorridendo maliziosamente al responsabile dell’infermeria.
Kabuto, da parte sua, non batté
ciglio. Kiba lo osservò togliersi i guanti in lattice, gettarli con media
lentezza nel cestino in plastica bianca accanto alla scrivania e, sistemandosi
il camice, uscì dalla porta senza aggiungere parola.
Gli ricordò enormemente un fidato
allievo che seguiva ogni parola del maestro come se fosse quella di un Dio, ma
non volle assolutamente fissarsi troppo su quel tipo di pensiero. Ne aveva già
abbastanza a cui pensare e, sinceramente, al momento era la presenza
dell’inquietante figura del vicepreside ad agitarlo più del resto.
Probabilmente lo osservò con lo
sguardo più sospettoso possibile, poiché subito l’uomo prese a rassicurarlo…
come era meglio capace: << non temere, Inuzuka. Ero un medico, prima di
venire qui >> disse sulle prime, evitando di mettersi i guanti in lattice
come il suo collega precedente e, afferrando il tubetto, posizionò una piccola
quantità di pomata sulla sue dita per poi riprendere ciò che Kabuto aveva
interrotto.
Nonostante il tocco del
vicepreside fosse molto più sgraziato di quello del predecessore, non si diede
la libertà di sobbalzare, o di mugolare per quel dolore che inevitabilmente gli
scorreva lungo le pelle e fino al cervello.
<< Ero passato per vedere
come stavi, ad essere sincero >> cominciò melenso l’uomo, il cui tono di
voce e la calcolata lentezza delle espressioni vocali non facevano altro che
mettergli addosso i brividi.
<< Sto meglio >> mentì
kiba in parte, rispondendo velocemente per troncare quella conversazione in
modo altrettanto veloce. Come una mano era impegnata a trattenersi la
maglietta, l’altra rimaneva aggrappata alla plastica del lettino, pronta a
scattare in ogni momento.
Si sentiva in pericolo e non
capiva nemmeno il perché.
<< Ottimo >> ribatté
subito l’uomo. << Però sai… >> esitò poi, terminando di spalmargli
la pomata e chiudendo con spensierata lentezza il tubetto: << …è un vero
peccato >> terminò, richiudendo la confezione per poi appoggiarla alla
scrivania.
Non capì a cosa si riferisse. Ma
quando si ritrovò nuovamente addosso le mani dell’uomo, entrambe, che da sopra
la maglietta carezzavano lentamente la sua schiena risalendo aperte verso le
scapole, un brivido più forte degli altri gli percorse la spina dorsale.
E questa volta anche Orochimaru lo
aveva percepito, tramite la leggera contrattura dei muscoli infra-scapolari che
il castano aveva involontariamente fatto.
Nonostante la situazione, Kiba si
sforzò di rispondere: << cosa è un peccato, signore? >> chiese,
cercando di non palesare il disgusto che provava nel sentirsi le mani dalle dita
affusolate dell’uomo salire sempre di più, sempre più lentamente, in direzione
del suo collo in un’ambigua carezza lungo la spina dorsale.
Da dietro, Orochimaru sorrise
malignamente. E Kiba, grazie proprio al buio che aveva ormai reso i vetri dei
meri specchi, poté vederlo.
Ma fu troppo tardi per scattare.
Con un ultimo balzo le mani del
vicepreside si chiusero sulla sua gola, fredde come l’inverno, premendo le dita
gelide sulla sua carne soffice.
Orochimaru poté sentire sotto le
dita, in corrispondenza della giugulare, il battito velocizzato del cuore di
Kiba e questa sensazione, unita probabilmente alla follia che già ne consumava
l’anima, lo fece sorridere ancora più malignamente, trasformando tale sorriso
in un ghigno di sadica pazzia.
<< Mi temi, Inuzuka?
>> chiese, ignorando completamente la domanda.
Il castano rimase immobile,
terrorizzato, senza però darlo a vedere. L’orgoglio era molto più potente della
paura, in quel frangente, e anche se questa era la cosa più stupida del mondo
il desiderio di non lasciarla vinta a quell’essere (che definire “umano” era
una sfida a Madre Natura stessa) era addirittura più pressante della paura.
<< Io non ho paura di lei
>> mentì perfettamente, osservando lo sguardo dell’uomo tramite il
riflesso del vetro.
<< Coraggioso da parte tua,
ma sicuramente poco saggio >> commentò l’altro, aumentando
impercettibilmente la stretta.
E la aumentò pian piano sempre di
più, affondando le dita in quella carne morbida e calda, fino a che non prese a
fare male davvero e Kiba, non riuscendo più a respirare con regolarità, dovette
forzatamente gettare la maschera e portarsi le mani alla gola, cercando di
liberarla da quelle affusolate dell’altro.
Ma non funzionava. Nonostante la
forza e tutta le sue buone intenzioni, la stretta del vicepreside diveniva
pressante e sicura senza cedere mai.
Era forte come un pitone che
avvolge la preda per spezzarle tutte ossa, prima di ingoiarla e lentamente
digerirla.
Gemette dal dolore, Kiba, nel vano
tentativo di dibattersi e liberarsi da quelle mani così forti. Ormai la stretta
si era fatta talmente possente che non gli era possibile nemmeno respirare.
Il panico lo invase, portato dal
terrore sviluppatosi d’un tratto in tutte le sue ossa. Lo stava uccidendo, e
lui glielo stava addirittura permettendo.
Quella forza non era normale.
<< Sai Inuzuka, sono rimasto
molto sorpreso di vederti nella mia accademia >> sussurrò quello fra un
gemito e l’altro, mentre lo teneva saldamente per il collo nonostante Kiba si
stesse dibattendo con tutte le sue forze per liberarsi da quella silenziosa
presa di morte. << Pensavo sinceramente che non ci avresti mai messo
piede. Insomma, mi ero prodigato così tanto per fare il lavoro di persona…
potevi almeno ringraziarmi finendo i tuoi giorni con dignità >> continuò
divertito.
Le iridi dorate dell’uomo, viste
da Kiba dal riflesso nel vetro, si assottigliarono e la pelle intorno al viso
cominciò a crepare e a separarsi, formando piccole squame bianche dallo strano
riflesso rosato alla luce del neon. Le dita, al contempo, si imprimevano sempre
più nella carne del ragazzo che, oramai, aveva smesso di sentire l’aria
arrivargli nei polmoni.
Le tempie pulsavano mentre il
cuore, improvvisamente in assenza di ossigeno e in procinto di uno stato di
shock, aumentava i battiti già notevolmente sostenuti. Le dita di Kiba si
stringevano convulsamente attorno ai polsi di Orochimaru, cercando di
allontanarli senza il minimo successo.
<< Dimmi, Inuzuka… perché
sei ancora VIVO? >> domandò
Orochimaru, sibilando ora come solamente un serpente poteva fare.
Cercò ancora di liberarsi, ma
inutilmente si dimenava con tutto se stesso.
Stava morendo.
Il Signore
giudica con le fiamme e con la spada.
All’improvviso una luce scaturì
dal crocifisso che portava sempre al collo, stretto fra le dita del vicepreside
insieme alla pelle del castano.
La catenina in oro cominciò a
surriscaldarsi, arrivando in pochissimi secondi ad una temperatura
insopportabile per la pelle gelida di Orochimaru che, scottato, piuttosto che
lasciare il collo dell’Inuzuka prese ad urlare di dolore, come un forsennato,
espandendo la voce sino a limiti in cui un umano non poteva arrivare… ma una
bestia sì.
Quando finalmente il crocifisso
bruciò la pelle dell’uomo tanto da far sì che lo lasciasse, cadendo sul
pavimento Kiba si portò subito le mani al collo, cercando velocemente di
respirare di nuovo, di far sì che l’aria penetrasse lungo la sua gola, riarsa e
dolorante, rientrando nei polmoni e permettendo che la respirazione
riprendesse.
Una volta che la vista fu stabile
e che le lacrime furono scivolate dagli occhi lungo le guance, alzò lo sguardo
su colui che aveva cercato di ucciderlo, osservandolo contorcersi alla luce che
scaturiva dal crocifisso che ancora portava al collo e che, proteggendolo,
formava ora una specie di scudo di fiamme tutto attorno a lui; fiamme bianche
che divampavano luminose per tutta la stanza, fuoco che non bruciava,
silenzioso e candido come neve, ma che sembrava ardere la pelle del
vicepreside, urlante di dolore con le braccia a proteggersi il volto.
Quella voce che aveva appena
sentito rimbombare nella sua testa era la stessa, identica a quella che aveva
udito quella sera, quando la spada di cristallo si era manifestata e aveva
preso forma da quello stesso ciondolo sacro che ora lo proteggeva.
Osservando la scena, poté
finalmente vedere il vero aspetto che si nascondeva dietro la maschera pallida
di quell’uomo che si faceva dare l’appellativo “-sama” come se fosse una
divinità: nella parete, l’ombra proiettata da quel fuoco candido guizzante di
azzurro disegnava otto code serpentine che, come impazzite, si muovevano
velocemente in una danza contorta.
Il demone serpente delle otto
code: Yamata no Orochi.
E la prima maschera, cadendo, si infranse al suolo in cocci di
porcellana.
Chapter
No.10 ~ End
(*1) Carpa Kohaku: tipo di carpa
tipica giapponese, bianca e rossa. Solitamente la si mette nei laghetti delle
case tradizionali ed è comunque molto diffusa.
(*2) Zanna Bianca: romanzo di Jack
London. Lee, in questo caso, vuole sfottere Kiba giocando sul significato del
suo nome. Infatti, in giapponese “kiba” significa letteralmente “zanna”.
(*3) “Il Signore giudica con le
fiamme e con la spada”: detto sinceramente, non so dirvi con precisione da
quale parte della Bibbia provenga questa citazione. Penso dall’Apocalisse di Giovanni, ma non ne sono
completamente sicura. Entro il prossimo capitolo cercherò di far luce su questa
faccenda, tanto la devo leggere il ogni caso. La citazione, comunque, in questo
caso è presa dal manwa/manga “Knights of the Apocalypse” di Ko Ya Sung
(edizioni Star Comics) che mi ha ispirato parecchio e che citerò anche in uno
dei prossimi capitoli.
Ultima noticina e poi me ne vado
^^’’’
Avverto la gentile clientela che,
come detto sopra, la sottoscritta ha un turno di esami. Probabilmente scriverò
a rilento, dunque fino al 10 come minimo non riuscirò a scrivere il nuovo
capitolo.
Mi scuso davvero tanto per il
ritardo, farò del mio meglio per pubblicare la Nona Eco quanto prima *si
inchina*
Capitolo 12 *** Interlude 03 - L'Equilibrio del Mondo ***
Devo per forza cominciare questo capitolo con delle scuse
Devo per forza cominciare questo capitolo con delle scuse.
Sono idiota, lo so. Prometto cose
che non mantengo, so anche questo. Sono indietro come una nespola fuori
stagione… sì, accidenti! ç____ç
Mea culpa. Avevo
sottovalutato la frequenza con cui si deve studiare all’università. Credevo di
poter scrivere di notte, ma dovendomi alzare presto (indovinate a far cosa? A
studiare, esattamente!) a causa di orari del treno
impossibili e tratte ancora peggiori, non potevo di certo rimanere in piedi
fino alle 4 del mattino. Crollavo addormentata a lezione e non era
assolutamente il caso! XD
In ogni caso, eccomi di ritorno. Molto in ritardo rispetto
alla data che avevo scritto nel capitolo precedente,
ne sono consapevole, ma cerchiamo di vedere il lato buono (anche se sembra più
un’arrampicata sugli specchi…):rampicata
sugli specchi...il lato buono (anche se sembra più un'ta che avevo scritto nel
capitolo precedente, ne sono consapev voti abbastanza buoni fanno Yoko
felice ed operosa.
Perciò, eccomi qui con l’undicesimo
capitolo, quartultimo della fic. Ultimo Interlude
dedicato tutto a Neji e Itachi.
Per chi lo aspettava, buona lettura.
Per chi non se lo aspettava, se ha deciso di leggere ringrazio sentitamente.
Per chi mi aveva dato per morta… ehi, io sono peggio
del prezzemolo U.u
Preparatevi psicologicamente però, credo proprio che sarà un
capitolo un po’ lungo da digerire ^^’’’
Avviso inoltre che in questo capitolo si parlerà
abbondantemente di religione. Tutto quello che scrivo, dato
che ipuò avere svariate interpretazioni, fa parte di
una mia personale visione dei fatti narrati nei testi sacri (che non ho letto
integralmente, chiedo perdono XD) e adattati
alla trama di questa fanfic. Specifico
dunque che potrebbe non essere la versione ufficiale come
io potrei non avere capito una mazza di quello che ho letto per scrivere il
capitolo.
Ordunque, buona lettura!
P.S. : Per cause di forza maggiore
(non mi ricorderei assolutamente cosa volevo scrivere in risposta ai commenti e
non vorrei fare uno zibaldone senza senso) per questo capitolo mi risparmio (e vi risparmio XD) le risposte ad personam
per i commenti del capitolo precedente, ovviamente apprezzatissimi.
Riprenderò dal prossimo (se ce ne saranno XD).
Chapter
11 ~ Interlude
03
Per la prima volta,
desiderò di trovarsi in un sogno.
Sì, proprio in uno
dei suoi soliti sogni senza senso.
Perché
non erano reali. E anche se magari lo sarebbero diventati, sul momento,
mentre li sognava e li guardava, non lo erano.
Non lo erano mai.
Ma non poteva
illudersi che quella non fosse la realtà. Non poteva
prendere in giro se stesso in quel modo.
Era in pericolo. E
se non si faceva venire un’idea all’istante, sarebbe
morto.
Sarebbe morto davvero.
Osservò nuovamente
le fiamme bianche avvolgerlo in uno scudo candido, lievi come petali di rosa ma
letali quanto il fuoco vero.
Davanti a lui, le
mani portate al volto come se volesse proteggersi senza poterlo realmente fare,
Orochimaru di dimenava urlando, gridando a voce
talmente alta che, nelle note più acute, vibrava di uno stridore mostruoso.
Vedeva la pelle
dell’uomo bruciare, colpita da quelle stesse fiamme
che lui poteva toccare senza ferirsi. Sentiva il peso del crocifisso
incombente sul suo collo, causa di quella protezione inattesa, e brillava di
quella luce candida quanto quella del sole se non di più.
Togliendosi le mani
dal collo, lasciando che il fiato penetrasse nuovamente nei suoi polmoni, si
sentì bruciare la gola. Respirò a fondo, più volte, senza tuttavia spostare gli
occhi dal mostro che si dibatteva furente, urlando improperi in una lingua che
non riusciva a capire.
Tutte quelle urla lo
stordivano, lacerandogli i timpani con la violenza di un tornado, e quando il
tono prese ad aumentare ancora di più dovette per forza portarsi le mani alle
orecchie, assottigliando gli occhi in una smorfia infastidita ma, sempre e comunque, senza spostarli dal vicepreside.
Doveva continuare a
guardarlo. Non doveva togliere lo sguardo da lui un solo secondo.
Se chiudeva gli occhi, poteva perdersi un
eventuale suo attacco. Se chiudeva gli occhi, poteva venire
colpito senza nemmeno possibilità di reagire, o di scansarsi.
Se chiudeva gli occhi, poteva morire.
<< LASCIAMI!
>> gridò poi il l’uomo, anche se “uomo” ormai non poteva più essere
chiamato: << MALEDETTO! MALEDETTO TU E LE TUE FIAMME! MALEDETTO MICHELE!
MUORI! MUORI E SII DANNATO! >> aggiunse furioso, emettendo poi un rantolo
di dolore mentre tendeva ogni muscolo della sua pelle fino al limite estremo,
fino a quando ogni suo arto non assunse sotto agli occhi
di Kiba una forma innaturale, piegandosi ad angolature impossibili per
qualunque essere umano. Le dita delle mani scattavano come fuscelli spezzati,
scricchiolando sinistre mentre lo scheletro cominciava a mutare, deformando
prima gli arti, poi il costato.
La pelle lattea
cadeva, seccandosi, staccandosi dalla muscolatura che, tesa e liscia, appariva
dura come l’acciaio. Al posto dei piccoli stralci di cute essiccata crescevano
quelle che sembravano squame lucenti, bianche come porcellana, che andarono a
ricoprire la pelle delle braccia e di parte del viso. Dalla bocca spalancata si
potevano vedere denti sottilissimi ed aguzzi da cuistillavano fiotti di veleno violaceo, colando
dalla mandibola fino a gocciolare sul pavimento.
Gli occhi, gialli e
dalla pupilla allungata, lo osservavano come se fosse un succulento spuntino
pronto per essere divorato. Infuriavano d’ira, odio e rancore, uniti ad una
follia omicida che si poteva sentire a pelle, concretizzata dai brividi che a
Kiba correvano lungo la schiena, paralizzandolo.
Poi,
il colpo che non vide.
Mentre ancora le otto code prendevano forma sulla schiena di Orochimaru,
un braccio superò la barriera di niveo fuoco che li divideva, colpendolo in
pieno con quello che doveva essere un pugno… o un’artigliata.
Sentì solamente
dolore. E solo quando, sfondando il paravento, terminò la sua corsa contro il
muro dell’infermeria si rese conto che il braccio che
lo aveva colpito sembrava più un traliccio di puro acciaio che un arto.
In maniera molto
cruda, poté percepire nitidamente la sua spina dorsale sbattere contro i
mattoni che formavano l’anima del muro, quasi sentendo sulla pelle il solco
lasciato dalle strisciate di cemento fra un mattone e l’altro.
Quando cadde a terra, di rimbalzo rispetto al
colpo che aveva ricevuto, una pioggia di calcinaccio gli si riversò addosso.
Tentò di
sollevarsi, impossibilitato a fare anche il minimo respiro, pregando nella sua
mente che le braccia tremolanti che ora fissava fossero in grado di sollevarlo.
Non se le sentiva.
Dalla sua prospettiva, anche se vi somigliavano, potevano non essere le sue.
Ad un improvviso
conato di vomito, sputò sangue. Il sapore del ferro in bocca ed in gola era la
cosa più fastidiosa che avesse mai provato. Lo aveva odiato già dalle poche
risse a cui aveva partecipato… ma ora era diverso.
Ai vecchi tempi al
massimo si incrinava una costola. Ora pensava di
essersene rotte una dozzina, di costole.
Tuttavia, in quella nuova atmosfera ovattata e
sfocata, anche il dolore era sordo e lontano.
Vedeva tutto come
se fosse stato dall’altra parte di una vetrata opaca, un universo deformato e
ridondante, così come debole sembrava tutto il tormento che il suo corpo doveva
provare.
Forse era davvero
un sogno… o forse, aveva raggiunto quella soglia in cui anche la sofferenza
fisica sfumava nel nulla.
Tremante,
reggendosi in piedi per puro spirito di sopravvivenza, si portò una mano alla
piccola croce che gli pendeva dal collo. Le fiamme protettrici erano scomparse
nel preciso istante in cui era stato colpito ed ora Orochimaru, o quello che
alla sua vista sembrava lui, terminava la semi-trasformazione in demone facendo
comparire anche l’ottava coda in squame bianche.
Strinse con forza
il crocifisso, cercando di ignorare il pulsare furioso
della sua testa e il flusso di liquido caldo che sentiva scendere sulla guancia
destra e sul collo.
La spada. Aveva
bisogno della spada.
<< Ti… pre…go… >> rantolò, sperando con tutto se stesso.
Ma non succedeva niente.
Ansimò, trattenendo
il fiato per provare a ripetere nuovamente la parola come se fosse l’unico modo
che aveva per richiamare a sé la forza, ma non riuscì a pronunciare nulla.
Il fiato gli si
ruppe in gola.
Maledizione,
maledizione!
<< D… an… naz… >> sussurrò senza
nemmeno riuscire a terminare la frase, costretto ad appoggiarsi al muro per
rimanere in piedi.
Dal centro della
stanza, nella egoistica magnificenza del suo potere,
Orochimaru lo guardava nella sua nuova condizione di invincibilità.
Metà
umano e metà bestia.
<< A corto di energie, Inuzuka? >> sfotté con voce sibilante,
mostrando i denti veleniferi come un cobra in procinto di attaccare.
Kiba, nella sua
impotenza, non poté far altro che sorridere di rimando, sfrontatamente.
Non voleva morire
in modo così deficiente.
No… semplicemente
non voleva morire, punto.
Non
ora che aveva trovato qualcosa di bello. Non ora che la vita, nonostante tutto, sembrava avere imboccato la
direzione giusta.
Scostò gli occhi
per un secondo, vedendo solamente di sbieco il collo di Orochimaru
allungarsi proprio come una serpe, lanciandosi con la testa in sua direzione.
Avrebbe fatto
quello che il suo istinto gli urlava di fare da quando aveva rimesso piede in
infermeria.
Sarebbe scappato.
Sarebbe
sopravvissuto per poter rivedere ciò che gli era caro e, infine, per tornare di
nuovo più forte di prima.
Lui non fuggiva con
la coda fra le gambe: avrebbe lasciato il campo di battaglia in
attesa della rivalsa.
E si sa che la vendetta è un piatto che va
servito freddo.
Aspettò, paziente,
che l’attacco lo raggiungesse. Secondo dopo secondo, sembrava che la sua vista
si abituasse alla velocità dell’attacco, come solamente poche
ora prima aveva fatto con Lee.
Attese sino
all’ultimo secondo, fino a che non vide nitidamente i denti minacciare di
chiudersi sul suo collo… poi si scansò.
Si buttò di lato,
cadendo esattamente davanti alla porta distrutta mentre il demone piantava la
bocca sul cemento, distruggendo uno dei mattoni.
<< Dove credi
di andare?! >> sbottò furioso, facendo ritornare la testa sul corpo e
preparandosi ad un altro attacco.
Questa volta però
Kiba non stette a guardare e, guadagnando
faticosamente la porta, cominciò a correre per il corridoio.
Ripose tutto il suo
coraggio e il suo fiato in quella corsa. Ad ogni falcata il malessere si faceva
più intenso; ad ogni contrattura di muscoli una nuova fitta lambiva la sua
pelle, lasciandolo senza respiro. Tuttavia correva, il
più velocemente possibile, consapevole di essere braccato.
Dietro di lui,
infatti, l’essere serpentino si muoveva veloce lungo il corridoio, vibrando in
aria le code che come fruste distruggevano tutto ciò su cui si posavano.
Gutturali rumori di vetri rotti e porte frantumate rimbombavano per tutto il
corridoio e il loro suono lo inseguiva ancora più velocemente della bestia che
voleva nutrirsi della sua carne.
Si sentiva
intrappolato nei suoi limiti umani.
Voltò l’angolo
rapidamente, appoggiandosi con la mano al muro per non cadere a terra. Si
sbilanciò nel passo per riprendere la corsa da quell’improvviso rallentamento,
gemendo di dolore nello sforzo di non fermarsi, riprendendo poi a correre più
velocemente che poteva.
Ma nonostante tutto, Orochimaru era sempre
alle sue calcagna. Per ogni metro percorso il demone ne guadagnava il doppio.
Se continuava così non sarebbero bastate le curve a gomito per
evitarlo, così come non avrebbero potuto fra nulla corridoi e porte trasformati
in provvidenziali ostacoli.
Era spacciato.
<< Puoi correre più veloce di così
>>
Trattenne il
respiro, per quanto fiato potesse effettivamente
trattenere.
Una voce rimbombò
nitida nella sua testa; diversa da quella che udiva ogni volta che il crocifissosi risvegliava, ma famigliare, fin troppo
famigliare…
Era in tutto e per
tutto simile alla sua.
Eppure lui non aveva… parlato.
Respirando ormai
solo superficialmente fece l’ennesima curva, imboccando velocemente il ponte
sospeso, rilucente dei riflessi provocati dalla fioca luce della Luna sui vetri
delle molteplici finestre.
Fu in quel momento
che, voltando il capo verso la sua immagine su quelle stesse
vetrate, vide chi gli stava
parlando.
Riflesso in quella
trasparente superficie, un altro se stesso lo guardava correre, correndo a sua
volta in quel mondo a parte al di là dello specchio.
Un se stesso che
aveva già visto in sogno.
I pantaloni, la
maglia scura, la camicia che non trovava… era il Kiba Inuzuka del primo giorno alSt. Michael, quello che lo
guardava tramite le finestre, e lo aveva incontrato in quello stranissimo sogno
dello specchio.
Quel Kiba Inuzuka
che gli aveva appena parlato era lo stesso riflesso di quell’incubo.
La differenza era…
che ora non stava dormendo.
Fissandolo dalvetro, quel Kiba non sembrava affaticarsi. Aveva il
volto impiastricciato di sangue, come quella volta, e l’unica differenza era
che adesso sembrava… ustionato, su tutto il braccio destro sin dove la manica
strappata della camicia permetteva allo sguardo di vagare. Ed anche il viso, a
sua volta, sembrava essere stato raggiunto da una fiamma che ne
aveva lambito la gota destra fin sotto l’occhio.
Ma quello… quello era…?!
<< Puoi correre più veloce di così
>>ripeté
quello, facendo sì che la sua voce rimbombasse di nuovo nella testa di Kiba.
<< Cos… stai…
>>
<< Fidati di me >> lo interruppe << segui l’istinto. Tu corri molto più veloce, e lo
sai! >> ripeté per l’ennesima volta.
Non era vero,
diamine! Quello era il massimo che poteva fare, il limite estremo a cui il suo
corpo poteva arrivare!
Oltre quella
velocità avrebbe perso ogni forza, sarebbe finito vittima
del mostro che lo inseguiva imprecando e gorgogliando insulti insensati.
Non poteva correre più veloce, era impossibile!
<< Non… poss… >> ansimò faticosamente, notando la vista
cominciare a sfuocare.
No, no!
Non adesso, non
ora!
<< Puoi >> insistette quello. <<
Devi solo ricordare come… >> aggiunse prima che il ponte sospeso
finisse, ponendo fine a quel riflesso e alla sua voce.
Istintivamente,
senza pensarci, imboccò la destra in direzione dei dormitori maschili.
Correre più veloce?
Ricordare?
Ricordare cosa?!
Lui non era mai stato un velocista, non aveva mai
vinto le olimpiadi per i 100 metri piani! Non sapeva correre oltre quella
velocità, non poteva nemmeno pensarlo nello stato pietoso in cui era messo!
Stava correndo senza nemmeno respirare, senza nemmeno cercare di considerare il
dolore che sicuramente il suo corpo stava patendo!
Però… in qualche modo, sentiva che quell’ombra
aveva ragione.
Che lui poteva, sul serio, correre più veloce.
Bastava… sì. Spostare in avanti il peso del corpo, portare indietro le braccia
per fare da contrappeso e lanciarsi con tutta la potenza delle gambe nella
corsa. Qualcuno doveva averglielo insegnato, da qualche parte.
Ci provò. Inclinò
il petto e stese le braccia indietro. Automaticamente, per una questione di equilibrio, le gambe cominciarono a muoversi più
velocemente, ai limiti quasi delle sue forze, implorando il suo corpo di
resistere ancora, di non cedere sul più bello.
Seguì l’istinto. E
quando si fu abituato al passo, il corridoio scorreva
di fianco a lui così velocemente che i colori delle vetrate dipinte e della
tappezzeria bordeaux sembravano mescolarsi insieme.
Orochimaru lo seguiva ancora, poteva sentirne i rumori di distruzione. Ma sembravano parecchio più distanti, ora.
Arrivando alla fine
del corridoio, l’unica cosa che poté fare fu quella che gli garantì la
sopravvivenza.
Senza nemmeno
riflettere, seguendo solo istinto e speranza, staccò con il destro da terra
saltando verso l’ultima finestra del corridoio… che sfondò di peso, coprendosi
il volto con le braccia.
Fece in tempo
solamente a vedere il suolo avvicinarsi sempre di più, la gravità attirarlo a
sé senza possibilità di scelta; chiuse gli occhi istintivamente ma all’ultimo,
proprio quando stava per aspettarsi il peggio, due braccia
lo sostennero; una volta caduto in quell’abbraccio dalla forza mai sentita, la
direzione in cui stava cadendo cambiò di botto, invertendosi.
Riaprendo gli
occhi, nella nebbia della sua vista ormai al confine fra coscienza ed
incoscienza, poté riconoscere a stento un paio d’ali nere come pece. Iridi
rosse lo osservavano calme e rilassate mentre rumori
lontani gli giungevano, nascosti fra il più forte frastuono del vento nelle
orecchie.
Itachi Uchiha!
Cercò di parlare,
di ribellarsi se possibile, ma sia la voce che le forze lo avevano ormai
abbandonato.
Uchiha lo aveva
salvato? Uchiha Itachi lo aveva veramente preso al volo prima
che diventasse una specie di frittata sul cemento del cortile?
Avrebbe voluto
urlargli in faccia che poteva farcela da solo, che doveva lasciarlo andare… ma
si rendeva conto, purtroppo, di essere più
paragonabile ad una pezza di stoffa che, anche lontanamente, ad un essere
umano.
<< Reggiti
>> disse poi l’Uchiha, il timbro di voce profondo e di insita
pacatezza.
Non aggiunse altro,
ma avvertendo il modo in cui stava volando Kiba poté rendersi conto che stava
scansando qualcosa; spingeva le ali alla loro massima estensione possibile, per
poi richiuderle, cadere in picchiata e riaprirle di nuovo, planando bruscamente
fino quasi a fermarsi a mezz’aria.
Lui faceva del suo
meglio, tenendosi alla giacca della divisa che il ragazzo indossava. Non aveva
né la rapidità mentale né la forza per aggrapparsi più saldamente e rischiò più
volte di precipitare nel vuoto. Poté vedere, in quei rari momenti in cui il
volo di Itachi rimaneva regolare, che il ragazzo
volava in circolo sopra l’accademia ad un’altezza tale che le persone erano
irriconoscibili. Era come se aspettasse qualcuno e, nel contempo, cercasse di
tenerlo lontano da eventuali pericoli.
C’era una
battaglia, là in basso.
Chi stava
combattendo? Chi rischiava la vita?
E soprattutto… perché lui era tenuto distante
da tutto quello? Perché non lo lasciavano combattere?
Poteva
farlo, aveva la forza!
Era sicuro che potesse richiamarla quella spada, in un qualche modo!
<< Portami…
giù…! >> riuscì a dire, cercando di distinguere chi fossero
quelle figure che si muovevano così speditamente nel cortile dell’accademia e che
lui riusciva a percepire solo come puntini in movimento nel buio.
<< No
>> rispose Itachi, lasciandolo sgomento.
Prese fiato per ribattere, ma fu lo stesso Uchiha ad anticiparlo:
<< tu devi starne fuori, questo è il nostro compito >> disse,
osservando prima lui poi la battaglia sotto di loro.
“Nostro”? Strana
parola, soprattutto se uscita dalle labbra del maggiore degli Uchiha.
Non ebbe tempo di
chiedere il perché di quell’aggettivo, né di poter ipotizzare chi, insieme ad Itachi, lo voleva fuori da quella situazione: nel cielo
sopra l’accademia un paio d’ali dorate fecero improvvisamente la loro
apparizione, come se il sole stesso avesse dispiegato le sue.
Nell’illuminata
notte, Neji osservò dal cielo il cortile del Saint
Michael con lo stesso sguardo con cui un giudicatore guarda un giudicato; nelle
sua impeccabile figura, perfettamente immobile con le ali spalancate, portò in
avanti la mano sinistra come a voler afferrare un arco e la mano destra subito
dopo, indice e medio ripiegati come nel voler tenderne la corda.
In una luce
accecante color rossiccio, un’impugnatura dorata comparve nella mancina di Neji,
a cui si aggiunsero sottili e lunghi flettenti bronzei fino a formare un arco
vero e proprio, la corda somigliante ad un filamento di diamante ora testa
nella classica posizione di un arciere in procinto di scoccare.
Una volta, in
televisione, aveva visto una riproduzione su tela di un saggittario
che scoccava una delle sue frecce.
Aveva pensato che
fosse una delle più belle mai viste. L’immagine che vedeva ora, tuttavia, non
sfiorava nemmeno di striscio quella bellezza: la superava in tutto e per tutto.
Una freccia di energia prese forma fra le mani di Neji, e in quel
preciso istante la scoccò in direzione del cortile. L’aria, creando come un
risucchio al vibrare della corda, venne presto invasa
da una luce accecante che lo costrinse a chiudere gli occhi.
Quando li riaprì, l’accademia intera era piombata nel silenzio. I
rumori della battaglia non provenivano più dal basso, tutto taceva e, ne era quasi sicuro, una figura era distesa a terra nel
cortile, inerme.
<< Lo ha…
ucciso? >> chiese istintivamente.
<<
No >> rispose Itachi << non può farlo >> spiegò brevemente:
<< lo ha solo bloccato temporaneamente. Yamata no Orochiè un osso duro >> terminò,
ritornando momentaneamente ai suoi standard di conversazione.
Alzando gli occhi
verso Neji, sentì improvvisamente una rabbia spropositata invadergli il petto.
Lui sapeva
qualcosa. Anzi no, loro
sapevano qualcosa.
Neji and Itachi’sHymn
L’Equilibrio
dei Mondi
Atterrarono in
sordina davanti all’ingresso dell’accademia, planando silenziosamente mentre
tutta la scuola veniva, per sicurezza, evacuata a gruppi di venti persone per
volta.
Aveva visto gruppi
di persone uscire dall’ala ovest mentre erano ancora in volo e i membri del
Consiglio Studentesco aiutavano alcuni dei professori a mantenere la calma
nelle fila, camminando nella notte in direzione della città più vicina.
Cosa gli avevano raccontato, agli studenti? Che
scusa avevano usato, se avevano deciso di utilizzarne?
Come si spiega la
trasformazione di una persona in un mostro?
Smise di porsi
queste domande quando, riappoggiando finalmente i piedi per terra, sentì
nuovamente le energie mancargli.
Fece un passo, che
andò male, ma prima di cadere a terra fu Itachi a sostenerlo. Si portò
silenziosamente il suo braccio sulle spalle, cominciando poi a camminare in
direzione del portone di legno massiccio intarsiato.
<< Ci riesco
anche da solo >> disse Kiba, ritrovando
finalmente fiato per pronunciare qualche parola in fila senza rischiare
l’apnea.
<< Io non
credo >> fu la risposta dell’Uchiha, che
continuò a sorreggerlo facendo di testa propria.
Preferì non
ribattere, anche se la tentazione di scansarsi era forte. Purtroppo, complici i
suoi neuroni che avevano deciso di cooperare per il bene comune, capiva che se
avesse perso quell’appoggio sarebbe rovinato a terra come un sacco di pere.
Con il buio della notte le figure scolpite sulle ante dell’enorme porta erano
inquietanti e sinistre. Alla lattiginosa luce dei tre quarti di luna le ali
degli angeli si trasformavano in scarabocchi bitorzoluti, mentre i tralci di
vite assomigliavano più a radici secche e sfibrate arrampicate sul legno.
Fermandosi davanti
a quelle stesse icone, Itachi spinse il battente di
destra con la mano libera, riuscendo con facilità a farlo scorrere sui cardini
fino a creare un’entrata sufficientemente larga a farli passare.
Kiba rimase
interdetto per qualche istante, mentre attraversavano l’ingresso penetrando
nella scuola buia ed impolverata odorante di calcinaccio. Ormai non si stupiva
più di cose come quella appena successa; supponeva che per Itachi fosse una
cosa normale aprire un portone in legno massiccio con
una mano sola e senza nemmeno forzarlo.
Con una calma di
cui non lo credeva capace, il mezzo demone lo accompagnò con pazienza lungo il
corridoio di sinistra, arrivando all’atrio piccolo. L’accademia era ormai vuota
e probabilmente le uniche due anime ancora lì erano proprio loro.
<< Non dovremmo
andarcene anche noi? >> chiese, stupendosi di come la sua voce riuscisse a creare un’eco così forte in tutto quel silenzio.
<< Non è il
caso >> rispose il ragazzo, conducendolo verso
il corridoio per le aule di Letteratura ed Esorcismo: << Orochimaru è
tenuto sotto controllo da sua eccellenza Jiraiya, dalla preside e da altri
professori, ma Kabuto è ancora a piede libero >> aggiunse, imboccando
senza tentennamenti un secondo corridoio sulla destra.
In tutta
quell’oscurità Kiba non poteva vedere nulla. Cominciava a chiedersi quante
caratteristiche avessero i mezzosangue più dei
semplici esseri umani.
Aspetta due
secondi, replay.
<< Yakushi è ancora in giro e noi restiamo qui!? >>
domandò poi improvvisamente, fermando il passo e facendo sì che dovesse per
forza fermarsi anche l’Uchiha.
Il moro lo osservò
di sbieco, senza però dare segno di impazienza o
seccatura, per poi riprendere a camminare. << Da solo non può fare niente >> si limitò a rispondere, senza più
aggiungere nulla.
Cominciava ad
odiare quel dannatissimo modo di fare. Risposte elusive, abili cambi
d’argomento, silenzi. Senza poi contare tutti i guai che gli gravitavano
attorno come i pianeti al sole: i sogni, i suicidi, l’empatia, i misteri…
persino la morte sembrava essersi invaghita, dato che se alcuni lo davano per
morto in un incidente d’auto, quello che teoricamente lo aveva causato lo
voleva morto ancora più di prima.
Si rabbuiò,
aggrottando le ciglia e abbassando lo sguardo finchè non incontrò il pavimento
con gli occhi. Se veramente Orochimaru aveva cercato di ucciderlo settimane prima, e a sentire i poliziotti ci era anche
riuscito… lui… che ci faceva ancora lì?
O meglio, lui… chi era?
E se non doveva stare lì… dove doveva stare?
La lotta, la corsa, le armi… era sicuro di non aver mai fatto nulla di
tutto quello, di non avere mai imparato a correre in quel modo nemmeno quando
il famigerato cagnaccio dei vicini minacciava di stampargli la sua impronta
dentale sulle chiappe.
Come
era altrettanto sicuro
di non aver mai imparato a combattere in quel modo, a quella velocità e con
quella precisione.
C’erano troppe cose
che non riusciva a capire, troppi pezzi del puzzle che
non combaciavano.
Voleva avere le sue
risposte. E, dopo aver sentito Itachi Uchiha… sapeva
anche da chi pretenderle.
Rialzò lo sguardo
pochi istanti prima che l’Uchiha si fermasse davanti
ad una porta, non diversa da tutte le altre dell’accademia se non per la
presenza di una targhetta in ottone con sopra inciso “Consiglio Studentesco”.
Quasi logico, ogni
consiglio ha una stanza per le riunioni.
Bussò due volte,
delicatamente, di modo che non venisse prodotto un
suono troppo rumoroso. Dopo qualche istante si udirono alcuni passi avvicinarsi
sempre di più alla porta che, con uno scatto della serratura, si aprì
silenziosamente.
L’espressione palesemente
preoccupata di Hinata si rasserenò quando, dalla fessura da cui guardava, vide
Kiba. Probabilmente era atteso, gli venne da pensare, ma l’unico saluto che si
sentì in grado di fare fu un lieve sorriso. Dopo che tutti i suoi dubbi gli
erano ritornati alla mente, sentiva improvvisamente tutta la stanchezza e il
dolore che fino a quel momento aveva ignorato.
<<
Uchiha-san, Inuzuka-kun! >> esclamò lei
sorpresa, scostandosi dalla porta in modo che i due potessero passare.
C’erano quasi
tutti. Naruto e Sasuke, seduti a gambe incrociate sulla scrivania alla loro
sinistra, erano voltati l’uno verso l’altro. Naruto aveva interrotto l’opera di
fasciatura di un avambraccio del minore degli Uchiha, che ora guardava in loro direzione con l’espressione più furiosa che
Kiba gli avesse mai visto addosso. Aveva l’aria di uno che si tratteneva a
stento dal commettere un omicidio, e lui era pronto a scommettere che non sopportasse molto la presenza del fratello maggiore nella
sua stessa stanza.
Appoggiate al
davanzale dell’unica finestra presente, esattamente di fronte alla porta, Ino e
Sakura lo salutarono con un sorriso stanco e in cenno
della mano. Avevano le dita di entrambe le mani
fasciate con della garza e le giacche blu delle divise erano chiaramente
sporche di polvere e gesso. Avevano combattuto, ne era
certo, e lo dimostravano alcuni cerotti sul viso e sul collo.
All’angolo sulla
destra, infine, il viso che più di tutti gli altri aveva inconsciamente
desiderato di rivedere.
Shikamaru se ne
stava nascosto nell’ombra a fianco della finestra che la stanza, illuminata
solamente dalla luce lunare, provvedeva a formare.
Osservava Itachi con gli occhi ridotti a due fessure ed emanava (anche senza
l’empatia si poteva capire perfettamente) un’ intento
omicida quasi dello stesso livello di quello di Sasuke.
<< Lascialo
>> soffiò furente in quello che non sembrava di
certo un consiglio amichevole.
A Kiba si raggelò
il sangue nelle vene. La voce e l’atteggiamento appena visti non avevano nulla
a che fare con lo Shikamaru pigro e svogliato con cui aveva a che fare quasi
tutti i giorni.
Era rabbia pura
quella che scaturiva dagli occhi di Nara, un sentimento radicato dedicato tutto
al ragazzo che ora lo stava ancora sostenendo.
Un silenzio carico
di tensione cadde nella stanza buia mentre i due si fissavano negli occhi, i
muscoli tesi ma senza muoversi di un millimetro.
<< Non si
regge in piedi >> fu l’unica cosa che disse
Itachi, probabilmente per giustificare la sua vicinanza al castano.
Shikamaru aggrottò
le sopracciglia in un picco d’odio che Kiba percepì come un’ondata che gli
chiuse lo stomaco. Era debole, stanco per giunta, anche se non lo avrebbe mai
ammesso… dubitava che avesse la forza sufficiente per mantenere un buon
controllo sulla sua empatia.
Eppure, rimanere così vicino ad Itachi non gli
dava assolutamente fastidio. Nonostante la prima volta
che si erano incontrati la paura lo aveva bloccato sul posto, adesso la
vicinanza al mezzo demone non gli causava la minima oscillazione emozionale.
Era come… stare
accanto ad una roccia. Uchiha Itachi non trasmetteva nessuna emozione
e non faceva trasparire il minimo sentimento.
Si chiese se fosse
un’altra “dote” dei mezzi demoni, se avesse un enorme autocontrollo… oppure se
proprio non ne possedesse, di sensazioni.
<< Shikamaru,
mantieni la calma >> lo riprese Naruto dalla
parte opposta della stanza, l’espressione e il tono di voce più seri del
dovuto.
<< Sarò calmo
quando gli toglierà le mani di dosso >> rispose a tono il moro, senza
però staccare gli occhi da quelli di Itachi.
Naruto si zittì e Kiba
lo osservò per un istante, fissandolo mentre teneva gli occhi azzurri puntati
su Shikamaru. Quella serietà non era da lui.
Cosa diavolo stava succedendo? Cosa gli stavano… nascondendo?
Si morse il labbro
inferiore, cominciando pian piano a posizionare meglio
i piedi, in modo che potessero sostenerlo almeno da fermo. Se
camminava era spacciato, ma non pensava che il semplice atto dello stare in
piedi si rivelasse un problema.
<< Ce la faccio >> disse poi rivolto ad Itachi, senza tuttavia
spostare lo sguardo in sua direzione.
Probabilmente
l’Uchiha capì le sue intenzioni, dato che in pochi
istanti lo lasciò andare e si spostò con un balzo verso la parete di destra
della stanza, rimanendo in piedi a sua volta. Capiva la situazione, Kiba ne era sicuro, e si comportava come chi era consapevole di
essere sgradito e faceva di tutto per non far notare la sua presenza più di
tanto. Aveva un motivo per stare lì, ne era sicuro,
altrimenti sarebbe quasi certamente andato da qualche altra parte.
Dopo questa mossa,
la tensione di Shikamaru (e di tutti) si sciolse notevolmente. Fu il moro ad
avvicinarsi a lui, calcolando i passi lungo la stanza ed esponendosi finalmente
alla luce.
Era ridotto uno
schifo. La coda che solitamente gli racchiudeva i capelli in cima alla testa era quasi del tutto sciolta e la sciava cadere
molteplici ciocche sul collo e di fianco a viso. Gli occhi erano rossi e gonfi,
la gota sinistra solcata da due graffi paralleli, la divisa scolastica quasi a
brandelli. Le mani erano arrossate, come scottate, e tutto intorno alle unghie
vi erano solchi mediamente profondi che ancora odoravano di sangue.
Sembrava uscito da
un campo di battaglia. Cosa che, effettivamente, non
poteva dire che non ci fosse stata.
Nonostante
il suo aspetto a dir poco pietoso, però, la sua vicinanza gli provocò la stessa
sensazione di sempre.
Serenità, ora che la rabbia sembrava essersi almeno un poco
dissipata, e un famigliare e debole calore.
Shikamaru gli
poggiò una mano sulla guancia, andando con l’altra a cercare la sua per
intrecciarne le dita con le proprie.
<< Sei uno straccio… >> sussurrò appena, osservandolo
quasi dispiaciuto.
<< Tu non sei messo meglio >> rispose Kiba con un mezzo sorriso.
<< Stai bene?
>> domandò subito dopo il moro, spostando la mano dalla gota al collo in
una carezza rassicurante.
<< Sono
ancora in piedi, no? >>rispose
ironico il castano, sorridendo più apertamente.
<< Sì, per
miracolo… >> ribatté nuovamente Shikamaru, sospirando una ritrovata
tranquillità prima di appoggiare la fronte sulla sua spalla.
Aveva tante di
quelle domande stipate nel cervello che non avrebbe saputo quale scegliere per
prima. Avrebbe voluto domandargli tutto, indiscriminatamente, oppure cedere
alla tentazione e farsi un altro viaggio nei suoi ricordi per cercare un
indizio sulle risposte che cercava per se stesso. Lo avrebbe fatto… ma sapeva anche che quelle domande, quei tanti interrogativi
che levitavano nella sua mente, non erano tutte per Shikamaru. Anzi, più della
metà era per un’altra persona.
Scostando
nuovamente lo sguardo su Itachi, interruppe con la sua voce quel nuovo
silenzio: << dov’è Hyuga? >> chiese.
<< Arriva
>> gli rispose quasi di rimando Sakura, scostandosi dalla finestra
insieme ad Ino.
Spalancando la due vetrate, l’elegante figura dell’arcangelo si posò con
grazia sul davanzale, balzando dentro la stanza senza il minimo rumore o la più
piccola perdita d’equilibrio. Una volta all’interno, le ali dorate si
scomposero in polvere d’oro per poi dissolversi nell’aria.
Non appena la
finestra fu richiusa, gli occhi bianchi dello Hyuga si
posarono immediatamente su quelli di Kiba, che lo fissava a sua volta con
un’espressione di indiscutibile fermezza.
Neji sorrise
ironico, stirando appena l’angolo della bocca. << Te ne sei finalmente
reso conto? >> chiese quasi beffardo.
Nel silenzio
generale, Kiba non poté far altro che rispondergli con l’unica cosa che poteva
fornire, la verità. Tuttavia, la sua voce risuonò dura e seria: << ho una
mia idea >> rispose << e molte domande >> aggiunse poi.
<< Cosa ti fa pensare che io abbia le tue risposte? >>
domandò di rimando Neji, ritornando la solita maschera di serietà.
Kiba non rispose,
limitandosi ad osservarlo. Lui le aveva, le sue risposte, e il suo unico punto
debole era che non poteva mentirgli.
Le creature angeliche
non avevano il permesso di mentire.
Si fissarono per
alcuni istanti, prima di essere interrotti. Il timbro profondo di Itachi distrasse sia Neji che Kiba dal loro reciproco
squadrarsi.
<< Hyuga,
penso sia giunto il momento di dirgli quello che sappiamo >> disse
pacatamente, appoggiato con la schiena al muro e con le mani nella
tasche dei pantaloni.
<< Già
>> aggiunse poi Sasuke, sorridendo beffardo in direzione dell’arcangelo:
<< sono molto curioso anche io di sentire questa storia >> disse strafottente.
Lo
Hyuga sembrò giudicare
la situazione per qualche istante poi, sospirando, finalmente cedette: <<
Fatti curare da Hinata e cambiati >> disse << dobbiamo parlare
>>.
Una volta infilata la
divisa che Neji aveva avuto riguardo di portargli, e
dopo aver sperimentato per l’ennesima volta i poteri curativi di Hinata, era
finalmente seduto davanti alla persona che avrebbe finalmente risolo i suoi
problemi. O, se non tutti, almeno la maggior parte.
Mentre si cambiava
era venuto a sapere che molti degli studenti non avevano la minima idea di cosa
fosse successo, dato che a quell’ora erano quasi tutti
i sala mensa, ed erano stati evacuati utilizzando la scusa di una fuga di gas.
Solamente quelli che non erano in mensa in quel preciso
istante sapevano la verità e, che lui sapesse, erano tutti in quella stanza.
Inoltre, non tutti
i professori avevano lasciato l’edificio. Il maestro Kakashi, per esempio, era
rimasto insieme alla preside a tenere sotto controllo YamatanoOrochi, o Orochimaru che
fosse.
Guardandosi
intorno, seduto come gli altri su una delle cattedre con Shikamaru vicino, poté
vedere che non era l’unico a voler sentire quella storia; Sasuke sembrava molto
interessato, anche se si teneva a debita distanza dal fratello maggiore e non
lasciava mai il fianco Naruto. Cosa che faceva anche
Shikamaru con lui, da quando si erano ritrovati.
Non
che gli desse fastidio, no di certo. Ma non riusciva sinceramente a vedere il
motivo di tutta quella tensione fra Itachi e il suo ragazzo. Insomma, Sasuke
poteva capirlo, ma Shikamaru che motivo aveva di odiare l’Uchiha così tanto?
Contrariamente a
quanto si aspettava, non pareva una persona così cattiva…
Fu lo Hyuga ad interrompere il filo dei suoi pensieri, quando
tutti ebbero preso posto: << desideri chiedermi qualcosa in particolare?
>> disse, rivolto verso di lui.
Per alcuni istanti
Kiba pensò a quale fosse la domanda più opportuna da
porre per prima. Dopo averci riflettuto, però, decise di trasformare in parole
la prima che gli balenò in testa: << sono davvero morto? >> chiese,
lo sguardo serio e deciso come se quell’argomento non lo sfiorasse nemmeno.
Contrariamente a
Sakura, Ino, Naruto e Sasuke che si guardarono sbigottiti fra loro; Neji,
Itachi e soprattutto Shikamaru sembravano sapere di cosa
stesse parlando. L’Uchiha fra tutti parve non essere disinformato
nonostante Kiba pensasse che, fra tutti, proprio lui fosse quello a cui una
cosa simile potesse interessare di meno.
Neji, dal canto
suo, chiuse gli occhi e sospirò debolmente. << Non lo so >> ammise sincero, accavallando le gambe e appoggiandosi con le
mani sulla cattedra: << o meglio, non se sono sicuro >> precisò
poi.
<< In che
senso non ne sei sicuro? >> intervenne subito Naruto,
posando lo sguardo sui i due ad alternanza << è qui, no? Cioè, lo vediamo tutti che è vivo! >> esclamò stupito.
<< Non è così
facile >> rispose però Itachi, sollevando gli
occhi senza però muoversi dal muro su cui era appoggiato, alle spalle
dell’arcangelo.
<< In che
senso? >> domandò Sakura.
<< Nel senso
che potrebbe essere molte cose >> rispose Neji
subentrando al moro: << come si dice: “le vie del Signore sono infinite”.
In questo mondo non si può giudicare qualcosa basandosi solo
su metodi empirici >> spiegò brevemente.
Kiba stava
definitivamente per perdere la pazienza. Ancora glissamenti,
ancora silenzi, ancora risposte incomplete e senza senso.
<< E allora su quali basi dovrei far quadrare il ragionamento?
Quali metodi dovrei seguire? >> esclamò poi,
riversando sull’arcangelo parte della rabbia che si
sentiva inevitabilmente addosso. << Perché nessuno
in questo cavolo di mondo è capace di dirmi che succede senza formularlo stile
quiz matematico? >> aggiunse, alzando il tono della voce.
<< Kiba stai…
>>
<< No! Col
cazzo che sto calmo, Shikamaru! >> sbottò,
scostando la mano del moro dalla sua spalla: << so fare cose che non ho
mai imparato a fare, sogno i suicidi prima che avvengano,
non sono mai stato sonnambulo nella mia vita e ora di notte mi risveglio nel
cortile della scuola, mi faccio viaggi nella mente della gente se solo mi
sfiora nel momento sbagliato, vedo cose che non esistono, il mio cadavere viene
ritrovato in un taxi andato a fuoco… e questo mi viene a dire che “le vie del
Signore sono infinite”?! >>
<< Io non ho
detto questo >> si affrettò a rispondere Neji,
in modo da evitare che il castano andasse in escandescenza. Si nascondevano
nell’aula del Consiglio Studentesco proprio perché era l’ultimo posto da cui
avrebbero cominciato a cercarli, ma se Inuzuka si metteva a gridare... <<
Ho solo detto che non so dare una risposta precisa
alla tua domanda. Purtroppo… io conosco la storia solo in parte
>> disse, osservando Kiba calmarsi parola dopo parola, finchè il
suo viso non si distese nuovamente.
Dopo qualche
istante di pausa, in cui il silenzio della notte era ormai giunto al suo
vertice, la campana sul campanile della cappella risuonò due volte. Di nuovo,
quando il loro tintinnare antico si disperse nel buio, il silenzio ritornò.
Fu Neji a
spezzarlo: << Credo saprai, Inuzuka, che sul
piano degli esseri umani non è consentita la presenza di demoni completi e
angeli puri… >> chiese retoricamente,
osservandolo.
Kiba annuì.
<< Sai anche
il perché? >> domandò allora l’arcangelo.
Questa volta, Kiba
dovette scuotere la testa in senso negativo. Sì, Shikamaru gli aveva raccontato
qualcosa in proposito il primo giorno di scuola, ma non era sceso nei
particolari.
<< Equilibrio
>> intervenne Itachi dall’ombra: << le forze del bene e del male
sono in perenne equilibrio, come su di una bilancia, e questo piano ne è il fulcro >> precisò.
<< E questo cosa centra con Kiba? >> chiese poi Ino,
intromettendosi nello scambio di battute fra Neji e Itachi. Quei due andavano
in sincrono, prima uno poi l’altro, come un metronomo ben calibrato.
<< Questo non
c’entra propriamente con Kiba, ma con tutti, persino con lo scorrere del tempo
che comunemente chiamiamo “vita” >> le rispose lo Hyuga,
per poi continuare indisturbato: << ciò che si sta consumando adesso è la
conseguenza inevitabile di una causa. Un tempo questo equilibrio
di cui stiamo parlando non esisteva, è stato creato in seguito, più o meno
quando il male è diventato “tangibile” e si è separato definitivamente dal bene
>> spiegò, cercando nella sua infinita pazienza di essere il più chiaro
possibile.
<< Sono gli
uomini che creano il male, non il male che li influenza >> rispose d’un tratto Shikamaru, uscendo dal mutismo che
sembrava avergli tolto la parola.
<< No, gli
uomini scelgono il male, non lo
creano. Ma lo scelgono perché esiste, perché sanno
cos’è e cosa comporta >> ribatté Neji in direzione di Nara. << C’è
un momento preciso in cui il male ha deciso di separarsi dalla luce e
cominciare la sua personale battaglia per la conquista delle anime degli
uomini, le creature di Dio…>>
<< La caduta
di Lucifero >> lo interruppe Sasuke, arrivando subito al punto senza ulteriori giri di parole. << Vorresti dire che tutto
quello che è successo, tutte le scelte che abbiamo fatto… sono
la conseguenza della battaglia fra i Ribelli e gli Angeli Fedeli? Che tutto era già deciso, come un copione già scritto che
noi eravamo destinati a seguire? >> chiese, incredulo
delle sue stesse parole, pronunciate con un sorriso a metà fra lo sbigottito e
l’ironico.
Neji lo guardò per
qualche istante, abbassando poi gli occhi verso il pavimento. << Non mi è dato saperlo >> rispose << è una delle tante
ipotesi >>.
Kiba sospirò di
nuovo, portandosi la mano destra agli occhi per stropicciarseli. Dove volevano andare a parare?
<< Scusate,
ma il punto qual è in questo discorso? >> chiese secco, imponendosi una
pazienza ormai agli sgoccioli.
<< L’Arcangelo
Michele è il punto del discorso, Inuzuka >> intervenne di nuovo Sasuke:
<< il proprietario del crocifisso che porti al
collo e della relativa spada. Era il comandante degli Angeli Fedeli, è stato
lui a combattere contro Lucifero quando tradì. Lo lasciò andare, quella volta,
e sono millenni che cerca di rimediare in qualche modo a questo
errore, coinvolgendo persone che non c’entrano nulla come se fossero le
pedine della sua personale scacchiera >> disse sarcastico, riprendendo
subito: << l’unica cosa che mi stupisce, è perché mai Dio lo lasci fare.
Non è la prima volta che infrange delle regole sotto il suo naso… ammesso e non
concesso che Dio esista, ovvio >> terminò,
puntando gli occhi ossidiana su Neji.
<< Ti
proibisco di perpetrare oltre questo sacrilegio, Uchiha! >> ribatté Neji
alzando la voce: << tu che sei stato nel Regno dei Cieli, tu che hai
visto la Sua luce! Come puoi tu anche solo pensare
che non esista? >> aggiunse, ma venne subito
placato dal suo stesso autocontrollo.
Sasuke non rispose,
trattenuto a sua volta da una mano di Naruto sulla spalla.
A riprendere
parola, e a porre fine al battibecco, fu Itachi: << il fatto è che, da
quel momento, si è creato l’Equilibrio. E se un mondo
esiste perché frutto di un equilibrio di forze, tale stabilità non deve essere
infranta. Per questo fu proibito ai demoni completi e agli
angeli puri di passare su questo piano >> spiegò.
Riprese poi parola
Neji, con un tempismo praticamente perfetto,
subentrando alla spiegazione dell’Uchiha: << per ogni demone c’è un
angelo, così come è vero il contrario. Per ogni demone che passa su questo
piano un angelo viene inviato per compensazione, e per
ogni angelo creato nasce un demone. Angeli e demoni sono come i pesetti, se se ne aggiunge da una
parte vanno aggiunti anche dall’altra, per compensare lo squilibrio >>
disse l’arcangelo, scendendo dalla cattedra per avviarsi alla finestra.
Kiba ascoltava
assorto, rapito dalle parole dei due ragazzi. Anche solo pensare che la Terra
fosse stata il teatro di una continua e silenziosa battaglia per la stabilità,
durata millenni e millenni, per lui era praticamente
impossibile.
E, allo stesso tempo, compativa l’Arcangelo
Michele. Lui che aveva determinato la creazione del male, lui che aveva
sbagliato… come doveva sentirsi? E se lui avesse fatto qualcosa, se avesse
fermato Lucifero… il male si sarebbe concretizzato
comunque?
<< C’è
qualcosa che non mi torna >> disse d’un tratto
Sakura, portandosi una mano al mento con fare riflessivo. << Voi dite che
angeli e demoni sono le entità che possono sbilanciare l’assetto… ma allora i
mezz’angeli? I mezzi demoni? E i Cercoteri?
>> chiese, lanciando la sua mente logica nei più sensati ragionamenti.
Neji aggrottò le
sopracciglia mentre osservava un punto qualsiasi fuori dalla
finestra.
<< Loro sono dei sangue misto >> rispose Itachi al suo posto:
<< incroci fra umani e angeli e fra umani e demoni. La
loro presenza non è consentita né in Paradiso né all’Inferno, così popolano la
dimensione intermedia: questa >> pronunciò, per poi riprendere dopo
qualche istante: << per i Cercoteri è un
discorso diverso. Sono demoni completi, è vero, ma sono demoni nati
dalla Natura. La loro presenza su questa dimensione è prevista e non intacca
l’equilibrio. O almeno… non lo intaccava finora
>> concluse, passando silenziosamente parola a Neji, che però non
aggiunse nulla.
<< In che
senso “finora”? >> chiese dunque Ino, catturata dal discorso come del
resto lo erano tutti.
La risposta
provenne da Sakura, che ormai cominciava ad ingranare il meccanismo logico nascosto
dietro alla spiegazione dei due: << beh, è logico supporre che uno dei due voglia prevalere sull’altro… >> ipotizzò.
<< Giusta
osservazione >> commentò di nuovo Itachi.
<< Anche questa, di per sé, è una sorta di compensazione…
>> riprese l’arcangelo, girandosi verso di loro con le mani dietro la schiena.
<< L’Inferno mira a squilibrare la bilancia per avere l’occasione di
conquistare il controllo del mondo, mentre il Paradiso si impegna
a mantenere la stabilità delle forze. L’uno contro l’altro in
un’eterna, interminabile, silenziosa guerra di trincea >>.
Prese poi parola
Itachi, rispondendo alla domanda che si era creata probabilmente in tutti loro,
anche in Kiba.
E se vince il male… che succede?
<<
L’eventuale pendere della bilancia dalla parte del male è già stato
profetizzato, scritto e diffuso nel mondo da circa due millenni… >>
lasciò cadere, ma qualcun’altro prese la palla al
balzo:
<<
l’Apocalisse >> disse Shikamaru.
Il silenzio piombò
di nuovo fra loro, pensante e tossico come il piombo.
L’Apocalisse di
Giovanni era una delle profezie più distruttive per la razza umana; prevedeva
la perdizione degli uomini ingannati dalla rinascita del Diavolo sotto le
sembianze di un drago nero e la punizione divina per i peccatori, preceduta
solamente da una nuova guerra fra angeli e demoni. E
sapevano tutti come andava a finire…
<< Beh, ciò
non vuol dire che sia una cosa imminente, no? >> cercò di risollevare il
morale Naruto, anche se persino la sua voce tremava appena. << E poi, questo ancora non spiega quello che sta succedendo a Inubau >> aggiunse, come se in quella flebile
speranza volesse trovare un appiglio.
Con una rapida
occhiata, Neji e Itachi si guardarono ma non risposero subito alla questione
posta da Naruto. Il tempo aveva uno scorrere lento ed improponibile, come se
avesse rallentato il suo corso per dispetto.
Ogni secondo di ogni momento pareva durare ore.
Lo
Hyuga sospirò,
voltandosi nuovamente verso di loro dopo un cenno di assenso da parte del mezzo
demone.
<<
L’equilibrio si è già sbilanciato >> rivelò
finalmente.
Fu come una doccia
fredda. Ino e Sakura guardavano sbalordite prima Neji poi Itachi, incredule
davanti ad una notizia simile. Naruto rimase letteralmente a bocca aperta con
gli occhi azzurri puntati sull’arcangelo mentre Sasuke, tradendo visibilmente
solo una piccola parte di quello che doveva essere un’enorme sorpresa, aveva improvvisamente fissato lo sguardo sul fratello
maggiore.
Dire che Kiba fosse
quantomeno shockato era come prendere a calci la verità. Era essenzialmente spaventato,
terrorizzato se vogliamo dirla tutta.
Come
erano arrivati dai suoi
problemi con il mondo a parlare della fine
del mondo?
Si voltò per un
istante verso Shikamaru, rimanendo ad osservarlo. Per un qualche motivo che
ancora non conosceva, o che non riusciva a capire, continuava a guardare Itachi
Uchiha con ira e sospetto, senza quasi rendersi pienamente conto della piega
che aveva improvvisamente preso il discorso.
Per l’ennesima
volta, ebbe la sensazione che qualcosa non quadrasse
nell’atteggiamento del moro nei confronti del mezzo demone. E
ancora stentava a credere che fosse semplicemente una sua impressione.
Quando il moro si
accorse dei suoi occhi, si permise un lieve sorriso di incoraggiamento.
Kiba, in una mossa istintiva più che ragionata o premeditata, potò la propria
mano su quella dell’altro, stringendola e sentendo la stretta ricambiata.
Ancora doveva
scoprire il nesso fra lui e quella faccenda dell’equilibrio delle forze… ancora
doveva trovarci la logica nascosta.
<< Non è… possibile >> bofonchiò Ino, passando in rassegna i
volti di tutti. << E’ possibile? >>
<< A quanto pare… >> rispose Naruto allo stesso livello
di incredulità, la bocca ancora aperta in una smorfia stralunata.
Sasuke ringhiò,
palesemente a disagio. A giudicare dall’espressione con cui anche lui guardava
il fratello, probabilmente nella sua testa si stavano srotolando le matasse più
improbabili, portando a ragionamenti ancora meno probabili delle suddette.
<< E’ più che
possibile >> intervenne Neji << è profetizzato. Succederà prima o poi, la questione è solo sapere quando >>
rispose con più calma di quella che, in teoria, si dovrebbe avere in
un’occasione simile.
Insomma,
ricapitolando la storia gli avevano appena detto che la bilancia fra le forze
dell’universo pendeva dalla parte del male per un qualche motivo non ben
definito, che Lucifero mirava a conquistare il mondo tramite l’Apocalisse e che
la fine del mondo sembrava prossima.
Aspetta… Lucifero?
<< Ma teoricamente il Diavolo non è sigillato all’Inferno?
>> intervenne dunque Kiba, sparando quella domanda senza nessun nesso
logico. Appena riemerso completamente dai suoi pensieri, infatti, si avvide
subito di dare qualche precisazione: << cioè,
avete appena detto che il Diavolo vuole l’Apocalisse per poter avere la
rivincita sulla guerra eccetera, eccetera. Ma come fa
a darle avvio? Basta solamente la rottura di questo fantomatico equilibrio?
>> chiese direttamente all’arcangelo.
<< No,
difatti c’è qualcuno che lo aiuta >> rispose
Itachi al posto dell’arcangelo, distaccandosi dal muro e portandosi le mani
alle tasche. Gli occhi neri come la notte del mezzo demone lo osservarono
insistentemente, trasmettendogli una sorta di significato nascosto.
A quelle condizioni
e basandosi sui recenti avvenimenti, il continuo del discorso sembrava quasi
scontato: << Orochimaru >> sussurrò Kiba. << E come? >> aggiunse in seguito.
<< Forzando i
Cercoteri ad entrare in corpi di esseri
umani, prescelti tra coloro che hanno un alto potenziale spirituale >>
disse Shikamaru, fissando con gli occhi una piastrella del pavimento come se
fosse la cosa più interessante da rimirare. << In altre parole, lui e
Kabuto inseriscono demoni all’interno delle persone con l’intenzione di creare
combattenti utili in battaglia. A queste condizioni, se riescono a controllare
queste persone, anche un Cercoterio inizialmente
neutrale diventa una pedina per l’equilibrio delle forze >> spiegò essenzialmente, senza mai sollevare lo sguardo da
terra.
La sua mano si era
stretta maggiormente a quella di Kiba nel contempo… ma il moro sembrò non notarlo, perso nei suoi pensieri.
Finalmente stava
facendo due più due.
Agatha si era suicidata perché si sentiva sporca, non più meritevole
della luce di Dio. Hotaru, quando lo aveva attaccato,
aveva le sembianze del demone dalle sei code.
Quelle due ragazze
erano entrambe… esperimenti?
Ma Shikamaru, quelle cose, come… faceva a
saperle?
<< Ora si
spiega perché la stabilità è infranta >> obiettò
Sasuke con la voce ridotta ad un sussurro irritato.
<< Mi spiace
dirlo, ma anche Orochimaru è una conseguenza secondaria >> disse lo Hyuga subito dopo, provocando l’effetto di uno scatto
complessivo di teste in sua direzione. << La causa scatenante… il momento
in cui la bilancia si è inclinata senza più ristabilirsi, viene prima della
decisione dell’ottacodadi
patteggiare per gli Inferi >> aggiunse l’essere puro, appoggiandosi con
la schiena alla vetrata della finestra alla quale ancora stava vicino.
<< E quando, allora? >> chiese Ino sporgendosi in avanti
con il busto.
Gli occhi bianchi dello Hyuga scivolarono nuovamente verso Itachi, ma questa
vola vi si fermarono a lungo. Sembrava gli stesse
dicendo qualcosa, tramite quello sguardo, qualcosa del tipo “è ora di prendersi
le proprie responsabilità” o roba simile.
Itachi Uchiha puntò
lo sguardo sul fratello minore, togliendosi le mani dalle tasche e lanciandole
inermi lungo i fianchi. Fissando Sasuke con un’espressione particolarmente
apatica pronunciò le parole che mai e poi mai il fratello minore avrebbe voluto
sentirsi dire…
<< Cinque
anni fa >> pronunciò il mezzo demone, senza distogliere gli occhi da
quelli del fratello.
L’ondata di puro
odio che provenne da Sasuke provocò un brivido lungo la schiena di Kiba, che
strinse le spalle per riflesso condizionato. Nelle iridi scure del moro si
formò rapidamente lo Sharingan, brillando scarlatto alla luce della luna.
<< Cazzate… >> soffiò furente, arricciando il naso in
una smorfia di puro astio nei confronti del fratello maggiore. Nemmeno la
stretta ferrea di Naruto sulle sue spalle poterono
impedire a Sasuke di balzare in piedi a terra, preparandosi alla lotta.
Kiba si sentì in
dovere di intervenire. Cioè, prima avevano ripreso lui
perché aveva alzato troppo la voce, se adesso Sasuke si metteva a distruggere
tutto era un disastro legalizzato. << Uchiha, mantieni la calma! >>
disse dunque, scendendo a sua volta dal banco anche se Shikamaru continuava a
tenergli la mano, impedendogli di fare anche un passo in direzione del ragazzo.
Emanava istinto
omicida da ogni capillare, poteva sentirlo bene, dunque poteva capire qual’era il motivo della mossa di
Nara.
<< Non
ficcare il naso in affari che non ti riguardano, Inuzuka! >> rispose
quello, gli occhi ridotti a due fessure che minacciavano Itachi di morte senza
nessuna remora.
<< Uchiha,
cerca di controllare la tua rabbia >> disse Neji, mantenendosi però in
una posizione di attesa e pronto a scattare.
<< Taci!
>> sbottò Sasuke, zittendo l’arcangelo in un ringhio furioso. <<
Lui ha ucciso la mia famiglia, ha sterminato tutto il
mio clan senza nessun motivo e a ME dite di stare CALMO?!? >> urlò
iracondo; era un miracolo se Naruto riusciva ancora a trattenerlo.
Le due ragazze e
Kiba trattennero il fiato, colti di sorpresa da quella rivelazione. Ad
osservarlo ora, Itachi sembrava quello di sempre. Lo stesso sguardo serio, la
stessa aria apatica di tutte le volte che lo aveva incrociato per i corridoi, o
visto da lontano.
Non faceva una
piega nemmeno di fronte alla rabbia cieca del fratello
più piccolo.
<< Ha dovuto farlo >> ribatté Neji << era
necessario! Da secoli il clan Uchiha aveva in programma di chiedere a Lucifero
di trasformarli in demoni completi e noi non potevamo permettere una cosa
simile! Avrebbe squilibrato le forze troppo rapidamente! >> aggiunse
velocemente, alzando la voce di qualche ottava a sua volta.
Sasuke sgranò gli
occhi, incredulo e quasi disgustato da quelle parole. << Menzogne…
>> soffiò rabbioso, ignorando gli sforzi di Naruto di trattenerlo accanto
a sé.
Neji abbassò il
tono a sua volta: << sai meglio di me che non mi è
concesso mentire >> disse seriamente, fissandolo.
Il ragazzo rimase
immobile, sbalordito da ciò che aveva sentito. La sua mente era completamente a
pezzi, infrante le motivazioni del suo odio mentre, uno dopo l’altro, i fili
che tenevano insieme ala sua vita si rivelavano fatti d’aria e di illusioni.
<< Non c’era bisogno di ucciderli… >> sussurrò incredulo,
fissando un punto qualsiasi ai piedi del fratello maggiore senza nemmeno
guardarlo realmente.
<< Ancora non
hai capito, Sasuke? >> disse finalmente Itachi, contribuendo a rendere
ancora più tesa l’aria già sufficientemente satura di tensione. << Che pegno pensi avrebbe pagato il clan per ottenere la
condizione di demoni dal sangue puro? O pensi che un
favore simile da parte degli Inferi sia gratuito? >> chiese retorico,
sempre guardandolo.
Fu Sakura a
rispondere al posto di Sasuke: << volevano vendere… Sasuke? >>
chiese sbalordita, non riuscendo nemmeno a formulare tutta la frase senza
esitare.
<< Un angelo,
per gli Inferi, è un’ottima moneta di scambio >> confermò lo Hyuga, rilassandosi non appena notò che l’Uchiha non era
più un pericolo.
Sasuke era
palesemente senza parole. L’unica cosa che riusciva a pensare in quel momento, era il fatto che aveva passato quasi un quarto della sua
vita in una famiglia che voleva venderlo per ottenere un potere maggiore. Aveva
amato genitori che in realtà volevano svenderlo come una banconota usata e
scambiarlo con merce di più alto valore.
Allora era per
quello che non volevano che volasse? Era per quello che gli avevano sempre
proibito di mostrarsi troppo in giro? Per paura che lo portassero via? Per
paura che si accorgessero di un angelo fra i mezzi demoni?
Quindi ora… Itachi passava veramente dal ruolo del
cattivo a quello dell’eroe?
…no. Non poteva accettare una cosa
simile.
<< …adesso
non venirmi a dire che mi hai venduto a Michele per
salvarmi la vita… >> sussurrò a sguardo basso, ricambiando finalmente la
vicinanza di Naruto nell’appoggiargli una mano sul fianco.
Itachi non rispose.
Al suo posto, lo fece Neji: << ha fatto quello che andava fatto; sia con
te, sia per quanto riguarda il clan >> disse con
decisione, intenzionato probabilmente a chiudere il diverbio e a
proseguire la spiegazione.
Ma Sasuke non era della stessa idea. <<
Si può sapere tu da che parte stai? >> gli urlò contro, irritato:
<< per quale assurdo motivo sei qui, Hyuga?
Perché Dio ci da il dispiacere della tua presenza?
>> chiese scontrosamente.
L’arcangelo si
zittì, rimanendo in silenzio per qualche minuto. Poi, decidendo che forse era
il caso di parlare chiaramente, rispose: << sono qui per eseguire un
ordine divino. E per… fare un favore a Michele
>> rivelò.
Allo sguardo
inquisitore di Sasuke però, fu costretto a continuare: << il Signore mi
ha ordinato di collaborare con Itachi Uchiha. Abbiamo il compito di tenere sotto
controllo i movimenti di Orochimaru e Kabuto Yakushi. Mentre Michele… mi ha chiesto
di tenere sotto controllo la persona chiamata Kiba Inuzuka >> precisò,
passando lo sguardo da Sasuke a Kiba e fermandosi su quest’ultimo.
Kiba sussultò
appena ma non lo diede a vedere. Probabilmente solo Shikamaru poteva aver
avvertito quel sobbalzo, ma dalle loro mani congiunte non provenne nessun
segnale che verificava quest’ipotesi: quella del moro avvolgeva semplicemente la sua, punto.
<< Perchè… io? >> chiese dunque il castano, sorridendo
per non piangere.
Neji lo osservò a
lungo prima di rispondere: << nemmeno questo so
con certezza >> disse << so solamente che Michele ti aveva preso
sotto la sua ala protettiva sin dalla tua nascita, ma del perché non sono
sicuro. Posso solamente illustrarti una delle ipotesi più probabili >> aggiunse, preparandosi subito dopo a riprendere il discorso
dal punto in cui lo aveva lasciato.
Scostò nuovamente
lo sguardo su Sasuke, ora tenuto per mano da Naruto, sospirando prima di
parlare: << c’è un motivo se sei nato angelo in un clan di mezzi demoni
>> disse, rivelando un altro dei segreti riguardanti il misterioso clan
Uchiha.
Il ragazzo, dal
canto suo, non si scompose minimamente. Rimase semplicemente in piedi, lo
sguardo scuro fisso sull’arcangelo, pretendendo con gli occhi la risposta alla
domanda che si era posto da quando era nato.
Itachi chiuse gli
occhi, riappoggiandosi nuovamente al muro e incrociando le braccia al petto.
Sembrava che, nella sua maschera di freddezza e autocontrollo, quel discorso
riuscisse in realtà a provocargli un certo fastidio.
Allo riprendere la discussione, la voce di Neji
riempì il silenzio carico d’attesa che era venuto inevitabilmente a crearsi.
<< Tu sei nato come sostituto di Naruto >> confessò schiettamente,
senza inutili quanto superflui giri di parole.
I due interessati
si lanciarono un’occhiata carica d’incredulità, ritornando però subito sul viso
dello Hyuga. << Sin dalla sua nascita eravamo a
conoscenza del fatto che, in realtà, Naruto era un cercoterio
dormiente. Era logico supporre che, nonostante fosse effettivamente un angelo, prima o poi avrebbe cominciato a mutare la sua natura un
quella del Kyuubi. Quando quel giorno sarebbe arrivato, Naruto non sarebbe più
stato coinvolto nell’equilibrio, dunque… >>
<< …da
qualche parte doveva esserci qualcuno che prendesse il
suo posto nella fazione angelica, così da non destabilizzare le forze >>
intervenne Sakura interrompendo l’arcangelo, che nonostante l’interruzione non
si mostrò infastidito.
Naruto e Sasuke si
guardarono di nuovo, soffermandosi per più tempo l’uno sugli occhi dell’altro. Se da una parte l’espressione di Naruto cominciava a
mostrare sensi di colpa, dall’altra quella di Sasuke era completamente assorta,
probabilmente proiettato allo stadio successivo del ragionamento.
<< Dunque…
>> bofonchiò infatti, stringendo di più la mano
del biondo nella sua: << ...se questo è il motivo per cui Michele mi ha
portato nel Paradiso Celeste… >> lasciò in sospeso, tornando con lo
sguardo a Neji, che annuì.
<< La tua
decisione di seguire Naruto, e di conseguenza di lasciare il Regno dei Cieli,
ha danneggiato la stabilità >> disse il ragazzo, rendendo reale il dubbio
e concretizzando il ragionamento di Sasuke.
<< A quel
punto la reazione a catena è stata incontenibile >> continuò Itachi
<< dato che le forze del bene erano
momentaneamente indebolite, i demoni al servizio degli Inferi ne approfittarono
per risalire nel piano degli esseri umani >> spiegò celermente, venendo
però interrotto dallo stesso Kiba: << Non avevate detto che è vietato ai
demoni di stare su questo piano? >> chiese incerto, inarcando un
sopracciglio.
Cominciava a
perdersi per strada.
<< Infatti >> intervenne Neji << è vietato entrare
in questo piano in forma demoniaca. Ma se prendono possesso di corpi di esseri umani, tutto cambia >> spiegò.
Fu Sakura, di
nuovo, ad integrare le parole dello Hyuga: <<
sono quelle che vengono chiamate “possessioni”, Kiba. Si combattono tramite gli
esorcismi, che il più delle volte rimandano il demone trasgressore da dove è
venuto. E’ il lavoro degli esorcisti, liberare i posseduti
>> chiarì in sua direzione, accavallando le gambe l’una sopra
l’altra.
Ok, poteva dire di
avere almeno una ruota di nuovo in carreggiata, ora.
<< Era
proprio questo il problema >> intervenne però Itachi, facendo sì che
l’attenzione collettiva tornasse tutta su di lui.
L’attenzione di
tutti… tranne quella di Shikamaru, che ancora osservava fisso
a terra, silenzioso.
Tuttavia, nessuno
in quel momento notò quel comportamento; tanto meno il mezzo demone, che
continuò a parlare: << con l’impennata di demoni che tentavano di
attraversare aumentò anche il numero dei Tabernacoli destinati ad ospitare nel
loro corpo tali demoni >> disse, puntando ora lo sguardo su Kiba.
<<
Tabernacoli? >> fece eco Ino.
<< Sono persone dalla forza spirituale assopita >> spiegò
prontamente Sakura. << Vengono considerati gli
obiettivi primari di un demone, dunque sono le persone che più facilmente
possono venire possedute. Teoricamente, però, sono rare… la
maggior parte dei casi di possessione si rivelano dei falsi >>
disse in modo molto professionale.
E cos’era?! A colazione pane con marmellata
di Teologia, cappuccino con macinato di Testi Sacri e un bicchiere di Enciclopedia Universale della Scienza?
<< Erano
poche perché erano pochi i demoni che cercavano di attraversare durante il
periodo di equilibrio delle Forze >> intervenne
Neji << equivaleva ad un suicidio. Anche se dopo un esorcismo facevano ritorno negli Inferi, erano comunque traditori di
un patto vecchio come il mondo. Se non morivano durate la traversata, venivano eliminati dallo stesso Signore del Male >>
esplicò chiaramente.
<< Però… >> continuò poi: << …in quel periodo al
Paradiso tornava utile che i demoni cercassero di arrivare sul piano mortale.
Per riportare in equilibrio la bilancia bastava che un solo demone completo venisse eliminato,
così da ristabilire numero pari sia in Cielo che all’Inferno. Fu per questo che
venni inviato sulla Terra insieme ad altri angeli…
dovevamo aspettare il risvegliarsi di un Tabernacolo, attendere la possessione
e, infine, uccidere quell’essere umano con il demone al suo interno. Eliminando
il posseduto, si elimina anche il demone >> spiegò,
chiudendo gli occhi sulla fine come se chiedesse scusa a Dio per ciò che stava
dicendo.
<< Cosa?! >> sbottarono Kiba e Ino contemporaneamente,
mentre sia Sakura che Sasuke apparivano sbalorditi
delle parole che uscivano dalle labbra dell’arcangelo.
<< Ha senso
>> intervenne Naruto, l’espressione più seria
che Kiba gli avesse mai visto fare: << se muore il contenitore, muore
anche il demone. E’ una regola valida anche per i cercoteri
>> disse.
<< E’ comunque sbagliato! >> intervenne Ino, alla quale fece
eco Kiba: << è omicidio! >>
<< In guerra,
gli assassini diventano eroi >> pronunciò il mezzo demone, chiudendo gli
occhi a sua volta con fare pacato: << o peggio…
Santi >> concluse senza la minima inflessione emotiva.
L’Inuzuka digrignò
i denti, arricciando il naso in una smorfia disgustata: << è assurdo che
Dio ammetta una cosa simile… >> sussurrò con stizza, stringendo il pugno
libro dalla presa di Shikamaru, che sembrava non ascoltare nemmeno.
<< E’ una
questione di priorità >> ribatté nuovamente Itachi, senza però riaprire
gli occhi: << chiunque pur di scongiurare
l’Apocalisse sacrificherebbe un’anima umana, è logica >> disse
semplicemente.
Un freddo silenzio
cadde su di loro, avvolgendoli in una nube di inquietudine.
Il primo ad interromperlo, probabilmente aspettando qualche istante per dare
modo di digerire tutta quell’enorme massa di informazioni,
fu ancor Neji.
<< A questo
punto, mi sembra scontato dirvi quale forza spirituale sopita si è risvegliata…
>> cominciò posatamente, senza però terminare il
discorso.
Il cuore di Kiba
mancò di un battito, mentre gli occhi bianchi dell’intelligenza angelica si
posavano su di lui.
Era… lui.
Era quello… il
perché.
L’empatia, la
capacitò di sincronizzarsi con i sentimenti delle persone, era il suo potere.
Era espressione della sua forza spirituale latente che, pian piano, si stava
risvegliando completamente.
Erano parole di Iruka. Glielo aveva detto al primo incontro che aveva
fatto con lui.
Lui era… un
Tabernacolo.
Un martire
inconsapevole il cui destino era già stato deciso.
In pratica: cibo
per demoni.
Nonostante
prendesse aria ogni due secondi, nel futile tentativo di dire qualcosa di
sensato, nessun suono usciva dalla sua bocca.
Si trovò a
desiderare, per la seconda volta, che quello fosse tutto un normalissimo sogno.
Si sarebbe svegliato presto, molto presto, perché i sogni non durano così tanto.
I sogni non ti
distruggono la vita in due secondi.
La domanda che
stava inutilmente tentando di porre lui venne
formulata da un’altra persona, ed incredibilmente era il minore degli Uchiha.
<< Hai
cercato… di ucciderlo? >> chiese sgomento, dando voce probabilmente anche
ai pensieri di Naruto, dalla cui espressione traspariva la medesima sorpresa.
Neji annuì piano.
<< Era il mio incarico >> specificò.
<< Lo seguii per giorni, aspettando che un demone si facesse avanti. Ce ne erano ad ogni angolo, a volte anche di alto livello, e
cercavano di arrivare a lui. Giorno dopo giorno Kiba emetteva una forza
spirituale lieve ma luminosa, una vera e propria tentazione per i demoni che
approdavano parzialmente in questo piano… ma nessuno di loro è mai riuscito ad
averlo. Venivano respinti da qualcosa, ma non sapevo
cos’era >>.
Sì, se lo ricordava
quel periodo.
Febbre. Una febbre
continua e alta, a volte sopra ai 40 gradi, che lo aveva
tormentato per un mese intero. Era divenuto talmente debole da non riuscire
nemmeno ad alzarsi in piedi e la stanza girava su se stessa come una trottola
anche solo ad un movimento della testa. Ne era uscito
talmente debilitato che gli ci vollero altre due settimane per riuscire a
rimettersi completamente.
Si umettò le
labbra, trovando finalmente un filo di voce per parlare: << perché non mi
hai… ucciso? >> chiese all’angelo, attirando su di sé gli sguardi di
tutti i presenti… tranne quello di Shikamaru, ancora inerme al suo fianco e
privo di reazioni.
<< Perché mi richiamarono prima >> rispose semplicemente.
<< Mi ordinarono di tornare nel Regno dei Cieli, dicendomi che la mia
missione era annullata. Quando ritornai, venni a
sapere che eri il protetto di Michele, e forse è per questo che sei
sopravvissuto all’ordine divino di sacrificarti >> spiegò con agiatezza.
<< E allora quel cadavere…? >> domandò il castano, senza
tuttavia completare la domanda. “Perché quel cadavere
nel taxi è il mio?” avrebbe voluto domandare, avido di quelle risposte che
stavano frantumando e allo stesso tempo mettendo insieme la sua esistenza.
L’arcangelo crucciò
appena il volto, colto in fallo. << Da qui in poi, io so poco o niente
>> svelò, lievemente irritato dal fatto di
essere tenuto all’oscuro. << Venni subito
inviato all’accademia per collaborare con Uchiha, dunque non so con precisione
cosa successe. Seppi solo la notizia della tua morte, che arrivò lo stesso
giorno in cui, miracolosamente oserei dire, hai messo effettivamente piede in
questa scuola >> pronunciò, guardandosi le mani aperte come se sperasse
di trovare la tessera mancate al suo personale puzzle.
<< Sono sicuro di aver sentito la tua forza spirituale sparire a pochi
chilometri dall’accademia. Poi, d’un tratto, è
riapparsa. Non volevo credere all’evidenza, mi illudevo
di un errore che non avevo commesso. Non puoi immaginare la
sorpresa nel vederti ancora vivo… >> lasciò cadere per l’ultima
volta, terminando così il racconto.
In tutto il
discorso che aveva fatto, durato ore considerando che il cielo cominciava a
schiarirsi, aveva dato risposta alla maggior parte delle domande ma non alle
più importanti.
Chi era lui? Cosa ci faceva lì? Perché sapeva
fare tutte quelle cose che non aveva mai nemmeno imparato? Perché
il suo riflesso gli parlava come se lo conoscesse?
Quelle domande
vagavano ancora a piede libero per la sua mente, riempiendola di castelli in
aria sempre più strampalati e di teorie impossibili.
Anche se, ormai, considerava la parola
“impossibile” indegna di comparire in qualsiasi linguaggio.
Nulla era
impossibile. E il fatto che anche un arcangelo aveva tentato di ucciderlo lo dimostrava ampiamente.
<< Hyuga
>> chiamò poi Sasuke, attirando l’attenzione dell’interessato: <<
Perché hai deciso di aiutare Michele? >> chiese, il tono basso ma
sincero.
Neji lo guardo,
aprendo la bocca più volte per cercare il modo corretto di formulare la sua
risposta. Infine, parlò: << mi fido di lui >> rispose solamente,
guardando Kiba di sbieco. << Non dovrei dare così tanto
spazio al mio ego, ne sono consapevole. Ma Michele è stati
il mio maestro… ha visto qualche potenzialità in questo ragazzo, e il fatto che
il crocifisso che mi ha chiesto di consegnargli si attivi, per me è una prova
sufficiente >> concluse.
Nessuno però fece
tempo a ribattere, o anche solo a pensare di farlo.
O se qualcuno lo fece, Kiba non lo sentì.
Un improvviso
dolore gli invase la mano racchiusa in quella di Shikamaru, serrata in una
morsa dolorosissima, espandendosi lungo il braccio come una colata di lava
incandescente.
Gemette di dolore,
venendo nel frattempo invaso da un misto di sentimenti discordanti, ma tutti
traboccanti di rancore.
Odio, rabbia,
frenesia e sentimenti di vendetta mescolati con ilarità, divertimento e
profonda curiosità.
E non erano suoi.
Provenivano da
Shikamaru, piegato in una maniera tale che i capelli sciolti ne coprissero i
tratti del viso, e pian piano lo corrodevano dall’interno nel tentativo di
raggiungere il suo cuore, il suo animo.
Era sicuro che, se
quella colata di fuoco avesse raggiunto il suo petto, sicuramente il cuore gli
sarebbe esploso. Era un mix troppo doloroso per riuscire
a sopportarlo oltre.
Dovette per forza
sfilare la mano dalla presa del moro, balzando di lato per allontanarsi da
quell’ondata di negatività che lo stava assoggettando.
Non ebbe, però,
nemmeno la forza per parlare… anzi, fu lo stesso ragazzo ad anticiparlo, usando
una voce atona e composta che a Shikamaru non aveva mai sentito usare.
<< Uchiha…
Itachi >> disse glaciale, scendendo dalla scrivania con un movimento
fluido e calcolato. teneva gli occhi bassi ma, fra i
ciuffi neri dei capelli, si poteva vedere a tratti uno sguardo spento disperso
nel vuoto.
Cosa gli stava succedendo? Cosa
gli stava accadendo?
A Kiba sembrò di
sentire il rumore di un’altra maschera di porcellana incrinarsi, minacciare di
staccarsi dal volto che la indossava.
E lui voleva raccoglierla, ripararla e fare
sì che quella maschera divenisse il vero volto della persona che la stava
perdendo.
Perché quella che stava per andare in pezzi era la
maschera del pierrot con i palloncini
di quel luna park incantato; quello che gli sorrideva dolcemente e che lo
proteggeva anche solo con lo sguardo.
Era la maschera
della persona di cui si era innamorato, che si stava pian piano frantumando
davanti ai suoi occhi.
E quello che faceva più male, non era
raccogliere i cocci… ma scoprire d’un tratto che, forse, si era innamorato di
una maschera.
Trovare in sé
l’amara possibilità di amare una menzogna.
No… non voleva che
andasse avanti così.
Non voleva credere
che andasse veramente avanti così.
Itachi, al
contempo, si era distaccato dal muro mettendosi sulla difensiva. Le braccia
lungo i fianchi erano immobili, i muscoli tesi, e gli occhi
puntati su Shikamaru erano pronti a percepire ogni movimento anomalo del
ragazzo.
<< Quello che
hai detto riguardo alla vostra collaborazione… è vero?
>> domandò Shikamaru, senza mutare né voce né tono.
Itachi, ormai
pronto ad ogni cosa, non poté far altro che rispondere. << Sì >>
disse chiaramente, senza aggiungere nient’altro.
La mano destra del
ragazzo si chiuse a pugno e un’altra ondata di dolore invase Kiba, che
assottigliò gli occhi in un folle atto di resistenza.
Un’ondata di
rancore così potente da fare del male fisico a chi la percepisce…
era talmente forte la portata dal suo odio nei confronti dell’Uchiha?
<< Quindi eri… un infiltrato? >> chiese ancora, apatico.
<< Sì
>> replicò Itachi, sincero.
La rabbia di
Shikamaru aumentò, travolgendo di nuovo Kiba e facendo tremare persino Naruto,
che si portò una mano alla spalla per imporsi di smettere. I muscoli delle
braccia del moro si tendevano sempre di più, disegnando nettamente i loro
contorni sotto la pelle chiara.
<< Hyuga
>> sussurrò Itachi in direzione dell’arcangelo.
<< Lo so >> rispose quello, mettendosi in posizione per
tendere nuovamente l’arco.
A quella vista,
nonostante il dolore, Kiba scattò. L’istinto aveva preso il controllo del suo
corpo, questa volta, e rischiando di non sopportare la vicinanza di tutta
quell’ondata d’odio si andò a posizionare fra
Shikamaru e Neji, aprendo le braccia con la chiara intenzione di proteggere il
moro. Anche se forse, a giudicare dalla situazione,
avrebbe dovuto pensare più a proteggere se stesso…
Non parlarono, lui
e Neji. Si fissarono e basta.
Una cosa buona c’era, l’arcangelo non poteva ucciderlo.
Tuttavia, non ci fu
bisogno di iniziare una battaglia apparentemente insensata. Trattenendo
rumorosamente il respiro fu Nara a fare dietro front, guadagnando velocemente
l’uscita e lasciando la stanza.
Senza nemmeno
riflettere, Kiba lo seguì a ruota.
Chapter No.11 ~ End.
*si accascia sulla
scrivania in preda ad un esaurimento nervoso mentre Kiba cerca di farla
rinvenire con i sali e Naruto le fa aria con il ventaglio dell’Uchiha*
Mai. Più. Un.
Capitolo. Simile.
Ok, solo alcune
cose poi vi lascio morire a vostra volta, dato che per
leggere questo assurdo delirio in Verdana 8 vi sarete
sicuramente cavati gli occhi.
Mi scuso innanzi
tutto per la lunghezza. Sono un’infame. Mannaggia a
me.
Pensavo mi venisse
più corto, poi mi sono resa conto che solo l’introduzione prendeva tre pagine…
*si accascia di nuovo al solo pensiero*
In secundis, scusatemi per quell’astruso dialogo infinito, ma
non sapevo come altro spiegare tutta la faccenda XD
Insomma, avrei
potuto… ma vorrei concludere entro i venti capitoli,
ecco X°DDDD.
Per il resto,
avvertenze. Questa volta per davvero, prendo uno stacco di qualche giorno dallo cominciare il capitolo successivo.
Ho ospiti a casa
*_____*
Riprenderò quanto
prima, promesso. Ormai manca poco alla fine, me la voglio
godere.
*riemerge dal mare di cibo delle festività Natalizie* Ohi voi, Buon
Natale e Buon Anno
Comincio senza indugio con le risposte ai commenti. E’ bello
vedere che, nonostante i due mesi di immobilità, c’è
ancora qualcuno che legge il mio delirio! XD
CloudRibbon: Sono
felice che i capitoli ti piacciano lunghi Cloud, ma vorrei
evitare di essere la causa di un progressivo accecamento! XD In ogni caso… sai,
non credevo fosse possibile, ma sei riuscita a scatenarmi una
Neji mode. E peggiorerà se continui a darmi del
genio, accidenti! XD Suvvia, non sono puoi nulla di
così incredibile. Mi perdo sono nelle descrizioni… cosa che devo fare per
forza, altrimenti con una trama simile chi legge non capisce una lippa.
Comunque sono contenta che io sia
riuscita a rendere quello che speravo di rendere. Però
non puoi tenermi all’oscuro delle tue elucubrazioni su Kiba e Shikamaru, non è
giusto! XD Scrivile, scrivile! Sono curiosa di vedere se arrivi al punto della
cosa!
Comunque tranquilla, pian piano
sfornerò tutte le informazioni necessarie, anche per quanto riguarda i più
importanti quesiti esistenziali di questo lavoro. Ora vado, altrimenti perdo
l’ispirazione per l’inzio. Grazie mille per aver letto nonostante tutto il
ritardo! Chu! <3
Girlstreet: Io
adoro quanto disprezzi Sasuke, sappilo. Soprattutto se
te ne esci con cosa tipo: “la fuga di quel pezzo di
imbecille mascherato da super boy” X°DDD *muore*. In ogni caso sì, ho chiarito
qualcosa ma non tutto. Una cosa voluta, pian piano arriverò
a dire il necessario. E sì, Hinata PUO’. Insomma, non è Angelo per niente XD ha un potere di guarire molto veloce.
Come per quanto riguarda Sakura; è stato
per necessità. E poi dai, anche nel manga non è
stupida, almeno mi si è rivelata utile. Cioè, le
stesse cose messe in bocca a Ino… boh, mi lasciavano anche peggio °_____°
Per quanto riguarda Itachi… nella
versione originale era uno dei cattivi, ma già dall’inizio sapevo che non sarei
riuscita a tenerlo dal lato oscuro. E poi il manga… cioè…
ho amato quel pezzo. Come amo Itachi, per questo non riesco a farlo cattivo XD
Grazie mille per aver letto e commentato nonostante il ritardo
colossale! Alla prossima!
Slice: Sì,
partorire è proprio il termine adatto =___=’’’ in ogni caso grazie anche a te,
da adesso in avanti cercherò di aggiornare più in fretta *sisi* anche perché è
vero, dopo un po’ ci si perde nel rileggersela se passa
troppo tempo. Tanti auguri (in ritardo, ma dettagli U__u) anche a te e grazie
per aver letto e commentato!
_Ala_: Oddio, mi
dispiace che tu ti sia dovuta rileggere tutta la fic!
XD Suppongo sia colpa del troppo tempo fra un aggiornamento e l’altro. In ogni
caso, ti ringrazio tanto per il complimenti che mi
fai, davvero! Sento quasi di non meritarmeli. A dire il vero non sono ancora
capace di non lasciare qualche errore in giro per il mondo, dunque non sono
assolutamente una gran donna… però davvero, mi fa piacere sapere che questo
casino di trama piace! E comunque sì, ShikaKiba Rulez!
ù___ù anche se sono effettivamente poche le persone che ci
scrivono sopra. Insomma, per conludere, grazie davvero
per i commenti al capitolo e per averlo letto, soprattutto. Alla
prossima!
Hiko_chan: Oh,
una nuova adepta! XD Ciao, e grazie di aver letto tutti questi capitoli (ma ci
sei riuscita davvero senza morire per la perdita degli occhi? O___o) e,
addirittura, di avere anche commentato. Come ho già detto ad altri, tutti i
complimenti che mi fai magari non me li merito XP Io cerco semplicemente di
descrivere meglio che posso, perché io per prima non apprezzo leggere una cosa
senza capire. Sono altresì contenta che ti piaccia la trama, assolutamente. E’
incasinata, ma almeno piace.
Grazie mille per esserti unita ai lettori di questo mio
delirio, e grazie per il commento! Alla prossima!
Maoa: Finalmente
riesco a risponderti come si deve, anche per il capitolo precedente. Allora,
cominciando, non sai quanto mi fa felice che mi vengano bene gli Uchiha. Sto
facendo del mio meglio per non mandare OOC Sasukkia X°DDD e per quanto riguarda
Shikamaru… eh, pazienta poche righe, capirai lungo questo capitolo ;D
Ti devo inoltre ringraziare per tutti i complimenti che mi
fai nei commenti. Davvero, sembra quasi che io abbia scritto un libro, cosa che non mi sembra proprio! XD In ogni caso mi fa proprio
piacere che la fic piaccia, anche perché l’avevo
cominciata quasi per caso… bene, ora mi sento in pace con il mondo! XP
Ti ringrazio nuovamente per aver letto e commentato. Alla
prossima!
Bene, il corso intensivo di risposta ai commenti termina
qui. Adesso andiamo un po’ avanti con la storia *sisi*
Anticipo subito che, cause lunghezza, ho
dovuto tagliare il capitolo. Dunque, allegria! Avremo un
capitolo in più prima della fine! XD …non che la cosa mi rallegri,
dato che li scrivo io, ma ho preferito descrivere meglio la scena successiva,
che è anche un cardine *sisi*.
Secondo: a mio parere, i personaggi mi sono andati un po’
OOC. Soprattutto Kiba e Shikamaru, oserei dire. Ma
siccome scrivo alle 3 di notte (già, non guardatemi con quelle facce U___u’’’)
il mio parere potrebbe essere molto relativo XP. Nel caso sia
successo (cosa molto probabile) mi scuso… ormai la trama lo richiede,
essendo così avanti.
Con questo è tutto!
Con i miei auguri di buone feste (io vivo in ritardo, sorry
ù___U) vi lascio alla lettura!
Chapter
12 ~ Nineth Echo
Wormhole
Parte 1
Disse il saggio: se vuoi nascondere un albero, mettilo in un
bosco.
Ma le cose, lì, non funzionavano come nel mondo reale; ormai
ne era consapevole.
Quindi anche la formula dell’albero
nella foresta, se voleva far sì che per almeno mezz’ora non gli rompessero le
scatole, nel suo caso non aveva senso.
E dunque, “disse il saggio”
versione rivista: se vuoi nascondere Kiba mettilo nel luogo dove nessuno andrà
a cercarlo.
Ovvero in biblioteca.
Problema risolto. Era circa un’ora che era solo con se
stesso e con il suo lettore mp3, e la cosa non gli dispiaceva affatto.
Poteva pensare. Poteva ragionare senza interruzioni, senza
urla, senza giri di parole larghi tre isolati, senza Sasuke “Vengo, Vedo e
Distruggo l’Equilibrio” Uchiha e relativa compagine, senza casino e,
soprattutto, senza demoni incazzosi che cercavano di fargli la pelle.
Il che era cosa buona e giusta.
Il fatto che poi, nonostante pensasse e ripensasse, sembrasse non riuscire ad arrivare ad un dunque supportato
dalla logica… beh, quello era un altro paio di maniche.
Ci stava lavorando, ecco.
Si girò su un fianco, sospirando rassegnato.
Ma chi voleva prendere in giro? Lui
non ci stava nemmeno pensando ai suoi problemi.
O almeno, ci provava. Ma erano come i compiti di matematica: ogni volta che ci si metteva
sopra andava sempre a finire che la mente vagava, andando al suo chiodo fisso:
Shikamaru Nara.
Anzi… all’ultima versione che aveva visto, dell’essere di nome “Shikamaru Nara”.
Chiuse gli occhi, alzando di poco il volume del lettore mp3
che teneva in mano. Le note di “My December” dei Linkin Park gli invasero le
orecchie.
Oh, che felicità. Canzone più allegra non poteva beccarla
nemmeno con una delega papale e un’immensa botta di
culo.
Però… doveva ammettere che si adattava
al suo umore.
Malinconico e… sì, triste.
Non riusciva a sentirsi in altro modo.
Si strinse di più nella giacca della divisa,
aggrottando le sopracciglia al ricordo di quelle immagini ancora recenti, impresse
a fuoco nella sua mente.
Sin troppo recenti per essere
cancellate…
Lo aveva seguito in
corridoio, senza una ragione particolare.
Istinto. Ignorando il fatto che potesse o meno disturbarlo, gli era
andato dietro quasi istantaneamente; nonostante emanasse quella costante aura
furiosa… nonostante ad ogni passo, nel farsi più vicino, sentisse nuove
scariche di dolore incomprensibile lungo tutto il corpo.
Quell’empatia era
veramente una rottura.
<< Shikamaru!
>> lo chiamò, quasi fiducioso che si sarebbe voltato, fermato, o che
almeno avesse girato il capo. Inutilmente fiducioso, a quanto sembrava… perché
quello che inseguiva, il passo veloce ne confermava l’urgenza, sembrava non
essere veramente Shikamaru.
E non voleva ammetterlo… ma un pensiero
simile faceva male.
Era come se una mano
gli stringesse il cuore con forza e quello no, non era effetto dell’empatia. Non
era un sentimento non suo, come non era una conseguenza della rabbia che
scaturiva dal moro, di qualche passo davanti a lui.
Era una sensazione
sua.
E questo era anche… peggio.
Nara tuttavia non si
voltò, non rallentò, non mutò l’andatura.
Si limitò ad una
frase, una sola parola…
<< Vattene
>> ringhiata con durezza, ma senza la vera intenzione di farlo sul serio.
Si capiva dalla voce,
purtroppo. E nonostante Kiba avesse ormai compreso che
Shikamaru aveva una sua particolare abilità nel cercare con tutto se stesso di
non ferirlo, nascondendogli cose che magari lo avrebbero messo nei guai, ormai
capiva anche che il moro non poteva più tirarsi indietro.
Nei guai ci era immerso fino al collo. Anzi, tentava disperatamente
di galleggiarci sopra per non affogarci dentro.
<< No che non me
ne vado! >> sbottò dunque, continuando la sua opera del “sì, facciamoci
del male reciproco!” inseguendolo ora su per le scale dell’Atrio Piccolo.
Si rendeva sempre di
più conto che Shikamaru era stato veramente bravo…
Sì. Era davvero abile
nel recitare il silenzio.
<< mh… >> mugugnò a disagio, cercando nel
lettore mp3 qualcosa di più allegro con un breve movimento della mano destra.
No, niente da fare. Quelle erano ancora le canzoni che aveva
inserito quando si era trasferito lì… non c’era dubbio che non ne fosse
contento, quel giorno, dunque si era riempito l’mp3
con indecenti canzoni tutte schifosamente e spaventosamente deprimenti.
Passando oltre l’ennesimo singolo da taglio delle vene, “Say
Goodnight” dei Bullet for My Valentine, capitò sull’unica canzone che aveva
aggiunto una volta arrivato in accademia.
L’unica. Non ne aveva cancellata
nessuna, ne sostituite con altre.
Ne aveva aggiunta solamente una.
Il suono di un pianoforte, una voce melodica…
…non ebbe la forza per scorrere oltre la playlist.
Sulle note di “Gravity” si aprivano un mare di ricordi, e
non ultimi erano i più recenti…
<< Shikamaru, o
ti fermi o giuro su quella malsana donna di mia madre che lo farò io! >>
sbottò indispettito, salendo di corsa gli ultimi gradini per guadagnare terreno
sul moro.
Cominciava veramente
ad incazzarsi.
Se non c’era più motivo di nascondersi, se
ormai erano entrambi su una barca a vela in mezzo ad un oceano di guai… perché
cavolo si ostinava a non farsi guardare nemmeno in faccia?!
L’altro lo ignorò,
proseguendo per la sua strada fino ad imboccare il ponte sospeso, ancora
massacrato dal passaggio di Orochimaru.
Basta. Era stufo di
giocare ad acchiapparella.
<< Shikamaru
Nara, voltati e guardami in faccia! >> esclamò infine, afferrandogli il
polso con l’esatta intenzione di farlo voltare con la forza (o almeno, quelle
poche che aveva riguadagnato).
Ma non successe. Non del tutto, almeno.
Una fitta alla mano,
il riflesso istintivo di chiudere gli occhi… e, quando li riaprì, lo scenario
in cui si ritrovò gli fece trattenere il respiro.
Bianco. Bianco a perdita d’occhio, chiaro da ferire gli occhi, candido
peggio del riflesso del sole sulla neve.
Una
ruota panoramica ferma ed arrugginita, una giostra decadente, una casa degli
specchi dall’aspetto sfatto e mezza sfasciata. Poteva quasi vedere i frammenti degli specchi in essa
contenuti, sparsi a terra davanti alle tende marce dell’entrata.
Davanti a lui ciò che
era riuscito a togliersi dalla mente ma che, evidentemente, era destino che non
dimenticasse.
Un
ragazzo moro; i capelli scuri raccolti da una coda alta, vestito da clown e
quasi completamente girato di spalle. Solo un piccolo scorcio del suo viso si poteva vedere e, anche se non
sarebbe bastato a nessuno per identificarlo, a Kiba bastò anche solo quello.
Era lo Shikamaru
dell’incubo del Luna Park. Era la rappresentazione dei suoi ricordi, della sua
coscienza.
Teneva
per mano quello più piccolo, il bambino dagli stessi lineamenti del giovane ma
che, in realtà, non era
Shikamaru nemmeno con l’aiuto di tanta fantasia.
E dire “teneva per mano” era in sé una
portentosa minimizzazione della realtà.
Perché
l’unico che stringeva la mano del pagliaccio era il piccolo; la mano dello
Shikamaru adolescente non ricambiava quella stretta. Si limitava a rimanere inerme,
intrappolata in essa.
<< Shikamaru!
>> provò a chiamare, senza però ottenere il risultato ottenuto.
Continuò ad ignorarlo.
Ma il bambino… lui sorrise di sghembo,
ghignando compiaciuto.
<< Ben fatto,
Kiba. Non perdi più la calma come l’altra volta
>> lo sfotté, osservandolo beffardo.
Kiba non rispose,
limitandosi a guardarlo.
Quello ridacchiò,
chiudendo gli occhi come se avesse attutito senza difficoltà la silenziosa
risposta dell’Inuzuka.
Il castano lo ignorò,
rivolgendo di nuovo la sua attenzione al moro, senza mollare: <<
Shikamaru, ti prego… se non mi dici nulla non posso nemmeno provare a capire!
>> gli disse, quasi auto distruggendo il suo orgoglio per implorarlo in
una maniera simile.
Il ragazzo sembrò
reagire, sussultando. Voltò appena il capo… ma la voce strafottente del bambino
arrivò prima.
<< Commuovente
>> commentò il moccioso << ma finchè terrai in mano quella, non ti
parlerà comunque >> aggiunse, ora con un tono
indifferente e freddo.
<< Tenere in
mano…? >> borbottò Kiba senza capire, abbassando lo sguardo sulle sue
mani…
Una maschera.
Reggeva una maschera
da clown, sorridente con quella bocca larga e colorata di rosso acceso, gli
occhi azzurri aperti e l’aspetto inquietantemente felice.
E sembrava fatta di porcellana. Sì, perché
ogni secondo che passava alcune crepe si allargavano sulla sua superficie
liscia.
<< Ma che…!? >> tentò di dire, rialzando lo sguardo di
scatto…
Rimase pietrificato.
Di nuovo. Per l’ennesima volta.
Il bambino era
sparito.
Alle spalle di
Shikamaru ora, nascosto nella sua ombra, un demone felino sembrava fissarlo con
la stessa aria strafottente di quell’irritante moccioso.
Ma più che un gatto… sembrava una lince.
Orecchie appuntite,
lunghi baffi, occhi color vinaccia dall’iride allungata… e due code sinuose che
si muovevano nell’aria.
<< Neko… mata
>> sussurrò stupefatto, incredulo, incapace di fare ragionamenti di senso
compiuto o di pensare a qualsiasi cosa.
Il demone delle due
code sembrò sorridere. Ma nel momento in cui la maschera si infranse
completamente fra le sue mani, di botto fu catapultato nella realtà.
Shikamaru aveva
ritratto violentemente il braccio, lo aveva guardato con occhi sbarrati e con
espressione a metà fra il risentito e lo sbalordito… poi si era girato e,
conscio di non essere più seguito, era scomparso dietro il primo angolo.
Kiba rimase pietrificato
in mezzo al ponte sospeso, a bocca aperta e con il respiro mozzato in gola.
Aveva ancora nelle
mani la sensazione della maschera che cadeva in pezzi…
Sbuffò sonoramente, spegnendo con un gesto secco il piccolo
riproduttore digitale.
Togliendosi le cuffie dalle orecchie con uno scatto le
lasciò impattare rumorosamente a terra, preferendo ignorarle per il suo bene
mentale.
L’ultimo dei suoi problemi era l’eventualità di spaccare gli
auricolari del lettore mp3.
Si girò nuovamente sulla schiena, facendo sì che tornasse in
contatto con il pavimento gelido e sicuramente poco accogliente.
Ma non gli importava del freddo, ne
del fatto che magari si sarebbe preso l’influenza o chissà cos’altro.
L’unica cosa che riusciva a pensare era… quella.
Quella maledetta immagine di quel maledetto Luna Park.
E il fatto che Shikamaru… che
Shikamaru era… un demone, un cercoterio.
Era una cavia… e
lui non se ne era nemmeno accorto.
Portò l’avambraccio destro a coprirsi il volto, nella
speranza di bloccare il pizzicore agli occhi che minacciava di farlo piangere.
Quanto poteva essere ignorante lui, nella sua vita?
Quanto doveva essere deficiente, per non accorgersene?
Nel silenzio, ascoltò il battito del suo cuore.
Era accelerato, pulsava nelle vene
come nelle tempie, aggressivo e quasi crudele. Lo aggrappava con tutto se
stesso ad una vita che non sapeva nemmeno se fosse
realmente sua.
Però… nell’ascoltare quel sordo
rumore ritmico, pareva trovare una certa tranquillità.
Almeno finchè il rumore non divenne più veloce, più forte,
più cadenzato. Si accorse che quello che sentiva ora non era il battito del suo
cuore, ma di passi, che pian piano si avvicinavano a quel punto della
biblioteca.
Beh, non poteva di certo stare nascosto per sempre con la
speranza di non essere mai trovato, no?
Stette dunque ad ascoltare. I passi divennero chiarissimi,
tanto da poter dire che fossero quasi strascicati, a si
fermarono esattamente a poca distanza dietro lui, ancora disteso a terra.
Kiba non fece nulla per riconoscere chi fosse,
né si tolse l’avambraccio dagli occhi. Andò semplicemente ad eliminazione.
Non poteva essere Naruto, perché conoscendolo sarebbe
arrivato di corsa e avrebbe cominciato a sbraitare appena varcata la soglia
della biblioteca.
Non poteva essere Sakura, o Ino, esattamente per lo stesso
motivo. Loro non sarebbero rimaste in silenzio, come invece faceva la persona
che, quasi sicuramente, in quel momento lo stava guardando.
Non poteva essere l’Uchiha. Impossibile. Semplicemente
perché Sasuke “Scateniamo il Casino nel Mondo” Uchiha non si sarebbe mai e poi
mai messo a cercarlo.
Non poteva essere Itachi Uchiha; non si sarebbe fatto
sentire, ne era quasi sicuro. Sarebbe comparso e basta.
Come non poteva essere Neji Hyuga, dato che non gli aveva
ancora detto di alzare il culo e seguirlo.
E non poteva essere di certo
Hinata. Avrebbe già balbettato il suo nome una ventina di volte, durante tutto
questo ragionamento, cosa che non aveva sentito fare.
Beh, Kiba… due più due fa quattro, giallo e rosso danno
arancione e l’asse terrestre è inclinato di 23,5
gradi.
Fra tutti quelli esclusi era
rimasta una sola persona. Elementare, Watson.
A questo punto, tra
l’altro, non sapeva se stupirsi per il suo ragionamento coerente o per il fatto che l’altro si fosse presentato di sua
spontanea volontà.
Sorrise amaramente, riuscendo chissà dove a racimolare un
po’ di voce. << A cosa devo l’onore? >> chiese,
ironico.
Shikamaru inizialmente non rispose, osservandolo dall’alto
anche se l’altro non poteva vederlo.
Si chinò dunque, piegando le ginocchia, arrivando con il
volto parallelamente a quello di Kiba.
Il castano, poi, sentì le dita calde di Nara sul suo
braccio, nel tentativo di spostarlo dai suoi occhi. Mossa completamente
riuscita, dato che non aveva più nessun motivo per coprirseli.
Non avrebbe rinunciato a guardare Shikamaru in faccia mentre
gli spiegava tutto parola per parola.
Si fissarono, silenziosi. Il moro si era rifatto la coda
alta di sempre, racchiudendo i capelli nel ciuffo ad ananas che tanto Kiba
adorava prendere in giro, ed evidentemente si era cambiato la divisa,
sostituendo quella semi distrutta con una nuova.
<< Ti devo qualche spiegazione
>> disse dunque, senza l’ombra di un sorriso.
Ma dopotutto… chi aveva ancora la forza di sorridere, in una situazione simile?
Kiba piegò le labbra in una smorfia ironica, osservandolo
dal basso. << Puoi dirlo forte >> ribatté
sarcastico, senza muovere un muscolo.
Si sarebbe anche alzato, forse… ma fu
Shikamaru ad anticiparlo, stendendosi nella posizione inversa a lui e mettendo
solo la testa accanto alla sua.
Passò qualche minuto di pesante silenzio.
Nessuno dei due sapeva come cominciare quel discorso, se
Kiba con una domanda o Shikamaru con una spiegazione.
Il dilemma fu rotto dal secondo, ormai stanco di quell’opprimente
assenza di parola da parte dell’altro.
<< Suppongo tu abbia capito cosa sono… >> cominciò con calma, probabilmente tastando il terreno.
<< L’ho recepito forte e
chiaro >> fu la risposta di Kiba, lucida e senza esitazioni.
Ancora qualche attimo di immobilità.
Poi fu la voce di Kiba, questa volta, a risaltare per prima.
<< Perché non me lo hai mai
detto? >> chiese, fissando il soffitto buio.
Non che volesse fargli un primo grado da
mogliettina stizzita, nulla del genere. Desiderava sapere solo il perché
avesse preferito tenerglielo nascosto, tutto qui.
Il perché sembrava lo sapessero
tutti tranne lui…
<< Perché era pericoloso
>> fu la risposta.
Kiba ringhiò spazientito, battendo le mani in un eccesso di
stizza: << no, cazzo, questa no! >> sbottò poi, facendo risuonare
la sua voce per tutta la biblioteca. << Non venirmi a dire che era
pericoloso, non usare una scusa ridicola come questa! >> cominciò a
blaterare, ma fu Shikamaru ad interrompere sul nascere quella sua ribellione a
voce alta.
<< Kiba! >> chiamò, nel palese tentativo di zittirlo.
Spiazzato da quell’esclamazione, il castano non poté far
altro che tacere.
<< Era davvero pericoloso. O
almeno… mi era sembrato >> chiarì poi, chiudendo gli occhi con fare
stanco.
<< In che senso? >> chiese
dunque l’Inuzuka, ora calmo e disposto a starlo a sentire senza sbottare ad
ogni parola.
L’altro sospirò.
<< Lo sai, no? L’hai sentito prima dallo
Hyuga… >> cominciò << …i demoni usano solamente persone con
una elevata forza spirituale, per attraversare. Il perché è
dato dal fatto che, tale forza, si adatta meglio a quella che è l’aura
del demone >> spiegò brevemente, riprendendo poco dopo: << lo
stesso concetto vale per il cercoteri. Si adattano meglio al
corpo di una persona con un elevato potere spirituale >> disse.
Il cervello di Kiba cominciava finalmente a collegare
qualche pezzo del puzzle.
Il fatto che lui fosse un Tabernacolo, quindi una persona
con un elevato potere spirituale, lo rendeva una cavia ideale per impiantare al
suo interno un cercoterio. Come era
successo a Shikamaru…
<< Quindi… >> abbozzò con voce incerta,
iniziando finalmente a comprendere la dinamica
nascosta dietro al St. Michael.
<< Già… >> sospirò Shikamaru
<< …eri una “preda” appetibile. Persino Itachi ti aveva notato, e
la cosa non mi lasciava tranquillo >> proseguì, la voce modulata data la vicinanza.
<< Cosa c’entra Uchiha?
>> domandò stranito l’Inuzuka. Se non aveva
preso rane per tori, Itachi era un loro alleato… o no?
Il moro non rispose subito, perso in chissà quale dei propri
pensieri. L’altro voltò il capo in sua direzione, osservandolo sottosopra da
quella distanza sicuramente ravvicinata.
Dentro di sé, avrebbe voluto davvero fargli fretta.
Chiedergli una volta per tutte il perché del suo
spropositato odio nei confronti del maggiore degli Uchiha, soprattutto ora che
sapevano della sua collaborazione con Neji.
Chiedergli di parlare una volta per tutte,
perché lui era stanco delle persone che non gli dicevano nulla e pretendevano
che capisse tutto.
Tuttavia tacque. Aspettò, come gli
diceva l’istinto. Si fidava di lui… nonostante gli avesse tenuto nascosto del
demone, si fidava di lui.
<< E’ stato Itachi Uchiha ad
inserire Nekomata all’interno del mio corpo >> esordì poi il moro,
mettendosi seduto con un fruscio di vestiti.
E quella notizia arrivò come una
cannonata. Una botta sui denti con una mazza da baseball avrebbe fatto meno
male.
Si mise seduto a sua volta, osservandolo a dir poco
sbalordito.
Fu in quel momento, mentre Kiba osservava la sua schiena,
che finalmente vide quello che Shikamaru non gli aveva mai mostrato.
Dietro al collo, a livello della terza vertebra, il
tatuaggio del numero “2” rimaneva nascosto fra l’attaccatura dei capelli e il
colletto della camicia.
Si avvicinò, osservandolo più da vicino. Lui aveva visto
tanti tatuaggi in vita sua, alcuni suoi sempai a scuola se li facevano, ma quel
numero sembrava tutto fuorché un normale tatuaggio. Era più… una cicatrice di
colore nero. Di fianco ad esso, inoltre, altre piccole
cicatrici oblunghe si potevano vedere ad una distanza più ravvicinata.
Sembravano… taglietti da bisturi. Ed
erano sicuramente due, se non tre.
Deglutì silenziosamente, posando le dita sul numero impresso
sulla nuca del moro. Shikamaru non si mosse, rimanendo con la testa reclinata
in avanti, lasciandolo fare.
<< E’ stato… davvero lui? >> chiese Kiba,
sfiorando quel segno con il polpastrello dell’indice.
Se lo ricordava… un cerotto bianco sul collo in quella
stessa posizione, in uno dei ricordi di Shikamaru che aveva visto tempo prima.
Nara annuì silenziosamente. << Lavorava per Orochimaru
come infiltrato. O almeno, così ha risposto quando gliel’ho
chiesto >> rispose, voltandosi finalmente in sua direzione.
Nonostante si fosse cambiato, e probabilmente rassettato,
due leggere occhiaie violacee stazionavano sotto ai
suoi occhi. Persino l’espressione era stanca, mentre prendeva fra le sue la
mano di Kiba che gli aveva sfiorato il collo, baciandola lievemente.
<< Dovresti dormire un po’ >>
disse subito il castano, posando la mano libera sulla guancia
dell’altro.
<< No, finchè sei sveglio tu
>> rispose quello, socchiudendo gli occhi al contatto. << Voglio tenerti d’occhio >> aggiunse poi, avvicinandosi
di più a lui. Incrociò le gambe con le sue, finchè non si
trovarono talmente vicini da poter sentire l’uno il respiro dell’altro.
Finché non bastarono i sussurri,
per parlare.
<< So badare a me stesso, sai?
>> rispose sarcastico Kiba, prendendo con entrambe le mani quelle di
Shikamaru ed intrecciandone le dita con le proprie.
<< Lo so, ma non mi sento tranquillo comunque >> ribatté subito il moro, stringendo la
presa.
<< Beh, mi spiace… >> sospirò poi Kiba,
chiudendo gli occhi con fare esausto: << …per quanto io sia stanco, non
credo che riuscirei a dormire >> spiegò, incontrando però in risposta solo il silenzio.
Riaprendo gli occhi, lo osservò meglio. << Shikamaru,
cosa c’è? >> chiese dunque, con la sua solita rudezza
ma con un tono misto fra dolcezza e preoccupazione.
<< Kiba… >> sussurrò l’altro, rialzando lo
sguardo su di lui: << …non hai paura di me? >> chiese,
sincero.
Eccola. Se l’aspettava quasi, una
domanda simile.
Il classico dilemma del buon samaritano con le crisi
esistenziali; e lo strano era che Shikamaru, un buon samaritano con le crisi
esistenziali, non lo sembrava proprio.
Fu per quello che sospirò, con un “santa pazienza”
spazientito, prima di rispondere.
<< Sai Shikamaru, mia sorella è
una piaga >> cominciò, apparentemente senza alcun collegamento logico.
<< Scommetto quello che vuoi che un’invasione di api
assassine sarebbe più sopportabile di lei. Ma, ogni
tanto, anche lei ha le sue uscite sagge, dato che è la cervellotica di famiglia
>> continuò imperterrito, chiudendo gli occhi con fare consapevole.
<< Una volta mi ha detto che le persone si devono giudicare per quello
che fanno, ma amare per quello che sono. E io non credo proprio di aver paura
di te, o di disprezzarti… tu sei sempre lo stesso Shikamaru che ho conosciuto,
che ci sia o meno un demone racchiuso dentro di te. Tu
non sei Nekomata, lo racchiudi e basta… non lo sei >> concluse, ripetendo
il concetto ed osservandolo direttamente negli occhi.
L’altro, come se niente fosse, sorrise
lievemente. << Da questo devo dedurre che mi ami,
Inuzuka? >> chiese sornione, avvicinandosi alle labbra
del castano con un sorrisetto appena accennato.
Kiba sogghignò, inclinando l’angolo della bocca,
socchiudendo gli occhi mentre il volto dell’altro si faceva sempre più vicino.
<< Mah… >> esitò volutamente << …forse sì, forse no. Chi può dirlo? >> ci scherzò sopra in un soffio, ormai a
pochi centimetri dalle sue labbra.
Non c’era nemmeno più imbarazzo in quel gesto, dopo la prima
volta. Era diventato quasi famigliare, anche se non molto frequente, fra loro.
Si baciarono. Dapprima in modo casto, un semplice sfiorarsi
reciproco di labbra. Poi in modo più incisivo, approfondendo il contatto a
labbra dischiuse, lasciando che le lingue si sfiorassero fra loro in lievi e
veloci carezze, che divennero più lunghe man mano che
il bacio si approfondiva.
Ricevendo quelle attenzioni, abbracciandolo, baciandolo…
Kiba era sempre più convinto che il demone delle due
code e l’essere chiamato Shikamaru Nara fossero due entità distinte, separate
l’una dall’altra.
La maschera non rappresenta sempre la menzogna, dopotutto. Veniva usata anche per nascondere un segreto, piccolo o
grande che fosse.
Non sempre ha un significato negativo…
Si disgiunsero qualche secondo dopo, osservandosi
languidamente a vicenda.
<< Non ti ho ancora chiesto come ti senti… >> sussurrò Shikamaru, riappropriandosi delle labbra di Kiba
per un bacio fugace, lungo solo un istante.
Kiba rispose a quel breve contatto prima ancora di
rispondere: << Starei meglio se non ci fosse della gente che tenta di
uccidermi… >> sussurrò, tendendo lui il collo questa volta per baciare
l’altro, una fotocopia del piccolo contatto appena avvenuto.
<< A proposito di questo… >> disse poi il moro,
osservandolo con serietà.
<< Sì? >> chiese il castano, guardandolo negli
occhi a sua volta.
<< Ho una teoria >>.
<< In che senso spiegarti tutto? >> chiese con
fare stranito, camminandogli di fianco mentre Shikamaru cercava un particolare
reparto all’interno dell’enorme biblioteca.
Fuori dalle grandi finestre il
cielo cominciava pian piano a schiarirsi, segno che l’alba era a non più di
un’ora.
<< Prima… >> cominciò Nara << …hai detto
che vedi delle cose strane, e che ricordi cose che non
hai mai fatto. Dimmi cosa >> specificò il moro, puntando di tanto in
tanto il fascio luminoso di una torcia elettrica ad illuminare il frontespizio
di qualche libro.
Cos’era quella curiosità, così all’improvviso?
No, no. Aveva battuto la testa da qualche parte. Doveva per
forza essere così.
Lo osservò indeciso, guardandogli le spalle più che il volto
dato che era impegnato a cercare un determinato scaffale, ma solo quel gesto
gli confermò che no, non stava scherzando.
Voleva saperlo davvero.
Perché… lui che motivo aveva di
nasconderlo? Era perché così sembrava… poco normale?
Beh, Kiba, figliolo… il tuo ragazzo è il contenitore di un
demone che fa da braccio destro alla Morte, frequenti gente che è messa anche
peggio, sei in una scuola in cui di normale non c’è nemmeno un granello di
polvere… ancora ti credevi un essere umano qualunque?
Sospirò, facendo tacere il cervello.
<< Vedo… me >> disse
poi, spostando istintivamente lo sguardo alla prima finestra disponibile. Fissò
il suo riflesso, come se all’improvviso dovesse comparire l’altro se stesso in
conferma alle sue parole: << però non sono propriamente io. E’… qualcos’altro >> aggiunse, criptico.
In un fruscio Shikamaru si fermò nella sua ricerca,
voltandosi. << Cos’altro? >> insistette.
Kiba aggrottò le sopracciglia, così come
fece il suo riflesso sul vetro. Sospirò, tornando a guardare il moro prima di rispondergli.
<< Un altro me >> disse, serio. << Vestiti
diversi, volto insanguinato, una bruciatura sul collo e sul viso… >> elencò il più precisamente possibile, facendosi dei segni
con le mani sul viso, per specificare meglio dove quel riflesso avesse la
cicatrice.
Shikamaru annuì, senza tuttavia aggiungere nulla. << E le cose che sai fare senza averle imparate? >>
chiese poi, assottigliando gli occhi.
Si vedeva che quel cervello da quoziente intellettivo 200
stava elaborando qualcosa.
Il castano sbuffò lievemente, portandosi per riflesso una
mano a grattarsi la nuca. << Combattimento… per lo più. Lo sapevi? So le
arti marziali! >> esclamò poi, avvicinandosi e mimando un calcio.
<< Davvero? >> chiese Shikamaru, seguendolo con
lo sguardo.
<< A quanto pare >>
rispose subito Kiba, fermandosi davanti a lui e mettendosi le mani nelle tasche
dei pantaloni. << Peccato che io non ne avevo la
minima idea >> aggiunse poi, osservandolo.
Sì, stava ragionando. Se qualcuno avesse aperto in quel
momento la scatola cranica di Nara ci avrebbe trovato
dentro la WWM (World Wide Mind, come l’aveva rinominata l’inuzuka) al lavoro.
Per un secondo, Shikamaru spostò gli occhi da lui alla
finestra. La luce all’interno della stanza non era molta, dato
che il sole doveva effettivamente ancora sorgere, però era sufficiente a
far sì che potessero vedersi a vicenda.
Squadrò per qualche istante il cielo, aggrottando poi le
sopracciglia, probabilmente al vaglio di un pensiero che non lo allettava
propriamente.
<< Supponiamo… >> cominciò
poco dopo, sempre rivolto alla finestra << …che tu, come Tabernacolo,
fosti davvero la preda favorita di qualsivoglia demone. Perché
Orochimaru, che da quello che ho capito patteggia per Lucifero insieme al
serpentone, vuole vederti morto? >> chiese, rivolto sia a Kiba che a se
stesso.
Sorrise appena, sollevando l’angolo della bocca in una
smorfia. “Serpentone”, che se aveva capito bene e si riferiva a Yamata no Orochi, era probabilmente una terminologia usata da
Nekomata.
Era facile decodificare gli indizi,
col senno di poi.
In ogni caso scosse il capo,
sbadigliando. << Non lo so. Qualche idea? >> chiese, asciugandosi
gli occhi da qualche lacrima causata dallo sbadiglio.
<< E’ strano >> disse
semplicemente, tornando a guardarlo negli occhi. << Se
tu puoi essere la via per far salire un demone completo su questo piano, perché
ucciderti? Anche se sei sotto l’ala protettiva
dell’Arcangelo Michele sei pur sempre una pedina utile >> considerò,
perso in una rete di ragionamenti al di fuori della portata di Kiba.
<< A meno che… >> cominciò poi, inarcando un
sopracciglio.
<< A meno che? >> incalzò il castano, ormai
incuriosito.
<< A meno che un Tabernacolo non possa
essere solo la chiave per l’arrivo di un demone, ma anche l’opposto >>
ipotizzò, sogghignando soddisfatto. << E se tu
fossi la chiave per la nascita di un angelo? >> chiese poi, retorico
anche se rivolto verso il castano.
Kiba, dal canto suo, rimase abbastanza sbalordito da quell’idea.
<< Io!? >> chiese stupito, indicandosi con un
dito.
Shikamaru fece spallucce. << Potrebbe anche darsi
>> commentò solamente, per poi riprendere:
<< spiegherebbe perché Michele ha deciso di proteggerti, e perché Orochimaru
di ucciderti. E considerando che l’equilibrio è quello
che è perché il Paradiso ha un angelo in meno… >> lasciò cadere, facendo
intuire a Kiba che gli lasciava la parola.
<< …si spiega l’urgenza >> concluse il castano,
seguendolo passo per passo. << Anche se non
riesco a crederci, di essere un “qualsiasi cosa sia” capace di dar vita ad un
angelo, o anche solo di rappresentarlo >> aggiunse in seguito.
<< Nessuno ha la minima idea di come nascano gli angeli, o se vengano creati. Se supponiamo poi
che, secondo il Creazionismo, tutto nasce nel mondo secondo un piano
pre-disegnato da Dio, non ci sarebbe da utilizzare
nemmeno il concetto di “nascita” in sé >> spiegò Shikamaru, riprendendo a
camminare in cerca dello scaffale che cercava,
<< Alt, ingrana la retro
>> esclamò Kiba andandogli dietro: << non cominciare a parlare come
un’enciclopedia, altrimenti non ti seguo più >> disse, affiancandolo
nuovamente.
Shikamaru sogghignò, probabilmente se lo
aspettava. << Dovresti leggere un po’ di libri,
al posto dei manga >> ribatté sincero, prendendolo bonariamente in
giro.
<< Con il rischio di addormentarmi a
pagina 10? No grazie, ognuno ha il suo stile di vita
>> ribatté subito l’altro, portandosi le mani dietro la nuca e
chiudendo gli occhi.
Passarono così alcuni minuti, nel silenzio riempito solo
dall’eco dei loro passi. La biblioteca non era piccola, ma loro stavano
continuando a girare in tondo per gli scaffali, controllando e ricontrollando.
Quale cavolo di settore stava cercando?
<< Ah…! >> esclamò poi Shikamaru, puntando il
fascio di luce della torcia sul frontespizio bordeaux di
un libro: << ci siamo quasi >>.
<< Cartesio? >> domandò quasi schifato Kiba,
storcendo il naso in un’espressione a metà fra la sorpresa e la repulsione
fisica.
<< Matematica >> precisò Shikamaru, inoltrandosi
fra le due scaffalature che delimitavano il settore.
Ah. Ecco cos’era quella repulsione fisica che provava.
<< Scusa se te lo chiedo, luce dei miei occhi >>
cominciò l’Inuzuka, ironizzando sul nomignolo ma
tenendosi il più distante possibile dai libri. Già di loro, per lui, erano
peggio di un sonnifero; se poi parlavano pure di matematica era
morte cerebrale assicurata. << Perché siamo nel reparto di
matematica? >> chiese, tornando con lo sguardo sul
moro, ora fermo in un punto particolare della scaffalatura.
Il fascio di luce illuminava una serie di libri dalla
copertina blu scura e parecchio impolverata. Probabilmente quel settore era
rimasto intatto dopo l’attacco del Rokubi (dato che
era uno dei più inutilizzati e, dunque, uno degli ultimi in fondo all’intera
biblioteca) ma comunque quei libri davano l’impressione di non essere di
frequente fra le mani degli studenti.
Lesse il titolo. Arricciò di più il naso.
<< No… lui no! >> agonizzò il castano, ora
palesemente e letteralmente inquietato da quello che passava per la mente
dell’altro.
Shikamaru, che nel contempo aveva recuperato una scaletta
pieghevole dallo scaffale opposto, gli lanciò un’occhiata sbieca: << non
offendere i grandi maestri della Fisica moderna >> disse, salendo i due
gradini per prendere il primo dei libri che aveva notato, aggiungendo: <<
potresti trovare che sono di una qualche utilità
>> con tono impegnato.
<< Non lo metto in dubbio >> ribatté subito
Kiba, appoggiandosi con la schiena allo scaffale di fronte a quello a cui stava
Shikamaru: << Come fermacarte i libri di Einstein
sono molto utili >> ribatté sarcastico, incrociando le braccia al petto.
Il moro, probabilmente, lo ignorò dato che
non gli rispose nemmeno. Era impegnato a sfogliare pagine su pagine, soffermandosi
ogni tanto per leggere qualche riga.
Poi, dopo alcuni minuti di mutismo, sorridendo mestamente si
rivolse a lui, sedendosi sulla scaletta con il libro ancora fra le mani.
<< Per il cadavere nel taxi hai qualche idea? >>
chiese, con tutta l’aria di chi parte da un punto già considerato per arrivare
ad una certa conclusione.
Tuttavia, Kiba non gli disse né di tagliare corto, né di
evitargli giri di parole inutili.
Se avesse tagliato corto, lui non
ci avrebbe sicuramente capito niente. Se avesse evitato
i giri di parole, come minimo ci avrebbe capito ancora meno.
Negò con il capo, tornando a guardarlo.
Sorrise. E quel sorrisetto, anche
se amaro in un qualche modo, voleva rappresentare un esplicito “io sì”.
Non attese oltre. << Sembri avere
qualche idea in testa… >> buttò lì il castano, osservandolo.
L’altro annuì, prima di chiedere: << hai mai visto Donnie Darko? >>
Ok. Shikamaru era palesemente impazzito e ora stava tentando
di comprare il suo silenzio citando un film.
Lo guardò. E probabilmente la sua
espressione parlò per lui.
<< Stai al gioco e rispondi >> fu il semplice commento del moro.
Kiba sospirò, roteando per un attimo gli occhi chiusi:
<< ci ho provato, ma mi sono addormentato dopo venti minuti >>
ammise << perché? >> chiese poi, non riuscendo minimamente a capire
cosa centrasseDonnie
Darko con lui.
Se avesse avuto le mani libere,
Shikamaru se ne sarebbe schiaffato come minimo una sulla fronte.
E dire che l’Inuzuka non sembrava un
emarginato sociale. Insomma, certi film prima o
poi si vedono, se non al cinema almeno a nolo! << Sai almeno di cosa
tratta? >> chiese, ormai pronto al peggio.
Che non arrivò. Kiba era superficiale, non scemo.
<< Ah sì, aspetta! >> esclamò, chiudendo gli
occhi in uno sforzo di memoria. << Quei cosi… i tunnel spazio-tempo!
>> esclamò una volta che ebbe trovato il termine… ma la sua soddisfazione
durò solo il tempo necessario per rendersi conto di quello che stava passando
per la testa di Shikamaru.
<< Non vorrai farmi credere che vengo
dal futuro…? >> disse scettico.
Sì, Shikamaru stava realmente vendendo la sua sanità mentale
al miglior offerente.
<< Non proprio >> disse lui, girando il libro in
sua direzione, per mostrarglielo. << Quei “cosi” sono i Wormhole. O, in
termini più strettamente scientifici, Ponti di Einstein-Rosen
>> cominciò, con tutta l’intenzione di proseguire. Infatti, dopo che Kiba
ebbe inutilmente tentato di capire il ragionamento, andò avanti: <<
secondo Rosen, che ha studiato un ipotetico fenomeno di questo tipo basandosi
sulla teoria della Relatività di Einstein, il Wormhole
è un tunnel che collega due punti opposti dell’universo e dentro al quale vi è
un’accelerazione superiore alla velocità della luce. E’ come un’autostrada che
collega New York a Pechino viaggiando attraverso
la Terra, anziché sopra >> spiegò, semplificando, prima di continuare:
<< la teoria di base, è che si possa raggiungere un punto o l’altro
dell’universo nell’arco di un istante, anziché in milioni e milioni di anni luce >> concluse.
Kiba sembrò ragionarci sopra. Doveva ammetterlo, quando
aveva sparato tutti quei termini scientifici si era
perso dal principio, ma l’esempio aveva fruttato l’aiuto necessario.
<< In poche parole… >> cercò di riassumere alla
sua maniera << …è come se da Pechino volessi
andare a New York in cinque secondi invece che in 12 ore >> ipotizzò,
incontrando l’assenso di Shikamaru.
<< Questo però non spiega un bel niente >>
aggiunse poi, non trovando la connessione logica fra i Wormhole, o come cavolo
si chiamavano, e il fatto che dentro al taxi ci fosse
il suo cadavere carbonizzato.
<< Messa così no >> concordò Shikamaru <<
ma ci sono alcuni scienziati che pensano che questi
ponti siano anche collegamenti fra tempi diversi, non solo fra spazi >>
aggiunse.
Kiba inarcò un sopracciglio, ovviamente perso per strada.
Shikamaru sospirò, semplificando di nuovo: << come se
partissi da Pechino nel 2008 e arrivassi a New York nel 1930 >> disse,
notando con piacere che finalmente il castano sembrava seguirlo di nuovo.
Per seguirlo lo seguiva… peccato che, nel farlo, saltasse
qualche tappa.
<< Quindi stai effettivamente
cercando di dirmi che vengo dal futuro? >> esclamò come impazzito,
tornando di sua iniziativa alla prima considerazione fatta. << Tu sei malato… >> aggiunse, incredulo.
Fortuna che Nara aveva pazienza da vendere.
<< Non lo so, ti ho detto
>> rispose, sospirando stressato. << Sono solo
supposizioni. Fatico anche io a credere che una teoria simile possa anche solo
lontanamente essere vera >> aggiunse, chiudendo
il libro con un tonfo.
Però, a ben pensarci, qualcosa lo
spiegava.
Per esempio il cadavere nel taxi. Se
veramente veniva dal futuro (o chissà da quale “Pechino” di quale anno) potevano
magari, con tantissima fantasia ed una portentosa immaginazione, esserci due Kiba in quel “tempo” e da quella
parte del mondo.
Deglutì a vuoto, fissando la punta delle sue scarpe.
Anche se questo fosse stato vero, o
se fosse stato anche solo un ragionamento campato per aria, il cadavere nel
taxi… era realmente… Kiba Inuzuka.
Il Kiba Inuzuka del passato.
Era dunque lui “l’altro se stesso” che vedeva riflesso in
ogni finestra, in ogni specchio? Era dunque suo il posto che aveva preso?
Perché… aveva preso il suo posto?
Chi aveva deciso questo per lui?
E poi… qualcosa non tornava. I
telefilm non insegnano che, se si elimina una persona del passato, quella del
futuro scompare perché si modifica il corso temporale? Cosa
voleva dire quello, che veniva da un futuro “diverso”?
Ma come poteva, se il Kiba Inuzuka
del passato aveva la sua stessa età? Non può la stessa
persona nel passato e nel futuro avere la stessa età, non è possibile!
E da quale futuro veniva? Quanti
potevano essercene? Tanti futuri quante sono le probabilità che l’essere umano
ha di fare una scelta che ne determini lo svolgimento? Del tipo scegliere che
strada prendere ad un bivio?
Allora erano infiniti futuri per infinite scelte.
Se lui era arrivato lì, come… come
poteva tornare a casa? Nel suo “futuro”?
No… la domanda era un’altra.
Sarebbe effettivamente
tornato nel suo futuro, se ne esisteva uno?
Alzò lo sguardo su Shikamaru, osservandolo attentamente.
C’era uno Shikamaru Nara anche nel posto da dove veniva? E loro due erano così uniti anche in quel futuro, in quel
luogo?
E se il Kiba Inuzuka di quel tempo
non fosse morto, avrebbe legato con Nara così come aveva fatto lui?
Sarebbe diventato il suo ragazzo… così
come lo era diventato lui?
Aggrottò le sopracciglia, sentendosi improvvisamente male;
come se un macigno si fosse posizionato sul suo petto
e gli avesse appesantito il respiro.
O il cuore.
<< A-aspetta >> balbettò poi, deglutendo per
rintracciare un tono di voce normale.
Non era il momento di farsi delle tare mentali su una teoria
scientifica, tra l’altro non ancora dimostrata.
Erano semplici supposizioni con dei numeri dentro, niente di
più e niente di meno.
Poteva dimostrare che si sbagliava. Poteva dimostrare che
quell’ipotesi non poteva affatto essere applicabile, o reale.
Shikamaru lo osservò, scendendo dopo aver riposizionato il
libro sul ripiano. Nemmeno la sua espressione sembrava dimostrare contentezza, per
la teoria appena esposta.
Probabilmente Nara era arrivato a tutti
quei ragionamenti molto prima di lui. Probabilmente… aveva provato lo
stesso senso di vuoto anche lui, in un qualche modo e dal suo personale punto
di vista.
Kiba ringraziò mentalmente la nottata, con l’oscurità che
poteva ben coprire il suo colorito pallido ed il terrore che sicuramente aveva
stampato in faccia.
<< C’è qualcosa che… non ha senso >> riprese,
saettando dal viso del moro al pavimento.
Non riusciva a guardarlo in faccia, in quello stato.
<< Se veramente… insomma, la
teoria è vera e io vengo da chissà dove… perché non mi ricordo niente di quel
fantomatico posto? Perché ricordo la mia vita in questo tempo? >> chiese,
riprendendo improvvisamente a respirare con calma.
Non ci aveva pensato. Non ci aveva assolutamente pensato!
Perché non ricordava nulla del
“futuro” da cui proveniva? Non era strano?
Tuttavia, Shikamaru sembrò non riguadagnare la speranza che
invece Kiba sentiva nuovamente fluire dentro di sé.
Aveva già considerato anche quello?
<< E se invece te ne
ricordassi e, al contempo, non te ne rendessi conto? >> chiese,
rispondendo biecamente ad una domanda con un’altra domanda.
Il dubbio tornò ad insinuarsi nelle vene del castano, che lo
guardava come se fosse un boia con la scure pronta a decapitare la sua
speranza.
Si mostrò disorientato, però, e forse fu per quello che
Shikamaru semplificò ancora il concetto.
<< E se in quel tuo “futuro”
tu avessi imparato… le arti marziali? >> chiese retorico, guardandolo con
le sopracciglia aggrottate in un’espressione addolorata.
Anche lui era ben consapevole
dell’importanza di ciò che stava dicendo. Come era ben
consapevole di cosa significasse.
Kiba, dal canto suo, perse nuovamente l’ottimismo che lo
caratterizzava.
Vuol dire che le arti marziali… e quella corsa… in realtà
erano ricordi del vero “se stesso” che cercavano di riaffiorare?
Ma allora per quale motivo non
ricordava niente? Per quale motivo aveva preso le sembianze e la vita del Kiba Inuzuka di quel tempo? Gli
si era sostituito quasi del tutto… persino i ricordi, persino le conoscenze.
Ma allora… lui da dove veniva?
Lui… chi era?
<< Non è possibile… >>
sussurrò d’un fiato, sconvolto. Non si accorse nemmeno che Shikamaru gli
era venuto incontro, abbracciandolo.
Non riusciva quasi più a respirare.
Rimase immobile in quella stretta, limitandosi ad appoggiare
il capo sulla sua spalla.
Nonostante la rincorresse ormai
senza sosta, la Verità stava sempre un passo avanti a lui.
<< Vieni… torniamo dagli
altri >> disse poi Shikamaru, accarezzandogli la fronte con un movimento
dolce anche se impacciato.
Sì… sì. Un sonnellino ci voleva proprio.
Guardava gli altri.
Così, semplicemente.
Loro discutevano,
parlando animatamente in circolo vicino alla cattedra, e lui li guardava.
Vedeva le loro bocche
muoversi lentamente, come se fossero stati sotto l’effetto di un fermo immagine. Qualche parola, qualche frase, due o tre
sillabe…
Le leggeva, seguendo i
gesti di ognuno di loro… ma non li sentiva.
Non sentiva niente.
Non un timbro di voce,
non un sussurro, non una sillaba. Nulla.
Era tutto
maledettamente muto e sepolto sotto un silenzio assordante.
Shikamaru, alla sua
destra, sembrava discutere animatamente con Sasuke, posizionato
fra Sakura e Naruto esattamente di fronte a lui.
Itachi fissava Neji di
sottecchi, comunicandosi qualcosa tramite lo sguardo, ma non riusciva a capire
cosa.
Hinata sembrava
schiacciata dalle parti in causa, non trovando mai tempo di dire la sua idea,
che forse era anche la migliore:
Aiuto.
Questo leggeva sulle
labbra della Hyuga.
Ma gli altri non la ascoltavano, come
sembravano non badare nemmeno a lui.
Forse non lo vedevano?
Forse non lo sentivano?
Perché avrebbero dovuto, se lui non sentiva loro?
Tentò di allungare la mano
verso Shikamaru, giusto per posargliela sulla spalla. Per dirgli di guardare
Hinata, di tenere in considerazione l’idea di chiedere aiuto a chi, quelle
cose, le sapeva fare.
Ma cos’erano “quelle cose”?
Aveva una minima idea
dell’argomento della discussione?
No… non lo sapeva.
Poi, un suono.
Un colpo secco e
ridondante; come un soprammobile che cade a terra, o un pugno che batte su di
una porta.
Si girò. O almeno, provò. I suoi movimenti erano lenti come quelli di
tutti e gli sembrava di dover destreggiarsi in una stanza piena di acqua densa come fango, ma trasparente come l’aria.
Poi, lo vide.
Là nell’angolo,
nascosto dalla disattenzione di chi ancora discuteva inutilmente intorno a quel
tavolo.
Capelli
chiari raccolti da una coda, occhiali, viso strafottente e sorrisetto malizioso
stampato in volto. Un camice
da laboratorio mezzo strappato e macchiato di una sostanza appiccicosa e
verdastra, mischiata molto probabilmente a del sangue, a giudicare dal colore
delle piccole gocce scarlatte che vi erano mescolate.
Metà del viso umana… e
metà demoniaca.
tutta la parte destra del volto era quasi corrosa
da una sottospecie di acido e, dalla pelle mutilata, crescevano lentamente quelle
che avevano tutto l’aspetto di piume, dure quanto l’acciaio ma dall’aspetto leggiadro,
di colore verdastro.
La stessa mano poi,
portata al volto mentre gli sorrideva inquietantemente, aveva subito una
mutazione ancora differente: la pelle del dorso si era indurita, rinsecchita,
cominciando a crepare e a formare grumi di cute morta che non si staccavano, ma
si inglobavano a quella ancora viva, di colore
grigiastro. Le unghie poi erano cresciute, divenendo artigli piccoli ma
appuntiti.
Dietro di lui,
muovendosi al suolo in spasmi sicuramente inumani, quattro code di lucertola si
agitavano impazzite.
Kiba sgranò gli occhi,
prendendo fiato per gridare… ma come tutti, lì dentro anche la sua voce
sembrava assente.
Oppure, semplicemente, non riusciva a sentirsi.
L’unica cosa che
poteva sentire era il rumore disgustoso delle penne che crescevano, sbucando
dalla pelle e trafiggendola, facendola sanguinare.
Kiba fissò Kabuto, così come Kabuto osservò lui.
L’infermiere mosse le
labbra, sorrise sarcastico…
<< Vi ho trovati… >>
Aprì gli occhi di scatto, quasi di fretta, trovandosi
davanti il volto confuso e interdetto di Shikamaru.
Si accorse che il moro lo stava trattenendo per la spalle solo quando, rilassando la tensione delle braccia
e della schiena, non si sentì sorretto da quella stessa stretta.
<< Kiba? >> chiamò il moro, osservandolo con un
principio di paranoia nella voce.
<< No, Napoleone Bonaparte >> rispose
sarcastico, richiudendo gli occhi e lasciando andare il collo all’indietro con
fare relativamente rilassato. Sbuffò.
Un sogno. Era un maledettissimo, fottutissimo,
sfortunatissimo, masochistico sogno del cavolo. Il soggetto, tra l’altro, non
era manco uno dei più interessanti.
Ma dico, era un adolescente, no?
Sforzo neuronale minimo, sinapsi quasi completamente assenti e il pallino del
sesso avrebbero dovuto essere la sua normalità. In
cosa sbagliava? Perché non sognava Kurenai-sensei nuda
come tutti i maschi sani della sua stessa età? Dov’era
finita la sua tempesta ormonale, a farsi canne in Giamaica?
<< Cos’è successo? >>
sentì poi una voce chiedere, mentre si strofinava gli occhi e il moro lasciava
la presa.
Alta, femminile… Ino?
Ah, già. Erano tornati nella sala del Consiglio Studentesco
e si era addormentato appoggiato a Shikamaru.
<< Nulla, un incubo >> rassicurò Nara,
aiutandolo ad alzarsi una volta che sembrò riprendere coscienza di se stesso.
La faccia di Ino era chiaramente
interpretabile, in quel momento. Lanciava fulmini dagli occhi e, a giudicare
dagli occhi ancora assonnati, avrebbe dato dieci a uno
che si era appena svegliata.
Anzi, che l’aveva
appena svegliata.
<< Ho fatto molto casino? >> chiese, rivolto a
nessuno in particolare dato che ormai erano tutti svegli.
<< Hai gridato >> intervenne una voce profonda e
pacata, da destra. Itachi Uchiha, mani lungo i fianchi
ed espressione marmorea, lo osservava sospettoso.
<< Cos’hai visto? >> si intromise Neji, completando a voce quello che l’Uchiha
gli stava per chiedere con gli occhi.
Kiba inarcò un sopracciglio, allibito. << Cosa centra cos’ho visto? Era un incubo, mi dispiace…
>> ma non riuscì a terminare la frase che subito lo Hyuga,
probabilmente accorto tracciatore di menzogne, lo interruppe con un’occhiata
gelida.
<< Non è una sogno normale >> sibilò, ansioso
più del solito: << Cos’hai visto? >> chiese di nuovo, fulminandolo.
L’Inuzuka arricciò il naso, disturbato da quel
comportamento.
Anche se era l’arcangelo buono e giusto non
aveva di certo il diritto di trattarlo come una pezza da piedi.
<< Per chi mi hai preso, per Nostradamus? >>
ribatté malamente, deciso a non dargliela vinta
nemmeno morto: << non sono la tua personale Sibilla, non è che tutte le
volte che chiudo gli occhi sogni cose impossibili >> sputò seccato,
sfidandolo apertamente di dire il contrario…
…cosa che non fece. Semplicemente
distolse lo sguardo, borbottando qualcosa a proposito degli idioti e dei bugiardi.
Kiba lo ignorò. Cosa voleva saperne
lui dei suoi sogni? Non riusciva ad interpretarli lui, figuriamoci
il primo arcangelo del cavolo che scendeva dal cielo!
Distolse lo sguardo a sua volta, prestando pochissima
attenzione al discorso che stava cominciando fra gli altri.
Era stufo marcio di quella situazione. Perché non riusciva a
dormire nemmeno quattro ore che subito veniva
tormentato a quel modo? E cos’era? Un qualche
equilibrio del cavolo si stava vendicando su di lui?
Che se la prendesse con Uchiha,
miseria ladra! Era Sasuke il trita-balle
spacca-equilibri, di certo non lui!
Spostò per caso gli occhi sul gruppetto, attirato da una
parola pronunciata a voce troppo alta da Sakura.
Discutevano, tanto per cambiare. E
di cosa, adesso? Del suo orologio biologico?
Seccato spostò nuovamente gli occhi all’orologio da polso,
ignorando altamente la discussione in corso di svolgimento. Faceva le sette e mezzo… ottimo, quasi il tramonto. Voleva dire che
almeno sette ore le aveva dormite, dato che era caduto
nel caldo abbraccio di Morfeo che era quasi mezzogiorno.
D’improvviso, però, ebbe un tonfo al cuore.
Il dolore di una consapevolezza che viene troppo tardi, o di
un dubbio che comincia a roderti il fegato con l’anima appresso.
Spostò lo sguardo sui suoi compagni… e sgranò gli occhi.
Shikamaru, alla sua destra, discuteva animatamente con
Sasuke, inserito fra Naruto e Sakura.
Itachi e Neji si guardavano di sottecchi, comunicandosi
qualcosa con lo sguardo.
Hinata, sommersa dalle parole, non riusciva a parlare per
esprimere la sua opinione…
Era tutto uguale.
Era tutto uguale, maledizione!
<< Cristo…! >> esclamò a bassa voce, voltandosi
di scatto verso l’angolo opposto al gruppo, in cui nel sogno aveva visto
Kabuto.
Troppo vicino. L’effetto questa volta era troppo vicino!
La altre premonizioni non si
avveravano nel giro di così poco tempo!
Squadrò la parete da fondo a soffitto, scrutando persino le
ombre causate dalla luce del sole in calo che penetrava dalla finestra.
Non c’era nessuno lì con loro, ma lo sentiva… se lo sentiva
nelle ossa che sarebbe successo qualcosa.
E quando un figura metà umana e metà demoniaca comparve alla finestra, fissandolo con due occhi dalle iridi
allungate e con la netta intenzione di assassinarlo all’istante, seppe che quel
momento era appena arrivato.
<< GIU! >> riuscì a malapena ad urlare, con
tutto il fiato che aveva in corpo, cercando di avvisare gli altri di lui, di
Kabuto fuori dalla finestra… ma non fece in tempo.
In un assordante clangore di vetri rotti il ragazzo sfondò
la finestra e, con un balzo dal davanzale, fu davanti a lui in meno di un
istante.
Era stato stupido a non accorgersene prima, e adesso era
troppo tardi…
Chapter No.12 ~ End.
(*) Esiste parecchio materiale riguardante i Ponti di Einstein-Rosen (sì, a parte Wikipedia XD) soprattutto
bibliografico e videografico, appartenente al filone fantascientifico. Per
dirvi alcuni titoli, a parte il sopra citato "Donnie Darko" (che è
sicuramente il film più popolare, da questo punto di vista), posso anche nominare
"Lost in Space" e il più recente "Deja-vu", oltre a
parecchie serie televisive di cui non so dire i titoli. Persino una puntata di
"Star Trek: Next Generation" da quanto ho capito andando in giro per
il web.
In ogni caso, vi assicuro che la parte di Wikipedia riguardante
questo argomento è abbastanza ben fatta, anche se
servono alcuni preconcetti di fisica per poter capire tutto ^^''' non è cosa
impossibile per chi ha frequentato uno scientifico tradizionale, ecco.
Potrei parlare per ore della scelta che mi ha portato a
scrivere un risvolto di questo tipo, gettandomi a
capofitto in una pseudo fantascienza.
Ma vi riassumerò il tutto: io amo
la Fisica. E la teoria della Relatività, seppur quasi
incomprensibile nonostante le basi, mi affascina.
Avendo fatto uno scientifico mi pare normale, e ciò che mi
rode il fegato è non poterla studiare a livello universitario (sono una
schiappa in matematica, non posso per principio U__U''''').
So che questo svolgimento sembrerà obsoleto... ma questa,
anche se non era l'idea originale, mi è parsa la più adatta per una serie di
motivi che vi dirò alla fine dell'ultimo capitolo, se
ci sarete ancora.
Guardate il lato positivo (dipende
dai punti di vista... XP): se non avessi optato per la fantascienza, la trama
non sarebbe stata questo popò di intrigo che alla fine è venuto fuori X°DDD.
Per ora ringrazio chi ha letto fino a quì. Vi pagherò una
visita dall'oculista, se si dimostrerà il caso XD
Guardare Code Geass - Hangyaku no Lelouch (Code Geass - Lelouch della Ribellione), di per sé è il male.
Guardarlo due volte, è peggio.
Guardare per tre volte le ultime tre bastardissime,
maledettissime, deprimentissime puntate… è volersi
male.
E io mi voglio male.
Detto questo, passiamo alle risposte! XP
Girlstreet: Ma… ma Frank!
°___° Perché quel povero coniglio non sta mai simpatico a nessuno? XD A me è
piaciuto come inserimento nel film *sisi*. E comunque no, non preoccuparti! XD Non eliminerò il mio protagonista…
non subito almeno MWAHAHAHAH! *sadicamalignaebastarda*
e nemmeno Shikamacio, tranquilla XD ancora mi serve.
Povero Itachi, piace solo a me *si angolizza con Itachi*. Grazie come al solito per
aver letto e commentato!
CloudRibbon: *rimane con gli occhi sbrilluccicosi
a fissare il vecchio e amato papiro* *____*
Parliamo di altre cose: questa fic causa davvero danni collaterali… cioè, se riesce pure a
sincronizzarsi con te e mandarti strani ed inquietanti messaggi telepatici per
l’aggiornamento, siamo messi male XD. *Ferma Cloud
prima che causi ripetutamente gravi danni strutturali alla sua casa* io… io te l’avevo detto che mi anticipavi il finale in Up is Under! Te lo avevo detto! >O<
…dunque che ti devo dire? A costo di darti spoiler sì, la teoria è giusta… *si angolizza*. Ok, noi dovremo mettere un qualche avviso alla
fine della fic, dicendo che non ci plagiamo a
vicenda, perché incredibilmente siamo arrivate alla stessa conclusione e senza
nemmeno metterci d’accordo O___ò cioè, ma si può? E’
telepatia?... dì la verità, tu entri di nascosto nella
mia fase REM e leggi i finali prima che io li pensi! °_____°. No, non ho
parole. Lo stesso finale… assurdo! X°DDDDD *ride anche lei*.
In ogni caso, per l’ennesima volta, grazie mille per il
commento, i complimenti, per la costanza che ci metti
nel continuare a leggerla… per tutto! E soprattutto
grazie per la tua considerazione dei pg non OOC
ç____ç giuro che mi sforzo. Ok, più che altro mi sforzo
di non far saltare Shikamaru addosso a Kiba, ma sono dettagli U___u’’’.
Alla prossima!
Soarez: …*si accuccia
nell’angolino e sprofonda in un oceano buio e cupo* Shindler’s
List… hai citato Shindler’s List… ç___ç numi, quel
film ha fatto piangere anche me. Ma evitiamo di ricreare il Tamigi nel mio
salotto, così rispondo XD. Figurati per il capitolo precedente, non
preoccuparti… cioè, nonostante mi facciano molto
piacere, il mondo non si ferma se per una volta non hai voglia di scrivere un
commento, no? XP Per quanto riguarda Shika e Kiba… no dai, non sono così sadica. Forse.
Ti ho fatto piangere? O___ò Sul serio? O______O Oddio,
questo è sul serio un giorno da segnare sul calendario, il mio armadio ha più
pathos di me nello scrivere… Sappi comunque, che la
tue elucubrazione per un buon pezzo è giusta. Ovviamente non ti dirò quale
pezzo, ma lo capirai, suppongo, alla fine di questo
capitolo.
Anche a te grazie mille per la
costanza nel leggere i capitoli e per il commento!
Inuziku_rukiaXP: Giuro, lo so che è un carattere
impossibile… ma ti giuro che se la scrivo più grande viene una cosa appicicaticcia ed è ancora peggio T____T magari, se così
non riesci a leggerla, prova a copiarla su Word e ingrandire il carattere, o
cambiare font. So che non sta bene dirlo, ma è comunque
un buon trucco ^^’’’
Grazie anche a te per i complimenti!
Slice: Viva il club delle schiappe in
matematica, olè! XD Fortuna che io me ne sono tirata
fuori l’anno scorso, adesso faccio tutt’altro XP. Grazie mille anche a te per
il commento, ciau!
OnlyAShadow: Figliola, era il mio scopo non farti
capire assolutamente niente di quello
che stava succedendo! XD Altrimenti che gusto c’è? X°DDD *si diverte come una sadica*. Mi fa piacere che l’accostamento fra teologia e
fantascienza non sia stato forzato, o almeno non lo
sia sembrato… mi fa davvero piacere. Vuol dire che almeno un po’ bene riesco a scrivere XP.
Per il resto, un mille grazie anche
a te per il commento. E non temere per le tue notti insonni, era l’ultima
apparizione del pagliaccio in questa ficXD
Rosa_elefante: Un’altra anima pia che ha avuto la costanza
di leggersi tutti i capitoli senza morirci sopra XD brava io? Brava a te che
hai gli occhi buoni! Questa fic rischia di accecare
qualcuno (me inclusa, dato che sono un po’ miope
>___>). In ogni caso ti ringrazio tantissimo per i complimenti, davvero;
mi fa sempre piacere sentire che qualcuno apprezza quello che scrivo e come
scrivo ^___^ …e sì, io adoro la Fisica XD anche il mio professore diceva che
non sono normale, ma ne vado fiera! >___<.
Grazie di nuovo per il commento e… alla prossima!
Hiko_chan: Viva il club delle schiappe in mate,
parte 2! XD E poi… che bello, una compagna di scientifico! *O*
Comunque, tornando a cose serie:
sono felice che tu (come anche altri) apprezziate come abbia inserito la
fantascienza all’interno di questa cosa ^^’’’ all’inizio, lo ammetto, ero
scettica anche io… cioè, la mia tesina di maturità è stato il conflitto fra
etica e religione, dunque non ti dico che pare mentali quando ho cercato di
unire due cose così… diciamo che tento di dare del mio meglio XD sinceramente,
al momento, più che significati filosofici cerco di dare una linearità alla
trama. Anche perché è facile perdersi, e se la dico io
che la scrivo a sbalzi, non riesco ad immaginarmi chi la legge che casino che
deve sciogliere XD.
Grazie mille per il commento, per i complimenti e, anche se
è scontato dirlo, sono felice che la fic ti piaccia!
Alla prossima!
Bene, anche per questa volta è terminato il turno dei
commenti.
Solo una cosa: attenti al finale del capitolo… potrebbe
essere un tantino tremendo XD. Beh, uomo avvisato…
Buona lettura!
Chapter
13 ~TenthEcho
Wormhole
Parte 2
Successe tutto a rallentatore.
Kabuto aveva alzato la mano artigliata in aria,
probabilmente caricando il colpo che, quasi sicuramente, gli avrebbe reciso la
carotide senza nemmeno la fatica di metterci troppa forza.
Un colpo magistrale.
Peccato che lui, in un qualche modo,
sapeva già che quell’attacco sarebbe stato mortale. Semplicemente
perché, forse in una specie di acutezza mentale data
dall’adrenalina e dall’agitazione, vedeva quella mano muoversi a rilento.
Sapeva già di poterlo scansare. E Kabuto non sembrava
nemmeno posizionato per colpirlo ripetutamente, magari
approfittando di una qualche reazione, oppure di uno sbilanciamento.
Poteva salvarsi. Sapeva
come salvarsi.
Fu istintivo e, quasi naturale dato che altrimenti ci
avrebbe rimesso la vita, in un certo modo abitudinario. Quasi come se lo avesse
fatto altre volte.
Cosa che si chiedeva… ma a cui al
momento non prestava particolare attenzione.
In un movimento fin troppo veloce indietreggiò,
schivando definitivamente il colpo di Kabuto; le dita artigliate, per un
qualche miracolo, gli passarono a due centimetri buoni dalla gola.
Già il suo cervello stava elaborando l’eventuale
contrattacco che si sentì cozzare contro il muro.
Era troppo vicino, dannatamente troppo vicino!
Si guardò intorno, mentre il demone dalle quattro code
sembrava preparare un secondo attacco; una luce strana aleggiava negli occhi
chiari del ragazzo dallo sguardo serio, come la scintilla di un servilismo
oltre misura, sfociante quasi nell’idolatria.
Possibile che facesse tutto quello solo per il bene del
vicepreside? Possibile che fosse così assoggettato dall’uomo da arrivare a
vendere se stesso, il suo stesso corpo e il suo stesso futuro, alla causa che
Orochimaru sembrava avere adottato?
No, anzi… possibile che c’era sempre e perennemente qualcuno
che tentava di ucciderlo?
E cos’era? Un reality
show che prometteva un mucchio di quattrini a chi uccideva per primo Kiba
Inuzuka?!
Non ebbe tempo nemmeno per respirare… non
c’era abbastanza spazio. Doveva indietreggiare per forza, se voleva
donare a se stesso l’infinito piacere di non essere sgozzato e di non finire i
suoi giorni con un secondo sorriso sanguinolento.
Ma dietro di sé aveva il muro. E un
muro simile, di una chiesa tardo-gotica, non lo buttavi
giù a fiato stile Lupo dei 3 Porcellini.
E no, non si sarebbe aperta una provvidenziale voragine
sotto ai suoi piedi.
Abbassarsi era fuori discussione. Era un colpo diagonale
dall’alto verso il basso, lo avrebbe colpito comunque,
anche se magari al posto dell’arteria carotidea
avrebbe perso “solo” un occhio. Va beh che sua madre diceva sempre che tanto ne aveva due, ma non gli sembrava semplicemente il caso.
Di lato non poteva andare: da una parte c’erano i banchi,
non sarebbe andato molto lontano, e dall’altra c’erano gli altri, cioè persone che non voleva coinvolgere.
Fece semplicemente quello che la disperazione dettava:
incrociò le braccia davanti al volto e chiuse gli occhi.
…ma non avvenne niente.
Nella classe c’era ormai solamente silenzio. Nessuno
parlava, o fiatava, o respirava.
Riaprendo gli occhi, la prima cosa che Kiba poté vedere
furono gli artigli di Kabuto a circa tre centimetri dal suo viso, immobili.
Osservando poi il ragazzo, l’espressione da sbruffone
nonostante avesse il viso contratto da quello che sembrava dolore, si accorse
che le iridi chiare non stavano più guardando lui: fissavano qualcuno alla sua
sinistra.
Voltò il capo… e quello che vide gli fece credere che sì,
magari la fortuna si era finalmente decisa a togliersi
quella maledetta benda, accorgendosi di lui.
Shikamaru, inginocchiato a terra con una mano aperta sul
pavimento, sembrava il ritratto della tranquillità. Tuttavia si era dimostrato
il degno contraente di quel cervello da 200 Q.I. che si era ritrovato a
possedere: sotto la sua mano, più densa e scura rispetto alle altre ombre nella
sala, quella della cattedra si deformava e allungava, unendosi a quella di
Kabuto, risalendogli lungo le braccia e il corpo come se avesse vita e spessore
propri in modo da bloccarne i movimenti.
Con un sospiro udibile, l’Inuzuka riprese a respirare.
Scivolò (non per sua volontà, ma per spossatezza) in basso lungo il muro,
togliendosi definitivamente dalle grinfie delYonbi (*1) e raggiungendo gli altri con un balzo. Itachi e
Neji, frapponendosi, formarono una specie di barriera fra lui e Yakushi.
<< Lodevole >> commentò Kabuto, osservando
Shikamaru senza sforzo, nonostante la forzata immobilità: << è quasi
ironico pensare che la capacità di controllare le ombre venga dal Nekomata rinchiuso dentro di te, Nara >> disse,
sarcastico.
Shikamaru sembrò non risentirne, come se quelle parole gli
fossero scivolate addosso come acqua. Sakura e Ino lo fissarono per qualche
istante, senza però dire nulla a voce.
Dato che non ricevette risposta, continuò: <<
probabilmente ho scelto il momento sbagliato, per attaccare. Il calar del sole
allunga le ombre, e tu ovviamente l’hai sfruttato… ammetto di essere stato
incauto >> disse, un po’ risentito per lo sforzo
che faceva nel rimanere in quella posizione forzata.
Ma ancora Nara non rispondeva. Si
limitava ad osservarlo dal basso, l’espressione perfettamente calma,
concentrata nel mantenere il controllo dell’ombra e del demone al contempo.
Non parlò, ma ci pensò Kabuto a riempire il silenzio:
<< Frustrante, vero? >> cominciò, sempre rivolto
a Shikamaru.
Cosa stava facendo? Tentava
incautamente di farlo montare su tutte le furie?
Il moro continuò ad osservarlo senza parole e senza
reazioni. Solamente un breve movimento con le sopracciglia dimostrò che sì,
evidentemente lo stava ascoltando e non si era estraniato dal mondo.
Continuò, dopo una pausa di qualche istante: << dover
sempre mantenere il controllo su se stessi per timore che il demone impiantato
nel tuo midollo spinale prenda il sopravvento causando una mutazione
dell’aspetto. Oppure che annulli la tua volontà, prendendo
del tutto il controllo del tuo corpo >> pronunciò con un sorrisetto folle
che si allargava sulle labbra. Spostò lo sguardo verso Kiba, osservandolo
con occhi socchiusi, quasi come se fosse un trofeo da vincere o un ambito
premio. << La sua forza spirituale è così intensa che riesco a sentirla
persino quando non la sta utilizzando. Sarebbe stato un ottimo
contenitore per il Gobi … >> aggiunse,
terminando la frase in un sussurro.
D’improvviso, senza preavviso, l’ombra che tratteneva
l’infermiere cominciò a salire lungo il petto dello stesso, raggiungendo in una
gelida carezza il collo del malcapitato. Come se fosse stata una mano,
intangibile e al contempo concreta, cominciò pian piano a stringere. Si vedeva
la pelle deformarsi sotto quell’oscura minaccia, il viso di Kabuto sformarsi in
una smorfia di dolore, la gola tendere i suoi muscoli in un urlo represso.
Kiba si guardò intorno, indeciso se dire a Shikamaru di
fermarsi o meno.
Nessuno si muoveva. Solamente Hinata aveva distolto lo
sguardo, osservando con interesse uno dei pietrini
del pavimento, ma gli altri avevano gli occhi puntati sul complice di Orochimaru, le espressioni serie, quasi come a voler dire
che gli stava bene, dopo tutto quello che aveva provocato insieme al
vicepreside, morire soffocato e dolorante.
Tuttavia, quando tornò con lo sguardo alla silenziosa agonia
dell’uomo, lo vide… sorridere.
Un dubbio gli passò per la mente.
Dov’erano finiti il maestro Kakashi
e la preside? E il prete pervertito?
<< Shikamaru tienilo immobile! >> sbottò poi,
facendo da parte Neji e Itachi con uno spintone frettoloso, avvicinandosi con
due passi veloci a Kabuto.
<< Kiba! >> urlò Ino, seguita a ruota da Naruto
e da Shikamaru, che lo osservavano tesi.
L’Inuzuka non si rivolse nemmeno all’infermiere, disgustato
anche solo dall’espressione soddisfatta che aveva in faccia. Anche se avesse
chiesto, supponeva che sparasse più cazzate Kabuto di
tutta l’accademia messa insieme, dato come aveva retto il gioco al serpentone
con le manie di onnipotenza.
Non si sprecò nell’aprir bocca, agì e basta.
Gli appoggiò una mano sulla spalla, chiuse gli occhi… e si
lasciò andare.
I sentimenti di Kabuto
lo invasero con difficoltà. Anzi, poteva tranquillamente dire che fu lui che si
sincronizzò difficilmente con quello che provava il contenitore del demone
dalle 4 code.
Tuttavia ci riuscì.
Si ritrovò in un
ambiente scuro ed umido, quasi completamente buio tranne per
alcuni fasci di luce aranciata che provenivano da piccole finestrelle, in alto
sulle pareti della stanza.
Era un posto immenso e
alto, il soffitto a volte incrociate, completamente in pietra. Ci doveva essere
una perdita, probabilmente, perché nell’oscurità in fondo alla stanza sentiva continuamente
un cadenzato gocciolio.
Un fruscio alla sua
destra lo distrasse e, sgranando gli occhi, vide a terra i corpi immobili del
maestro Kakashi e della preside Tsunade. Poco più avanti, ai piedi di un uomo
nascosto dall’ombra di una delle colonne che sorreggevano gli architravi, il
reverendo Jiraiya ansimava pesantemente, trattenendosi un braccio.
Sulla schiena di tutti
e tre, conficcate nella carne, alcune piume color cenere erano
trafiggevano la pelle sotto ai vestiti. Intorno ai punti in cui penetravano
nella cute, una specie di sostanza collosa e verdognola colava lentamente.
Veleno.
Solamente allora capì:
Sokou era il demone del veleno.
Quella era opera di
Kabuto.
Quando con un tonfo
anche Jiraiya capitolò, sussurrando alcune parole sconnesse che lui non riuscì
a sentire da quella distanza, la figura nascosta dall’ombra
sorrise sarcastica, aprendo gli occhi.
Li avrebbe
riconosciuti ovunque, dopo che se li era trovati
davanti in infermeria.
<< Sei un
illuso, Jiraiya. Lo eri da giovane e non sei cambiato >> pronunciò il
vicepreside con voce secca e sibilante, fissando i suoi occhi demoniaci verso
l’angolo opposto della sala.
Voltandosi, l’Inuzuka
poté vedere Kabuto in piedi di fianco ad una porta di legno, il braccio che
aveva lanciato le piume velenifere ancora proteso in avanti.
Era un ricordo.
Sì, ma di quanto
recente?
<< Trovami i mocciosi >> ordinò Orochimaru, senza
spostarsi dall’ombra. Osservava ad intermittenza Kabuto e il corpo di Jiraiya,
quasi con pietà.
<< Sono stati evacuati tutti >> rispose il ragazzo.
<< Non quelli
che contano… >> fu la semplice risposta
dell’uomo prima che Kabuto sparisse, balzando fin troppo velocemente su per le
scale dall’altra parte della porta.
Orochimaru spostò con
un piede il volto del reverendo, voltandolo in modo che potesse vederlo mentre
agonizzava.
Con l’espressione
palesemente addolorata e il respiro pesante, l’uomo lo guardò con fatica.
<< Non ci… riuscirai >> esalò << il ragazzo… è destinato a…
tornare indietro… >> continuò finchè, con un colpo di tosse, il dolore lo
mise a tacere.
<< Il destino è
un’illusione per deboli >> ribatté Orochimaru,
calmo e tranquillo, come se neanche il fatto fosse suo.
Non riusciva a capire
che espressione avesse…
Riaprì gli occhi di soprassalto quando, con una rapidità ed
una forza strane, Itachi lo staccò definitivamente da Kabuto, annullando il
contatto fra lui e i ricordi dell’altro.
Sudava freddo. Se ne accorse dai
brividi che gli percorrevano la schiena e dalle piccole goccioline di sudore
che avevano il coraggio di corrergli lungo la tempia destra.
Fissò Kabuto, come in trance,
ignorando le domande frettolose di Neji e la preoccupazione degli sguardi di
Naruto e Shikamaru.
<< Bastardo… >> sussurrò iracondo, stringendo i
denti e fulminandolo con gli occhi.
Questa volta era il caso di dirglielo. Soprattutto perché,
al contrario di prima, era una cosa già successa…
<< Ha liberato il vicepreside >> fu la risposta, gli occhi che non si spostavano mai da
quelli chiari e beffardi di Yakushi: << la
preside, il reverendo e il maestro Kakashi sono da qualche parte, svenuti…
credo… spero. Ma non so dove… >>
<< I sotterranei >> disse subito Shikamaru,
concentrato sia nell’ascolto che nel controllo dell’ombra: << avevano
portato là Orochimaru >> chiarì, sembrando tranquillo anche se in realtà
era tutto l’opposto.
Servì solamente un istante a Neji per fare il punto della
situazione: << Hinata, vai >> disse soprapensiero, probabilmente
continuando un suo personale ragionamento.
<< S-si! >> balbettò
l’angelo, facendo qualche passo incerto in direzione della porta prima di
mettersi a correre.
Ino scattò a sua volta. << L’accompagno,
non si sa mai! >> sbottò mentre usciva dalla porta dell’aula per
imboccare il corridoio a tutta velocità e in una curva stretta.
<< Vado anche io >> sussurrò
Itachi alle sue spalle, seguendola e sparendo a sua volta.
Nel momento stesso in cui anche Itachi sparì silenziosamente
dalla stanza, Kabuto esplose in una risatina ambigua. Gli occhi dei presenti
chiedevano mutuamente spiegazioni, domandandosi il motivo di tutta
quell’ilarità.
Kiba, dal canto suo, si sentiva sempre più iracondo. Non
solo il pensiero del maestro Kakashi, del reverendo Jiraiya e della preside gli
mandavano in vena l’adrenalina e il risentimento, ma anche la considerazione che Yakushi gli fosse
stato vicino in più occasioni e che avesse mentito così bene da non
farsi scoprire… era frustrante, come aveva detto lo stesso Kabuto.
<< Che ne facciamo di lui?
>> la voce di Sasuke, sebbene bassa e pacata,
appariva fin troppo seria per non far trapelare un po’ di agitazione. Teneva
Naruto per mano, probabilmente già da prima che Nara immobilizzasse il ragazzo,
e sembrava in una perenne condizione di guardia. Kiba lo percepiva come una
belva in attesa del momento adatto per aprire la
caccia: aspettava solamente che la preda facesse un passo falso, o che lo
minacciasse avvicinandosi troppo.
Con una risatina secca fu lo stesso Kabuto ad interrompere
la conversazione: << ormai è troppo tardi per fare qualsiasi cosa
>> disse, strascicato e beffardo, come se il fatto di essere praticamente in trappola non fosse un problema suo.
Fu questione di un secondo, o forse anche meno. Non ebbero
nemmeno il tempo per rispondere alla provocazione lanciata: un enorme boato
spezzò il silenzio rimbalzando nell’aria, facendo scattare spontaneamente le
mani a coprire le orecchie per non rimanere assordati dal rumore.
Il grido di una bestia, il suo inno alla
battaglia, l’invito del carnefice alla sua preda preferita.
A quel ripetuto lamento anche Shikamaru dovette mollare la
presa, lasciando andare l’ombra che teneva intrappolato il giovane infermiere:
con un balzo Kabuto si liberò, tornando verso la finestra e scomparendo all’esterno
con un ghigno di sadico divertimento stampato in faccia.
<< Col cavolo che ti mollo! >> esclamò Kiba a
voce fin troppo alta, ancora stordito ma perfettamente in grado di inseguirlo.
Si era letteralmente stancato di tutta quella storia.
Trasferimenti, evacuazioni, omicidi, suicidi, visioni… basta. Era un essere
umano anche lui, e cominciava ad averne piene le tasche.
Al diavolo il vittimismo e al diavolo le protezioni. Era lui
che volevano? Bene, gli sarebbe andato loro incontro.
Aveva un conto in sospeso con YamatanoOrochi, dopotutto.
Anzi no… con se stesso.
Spada o non spada, intervento divino o demoniaco, doveva
dimostrare di non essere un pappamolla.
Lui non era un pappamolla.
Lui non era un pappamolla!!
Scattò in avanti, sorpassando Shikamaru senza che nemmeno
guardarlo, concentrato sul suo obiettivo. Non sapeva se poteva essere veloce
quanto il suo obiettivo, ma almeno sperava in quell’aiuto casuale di quelle
strane “reminescenze”.
Poteva correre più forte della normale
andatura umana, poteva farlo!
Lo aveva già fatto!
In nemmeno due secondi attraversò
la classe e, poggiando la mano sul davanzale della finestra ancora aperta,
saltò a piedi pari l’ostacolo, atterrando agilmente sul selciato dall’altra
parte.
<< Kiba, no! >> sentì urlare da dentro: <<
idiota, stanno cercando te! torna…! >> ma non stette a
sentire né le voci né il significato di quello che dicevano.
Cominciò a correre verso il cortile interno, cercando di non
sprecare troppe energie, inclinando il più possibile il busto in avanti e portando
le braccia a fare da contrappeso all’indietro.
La velocità aumentò sensibilmente, anche se faticava a
mantenere quella corsa per più di qualche istante. Non ricordava bene come
aveva fatto la volta precedente, erano pezzi di memoria molto confusi…
Tuttavia l’inseguimento diede i suoi frutti: lungo le mura
dell’accademia riuscì a vedere, anche se ancora in lontananza, gli
inconfondibili capelli chiari di Yakushi muoversi al
vento della sua andatura sovrannaturale.
Sperava di beccarlo da solo, di pestarlo a
sangue prima che raggiungesse qualunque posto in cui intendesse arrivare…
ma fu tutto inutile.
Raggiunse molto prima di lui il cortile interno e, una volta
che anche lui voltò l’ultimo angolo, seppe immediatamente che lo stavano
ardentemente aspettando.
Kabuto, in piedi a pochi metri da lui, lo guardava
sorridendo beffardo mentre Orochimaru, trasfigurato per metà nel serpente
bianco dalle otto code, aveva piegato le labbra in un ghigno compiaciuto.
<< Non mi aspettavo di meglio…
>> sussurrò con malizioso divertimento, schioccando le dita; a
quel piccolo rumore, Yakushi lo raggiunse con un
balzo calcolato sin nel millimetro, mettendosi alla sua destra.
L’Inuzuka non disse nulla, limitandosi a rimanere in attesa. Probabilmente era stato davvero uno stupido, se
si guardavano le cose da un punto di vista prettamente logico, ma nel suo
peregrinare in quella scuola così a lungo aveva imparato a dubitare della
visione logica dell’esistenza.
Provava solo un gran prurito alle mani e una voglia insana
di spaccare la faccia ad Orochimaru, facendogli ingoiare la sua strafottenza e
infilandogli gentilmente i suoi tentati omicidi in quel posto dove non batte il sole.
<< Inuzuka… >> pronunciò il suo nome con
relativa calma e lentezza, avvicinandosi di un passo << …non pensavo
fossi così stupido da presentarti da solo. Dove sono i
tuoi paladini protettori, a chiedersi da che parte devono correre per
raggiungerci? >> domandò poi il demone serpente, agitando in aria le otto
code dalle squame candide.
<< Cosa ti fa pensare che io
vada protetto, scherzo della natura?! >> ribatté ringhiando Kiba,
mantenendosi però a distanza. Non poteva sapere se avrebbe ingaggiato battaglia
con Orochimaru, come non poteva sapere come si sarebbe comportato l’ Hachibi in uno spazio aperto,
dato che l’ultima volta erano in un luogo chiuso e la sua agilità ne era
risultata evidentemente penalizzata.
I serpenti, di natura, sono insidiosi… ma alcune specie,
oltre al morso letale, hanno anche la velocità dello scatto da non
sottovalutare.
Notò solamente il ghigno sul suo volto pallido e segnato
dalle occhiaie, poi uno scintillio e un movimento e Kabuto fu
davanti a lui in meno di un decimo di secondo: non era nemmeno sicuro di aver
visto completamente le gambe muoversi, per esempio il piede di spinta o la
posizione del corpo… se lo era solamente ritrovato davanti.
Per l’ennesima volta, furono i suoi riflessi a salvarlo;
evitò per un pelo la mano tesa di Kabuto che puntava alla sua testa, osservando
gli artigli sottili e taglienti passargli a meno di un centimetro dall’occhio
sinistro. A causa della mossa fu costretto a riparare verso destra, ma il tempo
di voltare di nuovo il capo verso il demone dalle quattro
code e già lui gli era vicinissimo, cercando questa volta di
trapassargli il torace, probabilmente puntando al cuore.
Dovette abbassarsi, per scansarlo, quasi buttarsi a terra in
un movimento di una rapidità che nemmeno si aspettava di possedere, mentre per
l’ennesima volta scansava il fendente dello Yonbi.
Approfittò biecamente della posizione, entrando in spazzata.
Notò in un attimo che nell’attacco l’altro aveva portato il peso su una gamba
sola, la destra, in quanto non aveva avuto il tempo
materiale di appoggiare entrambi i piedi a terra. Puntando a quella riuscì a
fare un colpo quasi perfetto ma Kabuto, sorridendo, saltò con evidente
facilità, evitando di cadere in fallo. Fu un riflesso condizionato quello che
portò Kiba ad una mossa successiva e concatenata alla prima: invece che fermare
la rotazione della gamba la fece continuare, poggiando la punta del piede a
terra e, ruotando il busto nella stessa posizione e poggiando la mano destra a
terra come perno, compì una mezza rotazione con il busto e lanciò la seconda
gamba verso l’avversario, usando il tallone come un martello e la forza
centrifuga come potenza.
Essendo a mezz’aria Kabuto non poté scansarlo, ma lo parò,
venendo però sbalzato a quasi un metro di distanza.
Kiba, recuperando quasi subito l’equilibrio perso per via
della mossa, tornò in posizione di combattimento senza nemmeno accorgersene.
Stava seguendo l’istinto al cento per
cento, la sua concentrazione non comprendeva altro.
Non c’era bisogno di un super esperto per capire che Kabuto
si stava trattenendo. E di sicuro ormai aveva afferrato che farsi colpire anche
solo di striscio sarebbe stato comunque un punto a
sfavore. Con tutta probabilità, ogni parte del corpo di quel ragazzo grondava veleno come un alveare gronda di miele.
No, non era assolutamente una bella notizia.
Dato che aveva gli occhi puntati sul ragazzo
fu meno difficile farsi scappare l’input della seconda mossa: in un rapido
movimento il Kabuto aveva portato indietro entrambe le braccia, aperte alla
loro massima estensione. In uno spasmo delle dita e dei muscoli del collo aveva poi lasciato crescere alcune piume che, rilasciando
gli arti come fruste, non esitò a lanciare.
Se erano le stesse che aveva visto
nella visione, era in guai seri.
Ma dai?! Che
novità, era nei guai! Sicuramente una notizia da passare ai posteri… sempre che
li avesse avuti, i posteri.
<< Merd…! >> riuscì
per un puro colpo di fortuna ad evitare la prima ondata, balzando all’ indietro e scartando velocemente a sinistra; ma il
demone sembrava aver perfettamente intuito le sue mosse, dunque la seconda
ondata fu molto più precisa e mirata e non gli lasciò spazi di movimento o vie
di fuga. Non poteva far altro che prendere il colpo e sperare che il veleno non
entrasse in circolo troppo facilmente o in troppo poco tempo.
Anche se non ci sperava.
Era ormai pronto al dolore, quando un fulmine rosso gli
piombò davanti, rigettando con una potente ondata di energia
spirituale l’attacco del tetracoda.
Fra i suoi respiri accelerati e il silenzio del tramonto
inoltrato, le quattro code scarlatte del Kyuubi ondeggiavano morbidamente
nell’aria. E, di conseguenza, Naruto Uzumaki si
frapponeva fra lui e Kabuto emanando un’aurea a dir poco inquietante.
Orochimaru sorrise stupefatto, così
come Kabuto osservava Naruto con un’aria di sfida abbastanza palesata.
<< Ora la faccenda si fa più
interessante >> aggiunse l’infermiere, preparandosi ad un terzo
attacco evidentemente diretto a Naruto.
Ma il biondino non si fece cogliere
impreparato.
Dal punto di vista della potenza, era sicuramente più forte
dello Yonbi. O almeno, sarebbe stato il cercoterio più forte dei nove se avesse potuto
effettivamente sviluppare la piena potenza, ma… l’Uzumaki arrivava a
manifestare solamente quattro delle nove code che vantava
il Kyuubi… era impossibile stabilire quale fosse il più forte, in questi
termini.
Scattò. Un balzò sgraziato e
grezzo, condito con un ringhio gutturale e basso, quasi sottolineante la bestia
che dormiva all’interno del suo corpo.
Tuttavia un balzo efficace, poiché Kabuto cambiò il suo
obiettivo e si concentrò su Naruto, che a sua volta ingaggiò battaglia con il
demone dalle quattro code.
Kiba fu capace di seguirne qualche mossa, un paio di scambi,
prima che lo sguardo gli cadesse su Orochimaru. Evidentemente disinteressato
dalla battaglia in corso, lo osservava con fare serio.
Lo avrebbe attaccato. Se lo sentiva.
Tutto del demone lo stava urlando.
Si chinò in avanti, pronto al balzo. Di riflesso, anche Kiba
si mise nuovamente in guardia.
<< Direzione sbagliata! >> si sentì urlare da
destra, un tono squillante e decisamente femminile.
L’Inuzuka voltò il capo, a metà fra lo sconcertato e lo
stupito: Sakura Haruno si stava infilando alla mano destra un guanto bordeaux
con un cerchio alchemico dorato ricamato sopra.
Una volta che lo ebbe infilato del tutto, concentrò
l’energia spirituale sulla mano, caricò il pugno ecolpì il terreno: da quel punto si aprì una
vera e propria voragine che procedeva diritta in direzione di
Orochimaru con la furia di un terremoto.
Kiba, basito di fronte a tanta forza, cambiò opinione: fra
tutti i pazzi presenti all’interno di quell’istituto, Sakura era decisamente la più pericolosa e di sicuro era l’ultima
persona de cui desiderava essere preso a pugni. Poco ma sicuro.
Il demone, nonostante si vedesse che un trucco simile non
era cosa da scatenare la sua preoccupazione, vacillò per un
istante prima di balzare all’indietro ed evitare l’attacco.
Mossa sbagliata.
Si accorse solo successivamente
delle ali corvine di Sasuke spalancate nell’esatta direzione del salto, così
come dell’energia spirituale concentrata nella mano destra del moro, che
sibilava e fischiava rumorosamente prendendo la forma di un ammasso di fulmini.
<< Schiva questo! >> sbottò l’Uchiha con un
sorrisetto, caricando il colpo e dirigendolo dritto al cuore del vicepreside…
Ma la mossa non ebbe l’effetto
sperato. Orochimaru si difese prontamente con una delle sue code, che venne colpita al suo posto, e anzi ne utilizzò un’altra per
colpire Sasuke nel momento in cui abbassò la guardia, mandandolo a sbattere
contro una delle pareti dell’edificio scolastico, incassandolo letteralmente
nel cemento.
L’Uchiha sputò un fiotto di sangue, ma non cadde. Anzi,
usando le mani come appoggio e i piedi per darsi la spinta,
tornò all’attacco attivando lo Sharingan.
Al contempo, sotto di lui, Sakura si preparava a lanciare un
secondo colpo.
<< Stupidi, la stessa strategia non funziona due
volte! >> gridò Kiba in loro direzione, scansandosi
prontamente quando due delle piume avvelenate di Yakushi,
ancora intento a combattere con Naruto, minacciarono di colpirgli la
gamba.
Fece per correre in loro direzione, ma si bloccò non appena
fatti tre passi: non era la stessa tattica, questa volta. Cercavano entrambi di
attirarlo in un punto preciso del cortile poiché Neji, in piedi sulla cima del
campanile, si stava preparando a lanciare la stessa freccia dorata che aveva
visto la volta precedente, quella che aveva steso il vicepreside.
Che volessero ancora prenderlo
senza ucciderlo?
Tuttavia non funzionò comunque.
Orochimaru se ne accorse per tempo e, con un movimento
ancora più veloce delle code, riuscì ad avvolgerne una intorno alle braccia di
Sakura, cominciando rapidamente a stritolarla mentre la sollevava, ponendola in
traiettoria con la freccia di Neji.
L’arcangelo sobbalzò, indugiando, lo sguardo fisso sulla
ragazza che urlava e si dimenava nella stretta del vicepreside.
Fu Sasuke ad avventarsi su di lui, ma i riflessi pronti
della serpe fecero sì che si salvasse ancora; Sasuke cozzò violentemente contro
l’ennesima coda del demone, dopo aver evitato la prima che gli era venuta
incontro, che questa volta lo sbatté a terra con violenza inaudita. Cominciò
poi a rincarare la dose, colpendolo in rapida successione e con sorprendente
violenza: Sasuke gemeva di dolore, urlando ad ogni colpo e ad ogni costola
frantumata, mentre pian piano le spalle sprofondavano frantumando il cemento
del cortile e dalla bocca uscivano schizzi di sangue che ne imporporavano le
labbra e il mento.
<< SASUKE! >> urlò Naruto da un angolo del
cortile, terrorizzato dalla scena a cui aveva appena potuto volgere lo sguardo.
In quell’attimo di esitazione,
Kabuto ne approfittò.
<< ATTENTO NARUTO! >> sbottò Kiba, cercando di
avvertirlo del pericolo che correva con quella sua giustificata disattenzione…
ma era troppo tardi per reagire.
Venne colpito dalla mano
dell’altro, anche se solo di striscio… ma bastò
Dalla gota destra del biondo scendeva ora una sostanza
verdognola mescolata ad una riga di sangue.
L’Uzumaki gemette per il dolore, portandosi prima una mano
sulla guancia ferita poi vacillando visibilmente, perdendo definitivamente
l’equilibrio. Si inginocchiò a terra mentre,
gradualmente, una delle quattro code scompariva in uno sbuffo rossiccio.
Chiuse gli occhi cerulei e, stringendo i denti, gemette più
forte.
Fu costretto ad appoggiare entrambe le
maniaterra per non stramazzare,
e anche se era abbastanza lontano Kiba poté vederlo: il veleno si stava
diffondendo all’interno dei capillari del viso del biondo, colorandoli di verde
scuro ed ingrossandoli, come se sottili ma voraci radici crescessero al loro
interno cibandosi del suo stesso sangue.
La “macchia” si era ormai estesa fino all’occhio le cui
lacrime, oltre che corrosive come l’acido, divennero
velenose.
E a quel punto, nemmeno Naruto poté
esimersi orgogliosamente dal gridare di dolore.
Kiba, osservando terrorizzato, senti il cuore accelerare di
colpo i battiti. Martellava nel petto con forza, quasi volendolo squarciare,
pompando nel sangue adrenalina mista a terrore.
Era colpa sua?
Lo avevano seguito perché lui si era lanciato fuori senza
pensare.
Era colpa sua?
Aveva preferito correre il rischio di morire, di nuovo o per
la prima volta poco importava, per seguire la sua egoistica vendetta e adesso
aveva messo in pericolo anche le vite degli altri.
Sasuke era riverso a terra, crivellato di colpi. Come minimo
aveva ogni costola del torace sbriciolata.
Sakura rischiava l’asfissia mentre Neji, incatenato dalle
sue leggi, non poteva scoccare il colpo risolutivo.
Naruto era stato avvelenato e ora rantolava inginocchiato a
terra in gemiti di dolore.
Sì…
…era colpa sua.
Vide Kabuto voltare lo sguardo in sua direzione,
sorridendogli malevolmente.
Era logico che tornasse al suo obiettivo primario, ora che
Naruto era fuori combattimento. Era normale, era
strategia di battaglia.
L’istinto gli diceva di scappare, l’ostinazione di
combattere. Ma, in tutto questo, non riusciva a
muovere un solo muscolo.
Il senso di colpa lo incatenava al suolo insieme alla paura.
Lui… era un codardo.
Men che prima poté vedere il balzo
di Kabuto in sua direzione, preciso al millimetro e rapido quanto il morso di
un giaguaro.
Già si immaginava trafitto dalla
stessa mano che aveva sfiorato Naruto, trapassato in modo così preciso da non
lasciargli nemmeno il tempo di poter sentire gli effetti terribili del veleno
entrargli in circolo.
Sarebbe morto in maniera veloce… e game over.
Ma non accadde, non ancora. Non era
decisamente la sua ora di lasciare il mondo dei vivi,
quella.
Una saetta color ametista gli sfrecciò davanti, silenziosa quanto rapida, bloccando i polsi di Kabuto e
arrestando prepotentemente la sua corsa verso Kiba.
I capelli scuri erano raccolti nel suo codino a ciuffo
d’ananas, immobili nonostante l’aura palesemente carica d’odio che sprigionava;
lo ricopriva di un alone violaceo che prendeva la forma di due code,
ondeggianti nell’aria. Gli occhi, l’iride allungata sopra un’iride color
vinaccia, squadrarono Kabuto con l’ira di un demone.
<< Shik… >> sussurrò
incredulo Kiba, venendo però interrotto dallo stesso Yakushi,
ora visibilmente deliziato.
<< Nara >> pronunciò distintamente, nemmeno un
briciolo di affaticamento nella voce: << sono
stupefatto, non posso credere che proprio una persona razionale come te abbia
infine caduto al potere di Nekomata >> disse,
sorridendo beffardo.
<< Rimpiangerai di averlo sperato >> fu l’unica cosa che pronunciò il moro. Con uno sforzo dei
tendini delle dita e delle mani, le unghie di Shikamaru si affilarono e
crebbero, divenendo artigli sottilissimi degni di un felino. In uno scatto
fulmineo delle mani li scaricò su Kabuto, senza colpirlo ma riuscendo ad
allontanarlo a sufficienza per risvegliare l’ombra intorno a lui, che si
compattò improvvisamente e si alzò dal terreno, assumendo la forma di
molteplici lame.
<< Vai via di qui, Kiba… >>
disse a voce bassa in sua direzione, prima di spostare la mano e aizzare
le molteplici lame d’ombra contro Kabuto. Si sforzò, nel gesto. Si vedeva dal
viso contratto e dal leggero fiatone.
Probabilmente usare il potere del Nibi
gli dava forza ma al contempo lo feriva, gli faceva del male.
Kiba deglutì, osservando le lame insinuarsi minacciose verso
Yakushi, mancandolo quasi sempre.
Solo alcune riuscirono a prenderlo di striscio, ferendolo, ma la maggior parte venivano schivate.
Dannazione, quella sottospecie di tacchino era veloce!
Nel contempo, non potendo scagliare la freccia, Neji non
aveva avuto scelta. Facendo scomparire l’arco era sceso in picchiata dal
campanile, in un frullare d’ali dorate, e ora ingaggiava una specie di corpo a
corpo con l’Hachibi.
In realtà erano solamente tocchi, tentativi d’attacco da
parte di Neji che prontamente Orochimaru parava. Aveva lasciato perdere Sasuke,
ormai disteso senza sensi nella cavità causata dal suo stesso corpo, e Sakura
tentava faticosamente di rialzarsi all’angolo opposto del cortile, tenendosi un
braccio e sanguinando dalla testa.
Lo Hyuga non amava sprecare colpi.
Usava una tecnica particolare legata alla sua forza spirituale, che rendeva
anche solo un lieve tocco molto pericoloso, e la maggior parte delle volte
mirava ai centri di accumulamento della forza
spirituale presenti nel corpo dell’avversario. Per questo colpiva con i palmi
in vece delle nocche e sempre per questo, se il colpo veniva
parato, perdeva d’effetto.
E Orochimaru sembrava un esperto
nel farlo.
Entrambi attaccavano velocemente,
difendendo e offendendo a vicenda, muovendosi da una parte all’altra del
cortile interno in maniera quasi speculare.
Parità, a prima vista, ma la realtà era diversa.
Neji sembrava più affaticato, i passi parevano leggermente
più incerti, mentre YamatanoOrochi si muoveva con sicurezza sapendo perfettamente
dove posare i piedi e in che modo scansare o parare gli attacchi, così come
individuare gli spiragli lasciati dallo Hyuga per un eventuale contrattacco.
Kiba face un passo indietro, portandosi la mano a
racchiudere la piccola croce in oro che pendeva sul suo petto.
Sarebbero morti tutti.
Nemmeno impegnandosi, nemmeno
volendolo con tutto se stesso riusciva ad immaginare un finale migliore di
quello.
Come avrebbe anche solo potuto sperare di riuscire a
farcela? Perché non aveva dato ascolto, una volta ogni
tanto, evitando di farsi proteggere come un bambino piccolo che ha appena
infastidito un branco di pitbull?
Strinse forte la mano sul ciondolo, mordendosi il labbro con
altrettanta forza.
Debole e stupido… che onore poteva esserci a proteggerlo, a
parare il culo ad una persona simile?
La vita di Naruto non valeva la sua. La vita di Sasuke non
valeva la sua. Così come la vita di Neji, di Sakura, di Ino,
di Itachi, di Hinata… di Shikamaru.
Oh, no. La vita di Shikamaru, a
suo confronto, valeva anche di più.
E dire… che aveva deciso di
proteggerli da eventualità simili…
Nel suo palmo, il crocifisso si
fece più caldo. All’improvviso, come se risvegliato da un lungo letargo.
Kiba sobbalzò, togliendo la mano e lasciandolo fluttuare
nell’aria davanti al suo volto, circondato da una luce bianca.
Era la stessa sensazione. Era la stessa onda calda che gli
attraversava il cuore… uguale, del tutto simile a quella notte, quando era
stato attaccato dal Rokubi.
Era… Michele.
Chi ha orecchio ascolti
ciò che lo Spirito dice alle Chiese.(*2)
Risuonò morbida e dolce nella sua testa, il tono pacato e autoritario di una voce angelica colma di nobiltà.
Subito, quasi come se fosse stata una
formula magica, si sentì più rilassato. Aprì le mani, d’istinto, come se
con esse dovesse sostenere il fluttuare silenzioso del
monile.
Osservo di sbieco Shikamaru combattere, retrocedere sotto
gli attacchi mirati di Kabuto e avanzare a tentoni
facendosi scudo con l’ombra, che maneggiava come voleva cambiandogli
consistenza e forma.
Non poteva lottare da solo.
Né lui, né Neji.
Nessuno di loro.
Non per proteggere lui.
E lui non poteva farsi proteggere a
quel modo, sacrificando inconsciamente persone a cui si era affezionato senza
nemmeno accorgersene.
Nell’improvvisa tranquillità di quell’atmosfera, come se
fosse in una sfera di pace fatata tutta sua, chiuse gli occhi ascoltando il
battito del suo cuore regolarizzarsi pian piano.
Lui non era un pappamolla.
Aveva il potere di combattere, lo sentiva.
Qualcuno glielo aveva donato.
Aveva il potere di fare un passo avanti, infrangere quel
muro di paura e gonfiare la faccia a Kabuto, riempirlo di botte fino a fargli
sputare i denti uno ad uno.
Aveva il potere di fare qualcosa.
E allora che cosa cazzo stava
aspettando?!
Riaprì gli occhi si scatto, quasi rinato a nuova vita,
aumentando consciamente l’emissione di energia
spirituale dalle sue mani.
Aveva capito, finalmente. Quella spada rispondeva al suo
volere di non fare la figura del fesso.
O meglio, al suo volere di
proteggere ciò che per lui era importante.
Alzati e cammina, Kiba Inuzuka. Non è ancora arrivato il
giorno in cui farsi salvare il culo stile principessa
sul pisello.
Fu con quella convinzione nel cuore che, con un semplice
sguardo, individuò il momento esatto in cui colpire Yakushi.
Sorrise.
<< Fine del gioco, pennuto gigante >> sussurrò a
se stesso, osservando al contempo in crocifisso mutare
forma e trasformarsi gradualmente nell’elsa dorata di una spada dalla lama di
cristallo.
Era ora, maledizione!
Se uno
mena in cattività, andrà in cattività; se uno uccide con la spada,
bisogna che sia ucciso con la spada.
La costanza è la fede
dei Santi.(*3)
Impugnò l’elsa e, con resuscitate speranze, acquisì il suo
obiettivo: Kabuto, giusto per cominciare.
E YamatanoOrochi, per finire.
Si portò velocemente la spada al fianco, tendendo il braccio
come se la lama fosse un suo continuo, piegandosi sulle ginocchia alla ricerca
delle forze necessarie a compiere lo scatto.
Iniziò poi la sua corsa, osservando con occhi fissi i
movimenti di Kabuto nel combattere contro Shikamaru e i movimenti di Nara nel
difendersi. Erano regolari i suoi attacchi, in un certo senso, e come aveva
notato in precedenza perdeva per un secondo l’appoggio su entrambi
i piedi quando si slanciava in un colpo particolarmente mirato e preciso.
Bingo.
Il momento giusto era quello. Sbilanciandosi non poteva
contrattaccare; lo avrebbe costretto ad un movimento innaturale che lui non
poteva permettersi.
Tradotto: era il momento migliore per fargli vedere di che
pasta era fatto Kiba Inuzuka.
Beccare l’attimo giusto fu più facile di quel che credeva.
Probabilmente Kabuto era il genere di persona che preferiva chiudere uno
scontro il prima possibile e senza perdere troppo tempo, per questo la maggior
parte delle volte portava all’avversario offensive precise e mirate, per
esempio mirando al cuore o a qualche altro organo importante.
Cosa che fece, quasi come da copione.
E mentre Shikamaru si proteggeva con l’ombra per
l’ennesima volta, lui fece la sua mossa.
Era come una partita a scacchi. Se non si osserva tutta la
scacchiera, concentrandosi solamente su una parte di essa
o su un pezzo in particolare, l’avversario può approfittarne. Lo stesso
Shikamaru glielo aveva detto, in una delle loro tante chiacchierate notturne in
camera del moro.
Quello era il passo falso. Tenuto sotto scacco dal cavallo
aveva ignorato l’alfiere, che solamente all’ultimo momento aveva potuto portare
il suo attacco diretto e a senso unico.
Alfiere in D-4.
La lama cristallina trapassò con estrema facilità la schiena
dell’infermiere, trafiggendo in un secondo uno dei polmoni, a giudicare dalla
quantità di sangue che il medico sputò tossendo.
Non fu come le altre volte, però.
La lama non lasciò solo una ferita apparente, per poi staccare il demone dal
corpo di Kabuto e lasciare in vita il contenitore.
Anzi.
La ferita fu pienamente paragonabile ad una vera. Yakushi cadde a terra di peso, portandosi inutilmente le
mani al petto come a volersi curare il trauma, in un modo che loro non
conoscevano ma che sapevano non sarebbe stato efficace.
Perdeva sangue ad una velocità sorprendente, e persino Kiba aveva visto
abbastanza telefilm per decretare quella quantità come
letale.
Lo osservò rantolare, Kiba Inuzuka. E,
togliendosi alcuni schizzi di sangue dal viso con il dorso della mano libera, sentì
di non trovare nessun rimorso dentro di sé.
Anzi, più precisamente, percepì di aver
già assistito ad uno spettacolo simile, alla morte di un uomo causata per mano
sua. Chissà, magari nel mondo del futuro da cui sembrava essere venuto.
A poca distanza, il contenitore del demone a due code lo
osservava ansimante, probabilmente per lo sforzo. C’era qualcosa di magnetico
nel modo come Kiba teneva la spada, con la lama rivolta all’indietro e verso il
basso, così come nel modo in cui guardava l’infermiere esalare l’ultimo
respiro.
Sembrava… un giudicatore.
Kabuto, ormai disteso supino, lo guardò fra le lacrime di
dolore. Cercò di dirgli qualcosa, forse di maledirlo, ma non ci riuscì: in un
ultimo spasimo una figura animalesca di distaccò dalla
parte mutata del suo corpo; il volto cominciò a sciogliersi, le piume a cadere
inermi a terra nell’istante stesso in cui Sokou uscì
da quell’involucro di carne come se rompesse il guscio di un uovo. Osservò Kiba
per qualche istante poi, com’era comparso, scomparve nel nulla.
Yakushi morì poco dopo, praticamente dilaniato dallo stesso demone che portava
dentro di sé.
<< Chi è causa del suo mal, pianga se stesso >> pronunciò il castano, prima di prestare attenzione
all’ultima delle sue “prede”; Orochimaru ancora stava combattendo contro Neji,
ormai palesemente in difficoltà.
<< Tu pensa ad Uchiha! >> gridò in direzione di
Shikamaru, partendo di corsa per raggiungere i due.
<< KIBA, NO! >> gridò il moro in rimando,
inutilmente. << Maledetta testa di rapa! >> sbottò poi, rivolto più
a se stesso che al suo ragazzo, cominciando a correre dietro di lui ma
superandolo velocemente, dirigendosi effettivamente verso Sasuke. Poteva essere
pericoloso ma Kiba aveva un suo margine di ragione: Sasuke era in una posizione
rischiosa e, soprattutto, era svenuto.
Ci vollero pochi istanti per permettere a Kiba di affiancare
Neji, intromettendosi letteralmente tra i due nel momento esatto in cui
Orochimaru sembrava in procinto di mandare a segno il suo primo colpo. Gi
artigli dell’uomo cozzarono con un tintinnio contro il
cristallo della lama, ma lì si fermarono.
<< Inuzuka! >> esclamò sorpreso l’arcangelo,
sgranando gli occhi alla vista della spada.
<< Naruto è ferito! >> disse in
risposta il castano, puntando bene i piedi a terra per resistere alla pressione
che il demone esercitava sulla lama, che metteva a dura prova i suoi muscoli:
<< Vai, ce la posso fare! >> aggiunse, tirando fuori
dal nulla una sicurezza quasi sfacciata.
Neji non disse niente, si limitò solamente ad annuire ed
allontanarsi con un balzo in direzione di Naruto: Kiba poteva chiaramente
sentire gli acuti di dolore che lanciava, così come aveva visto con la coda
dell’occhio un’altra coda scomparire, poi un’altra ancora. Si stava
indebolendo.
<< Che arroganza… >> sussurrò
divertito il demone, sorridendo malignamente. << Sicuro di
farcela? >> chiese beffardo, ridacchiando impertinente.
<< Per te basto e avanzo >> rispose
Kiba con tono rabbioso, osservandolo furente.
<< Mh… lo vedremo,
pupillo di Michele >> ribatté sprezzante ma in un certo modo anche
incuriosito, da quella sua uscita.
Ricominciò ad attaccarlo, approfittando per prima cosa delle
mani dell’Inuzuka, impossibilitate a muoversi dato che
erano entrambe posate sulla spada: la destra per impugnarla e la sinistra a
trattenerne la lama.
Gli lanciò un colpo basso, un pugno tanto per cominciare,
cercando di prendergli lo stomaco… ma non aveva calcolato
i riflessi del castano, che con un balzo all’indietro lo evitò.
Orochimaru però non si diede per vinto, anzi… attaccò di nuovo, questa volta caricando l’Inuzuka con una veloce
corsa, così rapida e serpentina da sembrare l’attacco di un cobra ad un piccolo
roditore.
Non c’era tempo di evitarlo, ma ce n’era abbastanza per fidarsi del suo istinto; portò la spada a sinistra, come
si farebbe un rovescio a tennis, concentrando l’energia spirituale nell’arma,
che subito prese a brillare e ad assorbire quella stessa energia.
<< Schiva questo! >> proclamò, lasciando andare
il braccio e creando così una specie di onda d’urto,
potente e precisa, che spaziava per il raggio di rotazione della spada e del
braccio che la impugnava.
La forza colpì il demone che, in un qualche modo sorpreso,
lo evitò per pura fortuna ma ne venne sfiorato. Un
taglio superficiale ma ampio si aprì sul viso del vicepreside, staccando le
squame bianche e facendolo sanguinare.
Ansimante, Kiba esultò interiormente. Funzionava…
funzionava!
L’uomo rimase con il volto girato nella direzione del colpo,
la lingua che andò a leccare la gocciolina di sangue scesa dalla gota, cancellandola
e assaporandone il gusto.
Anche gli altri osservavano la
scena, stupiti da ciò che il castano era riuscito a fare. Shikamaru, che aveva
portato Sasuke accanto a Sakura ed era rimasto a proteggerli, era quantomeno
sbalordito mentre Neji, che si stava preoccupando di curare Naruto, era
addirittura sconvolto. Persino il biondo, che osservava il
tutti con occhi socchiusi dal dolore e il fiato grosso, era ammutolito
di fronte alla scena che si mostrava davanti ai suoi occhi di nuovo cerulei.
<< Notevole… >> disse Orochimaru, il tono basso
diverso da prima. Non era più affogato nell’ipocrisia e nel divertimento, ora.
<< Niente male per un pivello, lo ammetto >>
aggiunse, tornando a guardarlo.
Fu quello sguardo che, per un istante, fece tremare le ossa
a Kiba. Esprimeva serietà, determinazione, e non ultimo
un intento omicida evidente.
Fece inconsciamente un passo indietro, sollevando la spada
con due mani davanti a sé.
<< Ora basta giocare >> pronunciò
infine e, in uno scatto, scomparve.
Kiba non sentì né lo spostamento d’aria né il suono di
passi. Si accorse troppo tardi del colpo laterale, e l’unica cosa che poté fare
fu portare la spada a pararlo… ma non servì. Aveva troppa forza, troppa
violenza, e la sua presa sull’arma era nettamente debole, dato che per pararsi
le costole l’aveva spostata con una mano sola.
Il risultato fu quasi scontato: venne
sbalzato insieme all’oggetto e perse la presa su di esso.
Lui fece un volo di svariati metri, atterrando malamente sul gomito e strisciando dolorosamente sull’asfalto,
lacerando la divisa e la pelle sottostante. La spada invece, roteando
pericolosamente, andò a schiantarsi al suolo nei pressi di Shikamaru e Sakura,
che trattennero il fiato alla mossa improvvisa e alla rispettiva conseguenza.
Kiba gemette di dolore, voltandosi su un fianco e tossendo
energicamente, rimanendo senza respiro. Il colpo, nonostante l’avesse
effettivamente parato, aveva preso in pieno le costole del fianco sinistro,
lasciandolo senza fiato e con il sapore ferroso del sangue nella bocca.
Si mise seduto, fissando Orochimaru con rabbia. Dannazione…
dannazione, dannazione!
Il demone, guardandolo a sua volta, ghignò. << Quello
sguardo me lo ricordo… >> disse ridacchiando << …il primo Kiba che
uccisi mi guardò alle stesso modo, attraverso il finestrino
del taxi che andava a fuoco >>.
Il “primo”? Cosa voleva dire?
<< Oh, non guardarmi con quell’aria stranita… non
dirmi che non hai ancora capito! >> lo prese in giro il demone,
squadrandolo dall’alto in basso. << Ammetto che non c’è differenza, proprio
come teorizzato. Siete veramente uguali in tutti gli aspetti >> continuò crudelmente, giocando il ruolo di chi sa e
volutamente non dice.
Ma c’era un’altra persona che capì
la situazione, solamente attraverso quelle parole.
E, trattenendo il fiato, Shikamaru
si diede mentalmente del coglione.
Il tempo non c’entrava niente. Non era una
questione di temporalità, stava prendendo in considerazione la base
sbagliata.
Era una questione di spazio.
Il tunnel spazio-temporale non collegava passato e futuro di
uno stesso universo… collegava il medesimo tempo di due diverse dimensioni.
La contemporaneità in due universi distinti ma speculari.
Alzò gli occhi su Kiba, incredulo di fronte alle conclusioni
appena raggiunte dalla sua mente, troppo veloce persino per fargli elaborare la
notizia con calma.
Il suo cervello arrivò alla soluzione ultima ancora prima
che il cuore fosse pronto per un colpo simile.
E fece male, quando la passò
mentalmente al vaglio una seconda volta. Perse un battito, mandandogli una
fitta.
La soluzione era una e una soltanto.
<< Haruno… >> sussurrò a voce bassissima, ma non
così tanto da non farsi sentire. La ragazza, di fianco a lui, spostò le iridi
verdi sul moro.
<< Ho bisogno che tu distragga
il vicepreside. Pensi di farcela? >> chiese, occhieggiando
al contempo la sua posizione rispetto al demone, a Kiba e alla spada di
Michele.
Sakura, respirando lentamente per cercare la voce necessaria
a rispondere, annuì. << Sì, ma non aspettarti il paese delle meraviglie.
Non ho rimasto molta energia >> rispose lei.
Gli aveva dato la notizia più bella e insieme più brutta del
mondo. Il suo cuore mancò un altro battito, alla considerazione che il piano
che aveva montato lì per lì potesse essere fattibile.
Deglutì a vuoto, chiudendo gli occhi per un istante.
<< Quando vuoi >> rispose poi, puntando
gli occhi sulla spada di Michele.
Il suo obiettivo.
Al contempo, Kiba si era faticosamente rialzato in piedi,
tenendosi il fianco e occhieggiando a sua volta la spada persa.
<< Non ci arriverai mai >>
pronunciò il demone, prevedendone le intenzioni.
L’Inuzuka spostò nuovamente gli occhi iracondi sull’uomo,
digrignando i denti in un ringhio trattenuto.
Aveva ragione. A dargli fastidio era esattamente quello.
Non c’era dubbio che Orochimaru fosse più veloce di lui, come era scontato pensare che fosse effettivamente più
forte. Era riuscito ad atterrarlo, è vero, ma lui era riuscito a colpirlo, il che non era affatto male.
Tuttavia ancora non capiva come avrebbe
potuto averla vinta sul demone. Con Kabuto era stato semplice, dato che
era distratto dal duello con Shikamaru, ma il vicepreside sicuramente non sarebbe caduto in una trappola simile.
E non poteva chiedere a qualcuno
dei suoi compagni di aiutarlo… no. Anche lui aveva
dei sensi di colpa ed erano già troppi, non avrebbe rincarato la dose solo per
seguire la teorizzazione di un attacco palesemente campato per aria e messo in
piedi sul momento.
Osservò con la coda dell’occhio gli altri, puntando per
riflesso lo sguardo su Shikamaru.
Parlava con Sakura, sussurrandole qualcosa con gli occhi
puntati sulla spada, e notò con sorpresa che l’aura del demone a due code non
circondava più il suo corpo: l’aveva ritirata. Gli sembrava pallido,
preoccupato in un certo senso… avrebbe voluto sapere per cosa, ma non gli
pareva di certo un buon momento per chiacchierare amichevolmente sui dubbi
esistenziali di Shikamaru, quello.
Tornò subito dopo a fissare Orochimaru. Non poteva
distrarsi, un colpo a sorpresa era l’ultima cosa che desiderava, ora che non
poteva utilizzare nulla per difendersi.
Quell’immobilità lo distruggeva. Psicologicamente
e fisicamente. Più tempo passava in piedi, più sentiva le costole dolere
e il cervello acquistare la consapevolezza di un fianco sicuramente livido, che
il giorno successivo si sarebbe colorato di un bel blu
lavanda.
inoltre, il fatto che Orochimaru si
limitasse a fissarlo e a ghignare non lo tranquillizzava affatto. Non riusciva
a figurarsi a cosa stesse pensando. Al modo di
ucciderlo? Alla sua malsana fissazione per il paradosso dello specchio? Oppure lo aspettava, magari aspettandosi che lui capisse
qualcosa e rimanesse così sconvolto da farsi attaccare senza reagire?
Successe tutto troppo velocemente anche solo per immaginarne
il senso.
Dal suo fianco Sakura, mettendosi nuovamente in posa per un
attacco, colpì il terreno con forza e aprì una seconda voragine, che a velocità
elevata cominciò a dirigersi verso il demone delle otto code aprendo una
seconda fessura e facendo saltare interi massi di cemento e terra.
Ovviamente Orochimaru si accorse del colpo. Sembrava troppo
facile, che ci cadesse, e sinceramente si stava chiedendo che cosa avesse in
mente la ragazza. Era la forza di volontà di un disperato tentativo di
coglierlo di sorpresa o improvvisamente aveva messo insieme una sorta di istinto suicida?
Yamata no Orochi
scansò facilmente l’attacco, balzando all’indietro dato che
sul davanti vi era il primo solco scavato dalla tecnica alchemica della
ragazza, ma questo portò con sé un altro effetto: Shikamaru che scattava
velocemente, chinandosi nella corsa con le dita della destra a sfiorare il
terreno fino a che non agguantò la spada, stringendola forte in mano e
cominciando a correre in sua direzione.
<< Grande! >> esultò spontaneamente,
ringraziando mentalmente Dio o chi per lui per aver dato a Shikamaru una mente
che poteva fare gara con quella di Einstein.
Gli stava riportando la spada. Si fidava di lui e stava
riportando il monile da chi poteva usarlo. Lo aveva detto Neji stesso che
nessun altro sapeva come attivare il rosario di San Michele a parte lui, e
Shikamaru doveva sicuramente averlo capito.
Gli sorrise allegro, in procinto di
allungare la mano per afferrare di nuovo l’elsa dorata… ma fu quando il moro
non rispose a quel sorriso che un tarlo si insinuò nella sua mente, cancellando
l’appena ritrovato ottimismo.
Non accennava a rallentare, anche se ormai gli era vicino.
Non gli rivolgeva l’elsa della spada, nonostante lui non potesse usarla se non
come una semplice arma. Stava… piangendo.
Perché stava piangendo?
Si chiedeva ancora il motivo di quelle lacrime, quando
percepì le vere intenzioni di Shikamaru. Quando
maledisse l’empatia per avergliele rivelate.
Iruka aveva detto… che non c’era sentimento più forte di un
suicidio premeditato. O di un omicidio, anche.
Solo… che era troppo tardi.
Sentì solamente la lama di cristallo
trapassargli il torace, non seppe specificare dove... qualcosa di freddo
e distante, unito però ad una sensazione di tranquillità.
Era appena stato colpito… e non sentiva niente. Nessun male,
nessuna reazione… niente.
Semplicemente non fece in tempo a sentirlo, il lancinante
dolore che si prova quando una lama ti trapassa e
lacera la carne.
Avvertì solo il fiato mancare, velocemente e tutto d’un tratto. Abbassò lo sguardo, osservando con gli ultimi
istanti di coscienza una verità che non voleva sapere.
Ma che c’era, era innegabile.
Shikamaru era ancora piegato su di lui, la sua mano destra
impugnava l’elsa della spada che lo trafiggeva per tutta la lunghezza della sua
lama in cristallo.
Non poteva sentire il sangue gocciolare dietro di sé, ma la
macchia di liquido caldo che aveva preso ad inzuppargli la camicia e la maglia
della divisa la percepiva, anche se vagamente.
Gemette, quasi agonizzando. Avrebbe voluto chiedere perché,
avrebbe voluto… vederlo in faccia, e sapere che non lo aveva tradito, che non
lo aveva solo ingannato per poi passare fra le fila nemiche.
Voleva assicurarsi… che la persona che ora lo stava
guardando morire fosse realmente Shikamaru. Il suo Shikamaru.
Ma non aveva fiato, non più. Non respirava, la voce non usciva.
Perciò non poteva chiedere, non
poteva supplicarlo di mostrarsi in volto, di alzare lo sguardo, di avere almeno
il coraggio di guardarlo negli occhi.
Di ammettere… che lo aveva tradito.
Che aveva mentito.
Shikamaru Nara non alzò lo sguardo, no. Sarebbe stato troppo per lui.
Il sangue di kiba sulle sue mani era sufficiente.
Però parlò, sperando che l’altro lo
sentisse.
Che non si sentisse abbandonato, o
tradito, o preso in giro.
Con voce tremante, fra lacrime trattenute e senso di colpa,
parlò.
<< Se ho ragione… devi morire…
per tornare indietro >> sussurrò al suo orecchio, cercando con tutto se
stesso di non abbandonarsi alla tristezza, alla disperazione.
Perché era un essere umano, nonostante
tutto. E una persona che uccideva la sua Ragione,
il pilastro più forte che sorreggeva il suo mondo… certe cose le provava.
Kiba lo sentì. Distintamente, anche se le palpebre
cominciavano a farsi pesanti, il mondo a sfuocare.
Cercò di sollevare una mano, ma non ce la fece. Voleva
accarezzargli la guancia, tranquillizzarlo anche se era lui quello che stava
morendo, ma non ce la fece. Non aveva abbastanza forza per
farlo, purtroppo.
Tossì, e in bocca sentì sapore di ferro e sangue.
<< Se ti avesse ucciso lui…
sarebbe finito tutto. Sarebbe morta… ogni speranza >> continuò
il moro, portando la mano sinistra sulla sua schiena, come se volesse
goffamente abbracciarlo.
Eh… era impacciato come al solito…
<< Torna a casa… >> fu
l’ultima cosa che sentì, prima che anche l’udito sfumasse nel silenzio.
Però non aveva rimorsi.
Perché si fidava di lui, nonostante
tutto.
Perché se Shikamaru non fosse stato
sicuro quasi del tutto, non l’avrebbe mai fatto.
Perché anche se non conosceva ogni
piccola cosa di lui, ogni passo ed ogni minuto della sua vita, ogni pensiero
come ogni anfratto del suo cuore, non avrebbe mai potuto perdere… fede.
Perché era rimasto con lui fino
alla fine e nella fine.
Perché l’ultima voce che aveva
sentito prima di morire… era la sua.
Le gambe lo abbandonarono definitivamente, facendolo cadere
a peso morto verso terra. Shikamaru lo sorresse solo inizialmente, ma poi lo
lasciò andare.
Cadde supino, il copro che
scivolava sulla lama cristallina bagnata del suo stesso sangue color rubino.
Lo stesso sangue che imporporava le mani del moro, che
bagnava la sua camicia e la sua giacca, mescolandosi a silenziose lacrime che
sgorgavano da quegli occhi neri, colmi di tristezza.
Sorrise. O almeno, pensò di farlo.
Poi chiuse gli occhi.
Sembrava di stare immersi in un
oceano d’acqua scura, completamente nera.
La luce non filtrava.
Era solo, disperso nel buio.
Sentiva in lontananza voci ovattate, coperte per la maggior parte dal rumore pressante dell’acqua nelle orecchie; un
suono rumoroso quanto il silenzio, ugualmente denso e fastidioso.
<< Non pos… nient’altro!
>> diceva una voce, agitata probabilmente. Urlava, anche se lui non la
sentiva del tutto.
<< Ma… pur fa… qualcosa!
>> rispose una seconda, sotto pressione ma composta.
Cercò di aprire gli occhi, ma le palpebre non si alzavano.
<< Una ferita simile è un’utopia per me! Sakura potrebbe, io non ho le basi! >> ribatté la prima voce.
Femminile.
Perché sembrava così famigliare?
<< Non abbiamo tempo di tornare a
chiedere rinforzi, siamo sotto attacco! >> continuò la seconda
voce, insistente. Bassa, nonostante la tensione. Maschile.
Perché gli sembrava maledettamente
importante?
<< Se sbaglio muore! >>
<< Se non ci provi morirà comunque!
>>
Cercò di aprire gli occhi ancora una volta, faticosamente.
Sembrava che fossero incollati. Le sue palpebre non erano mai stati così pensanti, così come i suoi respiri così deboli.
Sentiva un cuore battere, da qualche parte. Lentamente,
lievemente, come se facesse un’enorme fatica.
Era di qualcuno?
O era… il suo?
<< Shikamaru dobbiamo ritirarci! >> si intromise poi una terza voce, anche questa maschile.
<< Neji e Lee sono sfiniti, e i nemici continuano ad aumentare. Ritirata,
e alla svelta >> ordinò perentoria.
<< Non possiamo spostarlo in queste
condizioni, potrebbe aggravarsi! >> rispose la voce femminile.
<< Dobbiamo rischiare, o moriremo tutti >> ribatté la terza voce.
Shikamaru.
Era un nome… famigliare. Fin troppo.
Si fece forza, strizzando gli occhi nel tentativo di
aprirli.
Vide uno spiraglio. Verde, una foresta. Percepiva l’odore
dell’erba, delle persone, del sudore, del sangue, della terra. Del pelo… di un
cane. Akamaru.
Sì, era lì con lui. Guaiva, poteva
sentirlo ora.
Riuscì ad aprire gli occhi a sufficienza per poter
intravedere qualcuno, in mezzo alla cortina di oscurità
e lacrime.
Capelli biondi, lunghi. Ino. Era
inginocchiata accanto a lui, le mani premevano sul suo addome.
Un volto allungato, coperto da una maschera. Capelli bianchi, un occhio dalla pupilla scura e l’altro dominato
dallo Sharingan. Kakashi.
E poi… lui.
Alla sua destra.
Si era accorto che era sveglio, o che lo vedeva. Si era
avvicinato. Parlava con lui.
<< Kiba, resisti! >> diceva
<< Non mollarmi, ti riportiamo a Konoha! >>.
Sorrise. Questa volta sì, sentì i muscoli del volto stirarsi
nella loro semi-rigidità.
Alzò una mano, titubante e tremante, toccando con i
polpastrelli la guancia di Shikamaru, che lo guardò sorpreso.
<< Avevi… >> cominciò,
sussurrando e cercando nelle sue corde vocali l’ultimo, esule, fiotto di voce.
Deglutì, e continuò: << …ragione >> terminò, sentendosi mancare
nuovamente le forze.
Scomparvero l’udito, la vista, le forze, il respiro.
Ritornò immerso in quell’acqua scura.
Chapter No.13~ End.
*1: “Yonbi” è il
riferimento letterale al demone dalle 4 code: Sokou.
Sokou è l’incrocio fra un gallo e un rettile (io ho
biecamente usato la lucertola per differenziarlo dal serpente di Orociock) dunque ha la parte
superiore di un gallo, zampe da volatile e quattro code da rettile. E’ il
demone del veleno, come detto sopra.
In ordine, i nove cercoteri
possono essere chiamati come segue: Ichibi (demone ad
una coda. Da “Ichi” che letteralmente
è il numero uno), Nibi (Nekomata.
Anche qui, da “ni” termine
giapponese per il numero due), Sanbi (3. Ormai
la logica l’avete capita, no?), Yonbi (4), Gobi (5), Rokubi (6), Nanabi (o Shichibi. 7), Hachibi (8) e Kyuubi (9).
Ma fra esami, inizio lezioni, orari dei treni e altre beghe
varie (fra cui l’ispirazione completamente scomparsa) questo capitolo arriva in
ritardassimo.
Passerei dunque subito alle risposte, che purtroppo dovrò fare in modo abbastanza sbrigativo perché è giusto un
po’ tardi e domani mattina ho la sveglia presto ^^’’’
Rosa_elefante:
Grazie mille, sempre felice che i capitoli piacciano! XD Guarda, per le domande
che mi hai fatto, la risposta ancora non è tempo che la dia.
Nel prossimo capitolo ti si chiariranno un po’ le idee sul come abbia fatto
Shikamaru a capire che la morte di Kiba serviva a mandarlo indietro. Grazie per
la recensione e i complimenti!
CloudRibbon:
*fix con occhi sbrilluccicosi il papiro* ahem. Senti donna, St. Michael
sarà anche St. Michael, ma anche il Pozzo è pur
sempre il Pozzo! Mi sento in colpa se ti stravolgi la trama solo perché abbiamo
usato la stessa teoria per le fic! ç____ç
Grazie per le considerazione sulla resistenza della
mia pazienza nel scrivere senza staccare nemmeno una volta, giuro che non me ne
sono nemmeno accorta… cioè, solo quando ho riletto, il che per me è anche
troppo XD e trattieni le lacrime, il momento buono non è ancora giunto…
Benvenuta nel clan OSUTIA, ovvero “Odiamo Sasuke Uchiha
Tutti Insieme Appassionatamente”. A me non ha fatto pena,
ci ho goduto nel tarturarlo. Oh yeah.
I tuoi rompicapi su Kiba sono più che comprensibili, ma non
posso darvi risposta, per ora. Ma credo che questo
capitolo ti schiarirà un po’ le idee sul dilemma. Il prossimo, se questo non
aiuta, sarà decisamente illuminante. Posso dire lo
stesso delle conseguenti domande, anch’esse troveranno risposta nel capitolo a
seguire. Tranne la seconda. Per sapere se sono vivi
dovrai aspettare il prossimo capitolo XP.
Ti ringrazio ancora tanto per i complimenti. Quando l’ispirazione va via, rileggere le recensioni stile
papiro che mi lasci mi fa tornare la voglia, se non di scrivere, almeno di
impegnarmi a farlo. Grazie di cuore.
Slice:
Grazie a chi, a me? XD Ma grazie e a te per la recensione! Scusa se il mattone
è peso, tenterò di alleggerirlo, giuro *sisi*.
ProudStray:
emh… il tuo “aggiorna veloce” era relativo, vero?
^^’’’’ No, comunque grazie, e scusa se ti ho fatto
aspettare così tanto. Stavo quasi per dire “la prossima volta ci metterò di
meno” ma non metto le mani avanti, dato il periodaccio
di lezioni che mi aspetta… *si angolizza e fa cerchietti*. In ogni caso grazie mille
per la recensione, sempre felice che il mio lavoro piaccia!
Hiko_chan:
Le tue domande sono tutte pertinenti e tutte con risposte che non possa darti per motivi di spoiler XD tranne per una: il “non
mollarmi” era inteso nel senso di “non morire”, dato che era un tantino mezzo
morto (sì, sono una carogna). Ottimo collegamento quello che unisce la morte
con il passaggio da una dimensione all’altra, brava, tienitelo
a mente XD.
Grazie mille per i complimenti e per la recensione! (p.s. io alla maturità ho avuto la
brillante idea di fare il problema che il resto della classe aveva scartato…
niente suggerimenti per me XD)
Soarez:
…la tua sequela di tentativi di sucidio mi lascia
perplessa. Ma, col tempo, ho imparato a non fare
domande.
In ogni caso: sì. Shikamaru è figo. Devo ammettere che lo
sto valutando anche troppo XD mi sta sfuggendo! Orociok
non posso dire se si ritira a vita privata o smonta anche le fondamenta della
terra. It’s
spoiler XP ma si saprà presto, nel prossimo capitolo. Ottima arringa, avvocato,
ottima arringa. La Corte si ritira per deliberare.
Grazie mille per complimenti, recensione, e soprattutto per
la descrizione fantastica dei tuoi tentativi di suicidio e delle ipotesi X°DDD
mi hanno fatto morire!
OnlyAShadow:
Non è esatto. Io AMO complicare le cose XD. E ti
ringrazio, davvero mia santa, per avermi detto che le scene di lotta si
capiscono! ç_______ç *commossa*. Anche
a te tanti grazie per il commento, per i complimenti e per il continuare a
leggere!
Ok, fine risposte *fissa l’orologio e sbianca*
E’ la prima volta che scrivo questo spazio dopo aver scritto il capitolo. Ma per
questo posso dirvi che, a mio parere, è venuto male… e che è un capitolo quasi
inutile, una specie di intermezzo.
Spero non sia peggiorata inesorabilmente
ç_____ç in tal caso mi scuso.
Ora fuggo.
A vuoi tutti, buona lettura!
Chapter
14 ~EleventhEcho
Giochi di Ruolo
Quando la donna si portò la mano
alla fronte, chiudendo gli occhi con fare disperato, Kiba intuì subito la
risposta che avrebbe ottenuto anche quella volta.
<< Mi dispiace, Inuzuka >> disse lei,
spostandosi con un gesto rapido della mano un ciuffo biondo sfuggito al ferreo
controllo imposto ai suoi capelli dal piccolo chignon: << non posso
ancora abilitarti al servizio >> disse in un sospiro.
Kiba sbuffò, chiudendo gli occhi per evitare di saltare
quella dannatissima scrivania e cominciare a prenderla a pugni.
<< Perché? >> chiese
invece, la voce fremente di rabbia che per l’ennesima volta si sforzava di
controllare.
<< Lo sai >> ribatté
lei, probabilmente avvertendo la tensione. Era una psicologa del cavolo,
dopotutto: se non lo psico-rincoglioniva lei che lo
faceva di mestiere, chi diamine doveva farlo?
<< Io non le sto mentendo! >> esclamò il
castano, aumentando involontariamente di qualche decibel il volume della
propria voce. E di grazia che aveva aumentato solamente quello e non, per esempio,
l’odio che sentiva corrergli nel corpo insieme a tutti quei medicinali con cui veniva imbottito da due settimane a quella parte.
La donna si appoggiò allo schienale della sedia, sistemando
in maniera quasi maniacale la matita che aveva in mano
all’interno dell’apposito astuccio in metallo. Lo guardò poi, dall’alto della
montatura dei suoi sottili e pseudo-professionali
occhiali da vista, compatendolo per l’ennesima, maledetta, disperata volta.
<< E’ difficile credere che tu non stia mentendo, Kiba >> disse, passando direttamente al nome. << Insomma…
cunicoli spazio-tempo, un’accademia in cui studiano angeli, esorcisti, esper e chi più ne ha più ne metta! >> esclamò lei,
incredula persino delle sue stesse parole.
<< Non è una menzogna, l’ho
vissuto davvero! >> ribatté Kiba, sporgendosi verso la donna con fare
minaccioso.
<< Quando? Nei pochi minuti
in cui hai perso conoscenza dopo l’attacco? >> rispose prontamente la
dottoressa, sfidandolo con lo sguardo ad obiettare una tale verità.
Cosa che Kiba non poté fare, anche
se avrebbe tanto voluto ringhiare dalla frustrazione.
La donna lo osservò, sospirando per scaricare a sua volta la
tensione. << Senti… sei in cura con me da quasi due settimane, praticamente da quando ti sei svegliato. Vieni qui tre volte a settimana, il che fanno un totale di sei
sedute, e sei volte su sei ti ho sentito raccontare ancora e ancora la stessa
storia. All’inizio pensavo che fosse una specie di trauma mentale dovuto allo
shock, oppure un’allucinazione, ma dopo due settimane credo
che lo shock sia passato. Si può sapere cosa succede? Ti basterebbe dire la
verità e potresti riprendere il servizio. Potresti tornare ad essere un
normalissimo ninja! >> disse la donna, probabilmente presa da livelli di
stress pressoché sconosciuti persino a chi faceva il suo mestiere.
Oppure, semplicemente, incapace di
accettare una sconfitta… se di sconfitta si poteva parlare.
Sicuramente, per lei un paziente che non riusciva a lavorare
perché si ostinava a sostenere un castello in aria, era sicuramente una perdita
su tutta la linea.
Il ragazzo non rispose alla provocazione, preferendo di gran lunga alzarsi e andare a sfogare la sua agitazione
su un qualche innocuo “qualcosa” fuori di lì. Almeno sarebbe uscito e avrebbe
rimandato quella sfrontatissima farsa alla settimana
successiva.
Senza salutare si voltò, sistemandosi la felpa rossa in cui
si era infilato solamente per rispetto al pudore pubblico, arrivando
velocemente alla porta.
La dottoressa lo salutò con un “ci vediamo lunedì” mentre,
molto probabilmente, stampava sulla pergamena da consegnare all’Hokage un
purpureo “non idoneo” che sanciva la sua temporanea sospensione dal corpo dei
ninja di Konoha.
Perché sì. Lui, Kiba Inuzuka, era
ufficialmente in cura dalla psichiatra di turno dell’Ospedale della Foglia.
Motivo? Semplice: diceva la verità.
…Beh, ok. Doveva ammettere che per chi lo ascoltava da
fuori, poteva non essere così semplice.
Anzi, anche lui aveva impiegato il suo tempo per fare il
punto della situazione… e il risultato era una confusione da fare invidia ad un
dipinto di arte post-moderno-futurista
o di qualche altro periodo reale o fittizio.
A quel pensiero si fermò esattamente nel mezzo del
corridoio, poco prima delle scale.
Ecco, ci era cascato di nuovo.
Maledizione, maledizione, MALEDIZIONE.
L’arte futurista in quel mondo non c’era. Konoha aveva di
tutto tranne che un museo.
Ed eccolo lì, il suo problema.
Si ricordava due vite. Due esistenze
distinte, in due mondi altrettanto distinti con svolgimenti prettamente simili
ma del tutto differenti.
In uno lui era un ninja, un chunin per la precisione. Aveva
vissuto una vita incentrata sul desiderio di diventare il migliore del suo
clan, aveva frequentato l’accademia ninja, era stato ammesso nella squadra
della maestra Kurenai insieme a Shino e Hinata ed era, alla fine, diventato un
militare utile per il suo paese: Konoha.
Perché si era risvegliato in
ospedale? Semplice. Durante una missione di livello B erano
stati attaccati: lui guidava la fila, non si era accorto che un ninja nemico
gli veniva incontro ed era stato trafitto da una katana.
Ma no, non era così facile.
Perché nell’altro mondo lui era sempre Kiba Inuzuka, ma era
uno studente con pochissima voglia di studiare, addetto alle risse del
doposcuola e che viveva in simbiosi con iljoystic della playstation. Era
entrato in un’accademia speciale dopo che la madre aveva deciso di pagare il
college alla sorella maggiore con i soldi della sua retta, aveva conosciuto
gente tutta schizzata e particolare, aveva rischiato la vita e, tramite una
specie di rituale a lui sconosciuto (che però comprendeva la sua morte) era
ritornato nel suo mondo trafitto con una spada di cristallo dal suo ragazzo.
Chiuse gli occhi, portandosi la mano destra a stringersi la
felpa in corrispondenza dello stomaco.
Quella era una delle cose che faceva
più male ricordare.
Shikamaru.
O meglio, i due Shikamaru.
Shikamaru Nara di Konoha e il suo Shikamaru Nara delSt.
Michael.
Tra i due cambiava solamente l’aggettivo possessivo. Erano
uguali, similissimi e, nonostante non volesse
pensarci, non poteva evitarselo.
Lo Shikamaru di quel mondo non condivideva niente con lui se
non una vecchia amicizia ormai arrugginita dal tempo.
Non era il suo ragazzo, non gli voleva più bene di quanto
non ne volesse a Choji o Naruto e, soprattutto, non
era mai e poi mai stato infatuato di lui.
Era… svanito tutto.
Portò una mano sotto la felpa sfiorando la ferita sul suo
addome. Il taglio, che gli trapassava il costato e si riproponeva
speculare sulla schiena, al tatto era ruvido: dopo essere stato trattato con
delle tecniche magiche per svariate ore i medici avevano lasciato alle sue
piastrine l’onore di formare una spessa crosta scura, aiutate dai punti
metallici che, a seconda dei movimenti, gli tiravano dolorosamente la pelle.
Ormai, una volta fatto il callo a
cose strane, non reputava più spaventoso il fatto che il ninja di quel mondo, e
lo Shikamaru di quell’altro, avessero colpito nello stesso punto.
Coincidenza? No, per nulla. E no,
non era strano.
Era la sua personalissima prova di non essere diventato
completamente pazzo. Come lo credevano tutti gli
altri, per esempio.
Shikamaru compreso.
E forse, nonostante potesse benissimo distinguere lo
Shikamaru Nara di Konoha dallo Shikamaru Nara delSt. Michael, quella era la cosa che lo feriva più di tutte,
ancor più della sua impossibilità di tornare in servizio.
Interiormente, faceva male.
Anche se si vergognava ad
ammetterlo, gli spezzava letteralmente il cuore.
Ripetersi che quello che vedeva camminare per la vie del villaggio non
era lo stesso Shikamaru non funzionava in eterno.
Anzi, quella momentanea magia cominciava già ad
affievolirsi.
Sospirando pesantemente decise di
rimuovere quei pensieri dalla testa, cominciando velocemente a scendere le
scale per arrivare nell’atrio. Ormai non doveva più stare in pianta
stabile all’ospedale, dato che era stato dimesso; ci
andava per le visite dalla strizzacervelli e per le
ricette mediche, tutto lì.
A casa la situazione non cambiava di molto… ma almeno poteva
stare fra le cose che, in un modo o nell’altro, gli risultavano
famigliari.
Stava quasi per uscire quando, poco prima dell’atrio, una
voce lo chiamò da uno dei corridoi dell’ambulatorio al piano terra. Sakura, con
il camice bianco aperto sul suo solito abbigliamento dalle varie gradazioni di
rosa, gli veniva incontro con un sorrisetto accondiscendente stampato in viso.
Oh, già. Aveva ormai imparato a sondare quei sorrisi da
quando tutti quelli del villaggio, amici compresi, lo ritenevano un povero
sclerotico delirante.
Era il sorriso stile “ehi, hai poi smesso di vaneggiare?”
che gli rivolgevano tutti in ogni angolo del villaggio e dintorni.
Lo ammetteva: quasi quasi gli
mancavano le occhiate accusatorie di Sasuke “Non Respirare in mia Presenza che
Inquini l’Aria” Uchiha. Beh… l’angelo caduto distruttore di equilibri,
ovviamente. In quel mondo non c’era più, lì intorno, un Sasuke Uchiha.
<< Inuzuka! >> lo salutò Sakura, fermandosi con in mano una cartelletta in plastica con all’interno,
probabilmente, la storia clinica di un paziente a cui aveva appena applicato un
cerotto ad un dito.
<< Sak… Haruno >> la
salutò di rimando, incartandosi sul nome. E’ strano, chiamare una persona per
nome in una dimensione e per cognome nell’altra.
<< Allora, emh… in visita da
Okita-sensei? >> chiese, facendogli come al solito la domanda che interessava a tutti.
Le si leggeva in faccia. “Ti ha
riammesso ai tuoi doveri di ninja?” sembrava chiedere. O meglio: “hai finito di dire cazzate senza
senso?” o ancora: “potresti cortesemente dimostrare che non sei davvero
impazzito di sana pianta e senza motivo logico apparente?”.
<< Già >> si limitò a rispondere, senza
aggiungere altro. In quei giorni era talmente disgustato da quel discorso che
non si sentiva in vena di essere allegro. Proprio per
niente.
<< Com’è andata? >> chiese di nuovo la ragazza,
sperando ardentemente in una risposta positiva da
parte sua.
Risposta che non arrivò. O almeno, non con i risultati sperati: << sono ancora
in “ferie” >> rispose il castano, mimando con le mani le virgolette, che
evidenziò con la voce sull’ultima parola.
<< Ah… >> rispose lei.
Fra loro cadde un silenzio imbarazzante, com’era quasi
logico che succedesse, e Kiba non aveva la minima intenzione di romperlo. Non
si sentiva di certo in vena di parlare del tempo
soleggiato di fine luglio, e men che meno con la
Sakura di quella dimensione. Non erano amici così stretti, dopotutto… non lì.
<< Oh, a proposito! >> esclamò lei, togliendo
entrambi da quella situazione di stallo: << considerando l’ultima ricetta
che la maestra Tsunade ti ha firmato, teoricamente dovresti averle quasi
finite… >> cominciò, estraendo dal camice un
piccolo sacchettino abbastanza anonimo << così
ho pensato di… sintetizzarne delle altre… >> esordì poi esitante,
porgendogli l’involucro, chiuso da uno spago.
Lo prese dalle sue mani, osservandolo assorto prima di
riporlo in tasca. Sapeva benissimo cosa c’era dentro: un triturato di erbe calmanti compresse in piccole pastiglie verdastre
dal sapore orribile, che ultimamente lui ingoiava come caramelle.
L’equivalente omeopatico degli antidepressivi.
<< Grazie >> disse, piatto, indicando poi con un
finto gesto distratto la porta: << scusa se ti faccio fretta, ma io
dovrei tornare a casa entro una certa ora… >> esordì, finto e meschino.
Non aveva nessun coprifuoco. Semplicemente, voleva andare
via da lì il prima possibile e affondare nella sua ipocrisia generale nuova di
zecca.
<< Ah, certo >> rispose lei,
sforzandosi di fargli un sorriso rassicurante… che non le venne bene.
<< Vai pure e… beh, rimettiti! >> esclamò infine, incamminandosi
ancor prima di lui in direzione di un altro corridoio asettico e saturo di odore di disinfettante.
Kiba non rispose nemmeno (non ne ebbe
il tempo) così si limitò ad infilarsi le mani in tasca e a riprendere il suo
tragitto d’uscita. Quell’odore, forte già per gli esseri
umani qualunque, per lui che aveva il senso dell’olfatto di molto più
sviluppato rispetto all’ordinario era un vero tormento.
Una volta fuori dalla porta a
vetri, una boccata d’aria fresca decretò il decisivo alleviamento della
sofferenza che stava provando il suo povero naso. Certo,
nell’aria di Konoha c’era sempre una discreta sinfonia di odori, ma era
decisamente meglio di un ambiente chiuso.
Una volta raggiunto il cancello che
delimitava il cortile, una massa bianca con un paio di orecchie rossicce gli
venne incontro scodinzolando.
Un sorriso gli sorse spontaneo, mentre portava la mano
destra ad accarezzare la testa di Akamaru senza dover
nemmeno chinarsi. Era cresciuto veramente tanto, e lui come uno scemo non se ne era nemmeno reso conto.
<< Andiamo a casa? >> chiese allegro, ghignando
in direzione del cane che, in risposta, gli leccò la
mano.
<< Ah! Che schifo! >>
esclamò Kiba scherzoso, pulendosi la bava sui pantaloni neri. Nella mossa, notò
praticamente subito il naso del cane posarsi
leggermente sul rigonfiamento che traspariva dal tascone
della felpa. Lo annusò e, come se fosse contrariato, storse il naso e guaì
piano.
<< Lo so, hanno un odore orrendo >> sospirò
abbattuto, lasciando scivolare via il piccolo briciolo di allegria
che gli si era depositato addosso. << E il
sapore è anche peggio. Fortuna che non le prendi anche tu, amico mio >>
ironizzò appena, estraendo l’involucro dalla tasca e fissandolo scocciato.
Tutta quella roba non serviva assolutamente a niente. Lui
non era depresso o chissà cos’altro e, se veramente lo sembrava, non era di certo colpa o merito di quella stupidissima missione.
Era semplicemente il fatto che si ricordava due vite, ma
questo non poteva di certo dirlo a miss “mi sto stufando di averti in cura” Okita-sensei, no? Insomma, già si sputtanava
allegramente dicendole che aveva vissuto per quasi tre settimane all’interno di
un’accademia in un altro mondo, se poi andava a dire che confondeva le due
vite… il biglietto di sola andata per la clinica psichiatrica si sprecava.
Con un sospiro seccato ripose il sacchetto al suo posto,
così come le mani raggiunsero le tasche dei suoi pantaloni, e con un broncio
lungo mezzo metro ricominciò la sua camminata verso casa. << Andiamo, và >> commentò verso Akamaru, che lo seguì a passo
d’uomo e senza emettere il minimo suono.
Da qualche settimana aveva imparato che se prendeva vie
secondarie e inutilizzate, nel tragitto casa - ospedale, incontrava meno gente.
Da lì era tutta una reazione a catena che, però, aveva la sua utilità nel non
farlo sentire sempre più atterrito.
Se incontrava meno gente, doveva
fingere meno di non notare le occhiate che gli lanciavano quando lo vedevano.
Se doveva fingere di meno, il suo sistema nervoso lo
avrebbe ringraziato. Se il suo sistema nervoso lo ringraziava,
di notte sarebbe riuscito a chiudere occhio leggermente più sereno e,
soprattutto, avrebbe potuto evitarsi una delle cinque pastiglie che mandava giù
ogni sera, ovvero il sonnifero.
Si rendeva conto che una cosa simile non era da lui.
Insomma, in teoria a lui non fregava niente di quello che il
villaggio pensava sul suo conto. Sapeva cosa aveva vissuto, sapeva di aver
visto il giusto e, anche se valeva solo per se stesso, aveva una prova
stiracchiata impressa per sempre sul suo costato.
Però, a volte… solo ogni tanto…
quella dottoressa riusciva quasi a convincerlo.
Riusciva a fargli nascere il dubbio, più che altro.
Era stato tutto un sogno? Una conseguenza dell’attacco preso
in pieno? Uno di quei cosi chiamati “trauma post-traumatico”?
No. Non ci credeva, che fosse tutto falso.
…Ma se lo fosse stato, invece?
Sì, lo ammetteva, aveva vagliato anche quell’ipotesi. Giusto
per essere pronto a tutto.
Se fosse stata tutta un’illusione,
lui era il più grande cretino della storia dell’universo. Perché
aveva fatto amicizia con delle persone che non esistevano, aveva voluto
proteggere dei falsi ricordi e, soprattutto… si era innamorato di un pugno di
fumo.
Per questo continuava a dirsi che lui aveva ragione. Per
questo cercava di convincersi.
Ma era difficile senza prove…
difficilissimo. Sia convincere se stesso, sia
raccontarla e farla bere ad Okita-sensei, compresi
tutti quelli che lo guardavano come un povero psicopatico.
Compresi i suoi così detti “amici”, come i suoi compagni di
squadra.
Soprapensiero, si portò una mano al collo.
Poteva quasi sentire ancora il metallo del crocifisso sulla pelle, freddo contro caldo, oro contro
cute. Ogni volta, in quel riflesso condizionato che faceva per puro caso, era
convinto di poterlo toccare ancora quando invece, appeso al suo collo, non
c’era niente.
Non aveva altro che i suoi ricordi per convalidare la sua
tesi, ma alla fin fine non contava nulla.
Nulla, se tali ricordi non si possono
vedere e toccare, se non possono essere classificati come prove dalla prima psico-rimbambita di turno, se non si possono sbattere in
faccia all’Hokage con un bel “e adesso chi è il traumatizzato, eh?”.
Sospirò affranto. Riflettere su cose simili non lo avrebbe
aiutato.
Si fermò, alla fine di quelle considerazioni vuote, davanti
alla vetrina di un negozietto d’antiquariato disperso da Dio. Si guardò nel
riflesso del vetro, osservandosi con sguardo critico ma disinteressato.
Era da un pezzo che non portava i soliti segni del clan
Inuzuka, sulle guance. Aveva smesso di farseli quando gli avevano detto che,
per il momento, poteva smettere di considerarsi un ninja.
Certo, gli Anziani avevano usato termini più gentili, ma il
succo del discorso era quello.
Non lo volevano fra i piedi. Un ninja con crisi di identità era scomodo.
Tsk, come se di crisi d’identità si potesse parlare! Non è
che fosse indeciso se essere Kiba Inuzuka o il Kazekage, per amor della Volontà Ardente!
Lui era solo… solo…
<< Impazzito… >> sussurrò con un filo di voce, a
cui corrispose un basso guaito di Akamaru.
Voltò il capo, osservandolo sorpreso. Il cane, guaendo
nuovamente, gli appoggiò il muso sulla mano e spinse forte, come se volesse
farsi accarezzare… o come se volesse distrarre il suo padrone.
Il castano sorrise, posando la sua mano
sulla testa liscia e grattandogli le orecchie. << Lo so che non ti piace
sentire quella parola, non piace neanche a me. Scusami, non la dico più, ok?
>> scese a compromessi, chinandosi sulle gambe per arrivare più o meno
alla stessa altezza del bestione che una volta si portava nella giacca.
Akamaru ne approfittò per laccargli
la faccia, facendolo ridacchiare. << Smettila, non sei più un cucciolo!
>>
<< Anche tu non sei più un
bambino >> fu l’inaspettata risposta che ricevette da una voce un poco
profonda ma giovanile, qualche metro più avanti.
Non ci fu bisogno di sorprendersi, purtroppo. La riconobbe
all’istante. << E con questo? >> chiese il
castano in risposta, rimanendo chinato ma voltandosi
in direzione della persona che aveva commentato.
Nonostante indossasse vestiti scuri
e il gilet dei ninja di Konoha, l’espressione annoiata e quella particolare
pettinatura anti-gravità erano il suo segno di riconoscimento principale.
E, fra tutti i maledettissimi ninja
che bighellonavano per Konoha… maledizione, proprio Shikamaru?!
Questa era sfiga, decisamente, e se
non lo era ci mancava poco perché lo fosse.
L’altro lo squadrò, abbassando appena lo sguardo. Faceva
sempre così, aveva ormai notato Kiba, quando stava riflettendo su una persona. Anche il suo
Shikamaru lo faceva, a volte.
Si alzò di scatto, quasi ringhiando contro se stesso. Non
era trovando punti in comune fra i due che si sarebbe dimenticato di quella assurda storia!
Nara non rispose alla provocazione del
castano e, senza togliergli gli occhi di dosso, lo osservò affiancarlo e
poi oltrepassarlo.
<< Ohi >> chiamò poi, senza voltarsi: <<
dove stai andando? >> chiese, osservandolo di sbieco.
Kiba si fermò, evitando accuratamente di girarsi e
guardarlo. Che cavolo voleva, dannazione? Non poteva
semplicemente lasciarlo in pace come faceva il resto del mondo da un paio di
settimane a quella parte?
<< A casa >> ribatté aspro: << fino a
prova contraria, abito ancora alla fine di questa strada >> aggiunse con
lo stesso tono.
Il moro non rispose, ma Kiba lo sentì chiaramente voltarsi,
in un fruscio lieve di abiti.
<< Mi stai evitando, ultimamente >> esordì poi,
la voce pacata: << c’è qualcosa che non va?
>>
In diciassette anni di vita mai, ma proprio mai, Kiba aveva
sentito così forte l’impulso di tirare un diretto sui denti a Shikamaru.
Qualcosa che non va? QUALCOSA CHE NON VA? Cos’era, cieco, visto che con il cervello che si trovava non poteva di certo
essere scemo. Qualcosa che non va… cazzo, che acume! E
pensare che lui si stava tanto sforzando di trovare anche solo una minima cosa
che andasse, invece!
Si sarebbe veramente girato a
urlargli contro, se solo non avesse avuto paura di non riuscire più a spiccicare
parola. Gli avrebbe riversato addosso tutto l’odio,
tutto il rancore che aveva collezionato in quel periodo, liberandosi tramite la
voce di un fardello che gli schiacciava lo stomaco peggio di un masso.
Ma si trattenne. Ingoiò tutto,
faticosamente, sospirando profondamente prima di riuscire a riprendere parola: <<
Non particolarmente >> mentì e sì, fortuna volle che non avesse ceduto
all’istinto di girarsi.
Avrebbe potuto vedere l’espressione di Shikamaru assumere un
alone di malinconia.
Allora no che non sarebbe stato utile
dirsi “non sono la stessa persona”.
<< C’è qualcos’altro? >> chiese il castano, il
tono duro.
<< No >> rispose semplicemente il moro. <<
Buona giornata >> aggiunse, prima di riprendere ad incamminarsi verso il
centro.
<< Non direi proprio… >>
sussurrò invece Kiba, facendo però in modo di non farsi sentire, per poi
riavviarsi verso casa.
Non più, ormai.
Nonostante la situazione con il lavoro, e nonostante la sua
scombussolata attività mentale, il fatto di essere praticamente
prigioniero in casa sua si era rivelato indice di una portentosa solitudine.
E, a seguire, di una noia
incommensurabile.
Akamaru era talmente cresciuto che ormai non passava nemmeno
per le scale, figurarsi entrare in camera sua. Da qualche tempo stava in
giardino, insieme agli altri cani del clan, e nonostante la cuccia fosse
esattamente sotto la sua finestra, guardarlo dall’alto mentre sonnecchiava non
riempiva il suo tempo.
Era così che aveva trovato la malsana idea,
un pomeriggio, di ridisegnare tutti i cerchi alchemici che poteva ricordare.
Sempre che l’uso del termine “ricordare” non fosse scorretto e che in realtà se
li stesse inventando di sana pianta.
Ma era anche così, evidentemente, che aveva avuto la trovata
più impossibile e al contempo brillante che gli fosse
mai passata per il cervello in tutta la sua vita.
Se i cunicoli spazio-tempo erano
reali… si potevano creare.
E cosa c’è di meglio per la
creazione, della scienza per eccellenza in fatto di distruzione e ri-assembramento della materia?
L’Alchimia.
Sempre che esistesse davvero, in una qualche dimensione,
l’Alchimia.
L’idea, una volta accettato il
compromesso di credere un po’ di più in se stesso e di non farsi abbindolare
dai dubbi della psico-cocciuta, era anche buona.
Ma dopo una settimana di disegni a
carboncino su rotolo, serviti più come passatempo che come base per un
ragionamento decente, anche Buddah manderebbe a quel
paese il Nirvana.
La cosa buona era che aveva praticamente
cambiato la carta da parati della sua camera, dato che non c’era nemmeno un
pezzo di muro libero da quella sua momentanea follia artistica.
Girandosi sulla sedia tornò a guardare uno per uno i disegni
che aveva fatto, in ordine cronologico, dal cerchio alchemico più semplice a
quelli più complessi, passando poi alle prove di unione
di vari fattori e agli scarabocchi che era riuscito a tirare fuori alle quattro
di notte, quando ormai la noia aveva sopraffatto anche il sonno.
Sospirò, non vedendo su quelle pareti altro che un sintomo
in più della sua dubbia pazzia. Magari era la volta buona di ammetterlo: Okita-sensei aveva ragione e lui si era fatto un viaggio
mentale praticamente ed evidentemente surreale.
Però no, non ci riusciva proprio a
dargliela vinta, alla psico-tedia. Si ricordava
troppe cose, troppo particolareggiate. I sentimenti e le sensazioni che aveva
provato erano troppo vividi, troppo reali per essere illusioni. E sì, lui ricordava, non si inventava
nulla.
E allora qual’era
la situazione attuale? Cosa doveva fare adesso? Come andavano le cose all’accademia?
Al solo pensarci, un crampo allo stomaco gli fece storcere
la bocca. Non sapeva se era per le medicine prese appena un’ora prima o per il
fatto stesso di aver lasciato gli altri alle prese con un demone ad otto code,
ma in momenti come quello, pensieri simili non gli davano altro che dolore e
fastidio.
Non era un bene, non era un bene!
Tornò a guardare i disegni, inspirando una lunga boccata
d’aria, per poi rilassare i muscoli mentre la soffiava fuori.
Doveva per lo meno dare la caccia all’acclamatissimo
ragno nel buco. Provare, anche se non aveva un cervello fatto per ragionamenti
di quel tipo, a trovare una soluzione plausibile che collegasse le sue due vite
alla dimensione che si era lasciato alle spalle.
Fissando quei disegni ora dopo ora, non faceva altro che non
arrivare alle risposte che disperatamente sperava di scovare in un angolino della sua mente.
Aveva studiato troppo poco, di Alchimia,
per poter giungere alla creazione (sempre se possibile) di un cunicolo
spazio-temporale artificiale. Troppo, decisamente
troppo poco.
Doveva sperimentare un'altro approccio.
Si alzò dunque, di fretta, correndo rumorosamente giù per le
scale. Dal giardino, Akamaru abbaiò non appena riconobbe i suoi passi.
<< Dove vai? >> chiese
sua madre dal salotto, abbassando il volume della televisione.
<< Esco >> rispose criptico, mentre si infilava di nuovo i sandali abbandonati all'ingresso
appena un quarto d'ora prima.
<< Non hai risposto alla mia domanda
>> fece notare la donna.
Lui sbuffò. << In biblioteca >> disse poi,
aprendo la porta di fretta.
<< DOVE?! >> sentì esclamare
dal salotto << cos'è, sei impazzito?! >>
<< La diagnosi è quella >>
ironizzò amaramente, prima di richiudersi la porta alle spalle e patire
a passo veloce verso la biblioteca. Una corsa delle sue avrebbe sicuramente
strappato i punti, e non ci teneva a sanguinare per la
strada.
Appena mise piede all’interno della
biblioteca, il rivoltante odore di chiuso e di carta rattrappita invase le sue
narici con sottile violenza.
C’era gente, al mondo, che lo riteneva il profumo più buono esistente. C’erano anche persone, incredibilmente, che
prima di leggere un libro ne annusavano le pagine come
se fossero sature un meraviglioso aroma.
Lui non lo poteva sopportare. Non solo perché sentiva gli
odori molto più intensamente di altri, ma soprattutto
perché odiava qualsiasi riferimento, anche casuale, a interi volumi scritti in
minuscolo che non contenevano nemmeno un disegno. Per la sua mente, abituata a
leggere fumetti, tutto ciò non era contemplabile.
Tuttavia si fece forza e avanzò
all’interno dell’edificio. Beato Akamaru che doveva forzatamente
aspettarlo fuori, almeno lui si risparmiava il voltastomaco.
Passò davanti alla bibliotecaria trattenendo il respiro e,
al suo gesto cortese di benvenuto, si esibì in un impacciato saluto alla Robocop; era così rigido e teso che sembrava avere i
muscoli fatti di vetro.
Non si trovava a suo agio, no. Aveva
una repulsione naturale, c’era poco da fare.
Una volta che la donna ebbe rivolto ad altro la sua
attenzione, e che tutte le persone nel primo angolo lettura ebbero terminato di
indicarlo come se fosse stato chissà quale alieno piombato da chissà quale
navicella spaziale, si fermò indeciso davanti ai primi due scaffali visibili,
recanti targhette d’ottone con le lettere A-C in uno e D-F l’altro.
Bene, perfetto: ordine alfabetico. Così non poteva
sbagliarsi per forza.
Sì… ma cosa cercare?
Non credeva proprio che nello scaffale della lettera “p” vi
fosse qualcosa con il titolo “Ponti di Einstein-Rosen”, come non riteneva nemmeno pensabile che vi
fosse una biografia stramba dal titolo “Einstein:
Vita, Morte e Miracoli”.
Non era nemmeno possibile che fosse esistito un Einstein, in quel mondo.
Sospirò rassegnato, arrendendosi già da subito ed evitandosi
una full immersion in mezzo alla polvere.
Fu in quel momento, mentre tornava indietro convinto che
annoiarsi a casa sua fosse la cosa migliore da fare, che gli cadde l’occhio su
una bacheca in legno grande quanto una lavagna, appesa
al muro di fianco al bancone della bibliotecaria e piena zeppa di foglietti.
Si avvicinò, incuriosito.
Su ogni foglietto vi erano scritte piccole descrizioni di azioni, a volte condite con qualche dialogo, e tutte
improntate su situazioni più disparate: c’era chi si inginocchiava davanti ad
una ragazza su una terrazza al tramonto, chi lottava contro un mostro a forma
di lucertola gigante, chi mercanteggiava sulla via per un villaggio nascosto nella
foresta e chi si preparava all’imboscata ad una tenda di ladri per recuperare
tesori rubati.
<< Scusi? >> attirò l’attenzione della
bibliotecaria senza nemmeno girarsi a guardarla: << cosa sono questi
fogli? >> chiese, scorrendo con lo sguardo le varie calligrafie.
<< Un gioco di ruolo >> rispose la donna,
attirando finalmente la sua attenzione completa. Kiba infatti
si girò in sua direzione, e lei ebbe modo di continuare: << è anonimo.
Ognuno si crea un personaggio fittizio e fa coppia con un altro personaggio
libero in lista. Dopo di che il Master, che in questo caso
sono io, da disposizioni perché comincino varie missioni e i personaggi devono
portarle a termine. Più si guadagnano punti, più il personaggio creato
impara tecniche e diventa forte >> spiegò
professionale, sorridendogli cortesemente.
A Kiba venne quasi da ridere, ma si trattenne invocando
quella poca cortesia che possedeva. Dei ninja che giocavano ai ninja! Questa
non l’aveva mai sentita!
Però poteva essere un modo per
passare il tempo, magari.
<< Posso partecipare anche io? >> chiese dunque,
avvicinandosi alla donna di qualche passo. Lei annuì sorridente, afferrando dei
moduli e passandoglieli con assoluta precisione insieme ad
una matita e ad un dado. << Compila questo, è la
tua scheda personaggio. Quando avrai finito
mostramela, ti accoppierò con la persona che più si adatta alle tue
caratteristiche >> disse, lasciandogli spazio sufficiente per poter
lavorare.
Il primo foglio erano le
istruzioni, abbastanza semplici in realtà. Una volta
accoppiati, i due personaggi avrebbero dovuto seguire le indicazioni del
master per completare le missioni. Si comunicava tramite foglietti sulla
bacheca, utilizzando pseudonimi, dunque non conoscevi per nulla la persona con
cui stavi giocando. Si doveva aprire con una frase di
saluto poi, se l’altro avesse accettato il tuo personaggio come partner, sarebbe cominciato il gioco vero e proprio.
Fu facile anche compilare la scheda, una volta che ebbe
imparato a cosa corrispondevano i tiri del dado. Non gli venne un personaggio
da buttare; era bello e forte dato che aveva avuto
tiri alti sul Carisma e sulla Statura, e possedeva alcune arti magiche niente
male, tra cui quelle del tipo fuoco. Era un mezzo stereotipo dell’
Uchiha, ora che ci pensava, ma per non ricadere nell’errore diede ai capelli
del suo povero omino un colore rosso acceso.
Una volta terminato, l’indecisione
cadeva sul nome. Lui non aveva tutta la fantasia necessaria per crearne uno figo e che suonasse bene, così si limitò a tradurre il
suo nella lingua più improbabile che potesse saltargli fuori: l’inglese.
Che in quel mondo nemmeno esisteva.
Ma suvvia, era un gioco. Al massimo gli altri
giocatori lo avrebbero letto come formato da lettere pressoché incomprensibili,
non è che ci perdeva qualcosa, per un gioco.
Scrisse dunque “Fang” nello spazio
riservato al nome e, rimirando la scheda completa, la consegnò alla donna.
<< Oh, che strano >> esclamò
poi, osservando le lettere che avrebbero dovuto formare il nome: << c’è
un altro giocatore che usa questo linguaggio nel gioco. Cos’è, un codice
inventato? >> chiese, sorridendo curiosa.
A Kiba per poco non venne un infarto. Cosa
voleva dire che A KONOHA c’era qualcun altro che scriveva INGLESE?!
Cercò con lo sguardo l’unico biglietto scritto da sinistra verso destra e, una volta trovato, trattenne il respiro
dallo stupore: il messaggio era scritto in calligrafia chiara, corsiva e
leggermente tondeggiante. Pendeva verso destra e recitava parole che, lette
senza pensare ad un qualsivoglia contesto, riflettevano
il suo stato d’animo dell’ultimo pariodo:
Somethingsomewhere out therekeepscalling.
“Qualcosa là fuori continua a chiamare.” …sembrava
rinfacciargli la consapevolezza. Sembrava dirgli “io so,
tu racconti il vero, non stai mentendo. C’è qualcuno che ti sta chiamando,
ascolta!”.
E poteva sembrare un miracolo già di per sé se non fosse che, oltre alla lingua e al significato che lui
leggeva in quelle parole, la frase in sé non fosse stata… una citazione.
Precisamente, una strofa di una canzone
intitolata “Gravity” che lui aveva sentito e
risentito nelle settimane in cui era rimasto intrappolato nel sogno/realtà
chiamato St. Michael.
Spostò gli occhi sul nome del personaggio, e anche quello
non lasciò dubbi: “Apocalypse”.
Sì, qualcuno lo stava veramente chiamando…
Fece rapidamente in modo che il suo personaggio venisse accoppiato con Apocalypse.
Doveva capire se quel messaggio di poche lettere era falso oppure opera di
qualcuno che sapeva qualcosa della dimensione che aveva visitato.
Si fece consegnare un foglietto, scrisse il nome “Fang” in alto a destra e, quando fu il momento di
rispondere al messaggio lasciatogli, ci pensò sopra.
C’erano molte domande nel testo di “Gravity”
che avrebbe potuto porre. Ma era convinto che, andando avanti per quella assurda strada, sarebbe riuscito a porlo comunque,
anche senza scriverle subito.
Scelse dunque una seconda strofa che rispondeva a quella
lasciatagli. Nella sua calligrafia un po’ spigolosa rispose:
WillIhearsomeonesingingsolaceto the silentmoon?
“Sentirò qualcuno cantare con sollievo verso la silenziosa
luna?”.
Stava effettivamente chiedendo se gli
avrebbe risposto, in definitiva. E ci sperava…
ci sperava sin troppo.
Passò praticamente tutto il
pomeriggio in biblioteca, ma della persona che aveva il dono innaturale di
poter scrivere (e dunque di sapere) l’inglese non vi era traccia.
Inizialmente l’aveva aspettato seduto all’angolo lettura più
vicino, di modo da tenere d’occhio la bacheca. Se si
fosse avvicinato per rispondere al suo messaggio, pensava, l’avrebbe visto e
avrebbe finalmente potuto interrogarlo su tutto ciò che gli passava per la
mente… letteralmente.
Poi, però, aveva riflettuto; se non lo aveva contattato direttamente e aveva preferito mettere un
biglietto in un posto che aveva poca probabilità di frequentare, probabilmente
non voleva incontrarlo per nulla, ma mantenere solamente rapporti impersonali
di quel genere. Di conseguenza, se lo aspettava al
varco non si sarebbe mai mostrato.
Per tale motivo cambiò posizione, andando a mettersi fra i
due scaffali più vicini alla bacheca, assicurandosi di essere sufficientemente
nascosto. Doveva vedere senza farsi vedere, solo così poteva
trarre in inganno il suo inglesino preferito e
costringerlo a sputare il rospo.
Tuttavia, nonostante le svariate ore
passate a fissare la reception da una fessura fra i
libri, la persona che gli interessava scovare non si fece vedere.
All’inizio un giovane biondino gli aveva dato la speranza, avvicinandosi alla
bacheca, ma il biglietto che aveva attaccato era scritto in kanji
e non rispondeva a “Fang”, bensì ad un altro
giocatore.
Fu quando ormai la biblioteca era in orario di chiusura che
finalmente uscì, respirando con evidente sollievo l’aria fresca e umidiccia
della sera. Tirava una leggera brezza da nord-ovest che portava con sé l’odore
lieve e dolciastro delle magnolie.
Scendendo gli scalini dell’entrata si stiracchiò
sbadigliando, posando meccanicamente una mano sulla testa di Akamaru
quando il cane gli venne incontro trotterellando.
A giudicare dal buio dovevano essere come minimo le dieci di
sera… era preoccupato del fatto che sua madre non
avesse mandato le squadre di soccorso quando non lo aveva visto rientrare per
cena.
E a proposito di cena, cominciava
ad avere una certa fame.
<< Andiamo Akamaru, non vedo
l’ora di mettere qualcosa sotto i denti! >> disse rivolto all’amico,
incrociando le braccia dietro la testa e cominciando a percorrere la strada a
ritroso, verso casa. Non pareva esserci molta gente in giro, solamente alcuni
giovani che volevano fare baldoria e uomini sbronzi che puzzavano
di saké, ma a lui sembrava non interessare molto.
Anche se la sua giornata
d’appostamento non aveva dato i risultati sperati, il solo fatto di aver
trovato una piccola possibilità di sapere
era sufficiente a risollevargli il buon umore perduto.
Aveva la possibilità di ricredersi, di dimostrare che non
mentiva, che non era un folle. Avrebbe potuto conoscere la verità, finalmente.
Sorrise al nulla, ridacchiando da solo contro il silenzio
della notte. << Been a long road tofollow, beenthere and gonetomorrow, withoutsaying goodbye toyesterday… >> canticchiò
quasi soddisfatto, a bassa voce, fischiettando il seguito della canzone lungo
tutto il tragitto di casa.
Chissà, magari avrebbe potuto anche chiedere di lui. Come stava, per esempio. Oppure se era ancora… vivo.
Scosse il capo, non ci doveva pensare. Shikamaru stava bene
per forza, ne era sicurissimo. Si erano salvati tutti,
magari avevano anche sconfitto Orochimaru e adesso se ne stavano a poltrire all’accademia ascoltando le lezioni del maestro
Kakashi, oppure cercando di non rimanere vittime delle esplosioni artistiche di
Deidara.
Il sorriso divenne malinconico al ricordo del gruppo e della
vita che aveva lasciato indietro… eppure, in un qualche modo, si sentiva persino
in colpa ad avere nostalgia, dato che quella al
villaggio era la sua reale vita.
Sembrava come… se avesse trovato un modo di vivere che gli
piaceva molto di più. E non doveva, perché in un
qualche modo sapeva che era sbagliato, e ingiusto nei confronti della famiglia
e degli amici che aveva lì, a Konoha, a casa sua.
<< Maybethis
time tomorrow, the rainwillceasetofollow, and the mistwillfadeinto
one more today… >> canticchiò
ancora, guardando il cielo. A causa della brezza era una nottata limpida, la
volta celeste era piena di stelle e, in mezzo a tutte, non faticava a
riconoscere le principali costellazioni che gli avevano insegnato in accademia
ninja.
Doveva distrarsi. Se portava la sua
attenzione su qualcosa che non fosse Shikamaru, probabilmente avrebbe sentito
meno nostalgia… e di conseguenza meno malinconia.
Arrivato davanti a casa, la prima cosa che fece fu dare da
mangiare ad Akamaru. Era rimasto ad aspettarlo fuori dalla
biblioteca per tutto il giorno, si meritava le sue dovute attenzioni.
Una volta che ebbe terminato, e che ebbe
osservato il proprio cane mangiare a fauci spalancate, decise ardentemente che
toccava a lui una cena con fiocchi e controfiocchi.
Il suo stomaco era così vuoto che ormai non aveva nemmeno più la forza per
contorcersi nei tipici crampi della fame.
Salì velocemente i pochi gradini il legno che lo speravano
dal pianerottolo, e in alcuni scricchiolanti passi si avvicinò all’entrata.
Aveva già una mano sulla maniglia e l’urlo pronto con un “tadaima!” fra le labbra, quando una voce particolare, che
non apparteneva né a sua madre né a sua sorella, gli arrivò alle orecchie.
Era Madamigella Tsunade. Ne era
quasi sicuro, contando che la sentiva provenire dalla finestra aperta della
cucina.
Esitò, ascoltando. Non credeva affatto che Tsunade e sua
madre fossero vecchie compagne d’accademia e che la
vecchia fosse venuta da loro per un tè e un piatto di pasticcini.
Tutt’altro. Poteva esserci un solo motivo per
cui l’hokage si disturbava a fare visita a casa Inuzuka…
<< E’ una fortuna che Kiba non sia in casa >>
stava dicendo la Quinta: << posso parlarle francamente e senza
risentimenti >>.
Fece scivolare la mano dalla maniglia, richiudendola a pugno
e lasciandola andare lungo il fianco. Ascoltò, nonostante fosse quasi un
suicidio intellettuale farlo, evitando anche di respirare troppo rumorosamente
per non coprire con esso le parole che sentiva.
<< Mi dica tutto, Godaime-sama >> rispose la
madre con voce seria, tuttavia macchiata di una piccola nota di
esasperazione.
Probabilmente, pensò Kiba, era stanca quanto lui di sentire
la stessa solfa ancora e ancora…
<< Sono preoccupata per Kiba >> arrivò subito al punto Tsunade, professionale nonostante
l’ora fosse quella del sakè serale. Probabilmente era più seccata di tutti
loro, quella donna, che aveva sempre e perennemente il suo caso sotto al naso.
<< Le da altri motivi di preoccupazione? >>
chiese la madre, quasi incoraggiandola a continuare.
<< Non più del solito >> rispose l’hokage:
<< è la sua testardaggine, la ragione per cui sono
qui. Continua a sostenere la sua storia, ancora e ancora, e siccome sono
convinta che non possa essere assolutamente vera, mi chiedo perché insista a
raccontarla >> disse, facendo una domanda
implicita all’altra donna.
Sua madre non rispose subito, probabilmente contemplando le
parole che le venivano rivolte. << Godaime-sama,
se posso permettermi: non aveva detto che le convinzioni su cui persevera quel degenerato di mio figlio apparivano vere, ai
suoi occhi? Non mi aveva garantito che era una sorta di trauma psicologico
causato dalla ferita? E’ perché ero convinta di questo che non ho spinto il
ragazzo a raccontare anche a me questa cosa… ora mi sembra che si stia
rimangiando la parola >> argomentò, trovando come al
solito ogni appiglio possibile su cui poteva attaccarsi.
<< Ha ragione >> rispose
la vecchia: << ma è impensabile che, dopo due settimane, Kiba soffra
ancora degli effetti del trauma. Soprattutto con i medicinali che gli abbiamo dato. Dunque, posso solo
pensare due cose: o Kiba racconta quella bugia per coprire un suo comportamento
particolarmente grave, oppure è partito tutto da uno scherzo di cattivo gusto e
adesso regge la farsa per non perdere la faccia >> disse lei.
Kiba aggrottò la fronte a quelle parole, storcendo il naso
in un’espressione disgustata. Uno scherzo, addirittura… era questo il meglio
che riusciva a pensare l’hokage? Era questa la sensazione che dava la sua
versione dei fatti?
Nessuno aveva contemplato, anche solo di sfuggita, il fatto
che stesse dicendo la verità? Proprio a nessuno era venuto questo dubbio?
No, Kiba, non lo sai? Se dici di raccontare una verità in
cui non credi completamente nemmeno tu, è logico che vieni
respinto e additato come bugiardo e meschino.
A denti stretti restò in ascolto, senza muovere nemmeno un
muscolo.
<< E da me cosa vorrebbe
sapere? >> rispose a tono la madre, mantenendo però la cordialità dovuta
ad un’ospite: << se so in quale casino si sia cacciato Kiba? Se ho notato qualcosa di strano nel suo comportamento?
>> chiese, concisa.
<< Sì, esattamente >> rispose l’hokage, a sua
volta pratica e veloce.
<< Beh, sì. Ho notato che un ragazzo casinista ed
esageratamente loquace all’improvviso parla solo se interrogato. Ho notato che
una persona che saltava persino la cena per bighellonare con gli amici, improvvisamente
vive chiusa in camera sua. Ho notato le pastiglie, e
le interminabili ore di sonno che le accompagnano. Ho notato tutto questo,
Godaime-sama, ma non è nulla di più e nulla di meno di quello che, sono sicura,
abbia notato anche Okita-sensei
>> rispose la donna, per poi continuare: << io non credo a ciò che
racconta mio figlio, sia chiaro. E sono sicura che
stia affrontando un qualche problema. Ma il nostro
clan è fatto così: anche se può sembrare una bastardata, i ragazzi crescono
contando quasi esclusivamente su loro stessi. Se Kiba
ha un problema, dovrà risolverselo da solo. Un capoclan
fa questo ed altro >> aggiunse, brusca.
Tsunade rimase in silenzio per qualche istante, in una copia
della contemplazione che aveva eseguito l’altra per prima.
Poi, sospirando, aggiunse: << spero anche io che ne
venga fuori… perché se continua così, sarò costretta a radiarlo dall’albo dei
ninja di Konoha. Senza di lui non posso far muovere la sua squadra con nessun
altro, e ora che Kurenai è in ferie a causa della gravidanza sono costretta a
tenere a riposo anche Shino e Hinata. Non posso perdere due ninja per uno solo.
Se non si risolverà entro breve, lo sostituirò ufficial…
>>
Kiba, in un qualche modo, sentì che il discorso continuava,
ma ormai non era più in grado di rimanere concentrato sulle parole.
Le frasi di sua madre erano quasi riuscite a risvegliare il
suo orgoglio assopito, ma tutto ciò era servito solamente per far sì che Tsunade
lo pugnalasse con sentenze affilate come la lama di un kunai.
Trattenne il fiato e, ignorando il dolore che i punti gli
procuravano, con un balzo calcolato saltò prima sulla tettoia, poi sull’acero
dietro casa sua. Ignorò gli uggiolii di Akamaru, che
non lo seguì, e con qualche rapido passo di corsa prese lo slancio da uno steccato
e si mise a correre e saltare sui tetti del villaggio.
Correva per sentire dolore, probabilmente, anche se era una
contraddizione. Così poteva trovare una scusa alternativa per le lacrime, che
premevano frementi agli angoli dei suoi occhi, desiderose di uscire per dar
sfogo alla tristezza nata improvvisamente dentro di lui.
Lo punivano perché raccontava la verità, era questo che
stavano facendo? Lo punivano perché non riusciva a conformarsi al volere di una
psicologa impaziente, la quale non vedeva l’ora di vincere ancora e liberarsi
di lui?
Corse con velocità lungo uno dei tetti del
quartiere occidentale, prendendo istintivamente lo slancio necessario a saltare
su quello successivo senza fare troppo rumore. Poi su quello dopo, e su
quello dopo ancora, senza fermarsi.
Finché il dolore divenne troppo acuto per
essere ignorato oltremodo. La sua improvvisata dimostrazione atletica
doveva aver strappato uno o due punti; sentiva l’odore fastidioso del sangue
giusto sotto al suo naso e, a causa proprio di questa
combinazione, fu costretto a fermarsi nel primo posto possibile.
Nell’ultimo balzo che il suo corpo gli rendeva disponibile
adocchiò una strada poco sotto di lui. Aggrappandosi ad uno stendipanni
riuscì a frenare la caduta, ma fu comunque costretto a
chinarsi su se stesso in un gemito dolorante una volta con i piedi per terra,
portandosi la mano sinistra a tenersi la ferita.
Poteva sentire il calore di alcune
gocce di sangue sotto le dita, attraverso la stoffa della maglietta a mezze
maniche, e di conseguenza il bruciore classico provocato dal contatto della
pelle viva con la stoffa.
<< nh… >> gemette di
nuovo quando cercò d’alzarsi, vedendosi costretto ad aspettare almeno che il
sangue di fermasse.
Se non sbagliava troppo i calcoli, e quello che vedeva in lontananza era veramente il confine del vecchio quartiere
Uchiha, non doveva essere tanto lontano da casa di Naruto. Magari avrebbe
potuto chiedere ospitalità a lui, per una notte, sempre che non fosse partito
per una qualche missione. Ultimamente non sapeva nulla sugli spostamenti delle
altre squadre.
Un rumore di passi riuscì però a distrarlo… o meglio, ad
attirare la sua attenzione, dato che stava all’erta
quasi per abitudine, ormai. Quando la persona in questione si fermò di fronte a
lui, e Kiba poté alzare gli occhi, non si sforzò di trattenere un’espressione a
metà fra lo sorpreso e il rassegnato.
<< Allora è una condanna! >> borbottò incredulo,
riabbassando subito gli occhi ad una ulteriore fitta
al costato.
<< Considerando la situazione, direi
più una fortuna >> ribatté Shikamaru, non mostrandosi
particolarmente risentito per le parole rivoltegli.
Il moro lo osservò per qualche istante, le mani in tasca,
per poi chinarsi sulle gambe in modo da poter guardare Kiba negli occhi senza
che l’altro si facesse venire il torcicollo. Allungò poi le mani in direzione
del lembo della felpa, con l’intenzione evidente di alzarla.
<< Che fai?! >> sbottò
subito il castano, muovendo le braccia per scansarlo ma pentendosi subito della
mossa quando causò lo strattone doloroso di un punto sulla sua pelle. <<
Ah! >> gemette, abbastanza forte, affrettandosi a ritornare in posizione.
<< Fammi dare un’occhiata
>> disse Shikamaru, sfoggiando un’espressione da apoteosi della calma.
Tragicamente, Kiba fu costretto a lasciarlo fare. Il
contatto delle mani del moro sulla sua pelle non lo infastidiva affatto… ed era
proprio per questo che non voleva che lo toccasse. Ma
non poteva tirarsi indietro, ora come ora, dato che da solo (ammetterlo era
peggio che ardere vivi su una pira!) non sapeva nemmeno come curarsi.
Nara fu inaspettatamente professionale. Si limitò ad
osservare il taglio, i relativi punti e lo stato della cicatrizzazione,
toccando solamente la pelle intorno e senza infierire ulteriormente in quanto dolore. << Si sono strappati due punti
>> decretò poi << nulla di grave, è solo l’infiammazione che lo fa
bruciare in modo esagerato >> concluse,
rialzandosi e tendendogli la mano.
Mano che il castano osservò titubante.
<< Ce la faccio da solo >> borbottò
scorbutico, alzandosi con relativa difficoltà ed attenzione, di modo da non
farsi troppo male.
Shikamaru fece spallucce, ritirando la mano. << Andiamo >> aggiunse poi, rimettendosi le mani in tasca
e incamminandosi verso sud.
<< “Andiamo” dove? >> domandò Kiba con un
sopracciglio alzato.
<< A casa mia >> rispose voltandosi: <<
quel casino è da disinfettare >> aggiunse poi, indicando con un cenno del
volto lo stomaco del castano.
A casa sua?! Sì, certamente, era già là! Già cercava di
distanziarlo quando lo beccava per strada, figuriamoci
se era ospite in casa sua! Lui si stava sforzando come un maledetto per non
averlo intorno, per non pensare all’altro
Shikamaru o ai paragoni che venivano inevitabili, ma sembrava che Nara (o il
destino) si divertisse a piombargli addosso nei momenti in cui era meno
preparato. E nel contempo non ci faceva nemmeno una
bella figura, se per difendersi era costretto a fare lo scontroso con un suo
vecchio amico a cui, tra l’altro, teneva ancora.
<< Sto bene! >> rispose cocciuto: << non
ho bisogno di- >>
<< O ci vieni sulle tue gambe
o ti ci trascino, Kiba >> lo interruppe il moro, perentorio.
Non ebbe possibilità di ribattere. Qualcosa, nello sguardo
di Shikamaru, gli disse che non era il caso di stare a discutere troppo.
Sospirando seccato, lo seguì.
Ricordava benissimo dove abitava Shikamaru.
Nonostante il nome del suo clan
fosse annoverabile fra quelli più in vista della Terra del Fuoco, e
possedessero altresì una consistente parte della foresta che circondava Konoha,
lui e i suoi genitori vivevano in una casa di media grandezza circondata dagli
alberi.
Era fuori dal villaggio, appena
inoltrata nella foresta, immersa nella natura e allo stesso tempo collegata
direttamente con il villaggio. Di fatti, dalla finestra della camera di
Shikamaru, fra le fronde degli alberi si potevano benissimo vedere i tetti
delle case più esterne del villaggio.
In poche parole era la periferia, della periferia, della
periferia. I volti di pietra degli Hokage avevano quasi la stessa dimensione di
una moneta, da quella distanza.
<< Di sicuro è un posto tranquillo >> disse fra sé e sé, osservando quel piccolo scorcio di cielo
che le foglie lasciavano osservare agli abitanti della casa. Notte serena e
piena di stelle. Se non avesse avuto tutti quei
problemi, sarebbe stata una serata stupenda da spendere in giro a far danni con
Akamaru e Naruto.
Il rumore della serratura che scatta
lo fece voltare, ormai con relativa tranquillità, finchè la figura di Shikamaru
non entrò nel suo campo visivo. Nonostante la stanza fosse fiocamente
illuminata dalla luce esterna e solo da quella, poteva
benissimo leggere il nome del disinfettante che il moro portava in mano e
sentirne l’odore disgustoso anche attraverso la plastica.
Storse il naso, movimento che Nara non si lasciò sfuggire.
<< Ancora allergico ai disinfettanti? >> chiese con un mezzo sorriso, poggiando la bottiglietta
incriminata e la rimanente attrezzatura sul mobile accanto al letto.
<< Già… >> fu la laconica risposta. Non parlava
troppo per non tradirsi, ma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso
qualsiasi movimento facesse. Era
uguale, compresi movimenti ed espressioni, allo Shikamaru
dell’accademia.
Stessi occhi, stessi atteggiamenti, stessi sorrisi, stesso
tono di voce.
Chissà, magari… stesse labbra?
Sospirò, dandosi dello scemo e scostando lo sguardo da lui.
Certo che poteva evitare di farsi del male in quel modo, no?
<< Ok, direi che ho tutto l’occorrente >> decretò il moro, tirandosi le maniche della maglia oltre i
gomiti: << solleva la maglia e stenditi >> disse poi, indicando
l’unico letto presente con il volto.
Kiba, contrariamente a quello che avrebbe voluto fare,
tacque. Non era il caso di continuare la farsa dell’improvviso asociale… oltre
che somigliare a Sasuke “I Miei Sorrisi sono una delle
Specie Protette” Uchiha si rendeva conto di stare creandosi una pessima
reputazione. Cioè, nel caso esistesse ancora una sua
reputazione da peggiorare, ovviamente.
Seguì in silenzio le istruzioni, buttandosi a pancia in alto
sul letto e sollevando la maglia con entrambe le mani. Appena il materasso ebbe
finito di sobbalzare, Shikamaru vi si sedette stringendo con la destra un
batuffolo di cotone idrofilo imbevuto di disinfettante. Contrasse i muscoli
quando, toccando con esso la sua pelle, le parti
ferite cominciarono a bruciare, ma trattenne l’imprecazione sorta spontanea
mordendosi il labbro inferiore e trattenendo il respiro.
<< Scusa, brucia un po’ >> si
scusò prontamente Shikamaru, continuando però il lavoro di disinfezione.
<< Nh… me ne sono accorto!
>> ribatté Kiba spontaneamente, rilassandosi solamente quando si abituò
al costante bruciare provocato dal batuffolo.
Nel seguente silenzio, fu lo stesso Inuzuka a non riuscire a
trattenere la voce. << Tua madre è gentile come sempre >> esordì,
fissando per l’ennesima volta il manto notturno all’esterno della finestra:
<< penso sia la prima persona che non mi abbia fissato con tanto d’occhi
da due settimane a questa parte >> aggiunse, stirando appena le labbra in
un sottile quanto invisibile sorriso.
Shikamaru si fermò per un istante, alzando gli occhi scuri
su di lui per osservarlo. << Lo è solo con gli ospiti. Con noi è una iena
>> fu la risposta, data mentre si tendeva per
afferrare forbicine e pinzette cavaciglia.
Kiba ridacchiò appena, rilassato. Doveva ammettere che una
tranquillità così, da quanto era “tornato”, non l’aveva mai avuta.
<< Non ridere, sono armato >> lo riprese
bonariamente, esitando con le forbicine impugnate allo
sobbalzare del torace del castano, dovuto alla risata.
<< Ah, scusa >> borbottò quello in risposta, sospirando per rimanere serio.
Avvicinandosi con il volto per poter vedere il punto giusto
da tagliare, fu Shikamaru a parlare questa volta: << come mai questo
cambiamento improvviso? >> chiese, evitando di guardarlo con la scusa
della concentrazione sulla ferita.
Nemmeno Kiba girò lo sguardo, nonostante la domanda lo
avesse colto alla sprovvista. << In che senso? >> chiese, facendo il finto tonto nonostante immaginasse che, con
Shikamaru, una scusa del genere non funzionasse.
A ragione: Nara non solo non cascò nella trappola, ma si
fermò venti metri prima. << Non giocare a fare l’asino, è da quando sei
uscito dall’ospedale che non ti si può parlare >> disse
deciso, riuscendo delicatamente a prendere con le pinzette il punto mezzo
strappato e a sollevarlo abbastanza da farci passare sotto la lama delle
forbici. Tagliò con un colpo secco, sfilando al contempo il punto dalla pelle
di Kiba non senza un piccolo sobbalzo dell’interessato.
<< Ahi! >> si lamentò il castano, osservandolo
posare forbici e pinzette per prendere ago e filo: << cos’è, ti improvvisi ninja medico? >> domandò a bruciapelo,
inquietato da quell’ennesima abilità di Shikamaru.
<< Non cambiare discorso >> fu però la risposta
disinteressata e al contempo pressante del compagno.
Kiba sbuffò, chiudendo gli occhi. Perché
non riusciva a stare zitto, o a fingere, in sua presenza? Era la stessa,
identica, stramaledetta sensazione che provava a cospetto dello Shikamaru
dell’accademia. Del suo Shikamaru;
anche a lui non riusciva a mentire o
a nascondere le cose.
<< Non mi credete, no? >> fu dunque la risposta,
pronunciata voce debole e segnata da una sorta di rassegnazione.
Nara gli lanciò un’occhiata, senza però riuscire ad
incontrare i suoi occhi. << Chi
non ti crede? >> chiese dunque, sottolineando con
la voce il “chi”.
<< Voi >> chiarì il castano. << Tutti voi.
Perciò non trovo motivo di sorridere come uno scemo o
di scherzare come prima. Vedo come mi guardano tutti quelli del villaggio, non
sono stupido, e nemmeno così disperato da far finta di
niente come fa Naruto >> aggiunse, in una sorta di sfogo pacato.
<< Naruto non è disperato, se ne infischia e basta
>> disse il moro, disinfettando la punta dell’ago e posizionandosi
per rimpiazzare il punto appena tolto con uno nuovo: << cosa che dovresti
fare anche tu se credi davvero in quello che dici, e smettere di fare l’eremita
scontroso >> aggiunse sbrigativo, infilando l’ago nella pelle a
tradimento.
<< Come ti perm- AHIA!
>> si lamentò improvvisamente, stroncando la frase a
metà: << bastardo, potevi almeno avvertirmi! >> sbottò
alzandosi sui gomiti.
<< A che pro? Avrebbe fatto solo più male >>
osservò il moro, strappando con i denti il filo e annodandolo abbastanza
stretto per far sì che la ferita non potesse
riaprirsi. << E se stavi per dire “come ti permetti” ti do un consiglio:
stai a sentire le persone fino alla fine, prima di
sbraitare >> sentenziò, posando l’ago e cominciando a scartare qualche
cerotto.
Kiba storse il naso, assottigliando al contempo gli occhi in
una smorfia seccata. << Sentiamo allora >> decretò subito, ben posizionato sui gomiti e con gli occhi fissi su di lui. Lo avrebbe ascoltato per l’equivalente di cinque secondi, poi un
calcio ben assestato non glielo levava nessuno.
Rispondendo per un istante al suo sguardo, Shikamaru iniziò:
<< quando Tsunade-sama ci ha convocati per comunicarci le tue condizioni,
le voci avevano già cominciato a girare. Sapevamo ormai tutti a che livelli era
arrivato lo scetticismo del villaggio e, al contempo, sapevamo già a grandi
linee la versione che sostenevi >> disse,
posizionando il primo cerotto sulla parte lesa della ferita. << Tsunade
non ti credeva, e così anche altri ninja, tra cui Neji e Ten Ten. Lee non prendeva posizione e Ino e Sakura non sapevano
cosa pensare, ma erano d’accordo con Tsunade sul fatto che la tua storia fosse
improbabile >> continuò, attaccando il secondo cerotto accanto al primo e
il terzo subito a fianco.
Alzò poi lo sguardo, fissandolo seriamente. << Kiba,
devi ammettere che la tua versione dei fatti, oltre a non combaciare con le
altre riportate, è poco credibile >> disse, per
poi aggiungere: << nessuno ci crede >>.
Kiba fu sicuro di sentire il suo cuore mandare un battito a
vuoto. Deglutì faticosamente, aggrottando le sopracciglia in uno sguardo da
orgoglio frantumato.
<< Che cazzo ti ascolto a
fare, se mi ripeti con altre parole quello che ho appena detto io? >>
sputò rabbioso, mettendosi seduto con la ferma intenzione di andarsene.
Ma fu bloccato, con il semplice
gesto del moro di mettergli la mano sulla bocca.
Shikamaru lo guardò dritto negli occhi, continuando
imperterrito il suo discorso: << quando la Godaime
ci ha parlato del tuo possibile licenziamento, Naruto l’ha zittita. Ha urlato
come un forsennato che tu non dici bugie, che ti conosceva e che si fidava di
te. Chouji l’ha spalleggiato e Shino ha aggiunto del
suo, dicendo che preferiva di gran lunga credere nel
suo compagno di squadra che in una psicologa mai vista prima >> sorrise
nel racconto, osservando pian piano l’espressione di Kiba farsi sempre più
sorpresa. Abbassando la mano che teneva premuta sulle sue labbra, riprese:
<< Hinata ha balbettato qualcosa di simile a quello
detto da Naruto, solo un tantino più educatamente. Kurenai-san
ha ribadito che, per la sua esperienza avuta con il
team, se sostieni le tue teorie con tanta insistenza c’è sicuramente un motivo
serio e Asuma-sensei le ha dato ragione. Metà dei jounin che ha rapporti con il tuo clan ti sostiene… e io
sono d’accordo con loro. Ti risparmio l’uscita di Gai-san e Lee sui problemi dell’odierna gioventù >>
terminò, osservandolo con un mezzo sorriso.
<< Ma… >> esitò Kiba,
confuso e al contempo sollevato da quelle affermazioni: << ma se hai
appena detto che non credi in quello che dico!? >> sbottò sorpreso,
evidenziando il controsenso.
<< Sì, è vero. Non riesco a credere nella storia che
racconti >> disse l’altro: << ma credo in te. Ci conosciamo da quando eravamo bambini, Kiba, e sono sicuro
che c’è un motivo se continui a sostenere le tue parole. Non lo faresti se non
ci fosse sotto qualcosa di serio >> asserì
pacatamente, sicuro di quello che diceva come se parlasse di se stesso.
Kiba rimase letteralmente senza parole.
Non sapeva cosa dire di tutto quello che gli aveva detto,
come non sapeva se credergli o meno.
Ma Shikamaru non gli aveva mai
mentito. E per tutto ciò che li legava, fosse amicizia
o amore, fosse una dimensione o l’altra… si era sempre fidato di lui.
Sempre. Addirittura senza rendersene conto.
Per la prima volta in due settimane non si sentiva… solo.
<< Eh… >> esclamò sorridendo come uno scemo,
portandosi al contempo la mano destra agli occhi: << fa quasi piacere
sentirselo dire >> bofonchiò, sorridendo come un ebete.
Era una liberazione, sentire quelle parole.
<< Che fai ora? Piangi?
>> ironizzò il moro, facendo il suo classico sorrisetto sbieco.
<< Macché, è il taglio che brucia >> si coprì
subito il castano, alzando gli occhi su quel sorriso proibito che aveva imparato ad adorare e che ancora, anche se fatto da
una persona diversa (ma diversa quanto,
alla fin fine?) da quella che glielo aveva rivolto per la prima volta.
Non riuscì più a zittire, in quel modo, il bisogno pressante
che lo opprimeva.
<< Chiudi gli occhi >> disse,
sfoggiando un sorriso dolce e al contempo beffardo.
Shikamaru inarcò un sopracciglio, stranito dalla richiesta. <<
Cosa devi fare? >> chiese, un sorriso agitato malamente mascherato.
<< Non hai appena finito di dire che ti fidi di me?
>> ribatté furbo l’Inuzuka, allargando quello stesso sorriso. <<
Tranquillo, non ti molesterò >> ironizzò
divertito.
<< Non è di questo che mi preoccupo… >> fu il sussurro del moro, che però Kiba ignorò nel momento
stesso in cui Shikamaru seguì il volere del castano e chiuse gli occhi.
Si avvicinò lentamente, socchiudendo gli occhi in
un’espressione quasi malinconica ora che il moro non poteva vederlo.
Se escludeva il luogo, il contesto,
i problemi… le inibizioni che si era posto apparivano come semplici ostacoli
fatti di nebbia e rugiada.
Deboli.
Se si lasciava andare, se annullava
le distanze come le differenze, rimaneva solamente l’anima di Kiba Inuzuka e
quella di Shikamaru Nara, vicine ed inseparabili, nell’amicizia come nel tempo.
Un bacio. Solo un bacio.
Sbagliato quanto proibito. Ma non
poteva impedirsi di avvicinarsi ancora, di accorciare la distanza fra le loro
labbra, ancora e ancora, quasi casualmente ma in realtà volutamente.
Però si fermò.
A poca distanza, pochissima, dal bacio che aveva bramato da
quando era ritornato “se stesso”. A qualche centimetro dai suoi sentimenti e
dalla replica degli stessi.
Il suo bisogno di Nara era insano. Era una goccia in più nel
bicchiere già colmo della sua pazzia.
Ma non era giusto. Perché lui non
era quel
Shikamaru.
E non poteva… rovinare in un soffio
un’amicizia così bella.
Non poteva.
Si morse il labbro silenziosamente, scansando le labbra del
moro e appoggiando la fronte sulla sua spalla.
Il cuore batteva veloce, ogni respiro faceva male, ma la
ragione gli diceva insistentemente che era meglio così.
Quant’era difficile, far prevalere il cervello e sotterrare l’istinto...
<< Avevi bisogno di farmi chiudere gli occhi per
appoggiare la fronte sulla mia spalla? >> chiese quasi divertito
Shikamaru, riaprendo gli occhi.
<< Ti saresti spostato >> fu
la scusa del castano, che approfittò biecamente del fatto che poteva nascondere
il viso agli occhi dell’altro per mentire senza sforzo. Si sentì appoggiare la
mano sulla testa e, quasi in risposta, chiuse gli
occhi.
<< Smetti di trarre conclusioni
affrettate >> fu la replica.
Gli attimi di silenzio che seguirono furono interrotti
solamente da un bussare secco alla porta, che portò i due a separarsi.
Qualche istante dopo, il volto di Shikaku
Nara, padrone di casa, comparve dalla porta. L’espressione grave del volto non
presagiva niente di buono.
<< Ragazzi, è meglio se venite a dare
un’occhiata >> pronunciò con voce profonda, lasciando la porta
aperta e incamminandosi lungo il corridoio in direzione dell’ingresso di casa.
Si guardarono per un istante. Ma
bastò quel semplice sguardo per farli alzare dal letto e seguire Shikaku, in piedi sulla porta di casa insieme alla moglie.
<< Che succede? >>
chiese Shikamaru, affiancandosi ai genitori insieme a Kiba.
Lo spettacolo che si mostrò ai loro occhi lasciò sbalorditi
i due ragazzi, ultimi spettatori di quel fenomeno particolare quanto
inquietante.
Dal cielo completamente sgombro da nubi, in un clima estivo
tipico di inizio luglio, scendevano ondeggiando quelli
che avevano tutta l’aria di essere fiocchi di neve.
<< Non può essere neve… >> disse
la donna con un moto di stupore.
<< Non lo è >> le rispose
Shikamaru, ritirando la mano dopo aver preso uno dei fiocchi.
Non era bagnata, non era fredda e, soprattutto, non era
bianca.
Questo capitolo è in
un ritardo assurdo, sì, me ne rendo conto.
E non ho intenzione
di tirare fuori assurde scuse se non la verità: …non avevo più ispirazione *si angolizza e fa cerchietti*.
Fortunatamente, anche
se a pezzo piccoli, ogni tanto scrivevo. Dunque, ecco qui il capitolo 15, dopo
qualche mese di fermo.
Per lo stesso motivo
di qualche capitolo fa, per questa volta non scriverò ringraziamenti ad personam; è
passato un sacco di tempo e, come minimo, sia io che gli interessati non
ricorderemmo nemmeno cosa abbiamo scritto/vogliamo scrivere XD
Perciò, solo per
questa volta, un rigraziamento veloce ma non meno
significativo va a Slice
(che, cascasse il mondo, me la commenta sempre. E io non saprei davvero in che
altro modo ringraziare questa persona, sul serio ç____ç mi dice tante belle
cose sulla mia fantasia e sulla scrittura, e io ne sono sempre commossa T___T),
Rosa_elefante
(la sua richiesta di aggiornare presto… emh… lasciamo
stare. Anche lei, come Slice, mi dice sempre tante
belle cose T.T grazie davvero), CloudRibbon (donna, tu sai che
senza i tuoi commenti-papiro ormai non vivo XD e sai anche che mi ci vorrebbe
una pagina intera per risponderti, dunque mi devo astenere dal farlo per forza
di cose XD) e Hiko_chan
(anche lei sempre lì con la recensione. E sempre piena di complimenti. E sempre
con le sue elucubrazioni quasi giuste! XD Grazie mille anche e te, Hiko, per tutte le recensioni puntuali che lasci! :*).
Concludo con il
ringraziare anche Mika, Rei e Reki che so che leggono X°D
Ok, piccola
considerazione ora. Ormai non so se includere il comportamento di Kiba in un
momentaneo OOC, ma purtroppo è voluto dalla trama.
In questo capitolo
aleggia un’atmosfera decisamente malinconica e pesante, confusa come la mente di
Kiba che, purtroppo, ha attaccato la confusione anche a me @___@. Non esagero
dicendo che, dal punto di vista di farli rimanere almeno pseudo-IC,
questo sia il capitolo più difficile che abbia scritto.
Spero non sia venuto
troppo male.
Per ultimo, sappiate
che sto scrivendo uno Special decisamente demenziale. Un po’ di pubblicità
occulta non ha mai fatto male a nessuno >.>
Dovrei postarlo per
l’8 giugno, se riesco a scriverlo tutto; anche se è probabile che non lo
inserirò qui come capitolo, ma lo metterò a parte come fanfic.
E dopo ciò, vi lascio
la lettura, perché è veramente tutto. Al prossimo capitolo (il penultimo!).
Chapter 15 ~ TwelvethEcho
Cenere alla Cenere
C’era un fiume, davanti a lui.
Largo, nero, istintivamente pericoloso. Si infrangeva su
rive invisibili con uno scrosciare fastidioso, unico rumore che si poteva udire
in quella sottospecie di spazio vuoto, in penombra, in cui si trovava.
Non faceva nulla di particolare, guardava solamente. In
avanti, rimanendo immobile con le braccia lungo i fianchi, senza sapere nemmeno
perché lo stesse facendo, o quando mai avesse deciso di farlo.
Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla riva opposta.
C’era qualcosa, dall’altra parte. Nella penombra riusciva
a vedere solamente dei contorni molto sfocati, quasi da non capire nemmeno che
cosa rappresentassero; ma c’era in assoluto qualcosa, al di là di quel fiume.
Sembravano… campanili.
Tetti a punta, pertugi dalla forma semi arrotondata, punte
squadrate scavate direttamente nella pietra e lati spioventi in tegole
simmetriche.
Dove li aveva già visti?
D’improvviso, un suono di campane riempì il silenzio,
sormontando il rumore di fondo dell’acqua in movimento. Ridondanti, quei
rintocchi volteggiavano nell’aria come se avessero avuto corpo, scandendo un tempo
che non sapeva nemmeno quale fosse di preciso.
Giorno? Notte? In quel luogo non si capiva, non si vedeva
né sole né luna.
Poi, una figura. Un ragazzo.
Dall’altra parte del fiume. Portava una divisa scolastica
sporca e malridotta, i capelli scompigliati, le mani coperte di sangue.
Nella destra, stringeva mollemente l’elsa doro di una
spada dalla lama di cristallo, macchiata di rosso per tutta la sua lunghezza e
che gocciolava a terra, silenziosamente.
Non poteva vederne il volto, no.
Però, sapeva che stava piangendo.
Se le immaginava quasi, le afone e posate lacrime di
tristezza, rigare quel volto.
Prese fiato per parlare, ma non ci riuscì. Per qualche
ragione la voce non voleva saperne di collaborare.
C’era Shikamaru, dall’altra parte di quel fiume… e lui non
riusciva a chiamarlo.
Chiuse le labbra, prendendo fiato ancora una volta e
bloccandosi, ancora una volta.
Eppure doveva riuscirci! Doveva provare!
Era importante! Era… vitale.
Doveva andare da lui a qualunque costo. A qualunque costo.
Stava piangendo. E anche se non riusciva ad inquadrare il
motivo, sapeva che era colpa sua.
Allungò la mano, fece un passo in avanti…
…ma il fiume oscuro non era del parere di lasciargli fare
quello che voleva.
Con un improvviso tumulto le acque si sollevarono,
parandosi fra lui e il ragazzo dall’altra parte del fiume e avanzando
minacciosamente verso di lui, che si ritrovò a fare due passi indietro,
improvvisamente terrorizzato.
Non poteva scappare, però. Non senza sapere dove muoversi.
L’acqua salì, arrivando a bagnargli le caviglie, e lui non
poté far altro che sussultare dalla sorpresa: era gelida, così tanto da fargli
perdere sensibilità ai piedi, ed era viscida, come la pelle di un serpente.
Lo bloccava lì, non poteva più muoversi.
<< ti… tr…ato >> sentì balbettare in mezzo al tumultuoso fiume
nero, ormai elevatosi in un muro oscuro davanti a lui. Sussurrava qualcosa che
non capiva, intervallando le parole con una risata a metà fra l’esasperato e il
sadicamente divertito.
<< Ti… trov… to >> ripeté, ma lui di nuovo non capì.
Era troppo occupato a tenere d’occhio l’acqua che,
dividendosi in quelli che sembravano due enormi tentacoli bui, si dirigevano
lentamente verso il suo volto.
Il suo istinto gli gridava di fuggire, ma i muscoli non
collaboravano. Inoltre era bloccato, dunque non poteva fare nulla, nessun
movimento gli era concesso con le gambe; e le braccia non servivano a nulla con
l’acqua, per definizione senza una massa solida da respingere.
In un scatto, quei tentacoli lo afferrarono per il collo.
Cominciarono a stringere, a stritolargli la gola sempre di più, finché non
terminò l’ossigeno e non poté più prenderne altro. Finché non poté più
respirare, cominciando ad annaspare, cercando inutilmente di afferrare quei
tentacoli stretti alla sua gola, prendendo fra le dita solo acqua che subito
scivolava via e tornava a soffocarlo.
Socchiuse gli occhi, ormai senz’aria. In quel momento, fra
le risa estasiate di quella massa informe di liquido scuro, un volto prese
forma.
Pallido e bianco, occhi gialli dalla pupilla allungata,
bocca sfigurata nella pazzia, lunghi capelli neri che si perdevano nella massa
altrettanto oscura di quel muro acquatico.
Orochimaru.
<< Ti ho trovato >> sibilò serpentino, aumentando
la stretta. Stava per lasciarsi andare, impotente, sconfitto.
Finché due mani candide non lo smossero da quella presa
soffocante, afferrandolo per le spalle e strattonandolo via da quelle grinfie,
portandolo in salvo…
Chiamandolo, proprio con quella voce a cui tanto era
affezionato e che tanto, troppo, aveva sperato di risentire.
Chiamava e chiamava, preoccupata forse, agitata,
continuava a chiamare…
Riaprì gli occhi di
scatto, con un gemito, quasi come se fare quel semplice movimento fosse stata
la cosa più difficoltosa del mondo.
Un soffitto. Questa
la prima cosa che si ritrovò davanti agli occhi, forzati nel riconoscere, fra
la nebbia di alcune lacrime, la tonalità bianca dei muri della propria camera.
Il colore puro era sporcato di un grigio spento, probabilmente a causa della
fioca luce che penetrava dalle fessure della tapparella, inframmezzato da linee
parallele più chiare dove la luce era più forte.
Quando l’aria divenne
una priorità, si rese conto di non stare nemmeno respirando; aveva la bocca
spalancata, gli occhi sgranati di qualcuno preda di un puro terrore ma tramite
le labbra, così come tramite il naso, l’aria non passava.
Fu quando la prima
boccata di ossigeno riprese a scavare il suo spazio giù per la trachea che, con
un dolore penetrante, la gola sembrò bruciare. Tossì furiosamente, girandosi su
un fianco e chiudendosi su se stesso. Serrò gli occhi nello sforzo, sentendo le
corde vocali andare a fuoco e, al contempo, un brivido gelido corrergli lungo
la schiena. Nel tossire, la ferita al fianco mandò una fitta dolorosa, che però
si chetò quasi subito sormontata da un fastidio maggiore.
Quando ebbe ritrovato
il controllo su se stesso e sul suo respiro – e si potrebbe dire anche sul
cuore, che batteva come impazzito – si rimise supino e richiuse gli occhi,
esausto.
Si sentiva uno
straccio. Gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte e il collo,
lasciando scie umide lungo le tempie e provvedendo a bagnare il collo della
maglietta bianca usata biecamente come pigiama. Il battito del cuore, ancora
accelerato, faceva contrarre appena i tendini delle dita e rimbombava
prepotente nelle orecchie, quasi come per dimostrargli la sua effettiva
agitazione. Il collo faceva male al tocco e, anche se non sapeva perché, gli
occhi faticavano ancora a mettere a fuoco la camera e tutti gli oggetti che in
essa erano contenuti.
Facendo un respiro
profondo – ma doloroso – ascoltò i suoni della casa.
A giudicare dal
lucore sbiadito non erano ancora le sei, ma alcuni rumori ovattati parvero
pervenire dal piano di sotto. Probabilmente sua madre che trafficava con le
pentole per la colazione, a giudicare dallo sferragliare poco abilmente
attutito dalla donna.
Richiudendo gli occhi
si concentrò su quello che era il suo senso più sviluppato: l’olfatto. E, non
appena inspirò, un pungente odore di bruciato gli invase le narici, facendogli
storcere il naso in un’espressione fiacca ma schifata.
Quella maledetta
cenere, che da quasi due giorni non faceva altro che scendere, portava con sé
quel fastidiosissimo sentore di bruciatura che lo faceva letteralmente
impazzire. Se lo sentiva ovunque: addosso, nei vestiti, sui capelli… e non era
al riparo da nessuna parte, dato che si accumulava in ogni anfratto come se
fosse neve, solo un poco più sottile e leggera. E grigia, ovviamente.
Il verdeggiante Konohagakure si era rapidamente ridotto ad un universo
sfumato in tonalità di grigio.
Ormai del tutto
rientrato in sé cercò di sollevarsi, girandosi a pancia in basso e puntando le
mani sul materasso. Rimase sgradevolmente sorpreso dal giramento di testa che
gli impedì ogni altro movimento, costringendolo ad aspettare, in quella
posizione alquanto scomoda, che il sangue portasse abbastanza ossigeno in giro
per il suo corpo, e che dunque la sua testa smettesse di ballare in can-can non
appena provava a mettersi diritto.
Era distrutto, e
questa cosa era tutt’altro che normale.
Insomma, la gente
perché dorme? Per riposarsi, no?
Come faceva lui ad
andare a letto stanco e a svegliarsi, il giorno dopo, ancora più stanco di
quando si era coricato?
Supponeva che nemmeno
i sonnambuli, che avevano la scusa di camminare tutta notte, si svegliassero
sfibrati quanto lui.
Quando finalmente la
sua testa smise di fare girotondo poté sollevare lo sguardo, posandolo sul
paesaggio all’esterno della finestra. Da quella posizione poteva vedere
solamente le cime di alcuni alberi, un tetto e qualche comignolo, ma i cumuli
grigi sopra ognuno di essi gli fecero presumere che altra cenere si fosse
fastidiosamente accumulata sul villaggio, costringendo ormai le persone a
doversi scavare la strada attraverso di essa.
Di certo non esistevano
spazzaneve – o facenti funzione – in un villaggio in cui nevicava una volta
all’anno per gentile concessione di una qualche corrente fredda molto
persistente.
Si sedette a gambe
incrociate sul materasso, toccandosi con la mano destra il collo. Dovette fare
piano però, perché faceva un male sordo, al tocco.
Ci mancava anche
quella. La sua mattina sfigata doveva essere segnata da qualche mistero,
altrimenti il risveglio sarebbe stato troppo monotono.
Perché si sentiva
come il protagonista tormentato dai guai di una specie di narrazione no-profit in cui doveva per forza provare le pene
dell’inferno senza un motivo valido?
Sospirò per
l’ennesima volta, rumorosamente, mettendosi in piedi un po’ barcollante. Subito
sembrò che il pavimento oscillasse come il ponte di una nave, ma smise quasi
subito, dunque lui poté dirigersi a passo stanco verso il bagno.
In corridoio, l’odore
particolare del pesce gli stuzzicò piacevolmente le narici. (*1) Sua madre
aveva la fantasia di una ciabatta per la colazione, preparava sempre le stesse
cose… e non è che sua sorella fosse un genio dei fornelli, dunque si lamentava
per la monotonia ma lasciava fare alla donna più che volentieri.
Ignorando i sentori
del riso nel bollitore continuò il percorso, arrivando al bagno ed entrando
senza nemmeno chiudere la porta.
I movimenti erano
abituali, quasi sempre gli stessi tutti i giorni, dunque voltare lo sguardo
verso lo specchio sulla sua destra fu del tutto istintivo… ma ciò che vi vide
riflesso lo fece balzare all’indietro, facendo sì che la sua schiena sbattesse
malamente contro il mobiletto alle sue spalle, rovesciando quasi tutti i
flaconi di sapone, balsamo e shampoo.
<< Cos’è questo
casino, Kiba?! >> urlò sua sorella dal piano di sotto, mostrando di
avere, come al solito, un udito fine (oppure, al contrario, dimostrandogli che
aveva fatto una confusione infernale).
Ma lui, nonostante il
tono di Hana non fosse da mettere in discussione, non
rispose. I suoi occhi rimanevano puntati sul suo riflesso, che suo doveva
essere per forza, anche se di primo acchito non lo sembrava.
Pallido. Occhiaie
pronunciate sotto gli occhi, espressione che più che sbalordita sembrava
incredula… ma quello che lo turbava maggiormente non erano i logici segni di
una nottataccia passata alla mercé di un sogno senza capo né coda.
Più che altro, era la
linea livida che gli cingeva la gola come un collare, a spaventarlo. E no, non
era solo colore, magari lasciato dalle lenzuola o da un qualsiasi capo
d’abbigliamento viola che non aveva; era letteralmente un livido e lui, se la
memoria non lo ingannava – cosa che quasi sperava – ricordava benissimo il
tentato strangolamento subito nel sogno. Poteva essere una coincidenza, il
fatto che i tentacoli lo avevano afferrato esattamente nella stessa posizione?
No. Aveva smesso di
credere alle coincidenze. E la possibilità che avesse potuto farselo da solo
non era minimamente credibile; non si ricordava di essersi mai dato ai tentati
suicidi, durante le ore di sonno.
L’unica spiegazione
possibile, era quella che incolpava Orochimaru di quello sgradevolissimo
girocollo violaceo.
Il bello era il
controsenso che si creava quando, alla considerazione di essere stato quasi
strangolato da un sogno, l’unica frase che gli uscì dalla bocca fu un serafico:
<< Kiba, sei pazzo >>.
E poco ci mancava che
lo diventasse davvero.
Fece del suo meglio per
nascondere il livido alla gola, ma nessuna delle sue maglie aveva un collo
abbastanza alto.
Colpa sua. Non
sopportava di avere attorno al collo qualsiasi cosa, compreso un sottile strato
di stoffa innocuo per i più.
Ma non poteva farci
nulla, dopotutto. Se non voleva essere creduto un potenziale suicida, vittima
di maltrattamenti domestici o abituè di stili
sessuali discutibili - e non era proprio in caso - doveva nascondere la sua
gola color uva.
Così, per la prima
volta da quando gliela avevano consegnata al conseguimento del grado di chunin,
si trovò ad utilizzare la maglia che la divisa ufficiale degli shinobi di Konoha prevedeva.
Nera, fortunatamente.
Le divise più recenti avevano abolito quel blu scuro che non sapeva di niente,
sostituendolo con il colore più scuro per eccellenza, che sapeva ancora meno
del blu.
Già da subito,
guardandosi allo specchio, ebbe l’irrefrenabile istinto di strapparsi quel
colletto. Tenne a bada gli istinti di distruzione solo per pura
auto-commiserazione intellettuale, ciabattando senza energie verso il piano
inferiore. Con i pantaloni neri che portava di solito sembrava vestito per un
funerale, ma poteva sempre contare sulla spirale rossa che stava cucita sul suo
braccio sinistro… spaccava sul nero come un pugno nell’occhio, impossibile non
notarla.
Appena terminata la
rampa di scale, faticosa quando una scalata della rupe degli hokage fatta con
le caviglie legate, sua sorella ebbe l’onore di mostrargli la prima espressione
inorridita che, era sicuro, apriva la lunga fila che avrebbe ricevuto durante
la giornata.
<< Sembri un
morto, ma ti sei visto? >> fu il suo commento scazzato,
sintomo di una notte pessima e di un risveglio ancora peggiore.
Fortuna che non
dormiva male solo lui.
<< E tu sembri
scema, dunque devo dedurne che hai il solito aspetto di sempre >> fu la
sua risposta – strascicata, ma facciamo finta di no… - sputata senza nemmeno
considerare eventuali reazioni fisiche da parte della sorella.
Cosa che,
stranamente, non successe. Hana si divertiva a
tormentare il fratello minore, questo era vero, ma anche lei aveva rispetto per
le sue condizioni di salute… e quella mattina Kiba non sembrava di certo in
forma.
<< Dico sul
serio >> disse la ragazza, spostandosi dietro la schiena la lunga coda di
capelli castani: << cos’hai, l’influenza? >> chiese, posandogli una
mano sulla fronte senza nemmeno chiedere il permesso.
Era Hana Inuzuka, dopotutto. Lei la frase “chiedere il
permesso” non aveva la minima idea di che significato avesse.
Tuttavia il ragazzo
non si mosse, così come non evitò il tocco. Troppo stanco forse, il suoi
riflessi ne risentivano; ma sapeva anche che se la sorella non partiva a molla
con una sberla a 180 gradi, tutti gli altri contatti fisici che gli riservava
erano innocui.
<< No, ho solo
dormito male >> ribatté lui, aspettando che lei gli togliesse la mano
calda dalla fronte. << Voi piuttosto, dove andate? >> chiese,
entrando in cucina. Sua madre era appena uscita, aveva sentito la porta aprirsi
e chiudersi quando ancora era al piano superiore, e considerando che la sorella
si stava infilando i sandali, supponeva che presto l’avrebbe seguita.
<< In riunione
dalla Godaime >> disse lei, intenta ad
allacciarsi bene la fibbia: << nessuno ha la minima idea di dove provenga
questa cenere. Abbiamo controllato i dintorni; non c’è nessun incendio nei
paraggi e il vento tira dal mare, dunque non è possibile che l’abbia
trasportata fin qui da una sua probabile fonte. Inoltre ieri è cambiato, ma
questa dannata cenere continua a cadere come neve. Niente nubi, niente fuoco,
niente di niente. C’è chi pensa ad una tecnica ninja, ma oltre che dare gatte
da pelare a chi è in carica di pulire le strade, non causa altri disturbi di
nessun tipo, nemmeno medici… >> disse fluida, interrompendosi solo dopo
aver finito di prepararsi.
Si alzò, osservandolo
sulla porta della cucina, sistemandosi meglio la giacca. << Muoviti a
rimetterti, idiota di un fratello. Non puoi rimanere informato sui movimenti
dei ninja tramite quello che racimoli da me o da Nara >> disse, prima di
aprire la porta e sparire con un balzo.
<< La chiami
una cosa facile… >> sussurrò in risposta quando fu ormai lontana.
Sul tavolo, coperta
da un canovaccio, la sua colazione aspettava solo di essere mangiata. Riso in
bianco, verdure alla griglia avanzate dalla sera prima e pesce. (vedi *1)
Non era luculliana,
ma era pur sempre colazione. E considerando la sua attuale energia, che si
aggirava attorno ai livelli di un ultranovantenne con la sciatica, qualche
proteina per aprire la giornata non guastava.
Solamente mezz’ora
più tardi era sulla strada per l’ospedale di Konoha, preda della sua visita
settimanale alla strizzacervelli con la mania del
rifiuto.
Camminando sotto
l’ombrello rosso, per ripararsi dall’alone grigiastro che lasciava la cenere sui
vestiti e sulla pelle, non poté fare a meno di riflettere.
Poteva evitarsi
l’incombenza in eterno, o almeno provarci, ma il pensiero del sogno e dei
risultati che esso aveva provocato su di lui erano sempre presenti nella sua
mente, come un tarlo che si nasconde ma che non perde tempo per far sentire la
sua presenza.
Non poteva ignorarlo
in eterno, così come non poteva far finta che non gli importasse solo per
soddisfare il collettivo quieto vivere.
Qualcosa non andava,
sia al St. Michael che in quella dimensione. Insomma,
il sogno… era palese, no? Chiaro come il sole, o il cristallo. Shikamaru, lui…
piangeva.
E poi il biglietto,
vogliamo parlarne? E quando mai l’inglese era esistito, in quella dimensione?
Si parlava una sola lingua in quel mondo, tolti i vari dialetti, e di certo non
era inglese.
I suoi ricordi, poi.
Le sensazioni, la cicatrice sul fianco, il livido sul collo… non potevano
essere coincidenze, causalità, no. Erano troppe e
troppo frequenti.
Inoltre, ultimamente
stava cominciando a pensare che anche quella cenere dalla provenienza ignota
fosse, in realtà, un simbolo. Un segno di qualcosa, magari di una svolta.
Di qualcosa… che
avrebbe potuto consentirgli di tornare all’accademia.
Da lui.
Anche solo per poco…
qualche istante era sufficiente, purché potesse assicurarsi che fosse vivo, che
stesse bene.
Purché avesse potuto
dirgli addio.
Perché sì, ormai lo
aveva ammesso a se stesso. Sempre che non fosse pazzo, e gli appigli per
affibbiargli quella carica c’erano eccome, lui era comunque un ninja, uno shinobi di Konoha.
Lui era diverso. Non
era uno studente, un ragazzo patito per videogiochi e computers…non esistevano nemmeno, nel suo mondo fatto
di guerre e ninjutsu.
La sua realtà era
quella. Era una carica, un coprifronte, un simbolo a cui essere fedeli. Quella
foglia intagliata nel metallo era più che una semplice riconoscenza: era
lealtà. Prima Iruka e poi Naruto glielo avevano insegnato, facendogli capire
che quello che proteggeva tutte le volte che calpestava un campo di battaglia
non era l’onore, ma un villaggio composto da vite umane che dell’orgoglio di un
singolo ninja non se ne facevano nulla.
Nonostante sapesse
che i suoi pensieri esprimevano una verità incontrovertibile, provava comunque
una sensazione di tremenda solitudine e tristezza. La sensazione di voler
piangere, di essere stati abbandonati… o peggio, di avere abbandonato.
Ci aveva rinunciato
ancora prima che questo pensiero si formulasse chiaramente nella sua mente,
penetrandogli nel cuore come una spina.
Alzò appena lo
sguardo sulla facciata tranquilla del presidio ospedaliero, facendo un passo
indietro e dandogli velocemente le spalle. Di mettere piede lì dentro non aveva
assolutamente voglia, ora come ora.
Era confuso. E tutto
quel casino in testa era stanco di averlo.
Una parte di lui gli
urlava di lasciar stare, di mettersi il cuore in pace. Di riprendere con la
vecchia vita, ora che poteva nuovamente stringerla fra le mani, e abbandonare
ogni ricordo alla deriva del tempo, dove sarebbe stato cancellato con il
trascorrere dei giorni. Un pezzo alla volta, giorno dopo giorno, e avrebbe
smesso persino di sognarlo.
L’altra invece,
quella che prendeva il nome “istinto”, gli diceva di continuare. Che non era
scemo, che c’erano troppi segni per ignorarli, che c’era ancora la possibilità
di vederlo, di chiedergli un “stai bene?” a cui lui avrebbe risposto con un sorrisetto strafottente e una frase ad
effetto da perfetto sapientone.
Chi ascoltare? Quale
delle due seguire?
Ragione o istinto,
apparente normalità o follia?
…adattamento o
orgoglio?
No. Non avrebbe dato
ascolto a nessuna delle due.
Doveva smettere di
pensare, almeno un momento. Un solo attimo e poi… poi avrebbe ripreso con calma.
Ma ora aveva solo
bisogno di silenzio, di solitudine e di non essere trovato.
E sapeva benissimo
dove dirigersi per ottenere questo risultato.
Sembrava che la
biblioteca fosse l’unico posto di tutto il villaggio a non avere la minima idea
di come si utilizzasse una scopa.
L’entrata, infatti, era
praticamente sommersa da cumuli di cenere, tanto che stava sinceramente
pensando che non fosse nemmeno aperta, e che fosse per questa ragione che
nessuno aveva provveduto a togliere i cumuli dalla scalinata esterna.
Il fatto strano era
che era aperta, effettivamente. Anche se si doveva nuotare nella cenere, la
biblioteca era in piena attività; come si stava premurando di comunicargli la
bibliotecaria, sbracciandosi dalla porta a vetri.
O almeno, il pezzo
che ancora si vedeva, della porta a vetri.
Non appena mise piede
all’interno dell’edificio richiuse l’ombrello, non prestando la minima
attenzione alle pedate scure che lasciò sullo zerbino all’ingresso. Sorridendo
alla bibliotecaria si spolverò con la mano alcuni residui di cenere che gli si
erano depositati sopra la spalla, ascoltando solo per metà le gentili lamentele
della donna sul fatto che il marito, il fruttivendolo del quartiere adiacente,
non avesse tempo per togliere di mezzo tutta quella cenere.
Aspettò che finisse
di parlare solo per cortesia, anche se non ascoltava una sola delle sue parole,
e quando fu la donna ad allontanarsi con lo stesso sorriso gentile di prima,
lui la seguì dopo qualche secondo. Lo anticipava di qualche passo, chiudendogli
la visuale della prima zona lettura, ma anche senza vederla completamente
poteva capire che era semivuota, e che solo gli assidui frequentanti della
biblioteca erano presenti.
Forse era per quello
che lui, che in biblioteca ci metteva piede per la seconda volta in vita sua,
era un ospite abbastanza insolito.
Senza parlare la
superò, dirigendosi svogliatamente verso la bacheca del gioco di ruolo a cui si
era iscritto. Non si aspettava di poter trovare risposta al suo biglietto
(erano passati solo due giorni e il villaggio era nel caos), ma su di essa un
altro pezzo rettangolare di carta prendeva il posto di quello che aveva
lasciato lui, e la calligrafia con cui erano vergate le lettere inglesi non era
di certo la sua.
Nonostante lo avesse
notato, non si mosse.
Rimase in piedi a
guardare quel foglietto, fissandolo senza in realtà osservarlo veramente.
Teneva gli occhi puntati lì solo per non guardarsi intorno, così da non
incontrare per sbaglio nemmeno un paio di quelli delle persone presenti, che
come minimo non si curavano nemmeno della sua presenza.
Non pensava a niente,
per la verità. Nemmeno a leggere quel biglietto, per scoprire magari cosa
contenesse.
Magari risposte.
Magari indizi, ancora. Però non aveva il coraggio di leggerlo, nemmeno alla
prospettiva di togliersi almeno uno dei dubbi che lo tormentavano.
Ma ad incuriosirlo (o
a disturbarlo) ci pensò la stessa bibliotecaria: << sai che la vostra quest sta
attirando l’attenzione di un sacco di giocatori? >> chiese retorica,
sorridendogli gentile.
Sembrava una persona
troppo pura per essere trattata male… come Hinata. Non ci riuscivi a
risponderle male, anche se magari ti disturbava o seccava.
<< In che
senso? >> chiese dunque, cercando inutilmente di non sembrare così
distrutto come invece sapeva perfettamente di essere.
<< Curiosità,
credo >> rispose quella, probabilmente lasciando perdere il suo aspetto
da straccio usato: << siete la prima coppia che comunica in codice, credo
sia un diversivo molto efficace per attirare attenzione e dare un sapore diverso
al gioco >> concluse la considerazione, allegra.
Già, forse. Peccato
che a lui non interessava il gioco come non aveva mai avuto intenzione di
iscriversi per farselo piacere. Si era iscritto solo perché c’era un tizio che
parlava inglese in un mondo dove quel linguaggio non esisteva. Si era iscritto
perché questo tizio spruzzava St. Michael da tutti i
pori, ecco perché stava lì a fissare quella bacheca.
Beh, in ballo lo era
comunque…
Sospirando affranto
si avvicinò, staccando con un gesto secco il bigliettino dalla tavola di
compensato e leggendolo velocemente.
Whenyou can see the other side of the Moon.
In the heart
of the Leaf, time always
end and restart.
“Quando puoi vedere
l’altro lato della Luna. Nel cuore della Foglia, il tempo sempre finisce e riparte”.
Aggrottò un
sopracciglio. Bene… e ora dove o trovava uno che gli spiegava cosa volesse
dire?
Era un indovinello?
Si stavano divertendo a prenderlo per il culo o, chiunque fosse il finto
britannico, rappresentava solo un altro indizio che si sarebbe tramutato molto
presto in illusione?
Sospirò, sentendosi
ancora più distrutto di quando si era “svegliato”. Il collo e la gola facevano
ancora male, la mente era annebbiata dal sonno e dalla stanchezza, gli occhi
bruciavano.
Per il momento, più
per salvare i suoi pochi neuroni che per altro, decise di evitare ogni
ragionamento sconclusionato potesse venirgli alla mente. Si infilò il biglietto
in tasca, accartocciandolo alla bene e meglio con la mano, evitando di
incontrare lo sguardo della bibliotecaria, che sembrava delusa da quella sua
inconscia decisione.
<< Non rispondi
subito? >> chiese infatti, guidata più dalla sua curiosità innocente che
dal vero dispiacere di non averlo più come giocatore.
Dovette sforzarsi per
rispondere cortesemente e, soprattutto, con una parvenza di serenità in volto. La
guardò con un sorrisetto veramente tirato, scuotendo negativamente il capo.
<< Posso farlo anche un’altra volta, giusto? >> chiese, fintamente
ingenuo, allargando appena il sorriso all’assenso un po’ deluso della donna.
Annuendo a sua volta,
più per riflesso condizionato che per altro, si inoltrò fra gli scaffali,
ignorando per la prima volta il sentore di vecchio e polveroso che avevano i
libri intorno a lui.
Rimase lì quasi per
tutto il giorno. E la cosa migliore, fu che nessuno lo venne a cercare.
Uscì dalla biblioteca
quando ormai era sera e il cielo si era completamente oscurato. Essendo estate,
dovevano essere come minimo le nove.
Aveva mangiato
qualcosa a mezzogiorno, alcuni tramezzini che la bibliotecaria gli aveva
appoggiato davanti al volto mentre faceva finta di leggere un volume sulle erbe
curative, ma dato il pranzo scarsamente abbondante, al momento sentiva una
certa fame.
Fuori scendeva
ancora, la cenere. Non si era fermata, nemmeno quel giorno, e continuava a
cadere alla stessa velocità di sempre, coprendo con un altro velo grigio la già
ingrigita cittadina.
Si dimenticò persino
di prendere l’ombrello, ma non tornò indietro a recuperarlo. Ormai si era già
incamminato, più stanco e abbattuto che mai, e non aveva la minima voglia ed
intenzione di voltarsi e tornare sui suoi passi.
Per un giorno intero
non aveva fatto altro che ignorare i suoi pensieri, facendo finta di non
vederli quando spuntavano dall’angolo di un suo ragionamento. Nascevano
spontanei a volte, insinuandosi superficialmente, così che lui dovesse
addentrarsi in quel senso sbagliato di inadeguatezza per scoprirli, e poi
lasciarli perdere di nuovo.
Un gioco a nascondino
con se stesso che lo uccideva piano piano,
lasciandolo confuso.
Non sapeva più a chi
credere e, quel che è peggio, aveva perso ogni concezione del suo istinto.
Anzi, era più giusto dire che aveva perso fiducia in esso, dunque in se stesso.
I suoi capelli si
riempirono velocemente di fiocchi cinerei, così come la maglia ne risultò
impolverata molto presto. Tuttavia, nonostante l’odore gli desse fastidio e gli
provocasse la nausea, non aumentava il passo e non si affrettava a ritornare a
casa.
Poteva trovare
diversi motivi, volendo: la curiosità per la riunione con l’hokage, le
impressioni di sua madre sul caso, sapere se la strizzacervelli
aveva telefonato per sapere dove fosse e perché non si fosse presentato… tutte
cose che avrebbe scoperto a casa, che lo incuriosivano (anche se in modo molto
moderato) ma non sentiva l’urgenza di presentarsi sotto il tetto domestico.
Non per prendere
ancora quei farmaci. Non per sognare di nuovo un mondo in cui non poteva più
mettere piede.
Avrebbe sognato di
nuovo Shikamaru, l’altro Shikamaru, e
lui avrebbe di nuovo pensato di
poterlo dimenticare, un giorno, forse…
Ma ci avrebbe pur
sempre pensato. E non si dimentica, pensando.
Non voleva
riaddormentarsi, chiudere gli occhi… lo avrebbe fatto solamente quando non
sarebbe più stato in grado di reggersi in piedi o, comunque, quando avrebbe
stretto fra le mani la ricetta per un sonnifero che gli donasse un sonno senza
sogni.
Fortunatamente per
lui (per la sua testa dolorante un po’ meno…) il destino aveva deciso che
quella sera non l’avrebbe passata da solo.
<< Ohi, Kiba!
>> sentì chiamare da lontano; un tono di voce che riconobbe al volo, ma
che non seppe definire se portatore o meno di guai. Solitamente lo era.
Si fermò e, cercando
di scrollarsi un po’ di cenere dai corti capelli castani, si voltò. A qualche
metro dietro di lui, protetti da tre ombrelli rossi dal manico in bambù,
Naruto, Choji e Shikamaru si stavano dirigendo dalla
sua stessa parte, probabilmente di ritorno da qualche missione o incarico
importante. Il primo sembrava particolarmente allegro, quel giorno, e non
faceva altro che correre e saltellare in sua direzione come se gli avessero
regalato l’abbonamento annuale all’IchirakuRamen.
Sospirò. Beato lui
che non aveva problemi al mondo o, se ne aveva, se ne fregava altamente.
<< Naruto,
ragazzi… >> salutò Kiba senza energie, evitandosi persino la falsa di non
sembrare distrutto. Lui ERA distrutto, c’era poco da fare.
<< Accidenti
Kiba, sembri un morto >> disse Choji non appena
si furono avvicinati abbastanza, trovando come assenso l’espressione più
stralunata che Naruto avesse mai assunto in tutti gli anni in cui si
conoscevano.
Era già le seconda
persona che glielo diceva da quella mattina, tolti i due passati accanto al suo
tavolo a metà pomeriggio, che non glielo avevano detto ma di sicuro lo avevano
pensato.
Sospirò, trovando in
sé la miracolosa pazienza di non incavolarsi anche con loro. Non gli avevano
fatto nulla, per la miseria, non poteva mostrarsi così dannatamente lunatico e
agitato.
<< Lascia
perdere, una nottataccia >> disse solamente, grattandosi un occhio come
per amplificare con i gesti la validità delle sue parole. << Voi? Che
fate in giro? >> chiese.
La classica domanda
che si fa a tutti, ma pazienza; a parte Shikamaru era da due settimane che non
parlava con loro nemmeno per sbaglio.
<< Cena!
>> esclamò subito il biondo: << torniamo ora da una ricognizione, e
io non vedo l’ora di mettere sotto i denti qualcosa. Vieni con noi? E’ da un
pezzo che non mangiamo un boccone tutti e quattro insieme! >> esclamò il
biondo, avvicinandosi e mettendogli un braccio intorno alle spalle.
A volte invidiava
quel comportamento maledettamente spontaneo dell’Uzumaki. Non si preoccupava di
niente, lui, o almeno non prima che fosse il momento di affrontare il problema.
Forse era per quello che lo chiamavano in ninja imprevedibile…
<<Mi piacerebbe, ma devo dire di no >>
disse lui, che in realtà era già intenzionato di rifiutare. Sul serio, non si
reggeva in piedi… dubitava che una cena fuori potesse durare poco, e lui non ci
reggeva a cazzeggiare in giro fino a notte fonda.
Parole che effettivamente
disse, usando la verità come scusa per congedare gli amici.
Ma se Choji e Naruto accettarono la sua spiegazione senza battere
ciglio, l’altro componente del gruppo non sembrava altrettanto convinto.
Infatti, prendendo
parola da quando si erano incontrati, fu Shikamaru a rivolgersi agli altri:
<< sentite, io lo accompagno >> disse, veloce e rapido, una mano in
tasca e l’altra a reggere il manico in dell’ombrello.
E cos’era? L’animo da
buon samaritano? Che se lo tenesse!
<< So
arrangiarmi, sai? >> sputò a metà fra il risentito e la finzione.
<< E’ una
seccatura, ma non lascio un simil-morto a camminare
in mezzo alla strada >> rispose a tono Nara, zittendolo con la sola mossa
di mettersi al suo fianco. << Voi andate, ci vediamo domani mattina
>> aggiunse in direzione degli altri due, con la solita flemma annoiata.
Se gli scocciava così
tanto poteva anche fare a meno.
No, non gli
scocciava, era quello il punto. Aveva solo il brutto vizio di far sembrare
tutto una seccatura.
Una volta che l’Akimichi e Naruto si furono incamminati verso il ristorante
di carne alla griglia, loro due presero a risalire la strada, continuando nella
direzione in cui stava camminando Kiba prima che fosse raggiunto dagli altri.
<< L’ombrello?
>> chiese il moro dopo un po’, tenendo facilmente il suo passo un poco
strascicato.
<< Dimenticato
>> rispose lui solamente, non trovando la necessità di aggiungere
nient’altro.
Non gli dispiaceva,
camminare con Shikamaru. Magari per ritornare a casa, o per andare da qualsiasi
altra parte.
Due sere prima si
erano detti chiaramente che erano ancora amici, che Shikamaru a lui credeva.
Solo che… aveva
ancora quella spina che faceva male ogni volta che, anche se per sbaglio,
paragonava il suo migliore amico a chi, nell’altra dimensione, lo stadio del
migliore amico lo aveva superato da un po’.
Liberarsene era
difficile. Stava cominciando a pensare che fosse impossibile.
Fu quando notò che i
fiocchi di cenere più vicini al lui avevano smesso di cadere, che rialzò lo
sguardo verso l’altro. Fermatosi, Shikamaru aveva allungato il suo ombrello
sopra di lui.
<< Ti
sporcherai >> disse solamente, osservandolo con espressione… insolita.
<< Lo sono già…
>> rispose l’Inuzuka in un sospiro.
<< Non è un
buon motivo per peggiorare la situazione >> fu la considerazione del
moro, sui cui capelli cominciavano a cadere alcuni detriti cinerei.
Perché quel ragazzo
doveva sempre essere così maledettamente gentile, con lui? Perché doveva per
forza dimostrargli tutta questa considerazione?
<< Già…
>> sospirò << ma ti sporcherai tu, così >> aggiunse, guardandolo.
Shikamaru fece
spallucce, chiudendo gli occhi con aria di sufficienza: << non è mai
morto nessuno >> disse solo.
Non poté impedire ad
un sorrisetto di comparirgli sulle labbra.
Prendendo dalle mani
di Nara il manico dell’ombrello si avvicinò a lui, di modo da poter coprire
entrambi. << Problema risolto >> semplificò, senza riuscire però a
togliersi dalle labbra quel sorrisetto compiaciuto che vi si era stampato sopra.
Forse vivere di tare
mentali non portava a niente, alla fine. Forse avrebbe fatto meglio a vivere e
basta, punto.
Distrattamente, portò
una mano a massaggiarsi la nuca, appena dolorante a causa della notte insonne.
Forse fu in quel
momento. Magari aveva abbassato il colletto della maglia senza accorgersene,
scoprendo la parte livida della sua pelle; magari Shikamaru se ne era reso
conto dalla sua piccola smorfia dolorosa…
Non poté mai definire
come, l’unica cosa che sentì furono le dita calde di Shikamaru afferrare il
colletto della maglia e, con un gesto rapido, abbassarlo per scoprire il collo.
Non ci fu bisogno di
parlare. Almeno, non subito.
Kiba abbassò
semplicemente il capo, pensando di spostarsi ma senza che il corpo ne seguisse
la volontà.
Era stato disattento,
ma di impedire all’altro di vedere quel livido non sembrava averne
l’intenzione.
Il suo corpo si era
congelato, così come i suoi pensieri.
<< Come te lo
sei fatto? >> chiese Nara dopo qualche momento, servitogli probabilmente
ad analizzare la situazione, magari a cercarne le possibili cause.
Era sicuro che gli
avrebbe rivolto una domanda simile, quasi se l’aspettava. Per questo non
rispose, preferendo il silenzio alla risposta che, se detta con sincerità,
sicuramente non sarebbe stata creduta possibile.
Shikamaru era un
cervellotico, un genio nel vero senso della parola. Qualcuno che usa la ragione
non crede a ciò che non è razionalmente spiegabile.
Eppure… una parte di
sé stesso gli diceva che non era così. Una parte celata, nascosta in profondità
da quando era “tornato”, una voce che non voleva più ascoltare collegata a
ricordi che non voleva più rivivere.
Non si può… vivere
con il cuore a cavallo fra due mondi non si può.
<< Kiba
>> ripeté Shikamaru poco dopo, rendendo più autorevole il tono della
voce: << chi te l’ha fatto? >> domandò nuovamente, variando
significativamente il senso e la formulazione della domanda.
Ora implicava un
“chi”, non un “come”. Ora implicava una persona responsabile.
Con un gesto rapido
della mano, ma non seccato, scacciò quella di Shikamaru dal suo collo,
sistemandosi il fastidioso colletto in stoffa quasi per riflesso. << Non
è niente, tutto ok >> fornì come risposta, riprendendo a camminare e
allontanandosi dalla protezione dell’ombrello.
<< Non è quello
che ti ho chiesto >> insisté però il moro, fermo nello stesso punto.
L’Inuzuka arricciò il
naso. << E’ l’unica risposta che ti darò, dunque adeguati >>
ribatté secco, voltandosi lentamente verso di lui ma non completamente,
guardandolo di sbieco.
L’espressione di
Shikamaru non trasmetteva nulla. Non agitazione, arrabbiatura o anche solo quel
lieve risentimento di chi non risponde in maniera esaustiva ad una tua domanda.
Rimaneva a guardarlo,
serio ed immobile, il volto in penombra a causa del cono d’ombra causato
dall’ombrello e dalla luce del lampione sotto cui era in piedi.
Kiba non si mosse.
Conosceva abbastanza bene Shikamaru per sapere che stava riflettendo, unendo i
punti di un complicato ragionamento a più variabili.
Però, la domanda con
cui se ne uscì, non fece altro che lasciarlo letteralmente di stucco.
<< Si può
sapere tu dove sei? >>
Sentì quasi il cuore
mancare un battito.
Perché quella
domanda, perché fatta a quel modo?
Perché aveva usato il
“dove”?
Nella sua incredulità
cercò di non apparire sorpreso. A dire il vero, cercava di non dare a vedere
che, dal suo punto di vista, la domanda di Shikamaru aveva più senso di molte
altre cose al mondo, in quel frangente.
Era quasi spaventato,
terrorizzato dalla capacità intuitiva di Nara, se veramente aveva capito
qualcosa da quei pochi indizi che si era lasciato sfuggire.
Ma no… come poteva
aver capito? Come poteva aver creduto?
Era impossibile.
No. Non poteva essere
vero.
<< In che…
senso? >> chiese l’Inuzuka, storcendo le labbra in un sorriso distorto,
un ghigno.
Shikamaru assottigliò
gli occhi. << Da quando siamo rientrati da quella missione, tu non sei
mai stato qui >> disse, aspettando un momento, per poi riprendere:
<< potrai essere qui con il corpo, certo, ma la tua mente è perennemente
da un’altra parte. Sei immerso in un altro mondo, talmente tanto che non ti
rendi nemmeno conto del tuo comportamento del tutto inusuale >> terminò,
esponendo quella inconsapevole verità come se in realtà avesse assistito per
tutto il tempo.
Dopo il primo battito
andato a vuoto, ora il suo cuore batteva così forte che poteva forse uscirgli
dal petto. Al contrario, l’aria faticava ad essere immessa nei polmoni e
bruciava, come quella notte, come al risveglio.
Forzò una risata, che
però risuonò più ipocrita che veritiera. << Che cavolate, ma ti senti
quando parli? >> cercò di mascherare: << io sono qui, mi vedi, no?
Dove vuoi che sia? >>
<< Questo non
sono io a saperlo >> rispose però il moro, che a tutta quella recita non
credeva nemmeno per sbaglio. Si vedeva dagli occhi, che nemmeno per un istante
si erano spostati dai suoi. << Tu sei distratto da qualcosa… o da qualcuno >> concluse, calcando
sull’ultima parola come se fosse la più fastidiosa da pronunciare.
Kiba non si lasciò
sfuggire la reazione e, come se fosse la sua ancora di salvezza, si aggrappò ad
essa. << Cos’è? >> esclamò con finta e instabile strafottenza:
<< sei geloso, forse? >>
Come al solito, la
risposta dell’altro impiegò poco a giungere: << e se ti dicessi di sì?
>> domandò biecamente in risposta.
Il battito accelerato
del suo cuore mancò di nuovo, questa volta bloccando anche il respiro.
In un lampo, la mente
fu attraversata dai ricordi, da una voce, da parole pronunciate e mai più
dimenticate…
<< Che c’è? >>
<< Se ti dicessi che ero
geloso guardandovi, mi prenderesti per scemo? >>
<< Guarda che potevi
chiederle un ballo, io mica mi offendevo. Anzi, mi facevi anche un favore!
>>
<< Non di lei… di te >>
Sancivano l’inizio di
tutto, quelle frasi.
L’inizio di un
sentimento che si trova dal nulla ma che al nulla non si può più restituire.
Ed erano simili,
quasi le stesse. Lo stesso significato per persone diverse, mondi diversi…
Ma erano poi così
tanto dissimili?
Già una volta si era
posto quella domanda, guardando lo Shikamaru che ora attendeva risposta e
paragonandolo con quello dei suoi ricordi quasi simili a sogni, a illusioni.
Non ebbe la forza di
rispondere nulla. Abbassò semplicemente lo sguardo, abbandonando la
sceneggiata.
Per la prima volta
aveva provato lui, ad indossare una maschera… non ci era riuscito.
Le sue emozioni
dovevano venire lette e quella era la prova che, anche se provava a
nasconderle, c’era sempre qualcuno in grado di scoprirle senza sforzo.
Ed era sempre quel qualcuno, a dispetto del tempo e
della dimensione.
Ancora prima di
vederlo avvicinarsi, fu i rumore dei suoi passi attutito dalla cenere che
rivelò la presenza di Shikamaru accanto a sé. Sollevò solo di un poco lo
sguardo, il necessario per vedere le sue mani cingerlo e avvicinarlo, finchè
non si ritrovò con il volto appoggiato alla sua spalla e il suo corpo a
contatto con il proprio. Di nuovo al riparo dell’ombrello, di nuovo al sicuro
in un abbraccio.
Avevano lo stesso
profumo, lo stesso calore, la stessa gentilezza nei gesti. Come poteva
convincersi che quello non era il ragazzo che amava, quando tutto gli
dimostrava il contrario?
Forse si era arreso
all’evidenza, o forse ne aveva semplicemente bisogno. Forse, magari, si era
arreso all’evidenza di averne semplicemente bisogno.
Ricambiò l’abbraccio,
sollevando le braccia e appoggiando le mani sulle sua schiena, aggrappandosi al
gilet verde della divisa da shinobi che l’altro
sempre indossava. Poi, chiuse gli occhi.
Si lasciò andare,
dissipando per la prima volta da due settimane quel blocco di cemento sul fondo
dello stomaco che gli impediva di pensare senza rimpiangere.
<< Quando ne
avrai voglia, vorrei che mi raccontassi tutto >> mormorò il moro accanto
al suo orecchio, moderando il tono data la vicinanza.
<< Non è una
storia che hai già sentito? >> rispose nel medesimo modo Kiba. Dopotutto,
il racconto delle sue “gesta” infradimensionali si
era sparso come l’aria, nel villaggio.
<< Sì, ma
preferisco sentirla da te >> ribatté l’altro, chiudendo tacitamente il
discorso in quel modo.
Rimasero abbracciati
ancora a lungo, anche se Kiba non riuscì a stabilire quanto. Shikamaru
aspettava che fosse Kiba a voler sciogliere il contatto, probabilmente, ma
l’Inuzuka sarebbe rimasto lì per ore, in silenzio, anche solo a godersi quella
vicinanza a lungo bramata e rimpianta, nostalgica.
Finché non decise, ad
un certo punto, di fornire una risposta adeguata a quella maldestra
dimostrazione d’affetto… almeno questa volta.
<< Sai… non mi
dispiace >> cominciò, sorridendo appena contro la spalla del moro.
<< Cosa?
>> chiese quello, probabilmente colto in contropiede.
<< Che tu sia
geloso >>.
Il castano non poté
vedere il sorrisetto comparso sul volto di Shikamaru anche se, in un qualche
modo, se lo immaginò.
Come se fossero
d’accordo, insieme sciolsero l’abbraccio. Si osservarono per un momento, un
istante in cui si mescolarono sicurezza ed imbarazzo inespresso, prima di
proseguire la camminata, sempre in silenzio.
<< Ah,
Shikamaru… >> esordì poi Kiba, chissà per quale motivo stuzzicato da
quell’idea improvvisa.
<< mh? >>
<< sapresti
risolvere un indovinello? >> chiese, incuriosito dal foglietto giacente
nella sua tasca.
Nonostante le
preoccupazioni fossero svanite, in quel piccolo lasso di tempo in compagnia di
Nara, il mistero dell’inglese era un fatto che lo incuriosiva e al contempo
attirava.
Magari poi si sarebbe
scoperto che sì, lui era sonnambulo, e durante la notte entrava di straforo in
biblioteca per rispondere ai suoi stessi biglietti.
Aveva molta fantasia,
questo era certo.
<< Sentiamo
>> acconsentì il moro, nonostante la sue espressione fosse palesemente
seccata. Chissà che fatica, dover usare il cervello ad un’ora così tarda!
<< “Quando puoi
vedere l’altro lato della Luna. Nel cuore della Foglia, il tempo sempre finisce
e riparte” >> recitò a memoria, evitandosi l’inglese per il bene comune.
Non ci volle molto,
al di là delle sue aspettative, perché Shikamaru trovasse la soluzione
all’enigma.
<< E’ un
appuntamento >> disse infatti, portandosi le mani dietro la nuca.
Kiba aggrottò un
sopracciglio. << E da cosa lo capisci, scusa? >>
<< Dal testo
dell’indovinello >> rispose logicamente, anticipando la spiegazione
ancora prima che Kiba potesse buttarsi in una battuta stile “è ovvio, porca
miseria!”: << ci sono ora, luogo e periodo. L’altro lato della luna è
quello oscuro, dunque il novilunio. E’ un periodo del mese, stasera per la
precisione >> specificò, puntando in alto con il dito.
Inclinandosi per
vedere il cielo oltre l’ombrello, effettivamente Kiba notò che la luna non era
visibile.
<< Il cuore
della Foglia è la rupe degli Hokage >> continuò poi il moro non appena
riebbe la sua attenzione. << E’ proprio dietro al palazzo dell’Hokage,
che è il cuore nevralgico del sistema governativo del villaggio >> spiegò
diligentemente.
<< E il tempo
che si ferma e riparte? >> chiese Kiba, seguendo il ragionamento.
<< L’ora.
Pensaci, quand’è che il tempo del giorno finisce e riparte da capo? >>
Non ci volle molto a
Kiba, per capire anche quell’ultima parte dell’indovinello. Nel medesimo
istante, quasi come se le campane della torre dell’orologio avessero voluto
aiutarlo, il primo di dodici rintocchi risuonò nell’aria.
<< Mezzanotte
>> pronunciò allora, incontrando in cenno affermativo di Nara.
Chiunque aveva
scritto quel messaggio cifrato, voleva incontrarlo quella sera a mezzanotte
alla rupe degli Hokage. Quindi, in poche parole, in quel preciso istante quasi
dall’altra parte del villaggio.
Con un ultimo suono,
i dodici rintocchi della mezzanotte finirono di battere e si dispersero nel
vuoto e silenzioso villaggio, sparendo senza lasciare traccia.
Quasi nello stesso
istante, la cenere che per giorni aveva coperto il villaggio smise di cadere.
<< Ha smesso…
>> fece notare infatti Kiba, allungando la mano fuori dall’ombrello come
si farebbe per afferrare la pioggia. Nessun fiocco grigio si posò più su quella
mano… ma qualcos’altro.
Allargandosi come una
macchia bianca ed inconsistente, un raggio di luce calda illuminò la pelle di
Kiba e, a tratti, anche alcuni pezzi del territorio circostante. Erano
letteralmente sottili coni di luce che, come se provenienti da uno
stroboscopio, cadevano con differenti inclinazioni sul villaggio.
<< Luce?
>> domandò interdetto Shikamaru, togliendosi l’ombrello da sopra la testa
per osservare quello strano fenomeno.
<< Ma… non è
mezzanotte? >> domandò a sua volta l’Inuzuka, cercando con gli occhi la
fonte di quella luce calda e potente, che sembrava tanto…
<< Il sole.
Com’è possibile? >>
<< Non è
possibile >> ribatté il moro, osservando a sua volta la bislacca scena
che si era presentata loro davanti.
Proprio a ridosso
della rupe degli Hokage, il cielo sembrava crepato e squarciato. Da quello
squarcio usciva una luce che era sicuramente quella del sole.
A quella vista, lo
stomaco di Kiba si serrò definitivamente. Quando mai si è visto il cielo
crepare e sgretolarsi? E il sole uscire da dietro
al cielo? Stravolgeva ogni legge fisica, ogni osservazione astronomica e, per
che se ne dica, anche il comune buon senso.
Era a questo, dunque,
che il biglietto in inglese si riferiva?
Ma soprattutto, chi
mai lo aveva scritto per sapere tutte quelle cose, quello che sarebbe accaduto.
<< Che sta
succedendo, Kiba? >> chiese Shikamaru con un filo di voce, anche lui
impietrito davanti a quello spettacolo sicuramente inusuale quanto incredibile.
Perché diamine lo
chiedeva a lui?!
<< Non… lo so.
Non lo so proprio… >> rispose però, guardando sempre il cielo in quella
sua particolare e inquietante magnificenza.
Fu quando vide
qualcosa cadere a peso morto oltrepassando lo squarcio nel cielo, che trattenne
il fiato per l’ennesima volta.
Sembrava… un uomo. Un
essere umano.
Ma no, non lo era.
Kiba Inuzuka si rese
davvero conto di non essere pazzo, nel momento in cui quell’essere dalla forma
umana cominciò a planare magistralmente nell’aria.
E un paio d’ali
dorate si spalancarono nella notte, risplendendo baciate dalla luce.