St. Michael Gakuen

di Yoko Hogawa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'Accademia di San Michele ***
Capitolo 2: *** Previsione Accidentale ***
Capitolo 3: *** Quel Confine fra Sogno e Realtà ***
Capitolo 4: *** Il Rosario di San Michele ***
Capitolo 5: *** Scelte ***
Capitolo 6: *** Interlude 01 - Specchi sul Passato ***
Capitolo 7: *** A.A.A. ***
Capitolo 8: *** Il Ballo della Bella e della Bestia ***
Capitolo 9: *** Il Paradosso dello Specchio ***
Capitolo 10: *** Interlude 02 - Legami e Catene ***
Capitolo 11: *** Maschere ***
Capitolo 12: *** Interlude 03 - L'Equilibrio del Mondo ***
Capitolo 13: *** Wormhole (1) ***
Capitolo 14: *** Wormhole (2) ***
Capitolo 15: *** Giochi di Ruolo ***
Capitolo 16: *** Cenere alla Cenere ***



Capitolo 1
*** L'Accademia di San Michele ***


Ola

Desclaimer: Questa fic tratta di amore omosessuale fra ragazzi, ovvero YAOI (BoyxBoy) anche se più avanti. A chi non piace e/o si possa sentire offeso da letture di questo tipo, clicchi pure la X in alto a destra che è fatta apposta U____U.

Tutti i personaggi utilizzati all’interno dell’elaborato non sono di mia proprietà, ma del sensei Masashi Kishimoto. Sono inoltre tutti maggiorenni e, comunque, non esistenti. Nel caso vengano fatti nomi di persone realmente esistite e/o esistenti il fatto è interamente casuale. Non ricevo nessun tipo di beneficio dalla pubblicazione di questa fic se non il piacere di massacrare Sasuke Uchiemh, il piacere di scrivere fanfiction! ^______^ *il sorriso del diavolo*.

Note: Eh sì, prima di iniziare! XD

Devo fare un paio di premesse, dato che erano anni che non scrivevo più questa fic e, parliamone, che non scrivevo su “Naruto”.

Premetto che questa fanfic, nata, credo, due anni fa, era una di quelle idee lampo che ti vengono anche camminando sul tragitto salotto-cucina partendo in tangente con i personaggi di “Naruto”.

Scrissi tre capitoli (con i piedi…) e poi mollai la fic.

Bene, ho deciso di riprenderla! ^_____^

Innanzi tutto, rinnovo la dedica unendola a delle scuse. Tale fanfic era stata progettata per la festa di compleanno di una delle mie amiche, ovvero Rei Murai, che all’epoca compiva 18 anni.

Beh, oggi ne ha 20, ma spero che la cosa valga comunque! XD Mi scuso per non averla mai finita Rei-chan, magari questa volta mi va meglio! *si inchina*

Secondo: essendo una fic a capitoli vi devo avvertire che non so esattamente quando e se continuerò a postarla e, soprattutto, con quanto intervallo fra un capitolo e l’altro. Ne avevo scritti tre, ma dovendo rivederli tutti (e soprattutto tentare di scriverli in maniera decente…) non so quanto tempo mi impiega. Cercherò di sfruttare al massimo il mese di buco prima di cominciare a studiare per l’esame d’ammissione *annuisce vigorosamente*.

Terzo: Come probabilmente alcuni di voi noteranno (se non ora nel corso della fic) ho preso liberamente spunto da qualche film/manga, senza tuttavia sforare nel Crossover. I principali ispiratori sono “Constantine” e “I 13 Spettri” per quanto riguarda i film e “Fullmetal Alchemist” per quanto riguarda i manga.

Quarto: Credo che sia… sì, la seconda volta in tutto che posto su EFP (dato che il mio PC ha stretto alleanza con il sito solo da poco XP) quindi non so bene come funzionano le cose qui. Spero di non fare strafalcioni e se commentate, ne sono lieta. Anche insulti vanno bene! (XP)

Ora vi lascio alla lettura e smetto di rompere!

.:: Enjoy! ::.

 

 

Chapter 00 ~ Prelude

L’Accademia di San Michele

 

Scese dal taxi con aria funerea, probabilmente dimostrante di quanto gradiva la nuova situazione in cui si era andato ad invischiare, volente o nolente.

Aspettò in piedi che il taxista scaricasse dal baule i suoi bagagli, un trolley ed un borsone a tracolla color verdastro, prima di passargli una banconota di medio taglio e, dicendogli di tenersi il resto, sentire il rombo del motore in lenta accelerazione mentre ripercorreva a ritroso il vialetto, uscendo dal grande cancello ad inferiate nere e sparendo nel più completo silenzio della campagna.

Fra tutti i posti al mondo in cui potevano erigere una scuola, quel posto era l’ultimo a cui avrebbe pensato.

Una chiesa. Una chiesa su una collina isolata in mezzo alle altre colline, piantata fra chilometri e chilometri di aperta campagna. Non c’era nemmeno una casa, ci aveva fatto caso mentre era in taxi.

Tuttavia, doveva ammettere che l’edificio in sé era molto bello. Le pareti scure si stagliavano contro un cielo coperto di nuvole grigie, che tuttavia non minacciavano pioggia. I tetti in stile gotico accompagnavano la classica architettura a punte, i cornicioni ornati da statue di golem e di angeli, minacciose nel suo insieme, come se guardassero dall’alto al basso gli essi umani che aspettano di essere giudicati.

Come essere sotto lo sguardo di Angeli e Demoni…

…beh, certo che ne aveva di fantasia. Scosse appena il capo, distogliendo lo sguardo e, caricandosi in spalla il borsone con l’aiuto della cinghia e prendendo l’altra valigia a mano, si diresse in direzione del portone.

Lui era il secondogenito del clan Inuzuka e, come capita di solito quando il primogenito è più in gamba, era stato giustamente scartato per dare la possibilità a sua sorella maggiore di frequentare il college. Era sua sorella il genio della famiglia e, nonostante il clan fosse abbastanza numeroso, non avevano le disponibilità finanziarie per consentire ad entrambi i figli di frequentare una scuola degna di quel nome. Dunque la soluzione era semplice: mandare il secondogenito Kiba ad una scuola cattolica, dove la retta era bassa se non inesistente, e utilizzare i soldi risparmiati per permettere alla sorella di iscriversi al college dei suoi sogni.

Beh, per lui non faceva tanta differenza. Almeno era lontano da casa.

Arrivato al portone in legno scuro rimase imbambolato a guardare anch’esso; iscrizioni in latino troneggiavano sui lati, unite ad intarsi e decorazioni di gigli e altri simboli che non sapeva decifrare. Certo che quel posto era tutto un programma…

Bussò, facendo una leggera fatica a tirare i grossi battenti in ferro battuto, provocando due rumori sordi che, come minimo, risuonarono in tutta l’accademia. Nonostante fosse domenica, dunque non ci fossero lezioni, l’accademia era fin troppo silenziosa, almeno da fuori, e non avrebbe assolutamente detto che quel posto ospitasse più di mille studenti fra maschi e femmine. Anzi, alla sola idea di doversi infilare una divisa gli vanivano i brividi.

Appena pochi istanti dopo aver bussato - o per meglio dire, aver fatto casino a sufficienza da attirare l’attenzione - finalmente qualcuno gli venne ad aprire, spalancando senza fatica il portone che, a quanto pareva, non era così pensate come sembrava.

No, sbagliato. Probabilmente era la massa muscolare dell’uomo che si trovò di fronte a non essere paragonabile al quella del portone.

<< Tu saresti? >> chiese l’uomo, l’imponente figura fasciata in un abito da chierichetto bianco. Sicuramente era stata fatta su misura, non ci potevano essere dubbi.

<< Kiba Inuzuka…>> rispose solamente, profondamente inquietato dall’espressione dell’uomo, che palesemente voleva dire “un passo all’interno e ti piego a barchetta”.

L’uomo si limitò a fissarlo in silenzio ancora per qualche istante, annuendo appena con il capo: << Sì, sua eccellenza Jiraiya mi ha parlato di te. Devi essere il novellino >> disse, Kiba sospirò impercettibilmente. << Vieni, entra >> aggiunse solo, rientrando all’interno e lasciando che il ragazzo entrasse dietro di lui.

Non poté fare a meno di rimanere letteralmente a bocca aperta. Quella che doveva essere una chiesa era stata completamente cambiata, riabilitata ad ingresso. Un lungo tappeto rosso correva al centro di quello che doveva essere probabilmente l’atrio dove, sotto la luce di quattro lampadari di vetro a pendente, percorreva tutta la navata risaltando le alte finestre dalle vetrate colorate di giallo, fucsia, verde e bianco. Ogni vetrata aveva il disegno di un rametto di gigli e le pose dei fiori variavano a seconda della finestra su cui si posava lo sguardo. A qualche metro dall’entrata, una volta superati due corridoi - uno a sinistra e uno a destra - che si inoltravano in lungo in altre ali dell’edificio, due scalinate partivano - una da destra e una da sinistra - e, una volta fatto mezzo giro, si riunivano in una balconata che sovrastava quello che, probabilmente, una volta era stato l’altare. Infatti, nella semi oscurità dietro la balconata, i lunghi tubi in ottone di un organo fornivano una visione quasi regale di quella scuola.

<< Lasciami i bagagli, ci penso io a portarteli in camera >> fece poi l’omone, fermandosi esattamente al centro delle due scalinate. << Tu recati in presidenza, presentati alla preside e fatti dare la chiave della stanza. Ti diranno inoltre in quale classe sei stato ammesso, se già non lo sai. Dopo di ciò puoi anche andare a fare un giro per la scuola, ma ricorda che la messa c’è alle 21, subito dopo cena. Ci partecipano tutti senza eccezione, nemmeno per le matricole. Bene, buona serata moccioso >> terminò, scomparendo con i bagagli su per le scale di destra, voltando, alla fine di esse, ancora a destra per poi scomparire.

Ok, poteva forse dedurne che quella era la strada per i dormitori.

Si forzò a staccare gli occhi da quelle vetrate e, cercando di trovare un po’ di convinzione, decise di seguire l’itinerario dettatogli dal colosso e di recarsi in presidenza.

Sì ma…dov’era la presidenza?

Si guardò intorno svariate e svariate volte ma non riuscì a togliere un ragno dal buco. Anzi, più osservava i vari corridoi, le scale e gli altri corridoi, più sentiva di starcene infilando, di ragni nei buchi.

<< Sei nuovo per caso? >> esordì poi una voce maschile alla sua destra.

Girandosi in quella direzione, i capelli castani corti che ondularono appena nel movimento improvviso, nel suo campo visivo rientrò un altro ragazzo. Capelli mori, abbastanza lunghi da essere raccolti in una coda sparata al centro della nuca, occhi scuri che davano espressione a quello che era un viso apparentemente annoiato. A prima vista sembrava una di quelle classiche persone che fanno le cose che devono fare al minimo indispensabile per non sprecare troppe energie. Indossava quella che, probabilmente, era la divisa standard della scuola: completo classico color bordeaux con pantalone nero, camicia bianca e cravatta blu scura, nel caso di lui leggermente allentata e il colletto della camicia aperto per i primi due bottoni. Alla destra della giacca spiccava lo stemma della scuola: uno stelo con tre gigli bianchi su uno sfondo blu e la scritta “St. Michael Accademy” in uno stendardo appena sotto di esso; appena sopra lo stemma poi, una spilla in oro raffigurante una Triquetra celtica.

<< Sì >> si limitò a rispondere in tutti quei ragionamenti. << Come fai a saperlo?>> chiese, nonostante la ritenesse una domanda quasi inutile. Se lo sapeva mister Muscolo Idraulico Gel travestito da chierichetto, pareva logico che ormai lo sapesse tutta la scuola che lui era nuovo. Tanto che entrare ad anno iniziato non era cosa da molti.

<< Beh, considerato che te ne stavi imbambolato fino ad un attimo fa a fissare le vetrate, e che sembri cercare la strada giusta da quasi dieci minuti, posso dedurne che sei nuovo >> rispose il ragazzo, mani nelle tasche dei pantaloni, facendo spallucce.

Sì, il ragionamento non faceva una piega. Il moro si avvicinò poi lentamente, arrivandogli vicino e tendendogli la mano << io sono Shikamaru Nara, terzo anno >> si presentò, sorridendo appena nonostante l’aria sempre annoiata che possedeva.

Kiba osservò la mano, poi alzò la sua per stringere quella dell’altro: << piacere, Inuzuka Kiba. Sapresti dirmi dov’è la presidenza? Già che ti ho trovato ne approfitto >> disse subito, ridacchiando appena.

<< A destra la presidenza e le segreterie amministrative >> disse, indicando i due corridoi di poco prima. << Comunque non preoccuparti, non ci metterai molto dalla preside, ti aspetto fuori. Così poi ti faccio fare un giro e annullo le tue possibilità di perderti. Da fuori può non sembrare, ma la scuola non è piccola >> aggiunse il moro, iniziando ad incamminarsi lentamente verso il corridoio appena indicato. Kiba ci mise poco a seguirlo, ringraziandolo subito prima di inoltrarsi con lui nel suddetto corridoio.

 

Uscì dalla presidenza in meno di dieci minuti con la chiave della stanza e l’aria stranita. Quella donna era spettacolare sotto certi versi, inquietante sotto altri. Per esempio, come facesse a sorridere e urlare contro le segretarie allo stesso tempo non sapeva come spiegarselo.

Appena fuori dalla segreteria, ormai in chiusura, notò la figura di Shikamaru seduta scompostamente sulle sedie del corridoio, le braccia dietro la nuca e gli occhi chiusi. << Finito?>> chiese poi, tenendo sempre gli occhi chiusi.

<< Sì. Quella donna è una cosa incredibile, ma come…?>>

<< Tsunade baa-chan è sempre così. Anzi, ti consiglio di non addormentarti in classe, vederla incavolata con altri è un discorso, ma quando la sua incavolatura è rivolta a te è tutto un altro paio di maniche >> disse il moro, osservandolo per un secondo ed alzandosi dalla sedia. << Bene! Vogliamo andare? >> disse poi, indicando con il pollice il corridoio alle sue spalle.

Kiba annuì e, incamminandosi per percorrere il corridoio in senso opposto, seguì Shikamaru in direzione dell’atrio. Una volta arrivati ad esso cominciarono ad incamminarsi verso il corridoio apposto al loro. Dopo qualche passo in silenzio, fu finalmente Shikamaru a prendere parola: << Allora, com’è successo? Li hai mostrati in pubblico o cosa?>> chiese, camminando tranquillamente con le mani in tasca.

Kiba rimase sorpreso dalla domanda, non capendo assolutamente cosa intendesse l’altro con quelle parole. << Cosa?>> chiese dunque, girando il volto verso Nara senza capirci esattamente molto del discorso.

Shikamaru si voltò in sua direzione, osservandolo con un sopracciglio alzato. << Cos’è, fai il finto tonto?>> rispose, forse sgarbatamente, lo studente.

Ok, ora cominciava a seccarlo. << Io non faccio il finto tonto, ti ho chiesto solamente “cosa” avrei dovuto mostrare >> rispose poi il castano, mettendosi sulla difensiva. Non gli piacevano per nulla le persone che gli davano del tonto senza conoscerlo, sua sorella lo aveva fatto anche abbastanza durante la sua turbolenta adolescenza femminile del cavolo.

Questa volta, il moro rimase in silenzio. Semplicemente lo fissava con un sopracciglio alzato, l’espressione a metà fra il pensoso e quella che si fa quando si crede l’interlocutore un povero deficiente. Poi, il suo viso parve illuminarsi da un’intuizione: << Non ci credo…>> sussurrò solamente, voltandosi del tutto verso di lui ed avvicinandosi con il viso. << Sei un umano? Un semplice essere umano?>> chiese, osservando con quello che ora pareva un leggero interesse. Si sapeva, Shikamaru non si sbilanciava mai a livello di interessamento.

Kiba lo guardò come se avesse davanti il peggior cretino sulla faccia della Terra. Cosa voleva dire “semplice essere umano” perché, lui cos’era, E.T. sotto mentite spoglie?

<< Beh, non mi sento un ghiacciolo al limone, dunque direi di sì…>> rispose, assolutamente poco convinto della salute mentale del suo primo compagno, dato che gli avevano appena dato la notizia che l’anno di corsi era lo stesso.

Shikamaru ridacchiò appena, accusando il colpo con stile: << no, non in quel senso >> si scusò subito, senza nemmeno togliere le mani dalle tasche << è che di umani normali qui ce ne sono pochi, a dire il vero non avevo nemmeno notato che non emani nessuna aura particolare, non ci avevo fatto caso >> disse, osservando il volto di Kiba farsi sempre più perso ad ogni parola che diceva. << Non hai nemmeno la minima idea di dove sei finito, vero?>> aggiunse poi, sempre osservandolo.

Kiba annuì, senza sapere minimamente cosa rispondergli. Che gli vai a dire a uno che ti dice “gli umani normali qui dentro sono pochi”? La domanda che scaturiva spontanea era un “perché, tu cosa saresti, una specie di blatta gigantesca come quelle di Man in Black? Stai indossando uno Shika-abito?” …però, educazione voleva che non fosse molto cortese.

Shikamaru sorrise appena, girandosi ed incamminandosi nuovamente lungo il corridoio illuminato artificialmente << seguimi, ti spiego cosa intendo >> disse solo, dirigendosi alla fine del corridoio.

Una volta terminato, sotto una luce calda che proveniva da lampadari di cristallo alle pareti a forma di giglio, Kiba, guidato da Shikamaru, giunse ad una specie di secondo atrio, arredato nello stesso stile di quello precedente solamente più basso. Il tappeto color rosso continuava anche per tutta questa sala, intervallando percorsi sanguigni a marmo color nero.

<< Questo è l’atrio dell’edificio delle classi >> disse il ragazzo << quel corridoio…>> ed indicò un’apertura nel muro di fronte a loro a sinistra <<…e quel corridoio…>> e spostò il dito su un’apertura identica sempre di fronte ma alla destra <<…portano rispettivamente alle classi di Esorcismo e degli Esper. Abbiamo cinque anni di corso, ed ogni anno ha una sola classe composta da una ventina di alunni, o pochi di meno. Per andare alle classi di Storia degli Antichi Testi e Alchimia si devono prendere le scale…>> e con questo indicò una scalinata simile a quelle precedenti, ma singola, in fondo alla sala sulla parete di destra <<…andare a destra e, a metà del corridoio in cui ti ritroverai, percorrere il ponte sospeso fino ad un altro edificio, un po’ più piccolo di questi due principali. Sopra alle classi…>> ed indicò la balconata, però continuando alla sinistra <<…c’è il dormitorio femminile mentre sopra alle segreterie c’è quello maschile. Una volta che farai il ponte sospeso vedrai anche il cortile interno, non è malaccio per riposarsi o uscire ogni tanto. Mi stai seguendo? >> chiese poi, voltandosi verso Kiba ed osservandolo con la coda dell’occhio.

Il castano aveva la bocca semi-aperta nell’osservare tutto il via vai di gente che camminava per il secondo atrio, chiacchierando o leggendo piccoli libricini, tutti in abiti normali e solamente qualcuno in divisa. Ma la sua mente sembrava persa altrove…

<< E-Esorcismo!?>> sbottò con un filo di voce, guardando Shikamaru con due occhi che avevano la stessa dimensione di due palline da tennis, da quanto erano sgranati.

<< Ohi, ma eri rimasto così indietro?>> chiese incredulo il moro, sospirando rassegnato << come cavolo hai fatto a finire qui se non sai nemmeno quali materie si insegnano in quest’accademia?>> aggiunse poi, portandosi una mano agli occhi con fare disperato.

A lui lo chiedeva?! Doveva domandarlo a sua madre dove cavolo lo aveva mandato! << Io…non lo so dove sono finito, diamine!>> esclamò, portandosi entrambe le mani ai capelli << lo so che non mi piaceva l’algebra e tanto meno il latino, ma non voglio studiare esorcismo, santo Dio!>> si lamentò, osservando convulsamente gli specchi che, a differenza dell’atrio principale, adornavano alcune delle pareti di quello. Fu solamente allora che le notò, riflesse alle spalle di due ragazze che passavano in quell’istante, chiacchierando del più e del meno: due paia di ali d’angelo dalle piume grigie.

<< Ma…ma cosa…?!>> sussurrò imbambolato, osservando come lo specchio riflettesse le ali mentre, nella realtà, non si vedessero minimamente.

Avrebbe imparato che, più precisamente, era lui che non riusciva a vederle a differenza di qualcun altro…

Shikamaru riaprì gli occhi, seguendo lo sguardo dell’altro alle grandi cornici riflettenti, sorridendo sbieco: << te ne sei finalmente accorto?>> chiese, guardandolo nuovamente.

<< Cosa…cosa…?>> tento di chiedere, senza tuttavia trovare le parole.

<< Cosa sono?>> terminò per lui il moro, osservando Kiba annuire. << Sono mezz’angeli >> fu la sua risposta che, se possibile, contribuì a far spalancare ancora di più la bocca di Kiba.

<<…ma dai, non esistono i mezz’angeli…>> tentò disperatamente di ribattere Kiba, senza però riuscire a distogliere lo sguardo dalle due ragazze che stavano camminando accanto agli enormi specchi.

<< Questo è quello che pensate di solito voi comuni mortali >> ribatté Shikamaru, muovendosi di qualche passo verso destra ed appoggiandosi con la schiena al muro << e nemmeno tutti voi. Alcuni credono ai miracoli, per esempio, e chi è la causa di questi miracoli? Gli Angeli. Ringraziate il vostro “angelo custode” se scampate ad un qualche incidente o peggio, se vi salvate la vita dopo una malattia che i medici hanno definito mortale per la maggior parte dei casi >> disse il moro, rispondendo al castano senza tuttavia guardarlo direttamente. Anche lui, come l’altro, stava guardando i grandi specchi senza tuttavia la meraviglia che sicuramente provava Kiba; per lui era uno spettacolo visto e rivisto, dopo un po’ perdeva d’attrattiva.

<< Dunque…>> si intromise Kiba, la mano destra al mento per cerca di capirci qualcosa << sono i mezz’angeli a salvare gli esseri umani? A fare quelli che vengono chiamati “miracoli”?>> chiese, voltandosi verso l’altro con espressione interrogativa.

Ormai lo aveva preso come consulente, poco ma sicuro.

Shikamaru sospirò appena, negando con il capo: << no, era solamente un esempio. Sono mezz’angeli coloro nati da un legame fra un angelo ed un essere umano, solitamente il padre angelo e la madre umana. Sono una categoria particolare in quanto non hanno, di per sé, commesso peccati, dunque possono salire al cielo solamente una volta l’anno, vivendo però una vita umana sulla Terra. Solitamente si presentano come gli hai visti negli specchi. Per riconoscerli a scuola, dato che tu non puoi vedere le ali, li puoi distinguere dalla spilla che portano >> disse, indicando la sua dorata sopra lo stemma della giacca << come questa, però il simbolo è diverso. Loro hanno un paio d’ali, come spilla >> terminò, incrociando le braccia al petto.

<< E frequentano le nostre stesse lezioni?>> chiese subito Kiba, ormai incuriosito da tutta quell’assurda faccenda.

<< No >> rispose Shikamaru pronto << i mezz’angeli non hanno bisogno di fare studi particolari all’interno dell’accademia. Per loro questa scuola è una specie di rifugio, un posto dove possono imparare a vivere come esseri umani e a confondersi fra la massa. La loro classe viene detta “Classe Angelica” e passano la maggior parte del tempo leggendo classici, romanzi, testi antichi…insomma, letteratura varia >> disse, facendo una pausa di silenzio.

Il castano annuì appena, ancora attirato inevitabilmente da quelli specchi che riflettevano ciò che lui non poteva vedere. Alcune persone che vi passavano davanti sfoggiavano delle ali color cenere e addirittura altri si fermavano davanti ad essi e, con un sorrisetto sul volto, spiegavano un’ala per osservarne le piume, oppure per guardarne semplicemente la simmetria.

Tutto d’un tratto, ebbe la netta impressione si essere capitato fuori dal mondo che conosceva di solito. E l’impressione non era del tutto sbagliata…

<< E quelli che non hanno ali?>> chiese poi Kiba, indicando con il volto un paio di ragazzi alle cui spalle lo specchio non rifletteva nulla.

<< Fanno parte di altre categorie >> disse semplicemente il moro, riaprendo gli occhi con espressione neutra e quasi scocciata. << Alcuni sono Esper, per esempio io >> disse, indicandosi nuovamente la Triquetra che portava per spilla << gli Esper portano questa spilla. Sono esseri umani in cui si sono sviluppati poteri particolari, come per esempio la telecinesi, o la telepatia, o il controllo di alcune forze naturali, come la sabbia. Vedi il ragazzo con i capelli rossi laggiù?>> disse indicando con il volto un ragazzo poggiato di schiena ad uno degli specchi. Aveva capelli rossi corti, carnagione chiara, fisico atletico e uno strano tatuaggio sulla fronte, come un ideogramma. Portava una paio di jeans larghi blu, una felpa mimetica con il cappuccio e se ne stava solo ad ascoltare il walkman, come testimoniavano i due fili bianchi che gli scendevano lungo la maglia fino a terminare in una delle tasche dei pantaloni.

<< Sabaku Gaara, terzo anno, Esper. Lui riesce a manovrare la sabbia, non crederesti alle cose che sa fare >> aggiunse Shikamaru, spostando lo sguardo lungo la sala a sua volta. Ormai non si aspettava nemmeno più le domande, sapeva già benissimo quali sarebbero state. << Altri invece sono Esorcisti, puoi riconoscerli dalla spilla a forma di croce. Dovresti sapere cosa sono, ma nel caso non te lo ricordassi, sono coloro che esorcizzano demoni che prendono possesso di corpi umani. Solitamente sono demoni soldato che tentano il salto da questa parte…>>

<< Alt, frena, frena, rallenta! >> intervenne Kiba, alzando le mani come a voler interrompere la corsa di un treno << ho smesso di seguirti. Che vuol dire che vogliono tentare il salto?>> chiese, dicendosi mentalmente che era prima il caso di chiarirsi i dubbi poi di continuare ad ascoltare il compagno.

Nara sospirò di nuovo, questa volta più similmente ad uno sbuffare che ad altro: << i mondi ultraterreni sono soggetti a regole e hanno una posizione precisa nello spazio. Per fartela semplice, pensa ad un sandwich: le due fette di pane sono Paradiso ed Inferno mentre il prosciutto è il nostro mondo, il mondo Mortale. In poche parole, siamo presi di mezzo fra i due mondi >> disse, chiudendo una mano sull’altra come a mimare un panino. << Questi mondi possono rimanere in questa posizione perché fra le due forze viene rispettato un certo equilibrio. Demoni completi, come anche Angeli di sangue puro, solitamente non possono entrare ed uscire dal mondo Mortale a loro piacimento, devono sottostare a regole e permessi. Coloro che posso starci senza problemi sono i mezz’angeli…>> e, con questo, indicò un paio a caso di ali cineree <<…e i mezzi demoni. Loro sono di sangue impuro, dunque non hanno limiti di transito dato che i loro poteri non sono sviluppati quanto quelli di un demone completo o di un angelo puro >> disse, andando ad incrociare gli occhi di Kiba che, prontamente, annuì. Bene, almeno adesso lo seguiva.

<< Tuttavia, a volte ci sono delle eccezioni >> aggiunse poi il moro << ovvero, quelle dei Demoni Soldato. Sono piccoli demoni che, seguendo gli ordini del loro Signore, tentano il salto in questo mondo tramite corpi di bambine o ragazzini che solitamente invadono e posseggono; compito degli Esorcisti è trovarli e rispedirli all’Inferno. Solitamente, quando questo succede, è indice di un disequilibrio fra le forze >> terminò poi Shikamaru. << Chiaro ora?>> chiese al castano.

<< Più o meno sì…>> rispose Kiba. << E ci sono mezzi demoni che girano allegramente, qui dentro?>> chiese poi, guardandosi intorno come a volerne scovare uno all’istante.

<< Qualcuno >> ammise Shikamaru << ma stai tranquillo, le regole della scuola vietano a chiunque di fare del male agli altri studenti >> disse, probabilmente per tranquillizzarlo.

Anche con quelle parole non si sentiva affatto tranquillo. Era come dire “Beh, sì, c’è qualche mina sulla strada, ma se hai fortuna non ne pesterai!”. Aveva l’effetto di una sciabolata sulle costole, a dirla come stava.

<< Ok, vai avanti >> trovò il coraggio di dire Kiba, una mano sullo stomaco come se dovesse rimettere per l’ansia che l’aveva improvvisamente attanagliato.

<< L’ultima categoria in gioco è quella degli Alchimisti. Al contrario di tutte le altre persone qui dentro, gli alchimisti sono esseri umani esattamente come te, ovvero senza nessun potere particolare >> disse il moro, osservandolo di sbieco con un sorrisetto << e, appunto per questo, sono pochi all’interno della scuola. L’Alchimia è una cosa che si impara, non è necessaria una predestinazione o la possessione di poteri particolari. Ma, siccome tu entrerai sicuramente a far parte degli Alchimisti, vedrai da solo cosa significa essere uno di loro; è inutile che io te lo stia a spiegare >> terminò, alzando le braccia e portandole dietro la nuca in un gesto pigro.

L’Inuzuka annuì distratto, prendendosi alcuni secondi per riordinare tutte le informazioni che era riuscito a raccogliere solamente nelle prime due ore di presenza all’accademia St. Michael. Angeli, demoni, mezz’angeli, mezzi demoni… Dio, quanto era complicata quella storia? E dove cavolo era andato a finire, poi?! Avrebbe dovuto chiamare sua madre il prima possibile, almeno per capire come aveva potuto spedirlo lì senza nemmeno fare un appunto su cosa avrebbe dovuto affrontare. Perché sua madre lo sapeva, se lo aveva iscritto! Lo sapeva!

<< Ok, magari con una notte di sonno mi convincerò che questo non è tutto uno strano sogno. O magari, per mia felicità, fra poco mi sveglierò a casa mia, nel mio letto, e buona notte al secchio >> bofonchiò il ragazzo, ignorando la risatina divertita di Shikamaru al suo fianco.

<< Aspetta a stupirti, Inuzuka >> aggiunse poi il moro, staccandosi con la schiena dalla parete e fissando un gruppetto di persone che entrava ora nel secondo atrio. Provenivano dalla porta sotto alla balaustra del corridoio superiore, nella parete a destra, dalla quale si arrivava alla mensa. << Il meglio deve ancora venire…>> sussurrò Shikamaru, cingendo le spalle di Kiba con il braccio e appoggiandocisi quasi di peso.

Con il capo, il moro gli indicò quattro persone. I primi due: un ragazzo biondo con la carnagione leggermente olivastra, capelli biondi color del grano estivo, occhi azzurri come uno dei cieli più tersi. Indossava un paio di pantaloni a tre quarti arancio con sopra una maglia bianca a maniche lunghe dallo scollo a V, semplice. Teneva per mano un altro ragazzo, dall’aspetto un coetaneo; capelli neri come la notte, occhi color dell’ossidiana profonda che risaltavano terribilmente sulla carnagione chiara, fisico asciutto e allenato. Indossava un paio di jeans scuri ed una maglia smanicata nera a collo alto.

<< Loro sono le “guest star” possiamo chiamarle così. Il tripudio dell’eccezione sulla Terra >> scherzò appena il moro, sussurrandolo direttamente nell’orecchio di Kiba che, nonostante volesse scrollarselo di dosso, non alzava un muscolo.

Forse era troppo curioso. << Chi sono?>>

<< Il biondo è Naruto Uzumaki, terzo anno, Classe Angelica >> descrisse Nara, senza cambiare posizione. Parlava ora a bassa voce, come se anche il muro alle loro spalle avesse potuto sentire i loro discorsi. << Lui è uno di quelli che vengono chiamati Mezzosangue, ovvero mezz’angelo e mezzo demone >> aggiunse, lo sguardo serio rivolto verso la coppia. << E’ una di quelle rare, rarissime persone che nascono angeli puri ma che, dentro di sé, portano il seme di uno dei nove demoni della Natura, i più potenti del mondo…>> una piccola pausa, un cenno di saluto allo stesso ragazzo dai capelli biondi e al suo compagno, rigorosamente tenuto per mano dal biondo.

Kiba aspettò che i due distogliessero lo sguardo per domandare: << demoni della Natura?>>

<< Sì >> rispose Shikamaru, sempre a bassa voce. << Vengono chiamati anche “Bijuu” o “Cercoteri”. Sono demoni potenti, che però sono distaccati dal regno infernale in quanto sono creati della Natura stessa, ovvero nel mondo degli uomini. Si dice che Naruto sia un contenitore per il più potente di tutti e nove; ovvero il “Kyuubi” o demone “Volpe a Nove Code”>> spiegò con santa pazienza, la voce sempre ridotta al minimo indispensabile per farsi sentire.

<< E come mai si trova qui?>> chiese in risposta il castano. Considerando tutto ciò che aveva detto in precedenza, non dovrebbero esserci angeli puri ecc…

Shikamaru rimase in silenzio qualche istante prima di rispondergli: << è complicato, per lui >> un’altra pausa, forse per cercare le parole adatte a ciò che voleva esprimere. << Vedi, non può essere accettato nel regno dei cieli perché è mezzo demone, e non può di certo andare all’Inferno, dato che è anche mezz’angelo. L’unica persona che ha al mondo è Sasuke…>> disse, mesto.

<< Chi è Sasuke?>> chiese Kiba, osservando con occhi socchiusi il biondo. Era una brutta storia, eppure il ragazzo sorrideva come se sulla sua vita non esistessero ombre di nessun genere. Come se fosse…felice.

<< E’ il ragazzo che tiene per mano. Possiamo dire che è il suo ragazzo >> fece Shikamaru, osservando insieme all’Inuzuka i due in questione. << Sasuke Uchiha, terzo anno, Classe Angelica. Membro di uno dei più potenti clan di mezzi demoni che abbiano mai abitato la Terra. Fratello minore di Itachi Uchiha, quinto anno della Classe Angelica, mezzo demone. Il giorno in cui Sasuke nacque Angelo il clan Uchiha non poté assolutamente accettarlo. Fu solo grazie all’intervento di Gabriele che Sasuke fu salvato dalla collera dei demoni del suo stesso clan e portato a vivere insieme agli altri angeli >>.

<< Gabriele…l’Arcangelo Gabriele?!>> chiese Kiba, il volto girato quasi di scatto in direzione di quello di Nara, sfiorandogli appena la gota con il naso.

Shikamaru annuì: << proprio lui >> rispose, sorridendo appena a pochi centimetri dal volto del castano. Tornarono poi entrambi con lo sguardo sui due: << E’ stato là che ha incontrato Naruto per la prima volta, nel Regno dei Cieli. Poi Naruto ha sviluppato il seme di Kyuubi ed è stato cacciato. Sasuke non ha accettato di perderlo e, per amore, ha tradito Dio, seguendo Naruto sulla Terra. Agli angeli non è concessa la Redenzione dai peccati, figuriamoci l’amore, e per giunta omosessuale…insomma, stiamo pur sempre parlando di Cristianesimo!>> disse il moro, ricominciando subito dopo prima che Kiba lo interrompesse con qualche domanda: << in ogni caso, da allora Sasuke è uno di quelli che vengono volgarmente chiamati “Angeli Caduti”. Non ha esattamente un bel carattere, ma davvero ama Naruto più di ogni altra cosa…>> terminò poi, indicando con il volto gli specchi. In quel momento, sotto gli occhi quasi estasiati di Kiba, alle spalle di Naruto comparvero le nove code del demone, intangibili e semi-trasparenti come fantasmi, mentre un paio di ali nere stavano elegantemente dispiegate alle spalle di Sasuke, donando ancora più bellezza a quel ragazzo, che già di suo spiccava sugli altri per beltà.

<< E’ una bella storia…>> riuscì solamente a commentare il castano, seguendo imbambolato le ali nere di Uchiha riflesse dagli specchi. Era bella davvero, quella storia…

<< E non è finita >> aggiunse poi Shikamaru, il tono serio questa volta, quasi grave nella voce. << Lo vedi il ragazzo con i capelli lunghi appena uscito dalla mensa?>> chiese, lo sguardo puntato sulla porta.

Kiba voltò con un moto di scocciatura il volto, osservando colui che il ragazzo aveva indicato: pelle chiara, capelli corvini racchiusi in una coda bassa, occhi scuri che somigliavano tantissimo a quelli di quel Sasuke che aveva appena osservato da lontano, squadrandone le ali e l’eterea bellezza. << Lo vedo >> gli disse, per confermare la domanda rivoltagli.

<< Lui e Itachi Uchiha, quinto anno, Classe Angelica. E’ il fratello maggiore di Sasuke…un mezzo demone >> disse, assottigliando appena gli occhi mentre ne seguiva la figura. << Sasuke lo detesta, anche se di quest’odio Itachi non sembra interessarsene molto. Non so cosa ci faccia qui, nessuno lo sa, e su di lui girano le voci più disparate; alcuni dicono addirittura che sia alleato con il Diavolo per cercare di far passare Sasuke dalla loro parte e tentare una riconciliazione del giovane con il proprio clan…>> aggiunse Shikamaru, il più precisamente possibile.

Kiba aprì la bocca per ribattere, ma non trovò improvvisamente nulla da dire. Già tutta quella situazione in sé sembrava assurda ed incredibile, se poi ci mettevano anche faide fra fratelli, tradimenti a Dio e chissà cos’altro, l’unico effetto che poteva sperare era quello di uscirne pazzo. Ancora non ci credeva, ancora non riusciva a crederci…

Tuttavia, la visione di un paio di ali demoniache nere come le tenebre più cupe alla spalle del maggiore degli Uchiha, fu sufficiente a convincerlo che le parole di Shikamaru sul clan del Ventaglio erano vere.

Poi, un suo sguardo.

Come se avesse sentito, o intuito, che stavano parlando di lui.

Itachi Uchiha si voltò lentamente in loro direzione, le mani nelle tasche dei jeans scuri che indossava sotto la maglia nera a maniche lunghe, lo sguardo puntato su di lui e su Nara.

Un brivido gli passò lungo la schiena, senza motivo. Il pugno di Shikamaru si strinse con forza.

Voltò appena il capo in direzione del compagno, lasciando che i suoi occhi dorati cercassero quelli scuri del moro…che non incrociarono mai. Il ragazzo fissava Itachi con espressione contratta, quasi rabbiosa e, se non fosse stato per la suggestione che tutti quei racconti gli avevano sicuramente messo addosso, avrebbe quasi giurato che la pupilla di Shikamaru si fosse allungata verticalmente, come quella…come…quella di un…

<< Calmati, Shikamaru >> intervenne invece una voce dalla loro destra, facendolo sobbalzare improvvisamente << l’ira non è mai un buon pretesto >> disse, voce melodiosa e tranquilla.

Alla destra di Nara, una mano poggiata sulla spalla dello stesso, un ragazzo stava in piedi al suo fianco. Gli occhi di uno stranissimo e particolare colore bianco, i capelli lunghi di un castano scuro quasi nero; indossava un paio di pantaloni neri e un maglioncino bianco a collo alto che quasi risaltava ancora di più il colore particolare delle iridi candide.

Shikamaru mugugnò appena, sospirando poco dopo e rilasciando il pugno << hai ragione, Neji >> rispose al ragazzo appena arrivato, rimettendosi diritto e voltando lo sguardo verso Kiba. << Kiba, ti presento Neji Hyuga >> gli disse, indicando con un gesto della mano il ragazzo dagli occhi bianchi << quarto anno, anche lui della classe angelica. E’ un Arcangelo >> aggiunse, sorridendo appena.

<< Eh?! Un Arcangelo?! Uno vero?! >> chiese scortesemente Kiba, osservando Hyuga come se fosse una specie rara di orso polare in estinzione. Allo sguardo divertito di Shikamaru e a quello sorpreso di Neji, decise poi di darsi un contegno. << Scusa Hyuga, non volevo…>>

<< Tranquillo, i nuovi arrivati fanno tutti così >> rispose l’arcangelo, alzando appena la mano destra in segno di comprensione. Gli tese poi quella stessa mano, che venne accettata repentinamente: << tu devi essere Kiba Inuzuka, il nuovo Alchimista >> disse, convinto di quello che affermava << la preside Tsunade mi ha parlato di te >> aggiunse in spiegazione.

Oh, benissimo. Era già schifosamente popolare.

<< Sì, sono io…>> rispose, più per rassegnazione che per cortesia, sospirando appena mentre stringeva la mano di Neji. Anche pensare di stare stringere la mano ad un essere superiore e, in un certo senso, extraterrestre, non lo calmava affatto.

Neji sorrise appena, quasi invisibilmente, riportando la mano a fare compagnia all’altra lungo il fianco. << Spero ti troverai bene in questa scuola, e se avrai come guida Nara sono sicuro che imparerai ad orientarti quanto prima >> disse, il tono educato e lineare, melodioso e dall’impostazione gentile. Lanciò poi uno sguardo ad Itachi Uchiha che, con calma quasi calcolata, si stava allontanando ora dall’atrio.

<< Vogliate scusarmi >> disse poi Neji, salutando nuovamente Shikamaru con uno sguardo carico di significato - sconosciuto a Kiba - e incamminandosi a sua volta nella stessa direzione di Itachi.

Nell’andare via, nel riflesso dello specchio un paio di ali dorate svettarono fra il grigio monotono dei mezz’angeli che andavano e venivano in continuazione, chiacchierando in mezzo al continuo brusio.

<< Sorpreso?>> chiese poi il moro a Kiba, alzando l’angolo della bocca in un sorriso sbieco mentre lo guardava divertito.

Perché sì, si vedeva che si stava divertendo a sondare le sue reazioni di meraviglia.

<< Meravigliato credo sia il termine più adatto >> corresse il castano, gli occhi dorati che andarono subito a quelli di Shikamaru. Avrebbe voluto chiedergli il perché di quella reazione nel vedere Itachi, era curioso…ma anche educato. Si conoscevano da quanto? Un’ora? Non gli sembrava il caso.

Shikamaru si limitò ad annuire solamente, puntando nuovamente lo sguardo sulla folla che andava e veniva, disperdendosi in gruppi e parlando del più e del meno. << Ti conviene andare in mensa se non hai ancora cenato, fra poco più di un’ora c’è la messa della sera >> gli disse, calmo, scoprendo la manica sinistra della divisa per guardare l’orologio.

<< Tu non ceni?>> chiese il castano. Non perché sperasse di farsi accompagnare, è solo perché sperava di non perdersi e, parliamone, non è che aveva esattamente ascoltato tutta la spiegazione dei corridoi della scuola…

Il moro però diniego, rimettendosi le mani in tasca << mangerò qualcosa più tardi, adesso devo andare in infermeria. Ho bisogno di Kabuto >> disse, voltandosi ed incamminandosi verso le scale. Prima di salire più di quattro scalini si voltò nuovamente, fissando Kiba per qualche minuto con un sorrisetto divertito << se hai paura di perderti segui la massa, non dev’essere difficile arrivare dove vuoi…>> aggiunse, alzando appena la mano in saluto e salendo le scale.

…come diavolo aveva fatto a capirlo?!

 

In piedi sulla cima del mondo.

Come Dio, che osservava dall’altro la Terra e l’operato dei suoi figli. Come Dio, che giudicava nella sua punizione o nella sua magnanimità chi era degno di perdono e chi meritevole di maledizione.

Come Dio.

Era peccato? Forse sì. Ma cosa cambiava, a quel punto?

Avanzò di un passo, i piedi nudi a contatto con le tegole levigate e fredde del tetto su cui si trovava per un motivo preciso.

Per un peccato preciso.

Si guardò le mani, tremanti, coperte in parte da una camicia da notte bianca e leggera, che si librava armoniosamente nel vento insieme ai suoi capelli, castani e lunghi.

Non si sentiva lui. Non era lui.

Ma allora chi? Chi era?

Alzò la destra una volta arrivata al ciglio del tetto, la grondaia in acciaio leggermente arrugginita segnava quel confine con aspetto minaccioso. Afferrò con mano tremante il crocifisso d’oro che le aveva regalato la madre prima di mandarla a studiare in quell’accademia, a causa dei suoi poteri.

Sotto, solamente il vuoto di un balzo lungo parecchi metri.

L’avrebbe fatta finita. Voleva farlo.

<< Pater noster, qui es in caelis: santificétur Nomen Tuum…>> cominciò a recitare, lentamente, come una litania da sempre detta senza particolare significato ma che, in quel frangente, acquistava un’importanza vitale.

Tuttavia, si bloccò dopo poche frasi. Un sorriso sconsolato comparve sul volto, sentiva le gote piegarsi sotto quella malinconia finalmente espressa.

<< Non importa…>> sussurrò, voce femminile e bassa, rotta dalle lacrime <<…tanto so già benissimo dove andrò…>>.

La decisione.

Il salto.

La paura.

La visione della terra che si avvicina velocemente, troppo velocemente. La reazione istintiva dell’essere umano che tenta di salvarsi anche quando non può più fare niente, quando non c’è più niente da fare. L’aria che ti sferza il volto, le lacrime che si ghiacciano per la velocità con cui stai precipitando furiosamente, sempre più velocemente, verso un abisso di buio e dolore infinito, di tormento, di perdizione e dannazione, di eterno dolore e infinita pena.

Perché era suicidio. E si sa…che chi mette fine alla propria vita non è accolto nella casa del Signore.

Un urlo, una voce acuta che dura pochi secondi, il tempo che l’accelerazione di gravità impiega a far cadere una massa verso il basso da una decina di metri d’altezza, quale per esempio…un tetto.

Nell’attimo prima, un ruggito che risuona in lontananza nelle orecchie, un verso di sofferenza.

Poi, il buio del nulla.

Il silenzio assoluto.

La fine di tutto.

 

Si risvegliò di soprassalto, il cuore a mille, il respiro affannoso e la fronte completamente madida di sudore.

Paura, gelo. Puro terrore.

L’aveva sentita sua. Quella determinazione, quella tristezza, quella volontà di porre fine alla propria vita.

Come se fosse lui su quel tetto, come se ci fosse stato per davvero lui, là in bilico.

Si mise seduto, imprecando in varie lingue contro le coperte scomposte, quasi attorcigliate attorno alle sue gambe. Il buio della stanza, dopo il sogno, aveva come un’opprimente volontà propria, una pesantezza sua, come se avesse realmente densità.

Non ci volle molto perché gli occhi, una volta abituati alla poca luce lunare che filtrava attraverso le imposte chiuse, gli consentissero di vedere almeno i contorni delle cose.

Sospirò profondamente, cercando di calmarsi e di riprendere a respirare come una persona normale. Non era più un moccioso incapace, che doveva chiamare la mamma per un semplice incubo. Gli sarebbe passata fra poco, di sicuro. Insomma, un batticuore non può durare così tanto, no? Era semplicemente stato uno spavento, uno stupido, imbecille, fottuto incubo del cavolo; ogni tanto capitava anche ai migliori.

Socchiuse gli occhi, concentrandosi solamente sul proprio respiro, calmandolo volontariamente finchè non ritornò più o meno normale, il cuore a battere con regolarità e non così velocemente come pochi attimi prima.

Una volta che si fu calmato, posò lo sguardo sulla porta. Si sentiva i capelli bagnati di sudore appiccicati alla fronte, le labbra secche e la gola riarsa. Nel silenzio di quella stanza anche il suo respiro pareva urlare. Magari poteva…

No. Che ridicolaggine. Non era più un moccioso, se l’era già ripetuto. Non più il piccolo Kiba che va a chiedere ai genitori di dormire nel lettone con loro.

Però, la sua camera era vicina…magari, avrebbe potuto trovare una scusa.

Alla messa non si era fatto vedere, dopotutto.

No, Kiba, non fare il cane spaventato. Sei a scuola da un giorno, anzi, da qualche ora, non facciamoci riconoscere subito.

Però, quel sogno…quell’immagine, quelle sensazioni…così reali, così vere, così…vive.

Gli scorrevano ancora addosso i brividi quando ci pensava.

No, basta. Decise che era il caso di ritornare a dormire. L’indomani mattina avrebbe cominciato le lezioni e non aveva intenzione di farsi riconoscere subito arrivando in ritardo il primo giorno, non esisteva!

Si stese dunque, tornando a premere la testa sul cuscino e stirando appena le coperte che, nonostante l’opera, erano ancora per la maggior parte stropicciate e scomposte.

Chiuse gli occhi, doveva dormire…

 

<< Kiba, hai la convinzione di una gallina. Deficiente…>> si disse da solo, camminando silenziosamente per il corridoio.

Considerando che, dall’inizio delle scale del secondo piano, le stanze cominciavano dal numero 30, inoltrandosi nel corridoio dovevano per forza salire di numero.

Cosa che era; più proseguiva più le targhette aumentavano di numero.

Osservandosi intorno si strinse nelle spalle, chiudendo le mani sulle maniche corte della maglia bianca che usava come pigiama, insieme ad un paio di pantaloni corti di color azzurro. Quella dannata scuola, con quella dannata architettura di quel dannato periodo gotico pareva stranamente, incredibilmente bella la mattina e schifosamente inquietante la notte. Sapendo poi quali erano gli individui che ci stavano dentro, diciamo pure che era tutt’altro che tranquillo.

Arrivò alla porta numero 41 pochi istanti dopo, piantandosi in piedi davanti ad essa, scalzo. Ovviamente, non aveva minimamente pensato ad un paio di ciabatte o a qualcosa che vi somigliasse.

Alzò la mano destra, indeciso se bussare o meno.

Ci avrebbe fatto una figuraccia, lo sentiva. Era lui il primo a vergognarsi. Ma in quella scuola non conosceva nessun altro, che doveva fare? Inventarsi un amico immaginario di nome Spencer o derivati cercando di non convincersi di essere completamente pazzo? Cosa che, parliamoci chiaro, stando dentro ad un’accademia simile non doveva essere molto infrequente.

Deglutendo appena bussò due volte sul legno scuro, non troppo forte per non svegliare anche gli altri dormienti, attendendo.

Dopo poco, convinto che l’altro non avesse sentito, bussò nuovamente, sempre due volte.

Alla terza, finalmente si sentì qualche movimento all’interno della camera. Un “click” della porta, probabilmente la serratura che girava per sbloccarsi, poi il pomello che si girava e la porta che, con lentezza, si socchiudeva.

Una paio di occhi scuri, con aria stanca ed assonnata, lo guardavano come un miraggio. Una maglia nera a mezze maniche sopra un paio di pantaloni lunghi dal colore verdino, i capelli sciolti che gli ricadevano sulle spalle, incorniciando il viso dall’espressione ancora dispersa nelle lande del sonno. Come assonnata era la sua voce, quando gli rivolse parola, probabilmente dopo averlo riconosciuto in mezzo alla nebbia del dormiveglia: << Inuzuka?>> chiese, sorpreso.

<< Già, io >> rispose lui, sorridendo come un ebete che non sa quale scusa campare per aria per giustificare la sua presenza nel mezzo della notte e nel mezzo del corridoio. Ci provò comunque, con la speranza propria dei folli all’ultima spiaggia: << Ho notato che non eri alla messa, così ho pensato che ti fossi sentito male, che so…magari indigestione?>> disse, abbozzando un sorriso che più tarocco di quello non erano nemmeno le carte dei pokémon con i brillantini finti.

Sorriso al quale Shikamaru non rispose. Non aveva la prontezza mentale per muovere tutti i muscoli facciali, probabilmente. Dopotutto era notte fonda. << Dì, hai la minima idea di che ore sono?>> chiese, la voce bassa per non disturbare.

<< Le due? >> chiese Kiba, sorridendo falso.

<< Le quattro >> gli rispose Shikamaru, con un sopracciglio alzato.

<<…ero preoccupato, sai? La tensione fa brutti scherzi >> ribatté Kiba, annuendo con pochissima convinzione.

Il moro sospirò, chiudendo gli occhi per poi socchiuderli: << brutti sogni, eh?>> chiese retoricamente, aprendo del tutto la porta e lasciandolo entrare. << Entra…>> aggiunse a voce, incamminandosi all’interno della camera.

Tutte le stanze dei dormitori erano uguali, della stessa metratura e della stessa forma. Tuttavia, forse per il fatto che la sua era ancora sgombra, quella di Shikamaru aveva un gusto particolare d’arredamento. Appena entrati, sulla destra, un armadio a due ante occupava la parete, alcuni abiti pendevano da una sedia posta nelle sue vicinanze, la divisa ben ripiegata sopra un comò accanto alla sedia. Uno specchio rettangolare era posizionato, per il lungo, sopra a quel comò. nella parete di sinistra rispetto alla porta stava invece il letto ad una piazza e mezzo, staccato dal muro verso il centro della stanza mentre, alle spalle di esso, una scaffalatura ad arco tratteneva vari volumi e libri di ogni genere, oltre una scacchiera dello shoji. L’aveva notata perché era lucida e aveva un ripiano tutto per sé, come se fosse un cimelio. Nella parete rimanente invece, quella di fronte alla porta, sotto la finestra abbastanza grande stava la scrivania, ingombra di piccoli bicchieri con dentro delle penne di ogni genere, un calamaio, alcuni libri di testo e qualche crocefisso che pendeva dalla lampada, compreso un rosario dalle perline biancastre.

<< Mettiti pure comodo >> borbottò Shikamaru, sedendosi sul letto a gambe incrociate e facendo un profondo, sentito sbadiglio.

Kiba spostò nuovamente lo sguardo sul ragazzo, sentendosi improvvisamente in colpa. La sua teoria del “se sto sveglio io non vedo perché Shikamaru debba dormire” alla fine aveva funzionato, privando il moro di attimi importanti di sonno prima delle lezioni del mattino. Non sapeva ancora cosa esattamente facessero gli Esper, ma se erano lezioni pesanti…

<< Mi dispiace di averti svegliato, Nara >> esordì poi, decidendo di sedersi alla scrivania, sulla morbida sedia girevole.

L’altro lo guardò con un occhio solo, leggermente socchiuso a causa del sonno interrotto e dello sbadiglio appena manifestato. << Figurati, dormirò domani durante le lezioni >> ribatté quello.

Ok, se poteva permettersi di dormire, allora le lezioni non dovevano essere poi così difficili… no?

Ridacchiò appena, a bassa voce nel caso i vicini di camera avessero l’udito ad ultrasuoni ed il sonno leggero, spostando poi lo sguardo sulla superficie della scrivania.

A sinistra, vicino allo schermo del computer, un piccolo portafoto era in bilico su un volume dalla copertina nera, abbastanza grosso ed impolverato. Ritraeva un bambino dall’espressione seria, i capelli corti e scuri, tenuto per mano da due adulti; la donna sorrideva lievemente, l’uomo osservava semplicemente avanti, l’espressione rilassata ma non sorridente. Dietro di loro, dopo un piccolo quadrato di prati verde, una casa normalissima si stagliava fino a proseguire oltre l’inquadratura, un rametto di gerbere che scendeva colorato dal davanzale esterno della finestra al primo piano.

<< Sei tu questo? >> chiese Kiba, più per cominciare un qualunque discorso che per stare semplicemente in silenzio. Si era presentato in camera di Shikamaru, ma la verità era che non aveva assolutamente nulla da dirgli.

E si sentiva estremamente patetico.

Quello annuì, osservando con espressione indolente il quadretto che l’Inuzuka teneva fra le mani. << Io e i miei genitori >> disse, distogliendo poi lo sguardo. I capelli, ancora sciolti sulle spalle, seguirono i movimenti del capo con un leggero fruscio.

<< Tua madre è molto bella… >> continuò, dicendo effettivamente quello che pensava.

<< Da giovane sì, lo era >> rispose il ragazzo, evitando sempre di guardarlo.

Kiba alzò appena gli occhi su Shikamaru, rendendosi conto di aver, probabilmente, toccato un tasto dolente. << Scusami. E’ forse… >>

<< No, nulla del genere. Sta benissimo, o almeno, stava bene gli ultimi due minuti che ho passato al telefono con lei il mese scorso >> rispose il moro, immaginandosi in anticipo cosa stesse pensando il castano.

Doveva chiederglielo a Shikamaru, come facesse tutte le volte a capire cosa pensasse.

Poi rifletté su quello che aveva appena sentito, alzando un sopracciglio. Il mese scorso? Ma se lui era lì dentro da nemmeno 12 ore e sua madre lo aveva già chiamato due volte, tre contando quando era in bagno e non poteva, per forza di cose, risponderle.

<< Vi sentite così poco? >> chiese, spostando nuovamente gli occhi sulla piccola foto che ancora teneva fra le mani. Non voleva essere impiccione, anzi… semplicemente, era curioso.

Shikamaru rimase silenzioso per qualche istante, lo sguardo puntato sulla parete di fronte al letto, fra l’armadio e il comò. Poi, interrompendo i pensieri di Kiba -che già si stava chiedendo se non fosse troppo ficcanaso- rispose: << I miei genitori sono solo… comuni esseri umani >> con un tono di voce perso e inquietantemente impersonale.

In un qualche modo, con quel “comuni esseri umani” si sentiva tirato in mezzo. Per questo forse, ascoltandolo senza nemmeno respirare, cercava di intuire se nella voce di Nara ci potesse essere anche solo una minima nota di disprezzo. Lui era solo un “normale umano”, dentro quella scuola.

Tuttavia l’intonazione di Shikamaru era piatta e impersonale. Non vi era traccia di fastidio, di disgusto e, forse peggio, di affetto. Si parlava dei suoi genitori dopotutto, no?

Forse avrebbe voluto chiedere qualcosa di più, spinto dalla sua curiosità. Ma Shikamaru, anticipandolo, cominciò a parlare con lo sguardo sempre fisso alla parete di fronte al letto, sul muro fra lo specchio e la sedia. Era come se la sua mente fosse su un altro mondo.

<< In che senso? >> chiese dunque l’Inuzuka, il tono leggermente indispettito che, nonostante avesse tentato di nascondere bene, Shikamaru notò comunque.

Sorrise appena, chiudendo poi gli occhi. << Sai… >> cominciò << …ero nella classe degli Esorcisti, prima di essere inserito in quella degli Esper. E gli esorcisti diventano tali per un motivo: vedono cose che la gente normale non vede >> disse, riaprendo gli occhi ed osservando Kiba che, dal canto suo, sembrava pendere dalle sue labbra.

<< Cosa? >> chiese infatti quello.

<< Hai presente gli specchi che ci sono nell’atrio delle classi? >> chiese Shikamaru, Kiba annuì. Certo che li aveva presenti, se li sarebbe ricordati per tutta l’esistenza, da adesso in avanti.

<< Quello è il mondo che vedono gli Esorcisti. E che io ho cominciato a vedere da quando avevo 9 anni >> disse, indicando con il volto la foto che il castano aveva riappoggiato alla scrivania << poco dopo aver scattato quella foto >> aggiunse.

Kiba deglutì, osservandolo e aspettando che continuasse, cosa che avvenne pochi istanti dopo: << prova ad immaginarti a scuola, seduto al banco in quarta fila. Il maestro presenta un nuovo allievo e, sotto ai tuoi occhi, quello dispiega un paio d’ali da mezz’angelo. Ti guardi intorno spaventato a morte e ti accorgi che, a quanto pare, quelle ali le vedi solo tu >>.

L’espressione di Kiba si fece più attenta mentre Shikamaru, con al sua solita voce impersonale e leggermente seccata, osservava ancora il muro davanti a lui mentre raccontava. << Lo dissi ai miei genitori. Loro erano persone normali che conducevano una vita normale… e presero una decisione da genitori >> terminò ma, per farsi capire, indicò con il dito l’angolo destro della scrivania. Attaccato ad un portapenne, un po’ stropicciato e vecchio, un braccialettino ospedaliero plastificato con il nome “Shikamaru Nara - reparto psichiatrico”  scritto a macchina rifletteva appena i raggi lunari.

Kiba non disse nulla osservando il braccialettino. Probabilmente perché non trovava nulla di meglio da dire di un: << mi dispiace… >> che, a sua veduta, sembrava banale e limitativo.

Shikamaru sospirò, stendendosi sotto le coperte e voltando la schiena a Kiba. << Non devi, è la storia della maggior parte delle persone presenti in questa scuola >> disse, per poi aggiungere: << non fare l’errore di dire “posso capire” perché non è così, gli esseri umani “normali” non capiscono mai. Ora dormo, domani mattina c’è scuola. Quando esci chiudi bene la porta >> disse, per poi tacere.

Kiba lo osservò, decidendo di getto di fare quello che non si sarebbe mai sognato di fare. Si alzò con uno cigolio sinistro della sedia, face qualche passo che rimbombò sulla moquette della camera e, alzando le coperte a sua volta, si stese sul letto dando le spalle a Shikamaru.

Qualche istante di silenzio, poi la voce del moro che lo ruppe: << che cosa stai facendo? >> voce tranquilla e seccata, come ormai Kiba aveva imparato essere il suo tono standard.

<< Dormo >> fu la risposta del castano.

<< Hai una camera anche tu >> ribatté il moro, senza tuttavia voltarsi.

<< Mi scoccia tornarci >> fu la repentina risposta.

<< …fa come ti pare >> terminò Nara, chiudendo il discorso.

E fece veramente come gli pareva. Chiuse gli occhi, addormentandosi placidamente qualche minuto dopo.

E considerando, per la prima volta, che non faceva del tutto schifo, essere esseri umani qualunque.

 

 

 Chapter No. 0 ~ End.

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Capitolo 2
*** Previsione Accidentale ***


Note: Di nuovo prima di cominciare

Note: Di nuovo prima di cominciare! XD

Piccola introduzione per ringraziare tutti coloro che hanno letto la fanfic, in particolare Capitatapercaso (grazie mille per il tuo commento, è il migliore che abbia mai ricevuto! E ti ringrazio anche per le tue considerazioni sul mio stile di scrittura, non mi dispiace capire da ciò che scrivi di essere migliorata rispetto a tempo fa. Cercherò di terminarla secondo i piani, questa volta, la fic! XD Grazie ancora), Kagchan (concordo, “Like an Hell” è sensazionale, ma non è mia XD ti confondi con Mika-mika, che ne è la vera autrice. Comunque non preoccuparti, conosco Mika e ti assicuro che, sbagliando ad attribuirmi una sua fanfic, mi hai fatto un grosso complimento involontario! XD Apprezzo come scrive quella ragazza. Grazie per averla (ri)letta! E anche a te, grazie per il commento), Nekiniku_dango (spero di averlo scritto bene >.> grazie tantissimo per aver commentato e sì, effettivamente è tanto che non metto mouse su manga.it… o almeno, non con il vecchio nick. Beh, come ho detto sopra, questa volta farò del mio meglio per terminarla *annuisce convinta*. Grazie ancora per aver la letta di nuovo XD) e Fallen_azraphel (fidati, mi faccio più problemi di quanto pensassi a muovermi Kiba come protagonista! XD Comunque sono contenta che ti piaccia anche se il protagonista è un po’ insolito e, per quanto riguarda la coppia, l’ho palesata nell’introduzione semplicemente per correttezza per chi legge *annuisce* così se la coppia non piace si passa oltre direttamente. Grazie mille per il commento e non preoccuparti, è esauriente anche così! XD Non ho bisogno di commenti chilometrici per sbilanciare il mio ego, fa tutto da solo *gocciolone alla manga*. Grazie ancora per il commento!)

Bene, credo che le comunicazioni di servizio, per questa volta, siano terminate.

Vi lascio alla lettura!

.:: Enjoy! ::.

 

 

Chapter 01 ~ First Echo

Previsione Accidentale

 

Sapeva che sarebbe successo. Anche se, in cuor suo, aveva sperato che non succedesse almeno a lui. Che lui fosse, diciamo, immune alla regola soprannaturale del “nuovo arrivato”.

Invece no. E se si trovava a correre per i corridoi con un pezzo di pane tostato in bocca, doveva pur esserci un motivo.

<< Maledetta sveglia del cavolo! E maledetto Nara, pure lui! Poteva svegliarmi, no? No! Mi ha lasciato dormire! Ah, ma io gliela faccio pagare! E’ il primo giorno, accidenti a lui! >> sbottò indispettito, inghiottendo con qualche difficoltà il residuo della colazione, rischiando di mandarla di traverso ma trovando, all’ultimo istante, la salvezza per un qualche miracolo non meglio specificato.

Per qualche assurdo motivo a cui non voleva nemmeno pensare, si era addormentato così placidamente nel letto di Shikamaru che non aveva nemmeno sentito la sveglia. O meglio, non sono non aveva sentito la sveglia, ma nemmeno il compagno alzarsi e vestirsi per andare a fare colazione.

Quando, disturbato da un fascio di luce proveniente dalla finestra, aveva finalmente aperto gli occhi, il led luminoso della sveglia sul ripiano della scrivania segnava le sette e quaranta.

E le lezioni, da che mondo è mondo, erano sempre cominciate alle otto.

Dopo i primi secondi di smarrimento, probabilmente un effetto collaterale della mano di Morfeo ancora presente su di lui, lo scattare dei quarantuno minuti aveva scatenato in lui il panico.

Aveva esattamente 19 minuti per uscire da quella camera, rientrare nella sua, vestirsi, scendere a colazione e andare ovunque fosse la sua classe, quella di Alchimia. Perché parliamone, non è che avesse esattamente capito la sua ubicazione, dal discorso di Shikamaru del giorno prima.

Bella forza, uno comincia a farti una pianta dell’edificio mentre scopri che quello che il prete ti raccontava al catechismo non erano tutte cavolate. E’ logico che poi il cervello si riavvia automaticamente e l’attenzione va a farsi un giro per altri lidi.

Si era alzato con un balzo e, puntualmente, era inciampato sul lenzuolo che, stropicciato, si era arrotolato intorno ai suoi piedi durante la notte. Doveva dire a Shikamaru che la moquette della sua camera necessitava di una passata di aspirapolvere.

Dopodiché si era rialzato nuovamente, scattando veloce verso la porta dove, in un post-it giallo, due righe in una calligrafia lineare e inclinata verso destra lo avvertivano di chiudere la porta. Con qualche insulto al firmatario, un certo S.N. di sua conoscenza, appallottolò il foglietto e chiuse la porta come dettogli.

Corse poi per il corridoio, ovviamente in pigiama (ci doveva essere veramente qualcuno che gli voleva bene: non lo aveva visto nessuno!), sbattendo il naso sulla sua porta prima di aprirla a e fiondarsi dentro la camera. Raccattò la divisa il più velocemente possibile, buttando il pigiama dove capitò e cercando per l’equivalente di sei minuti di farsi il nodo a quella cavolo di cravatta blu, che non ne voleva sapere di riuscire in maniera normale. Evidentemente destinato a non riuscirci mai, aveva lasciato i primi due bottoni della camicia aperti e, ficcandosi la cravatta in tasca, aveva recuperato libro e quaderno per poi catapultarsi nuovamente lungo il corridoio, diretto dove lui pensava che ci fossero le classi.

Ed è lì che, alle attuali ore otto e cinque, ancora correva.

<< Sono nei guai. In guai grossi temo… >> disse sconfortato mentre, rallentando appena prima della curva, girò velocemente a destra alla fine del corridoio per trovarsi… in un altro corridoio.

Che cavolo era quel posto, il labirinto del Minotauro? Dannazione a lui che non si ricordava un fico secco delle indicazioni che gli aveva dato Shikamaru il giorno prima e, soprattutto, dannazione allo stesso Nara che aveva deciso di lasciarlo poltrire nella sua full-immersion nel mondo dei sogni.

Ricominciò a correre, deciso a farsi i cento metri piani in 7.65 anche per tutta la scuola, se si fosse mostrato necessario. Alla svolta successiva volle girare nuovamente a destra, senza nemmeno rallentare questa volta e, come prevedibile, successe l’inevitabile.

Voltandosi per osservare le porte di quel corridoio nuovo, l’unica cosa che vide prima di ritrovarsi con il sedere per terra fu una divisa bordeaux e una spilla a forma di ali diventare sempre più grandi, sempre più grandi… finchè non se le era ritrovate dolorosamente addosso, impattando contro la persona che le portava.

E, pensandoci ora che il naso pulsava per il dolore, era come se si fosse scontrato con un muro.

<< Ahi! >> esclamò, serrando gli occhi e portandosi una mano al naso, giusto per controllare che fosse integro e ancora al suo posto. << che male! Mi dispiace, non stavo guardando dove andavo, sono in ritardo…>> cercò di scusarsi subito, aprendo solamente un occhio nel tentativo di farsi passare il dolore e, se possibile, riprendere la sua ardua ricerca della classe giusta.

Il ragazzo contro cui si era scontrato, arretrato di qualche passo senza però perdere l’equilibrio, tossicchiò appena prima di rispondere un neutro << ho notato >>, con voce profonda ma giovanile.

E a Kiba quasi venne un infarto quando, alzando gli occhi, si trovò davanti Itachi Uchiha nella sua eterea bellezza.

Cominciò sul serio a chiedersi se la sua sfortuna non fosse una dote naturale.

Il ragazzo, i capelli lunghi e corvini racchiusi in una coda bassa, lo guardò con i suoi profondissimi e assottigliati occhi scuri, osservandolo con pacata indolenza. Si avvicinò di qualche passo, porgendo la mano destra all’Inuzuka senza un sorriso, nemmeno un ghigno o una qualsiasi altra espressione che dimostrasse una qualsiasi sensazione.

Beh, se la aspettava molto, molto peggio. Insomma, i demoni (o mezzi demoni che siano) della sua immaginazioni prendevano la forma di vampiri affamati che la prima cosa che guardavano salutandoti era la tua giugulare. Si aspettava una cosa tipo: “buongiorno sono Itachi Uchiha, come sono andate le ultime analisi del sangue?”

Invece, il ragazzo che ora gli tendeva la mano sembrava, per i suoi semplici sensi da “normale essere umano”, semplicemente uno studente chiuso ed enigmatico che, gentilmente, lo voleva aiutare a rialzarsi.

Perché negarglielo?

Allungò la mano dunque, afferrando quella fredda di Itachi e, aiutandosi con essa, si rialzò in piedi con un urlo silenzioso di dolore da parte del suo sedere. Ok, aveva constatato per la seconda volta in quella mattina che i pavimenti di quella scuola erano solidi.

Una volta in piedi, Itachi continuò a guardarlo con quell’inespressività inquietante dipinta negli occhi neri. Alzò poi, leggermente, un sopracciglio, unica vera espressione che gli aveva visto fare fino a quel momento. << Tu devi essere Inuzuka >> disse, osservando la spilla d’orata a forma di Sigillo di Salomone che indossava il castano, appena sopra lo stemma della scuola. << Alchimista >> aggiunse poi, lasciandogli la mano e riportandola lungo il fianco.

<< Eh, proprio io…>> rispose, sorridendo imbarazzato. Ma c’era una santissima anima in quella scuola che non sapeva che lui era appena arrivato?!

Itachi lo squadrò completamente, così come fece Kiba: Doveva essere un ragazzo ordinato dato che, sia la camicia che la giacca, erano ben allacciate e la cravatta era diligentemente stretta al collo. Doveva avere successo con le ragazze, dato che qualunque cosa indossasse non perdeva di attrattiva.

Poi, all’improvviso, un sorrisetto comparve sulle labbra del moro. O almeno, così aveva considerato il leggero stirarsi di labbra che per qualche secondo il ragazzo aveva mostrato.  << Interessante… >> lo sentì sussurrare << …mi sorprende che Nara non lo abbia notato… >> aggiunse enigmatico, alzando poi gli occhi oltre la sua spalla. Il sorrisetto, o l’ombra del sorriso, che aveva appena assunto scomparve, facendo ritornare il suo viso rilassato e neutrale.

Cosa… cosa doveva notare Shikamaru? Che aveva? Per caso emetteva un odore particolare, dei ferormoni che attiravano sciagure, si doveva scatenare la fine del mondo per mano sua, cosa?!

Non riuscì a resistere. Detestava quando la gente non gli diceva le cose direttamente in faccia.

<< Che cosa avrebbe dovuto notare? >> chiese direttamente, riducendo gli occhi a due fessure. Il tono fermo e deciso di chi non ammette altre risposte tranne la verità attirarono nuovamente lo sguardo di Itachi su di lui.

Forse era un’illusione, uno scherzo della luce… ma gli occhi di Itachi non erano appena diventati… rossi?

Un brivido gli percorse la schiena, facendolo allontanare istintivamente di qualche passo. Cosa diamine era stato, quello?

Senza dire una parola, senza nemmeno respirare, il ragazzo degli Uchiha alzò lentamente una mano in direzione della fronte di Kiba che, per un qualche misterioso, orripilante motivo non riusciva più nemmeno a staccare i piedi dal suolo, figuriamoci a fare un altro vitalissimo passo indietro. Osservava quella mano avvicinarsi inesorabilmente e l’espressione fredda di Itachi non prometteva niente, assolutamente niente di buono. Era… era davvero… ?

<< Uchiha >> una voce ferma, decisa, un tono che aveva già sentito di sicuro un’altra volta anche se al momento, con i muscoli completamente bloccati per la tensione, il suo cervello non riusciva a collegare la voce ad un’immagine. Era completamente bloccato e, nonostante avesse sentito che la suddetta voce proveniva dalle sue spalle, non aveva ancora trovato la forza e il coraggio di voltarsi in quella direzione.

Itachi puntò nuovamente gli occhi alle sue spalle, abbassando poi la mano per riportarla al suo fianco. << Hyuga >> rispose solamente, liscio e impersonale, riportando solamente per un istante lo sguardo su Kiba: << puoi anche respirare, ora >> disse, prima di passare oltre al castano con passo lento e, sempre con lo stesso passo, sparire dal corridoio.

Si accorse di stare mantenendo il respiro solamente quando l’Uchiha passò oltre lui. E, per non cadere come un sacco pieno di pere, dovette per forza appoggiarsi alla parete con la schiena, sforzando le sue gambe di non cedere proprio sul più bello.

Era paura, quella. Una paura marcia di un qualcosa che nemmeno sapeva cos’era. Il suo cuore batteva talmente veloce da rimbombargli nelle orecchie con violenza e le sue mani, nonostante fossero entrambe appoggiate al muro, tremavano ad intervalli irregolari.

<< Tutto bene? >> chiese la stessa voce di prima, ora molto più vicina.

Sobbalzò. Non si era nemmeno accorto che Neji si era avvicinato così tanto a lui, dall’agitazione che aveva addosso.

Deglutì, cercando disperatamente di non far tremare la voce. Tentativo che gli riuscì solamente in parte: << S-si, tutto a posto >> rispose, distaccandosi dal muro e mettendosi diritto di fronte allo Hyuga.

L’atmosfera che si respirava in sua compagnia era molto differente rispetto a quella accanto ad Itachi, Portava i capelli castano scuro raccolti un una coda bassa, leggermente lenta, tanto da farglieli ricadere appena sulle spalle; gli occhi, di quello strano ma affascinante colore bianco, sembravano capaci di osservare direttamente l’anima, capendo la verità anche senza bisogno di dirla. La divisa, dello stesso colore a forma di tutte quelle presenti in quella scuola, era anche nel suo caso ben portata, la cravatta allacciata bene, la spilla dalle ali dorate appuntata sopra lo stemma.

Forse, si sentiva bene in sua compagnia solamente perché Shikamaru lo aveva informato sulla sua origine angelica.

Cioè, stava parlando con un Arcangelo, per la miseria…

Neji annuì appena, voltando poi lo sguardo lungo il corridoio che aveva appena imboccato il mezzo demone. << Non ti avrebbe fatto nulla, ma posso capire che possa mettere soggezione >> disse pacato, ritornando con lo sguardo al castano.

Kiba annuì senza tuttavia aggiungere niente. Al momento era occupato a fare sì che i suoi polmoni riprendessero a respirare con un ritmo umano, e non come se ogni tanto si dimenticassero del loro mestiere, facendolo mancare del respiro.

Fu poi Neji a interrompere il brevissimo dialogo, sospirando appena. << Scusami Inuzuka, ho un lavoro da sbrigare >> cominciò, frugandosi al contempo nelle tasche e, tirandone fuori una piccola catenina con un croce in argento attaccata, la porse a Kiba.

<< Questo ti sarà utile, portalo con te >> disse, aspettando che Kiba lo afferrasse prima di ritirare la mano. << Consideralo un giubbotto antiproiettile >> aggiunse prima di salutare e, a passo disteso e lento, seguire la stessa direzione imboccata dall’Uchiha.

Strinse fra le mani quella catenina, decidendo di infilarsela subito; sotto la camicia non si sarebbe vista.

E, riprendendo faticosamente a camminare, decise che sì, la sua sfortuna doveva essere veramente una dote naturale.

 

Erano le otto e venti quando, imboccando l’ultimo corridoio che gli sembrava di non aver ancora percorso, finalmente trovò le aule di Storia degli Antichi Testi, la prima sulla sinistra, e Alchimia, l’ultima sulla destra.

Doveva ricordarsi di ringraziare il suo minimo, quasi invisibile senso dell’orientamento per essere riuscito, anche se in un tempo sproporzionato, a portarlo a destinazione.

Era in un ritardo epico. Bella figura al primo giorno di scuola, presentarsi in classe e dire, come prima frase davanti a tutti: “scusate il ritardo, mi sono perso nel labirinto e ho fatto due chiacchiere col Minotauro, non ho più avuto cognizione del tempo!”

Tuttavia, al suo avvicinarsi alla porta della classe, notò che era stranamente aperta e, dal suo interno, provenivano voci concitate e stralci di quelle tipiche frasi che si fanno alla mattina prima del suono della campana.

I casi erano due: o le lezioni in quella scuola consistevano in chiacchiere e tè con biscotti, oppure il professore non era ancora arrivato.

Non sapeva se darsi dello stupido per la prima ipotesi pensata, o se sperare in un miracolo di proporzioni bibliche come la seconda. Beh, il modo per scoprirlo c’era, e consisteva nell’entrare in classe.

Bussò quindi alla porta, abbastanza forte da farsi sentire, entrando poi subito dopo. La cravatta, ancora abbandonata nella tasca a penzoloni lungo la sua gamba, gli dava un aspetto da contadino dei Pirenei, ma al momento non aveva importanza.

<< Buongiorno… >> azzardò quando, entrato dalla porta di due passi, l’intera classe si zittì e lo fissò.

Qualche chiacchiericcio sussurrato in fondo a destra, una ragazza che si chinava sulla sua amica per qualche commento, molto probabilmente sul suo aspetto, e diciassette paia di occhi che lo guardavano con fare curioso e sorpreso allo stesso tempo.

Fu poi una ragazza in seconda fila, seduta su uno dei banchi in mogano intagliato (ma davvero spendevano un pacco di soldi solamente per quei banchi stile Istituto Ouran?!(*)) a far sentire per prima la sua voce. Aveva lunghi capelli biondi raccolti in una coda alta sulla nuca, occhi azzurri che contrastavano nell’insieme con i colori scuri della divisa, esattamente uguale a quella maschile con l’unica differenza che, al posto dei pantaloni, l’uniforme femminile prevedeva una gonna a pieghe e un fiocchetto al posto della cravatta. Se ne stava seduta a gambe incrociate, le mani indietro puntellate sul banco, indice probabilmente di un’enorme forza di volontà. Fere un sorrisetto sbieco in sua direzione, esordendo nel silenzio con un: << Ah! Tu devi essere…>>

<< …quello nuovo, sì >> finì prima Kiba per lei, sospirando rilassato. Felice, per la prima volta in vita sua, che le voci all’interno di quella scuola circolassero alla velocità della luce. << Kiba Inuzuka, piacere >> si presentò poi, alzando la mano destra come piccolo gesto di saluto.

Tutti gli sorrisero, alcuni lo salutarono, per poi tornare a parlare delle loro cose. Beh, era stata una presentazione indolore; almeno si erano riservati dal continuare a guardarlo come babbuini che fissano una banana.

Solamente due di loro gli si avvicinarono, due ragazze. La prima era la biondina che gli aveva rivolto la parola per prima che, scendendo dal banco con grazia relativa, gli stava camminando incontro. Al suo fianco, un paio di occhi color giada spiccavano fra un paio di ciocche color rosa (no, non si poteva dire “rossiccio”, erano proprio rosa!) facenti parte di un caschetto di capelli del medesimo colore, trattenuto da un cerchietto rosso. Due ragazze, entrambe con la spilla da alchimista.

Bella forza, se erano nell’aula di Alchimia…

La prima, la biondina dagli occhi blu, fu la prima delle due a tendergli la mano: << io sono Ino Yamanaka >> si presentò subito << le voci circolano molto in fretta in questa scuola, come avrai notato >> aggiunse poi, sorridendo allegramente.

Kiba rispose al gesto, stringendole la mano a sua volta. << Il professore? >> chiese allora il ragazzo, approfittando dell’occasione.

A rispondere fu però la seconda ragazza che, abbassando gli occhi fino alla sua cravatta, la prese delicatamente dalla tasca, mettendogliela dietro al collo con un semplice gesto della mano, cominciando ad annodargliela. Aveva l’espressione seria ma dolce, nonostante le mosse decise e perfette, nessun movimento fuori posto. << Non si è ancora fatto vedere, ma lui è sempre così. E’ il più ritardatario di tutto il corpo insegnanti. Tieni su il mento, per favore >> disse, terminando in qualche mossa di fargli il nodo, che Kiba allentò subito secondo i suoi gusti. Non gli piaceva sentirsi qualcosa legato troppo stretto al collo.

<< Grazie >> disse poi il ragazzo, tastandosi il nodo << è tutta mattina che cerco di farlo >> aggiunse, osservando la ragazza.

<< Di nulla, si vede che non sei abituato a portarle >> rispose quella, porgendo la mano a sua volta << Sakura Haruno, piacere >> si presentò cordialmente.

Kiba, dal canto suo, strinse anche la sua mano. Quella Sakura aveva l’aria maledettamente saccente, oltre che ad un colore di capelli altamente discutibile, e doveva essere per forza una di quelle persone che se non fanno una cosa perfetta sono capaci di perderci il sonno. Tuttavia, gli aveva allacciato la cravatta, e questo era un grandissimo passo avanti.

<< Ragazzi arriva! >> li interruppe poi una voce dal tono squillante. Lanciando una rapida occhiata a Ino, già seduta al suo banco, vide che la ragazza gli indicava un banco nella fila al suo fianco, quella attaccata al muro. Vi erano solo tre file di banchi all’interno della classe, tutte formate da sei banchi ciascuna, e ancora si chiedeva chi era così impazzito da sedersi di sua spontanea volontà in prima fila, lasciando la terza (dove aveva preso posto lui) libera fino a prova contraria. E fu solo allora che, aspettando l’entrata del professore, ebbe occasione di osservare meglio la classe. Era luminosa, areata e dava una sensazione strana ma piacevole. Tre finestre fornivano sufficiente luminosità, dalla parte opposta di dove si trovava lui, affacciandosi su quello che doveva essere in famigerato giardino interno descrittogli da Shikamaru il giorno precedente; vi era un campo di atletica in mezzo al verde, con alcuni alberi al lato nord e qualche panchina sotto di essi.

Probabilmente si facevano lezioni di educazione fisica all’aperto, a giudicare dalla struttura delle classi.

In lontananza, dalla parte ovest del giardino, la particolare costruzione della chiesa risaltava nella sua bellezza e, alzando gli occhi, le punte dei campanili sembravano conficcarsi nel cielo azzurro.

Beh, almeno per una cosa avrebbe dovuto ringraziare sua madre: come posto era molto tranquillo e il paesaggio suggestivo.

Poi, finalmente, fece la sua entrata in scena il tanto famigerato maestro ritardatario.

Se avesse dovuto trovare qualcuno di più particolare di quell’uomo non l’avrebbe trovato nemmeno nel pieno del carnevale di Rio de Janeiro.  Aveva dei particolari capelli bianchi-argentati (non sapeva ben definire quel colore, dato che cambiava a seconda della luce che li colpiva) che ricadevano tutti dal lato sinistro del viso, coprendo il relativo occhio, su cui portava una benda.

E, per l’amor del Cielo, anche se era curioso non ne voleva sapere il motivo. Con tutto l’ammontare di roba strana che deambulava in quella scuola ci mancava solo l’occhio alieno del professore, che sparava acido dalla pupilla e rendeva le ciglia come i serpenti della testa dell’Idra. Chissà, forse aveva anche la capacità di pietrificare le persone.

No, era semplicemente lui che nella sua infanzia tormentata dalla sorella adolescente con le crisi mestruali, leggeva troppi fumetti per distaccarsi dalla realtà.

Tuttavia, il professore di per sé non sembrava affatto un alieno e qualsiasi altra cosa extraterrestre avrebbe potuto, in linea teorica, essere. Aveva il corpo di un umano, tra l’altro in forma fisica eccellente, e fece il suo ingresso all’interno della classe a passo tranquillo, vestito con una divisa completamente nera fatta appositamente per i professori, alla quale i pantaloni dal taglio classico erano stati sostituiti da un paio di jeans chiari. In mano portava, aperto, un piccolo libricciolo dalla copertina arancione.

Beh, almeno si sapeva vestire.

<< Maestro Kakashi, è in ritardo! >> esclamò subito Sakura, seduta ovviamente in prima fila centrale, alzando un sopracciglio e fissando l’uomo con fare polemico.

<< Ah, scusate, scusate! >> disse subito quello, chiudendo l’unico occhio visibile e portandosi la mano libera dietro la nuca a mo di scuse. << La sveglia non ha suonato e ho perso un po’ di tempo per scegliere i pantaloni da indossare oggi. Poi a colazione i miei toast non erano ancora pronti e ho dovuto aspettare, per questo ho fatto tardi! >> aggiunse, alzando poi entrambe le mani davanti al volto, altro comportamento classico di chi deve scusarsi.

Fu allora che, in luce grazie alla posizione, riuscì a leggere il titolo del volume.

Le Tattiche della Pomiciata.

*Attendere prego, riavvio del programma in corso…*

MA COS’ERA?! Un professore che legge libri della serie “Ichi Ichi” non si era mai visto! Anzi, quello era davvero un insegnante?!

Ora sì, poteva veramente dirlo: i miracoli esistevano e si manifestavano talvolta in dimensioni spropositate.

Poi, lo sguardo dell’uomo cadde su Kiba e, per un interminabile secondo, il castano rimase completamente immobile a fissare l’unico occhio dell’uomo che poteva effettivamente vedere.

Lo squadrava, senza distogliere lo sguardo, nemmeno quando chiuse il libro e lo appoggiò sulla cattedra, insieme alla borsa che si era portato appresso a tracolla. Continuava a fissarlo con la stessa meticolosità con cui sua madre sceglieva i mobili nuovi della cucina.

<< Mh… >> esordì poi, Kiba deglutì. << Strano, non ti ho mai visto da queste parti. Sei nuovo per caso? >>

Avrebbe giurato che, in contemporanea, tutti i rimanenti alunni avessero sbattuto sconsolati la testa sui banchi stile Ouran.

Sì, decisamente i miracoli esistevano… così come le anomalie sociali: ne aveva la prova davanti in carne ed ossa. E anzi, quell’anomalia sociale pretendeva di essere il suo professore di Alchimia, dunque ce l’avrebbe avuto davanti per tutto il resto dell’anno se non intervenivano cause di forza maggiore.

Che potevano essere solamente la morte e un attacco alieno, come riferitogli dall’ultima telefonata della madre in cui, al suo “dove cavolo mi hai mandato?” in tono disperato, la risposta della donna era stata “ti piace”. E no, non era una domanda.

Si era risparmiato di dirgli “guarda, credo che sia più probabile la seconda…” solamente perché, a volte, poteva anche sforzarsi di essere educato, con quella scaricatrice di porto stile schiavista di sua madre.

Sotto l’espressione sgomenta di tutti, a bocca aperta per lo stupore, il professore si avvicinò a lui, poggiandogli una mano fra i capelli castani e scompigliandoglieli allegramente, sorridendo.

<< Bene, bene! >> aggiunse poi << più siamo meglio è! >> esordì cordiale. << Io sono Kakashi Hatake, novellino. E, se Dio vuole, sono il tuo maestro di Alchimia >> si presentò poi, osservandolo dall’alto in basso.

Da lontano lo faceva più basso.

<< Kiba Inuzuka >> si presentò brevemente, portandosi per riflesso le mani ai capelli per risistemarli. << Sarà… un piacere… imparare da lei, maestro Hatake >> disse educatamente, come anche nelle scuole pubbliche gli avevano insegnato a fare.

Più stava lì dentro, più la scuola pubblica gli sembrava il paradiso perduto. Nemmeno in un Jurassick Park si sarebbe sentito più fuori luogo. E, parliamone, piuttosto che incrociare di nuovo Itachi Uchiha preferiva giocare a nascondino con un Tirannosauro.

Quello sorrise, scompigliandogli nuovamente i capelli con fare quasi fraterno: << Maestro Kakashi andrà bene, Kiba >> disse, allontanandosi poi nuovamente verso la cattedra, alle cui spalle troneggiava una lavagna che prendeva quasi tutta la parete.

Eh sì, sarebbe stato un anno mirabolante…

 

Dopo quattro, interminabili ore di lezione finalmente suonò la campanella della pausa pranzo.

Quattro ore in cui aveva capito che il cerchio è la figura perfetta, che il simbolo astrologico del pianeta Mercurio era utilizzato anche per l’omonimo metallo e che Kakashi Hatake era adatto a fare l’insegnante quanto lui lo era a ballare il Valzer.

Tuttavia era convinto che, dopo essersi riletto i due libri degli anni precedenti, che lui aveva saltato in quanto impegnato a studiare materie più “umane” in tutti i sensi, probabilmente sarebbe arrivato a capire la materia e a trasmutare un chilo di chiodi in una statuetta degli Oscar in ferro, come aveva brillantemente dimostrato di riuscire a fare Sakura.

Ora aveva fino alle due per pranzare, rilassarsi, e prepararsi per la lezione di Combattimento, che sarebbe avvenuta quel pomeriggio nel tanto citato cortile interno.

Da quanto aveva capito, le lezioni di Combattimento non si tenevano individualmente classe per classe, ma avvenivano per raggruppamenti a seconda degli anni. Tutti le quinte di tutti i quattro corsi non si esercitavano, poiché ormai esperte e perché, al posto di Combattimento, si esercitavano in maniera più particolare per le loro materie nel campo apposito situato dietro la scuola.

Di conseguenza, il primo e il secondo anno di Alchimia facevano lezione congiunta, così come il terzo e il quarto.

Una bella seccatura dal suo punto di vista, dato che il suo stile di combattimento era “particolare”… anzi, non lo considerava nemmeno uno stile, a dirla tutta.

Pensando che no, dai, non lo avrebbero fatto combattere subito il primo giorno(!), e stando bene attento ad evitare la presa collosa di Sakura e Ino (che sì, potevano essere anche in buona fede, ma gli facevano venire un’emicrania fulminante in tre secondi netti), si defilò all’esterno della classe, cominciando a ritroso la difficile via per raggiungere la sala da pranzo.

Teoricamente, seguendo la massa non doveva essere così difficile.

Tuttavia, nei quaranta minuti che seguirono, imparò un’importante lezione: non dire “gatto” se non ce l’hai nel sacco.

Inutile specificare che non aveva trovato la mensa, finendo invece in chiesa, completamente solo e affamato. Successivamente era riuscito ad arrivare in segreteria, nuovamente nell’atrio delle classi con i grandi specchi e, sbagliando corridoio, a ritrovarsi davanti alla porta della biblioteca.

Tutte destinazioni molto interessanti, ma lui in un solo posto voleva andare, ovvero dove c’era del cibo, cibo!

<< Perché sono destinato a vagare in questa cavolo di scuola, perché?! >> chiese ad alta voce, portandosi le mani alla testa.

Destinato era di sicuro la parola adatta. Anzi, calzava a pennello con l’origine biologica della sua sfortuna e del suo inutile quanto inesistente senso dell’orientamento alla bradipo assonnato. Un tegola si sapeva orientare meglio di lui.

<< Non troverò mai la mensa… >>

<< Alle scale a destra poi, all’atrio, a sinistra >> rispose una voce al suo fianco, incredibilmente vicina a lui.

<< Ah, graz… >> cominciò, voltando poi il capo nella direzione della voce, soprapensiero. A circa una spanna di distanza dai suoi, un paio di occhi azzurri come il cielo emergevano da una zazzera di capelli così biondi da fare invidia al grano maturo.

Naruto Uzumaki in tutta la sua singolare bellezza.

E, per la seconda volta, decise che sì, lui doveva essere naturalmente incline ai disastri naturali.

Guidato più dall’istinto che da altro, face un balzo all’indietro, diventando tutt’uno con il vetro delle grandi finestre che, così come per le classi, si snodavano lungo tutti i corridoi.

A quanto pare l’architetto era un fissato con le finestre.

Uzumaki lo fissò con un sopracciglio alzato, sbattendo un paio di volte le ciglia. << Perché hai fatto un balzo indietro? >> chiese, abbassando poi lo sguardo su se stesso, facendosi una sottospecie di piccolo check-up << ho qualcosa che non va? >> aggiunse preoccupato e stupito.

Noooo! Sei solo uno dei più forti demoni coda, figurati, non hai niente che non va…

Kiba sospirò, distaccandosi lievemente dal muro << No, colpa mia, mi hai colto alla sprovvista… >> riferì, ridacchiando così falsamente che non solo le carte dei pokémon, ma anche una partita di soldi del monopoli erano più reali di quella risata.

Tuttavia, Naruto non se ne accorse o la ignorò altamente. << Allora dovresti stare più attento, no? >> rispose, tendendogli la mano con fare amichevole. << Io sono Naruto Uzumaki >> si presentò cordiale, attendendo che Kiba tendesse la sua.

Sempre meglio di Itachi Uchiha, almeno quello…

<< Ki-Kiba Inuzuka…>> rispose, stringendo la mano al proprietario del Kyuubi con forza di volontà -10. Dopo l’esperienza non esattamente piacevole passata con Itachi quella mattina, aveva un po’ di riluttanza a stringere la mano al primo demone in transito per il corridoio in cui lui puntualmente si era appena perso.

Anzi, aveva notato che aveva conosciuto i due più potenti demoni della scuola (o mezzi demoni, non vedeva dove fosse la differenza) proprio mentre vagava per i suddetti corridoi.

Eh sì, la sua sfortuna avrebbe mandato in malora un impero se solo ne avesse avuto la possibilità.

Naruto sorrise nuovamente, ritirando la mano e mettendosela nella tasca dei pantaloni: << Se vuoi ti accompagno in mensa, io ho già pranzato >>  buttò lì il biondo, probabilmente per convincere Kiba di essere un bravo ragazzo; fu in quel momento che Kiba accolse l’occasione di scrutare il biondo che, nel contempo, si era incamminato verso le scale.

Sua sorella sosteneva che puoi capire un uomo dal modo in cui porta la divisa scolastica. Se la porta bene allacciata, a sentire lei, è un secchione o, in alcuni casi, semplicemente un ragazzo ordinato, dunque discendente da una famiglia per bene, avente entrambi i genitori e, magari, pure ricca.

Se la divisa era leggermente slacciata, allora era un ragazzo nella norma. Famiglia di medio reddito, con entrambi i genitori o solo il padre, stile comodo di vestire, voti nella media ma non imbecille, di carattere allegro e/o abbastanza pigro.

Lui e Naruto, osservandolo poteva dirlo, rientravano in questa categoria.

Come lui, il biondo portava la giacca della divisa, di quel color bordeaux che cominciava già ad odiare, completamente aperta. I primi due bottoni della camicia erano slacciati e la cravatta, nonostante fosse ben annodata, era lenta intorno al collo e aveva inoltre quel portamento da svogliato cronico che aveva lui alla mattina presto.

Beh… magari non erano poi così diversi.

Decise di seguirlo, anche solo per arrivare sano e salvo alla mensa e mangiare un boccone prima delle lezioni del pomeriggio.

<< Allora Inuzuka, come ti sembra questa scuola? >> cominciò poi Naruto, girando a destra e scendendo le scale, arrivando al famigerato atrio degli specchi. In lontananza, ogni studente che passava, si potevano vedere sulla sua schiena ali dal colore grigio spiegate, oppure compostamente lasciate adagiate lungo la schiena. Era uno spettacolo mozzafiato…

E, forse, fu proprio a causa di quello spettacolo che gli scappò detto…

<< Una gabbia di matti >> rispose di getto, accorgendosi solamente dopo di avere detto una grandissima cavolata.

Però, veramente, era quello che realmente pensava.

Naruto rise di gusto, piegandosi leggermente su se stesso per non piangere dallo sforzo della risata. << Sì, posso capire! >> rispose poi, prendendo fiato fra una risata e l’altra << fa questo effetto a molti! >> aggiunse, non riuscendo a trattenere una seconda ondata di risate.

Osservandolo, Kiba cambiò completamente idea. Forse era un demone, questo è vero, o per meglio dire un mezzosangue… ma Naruto non dava l’idea di essere una persona inquietante come Itachi Uchiha.

Anzi, sembrava quasi un normale… umano.

E sì, aveva la risata contagiosa.

Anche Kiba ridacchiò a sua volta, sorridendo più sollevato: << e meno male, almeno non sono l’unico a pensarlo >> rispose, incamminandosi già per le scale, seguito da un Naruto in lacrime dal troppo ridere.

Una volta arrivati alla fine delle scale però, Kiba fu costretto ad attendere Naruto per orientarsi. Da dietro il biondo indicò il corridoio di destra, appena prima del soppalco delle scale da cui erano appena scesi.

<< Non siamo molto famigliari con il senso dell’orientamento, vero Inuzuka? >> chiese Naruto, ridacchiando come uno stupido che ha appena trovato il suo divertimento della giornata.

Kiba gli prese velocemente la guancia fra pollice ed indice, tirando fino a quando la bocca dell’altro non si deformò dall’azione. Non sapeva perché, ma con quel ragazzo sentiva di potersi permettere comportamenti simili.

<< Taci Uzumaki, sono qui da nemmeno 24 ore! >> rispose, lasciandogli andare la guancia fra una risata del biondo e una sua occhiataccia << dammi il tempo di ambientarmi e ti farò vedere chi è Kiba Inuzuka! Fiuterò l’odore del cibo dalle aule, se necessario! >> disse, alzando il mento come se fosse una stella di Holliwood e mettendosi in mostra.

<< Ah, come un cane da tartufo voi dire!(**) >> ribatté pronto Naruto, riservando a Kiba lo stesso scherzetto e tirandogli una guancia fino a fargli diventare la bocca ovale.

Il castano blaterò qualcosa di incomprensibile, che fece spuntare un ghigno malefico in viso a Naruto che, dal canto suo, utilizzò anche l’altra mano per tirare la guancia di Kiba ancora libera.

<< Sembri un cetriolo! >> lo sfotté Naruto, osservando i lacrimoni di Kiba per il dolore che stavano provando le sue povere guance.

<< Lhashabi mhalehchetto! [lasciami maledetto!] >> bofonchiò il castano, riservando lo stesso trattamento al biondo e ridacchiando, a dire il vero in maniera abbastanza inquietante data la forma della sua bocca in quel frangente. << Chi èh il shetcriovo orha? [chi è il cetriolo ora?] >> rispose, tirando anche le guance del biondo.

Inutile dire che chi passava li prendeva come due psicopatici e, mentalmente dato uno dei due elementi, gli consigliavano di andare da uno psicologo. Ma da uno bravo.

Tutti, tranne l’unica delle poche persone che poteva prendere parola con una presenza come il mezzosangue Naruto Uzumaki.

Ovvero, chi quel mezzosangue se l’era scelto come compagno.

<< Si può sapere cosa state facendo? >>

Sasuke Uchiha, per l’appunto.

Con le bocche stile “acchiappamosche” i due ragazzi, voltarono lo sguardo in direzione del moro, divisa scolastica impeccabile, che li osservava con espressione seria. La sua voce, profonda ma non come quella di un adulto, non rendeva minimamente la sua bellezza quasi eterea, già notata dal castano il giorno prima.

Si lasciarono entrambi contemporaneamente, massaggiandosi le guance mentre Naruto ridacchiava e Kiba osservava il moro senza proferire parola. << Niente di che Sasuke, stavo facendo conoscenza con Inuzuka, il nuovo arrivato >> spiegò Naruto, avvicinandosi al moro per stampargli un bacio sulla guancia.

Sasuke, come notò Kiba che li stava osservando, sembrò sciogliersi a quel gesto e, potesse prendergli un colpo, sembrò che un ombra di sorriso fosse comparsa per qualche secondo sul volto dell’Uchiha, addolcendone i lineamenti in un’espressione dolce.

Ma Naruto faceva quest’effetto a tutti?!

Fu, però, solamente questione di secondi. In uno sguardo freddo ora Sasuke lo stava fissando direttamente negli occhi, serio e quasi seccato della sua presenza.

Era gelosia o cosa quello sguardo?! Cos’è, aveva paura che gli fregasse Uzumaki sotto il naso? Stiamo scherzando? Lui non era mica… insomma… quello!

Però, ripensandoci… aveva dormito nel letto di Shikamaru, quella notte. E anche bene.

No, no, no, no, no, no, no! Quello era un caso! E aveva dormito perché era esausto e, per qualche ragione a cui bisognava assolutamente fare chiarezza, il materasso di Nara era semplicemente più morbido del suo, per quello si era addormentato stile sasso e aveva dormito pacifico fino al mattino! Era colpa del materasso!

Ma, nonostante tutte quelle scuse dette mentalmente a se stesso, non poté fare a meno di arrossire leggermente… e vergognarsi come un cane.

Doveva chiedere scusa a ciuffo ad ananas (sì, d’ora in poi sarebbe stato il suo nomignolo per la terribile colpa di avere il materasso più morbido) per averlo disturbato e aver usufruito del suo letto.

Poi, proprio mentre Kiba si faceva tutti quei problemi mentali, Sasuke si rivolse al biondo, prendendogli la mano e incamminandosi verso l’atrio principale. << Andiamo usuratonkachi, non c’è molto tempo prima delle lezioni >> disse solamente, trascinando Naruto insieme a lui.

Il biondo si voltò in direzione di Kiba, alzando un braccio in segno di saluto: << domani pranza con noi, Inuzuka! Ti vengo a prendere io, altrimenti ti perdi! >> disse, sfottendolo ad alta voce.

<< E piantala Uzumaki! >> sbottò il castano, voltando il capo e avanzando verso la mensa, ora in vista.

Poteva dire di essersi trovato un amico, almeno.

 

Arrivò in camera completamente, integralmente e evidentemente sfinito.

Sì buttò sul letto, ancora vestito, chiudendo gli occhi per un intenso, interminabile istante.

Aveva creduto nel colpo di fortuna straordinario quando la lezione di Combattimento era saltata perché il professore, a sentire gli altri, aveva perso una scommessa con il maestro Kakashi e ora stava facendo trecento giri della scuola in verticale sulle mani.

Si era sentito un alieno in una scuola di matti per i successivi dieci minuti e poi, saggiamente, dato il pomeriggio di buco si era dedicato alla lettura del volume del primo anno di Alchimia, in cui vi era esaurientemente spiegata la nascita etimologica e filosofica dell’Alchimia nella storia.

Finito l’orario di lezioni, dopo aver perso una partita a carte contro Ino e Sakura (le donne era meglio lasciarle vincere…), era salito in camera, aveva letto per un'altra ora, aveva fatto una doccia e si era vestito per scendere a cena. Semplici jeans chiari e felpa grigia con il cappuccio, per non attirare troppo l’attenzione.

Cosa che, a suo dire, era successa comunque. Non gli avevano tolto gli occhi di dosso nemmeno per un minuto, dato che Naruto si era seduto al suo fianco per la cena e, naturalmente al suo fianco, anche Sasuke. Seguendo Sasuke poi, anche un certo Shino aveva preso posto accanto a loro, con una maglia che gli arrivava fino al naso e gli occhiali da sole.

E vabbè, ormai ci si era abituato a sentirsi circondato da gente strana.

Apprese che la messa vi era solamente due giorni alla settimana, la domenica sera e il giovedì sera, e che quindi quella sera poteva tornare in camera in anticipo per riposarsi per bene.

Però, una chiacchiera tira l’altra, alla fine quando rimise piede in camera erano le undici e un quarto passate.

E torniamo, ordunque, al momento in cui Kiba Inuzuka, stanco morto per l’inizio della sua nuova vita accademica, era abbandonato sul suo letto.

Aprendo appena un occhi, notò che avevano provveduto a portargli in camera il televisione e il computer. Ogni camera era dotata di televisore e di personal pc. Inoltre, sulla sedia accanto alla porta del bagno, erano stato appoggiati gli asciugamani da doccia, da lavandino e da bidet puliti.

Certo era che quella scuola aveva un ottimo servizio.

Osservando svogliatamente l’orologio sul comodino, digitale, decise che non aveva assolutamente voglia di alzarsi per infilarsi il pigiama. Un pisolino, anzi, se lo sarebbe fatto volentieri.

E poi, si conosceva. Si sarebbe svegliato in nemmeno mezz’ora, lui non poteva sopportare di dormire vestito… però ora… aveva solo un gran… sonno…

 

Saliva lentamente una rampa di scale illuminata fiocamente dalla luna, senza altre illuminazioni di nessun genere.

Solo la luce bianca e lattiginosa della Luna.

Man mano che andava avanti, quella scala cambiava forma, divenendo inizialmente costernata di piccoli fiori ai lati -campanule e mughetti era quelli che riconosceva meglio- per poi tramutarsi in un tappeto erboso, baciato non più da luce lunare ma da calda, intensa luce solare.

Le scale non erano nemmeno più scale, era ora una collina fatta a gradoni.

Sembrava un mondo fatto a pastello. In lontananza, fra qualche farfalla volante e quel particolarissimo boschetto di bambù che, ovunque girasse, rimaneva sulla sua destra, sentiva alcune voci provenire in mezzo a quello che pareva rumore d’acqua.

 

<< …Inuzuka… >>

 

Proseguì. Non che avesse altra scelta, no?

Cercò di lasciarsi quei bambù a sinistra ma era tutto inutile, anche se andava a destra quel boschetto rimaneva sulla sua destra.

Strano e seccante al contempo, tuttavia proseguì.

Le voci, alte e giocose, provenivano da oltre la collina che ora si trovava davanti, piccola piccola come quella di un campo da golf, messa lì solamente per impedire alle palline di passare oltre e andare nel green.

La scavalcò abbastanza agilmente, trovandosi ora davanti ad un piccolo spiazzo che, in lontananza, terminava probabilmente in un dirupo. No, a considerare dalle voci e dal rumore d’acqua, in una pozza naturale di acqua di falda.

 

<< I…Inuzuka…? >>

 

Era proprio là, sentiva le voci!

Doveva solo superare quello stranissimo albero con le radici all’aria e la chioma sul terreno, e poi era lì.

Poteva sentire le voci dei suoi ex compagni della scuola pubblica, era sicuro che fossero le loro. Quella acuta di Hiromi e quella semi-profonda di Kaito. Poi la gracchiante voce di Zuzu -derivato da Kazuhi- resa tale da quattro anni di sigarette sfilate ai sempai più grandi delle superiori.

Si divertivano sempre insieme, dovevano farlo anche adesso.

<< Aspettatemi! >> urlò, cominciando a correre, finchè non arrivò al ciglio, mettendovici in piedi.

Al di sotto di lui, i suoi amici si divertivano. I suoi vecchi amici senza di lui…

 

<< …ma che cosa…? >>

<< Inuzuka sei… impazzito? >>

 

Portò in avanti il piede destro, pronto a lasciarsi andare…

 

<< Sasuke! >>

<< Ci penso io! >>

 

…Sasuke?

Che c’entrava Sasuke Uchiha in tutto quello?

 

<< SVEGLIATI CRETINO! >>

 

Aprì poi gli occhi sobbalzando, spaventato dal tono dell’Uchiha che si era sentito trapassare il timpano.

Forse stava per urlare qualcosa in risposta, forse per chiedere cosa cavolo ci facesse nella sua stanza nel pieno della notte… o forse, semplicemente, voleva urlare un “ehi! che cavolo c’entri tu qui?” … ma, per un ottimo motivo, gli fiato gli si bloccò in gola insieme al respiro.

Davanti a lui, il viso sferzato dal vento gelido della sera, il giardino interno dell’accademia si stagliava sotto al suo piede destro, che era steso all’aria, come se volesse saltare di sotto.

Cosa che, probabilmente, stava proprio per fare.

<< Cristo! >> sbottò poi, cercando di portare indietro il peso e sbilanciandosi, il cuore in gola mentre si aggrappava alla prima cosa a portata, ovvero il braccio di Sasuke che, in piedi dietro di lui, lo stringeva per la vita tenendolo incollato a sé.

<< Che cazzo ci faccio qui? >> urlò Kiba terrorizzato, portando indietro le mani e aggrappandosi con forza alla maglia nera dell’Uchiha, che non lo mollava nonostante la destra, quella non occupata a trattenere Kiba in una specie di equilibrio su quel davanzale, rimaneva saldamente aggrappata alla parte alta della finestra, evitando ad entrambi la caduta.

<< Taci deficiente e prova a calmarti! >> gli sbottò da dietro il moro, praticamente incollato a lui dato lo spazio ristretto, dicendoglielo direttamente nell’orecchio. << Naruto, tiraci dentro! >> disse poi, voltando appena il capo verso l’interno.

Se ci fu una risposta, Kiba non la sentì. Il rumore del vento unito al battito spropositato del suo cuore non gli lasciavano ascoltare altro che la voce di Sasuke che, per la vicinanza, probabilmente raggiungeva quel numero necessario di decibel da divenire qualcosa di udibile.

Si sentì solamente trascinato all’indietro, cadendo di peso sul pavimento insieme a Sasuke.

Si accorse solamente in quel frangente, avendo cambiato visuale, di essere alla finestra del corridoio delle camere, appena dopo la scalinata. Riconosceva le vetrate, particolari come i fiori di mughetto e campanula impressi nel vetro in colori bianchi e azzurri, alla base di una collina verde sulla quale era raffigurato un angelo ad ali spiegate, che doveva per forza essere un santo di qualche tipo o con qualche nome.

Aspetta… mughetti e… campanule?

Si sentì scuotere alla spalla, poi prendere il volto fra due mani mentre, in quell’azione, si trovò ad osservare la seconda volta gli occhi di Naruto, preoccupati a morte.

<< Si può sapere che cosa ti è preso? Non ti piace la scuola? >> chiese, agitato.

Che cosa stava… dicendo? E lui, lui… che stava facendo?

<< Stavo per… buttarmi? >> chiese Kiba stranito, tornando ad osservare la finestra aperta. << Ero nella mia camera nemmeno due secondi f- >> ma dovette bloccarsi alla vista del suo orologio da polso di Naruto che, in maniera netta, segnava le due e un quarto del mattino.

Aveva davvero dormito così tanto?

Al suo fianco, sbattendo le mani l’una sull’altra per togliere la polvere, Sasuke si alzò in piedi, osservandolo freddamente dall’alto al basso. << A quanto pare sei sonnambulo >> disse solamente, constatandolo logicamente. Naruto, distaccando solamente una mano dal viso di Kiba, volse il suo sguardo a Sasuke: << sonnambulo… per fortuna passavamo di qua… >> lo sentì sussurrare mentre, sospirando, si rilassava.

No. Mai stato sonnambulo in vita sua. E poi, quei mughetti…

Tornò con lo sguardo alla finestra e, proprio in quel momento, gli si gelò il sangue nelle vene.

Sul tetto di fronte, alla flebile luce della luna, una ragazza stava in piedi sulle tegole. La vestaglia bianca si muoveva al vento, i lunghi capelli la accompagnavano

<< Uzuma… >> ma non riuscì nemmeno a terminare il sussurro che, lasciandosi andare, la ragazza si gettò dal tetto.

E cadde, risolvendo il tutto in un tonfo sordo sul cemento del cortile interno.

 

 

 

Chapter No.1 ~ End.

 

 

* riferito al manga/anime Ouran Koko Host Club.

** in giapponese l’ “inu” di “Inuzuka” significa letteralmente “cane”.

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Capitolo 3
*** Quel Confine fra Sogno e Realtà ***


Note: ormai è il posto fisso prima di cominciare è___é

Note: ormai è il posto fisso prima di cominciare è___é

Ok, oggi sono andata al cinema a vedere un film… non so come definirlo… ma che mi ha dato spunto per la fic.

Comincio dunque con i dovuti ringraziamenti e passo subito alla scrittura!

Capitatapercaso: Guarda, concordo con te. Mi svito gli occhi anche io leggendo, e vorrei portarmi la vista fino alla vecchiaia. Ma ho provato a postarlo più in grande e veniva un appiccicume peggio del Verdiana 8 *annuisce* scusa se lo tengo in piccolo, ma sembrava un quadro di Picasso più grande ç____ç. Grazie mille per il commento, il teatrino con tutti i personaggi mi ha fatto morire! E naturalmente il tuo è il commento più lungo XD spero che anche questo capitolo ti soddisfi come pare abbiano fatto gli altri! E grazie per aver letto e commentato! Slice: Ti giuro, non sai quanto sono contenta che ti piaccia il mio stile di scrittura ç_____ç e anche la trama, ovvio, anche se mi sto faticosamente riservando di non ampliarla sempre di più altrimenti mi viene un casino bestiale! XD Tranquilla, andrò a dare un occhio anche alla tue fic *annuisce* te lo devo, dato che tu hai letto e commentato la mia! Grazie mille! Girlstreet: La mia fantasia ringrazia, e anche io XD Grazie mille per aver letto e commentato!
LalyBlackangel: Ci avevo effettivamente pensato di inserire una KibaIno per un pezzo di trama, ma la mia anima da yaoiomane si è rivoltata stile sottiletta
. E, alla fine, le mie mani non ne hanno voluto sapere di scriverne un pezzo. E il fatto che il mio corpo prenda da solo di questa iniziative mi inquieta grandemente… XD so che mi si aprirebbero molte porte, ma ho uno schema e preferisco tenerlo così com’è; se comincio a cambiare particolare addio linea generale di pianificazione! Grazie per avere letto e commentato, spero che ti piaccia anche questo capitolo! Shichan: Beh, aibou, quello che dovevo dirti te l’ho detto in separata sede, cmq grazie XD VavvyMalfoy91: Dovrebbero metterli fuori legge i tuoi commenti, mi fanno sentire troppo brava, e questo non va bene! >___< che dire, sono felice di rientrare nelle tue divinità.org, nessuno mi aveva fatto salire al livello divino fino ad oggi! *_____* che bello, si vede il mondo dall’alto! *sta seduta sul trono* … oh myself, torniamo con i piedi per terra che è meglio. Oltre a ringraziarti per aver letto e commentato, per il momento non so che altro dire! XD Spero che ti piaccia anche il terzo capitolo, e spero anche che la mia vena creativa non mi mandi a quel paese proprio ora >.> OnlyAShadow: Non sei solo tu a saltare delle parti, ma anche io che mi perdo nello spiegarle, probabilmente XD Grazie mille per aver letto e commentato! Kagchan: Sì, anche io seguo l’Ouran XD e anche io ho tutti i numeri del manga fin’ora usciti, ovvio ù____ù. Grazie mille per aver letto anche questo capitolo! XD

Oh, un’altra cosa. Questo capitolo sarà parecchio Kiba-centric. Mi dispiace di non poter ancora dare spazio al SasuNaru, ma per esigenze di trama devo sviluppare prima Kiba, poi passare agli altri due U___U. Comunque più avanti ce ne sarà a volontà.

Ok, fine delle comunicazioni di servizio!

.:: Enjoy! ::.

 

 

 

Chapter 02 ~ Second Echo

Quel Confine fra Sogno e Realtà

 

Era rimasto a guardare il lenzuolo bianco sotto cui vi era il cadavere della ragazza suicida fino alle sei del mattino, ora in cui la preside aveva deciso di portare il corpo nei sotterranei.

E lui, lo sguardo vuoto piantato su quel lenzuolo, non aveva mai smesso di fissarla, poggiato al davanzale della finestra da cui, per una qualche ragione che non riusciva a capire, stava per buttarsi a sua volta.

Aveva visto arrivare praticamente tutto il corpo insegnanti, da quella finestra. Per primi la preside e il vicepreside, madamigella Tsunade in pigiama e vestaglia verde di seta e il pallido volto di Orochimaru, le labbra sottili piegate in un ghigno sadico alla vista del sangue che macchiava il cemento del cortile interno.

Successivamente era arrivato correndo il vescovo della chiesa, sua eccellenza Jiraiya, in pigiama a sua volta e con la lunga chioma di capelli bianchi lasciai cadere lungo la schiena.

Poi, uno ad uno, tutti gli insegnanti. Aveva riconosciuto la zazzera argentea del maestro Kakashi chinarsi sul cadavere, sollevare appena il lenzuolo e guardarlo per qualche istante.

Si chiedeva come facevano a non vomitare, dato che lui aveva la nausea solamente a guardarlo da lì. Poi, senza cambiare nemmeno posizione, si domandava perché pensasse a queste cose stupide proprio in un momento come quello. Quella ragazza era morta, santo Cielo, e lui l’aveva sognato con 24 ore d’anticipo!

Tutto nello stesso, identico, fottutissimo ordine.

Ma, ovviamente, non ne avrebbe fatto parola con nessuno. Non ci pensava nemmeno.

Dopotutto poteva essere una coincidenza. Una strabiliante coincidenza, a dirla tutta.

Ma si sa, gli esseri umani possono credere a tutto, persino alle loro stesse menzogne.

Naruto era rimasto con lui per tutto il tempo, appoggiato con un braccio intorno alle sue spalle e la fronte accanto alla sua spalla. Molte volte aveva tentato di dissuaderlo da rimanere a guardare, tentando di convincerlo a tornare in camera, ma non c’era stato verso.

Semplicemente perché non riusciva a muoversi da quella finestra.

Non aveva mai visto nessuno morire, in vita sua…

Pian piano tutti si ritirarono nelle loro stanze e quando anche la preside stava per andarsene, Sasuke la intercettò. Lasciando Kiba nelle mani di Naruto era sceso al pian terreno, in modo da poter parlare con madamigella Tsunade. E, dal modo in cui entrambi girarono il volto in sua direzione, capì al volo che parlavano di lui.

E cosa doveva dirgli: “madamigella Tsunade, Kiba era sonnambulo e stava per lanciarsi dalla finestra”? Bel lavoro, e la preside cosa avrebbe dovuto farci, dato che ora aveva un cadavere nelle cantine?

Non vide come andò a finire la discussione, non ne ebbe improvvisamente voglia.

D’un tratto si sentiva sfinito, senza energie.

Salutò Naruto, rifiutando gentilmente la sua offerta di accompagnarlo fino alla camera e, a passo lento, tornò a letto. Tanto, come avvertirono poche ore dopo, le lezioni del giorno erano state annullate.

Ed era sul quel letto che ancora stava, cercando un sonno che da ore non aveva intenzione di arrivare. Non aveva nemmeno tentato di cambiare posizione, rimanendo sul fianco con il volto in direzione della porta, le mani abbandonate accanto al viso.

E non aveva chiuso occhio nemmeno per un istante, fissando costantemente e senza guardarlo davvero l’angolo della porta in basso a destra, come se ci fosse un motivo di valore esistenziale in quella precisa zona del muro.

Distolse lo sguardo solamente quando, rompendo violentemente il silenzio, bussarono due volte alla porta.

Silenzio. Il silenzio di chi aspetta una risposta e, d’altra parte, il silenzio di chi non aveva la forza di aprir bocca per fornirla.

Bussarono di nuovo dopo poco, insistentemente. << Inuzuka, sei in camera? >> si aggiunse al rumore sordo appena provocato.

Riconosceva il timbro.

Sospirò, raccogliendo le braccia sotto al torace e, puntellandosi sul materasso, fece forza per sollevarsi. Le gambe, dopo ore ed ore passate in posizione fetale, si opposero con il dolore al suo tentativo di alzarsi, venendo tuttavia vinte dalla volontà del loro proprietario.

Si alzò in piedi barcollando e, con qualche passo un po’ malfermo raggiunse la porta, sbloccandone la serratura con un giro di chiave. Appoggiando poi la destra sul pomello, lo girò in senso orario fino ad aprire la porta.

Come aveva immaginato. Davanti a lui, con in mano un vassoio di legno laccato con sopra qualche pietanza, Shikamaru Nara lo osservava con i suoi occhi neri e sottili, i capelli tirati nella solita coda alta.

Lo osservò con gli occhi socchiusi e gonfi, ricevendo in cambio lo sguardo pigro ma preoccupato del moro, che gli sorrise appena. << Pensavo non fossi in camera >> disse, posando gli occhi sul cibo che trasportava << ti ho portato qualcosa da mangiare, Naruto mi ha detto che non sei sceso a pranzo e nemmeno a colazione >> aggiunse, probabilmente per sopperire al silenzio di Kiba, che stava semplicemente in piedi a guardarlo.

Kiba abbassò lentamente gli occhi sul vassoio, storcendo appena il naso quando il suo stomaco si chiuse, facendogli notare la poca voglia che avesse di mangiare qualsiasi cosa. Soprattutto, come in quel caso, la macedonia con yougurt che il moro gli aveva portato su dalla mensa.

<< Non ho fame… >> sussurrò solamente, ritornando con le iridi castane su quelle scure di Shikamaru.

Il moro sospirò, allungando comunque il vassoio a Kiba che, più per riflesso condizionato che per altro, lo afferrò. << Immaginavo una risposta simile, ma il signor Ichiraku ha insistito perché ti portassi almeno della frutta. Naruto voleva rifilarti del ramen, dovresti ringraziarmi >> disse, portandosi poi le mani in tasca e osservandolo con la sua solita, classica espressione seria e pigra al contempo.

Il signor Ichiraku era il capocuoco della mensa. Faceva un ramen eccezionale, a sentire Naruto, ma cucinava benissimo anche molte altre cose. Aveva la vaga sensazione che quell’uomo si affezionasse in fretta a tutti coloro che apprezzavano la sua cucina, per questo si era preoccupato di mandargli qualcosa da mangiare, non avendolo visto né per colazione né per pranzo.

Figurarsi che aveva perso la cognizione del tempo, non sapeva nemmeno che ore fossero al momento.

Tuttavia, non sembrò gradire la risposta. Ringraziarlo? Ringraziarlo per cosa, per una misera terrina di macedonia con un barattolino di yogurt sopra? Ringraziarlo per essere sparito per un giorno intero? Ringraziarlo per non essere stato con lui, mentre quella ragazza si buttava dal tetto? Ringraziarlo per cosa, per essere ricomparso quando non ce ne era bisogno?

<< Non te l’ho di certo chiesto io >> fu la risposta del castano, la voce sibillina e lo sguardo basso.

Ma cosa… stava pensando? Idiota, non aveva di certo bisogno di Shikamaru. Sapeva badare a se stesso, santo Cielo.

Nonostante il tono palesemente ostile della risposta il moro non fece una piega. Forse se l’aspettava o forse semplicemente non gli importava, in ogni caso la cosa sembrava non toccarlo minimamente. Era la seconda volta che lo notava, Shikamaru riusciva a mantenere un controllo quasi perfetto sulle sue emozioni.

Chiuse poi gli occhi, sorridendo ironicamente. << Hai ragione >> rispose, voltandosi a destra e cominciando a dirigersi in direzione delle scale, in silenzio.

Il castano lo osservò senza aggiungere nulla, mordendosi il labbro inferiore mentre lo seguiva nella sua camminata lenta e tranquilla. Una parte di lui lo faceva sentire in colpa per come gli aveva risposto; dopotutto era solamente venuto a portargli della frutta… ma un’altra parte, quella nascosta più in profondità nel suo istinto, gli diceva di essere nel giusto, gli diceva che nessuno si sarebbe mai fatto passare per il cervello di andare a disturbare uno che aveva assistito poche ore prima ad un suicidio, gli diceva che Shiakamaru non capiva nulla di come si sentiva in quel momento, che era solo uno stupido.

Tuttavia, sembrò vincere la ragione, questa volta.

<< Scusami >> gli disse, prima che il moro si fosse allontanato troppo. Ovviamente non sollevò lo sguardo oltre sue le gambe, notando solamente che, fermandosi, si era voltato leggermente verso di lui… e questo era sufficiente.

Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi. Anzi no, non aveva bisogno di guardarlo negli occhi.

Non vide l’espressione che fece Shikamaru ma, a giudicare dall’intonazione, probabilmente si aspettava anche le sue scuse. Eh sì, doveva proprio chiederglielo come facesse a capire così facilmente cosa gli passasse per la mente.

<< Non fa nulla >> rispose infatti il ragazzo << considerando quello che hai passato, va bene così >> aggiunse, le mani ancora nelle tasche quando si girò di nuovo, ricominciando a camminare.

<< Ah, Nara? >> aggiunse poi, alzando la voce in modo tale che il moro potesse ancora sentirlo.

Cosa che accadde, dato che si fermo pochi passi dopo, voltandosi in sua direzione e attendendo in silenzio la domanda.

<< Come… si chiamava, la ragazza? >> chiese, questa volta guardandolo in volto.

<< Agatha >> rispose il moro, alzando una mano in segno di saluto e incamminandosi nuovamente verso le scale, ormai non troppo distanti.

Kiba sorrise appena, osservando la sua schiena mentre si allontanava. E, in un pensiero quasi buffo, gli venne in mente: anche Shikamaru portava la divisa come lui e Naruto; nello stesso, identico modo.

 

Stava seduto sul banco, la camicia da notte in seta bianca a mezze maniche e collo alto. I capelli biondi gli ricadevano morbidi sulla spalla destra, racchiusi in una treccia ordinata che terminava in un fiocchetto nero.

Di nuovo così, di nuovo come l’altra volta.

Si sentiva Kiba ma, allo stesso tempo, era come se non lo fosse.

E, di nuovo, era triste di una disperazione talmente profonda da non riuscire nemmeno a ricordarsi cosa si provasse ad essere semplicemente felici.

Oppure, semplicemente a sorridere.

C’era, ma era come se non ci fosse. Vedeva le sue mani, il suo corpo che suo non era, i capelli che mai in vita sua erano stati così lunghi, o di quel colore.

Chi era lui? Chi era la persona di cui ora aveva le sembianze e le sensazioni?

Chi era, colei con la quale riusciva a sincronizzarsi così?

…che domande si stava… facendo?

Abbassò lo sguardo sui suoi polsi, lievemente, canticchiando a bassa voce una canzoncina con voce acuta e melodiosa mentre, con la destra, quasi abitudinariamente staccava il pezzo di scotch medico che teneva ferma una benda, cominciando a srotolarla.

<< Balla la notte sopra la Terra, balla la Luna nell’oscurità…  >>

Srotola, srotola… l’odore di disinfettante che diveniva quasi fastidioso.

<< Scende il buio nella mia mente, scende la notte sulla realtà… >>

Tagli, tagli, tagli… decine, forse di più, di piccole tracce lineari su una pelle arrossata e martoriata.

Bruciavano, bruciavano come il ghiaccio, di quel dolore sordo e silenziosamente lacerante.

<< Giudica la colpa, giudica la pietà. Ma il perdono è qualcosa che non arriverà! >>

All’ultima parola, all’ultima nota, la mano destra si alza davanti al volto. L’unghia dell’indice, facendogli dolere i tendini della mano fino a fargli fischiare le orecchie, cresce fino ai venti centimetri, affilata quanto un rasoio e, con un movimenti abile e veloce, recide in un lampo la pelle del polso destro, ora scoperto dalla benda, lasciata posare a terra in un piccolo mucchietto bianco e scarlatto.

Sangue.

Scorre lentamente, caldo, colando lungo il polso fino al braccio, cominciando a gocciolare sulla vestaglia bianca, macchiandola di tracce rubine che ne inquinano la purezza, il candore di quel bianco quasi angelico.

Al collo, un crocefisso d’oro.

<< Non c’è redenzione per noi, Signore. Non c’è pietà per noi, Signore >> continua, alzando il braccio.

E colpendosi. Ancora. Ancora. Ancora.

Ancora uno, ancora più profondo.

E il sangue scorre nella notte nera, rendendo tutto scuro e freddo, finchè il liquido vitale non colora anche l’;oscurità di scarlatto brillante, di caldo rubino tremante di vitalità.

Finché la vista non si affievolisce, finché l’udito pian piano non svanisce…

L’ultimo battito debole di un cuore straziato dal peccato.

Da un peccato che, lui, non sapeva nemmeno quale fosse.

Il peccato invisibile del peccatore di cristallo.

 

Aprì lentamente gli occhi, senza fiato, trovando tuttavia difficoltà nel mettere a fuoco il soffitto bianco.

Notte. Era ancora notte, per fortuna.

E stava… piangendo. Per quello non vedeva.

Una caldo velo di lacrime gli riempiva gli occhi, scendendo lentamente lungo la gota, arrivando a sfiorare l’orecchio in una preziosa scia salata di tristezza.

Che cos’era? Quello… che cos’era?

Basta, basta! Quante volte ancora doveva sognare gente che si toglieva la vita? Agatha non era bastata?

Evidentemente no.

Trattenne il fiato per non singhiozzare, appoggiandosi l’avambraccio destro sugli occhi come se qualcuno potesse vederlo e lui, orgoglioso, non volesse farsi vedere. Gli uomini non piangono, solo le donnicciole lo fanno.

Si morse le labbra, trattenendo il respiro il più possibile, ma fu inutile: prima o poi lui avrebbe dovuto respirare e, prima o poi, avrebbe emesso, volente o nolente, quel singhiozzo che cercava invano di trattenere.

E, nonostante fosse fisicamente da solo, in realtà non lo era. Perché lui doveva fronteggiare il suo orgoglio e, in questo caso, non si è mai soli.

Respirò dunque lentamente, concentrandosi e facendo entrare aria lentamente all’interno dei polmoni. Doveva calmarsi, se respirava lentamente ce l’avrebbe fatta non lasciarsi andare, a non piangere come una femminuccia.

Anche questo merito di sua sorella, a cui aveva visto fare le respirazioni per calmarsi, prima dell’esame. Diamine, quella ragazza si stava rivelando più utile del previsto.

Pensando alla sorella si rese improvvisamente conto di una cosa; mentre sua madre lo chiamava non appena sembrava avere un attimo libero, sua sorella non si era ancora fatta sentire. Aveva detto che gli avrebbe mandato delle e-mail… già, figurati se si disturbava a prendere in mano un telefono e comporre un numero, troppo semplicistico per la signorina college-dei-sogni.

Sospirando si alzò, finalmente calmo, scostando le lenzuola con un la destra e si diresse con qualche passo verso la scrivania, sedendosi sulla sedia girevole.

Accese il computer, attendendo che il sistema caricasse le impostazioni.

Lo sguardo scivolò sulla porta chiusa, rimanendovi incatenato. Se il sogno era come quello precedente… forse in questo momento… all’interno di una delle classi…

No. Non aveva intenzione di crederci un secondo di più. Tutta quella faccenda di Agatha era una coincidenza, soprattutto quella che riguardava il suo sogno e, comunque, se anche fosse accaduto che qualcuno si tagliasse le vene, se doveva prendere in considerazione la precedente esperienza il cosiddetto “suicidio” sarebbe avvenuto dopo 24 ore. Si rifiutava di dare ragione ai suoi sogni… anche solo pensarlo era idiota.

Con un piccolo suono, il computer evidenziò l’avvenuto caricamento delle impostazioni. Il suo sguardo si distolse dalla porta, andando allo schermo luminoso nel buio della camera.

Era lampante che non aveva ancora messo mano a quel computer. Effettivamente, da quando era arrivato, non aveva ancora avuto occasione per lavorarci e, dunque, per personalizzarselo.

Tuttavia, avendo una casella e-mail in comune per tutta l’accademia, almeno quella non doveva impostarla tutta da capo.

Spostò il mouse sull’icona delle mail, ciccando velocemente due volte. Una volta aperto, cliccò l’icona “invia/ricevi” aspettando che avesse terminato di scaricare tutte le varie mail che gli erano arrivate.

In tutto, erano 3.

Aprì subito la prima, proveniente dal centralino della scuola; ovvero dalla segretaria di madamigella Tsunade, la signorina Shizune. Comunicava le regole dell’accademia, i coprifuoco, i titoli dei libri dell’anno in corso e faceva i personali auguri per la recente ammissione alla scuola.

Non vi era obbligo di risposta e lui, figuriamoci, non ne aveva nemmeno intenzione.

Aprì la seconda e-mail che notificava la presenza in rete di uno di quei super-virus informatici di nuova generazione che ti distruggeva l’hard-disk in venti millesimi di secondo, magari facendo anche una giravolta, qualche capriola, e facendo apparire una scimmia in mutande che ti cantava le Tagliatelle di Nonna Pina sullo schermo mentre il piccolo, insignificante codice numerico binomiale comunemente chiamato “virus” si ingoiava i tuoi dati e chiedeva anche caffè e grappino.

La metà di quelle mail di notifica risultava poi una farsa, dunque la ignorò direttamente, cancellandola.

Finalmente l’ultima portava come titolo un certo “Cagnolino” che, ne era sicuro, poteva appartenere ad una persona sola.

Sua sorella; e la sua mania di chiamarlo ancora come quando era bambino, sfottendolo appena vi era l’occasione.

La aprì, leggendola velocemente. Il testo consisteva in due righe, neanche così tanto sentite, in cui chiedeva se la nuova scuola fosse interessante e se avesse incontrato qualche tipo carino da presentarle.

…per chi l’aveva preso, per una delle sue amichette chit-chat?(*)

Tuttavia, mentre pensava a cosa rispondere con la faccia di chi deve scrivere al despota di turno, pensò che, effettivamente, la risposta sincera alla domanda “com’è la scuola?” sarebbe stata talmente esauriente da farle venire un infarto sul posto, ovunque avesse letto la mail di risposta.

Una cosa tipo: “vedi sorella, la scuola sembra uno zoo alieno degno di un libro fantasy, di cui tu dovresti sapere qualcosa. Mancano solo Edward Cullen e Jacob Black (*2) ed è finita la collezione. Il mio professore legge gli stessi libri che leggevi tu qualche anno fa e, tieniti forte, il mio impiego nel mondo sarà quello di fare l’Alchimista. Non chiedermi che reddito hanno gli alchimisti, ma se ti si rompe qualcosa te lo posso aggiustare nel giro di venti secondi!” non sarebbe stata assolutamente male.

Incisiva, sufficientemente esplicativa, senza ombra di dubbio da infarto del miocardio.

Tuttavia, lo ammetteva con se stesso, credibile come gli asini volanti.

Sbadigliando più per noia che per sonno sbuffò, decidendo di adottare la più classica forma del “qui tutto bene, scuola tutto bene, professori strani ma tutto bene. Tu?” battendo il record della sorella, concludendo tutto in nemmeno mezza riga di testo. Dopotutto chiedeva solo per gentilezza, non che si aspettasse veramente una risposta a cui, sempre per educazione nei confronti della famiglia, avrebbe dovuto rispondere nuovamente.

E, senza offesa per la madre, ma uno scambio di mail con la sorella maggiore non era la sua massima aspirazione.

Decise dunque di chiudere il programma e, osservando l’orologio, prese la solenne decisione di risistemare quel computer a modo suo. Cominciando, per esempio, a scaricare della musica… o meglio, scaricando il programma per scaricare la musica, dato che quel PC era più vuoto del suo stomaco.

Tanto, non si sarebbe riaddormentato comunque.

 

Il giorno dopo la sua espressione a lezione diceva solamente una cosa: “letto, cuscino, buonanotte”.

Se ne stava seduto al banco, ascoltando le varie chiacchiere mattiniere di Ino e Sakura senza tuttavia sentirle davvero. Non si ricordava nemmeno quando aveva dato loro il permesso di chiamarlo per nome, il che è tutto dire.

Le normali quattro ore di lezione erano passate senza che se ne accorgesse, mentre il maestro Kakashi spiegava qualcosa su un tratto dei cerchi alchemici con la sua solita flemma. Aveva preso appunti piuttosto confusionari, dato che non aveva ancora ripreso tutti gli argomenti dei primi due anni, ma almeno aveva fatto del suo meglio per stare attento, fra uno sbadiglio e l’altro.

Pensandoci attentamente, aveva passato quattro ore al computer, prima di scendere a colazione.

Computer che ora sembrava un po’ più il suo e un po’ meno uscito da uno scatolone.

Si era completamente scordato del sogno, della ragazza, di Agatha e del suo sonnambulismo. Anzi, aveva appositamente fatto in modo di  non pensarci, cercando di dimenticare.

Non era tipo da perdersi in pare mentali che potevano non avere né capo né coda.

<< Inuzuka! >> si sentì poi chiamare, interrompendo i suoi pensieri.

Alzò il volto in direzione della porta, notando che la classe era quasi vuota e solo qualche compagno si attardava a chiacchierare ai banchi. Era già suonata la campana? E quando?

Là, in piedi accanto allo stipite, Naruto Uzumaki aveva alzato una mano in sua direzione. Aveva in mano una specie di scatolone in legno scuro e, al polso destro (la mano con cui tratteneva quella scatola) pendeva una sportina bianca di plastica. Lui si alzò, lasciando come al solito la cartella in classe e avvicinandosi al biondo.

<< Yo, Uzumaki >> salutò, portando una mano al viso per coprire l’ennesimo sbadiglio.

<< Yo, Inuzuka >> rispose a tono il biondo << dormito poco? >> aggiunse subito dopo.

Kiba aprì un occhi durante lo sbadiglio, aspettando di terminarlo prima di rispondergli << dormito male >> disse, sfregandosi gli occhi con la mano destra << incubi >> aggiunse in spiegazione, rimanendo però sul vago.

La reazione che ebbe Naruto lo lasciò interdetto, semplicemente perché non se la aspettava. Prima lo osservò stranito, per poi abbassare lo sguardo e puntare le iridi azzurre sull’angolo della porta. Inconsciamente poi fece un passo indietro, incontrando lo stipite della porta. << Mi… dispiace >> aggiunse infine, sorridendo imbarazzato.

Ma che aveva capito? Che stesse pensando a quella storia di Agatha?

<< Guarda che non è colpa del… beh, di quello >> chiarì subito Kiba << ultimamente mi capita di fare sogni… strani. Ma credo sia a causa del cambio di ambiente. Insomma, sono nella scuola da poco tempo… >> aggiunse, infilandosi le mani in tasca come al solito.

Naruto sembrò sollevato e, a riprova di questo, sospirò profondamente. << Meno male >> disse poi, sorridendo allegro. << Bene, ora andiamo a pranzo che sto morendo di fame! >> esordì, prendendo Kiba per un gomito e, ridacchiando, cominciò a tirarlo in corridoio.

<< Uzumaki, so camminare anche da solo! >> sbottò il castano mentre veniva letteralmente trascinato per il corridoio, sotto gli sguardi talvolta interdetti e talvolta divertiti di quelli che incrociavano.

<< No! Poi va a finire che ti perdi di nuovo! >> lo sfotté il biondo, continuando a tirarlo.

Kiba, per tutta risposta, gli diede un pizzicotto sulla mano, cosicché il biondo fu costretto a mollarlo per cause di forza maggiore. << Ahio! Fa male! >> si lamentò, massaggiandosi il dorso della mancina.

<< Uomo avvisato mezzo salvato >> ribatté Kiba, ricominciando a camminare affiancandosi al biondo. << Piuttosto, non stai con Uchiha oggi? >> chiese soprapensiero, seguendo l’altro lungo il corridoio prima di svoltare lungo il ponte sospeso.

Veniva chiamato “ponte sospeso” perché era un corridoio letteralmente sospeso sopra il giardino interno, che lo attraversava per tutta la lunghezza, connettendo l’edificio delle classi ad un edificio più piccolo, dove vi era la biblioteca. Poteva essere raggiunto anche dal basso, tramite due corridoi che andavano paralleli al piano terra, ma sicuramente la camminata sul ponte era molto più apprezzabile. Entrambi i lati del ponte erano fatti per di finestre, dal soffitto a punta fino al pavimento, e la stabilità alla struttura era data da una particolare sospensione ad arco stile Golden Gate Bridge, però al contrario. Due enormi archi, infatti, univano le due estremità del ponte, da cui partivano diverse corde in acciaio che di collegavano al tetto e trattenevano il corridoio in una immobilità perfetta, anche in caso di tempesta. Geometricamente, era come se il ponte sospeso fosse la corda di una semi-circonferenza.

Poteva essere anche romantico, sotto certi punti di vista.

<< Non pranziamo mai insieme >> rispose Naruto con semplicità, voltando il capo in sua direzione << Sasuke solitamente mangia con il Signore delle Mosche e altri della nostra classe. Credo sia una specie di cosa tipo “pranzo con gli amici e cena insieme” Ma è abitudine, più che altro >> terminò, arrivando velocemente alla fine del ponte sospeso.

Ah, dunque Uchiha non era allergico ai rapporti sociali…

<< Il Signore delle Mosche? >> chiese però Kiba, alzando un sopracciglio.

<< Shino Aburame >> rispose velocemente Naruto, annuendo come se fosse una cospirazione solo fra loro due << Quello con cui abbiamo pranzato l’altra sera. è un Esper ed è in classe con Shikamaru. Comanda gli insetti come vuole, è roba da non credere… >>

Certo, parlava la reincarnazione della Volpe a Nove Code…

<< Ah. Abilità… >> ci pensò sopra un momento << …schifosa. Stavo per definirla interessante ma mi manca il coraggio per farlo >> ribatté il castano, mostrando la lingua in segno di disprezzo.

<< Già, concordo… >> aggiunse Naruto, guidandolo ora diritto lungo la porta esattamente di fronte alla fine del ponte sospeso. Con una leggera pressione sulla maniglia il biondo la aprì, cominciando poi a salire la scalinata semibuia che gli si era presentata davanti.

<< Dove porta? >> chiese Kiba seguendolo, salendo i gradini giusto dietro di lui.

<< Lo vedrai >> rispose Naruto, arrivando velocemente alla fine di quella scalinata, dopo una leggera curva a 90° della stessa.

Una volta che Naruto ebbe aperto anche la seconda porta, un fascio di luce esterna lo investì in pieno, facendogli chiudere gli occhi per un istante. Una volta che si fu abituato alla luce, la visione di un cielo azzurro e soleggiato tipico settembrino si scontrò con quella di un terrazzo non molto largo, ma sufficientemente grande per permettere a un gruppo di amici di riunirsi per pranzare insieme.

La veranda sarà stata ampia circa tre metri per quattro e dietro di loro, ovvero a livello della porta da cui erano entrati, il tetto di quello che doveva essere l’edificio della biblioteca scolastica era formato da tegole di cotto color blu, molto particolari, con un crocefisso dorato in cima ad una piccola torretta.

Probabilmente avevano ripreso lo sfondo cromatico della chiesa, elaborata in un stile gotico in un tipo pregiato di marmo dalle sfumature azzurre, soprattutto in giornate limpide come quella.

Uno volta che il suo sguardo si fu completamente abituato alla luce, Kiba poté finalmente vedere a quale “gruppo” si riferiva Naruto quando, qualche giorno prima, lo aveva invitato ad unirsi a “loro”. Sulla destra, seduto a gambe incrociate, un ragazzo grasso e dai capelli lunghi dal colore castano chiaro sgranocchiava un pacchetto di patatine. Aveva la giacca della divisa completamente slacciata, la cravatta assente, ma si poteva vedere benissimo una croce in oro appuntata sopra lo stemma. Un Esorcista, anche se non lo sembrava affatto. Cos’è’ che esorcizzava esattamente, i pacchetti di Cipster?

Dalla parte opposta, steso a terra con le braccia portate dietro la nuca, Shikamaru “ciuffo ad ananas” Nara osservava le nuvole che, pigramente, si rincorrevano nel cielo nella piacevole brezza di fine mattina.

<< Yo raga! >> salutò allegramente Naruto, alzando in aria la mano con lo scatolone e la sportina << il cibo per i campioni! >> aggiunse poi, attirando l’attenzione degli altri due.

<< Ti prego Naruto, sembra la pubblicità della Friskies… >> commentò Shikamaru, alzandosi quasi faticosamente dalla sua posizione distesa, osservando solo adesso Kiba, in piedi a fianco del biondo. << Oh, Inuzuka >> commentò solamente, alzando una mano in segno di saluto.

<< Nara >> salutò cortesemente Kiba, alzando la mano sinistra a sua volta. Un leggero venticello muoveva la giacca delle loro divise e faceva ondeggiare i capelli del ciccione, dato che erano sicuramente i più lunghi.

<< Finalmente Naruto, sei in ritardo! >> esordì invece l’altro ragazzo, allungando subito le mani verso il biondo << hai preso il mio pranzo, eh? Ichiraku ha preparato la mia bistecca preferita anche oggi? >> cominciò a domandare, osservando Naruto come se dovesse mangiarselo al posto del pranzo, se non glielo consegnava subito.

<< Per chi mi hai preso, animale! Io non sono il tuo cameriere! >> ribatté il biondo, alzando la scatola nera sopra la sua testa << prima le dovute presentazioni >> aggiunse poi, girandosi in direzione di Kiba.

<< Dato che Shikamaru lo conosci già… >> cominciò dunque il biondo << …ti presento Choji Akimichi, ha la nostra età. Choji, questo è Kiba Inuzuka, il novellino degli Alchimisti >> disse tranquillamente Naruto, indicando Kiba con il pollice.

Sospirò rassegnato. Per quanto ancora doveva essere chiamato “novellino” in quella cavolo di accademia?

Osservò Choji con espressione rassegnata, convincendosi mentalmente a sfoderare un sorriso abbastanza credibile. Perché veniva trascinato sempre in giro, perché?

<< Piacere >> disse quello, sorridendo << puoi chiamarmi Choji se ti va, a me non interessa >> rispose allegro.

Kiba rimase sorpreso per un attimo. Nonostante la stazza, quel tizio sembrava buono come un pezzo di pane e, di certo, non appariva pericoloso e/o potenzialmente omicida e/o un mezz’angelo/mezzo demone frustrato con crisi da sterminatore.

Beh, essendo un Esorcista la sua particolarità poteva essere solamente quella di vedere le cose ultraterrene, no?

<< Ah, grazie. Anche tu chiamami pure Kiba >> rispose, automatismo di cortesia, e Naruto prese la palla al balzo: << allora anche io! >> disse contendo, circondandogli le spalle con la mano libera dall’ingombro del pranzo << tu chiamami Naruto. E anche Shikamaru, ovvio! >> aggiunse subito, coinvolgendo con un sorriso anche il quarto membro, che definire svogliato era una presa per i fondelli. Shikamaru si limitò ad un’alzata di spalle.

Bene, quelle quattro persone erano passate autonomamente al livello “amici” senza nemmeno sapere come.

Beh, almeno avrebbe avuto qualcosa da dire all’ennesima telefonata della sua madre schiavista e militarista.

<< Naruto, vorrei pranzare prima dell’anno nuovo >> intervenne poi Shikamaru, distogliendolo dai suoi pensieri.

<< Esatto Naruto, io ho fame! >> aggiunse Choji, facendo segno con la mano di passargli il tanto agognato pranzo.

<< Va bene, va bene! Asociali! >> disse poi il biondo, distaccandosi dalle spalle di Kiba e indicandogli il posto alla destra di Shikamaru, ultimo per chiudere il cerchio.

Dopo essersi seduto, in contemporanea a Naruto alla sua destra, sorrise. Fare parte di quel gruppetto lo faceva sentire come quando, alla scuola pubblica, Zuzu lo aveva trascinato sul terrazzo con un panino al latte e una lattina di coca da dividere. Si sentiva parte… della scuola, in un certo senso, e non solo come comune essere umano dal senso dell’orientamento ancora nullo, vagante per i corridoi in cerca di qualcosa di indefinito e con la fortuna talmente assente da incontrarsi tutti i soggetti più pericolosi in circolazione.

Diamine… questa descrizione gli calzava proprio…

Si voltò poi verso Naruto, ora intento ad aprire i vari sacchetti e scatole. << Bene bene, le ordinazioni per i signori >> cominciò, scherzando, il biondo. << Shikamaru, per te il solito bento(*3) misto. Ichiraku mi ha detto che oggi ci ha messo le omelette perché aveva finito il salmoneA dire ilm >> disse, estraendo dal sacchetto una scatolina in legno nero, che passò poi a Shikamaru.

Il moro rispose con un semplice “mhdi approvazione, sfilando il coperchio e prendendo le bacchette che Naruto gli stava passando. All’interno vi era da una parte riso, dall’altra un misto di insalata e altre verdure spezzettate, uova sode tagliate ordinatamente, gamberetti ben ripuliti e cinque omelette con prosciutto e formaggio.

Sembrava molto invitante.

<< Kiba, Ichiraku ha detto che ami la carne di pollo, così ti ha preparato un panino con insalata di pollo >> disse Naruto rivolto in sua direzione, consegnandogli il resto del contenuto della sportina in plastica.

<< Sì, va benissimo! >> rispose Kiba, estraendo subito la mezza baguette debitamente avvolta dalla carta stagnola. Quel cuoco era fenomenale, si ricordava persino i suoi gusti da quell’unica volta che gli aveva chiesto il panino al pollo al posto della minestra… incredibile.

<< Per me, il mio ramen di miso! >> esclamò poi il ragazzo, estraendo dalla scatola in legno nero una ciotola con un pezzo di pellicola sopra. << Tesorino mio adorato, farai presto parte di me… >> disse, strusciandosi contro la ciotola per qualche istante, prima di passare all’ultimo ragazzo. << Choji, per te il solito chilo e mezzo di carne grigliata >> disse, avvicinandogli il resto della scatola.

Kiba faticò ad ingoiare l’ultimo boccone, rischiando seriamente di strozzarsi con il pollo e l’insalata che gli stava attorno. Quanta carne aveva detto che si ingoiava quel bidone?!

<< Come fai a strafogarti con tutta quella roba? >> chiese senza tatto, osservando Choji con occhi sgranati inforchettare cinque fette di carne e metterle in bocca.

<< Per Choji è normale >> intervenne Shikamaru, evidentemente abituato allo spettacolo << ci farai l’abitudine >> concluse solamente, sotto l’annuire convinto di Naruto, anche lui con la bocca piena di ramen.

<< …sì, certo… >> anche se, a dire il vero, non ne era affatto convinto. << Piuttosto Uzum… Naruto >> si corresse solamente all’ultimo istante, facendo sorridere il biondino << come faceva Ichiraku a sapere che venivo a mangiare con voi? >> chiese.

<< Gliel’ho detto io >> rispose semplicemente lui, risucchiando l’ultimo spaghetto di miso. << Avevo intenzione di invitarti, così gli ho detto di preparare anche qualcosa per te >> aggiunse allegro.

<< Noi non mangiamo mai in mensa >> si aggiunse Shikamaru, osservandolo con la sua solita faccia scocciata << era questo che volevi chiedere? >> chiese, afferrando con le bacchette un po’ di riso e portandoselo alla bocca.

Ma come diavolo faceva sempre, quello?!
<< …un giorno mi dirai come fai a leggermi nel pensiero >> gli rispose il castano, Shikamaru sorrise appena.

<< La mensa è troppo rumorosa >> rispose per lui Choji, che aveva già divorato tutta la carne. << gente che va e che viene, un chiacchiericcio continuo in sottofondo, gli urletti isterici delle ragazze… dopo un po’ fanno venire mal di testa >> aggiunse, massaggiandosi la pancia con la mancina.

<< Abbiamo trovato questo posto per caso >> disse poi Naruto, per continuare il discorso << e dunque ci riuniamo qui a mangiare. A cena non possiamo, dato che è buio, ma per il pranzo è l’ideale >> terminò, sorridendo allegro.

Più li guardava, più capiva che, nonostante le loro diversità, erano veramente amici. Ognuno conosceva i gusti culinari dell’altro, si accettavano per quello che erano e, ne era sicuro, tutti e tre sapevano molte cose l’uno dell’altro.

Eh sì, sembrava veramente il gruppetto della scuola pubblica… con l’unica differenza che ora era in compagnia di uno stomaco stile buco nero, di un demone sanguemisto e di un ragazzo di cui, pensandoci meglio, non sapeva ancora nulla.

Beh, sempre meglio di niente, no?

 

La giornata passò velocemente. Al pomeriggio aveva nuovamente le ore libere, che passò in biblioteca a cercare di avanzare con il programma dei primi due anni.

Aveva Combattimento il lunedì e il giovedì. Venne inoltre a sapere che solamente il terzo e quarto anno facevano due volte a settimana mentre, forse più fortunati, erano quelli del primo e secondo anno, che la facevano solamente una volta a settimana.

Al sabato però si faceva Combattimento al mattino, in quanto non vi erano lezioni teoriche. O almeno, la sua classe non aveva nemmeno quello, al sabato.

Perciò aveva tutto il fine settimana libero, il che non era malvagio.

Come al solito tornò in camera verso le 18, doccia veloce, indossò un paio di jeans scuri e una maglia a mezza maniche azzurra e, tranquillamente, si diresse a cena.

Questa volta mangiò in compagnia di Choji e Naruto, mentre di fronte a lui Sasuke mangiava seriamente al fianco di quell’ Aburame di cui gli aveva parlato Naruto. Sì, doveva essere proprio il “signore delle mosche”… osservandolo, poteva veramente dire che, a confronto, Sasuke era la reincarnazione dell’allegria.

E il perché portasse gli occhiali da sole anche a tavola rimaneva per lui un mistero.

Una volta terminato il suo purea di patate con quella strana fetta di carne che non sapeva cos’era, ma era buona, ritornò in camera lentamente, sbadigliando.

Aveva ancora qualche ora di sonno da recuperare e cominciavano a farsi sentire tutte quante.

Aprì svogliatamente la porta della camera con l’apposita chiave, buttando poi la stessa sul comò a destra e richiudendosi la porta alle spalle, appoggiandovisi sopra con la schiena in un eccesso momentaneo di stanchezza.

Doveva smettere di spostare in continuazione in suo orologio biologico, non poteva dormire perennemente così poco. Certo, quella è una cosa che si può fare durante le vacanze estive, ma quando c’è di mezzo la scuola non è consigliabile, sua madre aveva ragione almeno su questo aspetto.

…ok, stava dando ragione a sua madre. Doveva veramente dormire, altrimenti sarebbe finito ad abbracciare la sorella nel giro di ventiquattro ore, e la cosa lo inquietava grandemente.

Ma parli del diavolo…

Con una melodia famigliare il cellulare, lasciato sulla scrivania prima della doccia, prese a squillare prepotentemente e a vibrare al contempo, emettendo un rumore sordo a contatto con il legno. Sbuffando appena si diresse in quella direzione, afferrando l’apparecchio e leggendovi nel display la scritta “Mamma” lampeggiare insieme al segnale di chiamata.

Sospirando seccato spinse il tasto verde della tastiera, portandosi il telefono all’orecchio e ritornando verso la porta, poggiandovi sopra la schiena ancora una volta. << Pronto? >> chiese retoricamente, rispondendo.

<< Kiba? >> si sentì dall’altra parte.

<< No, il fantasma formaggino >> ironizzò appena, scivolando gradatamente sulla porta e sedendosi a terra. Ma che cavolo di domande faceva?

<< Smetti di fare lo stupido, moccioso >> fu la risposta secca della madre, Kiba sorrise appena. << Come stai? >> chiese poi la donna, l’aria simulata di chi chiama solamente per farti un enorme favore.

<< Come oggi a mezzogiorno mamma, cosa vuoi che cambi in mezza giornata? >> rispose irritato, alzando inconsciamente il tono della voce << mi chiami ogni dodici ore, come vuoi che vada? >> aggiunse, fissando con astio la gamba in metallo del letto.

Dio, non credeva che fosse anche così piattola, sua madre!

<< Io ti chiamo quando mi pare e piace, figlio degenere >> …ecco, per l’appunto.

Militarista fino al midollo, dannata despota!

<< Sì, nulla in contrario, ma potresti far cadere questo “quando mi pare e piace” a distanze maggiori delle dodici ore di routine? Che so, una volta a settimana, per esempio? >> azzardò, immaginandosi già la risposta…

<< Te lo sogni >> …che arrivò puntuale.

<< Scommetto che Hana non ha il “privilegio” di sentirti così spesso, vero mammina? >> chiese, calcando con ironia quelmammina” in modo da smuovere il caratteraccio da contadino di campo che aveva sua madre.

<< Tua sorella non è sempre raggiungibile, e poi lei è adulta, può cavarsela da sola >> rispose la madre, sottintendendo ovviamente “tu sei ancora minorenne, ti metterai in contatto con me anche a costo di venire lì di persona a prenderti a calci nel culo”. Certo, sua madre lo avrebbe detto in modo un po’ più colorito, ma il significato di base era quello.

Doveva dire la verità, aveva anche sfiorato l’idea che sua madre si sentisse in colpa per averlo mandato in quel posto sperduto in terra di nessuno e, per compensare questo senso di colpa, il suo subconscio voleva sentire come se la passava per auto-giustificarsi della scelta di aver mandato il figlio in culo al mondo solamente per il bene della figlia maggiore.

Ma già alla parola “subconscio” aveva avuto il suo dubbio, e arrivando al sinonimo “coscienza” per concatenamento logico aveva scartato l’ipotesi a priori.

Sua madre non aveva una coscienza, poco ma sicuro.

Di una sola cosa era sicuro: avrebbe dovuto ricordarsi di spegnere quel dannato cellulare.

<< Allora Kiba, hai mangiato bene? A scuola tutto ok? I tuoi voti? Dormi abbastanza? >>

Eccole. Le domande da madre incallita, sparate a raffica quando meno te le aspetti e che, in linea con il carattere della donna, pretendevano risposte brevi e concise.

Aveva una sua opinione per tutto ciò. Era probabile che quando una donna diventava madre, nasceva in lei una sorta di complesso che la portava a preoccuparsi più per la maglia di lana dei figli che, magari, della casa che andava a fuoco.

Sospirò nuovamente. Le donne erano quella categoria assurda che non avrebbe mai capito.

<< Sì, mamma, sì… >> rispose esasperato << anzi, ho perso parecchio sonno ieri, per quel fatto che ti ho detto. Se non ti spiace vado a dormire, ok? >> rispose annoiato, alzando gli occhi al soffitto.

Adesso sarebbe partita con la ramanzina a raffica, ne era sicuro. A sua madre non piaceva essere ignorata, maledetto lui che rispondeva senza pensare.

Tuttavia, dall’altra parte arrivò solamente silenzio.

<< …mamma? >> chiese dunque lui, per sincerarsi che stesse ancora parlando con qualcuno e non con se stesso.

<< Kiba… hai fatto degli incubi ultimamente? >> chiese poi lei, il tono serio e lento come se, tutto d’un tratto, parlassero di cose serie. << E’ per questo che non dormi? >> aggiunse poi, sempre con la stessa intonazione.

Il suo cuore perse un battito.

Come faceva a saperlo? Anzi, lo sapeva veramente di quei suoi sogni strani (oddio, lo stava ammettendo…!) oppure vi era qualche altro motivo per quella domanda?

A tutti i bambini capita di fare degli incubi da piccoli, e lui ammetteva che ci aveva perso il sonno molte volte, però… adesso era… perché lo stava chiedendo?

<< M-Ma no, ti pare? >> tentò poi di simulare, sorridendo in maniera talmente colpevole che, se sua madre fosse stata davanti a lui, gli avrebbe letto in faccia la parola “falso” scritta in lettere cubitali.

<< …sei sicuro? >> rispose lei.

Sicuro?! No, santo nettare benedetto, no!

Ma cosa doveva dirle? “Mamma ho sognato che si suicidava una ragazza e, la notte dopo, è successo davvero”?!

Era da ricovero! E sua madre non ci avrebbe pensato due volte a prenderlo per il colletto e mandarlo in clinica, o da qualche strizza-cervelli che seguiva alla lettera la teoria psicanalitica freudiana! Lo aveva spedito lì, no? Quella era una prova tangibile del potenziale di sua madre!

Doveva dissimulare la cosa, doveva nasconderla. Non ci credeva nemmeno lui, santo cielo!

<< Sicuro, mamma. Ho solo perso tempo dietro al computer che abbiamo in dotazione in ogni camera, per quello non ho dormito >> rispose. Beh, mezza verità è sempre meglio di una bugia.

La donna sembrò riflettere su quelle parole ma, come previsto, il lato di madre prese il sopravvento: << Quante volte ti ho detto di staccarti da quel coso? Devi dormire, altrimenti in tuo cervello va in pappa! >> rispose risentita.

Scampato pericolo… o solamente rinviato a data da destinarsi?

<< Lo so mamma, prometto che starò più attento all’ora la prossima volta >> rispose come sempre, mentendo come sempre. Era finalmente fuori dal raggio di pericolo di sua madre, poteva stare al computer anche fino all’alba e figuriamoci se non lo faceva!

<< Va bene. Ora vai a dormire, domani hai lezione >> disse lei, salutandolo duramente ma, in fondo, con un briciolo di gentilezza.

Ma dai, anche le iene avevano un istinto materno?

<< Buonanotte >> la salutò lui, chiudendo la telefonata e abbandonandosi con il capo sulla porta, gli occhi chiusi.

Gli aveva fatto prendere un mezzo infarto.

Sbadigliò sonoramente, mantenendo però gli occhi chiusi.

Dannazione, avrebbe dormito anche lì dov’era, abbracciato alla porta.

Ora che ci pensava, era già la terza volta che non vedeva Shikamaru a cena…

Anzi, non lo aveva mai visto… a cena…

Un piccolo rumore attirò poi la sua attenzione, facendolo sobbalzare appena con il capo.

Un rumore metallico, acuto. Era il suono, sì, di un campanello.

Unito ad una risatina cristallina proveniente da… sì…

Da davanti a lui.

…davanti a lui?!

Aprì gli occhi di scatto, seguendo anche con lo sguardo quel suono così penetrante da dare quasi fastidio.

Una ragazza.

No, non “una”… la ragazza. Se ne stava lì davanti a lui, fluttuando nell’aria e sorridendo maliziosamente, con la sua vestaglia bianca, i capelli biondi raccolti in una treccia e i polsi di color scarlatto.

E rideva. Rideva con lo stesso tono del suono dei campanelli di cristallo.

<< Come… come hai fatto a… ? >> cercò di chiedere, bloccato contro la porta più per la sorpresa che per altro. Quella ragazzina sembrava uno spettro… doveva essere un… per forza, un sogno!

Ma, a dire vero, sembrava dannatamente reale e sicuramente poco normale.

Lei non rispose. Si limitò solamente ad avvicinarsi a lui, le punte dei piedi che sfioravano appena il suolo della camera ricoperto in moquette, arrivandogli a poca distanza dal volto; fu lì che poté distinguerli con precisione, quegli occhi dall’iride dorata e dalla pupilla allungata e stretta. Occhi selvatici, occhi demoniaci.

Rise di nuovo, allungando una delle sue mani bagnate di sangue a sfiorargli la maglia e, solleticandogli il collo con l’indice, lo inserì al suo interno.

Era gelida. La sensazione sgradevole di un pezzo di ghiaccio che scivola sulla pelle. Gli provocava dei brividi che non sapeva se definire di freddo, di terrore o magari di entrambi.

Poi lei, sorridendo ancora con quell’espressione di maliziosa follia, afferrò fra pollice ed indice il crocifisso in argento che si era persino dimenticato di stare ancora indossando, estraendolo dall’interno della maglietta lentamente e lasciandolo poi ricadere sul suo petto, al sicuro sul cotone color cielo.

Poi, parlò. Con quella voce melodiosa che aveva sentito solamente la notte prima, nel sogno in cui lui e lei erano la stessa, indissolubile persona.

<< Oggetto particolare per essere portato con così tanta naturalezza… >> disse, muovendo appena le labbra perfette nel pronunciare tali parole. Poi lo guardò, prima attentamente, poi sorridendo compiaciuta. << Ma tu non sai nemmeno chi sei… >> aggiunse, risollevandosi dalla posizione semi-piegata, ritornando eretta.

Che cosa aveva appena… detto?

<< Che cos… >> ma non fece in tempo a pronunciare la domanda che, con una risatina cristallina, la ragazzina lo superò e trapassò la porta, sparendo oltre essa come se il legno scuro non fosse mai stato sul suo cammino.

<< Ehi, aspetta! >> gridò Kiba, alzandosi velocemente e partendo all’inseguimento.

Aprì la porta con forza ma, al posto di vedersi comparire il corridoio dei dormitori, si ritrovò in un viale alberato. Sotto ai suoi piedi correva una stradina sterrata con ai lati piante di mughetto e, arrampicate sui sottili tronchi dei pioppi, filamenti rampicanti facevano sbocciare bianche campanule dalle sfumature rosa e azzurre. Oltre agli alberi, solo campagna.

Si guardò attorno febbrilmente, alla ricerca anche di un solo suono, di una minuscola parola, di un ronzio d’ape.

Ma, oltre al vento che spirava fra le fronde dei pioppi, non si sentiva nulla.

Poi, una risata cristallina proveniente dalla sua sinistra.

E, da lontano, la figura bianca, dorata e scarlatta della ragazzina che, saltellando come se danzasse sull’acqua, procedeva velocemente lungo la strada, voltandosi di tanto in tanto per osservarlo.

Per invitarlo a seguirla.

Cosa che, per Dio, avrebbe fatto.

Dovevano esserci scritte due parole sulla sua tomba, quando sarebbe stata la sua ora. “E se”.

E se avesse detto “fanculo alla ragazzina”?

E se avesse deciso di svegliarsi e farla finita lì?

…ormai era troppo tardi per perdersi nei “se” e nei “ma”.

Veramente troppo, troppo tardi.

“Alea iacta est” (*4) da quel preciso istante.

Corse.

E, ridendo, la ragazzina ricominciò a saltellare senza fatica lungo la strada, molti metri avanti a lui ma sempre visibile.

Lei sapeva qualcosa, lei aveva capito qualcosa.

Magari lei aveva il potere di mettere fine a quegli incubi maledetti che lo facevano svegliare immerso nel terrore e in un bagno di sudore ogni notte.

<< FERMATI! >> gridò, stringendo i denti e aumentando la velocità per quello che le sua gambe gli consentivano.

Ma la ragazzina rise con più gusto e, lanciandogli solamente un’occhiata sbieca, aumentò la velocità.

Poi, improvvisamente, con un saltello un po’ più calibrato volò sulla sinistra, imboccando quella che doveva essere una capezzania sterrata lungo un campo di granturco.

Una volta rallentato a sufficienza per non rischiare di stamparsi sul tronco di un pioppo, voltò a sua volta.

E la campagna sparì, sostituita da mura calde e baciate dal sole, dipinte di bianco ed intervallate da porte scorrevoli in legno chiaro.

Conosceva quel posto e, soprattutto, il suo profumo di mughetti e calendule. Segnavano, ogni anno, la fine dell’anno scolastico e lui, che aveva un olfatto per alcuni versi superiore agli altri, poteva sperare nelle imminenti vacanze estive.

Quello era il corridoio del primo piano della sua vecchia scuola e, là in fondo, a livello dell’ultima classe, la ragazzina aspettava, le mani dietro la schiena, lo osservava, invitandolo con lo sguardo a seguirla.

Invito che non venne rifiutato.

Ormai parlare era inutile, doveva solamente prenderla e costringerla a dirgli quello che sapeva. Era stanco di essere sondato da loro come se fosse un fenomeno da baraccone, era veramente stanco!

Era un umano, diamine! Cosa c’era di così interessante in un comunissimo umano?!

<< Ma che domanda stupida! >> disse poi quella, facendo espandere la sua voce musicale per tutto il corridoio.

Kiba boccheggiò, osservandola stranito. Lo aveva sentito? Aveva sentito quello che pensava?

<< Certo, altrimenti non ti avrei risposto, no? >> aggiunse lei, ridacchiando allegra, come se si stesse divertendo.

E, saltando appena di lato, passò oltre la finestra, planando nel cortile della scuola, in mezzo ad alberi di ciliegio ormai sfioriti e dalle fronde verdi di vita.

Scattò in avanti, affacciandosi al davanzale per vederla esattamente in mezzo al cortile, probabilmente aspettandolo, mentre lo osservava ridacchiando con quella sua voce da Campanellino Trilly.

A mali estremi, estremi rimedi.

Fece tre passi indietro, finchè con il tallone destro non toccò il muro, poi prese la rincorsa e, chiudendo le ginocchia al petto e le braccia davanti al viso, si lanciò contro il vetro, infrangendolo, e lanciandosi nel vuoto.

Ma non fu la caduta che si era immaginato. Atterrò praticamente subito, scivolando per qualche gradino lungo quella che, adesso, era una scala. Una scala fatta di vetro trasparente che portava, a vederlo da lontano, su un lago fatto da acqua talmente cristallina e pura da risultare completamente trasparente.

Senza nemmeno dirlo sulle rive di quello specchio d’acqua crescevano i mughetti.

E, al centro del lago, ancora lei.

Non demorse, riprendendo a correre, scendendo i gradini anche due a due nel tentativo di non perderla di vista.

Però lei, questa volta, sembrava rimanere ferma.

Una volta arrivato alla fine della scala si lanciò direttamente sulla superficie acquosa, senza nemmeno preoccuparsi del fatto che magari non potesse camminarci sopra, o della possibilità di annegare. Tuttavia, proprio come poteva fare quella ragazzina, anche lui poggiò il piede su quella che era una superficie solida, camminando con lo sguardo fisso sulla bionda, che ora lo guardava con espressione seria e decisa, tuttavia inquietante.

Si fermò a qualche metro da lei, ansimando per la corsa. In un sogno non era normale provare fatica, ma di questo non se ne curò minimamente.

<< Chi sei? E cosa intendevi poco fa? >> chiese, alzando la voce in modo che potesse sentirlo chiaramente.

La ragazzina non si mosse, né parlo, né respirò.

Kiba digrignò i denti. << RISPONDIMI! >> sbottò poi, molto vicino a perdere la pazienza.

Lei tacque, piegando il volto in una smorfia.

Sussurrò qualcosa che lui non sentì.

Alzò il volto, puntando quegli strani occhi gialli sui suoi, facendogli venire alcuni brividi di paura lungo la schiena e, d’un tratto, urlò.

E, a differenza della sua risata cristallina, il suo urlo aveva la potenza del tuono.

<< FUORI DAL MIO SOGNO! >>

 

Si risvegliò di scatto, aprendo gli occhi e portandosi d’istinto le mani alle orecchie, per proteggerle della violenza di quell’urlo.

E, senza sapere né come né per quale motivo, si ritrovò in piedi nel bel mezzo del cortile interno.

L’aria fredda della notte gli penetrava nelle ossa attraverso la pelle e il cotone azzurro della maglietta, unendo ai tremiti di paura anche brividi di freddo. La luna risplendeva nel cielo, illuminando a sufficienza l’ambiente circostante, composto di ombre.

Come accidenti ci era arrivato nel cortile? Quando lo aveva fatto? Era nella sua camera solamente poco prima, gli aveva anche telefonato sua madre, aveva parlato con lei, non se lo era sognato!

Qual’era? Qual’era il sogno e quale la realtà?

Agitato, con il respiro mozzato in gola da un’angoscia che non riusciva a tramutare in razionalità, si guardò intorno febbrilmente, voltando ripetutamente il capo in direzioni diverse, non sentendo nient’altro che il respiro frammentario e le pulsazioni assordanti del suo cuore impazzito.

e quella voce:

<< E’ inutile che ti guardi intorno, sono proprio di fronte a te >>.

Fece nuovamente scattare il capo, facendo un barcollante passo indietro guidato dall’istinto di sopravvivenza. Davanti a lui, come nel sogno, la ragazzina dai capelli biondi lo osservava in tralice… ma era diversa.

I capelli erano sciolti e le ricadevano davanti al busto, sulle spalle, in boccoli sfilati e spettinati. La vestaglia era macchiata di sangue, probabilmente il suo, e le mani colavano lo stesso liquido vitale da alcuni tagli sui polsi, facendolo gocciolare a terra. Era scalza sul cemento e gli occhi, di quel colore giallo dorato dalla pupilla allungata, lo fissavano con astio.

<< Tu, impiccione… >> cominciò poi a parlare, avanzando di un passo al suo indietreggiare di un ugual numero di passi. << Ho visto il tuo sogno, ti ho visto! Se non fosse stato per te avrei potuto togliermi la vita in pace e magari questa volta ci sarei riuscita! >> sputò con rabbia, la voce cristallina macchiata dalla frustrazione. << Agatha aveva fatto la scelta giusta, rapida e indolore, invece di sperare inutilmente che le ferite non si rimarginassero più. Ma mi rifiuto di morire spiaccicata sul cemento di un cortile! >>

Non riusciva a parlare. Con tutte le cose che voleva chiedergli, ogni minima, singola parola rimaneva bloccata in gola.

E, nonostante si tenesse le braccia, non si accorgeva minimamente di stare tremando.

<< Ma dovevi arrivare tu! >> proruppe poi la ragazza, i denti che, sotto il labbro, sembravano sempre più appuntiti… sempre più assomigliavano a delle zanne sottili ma letali.

<< Tu con la tua potenza spirituale ridicola, a ficcanasare nei miei pensieri. Avrei potuto morire in pace, invece di continuare questa vita da cavia di laboratorio… SEI SOLAMENTE UN IMPICCIO! >> urlò e, come nel sogno, quella voce ebbe la violenza di un tuono.

Nuovamente si tappò le orecchie con le mani, gemendo di dolore. Quei suoni erano troppo forti.

Chiuse gli occhi solamente per un minuto ma, quando li riaprì, la cosa che si ritrovò davanti gli fece tremare anche le gambe.

La ragazzina, il volto completamente teso in una smorfia mostruosa ed animalesca, conservava di umano solamente la forma del corpo. I denti si erano tramutati in vere e proprie zanne, gli occhi fissi su di lui non chiedevano altro che ucciderlo, l’aspetto animalesco di quel volto solcato da segni profondi sulla pelle… e, intorno a lei, una specie di energia che avrebbe potuto definire un aura, o del chakra, stava pian piano conferendole una forma diversa, una forma animale: orecchie rotonde ma piccole e, dietro la schiena, ondeggianti nella notte si formarono sei code dal colore giallo intenso che, sbattendo l’una contro l’altra, provocavano scoppi come tuoni e facevano comparire scariche elettriche allo stesso voltaggio dei fulmini.

Kiba aveva combattuto contro molte cose, in vita sua.

Aveva affrontato, per ordine del suo clan, veri e propri branchi di cani randagi, inselvatichiti fino a divenire scaltri e temerari lottatori per la sopravvivenza.

Aveva affrontato le zanne dei lupi, fronteggiandoli con freddezza.

Aveva tenuto testa alle gang di teppisti che gironzolavano dalle parti della sua scuola, tornando a casa pesto e pieno di lividi, ma pur sempre vincitore e orgoglioso di essersi battuto.

Ma non c’era paragone con tutto quello. Non c’era paragone nell’affrontare una cosa soprannaturale che nemmeno si conosceva.

La ragazza, zittendosi per un secondo, aprì le mani fino a portarle con i palmi rivolti verso l’esterno.

E, esalandola con un istinto omicida portentoso, la sua energia spirituale divenuta persino visibile andò a raggrupparsi attorno alle dita delle mani, mentre intorno a lei vi era un costante bagliore di scariche elettriche.

Incrociò lentamente le mani davanti agli occhi e, in quel momento, le sue unghie diventarono artigli pronti a strappargli le carni.

<< Ora muori, Michael >> soffiò lei, preparandosi all’attacco.

Kiba aveva combattuto contro molte cose in vita sua.

Ma per la prima volta si era reso conto di essere finito in una situazione più grande di lui.

E, in mezzo al terrore, di una sola cosa era sicuro: lui sarebbe morto lì.

 

 

Chapter No. 2 ~ End.

 

 

*1 - “amichette chit-chat”: le amiche di chiacchierata della maggior parte della popolazione femminile del pianeta (XD). “chit-chat” da quello che ho potuto capire, è un dispregiativo derivato dall’inglese “chatting”, ovvero sparlare.

*2 - Edward Cullen (vampiro) e Jacob Black (licantropo) sono due personaggi della serie “Twilight” scritta da Stephenie Meyer.

*3 - il bento è il classico “cestino del pranzo” giapponese. Ce ne sono di molti tipi ma solitamente lo si prepara a casa mettendoci ciò che uno desidera. Il riso è però una componente fondamentale.

*4 - Alea iacta est: famosa frase latina che Svetonio attribuisce a Giulio Cesare nel suo De Vita Caesarum. Cesare l’avrebbe pronunciata una volta superato il Rubicone dando il via alla Prima Guerra Civile. La traduzione più comune è “il dado è tratto”.

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Capitolo 4
*** Il Rosario di San Michele ***


Note: *Frega la canna da pesca a Gon di HunterXHunter e cerca di ripescare l’ego che si invola lontano* Feeeeeeeermo tu

Note: *Frega la canna da pesca a Gon di HunterXHunter e cerca di ripescare l’ego che si invola lontano* Feeeeeeeermo tu! >.< non ti ho detto di prendere il volo, obbediscimi!

Dio gente, i vostri commenti mi fanno innalzare l’ego *tiene per la cordicella come se fosse un palloncino* ç_____ç sono commossa.

Dunque, come sempre, prima di cominciare a scrivere questo allucinante capitolo ringrazio chi commenta *annuisce*.

CapitataperCaso: Ovviamente la prima a scrivere il suo commento stile pergamena del Mar Morto e, ovviamente, sono morta sul teatrino X°DDDD *rotola a terra*. Lo devo ammettere, la scena del pranzo ero indecisa se inserirla o meno. Credevo che fosse uno stacco troppo grande dalla semi-depressione post suicidio di Kiba ma, devo ammetterlo, ha fatto da cuscinetto al capitolo e mi da una mano con il resto della trama. I tuoi commenti sono sempre molto apprezzati *tutte le sue mode annuiscono* dunque grazie mille! Spero che leggerai e che ti piaccia anche questo capitolo! ^___^ Inuziku_rukiaXP: Oh, grazie mille ^///^ peccato che io e il disegno ci mettiamo in relazione amichevole solamente al cambio di Papa, altrimenti potevo anche prendere in considerazione l’idea del fumetto. Grazie mille per avere letto e commentato! Slice: Eh! Vuoi sapere troppo! XD I segreti di trama non si svelano prima della lettura, altrimenti che divertimento c’è? Grazie mille per aver letto e commentato anche il capitolo 2, spero che il 3 non sia da meno. VavvyMalfoy91: *Associazione Orba Felice 2008* Yay U______U *alza pugno all’aria*. A parte le cavolate, lo so che è un carattere piccolo, perdono! >.< Solo che più in grande, davvero, sembra un’opera di Picasso! E’ tutto appiccicato ç.ç e sì, scrivo anche su Death Note XD… o almeno, tento. Tu mi insegui in ogni fandom, davvero °___° In ogni caso, anche questa volta, grazie mille per i tuoi commenti sempre pieni di belle parole e spero che apprezzerai anche questo capitolo. CloudRibbon: …penso di aver letto il tuo commento almeno 5 volte. No, dico sul serio. E’ bellissimo, e mi fai un sacco di complimenti che mi mandano il cervello in brodo di giuggiole ç_________ç. Allora, andando per gradi: ad essere sinceri sì, ci sto molto attenta, ma per la maggior parte scrivo di getto. Poi rileggo e allungo qualche pezzo nel caso ci sia un buco troppo evidente, ma l’andamento del capitolo ce l’ho tutto in testa. I personaggi, sinceramente, mi sembra di muoverli male. O almeno, faccio di tutto per immaginarmi il comportamento che gli darebbe Kishimoto se fosse al mio posto e scrivo quello che mi viene in mente. Se li muovo bene è solo caso, suppongo >.< La trama beh… io adoro navigare nella fantasia. Fantastico ad occhi aperti, chiusi, socchiusi, incrociati, incollati, bagnati, zuccherati (?!) dunque non mi stupisce che sia venuto fuori questo casino! XD Non crucciarti, io adoro le fic camico-demenziali, prendo spunto da quelle per le battute ironiche di questa fic! *___* E poi, è necessario ridere, nella vita. In ogni caso ti ringrazio per il commento… poi ci pensi tu a riprendermi l’ego >___> *scarica barile* OnlyAShadow: Vai, l’importante è che si capisca il senso globale, anche se salti una frase XD. Si effettivamente i capitoli sono lunghi… dovrei forse accorciarli? Buona lettura!

 

Bene! Un paio di cose e passo alla storia.

Non volevo… cioè, ho fatto di tutto per non sforare nell’OOC ma devo metterlo, almeno per questo capitolo, perché per esigenze di trama mi serve da parte di Kiba un certo comportamento che, a mio parere, non si adatta molto alle caratteristiche comportamentali che gli attribuisce Kishimoto. Poi giudicherete voi *annuisce* nel caso, io metto l’avviso OOC per questo capitolo.

Un’altra precisazione. Nonostante, scrivendo, io immagini i personaggi della seconda serie (Shippuuden) ho dovuto fare una modifica allo Sharingan di Sasuke e Itachi. Nel senso che, nonostante abbiano già l’età della seconda serie (un po’ di più, a dire il vero…) per farmela biecamente comoda ho considerato che Sasuke possegga ancora solo lo Sharingan base, mentre Itachi il Mangekyou Sharingan (Sharingan Illusorio, per chi va di pari passo con i nomi italiani). Scusate la scelta di convenienza U.U *si inchina*

Buona lettura!

.:: Enjoy! ::.

 

Chapter 03 ~ Third Echo

Il Rosario di San Michele

 

Per qualche istante, qualche misterioso e lontano istante, aveva sperato che tutto ciò fosse solamente un sogno.

Aveva sperato di svegliarsi, sudato e con le lacrime agli occhi, fissando ancora il piede del letto e con la schiena appiccicata alla porta.

Ma non era così, e lo sapeva. Tuttavia, anche così la situazione non cambiava.

Lui rimaneva sempre incollato dal terrore su quel cemento, la notte rimaneva sempre semi-buia e la ragazza aveva sempre intenzione di ucciderlo.

Quella era la realtà, e saperlo era la più grande delle delusioni.

Restò pietrificato a fissare la ragazzina bionda con occhi sgranati, fermo in quell’interminabile istante in cui l’unica domanda che gli balenava in testa era quanti secondi di vita gli rimanevano.

Solamente osservandoli sentiva quegli artigli penetrargli la carne, freddi fra il sangue caldo che, sicuramente, gli sarebbe schizzato in faccia. Poteva quasi immaginare gli occhi di lei ricolmi di gioia ed efferatezza mentre lo artigliava, ancora e ancora, strappandogli vestiti e carni, pelle e anima.

E sarebbe finito tutto lì.

Alcuni dicono che, prima della morte, ti passa tutta la vita davanti agli occhi.

Lui, non vedeva altro che notte e artigli.

Infine scattò. Con un passo veloce la ragazza partì, correndo in sua direzione, le mani portate al fianco per avere più forza nello piantargli gli artigli nella carne. Lui si portò istintivamente le braccia al volto, incrociandole davanti agli occhi, le gambe semi piegate in una posizione scomoda che però non aveva la minima volontà di cambiare.

Non ebbe nemmeno la forza di urlare. Chiuse solamente gli occhi, aspettando.

Non doveva essere così traumatico, morire… no?

Ma non successe niente. Non. Successe. Niente.

<< Hei, Sha, Kai, Jin >> sentì invece, avvertendo uno spostamento d’aria proprio davanti a lui. Aprì solamente un occhio poco dopo, i denti digrignati e il respiro trattenuto che faceva rimbombare il battito del suo cuore nelle orecchie come se fosse un tamburo, batteva talmente veloce che sembrava una marcia di soldati esattamente all’interno del suo petto.

E vide una massa di capelli bianchi muoversi d’improvviso in un balzo laterale velocissimo della persona che, nonostante l’età e la corporatura non indifferente, era appena comparsa davanti a lui.

E riconobbe, dalla particolare vestaglia color porpora che aveva visto la notte prima, il Vescovo Jiraiya.

<< Retsu, Zai, Sen! >> urlò e, anche se non lo vedeva in faccia, probabilmente aveva le mani portate davanti al viso, le dita indice e medio di entrambe le mani a contatto, mentre le rimanenti chiuse come in preghiera. Era la posizione base degli Esorcisti, il maestro Kakashi lo aveva accennato ad una lezione.

Al momento non riusciva a stupirsi del fatto che il vescovo fosse esorcista o meno. Anzi, non riusciva addirittura a pensare.

Stette solamente a guardare, con entrambi gli occhi spalancati, una luca bianca formarsi a cerchio sotto la ragazzina indemoniata, stoppandola nella sua corsa e la voce portentosa dell’uomo risuonare nella notte:

<< REIBAKU! >> (*1) urlò. La ragazza, fermandosi stupita al cospetto di quella luce bianca, venne poi inghiottita da quello che sembrava un cono di luce che la rinchiudeva come una barriera.

Cosa cavolo… era quell’affare?

Beh, qualunque cosa fosse, Sua Eccellenza Jiraiya gli aveva appena salvato la vita. Tuttavia quella tecnica doveva adoperare un sacco di energie e forza, perché le braccia dell’uomo tremavano violentemente, come se faticasse a tenere unite le mani, e aveva il fiatone con il respiro mozzato.

<< KIBA! >> sentì poi chiamare da destra e, girando appena il volto in quella direzione, poté vedere la zazzera bionda di Naruto accompagnato dal volto pallido e stupito di Sasuke.

Doveva avere stampata in faccia un’espressione terribile, perché notò Naruto sobbalzare e, senza nemmeno pensarci, mettere un piede sul pianerottolo della finestra a cui era appoggiato e, prendendo lo slancio, saltare.

Cosa stava facendo quello stupido?! Così si sarebbe…!

No. Non ebbe il tempo per preoccuparsi.

Atterrò senza farsi un graffio, ammortizzando la caduta sulle gambe e, quando rialzò lo sguardo, i suoi occhi color del cielo erano stati sostituiti da un paio di demoniache e sanguinee iridi rosse dalla pupilla allungata verso l’alto. Anche alle sue mani vi erano degli artigli simili a quelli della ragazza e, ai lati della bocca, sembrò che due piccole zanne spuntassero appena fra le labbra.

Lo sapeva che Naruto era un mezzo demone, ma in quel momento non fece altro che fargli saltare un battito cardiaco, mozzandogli nuovamente in gola il respiro che era appena riuscito a riprendere.

E quando lui scattò, ritrovandoselo al suo fianco in poco meno di mezzo secondo nonostante la distanza fosse notevole, non poté far altro che sussultare terrorizzato, mentre il braccio destro del biondo gli avvolgeva la pancia e si sentiva gli artigli poggiati sulla schiena. Un timoroso battito di cuore, la voce del vescovo che diceva qualcosa come “portalo via da qui”, lo sguardo che ancora era voltato in direzione delle iridi scarlatte di Naruto… che d’improvviso scattò di nuovo, portandolo con lui in quel balzo di forza e destrezza e, in un secondo, allontanandolo dall’uomo dai capelli bianchi ancora intento a erigere la barriera. La sensazione di sentirsi i piedi staccati da terra, di essere trasportati come se fosse leggero come piume, come polvere…

E la paura. Il terrore di essere immerso fino al collo in una situazione che con lui non centrava niente.

Nell’immobilità di quell’attimo in cui Naruto lo aveva trascinato via, il silenzio gli aveva riempito le orecchie di quel suono senza tono, ovattato e fastidioso, soprattutto quando gli occhi vedono e sai che dovresti anche sentire. Fu questione però di un attimo, di uno sbalzo di pressione dato dalla velocità e dalla sorpresa, perché quando cautamente Naruto lo lasciò, i suoni tornarono e le sue gambe non ressero un istante di più.

Si lasciò scivolare a terra, rendendosi conto di essere dall’altra parte del cortile, ancora dietro la schiena di Sua Eccellenza Jiraiya ma a grande distanza dal luogo dello scontro.

<< Stai bene? >> chiese Naruto, inutilmente, ricevendo da Kiba solo un’occhiata sconvolta ed impaurita. Il biondo cercò di appoggiargli una mano sulla spalla, ma alla vista degli artigli che gli si erano sviluppati il castano ritrasse il braccio, trattenendo improvvisamente il respiro che, ad ogni ripresa, era sempre più veloce e spezzato.

<< Che c’è Kiba? Che succede? >> chiese il biondo, riuscendo di forza ad appoggiargli la mano sulla spalla << Stai bene? >> domandò di nuovo, scuotendolo appena.

Ma gli occhi del castano erano puntati su quegli artigli che gli toccavano la spalla e sembravano non voler nemmeno spostarsi sulle iridi ora scarlatte dell’altro.

Non sentì nemmeno Sasuke arrivare. Avvertì solamente uno spostamento d’aria al suo fianco e un paio di ali nere entrare nella sua visuale.

Poteva… vederle?

<< Lascialo, Naruto! >> sbottò Sasuke, atterrando accanto a loro << è terrorizzato >> aggiunse, forse come spiegazione all’espressione contrariata che aveva appena assunto il biondo.

Naruto si voltò nuovamente in sua direzione, rinunciando a ribattere all’affermazione di Sasuke, osservandolo. E, ritirando la mano, aggrottò le sopracciglia in un’espressione ferita.

Ma fu solo un istante…

Un grande boato ruppe l’aria, come se le onde sonore fossero improvvisamente divenute tangibili e sferzassero l’aria tagliandola in due. Istintivamente Kiba si chiuse a riccio mentre, dopo un attimo di smarrimento, Sasuke e Naruto voltarono il capo in direzione di Jiraiya, evidentemente in difficoltà.

<< Il Prete Porcello non reggerà ancora per molto! >> sentì dire a Naruto, con quella sua voce un po’ più roca del solito.

<< E’ stato un pazzo a pensare di poter fermare il Rokubi(*2) con un Reibaku, è pericoloso e non sufficientemente potente! >> aggiunse Sasuke, la voce profonda alzata di tono per poter sovrastare la confusione.

Solamente quando, con quel poco di coraggio e di razionalità che aveva rimasto, riuscì ad alzare gli occhi, lo spettacolo che vide ebbe la forza di impietrirlo di nuovo, facendolo gemere di terrore. Naruto né Sasuke si sognavano di toccarlo ma, se lo avessero fatto, probabilmente lo avrebbero sentito tremare. La ragazzina bionda aveva inserito le mani all’interno della luce bianca, ancora disposta a barriera intorno a lei e, a forza, stava cercando con successo di aprirla, per creare una falla. Urlava a squarciagola, emettendo però un verso che non era nemmeno paragonabile alla voce umana, alto è fastidioso come lo stridore di un insetto moltiplicato per mille. I suoi occhi erano furiosi, furenti, mentre quella specie di chakra giallo che la circondava aveva ora nettamente la forma di sei code e, sbattendo fra loro, non solo scatenavano boati simili a tuoni ma creavano addirittura dei fulmini, che si scaricavano in un bagliore sulla prima cosa di metallo, o comunque conduttrice, che trovavano sul loro cammino.

Era uno spettacolo raccapricciante.

<< Io vado! >> sbottò poi Naruto, osservando la schiena di Jiraiya con fare deciso, facendo saettare le iridi dal prete al demone delle sei code, che ormai aveva quasi soggiogato completamente la barriera che lo separava da Kiba e da tutti loro.

<< No! >> rispose subito Sasuke, digrignando i denti in una smorfia iraconda << non hai ancora la forza per poterlo affrontare! >> aggiunse, afferrando il biondo per il braccio prima che partisse in quarta per gettarsi nello scontro.

<< Lasciami Sasuke! Se non faccio qualcosa…! >>

<< Cosa?! Ti farai ammazzare, quattro code non bastano, Naruto! >> rispose Sasuke, strattonando appena il demone per il braccio, senza però fargli del male.

Era preoccupato? Era ansia quella che leggeva negli occhi scuri dell’Angelo caduto?

Nonostante Kiba si tenesse le mani sulle orecchie, proteggendole dal rumore che inevitabilmente il demone dei fulmini creava, poteva chiaramente sentire i loro discorsi, dato il tono alto che utilizzavano e la loro vicinanza a lui.

E poteva anche vedere bene le loro reazioni.

Naruto, probabilmente per innata ostinazione, rispose nuovamente: << invece sì! Se mi impegno… >>

Ma fu interrotto di nuovo. << Scordatelo! Non permetterò queste sconsiderate azioni suicide! >> ribatté il moro.

Naruto tacque alla sua ultima imprecazione, sorridendo poi dolcemente in direzione del compagno. Si sporse, improvviso persino per lo stesso Sasuke, sfiorandogli appena le labbra sottili con le sue in un bacio casto e dolce, gli occhi carmini socchiusi ad osservarlo con dolcezza, nonostante la forma demoniaca che avevano assunto.

<< Andrà tutto bene >> rispose a fior di labbra << proteggi Kiba >> aggiunse poi, prima di alzarsi in piedi e correre in direzione dello scontro. E, mentre correva, dalla sua schiena un chakra di colore scarlatto prese la forma di quattro code, avvolgendolo completamente e dandogli un’aria animale… come se il chakra stesso avesse assunto la forma abbozzata di una volpe.

Kiba lo vide allontanarsi e, istintivamente, allungò un braccio in sua direzione, muovendosi appena in una reazione istintuale di rialzarsi e fermarlo.

Ma fu bloccato da Sasuke che, togliendogli persino il tempo di puntare i piedi a terra per cercare di mettersi in piedi, gli portò con violenza una mano al collo, facendolo sbattere di malagrazia sul muro alle sue spalle.

Una volta ripresosi dalla botta, gli occhi castani di Kiba ne incontrarono un paio rossi con uno strano disegno all’interno dell’iride, raffigurante tre “gocce” nere che dal centro dell’occhio convergevano verso l’esterno.

Non disse una parola, un po’ per la mano di Sasuke piantata sulla sua gola e un po’ per la paura che non aveva ancora intenzione di lasciarlo in pace, sboccandogli completamente cervello e muscoli.

<< Lasc… >> riuscì tuttavia a gracchiare, essendo però interrotto da Sasuke che, con espressione seria ma furente, lo osservava con quegli strani occhi rossi.

<< Ascoltami bene, fallito… >> cominciò, assottigliando gli occhi ed avvicinandosi fino ad essere con il volto a pochi centimetri da suo << se Naruto ci lascia le penne per colpa tua, giuro che te la farò pagare cara… >> disse, tornando poi silenzioso e, rilasciando la gola di Kiba, riprese ad osservare lo scontro, voltando appena il capo e digrignando i denti come una bestia assetata di sangue che però è costretta all’immobilità.

E riusciva a capire che la causa per cui Sasuke non combatteva insieme a Naruto era lui. La tacita promessa fatta con il biondo vincolava Sasuke Uchiha a proteggerlo, impedendogli così di aiutare la persona più importante per lui.

Si sentì un peso inutile.

La battaglia al contempo era appena entrata nel vivo. Con l’arrivo di Naruto Jiraiya aveva sciolto il Reibaku appena in tempo, facendo sì che, nella distrazione del demone a sei code, Naruto potesse contare sull’attacco a sorpresa.

Balzò in aria, ginocchia al petto per prendere slancio e, sfruttando la forza di gravità, urlando cercò di portare il suo attacco sul demone a sei code, chiudendo la mano destra a pugno e cercando di mirare direttamente al volto della ragazzina, ormai deformato.

L’attacco non la colpì per poco e la face retrocedere con un balzo spropositato, quasi anormale.

Una persona non poteva saltare così tanto! Andava contro le leggi della fisica!

…ma c’era qualcosa, in quella maledetta scuola, che rispettasse le leggi non solo della fisica, ma del mondo intero?

Guardando tutto da fuori, inchiodato al muro dietro Sasuke, tutto quel casino gli sembrava irreale. In una parola, che faticava anche solo a pensare, pareva tutto un sogno.

Sua Eccellenza Jiraiya si era inginocchiato ansimante al suolo, tenendosi con la mano destra la veste a livello del petto. Tuttavia, nonostante la stanchezza che sicuramente quella barriera gli aveva procurato, osservava lo scontro fra le due belve con cipiglio preoccupato.

Sembrava che combattessero ad armi pari.

Veloci, anzi, velocissimi entrambi, Naruto e la ragazzina scattavano l’uno in direzione dell’altra, colpendosi così rapidamente che il colpo sferrato non era nemmeno visibile, per poi ricadere al suolo e, senza nemmeno poggiare entrambi i piedi a terra, prendere di nuovo lo slancio per un rinnovato attacco ai danni dell’altro. Nessuno dei due cedeva, nessuno dei due si arrendeva… ma era inevitabile notarlo: Naruto sembrava più affaticato della ragazzina che, ad ogni attacco, riceveva meno danno di quanti ne infliggeva al biondo.

Eppure lui combatteva, lui non si fermava.

E Sasuke fremeva di rabbia al suo fianco, spalancando le ali corvine come se dovesse scattare da un momento all’altro, come se si preparasse a spiccare un volo raso terra con tutta l’intenzione di uccidere, pur di salvare la vita di Naruto.

Era penoso, e lui si vergognava. Bloccato contro un muro, incatenato dalla paura e senza nemmeno il coraggio di parlare mentre una persona che aveva conosciuto da pochissimo tempo… una persona come Naruto lottava con tutte le sue forze e lo aveva protetto, salvato da un attacco che di lui non avrebbe lasciato nulla se non il ricordo.

E, forse, nemmeno quello.

Chi era lui, in quella scuola?

O meglio… cosa ci faceva lui, in quella scuola?

Faceva il codardo, ecco cosa faceva. Era… un cagnolino spaventato.

Alzò nuovamente lo sguardo sullo scontro, sforzandosi forse a trovare prova di quei suoi ragionamenti nelle azioni e negli attacchi che Naruto portava al demone che stava impossessando quella ragazzina. Pugni e calci non erano sufficienti, poiché nonostante la differente corporatura, il chakra giallo del demone rendeva gli attacchi della ragazza più potenti persino di quelli di Naruto.

Poi, il fallo. La ragazzina finse un diretto e, mentre Naruto si preparava a pararsi il volto, lei ne approfittò per tirargli un calcio fra le costole, sfruttando la potenza del balzo che avevano entrambi appena compiuto.

Non riuscì a pararsi. La ragazza ghignò mentre, gemendo di dolore con gli occhi sbarrati e sputando sangue, il biondo veniva scagliato violentemente a terra, con una violenza tale da incrinare l’asfalto su cui era caduto, rimanendo disteso sul fianco dolorante incapace di rialzarsi subito. Tossì violentemente, lanciando un gemito di dolore che risuonò fino alle loro orecchie.

Jiraiya gridava qualcosa, Sasuke anche ma lui non riusciva a capire. Vedeva solamente il sangue dell’amico sporcare il cemento e l’unica cosa che riusciva a percepire era il respiro veloce di Naruto, come se potesse sentire solamente quello e tutto il resto del mondo fosse rimasto fuori.

Il demone, dall’altra parte del cortile, rise di deliziato piacere. << Ora sei mio, Kyuubi! >> gridò, cominciando a prendere velocità in corsa mentre Naruto, faticosamente, si rialzava pian piano, tenendosi il fianco. Aveva la bocca sporca di sangue che, in piccole goccie, colava sul mento fino ad arrivare al collo.

Il demone aprì la mano al fianco, cominciando a concentrare su di essa la sua energia spirituale; si creò una sfera di luce all’interno del palmo e, letteralmente, tale sfera di trasformò in una sorgente di saette che, con un rumore assordante, vibravano attraverso l’aria pronte a ridurre in poltiglia il corpo di Naruto, ancora disperatamente ancorato alle sue gambe per reggersi in piedi, la mano sinistra posata sulla parte lesa del costato, probabilmente fonte di indicibili dolori, nonostante l’unica dimostrazione di dolore che diede Naruto fu una smorfia contratta sul volto.

Era quasi il momento, il demone delle sei code stava per attaccare, era a pochissima distanza…!

<< SPOSTATI NARUTO! >> gridò Jiraiya in mezzo alla confusione, tentando un passo per aiutarlo ma dovendo arrendersi all’evidenza di non avere più una sola, minima briciola di forza all’interno del corpo: le sue gambe facevano di tutto per non muoversi.

<< SCAPPA BAKA! >> urlò Sasuke con tutto il fiato che aveva in corpo.

Ma Naruto non sembrava voler arrendersi. << MAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAI! >> gridò in risposta con tutto se stesso e, urlando per il dolore e per la rabbia, alzò la mano destra, parando il colpo con tutta la forza che poteva aver rimasto.

L’impatto fra i due chakra scatenò una potentissima onda d’urto che, in meno di qualche istante, colpì Kiba e Sasuke e tutti quelli che, al contempo, si erano ammassati in pigiama e camicie da notte alle finestre dei vari corridoi che davano sul cortile interno. I vetri del ponte sospeso si frantumarono, facendo cadere all’indietro tutte le persone che stavano osservando da lì che, per la sorpresa, cominciarono a fuggire spaventate verso il portone principale.

Nonostante le sue mani fossero protette dal chakra scarlatto, al contatto con i fulmini la pelle della mano destra del biondo, quella che tratteneva dallo scatenarsi la sfera del Rokubi, cominciò pian piano a sfaldarsi, creando piccola ferite sanguinolente ed ustioni di terzo grado sul dorso e su tutto l’avambraccio. Ma resisteva, teneva duro e non mollava, non si arrendeva.

Ed era riuscito a fermarla, dannazione!

ma la potenza del demone a sei code era grande, enorme. Nonostante Naruto stringesse i denti e facesse forza con tutto se stesso, il cemento su cui facevano presa a suoi pieni cominciò a sgretolarsi per la potenza sviluppata da quel colpo e che, in una scarica, passava per il corpo del biondo scaricandosi a terra.

Si chiedeva come facessero le ossa del corpo del portatore della Volpe a reggere una tale pressione.

Cosa che non fecero.

Fu un attimo, solamente in istante… ma sembrò che il rumore dell’ulna spezzata rimbombasse più forte di ogni altro rumore, in mezzo alla confusione. Come in una scena a rallentatore vide due delle quattro code scarlatte scomparire e Naruto inginocchiarsi a terra per il dolore, il braccio destro immobile stretto al petto, la faccia contratta in un’espressione di intenso dolore.

La risata della ragazzina, le urla di Jiraiya e degli altri studenti, il grido di Sasuke, l’attacco ancora pronto ad essere scagliato, un movimento d’aria al suo fianco, le ali nere spiegate in un volo talmente veloce da non essere visibile se non… se non quando Sasuke comparve davanti al demone delle sei code, frapponendosi tra lei e Naruto.

Nella mano destra dell’Uchiha si formava una concentrazione di chakra saettante, terribilmente rumoroso, come… uno stormo di uccelli impazziti.

Urlò, gli occhi rossi che osservavano la ragazzina con la seria quanto inequivocabile intenzione di ucciderla.

<< CHIDORI! >> e lo scagliò.

Ci fu una luce accecante che, in un attimo, riempì tutto l’ambiente. Rumore di stridori e di scariche elettriche riempirono l’aria, onde magnetiche erano così potenti da essere persino percepite dalla pelle come onde d’urto, in quello che era lo scontro fulmine contro fulmine in cui, appunto per questa parità di elemento, contava la potenza.

E, Sasuke… sembrava non averne abbastanza.

I due colpi avevano cozzato l’uno contro l’altro ma il sorriso della ragazzina non era mutato, rimanendo illesa, mentre il braccio destro dell’Uchiha ne aveva risentito parecchio, presentando tagli e scottature simili a quelli di Naruto.

<< Fulmini? Ti credevo più originale, Uchiha! >> sbottò la ragazzina, preparandosi a scagliare un secondo colpo con gli artigli, mano dalle dita diritte, come se avesse tutta l’intenzione di trafiggere e strappare dal petto il cuore di Sasuke.

Naruto pigolò qualcosa che non si riuscì ad udire, piegato in due sull’asfalto.

Jiraiya stava gridando qualcosa.

Qualcuno ancora rimaneva a guardare.

Kiba chiuse gli occhi d’istinto…

Ma non successe niente.

Nessun rumore, nessuna esplosione, nessun urlo e nessun gemito di dolore.

Ma cosa…?

Si sentì circondare le spalle e, aprendo di scatto gli occhi, poté vedere al suo fianco Shikamaru. Era in pigiama, la solita maglia nera a mezze maniche con i pantaloni lunghi e verdini e, con la mano che non era occupata a proteggerlo -come stavano facendo tutti dall’inizio di quell’incubo di realtà- tratteneva davanti al volto indice e medio, tremante, come se si stesse sforzando di fare qualcosa.

E, quel qualcosa, era il motivo per cui era divenuto Esper.

Osservando il suolo, Kiba poté notare che l’ombra di Shikamaru si allungava oltre misura, unendosi a quella dell’edificio delle classi, degli alberi e persino dei fili d’erba per confluire in quella della ragazzina che, a causa probabilmente di questo, era incatenata in quella posizione d’attacco senza più riuscire a muoversi.

Tuttavia, anche se millesimale, qualche movimento riusciva a compierlo, e Shikamaru stesso aveva evidenti difficoltà a mantenere il controllo sulla sua stessa tecnica, forse a causa della resistenza del demone e della potenza che aveva già ampiamente dimostrato di possedere.

Ma lui, Kiba, ancora una volta non riusciva a fare niente. Nulla, se non farsi salvare il culo, come al solito.

Altro che migliore del suo clan… lui sarebbe divenuto il migliore sì, ma il migliore codardo del suo clan.

E decise che non sarebbe stato mai più così.

Avrebbe potuto chiamarlo improvviso coraggio… ma forse, la parola più azzeccata era “pazzia”.

Infinita, fervida, innaturale pazzia.

Nel momento stesso in cui Shikamaru cominciò seriamente a vacillare sotto il peso del chakra del demone, Kiba scattò. Era molto agile per costituzione, grazie agli allenamenti che sua madre gli faceva fare con il suo fedele cane Akamaru a casa, dunque per lui non fu un problema alzarsi e cominciare a correre verso la ragazzina.

Non si scappa dai problemi per sempre. E se quei problemi investono anche compagni che per te rischiano la vita, allora sarai tu a rischiare la tua vita per loro.

Era un alchimista, lui, ora. Non era questo uno Scambio Equivalente?

Ignorò il grido di Shikamaru che, forse per distrazione o per causa di forza maggiore, non riuscì a mantenere la stretta sulle sue spalle.

Adocchiò solamente per un istante Choji aiutare il prete ad alzarsi, entrambi che lo osservavano ad occhi sgranati.

Intravide la preside correre in loro direzione, il vicepreside che osservava la scena fra i frammenti delle vetrate infrante del Ponte Sospeso. Così come, con la coda dell’occhio, notò Itachi Uchiha osservarlo divertito dalla cima del campanile della chiesa, come un’ombra scura stagliata davanti alla Luna. E notò anche Neji, che probabilmente stava per buttarsi da uno dei balconi, ma non ne era sicuro.

Prese come punto di slancio la figura di Sasuke che, girato di spalle al Rokubi nel tentativo di allontanarsi sorreggendo Naruto, non si era accorto che il demone si stava velocemente liberando della prigione che Shikamaru le aveva imposto con la sua ombra, puntando dritta a loro.

Vide per ultimi solamente gli occhi blu di Naruto guardarlo stupiti in mezzo alla debolezza, mentre spiccava il salto raccogliendo tutta al sua forza nelle gambe, superandoli facilmente passando sopra le loro teste.

E si ritrovò direttamente davanti alla ragazzina bionda che lo aveva attirato in quell’enorme casino.

E adesso, per quell’enorme casino, l’avrebbe pagata cara.

Anche se probabilmente ci avrebbe lasciato le penne… voleva provare.

Avrebbe tentato.

Come tutti, come chiunque.

Perché lui non era un fallito, e lo avrebbe dimostrato.

Vuoi proteggerli?

Sgranò gli occhi mentre, nella sua testa, si formava il silenzio.

Una voce lo aveva appena… l’aveva sentita… insieme al suono dei campanelli.

<< Ma cos…? >>

Vuoi proteggerli?

Ripeté quella voce, mentre tutto, tutto andava a rilento. Il tempo, la velocità, l’aria che sentiva sulla pelle come brezza, mentre prima era paragonabile a tempesta. E sì, anche lui stesso andava a rilento, come se il tempo avesse improvvisamente stoppato la corsa e stesse pian piano riacquistando velocità.

<< Chi sei? >> chiese dunque, con la mente, poiché la bocca non poteva parlare.

Stava cominciando ad abituarsi a quelle interferenze… se era un sogno, anche la sua mente andava bene.

Ha importanza?

Beh, dipendeva dai punti di vista ma sì, considerando che c’era una voce che parlava nella sua testa in un momento simile, aveva una certa importanza.

Tuttavia, quella voce pulita e chiara come il cristallo continuò.

Vuoi proteggerli nonostante quello che sono? Nonostante siano demoni, angeli caduti, peccatori impuri, pecore smarrite dal gregge di Dio, Signore e Padre?

Per lui potevano anche essere la reincarnazione del Demonio.

Ma rimaneva il fatto che gli avevano salvato la vita, volenti o nolenti, direttamente o indirettamente.

E sì, voleva ricambiare il gesto, prima che fosse troppo tardi.

O almeno morire orgogliosamente nel folle tentativo di farlo.

Era un Inuzuka, mica cracker e budino al latte!

E finalmente se lo era ricordato, chi era!

<< Sì >> fu la sua risposta.

Allora combatterò con te.

Rispose quella voce che, per il momento, stava solamente nella sua testa.

E finchè starai con me, non morirai. Questo è un patto, Kiba Inuzuka, e tu sei mio contraente da adesso fino alla fine del contratto.

Aggiunse. Al termine di quelle parole, improvvisamente, qualcosa a livello del suo sterno cominciò a scaldarsi, quasi a bruciare.

Con la mia spada, ora giudica e purifica…

In realtà, lo scontro frontale con il demone non avvenne mai.

Quando il tempo ricominciò a scorrere alla velocità normale, una forte luce scaturì dal piccolo crocefisso che Kiba portava al collo e, come uno scudo di luce formatosi per proteggerlo, respinse violentemente il demone a sei code, con la pacatezza di una increspatura nell’acqua ma con la violenza di un terremoto.

La ragazza demone atterrò qualche metro indietro, dovendo fare forza sulle gambe per non sbilanciarsi e rovinare a terra. La sua espressione era un misto fra lo stupito e il rabbioso mentre osservava Kiba che, atterrando molto più dolcemente al suolo, si sentiva pervaso da un calore dilagante ed avvolgente.

Fu poi tutto un avvenimento confuso. Il piccolo crocifisso in argento si staccò dalla catenina, fluttuando nell’aria davanti al castano ricoperto da una luce bianca e pura, candida e, inoltre, anche rassicurante e allo stesso tempo carica di energia.

Davanti ai suoi occhi, e davanti agli occhi di un’accademia intera, il piccolo oggetto in argento prese improvvisamente a brillare violentemente, poi lentamente a cambiare forma fino a che, in un folata di vento caldo, una spada dall’elsa in oro e dalla lama trasparente come cristallo prese forma nell’aria davanti a Kiba, stupito di quell’apparizione.

Accetti il contratto?

Sentì nuovamente, forse più flebile ma comunque la stessa voce.

Osservò con attenzione la spada, chiudendo la bocca rimasta aperta per lo stupore e decidendo all’istante cosa avrebbe fatto.

Voleva proteggere chi si era volentieri sacrificato per lui.

Voleva proteggere quell’abbraccio rassicurante.

Voleva proteggere se stesso ma, più di tutti, voleva proteggere il suo orgoglio.

Ridacchiò scaltro e, allungando la mano, afferrò l’elsa.

Finché avrai qualcosa da proteggere…

Fu come afferrare il ghiaccio, nonostante l’atmosfera fosse intrisa di quel rassicurante calore.

Ma lo ignorò. Alzò invece gli occhi sul demone mentre la spada, probabilmente riconoscendo il contraente, nonostante l’aspetto non propriamente massiccio ma nemmeno troppo esile, risultava leggera quanto una piuma fra le sue mani.

<< Yo, bellezza! >> esclamò poi, rivolto alla ragazza, alzando la lama e puntandola verso di lei << Game Over >> dichiarò poi, afferrando ora l’elsa con entrambe le mani e partendo all’attacco.

Fu più veloce di ogni sua aspettativa. Probabilmente ancora sotto il controllo dell’ombra di Shikamaru la ragazza non riuscì a scansarsi in tempo e, anche se non pienamente, ricevette comunque la maldestra sferzata che Kiba, non abituato ad usare armi, aveva cercato di tirare. Non per ucciderla… non voleva ucciderla.

Tuttavia il colpo sortì il suo effetto. La lama passò attraverso la ragazza senza causare ferite apparenti, nonostante la sue grida di dolore si fossero contemporaneamente innalzate nell’aria e, una volta terminata la corsa della spada, successe l’imprevedibile.

Il chakra dorato del demone cominciò a distaccarsi dalla ragazza, lasciandone libero il corpo ferito dalla sua stessa potenza e prendendo una diversa forma a pochi metri di distanza da lui mentre, esausta e senza sensi, la ragazzina cadeva di peso a terra, rimanendo immobile.

Respirando, ora per la prima volta dopo parecchi minuti, si sentì improvvisamente privo di forze trattenendo però gli occhi castani puntati sul demone a poca distanza da lui.

Aveva il respiro affannato, la testa girava come una trottola e l’udito era ovattato; tutti i suoni percepiti solamente come rumori distanti, lontani, come se ogni voce, ogni parola fosse pronunciata al di là in una gabbia di vetro in cui lui era rinchiuso. Il cuore pian piano rallentava, poteva sentirne il battito decelerare la sua corsa irrefrenabile, rimbombare ora con meno violenza nelle sue orecchie… faticava a reggersi in piedi.

Non riuscendo più a trovare la forza per reggere la spada, la lasciò andare. E, nel momento in cui la lama cristallina sembrava stare per infrangersi al suolo, in un piccolo rumore di campanelli la spada scomparve di nuovo, divenendo luce e, successivamente, ritornando al collo di Kiba sottoforma di argenteo crocifisso.

Era… sfinito. E fu quando la vista cominciò a sfocarsi che si rese conto di stare per collassare. Gli era successo un’altra volta, dopo una scazzottata nella vecchia scuola, e sapeva come ci si sentiva prima di perdere i sensi.

Non poté farne a meno. Socchiudendo gli occhi nel suo ultimo attimo di lucidità prima di cadere, osservò il demone delle sei code che, una volta distaccato dalla ragazza, aveva assunto la forma di una donnola.

E, prima che si lasciasse andare cadendo all’indietro, gli sembrò di vedere l’animale chinare appena la testa verso il basso, come un inchino di ringraziamento, prima di sparire in cielo in un fulmine luminoso.

Kiba però non toccò mai il suolo.

Lui non poté sentirlo, o vederlo, poiché era già svenuto… ma prima che cadesse a terra, un paio di ali color oro avevano frenato la sua caduta, facendo si che il loro possessore accogliesse il castano in una presa solida e rassicurante. Un paio di occhi bianchi si posarono sul viso rilassato di Kiba, i capelli castano scuro che, sciolti, incorniciavano il volto dalla pelle candida di Neji.

Aggrottò per un istante le sopracciglia, osservando Kiba con fare quasi… dispiaciuto.

E sussurrò quelle parole, probabilmente solo per se stesso… << perché hai scelto… lui?>>

 

 

Quando riaprì faticosamente gli occhi, lottando contro le sue palpebre che volevano a tutti i costi rimanere chiuse, la prima cosa che vide fu una tenda bianca con lo sfondo di un muro altrettanto bianco.

L’odore di disinfettante che aleggiava in quella stanza era invadente, quasi fastidioso per il suo naso, forse di natura più sviluppato della media umana. Capì da quel candore e da quell’odore di essere in infermeria.

Ma dai, la scuola aveva pure un’infermeria?

Tentò di muovere la testa verso destra, girandola sul morbido guanciale in modo da guardarsi attorno… e tutto ciò che sentì fu un’emicrania talmente lancinante da sembrare trenta testate nucleari stile Hiroshima che gli esplodevano in fronte.

Un mal di testa simile non l’aveva avuto nemmeno all’ultima riunione di famiglia, quando per prendere l’aquilone al suo adorato cuginetto -che fino a quel momento nemmeno sapeva esistesse- era caduto, di testa, stile sacco di patate dal pino nel giardino dietro casa. E dire che quella era stata una bella botta.

Ma non aveva causato un mal di testa più potente di quello.

<< che… cavolo di male! >> si lamentò sussurrando, riuscendo finalmente a girare completamente il capo verso destra.

Doveva essere sicuramente all’interno di uno di quegli insulsi paraventi a tendina, ovviamente bianchi per far sì che un’infermeria scolastica assomigliasse a qualcosa di più serio di qualche cerotto e due scatole d’aspirina, che ospitava quattro letti da un alto e, probabilmente due dall’altro.

Le tendine erano chiuse, ma si poteva comunque vedere la luce di una finestra che, alla sua sinistra, irradiava di una luce arancione l’intera stanza.

Probabilmente era il tramonto.

Ma il tramonto… del giorno dopo? Quanto accidenti aveva dormito?

Una volta notato di essere completamente solo, poté finalmente tirare un respiro di sollievo e, per far felice la sua testa, tornare ad osservare il soffitto tingersi lentamente di un color arancia molto carico.

Il ricordo della notte precedente, nonostante fosse ancora vivido nella sua mente, a tratti appariva confuso. Anzi, per meglio dire, non riusciva assolutamente a capire da dove cavolo fosse venuta improvvisamente quella voce.

E se fosse stato solo tutto un sogno? Non era normale che un crocifisso si trasformasse in una spada, santo Cielo, non esisteva.

…beh, teoricamente non era nemmeno normale andare a pranzo con un demone, un esorcista e un manovratore di ombre, eppure era successo.

Sospirò, portandosi la mano al petto a toccare proprio l’oggetto dei suoi pensieri, ancora fermamente ancorato al suo collo. Se aveva veramente fatto tutte quelle cose, allora era o un maledetto genio o un maledetto burattino nelle mani di qualcuno.

E, chissà perché, la seconda soluzione gli pareva la più probabile.

E, dannazione, sua madre avrebbe dovuto spiegargli mote cose, a cominciare dal perché diamine lo aveva mandato in quella scuola.

Perché ne sapeva di più di quello che raccontava; oh, se ne sapeva! Non cadeva due volte nella stessa trappola, dannazione! Se doveva veramente rischiare la vita ogni volta che chiudeva gli occhi voleva almeno sapere se lo faceva per un buon motivo.

Lui aveva… rischiato la penne, dannazione.

E quello… quello era un demone… diamine.

Cosa ci faceva lui ancora in quella maledetta scuola? Non poteva fare i bagagli, salutare tutti cordialmente e levarsi gratuitamente dalle balle?

…era poi un’idea così malvagia, da prendere in considerazione?

Ci pensò su un attimo, ascoltando solamente il silenzio dei suoi pensieri. Se faceva le valigie e levava e sue chiappe da quel posto, magari evitava cose come quella della notte scorsa. Se evitava cose come quella della notte scorsa, aveva più probabilità di salvarsele, le sue beneamate chiappe.

E non aveva niente da perdere, dopotutto.

Nessuno si sarebbe dovuto più adoperare per proteggerlo, Sasuke avrebbe avuto tutto il tempo che impiegava ad odiarlo a disposizione per Naruto, e Shikamaru si sarebbe tolto un peso dalle spalle.

Lui sarebbe tornato a fare una vita normale, in una scuola normale, con degli amici normali.

Basta voci, basta sogni, basta demoni infoiati e basta passeggiate notturne verso il suicidio.

Suonava stramaledettamente bene.

Fu distratto da una serratura che scattava e da alcuni passi che, lenti e leggeri, si dirigevano in direzione della tenda. Abbassando gli occhi -perché girare nuovamente il capo era improponibile!- aspettò che l’ombra scura accanto alle tendine si mostrasse… e non dovette attendere molto.

Scostando leggermente la tenda alla sua sinistra, un visetto di lineamenti dolci e dalla pelle chiara si sporse per osservare l’interno.

E, la cosa che lo colpì di primo acchito, furono due occhi alle iridi completamente bianche.

Ma, la ragazza che lo stava osservando con un leggero rossore sulle gote, sicuramente non era Neji Hyuga.

O almeno, se era lui, voleva dire che qualcosa non andava, perché sinceramente non se lo ricordava donna.

I loro occhi si incontrarono per un istante poi, deglutendo e vincendo la timidezza, la ragazza si fece avanti. Indossava ovviamente la divisa dell’accademia, la spilla dorata che aveva la forma di un paio d’ali; classe angelica, a quanto sembrava. Aveva un corpo ben proporzionato, un seno abbondante ma non esagerato e i capelli neri e lunghi fino ad oltre le spalle. Stava a distanza, con le mani portate al petto e un perpetuo rossore sul viso. Terribilmente insicura, ecco cosa sembrava, ma anche tenera.

<< S-Stai bene, Inuzuka? >> chiese poi, interrompendosi ogni tanto e balbettando appena, probabilmente per il nervosismo.

Che c’era da essere nervosi, poi…

<< Più o meno… >> rispose Kiba, sospirando e affondando nuovamente con la testa nel cuscino << ho mal di testa >> aggiunse solamente. Voltò poi le iridi verso la ragazza, che sobbalzò appena. << Quanto ho dormito? >> chiese, evitando attentamente di far sballottare il cervello di qua e di là.

Ma non fu lei a rispondere. << Quasi sedici ore, considerando che sono le diciannove passate >> disse una voce maschile e giovanile, tuttavia palesemente adulta. Seguendo lo stesso percorso della ragazza, dalla tenda comparve un ragazzo più grande, sicuramente di ventidue - ventiquattro anni al massimo, che indossava un camice bianco da medico.

Aveva un corpo alto e abbastanza snello, capelli grigio/bianchi lunghi raccolti un una cosa bassa e abbastanza spettinata, occhiali tondi sul naso e un’espressione superficialmente gentile.

Kiba non rispose, preso com’era a squadrare quella persona. C’era qualcosa di strano, il suo sesto senso non gli dava modo di rimanere tranquillo, in sua presenza, e non sapeva perché.

E lui si fidava del suo istinto, dato che lo aveva fatto sopravvivere fino a quel momento.

Il ragazzo poggiò le mani sulle spalle della ragazza, che sobbalzò anche a quel contatto, arrossendo un po’ di più. << Io sono Kabuto Yakushi, l’infermiere che si occupa dell’infermeria accademica. Lei è Hinata Hyuga, cugina di Neji Hyuga, che sicuramente già conosci. E’ la mia assistente dopo la scuola, dati i suoi poteri >> disse, sguardo sicuro e apparentemente gentile puntato su Kiba.

<< Poteri…? >> chiese il castano, senza staccargli gli occhi di dosso.

Questa volta però, fu la ragazza a prendere parola per prima: << I-Io…; >> piccola pausa, sguardo che si abbassa << curo… le persone, con la forza spirituale >> disse lei, le mani sempre al piegate al petto, come in preghiera.

La ascoltò parlare con la solita espressione di sempre, dato che ormai non si stupiva più di sentire tutte le cose che poteva fare la gente lì dentro. Si rivolse dunque ad Hinata, cercando di chiarire subito i suoi dubbi, dato che aspettare troppo gli avrebbe messo sono curiosità. << Sei Arcangelo anche tu? >> domandò direttamente, forse leggermente sgarbato a causa del mal di testa.

Hinata tuttavia non se la prese, diniegando con il volto e con un sorriso appena accennato sulle labbra.

<< No, lei è un angelo puro >> aggiunse Kabuto, togliendole finalmente le mani dalle spalle << l’unico angelo puro a cui è permesso stare su questo piano, per essere precisi >> aggiunse, avvicinandosi a lui da sinistra mentre estraeva lo stetoscopio dalla tasca del camice bianco.

Ah sì. Ora che ci faceva caso, poteva anche intravederle. Un paio di ali semi-trasparenti, candide come la neve appena caduta, ripiegate elegantemente dietro la schiena della ragazza.

Che potesse vederle, cosa significava? Era la sua cosiddetta “forza spirituale” ad essere cresciuta, o il fatto che aveva ancora al collo il crocifisso gli permetteva di intravedere il mondo che vedevano gli esorcisti?

Kabuto, al suo fianco sinistro, lo scoprì dal lenzuolo e gli tirò su la maglietta azzurra che ancora indossava. Gli appoggiò poi l’oggetto sulla parte centrale del petto, leggermente spostato a destra, ascoltando. Ripeté poi l’operazione, appoggiandolo ai due lati del costato, chiedendogli di respirare profondamente ogni volta. Sorrise poi, togliendosi lo stetoscopio dalle orecchie e rimettendoselo in tasca. << Tutto a posto >> disse poi, sorridendo affabilmente << eri solamente esausto, per questo sei collassato. Ti do qualcosa per il mal di testa e poi potrai tornare nella tua camera. Le lezioni sono sospese anche domani, dato che gli Alchimisti sono impegnati a risistemare la scuola, dunque potrai riposare ancora >> aggiunse e, sempre sorridendo, sparì dietro la tenda.

Osservò la sua ombra accanto al mobiletto dei medicinali, o almeno quello che gli assomigliava, prima di tornare con lo sguardo sulla ragazza, ancora in piedi in fondo al suo letto.

<< Hyuga, posso farti una domanda? >> chiese.

Lei sobbalzò appena, tornando con gli occhi bianchi su quelli castani di lui. Annuì solamente, senza parlare.

<< Naruto… >> cominciò << come sta? >> chiese infine, osservandola per quello che gli era possibile senza che muovesse la testa.

Hinata aspettò un poco prima di rispondere: << oh, b-bene. Naruto è già in forma… cioè, il suo corpo ha… un’abilità rigenerativa sorprendente e, ecco… aveva solo due costole fratturate, ma ormai sta b-bene >> disse lei, osservando tutto tranne che lui.

Si sentì sollevato. << E Uchiha? >> chiese. Nonostante non mostrasse aperta simpatia per lui, lo aveva comunque aiutato, sentiva almeno il dovere di interessarsi.

<< b-bene anche lui… >> rispose Hinata << ha solo, beh… una fasciatura alla mano, ma ho curato la maggior parte delle ferite, per cui… ecco, sta bene >> rispose lei, la voce sempre gentile anche se indecisa e quasi fragile.

<< E Shikamaru? Sua Eccellenza Jiraiya? E la ragazza? >> chiese poi, probabilmente troppo velocemente.

<< Calma, calma! >> intervenne poi Kabuto, salvando probabilmente Hinata da tutte quelle domande a raffica. << Stanno tutti bene, nulla di incurabile. Sua Eccellenza Jiraiya dovrà riposare per qualche giorno a causa dello sforzo mentale fatto, ma si rimetterà presto. Shikamaru è illeso, solo stanco, mentre la ragazza ha qualche ferita ma tutto nella norma, anche lei tornerà a scuola entro un paio di giorni >> terminò il ragazzo, posando sul comodino alla sua destra un flaconcino arancione contenente qualche pillola. << Una dopo i pasti e non esagerare, è abbastanza potente. Prendile finchè non passa definitivamente il mal di testa >> disse, aspettando che Kiba annuisse prima di continuare << ora puoi riposare un altro poco, Hinata ti porterà qualcosa per cena, più tardi. Una volta finito di mangiare, sei libero di tornare in camera >> concluse, avviandosi verso la porta insieme ad Hinata, salutando.

Kiba ringraziò entrambi poi, una volta usciti e sentì la porta richiudersi, osservò nuovamente il soffitto.

Non ci stava proprio, veramente, capendo più nulla.

 

 

Aveva passato quaranta maledetti, esasperanti, interminabili minuti al telefono cercando di spiegare a sua madre, ovviamente nel modo meno traumatico possibile, che era ancora vivo e che stava relativamente bene, a parte l’emicrania.

E, successivamente, altri venti minuti a sopportare l’isterismo della sorella, senza tra l’altro capire se era contenta o meno che facesse ancora parte del mondo dei vivi.

Infine, i successivi cinque minuti osservando il cellulare e cercando di convincersi a spegnerlo prima che quelle esasperanti donne avessero ancora il tempo di contattarlo in qualche modo.

Sospirò rassegnato, mettendo alla fin fine l’apparecchio in silenzioso e appoggiandolo sul comodino. Da quello che aveva potuto capire dalla confusionaria ma logorroica conversazione della madre, la preside aveva avuto la brillante idea di telefonare a casa Inuzuka e spiegare la situazione.

Beh, probabilmente era una cosa normale che si faceva una volta che accadevano fatti simili, ma ad una attenta analisi post-impatto madre preoccupata, una cosa simile poteva pure risparmiarsela e avrebbe fatto felici molte persone.

E, se non molte persone, soprattutto lui, che alla fine era quello che più contava.

Fu anche per quel motivo, oltre al perenne martello che si sentiva battere nel cervello, che decise di andare a letto nonostante fossero solamente le ventidue e quindici minuti.

Essendo già in pigiama, dato che la prima cosa che aveva fatto una volta rimesso piede in camera era stata farsi la doccia, spense tutte le luci e si infilò sotto le coperte.

Tuttavia non si stese, rimanendo solo seduto con la schiena appoggiata al cuscino e, a sua volta, alla testiera del letto.

Anche se effettivamente si sentiva stanco, non sarebbe comunque riuscito a dormire.

Fino a quel momento aveva fatto a meno di pensarci, ma ormai non era più possibile.

Insomma… era tutto vero, diamine. Non era stato uno strano sogno surrealistico o roba simile, aveva veramente usato una spada su una persona, su un demone!

La preside aveva detto che aveva “distaccato” il seme demoniaco dalla ragazzina bionda, riuscendo a liberare il demone delle sei code -che lei aveva chiamato Raijuu- che era, infine, tornato libero in natura.

Sì, bella favola… ma quella cavolo di cosa da dove veniva?! Cioè, insomma, ma l’avevano visto? Il suo crocifisso si era letteralmente trasformato in una cavolo di spada!

Beh, suo… il crocifisso che gli aveva dato Neji, per la precisione.

Annuì al vuoto, incrociando le braccia al petto. Avrebbe dovuto chiedere chiarimenti all’arcangelo, altrimenti ne sarebbe uscito pazzo. Taxi per il manicomio più vicino e ciao-ciao con la manina alla vita normale che tanto sperava di riavere.

Già.

Però… se decideva di tornare a casa, poteva riaverla davvero.

Doveva ammettere di non capirci nulla, di quello che gli stava succedendo. E la cosa, nonostante in quell’accademia poteva sembrare solamente un’altra particolarità interessante, a lui pareva esclusivamente qualcosa di inquietante.

Sognava gente morta che poi moriva davvero.

Camminava nel mezzo della notte in quello che lui credeva sempre un sogno, ma che poi si rivelava essere sonnambulismo, dato che si risvegliava in posti assurdi e, sempre, stranamente pericolosi.

Era cominciato tutto da quando aveva messo piede lì dentro.

E nonostante non volesse ammetterlo a se stesso… aveva paura.

Per la prima volta in vita sua era cosciente di stare calzando il ruolo del moccioso spaventato che vuole tornare a casa.

Lui era… un normale essere umano… no?

Lui non aveva niente di speciale… no?

Per tutta la vita aveva voluto essere speciale, il migliore. Ma quando era arrivato il momento per far vedere di che pasta era fatto, era rimasto imbambolato a veder combattere gli altri.

E adesso, quello “speciale” che voleva tanto diventare diventava sinonimo di “strano”.

E faceva… paura, dannazione.

Scosse il capo, cercando di non impuntarsi troppo su quei ragionamenti.

Come prima cosa avrebbe ringraziato Naruto, la mattina successiva. E magari anche Uchiha, anche se il solo essere preso di mira dal signor ghiacciolo non gli andava esattamente a genio. Ah, anche Sua Eccellenza Jiraiya. E Shikam

Fu distratto da un rumore improvviso e profondo, che riconobbe poco dopo come il vibracall del suo cellulare sul legno del comodino. Lo prese di scatto, aprendolo subito e osservando lo schermo che, con la sua luce violenta, gli illuminava il viso con violenza.

Un messaggio, come aveva immaginato dalla brevità delle vibrazioni che aveva emesso l’apparecchio. Spinse velocemente, con evidente manualità e abitudine, il tasto corrispondente al “visualizza” scoprendo che l’sms proveniva dal cellulare di Shikamaru.

Toh, parli del Diavolo… allora avevano fatto bene a scambiarsi i numeri, il giorno precedente.

Aprì anche il messaggio, leggendone il contenuto: « Sei sveglio? »

e quella che cavolo di domanda era?

Alzò un sopracciglio, ma non si fece tanti problemi a rispondere con un “sì, per il momento” inviando la risposta appena dopo lo smanettare convulso sulla tastiera del telefonino. Lui e il T9 non erano mai andati d’accordo in vita sua, e tutt’ora era guerra aperta.

Attese qualche istante, probabilmente il tempo di dare al moro la facoltà di rispondere, aprendo il messaggio di risposta dell’altro appena il cellulare vibrò nuovamente.

« Apri la porta ».

cosa?

Osservò come imbambolato lo schermo del telefonino, domandandosi se era uno scherzo o se il moro diceva sul serio.

Tuttavia, pensare a Nara in vena di scherzi era impossibile persino per la sua fervida immaginazione, così prese la richiesta per veritiera e, scoprendosi le gambe che si era appena coperto, scese dal letto e si diresse ad aprire la porta.

Un giro di chiave e uno di pomello e, una volta socchiusa la porta, gli occhi scuri di Shikamaru gli comparvero davanti. Probabilmente tornava ora dalla cena, o da qualche altra parte, perché era ancora vestito. Indossava un paio di jeans scuri abbastanza larghi, una maglietta bianca con sopra una camicia a mezze maniche con l’ipnotica trama a quadretti bianchi e blu. I capelli erano legati nella solita coda alta e, in mano, aveva cellulare e chiavi della sua stanza, riconosciute grazie al numero 41 che pendeva come portachiavi.

<< Potevi bussare >> disse il castano, aprendo la porta e invitandolo ad entrare.

Il moro entrò, chiudendosi pacatamente la porta alle spalle. << Non volevo svegliarti, nel caso stessi dormendo >> rispose semplicemente, guardandosi intorno con cipiglio annoiato << sembra ancora un po’ spoglia >> commentò poi, tornando con lo sguardo verso Kiba che, nel frattempo, si era rimesso sotto le coperte.

<< Non sono ancora arrivate tutte le mie cose >> rispose il castano, riappoggiando il cellulare sul comodino.

Il tempo di girarsi di nuovo, di sentire il materasso sobbalzare, che Shikamaru si era già seduto sul bordo del letto, slacciandosi con calma le scarpe a tennis prima di allungare le gambe sul letto, la schiena appoggiata alla testiera esattamente nella stessa posizione di Kiba.

Inuzuka lo guardò con un sopracciglio alzato. << Che stai facendo? >> chiese poi, interdetto ma mantenendo un tono di voce normale.

<< Ti do fastidio? >> chiese lui in risposta, voltando appena il capo verso di lui e cercando qualcosa nella tasca dei jeans.

Bella forza, ormai si era sistemato! Che lo chiedeva a fare?!

<< No, figurati… >> rispose dunque, facendosi un po’ più in là per fare spazio a Shikamaru.

Passarono qualche minuto il silenzio, nessuno senza pronunciare parola. Il moro aveva finalmente estratto quello che sembrava un lettore mp3 e, dopo averne srotolato gli auricolari, fissava annoiato il piccolo schermo, probabilmente in cerca di una canzone.

Kiba avrebbe fatto una qualsiasi domanda, pur di non far prolungare quel silenzio. Ma al momento non si sentiva per nulla in vena di parlare del passato, di cosa avrebbero mangiato domani a pranzo o di quello che era successo la notte precedente.

Perché sì, quella domanda se l’aspettava e no, non voleva parlarne.

Anche perché tutta la scuola sembrava saperne più di lui, su quello che era successo.

Tuttavia non servì, fu lo stesso Nara a rompere il silenzio: << ho sentito dire che vorresti tornare a casa, è vero? >> chiese direttamente senza mezzi giri di parole.

Di già?

Il castano sospirò, osservando per un momento il cielo all’esterno della finestra. << Incredibile quanto girino in fretta la voci, in questa scuola… >> disse solamente, sottintendendo un’affermazione.

Sottointendimento che Shikamaru non si lasciò sfuggire, ma che non commentò. << La gente non ha molto con cui passarsi il tempo >> rispose il moro, limitandosi a quella risposta. Fece passare il filo nero degli auricolari sulla mano, probabilmente per sciogliere eventuali nodi, osservando poi gli auricolari e porgendogliene uno.

Kiba lo osservò sorpreso, rimanendo il silenzio.

<< Kiba, sto diventando vecchio >> esordì poi Shikamaru, avvicinandogli di più la cuffia al viso.

Doveva ammettere che faceva un certo effetto, farsi chiamare per nome da qualcuno che non era Naruto.

Prese dunque la piccola cuffia, appoggiandola all’orecchio destro, aspettando. Un piccolo “bip” si sentì poi, prima che partisse la canzone con alcuni accordi in pianoforte.

La riconobbe quasi subito. << E’ la Sakamoto? >> chiese, aspettando che partissero anche le parole del testo.

Shikamaru annuì semplicemente, ascoltando a sua volta con gli occhi fissi davanti a lui.

 

Been a long road to follow

Been there and gone tomorrow

Without saying goodbye to yesterday

 

<< C’è molta gente che non vuole vederti andare via, lo sai? >> esordì poi il moro, la voce bassa ma udibile fra le note della canzone e la voce melodiosa della cantante.

Kiba distolse lo sguardo, osservando un punto imprecisato della scrivania. << …credo di sì >> rispose, sospirando. Sicuramente Naruto si era già premurato di far sapere a Shikamaru di non volere che Kiba partisse. Quel ragazzo era facile da decifrare.

Ma lui… lui…

<< Io ho… paura >> disse poi, premurandosi di non guardare Shikamaru nemmeno per sbaglio.

Poteva chiedersi il perché lo stesse dicendo proprio a lui. Poteva chiedersi se fosse impazzito o peggio, se si fosse affezionato così tanto da sentirsi al sicuro, raccontandogli tutto.

Tuttavia era troppo stanco e… sì, solo… che raccontare quelle cose a Shikamaru non aveva un’importanza rilevante all’interno della sua scala delle priorità.

 

Are the memories I hold still valid?

Or have the tears deluded them?

 

Un leggero fruscio quando il ginocchio destro del moro si piegò in una posizione più comoda, mentre la gamba sinistra rimaneva stesa sulla coperta.

<< Paura di cosa? >> chiese poi, voltando appena il capo ad osservare il castano.

Kiba esitò un attimo, solo un istante. << …di me >> rispose poi, chiudendo gli occhi. Si sentiva lo stomaco chiuso e gli occhi lucidi senza nemmeno sapere il perché.

Shikamaru non rispose subito, allungando il braccio sinistro oltre le sue spalle fino a cingergliele lievemente. << Ti capisco… >> aggiunse poi << anche io temo me stesso >> pronunciò sussurrando.

Non seppe dire se le parole di Nara erano solamente di conforto o avevano un fondo oscuro di verità, ma al momento non gli importava proprio.

Quel semplice gesto possedeva la stessa sicurezza di quando, la notte prima, lo aveva protetto con uno stesso, identico cingere di spalle. E non gli importava di risultare debole o indifeso, ne aveva semplicemente bisogno.

Era uno di quegli abbracci amichevoli che credeva di aver perso il giorno in cui Zuzu e gli altri suoi amici lo avevano salutato per l’ultima volta e lui, osservandoli dal finestrino del taxi, non li aveva persi di vista finchè non erano spariti dietro la prima curva.

Ogni tanto anche i migliori avevano i loro momenti “no”…

 

Maybe this time tomorrow

The rain will cease to follow

And the mist will fade into one more today

 

Per un qualche motivo si lasciò andare.

Lasciò scivolare il bacino verso il basso, facendo sì che la nuca arrivasse a livello della spalla di Shikamaru, su cui poggiò la testa.

In silenzio, sempre in silenzio… probabilmente per timore di dare fastidio, o di aver frainteso il gesto.

Ma Nara non si lamentò, mantenendo l’abbraccio così com’era. Anzi, poco dopo poggiò delicatamente la guancia sulla sua testa, semplicemente, senza fare altro.

Doveva ammettere che era dannatamente rassicurante.

 

Something somewhere out there keeps calling

 

<< Kiba…? >> intervenne poi Shikamaru, interrompendo il silenzio per la seconda volta.

<< mh? >> rispose il castano, troppo concentrato sulla canzone per rispondere con una parola.

Il moro puntò gli occhi davanti a lui, socchiudendoli appena. Ormai le loro voci erano ridotte a poco più che sussurri, utili solamente per sentirsi l’un l’altro sopra la canzone che ancora stavano ascoltando.

<< Ciò che porti al collo non è da temere >> disse solo.

<< Sai cos’è? >> chiese il castano, concentrandosi sul peso che la piccola croce in argento aveva a contatto col suo petto. Nonostante fosse il centro dei suoi problemi, al momento non si sentiva né agitato né altro.

Semplicemente troppo noncurante per alzare anche solo il tono di voce.

Forse troppo protetto, per permettere alla preoccupazione di farsi strada.

<< Sì >> disse lui << ma non sono la persona più adatta per spiegartelo… >> concluse poi, tornando silenzioso.

 

Am I going home?

Will I hear someone

Singing solace to the silent moon?

 

Non importava, al momento.

<< Shikamaru…? >> questa volta fu il turno di Kiba di rompere il silenzio venutosi appena a creare.

<< mh? >> rispose quello, in un ripetersi uguale di botta e risposta con le parti invertite.

<< Per ieri… >> cominciò, esitando per un secondo al ricordo di quanto avvenuto << …grazie >> soffiò poi in tono più basso, vincendo contro il suo smisurato orgoglio che doveva solamente stare zitto.

<< Non mi sembra di aver fatto nulla per cui valga la pena un “grazie” >> ribatté lui, il tono calmo e profondo come al solito.

<< Sbagli >> rispose solamente Kiba, chiudendo il discorso con quella frase.

 

Zero gravity. What's it like?

~ Am I alone? ~

Is somebody there beyond these heavy aching feet?

 

Passarono altri istanti in silenzio, ascoltando solamente la voce della cantante riempire le loro orecchie.

Silenziosi e tranquilli, lasciando per lunghi istanti tutti i problemi fuori dalla porta.

O, più semplicemente, fuori da quel piccolo mondo che si erano creati sulle note di quella canzone.

<< Posso chiederti una cosa? >> esordì poi Kiba, il tono leggermente più allegro, di una nota più rilassata.

<< dimmi >> rispose Shikamaru, in attesa.

<< Tu mi leggi nel pensiero? >> chiese poi, incomprensibile per tutti i comuni mortali.

Categoria che, evidentemente, non annoverava Shikamaru. Il moro sorrise, probabilmente intuendo a cosa si riferiva l’altro con quella domanda: << no, cosa pensi ti si legge in faccia >> rispose, facendo un mezzo sorriso.

 

Still the road keeps on telling me to go on...

 

Chiusero entrambi gli occhi, ascoltando le ultime note della musica dissiparsi pian piano, fino a sparire insieme alle ultime frasi.

<< Sai Shikamaru >> cominciò poi il castano, il tono ridotto ora ad un vero e proprio sussurro, gli occhi sempre chiusi << hai una stanza anche tu… >> disse, sorridendo scaltro e con espressione scherzosa che il moro non poteva di certo vedere.

Nara ghignò appena << mi scoccia tornarci >> esordì poi, utilizzando le stesse parole che gli aveva rivolto il giovane solamente qualche giorno prima.

Kiba non rispose alla provocazione, lasciando stare le cose così com’erano. Che problema c’era, anche se dormiva lì?

 

Something is pulling me…

I feel the gravity… of it all.

 

<< però, il mio materasso è più morbido >> esordì Shikamaru, beccandosi una gomitata in pieno stomaco.

 

 

Chapter No.3 ~ End.

 

 

 

 

*1: Reibaku.  E’ una specie di barriera spirituale usata da Hisoka Kurosaki nel secondo volume di Yami no Matsuei (La Stirpe delle Tenebre).

*2: Rokubi. Termine giapponese utilizzato per indicare il demone del demone a sei code. “Roku” in giapponese vuol dire letteralmente “sei” (numero). Come Kyuubi, termine che indica il demone e nove code, ha l’inizio “kyuu” che equivale al termine giapponese per il numero 9.

*3: La canzone utilizzata per la chiusura è la ending dell’anime Wolf’s Rain, ovvero “Gravity” di Maaya Sakamoto.

 

Piccola nota di chiusura!

La sottoscritta va un attimino in vacanza U____U. Tre giorni, ma per quei tre giorni sarò staccata dal mio PC, dunque non potrò continuare la fic. E’ probabile che il prossimo capitolo ritardi un po’.

Altra cosa, sempre la sottoscritta ormai è ora che cominci a studiare per l’esame d’ammissione *se lo dice da sola* dunque, d’ora in poi, è altamente probabile che rallenterò il ritmo di pubblicazione. Comunque continuo, non c’è pezza che tenga *auto convincimento*.

Grazie per aver letto!

Al prossimo capitolo! =*

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Capitolo 5
*** Scelte ***


Note: Sia lode

Note: Sia lode! *_____* (tanto per restare in tema…) ho deciso come finirà questo delirio!

Come al solito rispondo alle pie anime che commentano, poi parto in quarta con questo capitolo che, credo, più inutile non possa esistere.

CloudRibbon: Grazie ç____ç *commossa* ho avuto il dramma dell’ “oddio Kiba OOC in questo capitolo >.<” (compresa la faccina U.U) da quando ho pianificato di scrivere il combattimento. Sono contenta che, data la trama, sia ancora IC… o almeno, che tu (e magari gli altri lettori/lettrici) lo consideri tale XD. Sì, lo so, Hinata e Kabuto che lavorano insieme è una cosa inquietante, ma per il potere che ho dato ad Hinata mi serviva in Infermeria… e Kabuto pure mi serve in Infermeria (c’è il motivo!)… dunque la soluzione era solo questa. Sono felice che tu abbia notato l’analogia con l’Itachi del manga, sul palo della luce nella notte dello sterminio *___* intendevo proprio rievocare quell’immagine quando l’ho piazzato a fare il guardone (X°DDD). Per quanto riguarda l’ultima scena… XQ_____ non vedevo l’ora di scriverla. Anche se devo ammettere che, non avendo voglia di correggerlo tutto (*Shikamaru mode: ON!) ci sono certe frasi in cui non si capisce niente e che non hanno senso. Chiedo scusa *si inchina*. Grazie per aver commentato, come al solito con una pergamena che mi ha fatto tanto piacere, e spero che ti piaccia anche questo capitolo! ^.^

Girlstreet: Guarda, se ti vai a leggere la prima versione di questo casino, ti giuro che non è scritta meglio del foglietto illustrativo dell’aspirina =____= all’epoca anche un frigorifero aveva più pathos di me. In ogni caso non anticipo se Kiba cambia classe o meno, si scoprirà poi XP (a dire il vero in questo capitolo, da pianificazione °___°). Grazie mille per aver letto e commentato!

Slice: Prima una cosa perché altrimenti non mi ricordo! XD Alla fine ho letto le tue fic *annuisce* tranne “Tempi di Pace” che, per motivi di assenza, non ho ancora finito. “Pause per Enfatizzare” mi ha lasciato così: °___° quando Hiashi salta fuori con la sua geniale trovata, e la fine è una figata! XD. Purtroppo non ho recensito per motivi ignoti =.= ovvero la mia connessione e la frase “Inserisci una Recensione” di EFP non concordano molto bene, a volte. Tornando al presente, sono felice che lo scontro sia piaciuto, non sono esattamente un asso nelle descrizione dei combattimenti, è già tanto se si capisce qualcosa XD. Grazie per aver letto e recensito, come sempre!

Neki niku_dango: Io dovrò abbreviarti questo nick *ci pensa altamente*. Comunque, grazie! *.* E tranquilla, io penso di ospitare nel PC una famiglia intera di virus sotto quarantena, so che vuol dire avere problemi di sorta. Sai… ho fatto del mio meglio per far si che Shikamaru non si sbattesse al muro Kiba ricadendo ovviamente nell’ OOC e nello YAOI spudorato! XD però mi sono trattenuta per il bene comune XP. Grazie mille per aver letto e recensito!

Fallen_azraphel: *alza pugno all’aria* ave all’arte dello scrocco! YAY! *tossicchia e si riprende* in ogni caso, grazie mille per tutti i complimenti e, credimi quando dico che non ti conviene avere metà della mia fantasia, perchè vuol dire slasharti ogni cosa umana, appaiata e di sesso maschile che cammina e respira! XD Se sono riuscita a slasharmi il postino e il vicino di casa (giuro, sembravano Romeo e Giulietta in “elogio sul balcone alla raccomandata dell’Enel”) avere anche solo un briciolo della mia fantasia è dannoso è____é. Grazie mille per aver letto e commentato, spero che questo capitolo non ti faccia cambiare idea sulla fic (XD).

Capitatapercaso: Tu sai che, grazie al tuo geniale teatrino, adesso Itachi nella mia mente è “el condor paza”? X°DDDDD e Luisa (la motosega con la lama di ghisa) me la dovrai presentare, perché necessito di un compagno di giochi per Eufanio, io mio bazooka con la verniciatura in titanio *______*…ma per l’amor dei Tarallucci, basta con le cavolate XD. Il tuo commento è come al solito uno dei migliori, davvero! E’ un piacere leggerlo. E vedrai che i dubbi e le domande irrisolte non sono ancora finite, vi torturerò fino in fondo insieme a Sasuke Uch… emh, nulla ^^’’’’. Grazie per il puntuale commento ^*^.

VavvyMalfoy91: Siiiiii! Questa roba è un delirio! *se lo dice da sola e gioisce anche* XD comunque sì, sta arrivando la ShikaKiba, ancora un po’ di pazienza! Grazie per aver letto e commentato come al solito, omonima! XP

 

*riflette* questo elenco è ora che lo sposto in fondo alla pagina, perché comincia ad occupare uno spazio considerevole.

Mi scuso per il ritardo della pubblicazione, ma ho avuto tempi abbastanza limitati per scriverlo ^^’’’’

Ok, fine delle note, vi lascio al capitolo.

.:: Enjoy! ::.

 

 

Chapter 04 ~ Fourth Echo

Scelte

 

 

Solitamente, la gente normale si sveglia per due motivi.

Uno: suona la sveglia. Nei venti secondi successivi, in cui il braccio scatta automaticamente per spegnere il “maledetto aggeggio”, la mente ancora nei meandri della foresta del sonno comincia a carburare il minimo indispensabile per farti ricordare il motivo assurdo per cui quel cavolo di “bip bip” ha avventatamente interrotto il tuo bellissimo sogno -che puntualmente non ricordi, ma puoi giocarti la mano che era meraviglioso- catapultandoti nel mondo reale quando ancora non è sorto il sole.

Due: Risveglio biologico. Semplicemente non si può dormire per sempre, anche se sarebbe il sogno dei più pigri, e dunque il corpo ci manda l’impulso di svegliarci. Fra queste sono contemplate diverse altre cause; come la posizione scomoda, la caduta dal letto, la fame, gli incubi, l’improvviso e classico crampo al polpaccio e anche il mal di pancia.

Per questo, lui che rientrava fra le persone “normali” -almeno fino al giorno prima- non riusciva a contemplare altri motivi per cui il suo corpo, ormai in via di risveglio, gli mandasse l’impulso di aprire gli occhi.

C’era qualcosa che lo infastidiva. Non sapeva cos’era, sentiva solamente che non era impellente, dunque non vedeva per quale motivo dovesse per forza aprire subito gli occhi.

Poteva sentirsi, ora che aveva ripreso coscienza di avere un corpo. Girato sul fianco sinistro, poiché poteva sentire la morbidezza del cuscino sotto la guancia sinistra, aveva di sicuro il lenzuolo che gli copriva le gambe; ma non era questo il problema.

Si sentiva l’orecchio destro coperto da qualcosa e, muovendo la mano in un primo, imponente sforzo mattutino, toccandosi la parte interessata scoprì di avere ancora nell’orecchio la cuffia che Shikamaru gli aveva passato la sera prima.

Se la tolse, dato che nemmeno quella piccola cosetta costituiva il problema per cui doveva svegliarsi. Mugugnò spazientito, distorcendo appena il naso. Considerando che aveva ancora l’auricolare, probabilmente quella massa tiepida che sentiva alle sue spalle era Shikamaru stesso.

Il che, di per sé, non gli interessava. Se aveva dormito finora con accanto Shikamaru, proprio non capiva perché d’improvviso dovesse dargli fastidio.

Non gli sembrava di essere in una posizione scomoda, o di avere mal di pancia, mal di testa, fame, sete, urgenza di andare in bagno, la nausea, il sospetto d’appendicite, male al collo, l’otite, la febbre, prurito ad un piede, una corda legata al collo o un pachiderma sullo stomaco. Non gli dava fastidio la luce, non era suonata la sveglia e di sicuro non c’era sua sorella che attentava alla sua vita con l’arricciacapelli, come di solito succedeva a casa sua.

E allora cosa diamine era quella sensazione fastidiosa?

E che cavolo! Doveva proprio riaprire gli occhi.

Si inumidì le labbra, sbadigliando profondamente e aprendo un occhio con fare assonnato, osservando la prima cosa che si trovò davanti, in traiettoria con il viso: un paio di occhi azzurri.

Sembravano tanto quelli di Naruto.

Aspetta, ma non doveva esserci la scrivania, da quella parte?

Sì, sì! Era sicuro che sotto la finestra ci fosse proprio la scrivania. Dopotutto, le camere erano tutte uguali, e la scrivania era nello stesso posto per tutti.

Chiuse infine la bocca, aprendo anche l’altro occhio e rendendosi effettivamente conto che, davanti a lui, c’era Naruto.

<< Cavolo Kiba, ti ho visto persino lo stomaco! >> disse quello, probabilmente riferito allo sbadiglio, mentre rimaneva a fissarlo, chinato sulle ginocchia in modo che le sue iridi azzurre fossero a livello del volto del castano.

Eh no, questa volta doveva ammetterlo: non era di certo un’allucinazione.

<< AH! >> urlò per un qualche motivo, alzandosi velocemente e, agitando le gambe, scattò all’indietro con la schiena gridando un imbarazzato e sorpreso: << COSA DIAMINE CI FAI IN CAMERA MIA?! >> che rimbombò per tutta la stanza.

Mossa sbagliata, Kiba Inuzuka.

Perché ovviamente, dato che era impegnato a realizzare che sì, Naruto era effettivamente in camera sua e sì, gli sembrava proprio di averla chiusa la porta la sera prima -non era rincoglionito fino a quel punto!- ciò che non ricordava assolutamente era che Shikamaru dormiva al suo fianco, nonostante lo avesse, tra l’altro, appena considerato nel dormiveglia.

Andò a finire che, nella mossa per allontanarsi dal biondo, la mano d’appoggio di Kiba scivolò sulla gamba di Shikamaru, facendo svegliare il moro di soprassalto e, siccome il letto non era infinitamente largo, facendolo arretrare dalla sorpresa insieme al castano, che ormai aveva completamente perso l’equilibrio.

Risultato: Shikamaru diede una bella botta di sedere sul pavimento dalla parte opposta e Kiba, con le gambe sul letto e la testa oltre, scoprì con la zucca la durezza del parquet, riscoprendo inoltre un inarcamento di schiena che sapeva fare solo a sei anni ma che adesso, più di dieci anni dopo, probabilmente non era molto consigliabile effettuare.

Dopo qualche istante di silenzio, l’unico rumore che lo interruppe fu la sguaiata risata di Naruto, seduto in terra a tenersi lo stomaco. << Che figata! Sei uno spasso, Kiba! >> disse, asciugandosi le lacrime e continuando a ridere senza riuscire a fermarsi.

<< Sì… certo, uno spasso… >> borbottò il castano, assottigliando gli occhi nell’osservare la sua stanza sottosopra e Shikamaru sollevarsi da terra con il busto, massaggiandosi il sedere con un occhio chiuso.

<< Dove l’hai lasciata la finezza, in valigia? >> chiese poi il moro al castano, sbadigliando appena.

Kiba, ignorando le risa sguaiate di Naruto che ancora sembravano non avere fine, lo osservò attentamente. Aveva l’espressione assonnata tipica di chi si è appena svegliato che lo faceva somigliare ad uno di quegli alberi parlanti che aveva visto nel Signore degli Anelli; i capelli, inoltre, con il sonno erano scivolati per metà dalla coda alta, che adesso tratteneva solamente qualche ciocca, facendo assomigliare la sua testa alla coda spettinata di un cavallo. Il colletto della camicia infine, dato che non si era nemmeno andato a mettere il pigiama prima di piombargli in camera, era talmente spiegazzato che non si riusciva a capire nemmeno che giro facesse e quante pieghe avesse.

In poche parole, una visione esilarante.

Trattenne a stento la risata, osservandolo mentre si chiudeva la bocca con la mano.

Shikamaru lo guardò, sfoggiando una delle sue facce più scocciate: << beh, che c’è? >> chiese poi, seduto sul pavimento.

Non si trattenne, ridacchiando divertito: << sei… sei ridicolo! >> rispose il castano, ridendo di gusto.

Non sembrava assolutamente che, solo ventiquattro ore prima, fosse inchiodato al cemento di un cortile con la paura di morire.

Il moro non si espresse, limitandosi a poggiare il gomito destro su un ginocchio e, conseguentemente, il mento sulla mano. << Ha parlato quello a testa in giù >> rispose, chiudendo un occhio in un mezzo sbadiglio trattenuto. << E comunque, carine le mutande a pallini, Kiba… >> aggiunse, indicando con la mano libera il ventre del ragazzo che, nella scivolata, era rimasto scoperto. Infatti, oltre la maglietta alzata per via della forza di gravità e della strana posizione del castano, l’elastico dei pantaloncini era sceso quel tanto che bastava a far vedere l’elastico della biancheria.

<< MA SI PUO’ SAPERE DOVE GUARDI?! >> sbottò improvvisamente il castano, imbarazzato, prendendo i lembi della maglia e tirandosela di scatto verso il basso, coprendosi la pancia e l’elastico criminoso.

Per tutta risposta, il moro si portò un dito all’orecchio. << Sei rumoroso >> disse poi, sempre osservandolo.

<< E TU SEI ODIOSO, PIANTALA! >> sbottò Kiba a sua volta.

Sentì poi il materasso sobbalzare, prima che gli comparisse a destra la chioma bionda di Naruto, steso a pancia basso sul letto in modo da poterli vedere. << Suvvia Kiba, non c’è bisogno di vergognarsi così tanto! Siete amici intimi no? >> asserì Naruto, osservandolo con un’espressione che intendeva esattamente il lato sbagliato della faccenda.

Se possibile, arrossì ancora di più.

<< MA NON E’ VERO! TE LO PUOI TOGLIERE DALLA TESTA! >> urlò nuovamente, facendo forza sugli addominali per rialzarsi, mettendosi seduto a gambe incrociate.

<< Tutte scuse! >> esordì il biondo con l’aria di chi è orgoglioso della sua nuova scoperta. << Avete anche dormito insieme! >> disse, mettendosi seduto a sua volta. Assottigliò poi gli occhi blu, cominciando a prenderlo a gomitate nelle costole con un’espressione di inquietante malizia. << E bravo il nostro Kiba, nemmeno io e Sasuke siamo stati così veloci… >> insinuò con un sorrisetto che non prometteva niente di rassicurante.

Si sentiva la faccia in fiamme.

<< MA LA VUOI FINIRE? >> esclamò nuovamente, allungando le mani e, prendendo le guance al biondo, tirandole fino a che la bocca non si deformò in un risolino mostruoso degno di Halloween.

Naruto, di tutta risposta, riuscì a prendergli l’orecchio, cominciando a tirare a sua volta. << She shei anhe allosshito!  [Se sei anche arrossito!] >> ribatté il biondo, mentre Shikamaru si esprimeva in uno sbadiglio convinto.

Che cosa faceva quel cretino?! Che almeno gli desse man forte, cribbio, qui si metteva in dubbio la sua morale!

<< Vuoi darmi una mano o no?! >> chiese poi il castano, osservando il moro con un occhi chiuso a causa del dolore derivante dall’orecchio in tensione.

Shikamaru si voltò, osservandolo dall’alto in basso -per forza di cose-: << perché? E’ vero che abbiamo dormito insieme >> esordì poi, ciliegina sulla torta.

<< Ma…?! >> Kiba rimase di stucco, osservandolo con occhi sgranati.

<< Ah! >> esclamò poi Naruto << allora avete veramente “dormito” insieme! >> aggiunse, liberandosi dalle mani di Kiba.

<< Non dare al verbo “dormire” significati tutti tuoi! >> rispose Kiba al biondo, puntandogli un piede in faccia per ripicca.

Naruto cominciò a ridere di nuovo, mentre Shikamaru si copriva uno sbadiglio con la mano.

Lui non si svegliava spesso così, al mattino. Anzi, poteva dire che non si era mai svegliato così.

Tuttavia, nonostante il discorso prendesse una piega imbarazzante in cui lui recitava la parte della vittima preferita, doveva ammetterlo: era dannatamente divertente.

Era una cosa… da amici.

<< Bah, io vado a cambiarmi >> esordì poi il moro, lasciando la camera ed infilandosi nel corridoio con le mani dietro la nuca.

<< Ehi, il tuo lettore mp3! >> gridò Kiba, guardando attraverso la porta mentre cercava di scampare ad un attacco tira-guance-a-tradimento di Naruto.

Tuttavia non gli arrivò risposta.

<< E’ furbo, così ha una buona scusa per tornare! >> esordì nuovamente Naruto, beccandosi un debole cazzotto da Kiba.

<< La vuoi smettere di fare insinuazioni pericolose, Naruto?! >> disse lui, le gote comunque leggermente rossastre.

Naruto ridacchiò, portandogli poi il braccio intorno alle spalle e abbracciandolo amichevolmente. << Sono felice che tu stia bene, Kiba >> disse poi, spiazzandolo.

Dannato biondino…

Voltò il capo in sua direzione, sorridendo quasi imbarazzato. << Sì, grazie… >> rispose << anche io sono contento che tu stia bene >> aggiunse, osservandolo. Effettivamente, a parte qualche cerotto sulle braccia e uno sul naso, non aveva altre ferite.

Doveva davvero avere una grande capacità di guarigione…

Naruto, una volta ascoltata la risposta, gli sorrise allegramente. Lanciò un’occhiata all’orologio sul comodino, aggrottando le sopracciglia in un’espressione pensosa. << Meglio che vado, fra poco passa Sasuke da camera mia e sono ancora in pigiama >> disse, indicandosi i pantaloncini arancioni e la maglietta a mezza manica bianca.

Saltò agilmente giù dal letto, correndo alla porta.

<< Ah, Naruto! >> lo fermò poi Kiba << oggi ci sono lezioni? >> chiese, finchè c’era.

Naruto negò con il capo << la scuola è ancora un macello >> disse << diamo una mano. Anzi, ti conviene vestirti leggero, oggi farà caldo >> aggiunse, osservandolo.

Kiba annuì, sospirando. << A proposito >> aggiunse poi, rialzando nuovamente lo sguardo sul biondo << come sei entrato? >> chiese, piegando un sopracciglio con fare dubbioso.

<< Dalla finestra! >> rispose il biondo, prima di sparire per il corridoio con un’alzata di mano.

Kiba rimase imbambolato a fissare la porta. Doveva abituarsi a non considerare Naruto sotto la categoria “persone normali”…

 

 

Quando si era presentato dal maestro Kakashi, intento insieme ad alcuni alchimisti del quarto a ricomporre stile puzzle i pezzi delle vetrate del ponte sospeso, l’uomo lo aveva guardato con fare quasi… paterno.

Oppure, semplicemente da maniaco protettivo.

Gli aveva appoggiato una mano sulla spalla e, con un sorriso simpatico, gli aveva detto un:

<< credo che con le tue attuali conoscenze non riusciresti a mettere insieme nemmeno una ciotola, sai? >>

Fu il suo sorriso di circostanza a svanire, in quell’occasione.

Era vero. Di tutti gli alchimisti in quella scuola lui era ancora il più scarso.

Così lo aveva mandato dalla professoressa Kurenai Yuhi, l’insegnante di Esorcismo ed Esoterismo, incaricata della messa a punto dell’edificio della biblioteca.

Aveva cancellato i primi secondi di conversazione, in cui l’unica cosa che il suo cervello riusciva a concepire era quanto fosse corta la gonna della professoressa Yuhi, riuscendo solo a capire che sì, poteva essere d’aiuto.

La conquista del giorno era stata angolizzarsi in biblioteca per rimettere in ordine i libri che, durante l’attacco, cadendo dagli scaffali si erano mescolati.

In poche parole, catalogarli di nuovo in ordine alfabetico.

…Lui?!

Ma diamine, l’unico libro che aveva mai sfogliato in vita sua era il libretto di istruzioni del video registratore, che si era impallato, e lo doveva fare per forza perché si stava perdendo la fine di Fast & Furious, ovvero un sacrilegio!

Non sapeva nemmeno che forma avesse, un libro. A scuola lui non studiava, copiava, e figurarsi se i testi scolastici li metteva in cartella! Erano, a casa sua, un ottimo soprammobile per prendere polvere e lui, nello zaino, infilava solo il cibo e l’astuccio.

E ora, in piedi su una scala di legno con in mano “Delitto e Castigo”, si stava sinceramente chiedendo se Dostoevskij c’era o ci faceva.

Uno che ci faceva di sicuro era Tolstoj con il suo “Guerra e Pace” lungo due volumi. Lo aveva sfogliato prima, mentre riordinava lo scaffale della “T”, e sfogliandolo aveva deciso che, se fosse stato per lui, un romanzo simile avrebbe seguito l’esempio dettato dai suoi libri di scuola.

Sospirò affranto, sbattendo la fronte contro lo scaffale in legno. << Il lavoro più brutto del mondo… >> sussurrò a se stesso, tuttavia con tono abbastanza alto.

<< Molta gente non sarebbe d’accordo con te >> arrivò una voce dal basso, attirando la sua attenzione. Una ragazza, capelli castano scuro raccolti in due crocchie sulla testa, lo osservava con un mano altri cinque volumi che andavano riposti nella lettera “D”.

Era Ten Ten, quarto anno della classe Angelica. Da quello che gli era stato riferito due ore prima, cioè quando aveva cominciato a fare quel lavoro, loro due avrebbero dovuto occuparsi insieme dell’ala ovest della biblioteca che, non lo credeva possibile, ma era molto ampia. Solamente Dio sapeva quanta fatica aveva fatto ad ignorare le ali grigie alle spalle della ragazza, anche se per lui erano solamente una sottospecie di fantasmi evanescenti oltre la maglia bianca in stile cinese che indossava la ragazza.

Sbuffò, tirandosi su le maniche della maglietta nera con i bordi dorati che indossava, piegandosi il più possibile per raggiungere e prendere i volumi che lei gli passava. << Lo so >> le rispose al contempo << ma io non riesco a concepire di starmene chiuso in casa con il naso su un libro al posto di uscire e divertirmi >> disse, girando le copertine dei libri in modo da osservarne i titoli sui frontespizi. Arricciò il naso leggendo il titolo in lettere dorate “Hard Times”, piegandosi con il busto verso sinistra e infilandolo, fra “Il Circolo Pickwick” e “Le Avventure di Oliver Twist”, nella fila dedicata ai venti romanzi scritti da Dickens.

Ten Ten ridacchiò appena, osservandolo dal basso. << Certe persone non ne possono più di vedere questo mondo, per questo si rifugiano nei mondi di fantasia >> disse, sorridendo gentile al suo sguardo.

Sinceramente, quel discorso non riusciva a capirlo. Forse perché si sentiva una marionetta che ancora non aveva visto nulla del vero mondo, quello popolato da mezz’angeli e medium, che stava vedendo da molto lontano, ma che lentamente riscopriva pian piano.

Come si può riuscire a vedere tutto il mondo, tutte le sue sfaccettature, e avere il tempo di mettersi lì a leggere libri?

Storse di nuovo il naso, prendendo in mano una copia leggermente devastata de “Il Mastino dei Baskerville”, chiuso in una copertina giallo spento con le lettere nere che formavano il nome “Athur Conan Doyle” in alto, in piccolo e al centro della copertina.

<< Che c’è ora? >> chiese poi la ragazza, recuperando qualche libro da terra per passarlo al castano.

<< Non riesco ancora a capirlo >> rispose poi il castano, alzando un sopracciglio mentre sfogliava il libro da posizionare dopo la fila di Dostoevskij << cosa ci può trovare la gente si così interessante in un detective saccente e in un medico che lo segue baciando la terra su cui cammina? >> chiese retoricamente, inserendo poi al suo posto il volume.

<< Beh, Inuzuka, finchè non leggi non lo saprai mai >> si limitò a rispondere Ten Ten, passandogli altri tre volumi. << Vado a vedere se c’è qualche altro libro, torno fra poco >> disse poi, incamminandosi a ritroso fra gli scaffali.

<< Bah >> esclamò invece Kiba, ritornando al suo noiosissimo lavoro. Posò “La Signora delle Camelie” di Dumas dopo la linea di Doyle. Non vedeva l’ora che arrivasse l’ora del pranzo, Naruto aveva detto che Ichiraku gli aveva fatto una sorpresa. E poi, sempre meglio mangiare sul tetto che chiuso in uno sgabuzzino gigante pieno di libri di ogni genere e odorante di polvere e carta stampata.

Prese l’ennesimo volume, osservandone con espressione inorridita la copertina, dove troneggiava una citazione latina appena sotto al titolo.

<< Il Nome della Rosa >> lesse ad alta voce << Umberto Eco. Eco… “E”. Cosa ci fai tu nella “D”? >> chiese al libro, ovviamente senza pensare che quello potesse voltarsi e rispondergli, cominciando a guardarsi intorno. A pochi metri dietro di lui, lo scaffale con la lettera “E” d’ottone era ancora semi-vuoto e in disordine.

<< Ah >> esclamò seccato, tendendosi per inserire -o almeno appoggiare- il volume nello scaffale giusto.

Andò com’era prevedibile che andasse.

La scala, che ovviamente non era assicurata a terra come in tutte le biblioteche un po’ attempate, scivolò sotto il peso di Kiba facendogli mancare l’appoggio. Kiba se ne accorse solamente quando non si trovò nient’altro che aria sotto ai piedi, prima di sbattere il sedere sul pavimento piastrellato.

<< Porca pu…! >> urlò poi, trattenendosi per un semplice miracolo divino dal dire tutto l’insulto che gli era venuto in mente che, poco ma sicuro, avrebbe fatto incendiare tutti i crocifissi dell’intera accademia.

Forse fu destino.

O, più semplicemente il caso.

Lui, personalmente parlando, lo chiamò “sfortuna”.

Fatto sta che, esattamente lì davanti, in mezzo alla pila di libri che aveva capitombolato insieme a lui giù per lo scaffale, uno dei volumi si era aperto ad una particolare pagina.

E fu proprio quella pagina, mentre cercava di rialzarsi e recuperare il materiale caduto, che attirò la sua attenzione con una semplice parola: Cercoteri.

Stop un attimo. Dove l’aveva già sentita quella parola?

Era sicuro che non fosse una marca di biscotti e non era nemmeno un tipo di tè.

Eppure come parola suonava famigliare. Qualcuno gliela aveva già pronunciata, probabilmente.

Tuttavia, fu proprio quel senso di dejà-vu a fargli prendere in mano il libro, leggendo l’introduzione di quel capitolo con un senso di curiosità sempre maggiore.

« Una delle leggende più interessanti è sicuramente quella riguardante i Bijuu, ovvero i Cercoteri o “Demoni delle Code”.

Erano nove divinità della natura, molto potenti e temute, riconosciute grazie al numero delle code (da 1 a 9) e, a seconda di esse, con diverse abilità e potenza.

Per mano di alcuni esseri umani, questi demoni furono poi rinchiusi in alcuni oggetti magici chiamati “Sacrari”, e in essi lasciati per molti secoli, sigillati in modo che non potessero più portare danno alla Terra, che cadde così in mano alla razza umana.

A seguire, un elenco dei nove cercoteri con le loro principali caratteristiche. »

Si fermò, alzando gli occhi dalla pagina per osservare un punto qualsiasi del pavimento.

Per “Demoni delle Code”…intendeva per caso…?

Rifletté per qualche minuto sul significato di quelle parole, mentre lentamente sfogliava una per una le altre pagine.

A pagina 91 vi era un’immagine, evidentemente una copia di una vecchia stampa giapponese, di un Tanuki (*1) formato per la maggior parte da sabbia che, sospinta da quello che sembrava vento -il disegno non era chiarissimo- dava alla suddetta sabbia la forma di una coda.

Sotto, il paragrafo cominciava con le parole “Demone a Una Coda (Ichibi): Shukaku del Vento” e si lanciava in una alquanto prolissa spiegazione dell’immagine e, successivamente, in una descrizione del demone illustratovi.

La lesse, interessato più che altro a capire se quella cosa che aveva affrontato due sere prima era qualcosa di similmente ricollegabile ai demoni delle code.

Era sicurissimo, si ricordava che Shikamaru aveva definito Naruto come “mezzosangue” quando aveva spiegato il fatto che il seme di un demone chiamato “Kyuubi” si stava sviluppando all’interno del ragazzo.

E, inoltre, Sasuke quella notte aveva espressamente urlato qualcosa come “quattro code non sono abbastanza”.

E, ora che ci pensava meglio, la bionda con manie omicide aveva un’aura sicuramente somigliante a un qualcosa con sei code.

Aprendo la bocca inconsciamente, probabilmente per la sorpresa, sfogliò le pagine velocemente fino ad arrivare alla 96, trovandovi scritto esattamente quello che cercava: “Demone a Sei Code (Rokubi): Raijuu del Fulmine”.

« Raijuu ha la forma di una donnola con la pelliccia dorata e ispida. Le sue code, sei in tutto, prendono la forma di lampi e, nella mitologia, viene spesso raffigurato al fianco del dio scintoista del lampo Raiden. Solitamente è calmo e tranquillo, tranne durante le tempeste, dove comincia a saltare da un albero all’altro, provocando tuoni e lampi con le sue sei code. »

Beh, se quella non era la descrizione della cosa che aveva fatto casino quella notte, non vedeva assolutamente cos’altro potesse avvicinarglisi.

Certo però, che i demoni della natura all’interno degli esseri umani… si poteva fare? Erano sigillati, rinchiusi o roba del genere?

Essendo talmente concentrato su quel libro, ancora seduto a terra, non si accorse minimamente dei passi che si erano susseguiti lentamente, diventando sempre più udibili, sempre più vicini…

<< Noto che hai trovato un libro interessante >> esordì poi una voce, esattamente “sopra” di lui.

Sobbalzando appena alzò il volto, riuscendo ad esprimersi solo con una risatina stupida e chiudendo il libro di scatto.

Tutti, tutti in quella scuola si sarebbe aspettato di incontrare. Persino il bidello fantasma che si raccontava facesse da guardia al terzo piano -quando la scuola ne aveva solamente due- oppure Shikamaru con un tutù rosa -il che, al solo pensiero, gli faceva venire la nausea-… ma non lei!

Non la preside!

Si diede un contegno, evitando di esprimere in parole tutte le maledizioni che stava pensando altrimenti sì che i crocifissi, oltre che incendiarsi, sarebbero anche esplosi. Sorrise, con uno di quei sorrisi tirati che si fanno quando devi tentare di nascondere in una partita di poker che non hai più nemmeno le mutande da giocarti, rivolgendosi a lei con un: << Madamigella… Tsunade! >> che non avrebbe incantato nemmeno una gallina ubriaca.

E la preside non solo non era una gallina… ma era inoltre in uno di quei rari momenti in cui non era nemmeno ubriaca.

Lei rispose con un sorriso dalla leggera ombra maliziosa, appoggiandosi la mano destra a fianco. << Tranquillo, non ti mangio mica se prendi in prestito un libro dalla biblioteca >> disse lei, ovviamente in codice.

“Ti consiglio vivamente di leggerti quel libro” per somma decodificazione lampo.

Deglutì, alzandosi poi in piedi, il libro in questione ancora sotto braccio. << Aveva bisogno di qualcosa? >> chiese poi l’Inuzuka, spolverandosi i pantaloni e il sedere indolenzito dalla caduta.

Aveva già saggiato in svariate occasioni la durezza del pavimento di quella scuola, quante altre volte doveva farlo ancora?!

Tsunade lo osservò in tutti i suoi movimenti con un’espressione rilassata e un sorrisetto sulle labbra che, da quel poco di esperienza che aveva, non lo rassicurava affatto.

La donna annuì, senza togliergli lo sguardo di dosso. << Sì, di te >> disse << ti vanno due passi? >>.

 

 

Pochi istanti dopo camminavano affiancati lungo il giardino esterno alle mura dell’accademia, su di un marciapiede abbastanza stretto che costeggiava le mura esterne di quella che doveva essere stata la navata della vecchia chiesa.

Mentre Tsunade camminava serena, Kiba al suo fianco non lo era per nulla.

Perché quella donna lo stava portando fuori dall’accademia, lontano dagli occhi di tutti? Lontano da qualsiasi aiuto alato, indemoniato, con le code e magari anche con un kilt se fosse stato necessario? Non riusciva a capirlo.

Forse voleva fargliela pagare per tutti i danni che aveva fatto e che, per la loro enormità, l’avevano costretta ad interrompere le lezioni fino alla settimana successiva.

Però era anche vero che i danni non li aveva fatti lui…

Allora forse lo voleva colpire in testa con un bastone e abbandonarlo in un fosso, o sulle rive di un ruscello. Erano in mezzo al nulla più sfrenato, ma almeno un fosso doveva pur esserci, erano in campagna!

Poi a sua madre, venuta a scuola credendo di dover prendere a mazzate il figlio per un qualche guaio combinato insieme ad una nuova cricca di scalmanati adolescenti pseudo-intelligenti, avrebbe ricevuto la notizia che suo figlio era scomparso in seguito ad un incidente, mentre magari lui era legato nelle cantine simil-sotterranei insieme al cadavere della ragazza gettatasi da tetto.

No, cioè… forse era semplicemente lui che si sparava troppi horror quando non aveva niente da fare.

Fu per quello che, quando la donna prese parola, Kiba sobbalzò appena.

<< Non fare quella faccia inorridita Inuzuka, non ho intenzione di violentarti bloccandoti schiena al muro! >> scherzò la donna, ridacchiando appena e fermandosi a guardarlo.

Ecco, quell’opzione gli mancava, sinceramente…

<< Eh! Non ce la farebbe! >> esordì poi Kiba, il libro ancora sotto braccio. Insomma, anche se era leggermente più robusta delle normali altre donne della sua età, aveva un seno talmente abbondante che si chiedeva come facesse a stare nella maglietta verde che indossava e si vociferasse che avesse una forza portentosa… lui era agile e poi era sempre un ragazzo… no?

<< Io non ci giurerei >> rispose quella, sorridendo di nuovo in quella maniera inquietante.

Ecco, per l’appunto.

<< Lasciamo perdere per un minuto le assurdità Inuzuka, ti va? >> chiese poi la donna, scostandosi dal volto una ciocca della frangetta bionda che, per la scarsa lunghezza, non poteva entrare a far parte dei due codini in cui teneva legati i capelli. Il suo sguardo tornò su di lui, prima di continuare: << Ti ho cercato per sapere la tua risposta… e per avere delle spiegazioni, a dirla tutta >> disse lei, appoggiandosi con la schiena al muro.

Kiba tacque, abbassando appena lo sguardo a terra con un’espressione crucciata. La risposta, eh?

<< Ci ho pensato… >> esordì poi, rialzando lo sguardo sulla donna << …ma credo di non saperla ancora, la risposta >> aggiunse, socchiudendo gli occhi e sospirando.

Facile a dirsi, per chi a cose come quella era abituato.

Se la sognava lei, la vita normale nel vero senso della parola. La vita che lui faceva fino ad una settimana prima.

<< Posso capire come ti senti, Inuzuka >> intervenne poi lei, distraendolo dai suoi pensieri.

Ecco, già cominciava male.

<< Sei stato catapultato in questo lato del mondo troppo tardi, quando la tua mente era già basata su certi schemi di apprendimento da essere umano. E’ logico supporre che tu ti senta spaesato, che tu voglia persino andartene a casa e tornare a fare la vita che facevi prima… >>

Bingo.

Almeno aveva la capacità di analisi, quella donna.

<< Tuttavia, se vuoi farlo lo devi fare subito >> esordì poi lei, fissandolo con espressione seria << prima che ricomincino le lezioni >> aggiunse, continuando ad osservarlo.

Prima di… lunedì?

Rimase senza parole, aprendo la bocca incredulo. << In così poco tempo? >> domandò poi, aprendo le braccia in una posizione istintiva di sbalordimento.

Tsunade annuì. << E’ necessario per te >> disse poi, incaricando le braccia al petto e rimanendo appoggiata al muro con la schiena. << Se vuoi tornare ad essere uno studente “normale”, è inutile se non dannoso che tu continui le lezioni di Hatake. Studiare Alchimia non ti servirebbe a nulla e non farebbe altro che rubarti tempo ed energie >> spiegò paziente, il tono profondo ma femminile << inoltre, ormai sai… >> aggiunse, facendo una piccola pausa prima di riprendere: << e le persone che sanno non hanno vita facile, in mezzo a chi crede e basta. Ora tu vedi loro, ma loro vedono te, è una specie di Scambio Equivalente >> terminò pacata, chiudendo gli occhi dalle iridi castane per qualche istante.

Aveva capito il significato… o almeno, pensava di averlo capito.

Ora lui sapeva che esistevano angeli e demoni, il Diavolo e Dio. Sapeva che gli esorcismi che si vedevano ogni tanto in TV servivano effettivamente a qualcosa, e non erano solamente trovate per un nuovo film horror. E tutto quello, era infinitamente diverso dal credere in Dio e basta.

Madamigella Tsunade aveva ragione.

Ma non era il momento di stare a piangersi addosso.

Aveva una decisione da prendere, una decisione importante, e lui non aveva assolutamente intenzione di pensarci un giorno di più, ottenendo tra l’altro l’unico risultato tangibile di farsi tornare il mal di testa.

E parliamone, le pastiglie che gli aveva dato Kabuto avrebbero steso un rinoceronte africano incazzato, per quanto erano potenti.

Sospirò affranto. Avrebbe basato la sua risposta sulla risposta della donna alla domanda che stava per farle.

Perché non voleva tornare a casa e sorbirsi le pare mentali della madre, nel caso. Come non voleva tornare a casa e mentire spudoratamente sul motivo per cui se ne era andato da quell’accademia.

Deglutì, osservando la donna con fare serio ma sfacciato. << Mia madre… >> cominciò poi, non potendo far altro che scostare gli occhi da quelli della preside << lo sapeva, dove mi mandava? >> chiese infine, fissando un particolare filo d’erba, che altro interesse non aveva più del semplice fatto di trovarsi lì.

Tsunade sorrise. << Sì >> rispose poi, cercando forse di renderlo più indolore possibile.

E che cavolo! Certe notizie hanno bisogno di un po’ di contorno, dirlo direttamente equivaleva ad una stilettata al petto!

Dove aveva studiato le buone maniere quella donna, ad Alcatraz? (*2)

Bene, perfetto. Aveva appena scoperto che il mondo era ignobile e che sua madre sapeva anche più di quello che dimostrava di sapere.

E non era solamente quello il punto. Il fatto stesso che sua madre -sua madre!- lo conoscesse meglio di quanto lui conoscesse se stesso lo lasciava alquanto perplesso e con terrificanti dubbi psicologici.

Un altro dubbio gli venne poi in mente: << non mi dica che, fino ad adesso, mi ha tenuto qui in prova… >> esordì contrariato, sformando le labbra in una smorfia quasi schifata.

La preside annuì di nuovo, mandandogli in pezzi quel residuo di autostima che si era guadagnato lanciandosi coraggiosamente all’attacco contro il demone a sei code.

Eh no, col cavolo! Aveva un orgoglio, lui! Non si faceva prendere per i fondelli da due donnette di mezz’età con manie di dispotismo!

<< Rimango! >> scandì sicuro, grattandosi il naso con fare contrariato << col cavolo che mollo, per chi mi ha preso quella? >> borbottò poi, riferendosi ovviamente alla madre.

Tsunade ridacchiò divertita, sorridendo allegramente. << Perfetto >> disse, tornando ad osservarlo con espressione meno tesa. << Ora passiamo ad altri problemi >> cominciò poi, tornando a fissarlo più rilassata.

Perché, quanti problemi riguardavano lui in quella scuola?!

<< Sasuke Uchiha mi ha raccontato che, la notte del suicidio, stavi per buttarti dalla finestra del corridoio dei dormitori in preda ad un attacco di sonnambulismo. E’ vero? >> chiese, la voce piatta e calma, osservandolo.

Doveva smetterla di parlare così direttamente, quella donna, o gli sarebbe venuto un infarto prima di cena.

E adesso? Che fare?

Dire cose come “no guardi, a dire il vero sognavo grandi prati verdi e, sentendo una voce, mi sono risvegliato appiccicato ad Uchiha con un piede che pendeva nel vuoto” non era esattamente il massimo.

Insomma, non era credibile e, inoltre, se lui avesse dovuto ascoltarsi non si sarebbe creduto.

Certo, c’era anche l’opzione “non sono mai stato sonnambulo in vita mia e Shikamaru può testimoniare” ma poi il punto erano le due domande che ne conseguivano.

Prima: “perché, tu e Nara dormite insieme? Cos’è, non sarete mica…?” con un sorrisetto malizioso che, lo giurava, sulla preside lo vedeva perfettamente. E non era il caso di alimentare certi tipi di voci, dato che quella scuola sembrava non avere muri da quanto veloce passava una notizia da una bocca all’altra,

Seconda: “ma se non sei mai stato sonnambulo allora come facevi ad essere lì in pieno stato di dormiveglia?” e, ahilui, si ritornava al problema principale.

Tanto valeva optare per la verità, questa volta.

Fu così che la preside fu la prima persona in assoluto a sapere di quegli strani sogni.

Di come aveva visto e vissuto il primo suicidio, di come avesse fatto ad incontrare la ragazza del demone a sei code e, con lei, arrivare persino a scatenare la battaglia all’interno del cortile interno. E, persino, di come avesse sentito quella voce rimbombargli nella testa e il crocifisso trasformarsi in quella spada di cristallo ed oro.

E sì, doveva ammetterlo… una volta raccontato tutto a qualcuno, si sentiva meglio.

Tsunade ascoltò tutto senza proferire parola, non perdendosi nemmeno una virgola dall’inizio alla fine della spiegazione del ragazzo.

Infine, portandosi la mano destra al mento, sorrise leggermente.

<< Si direbbe che tu sia empatico, Inuzuka >> disse poi, tornando ad incrociare le braccia al petto.

Empa… cosa?!

<< Eh? >> esordì il castano alzando un sopracciglio.

La preside rise lievemente, cambiando peso da una gamba all’altra. << Empatico >> ripeté << l’empatia è la capacità di percepire i sentimenti e le sensazioni provate dalle altre persone come se fossero tue. In poche parole, le senti tu come le sentono le persone con cui sei in contatto >> disse, spiegandosi meglio.

In effetti, in quei sogni… tutte le emozioni, tutte le sensazioni, le provava lui come se fossero realmente sue.

<< Ma di giorno non mi succede >> intervenne << eppure entro in contatto con molte persone >> aggiunse, formulando una domanda retorica.

<< Questo perché l’empatia si sviluppa in modo diverso a seconda del soggetto. Solitamente si scopre da piccoli di possederla e, sviluppandola adeguatamente, con il tempo si arriva gradualmente a controllarla. Tu, o probabilmente i tuoi genitori, l’avete rifiutata, rinnegata in un certo qual modo, dunque la tua capacità è rimasta latente all’interno di te >> disse, fermandosi un momento in modo che il castano potesse seguirla nel discorso. << E’ per questo che si sviluppa solamente durante il sonno. Quando dormi non hai controllo sui tuoi poteri, dunque la tua empatia è libera di mostrarsi. Sei entrato in risonanza con quelle due ragazze, perché in quel momento i loro sentimenti erano particolarmente intensi o violenti. E i sogni, beh… sono l’unico modo in cui il tuo potere può mostrarsi, dato che dormi >> disse, voltandosi e cominciando ad incamminarsi verso il portone principale.

Kiba le tenne dietro, affiancandosi a lei.

Poteva fare “ciao ciao” con la manina alla sua bellissima posizione nella categoria “essere umano normale”. E, la cosa che lo disturbava di più, non era che sua madre sapeva questa interessantissima -ovviamente in senso ironico- cosa, ma che avesse addirittura preso provvedimenti senza comunicarglielo.

E, soprattutto, che dovesse essere empatico proprio nel momento migliore della sua giornata, ovvero quando si dormiva!

No, aspetta. C’era qualcosa che non tornava.

<< E il tempo? >> chiese poi, voltando il capo verso la donna << come faccio a vederli prima che succedano? >> chiese, mentre aspettavano che il portone venisse aperto per farli entrare.

<< Secondo te perché hai sognato solo suicidi, Inuzuka? >> chiese di rimando << perché non gli incubi della persona che ti sta vicina di stanza, oppure un qualsiasi altro sentimento? >> aggiunse, stanca di aspettare e aprendo da sola l’enorme portone.

E lui che ne sapeva perché? Non aveva ancora capito se questa empa-roba era qualcosa di buono o no!

Di una cosa era sicuro, non si sarebbe mai messo a fare a cazzotti con la preside dopo la dimostrazione di forza che aveva appena dato aprendo quel portone, poco ma sicuro.

<< Non lo so >> ammise, più che altro per non perderci troppo tempo in ragionamenti che, non avendo le basi, nemmeno poteva fare.

Tsunade entrò all’interno dell’edificio, cominciando a percorrere il corridoio principale. << Perché i suicidi sono sempre premeditati. E’ la premeditazione che rende i sentimenti più forti e che crea quello che è il più potente di tutti i sentimenti dopo l’amore >> si fermò, voltandosi in sua direzione, osservandolo << …la paura. Le persone terrorizzate, Inuzuka, sono quelle con meno autocontrollo e, dunque, quelle a cui è più facile “leggere” i sentimenti >> disse, riprendendo a camminare ed imboccando il corridoio che portava alla presidenza.

Sì… aveva già provato cosa significava avere davvero paura di qualcosa.

<< Continuerà così tutte le notti? >> chiese poi, seguendo la donna mentre svoltava nel corridoio delle segreterie che già una volta aveva visitato.

La donna si fermò, voltandosi verso di lui con espressione calma e tranquilla. Lo guardò poi, stirando appena le labbra in un sorriso << forse per i primi tempi >> disse << ma ho intenzione di darti una mano. C’è una persona, in questa scuola, che potrà esserti d’aiuto con il tuo “problema” >> aggiunse, facendo con le mani il segno delle virgolette sulla parola problema.

Altro che virgolette, poteva dirlo forte!

Non aveva di certo intenzione di svegliarsi tutte le notti madido di sudore e con il cuore a mille, o peggio, in mezzo al cortile!

<< Te la presenterò a tempo debito >> concluse poi la preside, ricominciando a camminare in direzione delle segreterie didattiche. << Piuttosto, ti devo domandare un’altra cosa >> continuò poi, probabilmente stilando una lista di punti con quello che doveva domandargli.

Kiba sospirò rassegnato. Non se ne sarebbe andato da lì molto presto…

E cominciava a venirgli fame.

<< Che cosa hai intenzione di fare con la classe? >> domandò poi la preside a bruciapelo.

Rimase un attimo di stucco, indeciso sulla comprensione della frase.

<< In che senso? >> chiese poi, piegando involontariamente in sopracciglio in un’espressione ebete di chi non ha capito una mazza del discorso o, nel caso, si era perso un pezzo da qualche parte.

Tsunade sospirò, chiudendo gli occhi in un’espressione rassegnata. << Beh, considerando la scoperta ce tu sei effettivamente empatico, ormai puoi essere considerato un Esper in tutto e per tutto. Non ha senso che ti tenga fra gli Alchimisti, quando esiste una classe adatta alle tue potenzialità >> spiegò lei, arrivando alla porta delle segreterie e, aprendola, salutando Shizune con un cenno della mano. Kiba continuò a seguirla sotto sua richiesta, riflettendo.

Diventare Esper a tutti gli effetti, con la spilla a triquetra al posto di quella esagonale che aveva ora, significava rinunciare completamente alla sua “umanità” in un certo senso.

O almeno, lui la vedeva così.

Significava cambiare classe, metodo di studio, insegnante. Non sapeva nemmeno cosa si insegnava, a degli Esper.

E poi, a dirla tutta, l’Alchimia non gli dispiaceva.

Era più… umana.

Anche se, diciamocelo, trasmutare venti spille da balia in un paio di forbici tramite un cerchio disegnato a gessetto non rientrava esattamente all’interno di quella che era la normale comprensione degli esseri umani.

…chiedere non uccideva nessuno.

<< Non posso… rimanere nella classe di Alchimia? >> chiese dunque, fermandosi appena prima della porta dell’ufficio della preside, osservandola sorridere in sua direzione.

<< Immaginavo che me lo avresti chiesto >> disse quella << e non vedo perché tu non possa restare fra gli Alchimisti >> aggiunse poi, facendogli l’occhiolino.

Aprì appena le labbra in una smorfia di incredulo stupore. Cos’era, una di quelle persone che adorava farsi adulare? Non poteva dirglielo subito e risparmiargli tempo prezioso che avrebbe potuto usare per andare a pranzo, per esempio?

Decise di non commentare semplicemente per risparmiarsi un’ulcera perforante.

<< Ah, c’è un’ultima cosa che vorrei dirti >> disse poi la donna, aprendo la porta dell’ufficio ed entrandovi.

Kiba la seguì. Non sembrava uno di quegli uffici spaventosi delle serie cinematografiche, con i mobili in mogano scuro e le poltrone in pelle per incutere timore agli studenti che, per una o per l’altra causa, si trovavano in presidenza. Anzi, al contrario.

Era un ufficio luminoso, dai colori chiari, con una grande finestra alle spalle della scrivania che dava sull’esterno dell’accademia, dunque sui campi ora arati che d’estate venivano coltivati a grano, o a mais.

L’ufficio aveva la strana forma a semicerchio e, alle pareti, vi erano attaccati diversi poster raffiguranti stampe giapponesi dell’epoca Edo (*3) e nature morte. Una replica de “I Girasoli” di Van Gogh era appesa esattamente di fianco alla porta, in quell’unica parete piana che permetteva di appendere qualche quadro. Lungo tutta la parete curva poi, in prossimità del soffitto, una fila di cornici ritraeva uno per uno i presidi di quell’accademia che, scoprì poi più tardi, avrebbe festeggiato presto il cinquantesimo anniversario dalla sua fondazione.

Un altro modo per definire quell’ufficio era “caos”. La scrivania, soprattutto, era piena zeppa di volumi aperti ed impilati l’uno sull’altro. Foglietti di ogni sorta uscivano dai cassetti, dai risvolti della moquette, persino da sotto i mobili e avrebbe giurato che quel rettangolino giallo che pendeva dal lampadario fosse un post-it con la lista della spesa.

Con sua sorpresa poi, in piedi accanto alla scrivania, un paio di occhi candidi lo osservavano pacati. Neji Hyuga, in effetti, era in piedi accanto alla scrivania e, a quanto sembrava, attendeva proprio loro.

<< Grazie per essere venuto, Neji >> disse la donna, facendo il giro della scrivania e sedendosi sulla poltroncina in tessuto nero dallo schienale alto.

Quello distaccò le braccia dal petto, portandole lungo il busto. Portava i capelli raccolti nella solita coda lenta, alcuni ciuffi che gli ricadevano lungo il viso dai lineamenti dolci e dalla pelle chiara. Indossava un paio di pantaloni bianchi e, al di sopra, una camicia bianca con le maniche arrotolate fino al gomito.

E, con quelle ali dorate che Kiba intravedeva solamente, tutto quell’accostamento di colori lo faceva veramente sembrare quello che era, ovvero una creatura angelica.

<< Si figuri. Le ho chiesto io di chiamarmi, dopotutto >> rispose quello, tornando a guardare Kiba che, immobile, li stava osservando con la palese espressione di chi non ci capiva più niente.

Prese parola la preside: << Per quanto riguarda il crocifisso, Inuzuka, sarà Neji a spiegarti bene cos’è quell’oggetto e, nel caso, ad aiutarti >> disse la donna, sorridendo e, poggiando i gomiti sulla scrivania, incrociò le mani davanti alla bocca.

E, da quel momento in poi, lo comprese.

Avrebbe sicuramente saltato il pranzo…

 

 

Ringraziò mentalmente ogni santo esistente di essere finalmente riuscito ad orientarsi in quella scuola.

Alla fine non era difficile, se prendeva come punto di riferimento il ponte sospeso e l’atrio delle classi. Ed era proprio su quel ponte, momentaneamente più somigliante ad un corridoio di plastica a causa dei fogli di nilon che sostituivano le vetrate, che stava camminando con un mano la sua cena; ovvero un panino con tacchino, insalata maionese ed olive.

Dopo ore di chiacchierata con la preside, dove puntualmente aveva patito la fame e saltato il pranzo, era venuto fuori che Neji sarebbe stato una specie di “maestro” per lui e che, nel pomeriggio dopo scuola, avrebbe fatto qualche ora di “lezione” con l’arcangelo in modo da poter controllare il potere del crocifisso.

Anche se, in cosa consistessero quelle lezioni, alla fine nessuno glielo aveva detto.

Inoltre, da quello che era riuscito a capire mentre cercava di ignorare i crampi che il suo stomaco disperato gli inviava, per quell’altro problema dell’empatia, un insegnante dell’accademia si sarebbe premurato di aiutarlo a controllare i suoi poteri, in modo da poterli utilizzare solo se richiesti.

In modo da dormire finalmente sonni tranquilli senza ritrovarsi sul davanzale di una finestra, aveva pensato lui.

In ogni caso ancora non sapeva chi era e, inoltre, il mal di testa che gli era rimasto dallo scontro contro il demone gli era ritornato in tutta la sua dolorosa magnificenza.

Per questo quella sera non aveva sopportato un secondo di più il continuo chiacchierare della mensa, che gli entrava nel cervello con la stessa naturalezza di migliaia di aghi. Gi sembrava di avere dei calabroni piantati fra la fronte e il naso e, prima che potessero anche solo pensare di portargli il vassoio con la cena, aveva disperatamente chiesto ad Ichiraku di preparargli qualcosa da mangiare da qualche altra parte.

Dopo aver ringraziato e preso il panino al tacchino che gli veniva offerto, si allontanò di gran passo dalla mensa, diretto all’edificio della biblioteca con un obiettivo preciso: il terrazzo.

Era sera ma, essendo comunque ancora settembre, non era poi così freddo.

Una volta raggiunta la porta vista in precedenza insieme a Naruto la aprì, non sorprendendosi… anzi, non considerando il fatto che potesse essere così facilmente non chiusa a chiave. Salì le scale, tenendo il panino nella sinistra e le dita della destra sulla relativa tempia, massaggiandosela in cerchi circolari.

Stramaledetto mal di testa. Non poteva nemmeno prendere subito le pastiglie perché era a stomaco vuoto.

E aveva pure lasciato il cellulare in camera. Se chiamava sua madre… no, era sicuro che avesse già chiamato almeno cinque volte, dunque non c’era nemmeno da porsi il problema.

Terminò di salire le scale con espressione scocciata, aprendo di scatto la porta con un calcio del piede non particolarmente violento, troppo impegnato a sorreggere la cena e a massaggiarsi la testa per usare le mani.

E, una volta che riuscì a vedere il cielo sereno e stellato, un’altra visuale lo lasciò principalmente perplesso.

Alla limitare soffuso della luce di una piccola lanterna attaccata appena sopra la porta, Shikamaru lo fissava di traverso con i gomiti appoggiati alla ringhiera e il corpo leggermente piegato in avanti.

Kiba ammutolì per qualche istante, osservandolo solamente senza proferire parola.

Aveva i capelli legati come al solito, ma la camicia a quadretti psichedelici della sera prima era stata sostituita da una maglietta a maniche lunghe di colore nero con un drago rosso al lato del petto, che si arrampicava fino al colletto in una posa contorta. Al di sotto, un paio di jeans neri davano un tocco quasi oscuro al ragazzo.

Si guardarono, inizialmente senza spiccicare parola… prima che Shikamaru rompesse il silenzio: << E’ proprio vero, hai lasciato la finezza a casa >> esordì, tornando a fissare il nulla oltre la ringhiera.

Kiba storse il naso, chiudendosi con poca grazia la piccola porticina alle spalle. << Può darsi >> sbottò poi, alzando lo sguardo su di lui. << Piuttosto, ecco dove ti rifugi tutte le sere! Cos’è, spaventato dalle relazioni umane che si intraprendono a tavola, comunemente chiamati “dialoghi”? >> chiese, in un palese tentativo di stuzzicarlo.

Shikamaru non rispose, limitandosi solo ad un << …forse >> che non lasciò molto spazio per l’immaginazione del castano.

Si avvicinò dunque, senza nemmeno pensare a chiedere il permesso, oppure se con la sua presenza disturbasse e, con un’altra azione atta al disturbo, si appoggiò pesantemente alla ringhiera, a poca distanza dal moro.

Osservò a sua volta quello che, teoricamente, guardava Shikamaru.

… cosa? Cosa, che non si vedeva un fico secco?!

Cioè, sì, le stelle e la sagoma della scuola, ma oltre a quello non c’era proprio un tubo da guardare.

<< Si può sapere che stai guardando? >> chiese dunque, rimuovendo in tempo lampo dal suo cervello il piano “disturbiamo Shikamaru finchè non strippa”.

Il moro sbuffò, chiudendo gli occhi con fare seccato ma annoiato al contempo per poi voltare le iridi scure in sua direzione: << nulla in particolare >> rispose, poggiando il mento alla mano destra.

Quel ragazzo lo faceva impazzire, quando si comportava in quel modo. Soprattutto quando cambiava carattere dal giorno alla sera.

Cioè, insomma… anche se era imbarazzante ammetterlo, prima veniva in camera sua e poi non lo considerava nemmeno?

Ah, a proposito di camera sua…

<< Ohi! >> esordì, frugandosi nella tasca dei pantaloni larghi che indossava. Chiuse la mano su un affarino piccolo e con dei fili arrotolati attorno, estraendo dalla tasca il lettore mp3 del moro. << Lo hai lasciato da me >> aggiunse, facendo l’errore più madornale della sua vita senza nemmeno pensarci: lo lanciò.

Ovvio che lui, con il mal di testa che si ritrovava e l’intontimento dovuto al poco sonno degli ultimi tempi, non avesse molta mira.

Ed era anche ovvio che Shiakamaru, completamente perso nei suoi pensieri, non reagì in tempo per afferrarlo.

Ma più che altro… Kiba, la mamma non ti ha mai detto che non si lanciano le cose nei posti alti o, comunque, vicino ad una balconata?

Cosa succede, per esempio, se sbagli mira?

Successe tutto troppo in fretta perché entrambi lo realizzassero.

Il piccolo aggeggio volò incontro al buio oltre il balcone, poco spostato da Shikamaru che, sorpreso dal lancio troppo repentino, non riuscì a muoversi abbastanza velocemente.

Kiba, per rimediare all’errore, si sporse con il busto oltre la ringhiera, poggiandosi ad essa con il ventre e tendendo la mano per prendere il piccolo affarino… perdendo l’equilibrio.

A nulla servì lasciare istintivamente il panino per cercare di tenersi ad uno dei sostegni della ringhiera, ormai era troppo sbilanciato e sentiva gradualmente i piedi staccarsi dal suolo e agevolarlo nella sua caduta nel vuoto.

<< Ah…! >> riuscì solo ad esclamare, sentendo giù lo stomaco chiuso nel precipitare verso il basso e il dolore del suo ventre una volta trafitto da quelle croci in ferro che, a discapito del tempo e della pioggia, si ergevano al termine di ogni tettoia.

Che morte… stupida.

Quando ormai era già pronto per urlare disperato, o per attaccarsi disperatamente alla speranza di un appiglio di fortuna, successe quello che non si sarebbe mai immaginato succedesse: l’ombra della ringhiera provocata dalla piccola lucerna si mosse e, prendendo letteralmente vita, gli si avvolse attorno ai polsi e alle caviglie, riportandolo non solo in equilibrio, ma anche con i piedi per terra e con il corpo lontano dallo strapiombo.

Era come essere stretti… dal nulla. Nonostante sembrasse avere un volume, occupare uno spazio… quell’ombra era talmente eterea da non parere nemmeno vera.

Era fredda… come la mano di un fantasma che ti si posa sulla pelle per accarezzarti dolcemente.

Respirò, finalmente, prendendo più aria possibile all’interno dei polmoni alternandosi in respiri veloci.

Ne aveva abbastanza di rischiare la vita in quella scuola, anche e soprattutto per delle cavolate.

Quando l’ombra lo lasciò andare, ritornando della sua precedente forma, voltò il capo verso Shikamaru. Era ovvio che era stato il moro a manovrare l’ombra in tempo per salvargli il culo ancora una volta… << grazie Shikamaru, io…! >> ma non terminò nemmeno la frase.

Il moro si era inginocchiato a terra, ansimante, con la mano destra piegata a tenersi stretta la maglietta esattamente in mezzo al torace, avrebbe detto quasi sul… cuore. Respirava a fatica e, dato il colorito pallido che stava gradualmente prendendo la sua pelle, sudava anche freddo. Aveva gli occhi chiusi, serrati, e tentava disperatamente di riprendere aria e di regolarizzare il respiro, come se… se si controllasse.

Ma la preoccupazione prese il vantaggio sulla ragione, questa volta. Uno ad uno, palla al centro.

<< Shikamaru stai…? >> tentò di chiedere, avvicinandosi di scatto al moro e appoggiandogli una mano sulla spalla.

La frase non andò oltre.

Improvvisamente il fiato gli si bloccò in gola mentre il cuore, rimbombandogli nelle orecchie, mancò un battito come se si dovesse fermare da un momento all’altro.

Tensione, difficoltà, ansia… paura.

Questi sentimenti… non erano… suoi! Non erano suoi!

Chiuse gli occhi in preda ad un improvviso dolore al capo, come se lo avessero colpito alla fronte con una stilettata e, quando li riaprì, Shikamaru era scomparso.

E, con lui, anche il tetto e la scuola.

Si trovava in un luogo strano, pieno di colori, di palloncini e di persone che, tutte sorridenti ed insieme ai loro figli, camminavano frettolose in mezzo alla folla. In lontananza, oltre quel mare di persone, le travi in ferro e le cabine colorate di quella che aveva tutta l’aria di una ruota panoramica. A poca distanza da un palo, sotto un grappolo di palloncini gonfiati ad elio, un clown alzava la mano in aria e, con la sua voce melodiosa risuonante al di sopra del rumore delle chiacchiere delle persone presenti, canticchiava:

<< Mangiate lo zucchero filato! Provate la giostra! Sedetevi sulle tazze da tè e sulla Ruota Panoramica! >>

con una voce sottile e leggiadra che, anche se urlava, risuonava comunque piacevole.

E, a poca distanza da lui, un bambino.

Avrà avuto circa dieci anni. Aveva un palloncino rosso stretto nella mano destra, le gote bagnate da alcune lacrime ma gli occhi… non dicevano nulla. Non esprimevano nulla.

E il cuore batteva in petto al bambino, come nel suo, di una paura radicata ma inestinguibile.

Una di quelle paure in cui puoi dire solo “è presente, non posso farci nulla” e lasciarla perdere finchè non scompare da sola.

Ma ciò che lo lasciava perplesso era che quel bambino, con quei capelli mori leggermente lunghi, assomigliava troppo… a Shikamaru.

Allo Shikamaru di quella foto che, la prima sera, aveva preso fra le mani nella camera del ragazzo.

Si alzò in piedi, guardandosi ancora attorno mentre le voci delle persone presenti, nonostante la folla, scemavano pian piano nel silenzio.

<< Dove…?! >> balbettò Kiba, osservando agitato il posto in cui sembrava finito tutto d’un tratto.

<< Non lo vedi? >> rispose il bambino, facendogli un sorriso che avrebbe definito solamente come “folle”. << Siamo in un Luna Park! >> disse, con voce gioiosa nonostante gli occhi non la esprimessero.

E nonostante nel cuore, poteva sentirlo, avesse solamente… paura.

 

 

Chapter No.4 ~ End.

 

 

 

 

*1- Tanuki: animale mitologico giapponese. Un incrocio fra un cane e un procione.

*2- Alcatraz è un carcere di massima sicurezza che prende il nome dall’omonima isola situata nelle acque di San Francisco (California, USA)

*3- Epoca Edo: noto anche come Periodo Tokugawa, dal nome della famiglia che deteneva lo shogunato (ovvero la massima carica politica e militare). Il nome è preso dalla capitale Edo, chiamata poi Tokyo dal 1869. L’Epoca Edo va dal 1603 al 1867.

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Capitolo 6
*** Interlude 01 - Specchi sul Passato ***


Note: Dio, non si può

Note: Dio, non si può… non si può guardare l’anime di D.Gray-man e rimanere innamorati persi della canzone in pianoforte che suona Allen nell’episodio 93… XQ_____ la sto ascoltando da due ore a ciclo continuo…

Ma lasciamo perdere e passiamo alle risposte, così finalmente comincio questo capitolo che, per mio sommo gaudio, è il primo “Interlude” *______*

VavvyMalfoy91: Eheh, io adoro finire i capitoli con il colpo di scena! XD E comunque non sai che sofferenza far dire quelle cose a Kiba nella scena della biblioteca, io adoro leggere ç___ç mi venivano i sensi di colpa. Però parliamone, Kiba non mi sembra tipo da chiudersi in camera a leggere XD. Mi fa molto piacere che la fic ti piaccia, sul serio! *annuisce* ma oltre a metterla nei preferiti (cosa di cui sono onorata) non credo che sarebbe un avvenimento da pubblicazione universale! XD Ah, non sei l’unica che credeva che Kiba cambiasse corso, però io sono una ficwriter bastarda e ho deciso che rimaneva negli alchimisti! MWAHAHAHAHAHAHAHAHAH! *___* … ok, ora basta XD Grazie per aver letto e commentato (ancora)!

Slice: Figurati, fare uno schemino sulle classi non anticipa nulla sul corso della trama, e se ti è d’aiuto lo faccio volentieri *annuisce* anche perché, all’inizio, me lo sono fatto pure io *prende fuori il quadernetto degli appunti*.

Comunque lo metto in fondo alla pagina perché altrimenti quassù prende troppo spazio. Inoltre sono contenta di essere riuscita a far piacere la ShikaKiba, nei limiti del possibile °_____° pensavo che mi avrebbero lanciato uova marce solo a vedere l’introduzione XD. Comunque grazie mille per aver letto e commentato anche questa volta!

CloudRibbon: X°DDDDD sì, concordo, noi due abbiamo probabilmente una sorta di tempismo ottimale! *____* il capitolo del Pozzo! (<- nomignolo con cui chiamo la fic, perché pronunciarlo in inglese è sacrilego, per me). In ogni caso, andiamo per gradi, come al solito. Credo sia la centesima volta che ti ringrazio per i tuoi complimenti sul mio stile di scrittura, ma tanto io lo faccio ancora! XD Grazie mille, non li merito! E no! Pensare nello Yaoi Side of Life non è male, è bene! *o* (per me la colpa è tutta della TsuzukixHisoka, dato che è Yami no Matsuei il primo manga che ho letto! XD della serie: roviniamoci la vita già d’in partenza…) Per quanto riguarda l’ironia, beh, sono veramente contenta che dopo un tot di capitoli non cominci a stomacare. Anche perché io sono ironica proprio di natura, dunque mi ci trovo abbastanza… e poi dai, non me lo vedo Kiba perennemente serio, mi fa venire i brividi. Per il finale… eh, lo scoprirai cos’era! XD Sarà materia di questo capitolo e, teoricamente, una volta finito dovresti capire di cosa si trattava. E sì, la scena della biblioteca esprime la visione che la maggior parte delle persone hanno dei libri. Ora ti saluto e passo avanti, così non prendo troppo spazio! XD Grazie per avermi “letto” ancora! ^*^

Rei Murai: Ora spiegami, io qui che ti devo dire? XD Ti dico già tutto su MSN! (ovviamente tranne gli spoiler, soffrirai fino in fondo U___U). Visto quanta gente si è appassionata alla ShikaKiba? Visto? Tutto merito tuo! XD Ti lovvo anche io! =*

Soarez: Oddio davvero, sono felice che la mia fic ti piaccia! Come mi fa felice che piaccia la coppia, vuol dire che la rendo bene e questo mi rassicura ^____^. Per quanto riguarda Kiba guarda, biecamente parlando, è proprio per il fatto che Kishimoto-sensei non lo utilizza come personaggio principale che non mi riesce troppo difficile muoverlo. Nel senso che il suo carattere non viene sviluppato completamente proprio di trama, dunque si possono sempre sfruttare quei lati “bui” non mostrati nel contesto originale. Se poi ricadrà nell’ OOC, probabilmente sarà per esigenze di trama, ma cercherò di trattenermi *annuisce*. Ah, poi… come fai a dire che Shikamaru con il palloncino è tenero, a me inquieterebbe un casino! >.< Vabbè, grazie mille per avere letto e commentato, spero che questo capitolo non deluda le tue aspettative!

Capitatapercaso: Si, Sasuke, tenta il suicidio *____* *assatanata*… emh! *si schiarisce la voce* grazie mille -credo che non finirò più di dirlo- per il tuo commento! E sì, era proprio un capitolo di transizione, anche perché a parte l’ultima scena non succede poi molto XD. Staremo a vedere se anche questo è di tuo gradimento *annuisce*. Ma povero Itachi nel teatrino! Pare un tantino sadomaso, sai? XD

OnlyAShadow: Beata te donna che sei andata in montagna =___=’’’ *muore di caldo* e comunque tranquilla, teoricamente andando avanti si dovrebbe capire di più XD. Naruto, sì… nonostante nel manga con Kiba ci battibecchi più che andarci d’accordo, qui riesco a muovermelo solo da fratellino maggiore… e parliamone, io ho lo stereotipo di Naruto delle doujinshi SasuNaru, è una fortuna che non me lo muovo pucciosamente uke una scena sì e l’altra pure! XD Comunque avrai modo di inquadrare sia Neji che Sasuke più avanti *annuisce*. Ora ti lascio anche io, così non rompo troppo! XD Grazie mille per aver letto e commentato di nuovo!

 

Ok, ultima cosa poi tolgo il disturbo.

Questo capitolo è una completa boiata. Non so veramente come definirlo, di conseguenza non so darvi il mio parere sul mio stesso operato. Non so nemmeno che sensazione possa dare °_____° starà a voi dirmelo.

Per precisione, il pezzo fra un titolo e l’altro vuole essere una sottospecie di introduzione per riprendere il filo della narrazione.

Ah, altra cosa! Siccome Kishimoto-sensei non specifica molto il passato di Shikamaru io non avevo elementi sufficienti per ricrearlo (almeno in parte) oppure per adattarlo alla storia. Con questo, vi avverto che ho usato biecamente questa mancanza per la costruzione del capitolo. Perciò, il passato di Shikamaru che di seguito viene illustrato non c’entra nulla con il manga. E, suvvia, non è sotto la categoria “Alternative Universe” per niente! XD

Fine delle comunicazioni di servizio. A voi il primo “Interlude”!

.:: Enjoy! ::.

 

 

Chapter 05 ~ Interlude 01

 

Ancora osservava il bambino sorridere falsamente, fissandone gli occhi scuri e tristi in netto contrasto con quel sorriso dai toni vivaci.

Non riusciva a capire. Sogno? Realtà? Cos’era quello?

Ricordava di aver toccato Shikamaru perché non si sentiva bene, inginocchiato sulla veranda dell’edificio della biblioteca… no, non stava dormendo. Era sveglio quando lo aveva fatto. Quello non era di certo un sogno.

E allora cos’era? Realtà?

Impossibile. Non era quella la realtà.

Si rialzò in piedi dalla posizione inginocchiata, tirandosi lentamente su e portandosi subito una mano alla tempia destra. L’emicrania pulsava ferocemente, provocandogli scariche di dolore intenso che non facevano altro che intontirlo.

Come tutto quel mondo, i cui suoni sembravano fuori posto e selettivi. Non si sentiva lo scalpiccio della folla che, frenetica, camminava avanti e indietro portando in giro ragazzini e bambini, le cui mute risate comparivano solo come sorrisi senza suono. Non si sentiva la musica degli altoparlanti, lo scoppiettare dei venditori ambulanti di pop-corn e lo sferragliare delle giostre tutte intorno. Si sentivano solamente i suoi passi, echeggianti come se stesse camminando in un corridoio completamente vuoto, le risatine del bambino e la voce melodiosa e acuta del pagliaccio che, sotto il nugolo di palloncini, ancora urlava la sua nenia:

<< Vengano signori, vengano! Provate la ruota panoramica, lo zucchero filato e l’ottovolante! >> ripeteva infinitamente << Vuole un palloncino, signora? Un palloncino per il suo bambino? >> chiedeva poi, sporgendosi verso una donna con figlio a seguito che, nonostante muovessero le labbra e sorridessero al clown, non emettevano alcun suono.

Vedeva il suo costume bianco a pallini colorati, le scarpe lunghe e rosse, le mani coi guanti gialli… ma per quanto sforzo facesse, non riusciva a vederlo in faccia. Era sempre, perennemente nascosto da quei palloncini.

<< E’ inutile, non riuscirai a vederlo >> esclamò poi il bambino, osservandolo incuriosito con ancora qualche residuo di quel falso sorriso che gli aveva visto fare finora, che gli tirava appena l’angolo destro delle labbra in una smorfia strana.

Kiba lo fissò seriamente, probabilmente pensando alla domanda che doveva fare. Se era una di quelle stupide visioni empatiche che -gli aveva detto la preside- potevano prendergli a contatto con sentimenti troppo forti, avrebbe poi volentieri trovato il posto dove infilargliele, quelle visioni.

Per il momento, doveva pensare a trovare una soluzione a quel problema e, l’unico che sembrava saperne qualcosa, era quella specie di Shikamaru in miniatura.

Sospirò, cercando di calmarsi e di convincersi che no, questo non era nulla. Solamente -forse- una visione, dunque era falso, tutto falso.

Strano, tentare di convincersi di una menzogna quando sai che non lo è affatto.

Proseguì comunque, avvicinandosi al bambino con pochi passi fino a che non gli fu a quasi un metro e mezzo di distanza. Osservandolo dall’alto al basso, decise di stare al gioco: << Perché? >> chiese, a voce bassa dato che rimbombava tutto. infatti, nonostante avesse emesso solo un sussurro, sembrò che avesse parlato con il suo tono normale.

<< Perché lui non vuole >> rispose il bambino, guardandolo ora con espressione stupita e, unendo le mani dietro la schiena, si chinò verso di lui con il busto, osservandolo curioso. Sembrò annusare l’aria intorno a lui, sfigurando poi il viso del piccolo Shikamaru con un sorriso malizioso quando sembrò aver trovato quello che andava cercando, assottigliando gli occhi scuri. << Che bello, che bello! E’ arrivato il giocoliere! >> esclamò poi, battendo le manine. Il palloncino rosso, legato al polso, si mosse a seconda della corda rimbombando come un basso fuori scala.

Stava cominciando a stufarsi. E parecchio, anche.

<< Sei tu che mi hai portato qui? >> chiese poi, usando un tono perentorio. Solitamente con i mocciosi funzionava.

Ma non con lui. Continuava a sorridere  in quel modo adulto maledettamente strafottente e, guardandolo, si portò le mani dietro la testa, i gomiti aperti a fianco di essa. << Io? >> chiese poi, indicandosi con l’indice della mano destra << bu-bu! Sbagliato! >> esclamò, muovendo il ditino da destra a sinistra davanti al suo naso. Lo osservò, ghignando maliziosamente: << Io non ho fatto niente, tu sei venuto da solo… >> rispose, saltellando un passo indietro.

<< No che non ci sono venuto da solo! >> ribatté l’Inuzuka acido. Se Shikamaru era davvero così sfacciato da piccolo, povera la madre, era una santa anche più di quella despota della sua!

<< Invece sì! >> ribatté infantilmente il piccolo Nara, facendo una linguaccia. << Io non ti ci ho chiamato, e neanche lui! >> ribatté ancora, indicando con la mano sinistra il clown intento ad gridare, facendo muovere il palloncino al gesto.

E cosa cavolo gli significava quel palloncino?

Calma Kiba, calma… ci doveva pur essere un modo per togliere i piedi da quel casino!

Come funzionavano quelle visioni? Non c’era un modo per spegnerle?!

<< Ohi, signor giocoliere? >> chiese poi il bambino lamentandosi, senza tuttavia avanzare di nemmeno un singolo passo in sua direzione, mantenendo fra loro una distanza costante di due metri circa. << Facciamo un gioco? >> propose poi, sfoggiando uno di quei sorrisetti da schiaffi che vedeva dall’equivalente di cinque minuti e che già odiava profondamente.

Kiba non rispose, osservandolo solamente come se dovesse mangiarselo all’istante.

il piccolo sorrise più ampiamente, assottigliando gli occhi in ancora più malizia. << Giochiamo a “prendi la cosa importante”! >> esordì con voce allegra, sempre guardando Kiba.

<< E se non volessi giocare? >> chiese dunque il castano, lasciando diritte le braccia lungo i fianchi.

<< Male, male! >> ribatté quello con la vocetta infantile, scuotendo il capo a destra e a sinistra << Non va bene, perché la cosa che devi prendere è molto, molto, moooooooolto importante! >> aggiunse, aprendo le braccia sopra il capo per cercare di dare un’idea di quanto potesse essere essenziale.

Ora ricordava perché odiava i bambini.

Davvero. Se sua madre si fosse mai sognata di dire “voglio un nipote” rivolgendosi a lui sarebbe stata la volta buona per spezzargli tutte le ossa.

Sospirò tuttavia. Perché nonostante il moccioso a forma di Shikamaru taglia XS fosse una vera e propria piattola, sembrava l’unico che ne sapesse qualcosa. Anzi, sembrava addirittura l’unico con cui potesse parlare nel senso letterale del termine.

<< Sentiamo, cosa sarebbe questa cosa? >> chiese dunque.

L’espressione che fece il piccolo, improvvisamente, sembrava quella di un adulto in tutta la sua infame cattiveria. << Io >> rispose semplicemente. << E se ti stai chiedendo il perché, giovane giocoliere… >> continuò, il tono ora basso e sussurrato << …pensa: non ti piacerebbe uscire da qui? >> terminò, un sorrisetto di sfida sul volto.

Kiba sussultò appena, sgranando gli occhi. Aveva appena detto… “uscire”?

<< Tu sai… dov’è l’uscita? >> chiese sorpreso, avanzando di un passo.

Quasi immediatamente, il bambino indietreggiò di uno. << Sì, è quello che ho detto >> confermò sorridendo. Sempre sorridendo.

Kiba lo guardò ancora, probabilmente ragionando per prendere una decisione. Ma, tuttavia, dentro di sé già sapeva che l’aveva presa ancora prima di cominciare a pensarci sopra. Ghignò beffardo, scattando velocemente contro il bambino, tutto il peso portato in avanti per far sì che lo scatto fosse molto veloce e, in un certo senso, lo cogliesse di sorpresa.

<< Ti ho pres…! >> esultò a pochi centimetri da lui se non fosse che, prima anche solo di sfiorarne la maglietta, scomparve letteralmente sotto il suo naso e lui finì con il naso per terra e il sedere per aria.

Alzò poi gli occhi nell’udire una risata cristallina, puntando le iridi sul moccioso che, beatamente, se la rideva a più di cinque metri di distanza.

Altro che uscita, se lo prendeva lo ammazzava a suon di ceffoni.

Esatto… se lo prendeva.

Perché veloce quanto vuoi, ma un essere umano non può essere così veloce. Era letteralmente scomparso quando ormai gli era addosso e, una cosa simile, l’aveva vista fare solamente a Son Goku (*1). Non si sarebbe sorpreso di sentire che qualche alieno di un pianeta con il nome impronunciabile gli avesse insegnato la tecnica del Teletrasporto.

Cioè, ormai non si stupiva più di niente, era quello il vero problema.

<< Eh no! Col cavolo che mollo! >> sbottò successivamente, rialzandosi in fretta e cominciando a correre dietro al bambino che, attraversando il parco giochi, si muoveva agilmente. Anzi, lui correva come un disperato per stargli dietro, al punto da farsi venire male ai muscoli delle cosce, mentre quello saltellava allegramente stile “Heidi sulle montagne che fanno ciao”, facendo una cosa come cinque metri per saltello, mentre lui se li faceva tutti a gambe e fiato.

Quella era la riprova che erano nel mondo reale quanto lui in realtà si chiamava Barbara.

E lui non si chiamava Barbara.

Lo seguì nuovamente in quella corsa esasperante finchè il moccioso, ritornando al punto di partenza, non fece un rapido giro attorno al pagliaccio dei palloncini, infilandosi poi all’interno di una casetta scura e dall’aria fatiscente.

Kiba, senza nemmeno guardare dove fosse entrato, lo seguì velocemente, ignorando il fatto che ora l’intero parco dei divertimenti era vuoto e che, soprattutto… il clown aveva smesso di reclamare attenzione, ammutolendosi mentre li osservava entrare nella Casa degli Specchi.

 

Shikamaru’s Lullaby

Specchi sul Passato

 

Si ritrovò in mezzo agli specchi senza nemmeno sapere come ci era finito.

Rallentò il passo, passando dalla corsa alla camminata e, successivamente, fermandosi totalmente in mezzo ad un percorso fiancheggiato da miriadi di specchi. Affannato, si guardò intorno.

Specchi, specchi… non vedeva altro che specchi. Oltre alle file sui lati anche al soffitto, collegati con cavi in acciaio pienamente visibili, avevano appeso degli specchi. Il pavimento era fatto di specchio anch’esso, ma sembrava più vetro riflettente che altro. Infatti, l’immagine di lui che vi ammirava sopra era leggermente distorta.

Lo stesso non si poteva dire per tutti gli altri. Riflettevano una sua immagine perfetta, presa da diverse angolazioni a seconda di dove fosse lo specchio in cui guardava, riflettendo a sua volta il riflesso del riflesso e, di conseguenza, creando quello strano effetto di moltiplicazione in scala ridotta.

Era il classico effetto ottico che utilizzavano in quelle case per disorientare i passanti.

Continuò a guardarsi intorno sospettoso, osservando specchio per specchio se si vedesse la traccia, anche la scia, del rosso di un palloncino.

Il luogo era immerso in un silenzio innaturale e, soprattutto, non aveva la minima idea da dove arrivasse la fievole luce che lo illuminava. Sicuramente non da lampadari elettrici, dato che gli unici che riusciva ad intravedere sul soffitto erano spenti.

Solamente il suo respiro affannato rompeva il silenzio.

Forse a causa della corsa -anche se ancora non concepiva perché facesse fatica in un mondo fittizio- la sua polo bianca a maniche lunghe gli si era appiccicata addosso mentre, dal collo, una piccola gocciolina di sudore scendeva impunemente, lasciando una scia salata lungo la giugulare.

<< Dove diavolo sei finito, stramaledetto moccioso? >> sussurrò a se stesso, fissando ora il volto su uno degli specchi alla sua destra, ovvero in quello che rifletteva pienamente e integralmente la sua immagine.

Sembrava che, pian piano, la superficie si stesse deformando. La sua bocca distorceva in un ghigno mostruoso, così come per la sua faccia… finchè, da quella strana distorsione, non uscirono delle parole. Parole marchiate a fuoco, che scioglievano lo specchio nello stesso tempo in cui venivano incise, facendolo colare a terra in gocce simili al mercurio.

Le lesse con pazienza, aspettando man mano che ogni termine venisse concluso in quella breve e strana scrittura.

 

Al principio di ogni causa

 

La osservò, non sapendo in nessun modo come interpretarla, sbuffando. Non facevano prima a far comparire la scritta “uscita per di qui” ? Sarebbe stato molto più facile, soprattutto per lui!

Sbuffando nuovamente si avvicinò allo specchio in questione, osservando scocciato le parole marchiate sulla sua superficie. Prima le annusò… poi, quando non ci trovò nessun odore particolare, alzò una mano nel tentativo di toccarle, sperando che non fosse ancora incandescente.

Ma il contatto non avvenne nemmeno. Ancora prima che potesse appoggiare il polpastrello su quella superficie, fu lo specchio stesso che, con un grugnito ed un brontolio sinistro, cominciò a deformarsi di nuovo.

Kiba piegò un sopracciglio, rimanendo imbambolato a fissare la superficie riflettente. Lo specchio aveva appena… ringhiato?

Ancora prima che l’istinto gli suggerisse di togliersi dai piedi, sullo specchio venne riflessa una mano. Immobile, aperta a mostrargli il palmo, se ne stava semplicemente lì riflessa, fluttuante nel vuoto.

Si voltò di scatto, pensando con orrore al trovarsi un moncherino di mano galleggiare nel vuoto di fianco a lui. Stava persino per colpirla nonostante avesse voce e fiato bloccati in gola ma… ma… non c’era nessuna mano, di fianco a lui.

A bocca aperta si voltò nuovamente, ritrovano il braccio sullo specchio ancora nella stessa posizione.

Ma non per molto.

Muovendosi improvvisamente, la mano uscì letteralmente dallo specchio e, afferrandolo per il colletto della maglia, lo trascinò con forza verso di esso.

E lui, semplicemente, lo oltrepassò. Lo superò come se avesse semplicemente rotto una superficie liquida che lo aveva risucchiato al suo interno per capillarità e, una volta superata, lo scenario cambiò completamente.

Si trovava all’interno di una stanza rettangolare, luminosa, con un buon profumo di fiori e le pareti bianche. Tre finestre abbastanza ampie erano spalancate nella parete di fronte a lui, alcuni uccellini appoggiati sui suoi davanzali cinguettavano allegramente riempiendo il silenzio. Alcune risate e urla infantili si potevano sentire, oltre le finestre, probabilmente provenienti dal cortile. Due grandissime librerie erano attaccate al muro alla sua destra mentre, alla sua sinistra, una lavagna prendeva tutta la parete. Dietro di lui vi era una porta a due ante lasciata aperta e, in centro alla sala, una fila doppia di cattedre una di fronte all’altra riempiva lo spazio altrimenti vuoto. Non aveva contato quante fossero esattamente, ma tutte erano più o meno disordinate e piene di fogli; qualche compito da correggere, qualche test con segni rossi un po’ ovunque, comunicazioni dalla segreteria didattica, libri di testo semi-aperti o ammassati in lunghe pile, giornali, quotidiani, una rivista di moda e articoli di cancelleria a volontà, soprattutto matite.

Sembrava tanto, ma proprio tanto una Sala Insegnanti di una qualche scuola pubblica… e lui se lo ricordava molto bene, com’erano fatte, dato che a farsi riprendere dai professori ci passava un’ora sì e l’altra pure.

Tuttavia… aveva qualcosa di strano. Non vedeva computer, palmari, cellulari… nessuna cosa che superasse, come tecnologia, il livello di un tostapane.

Poi, mentre ancora analizzava la situazione imponendosi una calma che non aveva realmente, alcune voci lo distrassero; provenivano dal corridoio e l’eco dei passi sembrava in avvicinamento.

<< Allora che ne dice, signorina Sendou? >> stava dicendo una voce maschile abbastanza giovanile << posso invitarla fuori a cena? >> continuò, causando l’ilarità di qualcuno, probabilmente una donna data la risata profonda ma educata.

<< Se lo scordi Tatsuya >> rispose probabilmente la diretta interessata << non esco con i colleghi >> aggiunse poi, freddamente a quanto sembrava dalla voce.

Diamine, erano vicini! Troppo vicini!

Si guardò freneticamente intorno, alla ricerca di un posto in cui nascondersi. Non poteva mica starsene lì in piedi a fissare i professori in arrivo con espressione ebete! Anche se non sapeva chi fossero, o che tipo di scuola fosse quella, lui aveva sempre l’aspetto di uno studente, era solo in aula insegnanti e, soprattutto, non aveva di certo un’aria innocente!

Scartò subito l’idea di rintanarsi sotto una cattedra. Se solo si fosse seduta una donna e si fosse accorta che lui era lì sotto, i guai non solo sarebbero raddoppiati, ma addirittura triplicati.

Le librerie erano infattibili, troppo scoperte e trasparenti. E lui non aveva ancora la facoltà di travestirsi da libro, dunque era meglio scartarla all’istante.

Nello sentire i passi sempre più vicini e le voci esattamente a livello della porta, ebbe l’intuizione geniale. La classica trovata che arriva all’ultimo momento ma che ha la facoltà di salvarti il sedere una volta per tutte: con uno scatto rapido si nascose dietro l’anta che faceva angolo con la parete delle lavagne, trattenendo il fiato.

Una volta al sicuro, sospirò. Rischio di linciaggio da parte del fantomatico corpo insegnanti scampato per un soffio.

Sentì le prime persone entrare, qualche rumore di tacco e il cigolio classico della suola di gomma di alcune scarpe a tennis. Altre scarpe, probabilmente con il tacco basso, entrarono poco dopo insieme ad un ciarlare di voci profonde e serie che parlavano di svariati argomenti.

Beh, anche se non aveva la minima idea di cosa ci facesse lì -e dove fosse, quel “lì”!- almeno era al sicuro…

<< Ohi! >> sbottò poi un uomo, probabilmente il primo che aveva sentito parlare << l’ultimo chiuda la porta! >>

E porca miseria ladra!

Ma tenetela aperta questa cavolo di porta! E’ estate, fa caldo, almeno gira aria!

Si appiattì contro il muro e, istantaneamente, il suo cervello pensò ad una miriade di scuse per giustificare la sua presenza in quella stanza, delle quali la più seria era “inseguivo il mio cane” cosa che, suvvia, non reggeva.

E la verità era fuori discussione. “Inseguivo un tizio con un palloncino dentro una visione”… sì, a questo punto faceva prima a sparare quella del cane che era più credibile, nella sua incredibilità.

Trattenne il respiro lungo quegli interminabili minuti in cui nuove serie di passi si avvicinavano ed oltrepassavano la soglia, andando ad accomodarsi alle cattedre con uno spostare rumoroso di sedie.

Poi, sentendosi il cuore in gola, arrivò il tanto temuto ultimo insegnante.

Serrò gli occhi, pronto alla scusa stile suocera impazzita, ovvero attaccando le parole una all’altra senza pause per respirare. Già si aspettava la reazione di sorpresa del tanto temuto insegnante che, chiudendo la porta, lo avrebbe sorpreso… ma non successe nulla. Semplicemente, l’uomo entrò, si chiuse la porta alle spalle, guardò sicuramente in sua direzione e, togliendosi gli occhiali con l’intenzione di pulirli, si avviò verso le cattedre.

… cosa diavolo era successo?!

Non lo vedevano? Non potevano vederlo?

Beh, dopotutto erano in un altro mondo, poteva essere possibile…

Riprese finalmente a respirare, sospirando rumorosamente. Era l’unica cosa per cui gli stava simpatico quel potere, i pericoli non erano reali.

O almeno, non sempre.

<< Bene signori, ci siamo tutti? >> cominciò poi uno degli insegnanti, la voce maschile profonda e sicura. Si voltò in loro direzione, andando a posizionarsi vicino alla finestra. Dato che non potevano vederlo, aveva tutto il tempo per svignarsela. Magari trovava una grondaia da cui potersi calare o, sempre magari, se si gettava direttamente non si sarebbe fatto male. A giudicare dalla prospettiva degli alberi e degli edifici esterni, dovevano essere solamente al primo piano… non era un volo così pericoloso, anche buttandosi.

<< Sì, tutti >> rispose la stessa donna che aveva sentito parlare prima. Aveva un volto appuntito ma affascinante, capelli castani a caschetto e indossava un paio di jeans e una camicetta a mezza manica a quadretti. Lo sguardo era serio e, al suo fianco, il giovane professore di educazione fisica -riconoscibilissimo dalla tuta blu e lo shinai(*2) appoggiato alla sedia- continuava ad ammiccare in sua direzione, causando probabilmente l’ilarità di una terza donna, abbastanza grassottella, dai capelli grigi e corti, ricci, che facevano un brutto accostamento con il tailleur blu che indossava.

<< Bene, cominciamo con l’ordine del giorno >> proseguì l’uomo di prima, un tipo magrolino con gli occhiali e i capelli quasi brizzolati. << Dobbiamo risolvere la situazione del ragazzino del quarto C. Ha dei voti appena sufficienti per essere promosso, ma i test attitudinali rivelano che ha un’intelligenza molto acuta >> continuò, sfogliando qualche cartella per estrarne un plico di fogli tenuti insieme da una graffetta.

<< Sta parlando di Nara? >> chiese poi l’insegnante di educazione fisica, osservando l’uomo anziano. << Nella mia materia non brilla, ma non posso dire che non sia abile. Qual è il problema? Se ha voti sufficienti per passare l’anno, così sia! >> disse, appoggiandosi con la schiena allo schienale della sedia e osservando i presenti.

Kiba si bloccò, girandosi di scatto.

In un lampo tutte le sue congetture sulle vie di fuga scomparvero, sostituite solo dallo stupore. Cosa diamine centrava Shikamaru, ora?

<< Fosse solo quello il problema… >> rispose un altro uomo, di fronte alla signora con il tailleur blu. Era magrolino, il viso appuntito e pallido, un paio di occhiali sul naso e capelli corti di un color castano molto chiaro. Era lo stesso che aveva chiuso la porta, e ancora non aveva finito di pulirsi le lenti con il lembo della camicia bianca che indossava.

<< In che senso? >> chiese allora una terza donna, capelli biondi raccolti in una coda di cavallo sulla nuca, gonna stretta di color viola e una camicetta a maniche lunghe nera legata al collo da un fiocchetto rosso.

L’uomo terminò di pulirsi le lenti con aria disinvolta, rimettendosi nuovamente gli occhiali prima di guardare la collega. << Nel senso che non è tutto >> specificò, aggiungendo poi: << ultimamente avete notato che è sempre da solo? Eppure gli altri anni aveva degli amici, nonostante il carattere pigro e sfaccendato >>.

Sì, stavano parlando proprio di Shikamaru, non c’era pericolo d’errore.

Ma allora… quello doveva essere…

<< Sì, conosco anche io questa storia >> disse poi la donna con il tailleur blu, annuendo in direzione dei due colleghi. << Dice di vedere cose strane. Ali, spiriti… cose del genere >> disse, incrociando le mani in grembo, per poi continuare: << prima pensavo che fosse uno scherzo, ma lui non fa che ripeterlo continuamente. Il ragazzo nuovo, Aizawa… lo guarda come se fosse un extraterrestre. La prima volta che è entrato in classe, e tutte le volte che prova ad avvicinarsi, Shikamaru scatta all’indietro, come innervosito, o spaventato… >> disse con voce calma, abbassando appena gli occhi sulla cattedra ordinata a cui era seduta.

Ascoltando quelle parole, ne ebbe la conferma. Non era una visione normale.

Quello era il passato. Il passato di Shikamaru.

 

« prova ad immaginarti a scuola, seduto al banco in quarta fila. Il maestro presenta un nuovo allievo e, sotto ai tuoi occhi, quello dispiega un paio d’ali da mezz’angelo. Ti guardi intorno spaventato a morte e ti accorgi che, a quanto pare, quelle ali le vedi solo tu… »

 

Sgranò gli occhi a quell’improvviso ricordo, trattenendo il fiato ancora una volta e aprendo la bocca. Era solo una voce, solamente la voce dell’amico nella sua testa, ma era sufficiente per provare quella teoria.

Coincideva, per il momento.

Lasciò completamente perdere la finestra, avvicinandosi a passo lento alle cattedre per seguire meglio il discorso. Non sapeva come sentirsi, se curioso o ficcanaso, ma non poté fare a meno di rimanere in quel posto ed ascoltare.

Ascoltare chi prendeva le decisioni e cos’era realmente successo, quasi otto anni prima.

Gli insegnanti si guardarono fra loro, indecisi. << Forse dovremo avvertire i genitori… >> intervenne nuovamente la donna con il caschetto castano e l’espressione seria.

<< Già fatto >> ribatté il giovane con il viso a punta e gli occhiali << saranno all’incontro genitori-insegnanti della prossima settimana, potremo parlargli in quell’occasione >> rispose, sempre con voce seriosa e rigida.

<< Senti, senti! >> ribatté poi il professore di educazione fisica, appoggiando i gomiti alla cattedra e la faccia sulle mani << da quando in qua prendi decisioni in solitaria, Maeda? >> chiese allegro, sorridendo beffardo all’uomo.

Quello lo fissò freddamente, chiudendo gli occhi e togliendosi gli occhiali, cominciando nuovamente a pulirli con un fazzoletto estratto dalla tasca. Rispose poi, atono: << Mi sorprende ammetterlo, ma quel ragazzo ha una mente altamente logico-matematica. Al test attitudinale ha raggiunto un totale di 200 di quoziente intellettivo, è un vero genio, solo che non si impegna. Inoltre, è portato per il calcolo strategico; l’ho sfidato a scacchi e mi ha battuto in due minuti netti. Mi dispiacerebbe perdere uno studente così portato >> terminò, infilandosi di nuovo gli occhiali.

E quindi, era quello il vero Shikamaru? Un genio pigro?

Effettivamente, ricordava di avere visto una scacchiera dello shoji, in camera del ragazzo…

<< E’ interessante come discussione? >>

Sobbalzò.

<< Ti ricordo che devi ancora prendermi, giocoliere! >>

No, non aveva sognato. L’aveva sentita davvero, quella voce.

Si guardò intorno, cercando di scorgere la figura del bambino o, anche, il colore del palloncino. Se ne sentiva la voce, doveva pur essere da qualche parte!

<< Nel corridoio >> rispose per lui, come se gli avesse letto i pensieri.

Non se lo fece ripetere due volte. Ormai le parole degli insegnanti erano sfumate dietro di lui, scattato istantaneamente in direzione della porta, aprendola violentemente per immettersi in un corridoio…

…che assolutamente non era quello di una scuola.

Le pareti bianche, candide persino, divise in due per il lungo con la parte inferiore colorata di un verdino quasi fastidioso per gli occhi, dal quanto era chiaro. Porte numerate, bianco panna, con i numeri in ottone placcato oro. A destra quelli dispari, a sinistra quelli pari. Ogni porta era in legno, aveva un chiavistello ed era munita di una finestrella in vetro da cui, molto agilmente, un adulto poteva guardare dentro.

O, comunque, qualsiasi persona fosse alta più in un metro e sessantacinque.

Il pavimento piastrellato di granito, con i classici puntini neri su pasta grigiastra, dava un’atmosfera claustrofobia al luogo. Persone in camicia da notte, alcune sorrette da un bastone e altre su sedie a rotelle, camminavano lungo il corridoio, accompagnati da donne in divisa bianca, con le ciabatte ortopediche e una cuffietta bianca in testa.

Avevano tutta l’aria di essere infermiere.

Vi erano anche alcuni giovani con il viso stravolto. Alcuni fissavano in punto fisso mentre venivano spinti su una sedia a rotelle, alcuni ridevano da soli, bisbigliando frasi a se stessi, portandosi le mani al volto con fare… folle.

E, complice il forte odore di disinfettante presente in quel posto, già sapeva dove si trovava.

 

« Lo dissi ai miei. Loro erano persone normali che conducevano una vita normale… e presero una decisione da genitori  ».

[…] un braccialettino ospedaliero plastificato con il nome “Shikamaru Nara - reparto psichiatrico”  scritto a macchina rifletteva appena i raggi lunari.

 

Infatti, non tardò molto prima che qualcuno di conosciuto comparisse in quel luogo. Due persone, un adulto ed una bambino, camminavano lentamente in sua direzione.

L’adulto era palesemente una medico. Indossava un camice candido sopra una camicia bianca e un paio di pantaloni scuri di taglio classico. Stempiato, aveva i capelli brizzolati e un paio di occhiali stile anni cinquanta dalle lenti sottili ma ampie, montatura marrone. Dal lato del camice pendeva un cartellino plastificato, ma era troppo distante per leggerne il nome.

Il bambino, beh… non c’era nemmeno bisogno di descriverlo. Era uguale a quello della fotografia e, invero, uguale al ragazzino che doveva inseguire per uscire da quel posto.

Sempre che quel posto avesse realmente un’uscita.

Tuttavia, nonostante avesse effettivamente una questione in sospeso con il moccioso del palloncino rosso, non riusciva a muoversi da quella posizione.

O almeno, da quella visione.

Teneva gli occhi puntati sul piccolo Shikamaru, la bocca semi aperta e l’espressione indecifrabile.

Era… risentito.

Risentito per Nara, per il comportamento dei suoi genitori, per tutti i fastidi che aveva avuto a scuola.

Lo osservò di nuovo quando si avvicinò ancora, fermandosi insieme al medico davanti ad una delle porte della parete di fronte a lui, appena spostata sulla destra. Ne guardò l’espressione, i lineamenti, semplicemente immobili come se, inconsciamente, avesse già accettato tutto quello. Come se se ne fosse fatto una ragione. Lo sguardo era basso, puntato a terra seguendo all’inclinazione dei viso mentre, senza volerlo fare realmente, si faceva guidare per mano dal dottore.

<< Bene Shikamaru, questa è la tua camera da oggi >> disse l’uomo, sorridendo frettoloso ed imbarazzato mentre, con la mano libera da quella del piccolo, si risistemava gli occhiali sul naso e al contempo reggeva una cartella rigida con qualche foglio pinzato sopra.

Il bambino si limitò ad alzare lo sguardo su quello dell’adulto, aggrottando la fronte in un’espressione ferita. Tuttavia non piangeva, non lo faceva.

Sembrava anche troppo adulto, sotto questo aspetto.

<< Da oggi… fino a quando? >> chiese lui, la voce infantile ridotta a poco più di un sussurro, forse per non farla tremare.

Perché nonostante non riuscisse nemmeno ad immaginare lo Shikamaru che conosceva piangere, in quel “mondo” lo Shikamaru che stava osservando come spettatore era solo un bambino. Un bambino abbandonato dai genitori convinti di fare il suo bene.

Si rendeva conto che era una cosa diversa, l’infanzia dall’adolescenza. Nell’infanzia puoi piangere, quando non va bene qualcosa, puoi sbattere i piedi e arrabbiarti e avrai sempre qualcuno che ti ascolta, che siano o meno i tuoi genitori.

Quando si diventa grandi però… non c’è nessuno che ti ascolta.

E forse, lo Shikamaru “grande” che aveva conosciuto all’interno di quell’accademia lo sapeva meglio di lui.

Il medico lo guardò ancora più imbarazzato, premurandosi di aprire la porta della camera.

La 41… strano scherzo del destino. Aveva la stessa camera anche all’accademia.

<< Finché non starai meglio! >> rispose il medico, cercando di assumere un tono rassicurante. Cosa che non gli venne per niente bene. << Presto smetterai di vedere tutte quelle cose strane, così tornerai a casa, dalla tua mamma e dal tuo papà >> aggiunse, cercando di sorridergli ma mostrandogli solamente una sottospecie di finto sorrisetto.

Era piccolo, non stupido. Kiba lo vide dalla sua espressione.

Poteva, forse, individuarne l’esatto momento.

Il momento in cui il piccolo Shikamaru capiva che erano tutte bugie, che nemmeno lui gli credeva quando diceva di riuscire a vedere le ali.

Il momento in cui capiva che quel medico non era né un protettore, né quell’amico che si professava tanto di essere.

Il momento in cui capiva… che lui non avrebbe mai smesso di vedere quelle cose strane.  E, di conseguenza, capiva che non sarebbe più tornato a casa.

Oppure, Kiba…

Oppure il momento in cui il suo cuore si è spezzato. Il momento in cui un altro Peter Pan aveva smesso di credere nelle fate e, rimanendo intrappolato nella realtà, aveva deciso di crescere.

O era stato costretto a farlo.

Il bambino non aggiunse altro, rimanendo semplicemente zitto mentre, aprendo finalmente la porta, il medico lo costringeva gentilmente ad entrare nella stanza, richiudendogliela alle spalle.

Diede un’occhiata alla cartella, estrasse una penna dal taschino, tolse poi un piccolo rettangolino di carta dalla targhetta attaccata alla porta e, con la penna, vi scrisse qualcosa sopra.

Rimise a posto la targhetta, infilandola nell’apposito sostegno di plastica. Ora, il nome “Shikamaru Nara” sanciva la prigione che avrebbe tenuto quel bambino dentro le mura bianche di un ospedale.

Ma per… quanto tempo?

Come se seguisse la sua volontà il posto cominciò a mutare. Prima il colore dei muri che, sciogliendosi, diveniva ora più scuro… ma non era esattamente la vernice delle pareti, era piuttosto la luce che illuminava quel corridoio. Si spensero le luci elettriche mentre, dalla porta a vetri sulla destra, un’atmosfera aranciata tipica del tramonto invadeva l’intero corridoio, vuoto per di più.

Le uniche persone che sembravano percorrerlo, provenienti dalla sua sinistra, erano due individui semi-nascosti dall’angolo buio del corridoio. Tuttavia ne sentiva le voci e, pian piano che si avvicinavano, riusciva a scorgerne le figure.

Il primo indossava una tunica nera con colletto alto, rigido e banco. Un rosario con un crocefisso pendeva dal collo e, nella mano destra lasciata lungo il fianco, teneva una Bibbia con la copertina in pelle marrone. Al suo fianco, nella divisa bianca completa di pantaloni lunghi e maglietta a mezze maniche coi bottoni sul davanti, un ragazzo dai capelli neri lunghi fino a mezza schiena camminava a passo tranquillo. Aveva un braccialetto plastificato al polso destro e le ciabatte ortopediche ai piedi.

I lineamenti del viso, mascolini ma in complesso non disarmonici, e gli occhi appena assottigliati dall’iride scura non gli lasciarono dubbi: quel ragazzo era Shikamaru e, inoltre, non sembrava molto più giovane di quello che aveva conosciuto lui.

Gli si mozzò il fiato in gola mentre, con una sensazione fastidiosa, gli si chiudeva lo stomaco dandogli quasi la nausea. Cercò di prendere fiato ma, a metà del respiro, dovette interrompersi. Non riusciva a comprendere come avessero potuto… come avessero…come potevano?!

Osservando il ragazzo -che, ora se ne rendeva conto, dimostrava quattordici anni forse quindici- aggrottò lo sopracciglia in un’espressione stranamente colpevole.

<< Shikamaru… >> sussurrò poi, rivolto a se stesso dato che solo a se stesso poteva rivolgersi << quanto… tempo hai passato qui dentro? >> chiese inconsciamente, probabilmente esprimendo un pensiero ad alta voce.

<< non poco >> fu la risposta, derivante da una voce infantile e beffarda proveniente dal suo fianco.

Voltandosi di scatto alla sua destra, facendo contemporaneamente un passo verso sinistra in una guardia istintiva, notò la figura di quel bambino che, forse in maniera anormale, stava fluttuando nell’aria seduto a gambe incrociate sul palloncino che prima si portava appresso.

Resistette alla tentazione di cercare di prenderlo. Al momento, preferiva parlarci. Perché lui sembrava saperne sicuramente più di tutti e, parliamone, gli altri “tutti” facevano parte di quello che, a sua discrezione, somigliava sempre di più ad un flusso di ricordi.

Si acquietò dunque, fissandolo ora con espressione seria. Non si sentiva più di fare battute stupide, era troppo amareggiato da tutto ciò che aveva visto.

<< Quanto? >> chiese solamente, tornando con lo sguardo sullo Shikamaru del ricordo che, con espressione seria e stanca, ascoltava qualcosa che quel prete gli stava spiegando con aria rilassata.

<< cinque anni >> rispose il piccolo, non distogliendo lo sguardo nemmeno per un minuto dal ricordo che entrambi stavano vedendo. << lì ha quattordici anni, se non sbaglio >> aggiunse poi, gonfiando un palloncino con la cicca finchè non esplose.

Lo osservò di sbieco. Avrebbe sorriso, se solo ne avesse avuto la forza.

<< Cosa sei, tu? >> chiese poi, sempre osservandolo da quella posizione semi-girata verso il più piccolo.

Quello, con solo un piccolo battito di ciglia, sorrise mellifluo. << Come te ne sei accorto? >> chiese, masticando rumorosamente il chewingum con lo stesso sorriso sulle labbra.

Kiba non rispose subito, limitandosi ad osservarlo. Poi, tornando con gli occhi sullo Shikamaru dei ricordi, con quei capelli lunghi che non lo facevano sembrare nemmeno lui, gli rispose: << hai le sembianze di Shikamaru. Io non parlerei di me in terza persona, vedendomi in un ricordo >> disse, sicuro di sé.

Il piccolo ridacchiò, ingigantendo di malizia il sorriso. << Allora ce l’hai un po’ di cervello in quella zucca >> rispose lui, scendendo dal palloncino e poggiando i piedi a terra. << Sono stanco di farmi rincorrere, anche perché tu ti fermi ad ogni piccolo ricordo a ficcanasare nel passato del tuo compagno, dunque non concludiamo proprio niente >> disse, grattandosi la testa con ara scocciata; alzò poi il braccio sinistro, indicando il corridoio nella direzione da cui erano venute le due figure che ora parlavano davanti alla camera 41 << di là c’è l’uscita >> disse rapido, sbadigliando sonoramente dopo averlo detto.

Kiba lo osservò con un sopracciglio alzato, incerto se credergli o meno. << E perché me lo dici? >> chiese poi, la voce dal tono serio e terribilmente inquietante.

Se era una cavolata lo avrebbe davvero ammazzato di botte.

<< Perché mi annoio >> rispose quello, riprendendo il palloncino e, voltandogli le spalle, camminando lungo il corridoio in direzione della porta a vetri. << Se non ti fermi ad ogni scena struggente che trovi sarai fuori in un batter d’occhio, giocoliere >> aggiunse poi.

Kiba lo seguì con lo sguardo finchè non sparì oltre la porta a vetri, inghiottito nella luce del crepuscolo. Non aveva ancora capito chi fosse, o per quale motivo lo aveva trascinato… no… aveva giocato con lui in quel modo, approfittando del fatto che la sua empatia lo avesse catapultato in quel posto. Però voleva uscirne.

In primo luogo non era corretto osservare i ricordi di qualcun altro senza il permesso di quella persona. In secondo luogo…

…per lui era troppo.

Non sapeva perché si sentisse così male nel venire a sapere cosa aveva passato il compagno, sapeva solo che non stava bene. Voleva andarsene e, per la prima volta, non era una questione di istinto ma di sentimenti.

Riportò lo sguardo sui due, ascoltando per caso uno stralcio di discorso.

<< Questo è un dono, figliolo >> diceva il sacerdote con la mano destra posata sulla spalla del moro << Dio te lo ha dato perché tu lo possa usare nel suo nome >> aggiunse, sussurrandolo con voce dall’intonazione dolce e comprensiva.

Shikamaru lo osservò con espressione vuota, distogliendo poi lo sguardo da quello del religioso.

<< Non credo che sia un dono, padre… >> rispose poi, chiudendo gli occhi e sospirando mestamente.

Non ascoltò oltre.

Voltandosi rapidamente per distogliere lo sguardo da quella scena cominciò a camminare nella direzione indicatagli dal marmocchio, il passo veloce e deciso, lo stomaco ancora chiuso. Aveva ancora addosso quella sensazione sgradevole che sembrava tanto a dispiacere e, forse, a tristezza.

Ma poteva essere sua, come poteva non esserlo. Poteva essere di Shikamaru, come quella paura che aveva sentito sulla terrazza, oppure in presenza di quello strano clown con i palloncini che aveva visto all’inizio.

Non ci capiva più niente.

Mano a mano che procedeva lungo il corridoio, quello cambiava. Il pavimento piastrellato veniva sostituito da una moquette rossa posata sopra piastrelle più grandi di marmo candido, le pareti si bucavano e, quei buchi, prendevano poi la forma di finestre e di porte in legno scuro. Sul soffitto poi, le luci al neon mutavano la loro forma, sciogliendosi, in quella di lampadari a candela, ovviamente forniti di lampadine di cristallo funzionanti a luce elettrica. Fuori era buio.

Cominciava sempre più a somigliare all’ accademia St. Michael e, più precisamente, al corridoio dell’edificio delle classi al piano terra, quello che portava all’entrata principale della biblioteca.

Sentì poi dei passi, dietro di lui.

Frettolosi, rapidi… anzi, era una corsa, non solamente dei passi.

Cercò di non girarsi, immaginando già chi avrebbe visto… e non voleva vederlo. Non voleva assistere ad un suo altro ricordo, facendo il ficcanaso e osservando qualcosa senza il permesso di poterlo fare.

Ma, soprattutto, non voleva provare più quelle sensazioni fastidiose.

Tuttavia, nonostante la sua ferrea volontà di non guardare quell’ennesimo stralcio di coscienza che gli veniva mostrato, non poté fare a meno di notare Shikamaru che, correndo, lo superò ansimante. Indossava la divisa dell’accademia, i capelli raccolti nella solita coda alta, l’espressione stanca e pallida mentre si dirigeva, molto evidentemente, al bagno degli uomini subito prima della biblioteca.

Non c’era nessuno oltre a lui per quel corridoio e tutta l’accademia sembrava vuota e silenziosa.

Si fermò sul posto mentre Shikamaru, buttandosi di peso sulla porta dei servizi, la apriva rapidamente per entrarvi con una mano davanti alla bocca, probabilmente per trattenere un conato di vomito.

Non resistette. Forse aveva assorbito fin troppo i sentimenti del moro finendo per scambiarli come suoi o, forse, erano proprio suoi… fatto sta che si avvicinò a passo lento, osservando la scena dalla porta lasciata aperta.

Shikamaru era riverso su uno dei lavandini sulla sinistra, tenendosi con le braccia ai bordi in marmo bianco mentre lo scrosciare dell’acqua del rubinetto aperto riempiva il silenzio. Ansimava appena chinato sul lavandino, gli occhi chiusi in un tentativo di trovare il controllo di se stesso, o più semplicemente di risollevarsi senza cedere alla nausea. Deglutì poi, sospirando esausto, risollevandosi lievemente con il busto in modo da farsi mancare l’appoggio con la destra, chiudendo il rubinetto.

Una volta che il suo corpo ebbe accettato la posizione senza preannunciare danni, si risollevò del tutto, specchiandosi.

Aveva il volto pallido e gli occhi rossi cerchiati da due occhiaie abbastanza pronunciate. Era debole, si vedeva, e sicuramente non mangiava abbastanza. Alla giacca aveva appuntata una spilla a forma di croce, ovvero il riconoscimento per chi studia nella classe degli Esorcisti e, semi-nascosto dal colletto della camicia, un cerotto bianco risaltava sulla pelle leggermente olivastra del moro, attaccato dietro al collo.

Kiba allungò una mano in sua direzione, bloccandosi poi a mezz’aria. Ma che faceva?

Era totalmente inutile anche solo provarci a sfiorarlo e lui avrebbe dovuto saperlo. Lui era solamente un fantasma intruso in quegli stralci di memoria non sua, non poteva di certo avere un corpo reale e pretendere di poter anche solo sfiorare la spalla dell’amico.

Si sentiva… inutile. Aveva un misto di malessere e rabbia nel cuore, la maggior parte di quelle probabilmente derivate da Shikamaru che, ora, si squadrava allo specchio come se, invece del suo riflesso, stesse guardando un nemico da eliminare.

E la rabbia pian piano mutava all’interno di Kiba, trasformandosi in ira, in vere e proprie vampate d’odio.

Non poteva credere che quelli fossero i sentimenti di Shikamaru. Era talmente abituato a vederlo sempre tranquillo e pacato, che anche solo con l’immaginazione non poteva, non riusciva a vederlo arrabbiato con qualcuno.

Poi scattò. Arrivato al limite massimo di sopportazione fu Shikamaru a mollare, chiudendo la mano destra a pugno e piegando il gomito mentre portava indietro il braccio.

Fu un istante; caricando il pugno lo scagliò contro lo specchio che aveva di fronte, il peso del torace e la spalla completamente lanciati in avanti insieme al braccio stesso, imprimendogli forza, incrinando lo specchio da un lato all’altro della cornice senza però frantumarlo. Alcune gocce color rubino cominciarono a scendere lungo la superficie riflettente, colando lentamente e macchiando la bianca superficie del lavandino, espandendosi e diluendosi al contatto con le gocce d’acqua presenti da prima.

Si osservò, Shikamaru, fra una crepa e l’altra che aveva provocato su quello specchio. Kiba fece lo stesso, osservando invece il moro… e, trattenendo il fiato per lo stupore, questa volta li vide chiaramente: un paio di occhi dall’iride violacea e la pupilla allungata verticalmente che, dal riflesso, osservavano Shikamaru deformandone il volto in un sorriso di pura malizia.

Ma sorrideva solamente il riflesso, perché il “vero” Shikamaru si osservava a sua volta stralunato e stupito. Scosse il capo poi, portando la destra dal vetro al volto, poggiandosi medio e pollice sugli occhi chiusi.

Il suo viso, ancora bagnato dalle goccioline d’acqua, si macchiò velocemente del sangue che sgorgava lento dai tagli che aveva sulle dita, formando due linee scarlatte sulle sue gote.

Quando riaprì gli occhi, il riflesso mostrava solamente lui.

Kiba si portò le mani alle orecchie. Nessuno urlava, tutto taceva, ma nella sua mente era come se milioni di voci gli inculcassero in corpo sentimenti e pensieri non suoi.

Sentimenti e pensieri palesemente di Shikamaru.

La momentanea paura, provata probabilmente da entrambi, era presto stata sostituita dall’incredulità, poi dalla consapevolezza che, pian piano, era mutata in risentimento, di nuovo in rabbia e, successivamente, in un disperato senso di inutilità.

La testa gli doleva. Un dolore sparito, ignorato, e tornato ora più forte che mai.

Non poteva sopportare tutto quello, non per molto ancora. Il suo corpo stava cedendo, si sentiva sopraffatto da tutti quei sentimenti che nel mondo reale non percepiva così spesso e, soprattutto, così intensamente.

Shikamaru, davanti a lui, ridacchiò apatico in direzione del suo riflesso. << Sono ridicolo… come un pagliaccio… >> sussurrò a se stesso, cominciando a ridere per non piangere.

E non era che la cosa… gli riuscisse gran che bene.

Il castano scosse il capo e, gemendo di dolore, scappò.

Ricominciò a percorrere il corridoio, questa volta di corsa, ignorando e deciso ad ignorare qualsiasi altra immagine fosse comparsa sulla sua strada. Molto presto, nella velocità della sua corsa, il corridoio cominciò a cambiare nuovamente riprendendo la forma stretta e cunicolare di quel piccolo passaggio all’interno della stanza degli specchi. Tutto, dopo poco, divenne di specchio, facendogli capire di essere tornato all’interno della casa di quello strano parco giochi.

Ma non era abbastanza, doveva uscire anche da lì. Doveva tornare al punto di partenza, era quello il trucco, era quella l’uscita!

Corse fino a che, dopo una curva a sinistra, una porta illuminata sanciva la sua uscita verso il “fuori”, verso l’anticamera del mondo reale.

Non ce la faceva più, non ne poteva più. Aveva la mano destra alla bocca, il fiato bloccato in gola e gli occhi chiedevano, per l’ennesima volta in una settimana, di poter riversare sulle gote le lacrime che si formavano pian piano.

E, finalmente, uscì.

Rallentò la corsa una volta all’esterno della casa, arrivando a camminare in direzione di due figure riconoscibilissime in lontananza.

Il pagliaccio e il bambino seduto sul palloncino rosso.

Entrambi in piedi in quello che, adesso, era un luna park immobile e solitario, silenzioso come la notte nonostante in quel mondo ci fosse sempre luce. Una costante, fastidiosissima luce.

Il piccolo lo guardava senza dire niente, semplicemente osservandolo seduto a gambe incrociate su quel palloncino che lo tratteneva fluttuante in aria mentre il pagliaccio, immobile al suo fianco, teneva il braccio piegato e i palloncini colorati davanti al volto.

Kiba cercò di respirare ma, solamente l’azione, lo minacciò di un pianto sicuro.

E, ne era sicuro, aveva sicuramente gli occhi lucidi.

Poi, una voce.

Echeggiante, lontana, dispersa… ma esistente.

Lo chiamava. “Kiba!” diceva. “Kiba, Kiba!” ripeteva. E il tono, quello sembrava preoccupato, anche se non riusciva a riconoscerne il suono e, dunque, ad associarla ad un volto.

Poi, più vicina, un’altra voce. Ma questa volta non fu il bambino a parlare dei due, fu il pagliaccio che, aprendo lentamente un dito alla volta, lasciava che i palloncini prendessero il volo pian piano e che il suo volto rimanesse scoperto.

Parlò… e fra tutte le voci della Terra avrebbe riconosciuto la sua.

<< Ogni causa comporta una qualche nostra azione che ne determini lo sviluppo >> affermò, parlando in maniera talmente impersonale da non sembrare nemmeno reale.

I palloncini se ne andavano, scoprendo un viso adolescenziale mascolino ma non disarmonico…

E la voce in lontananza continuava a chiamarlo, sembrando sempre più vicina mentre lui, Kiba, sentiva le palpebre farsi lentamente pesanti.

<< E ogni nostra azione, anche la più piccola… >> un altro palloncino, che scopriva un paio di labbra sottili e rosate, poi un altro ancora in un susseguirsi concatenato, che scopriva questa volta qualche ciuffo moro di capelli. << …comporta una conseguenza >> aggiunse in un movimento delicato di labbra.

Pian piano quel volto si mostrava e la sua consapevolezza aumentava.

Gli occhi si facevano sempre più pesanti…

 

<< …Kiba… >>

 

<< E non importa se la causa scatenante è paragonabile ad un battito d’ali di farfalla >> continuò il pagliaccio, ormai con il volto del tutto scoperto.

<< Shikamaru… >> sussurrò il castano, osservando l’ultimo palloncino lasciare le dita affusolate del ragazzo e librarsi nel cielo bianco di quel limbo disperso fra realtà e ricordo.

<< La conseguenza avrà la stessa forza distruttiva di una tempesta >> asserì il moro, puntando gli occhi sottili dalle iridi scure su quelli di Kiba.

Gli occhi si chiudevano da soli, il mondo scompariva pian piano inghiottito dalle tenebre mentre quella voce lontana continuava ad invocare il suo nome.

 

<< Kiba! >>

 

Un ultimo sguardo, un ultimo barlume di luce, un ultimo singulto di forza.

La mano del castano che si tendeva inerme verso il pagliaccio, verso Shikamaru…

<< Io… volevo solo una vita tranquilla >> sussurrò il moro senza smettere di guardarlo.

Chiuse gli occhi, vinto da quel mancamento di forze improvviso, avvolgendo tutta quella luce in una sua personale oscurità.

<< bye bye, Inuzuka >> disse solamente il ragazzino sul palloncino, sfoggiando una paio di iridi color vinaccia dalla pupilla allungata.

Poi, il silenzio… e una voce che continuava a chiamarlo:

 

<< KIBA! >>

 

 

 

Riaprì gli occhi a quell’urlo, ritrovandosi improvvisamente a poca distanza dal volto di Shikamaru che, sorpreso e pallido, urlava il suo nome. Era inginocchiato a terra, le braccia inerti lungo i fianchi che sfioravano il terreno, le spalle strette dalle mani dell’altro che, in una presa forte ma non dolorosa, lo scuoteva leggermente.

Intontito, spaesato. Si guardò intorno, non vedendo altro che buio, il contorno irregolare delle torrette della chiesa e i tetti dell’accademia, le stelle lontanissime brillare come lucciole e, alla luce di quella piccola lanterna, i contorni in penombra della balconata.

Sentendosi il cuore in gola, poté finalmente respirare. E, in un certo senso, lasciarsi andare.

Avvertì chiaramente alcune lacrime scendergli sulle gote, come vedeva la vista sfumare, soffocata dalle lacrime che finalmente trovavano via d’uscita dai suoi occhi, trattenute fino a quel momento.

<< Stai bene? >> gli chiese poi Shikamaru, senza lasciarlo ancora andare.

Riportò lo sguardo su di lui, non riuscendo a bloccare quelle lacrime in alcun modo. Quei sentimenti, quei ricordi, quelle emozioni e… e… tutta quella rabbia, e quella paura…

Sentirsi persi senza ritrovare più se stessi, ecco cos’era l’Empatia. Completamente persi nelle emozioni degli altri tanto da non riuscire a separale dalle proprie.

Come avrebbe capito se i suoi sentimenti erano reali o indotti, da quel momento in poi? Come?

<< Kiba! >> lo chiamò di nuovo il moro, traendo un profondo respiro come se gli mancasse il fiato. << Stai bene? >> ripeté, aspettando una conferma, un cenno qualsiasi per potersi rilassare.

Kiba riuscì solamente ad annuire con il capo, sfigurando il viso in una smorfia disperata.

Odiava piangere. E, ancora peggio, odiava farlo davanti agli altri.

Le lacrime erano debolezza e, in piccole gocce, nel suo orgoglio provocavano ferite peggiori di una spada affilata.

Ma non riusciva… a fermarsi. Non riusciva a non provare pena per lui, per quello che aveva passato.

Era umano, Cristo Santo… non poteva far finta di non avere un cuore per mantenere intatta la corazza del suo smisurato orgoglio.

<< mi… >> cominciò a bassa voce, singhiozzando nel tentativo di parlare ma cercando comunque di dire quello che voleva effettivamente rivolgere al compagno. << mi… dispiace… >> provò nuovamente, riuscendoci solamente in parte.

Shikamaru sembrò stupito della frase e, soprattutto, disarmato davanti alle lacrime del castano. Fece per staccare la mani dalle sue spalle, lasciargli lo spazio che desiderava, ma fu anticipato dalle sue parole e da quelle scuse che non riusciva a capire.

<< per cosa, Kiba? >> chiese dunque, cercando di usare un tono rassicurante nonostante non sapesse per niente cosa fare in certi casi.

Ma non riuscì ad ottenere nient’altro che le parole “mi dispiace” e se ne accontentò. Kiba non era in condizioni di spiegare nulla, al momento, e lui non era in condizioni adatte ad ascoltare.

Si sentiva mancare.

Poi, successe.

Probabilmente quando Kiba si sentì togliere il contatto delle mani di Shikamaru sulle braccia reagì d’intinto per compensare quell’allontanamento… o, forse, era stato semplicemente un cedimento da parte di tutte le sue difese, che si trattasse di orgoglio o di ragione.

Fatto sta che, allungando le braccia e il busto, abbracciò Shikamaru, aggrappandosi con le mani alla maglietta nera del moro e nascondendo il viso bagnato dalle lacrime nell’incavo fra la spalla e il collo.

Nara si trovò spiazzato. Ma, nella nebbia del momento, fu una delle rare volte in cui diede ragione all’istinto e, cingendo esitante le spalle e la vita di Kiba, ricambiò l’abbraccio stringendolo a sé in maniera impacciata.

Stringendo di più il tessuto a quel contatto, Kiba ripeté le sue scuse.

E la voce del moro, in un sussurro che non sapeva se definire dolce o semplicemente sorpreso, rispose un << non è nulla… va tutto bene >> che risuonò tremendamente rassicurante.

E, stretto in quell’abbraccio, perse i sensi.

 

 

Chapter No.5 ~ End

 

 

 

*1- Son Goku: riferito al protagonista di Dragonball (Akira Toryama). Teoricamente dovrebbe essere un fenomeno mondiale che Goku, nella serie Z, impara quella beneamata tecnica del teletrasporto, ma nel caso l’ho specificato lo stesso XD

*2- Shinai: spada di legno usata negli allenamenti di kendo.

*3 - SCHEMA PERSONAGGI:

 

- Classe Angelica:

Naruto Uzumaki [III anno] (perché è un mezzosangue e, comunque, perché è il portatore del Kyuubi).

Sasuke Uchiha [III anno] (perché è un angelo caduto)

Itachi Uchiha [V anno] (perché è un mezzo demone)

Neji Hyuga [IV anno] (perché è Arcangelo, non può stare altrove XD)
Hinata Hyuga [III anno] (perché è angelo puro, vale lo stesso di quanto detto per Neji)

Ten Ten [IV anno] (perché è un mezz’angelo)

- Esper:

Shikamaru Nara [III anno] (prima era Esorcista. Ora controlla le ombre, per cui è stato trasferito di classe)

Gaara Sabaku [III anno] (La comparsa! XD Comunque, lui controlla la sabbia)

Shino Aburame [III anno] (Il suo feeling con gli insetti poteva essere solo opera di un esper, in questo mondo ^^’’’)

- Esorcisti:

Chouji Akimichi [III anno] (perché vede le ali dei mezz’angeli senza bisogno di strumenti particolari. E’ il motivo per cui tutti gli Esorcisti sono tali).

- Alchimisti: fanno parte degli Alchimisti tutti gli esseri umani che non hanno poteri particolari ma che, per un motivo o per l’altro, si ritrovano in quell’accademia.

Sakura Haruno [III anno]

Ino Yamanaka [III anno]

Kiba Inuzuka [III anno] (nonostante si sia scoperto Empatico ha deciso di rimanere fra gli Alchimisti)

Rock Lee [IV anno] (…prossimamente su questi schermi! XD)

 

 

Ecco a voi lo schema, spero che sia abbastanza chiaro! XD

Per chi avrà la pazienza di non linciarmi per questi continui capitoli sospesi, al prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** A.A.A. ***


Note: *si porta una mano alla fronte con fare teatrale* ultimamente

Note: *si porta una mano alla fronte con fare teatrale* ultimamente… sono ammorbata dalla maledizione dei pairing impossibili. Ma con la storia non centra niente, dunque non vi tange! XD

Ebbene, come al solito comincio prima con le risposte, poi proseguo con la trama. Dunque, let’s go!

Slice: Noooooooo! I nocchini no! >.< *si ripara*. Beh, sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo, veramente ç____ç a me sembrava insulso… anzi, più che insulso strano. Ma poi mi sono detta “trovami qualcosa che sia normale in questa fic” così alla fine l’ho postato comunque XD. E no, non preoccuparti se hai bisogno di precisazioni, sono qua apposta, e finchè non spoilero nulla sulla trama posso rispondere… dovrai accontentarti di risposte sul vago, ma rispondo! Allora: sì, è vero. Teoricamente Angeli e Arcangeli non hanno il permesso di passare sul nostro piano (vedesi primo capitolo) ma per Neji e Hinata c’è un perché. Hanno ricevuto il “permesso” dal Capo (quello che sta in Cielo, in Terra e in ogni luogo, presente? XD) e anzi, Neji ha una missione da compiere per conto Suo, ma questo sarà argomento del secondo Interlude un po’ più avanti *annuisce*. Per Hinata è un pelo più complicato, tecnicamente fa da spalla a Neji ma poi assumerà un altro valore che non posso specificare! XD
Mi rendo conto di non essere stata cristallina, ma spero almeno di avere colmato in parte i tuoi dubbi! Grazie per la recensione, sempre puntuale =*

Capitatapercaso: Io avrei sinceramente timore di farmi preparare un cappuccino da Itachi, comunque se ti fidi tu, non vedo perché non mi debba fidare io! XD. Interessante interpretazione al capitolo la tua e, lo ammetto, hai percepito la maggior parte delle tematiche che mi ero prefissa di nascondere dietro alle figure usate nel testo. Primo fra tutti il significato dell’ospedale psichiatrico, la “gabbia” della società per mantenere il controllo su ciò che non si riesce a capire ( e sì, si dice che il confine fra genio e follia sia sottile, ma c’è chi crede che siano i folli i veri geni…). Oppure il ruolo stesso della società, rappresentato dalla scuola pubblica, o ancora dall’ospedale. Il rifiuto del diverso, il rifiuto di quello che non si riesce a comprendere, di quello che non rientra nei canoni di “normale”. Il pagliaccio, però, ha un significato un tantino diverso. Il pagliaccio è la maschera. Perché effettivamente, Shikamaru non mostra di aver patito queste ferite… e, inoltre, la maschera nasconde qualcos’altro… che è materiale spoiler, dunque che non dirò! XD. Grazie mille per la tua recensione, anche questa volta bellissima. Spero che anche questo capitolo ti piaccia *annuisce energicamente*.

Soarez: X°DDDDD oh certo, i guanti gialli sono inquietanti. Al loro confronto, un moccioso che ghigna in maniera sadica levitando su un palloncino è l’apoteosi della tenerezza! XD Ok, basta con le boiate! E sì, anche io trovo mooooooolto apprezzabile l’immagine mentale di Shikamaru con i capelli lunghi XQ____ dovrei scrivere a Kishimoto e dirgli di farglieli crescere. E sì, finalmente ho scritto quella cavolo di scena sul balcone! *alza il braccio gioiosa* non vedevo l’ora di fiondare Kiba fra le braccia di Nara, diamine! *-* Comunque, anche a te tante grazie per la recensione! E buona lettura, se leggi anche questo! ^____^

Bel Oleander: Eh, grazie >///< anche se, come ho già detto, non è di certo uno dei grandi “capolavori” XD. In ogni caso mi fa molto piacere che ti piaccia, sul serio, sono io che non ho parole! XD Mi impegnerò per non deludere, andando avanti. Grazie per la recensione! =*

CloudRibbon: Immaginavo fossi da qualche parte dato che di solito sei una delle prime che recensisce. Comunque °_____°… cioè, calmati! *fa massaggino* mi inquieti quando “urli” tramite pc! O.O felice che tu ci stia dietro alla trama e non temere, anche se esponi le tue ipotesi io non smentisco e non confermo. Sono bastard inside, sì XD. Ma tornando alle cose serie, la tua similitudine dei colori per definire i sentimenti e, più in particolare, l’empatia, mi è piaciuta moltissimo. Esprime proprio quello che intendevo. Io non riesco ad immaginarmi empatica, riuscire a provare tutto quel misto di sensazioni proprie e improprie al medesimo tempo, mi verrebbe da urlare. Scoppierei, come poi alla fine ha fatto Kiba, solo che lui ha pianto al confronto. Bellissimo commento, hai il dono di tirarmi su il morale ç____ç e sì, lo sono, sadica e bastarda! XD Ti farò patire fino all’ultimo! MWAHAHAHAHAH!... no dai, non è vero XP abbi pazienza, siamo vicini al fatidico punto di svolta, fra Shika e Kiba. Ho già appuntato la scena *annuisce*. Grazie ancora per il commento Cloud, è sempre un piacere scrivere se poi tu mi posti commenti simili! XD Buona lettura per questo capitolo! >*<

OnlyAShadow: Eh, parli alla persona sbagliata! XD Sono uno di quelle che ama il freddo e la montagna ma che non può mai andarci! XD In ogni caso passiamo a cose serie. Eh sì, questa fic fa danno è___é non si capisce nulla se non la si rilegge XD e vedo che anche dalle tue parti IT ha fatto il suo dovere, terrorizzando le persone nei confronti dei pagliacci! Io non l’ho letto, ma una mia amica non può vedere un clown nemmeno da lontano. In ogni caso non temere, le scene succulente dal punto di vista yaoi arriveranno a breve *annuisce* secondo lo schizzo della trama ci siamo vicini. Grazie mille per il commento, come al solito, e divertiti in vacanza! XP

 

E si ritorna alla trama principale. Ho riscritto l’inizio due volte perché ci trovavo qualcosa che non andava, che fatica =___= due notti che fanno puff!

In questo capitolo, inoltre, ho approntato delle nuove aggiunte XD dal titolo avrete sicuramente capito di chi parlo. E, per aggiornare lo schema del capitolo scorso, in fondo alla pagina ci sono età, potere, e classe di cui fanno parte. Ho fatto qualche cambiamento nella gerarchia per esigenze di trama XP.

Ah, sì. In qualche punto della narrazione uso un linguaggio un po’ colorito, siete avvertiti.

Ok, fine delle comunicazioni interne! (XD) Buona lettura a tutti!

.:: Enjoy! ::.

 

 

Chapter 06 ~ Fifth Echo

A.A.A.

Akatsuki, Autocontrollo, Anomalie

 

Definizioni di “idiota”.

Primo: sinonimo di “stupido”, ovvero poco intelligente. E lui rientrava nella categoria solamente per il semplice fatto che, pur sapendo che quella mattina doveva aiutare il maestro Kakashi con la pulizia delle aule, si era ampiamente perso a parlare con Naruto a colazione. E non è che si potesse sempre contare sulla mezz’ora di ritardo del maestro.

Secondo: persona che fa cose stupide, in posti stupidi e in situazioni stupide. Un esempio? Mettersi a piangere su un tetto e svenire abbracciato ad una persona che conosci sì e no da una settimana. Ok, ok, passi che è un amico in ogni caso, ma lui aveva fatto la figura del fesso e del debole, oltre che a stracciarsi in due il suo già tormentato orgoglio e procurarsi un mal di testa non invidiabile.

Terzo: essere umano particolarmente imbecille che non arriva a cogliere segnali di portata biblica. Motivo per cui Shikamaru era in infermeria con quella “leggera influenza” che Kabuto, il tizio in camice che stava a guardia del posto come se fosse la cassaforte di Lupin III, gli aveva riferito come motivo quando lui voleva entrare e salutarlo, magari parlarci.

Kabuto puzzava di menzogna a mezzo miglio di distanza ma lui, in infermeria, non aveva potuto entrarci comunque.

Quarto: persona che ignora l’istinto anche quando questo ha una sacrosanta ragione. Sì, perché se avesse seguito i bassi istinti, avrebbe tirato un cartone sul naso al cosiddetto “dottor” Yakushi. Portava gli occhiali?! E che problema c’era? Gli avrebbe tolto gli occhiali, lo avrebbe colpito, gli avrebbe rimesso gli occhiali.

Sospirò, smettendo di farsi quel tipo di viaggi mentali mentre, con un fazzoletto a quadretti legato su bocca e naso, si dava da fare con scopettone e ramazza per togliere tutta la polvere e il calcinaccio che si erano ammassati in classe. Inutile dire che era più quella sollevata che quella effettivamente spazzata via: i suoi jeans da blu avevano assunto un colore tendente al verde muschio, e la maglia blu scura a mezze maniche era di un misto fra macchie verdi e sfumature scure di un colore non meglio precisato.

Sospirò, chiedendosi perché doveva sempre finire a fare lavori simili.

<< Attenti li sotto! >> sentì poi urlare mentre, dalla scala in fondo all’aula, una Ino vestita con pinocchietti arancioni e una maglia bianca a maniche lunghe lasciava cadere il libro che stava utilizzando per la base del cerchio alchemico, utilizzato a sua volta per coprire le crepe sul soffitto.

Il libro cadde, fece casino, e sollevò un’ondata di polvere che investì i poveri schiavi -compreso il maestro Kakashi- che stavano spazzando il pavimento.

<< Ino! >> sbottò irritata Sakura, alzando il naso dal suo libro. Essendo seduta a terra per fare lo stesso lavoro della compagna, i suoi jeans chiari avevano già raggiunto una colorazione beije/marroncina e la maglia, prima di un rosa tenue, ora era un brutto marrone scuro a chiazze rosate.  << Vuoi stare attenta, per la miseria? Non siamo qui riuniti per respirare quintali di polvere! >> esclamò, tossendo.

<< Infatti siete qui per sgobbare, e allora fatelo! >> si difese la Yamanaka, facendo una linguaccia alla Haruno che, di risposta, ringhiò sommessamente.

Kiba sospirò nuovamente, appoggiando la scopa al primo banco possibile e avvicinandosi alle due. Ormai aveva capito come funzionava la cosa: era una lotta per la supremazia. Come allo zoo.

Quelle due erano amiche sin da piccole, ma da quando si erano iscritte all’accademia erano entrate in competizione. Tutto per conquistare Uchiha (Sasuke) che, tra l’altro, era già impegnato e fedelmente fidanzato con Naruto. Che ci andavano sbavando dietro a fare?

Bah, un mistero. La mente femminile era una cosa incomprensibile e lui, che aveva una sorella che girava per casa incavolata un giorno sì e l’altro pure, che aveva imparato cosa voleva dire “avere il ciclo” a forza di sentirla urlare quanto odiava il mondo e singhiozzare depressa due minuti dopo, che aveva sentito parlare del suo “tipo” alle sue “sisters” a quei rumorosi pigiama party del cavolo e, infine, che aveva sopportato per anni il bagno occupato per delle ore al sabato sera, ancora non aveva la minima idea di quale alieno ingranaggio muovesse i quaranta mila neuroni contenuti nella mente delle donne.

Gli uomini non si facevano di questi problemi. Avevano due neuroni che lavoravano a targhe alterne provvedendo ai bisogni necessari e di primo interesse, punto.

Camminando in mezzo alla polvere e ai pezzetti di calcinaccio, arrivò con i piedi di fronte al libro, chinandosi a raccoglierlo. Le due ragazze avevano finalmente finito di battibeccare e, come al solito, aveva vinto Sakura. Era inutile mettersi contro di lei in un duello verbale, a parole ti smontava come un lego.

Soffiò sulla copertina per togliere la polvere che vi si era posata sopra, allungando il braccio vero la scala e restituendolo a Ino.

<< Grazie Kiba >> borbottò lei, riaprendolo visibilmente scocciata alla pagina giusta, riappoggiandolo nuovamente in bilico sulla parte più alta della scala mentre lei, sull’ultimo gradino utile, tracciava a gessetto qualche simbolo in un cerchio sulle crepe del muro.

<< Prego >> rispose ma, prima che si voltasse per tornare al suo lavoro, fu Sakura a prendere parola.

<< Kiba, ho sentito in giro che Nara è in infermeria >> disse, rimanendo con il gessetto a mezz’aria poco distante dalla parete << è vero? >> aggiunse poi, guardandolo.

E figurati se quella notizia non aveva già fatto quattro volte il giro della scuola.

<< Vero >> rispose lui, non aggiungendo altro. Se non era stato detto di più, non sarebbe stato di certo lui a mettere in giro voci compromettenti.

<< Ah sì! Ne parlava anche Lee del quarto Alchimisti (*1) >> intervenne la bionda, improvvisamente interessata al discorso << ho sentito che sei svenuto ieri sera, ti senti bene? >> chiese poi, osservandolo dall’alto della scaletta in ferro.

Beh, doveva rallegrarsi. Era già tanto che non sapevano quanti passi e quanti gradini aveva fatto per arrivare al terrazzo…

<< Sì, bene >> rispose lui, arrendendosi all’evidenza che sì, non era mai salvo dalle voci di corridoio, in quell’accademia. << Mi ha riportato in camera il professor Asuma, da quello che mi ha detto Naruto questa mattina, dunque direi che sia stato lui ad accompagnare Shikamaru in infermeria >> rispose, cercando di essere il più esauriente possibile senza fornire troppe informazioni.

Già ripensare alla sera precedente non gli faceva piacere, figuriamoci se doveva ripercorrerne gli eventi solamente per spettegolare con Sakura e Ino.

<< No, invece >> ribatté la bionda << a me hanno detto che ci è andato da solo, il maestro Asuma ha portato solamente te >> aggiunse, cercando con le iridi azzurre lo sguardo di Sakura per una conferma.

Strano… Shikamaru non gli sembrava il tipo che chiedeva aiuto. Considerando poi il suo passato…

No, no! Non doveva pensarci!

Scosse la testa, cercando di togliersi quelle immagini dalla mente. Tutte le volte che le rivedeva gli si chiudeva lo stomaco come se gli avessero appena dato un pugno in pieno petto, non poteva sopportarlo.

E, tra l’altro, non era ancora riuscito a parlare con Shikamaru e a chiedergli scusa in maniera decente. Insomma… aveva visto tutto, tutto quello che aveva passato. Riusciva a rendersi conto anche lui che, nel caso i posti fossero invertiti, sarebbero cose che avrebbe preferito tenersi per sé.

<< Piuttosto Kiba >> lo distrasse nuovamente Sakura, facendogli portare lo sguardo su di lei. << Sua Eccellenza Jiraiya ci ha riferito a cena che hai deciso di rimanere nella classe di Alchimia nonostante si sia scoperto che sei empatico >> disse la ragazza, lasciandolo ancora sorpreso. Perché, stava anche sperando che quella novità non fosse ancora volata in giro per tutta la scuola? Povero ingenuo, Kiba, povero ingenuo…

<< Empatico? >> intervenne Ino da sopra la scala, voltando una pagina del libro dopo aver ricoperto un’altra crepa << davvero? E com’è? >> chiese, evidentemente curiosa e con gli occhi brillanti.

<< Uno schifo >> rispose sinceramente Kiba, mettendosi le mani in tasca con fare scocciato. << Almeno per adesso che non lo controllo. Se anche sfioro una persona che sta provando sentimenti troppo forti finisco per provarli anche io e fare una gran confusione, oltre che entrare in una sottospecie di trance e vedere cose che preferirei non vedere >> cominciò, lamentandosi indiscriminatamente su quel suo nuovo potere che, in un solo giorno, gli aveva procurato non poche gatte dal pelare. << Non posso dormire più di sei ore di fila perché sogno cose impossibili e ho un perenne, maledetto, dannatissimo mal di testa >> terminò, abbassandosi il fazzoletto dalla bocca per respirare qualcosa che non fosse fibre di stoffa. << In definitiva, è divertente quanto una tegola in testa >> concluse la sua imprecazione contro il suo pseudo-potere, facendo ridacchiare Ino.

Sakura non andò oltre, sorridendo a sua volta all’ultima simil-battuta di Kiba.

<< In ogni caso, siamo felici tutti che tu sia rimasto con noi… ci sarebbero mancati i tuoi pisolini o le tue imprecazioni sul libro di Alchimia base! >> disse Ino, tornando a tracciare cerchi alchemici a gessetto sulla parete.

<< Ehi, non è mica roba che si impara in venti secondi! >> ribatté lui in risposta << sono un genio, su quello avete pienamente ragione, ma anche i geni sono umani, in fondo… moooolto in fondo >> aggiunse, chiudendo gli occhi con il mento alto, assumendo la classica posa da figo.

Sakura ridacchiò mentre Ino gli sbatteva l’angolo del libro in testa. << E piantala, megalomane! >> gli disse dall’alto.

<< Ehi, io con i libri non ci vado d’accordo, non usarli contro di me in quel modo! >> ribatté il castano, puntandogli un dito mentre con la mancina si massaggiava la parte colpita della nuca.

I loro discorsi furono poi distratti da un rumore metallico che si diffondeva fra le aule e, come al supermercato, un echeggiante “pin pon!” si diffuse per tutta la scuola.

<< Oh no! >> esclamò Ino, seguita a ruota da uno sbuffo di Sakura. << Proprio ora? >> aggiunse la bionda, piegando il busto e appoggiandosi con i gomiti sopra la scala.

<< Non dirmi che è per il cinquantenario, tremo al solo pensiero di cosa abbiamo organizzato per quest’evento >> disse poi Sakura, puntellando a terra le mani ed alzandosi in piedi, lo sguardo rivolto ad un piccolo altoparlante grigio e rotondo piazzato sopra la lavagna, nell’angolo sul corridoio.

Ah, avevano anche un interfono?

Qualcuno, dall’altra parte del microfono si schiarì la voce mentre alcuni inquietanti rumori, voci per lo più, si sentivano in sottofondo.

Kiba si girò verso le due ragazze con espressione confusa. << Cosa sta succedendo? >> chiese.

<< Akatsuki >> disse solamente Ino, puntando nuovamente lo sguardo sull’altoparlante.

<< Oh, ora sì che mi sento completo, grazie Yamanaka >> fece eco Kiba, sfottendola amichevolmente. Ne sapeva come prima, che cavolo di spiegazione era?

<< Il Consiglio Studentesco >> intervenne poi Sakura in chiarimento. << Si chiamano “Akatsuki” sotto trovata del Presidente. Hanno il compito di amministrare gli studenti e, ahimè, di programmare manifestazioni per eventi importanti. Sono in cinque, tutti del quinto anno tranne uno, Sasori, che è del secondo Esper, se non sbaglio >>

<< Non sbagli >> rispose Ino con aria allegra ma distratta.

<< E cosa ci sarebbe di così strano? >> chiese Kiba, ignaro. Anche nella scuola pubblica avevano un Consiglio Studentesco, non era una prerogativa solo di quell’accademia.

Sakura gli posò una mano sulla spalla. << Capirai… >> disse solamente, preparandosi all’annuncio.

<< Salve a tutti voi, schiavi in fermento che pullulate per i corridoi riparando danni! >> sbottò una voce, perentoria e allegra al contempo, risuonando alta per tutta l’accademia. << Colui che vi parla è il Presidente del Consiglio Studentesco, ovvero Deidara! Dateci dentro perché l’Arte è… ESPLOSIONE! >> tuonò, urlando l’ultima parola e facendo fischiare il microfono.

<< Ehi biondino, smetti di sparare cazzate e datti una mossa, stai interrompendo la mia cerimonia per il Dio Janshin! >> si sentì in sottofondo, più debole ma comunque udibile.

<< Non rompere Hidan, miscredente! Quelli come te non potranno mai apprezzare il potenziale dell’Arte! >> rispose il presidente, la voce che più di tutte si sentiva perché, probabilmente, la più vicina al microfono.

<< Presidente, l’annuncio che dovevate dare! >> intervenne una terza voce, un po’ più vicina della precedente.

<< Taci Tobi, sono io che comando qui >> rispose il presidente.

<< Deidara, detesto quando entri nella tua “orgoglio mode”, sei insopportabilmente cocciuto >> intervenne una quarta voce, che fece correre un brivido freddo giù per la schiena di Kiba.

<< Uchiha… Itachi? >> chiese, stringendo appena le spalle.

Sakura annuì. << Fa parte del Consiglio Studentesco >> aggiunse, tornando a ridacchiare per la discussione ancora in atto.

Ah, andava bene! Quello a cui voleva stare più lontano possibile era uno dei rappresentati degli studenti!

Ci fu qualche rumore indistinto, probabilmente il microfono che veniva sottratto dalle mani del precedente proprietario; qualche imprecazione, un “torna a darti lo smalto, mezza sega!” non si sa bene a chi rivolto e da chi, poi una quinta voce prese il controllo della situazione:

<< Qui Sasori >> disse solamente, con tono serio e apatico e con la stessa allegria di un muro << la comunicazione riguarda il cinquantenario della scuola. Il Presidente, in accordo con la preside Tsunade, il vice preside Orochimaru e il Vescovo Jiraiya hanno organizzato un ballo di commemorazione… >> ma la voce venne momentaneamente interrotta dagli urletti eccitati di Ino, Sakura e delle varie compagne di classe, sottofondo improbabile per le varie espressioni schifate dei ragazzi, che già non sapevano quale dimensione pregare per non partecipare all’evento.

Kiba, dal canto suo, si convinse definitivamente che lui non era dentro una scuola, no… era dentro ad un manicomio travestito da scuola! Con una preside alcolizzata e pericolosa, un vice preside che solo Dio sapeva come definire, un prete che scriveva i libri porno che leggeva il suo professore, una manica di imbecilli a popolarla e una cinquina di idioti come rappresentanti degli studenti.

E non era nemmeno per merito suo se stava lì, no! Era tutta la bella trovata di sua madre, codarda e pure manipolatrice, che lo aveva buttato in quel casino nella speranza che i suoi poteri fossero venuti a galla e che lui potesse controllarli!

E adesso organizzavano anche un ballo. Un ballo! Non facevano prima a far fare un giro turistico dell’Inferno? Un salutino a Caronte, qualche foto ricordo vicino ad un dannato, si tornava a scuola e tanti saluti!

Anche se non li sentiva -e per fortuna!- poteva immaginare i vari tipi di pensieri che attraversavano la testa di ragazzi e ragazze nell’intero istituto.

Per ogni ragazza che sognava un romantico inchino da principe, seguito dalle fatidiche parole “vorresti venire al ballo con me?” dette con un sorriso sfavillante, almeno un ragazzo gridava ai suoi neuroni di stringere alleanza almeno per un giorno e ideare un piano per riuscire ad evitare il fatidico ballo. Ne era sicuro, d’un tratto il giorno prima dell’evento ci sarebbe stata un’improvvisa epidemia di diarrea che avrebbe tenuto a letto la maggior parte della popolazione maschile della scuola.

A meno che…

<< C’è una condizione! >> gridò nuovamente il Presidente Deidara, probabilmente tornato possessore del microfono << a chi non parteciperà all’evento verranno sottratti due crediti formativi, utili come ben sapete al conseguimento della media finale >> disse esultante << a meno che, ovviamente, non vengano presentati seri motivi per l’assenza! >> aggiunse, probabilmente per una questione di correttezza sicuramente non derivante da una sua iniziativa.

Eccola, infatti. LA condizione. Quella piccola nota a fondo pagina che non ti lasciava scampo, costringendoti a partecipare.

Fine dei giochi, tutti i ragazzi potevano tranquillamente licenziare la coppia neuronica per il resto della loro esistenza.

Sospirò rassegnato, chiudendo gli occhi per non vedere lo sbrilluccichio che aleggiava in quelli delle due compagne di classe.

Terminò di ascoltare l’avviso solamente per disperazione.

<< Dunque >> cominciò poi una voce calma e posata, sicuramente quella di Itachi data l’intonazione profonda ma apatica << Il ballo sarà a tema. Dopo un sorteggio imparziale… >>

<< Imparziale?!            Cazzo dici, ma se ha deciso tutto Deidara! >> interruppe un’altra volta la voce rozza e prorompente di Hidan.

<< Ovviamente. In mezzo a questo branco di imbecilli sono quello che ha più gusto! >> si sentì dire dal presidente.

<< Cioè, adesso vorresti dirmi che quelle palandrane a nuvolette sono “di buon gusto”? >> sbottò nuovamente Hidan, e l’espressione a quelle parole si poteva solamente immaginare.

<< Il sempai Deidara ha sicuramente buon gusto! >> intervenne Tobi.

<< E chi ti ha chiesto niente, omino mascherato del cavolo!? >> sbottò nuovamente il ragazzo in direzione di Tobi.

<< Finitela! >> sbottò poi Itachi, riportando il silenzio all’interno del gruppo e alle orecchie degli studenti, che ancora ridacchiavano divertiti all’ennesimo teatrino messo su dall’Akatsuki.

Cosa normale per loro; un mattone sui piedi per Kiba, che ancora pensava di essere finito nella scuola sbagliata. Magari il tassista era un incompetente e lo aveva portato nell’accademia per errore… doveva essere per forza così.

Anche se non ricredeva nemmeno lui.

<< Dicevo, la decisione finale è stata presa in favore del tema “Venezia del Settecento”. Come al solito, gli Alchimisti aiuteranno a confezionare gli abiti >> disse l’Uchiha senza variare il tono della propria voce.

Certo, ci mancava solo quello da fare! Dopotutto lui non era una schiappa, non prendeva lezioni da Neji una volta a settimana e, soprattutto, non doveva affrontare quel suo piccolo, enorme problema chiamato “Empatia fuori controllo”.

<<  Una lista delle suddivisioni dei ruoli verrà appesa in bacheca oggi durante la pausa pranzo, completa di gruppi lavoro e relativo responsabile di tali gruppi >> riprese il moro senza fermarsi << Sua Eccellenza Jiraiya ci ha concesso l’utilizzo della cappella, in quanto la messa non si terrà finchè Sua Eccellenza non si sarà ristabilito. Approfitteremo dei pomeriggi liberi da impegni per portare a compimento l’opera di addobbo e varia preparazione all’evento. Questo è tutto >> concluse dunque e, con un’ultima imprecazione che non si riuscì bene a capire, le comunicazioni vennero chiuse.

<< Sarà divertente! >> intervenne dunque Ino, battendosi il cinque con Sakura.

No, sarebbe stato uno sfacelo! Figurarsi. Mancava una settimana al cinquantenario, che cadeva di sabato, e per una settimana intera ci sarebbero stati gruppetti ridacchianti di ragazze tutte strette e fitte-fitte a confabulare fra loro mentre i ragazzi, quelli intrepidi, si sarebbero volontariamente lanciati in figuracce estreme per invitare al ballo le ragazze più carine, venendo ovviamente rifiutati. Perché sì, ormai si sapeva, ogni ragazza di quella scuola aveva l’obiettivo -o il sogno, dipende dal punto di vista- di andare al ballo con alcuni ragazzi e solamente con quelli.

Un paio di nomi? I fratelli Uchiha erano sicuramente i più gettonati. Seguiva a ruota Neji Hyuga, che ci faceva la sua bella figura. A poca distanza anche il biondino Naruto Uzumaki, che conquistava cuori grazie alla sua simpatia e, parliamoci chiaro, d’aspetto era tutt’altro che brutto.

Sospirò rassegnato, ritornando al suo lavoro. Sarebbe stata una settimana ignobile…

 

 

Aveva mangiato da solo sul terrazzo quel giorno, spiluccando ogni tanto con le bacchette il suo pollo in salsa agrodolce mentre cercava di leggere quel libro trovato in biblioteca.

Choji era andato a trovare Shikamaru mentre Naruto, da quello che dicevano un paio di primini lungo i corridoi, aveva fatto casino durante un turno di pulizia e adesso era impegnato a intonacare con stucco e olio di gomito la parete dell’ala sud, supervisionato dalla professoressa Kurenai.

Così lui si era potuto dedicare, steso a pancia in basso, per una volta nella sua vita, alla lettura d’informazione.

I Cercoteri.

Doveva ammetterlo, era una cosa interessante. E non solo perché ci aveva direttamente combattuto, oppure perché Naruto ne portava il seme dentro di sé; era proprio l’argomento ad attirarlo.

Per esempio il demone delle quattro code, Sokou del Veleno, aveva la parte superiore del corpo di un gallo e quella inferiore da serpente.

Cioè, l’immagine mentale che si formava in seguito a quell’informazione era ridicola.

Passando oltre, Hokou dell’Illusione. Probabilmente quello fra tutti che più preferiva, in quanto aveva la forma di un cane bianco con cinque code, ognuna delle quali controllava un potere dei cinque elementi naturali: acqua, aria, terra, fuoco e fulmine.

Sembrava addirittura una potenza esagerata, ma aveva mediocre forza fisica e non era nemmeno uno dei migliori.

O almeno, non impressionante come Kyuubi del Fuoco, la volpe a nove code.

Un’enorme volpe dal pelo rossiccio dominatrice del fuoco. Deteneva il primo posto sia per forza che per resistenza e le nove code ne erano l’effettiva prova. Il più potente di tutti i cercoteri, secondo la descrizione del libro. Era anche particolarmente spietato e non si faceva problemi a uccidere persone, lottare contro altri cercoteri o distruggere villaggi.

Gli scendevano i brividi lungo la schiena ad immaginare che una simile bestia “dormiva” dentro Naruto. E se tutta la forza che aveva dimostrato quella notte era dovuta alle sole quattro code che gli erano spuntate dietro la schiena, non voleva assolutamente vederlo con tutte e nove.

Teneva alla sua vita, per il momento.

Tuttavia, il demone più particolare era sicuramente Nekomata dell’Oscurità.

Con la forma di un gatto a due code dalla pelliccia nera, era spesso rappresentato in forma umana come un angelo dalle ali nere.

Sasuke “Sono-Simpatico-Quanto-Una-Tegola” Uchiha ci sarebbe stato veramente bene, come forma umana di Nekomata.

A volte veniva rappresentato come una vecchia e grassa signora. Oppure, nella parte “buona” del suo carattere, come una ragazza avvenente che si avvicina alla società e a cui piace mangiare pesce.

Si nutriva di spiriti dei morti, che poteva addirittura controllare a suo piacimento per farli combattere in battaglia al suo posto.

Insomma, era un demone dalle varie sfaccettature che lo rendevano interessante.

O almeno, su carta. Se se lo fosse trovato improvvisamente davanti, probabilmente la sua reazione sarebbe stata sfoderare l’ultimissima strategia segreta del clan Inuzuka; ovvero la tecnica “vivi oggi per combattere un altro giorno”, completa di corsa con accelerazione da 0 a 100 in sette secondi netti.

Sfogliando successivamente le pagine, poi, era suonata la campanella di fine pausa pranzo.

Aveva finito velocemente il pollo, chiuso il libro, e si era rapidamente incamminato giù per le scale, diretto all’aula della Classe Angelica, dove il suo “insegnante” di turno lo stava spettando.

 

Ed era proprio davanti a quella porta che si trovava ora, ovviamente in ritardo a causa di quella scuola esageratamente grande ed esageratamente intrigata.

In realtà non era intrigata per nulla, era solamente lui che si perdeva come un allocco.

Tuttavia c’era arrivato, dunque nessun problema, almeno da parte sua. Si diede un’occhiata velocemente, sbattendosi la mano sulla maglia blu scuro nei punti in cui era ancora impolverata, scrollandosi di dosso gli ultimi residui di pulviscolo. Non aveva avuto tempo -e voglia soprattutto- di andare a cambiarsi.

Bussò e, anche se debole a causa dello spessore della porta in legno intarsiato, sentì l’avanti provenire dall’interno.

Quello che si trovò davanti sembrava tutto fuorché un insegnante di una scuola come quella. Un uomo: probabilmente coetaneo o poco più giovane del maestro Kakashi, con un’espressione gentile e allegra al contempo dipinta sul volto, una pelle dal colore olivastro, una pettinatura simile a quella di Shikamaru che gli teneva i capelli castano scuro raccolti in una coda dietro la nuca e una cicatrice sul naso, più chiara rispetto alla pelle.

Stava appoggiato alla cattedra, in piedi di fronte ad essa, in una classe completamente linda e pulita, esattamente uguale a tutte le altre. Teneva in mano un copia rilegata in pelle del “Romeo e Giulietta” di William Shakespeare, all’apparenza abbastanza vecchiotta, che richiuse con una cura quasi eccessiva appena entrò nell’aula, chiudendosi la porta alle spalle.

<< Benvenuto! >> salutò cordialmente, distaccandosi dalla cattedra e facendoglisi incontro. << Suppongo che tu sia Kiba, vero? >> chiese poi, allungando la mano con un sorriso allegro in volto.

Kiba annuì, restituendo il favore e stringendogli la mano. << Scusi per il ritardo >> aggiunse subito dopo << ho ancora seri problemi di orientamento >> bofonchiò, cercando di dissimulare il suo difetto ancora irrisolto.

L’uomo sorrise divertito. << Figurati, abbiamo tutto il tempo che vogliamo >> disse, per poi tornare alla cattedra e mettersi seduto dietro di essa. Indicò poi con un movimento della mano lo spazio di fianco a lui, dove una sedia era stata precedentemente preparata.

<< Prego, siediti >> disse, aggiungendo subito dopo: << io sono Iruka Umino, insegno Letteratura ai ragazzi della Classe Angelica. Tuttavia, sarò il tuo mentore nello mostrarti come controllare e, soprattutto, in che modo gestire il potere che hai appena sviluppato >> terminò, osservandolo pacatamente.

Il ragazzo si sedette, annuendo semplicemente con il capo alle sue parole. Si era aspettato tutt’altra cosa, invece stare accanto a quella persona provocava un’atmosfera piacevole.

<< Cominceremo subito, ovviamente >> disse poi, incrociando le mani sotto il mento e sorridendo allegro. << C’è qualcosa che mi vuoi chiedere? >> aggiunse, osservandolo tranquillo.

Indossava un paio di jeans e una maglia nera a maniche lunghe e a collo altro, di cotone. Era quel tipo di persona che sta simpatica di primo acchito ma passa inosservata ad un secondo sguardo. Poteva definirlo quasi insignificante, eppure era uno di quelli dalla pacatezza e tranquillità contagiose.

Si concentrò poi sulle sue parole. Qualcosa che voleva chiedere? Ne aveva talmente tante, di domande, che una giornata sola non sarebbe bastata.

<< Credo non basterebbe l’intera lezione >> rispose solamente il castano, osservandolo con una brutta imitazione di un sorriso posato. Si tratteneva da non fare lo scorbutico come suo solito, quando trovava persone così… così… innocenti?

Sì, poteva essere il termine esatto… forse.

Iruka rise leggermente, annuendo poi con un gesto del capo. << Tranquillo, comincerò io. Interrompimi quando vuoi >> premise, per poi parlare, esattamente come un professore che spiega un argomento ostico ad un suo alunno.

Con l’unica differenza che lui non era un suo alunno canonico, e che quello non era nemmeno considerabile un argomento. Era una catastrofe premeditata ai suoi danni.

Tuttavia lo ascoltò, sperando di capirci qualcosa.

<< Sapresti dare una definizione di “empatia”? >> chiese quello a bruciapelo, osservandolo con la schiena appoggiata allo schienale e le gambe semi-divaricate.

Kiba alzò un sopracciglio, sputando un sincero << no >> quasi senza pensarci. Risuonò talmente duro che Iruka ridacchiò.

<< Non pensarla, non ti sto interrogando >> lo ammonì << dimmi solo la prima cosa che ti viene in mente. Se hai provato una reazione empatica dovresti sapermi dire qualcosa >> aggiunse, sempre osservandolo con quello sguardo disteso.

“Una”? Ah, magari fosse stata solo una. Erano tre per l’esattezza e l’ultima ancora gli dava il voltastomaco al solo pensiero. Tuttavia trovò, in qualche angolo morto del suo cervello bruciato, la risposta che cercava: << Confusione >> rispose, con un’espressione inconsciamente imbronciata.

Perché sembrava tanto la terapia di uno psichiatra?

L’uomo sorrise sorpreso. << E’ sicuramente la definizione più interessante che abbia mai sentito >> esordì pacato.

Oh, certo, felice di averle migliorato la giornata.

<< E sapresti dirmi anche il perché? >> aggiunse poi, sempre osservandolo con quel sorriso candido.

Gli faceva venire i nervi ma doveva ammettere che era disarmante proprio perché era sincero.

Dovette pensarci. Sapeva il perché si era sentito così incasinato sentimentalmente, o almeno, credeva di saperlo, ma non è che parlarne con qualcuno che conosceva da due minuti fosse il suo più grande desiderio nascosto.

Ma che doveva fare? Prendere e andarsene? Se quel tipo lo aiutava con quel disastro biologico in corso, dopotutto, non ci rimetteva nulla e i pro superavano abbondantemente i contro.

Sospirò, con le spalle al muro. << Perché non riesco a riconoscere cosa sento io e cosa sentono gli altri >> rispose dunque, portando un secondo le iridi alla parete bianca dell’aula, per poi tornare su quelle scure del maestro: << è tutto talmente mescolato che non riesco a dividerlo. Non distinguo la paura dalla rabbia, o l’agitazione dall’ansia. E soprattutto, non so quale di quelle sensazioni sia mia. Per questo è un casino >> terminò, sperando di essersi spiegato bene.

Iruka non sembrò perso, dunque doveva aver azzeccato il modo giusto per raccontarla.

Sembrò rifletterci per un secondo sopra, prima di aprire bocca di nuovo con un’altra domanda: << e dormivi, quando ti è successo? >> chiese.

Annuì solamente con il capo e sospirò. Se doveva essere sincero, tanto valeva esserlo fino in fondo: << l’ultima volta ero sveglio >> disse senza aggiungere altro.

Ma all’insegnante sembrò bastare. << Vedi Kiba, il tuo problema è il fatto di non esserci abituato >> sentenziò, osservandolo. << L’Empatia è un potere ostico, molto più di quello che si pensa. E ci sono diversi fattori in te, nella tua formazione, che hanno contribuito a sviluppare quel potere nel modo sbagliato >> disse, grattandosi la guancia con l’indice destro.

Ah, perfetto. Oltre che tormentato anche sfigato. Bella roba!

<< Per esempio? >> gli chiese dunque, fingendo calma e tranquillità quando in realtà gli rodeva il fegato. Chiedersi “perché proprio io?”, però, era inutile e troppo impegnativo per la sua mente, in quel momento. E poi, c’era il lato positivo: se avesse capito cosa cavolo era successo con Shikamaru, avrebbe potuto scusarsi con un discorso sensato.

Umino sospirò. La situazione si dimostrava più complicata del previsto. << Non ci sono esattamente esempi da portare >> disse poi << è una questione di equilibrio. Solitamente, in un essere umano dotato, i poteri si sviluppano di pari passo con la sua crescita. Così che, già da bambino, la persona possa imparare a scoprirli e ad abituarsici. Sparare con una pistola di un calibro conosciuto è facile, perché si sa la sensazione che da il calcio sul palmo della mano, la corsa del grilletto prima del colpo e quanto rinculo può avere l’arma >> disse, facendo un paragone abbastanza semplice. << Se invece alla tua prima volta ti danno in mano un calibro alto, non conoscendo tutte le caratteristiche dell’arma è possibile che il colpo vada fuori controllo e, dunque, manchi il bersaglio >> concluse, cercandolo con lo sguardo per vedere se lo seguiva.

<< In poche parole >> intervenne il castano << non li controllo perché si sono sviluppati troppo in fretta per le mie capacità? >> chiese, cercando di riassumere e semplificare quello che aveva appena sentito.

Iruka annuì. << I poteri degli esper sono tanto forti quanto forte è l’energia spirituale della persona che li possiede, e tanto precisi quanto è preciso il controllo che la mente ha su di essi >> disse, per poi riprendere dopo una breve pausa in cui si sincerò se Kiba aveva afferrato l’ultimo passaggio: << la tua Empatia è lo stesso. Per il momento reagisci solamente ai sentimenti forti, quelli più impulsivi, perché la tua energia spirituale non è ancora emersa completamente. Infatti, prima ci riuscivi solamente dormendo, ovvero quando le tue capacità di autocontrollo divengono più deboli >> disse, senza tuttavia interrompersi: << però si sta liberando velocemente. Infatti, se prima lo facevi solamente da dormiente, l’ultima volta ci sei riuscito da sveglio. Ciò vuol dire che i tuoi poteri si stanno rafforzando sempre di più >> concluse poi il ragionamento logico, ora serio in volto.

<< Ed è un male? >> chiese subito Kiba, indeciso se interpretarlo come qualcosa di buono o come il preavviso della fine del mondo. Certo era che, se doveva rifare quello che aveva fatto l’ultima volta, avrebbe volentieri mandato Iruka a darsi all’ippica e sarebbe tornato in dormitorio alla velocità della luce.

Il professore sembrò pensarci su. << No, ma non è nemmeno un bene. Vai troppo veloce >> disse, sollevando la schiena e poggiando i gomiti ai poggiabraccia della poltrona. << E’ come se i tuoi poteri avessero fretta di mostrarsi >> continuò in un soffio, scostando lo sguardo sulla finestra con fare pensoso. << Non è la prima volta che mi capita… >> aggiunse poi, a bassa voce e con l’aria di essere soprapensiero.

Non riuscì a tenere a freno la curiosità. << Davvero? >> chiese, interessato più per se stesso che per i pensieri dell’uomo.

Quello annuì, riportando lo sguardo su di lui. << Agatha era così >> sparò improvvisamente, facendosi scricchiolare le dita delle mani in un movimento involontario.

Una fucilata al petto gli avrebbe fatto meno impressione.

<< E non solo >> continuò poi lui: << anche Hotaru, Gaara e Shikamaru >> disse, sempre disperso in qualche pensiero di cui non coglieva la profondità.

Kiba indugiò per un momento sul nome di Shikamaru, sorpreso di sentirselo nominare. Sicuramente c’entrava con il suo trasferimento dalla classe degli Esorcisti a quella degli Esper.

E, in un certo senso, era sollevato. Voleva dire che esisteva qualcuno che aveva il suo stesso problema e non si era suicidato, era una buona cosa. Anche se non conosceva questa “Hotaru” che aveva nominato e Gaara lo aveva intravisto solamente il primo giorno, il cui ricordo più dettagliato implicava solamente una chiazza di capelli color rosso.

<< Hotaru… è la ragazza contro cui hai combattuto nel cortile della scuola >> esordì poi Iruka con una frase terribile e linda allo stesso tempo, facendogli arricciare il naso involontariamente.

Ah, la signorina “prima ti fulmino poi ti decapito” era una Esper, alla fin fine.

Umino ne colse l’espressione tirata, rabbuiandosi subito. E Kiba se ne accorse. Era probabilmente una di quelle persone che si affezionavano agli allievi a cui insegnavano, si vedeva da come sorrideva e da come cercava di instaurare subito un rapporto amichevole con chi incontrava.

<< Non ti sta simpatica? >> chiese guardingo l’uomo, squadrandolo.

<< Ha cercato di uccidermi >> rispose Kiba in tutta calma. Gli sembrava un’ottima motivazione, diamine!

<< Lo so. Ma non era in lei, quella notte >> rispose il maestro.

<< Me ne sono accorto >> tagliò Kiba, distogliendo lo sguardo per poter liberamente arricciare il naso quanto e per quanto gli pareva senza attirarsi addosso le occhiate dell’uomo. Ma chi glielo aveva fatto fare?!

Iruka sospirò, grattandosi la nuca con fare esausto. I casi di empatia erano la spina nel fianco di ogni insegnante, perché il suo controllo dipendeva da tutto e da tutti fuorché dall’insegnante stesso. Era soggettivo, confusionario ma, soprattutto, privato. Non trovava strano che Kiba non volesse aprirsi del tutto, nonostante lo stesse facendo già abbastanza.

<< Kiba >> chiamò poi, la voce nuovamente rilassata.

Il castano girò il capo, trovandosi le mani del maestro davanti, rivolte entrambe con il palmo verso l’alto. Lo osservò il volto, la faccia che esprimeva palesemente la sua incomprensione di quella richiesta muta.

<< Appoggia le tue mani sulle mie >> chiarì subito Iruka, aspettando.

Cos’era, una specie di rito propiziatorio? Voo Doo? No, mancava la bambolina.

Lo fece, anche se riluttante, appoggiando le mani su quelle grandi e calde di Iruka, lasciandole semplicemente lì, a contatto diretto le une con le altre.

Iruka abbozzò un sorriso. << Ora ti mostrerò come si svolgeranno le nostre lezioni >> cominciò, sempre osservandolo: << ti sei accorto di cosa sono, Kiba? >> chiese.

No, effettivamente non si era accorto proprio di nulla. Fece cenno negativo con il capo.

<< Considerando che il tuo livello di forza spirituale si è alzato da quando sei arrivato, ormai dovresti essere in grado di vedere le ali dei mezz’angeli. O almeno, se non proprio vedere, almeno intravedere >> disse.

Kiba annuì piano con il volto, inarcando un sopracciglio. << Come fa a…? >>

<< Saperlo? >> lo interruppe l’uomo, ancora con la sua espressione pacata e gentile. << E’ il mio lavoro >> diede come semplice risposta.

Oh beh, allora! Gli aveva risolto l’esistenza quella rivelazione!

Iruka ridacchiò all’espressione fin troppo palese del ragazzo. Torno poi semi-serio, sorridendo tuttavia in maniera rispettosa e tranquilla, rigirandosi nella mano destra quella sinistra di Kiba, osservandola. << Gli Alchimisti non vedono le ali, lo sai? >> chiese poi, retorico. << Possono vederle solamente gli Esorcisti e gli stessi mezz’angeli, in condizioni normali… >> lasciò in sospeso, tornando a guardarlo.

Stava forse insinuando qualcosa? Però… non aveva tutti i torti. Gli era stato ripetuto più volte che gli esseri umani normali non vedono le ali degli angeli, nemmeno gli Esper potevano. E allora lui… perché…?

<< Sei un’anomalia, Kiba >> disse Iruka in un’unica frase, lasciandolo sconcertato.

Non per il fatto di essere effettivamente “qualcosa” di diverso, ormai ci si stava abituando. Piuttosto per il termine che aveva usato per descriverlo che, più che una persona, gli dava l’impressione di essere un fenomeno da circo ottimo per essere studiato in laboratorio.

Istintivamente cercò di ritirare le mani, ma il maestro glielo impedì, tenendogliele in una stretta leggera.

<< Scusa, non volevo essere così brusco >> si scusò lui << vedi, a dire il vero riuscire a vederle o meno dipende tutto da chi le mostra, e solo in minima parte da chi le osserva >> cercò di spiegarsi poi, parlando con un tono di voce calmo e gioviale. << Dipende dall’energia spirituale. Quando gli angeli, o anche i mezz’angeli, combattono… beh, il loro livello di energia spirituale si alza talmente tanto che le loro ali divengono corporee. A quel punto, anche un normale umano potrebbe vederle. Al contrario, un mezz’angelo esperto sa trattenere anche completamente la propria forza spirituale, facendo sì che le ali sia invisibili a tutti… tranne che per gli Esorcisti, quella è una razza molto particolare >> buttò lì, sospirando rassegnato. << Lo vedono, punto. Tutto quello che c’è da vedere e anche di più >> terminò.

perché gli sembrava la spiegazione del fatto “trattieni l’aura altrimenti i nemici ti scoprono” che aveva visto in una puntata di Dragonball appena prima di trasferirsi lì?!

Tuttavia, il cervello del castano ebbe la velocità di fare due più due. << Dunque io… >> cominciò poi, sperando di non dire una delle più grosse cavolate della sua vita << …le vedo perché ho un’alta energia spirituale? >> chiese, inarcando nuovamente il sopracciglio.

<< Più propriamente, perché la stai sviluppando tutta troppo in fretta >> rispose l’uomo, annuendo con il volto in direzione del ragazzo. << Comunque sì, il senso è quello >> aggiunse.

Perfetto. Era annoverato sotto la categoria “interessante scherzo della natura”. Forse doveva farsi i complimenti, o magari farli a sua madre per averlo tirato fuori così.

Cercò di distrarsi sa pare mentali inutili e superflue, tornando al discorso principale: << e quindi, lei cosa sarebbe? >> chiese, cercando la risposa alla domanda fatta in precedenza.

Iruka sorrise, drizzandosi con la schiena sulla poltrona, senza lasciargli le mani. << Chiudi gli occhi e concentrati >> gli disse sorridente.

Kiba fece come dettogli, lasciando che le palpebre calassero e gli coprissero gli occhi.

<< Concentrati sul contatto fra le nostre mani, sulla sensazione che ti trasmettono, come il calore che ne percepisci, oppure le piccole vibrazioni di muscoli e tendini. Ogni piccolo, minimo spostamento, ogni traccia di energia che può scorrere attraverso le mie mani e arrivare alle tue >> disse, cercando di guidarlo.

Si concentrò. Sì, erano calde, ma non erano solo quello… emettevano un’energia, quasi come un flusso costante, che pian piano gli lasciava leggere qualcosa, intravedere qualche scorcio luminoso nonostante con gli occhi non stesse effettivamente guardando nulla.

Sensazioni, sentimenti. Un’ondata di tranquillità, di serenità, proprio come l’atmosfera alla presenza del maestro Iruka ma molto più forte, quasi avvolgente. Se la sentiva dentro… ma non creava confusione, leniva solamente la sua tensione, accumulata dalla sera precedente e che ancora permaneva in ogni suo muscolo.

Beh, non era come l’acqua calda della doccia, ma doveva ammettere che non era niente male.

<< E’… tranquillo. Sereno, in questo momento, oserei dire >> disse il castano, sorridendo istintivamente e senza accorgersene.

Umino rise. << Sì, in questi giorni lo sono particolarmente >> rispose allegro, lasciando al ragazzo tutto il tempo.

<< E’ un suo sentimento? >> chiese allora Kiba.

<< Sì >> annuì. << Continua ad “ascoltare”…>> sussurrò poi.

Si sentì preda di un sensazione di leggerezza, come se i suoi piedi si stessero per staccare da terra e tutto il suo corpo potesse fluttuare nell’aria. Una sensazione di vento sul viso, come se ci fosse realmente nonostante fosse chiuso in una stanza, e qualcosa che lo sorreggeva dalla schiena, muovendosi lentamente in un movimento oscillatorio.

Ali.

<< E’ un mezz’angelo >> rispose alla domanda, Iruka annuì. << Era un ricordo della sensazione del volo che ho avuto da piccolo, la prima volta che ho potuto farlo >> precisò il maestro per poi continuare: << l’empatia sta tutta qui: nell’autocontrollo e nella concentrazione. Con l’abitudine, ed un allenamento costante, eviterai di avere una reazione sgradevole non appena sfiori per sbaglio una persona particolarmente arrabbiata o impaurita. E terremo anche a bada la tua energia spirituale frettolosa, ma non adesso. Fra poco è ora di cena, ti consiglierei di andare in camera e cambiarti >> disse Iruka, sorridendo nuovamente e lasciandogli andare le mani.

Era già così tardi? Si voltò di scatto verso le finestre alle sue spalle e, con sua estrema sorpresa, il colore aranciato del cielo era il lampante segno del tramonto.

 

 

Sbuffò, profondamente alterato da quella situazione e, riaprendo gli occhi, si mise ad osservare il soffitto… di nuovo.
Era sempre buio, non era cambiato niente in dieci minuti.

Dopo qualche istante di immobilità, in cui l’unico rumore che sentiva era il suo respiro, provò per l’ennesima volta a cambiare posizione, girandosi sul fianco sinistro e dando le spalle alla porta. Sospirò, chiudendo gli occhi e rilassando uno ad uno tutti i muscoli, facendo il vuoto mentale per attirare su di sé il miracolo del sonno, che ancora non aveva deciso di colpirlo.

no. Non ci riusciva!

Sbuffò spazientito, ritornando disteso a pancia in alto e scostandosi di dosso le coperte con uno scatto iracondo.

Aveva contato di tutto. Cominciando con le classiche pecore, una volta arrivato a 1850 aveva perso il conto, quindi aveva cominciato con le mucche, per passare poi alle capre, ai maiali, ai criceti, ai polli, ai tacchini e agli struzzi. Si era poi perso in una tangente terrificante nel chiedersi perché mai gli struzzi dovrebbero stare lì a saltare uno steccato ma, una volta considerato che degli struzzi non gliele poteva importare di meno, aveva già perso il conto della conta precedente, mandando tutto a quel paese.

Non lo sopportava, non poteva tollerare di stare sveglio a guardare il buio della camera senza sentire nemmeno un po’ di sonno dopo una giornata massacrante come quella. E, soprattutto, dopo i 40 minuti al telefono con sua madre, che ancora si riservava di fare la misteriosa e di non parlargli di quei suoi fantomatici poteri empatici. Ma insomma, lui voleva sapere se li aveva avuti anche da bambino, era una cosa così esosa?!

Basta, non ce la faceva letteralmente. Doveva fare qualcosa.

A dire il vero, il sonno non gli mancava, così come la stanchezza. C’era una sola cosa che gli rodeva, e lui era il tipo che, se un qualcosa lo infastidisce e lo tampina, può anche avere appena corso i venti kilometri di fondo quattro volte ma non dorme comunque.

Ok, per la sua sanità mentale e per i bene del suo sonno doveva risolvere quella faccenda.

Con un allungarsi del braccio prese il cellulare dal comodino alla sua sinistra, aprendolo e illuminandosi il viso con la luce violenta dello schermo. Spinse qualche tasto con il pollice destro, entrando nel menù messaggi, unendo poi alla mano destra anche quella sinistra, cominciando a spostarle velocemente da un tasto all’altro della piccola tastiera, facendo sì che l’sms prendesse forma e significato. Quando il suo breve “stai dormendo?” fu completato, selezionò dalla rubrica il nome “Shikamaru” e lo inviò.

Si stava rendendo ridicolo. E provando ad immaginarsi nei panni di Nara doveva risultare addirittura appiccicoso. Però quella sottospecie di ciuffo ad ananas era l’unico con cui riusciva sempre, perennemente ad avere dei conti aperti che, se non chiusi, gli rodevano.

E poi cominciava a chiedersi perché finissero sempre a dormire nello stesso letto.

Al solo pensare una cosa simile gli tornava il mal di testa. Ma dubitava che una delle sue miracolose pastiglie, che poteva tranquillamente stendere un rinoceronte africano, riuscisse a placare la sua ansia; tanto che ne aveva già presa una, e i risultati erano scarsi. Forse stava diventando un pasticche-dipendente

Venne distratto dal vibracall del cellulare, appoggiato sul letto per non fare troppo casino. Lo prese fra le mani, aprendo il messaggio sotto il nome “Shikamaru” come mittente.

“Ora non più. Avevi bisogno?” era la semplice risposta, scritta senza l’ombra di un’abbreviazione.

Arrivò alla voce “rispondi” cominciando subito a digitare la sua risposta. Si che aveva bisogno, dannazione, altrimenti non si prendeva la briga di mandargli un messaggio alla mezza! Per chi lo aveva preso, per una ragazzina con crisi affettive?

Evitò di digitare qualche improperio, limitandosi ad un formale: “Scusa se ti ho svegliato. Sì, ho bisogno. Sei ancora in infermeria?” perché nel caso col cavolo che avrebbe potuto entrare… e, soprattutto, non era sicuro di arrivarci in tempi umani.

Inviò e aspettò la risposta, che arrivò qualche istante dopo.

“Fa nulla. No, sono in camera, vieni pure”

<< E piantala di leggermi nel pensiero anche tramite sms! >> sussurrò a quella risposta, bloccando la tastiera e riappoggiando l’aggeggio sul comodino. Almeno si era risparmiato il giro turistico in notturna dell’intera scuola.

Si alzò, scoprendosi completamente con un brivido di freddo. Doveva prendere in considerazione di ritrovare il pigiama lungo, dato che era quasi fine settembre e, nonostante di giorno la temperatura fosse accettabile, di notte non era certo caldo.

Indeciso sul mettersi o meno una giacca, ma rinunciando poi per mancanza di iniziativa di ricerca nei cassetti, uscì dalla stanza richiudendosi -con una grazia che nemmeno pensava di avere- la porta alle spalle. Percorse a passo normale il corridoio, l’espressione assonnata anche se non aveva per niente sonno, arrivando davanti alla porta numero 41.

Cercando di ignorare il numero -o il ricordo della visione che quella targhetta numerica portava a galla con sé- sbatté due volte il pugno chiuso sul legno della porta.

Pochi istanti e Shikamaru gli aprì la porta, con i soliti pantaloni verdini, la maglia a mezza manica nera e i capelli sciolti sulle spalle. Tenuta da camera, ormai lo aveva capito.

Si osservarono direttamente negli occhi dalla loro altezza abbastanza simile, ma prima che Nara potesse dire qualsiasi cosa fu Kiba a partire in quarta: << A otto anni mia madre mi ha lasciato da solo in un recinto con quattro mastini incazzati che non mangiavano da tre giorni, dicendomi solo un “sopravvivi”. Dopo due giorni passati a correre e piangere, ho scoperto che faceva parte dell’addestramento della nostra famiglia… oltre ad aver imparato ad arrampicarmi agilmente su ogni tipo di albero >> disse, sempre guardandolo con espressione seria: << E a tredici anni mi hanno fatto girare per l’intera città per sfidare una ad una le bande di quartiere. Mi hanno pestato talmente tanto che non si riconosceva la mia faccia dal tappeto della nonna, che è di un bruttissimo color viola prugna >> terminò, serio in volto.

Della serie: “ehi, ciao, ti ho svegliato nel cuore della notte per una cretinata!”

Infatti Shikamaru era allibito. Lo guardava come se fosse appena piombato da chissà quale pianeta, oppure come se fosse uscito da un cartone animato particolarmente schizzato.

<< Ah… >> fu il suo solo commento. << E perché me lo stai dicendo? >> chiese poi, nel tentativo del suo cervello di snebbiarsi dagli strascichi del sonno appena interrotto.

Già Kiba, perché?

Prendendo in considerazione tutto quanto, le alternative erano due: fare una figura del cavolo raccontandogli la verità, o fare una figura del cavolo inventandosi una cazzata del tipo “sfogo notturno”, che non solo avrebbe fatto pensare a Shikamaru di essere stato preso per lo psicologo serale di turno, ma che avrebbe fatto apparire lui effettivamente come una ragazzina con crisi affettive.

Se doveva fare la magra figura comunque, tanto valeva farla senza mentirgli.

Distolse istintivamente gli occhi da quelli scuri del compagno, osservando con particolare interesse lo stipite della porta che, tra l’altro, nel buio nemmeno vedeva.

Storse appena gli angoli della bocca in un’espressione da indifferente per nascondere, forse, un po’ imbarazzo. << Ecco io… sul terrazzo ho visto… >> cominciò, ma venne inaspettatamente interrotto.

<< So cos’hai visto >> intervenne il moro, osservandolo ora con espressione seria ma non arrabbiata. << Sei Empatico, non è vero? Ho sentito Kabuto che ne parlava con Hinata, oggi in infermeria >> specificò, zittendosi.

Mise a tacere il moto di stizza nello sapere con quanta facilità giravano gli affari suoi all’interno di quell’accademia, concentrandosi solamente sulle parole appena pronunciate dal moro, cercando nella sua espressione una qualsiasi imperfezione che svelasse rabbia, o dispiacere… ma non c’era.

Lo stava semplicemente guardando.

<< Come fai a sapere quello che… >>

<< So come funziona l’empatia, e in quel momento ci stavo pensando. Non mi stupisce che tu abbia visto i ricordi che avevo in mente >> lo interruppe, cosa che non aveva mai sentito fare a Shikamaru.

Abbassò per riflesso condizionato lo sguardo, mantenendo però quell’espressione da sufficienza tirata a lucido per nascondere quella punta di dispiacere che stava provando nel constatare che, effettivamente, a Shikamaru non aveva fatto piacere.

Beh, a chi potrebbe mai far piacere, uno che ficca il naso nei tuoi ricordi?

<< Mi… dispiace >> bofonchiò, forse troppo orgoglioso per dirlo chiaramente.

Shikamaru sospirò. << E sei venuto solo per dirmi questo? >> chiese, la voce che nonostante fosse bassa esprimeva tutto il tono dell’incredulità.

...eh?!

<< Come SOLO!? >> sbottò girandosi in sua direzione << Io non ci dormo sopra e lui dice “solo”! Ma dico io, chi cav- >>

<< Non urlare! >> lo interruppe nuovamente Shikamaru, questa volta appoggiandogli la mano destra sulla bocca per chiudergliela << la gente normale a quest’ora dorme! >> aggiunse con espressione scocciata. Sospirò poi, arrendendosi all’evidenza che aveva a che fare con un idiota cronico. << Vieni dentro, testa quadra >> sussurrò, rientrando all’interno della stanza seguito a ruota da Kiba, che ormai non ci vedeva dall’irritazione.

Una volta richiusa la porta, la discussione continuò: << Che cosa cavolo mi significa “solo”? >> esclamò Kiba, che ormai aveva perso la pazienza e non l’avrebbe ritrovata molto facilmente. Il suo raziocinio era andato a spasso per altri lidi mentre il cervello era più spento che acceso.

<< vuol dire quello che ho detto >> rispose Shikamaru, indeciso se prendere sul serio o meno l’arrabbiatura di Kiba. Insomma, aveva tanto l’aria di uno scatto di nervi, ma solo due secondi prima era la reincarnazione della calma!

<< No, non vuol dire niente! >> sbottò di nuovo Kiba, e se avesse potuto ringhiare lo avrebbe fatto. << Non puoi non essere arrabbiato, o infastidito! Non puoi non volere che me ne vada fuori dai piedi, che sparisca insieme a questo potere invadente! >> aggiunse, muovendo le mani davanti al volto come a volere stringere qualcosa fino a spezzarlo o fino a farsi uscire il sangue dalle mani.

Shikamaru era sempre più sconcertato, ma non lo dava a vedere. Restava semplicemente in piedi a guardarlo, a poca distanza da lui.

Poi, in un soffio, gli rispose: << non lo sono >> con voce calma e posata << e non sei certo tu a dover decidere quello che voglio o meno >> e nella sua atonia suonò quasi burbero.

Il castano restò con la bocca spalancata, assottigliando gli occhi con fare incredulo. Che stava facendo? Gli stava passando per buona la giusta causa del “non fa nulla se hai visto tutta quella roba”? Gli stava gentilmente facendo capire che si era fatto delle pare mentali per nulla? Che aveva provato tutte quelle sensazioni per gioco? Rabbia, paura, frustrazione! C’era tutto questo, e quella confusione, quel… vortice infinito di suoni e sentimenti, che cavolo era?

Per chi le aveva provate tutte quelle cose, eh? Per chi?

Per chi… doveva continuare? Non faceva prima a mollare tutto e tornarsene a casa?

O era una questione di orgoglio? Si riduceva tutto solo a questo?

Cosa lo teneva… ancorato in quell’accademia? Cosa?

cosa?

Forse rimase in silenzio per troppo tempo. O forse, semplicemente, parlò e non se ne accorse. Ma quando ritornò a respirare in maniera quasi decente, l’unico suono che si sentiva era quello dei loro respiri, scoordinati e differenti.

<< Con chi te la stai prendendo, Kiba? >> chiese poi il moro, il tono di voce moderato nel silenzio. Nella penombra della stanza non riusciva a scorgere bene i suoi lineamenti, ma era sicuro che fosse serio.

Inizialmente non rispose. Già, con chi se la stava prendendo? Che motivo aveva di attaccare Shikamaru a quel modo?

Non doveva forse attaccare se stesso, dato che se la stava prendendo proprio con se stesso?

<< Non lo so… >> rispose solamente il castano, distogliendo lo sguardo con rabbia. Era meglio guardare il buio da qualche parte sul pavimento che scorgere la seccatura di Shikamaru a quel suo comportamento.

Rispondeva alla rabbia con la rabbia e non faceva altro che crearsi inutili paure. Poi, a quelle paure, rispondeva con altra rabbia e ricominciava il circolo vizioso.

Era sempre stato così, e nessuno lo aveva mai capito. E non c’era bisogno che nessuno lo facesse. Ognuno sfogava la frustrazione in modi diversi…

Udì a malapena i passi del moro, sentendolo avvicinarsi dal frusciare dei vestiti. Una mano si posò poi sulla sua testa, calda e un po’ grezza, rimanendo solamente lì appoggiata, senza fare nient’altro.

Rialzò nuovamente lo sguardo, incrociando gli occhi dell’altro nell’oscurità… e il suo leggero sorriso che poteva vedere solamente grazie a quella distanza ravvicinata.

<< Non ho detto che non mi ha infastidito >> cominciò poi, Kiba sussultò impercettibilmente. << Ho detto solo che è tutto a posto. Ti ho già spiegato che è il passato che ha avuto la maggior parte delle persone di questa accademia… hai solo visto la mia storia invece di quella di qualcun altro che, salvo poche eccezioni, sarebbe stata la stessa >> spiegò lentamente, in modo rassicurante che sfoggiava solamente con lui.

Lui non era nessuno, per meritarsi tutta quella considerazione…

<< Sono poco più di un estraneo… >> sussurrò dunque il castano, così fievolmente da essere faticoso da sentire.

Problema che Shikamaru non sembrò avere. << Sei un amico >> rispose, sincero. << Va bene così, Kiba. Probabilmente, prima o poi te lo avrei raccontato io >> aggiunse sempre con la stessa tranquillità.

Kiba stirò appena le labbra, facendosi avanti di un passo in maniera quasi inconscia. << Lo dici solo per calmarmi >> sentenziò con una punta di amara ironia, facendosi più vicino al moro.

<< Smetti di cercare ogni appiglio che puoi per colpevolizzarti >> gli rispose Shikamaru, sussurrandolo a sua volta.

Inuzuka sorrise di sbieco. Guidato dall’istinto più che dalla sua ragione ammutinatrice, fece un altro passo avanti fino a ritrovarsi vicino a Nara che, dal canto suo, non si mosse.

Non alzò le mani, non lo abbracciò, non mosse il volto in alcun modo… semplicemente si limitò ad appoggiare la fronte alla sua spalla, chiudendo gli occhi mente la mano rassicurante di Shikamaru continuava a rimanere posata sul suo capo, immobile, ma presente in quella sua mancanza di movimento.

Perché andava sempre a finire così? Quante volte ancora doveva mettersi profondamente in ridicolo con quelle situazioni da femminuccia debole e indifesa con tonnellate di problemi mentali?

Quante volte ancora avrebbe messo a tacere l’orgoglio, di fronte a Nara?

<< Scusa… >> sussurrò, volgendo appena le labbra verso il collo dell’altro in modo che potesse sentirlo.

Shikamaru appoggiò sospirando la testa sulla sua, arrendendosi all’evidenza che con quel ragazzo non c’era proprio niente da fare. << Scuse accettate >> rispose, carezzandogli appena i capelli in modo automatico ma impacciato.

Non c’era bisogno di chiedere nulla per capire che avrebbe dormito lì.

 

 

 

Chapter No.6 ~ End

 

 

 

*1- Quarto Alchimisti: a scanso di equivoci, lo uso per indicare qualcuno che frequenta il quarto anno della classe Alchimisti.

*2: CONSIGLIO STUDENTESCO:

 

Presidente: Deidara (V anno - Alchimisti)(specialità: Argilla Esplosiva)

Vice Presidente: Itachi Uchiha (V anno - Classe Angelica)(Mezzo demone, ma lo sapevate già U___u)

Componenti:  Akasuna Sasori (II anno - Esper)(Potere: Telecinesi)

Tobi (V anno - Classe Angelica)(mezz’angelo. Compagno di classe di Itachi XD)

Hidan (V anno - Esorcista)(Ha 21 anni, ma si ritrova ancora a scuola perché ha cominciato in ritardo… ed è stato rimandato di un anno XP)

 

Ok, chiarisco che non ho messo tutti i personaggi di Akatsuki per il semplice fatto che, per età, non potevano stare tutti in una scuola. Soprattutto la Triglia (Kisame) anche se ammetto che per ucciderlo in seguito, lo avrei inserito volentieri U____U.

Probabilmente Sasori dimostra più dell’età di uno del secondo anno, ma ho preferito biecamente metterlo in seconda, questioni di trama.

Perdonatemi, ma di Deidara, Tobi e Hidan non so i cognomi, dunque si presenteranno solo con il nome XP.

Se siete arrivati fino a qui senza mandarmi a quel paese, ringrazio tutti di avere letto ^__________^

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Il Ballo della Bella e della Bestia ***


Note: Ok, questa volta nulla di infinitamente lungo e impegnativo, voglio solo rendervi partecipi di un dialogo avuto con mio

Note: Ok, questa volta nulla di infinitamente lungo e impegnativo, voglio solo rendervi partecipi di un dialogo avuto con mio padre a cena, ieri sera! XD

Padre: Vale, ma tu cosa scrivi fino alle 4 del mattino?

Io: Una storia fantasy di ambientazione scolastico-sovrannaturale dove il classico nuovo arrivato si innamora di un suo compagno di corso. Sì papà, maschio, non fare quella faccia ebete U___u

Padre: *ci pensa sopra* …ma non dire cazzate! *ride*
Io: …

X°DDDDDD poveri illusi che mi credono pura ed ingenua! Ok, ora spazio alle dovute risposte!

VavvyMalfoy91: Io l’ho detto, questa fic porta danno °_______° fa perdere anche anni di vita *ignora altamente il fatto che sia lei a decidere come montare i capitoli* Comunque grazie, anche io ti adoro XD E sì, anche io adoro l’epoca veneziana del ‘700, altrimenti non l’avrei usata come tema per il ballo U___u. Non ti crucciare se la recensione è corta, mi basta e mi avanza! *___* Grazie mille per aver letto e recensito, spero che questo capitolo non deluda le aspettative!

OnlyAShadow: Idee riordinate perfettamente, niente da dire e niente correzioni in quello che hai detto *si mette occhialini stile professoressa esigente* XD grazie mille per i complimenti su quello che dice Kiba, mi diverto a farlo pensare in quel modo, m rende anche più facile la rilettura per le correzioni *annuisce*. Sì, effettivamente Naruto e Sasuke mi sono passati molto più in secondo piano di quello che avevo immaginato… ma non temere, avranno il loro spazio yaoi (sperando di non finire in un miserevole OOC). Avvicina il binocolo mia cara, siamo al punto di svolta U____u

Slice: Eh, ma se dopo tu dormi con Kiba, Shikamaru è geloso! XD Tutti e tre insieme e risolvete il dilemma, no? Poi se Kiba ti sveglia nel pieno della notte con una visione empatica, non rivolgere a me le lamentele U.u *scaricabarile*. Tralasciando le cavolate; grazie XD mi fa veramente piacere che il capitolo ti sia piaciuto XD e anche che tu abbia commentato, come al solito! E poi… beh, non do spoiler sulle coppie del ballo, anche perché le scoprirai nel capitolo con relative motivazioni! XP

CloudRibbon: Come provvederei io, alla mia sopravvivenza, senza i tuoi commenti stile pergamena del Mar Morto? XD Per rispondere alle varie domande sì, credo sia inciso nel mio codice genetico O___o o almeno, tempo fa non ero così ironica, adesso mi viene proprio naturale. Ho la tendenza a non riuscire a rimanere seria, tranne quando sono arrabbiata con il mondo (il che succede ad intervalli regolari). In ogni caso, come già detto sopra, anche io amo i balli della Venezia settecentesca. Anche se non amo pizzi e lustrini, tutte le scene di film in cui vedo rappresentati balli simili mi lasciano a bocca aperta. Qualcuno la riterrebbe una cosa scontata, un ballo, ma il motivo c’è se glielo metto. E piuttosto che descrivere abiti da sera moderni, preferisco cimentarmi nei colori cangianti del settecento. Comunque sì, alcuni balli erano in maschera, ma questo no XD mi servono i cari personaggi a volto scoperto, anche se solitamente nel settecento etichetta voleva di partecipare ai balli con le maschere. Non preoccuparti, non rompi le scatole, Yoko è la psicologa di tutti U___u. Mi è capitato anche me , un’esperienza simile alla tua e ti dirò… non è esattamente empatia. Nel senso che la reazione al pianto, o comunque alla sofferenza, di una persona a cui teniamo, scatena in noi una contro-reazione di fastidio che ci porta a piangere a nostra volta… o almeno, io la penso così, la mia mente neo-diplomata scientifica mi suggerisce questa interprestazione. Ma potrebbe anche darsi che io abbia il sentimentalismo di un formo a microonde, non farci caso U____u. Comunque i tratti che hai riscontrato in Kiba e Shikamaru sono molto azzeccati, c’è solo un piccolo errore; Shika non è telepatico, è Kiba che per lui è un libro aperto! XD Tranquilla, lo ShikaKiba Side of Life apre i battenti da questo capitolo. E benvenuta nel club, allora! XD

Soarez: Io non discuto assolutamente sul fatto che i guanti gialli non siano inquietanti, anzi! U.U Non mangio Happy Meal perché c’è il pagliaccio coi guanti gialli (X°DDDD). Felice che ti abbia fatto ridere il capitolo, davvero! XD Ammetto che la stesura ha soddisfatto anche me, ed è cosa più unica che rara… ti prego, lascia vivere quei criceti! XD E no, gli struzzi possono saltare tutti i recinti che gli pare! Chi sono io per dire agli struzzi di non saltare recinti? Oppure per impedire al pollo di attraversare la strada? U____U. Ehi, io non avevo detto che Rock Lee sarebbe apparso in quel capitolo, ho detto solo “prossimamente su questi schermi”! XD Comunque tranquilla, sta per arrivare, un po’ di pazienza *annuisce*. Grazie mille per lettura e recensione e non fissarti coi guanti gialli! >.<

fallen_azraphel: Cielo, se mi paragoni a coloro sommi che pubblicano veri romanzi mi fai arrossire inevitabilmente >//<. Comunque guarda, lieta che ti piaccia il pigiama di Shikamaru, suppongo replicherò al più presto XD e sono inoltre felice di sentire che Kiba è IC. Ho sempre la vaga impressione di stare esagerando con l’ironia, o con i comportamenti, e passo ore a rileggere anche solo un dialogo… alla fine di questa faccenda avrò un ulcera XD. Non ringrazierò mai abbastanza per i complimenti sul mio stile, mi fanno tanto piacere ç___ç e, ripeto, non preoccuparti per le recensioni XD corte o lunghe non ha importanza, davvero! Spero che il capitolo ti piaccia.

Neki niku_dango: Sono tanto propensa a chiamarti Mitarashi solo per quel “dango” che c’è nel nick… ma penso mi tratterrò XD. Anche a te molte grazie per il commento e per i complimenti sulla gestione della trama! Se penso che la mia mente organizza tutto da sola senza il mio consenso, ammetto che è inquietante. Felice che abbiate potuto fare “scorta” di capitoli tutti insieme e, come detto per la tua compare sopra, non preoccuparti per le recensioni. Io mi preoccuperei piuttosto per il tuo PC, attira disgrazia O___ò… ti serve un esorcismo? XD Ti auguro buona lettura per il capitolo, e grazie ancora per il commento!

 

Cielo, nelle risposte scrivo troppa roba O.ò tuttavia non è giusto non ricambiare commenti così traboccanti di complimenti.

Ok, qualche spiegazione poi lascio alla lettura. Primo fattore: le coppie. Vi avverto che il ballo, pur essendo il tema centrale del capitolo, non sarà l’avvenimento portante! XD Per tale motivo, dato che si tratta solo di inviti formali, per la prima volta in vita mia mi attengo alle coppie canon (non-yaoi) del manga. Poi vedrete quali.

La canzone utilizzata, anche se dubito che i drogati di classici Disney non la conoscano, è Tale As Old As Time (la versione inglese di E’ Una Storia Sai) dell’inimitabile “La Bella e la Bestia”. Per chi non l’ha mai sentita, consiglio vivamente di farlo. Le versione di Celine Dion è da morire sbavandoci sopra.

E poi dai, per me si adatta troppo a quei due…

Ok, fine! Ora vi lascio a questo capitolo col diabete!

.:: Enjoy! ::.

 

 

Chapter 07 ~ Sixth Echo

Il Ballo della Bella e della Bestia

 

 

C’erano cose che non riusciva veramente a concepire.

Non era solamente per il fatto che fosse mattina -le otto… troppo presto considerando che era domenica! - e dunque i suoi neuroni, come quelli della maggior parte delle persone, andavano a rilento… erano proprio situazioni che non sopportava.

Seduto quasi all’inizio della lunga tavolata di destra, a colazione, osservava fisso una ragazza nell’altro tavolo.

Non la conosceva, non sapeva minimamente chi fosse e non era nemmeno così carina. Faceva solo quella… cosa… con la forchetta che… cioè, come spiegare?

Perché doveva metterci dieci minuti -dieci!- per mangiare una fragola? Perché doveva per forza passarsela sulle labbra più e più volte con la scollatura in bella vista e perché… perché fissava Sasuke durante tutto questo operarsi?!

Aggrottò la fronte, alzando un sopracciglio senza spostare gli occhi da lei. Era forse uno spudorato tentativo di sedurlo?

Spostò lo sguardo sul diretto interessato, seduto allo stesso tavolo dove si trovava lui, accanto a Shino e Gaara. Di sicuro il trio meno loquace dell’interno universo conosciuto, ma quello che stava cercando lui era diverso: doveva capire per quale assurdo motivo, anche se il moro sembrava non filarsela nemmeno di striscio, quella ragazza continuava a fare della sua colazione uno strumento da sexy shop.

Non era per una qualche insana curiosità, no. Semplicemente si chiedeva se, dato che alcune mettevano in scena quello spettacolino a meno sette giorni dal ballo, andando avanti con il count down la situazione sarebbe peggiorata o addirittura degenerata.

Insomma, non voleva ritrovarsi l’intera parte femminile della scuola con apocalittiche scollature giro-ombelico a limonare con la colazione.

Era seccante… e distraeva, cavolo, distraeva!

<< Dite che posso ucciderla? >> borbottò Naruto al suo fianco, riportandolo coi piedi per terra. Anche lui teneva gli occhi puntati sulla ragazza in questione, ridotti a due fessure che lasciavano intravedere appena l’iride azzurra, piegando le labbra in un’espressione profondamente seccata.

Se fosse stato Clark Kent, sicuramente l’avrebbe incenerita con la super vista.

<< Non credo >> rispose Choji all’amico, terminando in quel momento di imburrare la prima metà dalla baguette su cui avrebbe spalmato l’intero barattolo di marmellata ai mirtilli che si era fatto dare dal signor Ichiraku.

<< Che ne sai, magari si strozza con la fragola >> aggiunse Ten Ten, seduta al fianco di Naruto, intenta ad estrarre un cucchiaino di Nutella dal barattolo senza sporcarsi i polsini della camicetta bianca.

<< Se si decide a mangiarla, vorrai dire >> rispose a sua volta Kiba, sospirando e ritornando con la mente alla sua fetta biscottata e caffèlatte.

Sembrava la riunione di una sottospecie di setta segreta. Inizialmente Naruto faceva colazione con Sasuke e quindi, in relazione a questo fattore, l’Uchiha era ad alternanza ospite del loro quartetto un giorno, e Naruto ospite del “trio iceberg” l’altro.

Tuttavia, a causa dello spietato boom ormonale che ovviamente sarebbe esploso con l’avvicinarsi del ballo, avevano deciso di mangiare separati anche a colazione, mantenendo come pasto “comune” solamente la cena.

Personalmente, Kiba credeva fosse un fatto di nervi. Non tanto per il fatto che metà delle ragazze ci provava alternativamente con Neji e Sasuke, più che altro perché la rimanente metà se la dividevano Itachi e Naruto, e vedere spettacoli simili rivolti al biondino non era esattamente un bene per il delicato equilibrio emotivo dell’Uchiha.

Se erano seduti lontani almeno Sasuke poteva ignorare gli sguardi lussuriosi rivolti a Naruto, anche se non era detto che succedesse la stessa cosa anche dal punto di vista dell’Uzumaki.

Ten Ten si era unita successivamente, nonostante fosse di un anno più grande. Diceva che preferiva la loro compagnia a quelle delle sue compagne di classe che lei definiva “irritanti”, dunque si era ormai inserita all’interno della cricca della colazione.

Non ci aveva capito molto in quel comportamento, ma poteva provare ad immaginare la situazione: i mezz’angeli, anche se erano esattamente il top della bellezza universale, erano comunque belli. Ten Ten, anche se era molto carina, non era una di quelle bellezze che spiccano subito all’interno di un gruppo. Aveva tratti più da essere umano che da angelo, era questo il suo problema. Tuttavia si dimostrava essere una buona compagnia, dato che si era subito inserita nei loro discorsi.

E poi, c’era il quinto membro sempre in ritardo…

<< Scusate il ritardo >> esordì infatti Shikamaru, arrivando in una camminata lenta con un vassoio in mano.

<< Ciao… >> bofonchiò Naruto ringhiando, gli occhi sempre fissi sulla ragazza della fragola. Gli altri si limitarono ad un cenno con la mano o con il capo.

<< Che succede? >> chiese il moro, sedendosi pacatamente accanto a Choji, di fronte a Ten Ten. Indossava una maglia a maniche lunghe verde scuro dalla quale spuntava il colletto di una polo di un verde muschio più chiaro. Si appoggiò subito con il gomito al tavolo, cominciando pigramente a mescolare il tè con l’altra mano.

<< Seguiamo un spettacolino soft porn ai danni di Sasuke Uchiha >> rispose Ten Ten, mordendo l’angolo della fetta biscottata con il sottile strato di Nutella.

Il moro sospirò: << hanno già cominciato? Sono in anticipo quest’anno >> sussurrò, posando il cucchiaino e portandosi la tazza alla bocca con la solita espressione annoiata.

Aveva ragione dunque, sarebbe stato sempre peggio. Che bello, proprio non vedeva l’ora di rovinarsi la colazione…

<< Già, in anticipo… >> borbottò ancora il biondo, fissando così intensamente la ragazza che, se non lo avesse saputo impossibile, Kiba avrebbe tranquillamente pensato che prendesse fuoco sul posto.

<< Ma Sasuke non ci va già con Sakura al ballo? >> esordì poi Choji prima di azzannare la baguette.

…aveva capito bene?!

Naruto annuì mentre Kiba sgranava occhi e bocca fissando a turno prima il castano poi il biondo. Non poteva tale catastrofe abbattersi su di lui! C’era qualcuno che gli voleva male, lassù!

<< Perché ci va con Sakura?! >> esordì poi, lasciando sgomenti tutti gli altri.

Shikamaru e Ten Ten si scambiarono un’occhiata sorpresa mentre Naruto e Choji si limitarono a fissare il diretto interessato con espressione indecisa. << Beh, che c’è di male? >> chiese dunque il biondo, dubbioso se credere all’improvvisa infermità mentale di Kiba o ad un suo desiderio di invitare la ragazza.

Kiba, rendendosi probabilmente conto di aver risposto senza accendere il cervello, richiuse la bocca con un grugnito, aggrottando la fronte.

Era un disastro immane… una catastrofe che chi non era in classe con quei due uragani chiamati Sakura Haruno e Ino Yamanaka non poteva comprendere.

<< C’è di male che mi verrà un’ulcera, ecco che c’è di male >> rispose poi il castano, sospirando rassegnato. << Chi le regge Sakura e Ino per cinque interminabili ore tutti i giorni adesso? >> aggiunse, tornando con una smorfia disgustata alla sua colazione lasciata a metà; improvvisamente non aveva più fame.

Shikamaru ridacchiò, seguito a ruota da Ten Ten e Choji. Solamente Naruto sembrava non avere ancora afferrato la situazione: << Perché? >> chiese infatti, sempre con quell’espressione dubbiosa.

Kiba alzò il volto, osservandolo con occhi vuoti e un sorriso ambiguo sulle labbra. Povero, piccolo, infantile ingenuo… lui non aveva idea di come funzionasse la mente delle donne sotto pressione, soprattutto quando lo stress che metteva in moto persino i loro neuroni di riserva, quelli buoni tenuti per le occasioni importanti, si accumulava fino a farle uscire dalla quotidiana decenza.

Semplicemente, Naruto non aveva mai avuto una sorella.

Gli mise una mano sulla spalla, guardandolo con l’aria vissuta di un maestro di arti marziali che parla al suo allievo: << non puoi comprendere, mio giovane padawan… >>(*1) esordì, assottigliando poi gli occhi e mutando la sua espressione in quella di un sempai (*2) che rivela al kohai (*3) il segreto di un mondo nuovo: << le donne normalmente sono temibili. Ma all’avvicinarsi di un evento in grande stile, dove si devono mettere in mostra per dei ragazzi, diventano delle macchine assassine di modello super-avanzato. I loro quaranta mila neuroni prendono tutti una stessa direzione, imputandosi su quell’obbiettivo, e per sfogare tutto lo stress accumulato c’è solo una soluzione… parlare. E non importa se lo faranno con il muro o davanti allo specchio, loro parleranno ininterrottamente fino a che quell’evento non si sarà consumato >> terminò, tornando poi diritto sulla sedia a mordere la fetta biscottata.

Ten Ten piegò un sopracciglio: << ehi, qualcuno potrebbe offendersi >> borbottò.

<< Non vedo nessuna donna qui >> ribatté subito Kiba, e solo Dio sa come fece ad evitare allo stesso tempo il coltello lanciatogli con maestria dalla ragazza e di strozzarsi con la colazione.

<< Sembri saperne a pacchi sulle donne, Kiba >> disse invece Shikamaru, nascondendo una domanda implicita sotto un sorrisetto malizioso e canzonatorio al contempo.

<< Ho una sorella maggiore >> rispose semplicemente lui, alzando le mani in segno di scusa alla moretta, che adesso lo minacciava con il cucchiaino.

<< Piuttosto Naruto… >> intervenne poi Choji una volta terminata la prima metà di baguette << come mai non vai tu con Uchiha? >> chiese, afferrando velocemente il coltello e il secondo panetto di burro. E sembrava una domanda a cui stavano pensando tutti, dato che si voltarono quasi in contemporanea verso il biondo.

<< Scherzerete spero! >> sbottò lui, facendo una faccia che dire schifata era il minimo. << Cioè, io amo Sasuke e tutto il resto ma… è un ballo! Con tutto il rispetto, l’immagine di due uomini che ballano un lento non mi tange >> aggiunse.

Era vero, ma non fu quello che disse ad attirare la sua attenzione. Era la prima volta che sentiva dire a Naruto di amare l’Uchiha, e lo aveva detto con così tanta naturalezza da lasciarlo spiazzato. Probabilmente era indice di sicurezza… oppure semplicemente teneva così tanto al moro da non dare peso ai pensieri altrui.

Beato amore puro…

<< Beh, dato che Uchiha va con la Haruno, uno è fuori gioco >> esordì poi Ten Ten, aggiungendo un po’ di latte al caffè nella tazza che aveva di fronte << ne rimangono tre >> aggiunse, mescolando.

<< Voi con chi andate? >> chiese poi Naruto, rinunciando a mangiare i suoi cereali, ormai più simili a carta pesta che a normali fiocchi di mais.

<< Con Ino, probabilmente >> disse Shikamaru, portandosi la tazza alle labbra con fare scocciato << o almeno, l’accordo era quello >> terminò.

Kiba spostò velocemente lo sguardo sul moro. Non sapeva minimamente perché, ma gli dava fastidio. Si era figurato che Shikamaru evitasse gli eventi pubblici come la peste, invece accompagnava Ino… << Quale accordo? >> chiese invece, reattivo, in modo da non pensarci più di tanto.

<< Ino, Shikamaru e Choji sono amici d’infanzia >> intervenne Naruto al posto del moro << e ormai è risaputo che Ino e Sakura sono sempre in competizione per tutto, soprattutto per Sasuke. Così Shikamaru fa la funzione del tappabuchi nel caso Ino non riesca a chiedere di uscire a Sasuke >> spiegò il biondo, ridacchiando divertito.

<< Mio malgrado >> rispose semplicemente Nara.

Non poteva essere possibile che Naruto non avesse nemmeno un piccolo senso di gelosia nei confronti di ogni essere umano si avvicinasse a Sasuke “Il Giorno in Cui Sorriderò l’Artide Andrà a Fuoco” Uchiha! Era il suo ragazzo o no?!

Ma no, non era il caso di perderci il sonno in quella faccenda. La relazione era la loro e, a dire il vero, lui non poteva nemmeno sapere come ci si sentisse. Soprattutto se considerava che, da quanto aveva sentito, Ino gravitava intorno a Shikamaru molto più di quanto si sarebbe aspettato… gli faceva passare l’allegria per un qualche arcano motivo che non decifrava.

Doveva toglierselo dalla testa, non era di certo di sua proprietà! Cielo… no!

Fortunatamente c’era chi riusciva a distoglierlo dal suo groviglio labirintico di pensieri inconcludenti: << tu Kiba? Sei già impegnato? >> chiese infatti Ten Ten, sporgendosi dalla spalla di Naruto per riuscire a vederlo.

Il castano scosse il capo. << Non sono passate nemmeno ventiquattro ore! >> rispose con finta espressione indignata… che nascondeva una certa verità. Chi al mondo poteva essere così veloce da rimediarsi la dama per il ballo dopo nemmeno un giorno dall’annuncio? E poi, sinceramente, era altamente propenso per andarci da solo, giusto per non mettere a rischio la sua pagella. Lui, il ballo (sport), lo aveva visto solamente in tv quando sua sorella aveva la fissa per Paso Adelante, punto. Da lì aveva decretato che lui e qualsiasi passo di danza stavano su due rette parallele destinate a non incontrarsi mai.

Ma… qual’era quel detto? Mai dire mai.

Un brusio concitato si levò nella mensa all’entrata di un personaggio singolare e, sicuramente, conosciuto: capelli lunghi e biondi a boccoli, lasciati cadere sulle spalle ed ondeggianti ad ogni passo. Maglietta di cotone leggermente scollata ma nulla di esagerato, gonna al ginocchio nera, pelle candida e occhi marroni e profondi, che osservavano con acume tutta la sala, in cerca probabilmente di qualcosa… o qualcuno.

Un brivido gli corse lungo la schiena, incapace di trattenerlo.

Se la ricordava, eccome se se la ricordava!

Peccato che quando l’aveva incontrata lui i suoi occhi avevano un colore dorato poco normale e l’aria intorno a lei emetteva talmente tanta elettricità da poter fornire corrente all’intera accademia per tre decadi.

<< Nh… >> gemette Kiba, storcendo appena il naso e facendosi inconsciamente più in basso con il ventre, nel mal-simulato tentativo di diventare tutt’uno con le piastrelle e sparire sotto il tavolo.

A quel suono improbabile uscito dalle labbra del castano, gli altri quattro commensali interruppero il discorso e si concentrarono sulla nuova arrivata che, come colta da una lampo improvviso -tanto per restare in tema- sembrò aver trovato chi cercava nella figura di Kiba e nella sua indescrivibile espressione facciale.

<< Hotaru Fukushima, eh? >> esordì la ragazza del gruppo, osservando la biondina farsi avanti fra il vociare perplesso di tutti gli studenti presenti a colazione: << se non sbaglio, dopo quella notte di casino ha perso i poteri Esper ed è tornata negli Esorcisti >> spiattellò, sempre più informata della maggior parte delle persone all’interno dell’accademia.

Sì, grazie, ma al momento non gli interessava nulla se studiava Esoterismo o se ballava il Can Can sul tetto. Il suo istinto gli diceva “ehi bello, quella l’altra volta ha tentato di farti la pelle!” e la cosa più saggia da fare sarebbe stata ingoiare i rimanenti residui di fetta biscottata e sparire da qualche parte… ma non poteva mica scappare come un fifone davanti a tutti quanti!

Cioè, già era il classico nuovo arrivato, figuriamoci se gli veniva affibbiato l’appellativo di sfigato di turno! Allora sì che gli affaracci suoi sarebbero volati in giro per la scuola come farfalline blu!

Quando la ragazza gli arrivò di fianco, fermandosi a poca distanza da lui e guardandolo con espressione apatica, Kiba dovette lottare contro la sua immotivata paura per rimettersi diritto -o perlomeno composto- sulla sedia.

Lei lo guardò, lo squadrò, se avesse potuto gli avrebbe fatto anche una lastra e una TAC per sicurezza. Quando sembrò sicura che avesse davanti la persona giusta -o quando semplicemente si decise a parlare- in mensa era calato un tale silenzio che un qualsiasi sussurro al di sopra dei due decibel si sarebbe sentito.

<< Tu devi essere Kiba Inuzuka, presumo >> esordì dunque, la voce melodica e all’apparenza posata.

No, macché, era Gesù Cristo.

Che cazzo di domande si sparava? L’aveva rincorsa per mezza scuola credendo di rincorrere un sogno, figurarsi se non sapeva che sì, lui era effettivamente Kiba Inuzuka!

Ma sì dai, stiamo al gioco. Solamente per il fatto che ancora le ricollegava l’immagine del demone incazzoso che voleva farlo in fricassea, dunque la cosa era abbastanza inquietante.

<< Sì, in persona >> rispose dunque, ostentando una falsa sicurezza con naturalezza. Lanciò a malapena un’occhiata agli altri, di striscio con la coda dell’occhio, per poi tornare ad Hotaru. Naruto la fissava seriamente mentre Shikamaru, interrompendo il suo sorseggiare pacato, aveva assottigliato gli occhi, quasi fosse… guardingo. O se stesse effettivamente cercando a sua volta di constatare se la ragazza fosse un pericolo o meno.

Cosa completamente inutile.

Dopo un sorriso a trentadue denti la ragazzina rise allegra, buttandosi letteralmente al collo di Kiba, lasciando tutti talmente spiazzati da non avere nemmeno la reazione volontaria di respirare.

Quella …cosa era pericolosa quanto un foglio di scottex.

L’abito non fa il monaco come il buon giorno si vede dal mattino… e lui di proverbi ne aveva già piene le tasche.

<< Sono felice che finalmente possiamo parlare in maniera normale! >> disse lei, senza avere la minima intenzione di lasciare il collo del castano.

Se non l’avesse saputo un abbraccio l’avrebbe scambiato per un tentativo di soffocamento.

<< S-sì… anche io…? >> disse, anche se sembrava più una domanda rivolta a se stesso che una risposta.

Tuttavia Hotaru lo ignorò, continuando imperterrita per la sua strada: << Io sono Hotaru Fukushima, del secondo Alchimisti >> si presentò, distaccandosi lo stretto necessario per guardarlo negli occhi. Da una distanza sicuramente molto ravvicinata.

Bene, ora che lo sapeva: poteva continuare la colazione e sfuggire da qualsiasi altro attentato, di qualunque tipo, per le prossime trentasei ore?

Non fece in tempo a ribattere, la ragazzina continuò: << so che il nostro primo approccio non è stato molto… umano >> disse lei con un sorrisetto colpevole sul volto << però mi hai liberato dal Rokubi, anche se non so come hai fatto, e quindi io voglio ringraziarti invitandoti al ballo come mio cavaliere! >> terminò lei, facendo trattenere il respiro all’intera mensa.

Anche a Kiba, che non seppe spiegarsi come facesse a trattenere il respiro dato che comunque non respirava da quando lei si era attaccato al suo collo.

Ma quel colpo fu duro anche per lui. Le parole “ballo”, “invitarti” e “cavaliere” nella stessa frase non potevano trovare posto all’interno della sua mente, già stipata da ben altri pensieri e traboccante di vecchie fissazioni ancora non abbandonate.

Boccheggiò in cerca di qualcosa da dire, evidentemente a disagio. Insomma, aveva avuto qualche ragazza ma… lui non ballava! Non qualcosa adatto ad un ballo di gala, almeno!

Ma, per l’ennesima volta, rimase vittima del potere insito a quella parte della razza umana chiamata “donne”.

E’ risaputo ormai che tali esseri hanno molte armi contro gli uomini. Alcune possono essere eluse con un po’ di astuzia, altre possono semplicemente essere ignorate a causa dell’abitudine.

Ma una, una sola delle armi a loro disposizione è sempre, perennemente, indistintamente utile con una percentuale di successo del cento percento… i lacrimoni.

Resisti ai lacrimoni di una donna, soprattutto se sono sfoggiati per motivo che non conosci ma che incolpano te, e tu non sei umano.

Cosa che accadde. Hotaru sfoggiò un paio di lacrime maestrali alla sua indecisione, decretando la fine del già poco buon senso che albergava a tratti nella testa dell’Inuzuka, decretando così la disfatta. Annuì.

E se prima ne era solamente sospettoso, ora ne era pienamente convinto: quella settimana sarebbe stata un Inferno.

 

 

Nonostante tutte le previsioni del caso, quella era stata la settimana più drasticamente noiosa della sua vita.

Sembrava che nell’attesa di quel fottutissimo ballo -perché sì, dopo che te lo senti nominare anche in bagno nel cambio d’ora, cominci a maledirlo- l’accademia intera andasse fuori di testa.

Le lezioni si tenevano solo al mattino mentre, nel pomeriggio, l’intera scuola era impegnata nei vari incarichi dati loro dai membri del consiglio studentesco. C’era chi disegnava cartine su cartine per la disposizione dei tavoli, chi prendeva metrature per la pista da ballo, chi sistemava il palco per l’orchestra -che ancora non aveva capito da quale cavolo di posto veniva- e, infine, chi addobbava e chi prendeva le misure per gli abiti.

Ora, il concetto è semplice. Ad un ballo di gala normale ci si mette lo smoking e, a meno che uno non sia allergico alle buone maniere, al massimo si ripiega con una camicia e una cravatta mezza allentata.

Di solito.

Ma la parola “normale” sembrava non far parte del vocabolario di quell’accademia, no, perché loro un ballo stile Venezia del settecento dovevano fare.

Premesso ciò, provate ora ad immaginare la mensa. Spogliatela dei tavoli e posizionateci cinque casse di legno a circa cinque metri l’una dall’altra. Mettete uno ad uno cinque poveracci a braccia larghe, impalati come sardine su ognuna delle casse, con lo sguardo fisso perso nel vuoto. Mettete tre metri da sarta in mano a Sakura, Ino e a quello squilibrato del presidente del Consiglio Studentesco. Aggiungete montagne di stoffa di tutti i tipi a formare una specie di collinetta alle spalle di tutto ciò e avrete sicuramente immaginato l’incubo più ricorrente di Kiba Inuzuka, terzo anno Alchimisti… addetto alla sezione “creazione e confezionamento abiti” come l’aveva chiamata Deidara.

Che gli venisse un crampo mentre faceva le scale!

Ogni santissimo pomeriggio era stato impegnato fino a sera tardi in quell’incubo tutto rose e fiori. Ino e Sakura non stavano zitte venti secondi, misurando e facendo apprezzamenti non poi tanto silenziosi sulle chiappe di mezza accademia, dettando numeri e girovita ad una terza persona, Deidara, che per tutta la settimana non aveva fatto altro che ripetere che l’Arte è Esplosione in tutte le salse e in tutte le lingue, credeva anche in sanscrito, ma non ne era sicuro.

Le due giornate dedicate alle donne erano state le più tremende: pezzi di pizzo che volavano da ogni dove, merletti che spuntavano in ogni angolo -anche quelli tondi- possibile, tipologie e particolarità di strisce di raso che erano assolutamente uguali agli occhi di tutti tranne che a quelli di Sakura, Ino e Deidara e, per concludere in bellezza, ancora ricordava con orrore la discussione di tre quarti d’ora sulla forma delle scollature.

Ma cavolo, se una deve mostrare le tette, mostra le tette che la scollatura sia rotonda o quadrata! Che differenza faceva?!

E in tutto ciò, lui aveva il compito di… smistare i gruppi.

In poche, semplici, infami parole: faceva il buttafuori. O lo sfollagente, dipendeva dalle occasioni.

L’unica cosa che aveva imparato era che, a volte, una mazza chiodata o un Revolver in mano facevano la differenza.

Scampando agli attacchi affettuosi stile francobollo di Hotaru e aiutando di tanto in tanto Sasori con i ricami delle bluse maschili, finalmente era arrivata la fatidica vigilia: era venerdì sera… e lui aveva un mal di testa così potente che un Boeing 747 in fase di decollo faceva meno casino di quanto ne sentiva lui nel cervello.

Quando alle dieci e venti di sera anche l’ultimo poveraccio se ne fu andato, con l’abito sotto il braccio e l’espressione di chi ha un cappio al collo, poté finalmente lasciarsi andare su una delle sedie ammucchiate con i tavoli a lato della sala, prendendosi la testa fra le mani.

Letto, cuscino, silenzio… ecco le uniche cose che anelava in quell’istante. L’indomani non aveva nemmeno lezioni, di bene in meglio! Poteva dormire fino a sera senza che nessuno lo tampinasse con qualcosa da fare, soprattutto dopo che Iruka gli aveva detto che “a causa di impegni” avrebbero saltato i due incontri previsiti e avrebbero ripreso dopo in cinquantenario.

Già. Se da una parte era un sollievo, così da non sorbirsi un interrogatorio su argomenti imbarazzanti, dall’altra aveva scoperto non essere una situazione esattamente gioiosa alla “figlio dei fiori”… lui, la sua empatia e la folla non potevano stare nella stessa stanza.

Capitava quello scatto d’ira o quella punta di testosterone in più che gli rovinavano la giornata.

Ma fra tutte le catastrofi naturali una sola era veramente temibile: Deidara.

Ovvero la persona che adesso aveva esattamente davanti al naso. << Inuzuka, che stai facendo? >> chiese con tono alto e gioviale, trapassandogli il cervello.

Non era una persona normale, no. Dopotutto, lui si definiva un artista… e gli artisti sono davvero strani, a volte.

Quando ti guardava lo faceva con un occhio solo, dato che l’altra metà del viso era ricoperta da un ciuffo pseudo emo di capelli biondi come il grano, di un biondo molto simile a quello di Naruto. Aveva sempre la coda di cavallo alta sulla testa, che lasciava cadere i capelli della nuca morbidi sulle spalle. La divisa era portata come gli altri tranne la cravatta, che annodava in un fiocco lento e che lasciava cadere sul petto.

Particolare, ecco la parola giusta.

Kiba lo osservò, alzando appena gli occhi e sospirando esausto. Al diavolo l’educazione nel rivolgersi ad uno più grande, stava morendo! << Dormo >> rispose solamente, la voce roca ricordo di tutti gli urli che aveva dovuto lanciare quel giorno alla calca di ritardatari che si erano presentati solamente l’ultimo pomeriggio disponibile.

<< Vedo >> rispose lui ridacchiando, posandosi una mano sul fianco ed osservandolo dall’alto in basso. << Puoi andare, mettiamo a posto noi altri >> aggiunse, sorridendogli cordialmente.

Kiba alzò lo sguardo cercando di trattenere il sollievo di quella notizia. << Sul serio? Siete sicuri? >> chiese, più per impartita educazione che per altro, sperando già che non si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto.

Deidara ridacchiò di nuovo, voltandogli le spalle ed incamminandosi verso gli altri: << sparisci, Inuzuka! >> esclamò, decretando la realizzazione dei suoi sogni.

O almeno, se non di tutti, almeno di quello più impellente.

Esultò in silenzio e, afferrando rapidamente la gruccia con il suo vestito incelofanato, uscì dalla porta principale velocemente e senza salutare nessuno. Se Sakura e Ino lo avessero visto andar via lo avrebbero rincorso per tutta la scuola nel tentativo di riportarlo giù a pulire… e lui non ne aveva la minima intenzione.

Salì le scale abbastanza di fretta, sbadigliando sonoramente e senza mettere mano davanti alla bocca. Era da solo su una scalinata buia, per una volta poteva anche glissare sull’educazione.

Una volta arrivato in cima voltò a destra, strascicando i piedi in direzione del dormitorio maschile e lasciando che la sua mente vagasse da sola per l’ultimo lasso di tempo che lo separava dal sonno comatoso in cui sarebbe caduto una volta messo piede in camera.

Con tutto quel casino non era riuscito a sentire sua madre -o almeno, a rispondere alle sue telefonate- già da tre giorni e da cinque non vedeva più né Shikamaru né Naruto. Tutti erano presi dai preparativi e a pranzo si mangiava un panino mentre si discuteva dei progetti, dei posti a tavola, della sistemazione degli amplificatori…

Era un lavoraccio.

Sbadigliò una seconda volta nel passare davanti alla scalinata dell’atrio principale, totalmente incurante del luogo e del tempo.

Ed in fatti…

<< Mamma non ti ha insegnato che si mette la mano davanti alla bocca, Inuzuka? >> sentì rivolgersi, anche se a tono moderato, da una voce proveniente dalle scale.

Voltò il capo, e quasi sulla cima delle scale un Sasuke Uchiha in tutta la sua eterea bellezza trasportava sulle spalle un Naruto completamente addormentato ed esausto.

<< Non ti farai delle paranoie per uno sbadiglio, Uchiha >> ribatté pronto il castano, nonostante la sua espressione da encefalogramma piatto potesse esprimere solamente lo spegnimento del cervello escluso le più normali funzioni vitali.

Tuttavia anche Uchiha era provato, lo dimostravano due leggere occhiaie violacee sotto agli occhi languidi.

Non giunse risposta da Sasuke, solamente un’occhiata storta che, con quell’espressione, non avrebbe convinto nemmeno una formica.

Spostò lo sguardo dagli occhi scuri del moro al viso beatamente addormentato di Naruto, alzando appena gli angoli della bocca in un sorriso comprensivo. << Si è addormentato? >> chiese, cercando per una volta nella sua vita di essere cortese.

<< Ti sembra sveglio? >> rispose tagliente l’altro.

<< Uchiha, ti scongiuro… >> cominciò poi l’Inuzuka << i neuroni addetti all’ironia sono andati in sciopero da questa mattina alle dieci. Potresti evitare di fare l’ostico e rispondere semplicemente come in una normale conversazione? >> chiese.

Sempre se ne abbia mai avuta una in vita sua, di normale conversazione.

L’altro sospirò, annuendo semplicemente con il capo. << Mentre la preside cambiava per l’ennesima volta la posizione dei tavoli >> rispose l’Uchiha, il tono piatto ma, tuttavia, cortese.

O era il sonno che parlava per lui, oppure la mattina successiva sarebbero piovuti fuoco e zolfo. Oppure avrebbe conosciuto i quattro cavalieri dell’Apocalisse, che ne poteva sapere? Fatto sta che il pensiero di stare parlando con Uchiha in maniera normale costituiva la base per una catastrofe naturale stile Bibbia.

<< E tu? >> aggiunse poi Sasuke, osservandolo con la schiena leggermente incurvata per tenere meglio il peso di Naruto << riesci a controllarla? L’empatia, intendo >> chiese pacato, con tono cordiale ed espressione rilassata.

Ok, a quando le dieci piaghe d’Egitto?

Nonostante lo stupore per la domanda, l’Inuzuka annuì confusamente in direzione del moro: << non c’è… male >> biascicò, cercando più che altro di convincere se stesso.

Cosa che non riusciva a fare, dato che il mal di testa imperiale che si portava appresso non era di certo spuntato fuori dal nulla.

Sasuke ghignò, lanciando lampi ironici con gli occhi ma senza aggiungere altro.

Oh sì, ecco il solito Uchiha! Cominciava a preoccuparsi.

Prima che potesse rispondergli, Naruto mugugnò nel dormiveglia, socchiudendo un occhio per guardarsi attorno. In un piccolo movimento con il volto sfregò il naso sul collo pallido di Sasuke, stringendosi un po’ di più alle sue spalle prima di richiudere gli occhi. Fu poi la sua voce, in un leggero sussurro udibile solo grazie al silenzio, a sfiorare l’orecchio del moro: << andiamo a dormire? >> chiese innocentemente, probabilmente non rendendosi conto nemmeno della presenza di Kiba.

Sasuke Uchiha, osservando di sbieco il volto del sue ragazzo, sorrise dolcemente.

E quello fu il secondo vero sorriso che aveva visto comparire sulle labbra del moro da quando aveva messo piede all’interno della scuola.

<< Sì, ora andiamo, baka >> sussurrò in risposta, appoggiando la fronte alla tempia del biondo e chiudendo gli occhi qualche secondo.

A Kiba si strinse lo stomaco. Era stata solamente una piccola dimostrazione d’affetto, semplice quanto lo zampillare di un ruscello, ma era così… sincera… da lasciarlo interdetto.

Riprese a respirare solamente quando Sasuke, facendogli un cenno di saluto con il capo, lo superò e si diresse verso la camera di Naruto, una delle prime del corridoio. Non ebbe la velocità di rispondergli con la voce, limitandosi a sua volta ad un cenno del capo, quasi ad un annuire automatico.

Osservando il pavimento, forse per la prima volta da quando era in accademia, si sentì… solo.

 

 

<< Maledetto sia chiunque abbia inventato questi dannati cosi! >> sbottò irrequieto davanti alla scalinata principale, cercando per l’ennesima volta di allacciarsi quella specie di fazzoletto di seta che doveva portare al collo.

Signore! Non ci riusciva con le cravatte normali, figuriamoci con quella sottospecie di foulard! A lui la cravatta gliela allacciava Sakura tutte le mattine, non aveva mai imparato!

All’ennesimo tentativo, miseramente fallito come i circa venticinque precedenti, decise di maledire dal profondo ogni cosa su quel mondo che andasse allacciata al colletto di una camicia. Fortunatamente, per una questione di educazione, lo fece mentalmente e non ad alta voce.

La sera successiva -ovvero il fatidico sabato del ballo- era arrivata subito, quasi come se il resto del giorno non fosse nemmeno trascorso.

Per indossare quel costume maledetto aveva dovuto farsi la doccia alle quattro del pomeriggio, passando poi l’ora successiva a cercare di pettinare i suoi capelli in maniera decente, magari per assumere un’aria da sciupafemmine incallito di nuova generazione.

Quando la bottiglietta di gel raggiunse la metà senza che i suoi capelli si decidessero a smettere di sfidare la legge di gravità, lasciò abbondantemente perdere e, rilavandosi i capelli per togliere tutta quella roba appiccicosa, propense solamente per una pettinata veloce in modo che non stessero troppo sparati in ogni direzione.

Alle sei doveva ancora vestirsi, il che era un dramma anche se aveva appuntamento con Hotaru alle nove.

Chiunque non abbia mai indossato un costume settecentesco non può avere idea di cosa voglia dire vestirsi in quel modo.

Innanzi tutto i pantaloni, bianchi nel suo caso, di larghezza normale in vita e sulle cosce fino alle ginocchia e incredibilmente stretti sui polpacci. Il motivo c’era: dopo doveva mettersi gli stivali, dunque più stretti li facevano e meglio era.

Ma il punto non era come apparissero dopo… piuttosto come poteva fare una persona ad infilarseli prima, dato che la circonferenza massima della gamba non sembrava più larga della sua caviglia. Il che era un problema, se solo di piede superavi il 41… e lui portava il 42.

Tuttavia provò lo stesso, anche perché presentarsi in mutande non era concepito da nessun galateo, nemmeno lontanamente.

Metodo classico: prima una gamba poi l’altra.

Imprecò a denti stretti quando i piedi, passati tranquillamente nella parte superiore, affondarono per qualche centimetro in quella più stretta e si bloccarono lì nel mezzo, senza muoversi più.

Nella mezzora successiva, che passò smadonnando in ogni lingua conosciuta e dialetto gergale umanamente noto, avrebbe maledetto non solo i pantaloni, ma anche chi li aveva fatti, chi aveva fornito il cotone, l’inventore dei bottoni e lo spigolo del letto, preso ripetutamente con il piede nel tentativo di emulare Bruce Lee nei più fantasiosi stili di Tai Chi. Dopo una rivisitazione della posa dell’amantide, finalmente poté allacciarsi quella trappola in tessuto alla vita e tirare un sospiro di sollievo.

Certo, la circolazione si fermava in zona ginocchio e tornava indietro senza raggiungere il piede, ma non era un gran problema… forse.

Successivamente, la camicia. Che no, non poteva essere una normale camicia… scherziamo, vero?

Le camicie adatte a quei balli avevano un colletto senza risvolti, che salivano semplicemente in alto sul collo, chiudendolo quasi completamente e facendoti sembrare una gru imbalsamata.

O uno con un manico di scopa in quel posto, ma non voleva essere scortese.

Poteva sembrare anti-estetico, soprattutto perché si vedevano i due bottoni che lo chiudevano, ma poi ci andava annodato il fazzoletto di seta, dunque il problema non si poneva. Sui polsini, inoltre, due sbuffi di pizzo erano appositamente applicati in modo che uscissero dalle maniche della giacca.

Compativa veramente tanto quelli che si vestivano in quel modo, più di tre secoli prima.

Una volta che ogni bottone di quel maledetto pezzo di stoffa fu allacciato, si guardò alle specchio con aria trafelata. I suoi capelli erano tornati esattamente come ogni santo giorno e, come se non fosse sufficiente, si sentiva imbacuccato come un confetto.

Sospirò, passandosi una mano sopra i capelli per cercare di appiattirli almeno un po’, tornando poi a sedersi sul letto per infilarsi gli stivali neri in pelle. Almeno quelli avevano la cerniera a lato.

Si alzò e, come tocco finale, estrasse la giacca dal cellofan che ancora la rinchiudeva.

Rossa. Era stata Sakura ad insistere per quel colore, asserendo che con il castano ci stava molto bene un rosso scuro. Ino insisteva per il blu, mentre Deidara aveva proposto un verde muschio che non voleva nemmeno prendere in considerazione di mettersi.

La tenne in mano, osservandola pensieroso. Era in velluto morbido, leggero nonostante il tessuto di per se facesse caldo, ricamata con alamari d’oro lungo tutto il colletto a taglio classico e lungo i due lati della pettorina, che andavano chiusi con legacci in treccia, d’oro anch’essi, in soli tre punti lungo il tronco. Lunga fino alle ginocchia, si apriva sul davanti stile smoking e lasciava sul collo una scollatura a V per mostrare il classico fazzoletto di seta.

Fazzoletto che, bensì due ore dopo, non si sarebbe ancora allacciato da solo aspettando un miracolo ai piedi della scalinata principale.

Cosa che stava ancora facendo, dato che Hotaru era in ritardo.

Nel contempo, i primi ospiti erano arrivati e cominciavano tutti a fluire lungo l’atrio principale, in direzione della cappella, da cui proveniva la musica soffusa dell’orchestra che già suonava. Pianoforte e violoncello con accompagnamento di violino… certo che Sasori si era dato da fare nel trovare un gruppo musicale adatto…

Osservò con cipiglio apatico uno dei vestiti femminili che, indosso ad una sua compagna di classe, attirava inevitabilmente l’attenzione.

I modelli erano uguali per tutti. I maschi avevano un completo, le femmine un altro. Gonne larghe, decorate con pizzo o tulle, sovrastato da una gonna in seta di diverso colore a seconda di chi lo indossava che scendeva dolce suoi fianchi, arrivando fino a qualche centimetro da terra. Il bustino era decorato nello stesso modo delle bluse maschili e, in alto, si aprivano in scollature generose che variavano forma a seconda di chi le indossava. Le maniche erano a sbuffo… solitamente. Anche se c’era chi aveva preferito una maniche in retina trasparente lunga fino al polso. Qualcuna, infine, indossava i guanti corti.

<< Sei già perso a guardare le altre ragazze? >> esordì una voce al suo fianco, facendolo trasalire.

Diamine… odiava quella sua capacità di materializzarsi quando meno se lo aspettava!

<< Alla buonora >> rispose Kiba ridacchiando << pensavo di essere stato scaricato >> ironizzò in direzione della sua accompagnatrice, che in piedi sullo scalino arrivava alla sua stessa altezza.

Hotaru, quella sera, era particolarmente raggiante. I boccoli biondi erano raccolti sulla nuca in un concio lento, che ne faceva scendere qualcuno sulle spalle in modo calcolato. Un vestito bianco, con qualche passata di pizzo nella parte anteriore della gonna, di colore misto fra l’arancione tenue e il giallo. Scollatura squadrata, in modo probabilmente da coprire il suo seno ancora poco sviluppato, con le maniche che le arrivavano fino al polso, terminando con uno sbuffo di pizzo a trama larga.

E sorrideva. Sorrideva solare mentre lo osservava.

<< Ho avuto problemi con la cerniera del vestito… >> restò sul vago lei, aggrottando poi le sopracciglia: << …il fazzoletto non lo metti? >> chiese, indicando il collo.

<< Non sono capace >> rispose lui sospirando, come se l’argomento “nodi” fosse il suo tallone d’Achille.

Lei ridacchiò serena, prendendo poi quell’aggeggio in seta e cominciando ad annodarglielo con facilità. << E’ inutile, voi uomini non imparerete mai a fare il nodo alle cravatte… >> disse serenamente, terminando in pochi secondi. << Ecco, ora sei un perfetto principe azzurro >> concluse felice, unendo le mani sotto al mento.

Il castano sorrise a sua volta, lievemente. Beh, la serata doveva pur passarsela in qualche modo… tanto voleva stare al gioco e fare scalpore andando al ballo con quella che aveva cercato di fargli lo scalpo.

Si inchinò, con il braccio piegato in avanti come aveva visto fare nei film, porgendolo alla ragazza con fare teatrale. << Andiamo, principessa? >> ironizzò con perfetta espressione regale, facendo arrossire Hotaru fino alla punta dei capelli prima che accettasse l’offerta e lo prendesse a braccetto.

Mentre varcava la soglia però, non riusciva a non pensare che quel cavolo di vestito era la cosa più scomoda che si fosse mai messo addosso.

 

La sala era davvero ammirevole. La cappella era già ben arredata di per sé, con arazzi di santi in cornici dorate alle pareti, fra una vetrata e l’altra, ma in quel frangente avevano superato se stessi.

I vecchi lampadari pendenti erano stati riaccesi per l’occasione, illuminando un soffitto ad affresco con una miriade di angeli e creature alate vestite di drappi carmini. Ai lati delle vetrate, inoltre, riprendendo lo stesso colore dei drappi erano state poste delle lunghissime tende, raccolte con cordoni in oro.

L’orchestra -composta da un violoncellista, un pianista, tre violinisti e un sassofonista- era stata posta sull’altare da cui Sua Eccellenza Jiraiya faceva messa, esattamente davanti all’imponente organo e sotto all’enorme Cristo crocifisso. Alcuni tavoli erano infine stati disposti ai lati della sala, lasciando la parte centrale come pista da ballo, dove già alcune coppie danzavano in quei balli dai passi prefissati, tipici delle feste da gala veneziane e francesi del tardo seicento.

<< Non è un’eresia organizzare un ballo in chiesa? Magari la mensa sarebbe stata… più adatta? >> chiese Hotaru, avvicinandosi appena con il viso a Kiba ma senza distogliere lo sguardo meravigliato dagli addobbi e dal soffitto affrescato.

<< Abbiamo un prete che scrive romanzi hard. Se non è un’eresia quella… >> rispose il castano, osservando rapito tutto quello sfavillio di colori e quel chiacchiericcio diffuso, unito a sorrisi allegri e sinceri.

Per quella sera, tutto il mondo fuori dalla porta.

Avviandosi, fra gli sguardi dei più curiosi, lungo la navata poté notare in pista persone conosciute danzare quell’antico ballo di gruppo i cui passi non erano ancora andati persi.

Sakura, un vestito di seta color rosa con strati di tulle che sfumavano dal rosa confetto al rossiccio, aveva i capelli raccolti in un concio appositamente spettinato, lasciando ad incorniciare il volto solamente due ciuffi sottili.

Era lì-lì per chiedersi come diamine aveva fatto a raccogliersi quei capelli così corti in un affare simile, ma rinunciò. Le donne potevano tutto, ormai ne era convinto.

Il bustino aveva ricami rossi fino sotto al seno, in vista grazie ad una scollatura angolare simile a quella di Hotaru. Le maniche però erano assenti, sostituite da due sbuffi in morbido tulle rosso che ondeggiavano ad ogni passo.

Lo notò e, con un cenno della mano libera, lo salutò raggiante.

Rispose, notando al contempo con chi stava ballando. Sasuke Uchiha.

Bello da fare invidia con quell’abito blu notte intarsiato d’argento e i pantaloni bianchi a fasciargli in maniera impeccabile i glutei. La carnagione chiara era messa persino in risalto dal tono scuro del colore, accentuando i capelli simili a fili di seta nera.

E, se Sasuke attirava su di sé gli sguardi sbavanti di molte delle ragazze in sala, Naruto non era assolutamente da meno, quella sera.

Il colore arancione era quello scelto per lui da Ino, avendo incontrato l’approvazione sia di Sakura che di Deidara. La giacca gli cadeva morbidamente sulle spalle, fasciandone il petto forte ma non troppo robusto, ricamata di nero sui bordi e sui polsini delle maniche. Pantaloni neri per lui in questo caso, facevano quasi tutt’uno con gli stivali, uguali per tutti gli uomini.

E, forse, buona parte della popolazione maschile sarebbe stata scontenta di vedere la dama che lo accompagnava, nonostante le occhiate dolci che il biondo si cambiava con Sasuke ad ogni giro.

Hinata Hyuga danzava impacciata accanto a lui, con un colorito rossastro sul volto pallido. Indossava un vestito bianco perlato con motivi floreali in rilievo, unito elegantemente ad alcune pieghe di seta azzurra sul davanti della gonna. Con due minime maniche a sbuffo sulle spalle, la scollatura a V le si appoggiava dolcemente sul seno, sicuramente più sviluppato di tutte le sue coetanee. I capelli infine, al contrario della maggior parte delle ragazze, erano lasciati sciolti sulle, raccolti solamente dietro la nuca con una spilla argentea a forma di farfalla. I suoi occhi fissavano ad alternanza quelli cerulei del biondo e i suoi piedi.

<< però, Naruto e Hinata Hyuga! >> commentò ad alta voce, probabilmente contagiato dall’atmosfera serena della festa: << e chi lo avrebbe mai detto? >>

<< Chi? Hinata quella dell’infermeria? >> chiese sconvolta la biondina, cercando di guardare nella stessa direzione di Kiba.

Fu in quel momento probabilmente che, osservando per caso l’entrata, ignorò completamente il discorso in cui si era lanciata Hotaru, deglutendo a vuoto.

Se gli fossero passati sui piedi con un carro armato, probabilmente non avrebbe nemmeno sentito il dolore.

Fasciato in una giacca nera in alamari d’oro, pantaloni bianchi a completare l’opera, Shikamaru Nara aveva attirato l’attenzione di molte persone, presentandosi in sala con i capelli sciolti e tirati indietro con il gel in una pettinatura composta e, si poteva dire, di gran classe.

Al suo fianco, con una mano guantata di bianco fino al gomito, Ino Yamanaka sorrideva allegramente alla folla, fiera probabilmente di avere, per una volta, un cavaliere che poteva competere con Sasuke Uchiha… e quindi con Sakura.

Lei indossava un abito giallo aranciato dalla scollatura curvilinea che metteva in risalto il seno, non particolarmente sviluppato ma nemmeno invisibile. Il bustino era decorato con ricami di narcisi e la gonna, ricoperta degli stessi ricami, scendeva su una sottoveste arancio, in pizzo. Le maniche erano assenti nel suo caso, chiudendosi sulle spalle a grappolo e fermate con due spille dorate, mentre i capelli erano raccolti in un concio a treccia.

Kiba deglutì, non riuscendo a togliere gli occhi di dosso dai due.

Erano una maledetta… bellissima coppia. O almeno, vestiti così e in quell’accostamento cromatico.

E diamine, lui aveva smesso di respirare guardando un ragazzo!

Chiuse gli occhi scuotendo il capo, cercando di concentrarsi su altro. Su qualsiasi cosa non avesse una forma riconducibile a Shikamaru… e no, l’ananas che spuntava dal tavolo del rinfresco non aiutava! Doveva cambiare obiettivo.

Per esempio, Ten Ten che entrava a braccetto con Neji Hyuga.

cosa cosa?!

<< Ma quella è Ten Ten?! >> sbottò sorpreso, attirando per l’ennesima volta l’attenzione di Hotaru.

<< Oh. Mio. Dio! >> scandì lei altrettanto stravolta, ridacchiando felicemente a quel nuovo gossip che avrebbe occupato le chiacchierate dell’intera scuola per almeno due mesi. << La bibliotecaria… con l’Arcangelo Hyuga! >> esultò la ragazzina, facendo gridolini concitati che lui non voleva nemmeno stare a sentire.

Era… bella. Niente da dire. Il vestito dalla tinta rosa ramato, semplice e senza ricami, aderiva perfettamente e nei punti giusti al suo corpo, sposandosi bene anche con la carnagione olivastra. A decolté, quell’abito lasciava spazio all’immaginazione, coprendole il seno in modo aggraziato e lasciandole scoperte le spalle, su cui scendevano i capelli sciolti e leggermente mossi, raccolti nel lato destro della testa con una spilla a forma di rosa.

Lei lo notò in mezzo a tutti quelli che li fissavano, chi moderatamente e chi meno. O almeno, probabilmente aveva notato la sua bocca spalancata, ma erano dettagli.

Alzò la mano guantata di bianco, salutandolo con uno dei sorrisi più radiosi che le avesse mai visto fare.

Rispose, aprendo e chiudendo le dita della mano destra come se fossero rachitiche… ma rispose.

Al fianco della ragazza, anche Neji voltò il capo in sua direzione, osservandolo con espressione pacata ma annoiata.

Se Shikamaru era in nero, Neji vestiva di tutto l’opposto. I pantaloni bianchi sbucavano da una giacca di un bianco puro e dagli alamari dorati su polsi e colletto, per non parlare di tutte la linea anteriore dei bottoni. I capelli castano scuro erano raccolti in una coda alta da un elastico che non era nemmeno visibile, e l’abito si adeguava agli occhi in maniera paurosamente bella.

Ci avrebbe scommesso, se solo avesse spiegato le ali ci sarebbero stati mancamenti generali in ogni parte della sala, femmine o maschi non aveva importanza.

Probabilmente sarebbe svenuta anche la preside.

Lo Hyuga si limitò a salutarlo con un gesto del capo prima di proseguire, sempre con Ten Ten a braccetto, in direzione di un tavolo della sala, tenendo gli occhi puntati davanti a se.

<< Questa serata mi ha sconvolto diciassette anni d’esistenza >> borbottò il castano a mezza voce, andando con il dito ad allargare appena il fazzoletto in seta che portava al collo, tra l’altro compiendo una mossa totalmente inutile.

Il fazzoletto rimase stretto e lui era ancora incredulo.

Sakura con Sasuke poteva passare. Anche Naruto e Hinata… insomma, non gli importava con chi andava al ballo Naruto, finchè all’ Uchiha stava bene. Shikamaru e Ino… sì, anche se per Ino non era la massima aspirazione, Shikamaru era uno dei più puntati di tutta la festa, dunque le era andata bene. E a lui importava poco, una cosa trascurabile.

Ma Ten Ten e Neji erano stati il colpo di grazia. Sperava almeno che la ragazza non avesse la stessa parlantina di Sakura e Ino quando ci si mettevano, altrimenti sarebbe stato costretto a portarsi il lettore CD a colazione per non sorbirsi la telecronaca in ritardo di ogni singolo passo di quel ballo.

<< Ah, Kiba! >> esclamò poi Hotaru al suo fianco, prendendolo a braccetto e strattonandolo gentilmente.

Lottò contro la forza di gravità per mantenere un equilibrio decente, successivamente contro se stesso per non approfittare della porta girevole delle cucine per svignarsela di nascosto.

Sorrise… più o meno. Ad averlo visto da davanti poteva sembrare più uno stirare di labbra da “sei fortunata che c’è folla altrimenti ti avrei già preso a badilate sul collo” …ma era pur sempre un tentativo di sorriso, no?

<< Che c’è? >> chiese dunque, sospirando per ritrovare un po’ di controllo. Si sventolò la mano libera dalla presa mortale di Hotaru sul volto, cercando refrigerio in un costume in cui, anche se sottile, stava letteralmente facendo la sauna.

<< Guarda! >> esordì poi la ragazzina, indicando il palco dove l’orchestra aveva smesso di suonare: << il Presidente sta per fare il discorso d’apertura >> aggiunse, tenendolo sempre per il braccio e sorridendo allegra in direzione del palco.

Salirono infatti, davanti alla pista da ballo dove tutti i ballerini si erano fermati ad ascoltare, le tre persone più importanti della scuola: la preside, vestita con un costume dalla scollatura abbondante -per un seno abbondante- ricamato in pizzo e i capelli biondi raccolti in un concio elegante; il Vicepreside Orochimaru, che faceva la sua figura in una giacca nera con alamari di un viola spento, quasi impossibili da distinguere se non sotto luci forti. I lunghi capelli corvini erano raccolti in una coda di cavallo bassa da un fiocchetto dello stesso viola, in seta. Per ultimo, a chiudere la fila, il Vescovo Jiraiya nel suo abito talare nero, lungo, con in vita una fascia color magenta. I capelli, bianchi e spettinati, erano lasciati allo stesso modo di sempre e, nel sorridere, cercava in tutti i modi di far capire a Kakashi di avere qualche appunto per il nuovo libro.

Ovviamente, aveva capito tutta la sala tranne Kakashi.

Dopo di loro, in una fila ordinata di cinque abiti tutti uguali, i membri del Consiglio Studentesco si incamminarono verso il microfono, Deidara in primis, pronto a cominciare il discorso.

Se ricordava la discussione avuta con loro sui colori di quelle dannate bluse, ancora ricordava mal di testa che ne era derivato.

Quel pazzo e sconsiderato presidente dell’associazione studentesca bramava intensamente delle giacche in base nera con delle nuvolette rosse a contorni bianchi, come già lo erano le palandrane rifilate dallo stesso presidente ai suoi “fidati” compagni di sventure.

Oltre ad aver visto Itachi vagamente disperato per la prima volta in vita sua, e aver notato che Sasori non aveva una reazione umana nemmeno quando si metteva in gioco la reputazione, l’unico che si era vivamente opposto era Hidan, che aveva minacciato Deidara di includerlo, come vittima sacrificale, nel suo successivo rito al dio Janshin.

Dopo due tentati omicidi, varie ore di discussione e un inseguimento nei corridoi per cercare di evitare che Hidan mettesse in atto il suo terzo proposito omicida nei confronti del biondo presidente, si era arrivati al compromesso: base nera ed alamari carmini con bottoni d’oro e pantaloni bianchi; ovviamente riprendendo i colori di base delle palandrane a nuvolette.

Divisa che indossavano tutti e cinque e che, doveva ammetterlo, addosso a gente come Itachi Uchiha aveva un suo perché.

Sospirò, alzando il capo all’inizio del discorso di Deidara, ascoltando.

<< Buonasera a tutti voi, qui riuniti per festeggiare il cinquantenario della fondazione di questo istituto! >> cominciò, evitando finalmente di perdersi in sproloqui sull’arte. La minaccia di morte a questo proposito era venuta dalla preside, se non ricordava male…

<< Eccezionalmente, quest’anno si è organizzato un ballo, per commemorare questo giorno. Ricordiamo allora, tramite questa forma policromatica di arte, Il nostro primo preside fondatore Hashirama Senju (*4) e la sua opera di ristrutturazione della vecchia chiesa, con annessa apertura e costruzione dell’accademia in cui noi possiamo studiare oggi >>

Un applauso di riverenza si levò dalla sala, per poi scemare pian piano.

Al termine, la voce di Deidara risuonò ancora una volta: << Detto questo, divertitevi pure fino a notte fonda e non preoccupatevi, verso la mezzanotte correggeremo la sangria con venti o trenta bottiglie di vodka! >>

<< Deidara! >> tuonò la preside da dietro di loro, facendo ridacchiare i presenti.

<< Scherzavo signora preside, scherzavo! >> ribatté lui, ma le dita incrociate dietro la schiena non permettevano nulla di buono.

Qualche secondo e la musica ripartì, sovrastando le risate con una melodica sinfonia di violini e piano, adatta per continuare quei balli di gruppo stile Venezia antica che, se lo sentiva, sarebbero andati avanti tutta la notte.

<< Dai Kiba! andiamo a ballare anche noi! >> esordì Hotaru.

Non fece in tempo a fermarla, venendo trascinato senza diritto di replica. Anche se una domanda del genere, dopotutto, se l’aspettava.

 

Dopo un’ ora e mezza di ballo la sangria corretta, da tasso alcolemico a livello coma etilico, era diventata essenziale. E Deidara era il suo nuovo Dio, per quella modifica al drink che veniva servito.

Dopo averla assaggiata -e averla saggiamente tolta dalle mani di Hotaru- aveva potuto usare la finta sbronza più teatrale della sua vita per uscire dalla sala gremita di gente, decretando finalmente la pace per le sue orecchie.

Lui era ubriaco, sì, ma non di sangria… di gente.

“Empatia” e “folla” sono due parole che non vanno di certo a braccetto. E aveva scoperto che, più si stancava, più era facile che sentisse sentimenti indesiderati.

Finendo inavvertitamente addosso a Sasuke aveva avuto l’insana voglia di baciare Naruto, il che non poteva essere di certo una sensazione sua.

Al che aveva saggiamente deciso di uscire e respirare un po’ d’aria, possibilmente non contaminata dai fumi tossici della sangria “made in Deidara” che la preside e il Vescovo, nonostante le lamentele da parte della prima, sembravano apprezzare.

Quello era un Vescovo serio quanto lui in realtà era donna, cioè nemmeno un po’.

Sospirando stancamente, e a passo cadenzato, si diresse lentamente lungo le scale, svoltando a sinistra e poi a destra, imboccando il ponte sospeso.

Le finestre erano state tutte completamente riparate e ora, attraverso i nuovo vetri ancora lindi e puliti, la luce dei tre quarti di luna illuminava tutto il ponte di una luminescenza lattea, quasi argentea.

E, quando lui si era già immaginato la presenza di varie coppiette per cui avrebbe dovuto levare le tende e cambiare posto, inaspettatamente era completamente vuoto.

E silenzioso, cosa ancora più strana. Talmente silenzioso che poteva chiaramente sentire la musica provenire dalla cappella, riconoscendone quasi ogni nota.

Ironico come la musica si sentisse meglio lì che in mezzo alla folla, a due metri dal palco dove suonava l’orchestra.

Dopo una decina di passi, trovato il luogo dove il “sound” sembrava migliore, si fermò a livello della quinta vetrata, appoggiandovisi con il fianco sinistro; gli occhi rimasero puntati sul cortile sottostante, illuminato dalla Luna.

Stranamente, in quel momento il vocalist dell’orchestra -violinista nel tempo libero- annunciò il quarto lento della serata, invitando le coppie a salire in pista con le rispettive damigelle.

Le prime tre erano canzoni melense che non conosceva, ma odiava soprattutto la seconda perché Hotaru, che ovviamente l’aveva già sentita, lo aveva pregato di ballarla con lei.

Aveva passato tutto il tempo a girare in tondo con le braccia della ragazzina al collo e il suo viso a circa cinque centimetri dal suo.

Cosa che non gli dava fastidio, parliamoci chiaro, e lei era anche carina… solo che, suvvia, non era di certo la sua ragazza e non lo sarebbe diventata… che ci trovava a ballare con lui in quel modo?

Ma i sogni delle ragazze sono sacri e, per evitare di rovinargli quel giorno “speciale” -a lui sembrava sempre una totale ed immensa boiata- aveva retto il gioco e sorriso il più sinceramente possibile. E, a quanto pare, era andato più che bene.

Tuttavia, adesso, la quarta canzone gli sembrava famigliare già dalle note iniziali.

Pianoforte, una voce quasi cristallina in sottofondo… ah, eccola lì, la canzone degli innamorati stile Walt Disney.

Sorrise, stirando appena un angolo della bocca e fissando un punto vuoto del cortile sottostante. << Che romanticoni… >> sussurrò, lievemente ironico.

Comunque, doveva ammettere che era un’ottima scelta. E la voce della violoncellista somigliava molto a quella di Celine Dion, l’originaria cantante della melodia che ora accompagnava i passi dei ballerini in sala.

 

Tale as old as time

True as it can be

Bearly even friends

Then somebody bends

Unexpectedly

Assorto nel più completo silenzio, ascoltò solamente.

L’intera scuola si era fermata, per quel ballo, e forse era meglio così. Aveva bisogno di riflettere su quello che avrebbe fatto da quel momento in poi, soprattutto per quanto riguardava il suo potere e cosa sarebbe diventato una volta finita quell’accademia.

Non ne aveva la minima idea. E, forse, la sua mente era ancora troppo “umana” per capire i discorsi complicati del vicepreside sugli sbocchi futuri che i suoi studi potevano portare.

Insomma, quando aveva compilato il test psico-attitudinale per la psicologa della sua ex-scuola, non aveva di certo progettato di finire in qualche setta segreta con una tunica bordeaux e una sfilza di rituali in latino da dire a memoria.

A dire il vero non lo attirava nemmeno.

Lui voleva solo diventare il nuovo capo famiglia, in barba alla tradizione di passarsi il testimone fra donne. Se solo si immaginava sua sorella come capo… probabilmente gli Inuzuka sarebbero presto diventati una loggia di mercenari assassini.

“Terribile” era un aggettivo che sminuiva la cosa.

Mosse appena le labbra nel seguire le parole della canzone, inconsciamente, ritrovandole in un cassetto della memoria chiuso da tantissimo tempo… più o meno da quando aveva sostituito i cartoni animati con i Linkin Park.

Perso nei suoi pensieri non notò i passi cadenzati che si avvicinavano a lui, coperti appena dalla voce maschile del cantante che, con classe e giusto ritmo, intonava la seconda strofa.

 

Just a little change

Small to say the least

Both a little scared

Neither one prepared

Beauty and the Beast

<< La sai a memoria? >>

Trasalì alla voce totalmente inaspettata che interruppe il suo circolo di pensieri inutili, arrivandogli da vicino. Ma non diede a vedere il sussulto, spostandolo sguardo sulla persona che aveva appena parlato.

Shikamaru, con le mani nelle tasche dei pantaloni bianchi, lo osservava con espressione rilassata e… sì, divertita, forse.

Doveva considerarsi un ulteriore segno dell’avvento dell’Apocalisse, il fatto che Nara si stesse effettivamente divertendo e non risultasse annoiato come al solito?

Sorrise, per un motivo che non sapeva nemmeno qualificare, tornando a fissare il cortile esterno.

<< Ricordi di quando mi drogavo con i film della Disney di mia sorella >> rispose poi, sincero.

Shikamaru gli faceva questo effetto, inutile. Non riusciva a raccontargli delle balle.

Lui sorrise, voltando il capo nella stessa direzione di Kiba, probabilmente curioso di sapere cosa attirasse l’attenzione del castano.

Sospirò poi e, senza spostare lo sguardo, fu ancora la sua voce che interruppe il silenzio: << ti sei divertito, questa sera? >>

Sembrava una domanda come tante altre ma… semplicemente, non sembrava da Shikamaru. C’era qualcosa che stonava.

Forse, quell’accenno di curiosità che nella voce del moro non aveva mai sentito.

Ma non rispondere era da idioti e, ormai, a Shikamaru avrebbe potuto dire anche le misure di sua madre. Cosa, sperava vivamente, che Nara non gli avrebbe mai chiesto.

Annuì. << Sì, anche se Hotaru sembrava su di giri più di chiunque altro, là dentro. Penso di aver scavato il solco, a forza di fare avanti e indietro in quella sala! >> esclamò, ridacchiando.

Shikamaru si limitò a sorridere, senza scostare lo sguardo dall’albero nel giardino, un ammasso di ombre scure che lasciava sbucare qualche foglia solo in prossimità della cima.

<< Sì, sembravate divertirvi >> commentò solo, mantenendo quel sorriso strano sul volto.

Al contempo, le note si susseguivano lente nell’aria.

 

Ever just the same

Ever a surprise

Ever ask before

And ever just asure

As the sun will rise

 

Lo fissò per qualche istante, assorto. << Che c’è? >> chiese poi, mantenendo un tono di voce pacato.

Qualche momento di silenzio… che fu il moro a rompere.

<< Se ti dicessi che ero geloso guardandovi, mi prenderesti per scemo? >> chiese, ritornando serio.

Kiba ridacchiò, mettendosi a sua volta la destra in tasca e appoggiando la sinistra al vetro, allo stesso livello del suo viso. Cosa c’era di male? Hotaru era una bella ragazzina, e a dire il vero non conosceva i gusti dell’amico in questo campo.

Certo, poteva evitare di mettere gli occhi su una potenziale schizofrenica ex-omicida, ma chi era lui per giudicare?

<< Guarda che potevi chiederle un ballo, io mica mi offendevo. Anzi, mi facevi anche un favore! >> commentò lui, ridendo di nuovo.

I suoi pedi imploravano pietà, ovvio che gli faceva un favore se si prendeva quella sottospecie di uragano formato adolescente per qualche minuto.

Shikamaru non seguì la sua risata, rimanendo serio. << Non di lei… >> disse poi, osservandolo di sbieco con le sue iridi scure: <<… di te >> specificò, facendo calare di nuovo il silenzio.

Ok, blocco mentale in corso. Qui serviva un meeting d’emergenza fra i suoi neuroni per decidere sul da farsi. Perché cavolo… quel ragazzo era serio, serio diamine!

Uno sbigottito << ah >> fu la sola cosa che riuscì ad elaborare e a dire.

Ottimo lavoro, finti neuroni del cavolo!

Il moro si voltò in sua direzione, le mani sempre nelle tasche e un leggero sorrisetto ironico sulle labbra. << Bella risposta… >> lo prese in giro.

Ok, ora parlava la sua lingua.

Stirò le labbra in una leggerà copia del sorrisetto dell’altro, avvicinandosi di mezzo passo, fissandolo negli occhi. Provocatorio, forse, o forse semplicemente istintivo e, sì… un po’ idiota.

<< Perché, era sottointesa una domanda? >> chiese, portando anche la mancina alla relativa tasca dei pantaloni.

<< Forse… >> rispose Shikamaru, facendosi avanti di mezzo passo a sua volta, guardandolo negli occhi: << …o forse no >> ribatté, abbassando di un poco la voce.

<< Cos’è, un indovinello? >> rispose Kiba prontamente, avvicinandosi di nuovo di una stessa distanza, trovandosi a meno di un metro dall’altro.

Ma quello, la situazione e l’atmosfera in primis, sembrava tutto tranne che un gioco.

 

Tale as old as time

Tune as old as song

Bitter sweet and strange

Finding you can change

Learning you were wrong

Shikamaru avanzò a sua volta, con un passo lento e ben calcolato, arrivandogli vicino.

Troppo vicino, per qualsiasi mente normale e lucida.

Ma Kiba trovava quella vicinanza tutt’altro che pericolosa, o indesiderata, e quello che era cominciato come un giochetto scemo in risposta ad una frase ambigua e presa poco sul serio di Shikamaru, si stava rivelando una situazione strana ed intrisa di serietà.

<< Probabile… >> rispose il moro, sussurrandolo ora, data la vicinanza. << A dire il vero, non lo so nemmeno io >> aggiunse, osservandolo rapito da quei miseri due centimetri più in alto.

Kiba era completamente andato, incapace quasi di staccare i suoi occhi da quelli dell’altro. Incapace di ragionare chiaramente, anche solo di porsi il problema di come e, soprattutto, con chi stava parlando in codice, come se cercasse quella domanda che Shikamaru non sapeva o non voleva rivolgergli.

Domanda che, forse, conosceva solamente il suo istinto… perché lui non aveva la minima idea di quale fosse.

Anche se, in quel momento, tutto era secondario, di contorno, accantonabile per un attimo.

 

Certain as the sun

~ Certain as the sun ~

Rising in the east

Tale as old as time

Song as old as rhyme

Beauty and the Beast

Si avvicinarono ancora, con una lentezza quasi esitante.

Erano vicinissimi.

Bastava un sussurro, un attimo, una sola esitazione o un respiro fuori posto...

Talmente vicini da cancellare tutto il resto, anche la musica in sottofondo proveniente dalla cappella o il riflesso della luna come unica fonte luminosa.

E fu praticamente sulle sue labbra, mentre coglieva ogni sfumatura delle iridi scure di Shikamaru, che l'altro gli sussurrò quella frase in un soffio:

<< Credo non ci sia più bisogno di cercare una domanda, ora… >> sussurrò Nara, socchiudendo inconsciamente gli occhi.

<< E cosa te lo fa pensare? >> ribatté Kiba, socchiudendoli a sua volta e parlando con tono quasi inudibile, ma totalmente e completamente perso.

<< Mi sembra palese… >> rispose il moro, muovendo la bocca in un accenno di sorriso per un solo, misero istante, in cui si sfiorarono appena, solamente con la punta delle labbra, le une sulle altre.

Entrambi trattennero il respiro ed entrambi, forse in sintonia, rimasero in quella posizione senza muoversi, chiudendo gli occhi quasi completamente.

Non si poteva dire che fosse agognato, o sperato, o dolce anche se lo era, in un qualche modo… era semplicemente istinto, come dettata dall’istinto sembrava essere tutta la vita di Kiba e qualche rara azione di Shikamaru.

<< Non dovrei proprio… innamorarmi di te… >> soffiò il moro sulle sue labbra, anche lui completamente perso, carpito dall’altro come l’equipaggio di Ulisse lo era dal canto delle sirene.

<< Shikamaru, stai zitto… >> fu l’unica cosa che disse il castano, prima di allungare appena il collo in avanti.

 

Tale as old as time

Song as old as rhyme

Beauty and the Beast

 

Si baciarono, accompagnati dalle ultime note di quella canzone lenta e stupenda, che ormai entrambi avevano escluso dal loro universo, isolandosi in un momento tutto loro.

E, come le persone che danzavano al piano terra e che consideravano quella serata magica per i più svariati motivi, anche per loro quella notte aveva avuto una sua particolare magia.

 

Beauty and the Beast.

 

 

Chapter No.7 ~ End.

 

 

 

 

*1: “Padawan” per chi non ha visto Guerre Stellari, è il modo con cui un maestro Jedi si rivolge ad un suo allievo.

*2: “Sempai” è letteralmente “compagno anziano” in giapponese. Ci si rivolge così a colleghi che hanno più esperienza in ambito lavorativo.

*3: “Kohai” è il contrario di “sempai” (XD).

*4: “Hashirama Senju” è il nome del Primo Hokage.

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Capitolo 9
*** Il Paradosso dello Specchio ***


Note: Oh, mon dieu

Note: Oh, mon dieu! *-* non pensavo che il capitoletto facesse così scalpore ^//^ ne sono onorata! Tanto che con quella canzone mi ci sono drogata e aspettavo di poter scrivere quella scena da settimane… ma evitiamo di allungare inutilmente questa parte.

Ora risposte, poi capitolo nuovo *annuisce*.

OnlyAShadow: *Applaude per il lancio alla Jordan* XD! Te lo avevo detto che non c’era bisogno del binocolo! Grazie mille per i complimenti e, soprattutto, sono contenta che la fic ti piaccia ancora e non cali troppo di stile o trama. Ho sempre il terrore di metterci una scena sbagliata, o di muovermi male un pg… ma sorvoliamo. Io adoro muovermi Deidara, perché è un personaggio che apprezzo talmente tanto che me lo muovo come voglio. E chi meglio di lui potrebbe tormentare a quel modo l’accademia? XD Devo dire però, che anche bistrattare Sasuke e Naruto non mi dispiace. Ora corri, corri! Che sudare fa bene! XP

VavvyMalfoy91: Cielo che onore, anche i cuoricini! <3

ProudStray: Io sono Kramer… Chazz Kramer, stronzo! XD Sì, anche io amo Constantine, è la principale fonte di ispirazione per questa fic, anche se può non sembrare! Ci sono pezzi in cui recito a memoria insieme a Reeves X°DD. Allora, per rispondere ad un paio di cose: sì, Kiba e Shika sono canon quanto un mattone e una forchetta. E non dico nemmeno che stiano bene insieme, perché sinceramente ci sto scrivendo sopra ma ancora non lo so bene XD Però, a mio parere, è questione di come vengono “mossi”. E ci credo che non hai letto altre ShikaKiba, io ne ho trovate pochissime, sinceramente. Poi, già… anche io sono SasuNaru-maniac. Solo che ho il difetto di fare Sasuke OOC, infatti l’Interlude dedicato a loro sarà una sofferenza, già lo so. Infine sì, anche altre persone mi avevano fatto la stessa domanda riguardo a Neji XD C’è un motivo, tranquilla, non è che lo Hyuga faccia bello e cattivo tempo. Ma chiarirò tutto fra qualche capitolo. Grazie mille per aver letto la mia fic, sono davvero contenta che ti piaccia il mio metodo di scrittura e di stesura! *___*

Slice: Il tuo cane ti guarda allo stesso modo del mio gatto é___è è una congiura fra animali domestici! Comunque sì, finalmente c’è il punto di svolta… ora cominciano i casini nel tenerli IC! XD Felice come al solito che il capitolo ti sia piaciuto, che la scrittura non fosse illeggibile e che sia riuscita a farti ridere anche questa volta. E non preoccuparti, vedendo l’assiduità con cui leggi e commenti St. Michael la mia testa è già montata a dovere XP. Divertiti anche con questo capitolo!

CloudRibbon: Calma, siediti… riprendi fiato! *da pacche sulla schiena* numi, se rischi l’infarto devo limitarmi in scene di questo tipo! XD in ogni caso… NO! Mi oppongo fermamente al fatto che tu accorci le recensioni! Mi diverto un casino a leggerle, e poi mi piacciono taaaanto é.è *unisce gli indici stile Hinata*. Poi… no. Il rapporto fra i due non subirà stravolgimenti giganteschi, solo qualche piccolo particolare. Suvvia, anche io non reggo le coppie che ho usato, ma mi servivano! XD Scusa se ti ho chiuso lo stomaco con una pietra ma non ci pensare troppo, erano solo per la durata di un capitolo XP …e Deidara ruleggia. …oh, ti prego, smettila con tutti questi complimenti >///< posso essere anche bravina a descrivere, ma da qui a dire che sembra un romanzo… insomma, mi pare esagerato, ecco. Piuttosto *si immagina la ShikaKiba nella fic di comune conoscenza* XQ___ no vabbè, stendiamo un velo! XD Tranquilla, come posso offendermi dopo tutti questi complimenti? Però per il dono dannato dovresti chiedere a mia madre, io non lo so se mi è stata data una cosa simile XP. Grazie anche questa volta per il commento, per aver letto, e per starmi sempre dietro con i capitoli! >*<

Fallen_azraphel: *sventola fazzoletto davanti al volto cercando di farla riprendere* numi, non pensavo di protrarre omicidi solamente scrivendo ç___ç non morire! Soprattutto con la bara di quel colore… (senza offesa, ma io il rosa non lo posso vedere). Grazie tanto tanto per i complimenti sul capitolo, davvero *annuisce* e non preoccuparti, qualche scena in pigiama ricomparirà XD

Neki niku_dango: *si tocca* beh, credo di essere vera! XD lo so, la scena del bacio dopo sette capitoli si comincia a sognarla anche di notte, ma credimi, cominciavo anche a pensare di accorciare e scriverla prima XD però ho resistito. E sì, nella mia mente ho apprezzato Shikamaru *annuisce*. Anche a te grazie mille per i complimenti, mi fanno tanto tanto tanto piacere ç.ç e, per quanto riguarda le teorie… bene, bene, sono interessanti. Il titolo è effettivamente riferito alla canzone di chiusura, ma anche una delle tue ultime cospirazioni non è sbagliata, solo che non ti dirò quale. Comunque ci sei andata vicina…

Ah, mi spiace ma l’unico esorcista disponibile e Choji, e per posta prioritaria non ci passa! XD

Soarez: Più rileggo la tua recensione, e più mi convinco che questa fic causi danni psicologici di proporzioni bibliche O___o… ma va bene così, suvvia, cos’è la vita senza un qualche danno psicologico?! XD Intanto, comincio rispondendo alla tua domanda: no, per il momento Akamaru non c’è. Ma c’è il perché, ho pensato anche a quel particolare. Passando oltre, Shino e Gaara non li ho citati per una questione di comportamento. Nel senso che Kiba, anche se li ha visti, non è che li conosca… dunque ho preferito tralasciarli. Poi, guarda: Ino e Sakura stanno su anche a me e Hotaru non deve proprio piacere XD molto crudelmente l’ho usata come tappabuchi, piuttosto che farci andare Ino con Kiba, al ballo. Dopo Shika mi rimaneva da solo, e per come l’ho vestito era uno spreco U___U.

Ti ringrazio per avere letto e commentato, mi sono divertita un mucchio a leggere la prima parte della recensione XD. Al prossimo capitolo (questo XP) sperando che ti piaccia! E tranquilla per Rock Lee, è in avvicinamento *annuisce*.

Rei Murai: Mi fa davvero piacere che non ti sembri insulsa, Rei-chan… dopotutto la fic è per te, è tutta tua, se la trovi bella mi fai solamente felice. Mi fa anche piacere “leggere” che trasmette delle emozioni ç___ç per me, che ho il pathos di un frigobar in avaria, è una bellissima cosa da sentire. Continuerò a scriverla fino alla fine, ormai non solo te l’ho promesso, ma ho anche appuntato tutta la trama e preso la conclusione di St. Michael come una sfida. La prossima volta magari proverò a passarti il capitolo su MSN come al solito XD. Ti voglio bene anche io, tesora. Un bacio =*

 

Do giusto qualche avvertenza: siccome devo cominciare a fare avanti e indietro da casa all’università, probabilmente rallenterò un po’ la pubblicazione. Però farò del mio meglio per rimanere costante, e magari per accorciare i tempi quando mi si aprono spazi liberi.

Capitolo un po’ strano… ma poi mi direte voi come lo trovate, se ne avete voglia *annuisce*.

E ora, a voi il capitolo 8!

.:: Enjoy! ::.

 

 

Chapter 08 ~ Seventh Echo
Il Paradosso dello Specchio

 

 

Si trovava all’interno di una stanza circolare, semi buia e poco rassicurante, e guardava davanti a se.

Non faceva nient’altro.

Vedeva abbastanza chiaramente il pavimento in marmo nero, con piccoli cristalli bianchi nella pasta microcristallina scura del minerale, illuminato dalla luce fioca di candele a stelo bianche, poggiate a terra a qualche metro di distanza da lui.

Allineate in due perfette strisce di luci, come a formare una strada.

Più avanti, nella penombra lasciata dalla fioca luce dei lumini, la cosa che si era ritrovato a fissare era un drappo rosso scuro, probabilmente in seta dato i riflessi morbidi della luce sul tessuto, che copriva qualcosa fino a terra.

Oltre a quello, non distingueva null’altro che oscurità.

Sentiva freddo. Ai piedi, soprattutto, il che gli fece pensare di essere scalzo.

Li avrebbe guardati… se non fosse stato per il fatto che, per una qualche strana causa, non poteva osservare nulla a parte il drappo rosso.

Non si trovava in condizioni di muovere nemmeno il capo, come se fosse trattenuto da due paia di mani ai lati delle tempie.

Mosse un passo, poggiandolo davanti a lui e sbilanciandosi in quella direzione.

Anche se i problemi sembravano essere molti -dal cosa ci facesse lì al perché non potesse muovere la testa, o guardarsi intorno- la soluzione era solo una: il drappo rosso.

Doveva scoprire quello che c’era sotto.

Fece un altro passo, al quale seguì un altro, e un altro dopo di esso.

C’era silenzio, forse anche troppo. Un silenzio talmente profondo che si poteva sentire il rumore degli stoppini consumarsi pian piano, venendo bruciati dalle rispettive fiammelle immobili, statiche, perfette come se in quella stanza non ci fosse nemmeno un filo d’aria capace di farle tremolare anche solo per un breve istante.

Si avvicinò, man mano sempre di più, riuscendo a scorgere una forma rettangolare sotto alla seta scarlatta, quasi una cornice di qualcosa.

Un quadro, forse?

Fece qualche altro passo, ignorando per curiosità tutto il resto, fermandosi immobile davanti al drappo color del sangue, guardandolo ancora.

Poi, lentamente, allungò la mano.

Al tatto non sembrava né più né meno di normale seta.

Era morbida, liscia quasi da sfuggire di mano, luccicante -nonostante la poca luce- di quei riflessi ovattati e opachi tipici.

Normalissima seta.

Dunque, andando per esclusione, era anormale quella qualsiasi cosa che vi era sotto.

Doveva per forza. Perché quello aveva tutta l’aria di essere un sogno e lui, ormai lo aveva capito, non faceva sogni normali.

Ormai ci aveva rinunciato, ai sogni normali.

Deglutendo e sospirando, impugnò bene un lembo del manto setoso e tirò leggermente, in modo da farlo scivolare fino a terra.

Luogo dove la seta si raggruppò ondeggiante, lasciando scoperto ciò che celava…

Uno specchio.

Un lucido e all’apparenza normale specchio, senza nemmeno un granello di polvere sulla sua superficie riflettente, racchiuso in una cornice d’orata dagli intarsi complicati, raffiguranti fiori di giglio e arzigogolati tralci di vite.

E rifletteva… solamente se stesso.

Solo che… era leggermente… diverso?

Il suo riflesso indossava la camicia a quadretti azzurri e blu, a mezze maniche, che aveva messo il primo giorno e che poi aveva perso. Sotto di essa, la stessa maglietta bianca e lo stesso paio di pantaloncini verde scuro, con le tasche laterali grandi, i più comodi che possedeva.

Era strano. Soprattutto perché la camicia -ne era sicuro- l’aveva persa e la maglia, finendo inavvertitamente in lavatrice insieme alla roba di Sakura, si era tragicamente tinta di un vomitevole rosa pastello.

Era strano anche perché quegli abiti, gli stessi identici, li indossava il giorno in cui aveva messo piede dentro l’accademia.

E, infine, era strano perché… sembravano sporchi di terra.

Alzando lo sguardo fissò il suo volto nel riflesso, trattenendo un gemito di sorpresa.

Allo specchio, sul suo riflesso stupito che rimandava esattamente l’espressione che aveva assunto in quel momento, il viso era solcato da un rivoletto di sangue che, dalla fronte, gli rigava la tempia e l’occhio destri, arrivando fino al collo e gocciolando dalla mandibola sul colletto della camicia, macchiato di sangue.

E la sua pelle… la sua pelle era pallida, bianca. Come la porcellana di una bambola. Le labbra blu, cianotiche, ripetevano esattamente i movimenti sussultori che compivano le sue, le sue vere, nel tentare di articolare una qualche frase che non fosse un insieme senza senso di balbettii.

Inutilmente.

Alzò di scatto la mano destra per toccarsi il viso, la testa, la scia di sangue che sembrava avere sul volto.

La sua mano sfiorò la pelle della gota, rimanendo candida. Ma la mano del riflesso, toccandosi nello stesso modo e al medesimo tempo, sbavò quella scia scarlatta, sporcandosi le dita.

Boccheggiò, facendo un passo indietro.

E quello… “quello” cosa cavolo voleva dire?!

Indietreggiò ancora, fissando sempre lo specchio e il riflesso compiere le stesse mosse. Sentiva l’impulso di voltarsi e mettersi a correre… ma fu anticipato.

Le candele si spensero in un gelido ed improvviso alito di vento e la stanza, così come lo specchio, piombarono nel buio.

 

 

Riaprì gli occhi di scatto, individuando subito un soffitto bianco appena intravedibile nella penombra della camera, causata sicuramente dalla tapparella abbassata.

Una volta resosi conto di essere “tornato” nella realtà, respirò profondamente, guardandosi intorno.

C’era silenzio, il che voleva dire probabilmente due cose: o era molto presto e gli altri stavano ancora dormendo, oppure era molto tardi e gli altri avevano già lasciato i dormitori.

Dopo un piccolo attimo di agitazione al pensiero che fosse tardi, e che dunque fosse in ritardo per le lezioni, si tranquillizzò subito non appena il cervello gli diede l’impulso neuronico sufficiente a ricordarsi che era domenica.

Nel silenzio, poteva sentire alla sua destra un respiro tranquillo e regolare. Di certo Shikamaru dato che, a giudicare dal legno chiaro che aveva sulla sinistra, parte del mobile ad arco che stava sopra al letto del moro, doveva essere in camera sua.

Ormai non badava più al fatto di svegliarsi da Shikamaru, oppure svegliarsi in camera sua ma con Nara che dormiva nel suo letto. Non era diventata abitudine, ma se capitava non si sorprendeva più di tanto, ecco tutto.

Che fastidio gli dava? Di sicuro non aveva strani tic notturni, tipo mordicchiare il lenzuolo, parlare nel sonno o russare. Lui dormiva e basta, tranquillamente e silenziosamente e, aveva notato, il più delle volte girato sul fianco.

Beh, di sicuro non si sognava cose impossibili come invece faceva lui.

Emise, probabilmente senza pensarci, un mugugno seccato. Almeno questa volta non si suicidava nessuno, nessuno lo inseguiva e nessuno si faceva inseguire. Non si era risvegliato in cortile il che, già di per sé, era una grande conquista.

Sperava solo di non dover passare quaranta minuti con Iruka cercando di dare un significato a quel nuovo sogno. Probabilmente era una cosa a parte, una conseguenza della cena particolarmente indigesta, oppure del ballo.

Ah, già… il ballo. Giusto, la sera prima c’era stato il ballo.

Si girò sul fianco destro, pensandoci sopra con fare crucciato.

C’era qualcosa che non si stava ricordando. Ne era sicuro. Qualcosa gli stava sfuggendo, ma non riusciva a capire cosa.

Per esempio, come fosse finito in camera di Shikamaru. Quello no, non se lo ricordava.

E anche l’ultima canzone, non gli veniva in mente. Solitamente è quella che rimane più impressa perché, per fare scena, le orchestre sfoderano il classico pezzo strappa lacrime da super-esperti, vantandosi al contempo di saperla suonare magistralmente e di aver donato un degno finale ad un ballo accademico.

Succedeva sempre così, era di rito, ma il problema era che non si ricordava il pezzo che avevano fatto al suo ballo; esattamente quello della sera precedente che stava cercando di richiamare alla memoria.

Sentiva di avercelo lì, il fatto. Sulla punta della lingua, anzi, del neurone, ma non riusciva a carpirlo.

E fu proprio per questi vaneggiamenti che non si accorse subito degli occhi scuri di Shikamaru, che ora lo fissavano da dietro le palpebre socchiuse, ancora velati di sonno.

Indossava sempre il solito pigiama: pantaloni lunghi e verdini e maglietta nera a mezze maniche. Era coperto -come lui del resto- dal lenzuolo fino alla vita e i capelli sciolti gli ricadevano sul cuscino, dietro la nuca.

Si osservarono per qualche istante, necessario a uno per dare la sveglia alle cellule cerebrali e all’altro per distaccarsi da una trafila di pensieri inconcludenti, fino a sorridersi lievemente l’un l’altro.

Oddio, se uno stiracchiare di labbra poteva considerarsi un vero e proprio sorriso...

<< buongiorno… >> farfugliò poi Shikamaru, sbadigliando compostamente mettendosi una mano davanti alla bocca.

<< mh,giorno… >> rispose il castano non aria pensierosa, ancora intento a scoprire qual’era il tassello mancante.

Certo, da piccolo aveva fatto qualche puzzle… ma non comprendevano più di 40 pezzi e, in ogni caso, si annoiava ancora prima di finire la cornice.

Il moro alzò un sopracciglio -anche se con quell’aria trasognata sembrava più una smorfia strana- osservando Kiba con il solito cipiglio apatico. << Qualcosa non va? >> chiese sussurrando.

<< No, macché… >> ribatté subito il castano, potando la mano destra a sfregarsi il relativo occhio << …solo, non mi ricordo come sono finito qui, ma suppongo siano dettagli >> aggiunse, facendo ricadere la mano davanti al corpo, nello spazio fra lui e il moro.

Shikamaru, sulle prime, rimase stranito. Kiba notò l’espressione e, successivamente, il sorrisetto profondamente divertito che solcò le labbra dell’amico.

E adesso cosa c’era di così divertente?

<< merito della sangria potenziata, suppongo… >> disse solamente Shikamaru, ridacchiando con il sorrisetto sbilenco di chi aveva tutta l’aria di possedere il pezzetto mancante per la ricostruzione degli avvenimenti.

<< forse… >> rispose Kiba a mezza voce, assottigliando gli occhi con fare seccato. Di tutto quello che poteva fare quella mattina, domenica per la precisione, l’ultima cosa che non voleva intraprendere era una caccia alla soluzione dell’indovinello.

A dire la verità aveva la ferma intenzione di non fare proprio nulla. Persino parlare gli serbava una perdita di un prezioso tempo in cui poteva cazzeggiare altamente.

Oh, sì. Perché si vedeva dalla faccia che Nara non aveva assolutamente intenzione di dirgli come cavolo ci era arrivato, nel suo letto.

e a dirlo così sembrava una cosa completamente ambigua.

Evitò miracolosamente di arrossire, bloccando il pensiero lì dov’era e cancellandolo dalla testa. Eppure… perché aveva la vaga impressione che quella fosse la strada giusta?

No, la domanda era un’altra… perché quella doveva essere la strada giusta?!

Eppure era vestito. Sì, insomma, aveva addosso una maglietta di Shikamaru, ma era vestito. E anche il moro era vestito.

Ok, si stava intrippando il cervello da solo.

Sua sorella gli aveva contagiato i neuroni con le sue pare da filo-harmony, era un complotto!

<< Non pensare troppo, potrebbe fonderti il cervello >> ironizzò appena il moro, mettendosi seduto sul materasso con un leggero fruscio delle lenzuola.

Che… nervi! Ci mancava solo la sua improvvisa voglia di prenderlo per il culo!

Kiba ringhiò sommessamente, assomigliando per un momento più ad un cane che ad un uomo. << Felice che tu sia di buon umore >> sputò acidamente verso Shikamaru, tuttavia con quello che poteva anche essere scambiato per un debole tentativo di scherzo.

Cosa che era. Non ce l’aveva con il moro, se era di buon umore tanto meglio per lui.

Si mise seduto a sua volta, stiracchiandosi nell’allungare le braccia verso l’alto, di modo che passasse l’indolenzimento alla schiena. Una volta effettuato il solito rito post-risveglio, si mise a gambe incrociate osservando Shikamaru.

Avrebbe sputato il rospo… oh, se lo avrebbe fatto!

Lo fissò solamente, senza aggiungere parola.

Nara, da parte sua, non la finiva di guardarlo con quello strano sorrisetto sbilenco che gli illuminava il viso di una luce strana.

<< E allora? >> chiese poi il castano, appoggiando il gomito al ginocchio e il viso sulla relativa mano: << stiamo qui tutto il giorno o mi dici com’è andata a finire ieri sera? >> aggiunse, osservando il moro con la stessa espressione fintamente seccata di poco prima.

Shikamaru sospirò, tirandosi indietro i capelli con un gesto della mano. << Sappi che mi ritengo offeso >> disse solamente, prima di muovere il busto in sua direzione. Si allungò su di lui, portando la sinistra in appoggio accanto al fianco del castano, poggiando la destra dalla parte opposta per mantenere l’equilibrio.

<< Offeso per cos… >> fu costretto ad interrompersi Kiba, data la distanza ravvicinata a cui ora poteva vedere Shikamaru.

Avrebbe reagito… se avesse voluto. Fatto sta che il suo corpo lo percepiva come qualcosa di già successo e, dunque, l’istinto gli diceva che non era pericoloso.

Insomma, il suo cervello voleva agitarsi ma tutto il resto non ne aveva la minima intenzione.

E lo lasciò fare, fino a quando le sottili labbra del moro si posarono sulle sue in un delicato e casto bacio… che scatenò i ricordi.

Eccolo lì, il pezzo mancante all’appello.

Il ponte sospeso, la luce della luna, la semi oscurità e “Tale as Old as Time”. Un discorso sconclusionato che non aveva portato assolutamente a niente, sul piano vocale, ma a tutto un mondo su quello strettamente più fisico.

E c’era il motivo, per cui non si ricordava nulla della fine del ballo… nemmeno l’aveva vista, la fine del ballo! Erano rimasti in giro per la scuola per tutto il resto del tempo, silenziosa e quasi sovrannaturale quanto le persone che ci vivevano dentro, camminando in silenzio, baciandosi qualche volta… per poi tornare in dormitorio, seguendo semplicemente Shikamaru che lo teneva per mano, guidandolo nel buio mentre oltrepassavano la sua camera e si dirigevano alla numero 41

Dove avevano semplicemente dormito.

L’uno accanto all’altro, come sempre, come se fossero in una di quelle tante notti di routine.

Come sempre, sì, eppure diverso.

La sensazione era diversa, molto diversa… più sicura, forse, meno incerta.

Aspettò che Shikamaru si discostasse appena dalle sue labbra, rimanendogli comunque vicino, prima di parlare… dicendo forse le due parole più stupide che potessero passargli per la mente in quel momento. Scatola cranica che, tra l’altro, era completamente svuotata di ogni singolo frammento di materia grigia potesse avere in precedenza.

Mattino + Consapevolezze = Strage Neurale Legalizzata.

<< Porca miseria… >> bofonchiò stupito, fissando Nara come se fosse al contempo una buona cosa e una catastrofe naturale.

<< Bentornato sulla Terra >> rispose il moro in un sussurro sulle sue labbra, rimettendosi seduto nella precedente posizione, sicuramente più comoda.

Kiba, da parte sua, sembrava aver appena ricevuto un calcio rotante da Chuck Norris.

Cazzo, cazzo! Era facile fare le cose presi dall’onda del momento, ma era quando ci si ripensava a mente lucida che cominciavano improponibili seghe mentali e alquanto giganteschi complessi esistenziali!

Aveva baciato un ragazzo, un ragazzo! Cioè, insomma, non che questo fosse un problema… o almeno, per lui. E, evidentemente, nemmeno per Shikamaru ma… ma sua madre? il suo clan? Quella pazza scatenata di sua sorella?!

La scuola! Era pur sempre una scuola Cattolica!

…no, beh. Se il prete scriveva romanzi hard, Naruto e Sasuke stavano insieme stabilmente, giravano demoni a destra e a manca e esisteva un consiglio studentesco che aveva il coraggio di eleggere Deidara come presidente… quel “Cattolica” dopo il sostantivo stava solo ad indicare che c’era una chiesa, punto.

Ma sua sorella era il vero problema.

Quella sottospecie di donna era capace di tormentarlo, se lo veniva a sapere. Giorni e giorni di mail, telefonate, messaggini… era successo già quando aveva avuto il suo primo (e ultimo) appuntamento, finito in uno schifo di temporale del cavolo, e lui non voleva essere preso di nuovo come cavia per le pulsioni da romanzo rosa di quell’essere inumano!

Aveva sempre più il dubbio che sua madre non l’avesse partorita, ma comprata in un qualche discount.

E adesso dov’era andato a finire con i pensieri? Come c’era arrivato a sua sorella?

Scosse la testa, cercando di tornare sull’argomento principale del suo discorso mentale… inutilmente. Nel giro di due decimi di secondo, i due neuroni che aveva in testa avevano firmato un trattato d’alleanza e, attivando le sinapsi da troppo tempo sopite, non avevano fatto altro che aggiungere confusione al caos che già vi regnava.

Ok, doveva smettere di pensare. Tornare alle origini. Solitamente funzionava.

Doveva ritrovare una calma interiore. Anche apparente, non aveva importanza, ma doveva evitare di cadere in un panico fuori luogo.

E sì, doveva ammetterlo. Il problema principale non era se avesse o no baciato un ragazzo.

Si dice il peccato ma non quanto ti è piaciuto.

Il centro del discorso era… che lui non aveva esperienze di nessun tipo. Non aveva nemmeno mai avuto la ragazza, tapino e misero tentativo di essere umano, e non sapeva da che parte cominciare e dove mettere le mani… letteralmente.

Cristo, era un verginello! E lo realizzava soltanto adesso!

Dov’erano stati i suoi neuroni in tutto quel tempo, in vacanza alle Maldive?!

Non dubitò di aver assunto un’espressione inguardabile quando Shikamaru, osservandolo, prese parola interrompendo la sua accozzaglia di pensieri-discarica.

<< Quello che è successo… può anche rimanere un caso isolato >> disse, la voce calma e seria, quasi impersonale.

Kiba alzò gli occhi, l’espressione ancora sconcertata, osservando quelli scuri del moro.

Lui era confuso e Shikamaru si stava sentendo in colpa. Era evidente e, a risvolti di quel tipo, ci arrivava anche lui.

<< Ma tu… >> cercò di dire, senza però riuscire ad articolare bene la frase, dunque a concluderla.

Ma il moro, nella sua intelligenza, sembrava avere capito il senso. << Non badare a me >> rispose infatti.

Già, facile per lui.

Magari aveva già affrontato situazioni simili, che ne poteva sapere? Non si stava parlando di brustoline e orsetti gommosi, lì si discuteva di una relazione! Una relazione vera!

O almeno, a lui sembrava aver capito che il messaggio di fondo era quello.

Non aggiunse nulla, cercando di valutare i pro e i contro.

Probabilmente per panico, o per paura, la prima cosa che avrebbe sicuramente risposto era “dimentichiamoci tutto”. Ma il punto era che, anche dicendolo, non si dimenticava per davvero. E niente, niente sarebbe mai tornato come prima.

E, al solo pensiero, poteva già sentire un principio di solitudine. Lo stesso, schifoso malessere che aveva provato quando sua madre lo aveva gentilmente spedito in quel posto sperduto da Dio, facendogli lasciare i suoi migliori amici e il mondo che conosceva.

Avrebbe dovuto ringraziare sua madre.

<< Se… no. io… >> balbettò, prendendosi qualche istante per riorganizzare mentalmente il discorso.

Sospirò e ricominciò da capo: << io non ho mai avuto uno straccio di ragazza in vita mia… >> disse, cercando di non morire di vergogna e auto-sotterrarsi all’istante. << …figuriamoci un… ragazzo >> aggiunse, distogliendo gli occhi da Shikamaru.

Che razza di femminuccia, Dio, si faceva schifosamente pena da solo.

<< Nemmeno io >> rispose però Shikamaru, il tono sempre impersonale ma, in un certo senso, più tranquillo.

Kiba ritornò con lo sguardo su di lui, continuando impacciato: << sì, ma… io non so come… >>

<< Nemmeno io >> lo interruppe Shikamaru, sorridendo quasi impercettibilmente.

Il castano sospirò più rilassato, chiudendo gli occhi per un istante. << Suppongo che ci sia una prima volta per tutto >> disse poi, esprimendo un pensiero suo in una massima comune, prendendo finalmente una decisione.

Al. Diavolo. Tutto.

Avrebbe continuato a fare quello che aveva sempre fatto: ovvero ciò che più gli pareva.

Teneva a Shikamaru. E, anche se non poteva dire di amarlo nel senso stretto della parola, era un legame diverso dalla semplice amicizia.

Se lo sentiva.

Beneamato istinto, fortuna che c’era.

<< Ok >> aggiunse poi, trovando finalmente il giusto equilibrio psicologico per guardarlo negli occhi senza avere atteggiamenti da femminuccia insicura. << Se tu ci stai, io ci sto >> disse solamente, esprimendolo nel minor numero di parole possibile.

Probabilmente per non intortarsi in discorsi controproducenti.

Non servì una risposta vocale, bastò il volto disteso di Shikamaru e il piccolo sorriso che, anche se insignificante, era intriso di dolcezza… e sì, perché no, forse anche di felicità.

Dopo quello che aveva visto nella sua memoria, vedere il ragazzo felice faceva uno strano effetto a Kiba. E forse, sapere di essere lui la causa di quella serenità, lo rendeva sereno e tranquillo a sua volta.

Eh sì, doveva proprio ringraziare sua madre.

 

 

Era strano, ora, camminare con Shikamaru per i corridoi dell’accademia.

No, non “strano”… forse solo particolare.

Incredibilmente, notava cose che prima avrebbe totalmente ignorato. Per esempio, come Shikamaru avesse il vizio di tenere le mani in tasca, sempre, anche quando stava semplicemente fermo in piedi.

Oppure, come guardasse avanti a sé senza mai abbassare lo sguardo, o dimostrare qualche espressione facciale che non urlasse al mondo “Dio che noia questa vita”.

O ancora, utilizzando quel pizzico di fantasia in più molto utile per auto illudersi, di come camminasse molto vicino a lui, facendo sfiorare i loro gomiti come se, quel contatto, fosse il rimpiazzo del classico “tenersi per mano” tipico delle coppie.

Cosa che, per il momento, avevano deciso di non fare.

Così come avevano deciso di non spiattellare in giro il fatto che, in un modo o nell’altro e in maniera spaventosamente tribolante, ora stessero insieme.

Le motivazioni erano semplici: Sasuke e Naruto facevano già abbastanza scalpore e, inoltre, Kiba voleva che almeno una parte della sua vita privata rimanesse effettivamente tale.

Ma sembravano non essere solamente questi, i problemi che erano già venuti a bussare con un revolver nascosto nella cintola dei pantaloni.

Primo fra tutti: Kiba Inuzuka. O meglio, quella parte nuova di Kiba Inuzuka che prendeva il nome “Empatia”.

Nonostante ora, grazie a Iruka e alle sue lezioni, riuscisse a controllarsi anche in pieno giorno, durante il sonno e nei momenti di maggiore stanchezza tornava ad essere quella mina vagante attira-disgrazie e aspira-sentimenti.

Ed era più facile controllarsi se non baciava nessuno, in quel frangente. Questo almeno sembrava chiaro.

Il punto ora era come fare a non stancarsi troppo; perché suvvia, per grazia ricevuta, almeno il bacio della buonanotte al suo ragazzo voleva darlo.

e faceva strano persino dire -o pensare- “il mio ragazzo”, adesso…

Secondo; il tempo. Lezioni diverse, impegni diversi, compiti diversi ed esercitazioni diverse. Alla fine, facendo faticosamente un paio di conti, si vedevano a pranzo e cena. Perché dai, non poteva sempre andare a dormire in camera di Shikamaru, un po’ di decenza! Ognuno ha bisogno della sua vita privata.

Terzo: Naruto Uzumaki. Quel ragazzo era un povero imbecille, ma sembrava avere una perspicacia micidiale per scoprire i segreti o, in ogni caso, novità rivoluzionarie come quella.

Cosa che avrebbe risolto a breve, dato che andavano a pranzo con la solita cricca. Punto di incontro era la scalinata dell’atrio piccolo, poi dritti sul terrazzo a godere di quei pochi raggi di sole che avevano avuto il coraggio di far capolino quella mattina.

Alzò lo sguardo dalla punta delle sue Convers semi-distrutte…ed eccolo là, il suo problema numero tre.

Appoggiato di schiena al corrimano della scala, una mano in tasca e una sul legno lucido, aspettava sbadigliando sonoramente, cercando però non allargare la bocca in un’apertura stile leone della Metro Golden Mayer.

I capelli biondi erano più spettinati del solito e anche l’abbigliamento, un paio di jeans chiari e larghi e una maglietta a mezze maniche nera con una spirale rossa, denotavano una disattenzione patologica per la scelta.

lui era uno che, come minimo, si era svegliato da circa dieci minuti e aveva indossato le prime cose che poteva raggiungere con la mano senza immergesi nell’armadio.

Come Shikamaru del resto, che indossava un paio di pantaloni neri e una maglietta verde scura a maniche lunghe, senza disegni di sorta. Ma lui era pigro patologico, il discorso era diverso.

Kiba invece aveva perso tempo nel cercare di trovare quella camicia che, mentre dormiva, aveva rivisto così chiaramente in sogno. Voleva indossarla, così, solamente perché quella strana visione gliel’aveva fatta tornare in mente.

Ma, come aveva previsto, era proprio andata perduta. Al suo posto, sopra al paio di normalissimi jeans blu, aveva abbinato una maglietta rossa con sopra una giacca bianca, la cerniera aperta completamente.

Una volta abbastanza vicini perché il biondo li notasse, in mezzo al via vai di gente che cominciava a scendere per il pranzo, lo salutarono.

<< ciao Naruto >> disse Kiba normalmente, mentre Nara si limitò ad un cenno del capo.

Tuttavia, il ragazzo in questione non rispose.

Li fissò, anzi, aggrottando le ciglia con un’espressione pensosa stampata in faccia.

E, la frase che dopo pronunciò, aveva un loro particolare senso: << voi due… siete diversi dal solito >> disse fermamente, convincendosi di quelle parole man mano che le pronunciava: << c’è qualcosa che mi nascondete? >> chiese poi, lasciando Kiba spiazzato.

Ma… ci era già arrivato?!

Come diavolo aveva fatto?! Lui aveva detto solo “ciao Naruto”! Cosa ci vedi di strano e nascosto in “ciao Naruto”?!

Era ignobile! Era inumano, santo Garibaldi!

Il castano lo fissò con la bocca spalancata senza riuscire ad emettere alcun suono. Lo guardava semplicemente, incredulo che il biondo li avesse stanati in un arco di tempo pari a quattro secondi e due decimi. Troppo, troppo pochi perché il suo cervello si connettesse e pensasse ad una risposta pronta per smentire quell’affermazione.

Tra l’altro, vera.

<< Kiba, tutto a posto? >> chiese il biondo, sventolandogli una mano davanti agli occhi. << Stai bene? >> aggiunse in seguito, sempre guardandolo.

<< No, sei tu che non stai bene… >> rispose l’Inuzuka ancora basito. << Fatti vedere, e da uno bravo! >> aggiunse, sforzando le sue mandibole a serrarsi, per far sì di chiudere la bocca e non sembrare un pesce lesso.

Shikamaru sospirò, estraendo la destra dalla tasca dei pantaloni per grattarsi la nuca, il fare flemmatico di sempre. << Ok, ma tieni chiusa la bocca. Se mi arrivano seccature diventano amari cazzi tuoi >> acconsentì poi il moro, attirando l’attenzione curiosa di Naruto e quella sbigottita di Kiba.

Beh, forse sì… alla fine era l’unico modo per tenerselo buono. E poi, almeno davanti a Naruto (e Sasuke, perché tanto il biondo glielo avrebbe comunicato quanto prima) potevano smettere la farsa del “siamo solo amici” e, magari, comportarsi un po’ più da coppia.

A ben pensarci non cambiava molto, ma erano dettagli sorvolabili.

All’occhiata di Shikamaru, Kiba decise di prendere parola. Colpo veloce e indolore, come quando si toglieva un cerotto con relativa ceretta sui peli attorno.

<< Stiamo… insieme, credo. Insomma, il senso è quello >> disse il castano gesticolando, spostando gli occhi con finto fare sufficiente.

In realtà gli rodeva il fegato la reazione che avrebbe avuto Naruto. Insomma, era pur sempre una novità di una certa rilevanza… o no?

Uzumaki, dal canto suo, impiegò il suo tempo per registrare adeguatamente la notizia. Quasi Kiba poteva sentire il rumore del modem inserito nel cervello dell’amico, addetto alle connessioni fra neuroni. Ecco, il suo funzionava a 52 K. Era come un motore Diesel, ci voleva il suo tempo prima che carburasse decentemente.

Tempo che passò in un ambiguo silenzio, prima che un ghigno soddisfatto comparisse sul viso del biondo. << Ma bene, guarda un po’ che roba…! >> esclamò mettendosi in mezzo fra i due, agganciando le spalle di Kiba con la destra e quelle di Shikamaru con la sinistra. << Inubau si è trovato l’uomo! >> lo sfotté con quel nuovo nomignolo che si era inventato da poco.

<< Piantala di chiamarmi Inubau, Cretinuto! >> sbottò il castano in risposta, incrociando le braccia al petto con fare offeso.

Sembrava un ricattatore, ma Naruto si stava divertendo un mondo e, in fondo a quella farsa colossale stile “Il Padrino”, era felice per loro… e si vedeva. Naruto aveva uno di quei sorrisi contagiosi che, anche in uno scherzo, esprimevano sempre la verità che ci stava sotto.

<< Piuttosto, oggi l’addetto al pranzo è Choji? >> chiese Kiba, ancora intrappolato nella morsa del biondo, che annuì.

<< Scherzerai spero >> ribatté Shikamaru con un sopracciglio alzato << hai lasciato Choji da Ichiraku a prendere il pranzo? >> domandò poi, una lieve tonalità di incredulità nella voce.

<< Mi scocciava andarci! Ci vado sempre io! >> si lamentò Naruto, fingendo un’espressione da cucciolo ferito. Quella, a giudicare dalla rapidità con cui la sfoderava, doveva essere una delle armi per farsi dire di sì da Sasuke “Sorriso Contagioso” Uchiha.

<< Prega allora che torni “insieme” al pranzo e non “assimilato” al pranzo, Naruscemo >> ribatté nuovamente Kiba, ridacchiando beffardo.

Probabilmente l’Uzumaki avrebbe ribattuto qualcosa, a quel nomignolo preso in prestito da Sakura, se non fosse stato per la persona che, osservandoli, stava salendo le scale in loro direzione.

Fisico snello e longilineo, capelli lunghi e corvini, viso appuntito e pallido. Gli occhi, di un inquietante forma serpentina e dall’iride dorata, non esprimevano altro che malcelata malizia nell’osservarli uno ad uno, così come pure il sorrisetto che gli increspava le labbra sottili e pallide. Fasciato in un abito di seta nera dal colletto alla orientale, Orochimaru si dirigeva verso di loro in un passo elegante ed aggraziato.

Naruto si disciolse dall’abbraccio, diventando di colpo serio. A Kiba non sfuggì la mossa, come non mancò di notare l’occhiata sbilenca che il biondo aveva lanciato a Shikamaru, poco dopo aver notato il Vicepreside salire i gradini.

Ma l’occhiata non bastò e ad essa, successivamente, seguì un richiamo: << Shikamaru >> sussurrato, in modo che l’uomo non sentisse, ma con il tono perentorio di un Colonnello che richiama all’ordine un sottoposto.

O, se non proprio così, qualcosa di simile.

E pochi istanti dopo, guardando il viso contratto del moro osservare l’incedere serpentino dell’uomo, anche Kiba poté capire perché.

Ira. Rabbia. Frustrazione e, per finire, quel fantomatico prurito alle mani che ti viene quando vorresti uccidere una persona solamente con la forza delle tue braccia, per sentire le ossa rompersi sotto la pelle e un lamento di dolore provenire dalla vittima in questione.

Gemette sottovoce all’entrata di quel sentimento, spostandosi di tre passi buoni lontano dai due. Aveva già sentito una rabbia simile, in un sogno che ancora stentava a ricordare, dunque sapeva di per certo… che apparteneva a Shikamaru.

La stessa persona che ora, notando il movimento di Kiba con la coda dell’occhio, stava inutilmente cercando di calmarsi.

Ma doveva essere una rabbia molto forte e profondamente radicata. Un sentimento davvero difficile da controllare, dato che era riuscito a distruggere tutte le barriere che Kiba aveva faticosamente eretto intorno al suo strano potere, per separare se stesso, almeno un poco, dai sentimenti esterni. Barriere che erano crollate subito e, stranamente, senza bisogno di un contatto fisico.

Avrebbe chiesto più tardi al moro cosa significasse quel sentimento; ora aveva un problema più impellente da risolvere…

Già, perché a quanto pareva, il vicepreside aveva veramente bisogno di uno di loro.

Una volta terminato di salire le scale si fermò di fronte a loro tre, il portamento elegante e le braccia incrociate in vita. I capelli lunghi e corvini si posavano sulla seta scura, morbidamente, talmente lunghi da non ondeggiare nemmeno ai passi dell’uomo.

Passandosi appena la lingua sulle labbra, umettandole, puntò lo sguardo su di loro. Poi, la voce sibilante e bassa ruppe l’incantesimo di quella bellezza strana ed elegante, facendolo assomigliare più ad una chimera che ad un essere umano.

Oddio, un essere umano molto accennato.

<< Buongiorno Uzumaki, Nara… >> salutò, osservando prima Naruto e poi Shikamaru, che non rispose nemmeno per scherzo al saluto dell’uomo, evitando persino di staccargli gli occhi di dosso in qualunque mossa facesse.

Perché lo odiava, e Kiba riusciva chiaramente a sentirlo.

Solo, si chiedeva per quale motivo.

<< …e Inuzuka, suppongo >> continuò l’uomo, ignorando con un sorriso quasi divertito lo sguardo carico d’odio del moro e quello circospetto del biondo.

<< …sì >> rispose solamente Kiba, evitando toni particolarmente maligni. Tutta quella rabbia che sentiva nei confronti del Vicepreside non era sua, non poteva lasciarsi condizionare.

Anche se lo avrebbe volentieri preso a calci in culo per l’ennesima volta che si era sentito ripetere la frase “sei tu Inuzuka?”, anche se composta in un modo diverso e non sottoforma di domanda.

Ma dopo due cavolo di settimane in cui gli affaracci suoi giravano per l’intera accademia, c’era ancora qualcuno che aveva bisogno di chiedergli il nome?! O era una nuova forma di cortesia di cui non era a conoscenza?

<< Perfetto. Avrei bisogno di te per un po’, se la cosa non ti disturba >> disse lui, la voce melliflua che si interrompeva in pause chiaramente premeditate, probabilmente per renderla più maliziosa.

Shikamaru sussultò, irrigidendo i muscoli del collo e fissando l’uomo con ancora più astio. Naruto, che invece sembrava più tranquillo, si limitò solamente a spostare le iridi azzurre sui due.

Doveva trovare un modo per togliersi di lì. Non ci voleva l’istinto di un lupo per capire che c’era qualcosa che non andava; il viso di Shikamaru era parimenti efficace, in quel senso.

Usò la prima cosa che si trovò in mente, ovvero la verità: << a dire il vero stavamo per pranzare, signore >> rispose, notando con la coda dell’occhio come entrambi i suoi amici non distogliessero lo sguardo da quella persona.

E non solo, non avevano la minima intenzione di perderlo di vista.

Perché? Cosa gli stavano nascondendo?

<< Lo avevo notato >> rispose quello, mantenendo una calma solida e sfoggiando un sorrisetto compiaciuto, probabilmente elogiando il suo tentativo di toglierselo dai piedi. << Ma vedi, è una questione urgente. Lo farebbe la preside, ma quest’oggi non è esattamente in grado di stare dietro alle normali procedure presidenziali. Mi capirai, credo… Deidara ci è andato giù pesante, con la sangria di ieri sera >> disse, senza mutare quell’espressione di continua, maliziosa tortura.

Sembrava che ogni parola fosse finalizzata a trascinarlo con sé per motivi che esulavano dalle normali procedure scolastiche… e ora, anche il suo istinto gli diceva di togliersi di mezzo quella sottospecie di vipera formato uomo.

Ma come poteva fare? Dopotutto era il vicepreside, volendo poteva ordinarglielo di seguirlo.

E nel caso lo avesse fatto, non avrebbe potuto rispondere “no grazie”.

Tanto valeva accettare e rimanere in guardia.

<< Sì… signore >> rispose poco dopo, osservando il suo sorriso obliquo allargarsi un po’ di più.

<< Seguimi >> disse solamente lui, cominciando a scendere nuovamente le scale.

Lanciò un’occhiata ai due amici, notando i loro sguardi guardinghi, come belve che osservano un intruso nel loro territorio di caccia. Loro risposero con un cenno del capo, valido probabilmente come saluto.

Annuendo in risposta, seguì il Vicepreside lungo la scalinata.

Lui non parlava. Nemmeno una parola, una spiegazione o una semplice domanda da ficcanaso.

Sorrideva e basta, con quell’espressione ambigua e malevola, guardando gli studenti davanti a sé deviare percorso per non rischiare di urtarlo, anche solo per sbaglio.

E, soprattutto, guardavano Kiba come se fosse un condannato al patibolo.

Se solo intuiva un risvolto dannoso, piuttosto fingeva l’attacco di gastrite fulminante e giocava la carta del finto svenimento, che durante le interrogazioni di Letteratura aveva portato bene svariate volte.

Almeno fino a che la professoressa si chiese effettivamente perché lui avesse la pressione ai minimi storici solamente nelle sue ore, e la farsa era stata smascherata… e punita. Con interessi. Più iva.

<< Inuzuka, è sorto un problema… >> cominciò improvvisamente Orochimaru, talmente fiducioso che Kiba lo stesse ascoltando che non si prese nemmeno la precauzione di voltare il capo per guardarlo in faccia.

Dal canto suo, Kiba continuò a seguirlo senza guardare in viso né l’uomo, né altre persone. Ormai avevano finito la scalinata e, voltando subito sulla sinistra, si erano immessi nel corridoio che lo collegava all’atrio principale.

<< Che genere di problema? >> chiese dunque, sospirando impercettibilmente.

Figurati se non c’era un problema! Altrimenti non lo avrebbero mandato a chiamare, no?

<< Un problema… di carattere esterno alla scuola >> aggiunse l’uomo, la voce melliflua e secca, quasi fosse segnata da anni di fumo anche se il vicepreside non aveva fumato -e non fumava- nessuna sigaretta. Solo in quel frangente gli lanciò un’occhiata, completa di sorrisetto compiaciuto nell’osservarlo dall’alto di quella decina di centimetri che li separavano.

Kiba rabbrividì per un qualche motivo che non seppe specificare. Semplicemente, gli occhi di quell’uomo addosso gli trasmettevano qualcosa di strano, che però non appariva rassicurante.

Arrivarono in poco tempo nell’atrio principale, per la maggior parte vuoto e silenzioso, dove due individui attendevano appena all’inizio del corridoio delle segreterie amministrative.

Dove loro si stavano, per l’appunto, dirigendo.

Un uomo e una donna, data fisionomia che poteva vedere lui da lontano, mentre si avvicinavano a passo sostenuto. Vestiti di nero, con impermeabili lunghi e occhiali da sole.

Vestiti da E.T. sarebbero passati più inosservati.

Una volta arrivati a loro, Orochimaru fece le dovute presentazioni: << Inuzuka, questi sono due ispettori di polizia… >> cominciò << …Ibiki Morino e Mitarashi Anko >> concluse, in modo che potesse avere chiaro chi fossero i due.

Eppure non fu necessario presentare lui ai due. Perché probabilmente, se lo avevano cercato loro, sapevano già chi fosse.

Il punto era cosa volesse la polizia da lui. Che c’entrasse con il suicidio di Agatha? Dopo così tanto tempo?

<< Grazie mille signor Vicepreside >> ringraziò la donna, rivolgendosi all’uomo con una pacata -quanto falsa- gentilezza.

Kiba li osservò, mentre quella Anko chiedeva se era possibile disporre di una stanza per una conversazione privata.

Lei era carina, non molto alta ma nemmeno bassa, viso tondo e quasi infantile con dei capelli scuri tirati sulla nuca da un mollettone. Gli occhi erano scuri, di un particolare colore viola la cui sfumatura non sapeva definire precisamente. Era vestita in modo quasi provocante, nonostante fosse un po’ tozza come fisico: pantaloncini corti neri, stivali di pelle con i lacci, una canottiera nera con sotto una maglia a rete con le maniche lunghe e impermeabile nero.

E Morino… lui era la brutta copia di Mastro Lindo dopo una rissa con l’omino Michelin.

Pantaloni e maglia semplici, neri, molto anonimi. Cintura in cuoio dalla fibbia argentata, stivali al polpaccio neri e impermeabile come la collega, sicuramente più affascinante di lui.

Silenzioso e serio, aveva un viso spigoloso e dall’espressione tremendamente incazzosa. Guardava male ogni cosa si muovesse e respirasse, squadrandola con un paio di occhi piccoli ma attenti, apatici. Portava una bandana nera, che copriva un cranio palesemente pelato, e il viso era sfigurato da due cicatrici oblunghe che lo attraversavano da parte a parte.

E chi era, un compare di Rambo in Vietnam?

Una volta che la donna ebbe terminato di parlare con Orochimaru, si rivolse finalmente a lui. Sorrise, però di un ghigno furbo più che di un sorriso di rappresentanza, appoggiandosi le mani sui fianchi.

<< Salve Kiba. Posso chiamarti Kiba, vero? >> chiese, diretta e senza mezzi termini, decisa.

Il castano annuì semplicemente, senza aggiungere la voce ai gesti, osservandola con un sopracciglio leggermente incurvato.

<< Ora andremo a parlare in segreteria, ti va? >> riprese poi lei, indicando la porta delle segreterie poco più avanti nel corridoio.

E poi? Doveva anche prenderlo a manina per paura che si perdesse?

Non resistette.

<< Scusi la franchezza, signorina Anko… posso chiamarla Anko, vero? >> rispose il castano con una smorfia di sfida, deciso a mettersi sul piede di guerra: << non ho cinque anni e non vado all’asilo, può anche evitare di sforzarsi ad essere carina e gentile, le va? >> aggiunse, facendo un sorriso così tarocco che le borsette sulle bancarelle del mercato sembravano di marca.

Lei ghignò compiaciuta, cambiando subito tono mentre Morino, in piedi al suo fianco, lo teneva costantemente d’occhio. Credeva di aver visto un sorrisetto interessato anche sul volto del Vicepreside, ma sperava vivamente che non fosse rivolto a lui.

<< Seguici, allora >> ribatté semplicemente la donna, aspettando che Orochimaru aprisse la fila e li portasse alla porta giusta.

Kiba 1 - Polizia 0, e palla al centro.

In un silenzio quasi irreale percorsero il breve tratto di corridoio che portava alle segreterie, al momento vuote in quanto domenica. Shizune, così come Tsunade e il resto del corpo insegnanti, avevano camere private nell’ala ovest dell’accademia, separate rispetto ai dormitori degli studenti.

Aspettando che Orochimaru aprisse la porta, Kiba tornò momentaneamente a riflettere su cosa ci facesse lì e, ancora prima, quale guaio aveva combinato per far piombare la polizia in accademia.

Erano investigatori e, da che mondo è mondo, gli ispettori investigano. Su omicidi, la maggior parte della volte, come insegnavano i telefilm insulsi che guardava sua madre la sera dopo cena, occupando la televisione.

Da che si ricordava, non aveva ancora ucciso nessuno.

Certo, aveva fatto qualche pensiero del genere su Hotaru, lo ammetteva… ma il più delle volte era colpa dello stress per la settimana pre-ballo.

E comunque la ragazzina era tutta intera, no?

Una volta che la serratura scattò sotto le mani del sostituto rettore, e la porta fu finalmente aperta, i tre adulti e Kiba si accomodarono all’interno.

Fu Anko a scegliere automaticamente la scrivania giusta, quella sotto la finestra, in modo da usare la maggior quantità di luce esterna possibile. Fece cenno a Kiba di sedersi alla sedia che vi era dietro, usata probabilmente da Shizune.

Kiba, osservandola dopo una breve analisi della stanza e dalle situazione, diede ascolto alla donna senza battute sarcastiche o frasi mirate a stuzzicarla.

Morino, dopo questa mossa, si voltò verso Orochimaru con le braccia lungo i fianchi, immobili. << Potrebbe uscire, per cortesia? >> chiese, sfoderando una voce profonda che traspirava autorità da tutti i pori.

Orochimaru sorrise deliziato, appoggiandosi con la schiena alla parete: << Inuzuka è uno studente di questa scuola. E, anche se preferirei dedicarmi ad altro, purtroppo io sono il suo referente, oggi >> specificò, guardando Morino direttamente negli occhi senza il minimo cenno di tentennamento. Nemmeno quando Ibiki, incrociando le braccia al petto, cercò di assumere un tono minaccioso.

<< Siamo della polizia, possiamo ordinarglielo… >> minacciò, la voce che si era fatta più profonda.

<< Siete dentro un’accademia privata, anche se cattolica. Qui voi siete intrusi, non poliziotti >> specificò con calma il serpente, senza scomporsi minimamente.

Fu Anko ad intervenire per risolvere la questione: << Lascia stare, Ibiki. Purtroppo ha ragione >> disse, improvvisamente seria e senza nessuna traccia del sorrisetto malizioso che aveva assunto in precedenza.

Perché tutto a un tratto l’aria si era fatta così pesante? Cosa dovevano dirgli, quei poliziotti, di così importante da non poter nemmeno aspettare il pomeriggio?

Il detective lanciò un’ultima occhiata al vicepreside, aggiungendo solo un << è stato avvertito >> che risuonava più come un insulto che come un consiglio. Orochimaru non fece altro che riprendere quel sottile sorriso ironico, attendendo paziente la rivelazione dei due poliziotti a Kiba.

Che, dal canto suo, anche se non lo voleva ammettere cominciava ad agitarsi.

<< Allora Kiba… >> cominciò poi la donna, lasciando Morino ad estrarre una cartella gialla da sotto al cappotto, probabilmente da una tasca interna, contenente alcuni fogli e qualche foto. << Ti abbiamo portato qui principalmente per farti qualche domanda, poi per mostrarti qualche foto. Abbiamo bisogno di un riconoscimento, tutto qui >> disse, professionale nella sua espressione perfettamente seria e neutrale.

Certo, come no. E lui era Attila re degli Unni.

<< E’ vostra abitudine isolare l’interlocutore, per un semplice riconoscimento? >> chiese dunque il castano, appoggiandosi con la schiena alla sedia e osteggiando una sicurezza che in realtà stentava a possedere realmente.

La donna alzò appena l’angolo della bocca, osservandolo dall’alto in basso e portandosi lentamente di fronte a lui. << Sei perspicace, Kiba… >> sussurrò solamente, lasciando campo libero all’uomo e ritirandosi un po’ indietro, ma comunque a portata visiva.

Morino, arrivandogli davanti nella sua imponenza, estrasse dalla cartellina gialla una fotografia, poggiandogliela davanti.

Era una stampa A4, liscia, ma non lucida come la normale carta fotografica. Ritraeva un uomo sulla quarantina, calvo salvo per qualche ciuffo di capelli castani e radi, che gli ricoprivano la parte bassa della nuca e la cute sopra le orecchie. Aveva un viso ovale, magrolino, con una carnagione olivastra e un’ombra di barba. Dal collo, magro anch’esso, spuntava il colletto di una camicia blu e l’inizio di uno stemma giallo dalla forma, probabilmente, ovale.

Gli sembrava… sì, quasi famigliare.

<< Conosci quest’uomo? >> chiese dunque, usando lo stesso tono modulato e profondo che aveva usato prima per intimidire Orochimaru.

L’unica differenza era che se il vicepreside era impassibile, con lui l’intimidimento riusciva a meraviglia.

Tuttavia era lungi dal mostrare l’inquietudine che provava. Persino i bambini avrebbero capito che non era una buona cosa, in un interrogatorio come quello.

Sì, perché se due tizi arrivano e ti chiudono in una stanza, a casa sua era un interrogatorio in piena regola.

Che poi loro si parassero il culo con la scusa del riconoscimento, era un altro paio di maniche.

Alzò gli occhi sull’uomo che aveva di fronte prima di riguardare nuovamente la foto, decidendo la strategia.

Senza emozioni per quanto possibile, sì, ma la verità in risposta. Sempre meglio la verità, che farsi scoprire in flagrante con una bugia sulle labbra.

<< Mi sembra di averlo già visto >> rispose semplicemente, aggrottando la fronte nel tentativo di ricordare dove, per esempio, e quando lo aveva visto.

<< Ci credo >> rispose subito la donna, appoggiata con i glutei ad una seconda scrivania, poco più indietro rispetto a quella a cui era seduto lui. << E’ un tassista. Secondo la tabella della società per cui lavorava è stato lui a portarti qui, più di due settimane fa >> aggiunse tranquillamente, appoggiando le mani sul bordo della scrivania dov’era seduta, ai lati del suo corpo.

Ah, ecco dove lo aveva visto. Era quel tipo fissato con Bob Marley. Aveva discusso con lui per più di venti minuti, quando per l’ennesima volta si era messo ad ascoltare lo stesso CD che gli aveva rifilato sin dall’inizio del viaggio.

<< Me lo ricordo >> rispose Kiba criptico, appoggiando la foto sulla scrivania: << Sì, guidava lui il taxi che ho preso per arrivare qui >> confermò.

<< Bene >> rispose Morino, estraendo un'altra fotografia dalla cartelletta, che però non gli mostrò subito. << Ricordi a che ora sei arrivato in accademia? >> chiese poi, osservandolo dall’alto con quello sguardo intimidatorio.

Quello non era solo inquietante, faceva proprio paura. Ora capiva perché mandavano lui per quei casi…

Kiba dovette rifletterci a lungo prima di rispolverare il vago ricordo dell’arrivo. Si ricordava solamente il trauma avuto dopo, il “prima” era un po’ confusionario nella sua testa.

<< Era pomeriggio - rispose - sulle 14:30… 15 al massimo >> disse, osservando ora gli occhi della donna, visibile dalla sua posizione nonostante il detective gli stesse quasi del tutto di fronte.

I due si scambiarono un’occhiata veloce e, per un solo istante, oltre al guizzo di espressività nelle iridi di Anko riuscì a leggervi anche una consapevolezza.

Avevano trovato quel che cercavano. Glielo si leggeva in faccia.

Morino si voltò nuovamente in sua direzione, appoggiandogli davanti al viso una seconda fotografia, sempre dello stesso formato. Ritraeva il fosso di una strada sterrata, sulla destra, e riversa al suo interno la carcassa di quella che doveva essere stata un’automobile… no, un taxi. Il retro infatti non era bruciato completamente e, su quello che doveva essere stato il baule, si poteva ancora vedere una striscia di vernice gialla. L’erba tutta intorno era nera, bruciata.

Una volta che ebbe terminato di osservarla, alzò gli occhi con fare interrogativo verso l’uomo, che sorrise ironicamente a quel suo sguardo. << E’ il taxi dell’amico nell’altra foto - disse semplicemente - con dentro, ciò che rimane dell’autista >> concluse, senza staccargli gli occhi di dosso.

Aggrottò appena la fronte, senza però scomporsi. A cosa volevano arrivare, con tutto quel giochino psicologico?

<< Mi dispiace molto, ma non vedo cosa c’entri con me >> disse il castano, esprimendo effettivamente quello che stava pensando, lasciando andare la foto sulla scrivania a seguire lo stesso percorso dell’altra.

<< Abbi pazienza… >> intervenne poi Anko, alzandosi dalla scrivania ed avvicinandosi a lui di qualche passo, affiancando il collega.

Come in un gioco a completare le frasi dell’altro, fu l’uomo a riprendere parola: << E’ sbandato da solo e, nell’infossarsi, il serbatoio si è danneggiato. Il liquido è fuoriuscito, è entrato in contatto con la marmitta e ha preso fuoco >> disse, riassumendo in poche parole la dinamica dell’incidente.

Perché di incidente si trattava. E lui, nonostante se lo stesse chiedendo da un pezzo, non riusciva a capire quale fosse il punto di collegamento fra lui e l’uomo.

Per proseguire il giochino, riprese parola Anko: << da un’analisi più approfondita, la scientifica ha stabilito che la vettura era guasta. Una piccola rottura nel sistema di scarico faceva sì che i fumi di scappamento entrassero all’interno dell’abitacolo attraverso le prese dell’aria. Sai da cosa sono composti i fumi di scappamento di un motore, Kiba? >> chiese poi, utilizzando un tono per metà ironico e per metà divertito.

Lei lo sapeva già, e adesso si divertiva un mucchio a tormentarlo. Volevano sfiancarlo psicologicamente, era questo lo scopo del gioco di botta e risposta. Ma perché?! Cos’aveva fatto?

Ma rispose, ancora, per quello che sapeva: << Monossido di Carbonio, per la maggior parte >> (*1) rispose sicuro. Probabilmente era l’unica lezione di chimica che aveva seguito in due anni di scuola “normale”.

E comunque, aspirare i gas di scarico era uno dei metodi di suicidio più quotati, dopo il taglio delle vene e il lancio dal ponte.

<< Esatto >> disse semplicemente lei, osservandolo con gli occhi ridotti a fessure dal divertimento, insito nel suo tono. Pregustava un momento particolare, Kiba ne era certo, assaporava l’attesa.

Ed ecco la stoccata.

<< Tu hai viaggiato su quel taxi per quasi due ore - disse Morino - tempo abbastanza lungo da fare entrare nell’abitacolo sufficiente quantità di gas da soffocarvi nel sonno… entrambi >> e spinse sull’ultima parola.

Il suo cuore mancò di un battito. Ora cominciava realmente ad avere paura.

<< Come mai sei ancora vivo, Inuzuka? >> completò la donna in grande stile, senza spostare lo sguardo da lui nemmeno per un attimo.

Kiba era immobile, inerme, impietrito. Fissava con gli occhi spalancati il legno della scrivania, la bocca semi aperta in cerca di aria, le mani serrate con forza sul legno della sedia, invisibili agli occhi dei due poliziotti. Tremava leggermente e, con quella stretta, faceva in modo di non dover palesarlo.

Già, perché non era morto? O meglio, come giustificare ora il fatto che era vivo?

E questo fattore, a quali conseguenze avrebbe portato? Quali pensieri prendevano vita nella mente dei due ispettori?

Cercò di difendersi con l’unico appiglio che gli era rimasto prima del precipizio: << potrebbe essere stato dopo… >> sussurrò, senza usare completamente la voce, ormai inesistente. Non riusciva semplicemente a tirarla fuori, per quanto volesse usarla al solo scopo di sembrare ancora calmo… cosa che non era minimamente.

L’uomo diniego con il capo. << No, è stato prima… addirittura prima che tu arrivassi >> disse serio; Morino era l’unico in quella stanza che non sembrasse sadicamente divertito dalla faccenda. Persino il vicepreside osservava la scena interessato, ridacchiando silenziosamente compiaciuto ad ogni colpo di scena. << Il taxi, come puoi vedere sulla foto, è sbandato a destra nella corsia che va in direzione di questa scuola. Se proviamo a pensare ad un testacoda, anche se è totalmente improbabile data la bassa velocità con cui è uscito di strada, non abbiamo prove che sia avvenuto: come puoi ben vedere anche tu - e picchiettò il dito indice su di una terza foto, che aveva appena appoggiato sul tavolo - sulla strada non ci sono segni di frenate o di brusche sterzate >> completò, passando parola alla collega.

<< Inoltre siamo riusciti a risalire all’orario dell’incidente, tramite un calcolo del monossido di carbonio rispetto al tempo, alla velocità e alla falla presente nella vettura. E ti assicuro… che alle 13:40 l’autista era già morto. Abbiamo provato a fare la strada con lo stesso tipo di macchina e ipotizzando lo stesso tipo di guasto, e indovina un po’? Alle 13:40 eravamo poco lontani dal punto in cui il taxi è uscito di strada. Da non credere, eh? >> disse lei, distogliendo lo sguardo il tempo sufficiente ad osservare il brullo paesaggio all’esterno di una delle due finestre della stanza.

<< Non può essere possibile! >> scattò allora Kiba, gridando più dall’ansia che dalla rabbia. << Alle 13:40 c’ero anche io su quel taxi, e in accademia ci sono pure arrivato! Non ci sono di certo venuto qui volando! >> sbottò, osservando alternativamente il detective e la collega.

Stavano dicendo che, secondo le loro indagini, il taxi sarebbe sbandato addirittura prima che lui arrivasse a scuola? Che addirittura doveva aver preso fuoco mentre lui vi era sopra? Che cosa cavolo stava a significare, lui non era forse seduto proprio davanti a loro? Non respirava, non parlava, non si stava spaventando a morte come una persona viva, dannazione?!

<< Ci credo >> rispose solo la donna, tornando a guardarlo.

<< Evidentemente no, Cristo Santo! >> sbottò di nuovo il castano, ora quasi nel panico: << Cosa dovrei dedurne da tutto questo, dato che non vi spiegate la mia presenza qui? EH?! >> urlò di nuovo, facendo cadere la sedia con un tonfo sordo sul pavimento.

Nonostante lui avesse, evidentemente a quel punto, perso la testa, i due detective non mostrarono nessuna reazione particolare. Persino Orochimaru si era distaccato dal muro a quelle parole, tenendosi a distanza ma pronto ad intervenire in caso di difficoltà. Era pur sempre il vicepreside, anche se si divertiva un sacco.

Kiba, dal canto suo, non sapeva più che pensare. Doveva essere uno scherzo, una presa in giro! Lui era vivo, era in piedi davanti a loro, era vivo! Lui era arrivato in taxi, se lo ricordava, lo aveva anche pagato!

<< Tu nulla >> intervenne nuovamente l’uomo, estraendo una seconda fotografia dalla cartelletta, appoggiandola sulla scrivania di fronte a lui: una veduta dell’interno dell’abitacolo mostrava il cadavere carbonizzato dell’autista e, dietro, un secondo cadavere.

<< Spiegaci solo chi è la persona sul sedile posteriore… >> intervenne nuovamente lei << …e soprattutto, perché ha il tuo stesso DNA >> concluse mentre Morino poggiava sulla scrivania un’altra fotografia con i particolari di un frammento di pelle, probabilmente un residuo da cui avevano estratto il campione per l’analisi, e una tabella in cui veniva mostrato il tracciato lasciato dall’Elettroforesi su Gel (*2).

<< Spiegaci perché, quel cadavere sul sedile posteriore… sei tu >> aggiunse Anko, zittendosi.

In quel momento, puro terrore poté leggersi sul viso di Kiba.

Non riusciva più a fare finta di niente, non con quelle prove, non alla vista di quelle fotografie. Non potevano essere false, non si fotografa così accuratamente un cadavere falso, e ogni foglio era timbrato dal comando della polizia scientifica.

Erano prove autentiche.

Alzò gli occhi, sgranati e dilatati, sui due detective. Non avvertiva più i rumori, sovrastati dal battito convulso del suo cuore che gli rimbombava ferocemente nelle orecchie.

Voleva ardentemente che qualcuno fosse saltato fuori da qualche anfratto e avesse detto che era tutto uno scherzo. Era disposto a non cercare di ucciderlo, nel caso, perché più di ogni altra cosa ora agognava una notizia di quel genere.

Era uno scherzo, scusaci tanto, torna pure dai tuoi amici.

Torna a vivere come prima.

Ma non usciva nessuno, da nessun angolo, senza nessun sorriso.

Era la cruda realtà.

Voleva urlare ma anche la voce era sparita, così come ogni sua forza.

<< Ora basta >> intervenne poi una terza voce. Il tono severo e serioso di Orochimaru lo raggiunse da vicino, da molto più vicino di quanto si ricordasse.

Si era infatti frapposto fra lui e i due poliziotti, che ora avevano spostato l’attenzione sul vicepreside.

<< Non ve l’ho portato per traumatizzarlo, ma per fare un riconoscimento >> precisò l’adulto con un tono di comando.

<< Lei non dovrebbe immischiarsi in un’indagine ufficiale! >> esclamò Anko, sfigurando il viso in una rabbia superficiale, probabilmente dettata dall’intromissione dell’uomo.

<< E lei dovrebbe fare attenzione alle parole che usa, signorina Mitarashi. Soprattutto qui dentro… >> aggiunse, nascondendo ad arte una minaccia esplicita che, probabilmente, solo Anko capì del tutto.

<< Ora, se avete finito, andatevene. Avete già fatto abbastanza danni. Suppongo sappiate dov’è la porta, e spero che non abbiate l’insano proposito di rimettere piede entro i confini del St. Michael… >> lasciò cadere, poggiando la mano destra sulla spalla di Kiba e, spingendolo con una lieve pressione, cominciò ad accompagnarlo lungo il corridoio oltre la porta.

Il castano non si accorse di essere arrivato all’atrio principale, non si accorse del secondo corridoio che percorreva pian piano, non si accorse nemmeno della mano che lo guidava. Teneva lo sguardo fisso davanti a sé, semplicemente, senza nessuna reazione in particolare sul suo viso, sulla sue espressione incredula e terrorizzata.

L’espressione di chi spera in un incubo surreale, di chi spera in un risveglio altrettanto surreale.

Un risveglio impossibile.

Perché non ci si può risvegliare dalla realtà.

Una volta giunti nell’atrio piccolo, in mezzo al via vai di gente che non si era ancora fermata, il vicepreside lo fece fermare.

Nelle orecchie di Kiba, ancora più chiara delle voci di Shikamaru e Naruto che sentiva immensamente distanti -nonostante i suoi amici fossero sulla scala dove li aveva lasciati-, la voce di Orochimaru risuonò chiara, lasciando come un’eco nella sua mente ormai bloccata da ciò che aveva appena visto.

<< Ti sei mai chiesto, Inuzuka, se la persona che vedi riflessa nello specchio sei veramente tu? >>

Il castano voltò impercettibilmente il capo in sua direzione, senza tuttavia guardarlo o spostare lo sguardo dalle piastrelle sotto i suoi piedi. Tacito segno che lo aveva sentito… e che lo stava ascoltando.

<< Non ti sei mai domandato perché, allo specchio, la destra e la sinistra sono invertite? Se lo sono, allora, perché noi diciamo che quel riflesso è un nostro riflesso? Per essere uguale a noi, dovrebbe essere precisamente uguale… ma non lo è. La sua destra non è la nostra destra, la sua sinistra non è la nostra sinistra… >>

Ridusse la voce ad un sussurro e, finalmente, come se improvvisamente tutto quando fosse dannatamente lento, distolse la mano dalla sua spalla.

<< Domandatelo, Inuzuka… sei veramente tu, quello? >> terminò, indicando con un leggiadro movimento di mano uno degli enormi specchi davanti a lui.

Fra riflessi di ali grigie, la sua immagine arrivava nitida alla sua vista… enigmatica e insondabile anima dello specchio.

Aprì la bocca, prese fiato, trattenne il respiro… ma non uscì niente.

Non una parola, non un suono… nulla.

Semplicemente rimase a fissarsi, finchè la mancanza di fiato non gli fece girare la testa, sfocare la vista, ovattare l’udito.

Finché non svenne, sorretto da un paio di braccia e circondato da sguardi preoccupati.

Finché non divenne tutto buio.

 

 

Chapter No.8 ~ End.

 

 

 

*1: Il Monossido di Carbonio (CO) a differenza dell’Anidride Carbonica (CO2) è una molecola instabile, molto reattiva con l’Ossigeno. Entrando in circolo tramite la respirazione, si fissa con gli atomi di ossigeno contenuti nell’emoglobina (i globuli rossi del sangue), in particolare del gruppo EME che, allegramente, la porta in circolo per tutto il corpo. Capirete che, se il Monossido di Carbonio si prende l’Ossigeno destinato inizialmente agli organi interni e al cervello, l’organismo (e quindi la persona) muore per asfissia. Viene chiamata, per questo, in francese Doux Mort (Morte Dolce), poiché si muore perdendo conoscenza, addormentandosi.

*2: L’Elettroforesi su Gel viene utilizzata per mettere a confronto diverse tracce di DNA, per vedere quale risulta più simile ad un’altra, presa come campione.

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Capitolo 10
*** Interlude 02 - Legami e Catene ***


Note: Oh myself

Note: Oh myself! *sospira* una pausa dalla trama, in questo capitolo!

Secondo Interlude della storia, interamente SasuNaru, giusto per prendere un po’ le distanze dalla trama principale e vedere come trasformo Sasuke e Naruto nell’esempio perfetto dell’ OOC *____* (crazy smile).

No dai, cercherò di tenerli IC con tutta me stessa! XD

E ora, le risposte ai commenti!

Soarez: Veramente un ottimo spoiler, non c’è che dire! XD E ti dirò, in due punti (che ovviamente non ti dico quali sono) ci sei andata vicina *annuisce* …anche se a dire il vero, se mi fosse venuta in mente a me una cosa simile, probabilmente l’avrei sviluppata così °____°

XD ma lasciamo stare! Per risponderti: esatto, Temari e Kankuro non sono rilevanti ai fini della storia. Se compaiono lo fanno come comparse, come Gaara… che amo anche io, ma non avrà un ruolo importante, purtroppo ^^’’’. Naruto sì, è effettivamente imbecille come una pecora, ma almeno in qualcosa doveva essermi utile quell’esserino, no? Cioè, potevo farlo fare a Choji, ma sinceramente la stessa scena con l’Akimichi non mi piaceva gran che ^^’’’ e sì, Shikamaru ha un suo perché U.U forse lo sto facendo troppo figo…

Grazie mille per aver letto, commentato, e spoilerato! XD

P.S. : abbasso i mocciosi petulatnti! *-* (sguardo omicida)

Capitatapercaso: Il ritorno! XD Grazie per le mail, è una gioia sapere che mi mandi le recensioni anche per mail ç___ç *profondamente commossa*.  Già, cos’è il St. Michael Gakuen… bella domanda! XD No beh, a parte gli scherzi idioti, so che adesso sembra tutta un’accozzaglia di roba, ma se mi riesce di renderlo come spero che venga, nel… emh *conta sulle dita* terzultimo capitolo ogni tassello del puzzle dovrebbe tornare al suo posto. Inoltre, non smetterò mai di pensare a quanto tu sia una lettrice attenta, devo complimentarmi. Capisci esattamente quello che voglio far capire, e ti fai esattamente le domande che, irrisolte, io nascondo nel testo. Davvero, è un piacere scrivere quando si ha lettrici così!

Ancora una volta, adesso più di prima dato che mi mandi persino i commenti per posta (ç.ç), un grazie di cuore per avere continuato a leggere questo lunghissimo sclero recuperato in chissà quale angolino di cervello. Baci =*

Girlstreet: Lo so, stranamente Kiba in crisi mi viene quasi sempre XD …cioè, dai, se io mi trovassi davanti a cose del genere… beh, no, sbaverei, ma io non sono normale U__U. Grazie mille per avere letto e commentato (anche se yaoi XD) e ok, farò del mio meglio per aggiornare come al solito, anche se non garantisco nulla. Grazie ancora =*

Slice: Esatto, Yoko non fornisce spoiler di nessun genere… ma voi elucubrate, elucubrate pure! XD Sono proprio curiosa di sapere se qualcuno ci arriva prima del capitolo rivelazione (ovvero il terzultimo). Eh, purtroppo la lemon non la posso fare. Primo perché se ho messo rating giallo c’è un motivo, secondo perché a scriverle sono una schiappa. Già fatico a tenermi Kiba IC con Shika, figuriamoci se li rinchiudo da qualche parte a fare i comodi loro! XD Grazie mille per aver letto e recensito anche questa volta! ^*^

Rei Murai: Nu Rei-chan, non collassare! *gya* Mi spiace di averti intrippato i neuroni e sì, so che non si capisce niente, è fatto apposta! XD Però, alla fin fine, è proprio quando va tutto bene che un “colpo di scena” ribalta completamente la situazione, no? Tranquilla comunque, dal prossimo capitolo probabilmente si comincerà a capire qualcosa ^__-. Grazie mille per il commento, me ti lovva! X*

CloudRibbon: Acqua, acqua! XD Adoro leggere le elucubrazioni e sì, me lo aspettavo il fatto che i tuoi castelli in aria (e penso non solo tuoi XP) sul continuo della trama crollassero di botto, con questo finale XD. Tu pondera, pondera pure e, per darti un raccapezzamento globale sulle tue precedenti teorie… beh, sono sbagliate. Però una si avvicina appena alla trama vera e propria, ovvero quella che mi sono fatta io. Ah, e no, non sto andando a caso! Io ho lo svolgimento della trama ben fisso in mente! XD Ho già deciso anche il finale, salvo imprevisti di sorta. E mi dispiace di averti incasinato il cervello, davvero! XP Giuro che la prossima volta ti preparo psicologicamente, ok? Ora recupera i criceti per scuola, altrimenti non va bene! XD

Grazie mille di mille volte per aver commentato tutti i capitoli! Me lovva anche te! =*

P.S. Mia mamma non ha mai letto niente di quello che ho scritto, non so sa ti saprebbe rispondere XP

Neki niku_dango: XD cielo, i funghi! *si da un contegno* Beh, teoricamente pure a me se uno saltasse su e mi dicesse “ehi, sai che c’è il tuo cadavere in un taxi?” farebbe ridere. Ma consideriamo il fatto che quel povero essere umano si è fatto tre delle settimane più incredibili della sua vita… cioè, se esistono gli angeli è anche probabile che il tuo cadavere sia in un taxi, no? XD Ma passando ad altro; ancora una volta grazie per i complimenti sulla trama, mi commuovono sempre ç___ç e grazie anche per la comprensione sugli aggiornamenti; dato che scrivo principalmente di notte avrò il mio da fare! XD

Spero che ti piaccia anche questo capitolo!

VavvyMalfoy91: *si va a nascondere dietro a Shikamaru* ç___ç paura! *fix Kiba nell’angolino che sbatte ripetutamente la testa al muro stile Psycho* …ok, mi riprenderò per il bene comune *si spolvera i pantaloni*. Beh, che dire, scusa per aver stravolto tutto! XD Ma ci stava, era da programma *annuisce*. Eh, chissà! Kiba sarà morto, non sarà morto, sarà un fantasma, in realtà è in coma… chi lo sa? A parte me ovviamente (XP) credo nessuno. Oppure qualcuno che ha molta fantasia. In ogni caso grazie per la recensione e non temere, ti lascio un po’ sulle spine ma la luce in fondo al tunnel sta per giungere! XD

OnlyAShadow: Allora, andando in ordine: 1) grazie mille, sempre felice che il mio stile piaccia. E no, nessun trucco, tutto naturale ^^’’’ non ci bado neanche quando descrivo, a dire il vero. 2) Lo so, purtroppo. E non sai quanto mi tenti la lemon, che però non metterò. Almeno, non qui. Sto progettando uno speciale con lemon, ma dipende se riesco a finirla nei tempi. 3) Nu, nu, dimmela l’idea! *___* non posso dire se è azzeccata o meno, ma mi diverto a leggere le elucubrazioni, soprattutto se qualcuno comincia ad andarci vicino! XD. Grazie mille, anche questa volta, per il commento! kiss =*

Fallen_azraphel: Vodoo? O___ò… oh beh, fa lo stesso! XD Ogni teoria fa brodo, quando non si conosce la mente originale che dovrebbe scaturire il finale della storia (ovvero la mia). In ogni caso, guarda, ho cambiato la scena iniziale in omaggio al tuo amore per il pigiama di Shikamaru XD Che condivido. Shikamaru un pigiama è troppo awwwww. Sono felice di averti lasciata sconvolta, ma riprenditi, ok? XD Mi servi lucida nei prossimi capitoli! Per quanto riguarda Shika e Kiba… sì, comprendo, lo penso anche io! XD

Grazie anche questa volta per il commento! X*

 

Ok, Secondo Interlude. Ovvero: prima di tornare al tormento dell’autrice su Kiba, diamo un’occhiata al “come si sono svolti i fatti”.

In questo Interlude cambia il punto di vista… anche se sono terrorizzata all’idea di aver mandato Sasu-coso OOC. Io Uchiha-schifo non riesco a muovermelo in maniera decente. Sarà perché lo odio =___=

Va beh, se sono caduta in un balordo OOC scusatemi tanto ^^’’’ prendetela come libertà artistica.

Inoltre il capitolo, come ambientazione, necessita di spiegazioni appropriate che troverete a fine capitolo. Per ora leggetelo come viene, c’è scritto tutto a fondo pagina.

P.S. : Per la cronaca, le braccia che sorreggono Kiba alla fine del capitolo precedente sono di Orochimaru! XP

.:: Enjoy! ::.

 

 

Chapter 09 ~ Interlude 02

 

Quante ore erano passate da quando si erano seduti lì, semplicemente, senza più dire una parola?

Tante… troppe. Forse dieci.

Otto, considerando che lui era arrivato dopo. Ma erano comunque un’esagerazione.

Sospirò, gettando uno sguardo alla sua sinistra, come faceva ormai una volta ogni tanto. Non era per fissazione, solo per sicurezza.

Incrociò con le sue iridi scure i capelli biondi e gli occhi azzurri di Naruto e, solo a quella vista, si sentì un po’ più sollevato.

Naruto sembrava stanco, infreddolito e affamato. Ma, ovviamente, non lo dava assolutamente a vedere.

Testardaggine. Ormai lo conosceva, era inutile cercare di parlare con lui e di farlo ragionare; quando si impuntava su qualcosa era più testardo di un mulo e non lo smuovevi dalla sua posizione nemmeno con tutta la buona volontà del mondo.

Assottigliò gli occhi e tese le labbra in un piccolissimo, quanto invisibile, sorriso. Era stata proprio quella testardaggine a tenerli insieme, non poteva dire che fosse un difetto…

Passando oltre, alla sinistra di Naruto, gettò per un secondo lo sguardo su Shikamaru. Seduto come loro contro la parete, gambe raccolte al petto, semi-divaricate, e sguardo fisso sulla porta dell’infermeria, esattamente di fronte a loro.

Immobile.

Non aveva mosso un muscolo da quando era arrivato. Non si era mai alzato in piedi, non aveva mai mosso il capo, non aveva mai guardato nient’altro che quella porta. Se non lo avesse conosciuto a sufficienza per poter dire che fosse in ansia, probabilmente avrebbe pensato che fosse semplicemente in attesa.

E, a dire il vero, magari era entrambi.

Distolse lo sguardo dal moro, sospirando lievemente e chiudendo gli occhi scuri. Si fece indietro con il collo, appoggiando la testa alla parete e, in quella posizione, riaprì gli occhi verso il soffitto.

La schiena faceva male, a causa di quell’immobilità. E non poteva di certo dire che fosse caldo.

<< Starà bene? >> esordì poi Naruto, interrompendo un silenzio che perdurava da ore. Le sue parole, all’interno del corridoio vuoto, ebbero la stessa potenza di una fucilata in una mattinata invernale, quieta e silenziosa, nebbiosa.

Si premurò di non rispondere. La domanda non era rivolta a lui, come non era rivolta a qualcuno in particolare, e inoltre non sapeva nemmeno cosa rispondere.

La risposta arrivò qualche istante dopo. Shikamaru, sospirando appena ma udibilmente, chiuse gli occhi e si fece indietro con la schiena, appoggiandosi al muro a sua volta.

<< Sì >> rispose poi, tenendo gli occhi chiusi e la nuca appoggiata alla parete << non è un tipo che si lascia abbattere facilmente, si riprenderà >> decretò Nara, stiracchiandosi rumorosamente le braccia e portandosele dietro la nuca.

Sembrava il ritratto della tranquillità, ora. Ma ore prima, anzi… anche pochi minuti prima, in mezzo a quel silenzio quasi irreale, non lo era davvero. Non lo era, quando l’Inuzuka era svenuto nel bel mezzo dell’atrio, davanti a mezza scuola.

Naruto sospirò rumorosamente, stirando appena le gambe stese a terra, muovendo le spalle per cercare di non farle intorpidire come il resto del corpo. Successivamente sbadigliò, sbattendo gli occhi per scacciare le piccole lacrime che si erano fermate sulle sue ciglia, all’angolo degli occhi cerulei.

Sasuke, contrariamente alle sue abitudini, sorrise di nuovo. Lievemente, non troppo, di modo da non mostrare oltre quella sua espressione che, fino ad allora, aveva visto solamente Naruto.

<< Dovresti dormire un po’, dobe >> aggiunse poi, a voce bassa per non interrompere l’atmosfera di relativa calma che impregnava quell’angolo dell’accademia.

<< No, voglio stare sveglio >> rispose Naruto, piegando un ginocchio per cambiare posizione.

Sasuke allargò appena il sorriso e il suo tono risuonò di quella particolare nota gentile che riservava solamente al biondo.

Non era dolce. Sasuke non mostrava mai eccessiva dolcezza, come la dolcezza dei fidanzati. Anzi, l’amore di Sasuke aveva una nota amarognola, ma non sgradevole.

Non era stomachevolmente zuccherina, ne irrimediabilmente amara. Era semplicemente amarognola, come un amaretto.

Un gusto unico e particolare… tutto suo.

Tutto per Naruto.

<< Sei sempre stato e rimarrai sempre una testa quadra… >> disse Sasuke, chiudendo nuovamente gli occhi e sorridendo ironicamente al muro di fronte.

Naruto ringhiò sommessamente, arricciando le labbra. << E tu sei sempre stato e rimarrai sempre un teme, teme! >> borbottò il biondo, chiudendo le palpebre di scatto e incrociando le braccia al petto con fare fintamente arrabbiato.

Sasuke mantenne il sorrisetto strafottente, tenendo chiusi gli occhi e ascoltando il nuovo silenzio calato su di loro.

Silenzio che venne interrotto solamente da alcuni passi lungo il corridoio, in avvicinamento. I passi di due… no, tre persone a giudicare dalla frequenza.

In lontananza, la gonna bianca di Sakura sventolava al suo incedere e, di fianco, i pantaloni rossi di Ino si fondevano quasi con la luce sfocata del tramonto. Dietro alle due, Choji avanzava tenendo il passo il meglio che poteva.

In mano portavano delle tazze, probabilmente calde dato il vapore che usciva dalle loro sommità, e si avvicinavano con l’espressione esausta che avevano ultimamente assunto tutti quanti. Era stata loro l’idea, quasi mezz’ora prima, di andare a prendere qualcosa da bere per riscaldarsi, dato che molto probabilmente avrebbero saltato la cena.

<< Scusate il ritardo ragazzi, Ichiraku stava preparando per gli altri e ci ha messo un po’ a finire >> esordì Sakura, arrivando con due tazze in mano; facendo attenzione si piegò davanti a Sasuke. << Caffè, giusto? >> chiese poi, allungandogli una delle due tazze bianche che teneva fra le mani.

Sasuke annuì, prendendola con la destra. << Grazie >> rispose, poggiandovi sopra anche l’altra mano e odorandone il profumo.

Un aroma particolare che aveva il potere di ricaricarlo anche solo con il profumo.

<< Tieni Uzumaki >> sussurrò poi Ino, passando una tazza anche al biondo. << Tè Oolong, Ichiraku ha detto che ti piace >> aggiunse lei, aspettando che Naruto prendesse la tazza.

Naruto annuì e ringraziò a sua volta.

<< Si è saputo niente di Kiba? >> chiese invece Choji, sedendosi a fianco di Shikamaru e passandogli una tazza di inconfondibile tè verde.

<< Niente >> rispose Naruto, sorseggiando il contenuto della tazza e, immancabilmente, scottandosi le labbra.

<< Sai dobe, se la tazza fuma il tè scotta >> non perse occasione di stuzzicarlo Sasuke, prendendo un breve sorso di caffè dalla sua tazza bianca.

<< Lo so! >> rispose offeso il biondo, soffiando sulla superficie del liquido bruno con il broncio.

Come i bambini. Anzi, forse peggio dei bambini.

Una lieve risata si alzò nell’aria, leggera come un alito di vento, per poi svanire quasi subito. E il silenzio, così opprimente mentre calava la sera, non lasciò più scampo alla comitiva.

Di nuovo racchiusi in una cupola ovattata e pregna d’ansia, dove ogni rumore assumeva significato, ogni parola risuonava come un disturbo alla concentrazione.

Concentrazione che serviva, nell’insieme dei minuti, a guardare la porta bianca dell’infermeria… e a sperare.

Sperare che si aprisse, per esempio.

Pochi istanti dopo, la serratura scattò. In un liscio movimento del legno, uno spiraglio sufficiente a far passare una persona si aprì, mostrando gli occhi bianchi e i capelli scuri di Hinata.

Sasuke non seppe dire con certezza se fu Naruto o Shikamaru, il primo ad alzarsi. Notò solo che Nara perdeva pian piano il suo proverbiale autocontrollo, quando si trattava dell’Inuzuka.

E non ci voleva un genio per capirlo.

Sembrava proprio un pierrot la cui maschera si sgretolava pian piano.

E non era un bene, per lui.

<< Come sta? >> chiese subito Shikamaru con un moto d’apprensione, anticipando solamente di pochi istanti la domanda di Naruto.

La Hyuga, colta da un momento di esitazione al cospetto di tutti quegli sguardi, dovette deglutire due volte prima di articolare una risposta: << B-bene >> disse << o-ora sta… riposando. Si rimetterà presto >> concluse, le guance colorate di un velo rossastro.

Trassero tutti un sospiro di sollievo.

<< Possiamo entrare? >> chiese poi Sakura alla ragazza, che istintivamente unì gli indici sotto il mento, abbassando gli occhi per non guardarla in faccia.

<< S-sì, certo… entrate pure, Kabuto-san sta per uscire… >> bofonchiò prima di farsi indietro, in modo da far passare tutti coloro lì riuniti ad aspettare quella notizia.

Tutti, tranne Sasuke.

Lui restò all’esterno infatti, appoggiato con le natiche alla parete e osservando Naruto sparire dietro la porta bianca dell’infermeria.

Attese qualche istante, il tempo utile alla porta per richiudersi automaticamente, prima di parlare: << credevo che il tuo compito fosse di tenere d’occhio mio fratello, Hyuga >>.

Dall’angolo oscuro del corridoio, con le braccia incrociate in vita, l’arcangelo mosse qualche passo fino a entrare nel fascio di luce scarlatta del Sole, ormai del tutto svanito oltre l’orizzonte.

Di una bellezza inquietante si fermò a poca distanza dal minore degli Uchiha. L’espressione, come al solito, non tradiva particolari emozioni.

<< Ho anche altri compiti >> tagliò corto, spostando lo sguardo dal moro alla porta bianca.

Sasuke detestava la sua mania di vestire sempre di bianco. Sembrava che, così, anche senza farlo apposta stesse ribadendo la sua posizione all’interno della gerarchia angelica.

Cosa che odiava oltremodo, dato che lui non era più parte di tale gerarchia… anche se, a dire il vero, non se ne era mai sentito parte integrante.

Un angelo nato in un clan di mezzi demoni. Era ridicolo, visto da fuori… e anche sacrilego, in un certo senso.

Neji spostò nuovamente i suoi occhi candidi sull’Uchiha, osservandolo direttamente nelle iridi ossidiana. << Sta bene? >> chiese poi, indicando con il capo la porta dell’infermeria.

Sasuke annuì con il capo, chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, la sua voce suonò decisa e perentoria: << quanti ordini stai eseguendo, Hyuga? >> chiese, spostando di poco il capo per osservarlo direttamente << e da quante persone, soprattutto? >> aggiunse, arrivando al punto senza tuttavia domandarglielo direttamente.

Neji, inizialmente, non rispose. Si limitò a fissarlo, studiarlo quasi, scrutandolo con quelle iridi bianche come se volesse leggergli l’anima.

<< Non credo siano fatti tuoi, Uchiha >> rispose poi, distogliendo nuovamente lo sguardo.

<< Oh, sì invece >> rispose subito Sasuke, osservando in tralice il muro di fronte a lui. << Solo uno scemo non si accorgerebbe che troppe cose stanno gravitando attorno all’Inuzuka, ultimamente. L’Inuzuka è amico di Naruto… >> ragionò Sasuke a voce alta, riprendendo pochi istanti dopo: << …e se c’è la possibilità che Naruto sia tirato nel mezzo, riguarda anche me >> tagliò l’Uchiha, tornando con gli occhi allo Hyuga, che lo fissava nuovamente a sua volta.

Lo sguardo di Sasuke pretendeva risposte e quello di Neji non dimostrava la minima intenzione di fornirle.

Tuttavia, uno dei due doveva cedere… e non era di certo l’Uchiha, quello vincolato a seguire le regole imposte da Colui che tutto vede e tutto può.

Neji sospirò, appoggiandosi con la schiena alla parete di fronte al moro, le mani ancora incrociate al petto. << E’ un favore… >> rispose solamente, breve e conciso, il minimo indispensabile per soddisfare la curiosità di Sasuke.

<< Quelli come voi non fanno favori. A voi non è concesso il libro arbitrio >> ribatté Sasuke con un moto di stizza, sottolineando il “voi” con l’indurire della voce.

Fu il turno di Neji di alzare il capo in modo seccato, rispondendo al moro per le rime: << No, Uchiha. Noi il libero arbitrio lo possediamo, ma dobbiamo contenerlo >> precisò l’arcangelo, accentuando il pronome personale come eco alle parole del moro.

Sasuke lo guardò in tralice, sospirando poi e, chiudendo gli occhi, decise di lasciar perdere. Era inutile prendersela con l’arcangelo, non c’entrava niente in tutta quella storia.

In tutta la sua storia.

<< E’ Michele, vero? >> chiese poi, puntando nuovamente lo sguardo sulla porta bianca dell’infermeria. << Ho riconosciuto il crocifisso del suo rosario… >> fornì come spiegazione, attendendo nel silenzio una risposta.

<< Anche lui ha un ordine da eseguire >> fu la semplice risposta di Neji, prima che il ragazzo si distaccasse dal muro e, tornando sui suoi passi, ripercorresse il corridoio a ritroso.

Sasuke chiuse gli occhi, sospirando piano.

Fra tutti gli arcangeli e gli angeli, probabilmente Michele era l’unico che non avrebbe mai smesso di ringraziare.

E, al contempo, l’unico che non avrebbe mai smesso di detestare.

Perché se lui lo avesse lasciato nel clan, non sarebbe successo niente.

Se lui avesse chiuso quella questione secoli prima… non sarebbe successo niente.

 

Naruto & Sasuke’s Song

Legami e Catene

 

Poteva ricordare nitidamente il giorno in cui l’odio per suo fratello aveva messo radici nel suo cuore.

La notte era scura, e le nuvole che coprivano le stelle cariche di pioggia.

Ma non pioveva. Una luna rossa, anzi, troneggiava nel buio non appena si apriva uno squarcio in quel manto di nubi.

Ricordava bene quelle maestose ali dorate, brillanti quasi come quel Sole che poche volte aveva visto; una veste di un purissimo bianco sormontata da drappi scarlatti, una carnagione chiarissima, un paio di occhi azzurri da sembrare fatti di ghiaccio fuso e, a completare la visione, corti capelli castano chiaro ad incorniciarne il viso delicato.

Al fianco, nascosta da un fodero, l’elsa dorata di una spada fatta di cristallo sfiorava appena la stoffa candida.

Al collo, invece, ondeggiava un rosario dalle perline color rubino e dalla croce d’oro.

Probabilmente, era l’apparizione più bella che avesse mai visto nella sua vita fino a quel momento.

Oppure, probabilmente, quell’essere era la fonte di quelle risposte che da tanto tempo inutilmente cercava.

Le cercava nelle parole elusive della madre.

Le cercava negli sguardi feriti del padre.

Le cercava nei silenzi incomprensibili di suo fratello.

Le cercava nel suo riflesso alle specchio. Perché alle sue spalle, al posto di quelle ali scure e grezze che vedeva spiegare a tutti quelli del clan, comparivano ali bianche.

Ali angeliche.

E, dopo un po’ di tempo, aveva cominciato a credere di essere diverso da tutti gli altri.

Ma non un diverso in senso buono, come lo era Itachi con il suo Sharingan ipnotico. Un diverso particolare, un diverso che spaventa.

Un diverso sporco. Oppure, se vogliamo metterla in termini più appropriati, un diverso troppo “pulito” per un clan come il loro.

Un clan di mezzi demoni.

Ricordava a malapena, ora, l’affetto che provava per suo fratello maggiore.

Un affetto fatto di piccoli gesti e di continue sfide.

Perché Itachi era il migliore e lui, che voleva essere grande, doveva superarlo. Batterlo, per diventare lui il migliore.

Per far vedere a suo padre che non era da meno. Per rendere sua madre fiera di lui.

Per conquistarsi il tempo del fratello, che troppo spesso era preso da altri problemi che lui non capiva.

E che, ad anni di distanza, ancora non comprendeva.

Quella notte, al chiarore scarlatto di una luna piena, suo fratello lo aveva preso per mano e, chiamandolo per nome, lo aveva guidato agli estremi del quartiere in cui il suo clan viveva.

Lo aveva portato ad incontrare quell’angelo dalle ali come il Sole.

Lo aveva letteralmente venduto.

Poteva ricordare le parole, i discorsi, i toni. Quello basso di Itachi, quello melodico dell’arcangelo dalla spada di cristallo.

<< Allora le dicerie erano vere. E’ proprio un angelo >> aveva detto lo sconosciuto.

<< Sì >> aveva risposto Itachi, senza lasciare andare la mano di Sasuke.

Le labbra sottili e perfette dell’essere celeste si stirarono in un sorriso quasi evanescente. << Non dovrebbe stare qui. Anzi, mi sorprende che siate riusciti a tenerlo nascosto finora >>.

<< Non ce la farò per molto ancora >> rispose Itachi, ma con il tono sbrigativo di chi sembrava aver cambiato discorso. Di chi, nonostante la frase combaciasse perfettamente con un’ideale risposta, in realtà non intendesse esattamente quello che aveva detto. << Portalo con te. Un angelo non può stare in un clan di mezzi demoni, è contro natura >> decretò il maggiore degli Uchiha, lo sguardo che non esprimeva niente.

Niente.

E forse, nonostante il fatto in sé, fu proprio quella dimostrazione di indolenza a colpire Sasuke diritto al cuore.

E a trasformare quel silenzioso affetto in un rumoroso e lacerante odio.

Un risata cristallina provenne dalle labbra di pesca dell’essere dalla pelle color avorio. L’espressione pacifica propria di un vero angelo rivelava parole dure, intrinsecamente offensive: << Con esseri come voi, come noi, non si può considerare la “natura” come un punto fermo, non credi mezzo demone? >> chiese e, nel farlo, sorrise.

Itachi sorrise a sua volta, ironicamente. Sasuke lo vide, lo guardava dal basso mentre inutilmente cercava di ritirare la mano della stretta ferrea che la imprigionava. << Probabilmente… >> rispose all’angelo.

Con uno sforzo portò avanti la mano in cui imprigionava quella del fratello minore, lanciandolo con malagrazia verso l’arcangelo. << Prenditelo e portatelo via, Michele. Qui è solo d’impiccio >> sentenziò.

Non si ricordava, però, di aver risposto qualcosa o urlato qualcos’altro.

Probabilmente aveva mentalmente e ripetutamente urlato il nome di suo fratello mentre, fra le lacrime, ne osservava la schiena allontanarsi sempre di più.

Quello che avrebbe poi conosciuto come l’Arcangelo Michele lo aveva preso fra le braccia e, con facilità, lo stava portando lontano, in volo sopra la Terra e fino al Cielo.

Fino ad un Paradiso dove, comunque, si sarebbe sentito un come un demone in mezzo agli angeli.

Alla fine non sarebbe cambiato niente.

 

<< E dunque ti ha portato qui? >> esordì una voce al suo fianco, squillante e alta nonostante fossero abbastanza vicini per sentirsi a vicenda.

Sasuke annuì, riaprendo gli occhi su quel mondo lattiginoso denso come nebbia.

Disteso sul prato color perla, le ali bianche aperte sotto la schiena e gli occhi neri puntati al cielo luminoso e color latte. Il Paradiso tutto era bianco, tutto era luminoso… non era per niente come la Terra in cui abitava prima.

Sempre pieno di luce, sempre pieno di beati e sempre pieno di esseri alati e cori angelici. Anime pure.

Come il ragazzo che, seduto a gambe incrociate accanto a lui, era finalmente riuscito a scucirgli la storia di quando era stato portato nel Primo Cielo dall’Arcangelo Michele.

Ci aveva messo cinque anni per farlo parlare, ma alla fine ci era riuscito.

Cinque anni in cui era riuscito, non senza sforzo ma senza fatiche particolari, a guadagnarsi la sua fiducia.

Naruto Uzumaki. Ovvero, il suo migliore amico.

O il suo unico vero amico, dato che tutti gli altri o lo evitavano per il cognome che portava… oppure gli stavano vicino proprio per lo stesso motivo.

Il fatto che, effettivamente, gli Uchiha fossero mezzi demoni e lui fosse un Uchiha nato angelo, attirava curiosità… e curiosi.

Naruto assottigliò gli occhi, fissandolo con un sopraciglio alzato e con le sue iridi azzurre come uno dei cieli più tersi. Si portò una mano al mento, le ali bianche si mossero appena e, con il tono crucciato di chi sta spingendo i neuroni al massimo dei giri, esordì con una seconda domanda: << dunque… non vedi i tuoi genitori da quanto? >>

Sasuke lo guardò pacatamente, rimanendo serio. Non sorrideva mai e Naruto era pressoché insopportabile a volte; ma quando il biondo se ne stava buono e tranquillo, doveva ammettere che la sua compagnia fosse l’unica che sopportava per più di un quarto d’ora.

<< Cinque anni >> rispose solamente, incrociando le gambe fasciate da un paio di pantaloni bianchi.

Che, con la maglia a maniche lunghe bianca e dal taglio semplice, caratterizzava la “divisa” che tutte le aspiranti Intelligenze Angeliche portavano.

Perché in quel Cielo, nascere con un paio d’ali era solo il primo passo. Dopo un certo periodo di addestramento, ogni angelo diveniva Intelligenza Angelica e contribuiva alla causa imparando a tenere in moto il primo Cielo, che poteva essere mosso esclusivamente dalla categoria degli Angeli.

Il Secondo Cielo era mosso dagli Arcangeli, il Terzo dai Principati… fino all’ultimo, il Nono Cielo, mosso dai Serafini.

I Serafini erano la categoria più importante di Intelligenza Angelica, ed erano anche quelli più vicini alla Luce di Dio.

Servivano millenni, per diventare Serafino.

Ma a lui non è che importasse così tanto.

<< Non ti mancano? >> chiese poi Naruto all’improvviso, a bassa voce, dopo qualche istante di silenzio. Sasuke, colto alla sprovvista, non lo diede però a vedere.

<< Non particolarmente… >> rispose solo.

Quando pensava ai suoi genitori tornava a galla l’odio per Itachi che cercava di nascondere, anche se inutilmente.

Ma in Paradiso non si odia, si ama. Si ama e basta, tutti, indiscriminatamente.

Per questo non capiva. Se lui provava odio, voleva dire che non era del tutto angelo, no? Che aveva anche una parte di demone in lui, seppur minuscola, seppur nascosta.

Perché lo avevano portato lì? Solo perché era nato con un paio d’ali?

Chiuse nuovamente gli occhi, cercando di togliersi quei pensieri dalla testa.

<< E tu? >> chiese poi, rivolgendosi al biondo. Se si distraeva, non pensava. E se non pensava… era decisamente meglio.

Naruto roteò gli occhi, facendosi indietro con la schiena e portando le mani a contatto con l’erba perlacea, utilizzandole come sostegni. << Boh >> rispose sinceramente: << sono qui da quando ne ho memoria >>.

Già, un emarginato rispetto a tutti gli altri angeli, che come tale lo trattavano.

Quella storia Sasuke la sapeva già.

Probabilmente, era proprio il fatto di essere soli che li accomunava almeno un po’… anche se all’inizio non potevano guardarsi che finivano immancabilmente per litigare.

Ma, a volte, vedendo quel comportamento si era chiesto dove fosse quell’amore di cui il Paradiso era tanto pieno.

Il moro sospirò, tornando ad aprire gli occhi su quell’atmosfera lattiginosa e argentea degna del Cielo della Luna. Era un posto tranquillo, alla fin fine.

<< Ok, è ora di tornare al lavoro! >> esclamò Naruto a voce alta, interrompendo per l’ennesima volta il rilassante silenzio venutosi a creare. << Lavoro, lavoro, lavoro, lavoro, lavoro! >> ripeté, buttando le mani a terra e alzandosi sfruttandole come appoggio.

Sai che bello, imparare a muovere il Cielo…

Sasuke riaprì gli occhi lentamente, osservando l’amico rialzasi in piedi con espressione allegra, scrutando all’orizzonte fino a dove permetteva la nebbia chiara che aleggiava di tanto in tanto in quel cielo e nella quale camminavano i beati. Occhi azzurri, capelli biondi… Naruto era lo stereotipo dell’angelo, e le ali bianche che aveva spiegate dietro la schiena completavano molto bene il quadretto.

Lo osservò quasi in trance mentre gli sorrideva di sbieco, guardandolo dall’alto in basso con espressione a metà fra lo sbruffone e il divertito. << Che c’è Uchiha, ti sei innamorato di me? >> domandò poi, portandosi una mano ai capelli con fare teatrale e ravvivandosi la chioma bionda.

Sasuke rispose con un “tsk” molto esplicativo -ovviamente in senso ironico- mettendosi seduto sull’erba e fissandolo con uno sguardo di giocosa sufficienza: << ti piacerebbe, vero Uzumaki? >> rispose stando al gioco, ascoltando il borbottio alterato del biondo.

Se solo avesse potuto, probabilmente…

I suoi pensieri furono interrotti sul nascere dalla mano aperta dell’altro davanti al suo volto. Alzando gli occhi, il moro poté notare un piccolo sorriso complice fra la giovialità del suo sguardo, mentre gli tendeva la mano per aiutarlo ad alzarsi.

L’Uchiha, come aveva fatto altre volte, la accettò con un invisibile sorriso gentile, sotto la dura e fredda maschera di noncuranza.

Sorriso che, non sapeva come, Naruto vedeva sempre. L’unico che ci riusciva, in tutto quello sconfinato mondo paradisiaco.

Avrebbe potuto accettare molte altre volte, di prendere fra le dita quella mano calda e luminosa…

Il biondo lo aiutò a tirarsi in piedi e, una volta che anche il moro si fu alzato da terra, rimasero per qualche istante l’uno di fronte all’altro.

Gli occhi scuri di Sasuke, pacati e inesplorati come uno specchio nero, ormai da qualche tempo rimanevano, a volte, immobili in quelli azzurri di Naruto… come se stesse osservando, tramite di essi, il cielo.

Ma non uno dei Cieli di quel Paradiso. Il cielo terso che si vede dal mondo dei mortali nelle limpide giornate estive.

E, dal canto suo, l’Uzumaki non sembrava essere in fastidio da quella specie di attenzione. Se “attenzioni” si potevano chiamare.

<< Sasuke… puoi anche lasciare la mia mano, ora… >> disse poi il biondo, portando per un attimo le iridi cerulee sulle loro mani ancora l’una nell’altra.

Mossa che fece anche Sasuke, osservandole. Non se ne era accorto minimamente, preso com’era dalle sue congetture mentali.

In silenzio, senza dire nulla, disciolse la presa e portò alle tasche entrambe le mani. << Andiamo >> pronunciò prima di incamminarsi sul prato, seguito a ruota da un Naruto blaterante qualcosa sulla sua asocialità o sul suo carattere terribile.

Sorrise lievemente, intimamente divertito.

 

 

C’erano tantissime cose che odiava, e pochissime che gli piacessero.

E ancora meno erano quelle che riuscivano ad entrare nella sua rosa delle preferenze. Rosa di cui dubitava persino l’esistenza, a dire il vero.

Tuttavia, parlare con Neji Hyuga era una di quelle particolari situazioni che meritavano un posto riservato nella sua lista nera.

La pecca era che, a volte, era necessario farlo.

Lo Hyuga era responsabile dell’addestramento degli angeli. O almeno, era un supervisore che sostituiva il vero responsabile, in giro sulla Terra per ordine dell’Altissimo.

Che poi, cosa ci fosse effettivamente da supervisionare non era ancora riuscito a capirlo del tutto. L’allenamento stava nel meditare e concentrarsi per svariate ore, dato che era con la mente che gli Angeli muovevano il Cielo della Luna, dunque niente di così turbolento da richiedere la presenza di un neo-arcangelo nelle vicinanze.

A parte Naruto che finiva immancabilmente per addormentarsi, ma questi erano casi rari che capitavano sempre e solo al biondo.

Il fatto non era, principalmente, che la presenza dell’arcangelo lo infastidisse. Più che altro, incredibilmente, era il fatto che avesse un rapporto così… sereno… con Naruto.

Perché Neji Hyuga era una persona che non sorrideva mai. Più o meno come lui. Ma davanti a Naruto sfoggiava quasi sempre un’espressione rilassata e gentile, stirando molte volte le labbra in lievi sorrisi mentre ascoltava il biondo blaterare sulla prima cosa che gli passava per la testa.

E, per un qualche motivo, non gli andava interamente a genio.

ma non erano affari suoi alla fin fine, no? Così lasciava perdere, evitando di guardarli per non perdere la concentrazione.

O almeno, la maggior parte della volte.

Tuttavia quel giorno c’era qualcosa di diverso. Per la prima volta da molto tempo -non sapeva nemmeno identificare quanto- non fu Neji a presentarsi per supervisionarli, ma l’Arcangelo Michele.

Sasuke se lo ricordava molto bene. Dopotutto, era stato lui a portarlo in Paradiso, a separarlo dalla sua famiglia…

No, non doveva cadere in errore. Se ora non poteva più vedere i suoi genitori non era colpa di Michele, o di Dio… ma di Itachi.

Era stato lui a “venderlo”.

Michele non c’entrava niente.

Tuttavia, nonostante il cambiamento non influisse particolarmente sul solito scorrere del tempo, qualcosa era palesemente diverso dal solito, quel giorno.

Il fatto, per esempio, che l’Arcangelo non avesse smesso un attimo di guardare Naruto. Oppure perché lo stesso Naruto, solitamente vivace e solare, si stesse sforzando tremendamente di mantenere lo stesso sorriso di sempre, senza in realtà riuscendoci davvero.

Che succedeva?

Era proprio questo che era andato a chiedere a Neji, alla fine dell’esercitazione. Ed era proprio l’unica risposta che lo Hyuga non gli aveva dato.

Anzi, non gli aveva proprio parlato. Come se non volesse aprire bocca… o come se non potesse.

Stoppò la sua camminata ai margini del Secondo Cielo, portando gli occhi neri a guardare dall’alto il biancore perlaceo dell’atmosfera che circondava il Primo Cielo. Spiegò le ali candide, distendendo le piume in coda adibite al volo, piegandosi di poco sulle ginocchia per prendere il giusto slancio.

Non aveva mai avuto problemi di sorta nel volo. Anzi, gli riusciva facile. Era una delle tante cose che aveva imparato per dimostrare alla sua famiglia quanto fosse bravo… anche se gli avevano impedito di spiccare il volo, appena saputolo.

Era già sufficientemente vistoso, aveva detto suo padre. Mancava solamente che si mettesse a volare in giro per il quartiere Uchiha.

Saltò e, prima che cominciasse la caduta, le ali lo sorressero automaticamente.

Volò.

Probabilmente il volo era una delle pochissime cose in grado di mettere ordine nella sua testa. L’aria che gli sferzava il viso, il tendersi dei muscoli infra-scapolari ad ogni battito d’ali, il silenzioso rumore delle sue piume a contatto con l’aria… erano rilassanti.

Pacifici.

Respirando a pieni polmoni la purezza dell’aria del Paradiso, chiuse per un attimo gli occhi sullo scenario luminoso che si vedeva da quel punto del Cielo.

Nello sfondo di un tramonto all’inizio della calata del Sole, composto da colori ad acquarello arancioni e azzurri con sfumature rossastre, il Cieli del Paradiso si stagliavano con i propri toni cromatici caratteristici, come macchie di colore su quella tela uniforme dai pitture calde. Ancora più giù del Primo Cielo -dove stava tornando- si poteva vedere la macchia verde dell’Eden, la parte più alta della montagna del Purgatorio.

Il passaggio fra due Cieli era uno degli spettacoli più belli che avesse mai visto… e, in definitiva, una delle poche cose che amava.

Capitava raramente che avesse il permesso di raggiungere il Cielo di Mercurio, dimora degli Arcangeli, ma quando succedeva era quasi una fortuna dal suo punto di vista.

Avrebbe dovuto mostrarlo a Naruto, quel panorama…

<< Sasuke! >> una voce cristallina e melodica interruppe i suoi pensieri, attirando la sua attenzione senza tuttavia spezzare la serenità del momento.

Si fermò, dando un colpo di ali più veloce e potente in avanti, di modo da rimanere fermo alla stessa altitudine senza rischiare di scendere di qualche metro. Voltando poi il capo verso destra, in direzione della fonte di rumore, rimase quasi sorpreso di poter vedere nuovamente quello sguardo di ghiaccio rivolto a lui, dopo tutti quegli anni dall’ultima volta che si erano parlati.

Fermo non molto distante, le ali dorate spiegate elegantemente nell’aere, gli occhi chiari di Michele lo guardavano dolcemente.

Solo lui aveva la capacità di interrompere i suoi ragionamenti personali senza spezzare la pace di quello spettacolo mozzafiato.

L’Arcangelo gli fece un cenno con la mano e Sasuke, inclinando appena il busto e sbattendo le ali bianche una seconda volta, lo raggiunse volando lentamente e in maniera perfetta. Si fermò poi davanti a lui, abbassando per qualche secondo il capo in segno di saluto e rispetto. << Aveva bisogno di me? >> chiese il moro rialzando il volto, osservando direttamente l’arcangelo.

Lui rise, lo stesso tintinnare di una campana a vento di cristallo.

<< Non c’è bisogno che mi dai del lei, Sasuke. Chiamami Michele. Tanto, quando ti portai qui, mi sono sentito rivolgere epiteti peggiori… >> parlò lui nella melodia della sua voce suadente.

<< …va bene >> rispose Sasuke poco dopo, distogliendo lo sguardo. Michele brillava quasi di luce propria, e nonostante anche lui fosse un angelo (o una sottospecie) non riusciva a guardarlo negli occhi troppo a lungo.

L’Arcangelo annuì, per poi divenire serio d’un tratto. << Scusa se ti intercetto fra un Cielo e l’altro, Sasuke, ma non posso parlarti in altro modo, quassù >> disse subito, abbassando il tono di qualche ottava.

Sasuke sapeva che Michele non era esattamente l’esempio di perfezione assoluta, nel rispetto delle regole. Anche lui aveva commesso i suoi peccati, nonostante ciò che era, dando peso a quel libero arbitrio che gli Arcangeli dovrebbero ignorare per ordine divino e per il bene degli uomini.

Se un’autorità come lui si trovava a metà fra il Cielo di Mercurio e il Cielo della Luna… probabilmente non era lì per motivi “formali”.

Oppure, non solo per quelli.

E se si riferiva al Paradiso usando un “quassù” con evidente ambiguità di significato, probabilmente la questione era importante.

Annuì appena, facendosi serio mentre si preparava a sentire cosa avesse da dire.

Anche l’arcangelo si fece serio, mantenendo il tono basso nel parlare: << ho ricevuto notizie dalla Terra, Sasuke… e non sono confortanti >> cominciò, guardandosi attorno come se dovesse spuntare fuori qualcuno da un momento all’altro.

Sasuke seguì istintivamente lo stesso esempio, facendosi per un attimo preda di una leggera ansia, per poi tornare con lo sguardo su Michele per ascoltare il resto.

l’altro, riportando l’attenzione sul ragazzo, continuò con una nota di rassicurazione nella voce.

<< Riguardano il tuo clan. Pare che Itachi… li abbia uccisi tutti >> disse, posandogli al contempo una mano sulla spalla. << Mi dispiace… >> aggiunse, sinceramente dispiaciuto.

A Sasuke si gelò il respiro in gola. Sgranando gli occhi non fece altro che fissare un punto vuoto di fronte a sé, incredulo, sconcertato dalla notizia che aveva appena appreso per bocca di Michele.

Li aveva uccisi tutti.

No, non era esatto. Li aveva sterminati tutti.

Ciò voleva dire che non avrebbe rivisto sua madre, o suo padre, o i due signori che alla mattina lo salutavano sempre, nonostante fosse diverso… nonostante non fosse nato angelo.

Se prima nutriva comunque una leggera speranza… ora era sparita anche quella.

Poteva ricordare nitidamente il giorno in cui l’odio per suo fratello aveva messo radici nel suo cuore.

Ma ora, molto più nitidamente, ricordava quello in cui quell’odio era cresciuto, infestando tutto ciò che in lui ancora viveva.

Come l’Edera che, arrampicandosi sul tronco della Magnolia, ne risucchiava la linfa fino a farne morire i fiori.

E l’unico pensiero che riuscì ad avere in quel momento, fu l’omicidio. L’unico desiderio, la vendetta.

In un solo istante tutto… tutto divenne color della notte. E tutto, in quello stesso istante, si intrise di sangue.

Scoprì che nella sua vita in Paradiso mancava di una cosa fondamentale. Una cosa che agli Angeli non serve, ma che in momenti come quello tornava utile per capire veramente cosa significasse vivere.

Gli mancava uno scopo.

E ora che aveva lo scopo, un obiettivo… lo avrebbe portato a termine. A qualunque costo.

Probabilmente Michele cercava di dirgli qualcosa, qualcos’altro oltre a quello che gli aveva già rivelato. Probabilmente cercava di fermarlo… probabilmente. Ma lui se ne rese conto solamente dopo, quando già le sue ali bianche si erano spiegate, rabbiose dietro la sua schiena, e con una virata improvvisa si era lanciato in picchiata oltre i Cieli del Paradiso, diretto oltre il Purgatorio… diretto sulla Terra, sul mondo dei mortali.

Mondo dove dovevano stare mezzi demoni e mezzi angeli. Mondo in cui venivano recluse le creature di Dio e le creature che sfuggivano al suo controllo.

Mondo… in cui tutto il suo clan era scomparso.

Mondo che si sarebbe tinto del sangue di Itachi Uchiha.

Aumentò la velocità. I capelli corvini sferzavano veloci le sue guance, la temperatura si abbassava pian piano nella folle corsa verso la sua vendetta, la sua vista si oscurava di tutto quello che aveva provato, di tutti i legami che aveva creato. Accecato dall’odio, accecato dall’ira.

Ma non andò oltre. Agli angeli non è permesso scendere nel mondo mortale, se non viene loro ordinato.

Prima che potesse uscire dai limiti del Paradiso Celeste una folgore dorata gli si parò davanti, puntandogli alla gola una famigliare spada fatta di cristallo e oro. Davanti a lui, in un’espressione alterata come non ne aveva mai viste sul suo volto dai dolci lineamenti perfetti, Michele lo minacciava silenziosamente.

<< Sasuke, torna immediatamente indietro >> pronunciò poi, pacatamente nonostante fosse palesemente in guardia.

<< No! >> sbottò il moro, impuntandosi.

<< Sasuke, torna sul Primo Cielo prima che il Signore se ne accorga! Finiresti nei guai! >> cercò di convincerlo l’arcangelo.

<< NO! >> urlò lui, sfigurando il volto in un’espressione dominata dall’ira. << Levati dai piedi! >> aggiunse in seguito, spiegando ancora di più le ali con un aspetto minaccioso.

Le iridi nere si schiarirono, assumendo una colorazione scarlatta. La pupilla si dilatò, poi si divise in tre piccole virgole nere che si disposero in maniera particolare su quel mare rosso nell’iride.

Lo Shraingan.

La dimostrazione che un Uchiha, anche se nato angelo, rimane pur sempre un Uchiha.

Era impossibile credere di avere un angelo dal sangue puro in una famiglia di mezzi demoni… e questo anche Itachi lo sapeva.

Anche Michele, lo sapeva.

Si mise in guardia, portando entrambe le mani all’elsa d’oro della sua spada, spiegando le ali per avere maggiore stabilità e posando l’occhio sul filo della lama.

Sapevano entrambi che non avrebbe attaccato. Era dannatamente troppo buono per farlo.

O, anche se non lo era, non lo avrebbe fatto comunque per motivi suoi.

Fu così che Sasuke, ignorando la minaccia dell’arcangelo, scattò comunque in avanti, puntando con lo sguardo alla sua meta ultima: il piano dei mortali.

La Terra.

e passò oltre.

<< Fermati Sasuke! >> urlò Michele inutilmente, voltandosi di scatto al suo passaggio.

Poi, improvvisamente, un bagliore candido infranse l’aria.

Un dardo d’oro dalla punta in diamante, passando vicino all’orecchio di Michele, ruppe l’aria con un sibilo acuto quasi fastidioso.

Dardo che colpì Sasuke ad un’ala, facendolo gridare dall’improvviso dolore.

Sasuke cercò di resistere, di utilizzare un’ala ferita che pian piano si colorava con rivoli di sangue, macchiando le candide piume… ma cedette al dolore.

Le avrebbe riconosciuto fra mille, Michele, anche se tutte uguali, poiché erano millenni che ne vedeva… come erano da millenni che conosceva il portatore di tali frecce.

Alzò il viso alla sua destra dove, nel cielo, una figura dalle ali dorate si stagliava alta nella luce divina. Pelle chiara, talmente delicata da apparire quasi come porcellana; un viso dai lineamenti perfettamente aggraziati incorniciato da una cascata di lisci capelli biondi, raccolti in parte con una treccia che si appoggiava morbidamente su di una spalla. Occhi blu profondi come laghi erano incastonati sotto un paio di sopracciglia sottili e arcuate, bionde, crucciate ora in un’espressione seria e concentrata. Il corpo, esile e perfetto, era avvolto in una tunica bianca drappeggiata di verde smeraldino.

Fra le mani, la corda appena tesa ancora vibrante, un arco fatto di oro e diamante.

L’Arcangelo Raffaele in tutta la sua maestosità.

Michele sospirò, abbassando la spada. Se c’era lui, voleva dire che ormai Dio era a conoscenza di tutto.

E solo una persona poteva aver avvisato Raffaele…

<< Michele… >> sentì poi da dietro, un’intonazione melodiosa per il suo nome, pronunciato con una intrinseca delicatezza.

Osservandolo con la coda dell’occhio, il terzo Arcangelo comparve alla sua vista. Sasuke fra le braccia, ferito ma ancora semi-cosciente, sembrava non voler più opporre resistenza alla presa dell’essere che ora lo tratteneva.

Un volto dai lineamenti dolci lo osservava ora, serio ma dolce al contempo, come quello di una madre che riprende il figlio.

La pelle rosata e soffice, morbida alla vista e anche al tocco, era da perfetto sfondo per la sua presenza eterea, paradossalmente intangibile. Un viso dalle linee dolci incorniciato da caldi boccoli rossicci, che scendevano elegantemente sulle spalle fino alle scapole, adagiandosi fra le ali spiegate. Un paio d’occhi color giada talmente chiari da sembrare screziati d’oro erano incastonati nell’insieme di quel volto, dandogli una parvenza ancora più gentile di quello che in realtà fosse. Il corpo minuto ma perfettamente proporzionato era avvolto in una veste di puro bianco drappeggiata di blu zaffiro.

Sui capelli inoltre, dietro la nuca, due fiori bianchi di giglio fungevano da fermacapelli.

L’Arcangelo dell’Annunciazione, il Messaggero di Dio… Gabriele.

Michele si rilassò completamente, osservandoli entrambi ad alternanza. << Cosa ci fate qui? >> chiese poi, guardingo.

Sapeva già quale sarebbe stata la risposta.

Gabriele sembrò voler rispondergli per primo, ma venne interrotto dall’altro arcangelo. << Evitiamo i problemi >> sentenziò Raffaele, osservandolo dall’alto in basso << cosa che dovresti fare tu >> aggiunse.

<< Sasuke non sarebbe stato un problema >> ribatté subito Michele << lo avrei fermato prima dell’Eden, sarebbe tornato indietro! >> si difese pacatamente, sostenendo però con forza le sue idee.

Raffaele lo guardò beffardo, un sopracciglio che si mosse appena in quel suo viso ritraente un livello di bellezza molto vicino alla perfezione. << Ho già sentito parole come queste… >> pronunciò distaccato << se non sbaglio, avevi detto la stessa cosa di Lucifero. E sappiamo tutti com’è andata a finire >> aggiunse, precisando.

Trattennero il fiato. Sasuke poté chiaramente sentire Gabriele smettere di respirare, in quando era praticamente appoggiato con la schiena al suo petto, mentre lo sorreggeva. Non poteva però vedere l’espressione di Michele, dato che la vista si sfocava sempre di più, come se il Paradiso stesse per essere ricoperto dalla nebbia.

Poi, il tuono nella voce del Messaggero di Dio: << Raffaele! >> sbottò in uno scatto d’ira << non osare pronunciare quel nome in questo luogo! >> disse poi, osservando l’arciere con occhi furenti.

Dal canto suo, Raffaele sostenne lo sguardo. Poi, dopo qualche istante di silenzio, scostò il capo, facendo per andarsene.

<< Portalo nel Secondo Cielo, è affar tuo >> pronunciò verso Michele, apaticamente. << Noi abbiamo anche Naruto a cui pensare, non c’è tempo per… >>

Ma Sasuke non riuscì mai a sentire il seguito della frase.

A causa della ferita e del dolore perse conoscenza, addormentandosi placidamente.

 

 

Quando si risvegliò, la prima cosa che vide fu la sabbia bruna del Cielo di Mercurio.

Si sentiva indolenzito, la schiena appoggiata ad una superficie irregolare e spigolosa, la testa pesante. Ancora intontito cercò di spiegare le ali, dovendo però bloccarsi subito dopo il gesto.

L’ala ferita, solo a quel piccolo movimento, dolse particolarmente.

<< Ti consiglio di non muoverla troppo, se vuoi che guarisca in fretta >> esordì una voce non poco distante, il tono melodioso ormai famigliare. << Le frecce di Raffaele possono uccidere un demone, ma procurano notevoli danni anche agli esseri angelici >> aggiunse esplicativo Michele, osservandolo seduto su di una roccia a qualche metro da lui.

Sasuke si accorse poi, alzando lo sguardo sull’arcangelo, di essere rinchiuso fra quattro mura formate da sbarre di vetro. E, senza potersi controllare, sorrise ironicamente.

Nel silenzio che seguì fu l’arcangelo a riprendere parola, interrompendo quell’innaturale pausa pesante come il piombo.

<< Ti rendi conto di quello che stavi per fare, Sasuke? >> chiese Michele con voce pacata, sempre osservandolo con i suoi occhi di ghiaccio.

il moro spostò il suo sguardo ossidiana sull’arcangelo, fronteggiandolo senza cedimenti. << Sì, lo sapevo >> rispose semplicemente, tacendo. Chiuse poi gli occhi, le labbra si tirarono in un sorriso beffardo ma iracondo al contempo: << Io lo ucciderò, Michele. E né tu, né Dio potrete fermarmi >> aggiunse. Il suo sguardo non esprimeva altro che una profonda convinzione, frutto di quell’odio che ormai si era completamente impadronito di ogni sua cellula, di ogni suo pensiero.

Voleva vendetta, nient’altro. Voleva trapassare il corpo di Itachi con le sue stesse mani, vedere il sangue scivolare lungo le dita, scaldandole, sporcandole.

Voleva ciò che un angelo non potrebbe desiderare… e questo Michele lo sapeva meglio di lui.

Già un’altra volta aveva udito le parole “né tu né Dio potrete fermarmi”… millenni prima, allo scoppiare della guerra fra angeli ribelli e angeli fedeli, fra Dio e chi a Lui si opponeva.

E non aveva mai capito il perché di quel gesto, il motivo per cui alcuni di loro avevano deciso di abbracciare le pulsioni umane più della luce divina.

L’angelo dalle ali d’oro trattenne il fiato, cancellando in fretta ricordi sigillati da troppo tempo che, inavvertitamente, stava riportando a galla dopo troppo tempo. Dopo qualche minuto si voltò nuovamente verso il moro, seduto nella stessa posizione e che lo guardava sempre con gli stessi occhi.

Occhi che dicevano “io lo farò” in una frase muta.

Non riuscì a rimanete in silenzio… << E tu vorresti sacrificare così il paradiso? La tua vita? >> chiese Michele, intristendosi.

Perché sì, non poteva provare altro che pietà.

Sasuke lo guardò seriamente, sostenendo lo sguardo di ghiaccio che sembrava trapassarlo. << il Paradiso? >> chiese poi, ironico: << un Paradiso che non so nemmeno se meritare o meno? No, io non rinuncio a niente, se la metti in questi termini >> rispose il ragazzo tranquillamente.

No, non perdeva niente. Nella sua nuova decisione non c’era posto per niente, non c’era posto per legami… non c’era posto per Naruto.

Anche se il suo viso continuava a tornargli in mente, lo avrebbe ignorato. Così come aveva ignorato il suo ego fino a quel momento.

Nel suo futuro c’era Itachi, null’altro.

Null’altro.

<< Sasuke, se ti trovi qui c’è sicuramente un motivo >> ribatté però Michele, cercando di convincerlo che no, la vendetta non valeva niente, che non era un motivo per vivere.

L’Uchiha lo guardò stupito, disgustato quasi da quelle parole.  << Se mi trovo qui è merito tuo, di una tua disobbedienza passata sotto al naso di Dio! >> ribatté Sasuke sdegnato << di un favore che hai fatto a mio fratello, se ti suona meglio. Io sono un sangue sporco Michele, non dovrei stare qui! >> aggiunse, alzando di un poco il tono della voce.

<< Non pronunciare il Suo nome invano! >> sbottò l’arcangelo in un eccesso d’ira, ridimensionandosi subito dopo. Chiudendo gli occhi e portandosi una mano agli occhi cercò insistentemente di calmarsi, riuscendoci più per abitudine che per vera volontà.

Sasuke, approfittando del silenzio, continuò a protrarre quella sorta di attacco e confessione al contempo. << Michele… perché mi hai portato in Paradiso? >> chiese, attendendo una risposta.

L’arcangelo riaprì gli occhi, osservando un punto vuoto davanti a lui. Prese poi fiato, come se volesse liberarsi di un enorme peso rispondendo a quella domanda… ma la risposta, Sasuke non la udì mai.

Proprio in quel momento, atterrando elegantemente davanti a loro, Neji Hyuga si presentò davanti al superiore con un mezzo inchino.

<< Abbiamo un problema con Naruto… >> cominciò, alzando gli occhi bianchi sul castano. << E’ sceso sull’Eden. Raffaele e Gabriele non possono andarci… e nemmeno io >> commentò, nascondendo inutilmente l’ansia che si poteva percepire nitidamente nella sua voce, all’apparenza ferma.

Il cuore di Sasuke perse un battito. Si alzò, avvicinandosi alle sbarre e appoggiando le mani su di esse, osservando i due esseri celestiali.

Pieno di domande, pieno di… dubbi.

Aveva deciso di ignorare tutti, per il suo scopo, Naruto compreso. Eppure, alla fine, non riusciva a non essere anche solo minimamente in ansia.

Non riusciva a voler rompere quel legame.

<< Cos’è successo a Naruto? >> chiese dunque, rivolgendosi sia a Neji che a Michele.

Lo Hyuga lo ignorò, continuando a parlare con l’altro arcangelo: << cosa facciamo? >> chiese sottovoce, tenendo tuttavia un tono udibile anche da Sasuke.

Il castano si portò una mano al mento, piegando la testa e riflettendo sulla situazione. Non potevano perdere tempo, se quello che sospettava fosse successo all’Uzumaki era veritiero.

Fu in quel momento che il suo sguardo color dell’inverno si posò sull’Uchiha, osservandolo di sottecchi.

Forse poteva funzionare…

<< Manda lui >> disse infine, indicando il moro con un lieve movimento del capo.

Neji sgranò gli occhi, osservandolo stupito nell’udire quelle parole. << Uchiha?! >> chiese a voce, incredulo, spostando velocemente lo sguardo da Sasuke all’arcangelo. << Ma Michele… >>

<< Fidati >> lo interruppe il castano, alzando una mano a livello del viso: << tornerà >> pronunciò deciso, lasciando che la maniche della vesta scivolasse delicatamente sul suo polso sottile. Con un aggraziato gesto della mano roteò il polso e, nel momento in cui la rotazione fu chiusa, la sbarre vitree che tenevano imprigionato Sasuke scomparvero.

L’angelo dello Sharingan non se lo fece ripetere due volte. Spiegando per quanto gli era possibile le ali, ignorando le fitte di dolore che provenivano insistenti da quella ferita, prese una rincorsa lunga rincorsa fino al limitare del Secondo Cielo, buttandosi con un balzo nel vuoto.

Un solo sussurro udì da Michele. Una frase semplice e complessa al contempo, pregna di tanti significati quanti gliene si poteva attribuire con un poco di immaginazione.

<< …salvalo… >>

Salvalo.

Un sussurro dal significato ancora oscuro, che anche molto tempo dopo non avrebbe capito.

Un sussurro destinato a rimanere forse irrisolto, disperso fra le pieghe del tempo come molti altri.

Un sussurro donato da una voce… che non avrebbe sentito mai più.

Tuttavia, in quel frangente lo considerò come una fiduciosa richiesta di riportare Naruto nel Paradiso Terrestre. Non lo ascoltò attentamente, non ne carpì ogni singola nota e ogni singola intonazione, cercandovi ogni interpretazione possibile.

Corse. E, finendo la terra su cui correre, si gettò nel vuoto.

E, precipitando, spalancò le ali per volare. Ignorando il dolore, ignorando ogni cosa che non fosse Naruto.

Una volta che il suo corpo e le sue ali furono in linea, la sua andatura oscillatoria divenne stabile e diritta. Richiudendo appena le ali dalle piume candide, ancora leggermente macchiate di scarlatto, acquistò sempre più velocità nell’allontanarsi dal bruno Cielo di Mercurio, sede degli Arcangeli.

Superò senza rallentare le atmosfere lattiginose del Primo Cielo, proseguendo, tirando oltre in direzione di quella macchia verdastra che intravedeva sulla cima del Monte Purgatorio, immerso in un cielo scarlatto prossimo alla notte.

L’Eden.

L’inizio di tutto, sia della vita che del peccato, che maledì gli uomini all’albore dei tempi con il Peccato Originale. Sede del frutto del Peccato colto dall’albero della conoscenza, primo scalino per entrare nel regno dei Cieli e ultimo ostacolo prima del regno mortale.

Il Paradiso Terrestre. O conosciuto anche come “il Confine”.

Perché per raggiungere il piano intermedio, quello degli uomini… si doveva passare per forza da lì.

Continuò a planare in velocità lungo il cielo, stringendo i denti contro le numerose fitte che la sua ala gli lanciava. UI muscoli della schiena erano tesi al massimo nella caduta, resistendo alla pressione del vento su quell’apertura alare aerodinamica, che non era poca.

Poi, giunto in vicinanza delle fronde verdeggianti dell’Eden, spalancò di botto entrambe le ali.

Frenò. Ma l’improvvisa interruzione del volo non fece bene alla ferita che, riaprendosi, rese di fatto impossibile un atterraggio dolce.

Rovinò al suolo in un gemito di dolore, sbucciandosi ginocchia e gomiti con una frettolosa e incauta caduta.

Ma si rialzò in piedi.

L’ala sanguinante non poteva più essere mossa ormai, e rimaneva inerme lungo la schiena scaldata dal sangue che aveva ripreso a scorrere lungo le bianche e soffici piume. Lo sguardo ossidiana, alzandosi alla luce ormai fioca del Sole, si fissò stancamente su di una figura famigliare.

Naruto, in piedi nel centro esatto dell’unica radura esistente nel Paradiso Terrestre, con il volto alzato verso l’alto osservava da lontano i Cieli del Paradiso Celeste dandogli le spalle.

Probabilmente non si era accorto del suo vergognoso atterraggio… oppure, se se ne era accorto, lo aveva ignorato.

All’improvviso, tutta la rabbia che aveva accumulato quel giorno di riversò in un attimo nelle sue vene, mandandogli il sangue alla testa. Naruto, che rappresentava allo stesso tempo il suo legame e le sue catene, ora diveniva bersaglio per la sua ira repressa da ormai troppi anni.

Cinque anni. Un lustro in cui si era sentito al contempo oggetto in svendita e anima maledetta.

E forse… lo era davvero.

<< Naruto! >> sbottò urlando verso il biondo che, allo sentirlo, sobbalzò sorpreso.

No, non lo aveva proprio notato scendere dal Cielo di Mercurio, nonostante vi stesse guardando.

Evitando di piegare inutilmente l’ala ormai inutilizzabile si avvicinò al ragazzo di buon passo, pestando la soffice erba della radura.

In uno scenario tanto incredibile quanto spettacolare, i fili d’erba si fondevano con la luce cremisi del tramonto ormai concluso. E, disperse intorno alla figura bionda poco avanti a lui, una distesa di piume bianche giaceva a terra immobile.

Dalla schiena di Naruto, dove prima svettavano candide ali piumate, ora si potevano vedere solamente ossa infrante che, pian piano come le piume che prima possedevano, stavano scomparendo a loro volta trasformandosi in finissima polvere luccicante come neve.

Sasuke si fermò poco distante, osservandolo con gli occhi sgranati dalla sorpresa… e dal terrore al contempo.

Per una qualche assurda ragione, aveva il terrore che quello fosse il chiaro segno che anticipava la loro dipartita.

<< Che ti sta succedendo…? >> chiese, lottando contro la sua voce che non voleva alzarsi fino al tono necessario per farsi udire.

Ma Naruto, abbassando il capo, gli rispose comunque. << Non lo so… >> sussurrò a sua volta, però in maniera udibile.

Aggrottando le sopracciglia il moro fece gli ultimi passi a falcata e, appoggiando la mano destra sulla spalla di Naruto, lo strattonò con violenza per costringerlo a girarsi in sua direzione.

Il biondo, rispondendo probabilmente all’istinto di protezione, fece un passo indietro e portò di scatto le mani a coprirsi il volto.

Sasuke lo afferrò con forza per non farlo allontanare, parlandogli con tono quasi furente: << guarda la gente in faccia quando ti sta parlando! >> sbottò << togliti le mani dagli occhi! >> ordinò poi, scuotendolo appena nella sua presa forte e, sicuramente, dolorosa.

Naruto scosse la testa, cercando di liberarsi… ma senza le mani era difficile rivaleggiare contro Sasuke.

Il moro, dal canto suo, perse definitivamente la pazienza. Aveva accumulato troppa ansia da quando, poco prima, era venuto a sapere di suo fratello e di ciò che aveva fatto. Prese dunque con forza i polsi di Naruto e, con uno strattone, separò le mani una dall’altra, ed entrambe esse dagli occhi del biondo.

Occhi che, aprendosi furiosi davanti allo sguardo del moro, non erano di quel blu che gli ricordava tanto il cielo estivo… ma di un color cremisi pari, se non più intenso, alla luce del tramonto che inondava l’Eden in quel momento.

La pupilla allungata non lasciò dubbi in proposito a Sasuke, che osservava ora stupito quello strano spettacolo.

Naruto era un sangue misto.

Il ricettacolo di un demone anche se nelle vene scorreva sangue angelico.

Il condannato al limbo eterno. Perché non c’è posto in Paradiso per un demone… ma non c’è posto nemmeno all’Inferno, per un angelo.

<< Lasciami! >> esclamò Naruto davanti ad un Sasuke esterrefatto, riuscendo a liberarsi con uno strattone senza però allontanarsi. Abbassò invece lo sguardo, nascondendolo alla vista di Sasuke, mordendosi il labbro inferiore per trattenere ancora un pianto troppo a lungo represso.

Perché Naruto Uzumaki non piangeva. Non piangeva!

Però… anche Naruto Uzumaki aveva un limite alla sopportazione del dolore, fisico o spirituale che fosse.

Senza dire una parola si avvicinò nuovamente a Sasuke, appoggiando la fronte sulla spalla del moro e cingendogli con le mani la stoffa bianca della maglia, in corrispondenza dei fianchi.

Dal canto suo, Sasuke non sapeva cosa fare. Reagendo forse d’istinto alzò le braccia sulle spalle del biondo, cingendogliele con un tocco effimero e quasi intangibile.

Accarezzò in trance i capelli biondi del compagno, come se la rabbia e l’ira fossero sparite, o semplicemente pacate per qualche istante, per un breve scorcio di tempo.

Più il legame diviene spesso, più le catene si appesantiscono.

Ma non importava, ormai. L’unica cosa che hanno in comune i legami e le catene, è il fatto di tenere una persona ancorata in quell’unico punto, senza darle la possibilità di muoversi.

Alzò il volto, osservando con gli occhi ossidiana il limitare dell’Eden oltre a cui si stagliava la caduta proibita verso il piano dei mortali.

Se il suo posto era veramente al fianco di Naruto, c’era una sola soluzione…

 

 

 

Si riprese dai suoi ricordi quando ormai la luce del tramonto si era ormai assopita, e dalle vetrate dell’accademia entrava solamente il lucore argentato della Luna.

Dopo cinque anni da quel giorno, il suo legame era più forte che mai e, al contempo, le sue catene più salde e pesanti che mai.

Era intrappolato in un equilibrio pericoloso che non si sarebbe mai azzardato a spezzare. Da quando viveva sulla Terra, aveva ormai appreso che al contrario del Paradiso, gli esseri umani sono schiavi del Fato.

E che il Destino, mutabile di giorno in giorno, è una bestia rabbiosa che non si può domare.

A questo condizione, l’equilibrio che aveva raggiunto fra legami e catene, era sacro.

Un continuo limbo fra odio e amore i cui fini ultimi erano due diverse persone, entrambi aventi un ruolo particolare nella sua vita… a modo loro.

Forse per l’intensità dei pensieri, non si accorse della porta dell’infermeria che si apriva e chiudeva. Se ne rese conto solo quando un peso famigliare, avvolgendogli la vita con le braccia, non si appoggiò alla sua schiena.

Sorrise, osservando la Luna nella notte oltre il vetro.

<< A cosa stai pensando? >> chiese la persona che lo stava abbracciando, strusciando appena la guancia contro la stoffa della maglia del moro.

Sasuke si voltò nell’abbraccio, appoggiando la mano sinistra sul fianco di Naruto, che alla mossa alzò il volto per guardarlo in viso.

<< A cinque anni fa >> rispose il moro pacatamente, portando la destra a scostare dalla fronte del biondo qualche capello ribelle. Al tocco, erano morbidi e lisci come fili di seta baciata dai raggi del Sole.

Naruto si incupì un istante. << Alla nostra Caduta… >> mormorò aggrottando appena le sopracciglia. << Perché? >> aggiunse poi, stringendosi di più al moro.

Sasuke stirò le labbra in un sorriso dolce, carezzandogli la guancia con la stessa mano che usava per sfiorargli i capelli. << Qualcuno me l’ha fatta ricordare >> disse semplicemente, portando poi la destra alla schiena del biondo, poggiandovela sopra con delicatezza.

Poteva ricordare benissimo quei momenti. Il momento in cui, prendendolo per mano, aveva trascinato Naruto verso il ciglio dell’Eden.

Il momento in cui lo aveva abbracciato, dispiegando le ali con un urlo di dolore; di quel dolore che gli avvelenava il sangue, faticando a piegare i muscoli della schiena al suo volere.

Il momento in cui, stringendo a sé il suo legame e le sue catene, si era lasciato cadere nel vuoto.

Il momento in cui le sue ali, a causa della caduta e dell’attrito dell’aria data la velocità folle a cui precipitavano, si erano tinte di un nero corvino, marchiandolo come angelo del tradimento.

Aveva messo in atto il suo peccato d’amore. Ma un peccato, anche se fatto per il sentimento più nobile del mondo, rimane sempre un peccato.

Ad un piccolo movimento con il collo il viso di Naruto si vece più vicino al suo, invitandolo ad un banchetto proibito da cui non si sarebbe ritratto.

Sasuke, abbassandosi appena da quei quattro centimetri di differenza, in un lieve frusciare di stoffa poggiò le sue labbra sottili su quelle tese del biondo, baciandolo dolcemente.

Scelta e obbligo, a volte, percorrono la medesima strada nella stessa direzione.

E quello, fra tutti quanti… era il loro peccato preferito.

 

 

Chapter No.9 ~ End.

 

 

 

Note Ambient

Ok, sarò breve perché è tardi! (ore 01:35 per la cronaca) XP

Dopo aver dovuto riscrivere il capitolo (avevo spinto il tasto sbagliato nel chiudere Word e… e non ho salvato T____T), mi soffermo per un secondo, come detto prima, sulla questione dell’ambientazione.

Ora, per chi non avesse letto/studiato il Paradiso della Commedia di Dante Alighieri… sappia che ho preso interamente spunto da quello.

O almeno, dalla caratterizzazione dei Cieli che da lui. Nulla di personale, io amo quell’uomo, ma ogni rappresentazione che la mia mente tirava fuori di un Paradiso completamente inventato aveva qualcosa che non combaciava con qualche parte della storia.

Perciò ho dovuto prendere in prestito la visione di Dante.

Ora, per chi non lo sapesse, il Paradiso della Divina Commedia è diviso in nove cieli concentrici in moto perpetuo. Questi vanno dal Primo Cielo (o Cielo della Luna) al nono Cielo (o Primo Mobile, quello più vicino a Dio). Il moto di ogni Cielo, come accenno nel capitolo, è mantenuto dalle Intelligenze Angeliche (gli Angeli per il Primo Cielo, i Serafini per il Nono Cielo) che corrispondono, in definitiva, alla gerarchia angelica.

Io utilizzo, cambiando qualche particolare per comodità, il Primo e il Secondo Cielo (Cielo di Mercurio, per l’appunto), poiché sono il luogo in cui sono presenti, rispettivamente, Angeli e Arcangeli.

Il fatto che alcuni Angeli debbano addestrarsi per muovere i cieli è una mia invenzione, altrimenti non sarei riuscita a spiegare il fatto che gente di 12 anni stesse lì. Insomma, non potevo mica farli girare come tappi di sughero, suvvia U____U’’’.

 

Con questo ho concluso. Spero che il capitolo non sia uscito un obbrobrio… nel caso chiedo perdono ^^’’’

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 11
*** Maschere ***


Note: E si tornò alla trama in sé

Note: E si tornò alla trama in sé!

Passo subito alle risposte senza indugiare troppo:

Slice: Innanzi tutto grazie di nuovo per il tuo puntuale commento. E non preoccuparti, io sono qui per rispondere ad eventuali domande (e lamentele XD). Allora, beh… direi di sì. Cioè, Sasuke e Naruto non sono mortali… o almeno, non Sasuke. Un angelo in sé diviene mortale solamente se gli si tagliano le ali, ma dato che Sasuke le ha ancora, suppongo che sia immortale, per ora. Per Naruto non ne ho la più pallida idea O__o cioè, i miei saperi di esoterismo arrivano fino ad un certo punto XD Cmq, lo ammetto, penso che i mezz’angeli siano mortali. O almeno, che la loro parte umana invecchi come tutti gli esseri umani (magari molto più lentamente, ma invecchiano) dunque sì, direi che muoiono. Poi, Itachi è lì per un motivo, però rivelartelo è materia di spoiler, dunque nada! XD E anche: sì… effettivamente avevo pensato di far conoscere Sasuke e Naruto da secoli, ma poi mi sbalzava un sacco di roba e ho preferito lasciar perdere e tenere le età del manga. Per concludere: no, non posso metterci la lemon per questioni di rating (e perché non so dove infilarla ^^’’’) però probabilmente scriverò uno speciale con lemon *annuisce* one-shot probabilmente, nonostante ci sia negata XD. Grazie ancora per il commento! =*

Rei Murai: il fatto che tu ami la fic che, effettivamente, sto scrivendo per te non può che rendermi felice! XD Vuol dire che sto facendo un buon lavoro e non sto sputtanando i personaggi di Kishimoto-sensei. Spero che continuerai ad amarla fino alla fine *sisi* a cui, tra l’altro, non manca tantissimo… tvb anche io! ^*^

Girlstreet: sappi che Uchiha-schifo è antipatico in ogni sua forma =___= io mi ci impegno a farlo risultare almeno accettabile, ma proprio non mi riesce. In ogni caso grazie mille per il commento, puntuale come sempre, e sì… io sbaverei. Ma io non sono normale. Se fossi normale non programmerei decine di fic scegliendo di scrivere puntualmente quella più difficile accantonata nell’angolo della mia mente (ovvero St. Michael) XD.

OnlyAShadow: Grazie, anche a te, per il commento che come sempre mi lasci! Visto? Sasuke e Naruto hanno deciso spontaneamente di andarsene dal Paradiso… o almeno, lo ha deciso Sasuke e si è portato dietro Naruto XD anche perché comunque il biondo, con un demone dentro di sé, sicuramente non poteva rimanerci. Neji non è lì per controllare quei due, ma Itachi. Non chiedermi perché, è spoiler XD cmq è nella scuola principalmente per due motivi: il primo è tenere d’occhio Itachi, il secondo lo saprai nel prossimo capitolo U___U. Guarda, la Divina Commedia io l’ho amata, ma poi è personale! XD Per esempio, a me è piaciuto molto di più l’Inferno del Paradiso o del Purgatorio… poi dipende. E sì, Shika all’inizio sa tanto da esserino pucchoso! XD
Per quanto riguarda la teoria, mi spiace ma non è così XP Michael (o Michele, è lo stesso personaggio solo con il nome italianizzato) è immortale, non può reincarnarsi. Kiba è qualcos’altro *anuisce* comunque continua pure ad elucubrare! *____* Se ci vai vicino non mi fai altro che piacere! XD

Fallen-azraphel: io ho deciso che quegli arcangeli me li disegno >___< quando me li sono immaginati ho sbavato, e dire che sono miei pg… soprattutto su Gabriele, abbiate pietà della mia bava =Q=_____ e poi: sììììììì! Maltrattiamo Sasuke Uchiha! *.* (non si vede mica che lo odio, vero? XD) in ogni caso a me quel COSO non fa pena; sarà perché io mi godo la vita da figlia unica. E poi Itachi alla fine ci farà la sua figura… magari cambierai idea XD. Grazie tanto tanto tanto per il commento, i vostri commenti in coppia mi fanno sempre sorridere come un’ebete davanti al PC! XD

Neki niku_dango: Dio, metto sempre l’under-score nella parte sbagliata del nome =___= poi devo sempre correggermi… va beh, sclerate mie, passiamo oltre che è meglio *annuisce*. Non so dirti quanto incommensurabilmente io sia felice che Sasukkia non sembri OOC ç_____ç ho faticato in modo immane per cercare di tenerlo IC nonostante la trama e il luogo, sono felice di esserci riuscita. Ora mi devi dire cosa ti hanno fatto i follicoli dei calvi innaffiati di Crescina! E soprattutto dove hai tirato fuori un paragone simile, lo voglio sapere! XD Nel frattempo coltiva pure i funghi, che poi io penso alla raccolta! XP… e non credere che io NON sia una sadica bastarda… lo sono, ma lo sono in maniera soft XD. Grazie anche a te, come ho già detto alla tua compare sopra, per i commenti che mi lasciate sempre!

CloudRibbon: …che sfiga. Ok, scusa la schiettezza, ma non sapevo che altro commentare °___° comunque non temere, non sei sola sulla faccia della Terra, anche io ho le mie beghe… coi trasporti! XD Ma evito, altrimenti viene un papiro e non c’entra niente con la risposta al commento! XD magari poi te lo racconterò in un’altra occasione. Sono alquanto felice, devo dire la verità, che tu abbia apprezzato il mio “scopiazzare” (in senso buono!) da Dante. Credevo di fargli un affronto, invece vedo che l’idea non è dispiaciuta… beh, meglio così ^^’’’ io purtroppo non apprezzo molto Letteratura (come materia) ma leggo alcuni classici e Dante l’ho adorato… anche se non mi sono ancora letta tutta la commedia, me tapina XP. Sono anche molto felice di sentire (di nuovo XD) che la trama non è trita e ritrita. Anzi, a dire il vero mi sorprende che non lo sia, perché io per idearla ci metto veramente poco °___° …comincio a pensare che i miei neuroni siano un tantino contorti. Comunque, torniamo a noi: gli Arcangeli hanno lasciato il segno, noto XD. Lo immaginavo, a dire il vero. Tralasciando la descrizione (ho cercato di tenermi il più vicino possibile all’iconografia classica… ma alcune cose dovevo proprio cambiarle!) sono proprio felice che tu abbia notato la sfumatura “umana” che possiedono. Dico la verità, io amo quelle tre figure, e presto mi sa che leggerò l’Apocalisse per intero… appena ho dato gli esami, si intende =__=’’’’

E lo sai che io ADORO i tuoi papiri! XD Grazie tantissimo per il commento, puntuale nonostante il guasto tecnico! Luv ya! ^*^

Lucy6: Oooooooh! *____* una nuova adepta dello ShikaKiba! Benvenuta, benvenuta! XD E grazie tantissimo per il commento, mi ha fatto molto piacere, davvero! *.* cercherò di rendere la storia ancora più intrigata ed intrigante… kukuku *risatina malavagia*

 

 

Ebbene, riprendiamo Kiba da dove lo avevamo lasciato.

Vi chiedo scusa in anticipo per l’enorme ritardo con cui pubblico questo capitolo, ma ho gli esami in dirittura d’arrivo e purtroppo devo ritagliarmi il mio tempo per studiare… sto facendo del mio meglio, spero che nessuno perda interesse nel contempo! XD

Ora vi lascio al capitolo!

.:: Enjoy! ::.

 

 

Chapter 10 ~ Eighth Echo

Maschere

 

 

C’era un cagnolino che gli veniva incontro, scendendo trotterellando dalle braccia di Hana.

Era piccolo, bianco, con le orecchie di un colore marroncino-rossiccio. Aveva un muso simpatico, gli occhi quasi del tutto chiusi e una camminata da cucciolo che faceva tenerezza.

Si fermava poco distante da lui, gli annusava le mani e, strusciando il musetto contro di esse, si accoccolava fra le sue gambe.

Akamaru. Lo aveva chiamato così per via di quelle due orecchie coperte di pelo rossiccio.

Ci giocava sempre. Akamaru dormiva con lui, mangiava con lui, si accoccolava accanto alla scrivania quando faceva i compiti.

Era il suo cane, ma non solo. Era il suo più fidato amico e il suo inseparabile compagno.

…e dire… che non si ricordava più che fine avesse fatto…

 

Forzando appena le palpebre ad aprirsi, fissò fra le ciglia il soffitto bianco dell’infermeria.

Per l’ennesima volta.

Ormai aveva in mente ogni angolo di prospettiva che poteva avere da quel letto. Poteva persino dire se e di quanti centimetri l’armadio dei medicinali fosse stato spostato.

Quel posto era il suo personalissimo incubo. Soprattutto perché si sapeva nelle mani di quel Kabuto di cui, non si sa per quale ribelle parte delle sue viscere, non riusciva proprio a fidarsi.

Gli dava la sensazione indefinita che qualcosa dovesse succedere presto… qualcosa di brutto. Gli iniettava direttamente in vena un senso di disagio diffuso, come stare accanto ad una finestra aperta in pieno inverno sapendo che, il giorno dopo, sicuramente comparirà la febbre.

Sbuffò, chiudendo gli occhi di nuovo e portandosi la mano sinistra alla fronte. Con il braccio, particolarmente intorpidito poteva notare, si coprì gli occhi con fare esausto.

Era rincretinito. Doveva aver dormito molto più delle canoniche otto ore, se lo sentiva dalla pesantezza che possedeva la sua testa.

O forse… non era per quello che la sua testa era così pesante.

Era inutile. Più cercava di evitarlo, più la realtà lo colpiva con tutta la sua violenza, sbalzandolo via con la furia di un uragano nella quieta estate campestre.

Lui era morto. O, se davvero non lo era, tutto quel susseguirsi di eventi non trovava giusta posizione all’interno della sua mente.

Era successo troppo in fretta, troppo velocemente. La felicità se ne era andata così rapidamente, era sparita così in fretta… che non aveva nemmeno fatto in tempo a rincorrerla per fermala, per cercare di tenersela stretta.

Confusione, sentimenti, fotografie e specchi. Specchi, specchi, specchi. Comparivano ovunque, erano dappertutto. Con quel loro significato distorto di un riflesso perfetto dell’immagine che vi si specchiava sopra: la sua.

* Sei veramente tu quello… Kiba? *

Già… era veramente lui?

E se non era lui… chi era?

Chi era?

<< mh… >> mugugnò, mordendosi appena il labbro inferiore per non permettere agli occhi di inumidirsi.

Non doveva permettere alla paura di averla vinta. Lui era Kiba Inuzuka, per la miseria!

Lui era… Kiba Inuzuka? Sì?

E chi lo diceva questo? Anche il cadavere dentro al taxi era Kiba Inuzuka, a sentire i due detective, no?

Lui poteva essere anche Pinco Pallino, a dirla così. Poteva essere Pinco Pallino che assomigliava tanto a Kiba Inuzuka, che ne aveva preso il posto per una qualche ragione che non sapeva, che si ricordava tutto perché, magari, tramite l’ipnosi…

…gli alieni lo avevano rapito e sostituito per chiudere il vuoto creato dal vero Kiba Inuzuka, arrostito in un taxi.

Ok, si sentiva un grandissimo demente. Il fatto stava nel non sapere dove sbattere la testa, e questo era l’unico punto fermo che possedesse al momento.

La realtà era… che cominciava ad avere seriamente paura di se stesso.

Aveva paura di quello che era e, al contempo, anche di quello che non era.

Magari svegliandosi, aprendo definitivamente gli occhi e scendendo da quel letto, sarebbe stato circondato da medici tutti vestiti di bianco e da parenti che, sorridendo, gli avrebbero detto un “bentornato!”, abbracciandolo.

Magari era in coma, e quello era un sogno creato dal sonno traumatologico.

Ma aveva paura lo stesso. Perché che fosse sogno, o realtà, o qualsiasi cosa potesse essere… tutto ciò che aveva costruito risiedeva faticosamente nella sua memoria, decretando il suo spazio e prendendo la concretezza dei ricordi.

Ricordi confusi, alla rinfusa… ma pur sempre ricordi.

Aveva paura che tutto ciò che aveva creato potesse svanire in un istante.

Così come in un istante un terremoto si era abbattuto sul suo mondo, scuotendo le fondamenta del castello in pietra in cui credeva di vivere, facendo sì che si rivelasse per quello che era… una capanna di paglia.

Troppe domande non avevano ancora risposta. E, purtroppo, stava cominciando a pensare che non l’avrebbero mai avuta.

Inconsciamente, tremò.

E, in risposta a quel lieve tremore, qualcuno strinse la sua mano in una calda e rassicurante morsa.

Kiba non distolse il braccio dagli occhi, concedendosi però un sorriso a malapena accennato sulle labbra. Era incredibile come sapesse già riconoscere quel tocco senza bisogno di osservare chi lo metteva in atto.

<< Kiba? >> disse infatti quella voce in un sussurro, stringendo un poco la presa sulla sua mano come se dovesse dare spessore a quelle stesse parole: << come ti senti? >> chiese ancora quella rassicurante voce.

Sorrise ironicamente alla domanda, mettendo in mostra i denti bianchi in un ghigno spento. << Non lo so… >> rispose sussurrando, senza trovare la voce necessaria a parlare normalmente: << come ci si dovrebbe sentire quando non si sa se si è vivi o morti? >> chiese poi strafottente, un tono di autocoscienza insito nella voce.

Shikamaru non rispose, senza però interrompere il contatto fra la sua mano e quella del castano. Nel silenzio, probabilmente mentre osservava il volto semi-nascosto del compagno, tutte le cose che voleva domandare erano scemate nel nulla.

E forse, alla fine, era anche meglio così.

<< Senti… >> cominciò poi il moro: << …non posso dirti “andrà tutto bene”. Tutte le volte che è stato detto a me si sono rivelate bugie, e quella che io consideravo una promessa si è tramutata in una frase da quattro soldi >> spiegò, continuando poi: << però… posso impegnarmi, dicendoti che se avrai bisogno di qualsiasi cosa… io ci sarò >> concluse, sistemandosi meglio sullo sgabello girevole su cui aveva passato praticamente tutto il tempo.

Dal canto suo, al sentire quelle parole insieme al frusciare di vestiti dato dal movimento, Kiba distolse l’avambraccio dagli occhi, socchiudendoli per poggiarli sulla figura dell’altro.

Era pallido, dall’espressione stanca e palesemente esausto. Sotto gli occhi, arrossati, due occhiaie non indifferenti troneggiavano imperturbabili, donandogli quell’espressione distrutta che si portava appresso non immaginava nemmeno da quanto.

Ma, nonostante tutto, nonostante la situazione, il tempo, il problema che era sorto in mezzo a tutti quelli che continuavano ad orbitare intorno a lui… Shikamaru aveva avuto la faccia tosta di cercare di rasserenarlo. Con il suono della voce, con il calore della sua pelle, con la sua vicinanza.

E non gli lasciava mai la mano. Mai.

Non seppe perché… ma alla luce di quelle parole, quel piccolo gesto gli sembrò più importante di tutto il resto.

Sorrise. Forse, per la prima volta da quando aveva riaperto gli occhi, in maniera genuina. << Grazie… >> rispose solamente, utilizzando il braccio sinistro come appoggio al materasso e mettendosi a sedere su di esso.

Shikamaru lo seguì con lo sguardo, alzandosi per aiutarlo anche quando la mano del castano glielo impedì, imponendosi fra loro mentre si sistemava per bene, la coperta grigia e anonima a coprirgli le gambe. Poi, rialzando lo sguardo sull’altro, avvicinò il suo viso a quello del moro, chiudendo gli occhi…

E lo baciò.

Non poteva di certo dire che essere esperto, come non aveva assolutamente preso in considerazione il fatto di sembrare una femminuccia appicicaticcia. Ne aveva solo bisogno, semplicemente.

Ora più che mai aveva bisogno di sentirsi vicino a qualcuno. Di avere un punto fermo reale, e non solo la sua sensazione di inadeguatezza; quel particolare sentimento di chi non si sente al mondo per davvero, di chi non dovrebbe essere nemmeno esistito.

Anche se non lo avrebbe mai ammesso, aveva bisogno di un appoggio per ricominciare la scalata. Aveva bisogno di lui.

Rimasero uniti qualche istante; le lingue si sfioravano dolcemente in lievi incontri, le mani si stringevano l’un l’altra in un legame che, ora più di prima, sembrava non doversi mai sfaldare.

Si separarono lentamente, osservandosi l’un l’altro mentre Shikamaru poggiava la sua fronte a quella del castano, rimanendogli il più vicino possibile in quel poco tempo che avevano.

<< Sei sicuro di stare bene? Magari dovresti dormire un altro po’… >> chiese poi il moro, sussurrando data la vicinanza.

<< Dovrei essere io a dirtelo >> ribatté però Kiba, mantenendo a sua volta un tono di voce basso ma dandogli una lieve impronta di fermezza. << Hai un aspetto orribile. Da quanto non dormi? >> aggiunse, chiedendo forse la cosa più ovvia ma sicuramente la più adatta.

<< Boh, non ne ho la più pallida idea >> rispose Nara sinceramente, chiudendo gli occhi con fare esausto e lasciandoli chiusi. << Praticamente da quando hai perso conoscenza, anche se ogni tanto ho sonnecchiato… ma non più di due ore >> aggiunse.

Con questo cosa voleva dire? Che era rimasto sempre al suo fianco senza nemmeno chiudere occhio?

Sospirò, osservandolo con un sopracciglio alzato: << guarda che non sono un caso perso, potevi anche riposarti come si deve… >> disse, riportando la voce ad un tono un poco più alto.

Shikamaru socchiuse gli occhi, osservandolo senza però spostarsi da quella strana posizione: << credo che sia un mio diritto preoccuparmi >> rispose seriamente.

<< Come è un mio dovere dirti di non essere così ansioso >> ribatté nuovamente Kiba. << Piuttosto… >> riprese poi, dando voce ad un dubbio appena sorto: << …che ore sono? >> chiese, indeciso su che cifra numerica attribuire alla luminosità della luce che proveniva dalla finestra, inondando la stanza.

<< Mezzogiorno… >> rispose il ragazzo << …di martedì >> concluse, distaccandosi dalla fronte del castano per appoggiarsi al limitare del letto con le mani, piegandosi appena in avanti verso di lui.

Dopo un veloce calcolo mentale, poté rendersi conto di avere effettivamente dormito per un giorno e mezzo. Con tanto di perdita delle lezioni del lunedì.

<< Accidenti… >> borbottò in uno sbuffo, lasciandosi cadere all’indietro sul letto finchè non ritornò disteso. Se era stato capace di dormire per quasi 36 ore, voleva dire solamente una cosa: aveva una pessima resistenza ad ogni tipo di shock.

Oppure, più semplicemente, quel posto fuori dal mondo (in tutti i sensi) lo aveva rammollito.

Rimanendo in silenzio, Kiba chiuse gli occhi. L’infermeria, al contrario del resto della scuola, era davvero un posto silenzioso e conciliava il riposo in una maniera incredibile. Era un bene: almeno lì poteva pensare senza che il suo cervello finisse in grovigli di spazzatura e andasse in crash di sistema facendogli ciao-ciao con la manina. Per dirla con parole semplici era come un giardino zen, mancavano solo la sabbia, il rastrello e la fontanella con le carpe Kohaku (*1).

E il fatto che i giardini zen contribuivano non solo ad aumentargli la rabbia, ma anche a fargli odiare sabbia e affini che si infilava in ogni buco conosciuto (e non), era un dettaglio.

Quasi seguendo il suo esempio, Shikamaru raggiunse nuovamente lo sgabello con il piede e, tirandolo con verso di lui, vi si sedette nuovamente sopra. Si chinò poi in avanti, incrociando le braccia sul letto e poggiando la testa fra di esse, chiudendo gli occhi completamente esausto.

Kiba, osservandolo pacatamente dalla sua posizione, non riuscì a trattenere un sorrisetto intimamente divertito a quella vista. Il moro si era fatto tacitamente più vicino, sfiorandogli il fianco destro con il viso da sopra la coperta, come se volesse istintivamente rimanergli accanto anche nell’impellente sonno dettato dalla stanchezza… e questo gli aveva fatto tornare in mente qualcosa.

<< Sembri Akamaru >> esordì infatti, poggiando la destra sui capelli scuri di Shikamaru come se dovesse accarezzarne un fantomatico pelo.

Nara riaprì un occhio, osservandolo pacatamente senza mostrare nessun segno di disprezzare quel bizzarro contatto creatosi ra loro. << Chi? >> chiese apaticamente, aria assonnata che sul suo volto era praticamente sempre presente… solo, questa volta motivata.

<< Akamaru >> ripeté l’altro << il mio cagnolino. Faceva come te quando mi ammalavo >> disse, tornando poi ad intrecciare le dita con le mano di Shikamaru.

<< Mi stai paragonando ad un cane? >> ci scherzò sopra Nara, ghignando ironicamente.

<< Ehi, era un cane intelligente! >> sbottò in risposta il castano, approfittando della vicinanza al viso dell’altro per prendergli una guancia e cominciare a tirarla.

<< Oh, vorrà dire che lo sfiderò a shoji… >> continuò Shikamaru strafottente, evitando con classe le dita stile pinza di Kiba, che per pigrizia (forse Shikamaru gliel’aveva attaccata) non si alzò per permettere al suo braccio di andare oltre ad una certa lunghezza.

Ma non poterono continuare il loro finto battibecco ancora per molto: un vociare indistinto nel corridoio, unito ad un numero non ben definito di passi e schiamazzi, resero palese il movimento di un’enorme quantità di persone, in avvicinamento all’infermeria.

Poteva già immaginare chi fosse…

Infatti, pochi istanti dopo, la porta bianca si aprì rumorosamente, lasciando entrare una massa informe di persone che ai vari “shhhht! magari sta ancora dormendo” e “Naruto, chiudi quel forno!” tentò invano di ridurre il rumore fino ad un imperfetto silenzio.

In qualche attimo, sufficienti a Kiba per rimettersi seduto a gambe incrociate e a Shikamaru per risollevarsi dal materasso, da dietro al paravento spuntarono gli occhi color giada di Sakura, accompagnati dal ciuffo biondo platino e gli occhi azzurri di Ino. Fu Sakura la prima delle due a mostrare il sorriso, addolcendo lo sguardo. << Ben svegliato, Kiba! >> salutò allegramente, uscendo dal paravento e avvicinandosi con qualche passo al letto.

Dietro di lei, anche Ino sorrise… ma il suo sorriso somigliava come sempre ad un ghigno furbesco e poco rassicurante. Tuttavia, nell’insieme del risveglio dopo quella stranissima rivelazione, anche quel sorrisetto inquietante parve a Kiba come un piccolo angolo di tranquillità che aveva ritrovato, dopo averli persi tutti nel riflesso di uno specchio.

Dopo di loro, Choji fece la sua comparsa con un sacchetto di patatine fra le mani. Cominciava a chiedersi se quei sacchetti non fossero incollati al palmo con l’attack e, soprattutto, quanta capienza poteva avere lo stomaco di quell’essere umano per ingurgitare così tanta roba senza sentirsi male.

Aveva la conferma visiva dell’esistenza dei buchi neri.

Il ragazzo, ovviamente sgranocchiando patatine e sbriciolando per tutta l’infermeria, si posizionò alle spalle di Shikamaru per poi porgergli il suddetto sacchetto di snack.

Kiba lo fissò interdetto, spostando gli occhi dal sacchetto in carta plasticata a Choji e viceversa.

<< Oddio, non gli offrirai mica una patatina!? >> esclamò la voce squillante della Yamanaka, rimanendo sorpresa al gesto dell’amico.

Kiba, più interdetto di prima, fissò Shikamaru per capire cosa fare.

Il moro intercettò lo sguardo, chiudendo gli occhi con fare scocciato nella risposta: << è il suo modo per darti il ben tornato >> disse << le sue patatine sono sacre >> precisò poi, sorridendo lievemente dopo la frase.

<< Sì, ma l’ultima la può prendere solo Shikamaru >> aggiunse l’Akimichi, porgendo un po’ di più il sacchetto luccicante in direzione dell’Inuzuka che, dal canto suo, aveva appena elaborato la stranissima visione di un altare sacro dedicato alle Cipster nel salotto di casa Akimichi.

Tuttavia, educazione vuole che non si rifiuti il cibo offerto, soprattutto da un amico e/o componente della combriccola. A caval donato non si guarda in bocca, no?

Allungò la mano, infilandola con un sorriso allegro all’interno del sacchetto scricchiolante, afferrando una sfoglia unticcia fa indice e medio, estraendola.

<< grazie mille Choji, anche a me fa piacere rivederti! >> rispose con un ghigno allegro, mostrando la patatina in segno di saluto a sua volta. L’Akimichi sorrise in risposta, riportandosi il sacchetto sotto al naso e ricominciando a sgranocchiare.

Se gli esseri umani di razza maschile erano menti semplici, Choji Akimici era come le parole crociate facilitate della Settimana Enigmistica.

Stava per portarsi la patatina alla bocca, sentendo già lo stomaco brontolare… ma, probabilmente, nel suo personale quanto infausto destino (che, tra l’altro, sembrava provare piacere nel prendersela con lui) non era scritto che Kiba Inuzuka mangiasse quella patatina.

E quel destino portava il nome di Naruto Uzumaki, spuntato velocemente dal paravento con un balzo che aveva fatto sobbalzare il materasso, Provvedendo personalmente ad ingoiare la patatina direttamente dalle mani di Kiba, stendendosi addosso a lui nell’intento. << I malati non devono mangiare schifezze! >> esordì poi, con quel sorrisetto sbilenco ignobile mentre ingoiava la sua preziosa patatina del bentornato, santificata personalmente dalla famiglia Akimichi, lasciando di essa solamente le due briciole che si depositarono sulle labbra del biondo.

La stanza cadde nel silenzio per qualche istante; istante in cui Kiba lo guardava ancora con la bocca aperta e le dita sollevate, come se la preziosa patatina non fosse ancora scomparsa e lui fosse ancora in procinto di gustarne il sapore.

Una volta realizzato il misfatto, la classica vena dell’arrabbiatura sulla fronte fece “crack” …e si spezzò.

<< BRUTTA FOGNA! >> sbottò il castano, provvedendo subito a stringere in una morsa spietata le guance del biondo e tirarle con quanta forza potesse racimolare nei suoi muscoli addormentati: << sputa la mia colazione! Sputala! >> proseguì, continuando l’opera di stiratura delle guance dell’Uzumaki, ormai con le lacrime agli occhi fra il riso e il dolore.

<< Cielo, quanto siete casinisti! >> si intromise poi una terza voce femminile, alta per sovrastare il gridolino scomposto di Naruto che, indeciso fra il lamentarsi per il dolore o continuare a ridere, emetteva un suono talmente idiota da sembrare una lingua aliena. << I bambini dell’asilo sono più maturi e silenziosi di voi! >> aggiunse tale voce, riprendendoli.

Alzando lo sguardo verso il paravento, il viso serio e la posa intransigente di Ten Ten (che li guardava con le mani ai fianchi come se fossero due imbecilli) li avrebbe riconosciuti anche a distanza.

E davanti alla ragazza, con le mani all’interno delle tasche dalla sua impeccabile divisa, Sasuke Uchiha ignorava altamente quella che doveva essere una delle abituali trovate di Naruto, fissando lui con gli occhi ossidiana.

E, superando ogni aspettativa di Kiba, Sasuke “Le Mie Parole Valgono Oro” Uchiha… gli parlò.

<< Sei risorto? >> chiese in quello che sembrava uno sforzo immane, fissandolo apaticamente in attesa di una risposta.

Replica “made in Inuzuka” che non tardò ad arrivare: << no, Uchiha. Così non va, noi dobbiamo metterci d’accordo per questa cosa. Non puoi rivolgermi la parola così all’improvviso, le mie coronarie potrebbero esplodere per la sorpresa >> lo sfotté simpaticamente, lasciando finalmente pace al povero Naruto, che ora ridacchiava per la battuta anche se ai danni del suo ragazzo.

Il moro stirò le labbra sottili e pallide in un ghigno di sfida, osservandolo sul piede di guerra.

<< Cielo, Uchiha! Non così tante emozioni in una volta! >> continuò imperterrito il castano, scatenando le risa di tutti i presenti.

Ma Sasuke Uchiha non si faceva di certo cogliere impreparato, oh no. Se riusciva a tenere perfettamente testa a quella testa quadra di Naruto, non sarebbe stato di certo il nuovo arrivato di turno a spodestarlo: << perché, ti senti forse SVENIRE Inuzuka? >> ribatté nel suo miglior ghigno sadico, troneggiando sull’altare della vittoria verbale.

La replica di Kiba, che si sarebbe rivelata scostante dato il colpo allo stinco,  venne interrotta da un’ulteriore voce al di là del paravento: << Sasuke, Sasuke… questo è un colpo un po’ basso >> esclamò il tono pacato di Kakashi, che comparì dietro a Ten Ten spingendo lievemente per le spalle una Hinata irrigidita e leggermente arrossata in volto. L’Uchiha scrollò le spalle, limitandosi a tornare nel suo regale mutismo.

<< Maestro Kakashi! >> esclamò Naruto, ancora comodamente seduto sul materasso.

<< Ciao Naruto, ragazzi >> salutò l’uomo con un’alzata di mano, posando poi l’unico occhio visibile su Kiba: << ti senti meglio? >> chiese gentilmente, sorridendo nonostante il collo della maglia ne coprisse le labbra e il naso.

<< Sì, grazie maestro Kakashi >> ringraziò il castano, posando gli occhi su Hinata, salutandola.

<< C-c-ciao I… Inuzuka-kun >> rispose quella, unendo subito gli indici sotto il mento nel suo abituale tic nervoso.

<< Scusa Sasuke, Inubau >> esordì poi Naruto, sfoderando il nomignolo proibito: << non è molto capace di stare ali scherzi >> concluse, beccandosi un piede del castano in faccia come punizione per il nome assurdo con continuava ad affibbiargli.

Tuttavia, nonostante la posizione scomoda che scatenò un altro risolino collettivo, Kiba diniego con in capo: << macchè, ha ragione >> disse, sbuffando desolato. << Mi sto rammollendo. Se continuo così sverrò un giorno sì e l’altro pure >> si lamentò, chiudendo gli occhi e assumendo un finto broncio infantile.

<< Oh, non per molto Kiba! >> esordì Kakashi con un sorriso che, Kiba non sapeva dire perché, ma non era per nulla rassicurante. << Oggi c’è Combattimento, sono venuto proprio a portarti la tuta >> disse, lanciandogli sul letto la divisa da ginnastica dell’accademia St. Michael: pantaloncini al ginocchio dall’infausta apparenza super-aderente, color verde pino, completi di t-shirt bianca con colletto e orli in tinta con i pantaloni dove, ovviamente, sulla parte destra spuntava l’immancabile stemma dell’accademia con ricamato il Sigillo di Salomone, simbolo della classe degli Alchimisti.

Ci mancava solamente cognome e numero di maglia…

Inutile dire che lo sguardo disgustato di Kiba rifletteva il suo attuale apprezzamento per l’idea di dover alzarsi per andare a fare fatica. No, non fatica, non era quello il problema. E non era un problema nemmeno alzarsi, dato che era stato steso a dormire per più di un giorno.

Il problema era la parola “combattimento”. Lui non sapeva le arti marziali nemmeno ad inventarle, e l’unico stile di lotta che aveva approntato era la “fuga dal doberman incazzoso dei vincini” che, a quanto ne sapeva, era considerato uno sport pari al “salto sul divano” e al “tuffo sull’amaca”, di sua personale invenzione e utilizzo.

Sconsolato accettò il suo destino, anche perché la campanella risuonò rumorosa nell’aria, segnando la fine della pausa pranzo e l’inizio delle varie attività pomeridiane.

Nella confusione, probabilmente distratto dal chiacchiericcio continuo delle persone che erano venute a trovarlo, non notò l’ombra di Neji che, poggiato di spalle al muro di fianco alla porta.

Sorrise, uscendo poi a passo calmo dall’infermeria.

 

 

C’erano due cose buone in quella situazione alquanto apocalittica:

Uno: i pantaloni non si erano rivelati così aderenti come pensava che fossero. Erano semplicissimi pantaloncini da ginnastica, e a lui erano sembrati stile sottiletta solamente perché Kakashi gli aveva portato una taglia in meno della sua abituale.

Due: erano così in tanti che, probabilmente (e ci sperava!), l’insegnante in procinto di fargli quella benedetta lezione non lo avrebbe notato, evitandogli così una magra figura davanti al terzo e quarto anno riuniti.

Perché sì, a causa del gran numero delle classi e dei pochi giorni di lezione disponibili, si facevano lezioni congiunte fra gli anni dello stesso corso.

Primo e secondo anno, il terzo con il quarto, e il quinto che faceva alchimia pratica nel giardino retrostante la struttura. Dopo la quarta esplosione, ovviamente ad opera di Deidara, aveva ardentemente desiderato non essere al posto del maestro Kakashi in quei combattimenti alchemici.

Si strinse nelle spalle, provando per la prima volta un impellente desiderio di scomparire ingoiato dal terreno. L’unica pecca era che il cortile era in cemento… poco male, aveva già avvistato un albero abbastanza spesso con cui poteva entrare in simbiosi fino alla fine della suddetta lezione, di modo da non dare nell’occhio e, soprattutto, da non farsi chiamare in causa.

Tuttavia, i suoi illusionistici progetti di fuga furono vanificati dalla figura che, rumorosa come al solito, gli piombò letteralmente fra capo e collo rischiando di fargli perdere un equilibrio già sufficientemente precario.

<< Allora, allora Inuzuka! >> esclamò Ino al suo orecchio, i capelli biondi legati nella solita coda alta con l’unica differenza che ora, il ciuffo che portava perennemente davanti al volto, era puntato sulla testa con una forcina. << Emozionato per la lezione? >> chiese tutta trionfante la ragazza, sorridendo felice all’aspettativa di ciò che stava per venire.

Emozionato?! Oh, no, accidenti. Lui si emozionava per l’ora normale di educazione fisica, della sua vecchia e normale scuola in cui l’unico accenno di combattimento era spintonarsi dopo la normale partita di calcio che si faceva dopo i vari esercizi di atletica. E non erano arti marziali degne di Tekken 4, ma semplice Street Fight fatta di spintoni e promesse mai mantenute di batoste e risse nel dopo scuola!

<< …certo, sprizzo gioia da tutti i pori… >> commentò fiaccamente sarcastico; ma Ino lo ignorò totalmente, ricominciando il suo elogio all’ora di Combattimento, che doveva essere per forza la sua preferita.

Donne…

Fu Sakura, immancabile se era presente anche Ino, a posargli una mano sulla spalla con fare comprensivo. Almeno lei era un poco più attenta alle reazioni altrui quando intratteneva una conversazione, dunque doveva sicuramente aver capito che lui preferiva di gran lunga stare da qualsiasi altra parte al posto di lì.

Non era mai stato restio allo sport, ma se c’era da fare una figura assurda davanti a tutti se la risparmiava più che volentieri.

<< Suvvia Kiba, probabilmente il maestro Gai avrà pietà di te e ti lascerà stare durante la tua prima lezione! >> disse la ragazza, i capelli rosa tirati alla bene e meglio in una coda scompigliata dietro la nuca.

l’Inuzuka rispose solo con una risatina sarcastica, trattenendosi dal fare qualsiasi tipo di commento.

E poi… aveva altre cose a cui pensare.

Non voleva ammetterlo apertamente, e nemmeno a se stesso a dirla tutta… ma tutta quella questione del cadavere nel taxi lo aveva veramente messo sottosopra.

Senza contare poi quel sogno… con quello specchio. Cosa voleva dire? Cosa stava cercando di dirgli?

E soprattutto: chi stava cercando di dirgli qualcosa? Esisteva poi questo fantomatico “chi”?

Si portò una mano agli occhi, lieto del fatto che Ino e Sakura avessero prestato attenzione ad un gruppetto poco distante da lui. Non riusciva a capirci più nulla, e tutte le volte che tentava di darsi una spiegazione per quello che succedeva, ci capiva ancora meno di prima. Riflessi, cadaveri, impronte digitali, cercoteri, suicidi… l’unica cosa certa, era che da quando aveva messo piede all’interno di quella scuola, la sua vita era andata lentamente ma inesorabilmente in una direzione ancora inesplorata. Come se, ad un incrocio fiabesco, avesse deliberatamente scelto il sentiero tetro e cupo al posto di quello baciato dai raggi del sole e pieno di cinguettii gioiosi.

Normalmente, nessuno sa dove andrà a finire la propria vita.

Ci si immagina un futuro, questo è vero… ma quante probabilità ha, quel futuro, di realizzarsi? Quante, fra le infinite combinazioni di avvenimenti, sarà quella che caratterizzerà il corso della propria vita?

Nessuno lo sa. Ma gli esseri umani, anche se non sono lungimiranti, sanno almeno prevedere come si svolgerà il futuro più prossimo.

Come sapere di avere un esame a scuola, oppure una partita di calcio. Cose piccole, infinitesimali, ma che danno una garanzia: il fatto che, anche se a breve, ci sarà di sicuro un futuro.

E’ un punto fermo. La classica luce in fondo al tunnel.

Lui, in quel momento… di luci non ne vedeva.

Lui era rimasto indietro, bloccato da chissà cosa, e pian piano la luce era fuggita divenendo dapprima un puntino lontano, poi svanendo nel nulla.

Non sapeva cosa avrebbe fatto domani, dove sarebbe capitato per cena, se la settimana successiva sarebbe tornato a casa per una visita ai genitori. Davanti a sé, non vedeva più niente.

Esistono persone senza futuro?

Lui esisteva davvero?

<< Inuzuka, ti senti bene? >>

Una voce lo riscosse dai suoi pensieri e, sobbalzando leggermente, si riprese faticosamente dallo stato catatonico in cui era caduto.

Alzando il volto si trovò davanti la persona più particolare che avesse mai visto osservarlo con occhi sbarrati e… tondi.

Si, non trovava altro modo per definirli.

Erano tondi e neri, profondi ma al contempo superficialmente vivi e luccicanti d’energia. Due folte e grosse sopracciglia li delimitavano dalla fronte, nascosta da una strana pettinatura a caschetto di capelli neri e lucidi come piume di corvo.

Il ragazzo lo guardava con un’espressione strana, come se fosse preoccupato, con una mano appoggiata sulla sua spalla. Aspetta… da quando gli aveva appoggiato una mano sulla spalla? E soprattutto: quando gli si era avvicinato? Ma poi… chi caspita era?!

<< S-sì >> rispose stralunato dalla vista di quello strano tipo: << ero solo soprapensiero… >> rispose automaticamente mentre i due poveri neuroni che aveva in testa lavoravano a targhe alterne per scovare, da qualche parte nella memoria, dove avesse già visto quello studente dalle sopracciglia folte.

Dopo un consulto interno, un breve meeting e qualche sinapsi veloce, finalmente decretò che non l’aveva proprio mai visto.

<< Yosh! >> sbottò poi quello, facendo sobbalzare Kiba a causa della rapidità della reazione… e del conseguente sorriso che sorse sulle sue labbra. Spontaneo e libero. << Mi ero preoccupato, sembravi sul punto di collassare! Da lontano ti ho visto sbiancare come un cencio, così mi sono avvicinato >> blaterò poi, osservandolo ancora in quella sua posizione fiera.

Si accorse solo in quel momento della tutina verde aderente che indossava e, conseguentemente, degli scaldamuscoli arancioni che aveva alle caviglie, in netto contrasto con il colore della tuta. Senza contare quella bandana rossa in vita che stava lì senza un senso particolare.

Kiba non seppe che altro fare… o dire. Quella figura d’insieme aveva provveduto a togliergli tutte le parole di bocca, compresi i pensieri lugubri che gli erano appena balenati in mente.

<< Ah! Comunque io sono Rock Lee! >> si presentò successivamente il ragazzo, porgendogli la mano con uno scatto veloce e piantandogliela d’improvviso davanti al naso. << Che mancanza non presentarsi prima, sono mortificato! >> esclamò, tenendo tesa la mano destra in sua direzione.

Sono “mortificato”? Ma da quale pianeta veniva?! Anzi, da quale secolo?

Coraggio Kiba riprenditi! Rapidità di reazione, forza! Non stare a fissarlo a bocca aperta come uno stoccafisso!

Chiudendo la bocca e scuotendo appena il capo, anche il castano allungò la mano ad incontrare quella di Rock Lee. << Kiba Inuzuka >> si presentò successivamente: << ma suppongo che tu lo sappia già >> aggiunse, sospirando esausto.

Ormai si era abituato a non doversi presentare in maniera normale… e inoltre era anche abbastanza stanco per farlo.

Dannazione, era già distrutto ancora prima di muoversi… pensare faceva davvero male, dovevano vietarlo. Come gli slogan sulle sigarette. “Pensare UCCIDE” attaccato ai muri dell’accademia ce lo vedeva proprio.

Tsk. Che umorismo da quattro soldi… stava peggiorando.

Proprio mentre Rock Lee stava per chiedergli qualcos’altro (lo aveva notato prendere aria come si fa poco prima di dire qualcosa) finalmente una voce adulta irruppe fra il vociare confuso del gruppo presente per la lezione, sotto al cielo nuvoloso di quel martedì pomeriggio.

La fotocopia versione XXL di Rock Lee stava ora in piedi su una tartaruga gigante (ma da dove era spuntata?!), la mano sinistra sul fianco esageratamente all’infuori insieme alle chiappe, la destra in aria con la mano piegata ad angolo retto sopra la testa e la stessa, identica, spiccicata tuta verde super-aderente di Lee che fasciava un corpo palesemente adulto, mettendone in risalto le natiche già in mostra a causa di quella posa assurda.

Viso squadrato dalla carnagione olivastra, occhi sottili e neri, sopracciglia folte e stesso taglio a ciotola rovesciata che disciplinava i capelli corvini e lucidi.

Semplicemente, l’insegnate di combattimento: Gai Maito.

Soprannominato “Bestia Verde” probabilmente per il colore della tuta… e per il fatto che fosse un esperto di arti marziali, cintura nera di non sapeva quanti Dan.

Gli avevano raccontato qualcosa di lui, uno dei primi giorni di accademia. Era acerrimo rivale del maestro Kakashi, che sfidava una volta ogni giorno a duelli insensati, la maggior parte dei quali erano sfide a “Sasso, Carta e Forbice”. E le sanzioni che si auto-infliggeva all’eventuale sconfitta erano ancora peggio; Ino gli aveva raccontato che, una volta, come penitenza per aver perso si era fatto cento giri dell’accademia solo sulle mani.

Era un elemento così particolare che Kiba, dal canto suo, non aveva nemmeno la forza di ridere. Il solo vedere quella posa e quella tutina gli aveva prosciugato tutte le energie che credeva di aver rimasto e/o recuperato in un giorno e mezzo di sonno.

<< Bentrovati ragazzi! >> cominciò poi l’uomo, scendendo dalla tartaruga che, se ne accorse dopo, era una semplice statua da giardino.

E già il fatto che al posto dei nani usassero le tartarughe, faceva pensare.

Evitando di pensare oltre al perché una riproduzione della tartaruga di Dragonball stesse nel giardino dell’accademia, decise di dare attenzione al suo insegnante… o almeno, sforzarsi di farlo senza ridergli in faccia o assumere una delle sue scortesi espressioni ebeti.

Troppo tardi per quella, però. Quell’abbigliamento fotocopia lo aveva lasciato troppo interdetto per non fissarli (entrambi, maestro e allievo compreso) come si guardano un paio di stupidi.

<< Quest’oggi ci alleneremo sul combattimento libero a coppie. Cinque minuti ciascuno, a rotazione, dunque trovatevi un compagno o una compagna con cui esercitarvi >> disse Gai, mettendosi le mani sui fianchi e tenendo il viso alto come se volesse mostrare tutta la sua prestanza fisica… che non era granché.

Un brivido gelido gli scese lungo la schiena quando, con la coda dell’occhio, notò il movimento di Lee al suo fianco, che aveva voltato il capo in sua direzione.

Sapeva già cosa stava pensando… era logico supporlo.

Come era logico supporre che sì, davvero la fortuna era cieca ma la sfiga ci vedeva benissimo. E sì… il destino lo aveva preso veramente di mira.

Gli occhi di Rock Lee brillavano come fari nella notte e il suo viso era improvvisamente illuminato da una luce particolare data dalla motivazione e dall’energia infinita che doveva avere in corpo.

<< Kiba…! >>

<< Scordatelo! >> rispose subito al tentativo di Lee di chiedergli “vuoi fare coppia con me”, sfoggiando l’espressione “cane randagio” più minacciosa che potesse << e da quando ti ho dato il permesso di chiamarmi per nome?! >> aggiunse… ma era tutto inutile: l’espressione di Rock Lee non cambiava minimamente e, glielo si poteva leggere in faccia, era più che determinato a fare sì che l’altro combattesse con lui ad ogni costo.

<< Lee! >> sentì poi la voce del maestro Gai chiamare il ragazzo, dall’alto della sua posa ridicola.

<< Sì, sensei! >> rispose subito il ragazzo correndo incontro al maestro con la medesima tuta.

Dio… a guardarli da vicino erano veramente uno la riproduzione miniaturizzata dell’altro, e nei loro occhi brillava la medesima fiamma. La fiamma…

<< …della giovinezza! >> esclamò Gai, alzando un pungo verso il cielo con le lacrime agli occhi.

…ok. Stava per dire “della ridicolaggine”, ma se la metteva così non c’era problema.

<< Voi, nuove generazione, siete i tabernacoli per la forza della giovinezza che scorre e vi rafforza, vi da la possibilità di fare tutto ciò che volete e di resistere! Perché c’è chi nasce genio, ma anche l’impegno e la determinazione contribuiscono alla creazione di geni! >> continuò imperterrito il maestro, seguito a ruota da un Lee con le lacrime agli occhi e le iridi piene di stelline nell’osservare il suo mito (perché dai, si capiva che Lee adorava Gai…) inginocchiato accanto all’adulto nella loro personalissima espressione artistica.

Kiba non ebbe più la forza nemmeno di respirare.

Cos’erano quelle baggianate? E quelle pose? Cos’erano quelle lacrime che sgorgavano come ruscelli primaverili dagli occhi a palla di Lee e da quelli sottili di Gai, e soprattutto… perché vedeva come sfondo l’impetuosità delle onde del mare?!

Dov’era finito, in un anime giapponese?!

Smise finalmente di chiedersi se quella, nella sua anormalità, potesse essere tuttavia considerata una scuola normale (fra le anormali), arrivando all’effettiva conclusione che no, non era ammissibile per quell’accademia anche un singolo briciolo di normalità.

E non solo. Il St. Michael la “normalità” non sapeva nemmeno dove stava di casa.

Poi sospirò. Pace. Magari, mentre maestro e pupillo erano impegnati nei loro reciproci teatrini, lui poteva approfittare per recuperare il piano B appena scartato e tentare, quatto quatto e zitto zitto, di arrivare nei pressi di quell’albero con cui sarebbe volentieri divenuto tutt’uno pur di sparire.

Non ne ebbe il tempo.

<< Lee, hai già scelto un tuo compagno per l’esercitazione di oggi? Purtroppo io devo pagare una penitenza, Kakashi mi ha sconfitto a Tris questa mattina e non potrò essere il tuo partner >> disse al ragazzo mentre gli studenti, probabilmente abituati alle uscite di questo tipo dei due, si stavano già organizzando per appaiarsi.

<< Certo, sensei! >> rispose Lee, irrigidendosi e mimando malamente il saluto militare: << mi eserciterò con Inuzuka, siamo già d’accordo! >> disse, indicandolo direttamente con l’indice.

Fine della pace.

<< Non ci siamo affatto messi d’accordo! >> sbottò subito Kiba in risposta, stringendo i pugni e osservandolo con l’espressione più rabbiosa che potesse sfoggiare al momento… ma come si poteva, davanti a due elementi del genere?!

Il maestro Gai lo osservò attentamente, squadrandolo da capo a piedi con un’espressione incredibilmente seria. Pareva stesse studiando tutto di lui, come la sua massa fisica o le sue potenzialità, stilando la probabilità che potesse o meno farcela contro il suo Lee. Aveva gli occhi di un’aquila che studia il bersaglio prima di attaccare.

Kiba rimase stupito di quello sguardo pungente e si raggelò sul posto. Si vedeva che quello era un combattente di alto liv…

<< Inuzuka… dove l’ho già sentito questo nome? >> borbottò Gai, assottigliando gli occhi nell’osservarlo.

…ora capiva perché facesse comunella con Kakashi. Probabilmente erano le uniche due anime di tutta la scuola a non avere la minima idea di chi fosse.

<< Oh beh, fa lo stesso. Divertitevi, io devo andare! >> aggiunse sorridente, alzando una mano e posandola sulla testa di Lee. << Mi raccomando, non esagerare. Lo sai che dopo l’operazione devi stare attento agli sforzi. Fai ardere la fiamma della giovinezza con moderazione! >> disse infine, incamminandosi in direzione del cortile posteriore da dove, tanto per gradire, il fungo di fumo di una quinta esplosione di Deidara si levò alto nel cielo.

Ecco fatto, Kiba: benvenuto all’Inferno. Se vendi la tua anima a Caronte, per l’attraversamento dello Stige ti farà uno sconto simpatia.

Sospirò affranto, lasciando le braccia lungo i fianchi e la testa a pendere di lato. Si sarebbe fatto pestare.

Beh, magari se lo diceva a Rock lee che non aveva mai fatto niente di arti marziali in vita sua, magari lo lasciava perdere…

Si riscosse da quello stato pensoso quando, con una bruttissima sensazione di pericolo, un’ombra scura gli passò velocemente accanto al volto, sfiorandogli l’orecchio e muovendogli alcune ciocche di capelli solo con la pressione dell’aria.

Quando, spalancando gli occhi per la sorpresa, si vide Rock Lee a pochissima distanza da lui, seppe improvvisamente che quella sottospecie di proiettile che gli aveva appena sfiorato l’orecchio era un suo pugno.

Si fissarono per qualche istante soltanto… ma solamente quel breve lasso di tempo sembrò durare minuti interi.

La faccia seria con cui ora lo fissava Rock Lee era una delle cose più inquietanti che avesse mai visto, soprattutto se accompagnata da un pugno dall’apparenza così violenta e da uno spostamento di parecchi metri fatto in pochissimi istanti. Nemmeno se si metteva a correre con tutta la sua buona volontà sarebbe arrivato a coprire una distanza simile in così breve tempo.

Era impossibile. Eppure Lee ci era riuscito.

Che quello fosse il suo avvertimento? Che gli stesse dicendo esplicitamente: “ehi, adesso si fa sul serio”?

<< Un combattente sta sempre in guardia, Kiba! >> gli disse invece e, con un movimento a mezz’aria, alzò la gamba destra nel tentativo di tirargli un calcio laterale, dove effettivamente era scoperto al momento.

Kiba chiuse gli occhi, pronto a ricevere un calcio sulle costole degno di questo nome… ma non accadde. Riaprendo gli occhi, dopo averli chiusi per reazione istintiva, si ritrovò… a parare con il suo ginocchio sinistro il calcio laterale che Lee aveva cercato di tirargli.

Il suo corpo si era mosso da solo. E non a casaccio, no, riproducendo una parata tipica del combattimento marziale.

Arte che in vita sua non aveva mai studiato.

Non ebbe nemmeno la reazione mentale di rimanere profondamente stupito da se stesso che il suo corpo, probabilmente reagendo all’abitudine di qualcosa che aveva già fatto, approfittando della posizione sua e dell’avversario inclinò in avanti il busto, cercando di sferrare un pugno al volto di Lee.

Quello, prevedendo probabilmente la mossa, spinse indietro la testa e, portando le mani a sostenere il corpo, si allontanò dall’Inuzuka con una capriola all’indietro.

Che cosa diavolo stava succedendo? Perché il suo corpo reagiva come se quei movimenti, per lui, fossero normali anche se non li aveva mai fatti in vita sua? Perché era riuscito a parare un calcio laterale che gli avrebbe sicuramente rotto due costole? E perché poi aveva contrattaccato?!

<< Eh, sei bravino… >> commentò l’altro, osservandolo con una luce nuova negli occhi: quella del divertimento. Come quando si trova un avversario degno di quel nome in una rissa del dopo scuola.

<< …bravino? >> ripeté Kiba, muovendo l’angolo della bocca in un tic involontario.

Ok, quello era un affronto al suo orgoglio.

Sorrise di sghembo a quella sua stessa affermazione, dimenticandosi in un istante tutte quelle strane sensazioni, tutti i dubbi e tutte le preoccupazioni che aveva accumulato.

“bravino” col cavolo. Non si definiva il prossimo capofamiglia degli Inuzuka con un semplice “bravino”.

Si mise in posizione, lasciando fare tutto al suo istinto. Si chinò sulle gambe, fino a che il suo busto non fu a metà strada da terra, alzando le mani a pararsi il viso e la parte del petto che era rimasta scoperta. Sorridendo beffardo, poi, fece cenno con la mano a Lee di attaccarlo.

<< Bando alle ciance, supereroe con la tutina >> aggiunse a voce: << vediamo di cosa sei capace >> lo sfidò apertamente, attendendo in quella posa di guardia tutta particolare.

La guardia di una bestia in attesa di giocare con la sua preda prima di finirla del tutto.

Anche Lee sorrise beffardo, rispondendo per le rime: << presta attenzione a con chi hai a che fare, Zanna Bianca (*2) >> disse, ora con atteggiamento più malizioso nei confronti del castano: << potresti anche farti male! >> aggiunse, partendo all’attacco non appena la frase fu conclusa, il passo veloce nel dirigersi verso l’altro con la mano a pugno sollevata accanto al volto.

Kiba si concentrò e, grazie a quell’improvvisa voglia di fare che lo aveva colto, si era reso conto che i movimenti di Lee non erano poi così veloci come se li era immaginati.

Era come quando si osserva una partita di tennis. Se dalle tribune guardi solo il movimento delle racchette, è ovvio che la pallina sembra essere velocissima, quasi invisibile. Se invece si fissa l’attenzione sulla pallina stessa, si riesce a prevedere l’andamento e la direzione che ha dopo il colpo del tennista.

Era la stessa, identica cosa. Osservandone i piedi, visibilissimi grazie a quegli scaldamuscoli color arancio, poté prevedere in anticipo la mossa che intendeva fare, scansandosi di lato prima che il pugno dall’altro lo raggiungesse. Esso colpì invece il terreno, sollevando una piccola nuvola di polvere all’impatto.

E questo qui chi era, adesso? Rocky Balboa?!

Mentre ancora stava tentando di recuperare un equilibrio stabile, Lee si gettò di lato a sua volta, nella sua stessa direzione, cercando di colpirlo con un secondo pugno. Tuttavia Kiba era (o meglio, si era rivelato) molto agile, e non fu difficile per lui scansarlo nuovamente, abbassandosi ulteriormente fino a quasi sfiorare il terreno con il naso.

Approfittando della posizione, fu il momento di passare all’attacco: spingendosi con le gambe riuscì a balzare in avanti con il busto, mirando direttamente alla parte molle dell’addome, ovvero lo stomaco al di sotto del plesso solare.

Era una delle prime parti da colpire in combattimento, questo aveva imparato in quelle sporadiche risse a cui partecipava.

Ma Lee non si fece sorprendere più di tanto, proprio come era logico aspettarsi da un semi-professionista. Con un movimento fulmineo della mano parò il colpo, approfittandone e, aumentando la stretta sulla presa, lo tenne vicino a lui in modo che non potesse balzare lontano in nessun modo. Contemporaneamente, una volta trovato l’appoggio del terreno con entrambi i piedi, cercò subito di portare un terzo attacco ai suoi danni, e dalla posizione sembrava nuovamente un calcio laterale.

Essendo bloccato, questa volta non poteva di certo abbassarsi o scansarsi. E anche se era una mossa poco furba, l’unica cosa che poteva fare, a quel punto, era tentare di bloccare il calcio con la mano libera, incrociandolo al braccio che Lee teneva ben stretto.

Una bruttissima posizione che non offre granché per muoversi… però era l’unica cosa che poteva fare per salvarsi le costole. Quel ragazzo, anche se aveva l’aspetto di un povero demente, era peggio di Karate Kid.

Riuscì a malapena a parare il calcio, poi si separarono entrambi in un balzo, probabilmente entrambi impossibilitati a condurre un qualche tipo di attacco senza risultare ridicoli.

Si osservarono, leggermente ansimanti, sorridendosi entrambi in maniera boriosa.

<< Ti ho rivalutato, Inuzuka >> disse il moro al settimo cielo dalla contentezza, mettendosi nuovamente in posizione di combattimento. << Era da un pezzo che non mi capitava qualcuno con cui confrontarmi >> continuò, senza mai togliergli gli occhi di dosso.

Al contempo, intorno a loro, si era creato il silenzio. Gli alunni di entrambe le classi guardavano stupiti l’allenamento dei due ragazzi, commentando a bassa voce o, addirittura, astenendosi dal farlo per non perdersi la prossima mossa. Sakura ed Ino, posizionate vicino ad altre loro compagne di classe, osservavano tutta la scena con un’espressione a metà fra lo stupito e l’incredulo.

Kiba osservò a sua volta l’altro, sorridendo beffardo per non piangere. << Grazie, altrettanto >> rispose con finta aria superba.

Ma lui, alla fin fine, doveva ancora sapere per quale benedetto motivo riusciva a fare tutte quelle cose così fighe. E soprattutto come aveva fatto a mandare il suo corpo in modalità “automatico” per farle.

Quella non era una cosa normale!

…cioè, perché… aveva la faccia tosta di considerarsi ancora una persona normale? Certo che aveva un bel coraggio.

Fu il successivo urlo di Lee a risvegliarlo da quella catalessi, un grido concitato che segnalava l’arrivo del suo attacco; il ragazzo infatti si era messo a correre in sua direzione e, balzando a pochi metri da lui, si era lanciato in un attacco aereo con la palese intenzione di cambiare strategia ed attaccarlo dall’alto.

Elementare. Ma sciocco.

L’attacco dall’alto ha la pecca di essere diretto. Non ti puoi muovere a mezz’aria, dunque è consigliabile farlo quando l’avversario è impossibilitato a muoversi o non è sufficientemente abile per scansarlo.

Cosa che lui era. Ma non figurava come vantaggio solo per questo motivo: l’attacco dall’alto poteva essere preso come un bersaglio facile, proprio perché l’attaccante non si può muovere da quella posizione mentre attacca.

Errore, Lee. Ora gli bastava un’arma da lancio e avrebbe vinto.

Istintivamente… o forse rispondendo ad un impulso particolare che nemmeno lui sapeva quale fosse, la sua mano destra scattò a cercare qualcosa a livello della sua coscia.

Come se dovesse estrarre qualcosa di utile.

Ma non trovò nulla. E, negli istanti in cui lui si guardò la gamba stupito della sua sicurezza e, allo stesso tempo, della sua ignoranza, Lee ebbe tutto il tempo di preparare il calcio… e di centrarlo in pieno.

Era uno shuriken, l’oggetto che cercava.

Il problema, era che lui non sapeva nemmeno cosa fosse, uno shuriken…

 

 

<< Inuzuka, comincio a chiedermi come sia possibile che tu passi più tempo in infermeria che nel resto dell’accademia >> borbottò Kabuto, sospirando mentre si appropinquava con uno svolazzare di camice all’armadietto delle medicine.

Kiba ammortizzò il colpo con classe, limitandosi a sfoderare di nascosto una smorfia seccata. << Sinceramente me lo sto chiedendo anche io… >> soffiò a mezza voce, tenendosi sollevata con pochissima voglia la maglietta a mezze maniche, mettendo in mostra un bellissimo livido color blu-violaceo sulla parte laterale destra del costato.

Ricordino di Lee. In un riflesso quasi istantaneo era riuscito a parare, con le braccia, il perfetto calcio modalità “Boeing 747” scagliato dal ragazzo, che aveva silenziosamente minacciato il suo collo. Certo, le braccia erano ridotte peggio di un campo di battaglia dopo il passaggio dell’artiglieria pesante, però era un dolore trascurabile.

Peccato che, nella violenza del colpo, si fosse sbilanciato… e il successivo calcio in volo lo aveva preso in pieno, sentendolo in tutta la sua brutale potenza distruttiva.

Altro che Rocky Balboa, Rock Lee faceva a gara con Chuck Norris.

<< Hai combattuto contro Lee, giusto? >> chiese poi Kabuto, ritornando in sua direzione con un tubetto bianco dal nome impronunciabile. << Quel ragazzo è un genio delle arti marziali. Si allena solo in quelle, dato che non può usare l’Alchimia, così si è presto guadagnato la fama di miglior combattente dell’intera accademia. Si dice che solo Itachi Uchiha sia stato in grado di sconfiggerlo >> continuò tranquillamente, posando la pomata sul lettino dove era seduto Kiba e facendo qualche risvolto alle maniche del camice.

<< Ecco perché era così bravo, c’è il trucco >> commentò l’altro, cercando di guardare ovunque tranne che Kabuto. Nonostante lo avesse curato più e più volte ormai, non riusciva comunque a fidarsi di quel ragazzo. C’era qualcosa nel suo insieme che gli faceva venire i brividi lungo la schiena.

<< Ma da quel che ho sentito, anche tu non te la sei cavata male >> aggiunse il medico, sorridendo pacatamente nel prelevare un guanto di lattice da una scatola in cartone poco distante. << Gli hai tenuto testa. Complimenti, non ti facevo un tipo da arti marziali >> disse, probabilmente senza doppi sensi.

Ma fu Kiba ad attribuirgli tutti i doppi sensi di questo mondo, e anche i tripli.

E adesso come gli spiegava che non aveva mai visto le arti marziali nemmeno da lontano, in vita sua? E che si credeva di avere delle armi legate alle gambe quando invece non c’era assolutamente niente?

Oh, già se lo immaginava: “sai, se uno shuriken si fosse materializzato nella mia mano con una strana trasposizione astrale, probabilmente lo avrei centrato e avrei vinto io! Ah, giusto, manco so cosa sia uno shuriken, fa lo stesso?”

I casi erano due: o Kabuto lo prendeva per matto, oppure lo sbatteva fuori a calci e gli diceva di arrangiarsi.

Preferì il silenzio. Nonostante l’idea di andarsene a cena (dato che ormai era calato il sole) non era male, soprattutto se si toglieva di lì… ma poi sfidava la sorte nel cercare qualcuno che avesse una pomata par farsi passare quel Caravaggio in blu e viola che aveva sulle costole.

Una volta che Kabuto ebbe terminato di infilarsi i guanti, poggiò cautamente e delicatamente le mani sulla parte contusa, cominciando a tastare le costole una ad una.

Kiba, che alla prima scossa di dolore aveva coraggiosamente resistito, alla seconda non ebbe altrettanta fortuna e trattenne il fiato con un mugolio sommesso.

<< Oh, scusami >> si premurò di dire subito l’altro: << devo controllare che non ci sia nessuna costola fratturata, altrimenti ti tocca andare in ospedale. Ti farò un po’ male >> avvertì infine, continuando nel suo lavoro.

Dirlo prima no?! Magari si preparava mentalmente e si metteva il cuore in pace!

Altro, altro… doveva pensare ad altro.

Beh… aveva talmente tante beghe ultimamente, che di certo le cose a cui pensare non gli mancavano. A cominciare da quei ricordi strani, passando per i comportamenti anomali del suo corpo per arrivare, infine, a Shikamaru.

Già, Shikamaru. Aveva evitato di chiederglielo per un fatto di cortesia ma… le sue reazioni, ogni qualvolta vedeva il vicepreside, erano sempre violente e rabbiose.

Ed era capitato anche con il maggiore degli Uchiha, una volta.

…cominciava a pensare che Shikamaru gli nascondesse qualcosa. Era il suo ragazzo, no? Poteva almeno accennarlo, piuttosto che fare completamente finta di nulla e lasciarlo a preoccuparti per un’ulteriore gatta da pelare.

Dopotutto… poteva essere il suo ragazzo quanto voleva, ma l’unica persona che Kiba non avrebbe mai voluto incarnare era quella del ficcanaso.

Doveva aspettare. Sì, aspettare e vedere come si evolveva la situazione. Se proprio quell’idiota Testa d’Ananas non si fosse deciso a spiccicare parola, allora avrebbe chiesto qualcosa.

Cielo, com’era difficile avere una relazione!

La sua tiritera di elucubrazioni mentali fu poi interrotta dal suono di una suoneria famigliare. Vibrando nella tasca dei suoi pantaloni, il cellulare richiamò completamente la sua attenzione con la suoneria al massimo.

Il castano si voltò in direzione di Kabuto che, alzando lo sguardo, gli diede tacitamente il permesso di parlare al telefono.

Lo estrasse e, osservando lo schermo, piegò le labbra in un’espressione disgustata. La parola “madre” brillava quasi sinistra sul display.

Beh, almeno sarebbe stato un indice di distrazione.

<< pronto? >> esordì dunque, portandosi l’affarino all’orecchio.

<< FIGLIO DEGENERE! >> sbottò la donna dall’altro capo, costringendolo a distaccare il telefonino dall’orecchio per non vedersi il timpano crollare a pezzi. << Lo sai chi mi ha chiamato, eh? La polizia Cristo Santo! E sai cosa mi ha detto? Che mio figlio era deceduto! Morto, capisci?! E ADESSO TU MI SPIEGHI COME CAZZO E’ POSSIBILE, MALEDETTO IMBECILLE! >> urlò nuovamente, riuscendo a fracassargli l’orecchio nonostante tenesse il telefono a distanza di sicurezza.

Sì certo, e adesso come glielo spiegava?

<< Sai mamma, potrei spiegartelo in circa cinque modi e in diverse lingue, ma dubito che mi crederes- AHIA! >> esclamò sobbalzando involontariamente ad una fitta di dolore più acuto, causato dalle dita di Kabuto.

<< Scusa >> sibilò quello, continuando più delicatamente la sua opera di verifica fratture.

<< E tu provaci! >> esordì invece a madre: << sono assolutamente curiosa di sapere in che altro casino ti sei ficcato, Kiba, veramente. E lo sai il perché? Perché puntualmente tu devi infilarti in qualche casino di sorta e rischiare di farti espellere! >> blaterò a voce alta, così udibile che persino Kabuto non riuscì a trattenere una risatina, sentendola.

Il castano lanciò all’altro un’occhiataccia che quello non vide, tornando poi a concentrarsi sulla madre isterica. Poverina, la capiva anche… ma era assolutamente fiducioso che, anche se avesse provato a dirle tutto, lei avrebbe finito per non credere ad una sola parola. Tanto valeva rimandare il discorso a tempi più “adatti”.

<< Mamma, prova a fidarti di me per una volta, ok? Come favore personale >> le disse velocemente, nel tentativo di interrompere quella telefonata che, se lo sentiva, in caso di fallimento sarebbe durata per più di due ore senza risoluzione alcuna.

Un leggero silenzio seguì dall’altra parte per qualche istante, interrotto poco dopo dalla voce della donna, ora dall’intonazione calma seppur severa: << l’ultima volta che mi hai detto questa frase ti se fatto bocciare all’esame del patentino dello scooter >> disse lei.

<< Però poi l’ho superato >> rispose Kiba di rimando, il tono furbo di chi pregusta un’esile vittoria all’orizzonte.

La madre tacque per un altro poco, sospirando rassegnata alcuni istanti dopo. << Suppongo non esista cura per la tua sfiga… >> disse, sospirando di nuovo. << Va bene. Ma ne riparliamo, stanne certo >> minacciò, ora quasi completamente rassicurata. << Non morire, impiastro. I funerali costano >> ribatté infine, pronta a riattaccare.

Sì, beh… magari non era proprio un amore di mamma, ma questo era il suo personale modo per dire che a lui ci teneva.

<< Ah, aspetta mamma! >> intervenne il ragazzo prontamente, prima che la donna riattaccasse. Aspettò di sentire di nuovo la sua voce, e quando lei disse un seccato “cosa c’è ancora?” lui ebbe l’occasione di fargli quella domanda che, seppur priva di significato, continuava a ronzargli in testa da quando si era risvegliato. << Questa notte ho sognato Akamaru, te lo ricordi? Mi sai dire che fine ha fatto? non riesco a farmelo venire in mente… >> domandò noncurante, annuendo al cenno di “ok” appena fattogli da Kabuto.

Perfetto, almeno non aveva nessuna costola il procinto di perforargli la pleura.

Osservò il ragazzo afferrare il tubetto con il nome impronunciabile mentre la donna, ancora al telefono, rimaneva in un attonito silenzio.

<< E chi sarebbe Akamaru? >> chiese poi, sensibilmente stupita.

<< Come “chi”? >> chiese Kiba: << il mio cane, me lo avete regalato tu e Hana quando ero piccolo! >> ribatté distrattamente, mentre con la mano destra si teneva bene su la maglia, per non impiastricciarla con la pomata che Kabuto era in procinto di spalmargli sulla pelle color uva.

<< Figlio, fatti vedere da uno bravo >> fu la risposta della madre: << tu sei allergico al pelo dei cani, ricordi? Noi un cane non lo abbiamo mai avuto. Scappavi da quelli dei vicini proprio perché ti scatenavano l’asma >> ribatté.

Non seppe quando aveva cominciato a trattenere il fiato, se alla parola “allergico” o al completamento di tutta la frase in sé. Ciò che sapeva, era solamente che si ricordava un cane bianco con le orecchie rosse che non aveva mai avuto.

E non credeva, non voleva credere che fosse tutta una finzione. Perché si ricordava di avere voluto bene a quella piccola palla di pelo, di averlo accarezzato, curato e trattato come il suo miglior compagno.

Certi sentimenti non si possono falsificare. E nemmeno i ricordi, di questi sentimenti.

L’affetto non si può contraffare.

<< Kiba? >> disse la madre al telefono, distraendolo.

Per il bene suo, e soprattutto del suo personale tormento che ormai sfiorava livelli record, doveva sforzarsi di accantonare, almeno per adesso, quella questione.

Era solamente un altro pezzo del puzzle, un tassello staccato che doveva rimettere a posto, niente di più.

Niente di più…

<< Si, scusami. Ora devo andare >> abbozzò solamente, distaccandosi il telefono dall’orecchio e spingendo il tasto rosso. Osservò assorto il display con la mente vuota, senza sapere cosa pensare o che spiegazione darsi.

Era semplicemente impossibile.

<< Tutto bene? >> chiese l’infermiere con voce modulata, cominciando con l’indice a spalmare delicatamente una pomata gialla dall’odore forte sulla parte contusa.

Gli venne la pelle d’oca, non seppe però se per il gelo della crema o per la stilettata appena ricevuta.

<< Sì >> disse solo, cercando di controllare il tono di voce in modo da non farlo sembrare sconvolto più di tanto. Doveva controllarsi, o sarebbe impazzito davvero.

Improvvisamente, due colpi secchi sul legno della porta lo fecero sobbalzare lievemente. Ormai il sole, del tutto calato, aveva fatto posto al buio e dalla finestra non si vedeva null’altro che la luce fioca della luna, per la maggior parte coperta dal riflesso del neon rimandato dal vetro.

Kabuto sbuffò e, poggiando nuovamente il tubetto sulla relativa scatola in cartone, voltò il capo in direzione della porta bianca. << Avanti! >> esclamò poi, impossibilitato a togliersi i guanti per andare ad aprirla da solo.

Con un lieve cigolio della maniglia che veniva abbassata, il viso affilato e pallido del vicepreside Orochimaru comparve dalla fessura, scivolando velocemente all’interno dell’infermeria prima di richiudersi la porta alle spalle.

<< Buonasera, Orochimaru-sama >> salutò cordialmente Kabuto, tornando ad occuparsi della pomata: << non la aspettavo in infermeria, oggi >> continuò tranquillamente, tornando a spalmare quel gel oleoso sul livido del ragazzo.

<< Difatti… >> commentò solamente l’uomo, la voce sibilante e rauca: << tuttavia ho dovuto antipare alcune cose e avrei bisogno del tuo aiuto, di sotto. Potresti andare? Finisco io di medicare il ragazzo >> si offrì pacatamente, sorridendo maliziosamente al responsabile dell’infermeria.

Kabuto, da parte sua, non batté ciglio. Kiba lo osservò togliersi i guanti in lattice, gettarli con media lentezza nel cestino in plastica bianca accanto alla scrivania e, sistemandosi il camice, uscì dalla porta senza aggiungere parola.

Gli ricordò enormemente un fidato allievo che seguiva ogni parola del maestro come se fosse quella di un Dio, ma non volle assolutamente fissarsi troppo su quel tipo di pensiero. Ne aveva già abbastanza a cui pensare e, sinceramente, al momento era la presenza dell’inquietante figura del vicepreside ad agitarlo più del resto.

Probabilmente lo osservò con lo sguardo più sospettoso possibile, poiché subito l’uomo prese a rassicurarlo… come era meglio capace: << non temere, Inuzuka. Ero un medico, prima di venire qui >> disse sulle prime, evitando di mettersi i guanti in lattice come il suo collega precedente e, afferrando il tubetto, posizionò una piccola quantità di pomata sulla sue dita per poi riprendere ciò che Kabuto aveva interrotto.

Nonostante il tocco del vicepreside fosse molto più sgraziato di quello del predecessore, non si diede la libertà di sobbalzare, o di mugolare per quel dolore che inevitabilmente gli scorreva lungo le pelle e fino al cervello.

<< Ero passato per vedere come stavi, ad essere sincero >> cominciò melenso l’uomo, il cui tono di voce e la calcolata lentezza delle espressioni vocali non facevano altro che mettergli addosso i brividi.

<< Sto meglio >> mentì kiba in parte, rispondendo velocemente per troncare quella conversazione in modo altrettanto veloce. Come una mano era impegnata a trattenersi la maglietta, l’altra rimaneva aggrappata alla plastica del lettino, pronta a scattare in ogni momento.

Si sentiva in pericolo e non capiva nemmeno il perché.

<< Ottimo >> ribatté subito l’uomo. << Però sai… >> esitò poi, terminando di spalmargli la pomata e chiudendo con spensierata lentezza il tubetto: << …è un vero peccato >> terminò, richiudendo la confezione per poi appoggiarla alla scrivania.

Non capì a cosa si riferisse. Ma quando si ritrovò nuovamente addosso le mani dell’uomo, entrambe, che da sopra la maglietta carezzavano lentamente la sua schiena risalendo aperte verso le scapole, un brivido più forte degli altri gli percorse la spina dorsale.

E questa volta anche Orochimaru lo aveva percepito, tramite la leggera contrattura dei muscoli infra-scapolari che il castano aveva involontariamente fatto.

Nonostante la situazione, Kiba si sforzò di rispondere: << cosa è un peccato, signore? >> chiese, cercando di non palesare il disgusto che provava nel sentirsi le mani dalle dita affusolate dell’uomo salire sempre di più, sempre più lentamente, in direzione del suo collo in un’ambigua carezza lungo la spina dorsale.

Da dietro, Orochimaru sorrise malignamente. E Kiba, grazie proprio al buio che aveva ormai reso i vetri dei meri specchi, poté vederlo.

Ma fu troppo tardi per scattare.

Con un ultimo balzo le mani del vicepreside si chiusero sulla sua gola, fredde come l’inverno, premendo le dita gelide sulla sua carne soffice.

Orochimaru poté sentire sotto le dita, in corrispondenza della giugulare, il battito velocizzato del cuore di Kiba e questa sensazione, unita probabilmente alla follia che già ne consumava l’anima, lo fece sorridere ancora più malignamente, trasformando tale sorriso in un ghigno di sadica pazzia.

<< Mi temi, Inuzuka? >> chiese, ignorando completamente la domanda.

Il castano rimase immobile, terrorizzato, senza però darlo a vedere. L’orgoglio era molto più potente della paura, in quel frangente, e anche se questa era la cosa più stupida del mondo il desiderio di non lasciarla vinta a quell’essere (che definire “umano” era una sfida a Madre Natura stessa) era addirittura più pressante della paura.

<< Io non ho paura di lei >> mentì perfettamente, osservando lo sguardo dell’uomo tramite il riflesso del vetro.

<< Coraggioso da parte tua, ma sicuramente poco saggio >> commentò l’altro, aumentando impercettibilmente la stretta.

E la aumentò pian piano sempre di più, affondando le dita in quella carne morbida e calda, fino a che non prese a fare male davvero e Kiba, non riuscendo più a respirare con regolarità, dovette forzatamente gettare la maschera e portarsi le mani alla gola, cercando di liberarla da quelle affusolate dell’altro.

Ma non funzionava. Nonostante la forza e tutta le sue buone intenzioni, la stretta del vicepreside diveniva pressante e sicura senza cedere mai.

Era forte come un pitone che avvolge la preda per spezzarle tutte ossa, prima di ingoiarla e lentamente digerirla.

Gemette dal dolore, Kiba, nel vano tentativo di dibattersi e liberarsi da quelle mani così forti. Ormai la stretta si era fatta talmente possente che non gli era possibile nemmeno respirare.

Il panico lo invase, portato dal terrore sviluppatosi d’un tratto in tutte le sue ossa. Lo stava uccidendo, e lui glielo stava addirittura permettendo.

Quella forza non era normale.

<< Sai Inuzuka, sono rimasto molto sorpreso di vederti nella mia accademia >> sussurrò quello fra un gemito e l’altro, mentre lo teneva saldamente per il collo nonostante Kiba si stesse dibattendo con tutte le sue forze per liberarsi da quella silenziosa presa di morte. << Pensavo sinceramente che non ci avresti mai messo piede. Insomma, mi ero prodigato così tanto per fare il lavoro di persona… potevi almeno ringraziarmi finendo i tuoi giorni con dignità >> continuò divertito.

Le iridi dorate dell’uomo, viste da Kiba dal riflesso nel vetro, si assottigliarono e la pelle intorno al viso cominciò a crepare e a separarsi, formando piccole squame bianche dallo strano riflesso rosato alla luce del neon. Le dita, al contempo, si imprimevano sempre più nella carne del ragazzo che, oramai, aveva smesso di sentire l’aria arrivargli nei polmoni.

Le tempie pulsavano mentre il cuore, improvvisamente in assenza di ossigeno e in procinto di uno stato di shock, aumentava i battiti già notevolmente sostenuti. Le dita di Kiba si stringevano convulsamente attorno ai polsi di Orochimaru, cercando di allontanarli senza il minimo successo.

<< Dimmi, Inuzuka… perché sei ancora VIVO? >> domandò Orochimaru, sibilando ora come solamente un serpente poteva fare.

Cercò ancora di liberarsi, ma inutilmente si dimenava con tutto se stesso.

Stava morendo.

 

Il Signore giudica con le fiamme e con la spada.

 

All’improvviso una luce scaturì dal crocifisso che portava sempre al collo, stretto fra le dita del vicepreside insieme alla pelle del castano.

La catenina in oro cominciò a surriscaldarsi, arrivando in pochissimi secondi ad una temperatura insopportabile per la pelle gelida di Orochimaru che, scottato, piuttosto che lasciare il collo dell’Inuzuka prese ad urlare di dolore, come un forsennato, espandendo la voce sino a limiti in cui un umano non poteva arrivare… ma una bestia sì.

Quando finalmente il crocifisso bruciò la pelle dell’uomo tanto da far sì che lo lasciasse, cadendo sul pavimento Kiba si portò subito le mani al collo, cercando velocemente di respirare di nuovo, di far sì che l’aria penetrasse lungo la sua gola, riarsa e dolorante, rientrando nei polmoni e permettendo che la respirazione riprendesse.

Una volta che la vista fu stabile e che le lacrime furono scivolate dagli occhi lungo le guance, alzò lo sguardo su colui che aveva cercato di ucciderlo, osservandolo contorcersi alla luce che scaturiva dal crocifisso che ancora portava al collo e che, proteggendolo, formava ora una specie di scudo di fiamme tutto attorno a lui; fiamme bianche che divampavano luminose per tutta la stanza, fuoco che non bruciava, silenzioso e candido come neve, ma che sembrava ardere la pelle del vicepreside, urlante di dolore con le braccia a proteggersi il volto.

Quella voce che aveva appena sentito rimbombare nella sua testa era la stessa, identica a quella che aveva udito quella sera, quando la spada di cristallo si era manifestata e aveva preso forma da quello stesso ciondolo sacro che ora lo proteggeva.

Osservando la scena, poté finalmente vedere il vero aspetto che si nascondeva dietro la maschera pallida di quell’uomo che si faceva dare l’appellativo “-sama” come se fosse una divinità: nella parete, l’ombra proiettata da quel fuoco candido guizzante di azzurro disegnava otto code serpentine che, come impazzite, si muovevano velocemente in una danza contorta.

Il demone serpente delle otto code: Yamata no Orochi.

E la prima maschera, cadendo, si infranse al suolo in cocci di porcellana.

 

 

Chapter No.10 ~ End

 

 

 

(*1) Carpa Kohaku: tipo di carpa tipica giapponese, bianca e rossa. Solitamente la si mette nei laghetti delle case tradizionali ed è comunque molto diffusa.

(*2) Zanna Bianca: romanzo di Jack London. Lee, in questo caso, vuole sfottere Kiba giocando sul significato del suo nome. Infatti, in giapponese “kiba” significa letteralmente “zanna”.

(*3) “Il Signore giudica con le fiamme e con la spada”: detto sinceramente, non so dirvi con precisione da quale parte della Bibbia provenga questa citazione. Penso dall’Apocalisse di Giovanni, ma non ne sono completamente sicura. Entro il prossimo capitolo cercherò di far luce su questa faccenda, tanto la devo leggere il ogni caso. La citazione, comunque, in questo caso è presa dal manwa/manga “Knights of the Apocalypse” di Ko Ya Sung (edizioni Star Comics) che mi ha ispirato parecchio e che citerò anche in uno dei prossimi capitoli.

 

Ultima noticina e poi me ne vado ^^’’’

Avverto la gentile clientela che, come detto sopra, la sottoscritta ha un turno di esami. Probabilmente scriverò a rilento, dunque fino al 10 come minimo non riuscirò a scrivere il nuovo capitolo.

Mi scuso davvero tanto per il ritardo, farò del mio meglio per pubblicare la Nona Eco quanto prima *si inchina*

Alla prossima!

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Capitolo 12
*** Interlude 03 - L'Equilibrio del Mondo ***


Devo per forza cominciare questo capitolo con delle scuse

Devo per forza cominciare questo capitolo con delle scuse.

Sono idiota, lo so. Prometto cose che non mantengo, so anche questo. Sono indietro come una nespola fuori stagione… sì, accidenti! ç____ç

Mea culpa. Avevo sottovalutato la frequenza con cui si deve studiare all’università. Credevo di poter scrivere di notte, ma dovendomi alzare presto (indovinate a far cosa? A studiare, esattamente!) a causa di orari del treno impossibili e tratte ancora peggiori, non potevo di certo rimanere in piedi fino alle 4 del mattino. Crollavo addormentata a lezione e non era assolutamente il caso! XD

In ogni caso, eccomi di ritorno. Molto in ritardo rispetto alla data che avevo scritto nel capitolo precedente, ne sono consapevole, ma cerchiamo di vedere il lato buono (anche se sembra più un’arrampicata sugli specchi…):rampicata sugli specchi...il lato buono (anche se sembra più un'ta che avevo scritto nel capitolo precedente, ne sono consapev voti abbastanza buoni fanno Yoko felice ed operosa.

Perciò, eccomi qui con l’undicesimo capitolo, quartultimo della fic. Ultimo Interlude dedicato tutto a Neji e Itachi.

Per chi lo aspettava, buona lettura. Per chi non se lo aspettava, se ha deciso di leggere ringrazio sentitamente. Per chi mi aveva dato per morta… ehi, io sono peggio del prezzemolo U.u

Preparatevi psicologicamente però, credo proprio che sarà un capitolo un po’ lungo da digerire ^^’’

 

Avviso inoltre che in questo capitolo si parlerà abbondantemente di religione. Tutto quello che scrivo, dato che ipuò avere svariate interpretazioni, fa parte di una mia personale visione dei fatti narrati nei testi sacri (che non ho letto integralmente, chiedo perdono XD) e adattati alla trama di questa fanfic. Specifico dunque che potrebbe non essere la versione ufficiale come io potrei non avere capito una mazza di quello che ho letto per scrivere il capitolo.

 

Ordunque, buona lettura!

P.S. : Per cause di forza maggiore (non mi ricorderei assolutamente cosa volevo scrivere in risposta ai commenti e non vorrei fare uno zibaldone senza senso) per questo capitolo mi risparmio (e vi risparmio XD) le risposte ad personam per i commenti del capitolo precedente, ovviamente apprezzatissimi. Riprenderò dal prossimo (se ce ne saranno XD).

 

 

Chapter 11 ~ Interlude 03

 

 

Per la prima volta, desiderò di trovarsi in un sogno.

Sì, proprio in uno dei suoi soliti sogni senza senso.

Perché non erano reali. E anche se magari lo sarebbero diventati, sul momento, mentre li sognava e li guardava, non lo erano.

Non lo erano mai.

Ma non poteva illudersi che quella non fosse la realtà. Non poteva prendere in giro se stesso in quel modo.

Era in pericolo. E se non si faceva venire un’idea all’istante, sarebbe morto.

Sarebbe morto davvero.

Osservò nuovamente le fiamme bianche avvolgerlo in uno scudo candido, lievi come petali di rosa ma letali quanto il fuoco vero.

Davanti a lui, le mani portate al volto come se volesse proteggersi senza poterlo realmente fare, Orochimaru di dimenava urlando, gridando a voce talmente alta che, nelle note più acute, vibrava di uno stridore mostruoso.

Vedeva la pelle dell’uomo bruciare, colpita da quelle stesse fiamme che lui poteva toccare senza ferirsi. Sentiva il peso del crocifisso incombente sul suo collo, causa di quella protezione inattesa, e brillava di quella luce candida quanto quella del sole se non di più.

Togliendosi le mani dal collo, lasciando che il fiato penetrasse nuovamente nei suoi polmoni, si sentì bruciare la gola. Respirò a fondo, più volte, senza tuttavia spostare gli occhi dal mostro che si dibatteva furente, urlando improperi in una lingua che non riusciva a capire.

Tutte quelle urla lo stordivano, lacerandogli i timpani con la violenza di un tornado, e quando il tono prese ad aumentare ancora di più dovette per forza portarsi le mani alle orecchie, assottigliando gli occhi in una smorfia infastidita ma, sempre e comunque, senza spostarli dal vicepreside.

Doveva continuare a guardarlo. Non doveva togliere lo sguardo da lui un solo secondo.

Se chiudeva gli occhi, poteva perdersi un eventuale suo attacco. Se chiudeva gli occhi, poteva venire colpito senza nemmeno possibilità di reagire, o di scansarsi.

Se chiudeva gli occhi, poteva morire.

<< LASCIAMI! >> gridò poi il l’uomo, anche se “uomo” ormai non poteva più essere chiamato: << MALEDETTO! MALEDETTO TU E LE TUE FIAMME! MALEDETTO MICHELE! MUORI! MUORI E SII DANNATO! >> aggiunse furioso, emettendo poi un rantolo di dolore mentre tendeva ogni muscolo della sua pelle fino al limite estremo, fino a quando ogni suo arto non assunse sotto agli occhi di Kiba una forma innaturale, piegandosi ad angolature impossibili per qualunque essere umano. Le dita delle mani scattavano come fuscelli spezzati, scricchiolando sinistre mentre lo scheletro cominciava a mutare, deformando prima gli arti, poi il costato.

La pelle lattea cadeva, seccandosi, staccandosi dalla muscolatura che, tesa e liscia, appariva dura come l’acciaio. Al posto dei piccoli stralci di cute essiccata crescevano quelle che sembravano squame lucenti, bianche come porcellana, che andarono a ricoprire la pelle delle braccia e di parte del viso. Dalla bocca spalancata si potevano vedere denti sottilissimi ed aguzzi da cui  stillavano fiotti di veleno violaceo, colando dalla mandibola fino a gocciolare sul pavimento.

Gli occhi, gialli e dalla pupilla allungata, lo osservavano come se fosse un succulento spuntino pronto per essere divorato. Infuriavano d’ira, odio e rancore, uniti ad una follia omicida che si poteva sentire a pelle, concretizzata dai brividi che a Kiba correvano lungo la schiena, paralizzandolo.

Poi, il colpo che non vide. Mentre ancora le otto code prendevano forma sulla schiena di Orochimaru, un braccio superò la barriera di niveo fuoco che li divideva, colpendolo in pieno con quello che doveva essere un pugno… o un’artigliata.

Sentì solamente dolore. E solo quando, sfondando il paravento, terminò la sua corsa contro il muro dell’infermeria si rese conto che il braccio che lo aveva colpito sembrava più un traliccio di puro acciaio che un arto.

In maniera molto cruda, poté percepire nitidamente la sua spina dorsale sbattere contro i mattoni che formavano l’anima del muro, quasi sentendo sulla pelle il solco lasciato dalle strisciate di cemento fra un mattone e l’altro.

Quando cadde a terra, di rimbalzo rispetto al colpo che aveva ricevuto, una pioggia di calcinaccio gli si riversò addosso.

Tentò di sollevarsi, impossibilitato a fare anche il minimo respiro, pregando nella sua mente che le braccia tremolanti che ora fissava fossero in grado di sollevarlo.

Non se le sentiva. Dalla sua prospettiva, anche se vi somigliavano, potevano non essere le sue.

Ad un improvviso conato di vomito, sputò sangue. Il sapore del ferro in bocca ed in gola era la cosa più fastidiosa che avesse mai provato. Lo aveva odiato già dalle poche risse a cui aveva partecipato… ma ora era diverso.

Ai vecchi tempi al massimo si incrinava una costola. Ora pensava di essersene rotte una dozzina, di costole.

Tuttavia, in quella nuova atmosfera ovattata e sfocata, anche il dolore era sordo e lontano.

Vedeva tutto come se fosse stato dall’altra parte di una vetrata opaca, un universo deformato e ridondante, così come debole sembrava tutto il tormento che il suo corpo doveva provare.

Forse era davvero un sogno… o forse, aveva raggiunto quella soglia in cui anche la sofferenza fisica sfumava nel nulla.

Tremante, reggendosi in piedi per puro spirito di sopravvivenza, si portò una mano alla piccola croce che gli pendeva dal collo. Le fiamme protettrici erano scomparse nel preciso istante in cui era stato colpito ed ora Orochimaru, o quello che alla sua vista sembrava lui, terminava la semi-trasformazione in demone facendo comparire anche l’ottava coda in squame bianche.

Strinse con forza il crocifisso, cercando di ignorare il pulsare furioso della sua testa e il flusso di liquido caldo che sentiva scendere sulla guancia destra e sul collo.

La spada. Aveva bisogno della spada.

<< Ti… pre…go… >> rantolò, sperando con tutto se stesso.

Ma non succedeva niente.

Ansimò, trattenendo il fiato per provare a ripetere nuovamente la parola come se fosse l’unico modo che aveva per richiamare a sé la forza, ma non riuscì a pronunciare nulla.

Il fiato gli si ruppe in gola.

Maledizione, maledizione!

<< D… annaz… >> sussurrò senza nemmeno riuscire a terminare la frase, costretto ad appoggiarsi al muro per rimanere in piedi.

Dal centro della stanza, nella egoistica magnificenza del suo potere, Orochimaru lo guardava nella sua nuova condizione di invincibilità.

Metà umano e metà bestia.

<< A corto di energie, Inuzuka? >> sfotté con voce sibilante, mostrando i denti veleniferi come un cobra in procinto di attaccare.

Kiba, nella sua impotenza, non poté far altro che sorridere di rimando, sfrontatamente.

Non voleva morire in modo così deficiente.

No… semplicemente non voleva morire, punto.

Non ora che aveva trovato qualcosa di bello. Non ora che la vita, nonostante tutto, sembrava avere imboccato la direzione giusta.

Scostò gli occhi per un secondo, vedendo solamente di sbieco il collo di Orochimaru allungarsi proprio come una serpe, lanciandosi con la testa in sua direzione.

Avrebbe fatto quello che il suo istinto gli urlava di fare da quando aveva rimesso piede in infermeria.

Sarebbe scappato.

Sarebbe sopravvissuto per poter rivedere ciò che gli era caro e, infine, per tornare di nuovo più forte di prima.

Lui non fuggiva con la coda fra le gambe: avrebbe lasciato il campo di battaglia in attesa della rivalsa.

E si sa che la vendetta è un piatto che va servito freddo.

Aspettò, paziente, che l’attacco lo raggiungesse. Secondo dopo secondo, sembrava che la sua vista si abituasse alla velocità dell’attacco, come solamente poche ora prima aveva fatto con Lee.

Attese sino all’ultimo secondo, fino a che non vide nitidamente i denti minacciare di chiudersi sul suo collo… poi si scansò.

Si buttò di lato, cadendo esattamente davanti alla porta distrutta mentre il demone piantava la bocca sul cemento, distruggendo uno dei mattoni.

<< Dove credi di andare?! >> sbottò furioso, facendo ritornare la testa sul corpo e preparandosi ad un altro attacco.

Questa volta però Kiba non stette a guardare e, guadagnando faticosamente la porta, cominciò a correre per il corridoio.

Ripose tutto il suo coraggio e il suo fiato in quella corsa. Ad ogni falcata il malessere si faceva più intenso; ad ogni contrattura di muscoli una nuova fitta lambiva la sua pelle, lasciandolo senza respiro. Tuttavia correva, il più velocemente possibile, consapevole di essere braccato.

Dietro di lui, infatti, l’essere serpentino si muoveva veloce lungo il corridoio, vibrando in aria le code che come fruste distruggevano tutto ciò su cui si posavano. Gutturali rumori di vetri rotti e porte frantumate rimbombavano per tutto il corridoio e il loro suono lo inseguiva ancora più velocemente della bestia che voleva nutrirsi della sua carne.

Si sentiva intrappolato nei suoi limiti umani.

Voltò l’angolo rapidamente, appoggiandosi con la mano al muro per non cadere a terra. Si sbilanciò nel passo per riprendere la corsa da quell’improvviso rallentamento, gemendo di dolore nello sforzo di non fermarsi, riprendendo poi a correre più velocemente che poteva.

Ma nonostante tutto, Orochimaru era sempre alle sue calcagna. Per ogni metro percorso il demone ne guadagnava il doppio.

Se continuava così non sarebbero bastate le curve a gomito per evitarlo, così come non avrebbero potuto fra nulla corridoi e porte trasformati in provvidenziali ostacoli.

Era spacciato.

<< Puoi correre più veloce di così >>

Trattenne il respiro, per quanto fiato potesse effettivamente trattenere.

Una voce rimbombò nitida nella sua testa; diversa da quella che udiva ogni volta che il crocifissosi risvegliava, ma famigliare, fin troppo famigliare…

Era in tutto e per tutto simile alla sua.

Eppure lui non aveva… parlato.

Respirando ormai solo superficialmente fece l’ennesima curva, imboccando velocemente il ponte sospeso, rilucente dei riflessi provocati dalla fioca luce della Luna sui vetri delle molteplici finestre.

Fu in quel momento che, voltando il capo verso la sua immagine su quelle stesse vetrate, vide chi gli stava parlando.

Riflesso in quella trasparente superficie, un altro se stesso lo guardava correre, correndo a sua volta in quel mondo a parte al di là dello specchio.

Un se stesso che aveva già visto in sogno.

I pantaloni, la maglia scura, la camicia che non trovava… era il Kiba Inuzuka del primo giorno al St. Michael, quello che lo guardava tramite le finestre, e lo aveva incontrato in quello stranissimo sogno dello specchio.

Quel Kiba Inuzuka che gli aveva appena parlato era lo stesso riflesso di quell’incubo.

La differenza era… che ora non stava dormendo.

Fissandolo dalvetro, quel Kiba non sembrava affaticarsi. Aveva il volto impiastricciato di sangue, come quella volta, e l’unica differenza era che adesso sembrava… ustionato, su tutto il braccio destro sin dove la manica strappata della camicia permetteva allo sguardo di vagare. Ed anche il viso, a sua volta, sembrava essere stato raggiunto da una fiamma che ne aveva lambito la gota destra fin sotto l’occhio.

Ma quello… quello era…?!

<< Puoi correre più veloce di così >> ripeté quello, facendo sì che la sua voce rimbombasse di nuovo nella testa di Kiba.

<< Cos… stai… >>

<< Fidati di me >> lo interruppe << segui l’istinto. Tu corri molto più veloce, e lo sai! >> ripeté per l’ennesima volta.

Non era vero, diamine! Quello era il massimo che poteva fare, il limite estremo a cui il suo corpo poteva arrivare!

Oltre quella velocità avrebbe perso ogni forza, sarebbe finito vittima del mostro che lo inseguiva imprecando e gorgogliando insulti insensati.

Non poteva correre più veloce, era impossibile!

<< Non… poss… >> ansimò faticosamente, notando la vista cominciare a sfuocare.

No, no!

Non adesso, non ora!

<< Puoi >> insistette quello. << Devi solo ricordare come… >> aggiunse prima che il ponte sospeso finisse, ponendo fine a quel riflesso e alla sua voce.

Istintivamente, senza pensarci, imboccò la destra in direzione dei dormitori maschili.

Correre più veloce? Ricordare?

Ricordare cosa?! Lui non era mai stato un velocista, non aveva mai vinto le olimpiadi per i 100 metri piani! Non sapeva correre oltre quella velocità, non poteva nemmeno pensarlo nello stato pietoso in cui era messo! Stava correndo senza nemmeno respirare, senza nemmeno cercare di considerare il dolore che sicuramente il suo corpo stava patendo!

Però… in qualche modo, sentiva che quell’ombra aveva ragione.

Che lui poteva, sul serio, correre più veloce.

Bastava… sì. Spostare in avanti il peso del corpo, portare indietro le braccia per fare da contrappeso e lanciarsi con tutta la potenza delle gambe nella corsa. Qualcuno doveva averglielo insegnato, da qualche parte.

Ci provò. Inclinò il petto e stese le braccia indietro. Automaticamente, per una questione di equilibrio, le gambe cominciarono a muoversi più velocemente, ai limiti quasi delle sue forze, implorando il suo corpo di resistere ancora, di non cedere sul più bello.

Seguì l’istinto. E quando si fu abituato al passo, il corridoio scorreva di fianco a lui così velocemente che i colori delle vetrate dipinte e della tappezzeria bordeaux sembravano mescolarsi insieme.

Orochimaru lo seguiva ancora, poteva sentirne i rumori di distruzione. Ma sembravano parecchio più distanti, ora.

Arrivando alla fine del corridoio, l’unica cosa che poté fare fu quella che gli garantì la sopravvivenza.

Senza nemmeno riflettere, seguendo solo istinto e speranza, staccò con il destro da terra saltando verso l’ultima finestra del corridoio… che sfondò di peso, coprendosi il volto con le braccia.

Fece in tempo solamente a vedere il suolo avvicinarsi sempre di più, la gravità attirarlo a sé senza possibilità di scelta; chiuse gli occhi istintivamente ma all’ultimo, proprio quando stava per aspettarsi il peggio, due braccia lo sostennero; una volta caduto in quell’abbraccio dalla forza mai sentita, la direzione in cui stava cadendo cambiò di botto, invertendosi.

Riaprendo gli occhi, nella nebbia della sua vista ormai al confine fra coscienza ed incoscienza, poté riconoscere a stento un paio d’ali nere come pece. Iridi rosse lo osservavano calme e rilassate mentre rumori lontani gli giungevano, nascosti fra il più forte frastuono del vento nelle orecchie.

Itachi Uchiha!

Cercò di parlare, di ribellarsi se possibile, ma sia la voce che le forze lo avevano ormai abbandonato.

Uchiha lo aveva salvato? Uchiha Itachi lo aveva veramente preso al volo prima che diventasse una specie di frittata sul cemento del cortile?

Avrebbe voluto urlargli in faccia che poteva farcela da solo, che doveva lasciarlo andare… ma si rendeva conto, purtroppo, di essere più paragonabile ad una pezza di stoffa che, anche lontanamente, ad un essere umano.

<< Reggiti >> disse poi l’Uchiha, il timbro di voce profondo e di insita pacatezza.

Non aggiunse altro, ma avvertendo il modo in cui stava volando Kiba poté rendersi conto che stava scansando qualcosa; spingeva le ali alla loro massima estensione possibile, per poi richiuderle, cadere in picchiata e riaprirle di nuovo, planando bruscamente fino quasi a fermarsi a mezz’aria.

Lui faceva del suo meglio, tenendosi alla giacca della divisa che il ragazzo indossava. Non aveva né la rapidità mentale né la forza per aggrapparsi più saldamente e rischiò più volte di precipitare nel vuoto. Poté vedere, in quei rari momenti in cui il volo di Itachi rimaneva regolare, che il ragazzo volava in circolo sopra l’accademia ad un’altezza tale che le persone erano irriconoscibili. Era come se aspettasse qualcuno e, nel contempo, cercasse di tenerlo lontano da eventuali pericoli.

C’era una battaglia, là in basso.

Chi stava combattendo? Chi rischiava la vita?

E soprattutto… perché lui era tenuto distante da tutto quello? Perché non lo lasciavano combattere?

Poteva farlo, aveva la forza! Era sicuro che potesse richiamarla quella spada, in un qualche modo!

<< Portami… giù…! >> riuscì a dire, cercando di distinguere chi fossero quelle figure che si muovevano così speditamente nel cortile dell’accademia e che lui riusciva a percepire solo come puntini in movimento nel buio.

<< No >> rispose Itachi, lasciandolo sgomento.

Prese fiato per ribattere, ma fu lo stesso Uchiha ad anticiparlo: << tu devi starne fuori, questo è il nostro compito >> disse, osservando prima lui poi la battaglia sotto di loro.

“Nostro”? Strana parola, soprattutto se uscita dalle labbra del maggiore degli Uchiha.

Non ebbe tempo di chiedere il perché di quell’aggettivo, né di poter ipotizzare chi, insieme ad Itachi, lo voleva fuori da quella situazione: nel cielo sopra l’accademia un paio d’ali dorate fecero improvvisamente la loro apparizione, come se il sole stesso avesse dispiegato le sue.

Nell’illuminata notte, Neji osservò dal cielo il cortile del Saint Michael con lo stesso sguardo con cui un giudicatore guarda un giudicato; nelle sua impeccabile figura, perfettamente immobile con le ali spalancate, portò in avanti la mano sinistra come a voler afferrare un arco e la mano destra subito dopo, indice e medio ripiegati come nel voler tenderne la corda.

In una luce accecante color rossiccio, un’impugnatura dorata comparve nella mancina di Neji, a cui si aggiunsero sottili e lunghi flettenti bronzei fino a formare un arco vero e proprio, la corda somigliante ad un filamento di diamante ora testa nella classica posizione di un arciere in procinto di scoccare.

Una volta, in televisione, aveva visto una riproduzione su tela di un saggittario che scoccava una delle sue frecce.

Aveva pensato che fosse una delle più belle mai viste. L’immagine che vedeva ora, tuttavia, non sfiorava nemmeno di striscio quella bellezza: la superava in tutto e per tutto.

Una freccia di energia prese forma fra le mani di Neji, e in quel preciso istante la scoccò in direzione del cortile. L’aria, creando come un risucchio al vibrare della corda, venne presto invasa da una luce accecante che lo costrinse a chiudere gli occhi.

Quando li riaprì, l’accademia intera era piombata nel silenzio. I rumori della battaglia non provenivano più dal basso, tutto taceva e, ne era quasi sicuro, una figura era distesa a terra nel cortile, inerme.

<< Lo ha… ucciso? >> chiese istintivamente.

<< No >> rispose Itachi << non può farlo >> spiegò brevemente: << lo ha solo bloccato temporaneamente. Yamata no Orochi è un osso duro >> terminò, ritornando momentaneamente ai suoi standard di conversazione.

Alzando gli occhi verso Neji, sentì improvvisamente una rabbia spropositata invadergli il petto.

Lui sapeva qualcosa. Anzi no, loro sapevano qualcosa.

 

Neji and Itachi’s Hymn

L’Equilibrio dei Mondi

 

 

Atterrarono in sordina davanti all’ingresso dell’accademia, planando silenziosamente mentre tutta la scuola veniva, per sicurezza, evacuata a gruppi di venti persone per volta.

Aveva visto gruppi di persone uscire dall’ala ovest mentre erano ancora in volo e i membri del Consiglio Studentesco aiutavano alcuni dei professori a mantenere la calma nelle fila, camminando nella notte in direzione della città più vicina.

Cosa gli avevano raccontato, agli studenti? Che scusa avevano usato, se avevano deciso di utilizzarne?

Come si spiega la trasformazione di una persona in un mostro?

Smise di porsi queste domande quando, riappoggiando finalmente i piedi per terra, sentì nuovamente le energie mancargli.

Fece un passo, che andò male, ma prima di cadere a terra fu Itachi a sostenerlo. Si portò silenziosamente il suo braccio sulle spalle, cominciando poi a camminare in direzione del portone di legno massiccio intarsiato.

<< Ci riesco anche da solo >> disse Kiba, ritrovando finalmente fiato per pronunciare qualche parola in fila senza rischiare l’apnea.

<< Io non credo >> fu la risposta dell’Uchiha, che continuò a sorreggerlo facendo di testa propria.

Preferì non ribattere, anche se la tentazione di scansarsi era forte. Purtroppo, complici i suoi neuroni che avevano deciso di cooperare per il bene comune, capiva che se avesse perso quell’appoggio sarebbe rovinato a terra come un sacco di pere.

Con il buio della notte le figure scolpite sulle ante dell’enorme porta erano inquietanti e sinistre. Alla lattiginosa luce dei tre quarti di luna le ali degli angeli si trasformavano in scarabocchi bitorzoluti, mentre i tralci di vite assomigliavano più a radici secche e sfibrate arrampicate sul legno.

Fermandosi davanti a quelle stesse icone, Itachi spinse il battente di destra con la mano libera, riuscendo con facilità a farlo scorrere sui cardini fino a creare un’entrata sufficientemente larga a farli passare.

Kiba rimase interdetto per qualche istante, mentre attraversavano l’ingresso penetrando nella scuola buia ed impolverata odorante di calcinaccio. Ormai non si stupiva più di cose come quella appena successa; supponeva che per Itachi fosse una cosa normale aprire un portone in legno massiccio con una mano sola e senza nemmeno forzarlo.

Con una calma di cui non lo credeva capace, il mezzo demone lo accompagnò con pazienza lungo il corridoio di sinistra, arrivando all’atrio piccolo. L’accademia era ormai vuota e probabilmente le uniche due anime ancora lì erano proprio loro.

<< Non dovremmo andarcene anche noi? >> chiese, stupendosi di come la sua voce riuscisse a creare un’eco così forte in tutto quel silenzio.

<< Non è il caso >> rispose il ragazzo, conducendolo verso il corridoio per le aule di Letteratura ed Esorcismo: << Orochimaru è tenuto sotto controllo da sua eccellenza Jiraiya, dalla preside e da altri professori, ma Kabuto è ancora a piede libero >> aggiunse, imboccando senza tentennamenti un secondo corridoio sulla destra.

In tutta quell’oscurità Kiba non poteva vedere nulla. Cominciava a chiedersi quante caratteristiche avessero i mezzosangue più dei semplici esseri umani.

Aspetta due secondi, replay.

<< Yakushi è ancora in giro e noi restiamo qui!? >> domandò poi improvvisamente, fermando il passo e facendo sì che dovesse per forza fermarsi anche l’Uchiha.

Il moro lo osservò di sbieco, senza però dare segno di impazienza o seccatura, per poi riprendere a camminare. << Da solo non può fare niente >> si limitò a rispondere, senza più aggiungere nulla.

Cominciava ad odiare quel dannatissimo modo di fare. Risposte elusive, abili cambi d’argomento, silenzi. Senza poi contare tutti i guai che gli gravitavano attorno come i pianeti al sole: i sogni, i suicidi, l’empatia, i misteri… persino la morte sembrava essersi invaghita, dato che se alcuni lo davano per morto in un incidente d’auto, quello che teoricamente lo aveva causato lo voleva morto ancora più di prima.

Si rabbuiò, aggrottando le ciglia e abbassando lo sguardo finchè non incontrò il pavimento con gli occhi. Se veramente Orochimaru aveva cercato di ucciderlo settimane prima, e a sentire i poliziotti ci era anche riuscito… lui… che ci faceva ancora lì?

O meglio, lui… chi era?

E se non doveva stare lì… dove doveva stare?

La lotta, la corsa, le armi… era sicuro di non aver mai fatto nulla di tutto quello, di non avere mai imparato a correre in quel modo nemmeno quando il famigerato cagnaccio dei vicini minacciava di stampargli la sua impronta dentale sulle chiappe.

Come era altrettanto sicuro di non aver mai imparato a combattere in quel modo, a quella velocità e con quella precisione.

C’erano troppe cose che non riusciva a capire, troppi pezzi del puzzle che non combaciavano.

Voleva avere le sue risposte. E, dopo aver sentito Itachi Uchiha… sapeva anche da chi pretenderle.

Rialzò lo sguardo pochi istanti prima che l’Uchiha si fermasse davanti ad una porta, non diversa da tutte le altre dell’accademia se non per la presenza di una targhetta in ottone con sopra inciso “Consiglio Studentesco”.

Quasi logico, ogni consiglio ha una stanza per le riunioni.

Bussò due volte, delicatamente, di modo che non venisse prodotto un suono troppo rumoroso. Dopo qualche istante si udirono alcuni passi avvicinarsi sempre di più alla porta che, con uno scatto della serratura, si aprì silenziosamente.

L’espressione palesemente preoccupata di Hinata si rasserenò quando, dalla fessura da cui guardava, vide Kiba. Probabilmente era atteso, gli venne da pensare, ma l’unico saluto che si sentì in grado di fare fu un lieve sorriso. Dopo che tutti i suoi dubbi gli erano ritornati alla mente, sentiva improvvisamente tutta la stanchezza e il dolore che fino a quel momento aveva ignorato.

<< Uchiha-san, Inuzuka-kun! >> esclamò lei sorpresa, scostandosi dalla porta in modo che i due potessero passare.

C’erano quasi tutti. Naruto e Sasuke, seduti a gambe incrociate sulla scrivania alla loro sinistra, erano voltati l’uno verso l’altro. Naruto aveva interrotto l’opera di fasciatura di un avambraccio del minore degli Uchiha, che ora guardava in loro direzione con l’espressione più furiosa che Kiba gli avesse mai visto addosso. Aveva l’aria di uno che si tratteneva a stento dal commettere un omicidio, e lui era pronto a scommettere che non sopportasse molto la presenza del fratello maggiore nella sua stessa stanza.

Appoggiate al davanzale dell’unica finestra presente, esattamente di fronte alla porta, Ino e Sakura lo salutarono con un sorriso stanco e in cenno della mano. Avevano le dita di entrambe le mani fasciate con della garza e le giacche blu delle divise erano chiaramente sporche di polvere e gesso. Avevano combattuto, ne era certo, e lo dimostravano alcuni cerotti sul viso e sul collo.

All’angolo sulla destra, infine, il viso che più di tutti gli altri aveva inconsciamente desiderato di rivedere.

Shikamaru se ne stava nascosto nell’ombra a fianco della finestra che la stanza, illuminata solamente dalla luce lunare, provvedeva a formare. Osservava Itachi con gli occhi ridotti a due fessure ed emanava (anche senza l’empatia si poteva capire perfettamente) un’ intento omicida quasi dello stesso livello di quello di Sasuke.

<< Lascialo >> soffiò furente in quello che non sembrava di certo un consiglio amichevole.

A Kiba si raggelò il sangue nelle vene. La voce e l’atteggiamento appena visti non avevano nulla a che fare con lo Shikamaru pigro e svogliato con cui aveva a che fare quasi tutti i giorni.

Era rabbia pura quella che scaturiva dagli occhi di Nara, un sentimento radicato dedicato tutto al ragazzo che ora lo stava ancora sostenendo.

Un silenzio carico di tensione cadde nella stanza buia mentre i due si fissavano negli occhi, i muscoli tesi ma senza muoversi di un millimetro.

<< Non si regge in piedi >> fu l’unica cosa che disse Itachi, probabilmente per giustificare la sua vicinanza al castano.

Shikamaru aggrottò le sopracciglia in un picco d’odio che Kiba percepì come un’ondata che gli chiuse lo stomaco. Era debole, stanco per giunta, anche se non lo avrebbe mai ammesso… dubitava che avesse la forza sufficiente per mantenere un buon controllo sulla sua empatia.

Eppure, rimanere così vicino ad Itachi non gli dava assolutamente fastidio. Nonostante la prima volta che si erano incontrati la paura lo aveva bloccato sul posto, adesso la vicinanza al mezzo demone non gli causava la minima oscillazione emozionale.

Era come… stare accanto ad una roccia. Uchiha Itachi non trasmetteva nessuna emozione e non faceva trasparire il minimo sentimento.

Si chiese se fosse un’altra “dote” dei mezzi demoni, se avesse un enorme autocontrollo… oppure se proprio non ne possedesse, di sensazioni.

<< Shikamaru, mantieni la calma >> lo riprese Naruto dalla parte opposta della stanza, l’espressione e il tono di voce più seri del dovuto.

<< Sarò calmo quando gli toglierà le mani di dosso >> rispose a tono il moro, senza però staccare gli occhi da quelli di Itachi.

Naruto si zittì e Kiba lo osservò per un istante, fissandolo mentre teneva gli occhi azzurri puntati su Shikamaru. Quella serietà non era da lui.

Cosa diavolo stava succedendo? Cosa gli stavano… nascondendo?

Si morse il labbro inferiore, cominciando pian piano a posizionare meglio i piedi, in modo che potessero sostenerlo almeno da fermo. Se camminava era spacciato, ma non pensava che il semplice atto dello stare in piedi si rivelasse un problema.

<< Ce la faccio >> disse poi rivolto ad Itachi, senza tuttavia spostare lo sguardo in sua direzione.

Probabilmente l’Uchiha capì le sue intenzioni, dato che in pochi istanti lo lasciò andare e si spostò con un balzo verso la parete di destra della stanza, rimanendo in piedi a sua volta. Capiva la situazione, Kiba ne era sicuro, e si comportava come chi era consapevole di essere sgradito e faceva di tutto per non far notare la sua presenza più di tanto. Aveva un motivo per stare lì, ne era sicuro, altrimenti sarebbe quasi certamente andato da qualche altra parte.

Dopo questa mossa, la tensione di Shikamaru (e di tutti) si sciolse notevolmente. Fu il moro ad avvicinarsi a lui, calcolando i passi lungo la stanza ed esponendosi finalmente alla luce.

Era ridotto uno schifo. La coda che solitamente gli racchiudeva i capelli in cima alla testa era quasi del tutto sciolta e la sciava cadere molteplici ciocche sul collo e di fianco a viso. Gli occhi erano rossi e gonfi, la gota sinistra solcata da due graffi paralleli, la divisa scolastica quasi a brandelli. Le mani erano arrossate, come scottate, e tutto intorno alle unghie vi erano solchi mediamente profondi che ancora odoravano di sangue.

Sembrava uscito da un campo di battaglia. Cosa che, effettivamente, non poteva dire che non ci fosse stata.

Nonostante il suo aspetto a dir poco pietoso, però, la sua vicinanza gli provocò la stessa sensazione di sempre. Serenità, ora che la rabbia sembrava essersi almeno un poco dissipata, e un famigliare e debole calore.

Shikamaru gli poggiò una mano sulla guancia, andando con l’altra a cercare la sua per intrecciarne le dita con le proprie.

<< Sei uno straccio… >> sussurrò appena, osservandolo quasi dispiaciuto.

<< Tu non sei messo meglio >> rispose Kiba con un mezzo sorriso.

<< Stai bene? >> domandò subito dopo il moro, spostando la mano dalla gota al collo in una carezza rassicurante.

<< Sono ancora in piedi, no? >>  rispose ironico il castano, sorridendo più apertamente.

<< Sì, per miracolo… >> ribatté nuovamente Shikamaru, sospirando una ritrovata tranquillità prima di appoggiare la fronte sulla sua spalla.

Aveva tante di quelle domande stipate nel cervello che non avrebbe saputo quale scegliere per prima. Avrebbe voluto domandargli tutto, indiscriminatamente, oppure cedere alla tentazione e farsi un altro viaggio nei suoi ricordi per cercare un indizio sulle risposte che cercava per se stesso. Lo avrebbe fatto… ma sapeva anche che quelle domande, quei tanti interrogativi che levitavano nella sua mente, non erano tutte per Shikamaru. Anzi, più della metà era per un’altra persona.

Scostando nuovamente lo sguardo su Itachi, interruppe con la sua voce quel nuovo silenzio: << dov’è Hyuga? >> chiese.

<< Arriva >> gli rispose quasi di rimando Sakura, scostandosi dalla finestra insieme ad Ino.

Spalancando la due vetrate, l’elegante figura dell’arcangelo si posò con grazia sul davanzale, balzando dentro la stanza senza il minimo rumore o la più piccola perdita d’equilibrio. Una volta all’interno, le ali dorate si scomposero in polvere d’oro per poi dissolversi nell’aria.

Non appena la finestra fu richiusa, gli occhi bianchi dello Hyuga si posarono immediatamente su quelli di Kiba, che lo fissava a sua volta con un’espressione di indiscutibile fermezza.

Neji sorrise ironico, stirando appena l’angolo della bocca. << Te ne sei finalmente reso conto? >> chiese quasi beffardo.

Nel silenzio generale, Kiba non poté far altro che rispondergli con l’unica cosa che poteva fornire, la verità. Tuttavia, la sua voce risuonò dura e seria: << ho una mia idea >> rispose << e molte domande >> aggiunse poi.

<< Cosa ti fa pensare che io abbia le tue risposte? >> domandò di rimando Neji, ritornando la solita maschera di serietà.

Kiba non rispose, limitandosi ad osservarlo. Lui le aveva, le sue risposte, e il suo unico punto debole era che non poteva mentirgli.

Le creature angeliche non avevano il permesso di mentire.

Si fissarono per alcuni istanti, prima di essere interrotti. Il timbro profondo di Itachi distrasse sia Neji che Kiba dal loro reciproco squadrarsi.

<< Hyuga, penso sia giunto il momento di dirgli quello che sappiamo >> disse pacatamente, appoggiato con la schiena al muro e con le mani nella tasche dei pantaloni.

<< Già >> aggiunse poi Sasuke, sorridendo beffardo in direzione dell’arcangelo: << sono molto curioso anche io di sentire questa storia >> disse strafottente.

Lo Hyuga sembrò giudicare la situazione per qualche istante poi, sospirando, finalmente cedette: << Fatti curare da Hinata e cambiati >> disse << dobbiamo parlare >>.

 

 

Una volta infilata la divisa che Neji aveva avuto riguardo di portargli, e dopo aver sperimentato per l’ennesima volta i poteri curativi di Hinata, era finalmente seduto davanti alla persona che avrebbe finalmente risolo i suoi problemi. O, se non tutti, almeno la maggior parte.

Mentre si cambiava era venuto a sapere che molti degli studenti non avevano la minima idea di cosa fosse successo, dato che a quell’ora erano quasi tutti i sala mensa, ed erano stati evacuati utilizzando la scusa di una fuga di gas. Solamente quelli che non erano in mensa in quel preciso istante sapevano la verità e, che lui sapesse, erano tutti in quella stanza.

Inoltre, non tutti i professori avevano lasciato l’edificio. Il maestro Kakashi, per esempio, era rimasto insieme alla preside a tenere sotto controllo Yamata no Orochi, o Orochimaru che fosse.

Guardandosi intorno, seduto come gli altri su una delle cattedre con Shikamaru vicino, poté vedere che non era l’unico a voler sentire quella storia; Sasuke sembrava molto interessato, anche se si teneva a debita distanza dal fratello maggiore e non lasciava mai il fianco Naruto. Cosa che faceva anche Shikamaru con lui, da quando si erano ritrovati.

Non che gli desse fastidio, no di certo. Ma non riusciva sinceramente a vedere il motivo di tutta quella tensione fra Itachi e il suo ragazzo. Insomma, Sasuke poteva capirlo, ma Shikamaru che motivo aveva di odiare l’Uchiha così tanto?

Contrariamente a quanto si aspettava, non pareva una persona così cattiva…

Fu lo Hyuga ad interrompere il filo dei suoi pensieri, quando tutti ebbero preso posto: << desideri chiedermi qualcosa in particolare? >> disse, rivolto verso di lui.

Per alcuni istanti Kiba pensò a quale fosse la domanda più opportuna da porre per prima. Dopo averci riflettuto, però, decise di trasformare in parole la prima che gli balenò in testa: << sono davvero morto? >> chiese, lo sguardo serio e deciso come se quell’argomento non lo sfiorasse nemmeno.

Contrariamente a Sakura, Ino, Naruto e Sasuke che si guardarono sbigottiti fra loro; Neji, Itachi e soprattutto Shikamaru sembravano sapere di cosa stesse parlando. L’Uchiha fra tutti parve non essere disinformato nonostante Kiba pensasse che, fra tutti, proprio lui fosse quello a cui una cosa simile potesse interessare di meno.

Neji, dal canto suo, chiuse gli occhi e sospirò debolmente. << Non lo so >> ammise sincero, accavallando le gambe e appoggiandosi con le mani sulla cattedra: << o meglio, non se sono sicuro >> precisò poi.

<< In che senso non ne sei sicuro? >> intervenne subito Naruto, posando lo sguardo sui i due ad alternanza << è qui, no? Cioè, lo vediamo tutti che è vivo! >> esclamò stupito.

<< Non è così facile >> rispose però Itachi, sollevando gli occhi senza però muoversi dal muro su cui era appoggiato, alle spalle dell’arcangelo.

<< In che senso? >> domandò Sakura.

<< Nel senso che potrebbe essere molte cose >> rispose Neji subentrando al moro: << come si dice: “le vie del Signore sono infinite”. In questo mondo non si può giudicare qualcosa basandosi solo su metodi empirici >> spiegò brevemente.

Kiba stava definitivamente per perdere la pazienza. Ancora glissamenti, ancora silenzi, ancora risposte incomplete e senza senso.

<< E allora su quali basi dovrei far quadrare il ragionamento? Quali metodi dovrei seguire? >> esclamò poi, riversando sull’arcangelo parte della rabbia che si sentiva inevitabilmente addosso. << Perché nessuno in questo cavolo di mondo è capace di dirmi che succede senza formularlo stile quiz matematico? >> aggiunse, alzando il tono della voce.

<< Kiba stai… >>

<< No! Col cazzo che sto calmo, Shikamaru! >> sbottò, scostando la mano del moro dalla sua spalla: << so fare cose che non ho mai imparato a fare, sogno i suicidi prima che avvengano, non sono mai stato sonnambulo nella mia vita e ora di notte mi risveglio nel cortile della scuola, mi faccio viaggi nella mente della gente se solo mi sfiora nel momento sbagliato, vedo cose che non esistono, il mio cadavere viene ritrovato in un taxi andato a fuoco… e questo mi viene a dire che “le vie del Signore sono infinite”?! >>

<< Io non ho detto questo >> si affrettò a rispondere Neji, in modo da evitare che il castano andasse in escandescenza. Si nascondevano nell’aula del Consiglio Studentesco proprio perché era l’ultimo posto da cui avrebbero cominciato a cercarli, ma se Inuzuka si metteva a gridare... << Ho solo detto che non so dare una risposta precisa alla tua domanda. Purtroppo… io conosco la storia solo in parte >> disse, osservando Kiba calmarsi parola dopo parola, finchè il suo viso non si distese nuovamente.

Dopo qualche istante di pausa, in cui il silenzio della notte era ormai giunto al suo vertice, la campana sul campanile della cappella risuonò due volte. Di nuovo, quando il loro tintinnare antico si disperse nel buio, il silenzio ritornò.

Fu Neji a spezzarlo: << Credo saprai, Inuzuka, che sul piano degli esseri umani non è consentita la presenza di demoni completi e angeli puri… >> chiese retoricamente, osservandolo.

Kiba annuì.

<< Sai anche il perché? >> domandò allora l’arcangelo.

Questa volta, Kiba dovette scuotere la testa in senso negativo. Sì, Shikamaru gli aveva raccontato qualcosa in proposito il primo giorno di scuola, ma non era sceso nei particolari.

<< Equilibrio >> intervenne Itachi dall’ombra: << le forze del bene e del male sono in perenne equilibrio, come su di una bilancia, e questo piano ne è il fulcro >> precisò.

<< E questo cosa centra con Kiba? >> chiese poi Ino, intromettendosi nello scambio di battute fra Neji e Itachi. Quei due andavano in sincrono, prima uno poi l’altro, come un metronomo ben calibrato.

<< Questo non c’entra propriamente con Kiba, ma con tutti, persino con lo scorrere del tempo che comunemente chiamiamo “vita” >> le rispose lo Hyuga, per poi continuare indisturbato: << ciò che si sta consumando adesso è la conseguenza inevitabile di una causa. Un tempo questo equilibrio di cui stiamo parlando non esisteva, è stato creato in seguito, più o meno quando il male è diventato “tangibile” e si è separato definitivamente dal bene >> spiegò, cercando nella sua infinita pazienza di essere il più chiaro possibile.

<< Sono gli uomini che creano il male, non il male che li influenza >> rispose d’un tratto Shikamaru, uscendo dal mutismo che sembrava avergli tolto la parola.

<< No, gli uomini scelgono il male, non lo creano. Ma lo scelgono perché esiste, perché sanno cos’è e cosa comporta >> ribatté Neji in direzione di Nara. << C’è un momento preciso in cui il male ha deciso di separarsi dalla luce e cominciare la sua personale battaglia per la conquista delle anime degli uomini, le creature di Dio…>>

<< La caduta di Lucifero >> lo interruppe Sasuke, arrivando subito al punto senza ulteriori giri di parole. << Vorresti dire che tutto quello che è successo, tutte le scelte che abbiamo fatto… sono la conseguenza della battaglia fra i Ribelli e gli Angeli Fedeli? Che tutto era già deciso, come un copione già scritto che noi eravamo destinati a seguire? >> chiese, incredulo delle sue stesse parole, pronunciate con un sorriso a metà fra lo sbigottito e l’ironico.

Neji lo guardò per qualche istante, abbassando poi gli occhi verso il pavimento. << Non mi è dato saperlo >> rispose << è una delle tante ipotesi >>.

Kiba sospirò di nuovo, portandosi la mano destra agli occhi per stropicciarseli. Dove volevano andare a parare?

<< Scusate, ma il punto qual è in questo discorso? >> chiese secco, imponendosi una pazienza ormai agli sgoccioli.

<< L’Arcangelo Michele è il punto del discorso, Inuzuka >> intervenne di nuovo Sasuke: << il proprietario del crocifisso che porti al collo e della relativa spada. Era il comandante degli Angeli Fedeli, è stato lui a combattere contro Lucifero quando tradì. Lo lasciò andare, quella volta, e sono millenni che cerca di rimediare in qualche modo a questo errore, coinvolgendo persone che non c’entrano nulla come se fossero le pedine della sua personale scacchiera >> disse sarcastico, riprendendo subito: << l’unica cosa che mi stupisce, è perché mai Dio lo lasci fare. Non è la prima volta che infrange delle regole sotto il suo naso… ammesso e non concesso che Dio esista, ovvio >> terminò, puntando gli occhi ossidiana su Neji.

<< Ti proibisco di perpetrare oltre questo sacrilegio, Uchiha! >> ribatté Neji alzando la voce: << tu che sei stato nel Regno dei Cieli, tu che hai visto la Sua luce! Come puoi tu anche solo pensare che non esista? >> aggiunse, ma venne subito placato dal suo stesso autocontrollo.

Sasuke non rispose, trattenuto a sua volta da una mano di Naruto sulla spalla.

A riprendere parola, e a porre fine al battibecco, fu Itachi: << il fatto è che, da quel momento, si è creato l’Equilibrio. E se un mondo esiste perché frutto di un equilibrio di forze, tale stabilità non deve essere infranta. Per questo fu proibito ai demoni completi e agli angeli puri di passare su questo piano >> spiegò.

Riprese poi parola Neji, con un tempismo praticamente perfetto, subentrando alla spiegazione dell’Uchiha: << per ogni demone c’è un angelo, così come è vero il contrario. Per ogni demone che passa su questo piano un angelo viene inviato per compensazione, e per ogni angelo creato nasce un demone. Angeli e demoni sono come i pesetti, se se ne aggiunge da una parte vanno aggiunti anche dall’altra, per compensare lo squilibrio >> disse l’arcangelo, scendendo dalla cattedra per avviarsi alla finestra.

Kiba ascoltava assorto, rapito dalle parole dei due ragazzi. Anche solo pensare che la Terra fosse stata il teatro di una continua e silenziosa battaglia per la stabilità, durata millenni e millenni, per lui era praticamente impossibile.

E, allo stesso tempo, compativa l’Arcangelo Michele. Lui che aveva determinato la creazione del male, lui che aveva sbagliato… come doveva sentirsi? E se lui avesse fatto qualcosa, se avesse fermato Lucifero… il male si sarebbe concretizzato comunque?

<< C’è qualcosa che non mi torna >> disse d’un tratto Sakura, portandosi una mano al mento con fare riflessivo. << Voi dite che angeli e demoni sono le entità che possono sbilanciare l’assetto… ma allora i mezz’angeli? I mezzi demoni? E i Cercoteri? >> chiese, lanciando la sua mente logica nei più sensati ragionamenti.

Neji aggrottò le sopracciglia mentre osservava un punto qualsiasi fuori dalla finestra.

<< Loro sono dei sangue misto >> rispose Itachi al suo posto: << incroci fra umani e angeli e fra umani e demoni. La loro presenza non è consentita né in Paradiso né all’Inferno, così popolano la dimensione intermedia: questa >> pronunciò, per poi riprendere dopo qualche istante: << per i Cercoteri è un discorso diverso. Sono demoni completi, è vero, ma sono demoni nati dalla Natura. La loro presenza su questa dimensione è prevista e non intacca l’equilibrio. O almeno… non lo intaccava finora >> concluse, passando silenziosamente parola a Neji, che però non aggiunse nulla.

<< In che senso “finora”? >> chiese dunque Ino, catturata dal discorso come del resto lo erano tutti.

La risposta provenne da Sakura, che ormai cominciava ad ingranare il meccanismo logico nascosto dietro alla spiegazione dei due: << beh, è logico supporre che uno dei due voglia prevalere sull’altro… >> ipotizzò.

<< Giusta osservazione >> commentò di nuovo Itachi.

<< Anche questa, di per sé, è una sorta di compensazione… >> riprese l’arcangelo, girandosi verso di loro con le mani dietro la schiena. << L’Inferno mira a squilibrare la bilancia per avere l’occasione di conquistare il controllo del mondo, mentre il Paradiso si impegna a mantenere la stabilità delle forze. L’uno contro l’altro in un’eterna, interminabile, silenziosa guerra di trincea >>.

Prese poi parola Itachi, rispondendo alla domanda che si era creata probabilmente in tutti loro, anche in Kiba.

E se vince il male… che succede?

<< L’eventuale pendere della bilancia dalla parte del male è già stato profetizzato, scritto e diffuso nel mondo da circa due millenni… >> lasciò cadere, ma qualcun’altro prese la palla al balzo:

<< l’Apocalisse >> disse Shikamaru.

Il silenzio piombò di nuovo fra loro, pensante e tossico come il piombo.

L’Apocalisse di Giovanni era una delle profezie più distruttive per la razza umana; prevedeva la perdizione degli uomini ingannati dalla rinascita del Diavolo sotto le sembianze di un drago nero e la punizione divina per i peccatori, preceduta solamente da una nuova guerra fra angeli e demoni. E sapevano tutti come andava a finire…

<< Beh, ciò non vuol dire che sia una cosa imminente, no? >> cercò di risollevare il morale Naruto, anche se persino la sua voce tremava appena. << E poi, questo ancora non spiega quello che sta succedendo a Inubau >> aggiunse, come se in quella flebile speranza volesse trovare un appiglio.

Con una rapida occhiata, Neji e Itachi si guardarono ma non risposero subito alla questione posta da Naruto. Il tempo aveva uno scorrere lento ed improponibile, come se avesse rallentato il suo corso per dispetto.

Ogni secondo di ogni momento pareva durare ore.

Lo Hyuga sospirò, voltandosi nuovamente verso di loro dopo un cenno di assenso da parte del mezzo demone.

<< L’equilibrio si è già sbilanciato >> rivelò finalmente.

Fu come una doccia fredda. Ino e Sakura guardavano sbalordite prima Neji poi Itachi, incredule davanti ad una notizia simile. Naruto rimase letteralmente a bocca aperta con gli occhi azzurri puntati sull’arcangelo mentre Sasuke, tradendo visibilmente solo una piccola parte di quello che doveva essere un’enorme sorpresa, aveva improvvisamente fissato lo sguardo sul fratello maggiore.

Dire che Kiba fosse quantomeno shockato era come prendere a calci la verità. Era essenzialmente spaventato, terrorizzato se vogliamo dirla tutta.

Come erano arrivati dai suoi problemi con il mondo a parlare della fine del mondo?

Si voltò per un istante verso Shikamaru, rimanendo ad osservarlo. Per un qualche motivo che ancora non conosceva, o che non riusciva a capire, continuava a guardare Itachi Uchiha con ira e sospetto, senza quasi rendersi pienamente conto della piega che aveva improvvisamente preso il discorso.

Per l’ennesima volta, ebbe la sensazione che qualcosa non quadrasse nell’atteggiamento del moro nei confronti del mezzo demone. E ancora stentava a credere che fosse semplicemente una sua impressione.

Quando il moro si accorse dei suoi occhi, si permise un lieve sorriso di incoraggiamento. Kiba, in una mossa istintiva più che ragionata o premeditata, potò la propria mano su quella dell’altro, stringendola e sentendo la stretta ricambiata.

Ancora doveva scoprire il nesso fra lui e quella faccenda dell’equilibrio delle forze… ancora doveva trovarci la logica nascosta.

<< Non è… possibile >> bofonchiò Ino, passando in rassegna i volti di tutti. << E’ possibile? >>

<< A quanto pare… >> rispose Naruto allo stesso livello di incredulità, la bocca ancora aperta in una smorfia stralunata.

Sasuke ringhiò, palesemente a disagio. A giudicare dall’espressione con cui anche lui guardava il fratello, probabilmente nella sua testa si stavano srotolando le matasse più improbabili, portando a ragionamenti ancora meno probabili delle suddette.

<< E’ più che possibile >> intervenne Neji << è profetizzato. Succederà prima o poi, la questione è solo sapere quando >> rispose con più calma di quella che, in teoria, si dovrebbe avere in un’occasione simile.

Insomma, ricapitolando la storia gli avevano appena detto che la bilancia fra le forze dell’universo pendeva dalla parte del male per un qualche motivo non ben definito, che Lucifero mirava a conquistare il mondo tramite l’Apocalisse e che la fine del mondo sembrava prossima.

Aspetta… Lucifero?

<< Ma teoricamente il Diavolo non è sigillato all’Inferno? >> intervenne dunque Kiba, sparando quella domanda senza nessun nesso logico. Appena riemerso completamente dai suoi pensieri, infatti, si avvide subito di dare qualche precisazione: << cioè, avete appena detto che il Diavolo vuole l’Apocalisse per poter avere la rivincita sulla guerra eccetera, eccetera. Ma come fa a darle avvio? Basta solamente la rottura di questo fantomatico equilibrio? >> chiese direttamente all’arcangelo.

<< No, difatti c’è qualcuno che lo aiuta >> rispose Itachi al posto dell’arcangelo, distaccandosi dal muro e portandosi le mani alle tasche. Gli occhi neri come la notte del mezzo demone lo osservarono insistentemente, trasmettendogli una sorta di significato nascosto.

A quelle condizioni e basandosi sui recenti avvenimenti, il continuo del discorso sembrava quasi scontato: << Orochimaru >> sussurrò Kiba. << E come? >> aggiunse in seguito.

<< Forzando i Cercoteri ad entrare in corpi di esseri umani, prescelti tra coloro che hanno un alto potenziale spirituale >> disse Shikamaru, fissando con gli occhi una piastrella del pavimento come se fosse la cosa più interessante da rimirare. << In altre parole, lui e Kabuto inseriscono demoni all’interno delle persone con l’intenzione di creare combattenti utili in battaglia. A queste condizioni, se riescono a controllare queste persone, anche un Cercoterio inizialmente neutrale diventa una pedina per l’equilibrio delle forze >> spiegò essenzialmente, senza mai sollevare lo sguardo da terra.

La sua mano si era stretta maggiormente a quella di Kiba nel contempo… ma il moro sembrò non notarlo, perso nei suoi pensieri.

Finalmente stava facendo due più due.

Agatha si era suicidata perché si sentiva sporca, non più meritevole della luce di Dio. Hotaru, quando lo aveva attaccato, aveva le sembianze del demone dalle sei code.

Quelle due ragazze erano entrambe… esperimenti?

Ma Shikamaru, quelle cose, come… faceva a saperle?

<< Ora si spiega perché la stabilità è infranta >> obiettò Sasuke con la voce ridotta ad un sussurro irritato.

<< Mi spiace dirlo, ma anche Orochimaru è una conseguenza secondaria >> disse lo Hyuga subito dopo, provocando l’effetto di uno scatto complessivo di teste in sua direzione. << La causa scatenante… il momento in cui la bilancia si è inclinata senza più ristabilirsi, viene prima della decisione dell’ottacoda di patteggiare per gli Inferi >> aggiunse l’essere puro, appoggiandosi con la schiena alla vetrata della finestra alla quale ancora stava vicino.

<< E quando, allora? >> chiese Ino sporgendosi in avanti con il busto.

Gli occhi bianchi dello Hyuga scivolarono nuovamente verso Itachi, ma questa vola vi si fermarono a lungo. Sembrava gli stesse dicendo qualcosa, tramite quello sguardo, qualcosa del tipo “è ora di prendersi le proprie responsabilità” o roba simile.

Itachi Uchiha puntò lo sguardo sul fratello minore, togliendosi le mani dalle tasche e lanciandole inermi lungo i fianchi. Fissando Sasuke con un’espressione particolarmente apatica pronunciò le parole che mai e poi mai il fratello minore avrebbe voluto sentirsi dire…

<< Cinque anni fa >> pronunciò il mezzo demone, senza distogliere gli occhi da quelli del fratello.

L’ondata di puro odio che provenne da Sasuke provocò un brivido lungo la schiena di Kiba, che strinse le spalle per riflesso condizionato. Nelle iridi scure del moro si formò rapidamente lo Sharingan, brillando scarlatto alla luce della luna.

<< Cazzate… >> soffiò furente, arricciando il naso in una smorfia di puro astio nei confronti del fratello maggiore. Nemmeno la stretta ferrea di Naruto sulle sue spalle poterono impedire a Sasuke di balzare in piedi a terra, preparandosi alla lotta.

Kiba si sentì in dovere di intervenire. Cioè, prima avevano ripreso lui perché aveva alzato troppo la voce, se adesso Sasuke si metteva a distruggere tutto era un disastro legalizzato. << Uchiha, mantieni la calma! >> disse dunque, scendendo a sua volta dal banco anche se Shikamaru continuava a tenergli la mano, impedendogli di fare anche un passo in direzione del ragazzo.

Emanava istinto omicida da ogni capillare, poteva sentirlo bene, dunque poteva capire qual’era il motivo della mossa di Nara.

<< Non ficcare il naso in affari che non ti riguardano, Inuzuka! >> rispose quello, gli occhi ridotti a due fessure che minacciavano Itachi di morte senza nessuna remora.

<< Uchiha, cerca di controllare la tua rabbia >> disse Neji, mantenendosi però in una posizione di attesa e pronto a scattare.

<< Taci! >> sbottò Sasuke, zittendo l’arcangelo in un ringhio furioso. << Lui ha ucciso la mia famiglia, ha sterminato tutto il mio clan senza nessun motivo e a ME dite di stare CALMO?!? >> urlò iracondo; era un miracolo se Naruto riusciva ancora a trattenerlo.

Le due ragazze e Kiba trattennero il fiato, colti di sorpresa da quella rivelazione. Ad osservarlo ora, Itachi sembrava quello di sempre. Lo stesso sguardo serio, la stessa aria apatica di tutte le volte che lo aveva incrociato per i corridoi, o visto da lontano.

Non faceva una piega nemmeno di fronte alla rabbia cieca del fratello più piccolo.

<< Ha dovuto farlo >> ribatté Neji << era necessario! Da secoli il clan Uchiha aveva in programma di chiedere a Lucifero di trasformarli in demoni completi e noi non potevamo permettere una cosa simile! Avrebbe squilibrato le forze troppo rapidamente! >> aggiunse velocemente, alzando la voce di qualche ottava a sua volta.

Sasuke sgranò gli occhi, incredulo e quasi disgustato da quelle parole. << Menzogne… >> soffiò rabbioso, ignorando gli sforzi di Naruto di trattenerlo accanto a sé.

Neji abbassò il tono a sua volta: << sai meglio di me che non mi è concesso mentire >> disse seriamente, fissandolo.

Il ragazzo rimase immobile, sbalordito da ciò che aveva sentito. La sua mente era completamente a pezzi, infrante le motivazioni del suo odio mentre, uno dopo l’altro, i fili che tenevano insieme ala sua vita si rivelavano fatti d’aria e di illusioni.

<< Non c’era bisogno di ucciderli… >> sussurrò incredulo, fissando un punto qualsiasi ai piedi del fratello maggiore senza nemmeno guardarlo realmente.

<< Ancora non hai capito, Sasuke? >> disse finalmente Itachi, contribuendo a rendere ancora più tesa l’aria già sufficientemente satura di tensione. << Che pegno pensi avrebbe pagato il clan per ottenere la condizione di demoni dal sangue puro? O pensi che un favore simile da parte degli Inferi sia gratuito? >> chiese retorico, sempre guardandolo.

Fu Sakura a rispondere al posto di Sasuke: << volevano vendere… Sasuke? >> chiese sbalordita, non riuscendo nemmeno a formulare tutta la frase senza esitare.

<< Un angelo, per gli Inferi, è un’ottima moneta di scambio >> confermò lo Hyuga, rilassandosi non appena notò che l’Uchiha non era più un pericolo.

Sasuke era palesemente senza parole. L’unica cosa che riusciva a pensare in quel momento, era il fatto che aveva passato quasi un quarto della sua vita in una famiglia che voleva venderlo per ottenere un potere maggiore. Aveva amato genitori che in realtà volevano svenderlo come una banconota usata e scambiarlo con merce di più alto valore.

Allora era per quello che non volevano che volasse? Era per quello che gli avevano sempre proibito di mostrarsi troppo in giro? Per paura che lo portassero via? Per paura che si accorgessero di un angelo fra i mezzi demoni?

Quindi ora… Itachi passava veramente dal ruolo del cattivo a quello dell’eroe?

no. Non poteva accettare una cosa simile.

<< …adesso non venirmi a dire che mi hai venduto a Michele per salvarmi la vita… >> sussurrò a sguardo basso, ricambiando finalmente la vicinanza di Naruto nell’appoggiargli una mano sul fianco.

Itachi non rispose. Al suo posto, lo fece Neji: << ha fatto quello che andava fatto; sia con te, sia per quanto riguarda il clan >> disse con decisione, intenzionato probabilmente a chiudere il diverbio e a proseguire la spiegazione.

Ma Sasuke non era della stessa idea. << Si può sapere tu da che parte stai? >> gli urlò contro, irritato: << per quale assurdo motivo sei qui, Hyuga? Perché Dio ci da il dispiacere della tua presenza? >> chiese scontrosamente.

L’arcangelo si zittì, rimanendo in silenzio per qualche minuto. Poi, decidendo che forse era il caso di parlare chiaramente, rispose: << sono qui per eseguire un ordine divino. E per… fare un favore a Michele >> rivelò.

Allo sguardo inquisitore di Sasuke però, fu costretto a continuare: << il Signore mi ha ordinato di collaborare con Itachi Uchiha. Abbiamo il compito di tenere sotto controllo i movimenti di Orochimaru e Kabuto Yakushi. Mentre Michele… mi ha chiesto di tenere sotto controllo la persona chiamata Kiba Inuzuka >> precisò, passando lo sguardo da Sasuke a Kiba e fermandosi su quest’ultimo.

Kiba sussultò appena ma non lo diede a vedere. Probabilmente solo Shikamaru poteva aver avvertito quel sobbalzo, ma dalle loro mani congiunte non provenne nessun segnale che verificava quest’ipotesi: quella del moro avvolgeva semplicemente la sua, punto.

<< Perchè… io? >> chiese dunque il castano, sorridendo per non piangere.

Neji lo osservò a lungo prima di rispondere: << nemmeno questo so con certezza >> disse << so solamente che Michele ti aveva preso sotto la sua ala protettiva sin dalla tua nascita, ma del perché non sono sicuro. Posso solamente illustrarti una delle ipotesi più probabili >> aggiunse, preparandosi subito dopo a riprendere il discorso dal punto in cui lo aveva lasciato.

Scostò nuovamente lo sguardo su Sasuke, ora tenuto per mano da Naruto, sospirando prima di parlare: << c’è un motivo se sei nato angelo in un clan di mezzi demoni >> disse, rivelando un altro dei segreti riguardanti il misterioso clan Uchiha.

Il ragazzo, dal canto suo, non si scompose minimamente. Rimase semplicemente in piedi, lo sguardo scuro fisso sull’arcangelo, pretendendo con gli occhi la risposta alla domanda che si era posto da quando era nato.

Itachi chiuse gli occhi, riappoggiandosi nuovamente al muro e incrociando le braccia al petto. Sembrava che, nella sua maschera di freddezza e autocontrollo, quel discorso riuscisse in realtà a provocargli un certo fastidio.

Allo riprendere la discussione, la voce di Neji riempì il silenzio carico d’attesa che era venuto inevitabilmente a crearsi.

<< Tu sei nato come sostituto di Naruto >> confessò schiettamente, senza inutili quanto superflui giri di parole.

I due interessati si lanciarono un’occhiata carica d’incredulità, ritornando però subito sul viso dello Hyuga. << Sin dalla sua nascita eravamo a conoscenza del fatto che, in realtà, Naruto era un cercoterio dormiente. Era logico supporre che, nonostante fosse effettivamente un angelo, prima o poi avrebbe cominciato a mutare la sua natura un quella del Kyuubi. Quando quel giorno sarebbe arrivato, Naruto non sarebbe più stato coinvolto nell’equilibrio, dunque… >>

<< …da qualche parte doveva esserci qualcuno che prendesse il suo posto nella fazione angelica, così da non destabilizzare le forze >> intervenne Sakura interrompendo l’arcangelo, che nonostante l’interruzione non si mostrò infastidito.

Naruto e Sasuke si guardarono di nuovo, soffermandosi per più tempo l’uno sugli occhi dell’altro. Se da una parte l’espressione di Naruto cominciava a mostrare sensi di colpa, dall’altra quella di Sasuke era completamente assorta, probabilmente proiettato allo stadio successivo del ragionamento.

<< Dunque… >> bofonchiò infatti, stringendo di più la mano del biondo nella sua: << ...se questo è il motivo per cui Michele mi ha portato nel Paradiso Celeste… >> lasciò in sospeso, tornando con lo sguardo a Neji, che annuì.

<< La tua decisione di seguire Naruto, e di conseguenza di lasciare il Regno dei Cieli, ha danneggiato la stabilità >> disse il ragazzo, rendendo reale il dubbio e concretizzando il ragionamento di Sasuke.

<< A quel punto la reazione a catena è stata incontenibile >> continuò Itachi << dato che le forze del bene erano momentaneamente indebolite, i demoni al servizio degli Inferi ne approfittarono per risalire nel piano degli esseri umani >> spiegò celermente, venendo però interrotto dallo stesso Kiba: << Non avevate detto che è vietato ai demoni di stare su questo piano? >> chiese incerto, inarcando un sopracciglio.

Cominciava a perdersi per strada.

<< Infatti >> intervenne Neji << è vietato entrare in questo piano in forma demoniaca. Ma se prendono possesso di corpi di esseri umani, tutto cambia >> spiegò.

Fu Sakura, di nuovo, ad integrare le parole dello Hyuga: << sono quelle che vengono chiamate “possessioni”, Kiba. Si combattono tramite gli esorcismi, che il più delle volte rimandano il demone trasgressore da dove è venuto. E’ il lavoro degli esorcisti, liberare i posseduti >> chiarì in sua direzione, accavallando le gambe l’una sopra l’altra.

Ok, poteva dire di avere almeno una ruota di nuovo in carreggiata, ora.

<< Era proprio questo il problema >> intervenne però Itachi, facendo sì che l’attenzione collettiva tornasse tutta su di lui.

L’attenzione di tutti… tranne quella di Shikamaru, che ancora osservava fisso a terra, silenzioso.

Tuttavia, nessuno in quel momento notò quel comportamento; tanto meno il mezzo demone, che continuò a parlare: << con l’impennata di demoni che tentavano di attraversare aumentò anche il numero dei Tabernacoli destinati ad ospitare nel loro corpo tali demoni >> disse, puntando ora lo sguardo su Kiba.

<< Tabernacoli? >> fece eco Ino.

<< Sono persone dalla forza spirituale assopita >> spiegò prontamente Sakura. << Vengono considerati gli obiettivi primari di un demone, dunque sono le persone che più facilmente possono venire possedute. Teoricamente, però, sono rare… la maggior parte dei casi di possessione si rivelano dei falsi >> disse in modo molto professionale.

E cos’era?! A colazione pane con marmellata di Teologia, cappuccino con macinato di Testi Sacri e un bicchiere di Enciclopedia Universale della Scienza?

<< Erano poche perché erano pochi i demoni che cercavano di attraversare durante il periodo di equilibrio delle Forze >> intervenne Neji << equivaleva ad un suicidio. Anche se dopo un esorcismo facevano ritorno negli Inferi, erano comunque traditori di un patto vecchio come il mondo. Se non morivano durate la traversata, venivano eliminati dallo stesso Signore del Male >> esplicò chiaramente.

<< Però… >> continuò poi: << …in quel periodo al Paradiso tornava utile che i demoni cercassero di arrivare sul piano mortale. Per riportare in equilibrio la bilancia bastava che un solo demone completo venisse eliminato, così da ristabilire numero pari sia in Cielo che all’Inferno. Fu per questo che venni inviato sulla Terra insieme ad altri angeli… dovevamo aspettare il risvegliarsi di un Tabernacolo, attendere la possessione e, infine, uccidere quell’essere umano con il demone al suo interno. Eliminando il posseduto, si elimina anche il demone >> spiegò, chiudendo gli occhi sulla fine come se chiedesse scusa a Dio per ciò che stava dicendo.

<< Cosa?! >> sbottarono Kiba e Ino contemporaneamente, mentre sia Sakura che Sasuke apparivano sbalorditi delle parole che uscivano dalle labbra dell’arcangelo.

<< Ha senso >> intervenne Naruto, l’espressione più seria che Kiba gli avesse mai visto fare: << se muore il contenitore, muore anche il demone. E’ una regola valida anche per i cercoteri >> disse.

<< E’ comunque sbagliato! >> intervenne Ino, alla quale fece eco Kiba: << è omicidio! >>

<< In guerra, gli assassini diventano eroi >> pronunciò il mezzo demone, chiudendo gli occhi a sua volta con fare pacato: << o peggio… Santi >> concluse senza la minima inflessione emotiva.

L’Inuzuka digrignò i denti, arricciando il naso in una smorfia disgustata: << è assurdo che Dio ammetta una cosa simile… >> sussurrò con stizza, stringendo il pugno libro dalla presa di Shikamaru, che sembrava non ascoltare nemmeno.

<< E’ una questione di priorità >> ribatté nuovamente Itachi, senza però riaprire gli occhi: << chiunque pur di scongiurare l’Apocalisse sacrificherebbe un’anima umana, è logica >> disse semplicemente.

Un freddo silenzio cadde su di loro, avvolgendoli in una nube di inquietudine. Il primo ad interromperlo, probabilmente aspettando qualche istante per dare modo di digerire tutta quell’enorme massa di informazioni, fu ancor Neji.

<< A questo punto, mi sembra scontato dirvi quale forza spirituale sopita si è risvegliata… >> cominciò posatamente, senza però terminare il discorso.

Il cuore di Kiba mancò di un battito, mentre gli occhi bianchi dell’intelligenza angelica si posavano su di lui.

Era… lui.

Era quello… il perché.

L’empatia, la capacitò di sincronizzarsi con i sentimenti delle persone, era il suo potere. Era espressione della sua forza spirituale latente che, pian piano, si stava risvegliando completamente.

Erano parole di Iruka. Glielo aveva detto al primo incontro che aveva fatto con lui.

Lui era… un Tabernacolo.

Un martire inconsapevole il cui destino era già stato deciso.

In pratica: cibo per demoni.

Nonostante prendesse aria ogni due secondi, nel futile tentativo di dire qualcosa di sensato, nessun suono usciva dalla sua bocca.

Si trovò a desiderare, per la seconda volta, che quello fosse tutto un normalissimo sogno. Si sarebbe svegliato presto, molto presto, perché i sogni non durano così tanto.

I sogni non ti distruggono la vita in due secondi.

La domanda che stava inutilmente tentando di porre lui venne formulata da un’altra persona, ed incredibilmente era il minore degli Uchiha.

<< Hai cercato… di ucciderlo? >> chiese sgomento, dando voce probabilmente anche ai pensieri di Naruto, dalla cui espressione traspariva la medesima sorpresa.

Neji annuì piano. << Era il mio incarico >> specificò. << Lo seguii per giorni, aspettando che un demone si facesse avanti. Ce ne erano ad ogni angolo, a volte anche di alto livello, e cercavano di arrivare a lui. Giorno dopo giorno Kiba emetteva una forza spirituale lieve ma luminosa, una vera e propria tentazione per i demoni che approdavano parzialmente in questo piano… ma nessuno di loro è mai riuscito ad averlo. Venivano respinti da qualcosa, ma non sapevo cos’era >>.

Sì, se lo ricordava quel periodo.

Febbre. Una febbre continua e alta, a volte sopra ai 40 gradi, che lo aveva tormentato per un mese intero. Era divenuto talmente debole da non riuscire nemmeno ad alzarsi in piedi e la stanza girava su se stessa come una trottola anche solo ad un movimento della testa. Ne era uscito talmente debilitato che gli ci vollero altre due settimane per riuscire a rimettersi completamente.

Si umettò le labbra, trovando finalmente un filo di voce per parlare: << perché non mi hai… ucciso? >> chiese all’angelo, attirando su di sé gli sguardi di tutti i presenti… tranne quello di Shikamaru, ancora inerme al suo fianco e privo di reazioni.

<< Perché mi richiamarono prima >> rispose semplicemente. << Mi ordinarono di tornare nel Regno dei Cieli, dicendomi che la mia missione era annullata. Quando ritornai, venni a sapere che eri il protetto di Michele, e forse è per questo che sei sopravvissuto all’ordine divino di sacrificarti >> spiegò con agiatezza.

<< E allora quel cadavere…? >> domandò il castano, senza tuttavia completare la domanda. “Perché quel cadavere nel taxi è il mio?” avrebbe voluto domandare, avido di quelle risposte che stavano frantumando e allo stesso tempo mettendo insieme la sua esistenza.

L’arcangelo crucciò appena il volto, colto in fallo. << Da qui in poi, io so poco o niente >> svelò, lievemente irritato dal fatto di essere tenuto all’oscuro. << Venni subito inviato all’accademia per collaborare con Uchiha, dunque non so con precisione cosa successe. Seppi solo la notizia della tua morte, che arrivò lo stesso giorno in cui, miracolosamente oserei dire, hai messo effettivamente piede in questa scuola >> pronunciò, guardandosi le mani aperte come se sperasse di trovare la tessera mancate al suo personale puzzle. << Sono sicuro di aver sentito la tua forza spirituale sparire a pochi chilometri dall’accademia. Poi, d’un tratto, è riapparsa. Non volevo credere all’evidenza, mi illudevo di un errore che non avevo commesso. Non puoi immaginare la sorpresa nel vederti ancora vivo… >> lasciò cadere per l’ultima volta, terminando così il racconto.

In tutto il discorso che aveva fatto, durato ore considerando che il cielo cominciava a schiarirsi, aveva dato risposta alla maggior parte delle domande ma non alle più importanti.

Chi era lui? Cosa ci faceva lì? Perché sapeva fare tutte quelle cose che non aveva mai nemmeno imparato? Perché il suo riflesso gli parlava come se lo conoscesse?

Quelle domande vagavano ancora a piede libero per la sua mente, riempiendola di castelli in aria sempre più strampalati e di teorie impossibili.

Anche se, ormai, considerava la parola “impossibile” indegna di comparire in qualsiasi linguaggio.

Nulla era impossibile. E il fatto che anche un arcangelo aveva tentato di ucciderlo lo dimostrava ampiamente.

<< Hyuga >> chiamò poi Sasuke, attirando l’attenzione dell’interessato: << Perché hai deciso di aiutare Michele? >> chiese, il tono basso ma sincero.

Neji lo guardo, aprendo la bocca più volte per cercare il modo corretto di formulare la sua risposta. Infine, parlò: << mi fido di lui >> rispose solamente, guardando Kiba di sbieco. << Non dovrei dare così tanto spazio al mio ego, ne sono consapevole. Ma Michele è stati il mio maestro… ha visto qualche potenzialità in questo ragazzo, e il fatto che il crocifisso che mi ha chiesto di consegnargli si attivi, per me è una prova sufficiente >> concluse.

Nessuno però fece tempo a ribattere, o anche solo a pensare di farlo.

O se qualcuno lo fece, Kiba non lo sentì.

Un improvviso dolore gli invase la mano racchiusa in quella di Shikamaru, serrata in una morsa dolorosissima, espandendosi lungo il braccio come una colata di lava incandescente.

Gemette di dolore, venendo nel frattempo invaso da un misto di sentimenti discordanti, ma tutti traboccanti di rancore.

Odio, rabbia, frenesia e sentimenti di vendetta mescolati con ilarità, divertimento e profonda curiosità.

E non erano suoi.

Provenivano da Shikamaru, piegato in una maniera tale che i capelli sciolti ne coprissero i tratti del viso, e pian piano lo corrodevano dall’interno nel tentativo di raggiungere il suo cuore, il suo animo.

Era sicuro che, se quella colata di fuoco avesse raggiunto il suo petto, sicuramente il cuore gli sarebbe esploso. Era un mix troppo doloroso per riuscire a sopportarlo oltre.

Dovette per forza sfilare la mano dalla presa del moro, balzando di lato per allontanarsi da quell’ondata di negatività che lo stava assoggettando.

Non ebbe, però, nemmeno la forza per parlare… anzi, fu lo stesso ragazzo ad anticiparlo, usando una voce atona e composta che a Shikamaru non aveva mai sentito usare.

<< Uchiha… Itachi >> disse glaciale, scendendo dalla scrivania con un movimento fluido e calcolato. teneva gli occhi bassi ma, fra i ciuffi neri dei capelli, si poteva vedere a tratti uno sguardo spento disperso nel vuoto.

Cosa gli stava succedendo? Cosa gli stava accadendo?

A Kiba sembrò di sentire il rumore di un’altra maschera di porcellana incrinarsi, minacciare di staccarsi dal volto che la indossava.

E lui voleva raccoglierla, ripararla e fare sì che quella maschera divenisse il vero volto della persona che la stava perdendo.

Perché quella che stava per andare in pezzi era la maschera del pierrot con i palloncini di quel luna park incantato; quello che gli sorrideva dolcemente e che lo proteggeva anche solo con lo sguardo.

Era la maschera della persona di cui si era innamorato, che si stava pian piano frantumando davanti ai suoi occhi.

E quello che faceva più male, non era raccogliere i cocci… ma scoprire d’un tratto che, forse, si era innamorato di una maschera.

Trovare in sé l’amara possibilità di amare una menzogna.

No… non voleva che andasse avanti così.

Non voleva credere che andasse veramente avanti così.

Itachi, al contempo, si era distaccato dal muro mettendosi sulla difensiva. Le braccia lungo i fianchi erano immobili, i muscoli tesi, e gli occhi puntati su Shikamaru erano pronti a percepire ogni movimento anomalo del ragazzo.

<< Quello che hai detto riguardo alla vostra collaborazione… è vero? >> domandò Shikamaru, senza mutare né voce né tono.

Itachi, ormai pronto ad ogni cosa, non poté far altro che rispondere. << Sì >> disse chiaramente, senza aggiungere nient’altro.

La mano destra del ragazzo si chiuse a pugno e un’altra ondata di dolore invase Kiba, che assottigliò gli occhi in un folle atto di resistenza.

Un’ondata di rancore così potente da fare del male fisico a chi la percepisce… era talmente forte la portata dal suo odio nei confronti dell’Uchiha?

<< Quindi eri… un infiltrato? >> chiese ancora, apatico.

<< Sì >> replicò Itachi, sincero.

La rabbia di Shikamaru aumentò, travolgendo di nuovo Kiba e facendo tremare persino Naruto, che si portò una mano alla spalla per imporsi di smettere. I muscoli delle braccia del moro si tendevano sempre di più, disegnando nettamente i loro contorni sotto la pelle chiara.

<< Hyuga >> sussurrò Itachi in direzione dell’arcangelo.

<< Lo so >> rispose quello, mettendosi in posizione per tendere nuovamente l’arco.

A quella vista, nonostante il dolore, Kiba scattò. L’istinto aveva preso il controllo del suo corpo, questa volta, e rischiando di non sopportare la vicinanza di tutta quell’ondata d’odio si andò a posizionare fra Shikamaru e Neji, aprendo le braccia con la chiara intenzione di proteggere il moro. Anche se forse, a giudicare dalla situazione, avrebbe dovuto pensare più a proteggere se stesso…

Non parlarono, lui e Neji. Si fissarono e basta.

Una cosa buona c’era, l’arcangelo non poteva ucciderlo.

Tuttavia, non ci fu bisogno di iniziare una battaglia apparentemente insensata. Trattenendo rumorosamente il respiro fu Nara a fare dietro front, guadagnando velocemente l’uscita e lasciando la stanza.

Senza nemmeno riflettere, Kiba lo seguì a ruota.

 

 

 

Chapter No.11 ~ End.

 

 

*si accascia sulla scrivania in preda ad un esaurimento nervoso mentre Kiba cerca di farla rinvenire con i sali e Naruto le fa aria con il ventaglio dell’Uchiha*

Mai. Più. Un. Capitolo. Simile.

Ok, solo alcune cose poi vi lascio morire a vostra volta, dato che per leggere questo assurdo delirio in Verdana 8 vi sarete sicuramente cavati gli occhi.

Mi scuso innanzi tutto per la lunghezza. Sono un’infame. Mannaggia a me.

Pensavo mi venisse più corto, poi mi sono resa conto che solo l’introduzione prendeva tre pagine… *si accascia di nuovo al solo pensiero*

In secundis, scusatemi per quell’astruso dialogo infinito, ma non sapevo come altro spiegare tutta la faccenda XD

Insomma, avrei potuto… ma vorrei concludere entro i venti capitoli, ecco X°DDDD.

Per il resto, avvertenze. Questa volta per davvero, prendo uno stacco di qualche giorno dallo cominciare il capitolo successivo.

Ho ospiti a casa *_____*

Riprenderò quanto prima, promesso. Ormai manca poco alla fine, me la voglio godere.

Al prossimo capitolo!

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Capitolo 13
*** Wormhole (1) ***


*riemerge dal mare di cibo delle festività Natalizie* Ohi voi, Buon Natale e Buon Anno

Comincio senza indugio con le risposte ai commenti. E’ bello vedere che, nonostante i due mesi di immobilità, c’è ancora qualcuno che legge il mio delirio! XD

CloudRibbon: Sono felice che i capitoli ti piacciano lunghi Cloud, ma vorrei evitare di essere la causa di un progressivo accecamento! XD In ogni caso… sai, non credevo fosse possibile, ma sei riuscita a scatenarmi una Neji mode. E peggiorerà se continui a darmi del genio, accidenti! XD Suvvia, non sono puoi nulla di così incredibile. Mi perdo sono nelle descrizioni… cosa che devo fare per forza, altrimenti con una trama simile chi legge non capisce una lippa.

Comunque sono contenta che io sia riuscita a rendere quello che speravo di rendere. Però non puoi tenermi all’oscuro delle tue elucubrazioni su Kiba e Shikamaru, non è giusto! XD Scrivile, scrivile! Sono curiosa di vedere se arrivi al punto della cosa!

Comunque tranquilla, pian piano sfornerò tutte le informazioni necessarie, anche per quanto riguarda i più importanti quesiti esistenziali di questo lavoro. Ora vado, altrimenti perdo l’ispirazione per l’inzio. Grazie mille per aver letto nonostante tutto il ritardo! Chu! <3

Girlstreet: Io adoro quanto disprezzi Sasuke, sappilo. Soprattutto se te ne esci con cosa tipo: “la fuga di quel pezzo di imbecille mascherato da super boy” X°DDD *muore*. In ogni caso sì, ho chiarito qualcosa ma non tutto. Una cosa voluta, pian piano arriverò a dire il necessario. E sì, Hinata PUO’. Insomma, non è Angelo per niente XD ha un potere di guarire molto veloce.

Come per quanto riguarda Sakura; è stato per necessità. E poi dai, anche nel manga non è stupida, almeno mi si è rivelata utile. Cioè, le stesse cose messe in bocca a Ino… boh, mi lasciavano anche peggio °_____°

Per quanto riguarda Itachi… nella versione originale era uno dei cattivi, ma già dall’inizio sapevo che non sarei riuscita a tenerlo dal lato oscuro. E poi il manga… cioè… ho amato quel pezzo. Come amo Itachi, per questo non riesco a farlo cattivo XD

Grazie mille per aver letto e commentato nonostante il ritardo colossale! Alla prossima!

Slice: Sì, partorire è proprio il termine adatto =___=’’’ in ogni caso grazie anche a te, da adesso in avanti cercherò di aggiornare più in fretta *sisi* anche perché è vero, dopo un po’ ci si perde nel rileggersela se passa troppo tempo. Tanti auguri (in ritardo, ma dettagli U__u) anche a te e grazie per aver letto e commentato!

_Ala_: Oddio, mi dispiace che tu ti sia dovuta rileggere tutta la fic! XD Suppongo sia colpa del troppo tempo fra un aggiornamento e l’altro. In ogni caso, ti ringrazio tanto per il complimenti che mi fai, davvero! Sento quasi di non meritarmeli. A dire il vero non sono ancora capace di non lasciare qualche errore in giro per il mondo, dunque non sono assolutamente una gran donna… però davvero, mi fa piacere sapere che questo casino di trama piace! E comunque sì, ShikaKiba Rulez! ù___ù anche se sono effettivamente poche le persone che ci scrivono sopra. Insomma, per conludere, grazie davvero per i commenti al capitolo e per averlo letto, soprattutto. Alla prossima!

Hiko_chan: Oh, una nuova adepta! XD Ciao, e grazie di aver letto tutti questi capitoli (ma ci sei riuscita davvero senza morire per la perdita degli occhi? O___o) e, addirittura, di avere anche commentato. Come ho già detto ad altri, tutti i complimenti che mi fai magari non me li merito XP Io cerco semplicemente di descrivere meglio che posso, perché io per prima non apprezzo leggere una cosa senza capire. Sono altresì contenta che ti piaccia la trama, assolutamente. E’ incasinata, ma almeno piace.

Grazie mille per esserti unita ai lettori di questo mio delirio, e grazie per il commento! Alla prossima!

Maoa: Finalmente riesco a risponderti come si deve, anche per il capitolo precedente. Allora, cominciando, non sai quanto mi fa felice che mi vengano bene gli Uchiha. Sto facendo del mio meglio per non mandare OOC Sasukkia X°DDD e per quanto riguarda Shikamaru… eh, pazienta poche righe, capirai lungo questo capitolo ;D

Ti devo inoltre ringraziare per tutti i complimenti che mi fai nei commenti. Davvero, sembra quasi che io abbia scritto un libro, cosa che non mi sembra proprio! XD In ogni caso mi fa proprio piacere che la fic piaccia, anche perché l’avevo cominciata quasi per caso… bene, ora mi sento in pace con il mondo! XP

Ti ringrazio nuovamente per aver letto e commentato. Alla prossima!

 

Bene, il corso intensivo di risposta ai commenti termina qui. Adesso andiamo un po’ avanti con la storia *sisi*

Anticipo subito che, cause lunghezza, ho dovuto tagliare il capitolo. Dunque, allegria! Avremo un capitolo in più prima della fine! XD …non che la cosa mi rallegri, dato che li scrivo io, ma ho preferito descrivere meglio la scena successiva, che è anche un cardine *sisi*.

 

Secondo: a mio parere, i personaggi mi sono andati un po’ OOC. Soprattutto Kiba e Shikamaru, oserei dire. Ma siccome scrivo alle 3 di notte (già, non guardatemi con quelle facce U___u’’’) il mio parere potrebbe essere molto relativo XP. Nel caso sia successo (cosa molto probabile) mi scuso… ormai la trama lo richiede, essendo così avanti.

 

Con questo è tutto!

Con i miei auguri di buone feste (io vivo in ritardo, sorry ù___U) vi lascio alla lettura!

 

 

Chapter 12 ~ Nineth Echo

Wormhole

Parte 1

 

 

Disse il saggio: se vuoi nascondere un albero, mettilo in un bosco.

Ma le cose, lì, non funzionavano come nel mondo reale; ormai ne era consapevole.

Quindi anche la formula dell’albero nella foresta, se voleva far sì che per almeno mezz’ora non gli rompessero le scatole, nel suo caso non aveva senso.

E dunque, “disse il saggio” versione rivista: se vuoi nascondere Kiba mettilo nel luogo dove nessuno andrà a cercarlo.

Ovvero in biblioteca.

Problema risolto. Era circa un’ora che era solo con se stesso e con il suo lettore mp3, e la cosa non gli dispiaceva affatto.

Poteva pensare. Poteva ragionare senza interruzioni, senza urla, senza giri di parole larghi tre isolati, senza Sasuke “Vengo, Vedo e Distruggo l’Equilibrio” Uchiha e relativa compagine, senza casino e, soprattutto, senza demoni incazzosi che cercavano di fargli la pelle.

Il che era cosa buona e giusta.

Il fatto che poi, nonostante pensasse e ripensasse, sembrasse non riuscire ad arrivare ad un dunque supportato dalla logica… beh, quello era un altro paio di maniche.

Ci stava lavorando, ecco.

Si girò su un fianco, sospirando rassegnato.

Ma chi voleva prendere in giro? Lui non ci stava nemmeno pensando ai suoi problemi.

O almeno, ci provava. Ma erano come i compiti di matematica: ogni volta che ci si metteva sopra andava sempre a finire che la mente vagava, andando al suo chiodo fisso: Shikamaru Nara.

Anzi… all’ultima versione che aveva visto, dell’essere di nome “Shikamaru Nara”.

Chiuse gli occhi, alzando di poco il volume del lettore mp3 che teneva in mano. Le note di “My December” dei Linkin Park gli invasero le orecchie.

Oh, che felicità. Canzone più allegra non poteva beccarla nemmeno con una delega papale e un’immensa botta di culo.

Però… doveva ammettere che si adattava al suo umore.

Malinconico e… sì, triste.

Non riusciva a sentirsi in altro modo.

Si strinse di più nella giacca della divisa, aggrottando le sopracciglia al ricordo di quelle immagini ancora recenti, impresse a fuoco nella sua mente.

Sin troppo recenti per essere cancellate…

 

Lo aveva seguito in corridoio, senza una ragione particolare.

Istinto. Ignorando il fatto che potesse o meno disturbarlo, gli era andato dietro quasi istantaneamente; nonostante emanasse quella costante aura furiosa… nonostante ad ogni passo, nel farsi più vicino, sentisse nuove scariche di dolore incomprensibile lungo tutto il corpo.

Quell’empatia era veramente una rottura.

<< Shikamaru! >> lo chiamò, quasi fiducioso che si sarebbe voltato, fermato, o che almeno avesse girato il capo. Inutilmente fiducioso, a quanto sembrava… perché quello che inseguiva, il passo veloce ne confermava l’urgenza, sembrava non essere veramente Shikamaru.

E non voleva ammetterlo… ma un pensiero simile faceva male.

Era come se una mano gli stringesse il cuore con forza e quello no, non era effetto dell’empatia. Non era un sentimento non suo, come non era una conseguenza della rabbia che scaturiva dal moro, di qualche passo davanti a lui.

Era una sensazione sua.

E questo era anche… peggio.

Nara tuttavia non si voltò, non rallentò, non mutò l’andatura.

Si limitò ad una frase, una sola parola…

<< Vattene >> ringhiata con durezza, ma senza la vera intenzione di farlo sul serio.

Si capiva dalla voce, purtroppo. E nonostante Kiba avesse ormai compreso che Shikamaru aveva una sua particolare abilità nel cercare con tutto se stesso di non ferirlo, nascondendogli cose che magari lo avrebbero messo nei guai, ormai capiva anche che il moro non poteva più tirarsi indietro.

Nei guai ci era immerso fino al collo. Anzi, tentava disperatamente di galleggiarci sopra per non affogarci dentro.

<< No che non me ne vado! >> sbottò dunque, continuando la sua opera del “sì, facciamoci del male reciproco!” inseguendolo ora su per le scale dell’Atrio Piccolo.

Si rendeva sempre di più conto che Shikamaru era stato veramente bravo…

Sì. Era davvero abile nel recitare il silenzio.

 

<< mh… >> mugugnò a disagio, cercando nel lettore mp3 qualcosa di più allegro con un breve movimento della mano destra.

No, niente da fare. Quelle erano ancora le canzoni che aveva inserito quando si era trasferito lì… non c’era dubbio che non ne fosse contento, quel giorno, dunque si era riempito l’mp3 con indecenti canzoni tutte schifosamente e spaventosamente deprimenti.

Passando oltre l’ennesimo singolo da taglio delle vene, “Say Goodnight” dei Bullet for My Valentine, capitò sull’unica canzone che aveva aggiunto una volta arrivato in accademia.

L’unica. Non ne aveva cancellata nessuna, ne sostituite con altre.

Ne aveva aggiunta solamente una.

Il suono di un pianoforte, una voce melodica…

…non ebbe la forza per scorrere oltre la playlist.

Sulle note di “Gravity” si aprivano un mare di ricordi, e non ultimi erano i più recenti…

 

<< Shikamaru, o ti fermi o giuro su quella malsana donna di mia madre che lo farò io! >> sbottò indispettito, salendo di corsa gli ultimi gradini per guadagnare terreno sul moro.

Cominciava veramente ad incazzarsi.

Se non c’era più motivo di nascondersi, se ormai erano entrambi su una barca a vela in mezzo ad un oceano di guai… perché cavolo si ostinava a non farsi guardare nemmeno in faccia?!

L’altro lo ignorò, proseguendo per la sua strada fino ad imboccare il ponte sospeso, ancora massacrato dal passaggio di Orochimaru.

Basta. Era stufo di giocare ad acchiapparella.

<< Shikamaru Nara, voltati e guardami in faccia! >> esclamò infine, afferrandogli il polso con l’esatta intenzione di farlo voltare con la forza (o almeno, quelle poche che aveva riguadagnato).

Ma non successe. Non del tutto, almeno.

Una fitta alla mano, il riflesso istintivo di chiudere gli occhi… e, quando li riaprì, lo scenario in cui si ritrovò gli fece trattenere il respiro.

Bianco. Bianco a perdita d’occhio, chiaro da ferire gli occhi, candido peggio del riflesso del sole sulla neve.

Una ruota panoramica ferma ed arrugginita, una giostra decadente, una casa degli specchi dall’aspetto sfatto e mezza sfasciata. Poteva quasi vedere i frammenti degli specchi in essa contenuti, sparsi a terra davanti alle tende marce dell’entrata.

Davanti a lui ciò che era riuscito a togliersi dalla mente ma che, evidentemente, era destino che non dimenticasse.

Un ragazzo moro; i capelli scuri raccolti da una coda alta, vestito da clown e quasi completamente girato di spalle. Solo un piccolo scorcio del suo viso si poteva vedere e, anche se non sarebbe bastato a nessuno per identificarlo, a Kiba bastò anche solo quello.

Era lo Shikamaru dell’incubo del Luna Park. Era la rappresentazione dei suoi ricordi, della sua coscienza.

Teneva per mano quello più piccolo, il bambino dagli stessi lineamenti del giovane ma che, in realtà, non era Shikamaru nemmeno con l’aiuto di tanta fantasia.

E dire “teneva per mano” era in sé una portentosa minimizzazione della realtà.

Perché l’unico che stringeva la mano del pagliaccio era il piccolo; la mano dello Shikamaru adolescente non ricambiava quella stretta. Si limitava a rimanere inerme, intrappolata in essa.

<< Shikamaru! >> provò a chiamare, senza però ottenere il risultato ottenuto.

Continuò ad ignorarlo.

Ma il bambino… lui sorrise di sghembo, ghignando compiaciuto.

<< Ben fatto, Kiba. Non perdi più la calma come l’altra volta >> lo sfotté, osservandolo beffardo.

Kiba non rispose, limitandosi a guardarlo.

Quello ridacchiò, chiudendo gli occhi come se avesse attutito senza difficoltà la silenziosa risposta dell’Inuzuka.

Il castano lo ignorò, rivolgendo di nuovo la sua attenzione al moro, senza mollare: << Shikamaru, ti prego… se non mi dici nulla non posso nemmeno provare a capire! >> gli disse, quasi auto distruggendo il suo orgoglio per implorarlo in una maniera simile.

Il ragazzo sembrò reagire, sussultando. Voltò appena il capo… ma la voce strafottente del bambino arrivò prima.

<< Commuovente >> commentò il moccioso << ma finchè terrai in mano quella, non ti parlerà comunque >> aggiunse, ora con un tono indifferente e freddo.

<< Tenere in mano…? >> borbottò Kiba senza capire, abbassando lo sguardo sulle sue mani…

Una maschera.

Reggeva una maschera da clown, sorridente con quella bocca larga e colorata di rosso acceso, gli occhi azzurri aperti e l’aspetto inquietantemente felice.

E sembrava fatta di porcellana. Sì, perché ogni secondo che passava alcune crepe si allargavano sulla sua superficie liscia.

<< Ma che…!? >> tentò di dire, rialzando lo sguardo di scatto…

Rimase pietrificato. Di nuovo. Per l’ennesima volta.

Il bambino era sparito.

Alle spalle di Shikamaru ora, nascosto nella sua ombra, un demone felino sembrava fissarlo con la stessa aria strafottente di quell’irritante moccioso.

Ma più che un gatto… sembrava una lince.

Orecchie appuntite, lunghi baffi, occhi color vinaccia dall’iride allungata… e due code sinuose che si muovevano nell’aria.

<< Neko… mata >> sussurrò stupefatto, incredulo, incapace di fare ragionamenti di senso compiuto o di pensare a qualsiasi cosa.

Il demone delle due code sembrò sorridere. Ma nel momento in cui la maschera si infranse completamente fra le sue mani, di botto fu catapultato nella realtà.

Shikamaru aveva ritratto violentemente il braccio, lo aveva guardato con occhi sbarrati e con espressione a metà fra il risentito e lo sbalordito… poi si era girato e, conscio di non essere più seguito, era scomparso dietro il primo angolo.

Kiba rimase pietrificato in mezzo al ponte sospeso, a bocca aperta e con il respiro mozzato in gola.

Aveva ancora nelle mani la sensazione della maschera che cadeva in pezzi…

 

Sbuffò sonoramente, spegnendo con un gesto secco il piccolo riproduttore digitale.

Togliendosi le cuffie dalle orecchie con uno scatto le lasciò impattare rumorosamente a terra, preferendo ignorarle per il suo bene mentale.

L’ultimo dei suoi problemi era l’eventualità di spaccare gli auricolari del lettore mp3.

Si girò nuovamente sulla schiena, facendo sì che tornasse in contatto con il pavimento gelido e sicuramente poco accogliente.

Ma non gli importava del freddo, ne del fatto che magari si sarebbe preso l’influenza o chissà cos’altro.

L’unica cosa che riusciva a pensare era… quella.

Quella maledetta immagine di quel maledetto Luna Park.

E il fatto che Shikamaru… che Shikamaru era… un demone, un cercoterio.

Era una cavia… e lui non se ne era nemmeno accorto.

Portò l’avambraccio destro a coprirsi il volto, nella speranza di bloccare il pizzicore agli occhi che minacciava di farlo piangere.

Quanto poteva essere ignorante lui, nella sua vita?

Quanto doveva essere deficiente, per non accorgersene?

Nel silenzio, ascoltò il battito del suo cuore.

Era accelerato, pulsava nelle vene come nelle tempie, aggressivo e quasi crudele. Lo aggrappava con tutto se stesso ad una vita che non sapeva nemmeno se fosse realmente sua.

Però… nell’ascoltare quel sordo rumore ritmico, pareva trovare una certa tranquillità.

Almeno finchè il rumore non divenne più veloce, più forte, più cadenzato. Si accorse che quello che sentiva ora non era il battito del suo cuore, ma di passi, che pian piano si avvicinavano a quel punto della biblioteca.

Beh, non poteva di certo stare nascosto per sempre con la speranza di non essere mai trovato, no?

Stette dunque ad ascoltare. I passi divennero chiarissimi, tanto da poter dire che fossero quasi strascicati, a si fermarono esattamente a poca distanza dietro lui, ancora disteso a terra.

Kiba non fece nulla per riconoscere chi fosse, né si tolse l’avambraccio dagli occhi. Andò semplicemente ad eliminazione.

Non poteva essere Naruto, perché conoscendolo sarebbe arrivato di corsa e avrebbe cominciato a sbraitare appena varcata la soglia della biblioteca.

Non poteva essere Sakura, o Ino, esattamente per lo stesso motivo. Loro non sarebbero rimaste in silenzio, come invece faceva la persona che, quasi sicuramente, in quel momento lo stava guardando.

Non poteva essere l’Uchiha. Impossibile. Semplicemente perché Sasuke “Scateniamo il Casino nel Mondo” Uchiha non si sarebbe mai e poi mai messo a cercarlo.

Non poteva essere Itachi Uchiha; non si sarebbe fatto sentire, ne era quasi sicuro. Sarebbe comparso e basta.

Come non poteva essere Neji Hyuga, dato che non gli aveva ancora detto di alzare il culo e seguirlo.

E non poteva essere di certo Hinata. Avrebbe già balbettato il suo nome una ventina di volte, durante tutto questo ragionamento, cosa che non aveva sentito fare.

Beh, Kiba… due più due fa quattro, giallo e rosso danno arancione e l’asse terrestre è inclinato di 23,5 gradi.

Fra tutti quelli esclusi era rimasta una sola persona. Elementare, Watson.

A questo punto,  tra l’altro, non sapeva se stupirsi per il suo ragionamento coerente o per il fatto che l’altro si fosse presentato di sua spontanea volontà.

Sorrise amaramente, riuscendo chissà dove a racimolare un po’ di voce. << A cosa devo l’onore? >> chiese, ironico.

Shikamaru inizialmente non rispose, osservandolo dall’alto anche se l’altro non poteva vederlo.

Si chinò dunque, piegando le ginocchia, arrivando con il volto parallelamente a quello di Kiba.

Il castano, poi, sentì le dita calde di Nara sul suo braccio, nel tentativo di spostarlo dai suoi occhi. Mossa completamente riuscita, dato che non aveva più nessun motivo per coprirseli.

Non avrebbe rinunciato a guardare Shikamaru in faccia mentre gli spiegava tutto parola per parola.

Si fissarono, silenziosi. Il moro si era rifatto la coda alta di sempre, racchiudendo i capelli nel ciuffo ad ananas che tanto Kiba adorava prendere in giro, ed evidentemente si era cambiato la divisa, sostituendo quella semi distrutta con una nuova.

<< Ti devo qualche spiegazione >> disse dunque, senza l’ombra di un sorriso.

Ma dopotutto… chi aveva ancora la forza di sorridere, in una situazione simile?

Kiba piegò le labbra in una smorfia ironica, osservandolo dal basso. << Puoi dirlo forte >> ribatté sarcastico, senza muovere un muscolo.

Si sarebbe anche alzato, forse… ma fu Shikamaru ad anticiparlo, stendendosi nella posizione inversa a lui e mettendo solo la testa accanto alla sua.

Passò qualche minuto di pesante silenzio.

Nessuno dei due sapeva come cominciare quel discorso, se Kiba con una domanda o Shikamaru con una spiegazione.

Il dilemma fu rotto dal secondo, ormai stanco di quell’opprimente assenza di parola da parte dell’altro.

<< Suppongo tu abbia capito cosa sono… >> cominciò con calma, probabilmente tastando il terreno.

<< L’ho recepito forte e chiaro >> fu la risposta di Kiba, lucida e senza esitazioni.

Ancora qualche attimo di immobilità. Poi fu la voce di Kiba, questa volta, a risaltare per prima.

<< Perché non me lo hai mai detto? >> chiese, fissando il soffitto buio.

Non che volesse fargli un primo grado da mogliettina stizzita, nulla del genere. Desiderava sapere solo il perché avesse preferito tenerglielo nascosto, tutto qui.

Il perché sembrava lo sapessero tutti tranne lui…

<< Perché era pericoloso >> fu la risposta.

Kiba ringhiò spazientito, battendo le mani in un eccesso di stizza: << no, cazzo, questa no! >> sbottò poi, facendo risuonare la sua voce per tutta la biblioteca. << Non venirmi a dire che era pericoloso, non usare una scusa ridicola come questa! >> cominciò a blaterare, ma fu Shikamaru ad interrompere sul nascere quella sua ribellione a voce alta.

<< Kiba! >> chiamò, nel palese tentativo di zittirlo.

Spiazzato da quell’esclamazione, il castano non poté far altro che tacere.

<< Era davvero pericoloso. O almeno… mi era sembrato >> chiarì poi, chiudendo gli occhi con fare stanco.

<< In che senso? >> chiese dunque l’Inuzuka, ora calmo e disposto a starlo a sentire senza sbottare ad ogni parola.

L’altro sospirò.

<< Lo sai, no? L’hai sentito prima dallo Hyuga… >> cominciò << …i demoni usano solamente persone con una elevata forza spirituale, per attraversare. Il perché è dato dal fatto che, tale forza, si adatta meglio a quella che è l’aura del demone >> spiegò brevemente, riprendendo poco dopo: << lo stesso concetto vale per il cercoteri. Si adattano meglio al corpo di una persona con un elevato potere spirituale >> disse.

Il cervello di Kiba cominciava finalmente a collegare qualche pezzo del puzzle.

Il fatto che lui fosse un Tabernacolo, quindi una persona con un elevato potere spirituale, lo rendeva una cavia ideale per impiantare al suo interno un cercoterio. Come era successo a Shikamaru…

<< Quindi… >> abbozzò con voce incerta, iniziando finalmente a comprendere la dinamica nascosta dietro al St. Michael.

<< Già… >> sospirò Shikamaru << …eri una “preda” appetibile. Persino Itachi ti aveva notato, e la cosa non mi lasciava tranquillo >> proseguì, la voce modulata data la vicinanza.

<< Cosa c’entra Uchiha? >> domandò stranito l’Inuzuka. Se non aveva preso rane per tori, Itachi era un loro alleato… o no?

Il moro non rispose subito, perso in chissà quale dei propri pensieri. L’altro voltò il capo in sua direzione, osservandolo sottosopra da quella distanza sicuramente ravvicinata.

Dentro di sé, avrebbe voluto davvero fargli fretta. Chiedergli una volta per tutte il perché del suo spropositato odio nei confronti del maggiore degli Uchiha, soprattutto ora che sapevano della sua collaborazione con Neji.

Chiedergli di parlare una volta per tutte, perché lui era stanco delle persone che non gli dicevano nulla e pretendevano che capisse tutto.

Tuttavia tacque. Aspettò, come gli diceva l’istinto. Si fidava di lui… nonostante gli avesse tenuto nascosto del demone, si fidava di lui.

<< E’ stato Itachi Uchiha ad inserire Nekomata all’interno del mio corpo >> esordì poi il moro, mettendosi seduto con un fruscio di vestiti.

E quella notizia arrivò come una cannonata. Una botta sui denti con una mazza da baseball avrebbe fatto meno male.

Si mise seduto a sua volta, osservandolo a dir poco sbalordito.

Fu in quel momento, mentre Kiba osservava la sua schiena, che finalmente vide quello che Shikamaru non gli aveva mai mostrato.

Dietro al collo, a livello della terza vertebra, il tatuaggio del numero “2” rimaneva nascosto fra l’attaccatura dei capelli e il colletto della camicia.

Si avvicinò, osservandolo più da vicino. Lui aveva visto tanti tatuaggi in vita sua, alcuni suoi sempai a scuola se li facevano, ma quel numero sembrava tutto fuorché un normale tatuaggio. Era più… una cicatrice di colore nero. Di fianco ad esso, inoltre, altre piccole cicatrici oblunghe si potevano vedere ad una distanza più ravvicinata.

Sembravano… taglietti da bisturi. Ed erano sicuramente due, se non tre.

Deglutì silenziosamente, posando le dita sul numero impresso sulla nuca del moro. Shikamaru non si mosse, rimanendo con la testa reclinata in avanti, lasciandolo fare.

<< E’ stato… davvero lui? >> chiese Kiba, sfiorando quel segno con il polpastrello dell’indice.

Se lo ricordava… un cerotto bianco sul collo in quella stessa posizione, in uno dei ricordi di Shikamaru che aveva visto tempo prima.

Nara annuì silenziosamente. << Lavorava per Orochimaru come infiltrato. O almeno, così ha risposto quando gliel’ho chiesto >> rispose, voltandosi finalmente in sua direzione.

Nonostante si fosse cambiato, e probabilmente rassettato, due leggere occhiaie violacee stazionavano sotto ai suoi occhi. Persino l’espressione era stanca, mentre prendeva fra le sue la mano di Kiba che gli aveva sfiorato il collo, baciandola lievemente.

<< Dovresti dormire un po’ >> disse subito il castano, posando la mano libera sulla guancia dell’altro.

<< No, finchè sei sveglio tu >> rispose quello, socchiudendo gli occhi al contatto. << Voglio tenerti d’occhio >> aggiunse poi, avvicinandosi di più a lui. Incrociò le gambe con le sue, finchè non si trovarono talmente vicini da poter sentire l’uno il respiro dell’altro.

Finché non bastarono i sussurri, per parlare.

<< So badare a me stesso, sai? >> rispose sarcastico Kiba, prendendo con entrambe le mani quelle di Shikamaru ed intrecciandone le dita con le proprie.

<< Lo so, ma non mi sento tranquillo comunque >> ribatté subito il moro, stringendo la presa.

<< Beh, mi spiace… >> sospirò poi Kiba, chiudendo gli occhi con fare esausto: << …per quanto io sia stanco, non credo che riuscirei a dormire >> spiegò, incontrando però in risposta solo il silenzio.

Riaprendo gli occhi, lo osservò meglio. << Shikamaru, cosa c’è? >> chiese dunque, con la sua solita rudezza ma con un tono misto fra dolcezza e preoccupazione.

<< Kiba… >> sussurrò l’altro, rialzando lo sguardo su di lui: << …non hai paura di me? >> chiese, sincero.

Eccola. Se l’aspettava quasi, una domanda simile.

Il classico dilemma del buon samaritano con le crisi esistenziali; e lo strano era che Shikamaru, un buon samaritano con le crisi esistenziali, non lo sembrava proprio.

Fu per quello che sospirò, con un “santa pazienza” spazientito, prima di rispondere.

<< Sai Shikamaru, mia sorella è una piaga >> cominciò, apparentemente senza alcun collegamento logico. << Scommetto quello che vuoi che un’invasione di api assassine sarebbe più sopportabile di lei. Ma, ogni tanto, anche lei ha le sue uscite sagge, dato che è la cervellotica di famiglia >> continuò imperterrito, chiudendo gli occhi con fare consapevole. << Una volta mi ha detto che le persone si devono giudicare per quello che fanno, ma amare per quello che sono. E io non credo proprio di aver paura di te, o di disprezzarti… tu sei sempre lo stesso Shikamaru che ho conosciuto, che ci sia o meno un demone racchiuso dentro di te. Tu non sei Nekomata, lo racchiudi e basta… non lo sei >> concluse, ripetendo il concetto ed osservandolo direttamente negli occhi.

L’altro, come se niente fosse, sorrise lievemente. << Da questo devo dedurre che mi ami, Inuzuka? >> chiese sornione, avvicinandosi alle labbra del castano con un sorrisetto appena accennato.

Kiba sogghignò, inclinando l’angolo della bocca, socchiudendo gli occhi mentre il volto dell’altro si faceva sempre più vicino. << Mah… >> esitò volutamente << …forse sì, forse no. Chi può dirlo? >> ci scherzò sopra in un soffio, ormai a pochi centimetri dalle sue labbra.

Non c’era nemmeno più imbarazzo in quel gesto, dopo la prima volta. Era diventato quasi famigliare, anche se non molto frequente, fra loro.

Si baciarono. Dapprima in modo casto, un semplice sfiorarsi reciproco di labbra. Poi in modo più incisivo, approfondendo il contatto a labbra dischiuse, lasciando che le lingue si sfiorassero fra loro in lievi e veloci carezze, che divennero più lunghe man mano che il bacio si approfondiva.

Ricevendo quelle attenzioni, abbracciandolo, baciandolo… Kiba era sempre più convinto che il demone delle due code e l’essere chiamato Shikamaru Nara fossero due entità distinte, separate l’una dall’altra.

La maschera non rappresenta sempre la menzogna, dopotutto. Veniva usata anche per nascondere un segreto, piccolo o grande che fosse.

Non sempre ha un significato negativo…

Si disgiunsero qualche secondo dopo, osservandosi languidamente a vicenda.

<< Non ti ho ancora chiesto come ti senti… >> sussurrò Shikamaru, riappropriandosi delle labbra di Kiba per un bacio fugace, lungo solo un istante.

Kiba rispose a quel breve contatto prima ancora di rispondere: << Starei meglio se non ci fosse della gente che tenta di uccidermi… >> sussurrò, tendendo lui il collo questa volta per baciare l’altro, una fotocopia del piccolo contatto appena avvenuto.

<< A proposito di questo… >> disse poi il moro, osservandolo con serietà.

<< Sì? >> chiese il castano, guardandolo negli occhi a sua volta.

<< Ho una teoria >>.

 

 

<< In che senso spiegarti tutto? >> chiese con fare stranito, camminandogli di fianco mentre Shikamaru cercava un particolare reparto all’interno dell’enorme biblioteca.

Fuori dalle grandi finestre il cielo cominciava pian piano a schiarirsi, segno che l’alba era a non più di un’ora.

<< Prima… >> cominciò Nara << …hai detto che vedi delle cose strane, e che ricordi cose che non hai mai fatto. Dimmi cosa >> specificò il moro, puntando di tanto in tanto il fascio luminoso di una torcia elettrica ad illuminare il frontespizio di qualche libro.

Cos’era quella curiosità, così all’improvviso?

No, no. Aveva battuto la testa da qualche parte. Doveva per forza essere così.

Lo osservò indeciso, guardandogli le spalle più che il volto dato che era impegnato a cercare un determinato scaffale, ma solo quel gesto gli confermò che no, non stava scherzando.

Voleva saperlo davvero.

Perché… lui che motivo aveva di nasconderlo? Era perché così sembrava… poco normale?

Beh, Kiba, figliolo… il tuo ragazzo è il contenitore di un demone che fa da braccio destro alla Morte, frequenti gente che è messa anche peggio, sei in una scuola in cui di normale non c’è nemmeno un granello di polvere… ancora ti credevi un essere umano qualunque?

Sospirò, facendo tacere il cervello.

<< Vedo… me >> disse poi, spostando istintivamente lo sguardo alla prima finestra disponibile. Fissò il suo riflesso, come se all’improvviso dovesse comparire l’altro se stesso in conferma alle sue parole: << però non sono propriamente io. E’… qualcos’altro >> aggiunse, criptico.

In un fruscio Shikamaru si fermò nella sua ricerca, voltandosi. << Cos’altro? >> insistette.

Kiba aggrottò le sopracciglia, così come fece il suo riflesso sul vetro. Sospirò, tornando a guardare il moro prima di rispondergli.

<< Un altro me >> disse, serio. << Vestiti diversi, volto insanguinato, una bruciatura sul collo e sul viso… >> elencò il più precisamente possibile, facendosi dei segni con le mani sul viso, per specificare meglio dove quel riflesso avesse la cicatrice.

Shikamaru annuì, senza tuttavia aggiungere nulla. << E le cose che sai fare senza averle imparate? >> chiese poi, assottigliando gli occhi.

Si vedeva che quel cervello da quoziente intellettivo 200 stava elaborando qualcosa.

Il castano sbuffò lievemente, portandosi per riflesso una mano a grattarsi la nuca. << Combattimento… per lo più. Lo sapevi? So le arti marziali! >> esclamò poi, avvicinandosi e mimando un calcio.

<< Davvero? >> chiese Shikamaru, seguendolo con lo sguardo.

<< A quanto pare >> rispose subito Kiba, fermandosi davanti a lui e mettendosi le mani nelle tasche dei pantaloni. << Peccato che io non ne avevo la minima idea >> aggiunse poi, osservandolo.

Sì, stava ragionando. Se qualcuno avesse aperto in quel momento la scatola cranica di Nara ci avrebbe trovato dentro la WWM (World Wide Mind, come l’aveva rinominata l’inuzuka) al lavoro.

Per un secondo, Shikamaru spostò gli occhi da lui alla finestra. La luce all’interno della stanza non era molta, dato che il sole doveva effettivamente ancora sorgere, però era sufficiente a far sì che potessero vedersi a vicenda.

Squadrò per qualche istante il cielo, aggrottando poi le sopracciglia, probabilmente al vaglio di un pensiero che non lo allettava propriamente.

<< Supponiamo… >> cominciò poco dopo, sempre rivolto alla finestra << …che tu, come Tabernacolo, fosti davvero la preda favorita di qualsivoglia demone. Perché Orochimaru, che da quello che ho capito patteggia per Lucifero insieme al serpentone, vuole vederti morto? >> chiese, rivolto sia a Kiba che a se stesso.

Sorrise appena, sollevando l’angolo della bocca in una smorfia. “Serpentone”, che se aveva capito bene e si riferiva a Yamata no Orochi, era probabilmente una terminologia usata da Nekomata.

Era facile decodificare gli indizi, col senno di poi.

In ogni caso scosse il capo, sbadigliando. << Non lo so. Qualche idea? >> chiese, asciugandosi gli occhi da qualche lacrima causata dallo sbadiglio.

<< E’ strano >> disse semplicemente, tornando a guardarlo negli occhi. << Se tu puoi essere la via per far salire un demone completo su questo piano, perché ucciderti? Anche se sei sotto l’ala protettiva dell’Arcangelo Michele sei pur sempre una pedina utile >> considerò, perso in una rete di ragionamenti al di fuori della portata di Kiba.

<< A meno che… >> cominciò poi, inarcando un sopracciglio.

<< A meno che? >> incalzò il castano, ormai incuriosito.

<< A meno che un Tabernacolo non possa essere solo la chiave per l’arrivo di un demone, ma anche l’opposto >> ipotizzò, sogghignando soddisfatto. << E se tu fossi la chiave per la nascita di un angelo? >> chiese poi, retorico anche se rivolto verso il castano.

Kiba, dal canto suo, rimase abbastanza sbalordito da quell’idea.

<< Io!? >> chiese stupito, indicandosi con un dito.

Shikamaru fece spallucce. << Potrebbe anche darsi >> commentò solamente, per poi riprendere: << spiegherebbe perché Michele ha deciso di proteggerti, e perché Orochimaru di ucciderti. E considerando che l’equilibrio è quello che è perché il Paradiso ha un angelo in meno… >> lasciò cadere, facendo intuire a Kiba che gli lasciava la parola.

<< …si spiega l’urgenza >> concluse il castano, seguendolo passo per passo. << Anche se non riesco a crederci, di essere un “qualsiasi cosa sia” capace di dar vita ad un angelo, o anche solo di rappresentarlo >> aggiunse in seguito.

<< Nessuno ha la minima idea di come nascano gli angeli, o se vengano creati. Se supponiamo poi che, secondo il Creazionismo, tutto nasce nel mondo secondo un piano pre-disegnato da Dio, non ci sarebbe da utilizzare nemmeno il concetto di “nascita” in sé >> spiegò Shikamaru, riprendendo a camminare in cerca dello scaffale che cercava,

<< Alt, ingrana la retro >> esclamò Kiba andandogli dietro: << non cominciare a parlare come un’enciclopedia, altrimenti non ti seguo più >> disse, affiancandolo nuovamente.

Shikamaru sogghignò, probabilmente se lo aspettava. << Dovresti leggere un po’ di libri, al posto dei manga >> ribatté sincero, prendendolo bonariamente in giro.

<< Con il rischio di addormentarmi a pagina 10? No grazie, ognuno ha il suo stile di vita >> ribatté subito l’altro, portandosi le mani dietro la nuca e chiudendo gli occhi.

Passarono così alcuni minuti, nel silenzio riempito solo dall’eco dei loro passi. La biblioteca non era piccola, ma loro stavano continuando a girare in tondo per gli scaffali, controllando e ricontrollando. Quale cavolo di settore stava cercando?

<< Ah…! >> esclamò poi Shikamaru, puntando il fascio di luce della torcia sul frontespizio bordeaux di un libro: << ci siamo quasi >>.

<< Cartesio? >> domandò quasi schifato Kiba, storcendo il naso in un’espressione a metà fra la sorpresa e la repulsione fisica.

<< Matematica >> precisò Shikamaru, inoltrandosi fra le due scaffalature che delimitavano il settore.

Ah. Ecco cos’era quella repulsione fisica che provava.

<< Scusa se te lo chiedo, luce dei miei occhi >> cominciò l’Inuzuka, ironizzando sul nomignolo ma tenendosi il più distante possibile dai libri. Già di loro, per lui, erano peggio di un sonnifero; se poi parlavano pure di matematica era morte cerebrale assicurata. << Perché siamo nel reparto di matematica? >> chiese, tornando con lo sguardo sul moro, ora fermo in un punto particolare della scaffalatura.

Il fascio di luce illuminava una serie di libri dalla copertina blu scura e parecchio impolverata. Probabilmente quel settore era rimasto intatto dopo l’attacco del Rokubi (dato che era uno dei più inutilizzati e, dunque, uno degli ultimi in fondo all’intera biblioteca) ma comunque quei libri davano l’impressione di non essere di frequente fra le mani degli studenti.

Lesse il titolo. Arricciò di più il naso.

<< No… lui no! >> agonizzò il castano, ora palesemente e letteralmente inquietato da quello che passava per la mente dell’altro.

Shikamaru, che nel contempo aveva recuperato una scaletta pieghevole dallo scaffale opposto, gli lanciò un’occhiata sbieca: << non offendere i grandi maestri della Fisica moderna >> disse, salendo i due gradini per prendere il primo dei libri che aveva notato, aggiungendo: << potresti trovare che sono di una qualche utilità >> con tono impegnato.

<< Non lo metto in dubbio >> ribatté subito Kiba, appoggiandosi con la schiena allo scaffale di fronte a quello a cui stava Shikamaru: << Come fermacarte i libri di Einstein sono molto utili >> ribatté sarcastico, incrociando le braccia al petto.

Il moro, probabilmente, lo ignorò dato che non gli rispose nemmeno. Era impegnato a sfogliare pagine su pagine, soffermandosi ogni tanto per leggere qualche riga.

Poi, dopo alcuni minuti di mutismo, sorridendo mestamente si rivolse a lui, sedendosi sulla scaletta con il libro ancora fra le mani.

<< Per il cadavere nel taxi hai qualche idea? >> chiese, con tutta l’aria di chi parte da un punto già considerato per arrivare ad una certa conclusione.

Tuttavia, Kiba non gli disse né di tagliare corto, né di evitargli giri di parole inutili.

Se avesse tagliato corto, lui non ci avrebbe sicuramente capito niente. Se avesse evitato i giri di parole, come minimo ci avrebbe capito ancora meno.

Negò con il capo, tornando a guardarlo.

Sorrise. E quel sorrisetto, anche se amaro in un qualche modo, voleva rappresentare un esplicito “io sì”.

Non attese oltre. << Sembri avere qualche idea in testa… >> buttò lì il castano, osservandolo.

L’altro annuì, prima di chiedere: << hai mai visto Donnie Darko? >>

Ok. Shikamaru era palesemente impazzito e ora stava tentando di comprare il suo silenzio citando un film.

Lo guardò. E probabilmente la sua espressione parlò per lui.

<< Stai al gioco e rispondi >> fu il semplice commento del moro.

Kiba sospirò, roteando per un attimo gli occhi chiusi: << ci ho provato, ma mi sono addormentato dopo venti minuti >> ammise << perché? >> chiese poi, non riuscendo minimamente a capire cosa centrasse Donnie Darko con lui.

Se avesse avuto le mani libere, Shikamaru se ne sarebbe schiaffato come minimo una sulla fronte.

E dire che l’Inuzuka non sembrava un emarginato sociale. Insomma, certi film prima o poi si vedono, se non al cinema almeno a nolo! << Sai almeno di cosa tratta? >> chiese, ormai pronto al peggio.

Che non arrivò. Kiba era superficiale, non scemo.

<< Ah sì, aspetta! >> esclamò, chiudendo gli occhi in uno sforzo di memoria. << Quei cosi… i tunnel spazio-tempo! >> esclamò una volta che ebbe trovato il termine… ma la sua soddisfazione durò solo il tempo necessario per rendersi conto di quello che stava passando per la testa di Shikamaru.

<< Non vorrai farmi credere che vengo dal futuro…? >> disse scettico.

Sì, Shikamaru stava realmente vendendo la sua sanità mentale al miglior offerente.

<< Non proprio >> disse lui, girando il libro in sua direzione, per mostrarglielo. << Quei “cosi” sono i Wormhole. O, in termini più strettamente scientifici, Ponti di Einstein-Rosen >> cominciò, con tutta l’intenzione di proseguire. Infatti, dopo che Kiba ebbe inutilmente tentato di capire il ragionamento, andò avanti: << secondo Rosen, che ha studiato un ipotetico fenomeno di questo tipo basandosi sulla teoria della Relatività di Einstein, il Wormhole è un tunnel che collega due punti opposti dell’universo e dentro al quale vi è un’accelerazione superiore alla velocità della luce. E’ come un’autostrada che collega New York a Pechino viaggiando attraverso la Terra, anziché sopra >> spiegò, semplificando, prima di continuare: << la teoria di base, è che si possa raggiungere un punto o l’altro dell’universo nell’arco di un istante, anziché in milioni e milioni di anni luce >> concluse.

Kiba sembrò ragionarci sopra. Doveva ammetterlo, quando aveva sparato tutti quei termini scientifici si era perso dal principio, ma l’esempio aveva fruttato l’aiuto necessario.

<< In poche parole… >> cercò di riassumere alla sua maniera << …è come se da Pechino volessi andare a New York in cinque secondi invece che in 12 ore >> ipotizzò, incontrando l’assenso di Shikamaru.

<< Questo però non spiega un bel niente >> aggiunse poi, non trovando la connessione logica fra i Wormhole, o come cavolo si chiamavano, e il fatto che dentro al taxi ci fosse il suo cadavere carbonizzato.

<< Messa così no >> concordò Shikamaru << ma ci sono alcuni scienziati che pensano che questi ponti siano anche collegamenti fra tempi diversi, non solo fra spazi >> aggiunse.

Kiba inarcò un sopracciglio, ovviamente perso per strada.

Shikamaru sospirò, semplificando di nuovo: << come se partissi da Pechino nel 2008 e arrivassi a New York nel 1930 >> disse, notando con piacere che finalmente il castano sembrava seguirlo di nuovo.

Per seguirlo lo seguiva… peccato che, nel farlo, saltasse qualche tappa.

<< Quindi stai effettivamente cercando di dirmi che vengo dal futuro? >> esclamò come impazzito, tornando di sua iniziativa alla prima considerazione fatta. << Tu sei malato… >> aggiunse, incredulo.

Fortuna che Nara aveva pazienza da vendere.

<< Non lo so, ti ho detto >> rispose, sospirando stressato. << Sono solo supposizioni. Fatico anche io a credere che una teoria simile possa anche solo lontanamente essere vera >> aggiunse, chiudendo il libro con un tonfo.

Però, a ben pensarci, qualcosa lo spiegava.

Per esempio il cadavere nel taxi. Se veramente veniva dal futuro (o chissà da quale “Pechino” di quale anno) potevano magari, con tantissima fantasia ed una portentosa immaginazione, esserci due Kiba in quel “tempo” e da quella parte del mondo.

Deglutì a vuoto, fissando la punta delle sue scarpe.

Anche se questo fosse stato vero, o se fosse stato anche solo un ragionamento campato per aria, il cadavere nel taxi… era realmente… Kiba Inuzuka.

Il Kiba Inuzuka del passato.

Era dunque lui “l’altro se stesso” che vedeva riflesso in ogni finestra, in ogni specchio? Era dunque suo il posto che aveva preso?

Perché… aveva preso il suo posto? Chi aveva deciso questo per lui?

E poi… qualcosa non tornava. I telefilm non insegnano che, se si elimina una persona del passato, quella del futuro scompare perché si modifica il corso temporale? Cosa voleva dire quello, che veniva da un futuro “diverso”?

Ma come poteva, se il Kiba Inuzuka del passato aveva la sua stessa età? Non può la stessa persona nel passato e nel futuro avere la stessa età, non è possibile!

E da quale futuro veniva? Quanti potevano essercene? Tanti futuri quante sono le probabilità che l’essere umano ha di fare una scelta che ne determini lo svolgimento? Del tipo scegliere che strada prendere ad un bivio?

Allora erano infiniti futuri per infinite scelte.

Se lui era arrivato lì, come… come poteva tornare a casa? Nel suo “futuro”?

No… la domanda era un’altra.

Sarebbe effettivamente tornato nel suo futuro, se ne esisteva uno?

Alzò lo sguardo su Shikamaru, osservandolo attentamente.

C’era uno Shikamaru Nara anche nel posto da dove veniva? E loro due erano così uniti anche in quel futuro, in quel luogo?

E se il Kiba Inuzuka di quel tempo non fosse morto, avrebbe legato con Nara così come aveva fatto lui?

Sarebbe diventato il suo ragazzo… così come lo era diventato lui?

Aggrottò le sopracciglia, sentendosi improvvisamente male; come se un macigno si fosse posizionato sul suo petto e gli avesse appesantito il respiro.

O il cuore.

<< A-aspetta >> balbettò poi, deglutendo per rintracciare un tono di voce normale.

Non era il momento di farsi delle tare mentali su una teoria scientifica, tra l’altro non ancora dimostrata.

Erano semplici supposizioni con dei numeri dentro, niente di più e niente di meno.

Poteva dimostrare che si sbagliava. Poteva dimostrare che quell’ipotesi non poteva affatto essere applicabile, o reale.

Shikamaru lo osservò, scendendo dopo aver riposizionato il libro sul ripiano. Nemmeno la sua espressione sembrava dimostrare contentezza, per la teoria appena esposta.

Probabilmente Nara era arrivato a tutti quei ragionamenti molto prima di lui. Probabilmente… aveva provato lo stesso senso di vuoto anche lui, in un qualche modo e dal suo personale punto di vista.

Kiba ringraziò mentalmente la nottata, con l’oscurità che poteva ben coprire il suo colorito pallido ed il terrore che sicuramente aveva stampato in faccia.

<< C’è qualcosa che… non ha senso >> riprese, saettando dal viso del moro al pavimento.

Non riusciva a guardarlo in faccia, in quello stato.

<< Se veramente… insomma, la teoria è vera e io vengo da chissà dove… perché non mi ricordo niente di quel fantomatico posto? Perché ricordo la mia vita in questo tempo? >> chiese, riprendendo improvvisamente a respirare con calma.

Non ci aveva pensato. Non ci aveva assolutamente pensato!

Perché non ricordava nulla del “futuro” da cui proveniva? Non era strano?

Tuttavia, Shikamaru sembrò non riguadagnare la speranza che invece Kiba sentiva nuovamente fluire dentro di sé.

Aveva già considerato anche quello?

<< E se invece te ne ricordassi e, al contempo, non te ne rendessi conto? >> chiese, rispondendo biecamente ad una domanda con un’altra domanda.

Il dubbio tornò ad insinuarsi nelle vene del castano, che lo guardava come se fosse un boia con la scure pronta a decapitare la sua speranza.

Si mostrò disorientato, però, e forse fu per quello che Shikamaru semplificò ancora il concetto.

<< E se in quel tuo “futuro” tu avessi imparato… le arti marziali? >> chiese retorico, guardandolo con le sopracciglia aggrottate in un’espressione addolorata.

Anche lui era ben consapevole dell’importanza di ciò che stava dicendo. Come era ben consapevole di cosa significasse.

Kiba, dal canto suo, perse nuovamente l’ottimismo che lo caratterizzava.

Vuol dire che le arti marziali… e quella corsa… in realtà erano ricordi del vero “se stesso” che cercavano di riaffiorare?

Ma allora per quale motivo non ricordava niente? Per quale motivo aveva preso le sembianze e la vita del Kiba Inuzuka di quel tempo? Gli si era sostituito quasi del tutto… persino i ricordi, persino le conoscenze.

Ma allora… lui da dove veniva?

Lui… chi era?

<< Non è possibile… >> sussurrò d’un fiato, sconvolto. Non si accorse nemmeno che Shikamaru gli era venuto incontro, abbracciandolo.

Non riusciva quasi più a respirare.

Rimase immobile in quella stretta, limitandosi ad appoggiare il capo sulla sua spalla.

Nonostante la rincorresse ormai senza sosta, la Verità stava sempre un passo avanti a lui.

<< Vieni… torniamo dagli altri >> disse poi Shikamaru, accarezzandogli la fronte con un movimento dolce anche se impacciato.

Sì… sì. Un sonnellino ci voleva proprio.

 

 

Guardava gli altri.

Così, semplicemente.

Loro discutevano, parlando animatamente in circolo vicino alla cattedra, e lui li guardava.

Vedeva le loro bocche muoversi lentamente, come se fossero stati sotto l’effetto di un fermo immagine. Qualche parola, qualche frase, due o tre sillabe…

Scappare. Nascondere. Pericolo. Fuori. Aria. Parla.

Le leggeva, seguendo i gesti di ognuno di loro… ma non li sentiva.

Non sentiva niente.

Non un timbro di voce, non un sussurro, non una sillaba. Nulla.

Era tutto maledettamente muto e sepolto sotto un silenzio assordante.

Shikamaru, alla sua destra, sembrava discutere animatamente con Sasuke, posizionato fra Sakura e Naruto esattamente di fronte a lui.

Itachi fissava Neji di sottecchi, comunicandosi qualcosa tramite lo sguardo, ma non riusciva a capire cosa.

Hinata sembrava schiacciata dalle parti in causa, non trovando mai tempo di dire la sua idea, che forse era anche la migliore:

Aiuto.

Questo leggeva sulle labbra della Hyuga.

Ma gli altri non la ascoltavano, come sembravano non badare nemmeno a lui.

Forse non lo vedevano? Forse non lo sentivano?

Perché avrebbero dovuto, se lui non sentiva loro?

Tentò di allungare la mano verso Shikamaru, giusto per posargliela sulla spalla. Per dirgli di guardare Hinata, di tenere in considerazione l’idea di chiedere aiuto a chi, quelle cose, le sapeva fare.

Ma cos’erano “quelle cose”?

Aveva una minima idea dell’argomento della discussione?

No… non lo sapeva.

Poi, un suono.

Un colpo secco e ridondante; come un soprammobile che cade a terra, o un pugno che batte su di una porta.

Si girò. O almeno, provò. I suoi movimenti erano lenti come quelli di tutti e gli sembrava di dover destreggiarsi in una stanza piena di acqua densa come fango, ma trasparente come l’aria.

Poi, lo vide.

Là nell’angolo, nascosto dalla disattenzione di chi ancora discuteva inutilmente intorno a quel tavolo.

Capelli chiari raccolti da una coda, occhiali, viso strafottente e sorrisetto malizioso stampato in volto. Un camice da laboratorio mezzo strappato e macchiato di una sostanza appiccicosa e verdastra, mischiata molto probabilmente a del sangue, a giudicare dal colore delle piccole gocce scarlatte che vi erano mescolate.

Metà del viso umana… e metà demoniaca.

tutta la parte destra del volto era quasi corrosa da una sottospecie di acido e, dalla pelle mutilata, crescevano lentamente quelle che avevano tutto l’aspetto di piume, dure quanto l’acciaio ma dall’aspetto leggiadro, di colore verdastro.

La stessa mano poi, portata al volto mentre gli sorrideva inquietantemente, aveva subito una mutazione ancora differente: la pelle del dorso si era indurita, rinsecchita, cominciando a crepare e a formare grumi di cute morta che non si staccavano, ma si inglobavano a quella ancora viva, di colore grigiastro. Le unghie poi erano cresciute, divenendo artigli piccoli ma appuntiti.

Dietro di lui, muovendosi al suolo in spasmi sicuramente inumani, quattro code di lucertola si agitavano impazzite.

Kiba sgranò gli occhi, prendendo fiato per gridare… ma come tutti, lì dentro anche la sua voce sembrava assente.

Oppure, semplicemente, non riusciva a sentirsi.

L’unica cosa che poteva sentire era il rumore disgustoso delle penne che crescevano, sbucando dalla pelle e trafiggendola, facendola sanguinare.

Kiba fissò Kabuto, così come Kabuto osservò lui.

L’infermiere mosse le labbra, sorrise sarcastico…

<< Vi ho trovati… >>

 

 

Aprì gli occhi di scatto, quasi di fretta, trovandosi davanti il volto confuso e interdetto di Shikamaru.

Si accorse che il moro lo stava trattenendo per la spalle solo quando, rilassando la tensione delle braccia e della schiena, non si sentì sorretto da quella stessa stretta.

<< Kiba? >> chiamò il moro, osservandolo con un principio di paranoia nella voce.

<< No, Napoleone Bonaparte >> rispose sarcastico, richiudendo gli occhi e lasciando andare il collo all’indietro con fare relativamente rilassato. Sbuffò.

Un sogno. Era un maledettissimo, fottutissimo, sfortunatissimo, masochistico sogno del cavolo. Il soggetto, tra l’altro, non era manco uno dei più interessanti.

Ma dico, era un adolescente, no? Sforzo neuronale minimo, sinapsi quasi completamente assenti e il pallino del sesso avrebbero dovuto essere la sua normalità. In cosa sbagliava? Perché non sognava Kurenai-sensei nuda come tutti i maschi sani della sua stessa età? Dov’era finita la sua tempesta ormonale, a farsi canne in Giamaica?

<< Cos’è successo? >> sentì poi una voce chiedere, mentre si strofinava gli occhi e il moro lasciava la presa.

Alta, femminile… Ino?

Ah, già. Erano tornati nella sala del Consiglio Studentesco e si era addormentato appoggiato a Shikamaru.

<< Nulla, un incubo >> rassicurò Nara, aiutandolo ad alzarsi una volta che sembrò riprendere coscienza di se stesso.

La faccia di Ino era chiaramente interpretabile, in quel momento. Lanciava fulmini dagli occhi e, a giudicare dagli occhi ancora assonnati, avrebbe dato dieci a uno che si era appena svegliata.

Anzi, che l’aveva appena svegliata.

<< Ho fatto molto casino? >> chiese, rivolto a nessuno in particolare dato che ormai erano tutti svegli.

<< Hai gridato >> intervenne una voce profonda e pacata, da destra. Itachi Uchiha, mani lungo i fianchi ed espressione marmorea, lo osservava sospettoso.

<< Cos’hai visto? >> si intromise Neji, completando a voce quello che l’Uchiha gli stava per chiedere con gli occhi.

Kiba inarcò un sopracciglio, allibito. << Cosa centra cos’ho visto? Era un incubo, mi dispiace… >> ma non riuscì a terminare la frase che subito lo Hyuga, probabilmente accorto tracciatore di menzogne, lo interruppe con un’occhiata gelida.

<< Non è una sogno normale >> sibilò, ansioso più del solito: << Cos’hai visto? >> chiese di nuovo, fulminandolo.

L’Inuzuka arricciò il naso, disturbato da quel comportamento.

Anche se era l’arcangelo buono e giusto non aveva di certo il diritto di trattarlo come una pezza da piedi.

<< Per chi mi hai preso, per Nostradamus? >> ribatté malamente, deciso a non dargliela vinta nemmeno morto: << non sono la tua personale Sibilla, non è che tutte le volte che chiudo gli occhi sogni cose impossibili >> sputò seccato, sfidandolo apertamente di dire il contrario…

…cosa che non fece. Semplicemente distolse lo sguardo, borbottando qualcosa a proposito degli idioti e dei bugiardi.

Kiba lo ignorò. Cosa voleva saperne lui dei suoi sogni? Non riusciva ad interpretarli lui, figuriamoci il primo arcangelo del cavolo che scendeva dal cielo!

Distolse lo sguardo a sua volta, prestando pochissima attenzione al discorso che stava cominciando fra gli altri.

Era stufo marcio di quella situazione. Perché non riusciva a dormire nemmeno quattro ore che subito veniva tormentato a quel modo? E cos’era? Un qualche equilibrio del cavolo si stava vendicando su di lui?

Che se la prendesse con Uchiha, miseria ladra! Era Sasuke il trita-balle spacca-equilibri, di certo non lui!

Spostò per caso gli occhi sul gruppetto, attirato da una parola pronunciata a voce troppo alta da Sakura.

Discutevano, tanto per cambiare. E di cosa, adesso? Del suo orologio biologico?

Seccato spostò nuovamente gli occhi all’orologio da polso, ignorando altamente la discussione in corso di svolgimento. Faceva le sette e mezzo… ottimo, quasi il tramonto. Voleva dire che almeno sette ore le aveva dormite, dato che era caduto nel caldo abbraccio di Morfeo che era quasi mezzogiorno.

D’improvviso, però, ebbe un tonfo al cuore.

Il dolore di una consapevolezza che viene troppo tardi, o di un dubbio che comincia a roderti il fegato con l’anima appresso.

Spostò lo sguardo sui suoi compagni… e sgranò gli occhi.

Shikamaru, alla sua destra, discuteva animatamente con Sasuke, inserito fra Naruto e Sakura.

Itachi e Neji si guardavano di sottecchi, comunicandosi qualcosa con lo sguardo.

Hinata, sommersa dalle parole, non riusciva a parlare per esprimere la sua opinione…

Era tutto uguale.

Era tutto uguale, maledizione!

<< Cristo…! >> esclamò a bassa voce, voltandosi di scatto verso l’angolo opposto al gruppo, in cui nel sogno aveva visto Kabuto.

Troppo vicino. L’effetto questa volta era troppo vicino!

La altre premonizioni non si avveravano nel giro di così poco tempo!

Squadrò la parete da fondo a soffitto, scrutando persino le ombre causate dalla luce del sole in calo che penetrava dalla finestra.

Non c’era nessuno lì con loro, ma lo sentiva… se lo sentiva nelle ossa che sarebbe successo qualcosa.

E quando un figura metà umana e metà demoniaca comparve alla finestra, fissandolo con due occhi dalle iridi allungate e con la netta intenzione di assassinarlo all’istante, seppe che quel momento era appena arrivato.

<< GIU! >> riuscì a malapena ad urlare, con tutto il fiato che aveva in corpo, cercando di avvisare gli altri di lui, di Kabuto fuori dalla finestra… ma non fece in tempo.

In un assordante clangore di vetri rotti il ragazzo sfondò la finestra e, con un balzo dal davanzale, fu davanti a lui in meno di un istante.

Era stato stupido a non accorgersene prima, e adesso era troppo tardi…

 

 

Chapter No.12 ~ End.

 

 

 

 

(*) Esiste parecchio materiale riguardante i Ponti di Einstein-Rosen (sì, a parte Wikipedia XD) soprattutto bibliografico e videografico, appartenente al filone fantascientifico. Per dirvi alcuni titoli, a parte il sopra citato "Donnie Darko" (che è sicuramente il film più popolare, da questo punto di vista), posso anche nominare "Lost in Space" e il più recente "Deja-vu", oltre a parecchie serie televisive di cui non so dire i titoli. Persino una puntata di "Star Trek: Next Generation" da quanto ho capito andando in giro per il web.

In ogni caso, vi assicuro che la parte di Wikipedia riguardante questo argomento è abbastanza ben fatta, anche se servono alcuni preconcetti di fisica per poter capire tutto ^^''' non è cosa impossibile per chi ha frequentato uno scientifico tradizionale, ecco.

 

Potrei parlare per ore della scelta che mi ha portato a scrivere un risvolto di questo tipo, gettandomi a capofitto in una pseudo fantascienza.

Ma vi riassumerò il tutto: io amo la Fisica. E la teoria della Relatività, seppur quasi incomprensibile nonostante le basi, mi affascina.

Avendo fatto uno scientifico mi pare normale, e ciò che mi rode il fegato è non poterla studiare a livello universitario (sono una schiappa in matematica, non posso per principio U__U''''').

So che questo svolgimento sembrerà obsoleto... ma questa, anche se non era l'idea originale, mi è parsa la più adatta per una serie di motivi che vi dirò alla fine dell'ultimo capitolo, se ci sarete ancora.

Guardate il lato positivo (dipende dai punti di vista... XP): se non avessi optato per la fantascienza, la trama non sarebbe stata questo popò di intrigo che alla fine è venuto fuori X°DDD.

 

Per ora ringrazio chi ha letto fino a quì. Vi pagherò una visita dall'oculista, se si dimostrerà il caso XD

Alla prossima!

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Capitolo 14
*** Wormhole (2) ***


Successe tutto a rallentatore

Guardare Code Geass - Hangyaku no Lelouch (Code Geass - Lelouch della Ribellione), di per sé è il male.

Guardarlo due volte, è peggio.

Guardare per tre volte le ultime tre bastardissime, maledettissime, deprimentissime puntate… è volersi male.

E io mi voglio male.

Detto questo, passiamo alle risposte! XP

Girlstreet: Ma… ma Frank! °___° Perché quel povero coniglio non sta mai simpatico a nessuno? XD A me è piaciuto come inserimento nel film *sisi*. E comunque no, non preoccuparti! XD Non eliminerò il mio protagonista… non subito almeno MWAHAHAHAH! *sadicamalignaebastarda* e nemmeno Shikamacio, tranquilla XD ancora mi serve. Povero Itachi, piace solo a me *si angolizza con Itachi*. Grazie come al solito per aver letto e commentato!

CloudRibbon: *rimane con gli occhi sbrilluccicosi a fissare il vecchio e amato papiro* *____*

Parliamo di altre cose: questa fic causa davvero danni collaterali… cioè, se riesce pure a sincronizzarsi con te e mandarti strani ed inquietanti messaggi telepatici per l’aggiornamento, siamo messi male XD. *Ferma Cloud prima che causi ripetutamente gravi danni strutturali alla sua casa* io… io te l’avevo detto che mi anticipavi il finale in Up is Under! Te lo avevo detto! >O< …dunque che ti devo dire? A costo di darti spoiler sì, la teoria è giusta… *si angolizza*. Ok, noi dovremo mettere un qualche avviso alla fine della fic, dicendo che non ci plagiamo a vicenda, perché incredibilmente siamo arrivate alla stessa conclusione e senza nemmeno metterci d’accordo O___ò cioè, ma si può? E’ telepatia?... dì la verità, tu entri di nascosto nella mia fase REM e leggi i finali prima che io li pensi! °_____°. No, non ho parole. Lo stesso finale… assurdo! X°DDDDD *ride anche lei*.

In ogni caso, per l’ennesima volta, grazie mille per il commento, i complimenti, per la costanza che ci metti nel continuare a leggerla… per tutto! E soprattutto grazie per la tua considerazione dei pg non OOC ç____ç giuro che mi sforzo. Ok, più che altro mi sforzo di non far saltare Shikamaru addosso a Kiba, ma sono dettagli U___u’’’.

Alla prossima!

Soarez: …*si accuccia nell’angolino e sprofonda in un oceano buio e cupo* Shindler’s List… hai citato Shindler’s List… ç___ç numi, quel film ha fatto piangere anche me. Ma evitiamo di ricreare il Tamigi nel mio salotto, così rispondo XD. Figurati per il capitolo precedente, non preoccuparti… cioè, nonostante mi facciano molto piacere, il mondo non si ferma se per una volta non hai voglia di scrivere un commento, no? XP Per quanto riguarda Shika e Kiba… no dai, non sono così sadica. Forse.

Ti ho fatto piangere? O___ò Sul serio? O______O Oddio, questo è sul serio un giorno da segnare sul calendario, il mio armadio ha più pathos di me nello scrivere… Sappi comunque, che la tue elucubrazione per un buon pezzo è giusta. Ovviamente non ti dirò quale pezzo, ma lo capirai, suppongo, alla fine di questo capitolo.

Anche a te grazie mille per la costanza nel leggere i capitoli e per il commento!

Inuziku_rukiaXP: Giuro, lo so che è un carattere impossibile… ma ti giuro che se la scrivo più grande viene una cosa appicicaticcia ed è ancora peggio T____T magari, se così non riesci a leggerla, prova a copiarla su Word e ingrandire il carattere, o cambiare font. So che non sta bene dirlo, ma è comunque un buon trucco ^^’’’

Grazie anche a te per i complimenti!

Slice: Viva il club delle schiappe in matematica, olè! XD Fortuna che io me ne sono tirata fuori l’anno scorso, adesso faccio tutt’altro XP. Grazie mille anche a te per il commento, ciau!

OnlyAShadow: Figliola, era il mio scopo non farti capire assolutamente niente di quello che stava succedendo! XD Altrimenti che gusto c’è? X°DDD *si diverte come una sadica*. Mi fa piacere che l’accostamento fra teologia e fantascienza non sia stato forzato, o almeno non lo sia sembrato… mi fa davvero piacere. Vuol dire che almeno un po’ bene riesco a scrivere XP.

Per il resto, un mille grazie anche a te per il commento. E non temere per le tue notti insonni, era l’ultima apparizione del pagliaccio in questa fic XD

Rosa_elefante: Un’altra anima pia che ha avuto la costanza di leggersi tutti i capitoli senza morirci sopra XD brava io? Brava a te che hai gli occhi buoni! Questa fic rischia di accecare qualcuno (me inclusa, dato che sono un po’ miope >___>). In ogni caso ti ringrazio tantissimo per i complimenti, davvero; mi fa sempre piacere sentire che qualcuno apprezza quello che scrivo e come scrivo ^___^ …e sì, io adoro la Fisica XD anche il mio professore diceva che non sono normale, ma ne vado fiera! >___<.

Grazie di nuovo per il commento e… alla prossima!

Hiko_chan: Viva il club delle schiappe in mate, parte 2! XD E poi… che bello, una compagna di scientifico! *O*

Comunque, tornando a cose serie: sono felice che tu (come anche altri) apprezziate come abbia inserito la fantascienza all’interno di questa cosa ^^’’’ all’inizio, lo ammetto, ero scettica anche io… cioè, la mia tesina di maturità è stato il conflitto fra etica e religione, dunque non ti dico che pare mentali quando ho cercato di unire due cose così… diciamo che tento di dare del mio meglio XD sinceramente, al momento, più che significati filosofici cerco di dare una linearità alla trama. Anche perché è facile perdersi, e se la dico io che la scrivo a sbalzi, non riesco ad immaginarmi chi la legge che casino che deve sciogliere XD.

Grazie mille per il commento, per i complimenti e, anche se è scontato dirlo, sono felice che la fic ti piaccia! Alla prossima!

 

 

Bene, anche per questa volta è terminato il turno dei commenti.

Solo una cosa: attenti al finale del capitolo… potrebbe essere un tantino tremendo XD. Beh, uomo avvisato…

 

Buona lettura!

 

 

Chapter 13 ~ Tenth Echo

Wormhole

Parte 2

 

 

Successe tutto a rallentatore.

Kabuto aveva alzato la mano artigliata in aria, probabilmente caricando il colpo che, quasi sicuramente, gli avrebbe reciso la carotide senza nemmeno la fatica di metterci troppa forza.

Un colpo magistrale.

Peccato che lui, in un qualche modo, sapeva già che quell’attacco sarebbe stato mortale. Semplicemente perché, forse in una specie di acutezza mentale data dall’adrenalina e dall’agitazione, vedeva quella mano muoversi a rilento.

Sapeva già di poterlo scansare. E Kabuto non sembrava nemmeno posizionato per colpirlo ripetutamente, magari approfittando di una qualche reazione, oppure di uno sbilanciamento.

Poteva salvarsi. Sapeva come salvarsi.

Fu istintivo e, quasi naturale dato che altrimenti ci avrebbe rimesso la vita, in un certo modo abitudinario. Quasi come se lo avesse fatto altre volte.

Cosa che si chiedeva… ma a cui al momento non prestava particolare attenzione.

In un movimento fin troppo veloce indietreggiò, schivando definitivamente il colpo di Kabuto; le dita artigliate, per un qualche miracolo, gli passarono a due centimetri buoni dalla gola.

Già il suo cervello stava elaborando l’eventuale contrattacco che si sentì cozzare contro il muro.

Era troppo vicino, dannatamente troppo vicino!

Si guardò intorno, mentre il demone dalle quattro code sembrava preparare un secondo attacco; una luce strana aleggiava negli occhi chiari del ragazzo dallo sguardo serio, come la scintilla di un servilismo oltre misura, sfociante quasi nell’idolatria.

Possibile che facesse tutto quello solo per il bene del vicepreside? Possibile che fosse così assoggettato dall’uomo da arrivare a vendere se stesso, il suo stesso corpo e il suo stesso futuro, alla causa che Orochimaru sembrava avere adottato?

No, anzi… possibile che c’era sempre e perennemente qualcuno che tentava di ucciderlo?

E cos’era? Un reality show che prometteva un mucchio di quattrini a chi uccideva per primo Kiba Inuzuka?!

Non ebbe tempo nemmeno per respirare… non c’era abbastanza spazio. Doveva indietreggiare per forza, se voleva donare a se stesso l’infinito piacere di non essere sgozzato e di non finire i suoi giorni con un secondo sorriso sanguinolento.

Ma dietro di sé aveva il muro. E un muro simile, di una chiesa tardo-gotica, non lo buttavi giù a fiato stile Lupo dei 3 Porcellini.

E no, non si sarebbe aperta una provvidenziale voragine sotto ai suoi piedi.

Abbassarsi era fuori discussione. Era un colpo diagonale dall’alto verso il basso, lo avrebbe colpito comunque, anche se magari al posto dell’arteria carotidea avrebbe perso “solo” un occhio. Va beh che sua madre diceva sempre che tanto ne aveva due, ma non gli sembrava semplicemente il caso.

Di lato non poteva andare: da una parte c’erano i banchi, non sarebbe andato molto lontano, e dall’altra c’erano gli altri, cioè persone che non voleva coinvolgere.

Fece semplicemente quello che la disperazione dettava: incrociò le braccia davanti al volto e chiuse gli occhi.

ma non avvenne niente.

Nella classe c’era ormai solamente silenzio. Nessuno parlava, o fiatava, o respirava.

Riaprendo gli occhi, la prima cosa che Kiba poté vedere furono gli artigli di Kabuto a circa tre centimetri dal suo viso, immobili.

Osservando poi il ragazzo, l’espressione da sbruffone nonostante avesse il viso contratto da quello che sembrava dolore, si accorse che le iridi chiare non stavano più guardando lui: fissavano qualcuno alla sua sinistra.

Voltò il capo… e quello che vide gli fece credere che sì, magari la fortuna si era finalmente decisa a togliersi quella maledetta benda, accorgendosi di lui.

Shikamaru, inginocchiato a terra con una mano aperta sul pavimento, sembrava il ritratto della tranquillità. Tuttavia si era dimostrato il degno contraente di quel cervello da 200 Q.I. che si era ritrovato a possedere: sotto la sua mano, più densa e scura rispetto alle altre ombre nella sala, quella della cattedra si deformava e allungava, unendosi a quella di Kabuto, risalendogli lungo le braccia e il corpo come se avesse vita e spessore propri in modo da bloccarne i movimenti.

Con un sospiro udibile, l’Inuzuka riprese a respirare. Scivolò (non per sua volontà, ma per spossatezza) in basso lungo il muro, togliendosi definitivamente dalle grinfie del Yonbi (*1) e raggiungendo gli altri con un balzo. Itachi e Neji, frapponendosi, formarono una specie di barriera fra lui e Yakushi.

<< Lodevole >> commentò Kabuto, osservando Shikamaru senza sforzo, nonostante la forzata immobilità: << è quasi ironico pensare che la capacità di controllare le ombre venga dal Nekomata rinchiuso dentro di te, Nara >> disse, sarcastico.

Shikamaru sembrò non risentirne, come se quelle parole gli fossero scivolate addosso come acqua. Sakura e Ino lo fissarono per qualche istante, senza però dire nulla a voce.

Dato che non ricevette risposta, continuò: << probabilmente ho scelto il momento sbagliato, per attaccare. Il calar del sole allunga le ombre, e tu ovviamente l’hai sfruttato… ammetto di essere stato incauto >> disse, un po’ risentito per lo sforzo che faceva nel rimanere in quella posizione forzata.

Ma ancora Nara non rispondeva. Si limitava ad osservarlo dal basso, l’espressione perfettamente calma, concentrata nel mantenere il controllo dell’ombra e del demone al contempo.

Non parlò, ma ci pensò Kabuto a riempire il silenzio: << Frustrante, vero? >> cominciò, sempre rivolto a Shikamaru.

Cosa stava facendo? Tentava incautamente di farlo montare su tutte le furie?

Il moro continuò ad osservarlo senza parole e senza reazioni. Solamente un breve movimento con le sopracciglia dimostrò che sì, evidentemente lo stava ascoltando e non si era estraniato dal mondo.

Continuò, dopo una pausa di qualche istante: << dover sempre mantenere il controllo su se stessi per timore che il demone impiantato nel tuo midollo spinale prenda il sopravvento causando una mutazione dell’aspetto. Oppure che annulli la tua volontà, prendendo del tutto il controllo del tuo corpo >> pronunciò con un sorrisetto folle che si allargava sulle labbra. Spostò lo sguardo verso Kiba, osservandolo con occhi socchiusi, quasi come se fosse un trofeo da vincere o un ambito premio. << La sua forza spirituale è così intensa che riesco a sentirla persino quando non la sta utilizzando. Sarebbe stato un ottimo contenitore per il Gobi … >> aggiunse, terminando la frase in un sussurro.

D’improvviso, senza preavviso, l’ombra che tratteneva l’infermiere cominciò a salire lungo il petto dello stesso, raggiungendo in una gelida carezza il collo del malcapitato. Come se fosse stata una mano, intangibile e al contempo concreta, cominciò pian piano a stringere. Si vedeva la pelle deformarsi sotto quell’oscura minaccia, il viso di Kabuto sformarsi in una smorfia di dolore, la gola tendere i suoi muscoli in un urlo represso.

Kiba si guardò intorno, indeciso se dire a Shikamaru di fermarsi o meno.

Nessuno si muoveva. Solamente Hinata aveva distolto lo sguardo, osservando con interesse uno dei pietrini del pavimento, ma gli altri avevano gli occhi puntati sul complice di Orochimaru, le espressioni serie, quasi come a voler dire che gli stava bene, dopo tutto quello che aveva provocato insieme al vicepreside, morire soffocato e dolorante.

Tuttavia, quando tornò con lo sguardo alla silenziosa agonia dell’uomo, lo vide… sorridere.

Un dubbio gli passò per la mente.

Dov’erano finiti il maestro Kakashi e la preside? E il prete pervertito?

<< Shikamaru tienilo immobile! >> sbottò poi, facendo da parte Neji e Itachi con uno spintone frettoloso, avvicinandosi con due passi veloci a Kabuto.

<< Kiba! >> urlò Ino, seguita a ruota da Naruto e da Shikamaru, che lo osservavano tesi.

L’Inuzuka non si rivolse nemmeno all’infermiere, disgustato anche solo dall’espressione soddisfatta che aveva in faccia. Anche se avesse chiesto, supponeva che sparasse più cazzate Kabuto di tutta l’accademia messa insieme, dato come aveva retto il gioco al serpentone con le manie di onnipotenza.

Non si sprecò nell’aprir bocca, agì e basta.

Gli appoggiò una mano sulla spalla, chiuse gli occhi… e si lasciò andare.

 

I sentimenti di Kabuto lo invasero con difficoltà. Anzi, poteva tranquillamente dire che fu lui che si sincronizzò difficilmente con quello che provava il contenitore del demone dalle 4 code.

Tuttavia ci riuscì.

Si ritrovò in un ambiente scuro ed umido, quasi completamente buio tranne per alcuni fasci di luce aranciata che provenivano da piccole finestrelle, in alto sulle pareti della stanza.

Era un posto immenso e alto, il soffitto a volte incrociate, completamente in pietra. Ci doveva essere una perdita, probabilmente, perché nell’oscurità in fondo alla stanza sentiva continuamente un cadenzato gocciolio.

Un fruscio alla sua destra lo distrasse e, sgranando gli occhi, vide a terra i corpi immobili del maestro Kakashi e della preside Tsunade. Poco più avanti, ai piedi di un uomo nascosto dall’ombra di una delle colonne che sorreggevano gli architravi, il reverendo Jiraiya ansimava pesantemente, trattenendosi un braccio.

Sulla schiena di tutti e tre, conficcate nella carne, alcune piume color cenere erano trafiggevano la pelle sotto ai vestiti. Intorno ai punti in cui penetravano nella cute, una specie di sostanza collosa e verdognola colava lentamente.

Veleno.

Solamente allora capì: Sokou era il demone del veleno.

Quella era opera di Kabuto.

Quando con un tonfo anche Jiraiya capitolò, sussurrando alcune parole sconnesse che lui non riuscì a sentire da quella distanza, la figura nascosta dall’ombra sorrise sarcastica, aprendo gli occhi.

Li avrebbe riconosciuti ovunque, dopo che se li era trovati davanti in infermeria.

<< Sei un illuso, Jiraiya. Lo eri da giovane e non sei cambiato >> pronunciò il vicepreside con voce secca e sibilante, fissando i suoi occhi demoniaci verso l’angolo opposto della sala.

Voltandosi, l’Inuzuka poté vedere Kabuto in piedi di fianco ad una porta di legno, il braccio che aveva lanciato le piume velenifere ancora proteso in avanti.

Era un ricordo.

Sì, ma di quanto recente?

<< Trovami i mocciosi >> ordinò Orochimaru, senza spostarsi dall’ombra. Osservava ad intermittenza Kabuto e il corpo di Jiraiya, quasi con pietà.

<< Sono stati evacuati tutti >> rispose il ragazzo.

<< Non quelli che contano… >> fu la semplice risposta dell’uomo prima che Kabuto sparisse, balzando fin troppo velocemente su per le scale dall’altra parte della porta.

Orochimaru spostò con un piede il volto del reverendo, voltandolo in modo che potesse vederlo mentre agonizzava.

Con l’espressione palesemente addolorata e il respiro pesante, l’uomo lo guardò con fatica. << Non ci… riuscirai >> esalò << il ragazzo… è destinato a… tornare indietro… >> continuò finchè, con un colpo di tosse, il dolore lo mise a tacere.

<< Il destino è un’illusione per deboli >> ribatté Orochimaru, calmo e tranquillo, come se neanche il fatto fosse suo.

Non riusciva a capire che espressione avesse…

 

Riaprì gli occhi di soprassalto quando, con una rapidità ed una forza strane, Itachi lo staccò definitivamente da Kabuto, annullando il contatto fra lui e i ricordi dell’altro.

Sudava freddo. Se ne accorse dai brividi che gli percorrevano la schiena e dalle piccole goccioline di sudore che avevano il coraggio di corrergli lungo la tempia destra.

Fissò Kabuto, come in trance, ignorando le domande frettolose di Neji e la preoccupazione degli sguardi di Naruto e Shikamaru.

<< Bastardo… >> sussurrò iracondo, stringendo i denti e fulminandolo con gli occhi.

<< Cos’hai visto? >> intervenne Neji, facendo segno all’Uchiha di lasciarlo andare.

Questa volta era il caso di dirglielo. Soprattutto perché, al contrario di prima, era una cosa già successa…

<< Ha liberato il vicepreside >> fu la risposta, gli occhi che non si spostavano mai da quelli chiari e beffardi di Yakushi: << la preside, il reverendo e il maestro Kakashi sono da qualche parte, svenuti… credo… spero. Ma non so dove… >>

<< I sotterranei >> disse subito Shikamaru, concentrato sia nell’ascolto che nel controllo dell’ombra: << avevano portato là Orochimaru >> chiarì, sembrando tranquillo anche se in realtà era tutto l’opposto.

Servì solamente un istante a Neji per fare il punto della situazione: << Hinata, vai >> disse soprapensiero, probabilmente continuando un suo personale ragionamento.

<< S-si! >> balbettò l’angelo, facendo qualche passo incerto in direzione della porta prima di mettersi a correre.

Ino scattò a sua volta. << L’accompagno, non si sa mai! >> sbottò mentre usciva dalla porta dell’aula per imboccare il corridoio a tutta velocità e in una curva stretta.

<< Vado anche io >> sussurrò Itachi alle sue spalle, seguendola e sparendo a sua volta.

Nel momento stesso in cui anche Itachi sparì silenziosamente dalla stanza, Kabuto esplose in una risatina ambigua. Gli occhi dei presenti chiedevano mutuamente spiegazioni, domandandosi il motivo di tutta quell’ilarità.

Kiba, dal canto suo, si sentiva sempre più iracondo. Non solo il pensiero del maestro Kakashi, del reverendo Jiraiya e della preside gli mandavano in vena l’adrenalina e il risentimento, ma anche la considerazione che Yakushi gli fosse stato vicino in più occasioni e che avesse mentito così bene da non farsi scoprire… era frustrante, come aveva detto lo stesso Kabuto.

<< Che ne facciamo di lui? >> la voce di Sasuke, sebbene bassa e pacata, appariva fin troppo seria per non far trapelare un po’ di agitazione. Teneva Naruto per mano, probabilmente già da prima che Nara immobilizzasse il ragazzo, e sembrava in una perenne condizione di guardia. Kiba lo percepiva come una belva in attesa del momento adatto per aprire la caccia: aspettava solamente che la preda facesse un passo falso, o che lo minacciasse avvicinandosi troppo.

Con una risatina secca fu lo stesso Kabuto ad interrompere la conversazione: << ormai è troppo tardi per fare qualsiasi cosa >> disse, strascicato e beffardo, come se il fatto di essere praticamente in trappola non fosse un problema suo.

Fu questione di un secondo, o forse anche meno. Non ebbero nemmeno il tempo per rispondere alla provocazione lanciata: un enorme boato spezzò il silenzio rimbalzando nell’aria, facendo scattare spontaneamente le mani a coprire le orecchie per non rimanere assordati dal rumore.

Il grido di una bestia, il suo inno alla battaglia, l’invito del carnefice alla sua preda preferita.

A quel ripetuto lamento anche Shikamaru dovette mollare la presa, lasciando andare l’ombra che teneva intrappolato il giovane infermiere: con un balzo Kabuto si liberò, tornando verso la finestra e scomparendo all’esterno con un ghigno di sadico divertimento stampato in faccia.

<< Col cavolo che ti mollo! >> esclamò Kiba a voce fin troppo alta, ancora stordito ma perfettamente in grado di inseguirlo.

Si era letteralmente stancato di tutta quella storia. Trasferimenti, evacuazioni, omicidi, suicidi, visioni… basta. Era un essere umano anche lui, e cominciava ad averne piene le tasche.

Al diavolo il vittimismo e al diavolo le protezioni. Era lui che volevano? Bene, gli sarebbe andato loro incontro.

Aveva un conto in sospeso con Yamata no Orochi, dopotutto.

Anzi no… con se stesso.

Spada o non spada, intervento divino o demoniaco, doveva dimostrare di non essere un pappamolla.

Lui non era un pappamolla.

Lui non era un pappamolla!!

Scattò in avanti, sorpassando Shikamaru senza che nemmeno guardarlo, concentrato sul suo obiettivo. Non sapeva se poteva essere veloce quanto il suo obiettivo, ma almeno sperava in quell’aiuto casuale di quelle strane “reminescenze”.

Poteva correre più forte della normale andatura umana, poteva farlo!

Lo aveva già fatto!

In nemmeno due secondi attraversò la classe e, poggiando la mano sul davanzale della finestra ancora aperta, saltò a piedi pari l’ostacolo, atterrando agilmente sul selciato dall’altra parte.

<< Kiba, no! >> sentì urlare da dentro: << idiota, stanno cercando te! torna…! >> ma non stette a sentire né le voci né il significato di quello che dicevano.

Cominciò a correre verso il cortile interno, cercando di non sprecare troppe energie, inclinando il più possibile il busto in avanti e portando le braccia a fare da contrappeso all’indietro.

La velocità aumentò sensibilmente, anche se faticava a mantenere quella corsa per più di qualche istante. Non ricordava bene come aveva fatto la volta precedente, erano pezzi di memoria molto confusi…

Tuttavia l’inseguimento diede i suoi frutti: lungo le mura dell’accademia riuscì a vedere, anche se ancora in lontananza, gli inconfondibili capelli chiari di Yakushi muoversi al vento della sua andatura sovrannaturale.

Sperava di beccarlo da solo, di pestarlo a sangue prima che raggiungesse qualunque posto in cui intendesse arrivare… ma fu tutto inutile.

Raggiunse molto prima di lui il cortile interno e, una volta che anche lui voltò l’ultimo angolo, seppe immediatamente che lo stavano ardentemente aspettando.

Kabuto, in piedi a pochi metri da lui, lo guardava sorridendo beffardo mentre Orochimaru, trasfigurato per metà nel serpente bianco dalle otto code, aveva piegato le labbra in un ghigno compiaciuto.

<< Non mi aspettavo di meglio… >> sussurrò con malizioso divertimento, schioccando le dita; a quel piccolo rumore, Yakushi lo raggiunse con un balzo calcolato sin nel millimetro, mettendosi alla sua destra.

L’Inuzuka non disse nulla, limitandosi a rimanere in attesa. Probabilmente era stato davvero uno stupido, se si guardavano le cose da un punto di vista prettamente logico, ma nel suo peregrinare in quella scuola così a lungo aveva imparato a dubitare della visione logica dell’esistenza.

Provava solo un gran prurito alle mani e una voglia insana di spaccare la faccia ad Orochimaru, facendogli ingoiare la sua strafottenza e infilandogli gentilmente i suoi tentati omicidi in quel posto dove non batte il sole.

<< Inuzuka… >> pronunciò il suo nome con relativa calma e lentezza, avvicinandosi di un passo << …non pensavo fossi così stupido da presentarti da solo. Dove sono i tuoi paladini protettori, a chiedersi da che parte devono correre per raggiungerci? >> domandò poi il demone serpente, agitando in aria le otto code dalle squame candide.

<< Cosa ti fa pensare che io vada protetto, scherzo della natura?! >> ribatté ringhiando Kiba, mantenendosi però a distanza. Non poteva sapere se avrebbe ingaggiato battaglia con Orochimaru, come non poteva sapere come si sarebbe comportato l’ Hachibi in uno spazio aperto, dato che l’ultima volta erano in un luogo chiuso e la sua agilità ne era risultata evidentemente penalizzata.

I serpenti, di natura, sono insidiosi… ma alcune specie, oltre al morso letale, hanno anche la velocità dello scatto da non sottovalutare.

Notò solamente il ghigno sul suo volto pallido e segnato dalle occhiaie, poi uno scintillio e un movimento e Kabuto fu davanti a lui in meno di un decimo di secondo: non era nemmeno sicuro di aver visto completamente le gambe muoversi, per esempio il piede di spinta o la posizione del corpo… se lo era solamente ritrovato davanti.

Per l’ennesima volta, furono i suoi riflessi a salvarlo; evitò per un pelo la mano tesa di Kabuto che puntava alla sua testa, osservando gli artigli sottili e taglienti passargli a meno di un centimetro dall’occhio sinistro. A causa della mossa fu costretto a riparare verso destra, ma il tempo di voltare di nuovo il capo verso il demone dalle quattro code e già lui gli era vicinissimo, cercando questa volta di trapassargli il torace, probabilmente puntando al cuore.

Dovette abbassarsi, per scansarlo, quasi buttarsi a terra in un movimento di una rapidità che nemmeno si aspettava di possedere, mentre per l’ennesima volta scansava il fendente dello Yonbi.

Approfittò biecamente della posizione, entrando in spazzata. Notò in un attimo che nell’attacco l’altro aveva portato il peso su una gamba sola, la destra, in quanto non aveva avuto il tempo materiale di appoggiare entrambi i piedi a terra. Puntando a quella riuscì a fare un colpo quasi perfetto ma Kabuto, sorridendo, saltò con evidente facilità, evitando di cadere in fallo. Fu un riflesso condizionato quello che portò Kiba ad una mossa successiva e concatenata alla prima: invece che fermare la rotazione della gamba la fece continuare, poggiando la punta del piede a terra e, ruotando il busto nella stessa posizione e poggiando la mano destra a terra come perno, compì una mezza rotazione con il busto e lanciò la seconda gamba verso l’avversario, usando il tallone come un martello e la forza centrifuga come potenza.

Essendo a mezz’aria Kabuto non poté scansarlo, ma lo parò, venendo però sbalzato a quasi un metro di distanza.

Kiba, recuperando quasi subito l’equilibrio perso per via della mossa, tornò in posizione di combattimento senza nemmeno accorgersene.

Stava seguendo l’istinto al cento per cento, la sua concentrazione non comprendeva altro.

Non c’era bisogno di un super esperto per capire che Kabuto si stava trattenendo. E di sicuro ormai aveva afferrato che farsi colpire anche solo di striscio sarebbe stato comunque un punto a sfavore. Con tutta probabilità, ogni parte del corpo di quel ragazzo grondava veleno come un alveare gronda di miele.

No, non era assolutamente una bella notizia.

Dato che aveva gli occhi puntati sul ragazzo fu meno difficile farsi scappare l’input della seconda mossa: in un rapido movimento il Kabuto aveva portato indietro entrambe le braccia, aperte alla loro massima estensione. In uno spasmo delle dita e dei muscoli del collo aveva poi lasciato crescere alcune piume che, rilasciando gli arti come fruste, non esitò a lanciare.

Se erano le stesse che aveva visto nella visione, era in guai seri.

Ma dai?! Che novità, era nei guai! Sicuramente una notizia da passare ai posteri… sempre che li avesse avuti, i posteri.

<< Merd…! >> riuscì per un puro colpo di fortuna ad evitare la prima ondata, balzando all’ indietro e scartando velocemente a sinistra; ma il demone sembrava aver perfettamente intuito le sue mosse, dunque la seconda ondata fu molto più precisa e mirata e non gli lasciò spazi di movimento o vie di fuga. Non poteva far altro che prendere il colpo e sperare che il veleno non entrasse in circolo troppo facilmente o in troppo poco tempo.

Anche se non ci sperava.

Era ormai pronto al dolore, quando un fulmine rosso gli piombò davanti, rigettando con una potente ondata di energia spirituale l’attacco del tetracoda.

Fra i suoi respiri accelerati e il silenzio del tramonto inoltrato, le quattro code scarlatte del Kyuubi ondeggiavano morbidamente nell’aria. E, di conseguenza, Naruto Uzumaki si frapponeva fra lui e Kabuto emanando un’aurea a dir poco inquietante.

Orochimaru sorrise stupefatto, così come Kabuto osservava Naruto con un’aria di sfida abbastanza palesata.

<< Ora la faccenda si fa più interessante >> aggiunse l’infermiere, preparandosi ad un terzo attacco evidentemente diretto a Naruto.

Ma il biondino non si fece cogliere impreparato.

Dal punto di vista della potenza, era sicuramente più forte dello Yonbi. O almeno, sarebbe stato il cercoterio più forte dei nove se avesse potuto effettivamente sviluppare la piena potenza, ma… l’Uzumaki arrivava a manifestare solamente quattro delle nove code che vantava il Kyuubi… era impossibile stabilire quale fosse il più forte, in questi termini.

Scattò. Un balzò sgraziato e grezzo, condito con un ringhio gutturale e basso, quasi sottolineante la bestia che dormiva all’interno del suo corpo.

Tuttavia un balzo efficace, poiché Kabuto cambiò il suo obiettivo e si concentrò su Naruto, che a sua volta ingaggiò battaglia con il demone dalle quattro code.

Kiba fu capace di seguirne qualche mossa, un paio di scambi, prima che lo sguardo gli cadesse su Orochimaru. Evidentemente disinteressato dalla battaglia in corso, lo osservava con fare serio.

Lo avrebbe attaccato. Se lo sentiva. Tutto del demone lo stava urlando.

Si chinò in avanti, pronto al balzo. Di riflesso, anche Kiba si mise nuovamente in guardia.

<< Direzione sbagliata! >> si sentì urlare da destra, un tono squillante e decisamente femminile.

L’Inuzuka voltò il capo, a metà fra lo sconcertato e lo stupito: Sakura Haruno si stava infilando alla mano destra un guanto bordeaux con un cerchio alchemico dorato ricamato sopra.

Una volta che lo ebbe infilato del tutto, concentrò l’energia spirituale sulla mano, caricò il pugno e  colpì il terreno: da quel punto si aprì una vera e propria voragine che procedeva diritta in direzione di Orochimaru con la furia di un terremoto.

Kiba, basito di fronte a tanta forza, cambiò opinione: fra tutti i pazzi presenti all’interno di quell’istituto, Sakura era decisamente la più pericolosa e di sicuro era l’ultima persona de cui desiderava essere preso a pugni. Poco ma sicuro.

Il demone, nonostante si vedesse che un trucco simile non era cosa da scatenare la sua preoccupazione, vacillò per un istante prima di balzare all’indietro ed evitare l’attacco.

Mossa sbagliata.

Si accorse solo successivamente delle ali corvine di Sasuke spalancate nell’esatta direzione del salto, così come dell’energia spirituale concentrata nella mano destra del moro, che sibilava e fischiava rumorosamente prendendo la forma di un ammasso di fulmini.

<< Schiva questo! >> sbottò l’Uchiha con un sorrisetto, caricando il colpo e dirigendolo dritto al cuore del vicepreside…

Ma la mossa non ebbe l’effetto sperato. Orochimaru si difese prontamente con una delle sue code, che venne colpita al suo posto, e anzi ne utilizzò un’altra per colpire Sasuke nel momento in cui abbassò la guardia, mandandolo a sbattere contro una delle pareti dell’edificio scolastico, incassandolo letteralmente nel cemento.

L’Uchiha sputò un fiotto di sangue, ma non cadde. Anzi, usando le mani come appoggio e i piedi per darsi la spinta, tornò all’attacco attivando lo Sharingan.

Al contempo, sotto di lui, Sakura si preparava a lanciare un secondo colpo.

<< Stupidi, la stessa strategia non funziona due volte! >> gridò Kiba in loro direzione, scansandosi prontamente quando due delle piume avvelenate di Yakushi, ancora intento a combattere con Naruto, minacciarono di colpirgli la gamba.

Fece per correre in loro direzione, ma si bloccò non appena fatti tre passi: non era la stessa tattica, questa volta. Cercavano entrambi di attirarlo in un punto preciso del cortile poiché Neji, in piedi sulla cima del campanile, si stava preparando a lanciare la stessa freccia dorata che aveva visto la volta precedente, quella che aveva steso il vicepreside.

Che volessero ancora prenderlo senza ucciderlo?

Tuttavia non funzionò comunque. Orochimaru se ne accorse per tempo e, con un movimento ancora più veloce delle code, riuscì ad avvolgerne una intorno alle braccia di Sakura, cominciando rapidamente a stritolarla mentre la sollevava, ponendola in traiettoria con la freccia di Neji.

L’arcangelo sobbalzò, indugiando, lo sguardo fisso sulla ragazza che urlava e si dimenava nella stretta del vicepreside.

Fu Sasuke ad avventarsi su di lui, ma i riflessi pronti della serpe fecero sì che si salvasse ancora; Sasuke cozzò violentemente contro l’ennesima coda del demone, dopo aver evitato la prima che gli era venuta incontro, che questa volta lo sbatté a terra con violenza inaudita. Cominciò poi a rincarare la dose, colpendolo in rapida successione e con sorprendente violenza: Sasuke gemeva di dolore, urlando ad ogni colpo e ad ogni costola frantumata, mentre pian piano le spalle sprofondavano frantumando il cemento del cortile e dalla bocca uscivano schizzi di sangue che ne imporporavano le labbra e il mento.

<< SASUKE! >> urlò Naruto da un angolo del cortile, terrorizzato dalla scena a cui aveva appena potuto volgere lo sguardo.

In quell’attimo di esitazione, Kabuto ne approfittò.

<< ATTENTO NARUTO! >> sbottò Kiba, cercando di avvertirlo del pericolo che correva con quella sua giustificata disattenzione… ma era troppo tardi per reagire.

Venne colpito dalla mano dell’altro, anche se solo di striscio… ma bastò

Dalla gota destra del biondo scendeva ora una sostanza verdognola mescolata ad una riga di sangue.

L’Uzumaki gemette per il dolore, portandosi prima una mano sulla guancia ferita poi vacillando visibilmente, perdendo definitivamente l’equilibrio. Si inginocchiò a terra mentre, gradualmente, una delle quattro code scompariva in uno sbuffo rossiccio.

Chiuse gli occhi cerulei e, stringendo i denti, gemette più forte.

Fu costretto ad appoggiare entrambe le mania  terra per non stramazzare, e anche se era abbastanza lontano Kiba poté vederlo: il veleno si stava diffondendo all’interno dei capillari del viso del biondo, colorandoli di verde scuro ed ingrossandoli, come se sottili ma voraci radici crescessero al loro interno cibandosi del suo stesso sangue.

La “macchia” si era ormai estesa fino all’occhio le cui lacrime, oltre che corrosive come l’acido, divennero velenose.

E a quel punto, nemmeno Naruto poté esimersi orgogliosamente dal gridare di dolore.

Kiba, osservando terrorizzato, senti il cuore accelerare di colpo i battiti. Martellava nel petto con forza, quasi volendolo squarciare, pompando nel sangue adrenalina mista a terrore.

Era colpa sua?

Lo avevano seguito perché lui si era lanciato fuori senza pensare.

Era colpa sua?

Aveva preferito correre il rischio di morire, di nuovo o per la prima volta poco importava, per seguire la sua egoistica vendetta e adesso aveva messo in pericolo anche le vite degli altri.

Sasuke era riverso a terra, crivellato di colpi. Come minimo aveva ogni costola del torace sbriciolata.

Sakura rischiava l’asfissia mentre Neji, incatenato dalle sue leggi, non poteva scoccare il colpo risolutivo.

Naruto era stato avvelenato e ora rantolava inginocchiato a terra in gemiti di dolore.

Sì…

…era colpa sua.

Vide Kabuto voltare lo sguardo in sua direzione, sorridendogli malevolmente.

Era logico che tornasse al suo obiettivo primario, ora che Naruto era fuori combattimento. Era normale, era strategia di battaglia.

L’istinto gli diceva di scappare, l’ostinazione di combattere. Ma, in tutto questo, non riusciva a muovere un solo muscolo.

Il senso di colpa lo incatenava al suolo insieme alla paura.

Lui… era un codardo.

Men che prima poté vedere il balzo di Kabuto in sua direzione, preciso al millimetro e rapido quanto il morso di un giaguaro.

Già si immaginava trafitto dalla stessa mano che aveva sfiorato Naruto, trapassato in modo così preciso da non lasciargli nemmeno il tempo di poter sentire gli effetti terribili del veleno entrargli in circolo.

Sarebbe morto in maniera veloce… e game over.

Ma non accadde, non ancora. Non era decisamente la sua ora di lasciare il mondo dei vivi, quella.

Una saetta color ametista gli sfrecciò davanti, silenziosa quanto rapida, bloccando i polsi di Kabuto e arrestando prepotentemente la sua corsa verso Kiba.

I capelli scuri erano raccolti nel suo codino a ciuffo d’ananas, immobili nonostante l’aura palesemente carica d’odio che sprigionava; lo ricopriva di un alone violaceo che prendeva la forma di due code, ondeggianti nell’aria. Gli occhi, l’iride allungata sopra un’iride color vinaccia, squadrarono Kabuto con l’ira di un demone.

<< Shik… >> sussurrò incredulo Kiba, venendo però interrotto dallo stesso Yakushi, ora visibilmente deliziato.

<< Nara >> pronunciò distintamente, nemmeno un briciolo di affaticamento nella voce: << sono stupefatto, non posso credere che proprio una persona razionale come te abbia infine caduto al potere di Nekomata >> disse, sorridendo beffardo.

<< Rimpiangerai di averlo sperato >> fu l’unica cosa che pronunciò il moro. Con uno sforzo dei tendini delle dita e delle mani, le unghie di Shikamaru si affilarono e crebbero, divenendo artigli sottilissimi degni di un felino. In uno scatto fulmineo delle mani li scaricò su Kabuto, senza colpirlo ma riuscendo ad allontanarlo a sufficienza per risvegliare l’ombra intorno a lui, che si compattò improvvisamente e si alzò dal terreno, assumendo la forma di molteplici lame.

<< Vai via di qui, Kiba… >> disse a voce bassa in sua direzione, prima di spostare la mano e aizzare le molteplici lame d’ombra contro Kabuto. Si sforzò, nel gesto. Si vedeva dal viso contratto e dal leggero fiatone.

Probabilmente usare il potere del Nibi gli dava forza ma al contempo lo feriva, gli faceva del male.

Kiba deglutì, osservando le lame insinuarsi minacciose verso Yakushi, mancandolo quasi sempre. Solo alcune riuscirono a prenderlo di striscio, ferendolo, ma la maggior parte venivano schivate.

Dannazione, quella sottospecie di tacchino era veloce!

Nel contempo, non potendo scagliare la freccia, Neji non aveva avuto scelta. Facendo scomparire l’arco era sceso in picchiata dal campanile, in un frullare d’ali dorate, e ora ingaggiava una specie di corpo a corpo con l’Hachibi.

In realtà erano solamente tocchi, tentativi d’attacco da parte di Neji che prontamente Orochimaru parava. Aveva lasciato perdere Sasuke, ormai disteso senza sensi nella cavità causata dal suo stesso corpo, e Sakura tentava faticosamente di rialzarsi all’angolo opposto del cortile, tenendosi un braccio e sanguinando dalla testa.

Lo Hyuga non amava sprecare colpi. Usava una tecnica particolare legata alla sua forza spirituale, che rendeva anche solo un lieve tocco molto pericoloso, e la maggior parte delle volte mirava ai centri di accumulamento della forza spirituale presenti nel corpo dell’avversario. Per questo colpiva con i palmi in vece delle nocche e sempre per questo, se il colpo veniva parato, perdeva d’effetto.

E Orochimaru sembrava un esperto nel farlo.

Entrambi attaccavano velocemente, difendendo e offendendo a vicenda, muovendosi da una parte all’altra del cortile interno in maniera quasi speculare.

Parità, a prima vista, ma la realtà era diversa.

Neji sembrava più affaticato, i passi parevano leggermente più incerti, mentre Yamata no Orochi si muoveva con sicurezza sapendo perfettamente dove posare i piedi e in che modo scansare o parare gli attacchi, così come individuare gli spiragli lasciati dallo Hyuga per un eventuale contrattacco.

Kiba face un passo indietro, portandosi la mano a racchiudere la piccola croce in oro che pendeva sul suo petto.

Sarebbero morti tutti.

Nemmeno impegnandosi, nemmeno volendolo con tutto se stesso riusciva ad immaginare un finale migliore di quello.

Come avrebbe anche solo potuto sperare di riuscire a farcela? Perché non aveva dato ascolto, una volta ogni tanto, evitando di farsi proteggere come un bambino piccolo che ha appena infastidito un branco di pitbull?

Strinse forte la mano sul ciondolo, mordendosi il labbro con altrettanta forza.

Debole e stupido… che onore poteva esserci a proteggerlo, a parare il culo ad una persona simile?

La vita di Naruto non valeva la sua. La vita di Sasuke non valeva la sua. Così come la vita di Neji, di Sakura, di Ino, di Itachi, di Hinata… di Shikamaru.

Oh, no. La vita di Shikamaru, a suo confronto, valeva anche di più.

E dire… che aveva deciso di proteggerli da eventualità simili…

Nel suo palmo, il crocifisso si fece più caldo. All’improvviso, come se risvegliato da un lungo letargo.

Kiba sobbalzò, togliendo la mano e lasciandolo fluttuare nell’aria davanti al suo volto, circondato da una luce bianca.

Era la stessa sensazione. Era la stessa onda calda che gli attraversava il cuore… uguale, del tutto simile a quella notte, quando era stato attaccato dal Rokubi.

Era… Michele.

 

Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.      (*2)

 

Risuonò morbida e dolce nella sua testa, il tono pacato e autoritario di una voce angelica colma di nobiltà.

Subito, quasi come se fosse stata una formula magica, si sentì più rilassato. Aprì le mani, d’istinto, come se con esse dovesse sostenere il fluttuare silenzioso del monile.

Osservo di sbieco Shikamaru combattere, retrocedere sotto gli attacchi mirati di Kabuto e avanzare a tentoni facendosi scudo con l’ombra, che maneggiava come voleva cambiandogli consistenza e forma.

Non poteva lottare da solo.

lui, né Neji.

Nessuno di loro.

Non per proteggere lui.

E lui non poteva farsi proteggere a quel modo, sacrificando inconsciamente persone a cui si era affezionato senza nemmeno accorgersene.

Nell’improvvisa tranquillità di quell’atmosfera, come se fosse in una sfera di pace fatata tutta sua, chiuse gli occhi ascoltando il battito del suo cuore regolarizzarsi pian piano.

Lui non era un pappamolla.

Aveva il potere di combattere, lo sentiva. Qualcuno glielo aveva donato.

Aveva il potere di fare un passo avanti, infrangere quel muro di paura e gonfiare la faccia a Kabuto, riempirlo di botte fino a fargli sputare i denti uno ad uno.

Aveva il potere di fare qualcosa.

E allora che cosa cazzo stava aspettando?!

Riaprì gli occhi si scatto, quasi rinato a nuova vita, aumentando consciamente l’emissione di energia spirituale dalle sue mani.

Aveva capito, finalmente. Quella spada rispondeva al suo volere di non fare la figura del fesso.

O meglio, al suo volere di proteggere ciò che per lui era importante.

Alzati e cammina, Kiba Inuzuka. Non è ancora arrivato il giorno in cui farsi salvare il culo stile principessa sul pisello.

Fu con quella convinzione nel cuore che, con un semplice sguardo, individuò il momento esatto in cui colpire Yakushi.

Sorrise.

<< Fine del gioco, pennuto gigante >> sussurrò a se stesso, osservando al contempo in crocifisso mutare forma e trasformarsi gradualmente nell’elsa dorata di una spada dalla lama di cristallo.

Era ora, maledizione!

 

Se uno mena in cattività, andrà in cattività; se uno uccide con la spada, bisogna che sia ucciso con la spada.

La costanza è la fede dei Santi.    (*3)

 

Impugnò l’elsa e, con resuscitate speranze, acquisì il suo obiettivo: Kabuto, giusto per cominciare.

E Yamata no Orochi, per finire.

Si portò velocemente la spada al fianco, tendendo il braccio come se la lama fosse un suo continuo, piegandosi sulle ginocchia alla ricerca delle forze necessarie a compiere lo scatto.

Iniziò poi la sua corsa, osservando con occhi fissi i movimenti di Kabuto nel combattere contro Shikamaru e i movimenti di Nara nel difendersi. Erano regolari i suoi attacchi, in un certo senso, e come aveva notato in precedenza perdeva per un secondo l’appoggio su entrambi i piedi quando si slanciava in un colpo particolarmente mirato e preciso.

Bingo.

Il momento giusto era quello. Sbilanciandosi non poteva contrattaccare; lo avrebbe costretto ad un movimento innaturale che lui non poteva permettersi.

Tradotto: era il momento migliore per fargli vedere di che pasta era fatto Kiba Inuzuka.

Beccare l’attimo giusto fu più facile di quel che credeva. Probabilmente Kabuto era il genere di persona che preferiva chiudere uno scontro il prima possibile e senza perdere troppo tempo, per questo la maggior parte delle volte portava all’avversario offensive precise e mirate, per esempio mirando al cuore o a qualche altro organo importante.

Cosa che fece, quasi come da copione. E mentre Shikamaru si proteggeva con l’ombra per l’ennesima volta, lui fece la sua mossa.

Era come una partita a scacchi. Se non si osserva tutta la scacchiera, concentrandosi solamente su una parte di essa o su un pezzo in particolare, l’avversario può approfittarne. Lo stesso Shikamaru glielo aveva detto, in una delle loro tante chiacchierate notturne in camera del moro.

Quello era il passo falso. Tenuto sotto scacco dal cavallo aveva ignorato l’alfiere, che solamente all’ultimo momento aveva potuto portare il suo attacco diretto e a senso unico.

Alfiere in D-4.

La lama cristallina trapassò con estrema facilità la schiena dell’infermiere, trafiggendo in un secondo uno dei polmoni, a giudicare dalla quantità di sangue che il medico sputò tossendo.

Non fu come le altre volte, però. La lama non lasciò solo una ferita apparente, per poi staccare il demone dal corpo di Kabuto e lasciare in vita il contenitore.

Anzi.

La ferita fu pienamente paragonabile ad una vera. Yakushi cadde a terra di peso, portandosi inutilmente le mani al petto come a volersi curare il trauma, in un modo che loro non conoscevano ma che sapevano non sarebbe stato efficace. Perdeva sangue ad una velocità sorprendente, e persino Kiba aveva visto abbastanza telefilm per decretare quella quantità come letale.

Lo osservò rantolare, Kiba Inuzuka. E, togliendosi alcuni schizzi di sangue dal viso con il dorso della mano libera, sentì di non trovare nessun rimorso dentro di sé.

Anzi, più precisamente, percepì di aver già assistito ad uno spettacolo simile, alla morte di un uomo causata per mano sua. Chissà, magari nel mondo del futuro da cui sembrava essere venuto.

A poca distanza, il contenitore del demone a due code lo osservava ansimante, probabilmente per lo sforzo. C’era qualcosa di magnetico nel modo come Kiba teneva la spada, con la lama rivolta all’indietro e verso il basso, così come nel modo in cui guardava l’infermiere esalare l’ultimo respiro.

Sembrava… un giudicatore.

Kabuto, ormai disteso supino, lo guardò fra le lacrime di dolore. Cercò di dirgli qualcosa, forse di maledirlo, ma non ci riuscì: in un ultimo spasimo una figura animalesca di distaccò dalla parte mutata del suo corpo; il volto cominciò a sciogliersi, le piume a cadere inermi a terra nell’istante stesso in cui Sokou uscì da quell’involucro di carne come se rompesse il guscio di un uovo. Osservò Kiba per qualche istante poi, com’era comparso, scomparve nel nulla.

Yakushi morì poco dopo, praticamente dilaniato dallo stesso demone che portava dentro di sé.

<< Chi è causa del suo mal, pianga se stesso >> pronunciò il castano, prima di prestare attenzione all’ultima delle sue “prede”; Orochimaru ancora stava combattendo contro Neji, ormai palesemente in difficoltà.

<< Tu pensa ad Uchiha! >> gridò in direzione di Shikamaru, partendo di corsa per raggiungere i due.

<< KIBA, NO! >> gridò il moro in rimando, inutilmente. << Maledetta testa di rapa! >> sbottò poi, rivolto più a se stesso che al suo ragazzo, cominciando a correre dietro di lui ma superandolo velocemente, dirigendosi effettivamente verso Sasuke. Poteva essere pericoloso ma Kiba aveva un suo margine di ragione: Sasuke era in una posizione rischiosa e, soprattutto, era svenuto.

Ci vollero pochi istanti per permettere a Kiba di affiancare Neji, intromettendosi letteralmente tra i due nel momento esatto in cui Orochimaru sembrava in procinto di mandare a segno il suo primo colpo. Gi artigli dell’uomo cozzarono con un tintinnio contro il cristallo della lama, ma lì si fermarono.

<< Inuzuka! >> esclamò sorpreso l’arcangelo, sgranando gli occhi alla vista della spada.

<< Naruto è ferito! >> disse in risposta il castano, puntando bene i piedi a terra per resistere alla pressione che il demone esercitava sulla lama, che metteva a dura prova i suoi muscoli: << Vai, ce la posso fare! >> aggiunse, tirando fuori dal nulla una sicurezza quasi sfacciata.

Neji non disse niente, si limitò solamente ad annuire ed allontanarsi con un balzo in direzione di Naruto: Kiba poteva chiaramente sentire gli acuti di dolore che lanciava, così come aveva visto con la coda dell’occhio un’altra coda scomparire, poi un’altra ancora. Si stava indebolendo.

<< Che arroganza… >> sussurrò divertito il demone, sorridendo malignamente. << Sicuro di farcela? >> chiese beffardo, ridacchiando impertinente.

<< Per te basto e avanzo >> rispose Kiba con tono rabbioso, osservandolo furente.

<< Mh… lo vedremo, pupillo di Michele >> ribatté sprezzante ma in un certo modo anche incuriosito, da quella sua uscita.

Ricominciò ad attaccarlo, approfittando per prima cosa delle mani dell’Inuzuka, impossibilitate a muoversi dato che erano entrambe posate sulla spada: la destra per impugnarla e la sinistra a trattenerne la lama.

Gli lanciò un colpo basso, un pugno tanto per cominciare, cercando di prendergli lo stomaco… ma non aveva calcolato i riflessi del castano, che con un balzo all’indietro lo evitò.

Orochimaru però non si diede per vinto, anzi… attaccò di nuovo, questa volta caricando l’Inuzuka con una veloce corsa, così rapida e serpentina da sembrare l’attacco di un cobra ad un piccolo roditore.

Non c’era tempo di evitarlo, ma ce n’era abbastanza per fidarsi del suo istinto; portò la spada a sinistra, come si farebbe un rovescio a tennis, concentrando l’energia spirituale nell’arma, che subito prese a brillare e ad assorbire quella stessa energia.

<< Schiva questo! >> proclamò, lasciando andare il braccio e creando così una specie di onda d’urto, potente e precisa, che spaziava per il raggio di rotazione della spada e del braccio che la impugnava.

La forza colpì il demone che, in un qualche modo sorpreso, lo evitò per pura fortuna ma ne venne sfiorato. Un taglio superficiale ma ampio si aprì sul viso del vicepreside, staccando le squame bianche e facendolo sanguinare.

Ansimante, Kiba esultò interiormente. Funzionava… funzionava!

L’uomo rimase con il volto girato nella direzione del colpo, la lingua che andò a leccare la gocciolina di sangue scesa dalla gota, cancellandola e assaporandone il gusto.

Anche gli altri osservavano la scena, stupiti da ciò che il castano era riuscito a fare. Shikamaru, che aveva portato Sasuke accanto a Sakura ed era rimasto a proteggerli, era quantomeno sbalordito mentre Neji, che si stava preoccupando di curare Naruto, era addirittura sconvolto. Persino il biondo, che osservava il tutti con occhi socchiusi dal dolore e il fiato grosso, era ammutolito di fronte alla scena che si mostrava davanti ai suoi occhi di nuovo cerulei.

<< Notevole… >> disse Orochimaru, il tono basso diverso da prima. Non era più affogato nell’ipocrisia e nel divertimento, ora. << Niente male per un pivello, lo ammetto >> aggiunse, tornando a guardarlo.

Fu quello sguardo che, per un istante, fece tremare le ossa a Kiba. Esprimeva serietà, determinazione, e non ultimo un intento omicida evidente.

Fece inconsciamente un passo indietro, sollevando la spada con due mani davanti a sé.

<< Ora basta giocare >> pronunciò infine e, in uno scatto, scomparve.

Kiba non sentì né lo spostamento d’aria né il suono di passi. Si accorse troppo tardi del colpo laterale, e l’unica cosa che poté fare fu portare la spada a pararlo… ma non servì. Aveva troppa forza, troppa violenza, e la sua presa sull’arma era nettamente debole, dato che per pararsi le costole l’aveva spostata con una mano sola.

Il risultato fu quasi scontato: venne sbalzato insieme all’oggetto e perse la presa su di esso.

Lui fece un volo di svariati metri, atterrando malamente sul gomito e strisciando dolorosamente sull’asfalto, lacerando la divisa e la pelle sottostante. La spada invece, roteando pericolosamente, andò a schiantarsi al suolo nei pressi di Shikamaru e Sakura, che trattennero il fiato alla mossa improvvisa e alla rispettiva conseguenza.

Kiba gemette di dolore, voltandosi su un fianco e tossendo energicamente, rimanendo senza respiro. Il colpo, nonostante l’avesse effettivamente parato, aveva preso in pieno le costole del fianco sinistro, lasciandolo senza fiato e con il sapore ferroso del sangue nella bocca.

Si mise seduto, fissando Orochimaru con rabbia. Dannazione… dannazione, dannazione!

Il demone, guardandolo a sua volta, ghignò. << Quello sguardo me lo ricordo… >> disse ridacchiando << …il primo Kiba che uccisi mi guardò alle stesso modo, attraverso il finestrino del taxi che andava a fuoco >>.

Il “primo”? Cosa voleva dire?

<< Oh, non guardarmi con quell’aria stranita… non dirmi che non hai ancora capito! >> lo prese in giro il demone, squadrandolo dall’alto in basso. << Ammetto che non c’è differenza, proprio come teorizzato. Siete veramente uguali in tutti gli aspetti >> continuò crudelmente, giocando il ruolo di chi sa e volutamente non dice.

Ma c’era un’altra persona che capì la situazione, solamente attraverso quelle parole.

E, trattenendo il fiato, Shikamaru si diede mentalmente del coglione.

Il tempo non c’entrava niente. Non era una questione di temporalità, stava prendendo in considerazione la base sbagliata.

Era una questione di spazio.

Il tunnel spazio-temporale non collegava passato e futuro di uno stesso universo… collegava il medesimo tempo di due diverse dimensioni.

La contemporaneità in due universi distinti ma speculari.

Alzò gli occhi su Kiba, incredulo di fronte alle conclusioni appena raggiunte dalla sua mente, troppo veloce persino per fargli elaborare la notizia con calma.

Il suo cervello arrivò alla soluzione ultima ancora prima che il cuore fosse pronto per un colpo simile.

E fece male, quando la passò mentalmente al vaglio una seconda volta. Perse un battito, mandandogli una fitta.

La soluzione era una e una soltanto.

<< Haruno… >> sussurrò a voce bassissima, ma non così tanto da non farsi sentire. La ragazza, di fianco a lui, spostò le iridi verdi sul moro.

<< Ho bisogno che tu distragga il vicepreside. Pensi di farcela? >> chiese, occhieggiando al contempo la sua posizione rispetto al demone, a Kiba e alla spada di Michele.

Sakura, respirando lentamente per cercare la voce necessaria a rispondere, annuì. << Sì, ma non aspettarti il paese delle meraviglie. Non ho rimasto molta energia >> rispose lei.

Gli aveva dato la notizia più bella e insieme più brutta del mondo. Il suo cuore mancò un altro battito, alla considerazione che il piano che aveva montato lì per lì potesse essere fattibile.

Deglutì a vuoto, chiudendo gli occhi per un istante. << Quando vuoi >> rispose poi, puntando gli occhi sulla spada di Michele.

Il suo obiettivo.

Al contempo, Kiba si era faticosamente rialzato in piedi, tenendosi il fianco e occhieggiando a sua volta la spada persa.

<< Non ci arriverai mai >> pronunciò il demone, prevedendone le intenzioni.

L’Inuzuka spostò nuovamente gli occhi iracondi sull’uomo, digrignando i denti in un ringhio trattenuto.

Aveva ragione. A dargli fastidio era esattamente quello.

Non c’era dubbio che Orochimaru fosse più veloce di lui, come era scontato pensare che fosse effettivamente più forte. Era riuscito ad atterrarlo, è vero, ma lui era riuscito a colpirlo, il che non era affatto male.

Tuttavia ancora non capiva come avrebbe potuto averla vinta sul demone. Con Kabuto era stato semplice, dato che era distratto dal duello con Shikamaru, ma il vicepreside sicuramente non sarebbe caduto in una trappola simile.

E non poteva chiedere a qualcuno dei suoi compagni di aiutarlo… no. Anche lui aveva dei sensi di colpa ed erano già troppi, non avrebbe rincarato la dose solo per seguire la teorizzazione di un attacco palesemente campato per aria e messo in piedi sul momento.

Osservò con la coda dell’occhio gli altri, puntando per riflesso lo sguardo su Shikamaru.

Parlava con Sakura, sussurrandole qualcosa con gli occhi puntati sulla spada, e notò con sorpresa che l’aura del demone a due code non circondava più il suo corpo: l’aveva ritirata. Gli sembrava pallido, preoccupato in un certo senso… avrebbe voluto sapere per cosa, ma non gli pareva di certo un buon momento per chiacchierare amichevolmente sui dubbi esistenziali di Shikamaru, quello.

Tornò subito dopo a fissare Orochimaru. Non poteva distrarsi, un colpo a sorpresa era l’ultima cosa che desiderava, ora che non poteva utilizzare nulla per difendersi.

Quell’immobilità lo distruggeva. Psicologicamente e fisicamente. Più tempo passava in piedi, più sentiva le costole dolere e il cervello acquistare la consapevolezza di un fianco sicuramente livido, che il giorno successivo si sarebbe colorato di un bel blu lavanda.

inoltre, il fatto che Orochimaru si limitasse a fissarlo e a ghignare non lo tranquillizzava affatto. Non riusciva a figurarsi a cosa stesse pensando. Al modo di ucciderlo? Alla sua malsana fissazione per il paradosso dello specchio? Oppure lo aspettava, magari aspettandosi che lui capisse qualcosa e rimanesse così sconvolto da farsi attaccare senza reagire?

Successe tutto troppo velocemente anche solo per immaginarne il senso.

Dal suo fianco Sakura, mettendosi nuovamente in posa per un attacco, colpì il terreno con forza e aprì una seconda voragine, che a velocità elevata cominciò a dirigersi verso il demone delle otto code aprendo una seconda fessura e facendo saltare interi massi di cemento e terra.

Ovviamente Orochimaru si accorse del colpo. Sembrava troppo facile, che ci cadesse, e sinceramente si stava chiedendo che cosa avesse in mente la ragazza. Era la forza di volontà di un disperato tentativo di coglierlo di sorpresa o improvvisamente aveva messo insieme una sorta di istinto suicida?

Yamata no Orochi scansò facilmente l’attacco, balzando all’indietro dato che sul davanti vi era il primo solco scavato dalla tecnica alchemica della ragazza, ma questo portò con sé un altro effetto: Shikamaru che scattava velocemente, chinandosi nella corsa con le dita della destra a sfiorare il terreno fino a che non agguantò la spada, stringendola forte in mano e cominciando a correre in sua direzione.

<< Grande! >> esultò spontaneamente, ringraziando mentalmente Dio o chi per lui per aver dato a Shikamaru una mente che poteva fare gara con quella di Einstein.

Gli stava riportando la spada. Si fidava di lui e stava riportando il monile da chi poteva usarlo. Lo aveva detto Neji stesso che nessun altro sapeva come attivare il rosario di San Michele a parte lui, e Shikamaru doveva sicuramente averlo capito.

Gli sorrise allegro, in procinto di allungare la mano per afferrare di nuovo l’elsa dorata… ma fu quando il moro non rispose a quel sorriso che un tarlo si insinuò nella sua mente, cancellando l’appena ritrovato ottimismo.

Non accennava a rallentare, anche se ormai gli era vicino. Non gli rivolgeva l’elsa della spada, nonostante lui non potesse usarla se non come una semplice arma. Stava… piangendo.

Perché stava piangendo?

Si chiedeva ancora il motivo di quelle lacrime, quando percepì le vere intenzioni di Shikamaru. Quando maledisse l’empatia per avergliele rivelate.

Iruka aveva detto… che non c’era sentimento più forte di un suicidio premeditato. O di un omicidio, anche.

Solo… che era troppo tardi.

Sentì solamente la lama di cristallo trapassargli il torace, non seppe specificare dove... qualcosa di freddo e distante, unito però ad una sensazione di tranquillità.

Era appena stato colpito… e non sentiva niente. Nessun male, nessuna reazione… niente.

Semplicemente non fece in tempo a sentirlo, il lancinante dolore che si prova quando una lama ti trapassa e lacera la carne.

Avvertì solo il fiato mancare, velocemente e tutto d’un tratto. Abbassò lo sguardo, osservando con gli ultimi istanti di coscienza una verità che non voleva sapere.

Ma che c’era, era innegabile.

Shikamaru era ancora piegato su di lui, la sua mano destra impugnava l’elsa della spada che lo trafiggeva per tutta la lunghezza della sua lama in cristallo.

Non poteva sentire il sangue gocciolare dietro di sé, ma la macchia di liquido caldo che aveva preso ad inzuppargli la camicia e la maglia della divisa la percepiva, anche se vagamente.

Gemette, quasi agonizzando. Avrebbe voluto chiedere perché, avrebbe voluto… vederlo in faccia, e sapere che non lo aveva tradito, che non lo aveva solo ingannato per poi passare fra le fila nemiche.

Voleva assicurarsi… che la persona che ora lo stava guardando morire fosse realmente Shikamaru. Il suo Shikamaru.

Ma non aveva fiato, non più. Non respirava, la voce non usciva.

Perciò non poteva chiedere, non poteva supplicarlo di mostrarsi in volto, di alzare lo sguardo, di avere almeno il coraggio di guardarlo negli occhi.

Di ammettere… che lo aveva tradito. Che aveva mentito.

Shikamaru Nara non alzò lo sguardo, no. Sarebbe stato troppo per lui.

Il sangue di kiba sulle sue mani era sufficiente.

Però parlò, sperando che l’altro lo sentisse.

Che non si sentisse abbandonato, o tradito, o preso in giro.

Con voce tremante, fra lacrime trattenute e senso di colpa, parlò.

<< Se ho ragione… devi morire… per tornare indietro >> sussurrò al suo orecchio, cercando con tutto se stesso di non abbandonarsi alla tristezza, alla disperazione.

Perché era un essere umano, nonostante tutto. E una persona che uccideva la sua Ragione, il pilastro più forte che sorreggeva il suo mondo… certe cose le provava.

Kiba lo sentì. Distintamente, anche se le palpebre cominciavano a farsi pesanti, il mondo a sfuocare.

Cercò di sollevare una mano, ma non ce la fece. Voleva accarezzargli la guancia, tranquillizzarlo anche se era lui quello che stava morendo, ma non ce la fece. Non aveva abbastanza forza per farlo, purtroppo.

Tossì, e in bocca sentì sapore di ferro e sangue.

<< Se ti avesse ucciso lui… sarebbe finito tutto. Sarebbe morta… ogni speranza >> continuò il moro, portando la mano sinistra sulla sua schiena, come se volesse goffamente abbracciarlo.

Eh… era impacciato come al solito…

<< Torna a casa… >> fu l’ultima cosa che sentì, prima che anche l’udito sfumasse nel silenzio.

Però non aveva rimorsi.

Perché si fidava di lui, nonostante tutto.

Perché se Shikamaru non fosse stato sicuro quasi del tutto, non l’avrebbe mai fatto.

Perché anche se non conosceva ogni piccola cosa di lui, ogni passo ed ogni minuto della sua vita, ogni pensiero come ogni anfratto del suo cuore, non avrebbe mai potuto perdere… fede.

Perché era rimasto con lui fino alla fine e nella fine.

Perché l’ultima voce che aveva sentito prima di morire… era la sua.

Le gambe lo abbandonarono definitivamente, facendolo cadere a peso morto verso terra. Shikamaru lo sorresse solo inizialmente, ma poi lo lasciò andare.

Cadde supino, il copro che scivolava sulla lama cristallina bagnata del suo stesso sangue color rubino.

Lo stesso sangue che imporporava le mani del moro, che bagnava la sua camicia e la sua giacca, mescolandosi a silenziose lacrime che sgorgavano da quegli occhi neri, colmi di tristezza.

Sorrise. O almeno, pensò di farlo.

Poi chiuse gli occhi.

 

 

Sembrava di stare immersi in un oceano d’acqua scura, completamente nera.

La luce non filtrava.

Era solo, disperso nel buio.

Sentiva in lontananza voci ovattate, coperte per la maggior parte dal rumore pressante dell’acqua nelle orecchie; un suono rumoroso quanto il silenzio, ugualmente denso e fastidioso.

<< Non pos… nient’altro! >> diceva una voce, agitata probabilmente. Urlava, anche se lui non la sentiva del tutto.

<< Ma… pur fa… qualcosa! >> rispose una seconda, sotto pressione ma composta.

Cercò di aprire gli occhi, ma le palpebre non si alzavano.

<< Una ferita simile è un’utopia per me! Sakura potrebbe, io non ho le basi! >> ribatté la prima voce. Femminile.

Perché sembrava così famigliare?

<< Non abbiamo tempo di tornare a chiedere rinforzi, siamo sotto attacco! >> continuò la seconda voce, insistente. Bassa, nonostante la tensione. Maschile.

Perché gli sembrava maledettamente importante?

<< Se sbaglio muore! >>

<< Se non ci provi morirà comunque! >>

Cercò di aprire gli occhi ancora una volta, faticosamente. Sembrava che fossero incollati. Le sue palpebre non erano mai stati così pensanti, così come i suoi respiri così deboli.

Sentiva un cuore battere, da qualche parte. Lentamente, lievemente, come se facesse un’enorme fatica.

Era di qualcuno?

O era… il suo?

<< Shikamaru dobbiamo ritirarci! >> si intromise poi una terza voce, anche questa maschile. << Neji e Lee sono sfiniti, e i nemici continuano ad aumentare. Ritirata, e alla svelta >> ordinò perentoria.

<< Non possiamo spostarlo in queste condizioni, potrebbe aggravarsi! >> rispose la voce femminile.

<< Dobbiamo rischiare, o moriremo tutti >> ribatté la terza voce.

Shikamaru.

Era un nome… famigliare. Fin troppo.

Si fece forza, strizzando gli occhi nel tentativo di aprirli.

Vide uno spiraglio. Verde, una foresta. Percepiva l’odore dell’erba, delle persone, del sudore, del sangue, della terra. Del pelo… di un cane. Akamaru.

Sì, era lì con lui. Guaiva, poteva sentirlo ora.

Riuscì ad aprire gli occhi a sufficienza per poter intravedere qualcuno, in mezzo alla cortina di oscurità e lacrime.

Capelli biondi, lunghi. Ino. Era inginocchiata accanto a lui, le mani premevano sul suo addome.

Un volto allungato, coperto da una maschera. Capelli bianchi, un occhio dalla pupilla scura e l’altro dominato dallo Sharingan. Kakashi.

E poi… lui.

Alla sua destra.

Si era accorto che era sveglio, o che lo vedeva. Si era avvicinato. Parlava con lui.

<< Kiba, resisti! >> diceva << Non mollarmi, ti riportiamo a Konoha! >>.

Sorrise. Questa volta sì, sentì i muscoli del volto stirarsi nella loro semi-rigidità.

Alzò una mano, titubante e tremante, toccando con i polpastrelli la guancia di Shikamaru, che lo guardò sorpreso.

<< Avevi… >> cominciò, sussurrando e cercando nelle sue corde vocali l’ultimo, esule, fiotto di voce. Deglutì, e continuò: << …ragione >> terminò, sentendosi mancare nuovamente le forze.

Scomparvero l’udito, la vista, le forze, il respiro.

Ritornò immerso in quell’acqua scura.

 

 

 

Chapter No.13 ~ End.

 

 

*1: “Yonbi” è il riferimento letterale al demone dalle 4 code: Sokou. Sokou è l’incrocio fra un gallo e un rettile (io ho biecamente usato la lucertola per differenziarlo dal serpente di Orociock) dunque ha la parte superiore di un gallo, zampe da volatile e quattro code da rettile. E’ il demone del veleno, come detto sopra.

In ordine, i nove cercoteri possono essere chiamati come segue: Ichibi (demone ad una coda. Da “Ichi” che letteralmente è il numero uno), Nibi (Nekomata. Anche qui, da “ni” termine giapponese per il numero due), Sanbi (3. Ormai la logica l’avete capita, no?), Yonbi (4), Gobi (5), Rokubi (6), Nanabi (o Shichibi. 7), Hachibi (8) e Kyuubi (9).

 

*2: Lettera ad Efeso 2,7

*3: Apocalisse di Giovanni 13, 9 e 10

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Capitolo 15
*** Giochi di Ruolo ***


Chapter 14 ~ Eleventh Echo

Ok, scusatemi per il ritardo immenso.

Ma fra esami, inizio lezioni, orari dei treni e altre beghe varie (fra cui l’ispirazione completamente scomparsa) questo capitolo arriva in ritardassimo.

Passerei dunque subito alle risposte, che purtroppo dovrò fare in modo abbastanza sbrigativo perché è giusto un po’ tardi e domani mattina ho la sveglia presto ^^’’’

 

Rosa_elefante: Grazie mille, sempre felice che i capitoli piacciano! XD Guarda, per le domande che mi hai fatto, la risposta ancora non è tempo che la dia. Nel prossimo capitolo ti si chiariranno un po’ le idee sul come abbia fatto Shikamaru a capire che la morte di Kiba serviva a mandarlo indietro. Grazie per la recensione e i complimenti!

CloudRibbon: *fix con occhi sbrilluccicosi il papiro* ahem. Senti donna, St. Michael sarà anche St. Michael, ma anche il Pozzo è pur sempre il Pozzo! Mi sento in colpa se ti stravolgi la trama solo perché abbiamo usato la stessa teoria per le fic! ç____ç
Grazie per le considerazione sulla resistenza della mia pazienza nel scrivere senza staccare nemmeno una volta, giuro che non me ne sono nemmeno accorta… cioè, solo quando ho riletto, il che per me è anche troppo XD e trattieni le lacrime, il momento buono non è ancora giunto…

Benvenuta nel clan OSUTIA, ovvero “Odiamo Sasuke Uchiha Tutti Insieme Appassionatamente”. A me non ha fatto pena, ci ho goduto nel tarturarlo. Oh yeah.

I tuoi rompicapi su Kiba sono più che comprensibili, ma non posso darvi risposta, per ora. Ma credo che questo capitolo ti schiarirà un po’ le idee sul dilemma. Il prossimo, se questo non aiuta, sarà decisamente illuminante. Posso dire lo stesso delle conseguenti domande, anch’esse troveranno risposta nel capitolo a seguire. Tranne la seconda. Per sapere se sono vivi dovrai aspettare il prossimo capitolo XP.

Ti ringrazio ancora tanto per i complimenti. Quando l’ispirazione va via, rileggere le recensioni stile papiro che mi lasci mi fa tornare la voglia, se non di scrivere, almeno di impegnarmi a farlo. Grazie di cuore.

Slice: Grazie a chi, a me? XD Ma grazie e a te per la recensione! Scusa se il mattone è peso, tenterò di alleggerirlo, giuro *sisi*.

ProudStray: emh… il tuo “aggiorna veloce” era relativo, vero? ^^’’’’ No, comunque grazie, e scusa se ti ho fatto aspettare così tanto. Stavo quasi per dire “la prossima volta ci metterò di meno” ma non metto le mani avanti, dato il periodaccio di lezioni che mi aspetta… *si angolizza e fa cerchietti*. In ogni caso grazie mille per la recensione, sempre felice che il mio lavoro piaccia!

Hiko_chan: Le tue domande sono tutte pertinenti e tutte con risposte che non possa darti per motivi di spoiler XD tranne per una: il “non mollarmi” era inteso nel senso di “non morire”, dato che era un tantino mezzo morto (sì, sono una carogna). Ottimo collegamento quello che unisce la morte con il passaggio da una dimensione all’altra, brava, tienitelo a mente XD.

Grazie mille per i complimenti e per la recensione! (p.s. io alla maturità ho avuto la brillante idea di fare il problema che il resto della classe aveva scartato… niente suggerimenti per me XD)

Soarez: …la tua sequela di tentativi di sucidio mi lascia perplessa. Ma, col tempo, ho imparato a non fare domande.

In ogni caso: sì. Shikamaru è figo. Devo ammettere che lo sto valutando anche troppo XD mi sta sfuggendo! Orociok non posso dire se si ritira a vita privata o smonta anche le fondamenta della terra. It’s spoiler XP ma si saprà presto, nel prossimo capitolo. Ottima arringa, avvocato, ottima arringa. La Corte si ritira per deliberare.

Grazie mille per complimenti, recensione, e soprattutto per la descrizione fantastica dei tuoi tentativi di suicidio e delle ipotesi X°DDD mi hanno fatto morire!

OnlyAShadow: Non è esatto. Io AMO complicare le cose XD. E ti ringrazio, davvero mia santa, per avermi detto che le scene di lotta si capiscono! ç_______ç *commossa*. Anche a te tanti grazie per il commento, per i complimenti e per il continuare a leggere!

 

Ok, fine risposte *fissa l’orologio e sbianca*

E’ la prima volta che scrivo questo spazio dopo aver scritto il capitolo. Ma per questo posso dirvi che, a mio parere, è venuto male… e che è un capitolo quasi inutile, una specie di intermezzo.

Spero non sia peggiorata inesorabilmente ç_____ç in tal caso mi scuso.

Ora fuggo.

A vuoi tutti, buona lettura!

 

 

Chapter 14 ~ Eleventh Echo

Giochi di Ruolo

 

 

Quando la donna si portò la mano alla fronte, chiudendo gli occhi con fare disperato, Kiba intuì subito la risposta che avrebbe ottenuto anche quella volta.

<< Mi dispiace, Inuzuka >> disse lei, spostandosi con un gesto rapido della mano un ciuffo biondo sfuggito al ferreo controllo imposto ai suoi capelli dal piccolo chignon: << non posso ancora abilitarti al servizio >> disse in un sospiro.

Kiba sbuffò, chiudendo gli occhi per evitare di saltare quella dannatissima scrivania e cominciare a prenderla a pugni.

<< Perché? >> chiese invece, la voce fremente di rabbia che per l’ennesima volta si sforzava di controllare.

<< Lo sai >> ribatté lei, probabilmente avvertendo la tensione. Era una psicologa del cavolo, dopotutto: se non lo psico-rincoglioniva lei che lo faceva di mestiere, chi diamine doveva farlo?

<< Io non le sto mentendo! >> esclamò il castano, aumentando involontariamente di qualche decibel il volume della propria voce. E di grazia che aveva aumentato solamente quello e non, per esempio, l’odio che sentiva corrergli nel corpo insieme a tutti quei medicinali con cui veniva imbottito da due settimane a quella parte.

La donna si appoggiò allo schienale della sedia, sistemando in maniera quasi maniacale la matita che aveva in mano all’interno dell’apposito astuccio in metallo. Lo guardò poi, dall’alto della montatura dei suoi sottili e pseudo-professionali occhiali da vista, compatendolo per l’ennesima, maledetta, disperata volta. << E’ difficile credere che tu non stia mentendo, Kiba >> disse, passando direttamente al nome. << Insomma… cunicoli spazio-tempo, un’accademia in cui studiano angeli, esorcisti, esper e chi più ne ha più ne metta! >> esclamò lei, incredula persino delle sue stesse parole.

<< Non è una menzogna, l’ho vissuto davvero! >> ribatté Kiba, sporgendosi verso la donna con fare minaccioso.

<< Quando? Nei pochi minuti in cui hai perso conoscenza dopo l’attacco? >> rispose prontamente la dottoressa, sfidandolo con lo sguardo ad obiettare una tale verità.

Cosa che Kiba non poté fare, anche se avrebbe tanto voluto ringhiare dalla frustrazione.

La donna lo osservò, sospirando per scaricare a sua volta la tensione. << Senti… sei in cura con me da quasi due settimane, praticamente da quando ti sei svegliato. Vieni qui tre volte a settimana, il che fanno un totale di sei sedute, e sei volte su sei ti ho sentito raccontare ancora e ancora la stessa storia. All’inizio pensavo che fosse una specie di trauma mentale dovuto allo shock, oppure un’allucinazione, ma dopo due settimane credo che lo shock sia passato. Si può sapere cosa succede? Ti basterebbe dire la verità e potresti riprendere il servizio. Potresti tornare ad essere un normalissimo ninja! >> disse la donna, probabilmente presa da livelli di stress pressoché sconosciuti persino a chi faceva il suo mestiere.

Oppure, semplicemente, incapace di accettare una sconfitta… se di sconfitta si poteva parlare.

Sicuramente, per lei un paziente che non riusciva a lavorare perché si ostinava a sostenere un castello in aria, era sicuramente una perdita su tutta la linea.

Il ragazzo non rispose alla provocazione, preferendo di gran lunga alzarsi e andare a sfogare la sua agitazione su un qualche innocuo “qualcosa” fuori di lì. Almeno sarebbe uscito e avrebbe rimandato quella sfrontatissima farsa alla settimana successiva.

Senza salutare si voltò, sistemandosi la felpa rossa in cui si era infilato solamente per rispetto al pudore pubblico, arrivando velocemente alla porta.

La dottoressa lo salutò con un “ci vediamo lunedì” mentre, molto probabilmente, stampava sulla pergamena da consegnare all’Hokage un purpureo “non idoneo” che sanciva la sua temporanea sospensione dal corpo dei ninja di Konoha.

Perché sì. Lui, Kiba Inuzuka, era ufficialmente in cura dalla psichiatra di turno dell’Ospedale della Foglia.

Motivo? Semplice: diceva la verità.

…Beh, ok. Doveva ammettere che per chi lo ascoltava da fuori, poteva non essere così semplice.

Anzi, anche lui aveva impiegato il suo tempo per fare il punto della situazione… e il risultato era una confusione da fare invidia ad un dipinto di arte post-moderno-futurista o di qualche altro periodo reale o fittizio.

A quel pensiero si fermò esattamente nel mezzo del corridoio, poco prima delle scale.

Ecco, ci era cascato di nuovo. Maledizione, maledizione, MALEDIZIONE.

L’arte futurista in quel mondo non c’era. Konoha aveva di tutto tranne che un museo.

Ed eccolo lì, il suo problema.

Si ricordava due vite. Due esistenze distinte, in due mondi altrettanto distinti con svolgimenti prettamente simili ma del tutto differenti.

In uno lui era un ninja, un chunin per la precisione. Aveva vissuto una vita incentrata sul desiderio di diventare il migliore del suo clan, aveva frequentato l’accademia ninja, era stato ammesso nella squadra della maestra Kurenai insieme a Shino e Hinata ed era, alla fine, diventato un militare utile per il suo paese: Konoha.

Perché si era risvegliato in ospedale? Semplice. Durante una missione di livello B erano stati attaccati: lui guidava la fila, non si era accorto che un ninja nemico gli veniva incontro ed era stato trafitto da una katana.

Ma no, non era così facile.

Perché nell’altro mondo lui era sempre Kiba Inuzuka, ma era uno studente con pochissima voglia di studiare, addetto alle risse del doposcuola e che viveva in simbiosi con il joystic della playstation. Era entrato in un’accademia speciale dopo che la madre aveva deciso di pagare il college alla sorella maggiore con i soldi della sua retta, aveva conosciuto gente tutta schizzata e particolare, aveva rischiato la vita e, tramite una specie di rituale a lui sconosciuto (che però comprendeva la sua morte) era ritornato nel suo mondo trafitto con una spada di cristallo dal suo ragazzo.

Chiuse gli occhi, portandosi la mano destra a stringersi la felpa in corrispondenza dello stomaco.

Quella era una delle cose che faceva più male ricordare.

Shikamaru.

O meglio, i due Shikamaru.

Shikamaru Nara di Konoha e il suo Shikamaru Nara del St. Michael.

Tra i due cambiava solamente l’aggettivo possessivo. Erano uguali, similissimi e, nonostante non volesse pensarci, non poteva evitarselo.

Lo Shikamaru di quel mondo non condivideva niente con lui se non una vecchia amicizia ormai arrugginita dal tempo.

Non era il suo ragazzo, non gli voleva più bene di quanto non ne volesse a Choji o Naruto e, soprattutto, non era mai e poi mai stato infatuato di lui.

Era… svanito tutto.

Portò una mano sotto la felpa sfiorando la ferita sul suo addome. Il taglio, che gli trapassava il costato e si riproponeva speculare sulla schiena, al tatto era ruvido: dopo essere stato trattato con delle tecniche magiche per svariate ore i medici avevano lasciato alle sue piastrine l’onore di formare una spessa crosta scura, aiutate dai punti metallici che, a seconda dei movimenti, gli tiravano dolorosamente la pelle.

Ormai, una volta fatto il callo a cose strane, non reputava più spaventoso il fatto che il ninja di quel mondo, e lo Shikamaru di quell’altro, avessero colpito nello stesso punto.

Coincidenza? No, per nulla. E no, non era strano.

Era la sua personalissima prova di non essere diventato completamente pazzo. Come lo credevano tutti gli altri, per esempio.

Shikamaru compreso.

E forse, nonostante potesse benissimo distinguere lo Shikamaru Nara di Konoha dallo Shikamaru Nara del St. Michael, quella era la cosa che lo feriva più di tutte, ancor più della sua impossibilità di tornare in servizio.

Interiormente, faceva male.

Anche se si vergognava ad ammetterlo, gli spezzava letteralmente il cuore.

Ripetersi che quello che vedeva camminare per la vie del villaggio non era lo stesso Shikamaru non funzionava in eterno.

Anzi, quella momentanea magia cominciava già ad affievolirsi.

Sospirando pesantemente decise di rimuovere quei pensieri dalla testa, cominciando velocemente a scendere le scale per arrivare nell’atrio. Ormai non doveva più stare in pianta stabile all’ospedale, dato che era stato dimesso; ci andava per le visite dalla strizzacervelli e per le ricette mediche, tutto lì.

A casa la situazione non cambiava di molto… ma almeno poteva stare fra le cose che, in un modo o nell’altro, gli risultavano famigliari.

Stava quasi per uscire quando, poco prima dell’atrio, una voce lo chiamò da uno dei corridoi dell’ambulatorio al piano terra. Sakura, con il camice bianco aperto sul suo solito abbigliamento dalle varie gradazioni di rosa, gli veniva incontro con un sorrisetto accondiscendente stampato in viso.

Oh, già. Aveva ormai imparato a sondare quei sorrisi da quando tutti quelli del villaggio, amici compresi, lo ritenevano un povero sclerotico delirante.

Era il sorriso stile “ehi, hai poi smesso di vaneggiare?” che gli rivolgevano tutti in ogni angolo del villaggio e dintorni.

Lo ammetteva: quasi quasi gli mancavano le occhiate accusatorie di Sasuke “Non Respirare in mia Presenza che Inquini l’Aria” Uchiha. Beh… l’angelo caduto distruttore di equilibri, ovviamente. In quel mondo non c’era più, lì intorno, un Sasuke Uchiha.

<< Inuzuka! >> lo salutò Sakura, fermandosi con in mano una cartelletta in plastica con all’interno, probabilmente, la storia clinica di un paziente a cui aveva appena applicato un cerotto ad un dito.

<< Sak… Haruno >> la salutò di rimando, incartandosi sul nome. E’ strano, chiamare una persona per nome in una dimensione e per cognome nell’altra.

<< Allora, emh… in visita da Okita-sensei? >> chiese, facendogli come al solito la domanda che interessava a tutti.

Le si leggeva in faccia. “Ti ha riammesso ai tuoi doveri di ninja?” sembrava chiedere. O meglio: “hai finito di dire cazzate senza senso?” o ancora: “potresti cortesemente dimostrare che non sei davvero impazzito di sana pianta e senza motivo logico apparente?”.

<< Già >> si limitò a rispondere, senza aggiungere altro. In quei giorni era talmente disgustato da quel discorso che non si sentiva in vena di essere allegro. Proprio per niente.

<< Com’è andata? >> chiese di nuovo la ragazza, sperando ardentemente in una risposta positiva da parte sua.

Risposta che non arrivò. O almeno, non con i risultati sperati: << sono ancora in “ferie” >> rispose il castano, mimando con le mani le virgolette, che evidenziò con la voce sull’ultima parola.

<< Ah… >> rispose lei.

Fra loro cadde un silenzio imbarazzante, com’era quasi logico che succedesse, e Kiba non aveva la minima intenzione di romperlo. Non si sentiva di certo in vena di parlare del tempo soleggiato di fine luglio, e men che meno con la Sakura di quella dimensione. Non erano amici così stretti, dopotutto… non .

<< Oh, a proposito! >> esclamò lei, togliendo entrambi da quella situazione di stallo: << considerando l’ultima ricetta che la maestra Tsunade ti ha firmato, teoricamente dovresti averle quasi finite… >> cominciò, estraendo dal camice un piccolo sacchettino abbastanza anonimo << così ho pensato di… sintetizzarne delle altre… >> esordì poi esitante, porgendogli l’involucro, chiuso da uno spago.

Lo prese dalle sue mani, osservandolo assorto prima di riporlo in tasca. Sapeva benissimo cosa c’era dentro: un triturato di erbe calmanti compresse in piccole pastiglie verdastre dal sapore orribile, che ultimamente lui ingoiava come caramelle.

L’equivalente omeopatico degli antidepressivi.

<< Grazie >> disse, piatto, indicando poi con un finto gesto distratto la porta: << scusa se ti faccio fretta, ma io dovrei tornare a casa entro una certa ora… >> esordì, finto e meschino.

Non aveva nessun coprifuoco. Semplicemente, voleva andare via da lì il prima possibile e affondare nella sua ipocrisia generale nuova di zecca.

<< Ah, certo >> rispose lei, sforzandosi di fargli un sorriso rassicurante… che non le venne bene. << Vai pure e… beh, rimettiti! >> esclamò infine, incamminandosi ancor prima di lui in direzione di un altro corridoio asettico e saturo di odore di disinfettante.

Kiba non rispose nemmeno (non ne ebbe il tempo) così si limitò ad infilarsi le mani in tasca e a riprendere il suo tragitto d’uscita. Quell’odore, forte già per gli esseri umani qualunque, per lui che aveva il senso dell’olfatto di molto più sviluppato rispetto all’ordinario era un vero tormento.

Una volta fuori dalla porta a vetri, una boccata d’aria fresca decretò il decisivo alleviamento della sofferenza che stava provando il suo povero naso. Certo, nell’aria di Konoha c’era sempre una discreta sinfonia di odori, ma era decisamente meglio di un ambiente chiuso.

Una volta raggiunto il cancello che delimitava il cortile, una massa bianca con un paio di orecchie rossicce gli venne incontro scodinzolando.

Un sorriso gli sorse spontaneo, mentre portava la mano destra ad accarezzare la testa di Akamaru senza dover nemmeno chinarsi. Era cresciuto veramente tanto, e lui come uno scemo non se ne era nemmeno reso conto.

<< Andiamo a casa? >> chiese allegro, ghignando in direzione del cane che, in risposta, gli leccò la mano.

<< Ah! Che schifo! >> esclamò Kiba scherzoso, pulendosi la bava sui pantaloni neri. Nella mossa, notò praticamente subito il naso del cane posarsi leggermente sul rigonfiamento che traspariva dal tascone della felpa. Lo annusò e, come se fosse contrariato, storse il naso e guaì piano.

<< Lo so, hanno un odore orrendo >> sospirò abbattuto, lasciando scivolare via il piccolo briciolo di allegria che gli si era depositato addosso. << E il sapore è anche peggio. Fortuna che non le prendi anche tu, amico mio >> ironizzò appena, estraendo l’involucro dalla tasca e fissandolo scocciato.

Tutta quella roba non serviva assolutamente a niente. Lui non era depresso o chissà cos’altro e, se veramente lo sembrava, non era di certo colpa o merito di quella stupidissima missione.

Era semplicemente il fatto che si ricordava due vite, ma questo non poteva di certo dirlo a miss “mi sto stufando di averti in cura” Okita-sensei, no? Insomma, già si sputtanava allegramente dicendole che aveva vissuto per quasi tre settimane all’interno di un’accademia in un altro mondo, se poi andava a dire che confondeva le due vite… il biglietto di sola andata per la clinica psichiatrica si sprecava.

Con un sospiro seccato ripose il sacchetto al suo posto, così come le mani raggiunsero le tasche dei suoi pantaloni, e con un broncio lungo mezzo metro ricominciò la sua camminata verso casa. << Andiamo, >> commentò verso Akamaru, che lo seguì a passo d’uomo e senza emettere il minimo suono.

Da qualche settimana aveva imparato che se prendeva vie secondarie e inutilizzate, nel tragitto casa - ospedale, incontrava meno gente. Da lì era tutta una reazione a catena che, però, aveva la sua utilità nel non farlo sentire sempre più atterrito.

Se incontrava meno gente, doveva fingere meno di non notare le occhiate che gli lanciavano quando lo vedevano. Se doveva fingere di meno, il suo sistema nervoso lo avrebbe ringraziato. Se il suo sistema nervoso lo ringraziava, di notte sarebbe riuscito a chiudere occhio leggermente più sereno e, soprattutto, avrebbe potuto evitarsi una delle cinque pastiglie che mandava giù ogni sera, ovvero il sonnifero.

Si rendeva conto che una cosa simile non era da lui.

Insomma, in teoria a lui non fregava niente di quello che il villaggio pensava sul suo conto. Sapeva cosa aveva vissuto, sapeva di aver visto il giusto e, anche se valeva solo per se stesso, aveva una prova stiracchiata impressa per sempre sul suo costato.

Però, a volte… solo ogni tanto… quella dottoressa riusciva quasi a convincerlo.

Riusciva a fargli nascere il dubbio, più che altro.

Era stato tutto un sogno? Una conseguenza dell’attacco preso in pieno? Uno di quei cosi chiamati “trauma post-traumatico”?

No. Non ci credeva, che fosse tutto falso.

Ma se lo fosse stato, invece?

Sì, lo ammetteva, aveva vagliato anche quell’ipotesi. Giusto per essere pronto a tutto.

Se fosse stata tutta un’illusione, lui era il più grande cretino della storia dell’universo. Perché aveva fatto amicizia con delle persone che non esistevano, aveva voluto proteggere dei falsi ricordi e, soprattutto… si era innamorato di un pugno di fumo.

Per questo continuava a dirsi che lui aveva ragione. Per questo cercava di convincersi.

Ma era difficile senza prove… difficilissimo. Sia convincere se stesso, sia raccontarla e farla bere ad Okita-sensei, compresi tutti quelli che lo guardavano come un povero psicopatico.

Compresi i suoi così detti “amici”, come i suoi compagni di squadra.

Soprapensiero, si portò una mano al collo.

Poteva quasi sentire ancora il metallo del crocifisso sulla pelle, freddo contro caldo, oro contro cute. Ogni volta, in quel riflesso condizionato che faceva per puro caso, era convinto di poterlo toccare ancora quando invece, appeso al suo collo, non c’era niente.

Non aveva altro che i suoi ricordi per convalidare la sua tesi, ma alla fin fine non contava nulla.

Nulla, se tali ricordi non si possono vedere e toccare, se non possono essere classificati come prove dalla prima psico-rimbambita di turno, se non si possono sbattere in faccia all’Hokage con un bel “e adesso chi è il traumatizzato, eh?”.

Sospirò affranto. Riflettere su cose simili non lo avrebbe aiutato.

Si fermò, alla fine di quelle considerazioni vuote, davanti alla vetrina di un negozietto d’antiquariato disperso da Dio. Si guardò nel riflesso del vetro, osservandosi con sguardo critico ma disinteressato.

Era da un pezzo che non portava i soliti segni del clan Inuzuka, sulle guance. Aveva smesso di farseli quando gli avevano detto che, per il momento, poteva smettere di considerarsi un ninja.

Certo, gli Anziani avevano usato termini più gentili, ma il succo del discorso era quello.

Non lo volevano fra i piedi. Un ninja con crisi di identità era scomodo.

Tsk, come se di crisi d’identità si potesse parlare! Non è che fosse indeciso se essere Kiba Inuzuka o il Kazekage, per amor della Volontà Ardente!

Lui era solo… solo…

<< Impazzito… >> sussurrò con un filo di voce, a cui corrispose un basso guaito di Akamaru.

Voltò il capo, osservandolo sorpreso. Il cane, guaendo nuovamente, gli appoggiò il muso sulla mano e spinse forte, come se volesse farsi accarezzare… o come se volesse distrarre il suo padrone.

Il castano sorrise, posando la sua mano sulla testa liscia e grattandogli le orecchie. << Lo so che non ti piace sentire quella parola, non piace neanche a me. Scusami, non la dico più, ok? >> scese a compromessi, chinandosi sulle gambe per arrivare più o meno alla stessa altezza del bestione che una volta si portava nella giacca.

Akamaru ne approfittò per laccargli la faccia, facendolo ridacchiare. << Smettila, non sei più un cucciolo! >>

<< Anche tu non sei più un bambino >> fu l’inaspettata risposta che ricevette da una voce un poco profonda ma giovanile, qualche metro più avanti.

Non ci fu bisogno di sorprendersi, purtroppo. La riconobbe all’istante. << E con questo? >> chiese il castano in risposta, rimanendo chinato ma voltandosi in direzione della persona che aveva commentato.

Nonostante indossasse vestiti scuri e il gilet dei ninja di Konoha, l’espressione annoiata e quella particolare pettinatura anti-gravità erano il suo segno di riconoscimento principale.

E, fra tutti i maledettissimi ninja che bighellonavano per Konoha… maledizione, proprio Shikamaru?!

Questa era sfiga, decisamente, e se non lo era ci mancava poco perché lo fosse.

L’altro lo squadrò, abbassando appena lo sguardo. Faceva sempre così, aveva ormai notato Kiba, quando stava riflettendo su una persona. Anche il suo Shikamaru lo faceva, a volte.

Si alzò di scatto, quasi ringhiando contro se stesso. Non era trovando punti in comune fra i due che si sarebbe dimenticato di quella assurda storia!

Nara non rispose alla provocazione del castano e, senza togliergli gli occhi di dosso, lo osservò affiancarlo e poi oltrepassarlo.

<< Ohi >> chiamò poi, senza voltarsi: << dove stai andando? >> chiese, osservandolo di sbieco.

Kiba si fermò, evitando accuratamente di girarsi e guardarlo. Che cavolo voleva, dannazione? Non poteva semplicemente lasciarlo in pace come faceva il resto del mondo da un paio di settimane a quella parte?

<< A casa >> ribatté aspro: << fino a prova contraria, abito ancora alla fine di questa strada >> aggiunse con lo stesso tono.

Il moro non rispose, ma Kiba lo sentì chiaramente voltarsi, in un fruscio lieve di abiti.

<< Mi stai evitando, ultimamente >> esordì poi, la voce pacata: << c’è qualcosa che non va? >>

In diciassette anni di vita mai, ma proprio mai, Kiba aveva sentito così forte l’impulso di tirare un diretto sui denti a Shikamaru.

Qualcosa che non va? QUALCOSA CHE NON VA? Cos’era, cieco, visto che con il cervello che si trovava non poteva di certo essere scemo. Qualcosa che non va… cazzo, che acume! E pensare che lui si stava tanto sforzando di trovare anche solo una minima cosa che andasse, invece!

Si sarebbe veramente girato a urlargli contro, se solo non avesse avuto paura di non riuscire più a spiccicare parola. Gli avrebbe riversato addosso tutto l’odio, tutto il rancore che aveva collezionato in quel periodo, liberandosi tramite la voce di un fardello che gli schiacciava lo stomaco peggio di un masso.

Ma si trattenne. Ingoiò tutto, faticosamente, sospirando profondamente prima di riuscire a riprendere parola: << Non particolarmente >> mentì e sì, fortuna volle che non avesse ceduto all’istinto di girarsi.

Avrebbe potuto vedere l’espressione di Shikamaru assumere un alone di malinconia.

Allora no che non sarebbe stato utile dirsi “non sono la stessa persona”.

<< C’è qualcos’altro? >> chiese il castano, il tono duro.

<< No >> rispose semplicemente il moro. << Buona giornata >> aggiunse, prima di riprendere ad incamminarsi verso il centro.

<< Non direi proprio… >> sussurrò invece Kiba, facendo però in modo di non farsi sentire, per poi riavviarsi verso casa.

Non più, ormai.

 

 

Nonostante la situazione con il lavoro, e nonostante la sua scombussolata attività mentale, il fatto di essere praticamente prigioniero in casa sua si era rivelato indice di una portentosa solitudine.

E, a seguire, di una noia incommensurabile.

Akamaru era talmente cresciuto che ormai non passava nemmeno per le scale, figurarsi entrare in camera sua. Da qualche tempo stava in giardino, insieme agli altri cani del clan, e nonostante la cuccia fosse esattamente sotto la sua finestra, guardarlo dall’alto mentre sonnecchiava non riempiva il suo tempo.

Era così che aveva trovato la malsana idea, un pomeriggio, di ridisegnare tutti i cerchi alchemici che poteva ricordare. Sempre che l’uso del termine “ricordare” non fosse scorretto e che in realtà se li stesse inventando di sana pianta.

Ma era anche così, evidentemente, che aveva avuto la trovata più impossibile e al contempo brillante che gli fosse mai passata per il cervello in tutta la sua vita.

Se i cunicoli spazio-tempo erano reali… si potevano creare.

E cosa c’è di meglio per la creazione, della scienza per eccellenza in fatto di distruzione e ri-assembramento della materia?

L’Alchimia.

Sempre che esistesse davvero, in una qualche dimensione, l’Alchimia.

L’idea, una volta accettato il compromesso di credere un po’ di più in se stesso e di non farsi abbindolare dai dubbi della psico-cocciuta, era anche buona.

Ma dopo una settimana di disegni a carboncino su rotolo, serviti più come passatempo che come base per un ragionamento decente, anche Buddah manderebbe a quel paese il Nirvana.

La cosa buona era che aveva praticamente cambiato la carta da parati della sua camera, dato che non c’era nemmeno un pezzo di muro libero da quella sua momentanea follia artistica.

Girandosi sulla sedia tornò a guardare uno per uno i disegni che aveva fatto, in ordine cronologico, dal cerchio alchemico più semplice a quelli più complessi, passando poi alle prove di unione di vari fattori e agli scarabocchi che era riuscito a tirare fuori alle quattro di notte, quando ormai la noia aveva sopraffatto anche il sonno.

Sospirò, non vedendo su quelle pareti altro che un sintomo in più della sua dubbia pazzia. Magari era la volta buona di ammetterlo: Okita-sensei aveva ragione e lui si era fatto un viaggio mentale praticamente ed evidentemente surreale.

Però no, non ci riusciva proprio a dargliela vinta, alla psico-tedia. Si ricordava troppe cose, troppo particolareggiate. I sentimenti e le sensazioni che aveva provato erano troppo vividi, troppo reali per essere illusioni. E sì, lui ricordava, non si inventava nulla.

E allora qual’era la situazione attuale? Cosa doveva fare adesso? Come andavano le cose all’accademia?

Al solo pensarci, un crampo allo stomaco gli fece storcere la bocca. Non sapeva se era per le medicine prese appena un’ora prima o per il fatto stesso di aver lasciato gli altri alle prese con un demone ad otto code, ma in momenti come quello, pensieri simili non gli davano altro che dolore e fastidio.

Non era un bene, non era un bene!

Tornò a guardare i disegni, inspirando una lunga boccata d’aria, per poi rilassare i muscoli mentre la soffiava fuori.

Doveva per lo meno dare la caccia all’acclamatissimo ragno nel buco. Provare, anche se non aveva un cervello fatto per ragionamenti di quel tipo, a trovare una soluzione plausibile che collegasse le sue due vite alla dimensione che si era lasciato alle spalle.

Fissando quei disegni ora dopo ora, non faceva altro che non arrivare alle risposte che disperatamente sperava di scovare in un angolino della sua mente.

Aveva studiato troppo poco, di Alchimia, per poter giungere alla creazione (sempre se possibile) di un cunicolo spazio-temporale artificiale. Troppo, decisamente troppo poco.

Doveva sperimentare un'altro approccio.

Si alzò dunque, di fretta, correndo rumorosamente giù per le scale. Dal giardino, Akamaru abbaiò non appena riconobbe i suoi passi.

<< Dove vai? >> chiese sua madre dal salotto, abbassando il volume della televisione.

<< Esco >> rispose criptico, mentre si infilava di nuovo i sandali abbandonati all'ingresso appena un quarto d'ora prima.

<< Non hai risposto alla mia domanda >> fece notare la donna.

Lui sbuffò. << In biblioteca >> disse poi, aprendo la porta di fretta.

<< DOVE?! >> sentì esclamare dal salotto << cos'è, sei impazzito?! >>

<< La diagnosi è quella >> ironizzò amaramente, prima di richiudersi la porta alle spalle e patire a passo veloce verso la biblioteca. Una corsa delle sue avrebbe sicuramente strappato i punti, e non ci teneva a sanguinare per la strada.

 

 

Appena mise piede all’interno della biblioteca, il rivoltante odore di chiuso e di carta rattrappita invase le sue narici con sottile violenza.

C’era gente, al mondo, che lo riteneva il profumo più buono esistente. C’erano anche persone, incredibilmente, che prima di leggere un libro ne annusavano le pagine come se fossero sature un meraviglioso aroma.

Lui non lo poteva sopportare. Non solo perché sentiva gli odori molto più intensamente di altri, ma soprattutto perché odiava qualsiasi riferimento, anche casuale, a interi volumi scritti in minuscolo che non contenevano nemmeno un disegno. Per la sua mente, abituata a leggere fumetti, tutto ciò non era contemplabile.

Tuttavia si fece forza e avanzò all’interno dell’edificio. Beato Akamaru che doveva forzatamente aspettarlo fuori, almeno lui si risparmiava il voltastomaco.

Passò davanti alla bibliotecaria trattenendo il respiro e, al suo gesto cortese di benvenuto, si esibì in un impacciato saluto alla Robocop; era così rigido e teso che sembrava avere i muscoli fatti di vetro.

Non si trovava a suo agio, no. Aveva una repulsione naturale, c’era poco da fare.

Una volta che la donna ebbe rivolto ad altro la sua attenzione, e che tutte le persone nel primo angolo lettura ebbero terminato di indicarlo come se fosse stato chissà quale alieno piombato da chissà quale navicella spaziale, si fermò indeciso davanti ai primi due scaffali visibili, recanti targhette d’ottone con le lettere A-C in uno e D-F l’altro.

Bene, perfetto: ordine alfabetico. Così non poteva sbagliarsi per forza.

Sì… ma cosa cercare?

Non credeva proprio che nello scaffale della lettera “p” vi fosse qualcosa con il titolo “Ponti di Einstein-Rosen”, come non riteneva nemmeno pensabile che vi fosse una biografia stramba dal titolo “Einstein: Vita, Morte e Miracoli”.

Non era nemmeno possibile che fosse esistito un Einstein, in quel mondo.

Sospirò rassegnato, arrendendosi già da subito ed evitandosi una full immersion in mezzo alla polvere.

Fu in quel momento, mentre tornava indietro convinto che annoiarsi a casa sua fosse la cosa migliore da fare, che gli cadde l’occhio su una bacheca in legno grande quanto una lavagna, appesa al muro di fianco al bancone della bibliotecaria e piena zeppa di foglietti.

Si avvicinò, incuriosito.

Su ogni foglietto vi erano scritte piccole descrizioni di azioni, a volte condite con qualche dialogo, e tutte improntate su situazioni più disparate: c’era chi si inginocchiava davanti ad una ragazza su una terrazza al tramonto, chi lottava contro un mostro a forma di lucertola gigante, chi mercanteggiava sulla via per un villaggio nascosto nella foresta e chi si preparava all’imboscata ad una tenda di ladri per recuperare tesori rubati.

<< Scusi? >> attirò l’attenzione della bibliotecaria senza nemmeno girarsi a guardarla: << cosa sono questi fogli? >> chiese, scorrendo con lo sguardo le varie calligrafie.

<< Un gioco di ruolo >> rispose la donna, attirando finalmente la sua attenzione completa. Kiba infatti si girò in sua direzione, e lei ebbe modo di continuare: << è anonimo. Ognuno si crea un personaggio fittizio e fa coppia con un altro personaggio libero in lista. Dopo di che il Master, che in questo caso sono io, da disposizioni perché comincino varie missioni e i personaggi devono portarle a termine. Più si guadagnano punti, più il personaggio creato impara tecniche e diventa forte >> spiegò professionale, sorridendogli cortesemente.

A Kiba venne quasi da ridere, ma si trattenne invocando quella poca cortesia che possedeva. Dei ninja che giocavano ai ninja! Questa non l’aveva mai sentita!

Però poteva essere un modo per passare il tempo, magari.

<< Posso partecipare anche io? >> chiese dunque, avvicinandosi alla donna di qualche passo. Lei annuì sorridente, afferrando dei moduli e passandoglieli con assoluta precisione insieme ad una matita e ad un dado. << Compila questo, è la tua scheda personaggio. Quando avrai finito mostramela, ti accoppierò con la persona che più si adatta alle tue caratteristiche >> disse, lasciandogli spazio sufficiente per poter lavorare.

Il primo foglio erano le istruzioni, abbastanza semplici in realtà. Una volta accoppiati, i due personaggi avrebbero dovuto seguire le indicazioni del master per completare le missioni. Si comunicava tramite foglietti sulla bacheca, utilizzando pseudonimi, dunque non conoscevi per nulla la persona con cui stavi giocando. Si doveva aprire con una frase di saluto poi, se l’altro avesse accettato il tuo personaggio come partner, sarebbe cominciato il gioco vero e proprio.

Fu facile anche compilare la scheda, una volta che ebbe imparato a cosa corrispondevano i tiri del dado. Non gli venne un personaggio da buttare; era bello e forte dato che aveva avuto tiri alti sul Carisma e sulla Statura, e possedeva alcune arti magiche niente male, tra cui quelle del tipo fuoco. Era un mezzo stereotipo dell’ Uchiha, ora che ci pensava, ma per non ricadere nell’errore diede ai capelli del suo povero omino un colore rosso acceso.

Una volta terminato, l’indecisione cadeva sul nome. Lui non aveva tutta la fantasia necessaria per crearne uno figo e che suonasse bene, così si limitò a tradurre il suo nella lingua più improbabile che potesse saltargli fuori: l’inglese.

Che in quel mondo nemmeno esisteva. Ma suvvia, era un gioco. Al massimo gli altri giocatori lo avrebbero letto come formato da lettere pressoché incomprensibili, non è che ci perdeva qualcosa, per un gioco.

Scrisse dunque “Fang” nello spazio riservato al nome e, rimirando la scheda completa, la consegnò alla donna.

<< Oh, che strano >> esclamò poi, osservando le lettere che avrebbero dovuto formare il nome: << c’è un altro giocatore che usa questo linguaggio nel gioco. Cos’è, un codice inventato? >> chiese, sorridendo curiosa.

A Kiba per poco non venne un infarto. Cosa voleva dire che A KONOHA c’era qualcun altro che scriveva INGLESE?!

Cercò con lo sguardo l’unico biglietto scritto da sinistra verso destra e, una volta trovato, trattenne il respiro dallo stupore: il messaggio era scritto in calligrafia chiara, corsiva e leggermente tondeggiante. Pendeva verso destra e recitava parole che, lette senza pensare ad un qualsivoglia contesto, riflettevano il suo stato d’animo dell’ultimo pariodo:

 

Something somewhere out there keeps calling.

 

“Qualcosa là fuori continua a chiamare.” …sembrava rinfacciargli la consapevolezza. Sembrava dirgli “io so, tu racconti il vero, non stai mentendo. C’è qualcuno che ti sta chiamando, ascolta!”.

E poteva sembrare un miracolo già di per sé se non fosse che, oltre alla lingua e al significato che lui leggeva in quelle parole, la frase in sé non fosse stata… una citazione.

Precisamente, una strofa di una canzone intitolata “Gravity” che lui aveva sentito e risentito nelle settimane in cui era rimasto intrappolato nel sogno/realtà chiamato St. Michael.

Spostò gli occhi sul nome del personaggio, e anche quello non lasciò dubbi: “Apocalypse”.

Sì, qualcuno lo stava veramente chiamando…

Fece rapidamente in modo che il suo personaggio venisse accoppiato con Apocalypse. Doveva capire se quel messaggio di poche lettere era falso oppure opera di qualcuno che sapeva qualcosa della dimensione che aveva visitato.

Si fece consegnare un foglietto, scrisse il nome “Fang” in alto a destra e, quando fu il momento di rispondere al messaggio lasciatogli, ci pensò sopra.

C’erano molte domande nel testo di “Gravity” che avrebbe potuto porre. Ma era convinto che, andando avanti per quella assurda strada, sarebbe riuscito a porlo comunque, anche senza scriverle subito.

Scelse dunque una seconda strofa che rispondeva a quella lasciatagli. Nella sua calligrafia un po’ spigolosa rispose:

 

Will I hear someone singing solace to the silent moon?

 

“Sentirò qualcuno cantare con sollievo verso la silenziosa luna?”.

Stava effettivamente chiedendo se gli avrebbe risposto, in definitiva. E ci sperava… ci sperava sin troppo.

 

 

Passò praticamente tutto il pomeriggio in biblioteca, ma della persona che aveva il dono innaturale di poter scrivere (e dunque di sapere) l’inglese non vi era traccia.

Inizialmente l’aveva aspettato seduto all’angolo lettura più vicino, di modo da tenere d’occhio la bacheca. Se si fosse avvicinato per rispondere al suo messaggio, pensava, l’avrebbe visto e avrebbe finalmente potuto interrogarlo su tutto ciò che gli passava per la mente… letteralmente.

Poi, però, aveva riflettuto; se non lo aveva contattato direttamente e aveva preferito mettere un biglietto in un posto che aveva poca probabilità di frequentare, probabilmente non voleva incontrarlo per nulla, ma mantenere solamente rapporti impersonali di quel genere. Di conseguenza, se lo aspettava al varco non si sarebbe mai mostrato.

Per tale motivo cambiò posizione, andando a mettersi fra i due scaffali più vicini alla bacheca, assicurandosi di essere sufficientemente nascosto. Doveva vedere senza farsi vedere, solo così poteva trarre in inganno il suo inglesino preferito e costringerlo a sputare il rospo.

Tuttavia, nonostante le svariate ore passate a fissare la reception da una fessura fra i libri, la persona che gli interessava scovare non si fece vedere. All’inizio un giovane biondino gli aveva dato la speranza, avvicinandosi alla bacheca, ma il biglietto che aveva attaccato era scritto in kanji e non rispondeva a “Fang”, bensì ad un altro giocatore.

Fu quando ormai la biblioteca era in orario di chiusura che finalmente uscì, respirando con evidente sollievo l’aria fresca e umidiccia della sera. Tirava una leggera brezza da nord-ovest che portava con sé l’odore lieve e dolciastro delle magnolie.

Scendendo gli scalini dell’entrata si stiracchiò sbadigliando, posando meccanicamente una mano sulla testa di Akamaru quando il cane gli venne incontro trotterellando.

A giudicare dal buio dovevano essere come minimo le dieci di sera… era preoccupato del fatto che sua madre non avesse mandato le squadre di soccorso quando non lo aveva visto rientrare per cena.

E a proposito di cena, cominciava ad avere una certa fame.

<< Andiamo Akamaru, non vedo l’ora di mettere qualcosa sotto i denti! >> disse rivolto all’amico, incrociando le braccia dietro la testa e cominciando a percorrere la strada a ritroso, verso casa. Non pareva esserci molta gente in giro, solamente alcuni giovani che volevano fare baldoria e uomini sbronzi che puzzavano di saké, ma a lui sembrava non interessare molto.

Anche se la sua giornata d’appostamento non aveva dato i risultati sperati, il solo fatto di aver trovato una piccola possibilità di sapere era sufficiente a risollevargli il buon umore perduto.

Aveva la possibilità di ricredersi, di dimostrare che non mentiva, che non era un folle. Avrebbe potuto conoscere la verità, finalmente.

Sorrise al nulla, ridacchiando da solo contro il silenzio della notte. << Been a long road to follow, been there and gone tomorrow, without saying goodbye to yesterday… >> canticchiò quasi soddisfatto, a bassa voce, fischiettando il seguito della canzone lungo tutto il tragitto di casa.

Chissà, magari avrebbe potuto anche chiedere di lui. Come stava, per esempio. Oppure se era ancora… vivo.

Scosse il capo, non ci doveva pensare. Shikamaru stava bene per forza, ne era sicurissimo. Si erano salvati tutti, magari avevano anche sconfitto Orochimaru e adesso se ne stavano a poltrire all’accademia ascoltando le lezioni del maestro Kakashi, oppure cercando di non rimanere vittime delle esplosioni artistiche di Deidara.

Il sorriso divenne malinconico al ricordo del gruppo e della vita che aveva lasciato indietro… eppure, in un qualche modo, si sentiva persino in colpa ad avere nostalgia, dato che quella al villaggio era la sua reale vita.

Sembrava come… se avesse trovato un modo di vivere che gli piaceva molto di più. E non doveva, perché in un qualche modo sapeva che era sbagliato, e ingiusto nei confronti della famiglia e degli amici che aveva lì, a Konoha, a casa sua.

<< Maybe this time tomorrow, the rain will cease to follow, and the mist will fade into one more today… >> canticchiò ancora, guardando il cielo. A causa della brezza era una nottata limpida, la volta celeste era piena di stelle e, in mezzo a tutte, non faticava a riconoscere le principali costellazioni che gli avevano insegnato in accademia ninja.

Doveva distrarsi. Se portava la sua attenzione su qualcosa che non fosse Shikamaru, probabilmente avrebbe sentito meno nostalgia… e di conseguenza meno malinconia.

Arrivato davanti a casa, la prima cosa che fece fu dare da mangiare ad Akamaru. Era rimasto ad aspettarlo fuori dalla biblioteca per tutto il giorno, si meritava le sue dovute attenzioni.

Una volta che ebbe terminato, e che ebbe osservato il proprio cane mangiare a fauci spalancate, decise ardentemente che toccava a lui una cena con fiocchi e controfiocchi. Il suo stomaco era così vuoto che ormai non aveva nemmeno più la forza per contorcersi nei tipici crampi della fame.

Salì velocemente i pochi gradini il legno che lo speravano dal pianerottolo, e in alcuni scricchiolanti passi si avvicinò all’entrata.

Aveva già una mano sulla maniglia e l’urlo pronto con un “tadaima!” fra le labbra, quando una voce particolare, che non apparteneva né a sua madre né a sua sorella, gli arrivò alle orecchie.

Era Madamigella Tsunade. Ne era quasi sicuro, contando che la sentiva provenire dalla finestra aperta della cucina.

Esitò, ascoltando. Non credeva affatto che Tsunade e sua madre fossero vecchie compagne d’accademia e che la vecchia fosse venuta da loro per un tè e un piatto di pasticcini.

Tutt’altro. Poteva esserci un solo motivo per cui l’hokage si disturbava a fare visita a casa Inuzuka…

<< E’ una fortuna che Kiba non sia in casa >> stava dicendo la Quinta: << posso parlarle francamente e senza risentimenti >>.

Fece scivolare la mano dalla maniglia, richiudendola a pugno e lasciandola andare lungo il fianco. Ascoltò, nonostante fosse quasi un suicidio intellettuale farlo, evitando anche di respirare troppo rumorosamente per non coprire con esso le parole che sentiva.

<< Mi dica tutto, Godaime-sama >> rispose la madre con voce seria, tuttavia macchiata di una piccola nota di esasperazione.

Probabilmente, pensò Kiba, era stanca quanto lui di sentire la stessa solfa ancora e ancora…

<< Sono preoccupata per Kiba >> arrivò subito al punto Tsunade, professionale nonostante l’ora fosse quella del sakè serale. Probabilmente era più seccata di tutti loro, quella donna, che aveva sempre e perennemente il suo caso sotto al naso.

<< Le da altri motivi di preoccupazione? >> chiese la madre, quasi incoraggiandola a continuare.

<< Non più del solito >> rispose l’hokage: << è la sua testardaggine, la ragione per cui sono qui. Continua a sostenere la sua storia, ancora e ancora, e siccome sono convinta che non possa essere assolutamente vera, mi chiedo perché insista a raccontarla >> disse, facendo una domanda implicita all’altra donna.

Sua madre non rispose subito, probabilmente contemplando le parole che le venivano rivolte. << Godaime-sama, se posso permettermi: non aveva detto che le convinzioni su cui persevera quel degenerato di mio figlio apparivano vere, ai suoi occhi? Non mi aveva garantito che era una sorta di trauma psicologico causato dalla ferita? E’ perché ero convinta di questo che non ho spinto il ragazzo a raccontare anche a me questa cosa… ora mi sembra che si stia rimangiando la parola >> argomentò, trovando come al solito ogni appiglio possibile su cui poteva attaccarsi.

<< Ha ragione >> rispose la vecchia: << ma è impensabile che, dopo due settimane, Kiba soffra ancora degli effetti del trauma. Soprattutto con i medicinali che gli abbiamo dato. Dunque, posso solo pensare due cose: o Kiba racconta quella bugia per coprire un suo comportamento particolarmente grave, oppure è partito tutto da uno scherzo di cattivo gusto e adesso regge la farsa per non perdere la faccia >> disse lei.

Kiba aggrottò la fronte a quelle parole, storcendo il naso in un’espressione disgustata. Uno scherzo, addirittura… era questo il meglio che riusciva a pensare l’hokage? Era questa la sensazione che dava la sua versione dei fatti?

Nessuno aveva contemplato, anche solo di sfuggita, il fatto che stesse dicendo la verità? Proprio a nessuno era venuto questo dubbio?

No, Kiba, non lo sai? Se dici di raccontare una verità in cui non credi completamente nemmeno tu, è logico che vieni respinto e additato come bugiardo e meschino.

A denti stretti restò in ascolto, senza muovere nemmeno un muscolo.

<< E da me cosa vorrebbe sapere? >> rispose a tono la madre, mantenendo però la cordialità dovuta ad un’ospite: << se so in quale casino si sia cacciato Kiba? Se ho notato qualcosa di strano nel suo comportamento? >> chiese, concisa.

<< Sì, esattamente >> rispose l’hokage, a sua volta pratica e veloce.

<< Beh, sì. Ho notato che un ragazzo casinista ed esageratamente loquace all’improvviso parla solo se interrogato. Ho notato che una persona che saltava persino la cena per bighellonare con gli amici, improvvisamente vive chiusa in camera sua. Ho notato le pastiglie, e le interminabili ore di sonno che le accompagnano. Ho notato tutto questo, Godaime-sama, ma non è nulla di più e nulla di meno di quello che, sono sicura, abbia notato anche Okita-sensei >> rispose la donna, per poi continuare: << io non credo a ciò che racconta mio figlio, sia chiaro. E sono sicura che stia affrontando un qualche problema. Ma il nostro clan è fatto così: anche se può sembrare una bastardata, i ragazzi crescono contando quasi esclusivamente su loro stessi. Se Kiba ha un problema, dovrà risolverselo da solo. Un capoclan fa questo ed altro >> aggiunse, brusca.

Tsunade rimase in silenzio per qualche istante, in una copia della contemplazione che aveva eseguito l’altra per prima.

Poi, sospirando, aggiunse: << spero anche io che ne venga fuori… perché se continua così, sarò costretta a radiarlo dall’albo dei ninja di Konoha. Senza di lui non posso far muovere la sua squadra con nessun altro, e ora che Kurenai è in ferie a causa della gravidanza sono costretta a tenere a riposo anche Shino e Hinata. Non posso perdere due ninja per uno solo. Se non si risolverà entro breve, lo sostituirò ufficial… >>

Kiba, in un qualche modo, sentì che il discorso continuava, ma ormai non era più in grado di rimanere concentrato sulle parole.

Le frasi di sua madre erano quasi riuscite a risvegliare il suo orgoglio assopito, ma tutto ciò era servito solamente per far sì che Tsunade lo pugnalasse con sentenze affilate come la lama di un kunai.

Trattenne il fiato e, ignorando il dolore che i punti gli procuravano, con un balzo calcolato saltò prima sulla tettoia, poi sull’acero dietro casa sua. Ignorò gli uggiolii di Akamaru, che non lo seguì, e con qualche rapido passo di corsa prese lo slancio da uno steccato e si mise a correre e saltare sui tetti del villaggio.

Correva per sentire dolore, probabilmente, anche se era una contraddizione. Così poteva trovare una scusa alternativa per le lacrime, che premevano frementi agli angoli dei suoi occhi, desiderose di uscire per dar sfogo alla tristezza nata improvvisamente dentro di lui.

Lo punivano perché raccontava la verità, era questo che stavano facendo? Lo punivano perché non riusciva a conformarsi al volere di una psicologa impaziente, la quale non vedeva l’ora di vincere ancora e liberarsi di lui?

Corse con velocità lungo uno dei tetti del quartiere occidentale, prendendo istintivamente lo slancio necessario a saltare su quello successivo senza fare troppo rumore. Poi su quello dopo, e su quello dopo ancora, senza fermarsi.

Finché il dolore divenne troppo acuto per essere ignorato oltremodo. La sua improvvisata dimostrazione atletica doveva aver strappato uno o due punti; sentiva l’odore fastidioso del sangue giusto sotto al suo naso e, a causa proprio di questa combinazione, fu costretto a fermarsi nel primo posto possibile.

Nell’ultimo balzo che il suo corpo gli rendeva disponibile adocchiò una strada poco sotto di lui. Aggrappandosi ad uno stendipanni riuscì a frenare la caduta, ma fu comunque costretto a chinarsi su se stesso in un gemito dolorante una volta con i piedi per terra, portandosi la mano sinistra a tenersi la ferita.

Poteva sentire il calore di alcune gocce di sangue sotto le dita, attraverso la stoffa della maglietta a mezze maniche, e di conseguenza il bruciore classico provocato dal contatto della pelle viva con la stoffa.

<< nh… >> gemette di nuovo quando cercò d’alzarsi, vedendosi costretto ad aspettare almeno che il sangue di fermasse.

Se non sbagliava troppo i calcoli, e quello che vedeva in lontananza era veramente il confine del vecchio quartiere Uchiha, non doveva essere tanto lontano da casa di Naruto. Magari avrebbe potuto chiedere ospitalità a lui, per una notte, sempre che non fosse partito per una qualche missione. Ultimamente non sapeva nulla sugli spostamenti delle altre squadre.

Un rumore di passi riuscì però a distrarlo… o meglio, ad attirare la sua attenzione, dato che stava all’erta quasi per abitudine, ormai. Quando la persona in questione si fermò di fronte a lui, e Kiba poté alzare gli occhi, non si sforzò di trattenere un’espressione a metà fra lo sorpreso e il rassegnato.

<< Allora è una condanna! >> borbottò incredulo, riabbassando subito gli occhi ad una ulteriore fitta al costato.

<< Considerando la situazione, direi più una fortuna >> ribatté Shikamaru, non mostrandosi particolarmente risentito per le parole rivoltegli.

Il moro lo osservò per qualche istante, le mani in tasca, per poi chinarsi sulle gambe in modo da poter guardare Kiba negli occhi senza che l’altro si facesse venire il torcicollo. Allungò poi le mani in direzione del lembo della felpa, con l’intenzione evidente di alzarla.

<< Che fai?! >> sbottò subito il castano, muovendo le braccia per scansarlo ma pentendosi subito della mossa quando causò lo strattone doloroso di un punto sulla sua pelle. << Ah! >> gemette, abbastanza forte, affrettandosi a ritornare in posizione.

<< Fammi dare un’occhiata >> disse Shikamaru, sfoggiando un’espressione da apoteosi della calma.

Tragicamente, Kiba fu costretto a lasciarlo fare. Il contatto delle mani del moro sulla sua pelle non lo infastidiva affatto… ed era proprio per questo che non voleva che lo toccasse. Ma non poteva tirarsi indietro, ora come ora, dato che da solo (ammetterlo era peggio che ardere vivi su una pira!) non sapeva nemmeno come curarsi.

Nara fu inaspettatamente professionale. Si limitò ad osservare il taglio, i relativi punti e lo stato della cicatrizzazione, toccando solamente la pelle intorno e senza infierire ulteriormente in quanto dolore. << Si sono strappati due punti >> decretò poi << nulla di grave, è solo l’infiammazione che lo fa bruciare in modo esagerato >> concluse, rialzandosi e tendendogli la mano.

Mano che il castano osservò titubante. << Ce la faccio da solo >> borbottò scorbutico, alzandosi con relativa difficoltà ed attenzione, di modo da non farsi troppo male.

Shikamaru fece spallucce, ritirando la mano. << Andiamo >> aggiunse poi, rimettendosi le mani in tasca e incamminandosi verso sud.

<< “Andiamo” dove? >> domandò Kiba con un sopracciglio alzato.

<< A casa mia >> rispose voltandosi: << quel casino è da disinfettare >> aggiunse poi, indicando con un cenno del volto lo stomaco del castano.

A casa sua?! Sì, certamente, era già là! Già cercava di distanziarlo quando lo beccava per strada, figuriamoci se era ospite in casa sua! Lui si stava sforzando come un maledetto per non averlo intorno, per non pensare all’altro Shikamaru o ai paragoni che venivano inevitabili, ma sembrava che Nara (o il destino) si divertisse a piombargli addosso nei momenti in cui era meno preparato. E nel contempo non ci faceva nemmeno una bella figura, se per difendersi era costretto a fare lo scontroso con un suo vecchio amico a cui, tra l’altro, teneva ancora.

<< Sto bene! >> rispose cocciuto: << non ho bisogno di- >>

<< O ci vieni sulle tue gambe o ti ci trascino, Kiba >> lo interruppe il moro, perentorio.

Non ebbe possibilità di ribattere. Qualcosa, nello sguardo di Shikamaru, gli disse che non era il caso di stare a discutere troppo.

Sospirando seccato, lo seguì.

 

 

Ricordava benissimo dove abitava Shikamaru.

Nonostante il nome del suo clan fosse annoverabile fra quelli più in vista della Terra del Fuoco, e possedessero altresì una consistente parte della foresta che circondava Konoha, lui e i suoi genitori vivevano in una casa di media grandezza circondata dagli alberi.

Era fuori dal villaggio, appena inoltrata nella foresta, immersa nella natura e allo stesso tempo collegata direttamente con il villaggio. Di fatti, dalla finestra della camera di Shikamaru, fra le fronde degli alberi si potevano benissimo vedere i tetti delle case più esterne del villaggio.

In poche parole era la periferia, della periferia, della periferia. I volti di pietra degli Hokage avevano quasi la stessa dimensione di una moneta, da quella distanza.

<< Di sicuro è un posto tranquillo >> disse fra sé e sé, osservando quel piccolo scorcio di cielo che le foglie lasciavano osservare agli abitanti della casa. Notte serena e piena di stelle. Se non avesse avuto tutti quei problemi, sarebbe stata una serata stupenda da spendere in giro a far danni con Akamaru e Naruto.

Il rumore della serratura che scatta lo fece voltare, ormai con relativa tranquillità, finchè la figura di Shikamaru non entrò nel suo campo visivo. Nonostante la stanza fosse fiocamente illuminata dalla luce esterna e solo da quella, poteva benissimo leggere il nome del disinfettante che il moro portava in mano e sentirne l’odore disgustoso anche attraverso la plastica.

Storse il naso, movimento che Nara non si lasciò sfuggire.

<< Ancora allergico ai disinfettanti? >> chiese con un mezzo sorriso, poggiando la bottiglietta incriminata e la rimanente attrezzatura sul mobile accanto al letto.

<< Già… >> fu la laconica risposta. Non parlava troppo per non tradirsi, ma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso qualsiasi movimento facesse. Era uguale, compresi movimenti ed espressioni, allo Shikamaru dell’accademia.

Stessi occhi, stessi atteggiamenti, stessi sorrisi, stesso tono di voce.

Chissà, magari… stesse labbra?

Sospirò, dandosi dello scemo e scostando lo sguardo da lui. Certo che poteva evitare di farsi del male in quel modo, no?

<< Ok, direi che ho tutto l’occorrente >> decretò il moro, tirandosi le maniche della maglia oltre i gomiti: << solleva la maglia e stenditi >> disse poi, indicando l’unico letto presente con il volto.

Kiba, contrariamente a quello che avrebbe voluto fare, tacque. Non era il caso di continuare la farsa dell’improvviso asociale… oltre che somigliare a Sasuke “I Miei Sorrisi sono una delle Specie Protette” Uchiha si rendeva conto di stare creandosi una pessima reputazione. Cioè, nel caso esistesse ancora una sua reputazione da peggiorare, ovviamente.

Seguì in silenzio le istruzioni, buttandosi a pancia in alto sul letto e sollevando la maglia con entrambe le mani. Appena il materasso ebbe finito di sobbalzare, Shikamaru vi si sedette stringendo con la destra un batuffolo di cotone idrofilo imbevuto di disinfettante. Contrasse i muscoli quando, toccando con esso la sua pelle, le parti ferite cominciarono a bruciare, ma trattenne l’imprecazione sorta spontanea mordendosi il labbro inferiore e trattenendo il respiro.

<< Scusa, brucia un po’ >> si scusò prontamente Shikamaru, continuando però il lavoro di disinfezione.

<< Nh… me ne sono accorto! >> ribatté Kiba spontaneamente, rilassandosi solamente quando si abituò al costante bruciare provocato dal batuffolo.

Nel seguente silenzio, fu lo stesso Inuzuka a non riuscire a trattenere la voce. << Tua madre è gentile come sempre >> esordì, fissando per l’ennesima volta il manto notturno all’esterno della finestra: << penso sia la prima persona che non mi abbia fissato con tanto d’occhi da due settimane a questa parte >> aggiunse, stirando appena le labbra in un sottile quanto invisibile sorriso.

Shikamaru si fermò per un istante, alzando gli occhi scuri su di lui per osservarlo. << Lo è solo con gli ospiti. Con noi è una iena >> fu la risposta, data mentre si tendeva per afferrare forbicine e pinzette cavaciglia.

Kiba ridacchiò appena, rilassato. Doveva ammettere che una tranquillità così, da quanto era “tornato”, non l’aveva mai avuta.

<< Non ridere, sono armato >> lo riprese bonariamente, esitando con le forbicine impugnate allo sobbalzare del torace del castano, dovuto alla risata.

<< Ah, scusa >> borbottò quello in risposta, sospirando per rimanere serio.

Avvicinandosi con il volto per poter vedere il punto giusto da tagliare, fu Shikamaru a parlare questa volta: << come mai questo cambiamento improvviso? >> chiese, evitando di guardarlo con la scusa della concentrazione sulla ferita.

Nemmeno Kiba girò lo sguardo, nonostante la domanda lo avesse colto alla sprovvista. << In che senso? >> chiese, facendo il finto tonto nonostante immaginasse che, con Shikamaru, una scusa del genere non funzionasse.

A ragione: Nara non solo non cascò nella trappola, ma si fermò venti metri prima. << Non giocare a fare l’asino, è da quando sei uscito dall’ospedale che non ti si può parlare >> disse deciso, riuscendo delicatamente a prendere con le pinzette il punto mezzo strappato e a sollevarlo abbastanza da farci passare sotto la lama delle forbici. Tagliò con un colpo secco, sfilando al contempo il punto dalla pelle di Kiba non senza un piccolo sobbalzo dell’interessato.

<< Ahi! >> si lamentò il castano, osservandolo posare forbici e pinzette per prendere ago e filo: << cos’è, ti improvvisi ninja medico? >> domandò a bruciapelo, inquietato da quell’ennesima abilità di Shikamaru.

<< Non cambiare discorso >> fu però la risposta disinteressata e al contempo pressante del compagno.

Kiba sbuffò, chiudendo gli occhi. Perché non riusciva a stare zitto, o a fingere, in sua presenza? Era la stessa, identica, stramaledetta sensazione che provava a cospetto dello Shikamaru dell’accademia. Del suo Shikamaru; anche a lui non riusciva a mentire o a nascondere le cose.

<< Non mi credete, no? >> fu dunque la risposta, pronunciata voce debole e segnata da una sorta di rassegnazione.

Nara gli lanciò un’occhiata, senza però riuscire ad incontrare i suoi occhi. << Chi non ti crede? >> chiese dunque, sottolineando con la voce il “chi”.

<< Voi >> chiarì il castano. << Tutti voi. Perciò non trovo motivo di sorridere come uno scemo o di scherzare come prima. Vedo come mi guardano tutti quelli del villaggio, non sono stupido, e nemmeno così disperato da far finta di niente come fa Naruto >> aggiunse, in una sorta di sfogo pacato.

<< Naruto non è disperato, se ne infischia e basta >> disse il moro, disinfettando la punta dell’ago e posizionandosi per rimpiazzare il punto appena tolto con uno nuovo: << cosa che dovresti fare anche tu se credi davvero in quello che dici, e smettere di fare l’eremita scontroso >> aggiunse sbrigativo, infilando l’ago nella pelle a tradimento.

<< Come ti perm- AHIA! >> si lamentò improvvisamente, stroncando la frase a metà: << bastardo, potevi almeno avvertirmi! >> sbottò alzandosi sui gomiti.

<< A che pro? Avrebbe fatto solo più male >> osservò il moro, strappando con i denti il filo e annodandolo abbastanza stretto per far sì che la ferita non potesse riaprirsi. << E se stavi per dire “come ti permetti” ti do un consiglio: stai a sentire le persone fino alla fine, prima di sbraitare >> sentenziò, posando l’ago e cominciando a scartare qualche cerotto.

Kiba storse il naso, assottigliando al contempo gli occhi in una smorfia seccata. << Sentiamo allora >> decretò subito, ben posizionato sui gomiti e con gli occhi fissi su di lui. Lo avrebbe ascoltato per l’equivalente di cinque secondi, poi un calcio ben assestato non glielo levava nessuno.

Rispondendo per un istante al suo sguardo, Shikamaru iniziò: << quando Tsunade-sama ci ha convocati per comunicarci le tue condizioni, le voci avevano già cominciato a girare. Sapevamo ormai tutti a che livelli era arrivato lo scetticismo del villaggio e, al contempo, sapevamo già a grandi linee la versione che sostenevi >> disse, posizionando il primo cerotto sulla parte lesa della ferita. << Tsunade non ti credeva, e così anche altri ninja, tra cui Neji e Ten Ten. Lee non prendeva posizione e Ino e Sakura non sapevano cosa pensare, ma erano d’accordo con Tsunade sul fatto che la tua storia fosse improbabile >> continuò, attaccando il secondo cerotto accanto al primo e il terzo subito a fianco.

Alzò poi lo sguardo, fissandolo seriamente. << Kiba, devi ammettere che la tua versione dei fatti, oltre a non combaciare con le altre riportate, è poco credibile >> disse, per poi aggiungere: << nessuno ci crede >>.

Kiba fu sicuro di sentire il suo cuore mandare un battito a vuoto. Deglutì faticosamente, aggrottando le sopracciglia in uno sguardo da orgoglio frantumato.

<< Che cazzo ti ascolto a fare, se mi ripeti con altre parole quello che ho appena detto io? >> sputò rabbioso, mettendosi seduto con la ferma intenzione di andarsene.

Ma fu bloccato, con il semplice gesto del moro di mettergli la mano sulla bocca.

Shikamaru lo guardò dritto negli occhi, continuando imperterrito il suo discorso: << quando la Godaime ci ha parlato del tuo possibile licenziamento, Naruto l’ha zittita. Ha urlato come un forsennato che tu non dici bugie, che ti conosceva e che si fidava di te. Chouji l’ha spalleggiato e Shino ha aggiunto del suo, dicendo che preferiva di gran lunga credere nel suo compagno di squadra che in una psicologa mai vista prima >> sorrise nel racconto, osservando pian piano l’espressione di Kiba farsi sempre più sorpresa. Abbassando la mano che teneva premuta sulle sue labbra, riprese: << Hinata ha balbettato qualcosa di simile a quello detto da Naruto, solo un tantino più educatamente. Kurenai-san ha ribadito che, per la sua esperienza avuta con il team, se sostieni le tue teorie con tanta insistenza c’è sicuramente un motivo serio e Asuma-sensei le ha dato ragione. Metà dei jounin che ha rapporti con il tuo clan ti sostiene… e io sono d’accordo con loro. Ti risparmio l’uscita di Gai-san e Lee sui problemi dell’odierna gioventù >> terminò, osservandolo con un mezzo sorriso.

<< Ma… >> esitò Kiba, confuso e al contempo sollevato da quelle affermazioni: << ma se hai appena detto che non credi in quello che dico!? >> sbottò sorpreso, evidenziando il controsenso.

<< Sì, è vero. Non riesco a credere nella storia che racconti >> disse l’altro: << ma credo in te. Ci conosciamo da quando eravamo bambini, Kiba, e sono sicuro che c’è un motivo se continui a sostenere le tue parole. Non lo faresti se non ci fosse sotto qualcosa di serio >> asserì pacatamente, sicuro di quello che diceva come se parlasse di se stesso.

Kiba rimase letteralmente senza parole.

Non sapeva cosa dire di tutto quello che gli aveva detto, come non sapeva se credergli o meno.

Ma Shikamaru non gli aveva mai mentito. E per tutto ciò che li legava, fosse amicizia o amore, fosse una dimensione o l’altra… si era sempre fidato di lui.

Sempre. Addirittura senza rendersene conto.

Per la prima volta in due settimane non si sentiva… solo.

<< Eh… >> esclamò sorridendo come uno scemo, portandosi al contempo la mano destra agli occhi: << fa quasi piacere sentirselo dire >> bofonchiò, sorridendo come un ebete.

Era una liberazione, sentire quelle parole.

<< Che fai ora? Piangi? >> ironizzò il moro, facendo il suo classico sorrisetto sbieco.

<< Macché, è il taglio che brucia >> si coprì subito il castano, alzando gli occhi su quel sorriso proibito che aveva imparato ad adorare e che ancora, anche se fatto da una persona diversa (ma diversa quanto, alla fin fine?) da quella che glielo aveva rivolto per la prima volta.

Non riuscì più a zittire, in quel modo, il bisogno pressante che lo opprimeva.

<< Chiudi gli occhi >> disse, sfoggiando un sorriso dolce e al contempo beffardo.

Shikamaru inarcò un sopracciglio, stranito dalla richiesta. << Cosa devi fare? >> chiese, un sorriso agitato malamente mascherato.

<< Non hai appena finito di dire che ti fidi di me? >> ribatté furbo l’Inuzuka, allargando quello stesso sorriso. << Tranquillo, non ti molesterò >> ironizzò divertito.

<< Non è di questo che mi preoccupo… >> fu il sussurro del moro, che però Kiba ignorò nel momento stesso in cui Shikamaru seguì il volere del castano e chiuse gli occhi.

Si avvicinò lentamente, socchiudendo gli occhi in un’espressione quasi malinconica ora che il moro non poteva vederlo.

Se escludeva il luogo, il contesto, i problemi… le inibizioni che si era posto apparivano come semplici ostacoli fatti di nebbia e rugiada.

Deboli.

Se si lasciava andare, se annullava le distanze come le differenze, rimaneva solamente l’anima di Kiba Inuzuka e quella di Shikamaru Nara, vicine ed inseparabili, nell’amicizia come nel tempo.

Un bacio. Solo un bacio.

Sbagliato quanto proibito. Ma non poteva impedirsi di avvicinarsi ancora, di accorciare la distanza fra le loro labbra, ancora e ancora, quasi casualmente ma in realtà volutamente.

Però si fermò.

A poca distanza, pochissima, dal bacio che aveva bramato da quando era ritornato “se stesso”. A qualche centimetro dai suoi sentimenti e dalla replica degli stessi.

Il suo bisogno di Nara era insano. Era una goccia in più nel bicchiere già colmo della sua pazzia.

Ma non era giusto. Perché lui non era quel Shikamaru.

E non poteva… rovinare in un soffio un’amicizia così bella.

Non poteva.

Si morse il labbro silenziosamente, scansando le labbra del moro e appoggiando la fronte sulla sua spalla.

Il cuore batteva veloce, ogni respiro faceva male, ma la ragione gli diceva insistentemente che era meglio così.

Quant’era difficile, far prevalere il cervello e sotterrare l’istinto...

<< Avevi bisogno di farmi chiudere gli occhi per appoggiare la fronte sulla mia spalla? >> chiese quasi divertito Shikamaru, riaprendo gli occhi.

<< Ti saresti spostato >> fu la scusa del castano, che approfittò biecamente del fatto che poteva nascondere il viso agli occhi dell’altro per mentire senza sforzo. Si sentì appoggiare la mano sulla testa e, quasi in risposta, chiuse gli occhi.

<< Smetti di trarre conclusioni affrettate >> fu la replica.

Gli attimi di silenzio che seguirono furono interrotti solamente da un bussare secco alla porta, che portò i due a separarsi.

Qualche istante dopo, il volto di Shikaku Nara, padrone di casa, comparve dalla porta. L’espressione grave del volto non presagiva niente di buono.

<< Ragazzi, è meglio se venite a dare un’occhiata >> pronunciò con voce profonda, lasciando la porta aperta e incamminandosi lungo il corridoio in direzione dell’ingresso di casa.

Si guardarono per un istante. Ma bastò quel semplice sguardo per farli alzare dal letto e seguire Shikaku, in piedi sulla porta di casa insieme alla moglie.

<< Che succede? >> chiese Shikamaru, affiancandosi ai genitori insieme a Kiba.

Lo spettacolo che si mostrò ai loro occhi lasciò sbalorditi i due ragazzi, ultimi spettatori di quel fenomeno particolare quanto inquietante.

Dal cielo completamente sgombro da nubi, in un clima estivo tipico di inizio luglio, scendevano ondeggiando quelli che avevano tutta l’aria di essere fiocchi di neve.

<< Non può essere neve… >> disse la donna con un moto di stupore.

<< Non lo è >> le rispose Shikamaru, ritirando la mano dopo aver preso uno dei fiocchi.

Non era bagnata, non era fredda e, soprattutto, non era bianca.

No, non era neve…

… era cenere.

 

 

Chapter No.14 ~ End.

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Capitolo 16
*** Cenere alla Cenere ***


Scusatemi

Scusatemi. Scusatemi davvero.

Questo capitolo è in un ritardo assurdo, sì, me ne rendo conto.

E non ho intenzione di tirare fuori assurde scuse se non la verità: …non avevo più ispirazione *si angolizza e fa cerchietti*.

Fortunatamente, anche se a pezzo piccoli, ogni tanto scrivevo. Dunque, ecco qui il capitolo 15, dopo qualche mese di fermo.

 

Per lo stesso motivo di qualche capitolo fa, per questa volta non scriverò ringraziamenti ad personam; è passato un sacco di tempo e, come minimo, sia io che gli interessati non ricorderemmo nemmeno cosa abbiamo scritto/vogliamo scrivere XD

Perciò, solo per questa volta, un rigraziamento veloce ma non meno significativo va a Slice (che, cascasse il mondo, me la commenta sempre. E io non saprei davvero in che altro modo ringraziare questa persona, sul serio ç____ç mi dice tante belle cose sulla mia fantasia e sulla scrittura, e io ne sono sempre commossa T___T), Rosa_elefante (la sua richiesta di aggiornare presto… emh… lasciamo stare. Anche lei, come Slice, mi dice sempre tante belle cose T.T grazie davvero), CloudRibbon (donna, tu sai che senza i tuoi commenti-papiro ormai non vivo XD e sai anche che mi ci vorrebbe una pagina intera per risponderti, dunque mi devo astenere dal farlo per forza di cose XD) e Hiko_chan (anche lei sempre lì con la recensione. E sempre piena di complimenti. E sempre con le sue elucubrazioni quasi giuste! XD Grazie mille anche e te, Hiko, per tutte le recensioni puntuali che lasci! :*).

Concludo con il ringraziare anche Mika, Rei e Reki che so che leggono X°D

 

Ok, piccola considerazione ora. Ormai non so se includere il comportamento di Kiba in un momentaneo OOC, ma purtroppo è voluto dalla trama.

In questo capitolo aleggia un’atmosfera decisamente malinconica e pesante, confusa come la mente di Kiba che, purtroppo, ha attaccato la confusione anche a me @___@. Non esagero dicendo che, dal punto di vista di farli rimanere almeno pseudo-IC, questo sia il capitolo più difficile che abbia scritto.

Spero non sia venuto troppo male.

 

Per ultimo, sappiate che sto scrivendo uno Special decisamente demenziale. Un po’ di pubblicità occulta non ha mai fatto male a nessuno >.>

Dovrei postarlo per l’8 giugno, se riesco a scriverlo tutto; anche se è probabile che non lo inserirò qui come capitolo, ma lo metterò a parte come fanfic.

E dopo ciò, vi lascio la lettura, perché è veramente tutto. Al prossimo capitolo (il penultimo!).

 

 

 

Chapter 15 ~ Twelveth Echo

Cenere alla Cenere

 

 

C’era un fiume, davanti a lui.

Largo, nero, istintivamente pericoloso. Si infrangeva su rive invisibili con uno scrosciare fastidioso, unico rumore che si poteva udire in quella sottospecie di spazio vuoto, in penombra, in cui si trovava.

Non faceva nulla di particolare, guardava solamente. In avanti, rimanendo immobile con le braccia lungo i fianchi, senza sapere nemmeno perché lo stesse facendo, o quando mai avesse deciso di farlo.

Non riusciva a distogliere lo sguardo dalla riva opposta.

C’era qualcosa, dall’altra parte. Nella penombra riusciva a vedere solamente dei contorni molto sfocati, quasi da non capire nemmeno che cosa rappresentassero; ma c’era in assoluto qualcosa, al di là di quel fiume.

Sembravano… campanili.

Tetti a punta, pertugi dalla forma semi arrotondata, punte squadrate scavate direttamente nella pietra e lati spioventi in tegole simmetriche.

Dove li aveva già visti?

D’improvviso, un suono di campane riempì il silenzio, sormontando il rumore di fondo dell’acqua in movimento. Ridondanti, quei rintocchi volteggiavano nell’aria come se avessero avuto corpo, scandendo un tempo che non sapeva nemmeno quale fosse di preciso.

Giorno? Notte? In quel luogo non si capiva, non si vedeva né sole né luna.

Poi, una figura. Un ragazzo.

Dall’altra parte del fiume. Portava una divisa scolastica sporca e malridotta, i capelli scompigliati, le mani coperte di sangue.

Nella destra, stringeva mollemente l’elsa doro di una spada dalla lama di cristallo, macchiata di rosso per tutta la sua lunghezza e che gocciolava a terra, silenziosamente.

Non poteva vederne il volto, no. Però, sapeva che stava piangendo.

Se le immaginava quasi, le afone e posate lacrime di tristezza, rigare quel volto.

Prese fiato per parlare, ma non ci riuscì. Per qualche ragione la voce non voleva saperne di collaborare.

C’era Shikamaru, dall’altra parte di quel fiume… e lui non riusciva a chiamarlo.

Chiuse le labbra, prendendo fiato ancora una volta e bloccandosi, ancora una volta.

Eppure doveva riuscirci! Doveva provare!

Era importante! Era… vitale.

Doveva andare da lui a qualunque costo. A qualunque costo.

Stava piangendo. E anche se non riusciva ad inquadrare il motivo, sapeva che era colpa sua.

Allungò la mano, fece un passo in avanti…

…ma il fiume oscuro non era del parere di lasciargli fare quello che voleva.

Con un improvviso tumulto le acque si sollevarono, parandosi fra lui e il ragazzo dall’altra parte del fiume e avanzando minacciosamente verso di lui, che si ritrovò a fare due passi indietro, improvvisamente terrorizzato.

Non poteva scappare, però. Non senza sapere dove muoversi.

L’acqua salì, arrivando a bagnargli le caviglie, e lui non poté far altro che sussultare dalla sorpresa: era gelida, così tanto da fargli perdere sensibilità ai piedi, ed era viscida, come la pelle di un serpente.

Lo bloccava lì, non poteva più muoversi.

<< ti… trato >> sentì balbettare in mezzo al tumultuoso fiume nero, ormai elevatosi in un muro oscuro davanti a lui. Sussurrava qualcosa che non capiva, intervallando le parole con una risata a metà fra l’esasperato e il sadicamente divertito.

<< Ti… trovto >> ripeté, ma lui di nuovo non capì.

Era troppo occupato a tenere d’occhio l’acqua che, dividendosi in quelli che sembravano due enormi tentacoli bui, si dirigevano lentamente verso il suo volto.

Il suo istinto gli gridava di fuggire, ma i muscoli non collaboravano. Inoltre era bloccato, dunque non poteva fare nulla, nessun movimento gli era concesso con le gambe; e le braccia non servivano a nulla con l’acqua, per definizione senza una massa solida da respingere.

In un scatto, quei tentacoli lo afferrarono per il collo. Cominciarono a stringere, a stritolargli la gola sempre di più, finché non terminò l’ossigeno e non poté più prenderne altro. Finché non poté più respirare, cominciando ad annaspare, cercando inutilmente di afferrare quei tentacoli stretti alla sua gola, prendendo fra le dita solo acqua che subito scivolava via e tornava a soffocarlo.

Socchiuse gli occhi, ormai senz’aria. In quel momento, fra le risa estasiate di quella massa informe di liquido scuro, un volto prese forma.

Pallido e bianco, occhi gialli dalla pupilla allungata, bocca sfigurata nella pazzia, lunghi capelli neri che si perdevano nella massa altrettanto oscura di quel muro acquatico.

Orochimaru.

<< Ti ho trovato >> sibilò serpentino, aumentando la stretta. Stava per lasciarsi andare, impotente, sconfitto.

Finché due mani candide non lo smossero da quella presa soffocante, afferrandolo per le spalle e strattonandolo via da quelle grinfie, portandolo in salvo…

Chiamandolo, proprio con quella voce a cui tanto era affezionato e che tanto, troppo, aveva sperato di risentire.

Chiamava e chiamava, preoccupata forse, agitata, continuava a chiamare…

 

 

Riaprì gli occhi di scatto, con un gemito, quasi come se fare quel semplice movimento fosse stata la cosa più difficoltosa del mondo.

Un soffitto. Questa la prima cosa che si ritrovò davanti agli occhi, forzati nel riconoscere, fra la nebbia di alcune lacrime, la tonalità bianca dei muri della propria camera. Il colore puro era sporcato di un grigio spento, probabilmente a causa della fioca luce che penetrava dalle fessure della tapparella, inframmezzato da linee parallele più chiare dove la luce era più forte.

Quando l’aria divenne una priorità, si rese conto di non stare nemmeno respirando; aveva la bocca spalancata, gli occhi sgranati di qualcuno preda di un puro terrore ma tramite le labbra, così come tramite il naso, l’aria non passava.

Fu quando la prima boccata di ossigeno riprese a scavare il suo spazio giù per la trachea che, con un dolore penetrante, la gola sembrò bruciare. Tossì furiosamente, girandosi su un fianco e chiudendosi su se stesso. Serrò gli occhi nello sforzo, sentendo le corde vocali andare a fuoco e, al contempo, un brivido gelido corrergli lungo la schiena. Nel tossire, la ferita al fianco mandò una fitta dolorosa, che però si chetò quasi subito sormontata da un fastidio maggiore.

Quando ebbe ritrovato il controllo su se stesso e sul suo respiro – e si potrebbe dire anche sul cuore, che batteva come impazzito – si rimise supino e richiuse gli occhi, esausto.

Si sentiva uno straccio. Gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte e il collo, lasciando scie umide lungo le tempie e provvedendo a bagnare il collo della maglietta bianca usata biecamente come pigiama. Il battito del cuore, ancora accelerato, faceva contrarre appena i tendini delle dita e rimbombava prepotente nelle orecchie, quasi come per dimostrargli la sua effettiva agitazione. Il collo faceva male al tocco e, anche se non sapeva perché, gli occhi faticavano ancora a mettere a fuoco la camera e tutti gli oggetti che in essa erano contenuti.

Facendo un respiro profondo – ma doloroso – ascoltò i suoni della casa.

A giudicare dal lucore sbiadito non erano ancora le sei, ma alcuni rumori ovattati parvero pervenire dal piano di sotto. Probabilmente sua madre che trafficava con le pentole per la colazione, a giudicare dallo sferragliare poco abilmente attutito dalla donna.

Richiudendo gli occhi si concentrò su quello che era il suo senso più sviluppato: l’olfatto. E, non appena inspirò, un pungente odore di bruciato gli invase le narici, facendogli storcere il naso in un’espressione fiacca ma schifata.

Quella maledetta cenere, che da quasi due giorni non faceva altro che scendere, portava con sé quel fastidiosissimo sentore di bruciatura che lo faceva letteralmente impazzire. Se lo sentiva ovunque: addosso, nei vestiti, sui capelli… e non era al riparo da nessuna parte, dato che si accumulava in ogni anfratto come se fosse neve, solo un poco più sottile e leggera. E grigia, ovviamente.

Il verdeggiante Konohagakure si era rapidamente ridotto ad un universo sfumato in tonalità di grigio.

Ormai del tutto rientrato in sé cercò di sollevarsi, girandosi a pancia in basso e puntando le mani sul materasso. Rimase sgradevolmente sorpreso dal giramento di testa che gli impedì ogni altro movimento, costringendolo ad aspettare, in quella posizione alquanto scomoda, che il sangue portasse abbastanza ossigeno in giro per il suo corpo, e che dunque la sua testa smettesse di ballare in can-can non appena provava a mettersi diritto.

Era distrutto, e questa cosa era tutt’altro che normale.

Insomma, la gente perché dorme? Per riposarsi, no?

Come faceva lui ad andare a letto stanco e a svegliarsi, il giorno dopo, ancora più stanco di quando si era coricato?

Supponeva che nemmeno i sonnambuli, che avevano la scusa di camminare tutta notte, si svegliassero sfibrati quanto lui.

Quando finalmente la sua testa smise di fare girotondo poté sollevare lo sguardo, posandolo sul paesaggio all’esterno della finestra. Da quella posizione poteva vedere solamente le cime di alcuni alberi, un tetto e qualche comignolo, ma i cumuli grigi sopra ognuno di essi gli fecero presumere che altra cenere si fosse fastidiosamente accumulata sul villaggio, costringendo ormai le persone a doversi scavare la strada attraverso di essa.

Di certo non esistevano spazzaneve – o facenti funzione – in un villaggio in cui nevicava una volta all’anno per gentile concessione di una qualche corrente fredda molto persistente.

Si sedette a gambe incrociate sul materasso, toccandosi con la mano destra il collo. Dovette fare piano però, perché faceva un male sordo, al tocco.

Ci mancava anche quella. La sua mattina sfigata doveva essere segnata da qualche mistero, altrimenti il risveglio sarebbe stato troppo monotono.

Perché si sentiva come il protagonista tormentato dai guai di una specie di narrazione no-profit in cui doveva per forza provare le pene dell’inferno senza un motivo valido?

Sospirò per l’ennesima volta, rumorosamente, mettendosi in piedi un po’ barcollante. Subito sembrò che il pavimento oscillasse come il ponte di una nave, ma smise quasi subito, dunque lui poté dirigersi a passo stanco verso il bagno.

In corridoio, l’odore particolare del pesce gli stuzzicò piacevolmente le narici. (*1) Sua madre aveva la fantasia di una ciabatta per la colazione, preparava sempre le stesse cose… e non è che sua sorella fosse un genio dei fornelli, dunque si lamentava per la monotonia ma lasciava fare alla donna più che volentieri.

Ignorando i sentori del riso nel bollitore continuò il percorso, arrivando al bagno ed entrando senza nemmeno chiudere la porta.

I movimenti erano abituali, quasi sempre gli stessi tutti i giorni, dunque voltare lo sguardo verso lo specchio sulla sua destra fu del tutto istintivo… ma ciò che vi vide riflesso lo fece balzare all’indietro, facendo sì che la sua schiena sbattesse malamente contro il mobiletto alle sue spalle, rovesciando quasi tutti i flaconi di sapone, balsamo e shampoo.

<< Cos’è questo casino, Kiba?! >> urlò sua sorella dal piano di sotto, mostrando di avere, come al solito, un udito fine (oppure, al contrario, dimostrandogli che aveva fatto una confusione infernale).

Ma lui, nonostante il tono di Hana non fosse da mettere in discussione, non rispose. I suoi occhi rimanevano puntati sul suo riflesso, che suo doveva essere per forza, anche se di primo acchito non lo sembrava.

Pallido. Occhiaie pronunciate sotto gli occhi, espressione che più che sbalordita sembrava incredula… ma quello che lo turbava maggiormente non erano i logici segni di una nottataccia passata alla mercé di un sogno senza capo né coda.

Più che altro, era la linea livida che gli cingeva la gola come un collare, a spaventarlo. E no, non era solo colore, magari lasciato dalle lenzuola o da un qualsiasi capo d’abbigliamento viola che non aveva; era letteralmente un livido e lui, se la memoria non lo ingannava – cosa che quasi sperava – ricordava benissimo il tentato strangolamento subito nel sogno. Poteva essere una coincidenza, il fatto che i tentacoli lo avevano afferrato esattamente nella stessa posizione?

No. Aveva smesso di credere alle coincidenze. E la possibilità che avesse potuto farselo da solo non era minimamente credibile; non si ricordava di essersi mai dato ai tentati suicidi, durante le ore di sonno.

L’unica spiegazione possibile, era quella che incolpava Orochimaru di quello sgradevolissimo girocollo violaceo.

Il bello era il controsenso che si creava quando, alla considerazione di essere stato quasi strangolato da un sogno, l’unica frase che gli uscì dalla bocca fu un serafico: << Kiba, sei pazzo >>.

E poco ci mancava che lo diventasse davvero.

 

 

Fece del suo meglio per nascondere il livido alla gola, ma nessuna delle sue maglie aveva un collo abbastanza alto.

Colpa sua. Non sopportava di avere attorno al collo qualsiasi cosa, compreso un sottile strato di stoffa innocuo per i più.

Ma non poteva farci nulla, dopotutto. Se non voleva essere creduto un potenziale suicida, vittima di maltrattamenti domestici o abituè di stili sessuali discutibili - e non era proprio in caso - doveva nascondere la sua gola color uva.

Così, per la prima volta da quando gliela avevano consegnata al conseguimento del grado di chunin, si trovò ad utilizzare la maglia che la divisa ufficiale degli shinobi di Konoha prevedeva.

Nera, fortunatamente. Le divise più recenti avevano abolito quel blu scuro che non sapeva di niente, sostituendolo con il colore più scuro per eccellenza, che sapeva ancora meno del blu.

Già da subito, guardandosi allo specchio, ebbe l’irrefrenabile istinto di strapparsi quel colletto. Tenne a bada gli istinti di distruzione solo per pura auto-commiserazione intellettuale, ciabattando senza energie verso il piano inferiore. Con i pantaloni neri che portava di solito sembrava vestito per un funerale, ma poteva sempre contare sulla spirale rossa che stava cucita sul suo braccio sinistro… spaccava sul nero come un pugno nell’occhio, impossibile non notarla.

Appena terminata la rampa di scale, faticosa quando una scalata della rupe degli hokage fatta con le caviglie legate, sua sorella ebbe l’onore di mostrargli la prima espressione inorridita che, era sicuro, apriva la lunga fila che avrebbe ricevuto durante la giornata.

<< Sembri un morto, ma ti sei visto? >> fu il suo commento scazzato, sintomo di una notte pessima e di un risveglio ancora peggiore.

Fortuna che non dormiva male solo lui.

<< E tu sembri scema, dunque devo dedurne che hai il solito aspetto di sempre >> fu la sua risposta – strascicata, ma facciamo finta di no… - sputata senza nemmeno considerare eventuali reazioni fisiche da parte della sorella.

Cosa che, stranamente, non successe. Hana si divertiva a tormentare il fratello minore, questo era vero, ma anche lei aveva rispetto per le sue condizioni di salute… e quella mattina Kiba non sembrava di certo in forma.

<< Dico sul serio >> disse la ragazza, spostandosi dietro la schiena la lunga coda di capelli castani: << cos’hai, l’influenza? >> chiese, posandogli una mano sulla fronte senza nemmeno chiedere il permesso.

Era Hana Inuzuka, dopotutto. Lei la frase “chiedere il permesso” non aveva la minima idea di che significato avesse.

Tuttavia il ragazzo non si mosse, così come non evitò il tocco. Troppo stanco forse, il suoi riflessi ne risentivano; ma sapeva anche che se la sorella non partiva a molla con una sberla a 180 gradi, tutti gli altri contatti fisici che gli riservava erano innocui.

<< No, ho solo dormito male >> ribatté lui, aspettando che lei gli togliesse la mano calda dalla fronte. << Voi piuttosto, dove andate? >> chiese, entrando in cucina. Sua madre era appena uscita, aveva sentito la porta aprirsi e chiudersi quando ancora era al piano superiore, e considerando che la sorella si stava infilando i sandali, supponeva che presto l’avrebbe seguita.

<< In riunione dalla Godaime >> disse lei, intenta ad allacciarsi bene la fibbia: << nessuno ha la minima idea di dove provenga questa cenere. Abbiamo controllato i dintorni; non c’è nessun incendio nei paraggi e il vento tira dal mare, dunque non è possibile che l’abbia trasportata fin qui da una sua probabile fonte. Inoltre ieri è cambiato, ma questa dannata cenere continua a cadere come neve. Niente nubi, niente fuoco, niente di niente. C’è chi pensa ad una tecnica ninja, ma oltre che dare gatte da pelare a chi è in carica di pulire le strade, non causa altri disturbi di nessun tipo, nemmeno medici… >> disse fluida, interrompendosi solo dopo aver finito di prepararsi.

Si alzò, osservandolo sulla porta della cucina, sistemandosi meglio la giacca. << Muoviti a rimetterti, idiota di un fratello. Non puoi rimanere informato sui movimenti dei ninja tramite quello che racimoli da me o da Nara >> disse, prima di aprire la porta e sparire con un balzo.

<< La chiami una cosa facile… >> sussurrò in risposta quando fu ormai lontana.

Sul tavolo, coperta da un canovaccio, la sua colazione aspettava solo di essere mangiata. Riso in bianco, verdure alla griglia avanzate dalla sera prima e pesce. (vedi *1)

Non era luculliana, ma era pur sempre colazione. E considerando la sua attuale energia, che si aggirava attorno ai livelli di un ultranovantenne con la sciatica, qualche proteina per aprire la giornata non guastava.

 

 

Solamente mezz’ora più tardi era sulla strada per l’ospedale di Konoha, preda della sua visita settimanale alla strizzacervelli con la mania del rifiuto.

Camminando sotto l’ombrello rosso, per ripararsi dall’alone grigiastro che lasciava la cenere sui vestiti e sulla pelle, non poté fare a meno di riflettere.

Poteva evitarsi l’incombenza in eterno, o almeno provarci, ma il pensiero del sogno e dei risultati che esso aveva provocato su di lui erano sempre presenti nella sua mente, come un tarlo che si nasconde ma che non perde tempo per far sentire la sua presenza.

Non poteva ignorarlo in eterno, così come non poteva far finta che non gli importasse solo per soddisfare il collettivo quieto vivere.

Qualcosa non andava, sia al St. Michael che in quella dimensione. Insomma, il sogno… era palese, no? Chiaro come il sole, o il cristallo. Shikamaru, lui… piangeva.

E poi il biglietto, vogliamo parlarne? E quando mai l’inglese era esistito, in quella dimensione? Si parlava una sola lingua in quel mondo, tolti i vari dialetti, e di certo non era inglese.

I suoi ricordi, poi. Le sensazioni, la cicatrice sul fianco, il livido sul collo… non potevano essere coincidenze, causalità, no. Erano troppe e troppo frequenti.

Inoltre, ultimamente stava cominciando a pensare che anche quella cenere dalla provenienza ignota fosse, in realtà, un simbolo. Un segno di qualcosa, magari di una svolta.

Di qualcosa… che avrebbe potuto consentirgli di tornare all’accademia.

Da lui.

Anche solo per poco… qualche istante era sufficiente, purché potesse assicurarsi che fosse vivo, che stesse bene.

Purché avesse potuto dirgli addio.

Perché sì, ormai lo aveva ammesso a se stesso. Sempre che non fosse pazzo, e gli appigli per affibbiargli quella carica c’erano eccome, lui era comunque un ninja, uno shinobi di Konoha.

Lui era diverso. Non era uno studente, un ragazzo patito per videogiochi e computers  non esistevano nemmeno, nel suo mondo fatto di guerre e ninjutsu.

La sua realtà era quella. Era una carica, un coprifronte, un simbolo a cui essere fedeli. Quella foglia intagliata nel metallo era più che una semplice riconoscenza: era lealtà. Prima Iruka e poi Naruto glielo avevano insegnato, facendogli capire che quello che proteggeva tutte le volte che calpestava un campo di battaglia non era l’onore, ma un villaggio composto da vite umane che dell’orgoglio di un singolo ninja non se ne facevano nulla.

Deglutì, fermandosi davanti all’entrata dell’ospedale.

Nonostante sapesse che i suoi pensieri esprimevano una verità incontrovertibile, provava comunque una sensazione di tremenda solitudine e tristezza. La sensazione di voler piangere, di essere stati abbandonati… o peggio, di avere abbandonato.

Ci aveva rinunciato ancora prima che questo pensiero si formulasse chiaramente nella sua mente, penetrandogli nel cuore come una spina.

Alzò appena lo sguardo sulla facciata tranquilla del presidio ospedaliero, facendo un passo indietro e dandogli velocemente le spalle. Di mettere piede lì dentro non aveva assolutamente voglia, ora come ora.

Era confuso. E tutto quel casino in testa era stanco di averlo.

Una parte di lui gli urlava di lasciar stare, di mettersi il cuore in pace. Di riprendere con la vecchia vita, ora che poteva nuovamente stringerla fra le mani, e abbandonare ogni ricordo alla deriva del tempo, dove sarebbe stato cancellato con il trascorrere dei giorni. Un pezzo alla volta, giorno dopo giorno, e avrebbe smesso persino di sognarlo.

L’altra invece, quella che prendeva il nome “istinto”, gli diceva di continuare. Che non era scemo, che c’erano troppi segni per ignorarli, che c’era ancora la possibilità di vederlo, di chiedergli un “stai bene?” a cui lui avrebbe risposto con un sorrisetto strafottente e una frase ad effetto da perfetto sapientone.

Chi ascoltare? Quale delle due seguire?

Ragione o istinto, apparente normalità o follia?

…adattamento o orgoglio?

No. Non avrebbe dato ascolto a nessuna delle due.

Doveva smettere di pensare, almeno un momento. Un solo attimo e poi… poi avrebbe ripreso con calma.

Ma ora aveva solo bisogno di silenzio, di solitudine e di non essere trovato.

E sapeva benissimo dove dirigersi per ottenere questo risultato.

 

 

Sembrava che la biblioteca fosse l’unico posto di tutto il villaggio a non avere la minima idea di come si utilizzasse una scopa.

L’entrata, infatti, era praticamente sommersa da cumuli di cenere, tanto che stava sinceramente pensando che non fosse nemmeno aperta, e che fosse per questa ragione che nessuno aveva provveduto a togliere i cumuli dalla scalinata esterna.

Il fatto strano era che era aperta, effettivamente. Anche se si doveva nuotare nella cenere, la biblioteca era in piena attività; come si stava premurando di comunicargli la bibliotecaria, sbracciandosi dalla porta a vetri.

O almeno, il pezzo che ancora si vedeva, della porta a vetri.

Non appena mise piede all’interno dell’edificio richiuse l’ombrello, non prestando la minima attenzione alle pedate scure che lasciò sullo zerbino all’ingresso. Sorridendo alla bibliotecaria si spolverò con la mano alcuni residui di cenere che gli si erano depositati sopra la spalla, ascoltando solo per metà le gentili lamentele della donna sul fatto che il marito, il fruttivendolo del quartiere adiacente, non avesse tempo per togliere di mezzo tutta quella cenere.

Aspettò che finisse di parlare solo per cortesia, anche se non ascoltava una sola delle sue parole, e quando fu la donna ad allontanarsi con lo stesso sorriso gentile di prima, lui la seguì dopo qualche secondo. Lo anticipava di qualche passo, chiudendogli la visuale della prima zona lettura, ma anche senza vederla completamente poteva capire che era semivuota, e che solo gli assidui frequentanti della biblioteca erano presenti.

Forse era per quello che lui, che in biblioteca ci metteva piede per la seconda volta in vita sua, era un ospite abbastanza insolito.

Senza parlare la superò, dirigendosi svogliatamente verso la bacheca del gioco di ruolo a cui si era iscritto. Non si aspettava di poter trovare risposta al suo biglietto (erano passati solo due giorni e il villaggio era nel caos), ma su di essa un altro pezzo rettangolare di carta prendeva il posto di quello che aveva lasciato lui, e la calligrafia con cui erano vergate le lettere inglesi non era di certo la sua.

Nonostante lo avesse notato, non si mosse.

Rimase in piedi a guardare quel foglietto, fissandolo senza in realtà osservarlo veramente. Teneva gli occhi puntati lì solo per non guardarsi intorno, così da non incontrare per sbaglio nemmeno un paio di quelli delle persone presenti, che come minimo non si curavano nemmeno della sua presenza.

Non pensava a niente, per la verità. Nemmeno a leggere quel biglietto, per scoprire magari cosa contenesse.

Magari risposte. Magari indizi, ancora. Però non aveva il coraggio di leggerlo, nemmeno alla prospettiva di togliersi almeno uno dei dubbi che lo tormentavano.

Ma ad incuriosirlo (o a disturbarlo) ci pensò la stessa bibliotecaria: << sai che la vostra quest sta attirando l’attenzione di un sacco di giocatori? >> chiese retorica, sorridendogli gentile.

Sembrava una persona troppo pura per essere trattata male… come Hinata. Non ci riuscivi a risponderle male, anche se magari ti disturbava o seccava.

<< In che senso? >> chiese dunque, cercando inutilmente di non sembrare così distrutto come invece sapeva perfettamente di essere.

<< Curiosità, credo >> rispose quella, probabilmente lasciando perdere il suo aspetto da straccio usato: << siete la prima coppia che comunica in codice, credo sia un diversivo molto efficace per attirare attenzione e dare un sapore diverso al gioco >> concluse la considerazione, allegra.

Già, forse. Peccato che a lui non interessava il gioco come non aveva mai avuto intenzione di iscriversi per farselo piacere. Si era iscritto solo perché c’era un tizio che parlava inglese in un mondo dove quel linguaggio non esisteva. Si era iscritto perché questo tizio spruzzava St. Michael da tutti i pori, ecco perché stava lì a fissare quella bacheca.

Beh, in ballo lo era comunque…

Sospirando affranto si avvicinò, staccando con un gesto secco il bigliettino dalla tavola di compensato e leggendolo velocemente.

 

When you can see the other side of the Moon.

In the heart of the Leaf, time always end and restart.

 

“Quando puoi vedere l’altro lato della Luna. Nel cuore della Foglia, il tempo sempre finisce e riparte”.

Aggrottò un sopracciglio. Bene… e ora dove o trovava uno che gli spiegava cosa volesse dire?

Era un indovinello? Si stavano divertendo a prenderlo per il culo o, chiunque fosse il finto britannico, rappresentava solo un altro indizio che si sarebbe tramutato molto presto in illusione?

Sospirò, sentendosi ancora più distrutto di quando si era “svegliato”. Il collo e la gola facevano ancora male, la mente era annebbiata dal sonno e dalla stanchezza, gli occhi bruciavano.

Per il momento, più per salvare i suoi pochi neuroni che per altro, decise di evitare ogni ragionamento sconclusionato potesse venirgli alla mente. Si infilò il biglietto in tasca, accartocciandolo alla bene e meglio con la mano, evitando di incontrare lo sguardo della bibliotecaria, che sembrava delusa da quella sua inconscia decisione.

<< Non rispondi subito? >> chiese infatti, guidata più dalla sua curiosità innocente che dal vero dispiacere di non averlo più come giocatore.

Dovette sforzarsi per rispondere cortesemente e, soprattutto, con una parvenza di serenità in volto. La guardò con un sorrisetto veramente tirato, scuotendo negativamente il capo. << Posso farlo anche un’altra volta, giusto? >> chiese, fintamente ingenuo, allargando appena il sorriso all’assenso un po’ deluso della donna.

Annuendo a sua volta, più per riflesso condizionato che per altro, si inoltrò fra gli scaffali, ignorando per la prima volta il sentore di vecchio e polveroso che avevano i libri intorno a lui.

Rimase lì quasi per tutto il giorno. E la cosa migliore, fu che nessuno lo venne a cercare.

 

 

Uscì dalla biblioteca quando ormai era sera e il cielo si era completamente oscurato. Essendo estate, dovevano essere come minimo le nove.

Aveva mangiato qualcosa a mezzogiorno, alcuni tramezzini che la bibliotecaria gli aveva appoggiato davanti al volto mentre faceva finta di leggere un volume sulle erbe curative, ma dato il pranzo scarsamente abbondante, al momento sentiva una certa fame.

Fuori scendeva ancora, la cenere. Non si era fermata, nemmeno quel giorno, e continuava a cadere alla stessa velocità di sempre, coprendo con un altro velo grigio la già ingrigita cittadina.

Si dimenticò persino di prendere l’ombrello, ma non tornò indietro a recuperarlo. Ormai si era già incamminato, più stanco e abbattuto che mai, e non aveva la minima voglia ed intenzione di voltarsi e tornare sui suoi passi.

Per un giorno intero non aveva fatto altro che ignorare i suoi pensieri, facendo finta di non vederli quando spuntavano dall’angolo di un suo ragionamento. Nascevano spontanei a volte, insinuandosi superficialmente, così che lui dovesse addentrarsi in quel senso sbagliato di inadeguatezza per scoprirli, e poi lasciarli perdere di nuovo.

Un gioco a nascondino con se stesso che lo uccideva piano piano, lasciandolo confuso.

Non sapeva più a chi credere e, quel che è peggio, aveva perso ogni concezione del suo istinto. Anzi, era più giusto dire che aveva perso fiducia in esso, dunque in se stesso.

I suoi capelli si riempirono velocemente di fiocchi cinerei, così come la maglia ne risultò impolverata molto presto. Tuttavia, nonostante l’odore gli desse fastidio e gli provocasse la nausea, non aumentava il passo e non si affrettava a ritornare a casa.

Poteva trovare diversi motivi, volendo: la curiosità per la riunione con l’hokage, le impressioni di sua madre sul caso, sapere se la strizzacervelli aveva telefonato per sapere dove fosse e perché non si fosse presentato… tutte cose che avrebbe scoperto a casa, che lo incuriosivano (anche se in modo molto moderato) ma non sentiva l’urgenza di presentarsi sotto il tetto domestico.

Non per prendere ancora quei farmaci. Non per sognare di nuovo un mondo in cui non poteva più mettere piede.

Avrebbe sognato di nuovo Shikamaru, l’altro Shikamaru, e lui avrebbe di nuovo pensato di poterlo dimenticare, un giorno, forse…

Ma ci avrebbe pur sempre pensato. E non si dimentica, pensando.

Non voleva riaddormentarsi, chiudere gli occhi… lo avrebbe fatto solamente quando non sarebbe più stato in grado di reggersi in piedi o, comunque, quando avrebbe stretto fra le mani la ricetta per un sonnifero che gli donasse un sonno senza sogni.

Fortunatamente per lui (per la sua testa dolorante un po’ meno…) il destino aveva deciso che quella sera non l’avrebbe passata da solo.

<< Ohi, Kiba! >> sentì chiamare da lontano; un tono di voce che riconobbe al volo, ma che non seppe definire se portatore o meno di guai. Solitamente lo era.

Si fermò e, cercando di scrollarsi un po’ di cenere dai corti capelli castani, si voltò. A qualche metro dietro di lui, protetti da tre ombrelli rossi dal manico in bambù, Naruto, Choji e Shikamaru si stavano dirigendo dalla sua stessa parte, probabilmente di ritorno da qualche missione o incarico importante. Il primo sembrava particolarmente allegro, quel giorno, e non faceva altro che correre e saltellare in sua direzione come se gli avessero regalato l’abbonamento annuale all’Ichiraku Ramen.

Sospirò. Beato lui che non aveva problemi al mondo o, se ne aveva, se ne fregava altamente.

<< Naruto, ragazzi… >> salutò Kiba senza energie, evitandosi persino la falsa di non sembrare distrutto. Lui ERA distrutto, c’era poco da fare.

<< Accidenti Kiba, sembri un morto >> disse Choji non appena si furono avvicinati abbastanza, trovando come assenso l’espressione più stralunata che Naruto avesse mai assunto in tutti gli anni in cui si conoscevano.

Era già le seconda persona che glielo diceva da quella mattina, tolti i due passati accanto al suo tavolo a metà pomeriggio, che non glielo avevano detto ma di sicuro lo avevano pensato.

Sospirò, trovando in sé la miracolosa pazienza di non incavolarsi anche con loro. Non gli avevano fatto nulla, per la miseria, non poteva mostrarsi così dannatamente lunatico e agitato.

<< Lascia perdere, una nottataccia >> disse solamente, grattandosi un occhio come per amplificare con i gesti la validità delle sue parole. << Voi? Che fate in giro? >> chiese.

La classica domanda che si fa a tutti, ma pazienza; a parte Shikamaru era da due settimane che non parlava con loro nemmeno per sbaglio.

<< Cena! >> esclamò subito il biondo: << torniamo ora da una ricognizione, e io non vedo l’ora di mettere sotto i denti qualcosa. Vieni con noi? E’ da un pezzo che non mangiamo un boccone tutti e quattro insieme! >> esclamò il biondo, avvicinandosi e mettendogli un braccio intorno alle spalle.

A volte invidiava quel comportamento maledettamente spontaneo dell’Uzumaki. Non si preoccupava di niente, lui, o almeno non prima che fosse il momento di affrontare il problema. Forse era per quello che lo chiamavano in ninja imprevedibile…

<<  Mi piacerebbe, ma devo dire di no >> disse lui, che in realtà era già intenzionato di rifiutare. Sul serio, non si reggeva in piedi… dubitava che una cena fuori potesse durare poco, e lui non ci reggeva a cazzeggiare in giro fino a notte fonda.

Parole che effettivamente disse, usando la verità come scusa per congedare gli amici.

Ma se Choji e Naruto accettarono la sua spiegazione senza battere ciglio, l’altro componente del gruppo non sembrava altrettanto convinto.

Infatti, prendendo parola da quando si erano incontrati, fu Shikamaru a rivolgersi agli altri: << sentite, io lo accompagno >> disse, veloce e rapido, una mano in tasca e l’altra a reggere il manico in dell’ombrello.

E cos’era? L’animo da buon samaritano? Che se lo tenesse!

<< So arrangiarmi, sai? >> sputò a metà fra il risentito e la finzione.

<< E’ una seccatura, ma non lascio un simil-morto a camminare in mezzo alla strada >> rispose a tono Nara, zittendolo con la sola mossa di mettersi al suo fianco. << Voi andate, ci vediamo domani mattina >> aggiunse in direzione degli altri due, con la solita flemma annoiata.

Se gli scocciava così tanto poteva anche fare a meno.

No, non gli scocciava, era quello il punto. Aveva solo il brutto vizio di far sembrare tutto una seccatura.

Una volta che l’Akimichi e Naruto si furono incamminati verso il ristorante di carne alla griglia, loro due presero a risalire la strada, continuando nella direzione in cui stava camminando Kiba prima che fosse raggiunto dagli altri.

<< L’ombrello? >> chiese il moro dopo un po’, tenendo facilmente il suo passo un poco strascicato.

<< Dimenticato >> rispose lui solamente, non trovando la necessità di aggiungere nient’altro.

Non gli dispiaceva, camminare con Shikamaru. Magari per ritornare a casa, o per andare da qualsiasi altra parte.

Due sere prima si erano detti chiaramente che erano ancora amici, che Shikamaru a lui credeva.

Solo che… aveva ancora quella spina che faceva male ogni volta che, anche se per sbaglio, paragonava il suo migliore amico a chi, nell’altra dimensione, lo stadio del migliore amico lo aveva superato da un po’.

Liberarsene era difficile. Stava cominciando a pensare che fosse impossibile.

Fu quando notò che i fiocchi di cenere più vicini al lui avevano smesso di cadere, che rialzò lo sguardo verso l’altro. Fermatosi, Shikamaru aveva allungato il suo ombrello sopra di lui.

<< Ti sporcherai >> disse solamente, osservandolo con espressione… insolita.

<< Lo sono già… >> rispose l’Inuzuka in un sospiro.

<< Non è un buon motivo per peggiorare la situazione >> fu la considerazione del moro, sui cui capelli cominciavano a cadere alcuni detriti cinerei.

Perché quel ragazzo doveva sempre essere così maledettamente gentile, con lui? Perché doveva per forza dimostrargli tutta questa considerazione?

<< Già… >> sospirò << ma ti sporcherai tu, così >> aggiunse, guardandolo.

Shikamaru fece spallucce, chiudendo gli occhi con aria di sufficienza: << non è mai morto nessuno >> disse solo.

Non poté impedire ad un sorrisetto di comparirgli sulle labbra.

Prendendo dalle mani di Nara il manico dell’ombrello si avvicinò a lui, di modo da poter coprire entrambi. << Problema risolto >> semplificò, senza riuscire però a togliersi dalle labbra quel sorrisetto compiaciuto che vi si era stampato sopra.

Forse vivere di tare mentali non portava a niente, alla fine. Forse avrebbe fatto meglio a vivere e basta, punto.

Distrattamente, portò una mano a massaggiarsi la nuca, appena dolorante a causa della notte insonne.

Forse fu in quel momento. Magari aveva abbassato il colletto della maglia senza accorgersene, scoprendo la parte livida della sua pelle; magari Shikamaru se ne era reso conto dalla sua piccola smorfia dolorosa…

Non poté mai definire come, l’unica cosa che sentì furono le dita calde di Shikamaru afferrare il colletto della maglia e, con un gesto rapido, abbassarlo per scoprire il collo.

Non ci fu bisogno di parlare. Almeno, non subito.

Kiba abbassò semplicemente il capo, pensando di spostarsi ma senza che il corpo ne seguisse la volontà.

Era stato disattento, ma di impedire all’altro di vedere quel livido non sembrava averne l’intenzione.

Il suo corpo si era congelato, così come i suoi pensieri.

<< Come te lo sei fatto? >> chiese Nara dopo qualche momento, servitogli probabilmente ad analizzare la situazione, magari a cercarne le possibili cause.

Era sicuro che gli avrebbe rivolto una domanda simile, quasi se l’aspettava. Per questo non rispose, preferendo il silenzio alla risposta che, se detta con sincerità, sicuramente non sarebbe stata creduta possibile.

Shikamaru era un cervellotico, un genio nel vero senso della parola. Qualcuno che usa la ragione non crede a ciò che non è razionalmente spiegabile.

Eppure… una parte di sé stesso gli diceva che non era così. Una parte celata, nascosta in profondità da quando era “tornato”, una voce che non voleva più ascoltare collegata a ricordi che non voleva più rivivere.

Non si può… vivere con il cuore a cavallo fra due mondi non si può.

<< Kiba >> ripeté Shikamaru poco dopo, rendendo più autorevole il tono della voce: << chi te l’ha fatto? >> domandò nuovamente, variando significativamente il senso e la formulazione della domanda.

Ora implicava un “chi”, non un “come”. Ora implicava una persona responsabile.

Con un gesto rapido della mano, ma non seccato, scacciò quella di Shikamaru dal suo collo, sistemandosi il fastidioso colletto in stoffa quasi per riflesso. << Non è niente, tutto ok >> fornì come risposta, riprendendo a camminare e allontanandosi dalla protezione dell’ombrello.

<< Non è quello che ti ho chiesto >> insisté però il moro, fermo nello stesso punto.

L’Inuzuka arricciò il naso. << E’ l’unica risposta che ti darò, dunque adeguati >> ribatté secco, voltandosi lentamente verso di lui ma non completamente, guardandolo di sbieco.

L’espressione di Shikamaru non trasmetteva nulla. Non agitazione, arrabbiatura o anche solo quel lieve risentimento di chi non risponde in maniera esaustiva ad una tua domanda.

Rimaneva a guardarlo, serio ed immobile, il volto in penombra a causa del cono d’ombra causato dall’ombrello e dalla luce del lampione sotto cui era in piedi.

Kiba non si mosse. Conosceva abbastanza bene Shikamaru per sapere che stava riflettendo, unendo i punti di un complicato ragionamento a più variabili.

Però, la domanda con cui se ne uscì, non fece altro che lasciarlo letteralmente di stucco.

<< Si può sapere tu dove sei? >>

Sentì quasi il cuore mancare un battito.

Perché quella domanda, perché fatta a quel modo?

Perché aveva usato il “dove”?

Nella sua incredulità cercò di non apparire sorpreso. A dire il vero, cercava di non dare a vedere che, dal suo punto di vista, la domanda di Shikamaru aveva più senso di molte altre cose al mondo, in quel frangente.

Era quasi spaventato, terrorizzato dalla capacità intuitiva di Nara, se veramente aveva capito qualcosa da quei pochi indizi che si era lasciato sfuggire.

Ma no… come poteva aver capito? Come poteva aver creduto? Era impossibile.

No. Non poteva essere vero.

<< In che… senso? >> chiese l’Inuzuka, storcendo le labbra in un sorriso distorto, un ghigno.

Shikamaru assottigliò gli occhi. << Da quando siamo rientrati da quella missione, tu non sei mai stato qui >> disse, aspettando un momento, per poi riprendere: << potrai essere qui con il corpo, certo, ma la tua mente è perennemente da un’altra parte. Sei immerso in un altro mondo, talmente tanto che non ti rendi nemmeno conto del tuo comportamento del tutto inusuale >> terminò, esponendo quella inconsapevole verità come se in realtà avesse assistito per tutto il tempo.

Dopo il primo battito andato a vuoto, ora il suo cuore batteva così forte che poteva forse uscirgli dal petto. Al contrario, l’aria faticava ad essere immessa nei polmoni e bruciava, come quella notte, come al risveglio.

Forzò una risata, che però risuonò più ipocrita che veritiera. << Che cavolate, ma ti senti quando parli? >> cercò di mascherare: << io sono qui, mi vedi, no? Dove vuoi che sia? >>

<< Questo non sono io a saperlo >> rispose però il moro, che a tutta quella recita non credeva nemmeno per sbaglio. Si vedeva dagli occhi, che nemmeno per un istante si erano spostati dai suoi. << Tu sei distratto da qualcosa… o da qualcuno >> concluse, calcando sull’ultima parola come se fosse la più fastidiosa da pronunciare.

Kiba non si lasciò sfuggire la reazione e, come se fosse la sua ancora di salvezza, si aggrappò ad essa. << Cos’è? >> esclamò con finta e instabile strafottenza: << sei geloso, forse? >>

Come al solito, la risposta dell’altro impiegò poco a giungere: << e se ti dicessi di sì? >> domandò biecamente in risposta.

Il battito accelerato del suo cuore mancò di nuovo, questa volta bloccando anche il respiro.

In un lampo, la mente fu attraversata dai ricordi, da una voce, da parole pronunciate e mai più dimenticate…

 

<< Che c’è? >>

<< Se ti dicessi che ero geloso guardandovi, mi prenderesti per scemo? >>

<< Guarda che potevi chiederle un ballo, io mica mi offendevo. Anzi, mi facevi anche un favore! >>

<< Non di lei… di te >>

 

Sancivano l’inizio di tutto, quelle frasi.

L’inizio di un sentimento che si trova dal nulla ma che al nulla non si può più restituire.

Ed erano simili, quasi le stesse. Lo stesso significato per persone diverse, mondi diversi…

Ma erano poi così tanto dissimili?

Già una volta si era posto quella domanda, guardando lo Shikamaru che ora attendeva risposta e paragonandolo con quello dei suoi ricordi quasi simili a sogni, a illusioni.

Non ebbe la forza di rispondere nulla. Abbassò semplicemente lo sguardo, abbandonando la sceneggiata.

Per la prima volta aveva provato lui, ad indossare una maschera… non ci era riuscito.

Le sue emozioni dovevano venire lette e quella era la prova che, anche se provava a nasconderle, c’era sempre qualcuno in grado di scoprirle senza sforzo.

Ed era sempre quel qualcuno, a dispetto del tempo e della dimensione.

Ancora prima di vederlo avvicinarsi, fu i rumore dei suoi passi attutito dalla cenere che rivelò la presenza di Shikamaru accanto a sé. Sollevò solo di un poco lo sguardo, il necessario per vedere le sue mani cingerlo e avvicinarlo, finchè non si ritrovò con il volto appoggiato alla sua spalla e il suo corpo a contatto con il proprio. Di nuovo al riparo dell’ombrello, di nuovo al sicuro in un abbraccio.

Avevano lo stesso profumo, lo stesso calore, la stessa gentilezza nei gesti. Come poteva convincersi che quello non era il ragazzo che amava, quando tutto gli dimostrava il contrario?

Forse si era arreso all’evidenza, o forse ne aveva semplicemente bisogno. Forse, magari, si era arreso all’evidenza di averne semplicemente bisogno.

Ricambiò l’abbraccio, sollevando le braccia e appoggiando le mani sulle sua schiena, aggrappandosi al gilet verde della divisa da shinobi che l’altro sempre indossava. Poi, chiuse gli occhi.

Si lasciò andare, dissipando per la prima volta da due settimane quel blocco di cemento sul fondo dello stomaco che gli impediva di pensare senza rimpiangere.

<< Quando ne avrai voglia, vorrei che mi raccontassi tutto >> mormorò il moro accanto al suo orecchio, moderando il tono data la vicinanza.

<< Non è una storia che hai già sentito? >> rispose nel medesimo modo Kiba. Dopotutto, il racconto delle sue “gesta” infradimensionali si era sparso come l’aria, nel villaggio.

<< Sì, ma preferisco sentirla da te >> ribatté l’altro, chiudendo tacitamente il discorso in quel modo.

Rimasero abbracciati ancora a lungo, anche se Kiba non riuscì a stabilire quanto. Shikamaru aspettava che fosse Kiba a voler sciogliere il contatto, probabilmente, ma l’Inuzuka sarebbe rimasto lì per ore, in silenzio, anche solo a godersi quella vicinanza a lungo bramata e rimpianta, nostalgica.

Finché non decise, ad un certo punto, di fornire una risposta adeguata a quella maldestra dimostrazione d’affetto… almeno questa volta.

<< Sai… non mi dispiace >> cominciò, sorridendo appena contro la spalla del moro.

<< Cosa? >> chiese quello, probabilmente colto in contropiede.

<< Che tu sia geloso >>.

Il castano non poté vedere il sorrisetto comparso sul volto di Shikamaru anche se, in un qualche modo, se lo immaginò.

Come se fossero d’accordo, insieme sciolsero l’abbraccio. Si osservarono per un momento, un istante in cui si mescolarono sicurezza ed imbarazzo inespresso, prima di proseguire la camminata, sempre in silenzio.

<< Ah, Shikamaru… >> esordì poi Kiba, chissà per quale motivo stuzzicato da quell’idea improvvisa.

<< mh? >>

<< sapresti risolvere un indovinello? >> chiese, incuriosito dal foglietto giacente nella sua tasca.

Nonostante le preoccupazioni fossero svanite, in quel piccolo lasso di tempo in compagnia di Nara, il mistero dell’inglese era un fatto che lo incuriosiva e al contempo attirava.

Magari poi si sarebbe scoperto che sì, lui era sonnambulo, e durante la notte entrava di straforo in biblioteca per rispondere ai suoi stessi biglietti.

Aveva molta fantasia, questo era certo.

<< Sentiamo >> acconsentì il moro, nonostante la sue espressione fosse palesemente seccata. Chissà che fatica, dover usare il cervello ad un’ora così tarda!

<< “Quando puoi vedere l’altro lato della Luna. Nel cuore della Foglia, il tempo sempre finisce e riparte” >> recitò a memoria, evitandosi l’inglese per il bene comune.

Non ci volle molto, al di là delle sue aspettative, perché Shikamaru trovasse la soluzione all’enigma.

<< E’ un appuntamento >> disse infatti, portandosi le mani dietro la nuca.

Kiba aggrottò un sopracciglio. << E da cosa lo capisci, scusa? >>

<< Dal testo dell’indovinello >> rispose logicamente, anticipando la spiegazione ancora prima che Kiba potesse buttarsi in una battuta stile “è ovvio, porca miseria!”: << ci sono ora, luogo e periodo. L’altro lato della luna è quello oscuro, dunque il novilunio. E’ un periodo del mese, stasera per la precisione >> specificò, puntando in alto con il dito.

Inclinandosi per vedere il cielo oltre l’ombrello, effettivamente Kiba notò che la luna non era visibile.

<< Il cuore della Foglia è la rupe degli Hokage >> continuò poi il moro non appena riebbe la sua attenzione. << E’ proprio dietro al palazzo dell’Hokage, che è il cuore nevralgico del sistema governativo del villaggio >> spiegò diligentemente.

<< E il tempo che si ferma e riparte? >> chiese Kiba, seguendo il ragionamento.

<< L’ora. Pensaci, quand’è che il tempo del giorno finisce e riparte da capo? >>

Non ci volle molto a Kiba, per capire anche quell’ultima parte dell’indovinello. Nel medesimo istante, quasi come se le campane della torre dell’orologio avessero voluto aiutarlo, il primo di dodici rintocchi risuonò nell’aria.

<< Mezzanotte >> pronunciò allora, incontrando in cenno affermativo di Nara.

Chiunque aveva scritto quel messaggio cifrato, voleva incontrarlo quella sera a mezzanotte alla rupe degli Hokage. Quindi, in poche parole, in quel preciso istante quasi dall’altra parte del villaggio.

Con un ultimo suono, i dodici rintocchi della mezzanotte finirono di battere e si dispersero nel vuoto e silenzioso villaggio, sparendo senza lasciare traccia.

Quasi nello stesso istante, la cenere che per giorni aveva coperto il villaggio smise di cadere.

<< Ha smesso… >> fece notare infatti Kiba, allungando la mano fuori dall’ombrello come si farebbe per afferrare la pioggia. Nessun fiocco grigio si posò più su quella mano… ma qualcos’altro.

Allargandosi come una macchia bianca ed inconsistente, un raggio di luce calda illuminò la pelle di Kiba e, a tratti, anche alcuni pezzi del territorio circostante. Erano letteralmente sottili coni di luce che, come se provenienti da uno stroboscopio, cadevano con differenti inclinazioni sul villaggio.

<< Luce? >> domandò interdetto Shikamaru, togliendosi l’ombrello da sopra la testa per osservare quello strano fenomeno.

<< Ma… non è mezzanotte? >> domandò a sua volta l’Inuzuka, cercando con gli occhi la fonte di quella luce calda e potente, che sembrava tanto…

<< Il sole. Com’è possibile? >>

<< Non è possibile >> ribatté il moro, osservando a sua volta la bislacca scena che si era presentata loro davanti.

Proprio a ridosso della rupe degli Hokage, il cielo sembrava crepato e squarciato. Da quello squarcio usciva una luce che era sicuramente quella del sole.

A quella vista, lo stomaco di Kiba si serrò definitivamente. Quando mai si è visto il cielo crepare e sgretolarsi? E il sole uscire da dietro al cielo? Stravolgeva ogni legge fisica, ogni osservazione astronomica e, per che se ne dica, anche il comune buon senso.

Era a questo, dunque, che il biglietto in inglese si riferiva?

Ma soprattutto, chi mai lo aveva scritto per sapere tutte quelle cose, quello che sarebbe accaduto.

<< Che sta succedendo, Kiba? >> chiese Shikamaru con un filo di voce, anche lui impietrito davanti a quello spettacolo sicuramente inusuale quanto incredibile.

Perché diamine lo chiedeva a lui?!

<< Non… lo so. Non lo so proprio… >> rispose però, guardando sempre il cielo in quella sua particolare e inquietante magnificenza.

Fu quando vide qualcosa cadere a peso morto oltrepassando lo squarcio nel cielo, che trattenne il fiato per l’ennesima volta.

Sembrava… un uomo. Un essere umano.

Ma no, non lo era.

Kiba Inuzuka si rese davvero conto di non essere pazzo, nel momento in cui quell’essere dalla forma umana cominciò a planare magistralmente nell’aria.

E un paio d’ali dorate si spalancarono nella notte, risplendendo baciate dalla luce.

 

Chapter No.15 ~ End

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