L'amore che non salva, danna, corrode e rende fedeli di Mania (/viewuser.php?uid=588696)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** O1 • La bellezza non è effimera, va solo preservata ***
Capitolo 2: *** O2 • L'arte segreta dell'impressionare ***
Capitolo 3: *** O3 • E poi c'è chi da importanza a cose diverse ***
Capitolo 4: *** O4 • La devozione genera a sua volta devozione ***
Capitolo 5: *** O5 • Nelle pagine dei libri ci si incontra ***
Capitolo 6: *** EXTRA • Lui è cattivo, folle, totalmente sbagliato ***
Capitolo 7: *** O6 • La Fedeltà è arma al servizio dell'Inganno ***
Capitolo 8: *** O7 • Distanze intime ***
Capitolo 9: *** O8 • Giochi di illusioni per celare, o forse per svelare ***
Capitolo 10: *** O9 • Nei risvolti delle danze ***
Capitolo 11: *** 1O • Le parole mentono, i sentimenti no ***
Capitolo 1 *** O1 • La bellezza non è effimera, va solo preservata ***
PROLOGO
“ La bellezza non è
effimera, va solo preservata „
La
prima volta in cui aveva incontrato Loki, Sigyn era appena entrata
nelle reclute della Guardia Reale e conosceva poco e male gli abitanti
del palazzo vicino al quale avrebbe vissuto d’ora in avanti.
Erano più dicerie che altro, quelle attraverso cui aveva
iniziato a scoprire chi erano le persone che avrebbe dovuto difendere
con la propria vita; e dai soli bisbigli dei corridoi periferici, le
mettevano soggezione per la sicurezza che i loro gesti e sguardi
trasmettevano dai racconti, nei quali venivano dipinti con carichi di
qualità e difetti da renderli affascinanti - mitici, in un
certo senso.
Era poco più che una bambina, ed era una delle poche ad aver
superato gli esami di ammissione all’accademia militare,
ancora fortemente maschile, ma da quando Lady Sif aveva dimostrato che
una donna poteva combattere meglio di una ventina di soldati sporchi e
privi di grazia, le restrizioni per poter accogliere anche ragazze si
erano fatte meno aspre. E lei aveva infuso ogni briciola di
sé per dimostrare fin dall’inizio che anche se non
era forte, aveva più abilità di quante se ne
potessero immaginare per un corpicino gracile e minuto come il suo. Nel
giro del primo anno, non era certo la migliore della sua divisione, ma
era tra l’élite e quel risultato era
una conquista esaltante, nonché fonte di
soddisfazione per lei che ambiva
a essere accettata più di quanto potesse ammettere. E per
quanto i suoi gesti da regina decaduta le avessero attirato le
antipatie di molti, chi aveva imparato a conoscerla sapeva quanto il
suo cuore fosse capace di dedizione, fedeltà e dolcezza,
nonostante la brutalità dei suoi fendenti e la tenacia
nell’annientare l’avversario - un intruglio di
contrasti, debolezze e contrappesi di energia inaspettata a renderla,
proprio per questa coesistenza bizzarra, una delle allieve di spicco.
Quel pomeriggio di eterna primavera, seduta sul bordo della ringhiera
di marmo di uno dei corridoi meno frequentati della Caserma Reale, con
le spalle appoggiate alla colonna solida e i petali bianchi a caderle
in testa dai vasi appesi tutt’attorno al pilastro, se ne
stava tranquilla a godersi il panorama mentre tagliava i propri ricci
biondi. Lunghi la intralciavano negli allenamenti e nelle prime
battaglie a cui aveva cominciato a prendere parte, nelle retrovie
insieme ai suoi compagni, così aveva acquistato l'abitudine
di tenerli corti,
appena sopra le spalle. Li sfoltiva a malincuore, perché
erano l’unica cosa che aveva ereditato da sua
madre e ne andava orgogliosa per la loro bellezza – lucenti
naturalmente, dai boccoli delineati con precisione, non necessitavano
dell’uso di trucchi per renderli tali, rimanendo quasi sempre
perfetti a circondarle il volto grazioso.
Lasciava cadere le ciocche come steli strappati oltre il balcone,
guardandoli disperdersi nell’aria e confondersi nei dettagli
del suolo, piccoli e confusi dell’altezza, prima che
toccassero terra. Non sapeva se sentirsi triste per quella perdita, o
in un qualche modo rafforzata dal liberarsi di un peso che le impediva
di raggiungere l’ascesa come guerriera; traguardo
a cui aveva anelato da quando la sua famiglia si era disgregata
lentamente e lei non aveva avuto la forza per potersi opporre - e poco
importava se si assumeva un carico di responsabilità non
suo, perché quella mancanza l'aveva fatta sentire debole,
esposta e vulnerabile e mai più voleva riprovare tale
sensazione. La via
scelta era una redenzione e la ricerca di trovare quel potere in se
stessa di cui si era sentita così desolatamente priva, tanto
da farla arrivare a una scelta più drastica di quanto lei
stessa aveva inizialmente pensato.
«Pensavo che in quest’ala della caserma non vi
fossero le reclute», la voce che la sorprese, riscuotendola
dai suoi pensieri affacciati sul passato prossimo, la
spaventò tanto da farle rischiare di cadere insieme ai suoi
ricci amputati. La mano salda di chi l’aveva interrotta da
quel rituale personale, l’afferrò per
l’avambraccio, trattenendola in equilibrio sul davanzale di
marmo bianco e osservandola con aria divertita, macchiata di velata
curiosità nei confronti di quella piccola guerriera.
«N-non è proibito venirci, signore»
rispose titubante Sigyn, corrugando la fronte in
un’espressione allarmata per quell’imprevisto, con
ancora il cuore a scuoterle la gabbia toracica per lo spavento sia
dell’arrivo inaspettato del giovane uomo, sia per il pericolo
corso di finire sfracellata parecchi metri più in basso. Con
il respiro corto per tranquillizzare l’adrenalina,
osservò incuriosita lo sconosciuto dai tratti lievemente
appuntiti e occhi di un verde splendente, intenso – troppo,
pensò Sigyn, tanto da darle la sgradita sensazione di essere
capaci di sbucciare i suoi pensieri e leggerli come un libro.
«Può essere, ma so per certo che è
un’area riservata alla burocrazia e tu non mi sembri far
parte
di tale apparato» osservò con
l’ovvietà nel tono e nelle sopracciglia alzate, ad
accompagnare un lieve gesto con il capo, reclinandolo lievemente di
lato. Teneva lo sguardo fisso nelle iridi nere della ragazza, buchi
neri nei quali vi era allarme per la sua apparizione, ma dietro quel
terrore, si celava un lieve fastidio mascherato abilmente
perché sapeva, anche se averne la piena conferma era
improbabile sul momento, di essere davanti a un superiore di cui non
conosceva
rango e nome.
«No, signore.»
Si stava tremendamente annoiando, Loki, nel seguire la visita che suo
padre stava conducendo nella caserma, così si era
allontanato per provvedere a trovare qualcosa di interessante da solo,
invece di aspettare che arrivasse un improbabile cambiamento di colore
nella guida del generale, che si occupava dell’addestramento
delle reclute dell’Accademia tanto efficacemente quanto
tediosamente, e dandogli
così qualcosa con il quale trascorrere il tempo. Il
divertimento, per Loki, era assai diverso da come molti giovani della
sua età lo intendevano e per questo era assai più
difficile soddisfare i suoi gusti – non che avesse
l’inclinazione di aspettare dagli altri affinché
ciò avvenisse e, in egual maniera, non che desse modo al
mondo di scoprire quali inclinazioni precise possedesse.
Aver trovato quella minuta ragazzina, quasi bambina, sembrava poca
cosa, ma nella stanchezza che gli metteva addosso quel luogo scevro di
interessi, la faceva apparire una vera conquista. Eppure, anche dopo
che il primo entusiasmo della scoperta si fu acquietato rapidamente,
trovò curioso che la recluta si fosse rifugiata fin
là su,
unicamente per far strage dei suoi dorati boccoli con l’aria
cruciata e malinconica. Non appariva assolutamente soddisfatta di una
tale decisione, eppure, la risoluzione nelle sue forbiciate era stato
vibrante, tanto da risuonare nell’aria attorno a lei -
fendenti contro se stessa.
Vestita con pantaloni conficcati negli stivali pesanti, e una maglietta
logora a renderla quasi un maschio se non fosse stato per i lineamenti
tremendamente femminili e l’accenno delle forme che
cominciavano a cambiarle il corpo. La brezza che annunciava l'arrivo
prossimo dell'estate, cosparsa
dei profumi dei fiori sopra di lei, intenti nell’abbellirla
con i propri petali nivei, le donava un’aria eterea, quasi
fosse stata una delle illusioni create tanto accuratamente dalle mani
del principe. Il biondo dei suoi capelli era acceso dai raggi del sole,
rendendo quasi opaca la sua figura imbevuta dei riflessi di luce, e
ampliando, in contrasto, il nero profondo delle sue iridi –
portali per un mondo vasto, tenuto in quiescenza.
«Come mai ti stai tagliando i capelli?»
domandò interessato, ma lasciando che la sua
curiosità risuonasse di circostanza, privandola di una
personalità di cui non sentiva la necessità.
«Perché sono scomodi, signore, in battaglia mi
infastidiscono» spiegò semplicemente, alzando le
spalle in un gesto meccanico, a sottolineare come tale scelta fosse del
tutto logica dal proprio punto di vista. Eppure, nel pronunciare tale
frase, Loki ritrovò quel fastidio mesto che aveva scorto
nell’osservarla, in un primo momento, compiere la sua
operazione senza disturbarla.
Quel contrasto, tra la sua risolutezza e il suo rimpianto, gli parve
bizzarro e insieme affascinante. Sintetizzava in modo tanto naturale
tale lotta interiore da trasformarla in una vittoria personale su se
stessa, e la autoincoronava - regina di un regno unico e privato. Un
tale
ruolo le si addiceva per le sue movenze delicate ed eleganti con le
quali compiva ogni più piccolo spostamento: come impugnava
le forbici, come si spostava per voltarsi completamente verso di lui,
come accavallava le gambe e sollevava il capo, alzando il mento con
sottile arroganza ammorbidita da un contegno femminile.
«Sei molto giovane, ma non è difficile indovinare
che diventerai una delle stelle più splendenti di
Asgard» asserì Loki, allungando appena la mano per
sfiorarle i ricci superstiti, esaltando con quelle sue parole il
germoglio che intuiva esserci in lei e che sarebbe potuto fiorire in
modo meraviglioso, tanto da poter ammaliare oltre le aspettative che si
potevano scorgere fluttuarle dentro. Eppure, quella scelta di
deturparsi, rendeva quell’alba di grazia meno splendida di
quanto sarebbe potuta essere, smorzandola per una ragione semplice che
sfuggiva alla mente della giovane, per
un’impossibilità di scrutare in un bagaglio di
esperienza che le mancava. Esitò, Loki, se proseguire o
meno, ma la possibilità di poter avere al proprio servizio
una donna con il potenziale che scorgeva nello sguardo
d’inchiostro di lei, era pensiero intrigante. «Non
dovresti abbandonare così facilmente ciò che sei
per diventare qualcun altro.»
«Perdonatemi la franchezza, signore, ma voi non mi conoscete.
Non avete alcun diritto di dire ciò»
asserì prontamente lei, irrigidendo la schiena
d’un colpo, assottigliando le sopracciglia chiare sui suoi
occhi, rendendoli carichi di un risentimento per un giudizio
approssimativo quanto avventato. Una linea irregolare mosse le labbra,
rendendole rugose nel tentativo di trattenere altri commenti indelicati
nei confronti di quel superiore che mai aveva visto, e che non doveva
essere un visitatore frequente della caserma.
I suoi abiti erano di fattura pregiata, nobiliari, dai ricami
d’oro a intessere decorazioni astratte a ramificarsi lungo i
bordi dei lembi vermigli. Era il portamento deciso, sicuro e
l’aria raffinata a rendere la sua immagine una calamita per
l’attenzione, e del merito andava all’intricata
varietà di sfumature che si profilavano nei suoi occhi,
quasi fastidiosi nel loro essere capaci di fissarsi sui dettagli -
strumento segreto per sezionare con accuratezza la realtà.
Vi era un’insana capacità di mettere a disagio con
nulla più che poche parole e uno sguardo, un dono raro e
mellifluo, ma che rendeva Singy unicamente combattuta tra la
curiosità e l’irritazione verso di lui.
«Il mio voleva essere un complimento, e un
consiglio» si scusò prontamente, nascondendo uno
sbuffo divertito dietro i propri lineamenti tirati in un sorriso
malizioso, prima di completare la sua frase con una spiegazione alle
sue prime parole: «Puoi tagliarti fino all’ultimo
boccolo, ma non dovresti permettere che questo deturpi la tua
bellezza.»
«La bellezza è cosa effimera»
replicò prontamente, trattenendo la foga rabbiosa che
l’annotazione appuntata su di lei tanto facilmente aveva
scatenato, ma le aveva anche reso più facile la parlantina,
solitamente trattenuta da un senso di inadeguatezza che la perdita e
l’abbandono avevano alimentato, un senso di difesa precario
che imbrigliava il cuore della sua personalità.
«Perché vi interessa tanto?»
«Perché, recluta, voglio che le mie guardie siano
forti nel corpo quanto nello spirito, e chi cede qualcosa tanto
facilmente non è degno di proteggere me, il
principe», con la calma a costruire un’impalcatura
di soddisfazione ostentata soffusamente, Loki gustò
l’effetto delle proprie rivelazioni: la fronte invasa dalle
rughe, la muscolatura tendersi per spalancarle gli occhi, le labbra
dischiudersi in affermazioni morte prima ancora di essere pensate. La
lasciò nello stallo della consapevolezza gelida, gustando
come la rivelazione della propria identità
l’avesse immobilizzata d’un tratto, togliendole la
risposta celere, per quanto educatamente formulata, riportandola allo
stato di confusionaria sorpresa iniziale. «Qual è
il tuo nome, recluta?»
«Sigyn, principe Loki.»
«La bellezza non è cosa effimera, richiede solo la
giusta dedizione e può diventare uno dei più
grandi inganni,
Sigyn» cominciò a spiegare, mantenendo con estrema
semplicità lo sguardo cucito a quello di lei, senza
sforzarsi di metterla a disagio perché non gli occorrevano
tali sotterfugi con una creatura ancora pura e ingenua – malmenabile.
«Spesso avrai avversari stupidi, che penseranno che solo
perché sei una bella donna non puoi essere anche pericolosa,
e ciò sarà un vantaggio per te.»
«È un consiglio prezioso-»
«Come tutti quelli che do, quindi fanne buon uso»
la interruppe, decidendo che era durata abbastanza la loro
conversazione e che i semi che aveva gettato erano sufficienti. Non gli
rimaneva che attendere di scoprire in futuro se mai essi sarebbero
germogliati come il suo corpo, e se avrebbe potuto servirsi di essi
– ignorando ancora quanto le sue parole l’avrebbero
modificata nel suo essere più di quanto si aspettasse.
«Arrivederci, recluta.»
Voltandole le spalle, non trascorse molto prima che il ricordo del
volto reso ovattato dalla luminosità dei suoi capelli
dorati, ricoperti di raggi caldi, si staccasse dalla sua mente, venendo
accantonato – non dimenticato, messo semplicemente da parte,
in attesa che fosse Sigyn stessa a farlo riemergere.
All’epoca del loro primo incontro non poteva sospettarlo, e
nemmeno immaginarlo, ma l’influenza che lui aveva avuto su
quella piccola ragazzina sarebbe un giorno stata pari a quanta lei
avrebbe potuta esercitarne nei suoi stessi confronti. Ma non sarebbe
giunto quel momento per diverso tempo, e sarebbe occorso passare
attraverso a più avventure – o disavventure
– di quante la fantasia di Sigyn aveva intessuto nelle
fantasticherie notturne, durante gli anni dell’Accademia alla
Caserma Reale.
Fu al termine del primo ciclo della sua vita, quando ormai era una
donna ai primi albori, e aveva perso l’indeterminatezza della
fanciullezza, che venne assegnata, in quanto una tra le migliori del
suo anno, alla guardia di Frohheimr e dei suoi abitanti – la
guardia personale della famiglia reale.
In formazione, lei e i suoi compagni se ne stavano ad attendere la fine
della cerimonia che li vedeva formalmente dislocati nella posizione
più centrale di Goðheimr; e con il capo fisso, non
aveva osato rotare il collo nemmeno quando aveva scorto la figura del
grande Odino, accompagnato dai suoi figli, giungere per visionare
personalmente chi si sarebbe unito alla cura della difesa del palazzo.
Per
quanto gli anni fossero apparentemente trascorsi rapidamente, forse per
la monotonia delle sue giornate, grazie all’allenamento che
aveva occupato interamente quasi ogni suo pensiero, sfinendola tanto da
non concederle molta libertà per dedicarsi ad altre
attività, Sigyn non aveva dimenticato Loki
e i sentimenti contrastanti che le aveva suscitato. Per questo non
provasse ansia, ma una lieve trepidazione e incertezza –
perché, in fondo, faceva fatica a convincersi che lui si
sarebbe ricordato di quel lontano pomeriggio, perso in un momento di
tranquillità, in cui aveva ritrovato le fila del proprio io
-, non poteva evitarsi di illudersi attendendo qualcosa privo di un
appellativo.
Tutti e tre, con Odino davanti ai due figli, passarono davanti a lei,
scrutando con la stessa attenzione annoiata la schiera dei nuovi
giunti. Quando pensò finalmente di aver avuto ragione, di
essere naturalmente l’unica a serbare le memorie comuni,
distendendo la tensione con un sospiro di liberazione da quel peso
dettato
dall’ignoto, si ritrovò nuovamente davanti il
giovane erede al trono a scrutarla con il capo leggermente piegato
lateralmente e un sorriso di soddisfazione a propagarsi per il
volto.
«E così sei stata ammessa nella Guardia di
Palazzo, Sigyn?» domandò retoricamente, studiando
come i ricci corti continuassero a non arrivare a sfiorarle le spalle,
ma a differenza di quando era poco più che una bambina, gli
occhi pece erano risaltati dal trucco – il nero del contorno
e le tonalità della terra a decorarle le palpebre esaltavano
la forma in cui le pupille padroneggiavano una sicurezza ammaliatrice -
e le labbra accese dalla tonalità scarlatta. Le lentiggini
puntellavano la pelle, senza che alcuna copertura le attenuasse, ma
fossero esaltate dal colorito ramato di un abbronzatura ottenuta dal
restare spesso all’aria aperta. L’armatura non era
ancora personale, ma quella normale in dotazione ai soldati semplici,
ma nonostante l’omologazione dei suoi abiti, aveva trovato il
modo di risaltare senza eccessi o volgarità, evidenziando
ciò che era – rivendicando la propria bellezza,
evitando che soffocasse sotto il peso delle sue scelte.
«Sì, principe» rispose, dopo un momento
di sorpresa, recuperando rapidamente la parola, al contrario del loro
primo incontro.
«Molto bene, continua a cercare di impressionarmi»,
si lasciò scappare un sorriso più pronunciato,
lasciando che un genuino compiacimento lo guidasse in una piega quasi
involontaria. Non aggiunse altro, ma voltandogli nuovamente le spalle,
gli risultò più difficoltoso accantonare la sua
figura come aveva fatto in passato.
«Ci riuscirò, principe»
assicurò Sigyn, trattenendo tra le labbra, morse dai denti,
un sorriso di puro appagamento.
M A N I
A’ s W
O R D S
Allora, diciamo subito che questa piccola shot non ha nessuna pretesa.
La figura di Sigyn so benissimo che non è presente nei film
e io dei fumetti non conosco niente, quindi la mia idea di lei
l’ho costruita tutta fantasticando su come potrebbe essere.
Vorrei scrivere anche altre shot con lei e Loki, basandomi su tutti gli
headcanon che mi sono costruita da sola, il che non so quanto sia
interessante come cosa, ma questa scena del loro primo incontro avevo
proprio voglia di scriverla e pubblicarla, quindi spero possa esservi
piaciuta.
Da quel poco che so, Sigyn non è una guerriera,
però a me piace questa idea di una dea della
fedeltà combattente, perché per essere fedeli ci
vuole uno spirito da vera guerriera, cosa assai utile inoltre per
proteggere ed essere utile a Loki. So anche di non aver detto molto sul
passato di Sigyn, ma per quanto possa sembra di morte e devastazione,
non è così, è molto più
normale di quanto possa apparire e non mi ci sono soffermata unicamente
perché non era il fulcro del discorso; ma in una futura shot
non escludo di ritornarci.
Inoltre nella mia personale visione, lei ha qualche secolo (?),
decennio (?), anno (?) in meno di Loki – perché
adoro le differenze d’età nelle storie
d’amore, sempre che non si rasenti la pedofilia, ovviamente!
Ovviamente è ambientata prima del primo film di Thor, ma
penso si sia compreso.
Ultime note tecniche che derivano dalle mie piccole ricerche
riguardo
la mitologia norrena e spero siano corrette:
• Frohheimr
è, nella mitologia norrena, il nome del palazzo di Odino;
• Goðheimr
è il nome del pianeta su cui si trova Asgard, che in
realtà sarebbe solo il nome della città
principale, ma spesso viene identificata con il regno completo.
Credo di
aver detto tutto, quindi lascio la parola a voi, e vi prego di
lasciarmi un commento, che davvero mi farebbe molto felice ~
Note aggiuntive del
16/12/2013: Ho deciso di trasformare questa iniziale one
shot in una raccolta di altrettante - di un numero ancora imprecisato.
Mi sembrava insensato riempire il fandom di una serie di fic collegate
tra loro senza riordinarle, ed essendo una mezza maniaca dell'ordine,
ho preso questa decisione. Spero che la raccolta vi piaccia e ringrazio
sinceramente chi ha letto, inserito tra le preferite e ricordate, ma
soprattutto commentato, questa piccola prima shot. Grazie di cuore.
Note aggiuntive del
17/12/2013: Ho creato un piccolo banner con le mie
alquanto scarse capacità di grafica, ma ne vado comunque
orgogliosa, quindi pregherei che nessuno se ne appropriasse
indebitamente. L'attrice scelta per far da presta volto alla mia Sigyn
è Chloe Grace Moretz - so che non ha i capelli ricci e
corti, ma il viso lo immagino come il suo e non ci sono immagini di
questa attrice con la pettinatura che vedo per Sigyn, datemela buona!
Note aggiuntive del
27/03/2014: Allora, ho cambiato banner. E ho cambiato
attrice come prestavolto, e questa decisione merita una piccola
spiegazione. Nei primi capitoli di questa raccolta, la differenza di
età tra Sigyn e Loki si nota, quindi come prestavolto Chloe
era più indicata all'inizio, ma da sempre, da quando mi sono
figurata Sigyn più grande al fianco di Loki, l'ho vista con
il volto di Natalie Dormer - sì, è una gran
gnocca lei e io Sigyn la dipingo sempre come una ragazza normale,
quindi diciamo che si avvicina a Natalie Dormer, ecco, ha qualcosa di
lei.
Mania■
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Capitolo 2 *** O2 • L'arte segreta dell'impressionare ***
PROLOGO
“ L'arte segreta dell'impressionare
„
Aveva
molti segreti, Lady
Sigyn, più dei boccoli che si era amputata, più
dei sorrisi serafici che sfoderava al posto di parole di replica acida
che ci si sarebbe aspettati dopo insinuazioni sulla sua
abilità
in combattimento, più delle rivalse di gesti e non di frasi
che
si
era conquistata in battaglia. Non amava i gioielli, ma considerava
preziosi, come le gemme che componevano i decori sfarzosi
delle altre
dame di Asgard, tutto ciò che mai aveva mostrato,
custodendolo al riparo del suo cuore delicato.
Erano prevalentemente memorie, antiche immagini di un mondo perso nella
decadenza della casata nobile di cui aveva fatto parte, durata per
secoli nella sua maestosità e che aveva cominciato a
creparsi prima ancora della sua nascita, aspettando la sua infanzia per
crollare rovinosamente, rubandole una serenità di cui gli
anni da
bambina si sarebbero dovuti fare portatori. Aveva imparato a non
rimpiangere
più una famiglia di cui era stata privata dai componenti
stessi, l’unica cosa che era perdurato nel suo animo era il
desiderio di forza – non solo dello spirito, in modo che
alcuna lacrima potesse nascere dall’abisso
oscuro dei suoi occhi, ma anche del corpo. Per questo era diventata una
guerriera di Asgard, per questo si era innalzata al di sopra della
media, profondendo ogni briciolo della sua energia per giungere a
dimostrare, non agli altri, ma a se stessa di potersi forgiare con le
proprie mani. E ora che vigilava sul palazzo del Padre degli Dei,
facendo parte della Guardia Reale, scelta per la divisione
più vicina alla famiglia di Odino, sapeva di essere come non
mai vicina al suo nuovo
traguardo.
Una novità relativa, in realtà, solo secondo la
vita degli asgardiani, perché era un secolo e mezzo che
provava a impressionarlo
e sperava di poterci finalmente riuscire da un
giorno all’altro. Per questo si allenava fino allo
sfinimento, con i corti capelli d’oro ad appiccicarsi al
collo, attaccati alla pelle dal sudore, sporcandosi di terra per quante
volte finiva nel fango dell’arena, rialzandosi
immancabilmente.
Nonostante le iridi di Sigyn fossero più
nere della notte – come i sentimenti più tetri -,
Lady Sif si accorse che ardevano come braci perpetue in quel pomeriggio
in cui l’aria era piena del profumo dei mandorli in fiore. La
osservò per ore prima di decidere di avvicinarsi a lei,
allontanando il suo avversario – non degno per la bravura
della tecnica astuta della piccola guerriera – per poter
essere la sua nuova meta da sorpassare.
Com’era logico aspettarsi, Sigyn non riuscì
nemmeno a toccare la pelle di Lady Sif, ma la giovane non demorse
nemmeno per un attimo davanti alla differenza di abilità e
il suo sguardo non venne scalfito dalla demoralizzazione, che sarebbe
stato naturale sentimento davanti a tale sconfitta - totale. Un nuovo
fendente tentò di penetrare nella difesa della dea della
guerra, ma tale era il suo titolo e molto tempo sarebbe dovuto ancora
trascorrere prima che Lady Sigyn potesse combattere quanto meno
maggiormente alla pari con lei – e sarebbe stato il tempo
della loro amicizia, quando il sole avrebbe brillato e illuso ognuno
con la più grande della menzogna: la speranza che nulla
sarebbe mutato mai in quell’idillio di felicità
precaria.
«Come ti chiami?», glielo domandò
sorridendo con soddisfazione incredula, vedendola rialzarsi una volta
in più, dopo che tanto veemente l’aveva colpita al
fianco. Non sapeva se fosse ricoperta maggiormente dalla fanghiglia a
rapprendersi anche tra i mezzi ricci, o dai lividi che le aveva
provocato dopo averla costretta a piegarsi ai suoi piedi – e
nonostante avesse rotto ogni sua mossa, infranto ogni difesa e attacco,
nessuno degli spettatori aveva esultato per Lady Sif o schernito Lady
Sigyn, perché la dignità tremendamente testarda
con la quale quest’ultima perseverava, zittiva le
chiacchiere. Affascinava, con la sua perseveranza inscalfibile, forse
perché pareva essere esageratamente immensa rispetto al
corpo sottile nel quale risiedeva, o forse perché sarebbe
stato eccessivo per qualsiasi contenitore – come se tutta la
cocciutaggine dell’universo si fosse riversata in lei.
«Sigyn, mia signora» rispose la guardia reale,
abbandonando la posizione di guardia per raddrizzare la schiena,
ammorbidendo i lineamenti del volto e riportando alla
serenità sornione gli occhi risaltati dal trucco.
«Non chiamarmi così, sono solo Lady Sif»
la rimproverò la donna, prima di proseguire nei suoi quesiti
per comprendere l’anima di quella strana ragazza.
«Come mai sei entrata nell’esercito?»
«Perché non farlo, mi sono domandata»
ambigua, Sigyn sviò da ciò che le era stato
chiesto con innocenza. Non intendeva dissetare la curiosità
del suo superiore, nemmeno sotto ordine perentorio, perché i
suoi segreti erano una collezione privata e sua madre le aveva
confidato, nel cuore di una notte nella quale entrambe non riuscivano a
prendere sonno, che le vere donne erano coloro che avevano misteri con
il
quale adornarsi, perché solo chi non ne possedeva ripiegava
sulle perle e
diamanti. Lady Sigyn ne aveva parecchi, li amava e coltivava, se ne era
vestita ovunque andasse, mischiandoli all’aria di gran dama
decaduta – un contegno nobiliare, così stridente
con il suo essere guerriera, eppure, così ben sintetizzato
nelle sue movenze.
«La tua non è una risposta.»
«Forse non ne ho una che possa soddisfarvi, Lady
Sif.»
Lady Sif storse il naso, chinandosi appena verso la più
giovane, domandandosi se la stesse deliberatamente prendendo in giro.
Le aveva fatto comprendere chiaramente di non amare i formalismi, e
Sigyn l’aveva ignorata nella stessa maniera gentile con la
quale stava evitando di soddisfare le sue richieste di conoscenza sulla
sua persona.
«Qual è il tuo scopo?» chiese
semplicemente, pensando potesse essere più semplice ottenere
qualcosa di chiaro da parte di Lady Sigyn, ma si ingannava.
«Impressionare.»
Solo chi le aveva ordinato di provare in quell’impresa
avrebbe potuto comprendere una simile risposta, ma Loki non era
presente e solo a sé rimase perfettamente limpida
l’unica parola che pronunciò. Riempì il
silenzio nel quale Lady Sif continuava a scrutarla, cercando di scavare
nell’inchiostro dei suoi occhi per trovare ciò che
negava di rendere visibile in modo tanto semplice, efficace, da non
poterle essere mosso nemmeno un rimprovero, con un sorriso delicato.
Aveva
cancellato dalla propria persona la foga razionale con la quale aveva
combattuto fino a qualche precedente attimo, riportando la quiete tra i
contorni del volto ovale, lasciando che sommergesse la tempesta di
determinazione che aveva tentato di travolgere, inutilmente, la
guerriera infinitamente più esperta e capace di lei. Era
rimasta talmente sorpresa che Lady Sif le concedesse l’onore
di allenarsi con lei – o forse sarebbe stato più
corretto asserire allenarla
– che non poté fare a
meno di esprimerle gratitudine per aver sprecato il suo tempo libero,
dedicandolo a lei.
Il risultato fu che Lady Sif fu solo più confusa riguardo il
quadro generale della giovane, così tanto che
l’immagine di quella ragazzina piena di terra, con i capelli
impiastricciati, gli occhi ardenti marcati dalla matita nera a vibrare
di passione, e con il corpo esile di una bambina, le si
appiccicò alla mente per il resto della giornata,
ammaliandola nelle contraddizioni rimaste irrisolte.
«Oggi ho incontrato una strana ragazza tra le guardie di
palazzo» asserì in mezzo alla cena, senza seguire
il filo della conversazione portata avanti da Fandral e assecondato
dagli altri, chi con più interesse e chi solo
perché sospinto dalla discussione.
«Hai lanciato la moda delle donne guerriere, mia buona
amica» scherzò Volstagg, dissetandosi con
l’ennesimo calice di vino – il numero di quale esso
fosse, ormai, faceva parte di un conteggio obnubilato dai fumi
dell’alcol.
«Non credo sia merito mio», in un primo momento
anche lei aveva pensato qualcosa di simile a ciò a cui
alludeva il compagno di battaglie, ma in realtà era giunta
alla conclusione che nonostante le frasi di ringraziamento per essersi
accorta di lei, tanto da spingersi a farle da avversario, non erano
ciò a cui tendeva Lady Sigyn. Per quanto
fosse apparsa soddisfatta per aver attirato lo sguardo di Lady Sif,
quest’ultima era certa di non aver appagato quel desiderio
espresso ambiguamente nell’ultima risposta.
«Come mai ti ha tanto colpito?» chiese Thor,
incuriosito da come quella sconosciuta guardia avesse attirato tanto lo
sguardo di una delle guerriere più prodi di tutta Asgard.
«Forse perché lei stessa desidera tanto
impressionare» osservò Lady Sif, senza accorgersi
che con tale risposta aveva ora conquistato l’attenzione
dell’altro principe, i cui occhi versi di spostarono su di
lei per ascoltare con maggiore interesse le parole. «Anche se
non credo di essere nuovamente io il destinatario.»
Inconsapevolmente, esortata dalla battuta di Fandral nel sapere se si
trattasse di una bella donna, Lady Sif raccontò il suo
incontro con Sigyn a chi era il reale soggetto delle attenzioni a
distanza di quest’ultima. Di come aveva notato il
rispetto dei suoi
commilitoni racchiuso nel non trascurabile gesto di non beffarsi della
sua perdita, come se vi fossero altri
meriti sconosciuti per i quali la tenevano in così alta
considerazione – ed era quella sua tenacia il valore aggiunto
ad aver creato tale stato di generale ammirazione. E durante la
narrazione dell'amica, Loki fu l’unico a
non
commentare in alcun modo, neanche sottilmente come suo solito,
distaccandosi più del
consueto dalla conversazione comune – celando così
la
curiosità suscitata nuovamente in lui da Sigyn, nonostante
la lontananza di tempo dall’ultima volta in cui le loro
strade si erano intrecciate.
Ancora non lo sospettava, il dio degli inganni, ma era un nodo quello
formato dalle loro rispettive vite che non si sarebbe potuto
sciogliere, nemmeno con la fine dei Nove Regni. E se lo avesse saputo
ne avrebbe avuto timore per la profondità di un tale legame,
tanto da evitare che l’interesse di cui era vittima
– e artefice, perché era stato lui a incitarla a
prodigarsi per compiacerlo – lo guidasse, il giorno
successivo, a cercarla tra i corridoi del palazzo. La
osservò a distanza, nel suo ruolo di comando fissato a
metà della gerarchia, posizione del tutto degna data la sua
età, impressionante vista l’assenza di minacce a
scaturire dalla sua figura, destreggiarsi abilmente tra
l’impartire e l'eseguire gli ordini, del tutto a suo agio.
Era
naturale nei suoi piccoli tic – tirare lievemente gli angoli
delle labbra, per una fazione di secondo, quando era invisibilmente
contrariata; puntellarsi il polpastrello del pollice con
l’unghia del medio; sfiorare l’elsa della spada,
cimelio di famiglia, con la noncuranza di un gesto intriso di pacatezza
aggressiva -, ed era come ricordava fosse la sua persona, fusa in una
regalità ancestrale e la sua anima di guerriera.
«E così stai iniziando a suscitare
l’interesse dei tuoi superiori», la colse, come al
loro primo incontro, di spalle, senza avvisarla della propria presenza.
Ma questa volta lei non rischiò di cadere, né la
sorpresa durò tanto da renderle la risposta arrancante; ebbe
il solo effetto di far esplodere il sorriso sulle sue labbra dipinte di
scarlatto, con tonalità talmente sincere, fuoriuscite dagli
abissi dei suoi segreti sepolti, da essere accecante come i riflessi
dei suoi capelli.
«Faccio del mio meglio, principe.»
La scrutò, limitandosi a tenere imperturbabile il ghigno
sulla bocca, mentre cercava di penetrarla con il verde lacerante dei
propri occhi, mordendo la superficie quieta di cui Sigyn si rivestiva.
Era cresciuta dall’immagine che serbava di lei, diventando
l’affascinante donna che aveva scorto nei lineamenti di
un’appena ragazzina secoli prima, conservando la sua
femminilità come le aveva suggerito. Ma aveva serbato la
brutta abitudine di tagliare via i ricci delineati tanto sapientemente
dalla natura, e anche se ora compensava tale perdita con il trucco a
sottolineare la bellezza dei propri lineamenti, mentre gli abiti, non
essendo più quelli omologanti dei soldati semplici, ma
personali di chi aveva guadagnato il privilegio di rendere palese la
propria unicità, le fasciavano le forme del corpo, Loki
continuava inspiegabilmente a sentirsi contrariato per
quell’atto che considerava sacrilego.
«Continui a tagliarti i capelli» osservò
con tono piatto, puntellato da fastidio, mentre tornava a sfiorare le
punte d’oro come durante quel giorno di fine primavera perso
nelle loro memorie.
«Ho seguito il vostro consiglio.»
«Molto bene, anche» commentò Loki, senza
che la soddisfazione per la riuscita di tale semplice impresa alterasse
la contrarietà per l’atto di deturpazione.
«Eppure, persevero nel ritenere che sia un tale spreco che la
tua chioma venga così guastata.»
«Sono onorata che vi piacciano tanto i miei
capelli» asserì cercando di nascondere di essere
compiaciuta, ma alle gote era affluito più flusso sanguineo
di quello che potesse essere un quantitativo ragionevole, rendendo
palese quanto quella preoccupazione – se tale afflizione per
le sorti dei suoi capelli poteva essere definita tale – fosse
capace di illuminarle lo sguardo, al punto da stravolgere la quiete
composta di cui sempre si ricamava.
Di poco, vedendola incapace di
contenere le emozioni di liquida purezza, dense nella loro essenza,
prive di macchie a contaminarle, offuscando la loro dirompenza come
spesso capitava a lui, Loki tirò maggiormente gli angoli del
sogghigno con il quale si gustava il risultato sorprendente che sue
stesse parole avevano avuto su lei – erano attecchite,
più radicalmente e differentemente
di quanto avesse
immaginato.
«Allora, se veramente lo sei e se continui a desiderare di
impressionarmi, accontenta il tuo principe e non tagliarli
più» proseguì Loki, abbassando la mano
dal riccio mozzato a metà giro, per lanciare una sottile
sfida e vedere come quella volta si sarebbe trasformata – se
di nuovo avrebbe scelto di compiacerlo. «Fammi vedere se
anche con i boccoli a scorrere oltre le tue spalle, sai essere
ugualmente una guerriera di valore.»
Mentre si allontanava senza aspettare replica, lasciandola sola nel
corridoio maestoso e deserto, con gli ultimi sbuffi di sole cremisi a
irrompere all’interno del palazzo, dipingendola con sfumature
calde, riempiendola esteriormente di quel fuoco che sapeva far fremere
l’intero suo essere, Loki era concentrato sul se delle azioni
di Sigyn. Ma come avrebbe imparato a comprendere, mai avrebbe dovuto
dubitare dell’esecuzione di una richiesta che le avrebbe
impartito, ma il come
sarebbe stata realizzata.
Sigyn aveva dei segreti e tra questi vi era quello del suo amore per i
capelli ereditati dalla madre, ma il desiderio di essere forte
l’aveva portata ad amputarseli come erbacce, gettandoli via
con sofferenza. Tra gli altri vi era la sua silente ammirazione per
Loki e per quella serie di strafottenti consigli – o sfide
– che ogni volta le lanciava addosso, forse non
perché davvero apprezzava la bellezza della sua chioma, ma
perché era incuriosito dal sondare fino a dove si sarebbe
spinta pur di accontentarlo. E in quel repertorio di gemme personali,
vi era anche la gratitudine verso di lui per averle chiesto di tornare
a farsi crescere i boccoli, dimostrandogli che non erano qualche decina
di centimetri di fili biondi a impedirle di essere una gloriosa
guerriera. Sguazzando tra altri suoi segreti, vi era quello di
desiderare
di compiacerlo, ma di non dargliela vinta, perché Sigyn,
anche se era giovane e di Loki conosceva poco, aveva intuito che quello
era l’unico modo per impressionarlo. Era solo
un’intuizione, ma una manciata d’anni dopo, Loki si
sarebbe ritrovato con la fronte aggrottata in un disappunto divertito,
osservando la donna camminare per il corridoio, dopo essere stata
nella sala del proprio comandante a far rapporto sugli scontri in
province lontane alle quali era stata assegnata, per mettere alla prova
la sua valenza come capo di un battaglione – riuscendo
egregiamente
nell’intento di mettersi in evidenza, tanto da donarle
l’aria compiaciuta che raramente le si delineava tanto
platealmente sul viso. E vedendo la treccia laterale accarezzarle la
guancia, ricadendo sul suo petto, realizzò come Sigyn fosse
la più scaltra delle creature in cui si era imbattuto fino a
quel momento della sua vita – escludendo, ovviamente, se
stesso.
«Non mi vuoi proprio concedere il piacere di vederli sciolti,
mia devota Sigyn?» le domandò con fin eccessiva
aria contrita, ostentazione a rendere teatralmente ambigue le sue
parole, ottenendo l’unico risultato di farla ridere
– e fu la prima volta che Loki provocò tale
scoppio di acqua scrociante, e ne fu celatamente incantato, quasi
quanto dai suoi dorati capelli.
«Avete chiesto di farli crescere, non avete imposto altra
condizione» osservò la donna, mantenendo un
sorriso dolce rivolto unicamente a lui – per lui.
«Sei meno delicata
di quello che appari, Sigyn»
asserì Loki, senza specificare in alcun modo la sua
constatazione, lasciandola galleggiare nell’aria, quasi per
prendere lui stesso coscienza di una tale realtà fino a quel
momento sfuggita. E non poteva che apprezzare il modo che aveva avuto
di accontentarlo ed insieme negargli parzialmente ciò che
aveva richiesto, talmente semplicemente da essere affascinante in
quella continua sintesi di poli opposti – motivo che
l’aveva indotto, quando ancora era una recluta, a rivolgerle
la parola. «Riconosco di essere lievemente
impressionato»
«Ne sono felice, principe», e Sigyn gli sorrise con
prepotente gioia sentendo quell’ultima affermazione.
Riuscendo, un po’ meglio dell’ultima loro
conversazione, a contenere maggiormente l’imbarazzo felice
per ciò che alle sue orecchie appariva come uno dei
più bei complimenti che le potessero essere rivolti. Per
bilanciare l’impossibilità di contenere le proprie
emozioni, Sigyn decise che era arrivato il suo turno di lanciare una
piccola sfida a se stessa – e anche a lui.
«Cercherò di farvi levare quell’avverbio
la prossima volta.»
Alzando un sopracciglio mentre lasciava un sorriso sbilenco a piegargli
gli angoli delle labbra, accarezzando con la punta delle proprie dita
la treccia per un pugno di secondi, Loki si abbassò un poco
verso
di lei per tagliare via lo spazio vuoto in eccesso, cercando di
affondare maggiormente nell’anima di quella bizzarra creatura
che riusciva addirittura a catturare il suo interesse. E prima di
allontanarsi, le rivolse una preghiera che sapeva ancora una volta di
ordine: «Non farmi aspettare troppo, Sigyn, sono curioso di
scoprire come ci riuscirai.»
M A N I
A’ s W
O R D S
Lo avevo detto che mi sono incantata con loro, e infatti rieccomi con
un’altra shot Loki/Sigyn. Anzi, come noterete ho proprio
trasformato la prima one-shot in una raccolta, perché mi
sembra assurdo infestare la sezione con mille piccole storie, per altro
tutte collegate tra loro, quando potevo riordinarle. Inoltre, dato che
sto lavorando alla preparazione di una long che vuole riprendere i film
ma anche il filo del rapporto tra Loki e Sigyn da me inventato con
queste piccole fic, mi sembrava una scelta migliore.
Come avevo già precisato nell’altra shot, Sigyn
è praticamente una mia elaborazione originale,
perché non conoscendo assolutamente niente dei fumetti e
basandomi unicamente sui film e in parte quel pochetto che so della
mitologia norrena, alla fine è
un mio personaggio. Quindi
non ha alcuna pretesa di adattarsi alla visione né dei
fumetti né tanto meno della mitologia, ma solo e unicamente ai miei headcanon che
mi sono creata a furia di pensare a lei e Loki. E lo stesso lo sono
tutti gli accenni che ho fatto su altri fatti - tipo la famiglia di
Sigyn o la sua amicizia con Sif -, che probabilmente
riprenderò
in altre shot o nella long a cui sto pensando.
E tra questi headcanon ho quello dei capelli. Questo
dettaglio lo riprenderò anche in altre shot probabilmente,
perché mi fa tanta tenerezza trovo la
trovo molto intima
come cosa, senza contare che è un elemento che mi permettere
di mettere in evidenza aspetti caratteriali di entrambi –
l’egoismo di Loki, ma anche una capacità di
attenzioni fatte a proprio modo, nascoste; e la dedizione di Sigyn a
voler risaltare agli occhi di lui, ma in una chiave che non la vede
succube.
Ok, penso di aver finito di vaneggiare inutilmente. Volevo solo
ringraziare infinitamente chi ha letto la precedente shot, e
soprattutto chi l’ha commentata, mi avete resa veramente
felice! Quindi non siate timidi e lasciatemi un piccolo parere ~
Note aggiuntive del
17/12/2013: Ho creato un piccolo banner con le
mie
alquanto scarse capacità di grafica, ma ne vado comunque
orgogliosa, quindi pregherei che nessuno se ne appropriasse
indebitamente. L'attrice scelta per far da presta volto alla mia Sigyn
è Chloe Grace Moretz - so che non ha i capelli ricci e
corti, ma il viso lo immagino come il suo e non ci sono immagini di
questa attrice con la pettinatura che vedo per Sigyn, datemela buona!
Mania■
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Capitolo 3 *** O3 • E poi c'è chi da importanza a cose diverse ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O 3
▬
“ E poi c'è chi da
importanza a cose diverse „
Non
poteva certo lamentarsi di non essere stata messa in guardia, ma Lady
Sigyn era la personificazione della quieta cocciutaggine,
e poco le importava se il principe Loki fosse conosciuto per la sua
magia e i suoi inganni. Al contrario di quanto mormoravano nelle
retrovie, sui cambi di battaglia, lei non trovava che fosse in alcun
modo meno degno combattere con le risorse che si avevano a
disposizione, anche se queste divergevano da quelle degli altri; anzi,
nell’ottica capovolta della nobile decaduta, riuscire a
vincere
con abilità diverse
era più meritevole di lode.
Nella sua ingenuità, nella sua vita giovane per la
longevità del suo popolo, Lady Sigyn aveva già
colto la meccanica dei ragionamenti comuni, quindi non
credeva veramente alle battute lievi che sentiva sulle
capacità
di combattimento di Loki – non perché non fossero
giuste,
ma perché erano pronunciate dal timore e non
dall’obbiettività. Quindi, quando lo difendeva con
battute
sarcastiche, sottolineando come tutti loro sarebbero nei migliori dei
casi mutilati se il principe non fosse intervenuto personalmente, con
quelli che erano definiti come giochetti
di prestigio,
si ritrovava cuciti addosso sguardi perplessi intenti a scoprire cosa
la legasse tanto a quell’uomo talmente distante da lei.
Nonostante ciò che pensavano gli altri, Lady Sigyn aveva
intuito
molto più di tutti loro messi assieme la natura di Loki e a
dispetto dello spavento che quello squarcio su di lui avrebbe dovuto
evocare, inaspettatamente ne era rimasta maggiormente affascinata.
L’inganno,
come aveva
compreso, non era un’arte che si può scegliere
liberamente, vi erano semplicemente persone che si nascondevano,
celavano se stessi insieme al cumulo di sentimenti rappresi malamente
nel cuore, e non avevano altra scelta che illudere il mondo esterno
– con la retorica, la recitazione e anche, per chi ne
possedeva
il dono, la magia. L’evolversi di questa natura era
plasmabile,
mutevole e mai continua, perché era quello il rischio che ci
si
portava appresso nell’abbracciare la menzogna: essere a
propria
volta vittime di ciò che si riteneva di poter governare.
Eppure, quel
rischio, Lady Sigyn reputava che il principe non l’avrebbe
mai
corso, troppo magnificamente a suo agio in quell’ambiente
indefinito – era ancora giovane, piena di speranze e un
giorno
avrebbe pianto in ginocchio davanti al trono del Padre degli Dei per
ciò che sarebbe successo, e anche davanti alla morte, non
avrebbe rimpianto nulla, ma si sarebbe solo data della sciocca per tale
calcolo drammaticamente sbagliato.
Rimase con la schiena dritta, seduta sulla panchina dei giardini reali,
spostando solo le iridi scure per seguire i passi di Loki, intento a
ruotarle attorno, scrutandola con indefinita espressione. Non era a
conoscenza dei suoi pensieri, nessuno avrebbe potuto esserlo, ma non
occorreva grande maestria psicologica per concludere che stava tentando
di intessere una trappola ai danni della sua giovane devota. Si
divertiva troppo nel sondare quanto e come Sigyn si sarebbe spinta oltre
per poterlo compiacere, adorava vederla inventarsi ogni volta nuovi
modi per poter realizzare le sue richieste, senza farlo pienamente, per
dispetto. Era una ragazza dannatamente pacata, la sua anima non si
agitava nemmeno sul campo di battaglia se non per la travolgente
adrenalina ad acutizzare i suoi spostamenti, ma mai cadeva vittima
delle passioni e la sua ragione rimaneva ancorata alla
lucidità
più sfacciata.
«Posso domandare la ragione di questo silente
incontro?»
chiese Sigyn, interrompendo l’imposta assenza di parole da
parte
dell’uomo che continuava appositamente a tirare le labbra
sottili
in un ghigno, dai risvolti illeggibili
nell’ambiguità
intrinseca di cui era composto.
«Nessuna, in realtà. Volevo solo vedere quanto
fossi
cambiata» asserì mantenendo l’aria
sornione,
lasciando che le proprie parole non risuonassero con un senso definito,
ma si allacciassero a una moltitudine di significati lasciati
palesemente in
sospeso. Era interessante, per lui, osservare quella ragazza che aveva
osato talmente tanto nell’accendere la sua
curiosità,
sollevando un flebile attaccamento alla sua persona, al punto di
ricercarla con lo sguardo nei momenti di noia nel palazzo e in quelli
di tensione per il campo di battaglia. Non era classificabile come
preoccupazione nel senso comune del termine e in nessun altro modo,
forse perché in lui non vi era nulla di quotidiano e
catalogabile come rientrante nei canoni asgardiani, ma era un dettaglio
al quale evitava di porgere deliberatamente attenzione.
«Spero di non esserlo troppo» commentò
sorridendo,
quasi sbuffando per trattenere una risatina leggera, intrappolandola
tra le labbra cremisi, che a differenza di quelle dell’uomo
erano
piene, carnose e rimanevano sempre lievemente dischiuse, come se vi
fossero parole perennemente in attesa di essere pronunciate o un lieve
stupore perpetuo a impregnarle.
«La treccia si è allungata.»
«Un’altra cosa che spero è di sapere, un
giorno,
come mai i miei capelli vi stiano così tanto a
cuore.»
«Perché, mia devota
Sigyn, sono ancora più splendenti di quelli di qualsiasi
altro
asgardiano» osservò Loki, stranamente sincero nel
risponderle, piegandosi in avanti, da dietro le sue spalle, per
affacciarsi al lato sinistro del suo volto accarezzato
dall’intreccio a ricaderle sul petto. La chioma della ragazza
non
era sempre stata di quella sfumatura che aveva acquistato crescendo,
abbandonando il rilucere dell’oro caldo e afferrando una nota
fredda nello scolorirsi, diventando quasi luce abbagliante da quanto il
giallo si era avvicinato al bianco del gelo; ma la vera meraviglia di
quella pioggia di raggi condensati erano i ricci magnificamente
delineati nei loro aspirali, tessuti con una sapienza divina
più
alta, la stessa che aveva inventato le stelle e la loro grandezza.
Erano talmente ben piegati nei risvolti, scivolando come sdruccioli di
neve, che Loki aveva sempre considerato un peccato prima amputarli e
poi imprigionarli in quella pettinatura, tanto da fargli pensare che
lei non meritasse un dono del genere se non sapeva apprezzarlo
pienamente.
Forse era perché i suoi di capelli erano del tutto diversi
da
quelli degli altri suoi concittadini. Non era una tonalità
atipica, come quella di Sigyn, era l’opposto totale, radicale,
l’estrinsecazione del suo essere distante da quel mondo a cui
avrebbe dovuto appartenere e che spesso lo avvertiva opprimerlo,
stringerlo in una morsa di soffocamento per quel volerlo elevare
– o abbassare – a una condizione che non gli
apparteneva. E
quel contrasto, quella lotta tra ciò che sentiva di essere e
ciò che avrebbe voluto essere per vedere orgoglio negli
occhi di
suo padre, lo stesso del quale si infiammavano nel soffermarsi su suo
fratello, lo affliggeva con più prepotenza di quanta mai
aveva
dichiarato persino a se stesso – e che per tutta la vita lo
avrebbe assillato, un martello a battergli sul cuore, consumandolo. E
mentre si ritrovava disperso in considerazioni nate da qualcosa di
tanto insignificante come i boccoli della sua personale guerriera,
udì la voce della stessa proporre qualcosa di assurdamente
impensabile:
«So che avete reso i capelli di Lady Sif neri per dispetto,
fatelo anche con me.»
«E perché dovrei?» chiese, colto alla
provvista,
incapace di celare in modo perfetto lo stupore per quella richiesta.
«Perché a me piace il colore dei vostri, di
capelli. Neri,
come la notte, i miei occhi, il cuore dell’universo, come il
freddo e il nulla» spiegò con la calma di cui
erano
costruiti i pilastri del suo animo quieto, spalancando gli occhi nel
pronunciare il colore dal quale era rimasta affascinata, abbagliata
dalle sfumature di cui le ombre si condensavano e che scorgeva nel
verde degli occhi del principe. A differenza di quando molti pensavano
di lei, Sigyn non era poi così ingenua nel ritenere che chi
sapeva tanto ingannare con maestria avversari terribili potesse avere
un’anima immacolata, ma questa considerazione non aveva
alleviato
il fascino che Loki esercitava su di lei, al contrario, ne aveva
ampliato le dimensioni, conducendola a decidere di sondare sulla
propria pelle – anzi, sui propri capelli – quella
natura
melliflua.
«Potresti mai sopportare di essere diversa? Hai appena
espresso
il desiderio di non cambiare» le fece notare Loki, afferrando
nella propria mano, sempre restando dietro di lei, la treccia,
tastandola con più precisione di quanto non avesse mai fatto
in
precedenza, assaporando con i polpastrelli la morbidezza dei fili di
luce e la loro consistenza esile.
«Nello spirito, mio principe» chiarì
semplicemente,
vincendo la voglia di voltarsi alla ricerca dello suo sguardo, restando
invece impassibile nel tenere fissi i propri occhi verso
l’ingresso del palazzo, illuminato dalle lanterne su cui
danzavano fiamme di zafferano e sangue. «Quanto al resto, non
afferro cosa ci sia di tanto strano.»
«Lo sai benissimo, non prenderti gioco di me», in
uno
scatto di improvvisa irritazione, Loki si rialzò
distaccandosi
dalla figura di lei. Non apprezzava essere schernito e avvertiva
quell’ultima affermazione come una leggerezza imperdonabile,
perché lui aveva perfettamente in mente quanto fosse
complicato
essere differenti, ne aveva dovuto portare il peso e l’aveva
trasformato in un’arma a proprio vantaggio, ma mai era stato
sufficiente a rendere la sua persona all’altezza degli
standard
che ci si attendeva da chi era nato ad Asgard.
«Non era quella la mia intenzione» rispose
tranquillamente
Sigyn, sinceramente incapace di comprendere come qualcosa di fuori
dagli schemi potesse essere dileggiato, invece che rendere succubi
della
suggestione creata dall’aver infranto la monotonia. Ma la
cosa
che ancora più la rendeva perplessa, era come si desse
così tremendamente importanza a quale tono avesse impregnato
i
capelli alla nascita di un individuo; e a conti fatti il suo era stato
solo un infantile desiderio, che non nasceva dal volersi rispecchiare
con chioma abbinata alle sue iridi, ma da qualcosa di assai
infinitamente più prezioso. Glielo disse, per fargli
intendere
come non volesse in alcun modo mancargli di rispetto, e fosse
interessata unicamente a rimanere visibile ai suoi occhi.
«Davvero non capisco il motivo di tanta importanza a una
minuzia del genere. Il mio era più un capriccio,
perché desideravo qualcosa da voi e nulla di
più.»
«Potrei accontentarti, ma non so quanto ti
piacerebbe» e
nel dirle quelle parole tornò a piegarsi verso il suo
orecchio,
sollevando la treccia per portarla a scivolare lungo la schiena,
attendendo una risposta da parte di lei. Sigyn non aveva mai
compiaciuto completamente una sua richiesta, così, dato che
non
aveva intenzione che quel gioco
potesse perdurare unicamente in una direzione, se avesse deciso di
perseverare a stuzzicarlo, le avrebbe dato dimostrazione del motivo per
cui era stato chiamato
dio degli inganni.
E avrebbe anche, in quel modo, visto quanta finta fedeltà vi
fosse nel comportamento di ossequia riverenza con la quale la donna lo
aveva sempre cosparso, cercando di dissetare quel narcisismo con cui
era nato e si era alimentato – avrebbe visto quanto reale
fossero
le sue affermazioni di devozione, fino a che punto fosse disposta a
mettersi da parte per lui, e nell’incapacità di
scorgere
ancora quanto profonda fosse tale capacità di Sigyn,
pensò che avrebbe distrutto la maggior parte di
ciò che
li teneva legati.
Le sciolse la treccia, finalmente
osservando come i boccoli di
disperdessero scorrendo in sciami di spirali verso il basso,
riprendendosi dalla costrizione a cui lei li aveva relegati. Li
scrutò a lungo, nonostante il capo di Sigyn avesse
già
annuito dandogli la possibilità di far quel che desiderava
della
sua chioma, e cercò di imprimersi nella memoria con quanta
più forza potesse i giri naturali con i quali cadevano,
tinti di
una luce argentea dalla luna a renderli eterei, privandoli di quel
residuo di biondo che era rimasto a dividerli dalla sostanza del gelo
invernale. Lasciò trascorrere i secondi, assimilando ogni
loro
dettaglio prima di decidere la magia, con la quale l’avrebbe
punita per non essere stata capace di percepire la perfezione di cui
era stata in possesso e per la sua continua sfida nel non voler
soddisfare con pienezza i suoi ordini.
Glieli lisciò,
togliendole quei boccoli dei quali era sempre andata segretamente fiera
e che aveva ereditato dalla madre, spianandoli fino
all’ultimo e
non lasciando nemmeno un’onda a smuoverne le punte. La
privò completamente della delicatezza delle curve di cui le
sue
ciocche erano stati ricchi, e aspettò con trepida
soddisfazione
di scoprire quale sarebbe stata la prima emozione nascere nel suo volto
– se l’orrore, lo sconcerto, la paura o la
disillusione per
quello scherzo di discutibile gusto.
Ancora una volta, come lo sarebbe stato per
l’eternità,
oltre quelle vite per affondare nelle loro reincarnazioni, Sigyn lo
stupì con la noncuranza della sua natura imprevedibile, di
cui
lei stessa non aveva percezione, ma che gli altri avvertivano tanto
chiaramente da rimanerne sbigottiti.
«Mi sono sempre chiesta come sarebbero stati lisci»
disse
semplicemente, afferrandosi con le falangi sottili una ciocca e
alzandola per poterla studiare con maggior precisione. Sigyn era
persona razionale, nonostante il fascino che il principe sortiva su di
lei, mai le avrebbe offuscato la vista e quando aveva pronunciato
quella richiesta aveva perfettamente messo in conto i rischi che
correva, dunque, non si sentì in alcun modo umiliata,
perché, anche se in modo diverso da quello da lei espresso,
aveva ricevuto qualcosa da lui e ciò era più che
sufficiente. Dunque semplicemente
sorrise, radiosa più di quanto potesse mai immaginarsi Loki,
relegato a un mutismo per quella reazione inspiegabile. Lo avrebbe
imparato con il tempo, Sigyn non dava importanza alle cose con la scala
con cui le persone calcolavano il valore della moltitudine dei pezzi
della loro esistenza, ma in base a una logica costruita in una vita in
cui aveva visto decadere la più nobile delle casate di
Asgard e
in cui lei, dall’aspetto tanto mansueto e innocuo, era
diventata
una delle guerriere più temibili.
«Sei del tutto insensata,
Sigyn» commentò infine, spostandosi finalmente
davanti a
lei per poterne studiare in modo più compiuto i lineamenti,
provando a sondare gli ingranaggi che muovevano la sua mente
– e
il suo cuore. «Solitamente le persone sono così
facili da
capire, riesco a comprendere come si muovono tanto bene da poterne
prendere il posto senza destare sospetto. Ma tu, Sigyn, sei del tutto
impossibile da prevedere.»
«Credavate mi sarei offesa? Ve l’ho chiesto io di
giocare
con i miei capelli, non sono persona tanto sciocca da sottovalutare il
dio degli inganni.»
«Dimmi, Sigyn, perché tu vieni da me e brami la
mia
compagnia, la mia attenzione, il mio interesse, la mia
compiacenza?» domandò senza precisare come
riuscisse, in
un modo o nell’altro, a ottenere tutta l’intera
serie da
lui elencata con una facilità di cui Loki stesso rimaneva
sorpreso, sfuggendogli il come
tutto quello avvenisse concretamente. «Solitamente non sono
io quello a cui le donne aspirano.»
Sigyn perseverò a tenere gli angoli delle labbra curvati in
un
tiepido sorriso, mentre ricomponeva la propria treccia con il capo
piegato lateralmente, facendo passare le proprie dita tra la propria
chioma e prestando attenzione a come sentisse diverso quel gesto che
per anni le era risultato tanto naturale, riscoprendolo nuovo. Le
sarebbero mancati i suoi ricci, le sarebbe mancato alzarsi la mattina e
passare minuti davanti allo specchio tentando di togliere ogni nodo da
essi, e ne avrebbe provato malinconia ricordando di aver perduto
l’ultimo contatto tangibile con sua madre; tuttavia, mai
avrebbe rimpianto di aver posto a Loki quella richiesta e con quel
pensiero si sarebbe consolata.
«Solitamente, mio signore, le donne spalancano gli occhi
davanti
ai gioielli sgargianti e ignorano il carbone dei loro focolai,
imprecando quando si attacca alle loro vesti, senza sapere che
è
da esso che nascono i diamanti di cui vorrebbero ricoprirsi»
rispose alzando un sopracciglio, lievemente infastidita non da lui, ma
da come le sfuggissero i capelli ora lisci sotto le dita, e facendole
sembrare difficoltoso quel processo di intrecciarli che fino ad allora
le era apparso incondizionatamente automatico come respirare.
«E
poi i diamanti sono talmente scontati nella loro presunta bellezza, che
è meglio inzozzarsi del nero
del carbone.»
«Una buona risposta» notò Loki,
chinandosi su di
lei, per aiutarla inaspettatamente a tener fermo lo snodo
dell’ultimo intreccio in modo da renderle meno complesso il
passaggio di legarli con il nastro verde – che poco
c’entrava con i colori di cui vestiva, ma si abbinava
perfettamente ad altro.
«Quindi, posso pensare che mi seguirai qualunque strada
prenderò?»
«Conoscendovi, principe, credo che la strada ve la farete da
solo e io sarò mezzo passo dietro di voi.»
Loki aveva conosciuto molte persone nella sua lunga vita e ancora di
più ne avrebbe incrociate, ma mai avrebbe scoperto una
creatura
con la stessa capacità di sorprenderlo come quella di Sigyn.
Si
era aspettato di vederla retrocedere dalla sua posizione di servirlo,
di rimanere a lui fedele e di continuare a provare a impressionarlo,
invece con quello scherzo aveva solo ottenuto di essere lui quello a
rimanere colpito da lei – una volta in più e notevolmente,
ma non le avrebbe rivelato di essere riuscita, almeno mentalmente, a
fargli sostituire il precedente avverbio con uno che oltrepassava le
sue aspettative.
Le si sedette accanto quando ebbe finito di sistemarsi le ciocche, e
decise che quella volta l’avrebbe seriamente accontentata per
premiare l’impavida tenacia a rimanergli accanto nei modi
più disparati e variopinti, nonostante fosse conscia di come
fosse mutevole e ingannatrice la sua anima. Tese le mani in avanti,
piegando lievemente il collo per sussurrarle all’orecchio, e
cominciò a costruire illusioni che erano squarci su pianeti
mai
visitati, su scenari non ancora accaduti e panorami di cui non si
conosceva l’ubicazione.
«Ti mostrerò qualcosa di unico, mia devota Sigyn,
qualcosa solo per te, come desideravi.»
M A N I
A’ s W
O R D S
Perché io Sigyn non ce la vedo a prendersela per cose tanto
futili, e soprattutto perché credo che lei sappia
esattamente
com’è fatta l’anima di Loki e lo ami per
quello che
è e non per ciò che vorrebbe che fosse
– sia la
luce sia le ombre di cui è fatto.
Come notate io poi ho una
certa fissa per i capelli, ma questa volta non volevo fossero messi in
mezzo solo quelli di Sigyn, così ho coinvolto anche quelli
di
Loki – che probabilmente avrebbe voluto che glielo
risparmiassi.
Come sempre poi c’è il riferimento
all’impressionare. Non so se ve lo ricordate, ma nella
precedente
shot Sigyn aveva detto che avrebbe fatto levare l’avverbio a
Loki, che diceva di essere lievemente
impressionato da lei, e alla fine riprendo questo punto
– anche se in modo indiretto e lei non lo sa.
So che la frase sui dimananti e il carbone è tremendamente
cliché. Lo so. Passatemala, perché penso di
averla usata
discretamente bene e resa meno banale di quanto potesse essere in
questo contesto - o forse no. Ma anche perché Sigyn
è
molto giovane secondo la longevità degli asgardiani e lo
è anche rispetto a Loki, quindi ce la vedo a fare discorsi
usando figure lievemente
banali - banali nella forma, non nella sostanza.
Poi, so che c'è un pezzo che fa spoiler! su
ciò che ho pensato per il futuro, nel caso abbiate in mente
di chiedermi chiarimenti, non vi accontenterò. Non
è cattiveria - solo un filino, forse - ma è
perché fa parte della long sulla quale sto lavorando, e dato
che se tutto va bene per dopo le vacanze natalizie dovrei riuscire a
postarla, non mi pare il caso di dare ora delucidazioni.
Ultimissima cosa prima dei ringraziamenti, ho messo il banner -
già da qualche giorno, ma chi aveva già letto il
secondo
capitolo non se ne è potuto accorgere, così
rimetto le
note già inserite nei due precedenti capitoli. L'ho creato
io, e
lo so che non è proprio questa meraviglia, ma non sono una
grafica anche se mi improvviso tale per occupare il tempo - che non ho,
ma ok. L'attrice che fa da prestavolto alla mia Sigyn è Chloe Grace Moretz
- e se negli altri capitoli dicevo che mi dispiaceva che non avesse i
capelli ricci, qui mi scuso se non li ha completamente lisci e lunghi.
Però il volto lo immagino proprio come il suo, quindi anche
se
l'acconciatura non è quella precisa, patate (?).
Comunque vorrei sentitamente ringraziare chi ha inserito la storia tra
le seguite/ricordate/preferite, davvero, mi fa molto piacere che questa
piccola raccolta sia apprezzata. Quindi vi prego, lasciatemi anche una
recensione, perché i vostri pareri sono importanti per me e
a
tal proposito ringrazio tantissimo Yoan Seiyryu,
Helen L
e Serendipity__
per le recensioni che hanno lasciato fino ad ora, mi avete reso
migliori queste giornate di malattia.
Ne approfitto anche per agurarvi a tutti buon Natale, buone feste, buon
Capodanno e di divertirvi, mangiare e giocare a palle di neve se il
tempo ci fa tale grazia. Il prossimo aggiornamento probabilmente
arriverà o a fine anno o i primi giorni, a presto!
Mania■
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Capitolo 4 *** O4 • La devozione genera a sua volta devozione ***
PROLOGO
“ La devozione genera a sua volta
devozione „
Una
delle cose che Loki odiava maggiormente era doversi sentire in pensiero per
qualcosa, ancora di più per
qualcuno.
Quando accadeva - ed era raramente - si ritrovava a dover lottare tra
la parte del proprio
essere che sentiva di potersi concedere – almeno di tanto in
tanto – di lasciarsi andare in modo più marcato a
sentimenti di cui avvertiva i movimenti nel proprio cuore,
e l’altra che preferiva acquietarli, per tenerli
sotto
controllo e non lasciarsi sopraffare dagli stessi, evitando di caderne
vittima, ma soprattutto di mostrare possibili indizi a esterni
osservatori per decifrarlo. Era quella la ragione
dell’incredibile ondata di irritazione che serrava la sua
mandibola, calcando le sopracciglia sullo sguardo tremendamente freddo
con il quale scrutava le mura anguste dei sotterranei, cunicoli stretti
e dai soffitti esasperatamente alti.
Eludere le guardie non era stato difficile, con la propria magia Loki
poteva permettersi di prendere qualsiasi strada desiderasse, senza
dover dar conto a nessuno – scivolando via dagli occhi
indiscreti, muovendosi in ombre unicamente sue e di cui aveva il
controllo. Mosse le dita lunghe della mano sinistra, evocando lontani
suoni a catturare l’udito di chi stava tenendo sotto
sorveglianza
l’ultimo corridoio delle prigioni dei Demoni di Muspelheim, e
attese che si muovessero in coppia verso la fonte in movimento degli
scricchiolii prima di addentrarsi tra la fila di celle. Le sbarre
spesse erano di un nero denso, quasi fossero tenebra stessa a tenere
segregati i prigionieri, dividendoli dal mondo con una prepotenza
esasperante, relegando le anime desolate a una dimenticanza perpetua.
Pochi gemiti provenivano dagli abissi di abbandono, sommessi e rivolti
alle proprie anime arrugginite in rovina, e Loki nemmeno prestava loro
attenzione, conoscendo la propria meta grazie alla scia di sangue
fresco a rilucere sulle mattonelle di grezza pietra, rischiarate dai
riflessi delle torce sporadiche appese alle pareti.
Non gli fu di alcuna difficoltà aprire la serratura,
così
semplice da scassinare all’esterno quando impossibile farlo
dall’interno, ma per fortuna di Lady Sigyn, il principe era
assai
abile in quel genere di attività e gli bastò
intessere
una magia, lievemente più complicata del normale, per poter
accedere all’antro che era stato riservato alla prigioniera
di
guerra. Anche se la vittoria era sempre più vicina per gli
asgardiani, vi erano stati dei prigionieri tra le loro file durante gli
ultimi scontri che tentavano di ricacciare l’avanzata dei
Demoni,
sempre più impregnati in un’espansione
territoriale
violenta. Lady Sigyn era tra coloro che erano caduti nelle mani dei
nemici e per sua sventura il Padre degli Dei non intendeva contrattare,
proibendo a chiunque di tentare di invadere il campo avversario per
tentare nel vano intendo di liberare i compagni – quando
avrebbero vinto, li avrebbero ritrovati, concesso ovviamente che
fossero sopravvissuti fino a quel tempo. E Loki non aveva certo tutto
quel tempo per attendere, senza contare che sapeva con assoluta
precisione di come il fianco della guerriera era stato squarciato da
una lama nemica, affondando nella sua carne e mettendone in vista il
rossore interno, mentre da sola aveva tentato una mossa azzardata
nell’occuparsi di un manipolo di uomini. Per quanto la
manovra da
lei organizzata avesse seriamente messo in difficoltà
l’esercito nemico, aveva avuto il contrappasso di esporla
eccessivamente.
Spiegarlo a parole, il motivo per cui era lì, era
semplicemente impensabile.
Il solo provare a concretizzare una concatenazione di passaggi logici
nella propria mente era difficoltoso, aveva solo deciso, non appena si
era accorto dell’assenza della donna
nell’accampamento e
ricordando di averla vista in ginocchio, ricoperta di sangue suo e
demoniaco, che l’avrebbe riportata indietro – in
modo del
tutto discreto, e non perché stava disubbidendo a un ordine
di
suo padre, ma più stranamente per non rendere palese
qualcosa di
cui non conosceva nemmeno lui la forma.
Si chinò lentamente sulla sagoma rannicchiata contro uno
spigolo
dell’angusto luogo, dove l’umidità
bagnava le rocce
e la luce filtrava malamente, offuscata da polvere e sporcizia.
Respirava appena, tamponandosi la ferita con un pezzo di stoffa
strappata dalla propria maglia lercia – o da ciò
che ne
rimaneva, più che altro -, con un filo di sensi a
trattenerla in
uno stato cosciente. Le parlò piano, all’orecchio,
sfiorandole la palle con il movimento delle labbra mentre passava
appena una mano sulla sua guancia per farle comprendere di non aver
allucinazioni: «Sigyn, guardami e non morire. È un ordine.»
Un fremito lieve scosse il corpo esile della donna, anticipando il
tendersi dei muscoli del collo che la portarono a sollevare appena il
mento di qualche millimetro, quel tanto che le permettesse di
socchiudere maggiormente gli occhi e osservare la fonte della voce. Era
incerta sulla sua presenza lì, in quella prigionia,
perché non aveva mai visto la parte del salvatore
ritagliarsi
sulla figura di Loki. Eppure, avvertiva i polpastrelli di lui
delinearle i lineamenti, partendo dallo zigomo per scendere lungo la
guancia, arrivando a tracciare il contorno della mandibola, giungendo
al mento e spingendolo maggiormente verso l’alto.
«Non ho intenzione di morire, mio principe, non
c’è
bisogno che me lo ordinate» pronunciò le parole
con una
tale fatica da apparire più come mormorii perduti, memorie a
risalire nella mente, che sillabe appena fatte risuonare. Non vi era
alcuna forza, erano strascicate, le labbra avevano vibrato appena nel
definirle, e la debolezza del corpo aveva coperto – quasi
soppresso – il vigore dello spirito, per mancanza concreta di
qualsiasi tipo di energie a cui far affidamento. La pozza di sangue
sotto di lei era ampia, non concedeva alla fantasia di dubitare su
quali fossero le sue condizioni.
Era talmente leggera da non recare alcun problema a Loki nel
sollevarla, e mentre richiudeva la cella e occultava la loro presenza
scivolando nuovamente via come un’ombra – una delle
tante
agli occhi dei carcerieri -, si premurò di far attenzione a
compiere spostamenti bruschi che potessero riportare la ferita di lei a
sanguinare copiosamente. La tenne in braccio, come una bambina, con la
testa appoggiata alla sua spalla e ne avvertì il respiro
infrangersi sul suo collo con una fiacca pari solo alla fatica con la
quale mangiava l’ossigeno. Eppure, nonostante fosse
consapevole
che Sigyn non potesse muoversi, che necessitasse di cure immediate, non
riuscì a completare la sua opera di salvataggio - ad essere premuroso fino in
fondo.
«Sigyn, quando saremo fuori di qui ti lascerò a
qualche
chilometro dal nostro campo. Non voglio che tu dica che sono stato io,
dì che sei scappata, inventati qualsiasi cosa o di che non
ricordi niente, viste le tue condizioni, ti crederanno.. Mi hai
capito?»
L’avvertì annuire, incapace forse di chiedere
spiegazioni
o forse non gliene occorrevano. Lady Sigyn era sempre stata perspicace,
soprattutto con lui, e lo aveva dimostrato, quindi non emise il
più fievole dei lamenti quando la lasciò nella
landa
desolata che aveva ospitato lo scontro della giornata appena bruciata
nel sangue e nella morte. E lui non si voltò, mentre tornava
all’accampamento per lavarsi via le macchie scarlatte dagli
abiti, prima che qualcuno potesse notare il suo allontanamento, per
sapere se sarebbe riuscita ad alzarsi e tornare dove
l’avrebbe
aspettata.
Non ne aveva bisogno di accertarsene, sapeva che sarebbe arrivata. E
arrivò, perché glielo aveva ordinato e lei, la
sua devota
Sigyn, lo aveva accontentato ancora una volta – una in
più
e una non accora
abbastanza.
Era rimasto ai confini delle tende, senza dover dare troppe
spiegazioni, perché i suoi modi erano sempre state incognite
per
tutti gli asgardiani e avevano smesso di chiedergliene il conto,
semplicemente assecondandolo, così da permettergli di
muoversi
molto più liberamente – e si era potuto concedere
il lusso
di attenderla, di puntare i propri occhi all’orizzonte per
poter
essere lui il primo a scorgerla. E mentre guidava i soccorsi per
recuperarla, mostrandosi rigido come era abituato a farsi vedere dagli
altri, lo scompiglio aveva attirato chi era più abile dei
normali soldati ad accorgersi delle crepe di mutamento sulle sue
innumerevoli maschere.
Suo fratello Thor si rivelò di una premura incomparabile con
Sigyn, fu lui a sollevarla da terra e a portarla nella tenda in cui i
guaritori si sarebbero presi cura del corpo martoriato della giovane.
Lo fece mosso da un senso di sincera compassione per le condizioni
della donna, ma anche perché si ritrovò ad essere
più che meravigliato nel ritrovare Loki a supervisionare i
recuperi di un soldato. Di Lady Sigyn, Thor, aveva sentito parlare
esclusivamente dall’altra Lady dell’esercito, con
tale
entusiasmo misto a bizzarria da esserne seriamente incuriosito lui
stesso, ma era sempre stato così impegnato negli scontri e
in
divertimenti da non essersi mai preso la premura di conoscerla; ma se
avesse saputo che la stessa giovane aveva addirittura sollevato
l’interesse di suo fratello, si sarebbe precipitato a
scoprire
che genere di fanciulla potesse mai destreggiarsi in una simile impresa.
«Non mi avevi detto di conoscerla così
bene», non
era un vero rimprovero quello che mosse Thor, ma era più
un pacato risentimento per essere stato tenuto
all’oscuro di
qualcosa che riteneva talmente rilevante da avergli fatto abbandonare
la seconda ripresa del banchetto, per poter scoprire i miglioramenti
delle condizioni di Sigyn dopo le cure e, se ci fosse riuscito,
conversare con Loki.
«Mi è sfuggito il momento in cui me lo hai chiesto
evidentemente» replicò con inspiegabile freddezza
il dio
degli inganni, spazientito da quel commento tanto innocuo. Strinse i
pugni, pendendosi per aver perso la propria compostezza tanto
facilmente, lasciandosi visibile più di quanto avrebbe
desiderato, perché anche se si trattava di Thor, non
desiderava
mostrare a nessuno ciò che ora gli puntellava il petto. Non
si
preoccupò nemmeno di domandarsi quanto normale fosse stato,
da
parte sua, tenere nascosta la sua conoscenza con Lady Sigyn,
perché di canonico né lui né tanto
meno lei
possedevano qualche tratto - e non gli sarebbe occorso troppo per
scoprire che era una forma di egoismo,
reciproca, quella di non farsi mai scorgere quando parlavano,
perché entrambi preferivano rivestire quei momenti di
un’intimità che sfociava nella
clandestinità
autoimposta.
«Capisco che tu sia preoccupato, ma non vedo
perché
prendertela con me. In fondo ha solo fatto il suo lavoro, e anche
egregiamente» osservò Thor sollevando un
sopracciglio, ma
senza alcuna intenzione di polemizzare, semplicemente incuriosito da un
comportamento tanto sentimentale da parte di Loki – e fece
fatica
a nascondere il lieve divertimento per tale aspetto, un divertimento affettuoso,
perché era contento di trovare in lui un aspetto nuovo con
sfumature dalle tinte tiepide, premurose.
«Non sono preoccupato». Era furibondo.
Ed erano troppe le cose che gli serravano la mascella, tendendo i
muscoli non solo del collo ma della spalla, affondando nel braccio teso
per poter far infossare le unghie nel palmo, cercando di sfogare in
quelle contrazioni, trattenute per il lasso di tempo maggiore, la
rabbia che sentiva rimontargli nell’anima. Era per
l’essersi lasciato condizionare da Sigyn – fino ad
andare
salvarla, lui stesso!
-; era
per l’essersi seriamente sentito cruciato per le sue sorti;
era
per l’essere stato colto in quel frammento di debolezza e
Loki
non poteva sopportare di mostrare in qualcun modo i propri sentimenti
– nemmeno quelli puri, veri, non ancora macchiati da alcun
inganno meschino. Ed era anche perché Thor si permetteva di sminuirla
affermando che aveva fatto solo
il suo lavoro, quando la strategia messa a punto di Sigyn batteva in
astuzia ed efficacia la azioni impulsive, arroganti e affrettare del
dio del tuono – per lui, d’altronde, pianificare un
attacco
era cosa fuori dal suo essere.
«È un vero miracolo che sia riuscita a scappare e
ne sono
felice. Per te» continuò Thor, appoggiandogli una
mano
sulla spalla, cercando lo sguardo sfuggente del fratello, incollato al
volto niveo della giovane, ancora profondamente addormentata dopo le
cure dei guaritori nel suo giaciglio.
«Fratello, non intendo trattenerti ulteriormente, sarebbe il
caso che tu raggiunga gli altri per i festeggiamenti. La tua
assenza si nota», si voltò per recitare al meglio
quella
frase, imprimendogli una delicatezza di cui non si sentiva possessore
ma che occorreva per poter convincere Thor a lasciarlo da solo. Vi
nascose un frammento di gelosia fuoriuscito insieme alla frustrazione
rabbiosa, ma lo fece con tale dovizia che l’altro non vi fece
alcun caso a quella nota di poco fuori tono rispetto alle altre.
Quando rimase nuovamente in compagnia della guerriera addormentata, non
vi fu nessun rumore a perturbare l’aria della stanza se non i
riverberi della festa che giungevano fino a lì. Le torce si
consumavano con lentezza perpetua, lanciando frecce scarlatte a
colorare l’ambiente di quell’onnipresente
tonalità,
come se il mondo fosse stato inzuppato dal sangue. Si sedette sulla
poltrona lasciata libera dal guaritore che si era preso cura di lei,
appoggiandosi completamente allo schienale e incrociò le
dita
davanti al proprio petto con i gomiti piantati nei bracciali mentre la
scrutava. Respirò tanto a fondo, con un’imposta
regolarità, da sentir distintamente i battiti del proprio
cuore
diminuire d’intensità e abbandonare le
tonalità di
furia nera che aveva sentito propagarsi, come un morbo, dentro di
sé come mai prima di quel tempo.
Non fu scosso da alcun fremito di rinnovata irritazione quando Lady Sif
si presentò qualche ora dopo, quando la notte era tanto
profonda
da essere quasi al termine e il banchetto si era ormai estinto, per
dare qualche ora di riposto a soldati che non avrebbero combattuto il
giorno dopo, perché così era stabilito
dall’accordo
di tregua di tre giorni per seppellire i rispettivi morti. La voce
della donna era tiepida, nonostante la tonalità acuta
donatole
dal vino, era dolce nel domandare le condizioni in cui versava Sigyn;
fu la premura sincera, rispettosa, con cui educatamente pose il suo
interrogativo a indurre Loki ad alzare le verdi iridi su di lei per
risponderle.
«Loki, non è tornata da sola, vero?»
«Stai insinuando che io abbia disubbidito agli ordini di mio
padre per andare a salvare una guardia reale, Lady Sif?», non
si
turbò per quell’affermazione nascosta da un
interrogativo
fasullo. Fece ricadere l’attenzione di Sigyn, tranquillo
ché mai la dea della guerra avrebbe in alcun modo messo al
corrente altri delle sue certezza non provate. Non fu sorpreso della
perspicacia di Lady Sif, era di gran lunga la più arguta e
acuta
osservatrice tra i molti che facevano parte della cerchia
più
rispettabile di Asgard, ed era una delle poche persone che persino Loki
teneva in flebile considerazione, conscio delle sue abilità.
«Se fosse, troverei tale gesto nobile»
asserì
pacata, sorridendo morbidamente. «Se ti dovesse stare a cuore
la
sua vita, non credo che ciò possa essere in alcun modo
sbagliato.»
«La sua
devozione merita di essere ripagata,
nulla di più», fu probabilmente perché
sapeva che
Lady Sif avrebbe capito solo a metà – ma comunque
compreso
– ciò che intendeva dire con
quell’affermazione che
la formulò ad alta voce invece di segregarla dentro di
sé. Ed era il motivo per il quale era andato da lei, in
quella
prigione seppellita, dimenticata nel gelo della desolazione,
perché aveva dimostrato più di chiunque altro di
non
pretendere nulla in cambio della propria fedeltà
– e paradossalmente proprio ciò aveva generato in
Loki il
desiderio di trovare un modo proprio per mostrarle che non era
sentimento mal risposto.
Tuttavia, proprio quel circuito chiuso era stato il fertilizzante per
far spuntare emozioni collaterali delle quali il principe non aveva
alcuna intenzione di identificare la forma, preferiva rimanessero
opache presenze perse nella luce soffusa dell’alba, come
fantasmi
ad evaporare con i raggi novelli del giorno e nient’altro.
Ciò che non poteva lavare via era invece il senso di perenne
fastidio, meno corroso dal rancore, ma persistente a martellargli le
tempie per tutto il tempo che rimase al capezzale della ragazza. Fu
questo a impedirgli di darle un buongiorno anche solo decente,
ripiegando su un rimprovero come prima frase da rivolgerle, quando
ancora il senso di vertigini le riempiva il corpo e il corpo le
sembrava un formicolio unico – per non parlare delle orecchie
sature di fischi inesistenti e la vista invasa da nebbie mai scese.
«Non era questo che intendevo dire quando volevo che mi
impressionassi.»
«Se è per questo, non era ciò che
intendevo quando
ho detto che l’avrei fatto», impiegò
diversi minuti
per poter rispondere con voce impastata dal sonno imposto dai
medicinali e resa imprecisa dall’assenza di energie. Eppure,
nonostante la debolezza, mentre con estrema fatica riusciva a tirarsi
su a sedere appoggiandosi ai cuscini incastonati dietro la sua schiena,
portandosi una mano al fianco per tastare come esso fosse
già
quasi completamente guarito grazie alla magia curativa, non
poté
trattenersi da una domanda che nascondeva la propria soddisfazione.
«Tuttavia, un po’ l’ho fatto, non
è
vero?»
«Togliti quel compiacimento dal volto, Sigyn. Non ti
è
concesso morire» tagliò corto Loki, impedendole di
poter
gongolare per le proprie strategie di guerra acute, ma troppo
spericolate per i gusti del principe – eccessivamente
pericolose, in modo improprio.
«Vi ho già assicurato che non lo
farò.»
L’uomo non parlò subito, la lasciò
assettarsi nel
letto, cercando di riprendere confidenza con i propri arti, infilando
le dita tra la stoffa degli abiti puliti per assicurarsi che ogni osso
fosse al posto corretto. Le falangi sottili si inabissavano tra i fili
sottili di capelli ormai lisci, resi ramati dalla luce dei fuochi,
tentando di portarvi un ordine – ma il groviglio era
intricato,
troppi nodi rimanevano fissi e alimentati da una moltitudine di sottili
fili chiari. Il pallore del volto era dovuto all’ingente
perdita
di sangue, ma il colore era tornato almeno in parte sulle guance e le
iridi d’inchiostro rilucevano della condensazione del suo
animo
contradditorio. Vi erano movimenti dei quali Loki era certo che Sigyn
non si rendesse conto, come l’alzare un angolo delle labbra
maggiormente rispetto all’altro, o arricciare lievemente il
naso,
e nemmeno di come si tirasse indietro le ciocche prendendole tra il
pollice e l’indice, con il palmo rivolto
all’esterno. Era deliziosa
nella moltitudine di gesti incondizionati, abbastanza da smontare
almeno in parte l’irritazione di cui era responsabile.
«Sei tu che devi servire me, non il contrario»
spiegò piano, modulando con estrema precisione le singole
lettere – teatralmente,
perché in fondo Loki
era un attore, il migliore – per rendere
estremamente lampante il senso delle proprie parole.
Ma quelle parole erano del tutto superflue alle orecchie di Sigyn,
perché era stata lei la prima a volere tale situazione,
l’aveva ricercata e Loki le aveva concesso di poterla
instaurare
tra loro – o forse non ne aveva avuto realmente scelta, ma
era
impossibile poterlo comprendere e non vi era nemmeno un senso in una
tale ricerca. Sorrise, con difficoltà per la spossatezza
nella
quale si sentiva incatenata, ma cercò di collocarci una
delicata
nota di sincera riconoscenza per essere venuto a ripescarla, salvarla
– come il principe immacolato che non era e mai sarebbe stato.
«Grazie a me voi e vostro fratello siete vivi, credo di aver
adempiuto al mio compito», tuttavia, nonostante tale senso di
gratitudine, era del tutto impossibile a Sigyn cercare di non difendere
il proprio operato, perché quando aveva escogitato la mossa
tattica che aveva portato lei e i suoi uomini a scontrarsi sul fianco
più estremo dell’esercito nemico, aveva protratto
il
proprio attacco unicamente in vista della salvaguardia del nucleo
centrale dove vi erano i due principe – dove vi era Loki.
Eppure,
non completò la propria difesa che già scorse
rughe
d’espressione contrariate definirsi sulla fronte del dio
dell’inganno e seppe di aver aumentato il suo palese
discontento.
«No» asserì, pacatezza esasperata sia
nelle parole
sia nel chinarsi verso di lei, avvicinandosi per poter sviscerare con
più precisione l’anima inestricabile –
un mistero
anche per lui, di cui era affascinato inevitabilmente, al
contrario anche del proprio volere. «No, tu non devi pensare
a nessun altro
all’infuori di me,
a meno che non sia strettamente necessario. Ed è tuo
specifico
dovere rimanere in vita per continuare tale compito. Mi hai
capito?»
«Assolutamente, mio
principe», annuì, provando a staccare le spalle
dalla
soffice superficie dei cuscini candidi, ma giunse la mano di Loki a
bloccarla, appoggiandosi sul suo petto per trattenerla al proprio
posto. Era un contatto abbozzato quasi, non vi era nessuna forza,
eppure, a Sigyn apparve più premuroso dell’esserla
andata
a liberare, maggiormente intimo in quell’essere libero di
potersi
prendere cura di lei. L’aria la tratteneva tanto
inconsapevolmente quando lo era ripiegare un pezzo del labbro
inferiore, vicino all’angolo destro, all’indentro
per
morderlo appena per placare la crescita dell’ansia
imbarazzata
nel sentire quel tocco – e le dita di Loki sfiorarle la pelle
del
collo, per poi cadere lungo il braccio di lei per trovare le sue di
falangi, da stringere.
«Mia
devota Sigyn»
cominciò con un sogghigno quasi divertito, intriso di una
patina
di dubbiosa ironia. «Sono ancora indeciso nel valutare se
feci
bene o meno a rivolgerti la parola quel giorno alla caserma.»
«È un po’ tardi per i rimpianti, mio
principe», ridacchiò, Sigyn, sinceramente
divertita per
quell’affermazione, perché anche lei spesso se lo
era
chiesto come sarebbe stata se quell’imperituro giorno di
tarda
primavera Loki non l’avesse interrotta, impegnata a
stroncarsi i
ricci defunti perpetuamente. «E non vi stanno nemmeno
bene.»
«Hai ragione. Quindi vedi, per una volta, di eseguire in modo
puntuale
i miei desideri» concluse il principe ritornando con la
schiena
dritta, riportando distanza tra i loro volti, ma perseverando a
trattenere ancora gli ultimi centimetri delle falangi di Sigyn tra le
proprie. La facoltà di riuscire ad apparire tanto fragile ed
insieme indispensabile ai suoi occhi era solo una delle contraddizioni
nella collezione di Lady Sigyn, ma probabilmente quella che rendeva
Loki maggiormente debole
di
fronte a lei – incline a farsi vedere, almeno ai suoi occhi,
con
maggior precisione, o forse dandole solo la prova di ciò che
già da sola sapeva.
«Però voi cercate di non rendermi difficile
adempiervi, se
ce la fate» replicò con candore, non riuscendo a
concedergli l’ultima parola nemmeno dopo quello che aveva
fatto
per lei – ma Loki si limitò a scuotere lievemente
il capo,
marchiando il sogghigno sulle proprie labbra, lasciando cadere il
silenzio e aspettando che ritornasse a dormire, vegliando sui suoi
sogni senza sapere di essere anche in essi.
M A N I
A’ s W
O R D S
Sono lievemente in ritardo sulla mia tabella di marcia nel postare,
scusatemi. Purtroppo la malattia mi ha scovata e afflitta in codesti
giorni di festività – e niente, ero troppo a terra
per
poter scrivere, ma soprattutto rileggere e controllare. In
realtà non è che mi sia proprio ripresa
– proprio
per niente -, quindi se mi è sfuggito qualche errore abbiate
pietà di me, ricontrollerò il capitolo non appena
mi
sarò riavuta.
Ora, le note tecniche.
Punto primo:
io non ho la
minima idea di come si chiamano i popoli dei Nove Mondi – a
parte
quelli di Asgard e Midgard/Terra, ovvio – quindi mi sono
fatta le
mie ricerche. Muspelheim è uno dei Nove Regni e la wiki
della
Marvel mi dice che è la dimora dei Demoni di Fuoco
– che
suppongo corrispondano ai graziosissimi
Giganti di Fuoco della mitologia norrena -, quindi li ho chiamati solo
Demoni ma mi riferisco a loro. Ovviamente il conflitto me lo sono
inventato, perché come detto precedentemente non ho la
minima
conoscenza del mondo della Marvel – e rimarrà
così,
troppe cose da recuperare.
Punto secondo:
ho deciso che
la raccolta sarà di dieci shot (e ho già tutte le
idee).
Per chi leggerà la long – che è in
lavorazione, ma
preferisco terminarla prima di postarla, e non dovrei davvero metterci
molto tempo – questa raccolta è da intendersi come
un
prequel, perché il rapporto tra Loki e Sigyn che vi
sarà
nella long sarà il risultato di tutto il percorso che si
vedrà in queste shot. Quindi, credo che la long la
posterò dopo la raccolta, per ovvie ragioni di senso, o
quanto
meno quando mancheranno tre/quattro shot alla conclusione. Comunque non
si tratterà di una lunghissima attesa, perché
questa
raccolta verrà aggiornata ogni dieci giorni più o
meno
– sessione d’esame permettendo.
L’ultimo e
più importante punto sono i ringraziamenti.
Ora, non ho veramente parole per esprimere tutta la mia gratitudine per
l’apprezzamento che vedo per questa mia piccola raccolta e ve
ne
sono più che grata. Mi state rendendo felicissima, sia chi
ha
inserito tra i preferiti/seguite/ricordate sia chi – e
soprattutto – chi ha commentato. Quindi grazie a tutti, in
particolare a PaddyRockS, Yoan Seiyryu, Helen L, Zarael e Cassandra14
– e mi scuso con le ultime due se ancora non ho risposto, ma
appunto sono stata poco bene e ho preferito dedicare le mie energie
alla stesura del capitolo, entro sera conto di farlo. Grazie ancora
♥
Mania■
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Capitolo 5 *** O5 • Nelle pagine dei libri ci si incontra ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O 5
▬
“ Nelle pagine dei libri ci si
incontra „
Non
era mai stata nella biblioteca reale, in realtà non era mai
stata in una qualsiasi libreria che non fosse quella dello studio di
suo padre quando era piccola. I libri erano sempre rimasti dei grandi
misteri per lei, pagine scritte affollati di arcani e lei non vi si era
mai avvicinata se non per il periodo di istruzione privata –
ma in quel contesto, erano solo stati volumi di studio e
null’altro. Le storie di cui si era nutrita da bambina erano
quelle raccontate da sua madre e dalle sue cugine, storie di amori
leggendarie e di eroi valorosi, ma anche di sconfitte senza redenzione
e di dannazioni perpetue mai rinnegate dai condannati; ed esse si erano
trasformate nelle narrazioni di guerre riviste nella mente e nella
riproposizione differente di cantastorie diversi quando era entrata
all’Accademia.
Passando tra le alte mura ricolme di pesanti tomi, si sentiva di nuovo
come prima di prendere tra le proprie dita la spada del padre senza
fatica, quando pochi anni aveva sulle spalle e tutto le suggeriva di
avere un timore reverenziale per ciò che sfuggiva alla sua
comprensione – poi aveva assaporato la morte, immerso le mani
nel sangue, scivolata nel fango e osservato le varie facce del mondo,
comprendendo che nulla meritava un simile atteggiamento. Il luogo
appariva una cattedrale alla cultura, alla conoscenza, ricolma di
ovattata luce penetrante della alte finestre a interrompere la
continuità degli scaffali. La serenità si
respirava nella polvere dell’aria, e solo i suoi passi e
quelli del principe Loki erano udibili – forse
perché erano gli unici visitatori di quel posto, ma era
impossibile stabilirlo, troppi antri vi erano, cunicoli costruiti in
mezzo a storie vissute e ancora da vivere.
Era tutto nato da una battuta che aveva pronunciato Sigyn e di cui Loki
aveva dubitato fosse stata gettata tanto spensieratamente, nonostante
la naturalezza con le quali le sue parole erano scivolate dalla sua
lingua muovendo le labbra carnose dipinte di corallo rosso –
ed era in quei momenti che pensava, divertito, che lei avrebbe potuto
gareggiare per rubargli il titolo di dio dell’inganno se si
fosse impegnata. Dalla sua aveva l’innocenza pura dei
lineamenti candidi e capelli di raso chiaro a rendere la sua figura
ricamata di talmente tale immacolatezza da rendere del tutto
impensabile il movimento dissestato dei suoi pensieri e del suo cuore.
Era uno specchio per le allodole, una trappola in cui si cadeva senza
accorgersene, un intruglio di elevata complicatezza da non sembrare
affatto tale. Eppure, almeno su quel fronte, Loki era certo di poter
tranquillamente vincere – mai, nemmeno nei secoli
più bui, Sigyn avrebbe potuto raggiungere abissi di
oscurità come quelli che si annidavano, celati,
nell’anima di lui, e solo con simili voragini si poteva
pensare di giostrare bugie, menzogne e manipolazioni.
«Voi leggete veramente molto, così tanto che mi
chiedo come mai vi siate interessato tanto ai miei capelli senza
prestare attenzione alla mia cultura», l’aveva
intessuta di risate sommesse e sguardi divertiti – ossidiana
nera a splendere dei stessi riflessi delle ciocche di biondo scolorito
-, e si era ritrovato a scrutarla con dubbiosa aria incerta. Aveva
capito che essa era una richiesta intrappolata in parole costrette
dentro altre, velata, composta da note silenti in uno spartito in cui
bisognava osservare ciò che mancava e non ciò che
era presente; e lei adorava parlare in quel modo perché
sapeva di attirare inevitabilmente il suo interesse –
l’unica cosa che le sfuggiva era che non ne aveva bisogno, ma
a Loki gustava segretamente tutti gli sforzi di Sigyn per compiacerlo e
se ne beava senza darlo a vedere per riceverne sempre di più.
Era per quella ragione che si erano ritrovati a camminare tra le pile
ordinate di libri, con le iridi smeraldine di lui intente a scrutare
tra le file in cerca di qualcosa di indeterminato. Non aveva
assolutamente idea di cosa poterle suggerire per cominciare ad
appassionarsi alla lettura, non solo perché non si era mai
dovuto preoccupare di trasmettere a qualcun altro un proprio interesse
– condividendolo
-, ma anche perché Sigyn con la sua
imprevedibilità era un enigma di cui non era certo di poter
venire a capo completamente – ed era proprio per questo che
non si sarebbe mai potuto stancare della sua compagnia. Eppure, era
proprio per quella ragione che sapeva di poter riuscire a trovare una
qualsiasi via per scoprire come farle arrivare la propria passione per
la letteratura – valeva
lo sforzo, lei.
Si fermò di colpo, immobile rimase fermo sul posto a
scrutare sopra di sé, alzando appena il mento e aggrottando
la fronte nell’alzare gli occhi, perseverando nel mantenere
le mani strette dietro la schiena nella sua postura rigidamente
composta. La stessa che teneva la guerriera al suo fianco, il cui
sguardo continuava a muoversi dall’elegante figura del
principe agli scaffali, provando vanamente nel trattenere il sorriso di
compiacimento, condito da felicità malcelata dai suoi
lineamenti, affondando i denti nel labbro interiore per scongiurare
l’uscita di incaute parole prima del previsto.
Il volume si spostò dal suo ripiano senza che Loki si
dovesse scomodare a usare la scala per raggiungerlo, bastò
il movimento di poche dita di una sua mano alzate nella direzione dello
stesso, invitandolo a posarsi da solo nella presa della nuova
proprietaria.
«Dunque, credo che questo potrebbe piacerti.»
«A voi piace?»
«Non importa, Sigyn, deve essere di tuo
gradimento» asserì Loki, facendo scorrere le
proprie lunghe e nodose dita lungo la copertina del libro sorretto
dalla donna. Aveva scelto il primo titolo che gli fosse sembrato
semplicemente adeguato, non aveva avuto alcuna logica in quella scelta
e la cosa lo faceva dubitare della riuscita di quel primo esperimento
– lui che prediligeva la razionalità gelida,
cinica, all’istinto; eppure, nuovamente, si ritrovava a
compiere un’eccezione
per lei. «In realtà è difficile con te,
non sono mai sicuro di come la tua mente si muova, quindi se non
incontrasse il tuo gusto non mi stupirei. Direi di iniziare un
po’ a caso all’inizio, giusto per farmi capire
meglio cosa potrebbe interessarti.»
«Mi state dicendo che ho gusti difficili», non era
una vera e propria domanda, quanto più una traduzione
dell’affermazione del principe. Sigyn abbassò le
sopracciglia, schiacciando i suoi occhi in un’espressione
indeterminata – un miscuglio di orgoglio per non essere una
facile lettura e un po’ di risentimento per non riuscire a
cogliere se fosse un complimento o meno il labirinto di parole di Loki.
E lui si accorse del calderone di frammenti discordanti di cui sempre
si abbelliva, come unici gioielli con cui adornarsi, ed essi le
conferivano, come i segreti di cui era in possesso, un fascino
inarrivabile.
«Difficile è un eufemismo»
asserì tirando maggiormente gli angoli delle labbra, un
ghigno beffardo dai tratti arroganti con il quale rendeva la sua
eleganza intinta di una coltre opaca, oltre la quale erano scorgibili
unicamente ombre indistinte. «Credo sia una delle cose che mi
fecero apprezzare maggiormente la tua compagnia, il non essere
comprensibile.»
«E perché usate il passato?»,
domandò Lady Sigyn unicamente per continuare lo scambio di
battute – e anche per scavare nei filamenti verdi delle iridi
di Loki, provando a sondare la diramazione complessa delle tenebre di
cui avvertiva l’esistenza. Era donna sveglia, Sigyn,
abbastanza da sapere che anche con lei il principe si divertiva a non
lasciare mai nulla di palesemente cristallino, sciorinando parole che
ne sottintendevano altre, in un castello di sillabe nelle quali doveva
orientarsi per scoprire il reale senso. Conosceva quel suo –
anzi, loro
– modo di comunicare abbastanza bene da non aver
necessità di alcuna ulteriore spiegazioni al riguardo,
intuendo che si riferisse a ciò che era conseguito da quello
che era stato unicamente un punto di partenza, tuttavia la prospettiva
di strappargli via altre parole era un banchetto irresistibile.
«Mi sembra scontato, ma se non lo è
scoprilo» la invitò, piegandosi verso di lei per
troncare via la distanza di intralcio e arrivare quasi a sfiorarle la
pelle da quando stava scrutando da vicino il liquido nero, in eterno
movimento, dei suoi occhi, piegando gli angoli della bocca in un
sorriso stranamente scevro dalla maggior parte di incrostazioni di
arroganza – una sincera richiesta di perseverare quel
reciproco gioco di scoperta e comprensione, di avvicinamento.
Sigyn ricambiò il sorriso, sostenendo lo sguardo con
più malizia di quanta ne avesse adoperata fino ad allora,
osservandolo ritornare a raddrizzare la schiena per poi superarla. Non
gli concesse molto margine di distanza, si voltò anche lei
per rimettersi al suo fianco – l’unico posto
all’universo nel quale desiderava essere, e così
sempre sarebbe rimasto, a discapito di tutto ciò che sarebbe
accaduto.
Non sarebbe bastata la distruzione, le lacrime, il sangue e
l’amarezza a far dimenticare a Sigyn il sapore di quella
collezione di momenti insieme, perché nonostante tutti gli
avvenimenti funesti, non aveva scelto di rimanere strenuamente accanto
a lui per desideri infantili, ma perché aveva sempre intuito
che tutto il dolore che avrebbe patito era il giusto prezzo per
ottenere un anfratto di qualcosa di ben più ampio. Anche se
Sigyn era sempre ligia alle regole e ai doveri, se mai la parola
ribelle sarebbe potuta essere accostata alla sua figura tanto
responsabile, lo era unicamente perché le era stato
insegnato a onorare le proprie promesse e tra queste vi era quella di
servire rettamente Asgard; tuttavia, prima ancora di questa, vi era
quella di essere fedele al dio degli inganni - era solo questione di
secoli prima che le due non entrassero in collisione, costringendola a
prendere una scelta che aveva già intrapreso. E per quanto
fosse assurdo, inconcepibile a chi avrebbe assistito a ciò
che sarebbe stato, Sigyn aveva sempre saputo che non si stava legando a
un dio il cui animo splendeva di luce, ma era intriso di ombre, di
sfumature, di bugie, ed era quel garbuglio indefinito a renderlo tanto
attraente ai suoi occhi di serpeggianti tenebre; cresciuta in un mondo
in decadenza dove ogni emozione, virtù, viltà e
sfrenatezza erano state portate agli estremi, dove era stato celebrato
l’animo in tutte le sue nefandezze e grandezze, aveva subito
l’influsso di ciò che non era considerato
moralmente giusto dalla maggior parte – semplicemente, fino a
quando non fosse stato il momento, nessuno se ne sarebbe accorto.
Per il momento, rimaneva una delle Guardie Reali con maggiore bravura,
con una nuova passione – la lettura. La si poteva scorgere
raramente intenta a bersi le pagine scritte sapientemente a mano dagli
antichi, spesso si rifugiava in angoli solitari, dove nessuno avrebbe
potuta disturbarla mentre era intenta a vivere vite altrui,
immedesimandosi nei protagonisti di quelle storie. Spariva
improvvisamente, appena ultimati i suoi doveri, e nessuno era in grado
di trovarla – con un’unica eccezione.
Loki non aveva alcuna difficoltà a individuarla,
perché conosceva meglio di chiunque altro i luoghi
più appartati. Nella maggior parte dei casi non le si
avvicinava neanche, rimaneva unicamente a osservarla silenziosamente,
occultando la propria presenza per poterla osservare scalpitare nel
voltare le pagine con febbrile impazienza. Non aveva un’unica
posizione in cui si dedicava alla lettura, le cambiava irregolarmente a
seconda di quanta fosse l’impellenza di scoprire come si
sarebbe dissolto il nodo della trama nel quale si era arenata.
Tamburellava con i piedi o con le dita sul libro stesso, eliminando in
quel modo le scorie di ansia, e si infilzava le labbra con i denti fino
a levarsi il rossetto, rendendole rosse per l’irritazione di
quel continuo gesto incondizionato. Non c’era alcuna ragione
logica per cui si dovesse disturbare a perdere del tempo
contemplandola, eppure non riusciva a impedirselo ogni volta che ne
provava il desiderio – e non essendo uomo da rinunciare a
ciò che voleva, non si lasciava condizionare eccessivamente
da un non trovare una risposta, o nel non cercarla davvero, soprattutto
quando essa era del tutto trascurabile.
Tuttavia, capitava che Lady Sigyn lo scorgesse comunque, a discapito di
quanto provasse a celare la propria presenza. Non lo avrebbe mai
capito, Loki, come lei riuscisse a districarsi tra le proprie bugie, ma
trovava perfettamente sensato che se possedeva quel dono, doveva avere
anche quello di riuscire a vedere nelle sue illusioni –
almeno qualche volta, per percezioni che cadevano in campi oltre i
normali cinque sensi e di cui lui non possedeva il dominio. Quindi, in
quelle circostanze, la raggiungeva per sederle accanto, e mai vi era un
meccanismo prestabilito: Sigyn avrebbe potuto chiedergli altre letture;
commentare la corrente; discutere di tutt’altro o
semplicemente continuare a mangiare parole come i bambini si
ingozzavano di dolciumi.
«Vorrei chiedervi un favore», in una giornata di
leggera pioggia e con il sole a intravedersi tra il sottile strato di
nuvole a rendere la giornata uggiosa incredibilmente luminosa, Lady
Sigyn chiuse con un gesto delicato il libro sulle sue ginocchia per
voltarsi a guardarlo dopo più di un’ora di
silenziosa lettura. Aveva sempre l’aria pacata, nonostante
fosse una guerriera tra le più capaci, a discapito del suo
carattere tutt’altro che remissivo, in quella continua
contraddizione di cui lei deteneva il maggior numero e la rendeva uno
delle sue peculiarità. E tra esse, Loki ravvisava anche il
suo tono di voce, tanto formale – ostinandosi a usare una
chiave di reverenza che era pressoché inutile tra loro
– quanto capace di celare una capacità di
manipolazione indiretta notevole.
«Usi sempre il voi e formule tanto artificiose, mia devota
Sigyn, ma a volte mi sembra che sia quasi più di un
imperativo» osservò Loki senza domandarle quale
potesse mai essere ciò che aspirava ad avere questa volta da
lui.
«Un inganno,
come piace a voi.»
Il principe inclinò lievemente il capo mentre delineava
sulle labbra fini un ghigno, compiaciuto dalla risposta e conscio che
fosse veritiera. Era proprio per distorcere la realtà che
Lady Sigyn perseverava a intessere le proprie frasi con una distanza
che non vi era, per mantenerla in apparenza, per lasciare agli altri
l’impressione che non vi fosse nulla più che un
rapporto scevro di qualsiasi componente intima, e per concedere a lui
la falsa idea che potesse comandare un gioco di cui nessuno dei due era
né vincitore né sconfitto. «Cosa
desideri?»
«Vorrei che leggeste per me, mio principe» rispose
Lady Sigyn indicando con il capo il libro all’uomo, e con il
sorriso a sottolineare il fascino di quell’idea e con le
parole chiosando quanto piacere avrebbe avuto se le avesse consentito
tale favore – o forse, semplicemente, si fiondò in
una piccola apologia unicamente per dilettare l’animo
narcisista del dio degli inganni, sperando in quel modo di ricevere
più facilmente un’affermazione positiva.
«Voi avete una voce tanto suadente, piena di sfumature,
capace di articolare ogni emozione con profondità.
L’arte della recitazione è vostra, dio
dell’inganno, dunque, una storia letta da voi deve essere
mille volte meglio di quanto la possa leggere io.»
«Potevi fermarti alla richiesta, senza
l’adulazione.»
«Se mi fossi fermata lì, avreste comunque avuto
qualcosa da ridere in ogni caso.»
Allargò il sorriso divertito, con note ambiguamente
indefinite, alle parole di Lady Sigyn. Aveva ragione, come capitava
quasi sempre quando si trattava di lui, ed era una delle motivazioni
per cui la compagnia con lei era interessante – mai banale -,
perché sapeva come lui era e non c’era bisogno che
glielo rendesse chiaro, ma, soprattutto, non doveva giustificarsi per
la propria natura. Era molto più di sentirsi accettato,
perché, per quanto tutti provassero tale desiderio, non era
tra le priorità del dio degli inganni; era sentirsi compreso
in una forma tanto profonda – intima – da non poter
essere espressa con nessun vocabolo esistente, in quanto affondava in
radici dell’anima in cui pochi si erano addentrati e rare
erano state le occasioni per parlarne ed inventare parole adeguate.
«Passamelo» disse infine, e più che per
acconsentire alla sua richiesta, realizzò il suo desidero
unicamente per poter sondare una volta in più il modo in cui
il volto le si scompigliava quando veniva attraversato da
felicità tanto pura da non averla mai osservata in nessun
altro – forse,
non ne aveva mai avuto l’interesse a farlo, se non con lei.
M A N I
A’ s W
O R D S
Rieccomi con l’aggiornamento! Come state? Spero vivamente
meglio di me e il mio raffreddore.
In realtà questa volta non ho molto da dire sul capitolo, ma
sono certa che riuscirò ad essere ugualmente prolissa nelle
note come sempre. Partiamo dal fatto che io vedo Loki come un
grandissimo lettore – anche prima di Thor 2 e della compagnia
dei libri di Frigga in prigione -, quindi qualcosina non potevo
evitarmela di metterla. Al contrario, Sigyn prima di questo momento non
si era mai avvicinata ai libri se non appunto per studio, quando la sua
famiglia non era ancora decaduta – “Ma ci dirai mai che
cavolo è successo alla sua famiglia?”
Sì, tranquilli, lo farò, a tempo debito e
lentamente. Quindi mi piaceva l’idea che Loki fosse anche una
specie di mentore per lei, perché hanno un’anima
simile – con le dovute differenze, ma comunque entrambi
divergono dagli standard di Asgard, e per quanto riguarda Sigyn ho
accennato in parte la motivazione di ciò, ma
l’approfondirò – e inoltre mi piaceva
l’idea che condividessero qualcosa, che lui le insegnasse ad
amare qualcosa che lui ama. È un buon modo per farli
avvicinare ulteriormente, almeno credo.
Ah, i sentimenti si evolvono cioè, sono
palesemente cotti
uno dell’altro e io devo fare la persona seria e
fare tutto
con calma, però non disperate per l’arrivo a
qualcosa di più
– semplicemente stiamo parlando di
Loki, e per quanto io non lo reputi uno psicopatico privo di emozioni,
credo che l’affermazione di Frigga su di lui sia vero, ovvero
che è assai poco perspicace quando si tratta di guardare se
stesso.
Vi chiedo di perdonarmi eventuali sviste, ma essendo ancora malata
– sì, il mio sistema immunitario fa proprio schifo
– non è che sia proprio nella mia condizione
migliore. Ho riletto due volte, ma i miei occhi cominciano a chiedermi
di smetterla di fissare lo schermo, ricontrollerò questo e
lo scorso capitolo non appena mi rimetto!
Noto che mi sono dilungata abbastanza, posso smetterla di sproloquiare.
Come sempre ringrazio veramente infinitamente tutte le persone che
stanno seguendo questa storia, grazie davvero. Non sapete quanto mi
motivate a continuarla e a dare il meglio di me – anche da
malata! E ancora di più sono di grande supporto chi ha
inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate. E a chi commenta
mando a casa dei cioccolatini, del panettone, quello che volete,
perché siete fantastici e io saltello di gioia a ogni
recensione, mi fate veramente super felice! Quindi un migliaio di
grazie aggiuntivo a PaddyRockS, Yoan Seiyryu, Helen L e Zarael per i
commenti, vi abbraccio virtualmente ♥ Spero che il mio
entusiasmo si senta almeno la metà di quello che provo, che
già sarebbe parecchio!
L’aggiornamento con il prossimo capitolo sarà
sempre al massimo tra una decina di giorni – esami
permettendo, ma non credo di tardare!
Mania■
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Capitolo 6 *** EXTRA • Lui è cattivo, folle, totalmente sbagliato ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O E
X T R A
▬
“ Lui è cattivo, folle,
totalmente sbagliato „
«Di
tutti gli uomini che potevi amare, hai scelto lui e ti
porterà alla rovina.»
Il dubbio di quel momento, prima ancora a chi appartenesse la voce che
aveva dato forma a quella frase o se la figura eterea che scorgeva
distorta dalla nebbia a qualche metro di distanza era reale o frutto
della sua immaginazione, era quale posto fosse quello in cui si
ritrovava – anzi, antecedentemente c’era il come fosse finita
in qualsiasi luogo fosse. Lo scricchiolio di foglie secche sotto la
suola dei suoi stivali arrivava alle sue orecchie fondendosi a quello
dei canti di civette e altri animali notturni, di cui Lady Sigyn non
riusciva a indentificare la specie, ma che sentiva aggirarsi
forsennatamente attorno a sé. Flusso imponente, prepotente,
le sbatteva con furia sotto le tempie, grattando dall’interno
con artigli sanguinei, quasi a voler fuoriuscire da quanto impeto
possedevano quei tamburi naturali; e le dita le si alzarono senza
comando nell’andare a tastare il punto dolente, creando
cerchi invisibili nel tentativo di sedare la furia delle vene.
«Hai scelto lui e ti porterà alla
rovina», nuovamente la stessa voce, piena di fronzoli di echi
a prolungarne la permanenza nel vapore della notte rischiarato
dall’argento della luna, fiocche cascate di tenue luce a
districarsi tra le ramificazioni rinsecchite di legno, intrecciate in
abbracci scheletrici ed eterni sopra la sua testa.
La confusione della situazione le rendeva difficile concentrarsi sulla
voce con lucidità. Le domande su come fosse giunta dovunque
ora si trovasse si accalcavano nello sforzo di ricercare
l’ultimo ricordo privo di sbavature di cui era in possesso.
Sapeva di aver seguito il principe Loki in una delle spedizioni insieme
a suo fratello, Lady Sif e i Tre Guerrieri, anche se continuava ad
arrancare nel focalizzare l’ambiente, il motivo e la dinamica
degli avvenimenti – il vortice dei dettagli aveva la forza
innaturale di un tornado e lei vi si sentiva trascinata dentro.
Forse dovevano ritrovare qualcosa.
Qualcosa di perduto in battaglia, che apparteneva ad Asgard.
Strinse i denti in uno spasmo di sofferenza per l’emicrania,
scoprendo solamente in parte un candido dente nell’angolo
sinistro – un canino – , mentre rughe si formavano
attorno all’occhio soprastante, sottolineando come quel fiume
in piena dentro le sue vene le stesse notevolmente schiacciando la
concentrazione. Respirò a fondo, cercando di reprimere
l’attimo di terrore nel non sapere dove potesse mai trovarsi
Loki, perché anche in quella circostanza di perdita di punti
di riferimento, sempre a lui correvano le sue ansie – forse a
causa dell’essere lui stesso l’unico centro attorno
al quale ruotava la sua vita.
La voce ripeté nuovamente la sua affermazione, con
insistenza repressa nello scandire le sillabe. Ma Sigyn continuava ad
essere troppo indaffarata nel racimolare informazioni, nel tirare il
filo di lana delle sue memorie, comporre quel puzzle si frammenti che
avvertiva arredare il pavimento della sua mente, come quella foresta
era tappezzata di foglie sulla via della decomposizione.
Cercò di modulare la respirazione, di evitare di pensare al
nodo allo stomaco che le faceva figurare budella accrocchiate le une
sulle altre, strette in una morsa di tremante ansia, per liberarsi di
quei sentimenti che erano come scorie a impastare una macchina
perfetta, rendendola inutile.
Dovevano intrufolarsi in un tempio dedicato alle antiche
divinità della popolazione dei Laghi di Fuoco, ora riusciva
a rievocare la loro meta – una distesa di acque incandescenti
il cui colore era nutrito dalle alghe dalla pigmentazione particolare.
Era una missione di recupero, per riprendersi una delle gemme di Odino,
Padre degli Dei, caduta nelle mani di un ladro capace di sottrarla e
rivederla al migliore offerente – offerente poco saggiamente
astuto nel bearsene pubblicamente. E lei, Lady Sigyn, come suo solito
aveva avuto un’altra missione, una secondaria affidatale nel
segreto dal principe Loki.
«Di tutti gli uomini che potevi amare, hai scelto lui e ti
porterà alla rovina.»
Nuovamente la nebbia le parlò, condensandosi in una forma
priva di sostanza, finalmente Lady Sigyn lo capiva. Non vi era nessuno
a parte lei, solo quella strana condensa a circondarla, provando a
ghermirla con quel continuo risuonare nelle sue orecchie – e
forse era ad essa che doveva il mal di testa di cui era afflitta.
Le parve finalmente famigliare il vapore nel quale si trovava e verso
cui stava allungando le dita callose, non più impegnate nel
vano tentativo di porre rimedio al testardo perseverare del picchiettio
sulle sue tempie. Il biancore dell’essenza che la circondava
si ritirava a contatto con il calore della sua pelle, rimanendole
vicina senza appiccicarsi a lei, in una rispettosa distanza in cerca di
risposte. E una sensazione distorta – improbabile –
le pervase l’essere: ricordava di essere appena stata
immersa in quell’evanescente sostanza, di essere stata poco prima in
contatto con fumi argentei dotati di occhi invisibili a penetrarla,
leggendole dentro.
Si schiarì la gola, per prendere altro tempo –
come se non ne avesse, nonostante il suo incorporeo interlocutore non
sembrasse particolarmente impaziente – e per far sapere a se
stessa di essere sul punto di ricomporre il disordine mentale nel quale
era precipitata. Erano le correnti di nubi bianche che salivano da
quelli che le erano sembrati incensatori nella sala sacra nella quale
Loki le aveva chiesto di intrufolarsi, discretamente, per recuperare
antiche pergamene di cui aveva udito parlare, forse sarcofaghi di
perdute magie o bisbigli perduti nello scorrere dei secoli
potenzialmente utili.
«Parti dal presupposto che l’amore sia
felicità, quando l’amore è
tutt’altro – un caleidoscopio di
emozioni» ripose infine, con voce titubante più
per l’insensatezza di dialogare senza conoscere il proprio
interlocutore che per le proprie frasi. «Io non lo amo per
noia, per solitudine o per capriccio. L’ho amato, lo amo e lo
amerò perché il desiderio di lui è
più forte di qualsiasi felicità[1].»
Continuava a voltarsi, Sigyn, alla ricerca di un punto di riferimento,
di qualsiasi elemento potesse suggerirle dove si trovasse. Aveva preso
a camminare, rapidamente, con il fiato a diventare condensa effimera
appena fuoriuscito dalle carnose labbra, tenute semiaperte nel seguire
il ritmo alle proprie inspirazioni, muovendosi con la sensazione di
star unicamente girando in un luogo privo di una collocazione spaziale.
La sgradevole intuizione di non spostarsi di un centimetro nonostante
l’accumularsi del numero dei passi le si delineava
fastidiosamente nella testa, provocando un aumento del dolore al capo e
l’incremento dell’ansia per non sapere dove lui
fosse.
Serrò la mascella, infastidita dalla situazione
inverosimile, con le sopracciglia ad affondare nella pelle tanto da
creare maremoti di rughe e abbellire i suoi lineamenti di una sottile
linea di terrore, appena visibile sotto la palpabile irritazione. Si
trovava in un non luogo,
era certa che fosse quella sostanza della sala nella quale era
penetrata clandestinamente ad averle provocato
quell’allucinazione – o qualsiasi cosa fosse -,
trascinandola in un punto in cui vi era unicamente la sua anima e quella presenza. E
se davvero aveva ragione, se tutto era frutto di colui che custodiva
ciò che avrebbe dovuto sottrarre, allora poteva solo
rimettersi al suo gioco, perché non aveva
possibilità di fuga da dove l’aveva relegata
– poteva solo essere lasciata libera.
«E come fai ad essere così certa, così
tremendamente sicura che sia l’unico? Dopo tutto
quello che ha fatto, dopo tutto quello che farà – e tu lo sai cosa sarà
in futuro per causa sua, lo hai intuito –, come
fai a rimanere al suo fianco? È un desiderio di cambiarlo?
di redimerlo in tempo?»
«Ancora una volta parti da un presupposto errato, ovvero che
io non abbia capito fino in fondo chi davvero Loki è, e di
conseguenza che mi possa illudere che abbia bisogno di salvezza. Ma io,
a differenza di tutti, l’ho scoperto prima di chiunque,
l’ho scorto nel verde dei suoi occhi, nelle menzogne delle
sue parole, nelle illusioni delle sue mani e nelle verità
che sussurra solo a me», improvvisamente il tono di Sigyn si
era tinto di venature rabbiose, quasi colleriche. Persino Lady Sif, sua
amica, non riusciva a vedere e non avrebbe potuto comprendere la
semplicità della realtà, forse perché
quella che per Sigyn e Loki era normalità era inconcepibile
anomalia per la maggioranza – ed era quel loro vivere in una
dimensione fondata sulle loro distorsioni non sincronizzate a
renderli comunque emarginati, e lì si erano incontrati,
intessendo una relazione con troppe sfumature per poter essere
classificata. Affondò le unghie nel palmo, solo per un
frammento d’attimo, mentre quell’urlo di rancore
evaporava via dal suo animo incapace di farsi prendere dalle passioni
distruttive – vi era solo un’eccezione a questa sua
particolarità, e sarebbe rimasta la sola per tutta la vita, lui.
Quando ricominciò a parlare la sua voce era calma come di
consuetudine, ricca della forza di quell’animo sorto dalle
ceneri della sua casata, affiorato a nuova esistenza grazie
all’Inganno e fortificato nelle battaglie per poter servire
una causa esclusiva. «Lui forse è cattivo,
è folle
e so che è totalmente
sbagliato. Però, proprio per questo, lui
è vero
– non so se capisci cosa voglio dire. È una strada
piena di curve assurde, che corre tra le alture e le pianure, senza
preoccuparsi di dover tornare indietro. Senza nemmeno sapere dove sta
andando. Lui è una di quelle strade dove probabilmente ci si
ammazza[2], ma che vale la pena di percorrere proprio per
questo.»
Non completò l’ultima frase, cucita assieme dalla
stessa sicurezza con cui aveva costruito in parole ciò che
da sempre sentiva – l’unica certezza della sua
vita, perché tutto il resto era passabile di essere messo in
dubbio ripetutamente, tranne Loki e quel rapporto non identificabile
tra loro -, quando la nebbia cominciò a farsi più
pressante attorno a lei. Fu onda a chiudersi su Sigyn, mentre vanamente
si scostava per tenere lontano il vapore inafferrabile, e in essa perse
conoscenza una seconda volta – o almeno così le
parve, perché le sue percezioni vennero tappate
completamente.
Si ritrovò nello stesso identico punto della sala sacra in
cui si ricordava di essersi arrestata prima di sprofondare nella
foresta appartenente a un luogo-non-luogo. Le iridi si spostarono
freneticamente, assecondate dal movimento del collo, alla ricerca di un
elemento che potesse suggerirle cosa esattamente fosse avvenuto, se
davvero il discorso che ricordava di aver appena tenuto fosse stato
reale o un’allucinazione – o entrambe le cose.
Un frastuono in lontananza le ricordò di essere a corto di
tempo, la sua azione doveva essere furtiva, la sua lontananza dal
gruppo era stata orchestrata per essere breve e credibile.
Deglutì, correndo verso l’altare sul quale erano
riposte le pergamene, e una volta riposte nella tracolla di pelle
uscì correndo, svoltando nel labirinto di vicoli sotterranei
con la sicurezza dovuta alla conoscenza del percorso imparato a memoria.
Impresse maggior forza nel passo che stava portano avanti, appena dopo
aver superato un altro angolo, per bloccarsi sul posto evitando di
andare a scontrarsi con il petto del principe Loki,
dall’espressione lievemente accigliata nonostante il perenne
ghigno serafico con cui si ricopriva – chiudendo qualsiasi
spiraglio utile a chi era poco avvezzo ad aver a che fare con i
rompicapi.
«Sembri sorpresa di vedermi, Sigyn.»
«Dovreste essere con gli altri» osservò
lei, raddrizzando la schiena mentre apriva nella borsa per mostrare di
aver recuperato ciò che le era stato chiesto.
«Sono anche
con gli altri» spiegò pacatamente Loki, alzando
appena un sopracciglio con l’ovvietà dalla sua
parte a rendere le sue parole del tutto inutili di ulteriori
specificazioni. «Ci stavi mettendo troppo.»
«Non dovreste dubitare di me, non mi sembra di aver mai
mancato di eseguire un vostro ordine» ridacchiò
Sigyn mentre riprendevano a correre entrambi per riunirsi al gruppo
prima che l’assenza di lei potesse cominciare a sollevare
sospetti e quella di lui smascherata. «Mio principe,
è stato strano
in quella sala sacra.»
«Strano?»
«Quel fumo... Penso fosse un guardiano, qualcosa del
genere» cercò di formulare la sensazione che le
aveva dato respirare l’aria carica di quello che aveva
inizialmente pensato essere incenso. Eppure, ora che ci pensava, quando
era tornata nella stanza – o quanto meno quando aveva ripreso
coscienza in essa – la nebbia era scomparsa, come se mai
fosse esistita e si era portata via l’odore opprimente di cui
era satura all’inizio. Elementi discordanti insieme
sensazioni troncate a metà le impedivano di avere un quadro
chiaro di quanto fosse successo e ciò le lasciava un
fastidioso alone di incertezza – soprattutto per via delle
parole scambiate con qualsiasi cosa vi fosse a celarsi in quei reflussi
inviolabili. «Forse era solo troppo denso e mi ha dato alla
testa, non fateci caso», continuò dopo qualche
secondo di silenzio, cercando di allontanare l’impressione di
alterato che percepiva esserci nell’intero accadimento. Le
sfuggiva, il dettaglio che avrebbe potuto portare chiarezza, ma in
quella circostanza era del tutto inutile continuare a perseverare nel
scervellarsi alla ricerca di qualcosa che non le era utile per
completare l’operazione senza intoppi.
Non si accorse dell’occhiata divertita che Loki continuava ad
appiccicarle addosso, studiandola di soppiatto nel suo rimuginare
testardo, nel tentativo di incastrare nel verso giusto i cocci che
aveva a disposizione. Era difficile, persino per lui, costruire
illusioni tanto intricate da ingannarla, lei che era tanto brava nel
vedere oltre l’apparenza – nel trovare quello che
si annidava in ogni menzogna, quel frammento di verità
celato in pozzanghere di pece.
«E poi sarei
io il folle e totalmente sbagliato.»
«Avete detto qualcosa?» chiese Lady Sigyn, alzando
improvvisamente lo sguardo su di lui, attirata dal mormorio appena
udibile fuoriuscito dalle labbra sottili del dio degli inganni. Anche
se non era riuscita a districarsi in mezzo alla matassa di sillabe
incomprensibili, le erano parse inspiegabilmente famigliari –
vere, sue, loro.
«Solo che sei strana,
mia devota Sigyn, ma è per questo che la tua compagnia
è tanto interessante» rispose Loki, stravolgendo
solo in parte la versione precedente in una che potesse essere udita
chiaramente. E sorrise nel vederla lievemente spaesata, serbando per
sé il segreto di quell’illusione dannatamente
appagante.
M A N I
A’ s W
O R D S
Questa shot può essere considerata come uno spin-off della raccolta,
nel senso che non era totalmente contemplata nel conteggio iniziale e
l’ho scritta d’impulso basandomi su due citazioni
di Baricco, che sono quelle a cui ho messo i numeri. Le originali sono
lievemente diverse, ve le riporto in modo fedele.
[1] La prima
è: «Non
ti ho amato per noia, o per solitudine, o per capriccio. Ti ho amato
perché il desiderio di te era più forte di
qualsiasi felicità.»
[2] La
seconda: «Perché
era cattiva. Era matta, era tutta sbagliata. Era una strada piena di
curve assurde, che correva in aperta campagna, senza preoccuparsi mai
di tornare. Senza nemmeno sapere bene dove stava andando. Era una di
quelle strade su cui ci si ammazza.»
Consideratele sempre come parte della storia di Loki e Sigyn anche se
è in un contesto che è molto in avanti a quello
cronologico a cui sono giunta sino ad ora. Tuttavia, avendola scritta e
piacendomi molto, volevo comunque postarvela e spero che anche a voi
sia piaciuta – è un modo per farvi vedere come sto
costruendo anche Sigyn, in un certo senso, e il suo modo di vedere Loki
per quello che è. Questo è un elemento molto
importante nella storia che voglio raccontare, ovvero che lei non crede
affatto che ci sia qualcosa da redimere in Loki, perché lei
ama il dio degli inganni e lui è semplicemente
così, un ingannatore - e non propriamente con l'anima
immacolata, perché è pur sempre ripreso dalla
mitologia dove è il dio del male e del caos.
Mi sa che ho leggerissimamente divagato, ma fa niente!
Ah, mi sono finalmente ripresa - giusto in tempo per la sessione
d'esame.
Ovviamente, come sempre, ringrazio tantissimo chi ha inserito la storia
tra le preferite/ricordate/seguite, mi fate sempre molto contenta
vedendo che la storia vi piace e la seguite. Inoltre, un ringraziamento
particolare a chi spende un po’ del suo tempo a farmi ancora
più felice lasciandomi una recensione, ovvero Helen L, Yoan Seiyryu, Zareal e PaddyRockS, non
sapete quanto ciò mi riempia di gioia e mi appaghi
– oltre a stimolarmi veramente moltissimo a continuare.
Mania■
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Capitolo 7 *** O6 • La Fedeltà è arma al servizio dell'Inganno ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O 6
▬
“ La Fedeltà è
arma al servizio dell'Inganno „
Ci
passava, di tanto in tanto, davanti all’antica villa che
aveva un tempo ospitato la nobile famiglia di cui aveva fatto parte.
Non vi era mai una ragione specifica a tale visita, semplicemente, le
piaceva riaffermare nei ricordi i dettagli sopiti dallo scorrere dei
secoli, riassestare le rifiniture delle pareti e rievocare gli antichi
momenti vissuti da bambina, quando ancora non aveva ben capito chi lei
fosse – intuizione lasciata vagare e mutare con movenze
flebili. Solo molto tempo dopo, mentre era intenta ad amputarsi i ricci
ereditati dalla madre, avrebbe trovato l’inizio della
consapevolezza di sé e sarebbe stato l’Inganno a
suggerirgliela, con fare elegantemente sornione – una
scommessa lanciata e raccolta.
Era nata in una casata che si era lasciata corrodere dalle passioni,
dai vizi, dalla fedeltà a idealismi sovrapposti al resto. In
un mondo in cui sua madre si era lasciata bruciare dagli amori
clandestini, in cui suo padre aveva preferito la morte per preservare
l’onore per tramandarlo intatto a sua figlia, in cui i suoi
zii erano perduti della dissolutezza del gioco e sepolti dalla ricerca
spasmodica di risposte a domande trascendenti nei fogli scritti dagli
antichi, lei era sorta
nei fumi di esasperati sentimenti. A pensarci riguardando
le sue fondamenta, Sigyn si ritrovò a pensare che non
sarebbe potuta diventare differente da ciò che era
– con quella distorsione, quel mal funzionamento
nell’osservare il mondo e non capirlo mai appieno, se non
quando contraeva le sue regole a proprio vantaggio. Esattamente come
stava per fare ora, per il principe Loki – una volta in
più, e non l’ultima.
«Ci hanno attaccato, mio signore»
cominciò a rispondere Lady Sigyn, con il capo chino davanti
al trono del Padre degli Dei, intento a scrutarla con sguardo severo
alla ricerca di crepe nel perfetto autocontrollo della giovane
guerriera, dettagli che potessero svelare il suo essere in torto.
«Avevamo lasciato meno sentinelle ai confini
dell’accampamento, perché era stata stabilita la
tregua. Poi, nel cuore della notte, un attacco furtivo guidato dal
figlio del Lord delle Pianure di Rugiada ci ha colto nel sonno e non
restava altro che contrattaccare. Molti dei nostri sono caduti, mio
signore, ma molti più dei traditori hanno subito medesima
sorte.»
«E li avete inseguiti fino al loro di accampamento?»
«Sì, mio signore.»
Odino, Padre degli Dei, sedeva sul trono che possedeva quando si
muoveva in guerra, ma la sua maestosità, come quella della
sua tenda, rimaneva abbagliante, soprattutto trattandosi
dell’interno di una costruzione mobile. Nessuno avrebbe
potuto dubitare di essere alla presenza di un re – il
più grande di tutti. L’unico occhio di cristalli
di cielo limpido la scrutava con severità indecifrabile nel
domandarle spiegazioni, e la rigidità con cui pronunciava le
proprie domande era la medesima con la quale rimaneva seduto in eretta
posizione elegantemente prepotente. La forza del Padre degli Dei era
palpabile in ogni suo gesto, anche in quelli che non compiva, come il
riuscire a rimanere perfettamente immobile a fissare chi rimaneva
inginocchiato al proprio cospetto.
«Chi ve lo ha ordinato?»
«Nessuno, mio signore. Semplicemente, il nemico non ha
dimostrato onore, ha mancato alla propria parole a al proprio
giuramento – ha mancato di risposto al mio re e ad Asgard.
Non potevamo permettere loro di fuggire.»
Captò, Lady Sigyn, una millimetrica contrazione del muscolo
laterale all’occhio del sovrano, ma non seppe interpretarla.
Non poteva immaginare che Odino semplicemente trovasse interessante il
modo con cui la giovane guerriera, facente parte della Guardia Reale
– il corpo più preparato del suo esercito -,
riuscisse tanto facilmente a sostenere non solo lo sguardo, ma
l’intera conversazione. Non un fremito, nemmeno
un’involontaria flessione dei muscoli facciali o una
deglutizione di troppo che potesse dar segno
dell’insofferenza per l’interrogatorio al quale la
stava sottoponendo.
«Uno dei principi fatto prigioniero, in realtà
l’unico dei cinque sopravvissuto, il minore ancora fanciullo,
ha riferito che l’attacco è giunto per via di
informazioni che suggerivano loro il nostro prossimo
tradimento.»
«Voci ovviamente
infondate.»
«Un viandante, o meglio, un informatore clandestino fatto
infiltrare nel nostro accampamento, ha comunicato loro che le
sentinelle erano state tolte per ingannarli, facendo abbassare loro la
guardia, mentre un manipolo era stato fatto uscire di nascosto dalle
porte ad Est. Per avvalorare le sue parole ha consegnato un ordine in
cui si dava il comando clandestino di portare tale azione, in
linguaggio cifrato» raccontò il re, sollevando
appena un sopracciglio, dando maggior enfasi alla riproposizione del
racconto che gli era stato sottoposto direttamente dal giovane
risparmiato, l’unico che era stato lasciato in vita
dall’ondata di vendicativo furore dei suoi uomini –
inizialmente, di una sola parte, quella guidata dalla donna ora davanti
a lui.
«La squadra uscita ad Est non risponde a me, mio signore, ma
so che sono usciti a caccia perché le provviste
scarseggiavano. Dubito si potessero scambiare per un manipolo in
spedizione punitiva, l’equipaggiamento della caccia diverge
da quello della battaglia. E suppongo, credo correttamente, che detto
fantomatico messaggio mai sia stato ritrovato.»
«Il viandante disse loro che li avrebbero cacciati come
selvaggina» perseverò Odino, senza concederle la
soddisfazione di sentirsi dar ragione sulla fine di quel documento di
cui non si erano trovate né resti o tracce. Eppure, in
quando Padre degli Dei, per quanto quel racconto da parte del nemico
arrecasse più punti cigolanti – per voler essere
gentili –, non riusciva a impedirsi di trovare alquanto
strano come un avversario che si era arreso davanti alla loro
predominazione si fosse lanciato in un’operazione
ridicolamente stupida, nefasta e disonorevole. Ma anche se avesse
voluto credere immediatamente alla giovane guerriera, Lady Sigyn, si
sarebbe comunque visto costretto a condurre quel teatrino, il cui gusto
cominciava a diventare velenoso per la palese inutilità
– le risposte erano lineari, precise tanto quanto il tono e
l’assenza della benché minima traccia di menzogna
–, perché in quanto re aveva anche il compito di
essere imparziale giudice.
«È altrettanto ovvio che questo viandante o non
esiste o farneticava. In ogni caso non comprendo se mi state
attribuendo la colpa di codesto evanescente personaggio o altro, mio
signore», domandò senza domandare la guerriera,
usando tono remissivo e non macchiandolo di iracondo atteggiamento per
l’essere sottoposta a tale questionario dopo ore passate a
versare sangue, scampando alla morte.
«Nessuna colpa, mia prode guerriera, solo chiarimenti
necessari affinché la mia vista non si adombri. Qualcosa di
strano si cela in questa faccenda, o forse è solo la
speranza che vi siano ancora nemici onorevoli, capaci di mantenere la
propria parola. È ciò che mi fa sperare che
qualcosa abbia guidato le loro gesta. Evidentemente, è solo
vano ciò, perché chiare solo le vostre
azioni» rispose Odino, cambiando in fine posizione,
invitandola a rialzarsi con un cenno della mano libera dallo scettro.
Non era la prima volta che sentiva parlare di quella donna, ma mai
prima d’allora l’aveva osservata con i propri occhi
– o almeno, aveva fatto prestato solo tenue caso alla sua
presenza, perché essa non ne deteneva una particolarmente
forte vista la sua esile costituzione. «Tu e i tuoi soldati
verrete premiati per i meriti di questa battaglia, vinta in un momento
di svantaggio e per l’onore del nostro popolo.»
Il sospiro che scivolò fuori dalle sue labbra carnose,
quando entrò nella tenda del principe Loki, non fu di
sollievo, ma di stanchezza trattenuta a lungo. Anche se avrebbe
preferito dirigersi verso la propria branda, riteneva di potersi
concedere un cedimento all’atteggiamento implacabilmente
fermo con cui si era dovuta mostrare davanti al Padre degli Dei. Il
gelo del vento mattutino era stato uno schiaffo prepotente, abbastanza
da mozzarle a metà il primo respiro sul sentiero, che
l’aveva condotta fino al tepore rossastro delle candele
accese sotto il telone in cui stanziava il principe minore. Lo sporco
le metteva addosso l’ardente desiderio di lavarsi, ma prima
che potesse chiedere il favore di potersi sistemare, per poi tornare in
modo da dedicarsi al resoconto che probabilmente Loki desiderava, venne
vinta sul tempo dall’altro sulla presa delle redini del
discorso.
«Sei un’attrice splendida, mia devota Sigyn»,
con il dorso delle dita mancine le accarezzò la guancia con
lento movimento ripetitivo, fino a roteare la mano per sospingerla a
scorrere sul collo sottile della guerriera. Non aveva bisogno di
costringerla verso di sé per farle compiere un passo in
più, tanto da far entrare in contatto i loro corpi, ma
affondò comunque lievemente le unghie nella carne di lei per
incitarla a tale movimento. Non dovette insistere, per quando Lady
Sigyn adorasse contraddirlo unicamente per dispetto, la sua resistenza
fu di breve durata e lo scontro tra loro meno pacato di quando lui si
sarebbe immaginato – abbastanza da fargli allargare il ghigno
dipinto sulle labbra sottili.
«Per voi, mio
principe» chiosò inutilmente la
donna. «Ho fatto ciò che mi avete domandato, spero
che siate soddisfatto della vostra vendetta.»
Non amava uccidere Sigyn a discapito del lavoro che aveva scelto.
Tuttavia, se era ordine del dio degli inganni, piegava semplicemente il
capo in un assenso quiescente – soprattutto quando
comprendeva le sue ragioni, anche se non le condivideva. E il suo
principe era poco avvezzo a perdonare coloro che provavano a metterlo
in ridicolo, biasimarlo o deriderlo – mentre lei era
lievemente propensa a poter perdonare simili offese, e nel caso
contrario avrebbe preferito adottare altre metodologie.
Appoggiò nella mano libera di Loki gli stemmi regali dei
principi che aveva sconfitto nell’attacco notturno,
sorridendo tiepidamente. La superficie era appiccicosa nonostante
fossero stati ripuliti rapidamente, residui di sangue intaccavano
l’assenza di imperfezioni dell’oro lavorato
sapientemente dai nani, ma agli occhi dell’Ingannatore erano
gemme diversamente preziose – almeno in quel momento, fino a
quando la sazietà regalatagli da Lady Sigyn su coloro che
avevano osato provare a ridicolizzarlo sarebbe durata. Li
osservò brevemente, per poi appoggiarli sul tavolo di legno
scuro al proprio lato, senza nemmeno osservare i propri gesti per
continuare a osservare lei.
«La soddisfazione è per chi non sa trovare nuovi
obbiettivi» asserì mentre le sfilava i pezzi di
armatura, per poter osservare se e quante ferite solcavano la sua
pelle. Fino a quando l’acciaio e la stoffa
l’avrebbero ricoperta, gli era impossibile stabilire se le
macchie dal sapore metallico fossero prodotte dal suo sangue o da
quello dei suoi nemici, piegati, inginocchiati davanti a lei.
«Dimmi, Sigyn, non hai provato disagio a mentire al tuo
re?»
«Tutti mentono, mio principe, a se stessi o agli altri, o
entrambe le cose. Poi c’è chi ne fa
un’arte e chi è meglio se non vi si addentrasse.
In ogni caso, reputo la menzogna una parte dell’esistenza
delle persone e non la condanno, essa è solo un mezzo, non
il fine.»
Sostenne come sempre lo sguardo magnetico di Loki, senza asserire
null’altro, evitando di domandargli perché avesse
fatto scivolare via la maglia rovinata, sfilacciata e inzozzata di
fango e liquido vermiglio – l’aveva gettata ai loro
piedi, facendola sedere sulla poltrona alle sue spalle. Non si
preoccupò nemmeno di indagare la ragione per cui ora era
intento a passarle una spugna umida lungo il collo, le braccia, le
falangi, il palmo, il petto e il ventre; lavando via le scorie di
sangue incastrate su di lei. Fu tentata di abbassare le palpebre, sia
per alleviare la sensazione ustionante dello sguardo penetrante
– troppo – di Loki, che la faceva sentire
completamente nuda anche se non lo era, sia per tentare di alleviare i
fremiti di cui era pervasa e dei quali solo il dio degli inganni era il
responsabile e non la freddezza dell’acqua, sia per
assaporare insieme quelle stesse sensazioni da cui si sentiva scossa e
che affondavano nelle sue viscere, alleviandole la lucidità.
Sentiva di non riuscire a impedire al proprio corpo tremiti e movimenti
che la rendevano vulnerabile, completamente leggibile – si
mordeva l’interno della bocca, si torturava i polpastrelli
con le unghie, e le ginocchia cozzavano tra di loro a intervalli
irregolari.
«Risposta tortuosa, ma apprezzabile»
osservò non poco pieno di compiacimento
nell’assaporare con vibrante soddisfazione la sensazione del
proprio potere su di lei – e anche l’effetto, soprattutto l’effetto
che lui le faceva. «Dunque, stando alle tue
parole, mi reputi al di sopra di categorie come buono o
cattivo.»
«Mio principe, se voi rientraste in una delle dette
categorie, sareste noioso come tutti gli altri» rispose quasi con tono
perfettamente controllato, ma note roche le sfuggirono nonostante la
volontà di nascondere, almeno nella voce, le reazioni che
semplici perle trasparenti le provocavano se erano prodotte da gesti
appartenenti a lui. Avvertiva i propri sensi acutizzati e non sapeva se
era colpa della situazione o di qualche magia di Loki, ma era certa che
il percorso delle finte lacrime che scivolavano sino l’ultimo
frammento di tessuto che le era rimasto a coprirle i seni, inzuppato di
poco, fosse stranamente marchiato da una precisione incendiaria nella
sua mente – rendendola pregna di sensazioni esaltate, drogate
nella loro eccessività.
«Gli inganni possono creare e distruggere, Sigyn, sono solo
illusioni – come la mia magia. A tutti serve la forza per
fare anche la più piccola impresa, ma non si rendono conto
che la pura violenza
è l’ultimo rifugio degli incapaci.[1]»
Non era uno sciocco, non lo era mai stato e mai lo sarebbe divenuto.
Gli atti di forza avevano la loro utilità, oltre a un certo
quantitativo di teatralità utile se usato nel modo adeguato,
ma la brutalità delle azioni dispotiche era solo una
sottigliezza da adottare in un piano che doveva basarsi su qualcosa di
assai più ampio e complesso. Le macchinazioni, gli imbrogli
e le menzogne erano le vere armi da adottare quando si desiderava
conquistare qualcosa, e Loki lo aveva compreso istintivamente.
La sua attitudine alla magia era stata una benedizione per il suo animo
portato all’inganno, un trucco maestoso in cui celarsi
insieme alla sua capacità d’attore. E conosceva
anche la sua unica pecca – quella vera, non quella che gli
rifilavano gli altri sorreggendosi su una differente morale, ma non per
questo necessariamente migliore – ed era l’essere
poco attento alle pieghe della propria anima. Era bizzarro il modo in
cui si era ritrovato a comprendere finalmente la mutevolezza delle
sfumature che lo legavano a Lady Sigyn, solo nel momento in cui aveva
deciso che non l’avrebbe più assecondata tanto
quando le aveva permesso fino ad allora. Ma nonostante il nuovo livello
di autocomprensione, non aveva intenzione di interrompere in alcun modo
il suo divertimento in quella zona grigia – di confine
–, nella quale poteva permettersi di osservarla nel ruolo
della preda – anche se dubitava fortemente che mai lo sarebbe
potuto essere completamente, perché il suo modo di
inchiodare le liquide iridi nere nelle proprie era così poco
affine a chi sapeva di essere caduto in trappola. Lei voleva essere
catturata, voleva essere circuita da lui, glielo stava solo permettendo
e Loki aveva la sgradevole sensazione che se Sigyn non avesse gradito
la sua presenza sarebbe riuscita a liberarsene – erano
entrambi perennemente affissi a ruoli indefiniti, dove si mescolavano
in un tripudio di effervescenti contraddizioni in cui nessuno dei due
poteva predominare.
Finì di lavarle via il sangue con accortezza, una cura con
cui le cucì addosso una pressione ambigua e silente. Sapeva
cosa Sigyn stava leggendo negli propri occhi verdi, riusciva a scorgere
il riflesso di essi in quelli di lei e ciò che trasmettevano
– e non aveva paura, come di consueto, nonostante
l’evidente carica di maliziosa lussuria con la quale
continuava a far scorrere la spugna lungo il suo corpo. Dubitava che al
mondo vi fosse qualcosa capace di intimorirla, nemmeno la morte
probabilmente – ma si sbagliava Loki, almeno quella volta,
perché Lady Sigyn aveva paura, anche se di una sola cosa e
per quanto assurdo fosse, era certa che prima o poi si sarebbe
avverata. E aveva ragione.
Quando ebbe finito la lasciò da sola nella propria tenda,
ritornando in quella di suo padre per scoprire come si sarebbe mossa
ora la diplomazia – non che gli interessasse alla luce di
informazioni da lui solo possedute e che lo ritraevano
nell’aver raggiunto il proprio scopo, ma almeno avrebbe dato
alla donna il tempo di completare da sola la propria sistemazione.
«Tu non mi biasimi per la mia scelta di vendicarmi su
più persone per i peccati di pochi», le aveva
sussurrato all’orecchio prima di allontanarsi, innalzandosi
nella sua nodosa elegante altezza, senza attendere possibili parole da
lei, uscendo nella frescura dell’alba inoltrata.
Per quanto potesse non concordare con le scelte, perfino considerarle
sbagliate nonostante vi si attenesse per fedeltà a lui, mai
avrebbe potuto provare spregio per il dio degli inganni.
Lady Sigyn non aveva mai compreso per quale ragione la morale dei
più dovesse essere considerata di conseguenza la migliore.
Nel corso dei secoli – dei millenni – erano sorti e
sgretolati molti regni che si facevano portatori di una concezione
della vita diversa da quello precedente, e ogni volta si erano tutti
ritenuti nel giusto – non per la giustizia intrinseca, ma per
il prevalere su ciò che era il passato. Lei, lo sapeva bene,
era detentrice di una visione del mondo divergente in molti
tratti da quella di cui si fregiava Asgard, lei non amava la battaglia
fine a se stessa, non riteneva la verità superiore alla
menzogna, non credeva nella superiorità fisica, non pensava
che il loro re fosse di più alta considerazione di quelli
degli altri imperi. Lady Sigyn vedeva sfaccettature in ogni dettaglio e
non poteva catalogare l’esistenza e le sue parti in due
colonne sempre nettamente distinte, dove il nero dello sbagliato era in
contrasto con il bianco della rettitudine.
Come aveva imparato, poi, dal dio degli inganni, le menzogne non erano
dello stesso colore dei capelli di lui, ombre nella notte, ma erano di
luce pura, come al contrario le proprie ciocche quasi bianche
– accecavano, privavano della capacità di visione
con la forza dei soli, rendendo cieco chi ne capitava vittima. Molti
spregiavano le bugie, i raggiri, le parole melliflue, ma lo facevano
solo quando erano succubi di codeste, non quando ne traevano vantaggi,
e si ostinavano a non comprendere come esse non servissero un fine
né buono né malvagio – erano campo
neutro, unicamente mezzi, al servizio di colui che era in grado di
maneggiarle con più maestria di tutti, e chi possedeva un
simile dono non poteva essere relegato a una fazione, a una
definizione. E questa era forse la principale ragione per cui vedeva in
Loki l’unico capace di comprenderla, nonostante anche le loro
concezioni della morale non si sovrapponessero in modo completo, ognuno
dei due rispettava quella dell’altro e non vi erano tentativi
di prevaricare.
Le sue dita si stavano muovendo con sapienza, guardandosi allo specchio
con capo reclinato a destra, intrecciando i biondi capelli simili a
gelidi raggi di sole, quando Loki tornò nella propria tenda.
Nessuna parola mosse le labbra inclinate in uno sghembo sorriso
soddisfatto, avvicinandosi a lei per rimanere in piedi alle sue spalle,
osservando il riflesso dello specchio per poterne studiare i filamenti
di espressione sul volto provato dalla fatica della battaglia.
Lady Sigyn era bella nonostante
sulle sue mani vi fossero costellazioni di calli, nonostante sulla
sua pelle fossero dipinte cicatrici, nonostante le sue
spalle fossero lievemente sproporzionate nell’ampiezza, nonostante vi fosse
spesso sangue rappreso sotto le sue unghie, nonostante per alcuni
potevano essere troppi i nei a dare indizi di disegni nascosti sul suo
corpo. La collezione di difetti fisici erano particolarità
estremamente interessanti agli occhi del dio degli inganni e mai
avrebbe potuto definire altrimenti tali sue accezioni.
«Sigyn, la tua fedeltà a me si sta rivelando la mia arma più
preziosa» asserì andandosi a sedere
sulla poltrona sulla quale prima vi era stata lei, intenta a sottoporsi
ad attenzioni di cui mai era stata prima di quel momento calamita.
«Ne sono molto felice, mio principe», le falangi
continuavano a cucire nodi tra le ciocche, cercando di scendere con
pazienza per evitare che il duro lavoro fosse annientato dalla foga di
completare la treccia. Le liquide iridi d’inchiostro di Lady
Sigyn si muovevano dal suo stesso riflesso a quello alle sue spalle
dell’uomo, scorgendolo con il capo appoggiato al dorso della
mano il cui gomito si impuntava nel bracciolo della poltrona. Non era
la stessa impellente voracità con cui l’aveva
sbucciata con precisione millimetrica poche ore prima, eppure nella sua
espressione Lady Sigyn continuava a ritrovarci torpide tracce
fameliche. Per quanto mantenesse la sua consueta aria nobiliare,
delineando i suoi gesti di compostezza placidità, evitando
sbavature e permanendo nella sua aria di dama dall’eretta
postura adornata di movenze femminili, le era impossibile reprimere i
moti interiori dell’anima – del cuore. Disagio non
era il sentimento che stava provando, perché le era
impensabile potersi sentire tale in sua compagnia, era più
l’imbarazzo
di essere stata privata di ogni difesa con la scusa di prendersi cura
di lei, intaccando la sua arte recitatoria facendo leva sui sentimenti
che provava per lui.
«E il tuo amore
un balsamo sulla mia insoddisfazione» consumò
piano quelle sillabe, per gustarsele nel loro suono e nella forma che
assumevano nella bocca quando le delineò, seguendo lo
spostamento della lingua e delle labbra per captarne più in
profondità le sfumature con le quali stava dipingendo la
propria rimonta nel loro privato gioco – intimo.
«Non ti avevo mai visto arrossire»,
ridacchiò senza l’obbiettivo di prenderla in giro
– vi era quasi una nota di dolcezza nel coglierla in un
attimo di abbandono a un istinto indomabile, che la riportava a una vulnerabilità di
cui solo Loki era a conoscenza e di cui era la causa.
«Deve essere un po’ di fatica per la guerra, mio
principe», le parole vennero modulate con tanta naturalezza
che se non fosse stato il dio degli inganni il suo interlocutore,
sarebbero parse credibili. Lady Sigyn sapeva di non poter mascherare in
alcun modo ciò che il suo volto dichiarava apertamente,
tuttavia poteva almeno prendersi un’inutile rivincita nel non
dargliela vinta ricostruendosi un tono deliziosamente innocente quanto
bugiardo.
«Menti benissimo, ma sono io il dio degli inganni, non ti
aspetterai che non scorga oltre le tue bugie?»
«La chiamerei
storpiatura, più che bugia.»
Come Loki, nemmeno Lady Sigyn era una persona sciocca, sapeva che lui
le aveva sempre concesso più vantaggio di quanto ne avrebbe
avuto se solo lo avesse desiderato. Il principe era persona nata per
dominare, e anche in quel loro rapporto lasciato senza nome non poteva
aspettarsi che sarebbe sempre stata lei ad averla vinta. Non si
meravigliava tanto che i suoi sentimenti fossero stati scoperchiati
– perché, in fin dei conti, sarebbe stato
più difficile lasciarli ricoperti
dall’indifferenza –, quando che lui ne parlasse.
Una sorpresa la cui spinta elettrizzante lasciò crogiolarsi
nelle acque calme della sua anima, senza esporre anch’essa
allo sguardo mellifluo del dio.
«Essia, allora. Storpierò anch’io
ciò che avevo intenzione di dirti chiaramente»,
non serviva lo sguardo di ironica perplessità di Lady Sigyn
a rendergli chiaro quanto poco potesse credere alla menzogna appena
pronunciata, perché lei aveva sempre saputo nuotare nel
fango delle sue bugie. Eppure, per una vota, fu lui a provare il
desiderio di poter credere nella sua stessa fasulla affermazione,
almeno un po’, il giusto per poter pensare che quantomeno un
frammento di sé aveva effettivamente preso in considerazione
quell’ipotesi – ma sapeva che non era in quel modo
che stavano disposti effettivamente gli spazi del suo cuore. E
nonostante la consapevolezza, quel desiderio evanescente, logorato
dalla sua stessa natura, aleggiò nella frase finale che le
rivolse prima di vederla girarsi, sorridendogli con quella
straordinaria felicità che solo lei riusciva a rovesciargli
addosso. «Sei indispensabile
per il perseguimento dei miei scopi.»
M A N I
A’ s W
O R D S
Eccomi con l’aggiornamento! Come state miei adorati?
Io mi scuso se ci ho messo un filino di più ad aggiornare,
ma stamattina avevo un esame, quindi capirete che non potevo ieri e
l’altro ieri mettermi a correggere tutta questa shot
così lunga. Inoltre non so nemmeno se è corretta
perfettamente dato appunto che ho sostenuto un esame e sono lievemente stanca,
ma spero di sì.
Allora, questo capitolo è un po’ più
lungo dei miei soliti – e giuro che mi sono trattenuta.
Tuttavia doveva
essere perfetto in ogni sua parte perché ci tengo veramente
parecchio, sarà che c’è una tiepida
svolta nel rapporto tra Loki e Sigyn? Sì, credo sia per
quello.
Come avevo accennato nelle risposte alle recensioni, Loki aveva
semplicemente concesso un po’ di vantaggio a Sigyn nel loro
rapporto, nonostante lei sia comunque brava a usare le parole per
inganni, in realtà i ruoli sono molto più
equilibrati – e Loki direi che qui ha un vantaggio lievemente
schiacciante. Avevo anche accennato al fatto che io il nostro caro dio
degli inganni lo vedo poco propenso ad essere un buon osservatore di se
stesso, ma essendo tanto bravo a prendere il posto degli altri,
è comunque una persona che conosce i meccanismi della psiche
e del cuore, quindi non lo vedo affatto ad aver paura dei propri
sentimenti – semplicemente ci mette un po’ ad
accorgersene semplicemente. E ora vuole un po’ divertirsi,
una specie di piccola rivincita, ecco.
Il discorso sulla morale mi ha preso molto tempo perché
volevo fosse il più possibile chiaro e spero lo sia.
Ovviamente sottolineo una banalità, ma le opinioni di Sigyn
e Loki in merito non sono le mie, io mi limito a descrivere la loro di
psicologia e il modo di pensare. Per quanto entrambi abbiano visioni
che si discostano dallo standard normale, tengo a precisare che quello
di Loki è parecchio più distaccato di quello di
lei – o almeno lo sarà –, e le ragioni
per cui Sigyn possiede questa visione diversa si fonda nella sua
famiglia. Ne avevo accennato nel quinto capitolo, ma Sigyn è
cresciuta in una famiglia in cui i sentimenti, le virtù e i
vizi erano ugualmente portati all’eccesso, in un certo senso
celebrati – ed è proprio questa tendenza che ha
causato la caduta della sua casata, ma comunque lo spiegherò
meglio.
Ah, il Lord delle Pianure di Rugiada me lo sono bellamente inventata,
prendetelo per buono.
Ci tengo a precisare, per quanto riguarda la nota precedentemente inserita e ora tolta, che comunque la storia verrà continata e il seguito verrà scritto - anzi, informo che ho già provveduto a mettermi d'impegno per sistemare la long precedentemente da me iniziata, in modo tale che possa spronarmi nuovamente a continuarla, e per farlo ho dovuto cambiare alcuni tratti della storia, per tale ragione probabilmente ritarderò un po' nel pubblicarla. Tuttavia i tratti fondamentali sono già stati scritti, e prima o poi pubblicherò il tutto.
La nota segnata
nel testo:
[1]
È una citazione di Asimov, di uno dei libri che fanno parte
del ciclo della Fondazione.
Come sempre ringrazio
infinitamente chi segue la storia, tutti quelli che la
inseriscono tra i preferiti/seguite/ricordate che mi fanno ovviamente
un oceano di piacere. Le statue le faccio però a chi
commenta, che mi riempie le giornate di felicità e
gongolaggine (?), ovvero a Pitonia, Helen L, Zarael e Yoan Seiyryu. Non
avete idea di quanto stimolo a continuare a dare sempre di
più ricevo ad ogni vostra recensione ♥
Alla prossima,
Mania■
|
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Capitolo 8 *** O7 • Distanze intime ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O 7
▬
“ Distanze intime „
Le
distanze non erano tutte uguali, molto spesso erano amare, straziavano
il cuore lacerandolo nelle profondità, e davano vita solo a
lacrime; ma poi ve ne erano delle altre che sapevano di un’intimità delicata,
rispettosa e
complice tale da far invidia a chi rinunciandovi, pensava
di aver guadagnato qualcosa in realtà inconsistente.
Lady Sif pensava sempre questo quando le capitava di scovare Loki e
Sigyn interagire. Ad onor del vero, quel ragionamento si era insinuato
nella sua mente in un tempo piuttosto recente, quando si era decisa a
chiedere alla giovane amica per quale incomprensibile spinta invisibile
si ostinasse a comportarsi come una semplice subordinata, invece di
spogliarsi delle formule dell’etichetta inutili. Solitamente
Lady Sigyn non le rispondeva mai in modo diretto – anzi, non
le rispondeva proprio, cambiando argomento – quando si
trattava del più giovane dei principi, si limitava a
sorridere serafica sistemandosi la sua lunga treccia di fili di luce
condensata. Non avrebbe saputo affermare se la compagna di
addestramento fosse innamorata del dio degli inganni, quello che era
certo era che tra i due – scambievolmente, per quanto strano
potesse essere parlando di Loki – vi era una complicità
palpabile. La giovane
Guardia Reale era fedele a Loki, più
profondamente di quanto chiunque li osservasse riusciva a comprendere e
per il momento, Lady Sif non era affatto preoccupata di quel legame
nato in modi a lei sconosciuti.
«È perché non ho bisogno di usare frasi
confidenziali con lui per avere un rapporto personale, questi sono solo
fronzoli per giocare», aveva risposto Lady Signy ritornando
in posizione di guardia dopo l’ennesima rotolata nel fango,
nonostante gli ematomi sul corpo e la spossatezza del fisico messo a
dura prova dalle ore passate nell’arena con la dea della
guerra. Loro conversavano prevalentemente durante gli allenamenti,
forse perché quelli erano gli unici momenti in cui si
ritrovavano ad essere davvero sole.
«Continuo a chiedermi, Lady Sigyn, come mai la tua attenzione
sia sempre così tanto calamitata su Loki», Lady
Sif era curiosa, non tanto perché le sembrasse strano che
qualche donna potesse interessarsi al dio degli inganni, il fascino non
gli mancava ma insieme a esso trascinava dietro un’aria
ambigua, melliflua, intrisa dal potere di mettere soggezione e anche
tra la maggioranza degli uomini c’era difficoltà a
scovare chi non ne provasse timore – chi riuscisse a
sostenere il suo sguardo dalle ardenti braci. Lady Sigyn invece non
aveva alcun problema, la sua era molto più che
capacità di fissare gli occhi smeraldini di Loki, non metteva alcuno sforzo
in quel gesto molto più complesso di quanto si potesse
erroneamente supporre.
Lady Sigyn parò il fendente, con il fiato corto e
l’espressione marmorea di chi non ha alcuna incrinatura nella
propria certezza di perseverare a cadere per poi riergersi davanti al
nemico. E ogni volta che ciò accadeva, Lady Sif sbuffava
divertita e scocciata assieme, credendo che mai sarebbe arrivato il
giorno in cui l’altra sarebbe semplicemente rimasta sdraiata
nella polvere della terra, ansimando famelicamente in cerca di ossigeno
e priva di energie per ritornare a posizionarsi per un nuovo scambio di
colpi.
«Potrei domandarti, di contro, come mai la tua sia tanto
affannata a seguire l’altro principe. Ma non lo
farò, amica mia, perché entrambe sappiano che le
rispettive ragioni sono incomprensibili all’altra»
replicò Lady Sigyn con sorriso sornione, alzando gli angoli
della bocca in una piega dai risvolti insondabili.
Osservò la donna scuotere il capo rassegnata, solo per il
momento. Ovviamente non ne aveva la certezza, ma supponeva che Lady Sif
continuasse a schiacciarla così impunemente durante
l’allenamento con il doppio fine di avere il gusto di
ammirarla nel non ritornare ad alzarsi, e anche quello di stancarla
nell’anima – così magari avrebbe
risposto seriamente, invece di sfuggire a qualsivoglia domanda.
Come tutti ad Asgard, anche la sua unica amica non riusciva a
comprenderla fino in fondo, e Lady Sigyn sapeva che non era
responsabilità da attribuire unicamente agli altri,
perché lei aveva impiegato ogni suo artifizio e
abilità di attrice per coprire le pieghe del suo essere che
divergevano dal giusto percorso – o quanto meno quello
considerato tale dalla maggioranza. Solo una persona, l’unica
per tutta la sua lunga vita, era stata in grado di smascherarla, forse
perché aveva più ampia esperienza di lei nella
sottile arte della menzogna o forse perché erano affini
sotto una moltitudine di aspetti.
Ricordava la passeggiata di due giorni prima, l’ultima che
avevano avuto modo di compiere in solitudine, senza occhi indiscreti
riparati sotto l’arte magica di Loki. La giovane guerriera
era propensa a classificare quel gesto come una forma di egoismo, non era
orgoglio nel non volersi mostrare in sua compagnia, ma era desiderio di
mantenere esclusivi quei momenti – ne voleva disporre come
voleva, senza dover rendere conto ad alcuno. Non che lui le avesse
mostrato il dispiegarsi dell’incanto attorno a loro o in
qualche modo avvertito della sua presenza, ma Sigyn riusciva a
percepire in molti casi – non sempre, perché per
quanto i suoi sensi fossero acuti, di magia e illusioni non ne
conosceva le basi – la particolare vibrazione
dell’aria, il cambiamento sottile e impercettibile a chi non
aveva una particolare sensibilità.
«Sigyn, non mi hai mai detto perché sei entrata
nell’esercito invece che scegliere la via delle
Valchirie[1]», come quasi sempre Loki non si disturbava a
domandare direttamente, probabilmente trovava troppo poco artificioso e
insieme adorava mantenersi in una posizione di superiorità
alla curiosità comune. Eppure, quando le sue iridi chiare,
macchiate di nebbia a nascondere segreti impronunciabili, si
abbassavano su Sigyn non poteva che costatare quanta scarsa impressione
potesse suscitarle in quel modo. Troppo capace a sviscerare i sostrati
delle sue frasi, era una donna la cui acutezza mentale era paragonabile
a quella di pochi altri – e vista la bassa opinione che Loki
aveva della stragrande maggioranza, era una considerazione il cui peso
non era da sottovalutare.
«Volevo mettermi alla prova. Che prova sarebbe stato entrare
in un corpo femminile di guerriere? La mia riuscita sarebbe stata a dir
poco scontata, invece, mettermi l’obbiettivo di arrivare
nell’élite dell’esercito personale
– nel reparto delle Guardie Reali – del Padre degli
Dei era molto più intrigante»
rispose camminando piano, avvolta in abiti da dama e non da guerriera,
perché a lei piaceva cambiare ed essere ciò che
era a seconda dell’occasione. Era stato Loki,
d’altronde, a spiegarle come la bellezza andasse preservata e
niente dovesse essere sacrificato a cuor leggero, bisognava lottare per
trattenere il più possibile di ciò che si era e
trasformare in povere parti di sé con parsimonia e
assennatezza, per non rischiare di perdersi. Per questo Sigyn curava il
proprio aspetto, in un’eleganza distinta, dove era la
semplicità a predominare, esaltando la nobiltà
della sua femminilità scevra da eccessi; non come le aveva
insegnato la sua adorata madre, troppo dedita a coltivare amori
clandestini, intrappolandoli in forme provocatorie a far trasparire con
molta poca immaginazione la lussuria, ma come aveva appreso da sola. La
raffinatezza era equilibrio, la sobrietà era furbizia
– un inganno,
e lei amava gli inganni.
Il giardino ad Est di Frohheimr[2] era il più silenzioso e
poco frequentato tra tutti, probabilmente per la lontananza alle stanze
degli ospiti e alla Gendarmeria. Era prevalentemente la famiglia reale
a incamminarsi per i suoi sentieri, persi tra le aiuole colme di fiori
dai petali della stessa tonalità delle stele e i salici
piangenti. Mentre camminavano, un gruppo di farfalle passò
attorno a loro, volteggiando in vortici accanto ai loro passi e Sigyn
si chiese se erano vere oppure frutto di una piccola magia –
non che le importasse, perché il loro splendore era
indiscutibile.
«Tuo padre fu un grande condottiero, la spada che ora porti
tu uccise molti nemici di Asgard. Tu ne ucciderai molti altri, mia
devota Sigyn.»
«Di nemici, indubbiamente. Di chi, poi,
è ancora da decidere» chiosò lei
divertita, senza ombra di polemica, con la sola intenzione di
puntualizzare per prendersi un po’ gioco del principe e per
provocarlo.
Non raccolse l’insinuazione, limitandosi ad ampliare il
sorriso magnetico e ravvivandolo con ombre indecifrabili
nell’assaporare la frase della donna. Era stato
più fortunato di quanto si aspettasse decenni prima, quando
l’aveva scovata a staccarsi tristemente i capelli una volta
ricci, non avrebbe mai immaginato che la bambina con la quale aveva
parlato potesse diventare tutto ciò che lei ora era. Ed era
un miscuglio perfettamente disomogeneo di
un’infinità di elementi per poterli elencare,
così si limitava ad apprezzarli più o meno
discretamente – esaltare le sue abilità di
guerriera e stratega non era un problema, ma non avrebbe proferito
parola riguardo a quanto le donasse l’abito celeste con il
quale aveva deciso di affrontare la passeggiata notturna.
«A differenza di molti altri, Sigyn, tu non hai rinunciato a
nulla per essere anche una guerriera. La forza di non bruciare via
parti di sé per ottenere ciò che si desidera,
è di un tipo talmente raro quanto potente. Ho avuto ragione
quando la scorsi in te, anni or sono », avrebbe potuto dire
molto altro, Loki, ma convenne con se stesso che di tempo ne aveva per
profondersi in altri tipi di apprezzamenti e non aveva alcuna fretta
– gustare con lentezza poteva essere snervate, necessitava di
una pazienza ponderata, ma rendeva il tutto molto più
godibile alla fine.
«Voi avete sempre ragione quando si tratta di me, come io con
voi.»
Si fermarono ai confini del giardino, prima dello strapiombo della rupe
sotto il quale le luci delle torce scarlatte, puntellate di zafferano,
brillavano e regalavano vita alla città che si estendeva ai
loro piedi. I rumori arrivavano ovattati, distanti, portati a loro dai
refoli scheggiati da note fredde e colorati dall’argentea
luce della luna, tingendo il tempo di sfumature eterne, estendendo ai
sensi la durata dei secondi. Appoggiata al marmo bianco della
balconata, Sigyn scrutava tra i preziosi affissi nel cielo, in cerca di
nulla in particolare, divagando con la fantasia
nell’immaginarsi i mondi di cui non conosceva
l’essenza.
Le dita lunghe di Loki sfioravano la sua treccia,
un’abitudine cresciuta con gli anni, di cui Sigyn aveva
smesso di domandare la ragione – non le importava che ve ne
fosse una, preferiva esistesse il gesto privo di fondamenta, per puro
piacere. Non piegò la testa per incrociare lo sguardo con
quello del principe, preferendo rimanere immersa nelle moltitudini
delle costellazioni per infantile dispetto. Il silenzio non le metteva
alcun tipo di ansia di riempirlo di vuote parole, e prediligendo
attendere fosse lui a dire qualsiasi cosa trattenesse sulla lingua, in
attesa dell’attimo ritenuto più congruo. Troppo
bene sapeva quanto Loki apprezzasse le pause enfatiche, quanto i suoi
modi fossero teatrali e il suo stesso essere era quello di un attore,
così gli lasciava recitare i monologhi che aveva scritto per
se stesso – e lei si sarebbe limitata a rovinargli i dialoghi
che architettava anche al suo posto.
Se lo delineava perfettamente, Sigyn, il dio degli inganni tessere
mentalmente conversazioni in cui le risposte si susseguivano
logicamente, portate avanti da uno schema a lui chiaro e che per tutti
funzionava –
tranne con lei. Per qualche motivo sconosciuto, e scevra
dall’intenzione di farlo, portava sempre fuori dai binari
qualsiasi dialogo Loki si fosse preparato, affinando le proprie
risposte precedentemente. E mai ne rimaneva scontento, anzi,
probabilmente nel contrario dei casi lo sarebbe stato, afflitto dalla
banalità di cui lei non era fatta. Era anche per quello che
Loki amava Sigyn, perché era caos, una complessa
tela in cui tutto non aveva un ordine e in cui il disegno generale
riusciva comunque ad assumere note armoniche.
«Siamo diversi,
Sigyn. In questo mondo, io e te siamo estranei che si fingono avere
qualcosa in comune con il resto di una popolazione che ignora la loro
natura. E siamo diversi tra di noi, eppure, nonostante queste crepe
ramificate in originali disegni astratti sulle nostre anime, siamo
così compatibili che mi viene da domandarmi se non avessimo
altro destino che quello di incontrarci.»
«Il destino»
formulò a bassa voce, sillabando, tale parola. La
soppesò in quel processo, vagliandone i significati e i
reflussi che implicava, fino a decidere di scuotere lievemente il capo
in segno di dissenso. «Non credo che per noi ci sia qualcosa
del genere, non credete principe? Siamo troppo fuori dagli schemi per
essere tra i rami di Yggdrasill[3]. Trovo molto
più… Non mi sovviene un altro termine se non romantico,
perdonatemi, per definire come sarebbe il nostro incontro se fosse solo
opera nostra – e lo è, per me»
asserì con una sicurezza placida tale da non poter ammettere
repliche, nemmeno se arricchite dalle più profonde
argomentazioni logiche e filosofiche, perché il suo tono era
filato da forza incontrastabile.
Spostò le scure iridi su Loki solo quando lo
sentì ridere piano, sommessamente, trattenendo il suono tra
le labbra, incurvate nel sorriso serafico di cui spesso si ammantava.
Per quanto fossero chiari gli occhi del principe, a Sigyn davano sempre
l’impressione di essere fuochi, tizzoni ardenti, braciere
perpetuamente accese; scintillavano di una luce contorta e conturbante
di cui lei apprezzava le sfumature – ci si perdeva in esse.
«Romantico trovo che sia calzante»
asserì, abbandonando i percorsi imparati a memoria
dell’intreccio dei suoi capelli e depositando un appena
accennato bacio sulla sua fronte.
Forse Lady Sigyn si distraeva troppo quando si allenava in compagnia
della dea della guerra e per questo ne usciva con una collezione di
ematomi notevolmente ampia, tuttavia le domande della seconda
suscitavano in lei reminiscenze frammentate nelle quali non riusciva a
impedirsi di scivolare. Per il suo stato fisico non era il massimo,
avrebbe dovuto trattenere più concentrazione e maggiore
rigore, ma lei preferiva di gran lunga qualche contusione in
più e un sorriso imperituro sulle labbra cremisi.
«Non mi rispondi mai quando ti domando del tipo di rapporto
tra te e Loki» si lamentò Lady Sif, sia per
l’appunto appena sottolineato, sia per il rivederla
nuovamente in piedi, con la spada tesa davanti a sé. Si
arrese alla testardaggine della giovane amica, perché per
quella sessione di allenamento pensava di averle causato abbastanza
dolori muscolari a cui pensare per un po’ – una
quantità che compensava anche la sua frustrazione nel non
ricevere mai repliche soddisfacenti.
«Se lo facessi, Lady Sif, potresti pentirti di avermelo
domandato», la prese in giro, rinfoderando la spada, con fare
infantile.
«E perché mai?»
Lady Sigyn si avvicinò al muro che circondava
l’arena, issandosi sopra per poter rimanere lì a
riposare per un po’, osservando imperscrutabilmente la donna
di fronte a lei. Non sarebbe mai riuscita ad arrivare al suo livello,
d’altronde se era la dea della guerra un motivo doveva
esserci, ma lei era quella della fedeltà e anche per essa
c’era una ragione più che valida. Tirò
maggiormente gli angoli della bocca, riuscendo a mantenere
un’area quiete nonostante le devastanti ore passate a
combattere.
«Perché ciò che non si conosce e
capisce, fa paura. Comunque, puoi perseverare nella tua domanda e io
continuerò a rialzare la spada.»
M A N I
A’ s W
O R D S
Ed eccomi con il nuovo aggiornamento!
Non so da voi, ma da me piove da giorni – settimane!
–, non ne posso più. Questa cosa non
c’entra assolutamente niente, ma volevo condividere con voi
il mio sfinimento per il maltempo. E poi, non so, sono in vena di
consigli di libri, ho appena finito di leggermi «American Gods» e ve
ne consiglio la lettura caldamente, per chi ama le divinità
e le storie intricate è un’opera da non perdere
– e poi
potreste incontrare una vecchia conoscenza.
Detto questo, veniamo al capitolo.
Allora, lo avevo già anticipato, ma Sigyn e Sif sono amiche,
sarà che sono le uniche due donne dell’esercito,
sarà che sono due donne dal forte carattere, ma le vedo bene
insieme, anche se la seconda non riuscirà mai a capire del
tutto la prima – e probabilmente anche il contrario.
È abbastanza tranquilla come shot, nessun avvenimento
straordinario, ma un modo per mostrare l’affermazione di una
presa di coscienza di Loki e Sigyn, e anche per mostrare come da fuori
appaiono – ovvero non si capisce per niente che razza di
rapporto abbiano, d’altronde lui è il dio degli
inganni e lei si diverte troppo ad assecondarlo.
Il riferimento al fatto che Loki ami Sigyn perché
è caos deriva dal fatto che Loki nella mitologia norrena
è dio del caos e del male, si alimenta di caos, quindi dato
che Sigyn è così tanto fuori dagli schemi comuni
e percorra una sua logica staccata da quella convenzionale, ricrea un
piccolo cosmo disordinato - perché ve l'ho già
detto, ma il mio Loki si avvicina molto di più alla visione
della mitologia. Contorto come pensiero, lo so, ma mi piaceva troppo,
l’ho creata così apporta.
Detto questo, le note tecniche segnate nel testo sono:
[1] Le
Valchirie, come molti sapranno, sono il gruppo femminile di combattenti
al servizio di Odino. Sigyn ho preferito fosse nell’esercito
maschile come Sif per le ragioni da lei esposte.
[2]
È il nome del palazzo di Odino.
[3]
Yggdrasill è l’albero cosmico che regge i Nove
Mondi, secondo la cosmologia della mitologia norrena, e si dice che tra
i suoi riami siano intessuti presente, passato e futuro, intessuto
dalle tre Norme.
Ah, ho riletto solo due volte, perché ho un esame
lunedì, un altro, e mi sto ammazzando di studio. Appena la
sessione d'esame finisce rileggerò tutti i capitoli!
Come al solito io ringrazio infinitamente chi segue la storia,
veramente, mi date un supporto incredibile! E chi mi commenta
è l’amore, davvero, vi adoro perché mi
spronate ad aggiornare velocemente e a dare il meglio di me in ogni
capitolo – e mi scuso se non rispondo subito alle recensioni,
ma sono un po’ impegnata in questi giorni, lo farò
al più presto! Quindi il mio più grande grazie va
a Zareal e Helen L, ai quali
probabilmente dedicherò una statua in diamante –
perché l’oro è mainstream –
per la loro dedizione a commentare con tanta regolarità
♥ Ovviamente un sentitissimo grazie anche a chi ha inserito
la storia tra le preferite/ricordate/seguite, siete adorabili e bho, vi
ringrazierei uno a uno portandovi cioccolata a casa.
Al prossimo capitolo, e appunto ricordatevi che una recensione rende
felice l’autrice, quindi non fate i timidi!
Mania■
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Capitolo 9 *** O8 • Giochi di illusioni per celare, o forse per svelare ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O 8
▬
“ Giochi di illusioni per celare, o
forse per svelare
„
Una
delle poche cose
che Loki trovava fastidiose di Lady Sigyn era la sua
capacità di
non farsi troppe
illusioni – e chi non se ne creava non poteva
essere facilmente ingannato. Chiunque avesse un cuore ricolmo di
emozioni era incline a lasciarsi andare a fantasticherie, chiunque
provasse pulsioni di qualsiasi natura lasciava vagare la propria mente
in scenari irrealizzabili in cui tutto era possibile; Lady Sigyn invece
aveva sempre e solo vagato con l’immaginazione su quanti
nemici
avrebbe abbattuto per poter raggiungere gli scopi di Loki, divenuti poi
anche i suoi, e mai se sarebbe caduta tra le braccia di chi amava,
perché non ne aveva la benché minima intenzione.
Cadere
era per i bambini, lei era una guerriera – lei risorgeva
dalle macerie della sua casata abbattuta dalla dissolvenza, cupidigia e
bramosia di uomini inetti, e non avrebbe mai permesso al proprio cuore
di piegarsi a sentimentalismi della medesima natura.
A Loki fu chiaro quella sua capacità di discernimento quando
ormai si era scoperto – e
lei con lui –, e nonostante la
rassicurazione convincente della guerriera, era certo che era stato lui
ad essere stato beffato. Una chiarezza lampante a trafiggerlo quando il
fendente del nemico si stava per abbattere alle sue spalle –
su di una
delle innumerevoli delle proiezioni che riempivano l’area del
vecchio
maniero diroccato – e la spada di Sigyn si frappose per
allontanare il nemico; perché lei sapeva che quella era la
reale
figura di Loki. Lo avrebbe negato e il dio degli inganni già
lo
sapeva ancora prima di domandarglielo, per il capriccio malizioso di
lasciare nell’incertezza perpetua gli avvenimenti del giorno
prima.
Nelle pianure di ghiaccio di quel remoto pianeta non vi era nulla, ma
era la sola possibile strada per giungere al campo nemico prendendolo
alle spalle. Essendo un’azione, quella programmata celermente
per
mancanza di tempo, che richiedeva un certo grado di astuzia e
capacità di rimanere in incognito, non era stato
assolutamente
un problema assegnare tale incarico al principe Loki e alla sua fedele
guerriera, Lady Sigyn. Nessuno meglio di loro poteva adempiere tale
compito di sgattaiolare nelle retrovie, tagliare via parte dei
rifornimenti nemici e intrufolarsi nel cuore
dell’accampamento
per recuperare le reliquie che il Padre degli Dei rivoleva –
non
che ne avesse realmente diritto, ma era stato il pegno che aveva
stabilito con il sovrano di quelle terre, oltre altri innumerevoli doni
e concessioni, quindi non vi era davvero da stupirsi se gli
appartenenti alla Resistenza avevano aperto nuovamente le
ostilità per l’affronto di Odino nel sottrarre
ciò
che di più sacro vi era per loro.
«Ci siamo persi» asserì con uno sbuffo
Sigyn, bloccando il passo alzando lo sguardo verso l’altro.
«Non ci siamo persi» sicuro, con timbro fermo,
replicò Loki senza alcuna incertezza e una flebile nota di
risentimento per aver insinuato una simile assurdità.
Attorno a loro vi era una massa bianca a bloccare la visuale a
più di una trentina di centimetri dal volto. La nebbia era
calata all’improvviso, li aveva raggiunti circondandoli, una
cortina implacabilmente fitta oltre il quale non potevano scrutare,
come se fosse stato un sipario a tenerli esclusi dal resto del mondo.
Scosse appena il capo, Sigyn, con un mezzo sorriso a definirsi sulle
labbra cremisi, crepate di una venatura quasi compassionevole per
quella che appariva una presa di posizione a difesa del proprio
orgoglio. Prendere alla sprovvista il dio degli inganni non era cosa
sicuramente comune, quindi dubitava fortemente avrebbe mai ammesso di
essersi seriamente smarrito. Ma d’altronde le veniva
difficile
credere il contrario con la totale assenza di punti di riferimento ai
quali fare appello – non era possibile scorgere oltre la
punta
del naso, sarebbe stato impossibile per chiunque riuscire a seguire un
qualche percorso.
«Con tutto il rispetto, mio principe, ma temo proprio di
sì» ribatté imperterrita, per niente
intimorita
dallo sguardo bieco che ricevette a quelle parole. Ma Lady Sigyn non
provava il minimo timore di fronte all’irritazione di Loki,
del
tutto immune dal manto di gelida reverenza che provocava negli altri
grazie al portamento saturo di un fascino dalle sfaccettature
melliflue, subdole e inclini a suscitare timore naturale.
«Questa
nebbia è incredibilmente fitta. Oltre ad essere strana, non
trovate?»
«Probabilmente dipende dal fatto che non è nebbia,
ma sono
effluvi di vapore che risalgono da sotto il terreno. Qui sotto
vi è lava che si dirama per tutta la pianura, e quello
è
il vulcano in quiescenza» indicò una zona
totalmente
appannata, un grigiastro chiaro che non lasciava intravedere nessuna
sagoma oltre all’indice dell’uomo che con tanta
sicurezza
aveva puntato tale direzione.
Il sopracciglio destro di Lady Sigyn si inclinò
pericolosamente,
formando un arco maggiormente accentuato rispetto al gemello,
sottolineando con la mimica facciale come l’intero discorso
del
dio degli inganni le suscitasse palese perplessità e una
certa
dose di preoccupazione alla rivelazione. Spostò le iridi di
liquida notte dal volto di Loki ai propri piedi con una vena di
nervosismo a insinuarsi sul volto, socchiudendo appena le labbra con la
voglia di ribattere e le parole ancora non formulate a bloccarla a
operazione iniziata.
«State dicendo che ci troviamo sopra una fucina con liquido
incandescente sui seicento gradi?» riuscì infine a
domandare, immobilizzata sul posto e un’inspiegabile
sensazione di
calore autosuggestionato a invaderle il corpo. Non apprezzava
particolarmente le temperature alte, anzi, se proprio doveva essere
sincera preferiva le stagioni rigide con l’aria talmente
fredda
da regalare la sensazione di spilli a conficcarsi nella pelle.
L’inverno la faceva sentire viva, le regalava la voglia di
muoversi per trovare conforto alle estremità intirizzite,
mentre
l’estate le gettava addosso unicamente una stanchezza
appiccicosa.
«Credo che superi i mille in questa zona» la
corresse
superandola, con l’aria supponente e un ghigno sbieco
serafico
– forse nascondeva divertimento per la reazione o forse era
il
pensiero di quanto le donasse la testardaggine di impuntarsi su
dettagli. «Qualcosa ti preoccupa?»
«Preferisco morire congelata,
tenetelo a mente la prossima
volta» rispose raggiungendolo, per niente soddisfatta di star
camminando su un ponte a separarla da un mare di fuoco liquido.
«Non dire sciocchezze, non morirai.»
«Si chiama umorismo, mio principe»
replicò levando
appena il capo per poterlo guardare per qualche secondo con espressione
truce, con la quale palesare teatralmente tutto il suo disappunto. Non
solo
si erano persi – e questo punto era oggettivo, non ammetteva
la
minima replica Sigyn, se non davanti a un’evidenza del tutto
improbabile
-, ma ora scopriva che praticamente stavano attraversando
una zona nata da lava indurita nei secoli della cui solidità
e
stabilità non conosceva assolutamente nulla. Non che
provasse
paura per la situazione, ma le sarebbe piaciuto esserne messa a parte
della faccenda in
precedenza, invece di sentirsela scivolare addosso
casualmente in mezzo alla discussione – anche se non credeva
che
Loki avrebbe mai potuto fare altro che quello: lasciare andare indizi
di ciò che era la sua realtà, per metterla a
parte
dandole unicamente frammenti e mezze istruzioni su come completare un
puzzle architettato da lui.
La cosa che maggiormente la indisponeva, tuttavia, rimaneva il non
sapere dove fossero. Loki aveva indicato un vulcano celato dalle nebbie
con tale sicurezza da crepare la certezza di Sigyn di essere solamente
lei quella priva di punti con cui orientarsi. I passi del dio degli
inganni erano incredibilmente certi, si inabissavano nel bianco sporco
del vapore in continuo movimento con l’arroganza della
conoscenza, e a lei non rimaneva che seguirlo – ovvero
l’unica
costante della sua vita.
Navigava in un oceano di incognite e non aveva mai provato a fare
diversamente. Aveva sempre creduto che non si potessero costruire
salvagenti di fermezza da tenere come ancore di salvataggio,
perché la vita era tutto fuorché lineare e
riservava
ciò che desiderava senza chiedere il permesso. Aveva avuto
solo
l’eccezione che quell’uomo rappresentava per lei,
quindi,
per quanto le costasse un colpo feroce al proprio orgoglio, si rimise
alla sua guida con la frustrazione di essere unicamente lei quella
smarrita.
Furono rumori distanti, attutiti, a far arrestare entrambi dopo lasso
di tempo indeterminabile. Rimasero in ascolto con attenzione,
accovacciandosi al suolo contemporaneamente, consci che se davvero
erano vicini al campo dei ribelli era conveniente fare la massima
attenzione. Era lampante che avessero scelto quella zona per essere al
sicuro da attacchi, protetti com’erano dagli effluvi del
vulcano
scorrere sotto i loro piedi, ma d’altro canto c’era
anche
il contrappasso di non poter avvistare nemmeno loro nemici in
avvicinamento – tuttavia, sicuramente, essendo cresciuti e
vissuti in quei territori a loro sarebbero risultato semplice qualsiasi
azione.
«Credo che siamo vicini, inaspettatamente»
borbottò
Sigyn quando avvertì l’insistenza delle
smerdaldine iridi, macchiate di scintillante soddisfazione, su di
sé.
«Te l’avevo detto che non ci eravamo
persi»
commentò con una lieve risatina a disperdersi attorno a
loro,
provocando a Sigyn brividi di nervoso nella contrazione i muscoli del
braccio,
tesi nel pugno per poter sfogare l’irritazione nata
dall’offesa di aver torto, e costringendola a mascherare
divertimento per la
presunzione affascinante di cui Loki si ammantava. Alzò gli
occhi al cielo, con fare
teatrale, prima di posarli su di lui e bloccarsi a ricambiare lo
sguardo con un’inspiegabile nodo in gola, giunto a mozzarle
il
respiro chissà poi come tanto celermente.
La stava mangiando con gli occhi, come aveva già fatto poco
tempo addietro per poi relegare quelle note di famelica brama, sciolte
ed evidenziate nel verde arroventato delle iridi, in un dimenticatoio
lasciato aperto – solo spiragli, flebili lampi. Fu improvviso
il
cambiamento con il quale la scrutava, tale che Lady Sigyn rimase con le
sillabe attaccate al palato, succube di null’altro che un
pensiero lascivo che riusciva a percepire ma del quale non poteva
conoscere alcun dettaglio. E si maledisse, in quell’istante,
perché entrare in possesso di un simile sapere non la
spaventava, la elettrizzava al contrario, e l’avrebbe voluto
veder tramutarsi in concretezza – troppo, ma non abbastanza
da
farla desistere dal negarsi di seguire l’istinto che la
voleva condurre ad
abbassare lo sguardo sulla bocca di lui.
Indugiare era attività pericolosa con il dio degli inganni e
Sigyn aveva un senso di quali limiti non valicare quasi assente
–
era troppo intrigante la possibilità di tentare azioni poco
consigliabili e lei possedeva poco discernimento. L’unica
cosa
della quale non aveva carenza era l’orgoglio, il senso di non
piegarsi a nessuno – soprattutto a lui nonostante la propria
fedeltà, non in quel campo.
«Oh, chiuda
la bocca o ci sentiranno» riuscì
infine
a pronunciare, provando ad apparire scocciata per essersi rivelata lei
quella in torto su chi avesse davvero perduto l’orientamento
– e ferita lo era, Sigyn, nell’orgoglio per non
possedere
la magia e altre abilità su cui far affidamento per non
smarrirsi, ma anche per essere rimasta tanto a lungo incantata davanti
allo sguardo magnetico del dio, incapace di reagire con prontezza, a
tessere frasi morte in boccheggi muti.
Gli angoli della bocca si tesero in un sogghigno più ampio,
divertito per la reazione della sua devota guerriera. Era adorabile nel
suo voler rimanere nella ragione anche quando non lo era – e
sapeva di esserlo –, l’amor proprio le impediva di
cedere
del tutto, non potendo concedergli una vittoria tanto abissale. E a
Loki piaceva come lei perdurasse nelle sue posizioni, la sua
testardaggine non era cieca od ottura, semplicemente era lo sfizio di
non dover dare voce ai dati di fatto, prendendone unicamente atto,
limitandosi ad accovacciarsi su se stessa per leccarsi le ferite
all’orgoglio.
La baciò unicamente perché voleva farlo in quel
preciso momento.
Non c’erano altre ragioni e d’altronde qualsiasi
altra
sarebbe stata sbagliata, la sola per inchinarsi su di lei ad unire le
loro labbra mentre la tirava verso il proprio corpo. Ed essendo in
ginocchio, in quel strattonarla e sentirsi tirare a sua volta,
l’equilibrio a qualcuno vacillò – e se
avesse avuto
il tempo e la voglia, si sarebbero incolpati a vicenda –
tirandosi scambievolmente a terra. La tenne schiacciata tra
l’erba umida e il suo corpo, senza concederle troppa aria da
ingerire facilmente, perché era da tempo che immaginava
quale
sapore potesse mai avere e ora che aveva deciso che era giunta
l’ora per smetterla di andare a tentoni, non aveva intenzione
di
prendersi poco.
Non c’erano nemmeno molti motivi che l’avessero
indotto a
comprendere che quello era l’attimo corretto, semplicemente,
non aveva
più voglia di non compierlo. E altrettanto sicuramente non
aveva
timore di un rifiuto, perché che Sigyn lo amasse era una
delle
poche cose vere, scevra di menzogne, che avesse nella propria vita e
avrebbe preteso che rimanesse così in eterno.
Avrebbe voluto far passare lui le proprie mani tra le cascate di luce
opaca dei suoi capelli, ma come sempre erano intessuti nella lunga
treccia e si dovette accontentare di sentire le falangi della donna
passare tra le proprie di ciocche nere. Le morse le labbra, fino a
tingergliele di scarlatto per l’irritazione del gesto e non
per
via del rossetto, impedendole di compiere troppi movimenti –
la
voleva quasi incatenata, in suo potere, perché
così
doveva essere e anche perché vederla provare a ribellarsi
almeno
un po’ era uno degli spettacoli più soddisfacenti.
Quando puntò le ginocchia nel suolo ai lati dei suoi
fianchi,
per poi passare una mano sotto il collo di lei e tirandola verso
l’alto, la guidò nel ritornare seduti con ancora
il
respiro corto nel trattenere le labbra a cucirsi baci –
vocarci,
erano come graffi e dove la dolcezza era solo l’ultima
più vitrea sfumatura tra la smania e la passione.
«La prossima volta dovresti specificare il come»
asserì con l’arroganza a fuoriuscire copiosamente
dalle
proprie parole, mentre si sfiorava appena le labbra con i propri
polpastrelli a sottolineare la vittoria devastante ottenuta a sue
spese. Lo sguardo magnetico con cui la inchiodava sul posto non era il
motivo per cui Sigyn rimaneva in silenzio, ma solo l’ultimo
fattore tra altri decisamente più considerevoli –
e il
fiato corto con il quale si ritrovava ne era una prova. E Loki non
necessitava di ulteriori premi, così si alzò
lievemente,
tirandola su per un braccio per incitarla a muoversi. «Ma per
ora
direi di non fermarci per un’inezia del genere visto lo
scarso
tempo a nostra disposizione. Vieni, non ci sentiranno né
vedranno.»
Intrufolarsi nel campo nemico era solo la continuazione della
precedente passeggiata quando si aveva a propria disposizione la magia
a far da scudo solito e impenetrabile. Si spostarono tra le tende e si
mossero tra i ribelli senza essere scorti, facendo unicamente
attenzione a non provocare rumori sospetti o scontrarsi con qualcuno. E
mentre sgattaiolavano furtivamente da un rifugio all’altro
alla
ricerca dei tesori di Odino, si presero il disturbo di sabotare le armi
– il dio degli inganni trasformò in ruggine le
lame delle
spade e Lady Sigyn manomise archi, carri e catapulte. Fu un lavoro
semplice, nonostante l’impiego di diverse ore e la nebbia a
rimanere fitta cortina attorno a loro, ma non vi furono imprevisti a
rendere pericoloso il loro incarico.
Fu un sollievo, in realtà, per Lady Sigyn che ebbe modo di
distrarsi e recuperare le fila della propria maschera, riportando la
propria mente a uno stato se non di quiete, di fasulla
tranquillità. I maremoti di un bacio come quello non erano
facili da sottomettere – erano impossibili da imbrigliare
alla
ragione e nemmeno ci si doveva provare -, sollevavano troppo dagli
abissi portando detriti di desideri mai ammessi nelle rive distrutte
dal loro passaggi. E così si ritrovava a dover fare i conti
in
maniera più sfacciata con i propri sentimenti, con
l’amore
che provava per il dio degli inganni, e non poteva più
ignorare
il fruscio di fondo dei pensieri sollevati dai battiti del proprio
cuore. Sapeva che era inutile domandarsi cosa sarebbe stato,
perché con Loki non era quello l’interrogativo
corretto
– non ce n’era uno, in verità -, ma solo
che quel
bacio vi fosse stato.
Eppure la logica era debole di fronte a un tale urto e deboli
immaginazioni non potevano essere frenate se non
dall’occupazione
del momento. Fu grata che il campo nemico fosse abbastanza grande, in
modo da dover coprire un certo numero di punti in cui setacciare per
ritrovare i gioielli sacri e per continuare a sabotare
l’armamento nemico, mentre un po’ meno felice fu
quando una
lieve emicrania cominciò a insinuarsi, lambendole le tempie
in
un abbraccio stritolante. Aumentò
d’intensità solo
quando abbandonarono le tende dei ribelli, lasciandosele alle spalle
per tornare nella zona in cui stazionava l’esercito di
Asgard,
fuori da quel terreno tanto insidioso.
«Sigyn?», l’afferrò per una
spalla impedendole
di cadere a terra dopo aver inciampato in una sporgenza rocciosa. Ormai
erano fuoriusciti da qualche metro dal fitto vapore condensato sopra la
pianura, l’aria era dolcemente fredda nel suo essere pulita e
le
regalava un po’ di benessere alla sofferenza del perseverare
di lancinanti chiodi invisibili conficcati in testa.
Erano tanto acute le scosse dolorose da impedirle di concentrarsi a
dovere, a tratti le
offuscavano la vista e si domandò a cosa potessero mai
essere
dovute – visto quanto spinose erano divenute, non erano
pensieri
rimestarti a sentimenti gli artefici di un simile disturbo.
«Non è niente, mal di testa»
minimizzò
portandosi il palmo alla tempia destra, rotando appena il polso fisso
sul punto sofferente per cercare di trovare un po’ di pace.
«È per via di quelle esalazioni nebbiose.
È satura
di elementi che possono provocare lievi malesseri e
allucinazioni» spiegò Loki afferrandole il mento
con un
paio di dita, costringendola ad alzare lo sguardo verso di lui per
poterla studiare con precisione. Si soffermò con attenzione
a
scrutare le iridi arrossate della donna e la pelle pallida resa lucida
dal sudore, tirata per via della fastidiosa emicrania.
«Allucinazioni?» ripeté con una lieve
nota acuta che
tradì il suo voler apparire il meno possibile sconcertata da
una
simile rivelazione. «Significa che prima...»
«Che prima cosa?»
Ancora una volta le labbra di Sigyn si dischiusero antecedentemente
alla formulazione concreta di frasi, e lì si
congelò
mentre un’idea cominciò a prendere piega tra gli
altri
pensieri – ma la nascose. Un lieve tremito di un angolo della
bocca indecifrabile fu tutto ciò che si palesò
all’esterno, anticipando lo scorrere ora regolare delle
parole
non nate in precedenza.
«Che prima parte di quello che ho visto o sentito potrebbe
essere stato frutto della nebbia?»
«Direi che è una possibilità da non
escludere» asserì annuendo lievemente, con
espressione
incuriosita per quell’interrogativo posto con tono smarrito
appena accennato. Avrebbe volentieri sondato più a fondo le
ragioni di un simile afflizione di cui erano dipinti i lineamenti di
Sigyn, ma non vi era tempo per indulgere ulteriormente in mezzo ai
campi, in posizioni tanto scoperte. «Ora, dovremmo davvero
andare, Sigyn.»
Con il senno di poi, Loki comprese che quel lieve fremito
dell’angolo delle labbra di lei era l’avvertimento
che
era stato scoperto, le sue bugie lavate via per lasciare unicamente ai
fatti nella loro limpidezza. Era stato talmente minuscolo da non
avergli
attribuito il giusto valore fino a quando non si concretizzò
davanti a lui l’indiscutibile realtà che non era
riuscito
a giocarla come aveva pianificato, che tutto il suo lavoro per
piazzarla in una zona di indefinitezza si era sgretolato davanti
all’indiscussa abilità di Lady Sigyn di trovare la
verità in mezzo al pantano delle sue menzogne, macchinazioni
e inganni.
«Come lo sapevi?», glielo chiese veementemente una
volta
rimasti da soli, quando l’attacco dei ribelli era stato
completamente sedato e i sopravvissuti messi in catene.
L’aveva
spinta contro una delle pareti delle sue stanze, appoggiando una mano
sopra la sua spalla e piegandosi sopra di lei nel vano tentativo di
incuterle una qualche sorta di paura, spinto dall’irritazione
per
l’essere stato smascherato e dal bisogno di sentirselo dire.
«Cosa,
mio principe?» evitò il quesito sospinto da
voce eccessivamente ingenua, ma Lady Sigyn non si privò del
piacere di recitare egregiamente ora lei la parte principale. Aveva
voluto ingannarla e ora toccava a lei muovere i fili per torcergli
contro il suo stesso piano, rendendogli il piacere di non avere
risposte definite ma solo percezioni – e per quanto fosse in
collera, per quanto vedesse la frustrazione liquefare il verde dei suoi
occhi tramutandolo in tizzoni ardenti, sapeva che in fondo anche lui
preferiva così.
«Hai parato quel fendente come se fosse certo che non fosse
una mia proiezione ma davvero io.»
«Non lo sapevo, era solo che non ho margini
d’errore»
osservò con ovvietà ostentata la guerriera,
alzando le
sopracciglia in un’espressione in cui mischiò la
naturalezza delle proprie parole, lo stupore per la reazione del dio e
una punta di astio per il trattamento a rendere più
verosimile la sua interpretazione. E con l’eleganza delle
grandi
attici, fece scivolare il dorso delle dita lungo la guancia
dell’uomo piegando appena il capo, cruciando lo sguardo alla
ricerca del motivo di tanto disturbo. «Qualcosa vi turba, per
caso?»
Chiuse gli occhi, Loki, lasciando evaporare via l’irritazione
e
soppiantandola con la soddisfazione per quanto sorprendente si
rivelasse ogni volta la sua devota Sigyn. Fece scorrere la mano
appoggiata al muro più in alto, in modo da appoggiare
l’intero avambraccio e portando anche l’altro in
posizione
parallela, chiudendo la donna tra la poca distanza del proprio corpo e
la superficie di mattone freddo dietro di lei.
«Alcunché di particolarmente gravoso»
rispose
infine, tornando a osservarla con un ghigno i cui risvolti non
promettevano alcunché di buono e quello stesso sguardo
concupiscente con il quale si era messo ad arroventarle
l’anima,
strappandole più dichiarazioni mute di quante ne avrebbe mai
pronunciate.
«Me ne rallegro, non vi dona affatto l’aria
cruciata.»
«E quale aria mi dona, mia
devota Sigyn?»
«L’aria imperscrutabile, eternamente cosparsa dal
vostro
miglior sogghigno e un pizzico di alterigia regale» rispose
lei,
passando entrambe le braccia attorno al collo di Loki, rievocando la
sensazione di far scorrere le proprie dita tra i fili
d’inchiostro dei suoi capelli.
Forse l'orientamento nella nebbia non le riusciva egregiamente, ma
nelle sue bugie e confessioni mai pronunciate, condite da piani
artificiosi anche ai suoi datti, Sigyn si era sempre destreggiata con
una bravura inconcepibile. Un tale senso le proveniva dal semplice
fatto che lo conosceva e accettava per ciò che Loki era -
fino in fondo, fino alla piega più buia e impregnata di
oscurità -, e non aveva mai provato a sfuggirgli, cambiarlo
o credere che fosse migliore di quanto si mostrasse per recitare il
ruolo che gli conveniva.
«I tuoi gusti, Sigyn-»
«I vostri,
principe.»
Se c’era una cosa che a Loki risultava irritante di Lady
Sigyn
era l’impossibilità di ingannarla completamente,
perché lei lo lasciava vincere per vincere a sua volta e si
ritrovava sempre a dover ammettere – almeno a se stesso
–
di essere molto più che impressionato da lei. E la cosa
ridicola,
profondamente insensata
e drammaticamente folle,
era che
proprio essa fosse la ragione per la quale ai suoi occhi Lady Sigyn
risaltava cosparsa di un fascino unico per la sua ricchezza. Ma non
glielo avrebbe mai confessato, se ne sarebbe beato dietro un ghigno
serafico, e non gli importava se si sarebbe pentito di lasciare ancora
quella fasulla
distanza tra loro, ma il loro gioco era più stimolante
di qualsiasi altro tipo di relazione e l’avrebbe mantenuta
imperturbata per il maggior lasso di tempo – fino a quando
non
sarebbe capitolato dinnanzi a lei senza accorgersene, e si sarebbe
forse arreso all’evidenza.
Per il momento, invece, avrebbe continuato a rubarle baci dietro
illusioni fallaci – ma non solo, altrimenti non sarebbe stato
divertente -, pretendere la sua compagnia e sorridere beffardo di
quella finta lontananza che Sigyn teneva e lui assecondava –
o
forse era il contrario. O forse ancora, era intimità secondo
i
loro modi d’essere.
M A N I
A’ s W
O R D S
Ed ecco qui l'aggiornamento, scritto con somma fatica, lo ammetto, per
via degli esami che ho avuto nel frattempo. Ma anche se vi ho fatto
attendere un po', avete avuto la scena del bacio - rubatissimo - e
spero che vi sia piaciuta, perché sinceramente non me la
sono mai immaginata diverso da questa, fin da quando avevo progettato
la raccolta. Come sempre però, come notate, non è
che ci sia un vero vincitore tra i due - ed è una cosa che
mi piace molto mantenere, perché lo trovo un punto della
loro relazione fondamentale, che da ai due piccioncini
protagonisti un
equilibrio unicamente loro.
Ovviamente tutto il contesto è inventato di sana pianta,
come la
cosa della nebbia/vapore allucinogeno - e non l'ho spiegato apposta
perché volevo rimanesse indeterminato se fosse davvero
allucinogeno o se Loki si fosse inventato quel particolare per
ingannare Sigyn, quando invece poteva solo dare sintomi di spossatezza.
Inoltre il fatto che Sigyn dica che preferisce il freddo al caldo
è un indiretto e incosapevole collegamento al fatto che Loki
sia
un Gigante del Ghiaccio.
Ah, come notate la narrazione è lievemente diversa dal
solito - in realtà non so se si nota, ma lo specifico
comunque. Dato che io amo moltissimo G. G. Marquez e il suo stile di
scrittura, a volte cerco di cimentarmi in qualcosa di simile, ovvero
una narrazione "ad immagini" attraverso cornici temporali - ok, Marquez
ci mette molti più piani temporali, io solo due
perché m esercito - e non prettamente in ordine cronologico,
per questa ragione tutto è narrato con lo stesso tempo. Non
pretendo certo di essere al suo livello immenso, però amando
molto come stile, a volte mi piace provarci a scrivere qualcosa in
questo modo - o almeno provarci.
Bene, ne approfitto per farmi un pochettino di pubblicità.
• Per
chi non l'avesse
vista, ho pubblicato una shot slegata dalla raccolta ma sempre con Loki
e Sigyn. È da considerarsi un What if? a questa, diciamo.
Eccola: «Fino alla fine, per tutta
l'eternità».
•
Poi
ho anche scritto una shot Crossover, con Loki e Elsa (di Forzen).
Eccola: «Anche se dovesse essere un inganno».
•
Infine,
ecco, questa
è una cosa piuttosto particolare perché mai prima
di
questa ho mai scritto qualcosa su una persona realmente esistente, ma
mi è giunta l'ispirazione e perché mai
scacciarla? Non si
scaccia, infatti, e questo è il risultato. È con
Tom,
credo potesse essere intuibile dato che la propongo qui, quindi niente,
ecco pure questa. Eccola: «Nessuno sconto { Sapore di antico }»
Come sempre
ringrazio
immesamente tutte le persone che seguono la storia, chi l'ha inserita
tra le preferite/seguite/ricordate, che siete sempre di più
e io
non so cosa inventarmi per dire in modo originale quanto io vi sia
grata. E ancora di più lo sono a chi commenta e ripaga
così tutto il mio impegno per affinare al meglio i miei
scritti
per poterli pubblicare - ovvero, Helen
L, Lakky,
Cassandra14
e Zarael.
Ricordate: «Una recensione per il mio regno!», o al
massimo vi do un biscotto, ecco.
Alla prossima per il penultimo capitolo - mi dovete sopportare ancora
per poco! -, non so quando, non so dove, non so tante cose, ma so che
ci sarà un ballo (è tipo da settimane che voglio
scrivere
questa scena!) #Spoilertime
Buona apocalisse a tutti, come sempre,
Mania
|
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Capitolo 10 *** O9 • Nei risvolti delle danze ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O 9
▬
“ Nei risvolti delle danze
„
L’illuminazione
aveva tonalità dorate, cascate di fiotti calde che si
espandevano per tutto il salone, decorato finemente da sfarzosi scie di
cristallo affisse tra le varie colonne ad abbinarsi ai vari lampadari a
pioggia, sotto i quali si diramavano le piastrelle della sala da ballo
del medesimo colore di tutto l’ambiente circostante.
L’oro predominava, diramandosi dalla cromatura del luogo a
quello delle acconciature dei presenti – anzi, della
maggioranza. Le eccezioni erano poche e risaltavano con prepotenza
raffinata, nonostante quella di Lady Sif fosse cosparsa di una
femminilità feroce e quella del Principe Loki avvolta
dell’altezzoso fare mellifluo. La prima danzava, come si
voleva durante una festa come quella, e il secondo rimaneva ai margini
a scrutare le figure spostarsi con movenze estremamente annoiate.
Poche erano le persone che desistevano dalla magica attrazione delle
musiche, la maggior parte di queste erano per riprendere fiato prima di
ricominciare. Solo una donna rimaneva con il suo lungo abito candido,
dalle fini decorazioni, ai margini di tutto, con la spalla sinistra
appoggiata a una colonna con la penombra ad abbracciarla in un tiepido
abbraccio, rendendola poco visibile – non a lui.
«Non sono di tuo gradimento i balli, Lady Sigyn?»,
glielo domandò arrivando alle sue spalle ma non vi era
speranza di coglierla alla sprovvista, perché Loki sapeva
bene quanto lei fosse incredibilmente difficile da scuotere. Dunque non
si meravigliò quando la osservò inclinare
all’indietro il capo, lievemente, per rivolgergli un sorriso
mentre rimaneva a mimetizzarsi nell’ombra.
I capelli li aveva raccolti in un’elaborata treccia tirata su
in passaggi troppo complessi per essere compresi a occhi. Quasi
scoloriti, più vicini al bianco che allo zafferano vivo di
cui erano ripieni quelli degli altri asgardiani, erano abbelliti di
piccole perle infilate negli snodi degli intrecci. A differenza delle
altre dame nella sala, nessun gioiello abbelliva la sua pelle, solo le
cicatrici evidenziate dalla luce calda, in un gioco di chiaroscuri
suggestivi. Non aveva alcuna necessità di adornarsi di
preziosi, il trucco lieve con il quale risaltava i propri lineamenti
era sufficiente ad evidenziare la sua bellezza senza la
necessità di attirare l’attenzione con rilucenti
gemme.
«Lo sono, ma non come ci si aspetterebbe» rispose
sornione, rimanendo per tre quarti voltata verso la sala, senza
concedergli la vittoria di attirare completamente la sua
concentrazione. A Sigyn piaceva guardare le persone, rimanendo in
disparte a scrutare i loro gesti, sviscerandoli senza che se ne
accorgessero, catalogandoli e scoprendo i loro peccati tanto
visibilmente rispecchiati nei loro occhi da essere troppo facilmente
afferrabili per chi era tanto incline all’osservazione come
lei. Era un’attività rilassante soffermarsi a
studiare
le vite altrui scorrere, sapendo che un giorno o l’altro
tutto
ciò che aveva carpito le sarebbe tornato utile per servire
il suo Re.
«Quanti sciocchi si aspettano ancora di poterti comprendere,
mia devota Sigyn. Non sei mai stufa di tutti loro?»
«Ho grande pazienza, mio principe, non è facile
che io mi annoi.»
Non era l’unica in grado di cogliere i piccoli dettagli
– quelli che facevano la differenza –, quindi non
era sfuggito a Loki quanti pretendenti avessero sfilato davanti a lei
alla ricerca di un assenso per condurla in mezzo agli altri,
banalizzandola in danze monotone condotte da cavalieri inadatti a tale
carica. Fastidiosi,
ecco come li trovava il principe, ma
c’era soddisfazione nel notare quanta precisione ci fosse
ogni volta nelle parole di declino di Sigyn, la quale non si scomponeva
in alcun caso, imprigionata nella sua aria di nobiltà nel
rifiutare i vari inviti. Con chiunque degli uomini che avevano provato
a ottenere un suo consenso si sarebbe annoiata, in quel caso anche la
sua incrollabile pazienza si sarebbe ritrovata a cigolare sotto il peso
invincibile di una ripetizione insipida di persone, dotate di
così scarsa personalità.
«Hai declinato molti inviti a ballare»
asserì infine, scrutando l’ultimo di una lunga
fila di aspirante in avvicinamento nella sua direzione. Viso
conosciuto, fin troppo dal punto di vista di Loki, il quale insieme a
quel pensiero si chiedeva ironicamente come mai ci avesse messo tanto
Fandral a dedicare un po’ delle sue attenzioni anche a Lady
Sigyn – forse troppo impegnato con le sue altre fanciulle,
molto più inclini e facili da conquistare, o forse aveva
atteso che lo sguardo di Lady Sif non fosse pronto a rimproverarlo
nell’andare a infastidire la sua giovane amica. Qualsiasi
fosse la ragione, il dio degli inganni non portava con sé
alcun dubbio su come si sarebbe conclusa anche quell’ennesima
conversazione in cui un invito a danzare sarebbe stato posto e
rifiutato, dunque si ritrasse nelle pieghe più profonde
delle ombre per assistere alla scena con la complicità delle
stese.
«L’ho detto che mi piacciono tali cerimonie ma non
per le ragioni che sarebbero ovvie» replicò a
bassa voce, quel tanto che serviva per essere captata da lui e soltanto
lui, e prima che potesse comprendersi la ragione del suo volto di
qualche grado rivolto all’indietro, tornò a tenere
le scure iridi fisse dinnanzi a sé. Se Loki preferiva
rimanere imbevuto delle tenebre, lei non era alcuno per metterlo in
mostra contro il suo volere, così non avrebbe dato da
pensare che fosse in compagnia di qualcuno all’uomo che ora
era ad appena qualche passo da lei.
«Voi non danzate, dolce Sigyn?» con sorriso
ammiccante e l’aria sicura, Fandral pose la sua domanda senza
troppi ricami introduttivi. Avrebbe potuto quasi giurare – se
non si fosse così tanto distratto dietro gli strascichi
delle altre donne – che la giovane guerriera fosse fin
dall’inizio della serata vicina a quella medesima colonna,
con lo sguardo puntato sulle figure intente a dedicarsi a movimenti
basati sulle musiche suonate dall’orchestra migliore di
Goðheimr[1].
«Il cielo ce ne scampi» replicò ridendo
appena, portando la mano destra a tenere il gomito del braccio opposto,
lasciato scivolare lungo il fianco. L’allegria traspariva
dalle sue parole, un’allegria riservata e privata che non
ammetteva di essere condivisa per molto tempo con altri – era
palpabile nel suo essere la solitudine incastrata a fondo negli
ingranaggi della sua personalità, esternata non con veemenza
ma con sottile eleganza racchiusi in gesti raffinatamente signorili.
«Nemmeno se sono io a chiedervelo» era
più una nota di ovvietà quella di Fandral, che
non era così sciocco da non aver compreso già da
quello breve scambio di battute il naturale rifiuto a cui sarebbe
andato incontro. Le rivolse comunque il migliore sorriso del quale
disponesse, ben sapendo che non sarebbe servito a vincere la sua
volontà di rimanere esattamente dove si trovava –
a meno che, questo era il leggero sospetto di chi si era soffermato a
rifletterci, non fosse stato il principe Loki a domandarle il contrario.
«Oh, non sarei mai così orribile a toglievi alla
compagnia di fanciulle tanto adoranti, che meglio di me sanno gustarsi
tale occasione. Troppo impacciati sono i miei passi, vi metterei solo
in ridicolo.»
La piega delle labbra di Sigyn era del tutto innocua a occhio
inesperto, ma per Loki, abituato ad avere tanto a fondo alla sua
presenza, era perfettamente leggibile in essa una sfumatura di
divertimento compassionevole. La sua devota Lady seguì solo
per qualche attimo Fandral allontanarsi dopo averle rivolto un inchino
garbato, per poi tornare a studiare i componenti del ballo con la
doviziosa attenzione di cui disponeva. Quanti amanti segreti, odi
malcelati, rancori lasciati a macerare, inimicizie appena sorte,
simpatie il cui esito solo il futuro avrebbe potuto definire, si
mischiavano in un calderone animato dagli archi degli strumenti. Erano
segnali minimi, gesti che andavano interpretati alla giusta luce
– l’esperienza e la malizia di saperli scorgere
– e che in quel momento non avrebbero significato
alcunché, ma tutto, anche il più piccolo
elemento, un giorno avrebbero potuto giocare le sorti per la riuscita
di un buon piano.
Avvertì lo spostamento lieve dell’aria alle
proprie spalle anticipare la presenza estremamente più
ravvicinata di Loki, arrivato dietro di lei fin quasi a sfiorarla per
potersi chinare verso incavo del proprio collo, sul quale
lasciò scivolare
le proprie parole – il fiato le si appiccicava alla pelle,
invisibile ma percettibile nel suo ustionante peso. «A
dispetto
di quanto tu abbia asserito precedentemente all’ingenuo
Fandral, dubito fortemente che qualsiasi attività svolta da
te possa risultare meno aggraziata di ogni altra. Persino quando
combatti sembri
delicata come non sei.»
«Ah, non sarei delicata?» domandò
alzando un sopracciglio con evidente aria risentita, teatralmente
accentuata per chiosare quanto poco le fosse stato gradito un simile
non complimento.
«Non come ci si aspetterebbe» asserì
tirando il ghigno con fare ammaliante, appoggiando le lunghe e
affusolate falangi con
sicurezza intima sul fianco di Sigyn, per tirarla contro il proprio
corpo – poca gentilezza che riusciva a risultare
incredibilmente ammantata di eleganza regale, alterigia. «Mi
piace il modo in cui lo sei. E so che ballerai con
me.»
«Datemi un buon motivo», non le serviva
alcunché del genere, perché ne aveva
già a sufficienza di suo e altrettante ne sentiva provenire
silenziosamente da lui. Tuttavia Lady Sigyn era sempre stata troppo
tentata dalla prospettiva di stuzzicare il dio degli inganni, ed era
proprio a causa di quella sua naturale inclinazione che si era
ritrovata ad essere la sua fedele compagna, dunque nulla di diverso ci
si sarebbe potuti aspettare uscire dalle sue cremisi labbra –
sangue liquido.
«A parte averti chiesto di concedermelo?»
domandò retoricamente Loki, alzandosi appena per poterle ora
sussurrare all’orecchio, sfiorandola appena nel muovere le
labbra. Non attese di sentirsi replicare che in realtà non
aveva effettivamente composto alcuna richiesta in tal senso,
limitandosi a un'imperativo secco, dunque optò per
anticiparla accontentandola. «Come desideri. Non
sarà qui, ma da
un’altra parte in cui non saremo scorti da sguardi
indiscreti.»
Fu quando lei si voltò completamente, per la prima volta nel
corso della serata, verso di lui che il ciondolo a forma di goccia
appeso alla sottile catenella d’argento si rese visibile. Nel
corso dei secoli passati assieme non era quella la prima volta in cui
prendevano parte a feste e non era nemmeno una novità che
ballassero assieme – più o meno in pubblico,
quelli erano dettagli lasciati alle circostanze e capricci del momento
–, invece risultava essere del tutto inaspettata la presenza
di un gioiello a ricoprirla. Era discreto, nonostante vi fossero
piccoli smeraldi trapuntati sulla superficie a forma di goccia nuda, e
scorreva per centimetri sul petto di Sigyn fino ad avvicinarsi alle
pieghe della stoffa a ricoprire i seni. Era per la sua modestia che non
ne aveva scorto prima la presenza da lontano, e ora lo sondava con
curiosità poco sobria, domandando solo con lo sguardo quale
fosse l’origine del prezioso.
Lady Sigyn si limitò a sorridere appena, aprendo lei la
strada tra le ombre delle colonne verso un luogo maggiormente
appartato. Avrebbe potuto rivelare chi glielo aveva donato, ma anche se
non vi era stata l’espressa richiesta di non menzionarla, la
guerriera aveva comunque compreso che la Regina Frigga preferiva non
essere citata. Inoltre, anche volendo, non avrebbe saputo raccontarlo a
dovere l’incontro avuto con la madre del principe, troppo
criptica nel farle tale dono e le sue parole ancora rimanevano un
mistero indecifrabile – e lo sarebbero rimaste per molti anni
a venire. Frigga parlava del futuro privando del tutto
l’interlocutrice di riferimenti ad esso, come se fossero assi
chiari a chiunque e non solo a lei che possedeva il dono della
chiaroveggenza[2]. Non era mai stabile, il flusso del tempo venturo,
doveva essere complicato provare a fare ordine tra le sue pieghe, ma
insieme Lady Sigyn supponeva fosse un’arte raffinata di cui
era contenta di non doverne portare il peso del segreto.
«Mio figlio ti ha molto a cuore, molto più di
quanto si permetta di mostrare. Tutti vi guardano di nascosto per
cercare di capire, ma in realtà nessuno di loro lo vuole
davvero e voi, sospetto, vi divertite molto per tutto
ciò», fu la risposta che le diede quando Sigyn
aveva chiesto per quale ragione era stata convocata al suo cospetto,
nelle sue stanze. Non era mai stata persona incline al nervosismo, Lady
Sigyn, ma il contesto e quelle parole un certo fremito glielo avevano
smosso nello stomaco, tanto da non identificare se esso fosse frutto
dell’imbarazzo per l’argomento o per chi fosse la
sua interlocutrice – probabilmente erano ambedue le ragioni a
mischiarsi in una pozione dai poteri poco rilassanti.
«Non credo di afferrare il senso del discorso»
aveva glissato Lady Sigyn, sperando di superare in quel modo le
difficoltà del momento. Le piaceva molto la Regina, era una
donna accorta, con un portamento risplendente di nobiltà
calda, avvolgente, capace di mettere a proprio agio ma riuscendo
insieme a suscitare il rispetto che le si doveva. Sufficientemente a
disposizione di tatto da inviare Fulla, Gná e
Hlín[3] – le sue tre ancelle personali –
a compiere mansioni che impiegassero il tempo necessario a poter avere
un colloqui privato con lei. Probabilmente era per la saggezza di cui
tutti la facevano detentrice, giusta consigliera del Padre degli Dei,
sposa e madre devota, preoccupata per le sorti del Regno e per quelle
della sua famiglia in equale misura, a renderla capace di suscitare un
moto di naturale ammirazione.
Era l’unica della famiglia reale di cui Loki le avesse mai
parlato con più di qualche vago riferimento e ogni volta
aveva scorto l’amore di un figlio nei suoi racconti, saturi
di una sincerità di cui poche volte aveva assistito nei
risvolti dei suoi discorsi. Probabilmente in maggior misura la buona
opinione che Lady Sigyn aveva della Regina derivava proprio da
quest’ultimo elemento, tuttavia anche senza
l’influenza del dio degli inganni in quel particolare
contesto, dubitava avrebbe mai potuto pensare male di una persona di
tale spessore.
«Tutto ciò che desidero da te, Lady Sigyn,
è che portiate questa collana con voi, sempre. Non dovete
mai toglierla e non ha importanza che sia stata io a darvela, mi avete
compresa? Dovete conservarla con voi fino a quando non sarà
il momento», le aveva depositato nella mano il ciondolo prima
ancora che la guerriera potesse ribattere in qualche modo, guidando le
sottili falangi della stessa a richiudersi sull’oggetto con
le proprie e fermandosi a stringerle con amorevolezza. Erano calde le
mani della Regina, sfioravano la pelle con una delicatezza morbida,
capace di incantare per quanta tenerezza riuscissero a suscitare
compiendo un gesto talmente semplice.
«E quando sarà il momento?»
«Lo saprai,
perché non potrai evitarlo»,
nessun riferimento, nessun indizio. Il nulla le aveva lasciato in mano
e Lady Sigyn ancora una volta non era stata capace di chiedere
delucidazioni aggiuntive – non che ritenesse ne avrebbe avute
in alcuna maniera, ma prima di quella riflessione vi era stata
l’impossibilità materiale di proporre quesiti
sotto lo sguardo penetrante di Frigga. «Ma ora non ci devi
pensare, non pensarci mai più fino a quel tempo, pensa a
rimanere al fianco di mio figlio, a servirlo come lui desidera.
Colleziona momenti insieme a lui, più che puoi, e fai che
siano felici fino a quando si potrà.»
Criptica,
per l’appunto, rifletté nuovamente Lady
Sigyn ripensando al breve colloquio avuto con la Regina. Le aveva
ricordato molto il minore di due principi, entrambi possedevano un
magnetismo unico e un portamento saturo di una regalità che
non era semplicemente un’eredità di nascita
– alcune persone nascevano per essere nobili, anche se mai lo
sarebbero diventati e loro due rientravano in quella rarità.
Vi erano sfumature incontestabilmente differenti, eppure una sostanza
di similitudine era più che facilmente afferrabile, come
quel loro modo di parlare in cui ci si perdeva e niente aveva una forma
definita – solo loro sapevano a cosa stessero facendo
riferimento, era un segreto con se stessi di cui gli altri
eccezionalmente venivano messi a parte.
Era da quando gliel’aveva deposta sul fianco che la mano di
Loki non aveva abbandonato tale posizione, mentre l’altra
aveva intrecciato le propria dita con quelle della giovane mentre
prendevano a danzare sulle note lontane dell’orchestra. Dalla
terrazza la musica arrivava sospinta da refoli effimeri, portata come
se giungesse da altri mondi accompagnata dal chiacchiericcio lieve di
chi vi si immergeva completamente in tali passatemi mondani. Privati
della necessità di comunicare a parole, dissetati dal solo
godere della presenza l’uno dell’altra, rimasero
per molto con le labbra cucite in sorrisi da mille sfaccettature
– una cromatura che passava dalla malizia, alla silente
sfacciataggine, per affondare in una dolcezza differentemente graduata
tra di loro, fino a lasciare trasparire la reciproca
complicità intima di cui godevano reciprocamente.
«Un nuovo gioiello» si decise infine a notare ad
alta voce, non ricevendo spontaneamente alcuna notizia al riguardo. Era
sicuro che Lady Sigyn voleva che glielo chiedesse e lui era altrettanto
deciso a non concederle completamente la vittoria, preferendo omettere
un punto interrogativo del quale era facile sbarazzarsi.
«L’unico, mio principe, non ne possiedo altri come
voi ben sapete.»
«In realtà non pensavo ne possedessi nemmeno
uno» replicò accigliandosi appena Loki,
contrariato dal non conoscere con esattezza ogni particolare che
riguardasse la donna – non che lei non potesse possedere i
suoi segreti, ne aveva ancora molti da rivelargli, ma un gioiello aveva
sempre storie interessanti alle proprie spalle e alcune erano di
tipologie che il Principe preferiva non vedere affrancarsi alla sua
devota Sigyn.
«È un cimelio di famiglia», aveva
l’impressione di non stare mentendo del tutto,
perché quel ciondolo apparteneva a Frigga e aveva avuto la
strana sensazione, da quando lo aveva ricevuto, che la storia di esso
affondasse in miti e origini perduti vicini alla Regina. «Una
madre a volte esprime desideri che non ci sono chiari, ma che si devono
esaudire come atto di fede.»
Quella era un tipo di storia che si abbinava bene a Sigyn, scevro da
sentimentalismi romantici se non nella misura in cui si rivolgevano
alla famiglia e fu sufficientemente convincente da non destare
ulteriori quesiti – in fondo, a trovare la madre ci andava
saltuariamente nonostante non apprezzasse particolarmente il suo
saltare dalla casa di un uomo all’altro.
Abbassò le verdi iridi verso la scollatura nella quale
affondava precipitosamente il ciondolo, sorridendo maliziosamente prima
di commentare. «Qualsiasi sia la ragione per cui lo indossi,
ti donano gli smeraldi.»
«Il loro colore è l’unico che mi si
abbina perfettamente» osservò Sigyn, rispondendo
all’allusione con un’altra, senza sentirsi a
disagio sotto il penetrante sguardo arso da più che sottili
lampi di cupidigia.
«No, non è il colore in sé.
È la persona che si abbina ad esso e le persone tra
loro.»
M A N I
A’ s W
O R D S
L’aggiornamento! Ebbene sì, ci sono riuscita - ve
lo faccio come mio regalo di compleanno (?).
So che come capitolo è un po’ particolare e in
realtà getta le basi per quello che sarà il
seguito della raccolta – se riesco a farlo, ma ci sono buone
possibilità, darò comunque maggiori delucidazioni
nel prossimo e ultimo capitolo. La collana, sì, è
un elemento che nel seguito avrà una sua importanza, quindi
tenetelo a mente – ma anche no, tanto lo segnalo nelle note
nel caso, quindi, potete anche scordarvelo (?).
Allora, un paio di note tecniche:
[1]
• Goðheimr, è il nome del pianeta su cui si
trova Asgard, che sarebbe la capitale, ma moto spesso
quest’ultima viene usata per identificare l’intero
Regno.
[2]
• Nei miti norreni si dice che Frigga sia dotata del potere di
scrutare il futuro. In questo caso ha usato la sua capacità
di preveggenza per far da shippatrice tra Loki e Sigyn
per tentare di
dare una mano a qualcuno.
[3]
• Fulla, Gná e Hlín, sempre nei miti
norreni, sono le tre ancelle che si occupano dei bisogni della regina
Frigga.
In realtà non ho molto altro da dire, a parte che la
suddetta oneshot è nata all’inizio da una fanart
di Loki e Sigyn che ballano, e ho incastrato l’elemento della
collana che invece avevo già in mente da quando vi dicevo
che avevo in mente la long nei primi capitoli – nella long
doveva servirmi ad altro, ma ho riadattato l’idea e quindi
l’ho lasciata comunque. Sì, pure io sono criptica,
ma non mi va di darvi spiegazioni spoilerose, a tempo debito vi
deluciderò.
Inoltre l'ho riletto putroppo distrattamente, ma è un
periodo un po' così, quindi mi dispiace se qualche errore mi
è sfuggito - tornerò a betarlo non appena mi
sarà possibile.
Spero di riuscire ad aggiornare se non prima della fine del mese
– la vedo ardua –, almeno i primi aprile!
Sì, insomma, mi mette molta tristezza dire che la prossima
shot sarà l’ultima, ma è
così. Mi sono molto affezionata a questa raccolta, a tutte
le persone che l’hanno seguita fin dall’inizio, a
quelle che man mano si sono aggiunte e a tutti coloro che mi hanno
regalato le loro parole e supporto. Insomma, vi ringrazio infinitamente
- in particolare poi ringrazio Helen
L, Zareal,
Adhamico e Yoan Seiyryu per
aver recensito lo scorso capitolo, grazie di cuore.
Ah, poi io avrei un contatto Facebook, ma non mi va di piazzarlo nella
pagina autrice perché non mi piace che chiunque possa
aggiungermi impunemente (?), quindi se volete basta che mi mandiate un
pm e ve lo do – così potete tartassarmi di domande
o quel che volete, anche pomodori, a seconda del caso.
Ho terminato i miei sproloqui, sì, credo di sì,
quindi alla prossima, sweeties
♥
Mania ▬
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Capitolo 11 *** 1O • Le parole mentono, i sentimenti no ***
PROLOGO
▬
C A P I T O
L O 1
O
▬
“ Le parole mentono, i sentimenti no
„
Da
qualche parte ricordava una frase – forse l’aveva
letta o
forse era una memoria passata a lei da qualcuno della sua famiglia,
anzi, da suo padre se era quello il luogo d’origine di quelle
parole, perché solo lui avrebbe potuto pronunciarle
–, era
breve e non riusciva a collocarla con precisione in quale tempo della
sua vita l’avesse immagazzinata, quasi fosse da sempre dentro
di
lei. Recitava similmente a: «Solo i bambini, i matti e i
solitari
sanno essere se stessi»[1].
La condivideva, forse perché lei era stata almeno in un
tempo
tutte e tre le cose e ora le restavano – per
l’inevitabile
scorrere dl tempo – solo due caratteristiche appiccicate
addosso.
Sapeva fin troppo bene di non rientrare nella normale organizzazione
mentale delle persone attorno a sé e non vi era mai stato un
reale desiderio di potersi uniformare a comportamenti che fuoriuscivano
dalla sua logica, tuttavia aveva cercato con un notevole margine di
successo a non essere troppo visibile in quelle incrinature difformi.
Non era perché non voleva essere vista come era davvero, ma
più semplicemente perché era più
facile compiere
il suo lavoro se nessuno posava su di lei le proprie attenzioni
–
d’altronde, ci pensava già Loki a suscitare
perplessità e dubbi, almeno uno dei due doveva impegnarsi ad
assumere un basso profilo.
Recitare era piacevole, le piaceva assumere il ruolo che tutti
credevano avesse e le rendeva divertenti momenti che non lo erano
nemmeno lontanamente, tutto perché deteneva conoscenze che
sfuggivano a chi la circondava. Il vero potere, in fin dei conti era
proprio quello, la conoscenza – chi sapeva più
cose
vinceva, non era questione di forza, quest’ultima era una
variabile secondaria.
Tuttavia, per sua fortuna, non sempre era costretta a impersonare i
panni dell’attrice. Anche se era da qualche settimana che non
aveva più l’occasione di concedersi di essere
pienamente
se stessa se non nei momenti di solitudine, essendo Loki partito
insieme a suo padre, Odino, e Thor per una visita diplomatica lontana,
nel regno di Vanaheimr[2].
Con un libro deposto sulle gambe, seduta sul davanzale del terrazzo
della sua camera, Lady Sigyn leggeva con sotto di sé il
vuoto
per vari metri a separarla dal giardino. La luce rossastra delle
lampade le illuminava a sufficienza la vista per consentirle di
procedere nel racconto, ma la sua era una concentrazione vacillante
– troppo spesso i suoi occhi si alzavano dalle pagine in
direzione del ponte di collegamento tra i mondi. La sua falsa posa
rilassata era tradita dall’attesa nel nero delle sue iridi,
irrequieti gemme d’oscurità liquida che fremevano
nella
notte rischiarata da piccoli fuochi.
Le dita si muovevano sulle pagine, scorrendo tra le parole come a
catturarne la sostanza intrinseca, ma senza che il suo sguardo si
posasse realmente su di esse – ed era strano,
perché
quando un racconto era tanto narrato egregiamente come quello in suo
possesso, solo le attività a lei adibite in
qualità di
Guardia Reale la potevano distogliere dalla bramosia di arrivare
all’epilogo. Ma a occupare la sua mente vi era
l’arrivo del
principe, collocato troppo vagamente durante le ore in cui le stelle
dominavano il cielo soprastante la bella capitale.
Fu un lampo nel cuore delle tenebre sul fondo del ponte scintillante,
un solo frammento di eterna luce congestionato in un secondo in cui
esplose in tutto il suo fragore - e seppe che era tornato.
Incurvò appena le labbra, senza muovere alcun muscolo
perché non era sua intenzione corrergli incontro o farsi
trovare
nelle sue stanze per dargli il bentornato personalmente. E per quanta
fatica le costasse una tale decisione, la mantenne con la fermezza
della donna nobile che era e quel pizzico di malizioso desiderio di
giocare a chi resisteva maggiormente – lo stesso in cui si
dilettavano quando erano a troppi pochi centimetri di distanza e si
sfidavano silenziosamente a chi per primo avrebbe carpito un bacio,
derubandolo all’altro e perdendo insieme.
Probabilmente era per via del semplice fatto che fosse Loki in
vantaggio in quel loro scontro del tutto privo di una classificazione,
che si prese il disturbo di scivolare nelle stanze della guerriera
dimenticandosi di domandarle il permesso. Bussò sulla porta
già chiusa alle sue spalle unicamente per attirare
l’attenzione di Sigyn, ridacchiano appena a labbra chiuse nel
vederla sobbalzare di lieve sorpresa – accadimento tanto raro
da
meritare di essere celebrato adeguatamente, si disse mentre si
avvicinava a lei.
«Pensavo saresti venuta ad accogliermi» si
rammaricò
eccessivamente teatralmente per poter essere sincero –
già
prima di ritornare a palazzo sapeva che non l’avrebbe trovata
dove avrebbe voluto scorgerla, come sapeva che sarebbe toccato a lui
andare a prendersela. Le incollò addosso iridi infuocate
–
ardevano tizzoni ardenti tra le sfumature di verde – nel
studiare
i suoi spostamenti per mettersi seduta con le gambe a penzoloni verso
di lui, restando sul davanzale protraendo il suo capriccio.
Non era tanto sciocco da credere che bastasse piegarsi maggiormente in
direzione delle labbra carnose della donna per toglierle la
capacità di rispondere adeguatamente, ma voleva comunque
provare
a vedere quanto tempo le occorresse per assemblare una risposta
soddisfacente.
«In un certo senso è così, non trovate?
È
notte fonda e sto leggendo – tra parentesi mi piace molto,
grazie
per il suggerimento - seduta sul bordo del davanzale rivolta al
Bifrost» osservò Sigyn, spargendo chiarezza nella
sua
posizione strategica e nelle attività che aveva deciso di
compiere mentre la notte si protraeva, accarezzando con gesto morbido
la guancia sinistra dell’uomo. Da quando ne aveva avuto la
possibilità, a Sigyn piaceva potersi prendere la
libertà
di delineare con i propri polpastrelli quei lineamenti responsabili
della malia di cui era succube – piacevolmente e senza
rimpianti.
Loki, d’altronde, era il primo a comprendere come non avrebbe
mai
potuto avere il cuore della donna di fronte a sé in quel
momento
se non fosse stato un desiderio della stessa – troppa
cocciutaggine viveva nelle pieghe del suo animo, troppa sfacciataggine
cucita sotto sguardi da attrice e troppo desiderio di essere lei a
vincere tra loro due si celava nelle sue frasi. Secoli addietro, quando
era ancora una bambina e lui già si destreggiava nella magia
con
naturalezza incredibile, le aveva chiesto se era in grado di
impressionarlo e in nessuna circostanza nella quale si erano ritrovati
successivamente aveva mai disatteso un tale ordine.
«Mi fa piacere sia di tuo gradimento»
asserì a bassa
voce, non avendo alcun ché al quale aggrapparsi per
ribattere
alla risposta con la quale aveva messo a tacere ogni possibile risvolta
di finto risentimento. Fu forse perché capitolò
davanti a
lei, arrendendosi davanti all’evidenza di un piano in cui non
aveva calcolato quanto romantico potesse essere l’animo di
Sigyn
sotto veli inaspettati, che l’avvertì
attorcigliargli le
braccia attorno al proprio collo per spingerlo verso il basso, in modo
da poter catturare con maggior semplicità le labbra in un
bacio
vorace.
A dispetto di quanto si potesse supporre, nonostante i gesti concitati
e la poca pazienza, non vi era rudezza in nessuno dei due quanto
trovavano il momento per lasciare emergere all’esterno
sentimenti
dei quali nessuno dei due voleva parlare – non per
incapacità, ma perché entrambi sapevano quanto
perfettamente l’altro fosse in grado di mentire usando le
parole,
dunque erano più i modi di comportarsi a riflettere i
reciproci
moti del cuore.
Quando le sottili falangi di Sigyn scorrevano tra le ciocche
d’inchiostro di lui, lo facevano con la bramosia con cui si
sarebbero potute tuffare in un torrente per cercare acqua con cui
mettere a tacere il bruciore della gola. Era qualcosa di simile che
doveva appagare, era una necessità di cui troppo
abilmente
fingeva di dimenticarsi per la maggior parte della propria giornata,
per poi scintillare in piogge di passioni quando ve ne era
l’occasione.
E i morsi con i quali Loki avrebbe quasi voluto strappare pezzi di
pelle dal collo di lei, solo per avere la certezza che fosse solo ed
esclusivamente un suo privilegio, non erano meno pieni di egoismo e
apprensione nel ricercare un contatto di cui non era così
interessato come lei a imprigionarli nelle segrete di angoli bui
– ma l’assecondava, per l’unica ragione
per cui aveva
iniziato il tutto, ovvero per gioco, anche se poi gli era sfuggito di
mano ed era finito preda di risvolti inaspettati ma ai quali di certo
non aveva provato a sottrarsi.
«Avete creato un’illusione nelle vostre
stanze?»
glielo domandò ridendo, con le gambe attorcigliate alla sua
vita, già sapendo la risposta, ma divertendosi a sapere
quanto
quel momento fosse ritagliato dentro un mondo che in un modo o
nell’altro cercava di rendere tutto eccessivamente
cristallino.
Invece loro vivevano in zone di nebbia, in specchi opachi, a discapito
di qualsiasi cosa.
«Troppe spiegazioni, no?», avrebbe potuto
aggiungere su
come in realtà lui non ne avrebbe mai date ed era unicamente
lei
quella che avrebbe potuto sentire una simile necessità, ma
in
verità non era esattamente la ragione per cui Sigyn adorava
la
clandestinità. Le piaceva abitare in confini indistinti e
altrettanto anche il non lasciarsi visibile a nessuno; le spiegazioni,
in fondo, non sarebbero state necessarie.
Le pieghe dell’abito bianco di Sigyn erano risvolti naturali,
facili da ammaestrare con le dita, le quali scorrevano con fin troppa
semplicità sotto di esse, cercando la pelle adornata da
ricordi
di vecchie battaglie a renderla più interessante agli occhi
bramosi di Loki. E mentre oltre ad alzare i risvolti della gonna,
spingeva di lato una spallina tirandola con i denti, alzò
appena
lo sguardo verso di lei per scoprire quale espressione avesse mai in
quel momento. «Questa volta puoi disubbidirmi se non ti
va.»
La lieve risata con cui rispose sull’immediato alla sua frase
aveva sfumature di allegria e forse un po’ di presa in giro.
«Ma io vi disubbidisco sempre, per una volta
eviterò di
farlo», asserì infine, con le sottili falangi
macchiate di
calli a slacciare la cintura di cuoio al quale vi erano appese le
fodere dei pugnali, che cadendo al suolo produssero fragore metallico,
coprendo il mezzo sbuffo di divertimento che sfuggì alle
labbra
di Sigyn mentre veniva sollevata di peso da Loki.
Le parve di sentire una mezza minaccia sussurrata al proprio orecchio,
qualcosa che riguardava il fatto che si era andata a cacciare nei guai,
ma lo sapeva da secoli, ormai, da quando gli aveva dato retta da
bambina e si era tanto impuntata nel desiderio di impressionarlo. Ci
era riuscita, indubbiamente, forse
anche troppo.
E nel sentirsi precipitare sul proprio letto, tra lenzuola ancora da
disfare, era consapevole che non avrebbe mai avuto il controllo di
quella situazione – l’aveva voluta, ma avrebbe
pagato
unicamente gli effetti, e le era talmente chiaro al solo osservare il
ghigno delineato sule sue labbra sottili prima che tornassero a
baciarla e dal verde bruciato da lussuria liquida. Quando avrebbe
potuto avere in mano le redini, sarebbe stato perché lui
gliele
concedeva – perché era Loki a volerla vedere
dominante, e
non perché poteva conquistarselo davvero. A dispetto della
consapevolezza, non avrebbe demorso dal cercare comunque di afferrare
almeno secondi di predominio su di lui, che fosse stato cercando di
impedirgli i movimenti o di liberarsi dalle sue prese per essere lei a
ribaltare le posizioni.
Le stringeva un polso per imprigionarla, lasciandolo andare unicamente
per il frammento di tempo necessario liberarla dell’intralcio
dell’abito di tessuto bianco, per poi riafferrarlo in modo da
tenerla sdraiata. E Sigyn tramutò in un sogghigno carico di
cupidigia lo sbuffo di divertimento con il quale tentava, per poi
riuscire, a sfilargli la casacca di pelle e la maglietta sottostante
con movimenti delle dita fluidi, interrotti unicamente dagli impeti con
cui lui le strappava baci roventi sulla sua pelle.
Era impossibile stabilire se fosse Loki a scorrere sul di lei, o il
contrario. Nonostante ogni cambiamento di intreccio tra i loro corpi
fosse guidato più o meno direttamente dall’uomo,
per
quanto si susseguivano naturalmente, sembravano essere
un’evoluzione che non sarebbe potuta essere diversa.
I grafi erano disegni astratti sulla schiena ricamati dalle unghie di
Sigyn, strisce scarlatte a segnare il tentativo di trovare un punto
qualsiasi al quale aggrapparsi con fermezza sotto i movimenti intrisi
di veemenza - ma mai di brutalità, incartati malamente da
una
delicatezza celata non completamente. E i mezzo suoni rotti che
venivano strappati dalla gola di lei non erano sempre di piacere
scintillante, puro, ma macchiato da chiazze scure in cui la rudezza
diveniva maggiormente arrogante, seppur mai rozza.
La notte non sembrò mai così breve, mai
così poco
dilatata nella sua essenza in cui si ritrovarono a vivere –
consumandola come non era stato fatto prima e sarebbero state, invece,
incalcolabili volte in futuro –, in un anfratto privato, fino
a
quando non si esaurì la cera e le traballanti luci rossastre
si
spensero prima che morisse anche la loro passione. Sotto lenzuola
sgualcite, tirate su mai del tutto, in un groviglio di arti difficile
da ricostruire nelle ombre in cui si addormentarono senza parole
ulteriori, senza averne bisogno.
La ritrovò a dormirgli accanto, solo vicino e non
più con
i corpi a intrecciarsi in strani figure, sdraiata con la schiena
lasciata scoperta dal lenzuolo per la quasi sua interezza e i capelli
scivolare finalmente sciolti in percorsi diversi, scompigliati. Erano
lisci, come li aveva resi lui con la propria magia, di un candore
accecante nel bagno d’oro della luce dell’alba a
filtrare
dalle portefinestre socchiuse. Si girò sul fianco
per poter
far scorrere senza fatica le lunghe dita tra le ciocche, assaporandone
le sensazioni dei fili setosi a contatto con i propri polpastrelli in
cui erano già affondati poche ore prima, ma con
voracità
dall’apparenza insaziabile e senza l’attenzione con
il
quale ora studiava quell’elemento di lei che da sempre lo
aveva
affascinato.
In poche occasioni aveva avuto il piacere di osservarla con la chioma
sciolta, perché Sigyn la teneva incatenata in una treccia
per
dispetto a lui – non glielo avrebbe mai dichiarato
apertamente,
ma sapeva che era per quella ragione che aveva preso
l’abitudine
a serrarli in tale acconciatura. E mentre passava lentamente in essi la
propria mano, in carezze ammantate di una dolcezza di cui non era
solito dar sfoggio se non in quei momenti trafugati e tenuti nascosti
anche a lei, ricordò il giorno prima della partenza al
viaggio
che aveva preceduto quella notte.
Sarebbe stata una giornata del tutto normale se Lady Sigyn non avesse
deciso di uscire dal palazzo senza dare avviso nemmeno a lui
–
probabilmente perché sapeva che non ve ne era
necessità,
Loki conosceva ogni suo spostamento anche se non possedeva lo sguardo
di Heimdall. La raggiunse quando ancora non sapeva dove si stava
dirigendo, affiancandosi ai suoi passi diretti verso la periferia della
città, scegliendo di non pronunciare alcuna parola per
domandare
dove si stesse recando, preferendo scoprirlo.
La villa era in decadenza, avviluppata in piante rampicanti snodarsi
sui muri una volta maestosi e lisci dell’edificio, ora
crepati
dal lungo tempo di abbandono. Molte finestre erano riempite solo in
parte dai vetri, abbattuti forse da giovani che si erano dilettati a
centrarle con pietre raccolte nel giardino, tramutato in boscaglia, o
dalle intemperie a cui poi nessuno aveva badato per tamponare i danni
lasciati. Non vi era la minima traccia di vita che non fosse animale, e
si faticava a fantasticare per riesumare da quelle ceneri la grandezza
di quella dimora principesca, appartenuta alla nobile casata in cui era
nata Sigyn.
«Perché siamo venuti qui?» le
domandò
osservandola aprire il cancello con una chiave di cui lui non conosceva
l’esistenza, tirata fuori da una delle piccole sacche tenute
appese alla cintura – fu un lieve disappunto quello con cui
si
accorse di quel dettaglio, perché non ne aveva mai avuto
coscienza nonostante i lunghi anni di vicinanza, ma anche con lieve
soddisfazione per la continua scoperta che Sigyn era.
«In realtà io sono venuta qui, voi mi avete
seguita senza
fiatare» chiosò la donna alzando appena il capo
per
lanciargli un’occhiata divertita.
«Sottigliezze.»
La panchina sulla quale si sedette Sigyn era posta nel giardino dietro
la dimora, l’unica che pareva essere stata risparmiata dalla
morsa verde delle piante su cui sbocciavano fiori dai colori
più
vari. Non pronunciò alcuna parola per diversi minuti, ma il
silenzio tra lei e Loki non era mai stato predominato dalle cadenze
pesanti di tensioni, rimanendo su quiete note in cui vi era
complicità e comprensione.
«È- Era
casa
mia» cominciò a spiegare, iniziando da una
specificazione
più che lampante, ma di cui sentiva di dover dar voce.
«A
volte ci vengo. Non c’è un motivo, è
solo per
rivivere meglio i ricordi, per evitare che si indeboliscano,
perché a dispetto di tutto, sono miei, non li voglio cedere
all’oblio. Mi hanno resa ciò che sono, non potrei
mai
rinnegarli.»
«Raccontami», sapeva poco di richiesta, anche se lo
era in
realtà, ma Loki era poco abituato a dare inclinazioni
più
mansuete alle proprie parole – e a Sigyn piaceva
così,
senza che i suoi contorni fossero stati smussanti.
«Voi sapete tutto sulla mia famiglia»
ribatté lei,
senza avere veramente intenzione di sfuggire all’implicita
domanda, perché se avesse realmente voluto non raccontare
nulla
ci sarebbe riuscita, tuttavia provava una certa soddisfazione nel
spingere Loki a prodigarsi almeno un po’ a protrarre i propri
desideri di cui lei era il centro.
«Solitamente le storie sono più accurate quando
sono
narrate dai protagonisti, sicuramente più
interessanti»
osservò blandamente Loki, posando l’attenzione sui
dettagli di deturpazione di quello che una volta doveva essere uno
splendente roseto ad estendersi lungo il perimetro del palazzo,
costeggiandolo. Ora appariva un groviglio di spire dagli aghi naturali
pronti a ferire chiunque si avvicinasse a cogliere i boccioli candidi,
bagnati da residui di rugiada non evaporata via all’ombra
delle
mura.
«Non per questo più veritiere.»
«La verità è una per ogni persona, non
è
assoluta e non vi è detentore che la possegga. È
un’illusione creata dagli uomini, una distorsione della
realtà, perché essa è troppo grande
per le loro
menti» asserì serio, voltandosi verso Sigyn per
depositare
sul suo volto gli occhi di cristalli liquidi, calamitici, ricchi di una
serie di riflessi di cui lei si sarebbe potuta nutrire come se fosse
stato ossigeno. «Non ti sto chiedendo la
verità, solo la
tua di verità.»
Fu Sigyn a tendere il proprio corpo per riuscire ad arrivare fino alle
sue labbra con le proprie, depositando un bacio tenue, quasi una
carezza per cui non c’era una reale ragione, semplicemente la
volontà di elargirla. Un inizio per un racconto che non
sapeva
quanto potesse essere interessante, ma raccontare il principio di come
lei era nata e plasmata da quella vita ormai incenerita da chi
l’aveva spremuta fino all’ultima risorsa, non le
dispiaceva
se era Loki il suo auditorio.
L’aveva ascoltata con attenzione distratta, senza rendere
presente fino in fondo quanto stesse in realtà succhiando
ogni
parola da lei pronunciata, imprimendola con decisione nella propria
memoria per non farla appassire. Tuttavia, era abbastanza sicuro che
Sigyn l’avesse scorta la sua bramosia e avidità
verso
quella narrazione, ed era stato probabilmente proprio per quello che
aveva provato a scavare nelle collezioni di immagini di ciò
che
era stato secoli addietro. Un tempo in cui Loki conosceva unicamente il
nome di quella nobile casata e vagamente, con assai poco interesse, il
fatto che vi fosse una nuova componente a riempire i rami di una
genealogia fitta. Se qualcuno gli avesse predetto il futuro su di
sé e quella piccola creatura appena nata, avrebbe riso come
non
mai nella propria vita; mentre ora, nell’affondare le proprie
dita tra la sua chioma, nel carpire il suo primo sguardo della
giornata, facendolo proprio, e poi nell’osservarla scrollarsi
di
dosso le lenzuola, l’unico pensiero era su di quante fortune
fosse stato ricoperto per l’aver trovato l’unica
compagna
degna di ricoprire il posto accanto a sé.
Lo sguardo che le aveva cucito addosso era indecifrabile. Seduto sulla
poltrona, ne studiava i movimenti che compiva nel vestirsi e sistemarsi
usando una cura ai minimi dettagli che solo Sigyn poteva possedere, la
stessa con la quale conduceva la sua vita e con cui afferrava il mondo
attorno a sé. Tenendo il capo sorretto dalla mano chiusa,
controllava puntigliosamente i suoi spostamenti, cercando di afferrare
ogni più piccola mossa usata per allacciare gli abiti da
guerriera mentre ricordava di aver provato quanto flessuoso potesse
essere anche in altri campi il suo corpo.
Fu mentre cominciava a ponderare l’idea di non uscire
così
presto dalla camera – in fondo, non era ancora sorto del
tutto il
sole e pochi erano già svegli –, Sigyn ruppe il
silenzio
con un’insolita domanda.
«Principe, voi credete che tutto sia una menzogna in questo
mondo?»
Non c’era una particolare inclinazione nel tono di voce con
cui
pose la questione, forse unicamente una punta di curiosità.
Una
risposta sua, Loki, era certo che l’avesse e
quell’interrogativo era unicamente rivolto a conoscere la sua
di
opinione, quindi l’accontentò con la
sincerità che
solo con lei spendeva con frequenza insolita – mentre le
altre
volte faceva affidamento sulle sue capacità di discernere,
sotto
la melma di bugie e cose non dette, ciò che negava di essere
pronunciato dalla propria voce. E non gli servì capovolgere
la
domanda, bastò il sorriso di soddisfazione di lei per sapere
che
condivideva il suo pensiero, quindi si limitò a rimanere
lì dov’era, seduto a osservarla fino a quando non
fosse
stata pronta per percorrere assieme quella giornata – quella
successiva, e quelle future fino a quando sarebbe stato loro concesso.
«No, Sigyn, le bugie sono solo pezzi
del mondo, sue interpretazioni e queste passano tramite le parole. Sono
i nostri vocaboli a indurci a travisare, a scomporre e ricomporre al
rovescio la realtà. Ci sono cose che però non
passano
attraverso tale percorso, ci sono cose che non possono essere espresse.
Ci sono cose che si
sanno essere così e basta, non è
forse così, mia
Sigyn?»
M A N I
A’ s W
O R D S
Ed ecco l’ultimo capitolo. E ci infilo hastag a caso per
sottolineare il mio dolore #Sonomoltotriste #Piangotantelacrime #LokieSigynmimancherannoassai
Partiamo dalle note:
[1]
• È una
citazione di Fabrizio De Andrè. Ringrazio immensamente Maya90 che
è stata così gentile da trovare a chi
apparteneva, grazie!
[2]
• Vanaheimr, è il
Regno dei Vanir, ovvero gli Dei della Fertilità.
Ora, prima
dei saluti e
lacrime e commiati, specificazioni. La prima, partendo
dal fondo,
è una sottolineatura che spero in realtà non sia
necessaria, perché so che siete lettori attenti, ma io sono
pignola e mi piace sottolineare l’ovvio. Questa è
la prima
volta in cui Loki si rivolge a Sigyn senza mettere in mezzo
all’aggettivo possessivo al "devota", una scelta non fatta a
caso,
per rendere più intima la cosa – spero sia chiaro.
Seconda cosa,
io non sono proprio un’amante delle fic a rating rosso,
questo perché solitamente – la maggioranza, eh,
mica tutte – hanno
descrizioni scadenti e prive di patos – che persino i video
su
youporn ne contengono di più – e pure molto
ripetitive.
Dunque, non ritenendomi superiore alla maggioranza di chi scrive queste
scene, evito di farlo per scadere nello stesso errore e quindi mi evito
le descrizioni morbose dell'atto sessuale.
Terza cosa,
probabilmente qualcuno si attendeva se non il matrimonio,
almeno la proposta – Loki che fa una proposta di matrimonio,
scusate che rido e poi riprendo a fare le note /inserire svariati
minuti di pausa/ –, quindi forse sarete un po’
delusi da
tale scelta, me ne scuso. Ma troverete – forse,
chissà,
magari, non faccio spoiler! – maggiori soddisfazioni nella
raccolta che fa da seguito a questa – «OMMIODIO! Allora alla fine
c’è il seguito?!», vi
starete chiedendo, ma magari no, io tiro a indovinare, ma in ogni caso la risposta è
sì, e per maggiori approfondimenti andare al
prossimo punto.
Quarta specificazione,
come stavo dicendo c’è il seguito. Avevo in
un primo momento detto che avrei fatto la long, e invece niente,
perché ho cambiato trama a metà corsa dato che
non mi
soddisfaceva/stimolava/piaceva più e per un tot ho lasciato
perdere la stesura. Poi l’ispirazione è tornata e
ho
deciso che comunque manterrò lo stile di una raccolta,
nonostante vi sia una trama molto più elaborata –
decisamente di più - e non sia prettamente romantico come
genere
– se questo può essere poi romantico, diciamo che
lo
è per gli standard dei protagonisti, ecco. Le spiegazioni
per
questa scelta le darò nel primo capitolo che
posterò la
prossima settimana se tutto va bene, perché non voglio che
vi dimentichiate di
me, quindi posto velocemente! Il titolo sarà «Cuore
di sale»
- link inserito! Cliccate
sul titolo~ -, e niente, tutte le informazioni le
troverete al suo interno.
Sì, poi il capitolo è decisamente più
lungo del
solito, ma volevo che fosse bello pieno e ricco per la conclusione.
Insomma, una conclusione deve essere ben fatta, no? Quindi spero lo sia.
Ah, sì, mi sono fatta un nuovo banner. Yeeeh. No,
seriamente,
l’attrice è cambiata, perché nella
prima parte
della storia Sigyn era palesemente più piccola di Loki come
aspetto fisico, e la bellissima Natalie Dormer non poteva starci come
scelta. Ora che dimostrano più o meno la stessa
età
– ignorando che sono semi immortali e invecchiano
lentissimamente
-, ho usato lei. Comunque ora lo cambierò in tutti i
capitoli,
quindi niente, tutto questo discorso non vale – sono furba.
Detto ciò, vi ringrazio tutti quanti per avermi seguito fino
a qui. Soprattutto a
chi ha commentato,
perché queste persone non hanno reso mai vani i miei
aggiornamenti, il mio impegno e la mia voglia di continuare, quindi
questa raccolta è dedicata a loro – ovvero Helen L, Yoan Seiyryu, Zareal, Serendipity__, PaddyRockS, Cassandra14, Pitonia, Lakky e adhamico
e chi commenterà quest’ultimo capitolo
♥. Inoltre
un grazie anche a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le
preferite/ricordate/seguite, e non vi cito solo perché siete
tantissimi, ma vi ringrazierei uno a uno se vi avessi qui davanti
♥
A presto,
Mania ▬
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